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PAP TEST
È un test di screening che si fa al microscopio ottico con un campo ampio (10x) e che si basa
sull’analisi di cellule esfoliate dal collo della cervice uterina mediante l’ausilio di una spatola e
strisciate su un vetrino.
Il collo dell’utero ha una mucosa con una componente superficiale (epitelio) e una profonda
(connettivo o lamina propria) separate da una membrana basale (che non si vede al microscopio
ottico).
L’epitelio del collo uterino ha un versante esterno squamoso pluristratificato non cheratinizzante
(esocervice) e un versante interno cilindrico monostratificato muciparo (endocervice).
L’esocervice è costituita da uno strato basale dove sono presenti cellule proliferanti, uno strato
intermedio con cellule in differenziazione, e uno strato superficiale dove le cellule esfoliano.
Il pap test è basato sull’analisi morfologica delle cellule degli strati superficiali, prelevate alla zona
di confine tra i due epiteli (endo e esocervice) detta zona di trasformazione. L’adeguatezza del test
si valuta sulla base della presenza o meno di cellule endocervicali e di muco, anche se ancora oggi è
dibattuta la necessità della loro presenza come garanzia dell’adeguatezza del test. È un test di
screening di patologie del collo dell’utero in età fertile, e di patologie endometriali in menopausa.
PAP TEST NORMALE: sono presenti cellule mature e ben differenziate: sono
grandi (35-45 µ), con un rapporto nucleo/citoplasma di 1/8. Hanno un citoplasma
sottile e piatto acquisito durante la differenziazione allo scopo funzionale di
rivestimento di una superficie estesa. Il citoplasma si colora di rosa (eosinofilo) o di
azzurro (basofilo). Hanno un nucleo piccolo e picnotico senza nucleoli né cheratina,
inattivo.
Oltre a questa, che rappresenta la componente cellulare principale del pap test, possono
essere presenti anche cellule squamose intermedie, a metà strada maturativa, più piccole e
con un nucleo meno picnotico in cui è visibile ancora la membrana nucleare.
Oltre alle cellule dell’esocervice, si possono trovare anche cellule dell’endocervice. Queste
sono cellule polari (dalla morfologia di una cellula possiamo predire quella della cellula a
fianco), mucipare; hanno un terminal bar: una struttura su cui sono inserite le ciglia. I
nuclei sono rotondi e uniformi. La morfologia polare si vede bene lungo l’asse
longitudinale, mentre lungo l’asse traverso appaiono come cellule tonde.
Analisi molecolare
In caso di PAP TEST dubbio, in assenza di chiare cellule discariotiche e in presenza di ASCUS, un
modo per ridurre il numero dei falsi negativi e aumentare la sensibilità dell’analisi è procedere a
indagini di tipo molecolare (PCR) volte all’identificazione del genoma virale. Una metodica
alternativa alla PCR è ibride capture: ibridazione in soluzione del DNA di HPV con una sonda di
RNA con cui forma un ibrido, che viene riconosciuto da specifici Ab marcati con fluorescenza e
inseriti nella soluzione. Un limite è rappresentato dal fatto che l’infezione di HPV è spesso
transitoria e genera modificazione displastiche lievi che regrediscono facilmente (L-SIL/CIN1).
Solo nel caso in cui l’analisi del DNA è + per 2-3 volte si può ipotizzare la presenza di un’infezione
persistente.
Inoltre il risultato dell’analisi è età dipendente.
L’infezione transitoria è molto frequente nelle donne di età <30anni; pertanto è inutile procedere ad
analisi di DNA di HPV dopo il PAP TEST con risultato incerto; si preferiscono altri tipi di indagini.
Invece nelle donne di età >30ann è molto frequente l’infezione persistente, per cui è utile dopo il
PAP TEST procedere ad analisi molecolare.
HPV è presente in 90 diverse varianti, 20 delle quali sono patogene per la mucosa cervicale.
Alcuni sottotipi sono a basso rischio (6,11) in quanto il genoma virale resta sottoforma episomale,
altri invece sono ad alto rischio (16,18) in quanto sono capaci di integrarsi nel genoma ospite e
mediante oncoproteine iperespresse interagiscono con geni oncosoppressori quali p53 e rb. In
particolare sono le proteine della fase precoce (E, early) ad avere un alto potenziale oncogenico: E6
attiva la degradazione di p53 ed E7 inattiva rb.
L’integrazione del genoma nella cellula ospite determina la inattivazione della proteina E4 deputata
al controllo di E6-E7, che risultano quindi iperespressi e iperattivati. Un tipo di analisi molecolare è
infatti volta alla valutazione dei livelli di espressione (mRNA) di E6-E7.
Quindi l’infezione di HPV è un evento che predispone alla neoplasia, mentre l’inattivazione di p53
e rb sono decisivi per il suo sviluppo. L’inattivazione di rb, sintomo di un’infezione virale attiva,
determina un aumento di p16, il che può essere visualizzato tramite metodiche di
immunocitochimica: le cellule vengono fissate su vetrino e trattate con Ab anti p16, dopodichè
vengono contrastate con ematossilina-eosina: nel punto in cui avverrà la reazione Ag/Ab si avrà un
precipitato rosso nel nucleo visibile al microscopio (p16 è presente nel nucleo in caso di displasia).
Con questa stessa metodica si può valutare la presenza del virus intero, mediante un Ab che
riconosce la proteina L1 che è un componente strutturale della capsula (se è presente: infezione
conclamata).
FISSAZIONE: bloccare il metabolismo delle cellule tramite formalina pH7 in istologia e alcool
assoluto in citologia. Lo scopo è quello di disidratare completamente cellule e tessuti, inattivando
gli enzimi; Usando paraformaldeide al 4% si conservano DNA e RNA.
Grazie alla fissazione di cellule e tessuti e alla loro inclusione in blocchetti di paraffina si può avere
a disposizione una raccolta di materiale biologico di un paziente e fare studi retrospettivi. Sull’RNA
però non è possibile fare studi retrospettivi perché non si conserva a lungo.
La paraffina è una cera liquida a 56°C con cui viene riempito il tessuto sia all’interno che
all’esterno per una notte, poi viene portato a T ambiente e viene fatto raffreddare, condensando
all’interno e all’esterno. A questo punto il tessuto è pronto per essere tagliato col microtomo e
colorato. Le sezioni del blocchetto di paraffina possono essere utilizzate per diversi tipi di indagini.
TMA: Tissue Multiple Array: versione macroscopica di un microgenearray. Uno strumento taglia
dai vari blocchetti di paraffina un minicilindro di tessuto e lo deposita sul vetrino. Si avranno quindi
molti tessuti affiancati che possono essere analizzati contemporaneamente mediante metodica
immunoistochimica (Ab): si possono usare 2 Ab (1° contro il marcatore da analizzare; 2° contro Ab
e legato a perossidasi), oppure 3 Ab per aumentare la specificità e ridurre il background aspecifico.
L’Ab 2° può essere anche biotinilato.
Bisogna curare bene i tempi di fissazione per evitare di danneggiare il marcatore da analizzare (non
+ di una notte). Il giorno dopo la fissazione il blocchetto può essere subito processato (TMA). In
caso di danneggiamento, si può fare uno smascheramento antigenico (blocchetto nel forno a micro-
onde per recuperare l’antigenicità).
Le sole cellule discariotiche non testimoniano con certezza la presenza di HPV nella cervice uterina
(mentre i coilociti presentano modificazioni cellulari caratteristiche dell’infezione di HPV), tuttavia
oggi si può dire con una certezza quasi del 100% che la discariosi è dovuta a HPV.
I soggetti più a rischio d sviluppare carcinoma in situ sono le donne portatrici croniche di HPV, dal
momento che studi di follow-up indicano che per lo sviluppo, il mantenimento e la progressione di
neoplasia intraepiteliale cervicale è necessaria la continua presenza del DNA di HPV.
Talvolta è anche possibile assistere ad una regressione spontanea dell’infezione, che non ci si
aspetta più dopo gli 8 mesi.
ALTS: Ascus L-SIL triade study: gruppo di studio volto a dimostrare la sensibilità del PAP TEST
associato all’analisi molecolare in alternativa alla colposcopia.
Nonostante questo studio, rimane da dire che il test molecolare è + nel 50% degli ASCUS.
Neoplasie
Si definisce tumore un’iperproliferazione non controllata di un clone cellulare in un dato tessuto in
seguito a mutazioni geniche.
In base al grado di differenziamento, alla velocità di crescita e al livello di invasione tissutale
possiamo classificare i tumori in benigni e maligni.
Adenoma è il termine applicato alle neoplasie epiteliali benigne che formano aspetti ghiandolari e a
tumori che derivano dalle ghiandole. A seconda della morfologia dell’adenoma distinguiamo il
papilloma (neoplasia benigna epiteliale che produce proiezioni digitiformi o verrucoidi) dal
cistoadenoma (neoplasia benigna che forma grosse masse cistiche).
Carcinoma è il termine applicato alle neoplasie epiteliali maligne; si distinguono in base
alla morfologia adenocarcinomi (aspetto microscopico di tipo ghiandolare) da carcinomi a
cellule squamose. I tumori maligni che insorgono nei tessuti mesenchimali sono
comunemente chiamati sarcomi.
Caratteristiche Benigno Maligno
Sistema TNM
Descrive l’estensione anatomica della malattia attraverso la valutazione di tre paramentri: il tumore
primitivo (T), lo stato dei linfonodi regionali (N), la presenza o meno di metastasi ematiche (M).
Il primo linfonodo soggetto a metastasi viene definito linfonodo sentinella
Per una neoplasia possiamo definire il GRADING, cioè il livello di differenziamento determinato
da 3 parametri connessi alla aggressività della neoplasia: caratteristiche di differenziamento
citologico delle cellule tumorali, numero di mitosi e atipie nucleari. La velocità di accrescimento
della neoplasia è inversamente correlata al grado di differenziamento, è generalmente superiore nei
tumori maligni e, come detto in precedenza, può dipendere dall’azione ormonale.
Le categorie cliniche o patologiche del TNM e il Grading possono poi essere raggruppate in stadi
clinici e patologici che si caratterizzano per l’omogeneità della prognosi dei pazienti con una stessa
neoplasia (STAGING); la conoscenza dello stadio è essenziale per la scelta di una terapia adeguata,
per la formulazione di un giudizio prognostico e nel processo di valutazione della risposta al
trattamento.
A seconda del livello di anaplasia le neoplasie vengono classificate da I a IV (G1 neoplasia ben
differenziata, G2 neoplasia moderatamente differenziata, G3 neoplasia scarsamente differenziata,
G4 neoplasia indifferenziata).
Per stabilire il grading di un tumore si possono contare le figure mitotiche (normali o atipiche,
tripolari, quadripolari, mitosi a scoppio) oppure si può fare immunoistochimica con diversi
marcatori di proliferazione e differenziamento.
- Ki67: marker di proliferazione, colora i nuclei delle
cellule da G1 in poi. Le cellule restino (G0) non si
colorano.
- Tg e PSA: markers di differenziamento tiroideo e
prostatico, presenti sul tessuto normale e sul
carcinoma ben differenziato; sono utili per
identificare l’origine tumorale delle metastasi.
- CK + desmina: utile per la diagnosi di carcinoma anaplastico, linfoma, melanoma, sarcoma.
La presenza di CK (citocheratina) è indicativa di carcinoma, mentre la desmina è tipica dei
sarcomi muscolari.
- ER/PG – ErbB2: markers prognostici di staging e grading.
In un vetrino citologico di un carcinoma sono presenti diversi tipi cellulari: oltre alle cellule
neoplastiche, si evidenziano cellule epiteliali (con la colorazione di ematos-eos sono in negativo),
cellule infiammatorie (si vedono con immunoistochimica), cellule mesenchimali stromali.
TIROIDE
Il nodulo tiroideo è un problema clinico di patologia medica che
richiede metodiche di anatomia patologica.
Rappresenta un problema comune: il 4-8% della popolazione alla
palpazione mostra noduli tiroidei. È maligno in <5% dei casi.
Viene riscontrato nel 13% dei casi con ecografia tiroidea, nel 40%
dei casi con ecografia alle paratiroidi, nel 50% dei casi dopo
autopsia.
L’incidenza del Ca tiroideo rispetto a tutte le altre neoplasie è 1% negli uomini e 3% nelle donne. Si
tratta di neoplasie biologicamente complesse, caratterizzate da frequenti lesioni preneoplastiche
poco chiare, con una progressione adenomacarcinoma non nota.
CARCINOMA FOLLICOLARE
È la seconda forma in ordine di frequenza delle neoplasie maligne tiroidee. Macroscopicamente
appare come nodulo solitario, difficilmente distinguibile dal Ca papillare nella variante follicolare.
L’analisi istologica mostra follicoli bordati da cellule ben differenziate, uguali a cellule di adenoma,
iperplasia o neoplasia. L’analisi mediante FNC permette la distinzione dal Ca papillare, in quanto le
caratteristiche citologiche di quest’ultimo sono specifiche, ma non stabilisce una netta distinzione
tra Ca follicolare e iperplasia benigna. Per cui si fa ricorso a immunoistochimica e si cercano
markers fenotipici (non si conosce la ragione genotipica dell’incremento di questi markers).
- Galectina 3: si può dosare attraverso immunoistochimica in una sezione ottenuta da
blocchetto di paraffina in cui abbiamo incluso il tessuto o FNC: i carcinomi sono positivi a
questo marker, e anche i linfociti (controllo positivo interno al test) mentre i gli adenomi
sono negativi. Ci sono pareri contrastanti sul valore diagnostico di questo marker.
- CK-19 (citocheratina): le cellule neoplastiche si colorano di marrone; ci
possono essere falsi positivi in caso di iperplasia con aree cistiche e tessuto
fibrotico.
- HBME1: espressa in cellule mesoteliali (peritoneo, pleura) e dai tumori
tiroidei. Sia in sezioni istologiche sia su campioni citologici si ha una
colorazione della membrana citoplasmatica blu dei follicoli normali e
marroncino-rosso delle strutture neoplastiche.
Per tutti questi markers è difficile identificare un cut off di positività, in quanto i risultati ottenuti
sono soggetti a variazioni di interpretazioni. Per questo spesso si integrano le metodiche molecolari.
METODICHE MOLECOLARI
Dopo l’analisi citologica si grattano le cellule dal vetrino e si fa PCR alla ricerca di mutazioni
oncogeniche, spesso rappresentate da grossi riarrangiamenti cromosomici come nei linfomi, dovuti
spesso a esposizione a radiazioni (Cernobil).
Si cerca mutazione del gene b-RAF, che si verifica solo nelle neoplasie maligne. Questo tipo di
indagine molecolare serve a dare conferma diagnostica di Ca papillare nella variante papillare. La
variante follicolare e il Ca follicolare sono invece difficili da diagnosticare.
Un altro oncogene spesso mutato nel Ca papillare, ma meno specifico di b-RAF, è Ret, che subisce
un riarrangiamento caratteristico (falsi positivi: tiroidite) dopo esposizione a radiazioni.
Un altro gene è PAX8/PPAγ, mutato frequentemente nel Ca follicolare, ma anche nell’adenoma.
POLMONE
Il carcinoma polmonare (CP) si suddivide in due ampi gruppi: il carcinoma polmonare a piccole
cellule (SCLC), che rappresenta circa il 20-25% di tutti i casi di CP, ed il carcinoma polmonare non
a piccole cellule (NSCLC), che comprende la restante parte.
Lo SCLC è un tumore neuroendocrino, che fa spesso metastasi cerebrali; le cellule sono
particolarmente sensibili sia ai farmaci antineoplastici sia alla radioterapia. Tale caratteristica è però
poco utilizzabile in terapia a causa della estrema aggressività di questo tipo di tumore che viene
diagnosticato quando è in fase estremamente avanzata.
Il NSCLC ha invece un origine epiteliale e non presenta caratteristiche neuroendocrine. Le sue
cellule mostrano una bassa sensibilità alla radio- e alla chemioterapia, ma il suo comportamento
biologico è meno aggressivo di quello del carcinoma a piccole cellule.
NEOPLASIE POLMONARI
Ca squamoso
L’epitelio bronchiale è cilindrico monostratificato. In caso di Metaplasia squamosa, diventa
squamoso pluristratificato (fumatori), ma si tratta di un processo reversibile. Può essere definito un
Ca squamoso in situ, che copre a tutto spessore l’epitelio bronchiale.
Se diventa invasivo, lo stroma scompare e le cellule invadono il tessuto connettivo circostante; la
presenza di cheratina non è rilevante ai fini diagnostici, ma è indicativa del grado di
differenziazione (è maggiore quando maggiore è il grado di differenziazione). Si distinguono aree di
necrosi se il tumore non è sufficientemente vascolarizzato.
Il campione ottenuto da un bronchial washing di Ca squamoso
polmonare e colorato con papanicolau è costituito da istiociti
alveolari, cellule bronchiali, background infiammatorio costituito
da linfociti e polimorfonucleati, e una massa cellulare dall’aspetto
papillare con nuclei grandi, scuri (a goccia di inchiostro),
irregolari, diversi tra loro (anisocariosi) per il diverso grado di
differenziamento. Sono cellule cheratinizzate (tratto distintivo di
Ca squamoso), alcune perdono il nucleo (ghost cel). È proprio la
cheratina ad indurre reazione infiammatoria, con ascessi necrotici.
Il campione ottenuto con FNC è costituito da cellule vitali, senza background di necrosi
e infiammazione. Anche in questo caso le cellule maligne appaiono con un nucleo
scuro, membrana nucleare atipica, citoplasma estremamente cheratinizzato.
Talvolta si verificano casi di dedifferenziazione e anaplasia.
Adenocarcinoma periferico
Il campione citologico derivato da FNC viene colorato con MGG+papanicolau
per evidenziare meglio le caratteristiche nucleari: si vede un ammasso cellulare
acinare, papillare, solido, costituito da cellule non cheratinizzanti, con nuclei
singoli o multipli prominenti. Spesso sono presenti pseudonucleoli (invaginazioni
citoplasmatiche nel nucleo) e grossi vacuoli citoplasmatici che dislocano il nucleo
alla periferia (aspetto ad anello di castone).
Spesso la sola analisi citologica non permette di distinguere l’adenocarcinoma polmonare da una
metastasi polmonare da altre neoplasie (neoplasia primitiva del clon). Per cui si studia clinicamente,
radiologicamente e immunofenotipicamente il tumore.
Un ottimo marcatore è TTF1, un fattore trascrizionale espresso da tiroide e polmone (si colorano i
nuclei); un marcatore per neoplasia del colon è la citocheratina 20.
Ca bronchiolo-alveolare
È un Ca che nasce in periferia, ed è caratterizzato da fronde alte colonnari
mucosecernenti e frequenti zone di calcificazione (psammoma body).
LINFONODI
Sono costituiti da cellule linfoidi coinvolte nella risposta immune, cellule immunologicamente
attiva (APC) e cellule stomali.
Istologicamente distinguiamo una zona corticale (follicoli) costituita da linfociti B che entrano
tramite vasi a endotelio alto (VEA); una zona paracorticale costituita da linfociti Th e Ts (che
entrano tramite VEA) e un sistema di sinusoidi (dai seni sottocapsulari alla midollare) costituito da
plasmacellule e macrofagi.
Per il fenomeno dell’homing le cellule linfoidi riconoscono la sottozona da colonizzare.
Fisiologicamente avviene un processo di IPERPLASIA CORTICALE: la cellula B naive viene
attivata, entra nel centro germinativo, diventa un basto, esce migra nei sinusoidi e diventa
plasmacellula secernente Ig (clone immunoblasto).
La principali patologie che si verificano a livello linfoide si possono classificare in:
1) linfomi di Hodgkin: sono curabili all’80% se diagnosticati in tempo. Sono causati da una
cellula B impazzita che richiama attraverso il rilascio di citochine le cellule reattive. I
linfomi di Hodgkin si diffondono sia per continuità che non. La componente neoplastica è la
cellula di Hodgkin (cel di Stenberg), che possiede un nucleo plurilobato con un grande
nucleolo immersa in un background di cellule sane. Si distinguono diversi istotipi
(classificazione Real):
- Sclerosi nodulare: istotipo frequente nei giovani; la capsula linfonodale è molto
spessa, il linfonodo è segmentato in aree nodulari. Sono presenti molte cellule
reattive, cellule linfoidi e cellule neoplastiche. Possiamo trovare anche varianti
cellulari (cellula lacunare).
- Cellularità mista: istotipo frequente negli anziani. Raramente è presente la cel di
Stenberg.
- Deplezione linfocitaria: istotipo grave e aggressivo, frequente negli anziani. C’è una
scarsa componente reattiva, e molte cel neoplastiche sia classiche sia nelle varianti.
- Predominanza linfocitaria: istotipo più lieve, la componente di cellule reattive è
aumentata. Le scarse cel neoplastiche danno la tipida denominazione di POP CORN.
Con un’analisi immunoistochimica si ricercano markers superficiali tipici della cellula di
Hodgkin: CD30 e CD15.
2) Linfomi non Hodgkin: interessano tutti i distetti linfoidi (linfonodi, milza, MALT). Sono
più frequenti e più letali del linfomi non Hodgkin. La caratteristica clinica è la presenza di
linfonodi grossi, duri e non dolenti. Spesso le cellule neoplastiche infiltrano il torrente
ematico, alterandone la componente cellulare (leucemie). La classificazione Real/WHO
comprende due categorie a seconda del grado:
- Indolenti, non aggressivi: vengono alterati i meccanismi apoptotici; alla diagnosi
sono quasi sempre già ben diffusi, e sono incurabili tranne in caso di malattia
localizzata o di trapianto midollare. La sopravvivenza è >5anni
- Aggressivi: se non trattati sono letali. Viene alterato il ciclo cellulare (cicline). La
sopravvivenza media è <2anni. Sono curabili soprattutto in bambini e adolescenti
mediante una terapia aggressiva.
3) Linfoma follicolare: deriva dal centro germinativo; generalmente non è aggressivo e
risponde alla terapia. È dovuto nel 90% dei casi a una traslocazione caratteristica: 14-18
gene IgH (catene pesanti delle Ig) + BCL2: produzione cronica di Bcl2 no apoptosi.
Morfologicamente si presenta come una massa nodulare (follicolare) simile ad un centro
germinativo, con piccole e grandi cellule, sia incise che non, attivate. Con
immunoistochimica si usano markers positivi quali CD119, CD10, Bcl6, Bcl2 e markers
negativi quali CD5 e ciclina D1. Come tecniche molecolari per identificare la traslocazione
si usano PCR/FISH.
4) Linfoma diffuso a cellule B: linfoma aggressivo che colpisce gli adulti e gli anziani. È
curabile anche con trapianto di staminali o con terapia aggressiva. Può derivare da linfoma
follicolare. La cellula ha un aspetto epitelioide, con grossi nucleoli centrali. I markers sono
quelli dei linfociti B
5) Linfoma di Burkitt: causato da infezione da EBV, che provoca una mutazione oncogenica
con overespressione di c-Myc; le cellule hanno un aspetto “a cielo stellato”.
6) Linfoma mantellare: insorge in età avanzata e ha una scarsa risposta alla terapia e un baso
indice di sopravvivenza. Colpisce le cel B naive, in cui si verifica una traslocazione con
aumento di ciclina D1. La morfologia è un tappeto di cellule con nucleo irregolare,
esprimenti markers B: CD20, CD5
7) Linfoma di precursori T cellulari: non ci sono lesioni tipiche (tranne nel linfoma
anaplastico), il manto cellulare ha un aspetto blastico e un pattern diffuso.
Importante è distinguere il tipo di linfoma; il primo step è l’analisi morfologica, poi si usa la
citofluorimentria, che è utile però solo quando la cellula neoplastica ha colonizzato il midollo o il
torrente ematico. Molto usate sono le tecniche di biologia molecolare: PCR/FISH per visualizzare
aberrazioni cromosomiche.
Tecniche istologiche
Una volta ottenuto uno striscio citologico o una sezione istologica da un tessuto o da un blocchetto
di paraffina, si procede alla loro colorazione. Generalmente una sezione ottenuta da blocchett di
paraffina viene Sparaffinata per effettuare lo smascheramento antigenico allontanando la paraffina
dalla superficie; quello che si fa è inserire il vetrino in acqua+xilolo, dopodichè si fa lo
smascheramento antigenico con citrato a temperatura di ebollizione.
Per la colorazione, esistono apparecchi che con un braccio meccanico spostano un carrello con i
vetrini e li immergono nelle varie sostanze coloranti. Una colorazione molto usata è la semplice
ematossilina-eosina, che mette in evidenza nuclei e citoplasmi; oppure la colorazione di
Papanicolaou, che permette, con l’ottenimento di vetrini in cui le cellule risultano trasparenti, di
osservare agevolmente la struttura dei componenti cellulari e dei nuclei, consentendo di cogliere la
comparsa di cellule cancerogene. Si può effettuare anche una colorazione istochimica, che permette
di evidenziare determinate strutture (colorazione PAS per i mucopolisaccaridi, colorazione con
mucicarminio per la mucina presente nell’adenocarcinoma polmonare, colorazioni per i neuroni,
etc).
Quando il campione è costituito da ossa, si procede alla decalcificazione: il tessuto viene fissato in
Cristensen e incluso in paraffina.
La grande innovazione si è avuta con l’immunocitochimica: dopo lo smascheramento antigenico, il
vetrino viene immerso in vaschette contenenti Ab I e II. Per i tessuti umani si usano Ab I e II
murini, mentre per tessuti murini si usano Ab di coniglio poli o monoclonali. È importante che il
sistema di questa tecnica sia aperto e versatile, il supporto della macchina serve solo per velocizzare
i tempi di immersione e recupero dei vetrini dalle soluzioni.
Importanti nell’anatomia patologica sono le fotografie. Distinguiamo le MACRO, che ci
documentano macroscopicamente il tessuto, dandoci indicazioni quali peso, dimensioni. Le
fotografie MICRO invece sono relative alle sezioni colorate.
LCM: dissezione con microscopio laser. Viene prelevato sul vetrino incluso in paraffina soltanto
un piccolo pezzo di tessuto che ci interessa (in cui sono concentrate le cellule sospette), in modo da
procedere con l’analisi più specifica e omogenea e senza rumore di fondo.
I tessuti possono anche essere congelati, generalmente quando l’analisi deve essere rapida,
intraoperatoria, e non c’è una notte di tempo per aspettare la fissazione in paraffina. OCT (blocco di
tessuto congelato) permette una miglior conservazione del RNA e di proteine. Si usa il criostato
molecolare (microtomo congelatore) che taglia fette di 10 μ, non molto sottili ma comunque in
grado di darci l’idea delle condizioni del tessuto e indicare il percorso operatorio.
Un’altra grande innovazione legata alla biologia molecolare è ISH (ibridazione in situ) che può
essere effettuata sia su tessuti congelati che inclusi in paraffina.