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La plusdotazione: un Bisogno Educativo Speciale

La plusdotazione è una caratteristica che si riscontra in circa il 2% dei bambini e dei ragazzi (definiti gifted
children in ambito internazionale), mentre il 6% dei bambini possiede delle abilità cognitive collocabili nel
range delle “alte potenzialità”.

Entrambe queste categorie possiedono delle caratteristiche che li distinguono dal resto della popolazione:
uno spiccato e costante bisogno di apprendere nuove conoscenze e di approfondire quelle possedute.
Questo bisogno nei bambini plusdotati è nettamente maggiore.

Dalla rassegna degli studi recenti emerge che manca ancora una definizione univoca di plusdotazione.
Come evidenziano le linee guida del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi (2018), un elemento
necessario, ma non sufficiente, è una prestazione elevata ai test d’intelligenza, in cui risulti un Quoziente
Intellettivo (QI) uguale o superiore a 130; questo risultato non è in grado di definire la plusdotazione, ma va
interpretato come un indicatore della sua presenza. Si riscontrano inoltre delle caratteristiche comuni che
comprendono aspetti cognitivi, psicologici e relazionali: un vocabolario ampio e un linguaggio sviluppato,
processi di ragionamento precoci e avanzati, memoria eccellente, forte curiosità e interessi ampi, spiccata
empatia, tendenza alla leadership, capacità elevate di elaborazione visiva, elevato senso della giustizia e
grande impegno in situazioni di sfida (Song e Porath, 2005; Clark, 2001).

Nonostante queste caratteristiche ed un elevato QI, è importante specificare che ad un alto livello
intellettivo non sempre corrisponde una prestazione ugualmente elevata in ambito scolastico.

L’alto potenziale cognitivo può essere un fattore di rischio?


Nonostante i numerosi aspetti positivi della plusdotazione, insegnanti e genitori di questi bambini sanno
bene che il suo mancato riconoscimento costituisce un fattore di rischio e può avere delle ripercussioni sul
loro sviluppo emozionale e sociale. Spesso gli alunni ad alto potenziale vengono definiti come troppo
impulsivi, irrequieti e distratti, tendenti ad essere annoiati dalle attività scolastiche. Talvolta appaiono
ansiosi e stressati, oppure aggressivi e isolati. Per questi motivi non è raro che la plusdotazione venga
erroneamente confusa con il Disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD).

Plusdotazione: un Bisogno Educativo Speciale


La nota del MIUR 562 del 2019 inserisce ufficialmente la plusdotazione tra i Bisogni Educativi Speciali. Tale
prassi, attua la prospettiva della personalizzazione degli insegnamenti, la valorizzazione degli stili di
apprendimento individuali e il principio di responsabilità educativa.

Anche in questo caso, come per gli altri BES, la strategia da assumere è rimessa alla decisione dei Consigli di
Classe o Team Docenti che, in presenza di eventuali situazioni di criticità con conseguenti manifestazioni di
disagio, possono adottare metodologie didattiche specifiche in un’ottica inclusiva, sia a livello individuale
sia di classe, valutando l’eventuale possibilità di un percorso di personalizzazione formalizzato in un Piano
Didattico Personalizzato.

Già dal 1994 il Consiglio Europeo evidenziava che “la legge dovrebbe riconoscere e rispettare le differenze
tra individui”, ed è proprio questo l’obiettivo da perseguire: conoscere appieno le caratteristiche individuali
significa poter rispondere in maniera adeguata ai loro bisogni; gli adulti di riferimento possono così offrire
le migliori opportunità di crescita che un bambino/ragazzo con plusdotazione richiede per lo sviluppo delle
proprie abilità.

La valutazione
Considerando l’importanza di individuare i bambini e i ragazzi plusdotati in modo che le loro potenzialità
possano essere riconosciute e valorizzate, è fondamentale che uno psicologo effettui un’accurata
valutazione del profilo cognitivo. Di seguito i passaggi individuati dal CNOP:
Osservazione: per cogliere tutti gli aspetti legati alla comunicazione non verbale e al modo di relazionarsi
con l’adulto.
Colloquio con il bambino/ragazzo: l’obiettivo è quello di comprendere il livello di adattamento e di
benessere del bambino/ragazzo nei contesti scolastici e in quelli extrascolastici, le relazioni sociali e gli
interessi principali.
Colloquio con i genitori: la finalità è quella di capire in base a quali elementi hanno ritenuto che il bambino
possa essere plusdotato. Si approfondiscono il grado di adattamento, le relazioni sociali e le attività
scolastiche ed extrascolastiche.
Test di livello intellettivo: il maggiormente utilizzato è la scala WISC, talvolta anche il test K-ABC. La WISC-IV
contiene delle norme apposite per chi ottiene punteggi molto elevati. E’ necessario specificare che tutti i
test di livello intellettivo devono essere sempre interpretati alla luce della storia personale del bambino, del
suo comportamento e del suo vissuto (Pfeiffer, 2015). Inoltre la stima delle abilità cognitive può mutare; di
conseguenza è consigliabile che i ragazzi ripetano la valutazione nei momenti evolutivi cruciali, come il
passaggio dei cicli scolastici.
Altri test di approfondimento: possono essere necessari altri strumenti di valutazione qualora si sospetti la
presenza di altre criticità come il Disturbo da deficit di Attenzione/Iperattività o un Disturbo
dell’Apprendimento. E’ necessario altresì escludere la presenza dei disturbi dello spettro autistico.
Restituzione e relazione: la relazione deve includere gli elementi raccolti tramite l’osservazione, quelli
emersi dai colloqui e dai test, specificando il livello cognitivo complessivo e i vari indici, il grado di
adattamento ai vari contesti, la presenza o meno di disturbi, la valutazione della plusdotazione e le
indicazioni didattiche e psicoeducative per i genitori e le altre figure significative, in primis gli insegnanti.

Le difficoltà socio-emotive nei bambini plusdotati

Benché la letteratura evidenzi che non vi sia alcun deficit nelle capacità socio-emotive dei bambini e ragazzi
plusdotati, dalla pratica clinica e dalle testimonianze degli insegnanti, emerge che ci possa essere uno
sviluppo non allineato tra gli aspetti cognitivi ed emotivi. Possono presentarsi (ed essere dunque oggetto di
attenzione e valutazione) perfezionismo patologico, conflitti interpersonali, isolamento sociale, pressione
da parte degli adulti sulla performance, assenza di condivisione di interessi con i pari. Tutte queste
caratteristiche possono costituire reali fattori di rischio per l’insorgere di problematiche emotivo-
comportamentali (Carrie, 2011). Ciò che frequentemente accade è che questi bambini percepiscono di
essere differenti e di avere interessi che non sono in sintonia con quelli del gruppo dei pari; riferiscono una
sensazione di inadeguatezza e un sentirsi rifiutati che incide in maniera significativa sul processo di
adattamento all’interno del contesto scolastico. Proprio per questi motivi talvolta questi bambini
reagiscono in maniera aggressiva in relazione ad eventi e situazioni con i coetanei.

Un altro aspetto che può essere presente è un’elevata sensibilità emotiva, ossia la tendenza ad essere iper-
sensibili di fronte a minimi cambiamenti nell’ambiente circostante e a manifestare una percettività elevata
(Fornia e Frame, 2001). Ciò può causare malessere nel bambino perché il modo in cui egli percepisce la
realtà è qualitativamente differente e non semplice da comprendere per le altre persone.

Obiettivi da perseguire
Come supportare nelle difficoltà e valorizzare le potenzialità i bambini plusdotati?

L’obiettivo principale è che la scuola acquisisca gli strumenti per individuarli. Gli insegnanti dovrebbero
riconoscere i segnali precoci e le caratteristiche, e lo psicologo dovrebbe, in seguito ad una richiesta da
parte di genitori e insegnanti, effettuare un’attenta valutazione del profilo cognitivo.

In seguito alla valutazione il bambino può essere inserito tra i Bisogni Educativi Speciali e usufruire di un
Piano Didattico Personalizzato: è fondamentale che l’ambiente scolastico sia stimolante e che riesca ad
alimentare la loro voglia di imparare e di conoscere; è indispensabile altresì che vengano lette con un’altra
ottica le difficoltà emotive e relazionali che possono presentare questi ragazzi, e che siano sostenuti
nell’affrontarle.
Imprescindibile anche stabilire una collaborazione costante tra famiglia e psicologo, che possa offrire
sostegno nell’affrontare le sfide che questi bambini possono porre e nel valorizzare le diversità e le grandi
potenzialità presenti.

Fonte https://www.stateofmind.it/2019/10/plusdotazione-bes/

Evoluzione del concetto di empatia

<<L’empatia è la capacità di comprendere appieno lo stato d'animo altrui, sia che si tratti di gioia, che di
dolore. Il significato etimologico del termine è "sentire dentro", ad esempio "mettersi nei panni dell'altro",
ed è una capacità che fa parte dell'esperienza umana ed animale>>(Wikipedia)

Il termine empatia inizia ad essere usato nel XIX secolo dagli autori tedeschi Herder e Novalis che utilizzano
questo termine per descrivere l’esperienza di fusione dell’anima con la natura (connubio di sensibilità
soggettiva e e realtà oggettiva).
Theodor Lipps (filosofo e psicologo tedesco) nel saggio “Empatia e godimento estetico” definisce invece
l’empatia come una funzione psicologica fondamentale per l’esperienza estetica. A lui oggi è ricondotta la
coniazione del termine “Einfühlung”(“immedesimazione”, “sentire dentro”).
Per Lipps, l’empatia è la percezione delle proprie forze vitali, delle proprie energie, in un oggetto sensibile.
L’esempio più eclatante dell’oggetto, nato per essere percepito “empaticamente” viene individuato
nell’opera d’arte. Studiando le illusioni ottiche di distorsione Lipps ritiene che l’osservatore tende ad
identificarsi con parti della scena e ne resta emozionalmente coinvolto; ne consegue che la percezione
visiva risulta distorta. In parallelo anche un’emozione può arrivare, per lo stesso principio a distorcere un
giudizio intellettuale.
Con Husserl l’empatia “viene a costituire la via per mezzo della quale il soggetto sperimenta l’esistenza di
soggetti altri - diversi da lui, ma facenti parte del mondo circostante - ed è contemporaneamente portato a
superare la visione del suo mondo soggettivo per giungere alla visione del mondo oggettivo”.
Diventa così una forma di comprensione intenzionale degli stati d’animo altrui non diventando però una
mera forma di imitazione o immedesimazione. L’empatia è COMPRENSIONE INTENZIONALE dei sentimenti
altrui e attraverso la relazione empatica, cioè attraverso il cogliere il vissuto altrui, modifico anche
l’immagine di me stesso.

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Stein (alunna di Husserl) a sua volta definisce l’empatia come L’“l'atto paradossale attraverso cui la realtà di
altro, di ciò che non siamo, non abbiamo ancora vissuto o che non vivremo mai e che ci sposta altrove,
nell’ignoto, diventa elemento dell’esperienza più intima cioè quella del sentire insieme che produce
ampliamento ed espansione verso ciò che è oltre, imprevisto”. Per illustrare l’empatia, fa l’esempio
seguente: «Un amico viene da me e mi dice di aver perduto un fratello e io mi rendo conto del suo dolore.
Che cos’è questo rendersi conto?» (Il problema dell’empatia, pp. 71-72). Nell’esempio l’empatia consiste
nel cogliere il dolore dell’amico, come il suo dolore, cioè appunto come un dolore non originario rispetto al
proprio vissuto.
Gradi dell’empatia
L’autrice distingue tre gradi di attuazione dell’empatia:
1) l’emersione del vissuto;
2) la sua esplicitazione riempiente;
3) l’oggettivizzazione comprensiva del vissuto esplicitato.
Il primo grado consiste nella lettura di un’espressione emotiva sul volto di qualcuno; il secondo consiste nel
dirigersi intenzionale dell’attenzione verso lo stato d’animo dell’altro. Il terzo grado pone attenzione al
dolore dell’altro.
Secondo Heinz Kohut, teorico della psicologia del sé, il bisogno di empatia non è una opzione, ma un
bisogno primario, un nutrimento psicologico, generato dalla paura di autoesclusione dal mondo.

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LE INDICAZIONI NAZIONALI DEL 2012

Le “Indicazioni Nazionali per il Curricolo della Scuola dell’Infanzia e del primo ciclo di Istruzione” sono il
testo normativo di riferimento unico per tutte le scuole italiane, sostituiscono quelli che una volta venivano
definiti “Programmi”. Sono entrate in vigore con il D.M. 254 del 16 novembre 2012.
Le Indicazioni Nazionali rappresentano una rivoluzione copernicana rispetto alle Indicazioni Nazionali del
2004 in cui emerge una nuova visione dell’alunno, della scuola e della società.
Nelle indicazioni del 2012 si sottolinea innanzitutto che l’apprendimento scolastico è soltanto una delle
esperienze formative del bambino, anzi spesso è quella che meno incide sulla quantità e sulla qualità delle
conoscenze che contraddistinguono il suo sapere; si ridefinisce l’orizzonte territoriale, "fisico", della scuola
che si è ampliato anche grazie all’utilizzo delle tecnologie (la scuola non è più chiusa in un mero edificio!); ci
si sofferma sul cambiamento che ha interessato la socialità dei bambini e degli adulti che ci ha portato
verso un analfabetismo emozionale.
In questo scenario le Indicazioni Nazionali 2012 chiedono alla scuola di mettere al centro dell’azione
educativa lo studente cooperando con gli attori extrascolastici (“...La scuola si apre alle famiglie ed al
territorio, facendo perno sugli strumenti forniti dall’autonomia scolastica, che prima di essere un insieme di
norme è un modo di concepire il rapporto delle scuole con le comunità di appartenenza, locali e nazionali”).
I docenti diventano quindi responsabili di elaborare scelte relative a contenuti, metodi e valutazione,
individuando i percorsi didattici più significativi al fine di favorire esperienze di apprendimento efficaci.
Determinante, in questo processo, il ruolo del Dirigente Scolastico “... per la direzione,il coordinamento e la
promozione delle professionalità interne e, nello stesso tempo, per favorire la collaborazione delle famiglie,
degli enti locali, e per la valorizzazione delle risorse sociali, culturali ed economiche del territorio”.
Con le Indicazioni Nazionali del 2012 si passa dall’alunno che sa, all’alunno competente.
Alla base dell’elaborazione del curricolo e della programmazione ci sono le otto competenze chiave indicate
nelle Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008, introduttiva del Quadro
Europeo delle Qualifiche (EQF):
1. Comunicazione nella madrelingua
2. Comunicazione nelle lingue straniere
3. Competenze di base in matematica, scienze e tecnologia
4. Competenza digitale
5. Imparare ad imparare
6. Competenze sociali e civiche
7. Spirito di iniziativa e intraprendenza
8. Consapevolezza ed espressione culturale
Nelle Indicazioni Nazionali vengono inoltre definiti i concetti di Conoscenza, Abilità e Competenza.
Si definiscono Conoscenze le informazioni relative ad un settore di studio o lavoro assimilate attraverso un
processo di apprendimento (Possono essere conoscenze teoriche o pratiche).
Si definiscono Abilità le capacità di applicare le conoscenze per svolgere un compito o risolvere un
problema (Possono essere cognitive o pratiche)
Si definiscono Competenze le capacità di utilizzare conoscenze, abilità e capacità personali in situazioni di
lavoro, di studio, di vita reale con senso di responsabilità ed autonomia.
Il profilo delle competenze è prescrittivo ed è suddiviso in traguardi per lo sviluppo e disciplina per
disciplina.
Per il raggiungimento dei traguardi di sviluppo, vengono definiti, disciplina per disciplina, anche degli
obiettivi di apprendimento (conoscenze e abilità disciplinari).

Howard Gardner, La Teoria delle Intelligenze Multiple e il ruolo della scuola


Gli studi di Howard Gardner e la pubblicazione del suo libro Frames of Mind nel 1983 hanno scardinato un
pilastro secolare secondo cui l’intelligenza era qualcosa di “unico” e fisso, nonché di misurabile (test QI).
Queste certezze vennero meno con la Teoria delle Intelligenze Multiple, secondo la quale non esiste una
facoltà comune di intelligenza, bensì diverse forme di essa, ognuna indipendente dalle altre.

La Teoria delle Intelligenze Multiple si basa sul concetto che tutti gli esseri umani possiedono almeno sette
forme di “rappresentazione mentale”, cioè sette diversi tipi di intelligenze:

1. Intelligenza linguistica: tipo d’intelligenza legata alla capacità di saper utilizzare un registro linguistico di
ampia portata.
2. Intelligenza logico-matematica: simboli matematici e concetti astratti sono alla base di questa facoltà
incentrata sul ragionamento deduttivo, sulle capacità di schematizzare e sulla possibilità di elaborare
sistemi logico-formali e numerici.
3. Intelligenza spaziale: intelligenza legata alla lettura, percezione e rappresentazione di forme e oggetti
nello spazio.
4. Intelligenza corporea- cinestetica: assoluta padronanza del corpo che permette di coordinare movimenti
precisi e ponderati, ma anche di gestire lo sforzo muscolare in vista di un obiettivo.
5. Intelligenza musicale: vero e proprio talento per la musica e il canto, l’intelligenza musicale permette di
conoscere a diversi livelli la grammatica degli strumenti, corpo umano incluso.
6. Intelligenza interpersonale: permette di comprendere gli stati emotivi e i sentimenti degli altri; di
costruire relazioni sociali vantaggiose; e di creare situazioni d’incontro e d’interazione sociale, anche per i
propri scopi.
7. Intelligenza intrapersonale: offre la possibilità di comprendere la propria individualità e la propria
personalità,
8. Intelligenza naturalistica: è l’espressione della capacità di individuare gli “oggetti naturali” e di classificarli
all’interno di sistemi e strutture che permettono così di evidenziarne le relazioni e i significati.
9. Intelligenza esistenziale: vera e propria intelligenza filosofica che permette all’essere umano
d’interrogarsi sui grandi temi esistenziali.

L’essere umano, quindi, ha in sé diverse forme d’intelligenza. La personalità di ognuno di noi è


caratterizzata da un personale “profilo intellettivo” frutto dell’eredità genetica, culturale ed esperienziale,
che la scuola non può lasciare da parte.

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La scuola dovrebbe accettare il fatto che tutte le tipologie d’intelligenza sono importanti nella nostra
società. I processi d’apprendimento dovrebbero quindi promuovere delle forme di comunicazione
strategiche e funzionali alla comprensione e al problem-solving.
Il bambino non deve essere considerato come una tabula rasa o un vaso vuoto da riempire, ma piuttosto
come un “potenziale” umano inserito in un contesto sociale e simbolico interattivo.

Nel libro Cinque chiavi per il futuro, Gardner sposta l’attenzione sul nostro avvenire, e in particolare su
quello dei bambini e dei ragazzi. Interrogandosi su quali intelligenze o meglio “mentalità” saranno utili ai
cittadini del futuro.
Secondo Gardner, sono cinque le intelligenze o chiavi necessarie per aprire le porte del futuro:
1. l’intelligenza disciplinare ovvero la padronanza delle maggiori teorie e interpretazioni del mondo
(comprese scienza, matematica, storia);
2. l’intelligenza sintetica ovvero la capacità di integrare idee e conoscenze di diverse aree disciplinari in un
insieme coerente;
3. l’intelligenza creativa ovvero la capacità di affrontare la soluzione di problemi nuovi;
4. l’intelligenza rispettosa ovvero la consapevolezza delle differenze tra uomini e culture diverse;
5. l’intelligenza etica ovvero la consapevole accettazione della propria responsabilità personale e generale.

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Le 8 COMPETENZE EUROPEE
2006 o 2018?

«Ogni persona ha diritto a un'istruzione, a una formazione e a un apprendimento permanente di qualità e


inclusivi, al fine di mantenere e acquisire competenze che consentono di partecipare pienamente alla
società e di gestire con successo le transizioni nel mercato del lavoro. Ogni persona ha diritto a
un'assistenza tempestiva e su misura per migliorare le prospettive di occupazione o di attività autonoma.
Ciò include il diritto a ricevere un sostegno per la ricerca di un impiego, la formazione e la riqualificazione».
(Pilastro europeo dei diritti sociali proclamato da Parlamento, Consiglio e Commissione il 14 novembre
2017)
Nello stesso documento leggiamo anche che le competenze chiave (tutte di pari importanza) sono quelle
«necessarie per l'occupabilità, la realizzazione personale, la realizzazione personale, la cittadinanza attiva e
l'inclusione sociale» e sono «una combinazione di conoscenze (fatti e cifre, concetti, idee e teorie che sono
già stabiliti e che forniscono le basi per comprendere un certo settore o argomento), abilità (capacità di
eseguire processi ed applicare le conoscenze esistenti al fine di ottenere risultati) e atteggiamenti
(disposizione e mentalità per agire o reagire a idee, persone o situazioni)».

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Un raffronto sintetico tra le COMPETENZE CHIAVE DEL

20061) comunicazione nella madrelingua


2) comunicazione nelle lingue straniere
3) competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia
4) competenza digitale
5) imparare a imparare
6) competenze sociali e civiche
7) spirito di iniziativa e imprenditorialità
8)consapevolezza ed espressione culturale

2018

1)competenze alfabetiche funzionali


2) competenze linguistiche
3)competenze matematiche e competenze in scienze, tecnologie e ingegneria
4)competenze digitali
5)competenze personali, sociali e di apprendimento
6)competenze civiche
7)competenze imprenditoriali
8)competenze in materia di consapevolezza ed espressione culturale

Cosa cambia in pratica?


La versione emanata nel 2018 ha come obiettivo quello di migliorare lo sviluppo delle competenze chiave
delle persone di tutte le età durante tutto il corso della loro vita, fornendo una guida agli Stati membri su
come raggiungere questo obiettivo in un’ottica di lifelong learning.
Il documento considera da un lato i cambiamenti economici, sociali e culturali avvenuti nel dodicennio
2006-2018 dall’altro pone attenzione alle difficoltà che i giovani manifestano nell’apprendere le
competenze di base (alfabetizzazione). In virtù di ciò emerge la necessità di far sviluppare maggiori
competenze imprenditoriali, sociali e civiche, ritenute indispensabili “per assicurare resilienza e capacità di
adattarsi ai cambiamenti”.
Nel "Libro bianco sul futuro dell'Europa" (2017) la Commissione inserisce una lente di ingrandimento
sull’evolversi delle professioni nel futuro e sulla necessità quindi di creare una scuola che formi in maniera
adeguata i bambini di oggi.
Abbiamo necessità di una scuola che educhi alla creatività, al pensiero critico, allo spirito di iniziativa e alla
capacità di risoluzione di problemi elementi indispensabili per imparare a gestire i continui cambiamenti
della nostra società.
ALLORA a quali competenze chiave dobbiamo far riferimento?
In una scuola delle competenze sicuramente è necessario fare riferimento alla nuove competenze chiave
europee, tenendo comunque presente che sono un’integrazione e una rivisitazione di quelle del 2006!!!!

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Piano Nazionale Scuola Digitale: CODING E PENSIERO COMPUTAZIONALE

Il PNSD prevede la realizzazione di attività volte allo sviluppo delle competenze digitali degli studenti, il
potenziamento degli strumenti didattici e laboratoriali necessari a migliorare la formazione e i processi di
innovazione delle istituzioni scolastiche.
L’obiettivo è quello di introdurre le nuove tecnologie nelle scuole, diffondere l’idea di apprendimento
permanente (life-long learning) ed estendere il concetto di scuola dal luogo fisico a spazio di
apprendimento virtuali utilizzando le risorse economiche previste dalla legge della buona scuola e dai Fondi
strutturali Europei (Pon Istruzione 2014-2020).
Il documento è articolato in 35 punti.

Con il PNSD VENGONO INCENTIVATE LE NUOVE TECNOLOGIE:


- le tecnologie entrano in classe con il compito di supportare la didattica
- studenti e i docenti interagiscono con modalità didattiche costruttive e cooperative informatizzate che
diventano catalizzatori dell’apprendimento
- Le app diventano ambienti o strumenti di apprendimento
- La didattica assume una valenza altamente operativa

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Tra GLI SCOPI DEL PSND troviamo lo sviluppo del pensiero computazionale, necessario per affrontare le
esigenze della società contemporanea e futura.
Leggiamo infatti sul PSND
“(...) Ed è in questo contesto che va collocata l’introduzione al pensiero logico e computazionale e la
familiarizzazione con gli aspetti operativi delle tecnologie informatiche. In questo paradigma, gli studenti
devono essere utenti consapevoli di ambienti e strumenti digitali, ma anche produttori, creatori,
progettisti.”

ll modo più semplice e divertente di sviluppare il pensiero computazionale è attraverso la programmazione


(coding) in un contesto di gioco.

Il CODING è una pratica (NON UNA METODOLOGIA) che consente agli studenti di imparare a programmare
partendo dal gioco e in questa ottica si propone come UNO STRUMENTO DI APPRENDIMENTO.
Il coding mette la programmazione al centro di un percorso dove l’apprendimento percorre strade nuove
ed è al centro di un progetto che ha come fine ultimo facilitare lo sviluppo del problem solving. Con il
coding gli alunni programmano per apprendere.

Come fare coding a scuola?


Possiamo utilizzare Scratch o Scratch Jr. o gli I giochi del sito code.org.
I bambini giocano e attraverso il gioco devono vincere delle sfide: vincere le sfide significa aver risolto in
modo adeguato il problema. In questo “gioco” il bambino inconsapevolmente avrà scritto le righe di un
codice informatico: parliamo in questo caso di programmazione a blocchi o programmazione visuale.

Per approfondire vi consiglio di leggere il


Link sottostante
https://www.rizzolieducation.it/content/uploads/2018/07/Carta_e_matita.pdf?x15134

DDI DIDATTICA DIGITALE INTEGRATA

Il Ministero dell’Istruzione ha pubblicato sul proprio sito le Linee Guida per la Didattica Digitale Integrata
(DDI), previste dal Piano per la ripresa di settembre presentato lo scorso 26 giugno e passate al vaglio del
Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione.
Il documento contiene indicazioni operative affinché ciascun Istituto scolastico possa dotarsi, capitalizzando
l’esperienza maturata durante i mesi di chiusura, di un Piano scolastico per la didattica digitale integrata. In
particolare, il Piano per la DDI dovrà essere adottato nelle secondarie di secondo grado anche in previsione
della possibile adozione, a settembre, della didattica digitale in modalità integrata con quella in presenza.
Mentre dall’infanzia alla secondaria di primo grado, il Piano viene adottato affinché gli istituti siano pronti
“qualora si rendesse necessario sospendere nuovamente le attività didattiche in presenza a causa delle
condizioni epidemiologiche contingenti”.
Già durante lo scorso anno scolastico tutti gli alunni della Scuola Primaria hanno partecipato al Progetto
“Liberi di pensare nell’era digitale”, primo approccio all’ informatica come disciplina trasversale a tutte le
altre. Quest’anno, anche grazie al nuovo laboratorio, l’informatica sarà un potente alleato per rendere
appetibili, divertenti e produttivi i contenuti disciplinari proposti dai docenti, favorendo la competenza
digitale e creando nuovi ambienti di apprendimento.
Dall’idea tradizionale di Laboratorio d’informatica nella didattica digitale integrata si passa alla tecnologia
che entra in “classe” – a prescindere se in aula o a casa – e, adottando metodologie e strumenti tipici
dell’apprendimento attivo, supporta la didattica quotidiana.
In questa prospettiva compito dell’insegnante è quello di creare ambienti sfidanti, divertenti, collaborativi
in cui:
valorizzare l’esperienza e le conoscenze degli alunni;
favorire l’esplorazione e la scoperta;
incoraggiare l’apprendimento collaborativo;
promuovere la consapevolezza del proprio modo di apprendere;
alimentare la motivazione degli studenti;
attuare interventi adeguati nei riguardi delle diversità (Disturbi Specifici dell’Apprendimento e Bisogni
Educativi Speciali).

L’uso digitale, quindi, consente di potenziare la didattica in presenza, e permette di acquisire strumenti
sempre utili, sia per il ritorno alla normalità nelle aule sia in caso di formule miste o nella peggiore delle
ipotesi di una nuova sospensione della didattica in presenza.
Per quanto riguarda l’eventuale Didattica a Distanza, i docenti rimoduleranno le Progettazioni Didattiche
individuando i contenuti essenziali delle discipline, i nodi interdisciplinari, gli apporti dei contesti non
formali e informali all’apprendimento, al fine di porre gli alunni, pur a distanza, al centro del processo di
insegnamento-apprendimento per sviluppare quanto più possibile autonomia e responsabilità.
In allegato le linee guida del Ministero
LA SINDROME DI HIKIKOMORI

Hikikomori è un termine coniato in Giappone composto da due parole “hiku” che significa “tirare” e
“komoro” che significa “ritirarsi” e viene utilizzato per descrivere lo stato di coloro che decidono di isolarsi
dalla realtà esterna, per vivere in uno stato di autosegregazione.

MISTER HYDE DELLA TECNOLOGIA


I nostri figli sono nativi digitali, sono abituati a vedere noi genitori con smatphone e telefoni e per loro LA
TECNOLOGIA è diventata un prolungamento di una mano. L’uso delle tecnologie è tanto positivo quanto
pericoloso se non adeguatamente filtrato e gestito da un adulto. Il web NEL SUO ESSERE INTERATTIVO
presenta immagini e contenuti accattivanti, favorisce l’interazione tra individui annullando le distanze.

Infatti nel mare del web abbiamo amici in tutto il mondo, amici che sono geograficamente lontanissimi ma
ad una portata di un clik: nella tecnologia NON SIAMO SOLI. Le comunicazioni sono velocissime, avvengono
in tempo reale e hanno un filtro importantissimo che si contrappone tra noi e il web: il MONITOR. Quel
monitor che i nostri figli hanno davanti agli occhi rappresenta uno scudo di protezione, attraverso cui
possono essere chi sono, ma anche diventare ciò che non sono ma che vorrebbero essere. Il web consente
a chiunque di comunicare e utilizzare quelle 1000 facce di cui parlava Pirandello in Uno, Nessuno,
Centomila per piacere a tutti e per avere tanti “amici” sentendosi ACCETTATI DA TUTTI:

“AMICI” perché i nostri figli hanno tantissimi amici, 5000, 6000,10000…..ma poi non escono con nessuno o
quasi,

Sono tanto socievoli nel web quanto impacciati nella relazione interpersonale quotidiana: occhi bassi, voce
tremolante, sguardo rivolto al telefonino……e nel momento in cui sono fisicamente vicini al loro amico non
ci parlano direttamente ma ci chattano attraverso WhatsApp.

I nostri ragazzi non sono più in grado di socializzare e molto spesso, quello strumento che doveva essere un
facilitatore e un miglioratore della realtà quotidianità, diventa una prigione.

I ragazzi più fragili, più timidi, più insicuri restano ingabbiati dal web, perché le loro caratteristiche
individuali sul web possono essere nascoste e l’interazione diviene semplice: le realtà quotidiane analizzate
dalla sociologia (come ad esempio la gestione delle crisi nel rapporto di socializzazione) vengono meno e in
questo modo i nostri ragazzi di cristallo si sentono protetti.

Ed è proprio in questo momento, proprio nel momento in cui il nostro ragazzo si accorge che nel web “NON
RISCHIA NULLA” che le sbarre del web si chiudono e i nostri ragazzi restano intrappolati nel suo interno.

Quando parliamo di HIKIKOMORI però parliamo anche di SCELTA CONSAPEVOLE, perché i nostri ragazzi
decidono VOLONTARIAMENTE E CONSAPEVOLMENTE di chiudere la porta della loro camera e di non uscire
più fuori: nella loro stanza l’unica finestra che hanno sul mondo è il computer e in quel mondo virtuale
vivono la loro quotidianità.

GENERAZIONE H

E’ un’emergenza sociale cha la Dottoressa Maria Rita Parsi affronta nel suo libro “GENERAZIONE H”, H come
HIKIKOMORI, H come la bomba di Hiroshima parallelismo che ci riporta ai danni della bomba atomica,
danni equiparati alla dipendenza che la tecnologia rischia di avere sui nostri ragazzi.

La sindrome di Hikikomori nasce in Giappone, ma si sta sviluppando a macchia d’olio anche in ITALIA: è una
crisi sociale che gli insegnanti e i genitori NON DEVONO TRASCURARE.

CARATTERISTICHE DELL’HIKIKOMORI
Quali sono le caratteristiche dei ragazzi affetti da sindrome di Hikikomori?

Ce lo spiega l’associazione Hikikomori Italia

· caratteriali: gli hikikomori sono ragazzi spesso intelligenti, ma anche particolarmente introversi e
sensibili. Questo temperamento contribuisce alla loro difficoltà nell'instaurare relazioni soddisfacenti e
durature, così come nell'affrontare con efficacia le inevitabili difficoltà e delusioni che la vita riserva;
· familiari: l'assenza emotiva del padre e l'eccessivo attaccamento con la madre sono indicate come
possibili cause, soprattutto nell'esperienza giapponese. I genitori faticano a relazionarsi con il figlio, il quale
spesso rifiuta qualsiasi tipo di aiuto;
· scolastiche: il rifiuto della scuola è uno dei primi campanelli d'allarme dell'hikikomori. L'ambiente
scolastico viene vissuto in modo particolarmente negativo. Molte volte dietro l'isolamento si nasconde una
storia di bullismo;
· sociali: gli hikikomori hanno una visione molto negativa della società e soffrono particolarmente le
pressioni di realizzazione sociale dalle quali cercano in tutti i modi di fuggire.

CONCLUSIONI

Gli Antichi dicevano: IN MEDIO STAT VIRTUS e gli Antichi non sbagliavano mai.

E’ necessario che i genitori, i docenti e gli stessi ragazzi siano edotti circa le potenzialità e la pericolosità del
web per sfruttare al meglio le sue potenzialità e annullare (o quasi) i suoi rischi.

STILI COMUNICATIVI DEGLI INSEGNANTI

Gli autori Brekelmans M., Levy J. e Rodriguez R. (1993) hanno descritto 8 profili di insegnanti caratterizzati
da 8 STILI COMUNICATIVI diversi:
1- Direttivo: ambiente di apprendimento ben strutturato e orientato al compito. L’insegnate direttivo è
efficiente, completa le lezione in tempo, guida e domina le discussioni in classe e riesce generalmente ad
ottenere l’interesse degli studenti. In genere non ha uno stile molto vicino agli studenti
2- Autorevole: atmosfera ben strutturata, orientata al compito ma piacevole. L’insegnate mostra
entusiasmo ed è aperto alle richieste degli studenti. [Gli studenti considerano quello autorevole un buon
insegnante]
3-Tollerante e Autorevole: Il clima di classe è simile a quello autorevole ma in questo caso l’insegnante
sviluppa relazioni improntate ad una maggiore vicinanza con gli studenti..
4- Tollerante: clima piacevole e supportivo anche se a volte l’atmosfera in classe che si respira è di
confusione. Le sue lezioni non sono preparate bene e non stimolano gli studenti. Sembra più interessato
alle loro storie personali che alla prospettive didattiche.
5- Incerto/Tollerante: gli insegnanti con questo stile sono molto cooperativi ma non hanno la gestione della
classe. Le loro lezioni sono poco strutturate, gli argomenti presentati poco chiari e quindi non sono molto
seguiti.
6- Incerto/Aggressivo: questo stile produce in classe un disordine di tipo aggressivo. Tra insegnanti e allievi
c’è un rapporto costantemente conflittuale; i primi non riescono a gestire comportamenti provocatori e ad
ottenere l’attenzione. Non esistono regole chiare e condivise, l’insegnante non riesce ad avere un
atteggiamento equilibrato e lucido; cerca di tenere la classe ma le situazioni sfuggono al suo controllo,
viene incolpato e non prova altre modalità di dialogo e confronto. La conseguenza è che si lavora male, in
modo non proficuo e l’apprendimento ne risente.
7- Repressivo: è uno stile che struttura una classe docile ma poco coinvolta. Gli studenti seguono le regole e
sono intimoriti dagli scatti di ira dell’insegnante che reagisce in maniera forte anche alla minima
trasgressione. Si tratta di uno stile molto rigido; le lezioni sono strutturate ma la loro organizzazione non
risulta soddisfacente. La lezione è di tipo frontale, si incoraggiano molto poco le domande e si dà poco aiuto
agli studenti quando svolgono i compiti assegnati.
8- Stressato/Inefficace: è lo stile di chi si impone con molta fatica per tenere la classe e mostra molta
difficoltà a mantenere attiva l’attenzione per un periodo prolungato. L’insegnante dirige tutto l’interesse
sui contenuti ma non trasmette calore in quello che fa. Il lavoro didattico si basa sulla comunicazione di
conoscenze senza la sperimentazione di metodi alternativi.

PIRAMIDE DI MASLOW
Nel 1954 lo psicologo Maslow ideò la scala dei bisogni umani, scale che elenca una serie di bisogni esposti
in modo gerarchico, ovvero dai necessari agli effimeri in base alla loro urgenza di essere soddisfatti.
Alla base della piramide ritroviamo i bisogni essenziali per la sopravvivenza ma via via che saliamo verso
l’alto questi bisogni diventano assolutamente non vitali o indotti.

Andiamoci ad analizzare ogni gradino della piramide di Maslow:


* al base della piramide troviamo i bisogni FISIOLOGICI: tra questi trovano spazio la fame, la sete, e il sonno
ovvero i bisogni connessi alla sopravvivenza dell’individuo;
* Al secondo gradino troviamo i bisogni di SICUREZZA: tra questi troviamo la protezione, la tranquillità,
l’imprevedibilità oltre che la riduzione delle preoccupazioni. Questi elementi devono garantire all’individuo
un senso di protezione e di tranquillità;
* a metà della piramide troviamo il bisogno di APPARTENENZA: per essere amato e per amare, o far parte
di un gruppo, fino ad arrivare alla cooperazione ed alla partecipazione. Questa categoria rappresenta
l’aspirazione di ognuno di noi a essere un elemento della comunità, o in generale di una comunità nella
quale ci riconosciamo;
* al penultimo gradino troviamo il bisogno di STIMA: essere rispettato, ricevere l’approvazione e il
riconoscimento dell’altro.
* sul gradino più alto si trovano i bisogni di AUTO REALIZZAZIONE: realizzazione della propria identità in
base ad aspettative e potenzialità spesso legate ad un ruolo sociale raggiunto o aspirato. Si tratta
dell’aspirazione individuale a essere ciò che si vuole essere sfruttando le nostre facoltà mentali e fisiche per
ottenere i risultati sperati.

Maslow Sostiene che l'uomo ha un compito preciso: quello di INDIVIDUARE, SVILUPPARE e REALIZZARE LE
POTENZIALITA' che sono presenti già alla sua nascita e dare senso alla propria vita attraverso l'espressione
della sua individualità.
Introduce anche il concetto di MOTIVAZIONE inteso come “divenire ciò che potenzialmente siamo”.

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Dalla lettura di ciò è semplice dedurre l’importanza del ruolo della scuola e dei docenti nella realizzazione
degli obiettivi preposti: analogamente a quanto intende Maslow con la sua ben nota “piramide dei bisogni”
la piramide della didattica suggerisce che per salire ai gradini superiori occorre soddisfare le esigenze
indicate da quelli inferiori.
Leggiamo cosa ci dice STEFANO BOSCHI:

“Il gradino più basso, sul quale si colloca il corpo, suggerisce che fino a che lo studente non trova una giusta
collocazione alla sua dimensione corporea non potrà sviluppare in modo appropriato le funzioni superiori.
Per quanto riguarda poi il gradino più alto, quello che riguarda il bisogno di autorealizzazione, si tratta del
bisogno dei bisogni o metabisogno, quello a cui puntano tutti i bisogni.
Nessuno è soddisfatto perché mangia, beve, dorme, ha un lavoro, buone relazioni e così via, a meno che
non si senta – appunto – realizzato.
I diversi gradini della piramide della didattica formano quindi una scala: si sale il primo che permette di
salire il secondo e così via, fino a che si giunge in cima, anche se non bisogna lasciarsi ingannare.
Il bisogno di autorealizzazione viene soddisfatto ad ogni gradino, il che avviene secondo le priorità e le
modalità legate a ciascuna fascia di età e livello di scolarizzazione.
Nella scuola primaria domina il bisogno di utilizzare il corpo e di esprimersi a livello motorio attraverso il
gioco, al quale si associa il bisogno di esprimere le proprie emozioni per sentirle accolte dagli insegnanti.
Procedendo con lo sviluppo diventa sempre più importante pensare in modo pragmatico, ossia corretto e
utile sul piano formale al di là dei contenuti, possibilità che in gran parte dipende da un’adeguata gestione
delle emozioni (le quali altrimenti finiranno per interferire sull’elaborazione cognitiva).
Nel momento in cui l’elaborazione delle proprie emozioni e dei propri pensieri si attua in modo conforme ai
propri bisogni, anche quello rappresentato dalle buone relazioni può essere soddisfatto in modo sempre
più completo.
Ciò può avvenire prima con gli insegnanti poi, verso il termine delle scuole elementari, rivolgendosi al
gruppo dei pari.
Si tratta di un bisogno destinato a diventare pregnante nella scuola media e che potrà essere pienamente
soddisfatto alle superiori, giacché rappresenta un modo adulto di procedere verso l’autorealizzazione”.

La Scuola dell’Infanzia

La scuola dell’infanzia è un ambiente educativo di esperienze concrete e di conoscenze, di riflessività e


problematizzazione, che integra, in un processo di sviluppo unitario, le differenti forme del fare, del sentire,
del pensare, dell’agire relazionale, dell’esprimere, del comunicare, del gustare il bello e del conferire senso
da parte dei bambini agli apprendimenti.
Richiede attenzione e disponibilità da parte dell’adulto, stabilità e positività di relazioni umane, flessibilità e
adattabilità alle situazioni, adozione di interazioni sociali cooperative, in un clima caratterizzato da simpatia
e curiosità, affettività costruttiva, gioiosità ludica, volontà di partecipazione e di comunicazione
significativa, intraprendenza progettuale ed operativa.
Attraverso le apposite mediazioni didattiche, la scuola riconosce come connotati essenziali del proprio
servizio educativo:
- la relazione personale significativa tra pari e con gli adulti, nei più vari contesti di esperienza, come
condizione per pensare, fare ed agire;
- la valorizzazione del gioco in tutte le sue forme ed espressioni (e, in particolare, del gioco di finzione, di
immaginazione e di identificazione per lo sviluppo della capacità di elaborazione e di trasformazione
simbolica delle esperienze): la strutturazione ludiforme dell’attività didattica assicura ai bambini esperienze
di apprendimento in tutte le dimensioni della loro personalità;
- il rilievo al fare produttivo ed alle esperienze dirette di contatto con la natura, le cose, i materiali,
l’ambiente sociale e la cultura per orientare e guidare la naturale curiosità in percorsi via via più ordinati ed
organizzati di esplorazione e ricerca.

Leggiamo nel sito del MIUR che “La scuola dell’infanzia è aperta a tutti i bambini, italiani e stranieri, con
un'età compresa fra i tre e i cinque anni. Ha durata triennale e non è obbligatoria.
Questo primo segmento del percorso di istruzione concorre all’educazione e allo sviluppo affettivo,
psicomotorio, cognitivo, morale, religioso e sociale dei bambini, stimola le potenzialità di relazione,
autonomia, creatività, apprendimento, e mira ad assicurare un’effettiva eguaglianza delle opportunità
educative.
La scuola dell’infanzia, nel rispetto del ruolo educativo dei genitori, contribuisce alla formazione integrale
dei bambini e, nella sua autonomia e unitarietà didattica e pedagogica, realizza la continuità educativa con
la scuola primaria (articolo 2, legge 53 del 28 marzo 2003).
Il Decreto del Presidente della Repubblica 89 del 2009 ha disciplinato il riordino della scuola dell’infanzia (e
del primo ciclo)”
I campi di esperienza

I campi d’esperienza sono contesti di apprendimento che tengono conto dei diversi linguaggi espressivo-
comunicativo e relazionale, dei processi di apprendimento, degli obiettivi di apprendimento, delle abilità
funzionali al raggiungimento delle competenze di base.

Ma cosa si intende, praticamente, con l'espressione campo di esperienza?

"Anzitutto, uno spazio circoscritto dell'esperienza culturale umana, in cui si attivano particolari
comportamenti evocati dalle parole e dagli altri segni utilizzati per comunicare. Le espressioni verbali e i
segni (i codici simbolico-culturali)... attivano immagini, ricordi, conoscenze sui fenomeni; evocano vissuti,
modi di fare, procedure per trovare soluzioni... Il campo di esperienza è uno strumento molto utile per
organizzare le attività di insegnamento/apprendimento. All'interno del campo di esperienza, negli
Orientamenti del '91 in modo più esplicito, nei successivi programmi in modo sottinteso, troviamo le
coordinate specifiche dei sistemi simbolico culturali che vi appartengono: obiettivi, metodi, dimensioni di
sviluppo del bambino, strategie privilegiate, traguardi di sviluppo della competenza..." (tratto dalla rivista
"Scuola dell'Infanzia").

Il concetto di campo di esperienza è stato introdotto dagli Orientamenti del 1991 per delineare settori
specifici di competenza, definiti "i diversi ambienti del fare e dell'agire del bambino e quindi i settori
specifici ed individuabili di competenza nei quali il bambino conferisce significato alle sue molteplici attività,
sviluppa il suo apprendimento, acquisendo anche le strumentazioni linguistiche e procedurali, e persegue i
suoi traguardi formativi, nel concreto di una esperienza che si svolge entro i confini definiti e con il costante
suo attivo coinvolgimento".
Dal 1991 al 2012 i nomi dei diversi campi e il loro numero è cambiato varie volte.

Vediamo i campi di esperienza che oggi sono in vigore:

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Il se e l’altro

È il campo dello sviluppo della personalità, di come il bambino si pone nel mondo e si definisce, maturando
idee, stati d’animo, sensibilità, abilità d’osservazione e di relazione tra se e l’altro.
Osserva il mondo e la realtà circostante, pone domande, fa relazioni, richiede spiegazioni agli adulti. Si pone
le prime domande sulla spiritualità e la fede, partecipa alle tradizioni della famiglia e della comunità di
appartenenza, si apre alle diverse culture e costumi. Si accorge di essere uguale e diverso e lo riconosce
nell’altro, sperimenta di poter essere accolto o escluso e di poter a sua volta accogliere ed includere. Si
confronta sui primi orientamenti morali, su ciò che è giusto e sbagliato. Pone domande sull’esistenza di Dio,
la vita e la morte, la gioia ed il dolore.
Si definisce ed articola progressivamente la propria identità di ciascun bambino/a come consapevolezza del
proprio corpo, della propria identità, personalità. Scopre il limite e la volontà, il desiderio e le
difficoltà/possibilità di realizzarlo, diventa consapevole dell’adulto come soggetto che contiene e protegge,
che indica regole e sostiene desideri. Si pone davanti ai conflitti e alla possibilità di risolverli cogliendo
anche il punto di vista degli altri attraverso la mediazione.
Dà un nome ai sentimenti, alle emozioni e agli stati d’animo, sperimenta il piacere, la frustrazione e il
dolore. È il campo elettivo in cui doveri e diritti, i primi concetti di cittadinanza e delle regole sociali si fanno
sempre più evidenti e sostanziali.
Acquisiscono nella scuola comportamenti volti all’incontro, al dialogo, alla cura, al rispetto e al
rafforzamento di comportamenti democratici e socialmente accettabili, in coerenza con le indicazioni
familiari, presupposto della convivenza civile e dell’idea di cittadino di domani.
Il corpo e il movimento

È il campo della conoscenza del proprio corpo in relazione ai movimenti, al gesto, alle emozioni provate, al
coordinamento con gli altri.
Del corpo visto in tutte le sue potenzialità espressive e comunicative apprese attraverso percorsi specifici di
apprendimento motorio integrando diversi linguaggi:
- dal gesto alla parola
- la produzione e fruizione di musica
- l’accompagnare narrazioni
- la costruzione dell’immagine di sé
- l’elaborazione dello schema corporeo
Attività di vita quotidiana e pratica, uso di piccoli strumenti, giochi motori e psicomotori educazione alla
salute e corretta alimentazione ed igiene personale completano la conoscenza del proprio se corporeo.
Verranno inoltre sviluppati la capacità di leggere ed interpretare i messaggi proveniente dal proprio e
dall’altrui corpo, rispettandoli ed avendone cura
Si sviluppa inoltre la capacità di esprimersi attraverso il corpo per giungere a:
o affinare le capacità sensopercettive
o orientarsi nello spazio e nel tempo
o muoversi e comunicare in modo personale e
creativo.

Immagini, suoni e colori

È il campo dell’immaginazione e della creatività, dell’arte e dell’educazione al bello e al sentire estetico.


L’esplorazione di diversi materiali a disposizione consente di avviare il bambino alle prime forme artistiche.
I linguaggi a disposizione del bambino: voce, gesto, drammatizzazione, suono, suono, musica
manipolazione, esperienze grafico-pittoriche e i mass- media sono educati per sviluppare il senso del bello,
la conoscenza di se stessi e della realtà.
L’incontro con l’arte in tutte le sue manifestazioni, i materiali esplorati con i sensi, le tecniche sperimentate
nei laboratori, le osservazioni dei luoghi artistici e culturali del territorio e di opere all’interno dei musei,
aiuteranno a sviluppare capacità percettive, e avvicinare alla cultura e al patrimonio artistico.
La conoscenza ed esperienza della musica in tutto il suo universo e patrimonio espressivo e artistico,
insieme ai nuovi linguaggi della comunicazione mass- mediale e digitale favoriscono possibilità creative ed
espressive nuove e stimolanti.

I discorsi e le parole

È il campo della lingua in tutte le sue funzioni e forme. La competenza linguistica nella scuola dell’infanzia è
finalizzata a rendere il pensiero e la comunicazione sempre più complessa e definita, attraverso il
confronto, l’esperienza concreta e l’osservazione.
La lingua è il mezzo per esprimersi in modi personali e creativi sempre più articolati, includendo la lingua
materna come parte dell’identità storico-culturale di ciascuno e come elemento di confronto con altre
lingue di mondi e culture diverse.
I bambini attraverso un ambiente linguistico vario e creativo imparano a chiedere spiegazioni, confrontare
diversi punti di vista, progettare giochi, elaborare conoscenze, farsi domande su se stessi e il mondo;
descrive, comunica, racconta, immagina.
Imparano ad ascoltare storie, e a dialogare con adulti e compagni, ampliando la padronanza della lingua
italiana e nel rispetto della lingua d’origine.
Percorsi didattici appropriati amplieranno la competenza lessicale, la corretta pronuncia dei suoni, la
struttura della frase, la modalità di interazione verbale contribuendo ad uno sviluppo del pensiero logico e
creativo.
Conoscenza del mondo

È il campo dell’esplorazione scientifica, dei numeri e dello spazio.


I bambini esplorano la realtà ed imparano ad osservare, riflettere, fare domande ordinandole,
rappresentandole e riorganizzandoli con criteri diversi, utilizzando codici e modalità che fanno riferimento
all’esperienza scientifica che verrà poi ampliata nella scuola primaria.
Nel fare domande e chiedere spiegazioni si incontrano con le idee dell’altro e sperimentano le proprie
convinzioni attraverso una flessibilità di pensiero che li porta da una parte a sostenere le proprie idee
dall’altra a riconoscere che l’altro può avere una visione più funzionale della sua, senza scoraggiarsi.
Il pensiero logico allenato dalle modalità scientifiche amplifica ed arricchisce il linguaggio, l’uso di simboli e
l’interconnessione delle esperienze e del sapere. Oggetti, fenomeni, viventi.
I bambini elaborano la prima organizzazione fisica del mondo esterno attraverso esperimenti ed esperienze
concrete. Conoscono le caratteristiche della realtà (luce/ombre, effetti delle diverse temperature sui
materiali e sulle variazioni climatiche). Imparano ad organizzare il tempo e lo spazio, la velocità del
movimento e degli oggetti nello spazio intuendone durata, differenze, e prime idee di contemporaneità.
Toccando, smontando, costruendo e ricostruendo individuano le proprietà degli oggetti e degli animali,
riconoscono e danno nome alle proprietà individuate, cercano di capire come funzionano anche
ipotizzando ed intuendo cambiamenti e trasformazioni
Numero e spazio
Ragionando sulle quantità e sul numero degli oggetti i bambini acquisiscono le prime competenze sul
contare, del togliere, dell’aggiungere e del dividere. Si avviano così alla prima struttura del numero e delle
operazioni. Gradualmente avviano i primi processi di astrazione imparando ad utilizzare simboli
propriamente matematici.
Muovendosi nello spazio eseguono percorsi più idonei a raggiungere una meta prefissata, elaborano le
prime mappe, indicano le prime direzioni spaziali.
Sanno descrivere le forme di oggetti tridimensionali riconoscendo le forme geometriche di base ed
individuandone le proprietà.
Operano e giocano con materiali strutturati, costruzioni, giochi da tavolo di vario tipo.

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Tinkering
Tinkering è un termine inglese che si traduce in “armeggiare, adoperarsi, darsi da fare”.
Il Tinkering è un approccio innovativo per l’educazione alle STEM (termine utilizzato per indicare le
discipline scientifico-tecnologiche), il cui uso è consigliato anche nel PIANO NAZIONALE SCUOLA DIGITALE.
Il tinkering rientra tra le forma di apprendimento informale che consentono di imparare mettendosi
direttamente in gioco. Approcciare al tinkering significa pertanto non avere l’esigenza del possesso di
particolari prerequisiti, l’unica caratteristica indispensabile è avere voglia di scoprire e inventare. Questo
metodo incoraggia a sperimentare (un apprendimento che potremmo definire per prove ed errori)
stimolando l’attitudine alla risoluzione dei problemi, insegnando a lavorare in gruppo. Con il tinkering
bambini e adolescenti possono accostarsi a discipline come l’arte, la scienza e la tecnologia senza l’assillo di
dover memorizzare concetti teorici perché ciò che conta è la PRATICA.

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Le attività vengono lanciate sotto forma di gioco o sfida e devono avere una caratteristica specifica: devono
essere realizzate in gruppo. Lo scopo del tinkering è realizzare oggetti di vario genere utilizzando materiali
di recupero, facilmente reperibili anche in casa: Scatole, bicchieri, fogli di carta, pezzi di legno, fili metallici,
involucri di plastica sono solo alcuni degli “ingredienti” che servono per mettersi all’opera per costruire
costruire o decomporre oggetti, progettare macchine, esplorare materiali o elementi meccanici, creare
artefatti originali o reazioni a catena, circuiti elettrici, piccoli robot, giocattoli meccanici, piste per biglie,
meccanismi di reazione a catena, sculture.
la Pedagogia di riferimento per il tinkering è il costruttivismo di Dewey e Piaget

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modello dell'apprendistato cognitivo


Il modello dell'apprendistato cognitivo, sviluppato soprattutto da Allan Collins, da John Seely Brown e da
Susan Newman, cerca di raggiungere un'integrazione tra i caratteri della scuola formale e
dell'apprendistato.
L’obiettivo è Far APPRENDERE A FARE CIO’ CHE NON SI SA FARE FACENDOLO.
L'apprendistato tradizionale impiega quattro importanti strategie per promuovere la competenza esperta:
* modelling (l'apprendista osserva ed imita il maestro che dimostra come fare);
* coaching (il maestro assiste continuamente secondo le necessità: dirige l'attenzione su un aspetto, dà
feedback, agevola il lavoro);
* scaffolding (il maestro fornisce un appoggio all'apprendista, uno stimolo, pre-imposta il lavoro, ecc.);
* fading (il maestro elimina gradualmente il supporto, in modo da dare a chi apprende uno spazio
progressivamente maggiore di responsabilità e di autonomia).

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L'apprendistato cognitivo pone grande attenzione alla dimensione metacognitiva, agli aspetti del controllo,
ed alla variazione dei contesti di applicazione. Si introducono allora altre strategie, quali: articolazione (si
incoraggiano gli studenti a verbalizzare la loro esperienza); riflessione (si spinge a confrontare i propri
problemi con quelli di un esperto); esplorazione (si spinge a porre e risolvere problemi in forma nuova).
In questo modo si riesce a raggiungere anche gli studenti più deboli portandoli progressivamente verso la
propria autoefficacia.
Nell’apprendistato cognitivo la classe diviene una comunità che apprende in cui insegnanti ed allievi
avvertono la responsabilità congiunta di apprendere ed insegnare.

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LA COMUNICAZIONE AUMENTATIVA ALTERNATIVA


In età evolutiva, più dello 0,5% della popolazione presenta disabilità complesse della comunicazione che, in
assenza di adeguati interventi, interferiscono in modo significativo con lo sviluppo, in particolare
nell’ambito cognitivo e relazionale. Diventa allora necessario potenziare le modalità di comunicazione
esistenti, affiancandole con strumenti che permettono di superare il deficit comunicativo e di riattivare le
relazioni con l’esterno, attraverso un intervento di Comunicazione Aumentativa. Questo è stato lo
strumento che ho imparato ad utilizzare per comunicare con Davide.
CHE COS’ E’?
La Comunicazione Aumentativa Alternativa è “ogni comunicazione che
sostituisce o aumenta il linguaggio verbale”.
La terminologia Comunicazione Aumentativa Alternativa (“Augmentative and Alternative Communication”,
CAA) si riferisce a tutte le
conoscenze, le tecniche, le strategie e agli ausili, tecnologici e non, che possono facilitare e migliorare la
comunicazione in persone che presentano una carenza o un’assenza temporanea o permanente, ad
utilizzare i più comuni canali comunicativi, soprattutto il linguaggio orale e scritto.
Si definisce Aumentativa perché non sostituisce ma incrementa le
possibilità comunicative naturali della persona.
Noi tutti usiamo la comunicazione aumentativa, e noi vediamo altra gente usarla tutti i giorni. Non siamo
tuttavia consapevoli di ciò.
La comunicazione aumentativa è il modo con cui le
persone comunicano senza parola. E’ la modalità di usare gesti, espressioni facciali, liste della spesa e note
scritte per aiutarci a
trasferire un messaggio.
Il termine “alternativa”, che in origine era affiancato ad “aumentativa”, è stato progressivamente
abbandonato negli anni, sia perché le situazioni in cui l’intervento è in “alternativa” al linguaggio verbale
sono
pochissime(quasi esclusivamente le malattie progressive), sia perché dava facilmente adito ad equivoci.
Si tratta di un intervento che tende a creare opportunità di reale comunicazione e a coinvolgere la persona
che utilizza la CAA e tutto i suo ambiente di vita.
Un sistema di CAA è una specie di “decodificatore immediato continuo” tra il linguaggio del bambino ed il
nostro, e viceversa.
L’attuazione di un percorso CAA deve iniziare da una attenta osservazione relazionale della persona
interessata e, possibilmente, del suo contesto esistenziale.
Tale osservazione ha un triplice scopo:
1. Inviare alla persona il messaggio di considerarla una presenza potenzialmente inter-attiva, malgrado la
sua disabilità.
2. Cogliere tutte le sue possibili vie comunicative presenti e/o
potenziali esistenti.
3. Consentire la massima attivazione dei residui funzionali e
comunicativi della persona nelle relazioni ambientali in cui verrà a trovarsi, sfruttando il massimo
potenziale di autonomia possibile nelle svariate occasioni di socializzazione.
Le varie strategie e strumenti di CAA consentono la comunicazione mediante svariate modalità funzionali:
indicazione di immagini o simboli, utilizzo di comunicatori con uscita in voce, selezione con lo sguardo su
pannelli trasparenti (Etran), computer adattati con particolari sistemi di input come tastiere speciali,
dispositivi di puntamento come mouse a testa, e altro.
Il sistema deve poter essere flessibile e su misura per ogni utente, seguendo progressivamente l’evolvere
dei bisogni nel percorso di crescita, e soprattutto coinvolgere in modo attivo il contesto di vita.
Tutti coloro che hanno a che fare con il bambino si trovano quindi a
dover imparare una nuova lingua, che come tale deve essere utilizzata in modo costante e soprattutto deve
essere sempre a disposizione del bambino.
CENNI STORICI
La CAA nasce negli anni Settanta in Canada e negli Stati Uniti, soprattutto nell’ambito delle paralisi cerebrali
infantili o di disturbi con prevalente difficoltà espressiva; si struttura negli anni ottanta, con la costituzione
dell’Associazione Internazionale di Comunicazione Aumentativa e Alternativa (ISAAC,associazione mista di
professionisti, utenti e familiari), attraverso la quale comincia a diffondersi nel mondo ed in particolare nei
paesi anglofoni. In parallelo, inizia ad ampliare i propri ambiti di intervento al ritardo mentale grave e
ad altre tipologie di disabilità con disturbi della comunicazione associati,
ed ai gravi disturbi di comprensione del linguaggio.
Negli anni Novanta gli ambiti di intervento si allargano sempre di più sia
dal punto di vista clinico (includono i disturbi transitori, l’intervento in
terapia intensiva, il ritardo mentale gravissimo, ecc.) che dal punto di
vista geografico, in particolare in Europa e in Italia.
Buona parte dei piccoli utenti evidenzia una disabilità complessa in cui
sono contemporaneamente presenti diverse aree problematiche, e ciò
rende necessaria la continua interazione di competenze professionali
diverse (neuropsichiatra infantile, psicologo, logopedista, fisioterapista,
educatore professionale, informatico, ecc.), poiché l’intervento non si
rivolge soltanto al bambino ma anche a tutte le persone che interagiscono
con lui, in un’ottica di progressiva assunzione di competenze da parte del contesto di vita che possa così
soddisfare nel tempo i bisogni comunicativi in continuo cambiamento del bambino.
In un bambino che deve crescere l’assenza di adeguate modalità per
interagire e comunicare con gli altri determina molte ricadute negative
su tutti i piani dello sviluppo: relazionale, linguistico, cognitivo, sociale ecc
In assenza di uno strumento di comunicazione è evidente che:
􏰀 le relazioni col mondo si deteriorano,
􏰀 il linguaggio si impoverisce sempre di più,
􏰀 il funzionamento cognitivo, a volte già compromesso di base,peggiora, 􏰀 lo stesso avviene per le
interazioni sociali.
Le due aree cruciali per la riuscita di un intervento di CAA sono:
1. l’intervento di comunicazione iniziale
2. il costante aggiornamento del vocabolario
In entrambe il ruolo attivo dell’ambiente è assolutamente determinante.
1. L’intervento di comunicazione iniziale
L’area della “comunicazione iniziale” include tutto il lavoro necessario a coinvolgere il bambino partendo
dai suoi interessi e dai minimi spazi d’aggancio, e a modificare/sensibilizzare l’ambiente nella direzione di
una maggiore capacità di cogliere segnali e dare ad essi risposta. Per svilupparsi, la comunicazione ha infatti
bisogno della presenza di continue esperienze positive, che consentano di sperimentare che comunicare
serve a qualcosa, che c’è un ritorno, incoraggiando così a continuare a fare domande e a cercare di
interagire col mondo che ci circonda. Un ambiente che non è ricettivo e che non gratifica gli sforzi
comunicativi
porta invece a un deterioramento della comunicazione.
In assenza di un’adeguata sensibilizzazione, l’interazione con persone che non parlano tende ad avvenire
con alcune “deformazioni” che rischiano di peggiorare ulteriormente la situazione.
Realizzare che si può comunicare e avere lo strumento per comunicare
sono passaggi essenziali. Fin da subito è necessario offrire al bambino opportunità di scelta in tutte le
situazioni possibili, in modo fortemente motivante.
All’inizio è opportuno porre attenzione ad offrire due alternative, delle
quali l’una sia gradita e l’altra no:
per poter scegliere, sperimentando gli effetti della mia scelta e conseguentemente imparando ad
assumerne la responsabilità, devo poter avere di fronte due cose che hanno effetti diversi, rispetto a me e
rispetto a cosa mi interessa.
2. Il costante aggiornamento del vocabolario
La seconda area di grande importanza, soprattutto nei ragazzi che sono arrivati alla possibilità di utilizzo di
un sistema di comunicazione più complesso, con simboli e tabelle, è rappresentata dal costruire,
condividere e soprattutto aggiornare il vocabolario di immagini.
Effettuare la valutazione di un ragazzino, avviare l’intervento, scegliere un ausilio, decidere il tipo di simboli
da usare è paradossalmente
relativamente facile, rispetto alla fatica di mantenere costantemente aggiornato il vocabolario che il
bambino ha a sua disposizione, in modo
che sia consono a quelli che sono i suoi bisogni del momento. Per noi che possiamo attingere ad un
vocabolario illimitato è difficile da
comprendere. Per esempio: fino a non molto tempo fa tutti i bambini
della scuola primaria vedevano i Pokemon alla televisione. Di conseguenza, un bambino con un sistema di
CAA sufficientemente elaborato aveva spesso scelto i Pokemon sulla propria tabella di comunicazione.
Aveva così buoni momenti di interazione e scambio con
i compagni di scuola. Immaginiamo però che qualche mese dopo i Pokemon non interessino più nessuno, e
che tutti a scuola parlino dei Digimon. Se i
Digimon non sono stati aggiunti sulla tabella, il bambino interessato non potrà in alcun modo chiacchierare
con i compagni dell’argomento del giorno. Egli infatti non può autonomamente attingere dal proprio
vocabolario interno e pronunciare le parole: è costretto ad attingere al vocabolario che noi gli mettiamo a
disposizione. Ecco perché il nostro
ruolo e quello dell’ambiente di vita è così fondamentale. Senza il nostro continuo supporto a quello che è il
vocabolario di immagini disponibile, le
possibilità di interagire per l’utente diminuiscono drammaticamente. In
un bambino che cresce , le parole che ha bisogno di usare, i commenti che possono servire, le richieste che
ha bisogno di fare si modificano
continuamente.
L’aggiornamento del vocabolario è fortemente dipendente dai contesti di
vita: famiglia, scuola, amici, conoscono le continue trasformazioni del quotidiano del
bambino o del ragazzo interessato e l’evolversi dei loro bisogni, e hanno però
bisogno di adeguata formazione e supporto per poter trasferire queste conoscenze nel
sistema di CAA dei soggetti interessati.
L’insufficiente adeguamento rappresenta purtroppo una delle cause più
frequenti di un fallimento degli interventi.
Qual è l’aiuto della tecnologia?
E’ molto importante l’uso della tecnologia che deve essere scelta su
misura dei bisogni. Da sola non porta da nessuna parte ed anzi può
determinare enormi delusioni e frustrazioni: richiede moltissimo tempo,
assistenza, competenza e attenzione perché sia resa davvero utilizzabile,
e anche di essere continuamente aggiornata e modificata, esattamente
come il vocabolario di cui parlavo prima.
L’aspetto più innovativo degli ultimi anni sono gli ausili ad uscita in voce
(VOCA).
Possono rappresentare strumenti di estrema potenza, soprattutto per i
ragazzini con autismo o con ritardo mentale grave, perché non solo viene utilizzato un simbolo, ma ad esso
è appaiata la voce, e questo consente un effetto immediato, sia sul bambino stesso, che sui compagni e gli
adulti. Mentre infatti l’utilizzo di immagini è inefficace se l’altro non sta prestando specifica attenzione (se
ad esempio guarda da un’altra parte), l’associazione della voce determina una retroazione molto più
immediata e costante, poiché l’attenzione dell’altro può essere richiamata. L’ausilio con uscita in voce
consente quindi un maggiore controllo sul contesto, è immediato, favorisce l’iniziativa comunicativa e
soprattutto consente l’autonomia del soggetto nei confronti dei propri interlocutori. Inoltre agisce
contemporaneamente in entrata e in uscita (ovvero aiuta a interiorizzare anche quelle parole sulle quali
non è ancora tanto sicuro, attraverso il loro uso funzionale) e facilita l’interlocutore.

[Da La scuola possibile - Sysform- Sistemi Formativi]

COME ATTIVARE UNA DIDATTICA INCLUSIVA IN CLASSE (alias le 7 dimensioni dell’azione didattica del
Centro Studi Erickson)

La didattica è la scienza che definisce i metodi e le tecniche per insegnare. Compito della didattica è
individuare metodi appropriati per raggiungere le finalità che si pone il processo di
insegnamento/apprendimento (leggere, scrivere, comprendere ecc.ecc.).L’inclusione scolastica rispetta le
necessità o le esigenze di tutti i soggetti interessati al processo di apprendimento (alunni), progettando ed
organizzando gli ambienti di apprendimento e le attività, in modo da permettere a ciascuno di partecipare
alla vita di classe ed all’apprendimento, nella maniera più attiva, autonoma ed utile possibile (per sé e per
gli altri). La didattica inclusiva pertanto è un modo di insegnare, che coinvolge tutti i docenti (non solo gli
insegnanti di sostegno), ed è rivolta a tutti gli alunni (non solo quindi gli alunni BES), che considera le
individualità e le peculiarità di ciascuno con il fine di raggiungere gli obiettivi che ci si è posti.
Compiti DELL’INSEGNANTE NELLA DIDATTICA INCLUSIVA:
• Adottare un modello di insegnamento democratico fatto di strategie e metodologie adeguate ai bisogni
di ciascun alunno
• Permettere ai propri alunni di esprimere serenamente le loro idee senza paura di
sbagliare (perché l’errore NIN DEVE ESSERE DEMONIZZATO).
• Valorizzare la partecipazione degli alunni mostrando loro come utilizzare e generalizzare le varie strategie
ponendosi come ESPERTO CON IL RUOLO DI MEDIATORE
Il docente inclusivo deve favorire l’instaurarsi di UN BUON CLIMA DI CLASSE rendendo la propria classe
“inclusiva”: in tal modo tutto gli alunni si sentiranno accettati, capiti, valorizzati. Si apprende in un contesto
sociale (la classe) e se l’ambiente é inclusivo si apprende in modo sereno e dinamico.

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Gli studi di Howard Gardner e la pubblicazione del suo libro Frames of Mind nel 1983 hanno scardinato un
pilastro secolare secondo cui l’intelligenza era qualcosa di “unico” e fisso, nonché di misurabile (test QI).
Queste certezze vennero meno con la Teoria delle Intelligenze Multiple, secondo la quale non esiste una
facoltà comune di intelligenza, bensì diverse forme di essa, ognuna indipendente dalle altre.

La Teoria delle Intelligenze Multiple si basa sul concetto che tutti gli esseri umani possiedono almeno sette
forme di “rappresentazione mentale”, cioè sette diversi tipi di intelligenze:

1. Intelligenza linguistica: tipo d’intelligenza legata alla capacità di saper utilizzare un registro linguistico di
ampia portata.
2. Intelligenza logico-matematica: simboli matematici e concetti astratti sono alla base di questa facoltà
incentrata sul ragionamento deduttivo, sulle capacità di schematizzare e sulla possibilità di elaborare
sistemi logico-formali e numerici.
3. Intelligenza spaziale: intelligenza legata alla lettura, percezione e rappresentazione di forme e oggetti
nello spazio.
4. Intelligenza corporea- cinestetica: assoluta padronanza del corpo che permette di coordinare movimenti
precisi e ponderati, ma anche di gestire lo sforzo muscolare in vista di un obiettivo.
5. Intelligenza musicale: vero e proprio talento per la musica e il canto, l’intelligenza musicale permette di
conoscere a diversi livelli la grammatica degli strumenti, corpo umano incluso.
6. Intelligenza interpersonale: permette di comprendere gli stati emotivi e i sentimenti degli altri; di
costruire relazioni sociali vantaggiose; e di creare situazioni d’incontro e d’interazione sociale, anche per i
propri scopi.
7. Intelligenza intrapersonale: offre la possibilità di comprendere la propria individualità e la propria
personalità,
8. Intelligenza naturalistica: è l’espressione della capacità di individuare gli “oggetti naturali” e di classificarli
all’interno di sistemi e strutture che permettono così di evidenziarne le relazioni e i significati.
9. Intelligenza esistenziale: vera e propria intelligenza filosofica che permette all’essere umano
d’interrogarsi sui grandi temi esistenziali.

L’essere umano, quindi, ha in sé diverse forme d’intelligenza. La personalità di ognuno di noi è


caratterizzata da un personale “profilo intellettivo” frutto dell’eredità genetica, culturale ed esperienziale,
che la scuola non può lasciare da parte.

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La scuola dovrebbe accettare il fatto che tutte le tipologie d’intelligenza sono importanti nella nostra
società. I processi d’apprendimento dovrebbero quindi promuovere delle forme di comunicazione
strategiche e funzionali alla comprensione e al problem-solving.
Il bambino non deve essere considerato come una tabula rasa o un vaso vuoto da riempire, ma piuttosto
come un “potenziale” umano inserito in un contesto sociale e simbolico interattivo.

Nel libro Cinque chiavi per il futuro, Gardner sposta l’attenzione sul nostro avvenire, e in particolare su
quello dei bambini e dei ragazzi. Interrogandosi su quali intelligenze o meglio “mentalità” saranno utili ai
cittadini del futuro.
Secondo Gardner, sono cinque le intelligenze o chiavi necessarie per aprire le porte del futuro:
1. l’intelligenza disciplinare ovvero la padronanza delle maggiori teorie e interpretazioni del mondo
(comprese scienza, matematica, storia);
2. l’intelligenza sintetica ovvero la capacità di integrare idee e conoscenze di diverse aree disciplinari in un
insieme coerente;
3. l’intelligenza creativa ovvero la capacità di affrontare la soluzione di problemi nuovi;
4. l’intelligenza rispettosa ovvero la consapevolezza delle differenze tra uomini e culture diverse;
5. l’intelligenza etica ovvero la consapevole accettazione della propria responsabilità personale e generale.

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A fronte di questo quadro, ecco le 7 dimensioni dell’azione didattica su cui il Centro Studi Erickson indica
come leve per incrementare i livelli di inclusione in classe e migliorare le condizioni di apprendimento di
tutti gli alunni:
1. La risorsa compagni di classe. L’apprendimento non è mai un processo solitario, ma è profondamente
influenzato dalle relazioni, dagli stimoli e dai contesti tra pari.
2. L’adattamento come strategia inclusiva.
L’adattamento più funzionale è basato su materiali in grado di attivare molteplici canali di elaborazione
delle informazioni, dando aiuti aggiuntivi e attività a difficoltà graduale. L’adattamento di obiettivi e
materiali è parte integrante del PEI e del PDP.
3. Strategie logico-visive, mappe, schemi e aiuti visivi
Per attivare dinamiche inclusive è fondamentale potenziare le strategie logico-visive, in particolare grazie
all’uso di mappe mentali e mappe concettuali.
4. Processi cognitivi e stili di apprendimento
Processi cognitivi e funzioni esecutive come attenzione, memorizzazione, pianificazione e problem solving
consentono lo sviluppo di abilità psicologiche, comportamentali e operative necessarie all’elaborazione
delle informazioni e alla costruzione dell’apprendimento. Allo stesso tempo, una didattica realmente
inclusiva deve valorizzare i diversi stili cognitivi presenti in classe e le diverse forme di intelligenza, sia per
quanto riguarda gli alunni, sia per quanto riguarda le forme di insegnamento.
5. Metacognizione e metodo di studio
Sviluppare consapevolezza in ogni alunno rispetto ai propri processi cognitivi è obiettivo trasversale a ogni
attività didattica. L’insegnante agisce su quattro livelli di azione metacognitiva, per sviluppare strategie di
autoregolazione e mediazione cognitiva e emotiva, per strutturare un metodo di studio personalizzato e
efficace.
6. Emozioni e variabili psicologiche nell’apprendimento.
Le emozioni giocano un ruolo fondamentale nell’apprendimento e nella partecipazione. L’educazione al
riconoscimento e alle gestione delle proprie emozioni e della propria sfera affettiva è indispensabile per
sviluppare consapevolezza del proprio sé.
7. Valutazione, verifica e feedback
In una prospettiva inclusiva la valutazione deve essere sempre formativa, finalizzata al miglioramento dei
processi di apprendimento e insegnamento. La valutazione deve sviluppare processi metacognitivi
nell’alunno e, pertanto, il feedback deve essere continuo, formativo e motivante ( RIBADIAMO NON SI
DEMONIZZANO GLI ERRORI!!!)

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METACOGNIZIONE e strategie didattiche metacognitive

Il termine “metacognizione”nasce nel 1971 grazie agli studi dell psicologo John H. Flavell sulla conoscenza
riguardo alla memoria e alle attività di memorizzazione che egli chiamò «metamemoria».
A partire dagli studi di John Flavell la metacognizione iniziò a designare le conoscenze e i processi che
hanno come oggetto i diversi aspetti delle differenti attività cognitive.

La metacognizione è la consapevolezza e la conoscenza delle proprie capacità emotive e conoscitive. In


didattica si parla di metacognizione quando si ha coscienza delle propria abilità, dei propri tempi di
apprendimento, dei propri processi di apprendimento.
L’attività metacognitiva ci permette, tra l’altro, di controllare i nostri pensieri, e quindi anche di conoscere e
dirigere i nostri processi di apprendimento.
Come possiamo stimolare i ragazzi a capire come lavora la mente? Possiamo farlo attraverso delle
domande guida da porre agli alunni:”Perché pensi che il compito sia difficile?”, “Perché hai rinunciato a
farlo?”, “Perché hai fatto proprio così?”. Queste sono riflessioni che se approfondite pienamente possono
aiutare il bambino/ragazzo a mettere in gioco delle strategie di risoluzione di problemi (problem solving).

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Quali sono le principali strategie didattiche metacognitive?:


1. Strategia di selezione
La strategia di selezione «comporta la scelta delle informazioni ritenute rilevanti, sulle quali è importante
soffermarsi.
2. Le strategie organizzative «comportano la connessione fra vari pezzi di informazione che stiamo
apprendendo. Perciò organizziamo l’informazione in ordine logico.... La mappa concettuale è una strategia
organizzativa importante per tutti i gesti metacognitivi conclusivi di un percorso di apprendimento».
3. Strategia di elaborazione
La strategia di elaborazione «comporta il legame della nuova informazione con quanto già si conosce».
4. Strategia di ripetizione
La strategia di ripetizione «è basata sulla ripetizione nella propria mente (con parole, suoni o immagini)
dell’informazione, sino a completa padronanza. La memorizzazione è, dunque, l’evento conclusivo di
ripetute evocazioni mentali dell’informazione o della percezione.........Il bravo insegnante, in classe,
concede spazi temporali adeguati, perché gli allievi possano memorizzare all’istante i concetti. Una volta
che è stata identificata la strategia più utile per apprendere, si stabilisce come e quando applicarla. Questo
è quello che chiamiamo atto metacognitivo.»[Valitutti G., La scuola del successo e la metacognizione, in
http://educa.univpm.it/strategie/scusumet.html].

Il professor Dario Ianes nel saggio Metacognizione e insegnamento riassumere gli elementi costitutivi della
didattica metacognitiva:
1) le conoscenze sul funzionamento cognitivo in generale: stili di apprendimento, le intelligenze, il pensiero,
ecc.
2) la autoconsapevolezza del proprio funzionamento cognitivo (cosa e come sto pensando, cosa e come sto
ricordando, cosa mi facilita o cosa ostacola, quali sono i miei punti di forza e deficit, cosa mi può aiutare a
comprendere e a ricordare)
3) l’uso di strategie di autoregolazione cognitiva: auto-osservazione, auto-direzione e auto-valutazione
(come ho fatto, come posso fare, come sono andato) e le strategie di risoluzione di un problema (problem
solving) e la pianificazione per apprendere.
4) le variabili psicologiche di mediazione, immagine di sé come persona in grado di imparare: stile di
attribuzione (interno o esterno), convinzioni riguardo al proprio uso di strategie, al senso di autoefficacia,
all’immagine di sé come studente (sono/non sono capace, in cosa penso di essere/ non essere bravo), alla
propria capacità di trovare risorse (ce la posso fare!).

Conclusioni

con la didattica metacognitiva si punta a favorire negli studenti le competenze metacognitive, strategiche e
autoregolative nonchè ad aiutarli a migliorare le strategie di studio e di apprendimento, così come a gestire
meglio le emozioni che entrano in gioco nel loro percorso formativo.

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AMBIENTI DI APPRENDIMENTO e le AVANGUARDIE EDUCATIVE

L'OCSE definisce gli "spazi educativi" come uno spazio fisico che supporta molteplici programmi di
insegnamento e apprendimento e metodi didattici diversi, incluse le attuali tecnologie; che dimostra come
edificio di avere caratteristiche funzionali e performanti, con un buon rapporto costo- efficacia nel tempo;
che rispetta l'ambiente ed è in armonia con esso; che incoraggia la partecipazione sociale, fornendo un
contesto sicuro, comodo e sano e stimolando i suoi occupanti. In senso stretto, un ambiente di
apprendimento fisico è visto come un'aula convenzionale mentre, in senso ampio, è inteso come un
insieme di contesti educativi formali e informali in cui l'apprendimento si svolge sia all'interno che
all'esterno delle scuole (Manninen et al., 2007).

Quando si parla di ambiente nel contesto dell’apprendimento si intende lo spazio (fisico o virtuale) che
viene creato dal docente per stimolare e per sostenere conoscenze, abilità, motivazioni, atteggiamenti.l
degli alunni con lo scopo di stimolare apprendimenti mantenendo al centro della didattica una viva
attenzione alle dimensioni cognitive, affettive e emotive, interpersonali e sociali.
Un ambiente di apprendimento serena aiuta gli alunni ad apprendere senza avere il timore dell’errore!
Nell'ottica costruttivista infatti il docente (che non è colui che insegna, ma colui che guida verso la
conoscenza) diventa un progettista di ambienti di apprendimento, costruiti intenzionalmente per
consentire percorsi attivi e consapevoli di cultura. Per favorire l’esplorazione e la scoperta, incoraggiare
l’apprendimento collaborativo, promuovere la propria consapevolezza nell’apprendere è necessario che gli
ambienti di apprendimento siano ricchi di materiali di lavoro che stimolino la volontà di fare nuove
esperienza e la conoscenza degli alunni.
L’ambiente di apprendimento “comprende:
a) uno spazio fisico;
b) un insieme d’attori (studenti, insegnante, istruttore, tutor, esperti, adulti vari) che interagiscono al suo
interno;
c) un set di comportamenti concordati;
d) una serie di regole o vincoli , assegnati o definiti collaborativamente dagli attori, per regolarne i
comportamenti al suo interno;
e) pratiche (compiti e attività) assegnate e concordate;
f) tempi d’operatività determinati e distribuiti; g) un set di strumenti o artefatti oggetto di osservazione,
lettura e argomentazione (testo, illustrazione), manipolazione operatoria (pongo) o cognitiva
(progettazione ed editing di un giornalino scolastico, anche on line)
h) un insieme di relazioni tra gli attori;
i) un clima determinato dal tipo di relazioni istauratesi e dalle modalità di svolgimento delle pratiche;
l) un insieme di aspettative e interpretazioni concettualmente concordate;
m) modi di vedere se stessi (come studenti, insegnanti ecc.);
n) sforzi mentali attivati nei processi di apprendimento (Salomon, 1996)”.

“Nella didattica on line l’ambiente è il luogo, cognitivo e affettivo, in cui avviene la formazione e ha una
struttura che aggrega materiali, processi, relazioni, in modo simile ad alcune applicazioni del web 2.0
[...].Nell’e-learning le tecnologie divengono la rappresentazione simbolica e incarnano il processo didattico
stesso. In altri termini, la struttura dell’ambiente è lo strumento didattico attraverso cui l’équipe di
progetto comunica l’organizzazione del percorso, gestisce la relazione educativa, favorisce la costruzione di
una comunità di apprendimento. l’ambiente, infine, pur contenendo i materiali di studio, è il luogo in cui si
reificano le relazioni sociali tra gli attori e in cui la comunità che apprende si confronta e dialoga. Mentre si
confronta e dialoga, essa trasforma l’ambiente e lo configura coerentemente con la conoscenza costruita.”
[Rossi P.G. (2009). Tecnologia e costruzione di mondi. Post-costruttivismo, linguaggi e ambienti di
apprendimento. Roma: Armando Editore, p. 152]

Ambiente di apprendimento nelle INDICAZIONI NAZIONALI per il CURRICOLO (settembre 2012) SCUOLA
DELL’INFANZIA
L’organizzazione degli spazi e dei tempi diventa elemento di qualità pedagogica dell’ambiente educativo e
pertanto deve essere oggetto di esplicita progettazione e verifica.
L’ambiente di apprendimento della scuola dell’infanzia deve avere le seguenti caratteristiche:
Spazio accogliente, caldo e curato
Tempo disteso
Stile educativo improntato a osservazione, ascolto e progettualità
Partecipazione, che sviluppa progettualità ed educazione
Esperienza e gioco

Ambiente di apprendimento nelle INDICAZIONI NAZIONALI per il CURRICOLO


SCUOLA PRIMO e SECONDO CICLO
«Contesto idoneo a promuovere apprendimenti significativi e a garantire il successo formativo di tutti gli
alunni»
Le indicazioni nazionali recitano “L’acquisizione dei saperi richiede un uso flessibile degli spazi, a partire
dalla stessa aula scolastica, ma anche la disponibilità di luoghi attrezzati che facilitino approcci operativi alla
conoscenza per le scienze, la tecnologia, le lingue comunitarie, la produzione musicale, il teatro, le attività
pittoriche, la motricità......Particolare importanza assume la biblioteca scolastica, anche in una prospettiva
multimediale, da intendersi come luogo privilegiato per la lettura e la scoperta di una pluralità di libri e di
testi, che sostiene lo studio autonomo e l’apprendimento continuo; un luogo pubblico, fra scuola e
territorio, che favorisce la partecipazione delle famiglie, agevola i percorsi di integrazione, crea ponti tra
lingue, linguaggi, religioni e culture.»

Il Manifesto delle AVANGUARDIE EDUCATIVE


propone sette orizzonti verso cui tendere:
-Trasformare il modello trasmissivo della scuola;
-Sfruttare le opportunità offerte dalle ICT e dai linguaggi digitali per supportare nuovi modi di insegnare,
apprendere e valutare;
-Creare nuovi spazi per l’apprendimento;
-Riorganizzare il tempo del fare scuola;
-Riconnettere i saperi della scuola e i saperi della società della conoscenza;
-Investire sul capitale umano ripensando i rapporti;
-Promuovere l’innovazione perché sia sostenibile e trasferibile.
[http://avanguardieeducative.indire.it/wp-content/uploads/2014/10/Manifesto-AE.pdf]

Un ambiente di apprendimento efficace deve pertanto:


- favorire l’esplorazione e la scoperta
- Incoraggiare l’apprendimento cooperativo
- Promuovere la consapevolezza del proprio modo di apprendere
- Valorizzare l’esperienza e le conoscenze degli alunni
- Attuare interventi adeguati nei riguardi delle diversità
- Realizzare attività didattiche in forma di laboratorio
NUOVI SETTING d’AULA
Il movimento delle Avanguardie valorizza esperienze che propongono nuovi setting d’aula ed una
differente idea di edificio scolastico, il quale deve essere in grado di garantire l’integrazione, la
complementarità e l’interoperabilità dei suoi spazi.

PENSIERO VERTICALE E PENSIERO LATERALE. I 6 cappelli di DE BONO!

Il pensiero verticale è selettivo, il pensiero laterale è produttivo. Il pensiero verticale si mette in moto
solamente se esiste una direzione in cui muoversi, il pensiero laterale si mette in moto allo scopo di
generare una direzione. Il pensiero verticale è analitico, il pensiero laterale è stimolante. Il pensiero
verticale è consequenziale, il pensiero laterale può procedere a salti. Con il pensiero verticale si deve essere
corretti a ogni passo, con il pensiero laterale si può non esserlo. Con il pensiero verticale si usa la negazione
allo scopo di bloccare alcuni percorsi; con il pensiero laterale non esiste alcuna negazione. Con il pensiero
verticale ci si concentra e si esclude ciò che è irrilevante, con il pensiero laterale si accolgono
favorevolmente le intrusioni del caso. Con le categorie del pensiero verticale classificazioni e definizioni
sono fissate, con il pensiero laterale non lo sono. [Edward de Bono (Malta, 1933), Creatività e pensiero
laterale: manuale di pratica della fantasia]

"Sei Cappelli per pensare" propone un buon esercizio per affrontare i problemi da ottiche differenti. Questa
metodologia è stata creata per chiarire le diverse modalità di pensiero utilizzate dalle persone nel contesto
della risoluzione dei problemi.
Ciascun cappello rappresenta un approccio comunemente usato per il Problem Solving.
Ha l'obiettivo di far riconoscere ai partecipanti, grazie al suo simbolismo, le modalità di riflessione che
utilizzano, e quindi capire meglio i loro processi mentali. In pratica in una riunione, in un corso, in un
dibattito ciascun interlocutore dovrebbe assumere ruoli definiti allo scopo di: dichiarare le sue posizioni,
uscire dai suoi pregiudizi, considerare punti di vista alternativi; naturalmente per stimolare l’ampiezza delle
soluzioni e delle critiche è auspicabile che in una discussione ciascuna persona accetti di indossare cappelli
(ruoli) diversi. Di seguito i ruoli che ciascun cappello implica:
1) Cappello bianco (Neutrale): analisi dei dati, di informazioni, di eventi precedenti, analogie ed elementi
che sono raccolti senza esprimere giudizi.
2) Cappello blu (Razionale): stabilisce priorità, metodi, sequenze funzionali, pianifica, organizza, stabilisce le
regole del gioco. Conduce il gioco.
3) Cappello nero (Negativo): l’avvocato del diavolo che rileva gli aspetti negativi, le ragioni per cui la cosa
non può andare.
4) Cappello giallo (Positivo): l’avvocato dell’angelo, rileva gli aspetti positivi, i vantaggi, le opportunità che si
aprono.
5) Cappello rosso (Emotivo): emotività, esprime di getto le proprie intuizioni, come suggerimenti o sfoghi
liberatori, come se si ridiventasse bambini, emozioni, sentimenti.
6) Cappello verde (Creativo): indica sbocchi creativi, nuove idee, analisi e proposte migliorative, visioni
insolite.
Secondo De Bono affrontare i problemi con gli abituali metodi razionali produce risultati limitati dalla
rigidità dei modelli logici. Per trovare soluzioni davvero innovative bisogna uscire dagli schemi prefissati,
mettere in dubbio le presunte certezze e affidarsi ad associazioni di idee inedite.

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Come usare la tecnica dei 6 cappelli a scuola [esempio preso dal sito
https://www.storyboardthat.com/it/blog/e/sei-pensiero-cappelli-in-the-classe]
Utilizzare Sei cappelli per pensare con il pensiero parallelo o come un mezzo per dividere i ruoli. Fate quello
che funziona meglio per il vostro gruppo di studenti e per il tema si sta discutendo.
1. Chiedi a specifiche risposte cappello pensiero o idee da tutta la classe. Redirect come necessario per
mantenere le idee focalizzati dal cappello. Questo è un ottimo modo per introdurre il concetto dei sei
cappelli di pensiero.
2. Dividi la classe in gruppi con la stessa attenzione. Ogni gruppo lavorerà insieme per brainstorming idee e
le risposte diverse in base al cappello pensiero. In qualità di insegnante, vi sarà il cappello blu per la
discussione tutta la classe dopo che i gruppi di studenti hanno avuto la possibilità di conferire uno con
l'altro.
3. Dividere la classe in gruppi di sei nel miglior modo possibile. Assegnare un cappello per ogni persona del
gruppo, sia in modo casuale o in base a fattori specifici, e consentire agli studenti di avere mini-dibattito.
Dopo aver dato agli studenti la possibilità di provare il loro cappello di pensare in un piccolo gruppo,
portare tutti i gruppi insieme.
4. Dopo che gli studenti iniziano a diventare più familiarità con i Sei cappelli per pensare, si può iniziare ad
individuare il cappello che stanno utilizzando nel fornire idee. Questo vi permetterà di ottimizzare le
risposte per abbinare lo scopo di un cappello, o correggere eventuali malintesi e incomprensioni.

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Storytelling

Letteralmente storytelling significa: story “storia” e tell “raccontare”, dunque, l’arte del raccontare storie.
Attraverso le storie, gli insegnanti possono trasmettere delle conoscenze ai propri studenti in un modo
coinvolgente, utilizzando narrazioni, metafore, specifiche parole adatte agli scopi, per coinvolgere studenti
e stimolare le loro emozioni e l’immaginazione.
Introdurre lo Storytelling nella didattica della scuola primaria e secondaria permette di superare il modello
verticale di apprendimento.

L’eVoluzione dello Storytelling in DIGITAL STORYTELLING

La narrazione digitale combina la forma tradizionale di storytelling con una varietà di strumenti
multimediali, inclusi l’audio, l’animazione, le grafiche e i video.
E’ un modo per coinvolgere studenti e insegnanti nello sviluppo di storie.
Le storie posso essere create dal l’insegnante o dagli alunni.
I vantaggi dell’uso del Digital Storytelling creato dall’insegnante sono:
- le Storie diventano attivatori della motivazione su un tema curricolare
- le Storie facilitano la comprensione, l’apprendimento e la memorizzazione dei contenuti per gli alunni
- la Storia diviene un organizzatore didattico anticipato per presentare nuovi temi in modo accattivante
I vantaggi dell’uso del Digital Storytelling creato dagli alunni sono:
• Apprendere l’utilizzo di internet per cercare contenuti, selezionandoli ed analizzandoli tra una vasta
scelta;
• Sviluppare le capacità comunicative attraverso domande, l’espressione delle opinioni, la preparazione di
lavori e la scrittura;
• Sviluppare le abilità di utilizzo del computer attraverso software che combinano vari strumenti, tra i quali
testi, immagini, audio, video e la pubblicazione sul web.

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Il Digital Storytelling, specie nella scuola secondaria, pertanto stimola studenti e docenti a costruire nuovi
percorsi all’interno dell’istituzione scuola, ridiscutendo in modo positivo e creativo i reciproci ruoli.
Favorisce infatti nuove forme di apprendimento e costringe lo studente a un ruolo attivo e partecipativo.

Grazie all’uso di questa metodologia si sviluppano:


1. Immaginazione e creatività
2. Empatia
3. Capacità di comunicare utilizzando registri complessi, quale quello corporeo
4. Capacità di trovare soluzioni semplici a situazioni complicate

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METODO INDIVIDUALIZZATO: IL MASTERY LEARNING

I presupposti del Mastery Learning che tradotto significa “apprendimento per la padronanza” sono stati
chiariti da Bloom negli anni 70, secondo tale studioso la maggior parte degli studenti poteva raggiungere un
elevato livello di apprendimento soltanto se vengono create le condizioni favorevoli a tale crescita.
La Modalità di organizzazione dell’intervento didattico è attento alle diversità nei ritmi e nei tempi di
apprendimento: la didattica è infatti impostata per obiettivi da raggiungere e ad ogni studente è data la
possibilità di raggiungerli in momenti diversi dell’anno scolastico.
Il Mastery learning permette agli studenti di assumersi la responsabilità del proprio apprendimento. Gli
studenti conducono esperimenti, lavorano su consegne, interagiscono con Moodle in classe, hanno colloqui
faccia a faccia con il loro insegnante. Quando si completa una unità, lo studente deve dimostrare di averne
appreso il contenuto, che viene valutato attraverso un elaborato scritto e una prova di laboratorio.
Se gli studenti ottengono punteggio inferiore all’85% in queste valutazioni che concludono l’unità didattica,
devono recuperare e studiare nuovamente i concetti non appresi e rifare il test.l

Come si struttura una lezione con il mastery learning?

1. Definire le abilità concettuali e operative da raggiungere


2. Stabilire i livelli intermedi (analisi del compito) attraverso successione di unità che promuovano abilità
finali
3. Elaborare prove per verificare il raggiungimento degli obiettivi delle unità
4. Predisporre le unità considerando lo stato di preparazione iniziale degli allievi
5. Strutturare attività integrative e di recupero per chi non avesse raggiunto livelli medi nelle singole unità
6. Controllare che non si affronti l’ Unità successiva se non si è raggiunto il dominio minimo e indispensabile
delle conoscenze previste dalle unità precedenti.

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Howard Gardner e La Teoria delle Intelligenze Multiple


Gli studi di Howard Gardner e la pubblicazione del suo libro Frames of Mind nel 1983 hanno scardinato un
pilastro secolare secondo cui l’intelligenza era qualcosa di “unico” e fisso, nonché di misurabile (test QI).
Queste certezze vennero meno con la Teoria delle Intelligenze Multiple, secondo la quale non esiste una
facoltà comune di intelligenza, bensì diverse forme di essa, ognuna indipendente dalle altre.

La Teoria delle Intelligenze Multiple si basa sul concetto che tutti gli esseri umani possiedono almeno sette
forme di “rappresentazione mentale”, cioè sette diversi tipi di intelligenze:
1. Intelligenza linguistica: tipo d’intelligenza legata alla capacità di saper utilizzare un registro linguistico di
ampia portata.
2. Intelligenza logico-matematica: simboli matematici e concetti astratti sono alla base di questa facoltà
incentrata sul ragionamento deduttivo, sulle capacità di schematizzare e sulla possibilità di elaborare
sistemi logico-formali e numerici.
3. Intelligenza spaziale: intelligenza legata alla lettura, percezione e rappresentazione di forme e oggetti
nello spazio.
4. Intelligenza corporea- cinestetica: assoluta padronanza del corpo che permette di coordinare movimenti
precisi e ponderati, ma anche di gestire lo sforzo muscolare in vista di un obiettivo.
5. Intelligenza musicale: vero e proprio talento per la musica e il canto, l’intelligenza musicale permette di
conoscere a diversi livelli la grammatica degli strumenti, corpo umano incluso.
6. Intelligenza interpersonale: permette di comprendere gli stati emotivi e i sentimenti degli altri; di
costruire relazioni sociali vantaggiose; e di creare situazioni d’incontro e d’interazione sociale, anche per i
propri scopi.
7. Intelligenza intrapersonale: offre la possibilità di comprendere la propria individualità e la propria
personalità,
8. Intelligenza naturalistica: è l’espressione della capacità di individuare gli “oggetti naturali” e di classificarli
all’interno di sistemi e strutture che permettono così di evidenziarne le relazioni e i significati.
9. Intelligenza esistenziale: vera e propria intelligenza filosofica che permette all’essere umano
d’interrogarsi sui grandi temi esistenziali.

L’essere umano, quindi, ha in sé diverse forme d’intelligenza. La personalità di ognuno di noi è


caratterizzata da un personale “profilo intellettivo” frutto dell’eredità genetica, culturale ed esperienziale,
che la scuola non può lasciare da parte.

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La scuola dovrebbe accettare il fatto che tutte le tipologie d’intelligenza sono importanti nella nostra
società. I processi d’apprendimento dovrebbero quindi promuovere delle forme di comunicazione
strategiche e funzionali alla comprensione e al problem-solving.
Il bambino non deve essere considerato come una tabula rasa o un vaso vuoto da riempire, ma piuttosto
come un “potenziale” umano inserito in un contesto sociale e simbolico interattivo.

Nel libro Cinque chiavi per il futuro, Gardner sposta l’attenzione sul nostro avvenire, e in particolare su
quello dei bambini e dei ragazzi. Interrogandosi su quali intelligenze o meglio “mentalità” saranno utili ai
cittadini del futuro.
Secondo Gardner, sono cinque le intelligenze o chiavi necessarie per aprire le porte del futuro:
1. l’intelligenza disciplinare ovvero la padronanza delle maggiori teorie e interpretazioni del mondo
(comprese scienza, matematica, storia);
2. l’intelligenza sintetica ovvero la capacità di integrare idee e conoscenze di diverse aree disciplinari in un
insieme coerente;
3. l’intelligenza creativa ovvero la capacità di affrontare la soluzione di problemi nuovi;
4. l’intelligenza rispettosa ovvero la consapevolezza delle differenze tra uomini e culture diverse;
5. l’intelligenza etica ovvero la consapevole accettazione della propria responsabilità personale e generale.

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CORRESPONSABILITA’ Scuola -famiglia

Il patto formativo tra scuola e famiglia va chiarito alla luce di opportune precisazioni circa la ridefinizione
dei ruoli e delle funzioni delle due istituzioni chiamate a partecipare.
La scuola, quale luogo di crescita civile e culturale della persona, rappresenta, insieme alla famiglia, il luogo
più idoneo a far maturare nei giovani la cultura dell’osservanza delle regole e della consapevolezza che la
libertà personale si realizza nel rispetto degli altrui diritti e nell’adempimento dei propri doveri.

Il riconoscimento delle regole come proprie e condivise, all’interno della scuola, può avvenire soltanto con
una fattiva collaborazione tra tutte le componenti dell’Istituzione scolastica mediante relazioni fattive e
costanti nel rispetto dei reciproci ruoli.

Il documento rappresenta una formalizzazione condivisa tra personale docente, primo tra tutti il DS,
personale non docente, allievi e famiglie.

L’osservanza della norma e la consapevolezza dell’importanza di attuare un’alleanza educativa tra famiglie,
studenti ed operatori della scuola guida la sequenza dei reciproci impegni

ll Patto educativo di corresponsabilità per essere rivitalizzato e adeguato deve:

• soffermarsi sulle modalità di condivisione dei processi valutativi degli apprendimenti; in questo
senso prendendo spunto dal D.Lgs. n.62 del 2017, in specie dall’art.1 comma 5

• definire modalità di comunicazione efficaci e trasparenti in merito alla valutazione del percorso
scolastico degli alunni, anche forme di relazioni che non travalichino le buone creanze, degenerando in
comportamenti scorretti.

• stimolare una maggiore collaborazione nella definizione degli interventi inclusivi, (D.Lgs. n.66 del
2017, “l’inclusione scolastica (…). E' impegno fondamentale di tutte le componenti della comunità
scolastica assicurare il successo formativo delle bambine e dei bambini, delle alunne e degli alunni, degli
studenti e degli studenti”. Tale principio è assorbibile anche all’interno del Piano per l’inclusione.

• impegnarsi nella prevenzione del cyberbullismo, condividendo all’interno quanto si legge nelle
Linee di orientamento per azioni di prevenzione e di contrasto al bullismo e al cyberbullismo del 2015,
aggiornate nel 2017: “occorre, pertanto, rafforzare e valorizzare il Patto di corresponsabilità educativa
previsto dallo Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria : la scuola è chiamata ad
adottare misure atte a prevenire e contrastare ogni forma di violenza e di prevaricazione; la famiglia è
chiamata a collaborare, non solo educando i propri figli ma anche vigilando sui loro comportamenti”. La
Legge n.71 del 2017 Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del
cyberbullismo, raccomanda all’art.5 che i regolamenti delle istituzioni scolastiche di cui all’articolo 4,
comma 1, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249, e il
patto educativo di corresponsabilità di cui all’articolo 5-bis del citato decreto n. 249 del 1998 siano integrati
con specifici riferimenti a condotte di cyberbullismo e relative sanzioni disciplinari commisurate alla gravità
degli atti compiuti.

Al riguardo :

a) La famiglia, stante il suo primato costituzionale (art. 30) nei campi dell’istruzione e dell’educazione, va
esaltata come luogo educativo di base, contro le attuali tendenze a svilirla e a sottovalutarne l’azione. Le
difficoltà da essa incontrate nell’espletamento della propria funzione educativa sono da intendere come
elementi che hanno da sollecitare la famiglia medesima a chiedere l’aiuto, il concorso di altre istituzioni,
non già a delegare ad esse la propria funzione.

b) La scuola va avvalorata come scuola della comunità, istituzione inserita creativamente nel contesto
socio-culturale locale, in stretto rapporto con il tessuto umano ivi presente. In quanto tale, essa è chiamata
a ricercare forme di rapporto sempre più raffinate con le varie istituzioni del territorio, specialmente con le
famiglie, rispetto alle quali ha da interagire secondo il principio di sussidiarietà.

Occorre capire che i genitori intervengono nella scuola non semplicemente come “utenti” né come meri
rappresentanti dei loro figli/utenti.

Ad essi è da richiedere l’assunzione di una piena responsabilità circa la definizione dell’offerta formativa
della scuola.

Il processo di VALUTAZIONE e il ruolo dei docenti nella scuola italiana. La pedagogia dell’errore. EFFETTI
DISTORSIVI NEL PROCESSO DI VALUTAZIONE:

La valutazione alla luce della normativa di riferimento


Indicazioni 2007
“La valutazione precede, accompagna e segue i percorsi curricolari. Assume funzione formativa, di
accompagnamento dei processi di apprendimento e di stimolo di miglioramento continuo”
DPR 122/2009
“La valutazione ha per oggetto il processo di apprendimento, il comportamento e il rendimento scolastico.
E’ espressione dell’autonomia propria della funzione docente, nella sua dimensione sia individuale che
collegiale, nonché dell’autonomia didattica delle istituzioni scolastiche. Il collegio dei docenti definisce
modalità e criteri per assicurare omogeneità, equità, trasparenza, nel rispetto del principio della libertà
d’insegnamento”

La VALUTAZIONE nello svolgimento di un obiettivo di apprendimento

nello svolgimento dell’attività didattica e più specificatamente durante l’attuazione di un obiettivo di


apprendimento dovremo affrontare anche la “valutazione” che, come ben sapete, assume un ruolo
fondamentale nella nostra professionalità docente.
La valutazione si articola in tre momenti:
la valutazione iniziale, quella in itinere e quella finale.
La valutazione iniziale così definita perché si colloca nella prima fase della nostra lezione ha una funzione di
natura diagnostica circa i livelli cognitivi di partenza (ANALISI DEI PREREQUISITI). Per iniziare la lezione che
ci viene affidata dobbiamo essere certi che gli alunni posseggano i prerequisiti richiesti per affrontare
L’Unità didattica di apprendimento! E se ci sono carenze? Naturalmente abbiamo l’obbligo di prevedere
una fase di recupero. Vi consiglio la strategia del PEER TO PEER, l’apprendimento tra pari risulta essere
molto efficace!
La valutazione in itinere (formativa) si colloca nel corso dello svolgimento delle fasi della lezione. La
valutazione SISTEMICA è sicuramente la migliore in questa fase!
A cosa serve? È un valido orientamento per Noi insegnanti per comprendere se le nostre strategie di
insegnamento stanno funzionando nel contesto classe e pertanto ci consente di regolare la nostra azione
didattica.
La valutazione finale invece è situata al termine della lezione. Nel nostro caso, poiché parliamo di un
obiettivo specifico di apprendimento, la valutazione migliore è
1- il compito autentico o di realtà: se il bambino riesce a risolvere problemi concreti circa le conoscenze
acquisite lo abbiamo dotato delle giuste competenze per la risoluzione del problema (obiettivo raggiunto!)
2- l’autovalutazione dell’alunno: responsabilizza l’alunno nel suo processo di apprendimento e lo aiuta a
sviluppare anche un senso di autocritica
3- l’autovalutazione del docente: consente a noi insegnanti a comprendere se le nostre strategie hanno
favorito l’acquisizione delle conoscenze e delle competenze dei nostri alunni.
Se uno o più alunni non hanno acquisito le conoscenze e le competenze che ci eravamo prefissati andremo
ad effettuare un percorso di recupero e/o un potenziamento.
Se la maggior parte degli alunni o tutti gli alunni non hanno raggiunto le conoscenze e le competenze che ci
siamo prefissati..... dobbiamo farci un esame di coscienza e rivedere seriamente il nostro modo di
insegnare.
Le griglie di valutazione invece DEVONO essere utilizzate Al termine dell’ Unità didattica.
La funzione delle griglie di valutazione è sommativa, nel senso che redigere un bilancio complessivo
dell'apprendimento, sia al livello del singolo alunno (con la conseguente espressione di voti o di giudizi), sia
a livello dell'intero gruppo classe (nell'intento di stimare la validità della programmazione).

La pedagogia dell’errore

E Se il bambino sbaglia cosa devo fare?


Che ruolo ha l’errore nella didattica?
Vi rispondo così:
Da un lapsus può nascere una storia, non è una novità. Se, battendo a macchina un articolo, mi capita di
scrivere «Lamponia» per «Lapponia», ecco scoperto un nuovo paese profumato e boschereccio: sarebbe un
peccato espellerlo dalle mappe del possibile con l'apposita gomma; meglio esplorarlo, da turisti della
fantasia.
Se un bambino scrive nel suo quaderno «l'ago di Garda», ho la scelta tra correggere l'errore con un
segnaccio rosso o blu, o seguirne l'ardito suggerimento e scrivere la storia e la geografia di questo «ago»
importantissimo, segnato anche nella carta d'Italia. La luna si specchierà sulla punta o nella cruna? Si
pungerà il naso? (G.RODARI)

OCCORRE una pedagogia che riscopra l’attenzione per l’essere umano, per la sua creatività, per la sua
ricerca di un ordine "trovato" e non inoculato dall’altra/o è sicuramente quella che ci attende nel futuro
che vorremmo. E’ una pedagogia che non teme il dubbio, l’imprevisto, che non guarda l’orologio, che crede
nella scuola come luogo di incontro privilegiato per tutte le tipologie di giovani; è una pedagogia che
"comincia a ricominciare" da zero ascoltando le parole preziose di chi non ha ancora tutte le parole per
esprimere i concetti che va "conoscendo", che non teme l’errore e lo ama perché le svela i percorsi mentali
che l’ hanno
prodotto (Claudia Fanti)
In una pedagogia che vuole tirare fuori il meglio dall’alunno l'errore diventa parte integrante del percorso
formativo. Volere evitare l'errore significa frenare e persino inibire l'apprendimento e
contemporaneamente anche lo sviluppo della creatività. Per questo dobbiamo cercare di creare
un'atmosfera in cui sia permesso sperimentare senza alcun timore, perché “Errare humanum est” e
l’errore può consentire al nostro Alunno di sperimentare nuove scelte e nuove strade da percorrere,
consentendo lo sviluppo del problem solving.

EFFETTI DISTORSIVI NEL PROCESSO DI VALUTAZIONE

Quando decifriamo di usare prove Non strutturate il docente deve tener conto che nel processo di
valutazione potrebbero intervenire delle variabili che ne influenzano L’oggettività. Andiamo ad analizzare
gli effetti distorsivi che possono intervenire nel processo di valutazione.

EFFETTO ALONE: L’effetto alone (che ci ricorda nella definizione una macchia sul vetro che offusca la
visione) si ha quando un docente si crea dei pregiudizi rispetto ad un alunno. A causa di questi pregiudizi gli
insegnanti saranno portati a sviluppare comportamenti eccessivamente indulgenti o eccessivamente
sanzionatori in base all’idea che si sono fatti.
Come spiega la Dottoressa Iarulli
“Esso descrive un fenomeno per cui il docente può provare maggiore o minore simpatia verso l'allievo; nel
caso di maggiore simpatia gli errori sono considerati come semplici sbagli dovuti a fattori estemporanei, nel
caso di minore simpatia gli errori vengono ascritti a probabili condizioni intellettive, cognitive e
comportamentali dello studente, favorendo così atteggiamenti di demotivazione, di sfiducia, di disistima,
con conseguente disequilibrio emotivo anche nel sistema familiare”
EFFETTO PIGMALIONE: L’effetto Pigmalione è forse il più insidioso e frequente che si manifesta nel
processo di insegnamento. Si verifica quando l’insegnante ha verso gli alunni delle aspettative (positive o
negative) e queste aspettative finiscono per condizionare (inconsapevolmente) l’atteggiamento
dell’insegnante Nei confronti dell’alunno. (se un insegnante crede che un bambino sia meno intelligente lo
tratterà, anche inconsciamente, in modo diverso dagli altri. Il bambino, percependo questo atteggiamento,
interiorizzerà il giudizio negativo del docente e adeguerà il suo comportamento al giudizio)

EFFETTO STEREOTIPIA: L’effetto stereotipia consiste nel congelare il giudizio su di un alunno partendo dal
presupposto e dalla convinzione che la sua situazione non possa né cambiare né migliorare, come invece
dovrebbe avvenire grazie agli interventi educativi e didattici del docente.

EFFETTO DI CONTRASTO: Il giudizio dato dall’insegnante rispetto ad un compito dell’alunno avviene non in
base ad un’attenta valutazione ma perché viene confrontato con quella di altri alunni o con un modello
ideale di prestazione individuato dall’insegnante.

#Individuazione #precoce casi sospetti di #DSA

La legge 170/2010 all'art. 3 attribuisce alla scuola il compito di individuare precocemente i casi sospetti di
DSA distinguendoli dalle difficoltà di apprendimento di origine didattica o ambientale e di darne
conseguente comunicazione alla famiglia per dare il via ad un percorso diagnostico presso i servizi sanitari
competenti: “È compito delle scuole di ogni ordine e grado, comprese le scuole dell’infanzia, attivare,
previa apposita comunicazione alle famiglie interessate, interventi tempestivi, idonei ad individuare i casi
sospetti di DSA degli studenti [...]. L’esito di tali attività non costituisce, comunque, una diagnosi di DSA.”
(comma 3) “Per gli studenti che, nonostante adeguate attività di recupero didattico mirato, presentano
persistenti difficoltà, la scuola trasmette apposita comunicazione alla famiglia.” (comma 2).

È fondamentale però in primo luogo saper differenziare tra disturbo e difficoltà.

Il disturbo ha base costituzionale e resiste agli interventi didattici, può migliorare se l'alunno riesce a
diventare strategico e a compensare.
La difficoltà non ha basi fisiologiche, è variabile e altamente modificabile grazie ad interventi didattici mirati
e dipendente da fattori diversi come: insufficiente grado di maturità, svantaggio socio- culturale, strategia
didattico-metodologico inadeguata, scarse risorse personali.

Per approfondire gli argomenti dell’area scuola consigliamo i MASTER area SCUOLA delle Pegaso FORMIA
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In età prescolare (fonte AID) classifichiamo le

Difficoltà comunicative linguistiche in:

- scarsa conoscenza delle parole e dei significati;


- difficoltà con filastrocche e frasi in rima;
- scarsa capacità di costruzione della frase;
- problemi di memoria nell'apprendere le parole.

Difficoltà motorio-prassiche in:


- scarsa capacità di disegno, sia nella rappresentazione che nella riproduzione di figure geometriche;
- scarsa manualità sia fine che globale.

Difficoltà uditive e visuo-spaziali in:


- difficoltà nel ripetere e individuare toni, suoni, sillabe e parole simili;
- scarsa capacità di organizzazione in giochi di manipolazione e labirinti;
- difficoltà nel ritagliare o nel costruire.

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Alla fine della prima elementare (fonte AID)

Difficoltà nella lettura in:


- Lenta decifrazione delle singole lettere;
- incertezza nell'utilizzo delle sillabe;
- scarso controllo del significato delle parole.
- Difficoltà nella scrittura
- Difficoltà nell'uso dei numeri

Gli insegnanti che sospettano un disturbo specifico di apprendimento:


• prendono appuntamento con la Funzione Strumentale (DSA) per esporre il caso e conoscere
le procedure e, successivamente, per l’eventuale invio ai servizi;
• convocano la famiglia (anche in presenza della Funzione Strumentale DSA);
• redigono la scheda di segnalazione in caso di invio al servizio previa autorizzazione dei
genitori e richiesta formale del servizio TSRMEE.
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La generazione «Neet»

Sono i giovani tra i 15 e i 29 anni che non sono iscritti a scuola né all'università, che non lavorano e che
nemmeno seguono corsi di formazione o aggiornamento professionale. "Not in Education, Employment or
Training". Nel nostro Paese sono oltre due milioni, il 21,2 per cento della popolazione!
A partire dal genere e dall'area di residenza: più della metà, il 56,5 per cento, è costituito da donne che
vivono al Sud (Napoli, Catania, Brindisi e Palermo sono le province che vestono la maglia nera) e hanno un
livello di istruzione medio basso, licenza media o al più diploma superiore. La maggior parte ha anche
smesso di cercare un impiego: il 57,7 per cento dei maschi Neet italiani è inattivo, e se si guardano alle
percentuali delle donne la situazione appare ancora più drammatica. Ogni cento ragazze, 72 si sono
rassegnate a rimanere disoccupate e a non entrare nel mercato del lavoro. Anche in questo caso le
performance peggiori si registrano al Sud, con picchi che superano l'80% in Campania. Ma a dimostrazione
che quello dei Neet è un problema strutturale, una percentuale di inattivi superiore alla media nazionale lo
fa registrare il Trentino Alto Adige, dove si sfonda il tetto del 60% contro il 39% di chi invece non si rassegna
alla disoccupazione.
Rispetto agli studenti e ai lavoratori della stessa età, i Neet:
1. si caratterizzano per status socio-economici e culturali complessivamente più deprivati;
2. praticano meno degli altri attività di tempo libero, sono più apatici
3. in misura minore praticano attività di volontariato o di associazionismo e meno si interessano della
politica
4. usano meno le tecnologie digitali, e non solo perché hanno in misura minori possibilità di accesso alla
rete e in generale di uso delle tecnologie informatiche, ma anche perché nei confronti di queste tecnologie
hanno un minore interesse

CHE FARE????

Raccomandazioni del Consiglio dell’UE - 2013


1. Gli Stati Membri dell’Unione dovrebbero sviluppare meccanismi per identificare e attivare i Neet sotto i
25 anni di età, con la finalità di raggiungere i soggetti inattivi o disoccupati che non sono registrati nei centri
per l’impiego pubblici (per l’Italia la platea dei destinatari è stata ampliata ai giovani fino a 29 anni).
2. Gli Stati Membri dell’Unione dovrebbero offrire ai giovani Neet destinatari dell’intervento
un’opportunità di inserimento o reinserimento in un percorso di istruzione o formativo o in un’esperienza
di lavoro entro quattro mesi dall’accoglienza e presa in carico del soggetto.
3. Gli Stati membri dovrebbero inoltre stabilire nuove strategie e strumenti con tutti gli attori pubblici o del
terzo settore, che abbiano accesso o siano in contatto con questi giovani.
4. Gli interventi sono finanziati per il periodo 2014-2020 dal Fondo Sociale Europeo, al quale si aggiunge il
finanziamento della Youth Employment Initiative.

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Alternanza scuola lavoro come strumento per lo sviluppo dell’empatia e dell’intelligenza emotiva

L’Alternanza scuola-lavoro è una delle innovazioni più significative della legge 107 del 2015 (La Buona
Scuola) e va ad affiancarsi in maniera evidente al principio di scuola aperta.
L’Alternanza scuola-lavoro può essere definita una modalità didattica innovativa, che ha come punto di
forza l’esperienza pratica (che va a consolidare le competenze) aiutando a consolidare le conoscenze
acquisite a scuola. Gli studenti inseriti nel percorso di alternanza potranno testare sul campo le attitudini
acquisite, arricchendo in tal modo la formazione ricevuta a scuola. Tale percorso ha anche un altro grande
punto di forza, infatti se attuato nella maniera giusta serve ad orientare l’alunno nella scelta del percorso di
studio successivo nonché ad indirizzarli anche nel mondo del lavoro.

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I percorsi di Alternanza si basano su una convenzione (stipulata tra scuole e strutture ospitanti)che
solitamente contiene un patto formativo.
Le competenze trasversali sono fondamentali per tutti i progetti di alternanza scuola-lavoro.
Eccone un elenco:
- Flessibilità (capacità di sapersi adattare con comportamenti diversi a situazioni che cambiano)
- Creatività (capacità di apportare innovazioni e novità nel lavoro Chiedendosi se ci sono modi nuovi e
diversi per fare le cose che sto facendo in modo più efficace ed efficiente -problem solving-)
- Spirito d’iniziativa (la capacità di essere parte attiva in un’organizzazione)
- Dinamicità (capacità di potersi rimettere in gioco e in discussione)
- Solarità: il sorriso e l’approccio empatico.
- Collaborazione (capacità di stare in squadra e con le persone)
- Formazione continua: la capacità di imparare da ogni esperienza vissuta
Scegliendo percorsi di alternanza nel sociale per gli alunni di scuola superiore si riesce a lavorare in modo
attivo sull’empatia e sullo sviluppo dell’intelligenza emotiva. Attraverso percorsi ben strutturati (carceri,
case famiglia, comunità di recupero e così via) si riesce a far comprendere indirettamente ai ragazzi che la
scelta della futura professione non si basa solo su conoscenze tecnico-scientifiche, ma anche su
competenze relazionali di empatia che permettano di riconoscere il valore dell’altro, nella ricchezza della
diversità.

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La tecnologia come catalizzatore di abilità sociali ed emotive degli allievi

Quando le tecnologie vengono utilizzate in modo opportuno e naturalmente sotto al guida esperta di un
adulto possono assumente una valenza estremamente positiva che può portare ad una reale opportunità
d’innovazione per i contesti scolastici che si avvicinano sempre più ai nativi digitali. Lo scopo dell’uso delle
tecnologia è sicuramente quello di aiutare gli alunni a costruire abilità sociali, emotive, di valorizzazione e
rispetto dell’altro, competenze che sicuramente potranno essere spese anche e principalmente in ambito
lavorativo e sociale. L’uso delle tecnologie ha anche un altro ruolo fondamentale ovvero quello di favorire
l’inclusione di alunni con difficoltà di apprendimento e in situazione di svantaggio perché sono immediate e
non richiedono uno sforzo nell’uso da parte dei nostri ragazzi che sono dei nativi digitali.

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La tecnologia può essere utilizzata per supportare le strategie didattiche adottate dall’insegnante
assumendo pertanto un ruolo centrale nel promuovere processi di inclusione.
L’uso della tecnologia consente di simulare all’interno di un ambiente protetto (l’alula multimediale)
numerose opportunità per esercitare o acquisire competenze socio-emotive in situazioni di sfida e gioco tra
utenti, incoraggiandone il loro coinvolgimento (Ong et al., 2011). Un esempio significativo a tal proposito è
rappresentato dalla piattaforma Kognito (https://www.kognito.com/) che utilizza simulazioni di gioco di
ruolo con persone virtuali per guidare cambiamenti misurabili nella sfera del benessere fisico, emotivo e
sociale. Un’ulteriore potenzialità di sviluppo di competenze socio-emotive è offerta dai digital media
cartoon series. L’esempio più significativo è quello riconducibile a “The Transporter”
(www.thetransporters.com). Serie di cartoni digitali progettata con l’obiettivo di promuovere il
riconoscimento facciale delle emozioni nei bambini con autismo, è stata riadattata per essere utilizzate con
tutti i bambini, mostrando un aiuto nell’acquisizione dell’identificazione e riconoscimento delle emozioni e
nel trasferimento di questa autoconsapevolezza emotiva, anche alle situazioni di vita reale (Baron-Cohen,
Golan, Chapman & Granader, 2009)a
Certo è fondamentale comprendere che l’uso della tecnologia va’ proposto e strutturato in modo adeguato
dal docente, perché è un mezzo tanto efficace e coinvolgente quanto pericoloso se non adeguatamente
filtrato da un adulto.
All’interno del web, nel mare delle informazioni sui cui gli utenti navigano circola tanta cattiva
comunicazione, insieme sicuramente a quella Buona. Per secernere la Buona comunicazione da quella
cattiva è necessario però possedere capacità critiche e conoscenze adeguate che non sono proprie dei
ragazzi in età scolare. Inoltre l’uso inappropriato della tecnologia può avere effetti veramente pericolosi nei
giovani, basti pensare alla sindrome di Hikikomori di cui vi parlerò nel prossimo articolo.

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L’orientamento come strategia per la prevenzione dell’abbandono scolastico

“Ancor di più che in passato, oggi l’orientamento assume una funzione centrale e strategica nella lotta alla
dispersione e all’insuccesso formativo degli studenti…” (nota prot.n.4232 del 19 febbraio 2014).
Le prime Linee guida nazionali per l’orientamento permanente risalgono alla Circolare Ministeriale
n.43/2009.
Con la nota prot.n.4232 del 19 febbraio 2014 vengono invece emanate le nuove Linee guida nazionali in cui
viene affermata con forza l’importanza dell’orientamento formativo che “investe il processo globale di
crescita della persona, si estende lungo tutto l’arco della vita, […] ed è trasversale a tutte le discipline”.
Sempre nel protocollo N. 4232 si legge che l’orientamento deve essere “centrato sulla persona e sui suoi
bisogni, finalizzato a prevenire e contrastare il disagio giovanile e favorire la piena occupabilità, l’inclusione
sociale e il dialogo interculturale”.
Nel documento troviamo la distinzione tra:
- Orientamento Formativo o Didattica Orientativa che si realizza attraverso l’acquisizione dei saperi di base,
delle abilità cognitive, logiche, metodologiche e delle competenze di cittadinanza e costituzione che
consentono ai nostri studenti di imparare a gestire la loro individualità contestualizzandola nella realtà
sociale in cui sono inseriti ;
- Attività di Accompagnamento e Consulenza Formativa per il sostegno alla progettualità individuale.
Consiste nel mettere in relazione le attitudini personali con le scelte formative da effettuare in base agli
sbocchi professionali e al mercato del lavoro.
Il mondo del lavoro cambia, la società cambia. i nostri ragazzi pure: le istituzioni scolastiche devono
pertanto, attraverso un processo di orientamento saper indirizzare lo studente verso lo sviluppo delle
proprie attitudini anche in virtù di un inserimento lavorativo.
Nasce così l’alternativa il progetto di alternanza scuola-lavoro,: momento in cui le conoscenze si
trasformano in competenze e in cui si strutturano in maniera importante le competenze trasversali così
come previsto dagli obiettivi strategie di Lisbona 2010 e a quelle di “Europa 2020”.
Ma l’orientamento non si esaurisce sono con l’alternanza scuola lavoro tra l’altro prevista nel ultimo
triennio delle scuole superiori, ma è richiesta anche nel passaggio dalle scuole medie inferiori a quelle
superiori e nel primo biennio delle scuole superiori.
Nelle Linee guida infatti si responsabilizzano tutti gli attori che risultano coinvolti nel processo: le istituzioni
del territorio, le università, i centri di formazione professionale, il mondo del lavoro, l’associazionismo e il
terzo settore, ma anche e soprattutto, la famiglia. Nasce così il tutor per l’orientamento che è un docente
specializzato che è in grado di
garantire il coordinamento e l’organizzazione delle attività degli istituti e le relazioni con gli altri soggetti
coinvolti nelle attività di orientamento.
Anche nella Legge n.107/2015 (la “Buona Scuola”) ritroviamo la necessità di puntare su un adeguato
orientamento per prevenire la dispersione scolastica. Tra le iniziative previste per il potenziamento
dell’offerta formativa è infatti compresa la definizione di un sistema di orientamento dell’istituto (art.1,
comma 7, lettera S). Proprio nella legge 170 si afferma una importante novità:
Il monitoraggio delle attività di orientamento delle scuole, per il miglioramento della qualità dell’offerta
formativa e degli apprendimenti inserito nel RAV in cui è stata inserita l’area “Continuità e orientamento”.
Il ministero si è attivato in maniera molto forte su questo tema lanciando anche dei progetti:
* Il Piano Nazionale di Orientamento: conosciuto come “Io scelgo io studio”, che ha visto la realizzazione di
un apposito sito internet dedicato, aperto ai contributi delle scuole
(http://www.istruzione.it/orientamento/).
* Il PON per la scuola (2014 – 2020): con il quale sono stati stanziati 40 milioni di euro per interventi rivolti
alle studentesse e agli studenti delle scuole secondarie di I grado e II grado, con l’obiettivo di rafforzare le
competenze a sostegno della capacità di scelta e gestione dei propri percorsi formativi e di vita, sin dalla
prima adolescenza.
Ma perché è così importante l’orientamento?
Perché Ministero investe tanto in ciò?
Scegliere il percorso di studi sbagliato significa demotivarsi e la
Demotivazione ha come conseguenza l’abbandono scolastico. Nel passaggio falla scuole medie inferiori a
quelle superiori gli alunni sono ancora immaturi e inconsapevoli nelle scelte, per questo è fondamentale
che l’orientamento sia anche in intingere. Scegliere un percorso sbagliato nel primo biennio può capitare,
ma è necessario trovare qualcuno che aiuti gli studenti a indirizzare in maniera opportuna la scelta, per non
sbagliare ulteriormente. L’obiettivo è quello di accompagnare i ragazzi verso il diploma e oltre, perché
l’istruzione è indispensabile in uno stato di diritto.
"Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo"
Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 3 giugno 2017 Legge 29 maggio 2017 n. 71

Guardano il Rapporto “Ipsos per Save the Children” scopriamo che:


2 ragazzi su 5 sono vittime di episodi di cyberbullismo
il 72% degli intervistati avverte la minaccia del fenomeno di bullismo
Per il 61% degli intervistati l’uso dei social network favorisce le azioni del cyberbullo
4 minori su 10 sono testimoni di atti di bullismo on-line verso coetanei.

Ma cosa significa BULLISMO?


“Uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto,
ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o di più compagni”
(Olweus, 1993)

E cosa significa invece CYBERBULLISMO?


“... una forma di prevaricazione volontaria e ripetuta, attuata attraverso un testo elettronico, agita contro
un singolo o un gruppo con l'obiettivo di ferire e mettere a disagio la vittima di tale comportamento che
non riesce a difendersi". (P. Smith)

La Commissione nazionale “Bullismo e scuola” ha sottolineato che “Ai Dirigenti scolastici, ai docenti e al
personale ATA, nonché ai genitori, è affidata la responsabilità di trovare spazi e risorse per affrontare il
tema del bullismo e della violenza attraverso una efficace collaborazione nell’azione educativa, volta a
sviluppare negli studenti valori e comportamenti positivi e coerenti con le finalità educative dell’istituzione
scolastica e della famiglia”.

Come individuare bulli?


alcuni campanelli d’allarme:

- prende in giro ripetutamente e in modo pesante


- rimprovera
- intimidisce
- minaccia
- tira calci, pugni, spinge
- Danneggia cose ...
I bulli possono mettere in atto tali comportamenti nei confronti di più compagni, ma tendono a rivolgesi in
particolare ai più deboli e indifesi.

Come capire se un nostro alunno è vittima di bullismo?


Alcuni campanelli di allarme:

• ha lividi, ferite, tagli e graffi di cui non si può dare una spiegazione naturale
• raramente trascorre del tempo con i propri compagni
• è timoroso e riluttante nell’andare a scuola la mattina (ha scarso appetito,
mal di stomaco, mal di testa...) ed è spesso assente
• sceglie percorsi più lunghi per il tragitto casa-scuola
• il rendimento scolastico e l’interesse per la scuola diminuiscono
• ha frequenti sbalzi d’umore: sembra infelice, triste e depresso e spesso ma-
nifesta irritazione e scatti d’ira

Cosa deve fare la scuola:

- Individuazione di un referente per le iniziative contro il bullismo e il cyberbullismo


- formazione del personale scolastico
- promozione di un ruolo attivo degli studenti
- l'educazione alla legalità e all'uso consapevole di internet
- Alle iniziative in ambito scolastico collaboreranno anche polizia postale e associazioni territoriali.

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https://m.facebook.com/pegasoformia/?locale2=it_IT

Ma leggiamo cosa dice il MIUR A RIGUARDO


“Il 13 aprile 2015 sono state emanate le nuove linee di orientamento per azioni di prevenzione e di
contrasto al bullismo e al cyberbullismo . Il documento prevede la realizzazione di una serie di azioni per
fornire al personale della scuola gli strumenti di tipo pedagogico e giuridico per riconoscere i segnali
precursori dei comportamenti a rischio e per prevenire e contrastare le nuove forme di prevaricazione e di
violenza giovanile.
Le nuove “linee di orientamento per azioni di prevenzione e di contrasto al bullismo e al cyberbullismo”
danno continuità e implementano le politiche e gli strumenti già in uso da tempo. Inoltre promuovono un
nuovo sistema di governance, trasferendo le funzioni precedentemente svolte dagli osservatori regionali ai
Centri territoriali di supporto (Cts) e alle loro articolazioni territoriali.
I Cts, istituiti nell’ambito del progetto “nuove tecnologie e disabilità” dagli Uffici scolastici regionali in
accordo con il Miur, sono collocati a livello provinciale presso scuole polo.
Sono stati riorganizzati gli Osservatori regionali sul bullismo, istituiti con la direttiva 16 del 5 febbraio 2007
attivi presso gli Uffici scolastici regionali. Con nota 16367 del 2 dicembre 2015 sono state fornite indicazioni
operative per la riorganizzazione degli stessi.
Una delle indicazioni operative prevede la costituzione di un “nucleo operativo” costituito da uno o due
dirigenti tecnici e due o tre docenti referenti, utilizzati presso gli uffici scolastici regionali e gli ambiti
territoriali. I dirigenti e i docenti devono essere formati sulle problematiche relative alle nuove forme di
devianza giovanile (bullismo, cyberbullismo, stalking e cyberstalking) e possedere le competenze necessarie
per sostenere concretamente le scuole in rete e i docenti, attraverso interventi di consulenza e di
formazione mirata, assicurando anche la raccolta e la diffusione di buone pratiche.
La formazione degli insegnanti prevede un modello innovativo coerente con la normativa vigente in
materia di ordinamenti. I percorsi formativi prevedono l’acquisizione di competenze di natura psico-
pedagogica per affrontare i casi di bullismo e di cyberbullismo e la gestione dei conflitti.
Tra i diversi laboratori formativi vi è quello sulle problematiche connesse con l’integrazione scolastica dei
disabili e con i bisogni educativi speciali. Anche i bulli, i cyberbulli e le loro vittime, almeno in alcune fasi del
loro percorso scolastico, richiedono interventi educativi speciali.
Il nucleo operativo per il contrasto delle nuove forme di devianza giovanile dovrebbe, inoltre, collaborare
con specifiche figure professionali, già incardinate in altre strutture o enti, quali: psicoterapeuti,
rappresentanti del Tribunale dei minori, neuropsichiatri, della polizia postale, dell’ Unar (Ufficio nazionale
antidiscriminazioni razziali).
Le strategie di prevenzione e di contrasto al bullismo e al cyberbullismo che gli operatori scolastici
dovranno realizzare dovranno essere riadattate per nuove variabili e proporre nuovi modelli operativi per
prevenire le attuali manifestazioni di disagio adolescenziale (cyberbullismo, stalking e cyberstalking,
ludopatie eccetera).
Gli osservatori regionali sul bullismo dovranno anche monitorare l’intera attività territoriale. In quest’ottica,
gli Uffici scolastici regionali si utilizzeranno la rete dei Centri territoriali di supporto come unità
organizzativa con il compito di avviare il piano delle attività suggerite dalle linee di orientamento emanate il
13 aprile 2015. Le linee prevedono che il campo di azione venga ampliato anche ai fenomeni del
cyberbullismo.
Il 13 aprile 2014 è stato rinnovato il protocollo d’intesa con S.o.s. telefono azzurro onlus “La prevenzione e
la formazione quali contenuti di diffusione di una cultura orientata al rispetto dei diritti dell’infanzia e
dell’adolescenza”. Il protocollo, tra le diverse azioni, prevede anche che Telefono azzurro, in qualità di ente
accreditato presso il Miur dal 2005, realizzi azioni di formazione per il personale docente della scuola sulle
tematiche alla prevenzione di qualsiasi forma di bullismo.
Con la nota 16367 del 2 dicembre 2015, il MIUR ha previsto per l’anno scolastico 2015/2016 di erogare
specifiche risorse finanziarie, pari ad un totale di cinquecentosessantamila euro, attribuite ai Cts attraverso
la concessione dei fondi previsti dal decreto ministeriale 435 del 16 giugno 2015, articoli 14 commi 1 e 2. I
fondi sono stati destinati a garantire e supportare il nuova governance prevista dalla linee di orientamento
con una particolare attenzione agli ulteriori nuovi compiti e funzioni attributi ai Cts in materia di
prevenzione del bullismo e cyberbullismo”

Per approfondire vi consiglio di leggere il


Link sottostante
https://www.rizzolieducation.it/content/uploads/2018/07/Carta_e_matita.pdf?x15134

LA VALUTAZIONE MITE NELLA SCUOLA DELL’INFANZIA

La VALUTAZIONE Può essere sommativa o formativa (se rivolta ai soggetti), di scuola ( contesti e processi
:RAV) con la finalità di avviare un processo di miglioramento. IL PROCESSO DI VALUTAZIONE é parte
integrante del processo di educazione ed istruzione perché orienta la progettazione e suggerisce la
continuità o la ri-progettazione laddove i risultati raggiunti sono carenti. Per la Scuola dell’infanzia le linee
guida per una corretta valutazione sono stabilite dai principi pedagogici delle Indicazioni del 2012: “La
valutazione assume una funzione formativa che riconosce, accompagna, descrive e documenta i processi di
crescita.Evita di classificare e giudicare le prestazioni dei bambini, perché è orientata a esplorare e
incoraggiare lo sviluppo di tutte le loro potenzialità”.

Quando parliamo di valutazione mite?


- quando si utilizza lo strumento qualitativo- descrittivo dei processi di apprendimento
- Quando si orientata al riconoscimento dei soggetti e delle Loro potenzialità
- Quando valorizza il percorso di miglioramento del bambino
-
Per approfondire i concetti consigliamo i corsi della PEGASO FORMIA cliccando sulla pagina
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Cinzia Mion scrive:

“Per valutazione mite si intende una valutazione che non etichetta, non semplifica, non si appoggia a
verifiche o a strumenti osservativi preconfezionati da utilizzare a mo’ di schede individuali su cui crocettare
la presenza o assenza di determinate abilità ricavandone quasi un documento di misurazione
sommativa.�Per valutazione mite si intende l’eventuale rilevazione dell’inibizione o della difficoltà o della
lenta esecuzione di una determinata attività non per sanzionarla ma per far uscire dallo sfondo la richiesta
implicita di aiuto in modo che in tempo reale l’insegnante sappia trovare la strategia adeguata per
prendersi “cura” del disagio eventuale emergente o del ritmo di sviluppo un po’ più lento.
L’autointerrogazione serve a capire se la strategia adeguata ed eventualmente alternativa è già a
disposizione dell’ insegnante o se deve essere cercata altrove. Capire se emerge il bisogno di imparare a
osservare meglio o adottare approcci diversi significa autovalutarsi, individuando i propri bisogni
formativi.....All’interno della valutazione mite non si cerca di rilevare solo le difficoltà ma anche i diversi stili
cognitivi, i talenti emergenti, le attitudini. Essa non poggia sulla rilevazione negativa della prestazione
scadente ma sul processo di incoraggiamento, pilastro essenziale del sostegno alla crescita e a qualsiasi
autentico ambiente di apprendimento. Ogni bambino ha la sua zona di sviluppo prossimale ed ogni
bambino deve essere incoraggiato a migliorare. Nel processo di incoraggiamento l’insegnante deve essere
disponibile sempre ad essere spiazzato da qualche atteggiamento o comportamento dei bambini, deve
essere disponibile alla sorpresa e alla meraviglia. È infatti dalla sorpresa rispetto a piccole competenze
inattese (che magari non appartengono al campo in quel momento osservato), ai piccoli miglioramenti che
improvvisamente appaiono che sorge la fiducia che l’insegnante trasmette ai bambini nella loro crescita ed
evoluzione, nel fatto che qualsiasi difficoltà ed impaccio sono comunque reversibili”
E inoltre “Secondo me alla scuola dell’infanzia, al di là di cosa dicono le Indicazioni nazionali che ne
individuano la valenza formativa ("la valutazione riconosce, accompagna, descrive e documenta i processi
di crescita…" ecc.), la pratica della valutazione dovrebbe essere soprattutto la conseguenza di una attenta
e peculiare osservazione da parte dell’insegnante in grado di cogliere la differenza tra una abilità o
competenza già padroneggiata ed una nuova che si sta affacciando o che è in via di consolidamento.�Il
riferimento è ovviamente alla zona di sviluppo prossimale di vigotskiana memoria. Con ciò intendo rilevare
ciò che in genere già fanno le brave docenti della scuola dell’infanzia che intervengono orientando le
pratiche didattiche a far evolvere i bambini e le bambine all’interno di uno sviluppo e una crescita da loro
sollecitata e facilitata, senza eccessive stimolazioni precocistiche. Insieme a questa basilare capacità
professionale di “sostenere” (scaffolding) l’apprendimento dei bambini dovrebbe apparire anche un
atteggiamento importante che riguarda la formazione personale del docente.”

Per approfondire vi consiglio di leggere il


Link sottostante
https://www.rizzolieducation.it/content/uploads/2018/07/Carta_e_matita.pdf?x15134

Il candidato illustri un percorso di progettazione didattica che possa essere di aiuto all'educazione
razionale-emotiva volto a ridurre il disagio e favorire l’inclusione. Illustri i principi e gli obbiettivi a cui il
percorso didattico deve tendere.

Realizzare un percorso di educazione razionale-emotiva in classe significa realizzare esperienze di


apprendimento entro le quali gli alunni possono imparare a riconoscere le proprie emozioni e comprendere
i processi cognitivi che li influenzano, con l’obiettivo di utilizzare tali competenze per affrontare le difficoltà
che si trovano a sperimentare nella vita di tutti i giorni. Proviamo una progettazione U.D.A. Unità Didattica
di Apprendimento che tenga conto. Degli obbiettivi di apprendimento emotivo: 1) si aiuta l’alunno a
riconoscere le proprie emozioni e avere consapevolezza quando sente disagio; 2) si insegna
successivamente che il proprio modo di pensare si apprende e che influenza il proprio sentire emotivo; 3) si
insegna poi a modificare i pensieri dannosi, come pensa quando interpreta e valuta ciò che accade intorno
a lui. Bisogna poi tener conto infatti delle cinque aree del SEL (Social Emotional Learning - Educazione
SocioEmotiva) che riguardano l’apprendimento socio-emotivo: 1) l’autoconsapevolezza emotiva (saper
identificare e riconoscere le emozioni); 2) l’autoregolazione emotiva (saper intervenire nella regolazione
delle emozioni); 3) la presa di decisioni responsabili; 4) le abilità relazionali (comunicare, cooperare,
negoziare, prestare e chiedere aiuto); 5) la consapevolezza sociale (empatia e rispetto per gli altri,
valorizzazione delle diversità). Una brevissima Uda in tal senso può prevedere [se la traccia indica la materia
si può scegliere un argomento e mettere questo in relazione agli obiettivi di competenza]. OBIETTIVI DI
COMPETENZA: Nominare e riconoscere le emozioni. Tipologia di attività Italiano: individuare in un testo le
parti che connotano l’emozione. Saper descrivere episodi emotivi. Arte e immagini: riconoscere gli elementi
di un immagine che denotano le emozioni. riconoscere suoni e rumori della natura e dell’ambiente che
suscitano emozioni. La letteratura, per esempio, permette di attingere a prodotti di esemplare
rappresentazione del sentire (poesie, romanzi, etc.) e a diversi generi (autobiografia, diario, etc.). Un altro
medium efficace che potrebbe essere utilizzato in un percorso di educazione emotiva è l’illustrazione. I
disegni e le immagini offrono un’alternativa all'espressione verbale e possono dirigere le emozioni represse
in canali più creativi. Ma anche l’espressione corporea, passando da vie meno codificate
convenzionalmente, rappresenta un interessante linguaggio attraverso cui esplorare forme diverse di
espressione della vita affettiva. OBIETTIVI DI COMPETENZA: Accettare se stessi e gli altri. Tipologia di
attività Circle time: attraverso il racconto a turno di una situazione emotiva, allenare la capacità di
conversare, dialogare con gli altri all’interno di un gruppo, esprimere le proprie opinioni, dare il proprio
contributo all'attuazione di uno scopo di gruppo. Utilizzo delle regole: sospensione del giudizio, ascolto
senza interruzioni, accettazione di qualsiasi contenuto emotivo. OBIETTIVI DI COMPETENZA: Saper
esprimere efficacemente le proprie emozioni. Tipologia di attività Musica: esprimere le emozioni suscitate
dall'ascolto dei brani musicali e quelle provocate da particolari ritmi, toni, intensità. Educazione fisica:
esprimere con il corpo stati d’animo. OBIETTIVI DI COMPETENZA: Aumentare la tolleranza alla frustrazione.
Tipologia di attività Scienze: riconoscere i segnali del corpo che preannunciano l’insorgere di una reazione
emotiva. Imparare a individuare i correlati neurovegetativi delle emozioni. OBIETTIVI DI COMPETENZA:
Individuare i propri pensieri abituali Tipologia di attività Italiano: attraverso l’utilizzo del testo, distinguere
realtà oggettiva e soggettiva. Utilizzo dello schema ABC per allenarsi a individuare il proprio dialogo interno
abituale. OBIETTIVI DI COMPETENZA: Imparare il rapporto fra pensieri ed emozioni. Tipologia di attività
Italiano: attraverso l’uso di un testo o situazione reale riportata in circle time, allenarsi a mettere alla prova
la consistenza logica di un’affermazione, trasformare i pensieri irrazionali legati all'emozione emersa.
Allenamento al pensiero razionale. Le tecniche per gestire le emozioni ci forniscono meccanismi adeguati
per canalizzare la tensione quotidiana, la pressione e lo stress che affievolisce le nostre potenzialità, la
nostra calma e la nostra creatività. Sebbene le emozioni facciano parte della nostra vita, saperle regolare è
la chiave per dare forma a una realtà più soddisfacente e ricca di opportunità. Imparare a pensare in
maniera diversa e a cambiare atteggiamento nei confronti di certe persone, idee, situazioni o cose non è
compito facile, si sa.

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