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LA MEDICINA DI LABORATORIO-> laboratorio di microbiologia clinica

La medicina di laboratorio è una scienza applicata che studio con metodi chimici, fisici e biologici le
alterazioni dell’organismo nello stato di malattia, ricavando da campioni biologici di pazienti dati che
possono essere qualitativi o quantitativi numerici, questi consentono di ottenere informazioni utili.
La medicina di laboratorio ha un ruolo essenziale nel sistema sanitario.

Ha come obiettivi:

• Predire la suscettibilità alle malattie


• Prevenire le malattie identificando i fattori di rischio
• Diagnosticare malattie
• Determinare la prognosi
• Monitorare le malattie-> efficacia del trattamento e possibili modifiche
• Personalizzare la terapia per avere dei risultati maggiori riducendo gli eventi avversi

La medicina di lab si suddivide in: anatomia patologica-biochimica clinica-patologia clinica-


microbiologia clinica.

LABORATORIO DI MICROBIOLOGIA

Fornisce la diagnosi eziologica di una malattia infettiva, ne identifica l’agente patogeno responsabile
della malattia, si occupa della sorveglianza dell’andamento dell’antibiotico resistenza e anche di
individuare i portatori sani che sono una potenziale fonte di contagio.

La diagnosi si effettua isolando, coltivando e conservando l’agente patogeno per poterlo valutare a
fini tassonomici, epidemiologici e terapeutici. Il referto assume un significato biologico derivante dal
rapporto che si instaura tra il microrganismo e l’uomo. Il risultato del referto è influenzato
fortemente dalla fase pre-analitica.

Gli operatori del lab di microbiologia devono essere di supporto al medico per fornire

• Indicazioni nella scelta delle indagini


• Indicazioni sulla modalità di raccolta dei campioni
• Indicazioni sull’interpretazione dei risultati
• Informazioni di carattere epidemiologico

CICLO DELL’ESAME DI LABPRATORIO:

• Selezione e richiesta dell’esame


• Raccolta del campione
• Trasporto del campione
• Analisi
• Refertazione
• Interpretazione dei risultati
• Azione clinica

Questo percorso diagnostico permette l’identificazione, l’isolamento e la caratterizzazione di un


patogeno. Si articola in più fasi:

• Fase pre-anaitica->preparazione del paziente, esecuzione prelievo in modo corretto,


conservazione e trasporto corretti.
• Fase analitica-> esecuzione dell’esame e validazione risultato
• Fase post-analitica-> raccolta dei risultati, elaborazione statistica e avvio terapia

TERMINOLOGIA:

TAT-> turn around time è il tempo che intercorre tra la richiesta del test clinico all’emissione del
referto. il TAT viene usato come indice dell’efficienza di un laboratorio. La riduzione del TAT porta a
numerosi benefici anche se è un obiettivo difficile da raggiungere. I benefici: possibilità di prendere
decisioni “Evidence-Based Medicine” in tempo reale, vitare la prescrizione di test aggiuntivi ed
inutili, riduzione di inutili interventi farmacologici, beneficio percepito dal paziente, ridotta
ospedalizzazione, contenimento dei costi

TPT-> througput è la velocità analita di un sistema quindi la percentuale dei test refertati nell’unità di
tempo

TTFR-> time to first result è il tempo intercorso tra l’immissione del campione sul sistema e la
disponibilità del risultato sul LIS

Durante la fase la fase pre-analitica si registrano la maggior parte degli errori (circa il 40%)

Gli elementi utili nella fase pre-analitica:

-> richiesta congrua rispetto al quesito diagnostico

-> campione appropriato alla richiesta e rappresentativo della patologia su cui si indaga

-> conformità del prodotto in entrata che si realizza attraverso l’uso di protocolli

Il microbiologo clinico ha diverse responsabilità tra cui definire linee guida sulle modalità di prelievo,
conservazione trasporto specifiche per ogni campione- monitorare la loro osservanza e applicazione
anche nel caso in cui la raccolta venga fatta dal paziente.

Deve fornire precise istruzioni:

• tipo e quantità del campione da prelevare


• timing di raccolta (se richiesto)
• descrizione di contenitori/additivi necessari per la raccolta
• etichettatura del campione
• registrazione dell’identità del prelevatore
• tutte le manipolazioni necessarie tra il momento del prelievo e consegna in laboratorio (es.
refrigerazione, riscaldamento, consegna immediata)
• conservazione dei campioni se non consegnati immediatamente
• limiti di tempo per richiesta di esami aggiuntivi
• possibili esami aggiuntivi
• Segnalare eventuali “non conformità” relative al prelievo/campione.

I campioni considerati urgenze microbiologiche come liquor, tamponi per difterite, infezione dei
tessuti molli con sospetta necrosi e fascite necrotizzante, feci con sospetto di colera e campioni
aspirati in sede operatoria. Altre urgente possono essere i campioni di pazienti immunodepressi per
il quale un ritardo nell’inizio della terapia può mettere a rischio la vita.

Il Laboratorio deve predisporre una procedura scritta per le modalità di richiesta e di trasmissione al
servizio degli esami urgenti, nel rispetto dei criteri di tracciabilità: –la procedura deve includere
dettagli sulle modalità di trasferimento del campione all’area analitica del laboratorio, della sua
lavorazione rapida e dei criteri particolari di refertazione da seguire.
FASE PRE-ANALITICA: LABORATORIO DI MICROBIOLOGIA CLINICA

1. Richiesta del Clinico (scelta degli esami)


2. Informazione del paziente
3. Raccolta del campione
4. Identificazione del campione
5. Trasporto del campione

Nella preliminare formulazione del sospetto diagnostico e nella scelta del campione da prelevare, il
Clinico deve:

- inquadrare clinicamente ed epidemiologicamente l’infezione;


- Individuare l’organo o gli organi interessati
- conoscere le metodologie diagnostiche in uso e la loro efficacia (sensibilità e specificità)
- ricordare che non è sempre possibile ricercare routinariamente tutti i microrganismi in un
determinato materiale; pertanto, sono da evitare richieste generiche
- dove è possibile limitare la spesa sanitaria (riduzione del numero di test di laboratorio,
minore ospedalizzazione)

La valutazione del rapporto costo-beneficio dove essere tenuta sempre in considerazione

Principali informazioni da riportare nella richiesta:

• Nome e cognome del Medico richiedente


• Nome, cognome, data di nascita, sesso del Paziente
• Data e ora della raccolta del campione
• Sospetto diagnostico
• Tipologia di campione e sito anatomico di prelievo (ove sia necessaria la precisazione):
Esame(i) richiesto(i)
• Eventuale potenziale pericolosità biologica del campione (epatite, HIV, pertosse, difterite,
etc.)
• Informazioni cliniche rilevanti per il Microbiologo Clinico: terapia (antibiotica,
immunosoppressiva) in atto, presenza di dispositivi protesici (es. cateteri)

I campioni debbono essere contrassegnati in maniera univoca ed esaustiva, in modo da poter


favorire la tracciabilità e l’interpretazione del dato di laboratorio. I campioni non correttamente
identificati non debbono essere accettati o processati dal Laboratorio.

Il paziente deve essere sempre informato sulle procedure per la raccolta di un campione, a maggior
ragione se è parte attiva nel prelievo, come nel caso della raccolta domiciliare. In questi casi
bisognerà fornire informazioni anche sulla corretta conservazione e trasporto del campione Bisogna
garantire il rispetto della privacy del paziente

L’impatto dell’appropriatezza del campione sulla gestione della cura del paziente è enorme in
termini di:

- decisioni terapeutiche
- durata del ricovero
- costo dell’ospedalizzazione
- costo per indagini di laboratorio ed efficienza del laboratorio
Ad ogni campione biologico è associato un potenziale rischio biologico per la salute degli operatori
sanitari. Rischio biologico: probabilità che, in presenza di un agente biologico, si verifichi un evento
indesiderato per la salute. Le modalità attraverso cui un operatore può acquisire una infezione al
momento del prelievo/trasporto sono:

- inalazione (aerosol)
- inoculazione percutanea (oggetti acuminati)
- Ingestione
- Contatto

MODALITA’ DI RACCOLTA E TIPOLOGIA DI CAMPIONE

Prelievo diretto: da siti normalmente sterili (ascessi profondi, polmone, fegato, sangue, liquor)
mediante varie tecniche. Invasivo ma di più facile interpretazione, richiede assistenza medica

Prelievo indiretto: essudati infiammatori (espettorato) o campioni (urine) che prima di essere
raccolti attraversano siti contaminati da flora commensale. Non sono invasivi ma sono di più difficile
interpretazione

Prelievo da siti colonizzati da flora commensale: sito primario dell’infezione è sede di flora autoctona
(vie respiratorie superiori, tratto genitale femminile, tratto gastrointestinale). La diagnosi
microbiologica è più difficoltosa. Ricerca selettiva di patogeni. Per il prelievo può venire utilizzato un
tampone.

MICROBIOTA

Si definisce microbiota l’insieme dei microrganismi che condividono una nicchia ecologica e
“convivono” con l’organismo umano senza danneggiarlo. Per diverse tipologie di campioni
microbiologici esiste un “rumore di fondo” legato al microbiota normale (es. basse vie respiratorie,
ferite superficiali, fistole) che può determinare un risultato falsamente positivo.

Quando si esegue la raccolta dei campioni, è fondamentale tenere in considerazione che il materiale
deve provenire dall’effettivo sito di infezione.

ES. diagnosi di febbre tifoide

Il recupero del microorganismo è perfetto nella prima settimana se effettuato dal sangue, le urine e
la cultura delle feci sono solitamente positive durante la seconda e la terza settimana. Le agglutinine
del siero iniziano invece ad alzarsi dopo la seconda settimana, ma raramente vengono utilizzate a
scopo diagnostico.

Per la raccolta del campione:

• Si deve ottenere una quantità di materiale sufficiente per eseguire i test richiesti e un
adeguato numero di campioni
• Deve essere raccolto contaminandolo il meno possibile con tessuti, organi o secrezioni
adiacenti.
• È necessario stabilire il momento migliore per la raccolta dei campioni per aumentare il più
possibile la probabilità di recupero dei microorganismi responsabili (durante la fase acuta
della malattia)
• È necessario fare uso di opportuni dispositivi di raccolta, contenitori per campioni e terreni
di coltura al fine di garantire un recupero ottimale dei microorganismi
Contenitori del prelievo devono essere:

• sterili e monouso, per evitare la contaminazione del campione; di solito sono accompagnati
da un certificato con indicazione della data di scadenza ed il metodo utilizzato per sterilizzarli
(irraggiamento, ossido di etilene);
• dotati di sistema di chiusura a perfetta tenuta: chiusura a vite (“bicchiere”, preferibile
perché riduce la formazione di aerosol all’apertura del contenitore) od a pressione
(“provette”); per facilitare la raccolta del materiale;
• integro, per evitare perdite o contaminazioni del campione.

Per evitare rotture durante il trasporto è opportuno non utilizzare recipienti in vetro. I mezzi di
raccolta si inseriscono su misura in opportuni contenitori protettivi per ridurre i potenziali rischi per
chi li manipola

TAMPONE

Sono impiegati per ottenere numerosi tipi di colture, anche se non è la metodologia ottimale. Ne
esistono di diverse tipologie, con punta:
• In cotone: potrebbero contenere residui di acidi grassi e l’alginato di calcio potrebbe
rilasciare prodotti tossici in grado di inibire alcuni batteri esigenti
• In poliestere Dacron o Rayon: rappresentano la scelta migliore.

Il campione non deve rimanere in contatto con il tampone più del necessario. Vanno posti in
terreno di trasporto (semisolido) o contenitori umidi per evitare essiccamento morte. Il recupero è
buono fino a 48h o più.

Ove possibile ottenere il campione prima della somministrazione di antibiotici.

Nella maggior parte dei casi, in aggiunta alle colture si conducono degli strisci

IDENTIFICAZIONE CAMPIONE

Il campione deve essere opportunamente contrassegnato e confezionato prima del suo trasporto
verso il Laboratorio. Il contenitore inviato in Laboratorio deve essere identificato con l'etichetta
riportante il relativo codice a barre ed accompagnato dal modulo di richiesta.

TRASPORTO DEI CAMPIONI: TEMPO

Il campione biologico deve essere inviato al Laboratorio il più rapidamente possibile affinché possa
essere processato entro le 2h dal prelievo. Un trasporto prolungato potrebbe infatti:

- ridurre la vitalità dei microrganismi (falsa negatività) (N. gonorrhoeae, virus respiratori);
- favorire la crescita dei “contaminanti” (falsa positività) (es. urine, ottimo terreno di coltura);
- favorire la crescita dei microrganismi patogeni, falsando l’interpretazione di test diagnostici
“quantitativi”
- esporre per lunghi periodi i microrganismi a sostanze che, utilizzate nelle procedure di
raccolta, potrebbero avere attività antibatterica (es. anestetici locali).

In caso di necessità (es. ricerca di anaerobi, tamponi, etc.), possono essere utilizzati adeguati terreni
di trasporto, al fine di garantire la sopravvivenza del microrganismo patogeno durante un trasporto
ritardato.

TRASPORTO DEI CAMPIONI: SICUREZZA


Esistono specifiche normative che regolano il trasporto di materiale biologico infettivo e campioni
diagnostici, il cui scopo è regolamentare:

- Identificazione e classificazione del materiale da trasportare


- Confezionamento sicuro: proteggere il campione e contenere il rischio di contaminazione
- Trasporto sicuro

Per il trasporto di sostanze infettive il contenitore primario viene avvolto in materiale assorbente
(carta bibula, cotone idrofilo) e inserito in un contenitore secondario. Il contenitore secondario:

- Contiene e protegge il contenitore “primario”


- Può contenere più contenitori primari ciascuno avvolto da materiale assorbente e
adeguatamente collocato
- Presenta stesse caratteristiche del contenitore “primario”
- Al suo esterno è applicata la documentazione riportante i dati identificativi e descrittivi del
campione, mittente e destinatario
- È a sua volta inserito in un’adeguata confezione (cartone rigido, plastica, legno) con la
funzione di proteggerlo da agenti esterni (intemperie, urti) a sua volta etichettata con il
simbolo internazionale di sostanza infettiva

I campioni diagnostici (materiali di origine umana o animale, inclusi escreti, sangue e suoi
componenti, tessuti e fluidi tissutali, raccolti a scopo diagnostico) seguono le stesse regole per il
trasporto dei materiali infettivi (triplo involucro, etichettatura,…) ma cambiano i volumi massimi
concessi.

TRASPORTO DEI CAMPIONI: CONSERVAZIONE

Il campione durante il trasporto viene generalmente refrigerato (2-8°). Tuttavia, nei seguenti casi è
opportuno conservare il campione a temperatura ambiente:

- sangue (inoculato in sistema per emocoltura)


- campioni (es. liquor; feci; campioni da vie genitali, occhio e orecchio) contenenti
microrganismi termosensibili (S. pneumoniae, N. gonorrhoeae, N. meningitidis, H.
influenzae, Salmonella spp.);
- campioni per la ricerca di batteri anaerobi (utilizzare sempre un sistema di trasporto
specifico);
- campioni di feci per l’esame parassitologico, conservati in adeguato conservante.

TRASPORTO DEI CAMPIONI: SPEDIZIONE A BASSE TEMPERATURE

Ghiaccio secco: Non inserire il ghiaccio secco all’interno del contenitore primario/secondario per
pericolo di esplosioni Deve essere posto esternamente al contenitore secondario in una confezione
permeabile alla CO2 La confezione esterna deve essere adeguatamente contrassegnata e l’utilizzo
del ghiaccio secco deve essere indicato nel documento di accompagnamento

Azoto liquido: Il contenitore primario deve essere resistente alle ultra-temperature. Apporre
l’apposita etichetta di rischio azoto liquido sul rivestimento esterno.

TRASPORTO DEI CAMPIONI: TERRENO DI TRASPORTO

L’utilizzo di un terreno di trasporto è finalizzato a mantenere inalterato il campione, ossia di


preservarne le caratteristiche:
- chimico-fisiche: mantiene un adeguato pH, previene sia la disidratazione delle secrezioni, sia
l'ossidazione e l'autodigestione enzimatica dei microrganismi presenti.
- biologiche: garantisce la sopravvivenza dei microrganismi, ma non ne favorisce la crescita,
evitando di falsare una interpretazione diagnostica “quantitativa” (es. urinocoltura).

Terreni di trasporto e mantenimento più comunemente utilizzati sono lo Stuart medium e l’ Amies
medium. Soluzione tampone priva di carboidrati, peptoni e altre sostanze nutritive preservando la
vitalità dei batteri senza consentire una significativa moltiplicazione. Il Tioglicolato di sodio è
aggiunto come riducente per favorire il mantenimento di batteri anaerobi, una piccola quantità di
agar (<0,6%) rallenta la penetrazione dell’ossigeno e impedisce la fuoriuscita del terreno.

MODALITÀ ACCETTAZIONE O RIFIUTO DEI CAMPIONI

Quasi tutti i laboratori clinici hanno un’area destinata alla ricezione dei campioni. Tutti i campioni
ricevuti devono essere registrati. I campioni inviati al Laboratorio potrebbero essere stati prelevati,
trasportati e/o conservati in maniera impropria. La lavorazione di tali campioni potrebbe fornire
risultati fuorvianti in termini di diagnosi e terapia inappropriate. Il Laboratorio è pertanto tenuto a
definire e documentare i criteri di conformità/non conformità per l’accettazione/rifiuto dei
campioni. Ogni Laboratorio di Microbiologia dovrebbe avere un protocollo definito per la rilevazione
delle non conformità e la non accettabilità dei campioni predisponendo misure di comportamento
specifiche.

VALUTAZIONE IDONEITÀ DEI CAMPIONI

La decisione di rifiutare un campione e da attuarsi: · al momento dell’arrivo del campione in


laboratorio · durante la fase preparativa. Al momento dell’arrivo del campione in laboratorio si
rilevano:

- Errata identificazione del campione


- Insufficiente volume del campione
- Inadeguato rapporto sangue/anticoagulante
- Uso di contenitori inadeguati
- Trasporto e conservazione incongrua (specialmente nel caso di analiti labili)

Ogni qual volta venga rilevata una non conformità, questa deve essere registrata in modo da poter
seguire la sua evoluzione attraverso azioni correttive e preventive che portino alla sua eventuale
risoluzione.

In alcuni casi (urgenza clinica, campioni prelevati mediante tecniche invasive) è necessario che il
campione, anche se non conforme, venga analizzato.

In questi casi, il Microbiologo Clinico ha l’obbligo di annotare nel referto:

- un commento («i microrganismi isolati potrebbero non riflettere l’attuale microbiota a causa
di procedura di raccolta/ trasporto/ conservazione non corretta»);
- la tipologia delle eventuali “non conformità” rilevate;
- le azioni correttive intraprese;
- le eventuali precauzioni da adottare nell’interpretazione del risultato analitico.

SICUREZZA SUL LAVORO

Le numerose norme e linee guida uscite nel tempo sono andate a confluire nella legge 626 del 1994.
Scopo della Legge 626:
- mettere l’Italia alla pari con gli altri paesi europei
- Introdurre la figura dell’RSPP (Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione) e
dell’RLS (il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza)
- introdurre il concetto che è il datore di lavoro responsabile della sicurezza sul luogo di lavoro
- Rendere obbligatoria la redazione del Documento di Valutazione dei Rischi.

La legge 626, successivamente nel 2008, è stata sostituita dal Decreto Legislativo 81/2008.

Il D.lgs 81/2008 è il testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro.


Definizione di lavoratore: “persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge
un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o
senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione” • Anche
gli studenti, quindi, sono lavoratori per la legge 81/2008.

− Pericolo (“hazard”) = proprietà intrinseca di una determinata entità (es. materiali o


attrezzature di lavoro, metodi e pratiche di lavoro) avente il potenziale di causare danni.
Distinguibile in pericolo per la sicurezza e pericolo per la salute
− Danno= possibile conseguenza negative derivante della presenza di un pericolo
− Rischio (“risk”) = probabilità matematica che un evento (in teoria non necessariamente
negativo) si verifichi, ovvero che sia raggiunto il livello potenziale che determina il danno.

PERCEZIONE DEL RISCHIO

-> se il lavoratore ha la percezione del rischio l’approccio alla prevenzione è positivo, il rischio è ben
gestito

-> se il lavoratore non ha la percezione del rischio e ne è indifferente l’approccio alla prevenzione è
negativo e il rischio non è ben gestito.

RISCHIO-> definizione

Il rischio è la combinazione tra la probabilità (P) che si manifesti un certo evento dannoso e la
gravità (Magnitudo, M) associata all’evento stesso.

R = f (P, M)
Generalmente si considera R = P x M
La prevenzione consiste nelle operazioni messe in atto per ridurre la probabilità (P) che si verifichi
un determinato evento dannoso. La protezione consiste nelle operazioni messe in atto per ridurre la
gravità (M) associata a un determinato evento dannoso.

TIPOLOGIA DI RISCHIO

• Rischio INFORTUNISTICO (caduta, ustione)


• Rischio CHIMICO (farmaci, gas, solventi)
• Rischio FISICO (radiazioni ionizzanti, rumore, microclima)
• Rischio BIOLOGICO (agenti biologici)

DEFINIZIONE DI AGENTE CHIMICO

Tutti gli elementi o composti chimici, sia da soli sia nei loro miscugli, allo stato naturale o ottenuti,
utilizzati o smaltiti, mediante qualsiasi attività lavorativa, siano essi prodotti intenzionalmente o no e
siano immessi o no sul mercato (D.Lgs. 81/2008).
La pericolosità di un agente chimico è data:

- da caratteristiche chimico fisiche;


- dalle condizioni di uso;
- dalla suscettibilità individuale

La VDR da agenti chimici deve considerare gli effetti traumatici e quelli a lungo termine

- Sicurezza: esplosioni, corrosivi, ustioni ecc.


- Salute: effetti su organi “bersaglio”, neoplasie, pneumoconiosi ecc.

Gli agenti chimici sono classificati in categorie di rischio sulla base di test standardizzati condotti sugli
animali e/o sulla base di studi epidemiologici. Possono essere: Irritanti, nocivi tossici, infiammabili,
corrosivi, cancerogeni e vengono definiti tali in seguito a test e giudizi fissati dall’unione europea.

Le sostanze chimiche vengono catalogate con schede di sicurezza che contengono importanti
informazioni Frasi di Rischio (R) che sono state sostituite con le frasi H (indicazioni di pericolo,
Hazard) Frasi di Sicurezza (S) che sono state sostituite con le frasi P (indicazioni di precauzione,
Precautionary)

RISCHIO FISICO

Gli agenti fisici, correlati all’uso e al funzionamento delle attrezzature e degli impianti presenti in un
laboratorio di analisi ed in grado di provocare un danno alla salute delle persone, possono essere
classificati in sei categorie:

- calore;
- energia elettrica;
- radiazioni non ionizzanti (luce visibile, raggi ultravioletti, raggi infrarossi, radiofrequenze,
microonde);
- radiazioni ionizzanti;
- liquidi e gas criogeni;
- rumore e vibrazioni meccaniche

RISCHIO BIOLOGICO

Il rischio biologico è definito come la possibilità di contrarre una malattia infettiva, nel corso delle
attività lavorative e si trova a tutti i livelli in ambito ospedaliero ed ambulatoriale, quando si
svolgono attività di ricerca. Gli agenti patogeni possono determinare:

- un’azione infettiva, che consiste nella generazione di una malattia a seguito della
colonizzazione dell’ospite
- un’azione allergizzante, connessa alle reazioni allergiche innescate dai metaboliti prodotti
dagli agenti patogeni;
- un’azione tossica, in quanto i metaboliti prodotti possono essere in grado di indurre risposte
infiammatorie ed immunologiche o necrosi tissutale

Il semplice contatto con l’agente patogeno non sempre determina l’insorgenza della malattia,
l’instaurarsi di essa dipende da un meccanismo dinamico che ha alla base diverse variabili, tra cui:

- Lo stato di salute dell’operatore esposto;


- Le caratteristiche dell’agente patogeno e lo stato di malattia del soggetto “fonte”;
- Le modalità con cui si è verificato l’incidente e il quantitativo di agente patogeno entrato in
contatto con l’operatore

SOGGETTI POTENZIALMENTE ESPOSTI AL RISCHIO BIOLOGICO

• Ricercatori
• Personale tecnico (Tecnici di laboratorio, Infermieri)
• Personale addetto alle pulizie ed alla manutenzione
• Visitatori occasionali
• Personale di soccorso

Dimensione della popolazione “esposta”:

• Uso industriale di microrganismi: 10.000 - 15.000


• Sanità e attività di ricerca, diagnosi: 300.000 - 500.000
• Industria agro-alimentare: 800.000 - 1.200.000

A queste stime vanno aggiunti i lavoratori impiegati in qualsiasi attività, ma esposti per ragioni
“epidemiologiche” (lavoro di soggetti sensibili in aree ad elevata endemia per determinati
microrganismi)

RIDUZIONE DEL RISCHIO

La riduzione del rischio biologico si attua adottando adeguate misure di prevenzione/protezione


quali:

• Adozione di protocolli comportamentali


• Dispositivi di protezione individuale
• Strutture di sicurezza

MA ANCHE:

• Individuando i soggetti ricettivi (sensibili)


• Attuando una immunoprofilassi attiva (vaccinazione)
• Applicando norme igieniche adeguate che riducano la concentrazione ambientale del
patogeno

DISPOSITIVI DI PROTEZIONE (DP)

• INDIVIDUALE (DPI) ➢Camice ➢ Guanti ➢ Occhiali ➢ Mascherina

• COLLETTIVA (DPC) ➢Docce ➢ Lavaocchi ➢Armadi ventilati ➢ Cappe di vario tipo Utilizzo di cappe
biologiche di sicurezza, per lavorare in sterilità e per proteggere l’operatore durante le analisi

DPI: Qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di
proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il
lavoro. Ogni dispositivo di protezione da agenti biologici deve essere scelto, previa valutazione del
rischio, in considerazione della specifica attività espletata, e deve possedere la caratteristica
fondamentale di tutelare l’operatore dall’interazione con l’agente e/o gli agenti biologici che
determinano il rischio di esposizione

LE CAPPE BIOLOGICHE
Le cappe di sicurezza biologica (Biohazard) sono impianti di contenimento, sono progettate per
proteggere adeguatamente dall’esposizione:

- l’operatore;
- l’ambiente del laboratorio;
- il materiale di lavoro;

Sono suddivise, secondo la norma Europea EN 12469 in tre principali tipologie, denominate cappe:

- Biohazard di classe I
- Classe II (tipo A, B1, B2, B3)
- Classe III

Richiedono specifiche competenze per la scelta, l’installazione, l’utilizzo, le verifiche periodiche e per
la manutenzione poiché se utilizzate o gestite in modo errato possono rappresentare esse stesse un
pericolo per l'operatore e l'ambiente.

FILTRI HEPA

Prevengono la contaminazione particellare, trattengono almeno il 99,97% delle particelle di


diametro 0,3μm e il 99,99% di particelle di grandezza superiore. Questo meccanismo permette che il
filtro HEPA trattenga efficacemente gli agenti infettivi ed assicuri che dalla cappa fuoriesca solo aria
libera da microrganismi.

Le cappe più utilizzate sono quelle di tipo IIA indicate per agenti a rischio basso/moderato.

Camera con apertura frontale dalla quale viene immesso un flusso d'aria aspirato sotto il piano di
lavoro (A), filtrato, in parte messo in circolo dall'alto verso il basso (D) (flusso laminare verticale di
aria sterile, "barriera» tra l'interno della cabina e l'operatore), in parte espulso all'esterno dopo
filtrazione (C e E: filtro HEPA).

Un vetro scorrevole consente di seguire il lavoro svolto all’interno della cappa (B) Buona protezione
operatore Ottima protezione ambiente

CORRETTO USO DELLE CAPPE BIOLOGICHE

• Prima dell’inizio dell’attività verificare che le lampade U.V. siano spente


• Accendere il motore di aspirazione almeno 10 minuti prima dell’attività per stabilizzare il
flusso laminare
• Posizionare il vetro frontale all’altezza giusta (20-30 cm)
• Rimuovere materiali, attrezzature, contenitori dalle griglie di aspirazione
• Ridurre la presenza di oggetti sotto cappa al minimo
• Sotto le cappe di Classe II e III è vietato l’uso di becchi buslen
• Lavorare il più possibile nella zona centrale della cappa
• Se presenti contenitori per rifiuti sotto cappa possono essere trasferiti all’esterno dopo
chiusura ermetica degli stessi
• Apparecchiature e contenitori devono essere disinfettati prima di rimuoverli dalla cappa
• Al termine delle attività pulire accuratamente il piano di lavoro con materiale disinfettante
• In caso di versamenti all’interno della cappa: non spegnere la cappa, rimuovere i
versamenti, disinfettare tutte le superfici
• Alla fine delle operazioni lasciare la cappa in funzione circa 10 minuti

CLASSIFICAZIONE AGENTI BIOLOGICI


Il D.Lgs. 81/08 (titolo X) definisce:

Agente biologico qualsiasi microorganismo anche se modificato geneticamente, coltura cellulare ed


endoparassita umano che potrebbe provocare infezioni, allergie o intossicazioni

Microorganismo: qualsiasi entità microbiologica, cellulare o meno , in grado di riprodursi o trasferire


materiale genetico

Coltura cellulare: il risultato della crescita in vitro di cellule derivate da organismi pluricellulari

La trasmissione dell’agente patogeno può avvenire in diversi modi:

• Contatto
• Inoculazione
• Ingestione
• Inalazione

TRASMISSIONE PER CONTATTO

Modalità di trasmissione: la cute lesa (ferite, abrasioni, ustioni, acne, scottature) rappresenta
un’ottima via di ingresso per il microrganismo

Contatto diretto comporta un contatto diretto (esposizione della cute) con materiale patogeno
(campioni biologici)

Contatto indiretto comporta un contatto diretto (esposizione della cute) con superfici od oggetti
contaminati

Procedure a rischio elevato: tutte quelle che generano gocce o schizzi di materiale contaminato:
decantazione dei liquidi, pipettaggio, rimozione dei tappi a vite, vortexare contenitori non chiusi,
semina di inoculi batterici su terreni solidi, inoculazione di animali.

contenimento del rischio biologico:

- impiego di dispositivi per la protezione individuale: (guanti, camice)


- fogli assorbenti per postazioni di lavoro
- pulizia e disinfezione superfici di lavoro
- corretta decontaminazione delle mani

La cute, od i guanti, possono essere veicolo di contaminazione per batteri (es. stafilococchi,
enterococchi, clostridi, enterobatteri, ..) e virus (es. rhinovirus, virus parainfluenzale, virus
respiratorio sinciziale). I batteri presenti sulle mani possono essere suddivisi in due categorie:
residenti o transitori.

FLORA RESIDENTE

- risiede sotto lo strato corneo, ma si trova anche alla superficie cutanea


- composta da BATTERI: stafilococchi (S. epidermidis, S. hominis), corinebatteri e FUNGHI
- ha funzione protettiva, competendo con i patogeni sia per i nutrienti che per i siti di
adesione
- può provocare infezioni in siti (cavità) sterili, occhi o cute non intatta

FLORA TRANSITORIA

- colonizza gli strati superficiali della cute


- non si replica ma sopravvive; viene quindi rimossa più facilmente con il lavaggio delle mani
- causa di infezioni associate al contatto con i pazienti e/o superfici ambientali contaminate
- la trasmissibilità dipende da: numero e tipologia

La cute umana normale è colonizzata da batteri, con differenze quantitative sitospecifiche:


1.000.000 cellule/cm2 sul cuoio capelluto 500.000 cellule/cm2 nell'ascella 40.000 cellule/cm2
sull'addome 10.000 cellule/cm2 sull'avambraccio.

L’igiene delle mani è anche una misura di protezione dell’operatore. Il lavaggio delle mani ha come
obiettivo principale di rimuovere le sostanze organiche e la flora microbica transiente presenti sulla
cute, può essere ottenuta mediante lavaggio normale oppure lavaggio antisettico

LAVAGGIO NORMALE = rimuove meccanicamente (per sfregamento) lo sporco e gran parte (80%)
della flora transiente mediante utilizzo di detergenti ("sapone semplice») non dotati per sé di attività
antimicrobica.

LAVAGGIO ANTISETTICO = riduce la flora transitoria, con minimo effetto su quella residente. Due
tecniche:

- La frizione antisettica utilizza prodotti (liquidi, gel, schiuma) a base alcolica (60-80%
etanolo/isopropanolo). Si strofinano le mani una con l’altra senza impiego di acqua. Efficace
verso batteri, M. tuberculosis, virus (herpes simplex, HIV, influenza, RSV) e diversi funghi,
MA scarsamente attiva vs virus privi di involucro (rotavirus, adenovirus, enterovirus) ed
inattiva verso spore batteriche. Se ne sconsiglia l'uso in caso di mani sporche o visibilmente
contaminate con materiale organico (es. sangue).
- Nel lavaggio antisettico si utilizza un sapone contenente un agente antisettico: Clorexidina:
attività MINORE di alcoli. Più attivi vs Gram+ rispetto a Gram-e funghi, minima vs
micobatteri. Composti dell’ammonio quaternario (alchil-benzalconiocloruro): più attivi vs
Gram+ rispetto a Gram-(soggetti a frequente contaminazione). Debolmente attivi vs
micobatteri e funghi, hanno attività vs virus lipofili

TRASMISSIONE PER INCULAZIONE

Procedure a rischio elevato:

Utilizzo aghi od oggetti taglienti, manipolazione cavie (graffi, morsi), manutenzione strumenti
Modalità (vie di ingresso):

- cute integra
- cute con soluzioni di continuo (abrasa, ustionata)
- mucose (orale, nasale)
- congiuntiva (specie nei portatori di lenti a contatto)
- punture di animali e/o insetti

Tutti i campioni ematici INDISTINTAMENTE debbono essere considerati potenzialmente infettivi


Procedure a rischio:

- trasferimento del sangue dalle siringhe alle provette od alle bottiglie per emocoltura
- trasferimento del campione dalla bottiglia (per emocoltura) per subcoltura

Aghi e lancette debbono essere trattati con estrema cura. Mai riposizionare (recapping) il cappuccio
sull’ago. Siringhe ed aghi usati debbono essere eliminati in maniera sicura, utilizzando appositi
contenitori rigidi ed autoclavabili. Fogli di carta assorbente limitano i versamenti di sangue e
debbono essere eliminati come “rifiuti pericolosi a rischio infettivo”. Togliere i guanti solo dopo aver
eliminato qualsiasi traccia di sangue sulla superficie esterna della provetta mediante alcool.

TRASMISSIONE PER INGESTIONE

Procedura a rischio elevato: Pipettaggio “a bocca”

Modalità di trasmissione: pipettaggio “a bocca” versamenti di materiale contaminato oggetti o dita


contaminate consumo di alimenti in laboratorio

Contenimento del rischio: Divieto pipettaggio a bocca Utilizzo di pipettatori automatici Divieto di
mangiare, bere in laboratorio Frequente e corretta igiene delle mani Impiego di mascherina

TRASMISSIONE PER INALAZIONE

Principale modalità di contagio nelle infezioni acquisite in laboratorio Procedure a rischio elevato:
tecniche in grado di generare aerosol:

- Centrifugazione
- Agitazione
- Sonicazione
- Pipettaggio
- Utilizzo e sterilizzazione dell’ansa
- Utilizzo di siringhe
- Liofilizzazione
- Filtrazione sotto vuoto
- Sostituzione lettiera animali

Modalità di contaminazione: Inalazione aerosol

Contenimento del rischio biologico: Protezione vie aeree superiori Mascherine, schermi respiratori

CLASSIFICAZIONI AGENTI BIOLOGICI

D.Lgs. 81/2008, ex D.Lgs. 626/1994 Classifica i microorganismi in 4 livelli di rischio progressivamente


crescente e, per ogni livello, definisce le procedure da applicare. La pericolosità è valutata sia nei
confronti della salute dei lavoratori che della popolazione in generale.

Caratteristiche di pericolosità sono:

- Infettività: capacità di un microrganismo di resistere alle difese dell’ospite e di replicarsi in


esso;
- Patogenicità: capacità di produrre malattia a seguito di infezione;
- Trasmissibilità: capacità di un microrganismo di essere trasmesso da un soggetto portatore
ad un soggetto non infetto;
- Neutralizzabilità: disponibilità di efficaci misure profilattiche/terapeutiche per
prevenire/curare la malattia.

Per alcuni microrganismi è possibile stabilire la dose infettante, cioè il numero di essi necessario ad
indurre, sperimentalmente o accidentalmente, l’infezione. DI50 (Dose infettante 50): numero di
microrganismi necessario ad infettare il 50% di animali contagiati sperimentalmente. Ai fini
preventivi e di valutazione del rischio è importante conoscere la soglia di infettività, intesa come
dose cui si può essere esposti senza contrarre infezione Dose minima infettante(MDI): Per certi
microrganismi la MDI è stimabile intorno all’unità o comunque in numeri molto bassi. In tali casi, si
assume che non esista soglia di infettività.

Oltre all’elenco dei microorganismi, per alcuni di essi è indicato: Se l’agente biologico ha effetti
allergici «A» Se l’agente biologico produce tossine «T» Se esiste un vaccino disponibile «V» Per HIV,
HBV, HCV il datore di lavoro deve conservare la documentazione relativa ai lavoratori che hanno
operato con tali agenti per almeno 10 anni dopo la cessazione dell’ultima attività comportante
esposizione al rischio.

Gruppo 1: Agenti biologici scarsamente pericolosi per l’uomo e per la collettività (Es.: Bacillus
subtilis, Saccharomyces cerevisiae, Streptococcus thermophylus, Staphylococcus xylosus…).

Gruppo 2: Agente biologico che può causare malattie in soggetti umani e costituire un rischio per i
lavoratori; è poco probabile che si propaghino nella comunità; sono di norma disponibili efficaci
misure profilattiche o terapeutiche. (Es. Klebsiella pneumonie, Salmonella spp, Enterobacter
aerogenes).

Gruppo 3: Agente biologico che può causare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio
rischio per i lavoratori e può presentare un elevato rischio di propagazione nella comunità; di norma
sono disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche. (Es. Yersinia pestis, Brucella abortis,
Bacillus anthracis, Mycobacterium tuberculosis).

Gruppo 4: Agente biologico che può provocare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio
rischio per i lavoratori e può presentare un elevato rischio di propagazione nella comunità non sono
disponibili, di norma, efficaci misure profilattiche o terapeutiche. (Es. Virus ebola, Virus Lassa)

PRECAUZIONI UNIVERSALI

- Sangue e fluidi corporei devono sempre essere manipolati come materiale infettivo
- Chiunque manipoli fluidi corporei deve sempre indossare i guanti, che andranno cambiati
alla fine della lavorazione per poi lavarsi le mani
- Avvalersi di pipettatori meccanici
- L’uso di aghi e siringhe va circoscritto a situazioni ove non vi siano alternative
- Le superfici di lavoro al termine delle operazioni vanno decontaminate con un opportuno
agente chimico, così come i materiali utilizzati durante le analisi

In base alla classificazione dei diversi microrganismi, vengono identificati 4 diverse tipologie di
laboratorio associate ciascuna a particolari caratteristiche che regolano la sicurezza e i livelli di
contenimento. Vengono così classificati:

- Laboratorio di base - livello di Biosicurezza 1 (BSL-1);


- Laboratorio di base -livello di Biosicurezza 2 (BSL-2);
- Laboratorio di sicurezza – livello di Biosicurezza 3 (BSL-3);
- Laboratorio di massima sicurezza – livello di Biosicurezza 4 (BSL-4)

LABORATORI DI BASE → LIVELLO DI BIOSICUREZZA 1

È raccomandato nel caso si manipolino agenti biologici del I gruppo, per i quali è sufficiente
rispettare i principi delle procedure di sicurezza standard. È un laboratorio generalmente di base o di
ricerca, in cui vengono applicate misure minime di contenimento e protezione. È necessario che
l’ambiente in cui avvengono le operazioni sia separato dall’ambiente circostante attraverso una
porta che deve rimanere chiusa durante lo svolgersi delle attività. Generalmente in questo tipo di
struttura non sono necessarie particolari attrezzature.
- Ogni operatore va istruito riguardo alla disposizione e al funzionamento di tutte le
attrezzature e gli accessori di sicurezza
- Non mangiare, bere, masticare gomme o conservare alimenti
- Non fumare
- Non truccarsi, evitare anelli e bracciali. Se lunghi tenere legati i capelli
- È sconsigliato l’uso di lenti a contatto
- Non indossare scarpe aperte
- Lavarsi le mani: in caso di contatto accidentale con liquidi biologici, dopo essersi tolti i
guanti, prima e dopo aver mangiato, dopo aver utilizzato i servizi igienici
- Minimizzare la formazione di aerosol
- Abbigliamento di protezione standard (camici con apertura anteriore, guanti, visiere)
- Avvertire le altre persone dei rischi
- non contaminare superfici/oggetti utilizzati da altri
- non portare oggetti (penne, matite) alla bocca
- non indossare camice o guanti al di fuori del laboratorio

LABORATORI DI BASE → LIVELLO DI BIOSICUREZZA 2

È destinato alla manipolazione di microrganismi appartenenti al gruppo 2. Devono essere applicate


misure minime di sicurezza e contenimento. Sulla porta che delimita il laboratorio deve essere
esposto un segnale riconoscibile di rischio biologico Accesso limitato Gli operatori che vi lavorano
devono essere addestrati per la manipolazione di questi agenti, devono essere dotati di DPI (camice
di lavoro, guanti, e per alcune procedure maschera e occhiali). Questo tipo di laboratorio prevede la
presenza di cappe di sicurezza biologica di classe I o II per fornire protezione in caso di formazione di
aerosol durante le manipolazioni dei campioni biologici. Nell’edificio deve essere presente
un’autoclave per poter inattivare i rifiuti prima di procedere al loro smaltimento.

LABORATORI DI CONTENIMENTO → LIVELLO DI BIOSICUREZZA 3

Destinato alla manipolazione di microrganismi appartenenti al gruppo 3. Occorre applicare precise


misure di protezione e contenimento:

- DPI (camici, guanti, protezioni facciali secondo le esigenze)


- Accesso controllato
- per ogni operazione servirsi di una cappa di sicurezza biologica di classe II o III
- Decontaminazione di tutti i rifiuti e dei camici prima dell’invio in lavanderia Accesso
attraverso doppia porta a chiusura automatica, separazione fisica dal corridoio di accesso
principale, flusso negativo dell’aria all’interno del laboratorio, eliminazione dell’aria dal
laboratorio dopo filtrazione HEPA.

LABORATORI DI MASSIMO CONTENIMENTO → LIVELLO DI BIOSICUREZZA 4

Destinato alla manipolazione di microrganismi appartenenti al gruppo 4. Tale struttura espone,


quindi, ad un alto rischio ed è necessario applicare misure di protezione e contenimento adeguate.

- Utilizzo dei DPI e tute per il personale che ricoprono tutto il corpo
- controllo degli accessi
- operazione in presenza di una cappa di sicurezza biologica di classe III.

È necessario progettare questo tipo di laboratorio tenendo conto di precisi requisiti fondamentali
come, quello di dover mantenere una pressione negativa all’interno della struttura e di dover filtrare
con filtri HEPA sia l’aria in entrata che l’aria in uscita. zona isolata dal resto dell’edificio, strumentario
completamente autonomo.

SMALTIMENTO RIFIUTI

Per tutti i campioni potenzialmente contaminati è necessario fare uso di sacchetti per materiali a
rischio biologico, contrassegnati in modo appropriato nella porzione superiore, il sacchetto va
sigillato. Trasferire in apposite aree i sacchetti per i materiali a rischio biologico pieni per evitare
l’accumulo. Smaltire la vetreria e gli oggetti taglienti in contenitori appropriati a parete rigida, una
volta pieni vanno sigillati e inseriti in appositi scatoloni etichettati. Anche i rifiuti liquidi non biologici
vanno raccolti in opportuni contenitori

PRECAUZIONI UNIVERSALI

I rischi di infezione più alti sono quelli legati a patogeni trasmesse per via aerea e a patogeni
contenuti nel sangue.

Le infezioni maggiormente rilevanti acquisite in laboratorio sono:

- Il virus dell’immunodeficienza umana (HIV)


- Il virus dell’epatite B (HBV)
- Il virus dell’epatite C (HCV)

Il concetto delle precauzioni universali consiste nel trattare ogni campione come un rischio dal
momento non è possibile prevedere in anticipo i soggetti che costituiranno una fonte di rischio.

PROBABILITÀ DI SIEROCONVERSIONE DOPO POST ESPOSIZIONE NEI CONFRONTI DI VIRUS HBV, HCV
E HIV
La probabilità di sieroconversione dopo ogni contatto dipende da:
- Tipo di agente biologico
- Entità e durata dell’esposizione
- Stato sierologico e sanitario del paziente fonte
- Ricettività dell’ospite

VIRUS DELL’EPATITE B (HBV)

Può essere trasmesso per:

- Trasmissione parenterale: inoculazione di sangue e derivati del sangue infetto


- Trasmissione parenterale inapparente: penetrazione del virus proveniente da materiali
biologici infetti attraverso lesioni della cute o delle mucose.
- Trasmissione sessuale
- Trasmissione verticale: i figli di madri infette con elevati livelli di replicazione virale hanno un
rischio del 70-90% di infezione perinatale (alla nascita) in assenza di prevenzione.

Sono a rischio: il lavoro in strutture sanitarie, le trasfusioni, la dialisi, l’agopuntura, i tatuaggi,


pratiche odontostomatologiche in condizioni di scarso controllo e igiene

Probabilità di infezione a seguito di esposizione percutanea = 6-30%

HBV è notevolmente resistente agli agenti chimici e fisici HBV resiste (mantiene l’infettività) per
almeno:

- 15 anni -15°C
- 6 mesi a temperatura ambiente
- 1 settimana nel sangue essiccato su una superficie
- 10 ore 60°C
- 2 ore 150°C (secco)
- 15 minuti 120°C (umido)

HBV è inattivato:

- autoclave a 121° C per 20 min o trattamento termico a secco a 160° C per 1h


- esposizione ad ipoclorito di sodio (500 mg di cloro libero per litro) per 10 min
- esposizione a 2% glutaraldeide acquosa a temperatura ambiente per 5 min
- esposizione a formaldeide a 18,5 g/l (5 % di formalina in acqua)
- esposizione a 70% alcool isopropilico o alcool etilico 80% a 11°C per 2 min

La frequenza di epatite B acuta in seguito ad una singola esposizione percutanea a paziente o a


campione di paziente portatore dell’antigene di superficie dell’HBV (HBsAg) è stimata essere
compresa tra il 6 e il 30%. Prima dell’avvento della vaccinazione c’era una prevalenza di marcatori di
infezione da HBV tra gli operatori sanitari significativamente più alta di quella osservabile nella
popolazione generale. La disponibilità di un vaccino efficace sia come prevenzione che nella gestione
post esposizione ha profondamente modificato tali statistiche: l’Italia è oggi un paese ad endemia
molto bassa – la prevalenza stimata di soggetti HBsAg positivi negli anni 2000 in Italia è scesa al di
sotto dell’1%. Negli operatori sanitari è significativamente aumentata la copertura vaccinale, che ha
raggiunto oltre l’85% nel 2006, pur persistendo significative differenze tra nord (93%) e sud (78%)
del paese.

VIRUS DELL’EPATITE C (HCV)

- parenterale (trasfusioni di sangue ed emoderivati, trapianto d’organo e riutilizzo di


strumentazione medica infetta, consumo di droghe per via endovenosa - modalità a più alto
rischio)
- parenterale inapparente
- sessuale (piuttosto rara, il rischio di trasmissione aumenta nei casi di coinfezione con HIV)
- verticale (tasso di trasmissione <5% per donne HCV-RNA positive)

Il rischio di contagio dipende da variabili virologiche (carica virale), tipo/entità esposizione, fattori
non completamente noti. Presente nelle lacrime, feci, sudore, urine, secrezioni vaginali, latte; scarso
nella saliva. Non sono stati registrati casi di infezioni associate con esposizioni di membrane mucose
o contatti con cute non intatta HCV. Probabilità di infezione a seguito di esposizione percutanea =
0.5-1.8%

HCV è molto meno resistente agli agenti chimici/fisici di HBV

E‘ presente nel sangue coagulato fino a 4gg, HCV in medium di coltura sopravvive a 37°C e a
temperatura ambiente per 2 e 16 giorni rispettivamente, a 4°C per circa 6 settimane.

HCV è inattivato da:

- calore a 60°C per 30 minuti o a 100°C per 5 min


- irradiazione con UV per 2 min
- esposizione a formaldeide, glutaraldeide, detergenti ionici o non ionici
TRATTAMENTO DELLE ESPOSIZIONI OCCUPAZIONALI AD HBV E HCV

Intervento immediato sulla parte esposta:

- Favorire il sanguinamento
- Lavare la ferita con abbondante acqua e sapone
- Lavare le mucose con abbondante acqua o soluzione fisiologica
- Irrigare gli occhi con acqua, soluzione salina o altre soluzioni sterili

Determinare lo stato vaccinale (HBV) del soggetto esposto e lo stato di immunizzazione

Profilassi post esposizione (PPE) per HBV:

Avviare quanto prima le misure profilattiche post-esposizione, preferibilmente entro 24h In soggetti
non vaccinato: somministrazione di immunoglobuline specifiche (IgM) e la prima di quattro dosi di
vaccino in due sedi differenti del corpo; si segue lo schema accelerato di immunizzazione (0,1,2, 6-12
mesi) Operatore vaccinato: valutazione titolo anti HBs, se <10 U/ml eseguire vaccinazione, se
soggetto non responder considerarlo come non vaccinato Per HCV non esiste profilassi post
esposizione.

HBV: Esami di laboratorio: parametri epatici, valutazione di HBsAg, anti HBs, anti-HBc, anti HDV
Follow-up: 45gg, 3m, 6m solo per operatori con titolo anti HBs non protettivo

HCV: Esami di laboratorio: parametri epatici, valutazione di anti-HCV Follow-up: 3m, 6m

HIV: HUMAN IMMUNODEFICIENCY VIRUS

Modalità di trasmissione:

- Parenterale
- Sessuale
- Verticale

Il rischio di contagio dipende da variabili virologiche (carica virale e genotipo virale) e individuali.

L'HIV è un virus poco resistente all'ambiente esterno, anche se in condizioni favorevoli può
sopravvivere anche per due o tre giorni.

In soluzione acquosa può sopravvivere a t. ambiente per 15gg e a 37°C per 11 gg

L'essiccamento provoca una riduzione della carica virale di oltre il 90% in poche ore

Resiste a irradiazione con raggi UV e raggi gamma

HIV è inattivato da diversi agenti chimici e fisici, ad esempio: ipoclorito di sodio 0.1-0.2%, alcol etilico
50-70%, pH <7 e pH >10, temperatura 60°C per 30min

HIV: PROFILASSI POST-ESPOSIZIONE

Consiste in un trattamento farmacologico antiretrovirale. Deve essere cominciata al più presto


possibile dopo l'esposizione all'HIV, possibilmente entro 4 ore dall'infortunio. Non raccomandata se
sono trascorse più di 24h. I farmaci usati nella PEP dipendono dall'esposizione all'HIV e dalle
caratteristiche del paziente fonte. Sono considerate esposizioni gravi: esposizione a grande quantità
di sangue; il sangue entra in contatto con tagli e ferite aperte sulla pelle; esposizione al sangue di un
paziente con alta carica virale. Per gravi esposizioni, i servizi di pubblica salute raccomandano di
usare una combinazione di 3 medicinali per quattro settimane. Per esposizioni meno gravi, le linee
guida raccomandano quattro settimane di trattamento con due medicinali. La scelta dei farmaci
deve essere guidata dal genotipo del paziente fonte, quando disponibile. La PEP riduce il rischio di
infezione da HIV per esposizione del 79% Follow up: 15-30-45 gg, 3-6 m, 1 anno

DIAGNOSTICA BATTERIOLOGICA-> APPROCCIO GENERALE

Per diagnosticare l’eziologia di una malattia da infezione di deve:

- Rilevare la presenza del microrganismo con diagnosi diretta: visualizzazione al microscopio


isolamento in coltura e identificazione del microrganismo, individuazione degli agenti
microbici, individuazione di DNA ed RNA microbico.
- Diagnosi indiretta rilevando la reazione immunitaria dell’organismo (reazioni sierologiche)

1) ESAME MICROSCOPICO

Può essere eseguito su:

- Campioni clinici prelevati da pazienti


- Preparati provenienti da colture microbiche

L’esame batterioscopico può essere eseguito:

- a fresco
- dopo colorazioni semplici
- dopo colorazioni differenziali

ESAME MICROSCOPICO «A FRESCO»

Si usano preparati liquidi o campioni stemperati in soluzione fisiologica. Si può aggiungere un


reagente basico per solubilizzare il materiale di fondo (metodo dell’idrossido di potassio). Si può
aggiungere una goccia di colorante (Inchiostro di china).

Permette di osservare:

- Forma
- Disposizione
- Attività biologica → motilità, vitalità

È preferibile servirsi del metodo della goccia pendente (cellula di Koch), altrimenti si pone la goccia
su un vetrino porta-oggetto che viene coperto con un vetrino copri oggetti.

CELLULA DI KOCH

1. Spalmare i margini con vaselina o silicone


2. Porre il campione su un vetrino copri-oggetto, rovesciare e far aderire la cellula di Koch
3. Rovesciare il tutto
4. Osservare al microscopio il margine della goccia

ESAME MICROSCOPICO PREVIA COLORAZIONE

L’utilizzo dei coloranti consente:

- forte contrasto tra i microrganismi ed il fondo


- differenziazione di vari tipi morfologici (morfologia e organizzazione cellulare)
- evidenziazione di alcune strutture cellulari (flagelli, capsule, endospore)
COLORAZIONE SEMPLICE

Prevedono l’impiego di un solo colorante. I batteri hanno carica superficiale negativa. I coloranti
sono utilizzati sotto forma di sali Colorazione diretta. Si utilizzano coloranti basici che sono attratti
dalle componenti acide del microorganismo:

- Cristal-violetto
- Fucsina basica
- Blu di metilene

Colorazione indiretta o negativa. I coloranti acidi non penetrano nella cellula:

- Eosina
- Nigrosina
- Inchiostro di china

Può essere utile per la visualizzazione della capsula

COLORAZIONI DIFFERENZIALI

Prevedono l’uso di due o più coloranti ed altri reagenti (mordenzanti, differenziatori) consente di
distinguere due (o più) differenti tipologie di microrganismi o loro strutture

- Colorazione di Gram
- Colorazioni per bacilli acido-resistenti
- Colorazione di Ziehl Neelsen
- Colorazione Schaeffer-Fulton

COLORAZIONE SCHAEFFER-FULTON

1. Allestire e fissare un vetrino


2. Appoggiare il vetrino su un sostegno sopra una vaschetta contenente acqua all’ebollizione
3. Colorare con verde di malachite (3-5’)
4. Lavare con acqua e colorare con safranina per 5 minuti
5. Lavare
6. Asciugare

COLORAZIONE DI LEIFSON

Reattivo di Leifson: soluzione idroalcolica al 10% di sali dell’acido tannico complessati con fucsina, i
Sali precipitano intorno ai flagelli inspessendone la struttura

1. allestire e fissare il vetrino


2. applicare il reattivo di Leifson e lasciar agire fino alla formazione di una sottile pellicola
traslucida
3. effettuare un lavaggio del vetrino con acqua
4. applicare il blu di metilene e lasciar agire per circa un minuto
5. lavare con acqua distillata ed asciugare

COLORAZIONE DI ALBERT

granuli metacromatici (polimetafosfati e acido ribonucleico) o volutina (Corynebacterium spp.)

1. Allestire il vetrino e fissarlo blandamente per non danneggiare i granuli


2. Colorare 4 minuti con una soluzione di: verde malachite, blu di toluidina, acqua, acido
acetico e alcol etilico
3. Lavare e lasciar asciugare
4. Trattare con liquido di Lugol per 1 minuto
5. Lavare e asciugare

ESAME MICROSCOPICO

Permette di fornire:

- indicazioni sull’idoneità del campione da porre in coltura (Test di Bartlett)


- restringere il campo di indagine (ricerca “mirata”);
- indicazioni sulla scelta di adeguati presìdi diagnostici (es. terreni di coltura, temperatura ed
atmosfera di incubazione);
- al clinico una diagnosi presuntiva utile per avviare un’eventuale terapia antibiotica qualora si
esamini un materiale: normalmente sterile o comunque proveniente da zone non
comunicanti con l’esterno (liquido cefalo-rachidiano, essudato pleurico o peritoneale,
materiale purulento proveniente da raccolte chiuse); nella cui popolazione batterica
“normale” non siano compresi batteri con i caratteri morfologici e/o tintoriali del batterio
osservato.

Tuttavia: Scarsa sensibilità (104cellule/ml di campione) Pertanto, un risultato negativo non esclude
la presenza del patogeno. NON consente di porre una diagnosi precisa di genere, specie e sensibilità
ai chemioterapici

APPROCCIO GENERALE ALLA MICROBIOLOGIA DIAGNOSTICA

Per diagnosticare l’eziologia di una malattia da infezione si deve:

• Rilevare la presenza del microorganismo, diagnosi diretta: Visualizzazione al microscopio-


Isolamento in coltura e identificazione del microorganismo-individuazione degli antigeni
microbici-Individuazione di DNA o RNA microbico
• Rilevare la reazione immunitaria dell’organismo (reazioni sierologiche): diagnosi indiretta

SEMINA DEL CAMPIONE PER L’ISOLAMENTO

La semina del campione è finalizzata all’ottenimento di colonie isolate, ossia sufficientemente


distinguibili, necessarie per la successiva caratterizzazione del ceppo (es. identificazione,
antibiogramma). Pertanto, soltanto i terreni agarizzati possono essere utilizzati a tal fine.

ESAME COLTURALE (ISOLAMENTO)

L’isolamento colturale ha:

1) Buona sensibilità: –in teoria, la presenza di una sola cellula vitale può portare ad un isolamento; –
la maggior parte dei batteri, miceti e protozoi è in grado di crescere in adeguati terreni di coltura;
viceversa, i patogeni intracellulari (Chlamydia, Rickettsiae, virus) possono essere isolati soltanto in
colture di cellule eucariotiche.

2) Massima specificità: –la crescita del microrganismo garantisce SEMPRE la presenza dell’infezione

L’isolamento colturale si articola nelle seguenti fasi(sequenziali):

1. scelta e preparazione dei terreni di coltura


2. semina del microrganismo
3. incubazione
4. lettura ed interpretazione dei risultati

La scelta del terreno dipende dal sospetto diagnostico e quindi dal sito di infezione e di prelievo,
dalla conoscenza della flora che è di solito normalmente presente nel campione in esame e dalla
valutazione dei possibili patogeni da isolare. Ciò consente anche di prevedere adeguate condizioni di
incubazione (anaerobiosi, microaerofilia, carbossifilia) e di evitare un risultato falsamente negativo.

Il Clinico deve notificare al Microbiologo, per quanto possibile, l’eventuale sospetto per la presenza
di:

- patogeni “inusuali” per l’atmosfera richiesta (aerobiosi, anaerobiosi, carbossifilia,


microaerofilia)
- patogeni a velocità di crescita ridotta o lenta

Il gruppo HACEK di bacilli o coccobacilli Gram-negativi, non mobili, comprende molti microrganismi
scarsamente patogeni, a lenta crescita. La loro patologia primaria è l’endocardite nei soggetti
predisposti.

Ciò consente al Microbiologo di adottare un set di terreni “dedicati” e di prevedere adeguate


condizioni di incubazione evitando, in tal modo, un risultato FALSAMENTE NEGATIVO.

CRESCITA IN ANAEROBIOSI

La ricerca colturale di batteri anaerobi si deve eseguire sempre su essudati da ascessi profondi, aghi
aspirati, biopsie tissutali Vanno fatti crescere in terreni riducenti ed in incubatori speciali. Terreni
riducenti: tioglicolato di sodio: si combina chimicamente con l’ossigeno atmosferico fino ad
esaurirlo. Esistono terreni non selettivi, selettivi e di arricchimento specifici per anaerobi. Contenitori
speciali a tenuta stagna (giare), contengono sostanze chimiche (bicarbonato di sodio e sodio boro
idruro) che, quando vengono umidificate, producono CO2 e H2 e successivamente H2O con
scomparsa dell’ossigeno. Incubatore (o cappa), in cui l’aria viene sostituita da una miscela di H2,
CO2e N2.

TERRENI DI COLTURA LIQUIDI

Brodi nutrienti: a composizione chimica ricca, consente la crescita della maggior parte dei batteri (es.
brodo di soia-caseina, infusione cuorecervello, etc.) Soluzioni acquose con:

- 0,5% peptone (prodotto intermedio della digestione della carne)


- 0,3% estratto di carne
- NaCl (isotonicità)
- Tampone fosfato pH 7

SOLO I TERRENI SOLIDI PERMETTONO L’ISOLAMENTO

CLASSIFICAZIONE DEI TERRENI DI COLTURA IN BASE ALLA FUNZIONE

• Terreni non selettivi: consentono la crescita batterica di gran parte delle specie note.
• Terreni selettivi: contengono sostanze batteriostatiche a concentrazione nota che inibiscono
o rallentano lo sviluppo di molte specie microbiche. Utilizzati per l’isolamento di specifici
microrganismi da campioni altamente contaminati (feci, espettorato).
• Terreni differenziali: contengono sostanze indicatrici di particolari reazioni biochimiche che
avvengono nel terreno stesso. Usati per l’identificazione di specifici microrganismi in base al
comportamento biochimico.
• Terreni selettivi e differenziali: permettono lo sviluppo solo di alcuni batteri e li differenziano
in base al comportamento biochimico

TERRENI NON SELETTIVI

Agar Mueller-Hinton. Terreno comune, a libera crescita, raccomandato per i test routinari di
sensibilità agli antibiotici. Ha composizione standardizzata necessaria per la riproducibilità dei test

Agar sangue: contiene il 5% sangue montone/cavallo defibrinato, permette di evidenziare il tipo di


emolisi (Streptococchi)

Agar cioccolato: per l’isolamento di germi “esigenti” dal punto di vista nutritivo (Haemophilus spp.,
Neisseria spp., S.pneumoniae). Il caratteristico color cioccolato deriva dal trattamento termico del
sangue (emolisi ->il rilascio dei fattori di crescita)

TERRENI SELETTIVI

Vengono utilizzati per l’isolamento di microrganismi patogeni presenti in campioni prelevati da siti
caratterizzati da una da flora microbica. I più utilizzati:

Cetrimide agar: selettivo per l’isolamento e l’identificazione presuntiva di P. aeruginosa. Magnesio


cloruro e potassio solfato stimolano la produzione di pigmento fluorescente (pioverdina). La
presenza di cetrimide, composto ammonio quaternario verso cui P. aeruginosa è resistente, inibisce
la crescita di gran parte dei microrganismi.

Thayer-Martin agar (agar cioccolato addizionato di vancomicina, colistina, trimethoprim lattato e


nistatina): selettivo per Neisseriaceae patogene.

Lowestein Jensen: selettivo per la ricerca dei micobatteri Magnesio solfato 0,24 Magnesio citrato
0,60 Potassio fosfato monobasico 2,50 L-asparagina 3,60 Farina di patate 30,00 Verde malachite 0,40
Preparazione del terreno Sospendere 37,4 g di polvere in 600 ml di acqua distillata fredda;
Aggiungere 12 ml di glicerolo e scaldare per sciogliere il terreno; Autoclavare a 121 °C per 15 minuti;
Portare a 50 °C e aggiungere 1000 ml di emulsione d’uovo; Distribuire in provette con tappo a vite e
scaldare a 75 °C per 45 minuti in posizione obliqua, fino a solidificazione del terreno

TERRENI SELETTIVI E DIFFERENZIALI

SS agar: selettivo e differenziale per Salmonella e Shigella spp. Sodio citrato, sali biliari e verde
brillante inibiscono la crescita di Gram+ e alcuni enterobatteri Sistema differenziale: lattosio e rosso
neutro e sodio tiosolfato; Le colonie di Salmonella (non fermentante il lattosio) presentano colonie
con centro nero, dovuto alla precipitazione del ferro solfuro, indotta dalla produzione di H2 S a
partire da sodio tiosolfato presente nel terreno

MacConkey agar: contiene sali biliari e cristalvioletto, che inibiscono la crescita dei Gram-positivi;
selettivo per Enterobacteriaceae. Il lattosio evidenzia la capacità fermentante: colonie fermentanti
lac+(Klebsiella, E. coli, Enterobactera erogenes) appaiono di rosa acceso, incolori quelle non
fermentanti lac-(Salmonella, Shigella, Proteus, Serratia, P. aeruginosa).

Mannitol Salt agar: elevata concentrazione NaCl(7.5%) inibisce crescita di altri batteri, selettivo per
stafilococchi. Sistema fermentante: mannitolo e rosso fenolo (indicatore pH); S. aureus,
fermentante, produce colonie con alone giallo-brillante, mentre stafilococchi coagulasi-negativi (es.
S. epidermidis), non fermentanti, formano colonie rosso porpora

TECNICHE DI MANTENIMENTO DI COLTURE PURE

Può risultare utile conservare le specie microbiche identificate e isolate per studi successivi (biologia
molecolare, accertamento di sensibilità agli antimicrobici) o per il mantenimento del ceppo isolato.
Tecniche utili a questo scopo:

- Conservazione a bassa temperatura (non per N. meningitidis)


- Trasferimento periodico in terreno sterile liquido o a becco di clarino
- Semina in glicerolo e successivo congelamento a -20°C
- Liofilizzazione

IDENTIFICAZIONE

Una volta effettuata la crescita su terreno solido e ottenuta una coltura pura, si procede
all’identificazione. Identificazione PRESUNTIVA, si basa sulle caratteristiche macroscopiche e
microscopiche principali del microrganismo:

- Aspetto delle colonie


- Crescita su terreni selettivi
- emolisi, viraggio terreno, sciamaggio (motilità),….

I risultati della identificazione presuntiva vengono quindi confermati da prove secondarie


(biochimica, sierologica, molecolari), dando luogo all’identificazione DEFINITIVA o FINALE. Sono una
ventina i test biochimici impiegati in diagnostica, di questi solo pochi (3-5) sono chiave per
un’identificazione certa

STUDIO DELLA MORFOLOGIA DELLE COLONIE FORMA SUPERFICIE MARGINE RILIEVO

Delle colonie viene studiata la dimensione, forma, colore, superficie, trasparenza, margini, rilievo,
consistenza, aderenza

Batteri privi di una capsula mucosa producono colonie di aspetto asciutto e rugoso Batteri provvisti
di una capsula mucosa producono colonie di aspetto lucido e bagnato Alcuni batteri posseggono un
pigmento che conferisce alla colonia un colore caratteristico (bianco, rosso, giallo, arancione)
Possono diffondere e disseminarsi nel terreno formando aloni

MOTILITA’ CELLULARE Fenomeno dello “sciamaggio” su agar sangue: specie del genere Proteus

ATTIVITA’ EMOLITICA

Sui terreni di agar sangue gli streptococchi possono mostrare tre tipi di attività nei confronti degli
eritrociti:

- alfa-emolisi: alone a margini sfumati attorno alle colonie, quando gli eritrociti subiscono una
parziale distruzione e l’alone presenta una colorazione verdastra o bruna (produzione H2O2
). Se l’atmosfera di incubazione viene privata dell’ossigeno, non si produce il perossido e le
colonie α-emolitiche appariranno non emolitiche. Gli streptococchi che producono questo
tipo di emolisi vengono detti “viridanti”.
- β -emolisi: alone evidente di emolisi completa Non emolisi o
- gamma-emolisi: nessun alone di emolisi.
PRINCIPI DI IDENTIFICAZIONE MICROBICA

L’identificazione definitiva si basa su:

- Test biochimici: definizione del corredo enzimatico del microorganismo in esame


- Test sierologici: mediante ricerca di antigeni specie-specifici
- Test molecolari: ricerca di sequenze nucleotidiche (DNA o RNA) specie-specifiche

TEST BIOCHIMICI

La determinazione di “specie” si basa sulla definizione del corredo enzimatico del microorganismo in
esame. In particolare, si valuta la capacità di:

- Metabolizzare specifici carboidrati per via ossidativa (via aerobica) e/o per via fermentativa
(via anaerobica)
- Possedere specifici enzimi • DNAsi (Proteus, Serratia) • citocromo-ossidasi (Pseudomonas) •
Ureasi (Proteus, Klebsiella, Enterobacter) • Catalasi (Stafilococchi) • Coagulasi (Stafilococcus
aureus)
- Produrre specifici prodotti metabolici • H2 S (Salmonella, Proteus) • acetil-metilcarbinolo
(Klebisella, Enterobacter, Serratia) • Indolo (E.coli, Proteusvulgaris)

PROFILO DI ASSIMILAZIONE DEGLI ZUCCHERI

l test di fermentazione dei carboidrati viene utilizzato per determinare se i batteri possono
fermentare o meno un carboidrato specifico. Viene effettuato attraverso l’utilizzo di terreni
agarizzati differenziali, oppure può essere effettuato seminando la colonia isolata in provette
contenenti brodi, una singola fonte di carboidrati come glucosio, lattosio, saccarosio o altri e un
indicatore di pH che rileverà l’abbassamento del pH del terreno a causa della produzione di acido. Il
test verifica la presenza di acido e/o gas prodotti dalla fermentazione dei carboidrati

Per evidenziare l’avvenuta fermentazione e l’eventuale formazione di gas si può utilizzare il tubo di
Durham Diversi tipi di risposta:

1) viraggio a giallo del terreno e formazione di una bolla nel tubo Durham: i microrganismi utilizzano
il carboidrato per fermentare producendo acidi organici e gas (es. Escherichia coli);

2) viraggio a giallo del terreno: i microrganismi utilizzano il carboidrato per fermentare producendo
acidi organici (es. Shigella flexneri);

3) nessuna reazione e aumento di torbidità nella provetta: i microrganismi crescono utilizzando


peptone come fonte alternativa di energia (es. Pseudomonas aeruginosa)

IDENTIFICAZIONE BIOCHIMICA

L’identificazione della catalasi e dell’ossidasi, sono test rapidi e di facile esecuzione e possono essere
utilizzate per la differenziazione preliminare. Durante le procedure biochimiche il batterio produce
variazioni visibili nel terreno al quale è stata aggiunta una specifica sostanza analitica La variazione
può essere indicata dalla formazione di gas o dalla produzione di colore. Un indicatore di pH può
evidenziare ad esempio la produzione di un acido durante la fermentazione Alcuni test producono
una reazione immediata, altri richiedono alcune ore di incubazione

TEST CATALASI-> Il perossido di idrogeno si forma in alcuni batteri come prodotto finale del
metabolismo ossidativo aerobico degli zuccheri ed è particolarmente tossico ad alte concentrazioni.
La catalasi scinde il perossido d’idrogeno in acqua ed ossigeno gassoso. Test della catalasi: una
goccia di soluzione al 3% di perossido di idrogeno viene posta su un vetrino a una piccola quantità
della colonia sospetta viene aggiunta alla soluzione. La formazione di bolle (rilascio di ossigeno)
indica la positività del test. La prova della catalasi principalmente per distinguere i cocchi Gram + . Gli
stafilococchi (catalasi-positivi) dagli streptococchi e enterococchi(catalasi negativi). Viene utilizzato
per differenziare i ceppi aerotoleranti di Clostridium, che sono catalasi negativi, dalle specie Bacillus,
che sono positivi. Il test della catalasi semiquantitativa viene utilizzato per l’identificazione di
Mycobacterium tuberculosis. Questo test può essere inoltre utilizzato come ausilio per
l’identificazione delle Enterobatteriacee, i cui microrganismi sono catalasi positivi

TEST OSSIDASI-> è utilizzato per rilevare se il batterio possiede una citocromo –ossidasi. Si utilizzano
supporti impregnati con un indicatore redox, in genere tetrametil-p-fenilendiammina (TMFD) o
dimetilp-fenilendiammina (DMFD). Il reattivo presente nella sua forma incolore ridotta subisce
ossidazione da parte di citocromo-c ossidasi indicando la presenza di batteri positivi alla prova
dell'ossidasi. Ad esempio viene utilizzato per distinguere gli enterobatteri (Ox-) da Pseudomonas
(Ox+)

TEST COAGULASI-> si mescola, in una provetta, una piccola quantità (0,5 ml) di una brodocoltura del
microorganismo in esame con 1 o 2 ml di plasma citrato di coniglio e si incuba a 37°C; entro 3 ore si
produce un evidente coagulo. Si utilizza per distinguere Stafilococcus aureus che è coagulasi positivo,
dagli altri stafilococchi lasciano inalterata la fluidità della miscela.

FLOW-CHART DIAGNOSTICA

I risultati derivanti dalle prove primarie vengono quindi interpretati in maniera «integrata»-
utilizzando «alberi» (flowcharts) diagnostici dicotomici –al fine di ottenere una ID PRESUNTIVA

IDENTIFICAZIONE RAPIDA: ENTEROTUBE

METODO MANUALE: API (BIOMÉRIEUX) IDENTIFICATION SYSTEM

METODO AUTOMATIZZATO: VITEK (BIOMÉRIEUX) Il sistema prevede l’utilizzo di una card su cui si
trova una serie di pozzetti contenenti dei substrati biochimici (ID) in forma disidratata. Esistono
diverse cards disponibili (Gram-positivi, Gram-negativi, Lieviti, Anaerobi…) Non sono richiesti
reagenti addizionali Dopo il caricamento della cassetta, il sistema gestisce l’incubazione e la lettura
di ogni card senza che sia necessario l’intervento dell’operatore. Il database del VITEK copre oltre
300 specie, di rilevanza sia clinica che industriale/alimentare.

Per diagnosticare l’eziologia di una malattia da infezione si deve:

- Rilevare la presenza del microorganismo, diagnosi diretta: •Visualizzazione al microscopio


•Isolamento in coltura e identificazione del microorganismo •Individuazione degli antigeni
microbici •Individuazione di DNA o RNA microbico
- Rilevare la reazione immunitaria dell’organismo (reazioni sierologiche): diagnosi indiretta

ID. Ag MICROBICI

Ha come obiettivo finale la ricerca di ANTIGENI specie-specifici, direttamente nel campione biologico
esaminato o da coltura pura (previo isolamento), mediante l’impiego di anticorpi specifici Principali
tecniche per l’identificazione sierologica:

- Reazione di agglutinazione
- Reazione di immunofluorescenza
- Saggio immunoenzimatico (ELISA)
- Western blot

REAZIONI DI AGGLUTINAZIONE

- Agglutinazione su vetrino Si esegue direttamente su un vetrino portaoggetti Si osserva la


comparsa di agglutinazione a occhio nudo in pochi minuti dall’allestimento Es: Ricerca di
Salmonella, Shigella
- Reazione di agglutinazione passiva o agglutinazione su lattice Si utilizzano anticorpi legati
(adsorbiti) a particelle di lattice. L’aggiunta della colonia stemperata in soluzione fisiologica
provoca l’agglutinazione delle particelle visibile a occhio nudo. Spesso utilizzata per la ricerca
di antigeni capsulari che sono polivalenti. Utilizzata per: –la ricerca di antigeni batterici (S.
pneumoniae, H. influenzae, E. coli, N. meningitidis, C. neoformans) nel liquor ed urine (o
relativi centrifugati) –l’identificazione degli streptococchi (S. pyogenes)

REAZIONI DI IMMUNOFLUORESCENZA

Prevede l’impiego di anticorpi marcati con fluorocromi (es: fluoresceina)

Limite: adeguata concentrazione del batterio ricercato (sensibilità moderata) e dai costi piuttosto
elevati.

Vantaggi: rapidità di esecuzione e elevata specificità

Si utilizzano due tipi di immunofluorescenza:

- Diretta: Ab marcato con fluorocromo è applicato su una sezione di tessuto contenente Ag


(visualizzazione mediante microscopio a fluorescenza). Es: diagnosi di sifilide.
- Indiretta: Ag viene inizialmente rilevato mediante aggiunta di Ab primario non marcato e,
successivamente, con Ab secondario anti-Ab primario marcato con fluorocromo, diretto
contro regioni costanti delle immunoglobuline della specie in cui è stato prodotto il primo
anticorpo, questo porterà ad una amplificazione del segnale. Es: Bordetella pertussis;
Helicobacter pylori; Neisseria gonhorroeae.

SAGGIO IMMUNOENZIMATICO (ELISA: enzyme-linked immunodsorbent assay) )

L’anticorpo è legato ad un enzima in grado di catalizzare una reazione cromogena. Il sistema ELISA
SANDWICH è sicuramente il più sensibile e specifico per il rilevamento di basse quantità di antigene
ed è in assoluto il più utilizzato. La quantificazione avviene mediante tecniche spettrofotometriche
intensità del viraggio prodotto in risposta alla conversione enzimatica (perossidasi, fosfatasi alcalina,
galattosidasi) del relativo substrato cromogeno. La reale concentrazione dell’Ag viene determinata
per confronto con diluizioni standard dello stesso (curva di calibrazione)

WESTERN BLOT

Il microorganismo è frazionato mediante elettroforesi in gel di poliacrilamide nei singoli componenti


polipeptidici. Le proteine, separate in funzione delle dimensioni, vengono trasferite su membrana di
nitrocellulosa per capillarità o mediante elettroforesi Si aggiungono gli anticorpi specifici La
formazione di immunocomplessi viene evidenziata mediante un sistema rivelatore formato da
anticorpi anti-immunoglobuline umane coniugato con un enzima (anticorpo secondario anti-
anticorpo primario). L’aggiunta di un substrato cromogeno specifico evidenzia il legame. In
corrispondenza delle bande antigeniche riconosciute dagli anticorpi si forma un prodotto colorato.

SPETTROMETRIA DI MASSA: MALDI TOFF-> matrx assisted laser desorption/ionization time of flight
è una tecnica analitica che consente di misurare in maniera estremamente accurata il peso
molecolare di macromolecole di interesse biologico e di determinare la loro identità in base al
rapporto massa/carica.

IDENTIFICAZIONE MOLECOLARE

Ricerca di caratteristiche (specie-o ceppo-specifiche) sequenze di DNA o RNA, mediante:

- ibridazione con una “sonda” ossia una sequenza di acido nucleico a singolo filamento (RNA
oppure DNA) complementare rispetto alla sequenza “target” ricercata in uno specifico
patogeno.
- amplificazione genica (Polymerase Chain Reaction, PCR): una sequenza genica viene
amplificata fino alla sua rivelazione

Principali svantaggi dell’indagine molecolare:

- non fornisce informazioni sulla vitalità microbica


- è possibile una cross-reattività tra specie differenti
- necessità di una coppia di primers per ogni specie
- falsi-positivi: contaminazione “crociata” del campione con DNA controllo o proveniente da
altri campioni
- falsi-negativi: presenza di inibitori enzimatici

Le tecniche di biologia molecolare rappresentano strumenti diagnostici molto potenti, in quanto


consentono: –la ricerca e la identificazione rapida di patogeni umani –la ricerca di microrganismi a
lenta crescita, difficilmente coltivabili, oppure non coltivabili –la ricerca di determinanti genici
codificanti per la resistenza agli antibiotici –la tipizzazione dei microrganismi a fini epidemiologici

METODI DI IDENTIFICAZIONE:TIPIZZAZIONE FAGICA

Tipizzazione fagica: ha un significato importante nell’ambito di studi epidemiologici. S. aureus è


sensibile a numerosi batteriofagi virulenti, la sensibilità non è uniformemente distribuita, il test
permette di individuare ceppi diversi. Su ogni quadratino è deposta una goccia di sospensione dei
diversi batteriofagi, dopo 24h le differenti aree di lisi indicano un diverso spettro d sensibilità

ANTIBIOGRAMMA

Misura in vitro la risposta di un microrganismo isolato verso un particolare antibiotico/antibiotici.


Condizione necessaria: disporre di una coltura PURA I test sono eseguiti in condizioni standardizzate
per garantire la riproducibilità dei risultati. I risultati di questi test debbono essere usati per guidare
la scelta dell’antibiotico da adottare, alla quale contribuiscono anche le informazioni cliniche e
l’esperienza professionale • Diffusione in agar (Kirby-Bauer) • E-test • Agar diluizione •
Brododiluizione per determinare la MIC e MCB • Sistemi Automatizzati

DIAGNOSI INDIRETTA

E’ più tardiva di quella DIRETTA Non è sempre possibile porre diagnosi indiretta (es. in pazienti con
scarsa risposta immune). Le indagini sierologiche diventano di ausilio diagnostico nell’indagine
batteriologica soltanto quando sia impossibile ricercare l’agente eziologico con le tecniche dirette
(es. isolamento colturale difficoltoso o non possibile). L’accertamento indiretto, non comportando
l’isolamento del microorganismo, preclude la possibilità di saggiare la antibiotico-sensibilità
dell’agente eziologico

DIAGNOSI INDIRETTA IgM, normalmente transitorie ed indicative di una infezione primaria e


recente. In alcuni casi possono persistere a lungo (fino a 6-12 mesi). IgG, compaiono più
tardivamente, raggiungendo un picco dopo 3-6 settimane dall’infezione. E’ buona norma ricercarle
in campioni successivi (primo: entro 5-10 giorni dall’infezione; secondo: 3-4 settimane dopo). Spesso
persistono per tempi prolungati. Indicative di infezione pregressa od attiva (aumento di almeno 4
volte in due campioni successivi)

DIAGNOSI SIEROLOGICA

La sierologia è utile per valutare il tempo (recente o pregressa) ed il decorso dell’infezione (primaria
vs reinfezione, acuta vs cronica). SIEROCONVERSIONE: inizia quando si ha la produzione di anticorpi
a seguito di infezione primaria. Consiste nella comparsa di anticorpi specifici (IgM o IgG) a seguito di
un test precedente negativo. •Presenza di IgM specifiche, nelle infezioni acute o nella fase acuta di
infezioni persistenti. •Aumento di IgG in assenza o lieve aumento di IgM, nelle reinfezioni (risposta
anamnestica). •Presenza di IgA sieriche specifiche, nelle infezioni subacute o croniche. La
sieroconversione e la reinfezione sono indicate da un aumento del titolo anticorpale di almeno 4
volte tra fase acuta (entro 7-10 gg da esposizione/sintomatologia) e convalescenza (dopo 2-3
settimane).

Tra le tecniche di diagnosi indiretta:

• Reazione di agglutinazione o di emoagglutinazione • Reazione di fissazione del Complemento •


Test immunoenzimatico (ELISA) • Saggio radioimmunologico (RIA) • Saggio in immunofluorescenza

DIAGNOSTICA VIROLOGICA

Approccio DIRETTO: ad eccezione dell’isolamento colturale, sono metodiche rapide (poche ore o, al
massimo, in giornata):

- Ricerca di particelle virali (microscopia) solamento virale (coltivazione)


- Ricerca di antigeni virus-specifici (immunoenzimatica, IF)
- Ricerca di acidi nucleici virali (biologia molecolare)

Approccio INDIRETTO: diagnosi di tipo sierologico Alcuni aspetti diagnostici come la sierologia e la
ricerca di antigeni e acidi nucleici sono standardizzati anche grazie allo sviluppo di kit specifici.
Rimangono punti critici per l’inquadramento diagnostico:

- La decisione di quale saggio utilizzare e quando applicarlo


- L’interpretazione dei risultati ottenuti

DIMOSTRAZIONE DELLA PRESENZA DEL VIRUS: PRELIEVO DEL MATERIALE PATOLOGICO


La scelta del materiale in cui dimostrare la presenza dell’agente infettante dipende dal sospetto
clinico. Il campione in genere può essere costituito da: • Campione di muco naso-faringeo • Lavaggio
bronchiale • Campione di liquor • Liquido vescicolare negli esantemi vescicolari • Materiale fecale •
Urine • Sangue

Nelle infezioni generalizzate il virus va ricercato contemporaneamente nel muco naso-faringeo, nel
materiale fecale ed eventualmente nel plasma.

Le maggiori possibilità di successo nella ricerca diagnostica si hanno alla comparsa dei primi sintomi,
sarebbe quindi preferibile effettuare il prelievo al primo sospetto. Il materiale va subito trasferito in
adatte soluzioni tamponate a basse temperature (congelatore o ghiaccio secco) e trasferito al
laboratorio di analisi congelato o comunque refrigerato

RICERCA DIRETTA DELLE PARTICELLE VIRALI: MICROSCOPIA

La microscopica elettronica NON è una procedura standard, fornisce informazioni su forma,


dimensioni, struttura ed organizzazione virale. Ha valore identificativo soltanto per i virus in cui tali
tratti sono peculiari. Causa scarsa sensibilità della tecnica, il campione viene generalmente
concentrato (ultracentrifugazione) prima dell’osservazione, tranne che per campioni fecali o lesioni
da HSV (1011virioni/ml). E’ possibile aumentare la sensibilità mediante utilizzo di anticorpi specifici
(immunomicroscopia elettronica).

La tecnica della colorazione negativa è quella più frequentemente utilizzata:

- adsorbimento virale su retino, quindi colorazione con un sale metallico pesante elettron-
denso (acetato di uranile, acido fosfotungstico).
- colorazione del fondo ma non delle particelle virali (contrasto negativo); in realtà, anche i
virus assorbono una piccola quantità di colorante che ne mette in evidenza alcuni dettagli
strutturali.

Vantaggi: • Rapida (15-30 minuti) • Specifica

Svantaggi: • Scarsa sensibilità • Necessita di microscopisti esperti • Alto costo di gestione e


manutenzione

ISOLAMENTO (COLTIVAZIONE) VIRALE

Il materiale prelevato dal paziente e sospeso in tampone viene centrifugato per eliminare i detriti
cellulari, e addizionato di antibiotici antibatterici e antimicotici per eliminare un’eventuale
contaminazione. A seconda del distretto del prelievo deve essere trattato diversamente (es: urine
trattate per portare il pH alla neutralità) Dal momento che i virus sono patogeni intracellulari
obbligati richiedono l’inoculo in ospiti viventi adeguati (cioè sensibili e permissivi). In genere si tratta
di colture cellulari che oggi hanno soppiantato i modelli animali e gli embrioni di pollo storicamente
utilizzati per la propagazione dei virus

Per la coltivazione virale si possono utilizzare:

- colture cellulari primarie: sono diploidi, consentono la moltiplicazione di numerosi virus con
tropismo verso il tessuto da cui derivano. Le cellule primarie di rene di scimmia sono
utilizzate per l’isolamento di virus dell’influenza, paramyxovirus, enterovirus e alcuni
adenovirus.
- linee continue: hanno un corredo cromosomico aneuploide o poliploide ed una capacita
riproduttiva indefinita. Le cellule HeLa, sono una linea continua di cellule epiteliali derivate
da un tumore umano usate per la coltivazione del virus respiratorio sinciziale, adenovirus e
HSV. Le cellule Vero sono una linea cellulare derivata da rene di scimmia e vengono utilizzate
per la coltivazione di numerosi virus tra cui SARS-COV2.

Molto utilizzate sono i fibroblasti embrionali umani che mantengono il corredo diploide, possono
essere propagate in coltura per alcune decine di passaggi. Permettono la crescita di un ampio
spettro di virus (HSV, VZV, CMV, adenovirus, picornavirus)

METODICA DI ISOLAMENTO VIRALE

La procedura prevede:

- Inoculazione del campione in colture cellulari idonee


- Mantenimento delle colture stesse (37°C, virus respiratori 33°C)
- Rilevazione dell’avvenuta replicazione virale: sviluppo di un effetto citopatico CPE visibile a
livello microscopico, altrimenti l’individuazione di antigeni virali o particolari attività
/proprietà del virus
- Tipizzazione del virus

EFFETTO CITOPATICO L’effetto citopatico può essere rappresentato da: • un arrotondamento delle
cellule che appaiono molto rifrangenti • perdita di componenti intracellulari, disaggregazione del
citoscheletro • formazione di cellule giganti multinucleate (sincizi) dovuti alla presenza di proteine di
fusione virus-specifiche (es.: herpesvirus, alcuni retrovirus) • formazione di ammassi di costituenti
virali e/o di strutture cellulari alterate nel nucleo o nel citoplasma della cellula (inclusioni). I
meccanismi responsabili del fenomeno non sono noti, in alcuni casi il blocco della biosintesi può
contribuire al danno

Inclusioni citoplasmatiche-> Accumulo in determinate zone cellulari, di materiale neoprodotto che


spinge alla periferia, o sostituisce, il materiale cellulare circostante. Si formano anche in vivo e sono
un utile ausilio diagnostico ESEMPI: corpi del Negri -> virus della rabbia nelle cellule nervose; corpi di
Guarneri -> Poxvirus nelle cellule epiteliali; corpi di Torres -> virus della febbre gialla.

RILEVAZIONE DI PARTICOLARI PROPRIETA’ – ATTIVITA’ DEL VIRUS

- Saggio di emagglutinazione: rileva particelle virali o parti di esse rilasciate nel supernatante
(usata in passato per il virus influenzale)
- Saggio di emadsorbimento: identifica antigeni virali espressi a livello di membrana cellulare

Si evidenza l’aggregazione di eritrociti di diverse specie indotte. E’ quantitativo, ma essendo una


caratteristica comune a molte specie virali è poi necessaria una tipizzazione

RICERCA DI ANTIGENI VIRALI

A seconda del virus e, quindi, della tipologia del materiale da esaminare (cellule, feci, sangue-siero)
possono essere applicate differenti tecniche:

- Immunofluorescenza (IF): rivelazione fluorescente del complesso antigene – anticorpo


mediante tecnica «diretta» o «indiretta»
- Immunoperossidasi: rivelazione “colorimetrica” del complesso Ag-Ab, simile alla IF,
l’anticorpo è marcato con perossidasi di rafano. Utile se applicata a tessuti integri, colorati
per l’istochimica (definizione delle relazioni spaziali tra antigene virale e strutture cellulari)
- Immunoenzimatica (ELISA): rivelazione “colorimetrica” del complesso Ag-Ab. Utilizzabile
anche per antigeni solubili. Non è influenzata dalla qualità del campione
RICERCA DI ACIDI NUCLEICI VIRALI: METODI MOLECOLARI

Trovano particolare applicazione nella ricerca di virus:

- difficili o impossibili da coltivare


- a lenta crescita

Non influenzata dalla qualità del campione e dalla sua vitalità Data la specificità e sensibilità della
metodologia utilizzata l’applicazione in campo diagnostico deve essere guidata da un preciso
sospetto clinico

TITOLAZIONE DEI VIRUS

Titolazione dell’attività infettante dei virus: determinare quante particelle virali infettanti sono
presenti per unità di volume del campione biologico. Il numero di particelle infettanti è sempre
inferiore al numero totale di virioni, in quanto durante la replicazione virale la maggior parte delle
particelle che si formano è difettiva. La misura del titolo, si può eseguire con metodi diretti o
indiretti

TITOLAZIONE DEI VIRUS: METODO DIRETTO

Plaque assay: il campione viene diluito e aggiunto a monostrati di cellule, per circa un’ora, per
consentire al virus di aderire. Il monostrato viene quindi ricoperto con un terreno semisolido, che
limita la diffusione della nuova progenie solo alle cellule circostanti, e incubato per 72h. Viene poi
aggiunto un colorante (es:cristalvioletto sale derivato dall’anilina). Sarà possibile, nella diluizione
appropriata, contare il numero delle placche e quindi risalire al numero di virioni. Lo stesso test si
può fare sulla membrana corionallantoidea

TITOLAZIONE DEI VIRUS: METODO INDIRETTO

Si valuta il titolo virale in base al concetto del tutto o niente. Si possono utilizzare colture cellulari,
uova embrionate o animali da esperimento. Il virus viene diluito in base 10 e per ogni diluizione
vengono infettati i campioni biologici. Dopo il tempo necessario affinché avvenga la replicazione
virale si valuta la più bassa diluizione del virus a cui tutti i campioni sono infettati e la più alta
diluizione, in cui nessun campione è infettato. Punto finale della titolazione è considerata la
diluizione di virus che infetta il 50% delle unità inoculate.

TITOLO EMOAGGLUTINANTE

Eritrociti agglutinati sedimentano in modo irregolare occupando tutto il pozzetto rispetto agli
eritrociti non agglutinati, che formano sul fondo un dischetto compatto. Il titolo emoagglutinante
viene calcolato mescolando concentrazioni decrescenti di virus con una quantità standardizzata di
globuli rossi. La più alta diluizione del virus in grado di provocare emoagglutinazione viene definita
unità emoagglutinante (UHA).

APPROCIO INDIRETTO INDAGINE SIEROLOGICHE

La diagnosi sierologica viene di norma preferita alla ricerca diretta del virus nelle infezioni virali. Per
individuare un’infezione recente o in atto si cercano gli anticorpi virali di classe IgM, dove non sia
possibile è comunque utile dimostrare un incremento del titolo anticorpale. Le tecniche
immunologiche per la ricerca di anticorpi antivirali diretti contro antigeni virus specifici
comprendono:
- Saggi funzionali: neutralizzazione, inibizione dell’emagglutinazione, fissazione del
complemento
- Saggi su membrana: western blot
- Saggi di legame: immunoenzimatici (ELISA o RIA)

TEST DI NEUTRALIZZAZIONE VIRALE (VNT)

Misurano l’abilità degli anticorpi di bloccare l’infettività virale: costoso e time consuming
Incubazione del virus a concentrazione nota con una coltura cellulare suscettibile e diluizioni seriali
di un siero che presumibilmente contiene anticorpi neutralizzanti per il virus in esame. Se gli
anticorpi sono presenti e sono in grado di neutralizzare l’infezione. il saggio di neutralizzazione è
sierotipo-specifico e può quindi essere utilizzato per distinguere tra i sierotipi di neutralizzazione di
un virus, che differiscono negli epitopi coinvolti nei meccanismi di neutralizzazione. Il poliovirus, ad
esempio, ha tre principali sierotipi di neutralizzazione e gli anticorpi neutralizzanti attivi su un
sierotipo non possono neutralizzare gli altri. Per questi motivi, in alcuni casi, la VNT può essere
impiegata per confermare l'identità di un virus.

I test di neutralizzazione possono essere adattati alle caratteristiche del virus e delle colture cellulari
e allo scopo del test. Possono essere effettuati in piastre a 6-24 pozzetti, si parla di 96 pozzetti «mini
test di neutralizzazione» In piastre a 96 pozzetti si parla di "test di microneutralizzazione" (MNT),
consente di testare più campioni e / o più repliche ma non sono adatte per la valutazione infettività
contando le placche virali.

VARIANTI DEL TEST DI NEUTRALIZZAZIONE

Test di riduzione della placca: Può essere eseguito solo se il virus è in grado di generare placche ed è
stato utilizzato sui virus di morbillo, dengue e rosolia.

Neutral Red Staining assay (NRS): dopo l'incubazione, le cellule vengono incubate con rosso neutro,
che è un colorante assorbito solo dalle cellule viventi. L’eccesso di colorante viene lavato via. Il rosso
neutro rimanente nei pozzetti, che è proporzionale alla quantità di cellule vitali, è relativamente
quantificato misurando l'assorbanza a 540 nm. Aumento del valore assorbanza in un pozzetto,
rispetto al controllo negativo che non contiene il siero, indica un'attività neutralizzante.

DIAGNOSI DELLE MICOSI

FUNGHI O MICETI

• Cellule eucariotiche Dimensioni: 3-15µM


• Assenza di capsula: unica eccezione Cryptococcus neoformans
• Parete cellulare:
- maggiormente ispessita e rigida (vs parete batterica)
- assenza di peptidoglicano e acidi teicoici (insensibili a β-lattamici)
- polisaccaridi (75%) + proteine (20%) + lipidi (5%)
• Assenza di strutture per la locomozione
• Generalmente aerobi

PARETE DEI FUNGHI/MICETI->

Strato esterno omogeneo con chitosano-mannano-lipidi-proteine

Strato interno fibrillare con beta-glucano-chitina-cellulosa


FORMA:

Lieviti: forme unicellulari ovali o tondeggianti

Funghi filamentosi: forme multicellulari generalmente definiti muffe, costituiti da una serie di
strutture tubulari (ife) che si ramificano a formare il micelio

Funghi dimorfi: presentano sia la forma tondeggiante che filamentosa a seconda delle condizioni
ambientali

Ci sono più di 100 000 specie di funghi ma meno di 500 sono state associate a malattia nell’uomo e
non più di 100 possono causare infezioni in individui sani

La maggior parte delle infezioni da lieviti sono opportunistiche Il numero di infezioni fungine in
pazienti immunocompromessi è in crescita (HIV, trapianti, tumori, diabete mellito o altre malattie
croniche debilitanti)

MICETI DI INTERESSE MEDICO

Manifestazioni cliniche:

• SUPERFICIALI: confinate allo strato più esterno della cute e dei follicoli piliferi
• CUTANEE: interessano lo strato cheratinizzato della cute, e gli annessi cutanei (capelli, peli ,
unghie)
• SOTTOCUTANEE: interessano gli strati profondi della cute, inclusi il tessuto muscolare e
connettivo
• PROFONDE O SISTEMICHE : interessano in genere i polmoni e possono diffondersi agli organi
interni o ai tessuti profondi dell’organismo attraverso la circolazione sanguigna

PRELIEVO E RACCOLTA DEL CAMPIONE

Il tipo di prelievo varia a seconda del sito di infezione

Da infezioni superficiale e cutanee

- Cute glabra: dopo aver deterso la parte interessata con acqua distillata o isopropanolo al
70%, scarificazione in prossimità dei margini della lesione
- Capelli e peli: prelievo con una pinzetta sterile scegliendo quelli con lesioni visibili
- Unghie: taglio di una porzione con aspetto diverso per colore e/o consistenza, se necessario
si effettua una scarificazione con bisturi sterile per ottenere scaglie di materiale cheratinico
- Mucose: con un tampone sterile monouso

Da infezioni sottocutanee

- nel caso di infezioni granulomatose o suppurative: scarificazione della regione interessata o


aspirando l’essudato o utilizzando un tampone sterile
- Biopsia

Da infezioni profonde

- Liquido cefalorachidiano, sangue, espettorato, biopsia

DIAGNOSI DELLE MICOSI

- Diagnosi diretta
Ricerca microscopica: • in materiali patologici • nelle sezioni istologiche

Esame colturale

Test Biochimici (dosaggio di metaboliti, componenti della parete, enzimi)

Diagnostica molecolare

- Diagnosi indiretta

Indagine sierologiche

MICROSCOPIA OSSERVAZIONE A FRESCO

• Rapido e poco costoso


• permette di individuare i miceti nella maggior parte dei casi e di identificarne alcune
caratteristiche morfologiche
• la diagnosi è presuntiva e deve sempre essere confermata

Se il campione è molto fluido (liquido cefalo-rachidiano, peritoneale, pleurico, urina, lavaggio


bronchiale e broncoalveolare, escreato trattato con agenti mucolitici) o si può facilmente
stemperare in soluzione fisiologica: osservazione diretta a fresco al microscopio preferibilmente a
contrasto di fase.

Nel caso della ricerca di miceti di una certa consistenza o densità e in campioni cheratinizzati
(unghia, capelli) trattamento del campione con una soluzione di KOH al 10-20% ad azione
cheratinolitica e fibrinolitica. La parete fungina è ricca di glucani alcali resistenti. A volte è necessario
aspettare alcune ore o un giorno intero perché il materiale prelevato sia analizzabile, e riscaldare il
vetrino

COLORAZIONE

La colorazione non è indispensabile

• Colorazione di Gram: permette di rilevare la maggior parte dei funghi. I lieviti appaiono di
colore viola o blu/nero
• Colorazione con inchiostro di china: colorazione negativa, permette di individuare C.
neoformans, circondato da un’ampia zona trasparente dovuta alla capsula
• Calcofluorwhite: può essere miscelato con KOH, si osserva al microscopio a fluorescenza. Il
bianco di calcofluoro si lega alla parete cellulare dei funghi (la fluorescenza è verde mela o
blu bianca a seconda dei filtri utilizzati). Rileva la chitina
• Colorazione lattofenolo cotton blu: fenolo, acido lattico e cotton blu. Il fenolo ha funzione
battericida. L’acido lattico gonfia le cellule dei miceti. Il cotton blu, carico negativamente, si
lega selettivamente alla chitina. Per osservare la morfologia dei miceti, non strisciare per
non compromettere la struttura dei miceli. In caso contrario effettuare lo striscio. Porre il
campione da analizzare sul vetrino, non fissare al calore ma lasciare asciugare all’aria
Utilizzando un ago, mescolare il campione con una o al massimo due gocce di soluzione di
KOH, aggiungere due gocce di lattofenolo cotton blu, coprire con un vetrino coprioggetti,
attendere due minuti e osservare.

COLORAZIONE SEZIONI ISTOLOGICHE

Ematossilina-eosina evidenzia il processo infiammatorio nei tessuti, poco sensibile e non differenzia
dai componenti del tessuto circostante Si usano allora colorazioni più specifiche: • Colorazione al
PAS (Periodic acid- Shiff): i gruppo ossidrilico dei polisaccaridi della parete vengono ossidati ad
aldeidi con acido perclorico, poi reagiscono con il reattivo di Shiff costituito da fucsina basica
solforata, nota anche come fucsina bianca o leucofucsina e da acido bis-N-aminosolfonico dando una
colorazione rosso magenta • Tecnica di Gomori: si basa sulla riduzione del nitrato d’argento ad
opera delle aldeidi formatesi per ossidazione del gruppo ossidrilico dei polisaccaridi della parete.
Colorazione scura rispetto al tessuto circostante giallo o verde chiaro, risoluzione scarsa Sulle sezioni
istologiche si possono applicare anche tecniche di immunofluorescenza diretta e di ibridazione in
situ

ESAME COLTURALE

Si utilizzano capsule Petri a diametro superiore rispetto a quelle utilizzate in batteriologia o provette
a becco di clarino. Una volta isolato il microorganismo si effettua un’osservazione macro e
microscopica e prove di identificazione.

Non è molto sensibile, tempi lunghi. Può risultare positivo anche in caso di osservazione
microbiologica negativa

I miceti sono aerobi, condizioni di anerobiosi possono condizionare la morfologia, pH 6,8-7 sono
ottimali, tollerano anche pH acidi

Un primo isolamento viene effettuato su due o più tipi di terreni solidi non selettivi e selettivi (pH,
cicloesimide, cloramfenicolo), temperature di incubazione a 28 °C e/o 37 °C.

Agar Sabouraud, utile per campioni cutanei e lieviti dalle colture di materiale vaginale, ma non è
abbastanza ricco per l’isolamento primario di funghi esigenti come i dimorfici Peptone 1% Glucosio
4% Agar 2% pH acido (5.6) che inibisce la flora microbica e lo rende selettivo

Brain Heart Infusion agar costituito da infuso di cuore e cervello, peptone, cloruro di sodio, fosfato di
sodio e agar

Una volta effettuato l’isolamento esistono terreni specifici per l’identificazione

Agar mycosel è un Sabouraud con destrosio al 2%, è utile come terreno di subcoltura di funghi
recuperati su terreno arricchito perché favorisce la sporulazione e per ottenere una morfologia delle
colonie più caratteristica.

Terreni cromogeni per Candida (Chromagar Candida) permette l’isolamento e la simultanea


identificazione di specie di lievito in base al colore delle colonie

Agar Czapek presenta come unica fonte di azoto inorganico il sodio nitrato e come unica fonte di
carbonio il saccarosio. Indicato per aspergilli

Agar niger seed (con estratto di semi di Guizotia abyssinica ) per Cryptococcus neoformans, le
colonie crescono in 24-48 h circondate da un alone marrone

Agar con farina di mais e tween permette di osservare meglio la morfologia dei lieviti, ife e conidi

Osservazione macroscopica delle colonie :

Aspetto delle colonie (colore, consistenza) e tasso di crescita delle colonie

Le colonie dei lieviti hanno un aspetto simile a quelle dei batteri ma sono più cremose e opache.
Alcuni possono proiettare pseudoife ai margini delle colonie.
Le muffe sono funghi filamentosi che formano una massa intrecciata (micelio). Le colonie sono più
larghe, filamentose di colore variabile fioccose o cotonose.

Distinguere i funghi lievitiformi dai filamentosi è il primo passo nell’identificazione di un isolato


fungino

I funghi dimorfi possono crescere in presenza di sostanze antifungine. Crescono: • in forma di muffa
se incubate a temperatura ambiente (meno di 30°C) • In forma di lievito se incubate a 30-35°C

MICROSCOPIA DOPO COLTURA

Studio micromorfologico:

• osservazione a fresco: si asporta una porzione di colonia dall’agar e la si pone su un vetrino con
una goccia di blulattofenolo, ci copre con un vetrino coprioggetto

• preparazione con nastro adesivo: utile per miceti filamentosi. Si raccoglie con un pezzo di nastro
adesivo premuto sulla superficie della colonia, si mette su un vetrino su cui è posta una goccia di
lattofenolo

• coltura su vetrino: quadratini di terreno agarizzato (1cm di lato e 4mm di spessore) scelto in
seguito alle indicazioni ottenute dopo il primo isolamento allestiti su particolari vetrini (di Tieghem)
per seguire quotidianamente lo sviluppo del micete.

IDENTIFICAZIONE tramite Prove biochimiche:

• Test dell’ureasi

• Fermentazione e assimilazione degli zuccheri

• Utilizzo dei nitrati

La rilevazione di antigeni citoplasmatici, parietali e metaboliti nel siero rappresentano la prova


diagnostica sierologica importante per le infezioni invasive profonde. Vengono effettuati:

• Dosaggi di alcuni metaboliti (es. arabinitolo nel siero sembra un indicatore di candidosi
disseminata, D-mannitolo nel lavaggio broncoalveolare risulta utile nell’aspergillosi polmonare )

• Componenti della parete cellulare (saggio per beta 1-3 glucano di Candida e Aspergillus, Saggi
immunoenzimatici per galattomannano di Aspergillus e mannano di C. albicans )

• Saggi per la rilevazione degli antigeni polisaccaridici (glucurono-xilo-mannani che fanno parte della
capsula di C. neoformans) Sono disponibili in commercio sistemi di identificazione automatizzati che
prevedono l’aggiunta di substrati diversi e diversi indicatori, usano database di informazioni basati su
migliaia di biotipi di lievito.

Utilizzo della tecnica MALDI-TOF.

Test del tubulo germinativo per identificazione di Candida albicans

Si basa sulla capacità di Candida di produrre tubuli germinativi (struttura simile ad un’ifa priva di
costrizioni in corrispondenza del suo punto di origine), il primordio di ife vere. Il fungo viene fatto
crescere in 0,5 ml di siero di montone o di coniglio e incubato a 35°C per non più di 3 ore, dopo
germinano anche altre specie. Dopo incubazione si osserva una goccia al microscopio

DIAGNOSTICA MOLECOLARE
Per la diagnosi rapida vengono utilizzate sonde genetiche o probes che ibridizzano con specifiche
sequenze di DNA o di RNA del fungo che si ricerca (DNA fingerprinting).

L’amplificazione del materiale genico attraverso l’impiego della reazione polimerasica a catena
(PCR) permette di rilevare acidi nucleici specifici fungini direttamente nel materiale clinico, anche
possibilmente quantificando il carico fungino (Real-Time-PCR).

Tuttavia l’uso della diagnostica molecolare in micologia è più limitato rispetto all’uso in batteriologia

INDAGINI SIEROLOGICHE

La ricerca di anticorpi specifici è relativamente poco utile a scopo diagnostico, a causa della
frequenza di reazioni crociate dovute alla presenza di miceti commensali che colonizzano il nostro
organismo

La ricerca di anticorpi non è sensibile e specifica per la diagnosi di infezioni invasive profonde ad
eccezione della coccidiomicosi e istoplasmosi.

Si utilizzano tecniche classiche: • Immunodiffusione • Fissazione del complemento • Agglutinazione


• Saggio immunoenzimatico • Saggio radioimmunologico

MALATTIE DA PRIONI O ENCEFALOPATIE SPONGIFORMI TRASMISSIBILI

Famiglia di malattie neurodegenerative progressive rare che colpiscono sia gli esseri umani che gli
animali. Sono le encefalopatie spongiformi che un soggetto sano può sviluppare se ingerisce tessuti
di un soggetto infetto.

Caratteristiche: • lunghi periodi di incubazione • cambiamenti spongiformi associati alla perdita


neuronale • incapacità di indurre una risposta infiammatoria. Gli agenti causali delle EST sono i
prioni.

Negli animali possono presentarsi in forma sporadica, genetica o familiare e acquisita. Lo scrapie
delle pecore e capre, la malattia cronica debilitante (CWD) dei cervidi, l’encefalopatia spongiforme
bovina (BSE), l’encefalopatia trasmissibile del visone (TME) e l’encefalopatia spongiforme felina (FSE)
del gatto. Nell’uomo sono note le forme sporadica, familiare, acquisita, iatrogena. Ricordiamo: la
malattia di Creutzfeldt-Jakob (CJD), la sindrome di Gerstmann-Sträussler-Scheinker (GSS), l’insonnia
fatale nelle forme sporadica (sFI) e familiare (FFI) ed il kuru.

PRIONI

Agenti infettivi proteici, inducono un ripiegamento anomalo di specifiche proteine cellulari normali
chiamate proteine prioniche.

Le proteine prioniche cellulare (PrPC ) sono espresse sulla superficie delle membrane cellulari di
neuroni, cellule della microglia, astrociti, oligodendrociti e sulle cellule muscolari scheletriche.
Vengono codificate dal gene PRNP che mappa sul braccio corto del cromosoma 20 e sono costituite
da 254 aminoacidi.

Sono proteine secretorie, prima di venire espresse sulla superficie della membrana cellulare
subiscono delle modifiche post-traduzionali (taglio del peptide segnale e glicosilazione).

Le mutazioni (sostituzioni o le inserzioni) sono alla base del misfolding e determinano un


cambiamento della struttura secondaria → forma patologica (PrPSC)

PrPC : α-eliche 42%, foglietti β (3%)


PrPSC : foglietti β 40% e una piccola percentuale in α-elica

Nuove proprietà chimico-fisiche: insolubilità, tendenza all’aggregazione (formazione di fibrille simili


alla sostanza amiloide) e resistenza alla proteolisi. Quando la proteina prionica patologica entra in
contatto con quella fisiologica, la induce ad adottare la propria conformazione.

DIAGNOSI DELLE PATOLOGIE DA PRIONI

Il sospetto è legittimo in pazienti che presentino declino progressivo di funzioni cognitive e motorie.
Non sono presenti fenomeni infiammatori e non si ha produzione di anticorpi. La diagnosi è
generalmente clinica. La diagnosi di certezza di tutte le malattie da prioni si basa sull’esame
istologico del cervello post mortem.

Anomalie EEG che però non sono costanti durante l'intera fase clinica possono essere comunque
presenti anche in altre condizioni morbose.

Risonanza magnetica in diffusione.

La diagnosi eziologica di laboratorio si effettua su materiale bioptico esposto all’azione proteolitica


di enzimi per eliminare la PrPc.

Consiste nella ricerca della PrPSc umana mediante antisieri immuni specifici, preparati
artificialmente in animali da laboratorio knockout che riconoscono la PrP come non self.

Analisi del liquor per la ricerca di marker (proteina 14-3-3: una proteina citoplasmatica neuronale
non correlata alla PrP, e proteina Tau) non contiene di norma cellule infiammatorie.

Per la diagnosi delle forme genetiche è molto importante la sequenza del gene PRNP.

PARASSITOLOGIA GENERALE PROTOZOI

INTERAZIONI TRA DUE O PIU’ ORGANISMI

- Simbiosi: relazioni di associazione che avvengono tra due specie diverse


- Mutualismo: tutti i componenti dell’associazione traggono beneficio dalla loro unione
- Commensalismo un componente trae beneficio mentre l’altro non dovrebbe essere
danneggiato.
- Parassitismo è rappresentato da un’interazione tra un ospite ed il parassita nel quale l’ospite
viene danneggiato

IMPORTANZA DEI PARASSITI

Spesso considerate «tropicali» e di scarsa importanza per i paesi temperati Impatto globale e
numero di morti impressionante Movimenti di popolazioni: turisti, missionari, volontari Flussi
migratori Individui con problemi di immunosoppressione.

PARASSITOLOGIA MEDICA

I parassiti vengono distinti in ->

- Ectoparassiti: hanno contatti solo con le superfici esterne dell’ospite


- Endoparassiti: vivono all’interno dell’ospite

I parassiti facoltativi normalmente conducono vita libera ma quando se ne presenta l’occasione


possono diventare parassiti di uno o più ospiti (Es. Naegleria)
La maggior parte dei parassiti sono obbligati, non possono fare a meno dell’ospite. Sono parassiti
temporanei quelli che hanno contatto con l’ospite limitato al tempo, parassiti permanenti hanno
rapporti più profondi con l’ospite e non possono esserne separati nemmeno per tempi brevi

CICLI VITALI DEI PARASSITI

- Diretti o monoxeni: avviene in un’unica specie ospite.


- Indiretti o eteroxeni: avviene in due (dixeno) o più ospiti (polixeno) appartenenti a specie
differenti in ciascuna delle quali si compie una fase diversa e specifica dello sviluppo. Nei cicli
indiretti l’ospite definitivo a quello in cui avviene una riproduzione sessuata mentre gli altri
vengono definiti ospiti intermedi. Gli artropodi che trasportano, trasmettono un parassita
vengono denominati vettore.

Il parassita può penetrare in un ospite in modo passivo o attivo.

Antropoparassitosi: parassitosi nella quale l’uomo funge da ospite obbligatorio

Zoonosi: gli ospiti sono normalmente animali ma l’uomo può essere coinvolto accidentalmente come
ospite intermedio o definitivo

• Protozoi - microrganismi unicellulari con dimensioni variabili tra 2 e 100µm, ad


organizzazione eucariotica; chemiosintetici ed eterotrofi, ubiquitari. In alcuni stadi possono
presentare più nuclei in una stessa cellula
• Metazoi - Sono organismi eucariotici pluricellulari con struttura complessa e
differenziamento tessutale, eterotrofi. I metazoi che interessano la medicina umana sono gli
artropodi e gli elminti (cestodi, nematodi e trematodi).

PROTOZOI-> organi di locomozione

- Pseudpodi: estroflessioni citoplasmatiche (sarcodina)


- Flagelli: lunghi 100-200 um. In genere emergono in un numero limitato (1-8) da un punto
della cellula sono liberi o connessi alla cellula da una membrana ondulante. (mastigophora)
- Ciglia lunghe 5-20 um. Sono distribuite su tutta la superficie della cellula. (cicliophora)

Cilia e flagelli originano all’interno della cellula con una complessa struttura (corpuscolo basale o
blefaroplasto), affiancato negli emoflagellati da un’altra struttura denominata cinetoplasto.

NUTRIZIONE

I protozoi sono eterotrofi

La penetrazione del nutrimento avviene per:

- diffusione attraverso la membrana


- endocitosi (fagocitosi e pinocitosi) con formazione di un vacuolo nutritizio, -alcuni sono
provvisti di aperture specializzate (citostoma e citopige) per l’assunzione degli alimenti e
l’eliminazione delle scorie.

Sono sprovvisti di pigmenti fotosintetici. Per la produzione di energia utilizzano reazioni


fermentative e ossidative

RIPRODUZIONE
La riproduzione può essere asessuata e/o sessuata (il ciclo sessuato e asessuato si svolge di solito in
ospiti diversi).

Riproduzione asessuata è presente in tutti i protozoi

• Divisione binaria (merogonia): longitudinale (flagellati e amebe) trasversale (ciliati)


• Scissione multipla: serie di divisioni iniziali del nucleo seguita dalla divisione del citoplasma
• Gemmazione: si formano cellule figlie sulla superficie della cellula madre

Riproduzione sessuata:

• Gametogamia : le cellule sessuali maschili e femminili (gameti) si uniscono a formare lo


zigote
• Coniugazione : prevede il contatto di due protozoi (ciliati) che dopo essersi scambiati il
materiale nucleare si separano e ciascuna genererà cellule figlie per riproduzione asessuata

In molti protozoi il ciclo di sviluppo è caratterizzato da fasi sessuate e fasi asessuate

CISTI

La forma metabolicamente attiva dei protozoi parassiti è detta Trofozoite.

Molte specie di protozoi danno rigine a cisti (incistamento): forma cellulare immobile, più piccole del
trofozoita, caratterizzata dalla presenza di una spessa parete e da una attività metabolica
estremamente ridotta.

Spesso contengono più nuclei il cui numero varia con la specie. Possono ritornare alla forma
vegetativa per rottura della parete che ne permette la fuoriuscita (escistamento)

Le cisti svolgono tre funzioni:

• Protettiva
• Riproduttiva
• Infettante

Le cisti sono resistenti all’essiccamento a disinfettanti come la formalina, il cloro, il calore, il fenolo-

I parassiti che non sono in grado di formare cisti devono fare affidamento sulla trasmissione diretta
da ospite ad ospite o richiedono un artropode vettore per completare il proprio ciclo vitale

PATOGENESI DELLE MALATTIE PARASSITARIE

La patogenesi delle malattie parassitarie si articola in:

- Esposizione
- penetrazione nell’ospite attraverso le barriere anatomiche
- adesione
- replicazione
- elusione e inattivazione delle difese dell’ospite
- danno cellulare e tessutale
- Evasione

VIE D’INGRESSO
• Fonti d’infezione esogene: ingestione oppure penetrazione diretta attraverso la cute o altre
superfici. Spesso la penetrazione è mediata da artropodi vettori.

L’esito dell’interazione parassita/ospite è fortemente condizionato dalla carica infettante, che deve
essere elevata per alcuni parassiti intestinali (ad es. amebe), ma non necessariamente nei parassiti
trasmessi mediante puntura del vettore (ad es. plasmodi della malaria).

ADESIONE

L’adesione può essere scarsamente specifica (strutture superficiali di aggancio) oppure specifica per
la presenza di adesine di superficie. In quest’ultimo caso le adesine riconoscono per lo più
glicoproteine o glicolipidi presenti su vari tessuti e cellule, quali la fibronectina, recettori del
complemento, coniugati di N-acetiglucosammina.

E. histolytica, ad esempio, aderisce allo strato di mucosa del colon, si fonde al sottostante epitelio
mediante una lectina di superficie galattosio inibita (rilevabile solo nei ceppi patogeni) che riconosce
coniugati dell’acetilglucosammina presenti sulla superficie cellulare dell’ospite.

Dopo l’adesione alla cellula o al tessuto il parassita può iniziare la sua replicazione: i protozoi si
riproducono nell’uomo all’interno o all’esterno delle cellule.

STRUTTURE DI ADESIONE ALL’OSPITE

Alcuni protozoi hanno specifiche strutture adibite all’adesione e penetrazione:

- Assostilo: coda uncinata, presente sul lato opposto dei flagelli, si pensa che sia utilizzata per
aderire alle cellule bersaglio (Es: Trichomonas vaginalis), provoca irritazione e infiammazione
- Complesso apicale: complesso di organelli filamentosi, sacculi a forma allungata e granuli
densi disposti ad anello nell’estremità apicale. Mediano il riconoscimento e la penetrazione
nella cellula dell’ospite. Dopo l’adesione viene liberato il contenuto dei granuli che
contribuisce alla formazione di un vacuolo parassitoforo.

MECCANISMO DELL’AZIONE PATOGENA

Alcuni protozoi vivono alla superficie degli epiteli mucosi (amebe, flagellati intestinali), pur potendo
talora invadere i tessuti profondi

Leishmanie e tripanosomi resistono al killing intracellulare dei macrofagi

Altri sono parassiti endocellulari di peculiari cellule bersaglio (emazie, cellule muscolari striate)

MECCANISMO DELL’AZIONE PATOGENA

I meccanismi alla base del danno indotto dall’infezione protozoaria possono essere classificati in:

• Infezione inapparente
• Azione meccanica
• Azione tossica e necrosi litica
• Induzione della reazione tissutale nell’ospite
• Risposta immune dell’ospite stesso

Più meccanismi possono concorrere al raggiungimento del danno. A differenza delle infezioni
batteriche o virali, spesso le infezioni parassitarie sono croniche e durano mesi o anni

MECCANISMI DI EVASIONE DELLA RISPOSTA IMMUNITARIA


• Variazione antigenica: tripomastigoti di Trypanosoma brucei (glicoproteina di membrana
VSG= variable surface glycoprotein), diverso stadio di ciclo vitale di Plasmodium
• Modulazione antigenica: effettuata da Leishmania che è in grado di eliminare i propri
antigeni superficiali
• Mimetismo molecolare, oppure di mascheramento, ossia adsorbimento di proteine
dell’ospite
• persistenza intramacrofagica, sviluppo di meccanismi per evitare l’uccisione intracellulare
(prevenzione della fusione fagolisosomiale, resistenza agli enzimi lisosomiali)

Nel corso dell’infezione parassitaria si osserva spesso una immunodepressione da parte dell’ospite,
che può essere parassita-specifica oppure generalizzata.

DIAGNOSI PARASSITOLOGICA

Stessi principi della diagnosi di infezioni da altri agenti quali batteri, virus e miceti ma

Agenti di natura biologica molto diversa tra di loro

• dimensioni
• Struttura
• morfologia
• esigenze nutrizionali
• localizzazione nell’ospite

E’ necessario porre adeguata attenzione ai dati anamnestici del paziente

• Eventuale viaggio in zona a rischio


• luogo del soggiorno
• Periodo e durata del soggiorno
• Chemioprofilassi (quali farmaci assunti e i tempi di somministrazione)
• Abitudini alimentari
• Estrazione sociale
• Aver effettuato trasfusioni di sangue

Parassiti diversi possono essere responsabili della stessa sindrome

Uno stesso parassita può provocare sindromi cliniche molto diverse a seconda di:

- Stadio di sviluppo
- Carica parassitaria
- Virulenza
- Stato di salute e della reazione immunitaria dell’ospite

APPROPRIATEZZA DEL CAMPIONE

Fondamentale è l’adeguata raccolta del campione.

In particolare, il campione dovrebbe:

- Raccolto nel momento giusto


- Prelevato da un distretto corporeo rappresentativo della patologia infettiva
- Prelevato in quantità sufficiente da poter effettuare i test diagnostici necessari
- Raccolto in maniera da evitare contaminazioni
DIAGNOSI PARASSITOLOGICA

Diagnosi diretta: costatazione della presenza del parassita, diagnosi di certezza. CAMPIONE
BIOLOGICO: sangue, feci, urine, cute, biopsie di tessuti, capelli, peli…

Diagnosi indiretta: mette in evidenza la reazione dell’ospite all’invasione parassitaria, generalmente


basata su una reazione antigene-anticorpo

DIAGNOSI DIRETTA PROCEDURE DIAGNOSTICHE:

- Esame diretto macroscopico


- Esame diretto microscopico (a fresco e/o dopo colorazione)
- Esame microscopico previa concentrazione
- Esame colturale volto all’amplificazione della carica parassitaria (vitalità del parassita)
- Ricerca di antigeni mediante saggi immunocromatografici o basati sull’immunofluorescenza
diretta
- Ricerca di acidi nucleici (PCR), prescinde dalla vitalità del parassita

DIAGNOSI MEDIANTE METODI INDIRETTI SAGGI SIEROLOGICI:

- Permettono una diagnosi di avvenuta esposizione


- Pur essendo specifiche non possono sostituire i metodi diretti a causa di possibili reazioni
crociate o perché gli anticorpi persistono nel soggetto anche dopo la guarigione

La ricerca di IgM può essere utile solo nella diagnosi dell’infezione iniziale da Toxoplasma gondii, ma
non nelle altre infezioni parassitarie

DIAGNOSI MEDIANTE METODI INDIRETTI

TIPOLOGIE DI INDAGINI più utilizzate:

- Emoagglutinazione passiva o indiretta


- Saggi immunoenzimatici
- Immunofluorescenza indiretta

LOTTA CONTRO I PARASSITI

- Contro i vettori (insetticidi, bonifiche, edilizia, ambiente);


- Lotta contro i serbatoi (animali domestici, roditori);
- Educazione sanitaria (istruzione, strutture, comunicazione);
- Prevenzione (vaccinazione, profilassi farmacologica)

PROTOZOI INTESTINALI

Le parassitosi intestinali possono essere causate da protozoi e da elminti. Diversi protozoi patogeni
completano il loro ciclo vitale nell’apparato digerente umano causando malattie che si limitano a
interessare l’intestino causando una sintomatologia locale di tipo diarroico.

Dissenteria amebica -> Entamoeba histolytica

Giardiasi -> Giardia lamblia

Criptosporidiosi -> Cryptosporidium parvum

Balantidosi -> Balantidium coli


Generalmente l’infezione è dovuta all’ingestione di cisti e oocisti Cibo e acqua contaminati sono i
veicoli più comuni, ma può avvenire anche una trasmissione interumana diretta.

GIARDIOSI

Al genere Giardia appartengono 3 specie:

- Giardia muris -> anfibi


- Giardia agilis -> roditori
- Giardia intestinalis o lamblia o duodenalis: l’unica patogena per l’uomo (ma anche per circa
40 specie tra cui equini, bovini, canini e felini).
- Protozoo flagellato ubiquitario È la più frequente causa di infestazioni protozoarie in età
pediatrica

GIARDIA INTESTINALIS

Il ciclo biologico di Giardia interstinalis presenta due fasi di sviluppo, una vegetativa (trofozoite) e
l’altra di resistenza (cisti), distinguibili sotto il profilo morfologico, entrambe presenti nelle feci dei
pazienti infetti. Il trofozoite è dotato di simmetria bilaterale. Il trofozoite ha otto flagelli e due nuclei
e un grande disco ventrale a ventosa, mediante il quale aderisce ai villi intestinali. Misura 10-20 μm
di lunghezza e 2-4 μm di larghezza. E’ privo di mitocondri, anaerobio ossigeno tollerante. Le cisti di
forma ellissoidale, sono più piccole dei trofozoiti (10 μm), dotate di 4 nuclei e 4 corpi parabasali,
pronta quindi a dividersi in due trofozoiti appena giunte nell’intestino del nuovo ospite.

ciclo vitale-> La Giardia intestinalis ha un ciclo monoxeno. Le cisti giunte nell’intestino schiudono e
immediatamente si dividono in due trofozoiti che aderiscono alla mucosa del duodeno, continuando
a nutrirsi, a moltiplicarsi per scissione binaria e dando origine ad un processo infiammatorio.
Successivamente si differenziano in cisti (incistazione) circondate da una robusta parete e vengono
espulse con le feci. Anche i trofozoiti vengono espulsi con le feci ma non sopravvivono Copyright
Università degli Studi di Milano nell’ambiente esterno

Trofozoiti emessi con le feci ma non sopravvivono all’ambiente esterno-> vengono contaminati
acqua cibo mani con cisti infettanti-> i trofozoiti si duplicano-> trofozoiti diventano cisti

GIARDIASI: EPIDEMIOLOGIA

Sebbene si ritiene esistano numerosi serbatoi animali sia selvatici che domestici, è considerata
un’antropoparassitosi. Il contagio interumano è dovuto alla precarietà delle condizioni igieniche. Nel
50% dei soggetti infettati si riscontra una situazione di portatore sano. E’ ubiquitaria, ma più diffusa
nelle aree calde del mondo. In Italia è presente in almeno il 3% delle persone con enteriti. I più
colpiti sono i bambini di età compresa da 1 e 4 anni, e i giovani tra i 20 e i 40 anni. Nei paesi in via di
sviluppo la diarrea si presenta nel 20% dei pazienti, mentre in quelli industrializzati nel 3-7%. Questa
diversità è dovuta soprattutto alle condizioni igieniche dell’acqua.

TRASMISSIONE

Giardia intestinalis non richiede vettori. La trasmissione di Giardia all’uomo può avvenire per
contatto diretto con esseri umani e animali infetti, nonché attraverso il consumo di acqua e/o cibo
contaminato da cisti. Mosche e mani possono costituire un fattore di diffusione. Anche il contatto
con acque di laghi, fiumi o piscine contaminate con feci infette può essere fonte di infezione Sulla
base di infezioni sperimentali di gerbillo (Meriones ungulatus), la dose minima infettiva è inferiore a
10 cisti. Le cisti possono sopravvivere a lungo (3 mesi in acqua a 10°C e diverse settimane a
temperatura ambiente).
INCUBAZIONE-> 1-4 settimane, sintomi più eclatanti nel bambino

SINTOMI: Quadro polimorfo: da semplice colonizzazione asintomatica a quadri di diarrea acuta e


cronica. Dipende dallo stato immunitario, dall’età del paziente e dalla virulenza del parassita Nel
bambino si può avere rallentamento crescita ponderale, nausea, dolori addominali ricorrenti,
anoressia, Irritabilità, feci maleodoranti a “grattatura di mela”. Assente la febbre.

La remissione spontanea dopo 10-14 giorni. Alcuni pazienti possono sviluppare una sindrome da
malassorbimento cronico, che se persistente può portare a disordini nutrizionali.

I protozoi danneggiano le cellule a cui aderiscono, senza penetrarvi, interferiscono con la


funzionalità degli enterociti (malassorbimento di zuccheri e soprattutto di grassi, ma anche di sodio e
acqua) Sostanze prodotte dal parassita recano danni alla parete epiteliale e richiamo di linfociti T che
a loro volta inducono la ritrazione dell’orletto a spazzola L’ospite infetto cronicamente mostra segni
di atrofia dei villi e dei cripti, apoptosi enterocitaria con grave interruzione della funzione di barriera
epiteliale. Infezione da G . lamblia è stata anche collegata allo sviluppo della sindrome dell’intestino
irritabile e dell’affaticamento cronico.

GIARDIA INTESTINALIS: VARIAZIONE ANTIGENICA

Giardia subisce una variazione antigenica superficiale per cui solo una delle circa 150 proteine
superficiali specifiche della variante (VSP) è espressa e localizzata sulla superficie del parassita. Non è
chiaro come si verifichino le variazioni antigeniche e i meccanismi coinvolti in Giardia. In Giardia, il
principale meccanismo di controllo della variazione antigenica sembra essere a livello post
trascrizionale per interferenza dell’RNA.

GIARDIASI: DIAGNOSI

Ricerca di trofozoiti e cisti (morfologia e dimensioni) direttamente nelle feci (esame diretto o
immunofluorescenza). L’emissione delle cisti può risultare intermittente, quindi l’esame coprologico
dovrebbe essere ripetuto su tre campioni fecali raccolti in giorni successivi.

La presenza degli antigeni nelle feci è costante, esistono kit diagnostici basati sulla ricerca di
coproantigeni specifici di Giardia attraverso ELISA e immunofluorescenza. Tali test hanno una
sensibilità di rivelazione tra il 90 e il 99% e richiedono un solo campione.

Protocolli per la diagnosi molecolare di Giardia in campioni fecali tramite PCR (usata anche per
campioni ambientali come le acque)

La ricerca di forme vegetative può essere effettuata su campioni diversi quali l’enterotest, l’aspirato
duodenale e la biopsia della mucosa intestinale La coltivazione del parassita viene effettuata solo a
scopo di ricerca L’utilità e l’affidabilità della ricerca sierologica degli anticorpi specifici rimane
controversa, sia per la scarsa stimolazione antigenica indotta dal parassita che per la scarsa
sensibilità dimostrata dalle tecniche disponibili

GIARDIASI: TERAPIA E PROFILASSI

La terapia con farmaci viene consigliata alla comparsa dei sintomi e consiste nella somministrazione
di Metronidazolo come farmaco d’elezione, ma anche Tinidazolo, Paromomicina (nelle donne
incinte). La resistenza ad alcuni farmaci è documentata sia in vitro che in vivo.

La prevenzione consiste nel lavarsi bene le mani dopo essere stati in bagno e prima di maneggiare gli
alimenti, lavare bene questi ultimi e bollire l’acqua nelle zone a maggior rischio.
CRYPTOSPORIDIOSI

Agente eziologico: Cryptosporidium spp

Infettano tutti i vertebrati ad eccezione degli anfibi

Specie di interesse: C. hominis e C. parvum

Stadio infettante: oociste (4-5 μm di diametro) contiene quattro sporoziti, è già infettante appena
emessa con le feci. Molto resistenti nell’ambiente esterno ma solo a temperature superiori allo zero.

Gli altri stadi sono endocellulari ma localizzati in posizione extracitoplasmatica

Cryptosporidium ha sia un ciclo sessuato che asessuato nell’ospite

Dopo che le oocisti di Cryptosporidium sono state ingerite, vengono liberate nel tratto
gastrointestinale e rilasciano sporozoiti, che parassitano le cellule epiteliali gastro-intestinali. In
queste cellule, gli sporozoiti si trasformano in trofozoiti, si replicano prima in maniera asessuata e
poi sessuata dando luogo alla produzione di oocisti.

Vengono prodotti due tipi di oocisti: Oocisti a pareti spesse, che sono comunemente escrete
dall'ospite Oocisti a parete sottile, che sono principalmente coinvolte nell'autoinfezione.

Gli sporozoiti di Criptosporidium entrano nell’enterocita ma si localizzano in posizione intracellulare


ma extracitoplasmatica

Criptosporidium sporge nel lume intestinale

Ha distribuzione cosmopolita. E’ uno dei principali agenti di diarrea negli individui HIV positivi

TRASMISSIONE: diretta (uomo-uomo, animale-uomo) e indiretta per ingestione di acqua o alimenti


contaminati.

Le oocisti immesse nell’ambiente attraverso feci umane o animali possono contaminare vegetali,
oggetti, acque di piscine, laghi, fiumi o acquedotti (1 ml di feci può contenere 20-30 milioni di
oocisti).

Da infezioni sperimentali si è visto che sono sufficienti 30 oocisti ad indurre la malattia.

Il periodo di incubazione è di circa una settimana.

C’è una stretta connessione tra quadro clinico e carica parassitaria, ma soprattutto il quadro clinico
dipende dallo stato immunitario dell’individuo infett.

• Nell’adulto immunocompetente l’infezione può essere asintomatica, o dare una lieve


enterite autolimitante.
• Nel bambino sotto i 2 anni, 7-10 giorni di diarrea.
• Nel soggetto HIV positivo il quadro clinico varia a seconda del numero di CD4+ da
asinomatico, a episodi che perdurano per settimane fino a morte in assenza di una terapia
antiretrovirale

DIAGNOSI CRIPTOSPORIDOSI

La diagnosi di enterite da Cryptosporidium si esegue mediante identificazione del parassita nel


materiale fecale e nelle biopsie dell’intestino. Nell’esame a fresco le oocisti sono spesso difficili da
identificare (indagine su 3 campioni).
I campioni fecali possono essere concentrati (flottazione) prima dell’indagine per aumentare la
sensibilità dei metodi, si esegue poi uno striscio.

Colorazione del materiale con:

• Colorazione per batteri alcool-acido resistenti -> scarsamente sensibile


• Con immunofluorescenza diretta eseguita con anticorpi monoclonali -> maggiore sensibilità
e specificità

Le biopsie intestinali possono essere colorate con Giemsa.

Sono anche disponibili kit per la diagnosi con anticorpi monoclonali in immunofluorescenza o per la
ricerca degli antigeni con ELISA.

E’ possibile effettuare la ricerca del materiale genetico con PCR.

Le procedure sierologiche vengono utilizzate per studi epidemiologici ma non sono disponibili per la
diagnosi di routine e il monitoraggio delle infezioni

CRIPTOSPORIDIOSI TERAPIA E PREVENZIONE

Nei soggetti immunocompetenti nitazoxanide.

Negli immunodepressi non vi è terapia di scelta. Si effettua una terapia sintomatica. Gli inibitori delle
proteasi di HIV mostrano un’attività diretta sul parassita.

PREVENZIONE: I soggetti immunodepressi devono evitare il consumo di acqua non bollita, di vegetali
crudi, il contatto con animali da compagnia e l’immersione in laghi, fiumi e piscine

BALANTIDOSI

Agente eziologico: Balantidium coli

E’ l’unico ciliato parassita dell’uomo, è uno dei protozoi di dimensioni maggiori. Contiene due nuclei
(macronucleo e micronucleo). Provoca una malattia simile all’amebosi denominata balantidosi, una
zoonosi cosmopolita: i suini e meno comunemente le scimmie sono i serbatoi più importanti.
Sintetizza sostanze proteolitiche e citotossiche che mediano l’invasione tissutale e l’ulcerazione
intestinale.

BALANTIDIUM COLI

l trofozoita è la forma vegetativa, è ovoidale, rivestito di ciglia. Dimensioni elevate (lunghezza 50-
1500µm, larghezza 40-70µm).

Presenta una depressione all’apice anteriore affusolata del corpo protozoario (vestibulum), la quale
si continua nel citostoma (apertura orale primitiva), all’estremità opposta più arrotondata c’è il
citopige (dove vengono eliminate le scorie). Possiede due vacuoli contrattili.

Ciclo biologico semplice:

• ingestione di cisti infettanti


• escistamento nell’intestino tenue
• invasione da parte dei trofozoiti del rivestimento mucoso del colon e dell’ileo. La
riproduzione avviene per divisione binaria trasversale.
Nell’intestino dell’uomo si verifica l’incistamento solo parzialmente e anche il trofozoita eliminato
con le feci.

PATOGENESI E FPORME CLINICHE

Via di trasmissione oro-fecale. I focolai sono dovuti a contaminazioni degli approvvigionamenti idrici
con feci suine. Le epidemie derivano da trasmissione interumana e manipolazione non igienica degli
alimenti.

L’infezione da Balantidium coli nell’uomo può essere asintomatica; La sintomatologia consiste in


dolori addominali, nausea, anoressia e diarrea muco-sanguinolenta, può esserci ulcerazione della
mucosa intestinale interna. Raramente sono stati descritti casi di localizzazione extraintestinale per
perforazione della parete intestinale e disseminazione a distanza attraverso via linfoematogena.

DIAGNOSI

Si esegue l’esame copromicroscopico delle feci. La diagnosi è agevolata dalla morfologia molto
specifica del protozoo e dalle dimensioni (il macronucleo è la struttura più facilmente identificabile)

I trofozoiti mobili sono presenti nelle feci diarroiche o dissenteriche. La cisti è più piccola, circondata
da una parete trasparente refrattile, è osservabile meno frequentemente. Nei preparati a fresco si
possono osservare i due vacuoli contrattili pulsanti nei trofozoiti e il movimento rotatorio e
traslatorio. E’ è opportuno osservare anche campioni fissati. Osservare più campioni prelevati a
giorni alterni.

La ricerca può anche essere effettuata su materiale tissutale prelevato da colonscopia

PROFILASSI E TERAPIA

Profilassi: appropriata igiene personale, mantenimento di condizioni igienico sanitarie adeguate,


monitoraggi delle feci suini.

Farmaco di prima scelta è la tetraciclina, alternativamente viene utilizzato metronidazolo.

AMEBE

Le amebe sono protozoi parassiti dell’uomo primitivi, comprendono le amebe a vita libera e quelle
parassita-ospite associate.

Le prime sono aerobie, le seconde anaerobie.

Appartengono al subphylum Sarcodina, ai due ordini:

• Amoebida -> Entamoeba (patogeni intestinali)


• Schizopyrenida -> Acanthamoeba e Naegleria (patogeni del sistema meningoencefalico,
amebe a vita libera)

Quasi tutte le amebe parassite dell’uomo sono poco patogene. Solo Entamoeba histolytica e
Naegleria fowleri hanno dimostrata attività patogena per l’uomo. Esistono altre specie di Entamoeba
che possono colonizzare l’intestino umano.

Ciclo biologico semplice:

Trofozoite: stadio trofico attivamente mobile

Cisti: stadio di resistenza quiescente ma infettante, sono polinucleate con numero variabile.
La replicazione si compie per fissione binaria del trofozoite. La locomozione avviene tramite
l’estroflessione di pseudopodi, con estrusione dell’ectoplasma cellulare e successivo trascinamento
del resto della cellula. La forma cistica si sviluppa quando diminuiscono temperatura e umidità.

ENTAMOEBA HISTOLYTICA

Appartiene al subphylum Sarcodina, ordine Amoebida, genere Entamoeba Protozoo monoxeno con
tre fasi caratterizzanti il ciclo biologico

• Trofozoiti metacistici, forma “minuta”: fase vegetativa, mobili (pseudopodi), diametro <15
µm, lenta divisione, assenza di mitocondri (anaerobiche ) lume intestino crasso come
commensale, generalmente asintomatica
• Trofozoiti, forma “magna”: diametro 20-60 µm, mobili (pseudopodi); patogeni, istolitici
(attività citotossica da enzimi litici); fagocitano cellule, emazie, leucociti, capace di perforare
l’intestino (ulcere «a fiasco») e raggiungere il circolo ematico

Cisti: fase di resistenza -> espulsione e diffusione infezione; Ø 7-12 µm, 4 nuclei, dotata di parete,
corpi cromatoidi e vacuoli contenenti glicogeno. Grazie alla complessità dei loro involucri, le cisti
possono resistere per 2-3 settimane nell’ambiente circostante.

Ciclo vitale:

Le cisti si schiudono nell’intestino tenue liberando un’ameba tetranucleata che si divide


velocemente in 4 amebe figlie uninucleate che migrano verso il grande intestino. Nella maggior
parte dei casi, i trofozoiti rimangono nel lume intestinale (infezione non invasiva in soggetti
asintomatici) In alcuni individui i trofozoiti differenziano in forme istolitiche in grado di invadere la
mucosa intestinale (malattia intestinale) e, per via ematica, raggiungono altri organi (malattia
extraintestinale). I trofozoiti si moltiplicano per fissione binaria ed in presenza di condizioni sub-
ottimali (intestino retto) producono cisti che vengono eliminate con le feci.

AMEBIASI : EPIDEMIOLOGIA

Diffusione ubiquitaria, con incidenza maggiore in aree tropicali e subtropicali per le condizioni
igienico sanitarie carenti e le acque contaminate.

OMS stima che il 10% popolazione mondiale alberghi E.histolytica (max aree tropicali).

Nei Paesi industrializzati, i gruppi a rischio includono maschi omosessuali (trasmissione per contatto
sessuale), viaggiatori, popolazioni istituzionalizzate (anziani, portatori di handicap, soggetti con
infezioni croniche). Le cisti sono vitali per alcune ore sulla pelle e sotto le unghie, qualche giorno
sulle verdure crude, circa 2 settimane nell’acqua, 12 giorni nel suolo, 48h nell’intestino di mosche
coprofaghe.

E. HISTOLYTICA: PATOGENO FACOLTATIVO

E. histolytica vive frequentemente come commensale nell’intestino senza dare manifestazioni


cliniche.

Amebiasi intestinale: i trofozoiti possono invadere l’epitelio del colon e produrre ulcere a fiasco e
dissenteria (mucosa ed emorragica).

Le amebe possono “metastatizzare” (via ematica o contiguità) in altri organi e causare l’amebiasi
extra-intestinale (epatica, polmonare, cerebrale). Solo il 10% dei soggetti infetti sviluppa la forma
invasiva sintomatica. La dissenteria è la manifestazione comune a tutte le forme, si manifesta dopo
10-20 giorni dall’infezione Può evolvere in modo fatale nei soggetti immunodepressi.

Stato di portatore asintomatico (senza invasione della mucosa intestinale)

Amebiasi Intestinale

• Forma Acuta
• Forma Cronica Amebiasi

Extra-Intestinale

• Ascesso Epatico
• Ascesso Cerebrale, Polmonare, Splenico
• Amebiasi Cutanea, Uro-genitale

Amebiasi Intestinale

-> Forma acuta

Dissenteria muco sanguinolenta - Dolori addominali acuti- senza febbre

− Incubazione: 1-2 settimane; fattori scatenanti ->stress, alterazione flora intestinale


− 5-15 scariche/die, feci cremose o liquide, muco-pus, sangue
− Condizioni generali discrete; dolorabilità palpazione fosse iliache
− Rettoscopia: ulcere di varie dimensioni su mucosa congesta ed edematosa
− Evoluzione naturale in 2-3 settimane; recidive -> cronicizzazione

->forma cronica

− Diarrea moderata, colon irritabile, colite, appendicite cronica, …


− con sintomatologia generale: astenia, dimagrimento, febbricola, irritabilità
− Può protrarsi anche per anni

Amebiasi Extra-Intestinale

-> Ascesso epatico

− In >50% dei casi senza prodromi o anamnesi positiva per forma intestinale
− Deriva però sempre da una colonizzazione intestinale con raggiungimento del fegato e
raramente del polmone (passaggio transdiaframmatico) e l’encefalo per disseminazione
metastatica successiva
− Febbre irregolare, epatomegalia
− “pus” denso, color cioccolato, contenente cellule epatiche necrotiche cellule infiammatorie
e trofozoiti

DIAGNOSI

Nei campioni fecali sono rilevabili sia le cisti che i trofozoiti. I trofozoiti sono reperibili anche nelle
cripte dell’intestino crasso. Nelle feci fresche e molli si possono rilevare i trofozoiti in movimento, in
quelle formate si riconoscono solo le cisti. È importante saper distinguere tra Entamoeba hystolitica
e le altre amebe morfologicamente identiche (presenza di residui di eritrociti in E. hystolitica). I
metodi molecolari permettono di distinguere tra le varie specie. In realtà la maggior parte delle
infezioni diagnosticate mediante esame delle feci è dovuta a E. dispar, specie non patogena
morfologicamente identica e E. hystolitica, ma discriminabile con metodi biochimici o molecolari

Forma intestinale:

Esame diretto su materiale fecale (analisi di tre campioni diversi)

- A fresco -Previa colorazione


- dopo concentrazione

I trofozoiti possono anche essere ricercati in aspirati o campioni bioptici.

È utile allestire l’esame colturale perché dotato di discreta sensibilità, anche se la coltura è
difficoltosa

- Ricerca antigeni feci: ELISA


- PCR

Altre forme :

Spesso l’esame microscopico delle feci è negativo

- Test sierologici: + >80% forme epatiche


- ELISA per antigeni su materiale ascessuale: + 100% forme epatiche PCR

TERAPIA

L’amebiasi acuta intestinale e extraintestinale viene curata con il metronidazolo o tinidazolo seguito
da iodochinolo (farmaco luminale). Nelle forme extraintestinali a volte è necessario il ricorso
all’intervento chirurgico. Lo stato di portatore sano può essere eradicato per limitare la diffusione
delle cisti, con iodochinolo o paramomicina solfato.

PROFILASSI

Risanamento condizioni igienico-sanitarie zone di endemia.

• Disinfezione delle verdure


• Igiene delle acque
• consumo verdure cotte e latte bollito

Cisti E. histolytica distrutte temperatura >50°C e <-20°C; resistono alla normale disinfezione delle
acque con cloro a basse dosi (rese non vitali da superclorazione)

NAEGLERIA FOWLERI

Appartiene al subphylum Sarcodina, ordine Schizopyrenida, genere Naegleria.

Specie del genere Naegleria si trovano in tutto il mondo nelle acque termali, nelle piscine e nelle
acque tiepide di laghi e stagni.

Protozoo a vita libera con tre fasi caratterizzanti il ciclo biologico

• Trofozoita amebico, 10-30 μm


• Cisti, rivestita da due strati (esocisti e endocisti), 7-15 μm, mononucleata fase di resistenza
espulsione e diffusione infezione. Non si trova nei tessuti infettati Passano l’una nell’altra in
funzione delle condizioni ambientali
• Trofozoita flagellato (2-4 flagelli al polo anteriore e un voluminoso vacuolo pulsatile) , 15-17
μm, deriva dalla forma amebica in condizioni di ipotonia del mezzo circostante (acque dolci),
può ritornarvi in ambiente isotonico

Il ciclo vitale prevede il passaggio diretto del trofozoite amebico o della forma flagellata (che ha
maggiore efficacia di trasmissione) al SNC per via transnasale diretta.

PATOGENESI

Grave forma di encefalite acuta denominata: «meningoencefalite acuta primaria» (PAM) fulminante
e rapidamente fatale (4-5 giorni)

Esordisce bruscamente con cefalea frontale, febbre, nausea, vomito, rigidità nucale e segni di
irritazione meningea. L’incubazione è breve, da poche ore fino ad una settimana.

Il quadro istopatologico evidenzia un quadro infiammatorio acuto necrotizzante con presenza di


trofozoiti

DIAGNOSI

Devono essere raccolte secrezioni nasali, liquido cefalorachidiano. Il liquor appare purulento e può
contenere eritrociti e amebe mobili.

I campioni devono essere esaminati a fresco usando una soluzione salina e su striscio con coloranti a
base di iodio, Giemsa, Gram o fluorescente con White calcofluor. Diagnosi di certezza deriva sul
riscontro del trofozoite del protozoo nel liquor (strisci e concentrati), nella coltura da esso allestita e
nella biopsia cerebrale.

I campioni possono essere coltivati su terreni agarizzati previamente coltivati con batteri enterici
gram-, sono rilevabili entro 1-2 giorni.

Anche la PCR è impiegata con successo. Le indagini sierologiche non hanno significato diagnostico
pratico a causa della gravità e acuità della forma clinica.

PROFILASSI E TERAPIA

Per la profilassi è importante evitare la balneazione in raccolte di acque stagnanti calde e in piscine
non adeguatamente depurate. Amfotericina B per via endovenosa e intratecale, non sempre
efficace.

PROTOZOI A LOCALIZZAZIONE EMATICA E TISSUTALE

EMOFLAGELLATI->

sono provvisti di un unico flagello. Nela stessa specie possono presentarsi diversi aspetti morfologici
corrispondenti a diversi stadi di sviluppo:

• Amastigote (2µm)
• Promastigote (14-18µm)
• Epimastigote
• Trypomastigote (15-30µm)

Tali forme differiscono tra loro sulla base della posizione e dei rapporti spaziali esistenti tra nucleo e
punto di emissione del flagello. Trasmessi da vettori

TRIPANOSOMA
Al genere Tripanosoma appartengono parassiti emoflagellati che causano due malattie nettamente
differenti:

• Tripanosomiasi africana o malattia del sonno dovuta a Trypanosoma brucei e gambiense e


Trypanosoma brucei rhodesiense trasmessa dalla mosca tze-tze (ditteri ematofagi del
genere Glossina)
• Tripanosomiasi americana o malattia di Chagas provocata da Trypanosoma cruzi e trasmesso
dalle cimici triatomine.

Si dividono per fissione binaria che prevede la duplicazione sequenziale del corpo basale del
flagello,del cinetoplasto,del nucleo e del corpo cellulare.

TRIPANOSOMA BRUCEI

Esistono due sottospecie:

- T. brucei gambiens
- T. brucei rhodesiense.

T. brucei gambiense si ritrova nell’Africa occidentale e centrale, non presenta serbatoi animali e
necessita di vettori igrofili

T. brucei rhodesiense si riscontra in Africa orientale e centrale, presenta come serbatoio animale
l’antilope ma anche animali da allevamento, necessita di vettori xerofilIi.

La malattia che provocano è simile e anche il ciclo vitale Sono in grado di modificare le proprie
proteine superficiali, presentando antigeni sempre diversi, grazie alla ricombinazione dei geni
codificanti per le proteine variabili di superficie (VSG).

Hanno due diverse “forme” durante il ciclo vitale:

epimastigote e trypomastigote, distinte in base al punto d’inserzione del flagello

- Tripomastigote è lo stadio infettivo, presente nelle ghiandole salivari delle mosche tze-tze
vettrici, presenta un flagello con punto di inserzione nella parte anteriore e una membrana
ondulante che decorre lungo tutta la lunghezza del corpo cellulare.
- Epimastigote presente nelle ghiandole salivari della mosca tze-tze. Presentano un flagello
libero con origine nella parte posteriore e membrana ondulante parziale

STADI DI SVILUPPO NELL’INSETTO VETTORE E NELL’UOMO

1. La mosca tze-tze inocula i tripomastigoti metaciclici durante il pasto di sangue


2. I tripomastigoti metaciclici iniettati si trasformano in tripomastigoti circolanti che vengono
trasportati verso altri siti corporei
3. I tripomastigoti si moltiplicano per scissione binaria in vari fluidi corporei (sangue,linfa e
liquido cefalo-rachidiano)
4. I tripomastigoti circolanti nel sangue
5. La mosca tze-tze assume un pasto di sangue e ingerisce i tripomastigoti circolanti
6. I tripomastigoti circolanti si trasformano in prociclici nello stomaco della osca tze-tze e qui si
moltiplicano per scissione binaria
7. I prociclici lasciano lo stomaco e sitrasformano in epimastigoti
8. Gli epimastigoti si moltiplicano nelle ginadole salivari della mopsca dove si trasformano in
tripomastigoti metaciclici
Stadio emolinfatico: primo stadio della malattia. I tripanosomi invadono prima le linfoghiandole, poi
il sangue. I sintomi sono febbre intermittente, cefalea, malessere, anoressia, epato e spenomegalia. I
parassiti appaiono ciclicamente nel sangue ogni 1-2 settimane e ogni 1-2 mesi nella forma cronica.
Eruzioni papulo eritemetose appaiono e scompaiono su tronco e arti in poche ore.

Stadio meningoencefalico: compare dopo un periodo variabile, coincide con l’invasione del SNC.
Esiste ampia variabilità nella gravità della malattia. Cefalea, labilità emotiva, apatia, disordine nel
sonno, irritabilità e comportamento asociale. Questa fase compare dopo poche settimane nel
tripanosoma rodesiense, dopo mesi o anni nel gambiense

TRYPANOSOMA BRUCEI GAMBIENSE: MANIFESTAZIONI CLINICHE

Periodo d’incubazione della malattia del sonno è variabile da qualche giorno a settimane. Il T. brucei
gambiense provoca una malattia cronica che persiste per anni e spesso porta a morte dopo
coinvolgimento del SNC. Nel sito di puntura compare un’ulcera, i parassiti invadono poi i linfonodi e
compaiono febbre, mialgia, artralgia e ingrossamento linfonodale

Segno di Winterbottom = tumefazione dei linfonodi cervicali posteriori tipica della malattia del
Gambia. In questa fase acuta i pazienti sono spesso iperattivi. La malattia cronica prosegue con il
coinvolgimento del SNC con letargia, tremori, meningoencefalite e deterioramento generale. Negli
stadi finali si hanno convulsioni, emiplegia, incontinenza, stato comatoso fino a morte.

TRYPANOSOMA BRUCEI RHODESIENSE: MANIFESTAZIONI CLINICHE

Periodo d’incubazione di T. b. rhodesiense è più breve. La malattia acuta con febbre brividi e mialgia
progredisce più rapidamente ad un esito fatale. Soggetti non trattati muoiono in 9-12 mesi.

La linfoadenopatia è poco frequente e il coinvolgimento del SNC avviene prima con letargia,
anoressia e disturbi mentali. I protozoi causano la morte oltre che per coinvolgimento del SNC anche
per danno renale e miocardite

DIAGNOSI DI TRYPANOSOMA BRUCEI

-> metodi diretti =

- esame microscopico della goccia spessa e di strisci di sngue: a fresco, dopo colorazione con
giemsa e/o dopo concentrazione tramite centrifugazione in capillari per microematocrito e
centrifugazione tripla. La parassitemia è molto variabile, possono essere necessari più
prelievi in giorni diversi. Esame microscopico di campioni di origine diversa: aspirato dal
nodulo cutaneo, aspirato linfonodale e liquido cefalorachidiano concentrato.
- Isolamento colturale in vitro in terreni di agar sangue
- PCR per distinguere le due sottospecie

-> metodi indiretti=

- Esami sierologici con IFA ed ELISA

TERAPIA

Prevenzione: misuro di controllo della mosca tze tze, uso di insetticidi. Il trattamento prevede l’uso
di farmaci diversi a seconda dello stadio di avanzamento della patologia. Vengono utilizzati
Pentamidine e Suramin negli stadi iniziali, non attraversano la barriera emato-encefalica ;Melasorpol
e Nifurtimox sono i farmaci adottati per contrastare gli stadi avanzati
TRIPANOSOMOSI AMERICANA O MALATTIA DI CHAGAS

È una zoonosi, ha un ampio spettro di animali serbatoio

Agente eziologico: Trypanosoma cruzi protozoo flagellato

Presenta tre morfotipi

• Tripomastigote presente nel sangue dell’ospite vertebrato


• Epimastigote si forma nell’ospite vettore
• Amastigote: forma intracellulare priva di flagello e di membrana ondulante, ha forma ovale e
lo si trova nei tessuti dell’ospite vertebrato

I vettori sono le cimici triatomine (generi Rhodnius, Triatoma e Panstrongylus)

La tripanosomiasi americana è diffusa soprattutto nelle zone rurali dell’America latina, dove è
endemica in 21 paesi (8 milioni di persone infette); in quell’area uccide più persone di ogni altra
malattia parassitaria, compresa la malaria. Tuttavia, in seguito ai flussi migratori, negli ultimi anni è
aumentato il numero di casi notificati negli Stati Uniti d’America e in molti paesi europei Più di
10.000 persone muoiono ogni anno a causa delle complicazioni della malattia di Chagas e circa 25
milioni di persone rischiano di ammalarsi

MODALITA’ DI TRASMISSIONE

La trasmissione avviene principalmente attraverso il contatto con le feci e le urine dei vettori (80%).
Ma può avvenire anche per via:

• materno-fetale (verticale)
• alimentare (assunzione di alimenti crudi)
• trasfusionale (15%)

Tripanosomiasi americana-> CICLO VITALE

1) le triatomine durante il pasto di sangue eliminano con le feci tripomastigoti che penetrano
nell’ospite attraverso la ferita o le mucose

2) i tripomastigoti metaciclici invadono varie cellule in corrispondenza della puntura dell’insetto.


Nelle cellule si trasformano in amastigori

3) gli amastigoti si moltiplicano per scissione binaria nelle fibre muscolari, i tripomastigoti possono
infettare anche cellule di altri tessuti dove si trasformano i amastigoti endocellulari.

4)gli amastigoti endocellulari si trasformano in tripomastigoti abbandonando le cellule ed entrano


nel ciclo sanguigno

5) la triatomina assume un pasto ematico ingerendo i tripomastigoti

6) gli epimastigoti sono nello stomaco dell’insetto e si moltiplicano

7)i tripomastigoti metaciclici nell’intestino posteriore che verranno eliminate con le feci.

Patogenesi e forme cliniche->

Periodo di incubazione 15-20 giorni


- Fase ematica o acuta: nel 50% dei casi si presenta una lesione cutanea, spesso asintomatica
o con sintomi aspecifici, quali febbre, epato e splenomegalia, linfoadenomegalia, stanchezza,
dolori muscolari.
- Fase cronica: l’infezione può rimanere silente per decenni o addirittura per tutta la vita.
Tuttavia, alcune persone sviluppano complicanze cardiache (cardiomiopatia), intestinali
(megaesofago e megacolon) o neurologiche che possono essere fatali.

Diagnosi:

METODI DIRETTI

• Esame microscopico della goccia spessa e di strisci di sangue: a fresco, dopo colorazione con
Giemsa e/o dopo arricchimento
• Isolamento del parassita in terreni colturali come l’NNN a base di agar+sangue di coniglio In
aree endemiche si effettua la xenodiagnosi Isolamento in animali da laboratorio (topo)
• PCR

METODI INDIRETTI

• Esami sierologici (saggi ELISA e IFA)


• Nella fase acuta si effettua la ricerca di retta del parassita, nella fase cronica si effettua
l’indagine sierologica

Terapia

Non sono disponibili molti farmaci attivi. Si usano principalmente Benzinidazolo e nifurtimox con
effetti collaterali e tossici importanti

PROFILASSI: Il miglioramento delle condizioni socioeconomiche delle popolazioni in aree endemiche


(intonacatura compatta e liscia delle pareti) Uso di insetticidi spruzzati sulle pareti.

LEISHMANIOSI

Agente eziologico: numerose specie appartenenti al genere Leishmania.

Sono parassiti dixeni: il loro ciclo biologico si svolge in 2 ospiti obbligati, un vertebrato e un
artropode ematofago del genere Phlebotomus nel Vecchio Mondo e al genere Lutzomya nel Nuovo
Mondo.

Il vertebrato è l’ospite intermedio, l’artropode è il vettore.

E’ principalmente una zoonosi, ospite di animali selvatici e domestici (serbatoio) trasmesso tra gli
animali e occasionalmente tra questi e l’uomo.

SERBATOIO Diversi ospiti vertebrati domestici o selvatici (cane, volpe, roditori, raramente anche
lupo e sciacallo…)

Nel cane:

- Periodo di incubazione può essere molto lungo


- Malattia grave (spesso mortale)
- Leishmanie presenti nel sangue e a livello cutaneo
- Frequenti ricadute
- Per diversi mesi è fonte di contagio per l’insetto vettore
INSETTO VETTORE

Comunemente chiamati anche pappataci. Possono compiere solo voli brevi (entro 2Km di raggio). I
flebotomi sono attivi essenzialmente nelle ore crepuscolari e notturne. I pappataci vivono due mesi,
quelli infettati di meno e hanno bisogno di molti pasti ematici (4-6) perché hanno la proboscide
ostruita da una grande moltitudine di Leishmania. Prediligono le zone rurali o periurbane, ricche di
vegetazione L’ altezza massima a cui è stata riscontrata la specie P. Perniciosus è di 1070 m s.l.m.

Ci sono almeno 20 specie differenti di Leishmania possono infettare l’uomo. Non distinguibili
morfologicamente, ma possono essere diversificate tramite l’analisi degli isoenzimi, metodi
molecolari (PCR) o anticorpi monoclonari

Le differenti specie di Leishmania hanno diversa distribuzione geografica e sono causa di differenti
forme cliniche:

• Leishmaniosi cutanea
• Leishmaniosi cutanea diffusa
• Leishmaniosi viscerale
• Leishmaniosi muco-cutanea

La più diffusa in Italia è la Leishmania infantum

EPIDEMIOLOGIA

Il numero totale di individui a rischio raggiunge i 350 milioni, in 88 paesi diversi. Il numero stimato di
casi per la Leishmaniosi cutanea varia da 700.000 a 1.2 milioni. Per la leishmaniosi viscerale da
200.000 a 400.000. La leishmaniosi viscerale è causa di circa 20000-30000 decessi ogni anno

DISTRIBUZIONE DI LEISHMANIOSI VISCERALE E CUTANEA

5 grandi focolai: • LV del Mediterraneo • LV americana • LV cinese • LV africana • LV indiana

I protozoi della Leishmania si riproducono asessualmente per scissione binaria. Gli stadi del ciclo
vitale di Leishmania sono:

- Promastigote flagellato
- Amastigote privo di flagello

PROMASTIGOTE

Stadio flagellato infettante trasmesso dal vettore (presente nel tratto digestivo dell’insetto).
Allungato (12-15 μm escluso il flagello che misura 10 μm) e sottile. Cinetoplasto e flagello libero
sistemati in posizione anteriore rispetto al nucleo. Forma esocellulare.

AMASTIGOTE

Endocellulare obbligato dei macrofagi, presente negli ospiti vertebrati. Piccolo e arrotondato (1-5
μm), senza flagello, ma con la radice del flagello (assonema) visibile all’interno della cellula. Nucleo
centrale o eccentrico vicino alla membrana cellulare e adiacente ad esso un cinetoplasto evidente.

CICLO VITALE

In due stati: flebotomico e nel vertebrato

1) il flebotomo consuma il pasto di sangue iniettando i promastigoti nella cute


2) i promastigoti sono fagocitati dai macrofagi

3) i promastigoti si trasformano in amastigoti all’interno dei macrofagi

4) gli amastigoti si moltiplicano nelle cellule (macrifagi inclusi) di vari tessuti

5) il felbotomo consuma il pasto di sangue ingerendo i macrofagi infetti di amastigoti

6) ingestione delle cellule parassitate

7) amastigoti si trasformano i promastigoti nell’intestino del flebotomo

8) moltiplicazione nell’intestino e migrazione nella proboscide

MANIFESTAZIONI CLINICHE:

Le manifestazioni cliniche dipendono da:

Fattori del parassita:

- Invasività
- Tropismo
- Patogenicità

Fattori dell’ ospite:

- Risposta immune

Alcuni soggetti hanno un’infezione silente senza alcuna sintomatologia o segno clinico

FORME CLINICHE

Le forme cliniche sono:

- Leishmaniosi cutanea del Vecchio Mondo, detta anche «bottone d’Oriente»


- Leishmaniosi viscerale
- Leishmaniosi cutanea del Nuovo Mondo che comprende la forma muco-cutanea e cutanea
diffusa

LEISHMANIOSI CUTANEA DEL VECCHIO MONDO

L’infezione rimane localizzata ai macrofagi del derma

->Incubazione: da 14 giorni a parecchi mesi

->Area: bacino del Mediterraneo e Medio Oriente

->Lesione: una o più lesioni cutanee nella parte scoperta del corpo nei siti di puntura, cambiano di
dimensioni e aspetto nel tempo

->Guarigione: spontanea in 6-12 mesi

->Esito: formazione di una cicatrice

Inizialmente si ha prurito e arrossamento. Il ponfo è sostituito da una piccola maculo-papula che


lentamente si estende nel sottocutaneo con infiltrato di linfociti e plasmacellule-> Granuloma del
derma-> In 3-4 settimane: ulcerazione con cratere centrale necrotico (1-2cm) a margini rilevati e
arrossati ->Crosta grigio-rossastra
• Zone scoperte (le leishmanie rimangono nella zona d’inoculo)
• Evoluzione molto lenta
• Assenza di dolore
• Reazione linfonodale locale in alcuni pazienti

LEISHMANIOSI VISCERALE o KALA AZAR

Le Leishmanie disseminano dai macrofagi sottocutanei a quelli del sistema reticolo-endoteliale di


fegato, milza e midollo osseo.

->Incubazione: 3-8 mesi, (range 10gg-34m)

->Area: Vecchio Mondo (compresa l’Italia), con focolai anche nel Nuovo Mondo soprattutto in
Brasile, America centrale e Messico meridionale (infezione importata da colonizzatori spagnoli)

->Decorso: Subacuto, acuto, cronico

->Lesione: lesione iniziale vescicolo-papulosa spesso misconosciuta.

Se non prontamente diagnosticata e trattata porta alla morte per aplasia midollare entro 6 mesi

SINTOMATOLOGIA

- Febbre intermittente, con picchi biquotidiani, ben tollerata


- Cute secca, sottile, grigiastra
- Facile affaticabilità
- Tosse secca
- Ittero
- Diarrea
- Perdita di peso
- Gonfiore di milza e fegato
- Spesso linfonodi profondi più che i superficiali ingrossati
- La malattia cronica rende più suscettibili ad altre infezioni.

Esame obiettivo • Splenomegalia • Epatomegalia E

Esami di laboratorio • Piastrinopenia • Iper γ-globulinemia • VES • Anemia normocromica da ridotta


produzione midollare • Leucopenia

Nei soggetti immunocompromessi la Leishmaniosi viscerale (LV) è più frequente che nei soggetti
immunocompetenti.

Problema clinico grave nelle zone in cui coesiste con l’infezione da HIV, oltre che nei trapiantati
d’organo e nei bambini (<10 anni)

Aspetti particolari della coinfezione Leishmania –HIV:

• Possibile assenza di splenomegalia


• 40% dei soggetti non ha anticorpi specifici
• Manifestazioni atipiche della patologia con coinvolgimento gastroenterico (ulcere) e
respiratorio (versamento pleurico).
• Probabile effetto sinergico Leishmania-HIV
• Decorso accelerato di entrambe le patologie
• Letalità elevata
LEISHMANIOSI CUTANEA DEL NUOVO MONDO

Comprende:

- Forme cutanee localizzate ulcerative


- Forme cutanee disseminate
- Forme muco-cutanee (L brasiliensis; L panamensis; L. peruviana

LEISHMANIA CUTANEA DISSEMINATA

Forma estesa a tutta la superficie cutanea.

Le papule non si ulcerano e spesso confluiscono, aspetto verrucoso non necrotico-ulcerativ. Le


lesioni tissutali sono di tipo granulomatoso e derivano dalla diffusione linfatica ed ematica del
parassita attraverso le cellule reticoloendoteliali

Agente: L. mexicana complex: : L. mexicana, L. amazonensis, L. venezuelensi;

LEISHMANIA MUCOCUTANEA

Interessa le zone di cute del volto confinanti con zone mucose. Lesioni deturpanti granulomatose-
necrotiche che coinvolgono anche le cartilagini del naso e del padiglione auricolare, orofaringe e
trachea. Non hanno l’evoluzione favorevole del «bottone d’Oriente», a varia distanza di tempo
possono dare esito letale per superinfezioni batteriche

Agente: L brasiliensis, L.panamensis, L.peruviana

DIAGNOSI

La diagnosi richiede indagini di laboratorio in quanto i quadri clinici ad eccezione del «bottone
d’Oriente» non sono patognomonici.

Diagnosi microbiologica diretta:

1. Ricerca diretta del parassita in campioni biologici (midollo osseo, milza, granuloma cutaneo)
mediante osservazione microscopica o metodi molecolari (PCR)
2. Esame colturale

Diagnosi indiretta:

1. ricerca degli anticorpi specifici anti-leishmania mediante tecniche sierologiche (efficace solo
nella Leishmania viscerale).

La ricerca e l’identificazione del parassita nelle cellule a livello dei tessuti sono indispensabili per la
conferma diagnostica

DIAGNOSI:

1. MICROSCOPIA

Agoaspirato da midollo osseo, milza, fegato, linfonodi. Il materiale viene strisciato su vetrino, fissato
in metanolo e colorato con Giemsa o con arancio di acridina. Procedura invasiva e operatore-
dipendente. Economico, sensibilità di uno striscio midollare: 80-95%

2. ESAME COLTURALE
Il materiale viene incubato a 22-25°C in terreni di coltura NNN (Novy-McNeal-Nicolle solido), o
EMTM (Evans modified Tobie medium semi-solido). Richiede tempi lunghi (10-40 gg.). Comporta lo
sviluppo in vitro di promastigoti da amastigoti. Consente la diagnosi ma non l’identificazione di
specie. Dipende dalla vitalità del parassita e quindi dalla qualità e quantità del campione biologico
prelevato. Fornisce il ceppo isolato da sottoporre ad ulteriori studi.

3. PCR

Ricerca del DNA di leishmania su striscio midollare (altissima sensibilità) e/o su sangue periferico
(metodo poco invasivo, alta sensibilità soprattutto nei soggetti immunodepressi). La ricerca del DNA
per la Leishmaniosi cutanea può essere effettuata con un prelievo di cute. È preferibile l’aspirazione
con siringa, di seconda scelta è il prelievo. Tramite l’analisi dei frammenti di restrizione è possibile
effettuare anche la diagnosi di specie.

4. METODI INDIRETTI

TEST RAPIDI AMBULATORIALI

Si basano sul principio sierologico della rilevazione degli anticorpi anti – Leishmania. Non
necessitano di particolari attrezzature né di personale particolarmente addestrato. Buona
affidabilità, associata alla facilità e rapidità di esecuzione, utile nella pratica ambulatoriale, anche se i
risultati ottenuti vanno confermati attraverso metodiche diagnostiche più rigorose

PROFILASSI

Non esiste un vaccino per la Leishmaniosi umana. Non esistono farmaci in grado di prevenire
l’infezione. La profilassi si basa sul controllo dei serbatoi (cani randagi, roditori) nelle aree limitrofe
agli insediamenti urbani. Uso di repellenti per prevenire le punture dei flebotomi sia dei cani che
dell’uomo. Ridurre al minimo la quantità di cute scoperta. Utilizzo di zanzariere e abiti impregnati di
insetticidi

TERAPIA

La leishmaniosi cutanea del Vecchio mondo ha un’evoluzione benigna autorisolutiva e non necessita
di terapia. In rari casi si può intervenire con farmaci antimoniali per infiltrazione locale intralesionale.
La leishmaniosi viscerale richiede trattamento tempestivo:

• Amfotericina B liposomiale (Ambisome®) 3 mg/kg/die i.v. per 6-10 giorni (trattamento


ospedaliero)
• Antimoniali (Glucantim®) 20 mg Sb/kg/die i.m. per 21-28 giorni. Gli antimoniali sono mal
sopportati. Effetti indesiderati: malessere generale, anoressia, nausea, vomito, dolori
addominali, artro-mialgie, alterazioni Ecg, aritmie, morte improvvisa.
• Miltefosina (Impavido®) 2,5 mg/kg/die per 28 giorni per via orale

TOXOPLASMA GONDII

Phylum Apicomplexa Classe Sporozoa

Al genere Toxoplasma appartengono 7 specie di cui solo T. gondii è parassita dell’uomo. E’ un


endoparassita obbligato, può invadere praticamente tutti i tipi di cellula nucleata degli animali a
sangue caldo compresi i volatili e l’uomo. Ha un ciclo dixeno. Gli ospiti definitivi di T. gondii sono il
gatto e altri felini (dove avviene la riproduzione sessuata), e altri animali come, ad esempio, roditori
e l’uomo fungono da ospite intermedio (dove avviene la riproduzione asessuata). T. gondii si
manifesta in diversi stadi di sviluppo: sporozoiti, oocisti, tachizoiti, bradizoiti. Mediante il complesso
apicale possono invadere le cellule dell’ospite.

TACHIZOITI

I tachizoiti (trofozoiti) tipici della fase acuta dell’infezione. Forma a luna (2-4 μm di larghezza, 4-8
μm di lunghezza), sono la forma replicativa endocellulare. Possiedono il complesso apicale. La
produzione di anticorpi specifici induce il differenziamento verso forme quiescenti (bradizoiti),
proprie della fase cronica. Non è esclusa la co-presenza nell’ospite di entrambi i morfotipi.

BRADIZOITI

I bradizoiti, caratteristici della fase latente misurano 7×1,5 μm e sono elementi dalla moltiplicazione
lenta. Si localizzano nei cosiddetti cistozoiti -generalmente localizzate nel muscolo scheletrico, nel
miocardio e nel cervello -sopravvivono anche per l’intera vita dell’ospite Le oocisti misurano 10-12
µm di diametro, sono molto resistenti (agli acidi, agli alcali, ai saponi e agli enzimi proteolitici),
contengono ciascuna 2 sporocisti che contengono a loro volta 4 sporozoiti, ovvero nuovi individui
infettanti

TOXOPLASMA GONDII: CICLO VITALE

1)Le oocisti non ancora mature vengono eliminate con le feci del gatto. Le oocisti hanno bisogno di
1-5 giorni per sporulare e diventare infettive.

2) I gatti e gli ospiti intermedi si infettano ingerendo materiale infetto

3) Le oocisti si trasformano dopo l’ingestione prima in sporozoiti e poi in tachizoiti che penetrano nei
macrofagi

4) i tachizoiti diffondono in tutto il corpo e formano cisti tissutali contenenti bradizoiti nel tessuto
neuronale, muscolare e oculare. Queste cisti possono permanere per tutta la vita nell’ospite e
riattivarsi se l’ospite diventa immunocompromesso

5) I gatti si infettano anche dopo aver consumato ospiti intermedi infetti

6) Anche l’uomo si può infettare ingerendo carne infetta poco cotta

7) raramente l’infezione umana è conseguenza di trapianti o trasfusioni

8)Si può verificare la trasmissione transplacentare. Nel gatto avviene la riproduzione sessuata e
asessuata

MODALITA’ DI TRASMISSIONE

L’infezione viene contratta attraverso ingestione di:

• carne infetta di animali ospiti intermedi (soprattutto di maiale o montone) cruda o non ben
cotta
• oocisti derivanti da feci di gatto o dalla lettiera o dal terreno

Nell’uomo è inoltre possibile la via parenterale, anche se poco frequente:

• via transplacentare (materno-fetale) con effetti molto gravi sul feto


• via trasfusionale
• post-trapianto
• via transcutanea (ago; tagli durante allestimento vetrino per diagnosi)
EPIDEMIOLOGIA

Sieroprevalenza mondiale: 25-30%

Può produrre potenziali gravissime patologie in alcune fasce a rischio tra cui donne in gravidanza e
immunocompromessi

La prevalenza dipendente da condizioni socio-sanitarie, clima, dieta, controllo del randagismo,


qualità acqua potabile

In Italia, la sieroprevalenza(40-80%) aumenta con l’età

Più elevata in aree tropicali (clima caldo-umido), in Paesi ad alto consumo di carne cruda o poco
cotta (Francia) od in quelli a scarso controllo del randagismo (America Centrale)

PATOGENESI E FORME CLINICHE

Periodo di incubazione da 1 a 4 settimane. I quadri patologici sono molto eterogenei:

- Condizione asintomatica
- linfoadenomegalia benigna (malattia simil-mononucleosica)
- malattia potenzialmente letale del sistema nervoso centrale o coinvolgimento di altri organi
nelle persone immunocompromesse.

L'encefalite si può sviluppare nei pazienti con AIDS e bassa conta di CD4. Nell'infezione congenita si
manifestano retino-coroidite, convulsioni e deficit intellettivo.

QUADRI CLINICI

• Toxoplasmosi acuta
• Toxoplasmosi congenita
• Toxoplasmosi oculare
• Toxoplasmosi nei pazienti immunocompromessi

TOXOPLASMOSI CONGENITA

si verifica quando la donna viene infettata durante o subito prima della gravidanza. Spesso nella
madre è asintomatica.

Il danno al nascituro è più grave quanto più precocemente durante la gravidanza si verifica
l’infezione. I potenziali risultati possono essere: aborto spontaneo, bambino nato morto, o bambino
nato con segni di Toxoplasmosi congenita che comprendono: ittero, rash, epatosplenomegalia, e la
caratteristica tetrade di anomalie:

• Retinocoroidite bilaterale
• Calcificazioni cerebrali
• Idrocefalo o microcefalia
• Ritardo psicomotorio

I neonati infettati poco prima della nascita spesso non mostrano sintomi alla nascita, ma possono
svilupparli più tardi nella vita con potenziale perdita della vista, disabilità mentale e convulsioni o
altri sintomi mesi o anni più tardi.

TOXOPLASMOSI OCULARE
Le lesioni oculari da infezione congenita spesso non vengono identificate alla nascita, ma si
verificano nel 20-80% delle persone con infezione congenita entro l'età adulta.

Raramente si verifica nelle persone infettate dopo la nascita. Si ha una lesione infiammatoria acuta
della retina, che si risolve lasciando cicatrici retinocoroidali. I sintomi della malattia oculare
includono:

- Dolore all'occhio
- Fotofobia
- Lacrimazione degli occhi
- Visione offuscata

La malattia dell'occhio può riattivarsi mesi o anni dopo, causando ogni volta più danni alla retina fino
alla cecità se sono coinvolte le strutture centrali della retina

NEI SOGGETTI IMMUNOCOMPROMESSI

L'infezione da toxoplasma in individui immunocompromessi può portare alle sintomatologie più


gravi. L'infezione da toxoplasma può riattivarsi in persone immunocompromesse che erano state
precedentemente infettate. I quadri clinici possono essere anche molto gravi con febbre alta, brividi,
prostrazione, polmonite, miocardite, encefalite, polimiosite, rash maculopapulare diffuso. Le
infezioni disseminate non trattate sono di solito fatali. L'encefalite si presenta con lesioni osservate
sulla TC o RM, entrambe con contrasto. Il rischio è più grande tra individui malati di AIDS con conta
bassa di CD4. In questi pazienti tipicamente si verifica cefalea, alterazione dello stato mentale,
convulsioni, coma, febbre, e talvolta deficit neurologici focali, come per esempio deficit motori o di
sensibilità, paralisi dei nervi cranici, anomalie visive, e convulsioni focali.

DIAGNOSI DIRETTA

• Osservazione microscopica ( a fresco o con colorazione) diretta del parassita nel campione
(lavaggio broncoalveolare, liquido amniotico liquido cefalorachidiano, biopsia linfonodale o
del cervello, miocardio o altro tessuto sospetto). Le colorazioni fluorescenti con anticorpi
monoclonali facilitano la rilevazione diretta del parassita nel tessuto
• Isolamento del parassita (da organi e tessuti) mediante coltura in vitro (cellule umane) o in
vivo (topo)
• Prova biologica in cavia (topo): inoculazione intraperitoneale di sangue od altri liquidi
corporei. Il topo viene valutato per la presenza di T. gondii nel liquido peritoneale dopo 6-10
giorni dall’inoculazione; in caso di negatività, esame sierologico (sangue da coda o cuore)
dopo 4–6 settimane dall’inoculazione.
• Test di amplificazione molecolare (PCR) (liquido amniotico, tessuto fetale, sangue, liquor).
Ottima sensibilità/specificità.

INDIRETTA

• Sierologica Screening preconcezionale/ prenatale, test di conferma

DIAGNOSI SIEROLOGICA

La valutazione iniziale del paziente immunocompetente implica la ricerca di IgG. Si utilizzano test
immunoenzimatici e di immunofluorescenza indiretta. Molte linee guida suggeriscono la valutazione
contemporanea di IgM, ma dopo un’infezione acuta le IgM persistono per oltre 12-18 mesi. Nei casi
dubbi si dovrebbero fare prelievi seriali a distanza di tempo e valutare la crescita del titolo
anticorpale. Nei pazienti con HIV i livelli di anticorpi IgG specifici sono spesso da bassi a moderati, ma
occasionalmente non è possibile rilevare anticorpi IgG specifici. I test per gli anticorpi IgM sono
generalmente negativi. La diagnosi prenatale di toxoplasmosi congenita implica la ricerca di IgA e
IgM nel sangue del feto poiché le IgG materne vengono traferite.

PREVENZIONE

L’unica forma di prevenzione primaria è quella igienico-dietetica Prevenire l’infezione da oocisti


eliminate dal gatto:

- lavaggio di mani prima del consumo dei pasti


- lavare la frutta e gli ortaggi prima del consumo
- disinfettare adeguatamente la lettiera del gatto
- utilizzare guanti durante il giardinaggio Prevenire l’infezione da carni, uova e latte: cottura
adeguata; non bere latte non pastorizzato
- non toccare le mucose (bocca, occhi) mentre si maneggia la carne cruda Prevenire
l’infezione da trasfusione di sangue o da trapianto d’organo: non prelevare prodotti ematici
da donatori sieropositivi per riceventi sieronegativi.

TERAPIA

Soggetti immunocompetenti:

- non necessaria, entro alcune settimane si risolve spontaneamente


- Donne in gestazione o soggetti immunocompromessi:

• pirimetamina + sulfamidico

• spiramicina, in caso di sieroconversione durante il primo trimestre di gravidanza

- Neonati: trattare immediatamente con pirimetamina per prevenire o ridurre l’insorgenza del
quadro clinico

PLASMODIUM

Phylum Apicomplexa Classe Sporozoa

L’agente patogeno della MALARIA

Sono parassiti dixeni: il loro ciclo biologico si svolge in 2 ospiti obbligati, un vertebrato e un dittero
ematofago del genere Anopheles . Il vertebrato è l’ospite intermedio.

Ciclo schizogonico (asessuato)-> uomo (ospite intermedio)

Ciclo sporogonico (sessuato) -> zanzara femmina (Anopheles )

La sopravvivenza del plasmodio dipende strettamente dalla biologia e dall’ecologia dei suoi 2 ospiti e
dalle interazioni esistenti tra di essi

Solo 70 delle 465 specie formalmente riconosciute di zanzare anofeline possono trasmettere la
malaria. Solo le zanzare femmine perché utilizzano l’emoglobina ottenuta dal pasto ematico (ogni 3-
4 giorni) per consentire la maturazione delle uova prima della deposizione (ciclo gonotrofico).
Zanzara Anopheles femmina (A.gambiae; A.funestus…)

Si conoscono più di 100 specie di plasmodi:


• 82 infettano uccelli o rettili
• 22 primati non umani
• 4 uomo

Plasmodium falciparum → Terzana maligna

Plasmodium vivax → Terzana benigna

Plasmodium ovale → Terzana benigna

Plasmodium malariae → Quartana benigna (può infettare i primati superiori)

Plasmodium knowlesi → Zoonosi ciclo di 24h

EPIDEMIOLOGIA

228 milioni di casi stimati 41% della popolazione vive in aree endemiche (87 paesi), 405.000 morti
stimati, la maggior parte sono bambini al di sotto dei 5 anni (globalmente 306.000, in Africa
292.000).

CETGORIE A RISCHIO

• neonati e i bambini sotto i cinque anni di età,


• donne incinte
• malati di HIV / AIDS
• migranti non immuni
• popolazioni nomadi e viaggiatori

I programmi di controllo della malaria nazionali devono adottare misure speciali per proteggere
questi gruppi di popolazione dalla malaria.

MALARIA IN ITALIA

Gli ultimi casi sporadici di malaria endemica da P. vivax si sono verificati in Sicilia nel 1956 e 1962. Il
17 novembre 1970 l’Italia è stata inclusa dall’ OMS tra i Paesi indenni da malaria. La malaria in Italia
è a notifica obbligatoria (invio della scheda epidemiologica e dei preparati emoscopici relativi ad ogni
caso per la conferma diagnostica alla ASL che poi li invia all’ISS)

CICLO VITALE:

Il ciclo vitale del parassita della malaria coinvolge 2 ospiti. Nel corso di un pasto di sangue, una zanzara
Anopheles femmina infettata dalla malaria inocula sporozoiti nell'ospite umano.

Gli sporozoiti infettano le cellule del fegato.

A tale livello, gli sporozoiti maturano in schizonti.

Gli schizonti si rompono e rilasciano merozoiti. Questo ciclo iniziale nel fegato è chiamato ciclo
esoeritrocitario.

I merozoiti infettano i globuli rossi. Nei globuli rossi, il parassita si moltiplica asessualmente (questo è il
ciclo eritrocitario). I merozoiti si sviluppano in trofozoiti ad anello. Alcuni di loro poi maturano in
schizonti.

La rottura degli schizonti rilascia merozoiti.

Alcuni trofozoiti si differenziano in gametociti.


Durante un pasto di sangue, una zanzara Anopheles ingerisce il maschio (microgametocita) e la femmina
(macrogametocita), e i gametociti iniziano il ciclo sporogonico.

Nello stomaco della zanzara, i microgametociti penetrano i macrogametociti, producendo zigoti.

Gli zigoti diventano mobili e di forma allungata, sviluppandosi in oocinete.

Le forme di oocinete invadono la parete dell'intestino medio della zanzara dove si sviluppano in oocisti.

Le oocisti crescono, si rompono, e rilasciano sporozoiti, che viaggiano verso le ghiandole salivari della
zanzara. L'inoculazione degli sporozoiti in un nuovo ospite umano perpetua il ciclo di vita della malaria.

Sporozoiti: tipica forma ad arco, sono lunghi 12-15 µm inoculati insieme alla saliva (sostanze
anticoagulanti e proinfiammatorie). Sono mobili, entro un’ora dall’inoculo raggiungono per via ematica e
linfatica gli epatociti umani. La carica infettante varia ed è funzione della specie.

IPNOZOITI Alcuni sporozoiti (P. vivax e P.ovale) possono andare in una fase di quiescenza per settimane,
mesi o anni nella quale hanno metabolismo rallentato e non moltiplicano. Meccanismi molecolari non
noti, potrebbero essere una forma di adattamento a condizioni non favorevoli a completare il ciclo
Primachina è l’unico farmaco attivo
PIGMENTO MALARICO O EMOZOINA

Importanza dell’emozoina: • Immunogenicità • È un target per farmaci antimalarici • È un mezzo


diagnostico

MALARIA-CLINICA

Il quadro clinico è variabile in base a:

Fattori del parassita: Intensità dell’infezione Specie del parassita Farmaco-resistenza Variazione
antigenica Citoaderenza

Fattori dell’ospite: Precedenti trattamenti Età Gravidanza Immunità dell’ospite Fattori genetici
(antigene Duffy, anemia falciforme) Fattori socio-epidemiologici

MANIFESTAZIONI CLINICHE

Ampia varietà di sintomi.

Classificabile in:

Malaria non complicata: adulti semi-immuni

Negli individui adulti che vivono in zone endemiche, l’infezione può anche essere asintomatica o con
sintomi aspecifici, simili a quelli delle sindromi influenzali e gastrointestinali (malaria non
complicata):
- Febbre: Inizio parossistico e successivo andamento ciclico
- Cefalea • Dolori muscolari, ossei
- Manifestazioni gastroenteriche (nausea, vomito, diarrea)
- Splenomegalia

Malaria severa: Individui non immuni (turisti, viaggiatori)bambini o donne in gravidanza in zone
endemiche: • Malaria cerebrale • Anemia severa

ATTACCO MALARICO

• Fase del brivido (30-60 minuti): brividi scuotenti; sensazione di freddo intenso; cianosi
periferica; pallore; cute fredda; vasocostrizione periferica
• Fase del calore (2-5 ore): temperatura elevata (40- 41 °C); cute calda e con vasodilatazione;
cefalea retrorbitale; nausea e vomito
• Fase della sudorazione (1 ora): rapida caduta della febbre; sudorazione; senso di
prostrazione, vasodilatazione periferica

COMPLICANZE FREQUENTI

• P. vivax: splenomegalia
• P.malariae: sindrome nefrosica (deposito di immunocomplessi nei glomeruli)
• P.knowlesi: attacchi febbrili quotidiani

La mortalità in questi casi è dovuta a cedimento della milza o a sindrome nefrosica

MALARIA SEVERA: ANEMIA Hb <5.0 g/dL Alta parassitemia Responsabile di 1/3 delle morti annuali in
bambini al di sotto dei 5 anni Dovuta a: Lisi di eritrociti infetti Rimozione premature di eritrociti
infetti e non Difetto nell’eritropoiesi

MALARIA CEREBRALE

Nella malaria da P. falciparum, il 10% di tutti i ricoveri e l'80% dei decessi sono dovuti al
coinvolgimento del SNC Le manifestazioni di disfunzione cerebrale comprendono qualsiasi grado di
alterazione della coscienza, delirio, segni neurologici anormali e convulsioni focali e generalizzate.
Tutti i pazienti con malaria da P. falciparum con manifestazioni neurologiche di qualsiasi grado
devono essere trattati come casi di malaria cerebrale.

IN CORSO DI INFEZIONE MALARICA

La febbre è un segno indispensabile, ma non sempre è di carattere episodico. Le manifestazioni


cliniche possono essere molteplici e mai patognomoniche. Il periodo di incubazione è variabile
(soggetti semiimmuni o che hanno eseguito profilassi)

DIAGNOSI

E’ necessario:

Porre adeguata attenzione ai dati anamnestici del paziente

• Viaggio in zona a rischio


• Luogo del soggiorno
• Periodo e durata del soggiorno
• Chemioprofilassi (quali farmaci assunti e i tempi di somministrazione)
Effettuare con urgenza la ricerca dei parassiti nel sangue di un caso sospetto.

Non escludere la diagnosi di malaria anche se presenti esami emoscopici negativi. In pazienti con
sintomi compatibili con una malattia grave, è giustificato un trattamento terapeutico con farmaci
antimalarici anche se l’iniziale esame emoscopico è negativo.

Sia nelle persone residenti in aree endemiche, che nei viaggiatori provenienti da queste regioni, la
malaria deve essere presa in considerazione nella diagnosi di qualsiasi febbre. La scoperta di
parassitemia può rapidamente confermare il sospetto clinico di malaria, ma in pazienti con sintomi
compatibili con una malattia grave, è giustificato un trattamento terapeutico con farmaci
antimalarici anche se l’iniziale esame emoscopico è negativo. Questo concetto è applicabile sia a
pazienti non-immuni con sospetta malaria d’importazione, sia ad abitanti in aree endemiche, ma
gravemente ammalati.

I metodi per la diagnosi sono differenti a seconda dell’applicazione in paesi non endemici o endemici

Emoscopia

• QBC (quantitative buffy coat)


• Striscio sottile
• Goccia spessa

Non emoscopica

• Saggi immunocromatografici rapidi (diretti contro proteine- HRPR-2 o enzimi- pLDH-


parassitari)
• PCR

Nella pratica clinica: Esame microscopico dello striscio di sangue e della goccia spessa è affiancato
alla ricerca degli antigeni del plasmodio mediante saggio immunocromatografico e alla ricerca del
DNA del plasmodio (PCR)

Quantitative Buffy Coat (QBC)

Screening qualitativo

Si basa sull'osservazione diretta di sangue centrifugato in capillari QBC.

Utile per lo screening di un gran numero di campioni • Veloce, fa risparmiare tempo • Richiede
centrifuga, coloranti speciali • E’ abbastanza sensibile • Principali svantaggi: • Identificazione e
quantificazione delle specie difficili • Costo elevato di capillari e attrezzature • Impossibile
conservare i capillari per riferimento futuro

ACCERTAMENTO DIAGNOSTICO DEI PARASSITI EMATICI RACCOLTA DEI CAMPIONI EMATICI • Sangue
venoso periferico (EDTA) → tripanosomi • Sangue capillare → plasmodi e babesie Per bassi livelli di
parassitemia sono consigliate TECNICHE DI CONCENTRAZIONE

Il campione clinico può essere osservato con il metodo: • Dell’esame a fresco • Dello striscio sottile •
Della goccia spessa • Utilizzando tubuli capillari che concentrano i parassiti in una zona specifica del
capillare stesso.
Striscio sottile e goccia spessa devono essere allestiti contemporaneamente ma non sullo stesso
vetrino Prelievo capillare preferibile. Se da emocromo deve essere strisciato il più velocemente
possibile (max. 4 ore).

ESAME DELLA GOCCIA SPESSA • Concentrazione più elevate rispetto allo striscio • La colorazione
senza fissazione emolizza gli eritrociti: rimangono quindi i nuclei dei leucociti, le piastrine, gli
eventuali parassiti • Evitare i bordi della goccia VANTAGGI • Esecuzione più facile e rapida • Effetto
“concentrazione”, essenziale per le basse parassitemie • Sensibilità 10 volte superiore allo striscio
sottile SVANTAGGI • La morfologia dei parassiti può risultare alterata

E’ possibile evincere la parassitemia dopo aver contato i parassiti riscontrati su un numero di campi
pari ad un conteggio totale di almeno 200 globuli bianchi applicando la seguente formula:

N di parassiti/ µl= (WBC tot X parassiti contati) / WBCconta

Nella quale WBC tot è il valore dei globuli bianchi ricavato dall’esame emocromocitometrico del
paziente, e WBCconta è ilnumero dei globuli bianchi conteggiati

ESAME DELLO STRISCIO DI SANGUE • Esaminare da 200 a 300 campi microscopici a 100X prima di
considerare gli strisci negativi • Osservare almeno 20 parassiti per giungere a una diagnosi di specie
• La prima importante differenziazione di specie è tra Plasmodium falciparum e Plasmodium non
falciparum. • Striscio con emazie non sovrapposte (prova del giornale) • in caso di positività definire
la parassitemia (come %)

EMOSCOPIA

Equivalenza tra conta del numero dei parassiti con goccia spessa e percentuale di parassitemia
(espressa come percentuale di globuli rossi infettati sul totale dei globuli rossi)

STRISCIO: MORFOLOGIA DI P.FALCIPARUM • Infetta tutti gli eritrociti • RBC non ingrossati di forma
invariata. • Non produce granulazioni negli RBC (o grossolane: granulazioni di Maurer) • Frequente il
“pluriparassitismo” (2- 4parassiti/eritricita) • Nel sangue periferico si osservano solo anelli e
gametociti; se schizonti: parassitemia elevata (prognosi peggiore) • Presenza di emozoina nei nuclei
dei gametociti (eccezionali i gametociti rotondi) deformano gli RBC che assumono forma a falce.
STRISCIO: MORFOLOGIA DI P.VIVAX • Infetta eritrociti giovani • RBC ingranditi e deformati • Nel
sangue periferico si osservano tutti gli stadi di maturazione del parassita • I trofozoiti adulti hanno
forma ameboide (vivax=vivace) • Gli eritrociti parassitati hanno granulazioni rosate puntiformi
(granulazioni di Schuffner) • Gli schizonti maturi contengono da 12 a 24 merozoiti (solitamente 16)

Striscio: morfologia di P.malariae • Infetta eritrociti maturi • RBC non ingrossati • Nel sangue
periferico si osservano tutti gli stadi di maturazione del parassita • Caratteristici sono i trofozoiti “a
banda” • Schizonti “a margherita” contengono da 6 a 12 merozoiti (solitamente 8)

Striscio: morfologia di P.ovale • Infetta RBC giovani • Gli eritrociti possono essere ovali e/o
“sfilacciati” alle estremità (aspetto “a colpo di vento”) • Nel sangue periferico si osservano tutti gli
stadi di maturazione del parassita • Presenti le granulazioni di Schuffner • Schizonti maturi “a
margherita” contengono da 4 a 14 merozoiti (solitamente 8)

RAPID DIAGNOSTIC TESTS (RDTS) • Si basano sulla rivelazione di antigeni del parassita presenti nel
sangue di individui infetti • Le proteine più comunemete utilizzate per la diagnosi sono: • Histidin-
rich protein II (HRPII/PfHRPII) –rivela la presenza di parassiti sia vivi che morti • Parasite lactate
dehydrogenase (pLDH) – rivela la presenza solo di parassiti vivi • Aldolasi – rivela la presenza di
parassiti vivi

PCR

Amplifica una specifica sequenza di DNA che codifica per l’RNA della subunità ribosomiale minore
dei plasmodi Sensibilità elevata Unico strumento diagnostico sicuro per P.knowlesi Attualmente
utilizzata come esame di conferma o come mezzo diagnostico addizionale in casi particolari Può
essere utilizzata per studi epidemiologici, per identificare mutazione e cercare di correlarle con la
farmaco resistenza

LAMP: LOOP-MEDIATED ISOTHERMAL AMPLIFICATION

Utilizzo di una singola polimerasi per catalizzare l’amplificazione del DNA in condizioni isotermiche
(65°C) Elevata specificità ottenuta grazie all’uso di sei primers che riconoscono otto distinte regioni
sul DNA target (regioni del DNA mitocondriale del parassita) Elevata efficienza di amplificazione, con
produzione di elevate quantità di prodotto in breve tempo. Si può effettuare sia su campioni di
sangue fresco che su gocce fatte assorbire su carta da filtro Il risultato può essere visualizzato ad
occhio nudo come torbidità o fluorescenza

MEZZI DI PREVENZIONE-CONTROLLO - ELIMINAZIONE DELLA MALARIA • Lotta al Vettore • Insetticidi


(IDS, spray in casa) • Bonifiche del territorio • Prevenzione contatto – Repellenti – Zanzariere
impregnate insetticidi (ITN) • Vaccino (RTS,S) 25-50% protezione malaria severa x1 anno •Farmaci

FATTORI CHE RENDONO COMPLESSO LO SVILUPPO DI UN VACCINO ANTI-MALARICO

Dimensioni e complessità genetica del parassita.

Presenza di parassiti in diversi stadi del ciclo vitale.

Sviluppo di strategie in grado di «confondere» il sistema immunitario dell’ospite.

Possibilità di infezione contemporanea da parte di più ceppi Sono in corso più di 20 studi clinici o in
fase di sviluppo preclinico avanzato su diverse formulazioni vaccinali.
RTS, S/AS01 MOSQUIRIX: ottobre 2021 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ne ha autorizzato
l'uso di massa nei bambini, rendendolo il primo vaccino autorizzato contro la malaria, nonché il
primo vaccino contro un’infezione parassitaria, a ricevere questa raccomandazione

FARMACI ANTIMALARICI

• Chinino
• Clorochina, Meflochina (Lariam)
• Antifolati (S/P)
• Atovaquone
• profilassi viaggiatori
• Artemisinina e derivati
• Artesunato
• Artemetere
• Diidroartemisinina

WHO Linee guida

Artemisinin-based combination therapy (ACT) Terapia combinata antimalarica: uso di un derivato di


artemisinina con un altro antimalarico con diversa farmacocinetica e diverso meccanismo d’azione

Vantaggi:

• è più efficace
• la combinazione previene o rallenta l’insorgenza di resistenza

Svantaggi

• Aumenta rischio di effetti avversi


• Aumentano costi

ACTs prima linea intervento Adottata a livello politico da più 153 paesi (WHO report)

BABESIA

Appartengono al phylum Apicomplexa

Il genere Babesia comprende oltre 100 specie di protozoi parassiti di animali selvatici, domestici.
L’uomo è un ospite accidentale, e non contribuisce alla diffusione dell’infezione.

Sono parassiti intracellulari obbligati che hanno come bersaglio globuli rossi.

Sono trasmesse da artropodi vettori, zecche dure appartenenti al genere Ixodes, appartenenti a
specie diverse. Per quanto riguarda la nostra specie, il maggior numero di casi di babesiosi sono
riconducibili a due specie:B. microti negli Stati Uniti e B. divergens in Europa

CICLO VITALE:

Inizia quando una zecca infetta a seguito di un pasto di sangue infetta l’ospite introducendo gli
sporozoiti (gli individui infettanti) che prima penetrano negli eritrociti tramite un vacuolo
parassitoforo e successivamente, dopo essersi liberati della membrana del vacuolo, si trasformano in
trofozoiti. A questo punto una parte di questi si riproduce asessualmente dando origine ai merozoiti
che porteranno alla lisi dell’eritrocita, mentre altri s’ingrandiranno e verranno successivamente
ingeriti da una nuova zecca. I merozoiti nel frattempo infettano altri globuli rossi e attendo una
nuova puntura di zecca per passare nuovamente nel primo ospite, dove, una volta giunti ed liberatisi
dell’eritrocita, danno origine allo zigote che successivamente attraversa la parete intestinale e
tramite l’emolinfa raggiunge le ghiandole salivari. A questo punto si sviluppa lo sporozoite che verrà
iniettato nel nuovo ospite al successivo pasto della zecca.

PATOGENESI

Periodo di incubazione: 1-4 settimane

Le manifestazioni cliniche mimano quelle della malaria. La lisi dei globuli rossi causano accessi
febbrili fino a 40°C. L’emolisi progressiva causa anemia, ittero, emoglobinuria, malessere generale
con astenia. Sono possibili complicanze cardiache, renali e respiratorie per l’insufficienza d’organo
conseguente al ridotto apporto di ossigeno ematico. Più raramente sono presenti anche vomito,
fotofobia, calo ponderale e depressione. Il tutto può risolversi nel giro di qualche settimana, ma
l’astenia può permanere più a lungo. La babesiosi nei soggetti splenectomizzati, negli anziani e nei
soggetti non immunocompetenti può essere grave e fatale fino al 40%. Nei soggetti non
splenectomizzati e immunocompetenti può essere meno grave e asintomatica. Babesia divergens è
la responsabile delle forme più gravi, mentre all’infezione con B. microti provoca infezioni che di
solito guariscono.

DIAGNOSI DI BABESIOSI

METODI DIRETTI

• Esame microscopico della goccia spessa e di strisci di sangue colorati con Giemsa (aspetto a
croce di Malta)
• PCR

METODI INDIRETTI

• Esami sierologici (immunofluorescenza indiretta) utile nell’individuazione di forme croniche

PROFILASSI E TERAPIA

La terapia prevede l’utilizzo di azitromicina e atovaquone, mentre nei casi gravi si utilizzano chinino
orale e clindamicina endovena. La prevenzione consiste nell’evitare le zone in cui è nota la presenza
di zecche o, nel caso questo non fosse possibile, utilizzare vestiti che coprano il più possibile il corpo
e dei repellenti. Se si venisse punti da una zecca, è importante rimuoverla il prima possibile per
limitare l’eventuale possibilità di infezione

PROTOZOI A LOCALIZZAZIONE GENITO-URINARIA

TRICOMONOSI

La ricerca dei protozoi nel tratto genito-urinario riguarda essenzialmente Trichomonas vaginalis

Al genere Trichomonas appartengono tre specie:

• hominis: parassita del tratto gastro enterico


• tenax: parassita del cavo orale
• vaginalis: parassita genito-urinario, unico che ha caratteristiche di vera patogenicità,
Parassita esclusivamente umano

TRICHOMONAS VAGINALIS
Parassita sia gli uomini che le donne, si localizza nell’uretra, nella vagina e nelle ghiandole
prostatiche. È un protozoo primitivo con un metabolismo simile ai batteri anaerobi. La riproduzione
avviene per scissione binaria. Esiste solo come trofozoita in cui è possibile distinguere un nucleo che
si trova tra il cinetoplasto e i flagelli. È dotato di 4 flagelli anteriori lunghi circa 12 µm, una corta
membrana ondulante che si estende per circa due terzi della lunghezza del protozoo e l’assostile,
una struttura implicata nella mobilità e nell’ancoraggio alle cellule epiteliali.

EPIDEMIOLOGIA

La tricomoniasi è una delle principali malattie sessualmente trasmissibili di origine non virale diffusa
al mondo che presenta un’incidenza maggiore nei paesi in via di sviluppo (170 milioni di casi
all’anno) Viene trasmesso prevalentemente per via sessuale raramente attraverso vestiario o oggetti
sanitari. Il parassita sopravvive nell’ambiente esterno per alcune ore Il neonato può essere infettato
durante il passaggio attraverso il canale del parto infetto. La prevalenza è del 5-20% nelle donne e
del 2-10 % negli uomini

CICLO VITALE

L’infezione viene contratta durante rapporti sessuali non protetti. Il trofozoite non penetra nei
tessuti, aderisce all’epitelio grazie all’interazione con catene polisaccaridi, segue il rilascio di idrolasi
lisosomiali come la fosfatasi acida. Poi il parassita utilizza delle carboidrasi per staccarsi dalla cellula
epiteliale. La moltiplicazione avviene per scissione binaria.

MANIFESTAZIONI CLINICHE

Incubazione: 4 – 28 giorni. Può essere asintomatica (50% delle donne) I sintomi clinici nelle donne:

• perdite vaginali schiumose ed abbondanti con una colorazione giallo-verdastra


accompagnati da un odore sgradevole.
• dolore vulvare e perineale, dolore durante l’atto sessuale, difficoltà durante la minzione
(disuria).
• Le pareti vaginali e la cervice possono presentare macchie di colore rosso.

Nei pazienti maschi si sviluppa a livello dell’uretra e della prostata. In genere sono portatori
asintomatici che fungono da serbatoio per l’infezione, possono andare in contro ad uretrite ed
irritazione uretrale modesta con perdite schiumose o purulente.

PATOGENESI

L’infezione da T. vaginalis interferisce con l’ambiente vaginale:

• perdita marcata di lattobacilli


• Innalzamento del pH che facilita l’impianto di una flora batterica mista

Non penetra nei tessuti ma esplica la sua azione aderendo alle cellule epiteliali, può causare
emorragie microscopiche

DIAGNOSI

Esame microscopico dell’essudato vaginali (prelevate al fornice posteriore) o uretrali e nello sperma
nell’uomo per la ricerca dei trofozoiti Il campione giunto in laboratorio viene sottoposto a:

• Conservazione a 37° C in soluzione fisiologica se non osservato immediatamente


• Osservazione a fresco per osservare la mobilità, o dopo colorazione con Giemsa o arancio di
acridina

Per aumentare la sensibilità:

• Coltivazione: il terreno più idoneo è CPLM (Cisteina, peptone, estratto di fegato e maltosio)
reso selettivo con penicillina, streptomicina e cloramfenicolo, pH 5,8-6. Il campione viene
incubato a 37° C e osservato ogni 24h per 6 giorni.
• Anticorpi monoclonali marcati con fluoresceina o con enzimi (ELISA) permettono una
diagnosi rapida
• PCR per la ricerca del DNA del protozoo

PROFILASSI E TERAPIA

Profilassi: Igiene personale, uso non promiscuo degli asciugamani, pratiche sessuali protette

Terapia:

- Metronidazolo: farmaco d’elezione (sono stati segnalati casi di resistenza)


- Tinidazolo

Per eradicare l’infezione è essenziale determinare lo stato di portatori negli uomini

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