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Fattori di rischio
I fattori di rischio dell’epatocarcinoma sono esposti nella tabella a lato. Sicuramente la cirrosi
epatica, l’HBV e l’HCV (quest’ultimo incide in maniera ancora maggiore rispetto al virus B), il
consumo cronico di etanolo, la steatoepatite non alcolica, il consumo di tabacco ed infine un altro
dato importante è la correlazione (soprattutto in Asia e in Africa) tra l’insorgenza del tumore e
l’aflatossina, che aumenta notevolmente l’incidenza di carcinoma primitivo del fegato. I portatori
cronici di virus B hanno un
rischio da 5 a 15 volte più alto
di presentare l’epatocarcinoma ,
infatti poichè questo virus è
considerato “oncogeno” di per
se, i pazienti affetti da epatite
virale B, anche non cirrotici,
possono andare incontro allo
sviluppo della neoplasia,
sebbene la cirrosi da virus B è
uno dei più importanti fattori
etiologici precancerosi, con il
70-80% di tumori HBV
correlati. Nei pazienti con
infezione da HBV ed epatocarcinoma, il DNA dell’HBV può risultare integrato nel DNA genomico
dell’ospite sia nelle cellule tumorali che negli epatociti adiacenti non coinvolti nella neoplasia.
1
Inoltre, si possono osservare modificazioni dell’espressione dei geni cellulari per mutagenesi
inserzionale e riarrangiamenti cromosomici. Queste alterazioni si verificano probabilmente durante
il processo di lesione e riparazione degli epatociti.1 Si è visto come contestualmente alla
vaccinazione contro l’HBV (portatori di HBsAg) dall’1984 al 1989, ci sia stata una progressiva
riduzione anche nell’epatocarcinoma. Un altro dato importante mostra uno studio di 600 pazienti
HBsAg+, dei quali una certa quota è stata trattata con Alamivudina, e tra questi la percentuale di
carcinoma si aggirava attorno al 4%, mentre una seconda coorte di pazienti trattata con placebo
mostrava un incremento nello sviluppo del tumore. Come già detto stiamo assistendo ad un
aumento del trend di casi di epatocarcinoma legato al virus C (journal of gastrenterology,2002) in
Europa e negli USA, nonché in Italia, dove la prevalenza di epatocarcinoma legato ad HCV è tra il
44 e il 66%. Altro fattore di rischio importante è la steatoepatite non alcolica, in quanto una certa
quota di pazienti con steatosi possono andare in contro a cirrosi e quindi essere a rischio di
neoplasia. Rarissime cause possono essere il (celeberrimo) morbo di Wilson, porfiriti, tirosinemia
e cirrosi biliari. Un recente studio del 2003 afferma che è in aumento la percentuale di soggetti ad
alto BMI (body mass index) con epatocarcinoma, avvalorando la tesi che l’obesità, correlata al
diabete è sicuramente un cofattore importante di aggravamento coinvolto sia nell’etiologia del
carcinoma epatico che di altri tumori.
Storia naturale
Dall’epatocita o
dalla cellula
staminale
iniziano tutta una
serie di passaggi
legati ad
alterazioni
molecolari
(proteine di
controllo del
ciclo cellulare,
telomeri,
alterazioni del
microambiente)
che portano
all’evoluzione di
una cellula, prima
“displastica” poi
“neoplastica”. Abbiamo una fase molecolare, una fase pre-clinica (asintomatica) e poi una fase
clinica caratterizzata da tutta una serie di sintomi. La più frequente forma di presentazione clinica è
il dolore, con presenza di una massa palpabile in ipocondrio destro. In corrispondenza del fegato si
1
Harrison’s Principles of internal medicine
2
può avvertire un crepitio o un rumore di sfregamento; in circa il 20% dei casi si può osservare ascite
emorragica. L’ittero è raro,a meno che non vi sia un importante deterioramento della funzione
epatica o un’ostruzione meccanica dei dotti biliari. Frequenti sono gli aumenti della fosfatasi
alcalina e dell alfa-fetoproteina (vedi oltre). 2 L’optimum sarebbe avere dei markers tali da
consentire al medico di poter fare diagnosi già in fase “molecolare”, o comunque il più
precocemente possibile. E ‘ pressoché inutile fare diagnosi di epatocarcinoma quando esso
rappresenta ormai una massa di 15 cm di diametro. L’andamento di crescita di questo tumore è
vario: generalmente abbiamo una crescita lineare, con aumento del doppio delle dimensioni in circa
sei mesi. Tuttavia la crescita può anche essere esponenziale, quindi un nodulo di pochi millimetri,
ecograficamente invisibile, può crescere enormemente nel giro di pochi mesi, creando grossi
problemi diagnostici. Altro fattore importante nella crescita dell’epatocarcinoma (e in generale di
molti tumori) è la neoangiogenesi, sulla quale si sta lavorando per lo sviluppo di nuovi farmaci
antitumorali3 che vanno a bloccare lo sviluppo dei vasi arteriosi del tumore. Migliore è lo sviluppo
vasale, migliore sarà la risposta del farmaco, ma peggiore sarà l’aggressività della neoplasia. Ci
sono infine fattori propri dell’ospite coinvolti nella progressione tumorale: la risposta immunitaria,
il sesso (prognosi peggiore nei maschi) , la razza ( progressione più rapida nei negri rispetto ai
bianchi) , l’età ed infine l’etiologia della malattia, dove alle forme ad etiologia virale è correlata una
progressione tumorale più rapida rispetto alle altre. Come sappiamo, la cirrosi evolve con
un’alterazione architetturale, un collasso stromale con successiva formazione di larghe bande di
tessuto connettivo contenente gli elementi residui di molte triadi portali e la formazione di noduli
irregolari di rigenerazione epatocitaria , aventi dimensioni variabili da microscopiche a diversi
centimetri di diametro. All’interno di tali noduli rigenerativi, si potrà a vere nell’80% dei casi lo
sviluppo di una foce neoplastica, così come un nodulo neoplastico potrà svilupparsi “de novo”. Ciò
a dimostrazione del fatto che l’evoluzione in un paziente con cirrosi, di un nodulo rigenerativo in
epatocarcinoma è altamente frequente.
Fase clinica
Nella fase clinica, l’evoluzione del tumore dipende dall’entità della cirrosi, dall’aggressività del
tumore stesso e dalla precocità della diagnosi. I tumori che hanno un atteggiamento compressivo
rispetto al tessuto circostante, sono meno evolutivi rispetto ai tumori infiltranti, che invadono ed
infiltrano i vasi arteriosi e venosi contigui. Quindi chi deve essere “sorvegliato”? e come?
Ovviamente dovremo controllare i portatori non cirrotici di infezione da virus B, quindi anche i
portatori sani dovranno essere monitorizzati nel tempo per l’eventuale comparsa di un
epatocarcinoma. Saranno sottoposti a monitoraggio i cirrotici che “dovrebbero” essere trattati, in
quanto essi con la diagnosi precoce possono essere salvati, a differenza dei cirrotici gravi,
scompensati, che purtroppo hanno una possibilità di sopravvivenza molto bassa. Si può dire che il
paziente “ideale” è un cirrotico, con un Child-Plugh A, compensato, senza gravi condizioni
associate (diabete, BPCO, cardiopatia ischemica, IRC), dove la diagnosi porterà al trapianto
epatico. La sorveglianza viene effettuata attraverso delle ecografie ripetute nel tempo, e (sempre di
meno) attraverso il dosaggio sierico dell’alfa-fetoproteina, che è un markers tumorale epatico. Studi
2
Harrison’s Principles of internal medicine
3
Talidomide
3
recenti hanno dimostrato che questo marker è dotato di bassa specificità e bassa sensibilità, a meno
che non raggiunga valori superiori ai 400mg/dl (unità di misura inventata da me…perché non detta
dal prof.). In conclusione si può dire che la cosa importante nel monitoraggio e nella diagnosi di
carcinoma epatocellulare è sicuramente la periodicità delle ecografie: in Italia si tende ad avere una
periodicità di 12 mesi, con una percentuale di epatocarcinoma del 3,2% l’anno e con solo un 54% di
tumori riscontrati di diametro inferiore ai 5cm. Il Prof. Mazzaferro di Milano con il suo team, ha
stipulato i famosi “criteri di resecabilità e trapiantabilità” o criteri di milano, riconosciuti in tutto il
mondo, ed ha posto come criterio limite per la resecabilità i 5cm (per il singolo tumore) o un
numero non superiore ai 3 tumori , ciascuno di dimensioni inferiori ai 3 cm. A questo punto dopo
che l’ecografista segnala al medico la presenza di un nodulo sospetto nel parenchima epatico, si
sottopone il paziente a
metodica TC o RNM, in
quanto tali tecniche di
diagnostica per immagini sono
in grado di evidenziare la
presenza della neoplasia
sfruttando la neoangiogenesi.
Si inietta il mezzo di contrasto
in fase arteriosa4, ed il tumore
si manifesta attraverso una
precoce captazione del MDC,
apparendo come una massa
iperdensa. Così come la
captazione del mezzo di
contrasto avviene rapidamente,
il wash-out(eliminazione del
mezzo) è rapido, quindi quando ci si trova davanti ad una lesione evidenziata dalla TC o dalla
RMN, iperdensa, con rapida captazione e rapido wash-out, si può asserire che quella lesione è
compatibile con un epatocarcinoma. Se però il nodulo ha una dimensione compresa tra 1 e 2 cm,
ipervascolarizzato, con captazione e wash-out rapidi, bisogna sempre confermare il dato con due
metodiche di diagnostica per immagini; mentre se il nodulo ha dimensioni superiori ai 2cm è
sufficiente la sola TC o la sola RMN. La biopsia è utile quando la lesione è inferiore al centimetro o
quando la diagnostica per immagini non fornisce informazioni chiarissime.
Ecco come appare il tumore: iperdenso, molto vascolarizzato, che si disingue nettamente dal
parenchima circostante.
Come abbiamo già detto, la cosa fondamentale è la diagnosi precoce di un piccolo carcinoma
ipervascolarizzato, e i giapponesi hanno fornito un grande contributo in questo, parlando per primi
di “very early hepatic cancer” , una lesione che appare addirittura ancora ipovascolarizzata alla
diagnostica per immagini. Si è visto che nei very early cancer, ancora piccolissimi,
ipovascolarizzati, la percentuale di sopravvivenza dopo resezione è del 97% a differenza della
percentuale di sopravvivenza dopo resezione di un “early cancer” che è del 57%. La terapia
4
Il fegato è dotato di quattro fasi: una fase arteriosa, una fase portale, una fase venosa sovra epatica ed una fase
tardiva di drenaggio del MDC. (A.Pisanu, New England Journal of medicine)
4
dell’epatocarcinoma è essenzialmente chirurgica, anche se è possibile effettuare (laddove la
resezione non è possibile) un trattamento con radiofrequenza o ablazione mediante etanolo. Nelle
forme più avanzate invece, si preferisce la chemioembolizzazione del ramo arterioso, una tecnica
superselettiva che consiste nella iniezione locale di sostanze chemioterapiche. In casi ancora più
estremi oggi si ricorre all’impiego di nuovissimi farmaci antitumorali che oltre ad essere
costosissimi, garantiscono una sopravvivenza di circa 3 mesi.