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IPERPLASIA PROSTATICA BENIGNA

(IPB)

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EPIDEMIOLOGIA

L’iperplasia prostatica benigna (IPB) è una delle affezioni più frequenti in ambito
urologico e della quale, sorprendentemente, si sa poco sulla sua eziopatogenesi. La
prostata va incontro ad una crescita significativa in corso dello sviluppo fetale e della
pubertà al termine della quale raggiunge un peso compreso fra (16-26 gr).
All’inizio della quarta decade di vita l’8 % degli uomini ha una IPB istopatologica
(nel senso che può essere messa in evidenza solo con l’esame microscopico) e
comunque il 50%, fra i 50-60 aa, ed il 90%, in età superiore agli 80 aa, hanno una
evidenza istologica di IPB. Tale incidenza è abbastanza costante sia nei paesi
occidentali che in quelli in via di sviluppo suggerendo la non influenza di fattori
ambientali sulla sua genesi, inoltre, la prevalenza di malattia aumenta con l’età in
tutta la popolazione maschile. Pertanto tutti gli uomini potrebbero sviluppare una IPB
se avessero una vita sufficientemente lunga (fig. 1).
I diversi studi epidemiologici non sono stati in grado di rilevare chiari fattori di
rischio diversi dall’età (l’età viene considerata un fattore di rischio in quanto
aumentando gli anni di vita aumenta la probabilità di essere affetti dalla malattia) e
dalla condizione data da un normale stato ormonale. Comunque gli studi genetici
eseguiti sulla popolazione dimostrano un rischio positivo con una condizione
anamnestica familiare (fattore genetico predisponente).

(fig. 1)

EZIOPATOGENESI

L’eziologia dell’IPB è senza dubbio multifattoriale. In un determinato organo, il


numero di cellule, e quindi il volume dell’organo stesso, dipendono dall’equilibrio fra

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proliferazione cellulare e morte cellulare programmata (apoptosi) che rappresenta un
meccanismo fisiologico cruciale nell’omeostasi ghiandolare. Pertanto, l’aumento
osservato del numero delle cellule nell’IPB può essere legato alla proliferazione
epiteliale e stromale e/o alla diminuzione della morte cellulare programmata che
porta ad un accumulo di cellule.
I meccanismi di regolazione della crescita cellulare possono essere diversi (fig. 2):
 fattori endocrini che arrivano da organi distanti attraverso il torrente ematico
(ormoni);
 interazioni fra cellule stromali ed epiteliali;
 fattori autocrini che operano con meccanismo di retroazione sulle stesse cellule
che gli hanno prodotti e secreti (fattori di crescita, citochine);
 fattori intracrini nel caso in cui tali fattori non vengono secreti ma agiscono
direttamente all’interno della cellula che li ha prodotti (fattori di crescita);
 fattori paracrini nel caso in cui vengono prodotti nelle strette vicinanze dalle
cellule circostanti (fattori di crescita);
 fattori neuroendocrini prodotti dalle cellule nervose (ossido nitrico);
 citochine prodotte dalle cellule immunitarie e ad azione paracrino-simile.
Il primo fra questi meccanismi ad essere ampiamente studiato è stato quello esplicato
dagli ormoni steroidei (andogeni ed estrogeni).
A livello prostatico gli androgeni, che per il 90% sono di origine testicolare e per il
10% surrenalica (fig. 3), vengono convertiti, ad opera di un enzima a localizzazione
prevalentemente stromale quale la 5ά-redutasi, in diidrotestosterone (DHT) che
costituisce il 90% degli androgeni prostatici.
Sia il DHT che il testosterone (T) si legano alla proteina recettoriale per gli androgeni
(AR), localizzata sulla membrana nucleare, e per la quale il DHT ha una maggiore
affinità nonché una maggiore stabilità di legame rispetto al T (fig. 4).
Il complesso DHT-AR si lega a specifici siti del DNA determinando la trascrizione di
geni androgeno-dipendenti e quindi la stimolazione della sintesi proteica.
Pertanto la deprivazione androgenica porta ad una riduzione di tale sintesi proteica
con involuzione dei tessuti, nonché l’attivazione di geni specifici coinvolti nella
morte cellulare programmata.
Per quanto riguarda gli estrogeni, invece, con l’avanzare dell’età si ha un loro
aumento contro la riduzione del testosterone. Ciò è dovuto ad una diminuzione del
livello assoluto di produzione del testosterone ed alla sua conversione, a livello del
tessuto adiposo ad opera di un enzima chiamato aromatasi, in estrogeno.
Gli studi sperimentali hanno dimostrato che gli estrogeni determinano, a livello
prostatico, un aumento del numero di recettori per gli androgeni (AR), nonché un
aumento della 5ά-redutasi stromale, pertanto, il risultato sarà una maggiore quantità
di complessi DHT-AR con gli effetti suddetti.

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Esistono poi, delle evidenze sperimentali che dimostrano l’importanza della
interazione fra lo stroma e l’epitelio della ghiandola prostatica (fig. 5).
Infatti, essa è costituita essenzialmente da due linee cellulari: l’epitelio ghiandolare
(formato da cellule luminali, basali e neuroendocrine) e lo stroma che lo circonda
(formato da fibroblasti, muscolatura liscia, cellule nervose, cellule endoteliali, cellule
immunitarie come linfociti e macrofagi, matrice extracellulare).
Secondo tale ipotesi patogenetica, le cellule stromali ed epiteliali mantengono una
sofisticata comunicazione di tipo paracrino ed autocrino, in base alla quale, una
classe di proteine secretorie prodotte dalle cellule stromali regola parzialmente la
differenziazione delle cellule epiteliali. Quindi l’IPB può essere dovuta ad un difetto
della componente stromale che inibisce normalmente la proliferazione epiteliale con
perdita di tale sistema di controllo. Questa anomalia, agendo in maniera autocrina,
può indurre anche la proliferazione delle cellule stromali.
In questo complesso meccanismo emerge il ruolo dei fattori di crescita, che sono
piccole molecole peptidiche prodotte dalle cellule stromali ed epiteliali, che legandosi
a specifici siti recettoriali della cellula bersaglio sono in grado, in alcuni casi, di
inibire o stimolare la proliferazione e la differenziazione cellulare
Fra questi fattori di crescita, prodotti dal tessuto prostatico, e inducenti la
proliferazione cellulare abbiamo: il KGF (Keratinocyte Growth Factor) sintetizzato
dalle cellule stromali, EGF (Epidermal Growth Factor) sintetizzato dalle cellule
epiteliali, FGF (Fibroblastic Growth Factor) sintetizzato dalle cellule stromali, IGF
(Fattore di crescita insulino-simile) sintetizzato dalle cellule stromali. Al contrario, il
TGF-β (Trasforming Growth Factor β) sintetizzato dalle cellule stromali, ha un
effetto opposto inducendo la morte cellulare programmata. Attualmente vi sono
sempre più prove di un’interdipendenza fra livello degli ormoni steroidei prostatici e
fattori di crescita.
Infatti si ritiene che questi ultimi siano il prodotto finale di quella cascata iniziata con
la stimolazione cellulare (epiteliale e stromale) ad opera del DHT e del T. Pertanto
sarebbero loro che con meccanismi di tipo autocrino, paracrino, intracrino (fig. 5-6),
descritti nell’ambito della interazione stroma-epitelio, a determinare lo
sbilanciamento fra proliferazione cellulare ed apoptosi (fig. 7).

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(fig. 2)

(fig. 3)

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(fig. 4)

(fig. 5)

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(fig. 6)

(fig. 7)

ANATOMIA PATOLOGICA

McNeal attraverso i suoi studi sull’anatomia zonale della prostata condotti attraverso
sezioni sagittali, parasagittali e coronali, ha distinto quattro zone, ognuna delle quali
ha origine da un diverso segmento dell'uretra prostatica (fig. 8). La porzione più vasta

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è rappresentata dalla regione composta da tessuto fìbromuscolare non ghiandolare,
detta stroma fibromuscolare anteriore, che costituisce la superficie ventrale della
ghiandola e che rappresenta circa un terzo dell'intera prostata.
La porzione ghiandolare invece, viene suddivisa in tre diverse zone, come segue:
• periferica;
• transizionale;
• centrale.
La zona periferica rappresenta circa il 65% della componente ghiandolare. Come è
implicito nel nome, occupa la porzione esterna posterolaterale dell'organo dall'apice
alla base.
La zona centrale, seconda per estensione nella prostata normale, è di forma conica e
comprende il 25% circa della componente ghiandolare. La zona centrale circonda i
dotti eiaculatori e forma la maggior parte della base prostatica.
La più piccola, ma non per questo meno importante, regione della prostata normale è
stata denominata zona di transizione. Comprende solo il 5-10% della componente
ghiandolare nei giovani adulti.
L'anatomia zonale è importante per la comprensione dello sviluppo dell'IPB. I noduli
di tessuto prostatico iperplastico generalmente si sviluppano e si accrescono nella
zona di transizione e l'espansione di questa regione spesso distorce e comprime
l'adiacente zona periferica.
Dal punto di vista anatomo-patologico parliamo di fibroadenoleiomiomatosi in
quanto la proliferazione cellulare interessa sia la componete epiteliale (ghiandolare),
che quella del compartimento stromale (fibroblasti, fibre muscolari lisce, ecc.) dando
origine a strutture architettonicamente differenti a seconda di una prevalenza
stromale, epiteliale, o se le due componenti sono egualmente rappresentate.
Allora parleremmo di noduli stromali (fig. 9a) qualora questa componente sia
predominante, e nel tessuto identificheremmo varie quantita di fibroblasti, fibre
muscolari lisce con infiltrati linfocitici; noduli acidari (fig. 9b) nei quali è prevalente
la componente epiteliale con grossi acini ghiandolari rivestiti da cellule colonnari
alte. Ci possono essere delle variazioni nell'iperplasia acinare che comprendono
modificazioni cistiche secondarie all'ostruzione distale dei dotti ghiandolari, o la
presenza di varianti di epitelio transizionale di aspetto cribriforme (fig. 10a). Si parla
di noduli fibroadenomatosi (fig. 10b) qualora le due componenti, ghiandolare e
stromale, siano egualmente rappresentate.

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(fig. 8)
Anatomia zonale secondo McNeal
(CZ zona centrale; TZ zona transizionale; PZ zona periferica; ; FS stroma fibromuscolare anteriore;
V veromontano; D detrusore; P sfintere preprostatico; ES sfintere esterno; ST trigono; BL lume
vescicale; U lume uretrale )

a b
(fig. 9)

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a b
(fig. 10)

STORIA NATURALE E FISIOPATOLOGIA DELL’OSTRUZIONE


CERVICO-URETRALE

Nell’ambito della storia naturale dell’IPB possiamo distinguere tre fasi:


 IPB microscopica;
 IPB macroscopica;
 IPB clinica.
L’IPB microscopica rappresenta la prima fase ove il processo proliferativo, stromale
ed epiteliale, interessante essenzialmente la zona di transizione, risulta essere
identificabile solo dal punto di vista istologico. Raramente l’IPB microscopica si
osserva in individui al di sotto dei 40 aa.
Col passare degli anni, e grazie a quei complessi meccanismi biochimici descritti nel
capitolo dell’eziopatogenesi, l’iperplasia cellulare prosegue determinando un
aumento volumetrico della ghiandola in toto, valutabile all’esame obiettivo, senza
che peraltro il paziente riferisca alcuna sintomatologia. Questa fase è denominata IPB
macroscopica.
Quando la crescita prostatica determina una compressione dell’uretra
compromettendo il normale svuotamento vescicale, si verificano tutte quelle
modificazioni fisiopatologiche dell’ostruzione cervico-uretrale che portano a quel
corteo sintomatologico definito “prostatismo”. In tal caso si parla di IPB clinica.
L’effetto ostruttivo esercitato dalla crescita del tessuto prostatico può estrinsecarsi in
diverse maniere (fig. 11) :
1. crescita dei due lobi laterali;
2. crescita dei due lobi laterali e del lobo medio che aggetta in vescica;

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3. crescita del solo lobo medio (che esercita una sorta di meccanismo ostruttivo a
valvola);
4. iperplasia della commissura posteriore (labbro sacrale).

(fig. 11)
A: aumento isolato del lobo medio; B: aumento isolato del lobi laterali
C: aumento dei lobi medio e laterali; D: iperplasia della commissura posteriore

Fattori aggravanti sono dati dal fatto che la crescita prostatica avviene in maniera
irregolare, pertanto, si determina uno stiramento e scoliosi dell’uretra provocando un
viraggio da un flusso laminare a un flusso turbolento, funzionalmente ostruito.

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Ancora si possono avere dei processi flogistici intraprostatici che danno rigidità al
tessuto periuretrale.
Il lento instaurarsi di un ostacolo allo svuotamento delle urine provoca modificazioni
morfo-funzionali abbastanza caratteristiche.
In una prima fase, quella del compenso, il detrusore aumenta la propria capacità
contrattile per aumentare la pressione di svuotamento, indispensabile a superare
l'incremento delle resistenze uretrali (fase ipercinetica); lentamente i fasci muscolari
si ipertrofizzano per il superlavoro svolto e la vescica diviene «instabile», tende cioè
a contrarsi anche a bassi riempimenti. In questa fase la vescica riesce di norma a
vuotarsi completamente.
Successivamente, non essendo le possibilità di ipertrofia muscolare-ipercinetica
illimitate e, soprattutto, se continuano ad aumentare le resistenze a livello prostatico,
il detrusore non riesce più a contrarsi in modo efficace per assicurare lo svuotamento
completo e si instaura così la fase di scompenso, in cui alla progressiva riduzione
della contrattilità corrisponde la comparsa di un residuo di urina dopo la minzione
(fase ipocinetica).
Se il processo evolutivo non viene arrestato, il residuo post-minzionale è destinato ad
aumentare sempre più, con ciò provocando da un lato la riduzione della capacità
funzionale della vescica (se il viscere ha una capacità reale di 300 ml ma 100 ml sono
sempre presenti, la capacità funzionale diviene 200 ml), dall'altro creando le
premesse per le più gravi complicanze quali infezioni e calcolosi (stasi urinaria),
avviando l'organo a una distensione a causa dell'acinesia muscolare (fase acinetica).
L'ipertrofìa muscolare progressiva, inoltre, provoca una alterazione morfologica della
parete che diviene colonnare, con celle e microdiverticoli (fig. 12), alcuni dei quali
possono accrescersi sino a raggiungere e superare la capacità della vescica,
aggravando i fenomeni di ristagno urinario e le sue complicanze.
Se la patologia viene lasciata al suo inesorabile decorso, la condizione ostruttiva
cronica determina l’istaurarsi di un reflusso vescico-ureterale, per compromissione di
quel meccanismo antireflusso a livello della giunzione uretero-vescicale, con delle
gravi ripercussioni sull’albero urinario alto, precisamente, gli elevati livelli pressori ai
quali vengono sottoposte le unità renali ne determinano un danno irreversibile
(idronefrosi) con evoluzione verso una insufficienza renale cronica (IRC) che può
portare il paziente a exitus per uremia.
Il dato caratterizzante queste fasi fisiopatologiche è la lentezza della loro evoluzione,
che rende ragione del lento instaurarsi ed evolversi anche dei sintomi, cosicché il
paziente non avverte un passaggio dallo stato di benessere a quello di malattia.

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Ipertrofia del
muscolo detrusore

Meato ureterale

Verumontanum Trabecolatura a
colonne

Uretra prostatica

(fig. 12)

QUADRO CLINICO

La sintomatologia riferita dal paziente può essere a genesi irritativa: pollachiuria


diurna e notturna, urgenza minzionale, tenesmo vescicale.
Tali sintomi sono legati a diversi fattori che possono agire isolatamente o
sovrapporsi, quali l’instabilità detrusoriale, la progressiva crescita del residuo post-
minzionale con conseguente riduzione della capacità vescicale, l’infezione delle vie
urinarie. Essi sono in genere i primi a comparire.
Con il progredire della patologia, si manifestano anche i sintomi a genesi ostruttiva
legati direttamente all’ostacolo e rappresentati dall’ attesa minzionale, mitto
ipovalido, sgocciolamento post-minzionale.
Nelle fasi più avanzate di malattia prevalgono i sintomi e segni legati all’ostruzione
ed all'esaurimento della capacità contrattile del detrusore, quali ritenzione
d’urina acuta o cronica (senso di incompleto svuotamento), distensione vescicale,
iscuria paradossa.

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Se la patologia non viene trattata la condizione ostruttiva cronica determina un
reflusso vescico-ureterale, pertanto, il paziente potrà riferire una sintomatologia
dolorosa al fianco in concomitanza con la minzione. Tale quadro evolve verso
l’insufficienza renale cronica con i sintomi uremici che includono affaticabilità
cronica, perdita di peso, sonnolenza, mentre i segni saranno ipertensione arteriosa,
tachicardia e tachipnea (condizioni correlate con anemia e acidosi metabolica), fetore
uremico, pericardite uremica, ridotta capacità mentale e neuropatia periferica.
La stasi urinaria ed il reflusso vescico-ureterale predispongono alle infezioni della
bassa via urinaria (cistiti), che esacerbano la sintomatologia irritativa, ma anche
dell’alta via (pielonefriti), con dolore gravativo al fianco ed iperpiressia ( 38-40 °C)
preceduta da brividi scuotenti. La stasi favorisce anche la formazione di calcoli che
possono aggravare l’ostruzione ed alimentare l’infezione.
L’infezione urinaria, la calcolosi vescicale, ma soprattutto l’ectasia dei vasi del collo
vescicale, che possono andare incontro a rottura, possono essere causa di ematuria
micro o macroscopica.
In alcuni casi la diagnosi di IPB può essere posta incidentalmente, in pazienti
asintomatici o paucisintomatici, in corso di accertamenti clinici eseguiti per routine
(visita urologica, ecotomografia addominale) che evidenziano un incremento
volumetrico della ghiandola prostatica e/o la presenza un residuo post-minzionale.
Sulla base dei quadri sintomatologici suddescritti, è possibile quantizzare il disturbo
prostatico usufruendo di punteggi o score sintomatologici. Fra questi ricordiamo
quello proposto dalla I-PSS (International Prostate Symptom Score) (Tab.I.); In base
ai punteggi ottenuti, si possono classificare i pazienti come affetti da sintomatologia:
• LIEVE: .................punteggio 0-7.
• MODERATA: .......punteggio 8-19.
• GRAVE: ...............punteggio 20-35.
In aggiunta allo score sintomatologico è sempre opportuna una valutazione della
qualità della vita, in relazione alla sintomatologia urinaria «misurata», con un
punteggio che va da O a 6 in rapporto alla risposta fornita ad una precisa domanda
(Tab.II).

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(tabella I)

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(tabella II)

DIAGNOSI, DIAGNOSI DIFFERENZIALE, STADIAZIONE

Nell’iter diagnostico dell’IPB distinguiamo tre livelli di indagine:


 indagini di base;
 indagini strumentali di I livello;
 indagini strumentali di II livello.
INDAGINI DI BASE
La corretta raccolta dei dati anamnestici è il primo passo verso la diagnosi di IPB. Si
possono somministrare al paziente gli score sintomatologici per quantificare meglio
l’entità dei sintomi e distinguere più accuratamente tra forme vere o false.
L’esame fisico generale, in un paziente affetto da IPB, può rilevare i segni di uremia
se la malattia è avanzata ed ha determinato IRC. L’esame obiettivo dell’addome può
evidenziare una tumefazione, su uno o entrambi i fianchi, correlata ad una idronefrosi
grave. Una vescica distesa viene rilevata all’ispezione, palpazione e percussione della
regione ipogastrica, in quanto avremmo una tumefazione di consistenza teso-elastica,
superficie liscia con reperto percussorio di ottusità nettamente demarcabile dal
timpanismo enterocolico intestinale. L’esame obiettivo del pene e dell’uretra è
importante per escludere altre cause di ostruzione come una stenosi uretrale, una
stenosi del meato uretrale esterno, una fimosi.
L’esplorazione rettale è il cardine dell'esame obiettivo nella patologia prostatica. Con
tale accertamento, è possibile valutare: forma e volume della prostata, simmetria,
consistenza, limiti, aree di particolare dolorabilità. Durante l'introduzione del dito nel
retto è possibile valutare il tono anale, le cui alterazioni in senso sia di ipo- che di
ipertonia sono segno di patologie neurologiche, e la mobilità della mucosa rettale
rispetto ai piani sottostanti. Nell'IPB la forma può essere alterata (prostata globosa), il
volume è aumentato, la consistenza è simile a quella della ghiandola normale

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(parenchimatosa) o la sua consistenza può essere aumentata (fibroparenchimatosa) a
seconda della prevalenza ghiandolare o fibromuscolare, la simmetria è di norma
conservata e non si suscita dolore con la pressione digitale. Tale manovra
semeiologica, sempre attendibile per la valutazione dell'aumento volumetrico dei lobi
laterali, può non essere indicativa nei casi di iperplasia prevalente a carico del lobo
mediano, non apprezzabile dal dito esploratore.
Nella diagnosi differenziale fra adenoma prostatico e neoplasia sono sospetti un
reperto palpatorio di modifica della simmetria, ma ben più importante è l'aumento
della consistenza, a tipo duro-ligneo, duro-lapideo, di un'area della ghiandola specie
se periferica (nodulo duro) o della ghiandola in toto. Un'esplorazione accurata è in
grado di dirimere, nel 65-70 % dei casi, fra ipertrofia prostatica ed altra patologia
(flogosi, neoplasia). Tutto dipende però dal momento in cui osserviamo la patologia.
La sensibilità e la specificità dell'esame fisico nella diagnosi differenziale fra
iperplasia benigna e neoplasia, soprattutto nelle forme di basso stadio, possono essere
migliorate con il dosaggio dell'Antigene Prostatico Specifico (PSA), altro momento
decisivo nell'iter diagnostico del paziente prostatico. I valori normali del PSA
oscillano tra O e 4,00 ng/ml, con un'ulteriore correzione dei range di normalità in
relazione all'età; ogni loro variazione al di sopra di tale range va attentamente
valutata, riferendosi al reperto palpatorio e ricorrendo eventualmente a un'ecografia
prostatica transrettale. Talvolta sia il reperto palpatorio che quello ecografico sono
negativi.
Per migliorare la capacità diagnostica del dosaggio del PSA si utilizzano particolari
valutazioni di questo antigene, quali PSA-density, PSA-velocity e in ultimo PSA-
free.
PSA-density esprime il rapporto fra concentrazione del PSA e volume prostatico, nel
tentativo di discriminare la quota di PSA a carico del tessuto affetto da ipertrofia
prostatica benigna; i risultati sono però spesso falsati dalla difficoltà di ottenere un
reale valore del volume prostatico anche con l'ausilio di formule di volume (quali ad
esempio la formula dell'ellissoide), ottenute dai diametri misurati con un esame
ecografico, che non facilmente sono applicabili alla ghiandola prostatica.
PSA-velocity esprime l'incremento del PSA in rapporto al tempo; valori di
incremento annuali superiori a 0,75 ng/ml sono fortemente sospetti per una patologia
neoplastica. Questo «modesto» incremento può però essere falsato dalle fluttuazioni
delle misurazioni, legate ai reagenti impiegati. Per una corretta interpretazione di
questo parametro è quindi mandatario eseguire il dosaggio sempre con la stessa
metodica (preferibile il dosaggio radioimmunologico) e possibilmente nello stesso
laboratorio.
PSA-free: è la quota di PSA in forma libera non legata alle proteine; in caso di
patologia neoplastica della ghiandola, la quota di PSA libero è proporzionalmente
minore rispetto alla quota totale. Calcolando quindi il rapporto PSA libero/PSA totale
(PSAF/PSAT), quando questo è inferiore a 0,15 aumentano le possibilità di trovare
focolai microscopici di neoplasia.
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Completano il primo approccio un esame standard delle urine ed una urinocoltura,
nonché gli esami di funzionalità renale (Na, K, Cl, Mg, Ca, cretininemia, azotemia);
in alcuni casi, in cui la sintomatologia sia prevalentemente irritativa, può essere utile
eseguire una citologia urinaria per escludere un'urgenza minzionale da carcinoma in
situ vescicale (vedi tumore della vescica).
Da tale inquadramento di base, si transita alla diagnostica strumentale stratificata in
due livelli, il primo dei quali è indispensabile, mentre l'indicazione al secondo è
suggerita dai risultati degli esami di primo livello.
Tali accertamenti strumentali ci consentono la stadiazione della malattia, intesa come
sistema utilizzato per comprendere le interazioni tra malattia e organo interessato,
nonché, modificazioni indotte dalla malattia sull’organismo ospite, sia localmente che
a distanza (es. l’esame ecografico renale, nella IPB, deve essere considerato stadiante
in quanto ci fornisce notizie sulle condizioni renali indotte dalla malattia.
IDRONEFROSI= stadio avanzato di malattia).
Pertanto stadiare correttamente la malattia (fig. 13) è fondamentale per
l’impostazione della giusta opzione terapeutica.
STADI DI MALATTIA

STADI PRECLINICI

STADIO 1 microscopico visibile solo al microscopio

STADIO 2 macroscopico visibile macroscopicamente (esplorazione rettale, ecografia, ecc..)

STADI CLINICI
STADIO 3
a) LIEVE sintomatologia irritativa QMAX 15-20 ml/sec

b) MODERATA sintomatologia irritativa ed ostruttiva QMAX 10-15 ml/sec


o inferiore a 10 ml/sec.
senza residuo post- minz.

c) GRAVE sintomatologia irritativa ed ostruttiva QMAX < 10 ml/sec


con residuo post- minz.

STADIO 4
a) compromissione renale (idronefrosi) con parametri clinici normali

b) IRC

(fig. 13)

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INDAGINI STRUMENTALI DI I LIVELLO

Gli esami strumentali di I livello sono l'esame uroflussometrico (ripetuto almeno due
volte) e l'esame ecografìco vescicale e prostatico, sia per via sovrapubica che per via
transrettale.
La uroflussometria (fig. 14-15) è la valutazione grafica e matematica del flusso
minzionale che può, ovviamente, essere alterato nelle ostruzioni prostatiche. Si
compendia nella misurazione obiettiva di alcuni parametri minzionali, quali: volume
emesso, flusso massimo (QMAX), flusso medio, tempo al flusso massimo, tempo
minzionale, elaborati da un rilevatore di flusso. L'analisi dei dati numerici emersi
dalla flussometria, nonché la valutazione delle caratteristiche del tracciato ottenuto,
permettono di distinguere tre diversi stadi comprendenti: pazienti francamente ostruiti
(flusso max <10 ml/sec), pazienti non ostruiti (flusso max >15 ml/sec) e casi
borderline (flusso max tra 10 e 15 ml/sec).
Un esame uroflussometrico è significativo per un volume di mitto superiore ai 150 ml
ed è normale allorché il flusso massimo sia superiore ai 15 ml/s, in assenza di residuo
post-minzionale, e con un tracciato a gaussiana. Qualsiasi variazione ai parametri
suddetti va considerata patologica e necessita di un approfondimento. Va ricordato
peraltro che il parametro flusso massimo deve essere sempre rapportato al volume
urinario emesso ed eventualmente corretto con nomogrammi di riferimento per valori
di volume di mitto <150 ml così come va corretto in caso di sovradistensione
vescicale, che talora anche in individui sani può portare a valori flussimetrici
apparentemente patologici, e in rapporto all'età del paziente.
Altro esame essenziale del I livello diagnostico è l'ecografìa vescicale sovrapubica
(fig. 16), praticata prima e dopo minzione, in grado di visualizzare la distensione
vescicale, l'eventuale ispessimento detrusoriale con i relativi quadri di vescica da
sforzo, la presenza di complicanze quali diverticoli, litiasi endovescicale
(epifenomeno dell'ostruzione cronica), alterazioni neoplastiche parietali. E' inoltre in
grado di dimostrare l'eventuale sviluppo endoluminale della prostata (il ricordato III
lobo o lobo medio), non apprezzabile all'esplorazione rettale; con tale esame è infine
possibile fare una misurazione dell'adenoma nelle tre dimensioni; non è possibile
però ottenere dati significativi sull'aspetto ecostrutturale della ghiandola, soprattutto
della porzione periferica. L'esame condotto dopo minzione offre infine l'opportunità
di misurare il residuo post-minzionale, parametro indicativo di scompenso
detrusoriale. A completamento del I livello diagnostico vi è l'ecografìa prostatica
transrettale (fig 17 A-B), condotta con sonde lineari o radiali, in fase statica o
dinamica (ecografia transrettale minzionale).
Tale indagine permette di studiare correttamente l'ecostruttura parenchimale, di
misurare le reali dimensioni della ghiandola in toto e della componente adenomatosa
centrale; consente inoltre, nella fase minzionale, di valutare l'apertura del collo
vescicale e di osservare alterazioni dell'uretra prostatica e la presenza di un eventuale
lobo medio, come l'ecografia sovrapubica. L'ecografìa transrettale è ovviamente
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momento essenziale nella diagnostica differenziale con la patologia neoplastica e flo-
gistica, sia essa acuta che cronica.
Al termine di tale studio, nei soggetti in cui venga accertata solamente un'ipertrofia
prostatica benigna, non sono necessari altri esami, se non un'ecografia renale in grado
di offrire preziose indicazioni sulle caratteristiche dell'alta via escretrice e sulle
possibili alterazioni indotte dall'uropatia ostruttiva bassa (idronefrosi bilaterale).
Accurate revisioni di casistiche di controllo, nonché studi prospettici, hanno infatti
consentito di stabilire che, ove anamnesi, quadro clinico e semeiologico, PSA,
uroflussometria ed ecografia concordino nella diagnosi di adenoma prostatico, nulla
di più e di diverso si ottiene ampliando le indagini all'esame cistografico e/o
urografìco nè tantomeno alla cistoscopia.

(fig. 14)
Urolussometria normale

(fig. 15)
Uroflussometrie patologiche (ostruzione cervico-uretrale).
Si osserva una riduzione della velocità del flusso ed un aumento del tempo
minzionale.

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(fig. 16)
Ecografia vescicale e prostatica sovrapubica

(fig. 17 A)
Scansione con sonda radiale

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Retto

Uretra

Pube
Scansione con sonda lineare

(fig. 17 B)
scansione con sonda lineare
(fig. 17 A-B) Ecografia prostatica transrettale

INDAGINI STRUMENTALI DI II LIVELLO

Non è certo frequente, ma è nell'ordine delle possibilità, osservare alcune categorie di


pazienti in cui i dati obiettivi, funzionali e sintomatologici non sono univocamente
indicativi:
1) Pazienti con ipertrofìa prostatica anche voluminosa e con flusso conservato.
2) Soggetti con modesto aumento volumetrico prostatico ma gravi sintomi e segni di
prostatismo e/o di ostruzione.
3) Casi borderline sia per il volume prostatico che per i valori flussimetrici.
4) Casi complicati da ematuria macroscopica.
5) Pazienti in cui non è possibile escludere con ragionevole certezza la presenza di
un cancro prostatico.
Queste categorie di pazienti transiteranno quindi a un II livello di diagnostica
strumentale diverso ovviamente per le singole situazioni. Nei primi tre casi si
eseguiranno uno studio urodinamico ed eventualmente indagini radiologiche
addizionali per confermare od escludere l'esistenza di una situazione ostruttiva; nel
quarto caso sarà d’obbligo l’esame urografico; nell'ultimo caso praticheremo biopsie
prostatiche alla ricerca di cellule neoplastiche.
Lo studio pressione-flusso è parte dell'esame urodinamico completo; valuta il
rapporto fra pressione espressa dal detrusore e flusso ottenuto e fornisce preziose

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indicazioni sulle caratteristiche funzionali intrinseche del detrusore, riuscendo nella
stragrande maggioranza dei casi a rilevare i pazienti ostruiti, soprattutto coloro
indicati come ostruiti ad alto flusso (condizione in cui si raggiungono, a livello
vescicale, elevate pressioni che detterminano un precoce e rapido deterioramento
della funzione renale).
Nella categoria dei pazienti che presentano un flusso nettamente patologico in
assenza di riscontro volumetrico prostatico significativo, oltre all'esame uro-
dinamico, alla ricerca di una patologia miogena o neurogena del detrusore
(ipocontrattilità vescicale), per la ricerca di altre sedi di ostruzione, quali collo
vescicale o stenosi uretrali, sono indagini elettive di II livello la cistouretrografia
minzionale e l’uretrografìa retrograda. L'equivalente ecografìco,
ecocistouretrografìa con sonde endocavitarie o per contatto perineale, offre la stessa
espressività diagnostica con i più ben noti vantaggi dell'esame ultrasonico. Le stenosi
uretrali così accertate vengono sottoposte a intervento senza altro supplemento di
indagini se non quello di estendere lo studio ecografìco a tutto l'apparato urinario. La
patologia del collo vescicale, segue lo stesso iter sopra descritto, con l'aggiunta, non
sempre, di un esame uretrocistoscopico per una diretta visione del contorno
anelastico del collo.
Una categoria ulteriore è rappresentata dai pazienti con sintomi di «prostatismo» ma
con prostata normale per morfologia, volume e flusso. In tale caso, l'iter specifico per
le prostatiti croniche (test di Meares-Stamey) e la ricerca di cellule neoplastiche
vescicali (carcinoma in situ) con citologie urinarie ne rappresenterà il livello
diagnostico successivo sul quale modulare le indicazioni terapeutiche.
Nei pazienti con ematuria macroscopica è necessario eseguire l’esame urografico
essendo l'ecografìa poco sensibile nel rilevare tumori della via escretrice alta e che si
presenteranno come immagini di “minus”ureterali e/o pielo-caliceali.
L'esame endoscopico, eseguito raramente, consente di visualizzare alterazioni a
carico della mucosa vescicale (neoformazioni), del collo vescicale o dell'uretra in
toto, e può trovare indicazione per pianificare l'intervento chirurgico endoscopico
disostruttivo.
Per l'ultima importante categoria che si compone dei pazienti con sospetto di
neoplasia prostatica, indipendentemente dalla presenza o meno di un'uropatia
ostruttiva, è assolutamente indispensabile eseguire biopsie prostatiche ecoguidate,
mirate allorché il nodulo sia ecografìcamente visibile (oppure «random», cioè senza
un preciso riferimento ecografìco).

TERAPIA

Non essendo l’IPB una patologia neoplastica, su di essa l’intervento terapeutico


viene stabilito non sulle modificazioni volumetriche o istopatologiche della
ghiandola, bensì, sulle turbe minzionali che essa è in grado di determinare.
Pertanto seguendo tale iter:

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Paziente

CLINICA

Esami diagnostici

Stadiazione

si identificano, sulla base dei sintomi riferiti dal paziente e degli esami suddetti che
possono essere sia diagnostici che stadianti, (es. l’uroflussometria ci fornisce dei dati
relativi alla presenza di ostruzione -diagnosi- ma anche una suddivisione in gradi di
ostruzione -stadio-), diversi stadi di malattia (fig. 13) a seconda dei quali
imposteremmo una differente opzione terapeutica (fig. 18).

NON MEDICA NON Stadio 1


CHIRURGICA Stadio 2

Stadio 3a
TERAPIA MEDICA
Stadio 3b

endoscopica
Stadio 3c
CHIRURGICA
Stadio 4
cielo aperto

(fig. 18)

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