Sei sulla pagina 1di 13

Sbobinatrice: Giacinta Ciancimino

Materia: Pediatria
Professore: G. Serra
Data: 11/10/2022

Pediatria – Lezione 05
Uso dei farmaci in pediatria

1. USO DEI FARMACI TRA ADULTI E BAMBINI


Gli analgesici, gli antipiretici, gli antibiotici, gli inibitori
di pompa protonica e in generale gli inibitori dell'acidità
gastrica vengono frequentemente utilizzati in ambito
pediatrico.
Da dove nasce la difficoltà e l'esigenza di affrontare
l’argomento dell’uso dei farmaci nei bambini in
maniera dedicata? La difficoltà nell'ottenere dei dati
clinici scientifici significativi in pediatria nasce dal fatto
che gran parte dei dati sull'efficacia e sulla cinetica dei
farmaci derivano da studi che vengono effettuati nei
soggetti adulti. Ciò si verifica sia per una mancanza intrinseca di campione che sia sufficientemente
rappresentato sia per l'eterogeneità del campione di cui ci occupiamo in quanto magari si mettono
insieme soggetti con caratteristiche anche anagrafiche diverse. Quindi si rischia di ottenere dei dati
che non sono omogenei tra di loro affinché possano essere analizzati ed estrapolati in maniera
significativa.
Inoltre, come diceva Abraham Jacobi, uno dei padri della pediatria statunitense, “children are not
miniature men and women” 1, cioè il bambino non è un piccolo adulto.

Ciò significa che non è sufficiente traslare le nostre conoscenze di fisiologia, fisiopatologia,
farmacologia (e quindi farmacocinetica e farmacodinamica) sull’adulto, prenderle sic et simpliciter e
trasportarle nel bambino. Non si tratta solo di fare degli aggiustamenti e utilizzare quello che noi
conosciamo per corpi più piccoli, per pesi più ridotti e per superfici corporee minori. Questo perché
l'età evolutiva ha tutta una sua fisiologia e quindi va incontro ad eventi fisiopatologici del tutto
peculiari. Ci sono malattie che vediamo in età neonatale, ancor di più che in età pediatrica, che sono
completamente diverse da quelle dell’adulto.
Come si può comprendere vedendo l’elenco degli argomenti del corso, le malattie in cui ci si può
imbattere quando ci si prende cura di un bambino sono molto diverse rispetto a quelle che siamo
abituati a vedere nel soggetto adulto. Anche in farmacologia questo problema persiste, cioè, non ci
sono studi o comunque gli studi sono pochi. Il rischio legato a questa carenza è quello di prescrivere
terapie non adeguate. Oltre a ciò, alcuni dati riusciamo ad averli solo in tempi successivi rispetto al
momento in cui vengono condotti questi studi. Infine, sono scarsi i dati che mettono a confronto
l'efficacia tra adulti e bambini.

1“Pediatrics does not deal with miniature men and women, with reduced doses and the same class
of diseases in smaller bodies, but ... it has its own independent range and horizon and gives as much
to general medicine as it receives from it” https://www.nature.com/articles/pr2013130
2. TRIALS CLINICI
Quali sono gli strumenti che la ricerca ha a disposizione per
introdurre, portare avanti e verificare la bontà, la sicurezza e
l'efficacia di un determinato farmaco o di un alimento o di un
integratore? I trials clinici. I trials clinici, infatti, possono
essere condotti non solo per valutare l'efficacia dei farmaci
ma anche, ad esempio in età pediatrica, per valutare un latte
in formula.
Il gold standard è rappresentato dai cosiddetti trial clinici
randomizzati, cioè quelli in cui lo sperimentatore non
conosce le caratteristiche del farmaco o dell'alimento in questione, che è oggetto della
sperimentazione, perché è soggetto ad una cosiddetta randomizzazione, cioè viene assegnato in
maniera casuale in modo da ridurre al massimo i potenziali bias, gli errori che sono dati dalla
conoscenza di quel dato principio attivo del farmaco, e i rischi correlati alla conoscenza e quindi
all’eventuale pregiudizio o comunque valutazione soggettiva che può essere fatta partendo da una
conoscenza preventiva di quella molecola che è stata somministrata a quel dato paziente.
Tuttavia, pur rappresentando il gold standard, non sempre è possibile effettuare trial clinici
randomizzati, anzi in ambito pediatrico è particolarmente difficile portarli avanti.

Questi trials vengono condotti prima dell’immissione in circolo o di un alimento, o di un farmaco o di


un integratore; basti pensare all’enorme interesse che c’è stato negli ultimi tempi per i probiotici.
Ormai si sa sempre di più sul microbiota e dell’impatto che ha nel nostro organismo, svolge infatti un
ruolo importante per il sistema immunitario e non solo.

Esempio di trial: troverete spesso nel latte, ad esempio, una sigla che è HMO (oligosaccaridi nel latte
materno); fa parte di un recente filone di ricerca che ha inserito in alcune formule queste sostanze che
hanno tanti effetti benefici per la salute del bambino: acidificano il pH, rendono le feci più morbidi,
consentono una migliore evacuazione. Avrebbero un effetto benefico anche sul sistema immunitario e
gastrointestinale e potrebbero migliorare il profilo di sviluppo neurologico: ci sono studi, infatti, che
documentano che il profilo microbiologico intestinale ha delle interazioni con il vago (sapete che c’è
il sistema enterico), quindi potrebbe fornire anche un miglioramento del neurosviluppo.
Tutto questo per renderlo più vicino possibile alle caratteristiche del latte materno.

2.1 PROTOCOLLO DI STUDIO


È importante sapere come viene effettuato un trial clinico perché può capitare che nell’attività clinica,
sia attività ambulatoriale di medico di famiglia sia attività ospedaliera, o in attività di ricerca
nell’ambito universitario, può capitare di imbattersi nel partecipare ad un trial clinico. Non è il
massimo della semplicità. Bisogna rispettare rigorosamente alcuni passi prima che quel trial possa
avviarsi. Non è detto che il trial si concluda sempre favorevolmente, perché possono subentrare degli
effetti avversi, effetti collaterali che rendono necessaria la sospensione del trial stesso.

Steps del protocollo di studio:


1. Si deve raccogliere il background scientifico, cioè tutta la letteratura su quel dato argomento.
2. Identificazione degli obiettivi, che si distinguono in primari, secondari e anche ulteriori
obiettivi che si vuole dimostrare con l’avvio di quel trial clinico.
3. Scelta dei criteri di inclusione, cioè che caratteristiche devono avere i pazienti per essere
arruolati in quel trial clinico. Analogamente si devono scegliere i criteri di esclusione, cioè i
criteri per rimuovere i pazienti che non rispondono a quelle determinate caratteristiche.
4. Inserimento di uno schema sotto forma di algoritmo con l’inserimento anche di una flow
chart temporale con le cose da fare nell’arco del trial clinico, quindi identificare e stabilire un
piano di trattamento.
5. Inserire le note relative al farmaco (se stiamo utilizzando dei farmaci).
6. Verificare con precisione, trascrivere ed essere a conoscenza degli effetti collaterali attesi
per quella determinata molecola ed eventualmente procedere ad aggiustare le dosi in caso di
eventuale comparsa di effetti collaterali.
7. Analizzare i dati, estrapolarli ed effettuare l’indagine statistica.
8. Tutto ciò deve essere fatto dopo avere opportunamente e accuratamente acquisito il consenso
da parte di entrambi i genitori. Non è una cosa così banale, anzi, anche i monitor (cioè il
personale addetto a verificare l’adeguatezza dei requisiti e a controllare di volta in volta
nell’arco dell’esecuzione del trial se vengono rispettati questi criteri) stanno particolarmente
attenti a far sì che il consenso sia adeguatamente somministrato, recepito e firmato in ogni sua
parte.
9. Occorre “dare” tutta la bibliografia
prodotta fino a quel momento relativa a
quel dato argomento.
10. Identificare un responsabile dello studio,
il cosiddetto Principal Investigator
dello studio ed eventuali collaboratori
allo studio clinico.
11. Dopodiché tutta questa documentazione
deve essere opportunamente inoltrata
alla direzione sanitaria del presidio e
al comitato etico dell’azienda ospedaliera o del distretto sanitario di quella zona che deve
valutare attentamente tutti gli aspetti etici, clinici e bioetici dello studio.
12. Dopo aver dato l’ok, quel trial clinico può finalmente essere avviato. Se il comitato etico si
oppone il progetto non può andare avanti, a meno che non si apportino delle modifiche e
venga ripresentato al comitato etico.

2.2 FASI DEL TRIAL CLINICO


I trials clinici si sviluppano in quattro fasi che devono essere
rispettate e realizzate prima che si abbia la certezza e la
solidità in termini di conoscenze sull’efficacia e la sicurezza
di quel farmaco o integratore prima dell’immissione in
commercio e quindi prima di poter essere distribuito su vasta
scala a tutta la popolazione.

Nella fase I i ricercatori sperimentano per la prima volta il


nuovo farmaco ad un gruppo ristretto di persone proprio per
valutare la sicurezza, determinare il range sicuro di dosaggio
ed identificare eventuali effetti avversi.
Nella fase II il gruppo si estende, si valutano ulteriormente efficacia e sicurezza.
Nella fase III i soggetti rientrano nell’ordine delle migliaia; in questa fase si conferma l’efficacia e si
paragona il farmaco in oggetto con gli altri trattamenti comunemente impiegati per raccogliere dati
che consentano di utilizzare il farmaco in modo sicuro.
La fase IV corrisponde alla messa in commercio.
2.3 Benefici dei trials clinici
- Si assume un ruolo attivo nel proprio trattamento
- Si accede a nuove terapie non disponibili al pubblico
- Nel corso dei trials si ricevono cure mediche esperte presso strutture cliniche d’avanguardia:
viene garantita un’assistenza superiore rispetto ai pazienti non inseriti nei trials
- Si aiuta la comunità con il proprio contributo alla ricerca medica

Ovviamente è necessario fare un adeguato counselling per spiegare i vantaggi, l’utilità, l’eticità di
quello che stiamo facendo, tenendo conto anche dei rischi associati.

2.4 Rischi legati ai trial clinici


- Possibili effetti collaterali o reazioni avverse a farmaci o terapie
- Il trattamento potrebbe non risultare efficace
- Il protocollo potrebbe richiedere un notevole dispendio di tempo per viaggi presso il centro,
terapie, permanenze in ospedale, o potrebbe prevedere dosaggi complessi

2.5 AUTORITÀ CHE VIGILANO SUI TRIALS CLINICI


Dopo che vengono superate queste quattro fasi, esiste il
controllo che viene esercitato dalle autorità che vigilano
sull’immissione nel mercato dei farmaci. Le autorità sono
per gli USA la FDA (Food and Drug Administration) e
per l’Europa l’EMA (Agenzia Europea del Farmaco),
prima chiamata EMEA, che ha lo scopo di armonizzare e
rendere omogenee le procedure relative ai farmaci in tutti
i paesi dell’Unione Europea.

3. STUDI BASATI SULL’EFFECTIVENESS BASED


Purtroppo, in pediatria non sempre il gold standard è rappresentato dai trials clinici randomizzati, che
sono il massimo che adesso la ricerca ci può fornire per avere la maggiore robustezza possibile prima
di ottenere un farmaco sicuro ed efficace. Questo a causa dell’esiguità e la disomogeneità del
campione. Tuttavia, è possibile ricorrere ad altri tipi di studi che hanno comunque una loro rilevanza e
solidità scientifica che sono gli studi basati sull’effectiveness based, cioè studi non randomizzati ma
basati sulla conoscenza pratica che si ha su:
• un farmaco che può aver modificato la storia
naturale di una malattia;
• un farmaco che è distribuito su larga scala
ed utilizzato da molto tempo;
• un farmaco che viene utilizzato in maniera
corrente in centri qualificati e di cui
abbiamo un’ampia pubblicazione su riviste
indipendenti;
• un farmaco per il quale abbiamo una solida
base sia fisiopatologica che patologica;
• un farmaco per il quale sono stati identificati endpoint reali e non collaterali o surrogati, cioè
che risponde ad una certa solidità e validità scientifica.

In pediatria dobbiamo tendere a preferire l’utilizzo di farmaci che, se non sono basati su trials
randomizzati, perlomeno abbiano un’efficacia effectiveness based.

4. SCELTA DEL FARMACO


Non sempre dalla visita scaturisce la prescrizione di un
farmaco, anzi tendenzialmente sappiamo che per il paziente
il medico è tanto più bravo tanto più sono i farmaci che loro
prescrivono. Ma non sempre è così, in quanto non esiste una
correlazione diretta.
Quando dobbiamo utilizzare un farmaco dobbiamo
orientarci sapendo quali sono gli studi scientifici sui quali
possiamo poggiare le nostre scelte.

Da lì l’importanza del counselling. Ad esempio, per la febbre: si dovrebbe spiegare ai genitori che la
febbre è espressione di flogosi, meccanismo di difesa naturale previsto per contrastare i patogeni, e
non va rimossa sempre e comunque; va certamente controllata laddove i valori di temperatura
eccedano o contribuiscano allo stato di malessere del piccolo, ma va accompagnata eventualmente
alla prescrizione del farmaco corretto.

A parità di efficacia, comunque, occorre preferire il farmaco il cui livello di sicurezza è documentato
e suffragato da un'ampia pratica post marketing, cioè dopo che sia passato molto tempo dalla fase 4.
Se, tuttavia, decidiamo di utilizzare un farmaco che è di recente introduzione, in quel caso occorrerà
mantenere una elevata soglia di sorveglianza e attuare quella che viene chiamata farmacovigilanza.

Quale difficoltà aggiuntiva c'è nell'ambito pediatrico rispetto


alla medicina dell'adulto? La difficoltà è che tendenzialmente
noi utilizziamo quasi sempre degli schemi che sono al di fuori
delle indicazioni approvate per un determinato farmaco (off-
label).
Il pediatra va incontro anche alla problematica della
tempistica, della discrepanza temporale tra i progressi delle
conoscenze e la burocrazia, cioè tempi necessari a ottenere l'approvazione e l'autorizzazione di poter
immettere dal punto di vista legale il farmaco nel mercato. Il pediatra, tuttavia, può utilizzare un
farmaco fuori indicazione ed è necessario, quando ritiene di farlo, fornire tutta la documentazione
scientifica che ne provi una maggiore efficacia e, se è possibile, anche la minore tossicità.

5. FARMACI IN USO ON LABEL, OFF LABEL E NON AUTORIZZATI


Generalmente nell'adulto utilizziamo farmaci registrati con
uso proprio (on label). Questi, a loro volta, possono essere
branded e unbranded (cosiddetti farmaci generici o
bioequivalenti).
In pediatria, invece, spesso si utilizzano farmaci in uso
cosiddetto `”off label”, cioè al di fuori di quanto previsto
dalla scheda tecnica di quel determinato farmaco.
Si tratta di un farmaco che:
• Non è incluso o dichiarato nell'autorizzazione prevista per il suo impiego.

• Non è illegale. Possiamo e facciamo ricorso continuamente a farmaci off label nella nostra
pratica in pediatria. È importante documentare l'evidenza scientifica di efficacia e sicurezza e
la disponibilità di linee guida consolidate. Da qui nasce l'importanza di appoggiarsi e
promuovere l'attività all'interno di società scientifiche, perché esse rappresentano un collante
formidabile tra l'attività clinica e le istituzioni, anche dal punto di vista della tutela medico-
legale. Se nella nostra attività noi ci muoviamo nell'ambito di queste linee guida, di quello che
è documentato dall'evidenza scientifica, pur all'interno di un utilizzo off label, ma
documentato in termini di efficacia e sicurezza, avremo comunque delle garanzie che ci
consentono di vivere in tranquillità la nostra attività professionale quotidiana.
In ogni caso è sempre necessario acquisire e registrare il consenso informato. Si è passati da un
punto di vista paternalistico ad un tipo di rapporto diverso. L’autonomia del paziente e l’autorevolezza
del medico, trovano il loro punto di incontro nel consenso informato, che è la base della cd alleanza
terapeutica, su cui si fonda il buon lavoro e la buona pratica clinica anche in ambito pediatrico, dove
avremo a che fare con il nucleo familiare del paziente, con la coppia di genitori.

Vi sono anche farmaci in uso non autorizzato, cioè farmaci che vengono utilizzati in dosi diverse da
quelle previste nella scheda tecnica della loro autorizzazione.

6. BUON USO DEI FARMACI IN PEDIATRIA


Entrando in ciò che può avere un’utilità nella pratica quotidiana, in che modo dobbiamo utilizzare e
far proprie queste conoscenze per evitare gli errori comuni?
Alcuni esempi:
• L’antibioticoterapia deve essere possibilmente mirata o, se
si decide di fare l’antibioticoterapia empirica, deve essere
ragionata sulla base dei dati clinici ed epidemiologici
rispetto alla situazione specifica.
• L’utilizzo degli steroidi deve realizzarsi solo in presenza di
indicazioni cliniche, con adeguato counselling alle
famiglie, alle mamme, ai nonni e a tutto il nucleo familiare. Ciò nell’interesse supremo della
salute del paziente. Vi è un utilizzo abnorme di steroidi che tutti dovrebbero aborrire perché
foriero di gravi e spiacevoli conseguenze negative a breve e a lungo termine per il bambino,
analogamente all’antibioticoterapia inappropriata che è foriera di problematiche non solo nel
paziente ma anche a livello globale (antibiotico-resistenza).
• Bisognerebbe limitare anche l’utilizzo degli inibitori di pompa protonica e degli AntiH2, in
quanto anch’essi se utilizzati in maniera eccessiva o inappropriata o in assenza di indicazioni
non adeguate possono portare a conseguenze negative come l’aumentato rischio di infezioni
causata dall’inibizione dell’acidità gastrica che funge da scudo naturale contro molti
microrganismi.
• Vi è un abuso ed uso sproporzionato di analgesici e
antipiretici.
7. ANTIBIOTICOTERAPIA EMPIRICA
Bisogna utilizzare degli schemi terapeutici precisi.
Nel sospetto di sepsi neonatale bisogna sempre utilizzare in prima linea una penicillina (generalmente
l’ampicillina) associata ad un aminoglicoside (di solito la gentamicina), in modo da coprire lo
spettro dei Gram + (la penicillina) e dei Gram - (l’aminoglicoside).
In neonatologia, quindi al di sotto di 1 mese di vita, non si deve mai utilizzare una cefalosporina La
cefalosporina in neonatologia è utilizzata solo nel sospetto di una grave infezione che è la meningite,
per la quale è prevista l’associazione del cefotaxime, perché riesce a penetrare la barriera
ematoencefalica. Poi il germe riscontrato ci indirizzerà verso una terapia più precisa.
Dal primo mese in poi è possibile impiegare cefalosporine. Quelle più comunemente impiegate sono il
ceftriaxone (il cui nome commerciale è Rocefin), il quale ha una certa maneggevolezza e viene
impiegato in mono somministrazione, oppure si può utilizzare cefotaxime (sotto i tre mesi).
Sopra i tre mesi tendiamo ad utilizzare ceftriaxone (50 mg/kg/die in monosomministrazione) oppure
cefuroxime (150-200 mg/kg/die in 3-4 somministrazioni).
Nei bambini più grandi, la pratica clinica ci impone di aspettare prima di iniziare la terapia antibiotica
e di avviarla solo in presenza di una diagnosi mirata (spesso l’eziologia è virale).

In neonatologia, invece, non utilizziamo le cefalosporine perché non solo possono determinare con
più facilità le resistenze ma anche perché incrementano il rischio di alcuni eventi avversi come le
sepsi tardive, le sepsi fungine, l’enterocolite necrotizzante e la mortalità del nostro neonato. Questo è
il motivo per cui si tende a non utilizzare le cefalosporine in neonatologia, mentre si utilizza
l’associazione di penicillina e aminoglicoside, che sono antibiotici che si integrano bene tra loro e
svolgono un’attività sinergica ai fini di uccidere il microrganismo che riteniamo in quel momento
potenzialmente responsabile della malattia del nostro paziente.

L’uso intensivo di cefalosporine, come detto


precedentemente, determina l’aumentato rischio di generare
resistenze, germi che sono produttori di betalattamasi a
spettro esteso (Extended Spectrum Beta-lactamases).

7.1 CARBAPANEMICI
In alternativa alle cefalosporine è possibile ricorrere ad altri
farmaci quali i fluorochinolonici e, in extrema ratio, i
carbapenemici. Tuttavia, anche questi non sono scevri dal
rischio di indurre e determinare resistenze. Bisogna porre
attenzione all’utilizzo dei carbapenemici perché
rappresentano “un’ultima spiaggia” oltre la quale
l’armamentario a nostra disposizione, non essendo infinito,
tende ad esaurirsi. Soprattutto nei confronti di germi gram
negativi le armi a disposizione sono limitate e il
carbapenemico rappresenta “l’ultima spiaggia” e non va
utilizzato mai come prima scelta, bensì va utilizzato con grande parsimonia.
I carbapanemici più comuni e noti sono l’imipenem e il meropenem. Essi hanno uno spettro di
azione che copre non solo gram negativi e gram positivi ma anche gli anaerobi, compreso il
bacterioides e il clostridium.

I carbapanemici:
• Non devono essere utilizzati ampiamente in
terapia intensiva. Nei reparti di neonatologia può
essere previsto il ricorso ad un carbapenemico
quando la situazione è grave e disperata e quando
già si è tentato un approccio di prima e di
seconda linea. I carbapenemici sono dei farmaci
salvavita a tutti gli effetti perché le sepsi neonatali costituiscono un'importante causa di
morbidità e mortalità in età neonatale.
• Non sono scevri da effetti collaterali, perché si crea uno “sconquasso” della flora microbica
intestinale. Perciò si ha rischio di colite e di infezioni micotiche sistemiche, micosi localizzate
non soltanto al cavo orale ma bensì disseminate e difficili da trattare perché richiedono di
aggiungere altri farmaci (gli antimicotici) su farmaci. In tal modo si deve gestire un ospite che
è immunocompromesso a tutti gli effetti e in quanto tale diventa molto difficile trattarlo, a
differenza di un soggetto adulto immunocompetente. In questi casi si tratta di spendere tutte le
risorse in termini intellettuali, economici ecc. per recuperare situazioni che diventano
veramente drammatiche.
• Quando non utilizzati in maniera giudiziosa e appropriata determinano il rischio di generare
germi che sono produttori di carbapenemasi, così come le cefalosporine hanno creato le
extended spectrum beta-lactamases. In particolare, vi è stata la comparsa di ceppi di
Klebsiella resistente ai carbapenemici a distribuzione nocosomiale.

7.2 DIECI REGOLE PER RIDURRE L’ANTIBIOTICO RESISTENZA


Vi sono dieci regole presenti ormai da circa 15 anni e che sono state pubblicate da uno studioso di
nome Isaacs nel 2006. Queste regole rientrano pienamente nell’utilizzo giudizioso e appropriato dei
farmaci in pediatria e in particolar modo in terapia intensiva neonatale. Le regole sono:
1. Effettuare sempre l’esame colturale prima di iniziare qualsiasi antibiotico.
L’antibiotico viene scelto sulla base di schemi consolidati e facilmente consultabili nei vari
siti, nei protocolli di reparto ecc. e anche sulla base della distribuzione ecologica dei germi in
quel momento e in quel determinato reparto. La distribuzione ecologica dei germi è
estremamente variabile anche nell’ambito della stessa città. Vi sono, infatti, fluttuazioni
geografiche di questi germi che fanno sì che vi siano variazioni anche nelle diverse unità
operative della stessa città. I germi presenti dipendono dai devices che vengono utilizzati,
dalla colonizzazione delle superfici, dal personale che ruota all’interno dei reparti, dai
pazienti accolti dall’esterno e che possono a loro volta portare germi diversi ecc. Tutto questo
contribuisce a modificare la flora microbica di quel determinato setting. Perciò, prima di
iniziare una terapia antibiotica è sempre opportuno fare il prelievo per l’esame colturale
(emocoltura, urinocoltura, liquorcoltura ecc.). Dopo 48-72 h, sulla base del profilo
dell’antibiogramma, orienteremo la nostra terapia.
2. Usare sempre antibiotici con spettro
più ristretto possibile. Da qui
l’associazione
penicillina+aminoglicoside. Non
iniziare mai, soprattutto in
neonatologia, con una cefalosporina
di terza generazione o con un
carbapenemico.
3. Mettere in atto strategie mirate a
ridurre l’uso di antibiotici ad ampio
spettro.
4. Quando arriva l’esito dell’esame
colturale bisogna orientarsi su di
esso. Perciò è necessario togliere l’antibiotico per il quale può essere documentata una
resistenza e si deve utilizzare solo l’antibiotico per il quale è stata documentata una
sensibilità. A parità di sensibilità si deve scegliere quello che ha una concentrazione minima
inibente più bassa.
5. È fondamentale collaborare con il laboratorio di microbiologia.
6. Test aspecifici, come l’aumento della PCR, non danno la certezza che il neonato sia affetto da
sepsi.
7. Così come si deve avviare la terapia antibiotica con tutte queste accortezze, altrettanto
importante è sospenderla quando non è necessaria. Quindi, in presenza di un esame
obiettivo negativo e di indici di flogosi negativi, dopo due-tre giorni dalla negatività
dell’esame colturale è ragionevole sospendere e non procedere ad oltranza con prescrizioni
che risultano non solo non utili ma anche potenzialmente dannose. Se l’esame colturale è
negativo, gli esami sono buoni e la clinica lo consente, ogni eventuale prosecuzione della
terapia antibiotica va giustificata e spiegata all’interno della cartella clinica, perché rischia di
essere una pratica clinica cattiva e non una buona clinical practice.
8. Evitare di utilizzare antibiotici per lunghi periodi.
9. Trattare la sepsi, mai la colonizzazione. La colonizzazione non è l’infezione e non è la
malattia. Può essere utile avere dei dati e in quel caso si parla di sorveglianza microbiologica,
che fanno alcuni reparti, come le terapie intensive, che hanno maggiore interesse nel sapere
ed avere notizie sulla sorveglianza microbiologica. Sapere se quel dato paziente è già
colonizzato da un certo tipo di germe (es. Klebsiella, stafilococco aureo, stafilococco
epidermidis, escherichia coli ecc.) è importante perché nel momento in cui aumenta la carica
o iniziano a comparire i primi segni aspecifici nel neonato, e quindi significa che da
colonizzazione stiamo già virando verso l’infezione, possiamo essere tempestivi e
somministrare velocemente l’antibiotico che noi presumiamo essere più giusto per quel
paziente.
10. Al di là del trattamento, la migliore arma è la prevenzione. Bisogna fare tutto il possibile
per prevenire le infezioni nocosomiali, in particolare tramite il lavaggio delle mani ecc.

8. RISCHI LEGATI ALL’ABUSO DI STEROIDI


Bisogna fare attenzione e non prescrivere lo steroide utilizzandolo come antipiretico, in quanto lo
steroide nasce con un’altra funzione e con un altro obiettivo, che è la funzione antiflogistica ed
antiedemigena. Al contrario, va indicato e prescritto laddove necessario, in condizioni precise, ad
esempio le malattie con diatesi allergica, l’asma bronchiale in alcune sue fasi, le malattie che
riconoscono una patogenesi autoimmune, l’anafilassi. Tuttavia, in tutte le situazioni in cui non è
appropriato il suo utilizzo bisogna porre attenzione al fatto che l’uso cronico è foriero di
problematiche ed effetti collaterali, ancor più in età infantile, perché altera i profili endocrino-
surrenalici (paradossalmente anche quando somministrato per via topica).
Vi sono esempi di bambini con ipostaturalismo di
natura iatrogena causato dall’eccessiva assunzione
di corticosteroidi in quanto questi alterano l’asse
ipotalamo-ipofisi-surrene.
Altra problematica a cui si può andare incontro è
l’immunosoppressione, con il rischio elevato di
infezioni micotiche (sia distrettuali che sistemiche),
fino a quadri di aspergillosi polmonare.
Anche quando gli steroidi vengono somministrati
per via aerosolica, la percentuale di assorbimento
attraverso la mucosa è alta. Analogamente, vi è un
assorbimento consistente anche in caso di applicazione topica, ad esempio quando si utilizzano creme
a base di cortisone che vengono ripetutamente spalmate su ampie superfici, poiché l’assorbimento per
via cutanea non è trascurabile (non eccedere mai la quantità di un polpastrello).

Risposta alla domanda di un collega: in caso di anafilassi, la procedura d’urgenza prevede di stabilire
un punto di accesso periferico e di somministrare adrenalina. L’adrenalina può essere somministrata
sia per via endovenosa sia per via intramuscolare. Lo steroide, invece, non ha un’azione immediata ed
è necessario nel mantenimento.
Nel caso di asma ci sono anche i β2 mimetici, gli anti-leucotrienici ecc.
Se il bambino è disidratato, a seconda della gravità, può essere sufficiente una reidratazione per via
orale oppure può essere necessaria una reidratazione per via endovenosa con soluzioni gluco-
elettrolitiche che ripristinano le perdite di ioni e di acqua. Se la disidratazione è molto grave può
essere necessaria la rianimazione cardiopolmonare. Non sempre è possibile reperire l’accesso venoso,
perciò in casi estremi di shock si può ricorrere all’accesso intraosseo. L’accesso intraosseo si esegue
con un piccolo trapano nella diafisi delle ossa lunghe, generalmente al di sopra del malleolo, e
permette di raggiungere il canale intramidollare e tramite ciò di infondere i liquidi necessari.

9. INIBITORI DELLA SECREZIONE ACIDA


In neonatologia va posta molta attenzione anche alla
somministrazione degli inibitori della secrezione acida
(inibitori del recettore H2 dell’istamina e inibitori di
pompa protonica), in quanto possono determinare
aumento del rischio di infezioni, di colonizzazioni e di
sepsi. Non vanno nemmeno somministrati nel
pretermine.

Sia in neonatologia sia in pediatria andrebbe evitato


anche l’uso ex adiuvantibus per confermare il sospetto
di una malattia da reflusso gastroesofageo, soprattutto senza l’utilizzo di un supporto diagnostico.

L’uso è consentito nel bambino più grande, dopo aver documentato la presenza di reflusso
gastroesofageo.
La malattia da reflusso gastroesofageo non va confusa con il reflusso, il quale nel primo anno di vita è
assolutamente fisiologico (vi sono i cosiddetti “happy spitters”). Perciò, se il reflusso non è correlato a
scarso accrescimento o ad un corteo clinico tipico con sintomi intestinali o extra-intestinali, esso non
va trattato e va rassicurata la famiglia sulla bontà di un evento che poi si esaurisce fisiologicamente
nell’arco del primo anno di vita.
In definitiva, è necessario evitare trattamenti che vengono effettuati senza controlli o senza evidenze
di beneficio clinico documentato.

10. TERAPIA ANALGESICA/ANTIPIRETICA

È necessario evitare l’abuso di terapia analgesica e


antipiretica con “raccapriccianti ping-pong” che vengono
effettuati a danno dei nostri bambini con cocktail
pericolosi che mettono insieme paracetamolo e
ibuprofene. Ci possono essere dei non responders, ma
spesso è legato ad un problema di errato dosaggio.
In pochi casi, laddove persiste, shiftate verso l’Ibuprofene
che ha una più spiccata azione antinfiammatoria (è molto
impiegato in ambito reumatologico, o per la chiusura del
dotto arterioso di Botallo).

Molti dicono che i pediatri conoscono solo un farmaco, il paracetamolo, ed effettivamente la maggior
parte delle volte è così perché è il farmaco più sicuro ed è la prima scelta da impiegare nel caso di
febbre o nel caso di dolore. Il paracetamolo ha un’efficacia analoga a quella dell’ibuprofene, ma ha il
vantaggio di avere minori effetti collaterali (quelli tipici dell’Ibuprofene sono gastrointestinali, tant’è
che si consiglia di assumerli a stomaco pieno).
Si può somministrare fino a quattro volte al giorno e va preferita sempre la via orale, se percorribile.

Dagli anni ’80 non si utilizza più l’acido acetilsalicilico per la sua
azione analgesica o antipiretica a causa del comprovato e
documentato rischio di determinare una condizione tossica a carico
del fegato, definita Sindrome di Reye. Al contrario, oggi abbiamo
una raccomandazione forte che ne sconsiglia l’utilizzo.
È necessario scoraggiare l’autoprescrizione dei FANS, porre
attenzione agli effetti collaterali, soprattutto quelli a carico
dell’apparato gastrointestinale oltre che quelli ematologici (rischio di alterazione dei parametri della
coagulazione e della normale funzionalità piastrinica).

11. MESSAGGIO CONCLUSIVO


Come diceva il Professore Jacobi, il bambino non è un adulto in
miniatura, non è un piccolo adulto.
Conoscere la fisiologia è importante, perché dalla fisiologia noi
possiamo apprendere la conoscenza dei meccanismi fisiopatologici
peculiari e quindi utilizzare dei trattamenti idonei e adatti per le varie
età dello sviluppo, evitando gli errori più comuni e le possibili
conseguenze negative che verrebbero da un utilizzo inidoneo ed
inappropriato dei farmaci.
È necessario fornire un adeguato counselling ai genitori sull’utilizzo appropriato dei farmaci, sulla
bontà di certe situazioni; tranquillizzarli su eventi frequenti come può essere la febbre; fornire
indicazioni precise sul dosaggio, sulle tempistiche e sulla durata dei trattamenti.
Si deve, inoltre, sorvegliare la comparsa di eventuali effetti avversi anche interagendo ed
interfacciandosi con reti di interazione ministeriale, quindi promuovere in prima persona, come
operatori, quella che viene definita farmacovigilanza.

Domande dei colleghi con relativa risposta fornita dal prof.:


● “Oltre alla gastrite, quali sono le altre indicazioni degli inibitori di pompa protonica?”
L’ulcera, l’esofagite eosinofila, la malattia da helicobacter pylori (nella triplice terapia vi è anche
spazio per gli inibitori di pompa protonica), la malattia da reflusso gastro esofageo con esofagite
documentata da esami di supporto (non soltanto sulla base dell’anamnesi o del disturbo percepito dal
genitore). Esistono degli esami come la ph-metria, l’endoscopia ecc.
Importante è non utilizzare gli inibitori di pompa protonica per rigurgito, vomito o per un banale
reflusso gastroesofageo.

● “In caso di classiche coliche del bambino, quando va utilizzato l’antispastico?”


Se il bambino gode di buona salute, cresce bene e non vi è danno d’organo associato, allora può
bastare la rassicurazione dei genitori. Questo testimonia che non sempre la relazione medico-paziente
si conclude con la prescrizione di un farmaco. Tuttavia, negli ultimi tempi, è fiorita una letteratura
sull’uso dei probiotici ed è documentata un’associazione favorevole tra il loro impiego e la riduzione
del fenomeno colica del lattante, misurato in termini di pianto giornaliero, di numero di ore di stress
dei genitori e di giornate di lavoro perse.
L’efficacia dei lattobacilli è documentata sia per le coliche del lattante sia per la gastroenterite
infettiva ecc. Perfino per l’obesità è riconosciuta una disbiosi dell’intestino.
Vi sono studi in corso per l’utilizzo in caso di malattie infiammatorie croniche intestinali, enterite da
farmaci ecc.
Quando si avvia un trattamento antibiotico, ormai è buona norma associare contestualmente il
probiotico, da proseguire per almeno due o tre settimane (almeno 21 giorni, anche di più se la durata
della terapia antibiotica è più lunga), in modo da garantire il ripristino della flora batterica che viene
alterato dalla disbiosi indotta dall’antibiotico.

● “Qual è il trattamento dell’insufficienza epatica?”


Il trattamento risolutivo è il trapianto. Il centro di riferimento a Palermo è l’ISMETT, in cui vi è
un’epatologia pediatrica dedicata.

● “Se ad un bambino di 14 anni si somministra cortisone o FANS in generale per il dolore, per
5-6 gg, è necessario dare anche l’inibitore di pompa protonica?”
Se somministrati per più giorni, nella pratica clinica quotidiana è sempre bene associarli.

● Anche le infezioni delle vie urinarie sono condizioni che richiedono la terapia antibiotica.
Sarà sufficiente documentarla con un esame delle urine standard; il solo esame colturale non è
dirimente se non c’è la clinica a supporto. Non ci può essere infezione delle vie urinarie senza esame
delle urine alterato.
In un neonato si manifesta in genere con difficoltà nell’alimentazione, rigurgiti, non crescono:
sintomatologia molto aspecifica. Se ricoverato, facciamo l’esame delle urine e se è alterato iniziamo
la terapia antibiotica. In neonatologia, dato il quadro clinico più impegnativo, si utilizza la modalità di
somministrazione endovenosa (in particolare per le sepsi). Nel bambino più grande si può
manifestare con inappetenza, bruciore alla minzione ecc: o si fa esame delle urine e terapia antibiotica
(cefalosporina ad es. - nel bambino grande si può usare!, o ampicillina) o se non è facile farlo e ci si
sente sicuri della diagnosi iniziamo comunque la terapia antibiotica. Sempre meglio, però, fare prima
l’esame delle urine.

● “Se in guardia medica si presentasse un genitore preoccupato perché il bambino ha febbre (38
°C) da un giorno, cosa potremmo comportarci?”
La prima cosa in assoluto è visitarlo, dopo averlo visitato si ricerca la localizzazione d’organo
(orecchio - otoscopia -, urine - si può usare lo stick -) per fare diagnosi: se ha 37,5 °C, un po’ di
rinorrea sierosa, un po’ di tosse e mangia poco, torace a posto, non c’è faringotonsillite, basta
temporeggiare perché non c’è indicazione alla terapia antibiotica; nella maggior parte dei casi il
quadro regredisce nell’arco di 2-3 giorni. Sarà importante il monitoraggio e mantenere il contatto con
i familiari. Attenzione al coinvolgimento respiratorio nei bambini piccoli (sotto i 6 mesi): per
esempio, la bronchiolite ha un quadro che tende a peggiorare nell’arco di pochissimo tempo, quindi
attenzione alla profilassi ambientale e familiare. La migliore terapia è ossigeno-terapia fatta bene e
monitoraggio. Oggi esiste il Palivizumab, anticorpo monoclonale diretto contro il RSV. Non c’è
indicazione alla terapia antibiotica, tranne se il profilo ematologico (leucocitosi neutrofila) o
radiografico possano giustificare un rischio di sovrainfezione. Anche sul cortisone non c’è evidenza,
così come sull’uso dei beta-mimetici via aerosol (oltre al fatto che nei primi sei mesi il bambino non
ha recettori per ricevere questo farmaco).

Se la temperatura supera i 38 °C si deve dare il paracetamolo.

● Fatevi le gastroenteriti acute che poi ve le chiede il prof. Corsello.


Cardine della gastroenterite acuta è la terapia reidratante; laddove possibile praticare la via orale è da
preferire, altrimenti in vena soluzioni gluco-elettrolitiche e monitoraggio; ripristino della flora
batterica attraverso l’utilizzo di probiotici per os; se si associa vomito usare lo zenzero come
antiemetico (il domperidone ormai non si usa più, si usa lo zenzero e vitamine del gruppo B, terapia di
supporto).

Potrebbero piacerti anche