Sei sulla pagina 1di 39

La medicina di laboratorio:

- coadiuva l’attività del clinico nella scelta di una decisione;


- fornisce informazioni utili alla formulazione di una diagnosi;
- studia i parametri fisico-chimici sui processi fisiologici e/o patologici;
e affinchè sia utile occorre sapere:
- quali indagini di laboratorio richiedere;
- quando richiedere un test;
- come interpretare correttamente il risultato di un test;

La biochimica clinica si differenzia dalla biochimica in quanto si concentra sullo studio del singolo paziente,
analizzando alterazioni di tipo proteico, enzimatico, di elementi chimici e cellulari riscontrabili nei campioni
biologici per raccogliere dati che siano prove a favore o contrarie all’ipotesi diagnostica formulata dal clinico.
È una scienza applicata multidisciplinare (fisica, chimica, chimica analitica, statistica, bioingegneria, biologia,
fisiopatologia, genetica, biochimica, farmacologia,...)

Le indagini di biologia molecolare clinica si avvalgono delle tecniche diagnostiche di medicina di laboratorio,
la quale richiede un utilizzo corretto, ragionevole, razionale e risolutivo; prima di richiedere un esame di
laboratorio è indispensabile conoscere:
- la fisiologia dell’analita
- variazioni fisiologiche dei livelli dell’analita
- meccanismi patologici che possono portare a variazioni della sua concentrazione
- interferenze con una terapia di un farmaco
perchè si richiede un esame di laboratorio?
- sospetto clinico - monitorare livelli terapeutici di un farmaco
- monitorare terapia - screening di una malattia
- formulare prognosi - definire estensione (gravità) di una malattia
- diagnosi - diagnosi prenatale
per eseguire le analisi di biochimica clinica in maniera ottimale è necessario che al laboratorio venga fornito il
campione siglato e raccolto in maniera idonea in relazione all’esame richiesto e il modulo di richiesta
dettagliato ed interamente compilato; possono essere oggetto degli esami di laboratorio di biochimica clinica
tutti i campioni biologici (fluidi, tessuti, frammenti bioptici) purché siano rappresentativi dei sistemi da
indagare. La scelta del campione biologico dipende dal tipo di indagine da eseguire, di solito si utilizzano
campioni di sangue e di urine (sangue venoso per esami di routine, sangue arterioso per acido-base).
Campioni “speciali”: sangue venoso siero o plasma, sangue arterioso, urine, calcoli, fluido cerebrospinale,
biopsie tessuti o cellule, sangue dai capillari, liquido amniotico, feci;
Modulo di richiesta di un esame: notizie anagrafiche+notizie relative al prelievo + motivazione
- sospetto diagnostico - data e ora del prelievo
- indicazione di eventuali terapie in corso - tipo di indagine da eseguire

Le etichette applicate alle provette devono essere del tipo inasportabile e devono riportare le indicazioni
necessarie all’identificazione univoca del paziente e dell’esame richiesto. Oggi è di uso comune identificare il
paziente mediante codice a barre (-errori, + privacy), inoltre le linee guida internazionali indicano la necessità
di utilizzare un doppio codice di identificazione (nome e data di nascita + nome e codice fiscale)

1
La variabilità diagnostica di un dato test dipende dalla differenza tra valore reale e valore misurato e dalla
distribuzione del valore reale. Fonti di errore sono possibili in ogni fase del processo analitico ed è, pertanto,
indispensabile identificare e comprenderne le cause così da limitare al massimo le conseguenze.
Si può trattare di fattori:
- pre analitici: si verificano prima dell’esecuzione dell’analisi, sia esterni che interni al laboratorio,
riguardano il prelievo, il trasporto, l’accettazione e le modalità di conservazione dei campioni;
- analitici: si verificano in relazione al metodo analitico in sé, alla misura;
- post analitici: si verificano durante l’elaborazione e la refertazione dei dati oltre che
nell’interpretazione dei risultati;

I fattori che condizionano i risultati analitici di un prelievo di sangue venoso sono numerosi ed è importante
quindi che il paziente sia ben informato dal medico su alcune prescrizioni da seguire prima di sottoporvisi:
1. digiuno: il prelievo va effettuato su un paziente a digiuno da circa 6/8 ore poiché in fase post-
prandiale i livelli di molti analiti nel siero cambiano e possono condurre ad errori diagnostici. Nelle
prime ore successive al pasto, la glicemia e i trigliceridi aumentano, mentre la potassiemia e la
fosforemia diminuiscono; inoltre, il digiuno è necessario per non alterare la lipemia, in quanto i sieri
lipemici (contengono elevati livelli di trigliceridi) possono interferire con alcune metodiche analitiche.
Tranne in casi particolari, non è necessario che il digiuno superi le 8 ore, anche perchè il digiuno
troppo protratto causa alterazioni dei parametri ematici di laboratorio: aumentano i livelli di bilirubina e
quelli degli acidi grassi; per i casi in cui il digiuno di 8 ore non può essere osservato (bambini piccoli,
pazienti in pronto soccorso con esami urgenti,...) è bene ricordare quali sono i parametri di laboratorio
influenzati dal pasto.
2. alimentazione: le principali prescrizioni dietetiche da seguire riguardano l’apporto glucidico, per i
pazienti che devono essere sottoposti alla prova di tolleranza al carico glucidico, indagine che deve
essere necessariamente programmata, in quanto nei giorni che precedono la prova il paziente deve
assumere quantità equilibrate di glucidi; anche l’apporto lipidico deve essere controllato, in quanto la
concentrazione di trigliceridi è influenzata da variazioni dietetiche dei giorni che precedono il prelievo;
l’apporto proteico invece non è molto rilevante; per la determinazione del metabolismo basale, il
paziente deve sottoporsi ad un regime di restrizione proteica per almeno tre giorni.
3. attività fisica: il prelievo deve essere eseguito al mattino, in condizioni di riposo in quanto l’attività
fisica intensa può influenzare alcuni analiti, come gli enzimi localizzati prevalentemente nella
muscolatura scheletrica o alcuni parametri biochimico-clinici che aumentano nel siero:
- creatin chinasi - acido lattico e acido piruvico
- aspartato aminotransferase - aldolasi
- ammoniaca - lattato deidrogenasi

D’altro canto, l’immobilizzazione completa protratta a lungo, determina un processo di demineralizzazione


del tessuto scheletrico con aumento dell’escrezione urinaria del calcio, del fosforo e della idrossiprolina.

4. ritmi cronobiologici: gli organismi viventi sono soggetti a processi di adattamento ai ritmi scanditi dalle
stagioni e a quelli di luce/buio che complessivamente vengono identificati come ritmi cronobiologici.
Il ritmo più comune è quello circadiano, che ha come sincronizzatore più comune l’alternanza luce-

2
oscurità, sonno-veglia, assunzione di cibo. Parametri di laboratorio sensibili: VES, i livelli di ACTH,
cortisolo, gonadotropine, prolattina, sideremia (variazioni fino al 50% nelle 24h!), cloruremia,
calcemia, 5-idrossitriptamina, l’escrezione urinaria di catecolamine, sodio, potassio e fosfati. Un tipico
esempio di ritmo mensile è quello mestruale, per effetto del quale avvengono modificazioni regolari
dei livelli ormonali (gonadotropine, estrogeni e progesterone). Inoltre, per qualche giorno i livelli di
emoglobina e ferro possono essere più bassi.
5. gli effetti dello stress causato possibilmente da rumori, suoni, luce, calore, freddo, additivi chimici,
virus, batteri, tensioni familiari, dinamiche relazionali disturbate, angosce nevrotiche, …, portano ad
una diminuzione dei livelli degli ormoni sessuali e ad un aumento dei livelli di:
- ormoni ipofisari e surrenali tra cui - ormoni tiroidei
adrenocorticotropo,cortisolo, - glicemia
prolattina, ormone della crescita, - colesterolo
catecolamine plasmatiche - trigliceridi
(dopamina, adrenalina e
noradrenalina).
6. assunzione di medicamenti: è importante che nelle ore precedenti il prelievo siano interrotti gli
eventuali trattamenti farmacologici a cui il paziente è stato sottoposto, in quanto alcuni farmaci o loro
metaboliti possono interferire sui risultati delle analisi di laboratorio. In alternativa, l’assunzione di
farmaci deve assolutamente essere comunicata al laboratorio. L’ interferenza sulla reazione analitica
può essere:
- biofarmacologica e metabolica: il medicamento attraverso la sua azione farmacologica,
immunologica o tossicologica altera i livelli fisiologici dell’analita;
- fisica: il medicamento contiene pigmenti simili a quelli da dosare;
- chimica: il farmaco può interagire con l’analita, i reagenti o le tecniche di misura;

La fase pre-analitica: insieme di procedure che può essere soggetto a variabilità


- preparazione del paziente - trasporto o spedizione
- raccolta del materiale - separazione (siero, plasma)
- prelievo del materiale - conservazione del campione

La variabilità si riduce quando:


- il paziente, ben informato e motivato, segue le istruzioni (modalità di raccolta, digiuno, riposo, ecc);
- le manovre di prelievo/raccolta sono corrette ed adeguate (ambiente, impiego di materiali e dispositivi
idonei, ecc);
- il trasporto (invio) del materiale al laboratorio è adeguato;

Criteri di non accettabilità dei campioni biologici


- identificazione assente o incompleta; - emolisi evidente;
- mancanza di informazioni necessarie per - conservazione a temperatura non corretta
l'esecuzione dei test; (emogasanalisi, ammoniemia, ecc.);
- contenitore inidoneo (non conforme alle - esposizione a luce solare diretta;
indicazioni o necessità del laboratorio, non - congelamenti e scongelamenti ripetuti;
sterile, ecc.) o non integro; - paziente non a digiuno per esami come
- prelievo non corretto; glucosio, lipidi, ecc.;
- quantità insufficiente; - paziente non sottoposto al previsto regime
- rapporto sangue/anticoagulante dietetico (per esempio sangue occulto);
inadeguato o scorretto; - paziente non a riposo per test in cui il
- mancata aggiunta di idoneo conservante; riposo è indispensabile (per esempio
- presenza di coaguli (in caso di emocromo, dosaggio di renina
test coagulativi);

Gli errori pre-analitici possono intervenire durante la conservazione del materiale:

3
temperatura di conservazione del materiale biologico
0°C: ormoni e metaboliti a vita breve;
a temperatura ambiente non avvengono cambiamenti
per 4h a carico di enzimi, metaboliti, elettroliti e minerali;
conservazione al buio: bilirubina, porfirine, vitamine;
liofilizzazione;
modificazione del pH: pH 2 per Ca, P e ossalati nelle
urine (HCl diluito) pH 7-8 per acido urico (carbonato di
sodio);
aggiunta di sostanze chimiche con funzioni particolari:
alcuni analiti sono stabili e non subiscono alterazioni nei
sieri conservati a contatto col coagulo per almeno 48h a
temperature comprese tra 4°C e 30°C; invece altri
richiedono l’aggiunta di sostanze chimiche per
preservare più a lungo la stabilità;

La variabilità analitica
Lo scopo delle misure è ottenere un valore analitico che
rappresenti una stima fedele del valore vero.
Se uno stesso campione biologico viene analizzato ripetutamente (nello stesso laboratorio o in laboratori
differenti) anche utilizzando lo stesso metodo di analisi e gli stessi strumenti, non si ottengono gli stessi
valori.
Un’analisi quantitativa può incorrere in errori di tipo:
- sistematico: differenza tra valore analitico e valore vero che si presenta in maniera regolare.
Falsa il risultato analitico in maniera «sistematica», ossia ripetendosi tutte le volte che si effettua lo
stesso tipo di analisi con lo stesso metodo.
Per effetto dell’errore sistematico, tutti i valori sono uniformemente più alti o più bassi del valore vero,
è quindi causa di inaccuratezza.
Causa nota o individuabile: cattiva taratura strumentale, purezza di un reagente o la concentrazione
di uno standard, ecc.
- casuale: differenza tra valore analitico e valore vero che si presenta in maniera irregolare.
Possibili cause: inaccuratezza di un operatore, errore di preparazione dei reagenti, inadeguatezza
degli impianti e degli ambienti.
Per effetto dell’errore casuale, i valori analitici replicati risultano occasionalmente superiori o inferiori
al valore vero, è quindi causa di imprecisione.

I fattori che determinano la variabilità analitica sono:


- ambientali, temperatura del laboratorio, campi elettromagnetici;
- tecnologici, livello di autocalibrazione e autocontrollo;
- chimici e biochimici, var. grado di purezza dei reagenti e/o lotti kit analitici;
- umani , stanchezza, interrelazioni tra individui;
e possono essere ridotti attraverso:
- controllo del processo (ottimizzazione delle procedure)
- controllo del prodotto (per es., analisi statistico-epidemiologica dei dati)

Qualunque metodo di misura, basato su qualunque principio, mostra una variabilità

La variabilità analitica è legata principalmente a due componenti: precisione e accuratezza;

La precisione è il grado di concordanza tra misure replicate effettuate sul medesimo campione.
L’ imprecisione è il grado di discordanza tra misure eseguite sullo stesso campione.

4
La precisione si misura in termini di deviazione standard e se il metodo è
preciso, la variazione dei valori segue una distribuzione gaussiana.
Il 68% delle osservazioni cade tra la media e ± 1 ds
Il 95 % delle osservazioni cade tra la media e ± 2 ds

media: somma singoli dati / n° osservazioni


deviazione standard (σ):radice quadrata della somma dei quadrati delle
deviazioni dei valori individuali dalla loro media /(n°osservazioni-1)
La σ descrive la variabilità della distribuzione.

La precisione analitica è definita come:


- ripetibilità: misura della deviazione dal valore medio dei risultati
ottenuti da uno stesso operatore in un’unica serie analitica e senza
cambiare reattivi o apparecchiature (precisione entro la serie).
- riproducibilità: misura della deviazione dal valore medio dei risultati ottenuti in un arco variabile di
tempo (settimane o mesi) da operatori diversi che non conoscono l’identità del campione analizzato e
che usano lotti di soluzioni e reagenti diversi.

L’accuratezza è il grado di concordanza tra il valore fornito dall’analisi (valore analitico) e il valore reale
(valore vero) della grandezza in esame. Si riferisce alla affidabilità di una metodica, quindi riflette l’abilità di
un metodo a riprodurre i valori dei campioni di riferimento a concentrazione nota.
L’inaccuratezza è lo scostamento tra il valore sperimentale ed il valore vero. È la discordanza tra la media
dei valori ottenuti misurando un campione a concentrazione nota per un analita ed il valore vero dello stesso.

!precisione e accuratezza sono tra loro indipendenti!


Infatti, un risultato inaccurato può essere molto preciso, cioè andando a ripetere più volte una
determinazione sullo stesso campione con lo stesso metodo, otteniamo risultati sempre vicini tra loro, ma
tutti lontani dal valore atteso. Un risultato impreciso può essere molto accurato, cioè otteniamo sempre
risultati vicini a quello atteso, ma abbastanza diversi tra loro.

La sensibilità analitica è la minima concentrazione di un analita che il metodo permette di rilevare in un


campione biologico, distinguendolo dal “bianco”.
Il metodo deve essere molto sensibile quando:
- si misurano analiti presenti in piccolissime concentrazioni (nano/picomoli), e ciò riguarda soprattutto
analisi di ormoni o farmaci;
- piccole variazioni delle concentrazioni di analita sono significative da un punto di vista clinico, ad
esempio determinazioni degli elettroliti, oppure determinazioni collegate all’equilibrio acido-base.
La linearità è la proprietà attraverso cui, al variare delle concentrazioni dell’analita, la sensibilità resta
costante.
L’intervallo di linearità è l’ambito di concentrazioni o di attività in cui il valore finale prodotto è proporzionale
alla quantità da misurare.
La linearità è importante quando si misurano analiti i cui valori possono (in alcune condizioni patologiche)
oscillare in un range molto ampio, e raggiungere concentrazioni molto elevate rispetto ai valori di riferimento.
Quando i valori ottenuti sono superiori al limite di linearità del metodo, occorre diluire il campione e poi
ripetere la misura, riportando il valore all’interno del range di linearità del metodo.

Limite di rilevazione (Limit of Detection, LOD) definito come la minima quantità di sostanza evidenziabile con
il metodo in esame come diversa da zero; coincide quindi con il cosiddetto limite inferiore di rilevazione,
ovvero la più piccola quantità dosabile in quanto diversa dal bianco con un limite fiduciario di almeno il 95%. I
campioni vicini al LOD andranno refertati non come “assente” o “zero” ma come “inferiore al limite di
rilevazione”. Limite di quantificazione (Limit of Quantification, LOQ) ovvero la minima concentrazione di
analita che può essere determinata quantitativamente con ragionevole affidabilità.

La specificità analitica è la capacità di un metodo di determinare solamente il costituente che si intende


misurare senza risentire di interferenze.
Si chiama interferenza una situazione in cui componenti differenti, pur non generando di per sé un segnale,
amplificano o deprimono il segnale generato nel metodo dal componente oggetto della misura.
Diversi farmaci ed alcuni alimenti possono causare interferenze nelle misurazioni analitiche in biochimica
clinica; per ogni metodo di laboratorio sono note le sostanze che provocano interferenza per cui è importante
che il laboratorio sia informato dell’eventuale assunzione di farmaci da parte del paziente.
specificità ed interferenza costituiscono gli effetti da matrice

5
La matrice è costituita da tutto quello che, nel campione, circonda il componente oggetto della misura (ad
esempio per un campione di glucosio sierico, la matrice: acqua, proteine, componenti organici, ecc.).

I metodi analitici devono essere scelti in base all’accuratezza, alla precisione e alla facilità;
In base all’accuratezza, possono essere:
- definitivo: non ha fonti di inaccuratezza o ambiguità;
- di riferimento: inaccuratezza trascurabile rispetto alla sua imprecisione;
- ad errore noto: l’entità dell’errore è stata stabilita;
- ad errore ignoto: ad accuratezza ignota.

Qualità del laboratorio:


- uso giornaliero di standard per la calibrazione
- controllo settimanale con materiale a titolo noto (per effettuare un valido controllo di qualità, si rende
necessario l’utilizzo di un “materiale di controllo”, omogeneo, stabile nel tempo, a composizione
chimica e fisica nota e il più possibile vicina a quella dei campioni in esame)
- carte di controllo (registrazione grafica)

i campioni di controllo devono essere analizzati contestualmente ai campioni in esame in maniera casuale

Allo scopo di tenere sotto controllo l’efficienza dei metodi di misura, ed in particolare la precisione e
l’accuratezza, si utilizzano i sistemi di controllo di qualità.
Nei sistemi di controllo esterni o extra laboratorio, il laboratorio riceve, periodicamente, campioni di controllo
a concentrazione ignota e li analizza insieme ai campioni da paziente per poi comunicare i dati all’ente di
controllo.
Nei sistemi di controllo interni o intralaboratorio si utilizzano invece campioni di controllo a concentrazione
nota, che vengono analizzati insieme ai campioni da paziente. È buona norma usare campioni che hanno
concentrazioni diverse, in tutto il range di valori che si possono ottenere da un paziente.
I risultati ottenuti dai campioni di controllo interno, vengono periodicamente inseriti in una carta di controllo.
Le carte di controllo secondo Shewhart consentono di:
- verificare se un processo è in stato di controllo o meno;
- descrivere il comportamento di un processo in stato di controllo;
- aiutare gli operatori della qualità a portare un processo nello stato di controllo;
Un processo produttivo raggiunge lo stato di controllo quando la sua normale variabilità è garantita, cioè i
valori ottenuti da tale processo sono compresi in limiti ben determinabili.

Oltre alla variabilità analitica, i risultati analitici possono variare in base


alla variabilità biologica: una serie di fattori legati all’individuo possono
essere responsabili del fatto che i valori di un parametro analitico
possano variare nello stesso individuo (anche se non sono intervenute
patologie), oppure siano differenti da soggetto a soggetto.

Il dato di laboratorio serve per poter decidere un comportamento verso un


paziente. Per poter interpretare il risultato è necessario valutare se è
compreso negli intervalli di riferimento per la popolazione sana, oppure se
risulta più elevato o più basso. Si dovranno stabilire dei valori al di fuori
dei quali si presume vi sia un’anormalità con un limite di errore
accettabile. Occorre osservare che il termine “normale” ha diversi
significati:
- in senso statistico definisce un tipo di distribuzione;
- in senso epidemiologico può essere confuso con il valore tipico di una popolazione;
- in senso clinico la parola normale spesso indica un’assenza di una certa malattia;
Si preferisce quindi parlare di “valori di riferimento” come dei valori più frequentemente riscontrati negli
individui sani.
Il modello “sano” non è un modello reale facilmente identificabile, solo un soggetto “privo di malattia”.
È un modello ideale.
I fattori che influenzano la variabilità biologica sono:
- genetico: gruppi sanguigni, antigeni di istocompatibilità;
- fisiologico: età, sesso, eccesso di peso, fattori ambientali, stato nutrizionale, gravidanza, ora e giorno
del prelievo, modalità di prelievo, postura;
- esogeno: alimentazione, attività fisica, attività professionale, fattori psichici, abitudini di vita in genere,
fumo, alcool, stress, ansia, dolore, assunzione di contraccettivi, assunzione di farmaci, altitudine,
clima;

6
- variabilità intra ed interindividuale: variabilità biologica della specie;
- variabilità biologica ritmica: oscillazioni dei valori di alcuni analiti nel corso della giornata, della
settimana, del mese;

Definizione della popolazione

compatibilità tra le caratteristiche del gruppo e le inferenze che si faranno


attraverso il processo di comparazione
Nel caso di valori di riferimento nel settore della farmacologia clinica, la popolazione di riferimento è
rappresentata dai soggetti che assumono il farmaco dosato.
N.B. in ogni caso non è prevedibile alcun criterio di “normalità” in base al quale selezionare la popolazione.
Selezione degli individui di riferimento: devono essere rappresentativi dei soggetti in esame sotto ogni
aspetto, ad eccezione di quello oggetto del test, in cui invece tale identità o discordanza costituisce il motivo
della misura.
I criteri di selezione sono:
- diretto: in base a caratteristiche predefinite;
- indiretto, dopo aver applicato criteri di esclusione;
- selezione randomizzata, in modo da dare a tutti la stessa probabilità di essere prescelti;
- selezione non randomizzata, con frazioni della popolazione “verosimilmente sane” (militari di leva,
scolaresche) [cautela nell’interpretazione];
- selezione/esclusione candidati.
Sarebbe opportuno che ogni laboratorio calcolasse gli intervalli di riferimento per ciascun analita. Tuttavia,
può essere sufficiente utilizzare i valori di riferimento calcolati in altri laboratori, purché:
- i soggetti impiegati per il calcolo dei valori di riferimento appartengano allo stesso gruppo etnico che
afferisce al laboratorio (alcuni parametri hanno diversi valori di riferimento in base al gruppo etnico:
ad es, i valori di riferimento per la creatin-chinasi sierica, enzima rilasciato dai muscoli, sono più
elevati in individui africani che hanno una massa muscolare più sviluppata).
- i valori di riferimento siano stati calcolati con la stessa metodologia analitica impiegata nel nostro
laboratorio.

Una popolazione di riferimento per calcolare gli “intervalli di riferimento” si sceglie in base a criteri di
ripartizione e criteri di esclusione.

I criteri di ripartizione:
- numero di soggetti sufficientemente - età, sesso, fattori ambientali;
elevato; - altri fattori biologici: variazioni
- buono stato di salute (almeno per quanto cronobiologiche;
riguarda i metabolismi o gli organi valutati
dall’analita in questione);

I criteri di esclusione:
- malattie sistemiche e disordini - modificazione dello stato fisiologico:
fisiopatologici; gravidanza, esercizio fisico intenso,
- assunzione di agenti farmacologicamente assunzione di cibo prima del prelievo;
attivi: terapia farmacologica, assunzione di - esposizione a fattori di rischio;
contraccettivi,tossicodipendenza, alcolismo
e tabagismo;

L’intervallo di riferimento include una frazione prefissata della popolazione di riferimento.

7
Tra gli individui “normali” ci si aspetta che i valori dei singoli analiti abbiano variazioni compatibili con la
normale variabilità tra un soggetto ed un altro.
Se questa variabilità è veramente casuale questi
valori seguiranno una distribuzione normale o
gaussiana.
Il 2,5% dei valori alti ed il 2,5% di quelli bassi
costituiscono i valori “sospetti” (oltre i ± 3DS si hanno
valori patologici) per cui vengono esclusi dagli
intervalli di riferimento.

Per molti analiti gli intervalli di riferimento possono


variare in base all’età o al sesso. Se ci accorgiamo di un evento del genere durante la valutazione dei valori
ottenuti nella nostra popolazione, dovremo ricalcolare gli intervalli di riferimento in un congruo numero di
soggetti appartenenti alle diverse fasce d’età o ai due sessi. In questi casi, il laboratorio dovrà riportare sul
referto, di volta in volta, gli intervalli di riferimento corrispondenti all’età e al sesso del soggetto in esame. Il
confronto del risultato ottenuto con i valori di riferimento
permette di discriminare subito una condizione (normale o
patologica), tuttavia esistono dei limiti dei valori di
riferimento.
Si possono verificare variazioni patologiche anche
nell’ambito di valori di riferimento considerati normali.
Alcuni analiti hanno una distribuzione asimmetrica (es. la
bilirubina sierica), e quindi non è corretto calcolare gli
intervalli di riferimento con la procedura dell’analisi
statistica gaussiana (o parametrica).
è utile ricordare che l’esame di laboratorio da solo non serve mai a formulare o escludere una diagnosi,
ma va valutato nel contesto clinico di ogni paziente
Traguardi analitici: si basano sulla precisione ed accuratezza necessarie per un ottimale e sicuro utilizzo
clinico.
Un metodo è tanto più attendibile quanto più il campo di variabilità analitica è ridotto rispetto a quello della
variabilità biologica. Affinché un metodo di misura produca informazioni attendibili sulla variabilità biologica,
occorre che il campo di variabilità analitica sia il più ridotto possibile rispetto al campo di variabilità biologica.
Andrebbe sempre scelto il metodo che assicuri la massima selettività tra distribuzione dei soggetti sani e dei
soggetti affetti dalla malattia bersaglio.
Nella Conferenza di Stoccolma (aprile 1999) è stato redatto un documento di consenso per definire una
gerarchia di modelli di specifiche di qualità in Medicina di Laboratorio sulla base della quale effettuare la
scelta dei traguardi analitici.
Poiché l’approccio ottimale è di difficile realizzazione pratica ed è oggi praticabile solo per pochi analiti in
specifiche patologie (ad es. glucosio per la diagnosi di diabete), il modello ritenuto scientificamente più valido
e applicabile è quello basato sulla variabilità biologica.
Questo modello si basa sull’assunto che la variabilità di ogni misura dipende da due fattori principali:
la variabilità biologica e quella analitica
Utilizzando il modello della variabilità biologica è possibile determinare
i traguardi analitici per:

- bias o inesattezza massimo errore sistematico accettabile;


- imprecisione massimo errore casuale accettabile;
- errore totale massimo (scostamento o scarto) accettabile;

Le caratteristiche di performance clinica devono essere valutate integrando tre criteri:


1. qualità analitica;
2. distribuzione del segnale;
3. prevalenza della malattia.

situazione ideale situazione reale

8
caso ideale: bisogna soltanto caso reale: non è facile stabilire chi è malato e
stabilire i valori ottimali: chi è sano, ma si può soltanto avere una
maggiore probabilità statistica; per la diagnosi
si dovrà ricorrere ad altri tipi di valutazione, tra i
quali la sensibilità e specificità diagnostica,
incidenza e prevalenza nella popolazione, etc.

la scelta dei cut-off è dettata sulla base della patologia

La validità diagnostica di un test è funzione di sensibilità e specificità diagnostiche


Sensibilità: quanto è alta la probabilità che un Specificità: quanto è alta la probabilità che un
paziente malato ricevi una diagnosi positiva; paziente sano ricevi una diagnosi negativa;
una procedura poco sensibile produce un alto una procedura poco specifica produce un alto
numero di falsi negativi. numero di falsi positivi.
Sensibilità diagnostica:. veri positivi . ✘100 Specificità diagnostica: . veri negativi . ✘100
totale positivi malattia totale negativi malattia

Il sangue: tessuto che si presenta in forma liquida; costituisce circa 1/12 del peso corporeo (circa 5/6 litri) e
svolge numerose ed importanti funzioni:
- respiratoria: per mezzo dell'emoglobina contenuta negli eritrociti, porta l'ossigeno ai vari tessuti e ne
preleva l'anidride carbonica;
- nutritizia ed escretrice: trasporta sostanze nutritive (aminoacidi, zuccheri, sali minerali) e raccoglie
quelle escrete dai vari apparati che verranno eliminate attraverso il filtro renale od elaborate dal
fegato;
- regolazione: trasporta ormoni, enzimi e vitamine
- difesa: presiede alla difesa dell'organismo attraverso l'azione svolta dai globuli bianchi
- termoregolatrice
- mantenimento del tasso idrico
- regolazione dell’emostasi
- mantenimento della pressione osmotica (minerali) e oncotica (proteine)

Il sangue è formato da elementi figurati, eritrociti, leucociti e piastrine, e da una sostanza intercellulare
liquida, denominata plasma.
Il plasma è la componente fluida del sangue, cioè il sangue deprivato degli elementi figurati, ma che contiene
i fattori della coagulazione;
Il siero è la componente liquida del sangue che rimane dopo la rimozione degli elementi figurati e del
coagulo di fibrina.

a partire dal sangue intero:


- per ottenere il plasma bisogna aggiungere provetta e sopra questa abbiamo un fluido
al sangue contenuto in una provetta, una che è il plasma.
sostanza anticoagulante e sottoporre il - se invece al campione non viene aggiunto
campione a centrifugazione; la parte anticoagulante, alla parte corpuscolata si
corpuscolata si deposita sul fondo della lega il fibrinogeno; centrifugando, o
9
semplicemente attendendo un certo tempo, la parte solida si deposita e sopra
resta un liquido che si chiama siero.

L’omeostasi del sangue, la sua tendenza alla stabilità, è mantenuta da:


- una serie di complessi meccanismi che regolano la produzione e la degradazione dei componenti
della fase liquida: feedback positivi e negativi;
- un preciso equilibrio tra sistema emopoietico (di produzione) e sistema emocateretico (di
degradazione) per la parte corpuscolata;
sistema emopoietico: sistema emocateretico:
- sacco vitellino, fegato e milza; - milza;
- midollo osseo; - fegato;
- tessuto linfatico. - tessuto periferico

Le cellule del sangue periferico: sono cellule “mature” che hanno già subito un processo di differenziamento
nei tessuti emopoietici:
- eritrociti - leucociti: - piastrine
granulociti: neutrofili, eosinofili,
basofili
agranulociti: monociti,linfociti

Eritrociti (RBC)
- sono le cellule più numerose nel sangue periferico (4.2 - 5.6 milioni/L di sangue);
- misurano 6,6 - 7,5 μm di diametro; esistono però forme con un diametro superiore ai 9 μm (macrociti)
o inferiore a 6 μm (microciti).
- sono privi di nucleo; al microscopio, appaiono come dischi rosa più chiari al centro a causa della
loro forma biconcava; forme diverse possono essere normali oppure, in alcuni casi, patologiche;
- sono adibiti al trasporto di O2 e CO2;
- Il loro citoplasma contiene quasi esclusivamente emoglobina, che lega reversibilmente O2 e ne
consente il trasporto ai tessuti;
Emoglobina (Hb)

10
- molecola formata da una componente proteica, costituita da 4 subunità di globina, e da una
componente non proteica (gruppo prostetico), Eme (uno per ogni subunità di globina), che è il vero
centro funzionale dato che ospita un atomo di ferro (Fe++), grazie al quale l’emoglobina può legare
l’O2 e trasportarlo da un compartimento in cui esso è presente ad alta concentrazione ai tessuti che
ne hanno bisogno.
- quando si lega all'O2 viene chiamata ossiemoglobina; nella forma non legata, deossiemoglobina;
- nel sangue periferico, sono tre le emoglobine presenti, che si differenziano per il tipo di globina:
Emoglobina A1 Emoglobina A₂ Emoglobina F
(HbA1): 95-98% (HbA2): 2-3% (HbF): <2
α2- β2 α2- δ2 α2- γ2

Leucociti (WBC)
- sono incaricati della difesa dell'organismo;
- nel sangue sono assai meno numerosi dei globuli rossi (4.000-10.000/L di sangue);
- a differenza dei globuli rossi, hanno il nucleo; esso può presentare lobature multiple, essere indentato
o reniforme. La forma del nucleo differisce nei vari tipi di leucociti ed aiuta al riconoscimento di queste
cellule;
- si dividono in granulociti e agranulociti (o cellule linfoidi); Il termine “granulociti” è dovuto alla
presenza di granuli nel citoplasma di queste cellule che hanno una differente affinità verso i coloranti
neutri, acidi o basici e fanno assumere al citoplasma un colore differente.

formula leucocitaria: percentuale relativa dei diversi leucociti

Neutrofili (si colorano con coloranti neutri)


- sono i leucociti più comuni (55 – 65%), diametro 9-12 µm;
- nucleo suddiviso in 2-5 lobi, collegati da un sottile filamento di materiale nucleico;
- il citoplasma è trasparente perché ha granuli piccoli e debolmente colorati di rosa;
- sono molto attivi nel fagocitare batteri (presenti in grandi quantità nel pus delle ferite);
- sono dotati di movimento attivo per cui raggiungono in breve tempo i siti di infezione grazie a
molecole dotate di attività chemiotattica;
- una volta migrati nel tessuto infiammato e svolta la loro azione muoiono e - insieme ai detriti
cellulari e al materiale degradato - vanno a costituire il pus.

Neutrofilia (aumento del n dei neutrofili) reumatoide, febbre reumatica, traumi, tumori,
infezioni acute (batteriche e fungine), stress acuto, malattie infiammatorie sterili/necrosi dei tessuti,
eclampsia, gotta, leucemie mieloidi, artrite tiroiditi, ansia ed attività fisica severa, malattie del

11
collagene, insufficienza renale acuta, - linfomi
chetoacidosi, splenectomia, intossicazioni - malattie del midollo osseo
(piombo, mercurio, litio, benzene, monossido di - infezioni gravi
carbonio) - anemia aplastica
- influenza o altre infezioni virali
- shock anafilattico
- assunzione di alcuni farmaci (es.
metotrexato) e chemioterapia
Neutropenia (diminuzione del n dei neutrofili) - terapia radiante o esposizione a radiazioni
- neutropenie congenite ionizzanti
Eosinofili (acidofili, si colorano con coloranti acidi)
- sono abbastanza rari nel sangue (0 – 3%), diametro 10-14 µm;
- il nucleo è generalmente bilobato (ma sono stati osservati anche nuclei con 3 o 4 lobi);
- il citoplasma è pieno di granuli che assumono un colore rosa-arancione caratteristico.
- aggrediscono parassiti e fagocitano i complessi antigene-anticorpo; l’azione battericida è di gran
lunga inferiore a quella dei neutrofili.

Gli eosinofili sono coinvolti nelle reazioni allergiche e nella difesa contro le infestazioni parassitarie. Il nome
eosinofili deriva dal fatto che i loro granuli citoplasmatici si colorano di rosa-rosso con un colorante
particolare chiamato eosina. Oltre a intervenire direttamente nelle risposte infiammatorie, gli eosinofili hanno
anche azione regolatoria.
Eosinofilia Eosinopenia
un aumento degli eosinofili circolanti accompagna può essere dovuta all'uso di glucocorticoidi o da
molte forme allergiche IgE mediate - tra cui l'asma gravi stress continuati; spesso è correlata alla
allergico, la febbre da fieno o l'ipersensibilità a Sindrome di Cushing o all'uso di steroidi. Può
farmaci come l'aspirina - le infestazioni da essere dovuta anche ad effetti di radioterapia,
parassiti (come la malaria, la toxoplasmosi), la chemioterapia e terapie immunosoppressive, a
scarlattina, le dermopatie e particolari forme di stress, o ad alcune infezioni batteriche.
leucemie. Sindrome di Cushing: una condizione che deriva
da un’eccessiva concentrazione di ormoni
steroidei nel sangue e che vede tra le cause più
comuni la presenza di tumori all’ipofisi o alle
ghiandole surrenali, nonché la terapia cronica con
farmaci cortisonici.

Basofili
- sono i leucociti più rari (meno dell'1%), diametro 8-10 µm;
- il citoplasma è molto ricco di granuli che prendono una colorazione porpora scuro;
- la quantità di granuli è tale da nascondere il nucleo, generalmente bi-trilobato, che quindi è
difficilmente visibile al microscopio;
- secernono sostanze anticoagulanti, vasodilatatrici come eparina e istamina; anche se possiedono
capacità fagocitaria, la loro funzione principale è quella di secernere sostanze che mediano la
reazione di ipersensibilità;

I basofili oltre a regolare la risposta immunitaria attraverso la secrezione di citochine, sono particolarmente
coinvolti nella risposta allergica. Essi infatti rilasciano istamina, ed inoltre possiedono recettori ad alta affinità
per le IgE, cioè anticorpi coinvolti soprattutto nelle reazioni allergiche, e possono essere attivati dal legame
con lo specifico antigene (ad es. una particella di polline) e la successiva liberazione massiva delle sostanze
contenute nei loro granuli è responsabile dei sintomi dell'ipersensibilità immediata che accompagna la
maggior parte dei disordini allergici (asma bronchiale, punture di insetti ecc.). I basofili, inoltre, sono collegati
anche con le reazioni allergiche ritardate.
Basofilia infiammazione cronica quali l’artrite reumatoide o
un aumento dei basofili circolanti (basofilia) può la colite ulcerosa.
essere dovuto a leucemie, malattie Basopenia
mieloproliferative, infezioni , asma, reazioni può essere dovuta ad assunzione di
allergiche, ipotiroidismo, malattie caratterizzate da corticosteroidi, ipertiroidismo, trattamento con
ormoni tiroidei, condizioni di stress.

Monoci
- sono i precursori dei macrofagi;
- sono le cellule del sangue di dimensione maggiore (18-25 µm);
- hanno un grosso nucleo reniforme (a ferro di cavallo);

12
- quando nel midollo osseo raggiungono la maturità, vengono immessi nella circolazione sanguigna
dove permangono per 24-36 ore. Migrano poi nel tessuto connettivo, dove diventano macrofagi e si
muovono nei tessuti. In presenza di un focolaio infiammatorio, i monociti migrano attivamente dai vasi
sanguigni e iniziano una intensa attività fagocitaria;
- cooperano nella difesa immunitaria, espongono sulla membrana molecole dei corpi digeriti e li
presentano alle cellule più specializzate, come i linfociti Th e B;
Monocitosi Monocitopenia
può essere dovuto a malattie infiammatorie, condizione abbastanza infrequente; alcune
infezioni subacute, infezioni da protozoi, alcune infezioni acute, alcune leucemie acute e ridotta
infezioni batteriche, malattie autoimmuni oppure funzionalità del midollo osseo; si può verificare
da malattie ematologiche, alcune leucemie e anche per il rilascio nel sangue di tossine da parte
alcuni linfomi. di alcuni batteri (endotossine), oltre che nei
soggetti che effettuano chemioterapia
Linfociti
- hanno l'aspetto di piccole cellule (7-12 µm) con nucleo compatto che occupa quasi tutto il volume
cellulare, di conseguenza il citoplasma è molto ridotto.
- oltre a essere presenti nel sangue, popolano gli organi e i tessuti linfoidi, nonché la linfa che circola
nei vasi linfatici (organi linfoidi: timo, midollo osseo, milza, linfonodi, tonsille, placche di Peyer e
tessuto linfoide dei tratti respiratorio e digerente);
- la maggior parte dei linfociti circolanti nel sangue si trova allo stato di riposo. Negli organi e tessuti
linfoidi, i linfociti possono invece essere attivati a seguito della stimolazione antigenica.
Linfocitosi talvolta anche ipertiroidismo, condizioni
può essere dovuto a: infezioni virali o batteriche, infiammatorie croniche;
patologie infiammatorie croniche, neoplasie Linfocitopenia
ematologiche, ipersensibilità nei confronti dei condizioni più rare e possono essere causate da:
farmaci; più in particolare la linfocitosi può essere sindromi da immunodeficienza, esposizione ad
dovuta ad infezioni batteriche intracellulari, come adrenalina e corticosteroidi, oppure da malattie
ad esempio: tubercolosi, pertosse, brucellosi, gravi, debilitanti di ogni tipo, o ancora da difetti
sifilide secondaria, oppure da infezioni virali come della circolazione linfatica . Inoltre qualsiasi terapia
epatiti, parotite epidemica, molte forme farmacologica in grado di ridurre la portata
esantematiche, citomegalovirus. In altri casi la dell’attività del sistema immunitario è in grado di
linfocitosi può essere dovuta a particolari ridurre il numero di linfociti circolanti così come
condizioni metaboliche, quali iposurrenalismo, modeste riduzioni possono essere manifestazione
di stress;

Dal punto di vista funzionale si distinguono tre tipi di linfociti:


- linfociti B: plasmacellule, sono i linfociti deputati alla produzione di anticorpi e all’attivazione dei
linfociti T; si chiamano B dall’iniziale del luogo dove maturano, il Bone Marrow (midollo osseo)
- linfociti T: si chiamano così dall’iniziale del distretto corporeo dove maturano, cioè il Timo. I linfociti T
a loro volta si dividono in diverse sottopopolazioni.
- linfociti “non B e non T” (o “cellule nulle”), per esempio, le cellule natural killer: sono cellule ad alto
potenziale citotossico.

13
Linfociti T e B: Gli anticorpi sono efficaci soltanto contro patogeni extracellulari, mentre se un antigene - ad
esempio un virus - si trova confinato all'interno di una cellula, l'incontro con il linfocita B non può avvenire . Al
posto delle immunoglobuline intervengono allora i linfociti T, capaci di riconoscere e distruggere le cellule
infettate, prevenendo la riproduzione del patogeno e delle cellule impazzite (tumorali). Il segnale è dato da
marcatori, detti MHC (o complesso maggiore di istocompatibilità ), che contengono frammenti di antigene
riconosciuti come estranei dai recettori del linfocita T. La differenza con i recettori della linea B (detti anticorpi
o immunoglobuline) è che mentre questi ultimi sono in grado di legarsi direttamente agli antigeni, le cellule
T si legano soltanto ad altre cellule umane che presentano frammenti di antigene , vuoi perché infettate (MHC
di classe I), vuoi perché deputate alla digestione dell'estraneo (MHC di classe II).

Sottopopolazioni linfociti T:
- linfociti Tc (citotossici o T killer o CD8 o linfociti attivati) : hanno azione diretta verso batteri, virus ed
altri agenti ostili all’organismo. Lisano le cellule bersaglio portandole a morte e favoriscono l'azione
dei fagociti (macrofagi);
- linfociti Th (T helper, T4 o CD4): sono fondamentali per l’attivazione e la modulazione della risposta
immunitaria degli altri linfociti . Stimolano e sostengono l'azione di riconoscimento e quella di risposta
dei linfociti T e B (favorendo la differenziazione di questi ultimi in plasmacellule e la produzione di
anticorpi); costituiscono il bersaglio elettivo del virus dell'AIDS (HIV);
- linfociti Ts (T suppressor o linfociti regolatori o linfociti T soppressori): sono coinvolti nei processi di
autoregolazione della risposta immunitaria. Bloccano l'attività dei linfociti T helper e citotossici;
- linfociti T DHT (T Delayed Type Hypersensitivity): sono mediatori dei fenomeni infiammatori ed in
particolare della ipersensibilità ritardata.

Esistono diverse classi di anticorpi: le IgG, IgA, IgE, IgM e IgD; le IgG sono una classe più evoluta e tendono
a stare sulla membrana linfocitica.

Piastrine
- non sono vere cellule;
- sono prodotte per gemmazione da grossi leucociti chiamati megacariociti.
- appaiono di colore porpora più intenso dei globuli rossi.
- fermano la perdita di sangue nelle ferite (emostasi). A tale scopo, esse si aggregano e liberano
fattori che promuovono la coagulazione del sangue, fra queste:
➢ Serotonina: riduce il calibro dei vasi ➢ Fibrina: che intrappola cellule e forma il
lesionati e rallenta il flusso ematico; coagulo.
- il diametro è di circa 2-3 μm, quindi sono molto piccole (più piccole degli eritrociti).

14
L’esame emocromocitometrico o emocromo è tra gli esami più richiesti per valutare lo stato di salute
generale; consente di valutare sia qualitativamente che quantitativamente le popolazioni cellulari presenti nel
sangue periferico e la concentrazione di emoglobina. I parametri più frequentemente valutati sono:
• conta globuli rossi (RBC) • conta piastrine (PLTS) • ematocrito (Hct o PCV)
• conta globuli bianchi (WBC) • dosaggio emoglobina (Hb) • formula leucocitaria

Emogramma
- Eritrociti: 4-6 milioni/mm3 - Basofili: 0-2%
- Leucociti: 4-10.000/mm3 - Ematocrito: 35-47% (donne); 40-54%
- Piastrine: fino a 350.000/mm3 (uomini)
- Emoglobina (Hb): 12-16 g/dl (donne), 14- - Volume globulare medio (MCV): da 80 a
18 g/dl (uomini) 100 (fl);
- Linfociti: 20-35% - Contenuto emoglobinico globulare medio
- Monociti: 3-7% (MCH): 24-34 (pg);
- Neutrofili: 55-65% - Concentrazione emoglobinica globulare
- Eosinofili: 0-3% media (MCHC): 32-36 g/dL.

Ematocrito (Hct)
L'ematocrito è il rapporto che intercorre tra gli elementi figurati del sangue ed il plasma.
Valori normali: Donna: 37-46%, Uomo: 42-50%.
In altre parole l’ematocrito (Hct) rappresenta il volume occupato dai globuli rossi (GR) (le cellule di gran
lunga più abbondanti) nel plasma del sangue periferico. Oggi la misura dell’Htc, con i contatori automatizzati,
è un parametro derivato e viene ottenuto per calcolo a partire da due parametri misurati direttamente: MCV e
RBC; MCV è il volume corpuscolare medio dei globuli rossi, RBC è il numero di globuli rossi / mm3 (μL) di
sangue.
Hct = Vol. parte corpuscolare / Vol. plasma
se espresso in %: Htc = (Vol. parte corpuscolare / Vol. plasma) ✘100

Una riduzione dell’Hct può essere causata da:


- emodiluizione (aumento della componente liquida del sangue);
- anemia (diminuzione dell’Hb).
Quando queste condizioni sono esasperate, determinano un difetto di ossigenazione tessutale.

Un aumento dell’Hct può essere causata da:

15
- perdita di liquidi dal sistema vascolare o disidratazione
- policitemie (aumento massa eritrocitaria). In questi casi, può aumentare la viscosità del sangue con
conseguenti disturbi della microcircolazione per difficoltà del passaggio del sangue nei vasi con
diametri molto piccoli. Sono possibili le formazioni di microtrombi che, ulteriormente, contribuiscono
ad aumentare l’ipossia dei tessuti.
Volume Corpuscolare Medio (MCV)
- MCV indica la grandezza dei globuli rossi ed è importante per la diagnosi di anemie.
- Valori normali: 80-100 fl MCV < 80 fl anemia microcitica: difetto di sintesi dell'emoglobina, con
immissione in circolo di elementi più piccoli. Generalmente dovuto ad anemie sideropeniche (da
carenza di ferro); MCV normale normociti: eventuali anemie normocitiche possono essere dovute a
emorragie acute o emolisi (distruzione dei globuli rossi). MCV > 100 fl anemia macrocitica:
Ipotiroidismo, epatopatia (cirrosi), alcolismo, mielodisplasia, reticolocitosi, deficit folati e vit. B12.

Indici eritrocitari derivati

Hct = Vol. parte corpuscolare / Vol. plasma MCH (pg): Emoglobina


RBC = n. globuli rossi /μL corpuscolare media;valori di
MCV (fL) = (Hct / RBC) × 1000 riferimento : 27-33 pg
Hct = MCV (fL)× RBC x 1/1000 MCH (pg) = [Hb (in g/dL) / RBC
(in milioni di GR/ μL)] × 10

MCHC (g/dL): Concentrazione media di Hb RDW: ampiezza della distribuzione delle


in un dato volume (dL) di GR. dimensioni dei GR (misura la variabilità
MCHC = Hb (g/dL) / Hct; valori di riferimento delle dimensioni dei GR. I valori di
: 33-36 g/dL di GR riferimento sono 11,5-14,5%.
HDW: ampiezza della distribuzione della
concentrazione corpuscolare di Hb.

Principali patologie a carico dei globuli rossi


Emoglobinopatie (classe eterogenea di malattie Talassemie
ereditarie): Alterazioni di tipo quantitativo: sintesi alterata o
Alterazioni di tipo qualitativo: sostituzione, perdita soppressa di catene globiniche normali
o aggiunta di aminoacidi in una delle catene A seconda che ci sia una ridotta produzione di α-
globiniche; si generano alterazioni strutturali tali globine o β-globine si parla di:
che la stabilità e la solubilità dell’Hb risultano - i soggetti omozigoti per la β-talassemia
compromesse. soffrono di una grave forma di anemia;
- i soggetti omozigoti per l’α-talassemia
hanno elevata mortalità perinatale;
(importantissimo diagnosticare i soggetti
eterozigoti, portatori san

- codone che crea punto di attacco per


endonucleasi;
- mutazioni codone di inizio (𝛼-talassemia),
promotore (𝛽-talassemia), nel gene della 𝛾
Varianti di sintesi globina, nei siti di poliadenilazione
- difetti di splicing
16
Varianti strutturali - mutanti con alterazioni del trasporto di
- varianti che causano anemia emolitica ossigeno
(anemia falciforme) - varianti che causano talassemia

Principali patologie a carico dei globuli rossi


Anemie: riduzione della quantità totale di emoglobina circolante negli eritrociti del sangue periferico
Per convenzione si considera la concentrazione di Hb supponendo che il volume ematico rimanga costante.
Ciò non avviene in alcune situazioni cliniche quali emorragia acuta, gravidanza (> volume plasmatico)
ritenzione idrica.
Anemie ferrocarenziali: Il ferro (Fe) è l’oligoelemento più abbondante dell’organismo umano (> 4 g); ogni
giorno, per l’eritropoiesi sono richiesti 20-25 mg. Il 95% di tale quantità viene riciclato attraverso il normale
turn-over dei globuli rossi. L’organismo ha, quindi, la necessità di assorbirne solo 1 mg al giorno. Il Fe
assorbito a livello intestinale viene veicolato nel sangue fino al midollo osseo tramite il legame alla proteina
Transferrina. Il Fe in eccesso viene immagazzinato in organi di deposito come fegato e milza, legato ad una
proteina denominata Ferritina. La concentrazione del Fe circolante viene denominata sideremia (37-147
μg/dl); La sideremia è un parametro caratterizzato da una certa variabilità intrinseca: è più alta al mattino e si
modifica a seconda delle condizioni dell’individuo, in corso d'infezione si abbassa.

Anemie ferrocarenziali
Una carenza del Fe si può verificare in numerose circostanze, sia fisiologiche che patologiche:
● Pubertà ● Sindromi da malassorbimento (per es.
● Gravidanza Celiachia)
● Allattamento ● Ulcere dell’apparato gastroenterico.
● Cicli mestruali abbondanti con mancato ● Emazie microcitiche con sideremia ↓ : Stato
reintegro alimentare (che porta alla ferrocarenziale
maturazione di globuli rossi microcitici, ● Emazie microcitiche con sideremia ↑ :
MCV < 80 fL) Talassemia o emoglobinopatia
Per ottenere risultati più precisi, bisogna dosare la Ferritina: se questa si abbassa, i depositi di Fe sono molto
scarsi. Allo stesso modo, anche la Transferrina può essere dirimente nella diagnosi di anemie ferrocarenziali.
Il Ferro
L’assorbimento del Fe dipende anche dalla presenza di molecole antiossidanti (vitamina C) e ad attività
chelante per tale elemento (ac. citrico e fruttosio che formano col Fe molecole particolarmente solubili). Al
contrario, ossalati e fosfati, insieme ad un aumento del pH del succo pancreatico, ne ritardano
l’assorbimento.
Ferritina:
- Valori superiori: eccessiva introduzione di ferro, emocromatosi, leucemia, neoplasie maligne,
trasfusioni.
- Valori inferiori: poca introduzione di ferro, emorragie, gravidanza.
Transferrina: VALORI NORMALI 200 – 360 mg/dl
È la proteina che trasporta il Fe all'interno dell'organismo, dai distretti in cui viene assorbito (intestino) a quelli
che lo utilizzano (midollo osseo, dove vengono prodotti i globuli rossi) o agli organi di deposito (in particolare
fegato).
17
In caso di necessità, il ferro dagli organi di deposito viene ceduto alla transferrina che lo trasporta ai diversi
tessuti. Ogni molecola di transferrina può legare al massimo due atomi di ferro.

La sintesi epatica di Transferrina è inversamente proporzionale ai livelli di Ferritina degli epatociti.


Quindi, nella carenza di Fe, i valori plasmatici di Transferrina tendono ad aumentare; al contrario,
all’aumento della concentrazione di Ferritina e sideremia, i valori di Transferrina tendono a decrescere.
Lo stato di Fe di un individuo è, inoltre, stabilito dalla misura della saturazione della Transferrina:
saturazione < 18% → stato ferrocarenziale;
saturazione > 50% → indice di un sovraccarico di ferro

Anemie emolitiche: sono malattie caratterizzate da una riduzione della vita media dei globuli rossi circolanti
rispetto ai normali 100-120 giorni.
La diminuita sopravvivenza delle emazie (iperemolisi) determina meccanismi di compensazione a livello
midollare con incremento dell’attività eritropoietica (di 7-8 volte). Se l’intensità del processo emolitico è tale
da superare la capacità di compenso del midollo, si determina uno stato anemico (anemia emolitica). In base
ai meccanismi eziopatogenetici, si distinguono:
- Forme ereditarie: difetti intrinseci delle emazie determinati geneticamente;
- Forme acquisite: cause esterne determinano un’azione lesiva su emazie normali (disordini
autoimmuni, farmaci ad az. emolitica)
Criteri di valutazione della severità di un’anemia. parametri più comunemente utilizzati:
1. livello di Hb
2. ematocrito (rapporto emazie/parte liquida), una volta esclusa la pseudoanemia (dovuta, ad esempio,
a emodiluizione).
Dal punto di vista clinico, bisogna distinguere tra :
Anemia cronica: NON produce sintomi rilevanti poiché si instaurano nel tempo meccanismi compensativi
quali aumento di affinità delle emazie per l’Hb, aumento delle capacità di estrazione dell’O2 dai tessuti, etc.
etc.
Anemia acuta: produce sintomi rilevanti ma il quadro dell’emocromo è poco affidabile per la perdita
contemporanea sia della parte cellulare che del plasma. È invece uno strumento diagnostico valido la conta
del numero dei reticolociti in circolo. Infatti, in corso di anemizzazione queste cellule, che sono i precursori
degli eritrociti, aumentano per sopperire alla carenza improvvisa degli eritrociti stessi.
Formula
leucocitaria:
neutrofili 55 -
Principali patologie a carico dei leucociti
65 %
Alterazioni quantitative dei leucociti:
eosinofili 0 -
Leucocitosi: aumento dei leucociti circolanti nel sangue periferico. Può interessare tutte le classi o una
singola classe leucocitaria. È un evento abbastanza frequente manifestandosi in caso di infezioni batteriche.
Leucopenia: diminuzione dei leucociti circolanti nel sangue periferico. Può interessare una o più classi
leucocitarie ed è un evento frequente. In soggetti non affetti da particolari malattie, si manifesta in corso di
infezioni o processi infiammatori acuti, che comportano un importante consumo di leucociti a causa della loro
migrazione nei tessuti infetti.

18
Leucemia: una patologia del midollo osseo, principale tessuto emopoietico dell’organismo. Per tale motivo,
ogni linea maturativa midollare può essere colpita. E’ definibile come il blocco maturativo di un elemento in
via di differenziamento che prolifera “in maniera clonale” a discapito di tutte (o quasi) le altre linee maturative
midollari.
● il clone neoplastico, avendo acquisito caratteristiche diverse dall’elemento normale, non risponde più
in maniera controllata ai normali stimoli midollari ma si espande in maniera anomala danneggiando
sviluppo e accrescimento delle altre linee cellulari;
● il primo momento diagnostico delle leucemie è l’esame emocromocitometrico che, solitamente,
evidenzia:
- anemia, piastrinopenia (dovuti a “spiazzamento midollare”)
- piastrinosi (condizione opposta alla precedente!)
- riscontro di elementi “immaturi” in circolo.
● la successiva analisi del midollo (per biopsia) dovrà confermare le stesse anomalie.
Le leucemie croniche hanno un decorso maggiore, mentre per quelle mieloidi si possono trovare delle cure.

Anomalia genomica che causa la leucemia mieloide cronica: la mutazione più frequente che causa la
leucemia è la traslocazione (scambio di materiale genetico) che porta alla fusione dei 2 geni che creano un
gene ibrido. Una tecnica più evidente per mostrare lo scambio genetico è la FISH (Fluorescent in situ
hybridization). Possiamo utilizzare dei frammenti di DNA selezionati con la DNA polimerasi, otteniamo delle
sonde mediante le quali riconosciamo le parti sul cromosoma e andiamo ad ibridarle. La sonda presenta una
sostanza che emette fluoro. Il risultato della FISH può essere la diagnosi di leucemia mieloide cronica. I due
segnali si trovano di solito separati ma poiché è avvenuto uno scambio li ritrovo sullo stesso cromosoma.

Mieloma multiplo: neoplasia delle plasmacellule: il clone maligno è una plasmacellula neoplasia. Questa
prolifera in modo incontrollato. Dato che produce anticorpi, si avrà un numero abnorme di essi.

Disordini Linfoproliferativi: leucemia mieloide cronica= la cellule mieloide subisce la traslocazione però può
succedere a qualsiasi linea.

Differenza tra linfomi e leucemia: Il linfoma non è una patologia del midollo ma di un organo linfoide (milza e
timo). Le stesse linee aventi mutazioni simili possono provocare un linfoma e l'altro una leucemia.

Il rene e la funzionalità renale

19
I reni: I reni sono due voluminosi organi situati nella parte postero superiore della cavità addominale in
posizione retroperitoneale. Il rene attraverso le sue unità funzionali i nefroni, ha tra le sue funzioni principali
quella escretoria di sostanze dannose o inutili per l’organismo le quali vengono quindi eliminate con le urine.
- Funzione regolatoria:
1. Equilibrio idro elettrico (tramite secrezione di acqua e NaCl);
2. Equilibrio acido-base del sangue (tramite secrezione di H+ e HCO3). Gli H+ vengono escreti
attraverso il nefrone, i bicarbonati vengono riassorbiti nel tubulo.
Ruolo endocrino-metabolico mediante la produzione di:
- renina: è un enzima proteolitico secreto dalle cellule iuxtaglomerulari ed è coinvolto nella regolazione
della pressione arteriosa e nei processi che inducono ipertensione arteriosa.
- eritropoietina: è un ormone glicoproteico prodotto dai reni e in misura minore dal fegato e dal cervello,
che ha come funzione principale la regolazione dell’eritropoiesi.
- vitamina D: necessaria per la formazione delle ossa, deposizione di Ca e fosfato nelle regioni
cartilaginee, assorbimento del Ca (con esso del fosfato) nel tratto digestivo.
contribuendo a:
- regolazione della pressione arteriosa,
- eritropoiesi,
- mineralizzazione delle ossa,
- gluconeogenesi.
il nefrone: è l’unità funzionale del rene; è un tubulo microscopico capace di filtrare il sangue e raccogliere il
filtrato che darà origine all’urina; il prodotto finale della filtrazione confluisce attraverso un piccolo tubo
chiamato uretere nella vescica, dove verrà conservato prima di essere secretato attraverso l’uretra.
il nefrone è composto da glomerulo e sistema tubulare (tubulo prossimale, ansa di Henle, tubulo distale e
tubulo collettore). Opera tramite 3 meccanismi:
1. Filtrazione del sangue con formazione della preurina nella capsula di Bowman (al livello del
glomerulo);
2. Riassorbimento (al livello del tubulo);
3. Secrezione di H2O e soluti (a livello del tubulo);
Il glucosio viene assorbito subito le altre sostanze no.
In ciascun rene sono presenti circa un milione di nefroni. In ognuno di essi possiamo riconoscere:
- un polo vascolare nel quale scorre il sangue da filtrare;
- una porzione tubulare in cui si raccoglie il filtrato;
La parte vascolare è formata dell'arteriola afferente, che si dirama come un gomitolo in una fitta rete di
capillari chiamato glomerulo: in questa sede avviene la filtrazione glomerulare, che da origine al filtrato o pre-
urina. Dopo essere passato dell'arteriola afferente al glomerulo, il sangue confluisce in un altro vaso
l’arteriola efferente. Il sangue filtrato viene raccolto in una struttura tubulare la capsula di Bowman, da cui si
diparte il tubulo renale (suddiviso in tubulo prossimale, ansa di Henle, tubulo contorto o distale).
I processi fondamentali che avvengono nel nefrone
- filtrazione: avviene tra i capillari glomerulari e la capsula di Bowman. Per le loro grandi dimensioni,
nel filtrato non passano: le cellule (globulo rossi, bianchi e piastrine) e le proteine più grandi;
Il filtrato assume così la stessa composizione del plasma (privato delle proteine ad alto peso): solo modeste
quantità di albumina riescono a passare nel filtrato.
- riassorbimento: consiste nel recupero di acqua e soluti filtrati, che passano dai tubuli ai capillari
sanguigni (prodotti utili per l’organismo: Sali, glucosio, piccole proteine, amminoacidi, vitamine);
- secrezione: processo inverso al riassorbimento, per cui alcune sostanze passano dal sangue
contenuto nei capillari ai tubuli renali, aggiungendosi a quelle filtrate (tutte le sostanze che
necessitano di una rapida eliminazione: farmaci, ioni H+ e molecole in eccesso);
- eliminazione: consiste nell’eliminazione dell’urina nella pelvi renali.
(riassorbimento del glucosio pari al 100% e secrezione 0%, per cui l'escreato è pari a 0); H 2O e sali minerali
sono in parte riassorbiti e in parte escreti.
Riassorbimento tubulare
Nel tratto prossimale del tubulo sono riassorbiti attivamente zuccheri, amminoacidi ed altri soluti, ma anche
acqua per osmosi. Nel tratto discendente dell’ansa di Henle continua il riassorbimento dell’acqua mentre nel
tratto ascendente viene riassorbito il cloruro di sodio. Nel tubo distale e nel dotto collettore agiscono
aldosterone (ormone steroideo prodotto dalle ghiandole surrenali con lo scopo di regolarizzare il livello di
sodio, di potassio e il volume dei liquidi extracellulari).
Ormone antidiuretico (prodotto principalmente al livello ipotalamico) che favorisce il riassorbimento di acqua
al livello renale (più precisamente nei tubuli distali e nei dotti collettori dei nefroni) opponendosi alla
produzione di urina per adattare volume e composizione dell’urina (Na+ K+ urea) alle esigenze
dell’organismo. IL tubulo renale è responsabile del riassorbimento selettivo del filtrato glomerulare della
secrezione tubulare. Il tubulo renale regola l’escrezione di ciascun soluto quasi indipendentemente da quella

20
di un altro attraverso sia il trasporto passivo (diffusione) sia il trasporto attivo (mediato da proteine di
trasporto).

Funzionalità renale
Le indagini di laboratorio per poter dare informazioni sulla funzionalità renale devono mirare ad esplorare la:
- funzione glomerulare;
- funzione tubulare;
Funzione glomerulare
- attraverso i glomeruli vengono filtrati ogni giorno circa 150 l di plasma;
- dopo l’intervento del sistema tubulare, si originano circa 1,5 l di urina;
- l’efficienza della funzione glomerulare viene misurata mediante il valore di filtrazione glomerulare
(glomerular filtration rate, GFR) che dipende da:
- pressione di filtrazione;
- struttura della membrana del glomerulo;
- numeri di glomeruli funzionanti;
- qualunque alterazione dei predetti parametri influenzerà, quindi la velocità di filtrazione (in condizioni
fisiologiche: 125 ml/min);
Valutazione della funzione glomerulare:
La clearance di una sostanza che viene eliminata dal rene si definisce come il volume di plasma che,
nell’unità di tempo (24 ore), viene depurato di questa sostanza.
Corrisponde al volume di filtrazione glomerulare (GFR) e viene calcolato tramite la misura della
concentrazione nel sangue e nell’urina di una sostanza filtrata dal glomerulo e non influenzata dal
meccanismo tubulare;
clearance (mL/min)= UxV/P
U= Concentrazione urinaria della sostanza (in mmol/L o mg/L);
V= Flusso urinario (in mL/min);
P= Concentrazione plasmatica della sostanza (in mmol/L o mg/L);
Clearance standardizzata: C= I(UxV)/PIx(1,73m2/S)

Le caratteristiche ideali della sostanza da utilizzare per il calcolo della clearance sono:
•liberamente filtrabile •non sintetizzata o degradata dal rene o altro
•non riassorbita organo
•non secreta •non tossica
•facilmente misurabile.
Per misure accurate si ricorre all’iniezione di inulina(un carboidrato di pianta) in vena e relativo calcolo di
clearance. Nell’uso clinico, la clearance viene valutata impiegando la misura della creatinina: questa
valutazione è basata sull’assunto che la creatinina è filtrata dal glomerulo e che la sua produzione, e di
conseguenza l’escrezione, siano costanti.
Indici di funzione glomerulare
Creatinina:
● è il prodotto del catabolismo della creatina, una molecola presente in grandi quantità a livello
muscolare dove svolge un’importante funzione energetica.
● durante le reazioni energetiche che coinvolgono la creatina, una piccola quota di questo
amminoacido viene spontaneamente convertita in creatinina la quale, a sua volta si riversa nel
sangue.
● dal momento che tutta la creatinina filtrata dal glomerulo viene completamente secreta (non vi è
riassorbimento), il suo livello nelle urine costituisce un indice sensibile e specifico di funzionalità
glomerulare.
● inoltre, la sua concentrazione plasmatica è costante (non presenta ritmi circadiani e dipende poco
dalla dieta)
● se l'attività filtrante del rene è compromessa si avrà, di riflesso, un aumento della concentrazione di
creatinina nel sangue.
Creatina e Creatinina
La creatina è un composto intermedio del metabolismo energetico sintetizzato dal fegato (1 g/die) a partire
da arginina S-adenosil metionina e glicina, ed è utilizzato nei muscoli dei mammiferi per rigenerare ATP
durante i primi secondi della contrazione muscolare.

Al di là di un'alterata funzione glomerulare, un incremento di valori nel plasma di creatinina può essere anche
dovuto a:
● Cause pre renali:
- ipertrofia o necrosi muscolare;
- uso di anabolizzanti steroidei;

21
- diminuita perfusione renale per ipotensione, cirrosi, ascite.
● Cause post renali:
- ostruzione delle vie urinarie;
- clearance creatinina;
● Raccolta plasma (o siero)
● Corretta raccolta delle urine nelle 24 ore.
Indici di funzione glomerulare
Azotemia:
- Esprime il livello di azoto ureico nel sangue.
- Il principale prodotto del catabolismo epatico delle proteine è l'urea.
- Una parte dell'urea viene eliminata a livello renale con le urine
- In presenza di ridotta funzionalità renale, l'organismo non riesce ad eliminare dal sangue le scorie
azotate derivanti dal catabolismo proteico. Il conseguente accumulo nel circolo sanguigno è
responsabile della aumentata azotemia (iperazotemia).
valori di riferimento:17-50 mg/ dL
● La sua utilità clinica come indice di funzionalità renale appare inferiore a quella della creatinina , dal
momento che circa la metà urea filtrata viene riassorbita dai tubuli.
● Inoltre, è un parametro influenzato da:
- apporto alimentare azotato; - catabolismo proteico;
- stato di idratazione; - entità della diuresi.

altri indici di funzionalità glomerulare sono: β 2 microglobulina e Cistatina C

Funzione tubulare
● lungo il tubulo, la pre-urina è sottoposta a processi di riassorbimento di H2O e soluti in essa presenti
(glucosio, aminoacidi, Na+, K+, Cl-e HCO3-);
● processi ormonali regolano il riassorbimento di Na+ e H2O: (nella porzione distale del tubulo e nel
dotto collettore)
aldosterone(nel tubulo distale)⟶ Na+
ormone antidiuretico (ADH)⟶(nel dotto collettore) H2O
Disidratazione dell'organismo: è lo stimolo più efficace nell'indurre la secrezione dell'ormone.
● Nei tubuli, inoltre, avviene la secrezione di K+ e idrogenioni (H+);
Attraverso questi processi, viene regolata l'osmolarità dell’urina assicurando, nel contempo, il mantenimento
del pH e l’equilibrio idrico del plasma.

Nel complesso, quindi, la funzione tubulare permette di:


● concentrare l’urina: riassorbimento di H2O;
● riassorbire sostanze di fondamentale importanza: glucosio, aminoacidi, fosforo, etc. etc;
● eliminare valenze acide: idrogenioni (H+) e acidi organici.

Esame delle urine


● Fornisce un apprezzamento chimico-fisico e microscopico dei diversi componenti delle urine;
● Si effettua, di norma, su un campione di urine del mattino (urine della notte) ed eseguito al max entro
2 ore per salvaguardare la morfologia degli elementi cellulari eventualmente presenti;
● Parametri oggetto di valutazione:
- Fisici (peso specifico, colore, trasparente, odore);
- Chimici (pH, glucosio, proteine, bilirubina, urobilinogeno, sangue, corpi chetonici, nitriti, leucociti)
L'urobilinogeno è una sostanza incolore che deriva dalla trasformazione della bilirubina.
Urina: è un liquido a composizione ampiamente variabile; contiene un numero estremamente elevato di
composti, la maggior parte di derivazione ematica. A fronte dei 150-200 L di plasma filtrati quotidianamente
dal rene, la quantità di urina prodotta da un uomo adulto è di circa 1.5 L . Circa il 95% di questo volume è
costituito da H2O in cui sono disciolti i composti eliminati (restante 5%).
Nella rimanente frazione, un ruolo di primo piano è ricoperto dall'urea(2-2,5%), dall'azoto (1-1,5%) e dal
cloruro di sodio (1-1,5%).
Nell'urina si possono inoltre trovare sali minerali(come sodio, calcio, potassio e magnesio),acido urico,
pigmenti biliari…non si riscontrano invece (salvo sottostanti patologie) concentrazioni significative di
glucosio, pus e batteri, acetone, proteine/albumina e sangue.

22
L'urea viene sintetizzata nel ciclo dell'urea a partire dall'ammoniaca o per ossidazione degli amminoacidi.
L'acido urico è una molecola organica di origine naturale e si forma come sottoprodotto nel metabolismo
degli aminoacidi e delle purine.

Esame delle urine: Colore

Esame delle urine: peso specifico


Associato alla presenza di sostanze solide (urea e NaCl). Grande valore diagnostico
Diminuzione ps: Aumento ps:
1)iperidratazione e ipoalimentazione; 1)disidratazione e dopo pasti asciutti, nei mesi
2)insufficienza renale; estivi;
3)malattie extrarenali (per es. diabete insipido) 2)nefropatie, correlate a periodi oligurici;
3)malattie extrarenali (per. es. diabete mellito, stati
febbrili

Esame delle urine: pH


Associato alla regolazione dell’equilibrio acido-base, dovuto al rapporto tra fosfati monobasici e bibasici.
Valori normali: 4.6-8
Diminuzione pH: Aumento pH:
1)Digiuno; 1)Iperventilazione polmonare;
2)Fisiologica ritenzione di CO2 notturna; 2)Alcalosi metabolica;
3)Alterazione quadro tubulare o glomerulare; 3)Alcune infezioni batteriche;
4)Acidosi metabolica;

Proteinuria
● La presenza di proteine nelle urine è un segnale di alterata funzione glomerulare e/o tubulare;
● Normalmente, in un campione di urine delle 24 ore la proteinuria è < 150 mg
● Dei 150 mg di proteine (al max) eliminati in 24 ore, il 25% è rappresentato da proteine plasmatiche e
il 75% da proteine renali.
La proteinuria può essere classificata in:
1. glomerulare: alterazioni del sistema di filtro renale;
2. tubulare: alterato riassorbimento tubulare o aumentata secrezione;
3. da sovraccarico: dovuta alla maggiore quantità di proteine che talvolta giunge al rene, ad esempio
dopo trauma muscolare (mioglobina) o in corso di emolisi post-trasfusionale (emoglobina).

Esame delle urine: l’albumina


● L’albumina, di norma la proteina più rappresentata nel plasma.
● Nelle 24 ore solo piccole quantità di albumina riescono a oltrepassare la barriera glomerulare;
● In un soggetto adulto in buona salute i valori normali di albuminuria variano tra i 5 e i 15 mg nelle 24
ore. (la albuminuria può anche essere totalmente assente, uguale cioè a 0 mg)
- Microalbuminuria = 30-300 mg/L nelle 24 ore: è indicatore precoce di nefropatia diabetica;
- Macroalbuminuria > 300 mg/L nelle 24 ore

L'albuminuria è dovuta principalmente ad alterazioni dei reni, in particolare a un'alterata permeabilità dei
capillari del glomerulo renale, come accade in numerose glomerulopatie; ciò provoca un aumento del
passaggio di proteine(in particolare di albumina) nelle urine.

23
L'aumentata porosità glomerulare è alla base della proteinuria non selettiva che può essere riscontrata in
soggetti con nefropatia diabetica.
In questa situazione infatti nelle urine possono essere riscontrate proteine (globuline) ad alto peso
molecolare. L'albuminuria da danno glomerulare è il tipo più frequente ed è in genere associata a diabete
mellito di tipo I.
Esistono comunque altre patologie che possono determinare albuminuria e fra queste si ricordano
l'ipertensione arteriosa, la cirrosi epatica, l'insufficienza cardiaca e il lupus eritematoso sistemico.

Le pareti fenestrate dei capillari glomerulari permettono l'eliminazione delle sostanze tossiche e dei prodotti
di scarto dal sangue. Queste sostanze e i liquidi che le veicolano prendono il nome di preurina e vengono
convogliate in un sistema di tubuli che collegano il parenchima renale con la pelvi renale. Nei tubuli renali le
sostanze tossiche e i prodotti di scarto vengono concentrati nelle urine e rimossi dall'organismo. Il glomerulo
renale si comporta sostanzialmente come una membrana permeabile selettiva che di norma si lascia
attraversare da molecole che presentano un peso molecolare(p.m.)inferiore a quello del lisozima(11.500
p.m.). L'albumina è sintetizzata dal fegato. Una volta riversata nel torrente ematico esercita tutta una serie di
complesse attività: è una proteina di trasporto, regola la pressione oncotica, modula i processi di
coagulazione e svolge altre funzioni minori. Nelle 24 ore solo piccole quantità di albumina (68.000 p.m.)
riescono a oltrepassare la barriera renale. Inoltre si deve considerare che eventuali molecole che abbiano
oltrepassato il filtro glomerulare vengono comunque riassorbite(si ritiene mediante processi di pinocitosi) a
livello del tubulo prossimale. Ciò rende ragione della quantità minima di molecole proteiche che, anche in
condizioni di normalità, vengono eliminate con le urine.
Le proteine del sangue e in particolare l'albumina, in condizioni fisiologiche, riescono a trattenere l'acqua
all'interno dei vasi sanguigni esercitando su di essa una pressione oncotica. Quando la perdita di proteine
con le urine aumenta, la pressione oncotica del sangue diminuisce; di conseguenza, l'acqua plasmatica
tende a fuoriuscire dai piccoli vasi sanguigni per passare nei tessuti molli. L'albumina esercita dal 75 al 80%
della pressione oncotica del plasma. In situazione di ipoalbuminemia i liquidi permangono nei tessuti
generando dei rigonfiamenti che si evidenziano con edemi più o meno estesi.

Esame delle urine: Glucosio (valori normali: tracce)


Glicosuria:
1)Diabete; 5)Infarto miocardio; causata da intossicazione da
2)Gravidanza; 6)Emorragie cerebrali; metalli pesanti).
3)Età avanzata; 7)Patologie del tubulo renale
4)Malattie ipofisarie; (sindrome di Fanconi acquisita,
Esame delle urine: Emoglobinuria
Lisi dei GR in seguito ad emorragia nell’apparato urinario a seconda del pH urinario e del suo ps.
- pH basico e ps basso: Lisi rapida (emolisi intravasale)
- pH neutro e ps alto: Lisi lenta (può verificarsi in fase preanalitica).
Cause emolisi intravasale:
1)malaria; 2)emoglobinopatie; 3)protesi vascolari e valvolari;

Esame delle urine: sedimento


● Dopo la centrifugazione dell’urina, il sedimento presente sul fondo della provetta viene risospeso e
apprezzato al microscopio.
● Valori fisiologici:
- globuli bianchi e globuli rossi: (tracce: 1-2 per campo);
- Leucociti numerosi indicano infezioni in atto;
- Globuli rossi (ematuria)
-microematuria(> 3 globuli rossi per campo);
-macroematuria(visibile a occhio nudo);
-pseudoematuria(dovuta a farmaci, alimenti, etc.).
● cellule (2-3 per campo, specie se cell. squamose delle basse vie urinarie);
● cristalli;
● batteri (assenti)
● cilindri (assenti)

24
Il fegato e la valutazione di patologie epatiche
Il fegato è il più voluminoso organo viscerale (~1.5 kg), situato nella parte alta e destra dell'addome, subito
sotto il diaframma.
● Conserva le sue dimensioni, capacità di auto-rigenerarsi
● Molto irrorato(a riposo circa 1.5l Sangue/min),
● costituito dagli epatociti e da pochi altri tipi cellulari.
Funzioni: Sintesi, Accumulo, Catabolismo, Escrezione
● è il principale organo metabolico del nostro organismo e come tale, interviene in numerosi processi di
sintesi e di trasformazione di carboidrati, lipidi e proteine e di eliminazione dei loro prodotti terminali.
● controlla inoltre gli eventi di processamento e distribuzione dei metaboliti ai tessuti extraepatici. Infatti,
smista:
- le sostanze provenienti dall’assorbimento intestinale, dopo averle modificate;
- molecole più elaborate che esso stesso produce
funzione di sintesi
● albumina
● globuline ad eccezione delle immunoglobuline
● fattori della coagulazione (protrombina)
● composti azotati non proteici (purine, pirimidine, eparina ecc)
● omeostasi di proteine, carboidrati e lipidi
● le vie metaboliche della glicolisi del ciclo di Krebs, della sintesi degli amminoacidi e i processi di
fosforilazione ossidativa, avvengono tutti all'interno degli epatociti, che sono particolarmente ricchi di
mitocondri;
● metabolismo glucidico: mantiene l’omeostasi glucidica, regolando gluconeogenesi, glicogenesi e
glicogenolisi;
● metabolismo lipidico: sintesi di trigliceridi, di acidi grassi, di lipoproteine, con formazione di corpi
chetonici, scissione dei trigliceridi, sintesi ed escrezione di colesterolo, fissazione, formazione e
scissione dei fosfolipidi
● metabolismo di vitamine (B12) e degli acidi biliari
● metabolismo dei pigmenti biliari (bilirubina)

Il fegato regola il metabolismo dell’intero organismo

25
Zuccheri: regola la glicemia, Grassi: produce trigliceridi durante l'attività fisica intensa,
sotto il controllo degli ormoni come riserva energetica e in glucosio (ciclo di Cori);
insulina e glucagone: colesterolo; Detossificazione delle scorie
● quando la glicemia metaboliche e tossine
aumenta, dopo i pasti, il Proteine: sintetizza alcuni introdotte nell’organismo con
fegato controlla la aminoacidi, producendo le cibo, inquinamento o farmaci
sintesi e proteine del plasma sanguigno rendendoli idrosolubili e
l’immagazzinamento e l'urea facilitando l’escrezione dal
del glicogeno rene;
(sottraendo glucosio al Distruzione e riciclo dei globuli
sangue); rossi: recupera il Fe Deposito di vitamine e di ferro;
● quando la glicemia dell'emoglobina e libera
diminuisce, durante pigmenti (bilirubina) che Metabolismo dell'alcool etilico;
attività fisica intensa, vengono eliminati con la bile;
libera glucosio Produzione di alcuni fattori
scindendo il glicogeno Trasformazione acido lattico, della coagulazione;
accumulato; un prodotto di rifiuto
sintetizzato dai muscoli Conversione dell'ammoniaca in
urea;

Nelle cellule epatiche è particolarmente sviluppato il reticolo endoplasmatico liscio, organulo cellulare adibito
alla sintesi dei lipidi, al metabolismo dei carboidrati e alla detossificazione di scorie metaboliche e sostanze
nocive. Le cellule del fegato sono anche ricche di perossisomi, organuli cellulari che intervengono nella
neutralizzazione delle sostanze tossiche.

Ulteriore peculiarità del fegato è quella di avere proprietà di ghiandola esocrina che svolge elaborando la bile
che è prodotta in quantità di circa 1 litro al giorno.
La bile è una soluzione acquosa isotonica prodotta dal fegato e costituita principalmente da acqua (95%),
elettroliti, lipidi (acidi biliari, colesterolo e fosfolipidi), proteine e pigmenti (bilirubina); il suo pH è leggermente
basico.
● La bile, raccolta nei dotti epatici biliari, è convogliata alla cistifellea dalla quale è immessa nel
duodeno (il primo tratto intestinale) dove svolge importanti funzioni nella digestione dei grassi.
● attraverso la bile viene eliminata anche la bilirubina, il prodotto di degradazione dell'emoglobina
contenuta nei globuli rossi, che determina il tipico colore marrone delle feci.

La struttura e posizione del fegato ne riflettono la funzione di intermediario tra processi di assorbimento
intestinale e quelli metabolici di altri organi e tessuti; infatti, il fegato è l’unico organo che riceve, oltre al
sangue arterioso proveniente dal cuore (arteria epatica), il sangue venoso refluo dal tubo digerente
(stomaco, intestino tenue e crasso), milza, cistifellea e pancreas (vena porta).
I metaboliti assorbiti tramite la vena porta vengono poi depositati, trasformati e/o immessi nel sangue venoso
(vena cava inf), nel caso di proteine, lipoproteine e glucidi importanti nel mantenimento di numerosi
parametri ematochimici.

Nel fegato ci sono due tipi principali di cellule:


1. Epatociti o cellule parenchimatose
● 60-80% del totale delle cellule del fegato;
● responsabili della maggior parte delle funzioni epatiche.
2. Cellule di Kupffer
● 15-30% del totale delle cellule del fegato;
● adibite a funzioni protettive ed alla degradazione dell’emoglobina.
Le cellule epatiche hanno un’elevata capacità rigenerativa tanto che, quando una porzione di uno dei due
lobi costituenti il fegato viene rimossa chirurgicamente, la parte residua rigenera in poche settimane la
massa asportata.
Gli epatociti:
● sono organizzati in lobuli, strutture a sezione esagonale formanti l’unità funzionale del fegato;
● in corrispondenza di ciascun angolo dell’esagono scorrono tre piccoli vasi che formano la “triade
portale”:
1. ramo della vena porta 2. ramo dell’arteria epatica 3. dotti biliari
● al centro del lobulo scorre la vena centrolobulare proveniente dalla vena epatica;
● gli epatociti si irradiano dalla vena centrolobulare alla periferia del lobulo andando incontro a
zonazione metabolica funzionale:

26
- gli epatociti più periferici (periportali), a contatto con il sangue di origine portale e arteriosa, ricco di
substrati e O2, hanno intenso metabolismo biosintetico e ossidativo (gluconeogenesi lipogenesi);
- gli epatociti più centrali (perivenosi), vicini alla vena centrolobulare, sono meno ossigenati e più attivi
nella glicolisi (ma più esposti a danno anossico, tossico e virale!).

Numerosi enzimi epatici sono utilizzati quali indici di capacità sintetica del fegato, e quindi di integrità
dell’organo, oppure quali indici di danno epatocitario
Indicatori di lesione epatocellulare: Transaminasi
● sono enzimi che intervengono nella transaminazione, cioè nella trasformazione di un aminoacido in
un altro; in tal modo, trasformano gli aminoacidi in energia, soprattutto in caso di sforzo fisico lungo
ed impegnativo;
● catalizzano il trasferimento di gruppi α-amminici da amminoacidi quali alanina o aspartato a
chetoacidi accettori (chetoglutarato) per produrre, rispettivamente, piruvato o ossalacetato.
● funzionano in presenza di un co-enzima vitaminico, la Vitamina B6 (piridossal fosfato).
● Emivita: ALT -> 47 ore; AST -> 17 ore
● Localizzazione intracellulare: ALT⟶prevalentemente intracitoplasmatica;
AST⟶ intracitoplasmatica (20%) e mitocondriale (80)
● Espressione tissutale: ALT⟶soprattutto fegato, AST⟶oltre al fegato, cuore, muscolo scheletrico,
rene, cervello, eritrociti, etc.
● sono i più importanti enzimi per studiare lo stadio di permeabilità di membrana: se esiste una
sofferenza degli epatociti, la membrana di queste cellule non è più in grado di svolgere le normali
funzioni di barriera, quindi è più permeabile che di norma.
● in caso di lesione degli epatociti o di necrosi (morte), la membrana di queste cellule non adempie
correttamente alla funzione di barriera permettendo la fuoriuscita degli enzimi intracellulari, la cui
concentrazione nel sangue risulterà, perciò, superiore ai livelli normali.
● non trovandosi solo nel fegato, un’alterazione di AST e ALT non significa inequivocabilmente che
esiste un'epatopatia; infatti questi enzimi possono aumentare nel sangue anche in corso di lesione di
altri tessuti: per es, in caso di infarto del miocardio, le cellule cardiache vanno in necrosi e liberano
nel sangue le transaminasi.

Valori normali: AST: 8-50 U/L, ALT: 8-45 U/L


Un aumento di AST e ALT possono essere correlati ad una patologia epatica, ma non solo:
● In caso di infarto del miocardio:
- incremento di modesta entità (i valori al massimo si quadruplicano)
- incremento di breve durata (poco più di 48-72 ore)
- incremento dell’enzima Creatinchinasi(CK), liberato in circolo solo in corso di sofferenza muscolare
La creatinchinasi(CK), detta anche creatina fosfochinasi(CPK), è un enzima presente in vari tessuti e cellule
dell'organismo, specie nelle fibre muscolari scheletriche e cardiache. Con la sua azione, la creatinchinasi
catalizza sia la conversione della creatina in fosfocreatina che la reazione inversa
● In corso di epatopatia:
- incremento di norma molto più elevato (500-1000 U/L e oltre)
- di durata decisamente superiore (soprattutto in caso di lesioni epatiche acute);
- incremento più significativo dei valori della ALT rispetto alla AST, in caso di aumenti molto elevati (per
modesti aumenti è possibile che si verifichi il caso contrario: in corso di malattie epatiche croniche e
cirrosi).
- CK nella norma.

● Epatiti acute, epatite virale e maggior parte delle malattie epatiche:


ALT più elevata di AST perché:
- AST ha un’emivita minore (viene inattivata più rapidamente in circolo);
- ALT, contenuta quasi esclusivamente nel citoplasma, diffonde più rapidamente nella membrana
cellulare;
● Epatite alcoolica: nella maggior parte dei casi si accompagna ad un eccessivo accumulo di trigliceridi
nel fegato (steatosi epatica); per questo si parla più correttamente di steatoepatite alcolica.
AST più elevata di ALT (rapporto AST/ALT > 2) perché:
- il danno è prevalentemente mitocondriale e l’alcool induce il rilascio di AST mitocondriale anche in
assenza di necrosi cellulare e ne aumenta l’attività;
- ALT è più sensibile al deficit di vitamina B6, comune nell'alcolismo, per cui tende ad essere più
bassa.
Indicatori di lesione epatocellulare: Lattico deidrogenasi

27
La lattato deidrogenasi è un enzima che catalizza l’interconversione tra lattato e piruvato. L’enzima è
presente nel citoplasma di tutte le cellule e non è legato a organelli subcellulari; la fuoriuscita dell’enzima
anche da una piccola lesione cellulare causa un significativo aumento della concentrazione plasmatica.
È un tetramero, cioè un oligomero formato da quattro protomeri che può costruirsi con due tipi di subunità: H
Heart ed M Muscle per dare origine a cinque forme tetrameriche.
Isoenzimi LDH
Colestasi: condizione associata a varie patologie accomunate dalla compromissione del flusso della bile
verso il duodeno (flusso retrogrado verso il sangue).
Sintomi di colestasi:
- feci di color argilla, untuose (steatorrea) e - cute e orbite oculari giallognole (ittero)
difficoltà digestive; urine scure - dolore addominale, splenomegalia, ascite,
- prurito cutaneo, nausea, vomito; febbre

la fosfatasi alcalina (ALP) è un indicatore di colestasi:


● è un enzima aspecifico, prodotto da epatociti, cellule dei dotti biliari ma anche da osteoblasti, epitelio
intestinale, placenta, tubuli renali;
● ha un’emivita di 3 giorni
● aumenta fisiologicamente:
- durante l’accrescimento (deriva dagli osteoblasti)
- nel III trimestre di gravidanza (deriva dalla placenta)
- negli anziani
● è localizzato sulla superficie cellulare per cui l’accumulo dei sali biliari ne determina un aumento della
sintesi e rilascio dalla superficie degli epatociti.
Valori normali nel siero:
- Donne: fino a 455 U/L (fino a 12 anni); 32-104 U/L (oltre i 20 anni)
- Uomini: fino a 455 U/L (fino a 15 anni); 45-130 U/L (oltre i 20 anni)

la Gamma-glutamil transpeptidasi (GGT) è un altro indicatore di colestasi:


● è una glicoproteina legata alla membrana plasmatica coinvolta nel trasferimento del gruppo gamma-
glutamilico da un peptide all'altro e nel metabolismo del glutatione.
● è un enzima microsomiale, presente negli epatociti e cellule epiteliali dei canalicoli biliari (ma anche in
rene, pancreas e intestino);
● nonostante sia presente in diversi tipi cellulari, alti livelli di GGT nel sangue sono comunemente
riscontrabili in tutte le malattie del fegato e vie biliari.
● l'importanza clinica della GGT è diminuita dalla sua bassa specificità per cui un valore alto di GGT
indica un probabile danno epatico senza chiarire l’origine. La sua valutazione va accoppiata a quella
dell’ALP (per discriminare da elevazioni di quest’ultima) o delle Transaminasi.
● aumenta in caso di:
- ostruzione biliare - epatopatie alcoliche - induzione enzimatica
(insieme a ALP) - neoplasie epatiche da alcool e farmaci
- epatite virale
Valori normali nel siero:
- neonati (sangue ombelicale): 11-97 U/L
- donne: <33 U/L;
- uomini: < 50 U/L
Indicatori di coniugazione: Bilirubina
● è il prodotto del catabolismo del gruppo eme che, a sua volta, origina dalla degradazione
dell’emoglobina
● gli eritrociti vivono in media 110-130 giorni, al termine dei quali possono andare incontro a lisi
spontanea durante il passaggio attraverso i capillari o essere fagocitati dai macrofagi della milza.
L'organismo tende a recuperare alcuni dei loro costituenti, primo tra tutti il ferro contenuto nel gruppo
prostetico EME dell'emoglobina.
● i processi di riciclo avvengono dapprima a livello della milza, dove il prodotto di degradazione
dell’EME viene convertito in un pigmento di colore verde, chiamato biliverdina, che viene
successivamente e prontamente convertito in bilirubina.
● la bilirubina non coniugata non è idrosolubile, per questo motivo viene trasportata nel torrente
ematico da un carrier specifico: l'albumina che la porta fino al fegato dove viene coniugata con l’acido
glucuronico e quindi trasformata in bilirubina diretta o coniugata;
● come bilirubina coniugata, viene escreta nella bile.
- I valori fisiologici di bilirubina totale (coniugata e non coniugata) sono < 1 mg/dL.
Quando il processo di coniugazione è alterato i valori di bilirubina sono > 2 mg/dL e si parla di ittero.

28
L’ittero è una colorazione giallastra della cute e delle mucose, in particolare a livello delle sclere, dovuta ad
accumulo di bilirubina nell’organismo.
Indicatori di sintesi
● la maggior parte delle proteine del sangue, ad eccezione delle immunoglobuline, alcuni fattori del
complemento ed alcune lipoproteine, è sintetizzata dal fegato.
● la determinazione delle proteine epatiche può essere informativa sia dell’attività del fegato sia anche
di processi infiammatori, malattie immunologiche etc.
● le proteine epatiche vengono studiate nel siero sia come quantità totale (proteine totali) sia come
singole frazioni:
- albumina
- α, β, γ globuline.
Epatite virale: processo infiammatorio (acuto o cronico), che provoca la morte delle cellule del fegato
(necrosi) a causa dell'attacco da parte di virus epatotropi (che hanno come bersaglio primario proprio le
cellule epatiche).
- si conoscono 5 virus epatitici maggiori (A, B, C, D, E) ma può anche essere causata da numerosi altri
agenti virali, tra i più comuni: il virus di Epstein Barr (in corso di mononucleosi infettiva),
Citomegalovirus, Herpes simplex, varicella zoster, virus coxsackie , virus febbre;
● I test diagnostici impiegati per l’inquadramento differenziale delle epatiti riguardano l’ utilizzo di
- anticorpi che riconoscono:
-antigeni (proteine) virali
-anticorpi prodotti dall’organismo diretti contro i virus
- metodologie di PCR (che evidenzia la presenza del genoma virale)
In un semplice emocromo si puo' evincere che c'è un processo infettivo in atto se il numero dei leucociti
(globuli bianchi) varia molto dai livelli normali. Nel sangue i leucociti sono tra 5.000 e 10.000 per mmc . Valori
superiori possono essere determinati da infiammazioni o infezioni: se aumentano i neutrofili l'infezione è di
natura batterica, se aumentano i linfociti è tendenzialmente di origine virale, se aumentano quelli eosinofili si
può pensare o ad una allergia o ad una infestazione da parassiti.

29
Diagnosi di patologie pancreatiche
Il pancreas è una voluminosa ghiandola che svolge un ruolo esocrino tramite la produzione del secreto
pancreatico ed un ruolo endocrino attraverso la produzione di alcuni ormoni.
È annesso al duodeno (tratto iniziale dell’intestino tenue) nel quale versa il prodotto della sua secrezione
esterna attraverso due condotti escretori:
- il condotto pancreatico principale (di Wirsung)
- il condotto pancreatico accessorio (di Santorini)
ruolo esocrino
• Il secreto pancreatico (succo pancreatico) è formato da:
- H2O (98% circa);
- 1% sostanze inorganiche (bicarbonato, cloruri, fosfati);
- 1% sostanze organiche (enzimi ed altre proteine).
800-1500 mL di secreto pancreatico sono prodotti ogni giorno per contribuire ai processi digestivi intestinali
in seguito a stimoli nervosi (nervo vago) / ormonali (secretina, colecistochinina)
(la secretina è un ormone peptidico di 27 aminoacidi prodotto dal duodeno dalle cellule S, che stimola la
secrezione di bile dal fegato e nel pancreas di liquidi alcalini e di insulina)
• Il succo pancreatico è ricco di enzimi proteolitici, glicolitici e lipolitici e presenta un elevato grado di
alcalinità (pH basico) che contribuisce a neutralizzare il pH del chimo gastrico quando questo giunge nel
duodeno.
• Disfunzioni del pancreas esocrino si associano a maldigestione e conseguente malassorbimento.
Succo pancreatico
● AMILASI: trasformano l'amido alimentare in una miscela di zuccheri semplici (disaccaridi, maltosio,
glucosio) che verrà poi assorbita a livello della mucosa intestinale.
● CHIMOTRIPSINA, TRIPSINA, CARBOSSIPEPTIDASI: idrolizzano i legami peptidici presenti
all'interno delle strutture proteiche, frammentandole nei singoli aminoacidi che le compongono.
● LIPASI: coadiuvate dalla bile e dagli enzimi colipasi, catalizzano l'idrolisi dei trigliceridi scindendoli nei
loro componenti più elementari (glicerolo ed acidi grassi).
● RIBONUCLEASI e DESOSSIRIBONUCLEASI: demoliscono, rispettivamente, gli acidi ribonucleici
(RNA) e desossiribonucleici (DNA).
● IONI BICARBONATO: fondamentali per tamponare l'acidità del chimo proveniente dallo stomaco e
garantire un ambiente leggermente alcalino favorevole all'attività degli stessi enzimi digestivi.
Le pancreatiti
Molti degli enzimi digestivi pancreatici, specialmente le proteasi, vengono sintetizzati in una forma inattiva, in
modo da proteggere le cellule che li producono dalla loro azione lesiva. Quando questi enzimi, trasportati dal
succo pancreatico, si riversano nel duodeno subiscono un processo di attivazione, necessario per l'ottimale
espletamento delle attività digestive.
• Nelle pancreatiti, la precoce attivazione di questi enzimi all'interno del pancreas determina un processo
infiammatorio a carico della ghiandola stessa.
• Insulti ripetuti possono determinare un danno cronico del pancreas (autodigestione e necrosi), con graduale
perdita della sua funzionalità.
La pancreatite acuta è un processo infiammatorio del pancreas, nell’80% dei casi dovuto a calcolosi biliare e
abuso di alcool

Marcatori diagnostici di pancreatite acuta:

Amilasi:
• enzima che idrolizza l’amido ed il glicogeno;
• circa il 40% dell’Amilasi presente nel siero è pancreatica, la restante quota (60% circa) deriva, in
prevalenza da ghiandole salivari;
•è possibile valutare gli isoenzimi dell’Amilasi con metodi immunoenzimatici (impiegando anticorpi specifici) o
elettroforesi, potendo così evidenziare le forme salivari S1, S2 e S3, e quelle pancreatiche P1, P2 e P3,
quest’ultima specifica per la pancreatite acuta;
• nella pancreatite acuta, l’amilasi nel siero (amilasemia: valori di riferimento < 115 U/L) aumenta dopo 2-12
ore dal dolore, raggiunge un picco in 12-72 ore e si normalizza in 3-5 giorni;
• nelle urine (amilasuria), dove di norma prevale la forma pancreatica, i livelli restano elevati per 1-2
settimane, quindi anche dopo la normalizzazione dell’Amilasi sierica
Lipasi:
• Catalizza l'idrolisi dei trigliceridi scindendoli nei loro componenti più elementari (glicerolo ed acidi grassi);
• Deriva principalmente dagli acini pancreatici per cui è un marcatore più specifico dell’Amilasi;

30
• Si eleva dopo 4-8 ore dall’insorgenza dei sintomi di pancreatite acuta, raggiunge il picco in 24 ore e si
normalizza dopo 8-14 giorni.
• Il pancreas contiene circa 4-5 volte più Lipasi che Amilasi e ciò spiega perché in corso di pancreatite acuta
su base alcoolica, quando la ghiandola è “bruciata”, la Lipasi può essere elevata e l’Amilasi normale;
Pancreatite acuta severa
• Quando la prima fase di pancreatite cronica (infiammazione e necrosi) non si risolve, può sopraggiungere
infezione, sepsi e sindrome da disfunzione multiorgano (MODS), fino alla morte.
Pertanto è utile disporre di test predittivi di severità per instaurare una adeguata terapia intensiva, profilassi
antibiotica, etc.
• In caso di pancreatite acuta severa, Amilasi e Lipasi non sono markers informativi di severità mentre lo
sono diversi indicatori di infiammazione:
- proteina C reattiva (sintetizzata a livello epatico), la pCR è una opsonina, il cui principale ruolo è
quello di legare la fosforilcolina, espressa su cellule morte o morenti, ma anche sulla superficie
esterna di diverse specie batteriche, permettendo l'attivazione del complemento attraverso la via
classica
- interleuchina IL-6, (citochina prodotta dai macrofagi),
- interleuchina IL-8, (citochina attivante i neutrofili),
- procalcitonina, rilasciata dalle cellule neuroendocrine che aumenta nel sangue durante le infezioni
batteriche e fungine
- valutazione nelle urine del peptide di attivazione del tripsinogeno, denominato TAP.
ruolo endocrino
• Il pancreas endocrino è costituito da circa 1 milione di isole di Langerhans, ammassi cellulari di forma
tondeggiante che secernono ormoni fondamentali per la regolazione del livello di glucosio nel sangue;
Sono stati identificati cinque tipi cellulari all'interno di ciascuna isola di Langerhans, secernenti gli ormoni
pancreatici:
Cellule α (15-20%) → Glucagone
Cellule β (65-80%) → Insulina
Cellule δ (3-10%) → Somatostatina
Cellule F (1-2%) → Polipeptide Pancreatico (PP): La somministrazione esogena dell'ormone PP riduce la motilità
intestinale nonché lo svuotamento gastrico.
Cellule ε (< 1%) → Grelina. La Grelina stimola l'appetito.
L’insulina è un ormone di natura proteica, sintetizzato come pre-proinsulina dal cui clivaggio origina una
molecola biologicamente inattiva, il peptide C.
L'insulina è l'ormone anabolico per eccellenza, infatti la sua azione:
- facilita il passaggio del glucosio dal sangue alle cellule ed ha pertanto azione ipoglicemizzante:
abbassa la glicemia e favorisce l'accumulo di glucosio sotto forma di glicogeno (glicogenosintesi) a
livello epatico ed inibisce la degradazione di glicogeno a glucosio (glicogenolisi).
- facilita il passaggio degli aminoacidi dal sangue alle cellule stimolando la sintesi proteica e inibendo
la gluconeogenesi (formazione di glucosio a partire da alcuni aminoacidi).
- facilita il passaggio degli acidi grassi dal sangue alle cellule stimolando la sintesi di acidi grassi a
partire da glucosio e aminoacidi in eccesso ed inibisce la lipolisi (utilizzazione degli acidi grassi a
scopo energetico).

Gli stimoli che inducono la secrezione di insulina sono diversi:


- metabolici (glucosio, aminoacidi ed acidi grassi);
- ormonali (GIP, glucagone, CCK, gastrina e secretina);
- nervosi (nervo vago ed attività β-adrenergica);

I fattori che inibiscono la secrezione di insulina sono:


- ipoglicemia
- somatostatina
- attività α2-adrenergica
- farmaci β-bloccanti
Il glucagone è un ormone di natura proteica prodotto, oltre che dalle cellule α del pancreas, anche nel
sistema nervoso centrale (in minor misura).
È un antagonista dell'insulina e con la sua azione ripristina i livelli glicemici:
- promuovendo la glicogenolisi a livello epatico (produzione di glucosio a partire dal glicogeno)
- inibendo la glicogenosintesi
- stimolando la gluconeogenesi
La sua secrezione è fortemente stimolata da:
- calo della glicemia
- digiuno

31
- attività fisica prolungata di intensità medio alta

La somatostatina è un ormone di natura proteica prodotto, oltre che dalle cellule δ del pancreas, anche nel
sistema nervoso centrale e in cellule neuroendocrine; tra le sue funzioni:
- Inibisce la secrezione di insulina e glucagone;
- Inibisce fortemente la secrezione degli ormoni ipofisari GH (ormone della crescita) e prolattina;
- Inibisce la secrezione di peptidi intestinali (gastrina e secretina);
- Riduce la motilità intestinale;
- Riduce l’assorbimento di carboidrati;
- Aumenta l’assorbimento di H2O ed elettroliti.
- Agisce da neurotrasmettitore ed ha un'azione stimolante su recettori colinergici e β-adrenergici.

Disfunzioni endocrine del pancreas


Quando la glicemia si alza aumenta la quantità di insulina secreta dalle cellule β del pancreas.
Tra le disfunzioni endocrine più diffuse del pancreas c’è l’alterata produzione o azione dell'insulina, che
determina un alterato metabolismo glucidico con conseguente:
- iperglicemia ridotta produzione e/o azione dell’insulina
- ipoglicemia aumentata produzione e/o azione dell’insulina

L’iperglicemia è un dato clinico che accomuna una serie di disordini metabolici che nel loro complesso
vengono indicati come diabete.
• Il diabete è comunemente classificato in:
- Diabete di tipo 1 distruzione delle cellule β pancreatiche che porta a totale deficienza di insulina . Può
essere causato da risposte autoimmuni errate contro le cellule β o da obesità, fattori ambientali e/o ereditari.
Insorge molto presto, anche durante l'infanzia, e la terapia insulinica è necessaria e non eliminabile per tutta
la vita.
- Diabete di tipo 2 difetto nella secrezione di insulina, caratterizzato da parziale funzionalità delle cellule β e
da scarsa sensibilità dei tessuti periferici all'insulina. Non è di tipo immunitario ma multifattoriale
(comportamento, ereditarietà e fattori ambientali). Insorge più comunemente in tarda età.
- Diabete secondario conseguente a patologie del pancreas o ad intensi trattamenti farmacologici a base di
glicocorticoidi.
- Diabete in gravidanza resistenza all’insulina dovuta a “stress” gravidico.

Durante la giornata, oscillazioni che vanno dai 60 a 140 mg/dl di glucosio nel sangue sono considerate
normali. Si parla di iperglicemia post-prandiale quando dopo due ore dal pasto la glicemia supera i 140
mg/dL. A digiuno, i livelli di glucosio vanno da 60 a 110 mg/dl.
I sintomi classici di diabete sono:
- poliuria aumento della quantità di urina emessa durante la giornata.
- polidipsia aumento della sete.
- dimagramento immotivato (quando la situazione cronicizza).

Nei pazienti con alterata glicemia a digiuno (100-125 mg/dl), nei quali si sospetta il diabete si procede con il
test da carico di glucosio orale (OGTT, Oral Glucose Tolerance Test).
• Somministrazione di 75 g di glucosio anidro (sciolto in 200 ml di acqua ed assunto in 5 min) al paziente
digiuno da 10 ore (che nei tre giorni precedenti ha seguito dieta libera e attività fisica normale).
• Prelievo di sangue venoso prima dell’inizio del test (T0) e ogni 30 min nelle 2 ore successive all’assunzione
di glucosio (T30, T60, T90, T120).
Gli stati di alterata glicemia a digiuno (IFG) e di ridotta tolleranza al glucosio (IGT) nell’OGTT rappresentano
condizioni di pre-diabete;
Tuttavia, lo stato di IGT rappresenta un maggior rischio di evoluzione in diabete conclamato rispetto all'IFG.
Una volta diagnosticato il diabete, il paziente dovrà tenere costantemente monitorata la glicemia per evitare
l’insorgere di complicanze. (Aterosclerosi, glomerulopatie, neuropatie, retinopatie, ulcere).
Benché non siano delle vere e proprie malattie, il riscontro di stati pre-diabetici non deve mai essere
sottovalutato, in quanto rappresentano un importante fattore di rischio per lo sviluppo futuro di diabete
conclamato, oltre ad associarsi ad un'aumentata incidenza di patologia aterosclerotica ed in particolare di
cardiopatia ischemica. Altra cosa molto importante è che spesso la semplice correzione degli stili di vita
riporta tutto alla normalità. Dopo il riscontro di un'alterata glicemia a digiuno, pertanto, il medico non
prescriverà farmaci ma consiglierà di intervenire con una dieta più attenta agli eccessi calorici e nel
contempo più ricca di vegetali e più povera di grassi saturi e carboidrati, in particolare di quelli semplici (dolci,
bevande zuccherate, succhi di frutta industriali, merendine, cioccolatini e compagnia bella). All'intervento
alimentare si affiancherà una maggiore attività fisica, tanto più importante quanto più la persona è in
sovrappeso.

32
Self monitoring blood glucose: consente al paziente di monitorare da solo la propria risposta alla terapia
durante la giornata attraverso apparecchi portatili “glucometer ” che impiegano strisce reattive, in modo da
mantenere il controllo dei livelli di glicemia e prevenire episodi di ipoglicemia
Emoglobina glicata :attraverso il processo spontaneo denominato glicazione, il glucosio ematico è in grado di
legare in modo irreversibile l'emoglobina, formando l’emoglobina glicata. Tanto più alta è la concentrazione
di glucosio nel sangue e tanto maggiore risulta la percentuale di emoglobina glicata.

Le sindromi ipoglicemiche sono condizioni di bassi livelli di glicemia associate a sintomi di attivazione
adrenergica (ansia, tremori, sudorazione, tachicardia) ed altri sintomi (cefalea, ridotta concentrazione,
confusione, offuscamento dei sensi fino al coma); spesso sostenuta da una patologia (insufficienza
surrenalica, epatopatie, squilibri ormonali, tumore delle cellule β pancreatiche);
Nei pazienti con diabete mellito (tipo 1), è causata dall'erronea assunzione di farmaci ipoglicemizzanti orali
e/o di insulina. Può anche essere la conseguenza di:
- cattiva alimentazione
- dieta ferrea, povera di carboidrati
- ipoglicemia “reattiva” (lungo digiuno seguito da rapida reintroduzione di zuccheri)
- attività fisica particolarmente prolungata
Dev’essere trattata rapidamente: nelle forme lievi è sufficiente consumare alimenti ad elevato indice
glicemico; nel caso di incoscienza è necessaria un'iniezione intramuscolare di glucagone o endovenosa di
glucosio.

Tessuto muscolare e diagnosi di rischio cardiovascolare


La possibilità di compiere movimenti e di mantenere la stazione eretta è affidata alla capacità contrattile della
cellula muscolare.
Le proprietà fondamentali delle cellule muscolari sono:
• eccitabilità • contrattilità
Le cellule muscolari possono essere striate o lisce a seconda della presenza o assenza, rispettivamente, di
disposizione ordinata dei miofilamenti nel loro citoplasma. Nel tessuto muscolare striato i miofilamenti sono
disposti in maniera ordinata e ripetuta a formare una struttura denominata sarcomero.
Il tessuto muscolare
• I miociti del muscolo liscio sono cellule fusiformi, mononucleate e lunghe 20-500 μm; lo troviamo nella
parete dei vasi sanguigni ( vene), nella parete degli organi cavi ( intestino) e in forma di fibre isolate nel
derma della pelle;
• Le cellule del muscolo cardiaco (sono pure cilindriche, ma di dimensione inferiore 85-100 μm mononucleate
e tra di esse connesse con dischi intercalari
• Le cellule del muscolo scheletrico sono di forma cilindrica, provviste di numerosi nuclei ed hanno
lunghezza variabile 1-40 mm; costituiscono i muscoli scheletrici e la muscolatura di organi come il bulbo
oculare e la lingua, quindi la maggior parte della muscolatura
• Il tessuto muscolare scheletrico è stimolato e contratto dal sistema nervoso volontario, quello cardiaco e
liscio dal sistema nervoso vegetativo

Il sarcomero
33
•Le cellule del tessuto muscolare (miociti) hanno come prerogativa la capacità di contrarsi; Il citoplasma dei
miociti, detto sarcoplasma, è largamente occupato dalle miofibrille, che ne costituiscono la componente
contrattile.
•Le miofibrille sono a loro volta composte da miofilamenti paralleli, che sono di due tipi: spessi e sottili. Si può
inoltre osservare una caratteristica striatura lungo l'asse maggiore della miofibrilla, dovuta all'alternarsi
regolare di bande chiare e scure.
-Bande scure: bande A
-Bande chiare: bande I
-Ciascuna banda A risulta divisa in due dalla cosiddetta stria H, posta nella sua parte centrale
-Ciascuna banda I risulta divisa in due da una linea Z.
Il tratto di miofibrilla compreso tra due linee Z adiacenti (1/2 banda I + banda A + 1/2 banda I) prende il nome
di SARCOMERO.

•All'interno della singola miofibrilla, i sarcomeri si susseguono uno dopo l'altro;


•Al centro di ciascun sarcomero sono presenti un migliaio di filamenti spessi, costituiti da miosina. Alle loro
estremità, queste proteine traggono rapporti con filamenti sottili, costituiti da actina.
Nel sarcomero:
•Filamenti spessi (miosina): banda A;
•Filamenti sottili (actina), due mezze bande I, che arrivano sino ai dischi Z.

La contrazione muscolare è resa possibile dallo scorrimento dei filamenti sottili su quelli spessi.
Durante la contrazione, il sarcomero si accorcia per avvicinamento dei due filamenti Z: mentre la lunghezza
della banda A rimane invariata, si ha una riduzione della banda I e banda H.
La generalizzazione del fenomeno determina l'accorciamento di miofibrille, delle fibre muscolari, dei fascicoli
e dell'intero muscolo.
Ciascun sarcomero può accorciarsi al massimo fino al 50% della sua lunghezza a riposo.
Durante la contrazione muscolare i ponti tra actina e miosina sono continuamente formati e sciolti, in
condizioni di sufficienti quantità di Ca 2+ e ATP.

La miosina è il motore delle miofibrille e ogni molecola si compone di 6 subunità;


•Il fenomeno della contrazione può essere diviso in due fasi:
1. aggancio (formazione dei ponti trasversali) tra le teste globulari di miosina e filamenti di actina
2. scorrimento dei filamenti
•La formazione dei ponti trasversali dipende dall'aumento dell'attività del calcio
•La testa della miosina possiede un sito di legame all' ATP nonché l’enzima ATPasi in grado di scindere
l’ATP in ADP e fosfato inorganico, liberando energia.

L’ actina è una proteina globulare, ogni sua molecola contiene un sito di legame per la testa della miosina ,
che, in condizioni di riposo, si trova bloccato da due proteine:
- Tropomiosina: nel muscolo a riposo impedisce il contatto tra 7 molecole di G-actina e le teste di
miosina, mantenendo il muscolo rilassato.
- Troponina: quando lega il calcio cambia la propria conformazione e sposta la Tropomiosina
permettendo l'aggancio con la miosina.

La contrazione muscolare è un processo nel quale l’energia dell’ATP viene convertita in energia meccanica
generando un transitorio e reversibile accorciamento dei sarcomeri.
Ogni molecola di miosina presenta due siti di legame, uno per una molecola di ATP ed uno per l'actina. La
sua attività ATPasicale consente di idrolizzare l'ATP ad ADP + fosfato inorganico (Pi) e di utilizzare l'energia
così sviluppata per generare il movimento.
Le patologie del muscolo scheletrico sono principalmente le miopatie non metaboliche determinate
geneticamente.
Le malattie cardiovascolari prevalenti, invece, sono le sindromi coronariche acute (SCA), patologie che
interessano i vasi e, solo secondariamente, il miocardio.
Patologie cardiovascolari
Principale causa di mortalità nel mondo
Fattori di rischio: fumo, alcol, colesterolo, dislipidemia,
Valutazione dei rischi secondo il Framingham Heart Study
Identificare i soggetti ad alto rischio di primo evento cardiovascolare maggiore (infarto del miocardio e ictus)
sulla base di:
•abitudine al fumo •diabete •pressione sistolica arteriosa
•sesso •età •colesterolemia

34
Gli algoritmi per le carte del rischio derivano da studi epidemiologici longitudinali, costruiti sulla stessa
popolazione su cui verranno applicati.

Nuovi Marker: Sindrome coronarica acuta


•infiammazione; •danno metabolico;
•danno endoteliale; •danno sistema immunitario;

Fattori di rischio cardiovascolare:


FATTORI GENETICI /AMBIENTALI

Metabolismo dei lipidi, Infiammazione, Ossidazione, Coagulazione.

Genesi placca ateromasica-danno endotelio vascolare


•INTIMA: monostrato di cellule endoteliali e sottoendoteliali; è separata dalla media dalla membrana elastica
interna (fibre elastiche).
•MEDIA: molte fibre elastiche e poche fibre muscolari nelle arterie elastiche (aorta, aa. iliache), viceversa nei
vasi muscolari (coronarie, carotidi, femorali, ecc.); è separata dall’avventizia dalla membrana elastica
esterna.
•AVVENTIZIA: sottile strato di tessuto connettivo, con vasa vasorum, vasi linfatici e terminazioni nervose.
Nuovi fattori di rischio cardiovascolare
•Omocisteina.
•Fibrinogeno.
•Lipoproteina (a)
•Indici di funzione fibrinolitica: t-PA (attivatore del plasminogeno), PAI-1 (inibitore dell’attivatore del
plasminogeno)
•Leptina (ormone proteico con ruolo importante nella regolazione dell'ingestione e della spesa calorica)
•Indici di infiammazione (pCR)
•Condizioni di vita che causano stress e tensione emotiva.

Le modificazioni metaboliche nel miocardio


•L’attività contrattile del miocardio è continua e, esclusi brevissimi periodi di intenso lavoro, è sostenuta dal
metabolismo aerobico. Per questo motivo condizioni anaerobiche, anche di breve durata, inducono danno
funzionale e strutturale del miocardio.
I substrati ossidabili dai quali il miocardio ricava energia per la contrazione sono, in ordine: acidi grassi,
glucosio, lattato, corpi chetonici, piruvato, acetato.
Questi substrati sono ricavati dal sangue ma il miocardio può anche attingere ai suoi depositi endogeni di
glicogeno e trigliceridi.
L’inadeguata ossigenazione del miocardio provocata da anossia (diminuita pressione parziale di O2 con
flusso ematico normale)o ischemia (diminuito flusso ematico), compromette tutti i processi ossidativi e,
primariamente, quelli mitocondriali.
Diagnostica dell’ischemia cardiaca
La diagnosi di ischemia cardiaca necrotica o infarto del miocardio e la valutazione dell’entità del danno sono
tuttora problemi di notevole difficoltà
L’esame elettrocardiografico pur fondamentale per il rilievo della lesione e l‘apprezzamento del suo decorso,
non fornisce indicazioni sicure sulla entità della lesione e la modificazione del tracciato non sempre è
sufficientemente precoce
Quindi, riveste sempre maggiore importanza diagnostica la determinazione nel siero dell’attività di enzimi o
proteine marcatori che vengono rilasciati in circolo dalla zona miocardica ischemica come conseguenza della
lisi cellulare.
Le concentrazioni nel sangue delle sostanze liberate dall’area infartuata riflettono lo stato e l’entità della
lesione. La loro conoscenza consente di formulare una proposta diagnostica e stabilire, con buona
approssimazione, la datazione dell’evento ischemico.

Diagnostica del danno cardiaco


I marcatori biochimici attualmente usati per la diagnostica (soprattutto precoce) dell’infarto del miocardio
sono:
- Mioglobina (marcatore più precoce).
- Creatina chinasi miocardica (CK-MB), di discreta sensibilità e miocardio-specifico.
- Troponine miocardiche, in particolare Troponina I (Tn-I miocardica, il marcatore più sensibile, capace
di segnalare lesioni ischemiche anche microscopiche).
35
Mioglobina, Troponina I cardiaca (dopo infarto miocardico acuto microscopico,) Creatinchinasi-MB (CK-MB),
Troponina I cardiaca (dopo infarto miocardico acuto esteso).

La mioglobina è un’eme-proteina di piccole dimensioni (17.8 kDa) presente nel citoplasma cellulare; lega
reversibilmente l'O2 e ne agevola il trasporto; costituisce il 2% delle proteine muscolari totali ed è rilasciata in
circolo rapidamente in seguito a lesione cellulare: è l’indicatore più rapido di danno muscolare (sia
scheletrico che cardiaco).
Aumenta a distanza di 2-4 ore dall’evento acuto e raggiunge un picco a distanza di 6-9 ore. I valori tornano
alla norma in 24-36 ore. La sua presenza nel sangue è fugace dato il suo basso peso molecolare e la rapida
eliminazione renale.
Il precoce aumento e la rapida diminuzione dei suoi livelli può significare che la lesione miocardica è
localizzata e non espansiva. Il mantenimento invece di livelli elevati può indicare lesione in espansione.
La creatina chinasi catalizza la reazione: fosfocreatina + ADP↔creatina + ATP;
esistono tre diverse forme isoenzimatiche per cui il suo aumento non indica in modo specifico una lesione
miocardica. Gli isoenzimi CK risultano dall’associazione di due subunità, i monomeri “M”e “B”:
- CK-MM prevalentemente muscolare
- CK-BB cerebrale
- CK-MB prevalentemente cardiaca
CK-MB aumenta tipicamente a 6-8 ore dal dolore, raggiunge il massimo dopo 1 giorno per poi normalizzarsi
entro 2-3 giorni
Le troponine sono un complesso di proteine che regolano la contrazione muscolare scheletrica e cardiaca
formato da tre subunità:
- Troponina T (TnT): lega la tropomiosina
- Troponina I(TnI): inibisce l’ATPasi actomiosinica
- Troponina C(TnC): lega il Ca2+
Mentre la TnC cardiaca è identica a quella muscolare, le forme di TnT e TnI del miocardio sono diverse. Per
tale motivo, la comparsa in circolo di cTnT e cTnI nel periodo post-infartuale ha caratteristiche di elevata
specificità e sensibilità per il danno miocardico.
In seguito a lesione miocardica, cTnT e cTnI aumentano nel plasma entro 5-10 ore con un picco dopo 15-25
ore, ritornando a valori basali dopo 5-7 giorni (cTnI) o 7-15 giorni (TnT).
La cardiospecificità e l’ampia finestra diagnostica rendono le troponine marcatori ideali anche in caso di
diagnosi tardiva di infarto del miocardio.
La cTnI è il marcatore più sensibile di danno del miocardio essendo in grado di indicare una lesione anche
microscopica in soggetti con sindrome coronarica acuta che presentano tracciato elettrocardiografico silente
e concentrazioni normali dei tradizionali enzimi e isoenzimi cardiaci.

Strategia di gestione dei pazienti con sospetto di sindromi coronariche acute:


Va inoltre ricordato che:
● molte patologie di origine non ischemica possono essere responsabili dell’aumento di Troponine
cardiache:
- trauma cardiaco - insufficienza renale in - embolia polmonare
- cardiotossicità da fase terminale - insufficienza cardiaca
chemioterapici - miocardite/pericardite congestizia
- terapia intensiva - postoperatorio di
interventi chirurgici
● una interpretazione rigorosa del significato diagnostico dei “markers” cardiaci richiede anche la
valutazione dello stato funzionale di fegato e reni, organi che contribuiscono alla eliminazione di tali
enzimi nel sangue.

Marcatori di ischemia miocardica


Albumina modificata (IMA)
L’ischemia, intesa come insufficiente apporto di sangue ossigenato al tessuto miocardico, comporta
un’alterazione cellulare ancora reversibile, che è tipica dell’angina.
Durante l’ischemia, la capacità fisiologica dell’albumina di legare ioni metallici (rame, nikel, cobalto)
diminuisce in quanto il suo sito di legame viene danneggiato dai radicali liberi, generando una variante
metabolica della proteina (IMA, Ischemia-Modified Albumin).
In associazione ai tradizionali biomarcatori di danno cardiaco, un valore “non diagnostico” di IMA esclude la
presenza di ischemia cardiaca, indirizzando il clinico verso una diagnosi alternativa o verso la dimissione del
paziente.
Un valore positivo di IMA potrebbe essere d’ausilio nell’identificare individui ad alto rischio, soggetti a
condizioni ipossiche locali o sistemiche, che potrebbero beneficiare di un trattamento precoce.

36
Marcatori del muscolo scheletrico
Nel corso di patologie del muscolo scheletrico, un impegno flogistico e/o esteso dei muscoli scheletrici si
traduce in un aumento di alcuni marcatori quali:
- Creatina Chinasi (CK);
- Lattico Deidrogenasi (LDH);
- Aldolasi;
Tra essi, la CK è l’indice più sensibile in quanto il muscolo scheletrico ha un contenuto di CK superiore a
qualsiasi altro tessuto.
In particolare, la CK-MM (95% della CK totale, l’altro 5% è costituito da CK-MB) mostra un’attività aumentata
nel plasma di pazienti affetti da miopatie quali:
- distrofia muscolare di Duchenne;
- polimiosite acuta;
- suscettibilità all’ipertermia maligna;

La diagnostica genetica

Dogma centrale della biologia molecolare (Francis e Crick, 1957): Il flusso dell'informazione genetica è
monodirezionale: parte dagli acidi nucleici per arrivare alle proteine, attraverso tre punti:

1)Il DNA, per essere espresso nella cellula viene trascritto sotto forma di 2) RNA, il quale viene
successivamente tradotto in 3) proteine che rappresentano la forma"operativa" dell’informazione contenuta
nel genoma.
Attraverso il processo di duplicazione, l'informazione genetica conservata nel DNA, viene propagata dalla
cellula madre alle cellule figlie.

Il patrimonio genetico (genoma) di un individuo è costituito dal DNA che è organizzato in unità codificanti
(geni) e da regioni non codificanti ed è ordinato nei cromosomi; nell'uomo il genoma è costituito da 46 cromosomi
(22 coppie di autosomi e due cromosomi sessuali: XY → maschio, XX → femmina);
Il genoma è presente nel nucleo di tutte le cellule dell'organismo che sono distinguibili in due "linee":
- linea somatica: comprende la grandissima maggioranza delle cellule dei diversi tessuti
- linea germinale: comprende le cellule delle gonadi deputate specificamente alla riproduzione e quindi
alla trasmissione del patrimonio ereditario da una generazione a quella successiva.

Ogni soggetto possiede nel proprio genoma, due coppie di ciascun cromosoma e dunque anche due
esemplari di ciascun gene (alleli). I due alleli non sono necessariamente identici, essendo stati ereditati
rispettivamente uno dalla madre e l'altro dal padre.
Se un individuo è portatore di due alleli diversi nello stesso sito cromosomico (locus), si definisce come
"eterozigote" per tale locus. Se i due alleli sono identici allora l'individuo è "omozigote", sempre relativamente
a quel determinato locus cromosomico.
Le malattie genetiche:
•sono causate da alterazioni (mutazioni) del patrimonio genetico di un individuo
•se le mutazioni interessano le cellule germinali, la malattia si può trasmettere alla prole (malattie
ereditarie);al contrario, se la mutazione interessa solo le cellule somatiche, la malattia non viene trasmessa
alla generazione successiva.
•La presenza di alterazioni genetiche in cellule somatiche può essere causa di varie patologie, quali ad
esempio il cancro, che però non sono ereditarie.
•Inoltre, una malattia può originare dall'interazione tra fattori genetici ed ambientali: in tale caso l’individuo
erediterà la predisposizione ad ammalarsi, ma la malattia si manifesterà solo per l'intervento di altri fattori,
non genetici.
•La probabilità che i figli ereditino una determinata malattia dai genitori dipende dal tipo di difetto e dal modo
in cui questo viene trasmesso.

Le malattie genetiche si possono suddividere in:


•Monogeniche o Mendeliane→ alterazione di un singolo gene
•Cromosomiche→ alterazione del numero o struttura dei cromosomi
•Multifattoriali → interazione tra più geni e l'ambiente.

Malattie mendeliane:
•Sono causate da mutazioni di singoli geni e trasmesse secondo i principi classici (mendeliani)
dell'ereditarietà.
•Sono molto numerose (alcune migliaia) e colpiscono circa l'1% dei nati, ma nella maggior parte dei casi le
singole malattie sono piuttosto rare (incidenza < 1:10.000 nuovi nati).

37
•Le modalità di trasmissione mendeliana sono tre:
- autosomica dominante si manifestano a livello fenotipico anche nei soggetti eterozigoti
(coloro che portano un solo allele mutato per quel carattere, oltre a quello normale).
- autosomica recessiva per manifestarsi fenotipicamente devono coinvolgere i due alleli
(ciò avviene negli omozigoti), mentre negli eterozigoti sono clinicamente silenti).
- legata al cromosoma X (a sua volta dominante e recessiva).

Malattie cromosomiche:
•Sono tra le più frequenti cause di morte prenatale o di malattie congenite.
•Originano da alterazioni cromosomiche che possono essere:
- numeriche:
trisomie→ presenza di 3 copie di uno stesso cromosoma.
monosomie→ assenza di un cromosoma.
- strutturali:
delezioni→ perdita di un segmento di cromosoma.
duplicazioni → raddoppiamento di un tratto di cromosoma.
inversioni → inversione di un tratto di cromosoma.
traslocazioni → trasferimento di segmenti tra cromosomi.

Metodiche per l’analisi di mutazioni


PCR: Polymerase Chain Reaction (Reazione a catena della Polimerasi)
•Permette di selezionare una specifica porzione del genoma e di amplificarla esponenzialmente (di svariati
milioni di volte! Più di 2 milioni di molecole a partire da una sola!!!).
•Dopo amplificazione, la porzione di DNA amplificata (es. quella contenente la mutazione bersaglio) sarà
visualizzata sottoponendo il prodotto di PCR a separazione elettroforetica su gel di agarosio.
Le molecole di DNA sono cariche negativamente e migrano in un campo elettrico verso il polo positivo con
velocità inversamente proporzionali alle loro dimensioni (frammenti più lunghi migrano di meno rispetto a
quelli più corti).
•In caso di mutazioni che comportano variazioni di dimensione del gene, come delezioni o inserzioni, l’allele
mutato si presenterà all’elettroforesi come una banda di lunghezza anomala rispetto a quella di un allele
normale. In caso di delezione, il prodotto di PCR può risultare assente se i primers di innesco della PCR
sono stati disegnati all’interno della regione deleta.

Cosa serve per svolgere una PCR?


•Bassa quantità di DNA(10-100 ng) estratto da tessuto, come stampo del DNA da amplificare;
•Deossinucleotidi trifosfato (dNTP), i mattoni dai quali si forma il DNA, per generare nuovi filamenti;
•Opportuni "inneschi", detti primer, costituiti da brevi sequenze di DNA (20-25 basi) complementari agli
estremi dei due filamenti del segmento da riprodurre;
•Una DNA polimerasi, enzima in grado di replicare il DNA;
•Una soluzione “buffer”che serve a mantenere il pH stabile (tampone), necessario per costituire l'ambiente
adatto alla reazione;
•Altri elementi di supporto (ad es. ioni Mg2+) indispensabili per il corretto funzionamento della DNA
polimerasi.

Malattie dovute a micromutazioni: fibrosi cistica


•è la più frequente malattia genetica autosomica recessiva (1:2500 nati);
•è dovuta all’alterazione del gene Cystic Fibrosis Transmembrane Receptor (CFTR) che codifica una
proteina in grado di trasportare Cl- attraverso le membrane cellulari delle cellule epiteliali di vie aeree,
pancreas, intestino, ghiandole sudoripare.
•le mutazioni nel gene CFTR determinano una ridotta secrezione degli ioni Cl- con conseguente maggiore
riassorbimento di Na+ e H2O, accumulo di muco viscoso e aumento dell’incidenza di infezioni.
•una sola copia wild-type* del gene CFTR è necessaria per evitare la malattia;
•la fibrosi cistica si sviluppa quando nessuno dei due alleli è in grado di produrre una proteina CFTR
funzionale.

Malattie dovute a macromutazioni: distrofia muscolare di Duchenne (DMD)


•è una miopatia degenerativa trasmessa con ereditarietà recessiva legata al cromosoma X, determinata dalla
mancata produzione della proteina Distrofina;
•essendo legata all’X, i maschi che possiedono mutazione nel gene Distrofina sono affetti, mentre le
femmine possono essere portatrici della malattia.

38
•Provoca degenerazione progressiva delle fibre muscolari con accumulo di tessuto fibroso e adiposo che va
a sostituire il tessuto muscolare danneggiato.
•La Distrofina funge da ponte tra l’apparato contrattile della cellula (F-actina) e la membrana plasmatica
(sarcolemma) dei miociti.
•La sua assenza provoca difetti nel sistema di supporto strutturale della membrana rendendola più
suscettibile a rotture durante l’attività contrattile.
•Da un punto di vista biochimico, l’analisi degli enzimi sierici dà valori elevati di CK, sia per i maschi affetti
che per le femmine portatrici.

Diagnosi molecolare di DMD


Uno degli approcci metodologici più diffusi per effettuare la diagnosi molecolare di DMD è la multiplex PCR.
Questo particolare tipo di PCR consente di amplificare nella stessa provetta più regioni del gene della
Distrofina attraverso l’utilizzo simultaneo di diverse coppie di primers, ognuna specifica per ogni regione hot-
spot da analizzare.
L’analisi elettroforetica dei frammenti amplificati evidenzia l’assenza di regioni genomiche che sono state
delete nei pazienti, mentre sono regolarmente presenti nel campione utilizzato come controllo sperimentale.

Diagnosi prenatale di DMD


•è indicata nel caso ci siano precedenti familiari e permette di ricercare nel DNA fetale la presenza delle
mutazioni più frequenti del gene, che nel loro complesso sono causa di circa l’80% dei casi di DMD;
•può essere effettuata mediante multiplex PCR su campioni biologici ottenuti per:
- villocentesi (a 11-14 settimane)
- amniocentesi (dopo 15 settimane)
- prelievo di sangue fetale (a 18 settimane)

39

Potrebbero piacerti anche