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ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EMATOLOGIA E ONCOLOGIA PEDIATRICA (AIEOP)

COMITATO SCIENTIFICO DI DISCIPLINA INFEZIONI

LINEE GUIDA PER IL TRATTAMENTO DELLE COMPLICANZE INFETTIVE

IN ONCOLOGIA PEDIATRICA:

TERAPIA EMPIRICA DELLA NEUTROPENIA FEBBRILE

C. Viscoli, E. Castagnola, M. Caniggia, L. De Sio, A. Garaventa, M. Giacchino, P. Indolfi,


GC. Izzi, P. Manzoni, M.R. Rossi, N. Santoro, G. A. Zanazzo e G. Masera

Autore per la corrispondenza Claudio Viscoli


Professore Associato di Malattie Infettive, Università di
Genova. Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro
L.go R. Benzi, 10 - 16132 Genova - ITALY
Tel. ++39-10-5600.846/8
Fax ++39-10-354115
E-mail:viscolic@unige.it

Parole chiave : neoplasia, febbre, neutropenia


INTRODUZIONE

Le infezioni rappresentano una delle più importanti cause di letalità e morbosità nei

pazienti in trattamento per malattia neoplastica. Studi ormai storici, riguardanti

prevalentemente pazienti in età adulta, dimostrarono che un’infezione, con o senza

emorragia, rappresentava la causa terminale di morte nel 50-80% delle leucemie mieloidi

acute e nel 50% dei linfomi (1,2). E’ stato osservato che circa l’80% degli episodi di

neutropenia post-chemioterapia che durano più di una settimana si complicano con

febbre e che il 60% circa di questi episodi febbrili é di documentata origine infettiva (3).

L’insorgenza della complicanza infettiva può determinare ritardi nella ideale successione

dei cicli di terapia antiblastica (“dose-intensity”), può causare la comparsa di fenomeni di

tossicità legati alla terapia anti-infettiva e sicuramente peggiora la qualità di vita dei

pazienti (ad esempio con necessità di ricoveri prolungati). Non secondario, infine, è

l’impatto delle complicanze infettive sui costi assistenziali. L’approccio multidisciplinare,

coinvolgente non solo ematologi ed oncologi, ma anche infettivologi e microbiologi,

rappresenta certamente la modalità ottimale per poter gestire in modo adeguato le

complicanze infettive nel soggetto neutropenico. Ciò soprattutto a causa della crescente

intensità ed aggressività delle terapie antineoplastiche e della comparsa di preoccupanti

fenomeni di resistenza agli antibiotici e di quadri clinici insoliti.

Premesse

Scopi e metodologia.

Questo documento è stato redatto con lo scopo di standardizzare le procedure di

gestione della febbre che insorge in corso di neutropenia conseguente alla chemioterapia

antineoplastica nell’ambito dei centri aderenti all’Associazione Italiana Ematologia ed

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Oncologia Pediatrica, in modo da fornire una guida nella pratica clinica giornaliera che sia

il più possibile condivisa dai vari specialisti interessati (4).

I motivi che hanno giustificato questa iniziativa possono essere schematizzati nel

modo seguente :

1. le procedure antiinfettive hanno costi elevati;

2. esiste una grande variabilità di interventi da centro a centro, come dimostrato dai dati

raccolti durante uno studio di sorveglianza delle sepsi in bambini emato-oncologici in

18 centri AIEOP eseguito nel 1995 (5)

3. è necessario tentare di arginare lo sviluppo delle resistenze agli antibiotici, attraverso

un uso più corretto.

Per quanto riguarda l’approccio alla diagnosi di infezione in corso di neutropenia si

sono indicati gli esami di laboratorio ritenuti irrinunciabili nelle varie situazioni cliniche. Per

quanto riguarda la scelta della terapia antibiotica empirica iniziale della febbre nel

paziente neutropenico, diverse possibili opzioni sono state considerate. Per ciascuna

opzione si è tentato di fornire elementi in grado di aiutare a compiere una scelta ragionata

del trattamento. E’ bene sottolineare tuttavia che tale scelta dovrebbe essere basata

anche sulla conoscenza dell’epidemiologia locale dei singoli centri, sia per quanto

riguarda i patogeni più frequentemente isolati, sia per quanto riguarda la loro sensibilità

agli antibiotici. Questi dati microbiologici dovrebbero essere gestiti con supporto

informatico, allo scopo di essere in grado di identificare eventuali modificazioni che

compaiono nel tempo e di adattare così le terapie in tempo reale. Per le nostre indicazioni

ci siamo anche basati sui dati relativi all’eziologia delle sepsi ed alle resistenze agli

antibiotici scaturenti dal già menzionato studio di sorveglianza delle sepsi in bambini

neutropenici effettuato presso 18 centri AIEOP nel 1995 (5). Questi dati possono fornire,

sia pur in maniera grossolana, un quadro della situazione microbiologica osservabile nei

centri di emato-oncologia pediatrica in Italia. Le opzioni terapeutiche indicate in questo


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documento sono derivate dai risultati di studi clinici, sia comparativi, sia non comparativi,

di terapia empirica iniziale della febbre nel soggetto neutropenico, includenti sia pazienti

pediatrici, sia adulti. In generale si è ritenuto opportuno affrontare il problema

principalmente da un punto di vista pragmatico, valutando cioè la capacità di ciascuna

opzione terapeutica di indurre lo sfebbramento, senza eseguire modificazioni della terapia

antibatterica empirica iniziale, nella popolazione globale dei pazienti neutropenici e

febbrili, indipendentemente dalla sua efficacia in situazioni particolari (esempio setticemie

e polmoniti). Ciò non vuole dire comunque che si siano trascurati i dati relativi allo spettro

antibatterico delle varie opzioni terapeutiche ed alla loro efficacia in infezioni specifiche

documentate. Per quanto questo lavoro non si sia posto lo scopo di effettuare una

valutazione farmacoeconomica delle diverse opzioni terapeutiche della neutropenia

febbrile, tuttavia ci è sembrato utile fornire indicazioni sui costi di acquisizione dei farmaci,

parametro che, pur non essendo esaustivo del problema “costi della terapia”, rappresenta

comunque una valida indicazione per la valutazione delle spese effettuate per ogni

singolo trattamento. Le diverse opzioni sono state infine valutate anche alla luce

dell’esperienza personale dei componenti della del comitato ristretto che ha redatto il

documento e dei partecipanti alla riunione plenaria AIEOP in cui esso è stato presentato e

discusso. Per quanto riguarda le eventuali modifiche della terapia empirica iniziale, sono

state prese in esame le possibili scelte da effettuare in caso di mancata risposta clinica ed

in assenza di indicazioni provenienti dal laboratorio di Microbiologia o da altre metodiche

diagnostiche, dando per scontato che eventuali modifiche “mirate” della terapia anti-

infettiva dovranno essere eseguite sulla base dei risultati degli esami colturali, dei test di

sensibilità agli antibiotici e di eventuali tossicità farmacologiche presenti o subentranti

dopo l’inizio del trattamento antibiotico e sull’evoluzione del quadro clinico.

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Sia i problemi correlati alla profilassi, sia quelli riguardanti le infezioni fungine e

virali, sia infine quelli relativi all’uso dei fattori di crescita esulano dagli scopi del presente

documento. Questi argomenti potranno essere oggetto di successive iniziative.

Le presenti Linee Guida non possono definirsi il risultato di una vera “Consensus

Conference”, soprattutto per motivi metodologici. Tuttavia, esse costituiscono

l’espressione condivisa di un Gruppo di Studio e di una Società Scientifica relativa alla

gestione di un particolare problema clinico, che è normalmente oggetto di controversia. Le

modalità di lavoro seguite per giungere alla stesura definitiva di questo documento di

Linee Guida sono state le seguenti:

 L’Associazione Italiana di Ematologia ed Oncologia Pediatrica (AIEOP) ha riconosciuto

la necessità di porre chiarezza nella gestione delle complicanze infettive nei bambini

affetti da malattie neoplastiche ed ha incaricato il Gruppo Terapia di Supporto di

preparare un documento di base.

 Il Gruppo Terapia di Supporto ha incaricato un esperto dell’argomento (C.V.) di

preparare una bozza di documento e di discuterla nel corso di una riunione preliminare

di un comitato di redazione composto da membri della Società, allo scopo di ampliare e

rivedere i contenuti ed ottenere una versione semidefinitiva.

 Tale versione è stata poi presentata e discussa durante una riunione plenaria

dell’AIEOP ed è stata, ove necessario, modificata durante la discussione.

 La versione definitiva è stata sottoposta a revisione critica da parte di un esperto della

materia estraneo al Gruppo (Prof. Piero Martino).

Definizioni.

Categorie di importanza. Le varie asserzioni contenute nel presente documento di

consenso sono seguite dall’indicazione di categoria A, B o C. Le indicazioni classificate

come di categoria A sono largamente accettate dalla maggior parte degli esperti perché

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basate sui risultati di studi clinici controllati, prospettici e randomizzati, condotti su ampie

casistiche. Quelle classificate come di categoria B sono ragionevolmente certe ed

accettate, anche se basate su studi retrospettivi o effettuati su piccole casistiche. Le

indicazioni classificate come di categoria C sono basate su esperienze personali dei

membri del comitato di redazione e dei partecipanti alla riunione plenaria, ma non

derivate da studi clinici controllati.

Neutropenia. Numero assoluto di granulociti neutrofili <500/mmc oppure <1000/mmc,

ma in rapida discesa

Febbre. In senso assoluto si è inteso definire la temperatura febbrile come una

temperatura corporea ascellare >38°C. Tuttavia, la metodologia comunemente seguita nei

più importanti studi clinici di terapia empirica nel paziente neutropenico e febbrile prevede

l’inizio della terapia antibiotica nei casi seguenti:

 temperatura >38,5C in una singola rilevazione;

 temperatura >38C in almeno due rilevazioni successive nell’arco di 12 ore.

Situazione clinica in peggioramento. Non esistono definizioni standardizzate di

peggioramento clinico a cui ci si possa riferire. In questo documento il paziente in

peggioramento clinico è stato definito come quel paziente in cui si ha comparsa o

persistenza di almeno uno dei seguenti parametri, dopo almeno 24-36 ore dall’inizio della

terapia antibiotica empirica:

 progressione evidente dell’infezione primaria o comparsa di un nuovo sito di

infezione, secondo una valutazione clinica e/o strumentale;

 febbre persistentemente > 39° C;

 brivido scuotente;

 ipotensione;

 tachicardia;

 dispnea/polipnea,
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 segni di disfunzione d’organo (oligo-anuria, insufficienza epatica, insufficienza

cardiaca, obnubilamento del sensorio);

 emorragie inattese;

 acidosi inspiegata.

Efficacia pragmatica di una terapia. Con questo termine si è inteso identificare la

capacità di un protocollo antibiotico di indurre sfebbramento e sopravvivenza del paziente

al termine del periodo di neutropenia, senza che siano state apportate modifiche al

trattamento iniziale stesso, a prescindere dalla causa della febbre o dalla diagnosi

infettivologica dell’episodio. Questa definizione ha lo scopo di chiarire un equivoco spesso

presente negli studi di terapia empirica della neutropenia febbrile. Nonostante che molti di

questi studi siano disegnati o analizzati con valenza “esplicativa” (cioè allo scopo di fornire

indicazioni in situazioni diagnostiche particolari o in sottogruppi di pazienti), ad essi viene

poi data una valenza pragmatica (cioè come validi in generale nella terapia antibiotica

empirica della febbre nel paziente neutropenico “tipico”). Come è stato recentemente

rivisto (6), spesso, infatti, studi diversi hanno adottato definizioni diverse, per indicare il

successo o il fallimento di un trattamento.

LINEE GUIDA

Valutazione infettivologica alla diagnosi della malattia di base

Per quanto nessuno studio controllato abbia mai studiato il rapporto costo-beneficio

insito in questo tipo di valutazione, tuttavia si è ritenuto importante fornire qualche

indicazione in questo senso, tenendo in considerazione il fatto che ci si trova a valutare un

paziente che, verosimilmente, potrà andare incontro a complicanze infettive nel corso

dell’iter terapeutico della sua malattia di base. Pertanto si ritiene che la valutazione iniziale

del paziente dovrebbe affrontare anche problematiche infettivologiche, quali:

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 anamnesi infettivologica (tutte le malattie infettive che colpiscono soggetti

immunocompetenti e che sono suscettibili di riattivazione in corso di

immunosoppressione iatrogena)

 valutazione situazione odontoiatrica

 anticorpi anti HSV, CMV, VZV, EBV

 anticorpi anti HBV e HCV

 coprocoltura per Salmonella

Colture di sorveglianza

Al momento attuale il rapporto tra costo ed efficacia relativo all’esecuzione di

colture di sorveglianza seriate in tutti i pazienti non è dimostrato, a meno che non ci si

trovi di fronte ad una diffusione epidemica di un particolare agente patogeno nell’ambito di

un reparto (7) (categoria A). Uniche eccezioni potrebbero essere rappresentate dalla

ricerca di Staphylococcus aureus o di Aspergillus a livello delle cavità nasali in pazienti in

procinto di essere sottoposti a chemioterapia intensiva, comprendente anche l’uso di

corticosteroidi ad alte dosi (categoria C). Alcuni autori segnalano anche l’utilità delle

colture di sorveglianza per Candida per impostare terapie o profilassi antifungine (8).

Valutazione all’insorgenza di febbre in corso di neutropenia.

Si ritiene utile premettere che il segno clinico “febbre” non deve essere

sopravvalutato e che la sua assenza, in presenza di altri segni clinici suggestivi di

complicanza infettiva, non esclude la presenza di una infezione anche grave. Lo shock

settico, per esempio, può insorgere e decorrere in assenza di febbre o con ipotermia. E’

comunque vero che la febbre è il più comune segno clinico di infezione e che su di essa ci

si basa comunemente per iniziare una terapia antibiotica empirica.

Ogni paziente neutropenico e febbrile deve essere sottoposto ad esame clinico

almeno due volte al giorno, focalizzato alla presenza di eventuali sintomi o segni
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suggestivi di localizzazione infettiva. L’effettuazione di un esame radiografico del torace

viene spesso considerata come parte integrante dell’esame clinico. In realtà, il rapporto

costo-beneficio di questa procedura, in assenza di disturbi respiratori, è probabilmente

trascurabile e comunque non è stato sufficientemente chiarito (7,11-13) (categoria B). E’

chiaro, invece, che una radiografia del torace dovrà sempre essere eseguita in caso di

presenza di sintomi respiratori ed è probabile sia consigliabile eseguirla sempre, in caso

di persistenza di febbre dopo 4-5 giorni di trattamento (13) (categoria B), insieme alla

valutazione della saturazione arteriosa di ossigeno misurata per via percutanea o

all’emogasanalisi arteriosa. In caso di sospetto clinico di patologia respiratoria (tosse,

dolore toracico, dispnea, alitamento delle pinne nasali, bassa saturazione di O2), sarà

bene prendere in considerazione anche l’effettuazione di una TC polmonare, anche se

l’esame radiografico del torace è normale (categoria B). La radiografia dei seni

paranasali può essere utile in pazienti con dolore al volto, edema o ostruzione delle cavità

nasali (7) (categoria B), e in soggetti con colonizzazione nasale da Aspergillus.

Prima dell’inizio della terapia antibiotica empirica debbono essere eseguiti alcuni

esami colturali (categoria A). Questi includono:

 almeno 2 emocolture (di cui una, possibilmente, in doppio, dal catetere centrale e da

vena periferica). In caso di soggetti portatori di catetere a doppio lume sarà necessario

eseguire una coltura da entrambi i lumi e successivamente alternare i lumi stessi.

 tampone faringeo

 urinocoltura

 coltura di qualunque sito sospetto per infezione (per esempio coprocoltura,

liquorcoltura, coltura espettorato, aspirati da lesioni cutanee, etc), valutando le singole

situazioni cliniche.

Nessuno studio clinico ha mai esaminato il problema della continuazione delle

emocolture anche dopo l’inizio della terapia antibiotica. Si ritiene, arbitrariamente, che sia
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consigliabile, proseguire le emocolture anche dopo l’inizio della terapia antibatterica, in

caso di persistenza di febbre. Esse possono essere l’unico modo di identificare patogeni

resistenti alla terapia già iniziata e sono utili per dimostrare la risposta microbiologica in

corso di sepsi (categoria C). Il volume di sangue da prelevare per ciascuna bottiglia da

emocolture dovrebbe essere il seguente (9,10) (categoria B):

 neonati: 1-2 ml

 1 mese - 2 anni: 2-3 ml

 3 - 14 anni: 3-5 ml

 adolescenti 5-20 ml (con un rapporto sangue/ brodo di coltura di 1/10)

La quantità di sangue da porre in coltura può però dipendere dal sistema di

emocoltura usato.

Controllo periodico degli indici aspecifici di flogosi.

La valutazione degli indici aspecifici di flogosi è stata da alcuni proposta come

indice prognostico per valutare la risposta anti-infettiva e per discriminare febbri infettive

da altre che infettive non sono (14-18) (categoria B). Per quanto l’effettiva utilità di queste

procedure sia controversa, sia la letteratura, sia l’esperienza personale di molti

partecipanti alla riunione sembrano dimostrare che una valutazione routinaria della

proteina-C-reattiva potrebbe essere utile nella pratica clinica quotidiana come indice

prognostico e per discriminare meglio febbri infettive da febbri non infettive.

Gestione clinica

Necessità di ricovero ospedaliero.

L’assunzione secondo la quale tutti i pazienti neutropenici e febbrili dovrebbero

essere ricoverati e trattati in ambito ospedaliero (7,19) (categoria A) è stata

recentemente sottoposta a valutazione critica, sulla base di una serie di lavori che hanno

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dimostrato che, in casi selezionati e con situazione logistica favorevole (vicinanza

dell’abitazione del paziente con il centro di cura e disponibilità di assistenza domiciliare),

è possibile trattare la neutropenia febbrile anche a domicilio o ambulatorialmente, sia negli

adulti (20-22), sia in età pediatrica (23) (categoria B). Esistono anche esperienze, in

soggetti adulti, di terapia ad esclusiva somministrazione orale (24,25). In attesa di una

migliore definizione del paziente a basso rischio di infezione grave (26) e/o di complicanza

medica grave (27), la gestione domiciliare o ambulatoriale del paziente neutropenico e

febbrile rimane un approccio sperimentale.

Scelta della terapia antibiotica empirica iniziale.

La scelta dello schema di terapia empirica iniziale dovrebbe essere basata su dati

epidemiologici locali riguardanti il tipo di patogeno più frequentemente isolato ed i

“patterns” di suscettibilità agli antibiotici più comunemente riscontrati. Sulla scorta di

questi dati e a parità di efficacia clinica, l’opzione terapeutica di minor tossicità e minor

costo dovrebbe essere da privilegiare. Infine, ciascuna scelta dovrà essere aggiustata

sulla base delle esigenze del singolo paziente.

I protocolli di terapia antibiotica empirica usati più comunemente sono elencati nella

tabella 4. Nella Tabella 5 sono riportati vantaggi e svantaggi delle singole opzioni,

secondo i dati della letteratura. Nella Tabella 6 sono riportati i costi del trattamento

giornaliero con ciascuno dei protocolli considerati. In nota alla tabella stessa vengono

riportati i criteri usati per il calcolo di tali costi.

Associazione ceftazidime+amikacina.

Questa associazione rimane probabilmente ancora quella da preferire in centri con

elevata incidenza di infezioni da Pseudomonas spp. Le dosi consigliate sono:

 ceftazidime 100 mg/kg/die (massimo 6 g/die ) in 3 sottodosi giornaliere

 amikacina 20 mg/kg/die (massimo 1.5 g/die) in dose singola giornaliera infusa in 30’

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Associazione ceftriaxone+amikacina.

L’associazione tra ceftriaxone ed amikacina rappresenta l’opzione con il miglior rapporto

tra costo ed efficacia (28), ma non è da consigliarsi in centri con elevata incidenza di

infezioni da Pseudomonas spp. e in caso di infezione documentata da questo patogeno.

Le dosi consigliate sono:

 ceftriaxone 80 mg/kg/die (massimo 2 g/die) in dose singola giornaliera

 amikacina 20 mg/kg/die (massimo 1.5 g/die) in dose singola giornaliera infusa in 30’

Associazione piperacillina-tazobactam+amikacina.

L’utilizzo di questa associazione può essere particolarmente consigliabile in centri con

frequenti infezioni da streptococchi o enterococchi. Le dosi consigliate sono:

 piperacillina-tazobactam 300 mg/kg/die (massimo 16 g/die) in 4 sottodosi (dose

calcolata sul contenuto in piperacillina)

 amikacina 20 mg/kg (massimo 1.5 g/die) in dose singola giornaliera infusa in 30’

Monoterapia con beta-lattamico.

Gli antibiotici che sono stati maggiormente testati in monoterapia sono il ceftazidime ed i

carbapenemici (imipenem-cilastatina e meropenem) (29,30). Le recenti segnalazioni di

aumento di ceppi di batteri Gram-negativi resistenti al ceftazidime ed alle cefalosporine di

III generazione inducono a consigliare cautela nell’uso del ceftazidime in monoterapia

(31,32). I carbapenemici risultano efficaci sui ceppi di Gram-negativi ceftazidime-resistenti

e proprio per questa ragione non dovrebbero essere impiegati nella terapia iniziale,

riservandone l’uso ai casi di infezioni documentate da agenti patogeni multiresistenti. Ciò

anche perché i carbapenemici, a causa della loro capacità di indurre produzione di beta-

lattamasi ad ampio spettro (in grado di inattivare molti antibiotici), sono potenzialmente in

grado di portare ad un aumento della diffusione di ceppi batterici multiresistenti (33, 34). I

due carbapenemici indicati (imipenem-cilastatina e meropenem), entrambi piuttosto

costosi, presentano virtualmente lo stesso spettro d’azione, ma si differenziano per la


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migliore tollerabilità del meropenem, che, tra l’altro, non richiede l’aggiunta della

cilastatina (29,30). Le dosi consigliate sono:

 ceftazidime 100 mg/kg/die (massimo 6 g/die ) in 3 sottodosi

 imipenem-cilastatina 80 mg/kg/die (massimo 4 g/die) in 3-4 sottodosi

 meropenem 60 mg/kg/die (massimo 3 g/die) in 3 sottodosi

Uso degli aminoglicosidi.

L’amikacina è l’aminoglicoside che è stato usato nella maggior parte dei grandi

studi di terapia empirica della neutropenia febbrile, comprendenti sia pazienti adulti, sia

pediatrici (22, 30, 35-39). Inizialmente, il farmaco veniva utilizzato alla dose di 15-20

mg/Kg/die, in 2 o 3 somministrazioni. Recentemente, sono emersi dati convincenti che

raccomandano l’impiego dello stesso dosaggio, ma somministrato in una singola dose

giornaliera (30,36,37,40) (categoria A). Notoriamente, i dosaggi di amikacina vanno

ridotti in caso di insufficienza renale, sulla base di formule matematiche o, meglio,

monitorando i livelli ematici di base (categoria C). Purtroppo, quando il farmaco viene

somministrato in dose singola giornaliera, i livelli di base sono molto bassi e pertanto, per

ragioni tecniche legate al metodo che si usa nella determinazione routinaria, il valore

ottenuto può essere errato. Di conseguenza, quando si vogliono monitorare i livelli ematici

ed il farmaco viene somministrato in singola dose giornaliera, è preferibile effettuare il

prelievo di sangue a 8 ore dal termine dell’infusione. Esiste infatti una correlazione lineare

tra i livelli ematici a 8 ore ed i livelli di base (41, 42) (categoria B). Il livello a 8 ore

dovrebbe essere inferiore a 15 mg/l. (European Organization for Research on Treatment

of Cancer-International Antimicrobial Therapy Cooperative Group, dati non pubblicati). In

caso di valori superiori è necessario ridurre proporzionalmente la dose di farmaco. Una

alternativa valida e poco costosa potrebbe essere quella di monitorare i livelli di amikacina

solo in presenza di aumento dei valori della creatinina (categoria C). Nel paziente che

non risponde alla terapia e che ha una infezione documentata da patogeno sensibile
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all’amikacina può essere indicato il monitoraggio dei livelli di picco (30 minuti dopo il

termine della somministrazione), allo scopo di incrementare la dose se i livelli appaiono

inferiori a 50 mg/l (categoria C).

Gli autori riconoscono che anche altri aminoglicosidi (netilmicina, tobramicina, ecc.)

potrebbero essere equivalenti all’amikacina in termini di efficacia e tossicità. Tuttavia, la

scelta dell’amikacina è dovuta al fatto che questo farmaco è l’aminoglicoside che è stato

maggiormente studiato nella terapia empirica della neutropenia febbrile, specialmente in

età pediatrica (30, 35-40). L’uso della gentamicina, che ha peraltro un costo assai ridotto,

non sembra essere consigliabile, almeno a giudicare dai dati di sensibilità agli antibiotici

scaturiti dal già menzionato studio di sorveglianza delle sepsi nel bambino emato-

oncologico afferente ai centri AIEOP (5).

Uso dei glicopeptidi.

Parecchi studi in pazienti pediatrici ed adulti hanno dimostrato che l’aggiunta

routinaria di un antibiotico glicopeptidico (vancomicina o teicoplanina) al protocollo di

terapia antibiotica empirica non è indicata, se non in centri con elevata incidenza di

infezioni da stafilococchi meticillino-resistenti ed in determinate situazioni cliniche di alta

probabilità di eziologia da Gram-positivi (38,39,43) (categoria A). E’ questo il caso del

paziente con anamnesi positiva per precedenti infezioni stafilococciche recidivanti o

portatore di cateteri venosi centrali a permanenza che sono malfunzionanti o recanti segni

di infezione all’emergenza o lungo il tunnel sottocutaneo.

Durata del trattamento e dimissione precoce.

Comunemente, la durata della terapia antibiotica nel paziente neutropenico affetto

da un’infezione documentata non dovrebbe essere inferiore ai 10-14 giorni, specie in caso

di sepsi (7,44) (categoria B), potendo talvolta raggiungere anche i 20-30 giorni. Per i

pazienti con febbre di origine sconosciuta le opzioni sono meno chiare. Alcuni autori
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consigliano di proseguire il trattamento fino alla risalita dei granulociti al di sopra di 500-

1000 cellule/mmc (45), mentre altri preferiscono proseguire la terapia per 4 giorni dopo lo

sfebbramento, con un minimo di 7 giorni di trattamento totale, per poi sospendere anche

in assenza di risalita dei neutrofili (30,36,44). Pur trattandosi di un argomento sul quale le

opinioni non sono unanimi, si ritiene di poter indicare come accettabile la seconda

opzione, specie in pediatria (categoria C). Studi recenti hanno anche dimostrato che è

possibile una dimissione precoce con gestione domiciliare o in regime di day hospital,

anche senza l’aver raggiunto valori “di sicurezza” della conta dei granulociti (secondo

alcuni anche indipendentemente dalla documentazione microbiologica e/o clinica di

infezione), in presenza delle seguenti condizioni (22,46-52) (categoria B):

 pazienti sfebbrati per almeno 2 giorni consecutivi,

 malattia di base sotto controllo,

 presenza di segni di ripresa midollare (aumento di valori assoluti di neutrofili e monociti

e/o piastrine),

 assenza di segni di deterioramento clinico,

 almeno 2 giorni di terapia antibiotica ad ampio spettro per via endovenosa

 presenza di una situazione logistica favorevole (vicinanza tra ospedale e abitazione),

stretta collaborazione tra pazienti, genitori e personale,

In uno studio prospettico in pazienti adulti la terapia è stata addirittura proseguita

per via orale (53).

Modifiche della terapia iniziale.

Le indicazioni alla modifica della terapia antibiotica empirica nel paziente che non

risponde alla terapia stessa sono poco chiare ed i comportamenti non sono unanimi. Si

nota di frequente una forte tendenza a modificare la terapia antibiotica iniziale in assenza

di ragioni obiettive e, spesso, solo per la persistenza di febbre. In realtà, ciò non è sempre

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corretto, in quanto la febbre non rappresenta di per se stessa un criterio di insuccesso di

una terapia, purché il paziente sia clinicamente stabile. A questo proposito, gli autori

ritengono utile qui di seguito sottolineare alcuni principi generali che dovrebbero guidare

la buona pratica clinica in malattie infettive.

 Qualunque modifica di terapia antibiotica su base puramente clinica dovrebbe basarsi

su obiettivi segni di deterioramento e non sulla semplice persistenza di febbre, specie

se di entità moderata (37°C-38,5°C) (categoria C).

 Per quanto l’argomento sia controverso, gli autori ritengono che In caso di infezione

microbiologicamente documentata ogni paziente dovrebbe essere trattato con una

terapia a cui il germe isolato sia sensibile in vitro, anche se le sue condizioni cliniche

migliorano spontaneamente. Ciò significa che la terapia dovrà in ogni caso essere

modificata sulla base dei test di sensibilità agli antibiotici, se il germe isolato risulta

resistente agli antibiotici impiegati.

 In mancanza di segni e sintomi clinici specifici e di indicazioni microbiologiche, la sola

modifica empirica di terapia antibiotica accettata da tutti i maggiori esperti consiste

nell’aggiunta di un farmaco antifungino (54,55) (categoria B).

 Eventuali modifiche della terapia empirica iniziale non dovrebbero in ogni caso essere

effettuate prima di almeno 4 giorni di trattamento (7,20,29,30,35-39,44) (categoria A)

a meno di isolamento, da colture significative, di microrganismi resistenti ai farmaci

impiegati o di comparsa di quadri clinici particolari che suggeriscano un’eziologia non

coperta dagli antibiotici somministrati. Questa eventualità si può verificare, per

esempio, in caso di comparsa di segni o sintomi suggestivi di infezione correlata al

catetere venoso centrale (più probabilmente, ma non esclusivamente, dovuta a cocchi

Gram-positivi), di cellulite perianale o di tiflite (verosimilmente legate ad infezioni da

anaerobi e da enterococchi, oltre che da enterobatteri Gram-negativi) o di polmonite

(spesso dovuta a miceti, senza trascurare i micoplasmi, le legionelle ed il Pneumocystis


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carinii). Altro motivo di modifica terapeutica è dato dalla comparsa di grave intolleranza

agli antibiotici somministrati.

Aggiunta di antibiotici glicopeptidici con attività anti Gram-positivi (vancomicina,

teicoplanina).

Per quanto non esistano studi clinici controllati che dimostrino l’utilità dell’aggiunta

empirica di un glicopeptide nel paziente persistentemente neutropenico e affetto da

febbre di origine sconosciuta, ciononostante molti centri ematologici applicano questa

pratica, probabilmente nella convinzione che la persistente temperatura febbrile sia

dovuta ad un’infezione occulta da cocchi Gram-positivi. In realtà questo è piuttosto

improbabile, poiché i microrganismi Gram-positivi sono facilmente isolabili in coltura, a

differenza dei miceti. Inoltre, a differenza dei Gram-negativi, raramente i cocchi Gram-

positivi sono causa di infezioni fulminanti. Se ne deduce che l’aggiunta di un glicopeptide,

in assenza di valide indicazioni microbiologiche o cliniche (infezione correlata al catetere

venoso centrale), non è una pratica corretta. La possibilità di selezionare microrganismi

Gram-positivi glicopeptide-resistenti, correlata con il diffuso uso di questi farmaci,

sconsiglia ulteriormente l’uso incongruo dei polipeptidi (56).

Aggiunta di antifungini.

Sulla base di studi clinici (peraltro eseguiti su casistiche assai limitate) (54,55), è divenuta

pratica corrente, in pazienti persistentemente febbrili (>38°C) e neutropenici (<500

PMN/mmc) privi di documentazione di infezione, il somministrare empiricamente un

farmaco antifungino dopo un periodo variabile di terapia antibatterica (di solito 5-6 giorni).

Il farmaco generalmente impiegato è l'amfotericina B e la durata della terapia rimane

imprecisata (57). Recentemente è stato suggerito che anche il fluconazolo potrebbe

essere efficace per questa indicazione (58) (categoria B) , in pazienti che

 non siano in profilassi con fluconazolo


17
 abbiano anamnesi negativa per pregressa aspergillosi

 siano privi di segni clinici compatibili con una diagnosi di aspergillosi

 siano trattati in centri non gravati da elevata incidenza di aspergillosi

 in assenza di recenti lavori edilizi all’interno del centro o nelle sue immediate vicinanze

Le dosi consigliate sono:

 fluconazolo: 6-10 mg/kg/die, in dose singola giornaliera (58,59)

 amfotericina B: 0.8 mg/kg/die, in dose singola giornaliera, in soluzione glucosata al 5%,

con infusione della durata della durata di 4-6 ore (57); secondo alcuni, in pazienti con

funzione renale normale, il farmaco potrebbe essere infuso anche in 1-2 ore (categoria

B) senza aggravamento degli effetti collaterali (59).

18
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27
Ringraziamenti:

Gli Autori desiderano innanzitutto ringraziare Pietro Martino (Dipartimento di

Biotecnologie Cellulari ed Ematologia, Università “La Sapienza”, Roma) per avere

rivisto criticamente il manoscritto. Gli autori ringraziano inoltre E. Panetta, E. Montinaro

(Istituto G. Gaslini, Genova) e E.Mariani (Roche Italia, Milano) per l’aiuto fornito nel

calcolo dei costi delle terapie. Si ringrazia infine la sig.ra L. Veroni (Istituto Nazionale

per la Ricerca sul Cancro, Genova) per avere curato la stesura del manoscritto.

28
Tabella 1. Eziologia delle sepsi in bambini trattati per malattia neoplastica in centri
AIEOP sulla base di uno studio prospettico di sorveglianza effettuato nel
1996 (voce bibliografica 5).

Episodi in corso di Episodi in assenza Totale


neutropenia di neutropenia (N=191)
(N=123) (N=68)
Gram-positivi 58 27 85
Gram-negativi 46 32 78
Miceti 13 5 18
Forme 6 4 10
polimicrobiche

29
Tabella 2. Patogeni isolati in corso di sepsi in bambini trattati per malattia
neoplastica in centri AIEOP sulla base di uno studio prospettico di
sorveglianza effettuato nel 1996 (voce bibliografica 5).

(i numeri tra parentesi si riferiscono alle forme correlate al catetere venoso


centrale a permanenza)
Patogeni Neutropenia Totale
Si No
Batteri Gram-positivi 61 (10) 32 (13) 93 (23)
streptococchi viridanti 18 (2) 2 (1) 20 (3)
Staphylococcus aureus 8 (2) 11(4) 19 (6)
stafilococchi coagulasi-negativi 27 (6) 16 (7) 43 (13)
Enterococcus faecium 1 - 1
Enterococcus faecalis 1 1 2
Enterococcus avium 1 - 1
Streptococcus pyogenes 1 - 1
Micrococcus sp 1 - 1
Clostridium septicum 1 - 1
Bacillus sp 1 1 2
Bacillus circulans - (-) 1 (1) 1 (1)
Actinomyces sp 1 - 1
Batteri Gram-negativi 54 (7) 36 (22) 90 (29)
Escherichia coli 17 (1) 3 (2) 20 (3)
Pseudomonas sp 3 (1) 2 (-) 5 (1)
Pseudomonas aeruginosa 13 (2) 4 (1) 17 (3)
Stenotrophomonas maltophilia 3 (1) 3 (2) 6 (3)
Pseudomonas fluorescens 1 (1) 1 (1) 2 (2)
Pseudomonas putida 1 (-) 1 (2) 2 (2)
Burkholderia pickettii - 1 1
Pseudomonas stutzeri - (-) 2 (2) 2 (2)
Klebsiella pneumoniae 2 (1) 2 (2) 4 (3)
Klebsiella oxytoca 3 (-) 2 (2) 5 (2)
Enterobacter cloacae 2 (-) 2 (1) 4 (1)

30
Enterobacter agglomerans - 1 1
Enterobacter sakazakii 2 - 2
Serratia sp - 1 1
Serratia liquefaciens - (-) 1 (1) 1 (1)
Serratia marcescens 2 (-) 2 (1) 4 (1)
Proteus vulgaris 1 - 1
Proteus mirabilis - (-) 1 (1) 1 (1)
Acinetobacter sp 1 (-) 1 (1) 2 (1)
Acinetobacter calcoaceticus - (-) 1 (1) 1 (1)
Acinetobacter lwoffii - (-) 1 (1) 1 (1)
Acinetobacter baumanii 1 - 1
Achromobacter xylosidans 1 1
Aeromonas .hydrophila 1 - 1
Salmonella sp - 1 1
Pasteurella multocida - 1 1
Bacteroides fragilis - 1 1
Citrobacter freundii - (-) 1 (1) 1 (1)
Funghi 15 (5) 6 (3) 21 (8)
Candida sp 2 (-) 3 (1) 5 (1)
Candida albicans 3 (1) - (-) 3 (1)
Candida parapsilosis 6 (3) 2 (1) 8 (4)
Candida guillermondii - (-) 1 (1) 1 (1)
Torulopsis glabrata 1 - 1
Fusarium solani 1 - 1
Fusarium moniliforme 1 (1) - (-) 1 (1)
Saccharomyces cerevisiae 1 - 1
Totale 130 (22) 74 (38) 204 (60)

31
Tabella 3. Resistenza agli antibiotici di ceppi batterici isolati in corso di sepsi in
bambini trattati per malattia neoplastica in centri AIEOP sulla base di uno
studio prospettico di sorveglianza effettuato nel 1996 (voce bibliografica
5).

Batteri Gram-positivi
OXA PEN
(resistenti (resistenti
/testati) /testati)
S.aureus 1/16 (6) -
stafilococchi coagulasi 12/33 (35) -
negativi
streptococchi viridanti - 8/19 (42)

Batteri Gram-negativi
AK CAZ CRO IMP CIP
(resistenti (resistenti (resistenti (resistenti (resistenti
/testati) /testati) /testati) /testati) /testati)
 Pseudomonada 9/35 (25.7) 13/34 (38.2) 17/25 (68%) 11/30 (36.7) 3/35 (8.6)
ceae
 Enterobacteriac 4/21 (19) 2/21 (9.5) 2/16 (12.5) 0/12 (0) 6/20 (30)
eae
non Gruppo-KES
 Enterobacteriaceae 2/19 (10.5) 5/20 (25) 4/15 (26.7) 0/13 (0) 2/20 (10)
Gruppo KES
 Altri 1/6 (16.6) 2/7 (28.5) 3/6 (50%) 0/4 (0) 1/5 (20%)
Totale 16/81 (19.7) 22/82 (26.8) 26/62 (41.9) 11/59 (18.6) 12/80 (15)
Legenda:

OXA= Oxacillina, PEN= Penicillina G, AK= Amikacina, CAZ= Ceftazidime, CRO=

Ceftriaxone, IMP= Imipenem, CIP= Ciprofloxacina

32
Gruppo KES= Klebsiella-Serratia-Enterobacter

33
Tabella 4. Posologia e modalità di somministrazione dei farmaci proposti per la

terapia empirica iniziale della febbre in bambini neutropenici con

malattia neoplastica

Farmaco* Dose giornaliera Frequenza delle mg/kg/ Dose massima

(mg/kg) somministrazioni dose giornaliera (mg)

Amikacina 20 1 20 1,500

Ceftriaxone 80 1 80 2,000

Ceftazidime 100 3 33 6,000

Piperacillina/tazobactam** 300 4 75 16,000

Meropenem 60 3 20 3,000

Imipenem/cilastatina 80 4 20 4,000

* anche altre cefalosporine di 3° generazione (ad esempio ceftizoxime, cefoperazone,

cefepime, etc), ureidopenicilline associate o meno a inibitori delle beta-lattamasi

(piperacillina, mezlocillina, azlocillina) o aminoglicosidi (netilmicina, gentamicina, isepamicina)

potrebbero risultare efficaci; questi farmaci non sono stati inclusi nella presente tabella in

quanto, al meglio delle nostre conoscenze, non sono stati testati su ampie casistiche (500-

1000 pazienti) e in trials clinici condotti in maniera appropriata o erano inferiori come

efficacia

** basato sulla dose di piperacillina

34
Tabella 5. Trattamenti proposti per la terapia empirica iniziale della febbre in corso
di neutropenia

ASSOCIAZIONE VANTAGGI SVANTAGGI


Ceftazidime +  Sinergismo  Abbastanza costosa
amikacina  Ampio spettro di azione,  Necessità di somministrare
comprendente anche le ceftazidime in 3 dosi giornaliere
Pseudomonas  Attività non ottimale nei confronti
degli streptococchi e degli
stafilococchi MET-R e degli anaerobi
 Iniziale segnalazione di ceppi di
Gram-negativi ceftazidime-resistenti
(specie del gruppo KES e
Pseudomonas)
 rischio di selezione di enterococchi
Ceftriaxone +  Sinergismo  Scarsa attività nei confronti di
amikacina  Costo relativamente Pseudomonas del ceftriaxone
contenuto  Attività non ottimale nei confronti
 Somministrazione in degli stafilococchi MET-R
monodose giornaliera,  rischio di selezione di enterococchi
con possibilità di
trattamento in regime
extra-ospedaliero
 Attività anti-streptococchi
e anti anaerobi discreta
Piperacillina-  Sinergismo  Abbastanza costosa
tazobactam +  Spettro d’azione molto  Possibili resistenze di Pseudomonas
amikacina ampio a piperacillina-tazobactam
 Attività valida nei confronti  Necessità di somministrare
di streptococchi, piperacillina-tazobactam in 4 dosi
enterococchi e anaerobi giornaliere
Monoterapia con  Assenza di tossicità da  Costo elevato, anche senza
35
beta-lattamici aminoglicosidi aminoglicoside
 Copertura antibatterica comunque
non totale (con l’exxezione, forse, dei
carbapenemi)

36
Tabella 6: Costo giornaliero (in lire) della terapia antibiotica empirica della febbre nel soggetto neutropenico in età pediatrica.
FARMACO COSTO DELLA DOSE TOTALE GIORNALIERA IN RAPPORTO AL PESO (KG) DEL PAZIENTE

5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 60 70
AMIKACINA 2500 46500 7150 9250 9250 11750 13900 18500 18500 18500 23150 27750
CEFTRIAXONE 7150 15400 19800 29250 29250 29250 29250 29250 29250 29250 29250 29250
CEFTAZIDIME 12750 18450 18450 31200 45300 45300 58050 63750 63750 86850 86850 86850
PIPERACILLINA- 26200 26200 52400 52400 52400 78600 78600 78600 104800 104800 104800 104800

TAZOBACTAM
IMIPENEM-CIL. 48200 48200 83200 83200 83200 166400 166400 166400 166400 166400 166400 166400
MEROPENEM 46200 46200 83550 83550 83550 129750 129750 157050 157050 157050 157050 157050

In età pediatrica vengono normalmente somministrate “frazioni” delle confezioni di farmaco preparate dall’industria, con dosi calcolate
sulla base del peso dei pazienti. Perciò una parte del farmaco presente nella confezione viene generalmente “sprecata”. Poiché il
costo delle confezioni varia a seconda della quantità di farmaco presente in ciascuna di esse, allo scopo di calcolare il costo reale del
trattamento si è proceduto nella seguente maniera:
1. calcolo della dose pro kg/die in rapporto al peso del paziente e del numero di sottodosi/die
2. calcolo del numero di fiale necessarie per poter somministrare ogni singola sottodose di farmaco, basato sulle confezioni disponibili
in commercio. In questo caso si è considerato di impiegare le confezioni a più basso dosaggio possibile (impiegando però non più
di 2 confezioni a dosagio differente; per esempio per somministrare 750 mg di un farmaco 1 fiala da 500 mg + 1 fiala da 250 mg,
ma per somministrare 800 mg 1 fiala da 1000 mg e non 1 fiala da 500 mg + 1 fiala da 200 mg + 1 fiala da 100 mg). Sono state
prese in considerazione dapprima le fiale per somministrazione e.v. e qualora queste non fossero state disponibili per una
determinata confezione sono state valutate le fiale per somministrazione i.m. Si ricorda a questo proposito che per utilizzare per
via e.v. un preparato per uso i.m. è necessario ricostruire la fiala con acqua per preparazioni iniettabili o soluzione fisiologica, non
utilizzando il solvente allegato alla fiala che potrebbe contenere lidocaina.
3. è stato valutato infine il costo confezioni di farmaco necessarie per ogni singola somministrazione, che è stato quindi moltiplicato
per il numero di sottodosi giornaliere per ottenere il costo/die riportato in tabella.
Il calcolo dei costi è stato eseguito sulla base dei prezzi dei farmaci riportati sull’ Informatore Farmaceutico, edizione gennaio 1997,
ridotti del 50% (sconto di legge per gli ospedali).

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