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Materia: Pediatria
Professore: G. Serra
Data: 11/10/2022
Pediatria – Lezione 05
Uso dei farmaci in pediatria
Ciò significa che non è sufficiente traslare le nostre conoscenze di fisiologia, fisiopatologia,
farmacologia (e quindi farmacocinetica e farmacodinamica) sull’adulto, prenderle sic et simpliciter e
trasportarle nel bambino. Non si tratta solo di fare degli aggiustamenti e utilizzare quello che noi
conosciamo per corpi più piccoli, per pesi più ridotti e per superfici corporee minori. Questo perché
l'età evolutiva ha tutta una sua fisiologia e quindi va incontro ad eventi fisiopatologici del tutto
peculiari. Ci sono malattie che vediamo in età neonatale, ancor di più che in età pediatrica, che sono
completamente diverse da quelle dell’adulto.
Come si può comprendere vedendo l’elenco degli argomenti del corso, le malattie in cui ci si può
imbattere quando ci si prende cura di un bambino sono molto diverse rispetto a quelle che siamo
abituati a vedere nel soggetto adulto. Anche in farmacologia questo problema persiste, cioè, non ci
sono studi o comunque gli studi sono pochi. Il rischio legato a questa carenza è quello di prescrivere
terapie non adeguate. Oltre a ciò, alcuni dati riusciamo ad averli solo in tempi successivi rispetto al
momento in cui vengono condotti questi studi. Infine, sono scarsi i dati che mettono a confronto
l'efficacia tra adulti e bambini.
1“Pediatrics does not deal with miniature men and women, with reduced doses and the same class
of diseases in smaller bodies, but ... it has its own independent range and horizon and gives as much
to general medicine as it receives from it” https://www.nature.com/articles/pr2013130
2. TRIALS CLINICI
Quali sono gli strumenti che la ricerca ha a disposizione per
introdurre, portare avanti e verificare la bontà, la sicurezza e
l'efficacia di un determinato farmaco o di un alimento o di un
integratore? I trials clinici. I trials clinici, infatti, possono
essere condotti non solo per valutare l'efficacia dei farmaci
ma anche, ad esempio in età pediatrica, per valutare un latte
in formula.
Il gold standard è rappresentato dai cosiddetti trial clinici
randomizzati, cioè quelli in cui lo sperimentatore non
conosce le caratteristiche del farmaco o dell'alimento in questione, che è oggetto della
sperimentazione, perché è soggetto ad una cosiddetta randomizzazione, cioè viene assegnato in
maniera casuale in modo da ridurre al massimo i potenziali bias, gli errori che sono dati dalla
conoscenza di quel dato principio attivo del farmaco, e i rischi correlati alla conoscenza e quindi
all’eventuale pregiudizio o comunque valutazione soggettiva che può essere fatta partendo da una
conoscenza preventiva di quella molecola che è stata somministrata a quel dato paziente.
Tuttavia, pur rappresentando il gold standard, non sempre è possibile effettuare trial clinici
randomizzati, anzi in ambito pediatrico è particolarmente difficile portarli avanti.
Esempio di trial: troverete spesso nel latte, ad esempio, una sigla che è HMO (oligosaccaridi nel latte
materno); fa parte di un recente filone di ricerca che ha inserito in alcune formule queste sostanze che
hanno tanti effetti benefici per la salute del bambino: acidificano il pH, rendono le feci più morbidi,
consentono una migliore evacuazione. Avrebbero un effetto benefico anche sul sistema immunitario e
gastrointestinale e potrebbero migliorare il profilo di sviluppo neurologico: ci sono studi, infatti, che
documentano che il profilo microbiologico intestinale ha delle interazioni con il vago (sapete che c’è
il sistema enterico), quindi potrebbe fornire anche un miglioramento del neurosviluppo.
Tutto questo per renderlo più vicino possibile alle caratteristiche del latte materno.
Ovviamente è necessario fare un adeguato counselling per spiegare i vantaggi, l’utilità, l’eticità di
quello che stiamo facendo, tenendo conto anche dei rischi associati.
In pediatria dobbiamo tendere a preferire l’utilizzo di farmaci che, se non sono basati su trials
randomizzati, perlomeno abbiano un’efficacia effectiveness based.
Da lì l’importanza del counselling. Ad esempio, per la febbre: si dovrebbe spiegare ai genitori che la
febbre è espressione di flogosi, meccanismo di difesa naturale previsto per contrastare i patogeni, e
non va rimossa sempre e comunque; va certamente controllata laddove i valori di temperatura
eccedano o contribuiscano allo stato di malessere del piccolo, ma va accompagnata eventualmente
alla prescrizione del farmaco corretto.
A parità di efficacia, comunque, occorre preferire il farmaco il cui livello di sicurezza è documentato
e suffragato da un'ampia pratica post marketing, cioè dopo che sia passato molto tempo dalla fase 4.
Se, tuttavia, decidiamo di utilizzare un farmaco che è di recente introduzione, in quel caso occorrerà
mantenere una elevata soglia di sorveglianza e attuare quella che viene chiamata farmacovigilanza.
• Non è illegale. Possiamo e facciamo ricorso continuamente a farmaci off label nella nostra
pratica in pediatria. È importante documentare l'evidenza scientifica di efficacia e sicurezza e
la disponibilità di linee guida consolidate. Da qui nasce l'importanza di appoggiarsi e
promuovere l'attività all'interno di società scientifiche, perché esse rappresentano un collante
formidabile tra l'attività clinica e le istituzioni, anche dal punto di vista della tutela medico-
legale. Se nella nostra attività noi ci muoviamo nell'ambito di queste linee guida, di quello che
è documentato dall'evidenza scientifica, pur all'interno di un utilizzo off label, ma
documentato in termini di efficacia e sicurezza, avremo comunque delle garanzie che ci
consentono di vivere in tranquillità la nostra attività professionale quotidiana.
In ogni caso è sempre necessario acquisire e registrare il consenso informato. Si è passati da un
punto di vista paternalistico ad un tipo di rapporto diverso. L’autonomia del paziente e l’autorevolezza
del medico, trovano il loro punto di incontro nel consenso informato, che è la base della cd alleanza
terapeutica, su cui si fonda il buon lavoro e la buona pratica clinica anche in ambito pediatrico, dove
avremo a che fare con il nucleo familiare del paziente, con la coppia di genitori.
Vi sono anche farmaci in uso non autorizzato, cioè farmaci che vengono utilizzati in dosi diverse da
quelle previste nella scheda tecnica della loro autorizzazione.
In neonatologia, invece, non utilizziamo le cefalosporine perché non solo possono determinare con
più facilità le resistenze ma anche perché incrementano il rischio di alcuni eventi avversi come le
sepsi tardive, le sepsi fungine, l’enterocolite necrotizzante e la mortalità del nostro neonato. Questo è
il motivo per cui si tende a non utilizzare le cefalosporine in neonatologia, mentre si utilizza
l’associazione di penicillina e aminoglicoside, che sono antibiotici che si integrano bene tra loro e
svolgono un’attività sinergica ai fini di uccidere il microrganismo che riteniamo in quel momento
potenzialmente responsabile della malattia del nostro paziente.
7.1 CARBAPANEMICI
In alternativa alle cefalosporine è possibile ricorrere ad altri
farmaci quali i fluorochinolonici e, in extrema ratio, i
carbapenemici. Tuttavia, anche questi non sono scevri dal
rischio di indurre e determinare resistenze. Bisogna porre
attenzione all’utilizzo dei carbapenemici perché
rappresentano “un’ultima spiaggia” oltre la quale
l’armamentario a nostra disposizione, non essendo infinito,
tende ad esaurirsi. Soprattutto nei confronti di germi gram
negativi le armi a disposizione sono limitate e il
carbapenemico rappresenta “l’ultima spiaggia” e non va
utilizzato mai come prima scelta, bensì va utilizzato con grande parsimonia.
I carbapanemici più comuni e noti sono l’imipenem e il meropenem. Essi hanno uno spettro di
azione che copre non solo gram negativi e gram positivi ma anche gli anaerobi, compreso il
bacterioides e il clostridium.
I carbapanemici:
• Non devono essere utilizzati ampiamente in
terapia intensiva. Nei reparti di neonatologia può
essere previsto il ricorso ad un carbapenemico
quando la situazione è grave e disperata e quando
già si è tentato un approccio di prima e di
seconda linea. I carbapenemici sono dei farmaci
salvavita a tutti gli effetti perché le sepsi neonatali costituiscono un'importante causa di
morbidità e mortalità in età neonatale.
• Non sono scevri da effetti collaterali, perché si crea uno “sconquasso” della flora microbica
intestinale. Perciò si ha rischio di colite e di infezioni micotiche sistemiche, micosi localizzate
non soltanto al cavo orale ma bensì disseminate e difficili da trattare perché richiedono di
aggiungere altri farmaci (gli antimicotici) su farmaci. In tal modo si deve gestire un ospite che
è immunocompromesso a tutti gli effetti e in quanto tale diventa molto difficile trattarlo, a
differenza di un soggetto adulto immunocompetente. In questi casi si tratta di spendere tutte le
risorse in termini intellettuali, economici ecc. per recuperare situazioni che diventano
veramente drammatiche.
• Quando non utilizzati in maniera giudiziosa e appropriata determinano il rischio di generare
germi che sono produttori di carbapenemasi, così come le cefalosporine hanno creato le
extended spectrum beta-lactamases. In particolare, vi è stata la comparsa di ceppi di
Klebsiella resistente ai carbapenemici a distribuzione nocosomiale.
Risposta alla domanda di un collega: in caso di anafilassi, la procedura d’urgenza prevede di stabilire
un punto di accesso periferico e di somministrare adrenalina. L’adrenalina può essere somministrata
sia per via endovenosa sia per via intramuscolare. Lo steroide, invece, non ha un’azione immediata ed
è necessario nel mantenimento.
Nel caso di asma ci sono anche i β2 mimetici, gli anti-leucotrienici ecc.
Se il bambino è disidratato, a seconda della gravità, può essere sufficiente una reidratazione per via
orale oppure può essere necessaria una reidratazione per via endovenosa con soluzioni gluco-
elettrolitiche che ripristinano le perdite di ioni e di acqua. Se la disidratazione è molto grave può
essere necessaria la rianimazione cardiopolmonare. Non sempre è possibile reperire l’accesso venoso,
perciò in casi estremi di shock si può ricorrere all’accesso intraosseo. L’accesso intraosseo si esegue
con un piccolo trapano nella diafisi delle ossa lunghe, generalmente al di sopra del malleolo, e
permette di raggiungere il canale intramidollare e tramite ciò di infondere i liquidi necessari.
L’uso è consentito nel bambino più grande, dopo aver documentato la presenza di reflusso
gastroesofageo.
La malattia da reflusso gastroesofageo non va confusa con il reflusso, il quale nel primo anno di vita è
assolutamente fisiologico (vi sono i cosiddetti “happy spitters”). Perciò, se il reflusso non è correlato a
scarso accrescimento o ad un corteo clinico tipico con sintomi intestinali o extra-intestinali, esso non
va trattato e va rassicurata la famiglia sulla bontà di un evento che poi si esaurisce fisiologicamente
nell’arco del primo anno di vita.
In definitiva, è necessario evitare trattamenti che vengono effettuati senza controlli o senza evidenze
di beneficio clinico documentato.
Molti dicono che i pediatri conoscono solo un farmaco, il paracetamolo, ed effettivamente la maggior
parte delle volte è così perché è il farmaco più sicuro ed è la prima scelta da impiegare nel caso di
febbre o nel caso di dolore. Il paracetamolo ha un’efficacia analoga a quella dell’ibuprofene, ma ha il
vantaggio di avere minori effetti collaterali (quelli tipici dell’Ibuprofene sono gastrointestinali, tant’è
che si consiglia di assumerli a stomaco pieno).
Si può somministrare fino a quattro volte al giorno e va preferita sempre la via orale, se percorribile.
Dagli anni ’80 non si utilizza più l’acido acetilsalicilico per la sua
azione analgesica o antipiretica a causa del comprovato e
documentato rischio di determinare una condizione tossica a carico
del fegato, definita Sindrome di Reye. Al contrario, oggi abbiamo
una raccomandazione forte che ne sconsiglia l’utilizzo.
È necessario scoraggiare l’autoprescrizione dei FANS, porre
attenzione agli effetti collaterali, soprattutto quelli a carico
dell’apparato gastrointestinale oltre che quelli ematologici (rischio di alterazione dei parametri della
coagulazione e della normale funzionalità piastrinica).
● “Se ad un bambino di 14 anni si somministra cortisone o FANS in generale per il dolore, per
5-6 gg, è necessario dare anche l’inibitore di pompa protonica?”
Se somministrati per più giorni, nella pratica clinica quotidiana è sempre bene associarli.
● Anche le infezioni delle vie urinarie sono condizioni che richiedono la terapia antibiotica.
Sarà sufficiente documentarla con un esame delle urine standard; il solo esame colturale non è
dirimente se non c’è la clinica a supporto. Non ci può essere infezione delle vie urinarie senza esame
delle urine alterato.
In un neonato si manifesta in genere con difficoltà nell’alimentazione, rigurgiti, non crescono:
sintomatologia molto aspecifica. Se ricoverato, facciamo l’esame delle urine e se è alterato iniziamo
la terapia antibiotica. In neonatologia, dato il quadro clinico più impegnativo, si utilizza la modalità di
somministrazione endovenosa (in particolare per le sepsi). Nel bambino più grande si può
manifestare con inappetenza, bruciore alla minzione ecc: o si fa esame delle urine e terapia antibiotica
(cefalosporina ad es. - nel bambino grande si può usare!, o ampicillina) o se non è facile farlo e ci si
sente sicuri della diagnosi iniziamo comunque la terapia antibiotica. Sempre meglio, però, fare prima
l’esame delle urine.
● “Se in guardia medica si presentasse un genitore preoccupato perché il bambino ha febbre (38
°C) da un giorno, cosa potremmo comportarci?”
La prima cosa in assoluto è visitarlo, dopo averlo visitato si ricerca la localizzazione d’organo
(orecchio - otoscopia -, urine - si può usare lo stick -) per fare diagnosi: se ha 37,5 °C, un po’ di
rinorrea sierosa, un po’ di tosse e mangia poco, torace a posto, non c’è faringotonsillite, basta
temporeggiare perché non c’è indicazione alla terapia antibiotica; nella maggior parte dei casi il
quadro regredisce nell’arco di 2-3 giorni. Sarà importante il monitoraggio e mantenere il contatto con
i familiari. Attenzione al coinvolgimento respiratorio nei bambini piccoli (sotto i 6 mesi): per
esempio, la bronchiolite ha un quadro che tende a peggiorare nell’arco di pochissimo tempo, quindi
attenzione alla profilassi ambientale e familiare. La migliore terapia è ossigeno-terapia fatta bene e
monitoraggio. Oggi esiste il Palivizumab, anticorpo monoclonale diretto contro il RSV. Non c’è
indicazione alla terapia antibiotica, tranne se il profilo ematologico (leucocitosi neutrofila) o
radiografico possano giustificare un rischio di sovrainfezione. Anche sul cortisone non c’è evidenza,
così come sull’uso dei beta-mimetici via aerosol (oltre al fatto che nei primi sei mesi il bambino non
ha recettori per ricevere questo farmaco).