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BCHIMICA CLINICA APPLICATA

LEZIONE 1°

Che cos'è la Biochimica Clinica?


Si interessa dell'attività scientifica nel campo della biochimica clinica e biologia molecolare clinica.
La Biochimica Clinica e la Biologia Molecolare Clinica studiano in vitro ed in vivo, nell'uomo e negli
animali di laboratorio, parametri biochimici strutturali e dinamici rilevanti nell'ambito della
fisiopatologia, dell'alimentazione, delle attività motorie e sportive.

• La Biochimica Clinica è incentrata sull'analisi di campioni di fluidi corporei, principalmente il


plasma e altri fluidi quali urina, liquido pleurico e peritoneale, fluido cerebro-spinale e altri.
• La Biochimica Clinica studia la variazione di parametri biologici, in termini di variazioni della
concentrazione, o anche comparsa/ scomparsa di alcuni parametri (metaboliti, proteine,
etc.). Quindi, comprende lo studio, la validazione e l'interpretazione clinica degli indicatori
di situazioni fisiopatologiche.
• Utilizza la misura delle eventuali alterazioni riscontrabili nei materiali biologici per
raccogliere dati che abbiano un valore di prove semiologiche, a favore o contrarie, all'ipotesi
formulata dal clinico. Comprende inoltre lo studio degli strumenti biochimici e biomolecolari
per realizzare interventi di diagnosi, prevenzione e terapie avanzate di malattie genetiche e
acquisite.

La Biochimica Clinica e la Biologia Molecolare Clinica si occupano dell'organizzazione delle attività


del laboratorio di analisi clinica, dello sviluppo delle tecnologie strumentali anche automatizzate per
l'analisi qualitativa e quantitativa di parametri di rilevanza clinica, delle modalità del controllo di
qualità, della valutazione dei parametri individuali di predittività di malattie, di sensibilità/ resistenza
a xenobiotici, di risposte ad alimenti in condizioni normali e patologiche.
Generalità sui biomarcatori: Gli organismi modello sono una serie di organismi che vengono
utilizzati per studiare una serie di fenomeni biologico biochimici che in un certo senso presentano
analogie con i fenomeni biochimici presenti nell’uomo. Esempio adrosofila, il moscerino della frutta,
il verme piatto, il topo, la rana. Organismi modello convenzionali sono questi, quelli non
convenzionali: organismi la cui peculiarità è quella di non sviluppare malattie (balena, elefante) non
sviluppano cancro per esempio, per una serie di ragioni biochimiche. Esempio l’orso bruno, va in
letargo e non sviluppa nessuna sindrome metabolica.
Nelle indagini epidemiologiche non si interviene sulla popolazione, si limita ad a osservare quella
fetta di popolazione per capire se l’esposizione ad un determinato cibo, inquinamento o quanto
altro è fattore scotennante per l’insorgenza di qualche tipo di patologia. Meta analisi cos’è, top
dell’evidenza scientifica: attraverso approcci statistici complessi tendono ad accomunare tutti i
risultati su quel tema per capire se quell’intervento è favorevole o sfavorevole per quella
determinata condizione. Tecnologie omniche: guarda la medicina personalizzata, permettono di
avere una idea più profonda di quel determinato meccanismo.

Il quesito clinico (urgenze, misure sanitarie, screening, stato salute, monitoraggio (intervento
farmacologico/chirurgico), diagnosi) indirizza il laboratorista:
Il quesito clinico apre le porte a una corretta valutazione biochimico-clinica del paziente;
Il particolare è un momento fondamentale per orientare il laboratorista verso l'obiettivo del prelievo
e delle analisi richieste.
Applicazioni cliniche della biochimica:
• Diagnosi di malattie su base biochimica (es. errori del metabolismo)
• Classificazione e caratterizzazione fisiopatologica di malattie (es. diabete)
• Fornire dati per analisi epidemiologiche • Ruolo nel controllo della posologia dei farmaci •
Monitoraggio di farmaci • Rischio lavorativo e tossicologia
Principali finalità della Biochimica Clinica:
1. Diagnostiche
Indagini richieste come ausilio o anche indirizzo alla formulazione diagnostica:
• confermare o escludere un sospetto diagnostico o per formulare una diagnosi;
Le modalità e il numero di richieste potranno variare dai profili metabolici generali o profili ad ampio
raggio a uno o pochi test mirati. Preferenzialmente profili concordati preliminarmente tra il clinico
e lo specialista di laboratorio. La richiesta di un pannello più esteso di test a volte permette di
individuare alterazioni clinicamente silenti (indagini di secondo/terzo livello).
2. Screening
O Sono indagini che vengono chieste in assenza di un segno o sospetto clinico definito Medicina
Preventiva o Sociale:
• fenilchetonuria e ipotiroidismo, screening neonatale allargato
• epatite o AIDS su sangue donato che deve essere trasfuso
• ricerca di composti tossici per malattie professionali (Pb, organo fosfati, Hg)
• ricerca di droghe (anfetamine, marijuana)
3. Prognostiche
• Un singolo test, o gruppi di test, possono essere utilizzati per fornire informazioni
prognostiche. Predire lo sviluppo di una patologia.
- livelli di transaminasi in corso di epatite e livelli dell'antigene carcino-embrionale (CE.A) in
corso di carcinoma
4. Follow up e monitoraggio terapeutico
• Un test può essere usato per monitorare il decorso di una malattia:
- tempo di protrombina per monitorare la terapia con anticoagulanti
- emocromo per valutare la tossicità di farmaci antiblastici o una carenza nutrizionale
- emoglobina glicata e fruttosammina per il monitoraggio del paziente diabetico
- monitoraggio terapeutico o del decorso di una malattia
Biomarker e Medicina di Laboratorio (Test di laboratorio)
- Inquadrare in maniera moderna e in contesto di traslazione delle conoscenze il concetto di
biomarker
- Conoscere il processo di identificazione, validazione e uso clinico in un contesto di Medicina
basata sulle evidenze
- Valutare l'apporto della genomica, della proteomica e della metabolomica all'identificazione
di nuovi biomarker
- Saper riconoscere il significato generale e i diversi ambiti di utilizzo dei biomarkers di tipo
genetico, proteico e metabolico
- Saper valutare un test di laboratorio in base alle sue caratteristiche strumentali
metodologiche e applicative
Definizione di biomarker
Il marcatore biologico viene identificato come:
«parametro biologico misurabile e quantificabile (eg, attività enzimatica; concentrazione di un
ormone; distribuzione di un gene in una popolazione; presenza di una sostanza che serve da
indicatore per valutazioni di fisiopatologia o di salute, quali il rischio di malattia, disordini psichiatrici,
l'esposizione a agenti ambientali e ai loro effetti, la diagnosi di malattia, lo studio dei processi
metabolici, l'abuso di sostanze, la gravidanza, lo sviluppo delle linee cellulari, gli studi
epidemiologici, etc.»
Tipi di biomarcatori in base alla loro principale applicazione clinica:
Biomarcatori:
- Diagnostico: per confermare la presenza di una malattia (e sottotipi) o condizione medica.
- Monitoraggio: valutare la presenza, lo stato di esaurimento di una malattia o condizione
medica; per valutare la risposta all'intervento.
- Farmacodinamico/risposta: per valutare la risposta a una condizione medica o intervento
clinico.
- Predittivi: identificare la probabilità di sviluppare un evento clinico (positivo o negativo)
dopo l'esposizione a un medicinale o ad un agente ambientale.
- Prognostici: identificare la probabilità di un evento clinico, la recidiva o la progressione della
malattia in pazienti con diagnosi di malattia o con una condizione medica.
- Suscettibilità/Rischio: per misurare il rischio di un individuo di sviluppare una malattia o una
condizione medica in pazienti senza la malattia o la condizione medica.
- Sicurezza: per predire gli eventi avversi tossici indotti dall'esposizione di farmaci, interventi
medici o agenti ambientali.
Le caratteristiche ideali di un biomarcatore
Caratteristiche ideali di un biomarcatore:
- Essere presente in elevate concentrazioni nell'organo/tessuto bersaglio;
- Essere assente in organi/tessuti non bersaglio; Essere assente nei liquidi biologici di soggetti
sani;
- Essere rilasciato rapidamente nel liquido biologico a seguito di patologia;
- Persistere nel liquido biologico per un periodo di tempo sufficiente a garantire un'adeguata
finestra diagnostica;
- Manifestare aumenti nel liquido biologico correlabili alla gravità del danno e alla prognosi;
- Essere misurabile nel liquido biologico:
• semplicemente
• rapidamente
• economicamente

Il processo di traslazione:
Il processo di traslazione dalla scienza di base alla scienza clinica applicato all'introduzione nell'uso
di un nuovo biomarcatore.

Biomarker pipeline
Il numero di potenziali biomarcatori è quasi infinito, come dimostra l'evoluzione della loro scoperta,
caratterizzata da una crescita esponenziale nel corso degli anni. Delle migliaia di biomarcatori
scoperti, solo una minoranza (si stima 1 su 5000) entra nella pratica clinica.
Il processo di biomarker pipeline è particolarmente lungo (5-10 anni) e complesso.
Spazia dalla scoperta alla commercializzazione e che necessita di una serie di fasi intermedie, che
comprendono verifica, validazione preclinica, validazione clinica, sviluppo di metodi commerciali,
validazione clinico analitica dei metodi commerciali, introduzione nelle linee-guida o
raccomandazioni, utilizzo clinico.
Dopo la validazione possono essere utilizzati come:
Indicatori di salute (come pannelli pre-operatori, per es. emocromo, assetto emocoagulativo;
funzionalità renale, etc.)
Indicatori di rischio di malattia in soggetti clinicamente sani quali ad esempio una mutazione in
eterozigosi o fattori di rischio come colesterolemia omocistemnemia.
Indicatori di malattia: presintomatica o in atto. Nel primo caso, ad esempio, i marker utilizzati nello
screening di malattie prima della comparsa di complicanze cliniche.
(ipotiroidismo neonatale; fibrosi cistica); nel caso di patologie in atto, tutti i segni della lesione
biochimica in atto.
Dopo la validazione possono essere utilizzati come (2):
Indicatori di evoluzione: a loro volta classificati come marker di 1) stadiazione (staging) che valutano
la gravità attuale della malattia rispetto alla sua storia naturale; 2) marker prognostici, che valutano
la possibilità e 3) gravità del successivo decorso e marker di stratificazione usati per classificare i
soggetti rispetto alla possibile risposta a una terapia.
Marker di efficacia o indicatori di risposta alla terapia in genere valutati longitudinalmente prima
e dopo un intervento terapeutico.

Esame di laboratorio VS Biomarker


Il termine esame (o test) di laboratorio identificare qualsiasi analisi volta a determinare un segnale
biologico in una matrice. Per es., il tempo di protrombina misura il tempo di coagulazione globale di
un campione di plasma, ma non consente di ottenere informazioni dirette sulla concentrazione dei
singoli fattori della coagulazione che contribuiscono al processo della coagulazione.
Un biomarcatore è una molecola direttamente quantificabile nel campione (una proteina, un
enzima, ecc.). Il tempo di protrombina non è catalogabile come biomarcatore. Al contrario, le
troponine cardiache sono determinate direttamente nel siero o nel plasma (mediante anticorpi
monoclonali) al fine di diagnosticare il danno cardiaco e sono, quindi, a tutti gli effetti sia esami di
laboratorio, sia biomarcatori.
Efficienza ed efficacia diagnostiche
L'efficienza diagnostica fa, infatti, riferimento alle specifiche prestazioni diagnostiche di un
biomarcatore, identificate sulla base di una serie di variabili (sensibilità e specificità diagnostiche,
valore predittivo) che ne identificano la capacità di consentire di giungere ad una diagnosi precisa.
L'efficacia diagnostica fa, invece, riferimento alla possibilità di modificare un esito clinico a seguito
della determinazione di un biomarcatore à Esistono evidenze che dimostrano come la
determinazione del PSA sia caratterizzata da una efficienza diagnostica molto elevata per il cancro
della prostata. Tuttavia, la determinazione del PSA nello screening del carcinoma della prostata
potrebbe non determinare alcun vantaggio concreto in termini di sopravvivenza a medio- lungo-
termine dei pazienti.
La finestra diagnostica
La temporizzazione della finestra diagnostica dell'enzima è un importante aspetto da considerare
quando i marcatori vengono utilizzati per valutare la lesione/alterazione.
La finestra diagnostica di un marcatore è l'intervallo temporale che segue a un episodio acuto di
lesione durante il quale le concentrazioni plasmatiche del marcatore sono aumentate, dimostrando
in tal modo l'avvenuta lesione/alterazione.
I marcatori detti precoci hanno finestre diagnostiche che iniziano subito dopo la comparsa della
lesione. Al contrario, marcatori tardivi sono rilasciati lentamente nella circolazione o sono eliminati
lentamente dalla circolazione e hanno finestre diagnostiche che iniziano più tardi.

Esempi di finestre diagnostiche relative alla tipologia di rilascio acuto di ipotetici marcatori
enzimatici

Medicina di laboratorio ed esercizio fisico


L'esercizio fisico influenza in maniera significativa alcuni parametri di laboratorio. La conoscenza
approfondita di tali influenze consente di applicare degli intervalli di riferimento appropriati per gli
sportivi e anche di identificare quei marcatori biochimici in grado di predire la performance
dell'atleta o un eventuale sovrallenamento. Bisogna conoscere gli effetti acuti della prestazione
fisica, cioè quelle variazioni repentine e spesso transitorie dei principali parametri di laboratorio che
si osservano durante e subito dopo la prestazione sportiva, nonché gli effetti cronici, cioè quegli
adattamenti metabolici persistenti associati alla pratica costante dell'esercizio fisico.
Il carico di lavoro, il grado di allenamento, il tempo di recupero, il grado di idratazione, la dieta, l'uso
di farmaci e supplementi nutrizionali ad effetto ergogenico rappresentano variabili con un effetto
importante sui parametri di laboratorio. È pertanto, importante identificare correttamente la
presenza di tali variabili al fine di poter interpretare correttamente il dato di laboratorio.
ACUTO VS CRONICO
Un obiettivo molto ambizioso è poter identificare dei fattori biochimici in grado di predice la
performance dell'atleta o un eventuale sovrallenamento.
In linea generale, è necessario distinguere tra gli effetti acuti, cioè quelli che si realizzano durante e
subito dopo la prestazione fisica e spesso hanno carattere transitorio, da quelli cronici, cioè quegli
adattamenti biochimici persistenti associati alla pratica costante dell'esercizio fisica.

Effetti acuti della prestazione sportiva sui parametri di laboratorio


Gli adattamenti fisiologici che si realizzano durante e subito dopo la prestazione sportiva si
traducono in un aumento della volemia efficace (riduzione dell'ematocrito e dell'emoglobina)
aumento della massa muscolare (aumento di creatinchinasi [CK], aspartato amminotransferasi
[AST], y-glutammiltransferasi [GGT]), riscontro biochimico di traumatismo muscolare (aumento di
CK e mioglobina, AST, alanina amminotransferasi [ALT], lattato deidrogenasi [LDH], K+)
ipercatabolismo, aumentata richiesta di substrati energetici (diminuzione di glucosio, trigliceridi
aumento di cortisolo e testosterone) e, infine, sovraccarico cardiocircolatorio (aumento di
troponine).
È stato documentato che dopo una maratona gli atleti mostrano una riduzione della velocità di
filtrazione glomerulare stimata (GFR), un aumento della creatinina e della Lipocalina-2, nota anche
come NGAI. Questi effetti dell'attività fisica prolungata sulla funzionalità renale sono transitori e i
valori di questi parametri tendono a tomare ai livelli pre-maratona entro 24-48 ore.
La CREATININA è un prodotto di scarto dei muscoli proveniente dal metabolismo di una molecola
chiamata creatina. La creatina fa parte di un ciclo metabolico che produce energia necessaria per la
contrazione muscolare. Sia la creatina che la creatinina sono prodotte dall'organismo in modo
relativamente costante.
Quasi tutta la creatinina è escreta dai reni, perciò la concentrazione nel sangue è di solito un buon
indicatore della funzionalità renale. La quantità prodotta dipende dalle dimensioni fisiche
dell'individuo e dalla sua massa muscolare.

Estimated Glomerular Filtration Rate (Stima della velocità di filtrazione glomerulare) -eGFR-
È un indice di funzionalità renale. La stima di eGFR è eseguita routinariamente. L'approccio più
utilizzato consiste nella misura della creatinina sierica per il calcolo dell'eGFR. La compromissione
della funzionalità renale determina una ridotta escrezione della creatinina, con conseguente
aumento dei suoi livelli nel sangue. Eventuali variazioni nel metabolismo muscolare e nella massa
muscolare possono determinare differenze significative nella misura dei livelli di creatinina.
Possono essere utilizzate diverse equazioni per calcolare l'eGFR; Le più comuni, basate sulla
concentrazione ematica della creatinina in combinazione con età, sesso ed etnia.

Anche alcuni marcatori tradizionali di danno epatico mostrano degli incrementi transitori in seguito
ad una competizione sportiva di tipo endurance. Gli incrementi più marcati sono a carico della
bilirubina totale e diretta, dell'LDH e dell'ALT. Non si osservano significative variazioni della AST,
della fosfatasi alcalina (ALP) e della GGT. Tali incrementi, comunque, sono transitori e i parametri
coinvolti tendono a ridursi nuovamente entro le 24 ore dal termine della competizione.
Il carattere transitorio di queste variazioni pone degli interrogativi sulla loro natura fisiopatologica:
è possibile, infatti, che essi siano espressione di meccanismi fisiologici di adattamento allo stress
fisico e non di una reale necrosi dell'epatocita.
L'esercizio fisico, soprattutto l'attività di endurance praticata sia a Livello amatoriale che
professionale (running, ciclismo, nuoto), comporta un aumento della gittata cardiaca, della
frequenza cardiaca e della pressione sistolica per diverse ore. Questo aumento del lavoro cardiaco
sostenuto nel tempo genera uno stress miocardico che si accompagna al fisiologico lascio di radicali
liberi dell'ossigeno (ROS) ed alterazioni del pH intracellulare, i quali, a loro volta, sostengono ed
amplificano il danno dei miocardiociti.

In soggetti che praticano sport di endurance si osserva un aumento acuto di troponine cardiache
(cTn). I livelli circolanti di Tn tornano nei limiti di riferimento dopo 24 48 ore. Non è ancora chiaro
se questo incremento sia fisiologico o se abbia, invece, un significato patologico essendo
espressione di un danno miocardico irreversibile.
Nel miocardiocita esistono due pool intracellulari di cTn: uno citosolico, costituito da cTn solubile ed
uno strutturale, costituito dalla cTn complessata con la tropomiosina e l'actina.
La Tn derivante dal pool strutturale è responsabile del picco che si osserva in corso di necrosi
miocardica, che è diagnostico di IMA. Dunque, lo stress miocardico che si osserva durante l'esercizio
fisico non è tanto prolungato da causare un danno miocardico irreversibile ma è sufficiente a
causare il rilascio in circolo di cTn.
Anche i principali parametri ematologici evidenziati all'esame emocromocitometrico possono
mostrare delle variazioni subito dopo la prestazione sportiva. In particolare, un aumento dei globuli
bianchi (WBC), dei neutrofili e dei monociti insieme ad una diminuzione di linfociti ed eosinofili sono
stati documentati in. Queste variazioni sono attribuibili al rilascio di catecolamine e cortisolo che si
osserva durante l'esercizio fisico. Inoltre, è possibile osservare una diminuzione dei globuli rossi
(RBC) e dell'emoglobina (Hb) insieme ad un aumento delle piastrine (PLT) e del volume piastrinico
medio (MPV).

Variazioni dei principali parametri ematochimici che si osservano in risposta alla prestazione
sportiva di endurance (valutati entro 3 ore dal temine della competizione) n.b.=nessuna differenza.
Effetti a medio-lungo termine dell'attività fisica sui parametri di laboratorio
È stato ampiamente dimostrato che esiste un'associazione significativa tra la frequenza con cui si
pratica attività fisica di resistenza o di potenza e molti parametri di laboratorio. In particolare,
svolgere attività fisica più volte a settimana, indipendentemente dalla tipologia di attività, si associa
a riduzione di glucosio e HbA1c, colesterolo LDI, rapporto LDL/HDL, trigliceridi, eGFR, proteine
plasmatiche, proteina C reattiva, cosi come determina un aumento di HDL, creatinina, sideremia e
TIBC (Total Iron Binding Capacity).
Gli effetti benefici dell'attività fisica regolare sui lipidi plasmatici e, più in generale, sul profilo
biochimico cardiometabolico sono oggi accettati dall' intera comunità scientifica tanto che da diversi
decenni l'attività fisica rappresenta il primo strumento di prevenzione e controllo del diabete e delle
malattie cardiovascolari.
Questi effetti sui parametri biochimici sembrano dipendere più dalle modifiche della composizione
della massa corporea date dall'attività fisica che dalla tipologia di attività (aerobica, di potenza
combinata). In particolare, l'attività fisica regolare determina una riduzione di colesterolo totale, IDI
IDL ossidate, trigliceridi, apolipoproteina B ed un aumento di HDI ed apolipoproteina A1.
LDL ossidate: determina un richiamo nell’endotelio di macrofagi fino a formare dei complessi
cellulari (cellule schiumose) che portano alla formazione della placca.
Metabolismo lipidico:
• Colesterolo LDL ↓ • Colesterolo HDL ↑ • Trigliceridi ↓ • Rapporto LDL/HDL ↓

Il fegato assorbe l'Apo1-1 che entra nel flusso sanguigno. L'ApoA-1 interagisce con l'ABCA1 presente
nelle cellule del sistema immunitario (macrofagi), che trasportano il colesterolo dai tessuti periferici
alle HDL. La fusione di colesterolo non esterificato, TG, ApoA1, ApoC2, ApoE e fosfolipidi forma un
HDL iniziale, chiamato HDL3 à legato ad ABCA1 viene modificato dalla lecitina-colesterolo
aciltransferasi (LCAT), diventando α-HDL maturo. LCAT facilita l'assorbimento continuo del
colesterolo libero dalle particelle HDL diminuendo la concentrazione di colesterolo sulla superficie
delle HDL. α-HDL può tornare al fegato e trasferirvi il suo contenuto di colesterolo. La lipoproteina
lipasi (LPL) espressa dalle cellule endoteliali capillari nei muscoli, nel fegato e nel tessuto adiposo
idrolizza i TG trasportati nei VIDL in FA, che possono essere assorbiti dalle cellule.
Il catabolismo dei VLDL TG provoca la loro conversione in IDL. Gli IDL vengono idrolizzati dalla lipasi
epatica, diminuendo ulteriormente il suo contenuto di TG e gli Apos scambiabili vengono trasferiti
dalle particelle IDL ad altre lipoproteine che portano alla formazione di LDL.
Le LDL contengono prevalentemente esteri del colesterolo e ApoB. Pertanto, LDL è un prodotto del
metabolismo VLDL. L'esercizio modula genetica e espressione proteica di ApoA-1 e delle cellule del
sistema immunitario ABCA1 e aumenta l'attività di LCAT e LPL. HTGL, lipasi bepatica-trigliceride.

La riduzione della glicemia e dell'HbA1c è indicativa di una migliore omeostasi glicemica a seguito di
un miglioramento della funzione secretoria beta-cellulare e dell'uptake del glucosio da parte del
muscolo scheletrico che si associa all'aumento del lavoro muscolare. Questi effetti sono stati
documentati principalmente in soggetti sovrappeso, obesi o diabetici, in cui l'attività fisica
combinata (aerobica e di resistenza) produce la maggiore riduzione dei livelli di HbA1c.
Effetti metabolici tessuto-specifici di esercizio in pazienti con diabete di tipo 2.

BIOMARKER NELLO SPORT E NELL'ESERCIZIO: IL TRACCIAMENTO DELLA SALUTE, PRESTAZIONI E


RECUPERO NEGLI ATLETI
La scoperta e la validazione del biomarker è un obiettivo critico del settore medico e scientifico
Comunità. La ricerca sull'esercizio e sui biomarcatori legati alla dieta mira a migliorare la salute
prestazioni e recupero nel personale militare, atleti e persone normali. La ricerca sulla fisiologia
dell'esercizio ha identificato i singoli biomarcatori per valutare la salute, le prestazioni e il recupero
durante l'allenamento.
Comprendere come monitorare in modo completo i cambiamenti fisiologici, affinché gli allenatori
progettino circuiti di allenamento che provocano il massimo miglioramento delle prestazioni
riducendo al minimo il sovrallenamento e il rischio di lesioni.
Tuttavia, ci sono poche raccomandazioni per il pannello di biomarcatori per tenere traccia dei
cambiamenti negli individui che partecipano a programmi di attività fisica e allenamento. Si
raccomanda una raccolta di biomarkers convalidati in categorie chiave di salute, prestazioni e
recupero che potrebbero essere utilizzati a questo scopo.
Un set completo di biomarcatori delle prestazioni dovrebbe includere marcatori chiave di
(A) NUTRIZIONE E SALUTE METABOLICA
(B) STATO DI IDRATAZIONE
(C) STATO MUSCOLARE
(D) PRESTAZIONI DI RESISTENZA
(E) STATO RISCHIO DI INFORTUNIO E INFIAMMAZIONE
Aspetti dinamici e integrativi di come dieta, idratazione, allenamento e competizione influenzano
gli atleti.
La valutazione dei biomacker dovrebbe includere indicatori di prestazione selezionati, diversificati e
ben convalidati (stato muscolare e trasporto di ossigeno), salute (stato nutrizionale e di idratazione
allergie) e recupero (infiammazione, rischio di lesioni, danno muscolare). Determinare la frequenza
e il timing per testare i biomarcatori.
Misurare durante e fuori stagione sportiva, durante le stagioni di competizione, durante
l’allenamento e poco dopo la competizione, la frequenza: durante i periodi di riposo del fuori
stagione. Misurazioni in maniera dinamica e flessibile come i parametri che ci interessano.
Misurare l’idratazione:
I ricercatori hanno studiato nuovi biomarcatori tra cui saliva, sudore e persino lacrime come possibili
campioni biologici in cui misurare lo stato di idratazione. L'osmolarità della saliva e la portata della
saliva hanno mostrato risultati promettenti come marker di idratazione; altri studi sollevano dubbi
sull'utilità dell'osmolarità salivare come biomarcatore se non in condizioni altamente controllate
durante l'attività fisica o in popolazioni cliniche speciali. Allo stesso modo, osmolarità del sudore
elettroliti e altro
variabili, così come l'osmolarità lacrimale, si mostrano promettenti come potenziali biomarcatori
ma la ricerca è limitata. Sebbene queste opzioni attualmente non possano fungere da validi
biomarcatori dello stato di idratazione per gli atleti, quando si considerano i biomarcatori da
selezionare per un pannello completo, è fondamentale considerare i marcatori appena studiati
come potenziali opzioni. Biomarkers idratazione convalidati: Diminuzione acuta della massa
corporea (kg); Colore scuro delle urine (valutazione della cartella colori); Sensazione di Sete
(valutazione della sete); Esami diagnostici di laboratorio: Urina; Sangue; Rapporto azoto
urea/creatinina; Osmolarità del sangue; Concentrazione di sodio.
Osmolarità
È una misura del numero di particelle disciolte in un fluido. Il test dell'osmolarità riflette la
concentrazione di sostanze come sodio, potassio, cloro, glucosio e urea disciolte in un campione di
sangue e urina. Può essere stimato dalla concentrazione dei principali soluti del sangue o dell'urina.
Quando aumenta l'osmolarità del sangue, indicando un decremento della quantità di acqua
nell'organismo o un aumento del numero di particelle (come sodio, cloro e glucosio), l'ipotalamo
secerne l'ormone antidiuretico (ADH), che stimola i reni a trattenere liquidi e quindi a produrre urna
concentrata. Al diminuire dell'osmolarità, la secrezione dell'ADH viene soppressa, i reni producono
un'urina più diluita, la quantità d'acqua nell'organismo diminuisce e l'osmolarità ematica torna
normale.
Indicatori di stato muscolare e tendenze da monitorare negli atleti:
Esistono marcatori ben convalidati relativi alla fatica, al recupero, alla sintesi proteica o alle strategie
di alimentazione, per esaminare gli atleti (deidroepiandrosterone, testosterone, cortisolo, IGF-1,
Triptofano, Glutammina etc.).
Il Ferro
Il ferro è un nutriente essenziale che, tra le altre funzioni, è richiesto per la produzione di globuli
rossi sani. È un costituente dell'emoglobina. La sideremia è la misura della quantità di ferro presente
nella parte liquida del sangue (siero). Una volta assorbito, il ferro è trasportato dalla transferrina,
una proteina di origine epatica. Nelle persone sane, la maggior parte del ferro assorbito viene
incorporato nell'emoglobina, il rimanente viene immagazzinato nei tessuti sotto forma di ferritina o
emosiderina. Una piccola parte viene utilizzata per produrre altre proteine come la mioglobina, o
alcuni enzimi. La presenza di quantità insufficienti di ferro circolante e immagazzinato può portare
ad anemia ferro carente.
Ruolo del ferro: favorisce la produzione di emoglobina e di globuli rossi: assicurando una corretta
ossigenazione delle cellule del corpo, garantisce così la vitalità e la crescita armoniosa dell'intero
organismo. Stimola le funzioni del fegato, della milza, dell'intestino e del midollo osseo.
Valutazione del Metabolismo del Ferro
I test per la valutazione del metabolismo del ferro rappresentano un gruppo di esami che misurano
diverse sostanze presenti nel sangue. Vengono richiesti ed i risultati vengono interpretati insieme
come supporto alla diagnosi e/o al monitoraggio di patologie caratterizzate da carenza o accumulo
di ferro:
- Sideremia - misura i livelli sierici (porzione liquida del sangue) di ferro
- Transferrina - misura della transferrina nel sangue, la proteina del trasporto di ferro
- TIBC (capacità ferro-legante totale) - misura la quantità totale di ferro che può essere legata
dalle proteine. la TBC è una buona approssimazione della disponibilità di transferrina.
- UIBC (capacità ferro-legante non saturata) - misura la capacità di riserva della transferrina
ossia la porzione di transferrina non ancora legata con il ferro.
- Saturazione della transferrina - un calcolo che riflette la percentuale di transferrina legata
- Ferritina sierica - riflette la quantità di riserve di ferro presenti nell'organismo
In caso di apporto insufficiente di ferro, la sideremia scende e i depositi di ferro vengono mobilitati.
Ciò può avvenire per: 1) Bassa assunzione di ferro 2) Incapacità di assorbire il ferro (es. celiachia).
3)Necessità di maggiori quantità di ferro come durante la gravidanza o l'adolescenza o in persone
con patologie croniche responsabili di continue emorragie.
Il ferro come biomarcatore delle prestazioni di resistenza
Il ferro è un minerale importante nel trasporto dell'ossigeno e nella fosforilazione ossidativa che
sono processi fisiologici fondamentali necessari per il metabolismo aerobico e le prestazioni di
resistenza cardiovascolare. Gli atleti di resistenza, in particolare le donne, sono particolarmente
suscettibili alla carenza di ferro a causa di uno o una combinazione dei seguenti fattori:
sanguinamento mestruale, scarso apporto dietetico, uso di droga, elevata pressione intramuscolare
in Nuotatori e Ciclisti, aumento del carico meccanico.
Gli atleti con uno stato di ferro compromesso possono subire diminuzioni delle prestazioni a causa
dell'incapacità di metabolizzare in modo ottimale i substrati in energia. Le carenze di ferro
impediscono anche gli adattamenti alla resistenza e all'allenamento in quota, inoltre, la carenza di
ferro con anemia può avere un ruolo nella maggiore prevalenza di infezioni del tratto respiratorio
superiore nei maratoneti.
Dato il ruolo fisiologico del ferro e la sua associazione con le prestazioni aerobiche, la salute e
l'adattamento, atleti e allenatori dovrebbero prendere in considerazione il monitoraggio del ferro
della capacità di legare il ferro, della saturazione della transferrina e dei livelli di ferritina durante
l'allenamento. Gli approcci alla tempistica e alla frequenza del test dello stato del ferro per i singoli
atleti possono essere personalizzati per affrontare i problemi relativi ai casi in cui le prestazioni di
resistenza cardiovascolare possono essere influenzate da cambiamenti nei programmi/cicli di
allenamento o nella salute generale (ad esempio, durante l'infezione o lo stress sperimentato
durante l'allenamento). Il complemento di biomarcatori ampiamente utilizzati include ferro,
capacità totale di legame del ferro (TIBC), saturazione della transferrina e ferritina, con biomarcatori
più recenti come il recettore della transferrina solubile e il dosaggio del peptide dell'epcidina che
potrebbero migliorare la diagnosi. I marcatori dello stato del ferro devono essere interpretati nel
contesto di eventi recenti (ad es. Onseason, intensità, frequenza e durata dell'allenamento recente,
stato infiammatorio, e modifiche alla dieta, OFFseason). La concentrazione di ferro ha un range di
riferimento compreso tra 50-175 microg/dl. La concentrazione di ferro durante le 24h è variabile,
addirittura varia del 10-26% e di conseguenza la concentrazione di ferro deve essere interpretata
con cautela e non può essere considerata da sola una misura utile dello stato del ferro
nell’organismo. Potenziali indicatori per la riduzione dei marcatori dello stato del ferro: Stato del
ferro ↓: Riduce le prestazioni delle prove a cronometro; VO2/max alterato, Efficienza energetica
ridotta, Volume di allenamento inferiore al giorno, Lattato massimo maggiore, Tempi ridotti per
l'esaurimento.
La ferritina sierica può essere falsamente elevata in uno stato infiammatorio (post esercitazione,
infezione) ma i marcatori infiammatori come la proteina C-reattiva (CRP) o la glicoproteina alfa-1-
acida possono aiutare nell'interpretazione della ferritina nella valutazione dello stato del ferro.
Un indicatore più stabile dello stato del ferro è il TIBC (intervallo di riferimento: 250.425 microg/dI),
che riflette il numero totale di siti di legame sulla transferrina peptidica di trasporto del ferro nel
sangue. La variazione giornaliera di TIBC è relativamente bassa (8-12%) e non cambia prima che le
riserve di ferro siano esaurite, riducendo così la probabilità di rilevare erroneamente stati di
deplezione di ferro.
La transferrina non è un reagente di fase acuta né è affetta da altre malattie e quindi è una preziosa
aggiunta al pannello di biomarcatori per determinare lo stato del ferro (intervallo di riferimento: 15-
50%). Valori inferiori al 15% sono coerenti con la carenza di ferro.

LEZIONE 2

Ferro e biomarcatore delle prestazioni di resistenza


La combinazione di almeno transferrina e saturazione della transferrina, TIBC. La ferritina sierica e
l'emoglobina sono necessarie per un'accurata determinazione della presenza e della grave carenza
di ferro.
L’ambiente e i suoi effetti sui compartimenti di regolazione
L’analisi dei biomarker interessati:
• Le variazioni del genoma (genomica)
• L’espressione genica (trascrittoma)
• Le proteine codificate dal genoma e modificate in fase post-traduzionale (proteoma)
• I metaboliti che costituiscono substrati o prodotti dalle diverse reazioni metaboliche
(metaboloma)
“gli ambiti generali di origine ed applicazione dei biomarcatori sono indicati con le frecce
monodirezionali gli effetti e con frecce bidirezionali i feedback tra i diversi sistemi di biomarcatori
(L’ambiente, impostazioni, farmaci, alimentazione ecc.) esercita i suoi effetti su tutti i livelli di
biomarcatori. Il disturbo cromosomico oltre che per cause ambientali può originarsi all’interno di
ciascun compartimento, ripercuotersi sul compartimento con livello di regolazione inferire ed
esercitare i suoi effetti sui compartimenti in regolazione comune.

The human genome project (HGP)


Dopo il completamento della mappatura del genoma umano nell’ambito dello HGP avvenuto nel
2001, la genomica e la genetica molecolare si sono sviluppate rapidamente sia per quanto riguarda
i test genetici volti al rilevamento delle alterazioni germinali (informazioni genetiche ereditarie), sia
per quelli che identificano le alterazioni somatiche (mutazioni acquisite, non ereditarie, per esempio
quelle caratteristiche di un tumore).

Applicazioni delle scienze “omiche” in laboratorio


La disponibilità di tecnologie sensibili e accurate, in grado di coniugare risoluzione e produttività
elevate, ha dato origine alla diffusione delle cosiddette scienze omiche nella medicina di laboratorio.
Dal completamento del progetto genoma umano, il suffisso omica è stato, infatti, utilizzato per
indicare numerose, nuove e diverse discipline finalizzate allo studio di un sistema biologico nel suo
insieme. Genomica, trascrittomica, epigenomica e le altre scienze omiche studiano diverse classi di
molecole in diversi campioni biologici e in differenti situazioni fisiopatologiche. Lo scopo di tale
approccio, meno riduzionista, è quello di poter comprendere i principi operativi di livello più elevato
e l’interazione di diversi segnali per rispondere a domande biologiche più complicate.
L’enorme mole di dati generati con questi approcci ha rivoluzionato l’approccio allo studio degli
esseri viventi e pone nuove sfide relativamente alle modalità di analisi, nonché alla corretta
interpretazione. L’integrazione di queste discipline ci permette di identificare le alterazioni
molecolari correlate a diverse patologie e lo sviluppo di nuovi biomarcatori diagnostici e/o
prognostici, nonché lo sviluppo di terapie mirate nell’ottica della medicina personalizzata.
I biomarker possono essere rilevati a livello:
• Genomico: in termini di mutazioni, polimorfismi del DNA, alterazioni cromosomiche.
• Proteomico: come alterazioni strutturali e quantitative di singole proteine e funzionali un caso di
proteine enzimatiche
• Metabolomico: come alterazioni quali-quantitative dei substrati e dei prodotti delle reazioni alla
base del metabolismo e come indicatori di un’alterazione del punto di equilibrio delle reazioni
stesse.

Gli approcci multi-omici integrano i dati ottenuti da diversi livelli omici per comprendere la loro
interrelazione e l'impatto combinato sui meccanismi biologici delle prestazioni fisiche.
La genomica è la disciplina più matura dei campi omici. L'ultima ricerca che utilizza misurazioni della
trascrittomia ha rivelato come i meccanismi genomici ed epigenomici influenzino la trascrizione di
geni regolati dall'esercizio, aiutando a identificare potenziali biomarcatori di adattamento
all'allenamento e benefici per la salute ottenuti dalla partecipazione allo sport.

Genomica strutturale vs genomica funzionale


• La genomica strutturale è lo studio della struttura tridimensionale di ogni proteina codificata dai
geni. La genomica strutturale è lo studio della struttura tridimensionale di ogni proteina codificata
dai geni. Include la mappatura genetica e fisica e il sequenziamento dell'intero genoma.
• La genomica funzionale è lo studio di come lo gnomo, i trascritti (geni), le proteine ei metaboliti
lavorano insieme per produrre un particolare fenotipo.

Genomica e biomarker genomici


La genomica è un approccio essenziale all’identificazione dei fattori di rischio e se identificati
possono indirizzare un trattamento personalizzato. I biomarker relativi a fattori di rischio genomici
possono influenzare e consentire direttamente l’identificazione della malattia clinica, ovvero essere
mediati, sia nella fase della patogenesi, sia in quella diagnostica, attraverso l’identificazione di fattori
fenotipici intermedi.

I diversi tipi di biomarker genomici alcuni esempi e metodi:


Il maggior impulso all’uso delle analisi genomiche in medicina di laboratorio è arrivato dallo sviluppo
di metodologie di sequenziamento ad alta processività definite next generation sequencing (NGS).
Un’altra metodica rilevante per le analisi di grosse varianti a livello genomico è l’ibridazione
genomica comparativa (comparative genomie hybridration, CGH) che permette l’identificazione di
delezioni o amplificazioni di grossi tratti del genoma che possono essere causa, o associati, a diverse
patologie.

Annotazione del genoma: dalla sequenza alla biologia


Per annotazioni si intende il processo con cui vengono assegnate informazioni relative alla posizione
dei geni, trascritti, varianti ed elementi di segnalazione su un genoma.

Progetto 1000 genomi (2008- 2014).


La disponibilità di tecnologie di sequenziamento degli acidi nucleici rapide, sensibili, accurate ed
economicamente vantaggiose ha aperto la strada al progetto 1000 genomi. Scopo: studiare la
variabilità genetica umana. Ha realizzato il sequenziamento di 2504 genomi provenienti da 26
differenti popolazioni. In questo modo, è stato possibile identificare oltre 88 milioni di varianti e
seguirne la distribuzione in differenti aree geografiche. Recentemente è stato lanciato il progetto
100000 genomi che si propone l’ambizioso obiettivo di sequenziale 100000 genomi di pazienti e dei
loro familiari allo scopo di correlare i dati genomici con informazioni cliniche che possono fornire
nuovi strumenti per la diagnosi e la cura di varie patologie.

SNP- polimorfismo a singolo nucleotide


La forma più comune di variazione del dna, alterazioni di una singola base. Se lo snp è in un gene,
può interrompere la funzione del gene. La maggior parte degli SNP non si trova nei geni ma può
essere associata ad altri tipi di variazione del DNA e quindi viene utilizzata efficacemente come
marcatori. Tipicamente, gli SNP sono bisllelici, sebbene molto raramente si possano trovare forme
tri-o tetralleliche. La frequenza media degli SNP nel genoma umano è circa uno ogni 1.000 bp.
Consistono in variazioni frequenti a livello delle singole basi (conversione di una base in un’altra,
delezione inserzione)
SNP(single nucleotide polymorphisms):
• Variazioni senza effetti
• Variazioni innocue (es. legate all’aspetto esteriore, alla capacità di arrotolare la lingue ecc..)
• Tendenza a sviluppare malattie.
Individuo sano.
individuo sano ma con una proteina con funzionamento alterato.

Come vengono utilizzati gli SNPs in ambito medico?


• Alcuni polimorfismi genetici relativamente comuni, se associati tra loro e combinati con
specifiche componenti ambientali, possono elevare notevolmente il rischio di sviluppare patologie
diffuse -> Gli SNPs non sono causa di malattia ma possono aiutare ad individuare la propensione
individuale a contrarle.
• Alcune patologie hanno un decorso molto diverso in individui portatori di una stessa
mutazione causativa; tale fenomeno sembra essere in parte causato dalla presenza di polimorfismi
differenti.
Basandoci sulle informazioni ricavabili dalla costruzione genetica di un individuo è possibile
effettuare una stima del rischio di sviluppo di una determinata patologia durante il corso della vita.
• Medicina predittiva-preventiva: possibilità di intervenire precocemente, ottimizzando dei
trattamenti, limitazioni dei problemi clinici. Studi di associazione genome-wide.

L'allele apolipoproteina E s4 (APOE*s4) è il più forte fattore di rischio genetico per la malattia di
Alzheimer sporadicamente (AD).
L’apolipoproteina (apo) E è codificata dal gene APOE e rappresenta uno dei cinque tipo di (A-E) di
lipoproteine presenti nel sangue. L’allele e3 è quello più comune ed è presente nel 60% della
popolazione generale.
ApoE- Apolipoproteina E à nella sequenza di questo gene sono presenti 2 SNPs la cui combinazione
da origine a 3 diverse possibili sequenze genetiche:
• E2 -> fattore protettivo
• E3
• E4 -> fattore di rischio
Genetica/genomica dello sport
Ad esempio, diversi studi hanno dimostrato che le varianti del gene dell'enzima di conversione
dell'angiotensina (ACE), che è un noto regolatore della pressione sanguigna, sono un determinante
del potenziale di resistenza negli atleti. Le varianti associate ai fenotipi alla base delle prestazioni di
sprint, potenza o resistenza includono l'isoforma muscolare scheletrica dell'alfa-actinina 3 (ACTN3),
l'adenosina monofosfato deaminasi (AMPD1), la creatina chinasi muscolare (CKM), il fattore di
crescita simile all'insulina (IGF1) e la famiglia di geni del recettore attivato dal proliferatore del
perossisoma (PPAR).

Genetica/genomica dello sport(2)


Alla fine del 2021, il numero totale di polimorfismi del DNA associati allo stato dell'atleta era 220, di
cui 97 marker sono stati trovati significativi (35 relativi alla resistenza, 24 relativi alla potenza e 38
relativi alla forza). Inoltre, 29 marcatori genetici sono stati collegati a lesioni dei tessuti molli.
Riassumendo gli studi relativi alla genomica dello sport hanno coperto tre grandi e ampie aree di
ricerca nel campo delle scienze dello sport e dell'esercizio: vale a dire: 1) determinanti dei risultati
delle prestazioni, 2) suscettibilità e prevenzione degli infortuni, 3) gestione degli infortuni e delle
malattie.

Confronto tra sequenziamento tradizionale (Sanger) e quello di nuova generazione


La differenza fondamentale tra il sequenziamento di Sanger e l’NGS è il volume di sequenziamento.
Mentre il metodo Sanger sequenzia solo un singolo frammento di DNA alla volta, NGS è
massicciamente parallelo, sequenziando milioni di frammenti simultaneamente per corsa.

Sequenziamento del DNA di nuova generazione: next generation sequencing (NGS)


Si basa sul principio del sequenziamento di cluster clonali: milioni di analisi di sequenziamento di
DNA contemporaneamente sullo stesso campione e su più campioni diversi. Si possono generare
centinaia di milioni di corte sequenza (35bp to250Bp) in una sola corsa in un tempo breve con basso
prezzo per base sequenziata.

La bioinformatica
La necessità di gestire ed interpretare le grandi quantità di informazioni derivanti dal
sequenziamento del genoma umano ha richiesto lo sviluppo di adeguati strumenti informatici per
la gestione dei dati e l’analisi dei dati. Si è sviluppata cosi la bioinformatica, una disciplina che si
pone l’obiettivo di sviluppare e applicare strumenti adeguati per l’immagazzinamento,
l’interrogazione e l’analisi dei dati biologici.

Tecnologia a microarray
Il microarray è uno strumento utilizzato per determinare se il DNA di un particolare individuo
contiene una mutazione nei geni. Si tratta di un'ibridazione di un campione di acido nucleico
(bersaglio) a un set molto ampio di sonde oligonucleotidiche, che sono attaccate a un supporto
solido, per determinare la sequenza o per rilevare variazioni in una sequenza o espressione genica
o per la mappatura genica. La tecnologia dei microarray ha due applicazioni principali:
• Analisi dell'espressione genica
• Analisi della variazione genetica
Individuazione di alterazioni genomiche: il CGH-array
Ibridazione genomica comparativa CGH, identiche quantità di DNA genomico di un paziente e di
controllo vengono marcate con diversi pigmenti fluorescenti (Cy3 e Cy5, rispettivamente) e
ibridizzate con gli oligonucleotidi probe immobilizzati sul vetrino. Il rapporto tra le intensità di
fluorescenza dei DNA del paziente e di controllo è il parametro che consente la rivelazione di
riarrangiamenti genomici sbilanciati.

Esempio di alterazione associata a una patologia


Lo sviluppo del CGH ha anche permesso di identificare dei particolari tipi di polimorfismi denominati
variazione del numero di copie (copy number variants, CNV), rappresentati da delezioni o presenza
di copia multipla di regioni che vanno da poche ad alcune migliaia di basi.
L’analisi familiare evidenzia la presenza nel probando, affetto da ritardo psicomotorio, di una
delezione in eterozigosi presente anche nel padre che invece non presenta evidenti segni clinici.
L’alterazione osservata coinvolge il gene contactina 4 (CNTN4): la proteina risultante media le
interazioni cellulari durante lo sviluppo del sistema nervoso e svolge un ruolo nella sinaptogenesi.

PC Quantitativa: Real-Time PCR


La tecnica della RT-PCR è una variante della tecnica della reazione a catena della polimerasi (PCR).
Questa tecnica consiste nella sintesi di una molecola di DNA a doppio filamento a partire da uno
stampo di RNA. La molecola di DNA sintetizzata mediante il processo di retro-trascrizione è definita
eDNA. Mediante l'impiego della RT-PCR è possibile convertire in DNA un intero trascrittoma
(insieme di tutto il trascritto di una cellula) di uno specifico tessuto di un individuo in una specifica
fase del suo sviluppo. È una tecnologia utilizzata per quantificare gli acidi nucleici attraverso la
misurazione della fluorescenza emessa da un fluoroforo.
Questa tecnica associa amplificazione e quantificazione in un’unica reazione: In una reazione di real
time PCR, la fluorescenza aumenta in proporzione all'accumulo dei prodotti di PCR.
Applicazioni della RT-PCR quantitativa in tempo reale
1. Quantificazione relativa ed assoluta dell'espressione genica.
2. Validazione dei risultati dei microarray del DNA.
3. Analisi delle variazioni, inclusa la scoperta e la convalida degli SNP.
4. Conteggio delle cariche batteriche, virali o fungine.
5. ecc.
Epigenetica
L'epigenetica è la disciplina scientifica che studia le modifiche delle funzioni geniche che non
dipendono da variazioni di sequenza del DNA, ma che sono fondamentali per tradurre
l’informazione (genotipo) in funzione (fenotipo). In questo ambito centrano essenzialmente tre
meccanismi principali strettamente interconnessi tra loro:
1) le modifiche post-traduzionali degli istoni
2) la metilazione del DNA
3) gli RNA non codificanti
Modificazioni epigenetiche sono state associate a diverse patologie, tra cui tumori e patologie
genetiche.

EPIGENETICA SPORTIVA/EPIGENOMICA
L'epigenetica rappresenta un ponte tra il patrimonio genetico individuale dell'individuo e l’ambiente
circostante esterno. I biomarkers epigenetici sono stati recentemente studiati come
predittori/determinanti della risposta/adattamento all'esercizio e all'allenamento.
Una revisione sistematica della letteratura mirata a identificare i cambiamenti a livello di epigenoma
rilevato nel muscolo scheletrico dopo esercizio fisico nelle popolazioni sane e ha trovato ventidue
studi, esplorando un’ampia gamma di marcatori epigenetici, tra cui Metilazione del DNA e
modificazioni dell’istone.
Metilazione
La metilazione del DNA, per esempio, è stata la prima modificazione epigenetica associata a malattie
oncologiche. Generalmente, nelle cellule tumorali si osserva un ipometilazione generale (associata
all'instabilità genomica tipica delle cellule tumorali) e un iper-metlazione di specifici geni (in genere
Oncosoppressori (inibiscono la crescita)).
Orologio epigenetico
I biomarcatori dell'invecchiamento basati sui dati di metilazione del DNA hanno consentito stime
accurate dell'età per qualsiasi tessuto durante l'intero corso della vita.
È un predittore dell'età multi-tessuto che consente di stimare l'età di metilazione del DNA della
maggior parte dei tessuti e dei tipi di cellule.
Gli orologi epigenetici predicono l'età o i fenotipi legati all'età combinando i valori di metilazione da
decine a centinaia di CpG selezionati utilizzando approcci di apprendimento automatico. Cancro ed
altre condizioni sono associate all'accelerazione dell'orologio epigenetico.
Non-coding RNAs
Anche alterazioni di diverse classi di ncRA, tra cui miRA e IncRNA, sono state associate a numerosi
tumori ma anche a patologie non oncologiche.
Comprendere queste alterazioni ha permesso l'identificazione di nuovi biormarcatori sia con
efficacia diagnostica sia rilevanti per lo sviluppo di nuovi trattamenti terapeutiche, nonché una
migliore comprensione di meccanismi patogenetici sottesi allo sviluppo di numerose patologie.

Alcuni miRNA sono stati espressi in modo differenziale nel sangue e nel plasma prima e dopo
l'esercizio, in particolare miR-140-3p, che è coinvolto nella patogenesi di diversi tumori maligni.
Altri miRNA erano miR-140-5p e miR-650, la cui funzione è correlata alla fisiologia del cuore, e altre
molecole coinvolte nella regolazione delle cascate di segnalazione come la via IGF
1/PI3K/AKT/mTOR.
E’ stato riscontrato che questi miRNA sono correlati ad alcuni parametri fisiologici, come VO2max,
risposta al carico di allenamento e modulazione dei muscoli scheletrici. Questi miRNA sono
microRNA muscolo-specifici e sono cruciali nello sviluppo del muscolo scheletrico.

EPIGENETICA SPORTIVA/EPIGENOMICA
Diversi autori hanno riportato cambiamenti nei modelli di metilazione dei geni correlati a processi
cellulari e biologici come diabete e alterazioni metaboliche e immunità, nonché isole CpG, in modo
più dettagliato, geni del fattore di crescita, ormone di rilascio dell'ormone della crescita (GNRH) e
fattore di crescita dei fibroblasti di tipo 1 (FGR-.1). Queste modifiche sono state studiate a livello dei
leucociti.
Kashimoto e i suoi collaboratori (Kashimoto et al, 2016) nei topi hanno scoperto che l'attività fisica
esercita un impatto significativo sui modelli di metilazione del DNA a livello delle strutture cerebrali,
come l’ipotalamo, ippocampo e corteccia, sottolineando il ruolo dell'esercizio e dell'attività fisica
come regolazioni epigenetiche della plasticità cerebrale e dei processi cognitivi e misure interrazziali
che contrastano l'invecchiamento e la neuro degenerazione.
Biomarkers Proteomici
Il proteoma rappresenta lo stato funzionale di una cellula/ tessuto/organo in quel dato momento.
Le proteine sono indicatori del fenotipo attuale:
1) Variazioni quantitative
2) Modificazioni qualitative
2) Splicing differenziale
b) Mutazioni
c) Modificazioni post-traduzionali
La proteomica e la sua importanza per la ricerca clinica e traslazionale
Dopo la translazione, le proteine vengono ripiegate dagli accompagnatori in alcuni casi assemblate
con altre proteine in complessi funzionali, trasportate nel sito giusto e modificate chimicamente da
varie aggiunte come fosforilazione, glicosilazione o acetilazione.
Tutte queste modificazioni possono influenzare profondamente l'attività biologica delle proteine.
Le proteine vengono quindi riciclate dopo la degradazione da parte dell'autofagia e/o del sistema
del protesoma dell'ubiquitina.
Le proteine possono essere quantificate in vari stadi di maturazione in modo diverso con metodi
diversi. Ad esempio, i test di estensione di prossimità richiedono un piegamento appropriato mentre
i metodi basati su LC-MS sono basati sulla sequenza AA.
Importanza biomarker proteomici
Il proteoma umano contiene 20000-25000 proteine non ridondanti, ma se includessimo gli eventi di
splicing alternativo dei trascritti, la proteolisi e le modificazioni post-traduzionali, il numero
salirebbe addirittura al milione. Gli studi dii proteomica possono avere diversi obiettivi, al di là della
“semplice” caratterizzazione di quali proteine vengono sintetizzate e in quale quantità.
Tecnologie in proteomica
I due principali metodi utilizzati in proteomica sono gli immunoassay(raggi con utilizzo di anticorpi)
e la spettrometria di massa. Negli immunoassay vengono utilizzati anticorpi in grado di riconoscere
specifiche proteine. Gli anticorpi vengono disegnati “su misura” e possono avere specificità per
determinate modifiche post-traduzionali(es. anticorpi in grado di riconoscere proteine fosforilate).
Workflow proteomico
La spettrometria di massa è la tecnologia principale usata in proteomica e consente il rilevamento
e la quantizzazione delle proteine in una matrice biologica complessa. E’ una tecnica molto precisa
che consente la distinzione delle proteine che differiscono in composizione per un solo atomo di
idrogeno. Utilizzata in combinazione con tecniche di separazione come la cromatografia, permette
di identificare peptidi noti e non noti.
Profilazione proteomica del muscolo scheletrico
Il diagramma di flusso delinea i vari passaggi preparativi e analitici coinvolti nell'indagine proteomica
di routine basata sulla spettrometria di massa dei tessuti contrattili. Di solito è la separazione delle
proteine prodotte mediante elettroforesi su gel di poliacrilammide unidimensionale, elettroforesi
su gel 2D con focalizzazione isoclettica nella prima dimensione e nella seconda dimensione del gel
della lastra (2-D IEF-PAGE) e/o cromatografo liquido.(1° e 2° metodo).
PROTEOMICA SPORTIVA
L'esercizio ha un profondo impatto sul proteoma, sul metabolismo energetico, sui percorsi dell'ATP
e sulla sintesi delle proteine mitocondriali.
È stato dimostrato che il proteoma plasmatico è correlato al livello estremo di stress fisico
sperimentato dagli atleti che partecipano alla gara di Spartathlon che hanno mostrato proteine
differenzialmente espresse appartenenti a diverse cascate e reti, tra cui infiammazione,
antiossidante, anticoagulante e ferro e vitamina D.
Per quanto riguarda gli infortuni sportivi, Sejersen e altri hanno esaminato la proteomica delle
patologie e tendinopatie della cuffia dei rotatori e hanno riscontrato un aumento del collagene I e
Il, diversi autori di MMP, hanno identificato l'IGF-1 e la proteina legante l'IGF 5 (IGIBP5) come
biomarcatori proteomici dell'urina, altamente correlati con velocità di andatura single-task e
predittiva di commozioni cerebrali.
Metaboloma e biomarker metabolici
Mentre la proteomica si confronta con una massa enorme di fenotipi proteici e quindi di possibili
biomarker, il metaboloma, ovvero, i substrati e i prodotti delle reazioni concatenate, è costituito da
un numero molto più ridotto di molecole rispetto a proteoma e genoma.
Il metaboloma comprende approssimativamente “solo” circa 7000 metaboliti. Può essere
considerato il complemento dinamico dei metaboliti cellulari e rappresenta fedelmente le
modificazioni fenotipiche associate a fisiologia, patologia e stato di salute. Offre quindi informazioni
rilevanti in senso diagnostico, di monitoraggio della malattia, di effetti della tempia di interazione
con fattori ambientali tra i quali assume particolare rilievo l'alimentazione.
Metaboloma e biomarker metabolici
L'approccio metabolomico utilizza tecniche separative in gradi di analizzare grandi numeri di
composti diversi; ad esempio il dosaggio cromatografico degli aminoacidi, dei glicidi, degli acidi
organici, delle porfirine.
Workflow metabolomico
Da circa 15 anni, l'applicazione in chimica clinica dei sistemi HPLC di ultima generazione, e
soprattutto l'introduzione della gascromatografia-spettrometria di massa (GC-MS), della
spettrometria di massa tandem (LC-MS-MIS) e della spettroscopia a risonanza magnetica hanno reso
possibile l'analisi quantitativa di pannelli di centinaia di metaboliti con tempi e costi estremamente
contenuti.
Sono state descritte tecniche in grado scoprire 1200 metaboliti diversi nel plasma, di cui almeno 250
con caratteristiche tali da costituire in prospettiva validi biomarker metabolici.
Strategie metabolomiche
La strategia del fingerprint è quella più tradizionale e si base sull'analisi dello spettro NMR
considerato come un’impronta digitale di segnali provenienti dai metaboliti Lo spettro viene
convertito in un formato utilizzabile per l'analisi multivariata e di metodi statistici quali l'analisi dei
componenti principali (PCA) o altre tecniche che analizzano somiglianze o diversità tra gli spettri.
La seconda tecnica è il cosiddetto profiling in cui si trasformano gli spettri NMR in una lista di
metaboliti specifici, con le relative concentrazioni. La fase di trasformazione dello spettro NMR è
molto complessa, ma i dati quantitativi disponibili consentono l'applicazione di analisi statistiche più
penetranti e informative.
La possibilità di caratterizzare quantitativamente i flussi metabolici e quindi identificarne il punto di
equilibrio apre la possibilità della valutazione omeostatica del metabolismo: è questo il settore
definito metabonomica che consiste nella misura quantitativa della risposta metabolica
multiparametrica dei sistemi viventi agli stimoli fisiopatologici o alle modificazioni genetiche.
La distinzione tra metabolimica e metabonomica è più filosofica che tecnica. Metabonomica
identifica modificazioni, metabolomica caratterizzazioni.
TARGETED VS UNTARGETED
L'approccio targeted è più semplice, perché va ad identificare uno o più metaboliti noti all'interno
di un campione, ottenendo uno spettro che mostra la presenza dei metaboliti selezionati.
Nell'approccio untargeted invece viene elaborato uno spettro molto complesso da interpretare,
perché comprende i picchi di tutti i metaboliti presenti nel campione al momento dell'analisi, che
generalmente sono migliaia, e fornisce quindi un'enorme quantità di dati da elaborare.
L'approccio untargeted, per quanto più complesso, ha però il vantaggio di analizzare
contemporaneamente tantissimi parametri che, tramite analisi statistiche sofisticate, possono
fornire informazioni fondamentali.
GLI SPORT METABOLOMICI/METABONOMICI
Sono stati identificate cinque categorie principali coperte da studi sulla
metabolomica/metabonomica dello sport e dell'esercizio; vale a dire:
• Esercizi metabolici;
• Esercizi metabolici con particolare attenzione agli aspetti nutrizionali;
• Metabolismo sportivo;
• Esercizi metabolici con particolare attenzione alle implicazioni cliniche;
• Valutazioni e confronti del metabolismo;
E’ stato scoperto che il metabolismo dell'esercizio era l'area di ricerca più affrontata dalle indagini a
scuola, generalmente utilizzando campioni di sangue e urina ma basandosi su criteri qualitativi non
mirati. piuttosto che piattaforme quantitative mirate.
METABOLICA SPORTIVA
Il volume dell'attività fisica e dell'esercizio fisico possono essere i maggiori motori degli adattamenti
metabolomici. Le alterazioni metabolomiche associate all'attività fisica complessiva sono più
comunemente caratterizzate da variazioni della massa grassa, metabolismo acido lattico, lipolisi,
ciclo TCA, glicolisi, metabolismo degli aminoacidi, metabolismo della carnitina, metabolismo delle
purine, metabolismo del colesterolo e sensibilità all'insulina, e altri,

LEZIONE 3

Nature insieme a Science sono giornali scientifici; Nature è il giornale ammiraglia, poi esistono tutte
una serie di costole di nature, rispetto alla disciplina specifica a cui il giornale si dedica; nel caso
dell’articolo sulle Eserchine, si tratta di Nature Reviews Endocrinologi, e si interessa esclusivamente
nel pubblicare temi riguardanti l’endocrinologia e Review sta per revisione, una tipologia di articolo
sostanzialmente volta a fare una revisione della letteratura su un determinato argomento. Un
articolo in cui si fa il punto della situazione rispetto a queste molecole che sono state definite come
Eserchine; sostanzialmente si tratta di un termine ombrello che vuole includere tutte quante le
molecole che vengono prodotte dai vari distretti corporei in risposta all’esercizio fisico. Nell’Abstract
dell’articolo massimo 100-150 parole su quello che viene discusso nell’articolo. Nell’Abstract
dell’articolo sulle Eserchine, troviamo detto: che gli effetti benefici che ormai sono riconosciuti e
vengono osservati in tutti i distretti corporei, questi effetti aumentano la resilienza(in questo caso
sta per adattamento all’esercizio fisico, adattamento biochimico), aumenta l’healthspan ossia una
delle tante misure che vengono utilizzate rispetto al processo dell’invecchiamento(non c’è una
parola in italiano per tradurlo), si intende la parte finale della vita, senza malattie; quindi un
invecchiamento di successo, ben diverso dal concetto standard di longevità, perché un organismo
umano può essere longevo, ma essere accompagnato da malattie. I meccanismi molecolari che
sottendono gli effetti benefici dell’esercizio fisico sostanzialmente sono poco capiti, compresi, e
dagli inizi del 2000 sono stati identificati tutta una serie di molecole segnale, in primis IL-6 che si è
visto essere coinvolta in tutta una serie di aspetti legati all’esercizio fisico, è un citochina il cui ruolo
è duale, nel senso che a seconda dei contesti, o del distretto corporeo in cui viene sintetizzata, può
agire sia da mediatore infiammatorio che anti-infiammatorio(nell’ultimo caso è questo che
generalmente accade), in seguito all’esercizio fisico a livello muscolare viene sintetizzata, e la sua
capacità anti-infiammatoria è legata alla soppressione dell’attività di un altro mediatore pro-
infiammatore chiamato Tumor necrosis factor alpha(TNFA). Quindi in un certo senso questo feed
delle Eserchine nasce con l’IL-6. Questa famiglia di molecole, sono molecole segnale che vengono
rilasciate sia in risposta all’esercizio fisico acuto, sia a quello cronico; la loro caratteristica è quella
di funzionare sia come molecole paracrine(influenzano i tessuti bersaglio una volta entrate nella
circolazione sistemica) oppure autocrina(influenzano la cellula stessa che le ha sintetizzate).
Un'altra caratteristica delle Eserchine, è che sia a livello tissutale che degli organi, rilasciano queste
molecole, per esempio quelle del muscolo scheletrico rilasciano una tipologia di Eserchine
conosciute come Miochine, a livello cardiaco le Cardiochine, Epatochine(fegato),
Adipochine(tessuto adiposo), a livello del sistema nervoso invece Neurochine. Abbiamo tutti i
distretti corporei e ciò che ci si riferisce a questa moltitudine di molecole conferendo loro un ruolo
nel miglioramento del metabolismo cardiovascolare, salute neurologica, inclusa quella
immunologica. L’ulteriore tema in una prospettiva finale(di chiusura articolo) non farmacologica,
per il trattamento di malattie cardiovascolari, diabete di tipo2; conoscere quali sono i reali effetti o
meglio i meccanismi molecolari di questo genere di molecole è di cruciale importanza in termini di
medicina preventiva. Gli autori dell’articolo poi differenziano l’esercizio fisico dall’attività motoria,
intendere l’esercizio fisico come un attività fisica intenzionale(traning aerobico, HIIT), invece
l’attività motoria, può includere una serie di attività domestiche o occupazionali.
Viene riportato che nella popolazione americana solo il 5% della popolazione segua le
raccomandazioni OMS ossia 150-300 min. a settimana di attività moderata o bassa intensità oppure
75-150 min. di attività ad intensità vigorosa. Il termine Eserchina pare sia stato coniato nel 2016,
anche se sostanzialmente questo concetto di fattore tumorale di una qualunque molecola di andare
ed entrare in circolazione, raggiungendo il suo tessuto bersaglio, può essere in termini di attività
fisica ricondotto ed identificata a circa un secolo fa, quando fu per la prima volta caratterizzato il
metabolismo dell’acido lattico e parallelamente lo scienziato che fece questo speculò, suppose
l’esistenza di una serie di fattori che erano legati all’esercizio fisico che erano coinvolti nell’utilizzo
del glucosio a livello epatico e muscolari. Negli USA rispetto alle Eserchine c’è molta attenzione, nel
senso, la comprensione del ruolo delle Eserchine in risposta all’esercizio fisico è diventato il
principale obiettivo dei molti studi sponsorizzati dall’National Institutes of Health (NIH) una sorta di
istituto superiore di sanità americano, con sede in Merylan, una serie di istituti, ma è l’ente che
fornisce i fondi pubblici alla ricerca americana, e appunto, molti di questi progetti sono finanziati da
esso, si pongono proprio l’obiettivo di dimostrare gli effetti benefici di queste Eserchine.
Nella tabella 1 troviamo le Eserchine ad azione paracrina o autocrina. Ovviamente parliamo di
proteine, di fattori di crescita, di mediatori infiammatori, ci sono molte molecole di cui abbiamo già
parlato tipo le HSP72 che sono molecole coinvolte nel ripiegare opportunamente le proteine, poi
c’è il BDNF, il principale fattore di crescita coinvolto negli effetti benefici dell’esercizio fisico a livello
del sistema nervoso.
L’esercizio fisico fa bene al sistema nervoso, per mantenere e migliorare le funzioni cognitive
celebrali, e tuttavia nonostante questo sia evidenza ormai piuttosto acclarata, cmq gli studi hanno
dimostrato soprattutto nei modelli animali(pochi, ma ci sono anche sugli esseri umani), nei processi
coinvolti nella neurogenesi, produzione di nuovi neuroni. Nicchie di staminalità(che portano alla
generazione di nuovi neuroni) da una 10ina di anni sono state individuate anche a livello del cervello
e sembra che la produzione di nuovi neuroni possa essere stimolata attraverso una serie di approcci
diversi, incluso l ‘esercizio fisico, e a livello del cervello umano dove l’esercizio fisico va
particolarmente ad agire è l’ippocampo e quindi se vi sono delle azioni benefiche a livello
ippocampale è chiaro che l’ esercizio fisico andrà a migliorare tutta una serie di aspetti legati
soprattutto alla memoria. Ci sono diversi studi su adulti dai 55 agli 80 anni, anche il semplice walking
program incrementa il volume ippocampale e migliora la memoria di questi soggetti che hanno
partecipato a tale programma, perchè ovviamente con l invecchiamento l ‘ippocampo tend ad
atrofizzarsi, e naturalmente tutto questo è anche legato a tutta una serie di aspetti legati alla
prevenzione delle malattie neurodegenerative, ma anche ad una migliore gestione nei casi di
persone affette da declino cognitivo lieve o più conclamata. Ci sono protocolli per gli Alzheimeriani
dove vengono fatti ballare, con miglioramenti sia a livello comportamentale che cognitivo
molecolare, e a livello cognitivo molecolare negli umani l’esercizio aumenta soprattutto i livelli
plasmatici del BDNF, fattore di crescita neuronale e che è essenziale per la neurogenesi che avviene
a livello dell’ippocampo, ma anche essenziale a livello di maggiore plasticità sinaptica. Il BDNF viene
sintetizzato durante l’esercizio ma la sua sintesi non viene indotta nel cronico. Le altre domande
poste riguardano se: tali Eserchine vengono sintetizzate insieme in risposta all’attività fisica, e
vengono sintetizzate da diversi distretti corporei, parte di esse hanno il tessuto bersaglio l’SNC,
esiste il problema del superamento della barriera emato-encefalica(tutto ciò ancora da chiarire).
All’interno del corpo di chi fa attività fisica, c’è la possibilità, in parte dimostrata che queste molecole
vengano veicolate attraverso l’utilizzo di vescicole extracellulari e quindi una sorta di trasportatori
che si muovono nella circolazione sistemica e permettono che si instaurino iterazioni cellula-cellula;
un esempio di vescicole extracellulari che agiscono come Eserchine sono legate anche i microRNA,
sintetizzati a livello di determinati distretti vengono veicolati attraverso queste vescicole, però lo
studio di queste vescicole è estremamente complicato perchè devono essere isolate per capire qual
sia la loro reale funzione, e il loro isolamento prevede tutta una serie di passaggi pre-analitici che
includono l’isolamento, la giusta tecnica per isolarle. Vengono discusse anche tutte una serie di
piattaforme tecnologiche con cui vengono studiate queste eserchine.
QUANTO L’ESERCIZIO FISICO PUO’ INFLUENZARE LA COMPOSIZIONE DEL NOSTRO MICROBIOTA?
Metagenomica e analisi del microbioma
La metagenomica è, nell'ambito delle scienze "omiche", la disciplina che, sfruttando biotecnologie
avanzate, studia la complessità delle comunità microbiche direttamente nel loro ambiente naturale.
Il termine microbiota definisce la comunità di microrganismi, compresi batteri, archea, virus e alcuni
eucarioti unicellulari, che vivono in un determinato ambiente; il microbioma, invece, è l'insieme di
tutti gli elementi genomici di uno specifico microbiota.

Quella nell’immagine è la mappa di quello che si conosce fino ad ora di tutte le specie batteriche, i
microorganismi, quindi anche funghi che popolano i nostri distretti corporei, la maggior parte dell
info riguarda il microbiota intestinale, ma esistono anche progetti volti ad identificare, caratterizzare
per esempio tutti i ceppi batterici che popolano la nostra pelle. Microbiota(tutte le specie, ceppi
batterici che popolano il nostro corpo) Microbioma(all’insieme di tutti i genomi di tutte le specie
batteriche che popolano il nostro corpo). “Il nostro secondo cervello è nello stomaco”. Modulare
positivamente la composizione del microbiota intestinale(nuova ricerca): si intende spostare la
composizione batterica verso i ceppi positivi.

I numeri del microbiota umano


La maggior parte del microbiota umano risiede nell'intestino (>1000 specie diverse). Si stima che nel
solo colon umano la densità di cellule microbiche sia maggiore di 1011 cellule/g, equivalente a 1-2
kg di peso corporeo, e che il solo microbioma intestinale umano codifichi per più di 5 milioni di geni
diversi, molti di più degli stessi geni umani.
Il concetto di "olobionte" o super-organismo, inteso come l'insieme delle cellule umane e
microbiche presenti in uno specifico ecosistema, e la cui eterogeneità dipende dalla colonizzazione
delle nicchie corporee e dal corredo genetico dell'ospite, è diventato ampiamente utilizzato.
Microbiota e sviluppo
Il neonato e il microbiota si sviluppano in sintonia sotto l'effetto di stimoli nutrizionali, immunologici
ormonali e prebiotici del latte materno.
Dopo lo svezzamento, il microbiota(entità estremamente dinamica, stessa etnia ed età, ma location
geografica differente, microbiota completamente differente) intestinale si stabilizza fino a diventare
simile a quello di un individuo adulto e caratterizzato da un core(cuore) microbico che tende a
rimanere costante per tutta la durata della vita. La caratterizzazione longitudinale del microbioma
intestinale umano ha dimostrato che il microbioma di un adulto resta relativamente stabile e unico
per ogni individuo comparato con il drastico cambiamento che avviene durante i primi tre anni di
vita. Dal punto di vista nutrizionale avere i giusti ceppi batterici ci permette di beneficiare di alcuni
alimenti quando raggiunge l’intestino, dove tali ceppi scindono i composti di tali alimenti per
produrre metaboliti(a volte benefici più dei composti presenti negli alimenti). Affinché quel
metabolita venga prodotto uno deve avere il ceppo batterico coinvolto nella sintesi del metabolita
a partire dal composto di partenza. Ad esempio gli ISOFLAVONI della SOIA(benefici in donne
menopausa, + estrogeni) le donne occidentali non hanno quei ceppi batterici che portano a produrre
quel metabolita(equolo), cosa che hanno le donne orientali perchè grandi consumatrici di SOIA;
quindi possiamo stimolare la presenza di ceppi batterici benefici con strategie diverse che possono
includere anche l’esercizio fisico.
Dinamicità del microbiota umano
Svolge funzioni fondamentali per lo sviluppo del sistema immunitario, la digestione e le reazioni di
disintossicazione. Produce proteine coinvolte in funzioni fondamentali per la salute dell'ospite,
come gli enzimi necessari per l'idrolisi o la sintesi di sostanze. La composizione può essere
influenzata da una serie di fattori, quali età, dieta, cicli ormonali, viaggi, terapie e malattie; Variazioni
significative sono spesso associate a patologie. Il mantenimento dell'omeostasi di un microbioma
umano "sano" (intesa come composizione qualitativa e quantitativa) appare fondamentale per il
mantenimento dello stato di salute; alterazioni, definite "disbiosi", appaiono associate
all'insorgenza di numerose patologie.
Squilibri del microbiota e associazione a patologie
La disbiosi(ceppi batterici non benefici) è associata all'insorgenza e/o all'evoluzione di un numero
elevato di patologie, quali l'obesità, patologie cardiovascolari, malattie autoimmuni, cancro,
infezioni, sindrome da fatica cronica, colite, vaginosi batterica, malattie neurodegenerative, ansia e
depressione.
Microbiota disbiosi: Diabete, obesità, Autismo, Allergie, Cancro, problemi cardiaci e reumatici.
Alcuni studi epidemiologici hanno dimostrato che una complessiva riduzione della densità
microbica del tratto digestivo sia associata a malattie, quali eczema, asma, malattie infiammatorie,
diabete, obesità, allergie, e disordini del tratto digestivo.

Microbiota(Ci aiuta a produrre tutta una serie di molecole fondamentali alla salute dell’ospite, cioè
noi; ma tutta la composizione può essere influenzata da una serie di fattori quali l’età, minor bio-
disponibilità=variazione composizione microbiota, tale variazione prevalentemente legata,
soprattutto col passare del tempo, ad un deficit nella ricchezza di tali specie batteriche che popolano
l’intestino, tali specie tendono a diminuire con la presenza di altri ceppi associati ad una serie di
condizioni negative quali cicli ormonali, viaggi, terapie, e l’esercizio fisico).

Human Microbiome Project


Volto all'identificazione di una disbiosi patologia-specifica, può permettere di: (1) ottenere
informazioni relative ai meccanismi patogenetici; (2) identificare(biomarker) possibili marcatori
diagnostici e prognostici; o (3) identificare possibili bersagli per nuovi approcci terapeutici.
Il Progetto Microbioma Umano punta a ottenere la caratterizzazione completa del microbioma
umano e a comprendere il suo ruolo nello stato di salute e malattia.

L’attività fisica è una terapia non farmacologica ed uno degli approcci più promettenti perchè è CIP
ossia non costa niente, tutti la possono fare e tutti possono riceverne benefici.
Akermansia: ceppo batterio tra i più studiati, provenienti dalla frutta, serie effetti benefici;
Abbassano stato infiammatorio, producono metaboliti particolari= dieta più esercizio= ceppi
batterici con tali effetti benefici
Prebiotici: fibre probiotici: quelli che sono nello yogurt
Metodologia: Analisi del 16s rRNA
La strategia più utilizzata prevede l'analisi dell'RNA ribosomiale (RNA) 16S batterico che permette
di studiare la complessità di un intero microbioma batterico. Il gene dell'rRNA 16S è una molecola
tradizionalmente utilizzata per la classificazione filogenetica dei batteri per la sua struttura peculiare
caratterizzata da regioni ipervariabili intervallate da regioni ultra-conservate.

Pertanto, primer universali, complementari alle regioni ultra-conservate, possono essere utilizzati
per amplificare, teoricamente, in una singola reazione di PCR, la sequenza del gene dell'rRNA 16S di
tutti i batteri presenti in un determinato ambiente. L'identificazione dei singoli batteri avviene poi,
al termine del sequenziamento, attraverso la comparazione delle sequenze ipervariabili rilevate con
quelle presenti in specifiche banche dati.
L'esercizio induce cambiamenti nel microbiota intestinale - CRF aumentata in soggetti
precedentemente inattivi
Paa= physical activity per month
Crf= fitness cardio respiratoria= aspetti legati ad un maggior consumo di ossigeno.
Una volta che un soggetto aumenta la PAA, vengono indotti una serie di adattamenti molecolari
benefici che consentono il potenziamento della CRE. Il consumo maggiore di ossigeno è correlato a
un minor rischio cardiometabolico, che può verificarsi aumentando progressivamente le attività che
richiedono energia basate sull'allenamento di resistenza
Ricerche recenti hanno fornito informazioni su un progressivo aumento di membri utili provenienti
da diversi ceppi di batteri. Tuttavia, questi cambiamenti potrebbero dipendere dallo stato dell'BMI,
dalla domanda di energia e dal tempo di esposizione all'esercizio.

Adattamento del microbiota intestinale negli atleti


Un microbiota intestinale unico può essere presente negli sportivi d'élite e batteri speciali e unici
possono avere un impatto positivo sull'ospite, fornendo substrati dalla dieta.
Si propone che le modifiche dell'ecosistema del microbiota intestinale debbano creare reti
cooperative per migliorare le funzioni metaboliche, in particolare la produzione di biometaboliti che
possono essere utilizzati per l'ospite (in questo caso, durante attività prestazionali molto
impegnative).
Alimentare i microbi per le prestazioni atletiche
Le strategie dietetiche incentrate sullo sport e sull'intestino modulano entrambe la composizione e
la funzione del microbiota intestinale, che può quindi mediare o modulare le prestazioni atletiche.
I processi digestivi umani producono amminoacidi e acidi grassi rispettivamente dalle proteine e dai
grassi ingeriti, mentre i carboidrati non digeribili arrivano intatti all'intestino crasso.
Questi componenti, così come gli integratori ingeriti come i probiotici, interagiscono quindi con il
microbiota intestinale, che produce metaboliti che influenzano la funzione gastrointestinale e le
funzioni sistemiche come l'accumulo di glicogeno, l'utilizzo del carburante e la funzione muscolare
che hanno il potenziale per influenzare le prestazioni atletiche.
Riassunto degli studi pubblicati sull'attività fisica e sul microbiota intestinale umano. Sono stati presi
in considerazione solo gli articoli di ricerca basati su tecnologie di sequenziamento di nuova
generazione e pubblicati nel 2018-2020. Viene riportato l'impatto dell'attività fisica sulla
composizione e la funzionalità del microbiota intestinale. BMI, indice di massa corporea, SCFA, acido
grasso a catena corta; TMA, trimetilammina; TAO, trimetilammina N-ossido.
Demografia
Negli ultimi 200 anni, l'aspettativa di vita è più che raddoppiata, arrivando a quasi 80 anni (78,8 nel
2015), con notevoli miglioramenti in termini di salute e qualità della vita. Il più grande aumento
dell'aspettativa di vita si è verificato tra il 1880 e il 1920 a causa dei miglioramenti della salute
pubblica.
Dal 1840, l'aspettativa di vita alla nascita è aumentata di circa tre mesi ogni anno che passava. Nel
1840, l'aspettativa di vita alla nascita in Svezia, nazione molto studiata grazie alla sua tenuta dei
registri, era di 45 anni per le donne; oggi 83 anni.
Se si continuano ad aggiungere circa tre mesi ogni anno che passa, entro la metà di questo secolo,
L'aspettativa di vita americana alla nascita sarà di 88 anni. Entro la fine del secolo, sarà di 100 anni.
Perché l'invecchiamento è un problema?
(Aumentare il periodo della vita libero dalle malattie croniche e disabilità che caratterizzano
l’invecchiamento)
Livello individuale àInvecchiamento "sano vs malato"; (il concetto di durata della vita sana)
Livello sociale àdai baby boomer allo tsunami grigio:
Sostenibilità fiscale (pensioni, budget sanitari); Produttività (personale e caregiver); Età
pensionabile
Sfide geopolitiche;
Spinto dal calo della fertilità rafforzato dall'aumento della longevitààNel 2000, per la prima volta
nella storia, c'erano più persone sopra i 60 anni che bambini sotto i 5 anni.
Invecchiamento Cosa comporta? (Udito, ICTUS, asma, artrite, diabete, cancro)
L'invecchiamento non è altro che una malattia multifattoriale in cui tante diverse alterazioni
morbose convergono verso la "fragilità" dell'individuo, determinando quello che si chiama
"invecchiamento".
Tutte le cause che producono il deterioramento della salute dell'individuo sono in realtà malattie e
non esiste un deterioramento dell'organismo legato a cause intrinseche indipendenti da malattie
Spingere il concetto che l'invecchiamento è curabile perché sono curabili le cause
dell'invecchiamento. Certamente questo non porterà all'immortalità, ma soltanto che la vita è
sempre più tutelabile nella sua tendenza alla salute positiva, cioè all'equilibrio positivo in favore
della buona salute.
Fattori determinanti

Fattori genetici predisponenti (medicina predittiva) e fattori ambientali (exposoma) che modulano
nel corso dell'esistenza il fenotipo di ciascun individuo nel benessere e nelle malattie. L'insieme delle
frecce rosse rappresentano gli effetti dannosi sulla salute umana da parte dell'exposoma.

Lifespan vs. Healthspan


Durata della vita: una metrica di ricerca comune sull'invecchiamento, è quanto tempo viviamo dalla
nascita
Qualità della vita: il periodo di vita libero da malattie croniche gravi e disabilità. L'estensione della
salute è una componente fondamentale per raggiungere una longevità ottimale, definita come
vivere a lungo, ma con buona salute, funzionalità, produttività e indipendenza.
Il percorso dall'invecchiamento in buona salute all'Alzheimer
Verso la definizione delle fasi precliniche del morbo di Alzheimer: raccomandazioni dei gruppi di
lavoro dell'Istituto nazionale sull'invecchiamento-Alzheirer's Association sulle linee guida
diagnostiche per il morbo di Alzheimer.
Questa curva ci dice che l’insorgenza dell’Alzheimer comincia decadi prima della forma conclamata
della malattia. I primi cambiamenti a livello neurologico che strutturale possono avvenire anche 30
anni prima. Della forma declamata- finestra ampia di decadi su cui lavorare in termini di
prevenzione, su quei processi che sottendono l’invecchiamento.

Geroscienza traslazionale: un nuovo paradigma per la medicina del 21° secolo


Enfatizzare la funzione per ottenere una longevità ottimale:
Comprimere la morbilità rallentando i processi di invecchiamento
Rallentare i processi biologici fondamentali dell'invecchiamento come tattica per ritardare l'età di
insorgenza di comorbilità multiple, invece di prevenire o curare i disturbi clinici individuali associati
all'età.

LEZIONE 4

Dislipidemie
il termine dislipidemia identifica un ampio spettro di condizioni associate ad anomalie del
metabolismo lipidico che comportano una significativa alterazione dei livelli plasmatici delle
lipoproteine e dei lipidi ad esse associate. Rappresentano un importante fattore di rischio
cardiovascolare. Circa il 35% della popolazione italiana presenta qualche forma di dislipidemia. Le
alterazioni che rivestono maggior interesse dal punto di vista cardiovascolare sono
l’ipercolesterolemia, l’ipertrigliceridemia e bassi livelli di HDL.
Lipoproteine
Proteine del sangue la cui principale funzione è il trasporto del colesterolo, dei trigliceridi e di altri
grassi non idrosolubili attraverso l’organismo. I lipidi vengono circondati da un involucro di proteine
(apoproteine) e formano una struttura che prende il nome di lipoproteina. Costituite da un core
idrofobico formato da lipidi non polari, principalmente esteri del colesterolo e trigliceridi, circondato
da una membrana o superfice idrofilica costituita da fosfolipidi, colesterolo libero e apolipoproteine
(o apoproteine).
In base alle dimensioni, alla composizione lipidica e apoproteica, le lipoproteine sono suddivise in 7
classi:
1) Chilomicroni
2) Chilomicroni remnants(rimanenti, dalla degradazione delle altre lipoproteine)
3) Lipoproteine a densità molto bassa o VLDL
4) Lipoproteine a densità intermedia o LDL
5) Lipoproteine a bassa densità o LDL
6) Lipoproteine ad alta densità o HDL
7) Lipoproteine(a) o Lp(a)
Le HDL sono le uniche anti-aterogeniche(riducono infatti il rischio di formazione delle placche)

Chilomicroni
I chilomicroni sono le lipoproteine di dimensioni maggiori, sintetizzate a livello intestinale, con il
ruolo primario di trasportare grassi di origine esogena, principalmente trigliceridi, assorbiti a livello
degli enterociti, al fegato e ai tessuti periferici. Tra le apolipoproteine che costituiscono i
chilomicroni, l’ApoB-48 rappresenta l’isoforma più importante, avendo non soltanto un ruolo
strutturale ma anche funzionale in quanto media l’esocitosi della particella dall’enterocita.
Le dimensioni dei chilomicroni variano in funzione alla quantità dei grassi ingeriti. I chilomicroni
sono secreti nella circolazione linfatica, e in seguito, rilasciati, attraverso il detto toracico, nella
circolazione sistemica. In questo modo, i chilomicroni non giungono direttamente al fegato
attraverso la circolazione portale, evitando cosi un sovraccarico di grassi che potrebbe portare a
steatosi epatica. In circolo, la rimozione dei trigliceridi dai chilomicroni a opera delle lipasi endoteliali
porta alla formazione di particelle più piccole, note come chilomicroni remnants. Questi sono
arricchiti in colesterolo e sono pro-aterogeni.

VLDL e LDL
Le VLDL sono le lipoproteine a densità molto bassa, sintetizzate a livello epatico. Rappresentano il
principale veicolo di trasporto plasmatico dei trigliceridi endogeni sintetizzati nel fegato.
Analogamente ai chilomicroni, le dimensioni delle VLDL possono variare in funzione della quantità
di trigliceridi trasportati dalla particella.
Le VLDL immesse nella circolazione, interagiscono con le lipasi lipoproteiche che, attraverso l’idrolisi
dei trigliceridi, ne determinano la conversione dapprima in IDL e, successivamente in LDL.
LDL
Le LDL presentano un elevato contenuto di colesterolo. La loro funzione principale è, infatti, il
trasporto di colesterolo nel plasma, in forma sia libera sia esterificata. Le principali apolipoproteina
è l’ApoB-100 che media l’interazione della lipoproteina con il suo recettore (R-LDL) espresso sulla
membrana cellulare (soprattutto nel fegato). Il recettore permette il traporto di LDL nella cellula
dove viene rilasciato il colesterolo.
LDL ossidate
Quando le LDL a concentrazioni elevate sono aterogene. Possono diffondere passivamente
nascondersi nelle arterie, Innescando una risposta infiammatoria. In queste condizioni vanno
incontro a un processo di ossidazione, le LDL ossidate sono fagocitate dai macrofagi, i quali si
trasformano in “Cellule Schiumose”, tipiche delle lesioni aterosclerotiche. I macrofagi internalizzano
LDL ossidate fin quando non vanno incontro ad apoptosi o necrosi, contribuendo cosi alla
formazione della placca.
Dimensioni delle LDL
Le LDL consistono di uno spettro di particelle che variano in dimensione e densità.
Le LDL piccole e dense sono le più aterogene.
1) Hanno una minore affinità per il recettore delle LDL., prolungando cosi la permanenza delle
lipoproteine in circolo.
2) Penetrano più facilmente nella parte delle arterie dove, legandosi con maggiore avidità si
proteoglicani, restano intrappolate.
3) Sono più suscettibili all’ossidazione che potrebbe risultare in una maggiore captazione da
parte dei macrofagi.

HDL
Funzionano da scavenger, mediando il trasporto del colesterolo dai tessuti periferici al fegato. Le
HDL nascenti, sintetizzate a livello epatico e intestinale, note come pre-beta HDL, captano a livello
periferico il colesterolo libero, mediante interazione con l’enzima ABCA1 (ATP binding cassette
transport A1), e lo esterificano grazie all’enzima LCAT (lectina-colesterolo aciltransferasu), associato
alla loro membrana. Il principale induttore dell’enzima LCAT è l’apolipoproteina ApoA-1, che
rappresenta la più abbondante componente proteica delle HDL.
HDL lifecycle
Il continuo accumulo di colesterolo esterificato nel core della lipoproteina trasforma le HDL nascenti
da particelle discoidali a particelle sferiche, dette HDL3. Grazie alla proteina di trasferimento del
colesterolo esterificato (CETP), la HDL cede colesterolo esterificato, in cambio di trigliceridi, VLDL,IDL
e chilomicroni e si trasforma in HDL2. Le HDL2, arricchite in trigliceridi, possono essere
metabolizzate dalla lipasi epatica e lipoproteica e tornare allo stadio di HDL nascente o captate e
degradate dal fegato. L’accelerato catabolismo delle HDL2 ricche di trigliceridi spiega il comune
riscontro di bassi livelli di colesterolo HDL in presenza di ipertrigliceridemia.

La lipoproteina(a)-Lp(a)
La lipoproteina (a), sintetizzata a livello epatico, è una lipoproteina strutturale simile alle LDL,
costituita da una molecola di ApoB-100 legata covalentemente, mediante ponti disolfuro,
all’apolipoproteina(a). Il ruolo fisiologico di Lp(a) non è ancora del tutto chiaro, ma livelli >30mg/dL
si associano a un aumento rischio aterosclerotico.
Apolipoproteine
Hanno 4 principali funzioni:
1) Ruolo strutturale
2) Legame dei recettori delle lipoproteine
3) Guida nella formazione delle lipoproteine
4) Attivazione o inibizione degli enzimi coinvolti nel metabolismo delle lipoproteine
Le apolipoproteine, quindi hanno un ruolo cruciale nel metabolismo delle lipoproteine.
Molecole nel metabolismo delle lipoproteine:
Recettore delle LDL (R-LDL)
È espresso sulle cellule del fegato e dalla maggior parte dei tessuti. Media l’endocitosi delle LDL, dei
chilomicroni remnats e delle LDL attraverso l’interazione con ApoB-100 e ApoE. In seguito
all’internalizzazione del complesso recettore-LDL si verifica una scissione del legame recettore-
lipoproteina; il recettore è riciclato e trasportato alla membrana, mentre la lipoproteina va incontro
a degradazione lisosomiale che porta alla liberazione delle sue componenti proteiche e lipidiche.

Molecole nel metabolismo delle lipoproteine


Lipoproteina lipasi (LPL)
La LPL è un enzima sintetizzato in numerosi tessuti, inclusi il tessuto muscolare e adiposo. La LPL
catalizza l’idrolisi dei trigliceridi dei chilomicroni e delle VLDL, liberando glicerolo e acidi grassi, i
quali, una volta rilasciati, sono captati dalle cellule (B-ossidazione). Il catabolismo dei trigliceridi
porta alla conversione dei chilomicroni in chilomicroni remnants e delle VLDL in IDL. La LPL richiede
ApoC-II come cofattore.
Molecole nel metabolismo delle lipoproteine
Lectina-colesterolo aciltrasferasi (LCAT)
LCAT è un enzima sintetizzato nel fegato e secreto nel plasma, dove circola per la maggior parte
associato alle HDL. Sulle HDL catalizza la sintesi di esteri del colesterolo. Il colesterolo libero presente
sulla superficie delle HDL, una volta esterificato, è trasferito all’interno della particella. In questo
modo, attraverso la riduzione del colesterolo sulla superficie delle HDL, viene favorito il continuo
uptake di colesterolo libero da parte delle HDL. L’ApoA-I funge da cofattore delle LCAT.

Molecole nel metabolismo delle lipoproteine


Recettore scavenger di classe B tipo 1(SR-B1): appartiene alla famiglia dei recettori scavenger ed è
espresso nel fegato e in altri tipi di cellulari. Nel fegato e nelle cellule che producono steroidi media
l’uptake selettivo degli esteri del colesterolo delle HDL.
Trasportatore di membrana ATP-dipendente A1(ABCA1): è espresso nella maggior parte delle
cellule, tra cui epatociti, dove media il trasporto di colesterolo e fosfolipidi delle cellule alle HDL,
povere di lipidi (pre-beta HDL). Pertanto, ha un ruolo fondamentale nei processi iniziali di lipidazione
delle HDL nascenti.
AcilCoA-colesterolo aciltrasferasi (ACTA): media l’esterificazione del colesterolo con una molecola
di acido grasso. L’esterificazione rende il colesterolo ancora più lipofilo e adatto alla conservazione
o al trasporto tramite le lipoproteine plasmatiche.
Lipasi epatica: enzima localizzato sulla superficie degli epatociti, dove media l’idrolisi dei trigliceridi
e dei fosfolipidi delle IDL e LDL, portando alla formazione di particelle più piccole.
Proteina di trasferimento degli esteri del colesterolo (CETP): è una glicoproteina sintetizzata dal
fegato e rilasciata nel plasma dove il trasferimento degli esteri del colesterolo delle HDL a VLDL,
chilomicroni e LDL, e il trasferimento dei trigliceridi da VLDL e chilomicroni alle HDL. L’inibizione
dell’attività di CEPT porta a un aumento del colesterolo HDL e a una riduzione di LDL.

Molecole nel metabolismo delle lipoproteine e dei lipidi


Il metabolismo delle lipoproteine è suddiviso in una via esogena e una endogena, connesse tramite
il fegato.
Nella via esogena, il colesterolo e i trigliceridi della dieta vengono incorporati nei chilomicroni che
sono assorbiti nel torrente linfatico e poi nel sangue attraverso il dotto toracico. A livello dei capillari
delle cellule adipose, muscolari, renali e neuronali, per l’azione idrolitica della LPL, vengono scissi in
acidi grassi liberi (ossidati nelle cellule muscolari a scopo energetico, oppure depositati, previa
riesterificazione, come trigliceridi nel tessuto adiposo) e nei chilomicroni remnant che vengono
captati nel fegato attraverso il recettore LRP.
La via endogena ha inizio a livello epatico con la secrezione delle VLDL, che vengono idrolizzate dalle
LPL, con formazione di IDL, i quali possono essere captati dal fegato attraverso il recettore LRP,
oppure ulteriormente delipidati dalla lipasi epatica con trasformazione in LDL. Le LDL vanno incontro
o a captazione epatica da parte del recettore LDL o trasportano il colesterolo ai tessuti periferici,
dove regolano sia la sintesi de novo(nuova) sia l’uptake(assorbimento) del colesterolo. La quota non
rimossa dal circolo attraverso questo meccanismo è incorporata all’interno della parete vascolare
(le placche ateromatose).
Trasporto inverso del colesterolo
È la via metabolica per eliminare il colesterolo in eccesso. Le HDL hanno il compito di rimuovere il
colesterolo dai tessuti poiché le cellule umane non possono degradare il colesterolo e l’eccesso di
tale composto deve essere trasportato al fegato per il riutilizzo e/o l’eliminazione (evitare deposito
lungo la parete delle arterie).
1) Le HDL vengono rilasciate dal fegato e dall’intestino in una forma immatura;
2) I tessuti periferici e i macrofagi cedono il colesterolo libero alle HDL;
3) Il colesterolo libero viene esterificato, portando così alla formazione delle HDL mature che
rilasciano colesterolo al fegato;

Dislipidemie primitive
Le dislipidemie primitive sono associate a grave e precoce insorgenza di eventi cardiovascolari. Per
alcune forme è stato individuato il difetto genetico e la modalità di trasmissione. Si ritiene che la
patogenesi sia dovuta a difetti genici multipli che, combinandosi, possano produrre importanti
effetti sulla concentrazione plasmatiche lipidiche con conseguenti danni legati alla prolungata
esposizione.

Dislipidemie secondarie
Alterazioni delle lipoproteine spesso sono conseguenza di patologie, sia di origine endocrino-
metabolica sia non, o di assunzione di farmaci. Le dislipidemie secondarie possono coesistere con
le dislipidemie primitive.
Determinazione del profilo lipidico
Il prelievo venoso per la determinazione dei parametri lipidici deve essere eseguito nelle seguenti
condizioni:
1) Dieta abituale, incluso il consumo di alcol, fino a 24 ore prima del prelievo
2) Sospendere circa 3 settimane prima del prelievo, terapie che influenzano la lipemia
3) Non eseguire il test prima di 2-3 mesi da un parto o traumi
4) Non eseguire il test prima di 2 settimane in seguito a un episodio di flogosi
5) Mantenere la stasi venosa solo per il tempo strettamente necessario (massimo 1 minuto) e
togliere il laccio non appena il sangue comincia a defluire
6) Il campione può essere siero o plasma
7) I risultati devono essere confermati su almeno due campioni ottenuti a distanza di 7 giorni.
Valori plasmatici desiderabili

Per essere certi che la qualità del dosaggio sia adeguata, i valori ottenuti dal singolo laboratorio non
si devono discostare dal valore del metodo di riferimento per più del 3% e i metodi di misura devono
avere un’imprecisione (espressa come coefficiente di valutazione) inferiore al 5%. L’errore totale
deve essere <8,9%.
Diagnosi delle dislipidemie
La diagnosi di dislipidemia si basa su un esame del sangue finalizzato alla valutazione del profilo
lipidico di base che include la determinazione di: TG,CT,C-HDL,C-LDL e dei loro rapporti. Sebbene
nella maggior parte dei casi la dislipidemia sia diagnosticata casualmente nel corso di esami di
routine, lo screening è consigliato in tutti gli adulti di sesso maschile>=40anni d’età e di sesso
femminile >=50 anni d’età o in post-menopausa, soprattutto in presenza di altri fattori di rischio
cardiovascolare. Tutti i soggetti con evidenza di aterosclerosi in qualsiasi letto vascolare o con
diabete di tipo 2, indipendentemente dall’età, sono considerati a elevato rischio. Individui con una
storia familiare di malattia cardiovascolare prematura e i figli di pazienti con grave dislipidemia
dovrebbero essere sottoposti a screening, cosi come i pazienti con ipertensione arteriosa e obesità
centrale, definita come circonferenza>=94 cm negli uomini e >=80 cm nelle donne, o con un
BMI>=25kg/m2.
Diagnosi delle dislipidemie familiari
Poiché sono caratterizzate da elevati livelli di lipidi, nell’adulto, il riscontro, almeno una volta, di un
valore di colesterolo totale >250mg/dl e/o di trigliceridi >250mg/dl può portare al sospetto
diagnostico di dislipidemia familiare. È necessario ricontrollare il profilo lipidico completo in seguito
a un periodo di dieta adeguata e svolgimento di attività fisica regolare. È necessario eseguire
l’indagine anamnestica familiare (eventi cardiovascolari precoci e dislipidemie), l’esame obiettivo
completo finalizzato alla ricerca di xantomi, xantelasmi, arco corneale e lipemia retinalis e
l’esclusione di forme secondarie attraverso opportune indagini di laboratorio, che includono la
valutazione del TSH, indici di funzionalità renale, epatica e glicemia
Metodi di misura
Per il dosaggio dei lipidi sono comunemente utilizzati i metodi enzimatico-colorimetrici.
Colesterolo totale: nei laboratori, per il dosaggio del CT è uniformemente adottato il metodo
enzimatico CHOD/POD/trinder. Utilizza: colesterolo esterasi, colesterolo osssidasi,perossidasi, e 4-
aminoantipirina.
Il campione di siero è sottoposto alla azione di enzimi che formano un complesso chinonico colorato.
L’intensità del colore viene letta fotometricamente a lunghezza d’onda pari a 510 nm ed è
proporzionale alla concentrazione del colesterolo nel campione.
Colesterolo LDL: nella maggior parte dei laboratori il C-LDL è calcolato con la formula di Friedewald:
in mmol/L c-LDL= CT-C-HDL-(TG/2,2)
in mg/dL C-LDL= CT-C-HDL- (TG/5)
recentemente sono stati sviluppati metodi diretti (tipo immunologico o con ultracentrifuga) per la
determinazione del C-LDL i cui valori risultano in accordo con quelli ottenuti con la formula. I metodi
diretti sembrerebbero aver prestazioni analitiche superiori alla formula di friedwald.
In base alla condizione del soggetto, i valori desiderabili sono:
1) <_3,00mmol/L o <_115mg/dL in persone sane
2) <_2,60mmol/L o <_100mg/dl in persone con altri fattori di rischio cardiovascolari ma senza
malattie cardiovascolari in atto o pregresse.
3) <_1,8mmol/L o <_70mg/dL in pazienti con malattie cardiovascolari pregresse o in atto.
Trigliceridi: i TG sono comunemente dosati con metodi enzimatici che misurano il glicerolo libero
prodotto dall’idrolisi dei TG. Sebbene questi metodi misurino anche il glicerolo libero ottenuto
dall’idrolisi, mediata dalle lipasi, dei TG circolanti, la sua concentrazione è normalmente
trascurabile.
I trigliceridi presentano una variabilità biologica intraindividuale particolarmente elevata. In
particolare, il fumo, l’esercizio fisico e l’alcol sono in grado di modificare significativamente i livelli
di TG. I valori desiderabili devono essere <_1,70 mmol/L o <_150mg/dL.
Modificazione dello stile di vita per migliorare il profilo lipidico
La dieta riveste un’importanza cruciale nel modificare il profilo lipidico di un individuo. In particolare,
le linee guida consigliano di seguire la dieta mediterranea, che prevede un alto consumo di frutta,
verdura e cereali integrali. Gli acidi grassi insaturi, detti anche essenziali si suddividono in MUFA,
come l’acido oleico contenuto nell’olio di oliva, che favorisce la formazione di C-HDL, e in PUFA delle
serie n-6 (acido linoleico), contenuto nell’olio di girasole, mais, vinaccioli e sensibili al calore (quindi
da usare sempre crudi), polinsaturi della serie o-3 (acido linolenico), presenti in frutta secca,
acciughe, sgombri, aringhe e salmone.
Omega-6
Principale rappresentante: Acido Arachidonico (AA)
Principali prodotti derivati:
• Prostaglandine: che aumentano la risposta infiammatoria
• Trombossani: che provocano aggregazione piastrinica e sono ulcerogenici (TXA2)
• Leucotrieni: che vaso costringono e aumentano la permeabilità dei tessuti, determinando la
formazione
Omega-3
Principali rappresentanti: Acido Eicosapentaenoico (EPA) Acido Docosaesaenotico (DHA)
Principali prodotti derivati:
• Prostaglandine: PGE che inibiscono l’aggregazione piastrinica, riducono la secrezione
dell’insulina, stimolano la produzione di ormoni che calerebbero con l’età, migliorano la
risposta ormonale; PGA1 è il principale antivirus umano, è antinfiammatorio agendo sulla
sintesi nucleare di citochine pro infiammatorie.
• Leucotrieni: che potenziano la risposta immunitaria
• Altri effetti: aumento della fluidità delle membrane cellulari, regolazione del ciclo cellulare
Sbobinatura parte 3- Acidi grassi polinsaturi
Gli effetti dell’esercizio fisico sul metabolismo dei lipidi, lipoproteine. Per esempio lapoA1 è la
principale apolipoproteina che media le funzioni anti aterogeni he delle HDL. Viene da sé che la
misura dell’apoA1 può fungere da un biomarcatore surrogato in termini di prevenzione del rischio
cardiovascolare e fatto sta che se abbiamo detto che alterazioni di questo tipo sono il principale
fattore rischio cardiovascolare. L’attività fisica è suggerita come prima linea di difesa contro queste
alterazioni. L’esercizio aerobico porta ad un decremento del rischio cardiovascolare, è legato
all’abbassamento dei trigliceridi LDL ed incremento delle HDL. La questione non è soltanto in termini
di mera riduzione di questo tipo di lipidi ma l’esercizio fisico, esercita tutta una serie di funzioni,
effetti ulteriori, per esempio è coinvolti nella maturazione delle HDL, quindi va ad influenzare la
composizione delle HDL e la loro capacità di captare glucosio dai tessuti periferici. E questo viene
anche fatto perché l’esercizio fisico agisce direttamente sul trasporto inverso del colesterolo e
quindi la capacità di captarlo a livello periferico, portarlo al fegato ed avviare il catabolismo e
l’escrezione del colesterolo in eccesso, tutto questo previene sia l’aterosclerosi sia malattie CV in
generale. Bassa incidenza di malattie coronariche legata agli effetti cardio protettivi degli acidi grassi
polinsaturi della serie omega 3, proveniente dal pesce. Entrambe le vie, sia 6 che 3 sono in
competizione perché per i vari intermedi biochimici utilizzano gli stessi enzimi biochimici. Acidi
grassi essenziali, immessi con la dieta, no sintetizzati dall’organismo in maniera adeguata, pur
essendo componenti fondamentali delle membrane cellulari, funzioni e segnalazioni cellulari a
livello neuronale, cardiaco e muscolare. Il tema del Pattway a 2 vie, la via capostipite degli omega 6
è l’acido Arachidonico, a sua volta avvia la sintesi di tutta una serie di ulteriori molecole legate alla
cascata delle prostaglandine, trombossani etc. coinvolte in fenomeni infiammatori di qualche tipo,
anche aggregazione piastrinica. Il tema è che se noi consumiamo alimenti ad alto contenuto di
precursori dell’acido arachidonico, andremo ad innescare una risposta infiammatoria all’interno del
nostro organismo. Al contrario i principali rappresentanti della serie omega 3 sono EPA-DHA, e
anche questi avviano una cascata simile a quella degli omega 6. Ma le molecole che vengono
sintetizzate sono di una serie differente di prostaglandine che invece di essere coinvolte in fenomeni
infiammatori in antiinfiammatori, ed hanno tutta un’altra serie di effetti di proprietà, per esempio
ridurre la secrezione di insulina, o diminuire la sintesi di citochine pro infiammatorie. Il DHA va a
stimolare tutta una serie di molecole che rientrano in quella famiglia di Eserchine, molecole
coinvolte in tutta una serie di fenomeni di sinaptogenesi, ed è estremamente rappresentato a livello
celebrale. Migliora l’umore, qualità sonno etc. Gli omega 3 possono essere trovati in tutta una serie
di alimenti prevalentemente di origine vegetali: noci, cereali, legumi e il pesce. Insieme al
colesterolo sono una delle principali, se non le uniche classi di lipidi che aiutano a mantenere fluide
le membrane dei pesci che vivono sotto 0(altrimenti congelamento membrane). META ANALISI
LEGATA ALLA SUPPLEMENTAZIONE DI OMEGA 3 NELL’ATTIVITA’ SPORTIVA: un dosaggio 2g per
giorno si è visto che contribuisce ad un aumento della massa muscolare e parallelamente alla massa
muscolare, si osservano una serie di ulteriori miglioramenti che sono sicuramente riconducibili al
decremento di mediatori pro infiammatori quali IL-6, ma EPA-DHA o acido alfalinoleico, sono dei
muscoli protettivi, aumentano sintesi proteica a livello muscolare, forza muscolare, performance.
La cascata della serie Omega 6/3 si avvia con il consumo di acido alfalinoleico, poi esistono tutta una
serie di enzimi coinvolti nell’allungamento della catena di questi acidi grassi polinsaturi, sino ad
arrivare all’acido arachidonico, che da luogo a prostaglandine, leucotrieni. Oltre all’EPA gli
integratori contengono DHA (da luogo a tutta una serie di molecole ulteriori sempre
antiinfiammatorie, ma di natura molecolare diversa, che si chiamano Resolvine(risolvono
l’infiammazione). L’utilizzo degli acidi polinsaturi come biomarcatori sia in termini di prevenzione
cardiovascolare sia come protezione neuronale, ma anche volti a prevenire tutta una serie di aspetti
legati all’attività sportiva. Per esempio: gli sportivi sono colpiti dalla morte cardiaca improvvisa,
quindi alterazioni dello stato degli acidi grassi polinsaturi, quindi basso livello di Omega 3 è tra i
fattori di rischio di morte improvvisa degli atleti. Il tema è che questi acidi grassi pur essendo i
nutrienti più studiati, la loro misurazione all’interno del metabolismo è estremamente complessa, e
lo è per diverse ragioni, per questioni di tipo metodologico, cioè se gli acidi grassi polinsaturi stanno
nelle membrane cellulari degli eritrociti soprattutto, tocca prendere gli eritrociti, estrarli ed estrarre
le membrane presenti all’interno, per poi avviare una serie di analisi. Il sangue secco ad oggi è una
tipologia di campione per questo tipo di analisi, ma i parametri attraverso i quali si misurano gli Acidi
grassi polinsaturi della serie OMEGA 3 sono sostanzialmente 3: 1) l’OMEGA 3 index, 2° parametro
rapporto fra tutti gli acidi omega 6 e 3(ogni singola molecola),3° rapporto degli acidi grassi chiave
dell’acido arachidonico e EPA su cui c’è maggior interesse. Ci sono una marea di studi che
dimostrano quanto sia cruciale la misura di questo tipo di parametri tant’è che è stato riscontrato
essere biomarkatore stabile del consumo di Omega 3, si tratta della somma dell’EPA e del DHA
espressa come percentuale sulla quantità totale di acidi grassi. A prescindere da come si misura ci
sono stati degli studi volti a stabilire quelli che sono gli intervalli di riferimento, e un OMEGA 3 index
che varia fra il 7/8%. Un alterato OMEGA 3 index è associato a morte cardiaca improvvisa, declino
cognitivo, patologie oculari e depressione. Il rapporto fra l’arachidonico e l’EPA ci restituisce una
misura di tipo Infiammatorio, nel senso che un aumentato del rapporto, una maggiore presenza di
acido arachidonico ci da un’indicazione di uno status infiammatorio, se verso l’EPA infiammatorio.
(Continua parlando della ricerca sulla correlazione di infortuni annuali dei podisti e carenza acido
arachidonico;1) si prendono gli elite runners o non elite,(attraverso questionari) le loro abitudini di
allenamento, quante ore corrono a settimane, a quante gare hanno partecipato, dove si sono
infortunati; successivamente 2) si prende un campione di sangue(sempre considerato campione
sporco), vengono trattati questi campioni di sangue, si va in cromatografia(tecniche per separare,
quantificare molecole da una matrice biologica) per avere un profilo degli acidi grassi polinsaturi
all’interno della matrice, e poi si vanno a misurare i nostri outcomes di interesse. Quindi si può
vedere che più alti valori di OMEGA 3 INDEX sono associati a un numero minore di infortuni legati
alla corsa, + alti livelli di arachidonico EPA= infiammazione + alta e quindi più infortuni. Più correvano
più avevano un basso OMEGA 3 INDEX, alto Arachidonico EPA e maggior numero di infortuni, quindi
strettamente correlato alla quantità di corsa che facevano a settimana. In questa ricerca però
mancava il gruppo di controllo, fatta 1 sola misurazione, questi sono i limiti per ogni studio. Tutto
ciò che riguarda la medicina preventiva è nato grazie a Framingham.

LEZIONE 5

Quantificazione della spesa energetica


Il volume complessivo di esercizio fisico (o attività) si definisce come unità di misura "MET"' (ossia
"equivalente metabolico"), cioè il consumo di calorie nell'unità di tempo.
A ciò consegue che 1 MET equivale al consumo di 1 caloria per 1 kg di peso in 1 ora, ossia 0,21 litri
di ossigeno per 1 chilogrammo di peso per 1 ora (anche espresso in termini di 3,5 mL. di 02/kg/min).
E quindi evidente che più elevato sarà il valore di ME'T, maggiore sarà l'intensità dell'attività fisica.
Ciò si può tradurre:
• <3 MET, attività ad intensità leggera;
• da 3 a 6 MET, attività fisica aerobica di intensità moderata
• >6 MET, attività fisica aerobica ad alta intensità o "vigorosa"
Secondo le indicazioni dell'OMS, il livello di attività fisica necessario a preservare la salute negli
adulti è equivalente a 150 minuti alla settimana di esercizio fisico moderato (3-6 MET) o 75 minuti
alla settimana di esercizio fisico ad alta intensità (>6 ME'T), mentre nei bambini (<17 anni) la soglia
aumenta ad almeno 60 minuti di esercizio fisico ogni giorno ad intensità moderata o alta. umane
comunque sempre valido il concetto della dose-risposta; quanto maggiore è la quantità di attività
fisica (o esercizio), tanto migliori sono i risultati in termini di prevenzione delle patologie, benessere
psico fisico e miglioramento delle prestazioni individuali.

Generalità sulla struttura e biochimica del muscolo scheletrico


Per una migliore comprensione della biochimica clinica dell'esercizio fisica, giova preliminarmente
rammentare che le fibre muscolari non sono tutte uguali, ma si suddividono in tre tipologie:
• Fibre lente (Tipo I), si tratta di fibre rosse, sottili, resistenti, molto vascolarizzate,
metabolismo prevalentemente aerobico.
• Fibre veloci tipo A (Tipo Ila), si tratta di fibre bianche, grosse, caratterizzate da contrazioni
rapide/ resistenti, ed a metabolismo ossidativo glicolitico.
• Fibre veloci tipo B (Tipo Ib), si tratta di fibre bianche, grosse, caratterizzate da contrazioni
esplosive, ed a metabolismo anaerobico
La diversa composizione in fibre è in parte definita dal patrimonio genetico, in parte modificabile
con l'esercizio fisico. Appare pertanto evidente come i maratoneti, i ciclisti su strada ed i fondisti si
caratterizzino generalmente per una elevata percentuale di fibre lente (compresa tra 60-80%),
mentre tale percentuale cala sostanzialmente negli sprinter (ad esempio nei centometristi) al 30
40%. In risposta ad uno sforzo fisico intenso si attivano per prime le unità motorie più lente (FI) e, a
mano a mano che l'intensità aumenta, si ha un progressivo maggior reclutamento delle fibre rapide
FIla – Fib.
Indipendentemente dalla composizione del tessuto muscolare, il lavoro muscolare presenta una
serie di caratteristiche essenziali, atte a spiegarne il funzionamento. Esse si riassumono in:
Forza muscolare, intesa come capacità di sviluppare tensione e vincere una resistenza esterna o di
opporsi ad essa. Essa è sostanzialmente dipendente da massa, composizione in fibre e velocità di
contrazione:
Velocità muscolare, intesa come capacità di contrarsi nel minor tempo possibile. Essa è
sostanzialmente dipendente da composizione in fibre, corredo enzimatico, tensione e pattern
d'attivazione motoria;
Resistenza muscolare, intesa come capacità di mantenere una certa tensione nel tempo. Essa è
sostanzialmente dipendente da composizione in fibre, corredo enzimatico, irrorazione muscolare.
Biochimica clinica dei substrati metabolici
In linea generale, l'attività fisica ed il contestuale lavoro muscolare comportano una accresciuta
richiesta di substrati energetici, dipendenti dall'intensità e della durata. Il lavoro muscolare è reso
unicamente possibile dal consumo di ATP.
Ogni contrazione muscolare consuma ATP, che deve essere risintetizzato ex novo, giacché le
dimensioni della molecola non ne consentono accumulo in grandi quantità in muscoli e cellule La
neosintesi di ATP diviene pertanto possibile a partire dai cosiddetti substrati metabolici, in funzione
della rapidità della richiesta energetica e della disponibilità di ossigeno.

Il consumo dei differenti substrati possa variare sostanzialmente in funzione della tipologia di sforzo
richiesto. Nella fattispecie, un esercizio fisico ad alta intensità e di breve durata (es. meno di 10
secondi) si baserà su un metabolismo prettamente anaerobico lattico e richiederà pressoché
esclusivamente il consumo di ATP e/o fosfocreatina, senza intaccare le scorte di altri substrati
Quando la durata dello sforzo aumenta e l'intensità inevitabilmente cala, le scorte di ATP
fosfocreatina tenderanno rapidamente ad esaurirsi ed il metabolismo diverrà dapprima anaerobico
lattico, con prevalente consumo di carboidrati, per poi divenire progressivamente aerobico, con
prevalente ossidazione di carboidrati (fin quando disponibili) e lipidi.
«Cannibalismo muscolare»
Qualora la disponibilità di queste scorte tendesse progressivamente ad esaurirsi, l'organismo
sarebbe quindi costretto ad utilizzare le proteine, quale ultima spiaggia dei substrati metabolici
("cannibalismo muscolare"), scisse in aminoacidi e quindi riconvertite a glucosio mediante la
gluconeogenesi. La dinamica dell'evoluzione del metabolismo muscolare in funzione di intensità e
durata dello sforzo fisico.

I parametri biochimici della prestazione atletica


I parametri biochimici dell'esercizio fisico possono essere riassunti in un numero discreto di
definizioni:
MASSIMO CONSUMO D'OSSIGENO (VO,MAX).
Definisce la massima intensità di esercizio fisico sostenibile con meccanismi aerobici di produzione
dell'energia, ossia la massima quantità di ossigeno utilizzabile nell'unità di tempo per peso corporeo
(ml/kg/min).
Sinonimo di massima potenza aerobica, dipende sostanzialmente dalla
1. DISPONIBILITÀ D'OSSIGENO garantita dall'integrazione di funzione respiratoria (volume
respiratorio, ventilazione polmonare, velocità di diffusione dei gas)
2. FUNZIONE CARDIOVASCOLARE (frequenza cardiaca, volume sistolico, velocità del flusso ematico)
3. CAPACITA DI TRASPORTO DEL SANGUE (quantità di emoglobina e saturazione emoglobinica).
SOGLIA ANAEROBICA.
Definisce l'intensità massima di un esercizio fisico alla quale permane costante il rapporto tra
generazione ed eliminazione di acido lattico nel sangue (cioè di lattacidemia)
Essa esprime anche l'intensità di lavoro alla quale si raggiunge una concentrazione ematica di acido
lattico pari in media a 24 mmol/L (cioè in soggetti sedentario o dediti a modesta attività fisica)
Si identifica pertanto con il livello di intensità dello sforzo fisico oltre il quale il metabolismo passa
ad anaerobico. Oltre questa soglia l'acido lattico comincia ad accumularsi, associandosi alla
comparsa di affaticamento e dolore muscolare.
CAPACITÀ AEROBICA
Malgrado non esista una definizione condivisa, così come per la capacità anaerobica, con questo
termine si intende generalmente la quantità massima di ossigeno per minuto necessaria a compiere
un lavoro muscolare. Anche essa dipende ovviamente dalla funzione respiratoria, cardiovascolare,
ematica ed inoltre dalla capacità da parte dei tessuti di utilizzare l'ossigeno.
CAPACITÀ ANAEROBICA
La capacità di svolgere lavoro muscolare in condizioni di assenza di ossigeno. Dipende quindi in larga
misura dalla disponibilità dei substrati del metabolismo anaerobico alattacido e lattacido. In pratica,
essa si definisce come capacità di continuare a svolgere lavoro muscolare con contestuale accumulo
di acido lattico. Alcuni autori tendono ad identificare la capacità anaerobica con la concentrazione
di lattato misurabile dopo una corsa massimale di mezzofondo (in genere di 800 m, con
concentrazione media di acido lattico di 12,5 mmol/I).
L'adattamento biochimico
L'adattamento" all'esercizio fisico coinvolge la pressoché totalità dei sistemi, organi ed apparati
Gli adattamenti del tessuto muscolare si attuano con tre meccanismi, legati ad
• aumento della massa muscolare (il diametro traverso del muscolo può accrescersi fino al
30%),
• aumento della vascolarizzazione (la capillarizzazione può aumentare fino al 25%)
• meccanismi neurologici, che consentono di contrarre il muscolo più intensamente
(migliorano la coordinazione degli impulsi ai muscoli e la contrazione diventa più "ordinata"
ed efficace).

Aumento della massa muscolare


Lo stimolo continuo del muscolo determina un processo ipertrofico e la contrazione muscolare
determina un'aumentata produzione di fattori di crescita (prodotti per effetto del "fisiologico"
microtrauma muscolare, che determina la necrosi di alcuni miociti), e che portano al reclutamento
di cellule staminali muscolari, promuovendone la successiva differenziazione in miociti.
Non è poi da sottovalutare l'ingrossamento muscolare legato al progressivo accumulo di tessuto
fibrotico, conseguente al microtrauma muscolare ripetuto, soprattutto in alcune tipologie di sport
in cui il lavoro muscolare diventi estremo (nella pesistica, ad esempio).
L'adattamento biochimico
I parametri biochimici misurabili in laboratorio sono pressoché infiniti, le principali alterazioni
biochimiche che si registrano all'aumentare progressivo dei carichi di lavoro (soprattutto aerobico)
È evidente che tutte queste alterazioni biochimiche nel loro complesso debbano essere considerate
strettamente "fisiologiche" conseguenze normali di un processo metabolico adattativo, che ha
progressivamente promosso un complesso mutamento fisico e biochimico nel soggetto dedito a
regolare attività fisica moderata/ intensa rispetto ad un individuo sedentario.

La corretta interpretazione di queste variazioni è essenziale per il professionista di medicina di


laboratorio, per il medico dello sport e per i preparatori atletici, al fine di saper discernere
compiutamente il concetto di "anomalia patologica" da quello di "variazione fisiologica". Non deve
ad esempio sorprendere il riscontro di valori di creatina kinasi (CK) e troponine cardiache (T' o I)
significativamente elevati dopo una maratona.
Ciò è in linea con il fisiologico rilascio durante attività fisica relativamente intensa e prolungata.
Diviene invece essenziale conoscere il comportamento dei vari parametri di laboratorio negli atleti,
poiché anomalie della loro cinetica rappresentano invece spie molto sensibili di potenziali processi
patologici (es. danno muscolare). Le variabili che andranno quindi considerate comprendono la
demografia (età, sesso, etnia), il tipo di prestazione atletica (sport di resistenza, potenza o misto), il
carico di lavoro (tipo di allenamento e contesto, es. competizioni o riposo), situazioni contingenti
(alimentazione, idratazione), assunzione di farmaci o supplementi nutrizionali.
Diverse tipologie di laboratorio di analisi cliniche
1. Laboratorio di reparto
Poche linee analitiche
• Test semiquantitativi manuali semplici
• Apparecchiature dedicate ad alta tecnologia
• Personale medico o infermieristico
2. Laboratorio generale
Numerose linee analitiche, automatizzate o manuali
• Test quantitativi
• Apparecchiature automatizzate e pannelli analitici
• Personale biologo, medico, tecnico
3. Laboratorio specialistico
Linee analitiche dedicate (immunologia, endocrinologia etc)
• Test quantitativi
- Apparecchiature automatizzate
• Personale biologo, medico, tecnico

Contesto generale di funzionamento dei laboratori clinici


I diversi tipi di laboratorio (di reparto, generale o specialistico, sono inseriti in un sistema di servizi
di controllo che ne valutano la qualità del prodotto, le condizioni lavorative, la corretta utilizzazione
del dato e economicità delle spese. I laboratori sono supportati da una serie di servizi non
laboratoristici; amministrativi, informatici, tecnici e manutentivi. Alle singole strutture sono
sovraordinati i laboratori di riferimento con bacino di utenza regionale o nazionale e le strutture
scientifiche e di controllo che elaborano i valori di riferimento e sovraintendono ai registri
epidemiologici.
Il ciclo analitico
Sono indicate le diverse procedure che compongono il ciclo analitico: quelle "preanalitiche", ovvero
la verifica del campione, la sua centrifugazione se necessaria, la sua suddivisione in aliquote e il
caricamento sulla linea analitica. Dopo l'analisi sopravvengono le fasi della validazione del dato,
della sua eventuale ripetizione e quindi la fase della refertazione. Il tempo che intercorre tra
l'accettazione e la refertazione è il cosiddetto tempo di risposta (Turn Around Time, TAT).

Total Testing Process (TTP)


Il percorso di un esame di laboratorio dalla richiesta alla risposta e conseguente intervento medico
è conosciuto con il termine americano di Total Testing Process (TTP).
Gli sviluppi della tecnologia hanno ridotto la variabilità nella fase analitica.
E' invece nelle fasi pre- e post-analitica che si determina il maggiore rischio di errori, pari a oltre 1'80
% dei casi In particolare, nella fase pre-analitica si colloca oltre il 60% di tutti gli errori di laboratorio.
Lo scambio di informazioni: Lundberg's loop (or brain-to-brain loop)
Il cervello del Laboratorio è un network di cervelli
Dividere la fase pre-analitica in due parti:
1. Pre-pre analitica: Tutto ciò che accade prima dell'analisi ma al di fuori del controllo del laboratorio
(richiesta test; identificazione paziente; prelievo; trasporto; etc.)
2. Pre-analitica: ciò che avviene prima dell'analisi ma sotto diretta responsabilità del laboratorio
(trattamento campione; aliquotazione; etichettatura secondaria; centrifugazione; etc.)
Le fasi di controllo del processo produttivo del laboratorio. La stessa logica si applica ovviamente
anche a tutti gli altri processi funzionali, quali ad esempio i processi amministrativi, tecnici e di
gestione degli impianti di base.
Variabilità e risultati di laboratorio
Il dato finale che esce dal laboratorio può essere influenzato da numerosi fattori. Alcuni di questi
sono legati al paziente, altri alla gestione dei campioni ed altri ancora ai metodi di analisi
• VARIABILITÀ PRE-ANALITICA, paziente e gestione del campione
• VARIABILITÀ ANALITICA, metodo di analisi
• VARIABILITÀ POST-ANALITICA, dati e risultati
La Fase Pre-analitica
La fase pre-analitica può essere soggetta a variabilità. Per migliore rappresentatività e costanza di
composizione del campione, la variabilità si riduce quando:
• -Il paziente, ben informato e motivato, segue le istruzioni (modalità di raccolta, digiuno,
riposo, ecc)
• -Le manovre di prelievo/raccolta sono corrette ed adeguate (ambiente, impiego di materiali
e dispositivi idonei, ecc)
• -Il trasporto (invio) del materiale al laboratorio è adeguato.
Fattori che possono influenzare l'esito delle analisi
INFORMAZIONI SUL PAZIENTE: Riposo, Posizione, Ansia, Idratazione, Digiuno, Alimentazione del
giorno precedente.
Digiuno (6-8 h)
> Gli effetti del digiuno sui risultati delle analisi di biochimica clinica sono molto importanti. In fase
post-prandiale i livelli di molti analiti nel siero aumentano e può condurre ad errori diagnostici.
> Nelle 2-3 ore successive al pasto, la glicemia aumenta (infatti è possibile valutare la tolleranza al
glucosio in fase post-prandiale), mentre la potassiemia e la fosforemia diminuiscono (a causa dei
processi metabolici di utilizzazione del glucosio).
> Analogamente, dopo un pasto i livelli di trigliceridi ematici aumentano, e rientrano nei valori di
base 4-5 ore dopo il pasto. Il digiuno è necessario per non alterare la lipemia, che può interferire
con alcune metodiche analitiche, ad esempio con i metodi colorimetrici e o spettrofotometrici.
Alimentazione
Oltre al digiuno di 8 ore, anche l'alimentazione dei giorni precedenti il prelievo è importante.
Prove di tolleranza al carico glucidicoàAPPORTO GLUCIDICO EQUILIBRATO PER ALCUNI GIORNI
Le principali prescrizioni dietetiche da seguire riguardano l'apporto glucidico, per pazienti che
devono essere sottoposti alla prova di tolleranza al carico glucidico. Questa indagine deve essere
necessariamente programmata, in quanto nei giorni che precedono la prova il paziente deve
assumere quantità equilibrate di glucidi.
Esame dei trigliceridi àREGIME DIETETICO EQUILIBRATO
Anche l'apporto lipidico deve essere controllato, in quanto la concentrazione di trigliceridi è
influenzata da variazioni dietetiche dei giorni che precedono il prelievo.
L'apporto proteico non è molto rilevante, in quanto in soggetti sani l’azotemia non aumenta in
relazione al carico proteico dei giorni immediatamente precedenti il prelievo.
Azotemia àDIETA RICCA DI PROTEINE NON influisce in persone sane o se presente DISFUNZIONE
EPATICA O RENALE tale dieta è dannosa
Per la determinazione del metabolismo basale (che pur essendo caduta un po' in disuso come
valutazione di laboratorio viene ancora richiesta in alcuni centri), il paziente deve sottoporsi ad un
regime di restrizione proteica per almeno tre giorni.
Analisi del metabolismo basale àREGIME DIETETICO EQUILIBRATO PER ALMENO 3 GIORNI
Alcuni alimenti interferiscono con la determinazione di specifici analiti, ad esempio:
• I tiocianati (es., la senape) o composti simili al tiouracile interferiscono con il metabolismo
degli ormoni tiroidei, riducendone la concentrazione ematica.
• Notevoli quantità di serotonina, ad esempio quelle contenute nelle banane e nell'ananas
fresco, aumentano il tasso di acido 5-idrossiindolacetico escreto con le urine in maniera così
rilevante da far sospettare un tumore carcinoide.
• Il caffè inibisce la fosfodiesterasi e quindi la degradazione dell'AMPc che a sua volta
promuove la glicogenolisi, aumentando la le concentrazioni di glucosio plasmatico.
Assunzione di medicamenti
È importante che nelle ore precedenti il prelievo siano interrotti gli eventuali trattamenti
farmacologici a cui il paziente è stato sottoposto, in quanto alcuni farmaci o loro metaboliti possono
interferire sui risultati delle analisi di laboratorio. In alternativa, assunzione di farmaci deve
assolutamente essere comunicata al laboratorio.
INTERFERENZA: A) METABOLICA E BIOFARMACOLOGICA: azione farmacologica, immunologica e
tossicologica dei medicamenti B) FISICA pigmenti simili a quelli da dosare. La PIU' DIFFUSA è :
C) CHIMICA: Interazione farmaco-analita (eparina vs albumina: competono per il verde di
bromocresolo necessario per il dosaggio dell'albumina); Interazione farmaco-reagenti (acido
ascorbico sulla determinazione di glucosio o acido urico).

ATTIVITA' FISICA
AUMENTO: Attività enzimatiche (aldolasi, LDH, CPK) nei muscoli; ac.lattico, ac-piruvico; Escrezione
catecolamine urinarie.
Il prelievo deve essere eseguito al mattino, in condizioni di riposo in quanto l'attività fisica intensa
può influenzare alcuni analiti, come gli enzimi localizzati prevalentemente nella muscolatura
scheletrica: creatin chinasi (CK), aspartato aminotransferasi (AST), aldolasi, lattatodeidrogenasi (LD)
Anche altri parametri biochimico-clinici aumentano nel siero con l'esercizio fisico, ad esempio
l’ammoniaca, l'acido lattico e l'acido piruvico; inoltre, dopo esercizio fisico prolungato sono stati
riscontrati elevati valori di catecolamine urinarie.
L'esercizio muscolare
Se intenso e su individui non allenati, causa modificazioni della concentrazione di molti parametri di
laboratorio. Questi effetti possono essere:
Transitori: rapida diminuzione, e seguente aumento, nella concentrazione degli acidi grassi liberi
marcato aumento dell'alanina e dell'acido lattico (triplicato).
Duraturi: variazioni a carico degli enzimi plasmatici: CK, aldolasi, LDH, transaminasi; l'attività della
CK può risultare raddoppiata nelle 12- 30 ore dopo attività sportiva intensa e ancora dopo 50 ore si
può riscontrare un aumento fino al 40%.
Postura
L’immobilizzazione completa protratta a lungo, determina un processo di demineralizzazione del
tessuto scheletrico con aumento dell'escrezione urinaria del calcio, del fosforo e della idrossiprolina.
Riposo a letto e postura influenzano la concentrazione di numerose sostanze nei liquidi biologici:
questo è determinante per la valutazione dei dati di laboratorio dei pazienti ambulatoriali e degenti.
In ortostatismo la concentrazione ematica di quasi tutti i parametri è più elevata a causa della
modificazione nella distribuzione dei liquidi biologici. E' il motivo per cui nei pazienti ambulatoriali
risultano PIU'ELEVATI i valori di emoglobina, proteine totali e sostanze legate a proteine (es., calcio,
colesterolo, bilirubina).
Distinzioni tra Pazienti ambulatoriali e degenti in ospedale; Posizioni: Ortostatica: Volume
plasmatico diminuisce 10% - aumenta quello del liquido interstiziale. Clinostatica: Se
completamente immobilizzati: DEMINERALIZZAZIONE DELLE OSSA (aumento escrezione urinaria di
Calcio, Fosforo, ecc).
Ritmi cronobiologici
Molti parametri di laboratorio sono influenzati direttamente o indirettamente dai ritmi
cronobiologici. Ad esempio, la VES, i livelli di ACTH, del cortisolo, delle gonadotropine, della
sideremia, della cloruremia, della calcemia, della 5-idrossitriptamina, l'escrezione urinaria di
catecolamine, sodio, potassio e fosfati presentano variazioni cronobiologiche. VARIAZIONI:
ULTRADIANE(< 24 ore); INFRADIANE (> 24 ore) / circa 7 giorni (settani) / circa I mese (mensili) / circa
1 anno (annuali); CIRCADIANE (sonno-veglia/luce-buio,ecc): Variazioni: / della concentrazione di:
VES, cortisolo, calcemia, cloruremia, sideremia, gonadotropine / dell'escrezione urinaria di:
catecolamine, sodio, potassio, fostafi.
Variabilità analitica (Va)
• La misura di un analita non è altro che una stima di una grandezza (massa, concentrazione,
conta...). Lo scostamento tra misura e valore reale è definito errore totale della misura.
• La variabilità analitica è il risultato dell'errore totale della misura, legata quindi al metodo di analisi
e all'insieme dei fattori che influenzano il metodo di misura di un analita.
• Conoscere l'errore associato alla stima della misura è fondamentale per l'utilizzo di una metodica
nella clinica
Bisogna determinare le caratteristiche analitiche (Performance) di ciascun test di laboratorio per
poterne valutare l'utilità clinica.
Errore totale e attendibilità
Se si eseguono più misurazioni di una stessa quantità, raramente le misure coincidono: se ne trae la
conclusione ovvia che i valori misurati sono in genere diversi dal vero valore della quantità oggetto
di misura.
Scopo delle misure:
Ottenimento del valore analitico che rappresenti una stima fedele del valore vero
ATTENDIBILITA'(Reliability)
Qualità che caratterizza un risultato (o un metodo) analitico esprime la capacità della misura in
esame di approssimare il valore vero. La differenza tra il valore misurato («m) e quello vero (xv) è
detta errore totale.
Se si eseguono più misurazioni di una stessa quantità, raramente le misure coincidono: se ne trae la
conclusione ovvia che i valori misurati sono in genere diversi dal vero valore della quantità oggetto
di misura.
Attendibilità
Esprime la capacità della misura in esame di approssimare il valore vero ed è definita da diversi
fattori: Accuratezza, Precisione, Sensibilità e Specificità.
Performance Analitica
ATTENDIBILITA: Indica la QUALITÀ di un metodo (o di un risultato) analitico. CRITERI: •PRECISIONE
•ACCURATEZZA •SENSIBILITÀ •SPECIFICITÀ
PRECISIONE: Somiglianza tra i risultati di una serie di misure distinte effettuate, con lo stesso
metodo, sullo stesso campione, che rimane stabile ed omogeneo nel tempo.
Serie di risultati: Soggette ad errori CASUALI
Deviazione standard: misura della dispersione di una serie di misure.
Al concetto di precisione sono legati quelli di:
• Ripetibilità: in una serie di misure effettuate sullo stesso campione e con lo stesso metodo, misura
della deviazione dei risultati dal valore medio (precisione entro la serie)
• Riproducibilità: misura della deviazione dei risultati dal valor medio, ma ottenuti in tempi diversi,
da operatori diversi, anche usando reagenti diversi
ACCURATEZZA: In una serie di misure, fatte sullo stesso campione nell'ambito di una stessa analisi,
è la misura della vicinanza del valor medio al valore vero (o più probabile)
Serie di risultati àSoggette ad errori SISTEMATICI
(cattiva taratura strumentale, concentrazioni o pH dei reagenti errate, ecc).
SPECIFICITÀ: Capacità di un metodo analitico di dosare un solo analita, senza interferenze positive
o negative da parte di altre sostanze (intimamente legato all'accuratezza)
Molti metodi in chimica clinica sono aspecifici, e quindi introducono errori sistematiciàAccuratezza
difficile da ottenere ad un livello più che soddisfacente
SENSIBILITÀ: Capacità di un metodo analitico di dosare piccole quantità di analita
LIMITE DI RIVELABILITÀ: • la più piccola quantità di sostanza che può essere dosata con quel metodo
(cioè a distinguere dal bianco) • rapporto tra segnale analitico e rumore di fondo (noise) • uguale al
doppio della SD del bianco.
Variabilità Biologica
Oltre alla variabilità analitica, i risultati analitici possono variare in base alla variabilità biologica. Una
serie di fattori legati all'individuo possono essere responsabili del fatto che, i valori di un parametro
analitico possano variare nello stesso individuo (anche se non sono intervenute patologie), oppure
siano differenti da soggetto a soggetto. • Possiamo distinguere: - Variabilità intra-individuale:
variazioni nel tempo o longitudinali e Variabilità inter-individuale: variazioni trasversali tra diversi
soggetti.
La variabilità biologica è influenzata da diverse componenti: Individuali (età, sesso, ecc..); Etniche
Ambientali; Fisiologiche (ritmi veglia-sonno, ...); Patologiche; Farmaci e droghe; Alimentazione e
Attività fisica.
I parametri ematochimici variano fisiologicamente in ciascun individuo in funzione del complesso
sistema di equilibrio metabolico
• La capacità di determinare il peso relativo di ciascuna di queste componenti costituisce un
prerequisito fondamentale per l'interpretazione del dato di laboratorio (risultato).
Variabilità biologica inter-individuale:
• Sesso • Età • Razza • Massa corporea • Fumo • Alcool • Farmaci
Variabilità biologica intra-individuale:
• Ritmi circadiani • Variazioni stagionali • Dieta • Periodo mestruale •Gravidanza
La prima osservazione da fare è come le variazioni fisiologiche condizionano questi valori di
riferimento.
Variabilità Biologica: l'età
Alcuni valori di riferimento devono essere costruiti per età, per esempio nell'anziano.
Aumento: • Ca • Glucosio • Insulina •LH • FSH •TSH •Trigliceridi • Urea • LDL
Diminuzione: • Testosterone •Estradiolo • Tiroxina • Fe • Piastrine • Leucociti • Emoglobina
•Triodiotiroxina
Nei neonati si hanno livelli insoliti di emoglobina nella prima settimana di vita, e anche di bilirubina,
mantra l'acido urico mostra una diminuzione notevole nella prima settimana. Un continuo aumento
del colesterolo è registrato tra i 15 e 50 anni.
La VB può essere collocata nella fase pre-analitica del processo diagnostico e può essere calcolata
sperimentalmente. Variabilità Biologica - Valori Normali?; Valori normali: valori più frequentemente
riscontrati negli individui sani. àModello "sano" non è un modello REALE facilmente identificabile:
è solo un soggetto "privo di malattia". àE' un modello IDEALE Range ampio: etnia, sesso, età,
abitudini alimentari.
Valori di Riferimento
Il dato di laboratorio serve per poter decidere un comportamento verso un paziente. Bisogna quindi
avere il mezzo per confrontare il dato ottenuto con quello della popolazione da cui il paziente stesso
è tratto.
Si dovranno stabilire dei valori al di fuori dei quali si presume vi sia un'anormalità con un limite di
errore accettabile.
Occorre osservare che il termine “normale” ha diversi significati:
• in senso statistico definisce un tipo di distribuzione;
• in senso epidemiologico può essere confuso con il valore tipico di una popolazione;
• in senso clinico la parola normale spesso indica l’assenza di una certa malattia.
Si preferisce quindi parlare di “VALORI DI RIFERIMENTO»
Teoria dei valori di riferimento: definizioni
1. INDIVIDUO DI RIFERIMENTO: Soggetto scelto per la comparazione secondo criteri predefiniti
2. GRUPPO CAMPIONE DI RIFERIMENTO: Numero di individui di riferimento adeguato a
rappresentare la popolazione di riferimento.
3. VALORE DI RIFERIMENTO: Valore ottenuto dalla misura di un parametro su un individuo di
riferimento.
4. DISTRIBUZIONE DI RIFERIMENTO: Distribuzione statistica dei valori di riferimento osservati nel
gruppo campione di riferimento.
5. LIMITI DI RIFERIMENTO: Derivati dalla distribuzione di riferimento e utilizzati per descrivere lo
scostamento dalla media di una data percentuale dei valori di riferimento.
6. INTERVALLI DI RIFERIMENTO: Rappresentano la popolazione compresa tra due limiti di
riferimento.
7. VALORE OSSERVATO: Valore ottenuto ai fini di una decisione medica. Può essere comparato con
la distribuzione, i limiti e gli intervalli di riferimento.
Variabilità Biologica - Valori di Riferimento
Da qui il postulato di Grasbeck, che definì il valore di riferimento, calcolato su una popolazione
ristretta che abbia almeno caratteristiche genetiche ed ambientali molto "omogenee" e
confrontabili con quelle del soggetto a cui il risultato di laboratorio si riferisce:

Il dato analitico ha pertanto valore solo se confrontato con i valori di riferimento


Intervalli di Riferimento
Per ogni determinazione di laboratorio che preveda un risultato quantitativo, è necessario
conoscere gli intervalli di riferimento.
Sarebbe opportuno che ogni laboratorio calcolasse gli intervalli di riferimento per ciascun analita.
Tuttavia, nel nostro laboratorio può essere sufficiente utilizzare i valori di riferimento calcolati in
altri laboratori, purché:
I soggetti impiegati per il calcolo dei valori di riferimento appartengano allo stesso gruppo etnico
che afferisce al nostro laboratorio
(poiché per alcuni parametri di laboratorio hanno diversi valori di riferimento in base al gruppo
etnico: ad esempio, i valori di riferimento per la CK sierica, enzima rilasciato dai muscoli, saranno
più elevati in individui africani che hanno una massa muscolare più sviluppata).
I valori di riferimento siano stati calcolati con la stessa metodologia analitica impiegata nel nostro
laboratorio.
La popolazione di riferimento
Una popolazione di riferimento per calcolare gli "intervalli di riferimento" si sceglie in base a
criteri di partizione e criteri di esclusione.
I CRITERI DI PARTIZIONE SONO: Numero di soggetti sufficientemente elevato; In buono stato di
salute; (almeno per quanto riguarda i metabolismi o gli organi valutati dall'analita in questione); Età,
sesso, fattori ambientali; altri fattori biologici: altre variazioni cronobiologiche.
I CRITERI DI ESCLUSIONE SONO: Malattie sistemiche e disordini fisiopatologici; Assunzione di agenti
farmacologicamente attivi, quali la terapia farmacologica, assunzione di contraccettivi,
tossicodipendenza, alcolismo e tabagismo; Modificazione dello stato fisiologico, ad esempio la
gravidanza, l'esercizio fisico intenso, l'assunzione di cibo prima del prelievo; Esposizione a fattori di
rischio.
Gli intervalli di riferimento di un analita risentono fortemente dalla variabilità metabolica intra- ed
inter-individuale della popolazione di riferimento scelta; pertanto, la numerosità del campione ha
una grande rilevanza per "normalizzare" queste eventuali variabilità biologiche. Lo si definisce come
l'intervallo compreso tra i due limiti di riferimento a certi predefiniti percentili La porzione di area
racchiude tutte le osservazioni.

Gli atleti sono una popolazione eterogenea


Non si possono utilizzare i valori di riferimento della popolazione generale; Non si possono definire
dei valori di riferimento tipici della popolazione degli atleti; Occorre considerare i valori
longitudinalmente dello stesso individuo in base alla differenza critica;
Nel caso degli sport di squadra i valori devono essere giudicati anche nell'insieme del team; Occorre
considerare le differenze di genere e età.
Il campione biologico: generalità
Per eseguire le analisi di biochimica clinica in maniera ottimale e per fruire al meglio del dato
analitico è necessario che al laboratorio venga fornito il campione, siglato e raccolto in maniera
idonea in relazione all'esame richiesto e il modulo di richiesta dettagliato ed interamente compilato.
Questo assicura che:
1. venga eseguito l'esame necessario,
2 che siano puntualizzati i valori di riferimento in base al sesso ed età del soggetto,
3.che siano valutate eventuali interferenze sul risultato,
4.che il risultato analitico sia prodotto nel minor tempo possibile.
Possono essere oggetto degli esami di laboratorio di biochimica clinica tutti i campioni biologici
(fluidi, tessuti, frammenti bioptici) purché siano rappresentativi dei sistemi da investigare.
La scelta del campione biologico dipende dalle indagini da eseguire. I campioni di solito utilizzati
sono i campioni di sangue e i campioni di urine. Per le indagini ematologiche e biochimico-cliniche
di routine si utilizza preferibilmente il sangue venoso, mentre il sangue arterioso viene utilizzato per
lo studio dei parametri dell'equilibrio acido-base.
• Sangue • urine • feci • liquido sinoviale • liquor cefalo-rachidiano • liquido amniotico • lacrime
sudore • succo gastrico • saliva • succo duodenale • liquido seminale • latte • liqui di biologici
speciali (ascitico, pleurico, bronchiale, intestinale, peritoneale) • villi coriali • biopsie
Per alcuni esami può essere richiesto l'uso di specifici campioni biologici, quali: feci, fluido
cerebrospinale (LCS), biopsie di tessuto o cellule, calcoli, aspirato (fluido della pleura, asciti, fluido
sinoviale, fluido intestinale.), liquido amniotico.

LEZIONE 6

Glucosio
Il glucosio è un monosaccaride (aldoesoso) e rappresenta la fonte di energia principale per le cellule
del nostro organismo e unica per le cellule del SNC e per gli eritrociti. Il glucosio presente in circolo
deriva principalmente dalla dieta, dove è presente sia in dorma di monosaccaride sia in forma di
carboidrati complessi (polisaccaridi, es. l’amido); una piccola quota deriva dalla sintesi endogena
(gluconeogenesi).
Glucosio e glicemia
Il glucosio circola in forma libera e i suoi livelli sono mantenuti entro un intervallo abbastanza
ristretto (70-100 mg/dL) dall’azione di ormoni, quali l’insulina e il glucagone, che garantiscono il
mantenimento dell’equilibrio tra la produzione e l’utilizzo di glucosio. L’ipoglicemia acuta causa
problemi neurologici, coma e morte. Perciò a digiuno i livelli ematici del glucosio devono essere
mantenuti al di sopra dei 60mg/100ml. L’iperglicemia cronica(livelli di glucosio ematico a digiuno
oltre i 110mg/100ml) causa molteplici problemi, compreso l’aumento dello stress ossidativo nelle
cellule. L’aumento del glucosio intracellulare aumenta anche i lipidi intracellulari, con conseguente
tossicità. Alla fine, questi stress inducono insulino-resistenza e disfunzione delle cellule beta con
ulteriore compromissione della tolleranza al glucosio e provocano l insorgenza di T2DM(diabete
insulino-resistenti). Livelli glicemici elevati creano anche un carico osmotico sulle cellule e su tutto
l’organismo.
Produzione e utilizzo del glucosio
Il periodo post-assorbitivo (6-12 ore dopo l’ingestione di cibo) è caratterizzato da un’accentuazione
progressiva della glicogenolisi epatica. In condizione di digiuno breve, il glucosio in circolo deriva
principalmente dal fegato che lo ricava dal glicogeno mediante il processo di glicogenolisi e lo
sintetizza ex novo mediante il processo di gluconeogenesi. In condizione di digiuno prolungato (>15
giorni), il glucosio presente in circolo deriva dal fegato ed in parte dal rene, dove si attiva la
gluconeogenesi.
Trasportatori GLUT
Nel periodo post prandiale, la maggior parte del glucosio deriva dalla dieta e viene metabolizzata
dalle cellule dell’organismo.
GLUT 1: Tessuti: encefalo, eritrociti, tutti i tessuti; Funzioni: Captazione del glucosio per mantenere
i livelli basali di glucosio intracellulare
GLUT 2: Tessuti: fegato, cellule beta del pancreas, intestino; Funzioni: sensore del glucosio per le
cellule beta pancreatiche
GLUT 3: Tessuti: cervello, rene; assunzione basale glucosio
GLUT 4: Insulino dipendente: Tessuti insulino sensibili, adiposo, muscolare, cardiaco
GLUT 5: intestino, fegato, spermatozoi, rene, tessuto adiposo: Funzioni: trasporto primario fruttosio
GLUT 7: Reticolo endoplasmatico degli epatociti; Funzioni: regola flusso di glucosio libero/trasporto
intracellulare.
Il glucosio entra per diffusione facilitata, mediata dai trasportatori GLUT. Esistono varie isoforme
con caratteristiche differenti. Regolano la captazione di glucosio nei tessuti alla base dei livelli
ematici.
(tabella)
Azione dell’insulina sulle cellule epatiche
GLUT-2: trasportatori a bassa affinità per cui la velocità del trasporto è direttamente proporzionale
alla concentrazione del glucosio nel sangue. Durante la fase post-prandiale, quando le
concentrazioni di glucosio sono elevate a livello ematico, la velocità di trasporto sarà elevata.
Quando l’insulina si lega al suo recettore stimola le chinasi epatiche che catalizzano la
trasformazione del glucosio in G-6-P, impedendo cosi che il glucosio possa fuoriuscire dagli epatociti.
In questo modo le concentrazioni intracellulari di glucosio rimangono basse rispetto a quelle del
sangue. Durante la fase post-assorbitiva, quando la concentrazione del glucosio è bassa, non vi è
ingresso dello zucchero negli epatociti. Quando i livelli plasmatici di insulina sono bassi, mentre sono
elevati quelli degli ormoni controregolatori, il glucosio fuoriesce dagli epatociti e si riversa nel
sangue contribuendo a mantenere la propria omeostasi. In questa fase, gli epatociti convertono i
depositi di glicogeno e gli aminoacidi gluconeogenici in glucosio che si sposta secondo il proprio
gradiente di concentrazione verso l’esterno della cellula utilizzando sempre i GLUT-2, ma nella
direzione contraria.
L’insulina modifica il trasporto di glucosio nel tessuto adiposo e nel muscolo scheletrico
GLUT-4, espresso sulle cellule dei tessuti insulino-dipendenti (tess. Adiposo e muscolare), la cui
espressione è indotta dall’insulina. A bassi livelli di insulina i trasportatori GLUT-4 sono localizzati su
vescicole intracellulari che si mobilitano quando l’insulina si lega al suo recettore. In seguito allo
stimolo dell’insulina e/o dell’esercizio fisico, GLUT-4 va incontro a traslocazione sulla membrana con
aumento dei trasportatori sulla superfice e quindi dell’attività di trasporto.

Esochinasi
Al suo ingresso nella cellula il glucosio subisce immediatamente un processo di fosforilazione a
glucosio-6-P che ne impedisce la fuoriuscita dalla cellula. La reazione è immediata dalla esochinasi,
di cui si conoscono 4 isoforme, con caratteristiche differenti:

L’esochinasi IV (o glucochinasi) è espressa solo a livello epatico e non subisce l’inibizione da prodotto
(da G-6-P). Anche in presenza di elevate concentrazioni di glucosio, ne media la fosforilazione. Ciò è
importante perché il fegato rappresenta il principale organo di deposito per il glucosio.
Il destino metabolico del glucosio-6-P
Il glucosio è fosforilato all’interno delle cellule e può andare incontro a differenti destini metabolici:
1. Glicogenosintesi – sintesi di glicogeno, che rappresenta la forma di deposito del glucosio (a
livello epatico e muscolare).
2. Glicolisi (90%) produzione di piruvato e lattato.
3. Ossidazione attraverso la via dei pentosi.
4. Glicazione delle proteine.
Ormoni coinvolti nella regolazione della glicemia
Sintesi: Pancreas: insulina(abbassa l insulina, tutti gli altri che seguiranno, l’alzeranno), glucagone e
somatomedina; Surrene: Adrenalina, cortisolo; ipofisi: GH e ACTH; Tiroide: Tirosina.
Insulina e glucagone assicurano continuità di rifornimento di substrati e di energia. Sono sempre
presenti nel sangue: ciò che varie è il loro rapporto.
Nello stato di sazietà, quando l’organismo assorbe i nutrienti, l’insulina è dominante e prevalgono i
processi anabolici.Aumenta: sintesi glicogeno,lipidi, proteica.
Nello stato di digiuno, grazie al glucagone, il fegato utilizza il glicogeno ed intermedi non glucidici
per sintetizzare glucosio da rilasciale in circolo. Aumenta: glicogenolisi, gluconeogenesi,chetogenesi.
Insulina e glucagone sono coinvolti nell’omeostasi glicemica

Biosintesi dell’insulina
L’insulina è un ormone peptidico sintetizzato dalle cellule β del pancreas, costituito da una catena
α e una catena β unite mediante un ponte disolfuro. È sintetizzata come pre-pro-ormone (peptide
segnale + pro-insulina, formata da insulina + peptide C), e convertita in pro-insulina della rimozione
del peptide segnale nel reticolo endoplasmatico; dopo la formazione dei ponti S-S, la pro-insulina
trasloca nell’apparato del Golgi, dove il peptide C è rimosso per taglio proteolitico.

Recettore dell’insulina
I processi regolati dall’insulina dipendono dal legame con il suo recettore posto sulla membrana
delle cellule degli organi bersaglio, principalmente fegato, muscolo e tessuto adiposo. Il recettore è
un eterodimero in cui le subunità (α e β) sono legate da ponti S-S. La subunità α è extracellulare ed
è coinvolta nell’interazione con l’insulina; la subunità β, dotata di attività tirosin-chinasica, è
costituita da una porzione transmembrana e una citoplasmatica ed è responsabile della trasduzione
del segnale.

Il legame dell’insulina con il recettore stimola l’attività chinasica della catena β, dando luogo
all’autofosforilazione della catena. Viene attivata una serie di reazioni a cascata intracellulari che
portano ad attivare proteine che regolano la sintesi dei lipidi, del glicogeno e delle proteine; in
particolare, nelle cellule muscolari e adipose, vengono attivate le vescicole che contengono il
trasportatore GLUT-4 che viene inserito nella membrana cellulare permettendo l’assorbimento del
glucosio.
Effetti anabolici e anticatabolici dell’insulina
L’insulina è il principale ormone con azione anabolica e ana-catabolica, promuovendo l’assunzione
di glucosio e amminoacidi da parte delle cellule di numerosi tessuti, stimolando la sintesi del
glicogeno, degli acidi grassi e delle proteine.

Inibisce i processi catabolici: per es, inibisce la lipasi ormone-sensibile del tessuto adiposo e processo
di beta-ossidazione degli acidi grassi.
Riepilogo degli effetti biologici
• L’insulina è l’unico ormone ipoglicemizzante: infatti a livello plasmatico riduce la
concentrazione del glucosio per aumento del metabolismo e del trasporto del glucosio
dentro le cellule
• A livello epatico stimola la glicogenosintesi e la sintesi proteica e lipidica. Riduce la
chetogenesi e inibisce la gluconeogenesi
• A livello muscolare, stimola la captazione di glucosio, conseguente aumento della sintesi di
glicogeno, e la captazione degli aminoacidi conseguente aumento della sintesi proteica.
Inoltre, aumenta la captazione dei corpi chetonici e del K+
• A livello adiposo, stimola la captazione di glucosio e la captazione e la sintesi degli acidi grassi
che vengono depositati sotto forma di trigliceridi
• L’insulina, stimolando la sintesi proteica e l’utilizzazione del glucosio, favorisce la crescita
dell’organismo
Resistenza all’insulina e metodo HOMA
Il termine insulino-resistenza è usato per indicare una situazione in cui, per mantenere l’omeostasi
dei livelli di glucosio nel sangue, è necessaria una maggiore concentrazione di livelli plasmatici di
insulina. Tale alterazione è dovuta ad una diminuita sensibilità degli organi bersaglio all’insulina e
l’insulino-resistenza è caratterizzata da una costante iperinsulinemia. La misurazione del grado di
insulino-resistenza può essere fatta, soprattutto nell’uomo, con il metodo HOMA (homeostasis
Model Asssesment) che è un indice derivato di insulino-resistenza. Si tratta di una formula che
determina l’insulino-resistenza tenendo conto delle concentrazioni plasmatiche di insulina e
glucosio.
Conseguenze dell’insulina-resistenza
1. Ridotta captazione insulino-mediata di glucosio nel tessuto adiposo e muscolare
2. Ridotta inibizione insulino-mediata dalla gluconeogenesi a livello epatico
3. Ridotta capacità dell’insulina di inibire la lipolisi del tessuto adiposo attraverso la sua azione
sulla lipasi ormone-sensibile
Altri ormoni coinvolti nella regolazione della glicemia
Il glucagone è un ormone proteico sintetizzato dalle cellule α del pancreas in risposta a vari stimoli,
quali l’ipoglicemia. È l’ormone dell’emergenza energetica poiché interviene nelle situazioni di
carenza di substrati. (tabella)
Esercita la sua azione iperglicemizzante principalmente stimolando la glicolisi (demolizione del
glicogeno) e la gluconeogenesi a livello epatico.
Il glucagone: ormone polipeptidico-29 amminoacidi
Il glucagone è prodotto dalle cellule α pancreatiche, sia dalle cellule L intestinali a partire da un
precursore: il preproglucagone. Le cellule L, però, a partire dallo stesso precursore, producono
soprattutto glicentina (con effetti simili al glucagone), oxintomodulina (che inibisce la secrezione
acida gastrica), GLP-1 (che stimola la produzione di insulina, inibisce quella di glucagone, inibisce
l’assunzione di cibo agendo a livello del SNC) e GLP-2 (che inibisce la motilità e la secrezione acida
dello stomaco oltre ad avere effetti trofici su intestino tenue e colon).
Classificazione del diabete mellito
Gruppo di disturbi metabolici accomunati da iperglicemia. Attualmente il diabete mellito è
classificato in:
Diabete di tipo 1: è causato da distruzione β-cellulare (isole di langerhans), su base autoimmune,
ed è caratterizzato da una carenza insulinica assoluta.
Diabete di tipo 2: è causato da un deficit parziale di secrezione insulinica che progredisce nel tempo
ma che non porta mai una carenza assoluta di ormone. Si instaura spesso una condizione, più o
meno severa, di insulino-resistenza su base multifattoriale.
Diabete gestazionale: forma di diabete diagnosticato in gravidanza. È causato da difetti funzionali
analoghi a quelli del diabete di tipo2, viene diagnosticato per la prima volta in gravidanza
(comunemente tra il secondo e il terzo trimestre) e in genere regredisce dopo il parto per poi
ripresentarsi, spesso a distanza, con le caratteristiche del diabete di tipo2.
Altri tipi di diabete possono essere dovuti a: difetti genetici delle cellule β del pancreas, come il
MODY(maturity onset of diabetes of the young), una forma di diabete di tipo2 con esordio giovanile;
assunzione di farmaci o sostanze tossiche; difetti genetici dell’azione insulinica; infezioni; malattie
del pancreas esocrino; alterazioni del sistema immunitario (forme rare); endocrinopatie; sindromi
genetiche rare.
Eziopatogenesi diabete di tipo1
L’eziopatogenesi del DM1 è il risultato dell’interazione tra:
1. Fattori genetici: soprattutto il locus del sistema HLA (human leukayte antigenus) del
cromosoma 6 che forma una regione conosciuta come complesso maggiore di
istocompatibilità (MHC). La regione HLA comprende più di 200 geni codificati per tre classi
di proteine. Alcuni alleli dei geni DR e DQ presenti nel locus HLA di classe II sono fortemente
associati al DM1 e contribuiscono fino al 50% del rischio.
2. Fattori ambientali: la componente genetica non è mai da sola sufficiente. I fattori ambientali
che sembrano essere associati al rischio di sviluppo DM1 sono: a)Enterovirus (coxsackie B4);
b)microbatteri; c)alimentazione-sostanze diabetogene.
3. Fattori immunologici: distruzione selettiva delle cellule β delle isole di Langerhans mediata
principalmente dai linforciti T, sia CD4 (T helper) sia CD8 (T citotossici)
Negli infiltrati linfocitari delle isole di Langerhans sono stati identificati, linfociti β, cellule NK,
dendritiche e macrofagi. Possono contribuire in modo differente alla patogenesi.
Diabete di tipo2 (fattori genetici,ambientali)
Causato da un deficit parziale di secrezione insulinica che progredisce ma non porta ad una carenza
assoluta. Si instaura una condizione di insulino-resistenza (IR) con base multifattoriale. L’alterata
secrezione insulinica e l’aumentata produzione di glucosio determinano iperglicemia. L’IR determina
iperplasia delle cellule β con ipersecrezione di insulina che garantisce uno stato di euglicemia (livelli
normali di glucosio). Nel tempo, le cellule β andranno incontro a insufficienza funzionale con
instaurarsi del DM2. L’obesità ha un ruolo chiave, con un rapporto dose risposta tra il grasso
viscerale e il grado di insulino-resistenza.
GWAS e DM2
Uno studio di associazione sull’intero genoma è un metodo che effettua una ricerca dei marcatori
entro il genoma di molti individui al fine di individuare variazioni associate a una particolare
malattia. Negli ultimi anni, i genome-wide association studies (GWAS) hanno portato
all’identificazione di alcuni loro? associati a DM2, ciascuno con effetti diversi sul rischio individuale
di malattia (10-40%).
Diabete gestazionale
Rappresenta l’alternativa metabolica più comune in gravidanza, legata all’adattamento endocrino-
metabolico per garantire l’apporto di nutrienti al feto. I meccanismi patogenici del GDM sono
sovrapponibili a quelli del DM2. La ridotta azione dell’insulina determina un eccesso di nutrienti in
circolo, quali glucosio, lipidi e amminoacidi, che attraversando la placenta determinano
un’incrementata secrezione fetale d’insulina (iperinsulinismo), che a sua volta determina un
incremento del tessuto adiposo con conseguente organomegalia e macrosomia.
Altri tipi di diabete
Diabete della maturità ad esempio precoce: il MODY è la forma monogenica di diabete a
trasmissione autosomica dominante, cosi definito perché fenotipicamente presenta le
caratteristiche di un DM2 ma ha un esordio giovanile (prima dei 25anni). Causato da maturazioni di
geni che codificano per lo sviluppo o funzione della cellulaβ pancreatica. Se ne conoscono 14
differenti forme, ma le più comuni sono il MODY 2, dovuto a mutazione nel gene che codifica per la
glucochinasi, ed il MODY 3, dovuto a mutazioni nel gene che codifica per il fattore HNF-1 alfa.
Diagnosi
Il laboratorio clinico ha un ruolo centrale nella diagnosi del diabete che si basa, fondamentalmente,
sul dosaggio di 2 parametri: l’emoglobina glicata (HbA1c) e la glicemia. In presenza di sintomi tipici
della malattia (poliuria, polidipsia e calo ponderale), la diagnosi di diabete mellito è posta in seguito
al riscontro, anche in una sola occasione, di glicemia causale 220 mg/dL (indipendentemente
dall’assunzione di cibo). In assenza di sintomi tipici della malattia, la diagnosi di diabete deve essere
posta con il riscontro, confermato in almeno due diverse occasioni, di:
• Glicemia a digiuno 126 mg/dL (per digiuno si intende almeno 8 ore di astensione dal cibo)
• Glicemia 200 mg/dL 2 ore dopo carico orale di glucosio (eseguito con 75g)
• HbA1c 48 mmol/mol
Glicemia a digiuno
La misurazione della glicemia a digiuno è un esame cardine per la diagnosi di diabete mellito e per
lo screening dei soggetti ad alto rischio di sviluppare questa patologia. Massima cura deve essere
posta nell’appropriata raccolta e conservazione del campione (fase pre-analitica), nella scelta del
metodo (fase analitica) e nella modalità di refertazione e comunicazione dei risultati (fase post-
analitica). Sebbene esistano in commercio anche metodiche enzimatiche basate su glucosio-
ossidasi e glucosio-deidrogenasi, le linee guida raccomandano l’utilizzo di metodiche basate
sull’utilizzo dell’enzima esochinasi. I metodi basati invece sulla glucosio-ossidasi sono maggiormente
soggetti a interferenze da vari tipi di sostanze (es. acido urico, bilirubina), che riducono l’acqua
ossigenata con il rischio di sottostimare la glicemia.

Alterata glicemia a digiuno (IFG). Alterata tolleranza al glucosio (IGT)


Dosaggio della glicemia
L’esochinasi, utilizzano ATP, catalizza la fosforilazione del glucosio a glucosio-6-fosfato. La glucosio-
6-fosfato deidrogenasi, in presenza di NADP, provoca l’ossidazione del glucosio-6-fosfato.
Glucosio + ATP à Glucosio-6P+ADP
Glucosio-6P + NADP à 6P-gluconato+NADPH
La velocità della formazione di NADPH durante la reazione è direttamente proporzionale alla
concentrazione di glucosio che viene misurata fotometricamente.
Dosaggio della glicemia (enzimatico-colorimetrico)
Il GOD è noto come la glucosio-ossidasi e viene estratto dalle muffe Aspergillus Niger, è quindi
un’enzima che ossida in modo specifico glucosio con la formazione di acido gluconico e H2O2.
Il POD è una perossidasi e viene estratto dalla pianta dell’Armoracia Rusticana che aiuta la
determinazione quantitativa del perossido di idrogeno che reagisce con un substrato cromogeno.
Test da carico orale di glucosio (OGTT)
Nei soggetti con alterata glicemia a digiuno, soprattutto in presenza di altri fattori di rischio di
diabete, è utile eseguire la curva da carico orale di glucosio per una migliore definizione di
diagnostica e prognostica. La OGTT si esegue somministrando al paziente 75g di glucosio disciolti in
300mL di acqua; il prelievo per il dosaggio della glicemia deve essere eseguito a digiuno, prima della
somministrazione della soluzione glucosata (glicemia basale), e dopo 2 ore dalla somministrazione
della soluzione.
Emoglobina glicata
Questo esame misura la concentrazione della emoglobina glicata A1c (HbA1c) nel sangue,
un’emoglobina con attaccato il glucosio. La misura della percentuale di HbA1c consente di
effettuare una stima della quantità di glucosio presente nel sangue (glicemia) negli ultimi 2-3 mesi.
Il glucosio in eccesso, circolando nel sangue, in parte si lega spontaneamente all’emoglobina A. Le
molecole di emoglobina legate al glucosio prendono il nome di emoglobine glicate. Più alta è la
concentrazione di glucosio nel sangue, più emoglobina glicata si forma. Il glucosio è legato
all’emoglobina, vi rimane per tutta la vita del globulo rosso (120 giorni circa).
HbA1c è il gold standard per la valutazione del controllo glicometabolico
Secondo l’ADA, il test dell’HbA1c può essere usato, alternativamente ai criteri diagnostici basati sui
livelli di glucosio (OGTT e la misura della glicemia plasmatica a digiuno [FPG]), per lo screening o la
diagnosi di diabete o per la valutazione il rischio di svilupparlo. L’uso della misura dell’HbA1c è
fortemente raccomandato per il monitoraggio dei pazienti diabetici per la verifica del controllo
glicemico. A questo scopo, la percentuale di HbA1c ematica deve essere mantenuta a concentrazioni
inferiori a 53mmol/mol, tali da limitare le complicanze della patologia.
Aspetti pre-analitici e analitici
L’emoglobina glicata presenta dei limiti legati al fatto che in alcune condizioni, sia fisiologiche sia
patologiche, i suoi livelli potrebbero essere alterati determinando dei risultati fasi. I metodi possono
essere: metodiche cromatografiche basate sulla differenza di punto isoelettrico tra HbA1c e HbA
(scambio ionico, HPLC), o sulla presenza di glucosio legato covalentemente all’emoglobina
(cromatografia di affinità); metodiche immonochimiche e metodiche enzimatiche (rilevazione
presenza di cheto-amine). I risultati ottenuti con metodiche diverse sono molto ben correlati.
Albumina glicata (AG)
Per la diagnosi e il monitoraggio del diabete mellito l’AG può essere utilizzata in condizioni cliniche
che limitano l’uso dell’HbA1c. Importante misurarla quando è necessario avere delle informazioni
sulla glicemia nelle precedenti 2-3 settimane (es. diabete gestazionale, iperglicemia post-prandiale,
diabete “fluttuante”, pazienti gastrectomizzati). La concentrazione dell’AG può essere misurata con
cromatografia di affinità al boronato, cromatografia a cambio ionico, cromatografia liquida ad alta
prestazione (HPLC) e immunodosaggi (ELISA o radio-immunodosaggi).
L’inquadramento diagnostico del diabete
Il quadro clinico è spesso sufficiente per la classificazione tra diabete di tipo 1 e 2, tuttavia, in alcuni
casi può essere necessaria la determinazione dei marcatori di autoimmunità (IAA, GADA, IA-2, ZnT8)

Infatti, una buona percentuale di pazienti inizialmente definiti come diabete di tipo2 è in realtà
affetta da LADA (diabete autoimmune latente dell’adulto).
Anticorpi
Si conferma il sospetto clinico di LADA con i marcatori di autoimmunità (autoanticorpi); Gli anticorpi
contro il pancreas attualmente meglio conosciuti e dosati sono:
Anticorpi anti-decarbossilasi dell’acido glutammico (GADA): si tratta di test per gli autoanticorpi
diretti contro le proteine delle cellule β (antigeni) ma non specifici per le cellule β. Rappresentano il
marcatore più frequente di autoimmunità riscontrato nelle nuove diagnosi di diabete (circa 70-80%),
presente in percentuali rilevanti in ogni fascia d’età.
Anticorpi-2 associati all’insulinoma (IA-2A): si tratta di test per gli anticorpi diretti contro gli antigeni
delle cellule β. Risultano positivi in circa il 60% dei pazienti affetti da T1D. La tirosina fosfatasi 2 (IA-
2), è una glicoproteina transmembrana localizzata nei granuli secretori delle cellule endocrine che
appare coinvolta nel processo di secrezione insulinica.
Anticorpi anti-insulina (IAA): si tratta di anticorpi diretti contro l’insulina; l’insulina è l’unico antigene
ritenuto altamente specifico per le cellule β. Questi anticorpi si ritrovano in circa il 50% dei pazienti
pediatrici affetti da diabete di tipo 1 mentre non vengono comunemente misurati negli adulti.
Anticorpi anti-trasportatori dello zinco 8 (ZnT8): questo anticorpo è diretto verso una proteina di
membrana, trasportatrice dello zinco, ZnT8, che si trova nei granuli secretori da cui viene rilasciata
l’insulina.
Popolazione Utilità clinica
Soggetti con sospetto LADA Conferma sospetto diagnostico
Pazienti con altre malattie autoimmuni Identificazione precoce di soggetti a
organo-specifiche rischio per lo sviluppo di DM1
Familiari di 1 grado di pazienti con DM1 Identificazione precoce di soggetti a
rischio per lo sviluppo di DM1

Corpi chetonici
La misurazione della concentrazione nel sangue (chetonemia) o nelle urine (chetonuria) dei corpi
chetonici (acetone, acetoacetato e β-idrossibutirrato) viene raccomandata come supporto alla
diagnosi di chetoacidosi diabetica nei pazienti affetti da T1D e nel diabete gestazionale. La presenza
di chetoni può indicare infatti l’insorgenza di una chetoacidosi caratterizzata dell’aumento di corpi
chetonici e abbassamento del pH nel sangue con conseguente acidosi. Sintomi che caratterizzano la
chetoacidosi diabetica sono stanchezza, malessere generale, poliuria, polidipsia, aritmie cardiache,
sonnolenza, perdita di peso, bradipnea.

Diabete e digiuno prolungato portano ad accumulo di acetil-CoA (in conseguenza dell’aumento della
gluconeogenesi nel fegato e dell’ossidazione degli acidi grassi nel muscolo e nel fegato), il fegato si
libera dell’eccesso di acidi grassi producendo corpi chetonici, che invia attraverso il flusso sanguigno
ai tessuti periferici dove vengono ossidati per produrre energia (idrossibutirrato).
Aspetti analitici
I test urinari determinano la presenza di acetoacetato (che rappresenta dal 10 al 25% del totale dei
corpi chetonici) utilizzando una reazione colorimetrica. Sono stati messi a punto metodi POCT di
determinazione dei corpi chetonici nel sangue capillare. Questi strumenti misurano il β-
idrossibutirrato.
Il laboratorio ha un ruolo centrale sia nella diagnosi sia nel monitoraggio del diabete mellito.
L’elenco dei principali esami è stato ricavato sia delle linee guida dell’ADA(American Diabetes
Association) sia dai vari documenti del gruppo di studio inter-societario di SIBioC-SIPMeL, sul
diabete mellito.

Complicanze
Le complicanze del diabete mellito possono essere classificate in croniche e acute.
Microvascolari Macrovascolari Non vascolari
Retinopatia, Cardiopatia, arteriopatia Gastrointestinali,
neuropatia, perferica, vasculopatia infezioni, glaucoma,
nefropatia cerebrale cataratta

Le complicanze croniche possono essere suddivise in non vascolari e vascolari. Quest’ultime sono a
loro volta classificate in microangiopatie, a carico dei piccoli vasi, principalmente a livello della retina
e del glomerulo renale, macroangiopatie, a livello del circolo periferico e coronarico, con formazione
precoce di lesioni aterosclerotiche. Le complicanze non vascolari comprendono disturbi come la
gastroparesi, le infezioni e le alterazioni cutanee; inoltre, il diabete di lunga durata può associarsi
alla perdita dell’udito.
La complicanza acuta del DM1 è la chetoacidosi diabetica, di cui può rappresentare la
manifestazione clinica dell’esordio, soprattutto nei bambini. La complicanza acuta nel DM2 è il coma
iperosmolare iperglicemico.
La chetoacidosi diabetica: è dovuta alla carenza di insulina e all’eccesso di ormoni controregolatori
(catecolamine, glucagone, ormone della crescita, cortisolo). I sintomi principali sono: nausea,
vomito, dolore addominale, poliuria, polidpsia, astenia, anoressia, alterazioni dello stato mentale,
dispnea.
Il coma iperosmolare: è una complicanza metabolica del DM2 che si manifesta soprattutto in
individui anziani; l’evento precipitante si ritiene sia inadeguato apporto idrico con riduzione della
filtrazione glomerulare che aggrava l’iperglicemia. I sintomi sono: nausea disidratazione, ipotonia
dei bulbi oculari, letargia, convulsioni e coma.
Il ruolo essenziale dell'esercizio nella gestione del diabete di tipo 2
L'esercizio fisico è in genere una delle prime strategie di gestione consigliato per i pazienti di nuova
diagnosi di tipo 2 diabete. Insieme alla modifica della dieta e del comportamento, l'esercizio fisico è
una componente essenziale di tutto il diabete. Prevenzione dell'obesità e programmi di intervento
sullo stile di vita.
Allenamento fisico, sia aerobico che di resistenza o una combinazione, facilita una migliore
regolazione del glucosio. Anche l'allenamento a intervalli ad alta intensità è efficace e lo è il
vantaggio aggiuntivo di essere molto efficiente in termini di tempo. Mentre l'efficacia, la scalabilità
e la convenienza dell'esercizio per il la prevenzione e la gestione del diabete di tipo 2 vanno bene
stabilito, sostenibilità delle raccomandazioni di esercizio per i pazienti rimane sfuggente.
Esercizio aerobico: almeno 150 minuti/settimana di moderato all'esercizio vigoroso; 3 a 7
giorni/settimana, con non più di 2 giorni consecutivi tra un allenamento e l'altro; Si suggerisce
l'esercizio quotidiano per massimizzare l'azione dell'insulina; Durate più brevi (almeno 75
minuti/settimana) di intensità vigorosa; Può essere eseguito in modo continuo con intervalli ad alta
intensità; Almeno da 8 a 10 esercizi, con il completamento da 1 a 3 serie di da 10 a 15 ripetizioni.
È emerso l'allenamento ad intervalli ad alta intensità (HIIT) come uno dei programmi di esercizi in
più rapida crescita negli ultimi. HIIT è composto da 4 a 6 ripetute, brevi (30 secondi) alla massima
intensità, con brevi periodi (da 30 a 60 secondi) di riposo passivo o attivi recupero. L'intensità
dell'esercizio, il volume e la frequenza sono associato a riduzioni di HbA1c(emoglobina glicata, test
misurare concentrazione media di glucosio presente nel sangue negli ultimi ¾ mesi);
Includono un maggiore controllo glicemico, segnalazione dell'insulina, e lipidi nel sangue, nonché
ridotta infiammazione di basso grado, miglioramento della funzione vascolare e perdita di peso.
Sia programmi di allenamento aerobico che di resistenza promuovere un muscolo scheletrico più
sano, tessuto adiposo, fegato e funzione pancreatica.

LEZIONE 7

Il campione biologico
Possono essere oggetto degli esami di laboratorio di biochimica clinica tutti i campioni biologici
(fluidi, tessuti, frammenti bioptici) purché siano rappresentativi dei sistemi da investigare.
La scelta del campione biologico dipende dalle indagini da eseguire.
I campioni di solito utilizzati sono i campioni di sangue e i campioni di urine. Per le indagini
ematologiche e chimico-cliniche di routine si utilizza preferibilmente il sangue venoso, mentre il
sangue arterioso viene utilizzato per lo studio dei parametri dell'equilibrio acido-
base.(sangue,urine,feci,liquido cefalo-rschidiano).
Per alcuni esami può essere richiesto l'uso di specifici campioni biologici, quali: feci, fluido
cerebrospinale (CS), biopsie di tessuto o cellule, calcoli, aspirato (fluido della pleura, asciti, fluido
sinoviale, fluido intestinale...), liquido amniotico.
DIAGNOSTICA EMATOLOGICA:
EMATOPOIESI
Le cellule del sangue sono prodotte nel midollo osseo e negli organi linfatici secondari (milza e
Linfonodi. Nell'adulto il midollo osseo ematopoietico è quello delle costole, del bacino e delle epifisi
delle ossa lunghe. La differenziazione da cellule staminali a cellule ematiche è dovuta a fattori
umorali prodotti dalle cellule circostanti: fattori stimolanti le colonie, interleuchine ed
eritropoietina.
Il sangue svolge numerose ed importanti funzioni:
• Respiratoria: per mezzo dell'emoglobina contenuta negli eritrociti, porta l'ossigeno ai vari
tessuti e ne preleva l'anidride carbonica (CO2).
• Nutritizia ed escretrice: trasporta sostanze nutritive (amminoacidi, zuccheri, Sali minerali) e
raccoglie quelle escrete dai vari apparati che verranno eliminate attraverso il filtro renale od
elaborate dal fegato
• Regolazione: Il sangue trasporta inoltre ormoni, enzimi e vitamine
• Difesa: Presiede anche alla difesa dell'organismo attraverso l'azione svolta dai globuli bianchi
• Termoregolatrice
• Mantenimento del tasso idrico(restare liquido il sangue)
• Regolazione dell'emostasi
• Mantenimento della pressione osmotica (minerali) e oncotica (proteine)
IL SANGUE
Il sangue e composto da una parte corpuscolata e da una parte liquida; Rappresenta il mezzo che
tiene in movimento tutti i liquidi del corpo; consente di portare molecole originate od entrate in
una singola parte dell'organismo a tutte le altre parti dell'organismo.
COMPONENTE LIQUIDA DEL SANGUE
La componente liquida del sangue è rappresentata dal solvente biologico, l'acqua, e da tutto ciò che
in essa è disciolto, sia micro- che macro-molecolare; La componente liquida porta in sospensione la
componente corpuscolata.
COMPONENTE CORPUSCOLLATA DELL SANGUE
(- 45% del volume ematico totale)
• eritrociti: 4.000.000 - 6.000.000/uL
• leucociti: 4,000 - 10,000/uL
• piastrine: 150,000 - 400,000/uL
Plasma
Il sangue è formato da elementi figurati (eritrociti, leucociti e piastrine) e da una sostanza
intercellulare liquida di colore giallo pallido, denominata plasma.
Il plasma è un sistema dinamico dal punto di vista biochimico.
Nel plasma sono presenti sistemi enzimatici a cascata che si attivano e si amplificano, mentre nel
contempo attivano i propri inibitori. Le cascate enzimatiche in vivo sono attive in condizioni basali,
anche se a bassa velocità. Questo fa si che molti fattori plasmatici abbiano una vita media
relativamente breve.
Plasma VS Siero
Per le indagini chimico cliniche si può utilizzare siero o plasma; il plasma si ottiene per
centrifugazione da un campione di sangue intero a cui è stato aggiunto un anticoagulante (per
esempio, citrato, eparina) immediatamente dopo il prelievo. In questa maniera la parte
corpuscolata si deposita sul fondo della provetta e sopra questa abbiamo un fluido che è il plasma.
Il plasma può essere congelato per successive analisi.
Il siero ha una composizione simile a quella del plasma, ma non contiene alcuni fattori della
coagulazione, poiché si ottiene lasciando coagulare il campione di sangue prima della
centrifugazione. Al campione non viene aggiunto anticoagulante; alla parte corpuscolata si lega il
fibrinogeno, attendendo o centrifugando la parte solida si deposita e sopra resta un liquido che si
chiama siero. Per i test della coagulazione tutti i fattori coinvolti nella coagulazione devono essere
preservati, quindi il siero non può essere utilizzato. Bisogna sottolineare che rispetto al siero, il
plasma ha minor rischio di emolisi.
Differenze tra plasma e siero nella concentrazione di alcuni analiti

Anticoagulanti
L'ANTICOAGULANTE USATO PER SANGUE O PLASMA NON DEVE INTERFERIRE DIRETTAMENTE O
INDIRETTAMENTE NELL'ANALISI
EPARINA(attività antitrombina, analisi tipo morfologico; forme anemia(falciforme)):
• ANTICOAGULANTE 'NATURALE *
• É UN MUCOITINPOLIFOSFATO;
• SALIFICATA con Na. K, ammonio o litio
• ATTIVITÀ ANTITROMBINICA (blocca la formazione di trombina e quindi di fibrina dal
fibrinogeno)
• SCONSIGLIATA IN INDAGINI EMATOLOGICHE MORFOLOGICHE; 10-20 U.I./ml (0.2 mg/ml)
OSSALATO(in tutte quelle condizioni in cui gli eritrociti assumono conformazioni che non sono
normali):
• SALI di Na. K. ammonio o litio
• FORMA COMPLESSI POCO SOLUBILI CON GLI IONI CALCIO
• USATO PER ANALISI DI COAGULAZIONE
• SCONSIGLIATO IL SALE DI POTASSIO A CONC. > 3 mg/ml (emolisi); 1-2 mg/ml
EDTA:
• É L'ACIDO ETILENDIAMMINOTETRAACETICO
• SALE BI- O TRI-POTASSICO (più solubile) E BISODICO
• FORMA COMPLESSI CON GLI IONI CALCIO (è un agente chelante)
• OTTIMO IN ESAMI EMATOLOGICI (non altera le componenti cellulari)
• 1.5-2 ma/ml (soluzione 0.1% essiccata in provetta miscelato con sangue nel rapporto
opportuno)
CITRATO:
• SALE SODICO
• FORMA COMPLESSI CON GLI IONI CALCIO
• ANTICOAGULANTE DI SCELTA IN EMATOLOGIA PER STUDI SULLA COAGULAZIONE E PER
DETERMINARE LA VES(parametro infiammatorio) (usato raramente in ematochimica)
• Soluzione alla concentrazione di 3.4-3.8 g/dl miscelato con sangue nel rapporto volumetrico
1:10.
FLUORURO:
• SALE DI K (più solubile)
• FORMA COMPLESSI CON GLI IONI CALCIO
• ANTICOAGULANTE USATO COME GLICOSTATICO (2mg/ml) (inibisce gli enzimi della glicolisi),
ACCOPPIATO CON EDTA
• 2 mg/mL (soluzione 0.1% essiccata in provetta miscelato con sangue nel rapporto
opportuno).
ERITROCITA
La grande maggioranza degli elementi figurati è rappresentata dagli eritrociti; Questi sono cellule
prive di nucleo ed organelli; Hanno una superficie biconcava a forma di ciambella con diametro di 7
micron; Hanno un’emivita di 120 d e sono provvisti di una notevole elasticità.
All'interno dell'eritrocita si trova 'emoglobina, una cromoproteina tetramerica che ha il compito di
trasportare 02 ai tessuti periferici e rimuovere CO2 dagli stessi; L'energia per tale processo è ricavata
dalla glicolisi anaerobia perché le emazie sono sprovviste di mitocondri
EMOGLOBINA (Hb) (1)
La sua formazione avviene nel midollo osseo simultaneamente a quella degli eritrociti immaturi
Principale proteina dei globuli rossi; Ne esistono diversi tipi a seconda dello stadio di sviluppo
dell'essere umano; Nell'adulto, è una proteina tetramerica costituita da 4 catene polipeptidiche,
uguali a due a due; Dimero di dimeri: 2 subunità a e 2 subunità ß, ciascuna delle quali è legata a un
gruppo prostetico: l'eme; Ciascuna subunità lega un gruppo eme, di conseguenza 'emoglobina può
legare quattro molecole di ossigeno.
Le quattro subunità dell'emoglobina sono unite da: interazioni idrofobiche; legami H; legami ionici
(ponti salini). L'emoglobina è una proteina allosterica perché il legame dell'ossigeno ad un sito
determina modificazioni conformazionali a carico degli altri siti di legame. Il ferro nel gruppo EME è
presente come Fe2+ (ione ferroso). Nella forma Fe3+ (ione ferrico) non è in grado di legare
l'ossigeno.
IL COLORE DEL SANGUE
I legami chimici dell'emoglobina ne determinano vari stati chimico-fisici:
• Deossiglobine - (o emoglobina ridotta), quando ha ceduto 1'02.
• Ossiglobine - quando si lega all'02
• Carbossiglobine - Hb che lega CO
• Metaglobine - quando il ferro presente nella molecola si ossida, passando dallo stato ferroso
(Fe2+) a ferrico (Fe3+)
Esame emocromocitometrico
L'esame emocromocitometrico consiste in un gruppo di test che valuta la componente cellulare del
sangue periferico: globuli rossi (o eritrociti), globuli bianchi (o leucociti) e piastrine
Misura dell'emoglobina
Il metodo di riferimento per la misura dell'emoglobina è quello noto basato sulla conversione di
emoglobina in cianometaemoglobina e successiva lettura del derivato stabile tramite
spettrofotometria. Il campione di sangue va raccolto in provetta contenente EDTA K2 quale
anticoagulante di scelta.
Misura dell'ematocrito
La misura dell'ematocrito (Hct) è un metodo "surrogato" di riferimento, tracciabile al metodo di
riferimento per l'emoglobina. Esso prevede due misure di emoglobina, una sul campione di sangue
intero, l'altra sui globuli rossi dello stesso.
Il rapporto fra le due misure di emoglobina fornisce il valore di riferimento di ematocrito. Gli attuali
strumenti ematologici, in realtà, misurano 'ematocrito in base a parametri diretti, quali per esempio
il volume cellulare oppure le caratteristiche differenziali di assorbimento del sangue nell'infrarosso.
Il valore è espresso in percentuale o in frazione (L/I) : ad esempio, se il valore dell'ematocrito è pari
al 40%, significa che sono presenti 40 mL di RBC in 100 mL di sangue intero.
Conte cellulari
Attualmente tutti i laboratori impiegano strumenti di conta elettronici basati su differenti principi.
Sono strumenti usati per test urgenti, in grado di fornire conta cellulare per globuli rossi, leucociti e
piastrine, misura dell'emoglobina e dell'ematocrito e misura dei parametri principali eritrocitari
(MCV, MCH, MCHC, RDW) e a volte di quelli piastrinici (PCV, PDV).
Gli strumenti di base possono fornire una conta differenziale leucocitaria su 3-5 classi.

Gli strumenti ematologia sono in grado di fornire misure dettagliate e specifiche delle alterazioni
numeriche, quali- quantitative e anche morfologiche osservabili in molte patologie ematologiche,
sia della serie eritrocitaria sia di quelle leucocitaria e piastrinica.
Tecnologie in analizzatori ematologico/ cellulari
Tre maggiori sviluppi tecnologici:
1) l'impedenza elettrica;
2) la citometria a flusso;
3) la citometria a flusso fluorescente.
Va tenuto presente che negli strumenti sono impiegati reagenti in grado di modificare alcune
caratteristiche cellulari per meglio evidenziarne i caratteri distintivi (es. lisanti citoplasmatici per
differenziare al meglio i nuclei leucocitari, sostanze sfericizzanti per magnificare le variazioni di
volume fra cellule della stessa classe ecc.).
Contatore di Coulter a impedenza elettrica
La conta degli elementi figurati e la determinazione della loro dimensione vengono effettuate
mediante misure di impedenza elettrica o di luce diffusa. I contatori ad impedenza sfruttano le
proprietà dielettriche (i.e., isolanti) delle cellule che sono quindi pessimi conduttori. Quando le
cellule opportunamente diluite sono fatte passare ad una ad una per un piccolo foro attraverso il
quale è stata applicata una corrente elettrica, si osserva un aumento di impedenza che è
proporzionale al volume delle singole cellule. Queste possono essere così contate e misurate in
relazione al loro volume sulla base dell'impulso elettrico generato. L'impedenza è una grandezza
fisica che rappresenta la forza di opposizione di un circuito al passaggio di una corrente elettrica.
Ogni cellula che attraversa l'apertura del campo elettrico sostituisce un volume di diluente pari alle
sue dimensioni. Ogni cellula provoca un cambiamento di corrente generando un impulso elettrico
misurabile.
Il passaggio della cellula attraverso il campo elettrico produce un impulso la cui ampiezza è
direttamente proporzionale al suo volume. Il numero di impulsi registrati consente il conteggio degli
elementi cellulari. L'analisi della ampiezza degli impulsi consente la differenziazione delle cellule che
hanno prodotto gli impulsi.
Citometria a flusso
E' una metodica ampiamente diffusa e basata sulla rilevazione dell'assorbimento e della diffrazione
della luce secondo determinati angoli e sulla valutazione differenziale dei segnali ricevuti. Evidenzia
caratteri fisici della cellula (volume, dimensioni, indici di rifrazione).
Il raggio di luce che attraversa ciascuna cellula viene in parte assorbito (fotoni che attraversano la
cellula) e in parte deflesso (scattering). Parte dei fotoni sono deflessi con un grado angolare basso
(forward seattering) in relazione alla dimensione della cellula, parte sono deflessi con grado
angolare alto (side scattering) in relazione al contenuto interno alla cellula. Appositi rilevatori
raccolgono il segnale ottenuto dal flusso di cellule.
La rilevazione dell'entità dell'assorbimento e del segnale proveniente da differenti gradi angolari di
deflessione sono elementi utili per diversificare le singole classi di cellule per numero, dimensioni e
caratteristiche peculiari. È impiegata nei moderni strumenti ematologici in associazione
all'impedenza elettrica, in modo da garantire un'elevata accuratezza di conteggio e da permettere
una corretta individuazione di tutti gli elementi cellulari del sangue.
Grafico di scattering, Ciascuna classe cellulare viene riportata nel grafico all'area individuata
dall'incrocio dei segnali provenienti da FSC-H (forward scattering) e SSC-H (side scattering).
La graduazione dei colori all'interno di ciascuna area è in rapporto alla densità cellulare.
Citometria a fluorescenza
Un'estensione del principio della citometria a flusso è presente nella citometria a fluorescenza, nella
quale il flusso di cellule è sospeso in soluzioni contenenti fluorocromi che si legano specificamente
a strutture nucleari, o contenenti acidi nucleici, permettendo di ottenere ulteriori elementi di
caratterizzazione di determinate classi di cellule (es. reticolociti, piastrine).
Indici eritrocitari e misure di distribuzione
Gli indici eritrocitari sono principalmente impiegati quali indicatori diagnostici di prima istanza nei
differenti tipi di anemie. Il volume corpuscolare medio (Mean Corpuscolar Volume, MCV) è il valore
ottenuto dal rapporto fra ematocrito e numero dei globuli rossi. Le condizioni anemiche vengono
definite in base al valore di MCV.
Indici eritrocitari
L'emoglobina corpuscolare media (Mean Corpuscolar Hemoglobin, MCH) è il valore ottenuto dal
rapporto fra emoglobina e numero dei globuli rossi ed esprime il contenuto di emoglobina quale
peso-massa.
L'intervallo di riferimento è compreso fra 27 e 31 pg, con variazioni dipendenti da età e stato (es
gravidanza). Le condizioni anemiche vengono definite in base al valore di MCH osservato rispetto
all'intervallo di riferimento. Sono definite ipocromiche se MCH <27 pg, normocromiche se MCH è
compreso fra 27-31 pg, ipercromiche se MCH > 31 pg.
La concentrazione corpuscolare media di emoglobina (Mean Corpuscolar Hemoglobin
Concentration, MCHC) è il valore ottenuto dal rapporto fra emoglobina ed ematocrito ed esprime
la concentrazione di emoglobina rispetto al volume totale dell'eritrocita.
Il suo uso quale indice diagnostico è limitato alle condizioni che interessano la membrana
eritrocitaria, per esempio la diminuzione dello spessore della membrana che si osserva in condizioni
quali la sferocitosi ereditaria e l'ellittocitosi. Inoltre, l'aumento di MCHC si osserva in alcune
emoglobinopatie (principalmente HbS e HbC).
L'ampiezza di distribuzione della popolazione eritrocitaria (Red cell Distribution Width, RDW)
(indice di anisocitosi) rappresenta una misura dell'intervallo di variazione dei volumi degli eritrociti
si valuta tracciando un istogramma che ha in ascissa I'MCV e in ordinata la percentuale di eritrociti.
In un soggetto con globuli rossi di normali dimensioni (o normocitico), istogramma è centrato in una
curva con andamento gaussiano.
Accanto agli indici eritrocitari, i moderni strumenti ematologici forniscono una serie di indici riferiti
alle piastrine, che forniscono informazioni relative a morfologia e turnover di tali elementi cellulari.
Il volume piastrinico medio (Mean Platelet Volume, MPV) riflette la grandezza delle piastrine
presenti nel sangue di un individuo. MPV può essere utile quale indice per valutare sia l'entità di
produzione delle piastrine, sia quando si sospetti un'accelerata distruzione
L'ampiezza di distribuzione della popolazione piastrinica (Platelet Distribution Width, PDW)
rappresenta una misura dell'intervallo di variazione dei volumi delle piastrine in termini di
coefficiente di variazione percentuale. PDW va considerato un utile parametro di supporto
contestualmente a MPV e alla frazione di piastrine immature, parametro noto come IPF.
La frazione di piastrine immature (Immature Platelet Fraction, IPF) è un parametro introdotto di
recente negli analizzatori automatici dopo che nella citometria a flusso fluorescente ne era stata
messa in evidenza l'utilità. IPF fornisce la frazione di piastrine reticolate sul totale delle piastrine,
cioè delle piastrine più giovani che, a somiglianza dei reticolociti, presentano una struttura reticolare
citoplasmatica dovuta a RNA poliribosomiale.
Il valore aumenta quando la produzione di piastrine da parte del midollo aumenta. Si tratta quindi
di un indice in grado di valutare l'efficienza del midollo osseo e, in particolare, della quota di
megacariociti midollari.
Reticolociti
Un reticolocita è un eritrocita che contiene ribosomi ma ha perso il nucleo (nel precedente
stadio di eritroblasta ortocromatico).
La conta dei reticolociti può essere effettuata tramite microscopia o tramite strumenti automatici.
In entrambi i casi, il marcatore distintivo è dato da RNA policibosomiale.
Il sangue viene incubato con una soluzione isotonica di un colorante in grado di attraversare la
membrana citoplasmatica e di legarsi a RNA; la rilevazione dei reticolociti è effettuata in colorimetria
o in fluorescenza.
La conta dei reticolociti consente di valutare il tasso di produzione e, indirettamente, quello di
sostituzione della popolazione eritrocitaria: può essere riportata in conta assoluta o in percentuale
di reticolociti relativa agli eritrociti. In tale modo, è possibile distinguere tra loro anemie di diversa
origine, per esempio quelle che derivano da emolisi o da altri processi distruttivi rispetto a quelle
che sono dovute a deficitari meccanismi di produzione o a deficit di fattori essenziali per
l'eritropoiesi.

Conta dei reticolociti, volume medio dei reticolociti, immaturo frazione reticolocitaria e volume
medio delle cellule sferiche nell'élite atleti: valori di riferimento e confronto con il generale
popolazione
Contesto: il ruolo della misurazione dei reticolociti e dei loro parametri sta crescendo nella medicina
dello sport. L'uso della conta dei reticolociti nei protocolli per la valutazione e lo screening del
sospetto abuso di ormoni che simulano il midollo osseo è un esempio. I reticolociti sono importanti
anche per la valutazione delle prestazioni e dello stato di salute generale degli atleti, in particolare
per il monitoraggio di terapie e diete. L'attuale disponibilità di sistemi ematologici completamente
automatizzati in grado di misurare il numero e le caratteristiche dei reticolociti (volume, densità)
aumenta il potenziale utilizzo di questi parametri in medicina di laboratorio e dello sport. Pochi studi
hanno considerato l'applicazione di questi parametri negli atleti e la mancanza di intervalli di
riferimento specifici rende difficile il loro valido uso clinico.
Metodi: Utilizzando uno strumento Coulter LH700, abbiamo misurato la conta dei reticolociti (Retic),
il volume medio dei reticolociti (MRV), la frazione di reticolociti immaturi (RFl e il volume medio
delle cellule sferiche (MSCV) in 106 atleti professionisti maschili d'élite (calcio e rugby giocatori e
sciatori). Intervalli di riferimento per gli articoli degli atleti confrontati con l'intervallo trovato per un
gruppo di controllo di 13 maschi della stessa età.
Risultati: Abbiamo calcolato il seguente intervallo di riferimento 030-1,54% per Retics, 00,1-114,8 fL
per MRV, 0,18-0,391 per IRF e 76,0-94,6 (L per MSCV.
Conclusioni: non sono state osservate differenze statisticamente significative per Ratics, MITV, IRF
e MSCV tra atleti d'élite e controlli. Sono state osservate differenze significative per l'emoglobina
(Hb), gli eritrociti, l'ematocrito (H) e il volume corpuscolare medio. Inoltre, non sono state osservate
differenze statistiche tra i diversi sport, mentre sono state rilevate differenze nei giocatori di calcio
e rugby tra i campioni estratti prima dell'inizio delle competizioni
stagione e i campioni prelevati durante la stagione, dimostrando che la conta e i parametri dei
reticolociti sono utili per il monitoraggio degli sportivi.
Conta differenziale dei leucociti (formula leucocitaria)
La conta differenziale dei leucociti fornisce la quota percentuale relativa di ciascuna classe di globuli
bianchi. La conta differenziale, inoltre, consente di rilevare cellule normalmente non presenti in
circolo (es. elementi immaturi) o popolazioni anormali (es. cellule leucemiche).
La conta differenziale viene ottenuta principalmente con due metodologie: quella al microscopio e
quella automatizzata. (neutrophil eosinophil basophil monocyte lymphocyte)
Conta differenziale al microscopio
Viene eseguita al microscopio dopo aver colorato uno striscio con la tecnica di May-Grünewald
Giemsa. Si contano 100 leucociti complessivamente, classificandoli percentualmente secondo la
classe di appartenenza. I leucociti sono classificati in granulociti, linfociti e monociti.
Leucociti: Linfociti-Monociti-Granulociti.
Conta differenziale al microscopio: Granulociti
I granulociti devono il loro nome alla presenza di distinte granulazioni citoplasmatiche che ne
contraddistinguono tre classi neutrofili (detti anche polimorfonucleati), eosinofili e basofili.
Neutrofili (40-75%): Funzione di sorveglianza antibatterica; Eosinofili (1-6%) e Basofili (<1%): Difesa
contro i parassiti multicellulari e di controllo dei meccanismi associati con le allergie e l'asma, oltre
che dei fenomeni infiammatori. Nei loro granuli sono contenute eparina e istamina.
Conta differenziale al microscopio: Linfociti (nel sangue dal 20 al 45% dei lencociti)
I linfociti B sono responsabili della sintesi di anticorpi. Quando un linfocita del sistema B è
opportunamente stimolato, dapprima prolifera e poi si trasforma in plasmacellula, parte effettrice
della risposta immunitaria. Ogni linfocita B è in grado di sintetizzare una sola tipologia di anticorpo.
I linfociti T regolano l'intero apparato immunitario. Diverse cellule T possono essere identificate con
anticorpi monoclonali specifici contro diversi antigeni di membrana. Nel sangue periferico, circa il
15-25% dei linfociti sono cellule B e circa il 40-75% sono cellule T.
Conta differenziale al microscopio: monociti-macrofagi (~5% dei leucociti)
Una volta migrati nei tessuti, diventano macrofagi. I monociti-macrofagi svolgono funzione
fagocitaria su batteri e materiale particolato, partecipano alle reazioni infiammatore e sono
importanti per il sistema immunitario in quanto elaborano il materiale antigenico e comunicano le
relative informazioni ai linfociti T attraverso un processo di interazione cellula-cellula. I monociti
sono anche in grado di secernere interleuchine, sostanze che potenziano i linfociti B e T.
Passaporto biologico dell'atleta
Il termine "passaporto ematologico dell'atleta" fu per primo introdotto da ricercatori italiani
(Cazzola M. et al.) nel 2003, ai fini di una strategia di lotta al doping più efficace.
Nello studio analizzarono le vacazioni biologiche di numerosi parametri ematologici in oltre 900
calciatori professionisti, per definire dei range di riferimento individuali che potessero distinguere
tra variazioni fisiologiche e non-fisiologiche.
Successivamente la comunità scientifica internazionale, in collaborazione con alcune federazioni
sportive internazionali (UCI) e la WADA, ha ulteriormente sviluppato, armonizzato e validato il
concetto di variazione dei marker di doping ematico negli sport di endurance giungendo alla
definizione del Passaporto biologico dell'atleta, pubblicato dalla WADA nel 2009.
Il passaporto biologico dell'atleta rappresenta quindi una strategia complementare della lotta al
doping in quanto supera il tipico approccio basato sull'individuazione della sostanza proibita o di un
suo metabolita, ma ne evidenzia indirettamente gli effetti.
Come normalmente il medico si avvale di marker specifici di laboratorio per la diagnosi di numerose
patologie, nello stesso modo possono essere utilizzati marker specifici nel campo dell'antidoping;
L'utilizzo di marker indiretti nell'antidoping non è in realtà una novità, in quanto il rapporto
testosterone/epitestosterone (T/E) nelle urine fu introdotto negli anni 70 come marker di
somministrazione degli steroidi anabolizzanti.
Il Passaporto biologico dell'atleta comprende 3 distinti moduli
• Modulo ematologico
• Modulo steroideo
• Modulo endocrinologico
L’UCI è stata la prima federazione sportiva internazionale ad applicare il modulo ematologico del
Passaporto nel 2009, con conseguente sanzione di alcuni atleti. Integrando il passaporto biologico
dell'atleta all'interno di un efficace programma antidoping si possono perseguire due obiettivi:
1. Identificare gli atleti e predisporre test mirati, in base alla valutazione dei dati del passaporto
biologico;
2. Perseguire una violazione del codice mondiale antidoping in base all'articolo 2.2
LINEE GUIDA OPERATIVE
Le linee guida operative emanate dalla WADA comprendono una serie di "documenti tecnici" che
devono essere obbligatoriamente seguiti dalle organizzazioni antidoping che applicano il passaporto
ematologico, documenti che STANDARDIZZANO LE PROCEDURE DI RACCOLTA, TRASPORTO E
ANALISI DEL CAMPIONE E GESTIONE DEI RISULTATI.
Per stabilire un effettivo programma di monitoraggio biologico longitudinale, è fondamentale
identificare una serie di marker specifici per le sostanze o metodi proibiti; Ad esempio la variazione
di determinati marker steroidei nelle urine può essere usata per dimostrare l'uso di sostanze
anabolizzanti; La variazione dei marker di alterata eritropoiesi, per confermare la manipolazione
ematica e/o il potenziamento del trasporto d'ossigeno.
Modulo Ematologico
I marker hanno lo scopo di identificare:
1. l'uso di agenti stimolanti l'eritropoiesi,
2. il potenziamento del trasporto d'ossigeno
3. trasfusioni ematiche
4. qualsiasi forma di manipolazione ematica
La sensibilità del passaporto biologico aumenta quando i controlli in-competizione, fuori
competizione e a sorpresa sono distribuiti lungo l'anno.
I parametri ematologici inseriti nel passaporto dell'atleta sono: RBC (globuli rossi); Hb (emoglobina);
Hct (ematocrito); MCV (volume corpuscolare medio); MCH (emoglobina corpuscolare media); MCHC
(concentrazione emoglobina corpuscolare media); RET# (conta reticolocitaria); RET% (percentuale
di reticolociti); OFFscore (calcolo che tiene conto di Hb e RET%*
I protagonisti centrali del passaporto biologico sono i reticolociti e l'emoglobina (Hb), che
servono poi per rilevare eventuali violazioni in termini di indice "Off-score".
«ADAPTIVE MODEL»
Il modello matematico alla base del passaporto biologico, definito "adaptive model"
• è basato sulla statistica bayesiana, ed è finalizzato ad identificare valori ematologici atipici nel
profilo longitudinale dell'atleta.
• è in grado di predire il range (0,05-99,95 percentile) atteso di valori entro cui devono rientrare i
marker ematici in condizioni fisiologiche
Un dato viene considerato atipico quando il valore di Hb e/o OFFs è al di fuori del range
intraindividuale atteso. Un profilo longitudinale (dato dai valori di H e/o OFFs) viene considerato
atipico quando devia dal range atteso determinato dal modello statistico.
OFF score (indice di stimolazione)
La funzione OFF SCORE calcola il valore del punteggio OFF-hr (o punteggio OFF), una combinazione
del livello di emoglobina e della percentuale di reticolociti, utilizzato per rilevare il doping del sangue
È uno dei parametri del programma Athlete Biological Passport (ABP) gestito dalla World Anti-
Doping Agency (WADA), ed è abitualmente utilizzato per identificare gli atleti che utilizzano una
sostanza vietata dalle norme antidoping.
L’uso di questo punteggio per rilevare il doping ematico è il seguente: se una manipolazione (uso di
trasfusioni o di agenti stimolanti l'eritropoietina (ESA) come l'eritropoietina umana ricombinante
(rhEPO)) aumenta il numero di globuli rossi circolanti (e quindi aumenta il livello di emoglobina),
l'organismo reagirà interrompendo la propria produzione di globuli rossi.
Questo feedback negativo sarà osservato nella ridotta percentuale di reticolociti (globuli rossi
immaturi). Una tale combinazione di HGB elevato e RETP ridotto, che produrrà un punteggio OFF
elevato, non si trova né naturalmente, né come conseguenza di una condizione medica, ed è quindi
indicativo di doping.
L'off-score è molto interessante, perché è ritenuto in grado di segnalare sia il prelievo di sangue
(caratterizzato da un aumento dei reticolociti e un calo della Hb), sia la reinfusione (reticolociti
caduta e aumenta la concentrazione di Hb).
Informazioni aggiuntive
Presupposto fondamentale del passaporto è la raccolta non solo dei dati biologici, ma di ulteriori
informazioni specifiche dell'atleta necessarie per la valutazione longitudinale dei marker:
• Sesso, età, sport e disciplina, data e luogo del prelievo
• Tipo di controllo (in/ fuori competizione)
• Informazioni sulle condizioni di trasporto del campione
• Informazioni riguardo soggiorno in altitudine nelle 2 settimane precedenti
• Informazioni sull'uso eventuale di dispositivi ipossici nelle 2 settimane precedenti
• Informazioni su eventuali donazioni o trasfusioni ematiche nei tre mesi precedenti
• Informazioni su attività fisica nelle 2 ore precedenti
Requisiti del prelievo ematico e del trasporto
In aggiunta ai requisiti previsti dallo Standard Internazionale per i controlli antidoping:
• Attendere almeno 2 ore dal termine dell'allenamento o gara
• L'atleta deve rimanere seduto almeno 10 minuti
• Compilare il modulo con le informazioni specifiche
• Il campione ematico deve essere trasportato rapidamente al laboratorio per essere
analizzato entro 36 ore
Requisiti analitici
• I controlli di qualità interni devono essere analizzati in doppio
• Un campione di sangue fresco deve essere analizzato 7 volte consecutivamente ed il CV%
deve essere inferiore al 1,5% per l'emoglobina ed al 15% per i reticolociti
• Almeno un controllo di qualità interno deve essere rianalizzato ogni 30-50 campioni ematici
• I laboratori devono partecipare e possedere i requisiti minimi richiesti dal controllo esterno
di qualità della WADA
Requisiti per la gestione dei risultati
L'Unità di gestione dei risultati (APMU) è responsabile di tutta la fase finale:
• creazione del profilo longitudinale ed applicazione del modello statistico;
• invio al gruppo di esperti (nel campo dell'ematologia, della medicina dello sport, della
fisiologia dell'esercizio fisico e del doping ematico) dei passaporti biologici in forma anonima;
• azioni correttive in funzione della revisione degli esperti
Revisione degli esperti
In funzione della valutazione degli esperti, diverse possono essere le azioni correttive dell'APMU

In caso di "profilo doping" è necessaria un'opinione unanime da parte di 3 esperti affinchè l'APMU
possa predisporre un pacchetto di documentazione completa (documentazione del laboratorio,
documentazione della catena di custodia, informazioni sulle competizioni, etc.) da reinviare ai 3
esperti per il parere finale.
Se i 3 esperti confermano la loro opinione iniziale, l'APMU apre una procedura di violazione del
codice antidoping comunicandolo alla NADO, la quale a sua volta avvisa l'atleta, gli invia tutta la
documentazione e richiede una tempestiva motivazione circa le anomalie segnalate
Una volta ricevuta la documentazione da parte dell'atleta (da questo momento non più in forma
anonima), il gruppo di 3 esperti può:
1. Esprimere l'opinione unanime che è altamente probabile l'uso di una sostanza o di un metodo
proibito da parte dell'atleta (spetta poi alla NADO istituire il procedimento disciplinare)
2. Non raggiungere un'opinione unanime e raccomandare o no ulteriori test o investigazioni

LEZIONE 8

Esame chimico-fisico e morfologico delle urine (ECMU)


ECU è un profilo di test mirati a valutare i diversi aspetti dell'apparato urinario, a cominciare dagli
indicatori di lesione (proteine, eritrociti) fino agli indicatori di funzione (concentrazione urinaria
espressa come densità relativa, conduttività o osmolalità).
Valutazione fisica: Colore, Trasparenza, Odore, Schiuma
Valutazione chimica: DH, Peso specifico, Proteine, Sangue, Nitriti, Esterasi leucocitaria, Ketoni
Esame del sedimento urinario: Emazie, Leucociti, Cellule epiteli, Batteri, Altre cellule, Cristalli, Altri
componenti
L'urina è un fluido biologico a composizione ampiamente varabile. Contiene un numero
estremamente elevato di composti, la maggior parte di derivazione ematica. L'ECMU, insieme alla
creatinina e alla velocità di filtrazione glomerulare è il primo approccio alla diagnostica di lesioni e/o
di disfunzioni del rene e dell'apparato urinario. E' importante che venga appropriatamente eseguito
nelle caratteristiche tre fasi pre-analitica, analitica, post analitica. Se mal condotto, potrebbe
innescare, con esiti falsamente positivi, un eccesso di accertamenti non necessari o, peggio, con esiti
falsamente negativi, delle mancate diagnosi.

ECMU

L' ECMU include, di norma, alcuni o tutti i seguenti tipi di indagine e i relativi parametri:
• Ispezione Visiva: colore e aspetto;
• Analisi Fisiche: concentrazione (densità relativa/conduttività/osmolarità);
• Analisi Chimiche: proteine, albumina, creatinina, emoglobina, esterasi, acido ascorbico,
glucosio, chetoni, bilirubina, urobilinogeno;
• Conteggio e morfologia della componente corpuscolata: su analizzatori automatici e/o
mediante microscopia per emazie, leucociti, cellule epiteliali, cristalli, lipidi, batteri, miceti,
protozoi, parassiti, contaminanti, cellule atipiche.
Esame delle urine(Spesa: bassa)
Può essere completamente manuale o altamente automatizzato- il sedimento viene esaminato
microscopicamente in alcuni strumenti anche con l’aiuto dell’automatizzazione.
Un’analisi delle urine è composta da due parti: test chimici ed esami del sedimento (l’urina viene
centrifugata e il concentrato viene esaminato al microscopio- i reperti importanti sono: RBC; WBC;
Fase pre-analitica
La richiesta di esame chimico e morfologico delle urine trova un suo razionale nelle seguenti
condizioni:
• sospetto di infezione del tratto urinano;
• sospetto o follo up di malattia renale,
• sospetto o follow-up di patologia non infettiva del tratto urinario, quali malattie reumatiche,
ipertensione, tossiemia della gravidanza, o effetti collaterali di farmaci,
• formazione corrente di calcoli urinari.
Evitare sforzi intensi prima di effettuare la raccolta: evitare sovraccarichi alimentari; evitare la
raccolta nel pendo mestruale; i rapporti sessuali almeno nelle 12 ore precedenti la raccolta.
Devono, di norma, essere raccolte le urine ottenute dalla prima minzione del mattino, a digiuno.
CONSERVAZIONE: L' ECMU deve essere eseguito nel più breve tempo possibile, soprattutto per
l'osservazione del sedimento, in quanto le emazie possono lisarsi e i cilindri possono frantumarsi Se
si prevede che il campione urinario non possa essere esaminato entro 4 ore, raccomandata la
conservazione refrigerata a +4/8 °C.
Inoltre col passare del tempo:
•I batteri ed i lieviti iniziano a moltiplicarsi
• I batteri ureasici producono NH3 che aumenta il pH
• I batter utilizzano glucosio diminuendone la concentrazione
Si possono utilizzare agenti conservanti ma evitando possibili interferenze (di natura analitica) (es.
borato la azione batteriostatica e previene replicazione, alcoli superiori conservano morfologia degli
elementi corpuscolati).
Arrivo al Laboratorio: Il laboratorio deve sempre esprimere un parere circa l'idoneità e
l'accettabilità del campione ricevuto; in base al tipo di non conformità (NC) eventualmente
riscontrata, potranno essere eseguite solo le analisi non influenzate dalla NC oppure dovrà essere
richiesto l'invio di un nuovo campione.
RACCOLTA: Le urine del mattino sono maggiormente concentrate ed è possibile riscontrare
elementi normalmente assenti o presenti in basse concentrazioni come proteine o elementi figurati.
Le urine contengono componenti con caratteristiche chimiche, fisiche e citologiche molto labili. Il
campione deve essere raccolto (Vol. 15-20 mL.) con distinte modalità, in relazione al tipo di indagine
da eseguire:
Analisi routinaria: del primo mattino in recipienti sterili evitando contaminazioni per l'esame
completo delle urine (più concentrata, quindi più evidenti eventuali alterazioni].
Analisi quantitative e microbiologiche: del mattino intermedio per le analisi di chimica clinica
(dosaggio di metaboliti, ormoni o metalli) o raccolta temporizzata generalmente nelle 24h (negli
studi di clearance, per il dosaggio di sostanze escrete con ritmi circadiani).
Fase analitica: Ispezione visiva
Volume: il volume di urina normalmente prodotta nelle 24 ore è compreso tra i 600 e i 1500 ml. Il
dato assume rilievo nel caso delle raccolte temporizzate e nel calcolo della clearance.
Colore: Assumono colorazioni diverse in corso di patologie sistemiche, renali o urologiche. Colori
diversi legati all'assunzione di alimenti contenenti particolari pigmenti e di farmaci non hanno rilievo
patologico.
Torbidità: vari gradi di torbidità sono correlati a un aumento dei corpuscoli in sospensione
Schiuma: La presenza di schiuma abbondante biancastra è spesso legata alla presenza di proteine
Fase analitica: Ispezione visiva - Colore
Assumono colorazioni diverse in corso di patologie sistemiche, renali o urologiche.
Il normale colore giallo paglierino, più o meno carico a seconda dell'idratazione del soggetto, è
dovuto alla presenza di un pigmento, l'urocromo la cui concentrazione è proporzionale al
metabolismo basale.
Fase analitica: Ispezione visiva - Volume
Un adulto elimina tra 600 e 1600 ml di urina al giorno. L'adeguatezza del volume è valutabile solo
nel caso di raccolta temporizzata. In riferimento al volume giornaliero di urine, si definiscono le
seguenti condizioni.
ANURIA: cessazione dell'eliminazione di urina (insufficienza renale cronica)
OLIGURIA: volume inferiore a 500 600 ml./24 ore (glomerulo nefrite)
POLIURIA: volume superiore a 2 I. (diabete mellito e insipido)
A seconda del prodotto usato, le strisce reattive multiple consentono di misurare quantitativamente
o semiquantitativamente da 6 a 10 parametri nell'urina (pH, peso specifico, glucosio, corpi chetonici,
sangue, proteine, bilirubina, urobilinogeno, nitriti e leucociti)
Se non si utilizzano strumenti fotometrici, si otterrà la massima accuratezza solo se si osserveranno
attentamente i tempi di lettura: le variazioni di colore che si verificano dopo 2 minuti non hanno
alcun valore diagnostico.
Fase analitica: Esame Chimico Fisico
Viene eseguito utilizzando strisce reattive multi- pad (dipstick) lette da strumenti con differenti gradi
automazione. Le caratteristiche di sensibilità e specificità possono variare. I dipstick, se non
conservati correttamente (umidità), possono dare risultati falsi positivi.
Proteinuria
Nelle urine di un soggetto normale si scontrano solo tracce di proteine, quantificabili con valori di
perdita proteica giornaliera compresi tra 40 e 80 mg (valore massimo 150 mg).
Quando la proteinuria supera i limiti fisiologia, indica quasi sempre la presenza di una
compromissione della funzionalità e integrità del rene, o di una patologia sistemica.
Può essere la conseguenza o di una alterazione dei glomeruli, che lasciano filtrare una quantità
abnormemente elevata di proteine, o di una diminuita capacita dei tubuli di riassorbire le proteine.
Tipi di proteinurie
1)PRE-RENALE:
• Forma funzionale: compare solo dopo che si è mantenuta per un certo tempo la postura
eretta (proteinuria ortostatica) o in corso di stati febbrili, dopo attività fisica, scompenso
cardiaco acuto. Proteinuria modesta sempre (<1,5g/die)
• Forma da sovraccarico: riconducibile a un aumento delle proteine plasmatiche ultrafiltrate.
Questo aumento carico di proteine a basso PM si può avere nelle patologie renali da
gammopatie monoclonali associate a eliminazione di catene leggere, setticemia severa (in
questo caso si tratterà di proteine della fase acuta), nell’emolisi (emoglobina), nei traumi
muscolari massivi (mioglobina).
2) RENALE
• Glomerulare: compare quando vi è alterata filtrazione della superficie glomerulare. Forma
più grave (>3,5 g/die) associata a ematuria nel caso di glomerulonefrite, oppure a lipiduria
con ipoalbuminemia e iperlpemia nel caso di sindrome nefrosica. La proteina più
rappresentata nelle urine è l’albumina. Questa nelle urine ha assunto valore prognostico in
alcune patologie, quali il diabete e l’ipertensione.
• Tubulare: si verifica quando la normale funzione tubulare di riassorbimento delle proteine
viene a mancare; proteinuria relativamente modesta (<1,5 g/die), caratterizzata da proteine
a basso peso molecolare (< 35kDa), la globulina, l’x1-microglobulina.
Si può avere forma mista, glomerulare e tubolare con danno doppio.
3) POST-RENALE
• La forma post-renale è caratteristica di tutte le patologie flogistiche o erosive delle mucose
uroteliali e in essa si riscontrano le proteine sieriche coinvolte con un ruolo importante nel
processo di flogosi.
Fase analitica: esame chimico fisico
Concentrazione urinaria
La concentrazione dei soluti nelle urine è un importante indice della capacità di concentrare le urine
da parte del rene, oltre che dello stato di idratazione del soggetto. Risulta, quindi, essere un
indicatore di notevole valenza clinica. L’espressione dei soluti nelle urine può essere valutata
utilizzando diversi parametri che appaiono differenti per significato e per tipologia dei soluti che si
andranno a rilevare: densità relativa; osmolarità; conduttività. Ciascuno di questi parametri può
essere determinato utilizzato in metodiche differenti.
• Densità relativa: misura la densità delle urine in g/L (massa/volume) ed è la determinazione
usualmente utilizzata nella pratica clinica. I metodi diretti determinano tutti i soluti, sia quelli
fisiologicamente presenti nelle urine, come urea ed elettroliti, sia quelli indicativi di
patologia, come glucosio e proteine.
• Osmolarità: viene determinata sfruttando metodi in grado di valutare le proprietà colligative
dei soluti che vanno a interferire con i cambiamenti di stato della soluzione;
• Conduttività: è un parametro che dipende dalla concentrazione di elettroliti nelle urine; è
quindi in grado di misurare il risultato dell’azione del riassorbimento e dell’eliminazione
selettiva di acqua e di ioni del rene anche in soggetti diabetici.
Determinazione proteine urinarie
L’immunoturbidimetria (sfrutta la classica reazione antigene-anticorpo) su analizzatori automatici e
quello più attendibile ma anche il meno utilizzato attualmente. A seguire, metodi in chimica secca
su dipstick, con coloranti specifici per l’albumina ed espressione in rapporto alla creatinuria. Nel test
eseguito con striscia reattiva non si dovrebbe parlare di proteine ma di albumina; infatti, il metodo
utilizzato è sensibile quasi esclusivamente alla presenza di albumina.
Emoglobina
La presenza di emoglobina e/o di eritrociti nelle urine è, insieme alla presenza di proteine, uno dei
marker più significativi di possibile patologia dell’apparato urinario; l’ematuria può costituire l’unica
spia della presenza di una patologia glumerulare o urologica, comprese quelle di natura neoplastica.
Emoglobinuria: si intende la presenza di emoglobina libera.
Ematuria: si definisce la presenza di eritrociti nelle urine.
I metodi in dipstick si basano sull’attività pseudoperossidasica dell’anello tetrapirrolico; la sensibilità
è di circa 0,03mg/dI, corrispondente a circa 10emazie/uL. Il test risulta reattivo sia per emoglobina
sia per mioglobina, in quanto entrambe contengono un anello tetrapirrolico.
Concentrazione idrogenionica (pH)
Le urine presentano un pH leggermente acido (tra 5,0 a 6,0) poiché, in condizioni basali, la
produzione endogena di acidi è prevalente e vi è quindi la necessità di procedere alla loro
eliminazione. È un parametro irrinunciabile sotto il profilo clinico e laboratoristico.
Il pH urinario può variare da 4,5 a 7,5.
7,8-8.0: alcalosi (es. metabolica) UTI; Dieta vegetariana
4.5-5,5: diabete. Acidosi (es. metabolica)
La determinazione del pH ha una notevole importanza per il laboratorio perché permette di
interpretare meglio le altre reazioni chimiche (albumina-proteine) e di valutare correttamente le
cristallurie e l’eventuale batteriuria.
Esterasi leucocitaria
È un enzima presente nei granuli azzurrofili dei granulociti ma non nei linfociti. La positività dei
dipstick si verifica in presenza di esterasi rilasciata dai leucociti in corso di degenerazione. Può essere
indicativa di infezione o infiammazione delle vie urinarie. I dipstick in commercio rilevano l’esterasi
leucocitaria, con una sensibilità equivalente a circa 20-25 leucociti/uL. Tale sensibilità è minore di
quella rilevata dagli analizzatori automatici della frazione corpuscolata (2-3 elementi/uL) e ai limiti
di riferimento per i leucociti (10-15/uL).
Nitriti
La presenza nelle urine è indice di una elevata carica batterica. Il test è giustificato dal fatto che
numerose specie batteriche (es. escherichia coli, enterobacter, proteus, klebsiella, pseudomonas,
strafilococchi) riducono i nitrati (proveniente da verdure fresche con la dieta) a nitriti. La negatività
del test non consente di escludere la presenza di batteri nelle urine. Per esempio, in caso di mancata
assunzione di nitrati con la dieta, ridotta permanenza delle urine in vescica, infezioni da batteri non
in grado di ridurre i nitrati a nitriti, il test dei nitriti nelle urine può risultare negativo anche in corso
di infezioni alle vie urinarie.
Ascobato
La presenza di ascorbato nelle urine è piuttosto frequente, potendo originare sia dalla dieta (agrumi,
conservanti) sia dall’assunzione di farmaci con vitamina C. Nelle urine l’acido ascorbico a una
concentrazione di 100 mg/L è in grado di interferire con la determinazione dell’emoglobina; a una
concentrazione di 250 mg/L da interferenza con la determinazione dei nitriti e della bilirubina; a
concentrazione 500 mg/L si ha interferenza anche con la determinazione del glucosio.
Glucosio
La glicosuria, ovvero la presenza di glucosio nelle urine, indica che la quantità di glucosio filtrato
supera la capacità dei tubuli renali di riassorbirlo completamente e si verifica in seguito ad
iperglicemia. Nel soggetto con rene integro, di norma compare glicosuria quando la glicemia supera
i 180 mg/dL. Si può avere glicosuria con concentrazione normale di glucosio nel sangue nella
patologia tubulare congenita e in corso di terapia diabetica con inibitori dei cotrasportatori sodio-
glucosio di tipo2. La ricerca del glucosio urinario può essere inserita, insieme ai chetoni, come primo
test nel sospetto clinico di diabete.
Chetoni
I chetoni sono una famiglia di tre composti- acetone, acetoacetato, acido β-idrossibutirrico – che
derivano dal metabolismo (in carenza di glucosio) degli acidi grassi. Con il dipstick, falsi negativi sono
determinati dal fatto che non viene rilevato l’acido β-idrossibutirrico. La presenza di chetoni nelle
urine è per lo più lefato al digiuno ed è utile solo in riferimento a specifiche popolazioni di pazienti
e in specifiche condizioni cliniche (diabete, ipotermia, febbre, vomito prolungato, complicanze fetali
nel post-termine) ma raramente hanno reale utilità clinica, ad eccezione di alcune situazioni in
medicina d’urgenza (chetoacidosi diabetica, abuso alcolico).
Pigmenti biliari
La bilirubina e l’urobilinogeno rilevati nelle urine hanno perduto il loro significato e la letteratura
scientifica concorda sull’insufficiente previsione del danno epatico sulla base delle positività urinarie
dei pigmenti biliari. Tuttavia la presenza di bilirubina coniugata nelle urine (bilirubinuria) è indice di
una interruzione della circolazione entero-epatica. Urubilinogeno: perodotto da trasformazione dei
batteri intestinali della bilinubina congiunta. I suoi livelli nelle urine sono elevati nei casi di turnover
alterato della bilirubina (emolisi, circolazione enteropatica bloccata per danno epatico).
Microscopia manuale del sedimento urinario
Il sedimento urinario è costituito dagli elementi presenti nell’urina in forma di sospensione che si
raccolgono nella provetta dopo la centrifugazione. Spesso fornisce informazioni essenziali non
ottenibili con il solo esame chimico-fisico. La valutazione della frazione corpuscolata delle urine
viene effettuata utilizzando l’esame a fresco del sedimento urinario in microscopia manuale in
campo chiaro. L’utilizzo di colorazioni sopravitali è raccomandato solamente in casi patologici, per
migliorare la differenziazione degli elementi cellulari o dei cilindri. La microscopia in contrasto di
fase è in grado di migliorare il riconoscimento e la differenziazione degli elementi corpuscolati. La
microscopia in polarizzazione è raccomandata per l’evidenziazione e la differenziazione dei cristalli
e lipidi. È opportuna la standardizzazione di una serie di aspetti e passaggi preanalitici, quali:
contenitore, configurazione e allestimento dei preparati microscopici.
Identificazione e quantificazione dei cilindri
Elementi di origine pre-renale o renale che si formano per precipitazione di alcune sostanze filtrate
o secrete dall’epitelio tubulare. Sono denominati ed identificati in base alle loro caratteristiche
morfologiche. Costituiti da proteine di Tamm-Horsfall (tamm-horsfall protein,THP), che può essere
l’unico costituente (cilindri ialini) o nel quale possono essere presenti elementi cellulari o di diversa
origine. La formazione dei cilindri deriva dall’aggregazione delle fibrille della THP, favorita dal pH
acido, alta osmolarità, proteine ultrafiltrate.
Identificazione lipidi
Dal punto di vista morfologico, esistono quattro categorie di lipidi: gocciole (isolate o in aggregati),
corpi ovali grassi, cilindri lipidici e cristalli di colesterolo. L’identificazione delle prime tre categorie
è facilitata dall’impiego della luce polarizzata, che mostra le tipiche “croci di malta”. Questi elementi
sono associati a proteinuria marcata.
Valutazione morfologica della frazione corpuscolata mediante microcopia ottica.
Identificazione e quantificazione delle emazie
Si parla di macroematuria se la quantità di sangue è tale da alterare il colorito delle urine. Sono
sufficienti 2mL di sangue in un litro di urina per causare un cambiamento visibile del colore. In
ematuria macroscopica le urine possono avere vari colori:
• Franca: (color rosso) considerevole sanguinamento
• Lavatura di carne: lieve sanguinamento
• Marsala o cola: emoglobinuria o un sanguinamento pregresso
L’american urological association indica come microematuria la presenza di 3 o più emazie per
campo microscopico a 400x equivalenti e 1012 eritrociti/uL con gli analizzatori automatici.
Riconoscimento dei seguenti elementi:
• Cellule ematiche: eritrociti e leuciciti;
• Cellule epiteliali: squamose, transizionali (uroteliali), tubolari;
• Cilindri: ialini, granulari, cerei, lipidici, eritrocitari, leucocitari, epiteliali (contenenti cellule
tubolari renali), pigmenti (da emoglobina, mioglobina, bilirubina), con inclusi cristalli o
microorganismi misti;
• Lipidi;
• Cristalli: ossalato di calcio, acido urico, urati amorfi, fosfati amorfi, calcio fosfato, fosfato
triplo, colesterolo, cisrina,2.8di idrossiadenina, da farmaci;
• Microrganismi: batteri, miceti, parassiti, protozoi:
• Altro: muco, spermatozoi, contaminanti.
Identificazione dei cristalli
La presenza di cristalli nelle urine è significativa solo per quantità consistenti e per alcuni tipi di
cristalli. In urine acide possono ritrovarsi cristalli di acido urico e di ossalato di calcio. Nelle urine
alcaline si possono ritrovare cristalli di fosfato di calcio e precipitati di fosfati amorfi.
Cristallurie patologiche: cristalli di triplo fosfato (infezioni del tratto genito-urinario),
cistina(cistinuria), idrossiadenina, tirosina e leucina (patologie ereditane; epatite, leucemie),
colesterolo (patologie renali, sindrome nefrosica), bilirubina (íttero clinicamente rilevabile).
Alcuni farmaci possono dare luogo alla presenza di particolari precipitati nelle urine.
Identificazione e quantificazione cellule
Le mucose del tratto genito urinario sono rivestite da differenti tipologie di epiteli.
La presenza di cellule tubulari ha sempre un significato patologico e appare correlata con un danno
acuto del tubulo renale. Si osserva in diverse patologie acute del parenchima renale
La presenza di elementi dell'urotelio (cellule transizionali) appare frequentemente correlata a
patologia vescicale infiammatoria, calcolari, manovre invasive (es cateterizzazione), patologa
neoplastica.
La presenza di cellule squamose è un evento frequente nella valutazione microscopica delle urine e
solitamente non aveste significato patologico.
Fase post-analitica: Il referto dell'ECMU
L'espressione dei risultati dei parametri, sia microscopici sia chimici, deve essere quantitativa e/o
semiquantitativa.
I parametri chimici (proteine, esterasi leucocitaria, pseudoperossidasi e nitriti) dovranno essere
quindi quantificati, cosi come le cellule e gli altri corpuscoli presenti nel campione dovranno essere
espressi come numero medio per campo o per microlitro.
Fondamentale è il giudizio di idoneità del campione, che dovrebbe essere espresso, quando
negativo, nella risposta. Nel referto devono essere esplicitati i metodi analitici utilizzati e gli ambiti
di riferimento.
Principali determinazioni enzimatiche e loro impiego clinico
Le determinazioni dell'attività catalitica degli enzimi sono utilizzate nella diagnostica medica per
rilevare danni tissutali che rilasciano l'enzima misurato. Le applicazioni cliniche si sono concentrate
soprattutto sui seguenti enzimi creatina chinasi, alanina amminotransferasi, aspartato
amminotransferasi, fosfatasi alcalina, y-glutammiltransferasi, lattato deidrogenasi, lipasi e amilasi
(forma pancreatica).
La finestra diagnostica
La temporizzazione della finestra diagnostica dell'enzima è un importante aspetto da considerare
quando i marcatori vengono utilizzati per valutare la lesione/alterazione.
La finestra diagnostica di un marcatore è l'intervallo temporale che segue a un episodio acuto di
lesione durante il quale le concentrazioni plasmatiche del marcatore sono aumentate, dimostrando
in tal modo l'avvenuta lesione/ alterazione.
Fattori che influenzano la concentrazione plasmatica degli enzimi
L'attività di un enzima nel sangue è il risultato non solo della quantità totale nascita dalle sue cellule
di origine, ma anche della velocità del suo catabolismo nella circolazione, del passaggio verso il
comparto extracellulare e della velocità con cui esso viene eventualmente inattivato o rimosso.
Rilascio degli enzimi dalle cellule: Deterioramento della membrana cellulare. Le piccole molecole
sono le prime a fuoriuscire dalle cellule danneggiate seguite dalle molecole più grandi.
Effuso degli enzimi dalle cellule danneggiate: il rilascio enzimatico è condizionato dal gradiente di
concentrazione che esiste tra l'interno e l'esterno della cellula
Produzione alterata di enzimi: diminuzione (deficit genetico o produzione depressa) o aumento
della concentrazione. Queste ultime sono di maggiore interesse in enzimologia diagnostica (y
glutimmiltransferasi [GGT] dopo farmaci, alcol).
Microrganismi
La confederazione Europea dei Laboratori Medici e del Gruppo Europeo sull'esame Urine
(ECLM/EUG) propongono una classificazione degli agenti eziologici di IVU in base:
1. alla loro potenziale uropatogenicità;
2 all'integrità dell'apparato genito-urinario;
3 alle condizioni fisiologiche (es.gravidanza);
4 alla presenza di malattie sistemiche
Questa classificazione considera la frequenza con cui i microrganismi vengono isolati dai campioni
• Patogeni primari in grado di dare infezione in soggetti sani e senza anomalie (es. E.coli)
• Patogeni secondari pure si riscontrano in soggetti sani ma con minore frequenza
• Patogeni condizionali infezione in soggetti sani ma con significato patologico in pazienti con
anomalie (es. miceti lievitiformi),
• Batteri contaminanti privi di significato patologico (es difteroidi e lattobacilli)
Enzimi Muscolari: Creatina chinasi (CK)
La CK è un enzima (82 kDa) che catalizza la fosforilazione reversibile della creatina consumando ATP.
Fisiologicamente, quando il muscolo si contrae, l'ATP viene convertito in adenosindifosfato (ADP) e
la CK catalizza la rifosforilazione dell'ADP in ATP, usando la fosfocreatina come serbatoio di
fosforilazione. La CK si trova soprattutto a livello cardiaco (MB), cerebrale (BB) e del muscolo
scheletrico (MM) (tre isoenzimi)
Ogni patologia che causa danno muscolare e/o interferisce con la produzione di energia muscolare
o con il suo utilizzo può provocare un aumento di CK (g, rabdomiolisi, infarto)
Na soggetti caucasici (intervallo di riferimento è 46-171 U/L per i maschi e 34-145 U/L per le
femmine.

Enzimi Epatici
Gli enzimi inclusi in questo gruppo sono le transaminasi (Alanina amino transferasi [ALT o GPT);
Aspartato aminotransferasi (AST o GOT]), fosfatasi alcalina (ALP) e la y-glutamil transferasi (GGT).
Sono spesso erroneamente definiti come "esami di funzionalità epatica", quando invece sono
marcatori di danno.
Le più comuni alterazioni che si incontrano nella pratica clinica sono divisibili in due sottogruppi
fisiopatologici: danno epatocellulare (aumento dell'attività delle transaminasi) e colestasi
(aumento di ALP e GGT).
Enzimi Epatici: Transaminasi
Le transaminasi sono un gruppo di enzimi che catalizzano l'interconversione di amminoacidi:
reazione di transaminazione, ovvero il gruppo a-amminico di un amminoacido viene trasferito ad un
α-chetoacido (generalmente all'α-chetoglutarato)
L’Alanina amino transferasi (ALI) è un enzima che si trova principalmente nelle cellule del fegato e
del rene, quantità molto minor si trovano anche nel cuore e nei muscoli. Converte l'alanina, uno
degli aminoacidi che compongono le proteine, in piruvato, un composto chimico importante nella
produzione di energia a livello cellulare.
Scelta dei test enzimatici
La scelta di quale enzima misurare nel siero per scopi clinici dipende da un certo numero di fattori.
Un fattore importante è rappresentato dalla distribuzione degli enzimi tra i vari tessuti, dato che
condiziona la loro specificità diagnostica

La quantità di organo di danneggiato o malfunzionante, insieme al gradiente cellula/sangue


dell'enzima, ha ovviamente una profonda influenza sul conseguente aumento di attività enzimatica
nel sangue.
Aspartato Aminotransferasi (AST/GOT)
L'AST non è specifica per il fegato e può aumentare anche in patologie che interessano sedi extra-
epatiche.
Il rapporto AST/ALT può essere calcolato per distinguere tra le cause alla base del danno epatico e
per determinare se l'incremento delle concentrazioni degli enzimi è riconducibile ad un danno
cardiaco o muscolare.
Il limite superiore di riferimento (LSR) dell'AST negli adulti è 34 U/L. Una chiara differenza tra maschi
e femmine è stata notata nell'attività dell'ALT, i cui corrispondenti LSR sono, rispettivamente, 59 U/L
e 41 U/L.
Fosfatasi alcalina (ALP)
L'ALP catalizza l'idrolisi alcalina di una grande varietà di substrati naturali e sintetici. E' presente in
molti organi e specialmente: Mucosa dell'intestino tenue, Tubuli renali, Osso (osteoblasti),
Fegato,Placenta. Sembra che l'ALP sia associata con il trasporto di lipidi nell'intestino e con il
processo di calcificazione nell'osso. L'ALP esiste in forme multiple (peso molecolare da 70 a 120
kDa), alcune delle quali sono veri isoenzimi, codificati da separati loci genetici.

Fosfatasi alcalina (ALP): Significalo Clinico


Aumenti di attività di ALP nel siero provengono comunemente da due principali fonti: fegato e ossa
La misura dell'ALP nel siero è di particolare interesse per lo studio di due gruppi di condizioni: le
malattie epatobiliari e quelle ossee associate a un'aumentata attività osteoblastica.
Un aumento fino a 2-3 volte l’LSR, dovuto all'enzima di origine placentare, è osservato nelle donne
al terzo trimestre di gravidanza.
Aumenti transitori e benigni di ALP nel siero possono essere osservati in neonati e bambini, con
modifiche spesso >10 volte l’LSR. Questi cambiamenti sembrano riflettere una riduzione nella
clearance di ALP nel sangue causata da modifiche transitorie della glicosilazione dell'enzima. In
individui adulti sono state stabiliti i seguenti intervalli di ferimento: 33-98 U/L per le donne in età
fertile e 43-115 U/L per i maschi. Per le donne dopo la menopausa è descritto un aumento
progressivo dei valori dell'enzima.
y-glutammiltransferasi(GGT) LSR 40 U/L per le femmine e 68 U/L per i maschi.
La GGT catalizza il trasferimento del gruppo y-glutammile da peptidi e altri composti a un accettore.
La GGT è un enzima che si trova in molti organi, principalmente nelle cellule del fegato. In individui
sani i livelli sono bassi. Al contrano, quando il fegato o le vie biliari sono danneggiate a causa di varie
patologie, la GGT viene rilasciata nel sangue e i suoi livelli aumentano.
Non è molto specifica e non è utile nel differenziare tra le varie case di danno epatico poiché i suoi
livelli aumentano sia in presenza di vari tipi di malattie del fegato, quali cancro ed epatiti virali, che
in presenza di patologie di origine non epatica, quali la sindrome coronarica acuta: le sue
concentrazioni plasmatiche aumentano anche in seguito ad assunzione di farmaci.
Alanina amino transferasi (ALT/GPT)
Negli individui sani i livelli di ALT nel sangue sono bassi, al contrario quando il fegato è danneggiato
l'ALT viene rilasciata nel sangue e i suoi livelli aumentano. Questo solitamente accade prima che
sintomi più evidenti di danno epatico, come l'ittero, possano apparire.
L'esame misura i livelli di ALT nel sangue ed è molto utile per la diagnosi precoce delle malattie
epatiche. Una grande varietà di condizioni patologiche possono provocare danneggiamento delle
cellule epatiche, con conseguente aumento di ALT. L'esame è molto utile nel determinare il danno
dovuto ad epatiti (infiammazioni del fegato), all'uso di farmaci o all'esposizione ad altre sostanze
tossiche per il fegato. L'ALT è di solito richiesta insieme all'Aspartato amino transferasi (AST), come
parte del pannello epatico. Sia la concentrazione dell'ALT che quella dell'AST di solito aumentano
tutte le volte che il fegato viene danneggiato, anche se l'ALT è più specifica per il fegato.
Enzimi Pancreatici: Amilasi
Le α-amilasi sono enzimi della classe delle idrolasi che catalizzano l'idrolisi dei legami 1,4 α
glucosidici presenti nei polisaccaridi (amilosio, amilopectina e glicogeno).
Passa attraverso i glomeruli renali ed e il solo enzima plasmatico fisiologicamente scontrato nelle
urine.
L'attività nel plasma è bassa e aumenta nella pancreatite e nell'infiammazione della ghiandola
salivare. Tuttavia, la specificità della determinazione dell'amilasi per la diagnosi di pancreatite è
bassa perché valori aumentati si riscontrano anche in numerosi altri disordini acuti intraddominali
e in diverse condizioni extrapancreatiche. Negli adulti apparentemente sani, l’amilasi pancreatica
rappresenta il 40 50% del totale dell'attività dell'amilasi nel siero. L'intervallo di riferimento è 13-51
U/L.
Enzimi Ossei
Gli enzimi ossei sono prodotti diretti degli osteoclasti (formazione del tessuto osseo) attivi (ALP)
ossea (BAP) e degli osteoclasti (riassorbimento) (fosfatasi acida tartrato-resistente [TR-ACP).
Fosfatasi alcalina (isoforma ossea)
Le isoforme ossee, epatica e renali dell'ALP rappresentano modificazioni post-traduzionali del
prodotto dello stesso gene e sono differenziate in base al differente contenuto in carboidrati. La
BAP è prodotta dagli osteoblasti: l'enzima è pertanto un eccellente indicatore dell'attività di
formazione ossea globale, Intervallo di riferimento: 7,5-26,1 microg/L.
Fosfatasi acida (isoforma 5b tartrato-resistente)
Sotto il nome di fosfatasi acida (ACP) sono incluse tutte le fosfatasi con attività ottimale al di sotto
di un pH pari a 7.0. L'attività è aumentata fisiologicamente nei bambini in crescita e in patologia in
condizioni di aumentata osteolisi e rimodellamento osseo.
L’isoenzima 5 è costituito da due isoforme strutturalmente correlate, che differiscono per il loro
contenuto di carboidrati: TR-ACP 5alfa, che deriva principalmente da macrofagi e cellule
dendritiche, e TR-ACP 5b, marcatore più specifico di attività osteoclastica. Lievi o moderati
incrementi dei livelli sierici di TR-ACP 5b si hanno nella malattia di Paget(osteite deformante)
nell’iperparatiroidismo. In individui sani, l’intervallo di riferimento dell’attività TR-ACP 5b è 1,5-4,5
U/L.
Altri Enzimi: Lattato deidrogenasi ([.DH)
Il lattato deidrogenasi (LDH) è un enzima che, attraverso il trasferimento di idrogeno, catalizza
l'ossidazione di L-lattato a piruvato con la mediazione del NAD+ come accettore di idrogeno.
L'enzima ha un peso molecolare di 131 kDa ed è composto da 4 catene peptidiche di 2 tipi (M e H),
ciascuna sotto separato controllo genetico.
Lattato deidrogenasi: 5 isoenzimi (LDH-1/5)
L'attività dell’LDH è presente in molte cellule e tessuti umani. La concentrazione di enzima nei tessuti
varia da 1500 a 5000 volte rispetto a quella trovata fisiologicamente nel siero. Quindi, la fuoriuscita
dell'enzima, anche da una piccola quantità di tessuto danneggiato, aumenta in misura significativa
l'attività di LDH osservata del siero. Tessuti differenti mostrano diversa composizione isoenzimatica.
Nel cuore, nei reni e negli eritrociti predominano gli isoenzimi LDH-1 e 2, nel fegato e nel muscolo
scheletrico predominano gli isoenzimi LDH-4 e 5.
Enzimi Pancreatici: Lipasi
Le lipasi sono enzimi che idrolizzano gli esteri del glicerolo con acidi grassi a catena lunga (digestione
dei grassi introdotti con la dieta). E’ una glicoproteina a catena singola del peso di 48 kDa. La
concentrazione della lipasi nel pancreas è 5000 volte superiore rispetto a quella di altri tessuti. La
misura della lipasi del siero rappresenta l’esame raccomandato per la diagnostica della pancreatite
acuta. In condizioni normali nel sangue sono presenti solo basse concentrazioni. In seguito a danno
delle cellule pancreatiche (pancreatite, ostruzione del dotto pancreatico) viene riversata in circolo
una maggior quantità di lipasi, per cui aumenta la contrazione ematica(LSR cambia a seconda del
metodo 45 o 65 U/L).
Diagnostica proteica
Un ambito della diagnostica proteica si occupa delle gammopatie monoclonali, condizioni
caratterizzate dalla presenza in circolo o nelle urine di un'immunoglobulina monoclonale (o di una
sua parte).
L' altro ambito della diagnostica proteica, quello della misura immunochimica di alcune proteine
sieriche di rilevanza clinica. Quelle prese in considerazione sono: albumina, alfa 1-antitripsina,
aptoglobina, complemento, fattore reumatoide, immunoglobuline, proteina C reattiva.
Tecnologia separativa: Elettroforesi proteica
L'elettroforesi è una tecnica separativa basata sulla diversa velocità di migrazione di particelle
elettricamente cariche attraverso una soluzione e sotto l'influenza di un campo elettrico applicato.
La velocità di migrazione di una proteina dipende, oltre che da numerosi fattori indipendenti, quali
natura del mezzo e la forza del campo elettrico applicato, anche dalla massa, dalla dimensione, della
forma e dalla carica della particella stessa, cioè dalla sua mobilità elettroforetica. Una tecnica
elettroforetica molto diffusa nell'ambito della diagnostica proteica è l’elettroforesi zonale su
supporto solido, tipicamente gel d'agarosio.
Elettroforesi proteica
Le proteine si spostano verso il catodo se hanno carica positiva o verso l'anodo se hanno carica
negativa. Alla fine della migrazione il gel è sottoposto a scansione densitometrica. Il risultato finale
è un grafico (tracciato elettroforetico) costituto da una serie di picchi corrispondenti alle frazioni
proteiche separate. L'area delimitata da ciascun picco è proporzionale alla concentrazione di
ciascuna frazione e viene espressa in percentuale.
Tale indagine viene chiamata protidogramma. Le proteine sieriche vengono distinte in base alla loro
mobilità elettroforetica in frazioni diverse: Albumine e Globuline; Queste ultime suddivise in sub-
frazioni alfa-beta-gamma.
Albumina
L'albumina (ALB) è una proteina non glicosilata con un PM di circa 66 kDa, sintetizzata dagli epatociti
e con un'emivita di circa 20 giorni.
Le principali funzioni dell’ALB sono: legare e trasportare numerose sostanze endogene ed esogene
(acidi grassi liberi, amminoacidi, ormoni steroidei); costituite una riserva di amminoacidi per la
sintesi proteica e ha un’azione antiossidante.
L'unica variazione clinicamente significativa è la sua diminuzione. I valori di riferimento nel plasma
per gli adulti sono 35-52 g/L.
Lattato deidrogenasi: Significato clinico
A causa della sua ampia distribuzione tissutale, aumenti di LDH nel siero si verificano in una varietà
di condizioni cliniche, inclusi infarto del miocardio, epatite ed emolisi. Tuttavia, la misura di LDH nel
siero è rilevante solo in ematologia e oncologia.
Marcati aumenti di attività della LDH fino a 50 volte l’LSR, si osservano nelle anemie. Pazienti con
malattia benigna mostrano spesso aumenti di LDH nel siero; fino al 30%, dei pazienti con metastasi
epatiche e dal 20/60% dei pazienti con altre metastasi(linfonodali) presentano aumentata attività
della LDH. L'intervallo di riferimento della LDH in soggetti adulti caucasici è 125-220 U/L.

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