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Alessandro Mugelli)
Cos’è la farmacologia?
“La scienza che studia i farmaci e le interazioni reciproche tra i farmaci e gli organismi viventi”.
Cos’è un farmaco?
“Una sostanza capace di provocare in un organismo delle modificazioni funzionali attraverso un’azione
chimica o fisica”.
Il termine farmaco deriva dal greco Pharmakon che significa “principio attivo”.
Quindi un farmaco per noi è un principio attivo con effetto positivo, in altre parole un rimedio (una
medicina). Però il farmaco ha in sé anche la possibilità di dare effetti negativi ed è per questo che può es-
sere inteso come veleno.
AIFA. È l’agenzia italiana del farmaco. L’AIFA indica il prezzo dei farmaci e ha un potere enorme sul si-
stema farmaceutico.
Così da 5000-10’000 composti che possono potenzialmente diventare un farmaco, ne arriva sul mercato
solo uno e solo dopo un periodo di tempo di circa 12 anni.
Come prevede l’agenzia americana per i farmaci (Food and Drug Administration), una volta che il farmaco
viene immesso sul mercato viene comunque continuato a studiare (farmacologia epidemiologica) per
accertarsi che il profilo beneficio/rischio si mantenga positivo; in caso contrario, il farmaco viene ritirato dal
mercato.
Nel nostro paese la legge Lorenzin, dal nome del vecchio ministro della salute, adegua il nostro sistema organizzativo
della ricerca clinica al sistema europeo, infatti c'è un nuovo regolamento europeo che viene accettato da tutti i paesi
dell'Unione Europea così da favorire la ricerca. La ricerca clinica vedrete che è un tema estremamente importante per i
reparti. Non tutti la fanno, ma, se lo faranno nel vostro reparto, dovrete sperimentare voi dei farmaci e provarli.
È un settore rilevante dove l’ industria farmaceutica investe: è importante dal punto di vista scientifico, sociale ma anche
economico, perché chi investe fa investimenti ad alto rischio ma potenzialmente con grande ritorno economico ed è per
questo che le azioni delle industrie farmaceutiche sono definite blue cheese (si dice debbano stare in tutti i portafogli
importanti).
FASE CLINICA. La fase clinica sull’uomo è molto importante, e si distingue in tre fasi:
- fase 1—> condotta su volontari sani
- fase 2—> condotta per provare che quello che avevamo ipotizzato come effetto terapeutico
avvenga davvero in categorie selezionate di malati.
- fase 3—> studi più ampi per portare il farmaco a registrazione.
Tra i criteri generali per la disciplina degli ordinamenti didattici, la legge che interviene sulla didattica, si tro-
vano specifiche indicazioni sui percorsi formativi in materia di metodologia della ricerca clinica, conduzione
e gestione delle sperimentazioni e degli studi clinici. Questo per farci capire quanto sia importante questo
ambito.
Inoltre, i problemi scientifici vanno a intersecarsi con i problemi economici dal momento che la farmaceu-
tica è un patrimonio manifatturiero di grande valore per l’Italia: 174 fabbriche e 63500 addetti .
Il successo terapeutico e la riduzione delle reazioni avverse a un farmaco dipendono dallo studio e dalla
comprensione dei principi della farmacocinetica.
L’ interazione fra l’organismo e il farmaco e viceversa o l’interazione fra farmaco e farmaco vanno sotto il
nome di FARMACODINAMICA (argomento delle lezioni successive).
La farmacocinetica è, forse, fra tutte le parti della farmacologia quella più quantitativa - noi, non faremo
tutte le parti quantitative della farmacocinetica, perché c’è un modellistica dietro che è anche complessa -
però come viene studiata la cinetica del farmaco all’interno dell’organismo è una parte estremamente
importante della farmacologia.
1) FASE DI ASSORBIMENTO che è la fase dalla somministrazione del farmaco fino ad un comparto
dell’organismo e naturalmente questa fase è influenzata dalle vie di somministrazione.
2) FASE DI DISTRIBUZIONE del farmaco nei tessuti, in alcuni o in tutti i tessuti, dipende dalle
caratteristiche del farmaco.
3) FASE DI BIOTRASFORMAZIONE (eventuale) che il farmaco subisce all’interno dell’organismo.
4) FASE DI ELIMINAZIONE del farmaco.
La farmacocinetica si basa su studi di tipo quantitativo. Le leggi che regolano i principi della
farmacocinetica permettono, con una serie di modelli, di prevedere sulla base di alcuni indicatori quale sia
la concentrazione del farmaco in alcuni comparti o come si sia distribuito.
La distribuzione del farmaco segna l’iter di sviluppo di un farmaco durante i trials clinici.
La fase 1 fatta su volontari sani che è necessaria a studiare la farmacocinetica della sostanza; quindi per
capire come si comporta il farmaco una volte che viene immesso per la prima volta nell’uomo o nella
donna.
Quel momento si chiama “first in man” (per la prima volta nell’uomo) e serve a capire quale sia il destino di
questo farmaco, che non è a volte facilmente desumibile da quello che succede in animali anche
considerati modelli simili a quello umano.
Si basa sulla teoria dei compartimenti, che sono moltissimi ma che possiamo riassumere in 3
compartimenti principali:
1) Circolatorio (il sangue)
2) Extracellulare
3) Intracellulare
La proporzione dipende dal passaggio nei vari compartimenti e dalle caratteristiche chimico-fisiche del
farmaco.
Questi sono i processi fondamentali: (ADME)
1) Assorbimento: processo di ingresso del farmaco nel circolo sistemico. L’assorbimento è istantaneo se
la somministrazione è endovenosa.
Ma da questi derivano alcuni concetti che sono concetti che bisogna conoscere e che si desumono dal
destino del farmaco nell’organismo:
a) la CLEARANCE che verrà alla fine
b) la BIODISPONIBILITÀ del farmaco (concetto molto importante)
c) l’EMIVITA del farmaco
d) l’EQUIVALENZA fra farmaci, che deriva dalla biodisponibilità, fra formulazioni farmaceutiche diverse
dello stesso principio attivo
e) il REGIME TERAPEUTICO che si desume dall’equivalenza.
Quindi, la farmacocinetica è lo strumento anche matematico attraverso cui si imposta il regime terapeutico
in un paziente. Quindi questa è la terminologia usata in farmacocinetica:
a) ASSORBIMENTO = viene definito come il processo attraverso cui il farmaco passa dal punto di
somministrazione nel torrente circolatorio, in misura maggiore o minore ma dipende anche dalla via
attraverso cui viene somministrato. Quindi l’assorbimento è al primo posto.
g) CLEARANCE: volume di plasma contenente la quantità di farmaco rimosso dai reni nell’unità di tempo.
i) EMIVITA: tempo necessario per eliminare il 50% del farmaco presente nell’organismo
ASSORBIMENTO
L’assorbimento dipende dalle vie di somministrazione.
Esistono due vie principali di somministrazione:
- ENTERALE, come la somministrazione orale
- PARENTERALE, come la somministrazione intramuscolare
In realtà, le vie di somministrazione sono moltissime non sono soltanto queste, ma vengono, per comodità,
suddivise in grandi gruppi:
a) VIE ENTERALI. Il primo gruppo sono le VIE ENTERALI tra cui la via orale. Tuttavia, la discriminante
non è come viene ingerito o non ingerito un farmaco, ma la discriminante delle varie vie è se il farmaco
passa o meno attraverso il circolo portale; questo perché ha delle ripercussioni sul destino del farmaco.
Allora, certamente tutti siamo d'accordo sul fatto che la somministrazione orale è una via enterale, ma dei
dubbi ci potrebbero essere sulla via sublinguale.
L’ OKITASK o KETOPROFENE è un antinfiammatorio non steroideo che può essere somministrato per via
orale - ci mette un po' di più - o per via sublinguale.
Però, questi nuovi farmaci, che per via orale non avrebbero nessun effetto, hanno effetto perché una volta
passati attraverso il fegato verrebbero completamente inattivati.
Esempio: la NITROGLICERINA SUBLINGUALE, che viene somministrato in caso di attacco anginoso.
L’effetto che noi vogliamo è un effetto che raggiunga il cuore, il più possibile, senza passare dal fegato;
questo significa che tutta la nitroglicerina va fuori? No, ovviamente una parte il paziente la deglutirà e
quindi una parte verrà completamente inattivata da parte del fegato. Quella che, invece, arriva al cuore
spesso ma non sempre - dipende da che tipo di attacco è, se è un infarto non fa nulla - serve a ridurre o
eliminare il dolore anginoso attraverso una serie di meccanismi che verranno affrontati prossimamente.
La stessa cosa riguarda la via rettale, dove ci sono le vene emorroidali inferiori, tributarie della vena cava
inferiore, quelle superiori, tributarie della vena porta. Quindi, anche in questo caso, il farmaco si distribuirà
parte in un circolo e parte nell’altro e ovviamente è difficile prevedere, per tutta una serie di motivi, quale
sarà la porzione di farmaco che arriva da una parte o dall’altra, però, naturalmente ha i suoi vantaggi.
Queste vie sono considerate vie enterali, anche se non tutto il farmaco passa attraverso il circolo portale.
Quindi, abbiamo una seria numerose di vie, in alcuni casi praticabili anche non da personale specializzato
sanitario; pensiamo alla via subcutanea in cui il paziente si somministra eparina o insulina e non è detto
che la persona una volta istruita debba avere sempre l’infermiere o il medico accanto, mentre alcune vie
devono essere praticate da personale sanitario o dal medico stesso, come nella via epidurale. Ciascuna di
queste vie può essere praticata domiciliarmente oppure in ambiente sanitario o ospedaliero.
c) Il terzo gruppo sono le VIE TOPICHE, quando lo scopo della somministrazione non è quello di
raggiungere il circolo sistemico ma è quello di rimanere il più possibile localizzato dove vengono praticate.
Troviamo, quindi, alcune somministrazioni, per esempio:
- a livello della congiuntiva, pensiamo ad una congiuntivite trattata con colliri
- la via nasale, come i decongestionanti nasali
- la via intrauretrale o intavaginale
- la via cutanea, per affezioni cutanee di vario tipo
Quindi, si definiscono vie topiche tutte quelle vie di somministrazione che sono somministrate non
attraverso gli orifizi naturali ma che hanno lo scopo di rimanere nel luogo della somministrazione.
d) VIA INALATORIA, in cui si usa l’apparato respiratorio per raggiungere organi che altrimenti non si
raggiungerebbero, come i bronchi. Questa via che, viene utilizzata largamente per somministrare farmaci
antiasmatici, permette di raggiungere l’albero bronchiale per esplicare l’effetto antinfiammatorio ad
esempio.
Naturalmente la via inalatoria può essere utilizzata sia per i gas, pensiamo alla anestesia generale, ma non
solo per raggiungere l’albero respiratorio ma anche per raggiungere altri organi, se si tratta di farmaci
gassosi o di sostanze che attraverso, per esempio, i capillari nasali possono raggiungere più rapidamente
il sistema nervoso centrale. Così esistono delle gocce di farmaci come antiepilettici, ed esempio
Madazolam, che possono essere utilizzati attraverso questa via dei capillari nasali in attacchi di epilessia,
in cui il paziente non è in grado di deglutire e questi raggiungono rapidamente il sistema nervoso centrale.
Esistono anche numerose sostanze di abuso che, sfruttando questa via preferenziale dei capillari nasali
che vanno verso il sistema nervoso centrale con una ridottissima barriera emato-ecefalica, vengono
utilizzate per rendere più efficace e rapido il passaggio di sostanze, come la cocaina, nel sistema nervoso
centrale.
Questa è la base farmacocinetica dell’uso di certe sostanze e queste sono le vie che abbiamo a
disposizione.
Qui rappresentato in figura vi è un doppio strato lipidico, con la sua composizione e in più è raffigurato
come le sostanze possono passare.
- Se una sostanza è molto idrofilica, quindi, si concentra in maniera privilegiata nell’ambiente acquoso,
allora il suo passaggio attraverso la membrana sarà ridotto.
- Se una sostanza è molto idrofobica o liposolubile, la sostanza tenderà ad attraversare liberamente le
membrane, quindi passerà da una parte e dall’altra fino a raggiungere un equilibrio, che non si raggiunge
mai.
- Se la sostanza è molto lipofila, quindi ha veramente una grande tendenza a distribuirsi nell’ambiente
oleoso, tenderà ad accumularsi nella membrana. Quindi, esistono tutta una serie di diversi comportamenti
a seconda della natura della sostanza ma in realtà quasi tutti i farmaci sono farmaci moderatamente lipofili
o di origine o per biotrasformazione, cioè tengono a passare in una certa misura da una parte all’altra del
compartimento e anche in base ad alcune biotrasformazioni che vanno viste molecola per molecola.
DIFFUSIONE SEMPLICE. È la modalità più semplice di passaggio da una parte all’altra della membrana
però questo avviene per molecole sufficientemente piccole.
Poi abbiamo la possibilità anche per molecole un po' più grandi di passare attraverso dei pori o delle
giunzioni non strette fra cellula e cellula (DIFFUSIONE ATTRAVERSO PORI).
Alcuni capillari sono capillari fenestrati o capillari che non hanno giunzioni serrate e che permettono il
passaggio da un compartimento ad un altro, che siano ad esempio a livello epatico, non necessariamente
attraversando le membrane.
TRASPORTO MEDIATO DA CARRIER. Dei veri e propri trasportatori, per esempio alcuni ioni come il ferro
utilizzano questi sistemi di trasporto; esistono numerosissimi carrier che non sono nati per i farmaci ma che
sono in grado di trasportare il ferro come sono in grado di trasportare il ferro di origine alimentare, sono nati
per quello ma abbiamo anche farmaci che sfruttano per esempio i carriers per amminoacidi che sono
presenti nelle membrane.
PINOCITOSI. Per esempio l’insulina che è in grado di penetrare, quindi molecole di elevato peso
molecolare o polipeptidi che entrano attraverso questo meccanismo della pinocitosi da un compartimento
cellulare ad un altro. Tutti questi meccanismi sono meccanismi che sono presenti.
CANALI IONICI. Alcune molecole cariche positivamente o negativamente, piccole, ioni, come il litio, per
esempio, che è un farmaco utilizzato per i disturbi bipolari che penetra a livello della cellula sfruttando i
canali del sodio. Ce ne sono tanti altri, anche metalli pesanti che sono tossici anche per questo motivo e
che sfruttano canali ionici presenti in membrana.
SISTEMI DI TRASPORTO ATTIVO. Farmaci o molecole simili a quelle endogene sfruttano il meccanismo
di trasporto attivo e, come dice il nome, il trasporto attivo richiede ATP .
Questi meccanismi di trasporto attivo sono contro gradiente di concentrazione, cioè, mentre tutto quello
che abbiamo detto fino ad adesso, quello che non comporta utilizzazione di ATP è sempre secondo
gradiente di concentrazione, il trasporto attivo è un trasporto contro gradiente di concentrazione. Quindi
sfrutta meccanismi di trasporto, come per esempio, degli aminoacidi che devono avvenire andando
controgradiente.
La diffusione passiva è quella largamente più frequente per i farmaci ed è possibile soltanto nel caso in cui
la molecola sia, almeno in parte, lipofilica, altrimenti non potrà mai avvenire il passaggio attraverso la
membrana.
Naturalmente moltissimi farmaci o sono BASI DEBOLI o ACIDI DEBOLI. Questo significa che, in un
ambiente acquoso, questi farmaci almeno in parte sono ionizzati, hanno una carica positiva o negativa.
Le molecole cariche non passano le membrane, almeno che non siano piccoli ioni, protoni per esempio.
Ma anche attraverso canali ionici anche il calcio attraversa la membrana però alcune molecole, come sono
la stragrande maggioranza dei farmaci, non passano le membrane se sono carichi.
— L’altra grande discriminante è che non sia legato alle PROTEINE PLASMATICHE e questo è, in
generale importante ma, estremamente importante per alcuni farmaci perché alcuni farmaci hanno una
affinità elevatissima per le proteine plasmatiche e vi si legano al 90% 95% 99%.
È chiaro che in questo caso il compartimento sanguigno fa da grande spugna che trattiene quel farmaco in
circolo non rendendolo disponibile per processi successivi, cioè per tutto quello che è il destino successivo
del farmaco. Quindi il farmaco legato non passa attraverso le membrane perché l’albumina e altre proteine
non passano attraverso le membrane.
— L’altro importante determinante è il PESO MOLECOLARE delle sostanze, perché più una sostanza ha
peso molecolare alto più difficile è il suo passaggio attraverso le membrane.
Allora, dobbiamo cercare di semplificare un concetto, come vedete dall’immagine, abbiamo due situazioni
esageratamente differenti:
Questo è un esempio di quello che dicevamo prima cioè il passaggio da un ambiente, supponiamo,
extracellulare o intracellulare o dal sangue ai tessuti. Questo passaggio è comunque ridotto sia che una
sostanza sia molto poco liposolubile, sia che lo sia moltissimo. Per fortuna in molti casi si sta nel mezzo e
quindi rapidamente si raggiunge l’equilibrio.
Questo ha moltissime conseguenze, nonostante sembri una cosa di utilità pratica ridotta.
Per esempio: tutti i barbiturici sono acidi deboli. Oggi il barbiturico è poco utilizzato ma in passato veniva
utilizzato a scopo di suicidio, vi sono numerosi e famosi casi di suicidio a base di barbiturico.
Il farmaco è molto solubile ed è un acido debole. Nella sua forma non ionizzata (ambiente acido)
attraversa molto bene la barriera emato-encefalica.
L’effetto farmacologico che provocano i barbiturici in particolare è un effetto che può essere legato alla
soppressione del centro del respiro, cioè l’individuo smette di respirare; soprattutto l’associazione con
alcune sostanze anche queste “deprimenti” il sistema nervoso centrale, quindi l’alcool porta a morte
rapidamente a secondo del dosaggio.
Per salvare un paziente, come si fa ad eliminarlo sapendo che è un acido debole? Bisogna fare in modo
che la sostanza, se viene eliminata attraverso le urine, se ne vada il più possibile attraverso le urine.
Il barbiturico va nelle urine benissimo. Ma siccome le urine sono mediamente acide, il barbiturico che
giunge nelle urine viene riassorbito tranquillamente a livello tubulare dove ritorna in circolo.
Quindi questo è un tipo di uso, ma ci sono anche casi opposti. Questo principio viene utilizzato per
intrappolare nel compartimento urinario una sostanza che si vuole eliminare.
Questo meccanismo che si chiama INTRAPPOLAMENTO IONICO, si basa sul fatto che una sostanza
diventi, in qualche modo, incapace o più capace di attraversare la membrana a seconda del pH.
Se una sostanza, un acido debole si trova in un ambiente acido, tende a trovarsi nella sua forma non
ionizzata e quindi attraversa meglio le membrane e questo lo troveremo nel caso degli anestetici locali, o
quando parleremo dei FANS, tutti acidi deboli, farmaci antinfiammatori non steroidei, come l’aspirina.
Questo è un principio di carattere generale.
La maggior parte dei farmaci sono acidi o basi deboli, per esempio tutti gli acidi deboli passano
abbastanza bene dallo stomaco, dove l’ambiente è molto acido, al sangue, mentre le basi deboli come
sono altri farmaci, passano meglio nel compartimento, nel sangue dal duodeno attraverso l’intestino dove
invece il pH è più basico.
Attraverso il tratto gastro-intestinale nello stomaco, dove il pH è acido, passano meglio le sostanze acide
attraverso la membrana, mentre le sostanze che sono basi deboli passano meglio attraverso il duodeno o
comunque nell’intestino.
Ovviamente non si parla né di acidi, né di basi forti: essendo entrambi molto tossici, non devono essere
somministrati in nessun caso. Esistono molti tipi di farmaci sia basici che acidi. L’aspirina ha una pKa tra 3
e 4 , quindi è un acido debole ma non debolissimo. Molte sostanze hanno una pKa intorno a 7, quindi sono
chiaramente acidi o basi deboli.
- L’altro grande parametro che influenza l’assorbimento è la dimensione della superficie: più superficie
una sostanza ha a disposizione più è facile che attraversi quella membrana per una questione
probabilistica.
- L’assorbimento dipende anche dalla permeabilità e dalla vascolarizzazione. Infatti, i parametri che
regolano l’assorbimento non dipendono solo dall’ equilibrio acido-base ma anche dalle caratteristiche del
compartimento attraverso cui passano.
Ci sono trasportatori:
- per i cationi e per gli anioni
- per i neurotrasmettitori, ad esempio per la serotonina, la noradrenalina, per la colina…
- per nucleosidi e nucleotidi
Questi trasportatori sono già presenti nell’organismo, per motivi di evoluzione, al fine di trasportare
sostanze endogene. Alcuni farmaci sono in grado di sfruttare questi trasportatori (lo stesso discorso vale
naturalmente anche per i recettori).
Gli ioni sono somministrati solo per via endovenosa attraverso le soluzioni. In realtà non ci interessano
come farmaci gli ioni in sé, ma come questi siano modificati.
Rincontreremo i carrier per i soluti quando parleremo degli antidepressivi, dei farmaci attivi a livello
cardiaco (trasportatori dei neurotrasmettitori e del Na+ in contemporanea o del Na+ e del Ca++...).
La glicoproteina P gioca la sua importanza non solo da un punto di vista evoluzionistico ma anche per
l’assorbimento di molti farmaci, a volte con importanti conseguenze.
Esempi:
- Le cellule tumorali diventavano resistenti ai chemioterapici sovraesprimendo questa glicoproteina che fu
chiamata MDR (multi drug resistance = proteina in grado di conferire resistenza a tutta una serie di
chemioterapici).
Quando a livello intestinale un farmaco penetra la membrana cellulare, viene catturato dalla glicoproteina
P; quest’ultima lo metabolizza (biotrasforma), e lo ributta fuori dalla cellula. È una “proteina spazzina”.
Qual è il problema della ciclosporina? Quando arriva nell’intestino, il 95% di essa viene eliminato attraverso
l’azione della glicoproteina P: la biodisponibilità di questo farmaco si riduce.
In conclusione: la glicoproteina P è importante per il mancato assorbimento di farmaci.
Esempio
La tetraciclina è un antibiotico che non si usa quasi più.
Solitamente è impiegata per alcune infezioni batteriche, ad esempio in casi di acne.
Non viene somministrata in età pediatrica perché provoca discolorazione dei denti.
A stomaco vuoto l’assorbimento è molto rapido.
Se nello stomaco sono presenti alcune sostanze per esempio una sostanza antiacida come latte,
formaggio, yogurt, (malox?) l’assorbimento è molto ridotto: il calcio contenuto in questi cibi tende a
complessarsi con la tetraciclina rendendola indisponibile per l’assorbimento.
Via endovenosa
Vantaggi:
- ha sicuramente un effetto più rapido: tutto quello che metto nel circolo sanguigno diventa disponibile per
l’effetto. La stessa cosa non si può dire per la via orale.
- posso misurare al microgrammo la dose, cosa che non posso fare per la somministrazione orale.
- si possono somministrare anche grandi quantità, aggiustando il volume di sostanza per via endovenosa.
Svantaggi
- una volta somministrata per via endovenosa è difficilissimo togliere la sostanza: se ho fatto un errore
questo può essere molto difficile da rimediare.
- una somministrazione ripetuta di alcune sostanze può danneggiare il circolo venoso.
- il farmaco dev’essere solubile in acqua altrimenti non lo posso somministrare.
- in alcuni casi se si somministra rapidamente il farmaco si possono avere dei riflessi con casi di sincope
anche gravi.
Via intramuscolare
Vantaggi
- È abbastanza facile da utilizzare, anche per sostanze poco solubili come le penicilline (sono degli
antibiotici).
Le penicilline formano un deposito nel muscolo e piano piano vengono rilasciate, senza problemi.
Svantaggi
- Bisogna stare attenti ad arterie o vene imparando a fare bene l’iniezione intramuscolare.
- Bisogna scegliere bene anche la sede.
Se il paziente è una persona anziana dovete scegliere attentamente; se è una persona che è a letto per
tanto tempo il muscolo gluteo potrebbe essere poco sviluppato, in quel caso è meglio la coscia, o il
deltoide, insomma anche la scelta del luogo di somministrazione può variare a seconda della condizione.
Se si tratta di un bambino o di un lattante a maggior ragione.
Questa diapositiva in maniera molto schematica mostra quali sono le vie di somministrazione e quel
concetto che abbiamo detto inizialmente.
Alcune vie passano attraverso le vie enterali, la via orale in particolare passa attraverso il circolo portale
(comunque tutti i farmaci passano attraverso il fegato prima o poi: è importante da ricordare perché, come
vedremo, il fegato è l’organo che più determina la biotrasformazione delle sostanze).
La sostanza arriva in varie parti dell’organismo anche attraverso il plasma, attraverso la placenta,
attraverso le ghiandole mammarie arriva nel latte arriva ai polmoni e se in parte è gassosa può essere
espirata. Tutta questa parte centrale fa parte del grande meccanismo della distribuzione dei farmaci.
VOLUME DEL FARMACO
Che volume ha un farmaco per la sua distribuzione? Lo possiamo calcolare.
Si prende una goccia di sangue, in questa goccia misuriamo la concentrazione del farmaco, la mettiamo al
denominatore, al numeratore mettiamo la dose. Dato che la concentrazione è il rapporto tra dose e volume,
rigirando l’equazione il volume è il rapporto tra la dose e la concentrazione plasmatica.
Minore è la concentrazione che trovo nel plasma, maggiore sarà il volume di distribuzione, essendo la
concentrazione al denominatore.
Esempi:
- lo stronzio è un contaminante rilasciato nell’ambiente quando c’è un problemino nucleare; questo si può
concentrare nelle ossa.
- alcune sostanze liposolubili possono rimanere per lungo tempo nei lipidi ed essere smaltite più
lentamente.
Il volume di distribuzione serve a dare un’idea di quali compartimenti siano raggiunti dal farmaco.
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Quando avrete davanti il libro di farmacologia, vedrete delle tabelle dove per le varie classi di farmaci (beta
bloccanti, anti aritmici etc.) troverete alcuni indicatori:
- volume di distribuzione
- percentuale di legame alle proteine plasmatiche
- biodisponibilità
- via d’eliminazione.
Di solito c’è qualche parametro di farmacocinetica che ancora non abbiamo visto.
La percentuale di legame alle proteine plasmatiche è uno dei parametri di
confronto tra farmaci della stessa classe.
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DA EFFICACE A TOSSICO. Abbiamo un farmaco che si lega per il 99,9 % alle proteine plasmatiche, tra
1000 molecole quella che agisce è solo una. Se si lega al 99%, si legano 10 molecole su 1000,
ovvero 1 su 100. Questo farmaco dà l’effetto atteso.
=> A questo punto aggiungo un’altra sostanza (non necessariamente un altro farmaco, può essere anche
un agente di contrasto) che si lega alle proteine plasmatiche in una certa quantità.
Adesso il legame del farmaco con le proteine plasmatiche diminuisce dal 99 al 90%
! la quantità di farmaco libero aumenta di 100 volte!
L’esempio che viene sempre fatto è quello di un farmaco che studieremo il prossimo anno ma che sta per
essere rimpiazzato: il warfarin, sulla scatolina indicato come coumadin.
È un anticoagulante orale, si lega tantissimo alle proteine plasmatiche ed è un farmaco molto potente, è
nato infatti come veleno per topi.
Nei pazienti che fanno uso di questo farmaco per prevenire trombosi venose o altre condizioni gravi, si
raccomanda di non assumere alcuna sostanza che, spiazzando il farmaco, aumenterebbe l’effetto
anticoagulante, rischiando di andare incontro a gravi emorragie.
I capillari della maggior parte degli organi, come quelli dei muscoli, sono provvisti di lamina basale; i
glomeruli renali sono semipermeabili, a seconda del peso molecolare delle sostanze.
Abbiamo organi il cui parenchima è caratterizzato da giunzioni tra le cellule attraverso cui passano solo le
sostanze solubili. Ci sono organi che hanno una doppia protezione, per esempio la barriera
ematoencefalica in cui le cellule gliali formano un’ulteriore barriera al passaggio delle sostanze.
Minore è la permeabilità capillare più difficile sarà il passaggio delle sostanze nei vari organi, a meno che
non si tratti di sostanze molto solubili.
FLUSSO EMATICO
Un organo può essere:
- molto perfuso: cervello, fegato.
- mediamente perfuso: muscoli.
- poco perfuso: tessuto osseo.
Durante le ultime lezioni di questo corso tratteremo alcuni gruppi d’interesse dal punto di vista
farmacocinetico (paziente pediatrico/ gravidanza/ anziano).
VIE DI ESCREZIONE
Quando il farmaco si è distribuito, modificato o meno, viene escreto. Le vie di escrezione sono molte ma le
principali sono: l’urina e le feci. La via d’eliminazione renale è abbastanza rapida perché il rene riceve una
gran quantità di sangue e quindi il farmaco una volta arrivato nelle urine viene eliminato molto rapidamente.
Ci sono vie secondarie: se il farmaco è di natura gassosa o ha una componente gassosa in equilibrio come
l’alcol etilico può essere espirato.
I metalli pesanti tendono ad accumularsi nella cheratina a livello dei capelli. Quando farete medicina legale
troverete una pletora di sostanze che possono essere identificate dal sudore, dai capelli
… Fa parte della tossicologia legale.
Passando attraverso la filtrazione glomerulare arriva nell’urina ma non è detto che finisca qui il suo destino:
se la sostanza è ancora liposolubile può essere riassorbita attraverso i tubuli passivamente o tramite
carrier.
Vale quanto detto per le basi e gli acidi deboli: una base debole è più facilmente eliminata nell’urina
acida (NON VIENE RIASSORBITA!), un acido debole è più facilmente eliminato nell’urina basica.
L’eliminazione per via renale è facilitata dal grande flusso di sangue (650 ml al min nelle condizioni ideali);
tuttavia, in alcune condizioni patologiche o nell’anziano, la filtrazione glomerulare può essere ridotta.
Come misuro l’efficienza renale?
Se uno deve farsi una risonanza con il mezzo di contrasto deve farsi misurare la creatinina, perché è un
indice della funzionalità renale e della filtrazione glomerulare. Maggiore è la creatininemia, minore è la
funzionalità di filtrazione glomerulare.
In realtà all’eliminazione dei farmaci per via renale contribuiscono:
- la filtrazione glomerulare
- l’eventuale riassorbimento tubulare che diminuisce la quantità di farmaco escreto
- una secrezione attiva, meno importante.
— Sappiamo già dalle lezioni precedenti che i farmaci si distribuiscono in base alle caratteristiche del
farmaco (da un punto di vista chimico quindi)e in base alle caratteristiche del tessuto, questo è collegato
con l’eliminazione dei farmaci e il loro metabolismo .
— L’eliminazione avviene prevalentemente attraverso il fegato e attraverso i reni che sono organi perfusi
e dotati di molti capillari e queste due condizioni insieme li rendono organi principali nella eliminazione
dei farmaci.
FILTRAZIONE.
I farmaci, meglio le molecole (non legate a proteine
plasmatiche) che vengono eliminati dal rene vengono
filtrate attraverso il glomerulo renale, la filtrazione
dipende dal peso molecolare della molecola, solo se è
minore di 25mila Da(dalton), le superiori non sono
filtrate, 25k è molto, quasi la totalità dei farmaci è
filtrato.
- Riassorbimento Tubulare, sfruttando il trasportatore
che si trova nel tubulo per riassorbire altre sostanze, per
esempio molti acidi deboli ,vengono riassorbiti dal
trasportatore .
Gli acidi che si trova nei tubuli, molecole che non potrebbero essere riassorbite diciamo per diffusione
(es bicarbonato) sono inibite da sostanza può inibire la secrezione tubulare, queste sono 3 grandi
elementi di cui dobbiamo parlare. Il riassorbimento contrasta con queste due ,perché va dalla pre-urina
al sangue.
Nella slide si può osservare dove avviene la secrezione (pt3) e il riassorbimento (pt2)
In questa zona avvengono i meccanismi di riassorbimento e secrezione: è chiamata secrezione perché
presuppone anche trasporto attivo come il riassorbimento , il sangue cosi torna ripulito nel circolo
sistemico, la pre-urina trasformata in urina è poi secreta. Questo è il meccanismo più importante della
secrezione dei farmaci, come vengono studiati da un punto di vista quantitativo?
E’ utilizzata la Creatinina, sostanza endogena, viene filtrata, la quantità di sangue ripulita nel unità di
tempo, è l’indice della funzione di filtrazione glomerulare.
Nel caso di una ridotta funzione di filtrazione (esempio insufficienza renale) come negli anziani succede
spesso che i livelli di Creatinemia salgono sopra 1. I parametri variano in base all’età e in base anche al
sesso.
Fattori passivi
Lipofilicità della molecola: un farmaco molto lipofilo tende a tornare dal tubulo al sangue (perché il
sangue arriva nella capsula di Bowman, con pressione di 20mmgh, superiore a quella del tubulo renale,
passa dal tubulo prossimale e cede molecole di farmaco alla pre-urina, quando arriva ai capillari trova
sangue con meno farmaco e si sposta per gradiente in direzione del sangue dalla pre-urina), se un
farmaco è lipofilico ha buone probabilità di essere filtrato ed ha altrettanto buone probabilità di essere
riassorbito. Questo dipende anche da altre fattori , PKA, acido debole o forte.
Trasportatori Specifici, esistono trasportatori che tendono a riportare dentro acidi o basi deboli o anche
dei soluti che il sistema non vuole perdere (Sodio e Glucosio). Esistono dei trasportatori di sodio e
glucosio che li riportano dalla pre-urina al sangue, tanto è vero che la concertazione
del glucosio nel urina è zero.
pH, le urine acide favoriscono eliminazione di farmaci basici, perché rimangono intrappolate e si
caricano positivamente, mentre le urine basiche tendono a eliminare acidi deboli, questi si caricano
negativamente. L’acidificazione con lattato o alcalinizzazione con bicarbonato nelle urine permette di
favorire eliminazione di alcuni farmaci. A pH molto basico la molecola tende a perdere protoni e a
caricarsi negativamente.
Secrezione Tubulare! è la possibilità di secernere sostanze attraverso il tubulo renale, trasporto attivo,
non è molto interessante, da considerare solo perché in meccanismi di ri-trasporto possiamo eliminare
sostanze dannose, tipo acido urico.
CLEARANCE
La Clearance Renale di un farmaco, la quantità di sangue che viene ripulita nel unità di tempo, in tutte
le tabelle misurata in ml al minuto (ml/min). Se non c’è riassorbimento , tutto il farmaco sarà filtrato. Si
tratta di una condizione ideale poiché il farmaco si lega alle proteine plasmatiche per esempio, quindi
non può essere riassorbito in totalità.
Due fasi di Biotrasformazione, non tutti i farmaci hanno entrambi le fasi, alcuni hanno solo una fase.
es Benzene:
! Fase 1, fase di idrossilazione, cosi facendo si aumenta l’ idrofilicità o polarità, diventando così fenolo
! Fase 2 solfatazione che rende la molecola più polare e aumenta il peso molecolare
una reazione di ossidoriduzione nella fase 1 che avviene tipicamente nel fegato e fase 2 coniugazione
che può avvenire in più distretti.
es ASPIRINA (acido acetilsalicilico) va incontro a de-acetilazione (importante per aspetti clinici, e fa
capire la differenza con cardioaspirina) il gruppo acetile è sostituito dal gruppo idrossile, l’efficacia
diminuisce, ma rimane comunque un effetto, viene poi glucoronato nella fase 2 e si elimina il composto.
Le trasformazioni non producono solo molecole inattive ma molecole più attive o addirittura tossiche.
Se si hanno molecole più attive si parla di pro-farmaci, una volta entrati nel organismo, la
biotrasformazione la converte in farmaco attivo. Esempi in Slide.
Il paracetamolo in dosi eccesive, può trasformarsi in un metabolita tossico attraverso una
ossidoriduzione e diventare iddrosiparacetamolo tossico per il nostro organismo (soprattutto a livello
epatico). Dunque possiamo dire che una sostanza è metabolizzata non spiega niente del prodotto come
efficacia e tossicità.
CITOCROMI
Tra le ossigenasi a funzione mista c’è la famiglia dei citocromi P450 che sono catalogati come famiglia
di enzimi molto ampia, catalogati con una sigla che indica anche l’appartenenza genetica (il gene su cui
si trovano). Sono ubiquitari, in tutte le cellule, sono particolarmente localizzati nel reticolo
endoplasmico, moltissimo nel fegato ma non solo.
VARIAZIONI INTERINDIVIDUALI. Questi citocromi sono soggetti a variazioni, sono diversi da persona a
persona e da etnia ad etnia, si dice che sono soggetti a polimorfismo, alcuni hanno ontogensi differente.
Per alcuni farmaci è importante sapere la biotrasformazione perché si possono provocare conseguenze in
alcuni soggetti o alcune etnie.
Non tutte le reazioni sono catalizzate dai citocromi, alcune reazioni le svolgono le :
-esterasi plasmatiche ( es il sussametonio, che è succinilcolina, sostanza analoga alla acetilcolina,
utilizzato come curaro depolarizzante per indurre paralisi. La succinilcolina, non è substrato della
colinaesterasi, ma dalle esterasi plasmatiche)
-deidrogenasi !Alcool deidrogenasi e Aldeide deidrogenasi (alcool è cosi metabolizzato nel fegato da
questi due enzimi, la loro presenza è in relazione con la quantità di alcool assunta all’età e alla
frequenza di assunzione)
-Monoamino ossidasi nei mitocrondri smaltimento di DOPA e noradrenalina, saranno affrontati in
seguito
!FASE 2 tipicamente di coniugazione; “TRASFERASI”
Mentre nella fase 1 capiamo se l’effetto del farmaco è uguale o più tossico o aumentato, la fase 2 ha
come conseguenza aumento del peso molecolare. NON avvengono esclusivamente nel fegato.
Coniugazione con acido glucuronico, acido solfonico , glutatione, acetilazioni, hanno comunque la
conseguenza di aumentare idrofilicità e peso molecolare, dunque più facilmente eliminabili.
Gli enzimi sono tutte transferasi
Quali sono gli enzimi più rappresentati nello svolgimento della fase 1 e 2
I CYPs sono coinvolti nelle normali funzioni fisiologiche, incluse la biosintesi o degradazione di ormoni
steroidei, acidi biliari, acido retinoico, acidi grassi, eicosanoidi, ecc…
Tra le famiglie più implicate nel metabolismo dei farmaci: CYP 1, 2 e 3
Espressione e attività enzimatica dei CYPs (e degli altri enzimi) sono tessuti specifiche e influenzate da
assunzione di farmaci, fattori ambientali e dietetici (xenobiotici) e da polimorfismi genetici.
Nel uomo il citocromo più importante è il CYP3.A4 che metabolizza circa il 50% degli Xenobiotici, non
solo farmaci ma anche sostanze endogene, tutti gli altri sono rappresentate in percentuali diverse,
comunque in 5 fanno circa il 80% delle reazioni, la probabilità che più molecole siano smaltite dalle
stesso citocromo è alta, i citocromi dunque sono il substrato naturale del interazione farmacologica.
Lo stesso vale per la fase 2.
Metabolismo del Diazepam !Si forma il Oxazepam che è ugualmente attivo poi è eliminato con bile e
feci.
Nitroglicerina somministrata per via sublinguale va dalla vena cava superiore al cuore, se invece
per via orale, passa dal fegato ed effetto è attenuato
, Aspirina in basse dosi 100mg, è completamente metabolizzata al circolo epatico 100% del
farmaco, non passa nel circolo sistemico ed è molto importante per l’uso che se ne fa per le
malattie cardiovascolari e non di tipo infiammatorio , quindi è importante del acido
acetilsalicico perché ha una azione più mirata rimanendo confinato nel fegato. )
Questo può essere un limite grosso, perché mi obbliga a un certo tipo di somministrazione .Oppure
questa proprietà può essere usata per altri scopi.
Metabolismo EPATICO
Arriva il sangue sistemico arterioso e portale venoso, il sistema microsomiale epatico (fatto di
citocromi) è in grado di metabolizzare una grande varietà di sostanze che possono poi immesse nel
sangue venoso oppure immesse nella bile in base al peso molecolare.
— Se immesse nella bile, vanno nel intestino dove possono essere substrato della
glucuronidasi batterica, e cosi riassorbite entrando nel circolo entero-epatico.
I citocromi hanno una caratteristica importante , la possibilità che la loro funzione sia modificata da
fenomeni di induzione e inibizione.
INDUZIONE ENZIMATICA! è un processo che porta un aumento della trascrizione genica di un
particolare enzima, un particolare farmaco, una sostanza endogena o esogena. Possiamo avere o una
induzione genica vera e propria cioè qualcosa che agisce a livello genico o di DNA, poco probabile,
rispetto al fatto che un farmaco si leghi a un certo tipo di citocromi in base alla specificità. Quindi
l’epatocita avverte che tutti i citocromi sono impegnati e quindi attraverso un sistemi di segnali è
indotta una produzione maggiore di citocromi. Si ha cosi un aumento di enzimi in grado di metabolizzare
la sostanza di conseguenza aumenta anche la velocità di trasformazione. (NON DI ELIMINAZIONE)
Es TOSSICITA’ del PARACETAMOLO normalmente è molto sicuro perché viene eliminato per
glucunorazione o con solfatazione, questi due sistemi e un terzo neonatale, si compensano
durante tutta la vita del individuo. Se i due sistemi si saturano e non riescono più a
funzionare allora una parte del paracetamolo viene idrossilata, si forma una forma radicalica
da origine a un grave danno epatico, una parte può essere substrato della glutatione la parte
restante radicalica conferisce il danno. L’ Overdose di paracetamolo può dare tossicità epatica
poiché tutti i sistemi di detossificazione vengono saturati.
Emivita se di ordine primo è indipendente dalla quantità somministrata e dalla concertazione ematica
Esempio! inietto 40 mg, poi scende 20, infine scende 10. Nello stesso tempo se do 80 nello stesso
intervallo di tempo dei precedenti diventa 40.
CINETICA DI ‘PRIMO ORDINE’. L’emivita di un farmaco è indipendente dalla dose se è una cinetica di
primo ordine. La quantità somministrata sarà sempre minore della concertazione degli enzimi.
L’emivita può essere calcolata in qualsiasi momento, l’importante è che si attribuisca un tempo 0 nel
momento in cui si ha il primo dosaggio, dopo un intervallo mezzi si può rilevare la concentrazione, e
ripetere la rilevazione altre volte, si rileva un fitting esponenziale e la cinetica. A ogni emivita la
concentrazione si dimezza rispetto a un tempo zero quando facciamo il primo dosaggio.
ORDINE ZERO. Esistono sostanze con ordine 0, ovvero l’organismo è in grado di eliminare sempre la
stessa quantità di farmaco nel intervallo di tempo, però cosi l’emivita dipende dalla concertazione
ematica (aspirina o alcool, più bevi e più ci metti a smaltirlo, il sistema delle deidrogenasi è saturabile)
A cosa serve emivita? !Calcolare la dose terapeutica. E POSOLOGIA
Somministrazione morfina ogni 4 emivite non ci sono livelli tossici ma c’è dolore intenso ,l’intervallo
della somministrazione deve essere intorno al emivita di farmaco, in 5/6 emivite si può raggiungere
uno stato stazionario intorno alla dose terapeutica. Se le dosi sono più frequenti , posso avere un
effetto tossico.
Altre note riassunte dalle slide
Induzione enzimatica: processo che determina un aumento della velocità di distruzione dei farmaci con
conseguente diminuzione dei loro effetti: tolleranza di tipo farmacocinetico.
- potenzia l’azione farmacologica o la tossicità nel caso che il metabolita sia dotato di attività
terapeutica o tossica.
Alcool etilico —> CYP2E1
Iperico, rifampicina ecc… —> CYP3A4, SULT, UGT
Fenobarbital —> CYP2B6, CYP2C9, CYP2C19, CYP3A4
Fumo di sigaretta, rifampicina, —> CYP1A2
omeprazolo, carni alla brace
Citocromi: le famiglie CYP 1 , 2 , 3 sono dedicate al metabolismo dei farmaci.
Le altre 14 famiglie sono interessati nel metabolismo di: colesterolo, acidi biliari, ormoni….
INIBIZIONE DEI CITOCROMI P450.
- Alcuni xenobiotici inibiscono gli enzimi P450 metabolizzatori di farmaci, aumentandone le
concentrazioni plasmatiche.
- Possono portare a tossicità per aumento delle concentrazione o diminuire l’attività terapeutica per
ridotta trasformazione metabolica di un profarmaco.
- L’inibizione enzimatica solitamente inizia con la prima dose di inibitore, diversamente dall’induzione
- L’inibizione è massima quando l’inibitore raggiunge lo stato di equilibrio (da quattro a sette emivite)
Meccanismi di inibizione che coinvolgono i CYP
- Competizione per lo stesso isoenzima (Nella mucosa intestinale oltre che nel fegato per i CYP3A4)
- Inattivazione gruppo eme e formazione di complessi stabili con Fe++(es. cimetidina ; ketoconazolo)
- Distruzione del gruppo eme ( etinilestradiolo; noretindrone)
Attività terapeutica e tossicità dei farmaci sono influenzate dalla concentrazione plasmatica delle molecole attive,
quindi dalla velocità di metabolismo ed eliminazione.
La durata di azione di un farmaco dipende dalla emivita della molecola, ma anche dei metaboliti attivi che si
possono formare per metabolismo (fase 1).
Esempio: la fluoxetina ha un’emivita variabile da 1 a 3 giorni; il suo metabolita principale (norfluoxetina) è più
attivo e ha un’emivita di 7- 15 giorni!!!
FARMACODINAMICA
I farmaci svolgono la loro attività terapeutica
interagendo con componenti macromolecolari
dell'organismo. Il termine "bersaglio" o
"recettore" per un farmaco identifica i complessi
macromolecolari (proteine, DNA, RNA, ect) con i
quali il farmaco interagisce per evocare una
risposta di una componente cellulare, un organo,
un sistema. La Farmacodinamica studia le
interazioni tra farmaci e "bersagli" e i
meccanismi biochimici alla base dell'azione delle
molecole
Nella prima parte del corso abbiamo presentato gli argomenti di farmacocinetica, cioè di come un
farmaco arriva all’organismo e soprattutto al bersaglio sul quale deve agire. Quello di cui parliamo oggi
è qual è la conseguenza del fatto che una molecola endogena, ma anche una molecola esogena (perché
infondo i meccanismi non sono diversi, come vedremo) si trovi ad interagire con un bersaglio che nella
stragrande maggioranza dei casi è definito recettore.
Perché è importante questo per un medico? È importante perché dalla qualità di interazione farmaco-
recettore discendono poi tutta una serie di conseguenze che sono: l’effetto o il non effetto del farmaco;
la capacità di graduare l’effetto sperato in relazione alle caratteristiche del paziente, quindi alle
caratteristiche sia modificabili che non modificabili (quindi la risposta clinica attesa); però da questo
dipendono anche una serie di effetti potenzialmente tossici in parte prevedibili (argomento più volte
toccato in sede di esame: tipicamente nell’esame per un certo tipo di farmaco allo studente vengono
chiesti gli effetti avversi, dato per scontato che nessuno di noi può prevedere gli effetti
idiosincrasici ovvero quelli che si verificano in un individuo ma non in altri 10 milioni di individui).
Perciò quali sono gli effetti e quindi la risposta clinica attesa, quale sia l’efficienza clinica anche in
maniera comparata rispetto a un’altra classe di farmaci, quali siano le indicazioni e infine quali siano gli
eventuali effetti tossici e avversi che dall’interazione farmaco-recettore o da altri meccanismi sono tutti
argomenti di farmacologia. Questi argomenti vengono studiati dalla farmacodinamica che si basa su un
principio elaborato oltre i 150 anni fa dell’interazione con dei bersagli.
Queste interazioni tra farmaco e recettore possono utilizzare diversi tipi di macromolecole che fungono
da recettore, possono essere come in molti casi localizzati sulla membrana cellulare di alcune cellule
specifiche dell’organismo o di tutte le cellule (questo dipende dal tipo di recettore), possono modificare
l’attività di enzimi presenti all’interno della cellula, in ambienti extracellulari o addirittura nel plasma.
Possono essere anche trasportatori che possono essere localizzati sulla membrana cellulare o in altri
compartimenti (ci sono molti trasportatori che si trovano sulla membrana intestinale e in quel caso il
farmaco anche senza essere assorbito va a interagire con il trasporto ad esempio del colesterolo
all’interno dell’epitelio intestinale).
Poi abbiamo delle macromolecole intracellulari (che si trovano all’interno della cellula). Questo implica
caratteristiche del farmaco che devono essere di liposolubilità. I recettori possono anche essere acidi
nucleici: molti chemioterapici agiscono direttamente con il DNA provocando un’alterazione della
trascrizione genica.
Ci sono anche chemioterapici antibatterici che reagiscono più o meno direttamente con il DNA, questo è
un meccanismo molto importante. Ma ci saranno sempre di più anche molecole a disposizione che
interagiscono direttamente con l’RNA, per esempio i silenziatori di RNA, dando la possibilità al medico di
interferire con la traduzione di proteine di cellule terminali, proteine la cui conformazione può essere
dannosa per l’organismo, per esempio una proteina geneticamente alterata che noi non vogliamo sia
espressa dal soggetto perché è meglio se si esprime solo la variante derivata dall’allele sano. Quindi ci
sono modalità di terapie che non venivano trattate a lezione fino a due o tre anni fa, ma che si stanno
riproponendo in maniera rilevante in questi ultimi tempi, quindi anche se non si entrerà mai nello
specifico, però è bene che voi sappiate che nuovi approcci terapeutici sono comunque all’orizzonte.
DEFINIZIONE DI RECETTORE
Il concetto di recettore indica una premessa fondamentale, cioè che un farmaco in generale non reagisce
come tale ma agisce in virtù del fatto che si lega a qualcosa presente nell’organismo. La definizione che
ne fu data è la seguente: “macromolecole presenti sulla cellula, al suo interno o frammenti cellulari”.
Noi sappiamo che l’interazione può comportare una modificazione della struttura quaternaria del
recettore che può attivare o disattivare una cascata di eventi di secondi messaggeri (argomento della
prossima lezione). Quello che possiamo dire è che esistono forse delle eccezioni a questo: se io utilizzo
un chelante del piombo per eliminare il piombo che sciaguratamente è stato ingerito, o un eccesso di
ferro che un individuo può accumulare in virtù di una patologia che lo porta a una aumentata
degradazione delle proteine contenenti il ferro e così via. Molte di queste persone hanno bisogno di
avere un trattamento per eliminare questi prodotti per via renale, per filtrazione glomerulare. Finché
sono metalli la cosa è più facile perché possediamo tanti chelanti. Quindi le sostanze che noi chiamano
farmaci agiscono in quanto si legano a dei bersagli extracellulari, membranali, intracellulari,
citoplasmatici o nucleari e anche il plasma o addirittura i compartimenti esterni alla cellula.
Ce ne sono di moltissimi tipi quindi almeno a grandi linee quali sono le caratteristiche dei recettori si
devono conoscere.
Per fare questa lezione un paio di molecole che poi tratteremo quando parleremo del sistema simpatico
e parasimpatico bisogna dirle.
ACH NE SIMPATICO
Quindi diciamo questo perché faremo alcuni esempi che riguardano agonisti endogeni. Va da sé che i
farmaci che sono stati scoperti e sintetizzati, nel corso dei secoli o addirittura nei millenni, qualche tipo
di recettore ce lo devono avere all’interno dell’organismo. Quindi si è scoperto con un certo ritardo quali
fossero i recettori degli oppiacei, gli oppioidi che per secoli sono stati utilizzati per gli scopi più vari o
dei cannabinoidi (anche quelli utilizzati moltissimo negli anni); però i recettori sono stati scoperti.
E sono state scoperte anche le sostanze endogene che agiscono con quei recettori. Infatti ciascun
recettore esiste perché c’è una sostanza endogena, se non c’è una sostanza endogena non ci sono
recettori. Questo era vero ed è ancora vero se non che negli ultimi 4-5 anni abbiamo imparato come fare
dei recettori che non esistono. Quindi adesso c’è tutta una parte di studio impressionante, molto
interessante, che permette di creare recettori inesistenti per sostanze inesistenti che comunque sono in
grado di dialogare con le cellule. Naturalmente sono lavori ancora di tipo sperimentale ma un certo
interesse ce l’hanno. Prendiamo però questo assioma da un punto di vista clinico, finché non sapremo
usare questi “fake-receptors”, diciamo che i recettori esistono perchè esistono delle sostanze endogene
in grado di interagire con essi perché strutturalmente sono lì per svolgere una determinata funzione.
Questi recettori sono stati scoperti per gli oppiacei, sono stati scoperti per i cannabinoidi, sono stati
scoperti per sostanze come la nitroglicerina utilizzata per tanti anni per dare sollievo per l’angina.
L’interazione col recettore da origine a un secondo messaggero (non in tutti i casi ma nella maggior parte
si). Questo è importante perché questi secondi messaggeri sono quelli che poi modulano l’attività
cellulare.
LEGAME FARMACO-RECETTORE
Nella stragrande maggioranza dei casi il legame farmaco-recettore è un legame di tipo reversibile.
Quindi è basato su un’interazione con forze deboli con la molecola recettoriale che può essere una
macromolecola spesso di natura proteica oppure DNA. Le interazioni possono essere: legami ionici,
legami dipolo-dipolo, dipolo-ione (quindi prevedono la presenza di un gruppo ossidrilico o sulfidrilico che
presenti un dipolo), oppure poi ci sono i legami di Van der Walls. È molto importante la presenza di
questo tipo di interazioni perché quello che dà forza e specificità al tipo di legame col recettore non è
dovuto tanto alla stabilità dei legami, ma al fatto di legare molte forze deboli. (ESEMPIO DEL VELCRO)
Quindi è un legame reversibile, e questo è importante perché i recettori sono un numero finito. Quindi
questo dà la possibilità a un recettore di essere usato molte volte nell’arco del tempo.
Ci sono anche dei legami di tipo irreversibile, di tipo covalente. Questo perché
si formano dei legami (come l’ alchilazione) che modifica in maniera stabile la
struttura della molecola.
L’esempio qui riportato (vero per diversi agenti chemioterapici ma non solo) è
un’agente alchilante che forma un legame covalente tra le basi del DNA
rendendo impossibile alla doppia elica di dissociarsi. Naturalmente se ce n’è
uno solo non è un problema ma se ce ne sono molti il DNA diventa
inutilizzabile. I meccanismi di riparazione non possono più riparare e quindi
l’unica soluzione diventa quella di distruggere la cellula.
Quindi sono molecole che hanno come obbiettivo proprio la morte cellulare perché in una maniera molto
grossolana vanno a colpire solo le cellule in fase G, in fase S, dove si è in rapida mitosi e questa è una
caratteristica abbastanza vera per le cellule tumorali. Quindi lo scopo è quello di andare a diminuire la
replicazione di cellule tumorali. Naturalmente come lo fanno per le cellule tumorali lo fanno per tutta
una serie di altre cellule dell’organismo in rapida replicazione.
Quindi i legami possono essere di tipo reversibile ma esistono anche dei farmaci che agiscono legando
covalentemente il recettore.
La farmacologia in parte è una disciplina di tipo quantitativo e si basa su delle teorie che hanno una base
matematica che noi faremo in minima parte.
TEORIA OCCUPAZIONALE
La teoria occupazionale ci dice che farmaco libero e recettore libero, e complesso farmaco-recettore
sono in equilibrio tra di loro. In un equilibrio dinamico. Questo si applica in particolare per i farmaci
che agiscono in maniera reversibile. Ma è solo l’interazione farmaco-recettore che produce un effetto.
Cioè l’effetto che noi andiamo a misurare è una misura del legame farmaco-recettore.
Quindi maggiore è la percentuale del complesso farmaco-recettore, maggiore sarà l’effetto o comunque
le conseguenze derivanti dall’azione del farmaco.
Ci dice anche che per avere una risposta non è solo necessario che si formi il complesso farmaco-
recettore, ma che questo complesso dia origine a una serie di eventi intracellulari, citoplasmatici, che
provocano un effetto biologico, cioè secondi messaggeri. Quindi per avere una risposta io devo avere
una modifica termodinamicamente apprezzabile e un equilibrio esistente all’interno della cellula.
Per provocare questa catena di eventi, il complesso farmaco-recettore è tale da modificare una struttura
quaternaria della proteina recettoriale. Molte delle proteine recettoriali hanno una conformazione tale
per cui il legame con il farmaco, in alcune zone specifiche di questa macromolecola, ne cambiano la
conformazione. Il semplice cambiamento della conformazione provoca l’apertura del canale, provoca
l’attivazione di una proteina G, l’attivazione di una chinasi. Quindi questo fa scattare un meccanismo
che poi apre la porta.
INTERAZIONE REVERSIBILE
Consideriamo per prima cosa un complesso di un farmaco che interagisce in maniera reversibile con il
suo recettore. Questo è il primo esempio.
Come si misura quantitativamente a misurare quel concetto espresso da quell’equilibrio
termodinamicamente reversibile?
Allora la versione grafica è quella che vediamo
sulla sinistra. Se io metto alle ascisse la
concentrazione del farmaco e alle ordinate la
percentuale di risposta nel tempo ottengo una
curva iperbolica.
Però questa curva dice anche che il grosso dell’effetto si realizza nel giro di variazioni di concentrazioni
abbastanza piccole. Tutto si realizza in un range di variazioni di concentrazione abbastanza piccole.
Questo però è quello che mi interessa. Quello che interessa ai medici. I medici non possono avere a
disposizione qualcosa che descriva tutto o nulla. Abbiamo bisogno di sapere come graduare un dosaggio
in relazione alla qualità di risposta attesa. Quindi questa curva non viene utilizzata molto. Viene
utilizzata una trasformazione logaritmica di questa curva (rappresentata dalla curva sulla destra) nella
quale io metto in ascisse il logaritmo in base 10 della concentrazione. Si ha una scala semilogaritmica
dove si vede bene che c’è una soglia sotto la quale pur aumentando la concentrazione l’effetto non
aumenta molto; poi c’è una fase dove si ha la variazione dell’effetto in relazione alla concentrazione,
quindi siamo in una fase in cui la in cui la pendenza massima è il punto del 50% dell’effetto massimo e
poi si raggiunge l’effetto massimo, in cui pur aumentando la concentrazione di molto l’effetto non
aumenta più perché tutti i recettori sono occupati. Quindi occorre una quantità minima, che può essere
variabile, di occupazione recettoriale per ottenere un effetto. Ma quando quella quantità minima è
superata l’effetto aumenta molto rapidamente. Il punto interessante è il punto di massima pendenza,
perché è il punto che più facilmente riesco a misurare perché qui la curva è meno piatta. Il 50%
proiettato sulle ascisse dà la cosiddetta EC50 , cioè la concentrazione alla quale si ha il 50% dell’effetto.
Questa è una delle definizioni più rilevanti da un punto di vista della caratterizzazione farmacologica.
Tutto questo deriva dalla teoria occupazionale.
Riassumendo: l’effetto del farmaco è in funzione:
-del numero delle molecole legate al recettore che sono il numero delle molecole presenti in un sito
recettoriale. Se un farmaco non arriva al SNC naturalmente l’effetto sarà zero, ma questo dipende dalla
farmacocinetica, non è un problema farmacodinamico;
-dipende dal numero di recettori, che possono essere presenti in un tipo cellulare e assenti in un’altra, e
questo conferisce ovviamente al farmaco l’azione su un tipo di cellule ma non l’azione su altre
-dall’ affinità del farmaco rispetto al recettore. L’affinità è rappresentata da specificità di legarsi al
recettore a bassa concentrazione. Ma dipende anche da tutta una serie di altri fattori che non c’entrano
con la teoria occupazionale, ma che sono fattori che comunque sono rilevanti da un punto di vista
clinico. Per esempio a livello dell’apparato respiratorio a livello della muscolatura bronchiale (come
vedremo) esistono dei recettori di tipo β2 , non esistono recettori di tipo β1 . Per cui se io voglio avere
una broncodilatazione come effetto, devo utilizzare degli agonisti β2 specifici.
Un recettore può avere più di un tipo di agonista. Se c’è un recettore sono presenti anche le sostanze
endogene. Per sempio vale per la stessa adrenalina, che trova l’adrenalina endogena circolante (in
concentrazioni minori), in quel caso si tratta della stessa molecola però se si somministra un agonista
questo trova degli agonisti endogeni circolanti.
Il recettore di norma non si lega da una sola molecola, ma è capace di interagire con strutture simili da
un punto di vista occupazionale.
Può essere utile allora avere la possibilità di confrontare la capacità secondo la teoria occupazionale, di
queste molecole di legarsi al recettore, e di provocare quella cascata di eventi post legame (secondi
messaggeri) e quindi di misurare l’effetto.
Tecnica (nome della tecnica?) che studia non l’effetto ma semplicemente il legame farmaco-recettore
prendendo le membrane e attraverso tutto un sistema che utilizza sostanze marcate con marcatori
radioattivi che possono essere trizio oppure iodio radioattivo, si studia il legame (ma noi non lo facciamo
perché non ci interessa).
ED50: DOSE EFFICACE. L’EC50 è utilissima quando noi facciamo esperimenti su cellule o su tessuti ma da
un punto di vista clinica non viene quasi mai utilizzato. Quindi la dose efficace che viene utilizzata è
invece la dose efficace 50, cioè la dose che produce in vivo il 50% dell’effetto massimo, ma poi vedremo
anche che esiste un ulteriore definizione di interesse per quando si parla di utilizzazione o di
sperimentazione clinica dei farmaci. In vivo comunque quella che viene utilizzata ED 5, cioè la dose che
produce il 50% dell’effetto massimo che si vuole osservare.
Si trovano in questa classe farmaci di grandissimo impiego, per esempio le benzodiazepine: queste devono
il loro effetto alla modulazione allosterica di un recettore che si chiama GABA-A, utilizzato soprattutto
nella neuro psicofarmacologia, questo recettore è molto importante per il gaba che è un agonista
endogeno. Le benzodiazepine non hanno nessun dialogo con il gaba, non hanno nessuna interazione, il gaba
continua a legarsi al suo sito recettoriale ed è in grado di aprire il canale per il cloro, spegnendo l’attività
neuronale. Le benzodiazepine sono ipnoaduttori, ansiolitici, antiepilettici, reagiscono con una parte
accessoria del canale che favorisce l’apertura del canale quando il gaba si lega. Anche a concentrazione più
basse di agonista è favorito l’apertura del canale. Quindi in questo caso potenziano l’effetto dell’agonista
endogeno; non sempre è così. Questo recettore GABA A, ha siti di interazione anche con i barbiturici con
l’alcool e questo spiega anche come mai, si possono avere effetti sommatori in termini di depressione del
sistema nervoso centrale ingerendo alcool e barbiturici o alcool e benzodiazepine.
MISURAZIONE. Questo si misura ponendo pari a 1 l’efficacia o attività intrinseca massima , il secondo
agonista ha un efficacia del 60% e il terzo ha del 30%.
Esistono moltissimi esempi di agonisti parziali, per esempio prima vi ho parlato dei recettori Beta2
presenti a livello dell’albero respiratorio, esistono diversi farmaci che vengono chiamati broncodilatatori
cioè farmaci che sono in grado di curare pazienti con patologia asmatica e questi farmaci agiscono sui
recettori Beta2 , l’agonista pieno dei Beta2 recettori è l’adrenalina tant’è vero che il paziente che ha
grave formi di anafilassi, si porta dietro fiale di adrenalina. Ci sono molti farmaci utilizzati che sono
agonisti parziali che pur agendo sugli stessi recettori hanno un’attività nettamente minore di quella
dell’adrenalina. Mentre l’adrenalina si può somministrare solo per via parenterale, gli altri farmaci
possono essere somministrarti per via inalatoria o per via orale.
Farmaci Antagonisti Irreversibili. Questa categoria di farmaci agiscono legandosi ai recettori ma non
sono in grado di attivare la cascata di eventi intracellulare.
Sono utili perché andando a legarsi al recettore non impediscono all’agonista endogeno di esplicare la
propria azione. I farmaci antagonisti impediscono l’attivazione di un certo processo indotto
dall’agonista endogeno.
Anche qua abbiamo antagonisti del tipo competitivo e del tipo non competitivo.
Gli antagonisti di tipo competitivo competono per il legame con il recettore con l’agonista, come tutte
le competizioni vince chi o è più potente (si lega al recettore con maggiore affinità), se è più presente o
entrambe le cose. Quindi gli agonisti reversibili svolgono un’azione modulabile in funzione di quanto
farmaco antagonista viene somministrato ma anche in base alle proprie caratteristiche intrinseche.
Come si misurano? La misura dell’affinità di un farmaco antagonista non può essere fatta con il farmaco
e basta perché non posso misurare nessuna risposta biologica, cioè se io prendo un tessuto e do un
farmaco antagonista, che non produce alcuna cascata intracellulare, io non mi aspetto nessun effetto
(per definizione un farmaco antagonista ha attività intrinseca pari a zero). Nella scala da 0 a 1, 1 è
l’agonista pieno e poi ci sono gli altri che sono agonisti parziali, ma se l’attività intrinseca è uguale a
zero , questo farmaco è un antagonista.
Però per definirlo tale bisogna trovare che si leghi al recettore, perché potrebbe essere un’antagonista
ma non essere un farmaco per esempi “nome farmaco”.
Per dimostrarlo costruisco una serie di curve in cui prendo l’agonista pieno (curva nera a sx) e lo valuto
in presenza e in assenza di antagonista. Qua vedete altre 3 curve che indicano concentrazione
dell’antagonista diverse.
A concentrazioni sempre maggiori di antagonista la curva si sposta sempre più a destra.
Quello che cambia quando costruisco queste curve dose effetto in cui all’agonista vengono aggiunte
concentrazioni crescenti di antagonista, è l’ affinità apparente (o potenza apparente) del farmaco
originale, questo perché servono concentrazioni crescenti di agonista per sormontare l’antagonista che
ho messo dal recettore. Però se io aumento in maniera sufficientemente alta l’agonista ottengo un
effetto pieno, tutte le curve arrivano al 100%. Ci arrivano con concentrazione sempre più alta di agonista
però alla fine arrivano al 100%, quindi un antagonista competitivo si definisce anche sormontabile perché
può essere sormontato da concentrazioni crescenti dell’agonista.
Diamo per scontato che l’antagonista competitivo sposta in maniera apparente l’affinità del farmaco
ma è sormontabile.
N.B. nel compito ci saranno curve e sarà chiesto per esempio “di che tipo di antagonista si parla?”
Come la misuro la potenza di un’antagonista competitivo?
Qua sono confrontati 4 antagonisti competitivi differenti in una condizione in cui si trova una
concentrazione massima di agonista, cioè quella che da l’effetto massimo.
Ho preso un sistema e ho aggiunto agonista fino ad ottenere effetto massimo, a quel punto inizio a
somministrare l’antagonista 1 a concentrazioni crescenti.
Poi cambio tutto e lo faccio con l’antagonista 2, poi con il 3 e poi con il 4.
Ottengo 4 curve in cui l’inizio e la fine sono tutte uguali ma nel mezzo c’è una grande differenza.
Antagonisti non competitivi: sono farmaci che in realtà non agiscono andando a spiazzare l'agonista dal
proprio sito recettoriale ma legandosi a siti allosterici, soltanto che questa volta invece che potenziare
l'effetto di un farmaco lo diminuiscono.
Quindi esiste un sito allosterico regolatorio che mi può comportare varie conseguenze:
1) potrebbe rendere il recettore meno capace di produrre secondi messaggeri
2) potrebbe portare ad un cambiamento conformazionale del recettore: così che il sito sia più
respingente nei confronti dell’agonista. L’agonista non riconosce il bersaglio perchè è come se fosse
diventato un altro recettore.
In questo caso è una situazione molto diversa a quella precedente perchè è come se il mio antagonista
avesse diminuito il numero dei recettori disponibili, non è più una competizione, quindi pur
aumentando la concentrazione dell'agonista non riesce più a ritrovare quei siti recettoriali a cui prima si
legava oppure non riesce, pur legandosi, ad attivare la risposta biologica.
Quindi con un antagonista non competitivo l'effetto dell'antagonista è non sormontabile quindi non
raggiungo mai l'effetto massimo che ottenevo con l'agonista da solo. È questa la grande differenza, in
questo caso quello che cambia certamente cambia con l'α (cioè l'attività intrinseca) che può essere
0.1,0.5, 0.6... ma non 1 come l'attività intrinseca che abbiamo visto da solo.
Quindi le curve dose-effetto per un agonista in presenza di un antagonista non competitivo sono
caratterizzate da una variazione dell'attività intrinseca (effetto massimo) .
Per riassumere quello che abbiamo visto, nel caso della modulazione allosterica possiamo avere una
modulazione allosterica positiva come avevamo visto per le Benzodiazepine e il GABA oppure possiamo
vedere una modulazione allosterica negativa nel caso dell'antagonismo non competitivo dove non
cambia l'affinità ma cambia l'effetto massimo.
La teoria occupazionale si basa sul concetto che il complesso farmaco-recettore e il complesso farmaco
slegato dal recettore siano tra di loro in effetto dinamico. In realtà le cose non stanno esattamente così,
il recettore stesso che termodinamicamente si può trovare in una forma attivata o non attivata. Questo è
vero in qualunque proteina, non esiste canale ionico che sia sempre chiuso, lo diciamo noi per comodità,
diciamo che arriva l'acetilcolina ed apre il canale nicotinico oppure che cambia il potenziale di
membrana e si aprono tutti i canali del sodio.
In realtà questi canali si aprono in maniera random e possono essere prevalentemente aperti o
prevalentemente chiusi ma almeno che non prendo un intero organismo e lo metto a congelare con
l'azoto liquido sarò sicuro che saranno tutti termodinamicamente fermi ma in assenza di questo a
temperature fisiologica tutte le proteine sono termodinamicamente in uno stato più o meno attivo.
Questo vale anche per i recettori. Quindi un recettore estrapolato dal suo contesto senza nessun agonista
si trova una conformazione che può attivare la cascata del secondo messaggero oppure no. L'agonista
quando si lega stabilizza la forma attivata del recettore quindi rende questo equilibrio che è
termodinamicamente sempre presente rendendo più prevalente la forma attivata, quella che induce il
secondo messaggero.
Cosa fa l'antagonista? Nulla, lascia le cose invariate, non cambia questo equilibrio, si lega e si slega ma la
percentuale di recettori attivati o inattivati rimane la stessa. Quindi l'occupazione che viene data
dall'affinità nulla dice del cambiamento conformazionale che è ciò che governa l'efficacia. Questo serve
per spiegare cosa sono gli agonisti inversi, perché altrimenti sarebbe di difficile comprensione.
Un agonista inverso è una sostanza che non solo si lega al recettore ma ne stabilizza la forma inefficace,
quindi in pratica fa quello che abbiamo detto che potremmo fare congelando il nostro preparato.
Se noi non immaginassimo e non avessimo le prove documentate che dal punto di vista termodinamico
nessun recettore, proteina o canale è mai chiuso nel tempo non potremmo spiegare la presenza
dell'agonismo inverso.
Come si studio un agonista inverso? Ad esempio, le cellule atriali hanno la proprietà di avere recettori β
adrenergici accoppiati con un secondo messaggero: il cAMP. Quindi quello che io posso fare è misurare la
sua concentrazione nei cardiomiociti. Se aggiungo al recettore noradrenalina (agonista endogeno)
ottengo un aumento del cAMP, se invece aggiungo un β bloccante tipo il propranololo rimane uguale ma
se aggiungo altri β bloccanti che sono più potenti la concentrazione di cAMP diminuisce per due motivi.
Il primo è che nelle cellule atriali umane la concentrazione di cAMP non è mai zero perché si ha
attivazione dell'adenilato ciclasi tramite qualche recettore β adrenergico che ogni tanto si eccita.
Con alcuni antagonisti molto potenti che bloccano il recettore β1 in una conformazione inattiva vedo una
riduzione di cAMP e mi porta a dire che sono agonisti inversi. Diciamo che per i β bloccanti serve e non
serve perché fisiologicamente un po’ di adrenalina a giro c'è sempre ma per altre molecole che vedremo
è importante anche da un punto di vista terapeutico.
SICUREZZA DI UN FARMACO
Come si misura l'effetto quantale? Innanzitutto, è importante non solo sapere l'effetto se funziona o
meno, del tipo pressione arteriosa aumentata o diminuita di 10mmHg (perchè è molto soggettivo), ma
per esempio sapere se ho una risposta ipertensiva o no. Quindi non misuriamo quanto diminuisce la
pressione ma quanti soggetti rispondono ad una terapia anti-ipertensiva. Questo è un metodo per
misurare la sicurezza di un farmaco. La curva nera è una sorta di curva quantale con dose-effetto di un
farmaco anti-ipertensivo e vediamo che all'aumentare del dosaggio ci sono sempre più soggetti che
rispondono con una diminuzione significativa della pressione arteriosa. Le curve rosse però dicono
un'altra cosa, all'aumentare della dose ci sono più soggetti che hanno gravi crisi ipotensive oppure una
ipokalemia, edemi cardioinferiori... dipende dal tipo di farmaco che si sta utilizzando, questi sono gli
effetti avversi che fanno parte della famiglia degli effetti tossici.
Questa figura ci dice che all'aumentare del dosaggio purtroppo aumentano anche i soggetti che
manifestano fenomeni avversi. Prendiamo questi due farmaci quello a destra e quello a sinistra, qual è
quello più tossico? Quello a destra perchè il range di dosi entro le quali ho effetto terapeutico senza
avere effetti avversi è più piccolo.
Come si misura allora la sicurezza di un farmaco? Lo faccio tramite l’ indice terapeutico (IC) di un
farmaco, definito come RAPPRTO tra la dose che provoca effetti avversi nel 50% degli individui e la
dose che da l'effetto terapeutico nel 50% degli individui.
Più grande è questo numero maggiore è la sicurezza, di solito deve essere superiore o uguale a 10.
Non tutti i farmaci sono così, per esempio l'aspirina è a 2. Dipende sempre dall’equilibrio tra rischio e
beneficio, per esempio gli effetti avversi possono essere talmente lievi da essere considerati accettabili
anche dallo stesso paziente.
Nella stragrande maggioranza dei casi non si misura con questo rapporto ma si misura con un rapporto
30:80, cioè la dose che dà un effetto tossico già nel 30% degli individui quando ho un effetto terapeutico
nell'80% degli individui.
FARMACODINAMICA, SECONDA LEZIONE:
Nel concetto di recettore è importante chiarire il fatto che il recettore stesso è una struttura proteica sulla
membrana citoplasmatica ed è spesso definito “bersaglio”. Tra i recettori più “classici”, ad esempio,
troviamo quelli per le catecolammine oppure per l'acetilcolina.
I recettori possono essere di membrana, citoplasmatici o nucleari. Noi dobbiamo considerare, però, i
recettori come dei bersagli farmacologici ed anche gli enzimi entrano a far parte di questa categoria poiché
molti enzimi sono bersagli farmacologici. Il farmaco può quindi attivare, ma soprattutto bloccare l'attività
enzimatica. Anche i canali ionici sono recettori e bersagli di farmaci: canali ionici propriamente detti
(trasportano nella cellula uno ione) possono essere attivati da ligando (es. recettore nicotinico).
Anche per i canali ionici abbiamo la possibilità di bloccare o modulare la loro attività: si modula quando il
farmaco trova il sito di legame in una posizione complementare, mentre si blocca quando il farmaco si lega
al sito principale del canale stesso.
Esistono poi dei farmaci che agiscono e hanno come bersaglio i trasportatori: ad esempio lo scambiatore
sodio/glucosio, esso può essere bloccato ma può essere anche attivato. Infine un gruppo di proteine molto
importanti bersaglio di farmaci: le pompe. Le pompe, a differenza dei canali e dei trasportatori, trasportano
sempre contro gradiente (una grande classe di farmaci è quella degli inibitori delle ATPasi).
Vediamo ora esempi di recettori definiti “classici” e le loro più peculiari caratteristiche e che tipo di
farmaci sono attivi su questi recettori.
1. recettori attivati da ligando (canali ionici)
2. recettori sette domini transmembrana collegati ad una proteina G (la maggior parte dei farmaci in uso
ora agisce su questo tipo di recettori, essi sono i primi bersagli scoperti per i farmaci) ad esempio:
recettori muscarinici e recettori adrenergici.
3. recettori per le integrine
4. recettori per le citochine (loro stessi proteine chinasiche con la capacità di autofosforilarsi, molto
spesso sono recettori per fattori di crescita. Sono detti recettori con attività tirosino-chinasica)
5. recettori per la ANF (atrial natriuretic factor), anch'esso con attività enzimatica intrinseca: guanilato-
ciclasica intrinseca
6. recettori per le lipoproteine
7. recettori apoptotici
8. recettore per il cortisone: è un classico recettore citoplasmatico (la molecola è il cortisolo)
Una caratteristica che distingue questi recettori è il tempo di risposta che la cellula impiega dopo
l'attivazione del recettore stesso: un recettore canale impiega pochi millisecondi ad attivarsi, mentre un
recettore, ad esempio, per l’acetilcolina necessita di più tempo per attivarsi.
Alcuni recettori necessitano di alcuni minuti per dare l'effetto desiderato (acetilcolina legata al recettore
muscarinico determina dopo qualche minuto a livello delle cellule muscolari lisce ed a livello bronchiale il
suo effetto)
Nel caso dei recettori con attività tirosin-chinasica (di solito recettori per fattori di crescita) l'effetto è
l'attivazione di una trasduzione del segnale tramite cascata chinasica che termina con la trascrizione di geni
nel nucleo (quindi tempi di attivazione di qualche ora circa).
I recettori steroidei sono recettori intracellulari e non necessitano della trasduzione del segnale a livello della
membrana plasmatica, ma il tempo di attivazione è comunque di qualche ora.
Vediamo ora alcune caratteristiche di recettori canali attivati da ligando: essi si possono classificare in
base alla loro struttura, sono costituiti, infatti, da più sub-unità; ognuna di queste sub-unità è costituita da un
certo numero di segmenti transmembrana, diverse porte di attivazione (recettore classico ha 4 porte).
Il recettore attivato si apre e lascia fluire dall'esterno verso l'interno gli ioni; dobbiamo quindi considerare un
certo tipo di carica elettrica nel poro, che permette il passaggio selettivo di ioni carichi di segno opposto.
Questi canali sono anche chiamati loop di cisteine poiché nella loro parte N-terminale sono presenti delle
cisteine che chiudono la coda.
Un'altra caratteristica di questi recettori-canali attivati da ligando è che ci vuole più di una molecola di
ligando per attivarli (es. recettore GABA tipo “a” necessita di due molecole di GABA per essere attivato,
come il recettore nicotinico ha bisogno di due molecole di acetilcolina per essere attivato a livello della
placca neuromuscolare).
Un altro tipo di recettore è quello chiamato recettore per il glutammato. Solitamente i recettori “cys-loop a”
hanno 5 sub-unità e sono eteropentameri, anche se sono presenti 2 sub-unità uguali dette alfa. I recettori per
il glutammato invece hanno solo 4 sub-unità, che possono essere uguali o diverse tra di loro; la coda N-
terminale è la parte esterna mentre il carbossile è all'interno della membrana. Uno dei segmenti non
attraversa la membrana in modo continuo.
Un altro tipo di recettore è quello per i nucleotidi ciclici, questo tipo di recettore è costituito da 4 sub-unità,
ogni sub-unità è costituita da 6 domini transmembrana e la sua particolarità è che l'agonista (il nucleotide
ciclico) è tipicamente intracellulare.
L'ultimo tipo di recettore è il recettore per l'ATP, questo recettore è costituito da sub-unità con solo 2 domini
transmembrana e si assembla a formare un dimero.
Nota sulle benzodiazepine: agiscono sui recettori canale attivati da ligando, ma non agiscono sui singoli
ligandi, essi agiscono su una sub-unità accessoria: ciò determina l'apertura del recettore più a lungo,
trasportando in questo caso ioni cloruro che iperpolarizzano. Farmaci usati come ansiolitici, usati come
ipnotici, usati come anti-convulsioni. Riducono l'eccitabilità dei neuroni.
Recettori ionotropici per il glutammato (AMPA, Kainato, NMDA): hanno un numero enorme di forme.
AMPA, Kainato e NMDA sono gli agonisti più selettivi per questi canali; questi recettori sono eccitatori,
molto importanti, specie AMPA, per la Long Term Potentiation. Nelle patologie ischemiche (come l’ictus)
abbiamo un’iperattivazione di questi recettori, e si può anche arrivare all’apoptosi, perché sono canali per
sodio e calcio.
I recettori più classici per i farmaci che conosciamo attualmente sono i recettori accoppiati a proteine G.
Legano numerosi agonisti endogeni, neurotrasmettitori (catecolammine ma anche acetilcolina), peptidi,
ormoni glicoproteici, fotoni. Sono divisi in varie famiglie, tutte a 7 domini transmembrana, caratterizzate sia
dalla lunghezza delle catene N-terminale esterna e carbossi-terminale intracellulare, che dalla lunghezza del
terzo dominio a cui si lega la proteina G.
I recettori rodopsimilari (prima classe) ammettono un agonista che si trova all’interno del recettore stesso,
come i fotoni legano il cis-retinale nelle cellule della retina, trasformandolo in trans-retinale, il quale si
trova all’interno del recettore. Anche alcuni neurotrasmettitori possono legarsi a un sito di legame un po’
internalizzato nel recettore, mentre ad esempio i peptidi si legano a dei loop extracellulari; gli ormoni
glicoproteici legano soprattutto la subunità N-terminale; il glutammato lega sul terminale N, e induce una
differente conformazione della stessa, la quale va ad attivare il recettore. Un altro tipo di recettore è il
recettore per le proteasi: la proteasi rompe la terminazione N, e questo peptide poi attiva il recettore.
Che tipi di molecole vanno a interagire con tutti questi recettori? Di solito sono piccole molecole, hanno
ridotta complessità molecolare. Siano essi agonisti o antagonisti, questi sono i farmaci attualmente in uso.
I farmaci che agiscono sulle proteine G sono farmaci di vecchia concezione, ma sono quelli che userete di
più all’inizio della vostra carriera, perché sono molecole molto usate.
Gli agonisti attivano i recettori, gli antagonisti li bloccano.
I bersagli delle protein-chinasi A sono molti, come canali ionici, proteine strutturali, traslocatori…
Il fatto che si abbia un primo messaggero e poi l’attivazione di una proteina ubiquitaria che dà il via a molti
segnali determina un gran numero di effetti intracellulari. Il blocco dell’attività del recettore si ha per
degradazione del cAMP, a opera di fosfodiesterasi, che terminano il segnale cellulare.
Su tutti questi recettori, l’abbiamo già detto, agiscono piccole molecole di origine sintetica; ma abbiamo
anche altri tipi di farmaci, ossia farmaci bloccanti le fosfodiesterasi. Vi sono molti tipi di fosfodiesterasi,
ogni tipo è specifico per tipo cellulare e per tessuto. Anche in questo caso i farmaci sono comunque
molecole di sintesi chimica
Vediamo i recettori attivati da fattori di crescita, con attività tirosin-chinasica; i recettori a riposo sono
monomerici e dimerizzano quando attivati. L’azione tirosin-chinasica determina una cascata di eventi che
porta alla proliferazione cellulare, evento che può essere fisiologico, ma anche legato a un tumore.
Questi recettori possono anche attivare una proteina mTOR, coinvolta nei processi di autoimmunità.
Qui abbiamo dei farmaci un po’ diversi; sono farmaci complessi, sono anticorpi monoclonali; gli anticorpi
li riconoscete bene perché il loro nome termina con “-mab”. Per approcciare questa cascata di segnalazione
si blocca l’attività tirosin-chinasica. Un farmaco che ha rivoluzionato il trattamento delle leucemie è
Imatinib, infatti in questi tumori si ha una tirosin-chinasi geneticamente mutata. Per bloccare le tirosin
chinasi si usano degli inibitori, molecole piuttosto semplici, e terminano in “-inib”; sono molto specifici,
perché bloccano le tirosin chinasi mutate.
I recettori per le citochine sono abbastanza simili a quelli per i fattori di crescita, ma in questo caso il
recettore è un dimero, e l’attivazione del recettore attiva una chinasi che fosforila il recettore, di qui parte
una via di trascrizione che porta a diversa espressione genica e quindi alla proliferazione delle cellule
dell’immunità. Anche qui i farmaci sono complessi.
Abbiamo poi i recettori per i peptidi, che hanno attività guanilato ciclasica intrinseca; il recettore attivato
aumenta i livelli di cGMP; l’aumento di cGMP è causato anche da una guanilato ciclasi solubile. Si usano
farmaci che mutano l’effetto del monossido di azoto NO, che è l’agonista della guanilato ciclasi.
Up regulation of receptors:
– prolonged deprivation of agonist (by denervation or antagonist) results in supersensitivity of the receptor
as well as to effector system to the agonist.
– 3 mechanisms:
• Unmasking
• Increased expression
• Increased efficiency of downstream signaling
DOWN REGULATION:
- Continued exposure to an agonist or intense receptor stimulation causes
DESENSITIZATION
The receptor becomes less sensitive to the agonist
This occurs by means of 2 main mechanisms:
• Internalization
• Decreased synthesis
Numerous drugs (in particular for neuropsychiatric disorders) function by
altering receptor signaling by up or downregulation of their membrane
expression
Adattamento (recettoriale e non recettoriale) dopo ripetute somministrazioni
MECCANISMI BIOCHIMICI
• Desensitizzazione
Riduzione delle risposte recettoriali dovuta a trattamento prolungato con agonisti
• Tolleranza
riduzione progressiva della risposta farmacologica per le stesse dosi di
• Tachifilassi:
riduzione dell'effetto del farmaco che si sviluppa in pochi minuti
• Meccanismi
•Riduzione dell'affinità del farmaco per il recettore (alterazione del recettore)
NON RECEPTOR MEDIATED MECHANISM
• By counterfeit or false incorporation mechanisms
MODALITÀ DI ANTAGONISMO
Antagonismo recettoriale tipico
Antagonismo non-competitivo
Antagonismo fisiologico
Antagonismo chimico (es: Dimercaprolo; Anticorpi neutralizzanti)
Antagonismo farmacocinetico (Fenobarbitale-warfarin-steroidi, etc)
FARMACOLOGIA NELL’ANZIANO
(Fonti per questa lezione: libro “general principles of pharmacology” on line si trova pdf, noi
guarderemo soprattutto capitoli 8 e 24.)
VIA ORALE: (una delle più semplici e immediate per il pz) comporta alcune caratteristiche,
prima di tutto il tipo di preparazione del farmaco, i farmaci che si somministrano per via orale
devono avere lipofilia ph dipendente e normalmente nell’anziano possiamo avere problemi in
questa via di somministrazione a causa di:
ipocloridria accentuato da uso di farmaci antiacidi: lo stomaco risulta meno acido e ciò
determina differenza nel tempo di assorbimento.
Per os l’assorbimento può essere passivo, seguendo il gradiente di concentrazione e nell’anziano
in questo caso l’assorbimento passivo è presente e può essere un po’ più lento nel tempo e ciò
dipende dal fatto che sia lo svuotamento gastrico, sia il passaggio intestinale sono più lenti,
anche per esempio per diminuito o alterato passaggio di farmaci per ridotta perfusione.
Probabilmente alcuni trasportatori attivi sono ridotti come quelli del ferro e della vitB12.
Altri importanti fattori per la biodisponibilità sono gli enzimi CYP3A4 intestinali così come un
alterato metabolismo a livello epatico, tutto sommato però attraverso via orale NON
dovrebbero esserci grosse modifiche per quanto riguarda la biodisponibilità.
INALATORIA: patologie come BPCO possono alterare in maniera importante tutti i passaggi a
questo livello.
Queste sono curve del farmaco in funzione del tempo. Rispetto alla via endovenosa, qualsiasi
extravenosa determina un tempo maggiore per arrivare alla concentrazione plasmatica
massima, probabilmente c’è anche una leggera diminuzione di questa concentrazione, però è
compensato dal fatto che la curva di concentrazione nel tempo rimane più elevata perché gli
anziani possono avere problematiche legate alla clearance epatica.
Quindi la biodisponibilità di un farmaco per os rimane pressoché invariata.
2. La DISTRIBUZIONE del FARMACO che dipende da:
Concentrazione plasmatica del farmaco.
Quanto il farmaco tenda a legarsi, anche a tessuti non bersaglio.
Coefficiente di ripartizione lipidi/acqua a seconda della lipofilia o idrofilia del farmaco.
Necessità o meno di trasportatori per il farmaco.
— Poi nell’anziano si ha AUMENTO della alfa1glicoproteina acida, ciò determina che alcune
molecole come beta bloccanti, calcio antagonisti, risultino più legate e quindi permangano per
più tempo nell’organismo e la loro concentrazione plasmatica sia ridotta.
— Nell’anziano abbiamo ridotta muscolatura scheletrica striata; questo per alcuni farmaci
come la digossina (che è un farmaco inotropo positivo), che si localizza proprio nei muscoli
striati, in caso di sarcopenia può determinare concentrazione plasmatica di digossina
aumentata.
— D’altra parte, alcune molecole si distribuiscono al tessuto adiposo, che è invece aumentato
nell’anziano, avremo quindi un aumento del volume di distribuzione per questi farmaci.
— Poiché l’acqua corporea è inferiore nell’anziano i farmaci idrofili avranno invece volume di
distribuzione minore.
La CLEARANCE EPATICA:
A livello epatico si distinguono una parte metabolica e una di eliminazione.
Anche qui c’è da considerare che i farmaci liberi, non legati a proteine, arrivano agli epatociti
veicolati nei sinusoidi epatici. C’è la possibile ridotta perfusione d’organo, le molecole non
legate sono portate da trasportatori attivi verso l’interno dell’epatocita dove sono
metabolizzate e/o trasportate ai dotti biliari.
I fattori che possono influenzare questo processo nell’anziano sono il ridotto flusso ematico e la
funzionalità dei trasportatori attivi degli epatociti che devono estrarre i farmaci dal plasma.
Il raggiungimento della dose efficace di un farmaco che dev’essere attivato dal metabolismo
epatico può essere quindi più lento e più bassa la concentrazione massima raggiunta con
maggior difficoltà nel raggiungere la dose efficace.
Abbiamo quindi ridotto metabolismo e ridotta clearance epatica che danno un aumento
dell’emivita soprattutto dei farmaci lipofili i quali necessitano dell’attivazione epatica.
Per quelle molecole che hanno metabolismo legato al flusso ematico nel fegato (quindi molecole
con metabolismo di fase 1 in cui metà è metabolizzata dal passaggio dal fegato) la loro
clearance è molto diversa nell’anziano rispetto all’adulto giovane. Viceversa per i farmaci con
metabolismo fase0 (ogni volta che passano nel fegato la loro concentrazione si riduce di una
quantità fissa, NON di una percentuale fissa) la clearance epatica non è molto diversa da quella
del giovane.
La CLEARENCE RENALE:
Molti farmaci sono eliminati come tali o come metaboliti attraverso il rene.
La VFG è RIDOTTA nell’anziano (in realtà non molto ridotta nell’anziano sano);
può essere DIMINUITA la secrezione tubulare attiva;
mentre NON ci sono molte informazioni sul riassorbimento tubulare passivo.
In primis il flusso plasmatico renale è diminuito di circa il 10% ogni dieci anni a partire dai 40
anni di età. Un problema dell’anziano è che può essere meno sensibile agli stimoli
vasodilatatori.
Per questi motivi si cerca di calcolare la dose corretta di farmaco applicando una formula che si
riferisce alla clearance della creatinina, un prodotto della muscolatura. L’anziano produrrà
meno creatinina e dunque con questa formula si può ricavare la dose corretta da somministrare
visto che la creatinina è indice di funzionalità renale.
Nel paziente geriatrico, rispetto al giovane, l’ emivita del farmaco (che normalmente dipende
da clearance e volume di distribuzione) è AUMENTATA, soprattutto nel farmaco lipofilo perché
il volume di distribuzione è aumentato.
Mentre per i farmaci idrofili essendo ridotta l’acqua c’è da considerare la riduzione della
clearance renale e quindi anche per questi idrofili l’emivita sarà AUMENTATA.
Per esempio è stata studiata la ciclosporina, immunosoppressore molto usato nei trapianti; è
stata studiata la sua emivita e quindi la massima concentrazione plasmatica raggiunta nei
pazienti oltre i 65 anni rispetto ai pazienti tra i 18 e i 64. Nell’età senile la concentrazione
plasmatica di ciclosporina è più elevata, sebbene la dose sia aggiustata proprio in base alla sua
concentrazione plasmatica.
Alcune modificazioni farmacodinamiche osservate nell’anziano:
Quindi i farmaci andrebbero prescritti tenendo conto delle differenze farmacocinetiche, quindi
della sarcopenia, aumento del tessuto adiposo, ridotta H2O, poi secondo la farmacodinamica
quindi minore risposta compensatoria nell’anziano (che può essere molto importante per
esempio nell’anziano diabetico in ipoglicemia la quale dovrebbe essere risolta dall’adrenalina e
dal cortisolo, questa compensazione adrenergica potrebbe non essere sufficiente nell’anziano o
perlomeno meno efficace che nel giovane). Poi da considerare la polifarmacia, quindi il fatto
che l’anziano prenda diversi farmaci per diverse patologie e anche l’aderenza al trattamento,
infatti l’anziano dev’essere sempre ben istruito rispetto al timing per l’assunzione della sua
terapia.
Infine, dopo somministrazione dei farmaci se si osserva l’insorgere di una complicanza, prima di
pensare ad un’altra patologia del paziente bisogna sempre escludere che non si tratti di una
reazione avversa del farmaco stesso.
Il neonato nasce per definizione immaturo, la nostra evoluzione allo stato eretto ha portato pur
di non perdere il prodotto di concepimento molto precocemente, una nascita del bambino
piuttosto immatura per riuscire a passare attraverso il canale vaginale e quindi questo fa si che
si abbia una fase abbastanza lunga di maturazione di tutta una serie di fattori che sono
importanti dal punto di vista farmacologico (non le ripete). Le fasi rilevanti della crescita del
bambino dal punto vista farmacologico si dividono in 5 fasi:
1) nato prematuro
2) neonato entro il primo mese
3) bambino
4) bambino dai 2- 10 anni
5) grande minore oltre i 10 anni: ha una rilevanza sia farmacologica che dal punto di vista etico
perchè ciascuna di queste fasi corrisponde a diversi protocolli di richiesta di autorizzazione alla
sperimentazione clinica che è un grande problema dell’età pediatrica perchè mentre nei
bambini fino ai 5 anni l’autorizzazione è del tutore (genitore), nei bambini dai 5 anni in su
l’autorizzazione dipende proprio dal bambino che deve essere informato.
Per quanto riguarda il rapporto superficie volume corporeo, nei bambini è maggiore quindi una
stessa pomata di cortisone spalmata sulla pelle di un bambino (neonato in particolare) a parità
di dose raggiunge la concentrazione plasmatica molto più alta rispetto all’adulto.
L’altro problema è dato dal flusso ematico: l’applicazione di un farmaco sulla parte arrossata di
un pannolino ovviamente può comportare un aumento della distribuzione di questo farmaco nel
sangue per l’aumento del flusso ematico nella zona arrossata
(es. corticosteroidi somministrati per via topica ma ha un effetto sistemico).
Nel neonato che non cammina si preferisce il vasto laterale al gluteo (per la via intramuscolare)
e questo vale anche nell’anziano, perchè il gluteo non si è ancora formato, (nell’anziano è più
atrofizzato) quindi c’è la possibilità di avere un ridotto assorbimento per la ridotta
vascolarizzazione e soprattutto per la possibilità di lesione del nervo sciatico.
La concentrazione plasmatica del farmaco che viene raggiunta per via endovenosa dipende
sostanzialmente dalla velocità del flusso: più il flusso di somministrazione è alto, maggiore sarà
la concentrazione plasmatica.
Dipenderà anche della velocità di
eliminazione, se il farmaco viene
eliminato rapidamente minore sarà la sua
concentrazione plasmatica, ed è anche
inversamente proporzionale alla
clearance del farmaco e alla sua
distribuzione.
Il bambino come può assumere il farmaco? Lo può assumere perchè glielo prescriviamo o lo può
assumere in maniera accidentale attraverso il latte materno.
Ci sono alcune regole e alcune domande da porsi come medici quando la madre deve prendere
determinati farmaci:
-è necessario questo farmaco?
-quanto farmaco passerà nel bambino?
- quanto di questo farmaco può avere effetto farmacologico sul bambino?
-bisogna smettere di allattare?
-se non smetto di allattare quale reazione avversa posso aspettarmi dal bambino ?
Alla domanda quanto farmaco arriva al bambino, quello che conta è il così detto indice di
esposizione: è la percentuale di farmaco che il bambino assume attraverso il latte rispetto alla
stessa quantità che verrebbe somministrata per uso terapeutico. Se di un determinato farmaco
ne viene somministrato 1 mg alla madre, rispetto a questa dose farmacologia attraverso il latte
materno quanto glie ne arriva? è trascurabile questa percentuale? non è un valore assoluto ma è
una percentuale che si userebbe come terapia e questo diciamo dipende dall’assorbimento.
Se la madre sta assumendo insulina per il diabete, non ci preoccupiamo perché anche se
l’insulina dovesse arrivare nel latte materno tutto sommato l’assorbimento nel sangue, siccome
il bambino la sta assumendo per via orale, è irrilevante.
Se un farmaco si concentra nel latte, se ad esempio la concentrazione nel latte è 100 volte
maggiore la concentrazione plasmatica della madre, bisognerà anche valutare qual è la
clearance del farmaco nel bambino. Questo mi permette di calcolare l’indice di esposizione
mettendo come valore confine il 10%, al disotto in generale non mi devo preoccupare, cioè
l’effetto avverso è trascurabile.
Naturalmente ci sono tutta una serie di farmaci che sono controindicati, alcuni sono tossici
chiaramente per il neonato ma non per la madre (es. litio usato come antidepressivo è molto
tossico per il bambino).
C’è una fase durante lo sviluppo del bambino, (generalmente i primi 6 mesi) in cui è soggetto ad
una miriade di modificazioni a livello degli organi che comportano una variazione nella
farmacocinetica. Prima di tutto la composizione del corpo: il neonato soprattutto quelli
prematuri hanno un bassissimo quantitativo di tessuto adiposo e hanno una maggiore quantità di
acqua. Su queste composizioni guardiamo alcuni parametri e ci rendiamo conto che abbiamo un
rapporto acqua grasso proteine che è estremamente diverso da tutti gli altri, quindi
sostanzialmente non c’è tessuto adiposo mentre c’è un volume di distribuzione molto ampio
soprattutto se un farmaco è idrofilo.
Scompare dai sei mesi in poi il problema dell’allattamento con il latte materno. Cambierà la
composizione corporea, cambierà il tegumento e tutto questo mi porta ad un cambiamento nel
calcolo del dosaggio, spesso è fatto sulla base del rapporto peso bambino peso adulto
normalizzato.
Perchè si fanno tutti questi calcoli? Perché i farmaci nei bambini spesso non sono stati testati
nel bambino a quell’età, quindi non ha la sperimentazione clinica nemmeno di fase 1 che ha
consentito di calcolare con precisione il dosaggio ottimale, e quindi si va per approssimazione
rispetto all’adulto, e questo è il problema principe.
Poi c’è il problema della capacità metabolica questo perchè cambia la capacità complessiva e
quantitativa di metabolizzare il farmaco ma cambia anche qualitativamente il tipo di
metabolismo, tuttavia questo è un problema che riguarda il neonato prematuro e il neonato nei
primi mesi di vita, passata questa fase il bambino metabolizza meglio quindi ci potrebbe essere
addirittura un problema di sottodosaggio rispetto ad un sovradoggio perchè i bambini hanno
fegato e reni perfettamente funzionanti, si va alla situazione opposta rispetto a quella che
abbiamo visto nell’anziano.
Che cosa cambia? Cambia la funzione renale in maniera molto importante, cambia sia la
capacità di filtrazione renale, il flusso renale aumenta esponenzialmente durante i primi 6 mesi
di vita ma soprattutto aumenta la secrezione renale. Quindi il problema principe durante i primi
mesi di vita è l’eliminazione del farmaco a livello renale e tutti questi cambiamenti avvengono
dal primo giorno di vita ai sei mesi dopodiché si raggiunge un plateau con una capacità di
velocità di filtrazione che raggiunge quella adulta dopo i sei mesi di vita (per i nati a termine).
Che cosa influenza questo? Per farmaci somministrati ed eliminati per via renale cambia
l’integrale di somministrazione. Esempi tipici sono la gentamicina, non si parla di streptomicina
perchè la streptomicina è autotossica e non può essere somministrata in età pediatrica mentre
la gentamicina è potenzialmente autotossica e può essere anche nefrotossica quindi c’è sempre
una particolare cautela nell’uso di questi farmaci.
In questi tipi di farmaci va aumentato l’intervallo di somministrazione: nell’adulto è di 8 ore,
nel neonato nei primi mesi di vita l’intervallo deve essere circa 12 ore, nelle prime settimane di
vita una soglia di 24 ore, nel nato pretermine una dose ogni 36 ore, quindi gli intervalli di
somministrazione sono fondamentalmente dipendenti da questo fatto.
Il Domperidone, è un famarco antiemetico e procinetico, che poteva essere usato per il reflusso
grastro-esofageo. Ora è vietata la somministrazione del domperidone nei bambini al disotto dei
12 anni questo perchè il domperidone prolunga l’intervallo QT, nel neonato in generale è più
lungo fino a 3 settimane, poi si normalizza. Il rischio può essere comunque molto alto
soprattutto perchè è molto difficile avere un informazione chiara e definita se un bambino è
propenso ad essere un portatore di alcune mutazioni o polimorfismi che lo rendono più propenso
ad essere un portatore di aritmie cardiache gravi. L’altro uso di questo farmaco è per alleviare i
sintomi di nausea e vomito.
L’altro problema riguarda i fluorochinoloni (ciprofloxacina) sono farmaci che sono stati abusati
per cistiti per uretriti e cosi via, quindi infezioni batteriche soprattutto perle vie renali, sia nel
bambino che nell’adulto e nell’anziano è un problema grave e ci sono stati diversi casi con danni
permanenti. Nel bambino è ancora più grave prima di tutto perchè è difficile non far muovere
troppo un bambino. Quindi bisogna usare con molta cautela questi farmaci soprattutto in questa
fase.
Farmaci generici —> equivalenti
In queste prime lezioni parliamo un po’ di aspetti generali, quelle informazioni che ogni medico, infermiere,
farmacista, deve avere; termini come farmaco equivalente e farmaco biosimilare. Sembra quasi assurdo
parlare nel 2020 di farmaci equivalenti perché ci sono dal 2000, ma come vedete da questa pubblicazione
sulla rivista dei medici toscani, nel 2010 c’erano ancora molti pregiudizi sulla qualità, efficacia e sicurezza
dei farmaci, come venivano chiamati in quel periodo, generici.
Poi il nome è stato cambiato in equivalente perché generico sembrava un qualcosa di negativo e di poca
qualità, anche se in tutto il mondo si chiamano generici. Rispetto al resto del mondo, i dati ci fanno vedere
come in Italia, il consumo dei generici è molto basso, mentre in altri paesi praticamente l’80% dei farmaci
che hanno perso il brevetto sono venduti non più come farmaci di marca, ma come generico, perché que-
sto consente un grande risparmio, a parità di efficacia.
Sempre nel 2015, l’agenzia italiana del farmaco, che registra i generici nel nostro paese, sentì la necessità
di fare un documento di poche pagine, che voi avete tra il materiale didattico, per parlare della qualità, si-
curezza e efficacia dei farmaci equivalenti.
BIOEQUIVALENTI
Due equivalenti farmaceutici le cui velocità ed entità di assorbimento non differiscono statisticamente
quando essi sono somministrati alla stessa dose e in condizioni sperimentali .
Se noi andiamo a vedere gli scarsi consumi che ci sono nel nostro paese, come si manifestano a livello
delle varie regioni, vediamo che la situazione è abbastanza strana: per i farmaci c’è un periodo di
disponibilità assoluta di chi ha inventato il farmaco per poter guadagnare e riprendere i soldi investiti nella
ricerca; quando si perde il brevetto ci possono essere dei farmaci veramente generici (quelli venduti con
minore principio attivo e basta), ma rimane sul mercato anche quel farmaco che aveva il nome di brand,
cioè il nome di fantasia che gli aveva dato l’azienda produttrice.
3. Se gli equivalenti farmaceutici hanno anche la bioequivalenza, ne consegue che avranno lo stesso
effetto terapeutico, e avranno lo stesso metabolismo e le stesse vie di eliminazione. Quando il
farmaco sarà in circolo, potrà andare ad agire sul suo sito di azione (enzima, recettore), e darà un
suo effetto farmacologico che auspicabilmente sarà un effetto terapeutico.
Se questi tre parametri sono molto simili, potremmo dire che abbiamo farmaci equivalenti, che posso-
no essere utilizzati in maniera sovrapponibile.
Quello che risulterà saranno queste curve: l’area sotto la curva, la massima concentrazione, e il tempo
per raggiungerla saranno entro dei parametri così vicini da poter essere considerati equivalenti.
L’uguaglianza è impossibile, per cui è consentito da chi deve autorizzare l’emissione in com-
mercio, che ci siano delle variazioni, che sono del ±20%.
Questo 20% non è per i tre parametri presi singolarmente, ma per tutta la cinetica del farmaco; è accet-
tato in tutto il mondo e da tutte le autorità regolatorie, che questa variazione che si ha nei tre parame-
tri, se in range, non sia così importante da poter causare un effetto farmacologico/terapeutico diverso.
Questa variazione fa riferimento a questa misura, che è rigorosa, prende in considerazione tutti e tre i
parametri, e il modo corretto per prendere in considerazione questa variazione è che gli intervalli di
confidenza del rapporto dei parametri farmacocinetici delle due formulazioni deve andare entro questo
limite, tra l’80 e il 125 % (±20%).
Questa misura è documentata e rigorosa, e, nella maggior parte dei generici, la differenza è inferiore a
questo 20%, però è accettata questa differenza.
CROSS-OVER. Quello che succede è che devono essere fatti degli studi di equivalenza, ma non ho
bisogno di farlo su pazienti, perché il nostro obbiettivo è valutare le concentrazioni, allora lo studio vie-
ne fatto in volontari sani, omogenei, dello stesso sesso, con le stesse caratteristiche, e in più facendo
un disegno che si chiama cross-over:
supponiamo di avere di fronte 12 maschi , per avere un campione omogeneo, che ricevono, a una de-
terminata ora, il farmaco A, dopo un certo periodo di tempo vengono fatti dei prelievi per ottenere le
concentrazioni plasmatiche e per disegnare quelle curve di prima. Il disegno cross-over significa che le
stesse persone, dopo qualche giornO, quando il farmaco sarà stato allontanato dalla funzione della sua
emivita, prendono il farmaco B: ciascuno è controllo di se stesso;
questo rende assolutamente omogenea la sperimentazione, perché non ci sono variabili, ma è la stes-
sa persona che è controllo di se stesso. Quindi questi due sottogruppi riceveranno una volta il farmaco
A, un gruppo, l’altro gruppo il farmaco B, poi si incrociano, in modo da avere questo cross-over, in
modo che ciascuno è controllo di se stesso, e il fatto di riceverlo prima o dopo praticamente si annulla.
Quindi è un disegno estremamente semplice che si può fare su un numero piccolo di persone i cui cia-
scuno è controllo di se stesso, e ci permette di valutare l’entità di assorbimento e la velocità in modo
molto semplice. Alla fine di questa analisi vediamo delle valutazioni che sono inserite in questi limiti di
equivalenza (90% del rapporto fra i parametri cinetici del farmaco di riferimento e dell’altro) e si costrui-
ranno dei grafici come questo. Se il farmaco come in questo caso quello rosso, sta dentro questi limiti
di equivalenza, vuol dire che può essere considerato bioequivalente, se invece, come quello verde, in-
terseca il limite di equivalenza, non si dirà bioequivalente. È una procedura semplice ma rigorosa.
Negli USA, dove i generici sono in commercio da moltissimi anni, da prima di noi per problemi legati alla brevetta-
bilità, è stato fatto un lavoro, pubblicato nel 2009, di confronto dei quasi 12’000 generici, ed è stato visto che di
questi 12'000 generici, solo il 2,4% differiva di oltre il 10% rispetto agli originali.
Quindi il parametro è più ampio, normalmente è più basso, e solo il 2,4% differisce per oltre il 10%. 10% è utiliz-
zato come parametro di equivalenza per i farmaci cosiddetti a basso indice terapeutico; pensate agli antiepilettici,
antiaritmici, dove la variazione di concentrazione può esercitare effetti farmacologici importanti, quindi il limite che
viene richiesto non è del 20% ma del 10%.
La qualità viene verificata adottando gli stessi criteri di valutazione che vengono utilizzati per i medici-
nali di riferimento, questo è il commento dell’AIFA. Viene fatta una valutazione attraverso la valutazio-
ne delle officine che producono il dichiarativo, e di quelle che producono il prodotto finito, e poi il con-
trollo della documentazione che viene presentato, cioè quegli studi di equivalenza. Tutto questo deve
essere fatto in modo tale che le officine di produzione seguano quelle che si chiamano “buone pratiche
di fabbricazione” che sono formate da quelle direttive europee.
Quindi questa è la situazione, non è vero che non c’è nessun controllo perché le agenzie controllano. Questo arti-
colo ci fa vedere come erano state trovate delle officine di produzione che non erano adeguate, qui ci sono altre
segnalazioni da parte dell’EMA e dell’AIFA riguardo prodotti della Pharmaceutic International che non devono
essere utilizzati in Europa perché non avevano queste buone pratiche di laboratorio, e l’AIFA fa queste azioni di
contrasto al crimine farmaceutico, che esiste (come ci sono quelli che fanno le borse false, ci sono quelli che fan-
no farmaci falsi). Andare a comprare un farmaco al di fuori dei circuiti controllati, ad esempio su internet, potete
trovare farmaci che costano meno, ma dentro non c’è niente o c’è qualcosa di pericoloso. Se uno sta nel sistema,
il farmaco è ovviamente controllato. Quotidianamente arrivano informazioni di ritiro di farmaci perché è stato
ispezionato, e qualche cosa non funzionava.
Questo è un dato clamoroso, successo nel 2018, poco tempo fa: tutta una serie di prodotti che contenevano Val-
sartan, che è un antiipertensivo, che agisce bloccando il recettore dell’angiotensina, e l’EMA osservò che tutti i
medicinali che erano stati prodotti da questa azienda cinese (Zhejiang Huahai Pharmaceuticals), avevano dentro
una sostanza che non ci doveva essere, una sostanza che si libera durante la sintesi del Valsartan, e questa so-
stanza doveva essere allontanata. Questo produttore non l’allontanava durante la sintesi, la sostanza è una nitro-
sammina cancerogena, e visto questo, sono stati ritirati dal commercio tutti i farmaci che contenevano Valsartan
prodotti da quell’azienda cinese.
C’era un rischio, anche se basso. Qualcuno ha fatto causa alle regioni dicendo:” tu mi facevi pagare un ticket sul
farmaco brand, e io mi ritrovo con il farmaco brand che aveva lo stesso inquinante di quello generico, allora per-
ché mi ha fatto pagare questa differenza? Ero convinto che questa differenza fosse in funzione della qualità” (per-
ché le industrie che contrastano il generico dicono che questo fa male, ha effetti collaterali, funziona meno) e a
quel punto il cittadino dice che la Regione non ha garantito che quel prodotto fosse meglio di un altro. Quello che
è venuto fuori è che da questo produttore si servivano aziende sia di generici che di brand, e quindi crolla quella
costruzione che era stata fatta da molti, che pensavano che i produttori non fossero cinesi, ma fossero europei.
Nel mondo del farmaco però ci sono pochi produttori che devono produrre a costi accessibili, perché questi far-
maci, quando diventano generici, costano anche meno.
I controlli di qualità sono controlli assolutamente uguali a quelli dei farmaci brand. Come vedete, ci può essere
una variazione nella quantità di principio attivo, perché c’è una minima variazione che c’è tutte le volte che si fa
una pesata: non può essere sempre esattamente 100 mg, a volte può essere di più o di meno, ma il range è pic-
colo.
Naturalmente è necessaria la dimostrazione clinica di quanto detto; la conferma arriva da studi, anche ab-
bastanza datati, come una revisione sistematica e una metanalisi sull’impiego di farmaci generici e
brandizzati nella cura di patologie cardiovascolari.
Questa tipologia di studio consiste grosso modo nel passare in rassegna tutta la letteratura scientifica in-
centrata su un tale tema, dalla quale si selezionano determinati studi che, messi insieme, hanno una po-
tenza statistica superiore rispetto ai singoli studi. Dalla revisione sistematica in questione viene dimostra-
to che i farmaci generici e brandizzati usati nelle patologie cardiovascolari hanno un’equivalenza tera-
peutica, quindi clinica e non unicamente di concentrazione.
Nel grafico viene dimostrato che, quando i limiti di confidenza intersecano la linea dell’indifferenza , vuol
dire che non c’è differenza terapeutica fra un farmaco e l’altro.
Oltre al precedente studio effettuato negli USA, ne seguono anche altri effettuati in Italia, come uno effet-
tuato già diversi anni fa. Tale studio è stato svolto utilizzando i dati amministrativi della Regione Lombar-
dia, col fine di valutare se ci fossero differenze fra farmaci per l’ipertensione brand e generici.
Hanno effettuato uno studio retrospettivo, ovvero uno studio effettuato su dati generati per altre motiva-
zioni. In questo caso, i dati utilizzati sono quelli forniti dai farmacisti ogni volta che viene fornito un farma-
co rimborsato dal Servizio Sanitario Nazionale. Quando, infatti, viene prescritto un farmaco di fascia A su
“ricetta rossa”, questo viene rimborsato integralmente dal SSN, pagando però una piccola quantità nel
caso in cui si scelga di comprare il farmaco brandizzato.
I dati in questione vengono registrati e accumulati da ogni regione in modo da tracciare, per ogni sogget-
to, attraverso il suo codice fiscale, la sua storia medica, ovvero: i farmaci che ha preso, quelli che prende,
i vari ricoveri ospedalieri ecc..
Lo studio effettuato utilizzando questi dati ha concluso che iniziare il trattamento ipertensivo con un far-
maco generico anziché con quello brand produce effetti simili sul risultato cui si ambiva, ovvero ridurre
l’ipertensione (fattore di rischio cardiovascolare che può contribuire al verificarsi di ictus o infarti).
Poiché una delle più frequenti argomentazioni a discredito dei farmaci generici è la presenza di maggiori
effetti collaterali, che portano di conseguenza il paziente ad abbandonare la terapia,
tale studio ha perciò cercato di capire se vi fosse correlazione fra l’utilizzo di famaci generici e l’interruzio-
ne dell’assunzione del farmaco. Cosa che non è stata riscontrata.
I grafici riportano curve sovrapponibili e riscontrate per diversi farmaci (ipertensivi, statine). Ad esempio, la
cessazione della terapia con le statine avviene circa dopo un anno, quando i pazienti smettono di notare
benefici clinici (spesso perché hanno un aderenza alla terapia inferiore all’80%), sia nel caso di farmaci
generici che brand.
In relazione a tutti i parametri analizzati (efficacia, sicurezza ecc) non sono quindi state riscontrate diffe-
renze fra i farmaci generici e quelli brand.
Sono emerse però delle differenze, quando si è valutato l’impatto della sostituzione.
Poiché in Italia è obbligatorio prescrivere un farmaco indicando il suo principio attivo e non il nome com-
merciale, al paziente viene fornito dal farmacista o il farmaco brand (dietro pagamento di una quota) o
quello generico della ditta che ha disponibile. Scegliendo il generico e dovendo richiedere di nuovo lo
stesso farmaco per continuare la terapia, è possibile che il farmacista abbia a disposizione un farmaco
generico con lo stesso principio attivo ma prodotto da un’azienda diversa.
Il paziente può in questo caso sostituire il farmaco con quello disponibile, senza avvertire il medico; que-
sto perché esistono liste di trasparenza con i farmaci che possono essere sostituiti.
Da questi studi retrospettivi è emerso che l’aderenza e la persistenza alla terapia diminuiscono in maniera
significativa all’aumentare delle sostituzioni. Dunque, se il farmacista sostituisce frequentemente il farma-
co (la ditta di produzione, non il principio attivo), impatta negativamente su aderenza e persistenza.
A conferma di questo studio ne sono stati pubblicati altri fra cui uno sul British Medical Journal, da cui è
emerso che le sostituzioni fra prodotti con la stessa sostanza attiva sono comuni nei pazienti con malattie
cardiovascolari e che ciò espone il paziente ad un maggior rischio di discontinuità nella terapia. Riguardo
a ciò, la Società Italiana di Farmacologia sta pubblicando un documento in cui si afferma che la sostitu-
zione non ha effetti diversi sulla concentrazione plasmatica del farmaco e sulla sua efficacia, ma sarebbe
comunque opportuno che il farmacista garantisse di dispensare sempre lo stesso farmaco equivalente per
non compromettere l’aderenza alla terapia ed evitare rischi.
Quindi il paziente dovrebbe richiedere che gli venga garantito sempre lo stesso farmaco generico, in modo
tale da ridurre il rischio di errori di assunzioni e di evitare di rendere inutilmente complessa la terapia.
Oggi però, nonostante tutte, è ormai fortunatamente diffusa la consapevolezza che non v’è nessuna diffe-
renza fra i farmaci brandizzati e quelli equivalenti.
Si sta invece dirigendo di più l’attenzione e la preoccupazione verso i farmaci biosimilari.
1. Vengono eseguiti secondo un disegno sperimentale crossover
5. Tale campione viene diviso in due sottogruppi i quali riceveranno in tempi alterni un'unica
somministrazione del farmaco generico e del farmaco di riferimento, intercalate da un
intervallo o periodo di wash-out di 3 settimane.
I farmaci biosimilari sono l’equivalente del farmaco generico per i farmaci biologici o biotecnologici.
Negli ultimi anni sono stati prodotti per la medicina specialistica farmaci molto complicati.
Se l’aspirina è una molecola molto semplice (acido acetilsalicilico), è già più complesso l’ormone della
crescita ed è ancora più complesso un anticorpo monocolonale.
Questi ultimi rientrano nella categoria dei farmaci biologici, che hanno bersagli molto specifici e sono
molto diversi dai farmaci sintetici nel processo produttivo.
Per produrli, infatti, bisogna partire da una sequenza genica che va introdotta, tramite un vettore, nell’or-
ganismo che tradurrà quella sequenza in prodotto, cui seguiranno altri procedimenti complessi fino ad
ottenere il farmaco biologico, molto complesso.
Nel momento in cui l’azienda che per prima ha prodotto un dato farmaco biologico perde il brevetto e altre
aziende possono riprodurlo, non è molto semplice replicare lo stesso sistema e lo stesso prodotto.
E, non avendo dei prodotti finale uguali, non è nemmeno semplice effettuare studi di farmacocinetica, non
è possibile fare studi efficaci sugli animali (perché non ci sono sempre modelli predittivi delle patologie
umane) e, inoltre, ogni individuo può avere diverse risposte immunologiche nei confronti di quel farmaco
biologico, essendo questo una proteina.
Oggi esistono numerosi farmaci biosimilari e il settore è in estrema espansione. Infatti, le linee di ricerca
delle aziende sono indirizzate proprio verso questi farmaci, soprattutto per il campo dell’oncologia.
Infatti, il trattamento delle patologie tumorali è molto cambiato, assumendo i caratteri della target therapy,
ovvero terapie mirate a riconoscere selettivamente solo alcuni bersagli.
Nelle malattie cardiovascolari e respiratorie vengono impiegati molto meno farmaci di questo genere, e la
maggiorparte dei farmaci sono stati sintetizzati per la prima volta molto tempo fa ed hanno perciò quasi
tutti perso il brevetto. Mentre i nuovi farmaci sono quelli biologici e sono relativi al campo dell’oncologia e
delle malattie neurodegenerative.
In questo caso, infatti, si può dire che il processo è il prodotto e il prodotto è il processo.
Esistono tanti farmaci biologici, specialistici e molto complicati, utilizzati in varie aree mediche.
Gli anticorpi possono essere di origine diversa: murini (se prodotti nel topo), chimerici (se hanno strutture
miste), umanizzati e umani.
Sono vari condizioni che sono poi riconosciute dal suffisso finale (umab, unab, zunab, zumab ecc) che in-
dicano la derivazione murina o umana.
Tutto ciò è importante perché ognuno di essi ha una capacità immunogena diversa. Quelli umani saranno
ovviamente meno immunogeni di quelli murini. E naturalmente questo rischio di immunogenicità è il ri-
schio più rilevante; di conseguenza dare un farmaco con caratteristiche diverse può provocare risposte
immunitarie diverse.
La procedura è molto più lunga ed è regolamentata a livello europeo, perciò non si può effettuare una re-
gistrazione solo a livello nazionale. La procedura è a tappe.
La prima di queste è relativa agli studi di qualità. Qualora questi studi non dovessero documentare una
qualità sovrapponibile al farmaco brand, il processo si interrompe già a questo livello. Altrimenti si passa
alla seconda tappa, consistente nell’effettuare studi pre-clinici sugli animali. Se anche questi danno esito
positivo, si passa agli studi clinici.
Lo studio sull’uomo è quindi l’ultimo step, cosa invece avviene direttamente nei processi di approvazione
dei farmaci generici sintetici, poiché si conosce già bene la molecola.
La tappa degli studi clinici consiste in studi di farmacocinetica, efficacia, sicurezza e immunogenicità. Una
volta passati questi test e una volta che la commissione europea ha dato il consenso, ci sono una serie di
studi post-registrativi, seguiti dal sistema di farmaco vigilanza, che garantisce che il farmaco mantenga il
suo profilo di beneficio e rischio nel tempo.
Queste considerazioni sono riportate qui, dove è rappresentato il percorso che deve fare una medicina
rispetto al biosimilare. Risulta che sono molto simili, con la differenza che si fanno un po’ meno studi per-
ché sono già stati fatti ed è necessario solamente documentare che il farmaco biosimilare non è diverso
da un punto di vista dell’efficacia e della sicurezza dal farmaco di controllo. Si fanno cioè degli studi di non
inferiorità: si deve cioè clinicamente dimostrare che la situazione è esattamente sovrapponibile o così si-
mile da non presentare differenze significative.
Il problema del processo si può avere anche con il farmaco originale. Infatti, può accadere che anche
un’azienda che produce un farmaco che è nel mercato da tanto tempo possa spostare la produzione in un
altro Paese o può doverne produrre di più. E, ogni volta che ci sono modifiche nel processo di produzione
avvengono dei cambiamenti nella struttura del prodotto. Per questo, anche questi cambiamenti vengono
valutati con una modalità che è analoga a quella ?
Qui vedete coma alcuni farmaci nella loro vita abbiano avuto modifiche più o mano importanti, che posso-
no aver dato luogo a lotti diversi dello stesso farmaco iniziale ma con alcune differenze.
Perciò nessuno è sicuro di utilizzare, nel lungo periodo, sempre lo stesso farmaco; cosa che preoccupa
molti clinici.
Infine, l’ultima cosa da dire è relativa allo switch. Il SSN, poiché si tratta di farmaci che sono della stessa
qualità ed efficacia e costano meno, invoglia ad utilizzare di più i farmaci biosimilari. Questo switch a volte
non è gradito, soprattuto dai pazienti.
Tuttavia, studi clinici, come uno effettuato in Norvegia, randomizzato, hanno confrontato il farmaco con il
suo biosimilare, non riscontrando alcuna differenza.
Siamo perciò ragionevolmente sicuri del fatto che i biosimilari sono farmaci importanti e che sono inter-
cambiabili.
Questa è anche la posizione di AIFA, come riportato sul sito in una sezione informativa sui farmaci biosimi-
lari.
Materia – Lezione n°
Data
Lezione
Data 30/05/2019
Materia Farmacologia
Professore Failli
File audio (durata) 1:56:34
Coppia COPPIA N°/Niccolai-Lisi
Oggi è una lezione che prende in esame alcuni fattori che influenzano l’efficacia dei farmaci
in senso positivo o negativo. Vedremo le interazioni tra cibo e farmaci e nella seconda parte
la farmacogenetica.
Nella prossima lezione prenderemo in esame altri 2 fattori: età (pediatrica e geriatrica;
normalmente tutte le nostre considerazioni sui farmaci sono riferite a pazienti non pediatrici)
e gravidanza (dove i farmaci hanno delle “problematiche” e diverse farmacocinetiche).
Fattori esogeni ed endogeni modificano l’efficacia dei farmaci. Vedete come ci sono molti
fattori che anche andando a interagire con i tratti genetici dei pazienti possono influenzare
l’efficacia dei farmaci. Vedremo oggi la dieta e gli integratori alimentari, la prossima volta
la gravidanza e l’età.
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Materia – Lezione n°
Data
Quasi tutte le terapie, specialmente quelle croniche, sono somministrate per via orale e
spesso a seconda delle indicazioni del medico e spesso senza particolari indicazioni sono
assunte insieme al cibo. Si può passare da diete estremamente salutiste a “junk food”.
Questo per ricordarvi che gran parte dei farmaci somministrati per OS giornalmente o con
particolari indicazioni riferite ai pasti o molte volte senza far caso a questa problematica che
è studiata molto dalle ditte farmaceutiche.
Vedremo alcuni esempi nei quali un cibo lo possiamo considerare per elementi specifici che
contiene, ma anche solo come massa che introduciamo nel nostro organismo.
Il cibo può interagire con un farmaco come massa o in modo più specifico.
Il paziente, per quanto possa avere interazioni, può non avere modificazioni dell’efficacia
della terapia, però può anche avere un impatto che può essere ad es. una riduzione
dell’assorbimento del farmaco (non raggiunge correttamente il plasma ed è inefficacie)
oppure viene assorbito troppo farmaco o non è correttamente metabolizzato ed ha un effetto
tossico.
Il nostro farmaco nell’intestino a seguito della peristalsi deve liberarsi perché la forma
farmaceutica deve essere distrutta e non tutte le forme possono essere uguali da questo
punto di vista. Anche a seconda del digiuno/sazietà queste forme farmaceutiche solide
possono essere più o meno dissociate e quindi liberare il nostro principio attivo. Considerate
che in una compressa ho principio attivo + eccipienti (il cui peso spesso supera quello del
principio attivo, nella maggior parte dei casi).
Abbiamo già parlato del fatto che alcuni cibi possono chelare o adsorbire il principio attivo e
questo può diminuirne l’assorbimento.
Un altro fattore da considerare è la solubilità nei lipidi o la possibilità di formare micelle che
possono facilitare l’assorbimento dei farmaci lipofili.
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Materia – Lezione n°
Data
Volume dello stomaco a digiuno: 300-500 ml. Che aumenta, fino a raddoppiare, dopo un pasto
(vale lo stesso per l’intestino).
Ci interessa sapere come orientarsi: sarebbe molto difficile per ogni molecola indagare
l’impatto di diversi cibi e diete. Vi ricordo che lo stato di pienezza dello stomaco varia il pH,
varia la quantità di liquido e quindi anche la permeabilità, soprattutto a livello duodenale.
La Food and Drug Administration detta delle regole e parte dal concetto che il pasto che
altera di più il nostro tratto gastrointestinale è quello che contiene circa 1000 kcal dove il
50% è dovuto a grassi. Suggerisce di provare tutte le molecole farmacologicamente attive in
un pasto che contiene 2 uova fritte, 2 pezzi di bacon, 2 fette di pane con burro, latte e
crocchette di patate.
Questo pasto dovrebbe servire a controllare le interazioni tra farmaci e cibo. Chiaramente
sarebbe complicato fare questi test su dei pazienti, quindi si passa a una teorizzazione.
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La modifica è certamente importante; La AUC è più di una volta e mezzo, più che
raddoppiata, e questo può portare a tossicità del farmaco.
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Sono necessarie indicazioni che vengono dalla chimica e dalla chimica farmaceutica; proprio
per poter ritrovare ogni molecola, tutti i farmaci sono stati distinti, per studiare queste
interazioni in vitro, in 4 classi utilizzando come criteri la solubilità e la permeabilità:
- Classe 1: alta solubilità (la dose maggiore giornaliera / solubilità in pH da 1 a 7.5 <
250ml) e alta permeabilità (la frazione assorbita è maggiore del 90%). Sono le molecole
che si usano di più perché hanno meno interazioni con il cibo. Queste sono le molecole
più lipofile.
- Classe 2: bassa solubilità e alta permeabilità. Hanno una lipofilia intermedia, ma
sempre alta.
- Classe 3: alta solubilità, bassa permeabilità. Queste sono molecole con lipofilia bassa,
ma sono molto solubili in acqua.
- Classe 4: bassa solubilità, bassa permeabilità. È difficile che le molecole
farmacologicamente attive assunte per OS appartengano a questa classe.
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Lipidi
Abbiamo già detto che un pasto ricco di lipidi aumenta la solubilità delle molecole lipofile/
idrofobiche e diminuisce la solubilità delle idrofile. Normalmente questo tipo di pasto
determina un assorbimento ritardato, ma il più delle volte si aumenta soprattutto
l’assorbimento delle molecole lipofile. Questo tipo di pasto rallenta svuotamento gastrico,
aumenta la secrezione e il trasporto di bile, aumenta il trasporto linfatico.
Per la classe 1, lipofile, avremo una concentrazione massima ritardata e potremmo avere
anche un aumento.
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Per le molecole di Classe 2 con bassa solubilità e alta lipofilia, si aumenta la concentrazione
massima plasmatica, sempre ritardandola
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Per la classe 3 (alta solubilità e bassa lipofilia) questo tipo di pasto riduce l’assorbimento.
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Proteine
(i tre parametri per l’assorbimento sono: flusso, superficie assorbente e tempo di contatto)
Abbiamo però inibizione dei trasportatori epiteliali dell’intestino per competizione: sono
impegnati a trasportare molecole naturali.
Si ha un aumento del metabolismo degli enzimi epatici e anche delle molecole, specie quelle
che hanno elevato metabolismo di 1° passaggio, questo aumenta flusso e attività a livello del
fegato. L’assorbimento delle molecole dipende molto dalla struttura della molecola ed è
variabile la concentrazione sistemica/plasmatica.
Fibre
Una pratica non del tutto corretta è quella di somministrare farmaci con il latte perché
contiene calcio. Una volta si faceva l’esempio delle tetracicline, antibiotici meno usati
perché hanno un sacco di resistenze, sono ancora usate contro Helicobacter Pylori come 3°
antimicrobico aggiunto.
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Comunque calcio, magnesio, Fe2+ e Fe3+ possono formare complessi insolubili e diminuire
l’assorbimento di molte molecole.
Altro esempio: una molecola particolare, coinvolta nel trattamento della porpora
trombocitopenica idiopatica immunitaria. Se somministrata con un pasto ricco di calcio
(latte, formaggi) ci dà la curva più bassa.
Carboidrati
Vediamo le molecole farmacologicamente attive più comuni raggruppate in classi. Vedete che
la maggior parte dei farmaci assunte per OS sono molecole di classe 1. Nella 4 sono quasi tutti
farmaci assorbiti in maniera specifica con trasportatori.
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Vediamo intanto quali sono le molecole e cosa determinano sull’assorbimento dei farmaci.
Molti succhi, come quelli di pompelmo, arancia, mele… contengono dei flavonoidi e furani.
Hanno tanti componenti. Sui nostri trasportatori intestinali hanno effetti importanti.
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Vediamo come molte molecole sono influenzate da succhi di frutta nel loro assorbimento.
Prendiamo in esame i succhi di pompelmo, arancia e mela. Gran parte delle molecole
analizzate hanno un assorbimento ridotto in maniera notevole dall’assunzione in
contemporanea dei succhi di frutta.
Abbiamo detto che questi succhi contengono flavonoidi, furani, cumarine, gruppi e classi di
molecole.
Pompelmo: inibisce CYP3A4 a livello intestinale. Non solo, inibisce anche le glicoproteine p,
meccanismi di efflusso dei farmaci. Inibisce, soprattutto attraverso il furano, anche i
trasportatori per gli anioni.
- Succo di mela
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Alcune di queste molecole hanno anche una tossicità più levata (tutte le molecole
farmacologiche sono tossiche).
Su gran parte dei calcio antagonisti ci sono problemi: si vede che aumenta la biodisponibilità,
ci sono stati casi di intossicazione da Fenalamide (?) associata a succo di pompelmo.
Cisapride: è stata tolta dal commercio perché dava fortissime problematiche aritmiche.
Amiodarone: antiaritmico.
Ciclosporina
Simvastatina: è una statina, farmaco molto usato per il trattamento delle dislipidemie,
soprattutto quelle con aumento delle LDL. Hanno una tossicità (tutte le statine compresa la
simvastatina) sia a livello del fegato perché aumentano le transaminasi, ma si possono avere
mialgie (dolori muscolari), miopatie e cardiomiolisi.
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Si passa da 5 a 25 come concentrazione massima e ciò ci fa vedere che porta ad una certa
tossicità.
C’è anche qui una differenza evidente, anche se non come la simvastatina.
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Anche in questo caso con l’acqua e il succo di pompelmo si ha questo aumento. Non tutti i
succhi di frutta hanno lo stesso effetto comune su questi farmaci. Se somministro succo di
mirtillo rosso non ho differenze.
Vediamo un altro esempio: è uno studio su dei pazienti che erano stati trattati con tassani
come terapia adiuvante del cancro al seno, dopo l’operazione. I tassani come reazione
avversa: neuropatia periferica importante, non sempre reversibile. Questa neuropatia si ha
nel 50% dei casi durante la terapia. Dopo 3 anni questi pazienti che hanno avuto una
neuropatia acuta continuano ad averne una cronica.
Quindi questa diventa una reazione avversa importante perché dopo 3 anni ci sono ancora
tanti pazienti con questa neuropatia.
Circa un 60% dei pazienti che hanno avuto tale trattamento alla fine di esso, assume
integratori antiossidanti. Siamo andati a vedere cosa succedeva alla neuropatia in quei
pazienti che dopo la terapia iniziano ad assumere questi integratori presi spontaneamente. Si
è visto che dopo 6 mesi la neuropatia peggiora, quindi si interrompe la terapia e questi
pazienti cominciano ad assumere questi antiossidanti che contengono vitamina c, selenio..
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pensando di migliorare la loro situazione invece già dopo 6 mesi ho un peggioramento della
neuropatia.
FARMACOGENETICA.
Legate soprattutto al metabolismo dei farmaci, perché gli enzimi metabolici sono stati i primi
campi di studio della farmacogenetica.
Le pubblicazioni che sono state trovate in questo ambito mi mostrano le speranze di vita che
possono trarre i pazienti, dai test farmacogenetici. I pazienti vogliono che il test non gli
faccia assumere una molecola sbagliata, e che il test farmacogenetico mi possa indicare la
dose e il tipo di molecola per la mia condizione clinica e genetica, che riesca funzionare bene
e che mi riduca le reazioni avverse.
Ci sono poi delle delezioni e delle inserzioni dove l’enzima o la proteina può essere ripetuta
più volte oppure ci possono essere proprio delle duplicazioni.
I primi studi sulla farmacogenetica sono stati fatti alla fine degli anni 50 da Vogel e tali studi
sono stati osservati sul metabolismo della isoniazide e della succinilcolina.
Evans negli anni 60 vide che esistevano 2 popolazioni per il metabolismo della isoniazide: da
una parte gli acetilatori rapidi che metabolizzano l’isoniazide molto efficientemente,
dall’altra parte gli acetilatori lenti in cui la concentrazione di isoniazide somministrata nella
stessa dose resta più alta.
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L’N-acetiltransferasi è stato uno dei primi enzimi metabolici per il quale siamo andati a
vedere e studiare le differenze nelle popolazioni e a usare tali termini di acetilatori /
metabolizzatori lenti e acetilatori / metabolizzatori rapidi
La succinilcolina, ovvero due molecole di acetilcolina legate insieme che attivano il recettore
nicotinico che si desensibilizza e dopo fascicolazione ovvero eccitazione iniziale abbiamo una
forma di paralisi e quindi è usato normalmente come miorilassante.
Ci sono vari polimorfismi su questo enzima e alcuni pazienti non metabolizzano il farmaco
perché in quel sito anionico invece di avere un acido aspartico hanno ad esempio una glicina.
Cosa determina tutto questo? Questi pazienti hanno una lunga durata di questo farmaco che
normalmente la succinilcolina ha durata molto breve di pochi minuti e serve per intubare il
paziente.
Sul metabolismo si conosce il fatto che sono coenzimi metabolici come appunti
butirrilcolinesterasi che è una esterasi che ha come substrato la succinilcolina e non solo, ha
anche altri substrati come mivacurio, un curaro che va ad antagonizzare l’acetilcolina in
modo competitivo su un recettore nicotinico N2 della placca neuromuscolare.
Anche il mivacurio nei pazienti naive, cioè quelli considerati metabolizzatori corretti perché
hanno un espressione di questa buttirilcolinaesterasi con acido aspartico nel sito anionico che
metabolizzano il mivacurio molto velocemente. Mivacurio ha una durata di 20 minuti, altri
curari invece sono metabolizzati tramite altri metodi nel fegato ed hanno durata di ore.
Anche alcuni anestetici locali come dibucaina sono metabolizzati da questo enzima
butirrilcolinesterasi.
Eterozigoti il 34% della popolazione, omozigote 1:2000. Tant’è vero che prima di usare questi
farmaci in anestesia si determina l’attività della succinilcolina.
Alcuni hanno più differenze in particolare i CYP2 rispetto ai CYPS3. I CYP3 hanno anche loro
polimorfismi ma meno importanti per quanto riguarda il metabolismo dei farmaci e la loro
efficacia.
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CYP3A5
(È fratello del CYP3A4) Ammette un introne che ne determina una forma tronca.
Gli omozigoti 1:1 sono i pazienti naive. Quando c’è un paziente che ha un solo allele
contenente questo introne 1:3 sennò 3:3 a seconda di quanti alleli e portano questo.
Vediamo pazienti trapiantati con lunga sopravvivenza e in quelli che hanno questo
polimorfismo, quindi meno attività di CYP3A5, la dose della ciclosporina è minore.
Sia la dose della ciclosporina che del tacrolimus, addirittura la differenza è più evidente
perché ho riduzione significativa della metà nei pazienti con questo polimorfimo. Entrambi
come abbiamo detto sono tossici.
CYP2D6
Altro esempio:
Una madre che stava allattando ha assunto codeina per la tosse e il bambino è morto.
In seguito a tale evento, si sono cercati i polimorfismi della CYP2D6 della madre: è stato visto
che apparteneva agli ultra fast metaboliser, quindi quei soggetti con metabolismo molto
elevato rispetto a questo CYP2D6. Questo studio è stato pubblicato nel 2007.
CYP2C9
Il polimorfismo per l’attività del Warfarin può anche essere a livello del suo bersaglio ovvero
della vitamina k reduttasi che trasforma la vitamina k ossidata in vitamina k ridotta. La
vitamina k ridotta è il cofattore della gamma-glutamilcarbossilazione dei pro zimogeni ancora
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non funzionanti, ovvero tutte quelle proteine implicate nella coagulazione. Il Warfarin è un
anticoagulante, anche se ora meno usato.
Il problema del Warfarin è che un metabolismo ridotto può portare a reazioni avverse molto
gravi come le emorragie. Un metabolismo troppo rapido può determinare un’inefficacia con
aumento di trombosi e ictus. Negli ictus perché il Warfarin è usato come farmaco per la
fibrillazione atriale, ma ha buona probabilità di andare nelle arterie cerebrali e causare ictus.
CYP2C19
Viceversa i pazienti che sono metabolizzatori lenti hanno una efficacia maggiore: il farmaco
sarà più disponibile, cioè avrà una maggiore concentrazione per arrivare ai canalicoli
secretori dove sarà metabolizzato.
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