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Sbobinatori: 02-05-2022

Francesco Fossaceca Igiene, Lezione 12


Roberto Galasso Prof. Lamberto Manzoli
Revisore:
Aurora Giaccagli

Prevenzione dei tumori

È importante comprendere qual è la percentuale di tumori prevenibili per poter mettere in atto delle
campagne di prevenzione mirate e allo stesso tempo stimare correttamente il rischio assoluto e relativo.
L’eziologia dei tumori è legata a cause genetiche, stili di vita e al caso, quantificare il peso che ognuno di
questi fattori ha nel determinare la comparsa di un tumore non è semplice.

Il professore riporta la sua esperienza di responsabile scientifico del registro tumori regionale. Per poter
verificare l’esistenza di una relazione tra l’inquinamento locale e l’incidenza di tumori devono verificarsi le
seguenti condizioni:
- l’incidenza deve presentare un trend in crescita per più anni di seguito (il numero di tumori diagnosticati
in un anno può subire delle oscillazioni casuali anche notevoli e di per sé non è sufficiente a stabilire che la
responsabilità è da attribuire all’inquinamento, per questo è importante osservare l’andamento in più anni
successivi)
- la tipologia di tumore deve essere correlabile all’inquinante presente in quel luogo

Qual è la percentuale di tumori dovuta all’inquinamento?

Non è facile stabilirlo, è chiaro che l’inquinamento è nocivo e va combattuto, ma spesso l’Unione Europea e
i governi tendono a sovrastimare i suoi effetti. A tal proposito è utile consultare i dati dell’Associazione
Italiana Registri TUMori (AIRTUM), associazione indipendente e libera da interessi economici, fondata a
Firenze nel 1966, include 7 registri regionali e 40 registri provinciali o comunali, raccogliendo informazioni
da 43 milioni di italiani.
I dati mostrati permettono di osservare come l’incidenza dei tumori pesata per età sia rimasta stabile nel
tempo (smentendo gli allarmismi su un continuo aumento dei tumori), a crescere è il numero di sopravvissuti
grazie al miglioramento delle terapie, ad oggi la sopravvivenza media a 5 anni per tutti i tumori è del 60% (la
sopravvivenza a 5 anni varia molto a
seconda del tipo di tumore considerato).
Alcuni report dell’UE saliti agli onori
della cronaca stimano 91.000 morti da
inquinamento in Italia e 467.000 in
Europa, tuttavia questi dati si basano su
modellizzazioni statistiche. Un esempio
emblematico riguarda il particolato
atmosferico PM10, è difficilissimo
quantificare:
- durata dell’esposizione
- quantità di inquinante assunta
- presenza di altri fattori di rischio
- delay fra esposizione e comparsa della
malattia
Pertanto, i modelli statistici prodotti sono
molto discutibili.
Gli studi necessari per attribuire l’eziologia di un tumore all’inquinamento sono estremamente complessi,
bisogna ricostruire la storia clinica di ogni singolo paziente, rilevare il tipo di tumore, l’inquinante presente,
la durata dell’esposizione. Uno studio di questo tipo è stato effettuato in Italia in un paese di 6000 abitanti, ha
richiesto 6 mesi di lavoro e numerose difficoltà legate sia alla corretta ricostruzione degli eventi sia a
problemi di privacy incontrati durante la raccolta dei dati.

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Stando ai dati dell’American Association for Cancer Research (AACR) il numero di tumori dovuti a
inquinamento ambientale è il 2%, secondo altri studi condotti nel Regno Unito il valore scende all’1%.
Quindi:
- l’incidenza annua dei tumori in Italia è 6 su 1000
- il 2% di 6 su 1000 è 12 su 100.000 (incidenza annua dei tumori provocati dall’inquinamento)
- di questi il 60% sopravvive (7 su 100.000) il 40% muore (5 su 100.000)
Da questi calcoli ricaviamo che i morti in Italia a causa di tumori provocati dall’inquinamento sono 5 su
100.000, considerato che la popolazione italiana è di 60 milioni, il numero di morti è di 3000 all’anno, un
valore molto lontano dai 91.000 stimati dall’Unione Europea.
I dati menzionati evidenziano che l’essere umano ha dimostrato di essere resistente anche a notevoli livelli di
inquinamento, a riconferma di ciò basta osservare gli effetti che alte concentrazioni di sostanze inquinanti
hanno sui fumatori. Nonostante il fumo
contenga Acetaldeide, Acroleina,
Acrilamide, Mercurio, Piombo,
Formaldeide, Cadmio, Benzopirene,
Benzene, Benzo(a)antracene, Ossido
propilenico, Fenolo, Cresolo, Toluidina,
Stirene, Toluene, Cloruro di vinile, come
evidenziato della tabella della FDA
riportata a lato, i fumatori hanno
un’aspettativa di vita comunque di 72
anni, “solo” 10 anni in meno rispetto alla
media italiana di 82 anni. Per avere dei
danni importanti da inquinamento
ambientale occorre che questo
inquinamento sia molto grave, per
esempio nella terra dei fuochi, di solito
livelli più bassi causano danni
fortunatamente meno pesanti.

Qual è la percentuale di tumori dovuta allo stile di vita?

A lato sono riportati i dati dell’American


Association for Cancer Research (nella
tabella è presente un errore, il sovrappeso
non è un fattore di rischio), le stime
inglesi sono più caute. Poco tempo fa è
stato pubblicato uno studio su Science,
realizzato osservando i danni comparsi nel
DNA di cellule in coltura e mettendolo in
relazione al numero di replicazioni, è
emerso che circa i 2/3 dei tumori sono
dovuti al caso. Il numero di duplicazioni
del DNA che avvengono ogni secondo nel
corpo umano è enorme (dell’ordine di
miliardi di miliardi) e durante ogni ciclo
replicativo possono verificarsi degli errori indipendenti dalla predisposizione ereditaria o da fattori
ambientali. Stando ai dati del Cancer Research UK il 42% dei cancri è prevenibile (il 58% non è
prevenibile) secondo le stime del U.S. Centers for Disease Control and Prevention (CDC) la percentuale
di cancri prevenibile scende al 21%. In buona sostanza meno della metà dei tumori può essere prevenuta.
Questi dati sono importanti per due motivi:
- Non colpevolizzare ingiustamente il paziente oncologico che ha avuto uno stile di vita a rischio, perché non
abbiamo la certezza che sia stato quello il motivo della comparsa del tumore

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- Attuare interventi preventivi consapevoli del fatto che solo una parte delle malattie può essere evitata e che
le precauzioni adottate non garantiscono al paziente la assoluta certezza di non sviluppare un tumore.
Screening
SENSIBILITÀ: percentuale di persone che hanno un test positivo tra i malati
SPECIFICITÀ: percentuale di persone che hanno un test negativo tra i non malati

Valore Predittivo Positivo (VPP)


Positive Predictive Value (PPV)

Prendiamo ad esempio ORAQUICK Advance, un test per l’HIV (Human Immunodeficiency Virus)
approvato dalla Food and Drug Administration (FDA) le sue caratteristiche sono:
- sensibilità 99,6%
- specificità 99,8%
Su 100 malati 99,6 risultano positivi e su 100 non malati 99,8 risultano negativi.

Se una persona fa il test e risulta positiva, qual è la probabilità che sia veramente malata?

Nei test diagnostici è molto importante considerare il rischio assoluto, stando ai dati del Ministero della
Salute il rischio assoluto di un italiano medio di contrarre l’HIV è di 6 su 100.000.
Se sottoponiamo al test per l’HIV 100.000 persone troveremo:
- 6 veri positivi, quasi sicuramente individueremo le persone malate grazie all’altissima sensibilità.
- 200 falsi positivi, la specificità del test è del 99,8% il che significa che lo 0,2% della popolazione testata
risulterà falsamente positiva, 200 persone su 100.000.

La probabilità che una persona risultata positiva sia veramente malata è del 3%.
Per questo motivo non ha senso effettuare degli screening sulla popolazione per malattie poco frequenti.

Per comprendere meglio la logica dietro il Valore Predittivo Positivo viene portato l’esempio dell’utilizzo
del termoscanner durante la pandemia. Il termoscanner ha una temperatura soglia di 37,5°, ma questo è un
valore arbitrario che non tiene conto del fatto che la temperatura corporea varia tra i 35,7° e i 37,7°, con
oscillazioni anche durante l’arco della giornata che possono arrivare anche a 0,5°. Vi è poi la problematica
della mancanza di una definizione unica di febbre, che viene espressa come una temperatura corporea uguale
o superiore a 38°, oppure come un aumento di 1° rispetto alla temperatura corporea normale. Infine, bisogna
tenere in considerazione che la febbre è un sintomo sviluppato soltanto dal 5-10% degli infetti da Covid, non
è un sintomo specifico, e che chi ha la febbre in genere non esce di casa.
Tutti questi fattori combinati fanno sì che sia la sensibilità (circa 10%) che la specificità (circa 50%) del
termoscanner siano molto bassi, e questo lo rende uno strumento dalla scarsa utilità per la prevenzione.

Screening

Lo screening è un intervento di prevenzione, ed è uno strumento potente di cui non bisogna abusare. Le
condizioni da rispettare affinché possa essere raccomandato uno screening sono:
1. Avere un test diagnostico buono, ovvero con specificità e sensibilità alti;
2. La patologia deve essere grave e relativamente frequente, altrimenti il numero di persone salvate
sarebbe troppo basso per giustificarne il costo;
3. Quando la patologia è rara lo screening deve essere fatto solo alle persone con un rischio alto;
4. Avere una cura che agisca meglio se somministrata prima dello sviluppo dei sintomi, come nel caso
dei tumori maligni.
Gli screening raccomandati a tutta la popolazione sono gli esami per i tumori alla cervice uterina, al colon-
retto ed alla mammella (fatto ogni 2 anni per le donne dai 50 ai 70 anni). Questi screening sono molto

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importanti, tanto è vero che un tasso di partecipazione della popolazione alto è un obbiettivo di tutti i
direttori generali delle ASL, e spesso sono anche obbiettivi prioritari delle regioni.

Detto ciò, recentemente è stata messa in discussione l’efficacia dello screening per il tumore alla mammella:
 2000: sul Lancet viene pubblicata da due famosi epidemiologi, Olsen e Gøtzsche una metanalisi che
evidenziava come lo screening non portasse né ad una riduzione di mortalità nelle donne sottoposte
al test rispetto a quelle che non vi hanno partecipato, né una riduzione di mortalità causa-specifica,
ovvero causata direttamente dal tumore alla mammella;
 2001: a seguito delle polemiche scaturite dalla loro precedente metanalisi, i due epidemiologi
pubblicano un’altra metanalisi in cui vengono confermati i risultati ottenuti precedentemente;
 2004: su un altro giornale viene pubblicata una
nuova metanalisi in cui, dei 10 studi su cui si
basavano le precedenti metanalisi, viene preso in
considerazione solo quello con i risultati migliori.
In questo studio vengono seguite 2000 donne che
si sottopongono allo screening ogni 2 anni per 10
anni. Di queste, solo una si salva grazie allo
screening, e questo perché il tumore alla
mammella può essere trovato in fase precoce
anche senza screening. Nello studio si è però
scoperto che per questo unico successo vi sono
stati 200 falsi positivi, 10 delle quali sono state
sottoposte ad over treatment;
 2010: uno studio su tutte le donne danesi, seguite per 20 anni, conclude che la mortalità tra quelle
sottoposte allo screening e quelle non sottoposte allo screening sia la stessa;
 2012: sul Lancet viene pubblicato uno studio sponsorizzato del Regno Unito che aveva lo scopo di
fare chiarezza sulla questione, ma la conclusione a cui gli esperti a capo del progetto arrivarono, fu
che l’efficacia dello screening per il tumore alla mammella andasse rivalutata;
 Uno studio svizzero consiglia di non creare nuovi programmi di screening, e di porre un limite
temporale a quelli esistenti;

Da questi esempi si evince che ci siano 4 problemi con lo screening:


1. Lead time, ovvero l’intervallo di tempo
che trascorre tra la diagnosi avvenuta
tramite screening, e quindi quando la
malattia è ancora nella sua fase
asintomatica, e la diagnosi che sarebbe
avvenuta con la comparsa dei sintomi.
Questo comporterà un apparente aumento
del tempo di sopravvivenza post diagnosi,
senza che si verifichi necessariamente un
aumento del tempo addizionale di vita del
paziente. Questo bias comporta che alcuni
screening vengano giudicati come dei
successi senza che portino un vero
beneficio al malato.
2. Problemi dovuti ai falsi positivi, come
l’aumento di stress per il paziente;
3. Evoluzione lenta di molti tumori, in particolare una parte dei carcinomi in situ non avrà
un’evoluzione veloce che metterà a rischio la vita del paziente. Un esempio è dato dal tumore alla
prostata, riscontrato nel 50% degli uomini sopra gli 80 anni, ma la maggior parte di questi tumori ha
un’evoluzione molto lenta che non porta rischi per un paziente di età avanzata.

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Se si dovesse fare uno screening su tutta la popolazione, ci sarebbe il rischio di praticare un
intervento non necessario su pazienti che porterebbe ad una ridotta qualità di vita senza fornire alcun
beneficio.
In casi come questi lo screening viene sconsigliato, a meno che non vi siano dei particolari fattori di
rischio che lo giustifichino.

È importante quindi utilizzare questo strumento con logica, riconoscendone sia pregi che difetti, ed è proprio
sotto questi metri di giudizio che deve essere valutato anche lo screening per il tumore alla mammella.

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