Sei sulla pagina 1di 14

Patologia clinica

Prof.ssa De Francesco
-Polo B-
PATOLOGIA CLINICA

Obiettivo del corso: conoscere ed interpretare le principali analisi cliniche ed acquisire la


terminologia corretta
Effettivamente la maggior parte delle analisi cliniche sono basate su test diagnostici di
natura strumentale o test laboratoristici e in questo andremo ad analizzare i test più utilizzati
nell’ambito clinico.

I CAMPIONI BIOLOGICI
La patologia clinica si occupa di studiare i campioni biologici, ovvero dei liquidi o tessuti che
vengono prelevati dai pazienti e ci danno informazioni circa lo stato di salute o di malattia
del paziente stesso tramite la misurazione di grandezze e di valori. Infatti tramite l’analisi del
campione biologico otteniamo dei numeri che riescono a riflettere delle proprietà di un
analita che andiamo a rintracciare (sia esso un enzima, un ormone) oppure l’analisi delle
caratteristiche morfologiche del campione stesso possono dare informazioni riguardo la
“normalità” o la “anormalità” della struttura. I campioni più utilizzati sono sangue e urina, su
cui si basano i test di laboratorio più basilari grazie ai quali un clinico può ottenere una marea
di informazioni ad un costo relativamente basso.
Possiamo però avere campioni biologici più inusuali come il DNA. Pensiamo infatti a quali
informazioni possiamo avere dallo studio di quest’ultimo: basti pensare che dal sangue
periferico possiamo raccogliere cellule nucleate come i leucociti e da questi ottenere DNA.
Alcune diagnosi che possiamo ottenere si basano per esempio dalla analisi cromosomica,
quindi aberrazioni cromosomiche, alterazioni di tipo numerico e strutturale o ancora più
banalmente delle mutazioni rilevabili tramite dei test di sequenziamento o indagine tramite
PCR. Quindi con un campione così semplice da ottenere, abbiamo alla mano una enorme
quantità di informazioni dal punto di vista prognostico, diagnostico e predittivo.
Altri campioni biologici utilizzati sono: il liquido cefalo-rachidiano (per la diagnosi di malattie
del sistema nervoso centrale a carattere infettivo per esempio), il liquido seminale (per
esempio per sospetto di infertilità maschile), tessuto midollare (per malattie di tipo
emopoietico), tampone faringeo (come nel caso della pandemia da Sars-CoV2, anche in
termini di contenimento, di diagnosi precoce e così via). Quindi avere a disposizione
conoscenze di biologia molecolare, biochimica clinica e patologia clinica in associazione
agli strumenti tecnologici che abbiamo ci aiutano ad affrontare situazione anche
drammatiche come la recente pandemia.

cfDNA
In questa slide si nota la presenza di cfDNA, ma che cos’è il cfDNA? È l’acronimo di
Circulating Free DNA ovvero DNA libero circolante.
Pensiamo anche ad una cellula tumorale che circola come nel caso di un tumore solido al
seno. È un tumore della ghiandola mammaria, in cui a livello epiteliale inizia a crescere una
massa di cellule (epiteliali) che perde i freni inibitori per quanto riguarda la proliferazione.
Insieme a queste cellule epiteliali vanno anche svilupparsi tutte le componenti stromali
quindi tessuto di supporto del tumore: fibroblasti, tessuto adiposo, cellule dell’infiamma e
dell’immunità, vasi sanguigni e quindi cellule endoteliali. Tutte queste componenti vanno a
costituire il tumore solido primario.
Finché la malattia rimane nello stadio primario e presenta determinate caratteristiche
molecolari risulterà facilmente controllabile. Però se qualche cellula appartenente al tumore
solido non viene detectata in tempo oppure se il tumore solido primario ha delle
caratteristiche di aggressività intrinseche, può avvenire un distacco dalla massa primaria e,
attraverso la circolazione sanguigna e/o linfatica, potrebbero invadere altri tessuti e
colonizzarsi dando origine a metastasi (per esempio nel tumore al seno nominiamo i 4
principali siti metastatici, alcuni dati da rapporti di continuità, altri ancora da chiarire: ossa,
fegato, polmone e al cervello). Le cellule tumorali circolanti sono poche purtroppo, altrimenti
se fossero in grande quantità basterebbe un’analisi del sangue di routine per diagnosticare
la presenza di un tumore metastatico nel paziente. Quindi queste poche cellule quando
circolano possono subire l’azione di cellule fagocitiche venendo riconosciute come non-self
e attaccate dalle cellule della serie bianca. Una volta attaccate, fagocitate o degradate
liberano frammenti cellulari che richiamano altre molecole dell’infiammazione (con
successiva evasione dall’immunità anti-tumorale). Fra questi elementi liberati troviamo
anche materiale genetico ovvero il cfDNA.
La tecnica che viene utilizzata per la ricerca di cellule tumorali circolanti o cfDNA prende il
nome di biopsia liquida. L’idea è quella di ottenere informazioni sul tumore non andando ad
agire direttamente sulla massa tumorale tramite biopsia tissutale, ma andando a fare un
semplice prelievo del sangue. Ma questo cosa significa? Significa avere una tecnica molto
sensibile in quanto la quantità di materiale è estremamente rara e deve essere specifica. La
quantità di informazioni che possiamo avere da questo studio è veramente molto
importante, in quanto ci dà l’occasione di studiare alcune caratteristiche genetiche del
tumore che ci permettono:
 di comprendere quali sono i meccanismi che consentono alle cellule di staccarsi dal
loro sito e di andare ad evadere in altri siti;
 di avere informazioni riguardo la staminalità. Sappiamo infatti che ci sono delle cellule
staminali tumorali (circa 1% delle cellule costituenti la massa tumorale stessa) che
sono difficili da identificare a causa dell’assenza di marker specifici e si ipotizza inoltre
che la maggior parte delle cellule tumorali circolanti siano appartenenti al gruppo
delle cellule staminali tumorali che vanno poi a colonizzare altri tessuti permettendo
la formazione della cosiddetta “nicchia tumorale metastatica”. Infatti nell’organo
secondario dove si forma il tumore secondario, le cellule tumorali potrebbero essere
rigettate. Ma solitamente grazie alla azione del tessuto e del tumore stesso si viene
a determinare l’insorgenza di segnali reciproci che favoriscono la costituzione della
nicchia metastatica e promuovo l’inibizione dell’immunità, l’angiogenesi, la sintesi di
matrice extracellulare. Quindi nel complesso tutti questi eventi contribuiscono a
supportare lo sviluppo del tumore.

Per concludere possiamo ipotizzare le l’indagine sulla biopsia liquida sarà la base della
patologia clinica nel futuro in quanto risulta essere un test poco invasivo sul paziente e che
può essere ripetuto facilmente e, come già detto, che riesce a fornire al clinico tantissime
informazioni. Bisogna, però, prima di tutto trovare un metodo sufficientemente sensibile e
specifico per poterle determinare.

TEST DI LABORATORIO
Un test di laboratorio ci permette di:
1) Determinare quanto materiale biologico abbiamo raccolto, quindi parliamo di dati
quantitativi. Si porti l’esempio della raccolta delle urine nelle 24 ore per valutare la
clearance renale o per verificare sospetti di insufficienza renale e così via. Basta
infatti misurare la quantità di campione prodotto per ottenere un’informazione
importante ottenuta dal campione biologico
2) Svelare alcune proprietà dei costituenti del campione prelevato, quindi parliamo di
dati qualitativi. Si porti l’esempio della valutazione dell’attività di un enzima.
3) Acquisire informazioni strutturali e morfologiche. Si porti l’esempio dello striscio di
sangue per valutare la presenza di eritrociti con struttura e morfologia alterata come
nel caso dell’anemia falciforme (sostituzione di un aminoacido idrofilo con uno
idrofobico). In condizioni di scarsa ossigenazione l’emoglobina alterata cambia la sua
struttura primaria, determinando modificazione anche nella struttura secondaria e
terziaria che darà origine ad una precipitazione. Questa precipitazione determinerà
l’alterazione della struttura della membrana plasmatica del globulo rosso che
assumerà una forma a falce. Si pensi anche alla presenza di germi, cilindri, cristalli.

Quindi il campione biologico, tramite test di laboratorio, ci darà informazioni di tipo


quantitativo, qualitativo e strutturale/morfologico.

PERCHÈ RICHIEDERE UN ANALISI CLINICA


 Scopo preventivo: vogliamo verificare lo stato di salute del paziente
 Sospetto clinico: verificare o smentire lo stato di malattia del paziente
 Intervento chirurgico: il paziente dovrà sottoporsi ad un intervento chirurgico e a
fianco delle analisi cliniche generali prescritte (sangue e urine), possono essere
prescritti test specifici strumentali o laboratoristici che preparano il paziente
 Comprendere la prognosi del paziente tramite l’utilizzo di specifici marker prognostici
 Ottenere informazioni di tipo predittivo: possiamo sapere in anticipo se quel paziente
risponderà o meno ad una determinata terapia.
Portiamo degli esempi: torniamo allo studio di una paziente affetta da tumore solido
al seno. Grazie all’oncologia sappiamo che sono presenti 3 tipi molecolari di tumore
al seno (secondo la classificazione molecolare) per la presenza o l’assenza di alcune
proteine recettoriali: tipo I positivo al recettore estrogenico e al recettore progestinico;
tipo II positivo alla proteina HER2 (recettore tirosin-chinasico costitutivamente
espresso quindi attivo anche in assenza di ligando); tipo III negativo alla presenza di
questi due recettori. L’incidenza del tumore mammario di tipo I (che rappresenta più
dell’80% dei casi diagnosticati di tumore mammario) purtroppo è in continuo aumento
rispetto all’incidenza degli anni passati ed ha addirittura superato l’incidenza del
tumore al polmone. Ciononostante abbiamo a disposizione strumenti terapeutici
molto buoni, tanto che la maggior parte delle persone diagnosticate (nel 90% dei
casi) a 5 anni dalla diagnosi sopravvive e ha una buona qualità di vita. Purtroppo
però la restante parte di persone diagnosticate (circa il 10%) manifesta forme più
aggressive e metastatiche del tumore andando incontro a morte. Già però
dall’immuno-isto-chimica che l’anatomopatologo va a fare per identificare il tipo
molecolare di tumore possiamo trarre alcune informazioni terapeutiche: se il soggetto
presenta un tumore mammario di tipo I sappiamo che disponiamo di moltissimi
trattamenti specifici per questo tipo di tumore. Ecco che conosciamo la futura risposta
di un paziente ad una terapia farmacologica. Ed ancora se abbiamo una paziente
con tumore al seno di tipo III, sappiamo che il trattamento con tamoxifene sarà inutile,
quindi somministreremo un altro farmaco.
 Ottenere informazioni sui progressi di una terapia farmacologica. Un esempio banale
può essere un soggetto diabetico con diabete di tipo II (non insulino-dipendente). Il
soggetto in questione presenterà a livello ematico una quantità superiore di glucosio
rispetto al normale, l’insulina viene prodotta normalmente ma non è capace di agire
come dovrebbe a causa di un’insulino-resistenza. In alcuni casi possiamo anche
avere la sovrapposizione di quadri di iperinsulinemia, ovvero una produzione
eccessiva di insulina per vincere questa “resistenza”. La patogenesi di questa
malattia può essere correlata ad obesità, uno scorretto stile di vita, cattive abitudini
alimentare, scarsa attività fisica e pensiamo al tessuto adiposo che tende ad
espandersi finche non raggiunge livelli critici andando in contro ad apoptosi. Questo
perché le goccioline di grasso contenute all’interno dell’adipocita vanno ad esercitare
una pressione sulla parete cellulare tale che superato un certo limite la cellula va in
contro a morte. I frammenti cellulari liberati dalla lisi della cellula richiamano
componenti dell’infiammazione (rilascio di adipochine e citochine, richiamo di
macrofagi) che determinano l’insorgenza di un’infiammazione cronica di basso
grado. In questo tipo di infiammazione il soggetto non ha alcun sentore dei processi
infiammatori in atto, mentre dal punto di vista molecolare abbiamo la produzione degli
elementi sopracitati e anche di acidi grassi liberi. Gli acidi grassi liberi hanno un tono
inibitorio sul signaling del recettore insulinico (interruzione della cascata attivata
dall’interazione ormone-recettore che portava alla sintesi di canali per il glucosio)
attraverso per esempio fosforilazione di residui sierinici anziché tirosinici. Infatti la
fosforilazione della serina blocca la capacità di segnale del recettore tirosin-chinasico
dell’insulina ai trasduttori intracitoplasmatici che vengono dopo. Così facendo non
possono essere sintetizzati i trasportatori del glucosio, il glucosio non può essere
accumulato all’interno della cellula e si accumulerà a livello ematico. Quando il
glucosio permane a lungo nel torrente circolatorio va a legarsi in maniera non
enzimatica a costituenti cellulari come lipidi di membrana, proteine, DNA e fa sì che
questa glicazione (legame non covante con il glucosio) generi dei fattori terminali
della glicazione avanzata. Uno dei fattori più rappresentativi è dall’emoglobina glicata
che, così come tutti i fattori terminali della glicazione avanzata, non può svolgere più
il suo compito perché ha subito dei riarrangiamenti strutturali, esercita azione
immunogena venendo riconosciuta come non-self e attiva ancora una volta la via
dell’infiammazione (infiammazione cronica di basso grado) che determina le
problematiche a livello micro e macro vascolare presenti nel diabete. Allora nel
soggetto diabetico, la quantità di emoglobina glicata può essere utilizzata come
marker per predire la risposta alla terapia ipoglicemizzante. Questo perché quando
viene glicata l’emoglobina si assiste ad una reazione irreversibile per cui anche se
ripristiniamo i valori normali di glucosio non otteniamo un deglicazione
dell’emoglobina. Però, per fortuna, i globuli rossi hanno una vita media di 120 giorni,
per cui superato questo lasso di tempo avremo dei globuli rossi “nuovi”. Se tramite
terapia ipoglicemizzante riusciamo ad ottenere risultati sensibili e quindi il soggetto
sta rispondendo bene alla terapia adottando anche comportamenti idei, l’emoglobina
glicata ritornerà alla normalità. Questo esempio ci ha fatto capire come un’indagine
di laboratorio ci permetta di capire se la terapia farmacologica sta funzionando.
 Istituire un trattamento di emergenza (es: intossicazioni)
 Attuare diagnosi di screening
 Attuare diagnosi prenatale: una volta si effettuava villocentesi o amniocentesi, mentre
adesso basta una semplice analisi del sangue effettuala sulla madre per predire
eventuali malattie genetiche (monosomie, trisomie) soprattutto in donne in età più
matura
 Attuare una diagnosi neonatale per evidenziare presenza di patologie a livello
subclinico che potrebbero dare problemi e quindi necessitiamo di agire
precocemente.
Quindi facendo una diagnosi precoce ed ottenendo informazioni circa la prognosi sulla
risposta alla terapia farmacologica, sicuramente andremo miglioriamo la qualità di vita del
paziento e lo facciamo guarire prima. Inoltre i test di laboratorio ci permettono di andare a
ridurre i costi perché gli eventuali tempi di degenza saranno ridotti, possiamo contenere la
diffusione di microorganismi (dalle endemie alle pandemie), possiamo evitare che vi sia la
trasmissione di malattie ereditare (possiamo avere informazioni su soggetti che desiderano
avere prole e sono portatori di alcune alterazioni genetiche per esempio).

COME VIENE RICHIESTO UN TEST DI LABORATORIO


I test di laboratorio vengono richiesti attraverso la compilazione di moduli di richiesta
routinari dove saranno presenti i dati anagrafici del paziente, la tipologia del campione
destinato all’analisi di laboratorio e la modalità di ottenimento della stessa e infine saranno
inseriti anche note diagnostiche, terapia e data. Oltre a questa modalità routinaria di
richiesta delle informazioni, possiamo avere una modalità in urgenza. Infatti quando è
necessario istituire un trattamento che può salvare la vita al paziente, la struttura
ospedaliera in qualsiasi momento della giornata deve assicurare l’analisi del campione in
tempi più brevi possibili (1-2 ore massimo).

FASI NELL’ANALISI DEL CAMPIONE PATOLOGICO


Quando il test clinico viene richiesto ed effettuato, per motivi pratici possiamo identificare
tre fasi che ci aiutano a schematizzare quali sono gli step necessari e quali sono gli errori
che potrebbero verificarsi in ognuno di questi step. Distinguiamo:
1. fase preanalitica, fase di raccolta del campione
2. fase analitica, fase in cui viene effettuato il test
3. fase post-analitica, fase in cui si ha la refertazione

1. FASE PREANALITICA
È la fase in cui viene effettuata la raccolta del campione che deve essere effettuata in
maniera ideona e secondo delle procedure standardizzate secondo linee guida nazionali e
internazionali così da ridurre gli errori in fase preanalitica. Queste procedure sono importanti
anche quando è richiesta l’adesione del paziente alla raccolta del campione: questo significa
che chi prescrive l’analisi non deve dare per scontato che il paziente sappia che un
campione raccolto dal paziente stesso deve essere raccolto in un modo ben specifico.
Quindi bisogna sempre informare il paziente sulle procedure standardizzare per la raccolta
del campione in maniera adeguata.

!!!Se il dato non è attendibile poiché il valore che abbiamo ottenuto da quell’analisi si
discosta di gran lunga dal valore vero del paziente, il clinico commetterà un errore.
Ecco che il clinico deve sempre CONTESTUALIZZARE il risultato ottenuto!!!

Il campione più frequentemente utilizzato è il sangue venoso che viene prelevato dalla vena
superficiale del braccio (a volte anche da altre sedi), ci si aiuta esercitando una pressione
con ad un laccio elastico posizionato ad alcuni centimetri dal posizionamento dell’ago,
successivamente si inserisce una provetta vacuteiner, il sangue comincia a fluire all’interno
e già in questa fase si deve rimuovere il laccio emostatico altrimenti si potrebbe creare stasi
ematica che determinerebbe emo-concentrazione. Se infatti abbiamo un campione
concentrato i valori che otteniamo non sono attendibili per cui il valore vero non sarà uguale
al valore ottenuto. Quindi quello che dobbiamo fare nella fase preanaltica è formare
correttamente il paziente e trasportare e spedire il campione nella sede in cui verrà effettuata
l’analisi. Questo trasporto può essere intramurale (spedito all’interno della stessa struttura
sanitaria in cui è stato effettuato il prelievo) oppure può essere un trasporto di tipo
extramurale (all’esterno della struttura sanitaria in cui è stato effettuato il prelievo, ragion
per cui entrano in gioco i tempi del trasporto che diventano critici -> conservazione e
trasporto saranno fondamentali a seconda del campione biologico e del tempo impiegato
nel trasporto).
Una volta che abbiamo trasportato il campione in laboratorio, dobbiamo agire sul campione.
Sempre nel caso di un campione di sangue cosa succede? Se lo teniamo al buio sul
bancone per circa 30 minuti, spontaneamente piastrine fattori della coagulazione si attivano.
La presenza di calcio in soluzione e della parete della provetta che rappresenta il contatto
con una superficie estranea determinerà la formazione del coagulo. Una volta formato il
coagulo andiamo a centrifugare la provetta a 3000rpm (round per minute) per 10 minuti per
ottenere due “strati” all’interno della provetta: la porzione sedimentata (parte corpuscolata)
e la porzione surnatante (viene subito rimossa e subito aliquotata, analizzata,
eventualmente anche congelata in base a ciò che dobbiamo fare). Ma se noi sospettiamo
che il paziente da cui abbiamo prelevato il campione abbia un difetto della coagulazione,
non possiamo far coagulare il sangue altrimenti i fattori si consumerebbero e non potremmo
analizzarli. In questo caso dobbiamo evitare la formazione del coagulo tramite l’utilizzo di
un anticoagulante (i più usati sono citrato, sodio-citrato ed eparina), anche se al giorno
d’oggi tutte le provette hanno un anticoagulante già inserito all’interno. Anche per questo
campione si effettuerà la centrifugazione e quello che otteniamo sarà il plasma (siero +
fattori della coagulazione). Ricordiamo che la maggior parte dei test di laboratorio si effettua
sul siero, però è abbastanza differente usare siero o plasma per cui a seconda del test
utilizzeremo l’uno piuttosto che l’altro. Sul sangue “intero” invece andremo a studiare le
componenti cellulari.

ANTICOAGULANTI
Gli anticoagulanti si usano in rapporto di 1:9, infatti ogni 100ml di sangue ci sono circa 100
microlitri di anticoagulante. Gli anticoagulanti non devono interferire con le reazioni
analitiche e non devono alterare morfologicamente le componenti corpuscolari del sangue
(leucociti, eritrociti e piastrine) soprattutto se ne vogliamo andare a valutare morfologia e
numero. L’uso non corretto degli anticoagulanti è una delle più frequenti cause di errore pre-
analitico. Tra quelli maggiormente usati:

 Eparina (anticoagulante naturale


già presente in basse quantità nel
sangue):
Ha un costo elevato rispetto gli
antri anticoagulanti. Si vende in
forma di mucopolisaccaride
complessato con ioni Na o K.
Anche se è utilizza per analisi per
la determinazione di analiti,
l’eparina altera la morfologia e
per questo motivo non può essere
usata per altri tipi di analisi.
L’eparina si va a legare
all’antitrombina 3, un
anticoagulante naturale che agisce
contro l’eccessiva attivazione del processo di coagulazione. Dopo che si forma il
tappo piastrinico, si attiva la cascata della coagulazione e per ultimo si ha la
trasformazione del fribrinogeno in fibrina grazie alla trombina che comportandosi da
enzima catalizza questa reazione. L’antitrombina 3 agisce bloccando la trombina e
in presenza di eparina questa ha una velocità di azione 2000 volte più efficace. Quindi
la funzione dell’eparina è proprio quella di velocizzare l’azione inibitoria
dell’antitrombina 3.

 Agenti chelanti
Il loro meccanismo d’azione è quello di fare da trappole molecolari dello ione Ca, che
come sappiamo è molto importante perché avvengano le reazioni coagulative. I più
utilizzati sono:
 Sali dell’acido etilediaminotetracetico (EDTA)
 Citrato di sodio
Questi sono molto usati nell’emocitrometria proprio perché a differenza dell’eparina
preservano la struttura delle componenti cellulari. Il campione con agenti chelanti,
quindi poi può essere messo nel citrofluorimetro per valutare le componenti
corpuscolate. Il citrofluorimetro è una macchina molto complessa che emette delle
luci laser. Il nostro campione, che viene risucchiato dal citrofluorimetro, passa cellula
per cellula, attraverso questo fascio di luce. Per come la luce che esce fuori dal
campione viene deviata noi possiamo avere informazioni su quante cellule passano
attraverso questo fascio di luce e sulla complessità della cellula, sulla granulosità. In
ematologia questo è molto importante poiché permette di sapere nel campione che
tipo di cellule sono presenti (es. monociti, neutrofili, ecc…).

EMOLISI
Può avvenire che quando si raccolga il campione per un motivo o per un altro si rompano
le membrane dei globuli rossi. Quando questi vengono rotti liberano l’emoglobina nella
provetta e la colorazione del siero cambia e diviene riconoscibile superato un certo valore.
Possiamo vedere in quest’immagine la normale colorazione del siero e i diversi gradi di
emolisi. Questo avviene dopo la centrifugazione del plasma o del siero.

L’emolisi può generare dei problemi analitici poiché l’emoglobina può interferire con la
determinazione di altri analiti soprattutto se si misurano questi con dei metodi cromogeni
che assorbono per lo stesso spettro d’onda dell’emoglobina. Quando si rompono i globuli
rossi vengono anche liberati enzimi eritrocitari e ioni e quindi va alterare il campione dando
così un errore pre-analitico che fornisce un valore non attendibile (valore vero≠valore
ottenuto). Cause di emolisi:
Un esempio di emolisi da cause biologiche è rappresentato dalla sferocitosi ereditaria,
una malattia genetica in cui vi è un deficit di proteine associate in parte alla membrana
citoplasmatica e in parte al citosol. In questa particolare condizione i globuli rossi non
presentano la normale morfologia di un disco biconcavo, ma ha proprio una forma sferica.
In questo caso la reazione emolitica è molto più frequente.

CONSERVAZIONE DEI CAMPIONI BIOLOGICI


La conservazione del campione deve essere adeguata in modo da non alterare le proprietà
del campione stesso e dei suoi costituenti. Le cause di alterazione dei campioni biologici
possono essere:
 Alterazioni di natura fisica: evaporazione, cambiamenti di pH, solubilità,
adsobimento e desorbimento (relativi alle caratteristiche fisiche di adesione o non
ad una superficie), diffusione;
 Alterazioni di natura chimico-fisica: polimerizzazione o agglutinazione (in quanto
i globuli rossi hanno acido sialico sulla loro superficie carico negativamente che
previene l’agglutinazione), denaturazione, fotolisi;
 Alterazioni di natura biochimica o biometabolica: alterazioni della concentrazione
dei metaboliti e alterazione dei gradienti.
Esempio In un campione di sangue intero sono presenti cellule e in soluzione
anche glucosio, il quale può essere sfruttato da queste cellule. Se dobbiamo
andare a valutare in un soggetto diabetico che ha la glicata alta gli effetti della
terapia gli facciamo l’emoglobina glicata, l’insulina, il peptide C e la curva
glicemica. Se però noi lasciamo così com’è il campione, il glucosio al suo interno
viene consumato ed è stato stimato che al suo interno per ogni 100ml di sangue
10mg di glucosio vengono consumati in un’ora a causa dell’utilizzo da parte dei
globuli rossi della via glicolitica (non posso sfruttare il ciclo di Krebs perché non
hanno mitocondri). Il consumo metabolico di glucosio, quindi, potrebbe farci
riscontrare un valore di glicemia non attendibile. Proprio per questo vengono
utilizzati degli inibitori della glicolisi nel campione.

Possono essere effettuati degli accorgimenti per la conservazione dei campioni agendo
sulla: temperatura, liofilizzazione (utilizzata per lo più nei campioni destinati alla ricerca che
nei campioni a scopo clinico) e pH.
TRASPORTO DEL PRELIEVO AL LABORATORIO
Entro 1h dal prelievo possiamo procedere alla centrifugazione e separazione del campione
senza necessità particolari durante il trasporto. Bisogna però fare in modo che la provetta
mantenga la posizione verticale e sia coperta dalla luce. Se però dobbiamo fare un test di
coagulazione i tempi sono più brevi. Per l’esame emocromocitometrico non mi bisogna
superare le 7h mentre per la misurazione della VES invece non oltre le 24h.

Il glucosio diminuisce con il tempo a tutte le temperature se non sono stati aggiunti inibitori
della glicolisi. Invece con l’aumentare del tempo vi può essere un aumento della quantità di
potassio per lisi eritrocitaria e delle piastrine.

La temperatura di congelamento delle cellule è solitamente graduale, mentre per quanto


riguarda siero e plasma questa deve essere rapida. Se il campione arriva in laboratorio che
presenta qualche alterazione macroscopica del trasporto o anche della preparazione il
laboratorio può non accettare il campione.

Oltre a questo, devono essere presenti tutti i dati anagrafici del paziente:
 nome e cognome del paziente
 se è ricoverato in ospedale va indicato il reparto, la camera e il numero di letto
Questo deve essere scritto con inchiostro indelebile su etichetta ben adesa al tubo (MAI sul
tappo o coperchio del recipiente). Devono inoltre essere indicati data e ora del prelievo.

CONSERVAZIONE DEI CAMPIONI IN LABORATORIO


Il campione spesso non viene utilizzato tutto, magari può essere necessario su quello stesso
campione in giorni diversi fare diverse analisi. Se noi 10 ml di sangue li aliquotiamo in tubicini
da 1 ml e li conserviamo alla temperatura giusta li possiamo utilizzare successivamente.
Per quanto riguarda il siero la conservazione del campione può avvenire per 2-3 gg oppure
per massimo una settimana se conservato a una temperatura di 4 gradi. Per tempi più
lunghi, è meglio conservare il campione ad una temperatura che va da -20 a -80 gradi. Il
metodo migliore è la conservazione di piccole aliquote congelate rapidamente in azoto
liquido e conservato a -80. Questo sempre quando vogliamo conservare il campione
precedentemente già analizzato.
2. FASE ANALITICA
La fase analitica consiste nella fase che segue l’arrivo del campione in laboratorio in cui può
essere finalmente analizzato.
Fase 1: misurare una grandezza attraverso un metodo di misura;
Fase 2: ottenere un valore (valore analitico);

Questa misurazione ci permette di avere un valore analitico, il quale deve essere il più
possibile simile al valore vero. Il metodo analitico ha delle caratteristiche, questo deve
essere preciso, accurato, sensibile e specifico. Precisione e accuratezza sono due
caratteristiche che dipendono da come lavora l’operatore oltre che dal metodo. La sensibilità
e la specificità dipendono dal metodo di misura che viene scelto.
Il metodo di misura può avere delle caratteristiche che lo rendono sensibile, ovvero in grado
di riconoscere tutti i casi veri, oppure specifico e quindi in grado di identificare i casi falsi che
possono essere scartati.

Precisione
È la concordanza fra i risultati di una serie di distinte misure ottenute con lo stesso metodo
su porzioni di uno stesso campione
Per esempio, se in un’analisi di 10 campioni di sangue della stessa persona, utilizzando un
metodo analitico per 20 volte otteniamo 20 risultati i quali concordano tra loro.
La deviazione standard calcolata sui risultati di una serie di repliche ci dirà di quanto si
discosta un risultato dal valore medio. Questo ci dice quanto abbiamo lavorato in maniera
riproducibile e ripetitiva.

Accuratezza
L’accuratezza è relativa al metodo utilizzato e a come questo viene applicato e ci indica di
quanto il valore medio trovato è più vicino possibile al valore vero.

Sensibilità
La sensibilità è la capacità di un test di laboratorio di identificare tutti gli individui con la
malattia. Si può ottenere:
𝑣𝑒𝑟𝑖 𝑝𝑜𝑠𝑖𝑡𝑖𝑣𝑖
∙ 100
𝑣𝑒𝑟𝑖 𝑝𝑜𝑠𝑖𝑡𝑖𝑣𝑖 + 𝑓𝑎𝑙𝑠𝑖 𝑛𝑒𝑔𝑎𝑡𝑖𝑣𝑖
È una percentuale che ci aiuta a capire come il test di laboratorio individua i soggetti con
malattia.

Specificità
La specificità è l’efficacia del metodo nell’identificare chi non ha la malattia e quindi indica
la capacità di quel metodo di vedere solo chi ce l’ha. Si può calcolare:
𝑣𝑒𝑟𝑖 𝑛𝑒𝑔𝑎𝑡𝑖𝑣𝑖
∙ 100
𝑣𝑒𝑟𝑖 𝑛𝑒𝑔𝑎𝑡𝑖𝑣𝑖 + 𝑓𝑎𝑙𝑠𝑖 𝑝𝑜𝑠𝑖𝑡𝑖𝑣𝑖

3. FASE POST-ANALITICA
La fase post analitica può dare errore e questa consiste nella fase di trascrizione del risultato
e produzione del referto
Il referto rappresenta il modo in cui l’informazione richiesta giunge al clinico.
Deve contenere:
 dati anagrafici del paziente;
 data del prelievo, tipo di campione biologico e metodologie impiegate;
 il risultato espresso nella relativa unità di misura;
 l’intervallo di riferimento (in base alla variabilità interindividuale specifica per il
sesso e l’età del paziente);
 note refertuali;

INTERVALLO DI RIFERIMENTO
L’intervallo di riferimento è quel range per cui il valore ottenuto se si trova all’interno indica
una condizione fisiologica.

La misura della variabilità biologica viene effettuata con il calcolo dell’intervallo di riferimento
definito come l’ampiezza dell’intervallo che comprende il 95% delle misurazioni del
parametro biologico in un campione di riferimento della popolazione in esame. Il campione
scelto deve possedere caratteristiche omogenee.

Per esempio, la presenza di glucosio nel sangue non deve essere superiore a 100mg/dl in
quanto al di sopra di questo valore fisiologico, si ha la patologia. Il valore di 100mg/dl è stato
definito proprio in base alle misurazioni della glicemia in riferimento alla popolazione
d’esame.
Ogni laboratorio dovrebbe impiegare intervalli di riferimento ottenuti su soggetti provenienti
dall’area geografica d’appartenenza.

La variabilità biologica dei test di laboratorio rappresenta le variazioni delle concentrazioni


di una sostanza in uno e più soggetti che sono indipendenti da cause mediche, rispetto
al valore di riferimento. Può essere distinta in variabilità biologica intra-individuale e ed inter-
individuale.
La variabilità biologica può essere data da:
 Cause genetiche: maggiormente evidenti tra diverse etnie; es. razza caucasica
e razza asiatica;
 Cause non genetiche:
 a breve termine, come l’assunzione di cibo, l’esercizio fisico, la postura,
l’altitudine, i ritmi circadiani, il caffè e l’alcool;
 a lungo termine, come l’età, il sesso, i fattori ambientali, la gravidanza e lo
stile di vita;
 altre cause
La variabilità biologica può essere gestita con la standardizzazione della raccolta del
campione biologico (es al mattino, a digiuno, paziente a riposo, postura: paziente seduto)
consente di minimizzare gli effetti di alcune di queste cause responsabili.

ANALISI DEGLI ERRORI IN LABORATORIO


Fase pre-analitica: è la fase più delicata poiché la maggior parte degli errori avvengono
proprio in questa fase. Possono avvenire:
 extra-laboratorio 20,2% (errori principalmente di chi raccogli il campione)
 intra-laboratorio 37,1% (errori durante l’accettazione, la conservazione del campione
prima di fare l’analisi)
Gli errori in questa fase si verificano principalmente nella preparazione del paziente per il
test, in un errata raccolta del campione o in dei ritardi nel trasporto dello stesso.
Fase analitica: 25,4%
Fase post-analitica: 17,3%

PREPARAZIONE DEL PAZIENTE AL PRELIEVO


L’idonea preparazione del paziente è un elemento importante per cogliere la reale
situazione bio-umorale.
Quando si fanno degli esami di screening, su popolazioni selezionate è richiesto su queste
popolazioni lo stato di salute al 100%. È importante per quanto possibile non assumere
farmaci prima del prelievo. Il prelievo può essere influenzato anche dallo stile di vita del
paziente, se fa esercizio fisico, se fuma e anche dalla dieta che nei giorni che precedono il
prelievo deve essere abituale. Alcuni tipi di analisi devono essere fatte a digiuno o vi deve
essere una particolare dieta nei giorni che precedono il prelievo.
Per esempio:

Per gli esami ematochimici il paziente deve essere a digiuno da almeno 8-10h.
Possiamo vedere anche come il prelievo può essere influenzato dal ritmo circadiano, dal
ciclo mestruale e dalla stagionalità che possono influenzare alcuni ormoni.

Nella fase analitica vi possono essere degli errori relativi alla misurazione e al metodo usato.
L’errore totale = valore vero – valore trovato.
L’errore totale è una sommatoria di diversi tipi di errori: sistematici, casuali e grossolani.
Nella fase post-analitica gli errori presenti sono quelli compiuti dopo l’esecuzione
dell’indagine:
 errata trascrizione dei risultati
 refertazione inadeguata o incompleta
 omissione di note relative al campione
Questi errori, così come quelli pre-analitici, possono essere ridotti con l’adozione di
procedure standardizzati e referti allestiti tenendo conto delle linee guida internazionali
delle società scientifiche.

PROCEDURE PER IL CONTROLLO DI QUALITA’


Per poter evitare quanto più possibile gli errori si attuano delle procedure che consentano
step by step di controllare come si sta agendo.

Potrebbero piacerti anche