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© 2009 di C.G. Edizioni Medico Scientifiche s.r.l. Tutti i diritti riservati. Questo libro è
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CONFARTIGIANATO, CASA, CLAAI, CONFCOMMERCIO, CONFESERCENTI il
18 dicembre 2000.
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specifica autorizzazione rilasciata dall’Editore.
ISBN 978-88-7110-229-0
Realizzato in Italia
Stampato da Ages Arti Grafiche S.p.A. - Torino
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Hanno collaborato
PAOLO ALBONI
Divisione di Cardiologia, Ospedale Civile, Cento (FE)
FABRIZIO AMMIRATI
UOC Cardiologia, Ospedale Civile G.B. Grassi, Azienda USL RMD, Roma
GIOVANNI BALDI
Direzione Generale, Istituto Ortopedico Rizzoli – Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico,
Bologna
ANGELO BARTOLETTI
Struttura Complessa di Cardiologia e Centro multidisciplinare per lo studio della sincope, Ospedale San
Giovanni di Dio, ASL 10, Regione Toscana, Firenze
MICHELE BRIGNOLE
Centro Aritmologico e Syncope Unit – Dipartimento di Cardiologia, Ospedali del Tigullio, Lavagna (GE)
MARIANGELA BRUNETTI
Syncope Unit, SOD Cardiologia e Medicina Geriatrica, Azienda Ospedaliero-Universitaria, Careggi (FI)
MASSIMO CALZOLARI
S.C. Cardiologia Degenza, Azienda Ospedaliera S.Maria Nuova, Reggio Emilia
IVO CASAGRANDA
Dipartimento di Emergenza ed Accettazione, Azienda Sanitaria Ospedaliera “Santi Antonio e Biagio e
Cesare Arrigo”, Alessandria
VALENTINA CHISCIOTTI
Syncope Unit, SOD Cardiologia e Medicina Geriatrica, Azienda Ospedaliero-Universitaria, Careggi (FI)
PIETRO CORTELLI
Dipartimento di Scienze Neurologiche, Alma Mater Studiorum, Università di Bologna, Bologna
GIORGIO COSTANTINO
Medicina II, Ospedale L. Sacco, ASL Milano1, Milano
STEFANO FUMAGALLI
Unità di Cura Intensiva e Laboratorio di Elettrocardiologia Clinica, SOD Cardiologia e Medicina Ge-
riatrica, Azienda Ospedaliero-Universitaria, Careggi (FI)
RAFFAELLO FURLAN
Medicina Generale, Ospedale Bolognini, Azienda Ospedaliera Bolognini e Università di Milano, Seriate
(BG)
FRANCO GIADA
U.O. di Cardiologia, Dipartimento Cardiovascolare, Ospedale Dell'Angelo, USLL 12 Veneziana,
Mestre (VE)
IDO IORI
1ª Medicina Interna, Centro Emostasi e Trombosi – Stroke Unit, Azienda Ospedaliera A.S.M.N.,
Reggio Emilia
MATTEO IORI
S.C. Cardiologia Degenza, Azienda Ospedaliera S. Maria Nuova, Reggio Emilia
ALFONSO LAGI
UO di Medicina d'Urgenza – Syncope Unit, Ospedale Santa Maria Nuova, USL 10, Firenze
GINO LOLLI
S.C. Cardiologia Degenza, Azienda Ospedaliera S. Maria Nuova, Reggio Emilia
MAURIZIO LUNATI
Cardiologia 3ª, Ospedale Niguarda Ca' Granda, ASL 1 Città di Milano, Milano
ROBERTO MAGGI
Dipartimento di Cardiologia e Centro Aritmilogico, Ospedale di Lavagna, ASL 4 Chiavarese, Lavagna
(GE)
GIULIO MASOTTI
Università degli Studi di Firenze
CARLO MENOZZI
S.C. Cardiologia Degenza, Azienda Ospedaliera S.Maria Nuova, Reggio Emilia
GIUSEPPE MICIELI
UO Neurologia I e Stroke Unit, IRCCS Istituto Clinico Humanitas, Rozzano (MI)
ALESSANDRO MORRIONE
Syncope Unit, SOD Cardiologia e Medicina Geriatrica, Azienda Ospedaliero-Universitaria, Careggi (FI)
CHIARA MUSSI
Geriatria, Nuovo Ospedale S. Agostino Estense, Baggiovara (MO)
CARLO NOZZOLI
Medicina Interna e d’Urgenza, Azienda Ospedaliero-Universitaria, Careggi (Fi)
ANTONIO PINTO
UO Fisiopatologia Circolatoria, Azienda Ospedaliera Policlinico Universitaria, Palermo
MARTINA RAFANELLI
Syncope Unit, SOD Cardiologia e Medicina Geriatrica, Azienda Ospedaliero-Universitaria, Careggi (FI)
EMILIA RUFFOLO
Syncope Unit, SOD Cardiologia e Medicina Geriatrica, Azienda Ospedaliero-Universitaria, Careggi (FI)
ANDREA UNGAR
Syncope Unit, SOD Cardiologia e Medicina Geriatrica, Azienda Ospedaliero-Universitaria, Careggi (FI)
ELENA VITALE
Dipartimento di Emergenza ed Accettazione, Azienda Sanitaria Ospedaliera “Santi Antonio e Biagio e
Cesare Arrigo”, Alessandria
V
•••Sincope_I_236_bis:•••Sincope_I_236 18-09-2009 10:35 Pagina VII
Indice
Prefazione
(Giulio Masotti) .................................................................................................................................................... p. XVII
Indice VII
•••Sincope_I_236_bis:•••Sincope_I_236 18-09-2009 10:35 Pagina VIII
Linee Guida sulla gestione della sincope e sulla stratificazione del rischio ............... p. 49
American College of Physicians (ACP) ............................................................................. p. 49
American College of Emergency Physicians (ACEP) .................................................. p. 50
European Society of Cardiology .............................................................................................. p. 51
I percorsi: la Unità di osservazione della sincope ................................................................... p. 52
Bibliografia ................................................................................................................................................ p. 54
10. Strategia diagnostica (terza parte): test di laboratorio verso monitoraggio ECG
prolungato
(Michele Brignole, Carlo Menozzi, Andrea Ungar) .................................................................................. p. 127
Pazienti ad alto rischio ........................................................................................................................ p. 130
Pazienti a basso rischio ........................................................................................................................ p. 130
Bibliografia ................................................................................................................................................ p. 131
Indice IX
•••Sincope_I_236_bis:•••Sincope_I_236 18-09-2009 10:35 Pagina X
17. Situazioni cliniche particolari: sincope nei pazienti con patologie gravi
internistiche
(Giorgio Costantino, Ido Iori, Antonio Pinto) ........................................................................................... p. 209
Embolia polmonare ............................................................................................................................... p. 211
Dissecazione aortica .............................................................................................................................. p. 213
Emorragia interna .................................................................................................................................. p. 214
Casi clinici ................................................................................................................................................ p. 216
Caso clinico 1 ................................................................................................................................... p. 216
Caso clinico 2 ................................................................................................................................... p. 217
Caso clinico 3 ................................................................................................................................... p. 218
Bibliografia .............................................................................................................................................. p. 219
Indice XI
•••Sincope_I_236_bis:•••Sincope_I_236 18-09-2009 10:35 Pagina XIII
XIII
•••Sincope_I_236_bis:•••Sincope_I_236 18-09-2009 10:35 Pagina XIV
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Prefazione
Il presente manuale su “Diagnosi e terapia della sincope” preparato dal Gruppo Italiano Multi-
disciplinare per lo studio della sincope (GIMSI, www.gimsi.it) costituisce la più recente realizza-
zione di una attività scientifica, formativa e congressuale che, nonostante la giovane età del
gruppo, è stata intensa e qualificata.
Il Gruppo venne costituito il 12 novembre 2003 da rappresentanti delle principali Società
Scientifiche Nazionali quali la Associazione Italiana di Aritmologia e Cardiostimolazione, la
Società Italiana di Gerontologia e Geriatria, la Società Italiana di Medicina Interna, la Federa-
zione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti, la Società Italiana di Medicina di
Emergenza Urgenza.
I fondatori si proponevano obiettivi ben più ambiziosi che non la semplice costruzione di uno
strumento di dibattito culturale avanzato fra esperti qualificati e partivano dalla constatazione di
due realtà assai negative in questo settore della sanità italiana. Una era l’inappropriatezza di gran
parte delle procedure diagnostiche e delle giornate di degenza comunemente impiegate nell’ac-
certamento delle perdite di coscienza come ben dimostrato dal primo studio EGSYS (Evaluation
of Guidelines in SYncope Study). L’altra il fatto che, nonostante questo dispendioso ricorso alle più
varie procedure diagnostiche, una rilevante parte delle sincopi rimaneva non diagnosticata.
In questi cinque anni il GIMSI ha conseguito importanti traguardi. In primo luogo l’aver man-
tenuto nel tempo la partecipazione e l’intensa collaborazione fra rappresentati di Società e Di-
scipline molto diverse tra loro; ciò costituisce un esempio probabilmente unico nel panorama
scientifico nazionale. Un secondo traguardo è quello di avere continuato ad organizzare il pro-
prio Congresso a cadenza biennale, fino alla recente IV edizione con il Congresso di Bologna,
nonostante le ben note difficoltà nel reperire risorse che, per altri Congressi anche di rilievo,
hanno portato al ridimensionamento, all’abbreviazione o, talora, addirittura all’annullamento.
Terzo, il GIMSI ha infatti promosso e coordinato lo studio multicentrico nazionale EGSYS-2 che
ha portato a rilevanti risultati scientifici. Questi sono testimoniati dalla pubblicazione su riviste a
diffusione internazionale di cinque articoli, nei quali è stata dimostrata l’applicabilità e la notevo-
le resa diagnostica di un protocollo standardizzato di diagnosi e trattamento che ha modificato si-
gnificativamente il comportamento clinico nei riguardi del paziente con sincope. Lo studio
EGSYS-2 ha anche validato un importante score (EGSYS score) in grado di identificare le sinco-
pi di probabile origine cardiogena e quindi a maggior rischio immediato e a lungo termine.
Quarto, il GIMSI ha promosso un processo di accreditamento delle Syncope Unit sul territorio
nazionale, certificando, in occasione dell’ultimo Congresso Nazionale nel marzo 2009, le prime
ventuno Syncope Unit. Tale risultato, che può apparire limitato in relazione al gran numero di
ospedali presenti sul territorio nazionale, testimonia invece, anzitutto, la serietà del processo di
certificazione. In secondo luogo va sottolineato come ciascuna delle ventuno Syncope Unit co-
stituisca un punto di riferimento clinico e culturale in grado di favorire la costituzione di nuove
Syncope Unit certificate.
Va infine menzionato un ulteriore risultato non riconducibile a indici numerici ma di grande si-
gnificato culturale. Esso è rappresentato dall’aver coinvolto, aggregato e trasmesso entusiasmo a
numerosi giovani di ogni parte d’Italia in grado di assicurare al nostro Gruppo continuità, pro-
gettualità e idee per il futuro della disciplina. Questi giovani sono stati addestrati non solo e non
tanto all’impiego di una metodica strumentale ma soprattutto a saper condurre un’anamnesi ac-
curata, a valorizzare il colloquio con il paziente ed i suoi familiari, a condurre un esame obietti-
vo mirato; ad avvalersi, insomma, di un metodo clinico consolidato, oggi spesso ingiustamente
ignorato perché ritenuto inutile, non rinunciando al ragionamento e al pensiero logico, avvalo-
rati dal corretto impiego dei test più appropriati.
XVII
•••Sincope_I_236_bis:•••Sincope_I_236 18-09-2009 10:35 Pagina XVIII
Definizione
La sincope è una perdita di coscienza transitoria dovuta ad ipoperfusione cerebrale globale, ca-
ratterizzata da rapida insorgenza, breve durata, recupero completo e spontaneo (1).
Note alla definizione. L’aspetto innovativo dell’attuale definizione di sincope consiste nell’in-
cludervi la causa, l’ipoperfusione cerebrale globale e transitoria, al fine di evitare di comprende-
re altri disordini, come la crisi epilettica. Si passa così a definire la sincope una forma di perdita
di coscienza transitoria (PdCT), termine che raccoglie disordini a modalità di presentazione simi-
le, ma che al tempo stesso minimizza la confusione concettuale e diagnostica (Fig. 1) (2-5).
Gli episodi sincopali possono essere preceduti da sintomatologia prodromica (nausea, offusca-
mento del visus, sudorazione, sensazione di testa vuota), oppure avvenire in modo improvviso,
senza premonizione. La durata degli episodi varia in genere da pochi secondi fino a vari minuti.
In tal caso la diagnosi differenziale tra sincope ed altre cause di PdCT diviene più complessa. La
ripresa della coscienza è caratterizzata da immediato ripristino di comportamento adeguato, del-
l’orientamento e talvolta da astenia (4). Nel paziente anziano è frequente la presenza di amnesia
retrograda dell’evento (6). Il termine PdCT comprende la mancata risposta a stimoli esterni e
l’assenza di controllo motorio volontario e non, come era consuetudine in passato, di “perdita di
PRESENTAZIONE No
Sì Coscienza
Perdita di coscienza? Cadute Altro
alterata
No
Transitoria?
Rapido esordio? Sì Coma Altro
Breve durata?
Recupero spontaneo?
PdCT
controllo posturale”, considerando così nell’ambito della sincope, non solo episodi che avvengo-
no in posizione ortostatica, ma anche eventi che avvengono in clinostatismo o dopo una caduta.
Con il termine presincope si indica uno stato che mima la fase premonitrice della sincope, ma che
non è seguito da perdita di coscienza. A volte la presincope può rappresentare una vera sincope in-
terrotta, mentre in altre situazioni, i meccanismi implicati sono diversi da quelli responsabili di sin-
cope. Mentre in ambito clinico è molto importante riconoscere anche le presincopi, in ottica di ri-
cerca esse risultano spesso confondenti e vengono quindi escluse dalle principali analisi (1).
Classificazione e fisiopatologia
La Fig. 1 illustra in dettaglio le varie forme di PdCT e l’iter che conduce alle diverse diagnosi
possibili. La PdCT viene distinta dalle altre condizioni in base alla presenza o meno di una ve-
ra e propria perdita di coscienza ed alle modalità di presentazione (transitoria, rapido inizio, bre-
ve durata, recupero spontaneo). Il termine coma è riservato in genere a forme di lunga durata,
mentre non vi è una definizione comune per identificare quei disordini che hanno durata inter-
media tra PdCT e coma, come accade nei disordini metabolici, quali ipoglicemia e intossicazio-
ni; queste specifiche condizioni comportano PdCT in genere prolungate e chiaramente di origi-
ne non sincopale fin dalla valutazione iniziale. Talvolta però l’effettiva durata della PdCT è
misconosciuta; solo in questi casi l’episodio deve essere posto in diagnosi differenziale con la
sincope. Le PdCT vengono suddivise in forme traumatiche e non. Le forme non traumatiche
comprendono: sincope, crisi epilettiche, PdCT funzionale o psichiatrica e rari casi multifatto-
riali. Tra le forme rare vengono identificati una varietà di disordini senza fisiopatologia comu-
ne, come la catalessia.
Nella maggior parte dei casi la diagnosi differenziale tra le varie forme di PdCT è guidata in ma-
niera semplice dalla storia clinica e dalla tipologia dell’evento. In alcune condizioni peraltro, al-
cune PdCT possono insorgere con modalità non del tutto chiare ed essere quindi assimilabili ad
episodi sincopali. In questi casi si parla di pazienti con pseudosincope (Tab. 1). Le pseudosincopi
sono distinte in forme con effettiva perdita di coscienza (ad esempio epilessia, disordini metabo-
lici, quali ipossia ed ipoglicemia e intossicazioni) e con coscienza solo apparentemente compro-
messa, quali le cadute, la pseudosincope psicogena, il drop attack, il TIA (attacco ischemico tran-
sitorio) carotideo o l’iperventilazione con ipocapnia (7). Un tema di ampio dibattito in
letteratura è la diagnosi differenziale tra le cadute e le sincopi nel paziente anziano. Spesso infat-
ti, anche a causa di un’amnesia retrograda dell’episodio e dell’assenza di testimoni, una sincope
non viene riconosciuta. Un evento sincopale in realtà dovrebbe sempre essere ricercato nei pa-
zienti anziani con episodi di caduta non spiegata, soprattutto quando recidivante o traumatica.
L’integrità dei meccanismi di controllo è cruciale per mantenere adeguate la pressione arteriosa
e la perfusione cerebrale, in mancanza delle quali si verifica la sincope (8-10). Tali meccanismi
di controllo sono:
– aggiustamenti barocettivi della frequenza cardiaca, della contrattilità miocardica e delle resi-
stenze vascolari sistemiche, che modulano le dinamiche circolatorie;
– vasocostrizione mediata dal sistema renina-angiotensina e dalla vasopressina;
– controllo della pressione sanguigna renale e corporea;
– capacità di autoregolazione vascolare cerebrale, che consente il mantenimento del flusso ce-
rebrale entro un range relativamente ampio di pressione arteriosa.
L’ipoperfusione cerebrale, responsabile “finale” dell’evento sincopale, dipende dalla riduzione del-
la pressione arteriosa, che è a sua volta il prodotto tra gittata cardiaca e resistenze vascolari peri-
feriche. La Fig. 2 schematizza le varie forme di sincope sulla base della loro fisiopatologia. Una ri-
duzione delle resistenze vascolari periferiche può dipendere da inappropriata attività riflessa,
(forma vasodepressiva), da alterazioni strutturali, funzionali e farmaco-indotte del sistema nervo-
mista
ca
so- inib rdio-
va ssiva itor
pre ia
de sso inapp ropriato
rifle
arit
icam
no funz ale SNA
card
ca
farmaco-indotta
iaca e polmonare
lo po
Bassa
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pressione
ion
DSA
rt ata car
arteriosa
cardiac e
str
sistemica
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dan
r a
ca
a
l
p bo
o
em
lmo lia
in
e rito edagua
n.
Fig. 2 – Fisiopatologia della sincope. (DSA = disautonomia; RVS = Resistenze Vascolari Sistemiche; SNA = Si-
stema Nervoso Autonomo).
Ipotensione ortostatica.
La definizione di ipotensione ortostatica si riferisce a sintomi e segni che si manifestano durante l’or-
tostatismo legati ad alterazioni circolatorie. La sincope è uno di questi sintomi, ma ve ne possono es-
sere anche molti altri quali vertigini, palpitazioni, sensazione di “venir meno”, disturbi visivi (come il
calo del visus), disturbi uditivi (acufeni, ipoacusia, tinnito) e astenia.
Come illustrato dalla Tab. 3, si possono distinguere tre forme di ipotensione ortostatica:
1. ipotensione ortostatica classica: è definita come la riduzione della pressione arteriosa sistolica di
un valore maggiore o uguale a 20 mmHg durante tre minuti di ortostatismo attivo;
2. ipotensione ortostatica iniziale: è causata da una diminuzione immediata della pressione arterio-
sa conseguente all’assunzione dell’ortostatismo, che si risolve entro 30 secondi con la scom-
parsa della sintomatologia ed il ritorno dei valori pressori alla norma. Alla base di questa con-
dizione vi è una alterazione dei meccanismi di “interrelazione” tra gittata cardiaca e resistenze
vascolari periferiche. Data la rapidità di risoluzione e la presentazione in ortostatismo attivo,
tale condizione può essere documentata solo mediante misurazione della pressione battito-
battito durante ortostatismo attivo;
3. ipotensione ortostatica progressiva: è caratterizzata da una lenta e progressiva caduta dei valori
pressori in ortostatismo, con i sintomi che compaiono dopo alcuni minuti dall’assunzione del-
la posizione ortostatica. È una forma tipica dell’anziano ed è legata ad un’alterazione dei mec-
canismi di adattamento all’ortostatismo. Solitamente la diagnosi viene posta durante il tilt
test, che dimostra la tipica forma disautonomica (vedi Cap. 6 al par. dedicato al tilt test). Le ca-
ratteristiche dell’ipotensione ortostatica progressiva possono mimare la sincope vasovagale
vasodepressiva, suggerendo una base fisiopatologia comune.
“Disautonomia” è un termine che indica un inadeguato funzionamento del sistema nervoso auto-
nomo caratterizzato, da un punto di vista cardiovascolare, dall’incapacità del sistema nervoso sim-
patico di aumentare le resistenze vascolari periferiche in risposta all’ortostatismo, con conseguente
riempimento sanguigno delle vene sotto-diaframmatiche, riduzione del ritorno venoso e della por-
tata cardiaca. La disautonomia viene classificata come primitiva, secondaria o iatrogena. La forma
primaria include la disautonomia pura (Pure Autonomic Failure = PAF), l’atrofia multisistemica ed
il morbo di Parkinson con disautonomia. Le forme secondarie si riferiscono ad alterazioni del siste-
ma nervoso autonomo legate a patologie di diversa origine, come il diabete mellito e l’amiloidosi.
e da sincope improv-
visa
3-45 min Tilt test IO progressiva + sinco- Progressiva riduzione del Prodromi prolungati Anziani, farmaci vaso-
10:35
3-45 min Storia clinica Sincope vasovagale Progressiva riduzione del Prodromi chiari (classici) Giovani sani prevalen-
e tilt test vasodepressiva (tipica ritorno venoso seguita da scatenati da trigger e temente nel sesso fem-
o atipica) reazione vasovagale seguiti da sincope minile
IO = ipotensione ortostatica; PA = pressione arteriosa; RVS = resistenze vascolari sistemiche; CO = cardiac output
Sindrome posturale con tachicardia. Alcuni pazienti presentano un’ipotensione ortostatica con un
incremento molto marcato della frequenza cardiaca (>30 bpm rispetto alla frequenza cardiaca
basale); i pazienti affetti da questa forma sono prevalentemente giovani donne. La base fisiopa-
tologica è solitamente un inadeguato ritorno venoso tipico delle condizioni di deplezione di vo-
lume: emorragia, diarrea, vomito, eccessivo riempimento venoso periferico da ortostatismo pro-
lungato, aumento della pressione intratoracica, sollevamento di pesi, ecc. In queste condizioni il
sistema nervoso autonomo cerca di compensare il diminuito ritorno venoso incrementando le
resistenze periferiche e la frequenza cardiaca. Il punto chiave è cercare di individuare quando
l’aumento della frequenza cardiaca e la vasocostrizione divengono inadeguate; nei pazienti affet-
ti da questa forma ciò accade quando la gittata cardiaca si riduce di oltre il 50%.
Sincope cardiaca
Aritmie come cause primarie di sincope. Un’aritmia cardiaca (bradi- o tachi-aritmica) può causare una
riduzione della gittata cardiaca. La sincope aritmica può essere determinata solo dall’aritmia (ad
esempio in corso di tachicardia ventricolare ad elevata frequenza) o da un insieme di fattori scate-
nanti associati all’aritmia stessa, quali la presenza di insufficienza cardiaca sistolica o diastolica, lo
stato di idratazione e la posizione del paziente, oltre alla sua reattività vascolare (12). Un’aritmia può
infatti anche favorire l’innesco di un riflesso barorecettoriale. Indipendentemente da questi fattori è
chiaramente l’aritmia cardiaca la prima causa di sincope, ed è determinante nell’orientare le deci-
sioni cliniche. La sincope avviene prevalentemente in corso di bradiaritmie (malattia del nodo del
seno, blocco atrio-ventricolare II grado Mobitz 2 e III grado) e di aritmie ventricolari e sopraventri-
colari parossistiche. Va segnalato che la fibrillazione atriale determina sincope solo quando è di nuo-
va insorgenza o se vi è un repentino aumento della frequenza ventricolare media (13).
Malattie strutturali cardiache o cardiopolmonari. Malattie cardiache strutturali possono essere respon-
sabili di sincope quando la portata cardiaca non è in grado di soddisfare le richieste del circolo, ad
esempio quando il cuore non riesce ad aumentare la gittata per far fronte ad una maggiore doman-
da circolatoria durante uno sforzo fisico (14). Anche in questo caso alla patologia cardiaca di base
può associarsi un riflesso barorecettoriale, come per esempio in corso di infarto miocardico. In ca-
so di embolia polmonare, spesso misconosciuta nei pazienti anziani, la sincope è legata sia ad una
componente emodinamica, da riduzione del precarico al cuore sinistro per ostruzione delle arterie
polmonari, che ad una componente neuroriflessa per concomitante attivazione vagale.
Epidemiologia
La sincope è un evento comune nella popolazione generale. Il 4,6% dei bambini di età compre-
sa fra 6 mesi e 2 anni presenta almeno un episodio di transitoria perdita di coscienza la cui cau-
sa rimane spesso sconosciuta (15). La forma vasovagale è presente solo nell’1% dei casi. L’inci-
denza della sincope tende invece ad aumentare negli adolescenti e nei giovani adulti. In
particolare la forma riflessa è quella più comune (16,17). Alcuni studi hanno dimostrato che la
sincope vasovagale è rara prima dei 10 anni, per poi incrementare costantemente fra i 10-20 an-
ni raggiungendo il picco di incidenza intorno ai 15 anni, soprattutto nelle giovani femmine
(18). Spesso questi soggetti presentano una storia familiare di sincope neuromediata, ma resta
tuttora sconosciuto il ruolo dei fattori genetici coinvolti nel processo di sviluppo di tale forma.
Meno comuni sono invece le cause epilettiche ed aritmiche di perdita di coscienza transitoria.
La sindrome del QT lungo è l’alterazione genetica maggiormente coinvolta nello sviluppo di
aritmie ventricolari con una prevalenza stimata di 1/5000-10.000 persone, mentre la prevalen-
za di morti cardiache improvvise prima dei 35 anni è di 1,0-8,5/100.000 persone/anno.
La sincope è responsabile dell’1,1% di tutti gli accessi nei Dipartimenti di Emergenza e Accetta-
zione (DEA) (18). Lo studio EGSYS-2 (Evaluation of Guidelines in SYncope Study-2) condotto in
11 ospedali italiani ha dimostrato che l’incidenza di tutte la ammissioni nei DEA per perdita di
coscienza transitoria è del 2,6/1000 persone/anno (19). L’incidenza della sincope tende ad au-
mentare con l’età, è maggiore nel sesso maschile e raggiunge un picco intorno ai 70 anni (25%
dei pazienti ha un’età compresa fra i 70-79 anni, mentre nel 20% dei casi l’età è compresa fra gli
80-89 anni) concordando con i dati ottenuti nello studio Framingham (20). L’incidenza delle
persone che afferiscono al DEA per un primo episodio sincopale è dell’1,6/1000/anno. Nella
maggior parte dei casi questi pazienti sono affetti da altre patologie, soprattutto da ipertensione
arteriosa (40%), malattia neurologica (20%) e diabete (9%); circa il 50% delle persone assume
una terapia farmacologica. Una sistematica valutazione del paziente con sincope fin dall’arrivo in
DEA, basata sulla stretta aderenza alle Linee Guida, ha permesso di raggiungere, nella maggior
parte dei casi, una diagnosi etiologica della sincope (19). La percentuale delle sincopi inspiegate
è stata infatti solo del 2%. Nel 66% dei casi la natura delle sincopi è neuromediata con una pre-
valenza delle forme vasovagali e situazionali mentre nel 10% dei casi è determinata dall’ipoten-
sione ortostatica. Anche in DEA così come osservato nella popolazione generale, la seconda cau-
sa di sincope rimane cardiaca con un’incidenza del 16%, di cui l’11% è aritmica, il 5% cardiaca
strutturale o cardiopolmonare (19). Un netto incremento dell’incidenza degli episodi sincopali si
osserva nella popolazione anziana. Lo studio Framingham ha infatti dimostrato nei soggetti di età
compresa fra 60-69 anni un’incidenza di circa 5,7 eventi/1000/anno e di 11,1 eventi/1000/anno
fra i 70-79 anni in entrambi i sessi; all’età di 80 anni invece l’incidenza stimata degli episodi è di
17/1000/anno nei maschi e di 19/1000/anno nelle femmine. Il 6% degli anziani istituzionalizzati,
in un anno, presenta almeno un evento sincopale con una prevalenza del 10% ed un tasso di re-
cidiva del 30% ogni due anni (20). Le cause più frequenti di sincope nella popolazione geriatri-
ca sono rappresentate dall’ipotensione ortostatica, dall’ipersensibilità senocarotidea, dalla sinco-
pe neuromediata e dalle forme cardiache aritmiche (6). La prevalenza dell’ipotensione
ortostatica è del 30% nei soggetti non ospedalizzati e del 33% nei ricoverati; il ricovero per ipo-
tensione ortostatica aumenta progressivamente con l’avanzare dell’età; rappresenta, inoltre, la
causa primaria di sincope nel 4,2% dei pazienti fra i 65-74 anni e nel 30,5% dei pazienti al di so-
pra dei 75 anni. L’ipersensibilità senocarotidea è raramente presente prima dei 40 anni. La preva-
lenza tende ad aumentare con l’età e con le malattie cardiovascolari, cerebrovascolari e neurode-
generative. La sindrome senocarotidea di tipo cardioinibitorio è causa di sincope nel 20% degli
anziani; ugualmente prevalente è la forma vasodepressiva. La frequenza della sindrome senocaro-
tidea nella popolazione geriatrica è ancora oggetto di studio, ma al momento è ritenuta una con-
dizione più comune di quanto fosse sostenuto in passato. La prevalenza, negli anziani, della sin-
cope neuromediata varia, come dimostrato in diversi studi, dal 15 al 66%. La causa di questa
discordanza va probabilmente attribuita all’aumento della valutazione neuroautonomica esegui-
ta nei pazienti geriatrici dopo la pubblicazione, nel 2001, delle Linee Guida ESC sulla sincope
(21). In particolare, lo studio del Gruppo Italiano sulla Sincope nell’anziano (GIS, 6) ha dimo-
strato che un protocollo diagnostico standardizzato è ben applicabile anche nel paziente anziano
e molto anziano e si associa ad una netta riduzione delle sincopi indeterminate (dal 45% di vec-
chi lavori al 10%) e ad un aumento delle sincopi neuromediate. Le forme cardiogene, che sono
la seconda causa di sincope nell’anziano, hanno una prevalenza del 14,7%. Nell’anziano comun-
que spesso coesistono più cause di sincope. Lo studio GIS ha rilevato una prevalenza della sinco-
pe multifattoriale del 4,2% nei pazienti di età compresa fra i 65-74 anni e del 3,1% nei soggetti
al di sopra dei 75 anni (6).
A distanza di tre anni le sincopi recidivano in un terzo dei casi. I maggiori predittori di ricorren-
za sono il numero degli episodi sincopali e la frequenza con cui si presentano. La più alta percen-
tuale di sincopi recidivanti si assiste nelle persone al di sotto dei 45 anni e in pazienti psichiatri-
ci. Al contrario il sesso, la risposta positiva al tilt test, la severità della presentazione e l’assenza o
presenza di patologia cardiaca strutturale hanno un valore predittivo di ricorrenza minimo o as-
sente. L’età maggiore o uguale a 60 anni è fortemente correlata con la recidiva sincopale a breve
termine (22). Le sincopi ricorrenti sono associate a traumi o fratture nel 29% dei casi. Nei DEA
la maggior parte dei traumi (29,1%) sono di minor entità mentre il 4,7% delle sincopi sono re-
sponsabili di danni maggiori. La sincope traumatica trova la sua più alta espressione negli anzia-
ni affetti da ipersensibilità senocarotidea. La mortalità a breve termine è correlata a cause car-
diovascolari piuttosto che alla recidiva sincopale (23). La sincope ricorrente ha un impatto
negativo su tutti gli aspetti della vita quotidiana, sia in termini fisici che psicosociali; infatti ri-
duce la mobilità, stravolge le abitudini quotidiane, viene a mancare la cura verso se stessi pro-
muovendo così ansia, depressione e dolore (24). I fattori che maggiormente favoriscono una
qualità di vita peggiore sono il sesso femminile, l’alto livello di comorbilità, la durata ed il nume-
ro degli episodi sincopali e la presenza della sintomatologia prodromica. La sincope è un evento
molto comune nella popolazione generale e come tale i costi sia clinici che sociali sono elevati.
La mancanza di un protocollo diagnostico standardizzato per la valutazione della sincope deter-
mina un utilizzo non congruo ed inefficace delle risorse mediche, portando ad una prescrizione
terapeutica errata e costosa (25).
Prognosi
L’impatto prognostico della sincope deve essere valutato per il rischio di morte a breve e lungo
termine e per il rischio di nuove recidive sincopali. Il più importante determinante per la mor-
talità, sia a breve che a lungo termine, è la presenza di una cardiopatia strutturale e/o di un ri-
schio potenziale di aritmia cardiaca. Il primo quesito che ogni meidco si deve porre di fronte ad
un paziente con una PdCT di origine sincopale è: “Il paziente ha una cardiopatia?”. Sotto que-
sto profilo sono di assoluto rilievo l’anamnesi e l’elettrocardiogramma (ECG) di base. Come in-
fatti sarà illustrato in altri capitoli di questo libro, la presenza di cardiopatia anamnestica, indi-
pendentemente dal tipo di sincope, è un potente fattore di rischio. Anche l’elettrocardiogramma
patologico è un predittore di sincope cardiaca e quindi a prognosi più sfavorevole. Recentemen-
te l’EGSYS Score (26), che sarà illustrato più avanti nel capitolo 4 e che si basa principalmente
sulla presenza di segni tipici della sincope cardiaca, ha dimostrato di essere un potente preditto-
re di mortalità nei pazienti con sincope che afferiscono ad un Pronto Soccorso (Fig. 3).
Pazienti giovani senza cardiopatia e con ECG normale hanno solitamente una prognosi favore-
vole. Da segnalare inoltre come un elevato numero di sincopi sia solitamente associato a sinco-
pe neuromediata e quindi a prognosi migliore.
Il rischio di recidiva sincopale è stimato intorno al 30% entro tre anni. Il rischio di recidiva sin-
copale è direttamente correlato al numero di sincopi occorse nella vita del paziente. La morbili-
tà legata alla sincope è fondamentalmente basata sulle conseguenze della caduta. Le fratture so-
no ovviamente molto più frequenti nel paziente anziano, nel quale la sincope determina spesso
anche una sindrome ansioso-depressiva legata soprattutto alla paura di cadere ed alla perdita del-
la propria autonomia. La sincope e le cadute infatti aumentano di molto il rischio in un anziano
di essere istituzionalizzato.
La sincope, soprattutto quando recidivante, ha inoltre un forte impatto sulla qualità della vita (27).
1,00
0,95
090
Sopravvivenza
0,85
0,80
0,70
100 200 300 400 500 600 700 800
Tempo (giorni)
– Mortalità in pazienti con sincope sulla base del punteggio EGSYS score (Evaluation of Guidelines in
Fig. 3
SYncope Study).
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2. Valutazione iniziale
del paziente con perdita
di coscienza transitoria
Paolo Alboni, Ivo Casagranda, Carlo Nozzoli
Sincope_I_236_bis:•••Sincope_I_236 22-09-2009 14:57 Pagina 19
La valutazione iniziale
La valutazione iniziale del paziente che ha accusato una perdita di coscienza transitoria (PdCT)
include l’anamnesi, unitamente all’interrogazione di eventuali testimoni, l’esame obiettivo,
compresa la misurazione della pressione arteriosa in clino ed ortostatismo, e l’elettrocardiogram-
ma (ECG) a 12 derivazioni (1). La valutazione iniziale consente la diagnosi della causa di sinco-
pe nel 30-50% dei casi (1,2). Gli esami di laboratorio non sono indicati di routine, ma soltanto
quando si sospetta una causa metabolica della PdCT (es. ipoglicemia) oppure una riduzione del
volume circolante da emorragia interna o disidratazione (1).
L’anamnesi deve essere finalizzata a definire tutte le circostanze nel contesto delle quali si è ve-
rificata la PdCT: posizione e attività del paziente, eventuali fattori precipitanti e predisponenti,
sintomi accusati sia prima che dopo la PdCT, osservazioni rilevate da testimoni. Dovrebbe esse-
re ricercata la presenza di precedenti malattie (incluse quelle a carattere familiare) e raccolta
un’attenta anamnesi della eventuale terapia farmacologica in atto. I dettagli sui quali deve inda-
gare l’anamnesi sono riportati nella Tab. 4. Deve essere tuttavia rilevato che in circa il 20% dei
soggetti anziani non è possibile raccogliere i dati anamnestici in modo accurato per un concomi-
tante deterioramento cognitivo.
Circostanze sulle quali deve indagare l’anamnesi in un paziente con perdita transitoria della coscien-
Tab. 4 –
za (PdCT).
Prima della PdCT • Posizione (supina, seduta o eretta)
• Attività (a riposo, durante variazioni di postura, durante o
dopo esercizio fisico, durante o immediatamente dopo min-
zione, defecazione, tosse, deglutizione o risata intensa)
• Fattori predisponenti (ambienti caldi e/o affollati, prolungato
ortostatismo, periodo post-prandiale) e fattori precipitanti
(stress emotivo, spavento, dolore intenso, movimenti del collo)
Sintomi prodromici • Nausea, vomito, disturbi addominali, sensazione di caldo o
di freddo, sudorazione, cardiopalmo, dolore precordiale,
allucinazioni, dolore alla nuca e alle spalle, visione scura,
capogiri, sintomi neurologici focali
Durante la PdCT (in presenza di testimoni) • Modalità della caduta a terra, colorito della cute (pallore,
cianosi, arrossamento), durata della PdCT, movimenti
(tonici, clonici, tonico-clonici, mioclonie, automatismi) e la
loro durata, inizio dei movimenti in rapporto alla caduta a
terra, morsicatura della lingua
Subito dopo la PdCT • Nausea, vomito, sudorazione, senso di freddo, cardiopalmo,
dolore precordiale, confusione mentale, colorito della cute,
traumi, incontinenza urinaria e fecale, sintomi neurologici
focali
Background • Storia familiare di morte improvvisa, precedenti affezioni
cardiologiche o neurologiche (morbo di Parkinson, epilessia,
narcolessia), affezioni metaboliche (diabete), uso di farmaci
(attivi sul QT, vasodilatatori, antidepressivi, antiaritmici,
diuretici)
In caso di PdCT ricorrente • Intervallo di tempo fra il primo e l’ultimo episodio di PdCT,
frequenza delle PdCT
Una PdCT può essere in rapporto ad una sincope di natura cardiaca o neuromediata, e cioè ad
una ipoperfusione cerebrale transitoria e globale, oppure ad un’altra causa.
Poiché le cause di PdCT sono numerose occorre un metodo nella conduzione dell’indagine
anamnestica; di massima bisogna porsi, nell’ordine, i seguenti quesiti (1):
– la PdCT è attribuibile ad una sincope o ad un’altra causa?
– il paziente presenta o meno una cardiopatia?
– l’anamnesi offre elementi suggestivi di una data causa di sincope?
La PdCT è attribuibile a una sincope o ad un’altra causa? Ovviamente, il primo step per dia-
gnosticare una sincope consiste nell’escludere altre possibili cause di PdCT che agiscono con un
meccanismo diverso dalla ipoperfusione cerebrale globale. Queste ultime includono affezioni co-
me l’epilessia, l’attacco ischemico transitorio (TIA), l’ipoglicemia e altre cause che non induco-
no una vera PdCT ma possono entrare ugualmente nella diagnosi differenziale, quali la caduta
accidentale dell’anziano, il drop attack, l’isteria e la cataplessia.
I sintomi più comuni del grande male epilettico sono le contrazioni tonico-cloniche, contrazio-
ni cloniche localizzate ad un emisoma, automatismi quali la masticazione e lo schiocco delle lab-
bra, la bava alla bocca, la morsicatura della lingua, un colorito bluastro del viso, le tipiche allu-
cinazioni prodromiche a volte associate a tremori, la deviazione del capo, uno stato confusionale
che si protrae per più di 5 minuti dopo l’interruzione dell’accesso, un dolore muscolare che si
protrae ore o giorni quale conseguenza delle contrazioni muscolari. Gran parte dei segni sopra-
descritti possono ovviamente essere valutati soltanto se si dispone di testimoni attendibili.
Va segnalato che contrazioni muscolari possono essere osservate anche nel 10-20% delle sinco-
pi neuromediate o cardiache (1,3); tuttavia tali contrazioni sono generalmente di durata piutto-
sto breve (<15 s), asincrone e localizzate ad alcuni gruppi muscolari; vengono comunemente de-
finite “mioclonie”. Inoltre le contrazioni in corso di sincope sono tardive, si osservano cioè
quando il paziente è già caduto a terra, quale espressione di una marcata ischemia cerebrale,
mentre nell’attacco epilettico possono comparire quando il paziente è ancora in posizione eret-
ta. Questa sequenza temporale, in presenza di testimoni attendibili, è molto utile ai fini della dia-
gnosi differenziale. La morsicatura della lingua è molto rara durante un episodio sincopale (3) e
se si verifica è interessata soltanto la punta della stessa; una morsicatura nella parte laterale del-
la lingua appare specifica di un attacco epilettico (4). Uno stato confusionale protratto (>5 min)
caratterizza l’epilessia ma può essere osservato anche dopo un episodio sincopale e non rappre-
senta pertanto un sintomo specifico (2,3).
Il TIA non induce PdCT se è interessato il distretto carotideo, mentre può indurla, seppure
molto raramente, qualora sia interessato il distretto vertebro-basilare. In tal caso sono presenti
sintomi neurologici focali quali paresi, atassia, diplopia, parestesie; queste ultime, tuttavia, pos-
sono essere presenti anche nella sincope neuromediata (3). Una PdCT associata a sintomi neu-
rologici focali può essere osservata anche nella sindrome da furto della succlavia; in tal caso vie-
ne generalmente innescata da un’intensa attività muscolare del braccio sinistro.
Il drop attack rappresenta un’affezione non ben definita; di massima è caratterizzato da una cadu-
ta a terra improvvisa, spesso sulle ginocchia, tanto che alcuni Autori la definiscono “sindrome
delle ginocchia blu”, ma non vi è perdita della coscienza. In soggetti anziani può essere tuttavia
coinvolta nella diagnosi differenziale con la sincope.
Nell’isteria non siamo di fronte ad una vera PdCT, ma si tratta di una simulazione. Deve essere
sospettata in soggetti giovani, soprattutto di sesso femminile, che riferiscono molti episodi di
PdCT sempre in presenza di testimoni e senza traumi, oltre a sintomi da somatizzazione.
Nella cataplessia il paziente cade a terra lentamente senza farsi male, vi è una perdita del tono
muscolare che simula una paralisi, ma il soggetto è vigile pur non rispondendo alle domande; per
tale motivo la cataplessia può simulare una sincope. Ad innescare la perdita del tono muscolare
è generalmente una risata che, come riportato successivamente, può rappresentare il trigger an-
che di una sincope neuromediata. La cataplessia rappresenta comunque una affezione psichiatri-
ca nel contesto di una narcolessia.
L’ipoglicemia induce generalmente una perdita della coscienza di lunga durata (coma); se inve-
ce quest’ultima è di breve durata la causa ipoglicemica deve essere sospettata in soggetti in trat-
tamento antidiabetico, in particolare se la PdCT è preceduta da sudorazione e tremori intensi.
Se dopo la valutazione iniziale si pone diagnosi di perdita (o pseudo-perdita) della coscienza non
attribuibile a causa sincopale, il paziente deve essere valutato, di volta in volta, dal neurologo,
dallo psichiatra o dall’internista. Se invece si esclude ragionevolmente una causa non sincopale,
lo step successivo consiste nel definire la possibile causa della sincope.
Il paziente presenta o meno una cardiopatia? Esclusa una PdCT non sincopale, il primo quesi-
to da porsi è se il paziente sia affetto o meno da una cardiopatia. L’assenza di una cardiopatia con-
sente l’esclusione di una causa cardiaca di sincope nella quasi totalità dei casi. Infatti in uno stu-
dio italiano multicentrico l’assenza di cardiopatia escludeva una sincope di origine cardiaca nel
97% dei casi, mentre in presenza di una cardiopatia la sincope era di natura cardiaca nel 39% dei
pazienti, di natura neuromediata nel 49% e di natura indeterminata nel 12%. Nel 3% dei pazien-
ti con sincope cardiaca in assenza di cardiopatia la PdCT era in rapporto ad una tachiaritmia so-
praventricolare (2). Per valutare la presenza o meno di una cardiopatia è utile l’ECG, che rien-
tra nella valutazione iniziale del paziente con PdCT e deve essere sempre eseguito, per lo meno
in occasione del primo episodio. L’ECG può offrire a volte elementi diagnostici, consentendo di
definire la causa aritmica della sincope, a volte elementi solo suggestivi (1). Nei vari studi la ri-
soluzione diagnostica dell’ECG variava fra l’1 e l’11% (media 7%) (1).
L’anamnesi offre elementi suggestivi di una data causa di sincope? L’anamnesi, nel contesto
della valutazione iniziale, può offrire a volte elementi diagnostici sufficienti di per sé, a volte in-
dica criteri suggestivi di diagnosi da confermare con ulteriori test, altre volte infine non fornisce
criteri utili. Per la diagnosi differenziale occorre fare riferimento alla classificazione delle sinco-
pi riportata nel capitolo 1. In sintesi, una sincope può essere di natura neuromediata o cardiaca.
Le sincopi neuromediate includono le sincopi riflesse e quelle da ipotensione ortostatica. Le sin-
copi riflesse, in rapporto ad un riflesso abnorme responsabile di ipotensione e/o bradicardia,
comprendono la sincope vasovagale (classica o non classica), la sincope senocarotidea, la sleep
syncope (descritta molto recentemente), la sincope situazionale (da minzione, defecazione, tos-
se, deglutizione, risata intensa, anche quest’ultima descritta recentemente). La sincope da ipo-
tensione ortostatica può essere idiopatica quando si presenta come manifestazione isolata, ma
più frequentemente si realizza nel contesto di affezioni neurologiche e/o autonomiche. Si può ve-
rificare inoltre in soggetti con ipovolemia (da emorragia, disidratazione) oppure in trattamento
con farmaci vasodilatatori. La sincope cardiaca nella gran parte dei casi è su base aritmica, ma
può essere in rapporto anche a patologie cardiache che realizzano un’ostruzione al flusso (steno-
si valvolari, miocardiopatia ipertrofica ostruttiva, ecc.).
La sincope può essere osservata nel contesto di affezioni gravi quali la dissezione aortica, l’infar-
to miocardico acuto, l’embolia polmonare; in tali evenienze il management è rivolto alla patolo-
gia di fondo e non al “sintomo sincope”. Queste situazioni non vengono discusse nel presente
capitolo.
Vi è un consenso che in alcune situazioni l’anamnesi consente una diagnosi della causa di sinco-
pe senza ricorrere ad ulteriori accertamenti (1). Tali situazioni sono riportate nella Tab. 5.
La sincope vasovagale classica può essere diagnosticata in presenza di trigger emozionali (spavento,
dolore intenso, stress emotivo, indagini strumentali) od ortostatici (prolungato ortostatismo) in as-
sociazione ai tipici prodromi da attivazione del sistema autonomico (nausea, vomito, pallore, sudo-
Tab. 5 – Perdite transitorie della coscienza (PdCT) che possono essere diagnosticate dopo la valutazione iniziale.
Sincope vasovagale classica • Presenza di trigger emozionali (spavento, dolore intenso, stress emotivo,
indagini strumentali) od ortostatici (prolungato ortostatismo) in associa-
zione ai tipici sintomi (prodromi) da attivazione del sistema autonomico
Sincopi situazionali • PdCT che si verifica durante o immediatamente dopo minzione, defeca-
zione, tosse, deglutizione o da risata intensa
Sincope ortostatica • Documentazione di ipotensione ortostatica associata a sintomi da ipo-
perfusione cerebrale (presincope, sincope). La pressione arteriosa deve
essere misurata dopo 5 min di clinostatismo e successivamente in posi-
zione eretta, ogni minuto, per almeno 3 min. Se dopo tale tempo la
pressione sistolica continua a diminuire, deve essere misurata più a
lungo. Se il paziente non tollera la posizione eretta, deve essere
considerato il valore più basso della pressione sistolica registrato fino a
quel momento. Una diminuzione della pressione sistolica ≥20 mmHg
o comunque <90 mmHg viene definita come ipotensione ortostatica
anche in assenza di sintomi neurologici
Sincope da ischemia miocardica • Presenza di dolore precordiale (o equivalente anginoso) associato alle
tipiche alterazioni elettrocardiografiche dell’ischemia miocardica acuta
Sincope aritmica • Presenza, in un elettrocardiogramma registrato successivamente alla
PdCT, di una delle seguenti alterazioni:
– bradicardia sinusale <40 batt/min o blocchi senoatriali ripetitivi o
pause >3 s
– blocco atrio-ventricolare di 2° grado tipo Mobitz II o di 3° grado
– blocco di branca destra e sinistra alternante
– tachicardia parossistica sopraventricolare a frequenza cardiaca
elevata o tachicardia ventricolare
– malfunzione di pacemaker con pause cardiache
razione, disturbi addominali). Per la definizione del prolungato ortostatismo non vi è un parame-
tro di riferimento ma è il paziente a riferire di essere stato a lungo in posizione eretta in base alle sue
possibilità/abitudini. Nella sincope vasovagale non classica non sono presenti i trigger sopra citati e
la diagnosi può essere posta solo dopo esecuzione del tilt test.
La sincope situazionale può essere diagnosticata dopo la valutazione iniziale quando la PdCT si
verifica durante o immediatamente dopo minzione, defecazione, tosse o deglutizione.
La sincope ortostatica viene diagnosticata qualora venga documentata un’ipotensione ortostati-
ca, e cioè una diminuzione della pressione arteriosa sistolica ≥20 mmHg o comunque <90 mmHg
dopo assunzione della posizione eretta, associata a sintomi da ipoperfusione cerebrale (presinco-
pe, sincope).
La sincope da ischemia cardiaca può essere diagnosticata in presenza di un dolore precordiale (o
un equivalente anginoso) associato alle tipiche alterazioni ECG dell’ischemia miocardica acuta.
Una sincope aritmica viene diagnosticata se in un ECG registrato successivamente alla PdCT
sono presenti le alterazioni riportate nella Tab. 5.
Nelle situazioni sopra descritte la diagnosi può essere posta senza ricorrere ad ulteriori accerta-
menti; tuttavia nella maggior parte dei casi la valutazione iniziale offre elementi diagnostici so-
lo suggestivi (Tab. 6), che non consentono cioè di formulare una diagnosi ma suggeriscono ac-
certamenti specifici.
Tab. 6 – Elementi solo suggestivi di una causa di sincope dopo la valutazione iniziale.
Sincope neuromediata • Assenza di affezioni cardiologiche e neurologiche
• Lunga storia di sincopi
• Dopo un trigger emozionale
• Dopo un prolungato ortostatismo, soprattutto in ambienti caldi ed affollati
• Sincope preceduta e/o seguita da nausea e/o vomito
• Durante o dopo un pasto (entro un’ora)
• Dopo un esercizio fisico
• Dopo una rotazione del collo o una compressione dei seni carotidei
• Durante una risata intensa
• Perdita della coscienza in posizione supina, ma preceduta da nausea, dolori
addominali, urgenza di defecare
Sincope ortostatica • Sincope dopo assunzione della posizione eretta
• Relazione temporale con l’inizio di una terapia con vasodilatatori o con una va-
riazione di dosaggio del farmaco
• Dopo un prolungato ortostatismo, soprattutto in ambienti caldi e affollati
• Sincope preceduta da un dolore che scende dalla nuca alle spalle e al tronco
• Presenza di neuropatie autonomiche o di morbo di Parkinson
Sincope cardiaca • Presenza di cardiopatia
• Sincope durante sforzo o in posizione supina
• Sincope preceduta da cardiopalmo
• Storia familiare di morte improvvisa
• Presenza in un elettrocardiogramma registrato successivamente alla PdCT di una
delle seguenti alterazioni:
– blocco bifascicolare o altre turbe della conduzione intraventricolare (QRS ≥120 msec)
– blocco atrio-ventricolare di 2° grado tipo Mobitz I
– bradicardia sinusale (fra 40 e 50 batt/min) o blocco senoatriale
– presenza di pre-eccitazione ventricolare
– intervallo QT prolungato
– blocco di branca destra con sopraslivellamento dell’intervallo ST nelle deriva-
zioni precordiali destre (sindrome di Brugada)
– onda T negativa e onda epsilon nelle derivazioni precordiali destre (suggesti-
ve di displasia aritmogena del ventricolo destro)
– onda Q suggestiva di infarto miocardico
svegliano con dolori addominali, nausea e urgenza di defecare. In alcuni la PdCT, spesso prece-
duta da sudorazione e visione scura, si verifica a letto, in altri mentre si recano in bagno; posso-
no essere presenti delle mioclonie. Dopo la ripresa della coscienza i soggetti riferiscono astenia
intesa e difficoltà a mantenere la posizione eretta. Alcuni soggetti ricordano incubi che hanno
preceduto la sintomatologia sopra descritta; per tale motivo la sleep syncope potrebbe essere un
equivalente della sincope vasovagale emozionale. La frequenza degli accessi sincopali è variabi-
le da soggetto a soggetto (da uno alla settimana ad uno all’anno). Alcuni soggetti riferiscono an-
che tipiche sincopi vasovagali durante le ore diurne. In alcuni è stata documentata una bradicar-
dia durante la PdCT ed in un soggetto casualmente monitorizzato durante le ore notturne erano
evidenti nell’ECG e nell’elettroencefalogramma i tipici aspetti della sincope vasovagale. Non
sono mai stati descritti morsicatura della lingua, automatismi e stati confusionali prolungati do-
po la ripresa della coscienza. Il tilt test è risultato positivo nel 60% dei soggetti.
Quando è possibile porre diagnosi di sleep syncope? Ovviamente la registrazione della pressione ar-
teriosa, dell’ECG e dell’elettroencefalogramma durante gli episodi notturni non rappresenta una
strada percorribile, se non in soggetti con episodi sincopali estremamente frequenti. Un’anam-
nesi accurata, l’esclusione di una causa cardiaca di sincope e di una epilessia atipica, quest’ulti-
ma dopo una consulenza neurologica, consentono la diagnosi nella gran parte dei casi.
La sincope “da risata intensa” è stata descritta recentemente e al momento sono stati pubblicati
soltanto pochi casi (8-13); l’età variava fra 12 e 63 anni. Un giovane di sesso maschile senza af-
fezioni cardiologiche e neurologiche, descritto da Sarzi Braga et al. (10), aveva una storia ven-
tennale di sincopi in corso di risata intensa. Durante tilt test è stata riprodotta la sincope e duran-
te manovra di Valsalva è stata osservata una marcata diminuzione della pressione arteriosa in
assenza di tachicardia compensatoria. Una giovane ragazza affetta da sindrome di Angelman ac-
cusava frequenti episodi di PdCT durante risata intensa; in occasione di alcuni di questi episodi
sono state documentate delle pause asistoliche (fino a 11 s) (11). Il meccanismo di tale tipo di
sincope non è stato chiarito; è possibile che abbia un ruolo la diminuzione del ritorno venoso,
come nella sincope da tosse, con conseguente ipovolemia toracica che può innescare un riflesso
di tipo vasovagale. La diagnosi di sincope da risata si può porre dopo un’accurata anamnesi ed
una consulenza neuropsichiatrica che escluda una cataplessia.
PdCT. Nei soggetti anziani, pertanto, si fa ricorso più spesso agli accertamenti diagnostici rispet-
to a quelli più giovani. Per esempio, in uno studio che coinvolgeva 485 pazienti con PdCT la
diagnosi era possibile, sulla base dei soli dati anamnestici, nel 26% dei soggetti di età <65 anni e
soltanto nel 5% di quelli di età superiore (p <0,001) (14).
Di particolare importanza permane la diagnosi differenziale fra la sincope neuromediata, che
non sembra avere implicazioni sulla sopravvivenza e la sincope cardiaca che invece può avere
importanti implicazioni prognostiche. Molto recentemente Del Rosso et al. (15) hanno messo a
punto uno score, utilizzando dei parametri prelevabili durante la valutazione iniziale, che appare
di utilità a questo scopo. Predittori di sincope cardiaca erano la presenza di cardiopatia o di alte-
razioni ECG, la PdCT preceduta da cardiopalmo, la PdCT durante sforzo oppure in posizione su-
pina, mentre fattori che si opponevano ad una causa cardiaca di sincope erano il riscontro di fat-
tori predisponenti e di sintomi prodromici. A ciascuno di questi fattori è stato assegnato uno
score sulla base di un coefficiente di regressione. Uno score ≥3 consentiva di diagnosticare una
causa cardiaca di sincope con una sensibilità del 92% ed una specificità del 69%. Per una descri-
zione più dettagliata su come somministrare l’EGSYS score si rimanda al capitolo 3. Va sottoli-
neato, tuttavia, che questa valutazione diagnostica può essere fatta solo dopo esclusione di una
PdCT di natura non sincopale.
Diagnosi certa
La valutazione iniziale può portare a una diagnosi certa sulla base di sintomi, segni o dati elettro-
cardiografici. In tali circostanze può non essere necessaria alcuna ulteriore valutazione del qua-
dro clinico e il trattamento, se previsto, può essere pianificato. Questo è il caso delle seguenti
condizioni (1-7):
– la sincope vasovagale classica è diagnosticata se eventi precipitanti come paura, intenso dolore,
forte emozione, strumentazione o prolungato ortostatismo sono associati con i tipici sintomi
prodromici;
– la sincope situazionale è diagnosticata se si verifica durante o immediatamente dopo la minzio-
ne, la defecazione, la tosse o la deglutizione;
– la sincope ortostatica è diagnosticata quando c’è la documentazione di ipotensione ortostatica
associata a sincope o presincope. La misurazione della pressione ortostatica è raccomandata
dopo 5 minuti di decubito supino. Le misurazioni vengono continuate dopo 1 o 3 minuti di
ortostatismo e ulteriormente continuate se la pressione continua a scendere al terzo minuto.
Se il paziente non tollera la stazione eretta per tale periodo allora verrà registrata la più bassa
pressione sistolica durante l’ortostatismo. Un decremento della pressione arteriosa sistolica
≥20 mmHg o un decremento della stessa <90 mmHg è definito ipotensione ortostatica indi-
pendentemente dalla presenza o meno di sintomi (11);
– la sincope da ischemia miocardica è diagnosticata quando sono presenti sintomi associati alle al-
terazioni ECG di ischemia acuta con o senza infarto miocardico indipendentemente dal suo
meccanismo;
consulenza
specialistica
+ – + – + –
Se i dati offerti dalla valutazione iniziale consentono la diagnosi della causa di sincope, non so-
no indicati ulteriori accertamenti e si valutano soltanto le possibilità terapeutiche.
Diagnosi sospetta
Se emergono elementi suggestivi di una causa cardiaca di sincope si eseguono in prima battuta
gli accertamenti cardiologici che possono includere di volta in volta l’ecocardiogramma, il mo-
nitoraggio ECG, il test da sforzo, lo studio elettrofisiologico e il loop recorder esterno o impianta-
bile. Se emergono invece elementi suggestivi di sincope neuromediata o ortostatica hanno prio-
rità i test autonomici quali il tilt test, il massaggio dei seni carotidei ed eventualmente l’utilizzo di
un loop recorder. In un paziente con elementi suggestivi di causa cardiaca, qualora gli accerta-
menti cardiologici non consentano la diagnosi, vengono eseguiti i test autonomici. Se i dati of-
ferti dalla valutazione iniziale non orientano verso alcuna causa di sincope, come si verifica spes-
so nei soggetti anziani, si privilegiano in prima battuta i test autonomici in quanto da un punto
di vista epidemiologico, le sincopi neuromediate sono molto più frequenti di quelle cardiache.
Se un soggetto ha accusato un solo episodio sincopale (con o senza prodromi), in assenza di af-
fezioni cardiologiche e neurologiche, non è generalmente indicato alcun accertamento. Qualo-
ra venga diagnosticata o sospettata una PdCT di natura non sincopale, è indicata una consulen-
za specialistica.
Nessuna diagnosi
La causa di sincope permane indeterminata alla fine del percorso diagnostico nel 15-20% dei ca-
si; in un recente studio nel quale sono state applicate in modo rigoroso le Linee Guida europee,
tale percentuale è scesa al 5% (16). Quando la causa della sincope permane indeterminata, è op-
portuna una “rivalutazione” che consiste nel rivedere attentamente i dati anamnestici, i risulta-
ti offerti dagli accertamenti diagnostici ed eventualmente in una richiesta di visita specialistica,
neurologica o psichiatrica. La strategia di valutazione varia in base alla severità e alla frequenza
degli episodi. Nei pazienti con sincope inspiegata la diagnosi probabile è neuromediata. I test per
la sincope neuromediata sono il massaggio del seno carotideo ed il tilt test. La maggioranza dei pa-
zienti con sincopi rare o singole probabilmente ha sincope neuromediata e non necessita di ese-
guire test specifici.
Livello
Classe Criteri diagnostici con la valutazione iniziale
di evidenza
I La diagnosi di sincope vasovagale è certa se si verifica in concomitanza C
di chiari fattori scatenanti (febbre, dolore, incannulamento di vena, ecc.)
o durante prolungato ortostatismo ed è associata con i tipici prodromi
neurovegetativi
I La sincope si definisce situazionale quando avviene durante o subito do- C
po la minzione, la defecazione, la tosse o durante la deglutizione
I La diagnosi di sincope ortostatica è certa quando avviene al passaggio C
dal clino- all’ortostatismo e la prova di ipotensione ortostatica è positiva
I Un’aritmia documentata all’ECG è diagnostica per essere la causa della C
sincope nei seguenti casi:
– bradicardia persistente ed inadeguata alle condizioni emodinamiche
con frequenza cardiaca <40 b/min o blocchi seno-atriali ripetuti o
pause sinusali >3 s
– blocco atrio-ventricolare di 2° grado Mobitz II o blocco atrio-ventrico-
lare di 3°grado
– alternanza di blocco completo della branca destra e sinistra
– tachicardia sopraventricolare o ventricolare ad elevata frequenza
ventricolare
– episodi di tachicardia ventricolare non sostenuta polimorfa e interval-
lo QT lungo o corto
– malfunzionamento di pacemaker con pause
I La diagnosi di sincope cardiaca da ischemia miocardica è certa quando C
vi siano sintomi e segni ECG di ischemia con o senza infarto miocardico
I La diagnosi di sincope cardiaca di tipo “ostruttivo” è certa in presenza C
di mixoma atriale o quando la sincope si verifica in presenza di stenosi
aortica severa o segni e sintomi di embolia polmonare o grave iperten-
sione polmonare primitiva
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14. Del Rosso A, Alboni P, Brignole M et al. Relation of clinical presentation of syncope to the
age of patients. Am J Cardiol 2005; 96: 1431-35.
15. Del Rosso A, Ungar A, Maggi R et al. Clinical predictors of cardiac syncope at initial
evaluation in patients referred urgently to a general hospital: the EGSYS score. Heart 2008;
94: 1620-26.
16. Brignole M, Ungar A, Bartoletti A et al. Standardized-care pathway versus usual management
of syncope patients presenting as emergencies at general hospitals. Europace 2006; 8: 644-50.
Punti chiave
• Una appropriata gestione della sincope appare di estrema importanza fin dalla valutazione iniziale.
Pur rappresentando una condizione clinica benigna nella grande maggioranza dei casi, il timore che
la sincope possa essere espressione di malattie potenzialmente mortali, induce spesso nel medico un
atteggiamento di difesa, che lo portano ad eccedere nella richiesta di esami diagnostici e di ricoveri
ospedalieri.
• Nel corso della valutazione iniziale, l’utilizzo di questionari specifici può rappresentare una valida ri-
sposta per iniziare un percorso diagnostico appropriato, in particolare per quei medici che non sono
esperti nella gestione della sincope. La ricerca con un’attenta anamnesi e l’individuazione di semplici
variabili cliniche, associate alla lettura dell’elettrocardiogramma ed all’esame fisico del paziente, con-
sentono spesso di discriminare fra situazioni ad alto rischio ed eventi benigni ed aiutano a decidere il
percorso diagnostico successivo.
• I questionari specifici, per quanto utili nella valutazione del paziente con sincope in un ambito di emer-
genza, non possono e non devono essere utilizzati in sostituzione del giudizio clinico, in particolare del-
la valutazione da parte di medici esperti nella gestione della sincope.
• La familiarità con i questionari è di aiuto per apprendere un metodo più rigoroso nella raccolta ed in-
terpretazione dei dati anamnestici. È probabile che essi diventino in futuro strumento di uso comune nel-
la ricerca scientifica per classificare il rischio e le probabilità di diagnosi, così come altri questionari lo
sono già in altri campi (ad esempio, la classe NYHA per lo scompenso cardiaco).
In questo capitolo analizzeremo alcuni dei questionari che sono stati proposti in letteratura per
diagnosticare (e differenziare tra loro) sincope vasovagale, sincope cardiaca ed epilessia.
Sincope vasovagale?
La sincope vasovagale è la più comune forma di sincope; essa è benigna e non è associata ad un
incremento di mortalità. Tuttavia può condizionare un peggioramento della qualità della vita in
un significativo numero di pazienti, particolarmente quando recidivante. Inoltre, talora, può ri-
sultare difficile da diagnosticare. L’incertezza della diagnosi può portare a comportamenti dia-
gnostici aggressivi, spesso tanto costosi quanto inaccurati ed inefficaci. L’appropriatezza della
diagnosi si fonda su una completa raccolta degli eventi che precedono e seguono l’episodio sin-
copale, ovvero su una attenta raccolta anamnestica. Sheldon et al. (1) hanno somministrato un
questionario assai dettagliato a 418 pazienti con sincope e senza apparente cardiopatia organica.
La prevalenza di ciascun dato è stata confrontata fra pazienti con tilt test positivo e quelli con al-
tra causa diagnosticata di sincope. Gli Autori hanno quindi sviluppato un punteggio diagnosti-
co per differenziare la sincope vasovagale dalla sincope da altre cause. Il paziente ha una sinco-
pe vasovagale se il punteggio è superiore a –2. Questo punteggio risulta semplice e riproducibile,
basato su 6 domande di carattere clinico ed una riguardante le caratteristiche ECG e la presen-
za di diabete mellito (Tab. 7). Esso ha presentato elevata sensibilità (89%) e specificità (91%) ed
ha correttamente classificato il 90% dei pazienti. Tuttavia, l’utilizzo come gold standard diagno-
stico del tilt test può costituire un limite di questo studio, presentando comunque il tilt test limiti
di sensibilità e specificità nella diagnosi di sincope vasovagale. Inoltre l’utilità del punteggio pro-
posto appare limitata ai pazienti senza evidenza clinica di cardiopatia organica e pertanto poco
utilizzabile in Pronto Soccorso, ed in particolare nei pazienti anziani, nei quali spesso la causa
della sincope è multifattoriale (2).
Tab. 7 – Questionario per determinare se la sincope è dovuta a riflesso vasovagale o ad altra causa (1).
Domande Punti (se sì)
1. In anamnesi è presente almeno una delle seguenti condizioni: blocco bifascicolare o –5
asistolia o tachicardia sopraventricolare, ovvero diabete mellito?
2. È mai successo che un testimone abbia notato che era cianotico durante lo svenimento? –4
3. La prima volta che è svenuto aveva 35 anni o più? –3
4. Ricorda qualcosa della sua perdita di conoscenza? –2
5. Ha avuto episodi di vertigine o svenimenti in seguito ad un prolungato periodo in posizio- 1
ne seduta o eretta?
6. Si sente sudato o caldo prima di svenire? 2
7. Ha avuto episodi di vertigine o di svenimento in seguito a dolore o in ambienti sanitari? 3
Questionario per determinare se la perdita di coscienza transitoria (PdCT) è dovuta a crisi epilettica o
Tab. 8 –
sincope (3).
Domande Punti (se sì)
1. Si è mai svegliato con un taglio alla lingua dopo l’evento di PdCT? 2
2. Ha mai avuto un un senso di deja vu o jamais vu prima dell’evento di PdCT? 1
3. L’evento di PdCT è mai associato a stress emotivo? 1
4. È mai successo che qualcuno abbia notato la sua testa ruotata durante l’evento di PdCT? 1
5. È mai successo che qualcuno abbia notato che lei non risponde, o ha una posizione stra- 1
na o ha scosse agli arti durante l’evento di PdCT, o non ha alcun ricordo di quanto acca-
duto dopo l’evento? (dare un punto per ciascuna risposta positiva)
6. È mai successo che qualcuno abbia notato che lei è confuso dopo l’evento di PdCT? 1
7. Ha mai avuto vertigini? –2
8. A volte suda prima dell’evento di PdCT? –2
9. L’evento di PdCT è associato a prolungata posizione seduta o eretta? –2
Sincope o epilessia?
In caso di perdita di conoscenza transitoria, nella pratica clinica quotidiana, la distinzione fra
sincope e crisi epilettica può apparire problematica. In particolare, la presenza non infrequente
di convulsioni durante l’evento sincopale (la cosiddetta “sincope convulsiva”) può rendere an-
cora più difficile una diagnosi corretta. Nel Syncope Symptom Study (3), somministrando un que-
stionario a 671 pazienti, è stato proposto un semplice punteggio basato su criteri diagnostici, che
differenzia la sincope dalla crisi epilettica con grande accuratezza. Nella Tab. 8 sono riportate le
domande diagnostiche presentate ai pazienti, con il relativo punteggio assegnato in caso di rispo-
sta positiva.
Il paziente ha una crisi epilettica se il punteggio è ≥1, mentre ha una sincope se il punteggio è <1.
Questo semplice schema basato solo sui sintomi ha consentito di classificare correttamente il 94%
dei pazienti, presentando una sensibilità ed una specificità del 94% per la diagnosi di crisi epilet-
tica (3). Questo studio, ancora una volta, conferma l’importanza di un’attenta e sistematica rac-
colta dell’anamnesi nella diagnosi differenziale della perdita di conoscenza transitoria, evitando il
facile, ma spesso infruttuoso ricorso a test diagnostici o ricoveri ospedalieri non necessari.
che hanno quindi validato in una coorte di 269 pazienti. Le variabili cliniche associate ad arit-
mie cardiache sono risultate: ECG anormale, anamnesi positiva per scompenso cardiaco conge-
stizio ed età >65 anni. Il rischio di aritmie cardiache variava dal 2% per i pazienti che non pre-
sentavano fattori di rischio al 17% in presenza di un fattore di rischio, al 35% per due fattori di
rischio, al 27% per quei pazienti con tre fattori di rischio.
In un recente studio Sud et al. (9) hanno ricercato quali variabili cliniche siano predittive di
aritmia quale causa di sincope recidivante in 119 pazienti sottoposti a monitoraggio elettrocar-
diografico prolungato mediante loop recorder esterno o impiantabile, registrazione Holter di al-
meno 48 ore, o monitoraggio telemetrico intraospedaliero. Questo studio rappresenta il primo
tentativo di identificare fattori di rischio per sincope aritmica, utilizzando un gold standard dia-
gnostico di correlazione fra sintomo e ritmo cardiaco. In 52 pazienti con recidiva di sincope ed
evidenza elettrocardiografica di aritmia correlata, l’assenza di sintomatologia prodromica prima
dell’evento, un ECG anormale e la presenza in anamnesi di cardiopatia sono risultati predittivi
di sincope aritmica, prevalentemente da bradiaritmia. L’assenza di tutti questi fattori di rischio
suggerisce fortemente una genesi non aritmica dell’evento sincopale. Al contrario, la presenza di
tutte le tre variabili depone fortemente per una sincope aritmica: in questo caso l’impianto di
pacemaker sarebbe da preferire al monitoraggio elettrocardiografico prolungato, proprio per
l’elevata probabilità pre-test di bradiaritmia. In particolare, secondo gli Autori, la presenza di
blocco di branca sinistra all’ECG basale sembra sostenere l’indicazione alla cardiostimolazione,
in particolare nei pazienti anziani. Da segnalare come i fattori predittivi di sincope aritmica del-
lo studio di Sud et al. (9) correlino molto bene con la tabella di rischio dell’Osservatorio Epide-
miologico sulla Sincope nel Lazio (OESIL) di mortalità ad un anno dall’evento sincopale (10),
nonostante le differenze fra i due studi per popolazione, ambito clinico (pazienti riferiti per sin-
cope vs pazienti afferenti al DEA) ed end point primario.
Tab. 9 –Fattori predittivi di sincope e relativo punteggio per la diagnosi di sincope cardiaca, secondo la tabel-
la di rischio EGSYS (11).
Variabile Punti
Palpitazioni prima della sincope 4
Cardiopatia o ECG anormale, o entrambi 3
Sincope da sforzo 3
Sincope in posizione supina 2
Fattori precipitanti o predisponenti, o entrambi* 1
Sintomi prodromici di tipo autonomico** –1
100
88
Probabilità di sincope cardiaca
80 p (trend) <,0001 77
60
40 35 33
20
13
8
1 2
0
<3 3 4 >4
Pazienti a rischio
Derivation cohort 134 (52%) 38 (15%) 72 (28%) 16 (6%)
Validation cohort 156 (61%) 41 (16%) 46 (18%) 13 (58%)
Negativi
Test neuromediati Esami cardiologici
Fig. 6 – Diagramma di flusso per la valutazione dei pazienti con sincope, afferenti al Pronto Soccorso, secon-
do la tabella di rischio EGSYS.
pertanto il ricovero ospedaliero del paziente al fine di poter giungere ad una conferma diagno-
stica e ad un adeguato trattamento (Fig. 6). Pertanto la tabella EGSYS (Tab. 9) appare valida
sia ai fini diagnostici sia per la stratificazione del rischio dei pazienti. Da un punto di vista dia-
gnostico il punteggio presenta un’alta sensibilità per identificare i pazienti con sincope cardia-
ca, mentre ai fini prognostici è utile per individuare pazienti a basso rischio di mortalità.
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11. Del Rosso A, Ungar A, Maggi R et al. Clinical predictors of cardiac syncope at initial
evaluation in patients referred urgently to a general hospital: the EGSYS score. Heart 2008;
94: 1620-26.
Punti chiave
• La stratificazione del rischio rappresenta un momento importante nel processo decisionale del medico
dopo la prima valutazione del paziente con sincope. L’analisi delle diverse variabili che vanno a costi-
tuire i fattori di rischio dovrebbe essere in grado di rispondere alla domanda: quale probabilità ha que-
sto paziente con sincope di avere un evento sfavorevole (prognosi), per cui è indicato il ricovero? Alla
domanda la maggior parte degli Autori ha risposto con studi sul rischio a lungo termine (follow-up ad
un anno), mentre pochi hanno valutato l’esito avverso a 7-10 giorni.
• Il medico d’urgenza alla fine della valutazione dovrebbe individuare il rischio che il paziente corre a
breve termine (inteso entro 10 giorni) di incorrere in eventi minacciosi per la vita al fine di predisporre
il ricovero ospedaliero immediato. Una volta affrontato questo primo passo la gestione successiva de-
ve prevedere la stratificazione di rischio di eventi minacciosi per la vita a lungo termine, che se presen-
te comporta la necessità di indirizzare il paziente ad una struttura specialistica (es. Syncope Unit).
• Nel caso di sincope indeterminata, lo sforzo del medico dovrebbe essere indirizzato a valutare la pro-
babilità che questa sia di origine cardiaca.
• Le società scientifiche dei medici d’urgenza e dei cardiologi hanno fornito criteri utili a gestire i pazien-
ti, in particolare ad identificare quelli che necessitano di indagini da eseguire in tempi rapidi e in mo-
do intensivo o di ricovero immediato in ospedale.
cazione il processo di controllo delle differenze dovute alle variabili confondenti facendo delle
stime separate per gruppi di individui che hanno lo stesso valore per la stessa variabile confon-
dente. Il rischio è espresso in termini di probabilità che un dato evento si manifesti e può essere
indicato come di grado alto, intermedio e basso.
Lo studio di Martin
È uno studio prospettico per coorti condotto in Pronto Soccorso allo scopo di sviluppare e valida-
re un sistema di stratificazione del rischio per i pazienti che arrivano per sincope (1). Una coorte
di 252 pazienti, arruolati dal marzo 1981 al febbraio 1984, è stata utilizzata per sviluppare il siste-
ma di classificazione del rischio, mentre una seconda coorte di 357 pazienti, arruolati da agosto
1987 a febbraio 1991, veniva utilizzata per validarlo. Lo studio ha impiegato un end point compo-
sito: morte o un’aritmia cardiaca come causa di sincope entro un anno di follow-up. Le variabili
identificate sono state quattro: età >45 anni, storia clinica di insufficienza cardiaca congestizia,
storia di aritmie ventricolari ed ECG anormale.
Stratificazione del rischio. Nel 4-7% dei pazienti senza fattori di rischio (basso rischio) si sono
verificate entro l’anno aritmie o morte, mentre questi eventi si sono presentati nel 58-80% di
soggetti con tre o quattro fattori di rischio (alto rischio).
Commento. Questo di Thomas Martin è stato il primo lavoro validato, condotto in Pronto Soc-
corso, che dimostri come l’utilizzo della sola anamnesi e dell’ECG permetta di stratificare il ri-
schio in senso prognostico, già alla prima valutazione del paziente.
Fig. 7 – Fattori prognostici nei pazienti con sincope afferenti ai Dipartimenti di Emergenza Accettazione se-
condo i diversi score disponibili. Per il calcolo degli score vedi testo.
40%
34,7%
29,0%
30%
19,6%
20%
14,0%
10%
0,8% 0,6%
0%
1 2 3 4
Fig. 8 – Tassi di mortalità a 12 mesi secondo la tabella di rischio OESIL nelle coorti di derivazione e di validazione.
Il calcolo dello score si ottiene semplicemente sommando il numero di fattori predittivi presen-
te (un punto per ogni fattore). Nella popolazione esaminata la mortalità aumentava all’aumen-
tare dello score (Fig. 8).
Stratificazione del rischio. Vengono considerati pazienti a basso rischio quelli con score 0-1, e a ri-
schio intermedio-elevato quelli con score 2-4. A seconda della stratificazione ottenuta, i pazienti
hanno indicazione ad un diverso percorso. Quelli a basso rischio possono essere dimessi e seguiti
ambulatorialmente, mentre quelli ad intermedio ed alto rischio dovrebbero essere ricoverati.
Commento. Anche questo lavoro, come quello di Martin, dimostra come le informazioni clini-
co-strumentali di base permettano la messa a punto di un sistema di classificazione del rischio a
punteggio. Questo sistema è molto semplice e di facile applicazione in Pronto Soccorso, dove la
stratificazione del rischio per singolo paziente fa parte di ogni processo decisionale. Lo svantag-
gio maggiore riguarda l’elevato numero di pazienti che dovrebbero essere ricoverati per essere
studiati ed inoltre la valutazione del rischio viene fatta solo in termini prognostici. Infine, que-
sto studio è strutturato per essere impiegato in Pronto Soccorso ma si basa sulla prognosi ad un
anno dall’evento sincopale. Pertanto implicitamente assume, senza un’evidenza sperimentale,
che la prognosi ad un anno (periodo di osservazione della popolazione del lavoro) sia identica al-
la prognosi a breve termine (7-10 giorni dopo l’evento sincopale). Quest’ultima è in realtà l’in-
formazione di interesse principale per il medico di Pronto Soccorso.
Stratificazione del rischio. Vengono considerati ad alto rischio i pazienti con una o più variabili
cliniche, mentre sono a basso rischio quelli che ne sono del tutto privi.
Validazione della SFSR. Gli stessi Autori hanno validato successivamente questo algoritmo de-
cisionale con un successivo studio prospettico per coorti, allungando il follow-up a 30 giorni (4).
Questo algoritmo è caratterizzato da una sensibilità del 98% e una specificità del 56% nel predi-
re un evento sfavorevole, riducendo potenzialmente, i ricoveri del 7%. In due altri studi prospet-
tici di validazione esterna (uno condotto a Melbourne, in Australia (5) e l’altro a Los Angeles
in California (6) con un follow-up a sette giorni si sono evidenziati risultati meno entusiasman-
ti rispetto all’originale. Nel primo la sensibilità nel predire un esito severo è stata del 90% con
una specificità del 57%, mentre nel secondo la sensibilità e la specificità sono stati rispettiva-
mente del 69 e del 42%. Gli stessi risultati ha ottenuto un ulteriore studio prospettico di valida-
zione della SFSR, condotto a New York e pubblicato recentemente (2008), il quale riporta, ri-
spetto alla capacità di predire un esito negativo, una sensibilità del 74%, una specificità del 57%,
una likelihood ratio positiva (LHR+) di 1,7 e una likelihood ratio negativa (LHR-) di 0,5 (7).
Commento. Rispetto agli studi precedenti il SFSR si focalizza sui fattori di rischio che generano
la prognosi a breve termine, cioè a 7 giorni dall’evento sincopale. Il principale limite è costitui-
to dal fatto di essere uno studio monocentrico. Gli studi di validazione esterna non hanno con-
fermato il risultato degli studi originali. Tuttavia va dato atto agli Autori di aver dimostrato co-
me i pazienti con sincope associata a variabili di malattia cardiaca organica e comorbilità siano
ad alto rischio di eventi sfavorevoli a breve termine, da cui l’indicazione al ricovero.
ROSE study
È uno studio prospettico condotto presso il Pronto Soccorso del Royal Infirmary di Edimburgo
(UK) dal novembre 2005 al febbraio 2006 su 99 pazienti (8). Lo scopo del lavoro era quello, in
primis, di valutare la fattibilità di uno studio sulla stratificazione del rischio della sincope in
Pronto Soccorso ed inoltre di confrontare la sensibilità nel predire l’esito sfavorevole a breve ter-
mine (sette giorni e un mese) e medio termine (tre mesi) degli algoritmi clinici decisionali esi-
stenti in letteratura (OESIL score e SFSR) con le Linee Guida sulla gestione della sincope in uso
in quel Pronto Soccorso. Queste ultime erano basate sulle Linee Guida della European Society of
Cardiology (ESC) (9,10), dell’American College of Physicians (ACP) (11,12) e dell’American Col-
lege of Emergency Physicians (ACEP) (13). I pazienti venivano raggruppati, a seconda delle varia-
bili presenti, in alto, intermedio e basso rischio (nessuna variabile presente). I risultati di questo
studio hanno evidenziato la capacità dell’OESIL score e della SFSR di predire un esito sfavore-
vole a medio termine con la stessa sensibilità e specificità espresse nei lavori originali. Secondo
gli Autori l’uso della SFSR potrebbe aumentare il numero di ricoveri a fronte di un modesto in-
cremento nell’identificazione di pazienti a rischio, mentre l’OESIL risk score non sembra essere
così sensibile nel ridurre i ricoveri senza perdere dei pazienti a rischio di esito sfavorevole. Per
quanto riguarda i risultati ottenuti seguendo le Linee Guida adottate in quel Pronto Soccorso si
è evidenziata una sensibilità del 63% e una specificità del 76% nel predire un esito sfavorevole
nei pazienti definiti ad alto rischio che venivano comunque ricoverati. Da sottolineare come an-
che una buona parte dei pazienti a rischio intermedio sia stata , alla fine, ricoverata.
Commento. È uno studio pilota, monocentrico, condotto su una casistica limitata, che vuole, tra
l’altro, dimostrare come i risultati di due studi piuttosto diversi (OESIL risk score e SFSR) siano
applicabili nella realtà di un Pronto Soccorso inglese nel predire la probabilità a medio termine
di eventi avversi.
STePS study
È uno studio prospettico condotto nel Pronto Soccorso di quattro ospedali dell’area metropoli-
tana milanese dal gennaio al luglio 2004 (14). Sono stati sottoposti a screening 2775 pazienti
consecutivi con sintomi che potessero richiamare la sincope o la presincope e di questi ne sono
stati arruolati per lo studio 676. L’end point primario dello studio era quello di valutare la frequen-
za di esiti sfavorevoli (morte, necessità di interventi terapeutici complessi), a breve e lungo ter-
mine dopo l’evento sincopale e di confrontare i fattori di rischio associati con gli eventi clinici
sfavorevoli a breve e lungo termine. L’end point secondario era quello di verificare se l’ospedaliz-
zazione poteva condizionare la prognosi di questi pazienti.
a) STePS study (Short-Term Prognosis of Syncope). L’esito sfavorevole, a 10 giorni, ha interessato il
6% dei pazienti arruolati. All’analisi multivariata i fattori di rischio identificati sono stati:
1. ECG anormale alla presentazione;
2. trauma concomitante;
3. assenza di sintomi prima della sincope;
4. sesso maschile.
b) Long-term mortality and severe outcome. A un anno la mortalità globale è stata del 6,0% e gli
altri esiti sfavorevoli sono stati del 3,3%. All’analisi multivariata i fattori di rischio significa-
tivi sono stati: 1) età >65 anni; 2) la coesistenza alla prima valutazione di neoplasia, malattia
cerebrovascolare, malattia strutturale cardiaca, o aritmie ventricolari.
c) Effetti dell’ospedalizzazione sulla prognosi a breve e lungo termine. I pazienti ricoverati erano an-
che clinicamente i più compromessi. In termini stretti di mortalità l’ospedalizzazione sembra
favorire una miglior prognosi a breve termine (i pazienti ricoverati vengono trattati subito e
con maggiore aggressività terapeutica) ma non a lungo termine.
Commento. Interessante il riscontro che il trauma e il sesso maschile sono fattori di rischio indipen-
denti di esito sfavorevole a breve termine. I fattori di rischio a breve termine sono diversi rispetto a
quelli a lungo termine dove la concomitanza di gravi comorbilità gioca pesantemente nella prognosi.
EGSYS score
Anche se l’EGSYS score (15) era stato sviluppato a fini diagnostici, cioè identificare i pazienti
con sincope cardiaca, esso ha dimostrato di avere anche un’ottima capacità predittiva della so-
pravvivenza a lungo termine (due anni). Ciò non deve sorprendere dato che è ben noto come la
presenza di cardiopatia strutturale sia il fattore predittivo più potente sia di mortalità che di cau-
sa cardiaca della sincope. Durante un follow-up medio di 614 giorni, i pazienti con uno score ≥3
ebbero una mortalità del 17% nella coorte di derivazione e del 21% nella coorte di validazione,
mentre i pazienti con score <3 ebbero rispettivamente una mortalità del 3 e del 2%. Pertanto i
pazienti con score <3 possono essere considerati a basso rischio, mentre quelli con score ≥3 possono
essere considerati ad alto rischio per sincope cardiaca o morte (vedi Fig. 3, cap. 1). Il metodo per
calcolare l’EGSYS score e la sua interpretazione sono stati ampiamente trattati nel capitolo 3.
Terzo gruppo (rischio basso) senza indicazione al ricovero: sono i pazienti che non rientrano nei
gruppi precedenti. Questi possono essere rimandati a casa ed eventualmente seguiti ambulato-
rialmente.
Nel 2002 è stato pubblicato da Crane uno studio il cui scopo era, tra gli altri, quello di categorizza-
re secondo le Linee Guida ACP i pazienti con sincope giunti nell’arco di quattro settimane (no-
vembre-dicembre 1998) in un Pronto Soccorso britannico e di documentare la mortalità ad un an-
no all’interno dei tre gruppi (16). Sono stati arruolati 210 pazienti: 47 sono stati inseriti nel primo
gruppo ACP, 63 nel secondo gruppo ACP e 100 nel terzo gruppo ACP. Durante il follow-up morì
il 36% dei pazienti appartenenti al primo gruppo, il 14 % di quelli del secondo gruppo e nessuno
del terzo gruppo. In nessun paziente dei due gruppi il ricovero sembra aver influenzato l’esito.
Commento. Lo studio di Crane dimostra come sia possibile stratificare i pazienti che afferiscono
al Pronto Soccorso per sincope ricorrendo all’uso delle Linee Guida ACP e sottolinea inoltre co-
me le decisioni successive debbano basarsi sulla stratificazione del rischio che indica una proba-
bilità prognostica (secondo ACP) e non sulla diagnosi che spesso non è facile a farsi. Questo stu-
dio ha pure evidenziato come il ricovero non sia stato in grado di influenzare l’esito.
Commento. Anche queste linee di indirizzo clinico, seppur non validate da studi successivi, con-
siderano ad alto rischio, e di conseguenza con indicazione al ricovero, i pazienti anziani (anche
se non è definito il cut-off per l’età) con comorbilità e i pazienti con malattia cardiaca.
In particolare:
– i pazienti che hanno già avuto l’indicazione per il defibrillatore impiantabile, dovrebbero es-
sere sottoposti rapidamente a questo intervento prima ancora della valutazione del meccani-
smo della sincope;
– i pazienti con pregresso infarto del miocardio e funzione sistolica mantenuta, dovrebbero es-
sere sottoposti ad uno studio elettrofisiologico che includa la stimolazione ventricolare pre-
matura. L’impianto del loop recorder dovrebbe essere preso in considerazione solamente alla fi-
ne dello studio, se negativo;
– i pazienti con caratteristiche cliniche o elettrocardiografiche che fanno pensare ad una causa
aritmica della sincope dovrebbero essere sottoposti, in sede ospedaliera, ad un prolungato mo-
nitoraggio elettrocardiografico ed eventualmente a studio elettrofisiologico. L’impianto del
loop recorder dovrebbe essere preso in considerazione alla fine delle indagini, qualora negative;
Stratificazione del rischio a breve termine secondo le Linee Guida sulla sincope della Società Europea
Tab. 10 –
di Cardiologia.
• Situazioni in cui vi è una chiara indicazione ad impianto di defibrillatore (ICD) o pacemaker (in base alle
raccomandazioni delle Linee Guida correnti su ICD e pacemaker), indipendentemente dalla natura della
sincope.
• Grave cardiopatia strutturale o coronarica (scompenso cardiaco o bassa frazione di eiezione o infarto
miocardico pregresso)
• Segni clinici o elettrocardiografici che suggeriscono una sincope aritmica:
– Sincope durante sforzo o in posizione supina
– Sincope preceduta da palpitazioni improvvise per pochi secondi
– Familiarità per morte improvvisa
– Tachicardia ventricolare non-sostenuta
– Blocco di branca (durata del QRS ≥0,12 sec)
– Bradicardia sinusale inadeguata (<50 bpm) o blocchi seno-atriali in assenza di farmaci cronotropi
negativi o allenamento fisico
– Complessi QRS pre-eccitati
– Intervallo QT prolungato o corto
– Quadro a tipo blocco di branca destra (BBD) con sopralivellamento di ST nelle derivazioni V1-V3
(sindrome di Brugada)
– Onde T negative nelle derivazioni precordiali destre, onde epsilon e potenziali tardivi suggestivi di
displasia aritmogena del ventricolo destro
• Importanti comorbilità (anemia severa, disturbi elettrolitici, ecc.)
– se alla fine di una attenta valutazione le indagini risultassero negative (es. assenza di comor-
bilità severe e persistenti e nessuna diagnosi causale di sincope),il paziente può essere valuta-
to come quelli a basso rischio. In assenza delle caratteristiche dell’alto rischio o se presenti fos-
sero negative le indagini, il rischio di eventi pericolosi per la vita è basso e la valutazione è
rivolta alla prevenzione delle recidive sincopali. I pazienti che hanno una modalità grave di
presentazione della sincope (per elevato rischio di trauma o per numerosi episodi sincopali)
che possono avvalersi di una terapia specifica legata al meccanismo causale, dovrebbero esse-
re valutati, per la maggior parte, ambulatorialmente presso una struttura specializzata per lo
studio della sincope (cosidetta Syncope Unit), se disponibile.
Commento. Queste Linee Guida sono molto più orientate, rispetto alle precedenti, ad eviden-
ziare il rischio a breve termine di un evento sfavorevole di tipo cardiologico.
condotti nei DEA, dalla position paper dell’American College of Physicians e dalla clinical policy del-
l’American College of Emergency Physicians. Durante il periodo di studio sono state visitate presso il
Pronto Soccorso 320.698 persone di cui 3502 per sincope (1,1%). In 795 la causa era indetermina-
ta, di questi 263 diedero il consenso per essere arruolati nello studio; 103 di questi pazienti avevano
un rischio intermedio di evento avverso. Questi sono stati successivamente randomizzati 51 nel
braccio Syncope Unit e 52 in quello del percorso standard.
Nei 51 pazienti collocati nella Syncope Observational Unit, la diagnosi è stata ottenuta in 34
mentre in 17 la sincope è rimasta di natura indeterminata. I pazienti ricoverati sono stati 22 e 29
i dimessi; nei 52 pazienti di controllo la diagnosi è stata posta solo in 5 rimanendo indetermina-
ta negli altri 47. I pazienti stati 51, i dimessi 1. La resa diagnostica è stata molto più alta e i rico-
veri ridotti nel gruppo Syncope Unit rispetto al gruppo di controllo. Questo studio, sebbene con-
dotto su una casistica ridotta, suggerisce come la Syncope Unit in Pronto Soccorso ed un
approccio multidisciplinare in presenza di risorse appropriate consenta una gestione della sinco-
pe efficace ed efficiente.
A partire dagli anni ’90 nei Pronto Soccorso e nei DEA italiani ci sono stati dei notevoli cam-
biamenti sul piano strutturale e organizzativo. Il principale di questi è stata la costituzione delle
unità di osservazione breve intensiva (OBI) con la funzione di trattenere i pazienti con sintomi
o condizioni cliniche inappropriate al ricovero ma a rischio se dimessi, per la mancanza di una
dignosi certa. I due sintomi principali che trovano indicazione all’osservazione breve intensiva
sono il dolore toracico non traumatico e la sincope. Tenendo presente questa nuova organizza-
zione, i risultati dello studio SEEDS e gli studi sulla stratificazione del rischio fatti in Pronto Soc-
corso, è probabile che il percorso assistenziale appropriato per il paziente con sincope sia quello
illustrato nella Fig. 9.
A loro volta i pazienti che afferiscono alla Syncope Unit dovrebbero essere stratificati per il ri-
schio in modo da immettere i pazienti a basso rischio nel percorso ambulatoriale della Syncope
Unit, mentre i pazienti ad alto rischio possono esser ricoverati in OBI. I sistemi di stratificazione
del rischio che sembrano essere i più adatti a questo scopo sono l’OESIL score e l’EGSYS score.
L’OESIL score ha il vantaggio di essere di molto facile utilizzo, ma determina il ricovero di mol-
ti pazienti. L’EGSYS score ha il vantaggio di essere anche utilizzato sia per la valutazione della
probabilità di sincope cardiaca (diagnosi) sia per la valutazione del rischio di eventi avversi a due
anni (prognosi).
VALUTAZIONE INIZIALE
(anamnesi, esame obiettivo, PA clino-orto, ECG 12 derivazioni)
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5. Strategia diagnostica
(seconda parte):
test diagnostici
Fabrizio Ammirati, Alfonso Lagi, Maurizio Lunati, Michele Brignole
•••Sincope_I_236_bis:•••Sincope_I_236 18-09-2009 10:36 Pagina 59
Punti chiave
• Effettuare una corretta diagnosi di sincope è, nella pratica clinica, difficile, ma di fondamentale impor-
tanza per distinguere le forme a prognosi infausta (sincope cardiaca) da quelle di natura benigna (sin-
cope neuromediata) e per adottare le conseguenti misure terapeutiche. Le difficoltà sono rappresentate
principalmente dalla mancanza di un unico esame (gold standard ) che permetta una diagnosi certa e
da un diffuso approccio clinico non standardizzato. La scelta dei test diagnostici spesso non è appro-
priata e la conseguente interpretazione clinica può risultare fuorviante per la loro variabile sensibilità e
specificità. Tale gestione determina alti costi sul piano clinico, organizzativo ed economico ed esita in
un’alta percentuale di sincopi che rimangono indeterminate. Per essere appropriata la scelta degli esa-
mi deve essere guidata da una ipotesi diagnostica basata su criteri derivati dall’anamnesi.
• L’ecocardiogramma è utile per identificare la presenza di anomalie strutturali cardiache e per valutarne
la prognosi, mediante il calcolo della frazione di eiezione (FE), in particolare quando la sincope sia as-
sociata a cardiopatia con disfunzione sistolica.
• Il massaggio del seno carotideo deve essere eseguito in pazienti con età >40 anni e sincope indeter-
minata. Il test è diagnostico se riproduce la sincope identificando una sindrome del seno carotideo che
nella forma cardioinibitoria si giova dell’impianto del pacemaker.
• Giovani defedati e anziani in terapia vasoattiva e/o affetti da neuropatia diabetica e parkinsonismo
possono manifestare una sincope da ipotensione ortostatica che può essere diagnosticata rilevando la
pressione arteriosa in clino- ed ortostatismo.
• Il tilt test identifica pazienti suscettibili alla sincope vasovagale. La diagnosi di sincope può essere con-
fermata se il tilt test riproduce la sincope spontanea in assenza di cardiopatia:
– i risultati del test ai fini terapeutici devono comunque essere valutati nel contesto clinico;
– la sincope vasovagale, infatti, può coesistere con altre forme di sincope;
– un tilt test positivo in presenza di cardiopatia non esclude una possibile sincope cardiaca.
• Il monitoraggio cardiaco identifica una sincope aritmica quando in corso di sincope vengono registra-
te alterazioni del ritmo. Se alla sincope corrisponde un ECG normale, la causa aritmica può essere
esclusa. La possibilità di registrare una sincope è una evenienza alquanto rara a causa della variabili-
tà degli intervalli tra gli episodi sincopali (settimane, mesi, anni). Più è prolungato il monitoraggio più
alta è la possibilità di registrare l’ECG durante una sincope spontanea. L’ECG Holter delle 24h ha per-
tanto uno scarso potere diagnostico.
• Lo studio elettrofisiologico ha un valore diagnostico significativo in presenza di cardiopatia strutturale
e/o alterazioni ECG. È utile particolarmente in pazienti con cardiopatia ischemica cronica e in pazien-
ti con blocco di branca. Tuttavia, una FE fortemente depressa (<30%) identifica di per sé pazienti a pro-
gnosi peggiore; in tali casi lo studio elettrofisiologico ha perso utilità diagnostica.
Inquadramento generale
Identificare la reale causa di sincope è una sfida clinica alquanto difficile e complessa per una se-
rie di motivi qui di seguito sintetizzati:
– la sincope è un sintomo che può essere espressione di varie condizioni cliniche a diversa pro-
gnosi: un riflesso vaso-vagale di natura benigna; una aritmia potenzialmente letale; una sin-
cope da cause internistiche e/o neurologiche;
– a causa della imprevedibilità, transitorietà e rapidità dei sintomi e della mancanza di strumen-
ti diagnostici idonei, raramente è possibile documentare una sincope spontanea e, quindi, ot-
tenere una diagnosi certa;
– tutte le procedure diagnostiche correntemente usate nella pratica clinica hanno un limitato
potere diagnostico e la loro sensibilità e specificità dipende dal contesto clinico in cui vengo-
no utilizzate, dai protocolli di esecuzione applicati e dalla valutazione che ne viene fatta.
Tab. 11 – Variazioni della prevalenza delle diverse forme di perdita di coscienza transitoria in diverse epoche.
Diagnosi Anno 1980* Anno 2000** Anno 2006***
Sincopi neuromediate riflesse e da ipotensione ortostatica 37% 56% 76%
Sincopi da aritmie cardiache 13% 11% 11%
Sincopi da malattie strutturali cardio-polmonari 4% 3% 5%
Perdite di coscienza transitorie non sincopali 10% 9% 6%
Sincopi indeterminate 36% 20% 2%
* Dati derivati da 6 studi (1499 pazienti)
** Dati derivati da 4 studi (1640 pazienti
*** Dati derivati dallo studio EGSYS 2 (465 pazienti) (4)
Spesso i risultati dei test sono solo indicativi e, se non correttamente valutati nel contesto cli-
nico generale, possono addirittura essere fuorvianti;
– nella maggior parte dei casi, nella pratica clinica, la scelta degli esami per la diagnosi di sin-
cope è spesso casuale, non standardizzata, con alti costi e scarsi risultati clinici (1).
Nella Tab. 11 è messa a confronto la prevalenza delle diverse forme di sincope negli anni ’80, ne-
gli anni 2000 ed in studi recenti in funzione di una crescente adozione nel tempo di un approc-
cio diagnostico ragionato e/o di Linee Guida.
La sincope neuromediata o riflessa e l’ipotensione ortostatica erano e sono le più frequenti cau-
se di perdita di coscienza transitoria peraltro in aumento rispetto alle altre cause di sincope gra-
zie ad un uso più estensivo negli anni del tilt test e del massaggio del seno carotideo. La sincope
da cause cardiache rimane costantemente negli anni la seconda causa di perdita di coscienza,
mentre la sincope da cause neurologiche o psichiatriche è leggermente diminuita, probabilmen-
te per la riduzione delle diagnosi errate di epilessia che in passato venivano formulate sulla sola
base di criteri clinici (es. perdita di coscienza associata a mioclonie).
Il dato più rilevante riguarda l’andamento negli anni delle sincopi di natura indeterminata. La
prevalenza alquanto rilevante negli anni ’80 (36%) è scesa negli anni 2000 al 20% quando la ge-
stione della sincope è stata migliorata grazie all’introduzione nella pratica clinica delle Linee
Guida della Società Europea di Cardiologia (2) e delle Syncope Unit (3). Recentemente nello
studio EGSYS (4) l’adozione di un software che obbliga ad una stretta aderenza alle Linee Gui-
da ha permesso la riduzione delle sincopi indeterminate al 2% grazie ad una maggiore appropria-
tezza di impiego e di conseguenza un aumento del potere diagnostico dei test clinici (Tab. 12).
Lo studio ha evidenziato come alcuni test frequentemente utilizzati nella diagnostica della sin-
cope (Doppler dei vasi carotidei, radiografia del torace ed ecografia addominale) non sono qua-
si mai di utilità clinica. Gli altri test riportati nella Tab. 12 hanno un buon potere diagnostico
solo se usati in maniera appropriata. Tali risultati indicano ormai in maniera incontrovertibile
che l’approccio diagnostico alla sincope non può essere casuale, ma deve essere guidato da un ra-
gionamento clinico, da una valutazione iniziale ben strutturata e da una scelta appropriata e
congrua dei test diagnostici.
Tab. 12 – Potere diagnostico dei test clinici più frequentemente impiegati in 465 pazienti nello studio EGSYS (4).
Indicazioni Potere diagnostico NNT
appropriate (% test)
(% pazienti)
ECG 100% 7% 14
Tilt test 16% 61% 1,6
Massaggio del seno carotideo 14% 28% 3,6
Esami ematochimici 11% 40% 2,5
ECG (ecocardiogramma) 11% 10% 10
Holter/monitoraggio telematico in ospedale 8% 48% 2,1
TC cerebrale/RM cerebrale 4% 23% 4,3
Studio elettrofisiologico 3% 33% 3,0
EEG (elettroencefalogramma) 3% 31% 3,2
Test ergometrico 2% 30% 3,3
Coronarografia 2% 62% 1,6
➙
Doppler carotideo 0% 0%
➙
RX torace 0% 0%
➙
Ecografia addominale 0% 0%
NNT = numero di pazienti da trattare
90
FC
68
45
22
1
200
1
178
156
PA
133
111
89
67
44
22
Tilt 15 sec
Fig. 10 – Test dell’ortostatismo attivo. Monitoraggio ECG e pressorio continuo battito-battito della pressione ar-
teriosa. Un esempio di ipotensione ortostatica “iniziale” è caratterizzato da calo immediato della PA dopo l’as-
sunzione dell’ortostatismo e rapida risalita in virtù dell’attivazione dei meccanismi vasocostrittori di compenso.
Il test non è in grado di evidenziare le forme di ipotensione ortostatica “lenta e tardiva” in cui la
pressione arteriosa cala progressivamente e lentamente dopo il 3° minuto. In tale forma la dia-
gnosi si effettua mediante tilt test (vedi capitolo 6).
Studio elettrofisiologico
Il potere diagnostico dello studio elettrofisiologico (SEF) nell’identificare le cause di sincope di-
pende dal protocollo utilizzato e dalla probabilità pre-test di ottenere un risultato clinicamente
utile:
– in pazienti con sincope senza evidenza di cardiopatia (ECG normale, esame obiettivo normale,
assenza di palpitazioni) lo SEF non è utile per le scarse probabilità pre-test di indurre aritmie;
– in pazienti con sincope e cardiopatia lo SEF ha più probabilità di individuare una causa aritmica
della sincope come dimostrato da una metanalisi di otto studi su un totale di 625 pazienti (12).
Va comunque sottolineato che la negatività del test in presenza di cardiopatia non esclude defi-
nitivamente una possibile causa aritmica che deve essere comunque indagata con ulteriori accer-
tamenti come, ad esempio, il monitoraggio elettrocardiografico prolungato. Nello specifico lo
SEF è indicato quando si sospetta una sincope da:
– bradicardia intermittente;
– possibile blocco atrioventricolare (AV) in presenza di blocco di branca (BB);
– tachicardia sopraventricolare o ventricolare.
V1
St A V St A St A V TRNS = 1780 ms
HRA
Fig. 11 – Tempo di recupero del nodo del seno (TRNS) patologico. All’interruzione della stimolazione in atrio
destro (St) a 100 bpm segue una pausa di 1780 ms seguita da un battito di scappamento giunzionale. Per-
tanto il TRNS è superiore a tale intervallo. Notare come sia presente anche un disturbo di conduzione atrio-
ventricolare a livello nodale evidenziato da blocco AV tipo Luciani-Wenckebach durante pacing atriale a fre-
quenza relativamente bassa, configurando pertanto il quadro di malattia binodale.
Basale
V6
AH = 140 ms
A H V HV = 65 ms
His
Ajmalina 1’
V6
A
His
Ajmalina 5’
V6 AH = 140 ms
A H V HV = 65 ms
His
Fig. 13 – Blocco AV a livello del fascio di His indotto da infusione ev di ajmalina 1 mg/kg in un paziente con bloc-
co di branca sinistra. Di base è già presente un lieve ritardo di conduzione nodale e sotto-hisiana evidenziata dal
prolungamento sia dell’intervallo AH (valori normali <90 ms) e HV (valori normali <55 ms). Un minuto dopo l’infu-
sione di ajmalina comparsa di blocco AV 2:1; l’assenza di deflessione di His fa pensare a sede intrahisiana del bloc-
co. Dopo 5 minuti il blocco regredisce, ma è ancora presente grave ritardo di conduzione hisiana con HV=100 ms.
gressione a 4 anni verso il blocco A-V a seconda del valore di HV registrato allo SEF (15). È in-
teressante notare che anche il rilievo di valori normali di HV non esclude una progressione ver-
so il blocco AV. Pertanto la determinazione dell’intervallo HV ha una bassa sensibilità, ma una
alta specificità e predittività.
3-II
4-aVF
1-V1
282 ms
212 bpm
5-HRA
S2 S3 S4
21-STIM A2
Fig. 14 – Induzione di tachicardia ventricolare mediante stimolazione ventricolare prematura con triplice ex-
trastimolo in un paziente con pregresso infarto del miocardio.
Sintesi
In generale si può affermare che:
– lo SEF ha una sensibilità e specificità variabile a seconda del contesto clinico e raggiunge una mag-
giore performance diagnostica in pazienti con ECG alterato e segni di cardiopatia;
– anche uno SEF negativo in presenza di cardiopatia non esclude definitivamente possibili cause aritmi-
che di sincope.
In sintesi nella diagnosi di sincope lo SEF è sicuramente indicato:
– nella cardiopatia ischemica con FE >35% quando la valutazione iniziale suggerisce una possibile cau-
sa di sincope e non sia evidente l’indicazione all’impianto di defibrillatore;
– in pazienti con blocco di branca quando i test non invasivi non hanno ottenuto una diagnosi;
– quando la sincope è preceduta da palpitazioni ed i test non invasivi non hanno prodotto una diagnosi.
Lo SEF è sicuramente diagnostico:
– in presenza di bradicardia sinusale e TRNSC prolungato;
– nei pazienti con blocco di branca quando si registra HV ≥100 msec o si induce un blocco AV di 2°-
3° grado durante stimolazione atriale incrementale di base o durante infusione farmacologica;
– quando viene indotta una tachicardia ventricolare monomorfa in pazienti con cardiopatia ischemica;
– quando viene indotta una tachicardia sopraventricolare che riproduce sintomi spontanei o ipotensione.
Lo SEF ha un valore indicativo, ma non definitivamente conclusivo quando:
– l’intervallo HV è tra 70 e 100 msec;
– si induce una tachicardia ventricolare polimorfa in pazienti con sindrome di Brugada, displasia aritmo-
gena del ventricolo dx ed in pazienti con pregresso arresto cardiaco.
Infine l’induzione di una tachicardia ventricolare polimorfa o di fibrillazione ventricolare in pazienti con
cardiomiopatia dilatativa ischemica o non ischemica ha un basso valore diagnostico e prognostico.
Criteri diagnostici
I Il test è considerato diagnostico quando vi è un calo sintomatico di pressione C
sistolica ≥20 mmHg o diastolica ≥10 mmHg dal valore in clinostatismo oppu-
re un valore assoluto di pressione sistolica ≥90 mmHg.
IIa Il test è considerato possibilmente diagnostico quando vi è un calo asinto- C
matico di pressione sistolica ≥20 mmHg o diastolica ≥10 mmHg dal valore
in clinostatismo oppure un valore assoluto di pressione sistolica ≥90 mmHg.
ECOCARDIOGRAMMA
Classe Indicazioni Livello
di evidenza
I L’esame ecocardiografico è indicato nei pazienti con sincope in cui vi sia il B
sospetto di cardiopatia strutturale allo scopo diagnostico e per la stratifica-
zione del rischio
Criteri diagnostici
I L’esame ecocardiografico di per sé è diagnostico della causa della sincope B
in presenza di stenosi aortica severa, tumori o trombi cardiaci ostruttivi, tam-
ponamento cardiaco, dissezione aortica o anomalie congenite delle arterie
coronariche
STUDIO ELETTROFISIOLOGICO
Classe Indicazioni Livello
di evidenza
I Nella cardiopatia ischemica quando la valutazione iniziale suggerisce una B
causa aritmica della sincope a meno che non esista già una indicazione per
l’impianto di un ICD a causa della presenza di funzione sistolica gravemente
depressa.
IIa Nei pazienti con blocco di branca quando i test non invasivi non hanno per- B
messo di giungere ad una diagnosi.
IIb Nei pazienti con sincope preceduta da palpitazioni improvvise e di breve B
durata quando gli altri test non invasivi non hanno permesso di giungere
ad una diagnosi
IIb Nei pazienti con sindrome di Brugada, displasia aritmogena del ventricolo C
destro e cardiomiopatia ipertrofica lo studio elettrofisiologico può essere ese-
guito in casi selezionati
IIb Nei pazienti con professioni ad alto rischio, in cui è necessario ogni sforzo C
per escludere una causa cardiovascolare della sincope, lo studio elettrofisiolo-
gico può essere eseguito in casi selezionati
III Nei pazienti con ECG normale, assenza di cardiopatia strutturale ed assenza B
di palpitazioni lo studio elettrofisiologico non è raccomandato
Criteri diagnostici
I Uno studio elettrofisiologico normale non esclude completamente una causa B
aritmica della sincope
I A seconda del contesto clinico uno studio elettrofisiologico patologico può B
non essere diagnostico della causa della sincope
I Lo studio elettrofisiologico è diagnostico, e nessun altro test è in genere neces- B
sario, nei seguenti casi:
– bradicardia sinusale e TRNS prolungato; B
– blocco bi-fascicolare in presenza di un intervallo HV basale ≥100 ms, B
oppure di induzione di blocco AV di 2° o 3° grado sotto-hisiano durante
pacing atriale incrementale o test farmacologico;
– induzione di tachicardia ventricolare monomorfa sostenuta nei pazienti con B
pregresso infarto del miocardio;
– induzione di aritmia atriale rapida che riproduce i sintomi spontanei o B
causa sintomi ipotensivi.
IIa Intervallo HV basale fra 70 e 100 msec B
IIb Induzione di tachicardia ventricolare polimorfa o fibrillazione ventricolare nei B
pazienti con sindrome di Brugada, displasia aritmogena del ventricolo destro
e nei pazienti resuscitati da arresto cardiaco ha un valore diagnostico dubbio
III L’induzione di tachicardia ventricolare polimorfa o fibrillazione ventricolare B
nei pazienti con cardiomiopatia ischemica o dilatativa non può essere con-
siderata diagnostica
TEST ERGOMETRICO
Classe Indicazioni Livello
di evidenza
I Il test da sforzo è indicato nei pazienti che hanno avuto sincope da sforzo C
Criteri diagnostici
I Il test da sforzo è diagnostico quando la sincope è riprodotta durante o imme- C
diatamente dopo lo sforzo in presenza di alterazioni ECG o emodinamiche
I Il test da sforzo è diagnostico quando un blocco AV di secondo grado Mobitz C
2 o di terzo grado è indotto durante sforzo, anche in assenza di sincope
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Punti chiave
– Il massaggio è raccomandato, dopo la valutazione iniziale, in tutti i pazienti con sincope indetermina-
ta di età superiore a 40 anni senza soffi carotidei e senza recente TIA o ictus cerebrale.
– Deve essere preferibilmente effettuato con il metodo della “riproduzione dei sintomi” per 10 sec sia a
destra che a sinistra in clino- ed ortostatismo durante monitoraggio continuo dell’ECG e della pressio-
ne arteriosa.
– È considerato diagnostico per sindrome del seno carotideo se è riprodotta la sincope con asistolia ≥3
sec e calo pressorio ≥50 mmHg in assenza di altre cause di sincope.
Il riflesso senocarotideo
Il riflesso senocarotideo è il più stu-
diato ed il meglio conosciuto dei ri-
flessi pressori della circolazione. I
pressocettori situati nei seni caroti-
dei sono anatomicamente e funzio-
nalmente distinti dai chemiocettori
situati negli adiacenti glomi caroti- centro vaso motore (VMC)
dei. Essi sono i recettori sensitivi di nervo glossofaringeo (XI)
un arco riflesso la cui branca afferen-
te è costituita dal nervo glosso-farin-
geo e probabilmente dal nervo vago nervo
vago (X)
ed ha la sua prima sinapsi nel nucleo
del tratto solitario. La via simpatica
efferente tra il nucleo del tratto soli-
tario, situato nel bulbo, include sicu- seno
ramente numerose sinapsi a vari siti carotideo
midollari con altri nuclei tronco-en- arco aortico
cefalici e con l’ipotalamo che rendo- nodo del
no conto delle complesse interrela- seno
zioni che intercorrono fra diversi
riflessi afferenti. Anche la via para-
simpatica efferente, tra il nucleo del
tratto solitario ed il nucleo ambiguo
sicuramente include numerose si-
napsi a vari siti midollari con altri vasi
nuclei tronco-encefalici e con l’ipo- catena sanguigni
talamo (Fig. 15). Il riflesso senocaro- simpatica
tideo va considerato come uno dei
numerosi riflessi a feed-back che co-
stituiscono il sistema dei barocettori Fig. 15 – Basi anatomiche del riflesso seno carotideo. Per spiega-
arteriosi. zioni, si veda il testo.
La fisiopatologia del riflesso senocarotideo fu identificata con il riscontro di una esagerata risposta
riflessa cardioinibitrice e vasodepressiva alla manovra del massaggio del seno carotideo (MSC).
I valori normali del MSC generalmente accettati sono quelli proposti da Franke (1) secondo il qua-
le una asistolia ≥3 secondi e/o una diminuzione della pressione arteriosa sistolica ≥50 mmHg sareb-
bero francamente abnormi. Tali limiti furono ricavati dall’analisi di circa 3900 soggetti, sia sani che
affetti da varie patologie, perché entro tali limiti era compreso il 90% della popolazione studiata.
Questi valori vennero successivamente definiti da Thomas (2) come un “apprezzabile compromes-
so”. Brignole (3) ha calcolato i valori normali del riflesso cardioinibitore in una popolazione di 288
soggetti clinicamente sani. Il riflesso cardioinibitore è risultato variare con l’età e non essere in-
fluenzato dal sesso; valori normali, con un limite di confidenza di due deviazioni standard, sono ri-
sultati di 1,5 sec, 2,5 sec, 3,3 sec rispettivamente per i soggetti con meno di 40 anni, da 41 a 60 an-
ni ed oltre i 60 anni di età. Tuttavia tali valori hanno una bassa specificità (vedi paragrafo
Specificità, p. 78) che ne rende difficile l’interpretazione clinica.
Basale
Fig. 17 – Sindrome del seno carotideo, forma a prevalente cardioinibizione in base al “metodo dei sintomi”.
Riquadro superiore. Il massaggio è eseguito durante monitoraggio battito-battito di ECG (traccia superiore) e pres-
sione arteriosa sistemica (traccia inferiore) con il paziente posto su un letto da tilt test a 60° di inclinazione. Il mas-
saggio è continuato per 10 sec. Una pausa asistolica di 6,5 sec è indotta poco dopo l’inizio del massaggio. La
pressione arteriosa sistolica cade a valori <50 mmHg; il riflesso ipotensivo persiste più a lungo di quello cardioini-
bitore. La sincope avviene dopo la fine del massaggio quando il ritmo cardiaco è già ripreso.
Riquadro inferiore. Allo scopo di determinare il contributo relativo delle due componenti del riflesso, il massaggio
viene ripetuto dopo che la componente cardioinibitrice è soppressa mediante infusione di atropina 0,02 mg/kg.
Nonostante un discreto calo dei valori di pressione arteriosa sistolica a 70 mmHg, la sincope non è più riproduci-
bile; pertanto la componente cardioinibitrice del riflesso è il determinante principale della sincope in questo pa-
ziente.
ne, può essere riprodotta la sintomatologia spontanea e può essere indotta l’asistolia ventricola-
re (8). Per meglio valutare l’entità della vasodepressione, la componente cardioinibitrice deve
essere abolita mediante l’infusione ev di 0,02 mg/kg di atropina. Una controindicazione clinica
all’esecuzione del MSC è la presenza in anamnesi di episodi ischemici cerebrali nei 3-6 mesi pre-
cedenti. La presenza di soffi e/o di stenosi carotidee documentate con indagini strumentali non
è motivo di esclusione dallo studio e l’esame Doppler dei tronchi sopraortici non è necessaria-
mente richiesto prima dell’esecuzione del massaggio. Test positivo è definito la riproduzione dei
sintomi in presenza di patologica cardioinibizione e/o vasodepressione (4).
Con il metodo dei sintomi la prevalenza di sindrome del seno carotideo, in una popolazione di
1719 pazienti consecutivi, è stata del 26%, percentuale più bassa rispetto a quella che si sarebbe
riscontrata se non fosse stata utilizzata la loro riproduzione come criterio di positività. Infatti, se
fossero stati usati, come fatto da altri Autori (5,9,10), solo criteri elettrocardiografici e di pres-
sione arteriosa, la positività avrebbe raggiunto il 54% dato che sarebbero state incluse anche le
ipersensibilità senocarotidee.
Specificità
Uno degli argomenti ricorrenti che mette in dubbio la validità diagnostica del MSC è che tale test
è poco specifico dato che una ISC è presente in percentuali elevate nei soggetti senza sincope. Ciò
deriva dal fatto che vengono usati, come valori limite, quelli arbitrari proposti da Franke (1). In ef-
fetti una asistolia ≥3 sec al massaggio è presente nei soggetti sani senza sincope in percentuale va-
riabile con l’età ed il sesso dallo 0 al 10% in casistiche di vari Autori (12-14) e, nei soggetti affetti
da qualche patologia, in percentuale notevolmente maggiore: nel 17% dei pazienti affetti da iper-
tensione arteriosa, cardiopatia ischemica cronica o aterosclerotica (3), nel 22% dei pazienti con in-
farto del miocardio stabilizzato (15), nel 38% dei pazienti con stenosi coronariche angiografiche
(16) e nel 47% dei pazienti con infarto del miocardio in fase acuta (15). Pertanto tali valori limi-
te, se da un lato permettono di identificare l’ISC, dall’altro non possono essere applicati in clinica
per fare diagnosi di sincope a causa della loro bassa specificità. Adottando il metodo dei sintomi (4)
si ottiene una percentuale di falsi positivi del 4% (17-19).
Sensibilità
Nei pazienti con sincope di natura indeterminata, la sintomatologia spontanea potè essere ripro-
dotta, con la metodica di esecuzione sopradescritta del MSC, nel 33% di quelli affetti da sincope
definita di probabile natura vasovagale in base alla storia anamnestica e nel 59% di quelli affetti da
sincopi inspiegate (18). Le percentuali di positività del massaggio del seno carotideo nei pazienti
con sincopi inspiegate riportate in letteratura in tre lavori (10,20,21) variano dal 26 al 41%; glo-
balmente i casi positivi furono 171/531 pari al 32% della popolazione. In questi lavori, contraria-
mente a quanto descritto nel lavoro di Brignole (18), i criteri di positività adottati furono asistolia
≥3 sec o calo pressorio ≥50 mmHg indipendentemente dalla provocazione dei sintomi; il massag-
gio era eseguito solo in clinostatismo, durante l’esecuzione di studio elettrofisiologico cruento.
Riproducibilità
Il MSC ripetuto ad intervallo variabile da un giorno ad un anno in soggetti con risposte norma-
li, borderline e patologiche è risultato riproducibile nel 93% dei casi con una correlazione linea-
re dell’entità delle risposte (r = 0,79, p <,005) (22). La riproducibilità è del 100% in pazienti con
grave sindrome del seno carotideo cardioinibitrice candidati all’impianto del pacemaker defini-
tivo (22).
Valore predittivo
È stato recentemente osservato (23) come una ISC di tipo cardioinibitrice al MSC eseguito in
soggetti molto selezionati con sospetta sincope riflessa abbia un elevato valore predittivo (89%)
di sincope asistolica come confermato alla registrazione del loop recorder, in corso di sincope
spontanea. Tale dato tuttavia richiede di essere confermato.
Complicanze
Il MSC eseguito con il metodo dei sintomi ha avuto una bassissima percentuale di complicanze
(0,17%). Questo valore è risultato simile o lievemente inferiore a quello riportato in letteratura
in due studi (24,25) in cui il massaggio è stato eseguito con “metodo breve” (5,9,10,20,21), ri-
spettivamente 0,45 e 0,28%; questa bassa percentuale di complicanze, peraltro reversibili, è sta-
ta ottenuta nonostante l’unica controindicazione al MSC sia stata la storia clinica di pregressi
stroke o attacchi ischemici transitori. Ciò sottolinea come l’anamnesi, da sola, permetta di sce-
gliere i pazienti da sottoporre al MSC senza bisogno di ulteriori accertamenti diagnostici.
Tilt test
Punti chiave
– Il tilt test è indicato:
• quando i rilievi anamnestici non consentono una diagnosi conclusiva, ma fanno sospettare che la sin-
cope sia di natura vasovagale;
• in presenza di episodi ricorrenti di perdita di coscienza in assenza di cardiopatia;
• in corso di unico episodio sincopale manifestatosi in un contesto potenzialmente pericoloso;
• quando la sincope rimane indeterminata al termine di tutti gli accertamenti che hanno escluso cause
cardiache;
• quando richiesto dal paziente o quando ha un rilevante valore clinico per dimostrare una suscettibi-
lità alla sincope vasovagale;
• per differenziare la sincope vasovagale con mioclonie dall’epilessia con scosse tonico-cloniche;
• per valutare pazienti anziani con cadute a terra ricorrenti che si caratterizzano per assenza di pro-
dromi e amnesia relativa agli episodi.
– Il tilt test non è utile:
• per valutare l’efficacia della terapia;
• per valutare un unico episodio senza traumi in assenza di cardiopatia e occorso fuori da un conte-
sto potenzialmente pericoloso.
– Il tilt test è un test sicuro e con una bassa frequenza di complicazioni peraltro mai gravi. In particolare
va sottolineato che l’induzione di una sincope con asistolia prolungata, benché impressionante, non de-
ve essere considerata una complicanza, ma una risposta al test.
– Nel valutare il significato clinico della risposta positiva al tilt test bisogna tenere presenti le seguenti con-
siderazioni:
• un tilt test positivo avvalora la diagnosi di sincope neuromediata in pazienti senza cardiopatia strut-
turale identificando una sincope con prognosi benigna;
• una risposta cardioinibitrice al tilt test in pazienti senza cardiopatia strutturale può predire una sinco-
pe spontanea cardioinibitrice;
• un tilt test negativo o con risposta mista o vasodepressiva non esclude una sincope spontanea car-
dioinibitrice;
• se il tilt test è positivo in presenza di malattia strutturale cardiaca, non può essere considerato conclusivo,
indicando solo una suscettibilità ad una sincope neuromediata ed altre cause di sincope vanno comunque
escluse per la possibile concomitanza di altre forme di sincope a prognosi peggiore (es sincope aritmica);
• il significato di risposte anomale diverse dall’induzione di sincope al tilt test non è del tutto chiarito.
vedeva inizialmente solo una fase di ortostatismo passivo a 60° per 45 minuti. In fasi successive
fu aggiunto anche uno stressor farmacologico che si era dimostrato in grado di aumentare il nu-
mero di risposte positive senza compromettere la specificità del test. A tale scopo sono state pro-
poste diverse sostanze farmacologiche tra cui isoproterenolo (33), edrofonio (34), nitroglicerina
(35-37) ed adenosina (38).
Tilt test di lunga durata. Durata 45-60 minuti con angolo di inclinazione di 60° (39); i valori
di sensibilità e specificità ricavati da una metanalisi di vari lavori (30,39,40) sono risultati rispet-
tivamente del 44 e del 95% ; altri Autori (41,42) hanno riportano percentuali più basse di sen-
sibilità, comprese tra il 23 ed il 31%, probabilmente attribuibili a diversa selezione dei pazienti
con una riproducibilità di circa il 70% per i test positivi e del 75% per i test negativi (39, 43-45).
Tilt test di breve durata. Fu proposto nel 1988 da Abi-Samra (46) con una durata massima del-
la fase di ortostatismo passivo di 10 minuti e un grado di angolazione del lettino di 80 gradi. La
sensibilità che si otteneva era piuttosto modesta, di circa il 30% con valori di specificità del 90%.
Tilt test potenziato con isoproterenolo. Introdotto da Almquist (33) nel 1989 ha come raziona-
le quello di facilitare l’attivazione dei meccanocettori ventricolari (fibre C). La sensibilità del
test varia dal 39 all’87% (47) ma soprattutto varia la percentuale di risposte falsamente positive,
stimata tra lo 0 ed il 65% (47). Tale metodica presenta due importanti limitazioni (18): non è
fattibile, a causa di effetti potenzialmente pericolosi e di intolleranza, in una considerevole per-
centuale di pazienti, che raggiunge il 30% in quelli anziani, affetti da ipertensione arteriosa,
scompenso cardiaco o aritmie ventricolari; inoltre non è adeguatamente interpretabile nel 16-
24% dei casi in rapporto ad una precoce sospensione per comparsa di effetti collaterali.
Tilt test potenziato con nitroglicerina. Il razionale dell’impiego della nitroglicerina sta nel suo
potente effetto vasodilatatore sui vasi di capacitanza, che consente di ridurre ulteriormente il ri-
torno venoso durante il tilt test, facilitando quindi l’insorgenza della reazione vagale. È stato dap-
prima introdotto il test con la somministrazione di nitroderivati per via endovenosa (36). Ai fi-
ni di semplificare e accelerare l’esame è stata in un secondo tempo utilizzata la via di
somministrazione sub-linguale (35, 48) e più recentemente è stato introdotto nella pratica clini-
ca un metodo definito come “Il Protocollo Italiano” (49) .
Il Protocollo Italiano
Laboratorio diagnostico. Il test deve essere eseguito in ambiente tranquillo, con temperatura
confortevole ed illuminazione ridotta al minimo; deve essere evitata ogni rumorosità superflua.
Lettino da tilt test: è necessario un lettino inclinabile con escursione fino a +60 gradi dotato di
predella e di cinghie avvolgenti per il torace e gli arti inferiori allo scopo di facilitare l’assunzio-
ne passiva della stazione eretta.
Monitoraggio elettrocardiografico. Il ritmo deve essere monitorizzato per tutta la durata del test
con possibilità di stampare su carta il tracciato elettrocardiografico.
Preparazione dei pazienti. Gli esami sono eseguiti preferenzialmente alla mattina tra le 8.00 e
le 12.00 per evitare le fisiologiche oscillazioni circadiane del tono neurovegetativo. I pazienti de-
vono essere digiuni da almeno 12 ore; l’assunzione di bevande a base acquosa è invece libera fi-
no a 60 minuti prima dell’esame. Eventuali protesi dentarie mobili devono essere rimosse prima
dell’esecuzione del test. Se il paziente assumeva al momento della sincope spontanea farmaci
cardio o vasoattivi potenzialmente in grado di favorire le reazioni vasovagali è preferibile che il
tilt test sia eseguito senza sospensione del trattamento, allo scopo di riprodurre nel modo più fe-
dele le condizioni esistenti al momento dell’evento spontaneo.
È prevista una fase iniziale di stabilizzazione, una fase passiva o non farmacologica ed, in caso di
negatività, una fase farmacologica.
Fase di stabilizzazione. Periodo di 5 minuti durante il quale il paziente è monitorizzato sul let-
tino da tilt in posizione supina e durante il quale avviene una stabilizzazione emodinamica.
Fase passiva. L’angolo utilizzato è di 60° con una durata massima di 20 minuti.
Criteri di interruzione.
1. Completamento del protocollo in assenza di sintomi;
2. comparsa di sincope: il test viene definito positivo quando si osserva la comparsa di sincope
in associazione a ipotensione, bradicardia o entrambe, a rapida insorgenza (<5 minuti);
3. ipotensione ortostatica progressiva sintomatica protratta per più di 5 minuti senza causare sincope.
Modalità di interpretazione
Le differenti tipologie di risposte positive sono state descritte nel 1992 da Sutton e hanno dato
luogo alla classificazione VAsovagal Syncope International Study (VASIS) (57) recentemente mo-
dificata (58) (Tab. 16).
Nella nuova classificazione VASIS viene analizzata inoltre la fase presincopale. In base ad essa
sono stati identificati tre pattern: classico, disautonomico e ipotensione ortostatica progressiva (o
ipotensione ortostatica tardiva o intolleranza ortostatica).
Pattern classico. Rapida stabilizzazione della PA dopo l’assunzione della postura eretta o dell’as-
sunzione di nitroglicerina in assenza di cambiamenti o con minimi incrementi della PA diasto-
lica (PAD), che riflette una vasocostrizione simpatico-mediata; rispetto alla posizione supina in
questa fase la frequenza cardiaca aumenta. L’inizio della reazione vagale è determinata da una ra-
pida diminuzione della PAD che suggerisce un crollo del tono simpatico. La riduzione della fre-
quenza cardiaca coincide o segue immediatamente la diminuzione della PA: la sintomatologia
ha inizio in questa fase (Fig. 18).
Tab. 16 – Classificazione delle risposte positive al tilt test secondo la classificazione VASIS modificata.
Tipo 1: risposta mista Al momento della sincope vi è una riduzione del 10% della frequenza
cardiaca me essa si mantiene sempre superiore a 40 bpm o al di sotto
di 40 bpm per meno di 10 sec. La PAS può inizialmente salire ma cala
prima che la frequenza cardiaca inizi a scendere
Tipo 2A: risposta cardioinibitrice Al momento della sincope vi è una riduzione della frequenza cardiaca
al di sotto di 40 bpm per più di 10 sec. La PAS può inizialmente sa-
lire ma cala prima che la frequenza cardiaca inizi a scendere
Tipo 2B: risposta cardioinibitrice Al momento della sincope vi è una riduzione della frequenza cardiaca
al di sotto di 40 bpm e compare una asistolia ≥3 sec. La PAS può ini-
zialmente salire e cala contemporaneamente o successivamente al calo
della frequenza cardiaca
Tipo 3: risposta vasodepressiva La frequenza cardiaca sale progressivamente dall’inizio del test e non
scende mai più del 10% dal suo valore massimo. La PAS cala a valori
tali da causare sincope
Risposta esagerata Comparsa di sintomi, anche fino alla sincope, dovuti a risposta vasode-
pressiva pura o mista a insorgenza graduale e con lenta evoluzione
della fase prodromica (durata superiore a 5 minuti)
PAS = pressione arteriosa sistolica
HR 1 2
130
90
50
BP 1 2
1 2
150
110
70
1 2
Tilt 1 min S
Fig. 18 – Esempio di sincope vasovagale classica ad insorgenza durante la fase passiva del tilt test. Nella traccia in
alto è rappresentata la frequenza cardiaca, in quella inferiore la pressione sistolica, la diastolica e quella media. La
pressione arteriosa si stabilizza rapidamente dopo l’assunzione della posizione ortostatica senza modificazioni del-
la pressione diastolica per tutta la durata della fase preparatoria (circa 4 minuti); la frequenza cardiaca aumenta
immediatamente per poi stabilizzarsi. La linea verticale tratteggiata indica l’inizio della reazione vasovagale che è
caratterizzata all’inizio da fluttuazioni e da un lieve incremento della pressione diastolica, in assenza di modifica-
zioni della frequenza cardiaca. In seguito sia la pressione arteriosa sia la frequenza cardiaca rapidamente calano
determinando la comparsa di sincope. La durata complessiva della reazione vagale è di circa 4 minuti.
(HR = frequenza cardiaca; BP = pressione arteriosa; S = sincope)
Fase Fase
pre-sincopale sincopale
2 3
HR
110
90
30
2 3
BP 2 3
150
110
70
1 min TNG S
Fig. 19 – Esempio di sincope disautonomica vasovagale in corso di tilt test potenziato con nitroglicerina. Vie-
ne riportata solamente l’ultima parte della fase passiva dell’esame e la somministrazione di nitroglicerina.
Nella traccia in alto è rappresentata la frequenza cardiaca, in quella inferiore la pressione sistolica, la diasto-
lica e quella media. Si noti la mancanza di adattamento della pressione arteriosa all’assunzione della posi-
zione eretta, come nella forma di ipotensione ortostatica progressiva (vedi figura 20); la pressione sanguigna
cala lentamente e progressivamente per tutta la durata della fase pre-sincopale e sincopale senza variazioni
nella pendenza. Poiché cala maggiormente la pressione sistolica di quella diastolica anche la pressione diffe-
renziale diminuisce. Durante la fase pre-sincopale si verifica un incremento della frequenza cardiaca meno
evidente di quanto accade nella risposta classica. La linea verticale tratteggiata indica il momento di insorgen-
za della reazione vagale che, in questo caso, viene identificata solamente dall’incremento della frequenza
cardiaca.
(HR = frequenza cardiaca; BP = pressione arteriosa; TNG = trinitroglicerina; S = sincope)
Pattern disautonomico. Non è presente l’adattamento della PA alla posizione eretta per cui si
assiste ad un lento ma progressivo calo della PAD che inizia immediatamente dopo l’assunzione
della posizione eretta o dopo l’assunzione di nitroglicerina e continua fino all’inizio della reazio-
ne vasovagale. Rispetto alla posizione supina la frequenza cardiaca aumenta di una quota varia-
bile in questa fase. La reazione vagale inizia solitamente quando viene raggiunto un valore criti-
co di PA sistolica (PAS), a 70-80 mmHg e può essere allora apprezzato un più rapido declino
della PA e una riduzione della frequenza cardiaca o una stabilizzazione dell’aumento della fre-
quenza cardiaca stessa. Iniziata la reazione vasovagale essa diviene indistinguibile dal pattern
classico (Fig. 19).
Fase pre-sincopale
2 3
HR
110
90
30
2 3
BP 2 3
150
110
70
2 3
2 min
TNG
Fig. 20 – Esempio di ipotensione ortostica progressiva (o tardiva o intolleranza ortostatica) in corso di test con
nitroglicerina. Viene riportata solamente l’ultima parte della fase passiva dell’esame e la somministrazione di
nitroglicerina. Nella traccia in alto è rappresentata la frequenza cardiaca, in quella inferiore la pressione si-
stolica, quella diastolica e quella media. Si noti la mancanza di adattamento della pressione arteriosa all’as-
sunzione della postura eretta; la pressione sanguigna cala lentamente e progressivamente durante il test, co-
me nella risposta disautonomica, ma differisce da questa per la mancanza della reazione vasovagale. La
frequenza cardiaca continua ad incrementare fino alla fine del test. Il test si caratterizza per la presenza di
una prolungata fase presincopale (13 minuti) che presenta una durata superiore a quella delle altre due ri-
sposte. La pressione arteriosa sistolica scende al di sotto di 80 mmHg per più di 5 minuti e il paziente svilup-
pa sintomi da ipotensione ma non sincope, poi il test viene interrotto.
(HR = frequenza cardiaca; BP = pressione arteriosa; TNG = trinitroglicerina; S = sincope)
ra fino al termine del test. La PAS scende al di sotto di 80 mmHg per cui si sviluppano sintomi
pre-sincopali che durano diversi minuti ma non si assiste alla perdita della coscienza anche dopo
5 minuti dall’insorgenza dei sintomi e a questo punto il test viene interrotto (Fig. 20).
Il tipo di risposta al tilt test è scarsamente correlabile con quanto può essere registrato, in corso di
sincope spontanea, nei pazienti sottoposti ad impianto di loop recorder (59). Infatti nei pazienti che
al tilt test sviluppano una sincope VASIS 1 o 3 si possono documentare mediante loop recorder an-
che sincopi asistoliche in percentuali non trascurabile (36%); nei soggetti che hanno una risposta
cardioinibitrice asistolica al tilt test è invece documentabile al loop recorder una pausa asistolica con-
cordante nel 75%. Quest’ultimo riscontro, se confermato in studi ulteriori, potrebbe avere impli-
cazioni pratiche nella gestione della terapia.
TILT TEST
Classe Indicazioni Livello
di evidenza
I In pazienti senza malattia strutturale cardiaca l’induzione di ipotensione/bra- B
dicardia riflessa associata a sincope o progressiva ipotensione ortostatica
(con o senza sintomatologia) sono diagnostici, rispettivamente, di sincope
riflessa e di sincope da ipotensione ortostatica
IIa In pazienti senza malattia strutturale cardiaca l’induzione del riflesso di ipo- B
tensione/bradicardia senza la riproduzione della sincope può essere diagno-
stica di sincope riflessa
IIa In pazienti con malattia cardiaca strutturale, una causa cardiaca di sincope, C
aritmica o strutturale, deve essere sempre esclusa prima di considerare dia-
gnostico un tilt test positivo
IIa L’induzione di una perdita di coscienza transitoria in assenza di ipotensione C
e/o bradicardia deve essere considerata diagnostica di pseudosincope
psicogena
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7. Monitoraggio ECG
prolungato
Michele Brignole, Carlo Menozzi, Andrea Ungar
•••Sincope_I_236_bis:•••Sincope_I_236 18-09-2009 10:36 Pagina 93
Il monitoraggio ECG è una procedura per la diagnosi delle bradiaritmie e delle tachiaritmie inter-
mittenti. Attualmente sono disponibili diversi sistemi di monitoraggio: il monitoraggio Holter am-
bulatoriale di 1-7 giorni, il monitoraggio (fisso e telemetrico) in ospedale, il monitoraggio median-
te loop recorder esterno (LRE) ed impiantabile (LRI). L’event recorder non è utile per lo studio della
sincope dato che manca di memoria retrospettiva. Vantaggi, svantaggi e indicazioni comparative tra
Holter, event recorder, loop recorder esterno ed impiantabile sono riassunti nella Tab. 17.
In generale, il monitoraggio ECG è indicato solo quando vi è una elevata probabilità pre-test di
identificare un’aritmia responsabile della sincope. Le indicazioni, anche in confronto con i test
invasivi, verranno discusse in dettaglio nel capitolo 10.
Vantaggi, svantaggi e indicazioni comparative tra Holter, event recorder, LRE e LRI per lo studio del-
Tab. 17 –
la sincope inspiegata.
Holter Event recorder LRE LRI
Vantaggi basso costo; possibilità basso costo, facile da registrazioni ECG retro- registrazioni ECG retro-
di registrare aritmie usare; spettive e prospettive; spettive e prospettive;
asintomatiche registrazioni ECG solo possibilità di registrare registrazioni ECG ab-
prospettive automaticamente aritmie bastanza valide; capa-
asintomatiche cità di monitoraggio
fino a 36 mesi;
possibilità di registrare
automaticamente aritmie
asintomatiche
Svantaggi monitoraggio limitato a non indicato per lo stu- il monitoraggio non invasività; rischio di com-
1-7 giorni; le dimensio- dio della sincope dato può essere proseguito plicazioni locali nel sito
ni possono limitare le che manca di memoria oltre le 3-4 settimane; di impianto; costi più
attività che provocano retrospettiva è infatti necessario un elevati
le aritmie utilizzo continuo che ne
limita la comodità; re-
gistrazioni ECG di qua-
lità abbastanza scarsa
Indicazioni sintomi molto frequenti nessuna sincopi e presincopi a sincopi a cadenza <1
(giornalieri); pazienti cadenza settimanale, in mese, in pazienti a ri-
che non sono capaci di pazienti molto complian- schio cardiovascolare
attivare un dispositivo ti, a rischio cardiovasco- basso/intermedio, quan-
di monitoraggio ECG lare basso/intermedio do gli altri accertamenti
risultano non conclusivi
troversa. Comunque la documentazione di asistolia >3 sec dovuta ad arresto sinusale o a blocco
atrioventricolare parossistico (purché essa non avvenga durante il sonno o negli atleti allenati)
oppure di tachicardia parossistica veloce sopraventricolare o ventricolare (a frequenza >160
bpm per >30 battiti) sono in genere considerate sufficienti per una diagnosi molto probabile. In-
fine, l’assenza di aritmie al momento dell’episodio sincopale permette di escludere definitiva-
mente una causa aritmica, anche se la diagnosi specifica rimane ancora sconosciuta.
Holter ambulatoriale
La stragrande maggioranza dei pazienti hanno lunghi intervalli di tempo, misurabile in mesi o
anni, fra un episodio sincopale ed il successivo. Pertanto è improbabile che il monitoraggio Hol-
ter sia in grado di trovare una correlazione fra sintomo ed aritmia o uno degli altri criteri diagno-
stici descritti sopra. In una revisione sistematica dei risultati di 8 studi (1) eseguiti in pazienti
con sincope, solo il 4% di essi (range da 1 a 20%) ebbe una aritmia diagnostica.
Il vero valore diagnostico dell’Holter è probabilmente ancora più basso in popolazioni non sele-
zionate e probabilmente è dell’1-2%. Pertanto l’Holter è indicato solo nei pazienti che hanno
sincopi o presincopi molto frequenti (a cadenza giornaliera). Inoltre l’Holter può essere utile per
i pazienti che hanno un quadro clinico che fa sospettare una sincope cardiaca al fine di guidare
eventuali indagini ulteriori, ad esempio lo studio elettrofisiologico.
Il numero di episodi di PdCT e la loro frequenza sono i predittori di recidiva più importanti. La
Tab. 18 fornisce le percentuali di recidiva in giovani pazienti (<40 anni) senza perdita di co-
scienza (6), le Tabelle 19a e 19b forniscono le stesse probabilità osservate nella popolazione to-
tale dei pazienti con più di 40 anni, a basso rischio in accordo con la classificazione ESC (si ve-
da sotto) che furono arruolati negli studi ISSUE-1 e 2 perché affetti da sincope inspiegata o
sospetta sincope neuromediata (7-10).
Al contrario, l’età, il sesso, la risposta al tilt test, la gravità di presentazione clinica (6) e la pre-
senza o assenza di cardiopatia strutturale (11) hanno un valore predittivo minimo o assente e
pertanto non sono utili per la selezione del paziente.
Tab. 18 – Prognosi dei pazienti con età <40 anni con PdCT di sospetta natura sincopale (modificata da Sheldon [6]).
Numero di sincopi durante la vita Rischio di recidiva sincopale dopo l’episodio index
Rischio attuariale a 1 anno Rischio attuariale a 2 anni
1 10% 10%
2 19% 29%
≥3 40% 54%
≥6 43% 60%
Prognosi dei pazienti con diagnosi incerta e basso rischio con età >40 anni in relazione al numero
Tab. 19a –
di sincopi durante la vita.
Numero di sincopi Rischio di recidiva di sincope dopo l’evento index
durante la vita Rischio attuariale Rischio attuariale Rischio stimato
a 1 anno a 2 anni a 4 anni*
1-2 15,4% 19,7% 28,2%
3 36,5% 41,7% 52,2%
4-6 37,0% 43,8% 57,4%
7-10 37,5% 43,7% 56,2%
>10 44,3% 56,4% 80,7%
* assumendo un incremento lineare
Prognosi dei pazienti con diagnosi incerta e basso rischio con età >40 anni in relazione al numero
Tab. 19b –
di sincopi durante i due anni precedenti.
Numero di sincopi Rischio di recidiva sincopale dopo l’evento index
durante gli ultimi due anni Rischio attuariale Rischio attuariale Rischio stimato
a 1 anno a 2 anni a 4 anni*
1-2 22,8% 27,5% 37,1%
3 29,1% 35,7% 48,9%
4-6 43,0% 50,8% 66,3%
7-10 43,2% 48,8% 59,9%
>10 85,6% 98,1% 100%
* assumendo un incremento lineare
No aritmie
No aritmie 34%
33% Asistolia/ Asistolia/
Bradicardia Bradicardia
56% 58%
Tachicardia Tachicardia
11% 8%
Valore diagnostico: 35% (176/506 paz.) Valore diagnostico: 27% (106/392 paz.)
Fig. 22 – Valore diagnostico in pazienti con sincope inspiegata e LRI impiantato al termine del percorso diagnosti-
co convenzionale e in pazienti con sospetta sincope neuromediata e LRI impiantato precocemente dopo la valuta-
zione iniziale. La grande maggioranza degli episodi di asistolia/bradicardia erano sistolici in entrambi i gruppi.
lo raramente, suggerendo che essa è abbastanza specifica di sincope. Il valore diagnostico del LRI
è stato inficiato dal fallimento di documentare l’episodio sincopale tra il 5 e il 9% dei pazienti
(16% degli eventi) malgrado le attivazioni manuali ed automatiche del dispositivo (7,9,13).
La correlazione tra uno specifico reperto elettrocardiografico con la sincope spontanea può esse-
re considerata il gold standard diagnostico purché tale correlazione sia riproducibile in episodi
successivi. Ci sono pochi dati in letteratura al riguardo, soprattutto case report. Sommando insie-
me i dati dagli studi ISSUE-1 (7,8) e ISSUE-2 (10), 26 pazienti avevano almeno due episodi sin-
copali documentati mediante LRI, 9 dei quali dovuti ad un’aritmia: in 25 di questi il reperto du-
rante il secondo episodio era lo stesso di quello osservato durante la prima sincope. Questi dati
suggeriscono che, in una vasta maggioranza di pazienti, la presenza o assenza di una aritmia du-
rante la prima sincope documentata, può essere considerata un reperto diagnostico e che una de-
cisione terapeutica può essere intrapresa.Tuttavia, il numero delle osservazioni rimane ancora
piccolo e i dati dello studio ISSUE non possono essere considerati conclusivi.
Dall’esperienza iniziale in pazienti con sincope inspiegata, sembra che il LRI possa divenire lo
standard di riferimento da adottare quando viene sospettata una causa aritmica della sincope. In
particolare il LRI si è dimostrato utile nelle seguenti situazioni cliniche:
– pazienti con blocco di branca nei quali un blocco AV parossistico è probabile malgrado una
studio elettrofisiologico sia risultato negativo (9,18); in questi pazienti, il reperto più frequen-
te è un blocco AV intermittente che è stato rinvenuto mediante LRI nel 63% degli eventi do-
cumentati entro una mediana di 48 giorni (9); questi risultati sono stati recentemente confer-
mati nello studio B4 (18) nel quale un blocco AV intermittente è stato rinvenuto mediante
LRI nel 71% degli eventi documentati. Occorre tuttavia precisare che questi pazienti rappre-
sentarono solo il 33 ed il 34% rispettivamente dei pazienti sottoposti ad impianto di LRI, la-
sciando irrisolta la natura del meccanismo della sincope in quei pazienti che non ebbero reci-
diva sincopale durante il periodo di follow-up con il LRI;
– pazienti con cardiopatia strutturale nei quali una aritmia è probabile malgrado una valutazio-
ne cardiologica negativa (8,11,19);
– pazienti che hanno una diagnosi di verosimile sincope neuromediata dopo la valutazione ini-
ziale, risposta positiva o negativa al tilt test, quando la comprensione dell’esatto meccanismo
della sincope spontanea è necessaria per guidare una terapia specifica (10);
– pazienti con ipersensibilità senocarotidea cardioinibitoria quando la comprensione dell’esat-
to meccanismo della sincope spontanea è necessaria per guidare una terapia specifica (20);
– pazienti nei quali è stata sospettata una epilessia ma il trattamento è risultato inefficace (21)
e pazienti con diagnosi di epilessia certa con lo scopo di identificare aritmie cardiache indot-
te dalla crisi comiziale (22);
– pazienti con depressione maggiore e frequenti episodi inspiegati di perdita di coscienza con lo
scopo di escludere una causa aritmica della sincope (19);
– pazienti pediatrici nei quali è sospettata una causa cardiaca della sincope dovuta a cardiopa-
tia strutturale o anomalie elettrocardiografiche (23); in 89 pazienti provenienti da 6 piccole
casistiche, una diagnosi fu ottenuta nel 67% dei casi: il 33% di questi avevano una bradicar-
dia o un’asistolia al momento dell’evento registrato, il 23% una tachicardia ed il 43% non
avevano aritmie;
– pazienti anziani con cadute inspiegate per stabilire la natura sincopale dell’evento (24).
Risultati simili sono stati osservati quando il LRI è stato utilizzato in pazienti con sincope inspie-
gata al termine della valutazione convenzionale (7,12-15,17) e quando il LRI è stato inserito in
pazienti con sospetta sincope neuromediata in una fase precoce dopo la valutazione iniziale (10)
(Fig. 22). In entrambi i casi l’evento osservato più frequentemente è stata una asistolia prolun-
gata (dovuta ad arresto sinusale o blocco AV) con una durata media di 10-15 secondi.
Il valore diagnostico è risultato simile nei pazienti con e senza cardiopatia strutturale (incluso
ECG patologico): 58 vs 51% nello studio di Solano et al. (13), 45 vs 51% nello studio di Peza-
was et al. (19) e 39 vs 50% nello studio di Pierre et al. (17). Mentre i pazienti con e senza cardio-
patia strutturale avevano una incidenza simile di recidive sincopali, il loro meccanismo risulta-
va differente: i pazienti con cardiopatia strutturale avevano infatti più frequentemente blocco
AV parossistico o tachiaritmie mentre i pazienti senza cardiopatia avevano più frequentemente
bradicardia/arresto sinusale o assenza di aritmie; all’altro estremo, i pazienti con depressione
maggiore avevano solo raramente eventi aritmici (19). Più pazienti con cardiopatia strutturale
ricevettero infine una terapia guidata dal LRI.
Il valore diagnostico è risultato maggiore nei pazienti più anziani. In uno studio (25), i pazienti
con più di 65 anni avevano una incidenza di recidiva sincopale 2,7 volte maggiore rispetto a
quelli con più di 65 anni (56 vs 32%) ed avevano una probabilità 3,1 volte maggiore di avere
una aritmia al momento della sincope (44 vs 20%). Un’incidenza aumentata di bradicardia con
il progredire dell’età è stata notata anche da Krahn et al. (26).
Solano et al. (11) hanno stimato che circa il 5% dei pazienti che afferiscono per la valutazione
della sincope presso una struttura terziaria (che corrisponde al 28% dei pazienti con sincope in-
spiegata) hanno infine una indicazione all’impianto di LRI; il corrispondente fabbisogno di im-
pianti di LRI nella popolazione generale è stato stimato essere di 34 per milione di abitanti per
anno. Un’età media avanzata, una storia di sincope ricorrente a cominciare dalla mezza età o del-
l’età avanzata e frequenti traumi verosimilmente dovuti a presentazione senza prodromi caratte-
rizzavano la popolazione dello studio ISSUE-2 affetta da sospetta sincope neuromediata che ve-
niva sottoposta ad impianto di LRI (10). È stato stimato che questi pazienti rappresentano circa
il 9% dei pazienti con sospetta sincope neuromediata che giungono a valutazione medica (3). Se
questi pazienti venissero inclusi, il fabbisogno di impianti di LRI nella popolazione generale au-
menterebbe a circa 135 per milione di abitanti per anno.
lo studio ISSUE-2 (28), tra 11 eventi bradicardici non sincopali, solo 5 (45%) predicevano una
sincope bradiaritmica (2 sincopi da bradicardia e 3 da asistolia) mentre i rimanenti non presen-
tavano bradicardia al momento dell’evento sincope.
Per riassumere, l’assenza di un’aritmia significativa (inclusa la bradicardia sinusale) durante gli
episodi non sincopali (sia sintomatici che asintomatici) ha un basso valore predittivo per la dia-
gnosi del meccanismo della sincope. Per contrasto, la presenza di una asistolia o di una tachia-
ritmia primaria, sia come evento segnalato dal paziente sia come evento asintomatico attivato
automaticamente, predice generalmente il meccanismo della sincope, rinforzando la strategia di
considerare queste aritmie non sincopali come un reperto diagnostico. Il significato di questi re-
perti è in accordo ed è supportato da simili conclusioni tratte mediante altre forme di monito-
raggio ECG prolungato e riportate nelle Linee Guida correnti (30). Utilizzando i criteri di una
asistolia >3 sec o una tachiaritmia primaria ≥180 battiti per minuto di durata ≥32 battiti, nello
studio ISSUE-2 il valore diagnostico sarebbe aumentato del 9% (dal 26 al 35%) (31) e la dia-
gnosi sarebbe stata anticipata in media di 137 giorni (28).
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I loop recorder esterni (LRE), così come quelli impiantabili, sono dispositivi forniti di una memo-
ria retrospettiva (loop), che permettono la continua registrazione della traccia elettrocardiogra-
fica del paziente. Una volta superato il limite fisico della memoria, la nuova traccia viene sopra-
scritta sulla precedente. Questi dispositivi presentano una funzione di attivazione-paziente che
consente di registrare l’elettrocardiogramma in coincidenza dei sintomi ed una attivazione auto-
matica che consente di documentare gli eventi aritmici senza la partecipazione attiva del pazien-
te stesso. La memoria retrospettiva, che differenzia i LRE da gran parte degli event recorder capa-
ci solo di registrazione prospettiva, è uno strumento particolarmente utile per l’analisi dell’ECG
correlato a sintomi brevi e transitori di sospetta natura aritmica, la cui genesi rimarrebbe altri-
menti indeterminata.
Tutti i moderni LRE permettono la trasmissione dei dati tramite un Centro Servizi intermedio. La
trasmissione varia dal semplice sistema analogico ritardato su chiamata (Fig. 24), al più sofistica-
to sistema di telemetria continua a distanza, con trasmissione automatica Bluetooth wireless (Fig.
25). Al momento attuale non vi è un sistema di cui sia stata dimostrata la superiorità rispetto al-
l’altro. Il fallimento della registrazione elettrocardiogafica è influenzato da vari aspetti: dalla ca-
pacità del paziente di trasmettere un ECG di prova al centro di riferimento, dalla sua familiarità
con la tecnologia, dall’impatto emotivo dei sintomi; inoltre è stato dimostrato che i pazienti che
vivono da soli mostrano il maggior numero di attivazioni e trasmissioni inefficaci (1).
La Tab. 20 riassume le caratteristiche dei LRE diagnostici più comuni.
Fig. 24 – Un modello di LRE in cui la trasmissione Fig. 25 – Un modello di LRE in cui la trasmissione del-
trans-telefonica dell’ECG al centro aritmologico av- l’ECG ad un telefono cellulare (connessione Blue-
viene in modo analogico attraverso una normale li- tooth wireless) è automatica, in continuo o per even-
nea telefonica. Il dispositivo richiede un software per ti predefiniti. Dal telefono il segnale organizzato in
l’analisi. La trasmissione dell’ECG può avvenire an- report periodici predefiniti o urgenti, raggiunge il
che al momento della restituzione del dispositivo. servizio di aritmologia attraverso un Centro Servizi.
LifeStar ACT LRE Dipende dalla compliance 21 giorni di monitoraggio 1’ pre + 0,5’ post Asistolia e bradicardia di
LifeWatch del paziente recuperabile (totale 20’) durata programmabile
LifeStar LRE Dipende dalla compliance 10 min 1’ pre + 0,5’ post Asistolia e bradicardia di
LifeWatch del paziente (totale 9’) durata programmabile
eVolution LRE Dipende dalla compliance 30 min 6 eventi (totale 9’) Asistolia e bradicardia di
eCardio del paziente durata programmabile
3300 BT LRE Dipende dalla compliance 20 min 5 modalità pre-/ Asistolia e bradicardia
Vitaphone del paziente post-programma-
bili
King of the LRE Dipende dalla compliance 6 min 1-60 eventi Bradicardia (definita dal
Heart del paziente medico)
Instromedics
* La durata del monitoraggio è determinata da quella della batteria per i dispositivi impiantabili e dalla compliance dei pa-
zienti per i dispositivi esterni
Cambiamenti del ritmo e Sì (se applicabile) Memoria continua o loop di 24 ore; trasmissio- Dati sull’andamen-
della morfologia ne wireless (tempo reale) al personale che gesti- to della FC
sce i dati e, quindi, telefonica al Centro Servizi.
Trasmissione quotidiana + reports urgenti dal
Centro Servizi al medico
No Sì Trasmissione ECG automatica o di eventi prede- Possibilità di pro-
finiti attraverso connessione Bluetooth wireless grammazione re-
al Centro Servizi quotidianamente + reports ur- mota. Riassunto
genti dal Centro Servizi al medico reports quotidiani
No Sì (quando disponibile) Trasmissione al Centro Servizi (ritardata o a do-
manda) telefonica o via fax o via e-mail o quan-
do il dispositivo viene restituito.
Software locale per l’analisi.
No Sì Trasmissione ECG automatica di eventi predefi-
niti attraverso connessione Bluetooth wireless o
attraverso linea telefonica. Accesso sicuro ai dati
da parte dei medici
Tachicardia Sì Trasmissione ECG automatica di eventi predefi- Display e feedback
niti attraverso connessione Bluetooth wireless o acustico
attraverso linea telefonica. Accesso sicuro ai dati
da parte del medico
Tachicardia No Trasmissione ECG automatica di eventi predefi-
niti attraverso connessione Bluetooth wireless o
attraverso linea telefonica. Accesso sicuro ai dati
da parte dei medici.
Tachicardia (definita dal Sì Trasmissione telefonica (ritardata o a domanda)
medico) o attraverso Centro Servizi (fax, e-mail) o quan-
do il dispositivo viene restituito.
Software locale per l’analisi.
No No Trasmissione telefonica (ritardata o a domanda) Auto-trigger ECG
o quando il dispositivo viene restituito. quotidiano (15 min)
Software locale per l’analisi.
No No Trasmissione telefonica (ritardata o a domanda)
o quando il dispositivo viene restituito.
Indicazioni
I LRE hanno una utilità diagnostica limitata alla sincope, inferiore a quella dei LRI. Essi sono in-
dicati soprattutto nei pazienti con palpitazioni transitorie di breve durata, per le quali risulta dif-
ficile ottenere una documentazione con l’ECG standard e l’ECG dinamico secondo Holter. Nel-
l’esperienza di un singolo centro, per esempio, l’indicazione per palpitazioni è stata sei volte più
frequente di quella per sincope e presincope (vedi oltre).
In questo capitolo tratteremo separatamente le indicazioni per la diagnosi di sincope e palpitazioni.
Sincope
Conclusioni: sintomi ricorrenti (>1 mese) 8% Pre-sincope
6%
125 pazienti
Palpitazioni
86%
80 (64%) Correlazione
sintomi-ECG 73%
60%
50%
FU
55 (44%) 25 (20%)
30±16 giorni
Aritmie Assenza di aritmie
Sincope Pre-sincope Palpitazioni
Sintesi
– I LRE sono indicati nei pazienti con palpitazioni, pre-sincope o sincope ricorrenti (>1 episodio al mese)
ed assenza di criteri di alto rischio cardiovascolare, tali da richiedere ospedalizzazione immediata e
valutazione intensiva.
– I reperti del LRE sono diagnostici quando viene stabilita una correlazione tra sintomi ed aritmia. I reper-
ti del LRE escludono una causa aritmica quando non si osservano alterazioni del ritmo in presenza di
sintomi. Il significato delle aritmie asintomatiche rimane incerto, ed il monitoraggio andrebbe continua-
to fino alla documentazione dei sintomi che hanno motivato l’utilizzo del dispositivo.
– I LRE sono molto più utili nella diagnosi delle palpitazioni piuttosto che nella valutazione della sincope.
– Il valore diagnostico dei LRE è maggiore di quello dell’Holter.
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9. Monitoraggio ECG mediante loop recorder impiantabile: classificazione delle risposte ed interpretazione dei risultati 115
•••Sincope_I_236_bis:•••Sincope_I_236 18-09-2009 10:37 Pagina 116
Sleuth LRI 28 mesi 630 min 3+2 min Quando un intervallo R-R
Transoma è maggiore di quello della
frequenza cardiaca minima
impostata
Confirm LRI 3 anni 48 min (147 episodi) 1’-4’ pre + Asistolia e bradicardia,
DM2100 0,5’-1’ post (definite dal medico)
St Jude
Confirm DM LRI 3 anni 48 min (147 episodi) 1’-4’ pre + Asistolia e bradicardia,
2102 (a) 0,5’-1’ post (definite dal medico)
St Jude
* La durata del monitoraggio è determinata da quella della batteria per i dispositivi impiantabili e dalla compliance dei pa-
zienti per i dispositivi esterni.
a = non ancora disponibile sul mercato.
Modalità d’impianto
I LRI vengono posizionati sottocute, mediante una piccola incisura cutanea di circa 2 cm, nella
regione precordiale sinistra. La procedura viene eseguita in anestesia locale e non necessita di ri-
covero (Fig. 30). Una volta ottenuta una diagnosi, o quando la batteria risulta esaurita, il dispo-
sitivo viene rimosso dal paziente seguendo le stesse modalità dell’impianto.
Fig. 29 – Modalità di trasmissione in remoto dei dati registrati dal loop recorder impiantabile.
9. Monitoraggio ECG mediante loop recorder impiantabile: classificazione delle risposte ed interpretazione dei risultati 117
•••Sincope_I_236_bis:•••Sincope_I_236 18-09-2009 10:37 Pagina 118
Limiti
Il LRI ha alcuni limiti. Infatti, non sempre è possibile formulare una diagnosi precisa del tipo di
aritmia registrata. Per esempio, non sempre risulta facile operare, attraverso un’unica derivazio-
ne elettrocardiografica, una corretta diagnosi differenziale tra una tachicardia sopraventricolare
condotta con aberranza ed una tachicardia ventricolare, oppure differenziare tra loro i vari tipi
di tachicardia sopraventricolare. Inoltre, essendo il LRI solo un registratore elettrocardiografico,
esso non è in grado di rilevare altri parametri fisiologici utili nella diagnosi delle perdite di co-
scienza, per es. la pressione arteriosa. Pertanto, il LRI non permette sempre di distinguere con si-
curezza le bradiaritmie dovute ad un meccanismo riflesso, da quelle causate da una patologia in-
trinseca del sistema di conduzione cardiaco, con le conseguenti implicazioni prognostiche e
terapeutiche. Infine, altri possibili limiti dell’LRI sono quelli legati al rischio di malfunziona-
mento del dispositivo, alla sua mini-invasività ed alla strategia di monitoraggio prolungato (la
quale procrastina nel tempo la diagnosi e potenzialmente espone il paziente ai rischi legati alla
recidiva sincopale).
Dall’analisi dei dati degli studi ISSUE-1 e ISSUE-2, inerenti 590 pazienti con sincope, con e
senza cardiopatia, sottoposti ad impianto di LRI (9), è emerso però un quadro piuttosto tranquil-
lizzante: assenza totale di malfunzionamenti del dispositivo; bassa prevalenza di complicazioni
cutanee in sede di applicazione del LRI (1,4%); bassa prevalenza, durante il periodo di monito-
raggio, di traumi significativi correlati alla recidiva sincopale (1,7%). Comunque, al fine di ri-
durre al minimo le possibilità di eventi clinici avversi durante il periodo di monitoraggio, il LRI
non andrebbe prescritto nei pazienti con funzione di pompa depressa (frazione d’eiezione <35%)
e perciò a rischio di aritmie ventricolari maggiori e, nei pazienti con cardiopatia strutturale si-
gnificativa, andrebbe utilizzato solo dopo l’esecuzione di uno studio elettrofisiologico risultato
negativo o non dirimente (10).
9. Monitoraggio ECG mediante loop recorder impiantabile: classificazione delle risposte ed interpretazione dei risultati 119
•••Sincope_I_236_bis:•••Sincope_I_236 18-09-2009 10:37 Pagina 120
Fig. 31 – Tipo 1A, arresto sinusale al momento della recidiva di sincope spontanea.
Quadro A: trend di frequenza cardiaca della durata di 42 minuti. L’episodio sincopale dura 12 minuti. Dopo
un iniziale periodo di tachicardia, vi è una rapida bradicardizzazione. Quadro B: l’ECG espanso al momen-
to della sincope evidenzia una progressiva bradicardia seguita da pause sistoliche di 8 sec, 19 sec e 11 sec
e poi progressiva ripresa di un ritmo cardiaco normale. Tale pattern suggerisce una malattia intrinseca del si-
stema His-Purkinje, come osservato negli attacchi di Morgagni-Stokes-Adam.
14 sec
6 sec
1 sec
Fig. 32 – Tipo 1B, bradicardia sinusale seguita da blocco AV. Progressiva bradicardia sinusale fino a <30
bpm seguita da blocco AV (e prolungate pause ventricolari) con concomitante bradicardia severa. L’associa-
zione di blocco AV ed arresto sinusale suggerisce un meccanismo riflesso.
3 sec
Fig. 33 – Tipo 2, bradicardia. L’iniziale tachicardia sinusale a 90 bpm è seguita da bradicardia sinusale fino
a <30 bpm per >10 secondi.
9. Monitoraggio ECG mediante loop recorder impiantabile: classificazione delle risposte ed interpretazione dei risultati 121
•••Sincope_I_236_bis:•••Sincope_I_236 18-09-2009 10:37 Pagina 122
max
Frequenza m-1 min
200
150
100
50
0
13:12 21 min
07 sett
Fig. 35 – Tipo 3A. Non variazioni o variazioni <10% della frequenza cardiaca. Trend della frequenza cardiaca
durante 21 minuti di registrazione mediante loop. La frequenza cardiaca è approssimativamente 60 bpm e ri-
mane stabile durante il periodo di registrazione. Il triangolo ( ) indica il momento in cui il paziente attiva la re-
gistrazione dopo ripresa della conoscenza. Il pattern caratterizzato da assenza di variazioni significative della
frequenza cardiaca esclude la partecipazione di un riflesso cardiaco nella genesi della perdita di conoscenza;
questo significa che la sincope riflessa è anche improbabile, sebbene non possa essere definitivamente esclusa.
-1
200 Frequenza m
9. Monitoraggio ECG mediante loop recorder impiantabile: classificazione delle risposte ed interpretazione dei risultati 123
•••Sincope_I_236_bis:•••Sincope_I_236 18-09-2009 10:37 Pagina 124
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9. Monitoraggio ECG mediante loop recorder impiantabile: classificazione delle risposte ed interpretazione dei risultati 125
•••Sincope_I_236_bis:•••Sincope_I_236 18-09-2009 10:37 Pagina 127
Tradizionalmente molte indagini di laboratorio sono eseguite nei pazienti con sincope. Tipica-
mente i pazienti sono asintomatici al momento della valutazione diagnostica e la possibilità di do-
cumentare un episodio spontaneo è remota. Come conseguenza, la valutazione diagnostica si ba-
sa principalmente su considerazioni di fisiopatologia che possano spiegare la perdita di coscienza.
Questo modo di ragionare comporta necessariamente incertezza nello stabilire le cause della sin-
cope. In altre parole, la relazione causale fra le anomalie diagnostiche eventualmente riscontrate
e la sincope in un dato paziente rimane supposta ma non dimostrata. La percentuali di diagnosi
errate è elevata. Il vantaggio di tale strategia è che la diagnosi e la terapia sono immediate.
Documentare cosa avviene al momento della sincope è ovviamente lo standard di riferimento per
la valutazione diagnostica. Per i motivi suddetti questo può essere ottenuto per lo più solo con si-
stemi di monitoraggio prolungato (vedi cap. 7). Anche tale strategia ha numerose limitazioni. La
prima è che la tecnologia attuale non permette la registrazione di parametri al di fuori dell’ECG,
in particolare non permette la registrazione della pressione arteriosa e pertanto la diagnosi è limi-
tata a confermare o escludere una sincope aritmica. In secondo luogo la diagnosi è ritardata, an-
che per un lungo periodo, fintanto che non è possibile documentare una recidiva sincopale. Infi-
ne la strategia di monitoraggio implica la necessità di eseguire un’accurata valutazione del rischio
al fine di escludere i pazienti ad alto rischio di morte o di condizioni minacciose per la vita.
In conclusione, entrambe le strategie sono imperfette e hanno importanti limitazioni. Comun-
que, quando le probabilità di identificare una aritmia sono elevate, vi è un generale consenso che
il monitoraggio ECG sia da preferire al posto o prima delle indagini convenzionali di laboratorio.
La decisione se sia meglio eseguire subito indagini diagnostiche oppure se sia meglio attendere cercar-
do di ottenere una diagnosi certa è soprattutto legata alla valutazione del rischio nel paziente. Il per-
corso diagnostico proposto dalle recenti Linee Guida ESC (1) ed EHRA (2) è riportato nella Fig. 37.
In base a tali Linee Guida, i pazienti vengono stratificati come ad alto rischio oppure a basso rischio.
Valutazione iniziale
Fig. 37 – Il percorso diagnostico delle perdite transitorie di coscienza proposto dalle Linee Guida ESC (1).
PdCT = perdita di coscienza transitoria.
* Può richiedere indagini di laboratorio (eco, stress test, angio ecc.).
indagini convenzionali. Il gruppo di pazienti con LRI aveva una probabilità 6,5 volte maggiore
di arrivare alla diagnosi rispetto al gruppo convenzionale (43 vs 6%) durante un follow-up di 17
mesi. Ci sono stati 8 decessi nel gruppo LRI e 9 nel gruppo convenzionale. Un impianto preco-
ce del LRI immediatamente dopo la valutazione iniziale è stato eseguito anche nello studio IS-
SUE 2 in 392 pazienti con sospetta sincope neuromediata (12). I pazienti con cardiopatia strut-
turale severa sono stati esclusi. La diagnosi è stata ottenuta nel 26% dei pazienti durante un
follow-up mediano di 9 mesi. Durante il periodo dello studio 7 pazienti sono deceduti, nessuno
di questi per cause aritmiche (2 ictus e 5 cause non cardiovascolari). Traumi secondari importan-
ti correlati alla sincope si sono verificati nel 2% e traumi minori nel 4%.
In conclusione, tutti gli studi sopra riportati hanno mostrato che l’impianto del LRI può essere
eseguito con sicurezza in una fase precoce del percorso diagnostico a condizione che i pazienti a
rischio di eventi minacciosi per la vita siano attentamente esclusi.
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Punti chiave
– Le sincopi neuromediate sono tutte quelle condizioni causate da un riflesso che, quando innescato, pro-
voca bradicardia e/o vasodilatazione con contributo variabile delle due componenti all’ipotensione ed
all’ipoperfusione cerebrale. Le sincopi neuromediate sono la causa più frequente di perdita di coscien-
za nella popolazione generale ed hanno un significato prognostico benigno, sebbene possano essere
importante causa di morbilità e compromissione della qualità di vita. La sola anamnesi è sufficiente per
la diagnosi di sincope vasovagale classica e di sincope situazionale.
– Nei pazienti con sindrome seno carotidea e sincope vasovagale non-classica la diagnosi deve essere
confermata rispettivamente dal massaggio dei seni carotidei e dal tilt test.
– La terapia iniziale di tutte le forme di sincope neuromediata comprende la rassicurazione circa la beni-
gnità del disturbo e l’insegnamento di misure comportamentali atte a evitare le circostanze scatenanti o
favorenti.
– Le manovre isometriche di contropressione rappresentano un promettente approccio terapeutico nei pa-
zienti con sincope vasovagale ricorrente preceduta da prodromi.
– L’efficacia della terapia farmacologica in questa condizione è invece discussa e controversa.
– L’elettrostimolazione cardiaca permanente è riservata a pazienti selezionati, di età >40 anni, con sinco-
pe a meccanismo cardioinibitore ed episodi frequenti o complicati da trauma grave. L’elettrostimolazio-
ne cardiaca permanente costituisce la terapia elettiva della sindrome seno carotidea cardioinibitrice.
Definizione e classificazione
Il termine sincopi neuromediate (riflesse) identifica un eterogeneo gruppo di condizioni nelle qua-
li i riflessi cardiovascolari, che normalmente intervengono nel mantenimento dell’omeostasi
circolatoria, diventano iperattivi causando bradicardia e/o vasodilatazione con un contributo
variabile di queste due componenti all’ipotensione sistemica e l’ipoperfusione cerebrale respon-
sabili della PdCT. L’integrità del sistema nervoso autonomo è il requisito fondamentale di que-
ste situazioni che pertanto devono essere distinte dalle sindromi sincopali su base disautonomi-
ca. La classificazione delle sincopi neuromediate basata su criteri fisiopatologici e clinici è
illustrata nel capitolo 1.
La sincope neuromediata costituisce la causa più frequente di perdita di coscienza sia nella po-
polazione generale (21%) sia in popolazioni selezionate quali quelle di pazienti afferiti al DEA
(35-48%) o ai centri per lo studio della sincope (56-73%). La sincope neuromediata ha un signi-
ficato prognostico benigno quoad vitam e non si associa ad un incremento della mortalità in un
follow-up a lungo termine (2). La mortalità infatti è quasi vicina allo 0% e nessuno studio ha ri-
portato in questi pazienti casi di morte improvvisa in assenza di cardiopatia associata. Nonostan-
te questo la sincope neuromediata può essere responsabile di una rilevante morbilità, sia per le
conseguenze sulla qualità della vita che per le complicanze (traumi e fratture) secondarie alle ca-
dute provocate dalla perdita di coscienza.
Diagnosi
La valutazione iniziale, basata su accurata anamnesi, esame obiettivo ed ECG, riveste un ruolo
centrale nell’iter diagnostico e si propone due obiettivi:
– individuare anzitutto i pazienti senza cardiopatia strutturale ed ECG patologico nei quali la
causa di sincope risulta essere di natura neuromediata nella quasi totalità dei casi (3). Nei pa-
zienti con cardiopatia, la priorità nell’iter diagnostico invece deve essere data alle indagini
strumentali volte ad identificare una eventuale eziologia cardiogena della sincope, sebbene
anche in questa popolazione la causa più frequente di perdita di coscienza riconosca un mec-
canismo neuroriflesso (3). Una valutazione orientata a confermare una genesi neuromediata
della sincope sarà limitata solo a quei pazienti nei quali è stata esclusa con ragionevole certez-
za una genesi cardiogena della perdita di coscienza;
– ricercare quei dati anamnestici (si veda il cap. 2, Tab. 6) che, in una rilevante percentuale di
pazienti, permettono di giungere alla diagnosi eziologica della sincope in assenza di ulteriori
accertamenti clinico-strumentali.
Sincope vasovagale
Quando la perdita di coscienza è preceduta dai classici sintomi prodromici neurovegetativi (nau-
sea, vomito) e si verifica in concomitanza di eventi precipitanti quali paura, emozione, dolore,
strumentazione o ortostatismo protratto è possibile porre diagnosi di sincope vasovagale classi-
ca. La resa diagnostica della sola anamnesi è strettamente correlata alla selezione dei pazienti es-
sendo relativamente più bassa (13%) nei pazienti afferiti a centri per lo studio della sincope (3)
rispetto a quella dei pazienti valutati al DEA (36-38%) (4,5). Non è infrequente tuttavia che la
sincope vasovagale abbia manifestazioni cliniche non classiche cioè avvenga in assenza dei sin-
tomi prodromici o dei tipici fattori scatenanti-precipitanti. Questa circostanza si manifesta so-
prattutto nei pazienti anziani ed è attribuita alle modificazioni del tono neurovegetativo età-cor-
relate, all’amnesia per l’evento sincopale o a deficit cognitivi, tutti elementi che possono
contribuire a modificare la presentazione clinica della perdita di coscienza.
Se l’anamnesi non è sufficiente per la definizione diagnostica e sussiste il sospetto clinico di una
genesi vasovagale della sincope (assenza di cardiopatia, lunga storia di eventi sincopali) risulta in-
dicato il tilt test al fine di confermare la diagnosi. Obiettivo del test è quello di riprodurre in labo-
ratorio la sincope mediante uno stress ortostatico prolungato che, combinato con l’immobilizza-
zione, causa un sequestro di sangue negli arti inferiori. Questa situazione nei soggetti predisposti,
può evocare un riflesso di vasodilatazione e/o bradicardia con conseguente ipotensione e PdCT.
Sulla base delle esperienze acquisite, il protocollo che garantisce un accettabile tasso di positività
e una soddisfacente specificità prevede, dopo un periodo di osservazione in posizione supina di al-
meno 5 minuti, una fase di ortostatismo passivo su un lettino inclinato a 60-70° e dotato di sup-
porto per i piedi. La durata di questa fase può essere compresa tra 20 e 45 minuti. Se al termine
della fase di ortostatismo passivo non è stata riprodotta la sincope, si somministra nitroglicerina
300-400 μg sl e si prolunga l’osservazione per ulteriori 15 minuti. Il test viene considerato positi-
vo qualora si riproduca la sincope: il tipo di risposta viene definito sulla base delle modificazioni
della frequenza cardiaca e pressione arteriosa osservate durante il test secondo la classificazione
VASIS modificata (6). Il test eseguito con queste modalità ha un tasso di positività che varia dal
62 al 69% ed una specificità del 94-95% (1). In considerazione della possibilità di falsi positivi due
sono i parametri importanti da considerare nella interpretazione della risposta:
– la riproduzione della sintomatologia spontanea; qualora il paziente non riconosca la sintoma-
tologia riprodotta durante il test simile a quella spontanea si devono porre seri dubbi sul signi-
ficato diagnostico di un test positivo;
– una risposta vasodepressiva pura dopo nitroglicerina viene considerata aspecifica e di scarso
significato clinico.
Il tilt test risulta generalmente indicato qualora la presentazione clinica della sincope sia atipica
e l’anamnesi non permetta di raggiungere una definizione diagnostica. Il test non è di solito in-
dicato nei pazienti con primo evento sincopale o in quelli nei quali la diagnosi può essere posta
con l’anamnesi, a meno che non venga eseguito con l’obiettivo di tranquillizzare il paziente sul-
la natura e benignità dell’evento sincopale. Il test è sicuro e complicanze severe sono molto ra-
re. Fibrillazione ventricolare è stata descritta solo in pazienti con cardiopatia strutturale sottopo-
sti a test con potenziamento farmacologico mediante isoproterenolo. Una fibrillazione atriale
parossistica si può manifestare durante la fase sincopale ma ha uno scarso rilievo clinico e di so-
lito si risolve spontaneamente.
In considerazione della lunga durata e dei costi dell’esame recentemente è stato valutato se una
anamnesi quantitativa strutturata possa sostituire il tilt test nella diagnosi di sincope vasovagale.
È stato infatti proposto uno score, validato dai risultati del tilt test stesso, in grado di identificare i
pazienti con sincope vasovagale con un sensibilità dell’89% e specificità del 91% (si veda Cap. 3,
Tab. 7). Tuttavia questo strumento diagnostico deve essere verificato in popolazioni meno sele-
zionate e con range più ampio di età rispetto a quella studiata dagli Autori (7).
ta della pressione arteriosa sistolica ≥50 mmHg durante il massaggio seno carotideo in assenza di ri-
produzione della sintomatologia. Il significato clinico dell’ipersensibilità seno carotidea è dubbio in
quanto si rileva nel 17% dei soggetti normali, nel 20% dei pazienti con patologie cardiache o inter-
nistiche e nel 38% di quelli con patologia ostruttiva delle carotidi, in assenza di eventi sincopali. Il
massaggio eseguito con il metodo dei sintomi ha una bassa percentuale di complicanze (0,17%) qua-
lora siano stati esclusi i pazienti con storia clinica di pregresso TIA o stroke embolico.
Sincopi situazionali
Con questo termine si indicano tutte quelle forme di sincope neuromediata associate con parti-
colari situazioni (minzione, defecazione, tosse, ecc.) che fungono da eventi scatenanti. In alcu-
ne condizioni (es. sincope postminzionale o da tosse) l’attivazione di un riflesso ad origine da af-
ferenze periferiche provoca bradicardia e/o ipotensione con conseguente perdita di coscienza. In
altri casi (come la sincope del suonatore di tromba) il meccanismo prevalente è meccanico, de-
terminato da improvvise variazioni emodinamiche. A differenza delle altre forme di sincope
neuromediata, le sincopi situazionali si manifestano con una simile prevalenza nei giovani e ne-
gli anziani e costituiscono circa il 15% di tutte le cause di sincope nei pazienti afferiti al DEU
(5). Non sono state evidenziate caratteristiche cliniche specifiche che permettano di differen-
ziare sulla base dell’anamnesi le sincopi situazionali dalle altre forme di sincope neuromediata a
parte la specifica circostanza scatenante la perdita di coscienza. La diagnosi pertanto si basa
esclusivamente sul dato anamnestico di perdita di coscienza che si verifica durante o immedia-
tamente dopo minzione, tosse, defecazione, starnuto o deglutizione. La sincope da ipotensione
posprandiale rappresenta una particolare forma di sincope situazionale che colpisce esclusiva-
mente i pazienti anziani, e rappresenta circa l’8% di tutte le cause di sincope negli anziani istitu-
zionalizzati (12). L’ipotensione postprandiale costituisce un evento relativamente frequente nel
vecchio ed è secondaria al sequestro ematico nel circolo splancnico durante la digestione che,
non compensato da una adeguata vasocostrizione periferica, può causare una ipotensione sinto-
matica. Si definisce ipotensione postprandiale un calo della pressione arteriosa sistolica ≥20
mmHg che si manifesta entro due ore dall’inizio del pasto. L’anamnesi di sincope occorsa duran-
te il pasto o nelle due ore immediatamente successive può essere sufficiente per la diagnosi. Tut-
tavia l’ipotensione postprandiale costituisce solo il 50% delle cause di sincope occorse durante
la fase postprandiale. Nei casi dubbi il monitoraggio ambulatoriale della pressione arteriosa può
essere utilizzato per confermare la diagnosi mostrando un significativo calo pressorio durante la
fase postprandiale.
Manovre fisiche di contropressione. Questo nuovo approccio terapeutico di tipo non farmaco-
logico ha fornito risultati incoraggianti nei pazienti con sincope vasovagale ricorrente. Il razio-
nale deriva dall’osservazione, durante la fase presincopale del tilt test, di un marcato calo della
pressione arteriosa che generalmente precede la riduzione della frequenza cardiaca. In questa fa-
se una vigorosa contrazione isometrica dei muscoli degli arti impedisce il calo pressorio evitan-
do la sincope o ritardando la progressione verso la perdita di coscienza; questo effetto è mediato
dall’aumento del drive simpatico e dal conseguente incremento delle resistenze vascolari perife-
riche e dalla compressione meccanica delle vene negli arti inferiori e nell’addome. In ambito cli-
nico l’attuazione di tali manovre durante la fase prodromica della sincope vasovagale può far
abortire l’evento sincopale o ritardare la progressione verso la perdita di coscienza permettendo
così al paziente di assumere una posizione di difesa. Sono state validate tre manovre: l’hand-grip
(Fig. 38), l’arm tensing (Fig. 39) ed il leg crossing (Fig. 40). Il ricorso a queste manovre si è dimo-
strato efficace nel ridurre l’incidenza di recidive sincopali in uno studio prospettico multicentri-
co randomizzato (16). I pazienti erano in grado di attuare le manovre in oltre il 95% degli episo-
di e di far abortire la sintomatologia in oltre il 95% dei casi. Questo tipo di trattamento è facile
da attuare, affidabile, sicuro e ben accettato dai pazienti i quali acquistano inoltre fiducia sulla
capacità di poter controllare la sintomatologia. Nei pazienti di età >65 anni le manovre isome-
triche non hanno dimostrato una soddisfacente efficacia. Nel paziente anziano la frequente as-
senza di prodromi, la ridotta forza muscolare ma anche l’incapacità, nella fase presincopale, di es-
sere presente a se stesso e quindi di intraprendere qualsiasi iniziativa per evitare la sincope
rendono conto della scarsa efficacia di queste manovre.
Training ortostatico. Nei pazienti fortemente motivati con sintomi vasovagali ricorrenti, la pre-
scrizione di periodi progressivamente prolungati di postura eretta obbligata è stata proposta co-
me trattamento per ridurre le recidive sincopali. Il training ortostatico consiste nel mantenimen-
Fig. 38 – Hand grip: consiste nella contrazione volontaria e massimale di una palla di gomma (approssimati-
vamente del diametro di 5-6 cm) tenuta nella mano dominante per il tempo massimo tollerato o fino alla com-
pleta scomparsa dei sintomi.
Fig. 39 – Arm tensing: consiste nella massima contrazione isometrica tollerata delle due braccia ottenuta ag-
ganciando una mano all’altra e tirando contemporaneamente verso l'esterno per il massimo tempo tollerato
o fino alla completa scomparsa dei sintomi.
tazione della serotonina, ecc.). In genere, mentre i risultati sono stati soddisfacenti in studi non
controllati o controllati a breve termine con poche eccezioni, numerosi studi prospettici con-
trollati contro placebo sono stati incapaci di dimostrare un beneficio del farmaco attivo sul pla-
cebo con una singola eccezione.
Nella sincope vasovagale è stato ipotizzato che i beta-bloccanti, grazie al loro effetto inotropo
negativo, riducano il grado di attivazione dei meccanocettori associato a un’improvvisa riduzio-
ne del ritorno venoso e blocchino gli effetti di elevate concentrazioni di adrenalina circolante,
ma questa teoria non è stata supportata dai fatti. Il razionale per l’uso dei beta-bloccanti viene a
mancare in altre forme di sincope neuromediata e può risultare dannoso nelle sindromi da insuf-
ficienza del sistema nervoso autonomo. I beta-bloccanti possono aggravare la bradicardia nella
sindrome seno carotidea e in tutte le altre forme cardioinibitrici di sincope neuromediata. I far-
maci beta-bloccanti sono stati ritenuti utili in molti studi non controllati e in uno studio con-
trollato a breve termine, ma sono risultati inefficaci in cinque studi controllati con follow-up a
lungo termine e in uno studio controllato a breve termine. Pertanto l’evidenza non supporta l’ef-
ficacia dei beta-bloccanti (1). Poiché l’incapacità a mantenere un’adeguata vasocostrizione dei
vasi periferici è comune a tutte queste condizioni cliniche, sono stati proposti farmaci ad azione
vasocostrittrice. Gli unici farmaci valutati in studi randomizzati controllati sono stati l’etilefrina
e la midodrina. L’etilefrina è stata studiata in un braccio dello studio randomizzato controllato
contro placebo VASIS. Il farmaco si è dimostrato inefficace e il braccio dello studio è stato in-
terrotto (19). La midodrina al dosaggio compreso tra 5 e 15 mg in tre somministrazioni/die è ri-
sultata in grado di ridurre i sintomi e migliorare la qualità di vita in due studi aperti controllati
(20,21). Tuttavia i pazienti arruolati avevano sincopi con meccanismo prevalentemente vasode-
pressivo, le caratteristiche cliniche erano diverse da quelle dei pazienti con sincope vasovagale
classica e verosimilmente erano stati arruolati anche pazienti con sincopi su base disautonomi-
ca. Più recentemente Qingyou et al. hanno studiato 26 bambini con almeno tre episodi sincopa-
li per anno in uno studio randomizzato in aperto. Le recidive sincopali in un follow-up di 10 me-
si erano 20% nel gruppo trattato con il farmaco e 75% nel gruppo di controllo (22). Anche i
farmaci inibitori della ricaptazione della serotonina sono stati proposti per il trattamento di que-
sti pazienti. La paroxetina è risultata efficace in uno studio controllato contro placebo che inclu-
deva un gran numero di pazienti severamente sintomatici arruolati in una singola istituzione
(23). Al contrario la fluoxetina in un recente studio controllato contro placebo (24) è risultata
inefficace nel prevenire le recidive sincopali. Sulla base di questi dati pertanto allo stato attuale
non esistono evidenze sufficienti per utilizzare questi farmaci nel trattamento di questi pazienti.
Il fludrocortisone è uno steroide mineraloattivo correntemente utilizzato nel trattamento dei pa-
zienti con sindrome disautonomica. Attualmente è in corso un trial multicentrico randomizzato
controllato contro placebo (POST II) che ha l’obiettivo di valutare se questo farmaco risulti ef-
ficace anche nel trattamento dei pazienti affetti da sincope vasovagale ricorrente.
Tab. 23 – Efficacia dei diversi trattamenti e corrispondenti livelli di evidenza (elevato: derivato da molteplici trials
randomizzati o metanalisi; moderato: derivato da singolo trial randomizzato o da molteplici trials non rando-
mizzati; scarso: opinione derivata dalla pratica clinica).
Trattamento Efficacia Livello di evidenza
Modificazioni dello stile di vita
Incremento apporto di sodio e di liquidi Si Moderato
Esercizio fisico Controversa Scarso
Manovre fisiche Si Elevato
Training ortostatico
Tilt training Controversa Moderato
Training domiciliare No Elevato
Terapia farmacologica
Beta bloccanti No Elevato
Inibitori del reuptake della serotonina Controversa Moderato
Midodrina Si Moderato
Fludrocortisone Controversa Scarso
Elettrostimolazione cardiaca permanente
Pazienti non selezionati No Elevato
Refrattari ad altre terapie, con asistolia Controversa Moderato
effetto placebo negli studi dove il gruppo di controllo non ha ricevuto il pacemaker (26). I risul-
tati contrastanti osservati potrebbero essere attribuibili alla eterogeneicità dei criteri di arruola-
mento seguiti nei diversi studi. Nello studio VPS2 per esempio solo il 19% dei pazienti arruola-
ti aveva una riposta cardioinibitrice durante tilt test (27). Inoltre lo studio ISSUE (28) ha
dimostrato che non esiste una correlazione stretta tra pattern di riposta osservato durante Tilt test
e meccanismo della sincope spontanea e che pertanto il tilt test non rappresenta uno strumento
adeguato per la selezione dei pazienti che possono giovarsi di una elettrostimolazione. Sulla ba-
se di questi presupposti, nello studio ISSUE-2 (29) 392 pazienti con sospetta sincope vasovaga-
le alla valutazione iniziale e con severità clinica tale da richiedere un trattamento sono stati sot-
toposti ad impianto di loop recorder. Dei 102 pazienti con documentazione ECG durante sincope
spontanea, 53 hanno ricevuto una terapia guidata dal ritmo documentato al momento della sin-
cope spontanea (nella maggior parte dei casi pacemaker per sincope asistolica). Questi pazienti
hanno avuto una significativa riduzione delle recidive sincopali rispetto al gruppo di pazienti che
non hanno ricevuto una terapia specifica (10 vs 42%; p <,002). Attualmente è in corso lo stu-
dio prospettico randomizzato controllato in doppio cieco ISSUE-3 che si propone di definire se
l’elettrostimolazione cardiaca permanente sia in grado di prevenire le recidive sincopali nei pa-
zienti con sincope neuromediata di tipo asistolico documentata mediante loop recorder. In con-
clusione questo tipo di trattamento è riservato solo ad una minoranza di pazienti con sincope va-
sovagale: quelli di età >40 anni, con manifestazioni cliniche severe nei quali sia documentato il
meccanismo asistolico della perdita di coscienza e quando altri approcci terapeutici hanno falli-
to. La Tab. 23 schematizza l’efficacia dei vari trattamenti della sincope vasovagale.
Consigli pratici per il trattamento ottimale dei pazienti con sincope vasovagale. Tutti i pazien-
ti dovrebbero essere incoraggiati a incrementare l’apporto idrico e l’introito di sodio. Il paziente
dovrebbe assumere due cucchiaini aggiuntivi di cloruro di sodio/die e liquidi in quantità tale da
rendere le urine di colore pallido. Tutti i pazienti con sintomi prodromici dovrebbero essere edu-
cati ad eseguire la manovre fisiche di contropressione. Per i pazienti con prodromi scarsi o assen-
Terapia della sindrome senocarotidea. Il trattamento deve essere guidato dai risultati del mas-
saggio del seno carotideo. L’elettrostimolazione cardiaca risulta efficace nella sindrome senoca-
rotidea di tipo cardioinibitore o misto (1). Nella maggior parte dei casi viene preferita l’elettro-
stimolazione cardiaca bicamerale sebbene sia stato dimostrato che l’elettrostimolazione cardiaca
monocamerale ventricolare possa essere sufficiente in quei casi relativamente infrequenti in cui
manca sia una marcata componente vasodepressiva sia il cosiddetto “VVI pacemaker effect”. Non
esistono ancora studi randomizzati che valutino il trattamento della sincope seno carotidea nel-
la quale l’ipotensione è di origine prevalentemente vasodepressiva. Alcune terapie utilizzate per
la sincope vasovagale possono risultare di qualche beneficio; i farmaci vasocostrittori e il cloru-
ro di sodio sono i trattamenti più promettenti a riguardo, ma l’ipertensione supina rappresenta
un effetto collaterale. È stato dimostrato che una terapia vasodilatatrice cronica somministrata
per patologie concomitanti aumenta la suscettibilità alla sindrome seno carotidea. Pertanto, nei
pazienti predisposti si consiglia la sospensione o la riduzione del dosaggio di questi farmaci.
calo pressorio è correlato con l’assorbimento dei carboidrati e pertanto il ricorso a pasti con bas-
so contenuto glicidico può contribuire ad alleviare i sintomi. Poiché la rapidità dello svuota-
mento gastrico e dell’assorbimento intestinale dei glicidi costituiscono il principale determi-
nante della risposta ipotensiva, l’impiego dell’acarbosio, inibitore delle alfa-glucosidasi della
mucosa intestinale, si sta rivelando un promettente approccio farmacologico (30) che tuttavia
deve essere confermato da studi randomizzati su ampia casistica.
Terapia della sincope da nevralgia del glossofaringeo o del trigemino. In considerazione della
rarità di queste manifestazioni cliniche gli interventi terapeutici consigliati derivano da casi
aneddotici e dall’esperienza clinica di pochi centri di riferimento. Il trattamento farmacologico
con carbamazepina in alcuni casi può prevenire sia le crisi dolorose che gli eventi sincopali.
Quando tale approccio non è efficace si può ricorrere alla elettrostimolazione cardiaca perma-
nente nel caso in cui la sincope riconosce un meccanismo prevalentemente cardioinibitore. La
decompressione microvascolare del nervo può costituire una valida alternativa alla elettrostimo-
lazione cardiaca permanente in casi selezionati quando le sincopi riconoscono un meccanismo
predominante di tipo vasodepressivo o qualora la terapia farmacologica non riesca a controllare
le crisi dolorose (31).
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L’ipotensione ortostatica è definita come una diminuzione della pressione arteriosa sistolica di
più di 20 mmHg rispetto alla posizione sdraiata dopo aver assunto la postura eretta per almeno
tre minuti (1).
Essa rappresenta un importante problema sotto il profilo strettamente medico per la scarsa effi-
cacia dei presidi farmacologici, relativamente alla vita di relazione del paziente che vede la pro-
pria autonomia drasticamente ridotta e per i risvolti sociali ed economici che comporta. Infatti
l’ipotensione arteriosa spesso esita in episodi di perdita di coscienza con cadute a terra, possibili
gravi fratture e conseguenti menomazioni persistenti.
Invecchiamento
L’ipotensione ortostatica si osserva in meno del 7% dei soggetti anziani normotesi ma in circa il
30% degli anziani con multipatologia (5).
Le modificazioni fisiopatologiche che si associano al processo di invecchiamento e che predi-
spongono all’ipotensione ortostatica sono costituite da:
– alterazioni del riempimento diastolico ventricolare sinistro per disfunzione diastolica;
– alterazioni dei meccanismi che difendono dalla riduzione del volume intravascolare (5) costi-
tuiti da un incremento del peptide natriuretico atriale, una ridotta secrezione di renina, an-
giotensina e aldosterone, diminuita increzione di vasopressina durante ortostasi, ridotta sete
in seguito a deprivazione d’acqua;
– diminuita sensibilità barocettiva con conseguente ridotta risposta cronotropa allo stimolo
ipotensivo e ridotta responsività α-adrenergica vascolare (6). Infine i processi di autoregola-
zione vascolare cerebrale, costituiti da vasodilatazione della microvascolatura durante stimo-
li ipotensivi e vasocostrizione durante incrementi della pressione sistemica, possono essere al-
terati nell’anziano, ponendo il soggetto a rischio di ipoperfusione cerebrale.
Allettamento
Importanti modificazioni emodinamiche che concorrono a generare ipotensione ortostatica si
producono già dopo 24 ore di allettamento. Esse sono costituite inizialmente da una ridistribu-
zione del volume ematico dalla periferia al distretto “centrale” cardiopolmonare, con una conse-
guente riduzione relativa del volume plasmatico efficace, aumento del pre-load cardiaco, disten-
sione atriale destra e incremento nella liberazione di peptide natriuretico atriale. Quest’ultimo
ha effetto vasodilatatore, stimola la natriuresi favorendo l’eliminazione di Na ed acqua a livello
renale, promuovendo pertanto la riduzione ulteriore della volemia. L’insieme di questi fenome-
ni può portare ad una diminuzione della pressione arteriosa sistolica fino a 20 mmHg in posizio-
ne clinostatica e ad una marcata ipotensione ortostatica quando il soggetto si alza in piedi, fino
alla sincope. Un ulteriore meccanismo che riduce la tolleranza ortostatica è rappresentato dal ri-
modellamento ventricolare sinistro, osservato anche in giovani volontari dopo 14 giorni di al-
lettamento impiegando il modello clinico dell’head-down, cioè del soggetto sdraiato sul letto in-
clinato a –6° (7). Dopo tale modalità di allettamento, le modificazioni strutturali e la
conseguente riduzione delle dimensioni del ventricolo sinistro produrrebbero alterazioni funzio-
nali secondarie ventricolari con una notevole diminuzione della gittata pulsatoria e grave ipo-
tensione durante stimolo gravitazionale (7). Infine, l’allettamento prolungato genera rapida-
mente perdita della massa muscolare degli arti inferiori che a sua volta favorisce l’ipotensione
ortostatica particolarmente nel soggetto anziano e/o fragile (8).
Farmaci
Tre sono i principali meccanismi mediante i quali i farmaci sono in grado di produrre ipotensio-
ne ortostatica (9):
1. inducendo ipovolemia;
2. interferendo con la corretta risposta del sistema nervoso autonomo ed in particolare con i pro-
cessi di vasocostrizione arteriosa e venosa prodotti dal sistema simpatico in risposta allo sti-
molo gravitazionale;
3. inducendo una vasodilatazione diretta con diminuzione delle resistenze vascolari e del tono
venoso.
Numerosi sono i composti dotati di tale attività (9). Di seguito considereremo solo quelle fami-
glie di farmaci di più frequente impiego in medicina generale costituite da:
– Diuretici. Possono produrre ipotensione ortostatica mediante deplezione del volume ematico, parti-
colarmente nei soggetti suscettibili come coloro che sono affetti da disautonomia, che assumono far-
maci bloccanti il sistema nervoso simpatico (clonidina) o gli anziani. Relativamente a questi ulti-
mi, dopo 2 giorni di somministrazione di idroclorotiazide (100 mg al dì) è stata evidenziata una
importante ipotensione ortostatica in risposta ad un tilt test a 60° a differenza di quanto osservato in
un gruppo di individui giovani nei quali l’ipovolemia diuretico-indotta e lo stimolo gravitazionale
non si associavano a modificazioni pressorie significative rispetto alla posizione sdraiata (10).
– Bloccanti α-adrenergici e calcioantagonisti. I primi sono impiegati per il trattamento dell’ipertensio-
ne arteriosa e della ipertrofia prostatica (prazosina, terazosina), i secondi nell’ipertensione arte-
riosa (amlodipina, lacidipina, nifedipina, verapamile). I primi interferiscono con la stimolazione
recettoriale α-noradrenergica alterando quindi il segnale per la contrazione della muscolatura li-
scia vascolare, i secondi con la capacità di risposta vasomotoria allo stimolo nervoso simpatico.
La terazosina, un α1-bloccante selettivo, minimizza la risposta tachicardica riflessa che segue al-
l’ipotensione, favorendo l’azione della noradrenalina rilasciata a livello sinaptico sui recettori no-
radrenergici α2-presinaptici, la cui stimolazione riduce l’ulteriore liberazione di noradrenalina.
– Antidepressivi triciclici. Sono in grado di indurre ipotensione ortostatica in oltre il 78% dei sog-
getti di età superiore ai 60 anni. Il meccanismo d’azione dell’effetto ipotensivo sembra risie-
dere nell’azione bloccante α-adrenergica, nella capacità di interferire con il reuptake della no-
radrenalina e della serotonina, nell’azione concomitante colinergica che riduce la risposta
riflessa compensatoria tachicardica ed infine alterando presumibilmente a livello centrale le
risposte riflesse di attivazione nervosa simpatica, tra cui quelle di controllo vasomotorio.
– Nitrati. Hanno azione vasodilatatrice diretta che può generare significative ipotensioni orto-
statiche durante prolungata postura eretta o in associazione ai farmaci sopra menzionati, par-
ticolarmente nei soggetti più anziani.
– L-dopa. È il principale farmaco impiegato per controllare i disturbi motori nel morbo di Par-
kinson. Ha tuttavia un’azione anche sul sistema nervoso autonomo che regola l’apparato car-
diovascolare agendo sui neuroni α-adrenergici centrali. L’effetto finale è costituito da un in-
cremento dell’attività nervosa parasimpatica e riduzione di quella simpatica con conseguente
possibile ipotensione ortostatica.
L’ipotensione ortostatica può complicare alcune condizioni cliniche associate a neuropatia periferica
come il diabete mellito, l’alcolismo, la sindrome uremica. In queste condizioni l’ipotensione rara-
mente precede l’insorgenza dei disturbi legati alla neuropatia sensitivo-motoria ed è dovuta alla
concomitante disautonomia cardiovascolare. Nel caso del diabete mellito, l’entità della disautono-
mia può generare il quadro di “sindrome da denervazione cardiaca” caratterizzata da intolleranza
ortostatica e per sforzi di lieve entità, un incremento nel rischio di morte improvvisa ed ischemia
miocardica con assenza di dolore (15). La neuropatia periferica che si associa ad abuso di alcol può
accompagnarsi a disautonomia, come suggerito da un’alterata risposta alla manovra di Valsalva, e
ad un abituale eccessivo calo pressorio in posizione eretta in questi soggetti. Inoltre, ipotensione or-
tostatica è stata riscontrata fino al 75% dei pazienti con alcolismo di grado avanzato e concomitan-
te presenza di alterazioni nervose centrali alcol-dipendenti (encefalopatia di Wernicke) (16).
Una disfunzione del sistema nervoso autonomo con prevalente interessamento del neurone simpa-
tico post-gangliare produce un quadro emodinamico caratterizzato da ipotensione ortostatica in
assenza di concomitanti modificazioni riflesse della frequenza cardiaca.
In Fig. 41 sono mostrate le modificazioni della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa misu-
rata battito/battito con metodica fotopletismografica al dito della mano e dell’attività respiratoria
in un uomo di 56 anni affetto da ipotensione ortostatica idiopatica (Pure Autonomic Failure,
PAF), in posizione clinostatica e dopo tilt test a 45°. Si noti come lo stimolo gravitazionale si as-
TILT 45°
ECG
150
Heart Rate
b/min
0
150
Finapres
mmHg
0
150
Mean Finapres
mmHg
0
Resp
Fig. 41 – Effetti dello stimolo gravitazionale (tilt test a 45°) sulla frequenza cardiaca (heart rate), pressione ar-
teriosa battito/battito misurata con tecnica fotopletismografica (Finapres) e attività respiratoria (Resp) in un
soggetto affetto da ipotensione ortostatica idiopatica (Pure Autonomic Failure = PAF). Si noti il marcato calo
pressorio subito dopo il tilt test a 45° senza alcuna modificazione riflessa compensatoria della frequenza car-
diaca. Si noti inoltre l’assenza di variabilità spontanea della frequenza cardiaca ad indicare una globale per-
dita di modulazione neurovegetativa sul cuore.
0.4
200 140
SÂP [mmHg]
120 60
1400
r = 0.80 r = 0.53
soci ad una improvvisa ed importante diminuzione dei valori pressori (pressione arteriosa sistoli-
ca –50 mmHg) senza un incremento riflesso compensatorio della frequenza cardiaca. Inoltre, si
noti l’assenza di variabilità spontanea della frequenza cardiaca che suggerisce una perdita globale
di modulazione autonomica di questa variabile.
In tale sindrome il deficit di innervazione simpatica è suggerito da bassi valori di noradrenalina
plasmatica, dall’assenza di modificazioni pressorie dopo somministrazione di tiramina, un’amina
che provoca la liberazione di noradrenalina dalle terminazioni nervose simpatiche, e dall’osser-
vazione che l’infusione di farmaci agonisti α-adrenergici genera un esagerato incremento presso-
rio suggestivo di una denervazione α-adrenergica vascolare (16,17). Quest’ultimo fenomeno è
evidenziato in Fig. 42. Essa mostra dall’alto la serie dei valori di intervallo RR, della pressione ar-
teriosa sistolica battito/battito e la loro reciproca relazione in un soggetto affetto da PAF duran-
te somministrazione ev di fenilefrina, un composto agonista α-adrenergico. In posizione clino-
statica (grafici di sinistra), si noti il marcato incremento pressorio sistolico (+40 mmHg) che si
protrae nel tempo. L’importante ipotensione ortostatica durante tilt test a 45° riduce la risposta
pressoria successiva alla stimolazione α-adrenergica. Infine, l’assenza di bradicardia riflessa du-
rante incremento pressorio, suggerisce la concomitante presenza di un deficit funzionale vagale
cardiaco e dei meccanismi di controllo nervoso baroriflesso della frequenza cardiaca (16).
Problematiche peculiari
Coesistenza di ipotensione ortostatica ed ipertensione clinostatica
Si ritiene che più del 50% dei pazienti affetti da disfunzione a carico del sistema nervoso auto-
nomo con ipotensione ortostatica organica siano anche affetti da ipertensione arteriosa quando as-
sumono la posizione sdraiata. In tali soggetti, la presenza di ipertensione clinostatica complica l’ap-
proccio terapeutico all’ipotensione ortostatica perché limita l’utilizzo dei farmaci pressori e ne
condiziona l’impiego solo quando il paziente si corica (si veda anche il Cap. 5). È importante
sottolineare che l’incremento della pressione di filtrazione glomerulare prodotta dall’ipertensio-
ne clinostatica favorisce un incremento della diuresi notturna (diuresi pressoria) (18). Quest’ul-
tima concorre a mantenere l’ipovolemia dei soggetti con disautonomia, esacerbando con un
meccanismo vizioso il calo pressorio al cambio di posizione. Infine è stato recentemente docu-
mentato (19) che l’esposizione dei differenti organi e tessuti corporei ad elevati valori pressori,
pur limitatamente al periodo notturno, è in grado di indurre la comparsa di danni d’organo a ca-
rico del sistema cardiovascolare simili a quelli prodotti dall’ipertensione arteriosa essenziale.
I meccanismi fisiopatologici che sono alla base dell’ipertensione clinostatica nei pazienti con di-
sautonomia ed ipotensione clinostatica non sono completamente chiariti. Si ritiene tuttavia che
un ruolo importante sia svolto dalla possibile presenza in questi soggetti di una residua attività
nervosa simpatica diretta ai vasi arteriosi (20).
Nelle disautonomie i processi degenerativi che coinvolgono il sistema nervoso autonomo ed in par-
ticolare la sua branca simpatica avvengano lentamente, con una progressione nell’ordine di anni.
L’instaurarsi di una “denervazione cronica” comporta, come già accennato precedentemente, l’in-
sorgenza di una concomitante ipersensibilità dei recettori α-adrenergici post-sinaptici vascolari. Ta-
le “ipersensibilità da denervazione”, associata alla perdita della modulazione inibitoria barocettiva
descitta in queste sindromi (16), potrebbe indurre un incremento delle resistenze vascolari periferi-
che e conseguente ipertensione arteriosa, in presenza di una residua funzionalità nervosa simpatica.
Tale ipotesi è stata testata in una studio condotto da Shannon et al. (20) i quali hanno valutato in
un gruppo di soggetti affetti da differenti forme di disautonomia la risposta pressoria, di frequenza
cardiaca e dei valori di noradrenalina plasmatica successivi alla somministrazione di trimetafano
(farmaco bloccante ganglionare), di yohimbina (α2-agonista centrale che agisce incrementando
l’attività nervosa simpatica centrale ed il rilascio di noradrenalina periferica) e della fentolamina
(bloccante α-adrenergico). Nei pazienti affetti da atrofia multisistemica il blocco ganglionare ed α-
recettoriale produceva una diminuzione dei valori pressori e dei livelli di noradrenalina plasmatici
suggerendo l’esistenza di una residua attività nervosa simpatica. Inoltre, la somministrazione di yo-
himbina produceva un aumento pressorio più marcato nei pazienti nei quali il blocco α-adrenergi-
co aveva indotto maggiore ipotensione ad indicare l’esistenza di una residua capacità modulatoria
vascolare simpatica. È opportuno ricordare tuttavia che in alcuni dei pazienti affetti da ipotensione
ortostatica idiopatica (PAF) l’esposizione sia a farmaci bloccanti che stimolanti l’attività nervosa
simpatica non produceva significative modificazioni nei valori pressori né nei livelli plasmatici di
noradrenalina (20). Pertanto, negli individui nei quali la compromissione simpatica di regolazione
vascolare è massiva, altri meccanismi indipendenti dal sistema nervoso autonomo sembrano svolge-
re un ruolo etiopatogenetico. La natura di tali meccanismi è a tutt’oggi oscura.
Ipotensione post-prandiale
L’ingestione di cibo produce nell’individuo normale il rilascio di peptidi dal pancreas e dall’appa-
rato gastrointestinale ad azione vasoattiva che influenzano il comportamento emodinamico insie-
me al controllo nervoso autonomico. Ne risultano un incremento della frequenza e della gittata
cardiaca per verosimile attivazione simpatica cardiaca, una diminuzione globale delle resistenze va-
scolari periferiche senza modificazioni significative della pressione arteriosa. Nei pazienti affetti da
alterazioni degenerative del sistema nervoso autonomo, l’ipotensione ortostatica può associarsi ad
ipotensione post-prandiale grave, fino alla perdita di coscienza durante o subito dopo il pasto an-
che se il soggetto è in posizione seduta (5). Il fenomeno sembra essere più evidente dopo ingestio-
ne di ampie quantità di carboidrati. L’ingestione di caffeina (un caffè espresso) prima del pasto di
mezzodì si è mostrata efficace nel ridurre l’entità dell’ipotensione post-prandiale, verosimilmente
bloccando la vasodilatazione splancnica successiva al pasto mediata dall’adenosina (23).
Terapia
La terapia dell’ipotensione ortostatica prodotta da una contrazione del volume ematico è rivol-
ta all’eliminazione dei fattori che hanno portato all’ipovolemia stessa, nei casi in cui essi siano
identificabili e transitori e all’eventuale ripristino del volume intravascolare mediante infusione
ev di soluzione salina.
Nel caso del paziente allettato, la precoce mobilizzazione ed una fisiokinesiterapia motoria si è
dimostrata efficace nel ridurre l’entità dell’ipotensione ortostatica (8).
Il paziente con ipotensione ortostatica da disautonomia tende inevitabilmente a scivolare in un
circolo vizioso creato dalla incapacità di muoversi efficacemente e caratterizzato da diminuzione
progressiva di attività fisica, stanchezza, tendenza a rimanere seduto, peggioramento dell’ipoten-
sione ortostatica, ulteriore diminuzione della capacità prestativa motoria. Particolarmente nelle
prime ore del mattino, in concomitanza e subito dopo il pasto di mezzodì, il paziente segnala un
peggioramento della sintomatologia ed un incremento nel numero delle cadute poiché in tali
periodi risulta maggiore il calo pressorio non solo durante l’assunzione della posizione eretta ma
anche da seduto. Il mantenimento di una regolare attività fisica con cicli riabilitativi motori se-
guiti da un fisioterapista sono pertanto essenziali per opporsi a tale circolo vizioso.
L’utilizzo delle cosiddette manovre fisiche, basate sulla contrazione isometrica degli arti allo sco-
po di ridurre il pooling venoso agli arti e splancnico, aumentare il ritorno di sangue al cuore e in-
crementare la pressione sistemica in occasione dell’insorgenza dei disturbi pre-sincopali (25), si
140
PA sistolica (mmHg)
PA diastolica (mmHg)
115 FC (b/min)
• Minzione
90
65
-10 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100
Tempo (min)
Fig. 43 – Effetti della somministrazione di 480 ml di acqua sulla frequenza cardiaca e sulla pressione arterio-
sa misurata con sfigmomanometro brachiale ogni 2 minuti, in un paziente con grave disautonomia (PAF), stu-
diato in clinostatismo. È evidente un chiaro incremento della pressione arteriosa sistolica a partire dall’8° mi-
nuto dall’assunzione di acqua che tende a mantenersi per oltre 60 minuti, con valori massimi (+25 mmHg)
dopo circa 20 minuti.
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Punti chiave
– La sincope cardiaca è la seconda causa più frequente di sincope ed è in larga misura una problema-
tica dell’anziano.
– La sincope cardiaca può avere implicazioni prognostiche molto negative. Se il principio generale del
trattamento della sincope consiste nella corretta identificazione della causa al fine di poter pianificare
al meglio il trattamento specifico, nella sincope da causa cardiaca l’assunto è categorico. Gli obiettivi
del trattamento devono essere: la prevenzione delle recidive, la prevenzione dei traumatismi associati,
il miglioramento della qualità di vita e soprattutto la riduzione del rischio di morte. Questo spiega per-
ché in qualche misura i cardiologi sono divenuti negli ultimi 20 anni gli specialisti più impegnati nello
sviluppo di strategie di diagnosi e terapia della sincope.
– Molti elementi orientano verso una problematica aritmica come causa di sincope. In caso di incertez-
ze il monitoraggio ECG prolungato costituisce la metodica diagnostica elettiva. Il gold standard è ov-
viamente la dimostrata correlazione tra sintomo spontaneo e aritmia documentata, altri elementi quali
la presincope e aritmie “minori” possono essere utili surrogati per una diagnosi presuntiva. Quando si
sospetti una tachiaritmia e mancano i criteri delle Linee Guida per l’impianto di un ICD è necessaria
una valutazione completa compresa quella elettrofisiologica. In persistente assenza di diagnosi è da
considerare l’impianto di un loop recorder (LRI). Quando viceversa si sospetti una bradiaritmia intermit-
tente è necessaria una monitorizzazione ECG prolungata in ambito ospedaliero ed eventualmente una
valutazione elettrofisiologica. In persistente assenza di diagnosi è da considerare l’impianto di un LRI.
– Purtroppo la causa della sincope rimane inspiegata (nonostante una valutazione esaustiva) in molti pa-
zienti cardiopatici con caratteristiche cliniche di alto rischio di morte improvvisa. In questi casi è comun-
que necessario iniziare un trattamento specifico della cardiopatia indipendentemente da quello della
sincope al fine di ridurre il rischio di morte.
La sincope cardiaca (1) è una PdCT da (prevalente) riduzione della portata cardiaca dovuta a:
– aritmia:
• bradicardia (malattia atriale bradi o bradi-tachi, disturbo della conduzione atrio-ventricola-
re, malfunzionamento di dispositivo elettrico impiantato, bradicardia farmaco-indotta);
• tachicardia (tachicardia e tachiaritmia sopraventricolare, tachicardia ventricolare, tachia-
ritmia farmaco-indotta);
– alterazione strutturale:
• cardiaca (valvulopatia, ischemia miocardica acuta, cardiomiopatia ipertrofica, mixoma e al-
tre forme tumorali, tamponamento cardiaco, anomalia congenita delle coronarie);
• altro (embolia polmonare, ipertensione polmonare, dissecazione aortica).
Gli effetti di una aritmia (bradi o tachi) sulla pressione arteriosa sistemica sono conseguenti so-
prattutto a una brusca riduzione della portata cardiaca solo in qualche misura antagonizzata dai
meccanismi compensatori, riflesso simpatico vasomotorio ➛ sistema renina/angiotensina ➛ au-
toregolazione cerebrovascolare.
La modalità di presentazione (insorgenza improvvisa, parossismo) e il contesto in cui compare
(età, disfunzione ventricolare sinistra sia sistolica che diastolica, postura) sono più importanti
della frequenza (tachi) o della durata della pausa (bradi) nel determinismo dell’evento e sono tra
gli elementi fondamentali per la diagnostica differenziale con le altre forme di sincope.
Nel caso del blocco atrioventricolare di terzo grado intermittente, classico attacco di “Stokes-
Adams”, è naturalmente l’asistolia più o meno prolungata a interrompere bruscamente la perfu-
sione cerebrale. Nel caso della tachicardia sopraventricolare che insorge in un cuore struttural-
mente sano si postulano come meccanismi patogenetici la vasodilatazione riflessa causata
dall’improvvisa distensione delle pareti atriali e dalla vigorosa sistole a valvole chiuse. Nel caso
della fibrillazione atriale dell’anziano è soprattutto la disfunzione diastolica legata all’età a deter-
minare un insufficiente riempimento ventricolare e a mantenere quindi una portata adeguata.
Nel caso della tachicardia ventricolare secondaria a cardiomiopatia ipocinetica sono il deficit si-
stolico di base e la ridottissima riserva a spiegare l’evento.
Nelle condizioni di ostruzione per eccellenza, cioè la stenosi aortica severa e la cardiomiopatia
ipertrofica ostruttiva, il meccanismo patogenetico dell’evento non è tanto la riduzione brusca
della portata quanto o un’aritmia contestuale o un meccanismo riflesso attivato dai meccanocet-
tori localizzati nelle pareti ipertrofiche delle camere atriali e ventricolari.
Le cause cardiache di sincope sono al secondo posto per frequenza, dopo il meccanismo riflesso, pur
variando molto nei vari studi: si passa da un valore del 9,5% negli studi di popolazione di Framingham
a valori compresi tra 5 e 21% negli studi incentrati sugli accessi al Pronto Soccorso, a valori compre-
si tra il 6 e il 37% negli studi eseguiti in centri dotati di unità di diagnosi e cura dedicate della sinco-
pe (2-6). L’età ha un ruolo fondamentale nella prevalenza della causa cardiaca di sincope: si passa dal-
l’1,1% nella popolazione con età <40 anni, a valori del 3% nella popolazione con età comprese tra 40
e 60 anni, fino a valori compresi tra 11 e 34% nella popolazione con età >65 anni (7-9).
La diagnosi di sincope cardiaca aritmica viene fatta in circa la metà dei casi alla valutazione ini-
ziale essenzialmente mediante esecuzione di ECG standard, in quanto i pazienti presentano una
aritmia di per sé diagnostica (6,10). Essa è pertanto una diagnosi relativamente facile. Per una
definizione dettagliata dei criteri per la diagnosi alla valutazione iniziale si rimanda al capitolo 2.
Negli altri casi la diagnosi, sospettata alla valutazione iniziale, richiede di essere confermata o
esclusa mediante l’esecuzione di test. Il percorso diagnostico ed il significato dei test per la dia-
gnosi di sincope cardiaca sono trattati ampiamente nei capitoli 2 e 5.
Terapia
Gli obiettivi generali della terapia della sincope da causa cardiaca sono: prevenire le recidive, li-
mitare le conseguenze traumatiche, ridurre la mortalità. La priorità di intervento è legata al gra-
do di rischio individuale. Le sincopi dovute ad aritmie cardiache devono ricevere il trattamento
più appropriato in tutti i pazienti. Il pacemaker impiantabile, il defibrillatore impiantabile
(ICD) e l’ablazione transcatetere sono i trattamenti più efficaci per la maggior parte delle sinco-
pi aritmiche. I farmaci antiaritmici in genere non sono meno efficaci per prevenire le recidive
sincopali in tali pazienti con l’eccezione delle sincopi da esordio di fibrillazione atriale. Le sinco-
pi causate da aritmie iatrogene sono curate eliminando la causa sottostante responsabile.
Distingueremo due situazioni: terapia dei pazienti con sincope cardiaca da causa nota e terapia
dei pazienti con sincope inspiegata con profilo di rischio elevato per morte improvvisa
Disturbi della conduzione atrio-ventricolare. Sono soprattutto le forme avanzate di blocco AV,
parossistico o permanente, a determinare l’evento sincopale. In questi casi il ritmo cardiaco può
diventare dipendente da segnapassi sussidiari (spesso inaffidabili). La sincope è dovuta alla lun-
ga pausa che precede l’emergenza dell’attività del ritmo di scappamento. Inoltre, questi segna-
passi di scappamento hanno una frequenza relativamente bassa (da 25 a 40 batt/min) che può
determinare una caduta della portata cardiaca con conseguete sincope o presincope. La bradicar-
dia, inoltre, prolunga la ripolarizzazione e predispone alla tachicardia ventricolare polimorfa, so-
prattutto la torsione di punta. Anche se studi randomizzati specifici non sono mai stati eseguiti,
studi osservazionali hanno dimostrato miglioramento della sopravvivenza indotto dalla stimola-
zione permanente così come prevenzione delle recidive sincopali.
Nei pazienti con indicazione convenzionale al pacing ed evidenza di scompenso cardiaco con clas-
se NYHA avanzata e FE ≥35% può essere raccomandabile la stimolazione biventricolare (1,11).
Tachicardia ventricolare. Nel caso di sincope dovuta a tachicardia ventricolare, la terapia abla-
tiva è in genere indicata nel contesto di un cuore normale o di una lieve disfunzione della fun-
zione sistolica del ventricolo sinistro. La terapia farmacologica può essere utile in caso di cardio-
patia strutturale assente o lieve. Nei pazienti con funzione cardiaca depressa è raccomandato
l’impiego di ICD. Numerosi studi prospettici di trattamento forniscono l’evidenza dell’efficacia
dell’ICD in termini di rischio di morte rispetto a un approccio farmacologico convenzionale.
Sebbene questi studi non siano indirizzati direttamente ai pazienti con sincope, è ragionevole
estendere le osservazioni a quei pazienti con sincope nei quali sono evidenziate tachiaritmie
ventricolari e ridotta funzione ventricolare sinistra (1).
Sincope da alterazione strutturale cardiaca. L’obbiettivo del trattamento deve essere l’elimina-
zione del fattore causale. Purtroppo in molteplici situazioni la genesi è polifattoriale (emodina-
mica, neuromediata, aritmica) e non è facile identificare la terapia appropriata. In caso di steno-
si aortica severa o mixoma atriale il trattamento di elezione è quello chirurgico, nel caso di
ischemia acuta il trattamento è la rivascolarizzazione.
D’altra parte, quando la sincope è causata da alcune condizioni cliniche difficili da trattare, qua-
li l’ipertensione polmonare primitiva o la cardiomiopatia restrittiva, spesso è impossibile miglio-
rare adeguatamente la condizione clinica sottostante. Non esistono dati sull’effetto della riduzio-
ne del gradiente nel tratto di efflusso sulle recidive sincopali nella cardiomiopatia ipertrofica.
Scompenso cardiaco e depressione della funzione sistolica. Quei pazienti che hanno indicazio-
ne ad ICD in base alle raccomandazioni correnti delle Linee Guida, per esempio quelle delle so-
cietà europee ed americane (16), devono ricevere l’impianto indipendentemente dalla valuta-
zione del meccanismo della sincope. Questo è il caso ad esempio dei pazienti con cardiomiopatia
ischemica o dilatativa con bassa frazione di eiezione (<30%) e classe NYHA ≥2. Numerosi stu-
di osservazionali hanno valutato l’efficacia dell’ICD in popolazioni molto selezionate di pazien-
ti cardiopatici con grave disfunzione sistolica e sincope inspiegata. In genere tali studi hanno
evidenziato una elevata percentuale di pazienti con shock appropriati, il che suggerisce un po-
tenziale beneficio riguardo alla sopravvivenza (17-24). Una recente analisi dello studio SCD-
HeFT trial (15) ha dimostrato che una scarica appropriata di ICD è più probabile nei pazienti
con sincope; tuttavia l’ICD non fu in grado di prevenire le recidive di sincope né il rischio di
morte. In effetti, è noto da tempo che i pazienti con sincope e scompenso hanno un alto rischio
di morte indipendentemente dalla causa della sincope (25).
Cardiomiopatia ipertrofica. La sincope è un fattore di rischio maggiore nei pazienti con cardio-
miopatia ipertrofica soprattutto se è ricorrente o avviene durante sforzo fisico. La storia di sinco-
pe aumenta di cinque volte il rischio di eventi maggiori (morte o aritmie minacciose per la vi-
ta). Comunque, le cause di sincope, evento molto frequente, sono polifattoriali (bradi- e
tachi-aritmie sopraventricolari, alterazione emodinamica, meccanismo riflesso). La presenza o
l’assenza di altri fattori di rischio di morte improvvisa quali la familiarità per morte improvvisa,
frequenti episodi di tachicardia ventricolare non-sostenuta o ipertrofia importante possono aiu-
tare a determinare l’entità del rischio. Studi osservazionali hanno dimostrato che la terapia con
ICD è efficace nei pazienti ad alto rischio (26-29).
Displasia aritmogena del ventricolo destro. Costituiscono marker di rischio aumentato la giovane
età, l’estensione di malattia, l’interessamento del ventricolo sinistro, la tachicardia polimorfa, la fami-
liarità per morte improvvisa. Nei pazienti giudicati ad alto rischio vi è indicazione a impianto di ICD.
INDICAZIONI AD ICD NEI PAZIENTI CON SINCOPE INSPIEGATA AD ALTO RISCHIO DI MORTE IMPROVVISA
Classe Situazione clinica Livello Commenti
di evidenza
I Cardiopatia ischemica con grave compromissione sistolica A
o scompenso cardiaco in accordo con le raccomandazioni
delle Linee Guida correnti su ICD e CRT
I Cardiomiopatia non ischemica con grave compromissione si- A
stolica o scompenso cardiaco in accordo con le raccomanda-
zioni delle Linee Guida correnti su ICD e CRT
IIa Cardiomiopatia ipertrofica, nei pazienti ad alto rischio C Nei pazienti non ad alto
rischio considerare l’impian-
to di loop recorder
IIa Displasia aritmogena del ventricolo destro, nei pazienti C Nei pazienti non ad alto
ad alto rischio rischio considerare l’impian-
to di loop recorder
IIa Sindrome di Brugada con quadro ECG spontaneo di B In assenza di quadro ECG
tipo I spontaneo di tipo I consi-
derare l’impianto di loop
recorder
IIa Sindrome del QT lungo nei pazienti ad alto rischio B Nei pazienti non ad alto
in associazione con i β-bloccanti rischio considerare l’impian-
to di loop recorder
IIb Cardiopatia ischemica senza grave compromissione C Considerare l’impianto di
sistolica o scompenso cardiaco e negatività alla sti- loop recorder
molazione ventricolare programmata
IIb Cardiomiopatia non ischemica senza grave compro- C Considerare l’impianto di
missione sistolica o scompenso cardiaco loop recorder
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Il disturbo definibile come perdita di coscienza transitoria (PdCT) rappresenta un gruppo etero-
geneo di condizioni che possono essere catalogate come caratterizzate da una perdita di coscien-
za spontanea, a carattere transitorio ed a recupero completo. Viene, come è facile evincere,
omessa quella condizione patogenetica, ovvero la riduzione acuta del flusso ematico cerebrale,
che rappresenta la caratteristica peculiare della perdita di coscienza di natura sincopale. Appare
evidente, tuttavia, come dalla PdCT si debba partire per comprendere non solo gli aspetti noso-
grafici di quanto sincope non è, ma anche per verificare quali processi classificativi debbano es-
sere tenuti in considerazione in questo ambito, complesso e talora scarsamente definibile (e
quindi confondente sul piano diagnostico e terapeutico). È stato calcolato che una PdCT possa
interessare almeno una volta nella vita circa il 50% della popolazione, che essa rappresenti una
delle cause più frequenti di presentazione in Pronto Soccorso, riscontrandosi tra le cause di ac-
cettazione per il 3% dei casi e di ricovero ospedaliero nell’1-6% dei casi complessivamente affe-
riti alle strutture dell’emergenza-urgenza (1-6). La diagnosi tempestiva ed accurata di PdCT, pri-
ma ancora che di sincope, può anche essere (e spesso lo è) molto complessa in relazione alla
assenza di informazioni attendibili sulle caratteristiche dell’episodio oltre che sulla sostanziale
negatività dell’esame obiettivo al momento dell’arrivo in Pronto Soccorso. Formulare una ipo-
tesi diagnostica errata, può comportare, come è noto, l’esecuzione di un numero considerevole
di indagini del tutto inutili o inappropriate oltre che decisioni terapeutiche che si potranno ri-
velare del tutto inefficaci, quando non del tutto dannose.
Questo diventa particolarmente vero allorché si consideri che le cause principali di PdCT sono
le sincopi, le crisi epilettiche e le cosiddette pseudocrisi psicogene e che, ad esempio, la tipica
manifestazione di una crisi epilettica (ovvero le convulsioni) può essere mimata (e riferita dai te-
stimoni della PdCT) da manifestazioni motorie abnormi che si manifestano nel corso della sin-
cope o di una crisi psicogena (come ad esempio accade nella sincope “convulsiva”). L’errore dia-
gnostico che ne deriva è frequente e grave: si calcola che una diagnosi erronea di epilessia venga
fatta nel 15-30% dei casi di PdCT, con relativo ritardo nella identificazione delle possibili cause
cardiogene della stessa, o ancora che il quadro venga attribuito a condizioni cliniche non rile-
vanti ai fini prognostici e quindi che i pazienti vengano inviati al domicilio con relativo rischio
legato al possibile esito infausto della condizione patologica di cui la sincope era soltanto un sin-
tomo di allarme. Inoltre è noto come una diagnosi non corretta di epilessia in età infantile-ado-
lescenziale si può tradurre oltre che in trattamenti farmacologici protratti negli anni, in un chia-
ro danno per la qualità di vita della persona, per la quale quella diagnosi può essere causa di una
serie di limitazioni riguardanti la guida, la frequenza scolastica, il lavoro, i viaggi ecc.
La necessità di un adeguato setting diagnostico è, d’altronde, ribadito dai predittori prognostici,
del tutto differenti a seconda che si considerino le sincopi neuro mediate piuttosto che quelle
aritmiche, nelle quali il rischio di mortalità è 2-3 volte più elevato rispetto alle prime, a dimo-
strazione che l’identificazione precoce di pazienti ad alto rischio è indispensabile per la auspica-
ta riduzione della mortalità delle condizioni patologiche che possono avere nella PdCT il sinto-
mo sentinella.
L’importanza della valutazione specialistica neurologica (a differenza di quella psichiatrica) an-
che in urgenza, nasce da una serie di evidenze e dati epidemiologici, tra cui i risultati dello stu-
dio NEU (1), il quale ha documentato come il ricorso al neurologo per la diagnosi di “sincope”
in urgenza è particolarmente frequente, ma anche da recenti indagini effettuate su casistiche stu-
diate nel setting della emergenza/urgenza. In un recente studio canadese (7), sono stati appunto
valutate le diagnosi dei pazienti per i quali veniva richiesto dal medico d’urgenza il parere del
neurologo. In sei mesi consecutivi, tali richieste erano 493; di queste la visita neurologica porta-
va ad una conferma del sospetto clinico iniziale nel 60,4% dei casi (298/493), mentre nel 35,7%
dei casi questo non veniva confermato o era molto incerto. La diagnosi finale era comunque di-
versa rispetto a quella formulata dal medico dell’urgenza e dal neurologo nel 3,9% dei casi. Di
14. Valutazione neurologica e psichiatrica: differenziare la sincope dalla PdCT di natura neurologica 175
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particolare interesse è il fatto che le più comuni misdiagnosi riguardavano le sincopi neurocar-
diogene, la vertigine periferica, le cefalee e le sindromi psicogene, mentre le diagnosi iniziali era-
no, in questi casi, per lo più, quelle di stroke o di epilessia (7). La mancata valutazione neurolo-
gica in urgenza, d’altro canto potrebbe essere una delle cause per le quali un sistematico sforzo
educazionale basato sulla classificazione delle sincopi secondo le Linee Guida ESC non ha por-
tato ad una migliore definizione della casistica (451 pazienti nella prima fase; 524 nella secon-
da) (8) e la stessa valutazione neurologica durante il ricovero era comunque richiesta nel 48%
dei casi sia nella prima che nella seconda fase dello studio.
to ed appropriato il tipo di epilessia. È tuttavia importante rilevare come l’EEG standard presen-
ta sensibilità (20-91%) e specificità (13-99%) alquanto variabili, a causa dei non infrequenti ca-
si di falsi positivi (12), mentre sicuramente più affidabile appare il monitoraggio ambulatoriale e
la registrazione video-EEG.
È interessante notare come in una serie di 36 pazienti con una prima crisi epilettica, nessuno dei
14 con EEG positivo aveva presentato crisi nei 12 mesi successivi, mentre, al contrario, 6 dei 22
pazienti con EEG normale aveva mostrato una recidiva di crisi a 12 mesi (13). È interessante os-
servare, peraltro, come l’assenza di anomalie EEG di natura epilettica non induce il medico a
modificare la diagnosi o il trattamento antiepilettico precedentemente adottati. Sempre ai fini
di una adeguata valutazione dei rischi e dei benefici legati alla diagnosi o alla misdiagnosi di epi-
lessia è da sottolineare come il rischio di recidiva dopo una prima crisi epilettica appare, a due
anni, in una revisione relativa a 13 trial che hanno reclutato 1930 pazienti, pari al 42%. Una dif-
ferenza si riscontrava tra studi prospettici (36%) e retrospettivi (47%) ed i principali fattori pre-
dittivi della recidiva erano la natura della crisi ed il risultato dell’EEG (14). L’esordio focale o la
natura sintomatica ed un EEG patologico risultavano essere i predittori di recidiva anche in al-
tri studi di popolazione successivi, per i quali la frequenza di recidiva nei 5 anni successivi alla
prima crisi è del 34% (crisi idiopatiche 24%, sintomatiche remote 48%) (15).
Nel complesso, la diagnosi differenziale e l’approccio clinico specialistico nelle sincopi “confon-
dibili” con crisi epilettiche appare essenziale (Tab. 25) (8), anche per una più precoce definizio-
ne diagnostica, per la conseguente riduzione possibile di costi economici e sociali legati più spes-
so a misdiagnosi di epilessia o ai potenziali rischi connessi al trattamento (e di compromissione
della qualità di vita relativa) per l’intero arco della vita di un individuo.
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Fattori predisponenti • Durante un esercizio delle braccia Sindrome da furto della succlavia
(continua) • Palpitazione Cardiaca: aritmia
• Trasalimento (es. per allarme Sindrome da QT lungo
della sveglia)
• Visione di lampi di luci Epilessia con fotosensibilità
• Deprivazione di sonno Epilessia
• Calore Sincope riflessa, insufficienza autonomica
B. All’esordio dell’attacco
• Nausea, sudorazione, pallore “Attivazione autonomica”: sincope riflessa
• Dolore alle spalle, al collo Ischemia dei muscoli locali: insufficienza autonomica
(“Ad attaccapanni”)
• Sensazione crescente dall’ad- Aura epilettica
dome, di odore o sapore sgra-
devole, o altri fenomeni specifici
del soggetto, ma ricorrenti du-
rante gli attacchi
C. Durante l’attacco (relazione di testimoni)
Caduta • Caduta, ipertonia Epilessia fase tonica, raramente sincope
• Caduta, ipotonia Sincope (tutte le varianti)
Movimenti* • Inizio prima della caduta Epilessia
• Inizio dopo la caduta Epilessia, sincope
• Simmetrici, sincroni Epilessia
• Asimmetrici, asincroni Sincope, può essere epilessia
• Inizio all’esordio dello stato Epilessia
di incoscienza
• Inizio dopo l’esordio dello Sincope
stato di incoscienza
• Durata inferiore a 15 secondi Sincope più probabile dell’epilessia
• Durata di alcuni minuti Epilessia
• Ristretti ad un arto o ad Epilessia
un lato
Altri aspetti • Automatismi (masticare, Epilessia
schioccare la bocca,
battere le palpebre)
• Viso cianotico Epilessia
• Occhi aperti Epilessia o sincope
• Lingua morsicata Epilessia
• Incontinenza Epilessia o sincope
D. Dopo l’attacco
• Nausea, sudorazione, pallore “Attivazione autonomica”; sincope
• Lucidità mentale immediatamen- Sincope, ma anche epilessia
te dopo la ripresa di coscienza
• Confusione durante i minuti suc- Epilessia
cessivi la ripresa di coscienza
• Muscoli doloranti (da non con- Epilessia
fondere con contusioni locali)
• Stanchezza prolungata Sincope riflessa
* Il termine clonico nell’uso quotidiano è specifico per epilessia, mentre il termine mioclonico è usato per i movimenti
riscontrati durante le sincopi, incerte tipologie di epilessia e per descrivere movimenti post-anossici.
Il termine convulsioni è prevalentemente utilizzato per l’epilessia. Il termine mioclono ha scarsa connotazione con una
specifica causa ed è preferibile evitare di trarre subito conclusioni.
E. Disturbi antecedenti
• Inizio recente o cambio di terapie Disautonomia; possibile una aritmia
farmacologiche
• Storia di patologie cardiache Cardiaco: aritmia o patologia cardiaca strutturale
• Parkinsonismo Disautonomia primitiva
• Storia di epilessia Epilessia
• Storia di problemi psichiatrici Può essere psicogeno, ma occorre verificare se
insufficienza autonomica dovuta a terapie
• Casi di morte improvvisa in Aritmia
ambito familiare
• Uso di terapia farmacologica Insufficienza autonomica da farmaci, ipovolemia,
(anti-ipertensiva, anti-anginosa, aritmia
anti-depressiva, fenotiazine,
anti-aritmici, diuretici)
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Tab. 26 –Caratteristiche che supportano o che non supportano la diagnosi di MSA (modificata da Gilman S
et al. [16]).
Caratteristiche che supportano Caratteristiche che non supportano
la diagnosi di MSA la diagnosi di MSA
• Distonia oro-facciale • Classico tremore a riposo tipo pill-rolling
• Antecollo sproporzionato • Neuropatia clinicamente evidente
• Camptocormia (grave flessione anteriore della co- • Allucinazioni non indotte da farmaci
lonna vertebrale) e/o sindrome della Torre di Pisa • Esordio dopo i 75 anni di età
(grave flessione laterale della colonna vertebrale) • Storia familiare di atassia o parkinsonismo
• Contrattura di mani o piedi • Demenza (DSM-IV)
• Gasping • Lesioni della sostanza bianca suggestive di sclerosi
• Grave disfonia multipla
• Grave disartria
• Russamento recente o ingravescente
• Estremità fredde
• Riso o pianto patologico
• Tremore, scosse mioclonico-posturale/i/-attitudinale/i
MSA = atrofia multisistemica
DSM-IV = Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, IV Edizione
Tab. 27 – Caratteristiche addizionali per la diagnosi di MSA possibile (modificata da Gilman S et al., [16]).
Possibile MSA-P o MSA-C • Segno di Babinski con ipereflessia
• Stridore
Possibile MSA-P • Parkinsonismo rapidamente ingravescente
• Scarsa risposta alla levodopa
• Instabilità posturale entro i tre anni dall’esordio dei sintomi motori
• Andatura atassica, disartria cerebellare, atassia degli arti inferiori o disfun-
zione oculomotoria cerebellare
• Disfagia entro cinque anni dall’esordio motorio
• Atrofia del putamen, del peduncolo cerebellare medio, del ponte o del cer-
velletto alla MRI
• Ipometabolismo del putamen, del tronco o del cervelletto alla FDG-PET
Possibilie MSA-C • Parkinsonismo (bradicinesia e rigidità)
• Atrofia del putamen, del peduncolo cerebellare medio o del ponte alla MRI
• Ipometabolismo del putamen alla FDG-PET
• Denervazione presinaptica dopaminergica nigrostriatale alla SPECT o PET
MSA-P = atrofia multisistemica con predominante parkinsonismo
MSA-C = atrofia multisistemica con predominante atassia cerebellare
FDG = [18F] fluorodeossiglucosio
bile ad una insufficienza parasimpatica) definiscono il quadro clinico che può essere adeguatamente
trattato con la droxidopa, molecola di alfa-noradrenalina, decarbossilata nel neurone simpatico in
noradrenalina e così in grado di sopperire al deficit della sindrome correggendola completamente.
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disturbi neuro-cardiovascolari oltre che a condizioni che in qualche modo sono di difficile diagnosi
differenziale rispetto alle cadute, alle sincopi vasovagali, all’ipotensione ortostatica (18,19). La possi-
bilità di sovrapposizione e confusione tra cadute e drop attack aumenta in assenza di testimoni anche
a prescindere dalla concomitante presenza o meno di deterioramento cognitivo. È noto come in sog-
getti di età superiore ai 60 anni che vivevano in comunità, le cadute degli ultimi tre mesi erano ricor-
date soltanto dal 32% dei soggetti, nonostante del tutto normale fossero i punteggi all’MMSE (20).
Una amnesia per la perdita di coscienza in anziani con caduta è stata osservata in oltre l’80% dei pa-
zienti con perdita di coscienza nel corso di asistolia indotta da massaggio del seno (21) ed in un quar-
to dei pazienti con sindrome del seno carotideo a prescindere dalla modalità di comparsa della cadu-
ta (22). In un più recente studio condotto su 93 soggetti consecutivi, di età superiore ai 55 anni con
almeno tre episodi di tipo drop attack nei sei mesi precedenti (età media 77,4 anni, netta prevalenza
del sesso femminile, elevata numerosità di fratture a causa delle cadute indotta dagli episodi in anam-
nesi), il riscontro di cause neurologiche (parkinsonismo, atassia cerebellare, malattie cerebrovascola-
ri, disturbi cognitivi, disturbi vertiginosi “centrali”) rendeva ragione di circa il 30% degli episodi in
anamnesi definiti come drop attack, essendo seconda in ordine di grandezza rispetto alle cause “cardio-
vascolari” (ipersensibilità del seno carotideo, scompenso cardiaco, fibrillazione atriale, sincopi vaso-
vagali da farmaci, nitrati in particolare) e ad altre ancora confuse entità nosografiche o fattori causa-
li come instabilità posturale, farmaci, o condizioni non in grado di spiegare l’evento caduta.
La diagnosi di sincope e collasso è quella più frequentemente riportata, poi, in occasione dell’ac-
cesso in Pronto Soccorso presso l’Ospedale di Birmingham in uno studio che ha considerato gli
anni dal 2000 al 2007 e riguardante pazienti con demenza di Alzheimer (505 pazienti), demen-
za vascolare (283 pazienti) o di natura non determinata (1773 pazienti) (23). Questo dato sot-
tolinea come i ricoveri in urgenza dei pazienti con decadimento cognitivo non sono motivati
dalla malattia in sé, quanto da “complicanze” o comorbilità rappresentate anche da cadute a ter-
ra con o senza perdita di coscienza e che tuttavia sono da valutare accuratamente dal punto di
vista neurologico. Anche in questo capitolo, pertanto, una adeguata valutazione neurologica ap-
pare essenziale per un preciso inquadramento diagnostico in un contesto assolutamente difficol-
toso per l’assenza di dati anamnestici significativi.
Pseudosincopi psicogene
Analogamente ai drop attack, che non sono caratterizzati da alterazioni della coscienza, le condi-
zioni cliniche definite di volta in volta come pseudo-sincopi non epilettiche, convulsioni non
epilettiche (Non-Epileptic Seizures: NES), accrescono abitualmente la confusione terminologica
che vige intorno al concetto di sincope ed allo stesso tempo possono rappresentare elemento
confondente di diagnosi e di trattamento, farmacologico o non.
Le convulsioni non epilettiche psicogene rappresentano episodi caratterizzati da movimenti, sensa-
zioni, comportamenti (vocalizzazioni, pianto, altre espressioni di natura emotiva) simili a quelli ri-
scontrabili nell’epilessia, ma che non conoscono una natura neurologica come accade per le crisi
epilettiche. Le possibili manifestazioni convulsive possono mimare qualunque tipo di convulsione
epilettica, da quella generalizzata tonico-clonica a quella tipo assenza, alle crisi parziali semplici o
complesse (24). Queste condizioni patologiche, note sin dall’antichità, sono state a lungo annove-
rate sotto la definizione di isteria e definite da Charcot come isteroepilessia o isteria epilettica. Le con-
vulsioni non epilettiche in realtà vengono ancora, da alcuni Autori, distinte in fisiologiche (in que-
sto caso presentando le caratteristiche di natura che non le rende dissimili da altre condizioni come
le sincopi stesse, dall’emicrania complicata, dagli attacchi di panico e, al contempo, dagli attacchi
ischemici transitori) e psicologiche, allorché si presentano come manifestazioni di distress psicolo-
gico, collocandosi tra patologie come i disturbi di conversione o di somatizzazione, nei quali i sinto-
mi sono appunto di natura psicogena. I dati anamnestici (come ad esempio presenza o assenza di le-
sioni provocate dalla crisi, o di incontinenza, i test psicologici, l’EEG basale non sono ritenuti ele-
menti sufficienti a far porre la diagnosi di pseudo-sincopi psicogene. Soprattutto importante appare,
a fini diagnostici, la riproduzione in corso di monitoraggio video-EEG, di un episodio analogo a
quelli riportati in anamnesi. È interessante osservare come con questa metodologia sia stato possibi-
le osservare pseudo-sincopi o crisi non epilettiche nel 24% di pazienti afferiti ad un Centro specia-
lizzato nel trattamento della epilessia e precedentemente trattati come epilettici e seguiti da specia-
listi neurologi o psichiatri (25). Analogamente, l’analisi video-poligrafica è stata in grado di
identificare, ad esempio, in un soggetto anziano trattato da anni con antidepressivi triciclici per cri-
si di caduta a terra senza perdita di coscienza scatenati da stimoli emozionali ed interpretati come
pseudo-convulsioni, uno stato cataplettico risolto con successo con l’introduzione del citalopram e
la sospensione del precedente trattamento con clomipramina (26). La cataplessia, che insieme alla
eccessiva sonnolenza diurna, le allucinazioni ipnagogiche e le paralisi nel sonno, costituisce il qua-
dro sintomatologico proprio della narcolessia, è un evidente caso di possibile misdiagnosi alla quale
concorrono vari fattori (età, assenza di testimoni, dubbia perdita di coscienza in caso di trauma cra-
nico, dati anamnestici poco attendibili, scarsa compliance) e per la quale il trattamento, come nel ca-
so riportato era stato condotto in modo erroneo per oltre 20 anni. È evidente come per una precisa
definizione diagnostica siano necessari oltre all’inquadramento psichiatrico, una attenta e sistema-
tica valutazione delle condizioni familiari, sociali e, non ultime, finanziarie. Possono allora essere
identificati fattori causativi come stress acuti o situazionali, sintomi fisici di ansietà e/o panico, de-
pressione del tono dell’umore, scarsi rapporti interpersonali e disturbate dinamiche familiari, quadri
di natura francamente psicotica, schizofrenica o anche disturbi di natura somatoforme o di conver-
sione. Gli approcci terapeutici potranno essere specificamente basati su trattamenti farmacologici
eventualmente associati a psicoterapia di appoggio e chiarificazione.
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In letteratura il termine ipertensione clinostatica è utilizzato per definire un gruppo di pazienti che
presentano aumento della pressione arteriosa (superiore a 140 mmHg di sistolica e/o 90 mmHg
di diastolica) nelle rilevazioni in posizione distesa e riduzione significativa in ortostatismo (su-
periore a 20 mmHg per la sistolica e/o a 10 mmHg per la diastolica), tale da permettere la dia-
gnosi di ipotensione ortostatica (OH) (1,2). Questa associazione non è rara nella pratica quotidia-
na. Uno studio dedicato, condotto su una popolazione di ipertesi ambulatoriali raccolti in
cinque ospedali italiani, ha rilevato una sua incidenza nel 5,5 % della popolazione ipertesa (3).
Ha inoltre definito le caratteristiche demografiche dei pazienti affetti da tale associazione, indi-
cata con l’acronimo Hyp-Hyp: si tratta di pazienti con leggera prevalenza di maschi (M:F=1,4:1),
di età media di 58±16 anni, con range 18-87 anni.
Il fenomeno era già stato rilevato in ampi studi di popolazione come il NHANES II (4) e in stu-
di dedicati come lo SHEP (5). Si era registrata l’esistenza di una variazione clino-orto della pres-
sione arteriosa in popolazioni ipertese con incidenza variabile in funzione dell’età e dei valori di
pressione arteriosa. Il fenomeno si presentava in maniera significativa dopo i 45 anni raggiun-
gendo la sua maggior espressione dopo i 60 anni.
I pazienti con ipertensione clinostatica sono considerati essere affetti da disautonomia. In parti-
colare essi sono ripartiti in sottopopolazioni di pazienti affetti da Multiple-System Atrophy
(MSA), da morbo di Parkinson (MDP) o da Pure Autonomic Failure (PAF) (1,2,6,7). Probabil-
mente anche altre malattie possono essere inserite in questo elenco, in particolare la disautono-
mia che si associa al diabete mellito e alla amiloidosi.
Resta bizzarra la associazione di ipertensione clinostatica e di ipotensione ortostatica (Hyp-Hyp)
poiché i due segni appaiono opposti. Si deve quindi pensare che i meccanismi operanti nell’in-
durre l’ipertensione non siano efficienti nel mantenere elevati i valori di pressione quando il
soggetto è sottoposto all’ortostatismo o che, viceversa, il paziente, normoteso, non sia in grado
di controllare l’ipertensione in posizione distesa.
Le interpretazioni fisiopatologiche individuano nella ipervolemia o nella disfunzione del barori-
flesso (8,9) la causa della ipertensione e nella riduzione delle resistenze periferiche il motivo del-
la ipotensione in ortostatismo, a causa della condizione di ipofunzione simpatica (1).
In realtà tali interpretazioni non sono provate poiché manca la dimostrazione di una ipervole-
mia o di un aumento della gittata cardiaca in questi pazienti (10,11). I dati considerati consoli-
dati sono rappresentati da una ipofunzione del sistema renina-angiotensina-aldosterone e da una
bassa produzione di catecolamine clinostatiche nelle forme con diasautonomia (11).
In letteratura è stata valutata l’incidenza del fenomeno Hyp-Hyp. È opinione consolidata che ta-
le fenomeno non definisca una malattia di per sé (6) ma che sia presente in differenti condizio-
ni morbose. La discussione è inoltre allargata al problema se la ipertensione clinostatica sia sem-
pre associata a malattie disautonomiche o meno. È stato valutato che il 26% dei pazienti con
MDP e il 56% con MSA hanno ipertensione clinostatica (2,6).
Infine si deve considerare il rapporto fra fenomeno Hyp-Hyp e sincope. Non è nota l’incidenza
della sincope in tale popolazione ma lo studio EGSYS 2 ha individuato nella OH la causa del
10% delle presentazioni in Pronto Soccorso (12). Il dato non può essere mutuato poiché la po-
polazione Hyp-Hyp non è rappresentativa di tutti i pazienti con OH ma ne esprime solo una sot-
topopolazione. È però indicativo del ruolo che tale fenomeno può rappresentare all’interno del
sintomo sincope.
Se quindi l’ipertensione clinostatica non è necessariamente segno di disautonomia è possibile che i
pazienti con fenomeno Hyp-Hyp non siano esauriti all’interno delle malattie disautonomiche: essi
infatti sono una popolazione eterogenea per differente caduta della pressione arteriosa, variazione di
frequenza cardiaca e sintomatologia durante l’ortostatismo e hanno una variabile associazione con
patologie d’organo (ipertrofia ventricolare sinistra, encefalopatia vascolare cronica, sincope) (3). Se
quindi i pazienti Hyp-Hyp non sono una popolazione omogenea e sono solo accomunati da un’asso-
Diagnosi
Il primo step diagnostico è definire i valori di PA in clino e ortostatismo. La PA deve essere mi-
surata con adeguato bracciale all’omero, sia a destra che a sinistra, prima da disteso e successiva-
mente in piedi dopo tre minuti di ortostatismo. Il tempo fra l’assunzione della posizione eretta e
la misurazione è importante poiché permette di acquisire sensibilità (14). Inoltre sembra impor-
tante la posizione del braccio su cui è alloggiato il bracciale durante l’ortostatismo (15). I valori
di pressione arteriosa che definiscono l’ipertensione in clinostatismo sono quelli riferiti dalla let-
teratura (16) mentre la OH è definita come una variazione in meno di almeno 20/10 mmHg
(17).
Anche la variazione della frequenza cardiaca (FC) deve essere registrata poiché esprime un rile-
vante valore diagnostico. Per uguali valori di OH i soggetti con disautonomia presentano mino-
ri incrementi di FC rispetto ai non disautonomici (1) .
Successivamente in un work up improntato alla praticità e alla rapidità si deve prendere in con-
siderazione la esposizione farmacologica. Nella tab. 28 sono riportati i farmaci che più frequen-
temente sono causa di OH.
Il monitoraggio ambulatoriale della pressione arteriosa nelle 24 ore (ABPM) è uno strumento di
fondamentale importanza per il paziente anziano iperteso. Le sue funzioni sono schematizzate nel-
la Fig. 44. L’ABPM, la cui esecuzione è fortemente consigliata nelle Linee Guida proprio nel sog-
getto anziano (3), consente la somministrazione della terapia antipertensiva all’ora più corretta
(nella pratica clinica si tende a prescrivere i farmaci al mattino, appena il paziente si alza), la dia-
gnosi di ipertensione notturna o la mancata riduzione fisiologica della PA durante la notte.
La determinazione delle resistenze periferiche rappresenta l’ulteriore passo necessario. Si utilizza
la formula:
Il calcolo viene fatto sulla base della formula utilizzata per la pressione arteriosa (PA = resisten-
ze x gittata). A scopo pratico viene utilizzata la pressione arteriosa media (PA diastolica + 1/3
della PA sistolica/gittata), viene valutato lo stroke volume con metodo ecocardiografico e norma-
Controllo Ipertensione
pressorio notturna/non-dipper
Monitoraggio pressorio
delle 24 ore
Dizziness
lizzato per la superficie corporea. Facendo la valutazione in clino e ortostatismo si hanno due va-
lori confrontabili fra loro, diagnostici della variazione delle resistenze periferiche.
Il primo approccio diagnostico quindi prevede un work up rivolto alla esclusione o alla diagnosi
di disautonomia, considerando che il fenomeno Hyp-Hyp si presenta con frequenza maggiore in
questo secondo gruppo di pazienti.
Con questo obiettivo viene così riassunto un primo inquadramento nella Tab. 29.
Da questo momento in poi il work up diagnostico si avvale di test specifici rivolti alla definizio-
ne della disautonomia cardiovascolare. Vengono messi in atto una serie di test autonomici non
invasivi che richiedono un’attrezzatura specifica, anche se minima, e un laboratorio dedicato. I
test più comunemente impiegati, per la loro semplicità e relativa riproducibilità, sono la valuta-
zione della aritmia sinusale respiratoria durante il respiro controllato (6 respiri/minuto) e la ma-
novra di Valsalva (MdV). Nel primo caso si valuta il rapporto fra il più lungo intervallo RR e il
più breve (si considera patologico un E/I <1,2 ). I punti della MdV utilizzati per questa valuta-
zione sono rappresentati da una continua caduta durante la fase II e l’assenza di overshoot nella
fase IV. La Valsalva ratio esprime il rapporto fra gli intervalli RR della tachicardia più rapida del-
la fase II e quelli della bradicardia relativa nella fase IV. Per tutte le modalità di esecuzione del-
la prova si rimanda a testi specificamente predisposti.
La valutazione di questi semplici parametri fornisce già un orientamento definito, senza permet-
tere la diagnosi di malattia.
Nella Tab. 30 sono riportate le malattie primitive e nella Tab. 31 quelle secondarie che si asso-
ciano alla disautonomia.
Tab. 30 – Malattie degenerative primitive causa di disautonomia (da Freeman R modificata) (18).
Malattia Disfunzione autonomica Sintomi motori Altri sintomi o segni
MSA Severa, si manifesta come Parkinsonismo* (80%), Disartria, contratture,
segno precoce, sopravvi- sintomi cerebellari (20%) distonia, alterazioni
venza mediana 7-9 anni cognitive
Malattia di Parkinson Raramente severa, si ma- Parkinsonismo Disturbi della fase REM
nifesta tardivamente nel del sonno
corso della malattia, ac-
centuata dalla terapia
antiparkinsoniana
Demenza a corpi di Lewy Disfunzione autonomica Parkinsonismo La demenza precede o ac-
precoce compagna il parkinsoni-
smo, allucinazioni visive,
fluttuazioni della vigilanza
e delle alterazioni cognitive
PAF Disfunzione autonomica Non sintomi motori Nessuno
progressiva. Qualità di
vita e prognosi migliore
che nelle altre malattie
disautonomiche
* I sintomi di parkinsonismo sono: tremore, bradicinesia, rigidità e instabilità posturale.
MSA = Multiple System Atrophy; PAF = Pure Autonomic Failure.
Tab. 31 – Malattie autonomiche secondarie associate a disautonomia (Da Freeman R modificata) (18).
Malattia Segni e sintomi Commenti Test diagnostici
Diabete mellito Associato con polinevrite. La causa più frequente di di- Glicemia a digiuno e test da
La OH è precoce. Gastropa- sautonomia in Occidente carico di glucosio
resi, diarrea, stipsi, ritenzio-
ne urinaria e disfunzione
erettile si possono associare
Amiloidosi familiare Polinevrite con alterazione Compare nella terza-quinta Biopsia del grasso, della gen-
della sensibilità dolorifica e decade causata da deposi- giva o del retto. Test genetici
termica, sindrome del tunnel zione di proteine β-fibrillari
carpale. Alterazioni della nel tessuto nervoso periferico.
conduzione cardiaca. I casi possono essere
Opacità vitreali, pupille smer- anche sporadici.
late, ipertensione oculare
Amilodosi primitiva Polinevrite con alterazione Compare nella sesta-settima Biopsia del grasso, della gen-
della sensibilità dolorifica e decade, associata alla depo- giva o del retto. Rilievo di im-
termica, sindrome del tunnel sizione di catene leggere nel munoglobuline monoclonali
carpale. Alterazioni della con- tessuto nervoso periferico nel siero e/o urine
duzione cardiaca. Miocardio-
patia, macroglossia, organo-
megalia, sindrome nefrosica
Disautonomia familiare Anestesia termo-dolorofica, Disordine autosomico reces- Test genetici
risparmiata la sensibilità vi- sivo presente nella popola-
scerale, alacrimia, ridotti ri- zione ebrea Ashkenazi
flessi corneale e tendinei
Neuropatia immunomediata Gastroparesi, stipsi, ritenzio- Può rispondere alla terapia Presenza di anticorpi anti-
ne urinaria, sindrome sicca immunomodulante recettore nicotinico e acetil-
colinico, presenti anche nei
familiari
Sindrome di Sjogren Sindrome sicca, OH e inte- Le manifestazioni autonomi- Positività per anticorpi anti
ressamento viscerale che possono essere presenti Ro (SSA) e anti La (SSB)
anche in assenza di test
sierologici
Neuropatia paraneoplastica Possono essere precoci ri- Più frequentemente associata Rilievo di anticorpi anti Hu
spetto alla scoperta della a neoplasia polmonare a (anticorpi antineuronali,
neoplasia piccole cellule, neoplasie pol- contro le cellule di Purkinje)
monari non a piccole cellule, (PCA2)
gastrointestinali, della prosta-
ta, ovaio, mammella, testico-
lo, rene, pancreas e vescica
que evidenze sufficienti per affermare che questo tipo di ipertensione si associa a danno d’orga-
no, sia per quanto riguarda il danno miocardico che cerebrale (19). Il maggior determinante del-
la prognosi in questi pazienti dipende però dalla malattia causale. I pazienti disautonomici han-
no una prognosi peggiore dei pazienti senza disautonomia: fra questi quelli con MSA hanno una
vita media minore di dieci anni dall’inizio dei sintomi per cui la progressione della loro malattia
più che la disautonomia domina il loro quadro clinico e guida la terapia. Al contrario i pazienti
con PAF, che hanno prognosi migliore e sintomi legati alla malattia meno invalidanti, hanno
necessità di un controllo dei sintomi legati al fenomeno Hyp-Hyp. Per questi pazienti non vi so-
no dati che il controllo della sola ipertensione clinostatica o della sola OH migliori la prognosi.
Certamente ne è influenzata la qualità di vita.
Trattamento non farmacologico. Evitare la posizione distesa è il modo più semplice e forse anche
il migliore per ottenere il controllo della ipertensione clinostatica. Al paziente possono essere of-
ferte soluzioni di conforto come l’uso di poltrone reclinabili, utilizzabili anche per il riposo nottur-
no. In particolare vi sono evidenze che mantenere durante la notte una posizione inclinata con la
testa del letto rialzata (10-20 gradi) non solo riduca l’ipertensione ma migliori la OH riducendo
la natriuresi notturna per attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone (20).
Una serie di interventi non farmacologici da poter proporre al paziente in funzione della sua
compliance e della gravità della forma sono riassunti nella Tab. 32.
L’esercizio fisico dovrebbe essere raccomandato con lo scopo di evitare il decondizionamento ba-
roriflesso. Quando difficile per l’età o per l’ipotensione si può raccomandare una posizione semi-
seduta o distesa. Infine quando presente la ipotensione post-prandiale, a parte i consigli riporta-
ti in Tab. 33, si può proporre un riposo post prandiale di almeno due ore.
Trattamento farmacologico. Il controllo della ipertensione clinostatica può e spesso deve essere
limitato solo alle ore notturne. Tutti gli antipertensivi peggiorano la OH per cui si ricorre a far-
maci short acting. Farmaci di elezione sono i nitroderivati o farmaci vasodilatanti utilizzabili per
via trans dermica così che la loro somministrazione possa essere interrotta al momento del risve-
glio e della ripresa delle attività quotidiane (1). La via orale può essere utilizzata per le stesse mo-
Interventi non farmacologici utilizzati nel trattamento della ipotensione ortostatica (modificata da
Tab. 32 –
Freeman R, 18).
Interventi Commenti
Muoversi lentamente e gradatamente Il tempo è necessario per permettere adattamenti
posturali
Evitare tosse, manovra di Valsalva e tutto ciò che au- Diminuiscono il ritorno venoso al cuore e riducono la
menta la pressione intratoracica gittata cardiaca
Evitare il decubito prolungato Accentua la ipotensione ortostatica
Proporre esercizio isotonico Aumenta il ritorno venoso
Favorire le contromanovre: cross legs, squatting, Riducono il pooling ematico periferico e aumentano
contrazioni muscolari isometriche statiche il ritorno venoso
Cessare o ridurre i farmaci ipotensivi Può essere necessario accettare un certo grado di
ipertensione clinostatica per migliorare la ipotensione
ortostatica
Indossare abiti aderenti ed elastici, calze e cinture Ridurre il pooling ematico nelle gambe e nell’area
compressive sull’addome splancnica (scarsamente efficace)
Ridurre la ipotensione post-prandiale Pasti piccoli, a basso contenuto di carboidrati, senza
alcol, assunti in posizione semidistesa
Aumentare l’assunzione di liquidi e sale 10 g/die di sodio e 2-2,5 litri di acqua/die sono
raccomandati
Bere rapidamente acqua Mezzo litro di acqua bevuto rapidamente aumenta
la pressione arteriosa in 5-15 minuti
Tab. 33 – Farmaci usati nel trattamento della ipotensione ortostatica (modificata da Freeman R, 18).
Farmaco Azione Dosaggio Effetti collaterali Commenti
Espansione di volume
9-α-fluoroidrocortisone Aumenta il riassorbi- 0,05-0,3 mg/die Ipertensione clinosta- Non in commercio in
mento renale di sodio, tica, edemi, ipokalie- Italia
espande i volumi cir- mia, iperglicemia
colanti e sensibilizza i
vasi di resistenza al-
l’azione delle cateco-
lamine
Farmaci vasocostrittori
Midodrina Agonista α1 diretto 2,5 -10 mg/4 volte/die Reazioni pilo-motrici, Evitare l’assunzione
prurito, ipertensione prima del riposo
clinostatica, bradicar- notturno
dia, ritenzione urinaria
Pseudoefedrina Agonista α1 diretto e 30-60 mg/3 volte/die Ipertensione clinostatica, Evitare l’assunzione
indiretto tachicardia, effetti sul prima del riposo
sistema nervoso centra- notturno
le (ansia, tremori),
aritmie
Efedrina Agonista α1 diretto e 25-50 mg/3 volte/die Ipertensione clinostatica, Evitare l’assunzione
indiretto tachicardia, effetti sul prima del riposo
sistema nervoso centra- notturno
le (ansia, tremori),
aritmie
Agenti supplementari
Desmopressina Agisce sui recettori V2 Spray nasale Iponatriemia e intossi- Monitorizzare la
dei dotti collettori e (5-40 µg/die) oppure cazione da acqua natriemia
provoca riassorbimen- formulazione orale
to di acqua (espansio- (100-800 µg/die)
ne di volume)
Eritropoietina Corregge l’anemia 25-75 U/kg s.c. Ipertensione, policitemia Supplementi di ferro
normocitica associata 3 volte/settimana fino
alla disautonomia e a normalizzazione
aumenta il volume ematocrito
circolante e la vasoco-
strizione
Piridostigmina Inibitore delle colino- 30-60 mg/3 volte/die Scialorrea, iperperistal-
esterasi potenzia la si, nausea, vomito,
neurotrasmissione crampi muscolari
simpatica
lecole con somministrazione serale di farmaci ad emivita molto breve (nifedipina). I vasodila-
tanti sono poco utilizzati nel trattamento della ipertensione essenziale a causa della loro capaci-
tà di attivare il baroriflesso e il sistema renina-angiotensina. Nei pazienti con disautonomia que-
sti effetti collaterali non si verificano per le frequenti alterazioni fisiopatologiche che li
caratterizzano (8,9) per cui tali farmaci rappresentano la migliore risposta. Si possono tentare
anche ACE-inibitori ed i sartani a breve emivita, utilizzando bassi dosaggi, il che ne limita tem-
poralmente l’effetto farmacologico (21).
La scelta del farmaco può essere difficile poiché la loro efficacia è limitata e gli effetti collatera-
li sono dose-dipendenti. La midodrina è il farmaco più utilizzato, se pure la sua efficacia è condi-
zionata all’uso di dosi piene e refratte (Tab. 33). Si è dimostrata più efficace della epinefrina (22)
e può essere considerata una prima scelta. La efedrina e la pseudoefedrina hanno anche un’azio-
ne β1 e β2-stimolante che vanifica l’effetto vasocostrittore. Il 9α-fluoroidrocortisone è una buo-
na opzione terapeutica, in quei pazienti in cui sono fallite la somministrazione di liquidi e sodio,
purché si cerchi la dose adeguata e lo si impieghi non quotidianamente.
Gli altri farmaci sono definiti supplementari perché utilizzabili in assenza di risposta di tutte le
manovre precedenti. L’evidenza per il loro uso infatti è limitata. Il razionale per l’uso della de-
smopressina è legato al fatto che in alcuni pazienti disautonomici il rilascio della vasopressina è
ridotto per un processo neurodegerativo centrale a carico del nucleo soprachiasmatico dell’ipo-
talamo.
Infine sono state utilizzate occasionalmente anche altre molecole farmacologicamente attive: gli
inibitori delle ciclo-ossigenasi, gli agonisti beta-adrenergici, la clonidina, la yohimbina, la soma-
tostatina, la diidroergotamina e gli agonisti della dopamina.
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Epidemiologia
La sincope è frequente in età geriatrica; la sua prevalenza ed incidenza aumenta con l’avanzare
dell’età. Secondo lo studio di Framingham infatti, il 17% degli uomini ed il 19% delle donne con
età superiore ad 80 anni presenta nell’arco di un anno un episodio di perdita di coscienza transi-
toria di natura sincopale (Fig. 45) (1). L’incidenza della sincope in anziani istituzionalizzati è del
6% in un anno, con una prevalenza del 10% ed un tasso di recidiva a due anni del 30% (2). Nel
recente studio EGSYS-2, condotto nei DEA, l’età media dei pazienti con sincope era di 71 an-
ni, con un 60% di ultrasessantacinquenni (3).
La popolazione anziana è particolarmente soggetta a sincope sia per le modificazioni fisiopatolo-
giche legate all’invecchiamento (ridotta compliance cardiaca responsabile dell’aumentata sensi-
bilità della gittata cardiaca all’effetto del precarico e della contrattilità atriale; alterato control-
lo della volemia; diminuita sensibilità dei barocettori), sia per la elevata prevalenza di malattie
croniche (insufficienza cardiaca, diabete, broncopneumopatia cronica ostruttiva) così come per
il frequente uso-abuso di molti farmaci.
Inoltre, questi dati epidemiologici sono probabilmente sottostimati, soprattutto per il mancato
riconoscimento di episodi sincopali che si presentano come cadute. Spesso infatti, proprio nei
soggetti più anziani, è presente amnesia retrograda dopo l’episodio sincopale (4). Oltre a questo,
nel paziente anziano con disturbi della postura e del cammino, un episodio presincopale, dovu-
to ad esempio ad ipotensione di modesta entità, può essere causa di caduta. Nella popolazione
geriatrica la sincope determina spesso ripercussioni più rilevanti rispetto al paziente giovane.
Nell’anziano infatti, la morbilità e la mortalità ad essa correlate sono nettamente superiori. La
sincope infine può determinare disabilità, non solo per le conseguenze della caduta, ma anche
per lo sviluppo di sindrome ansioso-depressiva legata alla perdita di fiducia ed autonomia (5).
25.0
Frequenza per 1000 persone/anno
15.0
11.1 11.1
10.0
5.7 5.4
4.7 5.0
5.0 3.8 3.8 3.9
3.2 3.2
2.6
0.0
20-29 30-39 40-49 50-59 60-69 70-79 ≥80
Età (anni)
Cause
Le più frequenti cause di sincope nell’anziano sono rappresentate da ipotensione ortostatica,
ipersensibilità seno carotidea, sincope neuroriflessa ed aritmie cardiache (6-7). Il confronto tra
le cause più comuni di sincope nella popolazione generale e nell’anziano è illustrato in Fig. 46.
L’ipotensione ortostatica (IO) è definita come una riduzione della pressione arteriosa sistolica
(PAS) di almeno 20 mmHg o una pressione non maggiore di 90 mmHg dopo uno e/o tre minu-
ti di ortostatismo (8), indipendentemente dalla comparsa di sintomi. Altra forma di ipotensio-
ne, meno frequente, forse perché sottodiagnosticata, è quella postprandiale (IPP), definita come
una riduzione della PAS di almeno 20 mmHg nelle due ore che seguono un pasto. Per diagnosti-
care una sincope da IO o da IPP è necessaria l’associazione tra modificazione pressoria e sintomi
di ipoperfusione cerebrale globale (9). La prevalenza di ipotensione ortostatica nell’anziano in
comunità è del 30% (10) e del 33% nei soggetti ospedalizzati (11). Inoltre l’ospedalizzazione
conseguente ad ipotensione ortostatica aumenta progressivamente con l’avanzare dell’età (11).
Quando ricercata, la prevalenza dell’ipotensione post-prandiale oscilla tra il 34-65% degli anzia-
ni in comunità (12).
L’ipotensione ortostatica è responsabile di sincope nel 4,2% dei soggetti di età compresa tra 65 e
74 anni e del 30% degli ultrasessantacinquenni (7). Il 25% dei soggetti sintomatici ha ipoten-
sione ortostatica età-correlata; nei restanti questa condizione è imputabile all’assunzione di far-
maci ipotensivanti, a disautonomia primaria e secondaria (diabete), a malattia di Parkinson e ad
EGSYS 2 GIS
Fig. 46– Confronto tra cause di sincope nella popolazione generale (Studio EGSYS-2 [3]) e geriatrica (Studio
GIS [7]).
atrofia multi-sistemica (vedi capitoli 12 e 15). Si noti che l’anziano è frequentemente affetto da
più condizioni ed assume numerosi farmaci. Pertanto l’eziologia della sincope da ipotensione
dell’anziano è spesso multifattoriale.
L’ipersensibilità seno carotidea è raramente presente prima dei 40 anni; la sua prevalenza au-
menta con l’età e con la comparsa di alterazioni cardiovascolari, cerebrovascolari e neurodege-
nerative (12-13). La sindrome seno carotidea di tipo cardioinibitorio è una possibile causa di sin-
tomi in più del 20% dei soggetti anziani con sincope (14). Sono in corso ulteriori studi al fine di
stimarne la reale frequenza, anche se è ragionevole credere che tale condizione patologica sia più
comune di quanto precedentemente stimato. L’ipersensibilità seno carotidea vasodepressiva ha
uguale prevalenza sia nei giovani che negli anziani (15), ma il suo ruolo nel determinare la sin-
cope è meno certo in questo gruppo di età (15-16).
La sincope neuromediata (riflessa) era considerata fino a poco tempo fa prerogativa della po-
polazione giovane adulta e le sincopi di origine cardiologica erano attribuite all’età geriatrica. In
uno studio condotto da Kapoor (17) le cause più frequenti di sincope riscontrate in una popola-
zione geriatrica composta da 210 pazienti erano di natura cardiaca nel 33,8% dei casi, nel 26,7%
di natura non cardiovascolare e nel 38,5% erano indeterminate. L’iter diagnostico seguito in
questo ed in altri studi contemporanei tuttavia non dava importanza alla valutazione neuroau-
tonomica dei pazienti anziani. In particolare non venivano eseguiti il tilt test ed il massaggio dei
seni carotidei in ortostatismo.
Il Gruppo per lo studio della Sincope nell’anziano (GIS) della Società Italiana di Gerontologia
e Geriatria, ha dimostrato che il protocollo diagnostico proposto dalla Società Europea di Car-
diologia è ben applicabile anche nell’anziano. L’impiego dell’algoritmo diagnostico standardizza-
to ha ridotto le sincopi indeterminate al 10,4% del totale. Nello studio GIS che ha arruolato pa-
zienti con età media di 79 anni, le sincopi neuro-mediate sono risultate le forme più frequenti
(67%), mentre quelle cardiogene sono il 14,7% (7).
L’andamento della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca durante la valutazione neuroau-
tonomica è sovrapponibile a quanto si osserva nei giovani, ma la prevalenza dei vari pattern dif-
ferisce. La risposte bradiaritmiche (VASIS 2B) sono meno comuni, mentre quelle vasodepressi-
ve (VASIS 3) e l’incompetenza cronotropa sono più comuni negli anziani, benché pattern
suggestivi di disautonomia siano più frequenti negli episodi farmaco-correlati (18).
La prevalenza di sincope cardiaca è del 14-20% nell’anziano (7). Nel paziente anziano le cause
di sincope cardiogena sono principalmente la stenosi aortica, la disfunzione seno-atriale, i bloc-
chi atrioventricolari, le bradicardie e le tachicardie nei pazienti con cardiopatia ischemica ed
embolia polmonare, quest’ultima spesso sotto-diagnosticata. Per l’inquadramento diagnostico e
la terapia si rimanda ai capitoli che trattano la sincope cardiaca.
Diagnosi
Nel raccogliere la storia clinica del paziente geriatrico è opportuno non tralasciare alcuni aspet-
ti specifici: conoscere il momento in cui si è verificato l’episodio sincopale (infatti gli eventi cor-
relati ad ipotensione ortostatica avvengono spesso al mattino); l’associazione con i pasti (per le
forme post-prandiali); la minzione notturna; l’assunzione di farmaci (un terzo dei pazienti ultra-
sessantacinquenni assume infatti da 3 a più farmaci). La terapia farmacologica frequentemente
causa o contribuisce al meccanismo della sincope; pertanto una corretta gestione dei farmaci ed
un’eventuale sospensione, può ridurre le recidive di sincope e cadute (19). L’anamnesi farmaco-
logica dovrebbe quindi includere la durata dei vari trattamenti e la relazione temporale tra l’as-
sunzione e la comparsa dei sintomi. È inoltre importante specificare la presenza di comorbilità,
di fragilità fisica e disabilità, attribuibili a patologie artritiche, malattia di Parkinson o esiti di
eventi cerebrovascolari ed infine ricercare patologie che possano suggerire una genesi cardiova-
scolare di sincope, quali diabete, cardiopatia ischemica, anemia, ipertensione e scompenso car-
diaco. Alcuni aspetti della storia clinica variano rispetto al giovane, data la presenza nell’anzia-
no di frequente amnesia retrograda per la transitoria perdita di coscienza (17). I sintomi
prodromici, considerati rari nel paziente anziano, sono risultati in realtà piuttosto frequenti nel-
la popolazione geriatrica studiata dal GIS. Lo studio, che prevedeva una richiesta esplicita e
standardizzata sulla presenza di sintomi prodromici, ha permesso di rilevare che ben il 72,9% dei
pazienti presentava almeno un sintomo premonitore, soprattutto di tipo neurovegetativo. Ad
esempio, i sintomi di tipo neurovegetativo sono presenti nel 76,3% dei pazienti con sincope
neuromediata e nel 60,6% nei pazienti con sincope di altra origine (7). Un recente studio ha di-
mostrato che in età geriatrica la sintomatologia neurovegetativa è predittiva di sincope neurori-
flessa, mentre la dispnea è risultata il principale predittore di sincope cardiogena (20).
Dal 20 al 50% degli anziani in comunità presenta instabilità nella marcia, alterazioni dell’equi-
librio e riduzione dei riflessi paracadute (5). In tali condizioni, anche modeste variazioni emodi-
namiche insufficienti a causare sincope, possono manifestarsi come cadute. Risulta quindi im-
portante raccogliere da terzi la testimonianza dell’evento, anche se questo non è possibile in
circa il 40-60% dei casi; per tale motivo più di un quarto degli eventi si presentano come cadu-
te (14,17).
Il decadimento cognitivo è presente nel 5% dei sessantacinquenni e nel 20% degli ottantenni.
Lo stato cognitivo può influenzare l’accuratezza nel ricordare gli eventi. Quindi nel raccogliere
l’anamnesi lo stato cognitivo deve essere valutato, così come la condizione sociale del paziente,
i traumi fisici pregressi, l’impatto della sincope sulla sicurezza e sull’abilità nello svolgere in mo-
do autonomo le attività di base della vita quotidiana (21).
Il monitoraggio ECG mediante impianto di loop recorder ha un alto potere diagnostico nell’an-
ziano ed è in grado di rilevare aritmie quali cause primarie di sincope (22). Altra indicazione al-
l’impianto di del loop recorder particolarmente nei pazienti in età geriatrica è rappresentata dal-
le perdite di coscienza transitorie ricorrenti in pazienti con condizioni che mimano la sincope,
quali le cadute e l’epilessia. Un recente studio ha dimostrato che nel 50% di pazienti con diagno-
si di epilessia, ma con recidive nonostante la terapia, vi era un’aritmia cardiaca alla base della
perdita di coscienza (23).
Oltre alla classica valutazione diagnostica del paziente con sincope, nel paziente anziano con
perdita di coscienza transitoria di natura sincopale si raccomanda un’attenta valutazione neuro-
logica e dell’apparato locomotore, comprensiva dell’osservazione della marcia e dell’equilibrio,
sia ad occhi aperti che ad occhi chiusi. Al fine di ricercare un decadimento cognitivo, può esse-
re utilizzato il Mini Mental State Examination (9), strumento a 30 item, validato a livello interna-
zionale ed adeguato a questo scopo. In pazienti anziani con sincope o cadute inspiegate e norma-
le stato cognitivo, il protocollo diagnostico è sovrapponibile a quello applicato ai giovani, con
l’aggiunta del massaggio dei seni carotidei in clino- ed ortostatismo alla valutazione iniziale, da-
ta l’alta prevalenza di sindrome senocarotidea come causa di sincope e caduta inspiegata in que-
sto gruppo di età (24). Alla valutazione iniziale, una anamnesi dettagliata, l’esame obiettivo, le
prove di ipotensione ortostatica ed il massaggio dei seni carotidei in clino- ed ortostatismo, con-
sentono di raggiungere una diagnosi definitiva in più del 50% dei casi (7).
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Patologie internistiche acute sono una causa rara di sincope contribuendo a meno del 5% di tut-
te le cause (1). La loro importanza risiede nelle conseguenze drammatiche in cui possono evolve-
re. Abbiamo valutato i risultati dei maggiori studi che abbiano affrontato il follow-up a breve ter-
mine dei pazienti giunti in Pronto Soccorso per sincope (2-5). Da questi si rileva che la mortalità
a breve termine (7-10 giorni) della sincope è di circa l’1%, mentre l’incidenza di eventi avversi
gravi varia dal 6 al 12% circa. Di questi una percentuale variabile dal 20 al 50% sono causati da
patologie internistiche (embolia polmonare, emorragia interna o gastroenterica, dissecazione aor-
tica). Vi sono dati meno precisi sulle cause di morte a breve termine nei pazienti con sincope, ma
anche in questo caso il contributo delle patologie internistiche è molto rilevante (dal 20 al 50%).
Sospettare in ogni paziente che giunge in Pronto Soccorso per sincope una patologia internistica
grave porterebbe ad un dispendio enorme di risorse, ad una cattiva gestione e verosimilmente ad
un elevato numero di false diagnosi. D’altra parte non diagnosticare precocemente patologie po-
tenzialmente gravi come la dissecazione aortica o l’embolia polmonare porterebbe a conseguenze
drammatiche. Ci servono quindi degli strumenti che ci possano far sospettare queste patologie nei
pazienti a più alto rischio, senza essere costretti a fare esami a pazienti che non ne necessitino. Le
Linee Guida internazionali e gli studi clinici non hanno fino ad ora adeguatamente affrontato
questo problema (1,7). Il relativo basso numero di pazienti con sincope alla cui base vi è una pa-
tologia internistica grave e l’ampio spettro possibile di presentazioni di queste patologie rende dif-
ficile pensare a delle scale cliniche pre-test, basate sull’evidenza, che possano aiutare il medico
nella pratica clinica a discriminare tra pazienti ad alto e basso rischio per queste patologie.
Le patologie internistiche legate ad una rapida evoluzione prognostica negativa e che più fre-
quentemente possono essere causa di sincope, sono illustrate in Tab. 34.
Tra queste affronteremo l’embolia polmonare, la dissecazione aortica e l’emorragia interna.
Embolia polmonare
L’embolia polmonare è causa di meno del 2% di episodi sincopali, ma il 10-15% dei casi di em-
bolia può presentarsi con sincope come sintomo predominante (1,8). Inoltre i casi di embolia
che esordiscono con un episodio sincopale tendono a essere più gravi e ad evolutività immedia-
ta (8). A questo però non corrisponde una maggiore facilità di diagnosi.
Nella Tab. 35 sono riportate le scale di probabilità clinica di embolia polmonare più utilizzate in
letteratura e la probabilità di embolia polmonare nelle diverse classi di rischio.
Tab. 34 – Principali cause di perdita di coscienza transitoria (PdCT) da escludere precocemente per la loro gravità.
Cause di PdCT a potenziale rapida evolutività
Infarto miocardico acuto (IMA) Emorragia interna
Embolia polmonare (TEP) Aritmia cardiaca maligna
Dissecazione aortica Gravidanza ectopica
Tamponamento cardiaco Emorragia subaracnoidea
Pneumotorace iperteso Dissecazione carotidea o vertebrale
Aneurisma dell’aorta addominale in rottura Embolia grassosa
17. Situazioni cliniche particolari: sincope nei pazienti con patologie gravi internistiche 211
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Una volta sospettata l’embolia polmonare diventa necessario escluderla. Nei pazienti con probabi-
lità bassa è sufficiente la negatività del D-dimero (anche misurato con agglutinazione al lattice). Nei
pazienti con probabilità intermedia è necessario il D-dimero misurato tramite ELISA, mentre nei
pazienti con alta probabilità l’iter diagnostico non si orienta più verso l’esclusione della diagnosi, ma
verso la sua conferma tramite TC torace multistrato con mezzo di contrasto, scintigrafia polmonare
ventilatoria e perfusionale, ecografia venosa compressiva degli arti inferiori, ecocardiogramma (8).
La Tab. 36 riassume i punti salienti della diagnosi di embolia polmonare nel paziente con sincope.
Dissecazione aortica
La dissecazione aortica è una causa rara di sincope (meno dell’1%), ma fino al 20% dei pazienti
con dissecazione aortica può esordire con sincope e la presenza di sincope all’esordio è un segno
prognostico negativo (11).
Il sintomo di accompagnamento più comune è il dolore (assente fino al 10% dei casi), di solito
più acuto all’esordio, trafittivo, puntorio e con diverse irradiazioni. Anche gli eventi cerebrova-
scolari o scompenso cardiocircolatorio di nuova insorgenza possono essere presentazioni fre-
quenti. Infine l’assenza di polsi periferici e l’allargamento del mediastino superiore alla radiogra-
fia del torace sono le altre presentazioni più comuni.
In particolare la dissecazione aortica deve essere sospettata in uomini tra i 60 e gli 80 anni con
una storia di ipertensione arteriosa, oppure in giovani con anamnesi positiva per patologie del
collagene (per esempio la sindrome di Marfan), che si presentano per la comparsa di dolore im-
provviso al torace, l’assenza di un polso periferico o una pressione differente fra i due arti superiori o
fra arti superiori ed inferiori >20 mmHg, con riscontro di allargamento del mediastino alla radio-
grafia del torace. In una casistica selezionata di pazienti con dolore toracico (prevalenza di dis-
secazione aortica del 50% circa) la probabilità di dissecazione aortica era bassa (7%) se tutti que-
sti tre segni erano assenti, intermedia (31-39%) in presenza di dolore “aortico” o allargamento
del mediastino alla radiografia del torace e alta (>80%) in caso di anomalie della pressione dif-
ferenziale o del polso e/o alla presenza di almeno due dei tre segni (12).
Nel sospetto di dissecazione dell’aorta sarà necessario ampliare la valutazione iniziale indicata
dalla Società Europea di Cardiologia per i pazienti con sincope, aggiungendo gli esami emato-
chimici e la radiografia del torace (Tab. 37).
17. Situazioni cliniche particolari: sincope nei pazienti con patologie gravi internistiche 213
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Saranno necessari alcuni esami ad alta sensibilità per escludere la dissecazione aortica (se nega-
tivi escludono la diagnosi) e alcuni esami il cui compito sarà quello di confermare la diagnosi
(esami ad alta specificità che, se positivi, confermano la diagnosi). Alcuni studi recenti suggeri-
scono che il dosaggio del D-dimero plasmatico possa escludere la diagnosi con una sensibilità su-
periore al 90% (13). L’ecocardiogramma transtoracico può aiutare in una prima discriminazione,
ma non è abbastanza sensibile per escludere la presenza di dissecazione aortica, mentre l’ecocar-
diogramma transesofageo, insieme alla TC spirale multistrato con mezzo di contrasto e all’angio-
grafia costituiscono il gold standard per la diagnosi.
Emorragia interna
Con il termine “emorragia interna” intendiamo qualsiasi perdita ematica non dovuta a trau-
matismo (emorragia gastrointestinale, rottura di milza, gravidanza ectopica, rottura di aneuri-
sma addominale). Non esistono dati precisi che permettano di quantificare i pazienti con
emorragia interna che si presentino in Pronto Soccorso con sincope come sintomo predomi-
nante. Negli studi di Quinn i pazienti che presentavano un’emorragia interna come causa di
sincope variavano tra l’1 e il 4% (2,7). Non sappiamo però quanti di questi pazienti avessero
altri sintomi associati.
La maggior parte dei pazienti con anemizzazione e ipovolemia si riconoscono poiché la sincope
tende ad essere un sintomo collaterale e all’obiettività o alla raccolta anamnestica appare evi-
dente il sospetto di anemizzazione. In realtà non per tutti i pazienti il riscontro di anemia o di
perdita ematica acuta è scontato. Mc Gee riporta la sensibilità di diversi segni clinici per la dia-
gnosi di anemia quali: pallore del viso 46%, pallore del letto ungueale 59%, pallore del palmo
delle mani 64%, pallore della congiuntiva 36% (14). In conclusione non sempre l’esame obiet-
tivo è sufficiente a riconoscere un paziente con anemia. Non vi sono però scale di rischio per
riconoscere tali pazienti e la diagnosi si basa prevalentemente sull’esperienza clinica. In parti-
colare la presenza di ipotensione ortostatica o di fattori di rischio per le patologie menzionate
può fare sorgere il sospetto diagnostico. Ad approfondimento è fondamentale l’esecuzione del-
l’emocromo e del rapporto tra azotemia e creatinina che, se superiore a 40, può fare supporre
una perdita ematica acuta a carico dell’apparato gastroenterico superiore o un’ipovolemia da al-
tra causa.
Per quanto riguarda il sanguinamento acuto la patologia più frequente è l’ulcera peptica. Sicura-
mente indicata è l’esplorazione rettale e il posizionamento di sondino naso-gastrico per lavaggi
in continuo. La presenza di sangue o di materiale caffeano dal sondino è diagnostica per sangui-
namento e facilita l’eventuale successiva gastroscopia; l’assenza di sanguinamento non esclude
l’ulcera peptica. Il gold standard per la diagnosi è l’endoscopia (Tab. 38).
Per quanto riguarda le altre cause di emorragia interna l’ecografia da parte anche di operatori
non esperti (al letto del malato) può permettere di escludere la presenza di aneurisma dell’aorta
addominale (l’ecografia non è utile per dirimere in caso di sospetta rottura di aneurisma) e per
identificare del liquido libero in peritoneo (segno indiretto di emorragia interna).
Non è obiettivo di questa parte del manuale descrivere in dettaglio tutte le patologie internisti-
che gravi che possono causare sincope. Per questo si rimanda alle Linee Guida e agli articoli ci-
tati. Riteniamo importante che il medico, in particolare in Pronto Soccorso, sia a conoscenza di
alcune cause internistiche di sincope che, sebbene relativamente rare, possono essere dramma-
tiche nella loro evoluzione a breve termine, soprattutto se non riconosciute precocemente.
Mentre fino ad ora abbiamo tentato di citare dati basati su evidenze scientifiche riconosciute,
ora proveremo a proporre un protocollo di approccio al paziente con sincope basato sull’espe-
rienza e su dati epidemiologici, ma senza alcuna validazione scientifica. Abbiamo già avuto mo-
Esami di II livello
Non esclusione
Diagnosi Terapia (TC, EcoTEE,
della diagnosi
EGDS)
Fig. 47 – Flow-chart diagnostica nel paziente a rischio di patologie internistiche gravi come causa di sincope.
17. Situazioni cliniche particolari: sincope nei pazienti con patologie gravi internistiche 215
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do di osservare che vi sono troppo poche sincopi determinate da queste patologie per essere va-
lutate in uno studio prospettico. Il messaggio principale che vorremmo trasmettere è che il solo
sospetto diagnostico aumenta la probabilità di diagnosi.
Un possibile metodo per individuare una sincope a rischio per evolutività immediata è quello
di indagare la presenza di sintomi/segni unificanti per le varie patologie elencate in Tab. 34,
quali:
– dispnea;
– dolore;
– sintomi/segni neurologici (cefalea, segni di lato ecc).
Tutti i pazienti con almeno uno di tali sintomi/segni, in particolare se con condizioni anamne-
stiche favorenti, dovrebbero essere considerati potenzialmente ad alto rischio e valutati imme-
diatamente per escludere le patologie elencate in Tab. 34. In questi pazienti diventa fondamen-
tale eseguire esami di secondo livello.
In questo contesto potrebbe rivestire una particolare rilevanza l’ecografia eseguita da operatori
esperti per valutare lo stato volemico del paziente (vena cava, vene giugulari), l’eventuale pre-
senza di liquido libero addominale, l’eventuale presenza di trombosi venosa profonda (tramite
ultrasonografia compressiva degli arti inferiori) e la presenza di dilatazione del ventricolo destro.
L’ecografia potrebbe essere di ausilio all’esame obiettivo in quei pazienti in cui si sospetti una sin-
cope causata da patologia internistica grave.
La Fig. 47 riassume una possibile flow-chart per il paziente a rischio di patologie internistiche gravi.
Casi clinici
“Se gli uomini non commettessero talvolta delle sciocchezze,
non accadrebbe assolutamente nulla di intelligente”
(LUDWIG WITTGENSTEIN)
Di seguito riportiamo tre casi clinici il cui obiettivo è quello di rendere più pratica la nostra pre-
sentazione teorica. Inizialmente vi è l’introduzione al caso clinico con alcune domande, alla fi-
ne la rivalutazione del caso con alcune riflessioni.
Caso clinico 1
Donna di 72 anni in buone condizioni generali. Giunge in Pronto Soccorso in seguito a due episodi
di caduta a terra. Non sa riferire se ha perso coscienza e non erano presenti testimoni; entrambi gli
episodi si sono manifestati in ortostatismo e senza prodromi. In anamnesi si segnala fibrillazione
atriale parossistica in terapia con propafenone 150 mg x 3/die. L’obiettività all’atto della visita è so-
stanzialmente negativa tranne che per un’ecchimosi al mento (procurata durante l’ultima caduta).
All’ECG fibrillazione atriale con frequenza ventricolare media 100 bpm. Sat O2 92%. Non ipoten-
sione ortostatica.
Il medico di Pronto Soccorso, sospetta una sincope aritmica (fibrillazione atriale parossistica in
terapia con propafenone, assenza di prodromi) o un’embolia polmonare (desaturazione alla satu-
rimetria, fibrillazione atriale parossistica, assenza di terapia anticoagulante, assenza di prodromi).
Dopo aver calcolato gli score prognostici presenti in letteratura (OESIL e SFSR), conclude per
una sincope ad alto rischio. Decide per un ricovero, ma è preoccupato per la presenza di mode-
rata ipossia alla saturimetria e parziale agitazione da parte della paziente.
Decide di eseguire esami di II livello (esami ematici, Rx torace, secondo ECG e monitoraggio
elettrocardiografico). Per escludere l’eventuale presenza di embolia polmonare esegue il dosag-
gio del D-dimero (test al lattice) che risulta negativo.
Basta questo esame per escludere un’embolia polmonare come causa di sincope?
Calcolando la probabilità clinica di embolia polmonare di questa paziente tramite le scale pre-
senti in Tab. 35, si ottiene un punteggio intermedio. Il D-dimero misurato con metodo al lattice
non è quindi sufficiente ad escludere la presenza di embolia polmonare.
Avendo comunque la paziente indicazione a terapia anticoagulante cronica, è giustificato inizia-
re subito un trattamento con eparina.
Caso clinico 2
Donna di 83 anni, sovrappeso, degente in Istituto di riabilitazione per eseguire fisioterapia mo-
toria per artrosi. Viene inviata in Pronto Soccorso per episodio sincopale occorso pochi minuti
dopo il risveglio, in posizione ortostatica, preceduto da dolore lombare con caratteristiche simi-
li ai dolori che la paziente riferisce da anni.
In anamnesi si segnala ipertensione arteriosa, riscontro di soffio cardiaco in età giovanile.
In terapia con digossina 0,125, metoprololo 100 ½ cp x 2, ticlopidina 1 cp x 2, lorazepam 1 cp alla sera.
Prima del ricovero la paziente viveva da sola ed era autosufficiente.
Dal ricovero in riabilitazione, avvenuto tre settimane prima, riscontro di fibrillazione atriale ad
elevata frequenza ventricolare media e lieve scompenso cardiocircolatorio, per cui era stata trat-
tata con digitale, diuretici e beta-bloccanti con normalizzazione della frequenza cardiaca e mi-
glioramento clinico.
Un ECG secondo Holter eseguito in assenza di terapia beta-bloccante mostrava fibrillazione
atriale con buon controllo della frequenza cardiaca senza pause significative.
Il personale dell’istituto di riabilitazione riferisce la presenza di bradicardia (frequenza ventrico-
lare media 50 bpm) e ipotensione subito dopo l’episodio sincopale con ripresa spontanea della
coscienza ed iniziale dispnea. Effettuata un’emogasanalisi in aria ambiente si evidenzia: pH 7,45,
–
pO2 46 mmHg, pCO2 32 mmHg, HCO 3 22 mEq/l.
All’arrivo in Pronto Soccorso paziente lucida, collaborante, sovrappeso, eupnoica in O2-terapia,
PA 90/60, FVM 90 bpm. All’obiettività cardiaca toni validi, aritmici, presenza di soffio sistolico
2-3/6 su tutti i focolai, irradiato al collo, all’obiettività polmonare qualche crepitio alle basi.
Null’altro di rilevante alla restante obiettività.
All’elettrocardiogramma riscontro di fibrillazione atriale con frequenza ventricolare media di 90
bpm, emiblocco anteriore sinistro, alterazioni del recupero in sede inferiore e laterale. In Pron-
to Soccorso vengono effettuati:
– esami ematochimici: Hb12,5 g/dl, GB 6800/mmc, PLT 100.000/mmc, D-dimero 6542, azote-
mia 43 mg/dl, glicemia 184 mg/dl, creatinina 1,2 mg/dl, LDH 465 UI/l, CPK 42 UI/l, tropo-
nina T<0,01 ng/ml, digossina 0,9, transaminasi, bilirubina, amilasi, pChe, elettroliti, coagu-
lazione, fibrinogeno, PCR nei limiti;
– RX torace: esame eseguito in condizioni precarie a paziente ruotata, l’ombra cardiaca è vero-
similmente ingrandita, segni di stasi;
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– visita cardiologica: paziente di 83 anni; viene portata in Pronto Soccorso per episodio sinco-
pale in posizione ortostatica; in anamnesi fibrillazione atriale trattata con digitale e metopro-
lolo; alla ripresa della coscienza ipotensione e bradicardia; all’obiettività soffio sistolico (pro-
babilmente presente da anni). Si sospetta una sincope su base iatrogena. Si richiede
ecocardiogramma per indagare l’origine del soffio cardiaco;
– ecocardiogramma transtoracico: aneurisma dell’aorta toracica ascendente (diametro dopo la
giunzione circa 50 mm). Valvola aortica fibrocalcifica con gradiente e reflusso moderati. Re-
flusso mitralico secondario ad ostruzione nel tratto di efflusso di grado almeno moderato, mo-
derato ingrandimento dell’atrio sinistro, lieve ingrandimento dell’atrio destro, cavità ventri-
colari di dimensioni normali, ipertrofia del setto interventricolare basale con ostruzione
all’efflusso dal ventricolo sinistro. Ipertensione polmonare lieve;
– dopo l’ecocardiogramma il cardiologo conclude per quadro compatibile con miocardiopatia
ipertrofica ostruttiva dell’anziano associata a valvulopatia aortica degenerativa. Dopo due ore
di osservazione paziente ancora asintomatica PA 115/70, marcatori di danno miocardico ne-
gativi. Consiglia di sospendere digitale e di eseguire ECG Holter di controllo.
Tutte le tre ipotesi possono essere corrette e la positività del D-dimero non rende un’ipotesi più
probabile dell’altra. La sostanziale negatività dell’ecocardiogramma non esclude l’embolia pol-
monare o la dissecazione aortica. Vista la possibile gravità di una diagnosi di dissecazione aorti-
ca o di embolia polmonare e la differente terapia che si adotterebbe a seconda della diagnosi pre-
sunta, si decide di eseguire una TC torace con mezzo di contrasto che mostra la presenza di una
dissecazione aortica dalla aorta ascendente fino all’emergenza delle iliache.
Caso clinico 3
Donna di 83 anni, viene portata in Pronto Soccorso poiché scivola a terra nello scendere dal let-
to e non riesce a rialzarsi. La paziente vive sola e il figlio la trova ai piedi del letto. In anamnesi
vasculopatia polidistrettuale da numerosi anni, ipertensione arteriosa lieve. In terapia domicilia-
re con acido acetilsalicilico ed enalapril 5 mg.
Paziente lucida, collaborante, eupnoica a riposo, PA 125/80, FC 84. Non edemi declivi, non se-
gni di trombosi venosa profonda, polsi periferici iposfigmici. All’obiettività cardiaca toni validi,
ritmici, impurità sistolica, all’obiettività polmonare MV lievemente ridotto su tutto l’ambito,
non rumori patologici, restante obiettività nei limiti. All’ECG: ritmo sinusale 84 bpm, alterazio-
ni aspecifiche della ripolarizzazione
Vengono richiesti, RX torace (sostanzialmente nei limiti) ed esami ematici di routine sostanzial-
mente nei limiti tranne creatinina 1,4 mg/dl, troponina 0,08 (stabile su due campioni a sei ore
di distanza), NT-proBNP 7600.
Visto l’aumento del NT-proBNP e della troponina il medico di guardia richiede una visita car-
diologica; il cardiologo scambia il risultato del NT-proBNP per D-dimero, esegue un’emogasana-
lisi che risulta sostanzialmente normale e richiede una TC spirale con mezzo di contrasto nel so-
spetto di embolia polmonare.
La TC spirale risulta positiva per embolia polmonare massiva bilaterale, per cui la paziente ini-
zia una terapia anticoagulante, viene ricoverata, dimessa e attualmente gode di buona salute.
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Punti chiave
– La gestione del paziente con sincope rappresenta una problematica clinica tuttora affrontata in modo
non sempre ottimale negli ospedali italiani.
– Le motivazioni della situazione attuale sono estremamente complesse e la loro risoluzione richiede inter-
venti a molteplici livelli: culturale (migliore implementazione delle Linee Guida a livello di società scien-
tifiche e di singoli operatori), tecnologico (migliore standardizzazione ed aumento dell’offerta dei sin-
goli test diagnostici specifici per la sincope) ed organizzativo (migliore coordinazione tra i diversi
specialisti coinvolti nella gestione del paziente con perdita di coscienza transitoria [PdCT] nell’ambito
dell’ospedale).
– Analogamente a quanto già sperimentato per altre condizioni di particolare interesse clinico quali lo
stroke e il dolore toracico, esperienze recenti compiute sia in Italia che all’estero suggeriscono come le
problematiche elencate siano potenzialmente superabili con l’istituzione di nuclei operativi dedicati a
livello dei singoli ospedali.
– Nella presente rassegna vengono esposti i criteri minimi attuativi (compiti, strutture, attrezzature, presta-
zioni, risorse umane, organizzazione) che detti nuclei dovrebbero rispettare in accordo con le indica-
zioni delle correnti Linee Guida e dei documenti di consenso precedentemente espressi da alcune so-
cietà scientifiche nazionali e recentemente recepiti dal Gruppo Italiano Multidisciplinare per lo Studio
della Sincope (vedi Appendice, p. 229).
La sincope costituisce un sintomo frequente (1-4) la cui gestione clinica presenta difficoltà pe-
culiari. Anzitutto un numero estremamente ampio di cause, alcune potenzialmente pericolose
per la vita ed altre assolutamente benigne (5,6) sono in grado di determinare una sincope, così
che errori nella stratificazione prognostica iniziale dei pazienti possono comportare conseguenze
irrimediabili. Per di più, trattandosi per definizione di un disturbo di breve durata (7,8), è diffi-
cile poter osservare direttamente una sincope spontanea mentre gli accertamenti eseguiti suc-
cessivamente ed in assenza di sintomi risultano spesso non conclusivi. Infine, dato che la sinco-
pe rappresenta solo una delle possibili cause della perdita di coscienza transitoria, specialisti di
numerose discipline tra loro molto eterogenee possono essere legittimamente coinvolti nella va-
lutazione di questi pazienti.
Tutte queste problematiche determinano un elevato numero di ospedalizzazioni (4) spesso deci-
se con intento cautelativo piuttosto che in base a oggettive indicazioni cliniche, ed il ricorso ad
accertamenti diagnostici complessi e costosi nonostante i quali non di rado la diagnosi rimane
indeterminata o largamente induttiva (1,9,10). L’impatto della sincope sul sistema sanitario
pubblico risulta pertanto particolarmente rilevante, in quanto caratterizzato da un cospicuo as-
sorbimento di risorse non ripagato sul piano clinico da una soddisfacente resa diagnostica.
rosa aderenza alle Linee Guida (3,21) non può essere considerata come una priorità né, in prospet-
tiva, divenire routinaria per i medici dei reparti dove i pazienti sono di volta in volta indirizzati e
tantomeno per quelli del Pronto Soccorso (11). D’altra parte qualunque progetto organizzativo fi-
nalizzato a migliorare la gestione locale dei pazienti con sincope dovrebbe riservare al Pronto Soc-
corso un ruolo centrale. Infatti è durante il periodo di osservazione iniziale in tale sede che devo-
no essere assunte le decisioni cliniche fondamentali (ad esempio se e dove ricoverare) e proprio per
tale motivo è altrettanto fondamentale che siano evitate eccessive deviazioni dalle Linee Guida,
le cui conseguenze negative non potrebbero in seguito che essere amplificate (10). Relativamente
a quest’ultimo aspetto, a livello di singoli centri ospedalieri sono stati recentemente sperimentati
modelli organizzativi basati sull’interazione continuativa tra il Pronto Soccorso ed esperti locali
(4,22,23). Tali esperienze suggeriscono come le Linee Guida ESC sulla sincope siano applicabili fi-
no dalla fase ospedaliera più precoce e come una soddisfacente appropriatezza del processo assisten-
ziale (almeno relativamente alle decisioni cliniche fondamentali quali quella di ospedalizzare) pos-
sa essere conseguita e mantenuta a condizione di disporre di figure mediche con esperienza
specifica e con ruolo continuativo di referenti per il presidio ospedaliero di competenza (10).
Quanto finora esposto suggerisce come la coordinazione diretta e continuativa tra tutte le figure
mediche coinvolte nella gestione del paziente con sincope nell’ambito dell’ospedale, unitamente
alla standardizzazione delle metodiche e dei percorsi diagnostici sulla base delle Linee Guida po-
trebbero, almeno sul piano teorico, consentire il superamento delle problematiche elencate. Que-
sto risultato appare potenzialmente conseguibile con l’istituzione a livello ospedaliero di nuclei
operativi dedicati che, per analogia con modelli organizzativi affini già esistenti (Stroke Unit;
Chest Pain Unit), sono stati da alcuni indicati col termine di Syncope Unit. Le più recenti Linee
Guida sulla sincope della Società Europea di Cardiologia (8) raccomandano l’istituzione di una
Syncope Unit negli ospedali adeguatamente attrezzati, con la motivazione di migliorare la gestio-
ne dei pazienti con sincope ottimizzando nel contempo l’utilizzo delle risorse economiche me-
diante una stratificazione prognostica precoce e la scelta di indagini strumentali mirate in base al-
le caratteristiche di ciascun paziente. Se da un lato un simile modello organizzativo risulta
giustificato anche in ospedali di primo livello e di medie dimensioni (come la maggior parte degli
ospedali pubblici nazionali), in considerazione della consistenza numerica degli accessi ospedalie-
ri per sincope (2-4 ), al momento non è disponibile alcuna standardizzazione relativa a un model-
lo organizzativo di tal genere, e profonde differenze metodologiche sussistono anche tra le limita-
te esperienze finora intraprese sia a livello internazionale che in Italia (20,24-28).
Nella prossima sezione saranno esposti i criteri minimi per l’organizzazione di una Syncope Unit
in un ospedale pubblico generale di medie dimensioni. Oltre che dalle correnti Linee Guida
ESC (8), tali criteri sono derivati dai documenti di consenso precedentemente espressi a livello
nazionale da gruppi di studio dedicati (29-30) e recentemente ridiscussi a cura del GIMSI in un
documento di consenso multidisciplinare. È sicuramente presumibile che, per garantire a un ele-
vato numero di pazienti percorsi diagnostici compatibili con le raccomandazioni delle Linee
Guida, in determinate realtà locali possa essere necessario mettere a punto assetti organizzativi
anche assai dissimili da quello proposto in questa sede (10).
La Syncope Unit non rappresenta pertanto necessariamente una nuova unità strutturale, ma va
intesa piuttosto come un’unità funzionale distribuita nell’ambito dell’ospedale e con una funzio-
ne di coordinamento, relativamente alla gestione clinica dei pazienti con sincope, di risorse
(metodologie diagnostiche, competenze specialistiche e reparti di degenza) tra loro eterogenee
ma, almeno nella maggioranza delle situazioni, in gran parte preesistenti.
Compiti
Indipendentemente dall’effettivo modello organizzativo (che come già anticipato dovrebbe essere
immaginato come differenziabile sulla base della realtà contingente dei singoli ospedali), un nucleo
clinico dedicato alla sincope dovrebbe assicurare la continuità delle cure per i singoli pazienti e
pertanto dovrebbe intervenire attivamente almeno nelle seguenti prestazioni fondamentali:
– stratificazione prognostica precoce dei pazienti (principalmente allo scopo di evitare ricoveri inutili);
– definizione degli accertamenti diagnostici di volta in volta più appropriati;
– gestione diretta degli accertamenti, possibilmente con tempi d’attesa massimi predefiniti;
– interpretazione degli stessi ai fini sia prognostici che terapeutici;
– gestione delle procedure terapeutiche (incluse quelle di tipo interventistico);
– follow-up clinico quando necessario.
Strutture
La Syncope Unit deve disporre delle seguenti strutture, anche a tempo parziale:
– ambulatorio medico;
– laboratorio per la diagnostica non invasiva.
Inoltre, la Syncope Unit deve disporre almeno di accesso facilitato, tramite accordo formale all’in-
terno dell’ospedale o con ospedali collegati, a:
– laboratori per diagnostica di II e III livello (vedere al capitolo 4);
– reparto dotato di letti monitorati (fissi o telemetrici) per osservazione clinica o ricovero.
Strumentazione e prestazioni
La Syncope Unit deve disporre della seguente dotazione strumentale di base, che nel corso della
ordinaria attività diagnostica deve essere gestita direttamente dal personale dedicato:
– sfigmomanometro;
– elettrocardiografo;
– lettino da tilt test: per la corretta esecuzione del test è necessario un lettino inclinabile dedicato,
con escursione almeno tra 0 e +60°, dotato di predella e di cinghie avvolgenti per il torace e gli
arti inferiori. Il lettino può essere a comando sia elettrico che manuale, con un tempo di disce-
sa preferibilmente non superiore a 10 sec. Dispositivi diversi finalizzati al mantenimento dell’or-
tostatismo passivo non sono indicati in quanto causa di risposte falsamente positive (19);
– strumento per il monitoraggio ECG e per il monitoraggio pressorio non invasivo battito-battito.
È raccomandato il monitoraggio del ritmo cardiaco per tutta la durata dei test provocativi effet-
tuati, con possibilità di stampare su carta il relativo tracciato elettrocardiografico. Questo consen-
te la più corretta valutazione della frequenza cardiaca al momento della comparsa dei sintomi
(19). In linea teorica il tilt test può essere eseguito misurando la pressione arteriosa mediante uno
sfigmomanometro a cuffia ed acquisendo almeno una misurazione ogni 5 min, o più spesso in ca-
so di comparsa dei sintomi. Il monitoraggio pressorio battito-battito con metodica non invasiva
risulta comunque preferibile, mentre in nessun caso va eseguito il monitoraggio cruento dei valo-
ri pressori dato che tale manovra strumentale di per sé potrebbe alterare il risultato dei test (19);
– attrezzature e farmaci per Advanced Life Support;
– personal computer per refertazione/archiviazione esami.
Oltre ai precedenti, la Syncope Unit deve disporre almeno di accesso facilitato tramite accordo
formale all’interno dell’ospedale o con ospedali collegati alle seguenti procedure diagnostiche e
terapeutiche:
– diagnostica cardiologica di II livello (ecocardiografia, ergometria, ECG dinamico ecc.);
– monitoraggio pressorio ambulatoriale;
– loop recorder esterno;
– studio elettrofisiologico transesofageo/intracavitario;
– angiografia coronarica;
– impianto e controllo di loop recorder automatico;
– impianto e controllo di pacemaker/defibrillatore;
– ablazione transcatetere delle aritmie cardiache;
– test di funzionalità neurovegetativa;
– elettroencefalogramma;
– TC cranio/RM encefalo.
Risorse umane
La responsabilità istituzionale della Syncope Unit rappresenta un aspetto di potenziale controversia
in quanto la PdCTpuò essere causata da patologie tra loro molto dissimili, che possono interessare
branche estremamente diverse della medicina clinica. Nella maggior parte degli ospedali italiani ed
europei la figura professionale più coinvolta nella gestione dei pazienti con sincope è il cardiologo
(18,20), principalmente perché sia la prognosi che il conseguente trattamento di tali pazienti di-
pendono essenzialmente dalla presenza/assenza di cardiopatia (7,8). D’altra parte, le perdite di co-
scienza transitorie non sincopali competono a figure professionali diverse quali il neurologo, il ge-
riatra e lo specialista in medicina interna. Infine, la presentazione in urgenza delle diverse forme
avviene presso i Dipartimenti di Emergenza, ed è precisa responsabilità dei relativi medici di attiva-
re (e gestire almeno nelle fasi iniziali) protocolli diagnostici auspicabilmente appropriati e condivi-
si nell’ambito dell’ospedale. Sulla base di quanto sopra, l’approccio clinico al paziente con PdCTde-
ve in ogni caso essere multidisciplinare (30). Tra gli scopi del presente documento non rientrano la
definizione dei requisiti minimi di clinical competence per la responsabilità della Syncope Unit, né la
tipologia di rapporto gerarchico che dovrebbe legare tra loro i responsabili del centro e le altre figu-
re sanitarie a questo istituzionalmente afferenti. Relativamente a tale aspetto le Linee Guida della
Società Europea di Cardiologia suggeriscono di mantenere le professionalità esistenti, almeno nei
casi in cui nuclei dedicati alla sincope siano già operativi in contesti sanitari specifici (8).
Ai fini del presente documento è richiesto che vi sia un medico formalmente nominato respon-
sabile della Syncope Unit al quale siano attribuiti la facoltà ed il compito di completare l’intero
percorso diagnostico e terapeutico dei pazienti eventualmente avvalendosi, a suo giudizio, del-
l’ausilio di altri specialisti. Il suddetto responsabile può essere affiancato da:
– uno o più medici esperti con competenza specifica nella diagnosi e terapia delle perdite di co-
scienza transitorie di sospetta natura sincopale, dedicati a tempo pieno o parziale all’attività
della Syncope Unit;
– personale di supporto (infermieristico e/o tecnico e di segreteria) dedicato a tempo pieno o
parziale all’attività della Syncope Unit.
Organizzazione
La Syncope Unit deve essere in grado di garantire accesso preferenziale tramite prenotazione di-
retta per pazienti provenienti da (Fig. 48):
– Pronto Soccorso e osservazione breve intensiva;
– reparti di degenza;
– ambulatorio per esterni.
Inoltre la collaborazione con le Unità Operative costituenti la Syncope Unit deve essere istitu-
zionalizzata mediante stesura di un documento di percorso assistenziale strutturato e condiviso
che preveda l’individuazione dei rispettivi referenti.
Valutazione iniziale
Diagnosi sospetta
Diagnosi sicura Syncope-like o indeterminata
Completa accessibilità
alla diagnostica
strumentale e alle
consulenze specifiche
Fig. 48 – Il percorso diagnostico nel paziente con sincope: ruolo della Syncope Unit.
Dichiara che il suddetto centro risponde ai requisiti minimi richiesti da GIMSI ed in particolare:
1 – Risorse umane
Vi è un medico nominato formalmente responsabile della Syncope Unit a cui è attribuita la facol-
tà ed il compito di completare tutto il percorso diagnostico e terapeutico del paziente avvalen-
dosi, a suo giudizio, dell’ausilio di altri specialisti.
Il responsabile della Syncope Unit è il dott. __________________________________________
Il personale della Syncope Unit è inoltre costituito da uno o più medici esperti con competenza
specifica nella diagnosi e terapia delle perdite di coscienza transitoria di sospetta natura sincopa-
le dedicati a tempo pieno o parziale all’attività della Syncope Unit:
Nominativo: __________________________ Specialità ____________________________
Nominativo: __________________________ Specialità ____________________________
2 – Strutture
La Syncope Unit dispone di almeno un ambulatorio anche a tempo parziale.
Esso è parte della Unità Operativa di ______________________________________________
La Syncope Unit dispone di almeno un laboratorio di diagnostica non invasiva anche a tempo parziale.
Esso è parte della Unità Operativa di ______________________________________________
3 – Strumentazione
Dotazione di base gestita direttamente dal personale della Syncope Unit:
• Elettrocardiografo
• Sfigmomanometro
• Lettino da tilt test
• Strumento per il monitoraggio ECG e per il monitoraggio pressorio non invasivo battito-battito
• Attrezzature e farmaci per ALS (Advanced Life Support)
• Personal computer
Accesso facilitato tramite accordo formale all’interno dell’ospedale o con ospedali collegati ai se-
guenti esami:
• Loop recorder esterno Specificare chi e dove _______________________
• Loop recorder impiantabile Specificare chi e dove _______________________
• Holter Specificare chi e dove _______________________
• Monitoraggio pressorio ambulatoriale Specificare chi e dove _______________________
• Ecocardiografia Specificare chi e dove _______________________
• Test da sforzo Specificare chi e dove _______________________
• Angiografia coronarica Specificare chi e dove _______________________
• Studio elettrofisiologico intracavitario Specificare chi e dove _______________________
• Controllo pacemaker e defibrillatore Specificare chi e dove _______________________
• EEG Specificare chi e dove _______________________
• TC cranio e/o RM encefalo Specificare chi e dove _______________________
• Test di funzionalità neurovegetativa Specificare chi e dove _______________________
Accesso facilitato tramite accordo formale all’interno dell’ospedale o con ospedali collegati alle
seguenti terapie:
• Impianto pacemaker ed ICD Specificare chi e dove _______________________
• Ablazione transcatetere delle aritmie Specificare chi e dove _______________________
Accesso facilitato (tramite accordo formale all’interno dell’ospedale o con ospedali collegati) per
osservazione o ricovero in reparto dotato di letti monitorati (fissi o telemetrici):
Specificare reparto o dipartimento ________________________________________________
Specificare reparto o dipartimento ________________________________________________
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Indice analitico
•••Sincope_I_236_bis:•••Sincope_I_236 18-09-2009 10:38 Pagina 235
H Mioclonie 20
Hand-grip 140 Monitoraggio
Hyp-Hyp 189 – ambulatoriale della pressione arteriosa
(ABPM) 190
I – cardiaco 59
Ictus cerebrale 75 – ECG 52, 93, 129
Impiantable Cardiac Defibrillator (ICD) 70 – ECG con LRI 118, 204
Implantable Loop Recorder (LRI) 93-101, 115 – ECG prolungato 91, 100
Imaging 62 – fisso 94
Infarto miocardico 11, 47 – Holter 93, 94
Insufficienza cardiaca 51 – prolungato 94, 129
– congestizia 44 – telemetrico 52, 94
Intervallo HV 65, 66, 70 Morbo di Parkinson (MDP) 24, 153, 179, 189
Intolleranza ortostatica tardiva 84 Mortalità 13, 43
Iperreflessia senocarotidea (ISC) 78 Multiple-System Atrophy (MSA) 153, 179, 189
Ipertensione 187
– clinostatica 156 N
Ipoglicemia 20, 21 Narcolessia 21
Ipoperfusione cerebrale 3 Nervo
Ipotensione ortostatica (IO) 7, 59, 61, 69, 151, – glosso-faringeo 75
156, 202 – vago 75
– classica 7 Neuropatia periferica 154
– idiopatica 155 Nevralgia del glossofaringeo o del trigemino 138,
– iniziale 7 145
– progressiva 7, 82, 84 Nitrati 153
– tardiva 62 Nitroglicerina 81, 82
Ipotensione post-prandiale 157 Nucleo
Isoproterenolo 81 – ambiguo 75
ISSUE-1 96, 98, 119 – del tratto solitario 75
ISSUE-2 96, 98, 99, 100, 119
Isteria 20, 182 O
Isteroepilessia 182 Ortostatismo
– attivo 61
L – passivo 80
L-dopa 153 Osservatorio Epidemiologico sulla Sincope nel
Leg crossing 140 Lazio (OESIL) 45, 46, 48, 53
Linee Guida Società Europea di Cardiologia 78, Osservazione breve intensiva (OBI) 4, 53
86, 93, 95, 101, 111, 124, 145, 160, 169, 183
Loop recorder 79, 85, 142 P
– esterno (LRE) 93, 94, 105 Pacemaker 59, 65, 68, 79, 95, 100, 101
– impiantabile (LRI) 93-100, 101, 115 Paroxetina 142
Pattern disatonomico 84
M Paziente
Malattia coronarica 51 – anziano 12, 13, 181, 199
– del nodo del seno 11, 166 – a basso rischio 130
– di Parkinson 179, 180 – ad alto rischio 130
Malattie Perdita di coscienza (PdC) 96
– cardiopolmonari 11 – funzionale 4
– strutturali cardiache 11, 51 – psichiatrica 4
Malfunzionamento di dispositivi impiantabili 167 – transitoria (PdCT) 3, 96, 129
Manovre fisiche di contropressione 139 Perfusione cerebrale 5
Massaggio del seno carotideo (MSC) 59, 75-79, 86 Piridostigmina 195
Metodo dei sintomi 76, 77 Popolazione anziana 12
Midodrina 142, 158, 195 Presincope 4, 86
Minzione 25 Pressione arteriosa 5, 82, 190