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Il trattamento dei feeding disorders

Dai numerosi studi effettuati in merito ai feeding disorders in età pediatrica, in particolare nei bambini di
età compresa tra 0-6 anni, sono emersi rilevanti avvertimenti circa l’influenza che tali disturbi hanno sullo
stato nutrizionale dei soggetti colpiti. Secondo diversi studi, la malnutrizione infantile e la compromissione
della crescita possono aumentare la probabilità di insorgenza di malattie non trasmissibili in età adulta. I
rischi che questi bambini incorrono hanno suggerito l’esigenza di attuare interventi precoci e mirati alle
aree di vulnerabilità. A tal fine, si rileva la necessità di compiere un’attenta valutazione clinica e
strumentale. Il processo di elaborazione clinica, infatti, guida le strategie di intervento, evidenziando i
fattori di rischio e stabilendo le priorità di gestione.

LA VALUTAZIONE DEL BAMBINO CON FEEDING DISORDERS

Data la multifattorialità che coinvolge tali disturbi, la valutazione clinica dei feeding disorders necessita di
un approccio multidisciplinare, che consenta, attraverso un’analisi approfondita, di pianificare ed attuare
cure terapeutiche appropriate al caso.

La valutazione di un bambino con feeding disorders richiede, in prima istanza, l’esecuzione di una
dettagliata raccolta anamnestica, volta alla conoscenza della storia medica e di sviluppo del bambino.
All’anamnesi segue l’attuazione di un esame clinico completo ed approfondito, in cui le diverse figure
professionali collaborano al fine di indagare una molteplicità di fattori: la presenza di una patologia di base
organica, lo stato nutrizionale, la morfologia e la motricità del distretto orofacciale, il profilo sensoriale ed il
temperamento del bambino. Kerzner ha suggerito che questi bambini dovrebbero inizialmente essere
esaminati per segnali d'allarme come disfagia, incoordinazione della dinamica deglutitoria, polmonite
ricorrente, pianto (dolore) durante il pasto, vomito, diarrea, dermatite, ritardo della crescita e disturbi del
neurosviluppo. La ricerca di una causa organica alla base del disturbo risulta fondamentale in un’ottica di
comune interazione tra fattori fisici, comportamentali ed emotivi. La presenza di una causa organica
richiede la risoluzione del disturbo di base prima di procedere nella gestione dei fattori ad essa correlati. In
caso contrario, invece, si prosegue con un esame dei metodi di alimentazione, delle difficoltà
comportamentali e dell’interazione genitore-figlio. A tal fine si propone l’utilizzo di questionari, attraverso
cui è possibile misurare la preoccupazione del genitore ed ottenere indicazioni circa la sua attitudine. Tra
quelli più comunemente usati si citano: Behavioral Pediatrics Feeding Assessment Scale (BPFAS), Child
Eating Behavior Questionnaire (CEBQ), lo Stanford Feeding Questionnaire (SFQ), l'Oregon Research Institute
Child Eating Behavior Inventory (ORI CEBI), il Child Feeding Questionnaire (CFQ), il Mealtime Behavior
Questionnaire (MBQ). Un ulteriore strumento di supporto ed approfondimento al processo valutativo ma
anche di cura è l’osservazione diretta del pasto (o tramite videoregistrazioni), attraverso il quale è possibile
attuare considerazioni in merito alle pratiche alimentari del bambino, le sue capacità oromotorie e le
reazioni emotive in relazione al cibo. Inoltre, tale strumento consente di esplorare l’ambiente ed il contesto
di relazioni in cui il bambino è inserito, con importanti valutazioni sulle modalità e le tempistiche del pasto,
gli stili alimentari dei genitori e le interazioni comunicative.

Sulla base di quanto emerso dalla valutazione si elabora per il bambino con feeding disorder un piano di
trattamento mirato e personalizzato, di assistenza multi ed interdisciplinare. Alcune delle più importanti
figure professionali coinvolte in questo modello di lavoro dinamico, collaborativo ed interdipendente sono:
logopedista, psicologo, educatore, terapista occupazionale, dietista, pediatra, psichiatra, neuropsichiatra
infantile, medico di comunità, gastroenterologo, otorinolaringoiatra, infermiere, farmacista. La
collaborazione tra le diverse figure professionali e i caregiver coinvolti nella gestione dei pazienti con
feeding disorders risulta essenziale al conseguimento degli obiettivi terapeutici.

IL RUOLO DEL LOGOPEDISTA


Come parte del team multidisciplinare, il logopedista ha un ruolo fondamentale negli ambiti di prevenzione,
valutazione e trattamento del bambino con feeding disorder. In particolare, il logopedista, in collaborazione
con le altre figure professionali, si occupa di:
● attuare attività di educazione parentale al fine di prevenire i disturbi alimentari;
● eseguire una dettagliata raccolta anamnestica del paziente;
● effettuare una valutazione clinica approfondita;
● identificare precocemente la presenza delle “red flags”;
● stabilire delle priorità di gestione;
● definire obiettivi riabilitativi SMART (Specific, Measurable, Achievable, Relevant, Time-based);
● pianificare modalità e tempistiche del trattamento, co-costruendo il piano di cura con la famiglia;
● selezionare accuratamente gli alimenti più sicuri che il bambino possa assumere per via orale;
● attuare interventi riabilitativi precoci al fine di limitare le conseguenze funzionali del disturbo;
● garantire un piano di trattamento individualizzato e mirato.

Nella selezione degli alimenti che il bambino può assumere per os, il logopedista deve tenere conto non
solo della consistenza degli alimenti, ma anche della durata del pasto e dell’eventuale necessità di adottare
posture o ausili particolari che possano facilitare e favorire un’alimentazione per via orale in totale
sicurezza. Inoltre, il logopedista deve occuparsi di monitorare nel corso del tempo la sicurezza del piano
terapeutico, adattando periodicamente gli obiettivi alla luce del progressi effettuati. Talvolta, infatti, un
miglioramento del paziente dal punto di vista comportamentale nell'approccio all’alimentazione può
smascherare deficit delle abilità sensomotorie orali o della deglutizione, che richiedono l'esperienza del
logopedista per essere riabilitati.

INTERVENTI RIABILITATIVI
Da una revisione sistematica della letteratura, sono state individuate, sulla base dei diversi orientamenti
teorici, numerose modalità di intervento nell’ambito dei feeding disorders. Nella gestione del bambino con
disfagia comportamentale interventi psicoeducativi si intrecciano ad interventi medici, nutrizionali,
oromotori, sensoriali, comportamentali e/o psicoterapeutici. La presa in carico risulta, come detto in
precedenza, multidisciplinare e prevede l’integrazione di interventi diretti ed indiretti.

Interventi medici
Nella presa in carico di un bambino con feeding disorders la gestione delle condizioni cliniche associate, se
presenti, risulta prioritaria. Solo a seguito della risoluzione della patologia organica si può indirizzare
l’intervento verso la gestione dei fattori concomitanti. Attualmente, per quanto concerne il bambino con
accertata disfagia comportamentale, nessun trattamento farmacologico viene raccomandato, eccetto che
per i casi di importante ansia anticipatoria ai pasti.

Interventi sensoriali
Gli interventi sensoriali risultano la terapia di prima scelta nei casi in cui i feeding disorders siano
determinati da un disturbo di integrazione sensoriale. Il sistema nervoso centrale (SNC) ha
un'organizzazione gerarchica tale che l'input sensoriale debba essere organizzato dal cervello nei livelli
inferiori affinché avvenga l'elaborazione nei livelli superiori. Tutti i sistemi sensoriali (cioè uditivo, visivo,
vestibolare, propriocettivo, tattile) interagiscono per ricevere ed organizzare le informazioni. Una volta
organizzate, le informazioni sensoriali vengono elaborate per produrre competenze e abilità del prodotto
finale. Un bambino con una disfunzione a livello del framework integrativo sensoriale non è in grado di
elaborare la molteplicità degli stimoli sensoriali che giungono attraverso gli organi di senso. Tale difficoltà di
modulazione risulta in una difesa sensoriale che può manifestarsi con un disturbo alimentare.

L’obiettivo della terapia sensoriale è dunque quello di promuovere la capacità di modulazione e


integrazione delle diverse informazioni sensoriali, affinché il bambino possa progressivamente accettare
una varietà maggiore di alimenti.

Il trattamento implica, innanzitutto, una modifica alimentare in termini di sapori e consistenze mediante la
costruzione di una dieta sensoriale che possa essere accolta dal bambino. Trasversalmente, l’utilizzo di
strategie, come l’esposizione ripetuta e l’esecuzione di giochi sensoriali, può gradualmente aiutare il
soggetto nel processo di elaborazione sensoriale e nell’accettazione di cibi nuovi. A questo scopo si attuano
attività propriocettive, tecniche di modulazione sensoriale e di desensibilizzazione, passando gradualmente
dalle zone periferiche del corpo al viso ed infine dentro la bocca.

Numerosi studi attuati in materia provano che la risposta adattiva risulta più efficace se l’intervento
coinvolge diversi sistemi sensoriali e richiede l’integrazione intersensoriale. Per tale motivo, i giochi
multisensoriali sono tra le attività di trattamento preferenziali. Il bambino viene stimolato mediante giochi
interattivi e coinvolgenti che lo conducono ad avvicinarsi agli alimenti sfruttando tutti gli organi di senso:
vista, udito, olfatto, tatto e per ultimo il gusto. A tal fine si possono proporre:
- Giochi che sfruttano il canale visivo attraverso l’utilizzo di schede, immagini, foto, fiabe su cibi
diversi per forma, colore, categoria target;
- Giochi che stimolano il canale uditivo attraverso i suoni che emettono determinati cibi quando
vengono schiacciati e triturati;
- Giochi che stimolano l’olfatto mediante attività in cui si richiede di annusare gli alimenti;
- Giochi che sfruttano il tatto attraverso attività di manipolazione, con possibilità di tagliare,
modellare e schiacciare diversi ingredienti;
- Giochi che avvicinano al gusto, ad esempio mediante attività di degustazione in gruppo in cui si
richiede al bambino di assaggiare e percepire i sapori di piccole quantità di cibo.

Interventi oromotori
L’alimentazione è un’abilità evolutiva complessa che richiede, oltre all’integrazione degli stimoli sensoriali
in entrata, una coordinazione tra i diversi atti fisiologici (respirazione, suzione e deglutizione) nel contesto
della stabilità motoria complessiva. In alcuni casi, nei bambini con feeding disorders è possibile riscontrare
deficit nella motricità delle strutture coinvolte nell’alimentazione, talvolta per motivi di causa organica,
talvolta esclusivamente per non uso di tali strutture. A questo scopo risultano utili gli interventi oromotori,
applicati con l’obiettivo di stimolare e sviluppare la funzionalità del distretto orofacciale. Tali interventi
includono esercizi prassici di potenziamento bucco-linguo-facciale e training di deglutizione e di
masticazione, volti all’incremento funzionale delle strutture in termini di forza, coordinazione, precisione e
velocità dei movimenti. Nelle proposte di trattamento è importante tenere in considerazione la
multifattorialità che contraddistingue tali disturbi, in modo tale da applicare le giuste accortezze. Ad
esempio, se l’obiettivo è lavorare sulla masticazione risulta opportuno attuare il training di lavoro,
utilizzando alimenti di cui il bambino ha familiarità e lavorando, inizialmente, su una componente per volta
(movimento di innalzamento e abbassamento della mandibola piuttosto che gestione del bolo all’interno
della bocca, coordinazione masticazione-deglutizione, movimento di torsione a ellissi della lingua). Si
possono utilizzare facilitazioni quali ad esempio l’utilizzo di un tubo flessibile in cui inserire una striscia di
cibo, oppure giochi e attività ludiche che stimolino l’interesse e la motivazione del bambino (es. giocattoli
da masticare). Nell’applicazione di questi interventi è utile l’integrazione con altri approcci, tra cui quelli
comportamentali di cui si parlerà successivamente. Infatti, per indurre il bambino a masticare, il caregiver
può anche guidarlo fisicamente mettendo una mano sopra la sua fronte e il pollice dell'altra mano sotto il
mento ed esercitando una leggera pressione verso l'alto e verso il basso per muovere la mascella del
bambino. Dopo che il bambino ha completato il numero prefissato di masticazioni, il caregiver rimuove il
tubo con la striscia di cibo dalla bocca del bambino ed effettua un controllo della masticazione. Se il cibo
non è stato masticato in modo adeguato, il caregiver ripresenta nuovamente il tubo al bambino.

Interventi comportamentali
Prove considerevoli supportano l’uso di approcci comportamentali nel trattamento dei feeding disorders.
Le strategie di trattamento comportamentale generalmente includono modifiche al programma e alla
struttura dei pasti, la gestione del comportamento del bambino durante il pasto e la formazione dei
caregiver a cui insegnare le tecniche più efficaci. Le tecniche di gestione del comportamento mirano a
rafforzare i comportamenti alimentari positivi e a ridurre al minimo quelli disadattivi. Identificare le
strategie maggiormente appropriate e metterle in pratica richiede la cooperazione tra pediatri, psicologi,
operatori sanitari e caregiver al fine di sostenere cambiamenti positivi a lungo termine. Queste strategie
implicano interventi ambientali, con tecniche che mirano all’aumento dei comportamenti alimentari
desiderabili e alla diminuzione di comportamenti alimentari inappropriati.

Tra gli interventi ambientali vi è l’esposizione ripetuta che consiste nell’offrire ripetutamente cibi nuovi, o
che generalmente vengono rifiutati, con l’aspettativa che il bambino li esplori ed assaggi. Vari studi
affermano che le preferenze per i nuovi cibi aumentano notevolmente dopo circa 10 esposizioni,
indipendentemente dal gusto. Vi sono inoltre interventi che si concentrano sul programma e sulla durata
dei pasti che sfruttano il ciclo di fame e sazietà di un bambino. Infatti, controllando sistematicamente
quando e per quanto tempo viene offerto il cibo, il caregiver può influenzare l'appetito di un bambino,
favorendo così una spinta interna a nutrirsi. Oltre i 2 anni, la maggior parte dei bambini consuma tre pasti
intervallati da uno a tre spuntini leggeri al giorno. Un periodo di 3-4 ore tra i pasti sembra essere ottimale
per la regolazione dell'appetito. Molti bambini hanno inoltre difficoltà a passare dall’attività che stanno
svolgendo all’ambiente del pasto. Per questo motivo, si consiglia ai caregiver di evitare attività preferite o
particolarmente eccitanti prima del pasto in quanto ciò potrebbe contribuire alla resistenza del bambino
alla transizione.

Le strategie per aumentare i comportamenti alimentari desiderabili sono: il rinforzo positivo, negativo e
differenziale (discrimination training). Il rinforzo positivo è la consegna di una ricompensa (ad esempio elogi
verbali, adesivi, punti per una ricompensa o un cibo preferito), subordinata all'esecuzione di un
comportamento target (ad esempio aumento del volume di cibo, esplorazione di cibo nuovo o non
preferito), che rafforza la probabilità che il comportamento target si verifichi in futuro. In genere,
l'attenzione di un caregiver adulto è il metodo di rinforzo più utilizzato ma per i bambini più grandi, l'uso di
rinforzi tangibili come una tabella di adesivi o un sistema in cui è possibile accumulare punti per
guadagnare premi può essere più motivante.
Il rinforzo negativo è la cessazione o la sospensione di uno stimolo avversivo contingente all'esecuzione di
un comportamento desiderato, con il risultato che rafforza la probabilità che il comportamento desiderato
si verifichi in futuro. Poiché il rinforzo negativo comporta l'uso di stimoli avversi, queste tecniche sono
tipicamente utilizzate solo in contesti terapeutici sotto la diretta supervisione di uno psicologo. Forse la
forma più comunemente usata di rinforzo negativo è l'uso di una guida fisica per indurre un bambino ad
accettare o ingoiare un boccone di cibo. In pratica, ad un bambino viene offerto un boccone di cibo, in caso
di rifiuto l'alimentatore guida fisicamente il cibo verso le labbra del bambino e trattiene la mascella finché il
boccone non viene accettato e deglutito. La cessazione della guida fisica (lo stimolo avversivo) avviene
quando il bambino accetta il cibo (il comportamento desiderato). Con l'uso continuato di questa tecnica, il
bambino impara a evitare l'uso della guida fisica accettando il cibo alla prima presentazione.
Con il rinforzo differenziale (discrimination training), il bambino impara che i comportamenti alimentari
positivi verranno rafforzati mentre i comportamenti alimentari non desiderabili saranno selettivamente
ignorati.
La diminuzione dei comportamenti alimentari indesiderati comprende tre strategie: l’estinzione, la
punizione e la desensibilizzazione. L’estinzione consiste nella rimozione di una ricompensa a seguito di un
comportamento alimentare problematico che è stato mirato all’eliminazione. L'esempio più comune di
estinzione, in un contesto di trattamento, è ignorare i comportamenti indesiderati del bambino. La
punizione consiste invece nel presentare uno stimolo avverso o rimuovere uno stimolo gratificante come
conseguenza di un comportamento indesiderato. Ne è un esempio il rimprovero: in alcuni casi l’attenzione
verbale negativa elimina il comportamento alimentare indesiderato. In presenza di una storia di eventi di
alimentazione avversa, come il vomito, vengono spesso utilizzate procedure di desensibilizzazione. Essa
consiste nell’associazione ripetuta dell'avversione condizionata con l'assenza dell'evento avversivo,
generalmente con la consegna aggiuntiva di un rinforzo positivo.

Per comprendere quali tra queste strategie applicare, è necessario che gli operatori sanitari lavorino in
collaborazione con gli psicologi. Inoltre, molte tecniche comportamentali possono essere efficacemente
insegnate ai caregiver. Tuttavia, alcuni interventi comportamentali possono essere troppo avversi per
essere implementati dai genitori o possono inavvertitamente aumentare la frequenza e la gravità dei
problemi comportamentali se messi in atto in modo errato.

Interventi nutrizionali
Numerosi studi hanno rivelato che i feeding disorders possono influire in modo significativo sullo stato
nutrizionale dei bambini. I bambini affetti da questo tipo di problema, infatti, hanno maggiori probabilità di
essere sottopeso e di statura più bassa rispetto a chi non ne è affetto. Lo stato di malnutrizione è dovuto
principalmente alla carenza di macronutrienti, quali proteine, carboidrati, grassi e acqua, ma anche di
micronutrienti, come ferro e zinco, oltre che ad un apporto calorico complessivo ridotto. Questo tipo di
approccio prevede un intervento dietetico individualizzato, guidato da un professionista, volto a soddisfare
le esigenze nutrizionali quotidiane del bambino attraverso una dieta varia e ben bilanciata, eventualmente
integrando l’assunzione, se necessaria, di integratori alimentari specifici in base alle carenze riscontrate.

Interventi educativi
Ulteriori fattori da tenere in considerazione in merito ai feeding disorders sono le relazioni sociali,
l’ambiente e le abitudini del soggetto. Il pasto non rappresenta solamente il momento dedicato alla
nutrizione, ma anche uno spazio di tempo volto a costruire relazioni, esplorare, apprendere e sviluppare le
proprie abilità sociali. Nei programmi educativi viene enfatizzato il ruolo dei genitori, figure essenziali per la
creazione di un ambiente positivo e di supporto a un'alimentazione qualitativamente e quantitativamente
adeguata. Questo approccio teorico prevede, dunque, che l'intervento avvenga prevalentemente in forma
indiretta attraverso un’intensa attività di counselling informativo e prescrittivo, volto a fornire informazioni
e raccomandazioni circa le facilitazioni favorenti comportamenti alimentari appropriati.

Innanzitutto, è importante che ogni famiglia acquisisca una propria ‘’routine del pasto’’, stabile e
prevedibile, che possa facilitare il coinvolgimento del bambino. A tale scopo può essere utile:
- avvertire il bambino 10-15 minuti prima dell’inizio del pasto;
- stabilire un rituale o un’attività di transizione che accompagni il bambino al momento del pasto,
come cambiare il pannolino, lavarsi le mani, apparecchiare la tavola, a seconda dell’età;
- creare un ambiente positivo e rilassato, discutendo della giornata o del cibo;
- incoraggiare il bambino a rimanere a tavola per tutta la durata del pasto;
- stabilire una chiara routine finale, ad esempio lavarsi le mani, il viso, aiutare a sparecchiare.
Il tempo dedicato all'alimentazione può variare in base alle necessità e alle abitudini del bambino e della
famiglia, tuttavia dovrebbe aggirarsi intorno ai 30 minuti per i pasti principali e ai 10-15 minuti per gli
spuntini. Può essere utile, con alcuni bambini, impostare un timer o segnare sull’orologio l’arco di tempo da
dedicare all'alimentazione. Una finestra di 3-4 ore tra un pasto e l’altro sembra ottimale per la regolazione
dell'appetito, poiché si traduce generalmente in sensazioni positive in previsione del cibo senza il disagio
fisico della fame estrema. Attenersi a una routine stabile e prevedibile aiuta il bambino ad apprezzare la
differenza tra fame e sazietà e sviluppare le capacità di autoregolazione.

Secondo questo tipo di approccio, i bambini devono essere fin da subito incoraggiati a mangiare al tavolo, o
in qualunque altro luogo previsto dalla cultura di appartenenza, con il resto della famiglia. Tuttavia, è
importante abituare il bambino ad essere flessibile a mangiare anche in contesti diversi, come la scuola, il
ristorante, il luogo dove si trascorrono le vacanze.

Negli interventi educativi grande importanza viene data anche all’ambiente, sul quale i genitori devono
agire direttamente. Relativamente all’ambiente fisico al momento del pasto, oltre alla stanza, alle persone
presenti, agli utensili a disposizione e alla tipologia del cibo presentato, bisogna considerare anche la
posizione del corpo, che può avere effetti significativi sulle abitudini alimentari di un bambino. Si
raccomanda una postura composta, sicura e ben bilanciata, che migliora la coordinazione motoria e
l'attenzione all'alimentazione. I bambini con disabilità fisiche, talvolta, necessitano di un supporto che
garantisca un allineamento ottimale della testa, del collo e del tronco durante l’alimentazione. Qualora il
bambino non sia in grado di autoalimentarsi, anche il comfort dell'adulto è importante per la buona riuscita
del pasto: una posizione scomoda può essere faticosa da mantenere e contribuisce ad aumentare lo stress
fisico ed emotivo, che il bambino può percepire ed attribuire erroneamente ad una sua colpa.

La comunicazione, le azioni e le reazioni dei genitori e degli altri membri della famiglia hanno una forte
influenza sui comportamenti dei bambini e sul loro approccio all'alimentazione. Attività come cucinare,
giocare con il cibo e svolgere attività fisica insieme favoriscono lo sviluppo di una sana relazione con il cibo e
rinforzano il legame genitore-figlio. Anche gli stili alimentari dei genitori stessi contribuiscono nel
condizionare il comportamento alimentare del bambino. Identificare precocemente tale interazione è utile,
per gli operatori sanitari, ad adattare le proprie indicazioni sulla base dello stile di alimentazione del
genitore e dunque pianificare una mirata strategia terapeutica. L’unico stile alimentare riconosciuto come
appropriato è quello di tipo reattivo, in cui il genitore risponde ai segnali del bambino e divide con lui le
responsabilità del pasto, proponendo “quando” e “dove” mangiare e lasciando al figlio la decisione di
“quanto” mangiare.

I problemi di alimentazione dei bambini rappresentano una preoccupazione primaria per i genitori. A tal
proposito è stata dimostrata una stretta correlazione tra i comportamenti negativi durante i pasti e lo stress
genitoriale, che impatta negativamente sulla qualità di vita. Bisogna altresì considerare che la percezione di
un genitore del comportamento alimentare del proprio figlio non è sempre accurata e i feeding disorders
sono percepiti erroneamente nel 17% dei bambini valutati. I genitori hanno spesso aspettative irrealistiche
sul potenziale di crescita del proprio figlio o sulla capacità di consumare cibi specifici a varie età, con
conseguente percezione di scarso appetito, selettività o scarso accrescimento, che può portare a pratiche
di alimentazione inappropriate. Per tale motivo, si rivela l’importante necessità di attuare attività di
counselling ai genitori disinformati, i quali richiedono indicazioni precise e strutturate.
La capacità di un bambino di partecipare pienamente alla routine del pasto può essere influenzata da una
serie di fattori interni ed esterni, che il genitore deve imparare a conoscere e gestire. Culture e famiglie
diverse hanno aspettative, regole e idee differenti riguardanti il comportamento da tenere durante i pasti,
l’importante è che queste siano chiare e riconosciute da tutti i membri della famiglia. In generale, si
consiglia di attenersi alle indicazioni di cui si parlerà relativamente alla prevenzione dei feeding disorders.

Al momento non ci sono studi sufficienti che dimostrino una riduzione dei comportamenti problematici nei
bambini affetti da feeding disorders sottoposti esclusivamente ad interventi educativo-ambientali. Tuttavia,
sembra che questo tipo di approccio, diretto dai genitori, sia efficace quando gli obiettivi terapeutici
riguardano le capacità genitoriali, l'interazione genitore-figlio e, nei più piccoli, le competenze alimentari
delle madri e dei loro bambini.

In conclusione, diverse ricerche hanno provato che le varie tipologie di intervento possono condurre a
risultati positivi. Per questo motivo risulta di fondamentale importanza conoscere i diversi approcci al fine
di comprendere quale possa essere il più efficace per trattare determinati comportamenti target presentati
dal bambino. Inoltre, da una revisione degli interventi condotti su bambini con feeding disorders, è emerso
che tali approcci siano spesso utilizzati in combinazione.

GESTIONE INDIVIDUALIZZATA
Come detto in precedenza, la presa in carico di un bambino con feeding disorders deve essere
individualizzata e mirata ai fattori specifici che hanno condotto allo sviluppo delle difficoltà di
alimentazione. Le diverse tipologie e modalità di intervento sopra citate possono essere più o meno
indicate a seconda del singolo caso. In riferimento alla classificazione di Kerzner, che categorizza i feeding
disorders in 3 macrocategorie: appetito limitato, assunzione selettiva e paura di nutrirsi, si propongono le
seguenti indicazioni di trattamento.

Gestione del bambino con appetito limitato


Generalmente il trattamento del bambino con appetito limitato si concentra sull’enfatizzazione del
contrasto tra fame e sazietà. Nel bambino energico con appetito limitato risulta essenziale un programma
di alimentazione che incoraggi la fame mediante il controllo della struttura e della durata dei pasti. In questi
casi, spesso, risulta efficace offrire attenzione in risposta a comportamenti alimentari positivi e ignorare i
comportamenti alimentari indesiderati. Un ritardo nella crescita associato a scarso appetito spesso richiede
un arricchimento calorico della dieta, con l’aggiunta di integratori alimentari. Tendenzialmente, invece, nel
bambino apatico con appetito limitato è sufficiente fornire un’alimentazione adeguata ed interazioni
relazionali di supporto. Talvolta, può risultare necessario un ricovero in ospedale. Con malattie organiche, la
condizione medica che influenza l'appetito deve essere affrontata e, se possibile, risolta. La gestione è
spesso complessa e richiede percorsi di alimentazione alternativi.

Gestione del bambino con selettività alimentare


Per questa tipologia di bambini risulta necessario attuare attività di counselling ai genitori, illustrando
l’importanza di esporre costantemente e ripetutamente i bambini a nuovi alimenti. Gli alimenti nuovi o non
graditi devono spesso essere offerti da 8 a 15 volte senza pressione per ottenere l'accettazione. Nel
bambino moderatamente selettivo possono essere necessarie altre semplici tecniche, come nascondere le
verdure frullate nelle salse, usare condimenti per migliorare il sapore, dare ai cibi nomi accattivanti,
coinvolgere i bambini nella preparazione dei piatti e presentare le pietanze con una forma invitante.
Al contrario, il bambino altamente selettivo frequentemente richiede un approccio più intensivo e
sistematico per aumentare la varietà alimentare. Le evidenze suggeriscono alcune strategie efficaci, quali
ad esempio offrire un cibo desiderato in seguito all’accettazione di cibi meno desiderati o il "food chaining”
(sostituzione di un alimento con uno simile). In tutti i bambini con selettività alimentare, ogni alterazione
del gusto, colore o consistenza del cibo viene associato un rinforzo positivo. Il trattamento comprende
incentivi del senso di fame associati all'integrazione nutrizionale e a tecniche di modulazione sensoriale per
esempio l’esposizione tattile sulla pelle e la desensibilizzazione orale. In caso di iposensibilità, cibi e
bevande dal sapore forte possono essere meglio accettati. Fornire una sensazione orale intensificata con
cibi piccanti può migliorare la coordinazione deglutitoria in alcuni di questi pazienti.

Gestione del bambino con paura di nutrirsi


Il trattamento preferenziale, in questo caso, comprende la rassicurazione e l’eliminazione delle cause del
disagio del bambino, nonché l'attenuazione dell'ansia di chi lo alimenta.
Quando c'è una reale paura di nutrirsi in un neonato, i pediatri devono identificare e risolvere la causa del
dolore, decondizionando la paura del bambino. L'alimentazione può essere inizialmente eseguita nella fase
in cui il bambino inizia ad addormentarsi, consentendo di stabilire un programma di sonnolenza per fornire
un'alimentazione adeguata. Potrebbe essere necessario modificare l'ambiente e le attrezzature di
alimentazione per migliorare l'accettazione degli alimenti. In alcuni bambini è utile il passaggio anticipato
alla tazza o ai cibi solidi. La rassicurazione è la chiave per il recupero dalla paura di nutrirsi nel bambino più
grande. Se la consulenza iniziale fallisce, può essere necessario l'uso di farmaci ansiolitici, il rinforzo positivo
con ricompense, la terapia cognitivo-comportamentale o la consulenza psichiatrica. Inoltre, gli integratori
orali liquidi sono spesso necessari per sostenere il bambino dal punto di vista nutrizionale. In casi
selezionati, studi di contrasto o endoscopia sono necessari ad escludere una patologia sottostante. Spesso
l'insulto originario può essersi risolto e l'iperalgesia viscerale e/o l'ansia anticipatoria possono persistere.
Nei bambini alimentati per via enterale, la grave soppressione dell'appetito complica la questione. Questi
problemi richiedono un trattamento più complesso, come l'induzione della fame, la desensibilizzazione
motoria orale e un'esposizione graduale e non minacciosa al cibo. Si sono dimostrate efficaci anche le
tecniche comportamentali, come il seguire la bocca del bambino con il cucchiaio o guidare fisicamente il
bambino ad accettare il cibo.

PREVENZIONE
Le ricerche sulla letteratura attualmente presente offrono numerose indicazioni circa le linee guida da
seguire al fine di incentivare sempre maggiormente, negli anni a venire, le attività di prevenzione. La
prevenzione è possibile ma richiede una buona conoscenza dei fattori di rischio (infantili e/o familiari) che
ne favorisca un’identificazione precoce. La Protezione Materna Infantile e la medicina di comunità (pediatri,
medici generici) svolgono un ruolo centrale nell’individuazione precoce di tali fattori, in quanto attuano
periodici follow-up dei soggetti esposti a maggior rischio (neonati di genitori con storia di disturbi
alimentari, depressione perinatale e altre vulnerabilità) e accompagnano le famiglie verso cure più
specialistiche (consulenza psichiatrica perinatale, centri medico-psicologici, etc.). Al fine di orientare i
genitori nell’instaurazione dei primi legami, specialisti formati sullo sviluppo del bambino dovrebbero
sostenere le famiglie nelle fasi più delicate dello sviluppo (gravidanza, allattamento, svezzamento). Fornire
un supporto alla genitorialità nelle prime fasi, infatti, risulta essere un’efficace strategia di prevenzione.
Inoltre, al fine di prevenire pratiche di alimentazione disadattive, gli operatori sanitari dovrebbero indicare
ai genitori disinformati le linee guida di base sull’alimentazione: evitare le distrazioni durante i pasti (TV,
giochi, telefono), limitare la durata del pasto (20-30 minuti), consentire 4-6 pasti/spuntini al giorno
intervallati unicamente dall’idratazione con acqua, servire cibi adatti all’età, introdurre sistematicamente
nuovi alimenti (fino a 8-15 volte), fornire l’opportunità al bambino di vedere, annusare e toccare il cibo,
incoraggiare l’auto-alimentazione, tollerare il disordine appropriato all’età. Per limitare l’evolversi dei
feeding disorders sarebbe infatti opportuno considerare tali indicazioni come una guida preventiva per tutti
i bambini.

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