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PATOLOGIE VASCOLARI CEREBRALI: ICTUS

L’ictus è la comparsa improvvisa di segni o sintomi a carico del SNC (che a volte possono determinare anche lo
stato di coma del pz.) della durata superiore alle 24h, a volte con esito infausto, la cui causa è da mettere in
relazione con un disturbo del circolo cerebrale. Quando noi parliamo di ictus facciamo riferimento ad una
patologia importantissima che oggi rappresenta la terza causa di morte dopo l’infarto del miocardio e le
neoplasie; e purtroppo la prima causa di invalidità più o meno permanente.

La malattia cerebrovascolare rappresenta ancora oggi nei paesi industrializzati la prima causa di invalidità
se consideriamo che la maggior parte dei pazienti che presentano un ictus sono ancora in età lavorativa
possiamo comprendere il grosso impatto socio-economico di questa patologia esercita sulla società.
In genere sia l incidenza che la prevalenza della malattia aumenta con l aumentare dell età,infatti come vedremo
successivamente tra i fattori di rischio non modificabili l’eta e quello piu importante.
Quando parliamo di ictus abbiamo detto che facciamo riferimento ad un quadro clinico con una sintomatologia
focale o una sintomatologia diffusa a seconda delle situazioni, la cui causa è da mettere in relazione con un
disturbo del circolo cerebrale,quindi andiamo a vedere come è irrorato l encefalo.
IL cervello prende irrorazione da due circoli il circolo carotideo e il circolo vertebro-basilare.
Il primo eè nominato anche circolo anteriore ,il secondo col nome di posteriore.

Come si formano questi due circoli?

IL CIRCOLO ANTERIORE è formato dalla carotide interna, la quale appena penetra nel cranio da luogo a due
grosse arterie:

1. la cerebrale media (la più grossa);

2. la cerebrale anteriore. La cerebrale anteriore di un lato si mette in comunicazione con quella


controlaterale attraverso un segmento arterioso che si chiama, COMUNICANTE ANTERIORE. Questo
permette al sangue di passare da un emisfero all’altro a seconda delle necessità del parenchima
cerebrale stesso.
IL CIRCOLO POSTERIORE O VERTEBRO-BASILARE si forma dalle due arterie vertebrali, le quali partono fal tronco
aortico, salgono lungo la colonna cervicale attraverso i forami di coniugazione, arrivano al foro occipitale
attraverso il quale entrano così nel cranio e appena entrate si uniscono a formare l’arteria basilare o tronco
basilare. Da questo grosso tronco arterioso, da cui si dipartono dei rami che vanno ad irrorare il tronco encefalo
(mesencefalo, ponte e bulbo) e da cui partono alcune arterie che vanno ad irrorare il cervelletto, partono due
arterie che si chiamano cerebrali posteriori che provvedono soprattutto all’irrorazione del lobo occipitale.

Quali sono le arterie che provvedono ad irrorare il circolo cerebrale?

Il circolo cerebrale può essere distinto in grossi porzioni, abbiamo:

 Il circolo anteriore denominato anche circolo carotideo;

 il circolo posteriore denominato anche circolo vertebro-basilare

quindi:
il circolo si costituisce sostanzialmente dalle due carotidi comuni che all altezza dell angolo mandibolare si biforca
e dà una carotide esterna e una interna , la quale attraverso il seno cavernoso entra nel sistema nervoso e quindi
dà adito a due arterie importanti che sono la cerebrale anteriore e soprattutto la cerebrale media. La cerebrale
anteriore di un lato comunica cn la c. Anteriore contro laterale attraverso questo ramo che si chiama
comunicante anteriore,questo per quanto riguarda il circolo carotideo.
quello posteriore o vertebro-basilare è costituto dalle due arterie vertebrali che come sapete prendono origine
uno dall arco dell aorta e uno dalla succlavia salgono lungo i forami di coniugazione delle vertebre cervicali e
arrivano a livello del forame occipitale entrano all interno del cervello nel cranio e si congiungono x formare
questo lungo tronco arterioso che è l arteria basilare.
da questo grosso tronco arterioso prendono origine le due arterie basali posteriori che attraverso questo ramo
che si chiama comunicante posteriore si mettono in comunicazione con la cerebrale media.
queste due comunicanti fanno si che il sangue dal circolo anteriore possa arrivare a quello posteriore e
viceversa,mentre la comunicante anteriore permette al sangue di passare da un emisfero all altro.
qst insieme rappresenta il poligono d willis ,un esagono,alla base dell encefalo che provvede all irrorazione di
tutto il parenchimacerebrale.

nel dettaglio la cerebrale media si trova nella scissura di silvio alla fine si biforca in un ramo anteriore e uno
inferiore e gran parte della superficie cerebrale laterale è irrorata dalla media (2/3 di un emisfero cerebrale) per
cui un occlusione all origine di quest arteria crea dei danni veramente devastanti a carico del sistema nervoso.
Qui vedete ancora il territorio di distribuzione della cerebrale media, alla fine si biforca in un ramo superiore e in
un ramo inferiore. Il ramo superiore provvede all’irrorazione prevalentemente del lobo parietale, mentre il ramo
inferiore all’irrorazione del lobo temporale.
a livello della sezione mediale vediamo lo sviluppo della cerebrale anteriore che provvede all irrorazione
soprattutto alla superficie interna del lobo frontale e in particolare del lobulo paracentrale cioè di quella porzione
di corteccia motoria dove c è la rappresentazione dell arto inferiore ,
qst ci spiega perchè in alcuni casi abbiamo pz con ictus con arto superiore plegico e quello inferiore parzialmente
danneggiato ,questo perche l irrorazione dell art inf e dovuta all arteria cer. anteriore.

Vascolarizzazione.della.superficie.laterale.degli.emisferi

Vascolarizzazione.della.superficie.mesiale.degli.emisferi
Vascolarizzazione.profonda.degli.emisferi.cerebrali.taglio.coronale

Un’altra considerazione importante; qui vedete una sezione coronale dell’encefalo, la scissura di silvio, questa è la
cerebrale anteriore, vedete che appena parte dalla carotide interna, da questo grosso tronco arterioso, vedete si
dipartono ad angolo retto dei rami che vanno in profondità. Vedete che sono dei rami di piccolo calibro e partono
quasi ad angolo aperto da questo grosso tronco arterioso, sono rami terminali nel senso che non c’è anastomosi
tra un ramo e un altro e vanno ad irrorare prevalentemente la capsula interna e i nuclei grigi della base, queste
vengono denominate arterie perforanti, perchè vanno ad irrorare in profondità, ma sono meglio conosciute con
il termine di arterie emorragiche, perché nei soggetti soprattutto ipertesi queste arterie vanno incontro a un
processo di ialinosi della parete media. Processo di ialinosi favorito proprio dal fatto che si creano delle
turbolenze dal punto in cui partono queste arterie, sono arterie di piccolo calibro, arterie terminali non c’è
anastomosi e allora alto regime pressorio a lungo andare determina dei danni a carico della parete arteriosa
creando questo processo di ialinosi nella tunica media. In pratica queste arterie perdono di elasticità con
formazione d piccoli aneurismi detti di Charcot che si possono rompere dando adito ad emorragie, a quella che
è l’emorragia capsulare o l’emorragia a sede tipica. Quindi quando noi parliamo di emorragia a sede tipica
facciamo riferimento all’emorragia che avviene a carico della capsula interna e il motivo sta proprio in questa
disposizione delle piccole arterie oppure queste arterie non vanno incontro a rottura ma all’imbocco, proprio
all’origine o alla fine si formano delle placche aterosclerotiche per cui ad un certo punto si chiudono queste
arterie e là danno adito a quelle che noi chiamiamo lacune ischemiche, che sono dei piccoli ictus che a volte
passano silenti senza dare manifestazioni cliniche importanti, ma che quando si verificano spesso a carico dei
nuclei della base possono poi essere responsabili del quadro clinico del parkinsonismo vascolare/ parkinsonismo
arteriosclerotico.

Qui vedete ancora un’immagine dal basso dell’encefalo, vedete il poligono di Willis alla base dell’encefalo stesso,
questo è il chiasma del nervo ottico, la cerebrale media, il tronco basilare, le due arterie vertebrali, la cerebrale
posteriore, vedete la dislocazione del poligono: cerebrale posteriore, comunicante posteriore, cerebrale
anteriore, comunicante anteriore, cerebrale media. Ecco formato il Poligono di Willis.

Dal punto di vista fisio-patologico c’è da dire che il neurone utilizza per il suo metabolismo,ossigeno e
gluscosio,che arrivano attraverso il sangue ed è piu o meno costante perchè il cervello ha meccanismi di
autoregolazione che mantiene costante il flusso ematico cerebrale , di cirva 50ml x 100g di parenchima cerebrale
al minuto.
ma è anche vero che ha meccanismi per cui distribuisce il sangue in base alle esigenze metaboliche di un
determinato distretto metabolico.(distretto visivo o uditivo per esempio in base all’azione che sto svolgendo).
Quindi il sistema nervoso ha questa grossa capacità di shiftare il sangue da un circolo all’altro e da un emisfero
all’altro in base alle esigenze metaboliche in quel momento.(grazie a fattori biochimici e nervosi)
questo meccanismo in fase di ictus si perde al momento e bisogna attendere giorni per ristabilire il tutto.
Cosa succede nell’occlusione di un vaso di qualsiasi natura?
Succede che la porzione del parenchima che perde irrorazione SI NECROTIZZA e intorno vi è un area che
definiamo area di penombra ischemica,che significa che c’è un area che al limite della sopravvivenza neuroni
ancora funzioni che utilizzano tutte le sostanza nutritive che arrivano in quell area;tenete presente che in fase
acuta di ictus si perdono quei meccanismi di autoregolazione ,l unico fattore che sostiene il flusso è la pressione
arteriosa per cui è un grave errore abbassare la pressione a quel paziente con ictus a meno che non abbia una
pressione eccessivamente alta di 230max/220min perché ridurremo il flusso e quindi l area di penombra
diventerebbe un area ischemica e il danno neurologico si estenderebbe ulteriormente e quindi maggiore deficit x
il paziente.

Gli studi epidemiologici hanno individuato diversi fattori che in qualche modo predispongono alla patologia
vascolare. Questi fattori alcuni sono non modificabili, altri fattori invece sono modificabili. Individuare questi
fattori, riconoscerli ed eventualmente nei limiti del possibile correggerli è la prima tappa importante per la
terapia dell’ictus, cioè la prevenzione. Noi certe patologie dovremmo cercare di prevenirle, perché nel momento
in cui si è creato il danno neurologico, soprattutto se il danno è consistente, dobbiamo poi affidarci soltanto alla
riabilitazione qualora il pz. riesca a superare l’evento critico.

FATTORI DI RISCHIO

I fattori di rischio non modificabili sono:

1. l’ETA’, abbiamo visto come più si va avanti con gli anni e più aumenta l’incidenza della malattia cerebro-
vascolare. età prevalente è tra i 65 e 80 anni.

2. SESSO, è stato evidenziato una maggiore incidenza della malattia nei maschi rispetto alle femmine,
probabilmente perché nei maschi c’è una maggiore incidenza di ipertensione arteriosa, che è tra i fattori
di rischio modificabili più importante.

3. GENETICA, quando parliamo di genetica non dobbiamo pensare all’ictus come una malattia ereditaria,
che si eredita così come altre patologie come la distrofia muscolare o altre sindromi; è vero che ci sono
dei quadri clinici che sono trasmessi attraverso dei geni anomali, ma sono delle situazioni rare tipo il
cadasil. Quando noi parliamo di genetica, parliamo di predisposizione a sviluppare l’aterosclerosi. Il
processo aterosclerotico è dal punto di vista anatomo-patologico alla base dell’evento ischemico.
l’ischemia cerebrale, l’ictus cerebrale non è altro che una manifestazione locale di un processo di
aterosclerosi, che si manifesta a carico dell’encefalo se il danno è prevalentemente a carico delle arterie
cerebrali, ma può anche interessare il miocardio, il cuore se il danno è a carico delle coronarie, può
interessare gli arti inferiori se il danno è a carico della patologia periferica, tanto è vero che quando noi
valutiamo un pz. con l’ictus inevitabilmente possiamo trovare in contemporaneo delle anomalie
cardiache oppure un’insufficienza circolatoria agli arti inferiori a dimostrazione che il processo di
aterosclerosi è diffuso, ma che ha colpito prevalentemente quel determinato distretto cerebrale e di
conseguenza il pz. ha presentato l’ictus.

I fattori di rischio modificabili quelli che possono essere eliminati per variazione della dieta,dell’alimentazioni,dei
comportamenti e dello stile di vita del pz (in alcuni casi è stata trovata una correlazione ben precisa,
documentata in altri casi non è stato trovato ancora questo tipo di correlazione):

1. IPERTENSIONE ARTERIOSA, per il danno che crea a carico delle pareti del vaso sanguigno, soprattutto a
livello delle biforcazioni.Infatti si ritiene importante tener sotto controllo negli anziani che non hanno
ancora avuto accidenti di questo tipo,questo fattore ,e si riduce così di circo il 20% la sua insorgenza.è
uno dei fattori di rischio più importanti.

2. DIABETE;

3. TUTTE LE CARDIPATIE EMBOLIGENE, in particolare la fibrillazione atriale, associata o non associata a


valvulopatie mitraliche, perché possono partire degli emboli e quindi essere causa poi di ischemia
cerebrale.

4. L’ IPEROMOCISTEINEMIA, cioè questa sostanza, questo amminoacido che sta nel sangue e che per
alterazione dei sistemi enzimatici (problemi anche genetici a volte)non viene adeguatamente
metabolizzato, per cui si accumula e va ad infiltrare la parete del vaso creando dei danni e quindi
favorendo l’occlusione del vaso o la rottura del vaso stesso.

5. ATTACCO ISCHEMICO TRANSITORIO PRECEDENTE, i pz. che hanno avuto un TIA nel 1/3 dei casi l’attacco
rimane tale, in 1/3 può presentare un altro attacco, in 1/3 dei casi purtroppo nel giro di un mese il pz. fa
l’ictus completo. Quindi il fatto che il pz. abbia una sintomatologia focale neurologica che regredisce
dopo mezz’ora, non è che il medico curante o chi per esso dice “va bene è passato non c’è più niente,
stai tranquillo”, no!, quello è un campanello di allarme importante, il pz. va studiato, va approfondito
per capire perché è successo quello ed eventualmente cominciare a prendere i dovuti rimedi.

6. Poi ci sono altre situazioni, per es. nei giovani spesso troviamo la PERVIETà DEL FORAME OVALE, con
uno shunt destro-sinistro tra le cavità coronariche

7. l’ABUSO DI ALCOLL

8. ABUSO DI SOSTANZE STUPEFACENTI

9. FUMO DI SIGARETTA

10. USO DI CONTRACCETTIVI ORALI, soprattutto se si associa ad altre condizioni, es. io c’ho l’emicrania,
faccio uso di contraccettivi orali, potenzio l’effetto e quindi il fattore di rischio di entrambi e di
conseguenza posso sviluppare un’ischemia cerebrale, un’emorragia cerebrale e cosi via discorrendo.

11.EMATOCRITO superiore a 50 , pz cn policitemia o con fibrinogeno alto.


Quando noi diciamo ictus facciamo riferimento a una patologia vascolare a carico dell’encefalo, però noi
non sappiamo se è di tipo ischemico o ti tipo emorragico, per cui noi dovremmo sempre aggiungere
l’aggettivo accanto al termine ictus.

CHE PREVALENZA C’è?


l’ictus ischemico prevale nettamente su quello emorragico, in genere si calcola che l’ictus ischemico si aggira
intorno all’85% dei casi di ictus cerebrale, mentre il 15%- 20% è rappresentato dall’ictus emorragico.
L’ictus cerebrale:
improvviso il danno dipende dall’estensione e localizzazione lesione,l’evoluzione può avvenire da qualche minuto
a qualche giorno e l arresto della progressione può esserci con recupero dei sintomi neurologici.

Per quanto riguarda la classificazione patologica, l’ictus viene distinto in:

1. ICTUS ATEROTROMBOTICO legato all’occlusione di un caso per il processo di aterosclerosi

2. ICTUS EMBOLICO

3. ICTUS.LACUNARE

4. ICTUS CRIPTOGENETICI, ovvero quelli in cui non si riesce a trovare una causa, perchè non sempre
riusciamo a trovare una causa, soprattutto nei giovani.

5. ICTUS.EMODINAMICO per cali di pressioni in alcuni distretti.

Poi abbiamo l’ictus emorragico e qui dobbiamo distinguere:

1. emorragia intraparenchimale, è quella che avviene all’interno del parenchima cerebrale.

2. emorragia subaracnoidea, è il versamento di sangue nello spazio subaracnoideo.

L’emorragia intraparenchimale si divide in:

-sede tipica, quella che interessa la capsula interna

-sede atipica, cioè l’ematoma che avviene all’interno di un lobo cerebrale (lobo frontale, parietale, temporale,
occipitale), tronco, al livello del cervelletto e via di seguito.

Un’altra classificazione è quella dal punto di vista eziopatogenetico:

 possiamo avere la trombosi del vaso cerebrale

 l’embolia del vaso cerebrale, quindi la partenza di un coagulo da un altro distretto corporeo e
poi è arrivato al cervello.
 possiamo avere un ictus inseguito alla compressione estrinseca dei vasi extracranici
(importante per i fisioterapisti).

 scompensi emodinamici, per es. un calo brusco della pressione, un pz. che ha un collasso
cardiocircolatorio, un pz. che ha un infarto del miocardio, un arresto cardiaco per cui c’è un
crollo della pressione si può ritrovare, se supera l’evento acuto, con ictus perché un’area del
parenchima cerebrale è andato in ischemia per queste brusche modificazioni della pressione
arteriosa.

Vi dicevo che alla base dell’ictus c’è il processo di aterosclerosi. Questi sono i distretti che sono più facilmente
colpiti dal processo di aterosclerosi vedete: l’origine dei vasi dall’arco dell’aorta, l’origine delle vertebrali, la
biforcazione carotidea e anche il sifone carotideo all’interno.

[ATTENZIONE*]

CI Può ESSERE UNA compressione dei vasi extracranici. Io vi ho detto come le arterie vertebrali si dipartono
dall’arco dell’aorta e passano attraverso i forami di coniugazione prima di imboccare il foro occipitale ed entrare
all’interno del cranio. Tenete presente che in alcune situazioni, soprattutto nei soggetti anziani spesso si formano
i cosiddetti osteofiti cioè delle protrusioni ossee per il fenomeno di artrosi che vanno all’interno dei forami di
coniugazione per cui quando voi trattate questi pz. per l’artrosi cervicale e fate esercizi di rotazione del capo, gli
allungate il collo e tutto il resto non fate altro che creare probabilmente delle compressioni sulle arterie
vertebrali e allora se c’è una situazione di becchi osteofitari che vanno all’interno del forame di coniugazione, nel
momento in cui voi girate il capo al pz. o glielo flettete avanti e indietro, questi becchi osteofitari possono
comprimere ulteriormente le arterie vertebrali, se il pz. ha già sviluppato un processo di aterosclerosi è a rischio
ictus. Queste compressioni anche se di piccole entità possono creare una diminuzione ulteriore del flusso
cerebrale e quindi favorire l’insorgenza di un ictus. È la stessa cosa che succede a volte sottoponendo il pz. alla
massoterapia, fate esercizi di massaggio molto intensi, molto forti per cui create una compressione sulle arterie
vertebrali, compressione che si accentua perché già c’è una situazione di compressione e di riduzione di flusso
per la presenza di osteofiti e il pz. mi sviluppa magari l’ictus mentre voi lo state trattando.

Cosa avviene nell’ictus aterotrombotico? Il più delle volte c’è la formazione di una placca che tende a chiudere,
restringere il lume di un vaso sanguigno, questo determina una riduzione del flusso cerebrale, della quantità di
sangue che arriva in quel determinato distretto fino alla comparsa di segni e sintomi e in conseguenza di tutto
questo il pz. può avere la TIA o un ictus vero e proprio. Qui vedete schematizzato quello che avviene di solito:

A livello della biforcazione, pensate alla biforcazione carotidea, avviene la formazione della placca,
l’ulcerazione della placca con immissione in circolo o di aggregati piastrinici che si sono depositati sulla placca
oppure di emboli di colesterolo che escono dalla placca stessa e queste sono tutte condizioni che predispongono
all’attacco ischemico transitorio. Il più delle volte la TIA è dato proprio dall’occlusione di un vaso a seguito degli
aggregati piastrinici che arrivano e poi immediatamente entrano in gioco i meccanismi di fibrinolisi, che
sbriciolano, sciolgono questi aggregati piastrinici ed ecco che si ripristina il circolo e il pz. recupera il deficit che
aveva manifestato. Su questa placca ulcerata successivamente cominciano a stratificare i globuli rossi, globuli
bianchi e inizialmente abbiamo un trombo molle non ancora solidificato e quindi da questo trombo si possono
staccare dei frammenti, grumi di sangue che vanno in circolo, diventano degli emboli e possono occludere dei
vasi a distanza. Successivamente questo trombo si organizza sempre di più fino a creare l’occlusione completa
del vaso. A questo punto c’è da dire: ogni qual volta che si verifica questa situazione il pz. va incontro ad ictus?
NO. A volte solo dopo un arteriografia, un’angiorisonanza o un ecodoppler ci viene segnalato un’occlusione
completa della carotide interna senza che il pz. abbia manifestato una sintomatologia clinica evidente. Questo
perché l’organismo ha avuto la possibilità di instaurare dei circoli collaterali e quindi provvedere ad irrorare quella
zona che prendeva irrorazione dal vaso occluso senza che questo abbia dato dei danni al parenchima e quindi
una sintomatologia clinica evidente.

L’embolia, sono soprattutto le arterie cardiache responsabili di embolia cerebrale, per es. un’altra situazione
importante è l’infarto del miocardio, le cardiomiopatie dilatative, perché non riuscendo il cuore durante la fase di
sistole a espellere tutto il sangue, questo ristagna all’interno delle cavità cardiache e facilmente può andare
incontro a coaguli e quindi si possono formare degli emboli che si distaccano e possono essere responsabili di
quadri di ischemia cerebrali.

Quando parliamo di ictus ischemico dobbiamo tener conto di due situazioni:

1. infarto bianco, cioè zona infartuale del parenchima cerebrale in cui non è arrivato più sangue.

2. infarto rosso, è un’area ischemica dove c’è stato un infarcimento di sangue, cioè a volte succede questo
che quando si chiude un vaso sanguigno importante, tipo cerebrale media, il sangue che sta all’interno
del vaso soprattutto se si usano farmaci a reazione antiaggregante tipo l’aspirina o anticoagulanti come
l’eparina, allora i globuli rossi fuoriescono dal vaso sanguigno e vanno a infarcire il tessuto ischemico
circostante e allora quando noi facciamo la TAC troviamo l’area ischemica con questa zona di
infarcimento che è rappresentato appunto dai globuli rossi che sono usciti dal Vaso.

Classificazione anatomica degli ictus, in base al territorio di irrorazione di un’arteria.


-Il quadro dell’occlusione della carotide interna, può essere asintomatico se si riesce a stabilire un
circolo collaterale. Un circolo collaterale importante è quello tra la carotide esterna e l’arteria oftalmica
(che è il primo ramo collaterale della carotide interna) attraverso le arterie ciliari, le arterie che vanno ad
irrorare la zona frontale etc, si ha una ricanalizzazione, un’inversione di questo flusso, cioè il sangue
invece di partire dalla carotide e arrivare all’oftalmica?, dalla carotide esterna passa nell’arteria
oftalmica e va ad irrorare il parenchima cerebrale che doveva essere irrorato dalla carotide occlusa.
Quindi c’è questo circolo collaterale importante che sopperisce all’occlusione della carotide interna.
Oppure i segni clinici che noi possiamo riscontrare sono:

1. la sindrome oculo-piramidale, cioè il pz. presenta amaurosi in un occhio e l’emiparesi o emiplegia


controlaterale. Perché l’amaurosi? Perché l’occlusione della carotide interna crea un’ischemia nel
territorio di irrorazione dell’arteria oftalmica, cioè a livello della retina ed ecco che il pz. diventa
amaurotico, cioè non vede con un occhio, anche se non vede per pochi secondi, qualche minuto.

2. possiamo avere l’emiparesi facio-brachio-crurale

3. possiamo avere la paralisi solo di un arto superiore o quello dell’arto inferiore

4. possiamo avere la paralisi facio-brachiale

5. possiamo avere disturbo della sensibilità

6. possiamo avere che il pz. va in coma


Gli infarti di confini, almeno per definizione sono quegli infarti che si verificano al confine tra un territorio di
irrorazione di un distretto arterioso rispetto ad un altro, ad es. al confine tra carotide interna, tra cerebrale media
e cerebrale anteriore, o cerebrale posteriore e cerebrale anteriore.

QUADRI CLINICI PIÙ CARATTERISTICI IN BASE ALL’OCCLUSIONE DEL VASO SANGUIGNO

OCCLUSIONE COMPLETA DELLA CEREBRALE MEDIA, qui vedete all’origine, appena nasce la cerebrale media si
chiude. È un quadro devastante perché come potete osservare 2/3 dell’emisfero cerebrale è in necrosi.
Clinicamente il pz. spesso è in coma o quanto meno ha un disturbo dello stato di coscienza, è soporoso, nel senso
che se voi lo chiamate vi guarda, apre gli occhi poi appena finisce la stimolazione tende a riaddormentarsi
un’altra volta. Può presentare una deviazione coatta del capo e degli occhi. Dal punto di vista motorio presenta
un’emiplegia controlaterale alla sede della lesione associata a disturbi della sensibilità perché è coinvolta anche
la capsula interna e naturalmente la lesione della capsula interna comporta contemporaneamente un deficit
motorio e sensitivo, per la vicinanza delle fibre motorie che discendono rispetto alle fibre sensitive che risalgono
ed è l’unico punto del SN dove con un’unica lesione troviamo sia un deficit motorio che un deficit sensitivo. Se
colpito l’emisfero dominante abbiamo l’afasia, il più delle volte globale, cioè un’afasia che interessa sia il versante
espressivo che il versante della comprensione, se il pz. riesce a superare la fase acuta avrà un deficit neurologico
importante.

OCCLUSIONE DOPO L’ORIGINE DELLA CEREBRALE MEDIA in questo caso è colpito prevalentemente la capsula
interna, il pz. avrà un’emiplegia facio-brachio-crurale controlaterale associata a disturbi della sensibilità e potrà
avere un’afasia motoria o un’afasia sensoriale a seconda delle situazioni.
L’occlusione avviene a livello della biforcazione della cerebrale media, la cerebrale media si biforca in un ramo
superiore e in un ramo inferiore, la cosiddetta ischemia dell’aria perisilviana, al termine della scissura di Silvio o
quanto meno l’ischemia nel territorio del giro angolare o giro sopramarginale, così si chiama questa zona dal
punto di vista anatomico.

Che cosa avremo? Avremo che il pz. presenterà un ‘emiparesi facio-brachio-crurale con un parziale risparmio
dell’arto inferiore. Può avere un disturbo della sensibilità che riguarda soltanto la faccia e la mano, se colpito
l’emisfero dominante il pz. sviluppa una sindrome abbastanza caratteristica che si chiama sindrome di gerstmann
e che consiste nell’agnosia digitale, cioè non riconosce le dita della propria mano ne tanto meno quelle
dell’esaminatore,né la destra né la sinistra. C’è acalculia, il pz. non è in grado di fare calcoli, anche quelli più
semplici e poi c’è alterazione dello schema corporeo, non riconosce la destra dalla sinistra. Questa è la triade che
caratterizza la sindrome di Gerstmann. Se invece non è colpito l’emisfero dominante, ma quest’aria ischemica si
verifica a carico dell’emisfero non dominante il pz. presenterà aprassia costruttiva.
RAMO SUPERIORE DELLA CEREBRALE MEDIA: vedete l’aria di ischemia soprattutto a livello della superficie
laterale dell’encefalo, emiplegia facio-brachio-crurale contro laterale con risparmio dell’arto inferiore; se è colpito
l’emisfero dominante si ha afasia motoria.

RAMO INFERIORE DELLA CEREBRALE MEDIA: viene compromesso soprattutto il lobo temporale e in questo caso
non avremo deficit motorio, ma possiamo avere disturbi del campo visivo; se è colpito l’emisfero dominante il pz
presenterà afasia di Wernicke, cioè l’ afasia sensoriale (il pz non comprende quello che gli viene detto né
tantomeno quello che lui stesso dice e quando parla dice cose senza senso); se, invece, non è colpito l’emisfero
dominante ma quello controlaterale, allora abbiamo l’aprassia costruttiva.
CEREBRALE ANTERIORE: anche qui dobbiamo distinguere la situazione in cui l’occlusione è all’origine o quando è
già partito il vaso sanguigno.

All’origine abbiamo: la sindrome frontale, in cui il pz è abulico, apatico, disinteressato, addirittura non vuole
alzarsi dal letto, non vuole lavarsi, non vuole mangiare, non vuole far niente, tant’è vero che spesso questi pz
vengono scambiati per depressi, ma in realtà è una sindrome frontale abbastanza importante. Compare anche
l’incontinenza: il pz non è in grado di controllare gli sfinteri, in quanto uno dei centri per il controllo degli sfinteri
si trova nella parte interna della corteccia frontale. Il pz presenterà un’emiplegia controlaterale alla sede della
lesione e avrà afasia motoria e aprassia degli arti.

Se, invece, l’occlusione è un po’ più distale, avremo emiparesi solo dell’arto inferiore associata ad un disturbo del
linguaggio di tipo motorio se è interessato l’emisfero dominante; mentre se non è interessato l’emisfero
dominante avremo l’aprassia degli arti di sinistra. Questi sono i quadri clinici del circolo anteriore.

Vediamo cosa succede quando si occlude qualche ramo del circolo posteriore. Abbiamo infarto del lobo
occipitale, infarti talamici, infarti del tronco (sindromi alterne) e infarti cerebellari. Nell’infarto del lobo occipitale
abbiamo prevalentemente disturbi del campo visivo, perché a livello del lobo occipitale c’è la scissura calcarina,
dove arrivano le vie visive; di conseguenza il pz può avere un deficit campimetrico, quadrantopsia o emianopsia a
seconda dell’estensione della lesione. Se la lesione è un po’ più estesa a questa si può associare l’afasia anomica
o afasia nominum, cioè al pz quando parla non viene il termine per indicare un oggetto e allora usa circonluzioni
di parole. In altri casi, possiamo avere un’agnosia visiva.

La sindrome talamica è legata all’occlusione di un ramo perforante della cerebrale posteriore ed è responsabile
del quadro clinico del dolore talamico; inizialmente il pz può avere un’emiplegia controlaterale alla lesione,
associata a disturbi della sensibilità sia superficiali che profondi (infatti il talamo è una stazione importante della
via sensitiva), poi può avere addirittura emiatassia controlaterale, anche la presenza di movimenti coreo-atetosici
e poi la comparsa di questo dolore centrale, cioè improvvisamente e a volte senza alcuno stimolo, a volte basta
anche sfiorare la cute del pz, che ha una sintomatologia dolorosa strana ed intensa con una partecipazione
emotiva importante e non riesce a descrivere esattamente l’entità del suo disturbo (è un dolore non corticale,
non riesce a distinguerlo, ma è una sofferenza importante per lui), questo caratterizza la sindrome talamica.

Negli infarti del tronco abbiamo le cosiddette sindromi alterne, quadri cliniche si verificano esclusivamente per
lesioni del tronco, quindi per un infarto che interessa il mesencefalo, il ponte o il bulbo. Sindrome alterna sta a
significare che il pz ha omolateralmente alla sede della lesione l’interessamento di uno o più nervi cranici e
controlateralmente alla lesione deficit motorio e sensitivo (quindi da un lato abbiamo determinati sintomi,
dall’altro altri disturbi). Le sindromi alterne si distinguono appunto in mesencefaliche, pontine e bulbari ed
hanno un valore localizzatorio importante, perché solo la lesione di quel determinato distretto può dare quel
determinato quadro clinico;
quella più semplice da ricordare è la sindrome mesencefalica di Weber che consiste nel fatto che una lesione del
piede del mesencefalo, dove si trova il fascio piramidale (quando esce dalla capsula interna e scende lungo il
tronco, si va a disporre anteriormente al mesencefalo, quindi nel piede del mesencefalo) e poi vedete il terzo
paio di nervi cranici (oculomotore comune) che fuoriesce dalla parte anteriore del mesencefalo; per cui, una
lesione in questa sede colpisce l’oculomotore comune e il fascio piramidale. Il pz avrà un deficit dell’oculomotore
comune omolateralmente alla sede della lesione, avrà quindi ptosi palpebrale, impossibilità di ruotare gli occhi in
alto e in basso e all’interno, avrà la midriasi rigida senza riflesso fotomotore, avrà un’emiplegia controlaterale per
interessamento della via piramidale.

Nella sindrome pontina o di Millard-Gubler sono coinvolti il sesto e il settimo paio di nervi cranici e poi la via
piramidale;
1. omolateralmente alla lesione il pz avrà paralisi del faciale periferica (se fosse centrale dovrebbe essere
controlaterale alla sede della lesione) in quanto sono interessate le radici del sesto e del settimo, cioè il
tronco del nervo (quando è preso il nucleo di origine o il tronco nervoso è una paralisi periferica);
quindi, il pz avrà paralisi periferica del faciale omolaterale alla sede della lesione con deficit del retto
esterno, prevale il retto interno e si ha strabismo convergente ed un disturbo motorio controlaterale
(paresi controlaterale).

La Sindrome bulbare o di Wallenberg è la sindrome della fossetta laterale del bulbo. In genere, è la cerebellare
postero-inferiore che si occlude e mette in ischemia questa zona del bulbo, la fossetta laterale; vengono coinvolte
le fibre del simpatico che vengono dall’ipotalamo e che passano per il bulbo per andare poi al midollo spinale
(quindi sindrome di Bernard-Horner omolaterale) e sempre omolateralmente abbiamo disfonia e disfagia per
interessamento del nono e decimo paio di nervi cranici, ancora omolateralmente alla lesione abbiamo
emisindrome cerebellare per interessamento del peduncolo cerebellare inferiore, ipoestesia tattile, termica e
dolorifica dell’emivolto. La caratteristica di questa sindrome è che omolateramente alla lesione abbiamo
ipoestesia dell’emivolto e controlateralmete abbiamo ipoestesia del tronco, in quanto la sensibilità del volto è
data dal trigemino e le vie trigeminali non sono ancora unite al fascio spino-talamico che porta la sensibilità
tattile, termica e dolorifica (che è un fascio crociato, appena entrano le fibre all’interno del midollo incrociano
per portarsi controlateralmente e siccome non sono ancora unite queste due vie, da un lato ho l’interessamento
della via trigeminale omolaterale e quindi ipoestesia omolaterale, l’interessamento del fascio spino-talamico
controlaterale, perché è una via crociata).

INFARTI CEREBELLARI: il segno più frequente è la vertigine, che da sola non può far pensare ad un infarto, ad
un’ischemia, ma deve essere associata ad altri sintomi, quali la comparsa di nistagmo, l’atassia, una dismetria, un
disturbo cerebellare.

Per l’occlusione del tronco della basilare si può anche avere il coma (in particolare tetraplegia con coma.

Gli infarti lacunari possono dare una sindrome motoria pura o un deficit motorio di modesta entità o solo un
deficit sensitivo oppure un deficit motorio e sensitivo se è presa la capsula interna oppure un’emiparesi atassica.

Abbiamo un altro tipo di classificazione che viene utilizzata ai fini riabilitativi. Distinguiamo la sindrome totale del
circolo anteriore e la sindrome parziale del circolo anteriore, sindrome del circolo posteriore e sindromi lacunari
con dei quadri clinici ad esse associate.
per esempio possiamo avere una paralisi pseudo bulbare che consiste in una forma cronica su base vascolare con
lacune a carico del tronco creano delle disconnessione tra i nervi cranici e le aree sovra-nucleari,con andatura
strisciante a piccoli passi,disfonia,disfalgia e il riso e pianto spastico,cioè improvvisamente in mancanza di stimoli
ha scoppi improvvisi e non si capisce se ride o piange come se ci fosse una paralisi dei nervi cranici.

TIA, attacco ischemico transitorio, è un deficit neurologico focale che insorge acutamente e che per definizione
deve regredire completamente entro le 24h. In realtà il vero TIA nel giro di un quarto d’ora, mezz’ora al massimo
si risolve però per convenzione si arriva fino alle 24h.preventivo si ictus cerebrale nel 30% dei casi ,non va mai
minimizzato.Distinguiamo quello da circolo carotideo e quello da circolo vertebro-basilare,nel primo la situazione
è la stessa di quando si ha l’occlusione della carotide interna ,i secondi sono piu ricchi
vertigini,atassia,disartia,disfalgia e il drop attack(attacco con caduta),una caduta improvvisa del paziente,senza
perdere la coscienza per questo si esclude sincope,problemi cardiaci,crisi epilettiche.
ICTUS IN PROGRESSIONE O IN EVOLUZIONE, è un quadro neurologico che tende a peggiorare nelle ore
successive o anche nei giorni successivi all’evento acuto, legato al fatto che l’area ischemica si estende quindi il
processo di occlusione è andato avanti, ha interessato altri distretti e quindi l’area ischemica si è estesa e di
conseguenza c’è stata questa evoluzione della sintomatologia neurologica. Evoluzione in senso negativo.

ICTUS EMORRAGICO, abbiamo detto che può essere distinto in:

Emorragia intraparenchimale a sede tipica. Qui vedete un emorragia a sede tipica, i nuclei della base
completamente presi cosi come la capsula interna e badate bene, la massa ematica esercita un effetto massimo,
vedete lo schiacciamento del ventricolo laterale e in quest’immagine di TAC vedete come la linea mediana viene
spostata a dimostrazione della pressione che questa massa esercita sulle strutture sottostanti; tanto è vero che in
alcuni casi quando c’è una compromissione importante dello stato di coscienza e l’effetto massa è consistente si
tende allo svuotamento di queste masse, cioè il pratica si pera il pz. per cercare di recuperare, di limitare il danno
neurologico.

Emorragia a sede atipica, il più delle volte è quella che si verifica a carico di un lobo cerebrale e soprattutto nei
giovani l’emorragia a sede atipica deve far pensare alla presenza di una malformazione arterovenosa, spesso
sono le malformazioni arterovenose, le fistole arterovenose, gli angiomi cavernosi che possono rompersi e dare
l’emorragia a sede atipica. Qual è la sede dell’emorragia a sede atipica? La sede è rappresentata dai lobi cerebrali
quindi possiamo averla a livello del lobo frontale, lobo parientale, lobo occipitale e cosi via di seguito, a carico del
cervelletto e a carico del tronco encefalo.

Emorragia subaracnoidea, è il versamento di sangue nello spazio subaracnoideo, cioè quello spazio che sta tra
l’aracnoide e la pia madre dove in genere circola il liquor. Quindi è lo spandimento di sangue all’interno del
sistema liquorale, tanto è vero che uno dei segni tipici dell’emorragia aracnoidea è la comparsa dei segni
meningei, perché c’è un’irritazione delle meningi a causa del sangue (il sangue è una sostanza irritante). Anche
qui il più delle volte la causa, a parte le forme traumatiche, è la rottura di un aneurisma che si rompe sia
spontaneamente sia in seguito a qualche sforzo si rompe e può dar adito alla emorragia subaracnoidea che è un
quadro drammatico per certi aspetti

Qui vedete l’immagine di una TAC dove si vede l’iperintensità negli spazi subaracnoidei, nelle cisterne in pratica
dove circola il liquor.

Questa è una TAC, in genere l’aria ischemica alla TAC viene definita aria ipodensa perché è più scura del
parenchima circostante in quanto è un tessuto necrotico, un tessuto morto che si lascia attraversare facilmente
dai raggi X. In quest’aria ischemica, in quest’aria ipodensa vedete questa striscia iperintensa, più chiara, questo è
sangue.
Iperintensa perché non permette ai raggi X di attraversarlo e quindi ecco che appare più chiara. Da questo te ne
accorgi che c’è l’infarcimento emorragico o meno.
DIAGNOSI DI ICTUS

Devono essere presenti tre elementi: 1. Asimmetria facciale, in quanto il faciale è un nervo che risente
immediatamente di un danno al sistema nervoso, per cui il deficit del faciale compare molto precocemente; 2.
Slivellamento (asimmetria) degli arti; 3. Eventuali disturbi del linguaggio. Per cui, basta chiedere al pz di
digrignare i denti e vediamo se c’è un deficit del faciale; basta chiedere al pz di mettere le braccia in posizione di
Mingazzini e vediamo se tende a slivellare da una parte rispetto all’altra; basta, infine, chiedere al pz come si
chiama e dove abita e ci rendiamo conto se capisce quello che gli chiediamo e se parla fluidamente oppure
farfuglia (quando non c’è ancora un danno consistente il pz tende a farfugliare, a biascicare. Questi sono i tre
elementi per fare una diagnosi abbreviata di ictus.

È POSSIBILE DISTINGUERE CLINICAMENTE UN ICTUS ISCHEMICO DA UN ICTUS EMORRAGICO?

Nonostante siano stati individuati questi fattori che fanno propendere per l’uno o per l’altro quadro clinico,
l’unico modo per distinguere un ictus ischemico da un ictus emorragico è fargli fare la TAC. La TAC, anche se
negativa, in presenza di una sintomatologia focale neurologica, ci dice che il pz ha avuto un’ischemia cerebrale;
se ha avuto un’emorragia il sangue lo si vede subito, perché il sangue fuoriesce e non si fa attraversare. Invece, la
TAC può essere negativa perché bisogna aspettare i processi di colliquazione del parenchima cerebrale ischemico
(che appunto va incontro a colliquazione).

IN PRESENZA DI UN PAZIENTE CON ICTUS COSA FACCIAMO? Innanzitutto dobbiamo valutare il danno
neurologico che ha subìto il pz che possiamo valutare con l’utilizzo di scale, come la scala di Barthel o Rankin che
misurano l’autonomia e la funzionalità del pz. Poi abbiamo altri tipi di scale, come la Scandinavian Stroke Scale o
l’NIH Stroke Scale, che valutano il danno neurologico e naturalmente più è alto il punteggio maggiore è il danno
che il pz ha avuto; gli items che vengono valutati nella NIH sono lo stato di coscienza, la visione, i movimenti
extraoculari, la paralisi del faciale, la forza degli arti, l’atassia, la sensibilità, il linguaggio; la Scandinavian è più o
meno simile, valuta i movimenti extraoculari, la forza dell’arto superiore, dell’arto inferiore, l’orientamento, la
parola, la paralisi del faciale, la deambulazione. Abbiamo detto che più è alto il punteggio, più grave è la
situazione neurologica.

Sono scale di facile somministrazione, che ci danno un’idea del danno funzionale che ha subito il pz, soprattutto
quando bisogna impiantare un programma riabilitativo. Queste scale possono avere sia uno scopo prognostico
sia per la valutazione a lungo termine.
La TAC del cranio è molto utile in questi casi, in quanto si possono riscontrare dei segni indiretti, per esempio
un’iperdensità della cerebrale media, ossia una striscia bianca che sta a significare che vi è un’occlusione
della cerebrale media e il sangue è rimasto dentro, per cui è un segno indiretto di un’area ischemica che non
si individua ancora, ma a distanza di poche ore la grossa fetta di parenchima cerebrale va in colliquazione.

alcuni degli indici:

SCALA DI
VALUTAZIONE DELLE
ATTIVITÀ DELLA VITA
QUOTIDIANA

Item A B C

Alimentazione 0 5 10

Abbigliamento 0 5 10

Toilette
0 5 10
personale

Fare il bagno 0 5 10

Continenza
0 5 10
intestinale

Continenza
0 5 10
urinaria

Uso dei servizi


0 5 10
igienici

Trasferimenti
0 5 10
letto/sedia

Camminare in
0 5 10
piano

Salire/scendere
0 5 10
le scale

A = dipendente; B = con aiuto; C = autonomo


( se cercate su internet scandinav scale stroke c’è il pdf con la scheda completa)

***
(aggiunti.dalla.sbob.di.marco)
Esami strumentali

Radiografia del torace

ECG: a volte l’ictus può manifestarsi in corso di infarto del miocardio, quindi è utile andare a verificare l’attività
cardiaca, anche in previsione di un eventuale trattamento riabilitativo. Anche l’ecocardiogramma andrebbe
sempre fatto.
***

FASI DI TRATTAMENTO DELL’ICTUS


1. La prevenzione primaria: è quella prevenzione che mette in atto la modificazione delle abitudini di vita
(per es. il fumo, l’obesità, scarsa attività fisica, controllo dell’ipertensione arteriosa)

2. La terapia in fase acuta

3. La prevenzione secondaria è quella che si mette in atto quando il pz ha già avuto l’ictus o un attacco
ischemico transitorio e qui vanno usati gli antiaggreganti piastrinici

COSA SI DEVE FARE IN UN PZ CON ISCHEMIA CEREBRALE?

-Bisogna, in primo luogo, prevenire e trattare le complicanze conseguenti all’evento ictale.

-Bisogna preoccuparsi di tenere pervie le vie aeree, per permettere una buona ossigenazione e una buona
respirazione al pz.

-Tenere presente che il pz in fase acuta non controlla gli sfinteri, quindi andrebbe cateterizzato onde evitare che
la perdita di urina possa contribuire a creare un’irritazione a livello cutaneo e favorire le lesioni da decubito.

-Utilizzare un sondino naso-gastrico, perché quasi sempre un pz con ictus nei primi giorni è disfagico e quindi c’è
pericolo che possa andare incontro ad una polmonite ab ingestis.

-Dare un apporto idrico-salino adeguato e ricco di calorie.

-Tenere sotto controllo l’attività cardiaca e la pressione arteriosa. Il problema della pressione arteriosa è molto
serio, perché uno degli errori più gravi che si commette è quello di abbassare bruscamente la pressione arteriosa
in un pz che ha avuto un ictus; dobbiamo sapere che il neurone funziona con due elementi, l’ossigeno e il
glucosio che arrivano al neurone attraverso il flusso ematico cerebrale. Il cervello ha la capacità di auto regolare il
suo flusso ematico cerebrale (per esempio nel momento in cui parlo c’è un FEC maggiore a livello dell’area di
Broca, in chi ascolta abbiamo un flusso maggiore nell’area visiva o uditiva), in modo da dirottare il sangue in quei
territori dove c’è maggiore attività metabolica. Quando c’è un ictus in fase acuta il sistema nervoso perde questi
meccanismi di autoregolazione e allora l’unico parametro che sostiene il flusso cerebrale è la cosiddetta
pressione di perfusione, cioè la pressione arteriosa; difatti, se abbasso la pressione, non faccio altro che
diminuire il flusso cerebrale, siccome quando si verifica un’ischemia cerebrale abbiamo un’area centrale di
necrosi e un’area circostante detta penombra ischemica, cioè un’area in cui il tessuto utilizza tutto il glucosio e
l’ossigeno della zona circostante per cercare di sopravvivere: se io abbasso la pressione, riduco il flusso cerebrale,
non faccio altro che favorire quest’area di penombra ischemica fino a diventare ischemia vera e propria, aumento
l’area di danno neurologico e quindi aumento la disabilità del pz.

-Un’altra complicanza che si può verificare è la trombosi venosa profonda, ma per prevenirla in alcuni casi basta
un po’ di mobilizzazione, in altri casi la cardioaspirina, in altri casi ancora l’eparina a basso peso molecolare.

COSA SI DEVE FARE DAL PUNTO DI VISTA RIABILITATIVO?

-Attivare immediatamente il team riabilitativo

- Appena il pz arriva in ospedale e viene posizionato nel letto, iniziare immediatamente il trattamento
riabilitativo. Anche se il pz sta in coma, va posizionato, in quanto è il primo passo per il recupero. Ricordiamo che
il pz in fase acuta presenta la diaschisi, ha flaccidità e spesso l’arto inferiore è in extrarotazione (se quell’arto si
fissa in quel modo va ad inficiare il trattamento riabilitativo); quindi, già il posizionamento del pz è importante
per prevenire i blocchi articolari e le retrazioni tendinee. L’arto superiore, ad esempio, andrebbe sempre
posizionato in semiflessione, con la mano posizionata su un piano superiore rispetto al tronco per favorire il
ritorno venoso (molto spesso questi pz presentano la mano gonfia per la stasi venosa, lasciata appesa al letto e
nessuno ha corretto quest’atteggiamento) e per evitare la sindrome della spalla dolorosa e la sublussazione della
spalla, che si verifica soprattutto per un fatto di gravità.(con tutori)

Quando il pz è sul letto,quindi vanno posizionati quei cuscini di protezione in modo da favorire l’estensione del
braccio in senso antero-posteriore e favorire l’ossigenazione che previene l’accumulo di muchi a livello bronchiale
e di conseguenza lo sviluppo di broncopolmoniti e broncopneumopatie.

Per l’arto inferiore si posizionano cuscinetti a livello dell’anca per evitare l’extrarotazione, il ginocchio
leggermente flesso, l’articolazione spesso va flessa a 90 gradi per evitare il piede diabetico o la retrazione del
tendine di Achille e poi equinismo del piede.

Le finalità del trattamento riabilitativo sono: evitare la comorbilità in un pz con danno neurologico, favorire il
recupero delle funzioni compromesse e favorire il miglioramento della prognosi nel pz.

-È importante la prevenzione del danno secondario, che si sviluppa in seguito al danno neurologico, come la
rigidità articolare indotta dalla poca mobilità; quindi, bisogna mobilizzare il pz e prevenire le lesioni da decubito
(osservare soprattutto le zone dove possono più frequentemente comparire, cioè nei punti di maggiore
pressione, come a livello dei trocanteri, gomiti, scapole, a livello sacrale e così via.

-Profilassi della trombosi venosa profonda

-Facilitazione della verticalizzazione: uno degli obiettivi principali è il controllo del tronco; se il pz riesce a
controllare il tronco allora è destinato ad un recupero.

FATTORI PROGNOSTICI DAL PUNTO DI VISTA RIABILITATIVO (che ci possono indirizzare verso una prognosi
favorevole o sfavorevole)

I fattori individuali preesistenti sono:

-il sesso: l’uomo è più colpito della donna)

-il livello di autonomia del pz prima dell’ictus: se il pz era fortemente compromesso prima dell’ictus, se già
dipendeva da un caregiver nelle attività della vita quotidiana, nel momento in cui ha un ictus, sicuramente sarà
un fattore prognostico negativo

-un’anamnesi positiva per eventuali ictus precedenti, soprattutto se non ha recuperato adeguatamente e se ha
perso la sua autonomia

-la comorbosità (cioè la presenza di altre patologie associate): se il pz ha uno scompenso cardiaco o ha una
fibrillazione atriale o insufficienza respiratoria, tali condizioni possono inficiare il recupero funzionale del pz

I fattori emergenti (verificatisi in seguito al danno subito dal pz) sono:


-Sede ed entità della lesione encefalica: le lesioni del circolo anteriore recuperano meno riapetto alle lesioni del
circolo posteriore

-Gravità e complessità dell’espressione clinica e del quadro clinico (che comporta il disturbo dello stato di
coscienza, la gravità del deficit motorio, il controllo degli sfinteri): per esempio, la persistenza di un’alterazione di
uno stato di coscienza, come il coma, in quanto se persiste è un fattore prognostico negativo ai fini del recupero
funzionale o anche la persistenza dell’incontinenza sfinterica (il pz che non riesce a recuperare il controllo degli
sfinteri) oppure la persistenza dei deficit motori (dopo i primi 7-10 giorni il pz tende a recuperare già
spontaneamente, a prescindere dal trattamento riabilitativo)

-l’alterazione del controllo muscolare: una precoce ipertonia è un segno prognostico negativo, così come la
persistenza della flaccidità a distanza di due-tre settimane dall’evento acuto è un fattore prognostico negativo

-disturbo dell’eminattenzione/emineglect: si verifica nelle lesioni del lobo parietale dell’emisfero non dominante.
Abbiamo emisomatoagnosia, cioè il pz non si rende conto del suo stato di malattia e magari ricollega il fatto di
non poter muovere il braccio ad altre patologie come l’artrosi e non all’ictus. Nell’emineglect il pz ignora tutto ciò
che è alla sua sinistra, che si può rilevare in maniera molto semplice: su un foglio di riconoscere dei segmenti
verticali che vi sono disegnati e vediamo che il pz ignora tutto ciò che sta su un lato

-afasia: anche questo è un fattore prognostico negativo, soprattutto se l’afasia interessa il versante della
comprensione (abbiamo difficoltà a fargli capire quello che deve fare). Va trattato prima il problema dell’afasia e
poi eventualmente si pensa al trattamento riabilitativo, così come per l’aprassia e l’agnosia

-disfagia: il pz disfagico va trattato inizialmente col sondino naso-gastrico; se persiste la disfagia va riabilitato
(compito del logopedista). Va trattata perché può essere fonte di una polmonite ab ingestis

-Perdita del controllo del tronco: a 10 giorni dall’evento ischemico un pz che non riesce a controllare il tronco, se
messo seduto, tende a cadere ed è un pz che ha una brutta prognosi per quanto riguarda il recupero funzionale,
così come il pz non riesce a recuperare un certo grado di autonomia nelle attività della vita quotidiana.

-Eventualmente la depressione

Ricordiamo che, ai fini riabilitativi, l’età non ha nessun valore e non è, quindi, un fattore prognostico negativo, a
meno che all’età avanzata non si associno altri disturbi gravi quali una cardiomiopatia importante, la presenza di
precedenti ictus, un deterioramento cognitivo importante.

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