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Riassunto Mindfulness e disturbi alimentari

Psicologia Dinamica (Università degli Studi di Foggia)

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MINDFULNESS E DISTURBI ALIMENTARI


PREFAZIONE
I disturbi alimentari vengono studiati e classificati da molti anni. Recentemente, uno studio ha
esaminato il cambiamento di peso corporeo dell’umanità tra il 1975 ed il 2014, ed i risultati hanno
rivelato che è aumentato il peso corporeo ed anche la tendenza all’obesità, con ovviamente una
diminuzione della malnutrizione.
Il mondo è passato, quindi, da un periodo in cui regnava la malnutrizione ad un periodo in cui
regna l’obesità.
Il sovrappeso in età infantile-adolescenziale è un fattore di rischio non solo perché può portare
all’obesità nell’età adulta, ma anche perché può causare problemi depressivi, problemi
comportamentali ed anche alimentari, come il controllo del peso corporeo tramite il vomito
autoindotto, tramite l’uso di farmaci oppure tramite l’esercizio fisico non regolare.
Quindi, ci deve essere una letteratura scientifica che deve trattare i metodi per prevenire e curare
questi disturbi dell’alimentazione e del peso: per esempio, bisogna trattare i comportamenti
problematici già dall’infanzia, oppure in adolescenza tramite il metodo della mentalizzazione (che
indica la capacità di prendere coscienza e riconoscere le tensioni e le emozioni conflittuali).

INTRODUZIONE
Lo sviluppo delle preferenze verso alcuni cibi piuttosto che altri è una caratteristica che emerge dal
concepimento e si protrae per tutto il corso della vita dell’individuo. Tutto questo deriva da fattori
biologici ed ambientali. Il genitore, nella costruzione del rapporto col proprio figlio, porta il
bambino a comprendere il linguaggio del cibo: infatti, i disturbi alimentari hanno origine dai
rapporti genitore-bambino sin dalla gravidanza, e poi per tutta la vita.

1. FATTORI DI RISCHIO E PROCESSI REGOLATORI NEL CICLO DI VITA


L’atto di alimentarsi ha una grande mole di significati. Il comportamento alimentare è un processo
senso-motorio molto sofisticato che si modifica nel tempo. L’alimentazione è indispensabile per la
sopravvivenza del bambino. Le prime esperienze emotive e mentali sono strettamente legate a
quelle nutritive e costituiscono le basi delle successive abitudini alimentari dell’individuo.
Anche la dieta della madre, quando il bambino è nella sua pancia, incide su quello che
successivamente sarà l’approccio del bambino al cibo: questa viene chiamata “teoria delle
interazioni precoci”.
Gli stati emotivi e psicologici inducono le persone a modificare o intensificare le loro abitudini
alimentari. Ci si pone la domanda: “perché un genitore può adottare comportamenti alimentari
inadeguati?”
La risposta viene data dal fatto che il genitore ha sempre avuto una certa attitudine
all’alimentazione, sin dall’infanzia, che non sempre è in grado di modificare.
Quindi, da una parte possiamo pensare che queste problematiche alimentari siano il mezzo
tramite il quale il bambino comunica il proprio disagio, che poi diventa un’abitudine vera e propria
durante l’età adulta; dall’altro lato possiamo ipotizzare che il cibo diventi l’elemento attraverso il
quale queste problematiche vengono trasmesse da una generazione all’altra (trasmissione
intergenerazionale).

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2. MINDFUL EMOTION REGULATION-APPROACH


Molto spesso i disturbi alimentari vengono diagnosticati tardi, cosicché i bambini arrivano in età
adolescenziale vivendo una vita fatta di compromessi. Il mancato intervento precoce porta
sicuramente ad un peggioramento, e questi problemi si ripercuotono sulla vita sociale, cognitiva
ed emotiva del soggetto.
Al giorno d’oggi ci sono diverse tecniche e strategie di intervento: per esempio ci sono gli
interventi di evidence-based, in cui vengono osservati gli aspetti individuali del paziente ed anche
gli aspetti legati alle relazioni con gli altri.
Nei disturbi da evitazione e restrizione alimentare, che sono i più diffusi tra i bambini e gli
adolescenti, vi è la necessità di intervenire tempestivamente e con efficacia, attraverso terapie
comportamentali, tecniche cognitive e tecniche di rilassamento, che portano un calo del livello di
ansia e soprattutto si cerca di portare il soggetto verso l’esplorazione di cibi nuovi.
In questo contesto appare, dunque, fondamentale il ruolo dei genitori, ed un ambiente di
coinvolgimento può essere, ad esempio, quello ospedaliero, in quanto in questo luogo vengono
fornite le istruzioni ai genitori riguardo ai pasti ed ai comportamenti da attuare con i bambini.
Un esempio è dato da una tecnica di intervento che mira a ridurre l’ansia: questa tecnica si divide
in due fasi:
- la prima, in cui il terapeuta addestra i genitori ad adottare comportamenti diversi da quelli
abituali;
- la seconda, in cui i genitori si avvicinano al bambino e allo stimolo ansiogeno.
Molta importanza viene data anche ai fattori cognitivi-comportamentali ed al coinvolgimento dei
genitori nell’ambito dei disturbi alimentari. Anche qui ci sono diverse tecniche, come la teoria
dell’attaccamento, che ci fa notare le interazioni alimentari del bambino e, quindi, la sua relazione
col cibo.
L’approccio mindfulness-based si basa sulla capacità di prestare attenzione, senza giudicare, ai
comportamenti alimentari disfunzionali: quindi, si osserva il bambino ed il suo rapporto col cibo,
e successivamente si vanno ad adottare strategie che vanno a modificare il regime alimentare del
soggetto e la sua relazione con la sua sfera alimentare.

3. SOVRAPPESO/OBESITA’ IN ETA’ PEDIATRICA: LA TECNICA DEL VIDEO FEEDBACK


L’obesità infantile è un problema che interessa la maggior parte dei paesi occidentali. Questa è
così sviluppata a causa di una serie di fattori, come l’esposizione precoce ad una
sovralimentazione, ma anche la qualità delle pratiche alimentari nel periodo prenatale.
Durante l’infanzia e l’adolescenza il peso subisce dei cambiamenti. Per arrivare a comprendere i
motivi che portano all’insorgenza di queste problematiche, è importante studiare la vita del
bambino nell’utero: uno studio ha dimostrato che una madre che fuma in gravidanza può portare
disturbi nel bambino, e uno di questi disturbi è proprio la sovralimentazione. Un altro studio,
invece, ha dimostrato come il latte possa avere un ruolo regolatore dell’appetito, e quindi la fase
dell’allattamento è fondamentale.
Per prevenire questi tipi di disturbi, il primo passo è quello informativo, poiché l’informazione è
essa stessa prevenzione. Accanto a questi percorsi di prevenzione c’è “l’home vising”, ovvero un
sostegno rivolto ai neonati ed alle mamme che soffrono di ansie e disturbi post-partum.
Anche i video-feedback sono considerati un ottimo metodo per promuovere una genitorialità
positiva: questo intervento risulta efficace soprattutto nel primo anno di vita del bambino.
Questa procedura consiste nel promuovere la capacità dei genitori di prestare l’attenzione ai
segnali ed ai bisogni del bambino, affinché essi sviluppino competenze come l’empatia, la capacità

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di rinforzare i momenti positivi, l’abilità nel coinvolgere il bambino in un dialogo riguardo alle
sue esperienze passate. Quindi, è un ottimo metodo che va in soccorso dei genitori in difficoltà.
Questo approccio ha una finalità importante, ovvero quella di costruire una consapevolezza
relativa ad un particolare tipo di pensiero chiamato “mindful”. Quindi, proprio affinché venga
messo in atto questo tipo di pensieri, sono stati organizzati una serie di incontri (per l’esattezza
12), finalizzati alla videoregistrazione del pasto, ed un’altra serie di incontri (sei) orientati
all’osservazione ed alla riflessione sui comportamenti che coinvolgono la madre ed il bambino.
Si devono tenere come riferimento i comportamenti della madre e quelli del bambino, favorendo
l’esplorazione del cibo e tenendo conto dei segnali che portano il bambino a manifestare dei
conflitti con ciò che sta mangiando.

4. ANORESSIA INFANTILE E DISTURBO ALIMENTARE POST-TRAUMATICO


La Development Psychopathology si è impegnata, nel corso degli ultimi anni, in uno studio
riguardante la connessione tra i processi biologici, i processi psicologici e quelli ambientalistici che
possono influenzare il percorso di sviluppo di un individuo: questi studi si basano soprattutto
sull’attaccamento, sull’intersoggettività, sull’infant research, che hanno modificato i
comportamenti e le relazioni tra il bambino ed il suo caregiver, ovvero chi si prende cura di lui.
Queste relazioni sono molto importanti perché il bambino, facendo tante esperienze, riesce a
plasmare e ad identificare i modelli che poi seguirà nel corso della vita.
Nei primi mesi di vita il compito fondamentale è proprio quello di regolare i comportamenti
relativi all’omeostati fisiologica, cioè è importante stabilire un modello di regolazione della
relazione tra madre e bambino, che si basa soprattutto sul nutrimento e sul sonno.
Una madre depressa o ansiosa può avere delle difficoltà a regolare questo rapporto con il
bambino. La reciprocità tra madre e figlio inizia dai 2 ai 4 mesi di vita del neonato: in questo caso è
fondamentale capire il significato del pianto del bambino, che diventa un pianto intenzionale,
poiché il bimbo vuole comunicare gli stimoli che prova. Dopo il sesto o massimo nono mese di vita,
quindi dopo lo svezzamento, il bambino subisce un enorme cambiamento, in quanto diventa
capace di nutrirsi autonomamente.
L’anoressia infantile è un’apparente mancanza di interesse per il cibo. Le mamme dei bambini
affetti da anoressia infantile hanno psicopatologie come la depressione, oppure soffrono di
disturbi alimentari.
Per quanto riguarda il disturbo alimentare post-traumatico, caratterizzato da un rifiuto alimentare
dopo un evento traumatico o dopo diverse esperienze stressanti, questi bambini mostrano uno
stress anticipatorio prima di mangiare, ed il loro rifiuto può essere parziale o totale. Quest’ansia
può comparire già alla vista degli utensili da cucina, oppure quando si avvicina l’orario del pasto.
I bambini, in questi casi, possono sviluppare addirittura veri e propri attacchi di panico. Se essi
vengono forzati a mangiare, rispondono col pianto, con le urla, con comportamenti violenti, si
rifiutano di aprire la bocca e sputano il cibo. Quando il cibo viene ingoiato, ciò avviene con molta
angoscia, ed esso viene masticato a lungo. Quando il rifiuto è totale, si ricorre all’alimentazione
artificiale.
L’ansia e la paura si associano ad incubi ripetuti, sogni sulla natura di soffocamento, e per tale
motivo il bambino si dimostra irritabile.

I genitori dei bambini con questo disturbo sono ansiosi e preoccupati, con scarsa reciprocità nei
confronti del bambino ma con livelli di tensione e conflittualità che contribuiscono al
mantenimento dei sintomi da parte del bambino. Più questa interazione è conflittuale, più
aumenta la resistenza del bambino al cibo.

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La psicoterapia genitore-bambino e gli interventi orientati alla famiglia sono molto adeguati per
queste problematiche. Come già precedentemente detto, l’uso dei video feedback, applicato al
contesto delle interazioni alimentari madre-bambino, promuove la consapevolezza dei genitori
sulle interazioni col proprio bambino, riuscendo a capire le motivazioni implicite di questo
comportamento problematico.
Il video feedback consente ai genitori di sperimentare un’interazione col bambino per poi
osservarla. Migliorare le qualità delle interazioni del bambino con i genitori spesso aiuta a ridurre
le difficoltà.
La psicoterapia ha dunque l’obiettivo di andare oltre il comportamento problematico del
bambino, e favorisce una funzione riflessiva genitoriale: pensare quindi al bambino come
individuo in gradi di pensare, di avere sentimenti, bisogni, desideri e motivazioni.
La sfida per i bambini con disturbo alimentare post-traumatico è la risoluzione della paura del cibo
associata ad un’esperienza traumatica, e per far sì che ciò accada, ci si affida al Mindful Emotion
Regulation Approach, che ha l’obiettivo di sostenere i genitori che vogliono cercare di aiutare i
propri figli, i quali devono lavorare soprattutto per cercare di migliorare la comunicazione con i
bambini e capire soprattutto le loro emozioni.

5. LA GIOCOTERAPIA FOCALE IN ETA’ PRESCOLARE


Gli studi sui disturbi alimentari in età prescolare sottolineano l’importanza di valutare le
caratteristiche individuali del bambino e le sue relazioni all’interno della famiglia. Particolare
rilievo assumono i “sintomi di protesta psicosomatica”, alla cui base si rintraccia la frustrazione da
parte dell’adulto della motivazione nel bambino che deve fare da solo in campo alimentare.
Questa tendenza a fare da solo si sviluppa attorno ai due-tre anni, in cui si sviluppa una tendenza
ad adattarsi all’ambiente in cui il bambino vive.
Quando il bambino si sente parte della famiglia, si sviluppa la motivazione a fare da solo, viceversa
l’impossibilità di inserirsi a causa di interventi coercitivi dell’adulto può provocare nel bambino un
senso di isolamento doloroso, e il bambino manifesta comportamenti di protesta e tenta di
riconquistare l’autonomia.
La visione della psicoterapia è cambiata: infatti, ora pone al centro gli affetti, la sintonizzazione
emotiva genitore-bambino che aiutano il bambino stesso nel suo sviluppo. È in questo contesto
che si inserisce la giocoterapia focale come modalità di intervento preventivo-terapeutico, che
consente di affrontare i disturbi dell’alimentazione in età prescolare con i genitori ed i bambini,
attraverso un percorso trasformativo che restituisca al bambino la cura dei genitori.
Questa metodologia permette di prestare attenzione e di mostrare ai genitori come si sta insieme
al bambino, osservandolo e ascoltandolo.
Le proposte delle sequenze della giocoterapia focale sono:
- la proposta del terapeuta di fare un pupazzo in pongo realizzato col bambino cui si offre del
cibo;
- dopo aver fatto mangiare il pupazzo, il terapeuta costruisce un vasino per poter far eliminare le
feci e la pipì al pupazzo;
- successivamente, il terapeuta chiede al bambino se desidera che si prepari ancora da mangiare
e nel caso egli approvi, il bambino prepara il tutto, lasciando il bambino in libertà.
Il terapeuta interviene solo quando è opportuno.
La giocoterapia focale consente ai genitori di prendere parte al gioco, di cogliere i reali interessi
del bambino, i suoi desideri, le sue paure, le rabbie.
Questa è una psicoterapia riservata al bambino, non alla famiglia, è un’occasione per il bambino
di parlare di sé e per i genitori di parlare con lui.

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Importante nella giocoterapia focale è il ruolo del terapeuta, che rappresenta una presenza viva
nella narrazione e poi dà spazio al bambino per proiettare i propri contenuti psichici.
Il genitore deve essere anch’egli un giocatore. Un genitore che si presta con pazienza e
collaborazione favorisce la buona riuscita del gioco, mentre chi impone, esclude o è
disinteressato è ostacolante.
Il terapeuta mostra la sequenza al bambino e ai genitori, durante gli altri incontri la sequenza
viene ripetuta per consentire di focalizzare l’attenzione sul problema del bambino e per far sì che il
bambino esterni i suoi contenuti psichici.
La giocoterapia focale è una metodologia che consente l’incontro con bambino e genitori,
ascoltando, rivivendo i vissuti passati e le problematiche esistenti, cercando, con il sostegno del
terapeuta, di riuscire a creare interazioni creative tra genitori e figli.
Uno dei materiali più usati quando si opta per la giocoterapia focale è il pongo, che è un materiale
duttile che crea piacere nella manipolazione e si presta ai vissuti ambivalenti, e favorisce il
coinvolgimento dei genitore. Con il pongo si rendono evidenti i cambiamenti psichici.

6. VALUTAZIONE E TRATTAMENTO FAMILIARE IN PREADOLESCENZA


La Preadolescenza è una definizione poco chiara, in quanto non si riferisce né all’infanzia, né
all’adolescenza. Essa viene divisa in due fasi:
- la prima va dai 6 ai 10 anni;
- la seconda va dagli 11 ai 14 anni.
Ogni fase presenta dei cambiamenti di tipo biologico, cognitivo e relazionale.
La prima fase corrisponde a quel periodo in cui, secondo Erickson, aumentano le relazioni con
l’esterno, e le esperienze positive creano nel bambino un senso di competenza, mentre le
esperienze fallimentari creano un senso di inferiorità.
Nella seconda fase si verificano i cambiamenti legati alla pubertà, ed in questo periodo si inizia a
strutturare l’identità del soggetto.
I bambini possono provare avversione verso alcuni cibi per quanto riguarda l’aspetto, il colore, il
sapore: quindi, c’è un certo rifiuto nel provare nuovi cibi, ed il bambino seleziona determinati cibi
da mangiare, escludendone altri.
I fattori che influiscono sulla selettività alimentare sono:
- breve periodo di allattamento;
- scarsa varietà dei cibi nell’alimentazione della madre;
- pressione a mangiare da parte dei genitori.
L’assetto emotivo della madre, o del caregiver, è di fondamentale importanza. Alcuni studi hanno
evidenziato l’importanza della terapia sulla famiglia, la quale può e deve aiutare i figli.
La terapia familiare basata sulla mentalizzazione promuove la consapevolezza dei propri
sentimenti. L’attenzione è focalizzata sulla parola “mindfulness”, ovvero la capacità di considerare
come elementi fondamentali l’esperienza cognitiva, quella sensoriale e quella emotiva.
Da questo concetto deriva il mindful eating, ovvero una consapevolezza legata alle sensazioni
fisiche ed emotive connesse con l’alimentazione.
L’espressione mindful parenting descrive la capacità del genitore di ascoltare il figlio, non
giudicarlo, provando empatia ed avendo consapevolezza delle emozioni di entrambi.

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7. UN APPROCCIO PSICODINAMICO INTEGRATO PER IL TRATTAMENTO DELLA


BULIMIA NEROSA NELLA PRIMA ETA’ ADULTA
La bulimia nervosa è caratterizzata da abbuffate compulsive seguite da comportamenti quali il
vomito autoindotto, abuso di lassativi, digiuno eccessivo, oppure esercizio fisico non regolare.
Durante le abbuffate, il paziente sperimenta una perdita di controllo seguita da rimorsi e sensi di
colpa: questo, simbolicamente, deriva dal fatto che il bambino si senta messo in secondo piano
dalla madre, la quale mette in primo piano i propri bisogni.
L’approccio psicodinamico integrato dà particolare importanza alla relazione terapeutica, e per
questo motivo vengono fornite delle strategie per mangiare in modo regolare, con consigli e
monitoraggi.

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