SOMMARIO
INTRODUZIONE ALL’ANATOMIA PATOLOGICA
COS’È L’ANATOMIA PATOLOGICA?
IL RISCONTRO DIAGNOSTICO
LE FASI DEL RISCONTRO DIAGNOSTICO
TECNICHE BIOPTICHE
INDAGINE ISTOLOGICA
INDAGINE CITOLOGICA
COLORAZIONI
STADIAZIONE E GRADO DI UN TUMORE
PATOLOGIE DEL TESSUTO OSSEO E DEI TESSUTI MOLLI
INTRODUZIONE AI TUMORI DEI TESSUTI MOLLI E DEL TESSUTO OSSEO
TUMORI DEL TESSUTO ADIPOSO
TUMORI DEL TESSUTO FIBROSO
TUMORI DEL TESSUTO FIBROISTOCITARIO
TUMORI DELLE GUAINE NERVOSE PERIFERICHE
TUMORI DEL TESSUTO MUSCOLARE LISCIO
TUMORI DEL TESSUTO MUSCOLARE SCHELETRICO
TUMORI DI INCERTA DIFFERENZIAZIONE
TUMORI DEL TESSUTO VASCOLARE
TUMORI DEL TESSUTO OSSEO
APPARATO GASTROINTESTINALE
CENNI DI ANATOMIA, ISTOLOGIA E FISIOLOGIA
GASTRITE CRONICA
MALATTIA PEPTICA ULCEROSA
MALASSORBIMENTO
MALATTIE INFIAMMATORIE INTESTINALI (IBD)
DISTURBI DEL CIRCOLO
MALATTIA DI HIRSCHSPRUNG
ENTEROCOLITI BATTERICHE
ENTEROCOLITI PARASSITARIE
GASTROENTERITI DELLA POPOLAZIONE IMMUNODEPRESSA
MALATTIA DIVERTICOLARE
APPENDICITE ACUTA
CARCINOMA GASTRICO
TUMORE STROMALE GASTROINTESTINALE (GIST)
LINFOMA GASTROINTESTINALE
POLIPI INTESTINALI
POLIPOSI ADENOMATOSA FAMILIARE (FAP)
CANCRO EREDITARIO DEL COLON-RETTO NON POLIPOSICO (HNPCC)
ADENOCARCINOMA DEL COLON-RETTO
TUMORI DELL’APPENDICE
TUMORI DEL CANALE ANALE
PATOLOGIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI
CENNI DI ANATOMIA, ISTOLOGIA E FISIOLOGIA
LESIONI ELEMENTARI EPATOCITARIE
LESIONI ELEMENTARI DEL TESSUTO EPATICO
INSUFFICIENZA EPATICA
IPERTENSIONE PORTALE
CIRROSI EPATICA
EPATITE ACUTA
EPATITE CRONICA
LESIONI NODULARI BENIGNE
EPATOCARCINOMA (HCC)
MALATTIE DELLE VIE BILIARI INTRAEPATICHE
COLANGIOCARCINOMA (CAA)
CARCINOMA DELLA COLECISTI
PATOLOGIE DEL PANCREAS
CENNI DI ANATOMIA, ISTOLOGIA E FISIOLOGIA
PANCREATITE ACUTA
PANCREATITE CRONICA
CARCINOMA DEL PANCREAS
TUMORI ENDOCRINI DEL PANCREAS
INDICE ANALITICO
INTRODUZIONE ALL’ANATOMIA
PATOLOGICA
Figura 1, tessuto muscolare scheletrico colorato in ematossilina ed eosina (EE). Per gentile
concessione di Rollroboter (CC BY-SA 3.0).
TRICROMICA DI MASSON
La tricromica di Masson è una colorazione tricromica che utilizza
l’ematossilina, un colorante basico, per colorare i nuclei cellulari in
viola/nerastro; la fucsina, un colorante acido, per colorare il citoplasma in
rosso ed il blu di anilina, un colorante basico, per colorare in azzurro le fibre
collagene ed il muco.
Figura 2, cute di ratto colorato in tricromica di Masson. In rosso si apprezzano le fibre muscolare ed
in blu il tessuto connettivo. Per gentile concessione di Jhsteel (CC BY-SA 4.0).
TRICROMICA DI MALLORY
La tricromica di Mallory è una colorazione tricromica che utilizza la fucsina
per colorare i nuclei cellulari in rosso; l’orange G per colorare in arancione il
citoplasma ed il blu di anilina o metilene per colorare in azzurro le fibre
collagene.
IMPREGNAZIONE ARGENTICA
L’impregnazione argentica (o metodo di Golgi) è una colorazione che
permette di visualizzare le cellule del tessuto nervoso, in quanto i neuroni ed i
suoi organuli si colorano in nero.
Figura 4, sezione di ippocampo umano colorato con impregnazione argentica (metodo di Golgi). Per
gentile concessione di MethoxyRoxy (CC BY-SA 2.5).
ORCEINA
L’orceina viene utilizzata per colorare in rosso-brunastro le fibre elastiche.
COLORAZIONI I S TO C H I M I C H E
Le colorazioni istochimiche sono colorazioni che forniscono informazioni
non tanto di carattere istomorfologico bensì sulla natura delle sostanze
chimiche, organiche ed inorganiche, delle componenti tissutali.
REAZIONE PAS
La reazione PAS (acido periodico-reattivo di Schiff) è una reazione
istochimica che viene utilizzata per evidenziare la presenza di mucine neutre
in epiteli secernenti e ghiandole endocrine. L’acido periodico attacca
selettivamente il gruppo amminico primario o quello ossidrilico, liberando un
gruppo aldeidico che viene rilevato dal reattivo di Schiff.
Figura 6, cellule caliciformi contenenti mucine neutre colorate in PAS. Per gentile concessione di
CoRus13 (CC BY-SA 4.0).
ALCIAN BLU
L’ Alcian Blu è un colorante carico positivamente ed utilizzato per colorare
le mucine acide tipiche di alcuni tessuti, quali la cartilagine.
Figura 7, sezione di esofago di Barrett (una metaplasia esofagea) colorata in Alcian Blu. Si notino le
cellule mucipare ricche di mucine acide colorante in azzurro.
I M M U N O I S TO C H I M I C A
Con il termine immunoistochimica si intende una tecnica in grado di rivelare
la presenza di specifiche molecole o strutture nel compartimento intra ed
extracellulare. L’immunoistochimica si basa sul legame tra antigene ed
anticorpo, addizionato a sistemi di rivelazione (enzimatici), diretti ed
indiretti, che evidenziano l’avvenuta coniugazione. In genere si utilizzano
anticorpi primari o secondari coniugati ad un enzima catalizzatore,
solitamente una perossidasi che reagisce con un substrato (DAB, FAST-RED
TR, cromogeno) determinando la formazione di un precipitato insolubile
visibile in microscopia ottica L’antigene è generalmente una molecole di
natura amminoacidica (proteina semplice o complessa) e rappresenta il
bersaglio specifico mentre l’anticorpo, mono o policlonale, viene utilizzato
come sonda rivelatrice. Un aspetto particolare dell’immunoenzimatica
riguarda la procedura di preparazione, la formalina utilizzata come fissante
tende a denaturare le proteine, determinando la formazione di ponti metilenici
che alterano i profili dei determinanti antigenici, potendo difatti rendere il sito
di legame dell’anticorpo refrattario al determinante antigenico, e di
conseguenza risulta fondamentale trattare chimicamente il campione in
maniera tale da rompere tali ponti. Un altro aspetto da considerare riguarda
l’utilizzo delle perossidasi come enzima catalizzatore, a livello cellulare sono
presenti già perossidasi endogene che devono essere inibite (in genere
attraverso saturazione con perossido di idrogeno) in maniera tale da non
inficiare il risultato dell’azione delle perossidasi esogene coniugate
all’anticorpo.
IMMUNOISTOCHIMICA DIRETTA
Nell’immunoistochimica diretta si utilizza un anticorpo specifico legato alla
perossidasi che lega selettivamente l’antigene tissutale, permettendo
successivamente la rivelazione mediante l’utilizzo di un substrato
cromogeno. E’ una tecnica veloce e dall’elevata specificità, tuttavia richiede
che ogni singolo anticorpo specifico per un determinato antigene sia
coniugato all’enzima catalizzatore.
IMMUNOISTOCHIMICA INDIRETTA
Nell’immunoistochimica indiretta si utilizza un anticorpo primario che
viene fatto reagire con l’antigene tissutale e che costituisce a sua volta il
determinante antigenico per un anticorpo secondario legato ad un enzima
catalizzatore. L’anticorpo secondario (talvolta si possono utilizzare anche dei
terziari) legare la regione costante (Fc) dell’anticorpo primario, rivelandone
la presenza. E’ una tecnica più versatile rispetto all’immunoistochimica
diretta in quanto è possibile utilizzare uno stesso anticorpo secondario per più
anticorpi primari di una stessa specie.
DIFFERENZE TRA IL METODO DIRETTO ED INDIRETTO
Nella tecnica diretta il legame specifico tra antigene tissutale ed anticorpo è
in rapporto di 1 ad 1, per cui la quantità di substrato colorato prodotto sarà
proporzionale alla quantità di antigene tissutali (considerando in eccesso
l’anticorpo). Nella tecnica indiretta il rapporto tra antigene tissutale ed
anticorpo primario e secondario è variabile, in quanto un anticorpo primario
può essere legato da più anticorpi secondari grazie a sistemi di amplificazione
del segnale (biotina-avidina, polimeri e PAP). Ciò naturalmente ha il
vantaggio di rendere più evidente l’avvenuta reazione.
Figura 9, liposarcoma mixoide caratterizzato dalla presenza di alcune cellule ben differenziate
riconducibili ad adipociti e cellule meno differenziate (lipoblasti). Sono presenti anche capillari dalla
parete sottile ed arborizzata (a cosiddetto pattern chicken wire). Per gentile concessione di Humpath
(CC BY 2.0)
T UMORI DEL TESSUTO FIBROSO
D E R M ATO F I B R O S A R C O M A PROTUBERANS
Il dermatofibrosarcoma protuberans è un fibrosarcoma primitivo ben
differenziato che insorge nel contesto dei tessuti molli del derma cutaneo. E’
una lesione maligna a crescita lenta che molto raramente dà origine a
metastasi ma che può frequentemente dare origine a recidive. Per tale motivo
vengono utilizzate tecniche dermatologiche specifiche (tecnica chirurgica di
Mohs) che prevedano una stretta collaborazione tra la chirurgia
dermatologica e l’anatomia patologica. In genere si presenta
macroscopicamente come una lesione solida nodulare, aggregante e
“protuberante”. La neoplasia tende ad estendersi verso i tessuti profondi (dal
derma verso il tessuto adiposo sottocutaneo), assumendo un aspetto
caratteristico a nido d’ape. L’epidermide sovrastante è solitamente
assottigliata e la lesione può andare talvolta incontro ad ulcerazione. Dal
punto di vista istologico si caratterizza per la presenza di fibroblasti disposti
in maniera radiale (a ruota di carro). All’immunoistochimica è presente
positività per il CD34 che serve a confermare la diagnosi ma non è di per sé
sufficiente nel porla.
Figura 10, dermatofibrosarcoma protuberans, si noti la disposizione dei fibroblasti in maniera radiale,
aspetto definito a ruota di carro. Per gentile concessione di Nephron (CC BY-SA 3.0).
FIBROSARCOMA
Il fibrosarcoma è un tumore maligno raro che può insorgere a qualsiasi età
ed in qualsiasi distretto, sebbene tenda ad interessare soprattutto i tessuti
molli degli arti inferiori e del tronco. Sono tumori aggressivi che tendono a
recidivare in oltre il dei casi ed a metastatizzare (in particolare a livello
polmonare ed osseo) in oltre il dei casi. Secondo i dati epidemiologici, la
sopravvivenza a anni non supera il , evidenziandone la natura letale. In
generale sono lesioni ad alto grado (fibrosarcoma scarsamente differenziato)
sebbene esistano varianti meno aggressive (fibrosarcoma ben differenziato e
convenzionale).
I fibrosarcomi appaiono dal punto di vista macroscopico come masse ben
definite, lobulate, non capsulate, di colore grigiastro ed a margini
apparentemente netti ma in realtà infiltrativi. L’aspetto microscopico varia a
seconda del grado della lesione, i fibrosarcomi a basso grado presentano
fibroblasti a forma fusata disposti in maniera ordinata, a costituire un pattern
noto come “a spina di pesce”, mentre quelli a più alto grado presentano
cellule neoplastiche con maggiori atipie, pleomorfismo, numero foci mitotici
ed aree di necrosi.
TUMORE F I B R O S O S O L I TA R I O E X T R A P L E U R I C O
Il tumore fibroso solitario extrapleurico, un tempo noto come
“mesotelioma benigno” o “emoangiopericitoma”, è una lesione tipica della
pleura che può insorgere, con le stesse caratteristiche, anche a livello dei
tessuti molli. E’ una lesione di grado intermedio, al confine tra benigno e
maligno, che può recidivare ripetutamente (soprattutto in sede extrapleurica)
assumendo di volta in volta maggiore malignità. Per questo motivo è
necessario un intervento di rimozione radicale.
Il tumore fibroso solitario extrapleurico appare dal punto di vista
macroscopico come una massa di tessuto fibroso denso con occasionali ciste
riempite di liquido viscoso. Microscopicamente appare costituito da cellule
fusate simil-fibroblasti che si dispongono attorno ai vasi a formare dei
cuscinetti con un pattern vascolare definito a “corna di cervo”.
Figura 11, tumore fibroso solitario extrapleurico, si noti la presenza di cellule fusate simil-fibroblasti
che si dispongono attorno ai vasi a formare dei cuscinetti. E’ presente inoltre il tipico pattern
vascolare definito a corna di cervo (“staghorn vascular pattern”) che corrisponde alle aree biancastre
che si diramano a ricordare la forma di corna di cervo. Per gentile concessione di KGH (CC BY-SA
3.0).
TUMORE M I O F I B R O B L A S T I C O I N F I A M M ATO R I O
Il tumore miofibroblastico infiammatorio è una lesione mesenchimale
caratterizzata dalla presenza di cellule fusate simil-miofibroblastiche
associate ad infiltrato infiammatorio. E’ un tumore raro che si manifesta in
genere in giovane età. Una buona parte dei tumori miofibroblastici
infiammatori presenta un riarrangiamento cromosomico che coinvolge la
chinasi del linfoma anaplastico (ALK), determinandone una espressione
aberrante.
T UMORI DEL TESSUTO FIBROISTOCITARIO
I tumori del tessuto fibroistocitario si caratterizzano per la presenza di una
componente mista che vede la compartecipazione sia di tessuto fibroso che
istocitario (evidenziabile con tecniche di immunoistochimica).
I S T I O C I TO M A FIBROSO MALIGNO (SARCOMA PLEOMORFO)
L’istiocitoma fibroso maligno è una lesione dei tessuti molli tipicamente
radio-indotta, molto frequente (superata unicamente dal liposarcoma) che
insorge in genere nei soggetti maschi in età adulta ( anni) e che interessa
soprattutto il compartimento profondo degli arti inferiori. E’ una lesione non
responsiva alla radioterapia che richiedere una exeresi completa, in quanto
recidiva piuttosto frequentemente. La sopravvivenza a anni è in intorno al
. Inoltre a differenza di altri sarcomi può metastatizzare oltre che a livello
polmonare anche a livello linfonodale.
L’istiocitoma fibroso maligno appare dal punto di vista macroscopico come
una lesione di dimensioni rilevanti e di aspetto irregolare al tagio. Dal punto
di vista microscopico, si caratterizza per la presenza di fibroblasti,
miofibroblasti ed istiociti (cellule giganti assenti nei fibrosarcomi). In genere
è caratterizzato da un elevato pleomorfismo citologico, numerosi foci mitotici
e nelle sue varianti può presentare molte cellule giganti multinucleate
(sarcoma pleomorfo a cellule giganti, grado 3) ed un pattern tipicamente
storiforme (sarcoma pleomorfo a pattern storiforme, grado2) che non si
osserva nei fibrosarcomi (che invece possono presentare il pattern a “spina di
pesce”).
T UMORI DELLE GUAINE NERVOSE PERIFERICHE
S C H WA N N O M A MALIGNO
Lo schwannoma maligno o tumore maligno della guaina del nervo
periferico o neurofibrosarcoma è una neoplasia non neuronale altamente
maligna, recidivante, localmente invasiva e frequentemente metastatizzante
(anche a livello cardiaco) che origina dalle cellule della guaina nervosa dei
nervi periferici di grandi e medie dimensioni. Alcune di queste lesioni
possono insorgere in maniera sporadica e all’incirca nel dei casi si
presentano nel contesto di una patologia legata alla mutazione del gene NF1,
ovvero la neurofibromatosi di tipo 1 (o di von Recklinghausen) che si
caratterizza per la presenza di neurofibromi, gliomi del nervo ottico, noduli
pigmentati dell’iride e macule cutanee iperpigmentate.
E’ una neoplasia a rapida crescita che può raggiungere anche dimensioni
notevoli in breve tempo. Dal punto di vista microscopico si caratterizza per la
presenza di cellule fusate, talvolta allungate e con processi bipolari che
ricordano le cellule di Schwann. All’immunoistochimica è presente in genere
positività per la proteina S100. In circa il dei casi, lo schwannoma maligno
si presente in una variante più aggressiva a cellule epitelioidi, definita
appunto schwannoma epitelioide maligno. Esso si caratterizza per la
presenza di cellule epiteliodi che crescono in nidi, potendo apparire come
metastasi da carcinoma o melanoma, da cui possono essere differenziati
tramite l’ausilio dell’immunoistochimica sulla base della mancata reattività
alla cheratina e per la positività alla proteina S100 (anche il melanoma risulta
positivo a tale marker, essendo una neoplasia neuroectodermica).
S C H WA N N O M A BENIGNO
Lo schwannoma benigno è un tumore della guaina del nervo periferico a
carattere benigno e ben più frequente rispetto alla controparte maligna.
Originano a partite dalle cellule di Schwann che rivestono i tronchi nervosi
periferici (spesso a carico dell’VIII nervo cranico a livello dell’angolo ponto-
cerebellare) e determinano la formazione di masse ben delimitate, incapsulate
e grigiastre che comprimono le strutture circostanti.
La diagnosi può essere effettuata senza l’ausilio dell’immunoistochimica, in
quanto presentano un quadro istologico comune e ben delineato. Le cellule
sono allungate e presentano processi citoplasmatici che si dispongono in
fascicoli, i nuclei sono raggruppati in “palizzate” frammiste a zone di
acellularità che costituiscono i corpi di Verocay. Sono presenti inoltre zone a
più lassa cellularità con prevalenza dello stroma di tipo mixoide.
Figura 12, Schwannoma benigno, si notino i corpi di Verocay (zone acellulari costituite dalle
protrusioni citoplasmatiche disposte in fascicoli)) frammiste alle due "palizzate" di nuclei; a sinistra si
può apprezzare una zona a più lassa cellularità con presenza di tessuto mixoide. Per gentile
concessione di Jensflorian (CC BY-SA 3.0).
T UMORI DEL TESSUTO MUSCOLARE LISCIO
LEIOMIOMA
I leiomioma è una neoplasia benigna del muscolo liscio che insorge
soprattutto a livello uterino e costituisce il tumore più frequente nelle donne.
Può insorgere anche a livello dei muscoli erettori del pelo (leiomioma pilare),
nel capezzolo, scroto e labbra vulvari e più raramente interessa i tessuti molli
profondi e la parete intestinale. La presenza di leiomiomi cutanei multipli può
talvolta rientrare nel contesto della sindrome della leiomiomatosi ereditaria
associata al carcinoma renale, una sindrome familiare trasmessa in maniera
autosomica dominante ed associata allo predisposizione per lo sviluppo di
leiomiomi uterini e carcinoma renale.
LEIOMIOSARCOMA
Il leiomiosarcoma è una neoplasia maligna a carico dei tessuti molli,
costituisce il di tutti i sarcomi ed è più frequente nel sesso femminile che
in quello maschile. Solitamente interessa la cute ed i tessuti profondi degli
arti, il retroperitoneo ed i grandi vasi. E’ un tumore estremamente aggressivo
e la sopravvivenza a anni è appena del .
I leiomiosarcomi si presentano come masse solide, non dolorose che possono
raggiungere anche dimensioni notevoli. A livello microscopico, si
caratterizzano per la presenza di cellule fusate con nucleo “a sigaro” disposte
in maniera intrecciata. All’immunoistochimica risultano positivi per l’actina e
la desmina.
Figura 13, leiomiosarcoma, le cellule presentano una forma affusolato e variamente intrecciate tra
loro, inoltre si può apprezzare il tipico pattern dei nuclei "a sigaro". Per gentile concessione di
Nephron (CC BY-SA 3.0).
T UMORI DEL TESSUTO MUSCOLARE SCHELETRICO
RABDOMIOSARCOMA
Il rabdomiosarcoma è un tumore ad alta malignità che compare solitamente
in età pediatrica e nel corso dell’adolescenza, rappresentando il sarcoma dei
tessuti molli più frequente nella suddetta fascia d’età. Solitamente insorge a
livello del distretto testa e collo e dell’apparato genitourinario, zone in cui il
muscolo scheletrico è scarsamente o per nulla rappresentato, e più raramente
a livello degli arti in associazione alla muscolatura scheletrica. Il
rabdomiosarcoma è un tumore raramente eleggibile all’exeresi per via delle
sedi d’insorgenza che spesso impediscono l’esecuzione di un intervento
chirurgico, tuttavia può essere trattato tramite chemioterapia e radioterapia
(sebbene l’istotipo alveolare possa risultare refrattario ad entrambi i
trattamenti). Attualmente la sopravvivenza a anni è di circa il .
Indipendentemente dalla varietà istologica considerata, la cellula diagnostica
è il rabdomioblasto, che si caratterizza per la presenza di citoplasma
granulare, eccentrico, eosinofilo e ricco di filamenti spessi e sottili. Dal punto
di vista diagnostico può essere utilizzata l’immunoreattività nei confronti di
desmina, MYOD1 e miogenina, in particolare per le forme a più elevato
grado di pleomorfismo.
RABDOMIOSARCOMA EMBRIONALE
Il rabdomiosarcoma embrionale appartiene alla cosiddetta categoria dei
“small-blue-round-cell-tumor” (SBRCT), ovvero un gruppo di neoplasie che
si caratterizzano per la presenza di cellule neoplastiche aventi nuclei che si
colorano spiccatamente in blu con l’ematossilina/eosina. La differenziazione
dei diversi istotipi viene condotta con l’ausilio dell’immunoistochimica e la
positività nei confronti di appositi marker. Il rabdomiosarcoma embrionale
insorge solitamente nei bambini di età inferiore ai anni ed interessa cavità
orale, orbita, orecchio medio, regione paratesticolare, prostata e vagina.
Comprende la variante botrioide (detto sarcoma botrioide) che si
caratterizza per lo sviluppo di numerose masse simili a grappoli d’uva che si
proiettano all’interno della cavità (talora obliterandola completamente),
l’anaplastico ed a cellula fusate. La variante botrioide presenta la prognosi
migliore, mentre l’anaplastico è spesso mortale. Dal punto di vista
patogenetico risulta importante la traslocazione t(2;8) che coinvolge il gene
PAX3.
RABDOMIOSARCOMA ALVEOLARE
Il rabdomiosarcoma alveolare è una neoplasia che insorge tipicamente
durante l’adolescenza ed interessa la muscolatura profonda degli arti. La
denominazione “alveolare” è dovuta alla micro-architettura tumorale,
caratterizzata dalla presenza di tralci di tessuto fibroso che dividono le cellule
in veri e propri nidi, ricordando la struttura dell’alveolo polmonare. Al centro
dei nidi si può apprezzare la presenza di infiltrato infiammatorio e cellule
neoplastiche scarsamente coese, mentre quelle in periferia aderiscono ai setti
fibrosi. Un’anomalia cromosomica importante sia dal punto di vista della
diagnosi che nella patogenesi del rabdomiosarcoma alveolare è la
traslocazione t(2;13) che determina la formazione di un gene di fusione
PAX3-FKHR, associato nel dei casi ad un’amplificazione di N-myc.
RABDOMIOSARCOMA PLEOMORFO
Il rabdomiosarcoma pleomorfo è una neoplasia che insorge tipicamente nei
tessuti profondi dell’adulto. E’ caratterizzato da un elevato pleomorfismo,
con cellule neoplastiche che presentano numero atipie, talora risultano
multinucleate, con nuclei bizzarri e giganti, e può assomigliare dal punto di
vista istologico ad altri sarcomi pleomorfi.
Figura 14, rabdomiosarcoma alveolare, si noti la presenza di tralci di tessuto fibroso a cui aderiscono
le cellule neoplastiche con una maggiore lassità cellulare al centro dei nidi. La micro-architettura
ricorda l’alveolo polmonare, somiglianza responsabile della denominazione “alveolare”. Per gentile
concessione di Humpath (CC BY-SA 3.0).
T UMORI DI INCERTA DIFFERENZIAZIONE
SARCOMA SINOVIALE
Il sarcoma sinoviale è una neoplasia dei tessuti molli relativamente
frequente, in quanto rappresenta il di tutti i sarcomi. La denominazione
deriva dal fatto che un tempo si riteneva riproducesse la membrana sinoviale,
ma in realtà la cellula d’origine è ancora incerta. La lesione insorge
generalmente nei tessuti profondi degli arti inferiori, in corrispondenza delle
grandi articolazioni (ginocchia ed anca) ma in sede extra-articolare. E’ un
tumore a crescita lenta con una sopravvivenza a di circa il che
diminuisce a anni al a causa delle recidive locali, mestasti polmonari ed
anche linfonodali. Un certo numero di sarcomi sinoviali può presentarsi
anche come piccole lesioni ( cm) a livello di mani e piedi,
prevalentemente nelle giovani donne ed associato ad una prognosi migliore.
Dal punto di vista microscopico, il sarcoma sinoviale può presentarsi in due
diversi quadri (bifasico o monofasico) per la peculiare presenza di una
duplice linea di differenziazione della cellula neoplastica, ovvero simil-
mesenchimale e simil-epiteliale. Nella forma monofasica sono presenti
unicamente cellule fusate o, molto raramente, solo cellule simil-epiteliali; in
quella bifasica sono presenti cellule fusate frammiste a cellule cubiche simili-
epiteliali che si organizzano in strutture simil-ghiandolari.
All’immunoistochimica le cellule simil-epiteliali presentano reattività per la
citocheratina, che può essere sfruttata dal punto di vista diagnostico. Inoltre i
sarcomi sinoviali presentano in genere una traslocazione cromosomica t(x;18)
che determina la formazione di un gene di fusione aberrante, caratteristica
che può essere sfruttata per una diagnosi di tipo molecolare.
T UMORI DEL TESSUTO VASCOLARE
SARCOMA DI KAPOSI
Il sarcoma di Kaposi (SK) è una neoplasia dei tessuti molli abbastanza
comune nei soggetti affetti da AIDS, mentre risulta raro in altre popolazioni.
Una costante nella patogenesi del tumore è l’infezione da parte di un herpes
virus (HHV8 o KSHV) che determina a livello delle cellule endoteliali
un’infezione litica ed una latente. L’infezione litica promuove il reclutamento
di linfociti T (che nei soggetti AIDS risultano essi stessi compromessi) e di
altre cellule infiammatorie che producono in maniera aberrante VEGF, dando
origine ad un disordine proliferativo a cui si associa l’alterata espressione di
alcuni oncogeni ed oncosoppressori (ad esempio p53) nelle cellule endoteliali
infette dovuta all’infezione latente. Tutto ciò esita in un’incontrollata
proliferazione cellulare ed in una spiccata resistenza ai meccanismi
apoptotici. Risulta evidente come la crescita stessa della lesione tumorale
dipenda anche dalla funzionalità del sistema immunitario del soggetto. La
peculiarità delle cellule neoplastiche del SK è che possono differenziare in
cellule endoteliali linfatiche, evidenziando come tale lesione costituisca un
disordine primariamente dell’endotelio linfatico anziché vascolare. Il SK
insorge nella sua variante classica a livello della cute, ma può interessare
anche le mucose, i visceri ed i linfonodi. In generale si riconoscono quattro
forme della malattia (classica, AIDS-associata, da trapianto-associata,
linfoadenopatica), sulla base di caratteristiche demografiche e di fattori di
rischio della popolazione considerata.
VARIANTE CLASSICA
La variante classica del SK è stata la prima ad essere descritta, interessa in
genere soggetti europei in età avanzata (è rara negli USA), immunodepressi o
con alterazioni del sistema immunitario, con concomitanti tumori maligni ma
non affetti da AIDS. Nella sua forma classica, il SK tende ad insorgere a
livello degli arti inferiori e superiori, interessando la cute ed il sottocute. Dal
punto di vista macroscopico, si presenta come multiple lesioni nodulari o a
placca, di colore rossastro, che si sviluppano lentamente in direzione
prossimale. La variante classica è una lesione che non presenta caratteristiche
di malignità ed è di pertinenza dermatologica, in un certo numero di casi può
andare incontro a remissione spontanea. La forma classica del SK (ed a volte
anche le altre varianti) tende a svilupparsi secondo tre stadi:
Inizialmente si ha la comparsa di macule di colore rossastro a livello
delle estremità degli arti. All’esame microscopico la lesione appare
molto simile al tessuto di granulazione, si apprezzano spazi vascolari
determinati da una anormale proliferazione delle cellule endoteliali con
infiltrato infiammatorio e sono assenti le cellule neoplastiche fusiformi.
Con il progredire del tempo, la lesione si estende prossimalmente e si
formano placche violacee talora rilevate. All’esame microscopico sono
presenti numerosi vasi del derma espansi e irregolari con infiltrato
infiammatorio (soprattutto linfocitario) circondati da cellule fusiformi.
Infine si ha la formazione di lesioni nodulari di colore
violaceo/rossastro. All’esame microscopico si apprezza la presenza di
diversi strati di cellule fusiformi con presenza di irregolari vasi e talora
zone di stravaso ematico in un contesto infiammatorio.
VARIANTE AIDS ASSOCIATA
La variante AIDS associata del SK si manifestava originariamente in circa
1/3 dei pazienti AIDS positivi, soprattutto nei maschi omosessuali.
Attualmente l’incidenza del SK in questa popolazione è drasticamente
diminuita in concomitanza con le moderne terapie antiretrovirali. Questa
forma di SK tende a coinvolgere soprattutto i visceri ed i linfonodi e si può
diffondere anche estesamente, tuttavia l’exitus è spesso determinato dalla
sviluppo di infezioni opportunistiche o di altri linfomi. Bisogna difatti
ricordare che nei soggetti AIDS viene meno la sorveglianza immunitaria nei
confronti delle cellule neoplastiche e l’efficacia stessa del sistema
immunitario nel distruggere microbi normalmente innocui.
Figura 15, sarcoma di Kaposi (SK), si notino gli spazi vascolari contenenti eritrociti circondati da
cellule neoplastiche fusiformi. Per gentile concessione di Yale Rosen (CC BY-SA 2.0).
ANGIOSARCOMA
L’angiosarcoma è una neoplasia endoteliale maligna ad alto grado che può
insorgere a livello cutaneo (volto, cuoio capelluto), epatico, milza, mammella
e gli arti. La sopravvivenza a anni è rara, anche con trattamento chirurgico e
chemioterapico. E’ un tumore estremamente aggressivo che può interessare
anche gli strati più profondi (ad esempio a livello degli arti può interessare
anche le ossa). Inoltre è un tumore che può essere indotto dalle radiazioni.
Alcuni fattori di rischio per lo sviluppo di angiosarcoma riguardano
l’esposizione professionale a cloruro di polivinile (una plastica molto
diffusa), l’esposizione alle radiazioni, l’utilizzo in passato di mezzo di
contrasto Thorotrast ed il linfedema cronico legato alla mastectomia radicale
(con resezione dei linfonodi) in seguito al carcinoma della mammella.
Dal punto di vista macroscopico, l’angiosarcoma si presenta come noduli
cutanei multipli di colore rossastro, non dolenti, inizialmente di piccole
dimensioni e che si trasformano successivamente in masse carnose e soffici,
con evidenti aree emorragiche e di necrosi. Dal punto di vista microscopico,
l’angiosarcoma può presentare cellule anaplastiche rigonfie che si
organizzano a formare canali vascolari fino a cellule completamente
indifferenziate con assenza di spazi vascolari. All’immunoistochimica
presenta positività per il CD31, marcatore sfruttato dal punto di vista
diagnostico.
T UMORI DEL TESSUTO OSSEO
I tumori del tessuto osseo, considerati nel loro insieme, tendono a colpire
tutte le età e possono insorgere in qualsiasi segmento osseo, sebbene vi sia
una tendenza a svilupparsi nelle ossa lunghe degli arti. Bisogna considerare
comunque che alcuni tumori ossei tendono a presentarsi in specifici gruppi
d’età e in determinati segmenti ossei (facendo riferimento alle ossa lunghe,
epifisi, diafisi e metafisi), per cui tali caratteristiche risultano estremamente
importanti anche dal punto di vista diagnostico. Ad esempio, un tumore a
livello delle falangi si rivela spesso essere un condroma, mentre un sarcoma
di Ewing in genere insorge nei soggetti di età inferiore ai anni a livello
delle diafisi delle ossa lunghe.
Sede Tipo di tumore
Diafisi Sarcoma di Ewing
Metafisi Osteosarcoma
Epifisi Sarcoma gigantocellulare dell’osso
Tabella 4, tumori maligni che insorgono più frequentemente nei diversi segmenti ossei delle ossa
lunghe.
Figura 16, osteosarcoma, si noti la presenza di una matrice osteoide con immerse cellule anaplastiche,
giganti, con numerose atipie e la presenza di figure mitotiche. Per gentile concessione di Nephron (CC
BY-SA 3.0).
Le diverse varietà di osteosarcoma si associano a prognosi differenti:
L’osteosarcoma teleangectasico è una varietà estremamente aggressiva
che si caratterizza per la presenza di cellule giganti multinucleate e di
vasi sanguigni privi di una parete continua e direttamente scavati
nell’osso, con formazione di cavità ricche di globuli rossi che ricordano
delle cisti aneurismatiche.
L’osteosarcoma parostale è una varietà a basso grado di malignità che
si caratterizza per lo sviluppo della lesione dalla superficie ossea (al di
fuori del periostio) verso i tessuti molli. La massa tumorale è costituita
da tessuto osseo maturo, con linee cementati, a disposizione alterata e
contenente le cellule neoplastiche. In genere insorge nei soggetti in età
avanzata, si sviluppa lentamente, determinando la formazione di una
massa dolente che porta alla progressiva perdita funzionale, non
metastatizza e si associa ad una prognosi favorevole con una
sopravvivenza a anni dell’ .
L’osteosarcoma periosteo è una forma estremamente rara che insorge
tipicamente nelle donne, a livello del confine diafisi e metafisi nella
tibia prossimale o femore distale. E’ un tumore ben differenziato che
non interessa mai il canale midollare. Presenta una prognosi buona ma
inferiore rispetto all’osteosarcoma parostale, in quanto può recidivare
localmente e nel dei casi origina delle metastasi.
TUMORI CONDROGENICI
I tumori condrogenici sono tumori del tessuto osseo che si caratterizzano per
la deposizione di cartilagine, principalmente di tipo ialino o mixoide;
raramente la cartilagine fibrosa ed elastica.
OSTEOCONDROMA
L’osteocondroma è un tumore benigno, relativamente frequente, che si
sviluppa sulla superficie ossea, appare come una lesione fungiforme,
ricoperta di cartilagine, che si collega allo scheletro sottostante per mezzo di
un peduncolo osseo. In genere si presenta come una lesione solitaria, ma in
un ridotto numero di casi può rientrare nel contesto della sindrome delle
esostosi multiple ereditarie. Si ritiene che alla base della trasformazione in
senso neoplastico vi sia una alterazione nei processi di ossificazione
endocondrale (un processo di ossificazione che ha origina a partire da un
cappuccio cartilagineo) che determina un’aberrante proliferazione cellulare.
Per questo motivo, insorge tipicamente in quelle sedi che vedono processi di
ossificazione endocondrale, come le metafisi delle ossa lunghe, specialmente
nei giovani.
CONDROMA
Il condroma è un tumore benigno piuttosto frequente del tessuto osseo che
insorge solitamente nelle ossa di origine endocondrale, specialmente a livello
delle metafisi delle ossa tubulari delle dita, mentre raramente interessa le ossa
più profonde. Il condroma può interessare la cavità midollare (e viene più
propriamente detto encondroma) o la superficie ossea (condroma
iuxtacorticali). Alla radiografia, i condromi appaiono come lesioni
osteolitiche radiotrasparenti di forma rotondeggiante. All’esame
microscopico, si caratterizzano invece per la presenza di noduli di cartilagine
ialina disordinata con cellule ben differenziate, spesso rivestiti da un sottile
strato di osso reattivo.
CONDROBLASTOMA
Il condroblastoma è un raro tumore benigno del tessuto osseo che insorge
solitamente a livello epifisario, specialmente a livello della regione del
ginocchio. Essendo tumori a localizzazione iuxta-articolare, possono risultare
dolenti e limitare la funzionalità dell’articolazione. All’esame microscopico,
si caratterizzano per la presenza di cellule neoplastiche simil-condroblastiche,
di forma poliedrica, con nuclei cellulari iperlobulati, immerse in una scarsa
matrice ialina ad architettura retiforme. Sparse nel contesto della lesione si
osservano osteoclasti, cellule non neoplastiche giganti e multinucleate.
Figura 17, condroblastoma, si noti la presenza di osteoblasti di forma poliedrica con nuclei lobulati e
di una cellula gigante multinucleata non neoplastica (osteoclasto), immersi in una matrice cartilaginea
scarsa ad architettura retiforme. Per gentile concessione di Sarahkayb (CC BY-SA 4.0).
CONDROSARCOMA
Il condrosarcoma è un tumore maligno dei tessuti molli relativamente
frequente e rappresenta il terzo (dopo mieloma ed osteosarcoma) fra i tumori
dell’osso. Viene classificato in base alla sede d’insorgenza in centrale
(intramidollare), periferico e periostale; ed in base alle caratteristiche
istologiche in convenzionale, a cellule chiare, mesenchimale e
dedifferenziato. La forma più comune, all’incirca il dei casi, è il
condrosarcoma centrale convenzionale. Il condrosarcoma centrale ha origine
a livello della porzione centrale di un segmento osseo de novo ed in numero
ridotto di casi da una precedente condroma; quello periferico solitamente
insorge primariamente al di fuori dell’osso per impiantarvisi successivamente
oppure a partire dalla degenerazione del cappuccio cartilagineo di un
osteocondroma.
Il condrosarcoma convenzionale interessa solitamente i soggetti di sesso
maschile tra i anni e colpisce più frequentemente le zone centrali dello
scheletro (pelvi, bacino, coste, vertebre, spalle) e solo raramente le metafisi
delle ossa lunghe. In un ridotto numero di casi il condrosarcoma
convenzionale può insorgere a partire da un precedente condroma od
osteocondroma. Dal punto di vista macroscopico, i condrosarcomi appaiono
come lesioni voluminose costituite da noduli di colore madreperlaceo. Dal
punto di vista microscopio, si caratterizzano per la presenza di cellule
neoplastiche atipiche immerse in una matrice ialina e mixoide. A seconda
delle caratteristiche cellulari e della cellularità, le lesioni possono essere
classificate in maniera differente (e con prognosi associate diverse):
Lesioni di basso grado (G1) si caratterizzano per la presenza di una
lieve ipercellularità, le cellule neoplastiche assomigliano a condrociti
normali, risultano rigonfie e tendono ad associarsi in gruppetti. La
sopravvivenza a anni è del .
Lesioni di grado intermedio (G2) si caratterizzano per una più elevata
ipercellularità e per la presenza di cellule atipiche. La prognosi è più
sfavorevole rispetto ai G1.
Lesioni ad alto grado (G3) si caratterizzano per una spiccata
ipercellularità e pleomorfismo, con cellule giganti e numerose figure
mitotiche. La sopravvivenza a anni è appena del , anche in
relazione alla spiccata tendenza a metastatizzare, specialmente a livello
polmonare.
Il condrosarcoma periostale (detto anche iuxtacorticale) è una variante più
rara che insorge a livello del periostio (ovvero a partire dalla superficie ossea)
delle diafisi delle ossa lunghe. In genere presenta una buona prognosi, in
quanto ha una scarsa tendenza a metastatizzare.
Il condrosarcoma mesenchimale è una variante di condrosarcoma piuttosto
aggressiva che insorge tipicamente nel giovane. Si caratterizza per la
presenza di noduli di cartilagine ben differenziata ed aree di ipercellularità
con piccole cellule maligne rotonde ed indifferenziate, facendo parte di
conseguenza dei “small-blue-round-cell-tumor” (SBRCT). Sono presenti
delle strutture vascolari piuttosto caratteristiche, che ricordano quelle
dell’emangiopericitoma. Presenta una spiccata tendenza a metastatizzare a
livello polmonare ed osseo e la sopravvivenza a anni è scarsa.
A LT R I T U M O R I D E L T E S S U TO O S S E O
TUMORE A CELLULE GIGANTI
Il tumore a cellule giganti è un tumore benigno, ma localmente aggressivo,
che si caratterizza per la presenza sia di fibrocellule mononucleate
neoplastiche che di numerose cellule giganti multinucleate (osteoclasti), per
tale motivo talora viene detto anche osteoclastoma. In generale insorge a
livello della regione del ginocchio, interessando l’epifisi del femore distale o
quella della tibia prossimale. La lesione erode il piano osseo subcondrale,
distrugge la cartilagine sovrastante e determina la formazione di una massa di
tessuto molle rivestita unicamente da un piccolo strato di osso reattivo.
Figura 18, tumore a cellule giganti (osteoclastoma), si noti la presenza di piccole cellule mononucleate
e delle cellule giganti multinucleate (osteoclasti). Per gentile concessione di Nephron (CC BY-SA 3.0)
[modificato da Giant cell tumour of bone .jpg,].
Dal punto di vista patogenetico, nell’ dei casi si osserva una traslocazione
t(11;22) che interessa il gene EWSR1, determinando la formazione di una
proteina chimerica che altera l’espressione di determinati geni target. La
traslocazione può essere evidenziata utilizzando la FISH oppure il suo
trascritto può essere amplificato mediante la PCR. All’immunoistochimica
risulta positivo per CD59, CD57, NSE (enolasi neurone specifica) e PAS
(diastasi sensibile).
LINFOMA PRIMITIVO DELL’OSSO
Il linfoma primitivo dell’osso è una rara neoplasia primitiva dell’osso che
può coinvolgere in generale tutte le ossa ricche di midollo rosso, con una
particolare predilezione per la metafisi delle ossa lunghe. In generale
presentano un aspetto carnoso, di colore biancastro, tipicamente sono diffusi
ed a grandi cellule B. In presenza di una terapia adeguata, la sopravvivenza a
anni supera l’ .
CORDOMA
Il cordoma è un tumore maligno raro che insorge lungo la linea mediana, ha
origine a partire da residui notocordali presenti nello scheletro assiale ed
interessa tipicamente gli individui adulti di sesso maschile. E’ un tumore a
crescita lenta con distruzione locale dell’osso, raramente origina metastasi (di
solito a livello dei gangli linfatici, polmoni ed ossa) e tende a recidivare
localmente, comprimendo le strutture limitrofe. Le sedi in cui insorge sono
tipicamente sedi di difficile accesso e di scarsa risoluzione:
Nel dei casi origina a livello sacro-coccigeo, l’osso viene
progressivamente distrutto e la lesione può diffondere a livello
retroperitoneale, presentandosi talora come una massa extra-rettale ben
palpabile.
Nel dei casi origina a livello del clivus dell’occipitale o nella zona
sfeno-occipitale. Si presenta come una massa nasale, paranasale o
rinofaringea che può comprimere nervi cranici dando origine a tutta una
serie di disturbi neurologici.
Nel dei casi insorge a livello della colonna toraco-lombare.
Nonostante sia un tumore primitivo dell’osso, il cordoma presenta tratti tipici
delle neoplasie epiteliali. Dal punto di vista macroscopico, appare come una
massa di aspetto mucoide, aspetto tipicamente epiteliale. All’analisi
microscopica, si caratterizza per la presenza di grosse cellule, dal citoplasma
ampio e chiaro, con nucleo piccolo e contorni sottili, provviste di ampi
vacuoli, dette cellule fisalifore. Le cellule neoplastiche presentano un
fenotipico tipicamente epiteliale ed esprimono, se pur in maniera
differenziata, biomarcatori epiteliali (ad esempio la N-caderina, associata ad
una prognosi più sfavorevole, ed alcune citocheratine).
Figura 20, cordoma, si noti la presenza di grosse cellule fisalifore dal citoplasma chiaro, ampio e
vacuolato, un aspetto tipico delle cellule vegetali. Per gentile concessione di Nephron (CC BY-SA 3.0).
M A L AT T I A M E TA S TAT I C A
Le lesioni metastatiche sono neoplasie maligne che insorgono nel contesto
di una neoplasia in stadio avanzato che dissemina in altri distretti
dell’organismo. Le metastasi sono le più comuni neoplasie maligne del
tessuto osseo. Le vie di diffusione possono riguardare:
Infiltrazione diretta per contiguità.
Diffusione per via ematogena o linfatica.
Diffusione intrarachidea per mezzo del plesso venoso di Batson.
Potenzialmente una metastasi ossea può avere origine da qualsiasi neoplasia
maligna, ma a seconda del gruppo considerato si osserva una frequenza
differente. Nell’adulto, circa l’ delle metastasi ha origina a partire da
carcinomi prostatici, della mammella, del rene, del polmone e della tiroide.
Nel bambino, la maggior parte delle metastasi originano da neuroblastoma,
tumore di Wilms, osteosarcoma, sarcoma di Ewing e rabdomiosarcoma.
TUMORI D I N AT U R A N E O P L A S T I C A I N D E F I N I TA
I tumori di natura neoplastica indefinita sono lesioni borderline che
potrebbero avere qualche connessione con la natura neoplastica.
OSTEOMA
L’osteoma è una lesione di natura indefinita (talora classificato come un
tumore benigno) che si presenta macroscopicamente come una lesione
bozzoluta, di forma ovale, che interessa solitamente le ossa facciali,
emergendo in superficie, e talora quelle all’interno del cranio. Origina
solitamente dalla corticale dell’osso in sede sottoperiostale e si caratterizza
per la presenza di tessuto osseo immaturo. In genere sono lesioni dalla scarsa
rilevanza clinica, ad eccezione di quando ostruiscono i seni o comprino le
strutture circostanti.
ISTIOCITOSI A CELLULE DI LANGERHANS
L’istiocitosi a cellule di Langerhans è una malattia che si caratterizza per la
proliferazione ed accumulo di cellule di Langerhans, in genere sotto forma di
granulomi. Può presentarsi in maniera uni-focale, come una singola lesione,
oppure come una condizione sistemica, con lesioni multifocali. Lo scheletro è
l’organo più frequentemente interessato, in particolare le lesioni tendono a
localizzarsi a livello della teca cranica, ed alla radiografia appaiono come
lesioni osteolitiche ben definite, che ricordano quelle di un mieloma o di una
metastasi. Dal punto di vista microscopico, si caratterizza per la presenza di
cellule di Langerhans (che normalmente sono confinate a livello cutaneo),
caratterizzate da abbondante citoplasma, spesso vacuolate, con nuclei che
presentano un caratteristico solco centrale che conferisce alle cellule un
aspetto “a chicco di caffè”; accompagnate da un abbondante infiltrato di
cellule eosinofile, che talora possono rappresentare la componente principale
dell’infiltrato, tant’è che un tempo questa malattia era nota come granuloma
eosinofilo. All’immunoistochimica le cellule neoplastiche risultano positive
per i marcatori delle cellule di Langerhans.
Figura 21, istiocitosi a cellule di Langerhans, si noti la presenza di cellule istiocitiche con un ampio
citoplasma chiaro, un nucleo con aspetto vacuolato ed il tipico solco centrale che conferisce l'aspetto
"a chicco di caffè". Alle cellule di Langerhans si accompagna un infiltrato di cellule eosinofile. Per
gentile concessione di Yale Rosen (CC BY-SA 2.0).
Figura 23, sezione di intestino tenue. Risulta ben evidente la struttura del villo, la presenza delle
ghiandole intestinali intercalate tra i villi e l’infiltrato linfocitario che costituisce il MALT. Per gentile
concessione di Nephron (CC BY-SA 3.0).
CANALE ANALE
Il canale anale è la porzione termina dell’intestino crasso, lunga appena 3-5
cm e situata tra la linea pettinata e la cute perineale. Al di sopra della linea
dentata, l’intestino è rivestito da mucosa del colon-retto, con epitelio
cilindrico mucosecernente; l’epitelio che riveste il canale anale è di tipo
squamoso non cheratinizzante nella porzione prossimale e diviene
cheratinizzato in prossimità della cute perineale. Terminato il canale anale, in
corrispondenza della linea di Hilton riconoscibile per la presenza di annessi
cutanei, si ritrova l’epidermide con epitelio squamoso pluristratificato
cheratinizzato. Tale distinzione è importante perché la prognosi ed il
trattamento terapeutico di una eventuale lesione differiscono a seconda del
sito d'insorgenza (cute perineale, colon discendente e canale anale): i tumori
del canale anale sono neoplasie che insorgono tra la linea dentata e la rima
anale.
Tra le epitelio cilindrico della mucosa del colon-retto e la porzione superiore
del canale anale e presentano una zona di transizione, nota come zona cloaco-
genica, così definita perché da essa derivano le cellule staminali che danno
origine all'epitelio urinario e squamoso del canale anale durante
l’embriogenesi. Dal punto di vista istologico, l'epitelio della zona cloaco-
genica è simile a quello di transizione, un epitelio di tipo cilindrico-squamoso
con vari aspetti di possibili di cheratinizzazione e cellule neuroendocrine a
contatto con la membrana basale. Si ritiene che la maggior parte delle
neoplasie del canale anale abbia origine a partire dalla zona di transizione.
VASCOLARIZZAZIONE D E L T R AT TO G A S T R O I N T E S T I N A L E
VASCOLARIZZAZIONE DELLO STOMACO
La vascolarizzazione arteriosa dello stomaco è a carico dell’arteria gastrica
destra, ramo dell’epatica comune; della gastro-epiploica destra, ramo
dell’arteria gastro-duodenale; dell’arteria gastrica sinistra che si dirama
direttamente dal tripode celiaco; dell’arteria gastro-epiploica di sinistra e le
gastriche brevi, entrambi rami dell’arteria splenica. La gastrica di sinistra e di
destra si anastomizzano a formare un’arcata vascolare che irrora la piccola
curvatura dello stomaco, mentre l’anastomosi tra gastro-epiploica di destra e
sinistra forma un’arcata vascolare che irrora la grande curvatura dello
stomaco. Il fondo gastrico è irrorato dalle gastriche brevi decorrendo nel
legamento gastrolienale.
La vascolarizzazione venosa dello stomaco è a carico dell’arteria gastrica di
sinistra e di destra che drenano il sangue refluo nella vena porta; della vena
gastro-epiploica di destra che confluisce nella mesenterica superiore che a sua
volta drena il sangue direttamente nella porta; delle vene gastriche brevi e
gastro-epiploica di sinistra che confluiscono nella vena splenica che a sua
volta drena il sangue refluo direttamente nella porta. Alcuni rami venosi della
regione cardiale e della faccia posteriore del fondo dello stomaco drenano
nelle vene esofagee, nelle diaframmatiche inferiori e nelle surrenali, tributarie
della vena cava.
Figura 24, schema della vascolarizzazione venosa dello stomaco.
Figura 25, schema della vascolarizzazione arteriosa dello stomaco, della milza, del pancreas e della
prima parte del duodeno.
Figura 26, schema della vascolarizzazione arteriosa dell'intestino tenue e di parte del crasso.
G ASTRITE CRONICA
Le gastriti croniche sono patologie infiammatorie che interessano la mucosa
gastrica e si caratterizzano per l’evidenza di un infiltrato infiammatorio. La
diagnosi di gastrite cronica viene effettuata mediante una biopsia gastrica che
dimostra la presenza di elementi infiammatori e di danno tissutale. I fattori
che sottendono una gastrite cronica sono diversi e tutti esitano in
un’alterazione della barriera mucosa gastrica con esposizione dell’epitelio
all’acido cloridrico e all’azione enzimatica della pepsina. Tra i più importanti
fattori vi sono infezioni da batteri (principalmente Helicobacter Pylori), virus
o tossinfezioni, autoimmunità, agenti chimici e fisici, fenomeni ischemici e
inappropriato utilizzo di FANS.
GASTRITE CRONICA DI TIPO A ( A U TO I M M U N E )
Le gastriti autoimmuni costituiscono meno del dei casi di gastrite
cronica ed interessano prevalentemente la popolazione anziana. In generale
interessa solamente la regione fundica (corpo e fondo dello stomaco) e tende
a risparmiare la regione antrale, in quanto il meccanismo patogenetico si basa
sulla presenza di autoanticorpi diretti contro autoantigeni presenti sulle
cellule parietali (che come detto in precedenza si trovano a livello della
regione fundica). La progressiva perdita di cellule parietali determina una
riduzione della secrezione di acido gastrico, fino alla completa acloridria, e di
fattore intrinseco. Questi due eventi a loro volta determinano una condizione
di ipergastrinemia, che si instaura attraverso un meccanismo a feedback nel
tentativo di ripristinare una adeguata secrezione gastrica, e di deficit di
vitamina B12, che causa il progressivo sviluppo di anemia perniciosa.
L’iperplasia delle cellule G neuroendocrine può talora esitare in veri e propri
tumori neuroendocrini (o carcinoidi) gastrina-secernenti, detti gastrinomi. La
gastrite cronica autoimmune viene talora definita anche come gastrite
cronica atrofica in quanto si associa ad assottigliamento della mucosa con
rarefazione ed atrofia ghiandolare e metaplasia intestinale, ovvero
sostituzione delle cellule epiteliali dello stomaco con quelle intestinali.
Questa condizione viene considerata una pre-cancerosi e si associa ad un
aumentato rischio di sviluppo di carcinoma gastrico.
GASTRITE CRONICA DI TIPO B ( D A H.P Y L O R I )
Le gastriti croniche di tipo B rappresentano all’incirca l’ delle gastriti
croniche, possono insorgere a qualsiasi età e si associano ad un aumentato
rischio di sviluppo di carcinoma gastrico, linfoma ed ulcera peptica. La
patogenesi è legata all’infezione cronica persistente da parte di Helicobacter
Pylori, un batterio spiraliforme Gram-negativo e non sporigeno, mentre
raramente una sua infezione acuta produce una quantità di sintomi tali da
richiedere attenzione medica. Esiste anche una forma di gastrite cronica
legata all’infezione di Helicobacter Heilmannii, un organismo interspecie che
ha come serbatoio naturale gatti, cani, suini e primati e che può
occasionalmente infettare l’uomo. Le infezioni da Helicobacter Pylori ed
Helicobacter Heilmannii vengono trattate nella stessa maniera, tuttavia il
riconoscimento di un’infezione da parte di Helicobacter Heilmannii è molto
importate in quanto permette di trattare gli animali domestici ed evitare
l’ulteriore contagio umano.
La gastrite cronica di tipo B, nelle sue fasi iniziali, interessa l’antro gastrico,
determinando quindi l’insorgenza di una gastrite associata ad ipercloridria e
normo od ipogastrinemia con un aumentato rischio di sviluppare un ulcera
peptica. In un certo numero di pazienti, la gastrite antrale può progredire e
coinvolgere corpo e fondo dello stomaco, divenendo una pangastrite cronica
con atrofia multifocale della mucosa gastrica, metaplasia intestinale e
aumentato rischio di sviluppare un carcinoma gastrico. Naturalmente questo
aspetto della gastrite cronica di tipo B deve essere tenuto in considerazione
anche nelle fasi diagnostiche e quindi il prelievo bioptico deve riguardare non
solo la regione antrale ma anche quella fundica. Il danno alla mucosa gastrica
è funzione dell’interazione tra patogeno ed ospite: in parte dipende dal ceppo
di Helicobacter Pylori e dalle tossine da esso prodotte ed in parte dipende
dalla risposta immunitaria propria dell’ospite. Ad esempio sono stati
osservati determinati pleomorfismi del gene IL-1β che si associano
maggiormente allo sviluppo di pangastrite. Il batterio è naturalmente il
primum movens del danno alla mucosa gastrica, in quanto è in grado di
danneggiare direttamente la mucosa attraverso la produzione di tossine e ione
ammonio ed indirettamente attraverso il processo flogistico evocato,
favorendo così l’azione autodigestiva di acido cloridrico e pepsina.
HELICOBACTER PYLORI
L’Helicobacter Pylori è un batterio acido-intollerante in grado di
sopravvivere nel muco gastrico, stazionando a livello della superficie della
mucosa o delle pieghe delle cripte. Difatti l’infezione interessa lo stomaco,
sebbene possano essere presenti anche infezioni esofagee e duodenali in aree
ectopiche di mucosa gastrica. Tra i fattori di virulenza del batterio si
annoverano:
La presenza di un flagello che permette al batterio di spostarsi
all’interno del muco gastrico.
La presenza di adesine che permettono al batterio di aderire saldamente
alla superficie gastrica.
La produzione di ureasi, un enzima in grado di scindere l’urea
endogena in ammoniaca ed anidride carbonica, aumentando localmente
il pH grazie all’azione tamponante dell’ammoniaca che si ionizza a
ione ammonio. La reazione catalizzata dall’ureasi può essere sfruttata
per l’esecuzione di un esame di screening, il test del respiro (breath
test), in grado di rilevare l’emissione di anidride carbonica
radiomarcata.
La secrezione delle tossine CagA e VacA che si associano ad un
aumentato rischio di sviluppo di carcinoma gastrico ed ulcera peptica e
permettono un ulteriore suddivisione di Helicobacter Pylori in ceppi.
La modalità di trasmissione è di tipo oro-fecale e ciò rende l’infezione
piuttosto frequente nelle comunità chiuse e a scarso livello socio-economico,
indipendentemente dalla fascia d’età, tant’è che spesso all’interno di una
stessa famiglia si ritrovano diversi focolai infettivi.
La diagnosi di gastrite cronica di tipo B si basa sull’esecuzione di indagini
non invasive ed invasive, che trovano giustificazione sulla base di un sospetto
fondato di infezione di Helicobacter Pylori. Il primo aspetto da valutare
riguarda la presenza di sintomi aspecifici (come nausea e pirosi) che possano
far pensare ad una possibile infezione di Helicobacter Pylori o ad una
pregressa storia di infezione da parte del suddetto batterio.
Un primo test di screening eseguibile è il test del respiro (breath test), che
tuttavia non è né specifico né sensibile, e si basa sul metabolismo stesso del
patogeno e nello specifico sulla reazione catalizzata dall’ureasi. Il paziente
ingerisce urea radiomarcata che, in caso di infezione, potrà essere
metabolizzata ad ammoniaca ed anidride carbonica. Quest’ultima diffonderà
nei capillari ematici per essere successivamente espulsa tramite la
respirazione. La rilevazione di anidride carbonica radiomarcata e dunque
proveniente dall’urea esogena ingerita potrà confermare la presenza del
batterio. La ricerca degli antigeni fecali può essere utile nel monitorare
l’efficacia terapeutica nel caso in cui questi siano già presenti all’esordio
dell’infezione, in quanto non in tutti i pazienti infetti da Helicobacter Pylori
vi è riscontro di antigeni fecali. Infine è possibile effettuare indagini di tipo
sierologiche volte alla ricerca di anticorpi contro il batterio.
La metodica di riferimento per la diagnosi di gastrite cronica di tipo B rimane
in ogni caso la biopsia, che deve essere sempre effettuata nel sospetto di
gastrite cronica. L’indagine istologica permette di visualizzare direttamente la
presenza del batterio, valutare l’entità del danno gastrico e l’eventuale
presenza di displasie, lesioni neoplastiche e linfomatose. La gastrite cronica
di tipo B si caratterizza per la presenza di infiltrato infiammatorio cronico con
presenza di plasmacellule e granulociti neutrofili nella lamina propria e
quest’ultimi talora possono ritrovarsi intercalati tra le cellule epiteliali.
L’aspetto tipico della gastrite cronica da Helicobacter Pylori è la presenza di
un infiltrato di neutrofili intraepiteliali e plasmacellule sottoepiteliali. A
volte i granulociti neutrofili possono accumularsi nelle foveole gastriche
determinando veri e propri ascessi foveolari. L’entità dell’infiltrato
granulocitario può inoltre fornire informazioni circa lo stato della malattia:
durante le fasi di replicazione batterica ed in presenza di ceppi
particolarmente virulenti, si osserverà la presenza di una più intensa attività
granulocitaria. Talora si possono osservare aggregati di tessuto linfoide ed
alcuni follicoli secondari con centro germinativo, reperti legati ad una
continua stimolazione antigenica del MALT, dovuta all’infezione cronica
persistente. L’eradicazione dell’infezione determina il venire meno dello
stimolo proliferativo con risoluzione della condizione di iperplasia delle
cellule B. Il persistere dell’infezione in associazione alla presenza di
aggregati di tessuto linfoide può potenzialmente determinare lo sviluppo di
un linfoma a carico del MALT. Nella pangastrite, così come nella gastrite
cronica di tipo A, si può osservare rarefazione ed atrofia ghiandolare con
ipocloridria che determina, tramite un meccanismo a feedback, iperplasia
delle cellule G neuroendocrine, condizione che predispone allo sviluppo del
carcinoide. Talora si può osservare anche displasia epiteliale che può
progredire fino alla condizione di carcinoma in situ (sebbene a livello
gastrico non si utilizzi il termine di carcinoma in situ), difatti la displasia ad
alto grado costituisce una lesione pre-cancerosa. Un altro reperto che può
essere osservato è la metaplasia intestinale, una lesione pre-cancerosa in cui
si ha sostituzione dell’epitelio maturo tipico dello stomaco con quello
intestinale, più adatto al nuovo microambiente gastrico. La metaplasia
intestinale si caratterizza per la presenza di cellule mucipare caliciformi che
producono un muco acido che ostacola l’insediamento del batterio; talora si
possono riscontrare anche cellule del Paneth, che secernono enzimi ad azione
antimicrobica.
Figura 27, metaplasia intestinale in corso di gastrite cronica. Si noti la presenza di cellule caliciformi
intercalate tra cellule epiteliali assorbenti. E’ inoltre apprezzabile il tipico orletto a spazzola di
comune riscontro nell’intestino tenue. Per gentile concessione di Patho (CC BY-SA 3.0).
Figura 29, la seguente immagine raffigura i diversi pattern di affezione della rettocolite ulcerosa e del
morbo di Chron. Per gentile concessione di RicHard-59 (CC BY-SA 4.0) [Modificata da Crohn's
Disease vs. Ulcerative Colitis.jpg].
D ISTURBI DEL CIRCOLO
La vascolarizzazione intestinale (si veda Vascolarizzazione dell’intestino
tenue e Vascolarizzazione dell’intestino crasso) è ricca di anastomosi che
possono vicariare, più o meno efficacemente, l’occlusione di eventuali rami
arteriosi. A ciò si aggiunge anche il contributo di rami collaterali provenienti
dalla circolazione celiaca, pudenda interna ed iliaca interna, che tuttavia
contribuiscono prevalentemente alla vascolarizzazione dell’intestino dalla
metà del colon trasverso in poi. Il colon discendente è servito inoltre da rami
provenienti da circoli collaterali della parete addominale posteriore che non
interessano invece l’ascendente. Di conseguenza sono presenti zone più
suscettibili di altre ad ischemia, in particolare risultano più a rischio il tenue
ed il crasso fino alla metà del colon trasverso. L’instaurarsi di una lenta
riduzione del flusso ematico è meglio tollerata rispetto ad un evento acuto ed
una compromissione improvvisa di uno dei vasi principali può determinare
all’infarto di diversi metri di intestino. Tuttavia solo raramente l’estensione
dell’infarto corrisponde al territorio servito dal vaso compromesso, proprio
per la presenza di anastomosi e circoli collaterali.
I N FA RTO INTESTINALE
L’infarto intestinale è dipeso da una compromissione del flusso ematico che
può instaurarsi secondo modalità e tempi differenti. Inoltre l’infarto può
essere mucoso (limitato alla tonaca mucosa), intramurale (tonaca mucosa e
sottomucosa) ed transmurale (coinvolge l’intera parete). L’infarto mucoso ed
intramucoso è generalmente causato da una ipoperfusione cronica od acuta,
mentre quello transmurale da una vera e propria occlusione vascolare acuta.
L’occlusione del vaso può essere dovuta a fenomeni embolici (vegetazioni
cardiache, tromboemboli post-infartuali, legati a fibrillazione atriale,
valvulopatie, endocarditi), aneurisma dell’aorta addominale, condizioni di
ipercoagulabilità, aterosclerosi grave dei vasi mesenterici. Dal punto di vista
epidemiologico, i fenomeni embolici interessano maggiormente la
mesenterica superiore, che si diparte dall’aorta addominale ad angolo acuto,
rispetto all’inferiore, che invece si diparte ad angolo retto. L’ipoperfusione
intestinale può essere legata anche ad insufficienza cardiaca, shock e
disidratazione. Più raramente il flusso ematico può essere compresso da
vasculiti come la poliarterite nodosa, la granulomatosi di Wegener e la
porpora di Schönlein-Henoch. Oltre ai fenomeni precedentemente descritti
sono presenti anche fenomeni meccanici: volvoli e intussuscezione. Il
volvolo, che consiste in una torsione dell’intestino lungo l’asse ortogonale
mesenterico, più frequente nell’età pediatrica, può determinare oltre che
occlusione intestinale anche compressione vascolare con infarto intestinale.
L’intussuscezione, che consiste in una invaginazione di un segmento
intestinale all’interno di uno contiguo posto a valle, può progredire verso
l’occlusione intestinale e determinare compressione vascolare con infarto
intestinale. La trombosi venosa mesenterica è una condizione patologica che,
più raramente rispetto alle precedenti descritte, può portare ad ischemia
intestinale e può derivare da ristagno del sangue venose per presenza di
masse addominali, cirrosi, neoplasie e condizioni di ipercoagulabilità.
Il danno ischemico è funzione della gravità e dei tempi in cui insorge la
compromissione vascolare, del vaso interessato e dei distretti da esso serviti.
L’iniziale danno ipossico può determinare di per sé già un certo grado di
danno cellulare, anche se le cellule epiteliali dell’intestino sono relativamente
resistenti alla transitoria deplezione d’ossigeno. Il danno principale sembra
aver luogo in seguito alla riperfusione dell’area ischemica che favorisce lo
sviluppo di radicali liberi, infiltrazione neutrofila, rilascio di mediatori
dell’infiammazione ed espressione di fattori di trascrizione intracellulari
come HIF-1 ed NF-κB.
Dal punto di vista macroscopico, l’infarto intestinale è di tipo emorragico.
L’infarto mucoso ed intramurale si caratterizza per la presenza di lesioni “a
chiazze” anche se è possibile che vi sia un intero segmento contiguo
interessato. La mucosa appare edematosa, rossastra, sanguinolenta con
emorragia luminale e talora ulcerata. Come detto in precedenza, i processi
necrotici e l’emorragia sono confinati alla mucosa e sottomucosa mentre
risultano indenni la tonaca muscolare propria e la sierosa. L’edema può
invece interessare anche la muscolare propria e può essere apprezzato in
superficie come un inspessimento della parete addominale. Nelle fasi iniziale
dell’infarto transmurale la zona infartuata appare congesta ed assume una
colorazione rosso-brunastro. Successivamente la parete diviene edematosa ed
inspessita, nel lume si accumula sangue e muco sanguinolento e talora anche
versamento intraperitoneale sieroematico o purulento, legato
all’infiammazione della sierosa. Dopo alcuni giorni si ha necrosi coagulativa
della muscolare propria con possibile perforazione intestinale. Lo
sfaldamento delle cellule epiteliali costituisce un punto di accesso per i batteri
anaerobi contenuti nel lume intestinale, che possono proliferare ed essere
causa di importanti peritoniti. La sierosa infiammata appare in questo caso
rivestita da un essudato purulento e fibrinoide. Dal punto di vista
microscopico, il quadro istologico varia a seconda che l’infarto sia mucoso,
intramurale e transmurale (le cui caratteristiche sono state descritte in
precedenza). La parate intestinale, con interessamento delle diverse tonache a
seconda del tipo di infarto, risulta infiltrata di emazie, emorragica, con vasi
dilatati e congesti; si apprezzano aree necrotiche, atrofia e sfaldamento delle
cellule epiteliali. In acuto l’infiltrato infiammatorio è assente, ma in seguito
alla riperfusione vengono attirati i neutrofili. Lo sfaldamento dell’epitelio
favorisce la sovrainfezione da parte dei batteri anaerobi che popolano
l’intestino, portando alla cosiddetta gangrena intestinale, una condizione
alquanto seria che può predisporre ad ulcerazione e perforazione della parete.
COLITE ISCHEMICA
La colite ischemica è la forma più comune di ischemia intestinale e risulta
particolarmente frequente nella popolazione anziana. Si manifesta con dolore
addominale, soprattutto post-prandiale quando è richiesto un maggiore
afflusso di sangue al viscere. L’ischemia cronica si sviluppa come
conseguenza di una riduzione del flusso ematico intestinale ed esita in
sofferenza della tonaca mucosa ed infiammazione. A differenza dell’infarto
intestinale, presenta complicanze meno gravi, interessa la sola tonaca
mucosa, l’intestino è colpito in maniera segmentaria ed in genere
limitatamente alla flessura splenica. Dal punto di vista microscopico si
caratterizza per la presenza di aree di necrosi della tonaca mucosa infiltrate di
emazie, cellule infiammatorie e anche tessuto di granulazione. Una
condizione di ischemia cronica si accompagna invece a fibrosi della
sottomucosa con possibile stenosi cicatriziale. L’ischemia è in genere legata a
problemi sistemici come l’ipotensione o più localizzati come la presenza di
placche aterosclerotiche o trombi subocclusivi.
M ALATTIA DI H IRSCHSPRUNG
La malattia di Hirschsprung definita anche megacolon congenito agangliare
è una patologia congenita della motilità intestinale, con assenza della
peristalsi intestinale e tratti di ostruzione dovuti all’assenza dei plessi nervosi
sottomucoso e mioenterico. Si manifesta di solito nel bambino, in maniera
isolata o legata ad altre anomalie dello sviluppo, ed il % di tutti i casi in
bambini affetti dalla sindrome di Down. Talora può presentarsi anche
nell’adulto, in genere perché la malattia è in forma lieve e risulta asintomatica
o paucisintomatica oppure perché evolve lentamente. La malattia di
Hirschsprung deve essere differenziata da tutte quelle patologie che
determinano l’insorgenza di quadri Hirschspunrg-simili, come la displasia
intestinale neuronale di tipo B, ipoganglionosi del colon, ipoplasia delle
cellule nervose e desmosis coli. La terapia è prettamente chirurgica e
comprende l’asportazione del tratto agangliare ed anastomosi del colon
normale col retto.
La malattia è dovuta ad un’alterata migrazione delle cellule della cresta
neurale dal cieco al retto o ad una precoce morte delle cellule gangliari
durante l’embriogenesi. L’alterata migrazione può riguardare il tratto che va
dal cieco al colon in maniera segmentaria od interamente. Ciò provoca la
formazione di un segmento intestinale privo dei plessi nervosi sottomucoso e
mioenterico: ciò determina il venire meno dell’attività peristaltica in quel
segmento con occlusione intestinale ed l’accumulo di materiale a monte del
segmento interessato (con relativa dilatazione colica da cui il nome
megacolon). La dilatazione riguarda dunque la porzione di colon
normalmente innervata mentre la parte agangliare è normale o contratta. In
funzione della lunghezza del tratto interessato, si distinguono diverse varianti
cliniche. In genere risulta sempre coinvolto il retto, mentre la lunghezza degli
altri segmenti è variabile. Nella forma classica è interessato il retto ed il
sigma, nell’ultracorto sono interessati pochi centimetri prossimalmente alla
linea pettinata e nella forma pancolica vi è un interessamento di tutto il colon.
Nella patogenesi della malattia sembrano avere un ruolo importante
mutazioni a carico di geni coinvolti nello sviluppo dei plessi nervosi, tra i
quali il gene RET localizzato sul cromosoma 21. Tali geni codificano per
proteine coinvolte nei processi di migrazione delle cellule della cresta
neurale. La maggiore prevalenza nei soggetti Down, caratterizzati da una
trisomia del cromosoma 21, è probabilmente legata ad un effetto di dosaggio
genico che causa un’attivazione solamente parziale del gene RET.
Dal punto di vista clinico, i neonati si presentano con un addome globoso ed
il primo segno di malattia, sebbene non patognomonico, è la mancata
espulsione del meconio e la stipsi occlusiva. La defecazione in questi soggetti
avviene unicamente per gravità, pur essendo possibile il transito di piccole
quantità di feci nei casi in cui siano interessati solamente pochi centimetri di
colon. Nelle fasi iniziali il tratto agangliare appare inspessito mentre
l’accumulo di materiale fecale a monte nel colon normalmente innervato ne
determina una progressiva dilatazione e favorisce lo sviluppo di enterocoliti
recidivanti, fattori che contribuiscono all’assottigliamento e sfiancamento
della parete intestinale. Le complicanze più temibili riguardano la
perforazione intestinale con conseguente peritonite stercoracea e le
enterocoliti con squilibri idroelettrolitici.
Alla diagnosi possono contribuire, oltre che elementi clinici, anche esami
strumentali come l’esame manometrico ano-rettale ed il pasto baritato.
Tuttavia la metodica d’elezione risulta l’esame istologico volto alla ricerca
dei plessi nervosi (nello specifico si veda Diagnosi di malattia di
Hirschsprung). Poiché la formazione di entrambi i plessi nervosi è legata alla
migrazione delle cellule della cresta neurale, è sufficiente documentare
l’assenza di uno solo dei due plessi per effettuare la diagnosi. L’assenza di un
plesso implica l’assenza dell’altro. Per questo motivo, è possibile effettuare la
diagnosi di malattia tramite l’esecuzione di una biopsia endoscopica volta a
ricercare la presenza del plesso nervoso sottomucoso.
L’anatomopatologo ha inoltre un ruolo molto importante anche in sede intra-
operatoria in quanto valuta, tramite l’esecuzione di colorazioni rapide (LDH
rapido), la presenza delle cellule gangliari, esprimendosi di conseguenza sul
segmento colico da asportare e sulla successiva anastomosi.
M A L AT T I E H I R S C H S P R U N G - S I M I L I
DISPLASIA INTESTINALE NEURONALE DI TIPO B (NID-B)
La displasia intestinale neuronale di tipo B è una rara malattia legata ad
un’anomalia dello sviluppo del plesso nervoso sottomucoso che si
caratterizza per la presenza di iperplasia con cellule gangliari giganti e fibre
colinergiche ipertrofiche. Insorge tipicamente nel bambino e può manifestarsi
in maniera isolata o associata ad Hirschsprung o patologie simili. Nel caso in
cui si accompagni alla malattia di Hirschsprung, il tratto agangliare si ritrova
a monte del quadro displastico: in questo contesto la rimozione del tratto
agangliare non risolve il quadro sintomatico, in quanto permane il tratto
displastico a valle.
IPOGANGLIANOSI DEL COLON
L’ipoganglianosi del colon è una malattia congenita dovuta ad un alterato
sviluppo del plesso nervoso mioenterico e che si caratterizza per una marcata
riduzione delle cellule gangliari del plesso. La malattia può presentarsi in
maniera isolata o associata alla malattia di Hirschsprung.
IPOPLASIA DELLE CELLULE NERVOSE
L’ipoplasia delle cellule nervose è una condizione di immaturità delle
cellule nervose che si risolve spontaneamente attorno ai anni. Le
cellule gangliari nei plessi presentano dimensioni inferiori al % rispetto al
corrispettivo normale e l’attività colinergica è ridotta.
IMMATURITÀ DEI PLESSI NERVOSI SOTTOMUCOSO E MIOENTERICO
L’immaturità dei plessi nervosi sottomucoso e mioenterico si caratterizza
per la presenza di cellule gangliari che all’immunoistochimica risultano
positive per l’acetil-colinesterasi (AchE) e negative per lattato deidrogenasi
(LDH) e la succinato deidrogenasi (SDH) mitocondriale. La negatività di tali
marcatori indica che le cellule nervose sono ancora immature. La
maturazione dei plessi avviene ai distanza di alcuni anni e viene monitorata
tramite indagine bioptiche con colorazioni immunoistochimica.
DESMOSIS COLI
La desmosis coli o desmosi intestinale è una rara malattia del tessuto
connettivo della parete intestinale. La malattia si caratterizza per l’assenza
parziale o totale del connettivo della tonaca muscolare, determinando gravi
alterazioni della motilità intestinale. Le cellule gangliari che costituiscono il
plesso nervoso mioenterico risultano disorganizzate ed ectopizzate nello
strato di muscolatura liscia circolare interno e longitudinale esterno e di
conseguenza non funzionanti. L’assenza di collageno può essere documentata
utilizzando la colorazione PicroSirius Red (Rosso Sirio) che colora in rosso le
fibre collagene ed in giallo le cellule muscolari. La PicroSirius Red è una
colorazione istologica che può essere utilizzata di conseguenza su materiale
fissato.
DIAGNOSI DIFFERENZIALE DI M A L AT T I A DI HIRSCHSPRUNG
La diagnosi della malattia di Hirschsprung e la diagnosi differenziale dai
quadri Hirschsprung-simili è prettamente di tipo istologica. L’esecuzione di
esami non strumentali è utile nel sospetto di malattia ma non permette
comunque di discriminare tra i diversi quadri patologici. Ad esempio
l’esecuzione di una radiografia può essere utile nell’evidenziare la dilatazione
colica. La biopsia è in generale di tipo endoscopica (si veda Biopsia
endoscopica intestinale) essendo generalmente sufficiente la presenza di
mucosa e tonaca sottomucosa nel campione; tuttavia nel contesto della
diagnosi di alcune patologie rare (ad esempio la desmosis coli) si rendono
necessarie biopsie chirurgiche a tutto spessore per includere gli strati più
profondi. Una volta ottenuti i campioni bioptici possono essere effettuate
colorazione di immunoistochimica, che permettono la visualizzazione delle
diverse tonache che costituiscono la parete intestinale, e di istoenzimatica,
che permettono la valutazione di differenze funzionali come l’incrementata
attività colinergica nella malattia di Hirschsprung, la ridotta attività
colinergica nella ipoganglianosi colica ed il deficit di SHD nell’immaturità
dei plessi nervosi. Nel sospetto di malattia di Hirschsprung si effettuano tre
biopsie ad , e cm dalla linea dentata che permettono di definire il fenotipo
clinico della malattia: in Hirschsprung ultracorto l’area agangliare è situata
entro i cm dalla linea dentata e nel pancolico oltre i cm. Nel sospetto di
ipoganglianosi del colon vengono invece effettuate biopsie ad , e cm
dalla linea dentata. Poiché la diagnosi è prettamente istoenzimatica ed è
dunque necessario ricercare l’attività degli enzimi espressi dalle cellule
gangliari, la fissazione dei campioni non viene effettuata perché
determinerebbe il venire meno dell’attività enzimatica. I campioni vengono di
conseguenza inviati a fresco, congelati a secco e conservati a circa C
per essere successivamente tagliati al criostato. Inoltre il campione deve
essere completamente esaurito, ovvero tagliato completamente in sezioni
seriate al criostato in maniera tale da essere analizzato nel miglior modo
possibile, essendo possibile che una singola sezione non contenga le cellule
gangliari. Le colorazioni di istoenzimatica sono dirette contro:
Acetil-colinesterasi (AchE) che permette di marcare le fibre nervose
colinergiche e le cellule gangliari.
Lattato deidrogenasi (LDH) e NAPDH enzimi espressi dalle cellule
gangliari.
Succinato deidrogenasi (SDH) che permette di documentare l’avvenuta
maturazione dei plessi nervosi.
Alle colorazioni istoenzimatiche si aggiunge la possibilità di effettuare una
colorazione istologica, la PicroSirius Red, che permette di visualizzare
l’architettura e la disposizione dei plessi nervosi nel contesto della parete
intestinale. E’ una colorazione tricromica che colora in rosso le fibre
collagene, in giallo le cellule muscolari ed in blu i nuclei cellulari. Affinché
sia possibile porre la diagnosi di malattia di Hirschsprung è necessario che
via sia 1) agangliarità della parete, dimostrabile con istoenzimatica diretta
contro LDH e NADPH e 2) ipertrofia delle fibre colinergiche compensatoria,
dimostrabile con istoenzimatica diretta contro AchE.
E NTEROCOLITI BATTERICHE
COLITE PSEUDOMEMBRANOSA
La colite pseudomembranosa è la principale causa di colite batterica nei
soggetti ospedalizzati ed è solitamente legata ad un’infezione da Clostridium
Difficile, un bacillo Gram- sporigeno ed anerobio stretto, che insorge
tipicamente durante o in seguito ad un trattamento antibiotico, soprattutto con
cefalosporine di terza generazione. La malattia si manifesta con febbre,
dolore addominale, diarrea acquosa e talora ematica, crampi, leucocitosi e
disidratazione. Il trattamento terapeutico si basa sulla terapia con antibiotici
specifici per il Clostridium Difficile come la vancomicina ed il
metronidazolo.
L’infezione da Clostridium Difficile insorge probabilmente in seguito ad un
turbamento della normale flora microbica dovuta prevalentemente all’azione
della terapia antibiotica. A ciò si aggiungono altri fattori che contribuiscono
alla patogenesi della malattia e riguardano le condizioni cliniche ed igienico-
sanitarie del soggetto, la presenza di un ceppo batterico particolarmente
virulento, l’età avanzata, la presenza di un substrato genetico predisponente e
uno stato di immunodepressione. Inoltre sono maggiormente a rischio
soggetti con ischemia intestinale o sottoposti ad interventi di chirurgia
addominale. Sebbene la malattia riguardi solitamente i soggetti in età
avanzata, ospedalizzati ed in antibiotico-terapia, bisogna comunque
considerare che non in tutti coloro in cui è effettivamente avvenuta una
colonizzazione da Clostridium Difficile si sviluppa la malattia ed inoltre la
presenza del batterio e delle sue tossine è stata documentata anche in soggetti
completamente sani. Le tossine prodotte dal batterio (tossina A e B) causano
la ribosilazione delle GTPasi di piccole dimensioni e determinano rottura del
citoscheletro, perdita delle giunzioni serrate, rilascio di citochine ed infine
apoptosi.
La colite pseudomembranosa interessa prevalentemente l’intestino crasso,
soprattutto il retto, e raramente il tenue. Dal punto di vista macroscopico, si
caratterizza per la presenza di pseudomembrane, lesioni nodulari o a placca di
colore bianco-giallastro, confluenti, inizialmente di piccole dimensioni e che
si accrescono con il progredire della malattia. Dal punto di vista
microscopico, la mucosa appare disepitelializzata con un importante infiltrato
infiammatorio di tipo granulocitario nella lamina propria. La presenza di
essudato mucopurulento, insieme a depositi di fibrina e batteri determina la
formazione delle pseudomembrane sulla superficie della mucosa. Nelle fasi
precoci della malattia il danno si riscontra a livello dell’epitelio superficiale
posto tra le cripte intestinali (danno intercriptico), caratterizzato da aree di
disepitelizzazione con infiltrato neutrofilo e depositi di fibrina. Nelle fasi
avanzate la disepitelizzazione si estende fino ai della cripta e la base
risulta indenne, l’importante infiltrato granulocitario determina distensione
delle cripte per la formazione di essudato mucopurulento che deborda “a
vulcano” o “a fungo “ dalla base della cripta intestinale.
Figura 30, colite pseudomembranosa, si noti la presenza di cripte intestinali dilatate dall'essudato
mucopurulento e la presenza di infiltrato infiammatorio a livello della lamina propria. Per gentile
concessione di Ed Uthman (CC BY 2.0).
Figura 31, reperto endoscopico di colite pseudomembranosa, si noti la presenza delle lesioni bianco-
giallastre sulla superficie della mucosa. Per gentile concessione di Samir (CC BY 3.0).
Figura 32, criptosporidiosi, si noti la presenza di formazioni tondeggianti adese sulla superficie della
mucosa intestinale. In realtà il protozoo è presente all'interno di vacuoli intracellulari confinati a
livello dei microvilli. Per gentile concessione di Nephron (CC BY-SA 3.0).
AMEBIASI INTESTINALE
Con il termine amebiasi si indicano tutte le principali sindromi legate
all’infezione da Entamoeba histolytica. La malattia si presenta tipicamente
con diarrea ematica, dolore addominale, calo ponderale ed ulcere della parete
colica, sebbene talora possa decorrere in maniera asintomatica. Colpisce più
frequentemente il colon ascendente ed il cieco, pur essendo possibile un
coinvolgimento di altre sedi del crasso. Tra le complicanze più temibili vi
sono la perforazione, la disseminazione dell’infezione soprattutto a livello
epatico (ascesso epatico amebico) e più raramente a livello cardiaco e
polmonare, la colite necrotizzante ed il megacolon. L’infezione si trasmette
per via orofecale e risulta endemica nei paesi tropicali con basse condizioni
igienico-sanitarie (es. India). L’Entamoeba histolytica è sprovvisto dei
mitocondri e degli enzimi del ciclo di Krebs ed è di conseguenza un
fermentatore obbligato del glucosio, questa caratteristica risulta fondamentale
dal punto di vista terapeutico poiché permette di utilizzare antibiotici, come il
metronidazolo, che agiscono inibendo tappe fondamentali del processo di
fermentazione.
Le cisti di Entamoeba histolytica ingerite sono in grado di resistere all’acidità
gastrica e di transitare a livello dell’intestino tenue dove avviene la
maturazione a trofozoiti. Il protozoo giunto a livello del colon ne colonizzano
la superficie e completa il suo ciclo vitale. Il protozoo una volta aderito alla
superficie intestinale causa apoptosi delle cellule epiteliali, invade le cripte e
infiltra la lamina propria, richiamando un’importante infiltrato granulocitario
responsabile in parte del danno tissutale ed alla formazione delle cosiddette
ulcere “a fiasco”. La penetrazione nei vasi intestinali, tributari della porta,
può determinare il propagarsi dell’infezione a livello epatico, dove si forma il
cosiddetto ascesso epatico amebico. Esso si caratterizza per la presenza di
una reazione infiammatoria che circoscrive le colonie protozoarie e permane
in seguito al risolversi della malattia acuta. I trofozoiti hanno un forma
rotondeggiate e risultano simili ai macrofagi, sebbene di dimensioni
maggiori. Le cisti mature presenti a livello colico vengono successivamente
espulse nell’ambiente luminale ed eliminate con le feci.
Figura 33, amebiasi intestinale, si noti la presenza di Entamoeba histolytica (cerchiati) dalla forma
rotondeggiante simil-macrofagicq contenenti eritrociti. Per gentile concessione di Nephron (CC BY-SA
3.0).
L’indagine parassitologica del materiale fecale è fondamentale per effettuare
la diagnosi e si bassa sulla ricerca delle cisti e dei trofozoiti. La
differenziazione dell’Entamoeba Dispar, non patogena per l’uomo, avviene
tramite l’utilizzo di tecniche di immunoistochimica o PCR. L’indagine
istologica bioptica non è solitamente necessaria per effettuare la diagnosi, in
quanto è sufficiente l’identificazione del protozoo nel materiale fecale.
G ASTROENTERITI DELLA POPOLAZIONE
IMMUNODEPRESSA
MICROSPORIDIOSI
La microsporidiosi è una malattia legata all’infezione da microsporidi,
parassiti endocellulari obbligati e sporigeni, che differiscono dagli altri
protozoi per la loro forma molto simile a quello di una cellula eucariotica
primitiva, tanto da essere paragonati da alcuni ricercatori a forme aberranti di
funghi. La microsporidiosi era un tempo una malattia rara che ha subito un
aumento significativo in corrispondenza dell’epidemia di HIV, prima della
terapia antiretrovirale. La modalità di trasmissione non è completamente
chiarita e sono state ipotizzate la modalità oro-fecale e inalatoria. Il quadro
sintomatico dipende dalla localizzazione anatomia del parassita, sebbene sia
più frequentemente interessato il tratto gastrointestinale. A tale livello la
malattia si manifesta sotto forma di diarrea acquosa profusa, dolori
addominale, calo ponderale legato al malassorbimento e talora colangiopatia
sclerosante. La diagnosi si basa sulla ricerca del microrganismo a livello degli
enterociti e si avvale della microscopia elettronica.
ENTERITE DA CMV
L’enterite da Cytomegalovirus è una malattia legata all’infezione da parte
del suddetto virus che si verifica soprattutto nella popolazione
immunodepressa (es. AIDS) e negli anziani. L’infezione da CMV non
riguarda solamente gli enterociti ma interessa anche le cellule endoteliali,
potendo determinare gravi lesioni vascolari che esitano in ulcerazioni della
parete intestinale e diarrea ematica. Una particolare attenzione meritano i
pazienti affetti da malattia infiammatorie croniche, quali la rettocolite
ulcerosa ed il morbo di Chron, e trattati con corticosteroidi, in quanto
presentano un maggiore rischio di poter sviluppare l’infezione. La diagnosi si
basa sulla ricerca degli effetti citopatici del virus, come l’aumento di volume,
la presenza di inclusioni intranucleari, a cui si possono addizionare tecniche
di immunoistochimica e test molecolari. Bisogna comunque tenere in
considerazione che l’indagine PCR può presentare dei falsi positivi, in quanto
il virus è ubiquitario e spesso è presente nelle cellule epiteliali dell’intestino
in uno stato di latenza.
M ALATTIA DIVERTICOLARE
Il termine malattia diverticolare o diverticolosi identifica una condizione
patologica caratterizzata dalla presenza di estroflessioni sacciformi costituite
da mucosa e sottomucosa a livello colico. I diverticoli possono regredire
spontaneamente o più frequentemente aumentare in numero e dimensioni con
il progredire del tempo. La malattia è comune nella popolazione occidentale e
si ritiene che all’incirca il 50% dei soggetti oltre i 60 anni siano affetti da
questa condizione, mentre risulta rara nei pazienti asiatici, probabilmente in
relazione alle differenti abitudini alimentari. Nella maggior parte dei soggetti
la malattia decorre in maniera asintomatica e viene diagnostica in maniera
accidentale. Una quota minore di soggetti sviluppa sintomi quali dolore
addominale sordo, stipsi, talvolta fasi di stitichezza alternate a diarrea,
tenesmo e perdite ematiche. L’occlusione del diverticolo con ristagno di
materiale fecale favorisce l’instaurarsi di processi infiammatori, condizione
nota come diverticolite, che associata all’elevata pressione endoluminale può
ulteriormente sfiancare la già sottile parete del diverticolo, esitando nei casi
peggiori in una perforazione intestinale. L’infiammazione può inoltre
determinare lo sviluppo di colite segmentaria con ispessimento della parete e
possibile formazione di aree di stenosi. La diverticolite in genere si risolve
spontaneamente e solo in casi eccezionali, a rischio perforazione, si procede
con un intervento chirurgico.
La patogenesi della malattia è probabilmente legata alla particolare struttura
della muscolare propria del colon che, a differenze di altre sedi, presenta lo
strato di muscolatura liscia longitudinale esterno raccolto in tre sottili bande
di tessuto, note come taenia coli. I vasi sanguigni ed i nervi rivestiti dalla
guaina connettivale penetrano nello strato di muscolatura circolare interno,
determinando delle discontinuità nello strato muscolare. L’elevata pressione
endoluminale dovuta verosimilmente ad una importante attività peristaltica,
soprattutto in relazione ad una dieta ricca di fibre, favorirebbe lo sviluppo di
diverticoli nei punti a maggior debolezza della parete colica.
Dal punto di vista macroscopico, si presentano come estroflessioni sacciformi
multiple, spesso rivestite da appendici epiploiche, a livello della parete colica,
soprattutto nel sigma. All’esame microscopico della parete diverticolare,
questa appare assottigliata, con una mucosa piatta o atrofica, una sottomucosa
poco rappresentata e la muscolare propria scarsa o del tutto assente.
A PPENDICITE ACUTA
L’appendicite acuta è una infiammazione acuta dell'appendicite, un
diverticolo normale dell'intestino cieco soggetto a processi flogistici acuti
cronici. La malattia interessa soprattutto gli adolescenti ed i giovani adulti,
sebbene possa verificarsi a qualunque età.
Il meccanismo patogenetico consiste in un alterato deflusso del sangue
venoso legato all'aumento della pressione endoluminale dovuto alla presenza
di masse (fecali, calcoli biliari, neoplasie) che occludono il lume ciecale.
L'ischemia e la stasi del contenuto luminale favoriscono la proliferazione
batterica e l'instaurarsi di un processo infiammatorio con prevalente infiltrato
di tipo granulocitario neutrofilo.
Dal punto di vista morfologico, l'appendice risulta edematosa e congesta e nei
casi più importanti una reazione fibrinopurulenta della membrana sierosa con
eventuale formazione di ascessi. Il progredire della malattia determina
ulcerazione emorragia della mucosa e necrosi gangrenosa che si estende alla
sierosa, con possibile rottura della parete ciecale e peritonite acuta. All'esame
microscopico appare evidente l'infiltrato neutrofilo perivascolare che
interessa tutti gli strati della parete e nei casi più importanti la presenza di un
abbondante essudato fibrinopurulento.
C ARCINOMA GASTRICO
Il carcinoma gastrico rappresenta all’incirca il % dei tumori dello
stomaco. L’incidenza del tumore gastrico presenta una distribuzione
geografica ben precisa e risulta particolarmente elevata in paesi quali
Giappone, Cile, Cina ed Europa orientale. Particolarmente importante è in
Giappone dove rappresenta una delle maggiori cause di morte. In questi Paesi
sono in atto programmi di screening volti al riconoscimento di neoplasie in
fasi precoci del loro percorso evolutivo e nel % dei nuovi casi vengono
intercettati allo stadio di carcinoma gastrico precoce, ovvero quando il
tumore è ancora limitato a mucosa e sottomucosa. In Italia l’incidenza del
carcinoma gastrico è relativamente bassa ma rappresenta un’importante causa
di mortalità, poiché, non essendo conveniente attuare programmi di screening
preventivi a causa della bassa incidenza, le nuove neoplasie identificate
risultano già in uno stadio avanzato della loro storia evolutiva. L’incidenza è
inoltre maggiore nei soggetti di sesso maschile, nelle classi socio-economiche
più basse, negli individui affetti da metaplasia intestinale e gastrite cronica
atrofica e la malattia da reflusso gastroesofageo. Naturalmente la
distribuzione geografica del tumore e la diversa incidenza tra le classi sociali
evidenzia come siano coinvolti sia substrati genetici predisponenti che fattori
esogeni. I fattori genetici ed epigenetici per cui è stato ipotizzato un ruolo
nella patogenesi della malattia sono il gruppo sanguigno A, mutazioni a
carico dei geni coinvolti nei mismatch repair e della E-caderina; mentre i
fattori ambientali associati riguardano l’alimentazione, il fumo, pregressi
interventi chirurgici a livello gastrico ed esposizione a radiazioni. In
Giappone sembrano avere un ruolo importante i processi di lavorazione della
carne di pesce, il principale alimento consumato nel Paese.
Le lesioni precancerose sono lesioni istologiche, identificabili attraverso
l’esecuzione di una biopsia, generalmente consistenti in aree di displasia
tissutale. A livello gastrico vengono considerate come lesioni precancerose,
oltre che le aree di displasia, anche la metaplasia intestinale e l’esofago di
Barret. E’ utile in questo contesto ricordare la differenza tra metaplasia e
displasia. La metaplasia consiste in una modificazione istologica reversibile
in cui una cellula adulta differenziata viene sostituita da un’altra cellula
differente, al venir meno dello stimolo metaplastico il tessuto ritorna allo
stato di normalità. La displasia consiste in una modificazione di carattere
qualitativo, quantitativo e morfologico delle cellule, in genere epiteliali, di un
tessuto, essa è dovuta alla perdita di meccanismi di controllo della
proliferazione cellulare, ad alterazioni dell’architettura del tessuto e dei
processi di differenziamento cellulare con sostituzione delle cellule
differenziate con cellule immature, talora con bizzarre, con aberrazioni
cromosomiche ed altre atipie. I tessuti displastici, in relazione alla gravità del
quadro, presentano un certo pleomorfismo. Le displasie di grado lieve-
moderato, che non coinvolgono l’intero spessore di un epitelio, sono
potenzialmente reversibili ed il tessuto può tornare allo stato di normalità con
la rimozione del fattore scatenante. La displasia di grado elevato che interessa
l’intero spessore epiteliale è definita carcinoma in situ e corrisponde ad uno
stato pre-invasivo del cancro. Tanto più è elevato il grado di displasia, tanto
maggiore è la probabilità che questa evolva in una vera e propria lesione
neoplastica. La condizione precancerosa è invece una condizione clinico-
patologica che predispone al cancro (es. la rettocolite ulcerosa) e si esprime a
livello istologico come una lesione. La metaplasia intestinale (si veda
Figura 34), come detto in precedenza, è una lesione pre-cancerosa, che si
caratterizza per la sostituzione dell’epitelio maturo tipico dello stomaco con
quello intestinale, più adatto al nuovo microambiente gastrico. La metaplasia
intestinale può essere classificata come completa o incompleta: si definisce
completa quando vi è una trasformazione di fatto della mucosa dello stomaco
in mucosa del piccolo intestino, con presenza di cellule caliciformi mucipare,
cellule assorbenti (con il tipico orletto a spazzola) e talora cellule del Paneth;
si definisce incompleta quando vi è una trasformazione della mucosa dello
stomaco in mucosa tipica del grande intestino, con presenza di colonociti,
cellule caliciformi mucipare ed assenza di cellule assorbenti (e quindi del
tipico orletto a spazzola). La gastrite cronica di tipo B (da H.Pylori) è una
condizione precancerosa legata all’infezione da parte di Helicobacter Pylori
che aumenta di circa volte lo sviluppo del di adenocarcinoma dello
stomaco distale al cardias, soprattutto nel caso di gastrite cronica atrofica
multifocale, anche in relazione allo sviluppo di metaplasia intestinale . La
malattia da reflusso gastroesofageo è una condizione precancerosa che può
determinare lo sviluppo di esofago di Barrett, caratterizzato da metaplasia
intestinale su mucosa gastrica risalita nell’esofago con o senza displasia, e
predispone allo sviluppo di adenocarcinoma della giunzione gastroesofagea.
Altre condizioni precancerose sono la gastrite cronica autoimmune, la
malattia di Menetrier e la presenza di polipi gastrici adenomatosi.
Il carcinoma gastrico può insorgere ex novo, ovvero in pazienti che non
presentano una storia clinica di patologie gastriche, oppure in pazienti che
presentano lesioni o condizioni precancerose (es. gastriche cronica
autoimmune). I due diversi gruppi si caratterizzano per differenze dal punto
di vista sia epidemiologico che morfologico e riflettono il coinvolgimento di
mutazioni geniche differenti. I pazienti in cui la lesione insorge ex novo sono
solitamente soggetti relativamente giovani, l’incidenza è la stessa in tutto il
mondo e la prognosi è peggiore. Le lesioni che insorgono in pazienti che
presentano lesioni o condizioni predisponenti sono solitamente anziani, la
prognosi è migliore, per via della lunga storia clinica e del relativo
monitoraggio, e l’incidenza differisce a seconda dell’area geografica
considerata.
La malattia si manifesta inizialmente con sintomi simili a quelli della gastrite
cronica, disfagia, dispepsia e nausea, e nelle fasi più avanzate con calo
ponderale, anemia, alterazioni dell’alvo ed emorragia. In caso di
interessamento di cardias e piloro possono essere presenti anche segni di
ostruzione. In un grande numero di casi, le manifestazioni iniziali della
malattia sono oggetto di scarsa considerazione così che la diagnosi viene
posta in uno stadio avanzato della storia della neoplasia, spesso già in un
contesto di malattia metastatica. Talora addirittura il primo segno di malattia
è l’ingrossamento del linfonodo sovraclaveare sinistro (linfonodo di
Virchow), dovuto alla localizzazione di metastasi nella suddetta sede.
Le sedi più frequentemente interessate sono antro, piloro, piccola curva e
meno frequentemente cardias e grande curva.
CLASSIFICAZIONE DI LAUREN
I carcinomi gastrici possono essere classificati in relazione a diversi aspetti:
posizione nello stomaco, istotipo, caratteristiche di crescita e grado di
invasione. L’aspetto microscopico (tubulare, papillare, mucinoso,
adenosquamoso, indifferenziato, a cellule con castone e a piccole cellule) è
meramente descrittivo e fornisce informazioni poco utili dal punto di vista
della prognosi e delle possibilità terapeutiche. La classificazione di Lauren,
proposta nel , si basa sulle caratteristiche delle cellule basali delle fossette
gastriche ed individua due principali istotipi, intestinale e diffuso, che si
differenziano dal punto di vista clinico, molecolare ed epidemiologico.
Il carcinoma gastrico di tipo intestinale interessa solitamente soggetti in età
avanzata di sesso maschile (> anni), risulta prevalente nei Paesi ad alto
rischio ed è più frequente rispetto al carcinoma gastrico diffuso. La neoplasia
si sviluppa a partire da lesioni precancerose, tipicamente aree di metaplasia
intestinale, con cellule neoplastiche che crescono lungo fronti ampi e coesivi
e si organizzano in strutture pseudo-ghiandolari. L’adenocarcinoma gastrico
di tipo intestinale può essere classificato secondo tre gradi (ben differenziato,
moderatamente differenziato e poco differenziato) sulla base di atipie, focolai
di mitosi e capacità di formazione di pseudoghiandole. Dal punto di vista
macroscopico, la neoplasia, pur potendo penetrare nella parete gastrica, si
organizza solitamente in una massa esofitica voluminosa, spesso ulcerata, con
bordi irregolari e con pliche gastriche disposte a raggera attorno alla lesione
stessa. L’incidenza del carcinoma gastrico di tipo intestinale è notevolmente
diminuita nei tempi recenti e la prognosi è migliore rispetto alla forma
diffusa, in quanto la lunga storia di patologia gastrica dei soggetti a rischio ed
il relativo monitoraggio permette di individuare precocemente l’eventuale
sviluppo di lesioni. Nella patogenesi del carcinoma gastrico di tipo intestinale
sembrano essere coinvolte alterazioni della via di segnalazione WNT/β-
catenina.
Il carcinoma gastrico diffuso interessa soggetti relativamente giovani (
anni), senza predilezione di sesso, l’incidenza risulta uniforme in tutti
i Paesi e non è associato alla presenza di lesioni precancerose. Le cellule
neoplastiche risultano scarsamente coesive, non si organizzano in strutture
ghiandolari ed infiltrano singolarmente od in piccoli gruppi l’intera parete
gastrica, potendo talora essere confuse con infiltrato infiammatorio. Il
citoplasma delle cellule è ricco di vacuoli di mucina che spingono il nucleo in
periferia, conferendo il cosiddetto aspetto “a cellule con castone”. Dal punto
di vista macroscopico, la neoplasia può non costituire una massa tumorale
evidente ma spesso l’infiltrazione dà luogo ad una reazione desmoplastica,
ovvero deposizione di tessuto fibroso o connettivo che irrigidisce la parete
dello stomaco, conferendo una consistenza lignea che viene definita linite
plastica. La colorazione in Alcian-PAS permette di colorare le cellule
neoplastiche in blu per la presenza di vacuoli di mucina oppure è possibile
utilizzare tecniche di immunoistochimica dirette contro alcune citocheratine.
Nella patogenesi del carcinoma gastrico diffuso sembrano avere un ruolo
chiave le mutazioni del gene CDH1, ovvero il gene che codifica per la E-
caderina, una importante proteina coinvolta nell’adesione intercellulare
epiteliale.
CARCINOMA GASTRICO PRECOCE (EGC)
Con il termine carcinoma gastrico precoce o early gastric cancer (EGC) si
intende qualsiasi adenocarcinoma gastrico che infiltri la parete gastrica
limitatamente alla mucosa (early mucoso) o alla sottomucosa (early
sottomucoso), indipendentemente dalle dimensioni del tumore,
dall’interessamento linfonodale o dal tempo intercorso dallo sviluppo della
neoformazione. Il carcinoma gastrico avanzato si estende fino ad
interessare parete muscolare, sottosierosa e sierosa. Il concetto di carcinoma
gastrico precoce ha avuto origine in Giappone, dove l’incidenza del
carcinoma gastrico è piuttosto elevata, e si basa unicamente sulla precoce
identificazione della lesione. La diagnosi di carcinoma gastrico precoce è una
diagnosi che viene posta a posteriori in seguito a gastrectomia, essendo
necessario valutare appieno l’infiltrazione neoplastica della parate gastrica.
La biopsia gastrica endoscopica non è adeguata a tale scopo poiché include
unicamente mucosa e sottomucosa ed impedisce valutazione sugli strati più
profondi del tessuto. Questo aspetto è drammaticamente importante essendo i
linfatici più rappresentati negli strati profondi della parete: quanto più la
neoplasia infiltra in profondità la parete gastrica, tanto maggiore è il rischio
di metastatizzazione. Alla diagnosi di carcinoma gastrico precoce il % circa
degli early mucosi ed il % degli early sottomucosi presentano metastasi a
livello linfonodale e la sopravvivenza a anni dopo intervento di
gastrectomia, indipendentemente dall’interessamento linfonodale è del
circa. In caso di carcinoma gastrico avanzato la sopravvivenza a anni dopo
intervento di gastrectomia è appena del % circa.
METASTATIZZAZIONE
Il carcinoma gastrico può metastatizzare in diverse sedi in relazione alla
localizzazione primitiva ed alla modalità di trasmissione. La
metastatizzazione per contiguità può interessare il fegato quando
primitivamente localizzato nel corpo e nella superficie anteriore; milza e
colon trasverso quando primitivamente localizzato nella grande curvatura;
duodeno e pancreas quando primitivamente localizzato nell’antro; esofago
quando localizzato primitivamente in regione cardiale. La metastatizzazione
per via linfatica riguarda i linfonodi loco-regionali presenti a livello di
piccola e grande curvatura, paraortici e celiaci; ed i linfonodi mediastinici,
nel caso in cui la lesione sia primitiva della regione cardiale. Nei casi di
carcinoma gastrico avanzato spesso il primo segno di malattia è
l’interessamento di un linfonodo sovraclaveare sinistro, detto anche linfonodo
di Virchow; i motivi alla base di tale localizzazione non sono noti. La
metastatizzazione per via ematogena riguarda il fegato, in particolare per il
tipo intestinale, e polmoni. La metastatizzazione per via intraperitoneale
avviene in seguito ad esfoliazione delle cellule neoplastiche nella cavità
intraperitoneale, soprattutto nel contesto del carcinoma gastrico diffuso, con
localizzazione a livello di entrambe le ovaie e formazione del cosiddetto
tumore di Krukenberg.
COMPLICANZE
La malattia neoplastica si può associare a complicanze di vario genere:
formazione di aree di stenosi, laddove insorga primitivamente in zone
anatomicamente ristrette (cardias ed antro); emorragia gastrica (gastrorragia)
in caso di infiltrazione neoplastica di vasi arteriosi con distruzione della
parete vascolare; peritonite chimica in seguito a perforazione della parete e
passaggio del chimo in sede intraperitoneale.
PROGNOSI E TERAPIA
La prognosi del carcinoma gastrico è legata principalmente all’entità
dell’infiltrazione della parete, alla metastatizzazione linfonodale e a distanza,
al tipo di carcinoma e al grading.
Dal punto di vista terapeutico, la chirurgia rimane la soluzione migliore nel
contesto del carcinoma gastrico precoce e la sopravvivenza a anni è attorno
al %. In caso di carcinoma gastrico avanzato la sopravvivenza a anni si
attesta attorno al % con una ulteriore riduzione al % nelle forme
metastatiche.
Nella patogenesi di alcune forme di carcinoma gastrico sono coinvolte
alterazioni della via di trasduzione di HER2/neu, ovvero un proto-oncogene
facente parte della famiglia dei recettori per il fattore di crescita epidermico,
che codifica per la proteina HER2 o ERBB2. L’amplificazione del gene
determina una abnorme espressione della proteina in membrana. Talora
inoltre l’aumento della densità proteica può essere legato ad altri meccanismi
e quindi può presentarsi in assenza di amplificazione genica. Il recettore è
costituito da un dominio extracellulare di legame, uno transmembrana ed uno
intracellulare con attività tirosin-chinasica. In presenza degli appropriati
stimoli, il recettore omo o eterodimerizza con un altro recettore della famiglia
EGFR, si autofosforila in residui tirosinici ed attiva tutta una serie di vie di
segnalazione. In circa il % delle neoplasie gastriche è presente una de-
regolazione di questa via di segnalazione legata a fenomeni di amplificazione
genica o di aumentata espressione recettoriale. In tale contesto trovano
applicazione Trastuzumab ed Pertuzumab, due anticorpi monoclonali che
agiscono a livello della suddetta via di segnalazione inibendo la
dimerizzazione recettoriale. La positività ad HER2/neu è un fattore
prognostico negativo, in quanto indica che il clone tumorale è più aggressivo,
e predittivo positivo, poiché responsivo alla terapia con anticorpi
monocolonali. La presenza di positività per alterazioni in HER2/neu è
solitamente correlato al carcinoma gastrico di tipo intestinale e si associa ad
una prognosi peggiore, mentre non si correla con fattori quali età, sesso,
dimensioni e stadiazione TMN. Un aspetto piuttosto particolare del
carcinoma gastrico riguarda l’eterogeneità del pool di cellule neoplastiche di
cui si compone: differenze fenotipiche piuttosto marcate possono essere
presenti in punti differenti della stessa neoformazione, così che ad esempio
l’aumento della densità recettoriale di HER2/neu risulti presente solo in
alcuni punti ed assente in altri. Affinché sia possibile trattare in maniera
mirata i pazienti è necessario che questi risultino eleggibili al trattamento
ovvero che presentino il difetto precedentemente descritto. Innanzitutto viene
eseguita una indagine di immunoistochimica (IH), su campioni bioptici
prelevati in punti differenti della neoformazione, per verificare l’entità
dell’espressione del recettore in membrana. Per fare ciò si utilizzano anticorpi
specifici diretti contro HER2. Il risultato del test è funzione (1) dell’intensità
della colorazione, (2) frazione percentuale di cellule neoplastiche colorate
(almeno il % su pezzo operatorio e cellule contigue su biopsia gastrica) e
(3) colorazione circonferenziale della membrana completa o discontinua.
Viene attribuito uno score da a , dove rappresenta l’assenza di
colorazione e una colorazione circonferenziale intensa di numerose cellule.
In caso di score il paziente è eleggibile al trattamento con gli anticorpi
monoclonali, mentre nei casi dubbi ( e ) si procede ad analisi con
ibridazione in situ tramite metodica FISH. La stessa metodica viene applicata
nell’agospirato dei noduli mammari. Le cellule neoplastiche del carcinoma
mammario si colorano in maniera circonferenziale, mentre nel caso di
carcinoma gastrico è sufficiente che si colori la membrana baso-laterale. La
FISH è una tecnica molecolare di ibridazione in situ (si veda Citogenetica e
FISH), applicata su tessuto fissato ed incluso e successivamente sparaffinato,
che permette di constatare, tramite l’ausilio di apposite sonde, la presenza di
amplificazione del gene HER2/neu. In genere vengono utilizzate due sonde di
colore diverso, una sonda centromerica-specifica per il cromosoma di
colore rosso ed una sonda locus-specifica per il gene HER2/neu di colore
verde. Le cellule somatiche presentano un cariotipo diploide e perciò in
condizioni di normalità il numero di segnali di ciascun tipo è pari a , ad
indicare che ogni cellule presenta due cromosomi, ciascuno con un solo
centromero ed un solo gene. In caso di amplificazione genica, il rapporto tra
segnale locus-specifico e segnale centromerico in una singola cellula è
(es. segnali verdi locus-specifici e segnali rossi centromerici, rapporto
). Sono possibili anche casi di polisomia con presenza di più segnali
centromerici e locus-specifici, in tal caso, nonostante il rapporto , si
considera la polisoma marcata come equivalente dell’amplificazione (es.
segnali verdi locus-specifici e segnali rossi centromerici, rapporto rapporto
). Il paziente con un risultato all’IH e con positività alla FISH è
eleggibile al trattamento con gli anticorpi monoclonali. In caso di
eterogeneità della massa tumorale è necessario effettuare più biopsie, in
quanto l’eterogeneità macroscopica può essere sottesa ad una eterogeneità dei
cloni neoplastici. La positività anche solamente di uno dei campioni all’IH o
all’IH e FISH rende il paziente eleggibile al trattamento, essendo quell’area
di neoplasia potenzialmente la più aggressiva (come detto in precedenza la
positività ad HER2/neu è un fattore prognostico negativo) e comunque
responsiva alla terapia farmacologica.
T UMORE STROMALE GASTROINTESTINALE (GIST)
Il tumore stromale gastrointestinale (GIST) è il tumore mesenchimale più
comune dell’addome, soventemente a carico dello stomaco e del piccolo
intestino. I GIST sono relativamente rari, insorgono in maniera sporadica ed
interessano maggiormente soggetti adulti in età avanzata, sono rari nei
bambini dove tuttavia risultano maggiormente aggressivi. I GIST possono
anche manifestarsi in giovani soggetti di sesso femminile nel contesto di una
rara malattia non ereditaria, nota come triade di Carney, che si caratterizza
per la presenza di GIST, paraganglioma e condroma polmonare. I GIST sono
dei tumori eterogenei la cui natura e comportamento (anche inteso come
aggressività della neoplasia) differiscono a seconda dell’istogenesi e delle
alterazioni molecolari che sottendono la trasformazione in senso neoplastico.
Possono insorgere lungo tutto il tratto gastrointestinale, sebbene più
frequentemente a livello della parete gastrica, del piccolo intestino e
raramente e meno frequentemente nel colon-retto. Sono documentati anche
casi di GIST insorti in sedi ectopiche (es. mesentere, retroperitoneo ed
omento). Nel 60% dei casi insorgono in sede sottomucosa, nel 10%
intramurali e nel 30% sottosierosi. L’interessamento di tonaca muscolare o
muscolaris mucosae assieme alla frequente presenza di aspetti fenotipici
comuni alle cellule muscolari lisce ha determinato in tempi passati l’errata
classificazione dei GIST come forme di leiomiomi e leiomiosarcomi. I tumori
stromali gastrointestinali disseminano per via ematica, principalmente a
livello epatico e per contiguità al peritoneo. Dal punto di vista clinico, i GIST
che insorgono a livello gastrico risultano frequentemente asintomatici e
vengono spesso riscontrati come incidentalomi o in sede autoptica.
L’interessamento del piccolo intestino con crescita della massa intestinale in
direzione luminare può associarsi ad occlusione o subocclusione, la massa
neoplastica può crescere anche in direzione della sierosa risultando in questo
caso asintomatico per un lungo periodo di tempo. Durante la crescita è
possibile inoltre che la neoformazione vada incontro ad ulcerazione e
sanguinamento con conseguenza comparsa di dolore addominale e melena.
Si ritiene che i GIST abbiano origine a partire dalle cellule interstiziali di
Cajal (ICC), ovvero cellule segnapasso presenti nella muscolare propria del
tratto gastrointestinale, o che condividano con esse una cellula staminale.
Tale ipotesi è sostenuta da aspetti fenotipici comuni sia alle ICC che alle
cellule neoplastiche, quali espressione di CD117, di marcatori delle cellule
muscolari lisce ( desmina e actina) e delle cellule nervose (S100), oltre che
per la presenza di aspetti tipici all’esame ultrastrutturale, come filamenti di
actina, vescicole secretorie e terminali sinaptici. Una quota non trascurabile
di GIST non esprime CD117 e di conseguenza si rende necessario l’utilizzo
di un ulteriore marcatore, il CD34, per identificare le cellule neoplastiche.
Nella patogenesi della neoplasia, l’evento chiave è legato a mutazioni
primitive attivanti il proto-oncogene c-KIT (SCFR o CD117) o, più
raramente, il gene omologo PDGFR a , i quali codificano per recettori di
membrana tirosin-chinasici coinvolti nella regolazione di diverse vie di
segnalazione, come la la cascata delle MAP chinasi e la via di AKT, che
regolano aspetti quali proliferazione e sopravvivenza cellulare. Nelle forme di
GIST sporadico le mutazioni di c-KIT e PDGFR a risultano mutuamente
esclusive. In condizioni normali, la presenza di ligando, SCF per c-KIT e
PDGF per PDGFR a , determina omodimerizzazione del recettore con
attivazione della via di segnalazione. Le mutazioni coinvolte nella patogenesi
dei GIST determinano un guadagno di funzione del gene con conseguente
produzione di recettori tirosin-chinasi costitutivamente attivati e
sovvertimento dei segnali intracellulari che regolano proliferazione e
sopravvivenza cellulare. I GIST presentano una diversa aggressività in
relazione al gene e all’esone interessato. Le mutazioni inoltre presentano
carattere sito-specifico, cosicché le mutazioni dell’esone 9 di c-KIT si
riscontrano soprattutto nei GIST del piccolo intestino e del colon destro,
quelle di PDGFR a si associano a sviluppo di GIST con fenotipo epitelioide
ed assente o scarsa espressione di CD117 a livello gastrico ed omentale,
mentre le mutazioni dell’esone 11 presentano una distribuzione casuale. Le
mutazioni degli esoni 9 ed 11 di c-KIT si correlano a forme più aggressive
mentre quelle a carico di PDGFR a a forme meno aggressive. La conoscenza
del gene e dell’esone mutato costituisce di conseguenza un fattore
prognostico di malattia e predittivo di terapia. La mutazione dell’esone 11 i c-
KIT si associano a lesioni responsive alla terapia farmacologica nel 70-80%
dei casi; le lesioni legate a mutazioni dell’esone 9 di c-KIT e d PDGFR a
risultano responsive alla terapia farmacologica nel 30-40% dei casi; ed i
GIST con c-KIT e PDGFR a wild-type presentano una risposta del tutto
assente o scarsa alla terapia farmacologica nella maggior parte dei casi. La
terapia farmacologica può inoltre determinare lo sviluppo di mutazioni
secondarie (o di resistenza), in quanto il farmaco seleziona negativamente
tutte le cellule neoplastiche responsive alla terapia, determinando il
permanere dei soli cloni neoplastici farmaco-resistenti. L’insorgere di
mutazioni di resistenza nei confronti del farmaco in uso determina inefficacia
del trattamento farmacologico. Tuttavia, a differenza di altri tumori che
sviluppano una assoluta farmaco-resistenza, non tutte le mutazioni secondarie
a carico di c-KIT si traducono in una totale assenza di risposta terapeutica,
bensì spesso esitano in una riduzione della risposta al farmaco. Ciò accade
perché le mutazioni determinano modificazioni conformazionali del recettore
che riducono l’affinità per il farmaco. Di conseguenza l’individuazione delle
mutazioni di resistenza è estremamente importante in quanto permette al
clinico di adeguare la posologia o di sostituire il farmaco in uso con un altro
per il quale il tumore è ancora sensibile. L’analisi mutazionale consiste nel
sequenziamento diretto su DNA estratto da tessuto fissato ed è consigliata (1)
in presenza di GIST negativi per mutazioni di c-KIT, (2) per escludere la
presenza di cloni neoplastici farmaco-resistenti in GIST con fattori
prognostici negativi e (3) per il monitoraggio della resistenza farmacologica.
Sono inoltre in corso studi sulla biopsia liquida (già applicata nel contesto del
carcinoma polmonare) che permetterebbe la ricerca e quindi l’analisi di DNA
tumore circolante nel sangue.
Dal punto di vista macroscopico, i GIST si presentano come lesioni solitarie
omogenee di piccole o grosse dimensioni, di colore biancastro, a consistenza
dura e carnosa, con una tipica area di depressione centrale “a ombelico”,
ulcerate o ricoperte da mucosa intatta o con crescita verso la sierosa. Il core
interno può risultare sclerotico e favorire la formazione di aree di necrosi ed
ulcerazione. Dal punto di vista microscopico, le cellule neoplastiche possono
presentare un aspetto fusiforme, principalmente i GIST a differenziazione
muscolare liscia, oppure epiteliode; possono organizzarsi in strutture
fascicolate o vorticoidi con presenza di fibre skenoidi, ovvero grovigli di
strutture fibrillari ialine o eosinofile costituite da fibre collagene (fenotipo
neuronale). Le cellule possono essere indifferenziate, differenziate in senso
muscolare liscio o neuronale o presentare aspetti fenotipici comuni ad
entrambi. La discriminazione delle diverse forme si basa sull’
immunoistochimica o per la presenza di aspetti caratteristici all’esame
ultrastrutturale:
I GIST a differenziazione muscolare liscia sono i più frequenti e
vengono marcati con anticorpi diretti contro actina e desmina,
all’esame ultrastrutturale si può apprezzare la presenza di filamenti di
actina.
I GIST a differenziazione neuronale sono particolarmente frequenti nei
pazienti affetti da neurofibromatosi di tipo 1, e vengono marcati con
anticorpi diretti contro la proteina S100 mentre risultano negativi per
actina e desmina, all’esame ultrastrutturale presentano aspetti tipici
neuronali, come la presenza di vescicole sinaptiche.
I GIST a differenziazione mista sono relativamente rari e presentano
aspetti fenotipici sia delle cellule muscolari lisce che dei neuroni.
I GIST uncommitted risultano negativi all’immunoistochimica per la
proteina S100, desmina ed actina e positivi per CD117 o CD34,
all’esame ultrastrutturale non presentano aspetti caratteristici.
La diagnosi di GIST viene è di tipo immunoistochimica e basa sulla positività
per CD117 (90-95% dei casi) o al CD34 (70-80% dei casi), oppure in
presenza di un aspetto morfologico prevalente con assenza di positività al
CD117. L’immunofenotipizzazione delle cellule neoplastiche viene condotta
tramite immunoistochimica in relazione alla presenza di marcatori biologici
miodi e neuronali. Il fenotipo più frequento è quello muscolare liscio. Le
diverse forme di GIST presentano grossomodo la stessa prognosi, ad
eccezione della forma indifferenziata (uncommitted) che presenta prognosi
peggiore. La stratificazione del rischio si basa prevalentemente su due fattori
prognostici, dimensioni della massa tumorale e indice mitotico valutato su 50
HPF. I soggetti più a rischio sono quelli che presentano una lesione di
dimensioni maggiore ai 10 cm o più di 10 mitosi per 50 HPF. Fattori
prognostici di minore rilevanza clinica sono la profondità d’invasione, il tipo
di GIST, la sede (quelli gastrici presentano prognosi migliore rispetto a quelli
che insorgono a livello del colon-retto), la presenza di metastasi ed il tipo di
mutazione genica. La terapia è prettamente chirurgica e prevede l’escissione
dell’intera lesione senza linfoadenectomia, in quanto la disseminazione
avviene per via ematica. La terapia medica con Imatinib, un farmaco
biologici inibitore delle tirosin-chinasi, quali Imatinib, è indicato come
terapia adiuvante dopo trattamento chirurgico o nei casi di tumore inoperabile
e/o metastatico, naturalmente in relazione alla presenza di mutazioni geniche
di c-KIT o PDGFR a .
L INFOMA GASTROINTESTINALE
I linfomi extranodali, primitivi o secondari, possono svilupparsi in qualsiasi
tessuto, sebbene più frequentemente interessino il tratto gastrointestinale ed
in particolare lo stomaco. All'incirca il 5% di tutte le neoplasie maligne dello
stomaco sono costituite da linfomi primitivi, in particolare a cellule B. Le
lesioni primitive insorgono soprattutto in corso di gastrite cronica di tipo B,
celiachia e condizioni di immunodepressione. Le localizzazioni secondarie
sono invece legate alla presenza vi linfomi primitivi nodali. Si distinguono tre
tipi di linfomi primitivi: (1) linfomi a cellule B del tessuto linfoide
associato a mucosa (MALT) (2) linfomi a cellule B non del MALT. (3)
linfomi a cellule T, lesioni ad alto grado di malignità che insorgono
soprattutto nei soggetti giovani in associazione a sindromi da
malassorbimenti, principalmente la celiachia. Di tutte queste forme di
linfoma primitivo dello stomaco la più frequente ed importante è linfoma a
cellule B del MALT.
LINFOMI A CELLULE B DEL MALT
I linfomi a cellule B del tessuto linfoide associato a mucosa (MALT) o, più
semplicemente, MALTomi possono insorgere lungo tutto il tratto
gastrointestinale, in ordine di frequenza interessano principalmente stomaco,
piccolo intestino e colon. Dal punto di vista clinico, si presentano con dolore
epigastrico, dispepsia, calo ponderale e possono dare origine ad ematemesi e
melena in seguito a fenomeni di ulcerazione della mucosa. Nella stragrande
maggioranza dei casi coesistono con gastrite cronica da H.Pylori. Fattori
predittivi negativi di malattia sono a trasformazione linfomi diffusi a grandi
cellule B, l’interessamento linfonodale e l'infiltrazione della muscolare
propria.
Dal punto di vista patogenetico, un ruolo estremamente importante è svolto
dall'infezione cronica di H.Pylori che costituisce lo stimolo prolinfomatoso e
determina la formazione dei follicoli linfoidi. Tuttavia non tutti i MALTomi
insorgono in associazione a gastrite cronica di tipo B, ciò evidenzia la
presenza di altri fattori e meccanismi coinvolti nello sviluppo della neoplasia.
In ogni caso, la forte associazione tra gastrite cronica di tipo B è MALToma è
fornita dal fatto che l'eliminazione dell'infezione induce spesso una
remissione durevole senza o con scarsa recidiva nella stragrande maggioranze
dei pazienti. L’infezione cronica da parte di Helicobacter induce la
formazione di tessuto linfoide secondario in maniera persistente, nel corso del
tempo è possibile che alcune cellule B, ovvero il tipo linfocitario
prevalentemente coinvolto, acquisiscano alterazioni cromosomiche
responsabili delle formazione di cloni di cellule B aberranti. Ai MALTomi
gastrici nella fattispecie si associano tre traslocazione: più frequentemente
t(11;18), t(1;14) e t(14;18). Tutte e tre le traslocazioni si associano ad un
certo grado di antibiotico-resistenza, in particolare la t(11;18) è
frequentemente osservata nelle forme di MALToma H.Pylori negativo.
L'effetto netto di ciascuna di queste traslocazione è l'attivazione costitutiva
del fattore di trascrizione NF-κB, coinvolto nella proliferazione e
sopravvivenza cellulare. Nei MALTomi privi di queste traslocazione,
l’iperespressione di NF-κB è legata all'infezione persistente: l'eradicazione
dell'infezione elimina, in questi casi, lo stimolo immunitario alla base della
incontrollata proliferazione cellulare, determinando una regressione della
neoplasia. La conoscenza delle alterazioni molecolari che possono sottendere
lo sviluppo del tumore sono di conseguenza estremamente importanti, sia dal
punto di vista prognostico che terapeutico. Nelle forme di tumore prive di
traslocazioni cromosomiche il semplice utilizzo di un antibiotico può
determinare una regressione della malattia; mentre le forme tumorali in cui vi
è un'attivazione costitutiva di NF-κB legata alla traslocazioni cromosomica
non rispondono all’eradicazione dell’infezione. Ulteriore eventi molecolari
possono inoltre determinare l’evoluzione del MALToma in linfoma diffusi a
grandi cellule B, tumori ad alto e notevolmente aggressivi.
Dal punto di vista macroscopico, i linfomi a cellule B del MALT possono
presentarsi come aree di erosione, ulcere, discromiche e più frequentemente
come formazioni mammellonate che insorgono nelle sedi di infiammazione
cronica. L’iperplasia del tessuto linfoide solleva la mucosa determinando la
formazione di queste protrusione mammellonate. Possono avere origine a
partire da tessuto linfoide preesistente, come le placche di Peyer nell'intestino
tenue, o insorgere in tessuti privi di tessuto linfoide. L’infiammazione cronica
da H.Pylori costituisce lo stimolo prolinfomatoso, alla base
dell’organizzazione e dell’iperplasia del tessuto linfoide. Dal punto di vista
istologico, i MALTomi appaiono come densi infiltrati di piccoli linfociti nella
lamina propria. La presenza di piccole cellule evidenzia il basso grado della
lesione, tuttavia, come accade per altri linfomi di basso grado, anche i
MALTomi possono trasformarsi in tumori più aggressivi ad alto grado,
istologicamente definiti dalla presenza di linfomi diffusi a grandi cellule B. I
linfociti inoltre possono presentare aspetti di differenziazione in senso
plasmacellulare; talora le cellule possono presentare un’alterazione definite
monocitoide, dovuta alla presenza ampio citoplasma pallido che conferisce
un aspetto simil-monocita. La lesioni più importante in chiave diagnostica è
l'infiltrazione focale con distruzione delle ghiandole gastriche a creare le
cosiddette lesioni linfoepiteliali. All'esame immunoistochimico, i MALTomi
esprimono il marcatore delle cellule B mature CD20 ma non CD5 e CD10.
P OLIPI INTESTINALI
Con il termine polipo si definisce una massa ben definita che si sviluppa in
un organo cavo, comunemente nel colon ma anche a livello dell’esofago,
dello stomaco e del tenue. Il polipo origina come un piccolo rilievo della
mucosa e viene in questo stadio definito polipo sessile. Nel processo di
accrescimento, la proliferazione di cellule adiacenti alla massa e l’effetto di
trazione dovuto alla progressiva protrusione nel lume determinano lo
sviluppo di un peduncolo, con conseguente formazione di un polipo
peduncolato. Dal punto di vista strutturale, i polipi si caratterizzano per la
presenza di un tipico asse fibrovascolare che ne permette la distinzione dagli
pseudopolipi (presenti ad esempio nella Rettocolite ulcerosa). Come detto in
precedenza, i polipi possono insorgere in svariati organi cavi, quali utero,
cavità nasali, in corrispondenza delle corde vocali oltre che nel tratto
gastrointestinale. In relazione al sito d’insorgenza, il significato clinico
associato è differente: i polipi nasali sono in realtà pseudopolipi dovuti ad
iperplasia della mucosa conseguente a stimolazione allergenica; quelli uterini
sono legati a stimolazione ormonale; mentre quelli del tratto gastrointestinale
possono essere non neoplastici o neoplastici. I polipi intestinali non
neoplastici possono essere infiammatori, amartomatosi o iperplastici. I polipi
intestinali neoplastici più comuni sono invece gli adenomi che possono
potenzialmente progredire fino allo stadio di adenocarcinomi. Infine possono
essere presenti pseudopolipi infiammatori dovuti a fenomeni ciclici di danno
e rigenerazione tissutale, ad esempio la rettocolite ulcerosa; pseudopolipi
legati alla presenza di masse intraparietali che sollevano la mucosa nel loro
sviluppo in direzione del lume, come nel caso dei GIST; ed infine
pseudopolipi linfoidi legati ad iperplasia del MALT.
POLIPI INTESTINALI NON NEOPLASTICI
I polipi intestinali non neoplastici si distinguono in iperplastici,
amartomatosi, infiammatori e polipi giovanili.
POLIPI IPERPLASTICI
Il 95% dei polipi intestinali sono polipi iperplastici, piccole lesioni sessili,
localizzate prevalentemente nel crasso e nell’appendice in corrispondenza
delle pliche mucose, che interessano prevalentemente i soggetti in età
avanzata e non hanno alcun potenziale di malignità. La patogenesi dei polipi
iperplastici non è completamente chiara e si ritiene essere legata a fenomeni
di riduzione della velocità di turnover cellulare concomitanti ad una ritardata
esfoliazione cellulare, con conseguente accumulo di cellule assorbenti e
caliciformi. All’esame microscopico le aree di mucosa del polipo appaiono
ricche di cellule assorbenti e caliciformi e le ghiandole intestinali presentano
un aspetto stellato e seghettato in sezione trasversale.
Figura 34, polipo intestinale iperplastico. La mucosa risulta ricca di cellule assorbenti e caliciformi
organizzate in ghiandole dall’aspetto stellato in sezione trasversale. Per gentile concessione di
CoRus13 (CC BY-SA 4.0).
POLIPI AMARTOMATOSI
I polipi amartomatosi sono lesioni simil-tumorali costituite da una
commistione di tessuti maturi normalmente rappresentati nell'organo
interessato e disposti secondo un’architettura completamente sovvertita. I
polipi amartomatosi possono insorgere in maniera sporadica o manifestarsi
nell’ambito di sindromi acquisite ed ereditarie.
La sindrome di Peutz-Jeghers è una malattia ereditaria a trasmissione
autosomica dominante che si caratterizza per la presenza di polipi
amartomatosi multipli e iperpigmentazione mucocutanea. Quest’ultima si
manifesta con la presenza di macule di colore blu e marrone disposte sul
volto, mucosa orale, narici, genitali, superficie palmare delle mani ed in
regione perineale. Lo patogenesi della malattia segue il modello dei due hit di
Knudson con una prima mutazione in eterozigosi del gene LKB1/STK11
nella linea germinale e la seconda acquisita come mutazione somatica. La
malattia è una condizione precancerosa associata ad un aumentato rischio di
sviluppo di cancro del colon, pancreas, polmone, mammella ed altre
neoplasia. Gli adenocarcinomi insorgono indipendentemente dalla presenza
di lesioni amartomatose, questo indica che gli amartomi non sono lesioni
precancerose.
Figura 35, sindrome di Peutz–Jeghers, si noti la presenza di lesioni di colore bluastro disposte sul
volto, mucosa orale e narici. Per gentile concessione di Abdullah Sarhan (CC BY-SA 4.0).
Figura 36, microarchitettura del fegato secondo il modello lobulare ed acinare. La struttura dell’acino
è delimitata dalla vena centro lobulare (VC) e dai due tratti portali (TP), mentre il lobulo epatico
corrisponde alla struttura di forma esagonale delimitata in periferia dai tratti portali e caratterizzata
dalla presenza della vena epatica terminale. Il tratto portale è costituito dai rami terminali dell’arteria
epatica (AE), vena porta (VP) e dotto biliare (DB). La frecce di colore eguale alla struttura vascolare
o duttale evidenziano il flusso: il sangue arterioso e venoso è diretto in direzione della vena epatica
terminale mentre il flusso biliare in direzione opposta.
S T E ATO S I E PAT I C A
La steatosi epatica si caratterizza per l'accumulo di lipidi all’interno degli
epatociti con danno cellulare che può esitare in necrosi. La steatosi può essere
settoriale, confinata a determinate aree del lobulo, oppure interessare l’intero
lobulo epatico. Dal punto di vista microscopico, si distingue la steatosi
microvescicolare da quella macrovescicolare. La microvescicolare si
caratterizza per la presenza di numerose vescicole citoplasmatiche contenenti
materiale lipidico; sono steatosi irreversibili che progrediscono verso la
cirrosi. La macrovescicolare si caratterizza per la presenza di un’unica e
grossa vescicola citoplasmatica lipidica derivante dalla confluenza di vacuoli
più piccoli; si tratta di una steatosi reversibile che, se non curata, progredisce
fino alla cirrosi. Inoltre possono essere presenti granulomi prevalentemente
macrofagici e presenza di infiltrato infiammatorio. La steatosi epatica
espressione di un danno tossico, epatitico (soprattutto da HCV), da diabete e
da steatoepatite non alcolica (NASH).
Figura 38, sezione istologica di fegato steatosico. Si noti la presenza di grandi vacuoli intracellulari
biancastri, contenenti materiale lipidico perso durante l'allestimento del vetrino. Per gentile
concessione di Nephron (CC BY 3.0) [Modificato da Periportal hepatosteatosis intermed mag.jpg].
La valutazione della fibrosi epatica può essere effettuata tramite una metodica
non invasiva, nota come elastografia epatica (FibroScan), che fornisce una
valutazione semiquantitativa della quantità di tessuto fibroso presente; oppure
tramite biopsia epatica che fornisce informazioni circa la quantità di tessuto
fibroso presente e la distribuzione dello stesso all'interno nel contesto del
parenchima epatico, aspetto fondamentale per l'interpretazione e la diagnosi.
All’esame istologico, la fibrosi epatica può essere apprezzata tramite
l'utilizzo di particolari colorazioni, come l'impregnazione argentica e la
tricromica di Masson, che colorano rispettivamente le fibre reticolari in
grigio-nerastro ed il connettivo in verde. In alternativa alla tricromica di
Masson si può utilizzare la tricromica di Mallory che colora il connettivo in
blu. Il grado di fibrosi viene quantificato in base a degli score (si veda più
avanti l’indice di Knodell e di Ishak).
INFIAMMAZIONE
L’infiammazione del parenchima epatico può interessare compartimenti
differenti del parenchima epatico e può differire a seconda degli elementi
infiammatori coinvolti, sebbene solitamente l’infiltrato infiammatorio sia
costituito da linfociti. L’infiammazione può insorgere nello (1) spazio
portale, tipico delle situazioni croniche; (2) in sede intralobulare, in sede peri-
portale o peri-centrale, tipico dell’epatite acuta ed associato a degerazione
palloniforme ed apoptosi epatocitaria; (3) a livello epatociti della lamina
limitante, la cosiddetta flogosi da interfaccia (in inglese piecemeal necrosis),
caratterizzata da distruzione del tessuto epatico circostante lo spazio portale
interessato. L’infiltrato infiammatorio determina distruzione degli epatociti
della lamina limitante, ovvero gli epatociti posti ai confini dei lobuli, con
diffusione dell’infiammazione nelle zone circostanti lo spazio portale
interessato. (4) nei dotti biliari intraepatici, tipico delle epatite autoimmuni.
La conoscenza della sede in cui è in atto il processo flogistico è molto
importante in quanto discrimina un quadro acuto, infiammazione
intralobulare, da uno cronico, infiammazione portale, o da uno cronico in fase
di acuzie, flogosi della lamina limitante (origina dallo spazio portale e si
propaga ai lobuli adiacenti).
L’infiammazione può inoltre essere prevalentemente di tipo neutrofila, in
caso di infezione batteria (es. una colangite acuta suppurativa ascendente
conseguente a calcolosi), od eosinofila, in caso di epatite da farmaci o nel
rigetto acuto di trapianto epatico. In quest’ultimo caso, i granulociti eosinofili
si ritrovano nello spazio di Disse e causano in aggiunta obliterazione dei
duttuli biliari. La presenza di un infiltrato prevalentemente plasmacellulare
suggerisce la presenza di un processo di autoimmunitario. Infine si può
osservare la formazione di granulomi epiteliodi in corso di epatopatie
tossiche, da farmaci, tubercolosi, micobatteriosi, sarcoidosi e colangite biliare
primitiva. Il grado di infiammazione viene quantificato in base a degli score.
I NSUFFICIENZA EPATICA
L’insufficienza epatica è la più temibile conseguenza di una malattia epatica
e si caratterizza per l'incapacità del fegato di svolgere le funzioni metaboliche
a cui è preposto. Ciò determina un sovvertimento dell'omeostasi dell'intero
organismo, con complicanze molto rilevanti e talora fatali. L’insufficienza
epatica può verificarsi in seguito ad un danno acuto (es. un'epatite
fulminante) oppure come conseguenza finale di un insulto cronico ripetuto
nel tempo (es. un'epatite virale cronica). Il fegato è, fortunatamente, un
organo dall'incredibile riserva funzionale e di conseguenza l’insufficienza si
manifesta solamente in presenza di un’importante compromissione
(all’incirca l’80%) del parenchima epatico. In questo contesto l'unico
intervento salvavita possibile è il trapianto d'organo. Dal punto di vista
clinico la malattia si manifesta con ittero, ipoalbuminemia con
predisposizione allo sviluppo di edema periferico, iperammonemia con
conseguente tossicità cerebrale, eritema palmare, angiomi stellati,
ginecomastia, ipogonadismo e fetor hepaticus, un caratteristico odore dovuto
alla presenza di ipertensione portale e shunt porto-sistemici. Vi possono
essere forme di coagulopatia legate alla ridotta sintesi epatica dei fattori della
coagulazione con conseguente tendenza all'emorragia. L’insufficienza epatica
è una condizione che predispone allo sviluppo di insufficienza multiorgano,
un evento che determina frequentemente exitus del paziente. Le complicanze
più gravi associate all’insufficienza epatica sono: sindrome epatorenale,
sindrome epatopolmonare ed encefalopatia epatica.
SINDROME E PATO P O L M O N A R E
La sindrome epatopolmonare si caratterizza per la presenza di ipossia e
vasodilatazione del circolo polmonare associate ad epatopatia. Si presenta
clinicamente con una riduzione della saturazione del sangue arterioso,
dispnea, facile faticabilità ed astenia. La malattia è legata alla presenza di
shunt artero-venosi a livello del circolo polmonare, alterazioni del rapporto
ventilazione-perfusione (V/Q ratio) e della diffusione dell’ossigeno attraverso
la membrana alveolo-capillare.
E N C E FA L O PAT I A E PAT I C A
L’encefalopatia epatica è una condizione caratterizzata da edema cerebrale
generalizzato con disturbo della trasmissione nervosa e neuromuscolare
legato all’aumento della concentrazione di ammoniaca nel sangue, con
conseguente effetto tossico a carico del tessuto nervoso. Dal punto di vista
clinico, si presenta con alterazioni del comportamento e della deambulazione,
disturbi della coscienza, confusione e stupore. I segni neurologici associati
alla malattia, comunque non sempre presenti, sono flapping tremor
(asterixis), un tipico tremore grossonolano a scosse ampie delle mani che
ricorda il battito d’ali di una farfalla, rigidità muscolare ed iperreflessia.
SINDROME E PATO R E N A L E
La sindrome epatorenale è una condizione di insufficienza renale, non
legata ad alterazioni intrinseche dei reni, che si verifica in pazienti con
insufficienza epatica. Dal punto di vista clinico, si presenta con alterata
escrezione di acqua, ritenzione di sodio e riduzione della velocità di
filtrazione glomerulare. Le cause sottostanti l’insufficienza renale sono
diverse: la diminuzione della pressione di perfusione renale, la
vasodilatazione sistemica, l’attivazione del sistema nervoso simpatico con
conseguente vasocostrizione dell’arteriola afferente e produzione di mediatori
vasoattivi che determinano un’ulteriore riduzione della perfusione renale.
I PERTENSIONE PORTALE
L’ipertensione portale è una condizione che si caratterizza per la presenza di
un aumento delle resistenze nel circolo portale. Le cause alla base di questa
condizione possono essere pre-epatiche (es. trombosi occlusiva della porta,
sindrome di Banti e sepsi intra-addominale), intraepatiche (es. cirrosi epatica)
e post-epatiche (es. insufficienza cardiaca destra e sindrome di Budd-Chiari).
L'aumento delle resistenze è legato a diversi fattori: (1) deposizione di tessuto
fibroso, (2) contrazione delle cellule miofibroblastiche, (3) ridotta secrezione
di NO ed aumentata secrezione di endotelina-1 da parte delle cellule
endoteliali, (4) formazione di shunt artero-venosi che impongono dei regimi
pressori più elevati al circolo portale e (5) aumento dell’afflusso di sangue
venoso attraverso il sistema portale in seguito alla vasodilatazione arteriosa
della circolazione splancnica. Il contributo delle cellule endoteliali nel
determinare vasocostrizione intraepatica è legata almeno in parte al contesto
infiammatorio, che modula l’attività delle cellule endoteliali dei sinusoidi
epatici. L’aumentato afflusso di sangue al sistema venoso portale sembra
avere origina da un aumento della secrezione di NO a livello del circolo
gastrointestinale, legato alla ridotta clearance del DNA batterico assorbito nel
tratto GI causata dalla riduzione della funzionalità del sistema monocito-
macrofagico, ed alla presenza di shunt vascolari intraepatici che bypassano il
“controllo” operato dalle cellule di Kupffer. Tra le manifestazioni
dell’ipertensione portale vi sono l’ascite, la formazione di shunt vascolari
porto-sistemici e la splenomegalia.
ASCITE
L’ascite si manifesta tipicamente in fase di cirrosi, in quanto è legata sia
all’ipertensione portale, che determina un aumento della pressione idrostatica
con fuoriuscita di acqua, che all’insufficienza epatica, che determina
ipoalbuminemia con riduzione della pressione oncotica e minor richiamo di
liquidi dai tessuti periferici. L’ascite consiste in una raccolta nel cavo
peritoneale di liquido, generalmente sieroso, che si caratterizza per la
presenza di un rapporto tra albumina sierica ed ascitica >1.1 mg/dL. Dal
punto di vista clinico, diviene manifesta quando sono presenti almeno 500mL
di liquido. Sebbene una delle principali cause dell’ascite sia la cirrosi epatica,
essa può manifestarsi anche nel contesto di infezioni, con raccolta di liquido
essudatizio, e neoplasie, con raccolta di sangue.
SHUNT P O RTO - S I S T E M I C I
Gli shunt porto-sistemici consistono in una deviazione della circolazione
portale in quella sistemica, tramite circoli collaterali e vasi neoformati. Nelle
normali condizioni fisiologiche, sono presenti dei circoli collaterali che
collegano il sistema venoso sistemico con quello portale, con un flusso
sanguigno diretto dalla circolazione sistemica verso quella portale. I più
importanti sono il circolo esofageo, il plesso emorroidario, il circolo
periombelicale ed il circolo retroperitoneale di Retzius. L’aumentata
pressione portale determina vasodilatazione dei collaterali con inversione del
flusso sanguigno, cosicché a livello esofageo si formano le varici esofagee, a
livello del retto le emorroidi e a livello dell’addome il cosiddetto caput
medusae, legato all’ectasia del circolo periombelicale superficiale. Di tutti
questi shunt, il più pericolo è rappresentato dalle varici esofagee che possono
andare incontro a rottura con importante sanguinamento ed ematemesi
massiva. Anche le emorroidi possono andare incontro a rottura con
conseguente rettorragia.
SPLENOMEGALIA
La splenomegalia è una possibile conseguenza dell’ipertensione polmonare.
La vena splenica drena difatti nella porta: in presenza di ipertensione portale
vi è una ostacolo al deflusso del sangue venoso, responsabile della
splenomegalia congestizia. A questa condizione si possono associare
alterazioni ematologiche secondarie, come la trombocitopenia.
C IRROSI EPATICA
La cirrosi epatica è tra le cause di morte più comuni nei Paesi occidentali, in
particolare di quelle correlate ad epatopatie, e costituisce lo stadio evolutivo
finale della malattia epatica cronica. La cirrosi è legata alla presenza di insulti
cronici a carico del parenchima epatico, determinati da fattori eziologici
diversi, principalmente (1) abuso cronico di alcol, (2) epatiti virali, (3)
steatoepatite non alcolica (NASH), (4) patologie delle vie biliari, (5)
sovraccarico di ferro e rame e (6) criptogenica (ovvero senza causa nota). Dal
punto di vista clinico, le manifestazioni di epatopatia tendono a comparire in
una fase avanzata della storia della malattia, essendo il fegato dotato di una
grande riserva funzionale. Le manifestazioni cliniche comprendono
anoressia, astenia, calo ponderale e solo nelle fasi più tardive o in relazione
alla presenza di eventi precipitanti (es. infezioni o sovraccarichi metabolici)
compaiono sintomi e segni dell'insufficienza epatica. Il progredire della
malattia determina l'instaurarsi di insufficienza epatica progressiva e di
ipertensione portale, con ascite, stato anasarcatico e shunt porto-sistemici.
La cirrosi epatica è inoltre una condizione predisponente allo sviluppo di
epatocarcinoma, indipendentemente dai fattori eziologici che hanno
condotto a questo stadio di malattia, sebbene più frequentemente tale
complicanza si presenta nel contesto della cirrosi post-epatitica.
La patogenesi della malattia è legata alla presenza di cronici insulti al tessuto
con morte degli epatociti, deposizione di matrice extracellulare e
riorganizzazione vascolare. Il danno epatocitario è di tipo ischemico ed è
legato alla presenza di (1) di un fisiologico ridotto afflusso di sangue
ossigenato all'organo, (2) alla presenza di shunt vascolari artero-venosi e (3)
all'isolamento degli epatociti mediato dal tessuto fibroso depositato. Ciò
determina necrosi litica degli epatociti con rilascio di DAMPs che evocano il
processo flogistico che tipicamente si accompagna alla cirrosi. In relazione
alla presenza e all’attività dell'infiltrato infiammatorio, la cirrosi viene
definita attiva o inattiva: nell’inattiva il processo necro-infiammatorio è
concluso e l'organo risulta irreversibilmente danneggiato; nell’attiva il
processo necro-infiammatorio è in atto ed è possibile intervenire riducendo o
contenendo l’infiammazione, limitando di conseguenza il danno strutturale e
funzionale. Gli eventi che conducono alla fibrosi epatica e all’evoluzione
cirrotica sono ampiamente spiegati nella sezione “Fibrosi epatica”.
Il fegato cirrotico appare dal punto di vista macroscopico ipotrofico o
atrofico, di consistenza soda e di colore giallastro se è associato steatosi. La
superficie appare granulare per la presenza di noduli di rigenerazione.
Inizialmente il volume è aumentato ma diminuisce progressivamente con il
perpetrarsi del danno. All'esame istologico appare evidente la presenza di
fibrosi diffusa su tutto il parenchima epatico, con compresenza di setti fibrosi
porto-portali e porto-centrali; si riscontra un diffuso sovvertimento
dell'architettura vascolare, con capillarizzazione sinusoidale, formazione di
shunt vascolari artero-venosi, porto-portali e porto-centrali e processi di
neoangiogenesi in atto; caratteristica è inoltre la presenza di noduli di
rigenerazione, costituiti da isole di epatociti proliferanti delimitati da tralci di
tessuto fibroso. Questi ultimi consistono in delle isole dalle dimensioni
variabili di epatociti in attiva proliferazione delimitate da tralci fibrosi. Gli
epatociti in replicazione appaiono binucleati, le travate di epatociti risultano
aberranti, costituite da più file di epatociti, e separate da tessuto fibroso
reticolare o da setti di fibrosi a ponte. Si ricorda che nel fegato normale i
sinusoidi sono costituiti da una singola fila di epatociti. La vena
centrolobulare non è apprezzabile e si osserva proliferazione dei dotti biliari,
quest'ultimo un importante aspetto per quanto riguarda la diagnosi. Nelle
forme di cirrosi alcolica spesso si riscontra la presenza di depositi di
emosiderina con scarso infiltrato infiammatorio. L'aspetto micronodulare o
macronodulare (a seconda che il diametro del nodulo sia maggiore o inferiore
ai 3 mm di diametro) viene definito macroscopicamente in sede autoptica o
tramite metodiche di imaging, poiché l'agobiopsia percutanea permette
ottenere un frustolo di tessuto di dimensioni troppo piccole per questo tipo di
valutazione. La presenza di macronoduli rigenerativi all'imaging con aspetti
di vascolarizzazione e morfologici dubbi deve porre il sospetto di lesione
neoplastica.
Figura 40, sezione istologica di fegato cirrotico colora in tricromica di Mallory. Si noti l’entità e la
diffusione del tessuto fibroso. Per gentile concessione di Nephron (CC BY 3.0).
E PATITE ACUTA
Con il termine epatite acuta si identifica un processo infiammatorio acuto a
carico del parenchima epatico. Le epatiti acute sono definite su base clinica,
poiché raramente si manifestano clinicamente in misura tale da richiedere una
biopsia epatica. Il processo infiammatorio può avere eziologia diversa: da
sostanze tossiche, farmaci e virus. Dal punto di vista clinico, le epatiti acute si
manifestano in misura variabile con astenia, subittero ed ittero, in
associazione ad un rialzo delle transaminasi. Affinché una epatite acuta possa
essere definita come tale è necessario che il rialzo degli enzimi di danno
epatico non si protragga oltre i 3-6 mesi, altrimenti il danno epatico assume le
caratteristiche delle epatiti croniche.
Dal punto di vista morfologico, il parenchima epatico in corso di epatite acuta
si presenta con tutta una serie di alterazioni aspecifiche e comuni diversi
agenti. La necrosi litica determina lisi degli epatociti con immissione in
circolo delle transaminasi, l'area di parenchima epatico interessata può essere
più o meno ampia seconda dell'agente eziologico scatenante e ciò
naturalmente si correla con l'andamento clinico della malattia. Può insorgere
in maniera focale o multifocale con aree di confluenza che determinano un
collasso stromale, ovvero necrosi delle travate epatocitarie con confluenza
delle fibre reticolari di supporto (necrosi litica confluente). Talora la necrosi
può interessare anche gli epatociti lungo il tratto porto-centrale e porto-
portale, precedendo la deposizione di tessuto fibroso. Alla necrosi si
aggiunge la presenza di infiltrato infiammatorio cronico, prevalentemente
linfociti, plasmacellulare e rari granulociti, nello spazio portale ed in sede
intralobulare. Nei casi di epatite acuta da farmaci l’infiltrato è tipicamente
eosinofilo, un aspetto peculiare da tenere in considerazione. La rigenerazione
epatocitaria è un aspetto che si contrappone alla necrosi litica, le travate
epatocitarie, normalmente costituite da una singola fila di cellule, appaiono
costituite da più file cellulari con formazione di rosette. La colestasi epatica è
un aspetto morfologico che può manifestarsi nel contesto delle epatiti acute,
si caratterizza per la presenza di lacune ripiene di bile, un pigmento giallo
verdastro che deve essere differenziato da altre sostanze pigmentate (es.
depositi di emosiderina, formalina). A livello clinico quest’ultima si
manifesta a livello clinico con comparsa di ittero, prevalentemente di tipo
epatico in quanto non avviene la coniugazione della bilirubina.
Figura 41, colestasi epatica, si noti la presenza tra gli epatociti di lacune ripiene di bile di colore
giallo-verdastro. Per gentile concessione di Nephron (CC BY 3.0).
E PAT I T E A C U TA V I R A L E
Le epatiti acute virali sono legate ad infezioni virali sistemiche da agenti
(CMV, EBV, Paramyxovirus e Parvovirus B19) che possono interessare il
fegato, pur non presentando per esso un tropismo specifico. I virus epatotropi
(HBV, HCV, HDV, HAV ed HEV) sono invece virus a tropismo specifico
per il fegato e possono determinare malattie acute autolimitanti (HAV) od
evolvere in infezioni persistenti alla base di forse di epatite cronica (HCV,
HBV). Il virus dell'epatite A (HAV) è responsabile di affezioni autolimitanti,
benigne e a risoluzione spontanea, con un periodo di incubazione che varia
dalle 3 alle 6 settimane. HAV non provoca epatite cronica, stato di portatore e
sole rarissimi casi è responsabile di epatite fulminante. Il virus è responsabile
di focolai infettivi in tutto il mondo e risulta endemico nei paesi con standard
igienico-sanitari relativamente scarsi. Dal punto di vista clinico, la malattia si
manifesta con sintomi aspecifici come astenia, perdita dell'appetito e spesso
con comparsa di ittero. La modalità di trasmissione e di tipo oro-fecale e vede
come vettori acqua e cibo contaminati.
E PAT I T E A C U TA D A FA R M A C I
Numerosi farmaci e sostanze vengono metabolizzate a livello epatico e per
questo motivo si rendono spesso responsabili di epatiti acute e di un numero
importante di epatiti fulminanti. Il fegato è un organo estremamente
suscettibili al danno tossico perpetrato da queste sostanze: si stima che
all'incirca il 10% di tutte le reazioni avverse da farmaci coinvolgano il fegato.
Risulta evidente come risulti estremamente importante raccogliere
un'accurata anamnesi farmacologica, che non riguarda solamente i farmaci
propriamente detti ma anche i rimedi tradizionali (erbe, tisane, medicine
orientali).
I meccanismi patogenetici alla base del danno epatico possono essere legati a
(1) tossicità diretta per gli epatociti e colangiociti, (2) conversione in
metaboliti tossici e (3) autoimmunità. Il danno epatico può perpetrarsi in
maniera imprevedibile (idiosincrasica) o prevedibile, in relazione alla
quantità di farmaco somministrata.
Dal punto di vista istologico, il danno epatocitario si esprime con necrosi
litica, steatosi microvescicolare o macrovescicolare e colestasi epatica. Il
processo flogistico si caratterizza per la presenza di un infiltrato
prevalentemente eosinofilo in sede intralobulare e/o nello spazio portale e
presenza di granulomi epiteliodi non necrotizzante.
E PAT I T E FULMINANTE
Con il termine epatite fulminante si intende una rara manifestazione
iperacuta che conduce all’insufficienza epatica nell’arco di 2-3 settimane. Le
cause più comuni di epatite fulminante sono infezioni virali (in particolare da
HBV, HDV e talora anche HCV), abuso di alcol, morbo di Wilson ed ancora
in seguito all’assunzione di agenti tossici, in particolare di cibi contaminati da
Amanita Phalloides, e farmaci, principalmente il paracetamolo. Dal punto di
vista clinico, si associa al rilascio in circolo di elevanti livelli di LDH e
transaminasi, riduzione dei fattori della coagulazione circolanti con aumento
di INR e aPTT, alterazione del metabolismo della bilirubina con conseguente
comparsa di ittero. L’arresto della funzione detossificante del fegato
determina la mancata depurazione del sangue da tossine e metaboliti tossici
con comparsa di encefalopatia epatica. Dal punto di vista terapeutico, il
trattamento consiste nell’eliminazione della causa che sottende l’epatite
fulminante ed in una terapia. Nei pazienti in cui la malattia non si risolve
precocemente l’unica opzione terapeutica possibile è il trapianto di fegato,
che deve essere effettuato prima che si sviluppino infezioni o insufficienze
d’organo concomitanti.
Dal punto di vista macroscopico, il parenchima epatico collassa e risulta
atrofico, a causa della necrosi massiva, la colestasi massiva conferisce un
colore giallastro e la capsula di Glisson si raggrinzisce. All’esame istologico,
le aree necrotiche appaiono di colore rosso scuro, flaccide ed emorragiche, la
necrosi litica degli epatociti determina collasso e confluenza delle fibre
reticolari di sostegno e rende maggiormente evidenti i dotto biliari.
L’infiltrato infiammatorio è scarso nelle fasi iniziali ed aumenta con il
passare dei giorni. Le cellule di Kupffer vanno incontro ad iperplasia per
eliminare di detriti necrotici degli epatociti. Se l’evento non determina exitus
del soggetto, la popolazione epatocitaria sopravvissuta prolifera nel tentativo
di rigenerare il parenchima epatico. Le cellule staminali presenti nel canale di
Hering, note come cellule ovali, proliferazione e differenziano, in epatociti o
colangiociti, originando la cosiddetta reazione duttulare. Se l’architettura del
parenchima non è eccessivamente compromessa, la proliferazione degli
epatociti può ripristinare completamente la normale architettura del
parenchima. Nei casi di necrosi più importanti, la rigenerazione può avvenire
in maniera più irregolare e talora si può accompagnare ad esiti cicatriziali che
possono condurre alla cirrosi epatica.
E PATITE CRONICA
L’epatite cronica è una condizione patologica che si caratterizza per la
presenza di infiammazione e di danno epatico che si protrae per un periodo
maggiore di 6 mesi, in associazione al dato laboratoristico di rialzo delle
transaminasi. Dal punto di vista clinico, la malattia ha spesso un decorso
asintomatico o paucisintomatico e viene di conseguenza identificata in
maniera accidentale, in seguito ad un rialzo degli enzimi di danno epatico
persistente nel tempo. Questa indicazione suggerisce l'esecuzione di una
biopsia epatica funzionale (si veda Biopsia funzionale epatica) che, a
differenza delle epatiti acute, fornisce importanti informazioni circa l'entità
dell'infiammazione, della fibrosi e del grado di evoluzione della patologia.
Naturalmente la biopsia medica è una manovra non esente da rischi e
complicanze, la più comune delle quali è l'emoperitoneo, che si verifica
nell'1-2% dei casi, soprattutto in relazione a pazienti cirrotici e che per questo
motivo presentano alterazione della coagulazione. Le epatiti croniche
possono avere eziologia virale, autoimmunitaria, da abuso di alcol, tossica,
farmacologica, da deficit di α-1-antitripsina ed insorgere nel contesto della
malattia di Wilson. Tutte queste condizioni si caratterizzano per la presenza
di elementi comuni e manifestazioni morfologiche specifiche, anche nel
contesto delle epatiti croniche virali vi sono aspetti morfologici specifici
proprio del virus responsabile di malattia.
E PAT I T E CRONICA VIRALE
Le epatiti croniche virali sono legate ad infezione da parte dei virus
epatotropi HBV ed HCV, più raramente da HDV.
Dal punto di vista morfologico, la malattia si presenta con aspetti comuni e
lesioni specifiche a seconda del virus responsabile. L'infiltrato infiammatorio
in corso di epatite cronica virale è prevalentemente di tipo linfocitario,
soprattutto CD4+, con scarsa presenza di monociti e granulociti. Il processo
flogistico può dar luogo ad una forma di epatite silente, definita epatite
cronica lieve, quando il processo flogistico è limitato allo spazio portale, in
questo caso non si osserva necrosi litica e non vengono rilasciati in circolo
enzimi di danno epatico. L'epatite cronica lieve può andare incontro ad una
fase di riacutizzazione, definita epatite cronica riacutizzata, che risulta ben
più evidente e precoce nell'epatite di tipo C, per la maggiore tendenza
all'evoluzione in senso cirrotico. Questa fase si caratterizza per la presenza di
flogosi da interfaccia (in inglese piecemeal necrosis), ovvero un processo di
necrosi che coinvolge gli epatociti della lamina limitante all'interfaccia tra lo
spazio portale di un lobulo epatico ed uno adiacente. Con il progredire del
tempo il processo necrotico si estende agli epatociti dei lobuli sani. Nel
decorso della malattia, i processi flogistici assieme a quelli di guarigione si
ripropongono ciclicamente, tuttavia, nonostante la grande capacità
rigenerativa del fegato, non si giunge ad una completa restitutio ad integrum
del parenchima epatico, bensì si progredisce gradualmente verso un sempre
più alto grado di fibrosi epatica. Inizialmente si potrà osservare fibrosi
portale, con allargamento dello spazio portale, che progredisce in una fibrosi
porto-portale ed infine in una porto-centrale. Per i meccanismi patogenetici
alla base della fibrosi epatica si veda la sezione relativa a “Fibrosi epatica”.
Le alterazioni morfologiche specifiche legate all'infezione da HBV sono
caratterizzate dal cosiddetto aspetto a Ground Glass Hepatocytes (GGH), che
si caratterizza per la presenza di epatociti con un citoplasma "a vetro
smerigliato"e nuclei pallidi. L'infiammazione e la necrosi litica sono legati
alla risposta immunitaria dell'ospite evocata dalla presenza del virus, di
conseguenza l'entità della componente flogistica è meno importante nei
soggetto immunocompromessi, nei quali tuttavia la malattia evolve più
rapidamente verso lo stadio terminale, ovvero la cirrosi epatica.
All'immunoistochimica gli epatociti vengono marcati con anticorpi diretti
contro l'antigene HBsAg ed HBcAg, mentre i nuclei si colorano in marrone
con la diaminobenzidina in relazione all'entità della replicazione virale.
Figura 42, sezione istologica di fegato colorata in EE. Si noti la presenza dell'aspetto definito come
Ground Glass Hepatocytes (GHH), di comune riscontro nelle biopsie in corso di epatite cronica di tipo
B. Per gentile concessione di Nephron (CC BY 3.0).
C O L E S TA S I E X T R A E PAT I C A
La colestasi extraepatica (o cirrosi biliare secondaria) è una condizione
clinica che si caratterizza per la presenza di una ostruzione esterna del circolo
biliare. Tra le cause più comuni di ostruzione al flusso biliare vi sono:
calcolosi biliare, stenosi da esiti cicatriziali post-chirurgici, pancreatite
cronica, neoplasie delle vie biliari e carcinoma della testa del pancreas. Il
quadro ostruttivo può inoltre essere legato alla presenza di malattie congenite
come la fibrosi cistica, l'atresia biliare, le cisti del coledoco e la sindrome con
dotti biliari intraepatici insufficienti. Nelle fasi iniziali il danno dovuto
all'ostruzione biliare è completamente reversibile se viene rimossa la causa
ostruente. Il persistere dell'ostruzione biliare innesca tuttavia un processo di
infiammazione periportale con conseguente deposizione di tessuto fibroso
cicatriziale e sviluppo di cirrosi biliare secondaria. Dal punto di vista clinico,
la malattia si presenta come la colangite biliare primitiva. La terapia consiste
nella rimozione della gente ostruente.
Dal punto di vista morfologico, si osserva colestasi epatica, proliferazione dei
piccoli dotti biliari con presenza di infiltrato infiammatorio granulocitario in
sede periduttale ed edema dello spazio portale. Il persistere dell’ostruzione
delle vie biliari determina in seguito al danno infiammatorio deposizione di
tessuto fibroso con sviluppo di un quadro morfologico estremamente simile
alla cirrosi biliare primitiva. Nelle fasi finali della malattia, il fegato appare di
colorito giallo-verdastro per la colestasi epatica con superficie granulare per
la presenza di noduli di rigenerazione.
C OLANGIOCARCINOMA (CAA)
ll colangiocarcinoma (CCA) è una neoplasia maligna dell'albero biliare che
può originare dai dotti biliari intraepatici ed extraepatici. La sede in cui si
sviluppa la neoplasia condiziona la possibilità di effettuare una diagnosi
precoce, la terapia e di conseguenza la prognosi, per questi motivi dal punto
di vista patologico la classificazione più importante dei colangiocarcinomi
riguarda il sito d'insorgenza, distinguendo colangiocarcinoma intraepatici
(10-20% dei casi) ed extraepatici (80-90% dei casi). In relazione al sito
d'insorgenza, i colangiocarcinomi extra-epatici vengono ulteriormente
suddivisi in: (1) peri-ilari (o tumore di Klatskin), che interessano il punto di
confluenza del dotto epatico di destra e di sinistra, e (2) distali, che
interessano la parte distale delle vie biliari. La colangite sclerosante primitiva
(CSP), la malattia congenita fibropolicistica del sistema biliare, l'infezione da
HCV e l'esposizione al Thorotrast (usato in passato per la colangiografia)
costituiscono fattori di rischio per lo sviluppo di un colangiocarcinoma. Le
manifestazioni cliniche del colangiocarcinoma variano in relazione alla sito
d'insorgenza e sono di carattere aspecifico, si riscontra astenia, dolore
addominale, calo ponderale, presenza di una massa palpabile, colestasi ed
ittero.
Dal punto di vista macroscopico, i CCA extra-epatici si presentano come
piccole lesioni nodulari e solide presenti all'interno della parete del dotto
biliare e talora infiltranti, solitamente si sviluppano più lentamente rispetto
alle forme extra-epatiche e raramente originano metastasi a distanza. I CCA
intraepatici si sviluppano nel fegato non cirrotico e possono organizzarsi in
masse tumorali nodulari oppure svilupparsi lungo gli spazi portali dando
origine a lesioni tumorali arboriformi, si caratterizzano per l’importante
infiltrazione vascolare e dei vasi linfatici portali con diffusa formazione di
metastasi intraepatiche, linfonodali e per via ematogene ai polmoni, alle ossa,
surrene e cervello. Dal punto di vista istologico, nella maggior parte dei casi i
colangiocarcinomi sono solitamente adenocarcinomi (papillare, di tipo
intestinale, mucinoso, cellule chiare e ad anello con castone) e più raramente
carcinomi (a cellule squamose, a piccole cellule, adenosquamoso). La
reazione desmoplastica, ovvero la deposizione di uno stroma fibroso indotta
dalla neoplasia, è un reperto istologico importante e talora risulta di entità tale
da rendere difficile la visualizzazione delle cellule neoplastiche nelle
metodiche citologiche, poiché risultano immerse in uno stroma attivo e ricco
di fibroblasti fusiformi. Inoltre la desmoplasia si correla soventemente alla
presenza di tumori più indifferenziati le cui cellule sono in grado di produrre
fattori di crescita pro-fibrotici e pro-angiogenetici.
La diagnosi differenziale di colangiocarcinoma è complessa ed articolata,
essendo le manifestazioni cliniche aspecifiche e sovrapponibili a quelle
presenti in altre patologie neoplastiche (es. epatocarcinoma) e non
neoplastiche (es. colangite ascendente da colestasi extrapetica e pancreatite
cronica). Per la diagnosi differenziale tra CCA e HCC si veda
“Epatocarcinoma (HCC)”. L'approccio diagnostico più utilizzato, soprattutto
in relazione al CCA extra-epatico, è di tipo citologico tramite (1) citologia
agoaspirativa, a partire da masse solide che occupano un determinato spazio;
(2) citologia esfoliativa diretta, a partire da un campione di bile prelevato
dalla papilla di Water o per via transepatica con successiva ricerca delle
cellule neoplastiche; (3) citologia esfoliativa indiretta tramite brushing in
colangiopancreatografia retrograda endoscopica (ERCP). La ERCP è una
tecnica invasiva che prevede l'inserimento di un endoscopio all'interno del
coledoco fino al punto di occlusione della via biliare con prelievo di un
campione di materiale citologico tramite spazzolamento del lume. Il
campione prelevato è destinato in parte all’analisi citologica ed in parte alla
citoinclusione. Non è una metodica esente da rischi essendo la pancreatite
acuta una temibile complicanza. Le metodiche citologiche possiedono
un'ottima specificità ed una scarsa sensibilità, di conseguenza non raramente
si ottengono falsi negativi, ovvero persone con esito negativo al test ma in
realtà affetta da malattia. Le cause dei falsi negativi possono essere legate (1)
alla sede della neoplasia, in quanto è più facile reperire materiale dei dotti
biliari di dimensioni maggiore (es. coledoco) rispetto a quelli più piccoli (es.
dotti epatici destro e sinistro); (2) errori tecnici di allestimento del campione,
come artefatti di fissazione legati all'essiccazione del campione all'aria
oppure alla presenza di pluristratificazione cellulare dovuto ad un incorretto
striscio del materiale sul vetrino; (3) errori di interpretazione del patologo,
legati alla presenza di scarso materiale e a difficoltà interpretative oggettive
(es. abbondante necrosi ed infiammazione). In supporto alla citologia
vengono utilizzate metodiche ancillari, come l’ibridazione in situ. Le
alterazioni molecolari che si riscontrano nei colangiocarcinoma differiscono
in relazione sito d'insorgenza ed in relazione al grado del tumore e allo
specifico istotipo. In aggiunta a ciò diverse di queste mutazioni sono
riscontrabili anche in condizioni non neoplastiche. Per questi motivi non tutti
i geni mutati possono essere utilizzati come marcatori di malattia.
Fortunatamente sono presenti degli elementi comuni a tutti i tipi di
colangiocarcinoma: (1) aneuploidia dei cromosomi 7 e 17 e (2) inattivazione
della proteina p16 sul cromosoma 9 (locus 9p21). L'utilizzo della FISH
risulta particolarmente importante in presenza di casi dubbi ed atipici, come
la differenziazione tra neoplasia e displasia reattiva, ovvero displasia cellulare
secondaria alla presenza di insulti tissutali. La tecnica dell'ibridazione in situ
è volta alla ricerca di alterazioni cromosomiche che caratterizzano la maggior
parte dei colangiocarcinoma, difatti all'incirca l'85% di questi tumori presenta
instabilità cromosomica. Tuttavia bisogna considerare che sono presenti
anche patologie non neoplastiche del fegato, come la cirrosi sclerosante
primitiva, che si associano ad un quadro di instabilità cromosomica e di
conseguenza la specificità della FISH per il colangiocarcinoma non è
assoluta. Il kit di ibridazione in situ utilizzato per la diagnosi di
colangiocarcinoma è lo stesso che viene utilizzato nel contesto dei carcinomi
transizionali della vescica (si veda “Citogenetica e FISH”). La prognosi è
alquanto sfavorevole per tutti i tipi di CCA, perché spesso la diagnosi è molto
tardiva e giunge solamente in uno stadio avanzato della malattia. In
particolare i colangiocarcinomi intraepatici sono di più difficile diagnosi sia
citopatologica che istopatologica.
C ARCINOMA DELLA COLECISTI
Il carcinoma della colecisti è la più comune neoplasia maligna delle vie
biliari extraepatiche e la quinta neoplasia più comune dell'apparato
gastrointestinale. Interessa soprattutto i soggetti di sesso femminile, di età
superiore ai 50 anni ed è maggiormente frequente in India e Bangladesh. La
prognosi è alquanto infausta e la sopravvivenza a 5 anni è appena dello 0-
10%. La diagnosi avviene spesso in maniera accidentale, in seguito a
colecistectomia eseguita per colelitiasi, ed in una fase tardiva della malattia,
nella quale il tumore ha già disseminato al fegato per contiguità o in siti
distanti per via ematogena. Solo nel 20% dei casi di malattia la neoplasia è
ancora confinata alla sola colecisti. Il principale fattore di rischio sembra
essere la calcolosi cronica, la quale si riscontra nel 95% dei casi, sebbene lo
sviluppo di una neoplasia nei soggetti con colelitiasi sia appena dello 0,3-3%.
Il rischio relativo sembra aumentare in relazione al perdurare dell'irritazione
della mucosa e alle dimensioni dei calcoli: calcoli di dimensioni maggiori,
spesso asintomatici, che persistono per lungo tempo si associano ad un
rischio relativamente aumentato di sviluppo della neoplasia. Altri fattori di
rischio associati sembrano essere le colecistiti (soprattutto da Salmonella ed
Helicobacter), malattie autoimmuni e genetiche e fattori dietetici. Dal punto
di vista clinico, si presenta con sintomi aspecifici ed indistinguibili dalla
colelitiasi: dolore addominale, anoressia, astenia, calo ponderale, nausea,
vomito, prurito e più raramente con ematemesi e melena. La disseminazione
può avvenire per (1) via linfatica, con interessamento iniziale dei linfonodi
posti lungo i dotti biliari, della regione pancreatico-duodenale ed infine i
para-aortici. (2) via ematogena, principalmente al fegato; (3) contiguità agli
organi adiacenti, come fegato, duodeno, colon, parete addominale anteriore,
dotto epatico comune; (4) esfoliazione nel cavo peritoneale; (5) invasione
intraduttale attraverso il dotto cistico. La stadiazione avviene secondo il
sistema TNM.
La patogenesi della malattia sembra essere legata alla presenza di insulti
persistente nel tempo con sviluppo di infiammazione cronica e conseguente
produzione specie reattive dell'ossigeno in soggetti geneticamente
predisposti. La colecisti a porcellana, una forma di colecistite cronica con
deposizione di sali di calcio, ed i polipi della colecisti costituiscono
rispettivamente una condizione ed una lesione precancerosa. I percorsi
patogenetici alla base dello sviluppo del carcinoma della colecisti sono
sostanzialmente due: (1) il pathway metaplasia-displasia-carcinoma in situ-
carcinoma invasivo; (2) il pathway adenoma-carcinoma. Nel primo caso, in
un ristretto numero di soggetti, è possibile che la metaplasia evolva displasia
con l’acquisizione progressiva di mutazioni geniche caratterizzanti: nelle fasi
iniziali si osserva una mutazione di p53 a cui seguono altri eventi molecolari
genetici ed epigenetici aberranti, come mutazioni di k-RAS nelle forme di
cancro invasivo. Le lesioni displastiche sono classificate secondo il sistema
BilIN (Biliary Intraepithelial Neoplasia) in tre gradi, a seconda delle
caratteristiche delle cellule (atipie, alterazione del rapporto nucleo-
citoplasma, ipercromasia, aumento del numero delle mitosi) e
dell'organizzazione tissutale (cribiforme, papillare e compatta). Nel secondo
caso, il carcinoma della colecisti si sviluppa a partire da un polipo,
peduncolato o sessile, con caratteristiche simili a quelle del carcinoma del
colon. Il passaggio da adenoma ad adenocarcinoma avviene in seguito
all'infiltrazione della tonaca muscolare.
Dal punto di vista macroscopico, il carcinoma della colecisti si può
sviluppare in maniera infiltrativa o esofitica. Più frequentemente si presenta
come una lesione infiltrativa, indistinguibile da una colecistite cronica, che
interessa da pochi centimetri fino all'intera colecisti e si caratterizza per la
presenza di ispessimento ed indurimento diffuso della parete. Talora la parete
della cistifellea può andare incontro ad ulcerazione o si possono formare tratti
fistolosi con i visceri adiacenti, dove il tumore si infiltra. I carcinomi che si
sviluppano come masse esofitica presentano un aspetto irregolare e si
accrescono sia nel lume del viscere che in profondità nella parete. La maggior
parte dei casi di carcinoma della colecisti è rappresentato da adenocarcinomi
con caratteristiche morfologiche e fenotipiche molto simili a quelle del
colangiocarcinoma, compresa la reazione desmoplastica. Più raramente si
osservano carcinomi adenosquamoso, squamosocellulare e di tipo intestinale.
PATOLOGIE DEL PANCREAS
AchE 55
acido cloridrico 38
acido periodico di Shiff 10
actina 24; 71
adenilato ciclasi 59
adenocarcinoma
appendicolare mucinoso 81
cistico
mucinoso 115
sieroso 115
del canale anale 83
del colon-retto 77
da instabilità cromosomica 76; 78
da instabilità dei microsatelliti 77; 78
invasivo 76
adenoma
appendicolare mucinoso 80
epatico 100
adipocita 20
AFP 104
agobiopsia 6
AIDS 26
AIN 82
AKT 70
Alcian Blu 13
alfafetoproteina 104
ALK 22
Amanita Phalloides 94
amebiasi 63
Anal Intraepithelial Neoplasia 82
Anal Squamous Intraepithelial Lesion 82
anatomopatologo 4
anelli di Kayser-Fleischer 98
anemia
perniciosa 41
angiosarcoma 27
anticorpo primario 14
anticorpo secondario 14
antigene
carcino-embrionale 104
APC 76; 78
arcata del Riolano 40
ascesso
criptico 51
ascesso foveolare 43
ascite 90
ASIL 82
asterixis 90
ATP7B 98
atrofia dei villi 48
autopsia 4
autopsia giudiziaria 5
autopsie fetali 5
barriera
mucosa gastrica 38
BAX 78
bicarbonato 38
BilIN 109
bilirubina 93
biopsia endoscopia 7
biopsia endoscopica
intestinale 7
biopsia escissionale 9
biopsia incisionale 9
BRAF 78
cAMP 59
Campylobacter Jejuni 58
cancro ereditario del colon-retto non poliposico 77
capsula
di Glisson 101
caput medusae 91
carcinoide 41; 43; 79
carcinoma
a cellule squamose
del canale anale 81
basocellulare 9
cloacogenico 82
del canale anale 81
del pancreas 113
del polmone 33
del rene 33
della colecisti 108
della mammella 33
della prostata 33
della regione ampollare 115
della tiroide 33
dell'appendice 79
gastrico 41; 65
di tipo intestinale 44; 67
diffuso 67
precoce 65
in situ 66
intramucoso 76
prostatico 27
renale 24
spinocellulare 9
verrucoso 83
cariotipo 15
CBP 105
CCA 106
CD31 27
CDH1 67
CEA 104
celiachia 46
cellule
caliciformi 43
colonnari 38
del Paneth 44; 66
di Ito 88
di Kupffer 94
di Langerhans 34
di Paneth 50; 51
di Schwann 23
enterocromaffini 38
enteroendocrine 38
epiteliodi 23
fisalifore 33
interstiziali di Cajal 70
M 60
mucosecernenti 38
ovali 94
parietali 38
principali 38
centromero 15
CFTR 59
circolo di Retzius 91
cirrosi
epatica 91
alcolica 97
cirrosi biliare primitiva 105
cisti
ossea aneurismatica 34
ossea solitaria 34
citocheratine 14
biliari 104
citofluorimetria 14
citogenetica 15
citologia
agoaspirativa 11
esfoliativa 11
CK18 104
CK19 104
CK7 104
CK8 104
c-KIT 70
classificazione
di Lauren 67
di Marsh 48
di Marsh-Oberhuber 48
Clostridium Difficile 56
CMV 93
colangiocarcinoma 106
colangite biliare primitiva 96; 105
colangite sclerosante primitiva 105
colera 59
colestasi extraepatica 106
colite ischemica 54
colite pseudomembranosa 56
colonociti 44; 61; 66
colorazione 10
di Giemsa 44
di Warthin-Starry 44
di Ziehl-Neelsen 10; 58
PicroSirius Red 55
colorazione di
Fontana-Tribondeau 10
colorazioni
istochimiche 13
istologiche 12
condiloma acuminato 82
condroblastoma 30
condroma 27; 30
iuxtacorticali 30
polmonare 70
condrosarcoma 31
cordoma 33
corpi
di Councilman 86
di Mallory 87; 97
corpi di
Verocay 23
cripte del Lieberkühn 38
criptosporidiosi 62
criteri
di Brunt 98
di Edmondson 103
cromatolisi 86
cromosoma 15
CSP 105
degenerazione
palloniforme 86
dermatite
eczematosa 83
dermatofibrosarcoma protuberans 21
desmina 24; 71
desmoplasia 80
desmosi colica 54
desmosi intestinale 55
desmosis coli 55
difensine 49; 51
digestione
intraluminale 46; 47
terminale 46; 47
displasia
fibrosa 28
displasia intestinale neuronale di tipo B 55
diverticolite 64
diverticolo 64
diverticolosi 64
EBV 93
E-caderina 67
elastografia epatica 88
ematossilina 10
ematossilina-eosina 12
emoangiopericitoma 22
emocromatosi
primaria 98
secondaria 98
emoperitoneo 8
emorroidi 91
emosiderina 34
emosiderosi 98
encefalopatia epatica 90
encondroma 30
Entamoeba histolytica 63
Enterobacteriaceae 61
enterocita 38
enterociti 38
enterocolite da Campylobacter 58
enterocoliti
batteriche 56
parassitarie 62
eosina 10; 12
epatite
acuta 92
da farmaci 93
virale 93
autoimmune 95
cronica 94
lieve 95
riacutizzata 95
virale 94
fulminante 93
epatocarcinoma 99; 101
fibrolamellare 103
sclerotico 104
epatopatia alcolica 96
epicrisi 6
ERCP 107
erosione 45
esame intraoperatorio 8
esofago di Barret 66
EWSR1 32
FANS 41
FAP 76
fattore intrinseco 38
febbre enterica 60
febbre tifoide 60
fegato 86
fenomeni tanatologici 5
fibrosarcoma 21
FibroScan 88
fibrosi
epatica 87
a ponte 87
aracniforme 97
centrolobulare 87
peri-intrasinusoidale 87
portale 87
fibrosi cistica 46
FISH 20; 32; 44; 108; Vedi ibridazione fluorescente in situ
fissazione 10
fistole 50
flapping tremor 90
flogosi da interfaccia 89
fluorocromo 14
FNAB 11
FNCLCC 20
formalina 10
gangrena
intestinale 54
gastrinoma 41; 117
gastrite
autoimmune 41
cronica 41
cronica di tipo A 41
cronica di tipo B 41; 66
gastrorragia 68
GFAP 14
GGH 87
ghiandola
apocrina 83
Giovanni Battista Morgagni 4
GIST 70
gliadina 47
glutine 46
grado di un tumore 16
granuloma
da danno alcolico 96
granuloma eosinofilo 34
granulomatosi di Wegener 53
granulomi
epiteliodi
non necrotizzanti 50
Ground Glass Hepatocyte 87
Ground Glass Hepatocytes 95
HAV 93
HBcAg 95
HBsAg 87; 95
HBV 87; 93; 94
HCC 101
HCV 93; 94
HDV 93; 94
Helicobacter Heilmannii 42
Helicobacter Pylori 41
Hep Par1 104
HER2 68
HEV 93
HFE 99; 100
HHV8 26
HIF-1 53
HLA-B27 58
HLA-DQ2 47
HLA-DQ8 47
HPV 82
HPV-16 82
HPV-18 82
HUS 61
IBD 48
ibridazione fluorescente in situ 15
IEL 7; 47
IFF 100
IL-10 51
IL-13 51
IL-15 47
IL-23 49
IL-8 61
Imatinib 72
immunofluorescenza 14
immunoistochimica 13
impregnazione argentica 12
incidentaloma 70
inclusione 10
indagine citologica 10
indice
di Ishak 8; 98
di Knodell 8; 98
infarto
emorragico 53
intestinale 52
intramurale 53
mucoso 53
transmurale 53
insufficienza
cardiaca destra 90
epatica 89
insulinoma 116
intestino tenue 38
intussuscezione 53
iperplasia
delle isole di Langerhans 117
nodulare 100
iperplasia criptica 48
ipertensione
portale 90
ipoganglianosi del colon 55
Iron-Free Foci 100
istiocitoma fibroso maligno 22
istiocitosi
a cellule di Langerhans 34
istoenzimatica 14; 56
k-RAS 76
K-Ras 115
KSHV 26
L’anatomia patologica 4
l’ematossilina 12
lamina
limitante 89
LAMN 80
LDH 55
legge di
Nysten 5
leiomioma 24
pilare 24
uterino 24
leiomiosarcoma 24
lesione
elementare 86
linfoepiteliale 73
osteolitica 32
precancerose 65
lesione pre-cancerosa 51
lesioni
osteoaddensanti 27; 29
osteolitiche 29; 34
sclerotiche 27
linfoma 41
a cellule B
del MALT 72
extranodale 72
primitivo dell’osso 32
linfoma a cellule T 72
linfonodo
di Virchow 68
linite plastica 67
lipoblasto 21
lipogranuloma 96
lipogranulomi 98
lipoma 20
liposarcoma 20
a cellule rotonde 21
ben differenziato 21
mixoide 21
pleomorfo 21
livor mortis 5
LKB1 74
malattia
da reflusso gastroesofageo 45; 66
di Hirschsprung 54
di Menetrier 66
di Paget
extramammario 83
di Whipple 57
di Wilson 98
diverticolare 64
Hirschsprung-simile 55
metastatica 33
peptica ulcerosa 44
malattia di
Paget 28
von Recklinghausen 23
malattie
infiammatorie intestinali 48
MALT 43; 72
MALToma 72
MAP chinasi 70
medici necroscopici 4
medico legale 4
megacolon
congenito agangliare 54
megacolon tossico 52
melanoma
anale 83
mesotelio 39
mesotelioma
benigno 22
metaplasia 66
a cellule di Paneth 52
a cellule di Paneth 50
pseudopilorica 52
metaplasia intestinale 41
completa 44; 66
incompleta 44; 66
metaplasia pseudopilorica 50; 52
metronidazolo 56
MIC-A 47
micobatteriosi 50
microbiota 77
microtomo 10
microvilli 38
miogenina 24
MLH1 77; 78
modello dei due hit di Knudson 74; 76; 77
morbo
di Chron 46; 48
di Wilson 87
MPNST Vedi tumore maligno delle guaine nervose periferiche
MSH2 77; 78
muco 38
mucocele 80
mucopolissacaridi 21
muscularis mucosae 38
mutazioni
secondarie 71
mutazioni di resistenza 71
MYOD1 24
NAFLD 97
NASH 88; 97
N-caderina 33
necrosi
litica 86
neoplasia mucinosa appendicolare di basso grado80
neu 68
neuroblastoma 33
neurofibromatosi
di tipo 1 23; 71
NF1 23
NF-κB 53
NID-B 55
NKG2D 47
N-myc 25
NOD2 49
noduli di rigenerazione epatici 88
noduli tifoidi 60
orceina 12
osteoblastoma 28
osteoclastoma 31
osteocondroma 30
osteocondromatosi 28
osteoma 33
osteoma osteoide 28
osteosarcoma 27; 28; 33
osteosarcomi 20
p16 15; 108; 115
p53 78
pancreas 111
pancreatite
acuta 46; 111
emorragica 112
sierosa 112
suppurativa 112
cronica 46; 112
paraganglioma 70
Paramyxovirus 93
paratifo 60
Parvovirus B19 93
PAS 10; 13; 32; 47; 58; 62
patologie con malassorbimento 46
pattern recognition receptor49
PAX3 25
PAX3-FKHR 25
PCR 16; 20; 32; 44
PDGF 70
PDGFR a 70
pepsina 38
perforazione
intestinale 54
perforazione intestinale 50
peritonite chimica 68
piecemeal necrosis 89; 95
plesso
nervoso mioenterico 39; 54
nervoso sottomucoso 39; 54
plesso venoso
di Batson 33
PNET 32
poliarterite nodosa 53
polipo 73
adenomatoso 75
amartomatoso 74
giovanili 75
infiammatorio 74
iperplastico 74
neoplastico 75
non neoplastico 74
peduncolato 73
sessile 73
poliposi adenomatosa familiare 76
porpora di Schönlein-Henoch 53
proteina
G stimolatoria 59
S100 23
PRR 49; 51
pseudocisti 34
pseudomembrane 57
pseudomixoma peritoneale 81
pseudopolipi 74
psudopolipi 51
rabdomioblasto 24
rabdomiosarcoma 24; 33
alveolare 25
embrionale 24
pleomorfo 25
reagenti di cattura 14
reazione a catena della polimerasi 16
reazione desmoplastica 67
reazione PAS 13
regione
antrale 38
fundica 38
RET 54
rettocolite ulcerosa 48; 51
rigor mortis 5
riscontro diagnostico 4
roseola tifosa 60
Salmonella Paratyphi 60
Salmonella Typhi 60
salmonellosi 59
sarcoma 20
botrioide 25
di Ewing 27; 32; 33
di Kaposi 26
pleomorfo 22
pleomorfo a cellule giganti 23
pleomorfo a pattern storiforme 23
sinoviale 25
SBRCT 25; 31; 32
SCF 70
schwannoma
benigno 23
maligno 20; 23
SDH 55
segno
di Courvoisier 114
di Trousseau 114
Shigella Dysenteriae 62
shunt porto-sistemici 91
sindrome
da scomparsa dei dotti biliari intraepatici 105
della leiomiomatosi ereditaria associata al carcinoma renale 24
della morte improvvisa del lattante 5
delle esostosi multiple ereditarie 30
di Banti 90
di Budd-Chiari 90
di Down 54
di Gardner 76
di Guillain-Barré 58
di Lynch 77
di Peutz-Jeghers 74
di Reiter 61
di Turcot 76
di Zollinger-Ellison 45; 117
emolitico-uremica 61
epatopolmonare 90
epatorenale 90
MEN 117
sistema linforeticolare 20
sistema TNM 17; 79
SK Vedi sarcoma di Kaposi
SMAD2 78
SMAD4 78; 115
small-blue-round-cell-tumor 25; 31; 32
spazio
di Disse 88; 89
spondiloartrite sieronegativa 61
stadio di un tumore 17
steatoepatite
alcolica 97
non alcolica 97
steatoepatite alcolica 96
steatonecrosi 112
steatorrea 46
steatosi 96
epatica 86
alcolica 96
non alcolica 97
STK11 74
stomaco 38
taenia coli 65
Taq polimerasi 16
TBC 50
tecnica chirurgica di Mohs 9; 21
telomero 15
tessuto
mixoide 21
TH1 49
TH17 49
TH2 51
Thorotrast 27; 107
tossina
CagA 42
Shiga 61
VacA 42
triade del Bichat 5
triade di Carney 70
tricromica di Mallory 12
tricromica di Masson 12
tromboflebite migrante, 114
Tropheryma whipplei 58
tumore
a cellule giganti 31
condrogenico 30
dei tessuti molli 20
del tessuto adiposo 20
del tessuto fibroistocitario 22
del tessuto fibroso 21
del tessuto muscolare liscio 24
del tessuto muscolare scheletrico 24
del tessuto osseo 27
del tessuto vascolare 26
delle guaine nervose periferiche 23
di incerta differenziazione 25
di Krukenberg 68
di natura neoplastica indefinita 33
di Wilms 33
fibroso solitario extrapleurico 22
maligno della guaina del nervo periferico 23
maligno delle guaine nervose periferiche 20
miofibroblastico infiammatorio 22
neuroectodermico primitivo 32
osteogenico 28
stromale gastrointestinale 70
tumori
cistici del pancreas 115
endocrini
del pancreas 116
ulcera
aftosa 50
ulcera peptica 41; 42
ureasi 42
UroVysion 15
vancomicina 56
varici esofagee 91
vasculiti 53
VEGF 26
Vibrio Cholerae 59
villi intestinali 38
vimentina 14
virus
del papilloma umano 82
epatotropi 93
oncogeno 82
volvolo 53
WNT 67
zona cloaco-genica 39
β-catenina 67
β-Catenina 76