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Sbobinatori: S. Mieni, A. Murari
Lez. 01 urologia
Novara 04/10/19
Revisore: A.Galbiat
Il programma generale del corso e i vari libri di testo consigliati sono presenti nel Syllabus.
Con urologia si intende una branca della medicina e della chirurgia che si occupa delle
patologie dell’apparato urinario femminile e maschile e dell’apparato genitale maschile.
Le malattie dell’apparato genitale femminile, vengono trattate principalmente dai
Ginecologi. Vi è una sub-specialità , definita uro-ginecologia, che rimane una branca di
frontera tra le 2 specialità .
In urologia, l’urologo è al contempo medico e chirurgo, al contrario di altre discipline per le
quali il clinico delega le competenze chirurgiche e viceversa, per esempio:
gastroenterologo e chirurgo generale, neurologo e neurochirurgo.
Un grande numero di malattie ad elevata prevalenza ed elevata incidenza rientra
nell’ambito dell’urologia
L a ne
oplasia prostatica è
la neoplasia più comune negli uomini ; vi sono 35.000 nuovi casi annui.
L a ne
oplasia vescicale è la quarta neoplasia più comune negli uomini e la settimana più comune
nelle donne; in totale ci sono 30.000 casi all’anno.
L a ne
oplasia renale è la settima causa più comune negli uomini e la decima nelle donne , con
12.000 casi annui.
Tre neoplasie, tra le prime dieci neoplasie più comuni nel sesso maschile, sono di pertnenza
urologica.
Ciò a dimostrare che i tumori di interesse urologico rappresentano una percentuale
altamente rilevante delle neoplasie totali.
La neoplasia testicolare che complessivamente è poco diffusa, è la neoplasia più comune
nei giovani con età inferiore ai 50 anni.
L’urologia si occupa anche di malattie benigne. Esempi sono:
-la calcolosi genitourinaria: prevalenza 10%
-disturbi ostruttivi del basso apparato urinario: ne soffre il 26% degli uomini adult e il
19% delle donne,
-l’incontinenza urinaria: colpisce il 5% degli uomini e il 13% delle donne
-la disfunzione erettile: 25-52% degli uomini ultraquarantenni
-cistiti semplici con prevalenza pari al 50% nelle donne.
Sono tutte patologie ad elevata prevalenza.
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Neoplasia della vescica
È una patologia molto diffusa.
I planisferi delle immagini sottostant mostrano l’incidenza mondiale e la mortalità della
neoplasia vescicale nella popolazione maschile (posta nella parte alta del grafico) e
femminile (posta in basso).
Incidenza:
In Italia, la neoplasia rientra nella seconda fascia di incidenza che per gli uomini è 14-20
abitant ogni 100.000 persone, mentre per le donne è 3-5 casi ogni 100.000 abitant.
L’incidenza nel sesso maschile è decisamente più elevata rispetto a quella nel sesso
femminile.
L’Europa mediterranea è considerata tradizionalmente una zona ad alta incidenza.
Mortalità:
Considerando gli uomini, la neoplasia vescicale
rientra nella
terza fascia di mortalità (4-6 casi annui per 100.000
abitant),
mentre tra le donne rientra nella quarta fascia (0,8-1
casi annui per
100.000 abitant).
Dat stmat per l’anno 2019 indicano che, negli USA, la neoplasia vescicale è la quarta
neoplasia più frequente con circa 61.000 nuovi casi tra gli uomini e con
circa 13.000 decessi. Nel sesso femminile, non è tra le prime dieci forme neoplastche più
comuni. Fra le donne, vi sono circa 18.000 nuovi casi e 5.000 decessi.
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In Italia, AIOM (associazione italiana degli oncologici medici) si occupa della pubblicazione
di un volume inttolato “I numeri del cancro in Italia” dove riporta le stme aggiornate
annualmente di incidenza e di mortalità delle varie patologie.
Secondo i dat stmat per l’anno corrente, ci sono 25.000 nuovi casi diagnostcat tra gli uomini
e circa 5.000 tra le donne. I decessi stmat sono circa 6.000, in dettaglio 5.000 tra gli uomini
e 1.300 tra donne.
Incidenza e mortalità sono maggiori nel sesso maschile rispetto al sesso femminile e ciò è
correlato alla diversa abitudine al fumo che sembra essere maggiormente diffusa tra gli
uomini. Tuttavia negli ultmi anni è aumentato il tabagismo nelle donne, riducendo cosi il
divario esistente tra i due sessi che comunque persiste.
La tabella a lato mostra ulteriori dat di prevalenza della malattia in Italia. Nel 2019 ci sono
219.000 uomini e 58.000 donne con neoplasia vescicale, quindi quasi 300.000 persone in
vita con diagnosi di tumore alla vescica.
La neoplasia della vescica è una patologia dell’età adulta e dell’età anziana.
L’incidenza e la mortalità aumentano all’aumentare dell’età . Dal momento che vi è un
invecchiamento

della
popolazione, non vi è alcuna speranza che tali valori si riducano. Bambini con neoplasie
vescicali sono casi rarissimi.
Trend di incidenza per gli uomini (a sinistra) e per le donne (a destra) nel tempo,
stratficato per età .
La linea nera indica l’incidenza della malattia che è costante in entrambi i sessi dal 2003 al
2014 e ciò dimostra che non vi è ancora una prevenzione efficace in grado di ridurre il
numero di casi annui.
L’ incidenza nel sesso maschile e nel sesso femminile non è la medesima; analizzando l’asse
delle ordinate si nota che l’incidenza negli uomini è circa 4 volte superiore a quella
femminile.
Si osserva inoltre che l’incidenza
aumenta con l’età ; è maggiore nell’individuo di 70 anni rispetto alla persona di 50 anni.
I Trend di mortalità per gli uomini
(a sinistra) e per le donne (a
destra) nel tempo, stratficato per
età .
Si nota che nell’ultmo decennio
non c’è stato un miglioramento
della sopravvivenza dei pazient
con il tumore alla vescica, infatti i
decessi sono stabili nel tempo, in
rapporto 4:1 tra uomini e donne.
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Come per l’incidenza, anche per la mortalità i decessi sono maggiori negli ultrasettantenni
rispetto alle persone di 50 anni.
Negli ultmi anni non ci sono stat significatvi progressi relatvi alla prevenzione e al
trattamento delle neoplasie vescicali.
Non sono chiare le
oscillazioni
relatve alla mortalità
negli
ultrasettantenni
dal momento che nei
report precedent
non erano segnalate.
Il professore ipotzza che ciò sia dovuto ad un ampliamento del numero di registri della
popolazione a disposizione. L’integrazione dei registri di popolazione di provenienza
diversa può aver causato queste oscillazioni. Probabilmente il significato non è reale dal
momento che è relatvo solo ad un singolo anno.
Domanda: parlando di mortalità, si intende il numero di decessi riconducibili direttamente
alla neoplasia della vescica?
Risposta: si. Per mortalità si intende mortalità malattia specifica. Spesso nelle fasi avanzate
delle neoplasie, i pazienti muoiono a causa di un arresto cardiorespiratorio, ma il motivo
primario è il tumore.
Il professore riporta l’esempio di un paziente con neoplasia prostatica metastatica all’ottava
linea di trattamento che è stato ricoverato nel reparto di urologia per macroematuria.
L’uomo curato per l’ematuria è morto dopo pochi giorni. Apparentemente il paziente è
deceduto per arresto cardiorespiratorio dovuto ad un probabile scompenso cardiaco o
all’effetto di qualche farmaco, ma la causa principale di decesso è la neoplasia prostatica
metastatica.
Patogenesi
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Il principale fattore di rischio per lo sviluppo della neoplasia vescicale è l’abitudine
al fumo che è responsabile del 50% dei casi tra gli uomini e del 31% dei casi tra le
donne.
Non è possibile indentficare una causa nota e chiara nei restant casi. In generale la causa
principale è il fumo nei pazient fumatori, nelle persone non fumatrici la causa non è nota.
Agent chimici industriali (colorant, gomme, colle), la schistosomiasi e l’esposizione a
radiazioni ionizzant sono responsabili di una ridotta percentuale di neoplasie vescicali.
-Agenti chimici industriali:
la problematca delle industrie è una questone reale tuttavia i lavoratori sono sempre più
protetti sul lavoro e altamente controllat tramite esami periodici; pertanto la percentuale
di pazient in cui, ad oggi, si riscontra una correlazione diretta tra la neoplasia e le sostanze
chimiche è davvero infinitesima.
-Schistosomiasi:
la schistosomiasi è un’infezione tpica dell’Africa e non presente in Italia. È responsabile
dello sviluppo della neoplasia vescicale, in partcolare dell’istotpo squamoso che è una
forma minoritaria in Italia, ma rappresenta il 40% dei tumori alla vescica in Egitto. È una
forma che sta aumentando anche in Italia per via dei migrant.
L’istotpo squamoso può insorgere anche a causa di uno stmolo irritatvo cronico come
quello causato dal catetere a dimora.
Spesso i pazient anziani non sono più in grado di urinare e per risolvere tale problematca si
posiziona un catetere a dimora che viene sosttuito periodicamente. Se il paziente è molto
anziano e con comorbidità , il catetere non è un fattore di rischio dal momento che sono
necessari 10-15 anni di stmolazione cronica per sviluppare la neoplasia. Non tutte le
persone che hanno difficoltà ad urinare, però , sono persone con una ridotta aspettatva di
vita; ad esempio i pazient con danni neurologici che influenzano la minzione possono
essere persone con un’aspettatva di vita elevata e non necessariamente anziane. Per evitare
la stmolazione cronica indotta dal catetere a dimora e quindi per ridurre il rischio di
sviluppare in quest soggetti, dopo un lasso di tempo pari a 10-15 anni, la neoplasia di tpo
squamoso, si preferisce eseguire il cateterismo intermittente. Durante l’arco della giornata,
si posiziona il catetere 5/6 volte per alcuni minut permettendo cosi lo svuotamento della
vescica; in questo caso vi sarà una stmolazione di 10-15
minut al giorno rispetto alla stmolazione di 24 ore tpica del cateterismo a dimora e il
rischio di sviluppare la neoplasia si abbassa drastcamente.
-Radiazioni ionizzanti:
l’esposizione alle radiazioni ionizzant è un’altra possibile causa di sviluppo della neoplasia
vescicale e rappresenta la terapia tpica per alcuni tumori; quelli che interessano
maggiormente l’urologia sono le neoplasie dello scavo pelvico, quindi tumori della cervice
uterina, della prostata e del colon retto. La radioterapia risulta efficace per tali tumori, ma
al contempo è responsabile dell’insorgenza, a distanza di almeno 10 anni, del tumore
vescicale. I tumori radioterapia indotti richiedono almeno un decennio dall’esposizione alle
radiazioni per svilupparsi.
La vescica, contgua agli organi irradiat (prostata, colon retto e cervice uterina), assorbe una
grande quanttà di radiazioni che sono responsabili dello sviluppo della neoplasia vescicale
nel decennio successivo
È una forma poco frequente ed è possibile anche l’esatto opposto, ossia le radiazioni usate
nella cura per il tumore vescicale possono essere responsabili dell’insorgenza a distanza di
tempo di neoplasie dello scavo pelvico. Anche in questo contesto il numero di casi è
estremamente modesto.
Dal punto di vista patologico esistono molte tpologie di neoplasie vescicali.
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Considerando i tumori primitvi maligni di origine epiteliale, il carcinoma uroteliale è la
forma più frequente.
La seconda tpologia più comune è il carcinoma squamoso, più diffuso in Africa e derivante
dalla schistosomiasi o da corpi estranei come il catetere a dimora che causano
infiammazione cronica ed eventualmente la neoplasia.
Al terzo posto vi è l’adenocarcinoma; si pensa possa insorgere, nella maggior parte dei
casi, da residui uracali, infatti la neoplasia si localizza a livello della cupola vescicale.
Il trattamento per tale tumore è diverso da quello utlizzato per le neoplasie precedent. Nel
caso d
ell’adenocarcinoma si esegue una c istectomia parziale , cioè si rimuove la porzione di
vescica dove si è sviluppato il tumore. Poi si può eseguire una chemioterapia, che è analoga
a quella usata per i carcinomi intestnali (5-fluorouracile e cisplatno).
Infine ci sono diverse variant che si vedono sempre più frequentemente dal momento che è
aumentata la sensibilità nel fare diagnosi. Sono forme rare e più aggressive rispetto al
carcinoma uroteliale.
Oltre ai tumori primitvi maligni di origine epiteliale, ci sono le neoplasie maligne di origine
connettivale come i sarcomi. Tali tumori non originano dall’epitelio che riveste la vescica
ma dalla componente mesenchimale della parete vescicale.
I tumori benigni sono molto rari; un esempio è il feocromocitoma il cui sintomo
caratteristco è il picco ipertensivo durante la minzione.
Infine ci sono le neoplasie secondarie, cioè infiltrazioni nella vescica da parte di tumori
contgui che solitamente interessano la prostata, il colon retto e la cervice uterina.
Neoplasie luminali e basali
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Alcuni ricercatori hanno tentato la tpizzazione genetca delle neoplasie, ricercando geni
alterat in 130
pazient con neoplasia vescicale muscolo invasiva non chemio-trattata. Hanno ricercato
alterazioni genetche nei campioni di tessuto colpito dal tumore, in campioni di sangue e nei
tessut adiacent alla neoplasia, ritrovando 600 alterazioni.
Sono state individuate mutazioni in geni già not per la neoplasia vescicale come TP53,
CDKN2A e alterazioni in geni non not ma coinvolt anch’essi, come PVRL4.
In questa ampia variabilità genica, vi sono
quattro cluster (I, II, III, IV) di mutazioni
caratteristche. L’analisi del genoma ha
rivelato che i tumori della vescica possono
essere raggruppat in due gruppi:
1) neoplasie luminali:
Considerando i cluster I e II si parla di neoplasie luminali perché presentano delle
mutazioni genetche simili a quelle delle neoplasie mammarie luminali. I cluster, e quindi i
tumori sono caratterizzat da alterazioni di marcatori epiteliali come le caderine, i
microRNA associat alle caderine e alterazioni genetche di FOXA1 e GATA3
simili a quelle della neoplasia
mammaria luminale. Il cluster I è
tpico di neoplasie con aspetto
papillare
che

presentano
mutazioni di FGFR3, alterat
microRNA della medesima via di
FGFR3 e mutazioni del sistema
HER.
2) Neoplasie basali :
I cluster III e IV presentano alterazioni
genetche different da quelle dei cluster I e II,
ma sono simili a quelle della neoplasia
mammaria basale. Tali cluster comprendono
alterazioni delle citocheratne e di EGFR.
In base alle mutazioni scoperte, le neoplasie vescicali sono state raggruppate in due
categorie: luminale e basale. La prima è simile per mutazioni alla neoplasia mammaria
luminale, la seconda alla neoplasia mammaria basale. I primi presentano mutazioni tpiche
di marker epiteliali, mentre nei carcinomi basali ci sono alterazioni tpiche della patologia
squamosa del polmone, della testa e del collo. Le due tpologie di tumore vescicale sono
classificate dal profilo di mutazioni genetche.
G
razie a tale studio, si ipotzza l’esistenza di d
ue tpologie different di tumore vescicale .
Se il processo neoplastco origina dalle cellule basali, vi sono delle mutazioni tpiche che
porteranno allo sviluppo della neoplasia basale; al contrario quando è inizialmente
coinvolta la componente più 7
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superficiale dell’epitelio di rivestmento, vi è un differente, ma caratteristco pattern di
mutazioni (simile a quello del tumore mammario luminale) responsabile dello sviluppo del
carcinoma luminale.
I tumori basali hanno una prognosi peggiore rispetto a quelli luminali. Ciò è
evidenziabile dai seguent grafici di Kaplan-Meier, dove la linea gialla rappresenta le
persone con tumore luminale, mentre quella grigia indica gli individui con neoplasia
vescicale basale. Il differente profilo genetco corrisponde ad una differente prognosi e
permetterà nel futuro una diversità di trattamento che ad oggi non esiste.
Domanda: i tumori basali originano dalle cellule staminali?
Risposta: si, dalle cellule basali.
Sintomatologia:
Macroematuria (>90%):
Il paziente riferisce urine completamente rosse (dal rosso vivo al color coca-cola o lavatura
di carne).
Il colore dipende dalla quanttà di sangue presente e dal tempo che è trascorso dal
sanguinamento alla minzione. È il sintomo tpico della neoplasia vescicale.
Tutti i pazient (>90%) che hanno neoplasia vescicale hanno ematuria, ma non tutti gli
individui con macroematuria hanno una neoplasia vescicale. In tutti i pazient con ematuria
è importante indagare l’eventuale presenza di tumore vescicale dal momento che è la
prima causa di morte.
Altre cause di ematuria possono essere l’adenoma della prostata, la calcolosi urinaria o il
carcinoma del rene.
Nel sesso maschile, la neoplasia vescicale è la prima causa di ematuria ed è anche la più
grave.
Nella donna, la neoplasia vescicale è la seconda causa di ematuria, la calcolosi urinaria è al
primo posto mentre al terzo posto c’è l’infezione urinaria.
L’ematuria della neoplasia vescicale non è costante; si possono avere lunghi periodi in cui
tale sintomo scompare.
Come visto all’inizio della lezione, il 50% delle donne soffre di cistte che è una possibile
causa di ematuria.
Vista l’alta frequenza di tale patologia, si rischia di trattare con antbiotco la macroematuria
pensando sia dovuta ad una banale cistte quando, in realtà , tale sintomo potrebbe essere
associato ad un tumore vescicale che contnua a svilupparsi. È quindi importante, di fronte a
ematuria, indagare subito 8
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l’eventuale presenza di neoplasia vescicale. In questo modo si evita di ritardare la diagnosi
garantendo una prognosi migliore.
Pollachiuria: aumentata frequenza della minzione. (20%) Dolore pelvico: tpico delle
forme avanzate; non è il sintomo caratteristco ed è presente solo in una parte minoritaria
di individui con neoplasia vescicale. (2%) Iter diagnostico:
-Esame urine standard: permette di verificare la presenza di globuli rossi nelle urine e
quindi di distnguere la vera ematuria dalla falsa ematuria caratterizzata dall’assenza delle
emazie nelle urine.
Quest’ultma può essere causata, per esempio, dal trattamento contro la tubercolosi; uno dei
farmaci utlizzat, la rifampicina, è responsabile del colore rosso/arancione delle urine.
L’esame delle urine consente inoltre di analizzare parametri eventualmente alterat che
sono spie di altre patologie urinarie. L a presenza di cris

talli nelle urine può indicare una c alcolosi . La le ucocituria


su
ggerisce la presenza di un’

infezione urinaria mentre la cilindruria

è associata a problematche
g lomerulari .
Il test di Farley chiarisce l’origine dell’ematuria tramite l’analisi morfologica dei globuli
rossi.
Se i globuli rossi sono eumorfici (morfologia conservata), la causa è riconducibile ad una
problematca delle vie escetrici (calici, pelvi, uretere, vescica).
Se le emazie sono dismorfiche (morfologia non conservata), l’ematuria è associata a
problematche glomerulari. La causa è a livello del glomerulo renale e i globuli rossi
subiscono, lungo i tubuli renali, uno shock osmotco che è responsabile del cambiamento
della morfologia dei globuli rossi.
-Citologia urinaria:
Vengono centrifugate le seconde urine del mattino (citocentrifuga), raccolte per tre giorni
consecutvi. Il sedimento cellulare viene colorato con la colorazione di Papanicolau.
Le cellule uroteliali fisiologiche e neoplastche esfoliano nelle urine, quindi nelle urine si
possono trovare cellule neoplastche che vengono analizzate dal citologo, in partcolare
vengono analizzate eventuali atipie nucleari.
Se la neoplasia è aggressiva, le cellule neoplastche esfoliate sono present in maggior
quanttà nell’urine e hanno caratteristche citologiche maggiormente riconoscibili.
L’accuratezza diagnostca è discreta per le neoplasie di alto grado. Per le neoplasie di basso
grado, la sensibilità del test è irrilevante.
Si possono ottenere dei falsi positvi, come nel caso di un paziente con calcolosi. Il processo
infiammatorio indotto dal calcolo può dare degli aspetti simili alla neoplasia.
-Imaging e endoscopia
Diagnostica per immagini
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1) Ecografia reno-vescicale,
2) Uro-TC,
3) Urografia (ormai in disuso). Prevede un’iniziale somministrazione del mezzo di
contrasto e una successiva fase in cui vengono eseguite radiografie mirate a distanza di
qualche minuto che permettono di studiare l’anatomia delle vie escretrici man mano che i
reni eliminano il mezzo di contrasto. La Tac è più sensibile e ha sosttuito l’urografia.
Immagine ecografica tpica della neoplasia vescicale che appare solitamente come una
vegetazione papillare iperecogena vascolarizzata e fissa. Facendo girare il paziente a destra
e a sinistra si analizza se la lesione è fissa o mobile. Se è fissa, si tratta di neoplasia
vescicale, se si muove la lesione è un coagulo.
Per ulteriori conferme, si analizza l’eventuale
presenza di flusso ematco all’interno. Il coagulo non
può avere flusso all’interno aspetto invece possibile nel caso di lesione neoplastca.
A lato vi è un’immagine di una vecchia urografia. Nella vescica si nota un difetto di
riempimento, ciò vuol dire che nella vescica vi è qualcosa (neoplasia) che ostacola l’arrivo
del mezzo di contrasto. Si vede in negatvo il difetto di riempimento.
Dall’immagine a lato, si evidenza un profilo
abbastanza
regolare della vescica, che sembra mancare a destra di un pezzo e ciò è indice di un
qualcosa di grossolano che sta crescendo in parete laterale destra della vescica.
Nella TC raffigurata nell’immagine B, si notano le due artcolazioni coxo-femorali. La vescica
appare bianca per via del mezzo di
contrasto, ma non nella sua totalità infatti vi è del
tessuto solido (in basso a
destra) che corrisponde alla
neoplasia e che impedisce
l’arrivo del mezzo di
contrasto. Non è chiaro se
sia infiltrato del tessuto
neoplastco nelle vescicole
seminali.
Nell’immagine A, si notano
il rene di sinistra (stesso lato della neoplasia) e una grossolana dilatazione della via
escretrice. Verosimilmente è una neoplasia del pavimento vescicale a livello del ventricolo
di sinistra che ostacola il passaggio dell’urina nell’osto ventricolare sinistro.
Uretrocistoscopia
Consiste in una valutazione endoscopica unicamente a scopo diagnostco che si esegue
in seguito al percorso fatto finora, sia nel caso in cui non sia stata identficata una
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neoplasia, sia nel caso in cui invece la diagnosi l’abbia individuata, in modo da avere
visivamente un’ulteriore conferma. È importante verificare attraverso la cistoscopia cosa ci
sia all’interno della vescica in quanto ci sono neoplasie vescicali come quelle piatte, oppure
neoplasie con una struttura a cavolfiore di dimensioni ridotte, che alla radiologia possono
non essere visibili.
Perciò se la procedura è al solo scopo diagnostco e per vedere se c’è o meno una neoplasia
si fa la cistoscopia utlizzando il cistoscopio flessibile, che è uno strumento piccolo a fibre
ottiche, fastdioso per il paziente quanto mettere un catetere, quindi si fa senza anestesia.
Il carcinoma in situ (CIS) è una neoplasia piatta di alto grado, quindi scarsamente
differenziata, che radiologicamente non è visibile, ma endoscopicamente è visibile come
una lesione piatta arrossata.
Quindi nel momento in cui il percorso diagnostco basato sull’imaging non ha riscontrato
una neoplasia, si rende comunque necessaria l’uretrocistoscopia in quanto, appunto, in
radiologia un carcinoma in situ non è identficabile. Perciò chi ha ematuria deve sempre
sottoporsi a cistoscopia.
Nel momento in cui all’imaging è già stata identficata una struttura neoplastca a cavolfiore
si passa ad una procedura di tpo interventvo con anestesia, ovvero la resezione
endoscopica.
In questo intervento si utlizza uno strumento che si chiama resettore, il
quale presenta un’ansa elettrificata in grado sia di coagulare, sia di tagliare. A questo punto il
professore mostra il video di una resezione endoscopica di una neoformazione papillare, in
cui l’urologo all’interno della vescica avvicina l’ansa alla neoplasia e attivando il pedale del
taglio, taglia la neoplasia. Bisogna tenere conto che le neoplasie vescicali sono molto
vascolarizzate, quindi molto

spesso
sanguinano, ma in tal caso si attiva il pedale del coagulo e si va a coagulare il vaso che
sanguina.
L’obiettivo è quello di portare via TUTTO ciò che si vede e quando poi si è finito
di tagliare la parte esofitca della neoplasia, si estraggono i pezzi attraverso un
evacuatore. A questo punto è necessario fare un prelievo profondo andando coinvolgere il
letto di resezione, perché bisogna sapere se gli strat
più profondi della parete vescicale sono interessat dalla neoplasia o meno. Infine si
coagulano i bordi e il letto di resezione utlizzando la stessa ansa di prima, essendo molto
precisa. Il paziente viene successivamente cateterizzato per 24h.
Il resettore è a corrente elettrica e può essere di due tpologie, a seconda della posizione
del secondo elettrodo: monopolare (utlizzato principalmente per la resezione vescicale) o
bipolare (utlizzato principalmente per la resezione prostatca). Nel caso dello strumento
monopolare il primo elettrodo è situato sull’ansa e il secondo sul gluteo del paziente, quindi
il liquido di lavaggio della vescica deve essere non ionico, quindi non conduttore perché
altriment “arrostrebbe” il paziente. Perciò si usa una soluzione di glicina al 5%. Nel caso
di una resezione prostatca, che è molto più prolungata, utlizzare una 11

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soluzione di questo tpo non è sicuro, in quanto nel corso dell’intervento c’è il rischio di
aprire una delle vene del plesso di Santorini e mettere quindi in circolo la glicina, che non
essendo né isoionica, né isoosmotca al plasma, porterebbe il paziente ad una complicanza
definita iponatriemia da diluizione (chiamata TUR syndrome), caratterizzata da un
possibile deficit neurologico, anche mortale. Nello strumento bipolare, utlizzato quindi
principalmente per le resezioni prostatche, il secondo elettrodo si trova a livello posteriore
dell’ansa e in questo caso si usa soluzione fisiologica per il lavaggio.
Il danno peggiore che si possa fare in una resezione vescicale è un buco sulla cupola della
vescica, che essendo coperta da peritoneo porta l’ileo all’interno della vescica. In questo
caso il paziente deve essere immediatamente trasferito in sala operatoria per verificare che
non si sia danneggiata la parete ileale con la corrente di taglio.
Esame istologico

Neoplasia non muscolo-invasiva

Neoplasia muscolo-invasiva
Per definizione la neoplasia vescicale tende a recidivare e a progredire, cioè avere delle
caratteristche di stadio e grado peggiori di quelle iniziali. È importantssimo stabilire il
livello della parete vescicale interessato dalla neoplasia perché il comportamento clinico, la
storia naturale e di conseguenza i trattament sono diversissimi: se lo strato muscolare della
parete vescicale è integro, quindi non coinvolto dalla malattia, si definisce neoplasia non-
muscolo invasiva. Completamente diverso è il caso in cui lo strato muscolare della parete
vescicale sia coinvolto, quindi una neoplasia muscolo-invasiva. Per un urologo è imperatvo
conoscere lo stato del muscolo nel momento in cui bisogna fare la resezione. Se la malattia
è non-muscolo invasiva può recidivare, può progredire eventualmente, ma finché è non-
muscolo invasiva non metastatzza solitamente. Invece quando diventa muscolo-invasiva, la
neoplasia è ad alto rischio di metastatzzare.
Stadiazione delle neoplasie
vescicali
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L’immagine rappresenta la parete vescicale con i diversi stadi neoplastci, illustrat di
seguito.
Neoplasie vescicali non-muscolo invasive:

Tis: lesione piatta di alto grado visibile solo in quanto arrossata. Si tratta di una neoplasia
di alto grado non invasiva che coinvolge solo la mucosa, ma non la membrana basale;

Ta: neoformazione papillare che interessa soltanto la mucosa;

T1: neoformazione papillare che interessa mucosa e sottomucosa; Neoplasie vescicali
muscolo invasive:

T2 (T2a e T2b): coinvolge il muscolo detrusore della vescica;

T3: coinvolge il grasso peri-vescicale;

T4: coinvolge anche alcuni organi adiacent, il più delle volte la prostata e in alcuni casi
anche l’utero.
Grado istologico
Il grado di una neoplasia rappresenta un’informazione estremamente importante. Il
carcinoma può essere di basso grado (low-grade) o di alto grado (high-grade). Esiste
anche una terza categoria, definita papillar urothelial neoplasm of low malignant potential,
che rappresenta una neoplasia dal potenziale maligno talmente basso da non essere
considerata un carcinoma. Un carcinoma di basso o alto grado costtuisce invece una
neoplasia più importante.
Un carcinoma di basso grado tende a recidivare, ma ha un rischio di progressione molto
basso.
L’alto grado ha un rischio di recidiva e di progressione alt (progressione significa diventare
muscolo-invasiva).
EUA risk stratification: raggruppamento per gruppo di rischio.
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1. Low-risk tumor: è la prima neoplasia del paziente, singola, Ta all’istologia, di basso
grado, senza carcinoma in situ e di dimensioni inferiori a 3cm. Questo gruppo presenta un
rischio di recidiva basso e un rischio di progressione nullo.
La resezione è terapeutca solo per il low-risk tumor, però in tutti è diagnostca.
2. Intermediate-risk tumor: presenta caratteristche intermedie fra il basso e l’alto rischio.
La terapia endovescicale in questo caso si basa solitamente sui chemioterapici.
3. High-risk tumors: sono tutti allo stadio T1, di alto grado, con carcinoma in situ e tutte le
neoplasie diverse da questa sono recidivate. Hanno un rischio di recidiva e di progressione
alt, quindi hanno una probabilità importante di diventare muscolo invasive.
Indicazioni terapeutiche per la neoplasia non-muscolo invasiva In basso sono illustrate
delle mappe tratte dal PDTA (percorso diagnostico terapeutico assistenziale) della rete
oncologica veneta che organizzano dei percorsi in cui viene stabilito l’iter ottimale per il
paziente in modo da limitare i costi per la sanità garantendo il massimo risultato.
Il Ta low-grade primitvo, che è low-risk,
dopo la prima resezione fa solo follow-up.
Il gruppo intermedio si sottopone ad una
terapia endovescicale con chemioterapici
solitamente, ma si può fare anche con
BCG. La terapia endovescicale consiste
nell’istllazione all’interno della vescica dei
farmaci che servono a ridurre il rischio che
la neoplasia si ripresent e che
progredisca. Un mese dopo l’intervento
paziente si reca in ambulatorio, dove gli
viene posizionato un catetere, svuotata la
vescica e iniettato il farmaco. Poi si
rimuove il catetere ed il paziente
mantene il farmaco dentro la vescica per
due ore, dopodiché il paziente urina ed espelle la sostanza.
Questo procedimento si svolge per 6 settimane consecutve e si definisce ciclo di
induzione. Il ciclo di induzione si può fare con due grosse categorie di farmaci: i
chemioterapici, come ad esempio la mitomicina o l’epirubicina (o più raramente la
gemcitabina), che sono tutti agent alchilant e che quindi hanno un effetto tossico diretto
sulle cellule neoplastche. I chemioterapici solitamente si usano proprio in questa categoria
di pazient, ovvero quelli a rischio intermedio.
Alcuni urologi utlizzano invece anche in quest
pazient l’altra categoria di farmaco, che è il
BCG (Bacillo di Calmette-Guérin): si tratta di un micobatterio bovis attenuato coltvato in
bile per 13 anni, che viene iniettato in vescica
con la stessa metodologia di cui prima. Il BCG
non è un farmaco, ma un immunostimolatore,
perciò stmola una reazione immunitaria
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flogistca locale e questo si è dimostrato essere in grado di ridurre il rischio di recidiva e
soprattutto il rischio di progressione.
Mentre la chemioterapia intravescicale solitamente non è molto tossica, provoca soltanto
qualche fastdio, ma solitamente è molto ben tollerata, il BCG invece è più tossico, perciò
può provocare una reazione locale da farmaco o in casi più estremi può andare in circolo e
causare un’infiammazione sistemica che viene definita BCGite, simile alla tubercolosi. In
questo caso i pazient devono interrompere la terapia con BCG ed essere trattat per via
sistemica con terapia anttubercolare.
Quindi nel gruppo intermedio si utlizza una terapia endovescicale, il più delle volte con
chemioterapici e più raramente con BCG, non perché non sia efficace ma perché è più
tossico.
Se il paziente è ad alto rischio e presenta un carcinoma in situ, viene trattato direttamente
con il BCG, perché essendo il CIS multfocale, si vede necessario ridurre il rischio di
progressione.
Se il paziente è ad alto rischio perché presenta un Ta di alto grado o un T1 di alto grado,
prima della terapia con BCG si fa una seconda resezione entro un mese dalla prima.
Questo accade perché nel 30%
dei casi la prima resezione è stata sub-ottimale, per cui si riscontra una malattia residua. IL
BCG è inefficace contro la malattia residua, ma serve solo a prevenire la comparsa di nuove
recidive e la progressione. Di conseguenza, se lascio neoplasia con una prima resezione
imperfetta, la ritroverò alla prima cistoscopia di controllo. In quel momento non potrò più
sapere se è una malattia residua (presente per una resezione tecnicamente non completa)
o se è una recidiva di malattia durante il trattamento con BCG. La mancata risposta al
trattamento (cioè la recidiva durante il ciclo di induzione) è un pessimo fattore prognostco,
indicando una malattia altamente aggressiva che va trattata con la cistectomia radicale,
come fosse una neoplasia muscolo-invasiva.
La seconda resezione quindi serve ad essere sicuri di aver asportato tutto con la prima.
Infatti se la prima resezione è perfetta, la seconda è inutle e non troverò nulla  farò il BCG
Se alla seconda resezione trovo malattia residua di basso grado  farò il BCG
Se alla seconda resezione trovo malattia residua di alto grado è un pessimo fattore
prognostco. Gli studi dicono che trattandoli con BCG la probabilità di non progredire a 5
anni è solo il 20%. Per cui il dato va discusso con il paziente per decidere se fare comunque
il BCG o passare alla cistectomia Ser alla seconda resezione trovo malattia muscolo-
invasiva  farò la cistectomia.
Il paziente quindi fa il ciclo di induzione per 6 settimane o la chemioterapia o il BCG,
successivamente per un mese non fa nulla e poi farà una valutazione endoscopica del
trattamento. Se non si trova malattia residua significa che il paziente ha risposto al
trattamento, perciò si contnua con la terapia non più con frequenza settimanale, bensì
mensile e si va avant per anni (ciclo di mantenimento). Se invece si trova malattia residua
significa che essa è refrattaria al trattamento col BCG, quindi la non-risposta al trattamento
è un fattore prognostco orribile: se la malattia è di basso grado (infrequente) posso
ricominciare da capo con una nuova induzione con BCG settimanale. Più frequentemente la
malattia recidiva è di alto grado e in questo caso le possibili soluzioni sono tre: 1. La prima
soluzione è la più sicura per il paziente e consiste in una cistectomia radicale, quindi la
rimozione completa della vescica, perché nonostante la malattia non sia muscolo invasiva,
ha comunque un elevato rischio di progredire.
Tuttavia: se il BCG era stato fatto per la presenza di CIS e ho trovato solo CIS si può
ricominciare con un nuovo ciclo di induzione settimanale con BCG nel 50% dei casi il
paziente risponde al trattamento (questo tpo di soluzione si può mettere in pratca solo una
volta).
2. La seconda opzione consiste nell’utlizzo di chemioterapici, in partcolare della
gemcitabina, che si usa in pazient refrattari o recidivi al BCG ed è stato dimostrato che sia
piuttosto efficace.
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3. La terza opzione consiste nella somministrazione di un miscuglio di chemioterapici e
immunoterapici, quindi in un’alternanza di BCG e BCG+mitomicina. Il chemioterapico viene
instllato in vescica e lo si lascia lì, perciò questo diffonde in parete vescicale per gradiente
di concentrazione. È possibile incrementare la quanttà di farmaco che entra in parete
vescicale, quindi anche l’efficacia, applicando un gradiente in due modi: o con la
termoterapia, quindi riscaldando la soluzione (ma è meno efficace), oppure si con
l’elettromotng in cui un campo elettrico favorisce la migrazione. Questa tecnica ha effetto
soprattutto nei pazient con BCG-failure.
Di seguito alcuni studi che giustficano le indicazioni di comportamento date sopra.
È dimostrato che con una seconda resezione il paziente migliori di molto in termini di
recidiva, di sopravvivenza e di livello di progressione.
Nel pomeriggio del giorno stesso in cui viene fatta la resezione endoscopica della vescica,
se è stata eseguita correttamente, si può iniettare il chemioterapico (mitomicina) nella
vescica del paziente lasciandolo lì per due ore, allo scopo di eliminare le cellule tumorali
vagant all’interno della vescica e impedire che queste possano reimpiantarsi, così da
ridurre il tasso di recidiva.
L’immagine a lato rappresenta una metanalisi, in
cui ogni linea orizzontale rappresenta il singolo
studio, la linea vertcale centrale rappresenta la
linea di equivalenza, interposta fra l’adozione del
trattamento con la singola instllazione a sinistra
e la non adozione del trattamento a destra.
Quando il diamantno del singolo studio tocca la
linea di equivalenza significa che le due soluzioni
sono uguali. Nel caso di questa metanalisi si
osserva che il cumulatvo in basso (il simbolo
romboidale in verde) si trova nettamente da una
parte, ciò sta ad indicare che esiste un vantaggio
per chi fa una singola instillazione di farmaco,
rispetto a chi non la fa, di ridurre il rischio di
recidiva.
Tuttavia questa soluzione è una delle più sottoutlizzate dall’urologia, per due motvi: da un
punto di vista pratco è scomodo da organizzare e inoltre gli studi dimostrano che la singola
instllazione previene la 16

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recidiva di basso stadio e di basso grado (cioè previene una recidiva del tumore minore),
ma non ha nessun impatto sulla prognosi a lungo termine del paziente.
Ora vengono illustrat alcuni studi sul BCG volt a dimostrare il perché nell’high-risk è
preferibile utlizzare il BCG invece della mitomicina.
Questa metanalisi dimostra che facendo il BCG
invece della mitomicina si riduce sensibilmente il
rischio di progressione. Ciò significa che, partendo da una malattia non-muscolo invasiva,
si
riduce il rischio che questa divent muscolo-
invasiva e quindi che non metastatzzi.
Il BCG permette di ridurre il rischio di
progressione attraverso il ciclo di mantenimento,
Le 6 instllazioni di induzione servono a
selezionare i pazient che rispondono al
trattamento. Se rispondono è necessario
contnuare, in quanto lo stmolo farmaceutco
ripetuto a lungo termine è quello che
effettivamente è in grado di ridurre il rischio di
progressione della malattia.
A destra si trova un trial randomizzato che dimostra le
specifiche del trattamento: durata e dosaggio del BCG.
Lo studio vede 1400 pazient che, successivamente al
ciclo di BCG con instllazioni settimanali e avendo risposto a questa prima terapia, sono stat
randomizzat e trattat nei seguent modi:
-
instllazioni di mantenimento per un anno con
il farmaco a dosaggio pieno
-
instllazioni di mantenimento per 3 anni con il
farmaco a dosaggio pieno
-
instllazioni di mantenimento per un anno con il farmaco a dosaggio ridotto (un terzo di
dose)
-
instllazioni di mantenimento per 3 anni con il farmaco a dosaggio ridotto (un terzo di dose)
Le conclusioni del trial sono state che lo schema di trattamento che riduce il rischio di
recidiva nel modo m
igliore è quello per 3
anni a dosaggio pieno . Quello peggiore, invece, è il trattamento di un anno a dosaggio
ridotto. Perciò idealmente lo studio dimostra che sarebbe meglio fare il dosaggio pieno a
tutti.
Andando però a studiare i sottogruppi di pazient a rischio intermedio e ad alto rischio, si
osserva che se i l paziente è a ris
chio intermedio (se proprio si vuole fare il BCG) si può fare il dosaggio ridotto per tre
anni o il dosaggio pieno per un anno, se
il paziente è hig

h-risk i risultat sono migliori in termini di


recidiva con il dosaggio pieno per 3 anni.
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Si sta facendo fatca a mettere in pratca i risultat di questo studio in quanto, come illustrato
nei grafici sopra, nonostante la recidiva sia migliore, la sopravvivenza del paziente risulta
invariata. Cioè il trattamento con BCG impatta sulla recidiva, ma non sulla sopravvivenza.
Follow-up
A lato si trova lo schema del follow-up, che
non occorre conoscere nel dettaglio. Il
follow-up prevede per tutti la cistoscopia e
l’imaging, ciò che varia è la frequenza. Se il
paziente è a basso rischio, ha fatto una
sola resezione e nessun altro trattamento,
farà un controllo con cistoscopia a tre
mesi. Poi se quella risulta negatva ne farà
un’altra dopo 9 mesi, e poi annualmente
per 5 anni. Invece il paziente high-risk
andrà visto con cistoscopia almeno ogni 3
mesi per i primi 2 anni, poi ogni sei mesi
dal terzo al quinto anno e poi
annualmente.
Perciò il più fortunato deve fare 7
cistoscopie e il più sfortunato 20, a patto
che non sia recidivato, in quanto se recidiva una volta il conto ricomincia da capo.
“Questo è il meraviglioso mondo della neoplasia vescicale non-muscolo invasiva.”
Le neoplasie vescicali muscolo-invasive
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Le neoplasie vescicali possono essere muscolo-invasive già all’esordio oppure diventarlo in
seguito. Per queste neoplasie, come anche per le neoplasie vescicali non muscolo-invasive
di alto grado dato che la probabilità che possano esser metastatche non è nulla, è
importante fare la stadiazione, funzionale a individuare la sede delle metastasi: spesso
sono coinvolt i linfonodi dello scavo pelvico e quelli retroperitoneali, principalmente il
fegato per quanto riguarda gli organi addominali ed il torace riguardo l’extra-addominale.
La maggior parte dei pazient metastatci presenta esclusivamente metastasi linfonodali, una
metà circa metastasi epatca, il 40% ha metastasi polmonare e il 20% ossea.
Le indagini di stadiazione vengono fatte attraverso diverse tecniche di imaging:
innanzitutto si fa la TAC dell’addome, per indagare i linfonodi e gli organi addominali.
Conviene estendere l’esaminazione tomografica anche al torace, così da evitare un esame
radiologico in più al paziente. Qualora l’esame non venga esteso, è necessario effettuare
almeno una radiografia toracica per fare una stadiazione del torace. La RMN è meno
utlizzata perché non dà partcolari vantaggi; in realtà sta emergendo un uso stadiatvo del
tumore primitvo prima della resezione.
Questo argomento non sarà trattato perché troppo prematuro per il momento, anche se
non si esclude che in un futuro, come per la neoplasia prostatca, si farà una risonanza
prima di toccare qualsiasi tumore vescicale.
Gli esami sopracitat sono svolt su tutti i pazient, mentre solo nei pazient sintomatci , che
quindi presentano dolore, si esegue la scintigrafia ossea per individuare eventuali lesioni
ossee.
Nell’immagine a lato si vede una TAC
della zona pelvica, in cui nella vescica
riempita col mezzo di contrasto
viene evidenziato dalla freccia un
difetto di riempimento, che indica la
neoformazione papillare nel basso
fondo vescicale verso sinistra.
L’immagine riportata a pagina
seguente invece è una risonanza in
cui la freccia indica un inspessimento
a livello della cupola vescicale. Si ribadisce che l’RMN non si usa quasi mai perché al
momento non fornisce maggiori vantaggi rispetto alla TAC: infatti è più complessa da
organizzare, ci sono meno macchinari per realizzarla e l’esame è più lungo a livello di
tempistche.
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In riferimento alle immagini sottostant: alla radiografia toracica le metastasi polmonari
da neoplasia vescicale hanno solitamente l’aspetto di lesioni nodulari multple, ma non è
infrequente trovare un nodulo polmonare isolato, che va messo in diagnosi differenziale
con una neoplasia polmonare, specialmente in caso di pazient fumatori. La lesione isolata
viene quindi stadiata con una Pet dai chirurghi toracici, che in base alle caratteristche
morfologiche di captazione decidono se biopsiarla o meno per indagarne la natura.
La scintigrafia ossea è un esame di medicina nucleare che prevede la somministrazione
endovena di un tracciante radioattivo, il tecnezio, e dopo un paio di ore la scannerizzazione
del paziente con una gamma-camera. L’esame fornisce una definizione anatomica
dell’immagine molto modesta, ma permette di individuare degli spot di ipercaptazione,
che indicano sedi in cui sta avvenendo qualcosa a livello osseo, non necessariamente una
metastasi. Come in immagine, si può individuare l’artcolazione acromo-claveare come un
punto di ipercaptazione nel 90% della popolazione, in quanto sede tpica di artrosi, che
pertanto quasi mai è indice di patologia metastatca. Gli altri spot isolat, individuat dalle
frecce nell’imagine, sono più sospetti perché non sono localizzat in sedi tpiche. Se il
paziente ha recentemente avuto un trauma a livello toracico potrebbero essere esisto del
trauma; se questo non è avvenuto, quest diventano sospette lesioni ossee secondarie e
quindi si fa un imaging mirato come un rx toracico, in cui le lesioni da metastasi polmonari
derivant da neoplasia vescicale sono solitamente lesioni osteolitiche da rimaneggiamento
osseo, a differenza di quelle prostatche, come vedremo, che sono osteocoaddensant. Quindi
fondamentalmente la scintgrafia ossea indica dove sta avvenendo qualcosa, ma per un
imaging più fino a seconda del distretto si può fare una radiografia diretta o, se il distretto è
più complicato da decifrare ad esempio in caso di una vertebra, si può fare una TAC o una
RMN mirata.
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Trattamento delle neoplasie muscolo-invasive


La cistectomia radicale
Il cardine del trattamento delle neoplasie vescicali muscolo-invasive è la cistectomia
radicale, a cui si può eventualmente associare la chemioterapia, attuata prima o dopo
l’intervento per motvi e con modalità che saranno spiegat in seguito durante la lezione. La
cistectomia radicale consiste nella rimozione di vescica, prostata e vescichette seminali
nell’uomo, mentre nella donna di vescica, utero, ovaie e parete anteriore della vagina, su
cui poggiano vescica e uretra.
In entrambi i casi vengono rimossi i linfonodi pelvici (iliaci comuni, esterni, interni,
otturatori e nel in alcuni centri anche i pre-sacrali, localizzat tra gli iliaci comuni di destra e
sinistra) in quanto sede di potenziali metastasi. Il significato della linfonodectomia è
stadiatvo, quindi valutare effettivamente se nei linfonodi che all’imaging son risultat
negatvi ci sono metastasi. Il 25% dei linfonodi asportat infatti documenta micrometastasi
invisibili all’imaging, il che significa che questa quota di pazient con una TAC di stadiazione
negatva avrà una patologia micrometastatca a livello linfonodale (sono pazient già in stadio
III). Questo è uno dei motvi per cui potrebbe esser utle usare la chemioterapia
neoadiuvante alla chirurgia.
Viene mostrata l’immagine di una vescica ampiamente ricoperta di lesioni tumorali
mammellonate, indice di uno stadio tumorale decisamente avanzato e grave, in cui
probabilmente l’intervento è servito solo a controllare la sintomatologia ma non a guarirlo.
Solitamente si cercano di asportare vesciche in condizioni migliori di quella mostrata.
Derivazioni urinarie
Una volta rimossa la vescica, bisogna vicariare la funzione di serbatoio, cioè bisogna
fare una derivazione urinaria. Le derivazioni urinarie possono essere:
– Non contenenti:

Ureterocutaneostomia;

Ureteroileocutaneostomia (condotto ileale);

Condotto colico, variante dell’ileale.
– Contenenti, suddivise a loro volta in:

Ortotopiche, quali neovescica ileale padovana (VIP) e MAINZ;

Non ortotopiche, quali Kock, ureterosigmoidostomia e neovesciche rettali.
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L’intervento più semplice ma più desueto è l’ureterocutaneostomia, che consiste nel
collegare gli ureteri direttamente alla parete addominale, uno per lato, e legarli quindi con
un’anastomosi ciascuno a due sacchetti di raccolta esterni. Questa è l’opzione più semplice
perché non viene prelevato alcun tessuto del paziente, ma meno valida per la sua
scomodità e per la tendenza a stenosare della sutura uretere-parete addominale, cosa che
avviene in circa il 100% dei casi. Per questo motvo in pazient altamente defedat, evitando
di non sottoporli a intervent troppo invasivi per limitarne le complicanze, solitamente
viene inserito un catetere ureterale che viene sosttuito ogni 3-4 mesi, a causa di ostruzioni,
discesa, malfunzionament o infezioni.
In più del 90% dei casi si procede con l’ureteroileocutaneostomia, o condotto ileale, una
derivazione non contnente. Il condotto ileale, e allo stesso modo il condotto colico anche se
viene eseguito meno frequentemente, implica la rimozione di un tratto di intestno (20 cm
circa) che
viene posto a ponte tra l’uretere, cui si collega la
porzione
prossimale del ponte, e la parete addominale, cui invece si
anastomizza la distale. Secondo la tecnica di Bricker gli ureteri sono
collegat separatamente lungo il condotto, il cui fondo viene
suturato; mentre seguendo la tecnica di Wallace gli ureteri si
uniscono insieme e poi vengono applicat al fondo dell’ansa
intestnale. Il vantaggio del condotto ileale di Wallace è
sapere dove
sono localizzat gli ureteri, il che permette l’inserimento di un
ureteroscopio con maggiore semplicità rispetto al Bricker
in caso di
necessità di esplorare le alte vie in caso di sospetto futuro di
neoplasia. L’endoscopia può risultare necessaria in caso di
patologie,
quali principalmente i tumori dell’alta via escretrice e la stenosi dell’anastomosi
uretero-ileale.
La funzione dell’ansa intestnale non è quella di serbatoio, ma di ponte tra gli ureteri e
l’esterno.
Il serbatoio vero e proprio è il sacchetto che si trova all’esterno e si collega all’addome
tramite una placca adesiva. Quando il sacchetto è pieno viene svuotato attraverso un
rubinetto localizzato al di sotto del sacchetto, il quale va sosttuito ogni 2-3 giorni. Dal punto
di vista pratco è una soluzione estremamente funzionale ed efficace, che però altera
notevolmente lo schema corporeo e l’immagine del paziente, cosa che può rappresentare
un disagio non indifferente.
In immagine è riportato il condotto ileale secondo la tecnica di Bricker.
D: “Perché non si possono unire gli ureteri e poi anastomizzarli direttamente alla parete
intestinale, ma bisogna usare un’ansa intestinale da ponte?”
R: “Perché per farlo sarebbe necessario far andare a destra quello di sinistra o viceversa, ma
l’uretere solitamente non è abbastanza lungo e se lo è permane il problema dell’alta
probabilità di stenosi.”
D: “Come si fa a garantire che l’ansa una volta posizionata non si muova?”
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R: “L’estremità distale è attaccata alla cute e l’estremità prossimale viene fissata al peritoneo
più o meno all’altezza dei vasi iliaci”
Domanda: “Come viene vascolarizzata quest’ansa?”
Risposta: “E’ garantita dal meso di quello stesso tratto di intestino, che non deve essere
danneggiato. In tal caso l’ansa va in necrosi ed è un disastro”
Nel restante 10% dei casi si procede con il confezionamento di una derivazione urinaria
contnente. In realtà se si considera la realtà di Padova la percentuale raggiunge circa il
30%, dato che, essendo una delle sedi che ha inventato la neovescica, molt pazient si
recano qui a posta per questo tpo di intervento. Per formare la neovescica contnente si
preleva un tratto di intestno e lo si detubularizza e riconfigura a formare una specie di sfera
che sosttuisce la vescica. A questo punto, se l’uretra è utlizzabile, quindi non è stata
coinvolta dalla neoplasia, vi si collega la neovescica (serbatoio ortotopico) in modo che il
paziente possa urinare per via uretrale; viceversa se l’uretra è stata colpita dalla neoplasia,
la neovescica viene collegata direttamente alla parete addominale attraverso un condottino
fatto con un pezzo di ileo o l’appendice e sarà necessario un catetere per svuotarla. In realtà
l’ultma tecnica è poco utlizzata, perché per farla il paziente dovrebbe essere giovane e fit e
presentare un’uretra danneggiata dalla malattia, il che è poco frequente dato che il più delle
volte quando l’uretra è coinvolta dalla neoplasia si tratta di pazient anziani con malattia
localmente avanzata e si opta per il condotto ileale. A prescindere i pazient con serbatoio
cateterizzabile sono content dell’intervento perché questo non altera lo schema corporeo e
la cateterizzazione non è un gran disagio, e inoltre non si ha perdita di urine tra uno
svuotamento e l’altro. Lo svuotamento non sempre è facile, poiché vi è una parte più declive
con cui ci sono delle difficoltà e questo provoca l’insorgenza di calcolosi.
D: “Come fanno questi pazienti a sentire la necessità di urinare?”
R: “Non la sentono: devono fare lo svuotamento a intervalli di tempo regolari di circa 3 ore.”
Per formare la vescica ileale padovana (VIP) si preservano i 10-15 cm di ileo vicini alla
valvola ileo-ciecale, e si preleva un tratto di circa 40 cm subito a monte con il proprio meso.
La parte prossimale viene anastomizzata con l’ileo distale per garantre la contnuità del
transito intestnale. Il tratto rimosso viene detubularizzato, cioè aperto tagliando sul
versante ant-mesenterico, per rimuovere la contrattilità propria della peristalsi dell’ileo,
che si è visto nel tempo esser causa di danneggiamento e infezioni del rene a valle.
Dopodiché esso viene ripiegato due volte, così da ottenere un serbatoio di capacità più
grande usando una quanttà piccola di intestno. Quindi vengono collegat gli ureteri agli
angoli del serbatoio, e quest’ultmo con l’uretra.
Il
problema di questa procedura è che utlizzare del tessuto intestnale aumenta di molto la
morbilità
dell’intervento, con diverse complicanze annesse
che saranno trattate in seguito nel corso della lezione. Inoltre, l’ileo è un tessuto
assorbente: a
contatto con l’urina ne assorbe alcuni costtuent,
in partcolare protoni, provocando nel paziente
un quadro di acidosi ipercloremica. L’ideale sarebbe utlizzare un tessuto non proprio del
paziente, così da minimizzare le complicanze
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dovute al prelievo del tessuto intestnale, e non assorbente, per evitare le problematche
sopracitate. Da anni si sta cercando di costruire un tessuto simile, ma ancora senza grandi
risultat. L’unica eccezione sembrerebbe essere il tentatvo dell’italoamericano Tony Atala,
che ha pubblicato uno studio che coinvolgeva pochi pazient sottopost a cistectomia non per
neoplasie vescicali, ma per patologie benigne. La procedura prevedeva di effettuare una
biopsia della vescica per ottenere del tessuto vivo, che veniva messo in coltura per ottenere
diversi strat di tessuto del paziente, che poi sarebbero stat applicat su un supporto in
materiale biocompatbile al fine di ottenere un serbatoio. Tutto ciò sembrava promettente,
ma in primis non è stato riprodotto in altri centri, e inoltre si parte dal presupposto di
creare degli strat di nuovo tessuto a partre da tessuto vescicale sano, cosa non possibile in
presenza di neoplasia vescicale, che per sua natura solitamente è multfocale, quindi si
correrebbe il rischio di coltvare cellule tumorali. Nella pratca quindi non abbiamo a
disposizione un tessuto alternatvo autologo o eterologo migliore da utlizzare rispetto
all’intestno.
D: “Sarebbe possibile pensare a un trapianto di vescica?”
R: “Il problema è che trattandosi di pazienti prevalentemente anziani la cura
immunosoppressiva che il trapianto richiede non sarebbe tollerata facilmente; inoltre la
depressione del sistema immunitario andrebbe a facilitare la ricomparsa della neoplasia
vescicale”.
Le complicanze
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Lez. 01 urologia
Novara 04/10/19
Revisore: A.Galbiat
La cistectomia radicale ha moltssime complicanze. Uno studio del Memorial Sloan
Kettering, i cui risultat sono sovrapponibili a quelli di Padova, ha realizzato la gradazione di
tutte le complicanze di tutti gli intervent chirurgici, e sono state inserite nello Score di
Clavien-Dildo.
Le percentuali delle complicanze della cistectomia radicale nella serie del MSK sono:

0→ assenza di complicanze (36%)

1→ complicanza banale che si risolve con terapia medica orale o con il riposo (11%)

2→ complicanza che richiede terapia parenterale o trasfusione (40%)

3→ complicanza che necessita un nuovo intervento (12%)

4→ complicanza che lascia una disabilità residua, come ad esempio un ictus che lascia
deficit sensitvo-motori (0.2%)

5→ complicanza letale (2%)
Essendo la cistectomia un intervento in elezione e non in emergenza, un 2% di mortalità è
un indice piuttosto alto. Per gli intervent in elezione in linea teorica la mortalità dovrebbe
essere pari a 0. Non è così per cistectomia, pancreasectomia ed esofagectomia, che sono gli
intervent in elezione con le complicanze più alte.
Per quanto riguarda i dat di Padova , che sono sostanzialmente identci ai soprariportat, le
percentuali sono:

Complicanza di grado 3→ 10%;

Complicanza di grado 4→ circa 1%;

Complicanza di grado 5→ 3%
Le complicanze peri-operatorie, cioè che insorgono entro 90 giorni dall’intervento, di
alto grado più comuni in ordine di frequenza sono:
oG
astrointestnali : sono complicanze legate al fatto di
maneggiare
l’intestno, facendo una resezione intestnale e
un’anastomosi.
La più frequente è l’ileo, l’incapacità di
ripresa della normale peristalsi e
canalizzazione intestnale nei giorni
successivi
all’intervento. Questo può esser dovuto ai
farmaci
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Lez. 01 urologia
Novara 04/10/19
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antdolorifici e oppiacei somministrat che ne riducono la motlità , alla formazione di un
volvolo o di briglie e aderenze per cui c’è un’ostruzione meccanica, oppure alla formazione
di una deiscenza dell’anastomosi tra i monconi di intestno (ileo paralitco o meccanico).
o I nfettive : che possono causare disfunzione renale.
o Ca
rdiovascolari
oG
enitourinarie : tra cui c’è la calcolosi.
I pazient sottopost a derivazione urinaria devono fare un follow-up per tutta la vita a causa
delle complicanze a lungo termine, che sono:
– Stenosi uretero-ileale: colpisce il 15% dei pazient, e ha due possibili cause: la
devascolarizzazione della porzione inferiore dell’uretere (stenosi cicatriziale ischemica) e
la recidiva di malattia uroteliale a livello dell’uretere distale, che però è meno frequente.
– Deterioramento della funzione renale, che può insorgere in seguito a stenosi, infezioni
o un reflusso durante la minzione. Infatti si ricorda che queste vesciche non sono innervate,
quindi non è la contrazione del detrusore a determinare la minzione, bensì il rilassamento
dei muscoli del pavimento pelvico per quanto possibile, se non sono stat troppo denervat
dall’intervento, e il ponzamento, quindi un incremento della pressione addominale che
spreme la neovescica, e può quindi determinare un reflusso di urine dal serbatoio
all’uretere.
D: “E’ possibile inserire dei supporti valvolari anti-reflusso?”
R: “Ci sono tecniche di reimpianto dell’uretere anti-reflusso e altre non anti-reflusso. Le prime
aumentano il rischio di stenosi, le seconde invece minimizzano il rischio di stenosi, e per
questo sono preferite dato che la stenosi è un danno maggiore rispetto al reflusso.”
– Calcolosi del reservoir, che è più tpica dei serbatoi cateterizzabili rispetto alle
neovesciche, ed ha una prevalenza del 10% dei casi. E’ causata dall’incompleto
svuotamento del serbatoio, dove permane dell’urina nella quale precipitano dei cristalli che
formano i calcoli. Se i calcoli sono grandi vengono trattat per via percutanea, quindi si fa un
buco direttamente nel serbatoio con il nefroscopio. Non si entra per la via naturale che il
paziente usa per cateterizzarsi perché lo strumento è molto grande e andrebbe a dilatare il
tramite, quindi il paziente in seguito potrebbe perdere urine.
Dunque solitamente si fa un piccolo foro sulla parete addominale e sul serbatoio, e, finito
l’intervento di frammentazione del calcolo, si lasciano dei cateteri stabilmente per un paio
di settimane finché il buco non si chiude per poi riprendere la normale cateterizzazione.
Questo processo patologico è spesso recidivante.
– Disordini metabolici, tra cui il malassorbimento intestnale è molto raro, perché a
Padova si preserva l’ultmo tratto di ileo prima della valvola ileo-ciecale, che teoricamente è
la porzione deputata all’assorbimento. In realtà anche nella lundiana pouch, una
derivazione in cui si preleva una porzione del cieco ascendente e l’ultmo tratto di ileo
compresa la valvola ileo-cecale, non si ha malassorbimento. Questo può però succedere se
il paziente sviluppa un’occlusione meccanica post-operatoria, che spesso non si riesce a
localizzare perché non si riesce a sbrigliare tutta la matassa ileale, quindi si fa una ileo-
trasversostomia, in cui si prende l’ileo intatto a monte e lo si anastomizza con il colon
trasverso bypassando l’area danneggiata.
Un problema rilevante è invece l’assorbimento di sostanze contenute nelle urine tramite la
parete ileale di cui è formata la neovescica, tra cui principalmente i protoni che 26
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causano un’acidosi ipercloremica. Questo è il motvo per cui si decide di adottare la
neovescica solo nei pazient che mantengano una funzionalità renale valida (almeno 40
mL/min di GFR), così che sia possibile mettere in atto un meccanismo di compenso renale
attraverso l’aumentata escrezione dei protoni, dando quindi un quadro di acidosi
metabolica compensata. Può capitare che il calo della funzione renale insorga in un secondo
momento durante il follow-up, ad esempio a seguito di una stenosi uretero-ileale non
trattata che ha danneggiato un rene. Quindi bisogna seguire quest pazient che rischiano di
avere disordini metabolici, come l’acidosi.
– Ritenzione urinaria e rottura del serbatoio: quando non viene svuotata la neovescica
ogni 3 ore, sia durante il giorno che durante la notte, o se non viene svuotata correttamente
può succedere che il serbatoio si sovra-distenda dato che l’ileo è molto distensibile. Più si
espande, maggiore è la probabilità che con traumi anche minimi si rompa. La rottura della
neovescica può causare peritonite, che solitamente, se correttamente diagnostcata, si può
risolvere riponendo un catetere nella neovescica, senza bisogno di suturarla
chirurgicamente. Nel follow up bisogna quindi controllare come avviene lo svuotamento, e
se il paziente non urina bene è necessario avviarlo all’auto-cateterismo (questo succede di
più nelle donne ma può accadere anche negli uomini).
Il professore riporta alcuni dat riguardo i disturbi riferiti, raccolt su pazient con la VIP
operat a Padova qualche anno fa attraverso un questonario che si usa per l’ipertrofia
prostatca IPSS AUA symptom index:
o Disturbi lievi: 48.5%
o Disturbi moderat: 40.2%
o Disturbi gravi: 11%
o Auto-cateterismo: 13%
Si sottolinea l’importanza del rispetto delle indicazioni date sul corretto svuotamento della
vescica da parte del paziente, onde evitare problematche di diverso tpo.
Attraverso il questonario ICI-q si sono raccolte le informazioni sull’enttà delle perdite
urinarie a seguito dell’operazione ed è emerso quanto segue:

Mai: 21.4%

Meno di 1 volta a settimana: 30.4%

2-3 volte a settimana: 24.1%

1 volta al giorno: 13.4%

Più volte al giorno: 8%

Contnuatvamente: 2.7%
Un altro score valuta la qualità della vita con l’incontnenza urinaria, attraverso un
punteggio da 0 a 10 (0=ottima; 10=pessima), ed è emerso un punteggio medio di 1.5,
quindi mediamente molto soddisfatti. Si è visto inoltre che più della metà dei pazient ha
perdite più frequent durante il sonno, mentre si verifica di meno durante la veglia perché il
paziente impara a evitarle contraendo i muscoli volontari del pavimento pelvico durante
uno sforzo fisico. Inoltre di notte c’è il disagio di mettere la sveglia per andare a svuotare il
serbatoio, e talvolta succede di allungare l’intervallo.
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Un altro grafico mostra il numero di pannolini utlizzat al giorno:



Nessuno: 70%

Uno: 20%

Più d’uno: 10%
Di notte invece la maggior parte dei pazient porta un pannolino.
La sopravvivenza malattia-specifica a 10 anni dall’intervento è del 60%, quindi dal
punto di vista oncologico l’intervento è una soluzione efficace per controllare la malattia. E’
molto efficace nella malattia localizzata, in cui la recidiva è molto rara, mentre lo è meno in
pazient con malattia avanzata, già spesso metastatci, ed in quel 25% che risulta negatvo
all’imaging ma presenta micrometastasi linfonodali.

I fattori prognostci per la sopravvivenza sono:



La gravità iniziale del tumore primitvo e il tpo (muscolo-invasiva o no);

Presenza o assenza di invasione linfo-vascolare (nell’ immagine a destra la curva verde indica
quando l’invasione è presente e c’è quindi una prognosi peggiore);

Margini chirurgici, quindi la precisione del chirurgo nel rimuovere tutta la malattia; 28
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Presenza o assenza di metastasi linfonodali.
Chemioterapia
Per migliorare l’efficacia oncologica dell’intervento è utle associare una terapia
farmacologica.
Essa può essere neoadiuvante se si adopera prima dell’intervento o adiuvante se si
adopera dopo. In alcuni casi si può fare sia prima che dopo, ma è raro. Il vantaggio di fare la
terapia prima è quello di andare a trattare quel 25% di neoplasia metastatca linfonodale
che esiste ma che non si riesce a identficare; il paziente però resterà con la sua vescica
malfunzionante per i tre mesi necessari a fare la chemioterapia, durante i quali potrà avere
diversi disagi a seconda della gravità della malattia (alcuni pazient ad esempio accusano
notevoli sanguinament dovut alla presenza della lesione). Fare la chemioterapia dopo
invece ha il vantaggio di aver rimosso già il tumore e di avere a disposizione l’esame
istologico, sulla base del quale scegliere il tpo di trattamento, cosa non possibile con la
terapia neoadiuvante. In partcolare vengono trattat quelli con la situazione istologica più
grave (almeno pT3a o N+). Lo svantaggio è che nell’aspettare l’intervento si ritarda il
trattamento delle forme sistemiche anche di alcuni mesi (il paziente necessita anche di più
di un mese per riprendersi dall’operazione e deve aspettare di essere abbastanza fit per
tollerare la chemioterapia).
Una metanalisi sulla terapia neoadiuvante dimostra che la differenza di sopravvivenza tra
chi la fa e chi non la fa è circa del 5% a 5 anni. E’ un risultato ancora scarso: significa che
bisogna trattare 9 pazient per evitare che ne muoia uno, ma gli altri 8 vengono trattat senza
beneficio perché non siamo in grado di identficare il paziente che ne ha davvero bisogno.
Per questo motvo spesso gli urologi non amano fare questo trattamento. La metanalisi sulla
terapia adiuvante mostra anch’essa un vantaggio modesto.
Sono entrambi modest perché i farmaci utlizzat sono gli stessi a base di platno. Il ciclo
tradizionale è Mvac a base di metotrexato, vimblastna, doxorubicina e cisplatno, ma uno
studio recente ha dimostrato che uno schema a base di gencitabina e cisplatino ha la
stessa efficacia dell’mvac tradizionale, ma ha molt meno effetti collaterali, quindi è
diventanto il nuovo standard.
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La sopravvivenza globale dei pazient metastatci è ancora troppo bassa: a 36 mesi con la
chemioterapia è circa del 20%, mentre è 0 in assenza di chemioterapia. Quindi l’obbiettivo
è trattare il paziente tempestvamente, prima che divent metastatco.
Il cisplatino è il farmaco più utle, ma allo stesso tempo è un farmaco molto tossico. Il
paziente per assumere il cisplatno deve essere platinum fit, ovvero deve avere:

GFR> 60 ml/min, ossia una funzione renale normale;

ECOG performance status normale (0 o 1);

classe NYHA 1 o 2 (funzione cardiovascolare buona);

assenza di una neuropatia periferica, perché il cisplatno è neurotossico;

assenza di problemi di udito per tossicità da altri farmaci o altri problemi, perché il
cisplatno può peggiorare ulteriormente la situazione.
I pazient che hanno i parametri idonei per la cura col cisplatno sono circa il 50% della
popolazione. Per coloro che non sono platnum fit, si usa il carboplatino invece del
cisplatno perchè è meno tossico, ma meno efficacie.
La cura chemioterapica adottata sarà quindi:

gemcitabina e cisplatino per i pazient fit;

gemcitabina e carboplatino per i pazient non fit.
D: cosa significa ECOG performance status?
R: Eastern Cooperative Oncology Group. Associazione americana che ha inventato il
performance status, dove 0 sono le persone sane; 1 persone con condizione generali buone tali
per cui possono fare gran parte delle cose di cui necessitano, autonomamente ad eccezione
delle attività più impegnative; 4 sono le persone obbligate a letto e 5 sono i pazienti morti.
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Novara 04/10/19
Revisore: A.Galbiat
PEMBROLIZUMAB
Fino al 2017 se la malattia del paziente progrediva sviluppando ulteriori metastasi non
c’era molto da fare; recentemente, invece, è uscito uno studio sul pembrolizumab, che è un
checkpoint inhibitors. Ripassando brevemente la funzione di questo tpo di farmaci: le
cellule T
interagiscono con le cellule tumorali attraverso le molecole PD-1, presente sul versante
della cellula T, e PD-1 ligando sul versante della cellula neoplastca. L’interazione tra PD-1
e PD-1
ligando blocca l’azione citotossica delle cellule T che non distrugge la cellula tumorale. Il
pembrolizumab è un anticorpo monoclonale che agisce sul PD-1 impedendone
l’interazione con PD-1 ligando e così facendo la cellula T riconosce la cellula neoplastca
come non self e la distrugge. Questa classe di farmaci è usata contro il melanoma e nel
tumore del rene, dove sono stat provat in seconda linea nella neoplasia della vescica nei
pazient non-responder (dove la malattia è progredita alla chemioterapia) ma se ne parlerà
più avant.
Lo studio del pembrolizumab ha
previsto la randomizzazione dei
pazient che avevano fallito la
prima linea di chemioterapia,
analizzando quelli che si sono
sottopost ad immunoterapia
con
pembrolizumab
(curva
rossa) o a chemioterapia con
altri chemioterapici (curva blu). I
pazient trattat con il
pembrolizumab

avevano
vantaggi di
sopravvivenza
globale (a sinistra nel grafico in
basso) e di sopravvivenza libera
da progressione (a destra).
I pazient in ogni caso non
guariscono e muoiono lo stesso,
però , a circa 2 anni il 40% è in vita contro il 25% di quelli che fanno terapia tradizionale;
quindi si 31
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cronicizza la malattia per un po’ e si aumenta la sopravvivenza del paziente. Si ribadisce
che non si è ancora in grado di guarire un paziente metastatco, quindi si deve fare il
possibile per prevenire la metastatzzazione nei pazient.
D: Il pembrolizumab è un PD-1 o un PD-1 ligando?
R: Anticorpo monoclonale contro PD-1.
D: Nei pazienti a cui viene fatta la cistectomia, poi si somministra il carboplatino o cisplatino
e se questo non funziona…?
R: Al momento funziona. Se uno vuole fare la chemioterapia neo-adiuvante, va fatta a tutti i
platinum fit prima dell’intervento, se non la vuole fare si sceglie a chi farlo in adiuvante in
base ai fattori prognostici postoperatori (ngli stadi pT3a o superiori e nei pN+). Se i fattori
prognostici sono buoni, si fa il follow up e se nel follow up compare la metastasi, il
trattamento da fare è gemcitabina e platino. Chi fallisce il trattamento primario vioè quando
è metastatico farà il trattamento di seconda linea con il pembrolizumab.
Esistono effetti collaterali della terapia, che però non sono tragici in linea generale anche
se si tratta di pazient compromessi perché avevano già fatto la prima linea di
chemioterapia.
Se qualcosa funziona
in oncologia, la si
prova negli stadi
precedent
della
malattia. È stato fatto
uno studio di fase 2
(cioè ancora piccolo)
da Andrea Necchi,
oncologo medico
dell’isttuto
nazionale tumori. In
questo studio è stata
fatta
l’immunoterapia neo-adiuvante alla cistectomia col pembrolizumab, cioè prima della
cistectomia è stato somministrato il pembrolizumab. Si è trovato che il 40% circa dei
pazient 32
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che poi facevano la cistectomia non aveva malattia residua nella vescica; questa situazione
si definisce pT0 e solitamente capita in meno del 10% dai casi. Facendo la chemioterapia
neoadiuvante, l’esito dipenderà parzialmente dalla bravura del chirurgo che fa la resezione
transuretrale ed in parte dall’efficacia del farmaco. In questo studio non ci sono dat di
sopravvivenza, però si sa che la percentuale di pT0 (pazient che hanno una migliore
condizione a seguito dell’operazione) trattata con il pembrolizumab e gli urologi che
l’hanno resecato ( ci si riferisce alla loro abilità e diligenza, che probabilmente dipendono dal
fatto di esser coscienti di prendere parte al trial clinico), è del 40%, che è molto più alto di
quello che si avrebbe tradizionalmente con l’urologo standard e la chemioterapia standard.
Il problema è che non si sa che percentuale di questo successo sia dovuta al farmaco e quale
all’abilità dell’urologo.
Altra problematca sono le complicanze, perché dopo chemioterapia neo-adiuvante e
l’intervento, il 28% aveva complicanze maggiori. Però , lo studio è ancora di piccola enttà
per poter essere cert che i risultat (sia postvi che negatvi) siano dovut effettivamente al
farmaco o meno. La immunoterapia neo-adiuvante è solo a livello di trial clinico. Ad oggi
l’indicazione per il trattamento con il pembrolizumab è la seconda linea, cioè nel
paziente già metastatico che è progredito dopo la chemioterapia con gemcitabina e
cisplatino, non neo-adiuvante.
Al congresso degli oncologi medici europeo (ESMO 2019), finito una settimana fa, hanno
mostrato un trial detto IMvigor 130, e hanno testato in prima linea nel paziente
metastatco:

Arm C: chemioterapia + placebo;

Arm B: immunoterapia con atezolizumab, altro antcorpo monoclonale checkpoint
inhibitor;

Arm A: combinazione tra i due (atezolizumab e gemcitabina/platno).
L’idea deriva dal fatto che i checkpoint inhibitors in prima linea erano già stat provat in
pazient non platnum fit con risultat non eccezionali, perciò si sono studiat metodi
alternatvi (arm A, B, C). Si è osservato che chi fa la combinazione (arm A) rispetto a chi fa
solo la chemioterapia convenzionale (arm C) ha un vantaggio di sopravvivenza libera
dalla progressione di 2 mesi in più. Questo si tramuta in un vantaggio di sopravvivenza
di circa tre mesi per chi fa la terapia combinata rispetto alla sola chemioterapia.
Sembrerebbe che la combinazione sia meglio della chemioterapia tradizionale nel favorire
la sopravvivenza dei pazient anche se la differenza di soli 2 mesi è modesta. Il problema è
che questa terapia costa, quindi bisogna commisurare i 2
mesi di sopravvivenza con il costo del trattamento e, al momento, non è automatco che le
autorità regolatorie (AIFA) approvino questo trattamento.
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Domanda sugli effetti collaterali
R: si, questi pazienti hanno comunque degli effetti collaterali.
NEOPLASIA DELL’ALTA VIA ESCRETRICE
Lo stesso epitelio della vescica lo si ritrova a rivestmento di calici, pelvi e uretra. Per
questo motvo lo stesso tpo di neoplasia si può trovare anche in questa regione, con il nome
di neoplasia uroteliale dell’alta via escretrice. La più comune forma di neoplasia è quella
che origina dal parenchima renale, ma se ne parlerà le prossime lezioni.
Quest sulla destra sono i trend di incidenza e mortalità negli anni nell’uomo e nella donna e,
come per la vescica, è tutto molto stabile, perché non ci sono migliorament nella
prevenzione e nel trattamento.
Il più delle volte il paziente, prima sviluppa la neoplasia vescicale (molto più prevalente) e
poi, durante il follow-up della neoplasia vescicale, si può sviluppare e identficare la 34
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neoplasia dell’alto apparato urinario. Questo capita nel ¾ dei pazient e più raramente
succede il contrario, con pazient che prima sviluppano una neoplasia dell’alta via escretrice
e poi della vescica. Tendenzialmente, questa neoplasia colpisce solo un asse escretore, ma il
9% dei pazient padovani ha malattia bilaterale.
I sintomi principali sono:

ematuria, come anche per la neoplasia vescicale;

colica, perché se una neoplasia sanguina in maniera importante, il sangue può bloccare la
via escretrice, causando la colica.
L’iter diagnostico è uguale a quello della neoplasia vescicale, eccezion fatta per l’imaging
iniziale che prevede l’ecografia per la neoplasia vescicale e la TAC per la neoplasia delle alte
via escretrici. La TAC è preferibile all’ecografia perché, se sono present ematuria e colica, il
paziente può avere una neoplasia della alta via escretrice (la cosa più grave anche se la più
rara), una neoplasia renale parenchimale o calcolosi e in tutti e tre i casi la TAC è
obbligatoria per definire la causa ed il successivo iter.
Nell’immagine sinistra della slide a fianco, si vede
la TAC con in bianco il mezzo di contrasto che riempie l’uretere; il puntno nero al centro è il
difetto di riempimento. Nell’immagine destra
l’uretere si vede male, si notato un’impronta
vascolare e un difetto di riempimento. Vengono
mostrate due immagini dello stesso caso ( slide a
pagina seguente): nella TAC si vede una regione
iperdensa, che quindi capta il mezzo di contrasto,
in pelvi renale; nella fase escretoria c’è un difetto
di riempimento, quindi c’è qualcosa che capta il mezzo di contrasto ed entra nella pelvi
renale. Non
è proprio evidente, infatti radiologi e urologi
devono essere attent e per esserlo devono sostanzialmente essere consapevoli, quindi
devono sapere cosa c’è.
//
Quella sottostante è un ureteropielografia ascendente, una radiografia che prevede
l’inserimento del cistoscopio nell’uretere dell’asse che ci interessa, in questo caso il destro,
e l’iniezione del mezzo di contrasto. Il mezzo di contrasto viene da sotto: si vede che
l’uretere si dilata fino ad uno stop dove verosimilmente c’è un ostacolo e questa può essere
una neoplasia uroteliale ureterale.
/
D: Qual è il corrispettivo della cistoscopia?
R: E’ l’ureteroscopia, prima di cui bisogna fare un’ureterografia per avere un’immagine
anatomica della zona che andrò a valutare. Quindi si può fare l’ureteroscopia con
l’ureteroscopio, che è più sottile e lungo del cistoscopio, per andare a vedere la situazione in
quella regione ureterale.
La neoplasia delle alte vie è il “cugino” meno frequente della neoplasia vescicale. Quello che
si fa nella terapia per la neoplasia della alta via escretrice, è pressoché lo stesso di quello
che si fa nella neoplasia vescicale.
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Quando la neoplasia è nella pelvi renale:

se è metastatca, si fanno i trattament sistemici (gli stessi della neoplasia vescicale);

se non è metastatca il trattamento standard è la nefroureterectomia, cioè rimozione per
intero del rene e dell’uretere fino allo sbocco nella vescica.
Quando la patologia è nell’uretere la vicenda è la stessa, solo che, in alcuni casi selezionat, si
può fare l’ureterectomia segmentaria, cioè se il paziente ha malattia solo negli ultmi 3 cm
di uretere, piuttosto che togliere tutto il rene e l’uretere, si possono togliere solo gli ultmi 5
cm e riattaccarlo all’uretere che resta in vescica. Questo consente di preservare la
funzione renale di quell’asse, che dovrò seguire attentamente per evitare rischio di
recidiva.
Ricapitolando il trattamento standard dei metastatci è la chemioterapia a cui si può
associare la nefroureterectomia se sanguinano, per palliare i sintomi. Nei non metastatci il
trattamento è quasi sempre l’nefroureterectomia, a meno che non ci si trovi nel caso più
fortunato in cui è presente la patologia solo negli ultmi centmetri dell’uretere, quindi si
reseca quella porzione di uretere e lo si reimpianta in vescica.
/L’immagine mostra un pezzo operatorio con tutto l’uretere e la pastglia di vescica attorno
allo sbocco dell’uretere. Questo si può fare a pancia aperta o in laparoscopia robotca.
La sopravvivenza e i fattori prognostci sono gli stessi della neoplasia vescicale. Il problema
è che se il paziente ha malattia bilaterale o se ha un rene buono con malattia dentro e il
rene controlaterale di funzionalità compromessa, fare la nefroureterectomia comporta un
incrementato rischio di dialisi. Perciò , in quest pazient, si usano gli stessi strument
utlizzat per il trattamento della calcolosi: con l’ureteroscopio si guarda la lesione e con una
pinzetta si preleva un campione per la biopsia e quello che resta si fotocoagula col laser
(fotocoagulare=
cuocere). Il trattamento si fa per via retrograda, si fa la biopsia e si coagula il tutto, in modo
da preservare la funzione renale. La stessa procedura, inizialmente attuata solo su pazient
con funzionalità renale compromessa a rischio di dialisi, si è iniziata a fare in elezione, cioè
in pazient che avevano l’altro rene perfettamente sano. Per pazient in elezione si intende
pazient selezionat in cui la TAC mostra che la neoplasia è piccola, che alla biopsia il tumore
è di basso grado e che abbiano la voglia di fare un follow-up molto stretto, che implica
imaging e ureteroscopia ogni tre mesi. Il fattore limitante è che nella alta via escretrice il
diametro è di 6-7
mm e la pinza è di 2-3mm, quindi il pezzettino di tessuto che si ottiene per la biopsia è
piccolo e le decisioni terapeutche sono decise in base a un piccolo frammento istologico. Se
la neoplasia è di basso grado si può ripetere tale operazione, se la neoplasia è di alto grado
non si deve ripetere. È per questo che i pazient sono selezionat per avere una lesione
piccola e di basso grado su cui poter eseguire il follow-up.
D: se il paziente non si sottopone a follow up, come ci si comporta?
R: al paziente deve essere proposto il trattamento radicale.
A Padova si sono trattat in questa maniera 40 pazient, qualcuno in necessità , la maggior
parte in elezione. Sono state fatte 300 procedure, e tra queste ci sono state solo 16
complicanze. La complicanza peggiore era una stenosi dell’uretere, quindi gestbile.
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Novara 04/10/19
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Dal punto di vista del follow-up delle biopsie fatte: la gran parte dei pazient avevano
malattie di basso grado, alcuni malattia di alto grado e altri malattia CIS, cioè con costante
tendenza a recidivare, nonostante fossero pazient selezionat, avent quindi neoplasie di
piccole dimensioni. In partcolare nel 60% dei casi la recidiva è di basso grado, il 10% ha
alto grado e 10% ha carcinoma in situ. Sebbene il 20% dei pazient abbia un rischio di
recidiva per tumore di alto grado, tutti sono a rischio di metastasi perché recidivano anche
tumori di basso stadio e grado, quindi gestbili con trattamento conservatvo. Su 40 pazient
con neoplasia di alto grado sono state fatte solo 6 nefroureterectomie, di cui 4 in pazient
trattat in elezione, e si è riuscit a conservare bene la funzione renale. Dal punto di vista
oncologico, di quelli che hanno fatto la nefroureterectomia 1/3 dei casi aveva un caso
istologico brutto, mentre i 2/3 rimanent non aveva niente, una malattia plausibilmente
guaribile con l’intervento o aveva una malattia di basso grado.
Viene mostrata la sopravvivenza dei reni nell’intera coorte (A), cioè quant pazient si sono
tenut il rene, ed è la stragrande maggioranza; poi vengono mostrat i pazient in elezione (B)
e anche tra quest molt si sono tenut il rene. La sopravvivenza globale a 5 anni è l’80%, con
soli due mort per malattia su 40 pazient (C); mentre per quanto riguarda la sopravvivenza
globale dei pazient trattat in elezione e si ha un solo morto (D).
/
D: Si può utilizzare il rene di un paziente che ha la neoplasia ureterale e che ha subito la
nefroureterectomia per trapiantarlo in un altro soggetto sano che necessita di un rene?
R: Se la patologia è prevalentemente ureterale, si può fare la resezione segmentale e quindi il
rene si lascia al paziente. Utilizzare le unita renali per il trapianto è eticamente inaccettabile,
cioè equivale a tentato omicidio. La patologia uroteliale è multifocale per definizione, per cui
se utilizzassi lo stesso rene asportato con nefroureterectomia in un altro paziente sano dovrei
fare follow-up oncologico perché sono ad altissimo rischio di recidive, in un paziente
immunosoppresso è ancora peggio.
D: Come si tratta una stenosi ureterale?
R: Ci sono quattro possibilità:
1. Dilato la stenosi con un palloncino e lascio uno stent per 3 mesi, anche se poi molto
probabilmente recidivano.
2. Cambio lo stent ogni tre mesi per il resto della sua vita e ciò va bene se il paziente è
anziano;
3. Chirurgia dipendente dalla posizione della stenosi: se la stenosi è distale si reseca e si
sacrifica tutto l’uretere a valle della stenosi e si rimpianta l’uretere buono a monte della
stenosi sulla vescica; mentre se è danneggiato l’uretere intermedio non si può fare per
problemi di vascolarizzazione, dando un rischio di stenosi del 100%.
4. Sperare che il rene non funzioni e fare nefroureterectomia.
(L’argomento verrà ripreso a fine lezione)
La sopravvivenza malattia-specifica è altssima, quindi si può fare però servono dei casi
selezionat e bisogna sorvegliare il paziente in maniera molto stretta.
I pazient che vanno in contro a nefroureterectomia hanno elevato rischio di
metastatzzare e recidivare, e non si è saputo cosa fare fino a due anni fa quando sono uscit i
risultat di un trial di Ellison Birtle. Prima si faceva nefroureterectomia e poi follow-up:
quando c’era la metastasi si vedeva in base alla funzionalità renale e la condizione generale
del paziente se potesse fare la 37
Sbobinatori: S. Mieni, A. Murari
Lez. 01 urologia
Novara 04/10/19
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chemioterapia o meno. L’efficacia della chemioterapia è la stessa della neoplasia vescicale,
ed è bassa (20% di sopravvivenza a 5 anni). Allora sono stat randomizzat i pazient platnum
fit a fare la sorveglianza o una chemioterapia adiuvante con gli stessi farmaci (gemcitabina
e platno) della vescica. Sono randomizzat, in base all’istologico, tutti i pazient che avevano
malattia almeno pT2N0, cioè sono stat esclusi solo i pazient con malattia pTa e pT1.
Il risultato dello studio mostra che ci sono comorbidità ed effetti collaterali della
chemioterapia, ma che questa terapia in questo setting dà un importante vantaggio in
termini di sopravvivenza libera dalla progressione di malattie. Sostanzialmente, la HR dice
che la chemioterapia adiuvante riduce il rischio di metastasi del 50%, e dato che chi
sviluppa metastasi muore sembra un end point non trascurabile. Questo tpo di end point è
definito surrogato, perché quest studi hanno solo 2 anni di follow-up e in questo tempo i
pazient non fanno in tempo a morire per colpa del tumore. Infatti le curve di sopravvivenza
si allargano un po’ a vantaggio della chemioterapia, però la differenza non è ancora
statstcamente significatva ed è per questo che lo studio non è stato ancora pubblicato. Il
vantaggio del 50% di riduzione di recidiva libera da malattia è altamente verosimile che si
tramut in una sopravvivenza più lunga.
Da quando si è diffuso questo trial, si tende ad avviare alla chemioterapia chi ha almeno
pT2N0
quando la funzione renale è consona (il platnum fit ha una GFR>60, ma avendo tolto un
rene non è detto che quest pazient abbiano una GFR adeguata). Il passaggio successivo è
provare ad antcipare la terapia, facendo un trial della chemioterapia neo-adiuvante alla
nefroureterectomia che al momento none esiste. Siccome il principale fattore limitante è la
funzione renale, perché non faccio la terapia prima dell’intervento, sfruttando la funzione
renale del rene sano che poi andrò a togliere? Il problema sono i sintomi, perché il
trattamento dura tre mesi e se c’è tanta ematuria non è facilmente gestbile, quindi fare la
terapia dopo fornisce il vantaggio di non avere i sintomi.
Sostituzioni ureterali
Per rispondere alla domanda posta in precedenza riguardo le sosttuzione ureterali, il prof.
Novara mostra una lezione che fa agli specializzandi di ginecologia. Il ginecologo rischia di
ledere l’uretere perché l’uretere decorre in vicinanza alla cervice uterina e
nell’isterectomia radicale il margine che si ha tra ledere l’uretere e lasciargli malattia
residua non è molto grande. Il problema si risolve isolando l’uretere a livello dell’arteria
iliaca comune, in territorio pelvico.
Per ovviare al problema viene messo un catetere dentro l’uretere la mattina stessa o il
giorno prima dell’intervento, in modo che il ginecologo può palpeggiare il catetere dentro
l’uretere per identficarlo; oppure, chi deve operare chiede l’ausilio di un urologo per isolare
l’uretere.
L’uretere ha un problema di vascolarizzazione dato da una rete sub-avventiziale, motvo
per cui non si può resecare l’uretere in mezzo e fare un’anastomosi termino-terminale (end
to end anastomosis). In realtà tecnicamente è possibile farla, però la probabilità della
stenosi su base ischemica è elevatssima.
I trattament possibili sono vari:

Trattamento standard: quando c’è danneggiamento dell’uretere pelvico, è possibile
resecare l’uretere danneggiato e anastomizzare l’uretere buono a monte con la vescica.

Bladder psoas hitching: quando vengono tolt 10cm di uretere, bisogna colmare questo
gap, perciò si porta la vescica all’uretere, attaccandola al muscolo psoas. Per farlo, si isola la
vescica resecando i peduncoli vascolari controlaterali per guadagnare mobilità (la
vescica possiede due peduncoli vascolari a destra e due a sinistra. Resecando i due 38
Sbobinatori: S. Mieni, A. Murari
Lez. 01 urologia
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peduncoli a sinistra, la vescica guadagna mobilità a destra; ma allo stesso tempo la vescica
non va in necrosi perché mantene la vascolarizzazione da parte dei due peduncoli di
destra). Successivamente si incide orizzontalmente la parete vertcale della vescica e si
spinge un lembo vescicale verso l’alto; si mettono quindi tre punti sul muscolo psoas per
fissare l’uretere al corno della parete vescicale strata fin li. Con questa tecnica si possono
gestre solo lesioni dell’uretere pelvico, perchè se la lesione è più alta, il corno della vescica
fatta in questo modo non ci arriva.

Boari flap: si usa quando la lesione è più alta rispetto alla pelvi. Si pratca un’incisione
rettilinea o a ‘z’, si ribalta verso l’alto il lembo di vescica e si tubularizza. Questo permette di
colmare gap più lunghi. Il problema di questo intervento è che la vescica perde volume e
capacità, quindi la vescica ha una capacità dimezzata (si può fare solo se la capacità iniziale
è grande). Prima di fare questa operazione, infatti, i pazient vengono studiati
endoscopicamente e radiologicamente per calcolare il volume vescicale e per capire a
che livello è la lesione ureterale.

Ansa ileale: se la lesione è ancora più alta, si può interporre un’ansa ileale tra uretere e
vescica colmando difetti più grandi e lunghi. Il problema è che l’ileo si assorbe e serve
una funzionalità vescicale congrua.

L’estrema soluzione è l’autotrapianto, cioè si distacca il rene dall’aorta e dalla cava e si
attacca sui vasi iliaci, avvicinando il rene alla vescica. Si può svolgere questa operazione
anche in caso di uretere assente, anastomizzando la pelvi renale alla vescica.
Se è presente una stenosi dell’uretere a livello lombare basso, si può fare un lembo di boari;
se è lombare alto si può resecare l’uretere e mettere un pezzo di ileo se il rene funziona. Se
il rene non funziona la pratca più facile da svolgere è la nefroureterectomia.
Neoplasia renale
Epidemiologia
L’Italia si trova nella prima fascia sia di incidenza che di mortalità per neoplasia renale per
entrambi i sessi.
L’Europa orientale ha un’incidenza partcolarmente elevata ma il motvo è tuttora ignoto.
Le stime statunitensi per il 2019 prevedono 44.000 nuovi casi tra gli uomini e 29.000 tra
le donne (attenzione! nell’immagine le neoplasie del parenchima renale vengono
considerate insieme alle neoplasie uroteliali, tuttavia la maggior parte di quest numeri fa
riferimento alla neoplasia del parenchima renale perché i tumori uroteliali hanno
un’incidenza inferiore).
Per il 2019 sono stmate circa 10.000 mort tra gli uomini e 5.000 tra le donne, per neoplasie
renali negli USA.
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Sbobinatori: S. Mieni, A. Murari
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Novara 04/10/19
Revisore: A.Galbiat
Le stime italiane per il 2019 indicano che sono attesi circa 8.000 nuovi casi tra gli uomini e
4.500
tra le donne.
I dat reali di mortalità per il 2016 riportano 2.500 decessi tra gli uomini e 1.200 tra le
donne in Italia.
I dat di prevalenza indicano che al momento in Italia circa 84.000 uomini e 44.000 donne
hanno una diagnosi di neoplasia renale e sono in vita (si considerano sia le nuove diagnosi
che le vecchie in trattamento).
Se i dat vengono stratficat per regione geografica si nota che è una patologia molto più
comune nel nord Italia che nel sud Italia, questo in parte può dipendere da fattori
ambientali e in parte dall’efficacia del sistema sanitario nazionale nella regione (verrà
approfondito in seguito).
Studiando i dati di incidenza della patologia stratficata per fasce d’età troviamo che
l’incidenza

della

patologia

sale
progressivamente con l’età sia per l’uomo che
per la donna pur mantenendo una disparità tra i
due sessi.
L’immagine soprariportata, in cui l’incidenza è
stratficata per età e anno separatamente per i
soggetti di sesso femminile a destra e maschile
a sinistra, indica che non è migliorata la capacità di prevenire la patologia. La curva nera è
stabile perché il numero di nuove diagnosi è rimasto stabile.
Le curve arancioni-rosse indicano l’incidenza per le diverse classi d’età : la curva rossa in
alto indica che l’incidenza è maggiore tra gli ultrasettantenni.
Nell’immagine in basso invece viene analizzata la mortalità con lo stesso tpo di grafico si
può notare che i soggetti che muoiono di più sono i più anziani . La linea nera indica la
mortalità globale negli ultmi 15 anni e si sta mantenendo stabile ciò significa che non ci
sono stat sostanziali migliorament nella capacità di curare questa patologia.
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Lez. 01 urologia
Novara 04/10/19
Revisore: A.Galbiat
Tumori del rene
I tumori renali si distnguono in benigni e maligni, in partcolare: Tumori benigni
Solitamente sono un riscontro occasionale
scarsamente rilevante per il paziente. In
genere il paziente fa un imaging per un
motvo non correlato e viene riscontrata la
presenza di una massa a livello renale:
poiché la radiologia non consente di
identficare la natura della massa rilevata tali
neoformazioni vengono identficate come
benigne solo dopo l’intervento di rimozione.
Angiomiolipoma
È l’unico caso in cui è possibile sospettare
una patologia benigna tramite l’imaging.
L’angiomiolipoma è un amartoma, cioè una neoplasia benigna costtuita da una
componente vascolare, una componente adiposa e da una componente di fibrocellule
muscolari, le cui percentuali possono variare. Solitamente è riconoscibile perchè
l’interfaccia tra i vasi e il grasso è visibile all’ecografia e soprattutto alla risonanza
magnetca dove si manifesta con un pattern abbastanza specifico.
È importante identficare questa neoplasia nonostante sia di natura benigna perché la sua
componente vascolare può rompersi, causando un importante sanguinamento in
retroperitoneo.
Il rischio di rottura è correlato alle dimensioni: quando è grande (maggiore di 3 cm) si
sceglie di operare mentre quando è di dimensioni ridotte si può attuare solo la
sorveglianza.
Nel rene vengono definit adenomi tutte le lesioni di diametro inferiore ai 2 cm anche se non
si sa quale sia la loro origine.
Tumori maligni
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Revisore: A.Galbiat
Il carcinoma renale parenchimale con origine epiteliale è la patologia maligna più
frequente, tutte le altre forme sono estremamente rare.
Qualche volta si possono trovare tumori secondari a linfomi e patologie linfoproliferatve,
che presentano una morfologia neoplastca insolita rispetto a quella standard ed è associata
a linfoadenopate.
Il sospetto di infiltrazione del parenchima renale da parte di una malattia linfoproliferatva
è quasi l’unica indicazione alla biopsia delle masse renali, perché nel caso si trattasse di
malattia linfoproliferatva si seguono le linee di trattamento specifiche per questa. Il
sospetto deriva dalle linfoadenopate.
Carcinomi renali parenchimali
Le cause della patologia sono ad oggi sconosciute ma la Sindrome di Von Hippel Lindau ha
permesso di studiarne i meccanismi.
La Sindrome di Von Hippel Lindau è una sindrome ereditaria autosomica dominante a
penetranza completa, la cui incidenza è 1: 36000 quindi non molto frequente.
Le lesioni caratteristche di questa malattia sono:

Angiomatosi Retinica;

Emangioblastoma cerebellare;

Carcinoma renale parenchimale;

Feocromocitoma;

Cisti ubiquitarie multiorgano;

Lesioni renali multiple, spesso bilaterali.
Nel contesto di questa sindrome i tumori insorgono in età giovanile e spesso sono multpli.
Come già accennato, la sindrome di VHL ha consentto di capire come funzionano i
meccanismi alla base della cancerogenesi a livello renale.
Nel soggetto sano il gene VHL produce la proteina VHL normale che, insieme alla proteina
E3, ha la funzione di degradare HIF1α, impedendogli di legare HIF1β, con cui formerebbe il
fattore indotto dall’ipossia HIF. Quando il meccanismo è funzionante: in caso di ipossia
viene indotta neoangiogenesi, mentre in condizioni di normossia la proteina VHL blocca la
neoangiogenesi degradando HIF.
Il paziente con la sindrome VHL ha una mutazione a carico del gene VHL che determina la
formazione della proteina alterata. Questa non è in grado di formare il complesso con E3
che va a degradare HIF. Quindi la cellula rimane sempre in condizione simil-ipossica, HIF
non viene degradato e la neoangiogenesi non viene bloccata. ( dall’immagine in basso si
vede che HIF, oltre alla neoangiogenesi, induce inoltre la sintesi di eritropoietina, uno stato
infiammatorio, e l’inibizione dell’apoptosi che favorisce la condizione tumorale.) 42
Sbobinatori: S. Mieni, A. Murari
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Novara 04/10/19
Revisore: A.Galbiat
In seguito si sono scoperte decine di altri meccanismi regolatori intracellulari coinvolt nella
carcinogenesi delle neoplasie renali: la conoscenza di tali meccanismi ha permesso di
sviluppare farmaci specifici contro determinat bersagli molecolari che ormai sono entrat
nelle terapie standard per le neoplasie renali (target therapy).
Questa è la TAC di un paziente affetto da Sindrome di Von Hippel Lindau: nel rene di destra
si notano multple cist e forse una piccola
lesione neoplastca mentre nel sinistro
ci sono per certo sia cist che lesioni
neoplastche.
Per essere sicuri che il paziente sia
affetto dalla sindrome VHL va indagata
la genetca cercando la mutazione del
gene oppure la familiarità .
Sapere che il paziente ha la sindrome è
importante perché significa che le
lesioni sono sicuramente carcinoma
renale parenchimale a cellule chiare
(l’istotpo più comune nei pazient affetti
da VHL), e che questo paziente
svilupperà sicuramente altri tumori
dello stesso tpo in futuro. Per quest
motvi si deve tentare di conservare il massimo del parenchima renale, per preservare la
funzionalità renale.
Per distnguere le cist dai tumori renali si osserva che il contenuto della ciste è un liquido e
assume la stessa colorazione della colecist mentre il tumore è solido assume una
colorazione meno scura.
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Sbobinatori: S. Mieni, A. Murari


Lez. 01 urologia
Novara 04/10/19
Revisore: A.Galbiat
Esistono rare neoplasie cistche del rene, in cui la ciste ha la parete inspessita, irregolare e
presenta un gettone all’interno, si notano inoltre dei setti visibili col mezzo di contrasto.
Origine dei carcinomi a cellule renali
Dal tubulo contorto prossimale originano:

c arcinoma renale a cellule chiare , che è il sottotpo più comune di carcinoma renale;

c arcinoma papillare , che è il secondo più comune anche se molto meno frequente del
primo;
Dal tubulo contorto distale originano:

c arcinoma cromofobo , che è il terzo sottotpo più comune;

o
ncocitoma , che è una neoplasia benigna non facilmente distnguibile dal cromofobo; Dai
dotti collettori origina:

t umore di bellini , che è caratterizzato da una prognosi altamente infausta.
Il carcinoma a cellule chiare, il carcinoma papillare e il cromofobo, nonostante rientrino
nella stessa macrocategoria, sono estremamente diversi per morfologia, citogenetca e
prognosi.
Il carcinoma cromofobo ha una prognosi buona, il papillare un po' peggiore ma solitamente
buona mentre il carcinoma a cellule chiare ha una prognosi molto variabile e non sempre
ottimale.
Diagnosi
La diagnosi nel 60-70% dei casi è incidentale: il paziente fa l’esame radiologico per un
motvo non correlato, o come follow-up di altre neoplasie e viene rilevata la presenza di un
nodulo renale.
Nelle aree geografiche in cui il sistema sanitario non è ottimale è più difficile avere quest
riscontri incidentali rispetto alle aree dove tutti i pazient affetti da neoplasia fanno follow-
up e dove comunque tutti i pazient hanno facile accesso al sistema sanitario nazionale.
Nel rimanente 25% la diagnosi si fa dopo il riscontro della sintomatologia, che prevede:

Sintomi causati dal tumore primitivo:

Dolore lombare

Ematuria

Massa papillare
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Sbobinatori: S. Mieni, A. Murari


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Novara 04/10/19
Revisore: A.Galbiat
Sono sintomi locali, e il riscontro di tutti i sintomi della triade è molto raro, infatti il più
delle volte hanno solo dolore lombare o ematuria.

Sintomi sistemici in assenza di metastasi (sintomi paraneoplastci):

Aumento della VES

Ipertensione

Anemia

Perdita di peso

Febbre

Alterazione della funzionalità epatca

Ipercalcemia

Policitemia

Sindrome di Staufer: alterazione della funzionalità del fegato in assenza di metastasi
epatche, rilevata come una alterazione delle ALT e AST. Quando il tumore primitvo viene
rimosso la funzionalità epatca torna nella norma.
Quest sintomi sono dovut probabilmente a qualcosa che viene secreto dalla neoplasia, la cui
natura il più delle volte non è chiarita, e va ad interferire con i processi sopracitat.

Sintomi correlati alla presenza di metastasi
Il tumore renale può metastatzzare ovunque ma quando viene rilevata una metastasi
singola questa più comunemente è polmonare o ossea. Una sede non molto frequente ma
abbastanza tpica è il surrene controlaterale.
Dopo l’ecografia, viene svolta una TAC addome (imaging di secondo livello) con funzione
di:

c onfermare ciò che è emerso dall’ecografia , che è un esame di operatore-dipendente;

v alutare le dimensioni e i rapport (anatomia topografica) del tumore primitvo con le altre
strutture renali: calici, pelvi, arteria e vena renali. Questo è molto importante per
l’approccio chirurgico.

s tadiare la neoplasia : in genere i noduli scopert in modo incidentale con l’ecografia sono di
piccole dimensioni (diametro minore di 3 cm), ed è improbabile che abbiano già dato luogo
a una diffusione metastatca (probabilità < 3%).
Nelle neoplasie renali grandi è frequente il riscontro di necrosi colliquatva perché sono
neoplasie ad alto turnover quindi i vasi non riescono a rifornire adeguatamente il tessuto in
crescita.
Nella stragrande maggioranza dei casi la TAC sovrastadia la neoplasia renale.
La risonanza RMN viene fatta raramente e solo in caso di sospetto di angiomiolipoma o
nelle cist complesse perché permette di distnguere meglio la natura del contenuto della cist
complessa che qualche volta può presentare sanguinamento all’interno. Il sangue alla TAC è
difficile da differenziare dalla lesione solida per questo si usa la RMN.
Tipicamente le lesioni renali hanno crescita espansiva, non infiltratva, quindi molte volte si
trova un piano fibroso che separa il parenchima renale sano dalla neoplasia.
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Sbobinatori: S. Mieni, A. Murari
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Novara 04/10/19
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All’estremità c’è la fascia di gerota, subito sotto si trova il grasso perirenale e la porzione
color giallo-oro è la neoplasia a cellule chiare.
Questo è un caso simile ma più avanzato dove lo
strato di grasso perirenale è stato intaccato.
Trombosi neoplastiche
Se la neoplasia renale non viene diagnostcata nella
fase iniziale può f ormare dei t rombi di tessuto neoplastco all’interno delle branche
intraparenchimali della vena renale prima e nella vena renale principale dopo: attraverso
la vena renale il trombo può arrivare alla vena cava inferiore fino all’atrio destro, da dove
può imboccare la via polmonare. Questo comportamento è quasi esclusivo delle neoplasie
renali parenchimali, ma riguarda anche alcune neoplasie surrenaliche.
Il trombo presenta un core neoplastco, spesso ricoperto da fibrina, e in genere non infiltra
la parete della vena cava, il che rende meno complicato l’intervento di rimozione del
trombo.
Quindi quando viene trovata una massa renale grande la prima cosa da fare è constatare se
c’è trombosi nella vena renale. Questo è un dato importante perché i pazient con la
trombosi, se non metastatci, possono avere una prognosi buona se vengono operat bene.
Se il trombo invade la vena cava, come riportato nell’immagine sotto, si fa una nefrectomia
radicale con delle opportune accortezze. Per rimuovere completamente il trombo è
necessario:

legare l’arteria renale omolaterale;

isolare la vena renale e la vena cava che contengono il trombo;

mettere due tourniquet alla vena cava inferiore al di sotto e nella vena renale
controlaterale;

isolare la vena cava anche al di sopra del trombo e mettere un tourniquet;

Isolare e legare tutte le vene lombari che sono afferent della vena cava.
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Sbobinatori: S. Mieni, A. Murari


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Novara 04/10/19
Revisore: A.Galbiat
Al momento opportuno tutti i tourniquet vengono chiusi e la vena cava potrà essere aperta
per rimuovere la neoplasia per intero senza che ci sia un significatvo sanguinamento
perché tutte le vene afferent sono clampate. Questa operazione va effettuata velocemente
perché nel periodo in cui la vena renale è legata, il rene controlaterale sano, che dovrà
garantre tutta la funzionalità renale dopo l’intervento, è sottoposto ad ischemia. Un
passaggio critco è il controllo dell’estremità craniale del trombo perché vanno
assolutamente evitat fenomeni di rottura del trombo che potrebbero causare la migrazione
della trombosi fibrinica ( che potrebbe causare un’embolia).
Questo intervento è relatvamente semplice nel caso in cui sia coinvolta solo una piccola
porzione di vena cava inferiore allo sbocco della vena renale e comunque nella porzione
sottoepatca.
Molto più complesso è il caso in cui il trombo arriva in atrio, perchè per controllare
l’estremità craniale del trombo deve essere aperto il torace. Questo tpo di intervento, in cui
il paziente è sottoposto a circolazione extracorporea, viene eseguito con i cardiochirurghi
in quanto prevede che venga incisa la parete dell’atrio per poter spingere il trombo
completamente all’interno della vena cava e poter clampare la vena all’estremità superiore
del trombo.
In pochissimi casi selezionat l’intervento è stato eseguito senza aprire il torace inserendo
attraverso i vasi del collo a una grossa cannula (AngioVAC) che viene posta all’interno
dell’atrio destro per aspirare eventuali trombi di fibrina e neoplastci che si potrebbero
staccare, senza clampare cranialmente.
Se quest pazient non sono metastatci l’esito dell’intervento e la prognosi sono buoni.
Metastatizzazione
La neoplasia renale metastatzza a livello dei linfonodi dell’ilo renale e poi a livello dei
linfonodi para-aortici o para-cavali, quindi nei mediastinici e sovra-claveari, molto più
raro è che coinvolga i linfonodi pelvici. Se non vi sono metastasi a livello ilare molto
probabilmente non ce ne saranno neanche in altre sedi, viceversa se si trovano metastasi a
livello ilare è frequente trovarne anche a livello mediastnico e sovra-claveare.
Nell’immagine riportata in basso si vedono i linfonodi aumentat di volume che sono stat
rimossi: non è ancora stato chiarito se la rimozione dei linfonodi ingrandit sia utle al fine di
migliorare la prognosi del paziente.
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Sbobinatori: S. Mieni, A. Murari


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Tra le metastasi a distanza si riscontrano metastasi polmonari, ossee, epatiche e al
surrene controlaterale.
Il surrene omolaterale il più delle volte, soprattutto se la massa è grande, viene tolto
insieme alla prima neoplasia. Se poi si sviluppa una metastasi al surrene controlaterale, che
viene a sua volta operata, il paziente rimane privo di surrene e dovrà intraprendere la
terapia sosttutva (attenzione perché il deficit di cortsolo è subdolo).
Le metastasi polmonari da neoplasia
renale sono lesioni nodulari multiple;
mentre le metastasi ossee sono lesioni
osteolitiche, che si vedono all’imaging
come zone alterate di densità ridotta:
circa il 15% dei metastatci esordiscono
con fratture ossee.
Nel tumore renale a volte si possono
avere lesioni renali multfocali, soprattutto nell’istotpo papillare in cui si riscontrano nel
10%
casi. Quando si riscontrano questo tpo di lesioni, nella maggior parte dei casi si trovano
istotpi diversi ( multipli tumori insorti contemporaneamente ), mentre nell’istotpo papillare
le lesioni sono tutte simili.
Nel 2% dei casi di neoplasia renale si ha
un interessamento bilaterali, di entrambi
i reni (neoplasia sincrona) oppure
riguarda soggetti già trattat con
nefrectomia ed affetti nel rene residuo
(neoplasia metacrona): queste situazioni
pongono in “condizioni di necessità ”, in
cui si è costretti ad attuare scelte
terapeutche diverse dalle standard
perché il paziente rischia di dover esser
sottoposto a dialisi.
Biopsia renale
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Novara 04/10/19
Revisore: A.Galbiat
Se nella neoplasia vescicale e prostatca tutte le decisioni passano per l’istologia,
storicamente le neoplasie renali non si biopsiano, passano direttamente dall’imaging
alla sala operatoria. La biopsia si riserva solo in caso di sospetta patologia linfoproliferatva
o altro che merit un trattamento diverso.
Il problema è che 20 anni fa la prevalenza dell’imaging era nettamente inferiore rispetto ad
oggi e quindi il paziente si presentava sintomatco con grosse masse ed una probabilità
molto elevata di carcinoma; la biopsia era inutle perché si trattava quasi sempre di un
carcinoma.
Oggi invece, come già accennato, la maggior parte delle diagnosi è causale perché il
paziente fa un’ecografia per qualsiasi motvo e si trovano una masse renali piccole, tpo di 2-
3 cm. Quella massa renale ha una probabilità di essere un tumore benigno circa del 50%, e
diminuisce leggermente all’aumentare della dimensione della massa. In totale tra le masse
inferiori a 3 cm circa il 25% sono tumori benigni. Radiologicamente non riesco a
distnguerli, ad eccezione dell’angiomiolipoma. Quindi che si fa? Si operano tutti? Sapendo
che un quarto delle masse saranno tumori benigni? Oppure si esegue la biopsia di queste
lesioni piccole per capire di cosa si tratta?
La maggior parte dei centri urologici, compresa Padova, operano tutte le lesioni, anche le
più piccole col prezzo di intervenire inutlmente nel 25% di masse benigne, ad eccezione
dell’angiomiolipoma.
Gli studi eseguit riguardo la biopsia renale dicono che l’accuratezza diagnostca è piuttosto
buona nel distnguere un tumore da un non tumore, mentre è assolutamente inadeguata se
si vuole valutare il grado della lesione e di che sottotpo si tratta. La neoplasia renale dal
punto di vista istologico è molto eterogenea, e i patologi già hanno difficoltà a fare la
diagnosi sul pezzo operatorio intero, figuriamoci su un frammento di 1 mm. Quindi se si
chiede se è tumore o non è tumore, il patologo fornisce la risposta corretta con una
sensibilità e una specificità elevatssime.
Domanda: In base a cosa descrivo cellule chiare o cromofobe?
Risposta: In base alla colorazione istologica: se in ematossilina ed eosina si colorano di
chiaro si parla di cellule chiare, se non si colorano si tratta di cellule cromofobe, mentre è
papillare se presenta la tipica architettura. La diagnosi è eseguita sul riscontro istologico
definitivo: è una diagnosi morfologica, basata sull’architettura e sulla colorazione. Il paziente
entra in sala operatoria sulla base della diagnosi clinica di neoplasia renale, ma l’istotipo non
lo conosco finché non si opera.
Domanda: Se la domanda da porre al patologo fosse se è un carcinoma o un tumore benigno?
Risposta: Questo è il problema della biopsia. È un carcinoma di qualche tipo o è benigno?
Bisogna considerare che all’istologia c’è margine di errore tra carcinoma cromofobo e
oncocitoma (il cromofobo è il più raro dei tre, non è un’occorrenza molto comune). Dunque, se
è presente una massa renale piccola e si desidera biopsiarla si chiede al patologo se è un
tumore o no? Se è un carcinoma o no? La risposta del patologo è attendibile; questo
consentirebbe di operare quelli che sono i carcinomi e non tutti gli altri. Nella pratica però,
presso la maggior parte dei centri, compreso quello di Padova, ciò non viene fatto per i motivi
spiegati in seguito.
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Le indicazioni alla biopsia renale sono varie, ma l’indicazione standard è il sospetto di
malattia linfoproliferatva quindi di linfoma renale, perché il trattamento cambia
completamente.
Qualcuno esegue la biopsia anche su pazient che non vuole operare, ad esempio pazient
marginali con aspettatve di vita molto modesta. In generale sarebbe opportuno biopsiare le
masse piccole, infatti se l’istologico è benigno sorveglio il paziente.
La maggior parte dei pazient che sono sottopost ad imaging sono anziani, quindi la maggior
parte dei pazient con neoplasia renale sono pazient anziani. Dunque il più delle volte si ha a
che fare con pazient estremamente anziani con comorbidità e massa renale di 3 cm; la
probabilità di toglierla senza creare altri danni in virtù del quadro di complessa
comorbidità non è sempre ottimale. Ecco perché può essere importante la biopsia.
Domanda: Lei diceva che l’iter è solitamente imaging e poi sala operatoria; non esistono altre
terapie, terapie in adiuvante?
Risposta: No, ne parleremo dopo, sostanzialmente ci potrebbe essere uno spazio nel caso del
paziente metastatico alla diagnosi.
Allora perché non si fa la biopsia?

Per l’accuratezza alla diagnosi patologica, infatti è una diagnosi estremamente difficoltosa
da eseguire sul pezzettino di tessuto.

Per il seeding (insemenzamento): contaminazione del tessuto perirenale con cellule
tumorali trasportate con l’ago della biopsia. Per contenere il problema si può posizionare
un’ago-cannula in vicinanza della neoplasia e ogni volta che si entra e si esce dal fianco del
paziente per fare il prelievo si passa attraverso l’ago-cannula e non si ha seeding di cellule
all’esterno.
Un recente lavoro canadese ha studiato un gruppo di pazient che dopo essere stat sottopost
a biopsia sono stat operat e successivamente è stato studiato il grasso perirenale lungo il
tragitto della biopsia per vedere se ci fosse stato seeding. E’ stato riscontrato che dopo aver
fatto la biopsia nella maniera che viene comunemente identficata come
“corretta” sono state ritrovate cellule neoplastche al di fuori del tumore primitvo in un’alta
percentuale di casi. Il rischio non è che sia proprio zero.

Per il sanguinamento, dato che il rene è un organo molto vascolarizzato.
Domanda: ha rilevanza il riconoscimento dell’istotipo nel monitoraggio e nel follow-up del
paziente?
Risposta: La domanda da porsi è a cosa serve prima dell’intervento chirurgico conoscere
l’istotipo? Dopo l’intervento chirurgico si analizza l’istotipo e si costruisce il follow-up in base
al riscontro istologico definitivo.
La sua domanda avrebbe potuto alludere ad una cosa diversa: si tratta diversamente una
massa renale piccola per esempio clear cell rispetto ad un istotipo cromofobo? La risposta è
sì, perché il clear cells è più aggressivo, il cromofobo è meno aggressivo sia localmente che a
distanza; quindi in un paziente con una massa di 6-7cm, se è clear cell è meglio togliere tutto,
se all’istologia invece risulta cromofobo o papillare può essere considerato un carcinoma a
relativamente ridotta malignità, si può quindi procedere con un trattamento conservativo ad
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oltranza con una nefrectomia parziale. In casi limite la biopsia mi consente di scegliere se
attuare una nefrectomia parziale o una nefrectomia totale.
Terapia chirurgica
Nefrectomia radicale
Storicamente il trattamento chirurgico standard del tumore renale era eseguire una
nefrectomia radicale, che consiste nell’esportazione del rene per intero, con un approccio
extrafasciale cioè al di fuori del grasso della fascia del Gerota, e del surrene omolaterale se
la lesione è a livello del polo superiore o se c’è un sospetto all’imaging. Questo intervento è
stato eseguito da Robson negli anni ’50, e per anni tutti i pazient sono andat incontro a
nefrectomia radicale. Se si tratta di neoplasia parenchimale con trombo bisogna eseguire
oltre alla nefrectomia anche la trombectomia.
Nefrectomia

parziale
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Sbobinatori: S. Mieni, A. Murari
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Nella maggior parte dei casi al giorno d’oggi il paziente ha due reni sani e un piccolo nodulo
su uno dei due, quindi eseguire la nefrectomia radicale risulta un overtreatment, un
eccesso. Per questo motvo si esegue la nefrectomia parziale, in cui si toglie solo il tumore. È
più facile togliere tutto il rene rispetto a toglierne solo un pezzo, perché il rene è un organo
molto vascolarizzato. Infatti non si può tagliare il rene senza opportuni accorgiment,
altriment sanguinerebbe moltssimo e si rischierebbe di non vedere il campo operatorio e di
finire dentro la neoplasia.
L’intervento nella maggior parte dei casi prevede innanzitutto l’isolamento dell’arteria
renale, attorno a cui si predispone un tourniquet, e successivamente l’isolamento di tutto il
rene: si apre la fascia di Gerota, si toglie il grasso e si individua la neoplasia. Nel momento
in cui si vuole resecare la neoplasia si occlude l’arteria renale col tourniquet, creando una
situazione di ischemia in cui si riesce a tagliare il rene con un sanguinamento modesto.
Dato che il paziente è a temperatura ambiente si parla di warm ischemia. Si evidenzia il
fatto che ogni minuto di ischemia ha un impatto sulla funzione renale residua del rene che
lascio al paziente, quindi bisogna operare velocemente.
Siccome è molto vascolarizzato può sanguinare anche dopo alcuni giorni dal letto di
resezione: in quest casi il sanguinamento è gestto dal punto di vista diagnostco con un
angioTAC e dal punto di vista terapeutco con un’embolizzazione selettiva. Si fa
l’angioTAC e si occlude il ramo che alimenta lo spandimento: la radiologa interventsta
inserisce il catetere in femorale, dalla femorale all’aorta, dall’aorta alla arteria renale fino
alla branca che alimenta il rametto che provoca il sanguinamento.
Domanda: il paziente dopo l’intervento generalmente non è trattato con anticoagulante che
aggrava ancora di più il sanguinamento?
Risposta: Sì, la tromboprofilassi prevede il rischio di sanguinamento ed è eseguita al 100%
dei pazienti a Padova (non si fa in tutti i centri al 100% dei pazienti). Serve però ad evitare
una patologia mortale, l’embolia polmonare.
Domanda: Perché durante la nefrectomia non si raffredda il rene riducendo la warm
ischemia?
Risposta: La maggior parte delle volte il chirurgo non fa niente; alcune procedure prevedono
l’uso di ghiaccio, oppure in casi estremi si può staccare il rene e procedere con una chirurgia
da banco con rene perfuso che poi si reinserisce; si tratta di casi estremi, procedura
praticamente mai fatta a Padova.
Qual è il confine tra fare una nefrectomia radicale e una nefrectomia parziale, fino a che
punto eseguo una e in quali condizioni eseguo l’altra?
Il problema della nefrectomia parziale è l’ischemia renale, ma bisogna considerare che in
chirurgia d’elezione il rene controlaterale è sano, e in ogni caso è meglio lasciare al paziente
un rene con qualche deficit di funzione renale perché sono trascorsi 3 minut in più di
ischemia rispetto all’ideale piuttosto che rimuovere l’intero rene con la nefrectomia
radicale.
Domanda: Quanto diminuisce la funzionalità renale?
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Sbobinatori: S. Mieni, A. Murari
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Risposta: Solitamente dipende da un milione di fattori, per dare una risposta precisa alla sua
domanda bisognerebbe riferirsi al trattamento fatto a pazienti con rene singolo.
Fino a qualche anno la procedura era la seguente: se la massa è minore di 4 cm e l'altro
rene è sano si esegue la nefrectomia parziale; se la neoplasia supera i 4 cm è meglio fare la
nefrectomia radicale.
Gli studi dicono che l’efficacia oncologica della nefrectomia parziale è uguale alla radicale. Il
vantaggio principale della nefrectomia parziale è che si salva il parenchima, mentre lo
svantaggio è che ci possono essere un po’ più di complicanze peri-operatorie.
Al giorno d’oggi è impossibile definire un cutoff: la tendenza è estendere l’indicazione della
nefrectomia parziale in elezione in tutti i casi in cui è tecnicamente possibile farla, anche
con una massa di 8cm se è tecnicamente gestbile.
Si sceglie non tanto in base al diametro ma in base a quello che è tecnicamente fattibile
considerat il diametro, la posizione e i rapport anatomici con le altre strutture del
parenchima renale.
Chiaramente il confine si sposta ulteriormente se il paziente ha solo un rene funzionante:
per evitare al paziente la dialisi si cerca di fare qualsiasi.
Nefrometry score
Sono stat sviluppat una serie di score chiamat Nefrometry Score, di cui il più utlizzato ed il
primo sviluppato in Europa è il Padua Score. Un altro simile è il Renal score, sviluppato a
Philadelphia con alcune variabili diverse ma il concetto è lo stesso.
Lo score consiste nel dare un punteggio alla neoplasia in base a:

Diametro: che era l’unico fattore considerato in precedenza;

Localizzazione: polare superiore, polare inferiore verso terzo medio;

Percentuale esofitica ed endofitica della lesione: se una lesione al 90% è esofitca è
molto più facile da trattare rispetto ad una
al 90% endofitca, cioè dentro il rene;

Localizzazione mediale-laterale;

Coinvolgimento del seno renale e del
calice della pelvi.
Quindi si guarda la TAC e in base alle
caratteristche si assegna un punteggio, il numero
risultante ci dice se la lesione è “facile” da operare
o se è una lesione estremamente complessa.
Se, a parità di diametro, la massa è al 90%
endofitca polare inferiore è molto facile da
enucleare rispetto ad una lesione al 100%
endofitca coinvolgente il seno renale per cui si eseguirà una nefrectomia radicale. Non si
ragiona
più sul solo diametro ma sull’insieme delle
caratteristche anatomiche della neoplasia.
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Sbobinatori: S. Mieni, A. Murari


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Domanda: Cosa si intende con endofitico ed esofitico?
Risposta: Rispettivamente si riferiscono a che percentuale di neoplasia cresce all’interno del
parenchima renale e a che percentuale cresce all’esterno.
Numerosi studi indicano che lo score funziona: quindi il più delle volte si esegue la
nefrectomia parziale a meno che la lesione non sia molto grande, difficile da enucleare o
con trombosi.
Tecniche di nefrectomia parziale
Il più delle volte si esegue una nefrectomia parziale endoscopica robotca.
Perché non a pancia aperta (OPN) o non in laparoscopia (LPN)?
OPN vs RAPN
Valutando il riassunto da metanalisi di vari studi, questo dice che se si esegue un intervento
robotco piuttosto che in open ( a
pancia aperta) si ha il risultato
oncologico

sostanzialmente
identico, ma con un miglior risultato
cosmetico
(minor cicatrici e
recupero più rapido) e leggermente
migliore risultato funzionale in
termini di
sanguinamento e
preservazione della funzionalità
renale. Infatti i pazient sanguinano
di meno, quindi vengano trasfusi
meno e l’intervento è lievemente più
lungo ma con meno complicanze
peri-operatorie.
Inoltre l’ospedalizzazione è più
rapida perché invece di avere
l’incisione i pazient hanno 3 buchi, il
che è più gestbile e il paziente torna alla sua vita più velocemente.
La percentuale di modifica della funzione renale in linea di massima a parità di lesione
dovrebbe essere uguale tra OPN e RAPN: gli studi dicono che è minore nel trattamento
robotco ma tali studi non sono pienamente comparabili per le caratteristche della lesione.
LPN vs RAPN
Bisogna considerare che la nefrectomia parziale è un intervento difficile perché bisogna
resecare e suturare un territorio molto vascolarizzato: se il laparoscopista è sopraffino
l’intervento può essere eseguito anche in laparoscopia, ma il vantaggio che dà la tecnologia
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Sbobinatori: S. Mieni, A. Murari


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robotca nelle capacità di suturare e di tagliare con precisione determina un risultato un po'
più favorevole.
Importante da ricordare è il tempo di ischemia, ci sono pochi minut disponibili.
Gli studi indicano che rispetto alla laparoscopia l’intervento in robotca fornisce una
probabilità più alta di finire l’intervento senza convertrlo in nefrectomia parziale open o in
nefrectomia radicale.
Inoltre dimostrano che nonostante le complicanze siano simili, il warm ischemia tme è più
corto in robotca rispetto alla laparoscopia perché manovre tecnicamente complesse sono
più agevolate in robotca rispetto allo strumentale laparoscopico.
Quindi la maggior parte delle nefrectomie parziali si eseguono in robotca, mentre la
maggior parte delle nefrectomie radicali in open. Solitamente tutti i casi un po’ più semplici
vengono trattat in nefrectomia parziale; la nefrectomia radicale, eseguita in open, è
riservata a pazient partcolari che presentano neoplasie molto grandi. Qualche volta
l’asportazione radicale si può fare in laparoscopia, ma quando la massa è molto importante
si fa ancora in open.
Crioablazione
È una tecnica che lentamente sta prendendo piede, e si esegue per masse renali piccole. Con
la crioablazione non si toglie il pezzo da mandare ad anatomia patologica ma si inseriscono
sotto guida TAC o laparoscopica degli aghi all’interno del tumore e si procede con 3 o 4 cicli
di congelamento e scongelamento in modo da denaturare le proteine della neoplasia.
Molt studi sugli esit della crioablazione dicono che la percentuale di recidiva locale
soprattutto quando la tecnica è fatta in laparoscopica è molto bassa. L’unico dubbio è che
quest studi sono per lo più a breve termine, cioè fanno riferimento ad un follow-up
modesto, corto o medio-corto.
Infatti per il momento si tende ad eseguire la crioablazione nel paziente molto anziano con
una piccola massa renale, mentre nel paziente quarantenne o cinquantenne non si esegue
la crioablazione perché non ci sono abbastanza studi sul follow-up a lungo termine.
Il follow-up degli studi a disposizione non è tale da rendere sicura l’efficacia della
crioablazione e del follow-up in un paziente così giovane a lungo termine, quindi
fondamentalmente non si può essere cert che a distanza di tempo non ci siano problemi;
mentre questa tecnica può essere 55
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una buona alternatva nel paziente anziano che non si desidera solo sorvegliare e in cui la
morbidità dell’intervento tradizionale può essere un po’ elevata.
Domanda: Come fa il congelamento e lo scongelamento a coinvolgere solo la parte tumorale?
Risposta: Non coinvolge solo la parte tumorale: bisogna considerare, orientandosi
macroscopicamente, un orletto di almeno 1 cm al di fuori del tessuto tumorale, quindi se si
tratta di una neoplasia centrale vicino ai vasi non si può fare l’intervento, ci sono certe
limitazioni tecniche. È necessario che l’intervento sia molto preciso infatti i risultati della
crioablazione laparoscopica sono migliori rispetto alla percutanea: l’ideale sarebbe eseguire
la crioablazione sotto guida TC percutanea con una lieve sedazione ma il problema è che non
è così precisa come la crioablazione laparoscopica. Quindi fondamentalmente bisogna
comunque fare al paziente l’anestesia generale e questo minimizza un po' il beneficio che in
termini di problematiche perioperatorie che ci sarebbe soprattutto per i pazienti un po'
marginali, anziani.
Ablazione a radiofrequenza
Con questa tecnica le cellule vengono distrutte tramite il calore delle radiofrequenze.
A Monselice c’è un egregio gastroenterologo con grande esperienza nell’ablazione con
radiofrequenza delle metastasi epatche che ha cominciato a trattare anche i tumori renali
primitvi. Si può trovare letteratura al riguardo, perchè è un’ablazione che si esegue anche
in altri centri, ma i risultat sono inferiori a quelli della crioablazione in termini di controllo
locale della malattia. Quindi l’ablazione con radiofrequenza è una pratca sconsigliata.
Sorveglianza attiva
In caso di pazient marginali, come l’ottantasettenne con una lista di comorbidità molto
lunga, in cui ipotetcamente durante un follow-up di altre neoplasie viene identficata la
piccola massa renale, si consiglia la sorveglianza attiva.
In partcolare si consiglia per masse renali < 3 cm e in pazient con aspettatva di vita < 5anni.
Se è possibile si esegue una biopsia renale iniziale: anche se è un tumore maligno non
viene trattato, fondamentalmente non si fa nulla se non un follow-up serrato con imaging
periodico ogni 3-6 mesi evitando al paziente l’intervento, che darebbe effetti collaterali
senza un beneficio a lungo termine dato che in questo tpo di pazient il lungo termine non
esiste e si avrà la morte per altre cause; se la massa è benigna si fa molto ancora meno di
quanto detto in precedenza.
L’alternatva alla sorveglianza attiva è l’operazione con annessi effetti collaterali: se la
massa renale è piccola una volta che si decide di operare si esegue la nefrectomia parziale
anche se il paziente ha 89 anni; con tale operazione il paziente ha delle complicanze come
sanguinament important a fronte di un beneficio nel migliore dei casi molto risicato se il
paziente ha un’aspettatva di vita limitata. Pazient marginali con masse renali piccole e
comorbidità elevata possono dunque essere sorvegliat, ed eventualmente operat se la
lesione cresce o se si modificano le aspettatve di vita.
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Revisore: A.Galbiat
L’aspettatva di vita di un ottantanovenne non si può modificare in meglio dopo 6 mesi di
follow-up.
Invece nel caso di un paziente di 75 anni con un’altra neoplasia per cui sta sostenendo un
trattamento, non sapendo come risponde alla terapia e quindi quale sia l’effettiva
aspettatva di vita terapia, si preferisce non operarlo ma sottoporlo a sorveglianza attiva.
Dopo 6 mesi di follow-up il paziente può avere una remissione completa al trattamento
della prima neoplasia e l’oncologo ttolare della neoplasia può dire che ha un’aspettatva di
vita dell’80% a 5 anni: dunque se la lesione cresce indicando un comportamento aggressivo
o se la sua aspettatva di vita si modifica in virtù della risposta al trattamento della altra
patologia lo si può trattare per la neoplasia renale.
In linea di massima si fa l’imaging periodico e basta.
Vari studi indicano che le procedure di imaging ogni 3-6 mesi garantiscono dei risultati
sostanzialmente buoni nella prevenzione della metastatizzazione: infatti se il paziente
è selezionato bene, la probabilità di metastatzzare è molto bassa; ad esempio se la lesione è
sotto i 3 cm la probabilità di metastatzzare è del 2-3%, quindi molto probabilmente
muoiono di altre cause.
La diapositiva relativa alla stadiazione TNM e la successiva relativa ai principali fattori
prognostici non è indispensabile che le conosciamo.
Target therapies
Viene riportato uno schema estremamente semplificato dei meccanismi intracellulari della
regolazione della crescita e dell’angiogenesi del tumore del rene. Dalle cognizioni iniziali
del VHL
si è riuscit nel corso degli anni ad identficare una serie di percorsi che fanno capo
sostanzialmente a VEGFR, PDGFR, c-kit, la cui attività può essere bloccata da una serie di
farmaci sviluppat da poco.
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Quest farmaci sono definit grossolanamente target therapies, e sono inibitori delle
tirosin-chinasi (TKis) perché la maggior parte di quest recettori agiscono con meccanismi
trosin-chinasici. Nell’ambito della patologia renale in partcolare, sono stat una rivoluzione
perché le neoplasie renali non rispondono a nessuna delle chemioterapie convenzionali;
quindi quando il paziente era metastatco non c’era nessun trattamento da proporgli se non
togliergli il rene e le metastasi se erano resecabili.
Il primo studio in merito riguarda il Sunitinib, un inibitore di VEGFR, PDGFR e c-Kit. È uno
studio di fase 3, che ha dimostrato che il p
aziente metastatico così trattato ha un notevole vantaggio di sopravvivenza ed è libero da
progressione, si ha anche un vantaggio di sopravvivenza globale.
Dopo questo sono stat pubblicat numerosi altri trial di fase 3 con molecole varie (come
Axitnib, Sorafenib, pazopanib) che fanno sostanzialmente riferimento alla stessa logica di
azione: si blocca uno di quest recettori o la cascata di trasmissione del segnale a valle del
recettore.
Questi farmaci cronicizzano la malattia, il paziente non guarisce : se prima il paziente
metastatco moriva in un anno adesso ciascuna linea di trattamento può dargli un vantaggio
di sopravvivenza di alcuni mesi, dunque se il paziente è sufficientemente fit e riesce a fare 2
o3
linee di trattamento riesce a sopravvivere anche 3 o 4 anni da metastatco. Esistono degli
effetti collaterali che non sono quelli della terapia tradizionale e sono sostanzialmente
gestbili (in realtà poi sono emersi alcuni effetti come tossicità cardiovascolari).
Checkpoint inhibitors
I farmaci della target therapy non sono più lo standard del trattamento, che stanno
diventando i checkpoint inhibitors ( si ricorda il Pembrolizumab riguardo il tumore
vescicale).
Nel 2015 è stato pubblicato il primo studio sull’efficacia del Nivolumab in seconda linea
rispetto ad un TKI di seconda linea in pazient che progredivano dopo TKI di prima linea, e
in seconda linea si è dimostrato un vantaggio. Il Nivolumab ha lo stesso meccanismo di
azione del Pembrolizumab cioè l’inibizione dell’interazione PD-1/PD-L1.
La risposta alla terapia di quest checkpoint inhibitors è correlata alla espressione
quanttatva di PD1 nella cellula neoplastca.
Per decidere quale farmaco utlizzare e per quale paziente si possono costruire delle classi
di rischio:
Questa è quella inizialmente utlizzata dal Memorial Sloan Kettering Cancer Center, MSKCC.
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Oggi si utlizza quella di Daniel Heng, in cui sostanzialmente si valutano una serie di fattori
di rischio:
1. performance status;
2. tempo tra la diagnosi e le metastasi;
3. livelli di emoglobina;
4. calcio;
5. neutrofili;
6. piastrine.
In base al numero di fattori di rischio il
paziente può essere:
– low-risk→ 0 fattori di rischio
– rischio intermedio→ 1-2
– rischio elevato→ ≥3
In base a quant fattori prognostci
sfavorevoli ha il paziente si decide che
trattamento fare.
CheckMate 214 Nivolumab/Ipilimumab vs Sunitinb
L’anno scorso è stato pubblicato lo studio Check Mate 214 in cui sono stat comparat i TKI
con l’immunoterapia in prima linea di trattamento, in partcolare si confrontavano:
– il Sunitinib con la combinazione tra Nivolumab e Ipilimumab (antcorpo monoclonale
che blocca CTLA4), due antcorpi con l’obiettivo di “sguinzagliare” le cellule T.
E’ stato dimostrato che in prima linea di trattamento la combinazione di due
immunoterapici è meglio dell’inibitore delle trosin-chinasi Sunitnib. Infatti la combinazione
sta diventando lo standard di trattamento nei pazient con malattia a rischio intermedio ed
elevato.
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La scorsa lezione era stata sollevata la questione dei costi rispetto ad un vantaggio di
sopravvivenza di due mesi. In questo caso c’è sempre una questone di cost ma non è
marginale il vantaggio di sopravvivenza: a 18 mesi si vede una sopra-differenza di 5 mesi
circa, ma il vantaggio di sopravvivenza sembra maggiore dato che la sopravvivenza
mediana non è stata ancora raggiunta. Per il Sunitnib la sopravvivenza mediana è di 26
mesi.
Bisogna considerare che il vantaggio di sopravvivenza è maggiore in chi esprime alt livelli
PD-L1, quindi l’idea è di utlizzare la combinazione di immunoterapici in chi esprime molto
PD-L1 e qualche altro farmaco in chi invece ha bassi livelli.
Al giorno d’oggi si sta cominciando a ritagliare la terapia del paziente non solo sulle
metastasi e sui fattori di rischio laboratoristci ma anche sulle mutazioni espresse dal
singolo paziente.
Recentemente un nuovo studio ha sondato la combinazione di immunoterapico/target
therapy rispetto la sola target therapy anche nei pazient a basso rischio, ed è stato
dimostrato che i l vantaggio di sopravvivenza c’è in tutte le classi di Heng.
Nella pratca, nel 2019 e in futuro forse ancor di più , i pazient metastatci non vengono
trattat con solo Sunitnib ma in base alla classe di rischio:

classe di rischio bassa→ combinazione di Axitninib e Pembrolizumab;

classe di rischio intermedio/elevato→ combinazione di Pembrolizumab e Ipilimumab.
Le linee guida del 2020 fanno riferimento a questo nuovo approccio: Il TKI, come Axitnib
o Sunitnib ( che hanno una variabilità ma non è importante conoscere esattamente quale),
che per anni è stato l’unico farmaco disponibile ha perso il ruolo di prima linea perché la
combinazione di due immunoterapici o di un TKI/immunoterapico ha mostrato risultat
migliori.
Quali sono invece le procedure se il paziente è
metastatico all’esordio?
La maggior parte dei metastatci trattat sono
pazient diventat metastatci durante il follow-up.
Per anni tutti quest pazient sono stat operat di
nefrectomia perché la metanalisi di due trial
mostrava un vantaggio di 3 mesi di sopravvivenza
nel caso in cui i pazient venissero operat piuttosto che trattat con la sola terapia sistemica
utlizzata in quegli anni, che era l’interleuchina.
Le linee guida del 2020 però dicono che se il tumore non è operabile non è operabile,
mentre se è operabile si considera innanzitutto il tissue sampling quindi si può fare la
biopsia per eventualmente caratterizzare la neoplasia e attuare qualche trattamento
sistemico, e poi si considera la possibilità di operarli a seconda delle condizioni generali e
della classe di rischio del paziente.
Quindi a differenza di una volta, in cui venivano operat tutti, adesso le indicazioni
all’operazione sono più ristrette in virtù dello studio CARMENA, in cui è stata comparata la
terapia sistemica Sunitnib vs nefrectomia + il Sunitnib. È uno studio simile a quelli che
comparavano l’utlizzo 60

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dell’interleuchina da sola rispetto all’operazione, da cui è emerso che l’operazione
conferiva un vantaggio di sopravvivenza rispetto a fargli la sola interleuchina, ma non si
sapeva come era la situazione con un TKI. Il risultato dello studio uscito l’anno scorso col
Sunitnib è che sembrerebbe non esserci un vantaggio di sopravvivenza.
Dunque, come ci si regola? Non si opera più nessuno?
Si esegue una nefrectomia citoriduttiva nei pazient che hanno sintomi incontrollabili,
invece se il paziente ha dei fattori prognostci negatvi o se è in classe di rischio elevata di
Heng non lo si opererà in prima battuta ma sarà trattato con una terapia sistemica. Nella
maggior parte dei casi progredirà e morirà ma se risponde alla terapia sistemica si potrà
rivalutare l’indicazione chirurgica.
L’eccezione a questo è il paziente molto fit, giovane, che ha un carico di metastasi molto
modesto, tpicamente un singolo nodulo polmonare metastatco, in cui in primis si esegue la
nefrectomia e la metastasectomia citoriduttiva, poi si
può decidere di sorvegliarlo o di sottoporlo all’inibitore
di trosin chinasi per cercare di ridurre il rischio di sviluppo di altre metastasi. Nella
maggior parte dei casi
si sorveglia, perché gli studi sul vantaggio di un adiuvante TKI sono stat tutti negatvi tranne
uno che
ha dimostrato un vantaggio di sopravvivenza
esiguissimo. Quindi non si usano quest farmaci in adiuvante (cioè dopo l’operazione) per
ridurre il rischio
di nuove metastasi, sebbene si
tratti di un paziente già metastatco
con un maggiore rischio teorico di
ripetzioni.
Seguono una serie di immagini di metastasi
In questa tac si evidenziano lesioni polmonari metastatiche: c’è esperienza chirurgica di
questo tpo di lesioni, ma senza trattament in adiuvante la probabilità del paziente di
restare libero da metastasi è bassissima.
Importante lesione ossea, che si tende ad operare cementando la vertebra per evitare il
crollo vertebrale e la compressione midollare. Poi si fanno tutti i trattament necessari, ma
senza TKI la probabilità che quest pazient
restno liberi da altre metastasi è molto bassa.
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Lesione epatica sincrona al tumore primitvo: solitamente si esegue la nefrectomia e la
termoablazione della lesione epatca.
Lesione encefalica: solitamente sono pazient
sintomatci quindi si tende a trattarli con la
radioterapia mirata Gamma Knife, ma hanno una prognosi orribile.
Lesione della coda del pancreas: è abbastanza frequente, ma se non hanno altre
metastasi una volta operat quest pazient vanno molto bene. In questo caso
il chirurgo generale procede con una pancreasectomia distale in modo da rendere il
paziente libero da malattia senza renderlo diabetco. Se la lesione è alla testa di solito si
rifiutano di fare la pancreasectomia e si tratta il paziente con una terapia sistemica. Per
lesioni della coda come questa la probabilità che se si toglie la metastasi il paziente rest
libero da altre metastasi è alta.
Lesione della colecisti: paziente ricoverato per colecistectomia e nefrectomia, è emerso
poi che nella colecist c’era una metastasi.
Neoplasia prostatica
È un argomento estremamente importante perchè questa patologia ha un’altssima
frequenza.
Epidemiologia
In immagine sono riportat i tassi
di incidenza: si può vedere come
la neoplasia prostatca sia una
patologia degli stat ricchi, che
hanno lo stle di vita occidentale.
I colori più intensi (arancione
scuro) indicano prevalenze
estremamente elevate, che si
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riscontrano in partcolare nel nord America, in Oceania e in alcuni paesi europei, come la
Scandinavia.
Nei paesi africani la prevalenza è bassa perché si muore a 40 anni per malnutrizione,
malaria o altre cause e non vi è il tempo tecnico per ammalarsi di neoplasia prostatca.
Invece nelle nazioni asiatche, in partcolare il Giappone, sebbene la vita media sia
abbastanza lunga, il tasso di incidenza è più basso rispetto ai paesi occidentali per una
questone legata allo stle di vita.
Quindi da un lato vi è una problematca legata al non morire d’altro in età giovanile (in
riferimento all’Africa), dall’altro la problematca correlata ai diversi stli di vita (in
riferimento ai paesi asiatci, dove, sebbene le aspettatve di vita siano buone, il tasso di
incidenza è minore).
L’Italia si colloca nella seconda fascia con 40-80 nuovi casi su 100mila abitant all’anno.
Riguardo i tassi di mortalità, si nota
come quest siano relatvamente
bassi nei paesi con incidenza più
elevata, come per esempio il Canada
o gli USA. La mortalità è leggermente
più alta nei paesi come l’Australia e la
Scandinavia, che presentano
anch’essi tassi di incidenza elevat.
In Italia il tasso di mortalità è
relatvamente basso: muoiono 7-
15 pazient ogni 100mila abitant
all’anno.
Quindi vi è una discrepanza tra i tassi di incidenza e mortalità (tasso di incidenza alto e di
mortalità basso), e questo può essere spiegato da:

Presenza di un sistema sanitario che funziona;

Over diagnosi: si diagnostcano patologie che hanno un decorso clinico favorevole, di cui
non si muore.
I dat riportat nella tabella in basso sono stime americane del 2019 che riguardano il
numero di nuovi casi e di pazient mort:
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La neoplasia prostatca è la più comune neoplasia dell’uomo: con 175 mila nuovi casi
all’anno rappresenta il 20% di tutti i tumori nel sesso maschile. Inoltre è la seconda causa
più comune di morte per neoplasia: con 32 mila mort all’anno rappresenta il 10% delle
mort totali per neoplasia.
Il rapporto tra il numero di nuovi casi e di pazient mort è di circa 6 a 1. Questo implica che l
a maggior parte dei pazient muore c on la neoplasia prostatca ma non per il tumore
prostatco.
Questo si verifica in parte per l’efficacia dei trattament, e in parte perché la neoplasia
prostatca presenta una storia naturale molto lunga che permette a pazient di età adulta o
anziana di morire per altre cause rispetto al tumore, anche se non trattat.
Vengono riportat quindi i dati italiani : in Italia quest’anno sono stat stmat circa 37mila
nuovi casi, e, come negli Stat Unit, rappresenta il 20% di tutte le diagnosi di neoplasia.
Nel 2016 vi sono stat 7540 decessi: vi è circa un rapporto 5 a 1, che è più sfavorevole
rispetto a quello statunitense, poiché in Italia ci sono meno diagnosi di neoplasia.
In Italia vi è circa mezzo milione di
pazient con neoplasia prostatca:
dopo la neoplasia della mammella
(circa 800mila pazient) e la neoplasia
del colon retto (480mila pazient tra
uomini e donne), è la neoplasia con
maggior prevalenza (471mila
pazient).
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In immagine vengono riportat i tassi
di incidenza nel tempo: il numero
totale di diagnosi (curva nera) è in
lievissimo declino a causa della
riduzione dell’uso del PSA ma è
sostanzialmente stabile.
La curva rossa in alto dimostra come
la neoplasia prostatca sia una
patologia che viene diagnostcata
prevalentemente

soggetti
ultrasettantenni; la curva arancione
rappresenta i pazient affetti tra i 50 e i
70 anni; mentre i casi che riguardano i
pazient che hanno meno di 50 anni
sono veramente pochi (curva rosa).
Quindi fondamentalmente l’incidenza è stabile nel tempo con partcolare rilevanza nei
soggetti over 70, e in secondo luogo in quelli tra i 50 e i 70 anni.
In questa immagine invece sono
riportat i tassi di mortalità nel tempo:
la mortalità totale (curva nera) è
stabile o in lievissimo declino.
Si può notare come la mortalità nei
pazient ultrasettantenni sia in declino
(curva rossa): questo probabilmente
non dipende dal fatto che sono
migliorat i trattament, ma dal fatto
che in passato, attraverso l’utlizzo del
PSA, sono state diagnostcate neoplasie
non significatve, a comportamento
benigno ( overdetection) che non hanno
rappresentato la causa di morte del
paziente.
In questa immagine sono riportat i dati
di sopravvivenza a 5 anni dalla
diagnosi: si evidenzia come il tumore
alla prostata con il 92% di
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sopravvivenza si colloca al secondo posto, a seguito del cancro alla troide che presenta il
93% di sopravvivenza a 5 anni.
Viene quindi riportato un grafico che
mostra le curve di mortalità stratificate a 5
anni dalla diagnosi, per valutare di cosa effettivamente muoiano gli affetti:

L’area rosa rappresenta i pazient
che sopravvivono, che sono la
stragrande maggioranza;

L’area rossa indica che la maggioranza dei
pazient che muore prima dei 5 anni dalla
diagnosi, muore per altre cause.

L’area grigia indica i pochi pazient
che hanno una malattia
estremamente aggressiva e
metastatca al momento della
diagnosi iniziale, e che quindi muore a causa di questa.
La maggior parte dei pazient che moriranno di cancro alla prostata, con o senza i
trattament, morirà dopo un lungo intervallo di tempo. Infatti la storia naturale della
neoplasia prostatca è molto lunga e i pazient che muoiono per neoplasia prostatca sono
pochi e muoiono dopo molto tempo, quindi i 5 anni standard dalla diagnosi sono considerat
un intervallo di tempo insignificante. Questo è un problema rilevante nel fare studi sia sulla
sopravvivenza che sulla valutazione dell’efficacia dei trattament, che quindi non possono
essere valutate sui 5 anni ma sui 15-20 anni di follow-up. Dato che i pazient che si
ammalano di tumore prostatco sono adult o anziani, in un follow up di 15 anni la
competing risk mortality, cioè la morte per altre cause, è un fenomeno estremamente
comune e rilevante.
L’obiettivo del medico in questo caso è quello di far morire il paziente per altro, cercando di
minimizzare l’impatto dei trattament sulla qualità di vita. È un ragionamento strano,
diverso da quello che si fa con altre neoplasie più aggressive, come nel caso della neoplasia
esofagea e pancreatca in cui ci vuole veramente poco tempo per capire se il trattamento
funziona.
Quindi un problema rilevante della neoplasia prostatca è che non si sa quale sia realmente
l’impatto dei trattament e per capirlo ci vorrebbe moltssimo tempo, che però nella maggior
parte dei casi non si ha dato che i pazient muoiono per altre cause.
Patogenesi
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Fondamentalmente non si sa quale sia l’eziologia della neoplasia prostatca: esistono
condizioni indispensabili e fattori di rischio not, ma il reale motvo per cui uno specifico
paziente si ammala e un altro no, non è ancora noto.
La neoplasia necessita di un substrato ormonale, rappresentato dal testosterone: soggetti
con patologie endocrine che non producono testosterone non svilupperanno mai neoplasia
prostatca. Non c’è però correlazione tra il livello di testosterone e chi sviluppa la neoplasia:
ci sono neoplasie prostatche a tutti i livelli di testosterone.
Quindi il testosterone è una condizione necessaria ma non sufficiente allo sviluppo della
patologia.
I fattori di rischio sono:
– F attori razziali e geografici : gli Afroamericani hanno un rischio di sviluppare e di morire
per una neoplasia prostatca più elevato rispetto ai soggetti caucasici e asiatci che vivono
nella stessa area geografica. Dato che negli USA la sanità non è gratuita, una possibile
spiegazione potrebbe essere il diverso accesso alle cure, in quanto solitamente i soggetti
afroamericano presentano un reddito minore. In realtà alcuni studi hanno dimostrato che
gli Afroamericani hanno più probabilità di sviluppare la neoplasia indipendentemente dal
reddito.

Occupazionali ( esposizione a cadmio) e socio-economici;

Ormonali (bassa incidenza tra eunuchi)

F amiliarità : nel caso della neoplasia prostatca è necessario avere almeno 3 casi in due
generazioni o casi in tre generazioni per definirne la familiarità , non basta avere un parente
affetto. Nella stessa famiglia i soggetti di sesso femminile hanno una maggiore probabilità
di sviluppare una neoplasia mammaria: sono infatti state identficate delle alterazioni
genetche correlate, come la mutazione del gene BRCA. Solitamente nelle forme familiari la
neoplasia si sviluppa più precocemente, almeno una decade prima rispetto alle forme
sporadiche. I casi familiari sono tuttavia una minoranza.

D
ieta : studiando le migrazioni, come quella dei Giapponesi in America nel secondo
dopoguerra, si è osservato che il rischio di sviluppare una patologia diventa quello della
popolazione locale nel giro di due generazioni, quindi ci sono dei fattori ambientali che
agiscono più dei fattori genetci, in partcolare quelli dietetci.
Quindi la dieta occidentale ricca di grassi e proteine sembrerebbe essere associata ad un
aumentato rischio di neoplasia prostatca, mentre la dieta asiatca, che prevede aliment
come la soia e il riso, sembrerebbe essere associata ad un rischio minore.
D: i pazienti obesi hanno un maggior rischio di sviluppare il carcinoma prostatico?
R: Si. I pazienti obesi hanno un aumentato rischio di sviluppare qualsiasi cosa tra cui anche
l’ipertrofia prostatica.
Topografia
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La prostata non è un organo unico, ma
è suddivisa in diversi settori:
-
Zona periferica (rosa) da cui origina
la maggior parte delle neoplasie
prostatche;
-
Zona transizionale;
-
Zona centrale da cui tpicamente
origina l’ipertrofia prostatca.
Esistono tuttavia neoplasie che
originano direttamente dalla regione
centrale-transizionale; queste hanno un
comportamento clinico più favorevole
rispetto a quelle della regione
periferica. Chiaramente le neoplasie
della zona periferica, crescendo,
invadono anche la regione transizionale e centrale della prostata.
Sintomatologia
La stragrande maggioranza dei pazient è asintomatca o ha solamente i sintomi
dell’ipertrofia prostatca concomitante.
I veri sintomi del tumore prostatco insorgono quando la neoplasia metastatzza: nella
maggior parte dei casi le metastasi sono ossee, in partcolare sono localizzate a livello v
ertebrale con conseguent d
olori o
ssei . Raramente ci possono essere sintomi locali,
dovut al fatto che la crescita della neoplasia può ostruire l’uretra e quindi impedire lo
svuotamento vescicale, il trigono della vescica o gli ureteri e causare un’insufficienza renale
acuta.
Diagnosi
1. Esplorazione rettale
In passato è stato il principale metodo diagnostco: si mette un dito guantato nel sedere del
paziente e, attraverso la parete anteriore del retto, si palpa la superficie posteriore della
prostata.
È una tecnica grossolana poiché non si palpa l’intera prostata e, per sentrla con il dito, la
neoplasia deve essere avanzata: le piccole neoplasie chiaramente sfuggono alla diagnosi.
I l valore diagnostco dell’esplorazione rettale è e
stremamente modesto : presenta una
sensibilità del 53.2%, una specificità dell’83.6% e un valore predittivo positvo pari al
17.8%.
Quando si sente un nodulo positvo la probabilità che quel paziente abbia un tumore è circa
il 20%: quindi quattro volte su cinque il tumore non si localizza dove si sente un aumento
di consistenza. Inoltre, nella maggior parte dei casi di neoplasia l’esplorazione rettale è
assolutamente normale.
Ad oggi, solitamente, se l’esplorazione rettale è positva si eseguono le biopsie prostatche.
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2. Dosaggio del PSA
Il PSA è una callicreina prodotta dalla prostata che serve a liquefare il coagulo seminale,
quindi evita che lo sperma coaguli all’interno delle vie seminali.
È stato identficato negli anni ‘70, trovato in circolo negli anni ‘80 ed entrato diffusamente
nella pratca clinica a partre dalla fine degli anni ‘80. L’utlizzo del PSA ha consentto di
identficare molt pazient asintomatci e di conseguenza si è avuto un incremento
notevolissimo delle diagnosi.
Il valore normale del PSA è stato identficato tramite uno studio estremamente grossolano
dove sono stat analizzat i sieri congelat di 500 pazient per lo più giovani (l’85% aveva
meno di 50 anni), ipotetcamente sani, di cui non si sapeva niente: né la situazione rettale,
né la storia familiare. Dalla distribuzione del PSA in quest soggetti è stato scelto come
valore normale 4 ng/ml, che rappresenta il 99esimo percentle della distribuzione.
Il dosaggio del PSA sarà alterato in caso di:

Neoplasia prostatca;

Infezione acuta (prostatte);

Ipertrofia prostatca
Tuttavia ci sono numerosi fattori di condondimento:

Recente esplorazione rettale;

Frequenza dei rapport sessuali o dell’eiaculazione: cert studi sostengono che l’eiaculazione
abbassi il PSA, altri che l’eiaculazione lo alzi;

Qualsiasi manovra nel basso apparato urinario come l’ecografia prostatca transrettale, la
cistoscopia, la biopsia o la TURP;

Corsa in bicicletta;

Farmaci: in partcolare è grossolanamente dimezzato dalla finasteride e dal dutasteride,
inibitori della 5-α reduttasi, utlizzat nel trattamento dell’ipertrofia prostatca;

Diversi kit utlizzat in medicina di laboratorio;

Diversa modalità di conservazione del campione.
D: Si dice che la masturbazione una 20ina di volte al mese previene il tumore prostatico. È
vero?
R: ci sono studi che hanno correlato la frequenza dei rapporti sessuali con l’insorgenza di
neoplasia prostatica ma sostanzialmente sono inconcludenti.
Il test presenta una sensibilità pari a circa 70%, mentre la specificità è molto elevata
(93.7%): quindi quando il PSA è estremamente elevato la probabilità che il paziente abbia
la neoplasia prostatca è altrettanto elevata. Il VPP, invece, è bassino pari a 25.1%: quindi
quando il paziente ha un PSA lievemente elevato (PSA >4) solo in un paziente su quattro
presenta la neoplasia. Inoltre, sono molto numerosi i pazient con PSA inferiore alla norma
in cui si troverà una neoplasia prostatca.
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Lo scenario è veramente fosco perché l’esplorazione rettale ha un VPP del 20%, il PSA ha
un VPP del 25%. Solamente nel caso limite in cui l’esplorazione rettale è francamente
positva e il valore di PSA è altssimo, il VPP combinato è estremamente elevato. Tuttavia è
molto più comunque la situazione in cui l’esplorazione rettale è negatva e il PSA è appena
appena aumentato, quindi il VPP risulta molto modesto.
È stato fatto uno studio randomizzato riguardo il cutoff del PSA in cui metà dei pazient
venivano trattat col placebo e metà con la finasteride, farmaco utlizzato per l’ipertrofia
prostatca che riduce la concentrazione di testosterone attivo nella prostata. Lo scopo dello
studio era capire se la somministrazione cronica del farmaco preveniva l’insorgenza di
neoplasia prostatca.
Il protocollo dello studio prevedeva di fare delle biopsie prostatiche quando il PSA
diventava maggiore di 4ng/mL oppure a scadenze di tempo, cioè a metà e alla fine dello
studio.
È stata quindi fatta una biopsia, solo perché prevista dal protocollo al termine dello studio,
in circa 3 mila dei pazient che erano stat randomizzat a placebo, il cui PSA era sempre
inferiore a 4 (quindi se non fossero stat inclusi nel trial non avrebbero mai fatto la biopsia).
La biopsia ha rivelato che il 15% di quest
soggetti aveva il tumore alla prostata e che il
rischio variava in base al valore di PSA:

PSA tra 3 e 4→ rischio del 27%.

PSA tra 2 e 3→ rischio del 24%.

PSA tra 1 e 2→ rischio del 17%
Questo significa che non c’è un valore di PSA
a cui associare un rischio nullo di neoplasia:
infatti il rischio c’è sempre, non esiste un valore cutoff al di sotto del quale il paziente è
tranquillo, e il rischio aumenta all’aumentare del valore di PSA.
Lo stesso studio è andato a
valutare qual è il rischio di
patologie aggressive (Gleason
score ≥7) in base al valore di PSA in
quest pazient: si è dimostrato che
per qualsiasi valore di PSA c’è il
rischio di una neoplasia aggressiva
di alto grado.

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Secondo i dat riportat bisognerebbe fare la biopsia a qualunque valore di PSA, tuttavia, dato
che la biopsia presenta delle complicanze, tra cui una percentuale di mortalità , se un
paziente ha un valore di PSA pari a 1 e quindi ha una probabilità del 10% di avere un
tumore aggressivo, si evita di farla. Ragionevolmente bisogna confrontarsi con il paziente,
dicendogli ad esempio: “il suo PSA è 2, e il rischio di avere una neoplasia è del 18%, quindi se
noi facciamo la biopsia a 100 pazienti come lei 18
avranno la neoplasia gli altri 82 no. Cosa vuole fare?”
In questo caso, siccome il rischio di non trovare la malattia è 4 volte più alto, si può ripetere
il test più avant e nel frattempo fare qualche altro test collaterale per cercare di stratficare
il rischio: se il rischio è basso si temporeggia e si rimisura il PSA nel tempo; se è alto si
esegue subito la biopsia.
D: Ma quindi ad oggi c’è una soglia decisionale?
R: No, qualche sistema sanitario usa 3. Anche se non è un ottimo compromesso, in quanto la
differenza di probabilità tra 2 e 3(23.9%) e 3 e 4 (26.9%) è a malapena del 3%.
Il passaggio successivo in questo caso è quindi fare un test collaterale basato sul PSA per
stratificare il rischio, tra quest ci sono:

Free-to-total PSA: è il rapporto tra PSA libero e PSA totale, e rappresenta il principale test
collaterale, molto utlizzato nella pratca clinica;

Age-specific PSA (desueto)

PSA velocity (utle ma ci vuole che il paziente abbia fatto in passato multpli dosaggi nel
tempo);

PSA density (efficace ma occorre che sia misurato il volume prostatco con l’ecografia
transrettale o, meglio la rm, per fare il rapporto PSA/volume prostatco;

PSA density della zona di transizione (desueto)

PSA complex (desueto)
Nel siero del paziente c’è una quota di PSA che gira libera e un’altra che è legata ad altre
molecole, sostanzialmente gli inibitori delle proteasi, l’α2-macroglobulina e α1-
antchimotripsina.
La percentuale libera e quella legata non è uguale se il paziente ha un’ipertrofia o se ha un
tumore:
o Nell’ipertrofia prostatica→ la quota di PSA legato è più bassa (rapporto maggiore);
o Nella neoplasia prostatica→ la quota di PSA legato è più alto (rapporto minore).
Quando un paziente ha un PSA tra 2.5 e 10 per prima cosa si rifà nuovamente il PSA totale,
che serve come conferma, e in aggiunta si fa il rapporto libero-totale.
In risposta ad una domanda il professore afferma che il rapporto free-total si utilizza
solamente a livello diagnostico e non in caso di una sospetta recidiva.
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D: Si sa perché c’è una diminuzione del rapporto nel tumore e un aumento nell’ipertrofia
prostatica?
R: Perché le distribuzioni delle varie componenti del PSA non sono uguali. Il PSA viene
prodotto come pre-pro-nucleotide, che poi viene clivato e si ottiene una prima forma di pro-
PSA e poi la forma attiva, di PSA propriamente detto. La percentuale dei diversi nucleotidi e
del PSA benigno cambia a seconda della patologia.
Come sempre in diagnostca vi è la metanalisi, tecnica clinico-statstca quanttatva che
permette di combinare i dat di più studi condotti su di uno stesso argomento, generando un
unico dato conclusivo per rispondere a uno specifico quesito clinico-diagnostco.
Analizzando la curva ROC del rapporto tra
PSA libero e totale si vede che l’area al di
sotto della curva è del 68%, quindi si ha
un’accuratezza migliore solo del 18%
rispetto al lancio della monetna. Si capisce
quindi che non è un test molto accurato,
ma nella pratca è l’unico strumento
diagnostco che abbiamo a disposizione,
oltre al PSA totale, per capire su chi
bisogna intervenire.
Vi sono inoltre ulteriori test, alcuni eseguit su siero, altri sulle urine: Il PHI fa riferimento
ad una componente del pro-PSA, mentre il SelectMDX alle altre due component che,
assieme ai dat clinici del paziente, aiuta a stratficare ulteriormente il rischio.
Il problema di quest test è che non sono copert dal sistema sanitario e il paziente deve
pagare: il PHI è l’unico fattibile in veneto con un costo di 150€, mentre gli altri test vengono
spedit in Olanda.
Quest test hanno valore diagnostco consolidato, ma devono ancora entrare nella pratca
clinica perché la procedura di prelievo e spedizione è complicata e spesso il paziente
preferisce fare una procedura invasiva ma grats (la biopsia). Oggigiorno ci si 72

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basa sul VPP del PSA totale che è del 25% e sul rapporto libero-totale, dove l’area sotto la
curva è solamente del 68%.
Screening PSA
Si deve fare uno screening di popolazione per il PSA per ridurre la mortalità di neoplasia
prostatica?
È un argomento molto popolare in cui vi è un’abbondantssima malpractce.
Al riguardo qualche anno fa è
stato pubblicato questo studio
randomizzato con una serie di
follow up successivi: sono stat
reclutat 180 mila pazient, di cui
metà (linea blu) ha fatto lo
screening con il PSA a partre dai
50 anni con un controllo ogni 4
anni; l’altra metà (linea viola), il
gruppo di controllo, non doveva
far niente. Purtroppo c’è stata
comunque una contaminazione, cioè pazient nel gruppo di controllo che hanno fatto
comunque il PSA a dispetto della randomizzazione.
Si è riscontrato è che dosare il PSA, facendo uno screening di popolazione a partre dai 50
anni determina un vantaggio di sopravvivenza malattia-specifica.
Il tasso globale cumulatvo di morte a 13 anni è 0.008% nei non screenat e 0.006%
negli screenat. È una differenza statstcamente significatva, ma il vantaggio di
sopravvivenza è estremamente modesto: si riduce di poco un rischio di morte che è già
molto basso di per sé.
Per evitare che 1 paziente muoia si devono screenare ( number needed to invite) circa 800
pazient e trattarne 27. Gli altri 26 pazient avranno perciò gli effetti collaterali dei
trattament e moriranno comunque. Quest numeri non vengono considerat accettabili.
Questo è il motvo per cui nessun uomo riceve l’invito allo screening con il PSA e per cui
anche in Italia non c’è un programma di screening a partre dai 50 anni d’età con cui si va a
cercare attivamente la neoplasia prostatca.
Ciononostante dato che vi è una grossa disinformazione, il paziente può richiedere il
dosaggio del PSA, al di fuori di quello che sarebbe lecito: si parla in questo caso di
screening opportunistico.
L o screening viene fatto s olamente quando il paziente, con un’aspettatva di vita maggiore
di 10 anni, che non presenta sintomi da metastasi, ha sintomi del basso apparato urinario:
infatti non si può trattare il paziente per un’ipertrofia prostatca senza aver escluso una
neoplasia concomitante, la cui eventuale diagnosi cambierebbe il trattamento del paziente.
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Viceversa ad un paziente di 87 anni, senza sintomi da metastasi, non va dosato il PSA
perché ha un’aspettatva di vita troppo breve per beneficiare dell’eventuale trattamento.
Se però arriva un paziente di 137 anni con dolore vertebrale e la lastra rileva lesioni
osteoaddensant su tutte le vertebre lombari e toraciche, allora non si tratta più di screening
preventvo ma di diagnosi. In questo caso si andrà a dosare il PSA e si faranno delle biopsie.
Diagnosi ≠ screening
Nel grafico a lato si riportano i da
t di un

follow up più lungo: si evidenzia come i


valori siano più favorevoli, perché è
aumentato il numero dei mort. In questo
caso non devo più screenare 800 pazient e
trattarne 27, ma ne devo screenare 570 e
trattarne 18 per salvarne 1.
Anche quest numeri non sono ritenut
accettabili, ed è necessario aspettare che il
trial chiuda, quindi che tutti i pazient
muoiano o che la mortalità si stabilizzi, per
conoscere i numeri reali.
In seguito ad una domanda il professore afferma che in questo trial si valutano sia le morti
per renoplasia che le morti per altra causa. La curva riportata è la sopravvivenza causa-
specifica.
Il problema reale di questo trial è la contaminazione: i pazient che hanno comunque
dosato il PSA sebbene fossero nel braccio di controllo. Tuttavia esistono delle analisi, al
netto delle contaminazioni, che mostrano come la sopravvivenza sia leggermente più alta
nei pazient trattat.
È stato svolto dallo statstco inglese Andrew Vickers uno studio retrospettivo in cui si
cercava di stabilire il rischio di sviluppare neoplasia metastatca e morire di malattia a 25
anni di follow-up neoplasia in base al valore di PSA che si trova a 40 anni, 45-49
anni e 51-55 anni: è stato dosato il PSA in sieri congelat più di 20 anni fa, conoscendo già
l’outcome clinico del paziente, quindi chi era morto per il tumore prostatco, e chi invece no.
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Revisore: A.Galbiat
È emerso che un PSA a 40 anni inferiore a 0.9 indica un rischio di metastasi a 25 anni
bassissimo. Quindi chi ha il PSA <0.9 a 40 anni si potrà seguire con scarsa intensità mentre
quelli con valori >0.9 ng/ml (il 25% del totale) meritano controlli più serrat.
Questo è lo stesso studio con il dato del PSA a 45-49 anni
È emerso che un PSA a 45-49 anni <1.1 indica un rischio di metastasi a 25 anni bassissimo.
Quindi chi ha il PSA <1.1 a 45-49 anni si potrà seguire con scarsa intensità mentre quelli
con valori >1.1 ng/ml (il 25% del totale) meritano controlli più serrat.
Questo è lo stesso studio con il dato del PSA a 51-55 anni
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Sbobinatori: S. Mieni, A. Murari
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Revisore: A.Galbiat
È emerso che un PSA a 51-55 anni <1.4 indica un rischio di metastasi a 25 anni bassissimo.
Quindi chi ha il PSA <1.4 a 51-55 anni si potrà seguire con scarsa intensità mentre quelli
con valori >1.4 ng/ml (il 25% del totale) meritano controlli più serrat.
D: In questo caso non si è tenuto conto della temperatura di conservazione?
R: No, perché erano conservati tutti nello stesso modo. Il problema vi è nel tempo che
intercorre tra il prelievo e il congelamento.
Le linee guida più recent della Natonal Comprehensive Cancer Network indicano come
regolarsi nella pratca clinica in base al valore di PSA:
-
Quando il PSA inferiore a 1, il paziente viene ricontrollato ogni 2-4 anni;
-
Quando il PSA è tra 1 e 3, il paziente viene ricontrollato ogni 1-2 anni;
-
Q
uando il PSA è superiore a 3 parte l’iter diagnostco , che implica il rapporto free to total e il
calcolo del volume prostatco che servono per stimare il rischio.
Esistono due calcolatori online che, inserendo i dat del paziente, calcolano il rischio della
presenza del tumore alla prostata. Quest possono servire per condividere la scelta con il
paziente: “il suo rischio è del 21%, cosa vuole fare?”
Trovate il calcolatore basato sui dati del trial ERSPC sul sito
http://www.prostatecancer-riskcalculator.com/seven-prostate-cancer-risk-
calculators
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Tecniche di biopsia
La biopsia viene eseguita quando:

Il reperto rettale è positvo;

Il PSA è alterato.
La biopsia si può fare attraverso un approccio transperineale, quindi attraverso il
perineo, o transrettale, quindi pungendo attraverso la parete rettale anteriore, sempre
sotto guida ecografica transrettale. Il transperineale è molto utlizzato in Veneto e sta
acquisendo popolarità , anche se nel resto del mondo viene eseguita solo nel 3% dei casi
circa.
Quando viene eseguita la biopsia transrettale è necessario fare profilassi perché il retto è
pieno di batteri. Si può fare una profilassi empirica, che però è problematca a causa delle
sempre più comuni resistenze batteriche; nel farla quindi bisogna prestare attenzione al
profilo di resistenza dell'area geografica in cui ci si trova.
Il professore racconta brevemente la storia di un personaggio famoso, paziente qui a Padova.
Egli non aveva riferito ai medici di aver fatto una cura antibiotica di fluorochinoloni per il
mal di gola. Quindi lo stesso farmaco gli fu prescritto per la profilassi in vista della biopsia
prostatica. Il paziente finì in terapia intensiva a causa di 77

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uno shock settico, per formazione di uno o più cloni resistenti al farmaco dopo la prima cura.
(Sarebbe stato opportuno assumere un antibiotico diverso per combattere la resistenza).
Il metodo migliore per fare profilassi è eseguire un tampone rettale su cui fare una coltura
per vedere quali batteri ci sono e definirne la sensibilità , in modo da poter utlizzare degli
antbiotci ad hoc. Questo risulta il metodo più sicuro soprattutto nel caso di pazient fragili e
che hanno anche fatto multple terapie antbiotche. Per la biopsia transperineale, invece, ciò
non è necessario poiché si disinfetta la cute del perineo prima dell'inserimento dell'ago.
La biopsia va fatta almeno con anestesia locale, eseguita all'angolo tra la prostata e le
vescichette seminali, in modo da inibire completamente l’innervazione prostatca.
Biopsia random e biopsia target
La neoplasia prostatca non si vede all'ecografia, a meno
che non si tratti di un paziente molto grave con ad esempio 300 di PSA e una massa molto
grande
apprezzabile anche all'esplorazione rettale. Negli altri casi bisogna fare la biopsia random:
quindi dividere idealmente la prostata in settori, inserire un ago e fare dei prelievi
random in queste sezioni. Si immagini di dividere ogni lobo in:

un settore basale mediale;

un settore basale laterale;

un settore intermedio mediano;

un settore intermedio laterale;

un settore apicale mediano;

un settore apicale laterale.
Per completezza si fanno anche dei prelievi nelle
regioni di transizione. L'approccio iniziale
prevede 12-14 prelievi random, uno per ogni settore.
“Random” in questo contesto non vuol dire "a caso"
ma "dove non si vede niente".
I frustoli di tessuto vengono poi preparat e mandat
in patologia.
La vicenda sta cambiando poiché da poco tempo si ha a disposizione una modalità di
imaging che è in grado di vedere il tumore alla prostata, la risonanza multiparametrica.
Questa è una risonanza caratterizzata da sequenze partcolari: in T2, di diffusione, con il
mezzo di contrasto. Viene utlizzata soprattutto in pazient che hanno subito numerose
biopsie negatve, a seguito di un PSA sospetto.
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Nell'immagine a lato la freccia mette in evidenza un
nodulo tipico del tumore, che è definito da un’area
ipointensa in T2.
In seguito ad una domanda viene ripreso il concetto di risonanza: La risonanza identfica il
movimento delle molecole d'acqua e si esegue con diverse sequenze. Quelle più
comunemente usate sono le T1, le T2, le immagini in diffusione e le immagini con il
contrasto, che fondamentalmente sono dei parametri secondo i quali la macchina viene
settata. Quindi si hanno come risultat zone ipointense in T2, ipointense in diffusione.
Link

per

ulteriori

approfondiment:
https://it.wikipedia.org/wiki/Sequenze_di_risonanza_magnetca
Studio “Precision”: biopsia random vs biopsia
target
Gli sperimentatori dell'University College di Londra,
hanno randomizzato i pazient dello studio in due
modi: un gruppo di pazient ha fatto solo la biopsia
random, l'altro gruppo ha fatto la risonanza e solo
se questa era positva, veniva eseguita la biopsia target sul nodulo visibile alla risonanza.
Quindi si effettua una biopsia mirata sulla lesione identficata
dalla risonanza.
Si riportano nell’immagine sottostante i criteri di esclusione ed inclusione: il c riterio di
inclusione maggiore è il no n aver mai subito
precedent biopsie prostatche.
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Revisore: A.Galbiat
I pazient presentano le seguent caratteristiche:

PSA mediano circa 7;

Familiarità in una ridotta percentuale di casi;

Età media di circa 65 anni;

Esplorazione rettale positva in una ridotta percentuale di casi.
I risultati dello studio affermano che:

Nei pazient che hanno fatto la biopsia random, con 12 prelievi di media, si identficavano:

22% di neoplasie di Gleason score 6;

26% di neoplasie di Gleason score ≥7, ovvero scarsamente differenziate;

Nei pazient che hanno fatto la biopsie target sul nodulo positvo, si è trovato un numero
totale di tumori uguale, ma si trovano meno neoplasie di basso grado, non significatve e
più neoplasie di grado elevato (38% rispetto al 26%), che sono quelle da identficare perché
possono mettere a rischio la vita del paziente. Le neoplasie di basso grado sono quelle che
nella maggior parte dei casi si cerca di non trattare, se il paziente acconsente, quindi a
livello diagnostco sono irrilevant.
Rispetto all'approccio random si hanno i vantaggi di fare meno prelievi e avere meno
complicanze, trovare più neoplasia di alto grado e meno di basso grado.
Cognitive fusion e biopsia fusion software guidata
Prendendo come riferimento il “Precision study” si è iniziato a fare la biopsia mirata del
nodulo, ma il problema è che il nodulo si vede alla risonanza, mentre la biopsia viene
fatta per guida ecografica transrettale, che non vede il nodulo. Non viene eseguita sotto
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la guida della risonanza perché si avrebbe un costo troppo altro e terrebbe occupata la
risonanza per troppo tempo.
Ci sono quindi due modi di procedere:

Cognitive fusion: l'operatore localizza mentalmente dove si trova il nodulo alla risonanza
e va a fare il prelievo nella regione di prostata corrispondente, visualizzata tramite
ecografia. La fusione delle immagini è "nella testa dell'operatore". Questo è un metodo
grossolano che funziona se il nodulo è molto grande, poiché sarà più facile da colpire, ma
non è lo stesso se il nodulo è piccolo.

Biopsia fusion software guidata: per i noduli più piccoli sono stat sviluppat dei software
in cui sulla metà dello schermo del computer si vede l'immagine della risonanza, sull'altra
metà si vede l'immagine ecografica. Le immagini vengono sincronizzate e il software indica
il punto corrispondente sull'ecografia. È la metodica più comunemente considerata valida.
Un altro problema è il costo delle procedure e il fatto che seguendo questo approccio si
dovrebbe fare la risonanza a tutti. In Italia si fanno circa 37000 diagnosi annue di neoplasia
alla prostata, risultate quindi positve alla biopsia, che sono circa il 48% delle biopsie fatte,
quindi prima bisognerebbe fare circa 75000 risonanze magnetche all'anno. Per ottenere
quest risultat si devono fare risonanze con sequenze mirate, che pretendono radiologi
capaci e macchinari idonei.
Nel caso in cui la risonanza risulti negativa non è ancora assolutamente chiaro cosa è
meglio fare. Alcuni pazient vengono sorvegliati e non si esegue la biopsia, altri fanno la
biopsia lo stesso. Il concetto è che il valore predittivo negatvo della risonanza non è
costante. E’ molto elevato se il rischio del paziente non è elevatssimo: se il paziente non ha
caratteristche cliniche orribili ed una rm negatva si può evitare la biopsia. Se invece il
paziente ha PSA molto alto, reperto rettale molto brutto, il suo rischio di avere una
neoplasia è molto alto per cui in questo caso una rm negatva ha un valore predittivo
negatvo inferiore per cui è meglio biopsiarlo lo stesso.
D: In questo caso quanti campioni si prendono?
R: Il numero non è standardizzato, di solito da 2 a 4.
A Padova non si fa la biopsia solo del nodulo, poiché 3-4 anni fa i risultat di questo studio
non erano ancora not. I pazient con risonanza positva vengono sottopost alla bi
opsia del nodulo visto in RMN e anche alla b
iopsia random concomitante . Si è visto
negli anni che le biopsie random concomitant identficano il 25% in più di neoplasie
significatve, che si sarebbero perse facendo solo biopsia mirata.
Gli svantaggi sono che prendendo più frustoli si hanno più complicanze (ematuria ed
emospermia) e si diagnostcano anche più neoplasie meno significatve, che poi non
dovrebbero essere trattate. Questo approccio è stato recentemente confermato da un trial
randomizzato francese, chiamato MRI-first, in cui i pazient facevano sia la biopsia mirata
che quella random. Il risultato è che le due metodiche hanno un ruolo complementare e la
migliore riuscita diagnostca si ha solo se si fanno entrambe.
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Score PI-RADS
È stato sviluppato uno score chiamato PI-RADS, che si basa prevalentemente sull'immagine
in diffusione in RMN per quanto riguarda la regione periferica della prostata, mentre su
immagini in T2 per la regione di transizione.
I radiologi collocano il nodulo sullo schema a lato e assegnano dei punteggi da 1 a 5:

1 e 2→ reperto insignificante, non sospetto;

3→ intermedio;

4→ abbastanza sospetto;

5→ altamente sospetto per il cancro.
È chiaramente un approccio molto operatore-sensibile.
Vengono mostrat dei casi reali:
In questo caso il nodulo si colloca
nella regione posteriore tra l'apice, la
base e il terzo medio del lobo di
destra.
In questo caso invece il nodulo è nella regione
basale anteriore sinistra.
Nell’immagine a sinistra si vede
la tecnica fusion in cui a sinistra
si
ha la risonanza fatta in precedenza,
mentre a destra l'ecografia fatta per
eseguire la biopsia. Marcando una
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zona (in verde) nella risonanza la macchina sincronizza e mostra la stessa zona
all’ecografia.
Riprendendo il discorso riguardo il miglior metodo per biopsiare, vengono riportat
attraverso il grafico in basso i dati di Padova di pazient alla prima biopsia. Si vedono tre
coppie di colonnine rappresentano sempre gli stessi pazient sottopost a 3 metodiche
diverse. Viene evidenziato che:

solo con la biopsia target si è trovato un totale del 45% di diagnosi di neoplasia, di cui il
33% erano neoplasie clinicamente significatve contro il 12% di neoplasie non significatve;

solo con la biopsia random si è trovato un totale del 63% di diagnosi, di cui il 39% erano
neoplasie significatve, mentre 24% non significatve.

con la terapia combinata si arriva ad un totale del 64%, ma la cosa importante è che di
queste il 44% erano neoplasie significative, quindi si ha un incremento delle diagnosi di
neoplasie di alto grado, important perché sono da trattare (che con la sola biopsia random
sarebbero state incorrettamente etchettate come neoplasie non significatve).
Lo stato dei pazient è ovviamente sempre lo stesso, ma l'operatore identfica meglio la
neoplasia che il paziente ha; il che si traduce in una maggiore sicurezza nelle successive
decisioni terapeutche. Infatti, soltanto con la random ad esempio, c’è la possibilità che
vengano diagnostcate come grado 6 delle neoplasie che probabilmente hanno Gleason più
alto.
Il grafico a lato mostra i pazient secondo la classificazione per PI-RADS: circa il 50% dei
pazient con PI-RADS3 a rischio intermedio e circa
l'80% della categoria PI-RADS5 con rischio
maggiore, presenta la neoplasia.
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Quindi facendo solo la biopsia target si sarebbe perso il 25% di neoplasie clinicamente
significatve, mentre facendo solo la biopsia random se ne sarebbe perso l’11%: il migliore
metodo è il combinato.
In seguito alla domanda viene ripreso l’iter diagnostco per la neoplasia prostatca: D: Qual è
il comportamento del medico di base nell'iter diagnostico?
R: U
na volta che il paziente h
a fatto il PSA si consiglia di mandarlo dall'urologo , possibilmente bravo e che non voglia
lucrare sui pazienti. Nel caso in cui il paziente ha una buona aspettativa di vita, l’iter dipende
dal risultato del PSA:

se PSA < 1, si rianalizza dopo 2-4 anni,

se 1 < PSA < 3 andrà ricontrollato ad anni alterni,

se PSA > 3 bisogna stratificare il rischio.
A questo punto il paziente è mandato dall'urologo, che esegue l'esplorazione rettale e
stima il rischio del paziente in base a DRE, PSA e al volume prostatico. In caso risulti
necessario si possono calcolare dei derivati del PSA.
I l primo modo per s tratificare il rischio è fare il free-to-total:

quando è molto alto, circa il 40%, c'è un rischio molto basso di avere una biopsia positiva per
cui non si fa la biopsia ma si monitora nel tempo ripetendo il PSA;

q
uando è più basso e quindi il rischio è più alto bisogna decidere se fare la biopsia o no.
Se a questo punto venissero biopsiati tutti i pazienti si avrebbero un gran numero di biopsie
negative; quindi si cerca di stratificare ulteriormente il rischio con la RM o con altri 2 derivati
del PSA:
- la PSA velocity (velocità di crescita nel tempo – sospetta se >0.35 ng/ml/anno – si calcola
mettendo i diversi PSA e le date in dei calcolatori online tipo
https://www.mskcc.org/nomograms/prostate/psa_doubling_timequesto )
- la PSA density (rapporto tra PSA totale e volume prostatico) – sospetto se > 0.15
ng/ml/cc
Se dopo questi ulteriori test si ottiene un rischio alto si esegue la biopsia altrimenti no.
In linea generale, la biopsia si esegue anche se i pazienti non sono sereni.
Dopo tutto l'iter, però, in caso di riscontro di una neoplasia non significativa, convincere un
soggetto a non trattare una neoplasia è molto difficile. Spesso non si vuole operare perché
non ha aspettativa di vita sufficiente per beneficiare dei trattamenti ma solo per essere
danneggiato dagli effetti collaterali.
D: Se è il paziente che vuole fare il PSA come ci si comporta?
R: La prima opzione è accontentarlo oppure entrare in una discussione infinita su rischi e
benefici. La realtà dei fatti è che prima di farlo si deve informare il pz delle problematiche
(vantaggio esiguo, rischio di overdetection cioè di diagnosi di neoplasie non significative e di
successivo overtreatment, etc). Nella pratica si ha questo problema 84

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soprattutto con i familiari di un pz diagnosticato. Il prof propone di non diminuire lo
screening ma commisurare i trattamenti in maniera appropriata.
D: La biopsia va fatta solo dopo aver stratificato il rischio?
R: Sì, è la cosa migliore, altrimenti si effettua un gran numero di biopsie negative.
Inoltre, ci sono numerosi studi sui marker aggiuntivi recenti che dicono che il costo
aggiuntivo del marker si tramuta in un risparmio perché si evita un gran numero di biopsie.
D: Qual è il rischio decisionale?
R: Si ha una percentuale che viene comunicata al paziente. Un rischio molto alto potrebbe
essere anche 40% e si indica al paziente la necessità di fare la biopsia. Se il rischio è 15% si
cerca di convincerlo a non fare la biopsia. La decisione dovrebbe essere condivisa tra medico e
paziente.
Pattern istologici
Il frammento di tessuto rilevato alla biopsia viene inviato al patologo, le cui risposte sono
svariate:

Ipertrofia prostatica benigna (BPH): in questo caso è necessario fare un follow up c on r
ipetut dosaggi di PS
A valutandone l'andamento nel tempo per stabilire se la
biopsia è negatva perché il paziente non ha il tumore o perché l'operatore ha mancato la
diagnosi per limitazioni tecniche.

High grade PIN (neoplasia intraepiteliale di alto grado): è il precursore del
carcinoma prostatico. Il più delle volte si trova anche la neoplasia da qualche altra parte,
infatti la diagnosi isolata è molto rara. Però in questo caso se l’HG-PIN isolato è
multifocale, quindi presenta un numero abbondante di frustoli, potrebbe essere un fattore
di rischio per la neoplasia. Quindi è necessario eseguire un follow-up partcolarmente
ristretto, mentre se l'HG-PIN è unifocale, c’è una probabilità minima di biopsia positva
quindi si sorveglia.
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Proliferazione microacinare atipica (ASAP): alias "invenzione dei patologi per
vendicarsi degli urologi che hanno inventato il PSA". È una categoria diagnostca in cui i
patologi mettono dentro tutto quello che sembra neoplasia ma non ha quanttà di acini
malat sufficient per diagnostcarla certamente . Non è uno step dell'evoluzione della
patologia. In questo caso in passato l'indicazione era di ripetere la biopsia periodicamente
(biopsie di saturazione), mentre ora si fa una risonanza dopo almeno 3 mesi dalla prima
biopsia, e poi solo se positva si può procedere con la ripetzione della biopsia. Il lasso di
tempo tra la biopsia e la risonanza è utle a far scomparire l'ematoma causato dalla biopsia
precedente.
Nel grafico in basso sono riportat i dati di Padova su pazient con la prima biopsia risultata
negatva: in totale si è trovato il 39% di neoplasie, il 22% significatve e il 17%
non significatve. La gran parte delle significatve sono state trovate con la biopsia target.
Quindi si mostra il grafico secondo la classificazione per PI-RADS: si è trovata neoplasia
nel 25% della classe PI-RADS 3, nel 40% della classe PI-RADS 4 e nel 62% della classe PI-
RADS 5.
Anche in questo caso è confermato che l'approccio combinato sia il migliore.
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Gleason score
A differenza delle neoplasie renali che molto eterogenee, la neoplasia prostatca è
pratcamente di un unico tpo: neoplasia prostatica acinare, presente nel 99% dei casi.
Il patologo oltre all'istotpo deve fornire la gradazione, che nella neoplasia prostatca è
definito Gleason score dal nome del suo inventore, che ha stlato questo score conoscendo
l’outcome dei pazient, pertanto è un fattore prognostco molto forte che si basa
sull'architettura del tessuto. Donald Gleason infatti aveva dei campioni di tessuto prostatco
di pazient mort a causa della neoplasia prostatca e pazient con neoplasia mort per altre
cause. Studiò cosi le differenze tra le architetture delle due classi creando lo score in grado
di predire la malattia letale.
In ogni campione si individuano due pattern:

Pattern primario: il più comune, per cui il patologo dà un numero da 1 a 5 in base al grado
di differenziazione,

Pattern secondario: il più aggressivo, per cui il patologo dà un numero sempre da 1 a 5.
Dalla somma dei due deriva uno score che va da 2 a 10.
Comunemente i patologi hanno deciso di non assegnare Gleason score inferiore a 6, motvo
per cui non si dovrebbero incontrare refert che presentano un Gleason score di 4, caso in
cui si può far revisionare i pezzi da più patologi, ma i cost per ciò non sono copert dal
Sistema Sanitario Nazionale.
Dalla tabella soprariportata si evince che:

Gleason score da 2 a 6 identficano la malattia di grado più basso, con pattern più
differenziato, che identfica il gruppo di grado 1;

Gleason score 7 dove il pattern primario è 3 e il secondario è 4 identfica il gruppo di grado
2;
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Gleason score 7 dove il pattern primario è 4 e il secondario è 3 identfica il gruppo di grado
3, che è più aggressivo del precedente perché il pattern primario più comune è il più
aggressivo;

Gleason score 8 identfica il gruppo di grado 4;

Gleason score 9 e 10 identficano il gruppo di grado 5.
Questo score è altamente predittivo: i Gleason score bassi hanno scarso potenziale
maligno, tanto che non si stadiano neanche poiché la probabilità di trovare metastasi è
circa zero; mentre gli score da 7 a 10 indicano una neoplasia più aggressiva.
Tabelle di Partin
In base al PSA, al Gleason score della biopsia e al reperto rettale sono state sviluppate le
tabelle di Partn, per stabilire l'estensione della malattia senza aver effettuato la
prostectomia.
Per definire queste tabelle è stato correlato lo stato patologico della malattia trovato in
pazient operat al Johns Hopkins di Baltmora dall'inventore della prostectomia radicale
Patrick Walsh, con il Gleason score, il PSA iniziale e il reperto rettale iniziale.
Classi di rischio
Nella pratca clinica i pazient sono divisi in classi di rischio in base a PSA, reperto rettale
(DRE) e Gleason score, che è il dato di maggior rilevanza:

Low risk: pazient con DRE negatvo, PSA inferiore a 10 ng/ml e Gleason score fino a 6. In
questo gruppo c'è un sottogruppo, il very low risk, che presenta meno di tre frustoli
positvi.

Intermedio

Elevato.
In tutti i pazient non low risk si ha l’indicazione alla stadiazione linfonodale.
La stadiazione si effettua cercando le metastasi linfonodali e le metastasi degli organi a
distanza, attraverso la TAC, utle solo per vedere i linfonodi aumentat di volume e non per
stadiare il tumore primitvo, la RM, la PET-CT e la scintigrafia ossea. Chiaramente se
durante la risonanza fatta in sede di diagnosi si è studiata tutta la pelvi si può anche evitare
di fare la tac.
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I linfonodi più comuni come sedi di metastasi sono quelli pelvici: iliaci comuni, otturatori,
esterni e iliaci interni.
La sede principale di metastasi a distanza è lo
scheletro: la neoplasia prostatca causa delle lesioni ossee osteoaddensant che si indagano
con la scintigrafia ossea, eseguita come esame di
screening: se non c'è iperaccumulo il paziente
non ha metastasi, se invece è presente si fa
un imaging mirato con RX, TAC o, se le altre
due non son risolutve, risonanza nella sede specifica. Se le sedi sono multple con PSA molto
alto si è quasi cert che si tratti di metastasi.
Sapere se sono present metastasi o meno è importante perché può cambiare il trattamento.
L’immagine a destra mostra una lesione vertebrale che è certamente una metastasi se il
paziente non ha avuto un trauma recente in quella zona.
Classi di rischio di D’Amico
La creazione di classi di rischio permette di operare la scelta terapeutca più adatta a ogni
paziente.
La classificazione è basata su alcune caratteristche dei pazient:

PSA

esplorazione rettale, per valutare lo stadio clinico

biopsia, per definire il Gleason Score
Tramite quest parametri vengono individuate quattro classi di rischio:

Basso rischio: stadio clinico T1c-2a, PSA ≤10 ng/ml, Gleason score ≤ 6
All’interno della categoria a basso rischio si identfica un gruppo “very low risk” nel quale i
pazient hanno le stesse caratteristche ma la biopsia identfica la presenza di neoplasia in
meno di tre frustoli.

Rischio intermedio: stadio clinico T2b-c OR PSA 10-20 ng/ml OR Gleason score 7

Rischio elevato: stadio clinico T3a, PSA >20 ng/ml, Gleason score ≥8

Rischio molto elevato: stadio clinico T3b-T4, N1
Al momento della diagnosi iniziale oggi si
identficano prevalentemente neoplasie che
pongono il paziente in classe di rischio
intermedio e elevata. I low risk stanno
progressivamente calando nel tempo e questo
è dovuto in parte a modifiche
nell’assegnazione del Gleason Score e in parte
a una diminuzione dello screening in alcune
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aree geografiche come conseguenza del trial randomizzato PCPT presentato nella lezione
precedente.
Tutte le linee guida indicano i trattament possibili per i pazient in base alle classi di rischio.
Very low risk
Secondo il Natonal Comprehensive Cancer Network per ogni classe di rischio va
considerata anche l’aspettatva di vita del paziente, quindi per la classe a rischio molto
basso:

Con aspettatva di vita molto lunga >20 anni, vengono proposte o la sorveglianza attiva o la
radioterapia esterna o la chirurgia

Se l’aspettatva di vita è più breve >10anni ma <20 anni, viene proposta la sorveglianza
attiva

Se l’aspettatva di vita è < 10 anni, si fa il watchful waitng (vigile attesa) ovvero non si fa
nulla e solo nel caso in cui il paziente abbia sintomi si interviene.
Low risk

se l’aspettatva di vita è <10 anni si attua solo il watchful waitng.

se l’aspettatva di vita è >10 anni si fa come prima scelta la sorveglianza attiva e come
alternatve ci sono la radioterapia esterna o la chirurgia.
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Intermediate risk
In questa classe di rischio il PSA è compreso tra 10 e 20ng/ml, il Gleason score è uguale a 7
e l’esplorazione rettale identfica massa palpabile bilateralmente o unilateralmente.
All’interno della classe di rischio intermedia vengono identficat due sottogruppi:

Sottogruppo favorevole: i frustoli positvi della biopsia sono in quanttà inferiore al 50%
-
se l’aspettatva di vita è >10 anni è ancora possibile inviare il paziente al programma di
sorveglianza attiva oppure in alternatva si può fare la radioterapia o la chirurgia
-
se l’aspettatva di vita è < 10 anni le uniche alternatve sono la radioterapia o il watchful
waitng.

Sottogruppo sfavorevole: i frustoli della biopsia sono positvi per una quanttà superiore al
50%
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-
se il paziente ha aspettatva di vita >10 anni sono possibili solo la chirurgia o la radioterapia
e non più la sorveglianza attiva
-
se il paziente ha un’aspettatva di vita <10 anni le uniche possibilità sono la radioterapia o il
watchful waitng.
High risk

se il paziente ha aspettatva di vita >5 anni o se è sintomatco si fa la radioterapia associata
alla ormonoterapia oppure la chirurgia in casi selezionat.

se il paziente ha un’aspettatva di vita <5 anni ed è asintomatco è indicato fare il watchful
waitng oppure la terapia ormonale oppure la radioterapia.
Aspettativa di vita
L’aspettatva di vita dipende dal luogo in
cui si vive, nella tabella sono riportat
dat italiani: si può notare come in base
all’età del paziente l’aspettatva di vita
può essere molto variabile in base alle
comorbidità . Per esempio l’ottantenne
“fit” può avere 10 anni di aspettatva di
vita e può essere opportuno fare
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trattament attivi appropriat per la classe di rischio in cui si trova, tuttavia anche un 65enne
può avere una aspettatva di vita di 10 anni se è in cattive condizioni generali.
In passato si poneva come il limite d’età per i trattament attivi a 75 anni; oggi questo limite
non è più rispettato perché si può avere il 75enne con poche comorbidità che ha
un’aspettatva di vita molto buona e il 65enne che ha molte comorbidità per il quale non è
consigliato alcun trattamento.
Ulteriori studi dimostrano che i pazient tendono a sopravvivere di più di quello che viene
stmato inizialmente: la stma media dell’aspettatva di vita è sempre inferiore a quella che è
l’aspettatva di vita reale.
Sorveglianza attiva
È una proposta molto difficile da digerire per il paziente perché è poco intuitva.
L’idea della sorveglianza attiva deriva da uno studio ormai datato, ma elegantssimo
pubblicato da Peter Albertsen su JAMA.
Lo studio comprendeva 800 pazient che non erano stat trattat con intento curatvo negli
anni
’70-’80 per i quali esisteva un follow-up lunghissimo, quest pazient rappresentavano
dunque la storia naturale della neoplasia prostatca.
Nel grafico sono present in alto le fasce d’età al
momento della diagnosi e i diversi Gleason Score
su ogni riga.
Per tutte le fasce d’età se il Gleason Score è fino a
6 la mortalità correlata alla neoplasia prostatca è
molto inferiore alla probabilità di morire per altre
causa. Nell’immagine sembra che per il Gleason
Score uguale a 6 la mortalità correlata alla
neoplasia aument, ma questo è dovuto al fatto
che negli anni in cui si è svolto lo studio si attribuiva un valore di 6 anche a chi al giorno
d’oggi verrebbe attribuito un valore di 7-8. Infatti
sono stat ridefinit i criteri di attribuzione dello Score e questo spiega l’apparente aumento
di
mortalità in questa categoria. Quindi per tutte le
fasce d’età con Gleason score 6 odierno la
probabilità del paziente di morire di neoplasia
prostatca, a 24 anni di follow-up, è trascurabile
rispetto alla probabilità di morire d’altro.
Per tutte le fasce d’età con Gleason Score da 7 in poi non vale lo stesso discorso infatti si
può vedere come la prorzione in grigio scuro che rappresenta la mortalità per neoplasia sia
percentualmente assai più rilevante sia in generale, che rispetto alla probabilità di morire
d’altro.
Fino a Gleason Score 6 si può evitare trattament attivi perché il rischio di morte correlato a
malattia è basso.
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Per Gleason Score più alto devo fare trattament attivi perché i pazient hanno un rischio
molto maggiore di morire a causa della neoplasia.
Per i pazient con Gleason score basso si fa sorveglianza attiva, che va differenziata dal
watchful waitng, che significa non fare nulla ma attendere che compaiano i sintomi e viene
fatto solo in pazient estremamente marginali con aspettatva di vita bassissima.
I pazient selezionatssimi che vengono inviat alla sorveglianza attiva perché sono considerat
a rischio molto basso si sorvegliano nel tempo con l’intento di rimandare i trattament al
momento in cui le caratteristche della malattia dovessero rivelarsi peggiori di quelle
iniziali.
I pazient potenzialmente candidat per il programma di sorveglianza attiva sono i pazient
nelle classi di rischio very low risk (anche con aspettatva di vita molto lunga), low risk, e
alcuni pazient anziani nella classe di rischio intermedia ma con caratteristche favorevoli.
Per selezionare i pazient si usano i criteri di Klotz, che è stato il primo ad attuare questo
tpo di programma.
Il programma prevede ogni 3
mesi per 2 anni l’indagine del
PSA ed esplorazione rettale,
successivamente se il PSA
rimaneva stabile ogni 6 mesi.
Una nuova biopsia ad un anno
da quella iniziale e poi ogni 3
anni fino agli 80 anni.
Il paziente esce dalla
sorveglianza se non è
compliante o se c’è un
incremento del Gleason score
fino a 7 (almeno 4+3) o se PSA
sale troppo (doubling tme < 3
anni).
Basta solo 1 anno perché la neoplasia divent più avanzata e ciò venga dunque rilevato dalla
biopsia?
La risposta è no, il problema è che c’è una probabilità di errore di identficazione della
neoplasia nella prima biopsia, perché la prima biopsia il più delle volte non è campionata
adeguatamente.
Se invece la prima biopsia è stata eseguita sotto la guida della risonanza (e quindi sono stat
fatti anche prelievi mirat) la probabilità di errore è molto più bassa.
Se la biopsia iniziale è scadente con pochi frustoli e prelevat a caso la probabilità di trovare
alla biopsia confermatoria dopo un anno un Gleason Score più elevato è di circa il 25-30%.
A Padova se un paziente si presenta con una biopsia iniziale scadente, che non è stata
eseguita sotto guida dell’MRI, la biopsia confermatoria non si fa dopo un anno ma si rifà
subito (a 3 mesi dalla prima) e solo se la biopsia confermatoria precoce conferma il Gleason
score=6 allora si inserisce il paziente nel protocollo di sorveglianza. In questo modo
vengono inviat alla sorveglianza solo pazient estremamente selezionat che rimangono
all’interno del protocollo in 94

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una percentuale molto alta. Se invece la prima biopsia era di alta qualità , con i prelievi
mirat e la RMI, allora anche a Padova la biopsia confermatoria si fa dopo 1 anno.
Secondo gli studi di Klotz la
sopravvivenza globale dopo 16
anni è al 60%, ciò significa che il
40% dei pazient è morto, ma
questo dato può essere spiegato
anche solamente dal fatto che si
tratta di una coorte di pazient
anziani. Infatti la sopravvivenza
malattia specifica è quasi 100%.
Sorvegliando in questo modo si
riesce a mantenere senza trattamento i Gleason Score 6 e ad avviare successivamente al
trattamento gli altri senza compromettere l’out-come del paziente.
Quant pazient escono dalla sorveglianza attiva per qualunque motvo?
Circa il 40 % a 15 anni escono dal programma di sorveglianza attiva, quindi si riesce a non
trattarne il 60% che è un ottimo risultato considerando che la sopravvivenza malattia
specifica è
>99%.
La sopravvivenza malattia specifica include sia i pazient che restano in sorveglianza che
quelli che sono uscit dal protocollo per essere trattat.
L’unico limite di questo approccio è il follow-up dello studio: al momento si hanno dat a 15
anni quindi se si ha un paziente giovane (50 anni) si è in difficoltà perché non si può
avviarlo alla sorveglianza con la totale certezza che andrà bene per lui. Un 50enne ha una
aspettatva di vita di 30 anni e i dat sono present solo fino a 15 anni. Mentre già per un
paziente di 65 anni i dat a 15 anni indicano che si può avere un buon margine di sicurezza.
Nonostante questo limite i 50enni sono di solito i pazient che accettano più facilmente
questo percorso: sono i pazient più giovani e sessualmente attivi che cercano di evitare gli
effetti collaterali dei trattament anche a dispetto di un dubbio oncologico su quello che
potrà succedere dopo 20 anni.
Tutti i pazient che sono decedut durante il follow-up di questo studio, per cause legate alla
malattia, sono mort tutti in una fase molto precoce di follow-up, quindi la spiegazione che
suggeriscono gli autori è che quest pazient avessero una patologia talmente aggressiva che
sarebbero mort in qualunque caso e con qualunque trattamento.
Gli altri due trattament attivi possibili sono prostectomia radicale e radioterapia esterna.
Prostectomia radicale
Prostectomia radicale significa rimuovere:

prostata

vescichette seminali

linfonodi pelvici: iliaci comuni, interni, esterni, otturatori e qualcuno toglie anche i pre-
sacrali.
Radioterapia esterna conformazionale
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Per anni non c’è stato un trial randomizzato che confrontasse la prostatectomia radicale
con la radioterapia perciò si assumeva che l’efficacia fosse simile.
Nel 2016 è stato pubblicato il trial di confronto tra
i due trattament: ProtecT è uno studio
randomizzato su una coorte di 1600 pazient con
follow-up di 10 anni.
I pazient sono stat divisi in tre braccia di studio

553 sono stat sottopost a
prostatectomia radicale

545 sono stat sottopost a radioterapia

545 sono stat controllat con una forma
di monitoraggio non più in uso diverso
dalla sorveglianza attiva che vi ho
appena raccontato ( non verranno
considerati nell’approfondimento seguente).
È uno studio ben fatto, con un follow-up relatvamente lungo, i pazient sono stat seguit in
maniera standardizzata e hanno risposto a dei questonari per la valutazione degli out-come
funzionali.
Un limite di questo studio è che 3 pazient su 4
sono stat arruolat con Gleason Score=6 che oggi
sono ritenut pazient low risk e si sa (ad oggi) che
a 10 anni non muoiono di malattia. Quindi con il
senno di poi sappiamo che sarebbe stato meglio
arruolare pazient con un Gleason Score più alto
per valutare l’efficacia dei trattament.
Oltre il 90% dei pazient ha fatto il trattamento
previsto dal braccio in cui erano stat inserit.
Il monitoraggio non è la sorveglianza attiva come
si fa oggi quindi non va considerato.
Analizzando il grafico qui sopra, la linea rossa e la linea blu si può affermare che la
sopravvivenza libera da progressione di malattia dopo il trattamento primario è uguale per
radioterapia e chirurgia ed è eccellente per entrambi. La sopravvivenza malattia specifica a
10 anni è anch’essa uguale per la radioterapia e per la chirurgia ( vedi grafico a destra).
Sebbene quest siano i pazient peggiori per valutare l’out-
come oncologico per due procedure diverse, perché sono
pazient a basso rischio di morire possiamo dire che dal
punto di vista oncologico “radioterapia=chirurgia”.
C’è un’analisi secondaria sui pazient che sono stat screenat per entrare nel trial ma non
sono poi entrat nello studio, e si tratta di pazient con caratteristche peggiori in classe di
rischio intermedio e elevato e anche
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in questo caso si conferma il dato. Però non è un dato così forte perché non è un trial
randomizzato.
Successivamente è stato pubblicato un report sul New England Journal of Medicine dove si
valutano effetti collaterali dei due trattament: il paziente può scegliere l’effetto collaterale
che più preferisce perché dal punto di vista oncologico i due trattament sono equivalent.
Anche da questo punto di vista i pazient sono stat studiat estremamente bene perché
hanno fatto una serie di questonari per valutare l’outcome funzionale nei quali erano
present domande estremamente specifiche sulla funzione erettile, funzione urinaria,
funzionalità dell’alvo etc.
I pazient del trial hanno compilato i questonari in una percentuale altssima (>90%)
permettendo di ricavare un dato molto attendibile. Se avessero compilato il questonario
solo il 10% dei pazient è probabile che quest fossero quelli felici mentre il restante 90%
fossero quelli che avevano ottenuto risultat non soddisfacent.
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Aspetto urinario
In rosso vi è il grafico riguardante i
pazient trattat con chirurgia e in blu
quelli con radioterapia.
Nel primo anno dopo l’intervento, i
pazient operat vanno peggio e
hanno più disturbi urinari
(tpicamente l’incontnenza), con il
tempo le differenze si assottigliano
perché in molt casi i pazient
recuperano.
Funzione erettile
Anche in questo caso i pazient vanno
peggio nel primo anno, e anche in
questo caso vanno peggio quelli
sottopost alla chirurgia, poi al follow-
up nel le curve si avvicinano. Il
concetto è che a lungo termine hanno
tutti risultat simili e tutti vanno più o
meno male per quanto riguarda la
funzione erettile. Invecchiando il
soggetto è già naturalmente più
predisposto a un deficit erettile e con
l’irradiazione e la chirurgia la
probabilità di disfunzione diventa
estremamente più elevata.
Nel breve periodo hanno più deficit erettile quelli operat ma a lungo termine hanno tutti
questo tpo di deficit.
Funzione dell’alvo
Vanno peggio nel breve termine i
pazient irradiat perché il retto si trova
prospicente alla prostata e quindi viene
colpito dalle radiazioni. Nei pazient che
verranno operat non ci sarà nessun
impatto sulla funzione dell’alvo. Anche
in questo caso a lungo termine hanno
tutti risultat simili e abbastanza buoni.
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Sbobinatori: S. Mieni, A. Murari
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Quindi chi fa la chirurgia va male dal punto di vista urinario nel primo anno e meglio dal
punto di vista dell’alvo mentre chi fa la radioterapia va male dal punto di vista dell’alvo ma
meglio dal punto di vista urinario, per il deficit erettile all’inizio vanno peggio quelli operat
poi col tempo peggiorano tutti.
La qualità della vita è identca in entrambi i casi, quindi il paziente può scegliere quale delle
sue funzioni vuole tentare di preservare al meglio.
Ci sono poi dei casi limite in cui è meglio la chirurgia rispetto alla radioterapia perché
quest’ultma ha degli effetti collaterali a lungo termine: questo è il caso di pazient giovani
perché in questo modo si potrà usare ancora la radioterapia come terapia di salvataggio in
futuro qualora si presentassero seconde neoplasie. È possibile fare la chirurgia di
salvataggio in chi è stato prima radiotrattato, ma i risultat funzionali sono peggiori.
Il concetto generale è che l’efficacia oncologica è simile, ma è diverso il profilo di effetti
collaterali a breve termine, inoltre più il paziente è giovane e più si tende a operarlo, e più il
soggetto è anziano e più si tende ad irradiarlo.
Domanda: Tendenzialmente cosa scelgono i pazienti?
Risposta: Qualora venga fatta una gestione multidisciplinare dove ogni paziente si confronta
con le diverse figure, i pazienti tendono a suddividersi abbastanza equamente.
La chirurgia attualmente ottiene risultat migliori da
quelli presentat nello studio (anni ‘90) e anche la radioterapia ottiene risultat migliori di
quelli
presentat nello stesso studio.
Ad oggi tutti i pazient vengono operat con robot quindi il risultato estetco è ottimo, inoltre
il rischio di
complicanze è molto basso:

rischio di complicanze totale ~11%

le complicanze di grado 3 (necessità di re-
intervento) si attestano al 3%

le complicanze di grado 4 (disabilità residue, ove
rari pazient possono sviluppare un ictus o infarto
durante l’intervento) si attestano al 0,3%

le mort sono sporadiche e quasi sempre causate
da embolia polmonare, perché a causa della
chirurgia pelvica il paziente è allettato ed esposto
al rischio di trombosi venosa profonda.
Tromboprofilassi
Per 30 giorni a causa del rischio di TVP tutti i pazient portano le calze elasto-compressive e
fanno l’eparina a basso peso molecolare, nonostante quest accorgiment il rischio non viene
azzerato ma solo dimezzato. Nei rari casi in cui si sviluppa TVP questa segue un'altra 99

Sbobinatori: S. Mieni, A. Murari


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complicanza come il linfocele, che è un accumulo di linfa dovuta all’interruzione dei vasi
linfatci durante l’intervento, o come un ematoma nello scavo pelvico che comprime le vene
iliache e aumenta il rischio di stasi a valle. Nel caso in cui si sviluppi un ematoma si
interrompe la tromboprofilassi per ridurre il rischio di sanguinamento.
La chirurgia robotca se
eseguita da mani esperte può
ottenere una contnenza
anche molto elevata in oltre il
90% dei pazient: se
estremamente ben fatta dopo
2 settimane dalla rimozione
del catetere il 50-60% dei
pazient è contnente, dopo
altre settimane riprende la
contnenza il resto dei
pazient. Questo il più delle
volte è un processo di
recupero fisiologico che non
necessita di ulteriori intervent medici, al massimo si fa un po' di riabilitazione del
pavimento pelvico.
Potenza
La potenza non è definita in modo molto standardizzato, ma indica la capacità di avere
un’erezione sufficiente per avere un rapporto sessuale (alcuni specificano con o senza
l’aiuto dei farmaci).
La conservazione della potenza è estremamente compromessa perché le fibre del fascio
vascolo-nervoso percorrono a strettissimo contatto una piccola parte della superficie
anterolaterale della prostata.
Se il paziente ha un Gleason Score 8, 9 o 10 allora la malattia è aggressiva e va rimossa
completamente e non si fa neppure un tentatvo di preservare la funzione: il paziente nel
90%
dei casi non avrà erezioni residue.
Quando la malattia ha caratteristche più favorevoli si può fare una chirurgia più delicata
“nerve-sparing” (la prostata viene “sbucciata come una cipolla” cercando di non
danneggiare il fascio vascolo nervoso) quest pazient hanno una percentuale di recupero del
60-70% soprattutto se giovani.
Nei pazient con Gleason score 8/9 che fanno la radioterapia si associa la terapia ormonale
che azzera il testosterone quindi i pazient non solo non potranno più avere erezioni ma non
avranno nemmeno il desiderio sessuale.
Quindi se la malattia è aggressiva, qualunque sia il trattamento attuato, la funzione sessuale
è la prima funzione ad essere persa.
Per misurare la potenza viene usato il questonario IIEF-5: Internatonal Index of Erectle
Functon. Il questonario viene somministrato anche prima dell’intervento e molte volte
rileva già dei deficit erettili, quindi in molt casi sono considerat potent i pazient che dopo
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l’intervento ritornano a uno score uguale a quello di partenza, in altri protocolli vengono
considerat potent coloro che hanno uno score di almeno 21 o di almeno 16.
Se la malattia è aggressiva, ma è localizzata prevalentemente da un lato allora e su richiesta
del paziente, si può cercare di salvare il fascio vascolo nervoso dal lato opposto con dei
risultat di mantenimento della funzione erettile non ottimali, ma nemmeno nulli.
Se il paziente ha una malattia aggressiva, ma il paziente insiste con forza che per lui è
necessario mantenere la funzione erettile, allora si può provare lo stesso a tenersi molto
vicini alla prostata per salvaguardare i fasci vascolo-nervosi, con il rischio che il patologo
rilevi un margine chirurgico positivo, cioè una situazione correlata a un maggior rischio
di ripresa biochimica della malattia in futuro. Il pezzo di prostata che viene rimosso viene
colorato con la china e il patologo lo esamina al microscopio, se vede cellule tumorali a
contatto con il bordo chinato afferma che il margine chirurgico è positvo. In questo caso è
probabile che una porzione di neoplasia non sia stata rimossa.
Dopo la prostatectomia radicale il corretto valore di PSA che il paziente deve avere è zero.
Sono accettat valori fino a 0.2 perché talvolta l’anatomia prostatca non è ben definita e a
livello sfinterico le strutture sfinteriche sono commiste a acini di tessuto prostatco che può
essere anche benigno.
Recidiva biochimica
Si definisce recidiva biochimica un PSA superiore a 0.2ng/ml con una successiva ascesa.
Il marker è dosabile ma non c’è evidenza clinica di malattia.
Questa situazione può essere dovuta da:

residui di prostata benigni

residui di prostata con neoplasia

metastasi
Purtroppo, non vi è modo di capire il paziente in quale dei tre scenari rientra perché
nessuna forma di imaging al momento è in grado di distngure i 3 scenari. La migliore al
momento è la PET-TC con PSMA ma a valori di 0.2 la probabilità che sia positva è
comunque bassissima.
Se il paziente ha una aspettatva di vita molto breve non si fa nulla, perché la sopravvivenza
mediana di chi ha la recidiva biochimica di malattia è 15 anni (senza trattamento la metà
dei pazient muore dopo 15 anni).
Se l’aspettatva di vita è più lunga si fa la radioterapia di salvataggio dello scavo pelvico
(eventualmente associata a terapia ormonale) e tpicamente si osserva un azzeramento del
valore di PSA, poi nel 30-40% dei pazient durante il follow-up il valore ricomincerà a salire
mentre negli altri rimarrà azzerato a vita.
Trattamento in caso di recidiva biochimica
Il problema nel caso in cui il PSA ricomincia ad aumentare (dopo la terapia) sta nel fatto
che i metodi di imaging che abbiamo a disposizione non ci permettono di individuare la
posizione della malattia. Recentemente per provare ad individuarla si esegue una PET con
tracciante PSMA che è molto sensibile, il centro più vicino che le fa si trova a Bologna.
Nonostante la sensibilità di questo metodo di imaging, molto spesso la PET risulta negatva
e non si riesce ad 101
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individuare la malattia. Per questo motvo per valori di PSA>0, ma comunque bassi (0.1-
0.2), non si fa imaging.
Se si riuscisse ad individuare la sede della malattia si potrebbe fare un trattamento locale,
ma nella pratca clinica raramente si riesce a farlo. A volte per valori di PSA di 0.6-0.7 si può
individuare con la PET la malattia all’interno di un qualche linfonodo regionale, soprattutto
se nella terapia chirurgica iniziale non è stata fatta linfoadenectomia (non togliere i
linfonodi è un errore perché spesso sono già stat infiltrat e la malattia si ripresenta dopo un
certo tempo), o in qualche linfonodo al di fuori dei gruppi linfonodali che vengono
solitamente rimossi. In questo caso alcuni decidono di rimuovere i linfonodi che risultano
positvi alla PET e talvolta anche quelli vicini, dopodiché il PSA torna a zero. Spesso anche
dopo la rimozione dei linfonodi nel follow-up il PSA torna ad aumentare, però essendo che
sono quasi sempre pazient anziani se si riesce a tenere a bada la malattia per altri 3 anni
con un trattamento locale senza dover fare un trattamento sistemico c’è un beneficio per il
paziente.
Il trattamento che più assicura la possibilità di guarire è la radioterapia. Posso fare una
radioterapia di salvataggio quando il paziente è giovane, con pregressa prostatectomia
radicale e PSA in aumento, perché la sopravvivenza a 15 anni è del 50% senza trattamento
e bisogna provare quindi a fare di tutto per aumentare la sua sopravvivenza. In passato
andava di moda (soprattutto in pazient con esame istologico “brutto”) la radioterapia
adiuvante fatta subito dopo la terapia chirurgica in base ai fattori prognostci come stadio
pT3a o più , Gleason 7 o più score e margini chirurgici positvi. I pazient con malattia
extraprostatca, Gleason score elevato e/o margini positvi sono ad alto rischio di sviluppare
una recidiva biochimica per cui venivano irradiat subito per prevenire la recidiva di PSA.
Sono stat fatti alcuni studi randomizzat su pazient trattat in questo modo che non hanno
dimostrato un vantaggio di sopravvivenza malattia specifico rispetto all’irradiazione di
salvataggio, per cui adesso l’approccio più usato è quello della terapia di salvataggio
quando il PSA aumenta. Il vantaggio della radioterapia di salvataggio rispetto a quella
adiuvante, a parità di outcome oncologico, è che con la prima tratto solo gli individui che ne
hanno bisogno e non tutti. La terapia di salvataggio è precoce perché si comincia quando il
PSA è a 0.2.
La terapia chirurgica ha il vantaggio di poter fare sul pezzo operatorio un’analisi dei fattori
diagnostci più accurata. Prima dell’intervento il PSA non è un marcatore affidabile, dopo
l’intervento è molto affidabile e in caso di un suo aumento si fa subito la terapia di
salvataggio se il paziente ha un’aspettatva di vita tale da beneficiare dalla terapia.
Terapia ormonale
Dopo la sorveglianza, la terapia chirurgica e la radioterapia, se la malattia peggiora rimane
solo la terapia ormonale. Tradizionalmente la terapia ormonale consisteva nella
castrazione chirurgica, o orchiectomia, cioè nella rimozione dei testcoli perché la neoplasia
prostatca cresce sotto l’effetto del testosterone e se si limita la produzione endogena di
testosterone con la rimozione dei testcoli il tumore perde un fondamentale fattore di
crescita. Non si esegue quasi più l’orchiectomia perché la castrazione si fa con terapia
farmacologica. Ci sono due categorie di farmaci:

LHRH agonisti o LHRH analoghi, che stmolano la produzione di LH ipofisario  in una
prima fase che dura circa un mese l’aumento di LH stmola la produzione di testosterone da
parte del testcolo. Dopo un mese di iperstmolazione cronica dei recettori ipofisari 102

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c’è una downregolazione dei recettori ipofisari con blocco della produzione di LH e di
conseguenza c’è un blocco di produzione testcolare di testosterone.

GnRH antagonisti agiscono andando a bloccare la produzione di LH ipofisario bloccando a
valle la produzione di testosterone testcolare.
Nel primo mese di terapia con LHRH agonist la produzione aumentata di testosterone è
dannosa soprattutto se il paziente ha malattia metastatca avanzata, per questo si deve fa
una terapia combinata con un antandrogeno periferico che blocca il legame del
testosterone con il suo recettore.
La produzione di testosterone surrenalico non è inibita né dagli agonist né dagli antagonist.
D: può ripetere il meccanismo degli agonisti?
R: l’asse ormonale che viene influenzato è quello ipotalamo-ipofisi-gonadi  il GnRH prodotto
dall’ipotalamo induce il rilascio di LH dall’ipofisi che induce la produzione di testosterone nei
testicoli. L’agonista nel primo mese agisce stimolando in maniera abnorme l’ipofisi, causando
un’iperproduzione di LH e di conseguenza di testosterone, dopo il primo mese c’è una
downregolazione dei recettori ipofisari per cui l’ipofisi smette di produrre LH e si blocca la
produzione di testosterone gonadica. Rischio però in questo primo mese di avere
un’iperproduzione di testosterone dannosa soprattutto per i pazienti metastatici per cui
bisogna somministrare un antiandrogeno. In alternativa si somministra direttamente
l’antagonista, che non determina picchi di testosterone.
L’antagonista però è associato ad un alto rischio di event avversi nella sede di puntura .
Agonist ed antagonist sono entrambi farmaci somministrat per via iniettiva. Per l’agonista
si hanno formulazioni mensili, trimestrali o semestrali, mentre per l’antagonista, a causa
del carrier che viene usato per conservare il principio attivo, si determina reazioni avverse
locali nel luogo di 103

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puntura molto fastdiose per il paziente, soprattutto all’inizio della terapia quando bisogna
fare una dose doppia.
Raramente il primo mese di terapia modifica significatvamente l’andamento della malattia
per cui si fa la terapia con l’agonista da solo, se invece l’aumento di testosterone del primo
mese è un problema si somministra l’antandrogeno. L’antagonista ha un vantaggio
terapeutco specifico per cui viene usato in determinate circostanze.
D: La soppressione ipofisaria di LH è reversibile?
R: Sì, quando si interrompe l’LHRH analogo ricomincia a produrre LH ma ci possono volere
mesi o anni.
D: Quali sono gli effetti collaterali del blocco del testosterone?
R: I testicoli non diventano atrofici, ci sono molti altri effetti collaterali – VEDI SOTTO
A chi viene somministrata la terapia ormonale ADT?

P
azient con
prostatectomia radicale
N+. Pazient
che avevano fatto
prostatectomia
radicale in cui vengono
trovate
metastasi linfonodali il
paziente viene
messo in terapia con
LHRH agonist.
Uno

studio

ha
evidenziato
come la sopravvivenza
globale e la
sopravvivenza malattia
specifica sono
migliori in pazient
sottopost a
terapia

ormonale
immediata rispetto alla non terapia.

Terapia di combinazione con EBRT (External B Radiaton Therapy), e ADT in pazient con
rischio intermedio ed elevato. Due trials randomizzat dimostrano che in pazient high risk
che fanno radioterapia e terapia ormonale per 24-36 mesi la sopravvivenza è migliorata.
Pazient high risk fanno 24-36 mesi di terapia (radio + ormonoterapia), mentre in pazient a
rischio intermedio secondo un altro trial la terapia può durare 6
mesi.
104

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Quest
pazient
saranno
sicuramente
impotent a
causa dell’ormonoterapia perché i bassissimi livelli di testosterone azzerano il desiderio
sessuale e la possibilità di avere erezioni.

Radioterapia di salvataggio + terapia ormonale in pazient con recidiva biochimica post-
prostatectomia radicale (BCR after RP). Uno studio ha osservato che quando sale il PSA
dopo prostatectomia radicale e si fa radioterapia di salvataggio la sopravvivenza è migliore
se è in combinazione con una terapia ormonale.
Questo non vale per tutti i livelli di PSA, solo per quelli più elevat; per PSA<1 si può fare
anche solo la radioterapia, altriment è più vantaggiosa la combinazione

P
aziente
metastatco M+
che aveva
diagnosi

di
neoplasia
metastatca fin
da subito
o in cui si trovano
metastasi
nel follow up o
dopo i
trattament.
Tradizionalmente si fa terapia con LHRH agonista senza associare l’antandrogeno nel
primo mese, ma ci sono stat studi comparatvi con terapia solo LHRH analogo e terapia con
LHRH
analogo + antandrogeno periferico (però contnuatvo e non solo nel primo mese) in modo
da 105

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bloccare anche l’effetto del testosterone surrenalico. Il vantaggio di sopravvivenza della
terapia con blocco androgeno completo è dell’1.8% quindi minimo a discapito di un
aumento significatvo degli effetti collaterali.
Per questo si è sempre fatta la terapia con LHRH analogo ed eventualmente con aggiunta
dell’antandrogeno periferico solo per il primo mese di terapia e non contnuatvamente.
Gli antagonist GnRH hanno efficacia uguale agli agonist però dalle metanalisi dei trials svolt
è emerso che nei pazient cardiopatci ci sono effetti cardiovascolari avversi maggiori
somministrando gli agonist rispetto alla somministrazione degli antagonist. Gli
antandrogeni inducono nel paziente una condizione simile alla menopausa, con effetti
devastant per il metabolismo in generale. Ci possono essere:

peggioramento del bilancio glucidico per cui tendono a diventare diabetci

peggioramento del bilancio lipidico per cui tendono a diventare dislipidemici

increment del rischio cardiovascolare di infarto e cerebrovascolare di ictus

aumenta il rischio di trombosi

diminuisce

la
densità ossea con osteopenia o
osteoporosi franca

effetti cognitvi
Ancora non si riesce a
capire come gli agonist possano
indurre a lungo termine
danni cardiovascolari e gli
antagonist no visto che la
differenza fra i due farmaci sono
solo i livelli di LH e FSH che
con gli agonist aumentano nel
primo mese.
D: Come fa il calo di
testosterone ad influenzare
negativamente

la
funzionalità erettile?
R: Il testosterone agisce a
livello delle fibre muscolari lisce
del pene e anche a livello
centrale sui centri che controllano
la libido.
D: Ci sono studi statistici sull’incidenza di depressione e suicidi nei pazienti trattati con
terapia ormonale, c’è una maggiore incidenza di depressione a causa di tutti i trattamenti a
cui sono sottoposti, dell’impotenza, l’incontinenza, etc.?
R: I pazienti in terapia e post terapia non hanno un tasso di suicidi più elevato del normale,
hanno però effetti cognitivi (sono rimbambiti cit.). Inoltre depressione e ansia sono molto
comuni nei pazienti con neoplasia prostatica indipendentemente dal tipo di terapia a cui si
106
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sottopongono. L’ansia c’è anche fra chi è semplicemente in sorveglianza attiva perché
comunque il follow-up prevede molti esami, anche ripetuti, per cui il paziente che comprende
in parte qual è il ruolo di ogni esame e la gravità della sua malattia è molto stressato. L’ansia
è più bassa in chi fa una terapia con intento curativo, perché vede il suo PSA dopo l’intervento
tornare a zero e si tranquillizza. La depressione è frequente anche se spesso questi pazienti
hanno un outcome oncologico buono perché gli rimangono problematiche funzionali. La
maggior parte dei pazienti di cui si sta parlando hanno più di 60 anni, non è la disfunzione
erettile la loro preoccupazione perché spesso ce l’hanno anche prima della diagnosi, quanto
piuttosto l’incontinenza, anche se entro un anno comunque la funzionalità torna quasi
normale.
D: Esistono neoplasie ormono resistenti fin dall’inizio, cioè prima della terapia ormonale?
R: Nel 99,99% dei casi le neoplasie metastatiche sono ormono-sensibili ma non è detto che lo
rimangano. Può succedere che a distanza di anni si osservino aumenti dei livelli di PSA
nonostante il testosterone sia circa zero e questo succede perché la neoplasia diventa
castrazione resistente e cresce nonostante l’assenza di testosterone. Non è chiaro perché le
neoplasie diventino castrazione resistenti, vengono selezionati i cloni in cui i recettori degli
androgeni sono costitutivamente attivi anche senza il ligando. Nel caso la neoplasia diventi
castrazione-resistente la sopravvivenza precipita e muoiono entro alcuni mesi, la neoplasia
resistente alla castrazione è letale. Diventa ormone-indipendente dopo il trattamento
ormonale, ma il trattamento ormonale è una terapia necessaria.
D: Dopo quanto tempo le neoplasie diventano ormono-resistenti?
R: La durata mediana della risposta all’ormono-terapia con solo LHRH analogo è tre anni
Trattamento dei pazienti metastatici
La terapia ormonale crea tutti i disturbi metabolici elencat prima, perciò viene da chiedersi
quando vale la pena di trattare i pazient metastatci quando gli effetti collaterali sono così
tant?
Lo si tratta subito appena si trova la metastasi o quando la metastasi diventa sintomatca?
Se viene trattato però aumenta il rischio di morte per altre cause, cardiovascolari e
cerebrovascolari.
Nonostante tutto i metastatci vengono trattat anche se le metanalisi non indichino che ci sia
un vantaggio di sopravvivenza clinicamente significatvo: c’è un piccolo vantaggio malattia-
specifico, ma non globale per cui muoiono di più per altre cause che per la neoplasia. Il
poco vantaggio malattia-specifico viene “perso” in danni vascolari.
107
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Il motvo per cui vengono trattat lo stesso è che le complicanze delle metastasi sono
molto severe, la maggior parte delle metastasi ossee sono vertebrali e se non sono trattate
con terapia 108

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ormonale spesso incorrono in crollo vertebrale e compressione midollare (spinal cord
compression). La terapia ormonale previene le complicanze delle metastasi ossee che
consistono principalmente nelle fratture e collassi vertebrali, di conseguenza anche se ciò
dà un vantaggio di sopravvivenza minimo o nullo
vengono evitat al paziente i sintomi associat
alla progressione delle metastasi che
impattano fortemente sulla qualità di vita.
Nelle slide inttolate Early vs deferred ADT:
Complications due to disease progression sono
elencat gli effetti avversi della terapia come
vampate di calore eccetera, ma è anche
evidente come con la terapia vengano ridotte
le complicanze delle metastasi, in partcolare
la frattura vertebrale e spinal cord
compression.
In passato pazient che soddisfavano i criteri presentat nella tabella a lato erano trattat con
terapia ormonale intermittente, con l’intenzione di ridurre gli effetti collaterali ed
evitare che la neoplasia diventasse velocemente resistente.
I livelli di PSA decidevano se indirizzare il paziente alla terapia intermittente:

pazient metastatci M+ senza trattamento precedente con PSA fra 10 e 20 venivano trattat,
quando il PSA tornava a zero la terapia veniva interrotta e ripresa in caso venissero trovat
di nuovo valori di PSA fra 10 e 20

pazient non metastatci M0 con PSA: come sopra ma si ricomincia il trattamento a valori di
6-15

pazient con prostatectomia dopo recidiva biochimica: venivano trattat, quando il PSA
tornava a zero la terapia veniva interrotta e ripresa in caso venissero trovat di nuovo valori
di PSA>3

pazient con rialzamento del PSA>6-10 dopo radioterapia (come sopra ma si ricomincia il
trattamento a valori di 6-10)
Questo approccio terapeutco è stato impiegato per anni senza basi valide e in modo
arbitrario, di fatto i cutoff del PSA sono stat scelt arbitrariamente. È stato fatto un trial
randomizzato che non ha chiarito niente in quanto non è stato conclusivo. In ogni caso nella
pratca è evidente che c’è una riduzione degli effetti collaterali mentre le curve di
sopravvivenza fra chi fa terapia contnuatva e chi intermittente sono molto simili. Spesso
quando il paziente non ha molte metastasi si prova la terapia intermittente per ridurre
l’enttà degli effetti avversi dei trattament.
Probabilmente non è vero che la terapia intermittente allunga il tempo di risposta alla
terapia e cioè ritarda l’insorgenza di resistenza alla
castrazione, ma non è neanche vero che con la
terapia contnua si ha un vantaggio globale di
sopravvivenza per cui non è ancora chiaro quale
approccio terapeutco sia migliore.
Chemohormonal therapy in metastatic
hormone-sensitive prostate cancer
109
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Quanto detto finora era lo standard di trattamento fino al 2015. In quell’anno in uno studio
inttolato Chaarted pazient metastatci ormono-sensibili mai precedentemente trattat
farmacologicamente sono stat trattat con lo stesso farmaco che veniva somministrato a
pazient metastatci castrazione resistent, il docetaxel. Nel trial i pazient sono stat
randomizzat n un gruppo trattato con ormono-terapia (ADT, androgen deprivaton therapy)
tradizionale e uno trattato con ADT + terapia con Docetaxel normalmente riservata agli
ormono-resistent. Lo studio ha dimostrato che c’è un chiaro vantaggio di sopravvivenza di
circa un anno e mezzo nei pazient con alto volume di malattia, cioè con metastasi viscerali o
almeno 4 metastasi ossee di cui una al di fuori delle vertebre dello scavo pelvico. Il
vantaggio c’è anche negli altri pazient con malattia a basso volume ma non è statstcamente
significatvo. Nella pratca clinica al paziente pesantemente metastatco si dà terapia ADT +
docetaxel. Ha molt effetti collaterali ma la sopravvivenza è vantaggiosa se hanno una
malattia volumetricamente importante (detta anche bulky) fino a 18 mesi. A causa dei
maggiori effetti collaterali la terapia di combinazione è riservata a pazient più giovani fit
senza comorbidità .
Altri due studi hanno comparato l’efficacia della terapia con solo LHRH analogo e della
terapia LHRH analogo + farmaco Abiraterone che blocca la produzione di testosterone
anche a livello surrenalico (blocco androgenico completo) che è diverso dall’antandrogeno
periferico.
Meccanismo d’azione dell’Abiraterone  nel surrene inibisce la 17 alfa-idrossilasi e la
17,20-liasi, quindi blocca le vie che portano alla produzione di 17OH-pregnenolone e quindi
di cortsolo e testosterone. Ci sarà però un accumulo di pregnenolone per cui alla fine
vengono prodotti molt più mineralcortcoidi e il calo di cortsolo determina a feedback una
iperproduzione di ACTH che però non fa altro che aumentare i mineralcortcoidi prodotti,
per cui si avrebbe uno squilibrio di elettrolit e ipertensione gravi a causa
dell’iperaldosteronismo indotto dall’Abiraterone.
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Se però si somministra Dexomethasone (che è un analogo del cortsone) insieme
all’Abiraterone la produzione di ACTH viene molto ridotta per cui viene prodotto meno
pregnenolone bloccando l’iperproduzione di aldosterone e prevenendo l’ipertensione e i
disordini elettrolitci.
Con la terapia combinata si blocca sia la produzione testcolare di testosterone con la
terapia ADT che la produzione surrenalica con l’Abiraterone azzerando la produzione di
testosterone.
111
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La sopravvivenza guadagnata è simile all’approccio chaarted, gli effetti collaterali sono
comunque present e sono elencat nella tabella a pagina successiva. Il dexomathasone
diminuisce gli effetti dell’iperaldosteronismo ma non li elimina per cui sono ipertesi e con
squilibri idroelettrici.
Questa terapia è valida per tutte le categorie di paziente e anche un secondo studio,
inttolato stampede, lo ha confermato.
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Riassumendo, nella pratca se ho un paziente multmetastatco lo tratto o con blocco
androgenico totale ADT + Docetaxel o un blocco androgenico totale ADT + Abiraterone (che
funziona anche in paziente poco metastatco con malattia poco voluminosa), e non lo tratto
solo con l’LHRH analogo ADT.
C’è tossicità maggiore con il chemioterapico Docetax, ma chi fa terapia con Abiraterone ha
comunque problemi legat all’iperproduzione di aldosterone, il chemioterapico prevede un
trattamento più breve e costa meno. La sola terapia ormonale ADT ormai viene riservata
solo per pazient in pessime condizioni che non sopporterebbero gli effetti avversi della
terapia combinata.
Recentemente è stato pubblicato uno studio simile randomizzato, di nome TITAN, che ha
comparato ADT alone vs ADT + apalutamide. Apalutamide è un inibitore del recettore
androgenico che blocca il legame del di-idro-testosterone al recettore, la sua successiva
migrazione nel nucleo e tutte le azioni di trascrizione che lì avvengono. Si tratta di un
antandrogeno di nuova generazione (come enzalutamide e darolutamide). Sostanzialeme si
compara il blocco androgenico con LHRH analoghi in monoterapia vs un blocco
androgenico 113

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completo con LHRH analoghi + apalutamide. Lo studio arruolava pazient con malattia
metastatca, 1/3 non bulky e2/3 bulky.
Similmente agli studi con Lattude e Stampede con abiraterone, anche qui il blocco
androgenico completo ha dimostrato un vantaggio rispetto alla monoterapia con LHRH
analoghi in termini di progressione radiologica e sopravvivenza globale
Quest vantaggi sono stat confermat in tutti i sottogruppi di pazient.
La cosa interessante è che gli event avversi con apalutamide sono nettamente inferiori a
quelli documentat con la terapia di combinazione con Abiraterone.
Dalla tabella sotto emerge che gli event avversi di apalutamide sono simili a quelli del
placebo.
114

Sbobinatori: S. Mieni, A. Murari


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Il farmaco non è ancora disponibile perché il trial è recentssimo ma sicuramente diverrà
una opzione di trattamento estremamente interessante.
Prostatectomia radicale (PR) o trattamento del tumore primitivo in pazienti
oligometastatici Va tolta la prostata in pazient oligometastatci (cioè che non rispettano i
criteri di inclusione chaarted  metastasi viscerali o almeno 4 metastasi ossee di cui una al
di fuori delle vertebre dello scavo pelvico)?
La prostatectomia citoriduttiva nel paziente oligometastatco è diventata popolare negli
ultmi anni. Sono state pubblicate alcune serie chirurgiche dimostrant risultat interessant e
ci sono alcuni trial randomizzat in corso in giro per il mondo. La risposta alla domanda
ancora non c’è.
Tuttavia, recentemente è stato pubblicato un trial randomizzato che valutava l’effetto del
trattamento del tumore primitvo con la radioterapia nel caso di malattia metastatca.
Lo studio ha dimostrato che trattare con la RT il tumore primitvo da un vantaggio di
sopravvivenza nei pazient oligometastatci di 3 mesi, rispetto ai soli trattament sistemici.
115

Sbobinatori: S. Mieni, A. Murari


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Quindi, frattanto che gli studi randomizzat sulla prostatectomia citoriduttiva non saranno
pubblicat, possiamo assumere che un simile vantaggio possa esserci anche con la chirurgia.
Si tratta di un vantaggio molto modesto.
Neoplasia prostatica resistente alla castrazione
Quando il pz fa una terapia ormonale per molto tempo se non muore prima par altre
comorbidità è inevitabile che la neoplasia progredisca diventando resistente alla
castrazione, per cui la neoplasia rimane vitale e prolifera in assenza totale di ligando
androgeno perché le vie attivate dall’androgeno sono mutate e costantemente attive.
La definizione di neoplasia resistente alla castrazione comprende:

un dosaggio del PSA in ascesa con differenze fra un prelievo e il successivo di almeno il
50% (in 3 misurazioni consecutve) e con valore finale di almeno 2 mg/dl

testosterone assente (<50 ng/dl)

nuove lesioni metastatche
In passato quest pazient venivano trattat con manipolazioni ormonali di seconda linea
(prevalentemente aggiungere l’antandrogeno in chi faceva solo LHRH analogo o togliere
l’antandrogeno in chi faceva il blocco androgenico completo). Oggi quest trattament sono
obsolet. Nella prossima lezione spiegheremo come si tratta oggi la neoplasia resistente alla
castrazione.
Si riprendono i concetti trattati durante la lezione precedente riguardo il PSA da una
domanda degli studenti posta a fine lezione.
Lo studio riguarda l’analisi dei valori di PSA ritrovat all’interno del siero di una popolazione
svedese raccolto 20 anni prima. In base a ciò , si conosceva già l’excursus della malattia: se
gli individui erano mort per neoplasia, se avevano sviluppato metastasi per neoplasia
prostatca ed altro. Si è quindi correlata l’analisi di PSA, eseguita a diverse età , con il
successivo rischio di quest pazient di sviluppare una neoplasia prostatca e metastatca che
port al decesso.
Lo studio ha raccolto i seguent dat:

PSA analizzato tra i 37 e i 42 anni di età:
si riporta il rischio di sviluppare metastasi
in 25 anni, quindi ad un’età relatva di
circa 65 anni. I pazient che hanno un
rischio basso, ma non pari a 0, di
sviluppare metastasi dopo i 25 anni sono
rappresentat dalle curve rosse e verde
acqua, raffigurant rispettivamente il
quartle più alto della distribuzione e il
decile più alto. Si tratta dei pazient con
PSA superiore a 0.9 ng/ml per la curva
rossa e pazient con un PSA superiore a
1.3 ng/ml per la seconda. In base a quest valori si può definire che nel caso di un paziente
di circa 40 anni che presenta un valore di PSA più basso di 0.9 il suo rischio successivo di
sviluppare metastasi in 25 anni dal tumore alla prostata è circa 0, quindi si tratta di un 116
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paziente che può essere seguito con scarsa intensità . Non si tratta di una banalità , la
possibilità di seguire solamente i pazient rappresentat dalle due curve precedentemente
citate permette di ridurre a ¼ del valore iniziale il numero di pazient sottoposto a controllo
risparmiando un grande quanttatvo di risorse.

PSA analizzato tra 45 e 49 anni: il
discorso è molto simile a quello fatto
precedentemente. La curva giallo e
bordeaux rappresentano un rischio molto
basso, mentre i pazient che hanno valori
di PSA maggiori a 1.6 ng/ml
(rappresentat dalla curva verde acqua) e
a 1.1 ng/ml (rappresentat dalla curva
rossa) sono quelli che hanno rischio più
elevato. Si adatta quindi il follow up in
base ai valori di PSA basale rilevat.

PSA analizzato tra i 51 e i 55 anni: qui si
avrà il primo decile della distribuzione del
PSA (superiore a 2.4 ng/ml) che merita di
essere seguito in un successivo follow-up.
Stesso discorso per i pazient
rappresentat dal primo quartle. Gli altri
pazient possono essere seguit con
maggiore tranquillità e studiando il PSA
successivo con delle frequenze più
diradate.
Si riprende ora un altro concetto introdotto nella
lezione precedente: si tratta di uno studio riguardante la terapia ormonale nel metastatico.
Nella scorsa lezione si era affermato che tradizionalmente la terapia veniva effettuata
attraverso LHRH analogo, ma che questo paradigma è cambiato introducendo la
chemioterapia in associazione con la terapia ormonale nei pazient mai trattat. Inoltre sono
stat presentat due studi: il LATITUDE e lo STAMPEDE, i quali valutano la terapia di
combinazione tra l’LHRH analogo e l’Abiraterone confrontata con LHRH analogo da solo,
favorendo la prima possibilità . L’Arbiraterone però si presenta scarsamente maneggevole.
Recentemente è stato svolto uno studio denominato TITAN su pazient metastatci mai
trattat che sono stat randomizzat per fare la sola terapia con LHRH analogo o la terapia con
LHRH
analogo e Apalutamide, antandrogeno di nuova generazione che agisce legando il recettore
androgenico della neoplasia prostatca bloccando l’integrazione con il ligando e di
conseguenza l’attività di trascrizione.
I pazienti scelti, come affermato precedentemente, sono pazienti metastatici: 1/3 circa
presenta un basso volume di metastasi, 2/3 circa presentano un alto volume di metastasi.
117

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Osservando la progressione radiografica delle metastasi si nota come il rischio di
progressione di pazient trattat con LHRH analogo + Apalutamide risult inferiore rispetto a
quello nei pazient trattat con solo LHRH analogo.
La terapia è funzionante in tutte le tpologie di pazient, sia nei pazient con malattia
metastatca di tpo bulky che nei pazient che hanno metastasi non voluminosa. Interessante,
inoltre, è che questa terapia si rivela essere un vantaggio (seppur ridotto) per quanto
riguarda la sopravvivenza del paziente.
D: Esiste uno studio che ha confrontato ADT+abiraterone con ADT+apalutamide?
R: No, questo è il problema atavico: gli studi sono sponsorizzati dalle case farmaceutiche e di
conseguenza non esistono studi comparativi, che sarebbero la cosa più logica da effettuare,
soprattutto per una questione di costi. La soluzione sarebbe la nascita di un ente che si
preoccupi di portare avanti questo tipo di studi, ma attualmente non esiste.
Per quanto riguarda la scelta tra Apalutamide e Abiraterone, l’Abiraterone presenta una
grande quanttà di effetti collaterali dal punto di vista idrometabolico dato che altera la
produzione surrenalica e per tale ragione va co-somministrato con aldosterone al fine di
diminuire i livelli di l’ACTH nel sangue. L’Apalutamide, al contrario, presenta degli effetti
collaterali quasi nulli (come gli antandrogeni tradizionali) rivelandosi estremamente
efficace e poco dannoso.
D: Domanda non udibile.
R: Quando ci sono trial randomizzati si può utilizzare l’effetto cumulativo con una metanalisi.
In questo caso questo non è fattibile, quindi si utilizza una network meta analisys, cioè si
compara il peso dell’efficacia dei farmaci tra le diverse braccia del trial. Ciò che salta fuori
dalla metanalisi è che questa categoria di farmaci (LHRH + Docetaxel e LHRH +
antiandrogeni), è associata ad una efficacia oncologica genericamente simile ma gli effetti
collaterali sono nettamente a favore degli antiandrogeni. Il Docetaxel si distingue comunque
per essere il farmaco più economico.
D: E’ possibile eseguire una terapia estremamente aggressiva con Docetaxel e Abiraterone?
R: E’ teoricamente possibile ma l’efficacia non è supportata da studi e rischio di avere più
effetti collaterali che vantaggi.
Sfortunatamente, circa dopo 3 anni di cura, si arriva ad una fase in cui la neoplasia
prostatica diventa resistente alla castrazione, cioè il tumore inizia a crescere
nonostante i livelli di testosterone siano quasi o del tutto azzerat per effetto della terapia.
Non è del tutto chiaro perché ciò avvenga, pare tuttavia che questo comportamento della
neoplasia sia dovuto ad una 118
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selezione di cellule neoplastche capaci di crescere indipendentemente dal testosterone, o
perché i recettori sono costtutvamente attivat, o perché la cellula neoplastca raggiunge la
capacità di produrre internamente il testosterone. Questo è lo stato fondamentale che porta
alla condizione di letalità della malattia; se, invece, lo stato di indipendenza dalla
castrazione non viene raggiunto, il paziente non morirà di neoplasia prostatca.
Esiste una definizione ufficiale per il cancro alla prostata resistente alla castrazione: ci
devono essere dei livelli di testosterone compatbili con la castrazione (<50 ng/dl), bisogna
avere un incremento successivo dei PSA multpli, con valore finale di almeno 2 ng/ml e, se il
paziente è metastatco, bisogna che ci sia un incremento della metastasi precedentemente
diagnostcata: alla radiografia, quindi, si devono notare almeno 2 metastasi in più . Il
paziente comunque può essere sintomatco o asintomatco.
Partendo da un soggetto in terapia ormonale che presenterà PSA pari a circa 0 o 0 (il valore
basale raggiunto attraverso la terapia è un valore prognostco e definisce quanto il paziente
sia responsivo alla terapia e per quant anni questa può essere efficace), il PSA comincerà a
salire di valore, di solito senza sintomatologia affiliata, mentre il testosterone rimane a 0. Ci
sono casi in cui anche il testosterone aumenta: ciò avviene quando si hanno problemi
relatvi alla somministrazione dell’LHRH analogo, situazione molto rara.
In passato si procedeva eliminando la terapia antandrogena, se somministrata, o
somministrandola se prima non era stata assegnata. Di solito questo si associava ad una
risposta molto breve in termini di PSA, circa 3-5 mesi. Oggi queste misure sono considerate
obsolete e ci sono una serie di farmaci che permettono di evitare queste manipolazioni
ormonali di seconda linea.
I farmaci utlizzat oggi sono:

Docetaxel: chemioterapico, agisce bloccando la mitosi e arrestando la polimerizzazione
delle strutture che formano i fusi mitotci, uccidendo così la cellula.
Il professore si sofferma quindi su uno studio relativo alla comparazione del Docetaxel +
Mitoxantrone o Prednisone, una terapia che porta a palliare i sintomi, che dimostra un
piccolo vantaggio di sopravvivenza, nell’arco dei 3-4 mesi, rispetto alla sola somministrazione
di Mitoxantrone. Questo è stato riconfermato nella maggior parte dei gruppi e dei
sottogruppi con malattia metastatica, quindi è entrato nello standard del trattamento.
D: Nel grafico precedente si dimostrava una sopravvivenza più alta con la somministrazione
di Docetaxel ogni 3 settimane?
R: Esatto, questo è lo schema che è diventato pratica clinica corrente.

Cabacitaxel

Abiraterone

Enzalutamide

Apalutamide

Darolutamide

Radio-223
Quest farmaci sono stat testat nella malattia resistente alla castrazione dopo l’utlizzo del
Docetaxel. Il primo ad essere stato testato è stato l’Abiraterone; riscontrando il successo
della terapia si introduce quindi un quanttatvo di farmaci di seconda linea da
somministrare dopo l’utlizzo del Docetaxel, unico farmaco di prima linea. In questo modo si
incrementa di circa altri 119

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4-5 mesi la possibilità di sopravvivenza del paziente, arrivando a circa a 1 anno in più di
vita per il paziente se sommat ai 4 mesi conferit dal farmaco di prima linea. L’Abiraterone
funziona in tutti i gruppi di pazient, il problema di questo farmaco e dei suoi surrogat è
dato dalla tossicità , tamponabile (ma non eliminabile) attraverso l’associazione di steroidi.
Il passaggio successivo consiste nel testare
l’efficacia dell’Arbiraterone prima del Docetaxel.
Questo perché il Docetaxel è anch’esso un
farmaco con elevato numero di effetti collaterali
e spesso i pazient anziani non sono nelle
condizioni necessarie per subire la
somministrazione di un chemioterapico.
Otteniamo così un aumento di sopravvivenza
anche per pazient resistent alla castrazione che
non possono svolgere la chemioterapia.
D: Noi facciamo la terapia ADT al paziente, lui
dopo 3 anni mi diventa resistente alla castrazione. Quindi, se ho già fatto ADT + abiraterone,
come procedo?
R: I primi pazienti analizzati avevano subito un trattamento con solo Docetaxel, dato che
Charteed è lo studio più vecchio. I primi che avranno la progressione son quelli che han fato
ADT
+ Docetaxel (quindi una chemioterapia), quando si avrà progressione farò una terapia con
Arbiraterone o Docetaxel. Il percorso si sta complicando perché abbiamo più “armi” che
vengono tuttavia applicate solo dopo la terapia tradizionale.
Oltre l’Arbiraterone, si possono utlizzare Enzalutamide, farmaco meno recente,
l’Apalutamide e il Darolutamide che sono inibitori del recettore androgenico, quindi
bloccano il legame del testosterone col recettore, l’integrazione del recettore all’interno del
nucleo e la trascrizione. Ci sono studi che dimostrano l’efficacia della somministrazione di
Apalutamide dopo Docetaxel, conferendo possibilità di sopravvivenza per qualche mese. Il
vantaggio è che gli effetti collaterali sono estremamente più gestbili anche se, come
affermato precedentemente, non esistono studi che mettano a confonto Arbiraterone e
Apalutamide. Il passaggio successivo è stato testare l’Apalutamide prima del Docetaxel,
ottenendo nuovamente risultat positvi.
Si arriva quindi ad ottenere una gamma d’azione estesa che prevede o l’utlizzo del
Docetaxel, più economico ma con effetti collaterali più important, o l’utlizzo di Arbiraterone
o Enzalutamide, farmaci che costano di più ma hanno effetti collaterali più contenut. Non si
è in grado di stabilire quale procedimento sia meglio per la sopravvivenza del paziente;
chiaramente ciò che verrà somministrato dipenderà anche da ciò che è stato somministrato
prima dello stato di indipendenza dalla castrazione.
Un fatto fondamentale riguardante il Docetaxel è che, in caso il paziente progredisse alla
terapia e che questa si rivelasse quindi inizialmente inefficace, egli sarà nuovamente in
grado di rispondere ad un’altra somministrazione di Docetaxel. Questo fenomeno è definito
Docetaxel rechallenge e il perché di ciò non è ancora stato definito. Il paziente
ovviamente deve essere sufficientemente fit per subire la seconda somministrazione. Esiste
inoltre un chemioterapico di seconda linea denominato Cabacitaxel, ma viene utlizzato
pochissimo a causa dei suoi important effetti collaterali.
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Il passo successivo ora è stato portare la terapia ad una fase precedente, ovvero quando la
neoplasia è resistente alla castrazione ma non metastatca. Esistono studi recent che hanno
suscitato enorme scalpore dato che, quando un paziente è resistente alla castrazione ma
non metastatco, è un paziente non candidabile a niente, infatti tutti i pazient trattat con
Docetaxel precedentemente sono metastatci; nei pochi pazient non metastatci non si
sapeva quindi esattamente cosa fare. Il professore dubita fortemente della presenza di
quest pazient alle nostre lattudini perché se un paziente è cosciente e si fa seguire gli si
pone una PET con PSA e non si trova nulla. Anche per quest comunque esiste una soluzione
con l’Enzalutamide o l’Apalutamide, i quali ritardano la comparsa della metastasi e
allungano la sopravvivenza. Si ha quindi almeno un farmaco da utlizzare per quasi tutti gli
scenari clinici. Ciò deriva dal fatto che si tratti di un businness molto grande, quindi ogni
ditta farmaceutica importante ha delle linee di ricerca che spesso si rivelano essere fruttifere.
D: Quando nelle curve si vede una caduta improvvisa, come si interpreta?
R: Che sono finiti i pazienti. Ogni volta che tu vedi uno scalino vuol dire che c’è stato un evento
che nella maggior parte delle volte è la progressione sintomatica. Quando hai una calata così
brusca nella parte finale del follow-up vuol dire che sono rimasti pochi pazienti che non
hanno ancora avuto l’evento in questione. Questo genere di picchi li vedi solo in curve riferite
a studi con pochi pazienti.
L’ultmo farmaco a cui si fa riferimento, è la Darolutamide, un altro antandrogeno testato in
un trial gemello a quello della Enzalutamide che ha stabilito un risultato positvo.
D: Poi dipende dallo stato dell’arte che si ha con i vari pazienti… (registrazione non chiara).
R: Si inizia con una terapia generale di ADT con LHRH analogo, si prosegue, se è bulky (molto
metastatico), con Docetaxel o Arbiraterone o Apalutamide, se è metastatico non bulky con
una somministrazione di Arbiraterone o Apalutamide. Per il tumore castrazione-resistente
non metastatico utilizzerò Enzalutamide o Apalutamide, però si tratta di pochi pazienti. Per il
tumore castrazione-resistente metastatico si utilizza il Docetaxel o Arbiraterone o
Enzalutamide in prima linea, a seconda delle condizioni e di ciò che è stato utilizzato in
precedenza; quando ci sarà progressione con uno dei tre, si utilizzerà uno degli altri o
eventualmente si sfrutterà il rechallenge del Docetaxel.
Il professore afferma che non è necessario conoscere tutto ciò nel dettaglio considerando che
tra 5 anni probabilmente avremo altri farmaci diversi adoperabili. L’importante è sapere che
esistono delle terapie mirate e che, se qualcuno intraprenderà il percorso di oncologia o
urologia, avrà un ruolo diretto nella selezione della terapia.
D: Nel metastatico castration-resistant perché non possiamo usare l’Apalutamide?
R: Perché non esiste il trial e quindi il farmaco non è registrato con quella funzione. Nel
castration-resistant non metastatico si può integrare anche l’utilizzo della Darolutamide con
buoni vantaggi in termini di sopravvivenza. Come gli altri due antitestosteronici, il farmaco
ha degli effetti collaterali facilmente gestibili.
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Si analizza dunque un’altra tpologia di farmaco: il radio 223, farmaco alfa emittente. Viene
accumulato dal paziente a livello delle ossa e determina un’irradiazione locale del tessuto
breve in termini di tempo dato che la vita delle partcelle alfa è essa stessa molto breve e si
propaga per pochissimi millimetri. Anche per questo farmaco esiste un trial randomizzato
che dimostra l’efficacia ed è partcolarmente indicato in pazient che hanno malattia
metastatca ossea di grande importanza. Il farmaco infatti non esplica al massimo le proprie
funzionalità con meno di 6 metastasi ma ha una buona capacità d’azione con numero di
metastasi da 6 a 20 o superiore.
Si ha un piccolo vantaggio in termini di
sopravvivenza, ma buoni vantaggi in
termini di event scheletrici e per quanto
riguarda la possibilità di contrarre
fratture. Come effetti controproducent, il
farmaco si rivela essere mielodepressivo,
dato che le partcelle alfa si irradiano in
maniera importante nel midollo osseo
causando varie aplasie.
Si abbina quindi uno schema riassuntivo
finale.
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LHRH analogo è il cardine della terapia per il metastatco che viene somministrata dalla fase
ormone sensibile per poi contnuare anche in fase di resistenza alla castrazione. Questo
perché, sebbene il tumore cresca in assenza di testosterone, sopprimendo tale terapia il
testosterone aumenta e di conseguenza il tumore cresce maggiormente. Quest pazient
dunque si trovano nella condizione di subire una terapia da LHRH analogo per molt anni,
addirittura si parla di 10
anni di terapia se il tutto fila mediamente liscio.
Inoltre, la deplezione di testosterone causata dalla terapia si rivela invalidante a livello
osseo, portando a riduzione della densità e conseguentemente osteopenia. A ciò si
aggiunge che la malattia tende elettivamente a metastatzzare nelle ossa. Quindi quest
pazient sono a rischio di event scheletrici, sia per l’età avanzata, sia per l’osteopenia
causata dalla mancanza di androgeni, sia per la tendenza del tumore a metastatzzare a
livello osseo. L’evento tpico è la frattura patologica: si tratta di un evento cataclismatco per
la vita di quest pazient perché il più delle volte ciò porta a dover subire un intervento. Sono
state apportate quindi una serie di strategie per sopperire al questa possibilità : si
somministra una supplementazione di 1g/die di calcio e 880 UI/die di vitamina D3 a tutti i
pazient, ciò fin quando non ci sono manifestazioni di gastralgia tali da dover sospendere la
somministrazione. Inoltre si agisce attraverso una serie di farmaci per sopperire a tale
situazione: la categoria più antca sono i bifosfonati (utlizzat anche per l’osteoporosi
femminile), i quali bloccano l’attività degli osteoclast favorendone l’apoptosi.
Tutto ciò mi porterà a un miglioramento della densità ossea del paziente valutata con la
densitometria.
I bifosfonat però non sono farmaci molto maneggevoli: quelli meno efficaci somministrat
per os tendono a causare esofagite, quelli più efficaci generano effetti collaterali debilitant.
Ad esempio l’acido zoledronico deve essere somministrato per via parenterale ma può
causare insufficienza renale, per questo la sua somministrazione è limitata a una volta ogni
3 mesi e la creatnina del paziente deve essere perfetta prima di seguire la terapia.
Da qualche anno esiste un’altra categoria di farmaci che agiscono sullo stesso territorio: tra
quest vediamo il Denosumab, un antcorpo monoclonale che va a colpire RANKL
inibendolo e bloccando così la maturazione degli osteoclast, impedendo l’attività di
rimaneggiamento osseo.
Per questa molecola si è svolto qualche trial randomizzato, il più importante è stato
pubblicato sul New England ed è quello che per primo ha denotato un’efficacia nel
migliorare la densità ossea dei pazient, non solo per quanto riguarda la neoplasia prostatca
ma per tutte le neoplasie che danno metastasi ossea.
Dai grafici a pagina seguente si evince che il rischio di fratture è circa di tre volte più basso
per i pazient che hanno subito trattamento con Denosumab rispetto al placebo.
E’ fondamentale ricordare che quest pazient spesso ancor prima di iniziare la terapia
presentano una condizione di osteopenia o addirittura di osteoporosi conclamata. Si
procede dunque con la somministrazione generale di Calcio e Vitamina D; in seguito, in
base ai valori di densità ossea basale, periodicamente si monitora il paziente, ripetendo la
densitometria ossea ed eventualmente decidendo di somministrare bifosfonat o
Denosumab se si nota la possibilità di rischio di fratture.
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D: Quindi di base io do il calcio a tutti e poi in caso…?
R: Poi faccio l’analisi della densitometria basale, in base a ciò che trovo deciderò se procedere
col solo follow-up, se la densità è buona, o, se c’è una situazione di osteopenia, proseguire con
un trattamento a base di bifosfonati per os, o, se c’è una condizione di osteoporosi, con un
farmaco più energico con l’acido zoledronico o il denosumab.
Un’altra condizione dei pazient in terapia con LHRH analogo è lo sconquasso del
metabolismo glucidico e lipidico, perciò quest possono diventare diabetci o
dislipidemici, il tutto incrementato da una serie di eventi cardiovascolari che aumentano
il rischio di infarto. Ciò che si mette in pratca è un monitoraggio strettamente legato ai vari
fattori di rischio e un’implementazione dell’attività fisica aerobica che porta ad un
incremento della densità ossea e alla preservazione delle masse muscolari. Ci sono molte
problematche non urologiche dunque associate alla neoplasia.
D: L’attività fisica la si suggerisce anche in caso di osteoporosi?
R: Sì perché aumenta la densità ossea. Ci sono stati dei trial randomizzati in cui è stato
valutato l’andamento del metabolismo dei pazienti in terapia androgenosoppressiva e c’è una
differenza sostanziale. Si chiede dunque a quelli che ne hanno la possibilità di camminare il
più a lungo possibile durante la giornata o comunque eseguire altri tipi di attività aerobica.
D: In questo caso perché non viene utilizzata una terapia antiangiogenica o immunoterapica?
R: Perché non ci sono dimostrazioni di efficacia. C’è qualche studio iniziale per quanto
riguarda la immunoterapia. Nella pratica si può ipotizzare che un qualsiasi trattamento
funzioni, però, dall’ipotesi, il primo passaggio è verificare l’efficacia in vitro su cellule di
neoplasia prostatica e, una volta dimostratane l’efficacia, si passa a studi su pazienti
marginali già trattati.
D: Ci sono trials che dimostrano la maggior efficacia del Denusomab rispetto ai bifosfonati?
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R: Sì, è più efficace però costa molto di più.
D: Dato che mi sembra di aver capito che tutti moriamo di arresto cardiaco, come si fa a
stabilire la causa di morte di questi pazienti?
R: Questo è un discorso importantissimo, infatti come forse avrete notato sulla quasi totalità
dei trials legati a malattia resistente alla castrazione, non si analizza la sopravvivenza alla
malattia specifica, ma quella globale. Tutti moriamo di arresto cardiorespiratorio però,
quando l’arresto cardiorespiratorio arriva ad un paziente che ha 73 siti metastatici e ha già
fatto la terapia ormonale e tutte le manipolazioni possibili e tutti gli altri trattamenti, è
impossibile non porre un collegamento diretto tra le sue condizioni basali, il trattamento
della patologia e la morte. Il più delle volte è difficile identificare la corretta causa di morte
perché tutti moriamo di malattia cardiovascolare, però l’agreement che c’è è indicare la
neoplasia prostatica come causa di morte in tutti i pazienti che sono morti con la malattia in
progressione, con trattamenti attivi o con trattamenti attivi falliti. Quindi se abbiamo operato
un paziente 32 anni prima e ha il PSA a 0 e il paziente muore di infarto senza aver fatto
ulteriori interventi o terapie, il paziente sarà considerato morto non per neoplasia; se il
paziente muore 3 mesi dopo aver terminato la terza via di trattamento, con dolore osseo,
quindi con morfina somministrata, e tutte le complicanze legate al trattamento, si assume che
la morte sia avvenuta per neoplasia. Il più delle volte si aggira la vicenda considerando la
sopravvivenza globale. Questo perché, se per esempio un paziente con neoplasia prostatica
che ha fatto i vari trattamenti muore in urologia, la causa stabilita sarà morte per neoplasia
prostatica, perché un urologo è sensibilizzato verso il suo settore; se muore in medicina
interna, qualcuno potrà scrivere che è morto di polmonite per esempio, quindi è
estremamente inaccurata questa valutazione.
D: I pazienti metastatici saranno localizzati in urologia o oncologia?
R: Per lo più i metastatici sono liberi di stare a casa. La quasi totalità di questi trattamenti è
somministrabile a casa, al massimo c’è il Day Hospital. A Padova i trattamenti con questi
farmaci sono fatti prevalentemente dagli oncologi, in altri centri prevalentemente dagli
urologi.
Quando questi pazienti presentano problemi, si riferiscono allo IOV che indica loro il centro di
pronto soccorso dell’azienda ospedaliera, perciò finiscono in urologia o in qualche altro
reparto dell’azienda ospedaliera. Per lo più il ricovero in urologia è legato a macroematuria,
o ritenzione urinaria, quindi problemi alla corretta funzionalità dell’apparato urinario
perché spesso, se la prostata non è stata tolta in una fase iniziale della storia, quando il
paziente diventa resistente alla castrazione si hanno problemi di ostruzione alle vie urinarie.
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Diagnosi e terapia di pazienti con LUTS (Lower Urinary Tract Symptoms)
I sintomi del basso apparato urinario vengono classificat in base alla fase del ciclo
minzionale in cui si realizzano.

Fase di riempimento.
1. U
rgenza
In italiano esiste solo il termine urgenza, mentre in inglese ce ne sono due: urge e urgency.
Urge indica uno stmolo puramente fisiologico che compare quando la vescica è piena. Se
fossimo costretti a rimanere in aula per 7 ore bevendo acqua contenente diuretco (es.
Lasix) a tutti verrebbe voglia di urinare.
Lo stmolo patologico viene detto urgency, che indica un desiderio impellente di urinare
difficile da trattenere [definizione ufficiale in inglese: “compelling desire to void difficult to
defer”]. Per esempio, la cistite (che colpisce prevalentemente le ragazze) causa uno stmolo
terrificante di urinare, ma al momento della minzione escono solo alcune gocce.
Il professore sottolinea l’importanza delle definizioni ufficiali dei sintomi, perché in base alla
definizione adottata i pazienti vengono arruolati nei trial che valutano l’efficacia dei diversi
trattamenti. Per questo motivo, diversi anni fa l’International Continence Society ha
stabilito le definizioni ufficiali dei sintomi dell’apparato urinario.
2. In
continenza
Viene definita da qualsiasi perdita di urina attraverso l’uretra. Esistono 4 tpi di
incontnenza:
1) I ncontnenza da urgenza ( u
rgency incontinence ) : preceduta e determinata dall’urgenza (definita come sopra). Lo
stmolo impellente di urinare, che colpisce prevalentemente le donne ma può riguardare
anche gli uomini, può essere associato a perdita di urine.
2) I ncontnenza da sforzo : determinata dall’incremento della pressione addominale,
dovuta ad esempio a un colpo di tosse, sollevamento di pesi ecc.
3) I ncontnenza mista : sono present contemporaneamente sia l’incontnenza da sforzo, sia
da urgenza. È una cosa piuttosto difficile da gestre perché i trattament per l’incontnenza da
urgenza non danno nessun effetto sulla componente da sforzo, mentre quelli per
l’incontnenza da sforzo peggiorano quella da urgenza, facendola venire a volte anche a chi
non ce l’ha.
4) I scuria paradossa (overflow incontnence) : caratterizza per lo più pazient con ipertrofia
prostatca, i quali vanno incontro a ritenzione cronica di urina; in questo caso la vescica è
sovradistesa e può contenere anche 3 o 4 litri di urina.
La maggior parte delle volte la ritenzione è incompleta in quanto, nonostante contenga 3
litri abbondant in vescica per via dell’ostruzione, il paziente riesce a urinare 50 ml e tra una
minzione e l’altra può perdere un po’ di urina perché la vescica è troppo piena.
In seguito a una domanda il professore conferma che l’incontinenza da sforzo è patologica.
Racconta di quando il suo ex capo, il Professor Artibani, ospite in televisione a “Elisir”, disse
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rivolgendosi alle donne anziane: “Non è normale perdere urina, è una cosa patologica e si
possono fare dei trattamenti per farlo passare”. Nei 3 anni successivi arrivarono molte donne
a farsi visitare dopo aver ascoltato queste poche parole alla tv, a dimostrazione che spesso c’è
la percezione che la perdita di urine sia una cosa normale associata all’invecchiamento,
mentre invece è patologico.
3. A
umentata frequenza minzionale diurna e notturna
Sempre secondo l’Internatonal Contnence Society si intende più di 8 minzioni
durante il giorno e 1 o più minzioni notturne (il numero normale è zero).
Per minzione notturna non si intende urinare quando fuori è buio, né se si torna alle 4
dalla discoteca e si urina prima di andare a dormire, né se ci si alza alle 4 per andare a
pesca e si urina appena alzat. La minzione notturna è quella preceduta e seguita dal
sonno.
Domanda: Quanto frequente deve essere un sintomo per essere rilevante? Per esempio, se
succede solo una volta.
Risposto: Non c’è una definizione ufficiale che determina un numero minimo di volte, è chiaro
che se un problema capita una volta e basta è improbabile che il paziente cerchi un
trattamento per la problematica.

Fase di svuotamento, mentre il paziente urina.
1. H
esitancy (o attesa minzionale) : quando il paziente urina si accorge che prima che parta
il getto intercorre un intervallo di tempo.
2. Mi
tto ipovalido: il getto è ridotto di forza, di calibro e distanza.
3. Mi
tto intermittente: il getto non è contnuo ma si interrompe e riprende più volte durante lo
svolgimento.
4. S goccialamento terminale : è abbastanza comune, indica che la parte conclusiva del
getto non si interrompe e basta ma permangono delle gocce.

Fase post-minzionale, subito dopo il termine della minzione o dopo il percepito termine.
1. S gocciolamento post-minzionale: il paziente pensa di aver finito, si piega per trarsi su
le mutande e perde qualche gocciolina.
2. S ensazione di incompleto svuotamento: il soggetto percepisce che è rimasta
dell’urina in vescica al termine dell’atto minzionale.
In questa immagine viene messa in
evidenza la prevalenza dei disturbi
nelle varie fasi. Il concetto principale è
che comunemente i pazient non
hanno un disturbo di una sola fase ma disturbi concomitant di più fasi del ciclo minzionale.
Infatti, se si prende il più paradigmatco dei pazient con ipertrofia
prostatca in cui ci si aspetta che abbia esclusivamente
sintomi della fase di svuotamento perché la patologia
determina un incrementato volume della prostata e ostruzione, nel 50% dei casi circa
avrà anche disturbi
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della fase di riempimento. Quindi spesso non ci sono disturbi di una sola fase ma disturbi
di più fasi in maniera concomitante.
Ipertrofia prostatica benigna
In una grandissima percentuale di casi i disturbi sopracitat sono dovut all’ipertrofia
prostatca.
Tale patologia in realtà non è un’ipertrofia, bensì un’iperplasia delle cellule della
componente epiteliale e stromale della zona centrale e transizionale della prostata.
Questo avviene tpicamente con l’invecchiamento, si formano dei noduli di tessuto che
vanno a comprimere da un lato il tessuto prostatco periferico e da un lato l’uretra che passa
al centro della prostata.
Non si tratta di tessuto neoformato ma sono le stesse cellule epiteliali e stromali che
diventano iperplastche. C’è probabilmente un decremento
delle apoptosi e non c’è un incremento delle mitosi,
si tratta di un tessuto “senescente”.
Spiegato in termini banali: la ghiandola aumenta di
volume e comprime meccanicamente l’uretra, il
condottino che passa all’interno dell’organo e porta
l’urina all’esterno, determinando tutti i disturbi
della fase di svuotamento facilmente immaginabili.
È una patologia con prevalenza epidemica e
molto elevata. Il grafico a lato contene dat
autoptci che indicano che il 90% degli 80enni,
l’80% dei 70enni, il 70% dei 60enni e circa il 40% dei 50enni hanno istologicamente
ipertrofica prostatca.
La prevalenza istologica è elevatssima.
Grossolanamente, anche se è difficile avere dat
attendibili, si può affermare che non tutti avranno disturbi ma solamente circa il 50%.
Quindi se il 90% degli 80enni ha ipertrofia prostatca e solo la metà ha sintomi, il 45% di
essi si recherà dall’urologo per capire come risolvere la patologia.
“Questo spiega perché gli urologi lavorano moltissimo”, è una patologia ad elevata
prevalenza di competenza quasi esclusivamente urologica.
Sindrome della vescica iperattiva, OAB (Over active bladder) o sindrome frequenza-
urgenza
Un’altra patologia che frequentemente è causa dei sintomi del basso apparato urinario che
spesso viene confusa da gente non molto informata, è la sindrome della vescica iperattiva.
Il sintomo cardine di questa patologia è l’urgency, che può essere associata a
incontinenza da urgenza (non sempre) e ad un aumento di
frequenza di minzione diurna e/o notturna.
Nella pratca quest pazient hanno una ridotta
capacità funzionale della vescica, cioè hanno
una capacità vescicale media ridotta. La vescica
non è più piccola, il più delle volte è
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perfettamente normale; valutando la capacità vescicale da addormentat con anestesia il
risultato è normale.
Il grafico mostra la prevalenza della
patologia in donne (rosa) e uomini (blu).
L’andamento

curiosamente
sovrapponibile: è una patologia che si
presenta in ugual modo in maschi e
femmine anche se l’anatomia è molto
diversa. Bisogna infatti considerare che
soprattutto negli uomini di una certa età
(lato destro del grafico) c’è il problema
dell’ipertrofia prostatca concomitante
estremamente prevalente.
La diagnosi della sindrome della vescica
iperattiva viene fatta per esclusione.
Normalmente la vescica si riempie senza contrarsi e si contrae quando si deve svuotare,
mentre le persone affette da questa patologia vanno a urinare così spesso perché ci
possono essere contrazioni del muscolo detrusore durante la fase di riempimento che
vengono avvertite come desiderio impellente di urinare (urgenza) anche a fronte di
una vescica non molto piena.
Il più delle volte la causa di queste contrazioni è ignoto, tuttavia esistono alcune condizioni
che possono determinarle:

Infezioni acute del basso apparato urinario. Dopo una settimana dal trattamento le
contrazioni passano e il sintomo scompare.

Carcinoma in situ della vescica. Importantssimo non mancare questa diagnosi

Calcolosi iuxtavescicale o intravescicale.

Patologie neurologiche: M. di Parkinson, parkinsonismi, esiti di accidenti
cerebrovascolari, lesioni traumatiche della colonna soprasacrale. In tutti quest casi
aumenta l’attività contrattile del muscolo della vescica, dovuto al danno al SNC che
normalmente ha effetto inibitorio sulla contrazione della vescica.

Se si bevono 4 litri di acqua al giorno ma non si fa l’attività fisica del calibro di una
maratona, in cui vengono persi molt liquidi tramite la sudorazione, si tenderà a urinare 4
litri. Siccome la capacità vescicale normale è circa 400-500 ml, se l’introito idrico è
partcolarmente abbondante si avrà un aumento della frequenza minzionale diurna e
notturna. È una condizione simile alla sindrome della vescica iperattiva, ma non lo è perché
la capacità vescicale non è ridotta, bensì perfettamente normale ed è incrementato il
numero delle minzioni perché è aumentata la diuresi.

Assunzione di diuretici.

Diabete mellito scompensato. Ad esempio, se il paziente ha una glicemia di 400 mg/dL
(non è frequente ma può capitare) ci sarà una perdita di glucosio con l’urina (diuresi
osmotca) e avere tutti i sintomi della OAB.

Insufficienza renale.

Diabete insipido.
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Polidipsia psicogena: è una patologia psichiatrica che porta i pazient a bere in modo
incontrollato. Vengono differenziat dal diabete insipido perché se vengono chiusi in una
stanza senza acqua, la densità delle urine incrementa (test di assetamento).
Quindi esistono anche un serie di condizioni non urologiche in cui c’è un incremento della
diuresi che può simulare la presenza della vescica iperattiva. Devono essere escluse prima
di effettuare diagnosi di vescica iperattiva.
In seguito a una domanda il professore ricorda che l’attività minzionale è di tipo colinergico e
quindi stimolata dal parasimpatico.
Domanda non comprensibile riguardo la vescica neurologica.
Risposta: La vescica iperattiva è di causa idiopatica e per diagnosticarla bisogna prima
aver escluso tutte le cause citate. Se il paziente ha il Parkinson, un parkinsonismo, esiti
ischemici o lesioni traumatiche soprasacrali i sintomi saranno presenti in modo molto
importante e quando si misurerà la funzionalità vescicale le contrazioni del detrusore
saranno molto marcate. In questo caso si avrà sindrome della vescica iperattiva neurogena,
che è una forma di vescica neurologica, però la sindrome da frequenza-urgenza propriamente
detta è idiopatica.
D.: Qual è l’attendibilità del sintomo “aumentata frequenza minzionale”? Non potrebbe essere
anche un fattore psicologico o legato alle abitudini del soggetto?
R.: Sì ma bisogna sempre attenersi alla definizione ufficiale: più di 8 durante il giorno e più di
zero durante la notte. Il motivo per cui il soggetto va per più di 8 volte viene poi indagato
durante la visita, però per definire il sintomo basta andare più di 8 volte.
L’immagine rappresenta le linee guida della Società Europea di Urologia in cui sono
rappresentate tutte le possibili cause di sintomi del basso tratto urinario nel maschio.

Ipertrofia prostatica.

Sindrome della vescica iperattiva.

Poliuria notturna: quando il
paziente urina durante le ore
notturne più di un terzo del volume
giornaliero [definizione ufficiale].
È relatvamente frequente in
moltssime patologie. Ad esempio il
paziente cardiopatco ha i piedi
gonfi (perché fa calcio antagonist o
ha segni di scompenso) e quando si
mette a letto la sera riassorbe tutto
il liquido interstziale in eccesso
come se bevesse una quanttà di
liquido pari a quella che ha
riassorbito dall’interstzio; tutto ciò
gli causa poliuria notturna e
aumentata frequenza minzionale
notturna.

Detrusor underactivity (detrusore ipocontrattile). In fasi tardive di determinate
patologie, ad esempio nell’ipertrofia prostatca, la vescica perde la sua capacità 130
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contrattile (come il ventricolo sinistro nello scompenso cardiaco congestzio) e non è più in
grado di sviluppare una contrazione detrusoriale efficace per la minzione.

Disfunzione vescicale neurologica. (In parte già accennata nella OAB, ma viene aggiunta
una precisazione.) A livello del sacro è presente il nucleo di Onufrowickz (anche detto
nucleo di Onuf), responsabile dello stmolo per la contrazione del detrusore. In caso di
lesione soprasacrale si ha sindrome da vescica iperattiva neurologica: il nucleo è integro e
la vescica si contrae in maniera eccessiva perché si sono interrotte le terminazioni nervose
inibitorie che arrivano dalle vie superiori. Se viene lesionato il sacro e il nucleo di Onuf, a
causa soprattutto da traumi stradali, la vescica sarà completamente incapace di contrarsi.
Quindi si avrà una vescica di aumentata capacità senza nessuna capacità contrattile.

Infezioni del tratto urinario: solitamente avviene un mix di tutti i vari disturbi di cui si è
parlato finora

Corpo estraneo come un calcolo o un catetere. Il prof. racconta di avere tolto pochi giorni
prima una clip che durante una prostatectomia radicale robotica ha eroso la parete ed è
finita in vescica.

Prostatiti. Un capitolo nebuloso di cui il prof. preferisce non parlare e dice di ignorarne la
presenza.

Stenosi dell’uretra. L’uretra può presentare dei restringiment lungo il suo percorso il più
delle volte su base non nota, qualche volta su base infettiva o come esito dei transit del
basso apparato urinario per effettuare cistoscopie, resezioni della prostata, resezioni della
vescica.

Carcinoma in situ della vescica: possono dare disturbi soprattutto in fase di
riempimento.

Calcolo dell’uretere iuxtavescicale: può dare sintomi nella fase di riempimento.

Altro non citato nella slide:
o Nelle donne il prolasso genito-urinario voluminoso può dare dei disturbi del basso
apparato urinario.
o Nelle donne il diverticolo dell’uretra di solito dà sgocciolamento, bruciore o fastdi
durante la minzione e dispareunia (dolore durante il rapporto sessuale).
Diagnosi
Vanno indagate tutte le cause urologiche possibili e soprattutto tutte quelle non urologiche.
Medical history
In primo luogo, serve a capire se il paziente ha una problematca del basso apparato
urinario connessa ad altri sintomi o altre problematche dell’apparato urinario. Si cercano
sintomi associat come l’ematuria; si cercano storie di pregressi trattament del basso
apparato urinario, per esempio, se il paziente ha fatto 72 cistoscopie per una neoplasia
vescicale o se ha fatto la resezione endoscopica della prostata, ha un incrementato rischio
di avere una stenosi dell’uretra. Quindi si cerca di capire se ha una storia di patologie del
basso apparato urinario che mi possa giustficare la vicenda.
Vanno identficate tutte le condizioni non urologiche medico-chirurgiche che possono
determinare sintomi; ad esempio, se ha un’ipertensione per cui fa un trattamento con
diuretci.
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Se ha diabete in trattamento ed è ben controllato di solito il paziente non dovrebbe avere
sintomi. Questo è vero finché non ha una neuropata periferica, per cui esiste un quadro che
si chiama vescica diabetca che sostanzialmente è una vescica neurologica causata dalla
neuropata diabetca. Se ha altre patologie del SNC come il Parkinson o esit di event
cardiovascolari.
Vanno indagate storie di problematche del basso apparato urinario, quindi sintomi di
ematuria, infezioni, trauma dell’uretra, stenosi dell’uretra ecc.
Qualche volta i pazient psichiatrici sono molto difficili da gestre a causa dei farmaci che
assumono che spesso possono avere un impatto sulla funzione vescicale e in linea di
massima tendono a ridurre la contrattilità del detrusore. Farmaci antdepressivi come i
triciclici possono ridurre la contrazione della vescica e può capitare di vedere pazient con
la vescica sovradistesa e incapaci di urinare.
Come misurare i sintomi?
Un metodo è lasciare parlare il paziente (solitamente anziano) per mezz’ora, poi lasciar
parlare un’altra mezz’ora la moglie e poi anche un quarto d’ora il figlio, “che di solito non sa
niente ma dice cose a caso per partecipare”. In questo modo si perde molto tempo e si ottiene
una valutazione non misurabile e non scientifica della situazione.
Un altro modo è far compilare al paziente un questonario, che è una modalità più scientfica
di misurare i disturbi perchè dà un punteggio che
consente di valutare l’andamento nel tempo e la
risposta alle terapie o alle misure in generale che
io voglio adottare. Il principale questonario è
International Prostate Symptom Score (IPSS) o
AUA Symptom Index (American Urological
Association Symptom Index), si può trovare
facilmente su Google se si ricerca “IPSS prostate
score”.
Si fa riferimento al mese precedente
all’intervento e si chiede:
-
Quante volte ha avuto la sensazione di non
svuotare correttamente la vescica?
-
Quante volte è dovuto tornare a urinare
dopo meno di 2 ore?
-
Quante volte ha avuto un getto
intermittente?
-
Quante volte ha avuto urgenza?
-
Quante volte ha avuto un getto ipovalido?
-
Quante volte ha dovuto spingere per iniziare
a urinare?
-
Quante volte ha urinato per notte?
In base alle risposte si ottiene un punteggio:
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IPSS Score
Severità dei sintomi
Descrizione dei sintomi
Poco fastdioso, flusso di urina ragionevole e
0-7
Lieve
basso volume residuo.
Fastdioso, volume residuo ridotto ma nessuna
8-19
Moderato
evidenza di complicanze.
≥20
Severo
Complicazione dell’ostruzione.
Si ottiene una misura rapida e obiettiva dell’enttà dei disturbi del paziente. Dopo il
trattamento gli viene poi rifatto il questonario; gli studi dicono che se la terapia ha
funzionato il paziente se ne accorge e si ottiene una riduzione di almeno 4 punt nello score
rispetto alla volta precedente. Se il farmaco o la scelta terapeutca è inefficace si avrà un
punteggio uguale a quello di prima o anche peggiore. È un metodo rapido, utle, misurabile e
riproducibile per valutare l’efficacia dei trattament.
Questo è uno studio epidemiologico
importantssimo che fa riferimento alla co-
prevalenza dei disturbi del basso apparato
urinario e dei disturbi della sfera sessuale.
Significa che un paziente 50enne (a sinistra del
grafico) che ha disturbi rispetto all’IPSS di
grado SEVERO, avrà il 50% di probabilità di avere un deficit erettile concomitante. Se
invece fosse 60enne con IPSS SEVERO il deficit
erettile concomitante è 60%, mentre se è
70enne diventa un pochettino più basso
perché molt di essi sono completamente
inattivi e non riferiscono mancanza di erezione
perché non pratcano.
Quindi in questa categoria di pazient c’è una
problematca celata ma altamente prevalente che è il deficit erettile concomitante. È
importante perché spesso il paziente arriva con un sintomo e non riferisce altre
problematche ( perché magari c’è la moglie, perché non c’è la moglie, perché ha interesse con
terze persone, perché è timido, perché il medico è donna o per altri motivi), per cui il medico
deve essere bravo a riuscire a trargliele fuori.
Inoltre, è importante perché qualsiasi trattamento farmacologico o chirurgico viene fatto
per i sintomi del basso apparato urinario ha un impatto sulla sfera sessuale del paziente.
Siccome c’è un po’ di margine di scelta nei vari trattament, è importante sapere se il
paziente ha un deficit erettile concomitante e se ha interesse generale nell’attività sessuale.
Se non ha interesse perché è anziano, posso dargli qualsiasi cosa e non ha importanza; se
ha interesse nell’attività sessuale e non ha un deficit erettile non voglio causarglielo io con
le mie terapie; se ce l’ha già voglio dargli un farmaco che può aiutare anche su quel
versante. Ad esempio, l’inibitore del 5-alfa-reduttasi può causare un deficit erettile che se
ce l’ha già potrà peggiorare ulteriormente.
Quindi è importante perché spesso è un problema celato che spesso non riferiscono di
primo acchito e perché impatta sulla funzione erettile anche in chi non ha nulla. Inoltre,
esiste qualche 133
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margine in terapia per eventualmente fare un trattamento che possa avere un impatto
positvo su quella problematca.
Come misurare la funzione erettile?
Si utlizza un altro questonario inttolato
IIEF-5 Score
Severità dei sintomi
International Index of Erectile Function (IIEF-
5), che fa riferimento all’attività sessuale degli
22-25
Funzione erettile normale
ultmi 6 mesi.
17-21
Lieve disfunzione erettile
La logica è sempre la stessa, è rapido e dà un
punteggio che consente di misurare la
12-16
Da lieve a moderata ED
problematca del paziente. Anch’esso è
8-11
Moderata ED
responsivo alla terapia, quindi se la risposta
alla terapia è migliore lo score sarà migliore.
<7
Severa ED
Esame obiettivo
Come è per la neoplasia prostatca, si fa sempre l’esplorazione rettale
che serve per avere
grossolanamente un’idea del volume della prostata.
Se sospetto una patologia neurologica si può fare al maschio il riflesso bulbo-cavernoso e
alla femmina il clitorideo-cavernoso (“prima glielo spiego e poi glielo faccio”). Per valutare
il riflesso bulbo-cavernoso si mette il dito indice nel retto del paziente e l’altra mano strizza
il glande. Se è neurologicamente integro, almeno a livello
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periferico, in seguito allo schiacciamento del glande con il dito indice si percepisce una
contrazione dello sfintere anale. Nella donna invece si comprime il clitoride; se il paziente è
cateterizzato si strattona il catetere. Questo può dare un’idea dell’integrità del sistema
neurologico periferico del paziente. Se si strizza il glande e non si ottiene nessuna
contrazione dello sfintere anale significa che potrebbe avere una patologia neurologica
periferica e avere impatto sulla funzione del suo apparato urinario. Si effettua solo se si
sospetta una patologia neurologica.
Ritenzione vescicale
Quest’immagine mostra una ritenzione urinaria cronica. È una vescica sovraestesa, alla
percussione il suono è ottuso e ha convessità rivolta verso l’alto.
A vederlo così potrebbe sembrare ascite; la differenza è che l’ascite è in cavità peritoneale e
non è un organo chiuso, quindi quando il paziente si gira la morfologia dell’ottusità cambia,
mentre dentro la vescica il suono resta sempre uguale.
Ci sono due tpi di ritenzione urinaria: acuta e cronica, sono entrambe quasi sempre dovute
all’ipertrofia prostatca.
Nella ritenzione urinaria acuta la vescica si è distesa nell’arco di poche ore: fino al mattino
il paziente urinava e poi corre in pronto soccorso con la vescica piena. Tuttavia, avrà
volumi urinari modest come 600 ml, 800 ml o 1 litro in casi partcolari. Il paziente ulula dal
dolore perché si è distesa nell’arco di poche ore e ha un dolore terrificante.
Nella foto il rigonfiamento arriva due tre dita sotto l’ombelico e si tratta di una ritenzione
urinaria cronica che si sviluppa in maniera subdola nell’arco di settimane o mesi. La
vescica è partcolarmente sovradistesa contenente diversi litri di urine (3 o 4 litri). Il più
delle volte può esserci anche uretereidronefrosi bilaterale, cioè dilatazione delle alte vie
urinarie e come conseguenza di quest’ultma condizione può presentarsi un’insufficienza
renale. In caso di ritenzione acuta il paziente ulula pur avendo una vescica poco piena
perché si è distesa in poco tempo, mentre in caso sia cronica è tranquillo e non si lamenta;
tpicamente è incompleta, cioè ogni mezz’ora urina 50 ml ma dentro restano 3 o 4 litri. Il più
delle volte non è associata a dolore e può essere associata all’overflow incontinence,
ovvero tra una minzione e l’altra c’è perdita di urina. Dal punto di vista fisiopatologico la
ritenzione cronica è un’ostruzione inveterata della vescica, il più delle volte causata da
ipertrofia prostatca. Il paziente cronico che non ulula e sta zitto è molto più pericoloso e
grave.
Nella ritenzione acuta il paziente ha molto male, si mette un catetere, si svuota tutta la
vescia e il paziente si sente immediatamente sollevato perché il dolore passa
istantaneamente. Sembra grave perché ulula dal male, ma non lo è poichè si è sviluppata
nell’arco di poche ore. Il catetere lo si lascia inserito per una settimana, lo si tratta
farmacologicamente con alfa bloccante (uno 135
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dei farmaci standard per l’ipertrofia prostatca) e può andare casa. Dopo una settimana,
tornerà per provare a togliere il catetere. Se urinerò , contnuerà la terapia ed il programma
di controlli.
Se non urinerà verrà avviato a chirurgia disostruttiva o, in casi partcolarmente anziani, a
mantenere il catetere a dimora.
In caso di ritenzione cronica l’iter è totalmente diverso. Se si riesce a identficare questa
condizione la cosa migliore da fare è non toccarlo assolutamente e mandarlo dall’urologo.
L’errore più tpico e pericoloso che si può fare in quest casi è mettere il catetere, svuotare 4
litri nel giro di 5 minut e chiamare l’urologo. Nel caso in cui il paziente viene visto
direttamente dall’urologo si procede nel seguente modo:
1. Viene fatto un tentatvo gentlissimo di cateterizzazione trans-uretrale. L’uretra è
tpicamente colonizzata da batteri, se il paziente ha questo tpo di vescica e tutta la via
escretrice dilatata bilateralmente con il catetere si fanno risalire i batteri dall’uretra e si
rischia di infettare l’alto apparato urinario, azione che può essere mortale. Un tempo non
c’erano antbiotci congrui, per cui non si tentava nemmeno a metterlo uretrale ma si
metteva un catetere sovrapubico facendo un buco sull’addome. Ora che ci sono gli
antbiotci almeno un tentatvo molto gentle di cateterizzarlo per uretra si fa, se passa al
primo tentatvo bene, altriment si desiste e si mette il catetere sovrapubico.
2. Non si svuota tutto perché è una vescica che è stata distesa per mesi, se si trano fuori
tutti e 5 i litri in 5 minut comparirà ematuria ex vacuo e sanguinerà in maniera
terrificante (“una delle ematuria più terribili che io abbia mai visto”), pertanto andrà
svuotata piano piano. Di solito si mette il catetere sovrapubico o trans-uretrale, si svuotano
500 ml subito e poi si attacca il gocciolatore della flebo per svuotarlo a 250 ml/h nel giro di
due o tre giorni.
3. Nel momento in cui lo svuotamento è terminato completamente, se il paziente è stato
ostruito per mesi ha avuto un danno della funzione renale. I reni, una volta rimossa
l’ostruzione tramite il catetere, non saranno sempre in grado di funzionare in maniera
appropriata istantaneamente. Può capitare che ci sia poliuria post-ostruttiva in cui il rene
filtra grandi quanttà di urina senza riuscire a concentrarla adeguatamente. L’urina sarà m
olto abbondante e i sosostenurica , il che è estremamente pericoloso perché possono
avere delle problematche di equilibrio volemico ed elettrolitco e di disionemie
potenzialmente anche mortali.
Per cui bisogna stare attentssimi ai bilanci elettrolitci e alla condizione di disionemia una
volta che si ha finito di svuotarlo. Quindi trattando quest pazient c’è il rischio di ucciderli
per problemi di sepsi o poliuria post-ostruttiva e disionemia. Per tali motvi nel migliore dei
casi stanno ricoverat per 3 o 4 giorni, mentre quelli con ritenzione acuta vengono mandat a
casa dopo pochi minut.
4. A differenza del paziente con ritenzione acuta a cui viene dato l’alfa litco e dopo una
settimana si prova a togliere il catetere, in questo caso se si toglie il catetere dopo una
settimana tornerà ad avere nuovamente ritenzione. In questi pazienti il catetere non si
può togliere. La scelta terapeutca è di lasciare il catetere per 2/3 mesi da sosttuire
periodicamente e dopo andrà studiato dal punto di vista funzionale per vedere qual è la
capacità contrattile residua del suo detrusore. Il motvo è che potrebbe essere nella fase tpo
scompenso cardiaco congestzio in cui la capacità contrattile del detrusore è zero, quindi in
linea di massima non urinerà mai più spontaneamente, oppure se è fortunato può avere
una capacità contrattile residua, sebbene sia danneggiata. In caso abbia ancora capacità
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contrattile lo si può candidare a chirurgia disostruttiva in modo da poter rimuovere
l’ostruzione e se la capacità contrattile è buona potrà tornare a urinare.
Il più delle volte vengono operat lo stesso perché non c’è un trattamento farmacologico
garantto, si spera di rimuovere l’ostruzione il più possibile.
D.: Ci possono essere casi di rottura vescicale?
R.: Sì la rottura vescicale è di solito una evenienza traumatica tipicamente quando avviene il
trauma a vescica piena, di solito questo è il motivo per cui scherzando si dice sempre di
urinare prima di mettersi al volante, perché se ti rompi la vescica quando è piena avrai una
rottura intraperitoneale in cui l’urina riversa nel peritoneo ed è molto più pericolosa e
difficile da gestire, nella pratica finisci esplorato chirurgicamente. Se il trauma è a vescica
vuota è extraperitoneale il buco sarà più piccolo e avrà meno conseguenze.
Per concludere, se un paziente arriva in PS ululando gli si può mettere il catetere senza
problemi tanto non è grave anche se fa scena perché fa male, mentre se è tranquillo e ha 4
litri di urina in pancia non vanno toccat e vanno spedit immediatamente in urologia.
Disturbi del basso apparato urinario
Il professore continua la lezione precedente sui disturbi del basso apparato urinario (LUTS)
Le
Frequency-Volume charts, o
Diari
minzionali, servono per registrare in maniera
accurata il numero di minzioni di cui il
paziente necessita durante il giorno e la notte
e soprattutto la capacità vescicale, cioè quante
urine emette ad ogni minzione, misurandole in
un contenitore graduato. Esistono dei moduli
precompilat, ma si può usare un foglio di
carta bianco su cui si riporta l’orario della
minzione e la quanttà emessa volta per volta.
È utle sostanzialmente quando il paziente ha
dei disturbi di riempimento, cioè quando dal
questonario (IPSS) emerge che ha urgenza o
elevata frequenza minzionaria diurna e
notturna. E’ uno strumento molto utle ed
economico, perché consente di distnguere i
pazient che presentano quest sintomi per
una problematca vescicale, caratterizzat da
capacità media vescicale ridotta, da pazient
con capacità media vescicale normale ma con necessità di frequente minzione diurna e
notturna per, ad esempio, eccessivo introito idrico, diabete insipido, uso di diuretci o
situazioni simili.
L’indicazione tpica è il paziente con disturbi di riempimento: si contano il numero di
minzioni diurne e notturne, la capacità vescicale media massima e la diuresi. Il parametro
più importante 137
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è la capacità vescicale media, che suggerisce l’eventuale presenza di una patologia
vescicale. Di solito i moduli precompilat sono più ricchi (è chiesto di indicare anche il
numero di episodi di urgenza, di incontnenza ecc) ma, secondo l’esperienza clinica del
professore, generalmente quest pazient sono anziani, quindi si cerca di rendere loro il
lavoro il più semplice possibile. Ci sono una serie di studi volt a valutare l’efficienza cinica
del diario in base alla durata in giorni in cui viene tenuto e si è notato che, in linea di
massima, il bilancio ottimale è di 3 giorni: se viene scritto per 7 giorni non fornisce
informazioni aggiuntve, se per 2 è meno accurato.
Esami diagnostici
Dopo aver visitato il paziente, raccolto i sintomi con il questonario ed eseguito
l’esplorazione rettale, bisogna indicare gli esami diagnostci da svolgere:
1. Esame delle urine
E’ la prima cosa da fare, perché permette di avere numerose informazioni utli. Si ricercano:
ꟷ Leucocituria o presenza di nitrit indice di infezioni;
ꟷ Glicosuria e chetonuria per evidenziare eventuali forme di diabete mal controllato;
ꟷ Densità e peso specifico per capire quanto il paziente beve.
2. Imaging
La seconda cosa, anche se non sempre obbligatoria secondo le linee guida, è un’ecografia
renale-vescicale-prostatica (sovrpubica), che viene sfruttata per valutare:
ꟷ Morfologia vescica
ꟷ Eventuale presenza di patologie come calcolosi e neoplasia vescicale
ꟷ Il volume prostatico, anche se per questo sarebbe sufficiente un’ecografia transrettale.
Ci sono degli studi che correlano lo spessore della parete vescicale con il grado di
ostruzione che il paziente può presentare: se il paziente è ostruito, la vescica e il muscolo
detrusore possono presentarsi più inspessit. Di per sé è un parametro poco utle, però ci
sono delle terapie volume-dipendent come quella che prevede l’uso degli inibitori della
5α-reduttasi, attuate solo se il volume prostatco è maggiore di 40g, o la resezione
chirurgica transuretrale, che non si può fare per qualsiasi volume prostatco perché, se la
prostata fosse gigantesca, richiederebbe un intervento di resezione troppo lungo. Il limite
in questo caso è posto all’incirca sui 100g. Quando si è a limite con quest valori l’ecografia
transrettale può essere utle per indicare la resezione transuretrale o altri tpi di intervent.
ꟷ Il residuo post-minzionale (PVR), cioè la quanttà di urine che rimangono nella vescica
a fine minzione, confrontando il volume di urina a vescica piena e quello dopo la minzione.
Non è un parametro molto attendibile a causa dell’elevata variabilità intra ed inter-
individuale, però è utle quando si teme che il paziente volga verso la situazione di
ritenzione cronica delle urine, situazione molto pericolosa. Il PVR può essere significatvo
ed indice di una vescica che si sta avviando a diventare ipocontrattile per ristagni
abbondant. Quindi bisogna contestualizzare il dato in base al paziente: in linea di massima,
se si trovano 50-100ml di residuo in una persona asintomatca, il dato viene ignorato; se
invece un paziente presenta sintomi al basso apparato urinario ed un progressivo aumento
della quanttà di residuo che si avvicina a 150-200ml, allora questo è 138

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un proxy (indicatore) di una vescica che si avvia a diventare ipocontrattile. È una
condizione che si vuole evitare assolutamente, perché è simile allo scompenso cardiaco
congestzio conclamato: in questa condizione, può darsi che il muscolo detrusore abbia un
danno tale che, qualsiasi intervento venga messo in atto, il paziente non riesca a
recuperare.
La valutazione del residuo post-
minzionale si può fare con
cateterizzazione al termine della
minzione, ma per il paziente è molto più
scomodo che poggiare la sonda
ecografica sulla pancia.
In gergo ecografico nero si dice
transonico ed evidenzia i liquidi, quindi
vescica e urine; il bianco è detto
iperecogeno.
Nell’immagine a destra si vede il fondo
della vescica su cui sono depositati dei
calcoli vescicali, considerati indicatori di
un’ostruzione cervico-uretrale, quindi
non migrati dall’alto apparato urinario, ma formatisi in loco come conseguenza del ristagno
urinario per scorretto svuotamento della vescica.
D: Come si distinguono i calcoli da un eventuale neoplasia?
R: Il calcolo non è vascolarizzato.
D: C’è differenza tra transonico ed anecogeno?
R: No, sono sinonimi.
D: In seguito alla minzione la vescica è completamente vuota?
R: Teoricamente la vescica dovrebbe svuotarsi al 100%, ma è considerato normale un minimo
residuo (50-100 ml in pz asintomatico).
3. Dosaggio del PSA
Viene fatto solo nei pazient in cui la diagnosi di neoplasia prostatca può cambiare le
decisioni terapeutche (situazione abbastanza rara) e con almeno 10 anni di aspettatva di
vita. Il PSA si altera in tutte le patologie prostatche, tra cui neoplasia, infiammazione ed
ipertrofia. Ci sono degli studi in cui, nei pazient con ipertrofia prostatca, si correlano i
valori di PSA con il volume prostatco e la storia naturale della malattia. Si è scoperto che un
v alore di PSA maggiore di 1
,5
n
g/mL è un proxy di volume prostatco elevato , ed identfica pazient che sono a maggior
rischio di peggioramento dei sintomi e di necessità della chirurgia o di cateterizzazione per
ritenzione urinaria. Quindi fondamentalmente si controlla il PSA per escludere la neoplasia
prostatca, poi il trovare un determinato valore può essere utle per capire come sarà la
storia dell’ipertrofia prostatca nel paziente. Valori molto bassi, inferiori a 1,5 ng/mL,
indicano una prostata piccola e basso rischio di peggioramento della sintomatologia
durante il follow-up, con scarsa probabilità 139

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di aver bisogno di terapie chirurgiche, mentre valori maggiori di 1,5 ng/mL indicano
pazient con prostate più grandi e alto rischio di peggioramento dei sintomi. Il dosaggio del
PSA è un messaggio di marketng usato dalle case farmaceutche che producono gli inibitori
della 5α-
reduttasi perché, a pazient con PSA>1,5 ng/mL, veniva suggerito di somministrare quest
farmaci efficaci nel ridurre il rischio di progressione della patologia. Nella pratca non viene
quasi mai svolto.
4. Uroflussometria
E’ l’esame più inutle dell’urologia. Si chiede al paziente di urinare in un contenitore
graduato e si calcola la velocità di minzione. È un ottimo esame di screening per escludere
disfunzioni del basso apparato urinario, che permette di distnguere situazioni normali da
quelle anomali, ma senza chiarirne le cause. Come esame diagnostco per LUTS è modesto
perché il paziente ha già lamentato disturbi minzionali e compilato il questonario per
quantficarne l’enttà , e questo esame non permette di distnguere se il paziente urina male
perché è ostruito o meno.
Nell’immagine in alto, a sinistra si vede un tracciato flussimetrico normale, in cui è
indicata la velocità di flusso con un andamento a campana, che si può ritrovare in paziente
con cistte, ma senza disturbi del basso apparato urinario. A destra è il tracciato anormale
che si osserva in un paziente con ipertrofia prostatca: la curva è molto più lunga ed il picco
molto più basso, perché urina più lentamente e per più tempo. Questo esame però , come
già detto, non distngue il paziente con vescica ipocontrattile da quello con ostruzione.
Quindi ricapitolando come esame di screening funziona molto bene perché quando il
tracciato è normale il paziente non presenta alterazioni nella dinamica del basso apparato
urinario. Mentre quando arrivano pazient con LUTS con alterazioni della funzionalità del
basso apparato urinario, la maggior parte di essi saranno ostruit ed una minima parte
presenteranno ipocontrattilità .
L’uroflussometria però non consente di distnguere gli uni dagli altri perché, in entrambi i
casi, il tracciato sarà simile a quello di destra.
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In immagine si riportano i Nomogrammi di Liverpool, che presentano in ascissa il volume
vuotato ed in ordinata il picco di flusso massimo: dal punto in cui si incrociano si intuisce se
il paziente ha pattern normale o inferiore alla norma.
Nell’uroflussometria un altro problema è che spesso il paziente non riesce ad urinare in
ambulatorio nella stessa maniera con cui lo fa a casa, perché la situazione è innaturale ed
entrano in gioco fattori psicologici.
D: Non è possibile dare il contenitore graduato a casa?
R: No, perché non bisogna vedere solo quanto ha urinato, ma anche la velocità con cui urina
Nella pratca questo esame viene usato pochissimo perché crea problemi, piuttosto che
risolverli. La scelta di trattare i pazient è sulla base dei sintomi, non del dato ottenuto con
l’uroflussometria.
5. Studio pressione-flusso
È l’esame che permette di capire con certezza se il paziente è ostruito o meno. Nella pratca
clinica è un esame di secondo livello, perché invasivo: si mette un piccolo catetere
all’interno della vescica per riempirla e misurare la pressione endovescicale e un altro nel
retto per misurare la pressione endoaddominale, collegandoli ad una macchina che
infonde liquido all’interno della vescica per simularne il riempimento. La vescica è un
organo endoaddominale, quindi, se il paziente ha un colpo di tosse, si verifica un aumento
della pressione sia all’interno della vescica che nel retto; quando invece si contrae il
muscolo detrusore della vescica, si verifica solo un aumento della pressione vescicale.
L’entità della contrazione del muscolo detrusore è quantficabile con la differenza tra la
pressione endovescicale e rettale.
Si esegue in determinat casi:
1. Paziente molto giovane (meno di 50 anni), perché si abbassa notevolmente la probabilità
epidemiologica di ipertrofia prostatca;
2. Paziente molto anziano (più di 80 anni), perché ha un rischio elevato di aver avuto
un’ostruzione e aver sviluppato ipocontrattilità detrusoriale; 3. Pazient con residui post-
minzionali (PVR) molto significatvi, con valori maggiori di 300mL;
4. Pazient in cui si sospetta un danno neurologico a seguito di trauma, ictus, SLA; 141

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5. Pazient che hanno subito una pregressa chirurgia o radioterapia pelvica, perché possono
essere situazioni in cui la vescica è denervata per effetto di precedent trattament;
6. Quando i trattament invasivi sono stat inefficaci, quindi il paziente presenta disturbi
permanent, per valutare se il trattamento è stato fatto male o c’è un danno al detrusore.
D: Nello studio di pressone flusso si introducono due cateteri, ma come fanno a rilevare la
pressione?
R: C’è un rilevatore di pressione sulla punta.
Nel tracciato normale sotto-riportato:
1. La linea blu registra la pressione endovescicale all’interno della cavità vescicale; 2. La
linea rossa registra la pressione endoaddominale, all’interno del retto; 3. La linea verde
misura la differenza tra blu e rosso, l’entità della contrazione del detrusore; 4. La linea
viola indica il volume infuso;
5. La linea gialla rispecchia il volume urinato.
Durante il test mentre si riempie la vescica, si chiede al paziente di tossire per verificare
che la rilevazione funzioni regolarmente. In un paziente sano durante un colpo di tosse, la
pressione endovescicale deve essere uguale a quella registrate nel retto, con pressione
differenziale pari a 0. La linea verde quindi rimane piatta fino a che il paziente non riferisce
il bisogno di urinare e gli viene dato l’ordine, inducendo quindi la contrazione del muscolo
detrusore, che viene rilevata nel grafico. In base a quest valori il nomogramma dice se il
paziente è ostruito, ipocontrattile o altro. Dal grafico riportato si vede un flusso ottenuto di
circa 15 ml/s e la pressione di circa 80-90 cm H2O, normali.
Il tracciato in basso invece riporta il caso di iperattività detrusoriale, in cui durante la
fase di riempimento si osserva un incremento della contrazione del muscolo detrusore e
della pressione endovescicale, a fronte di una pressione addominale stabile. Questa
contrazione è avvertta dal paziente come urgenza ed è alla base della sindrome della
vescica iperattiva.
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Mentre nel tracciato precedente la Pdet ( linea verde) era sempre piatta finché il paziente
non urinava, in questo grafico si verifica una contrazione nella fase di riempimento. Data
l’enttà della contrazione di circa 30-35 cm H2O, questa è quasi sempre una iperattività
detrusoriale idiopatca perché la pressione è modestamente bassa.
Il tracciato riportato in basso presenta invece il caso di un’ostruzione, in cui la pressione
detrusoriale è molto elevata (circa 70-80 cm H2O) ma il flusso è scarso (circa 7-8 ml/s).
Quando il flusso scarso si ottiene senza un aumento massivo della Pdet, si identfica
un’ipocontrattilità.
L’operazione chirurgica è indicata in caso di ostruzione, mentre in caso di ipocontrattilità
detrusoriale l’intervento risolve l’ostruzione, ma egli non urinerà comunque
adeguatamente a causa del deficit del muscolo detrusore. Questo metodo è utle per capire,
prima di un’operazione, l’esito dell’intervento, permettendo al chirurgo di risparmiare
l’operazione in un soggetto con ipocontrattilità , che verrà indirizzato verso un altro tpo di
trattamento.
Questo è il nomogramma di Shafer dove si grafica il flusso massimo (Qmax) e la Pressione
detrusoriale al flusso massimo (PdetQmax) per stabilire il grado di contrattilità della
vescica e di ostruzione cervicouretrale.
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Nell’esempio di prima. Qmax 7-8 ml/sec, PdetQmax 70-80. Si tracciano le linee, il punto di
incontro è in Classe III-IV di ostruzione (che vuol dire molto ostruito) ed in classe N- di
contrattilità (che vuol dire lievemente ridotta)
D: Se il pz ha sia un’ipocontrattilità che ostruzione, si può vedere?
R: Si, ma non con certezza assoluta. Sono pazienti che vanno un po’ meno peggio rispetto agli
altri. A livello di prognosi, quelli che vanno meglio di tutti sono gli ostruiti con detrusore
valido, mentre i messi peggio sono i non ostruiti con deficit del detrusore. In mezzo sono posti
i soggetti che presentano sia ostruzione, che ipocontrattilità.
D: Se un paziente è ipocontrattile e ha dunque un detrusore insufficiente, come posso
intervenire?
R: Non ci sono farmaci che ridanno tono al muscolo, quindi l’unica alternativa è la
cateterizzazione. Esiste la neuro-modulazione sacrale, ma è la peggiore in assoluto.
D: È l’unico modo che ho per diagnosticare l’iperattività detrusoriale?
R: Sì, ma non sempre serve, perché la diagnosi di sindrome della vescica iperattiva è clinica
non urodinamica, perché nel 90% dei casi si riscontra l’onda di contrazione anomala mentre
nel 10%
del soggetti no. In tutti i trials randomizzati che hanno valutato i diversi trattamenti, i
pazienti erano raggruppati sulla base della definizione clinica dei sintomi e non sulla base
della valutazione urodinamica. La pressione endovescicale è importante perché permette di
discriminare i pazienti non neurologici da quelli neurologici , in cui bisogna far di tutto per
evitare il danno renale, che può essere causato da questa pressione.
Il professore mostra un altro tracciato di paziente ostruito, con flusso bassissimo e Pdet che
l’ha determinato altissima.
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Trattamento
Una volta inquadrato il paziente con il questonario, l’esame obiettivo e gli esami diagnostci,
si deve decidere chi trattare: nella pratca, la logica è di trattare pazient con disturbi
fastdiosi o con complicanze. L’ultma domanda del questonario IPSS riguarda la qualità
della vita a seguito del disturbo e, in base a questa, si può avere un’idea circa l’impatto
dell’alterazione minzionale sulla vita del paziente. L’enttà dei disturbi minzionali di per sé
non si traduce in un uguale impatto sulla qualità della vita e l’obiettivo è di trattare,
dunque, pazient infastdit dal disturbo minzionale, o che presentano complicanze. Il
trattamento è funzionale a migliorare i disturbi e l’impatto di quest sulla qualità della vita.
La seconda indicazione per il trattamento è di puro marketng: si trattano i pazient per
ridurre la probabilità che essi presentno nel tempo un peggioramento dei sintomi e la
necessità di chirurgia o di cateterizzazione in futuro.
Possono essere trattat quindi per il sintomo o per prevenire event futuri.
La terapia prevede:
1. Misure comportamentali
Uno studio dimostra che queste misure comportamentali hanno un impatto in termini di
miglioramento del questonario di circa 6 punt, esattamente la stessa enttà ottenuta con
terapie farmacologiche. Inoltre non hanno effetti collaterali e non costano. Queste
prevedono:

Riduzione dell’introito idrico;

Evitare bevande come caffè, thè, birra perché hanno un effetto diuretco, anche se
leggero;

Bladder retraining in caso di sindrome della vescica iperattiva: si spiega ai pazient che
l’urgenza alla minzione è dovuta ad una contrazione del muscolo detrusore che dura circa
30-60 secondi, al termine dei quali l’urgenza passa. Quindi si insegna loro a stringere i dent
per quei pochi secondi quando hanno lo stmolo, consentendo di allungare l’intervallo tra
una minzione e l’altra;

Evitare farmaci che possono avere impatti sul basso apparato urinario come diuretci e
triciclici.
Nelle persone non soddisfatte delle misure comportamentali si può iniziare la terapia
farmacologica, e quando questa non dà benefici o il paziente presenta complicanze si può
passare alla terapia chirurgica.
2. Terapia farmacologica
Le principali terapie a disposizione sono:
1. Monoterapia con α-bloccant
2. Monoterapia con inibitori della 5-αreduttasi
3. Combinazione di α-bloccant e inibitori della 5-αreduttasi 4. Antcolinergici in
monoterapia o in combinazione con l’α-litco (vescica iperattiva) 5. Fitoterapici: estratti
vegetali, fitoestrogeni con scarsa efficacia e scarsi effetti collaterali, che possono essere
utlizzat in monoterapia o in combinazione con l’α-litco 6. Inibitori delle PDE5, di cui è stato
approvato solo il Tadalafil al dosaggio di 5mg, solitamente in monoterapia.
Da uno studio epidemiologico di qualche anno fa emerge che il 70% dei pazient usa l’alfa-
litco, il 25% l’inibitore della 5-α reduttasi, il 10% i fitoestrogeni. Il totale è più del 100%
perché alcuni 145

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pazient usano più di un farmaco. Ad esempio, i fitoterapici vengono utlizzat da soli o in
associazione con un α-litco.

Alfa-bloccanti
I principali alfa-bloccant in commercio sono:
o Alfusosina
o Doxazosina
o Tamsulosina
o Terazosina
o Silodosina
Sono inibitori dei recettori α-1 adrenergici, localizzat nel muscolo detrusore, nel collo
vescicale e probabilmente nella prostata. L’efficacia dei diversi farmaci è simile, ma i più
utlizzat sono Tamsulosina, Alfusosina e Silodosina. In seguito alla terapia ci si aspetta una
riduzione del IPSS di circa 5-6 punt. Lo score della qualità della vita migliora di circa un
punto e migliora il flusso massimo di circa 2-3 ml/s. Quindi l’efficacia non è altssima, ma è
sostenuta nel tempo poiché la durata della risposta è circa di 3 anni.

I vari farmaci differiscono tra loro per gli effetti collaterali, che sono sostanzialmente due:
ꟷ Ipotensione ortostatica, più comune con Alfusosina e Doxazosina. Quest farmaci
potrebbero non essere indicat per il paziente anziano, a cui si somministra piuttosto la
Tamsulosina o ancora meglio Silodosina che è il farmaco più nuovo e più uroselettivo, che
dà ipotensione ortostatca in una percentuale di casi bassissima.
ꟷ Disfunzione eiaculatoria, più comune con Silodosina. Questo farmaco è quindi
sconsigliato per i pazient giovani a cui si preferisce somministrate Alfusosina, che dà il
minor numero di queste disfunzioni.
Perciò si utlizzerà la Silodosina in un paziente anziano, non sessualmente attivo, che quindi
non risentrà dell’effetto della disfunzione eiaculatoria e allo stesso tempo non subirà
l’effetto dell’ipotensione ortostatca. Mentre nel giovane utlizzerò un farmaco che non abbia
l’effetto della disfunzione sessuale. La Tamsulosina è una via di mezzo.
Il professore mostra una metanalisi sull’efficacia comparatva dei diversi alfa-bloccant, in
cui si conferma che la differenza principale sta non nell’efficacia ma negli effetti collaterali.
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Quest farmaci sono utlizzabili indipendentemente dal volume della prostata e agiscono
dopo pochissimi giorni: il paziente si accorge del beneficio nel giro di due/tre giorni. Il
professore tratta i pazient quasi sempre in monoterapia con α-bloccant, come da
raccomandazioni di quasi tutte le linee guida.
 Inibitori della 5-alpha reduttasi
La 5-α-reduttasi è un enzima che converte il testosterone in diidrotestosterone, la forma
attiva intraprostatca. Esistono due enzimi di questo tpo uno localizzato a livello prostatco e
l’atro è ubiquitario.
Gli inibitori della 5-α reduttasi sono essenzialmente due con efficacia simile: o Finasteride,
che agisce sull’enzima intraprostatco
o Dutasteride che inibisce entrambi gli enzimi.
A differenza degli α–litci, quest farmaci in monoterapia si usano solo in caso di prostate
voluminose, superiori a 40g e per dare beneficio al paziente impiegano mesi.
Per anni ci si è chiesto se la terapia combinata fosse migliore delle monoterapie, poiché
c’erano studi discordant. Il quesito è stato valutato dallo studio MTOPS che ha
randomizzato 3000
pazient in terapia per 4 anni con solo α-litco o con solo inibitore della 5- α reduttasi, con
entrambi o con il placebo. Lo studio ha definito il rischio di progressione con un insieme di
sintomi diversi: i progredit nel 60% dei casi avevano un peggioramento dei sintomi di
almeno 3
punt di IPSS, con necessità di chirurgia, incontnenza, insufficienza renale; mentre la
maggior parte dei pazient ha sviluppato un lieve peggiorament dei sintomi. L’endpoint
primario è quindi rappresentato nel 60% dei casi da un peggioramento di 3 punt dell’IPSS.
Lo studio ha dimostrato che la combinazione dei due farmaci dà un rischio di progressione
degli effetti avversi più basso rispetto alle monoterapie, che a loro volta danno un beneficio
maggiore del placebo. Nonostante questo studio il professore non prescrive la
combinazione dei farmaci perché bisogna considerare un dettaglio importante dello studio,
ovvero la scala. Infatti il rischio di progressione con end-point benigno dei pazient trattat
con placebo è del 20% a 4 anni.
Dando il farmaco dimezzo il rischio, dal 20 al 10%. Dando entrambi i farmaci passo dal 20
al 5%.
Quindi la terapia è efficace nel ridurre un rischio che è tutto sommato banale e poco
frequente.
Cioè, la probabilità basale del paziente di sviluppare il rischio è bassa e quello che prevengo
non è qualcosa di grave o disabilitante ma è un peggioramento del’IPSS di 3 punt.
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Per tradurre le parole in numeri, il fatto che l’evento sia poco frequente comporta che il
numero di pazient che devo trattare per prevenire l’evento è molto alto: devo trattare 51
pazient per 4
anni per evitare che uno solo finisca in pronto soccorso per ritenzione acuta di urina.
Questo dato non è evidentemente accettabile perché tratto inutlmente 50 pazient. Quindi la
terapia di combinazione viene utlizzato solo per pazient con prostate voluminose (sopra i
40 g) e a lungo termine.
Lo studio COMBAT, che ha valutato l’efficacia della terapia di combinazione nel tempo, ha
dimostrato che nei primi 9 mesi di trattamento la combinazione con la 5- α reduttasi non
conferisce un beneficio clinico al paziente rispetto all’α-litco in monoterapia. Il beneficio
clinico è modesto e dopo tanto tempo. Quindi se do questa terapia è perché ho un paziente
molto anziano, con prostata grande, che non si opererà mai perché ha molte comorbidità .
Devo comunque portare avant la terapia nel tempo, perché nei primi 9 mesi l’efficacia sarà
uguale a quella del solo α-litco.
Il tempo medio di terapia dell’inibitore della 5-α reduttasi in Europa è 6 mesi, il che
significa che i pazient non la seguono correttamente, dato che sarebbe un tpo di
trattamento a lungo termine. I benefici si vedono dopo almeno 9 mesi, nei quali il paziente
avrà però gli effetti collaterali del trattamento. Il motvo per cui la durata media del
trattamento è di 6 mesi è che la terapia ha un impatto significativo sull’attività sessuale
del paziente, motvo per cui i pazient 148

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migliori su cui utlizzare questa terapia sono i pazient non sessualmente attivi. Nello
specifico, l’α-litco causa deficit dell’eiaculazione, l’inibitore della 5-α reduttasi causa deficit
erettile e calo del desiderio sessuale. Se li uso insieme l’effetto è potenziato. Il trial non
mostra numeri altssimi, appena il 20% globale di effetti collaterali, ma in realtà gran parte
dei pazient del trial non erano sessualmente attivi, perciò non si accorgevano di tali effetti
collaterali; inoltre spesso quest pazient hanno una percentuale importante di deficit erettili
ancora prima di essere trattat. Inoltre bisogna considerare che se dopo avere iniziato la
terapia tolgo l'α-litco, il deficit eiaculatorio si esaurisce in pochi giorni, se invece tolgo
l’inibitore della 5- α reduttasi il deficit erettile migliora in qualche mese o addirittura non
migliora.
Risposta a una domanda: la scelta tra le due monoterapie è a seconda delle dimensioni
prostatiche: se la prostata è piccola si fa l’alfabloccante, se è grande si potrebbe fare
l’inibitore della 5- α reduttasi.
Quindi nella terapia combinata per i primi 9 mesi è l’α-litco che fa migliorare i sintomi, ma
dopo questo tempo conviene lasciare entrambi i farmaci o togliere l’α-litco visto che in
seguito sarà l’altro farmaco a dare i benefici?
Lo studio Smart1 ha randomizzato in doppio cieco i pazient che avevano risposto alla
terapia combinata dopo un anno a contnuare la terapia combinata o a sosttuire
l’alfabloccante col placebo. È stato dimostrato che nei pazient senza disturbi gravi, la
maggior parte dei pazient a cui è stato dato il placebo non ne ha risentto, mentre solo il 7%
è invece peggiorato. Quindi secondo questo studio posso togliere l’α-bloccante dopo circa
un anno di terapia.
Riprendendo però lo studio COMBAT per valutare la terapia combinata nei mesi successivi
ai 9
già analizzat, si vede che l’efficacia dell’α-litco in monoterapia viene meno, mentre sembra
che l’uso prolungato dell’inibitore della 5-alfa reduttasi ( Dutasteride) increment il
beneficio a lungo termine anche dell’α-litco. Quindi in conclusione, se si somministra la
terapia di combinazione, conviene mantenere entrambi i farmaci.
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 Anticolinergici
Sono inibitori del recettore colinergico muscarinico che media la contrazione del detrusore.
Sono inibitori compettvi che funzionano bene in fase di riempimento quando c’è un
modesto rilascio colinergico. È proprio in questa fase che vanno a ridurre l’enttà delle
contrazioni del detrusore. Invece in fase di svuotamento, con massivo rilascio colinergico,
funzionano poco.
Esistono molt farmaci di questo tpo: i più comunemente utlizzat sono la Tolterodina e la
Solifenacina, tutti non sono copert dal SSN. Per anni l’unico generico era l’Ossibutnina, che
però presenta molt effetti collaterali. Adesso è genericata anche la tolterodina.
Questo farmaco può essere utlizzato in combinazione con α-litco in un paziente che ha
disturbi del riempimento e svuotamento. Così ho un beneficio modestamente più alto
rispetto al solo α-
litco ma più effetti collaterali come la bocca secca (sintomo peggiorato dal fatto che il
paziente deve bere meno) e sttchezza. In realtà , vist anche gli effetti collaterali, l’utlizzo più
logico per questo farmaco è prescriverlo in combinazione all’α-bloccante nei pazient in cui
nonostante la monoterapia di α-bloccante permangono disturbi di riempimento important,
come l’aumentata frequenza minzionale, dopo aver verificato che bevano poco. Questo
approccio funziona perché riduce la frequenza minzionale di circa due minzioni al giorno e
riduce l’urgenza di circa 3
episodi al giorno.
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Revisore: A.Galbiat
Inoltre può essere utlizzato in monoterapia dopo restrizione dell’introito idrico nei pazient
che hanno solo disturbi della fase di riempimento.
Nel foglietto illustratvo c’è scritto che l’uso nell’ipertrofia prostatca comporta un rischio
teorico di ritenzione acuta di urina. Ma se il paziente è ben selezionato (flusso
all’uroflussometria di almeno 4) il rischio che vadano in ritenzione è circa 0.
 Inibitori della Fosfodiesterasi 5 (PDE5)
Questa classe di farmaci, a differenza dei
farmaci vist precedentemente, migliora le
performance sessuali come effetto
collaterale, a parità di efficacia terapeutca.
Il meccanismo d’azione prevede l’inibizione
della PDE5, enzima che converte il cGMP in
GMP lineare, che è la forma inattiva. Il
cGMP quindi induce l’aumento dei livelli di
NO che determina la vasodilatazione
tramite rilassamento della muscolatura
liscia dei vasi del seno cavernoso.
I farmaci sono:
o Sildenafil (viagra), che è stato approvato per il trattamento della disfunzione erettile; o
Vardenafil (levitra) che è stato approvato per il trattamento della disfunzione erettile; o
Tadalafil (Cialis) che è l’unico approvato anche per i LUTS per la sua lunga emivita.
Viene somministrato in monoterapia 5g/die e il paziente è coperto per 24 ore.
Lo studio registrazionale dice che il Tadalafil dà lo stesso beneficio sintomatologico
dell’alfabloccante e migliora l’erezione. Il problema di questo farmaco è che in Italia è in
fascia C
e costa molto (circa 130€/mese), inoltre ha senso prescriverlo solo a pazient con disturbi
minzionali che abbiano un’attività sessuale. I pazient in terapia con questo farmaco sono
estremamente soddisfatti, anche perché gli effetti collaterali sono scarsissimi.
In conclusione l’α-bloccante è il cardine del trattamento, la combinazione con l’inibitore
della 5-
α reduttasi si può fare in pazient che hanno prostate voluminose ma il beneficio non è tanto
e gli effetti collaterali sono important ed il farmaco deve essere assunto a lungo termine. La
monoterapia con Tadalafil è per pazient con deficit erettile concomitante e che se lo
possono permettere.
3. Terapia chirurgica
In linea di massima il paziente fa la terapia farmacologica e in caso di necessità può fare la
terapia chirurgica, ma nulla vieta di fare direttamente la terapia chirurgica.
In pazient con ritenzione acuta di urina nel momento in cui viene posizionato il catetere gli
si somministra α-litco, perché incrementa la probabilità di riuscire a togliere il catetere; il
paziente con ritenzione cronica di urina, così come il paziente con calcolosi o con infezioni
urinarie 151
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ricorrent, viene mandato in chirurgia. Quindi si operano quelli che non vogliono fare la
terapia o che non avrebbero benefici dalla terapia o quelli che hanno complicanze.
TURP: Resezione Transuretrale della Prostata
Il professore mostra un video dell’intervento TURP, che permette di rimuovere l’ostruzione
meccanica. In questo intervento si utlizza un resettore bipolare per resecare prostata in più
framment che vengono rilasciat in vescica e soluzione fisiologica come liquido di lavaggio.
La resezione deve essere più o meno aggressiva in base all’aspettatva di vita del paziente,
dato che l’adenoma ricresce. Quindi se il paziente è giovane devo resecare di più , mentre
una minima resezione ha senso solo se il paziente è molto anziano. È un intervento
comunissimo e l’efficacia è maggiore di qualsiasi combinazione di terapia farmacologica,
con un rischio operatorio minimo, infatti l’unico rischio effettivo è il sanguinamento e
l’unica complicanza mortale è la lesione della parete anteriore del retto che è veramente
molto rara. È importante stare attent a non resecare al di sotto del veru montanum, a livello
lo sbocco dei dotti eiaculatori, per evitare di ledere lo sfintere urinario causando
incontnenza da sforzo. L’esito è buono e il tasso di reintervento a 10 anni è l’8%. Questo
intervento si può fare per volumi prostatci di massimo 100g.
Esistono tecniche alternatve basate sul laser:
 Holep: è la più comune, anche se più difficile a livello tecnico con più elevato rischio di
sanguinamento, efficace soprattutto su prostate grandi.
 Green laser: è tecnicamente più facile, perché ha minor rischio di sanguinamento,
presenta però benefici estremamente ridotti.
Il professore inizia la lezione con una precisazione sugli agonisti e antagonisti nel
trattamento della neoplasia prostatica. I farmaci che si usano comunemente sono gli LHRH
analoghi, che per il primo mese portano ad iperstimolazione della produzione di LH e di
conseguenza testosterone, e i GnRH antagonisti, che esistono da pochi anni e che fin da
subito bloccano la produzione di testosterone. Nella pratica non ci sono studi clinici che
rilevano una grande differenza tra i due trattamenti, l’unica differenza sembrerebbe esserci
nel rischio di accidenti cardiovascolari nei pazienti con precedente storia di problematiche
cardiovascolari . Entrambi gli antiandrogeni inducono nel paziente un problema dal punto di
vista del metabolismo glucidico, lipidico, del rischio cardiovascolare e degli accidenti
cerebrovascolari. Sembrerebbe che, nei pazienti con storia di problemi cardiovascolari, il
rischio di accidenti cardiovascolari sia più alto se gli si somministrano gli agonisti rispetto
agli antagonisti . I risultati di una metanalisi evidenziano questa differenza, ma nella pratica
si fa molto poco, perché per somministrare i farmaci si usano formulazioni depot, ovvero
formulazioni in cui c’è la presenza di un carrier con all’interno il farmaco, che viene iniettato
nella parete addominale del paziente. L’inizio della terapia con gli antagonisti si fa iniettando
due dosi, mentre si procederà nei mesi successivi con una dose soltanto. Le due dosi iniziali
somministrate insieme danno una serie di effetti collaterali molto 152

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fastidiosi nel punto di iniezione, dovuti alla presenza del carrier; con l’LHRH analogo questo
problema non si presenta. Inoltre è ancora difficile capire come un picco della durata di un
mese di LH possa avere un impatto a lungo termine sulle problematiche cardiovascolari. Se si
vuole ragionare in termini di evidence based medicine, l’evidenza in questo caso non è
altissima perché è vero che ci si trova in presenza di una metanalisi con trials randomizzati,
ma la correlazione tra l’utilizzo di un tipo di farmaco e gli accidenti cardiovascolari è un
endpoint secondario dello studio, non è l’endpoint principale. Il professore si è informato
relativamente alla modalità tramite cui questo picco di LH potrebbe portare ad eventi
cardiovascolari avversi a lungo termine, ma ad oggi non si riesce a spiegare in maniera
soddisfacente questo fenomeno.
Il professore poi dice di aver aggiunto nella sbobina della volta scorsa il normogramma di
Schafer, relativamente alla trattazione dello studio pressione flusso. In questo studio si
valuta il flusso massimo (Qmax) e la pressione detrusoriale al flusso massimo
(Pdet) per stabilire se il paziente è ostruito o meno.
Se per esempio Qmax è 8 ml/s si traccia una linea
orizzontale a quel livello, se il Pdet è 70-80 cmH2O si
traccia una linea verticale in quel punto, si vede a che punto le due linee si incrociano e così è
possibile individuare la classe di ostruzione segnata nel grafico.
In questo caso la classe di ostruzione è IV, il che vuol dire che il paziente è molto ostruito e la
classe di contrattilità è N-, che vuol dire quasi
normale. Questo è il modo oggettivo attraverso cui si stabilisce se il paziente è ostruito dal
punto di visto dello svuotamento cervicouretrale e si valuta la contrattilità del detrusore
(normale, ridotta o molto ridotta). W-/W+ (weak) = ridotta, VW (very weak) = molto ridotta.
Si prosegue la lezione con i trattamenti chirurgici del basso apparato urinario nell’uomo con
sospetta ipertrofia prostatica.
Trattamento chirurgico
Oltre alla TURP (resezione transuretrale della prostata), di cui la scorsa lezione era stato
riprodotto un video, ci sono molt altri trattament alternatvi e quelli più comunemente
utlizzat sono:

Adenomectomia chirurgica: nei pazient con prostata gigantesca, del peso di >100g. Il
trattamento tradizionale è l’adenomectomia sovrapubica, in cui si fa un taglio sulla pancia
del paziente, si incide la capsula prostatca e si asporta chirurgicamente l’adenoma, ovvero
solo la parte centrale cresciuta e non tutta la prostata. Questo è un intervento che ancora si
fa comunemente, ma il professore lo considera molto truculento e sanguinolento. Oggi lo si
effettua anche tramite laparoscopia robotca, ma il costo è molto elevato (3000€)
considerando soprattutto che viene trattata una patologia benigna.

Green laser: tecnica endoscopica che utlizza una fonte di energia che è un cristallo che
emette luce verde con cui si vaporizza la prostata. La prostata quindi non viene asportata,
ma con la fibra ci si avvicina, si emette il laser e il laser “cuoce” la prostata e la vaporizza.
Venendo eliminata la prostata, non si riesce ad ottenere un pezzo istologico.
Questo laser funziona discretamente bene nei pazient che sono antcoagulat (ad oggi 153
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c’è un gran numero di pazient che per svariat motvi come la fibrillazione atriale o la
presenza di stent, utlizza antcoagulant, tra cui aspirina, nuovi antcoagulant orali o
Warfarin). Operare quest pazient è pressoché impossibile perché sanguinano molto e se
bisogna operarli per forza si converte il Coumadin in eparina a basso peso molecolare, ma
in alcuni casi questa conversione non si può fare, per esempio nel paziente infartuato in cui
è appena stato messo uno stent. In quest casi si può utlizzare il laser che, visto che cuoce e
non asporta il tessuto, consente un rischio di sanguinamento leggermente più basso.

Laser ad olmio: tecnica endoscopia che sviluppa un piano tra l’adenoma e la regione
periferica della prostata, quindi enuclea l’adenoma, il quale poi viene spinto in vescica, fatto
a fette con un morcellatore e portato via. Il vantaggio rispetto alla TURP è che si può
utlizzare per prostate molto più grandi, ma è una tecnica molto difficile da imparare.
Generalmente con la TURP si riesce a trattare molto bene il 98% dei pazient. I pazient non
trattabili con questa tecnica sono quelli con prostate molto grandi (>>100 g) e quelli che
devono essere operat per forza da antcoagulat, situazione non molto comune perché se il
paziente con stent deve mantenere l’antcoagulante per 6 mesi, si possono aspettare 6 mesi
e nel frattempo utlizzare un catetere, perché la procedura chirurgica non è una procedura
d’urgenza.
Vescica iperattiva
La sindrome della vescica iperattiva sindrome frequenza-urgenza è un’altra
possibile causa di LUTS. Pr
esenta come sintomo principale l ’urgency che può essere accompagnato da incontnenza
da urgenza o da un aumento della frequenza minzionale diurna e/o notturna. La diagnosi
avviene per esclusione e può non essere strettamente obbligatorio eseguire l’urodinamica,
che evidenzierebbe una contrazione del detrusore in fase di riempimento. La maggior parte
delle diagnosi è clinica e nella quasi totalità dei trials i pazient sono trattat sulla scorta della
diagnosi clinica e non su quella della diagnosi urodinamica. In linea di massima non si
esegue all’inizio l’urodinamica: in seguito alla diagnosi clinica si inizia il trattamento, e se il
paziente ne trae beneficio si contnua con la terapia, mentre se non ha beneficio la diagnosi
potrebbe essere errata e allora si procede con l’urodinamica. Nel 99% dei casi la diagnosi è
corretta, ma il paziente è un non responder e allora è necessario procedere con trattament
più invasivi.
Trattamento
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1. Misure comportamentali
Sono le stesse indicazioni già viste per i pazient con ipertrofia prostatca:

Riduzione dell’introito idrico

Bladder training: si spiega ai pazient che l’urgenza alla minzione è causata dalla
contrazione del muscolo detrusore che dura pochi secondi e quindi che possono cercare di
stringere i dent per quei 30 secondi dato che poi lo stmolo passa, permettendo di allungare
l’intervallo tra una minzione e l’altra;

Pelvic floor exercise: è la riabilitazione fisiatrica del pavimento pelvico. Il fisiatra infatti
insegna al paziente degli esercizi per migliorare il tono della muscolatura del pavimento
pelvico e spesso così l’urgenza diminuisce.
2. Terapia farmacologica
Nei pazient che non hanno beneficio dalla terapia comportamentale si procede con la
terapia orale, somministrando farmaci che appartengono a due famiglie:

Anticolinergici
Rappresentano la famiglia più famosa e più efficace. Sono degli inibitori del recettore
colinergico di tpo muscarinico che, in seguito al rilascio di acetlcolina, media la contrazione
del muscolo detrusore. Ci sono decine e decine di trials randomizzat, per i quali il grado di
evidenza è altssimo, che hanno studiato gli effetti dei vari farmaci, da cui è emerso che
quest agiscono allo stesso modo, l’efficacia è simile e cambia solo l’enttà degli effetti
collaterali. I farmaci più utlizzat sono:
o Ossibutinina: è il farmaco più vecchio, generico e meno costoso. Dato che quest farmaci
sono in fascia C, il paziente deve pagarne completamente il costo. Questo farmaco per lungo
tempo è stata l’unica soluzione “generica” (e quindi più economica) da utlizzare, ma
presenta più effetti collaterali rispetto agli altri farmaci. Gli effetti collaterali sono quasi
sempre la xerostomia (bocca secca) e la sttchezza.
o Tolterodina: è stato genericato da qualche anno e causa gli stessi effetti collaterali
dell’ossibutnina, ma in misura minore.
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o Solifenacina.
Esistono formulazioni a rilascio immediato (immediate release) che vanno prese 3 volte al
giorno e formulazioni a rilascio prolungato (extended release) che vanno prese una volta al
giorno. Qualche anno fa il professore ha svolto una metanalisi i cui risultat mostravano che
in prima battuta, quando possibile, è meglio utlizzare farmaci a rilascio prolungato. Quest
farmaci infatti sono migliori rispetto a quelli a rilascio immediato, perché il livello
plasmatco del farmaco è più costante, presenta meno picchi e questo determina un’efficacia
più omogenea durante la giornata e meno effetti collaterali. Quasi sempre gli studi di quest
farmaci sono sponsorizzat dalle compagnie che li producono, e il problema di base è che
non ci sono tant studi comparatvi tra un trial e l’altro.
Di solito si inizia la terapia con la tolterodina extended release 4 mg (nome commerciale
detrusitol) o con la solifenacina 5/10 mg (solitamente se il paziente può pagare un po' di
più , nome commerciale Vesiker), che hanno efficacia simile. Quando il paziente non trova
beneficio, se ha iniziato la terapia con solifenacina 5mg gli si può aumentare il dosaggio a
10 mg, mentre se ha iniziato con la tolterodina si può optare per la solifenacina 10 mg. Se il
paziente invece è stato trattato da qualcun altro con farmaci a rilascio immediato come
terapia di prima linea, e non ne ha avuto beneficio, gli si somministra la formulazione a
rilascio prolungato. La carenza di efficacia è un problema comune, perché tutti quest
farmaci non sono molto efficaci.
Il paziente può avere effetti collaterali che non riesce a sopportare. Se lamenta
prevalentemente la bocca secca, si può passare alla somministrazione transdermica
dell’ossibutinina. Il paziente si mette un cerotto sulla pancia, e lo cambia ogni tre giorni
spostandolo da un punto all’altro. La somministrazione transdermica dà meno effetti
collaterali tpici, soprattutto meno xerostomia, però dà effetti collaterali nel punto in cui
viene applicato il cerotto, per cui bisogna spiegare al paziente che è necessario spostare il
cerotto, evitando di rimetterlo per qualche mese nello stesso punto in cui l’aveva già messo.
Se invece il paziente si lamenta prevalentemente della sttchezza forse la tolterodina dà un
po’ meno sttchezza rispetto alla solifenacina.
Un’altra metanalisi ha mostrato come la terapia con quest farmaci antcolinergici, al netto
dell’effetto placebo, riduca gli episodi di incontnenza da urgenza di 0,5 al giorno, quindi
quest farmaci permettono di avere ogni due giorni un episodio di incontnenza in meno. È
un effetto abbastanza modesto. Questo si ribadisce come quest farmaci abbiano un’efficacia
modesta e in più sono a pagamento.

β3 agonisti
È una categoria di farmaci entrata in
commercio da qualche anno. Quest vanno ad
agire sulle fibre β3 localizzate a livello del detrusore in maniera agonista,
rilasciandole.
Sono farmaci β3 che non hanno un grande
impatto sulle altre fibre β e quindi non c’è una
grande influenza sulla pressione e sulle altre
problematche cardiovascolari. Al momento c’è
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un solo farmaco, che si chiama Mirabegron, molto maneggevole, con una tossicità molto
bassa e con effetti collaterali modestissimi. Il paziente non avrà la bocca secca e la
sttchezza, ma l’efficacia di questo farmaco comunque non è notevole.
Nel trial europeo i pazient sono stat randomizzat a placebo o a due dosaggi di mirabegron
(50
e 100 mg) o a tolterodina 4 mg ER. Lo studio, molto accurato, ha mostrato come il placebo
riducesse gli episodi di incontinenza di 1 nelle 24h, mentre il mirabegron di 1 e mezzo
nelle 24h.
Chi ha assunto il farmaco aveva soltanto mezzo episodio di incontnenza in meno al giorno
rispetto a chi non lo aveva assunto. L’efficacia di questo farmaco è quindi in linea con gli
antcolinergici, cioè modesta.

Il numero medio di minzioni di chi assumeva il placebo si riduceva di circa 1 nelle 24h,
mentre con il mirabegron si riduceva di circa 2 nelle 24h.
Da quest studi sembra che la Tolterodina sia meno efficace del Mirabegron . Nella pratca
clinica si osserva l’opposto. Infatti nel trial sono stat arruolat pazient che erano già stat
trattat con farmaci antcolinergici senza benefici. Questo può bastare a fare apparire il
mirabegron più efficace.
Un altro studio ha valutato la preferenza tra antcolinergici e mirabegron di pazient in cross
over, ovvero che passavano da un farmaco all’altro. La sintesi è che i pazient preferiscono il
mirabegron perché gli effetti collaterali sono più ridotti, ma l’efficacia non è così clamorosa.
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Inoltre bisogna considerare che i β3 agonist sono a pagamento e non sono ancora farmaci
generici, quindi vengono utlizzat se il paziente presenta molt effetti collaterali con gli
antcolinergici. Il mirabegron è entrato in commercio in Italia dal 2013, appartene ai farmaci
di fascia C e la dose iniziale raccomandata è di 50 mg, mentre di 25 mg per i pazient con
insufficienza renale o epatca.
Sono state svolte multple analisi su quest farmaci e sono risultate tutte positve, anche se
nella pratca clinica gli effetti non sono così evident.
Visto che si è in presenza di due classi di farmaci poco efficaci, ma con meccanismo di
azione diverso, sono stat poi svolt una serie di studi di combinazione: Lo studio Sinergy ha
valutato l’associazione del mirabegron e della solifenacina 5mg. Questo studio mostra un
aumento dell’efficacia dato dalla combinazione di quest due farmaci statstcamente
significatvo, che però è insignificante a livello clinico. Infatti la combinazione riduce il
numero di episodi di incontinenza nelle 24h di 2, il placebo di 1.3 e le singole
monoterapie di 1.8. La differenza tra la terapia singola e la terapia di combinazione,
sebbene sia statstcamente significatva, è clinicamente irrilevante.
Lo studio dimostra anche che la terapia di combinazione diminuisce il numero di
minzioni nelle 24h di solo 0.2 in più rispetto alla monoterapia (fondamentalmente
urinano una volta in meno ogni cinque giorni). Gli effetti collaterali in compenso erano
buoni. In Italia è difficile fare questa terapia di combinazione perché si tratta di 2 farmaci di
fascia C, che sono a completo carico del paziente.
Lo studio Beside invece ha valutato la combinazione degli stessi due farmaci ma in
maniera diversa, cioè ha considerato la Add on Therapy. Tutti i pazient venivano trattat
con solifenacina 5 mg e poi, se non mostravano benefici, potevano assumere la solifenacina
10 mg oppure aggiungere il mirabegron alla solifenacina 5 mg. Quindi il secondo tpo di
terapia è stato limitato solo a coloro che non rispondevano alla prima. I risultat sono
pressoché identci a quelli dello studio Sinergy, statstcamente significatvi, ma clinicamente
irrilevant. Se gli episodi di incontnenza nelle 24h con solifenacina si riducono di 1.5, nella
terapia combinata si riducono di 1.8. Anche per quanto riguarda il numero di minzioni la
riduzione è minima.
Oltre alla terapia orale ci sono dei trattament innovatvi, quali:

Tossina botulinica A
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Viene proposta come opzione terapeutca ai pazient non soddisfatti con antcolinergici,
mirabegron o con la loro associazione. La terapia prevede un’iniezione intradetrusoriale di
tossina botulinica, che va a bloccare una SNARE protein, la SNAP25, deputata al rilascio
delle vescicole sinaptche contenent acetlcolina dalle terminazioni nervose. Bloccando
questa proteina, le vescicole non vengono più liberate nello spazio intersinaptco, quindi si
blocca il meccanismo con cui le vescicole si aprono e favoriscono il rilascio di acetlcolina. La
tossina botulinica è la tossina del Clostridium botulinum ed è stata a lungo utlizzata dai
pazient neurologici, in cui al netto dei disturbi minzionali, c’è la possibilità che le alte
pressioni endovescicali danneggino l’alto apparato urinario. L’uso della tossina botulinica
nei pazient con vescica iperattiva idiopatca è stato per anni meno standardizzato,
mancando un trial clinico randomizzato.
Il medicinale a base di tossina botulinica prevede:

200-300 unità di farmaco, diluito in 20 ml nel paziente neurologico;

100 unità di farmaco, diluite in 10 ml nel paziente non neurologico.
Per somministrare la tossina si esegue la cistoscopia, durante la quale si fanno delle
punture con un ago nel muscolo detrusore a livello del fondo e delle paret laterali, evitando
la zona del trigono. Si inietta il farmaco in pomfetti di 1 ml, quindi saranno circa 10 se il
farmaco è di 100
unità , mentre nel caso dei pazient neurologici saranno circa 20-30 perché il farmaco viene
più diluito.
È stato quindi effettuato uno studio randomizzato che valutava l’efficacia della tossina
botulinica in seconda linea nei pazient non neurologici . L’efficacia è risultata notevolissima
dato che il numero di episodi di incontnenza nelle 24h si riduce di 3. Quindi i pazient che
utlizzano questa terapia sono molto felici, perché il farmaco è grats, molto efficace e
vengono meno gli effetti collaterali dei farmaci precedentemente citat.
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La tossina botulinica è un farmaco di fascia A e, per la sua somministrazione, il paziente
deve essere ricoverato un giorno intero per effettuare la cistoscopia in sedazione.
Il farmaco ha una durata di circa 9-12 mesi perché poi vengono prodotte a livello delle
terminazioni nervose nuove vescicole con nuove proteine SNAP25, che non vengono più
bloccate dal farmaco iniettato mesi prima. Il paziente quindi torna e gli viene iniettata
nuovamente la tossina.
D: La tossina botulinica non viene usata come farmaco di prima linea perché il paziente deve
essere ogni volta ospedalizzato?
R: Non si usa come farmaco di prima linea perché ha dei costi, ed è offerto dal Sistema
Sanitario Nazionale. (e anche perché non è stato comprovato da trial randomizzati in prima
linea Ndr) D: Quali possono essere gli effetti avversi della tossina botulinica?
R: La tossina può andare in circolo e portare ad arresto respiratorio, ma è un evento molto
raro.
Per questo motivo i pazienti vengono ospedalizzati per una notte, nel caso ci fossero
complicanze.
Quindi il beneficio ottenuto dai pazient con questo trattamento è molto alto. L’unico
problema è che iniettando un farmaco che blocca il rilascio di acetlcolina, si ha il rischio di
avere ritenzione di urina pari a circa il 10% (7% secondo il trial), che prevede
l’autocateterizzazione per un tot di mesi, solitamente dai 3 ai 6 mesi. È bene dire al
paziente prima del trattamento che potrebbe esserci questo rischio, perché nel caso si
verifichi viene tollerato meglio.
Rinnovando la terapia ogni anno, il rischio di questo effetto collaterale è sempre uguale ( cioè
il fatto che un paziente abbia avuto questo effetto collaterale non implica che abbia un
aumentato rischio di esserne nuovamente soggetto alla successiva iniezione Ndr).
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Revisore: A.Galbiat
Recentemente il professore ha analizzato in qualità di revisore uno studio americano che
era stato spedito alla rivista Urology, in cui si descriveva come si era provato ad iniettare il
farmaco in soli 3 pomfi nel paziente non neurologico e in 4 nel paziente neurologico. Si è
visto che l’efficacia era uguale rispetto alla somministrazione in 10-20-30 pomfi, quindi
probabilmente si potrebbe semplificare la procedura.
Sul New England è stato poi pubblicato un trial randomizzato, non svolto in maniera
adeguata, che ha comparato la terapia antcolinergica e la terapia con la tossina botulinica,
dimostrando che avevano la stessa efficacia, cosa assolutamente non vera. Il problema in
questo caso risiedeva nel fatto che, se si volevano paragonare due terapie di prima linea,
entrambi i farmaci dovevano essere di prima linea e i pazient dovevano essere naive,
ovvero non dovevano essere mai stat trattat con niente. Invece il 40% dei pazient era già
stato trattato con gli antcolinergici e aveva fallito la terapia, pertanto in questo studio sono
state mescolate due popolazioni, una naive e una già trattata.
Non essendoci studi randomizzat sulla terapia in prima linea, la tossina botulinica è
quindi una terapia di seconda linea utilizzata in pazienti che hanno fallito almeno un
anticolinergico. Di solito il paziente inizia la terapia con l’antcolinergico, quando fallisce
per scarsa efficacia o eccessivi effetti collaterali si prova qualche altro farmaco
antcolinergico o si aumenta il dosaggio. Quando non si riesce a risolvere la situazione così,
viene svolta l’urodinamica per valutare la contrazione del detrusore, se si conferma la
diagnosi si passa quindi alla tossina botulinica.
In seguito ad una domanda il professore ribadisce come la tossina botulinica sia un farmaco
di seconda linea, quindi pagato dal SSN. Normalmente a seguito di un trial nazionale o
europeo che mostra come il farmaco sia efficace, il farmaco viene approvato in Europa da
EMEA e in America da FDA, ma questo non significa che si possa utilizzare, perché il SSN deve
comprare il farmaco e garantire il farmaco ai pazienti. Regione per regione ci sono delle
autorità regolatorie che fanno una negoziazione sul prezzo con la compagnia che produce il
farmaco. Nel caso della vescica iperattiva bisogna ricordarsi che stiamo comunque parlando
di una patologia benigna.
Paradossalmente i pannolini di cui hanno bisogno i pazienti con questa patologia vengono
offerti al paziente, mentre il farmaco è a pagamento. Sarebbe più ragionevole utilizzare i
soldi per il farmaco.
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3. Neuromodulazione sacrale
È un approccio terapeutco alternatvo che veniva utlizzato molto, prima dell’avvento della
tossina botulinica. Vengono impiantat degli elettrodi a livello del forame di S3 , che
vengono collegat inizialmente ad uno stmolatore esterno che il paziente mette nel taschino.
Lo stmolatore esterno stmola le fibre di S3 e per motvi non del tutto not molt pazient con
sindrome della vescica iperattiva non neurologica hanno un vantaggio sintomatologico.
Successivamente si sosttuisce lo stmolatore esterno con uno stmolatore impiantabile che è
grande come un pacemaker e si impianta nella regione glutea dei pazient. Questo metodo
funziona molto bene in alcuni pazienti selezionati, ma il motivo non si conosce,
anche se ci sono molte ipotesi. La terapia funziona anche nei pazient che hanno lo stesso
disturbo sul versante proctologico e viene consigliata anche in alcuni casi di vescica
contrattile e dolore pelvico cronico, anche se in quest casi funziona molto peggio. Il
problema principale di questa tecnica è il costo perché c’è una sola compagnia che produce
gli stmolatori, la Medtronic, che costano molto più della tossina botulinica e per questo
questa tecnica è stata un po’
abbandonata.
4. Terapia chirurgica
È l’ultma soluzione nei pazient che non trovano beneficio con nessuna terapia. Capita circa
una volta all’anno di trattare chirurgicamente pazient con questo disturbo. La chirurgia
consiste nell’ampliare la vescica con un patch di ileo, perché spesso i pazient hanno una
vescica normale ma con capacità ridotte. Il rischio di complicanze è elevato perché si
fanno delle suture sull’intestno e il paziente deve mettere in conto un rischio non basso di
autocateterismo.
Talvolta si fa la cistectomia e conseguent derivazioni urinarie, trattate nelle lezioni
riguardant il tumore vescicale, ma è principalmente riservata ai pazient che hanno la
Painful Bladder Syndrome, ovvero la sindrome della vescica dolorosa, per cui il paziente
ha male ogni volta che la vescica si riempie. Questa patologia è rara ed estremamente
invalidante, caratterizzata da un processo infiammatorio di cui però non si conoscono bene
le cause.
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In seguito ad una domanda di una studentessa, il professore tratta un argomento relativo alla
neoplasia prostatica.
Come si fa a diagnosticare la recidiva di neoplasia prostatica se un paziente ha fatto
come trattamento primario la radioterapia?
Ci sono definizioni diverse per il fallimento delle varie terapie. Per quanto concerne la
radioterapia, si parla attualmente di progressione della malattia quando il PSA del
paziente è uguale al nadir + 2 ng/mL, formulazione posta come convenzione dopo Rtog-
Astro Phoenix consensus conference. Il nadir è il valore più basso di PSA raggiunto dal
paziente dopo l’associazione di radioterapia e di terapia ormonale (che ha una durata di 6
mesi se il rischio è intermedio, mentre di 24 – 36 mesi se elevato). Solitamente il nadir è
uguale a 0 ng/mL.
Il fatto che il paziente abbia una recidiva biochimica dopo l’irradiazione, non presuppone
un trattamento immediato, bensì la valutazione qualitatva del dosaggio di PSA rilevato,
quindi se questo corrisponde effettivamente alla presenza di tessuto prostatco neoplastco o
meno, e se esso è localizzato nella prostata o nell’organismo.
Quindi l’iter prevede:
1. Valore di PSA pari a nadir + 2 ng/mL
2. Biopsia alla prostata per valutare se c’è presenza di tessuto neoplastco/vitale
all’interno della prostata. Se è positvo si passa alla stadiazione del paziente.
3. Stadiazione del paziente per valutare la presenza di metastasi attraverso la TC e la
scintigrafia.
Possono emergere tre situazione:

Paziente metastatco→ viene trattato con la terapia ormonale;

Paziente non metastatco, in assenza di malattia vitale all’interno della prostata→ nessuna
terapia;

Paziente non metastatco, in presenza di malattia vitale dentro la prostata (tumore
radioresistente) → valutazione dell’aspettativa di vita del paziente: o Se il paziente è
anziano, come avviene frequentemente in quando la recidiva del trattamento radioterapico
si ha dopo 8 -10 anni dalla terapia primaria→ nessuna terapia o terapia ormonale.
o Se il paziente ha una buona aspettatva di vita, perché trattato in età molto giovane con la
radio, e ha una failure le opzioni di trattamento locali sono:
 Prostatectomia radicale di salvataggio (“di salvataggio” significa dopo che è fallito un
altro trattamento primario)
È stato effettuato uno studio multcentrico su circa 400 casi operat di prostatectomia
radicale con malattia radioresistente, in circa 20 anni, con follow-up accettabile.
Si evidenzia che, in seguito a recidiva, la chirurgia è un trattamento abbastanza efficace,
perché ¾ dei pazient rimangono senza metastasi a distanza di 10 anni.
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È un buon risultato per una popolazione che ha già subito una terapia primaria efficace. La
sopravvivenza malattia specifica è circa l’80% a 10 anni. Il problema della chirurgia in
quest pazient sono le complicanze generali nel breve e lungo termine, molto peggiori
rispetto alla chirurgia di primo trattamento, perché i tessut sono danneggiat dalla
radioterapia precedente.
Lo studio del Memorial Sloan Kettering riportato confronta il deficit erettile e
l’incontnenza dopo prostatectomia di salvataggio rispetto alla chirurgia come prima scelta.
Dimostra che, rispetto alla prostatectomia di prima linea, quella di salvataggio pr
esenta sia una
maggior percentuale di pazient impotent che un maggior numero di incontnent.
D: Si vede un peggioramento iniziale e un miglioramento successivo dopo l’intervento?
R: Non ci sono studi a lungo termine per riuscire a rispondere. C’è un margine di
miglioramento nei pazienti che fanno anastomosi vescicolo-ureterale, però alla fine c’è un
40% che rimane incontinente. Se si vuole essere ottimisti la metà sarà continente, mentre nel
paziente che viene operato in prima linea il tasso di continenza può arrivare al 90%. Questi
sono pazienti peggiori, perché sono anziani e hanno effetti della radioterapia.
Una revisione sistematca pubblicata da poco, Zargar H, et al. Minerva Urologica e
Nefrologica 2017, mostra che su circa 200 pazient trattat con prostatectomia radicale di
salvataggio robotca, circa 120 sono contnent quindi circa il 60%, mentre con la chirurgia
robotca come trattamento primario (e non di salvataggio come qui) ci si può aspettare
anche oltre il 90%. I potent sono circa il 30%.
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Concludendo, la chirurgia si può fare in pazient selezionat con buoni risultat oncologici ma
quelli funzionali sono peggiori di quelli fatti nel paziente naive.
 Brachiterapia
È una tecnica radioterapica che prevede l’introduzione di semi di materiale r adioattivo de
ntro la prostata , con documentata efficienza.
 Crioterapia
Questa tecnica prevede l ’impianto di aghi all’interno della prostata per via t ransperineale
con guida ecografica trans-rettale che inducono il congelamento e quindi la distruzione del
tessuto prostatco.
Dal punto di vista oncologico, è un procedimento meno radicale rispetto alla chirurgia,
perché non si è cert di aver trattato tutto il tessuto malato . Durante la procedura bisogna
prestare attenzione a non ledere la parete anteriore del retto, per questo la parte apicale
della prostata non viene toccata, quindi se la recidiva si trova in questa regione non si può
intervenire con questa tecnica.
Uno studio pubblicato qualche anno fa su circa 200 pazient americani, mostra che la
sopravvivenza libera da malattia è circa il 40% con crioterapia mentre dopo chirurgia è
circa il 70%. Quindi, si configura come una procedura meno sicura rispetto alla chirurgia.
I dat dello studio della Mayo Clinic, che compara la crioterapia di salvataggio alla chirurgia
di salvataggio, dimostrano allo stesso modo che la progressione e la sopravvivenza malattia
specifica e quella globale sembrerebbero migliori nella chirurgia.
Fondamentalmente però non ci sono molt studi dettagliat al riguardo in quanto i pazient
irradiat da giovani, che hanno avuto un fallimento, subiscono un 165

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trattamento diverso rispetto alla prima terapia, e non si sa se il paziente non è stato
operato all’inizio perché non voleva oppure perché era un pessimo candidato chirurgico.
 Trattamento HIFU
È una tecnica che prevede la distruzione del tessuto tumorale attraverso ultrasuoni
focalizzat ad alta energia convogliat sulla prostata.
D: Cosa significano “At Call e non backdated”?
R: La definizione precedente a quella odierna, in vigore dal 2006, affermava che dopo aver
osservato il terzo incremento di PSA, la data del failure veniva portata indietro al secondo
aumento (veniva retrodatata).
Calcolosi urinaria
È una p
atologia benigna molto frequente : i dat epidemiologici europei attestano che in Italia
circa il 6% delle donne e il 10% uomini hanno il rischio di sviluppare calcolosi.
Il grafico in alto riporta i dat di uno studio tedesco, da cui emerge che la prevalenza cresce
con l’avanzare dell’età in entrambi i generi, quindi colpisce principalmente adult e anziani,
anche se nel 25% dei casi si evidenzia il primo calcolo già tra i 25 – 35 anni.
Confrontando i dat nel tempo, si vede che il numero di calcolosi sta aumentando, non si
conosce però la motvazione, forse è dovuto allo stle di vita.
Eziopatogenesi
Le urine sono soprasature di tantssimi minerali perché la loro funzione è di eliminare le
sostanze di scarto e, grazie a vari meccanismi di protezione, solo il 10% della popolazione
sviluppa calcoli durante la vita.
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La causa di formazione del calcolo non è chiarissima e si sono delineate varie ipotesi:

T eoria della nucleazione : un primo cristallo che si deposita direttamente o su un corpo
estraneo favorisce la deposizione e l’accumulo degli altri cristalli ( dalle slide si specifica: in
urine sovrassature di un sale).

T eoria della matrice : una matrice organica di sostanza amorfa ( dalle slide: matrice
organica sierica e proteine urinarie) diventa il substrato ottimale per la deposizione dei
cristalli.

T eoria dell’inibizione della cristallizzazione : un deficit di sostanze che inibiscono la
cristallizzazione aumenta il rischio di calcolosi. Ad esempio, il magnesio e il citrato legano
gli ioni liberi diminuendone la quota libera e riducendo la probabilità di precipitazione.
Tra i fattori di rischio per la calcolosi ci sono:

Anomalie anatomiche quali ostruzione del giunto pieloureterale, stenosi dell’uretere e r
ene a ferro di cavallo 1 ;

Anomalie metaboliche della via della sostanza costituente il calcolo. Queste
riguardano una minoranza dei pazient, infatti frequentemente i pazient che formano calcoli
di Ca 2+
non hanno alcuna alterazione nella regolazione di questo ione. Tra le calcolosi su base
metabolica si può includere un sottogruppo delle calcolosi uratche, in cui i pazient che
hanno un’elevata uricemia, tpica della gotta, possono formare calcoli di acido urico. Si
precisa nuovamente però che non tutti i calcoli di acido urico sottendono un alterato
metabolismo. Inoltre si può includere un sottogruppo di bambini con cistinuria che a
causa di un difetto nel metabolismo della cistna presentano elevatssime escrezioni di cistna
con le urine e formano calcoli molto duri e difficili da gestre già in età pediatrica, per
fortuna quest casi sono rari.
1 E’ variazione anatomica che avviene in seguito alla fusione del polo inferiore dei 2 reni,
formando una struttura a ferro di cavallo. Questo si associa solitamente a un’alterata
migrazione del rene, per cui non si trova nella posizione fisiologica ma si trova più in basso
perché la migrazione viene bloccata soprattutto della mesenterica inferiore. I due reni sono
congiunt da tessuto renale o da un istmo fibroso e gli ureteri tendono a scavalcare questo
istmo, quindi c’è un ostacolo dove c’è il rischio di formazione di una calcolosi.
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Vengono quindi analizzate le varie classificazioni della calcolosi: 1. Classificazione
topografica

Calcolosi renale/caliceale,

Calcolosi renale/pielica,

Calcolosi ureterale,

Calcolosi endovescicale,

Calcolosi uretrale (rarissimi casi).
Solitamente i calcoli si formano nell’alto apparato escretore, nei calici e nella pelvi, e spesso
si bloccano nella discesa a livello della giunzione pieloureterale, nel punto in cui l’uretere
scavalca l’arteria iliaca comune oppure a livello della giunzione ureterovescicale, dove
l’uretere si infila in vescica.
2. Classificazione chimico-fisico

Calcio (75-85%)

Struvite (10-15%): cristallo di triplo fosfato di calcio, ammonio e magnesio. Questo tpo di
calcoli è legato ad infezioni urinarie da parte di batteri che producono ureasi, che
scindendo l’urea, ne favorisce la formazione.

Acido urico (5-8%)

Cistina (1%)
3. Classificazione dal punto di vista radiologico
I calcoli a livello radiologico possono essere:

Radiopachi (calcio)

Poco radiopachi (cistna, acido urico con calcio)

Radiotrasparent (acido urico)
I calcoli hanno una m
orfologia d
ifferente grazie alla quale si riesce a identficarne la composizione.
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Calcolosi calcica (80%)
È più comune nel maschio, e il primo episodio insorge solitamente tra i 30 e i 50 anni.
L’eziologia può essere idiopatca, alimentare o ereditaria: la grande maggioranza dei casi è
di tpo idiopatco, in assenza di un difetto metabolico alla base.
C’è una piccola percentuale che sviluppa questa calcolosi in seguito ad un’acidosi tubulare,
oppure a causa di malassorbimento degli ossalat, soprattutto in coloro che hanno fatto più
resezioni intestnali per una malattia infiammatoria intestnale.
Calcolosi Uratica (5-8%)
È più comune nel maschio, e metà degli affetti presenta anche la gotta, che implica un
alterato metabolismo di acido urico.
L’eziologia può essere ereditaria o neoplastca, infatti i pazient con malattie
linfoproliferatve come leucemie e linfomi, che fanno la chemioterapia attiva, hanno il
rischio di sviluppare una calcolosi uratca come conseguenza dell’effetto citotossico della
chemio, poiché l’urato è uno dei catabolit delle basi azotate. Per prevenire la formazione di
quest calcoli, i pazient oncologici infatti vengono idratat molto.È una calcolosi
radiotrasparente.
Calcolosi cistinica (1%)
È più frequente nella femmina, e solitamente si manifesta già in età pediatrica per poi
perdurare per tutto l’arco della vita.
La causa è ipercistnuria che può presentarsi in omozigosi o eterozigosi.
I calcoli sono solitamente radiopachi, molto duri e molto puzzolent (odorano di uovo
marcio).
Calcolosi di struvite (10-15%)
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È più comune nella femmina, in seguito a infezione di batteri urinari (Pseudomonas,
Klebsiella, Proteus), produttori di ureasi che, scindendo l’urea, alcalinizza localmente il pH,
cosa che può determinare la precipitazione dei cristalli ( dalle slide: questi batteri causano
una sovrassaturazione di urea delle urine).
Comunemente porta alla formazione di calcoli a stampo della via escretrice.
A lato viene riportato un RX diretto addome senza mdc: si vede che nel rene di sinistra
quasi tutte le cavità escretrici sono stpate da un calcolo, è un calcolo a stampo. È molto
difficile togliere questa cospicua quanttà di materiale, tanto che si spera che il rene sia
ipofunzionante, affinché si possa eseguire una nefrectomia.
Presentazione clinica
La calcolosi nella grande maggioranza dei casi, tranne per quanto riguarda i calcoli a
stampo, si manifesta con una colica renale. I calcoli nel loro percorso si fermano a livello
del giunto pieloureterale, al passaggio sugli assi iliaci o nella giunzione ureterovescicale, e il
loro blocco determina l’ostruzione del transito delle urine, a cui l’organismo risponde con
una contnua contrazione della muscolatura ureterale per far progredire il flusso urinario.
Questa contrazione determina l’incremento della resistenza, con conseguente aumento
della pressione all’interno della cavità che genera nel paziente dolore.
Il dolore è molto violento (si riferisce essere più doloroso delle doglie del parto) e non è
costante, ma è a poussée: aumenta quando si contrae la muscolatura dell’uretere, mentre
spesso lascia una dolenzia vaga nella zona incriminata tra un poussée e l’altro.
Solitamente il dolore inizia posteriormente in zona lombare e si irradia
anteriormente e inferiormente, quindi verso i genitali esterni nella donna e verso lo
scroto nell’uomo.
Qualche volta si associano:

D
isturbi del basso apparato urinario , come pollachiuria e bruciori, soprattutto quando il
calcolo è iuxtavescicale;

E maturia se il calcolo durante il suo percorso ha danneggiato la mucosa dell’uretere;

N
ausea, vomito e altri sintomi aspecifici.
La calcolosi entra in diagnosi differenziale principalmente con l’addome acuto, quindi
con la patologia intraperitoneale. Le due solitamente si possono differenziare ad una prima
ispezione:

Chi ha un addome acuto tendenzialmente tende a stare fermo in posizione accovacciata
perché quella è una posizione antalgica per il peritoneo.

Chi invece ha una colica renale si muove in contnuazione.
Rientrano nella patologia di addome acuto, e pertanto è necessario escludere
un’appendicopata, la calcolosi della via biliare e in caso di giovani donne la torsione
ovarica, una patologia tubarica o una gravidanza extrauterina. Se il dolore è a sinistra
potrebbe essere una malattia divertcolare in fase acuta.
Nell’immagine in basso a sinistra viene riportata l’RX di una calcolosi vescicale, che non
ha nulla a che fare con la restante calcolosi urinaria, perché il calcolo si forma in loco a
causa del ristagno di urina. È presente quasi sempre in pazient partcolarmente ostruit, che
presentano un calcolo 170
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che può raggiungere anche notevoli dimensioni (5cm). Dalle slide: è associata a
pollachiuria, ed ematuria.

Nell’immagine in alto a destra invece si riporta un caso di calcolosi uretrale, che è molto
rara perché il calcolo si forma nell’alta via escretrice e i punt più ristretti dove si potrebbe
fermare il calcolo sono a monte dell’uretra, e solitamente una volta giunto in vescica viene
espulso spontaneamente. Per verificarsi ci deve essere una patologia ureterale precedente,
come la stenosi uretrale. Dalle slide: è associata a dolore, ematuria e uretrorragia.
È importante ricordare che:
Se il paziente ha prima dolore e dopo macroematuria→ calcolosi urinaria, la
macroematuria è causata dal movimento del calcolo nella via urinaria.
Se il paziente ha prima macroematuria e poi dolore→ può trattarsi di una neoplasia renale
parenchimale o di una neoplasia uroteliale, che ha formato dei coaguli, che ostruiscono la
via escretrice, causando il dolore.
Percorso diagnostico
1. Antidolorifico
In fase acuta il paziente ha talmente tanto dolore da non riuscire neanche a parlare, quindi
prima di ogni cosa si pone una borsa di acqua calda sul fianco e si somministra un
antidolorifico, come il Diclofenac per via parenterale o Toradol, 15 gocce sublinguali.
2. Anamnesi
L’indagine anamnestca si concentra principalmente su queste informazioni:

Se in famiglia c’è una storia di calcolosi, che è presente in una minima percentuale dei casi,
oppure se ci sono malattie renali ereditarie, come l’acidosi tubolare o la cistnuria;

Se il paziente stesso ha già avuto una pregressa calcolosi;

Se il paziente ha un’iperuricemia nota, che potrebbe spiegare i calcoli di acido urico.
Spesso il sospetto insorge quando il paziente è in sovrappeso, plausibilmente affetto da
sindrome metabolica;

Se il paziente ha una malattia infiammatoria intestinale: quest’indagine ha senso in
soggetti resecat perché possono essere a rischio di calcolosi;
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Uso di farmaci;

Abitudini alimentari;

Se il paziente ha entrambi i reni perché esiste un caso su 600 che nasce con un rene solo e
c’è un gran numero di gente che ha subito degli intervent di resezioni di part di questo
organo, in seguito a traumi o neoplasie. A meno che non ci sia una calcolosi bilaterale,
evento raro e molto infausto che può portare velocemente a IRA, solitamente un rene è
affetto da calcolosi renale mentre l’altro funziona correttamente.
3. Esame obiettivo
L’esame obiettivo prevede prevalentemente il segno di Giordano che ha una predittività
molto modesta: si percuote con la superficie ulnare della mano il fianco, e la positvità si ha
quando il paziente percepisce dolore. Si ricorda che la colica renale, manifestazione della
calcolosi, entra in diagnosi differenziale con l’addome acuto.
Per completezza si riporta dalle slide:
In fase acuta: il paziente è agitato e non trova conforto in alcuna posizione, l’addome è
trattabile con Blumberg negativo, dolorabile a livello del fianco interessato e dei punti
ureterali.
Il Giordano è positivo.
In fase non acuta: l’addome è trattabile con Blumberg negativo, si rileva una tumefazione al
fianco interessato che può essere palpabile o meno. Il Giordano può essere positivo o negativo.
D: La terapia antidolorifica può inficiare nel mio esame obiettivo?
R: Sì, però si preferisce non far soffrire ancora di più il paziente. Solitamente si verifica se può
avere peritonismo (segno di Blumberg e tutti gli altri segni) e poi si somministra
immediatamente un FANS.
4. Esami di laboratorio
In fase acuta è necessario valutare:

La funzionalità renale con la creatininemia;

L’eventuale sepsi del paziente con il dosaggio di globuli bianchi, PCR e pro-calcitonina.
La calcolosi infatti può risultare in urosepsi e se il paziente non è adeguatamente trattato,
può morire.

La coagulazione, se si pensa che il paziente abbia bisogno di un intervento immediato, ma
non è indispensabile.

Stick urine in cui si valutano i segni della colica renale, quali la presenza di globuli rossi,
globuli bianchi e cristalli del materiale da cui è formato il calcolo nelle urine.

Stone analysis, viene fatta in elezione quando il calcolo viene espulso.
5. Imaging
RX + ecografia dell’addome
L’RX diretta dell’addome in bianco ha come vantaggio di essere una tecnica poco costosa,
con una esposizione minima del paziente a radiazioni ionizzant rispetto alla TC. È però
meno accurato, sono visibili solo i calcoli radiopachi grandi, perché l’intestno può
nasconderli a causa della presenza delle feci.
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L’ecografia addomino-pelvica consente di vedere solo i calcoli localizzat nel calice e nella
pelvi renale o nell’uretere iuxtavescicale, mentre tutto il tratto ureterale dietro le anse
intestnali non è esplorabile. Si può vedere l’uretereidronefrosi a monte del calcolo, cioè la
dilatazione della via escretrice secondaria alla presenza del calcolo.
Questa è un’immagine tpica iperecogena con cono
d’ombra posteriore, perché il calcolo riflette gli ultrasuoni e dietro si vede nero.
TC spirale in bianco senza mdc
Permette di vedere il 90% dei calcoli con un’ottima accuratezza. L’unico caso in cui si
può incorrere in un errore sono i calcoli dell’uretere pelvico che possono essere confusi con
flebolit, calcificazioni della parete dello scavo pelvico. Il problema principale è che si
espone il paziente a radiazioni ionizzant, e se il calcolo viene visto alla TC la prima volta poi
per i successi controlli bisogna utlizza la stessa tecnica di imaging quindi il problema delle
radiazioni non è trascurabile.
Risonanza magnetica
È utlizzata solamente nelle donne in gravidanza. Spesso la presenza del feto in cavità
addominale può comprimere l’uretere e generare delle coliche, in assenza di calcolo.
L’ecografia ha un’accuratezza molto limitata e per controlli periodici si preferisce la RMN.
Calcolosi urinaria
Terapia
Terapia aspecifica
La terapia della calcolosi urinaria consiste in primo luogo nell’alleviare il dolore provocato
dalla colica renale. Al paziente viene consigliato dunque di:
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- Posizionare una borsa di acqua calda a livello del fianco dolente;
- Assumere antidolorifici, come il Diclofenac (Voltaren nome commerciale)
somministrabile per via parenterale o il Toradol per via sublinguale (15 goccie) che, oltre
ad essere molto efficace, presenta un assorbimento rapido.
Una volta che la colica è passata si possono adottare delle misure generali come:
- Idropinoterapia che consiste nell’assunzione di molt liquidi, circa 2-3 litri di acqua al
giorno, per favorire l’espulsione spontanea dei calcoli;
- Antibiotici per le vie urinarie poiché spesso la calcolosi determina una stasi urinaria
che predispone ad infezioni urinarie. In passato venivano utlizzat i fluorochinolonici, ora
bandit per diversi motvi tra cui quello di generare farmacoresistenza. Si utlizzano quindi in
prima battuta le c efalosporine d
i II o III generazione ;
- Antipiretici, se il paziente è febbrile.
Terapia della calcolosi
La scelta della terapia specifica si basa su alcuni criteri, quali:
- Dimensione del calcolo;
- Posizione del calcolo;
- Composizione chimica del calcolo, quando è valutabile prima dell’operazione di
estrazione;
- A natomia della via escretrice : per valutarla è necessario eseguire, nonostante le
condizioni di urgenza, una TAC in bianco al momento o successivamente un’uro-TAC con
mdc;
- S ituazioni di urgenza , come nel caso di dolore persistente nonostante la terapia
analgesica, setticemia, insufficienza renale dovuta, ad esempio, all’insorgenza della colica
nell’unico rene funzionante del paziente o lo stato di gravidanza.
Prima di affrontare la terapia della calcolosi vera e propria, è necessario gestre le
situazioni di urgenza, in cui solitamente la prima manovra attuata è la derivazione della
via escretrice ostruita.
La derivazione urinaria si può eseguire secondo due modalità : 1. Nefrostomia percutanea,
procedura con cui sotto guida ecoscopica i radiologi posizionano un tubo pungendo il
fianco del paziente e giungendo al rene ostruito.
2. Per via retrograda, procedura con cui attraverso l’ausilio della cistoscopia si identfica
l’osto ureterale corrispondente al rene da trattare, quindi gli urologi posizionano prima un
filo guida e poi un tubo “mono j” o “doppio j”.
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In un paziente settico la deviazione urinaria, in concomitanza ad una terapia antbiotca,
favorisce la fuoriuscita delle urine infette e porta ad un miglioramento immediato della
setticemia.
In caso di insufficienza renale la derivazione urinaria ripristna immediatamente la
normale funzione renale.
La gravidanza viene considerata un’urgenza per definizione poiché si ha la necessità di
non recar danno su due soggetti contemporaneamente. Il più delle volte si cerca di non
derivare le gravide perché la nefrostomia percutanea è difficoltosa, dato che prevede il
posizionamento della paziente a pancia in giù , mentre l’approccio retrogrado mediante
cistoscopia potrebbe indurre il parto.
Risolto il problema acuto, si imposta la terapia della calcolosi, le cui opzioni sono: 1.
Terapia medica
La terapia medica ha un ruolo marginale ed è limitata ad alcuni tpi di calcolosi. Come già
detto la scorsa lezione, la maggior parte dei pazient con calcolosi non ha difetti metabolici
associat però può essere a rischio di presentare una recidiva.

Ca
lcolosi calcica
In questa calcolosi, risolto il problema acuto, viene spesso avviata una terapia medica con
l’obiettivo di minimizzare il rischio di una recidiva. Questa terapia si adotta dunque a
posteriori, quando il problema attivo della calcolosi è risolto, per prevenire le recidive.
Fondamentalmente si consiglia di:
o Bere abbondantemente;
o Condurre una dieta a basso contenuto di calcio;
o Eventualmente assumere farmaci che favoriscano la diminuzione della quanttà di calcio
e l’aumento del flusso urinario come Ortofosfati e Tiazidici/idroclorotiazide.
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Ca
lcolosi uratca
In questo caso invece la terapia medica può avere un ruolo attivo in acuto.
Si sospetta la presenza di una calcolosi uratca perché all’RX addominale la formazione
risulta radiotrasparente, e alla TAC si può individuare il calcolo e valutare le Housfield2 del
calcolo, che se misurano 600-700 indicano che il calcolo è a scarso contenuto calcico e
quindi quasi sempre uratco.
Confermata la diagnosi di calcolosi uratca si può :
o Alcalinizzare le urine mediante l’assunzione di bicarbonat due o tre volte al giorno,
monitorando il pH urinario con le cartne tornasole per cercare di mantenerlo a valori
maggiori di 7. L’alcalinizzazione delle urine può far sciogliere calcoli di acido urico anche di
dimensioni elevate. Questo chiaramente permette di risolvere il problema del calcolo.
o Trattare farmalogicamente l’iperuricemia, in parallelo all’alcalinizzazione.
Solitamente si somministra lo Zyloric, un farmaco a base di Allopurinolo, con dosaggi che
vanno dai 200 ai 600 mg, solitamente si inizia con 300mg dato che è un farmaco poco
maneggevole.
( Si ricorda dalla lezione precedente che il 50% dei pazienti con calcolosi uratica sono affetti
da gotta, che implica l’iperuricemia e quindi un alterato metabolismo dell’acido urico Ndr).
2 Unità di misura utlizzata nella determinazione della composizione chimica dei calcoli.
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Ca
lcolosi cistnica
I pazient cistnurici sono spesso bambini o giovani adult che hanno un’alterazione del
metabolismo della cistna e tendono quindi a formare calcoli in contnuazione. In questo
caso la terapia medica può agire sciogliendo il calcolo o, una volta ridotte le dimensioni del
calcolo, prevenendo la recidiva.
È una terapia piuttosto complicata che implica:
o Alcalinizzazione delle urine con bicarbonato, che è necessaria ma non molto efficace o
Terapia farmacologica a base di Penicillamina o Mercaptopriprionilglicina, che purtroppo
sono farmaci orfani e quindi molto difficili da trovare, tanto che spesso i pazient li devono
cercare nelle farmacie internazionali.
Bisogna considerare inoltre che la compliance alla terapia risulta piuttosto modesta dato
che richiede a pazient molto giovani un’assunzione dei farmaci in cronico per tutta la vita.
2. Litotrissia extracorporea con onde d’urto (ESWL) Viene definita anche VASCA a Padova
poiché una volta questa tecnica prevedeva che il paziente fosse messo in una vasca per la
rimozione del calcolo.
In passato, quando non c’erano altre opzioni terapeutche, si utlizzava spesso questa
strategia, mentre al giorno d’oggi a Padova viene utlizzata raramente, mentre è ancora in
uso in altri presidi ospedalieri.
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Come si può vedere nelle immagini sopra riportate, all’interno del macchinario utlizzato è
presente un cristallo piezoelettrico che produce onde d’urto che vengono focalizzate sul
calcolo. Il paziente è disteso sul lettino con la regione incriminata vicino all’emettitore di
onde d’urto. Attraverso un sistema RX o un controllo ecografico il calcolo viene identficato,
bombardato e dunque distrutto.
Sicuramente la ESWL presenta una buona efficacia, poiché in passato quando non c’erano
altre opzioni tutte le tpologie di calcolo venivano così trattate. Tuttavia il più delle volte il
calcolo non si frantuma in pezzi sufficientemente piccoli tali da essere espulsi
spontaneamente, ma si rompe in pezzi grossolani che i pazient fanno fatca ad eliminare .
Ciò porta allo sviluppo di altre coliche, con ulteriore sintomatologia e la necessità di altri
trattament ancillari, di aiuto, per la risoluzione completa della calcolosi, come il
posizionamento di uno stent o l’ureteroscopia.
L’ESWL è quindi un trattamento che ha il vantaggio di essere meno invasivo, in quanto si
può eseguire sotto blanda sedazione, senza il bisogno di anestesia e senza andare
fisicamente a
“mettere le mani” sulla via escretrice del paziente, tuttavia la probabilità di successo del
singolo trattamento è molto bassa. Si può ripetere la metodica sullo stesso paziente più
volte però i tempi si allungano e c’è una probabilità discretamente elevata di ricorso a
ulteriori trattament.
Per tali motvi, a Padova, la ESWL è poco utlizzata.
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3. Ureteropieloscopia retrograda
L’ureteroscopia rappresenta un modo rapido ed efficace per la risoluzione della calcolosi
ureterale e per tale motvo la si utlizza molto spesso.
Lo strumento utlizzato è l’ureteroscopio, simile al cistoscopio ma di dimensioni maggiori,
che può essere rigido o flessibile. Questo viene introdotto nella via escretrice e permette la
sua esplorazione fino al sito di blocco del calcolo. Se il calcolo è piccolo (<6-7mm), lo si
acchiappa con un cestello e lo si estrae per intero, mentre se ha dimensioni elevate lo si
frantuma con una fibra laser, quindi i pezzi più significatvi vengono estratti con il cestello
mentre i più piccoli vengono espulsi spontaneamente.
Nelle immagini in basso sono raffigurat i vari tpi di ureteroscopi utlizzat: da sinistra a
destra ci sono l’ureteroscopio rigido, quello semi-rigido e quello flessibile.

L’ureteroscopio rigido viene utlizzato se il calcolo è localizzato nell’uretere o nel calice


superiore, mentre quello flessibile quando è localizzato nel calice inferiore o medio. Gli
strument flessibili vengono introdotti nell’uretere attraverso un filo guida, e si possono
piegare in punta permettendo all’operatore di arrivare in prossimità del calcolo. In seguito
viene introdotta la fibra laser con la quale si distrugge il calcolo.
A lato è mostrata un’immagine che riporta il processo del
basketing, procedura in cui, dopo aver raggiunto con l’ureteroscopio un pezzo del calcolo,
lo si afferra con un cestelletto. Il frammento per essere asportato in questo modo deve
avere dimensioni ridotte (<6 mm). L’uretere presenta infatti un diametro medio di 7 mm,
quindi se si cerca di estrarre un 179

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calcolo di dimensioni maggiori si potrebbe danneggiare l’uretere, dando una complicanza
grave per una patologia benigna.
Viene riprodotto un video di un’ureteroscopia, segue la descrizione della procedura.
Innanzitutto viene premesso che percorrere l’uretere con l’ureteroscopio non è semplice
come entrare in vescica con il cistoscopio perché l’uretere è una struttura molto delicata.
Dopo l’arrivo in vescica, per prima cosa con un catetere bisogna incannulare correttamente
l’osto dell’uretere, che rappresenta lo sbocco dell’uretere. Se l’osto è stretto bisogna
dilatarlo, se invece non lo è si infila direttamente un catetere ureterale per eseguire
l’ureteropielografia retrograda .
Eliminate le bolle d’aria eventualmente present nel catetere, il catetere ureterale viene
appoggiato sull’osto
Poi si inietta un mezzo di contrasto per eseguire l’ureteropielografia ascendente che
permette la visualizzazione della via escretrice e la valutazione della sua anatomia.
Nel video si vede il mezzo di contrasto che risale, il rene che si alza e si abbassa a seconda
del ciclo respiratorio e l’anatomia dell’uretere basso che risulta regolare.
Effettuato l’esame dell’uretere si introduce nell’uretere il filo guida, una struttura rigida ma
parzialmente flessibile, che rappresenta l’autostrada che bisogna seguire per arrivare al
calcolo.
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Novara 04/10/19
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A questo punto si
estraggono il cateterino e
il cistoscopio , per introdurre quindi l’ureteroscopio direttamente al di sotto della guida.
Il campo visivo diminuisce perché l’ureteroscopio è più piccolo e la visuale risulta più
offuscata poiché c’è una via di irrigazione piccola.
Arrivat al calcolo, se quest’ultmo è piccolo lo si acchiappa direttamente con il cestello
mentre se ha dimensioni maggiori lo si rompe con il laser e secondariamente si estraggono
i pezzi.
Nel video l’ureteroscopia a livello lombare è negatva (non ci sono calcoli), quindi si procede
fino al giunto pielouretrale, situato nell’uretere lombare alto, dove si trova un
restringimento. La manovra deve essere molto delicata in quanto si rischia di provocare
un’avulsione ureterale, ovvero una lesione completa dell’uretere con conseguente
interruzione del condotto stesso. L’avulsione ureterale è una complicanza molto temibile
ma fortunatamente anche molto rara (0.1% negli intervent di ureteroscopia). Per tale
motvo viene introdotta una seconda guida accanto alla prima e viene controllato il suo
corretto posizionamento mediante radioscopia. Collocate correttamente le due guide, si
passa in mezzo per arrivare in posizione pielica dove si localizzano due calcoli.
Con l’ureteroscopio rigido si esplora l’uretere, se sono present dei calcoli bassi si possono
trattare direttamente dopo aver verificato l’anatomia dell’uretere. Tuttavia il più delle
volte, come in questo caso, il calcolo ha dimensioni elevate o sono present più calcoli,
quindi la calcolosi non può essere trattata direttamente con l’ureteroscopio rigido perché
l’acqua iniettata creerebbe una pressione troppo elevata all’interno della via escretrice.
Si utlizza quindi la camicia, uno strumento tubulare funzionale a evitare che
l’ureteroscopio sia a contatto diretto con l’uretere e quindi possa lesionarlo.
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Quindi viene estratto l’ureteroscopio, lasciando dentro la guida per inserire la camicia che
risale fino sotto al calcolo, quindi immediatamente la via escretrice si svuota eliminando
l’acqua in eccesso. Dopo di che si reintroduce l’ureteroscopio flessibile dentro la camicia, in
modo che i moviment risultno più agevoli perché non c’è contatto diretto tra l’uretere e
l’ureteroscopio.
Il puntno rosso visibile nel video è la fibra laser che emette una luce per far capire
all’operatore dove va a bombardare. È indispensabile evitare di puntare la luce sulla parete
ureterale perché altriment si crea un buco. Quindi la luce rossa viene puntata sul calcolo, si
attiva il pedale e il calcolo viene frammentato .
L’operatore capisce che il calcolo è stato rotto perché la visuale viene completamente
offuscata dai framment del calcolo.
Periodicamente, durante l’intervento, si svuota il liquido che c’è dentro l’uretere per
asportare i framment più piccoli ed avere una buona visione. In ogni caso non si raggiunge
un livello di visione chiaro come quella delle resezioni viste nei video le precedent lezioni.
L ’obbiettivo dell’operazione è quello di po
lverizzare il calcolo in framment submillimetrici che possano uscire autonomamente.
Tuttavia non sempre è possibile frammentare a sufficienza la massa perché c’è un tempo
limitato d’intervento, quindi non appena i framment raggiungono una dimensione tale da
essere trat fuori con il cestello, lo si fa attraverso la camicia, grazie a cui non c’è il rischio di
danneggiare la parete ureterale con l’estrazione del calcolo, però è chiaro che possa esser
lesionata con l’introduzione della camicia che è semirigida.
Esempi di catetere ureterale a cestello: si inserisce chiuso dentro l’ureteroscopio. Si
pone al di sopra del calcolo. Poi si apre, si acchiappa il calcolo, si richiude e viene
estratto con il calcolo tra le maglie.
Durante l’operazione il paziente è steso sul lettino radiologico e si eseguono direttamente
degli spot di scopia per verificare se ci sono calcoli o framment di grosse dimensioni rimast.
All’inizio si vede sempre tutto molto bene, alla fine invece molto male per cui non sempre si
riesce a bonificare completamente l’uretere.
Dunque l’obbiettivo ragionevole da porsi è frantumare il calcolo il più possibile senza
arrecare danno alle strutture nobili, portare via i pezzi più grandi lasciando dei framment
submillimetrici che possano essere eliminat spontaneamente.
Nei casi più fortunat al termine dell’ureteroscopia i calcoli sono stat completamente
eliminat, quindi si inserisce un catetere ureterale lungo la guida che verrà lasciato in sede
fino al giorno dopo. Quando 182
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invece l’operatore non è sicuro della piena riuscita dell’intervento o ha fatto dei danni alla
parete, si posiziona un tubo doppio j che si lascerà in sede per settimane per poter
eventualmente reintervenire. Il doppio j avrà l’estremità prossimale localizzata nella pelvi e
quella distale nella vescica, senza arrecare alcun fastdio al paziente.
Immagine dello stent doppio J
Con l’ureteroscopia vengono trattat solitamente tutti i calcoli ureterali , a meno che non
siano giganteschi (>3-4 cm), e una buona parte dei calcoli intra-renali come quelli pielici di
dimensioni di 2-3
cm. Quando però il calcolo pielico ha dimensioni molto elevate come nel caso dei calcoli a
stampo, non si può intervenire con questa tecnica perché la quanttà di calcolo che si deve
asportare è notevole. Quindi si possono fare più ureteroscopie se il paziente è molto
delicato, altriment si può adottare l’approccio percutaneo.
4. Litotrissia percutanea
L’approccio percutaneo prevede l’utlizzo del
nefroscopio, simile ad un grosso ureteroscopio, che permette all’operatore di entrare a
contatto
con il rene, vedere in modo diretto il calcolo e
soprattutto creare una via breve e larga per
portare via i pezzi.
Questa tecnica prevede la puntura del rene sotto
guida ecografia, quindi la dilatazione del tramite creato all’interno del parenchima per
entrare
all’interno del rene con lo strumento. Individuato
il
calcolo, questo viene frammentato in pezzi (non
polverizzato come nell’ureteroscopia) sempre con la
tecnica
laser, in modo che i framment possano venire estratti poi attraverso il nefroscopio.
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In basso sono rappresentate due RX prima e dopo la lissotrissia percutanea. Nella seconda
il calcolo non c’è più poiché è stato completamente eliminato.
5. Terapia chirurgica
La chirurgia può essere eseguita a cielo aperto, in laparoscopica o in robotca.
LINEE GUIDA EAU 2019
La scelta del tpo di terapia da intraprendere dipende da molt fattori, tra cui:

Preferenza dell’operatore;

Preferenza del paziente in base alla sua volontà e alle tempistche che ha a disposizione;

Anatomia della via escretrice del paziente;

Dimensione del calcolo, in linea di massima:
 Calcolo di 2 cm→ ureteroscopia (RIRS, retrograde intrarenal surgery) o nefrolitotrissia
percutanea (PNL). A Padova se il calcolo misura circa 2 cm viene adottata preferibilmente
la RIRS, mentre se è maggiore di 3 cm si usa la PLN.
 Calcolo di 1-2 cm→ ureteroscopia o shock waves (ESWL). A Padova si preferisce
condurre quasi sempre l’ureteroscopia perché consente di risolvere il problema in un
singolo trattamento mente lo ESWL richiede più sedute;
 Calcolo minore di 1 cm→ ureteroscopia o la ESWL.
Bisogna valutare bene la localizzazione del calcolo e l’anatomia della via escretrice per la
scelta corretta del trattamento.
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Il polo inferiore del rene rappresenta il punto più declive del rene, quindi il punto dove
con maggiore probabilità si possono creare dei calcoli e da cui è più difficile che i framment
escano autonomamente. Dunque se si formano dei calcoli nel polo inferiore in pazient
anziani e risulta asintomatco si può pensare di non trattarlo, mentre se è necessario un
trattamento, per la scelta dell’approccio (RIRS, SWL, PLN) si studia l’anatomia ureterale e
in partcolare il collettore del calice, che se è:
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 Lungo, stretto e molto angolato rispetto alla pelvi, risulterà molto difficile penetrarlo con
l’ureteroscopio flessibile e dunque sceglierò un approccio percutaneo oppure se il paziente
è oligosintomatco la semplice sorveglianza, tanto il calcolo da lì non uscirà mai;
 Corto, largo e con un angolo favorevole rispetto alla pelvi, è più probabile che si riesca ad
entrare con l’ureteroscopio e quindi si può optare per la RIRS, che risulta nettamente più
vantaggiosa per il paziente perché molto meno invasiva e rischiosa.
I principali rischi della PLN sono due:
1. L esione intestnale del colon nel momento in cui si punge il rene. Non è una complicanza
frequente ( al team del professore è successo 2 volte in 15 anni), ma è molto grave poiché il
paziente deve essere successivamente sottoposto a resezione intestnale e colonstomia.
2. S anguinamento , che è una complicanza più frequente ma meno drammatca. Si ricorda
che nella PLN si pratca un buco nel rene e, pur eseguendo l’operazione in maniera
controllata mediante ecografia, è sempre possibile danneggiare un’arteriola. Le arteriole
ecograficamente non si vedono e quando viene tolto il tubo lasciato per drenare la via
escretrice dopo un paio di giorni, l’arteriola non sarà più compressa dal tubo stesso e
quindi sanguinerà . Tale complicanza si risolve con un’arterografia e un’embolizzazione,
come nel caso delle nefrectomie parziali sanguinant.
Per i calcoli collocat nell’uretere si può :
1. Aspettare l’espulsione spontanea che ha un’alta probabilità di avvenire se i calcoli
sono piccoli (5-6 mm). In pratca si aspettano 2-4 settimane e nel mentre si somministra
una terapia idropinica e un farmaco alfa bloccante (il comune alfa-litco che si usa per
l’ipertrofia prostatca). Alcuni studi infatti dimostrano che tali farmaci diminuiscono lo
spessore della muscolatura dell’uretere distale e di conseguenza aumentano leggermente la
probabilità che il calcolo venga espulso autonomamente – uso off label;
2. Se il calcolo non viene espulso dopo le 2-4 settimane di attesa previste, bisogna eseguire
un’ureteroscopia o una litotrissia extracorporea. L’ureteroscopia viene solitamente
preferita in quanto risolve il problema in mezz’ora, tuttavia se il paziente preferisce un
trattamento meno invasivo e accetta un iter che richiede tempistche maggiori si esegue la
litotrissia extracorporea, che è meno invasiva, ma anche meno risolutva, ed espone il
paziente ad una storia post operatoria più incerta, dato che dopo il trattamento possono
rimanere alcuni framment che inducono ulteriori coliche. Spesso dopo la procedura viene
lasciato in sede il doppio j, e talvolta risulta necessario ricorrere all’ureteroscopia per
rimediare ai danni fatti con il litotritore.
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Difetti anatomici nella calcolosi ureterale
 Ostruzione del giunto pieloureterale
È il difetto anatomico più comune, e prevede un ristringimento del giunto pieloureterale,
nel tratto in cui la pelvi del rene si contnua con l’uretere.
Nella maggior parte dei casi però non si verifica un ristringimento come quello riportato
nell’immagine a lato dove il giunto sembra atrofico, ma piuttosto il s e
gmento risulta aperistaltco con un calibro regolare , infatti nonostante le urine facciano
fatca a passare si riesce ad introdurre agevolmente l’ureteroscopio.
In altri casi può succedere che sia presente un’arteria anomala che per vascolarizzare il
polo inferiore del rene passa anteriormente sul giunto pieloureterale comprimendolo.
Nell’immagine in basso viene riportata la TAC con mezzo di contrasto eseguita sul
paziente che mostra un’evidente idronefresi, dilatazione a livello della pelvi renale,
mentre l’uretere sotto l’ostruzione è pressoché normale. Si vede bene l’impronta
determinata da un’arteria anomala che ostruisce il dotto.
Allo stesso modo l’uro-TAC coronale, riportata sotto, evidenzia l’idronefrosi e la
dilatazione dei calici,

senza

dilatazione

dell’uretere.
Il professore riporta un suo caso clinico di malattia del giunto pieloureterale di
sinistra. Il paziente è un ragazzo giovane trasferitosi in Cina con la famiglia per il lavoro del
padre che vende macchine agricole. In seguito a un episodio di colica il ragazzo venne
sottoposto ad una serie di accertament mediante imaging.
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Idronefrosi all’ecografia. Uretere non visibile
Idronefrosi all’uro-TC: uretere non
dilatato.Sospetta compressione del
giunto da un vaso anomalo.
Ricostruzione 3 d nella stessa TC dell’aorta, in
cui si evidenzia l’albero arterioso che irrora il
rene, in cui si evidenzia con la freccia bianca
l’arteria polare che va a comprimere la pelvi.
Il professore decide infine di far eseguire al paziente una scintgrafia renale in quanto la
presenza di dilatazione non è sinonimo di
ostruzione. Ci sono infatti dei casi di
dilatazione perinatale dove l’ostruzione si
risolve, ma il rene resta dilatato. In questo caso
l’ostruzione era molto probabile perché si era
verificata una colica. Bisogna dunque prescrivere un esame funzionale che garantsca che il
rene sia dilatato ed anche ostruito.
Il paziente esegue una scintgrafia renale con MAG3-Lasix: per prima cosa si somministra un
tracciante endovena (MAG3) che il rene capta, poi si somministra il Lasix (momento
individuato nel grafico dalle linee gialle) che induce il rene all’eliminazione del tracciante.
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Nel grafico soprariportato la curva azzurra rappresenta il rene sinistro sano, mente quella
fucsia il rene idronefrotco destro.
Si evidenzia come il rene sano capt molto bene il tracciante, evidenziato da un picco nella
curva, mentre il rene idronefrotco lo capta molto più lentamente e non arriva mai a captare
tanto quanto quello sano. Inoltre si vede come dopo la somministrazione del diuretco il
rene sano elimini il tracciante, come mostrato dalla decrescita della curva azzurra, mentre
il malato non è in grado di eliminare il mdc, infatti la curva rimane piatta e non decresce.
Tale andamento conferma che la pelvi renale oltre ad essere dilatata è anche ostruita.
I pazient che presentano una scintgrafia simile, in linea di massima, vanno operat, e gli
intervent che possono essere eseguit sono la pieloureteroplastica per via robotica nel
caso in cui ci sia un’ostruzione ma il rene sia di per sé funzionante, oppure la nefrectomia
quando il rene invece non funziona più . Infatti a volte arrivano all’osservazione dell’urologo
pazient con reni distrutti da ostruzioni inveterate in cui il tracciato si presenta
completamente piatto poiché il rene non riesce a captare il mezzo di contrasto, in questo
caso si opta per la nefrectomia.
Invece il caso clinico in questone presenta un rene ostruito che però funziona quasi quanto
quello sano, come evidenziano le percentuali di funzionamento riportate nel grafico, quindi
si esegue una pieloureteroplastca per via robotca.
Questa procedura consiste nel sezionare la pelvi renale e ri-anastomizzarla anteriormente
al vaso, infatti questo vaso che crea l’ostruzione è anomalo ma il parenchima che tale
arteria vascolarizza è normale quindi sezionare il vaso significherebbe indurre ischemia in
quella porzione di parenchima. Alla fine dell’operazione viene lasciato un catetere ureterale
doppio j per qualche settimana.
Viene definita D ismembered pyeloplasty di Anderson-Hynes, in cui “dismembered”
indica per l’appunto il distacco di un pezzo di pelvi dall’altro.
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La probabilità di successo di questo tpo di intervento è oltre il 90%, quindi la prognosi di
quest pazient è molto favorevole, e se trattat per via robotca il decorso risulta molto rapido
e le cicatrici poco evident.
Viene riportato un secondo caso clinico di idrocalice, un calice dilatato per effetto di una
stenosi del collettore.
Nelle immagini riportate in basso sono visibili la pelvi, il collettore che risulta stretto, lungo
e angolato e calice dilatato. Nella ricostruzione tridimensionale si nota una palla sotto il
calice che risulta dilatato.
A livello della dilatazione si possono formare dei calcoli, che nonostante possano venire
bombardat e rotti con la ESWL non riusciranno mai ad uscire a causa della conformazione
anatomica. Quindi si può optare per l’ureteroscopia ma bisogna entrare attraverso il calice
stenotco e dilatarlo, in modo tale che, una volta eseguita la procedura di estrazione del
calcolo, il collettore rimanga aperto e il calice possa svuotarsi.
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L’ureteroscopia in un caso come questo eliminerà l’eventuale calcolo presente se riesco a
superare il collettore ma il calice rimarrà dilatato e tenderanno a formarsi nuovi calcoli. Di
conseguenza può essere preferibile fare una nefrectomia polare in cui si asporta il calice
dilatato per evitare la contnua formazione di calcoli ureterali. Il pezzo di parenchima renale
adiacente all’idrocalice è assottiglaito come si vede bene dall’immagine a destra per cui non
sacrificherò tanto parenchima renale funzionante.

Rene a ferro di cavallo
È un’altra anomalia anatomica abbastanza
frequente, che si può vedere nella ricostruzione 3D
eseguita mediante TAC riportata a lato.
Il rene a ferro di cavallo si forma durante lo sviluppo embriologico, quando si ha la fusione
dei poli inferiori dei due
reni. Questo comporta che il rene si trovi più in basso
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rispetto alla posizione naturale perché la migrazione craniale viene bloccata dalla presenza
dei vasi che ci sono anteriormente lungo la cava e l’aorta.
Il problema di questa anomalia anatomica è che si viene a creare un istmo di tessuto
fibrotco o di parenchima renale funzionante che deve essere
scavalcato dagli ureteri, e che l’anatomia dei calici
risulta sovvertta perché la loro angolazione è
alterata, questo non permette lo svuotamento
normale e predispone allo sviluppo di calcolosi.
Come si vede nell’immagine a lato i calici sono inclinat posteriormente, quindi faranno fatca
a
svuotarsi naturalmente e saranno predispost allo
sviluppo di calcolosi a livello dei gruppi caliceali o
direttamente nella pelvi perché l’uretere deve
scavalcare l’istmo del rene a ferro di cavallo.
Viene riportata in basso una TAC di un rene a ferro
di cavallo che presenta un piccolo calcolo a destra e un grosso calcolo sinistra.
Nella sequenza in basso è riportato invece l’intervento effettuato per rimuovere il calcolo di
sinistra fatto mediante trattamento retrogrado.
Il problema dei pazient con rene a fero di cavallo è che l’anatomia è molto complessa, non
sempre si riescono a trattare bene i calcoli e dunque saranno proni a recidive.
Se il calcolo è molto grande generalmente si opta per una litotrissia percutanea ma anche in
questo caso l’operazione risulta complessa perché i calici hanno un’angolazione partcolare
e sfavorevole.
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Allo stesso modo la nefrectomia risulta impegnatva in quanto l’anatomia non è quella
consueta.
In generale, tutti i casi di anomalie anatomiche associate rendono il trattamento della
calcolosi più complicato del normale.
Si puntualizza che il rene a ferro di cavallo non è una malformazione, ma una variante
anatomica relatvamente frequente che può essere riscontrata spesso nei pazient con cui
verremo a contatto.
Ancora più frequentemente, nella futura carriera di medici, capiterà di avere a che fare con
pazient che hanno fatto ureteroscopia perché è una procedura eseguita spesso in quanto è
altamente efficace e rapida e i pazient sono solitamente giovani che hanno fretta di tornare
alla loro routne quotdiana.
D: Esiste la possibilità di separare i due reni per tentare di diminuire gli eventi di calcolosi?
R: No. L’orientamento dei calici è completamente stravolta rispetto al normale e non si può
più di tanto cambiare l’orientamento del rene perché poggiano sull’aorta e non si ha quindi
molto spazio di manovra. Se un paziente è nato così si cerca il più possibile conservare la sua
anatomia.
Neoplasia del testicolo
Epidemiologia
La neoplasia del testcolo è una malattia rara, ci sono 6 casi ogni 100.000 maschi.
Esistono delle aree in Europa con incidenza partcolarmente elevata come Svizzera,
Scandinavia e Germania. In Italia si riscontra un’elevata incidenza in Veneto: alcuni hanno
avanzato l’ipotesi che la causa siano i PFAS, sostanze perfluoroalchiliche, ma non si conosce
il motvo reale.
L’incidenza ad oggi è in crescita, anche se nel 2019 ci sono stat 2200 nuovi casi, quindi una
percentuale piuttosto bassa che corrisponde allo 0,1% del totale.
L a s opravvivenza è eccezionale e raggiunge valori maggiori del 90%, anche in caso di
pazient negli stadi più avanzat se l’iter medico viene svolto in maniera corretta.
È doveroso parlare della neoplasia testcolare, anche se rara, poiché è la neoplasia più
comune nei giovani maschi (0-49 anni). Nella tabella a pagina seguente vengono riportate
le percentuali delle neoplasie per fascia d’età: la neoplasia del testcolo rappresenta ben
il 12% dei tumori nei soggetti di età inferiore a 50 anni.
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Nel grafico a sottostante invece si riporta la percentuale di sopravvivenza nelle diverse
neoplasie a 5 anni dalla diagnosi: la neoplasia testcolare è al terzo posto con una
sopravvivenza del 91%, se tutto viene fatto nella maniera corretta.
Dai grafici sotto riportat si vede come, in Italia al momento ci siano circa 55.000 pazient
con diagnosi di neoplasia testcolare, con una prevalenza pari al 3% ( grafico a sinistra).
Quindi si può affermare che sia una neoplasia relatvamente rara rispetto alle patologie
trattate nel corso delle lezioni. Invece nel grafico a destra che riporta i tassi di incidenza si
vede come quest siano in nettissimo aumento, soprattutto nella nostra regione.
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Fattori di rischio
Le cause di sviluppo di neoplasia testcolari sono misconosciute. L’unico fattore di rischio
individuato, che tuttavia coinvolge un numero di casi limitato, è il criptorchidismo.
Il criptorchidismo verrà trattato nelle ultime due lezioni tenute da un chirurgo pediatra che
lavora nel team del professore in quanto questa anomalia è riscontabile nel neonato.
Il criptorchidismo rappresenta la mancata discesa di un testcolo nella borsa scrotale e il
suo blocco lungo il percorso che lo porta dal retroperitoneo a livello renale, sede in cui
origina, fino allo scroto. Nella maggior parte dei casi il testcolo si colloca a livello del canale
inguinale, ma può anche bloccarsi cranialmente all’arteria inguinale interna, solitamente
nell’anello inguinale interno.
Se il testcolo non è presente nella borsa scrotale ci possono essere due cause: l’agenesia in
cui il testcolo non c’è, e il criptorchidismo in cui il testcolo non è sceso completamente.
Questa condizione viene identficata solitamente dal pediatra, che valuterà le due possibili
condizioni attraverso l’imaging.
Quando viene diagnostcato il criptorchidismo, quindi il testcolo è presente ed è normale, si
esegue l’orchidopessi, attraverso cui si riporta il testcolo nello scroto. Questa procedura è
fondamentale per la funzionalità testcolare, infatti a livello scrotale la temperatura è
minore rispetto a quella addominale o del canale inguinale, sedi in cui l’elevata
temperatura indurrebbe disfunzionalità .
Nonostante l’orchidopessi in età molto precoce, il rischio di sviluppare neoplasia testcolare
nei pazient con pregresso criptorchidismo risulta aumentato di 10 volte . Tuttavia il
professore assicura per esperienza che tra i pazient con tumore testcolare da lui trattat
solo una bassissima percentuale aveva avuto criptorchidismo.
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Esistono altri fattori di rischio da considerare, anche se non è ben nota la correlazione con
il tumore testcolare, come la prematurità, l’ultimogenitura e l’età della madre al parto.
Classificazione istologica
Dal punto di vista istologico si distnguono due linee tumorali principali: i tumori germinali,
che originano dalle vie della spermatogenesi, e i tumori non germinali.
1. Tumori germinali
Secondo la classificazione WHO 2016 sono i tumori effettivamente maligni, che son distnt
in:

Seminoma (GCNIS)
Insorge solitamente nella seconda decade di vita e ha una prognosi migliore.
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Non seminoma (o neoplasia non seminomatosa) che comprende: o Yolk sac tumor
o Teratoma
o Carcinoma embrionale
o Coriocarcinoma
Insorge solitamente nella terza decade di vita e ha una prognosi peggiore.
Spesso i pazient presentano delle forme miste e solamente una percentuale inferiore ha
forme di seminoma o non seminoma puro.
2. Tumori non germinali
Quest tumori si generano dalle cellule di Lyding o del Sertoli e hanno sviluppo
prevalentemente benigno a differenza dei tumori germinali che sono ad andamento clinico
maligno.
3. Linfomi testicolari
Sono un altro gruppo di patologie utle da tenere a mente in caso di affezione testcolare.
Il coinvolgimento linfomatosi del testcolo riguarda principalmente gli anziani, a differenza
del tumore testcolare, e può essere primario, se coinvolge direttamente il testcolo, o
secondario in caso il testcolo sia stato inficiato secondariamente da un linfoma in un altro
distretto.
Quindi se riscontro nell’anziano una massa testcolare non si tratta sicuramente di un
tumore di tpo germinale ma con maggiore probabilità di un linfoma.
Peculiarità cliniche
Le neoplasie del testcolo presentano delle peculiarità cliniche ben definite:

Colpiscono soggetti giovani;

Sono caratterizzate da marker tumorali prognostci: l’alfa-fetoproteina e la beta-
gonadotropina corionica umana (beta-HCG);

Sono neoplasie chemio e radio sensibili, per cui esistono dei trattament altamente efficaci,
che sono in grado di guarire i pazient anche nelle situazioni più disperate, se trattat
adeguatamente. Si riporta ad esempio il caso di Lance Armstrong, grande 197
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campione di ciclismo che ha vinto 7 tour de france pur essendo stato colpito da una neoplasia
germinale non seminomatosa metastatica al cervello;

Presentano una metastatzzazione ordinata e prevedibile.
Vie di metastatizzazione
Le neoplasie testcolari metastatzzano innanzitutto a livello del retroperitoneo, non a livello
inguinale, per seguire il drenaggio linfatco in modo consono all’embriogenesi.
Come già riportato la metastatzzazione di questo tpo di neoplasia è ordinata e prevedibile:

Neoplasia nel testcolo di destra→ le metastasi coinvolgono i linfonodi paracavali (12%),
precavali (40%) e intraaortocavali (88%);

Neoplasia nel testcolo sinistro→ le metastasi coinvolgono i linfonodi intraortocavali
(29%), preaortci (71%) e lateroarotci(79).
Sia a destra che a sinistra superiormente il confine è rappresentato dall’arteria renale,
mentre lateralmente è quasi sempre l’uretere.
Nell’immagine figura A per neoplasie del testicolo destro, figura B per quelle del sinistro.
Questo ordine preciso è dovuto al fatto che le vie di metastatzzazione seguono il drenaggio
linfatco, che si porta da destra verso sinistra in quanto la circolazione linfatca sbocca poi in
quella venosa a livello dell’incrocio fra la vena giugulare e la succlavia sinistra. Per questo
motvo non può essere che un paziente con neoplasia a sinistra abbia metastasi su linfonodi
paracavali o laterocavali, mentre è possibile avere, in pazient con neoplasia a destra, delle
metastasi ai linfonodi paraaortci e lateroaortci, a patto che quest coinvolgiment non siano
isolat, cioè è necessario che ci sia un coinvolgimento ordinato dei linfonodi paracavali,
precavali e intraaortci, a cui seguono quest piccoli nuclei di linfonodi paraaortci.
È importante ricordare che queste vie di metastatzzazione si mantengono sempre, a meno
che non venga alterato il drenaggio linfatco del testcolo.
La TAC sotto riportata evidenzia con una freccia un’enorme massa necrotica a livello del
retroperitoneo.
Quasi sempre masse così grandi sono derivate dai seminomi.
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Lez. 01 urologia
Novara 04/10/19
Revisore: A.Galbiat
Diagnosi
1. Clinica
Nella maggior parte dei casi il paziente si presenta dopo che con la partner ha notato la
presenza di una massa scrotale nella quasi totalità dei casi non dolente. Più raramente in
circa il 10% dei casi i pazient arrivano in ospedale per i sintomi delle metastasi, quali
coliche in caso di metastasi retroperitoneali, o tosse e altre sintomatologie respiratorie in
caso di metastasi polmonari.
Nel momento in cui il paziente arriva in osservazione, viene visitato per capire se la massa
effettivamente origina dal testcolo, e quindi plausibilmente potrebbe essere una neoplasia
testcolare, oppure dall’epididimo, da cui sostanzialmente non originano neoplasie, quindi la
massa è quasi sempre associata a problemi infiammatori.
2. Imaging
Alla visita clinica segue un esame di imaging, quasi sempre l’ecocolordoppler scrotale che
consente di certficare qual è la struttura interessata e di analizzare la massa. Quando si
trova un nodulo solido, disomogeneo ed ipervascolarizzato solitamente è una neoplasia.
3. Markers tumorali
Vengono quindi analizzat i markers tumorali:

L’alfa-fetoproteina si trova aumentata tpicamente nei non seminomi ed ha un valore
principalmente prognostco, quindi viene dosata nel follow-up per valutare la terapia.
Tenendo conto che questa glicoproteina ha un’emivita di 5-7 giorni, si ottengono 199
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informazioni precise sull’efficacia del trattamento: se la neoplasia è presente solo a livello
testcolare e il trattamento è stato efficace ci si aspetta che il marker si azzeri.

La beta-gonadotropina corionica umana è prodotta dal tessuto trofoblastco, ed è rilevata
sempre nel coriocarcinoma puro, nel 40-60% dei carcinomi embrionali e in un 5-10% dei
seminomi, solitamente in quelli mist con isole di coriocarcinoma all’interno. Presenta
un’emivita di 24-36h.
4. Preservazione del liquido seminale
Prima di intervenire sul paziente bisogna valutarne lo stato di fertlità , dato che solitamente
i pazient presentano dispermia di base e le terapie possono alterare ulteriormente la
funzione seminale per anni, o in alcuni sfortunat casi per sempre.
I pazient, quindi, in seguito alla formalizzazione della diagnosi e prima di essere operat,
vengono sottopost a spermiogramma per valutare la qualità del liquido seminale e il più
delle volte viene fatta la criopreservazione, il congelamento del liquido seminale per
un’eventuale futura fecondazione assistta se il soggetto è interessato. Spesso dopo tre anni
dai trattament la funzione seminale torna normale, ma non avviene sempre ed è comunque
meglio usare spermatozoi che non sono stat espost a chemioterapici.
Il successo di fecondazione assistta ottenuto con il liquido seminale preservato non è del
100% ma i dat riportat sono stat ricavat per ciclo e non per paziente, inoltre sono
influenzat soprattutto dall’età della donna. Tipicamente però in questo caso il fattore età
della donna incide poco perché le età dei due soggetti della coppia sono altamente
correlate, e questa neoplasia colpisce principalmente la classe d’età dei 20-30 anni.
5. Terapia chirurgica

Orchiectomia
Per il trattamento del tumore primitvo viene effettuata l’orchiectomia, che prevede la totale
rimozione del testcolo interessato prestando attenzione a non alterare il drenaggio linfatco.
Nella procedura in nessun caso, proprio mai e poi mai deve essere effettuata
un’incisione scrotale, perché si andrebbe ad alterate il drenaggio linfatco testcolare
determinando innumerevoli problemi riguardo la diffusione metastatca.
Ad esempio viene riportata l’immagine in basso di un caso di metastatizzazione inguinale a
seguito di un intervento chirurgico scorretto per via scrotale.
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Si effettua un’incisione inguinale di circa 5 cm fra il tubercolo pubico e la SIAS, prendendo
come repere il legamento inguinale. Quindi si isola e si clampa il funicolo spermatco, per
poi far fuoriuscire la gonade attraverso il canale così sviluppato, quindi la si osserva e
palpeggia per assicurarsi che sia una massa tumorale. Se si ha questa conferma il testcolo
viene rimosso, si legano separatamente gli element del funicolo e si ricuce.
Nell’immagine riportata in basso si vede la massa tumorale biancastra (freccia verde) che ha
praticamente occupato tutto il testicolo rispetto al normale parenchima testicolare di colore
arancione (freccia gialla).

Chirurgia conservativa
L’orchiectomia rappresenta ad oggi lo standard di trattamento, tuttavia può essere che le
condizioni del paziente, quali per esempio il monorchidismo per precedente trauma,
torsione o neoplasia, richiedano o suggeriscano una chirurgia conservatva per mantenere
la funzione androgenica dei testicoli.
Sempre a funicolo clampato si isola il testcolo e se ne apre la tonaca vaginale, si toglie il
nodulo per poi reinserire il testcolo funzionale. Il testcolo rimasto, tenendo conto della
piccola massa e del danno causato per prelevarla, corrisponderà circa a metà .
Questo approccio si è sempre fatto in caso di necessità , ma ad oggi si sta iniziando a fare
anche in casi selezionat quali la presenza di noduli molto piccoli, minori di 1 cm, (se lo
superano è molto probabile che siano neoplasie maligne e il testcolo funzionale sarebbe
pochissimo).
Solitamente succede di riscontrare questo tpo di noduli, spesso benigni non germinali, in
soggetti giovani durante la visita urologica per varicocele o infertlità . In questo caso
durante l’intervento un campione del nodulo viene inviato all’anatomopatologo che esegue
un esame istologico estemporaneo 201
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che richiede circa un’ora, durante la quale il testcolo viene ricucito e posto in garze calde
per mantenerlo a buone temperature. Se il responso istologico conferma che si tratta di un
tumore non germinale come un Leydingoma, si reinserisce il testcolo e l’operazione è
conclusa, mentre se è germinale come un seminoma viene effettuata una orchiectomia
radicale.
A volte può succedere che il patologo si sbagli e che il responso indichi come massa benigna
quella che è un tumore germinale. Questa discrepanza fra esame istologico estemporaneo e
quello più approfondito dell’esame istologico definitvo deriva dal fatto che nel primo il
campione si osserva senza colorazione, per cui l’analisi non è tanto efficace quanto quella
finale sul pezzo colorato. È fondamentale quindi essere chiari fin da subito col paziente e
spiegargli che in rari casi potrebbe essere necessario un secondo intervento di correzione
una volta ottenuto l’esito finale. Generalmente però i risultat di quest’operazione sono
buoni in caso di necessità e in elezione in casi selezionat.
6. Radioterapia e chemioterapia
Spesso succede che un paziente monorchide a seguito di una prima orchiectomia vada
incontro ad un secondo nodulo maligno durante il follow-up. In questo caso, come nel caso
di neoplasia bilaterale (5-10% casi), per mantenere la produzione androgenica di
testosterone un’alternatva è irradiare il seminoma. La radioterapia distruggerà tutta la
linea germinale, rendendo il paziente infertle ma preservando la funzione ormonale.
Le neoplasie testcolari presentano la caratteristca di essere chemio-sensibili e radio-
sensibili.
Il cisplatino, che è il farmaco standard per il trattamento chemioterapico di prima linea, è
talmente efficace nel trattamento dei seminomi che ha cambiato la logica nel trattamento
tumorale di questo distretto rispetto alle altre: nei pazient affetti da neoplasia testcolare
non si fa il massimo per arrivare alla guarigione, bensì il minimo per guarirlo, cioè si cerca
di trattare la neoplasia determinando il minor numero di effetti collaterali a lungo termine .
Questo perché l’efficacia dei trattament permette di recuperare anche i pazient che
sviluppano recidiva o metastasi.
In passato la procedura radio e chemioterapica delle neoplasie testcolari prevedeva che:

Dopo l’orchiectomia radicale, I pazient con seminoma associato a linfoadenopata o senza
linfadenopata ma con fattori prognostci sfavorevoli, come una dimensione molto elevata
della massa, venissero irradiat sul retroperitoneo;

Dopo l’orchiectomia radicale, I pazient con neoplasie non seminomatose non venissero
irradiat dato che questa terapia non risultava efficace. Quindi di quest si andava ad
identficare chi presentava patologia micrometastatca, circa il 25%, che veniva trattato con
linfonodectomia retroperitoneale di stadiazione, mentre chi presentava grosse masse
retroperitoneali veniva t rattato con P
EB (platno, etoposide e bleomicina).
Al giorno d’oggi le procedure sono leggermente cambiate, ed esistono 6 scenari distnt in
base al tpo di tumore (seminoma o non seminoma), alla linfoadenopata identficata alla
TAC, e i fattori prognostci di cui si valutano principalmente la dimensione del tumore e
l’invasione della rete tests, a cui si associano 6 schemi terapeutci different:
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1. S eminomi con TAC negatva e fattori prognostci favorevoli (masse tumorali inferiori <3
cm e senza invasione della rete tests) → follow up;
2. S eminomi con TAC negatva e fattori prognostci sfavorevoli → 1 ciclo di carboplatino o
radioterapia (20 Gy);
3. S eminomi con TAC positva → 3 cicli di PEB o radioterapia (30-36 Gy); 4. N
on seminomi con TAC negatva e fattori prognostci favorevoli → follow-up; 5. N
on seminomi con TAC negatva e fattori prognostci sfavorevoli → 1 ciclo di PEB o
linfoadenectomia retroperitoneale di stadiazione;
6. N
on seminomi con TAC positva → 3 o 4 cicli di PEB (più raramente linfoadenectomia
retroperitoenale in casi super selezionati, tipo i rari teratomi puri) Questo è stato il caso
di Armstrong, già citato ad inizio lezione, a cui tuttavia la bleomicina è stata fatta solo per 2
cicli dato che questa causa fibrosi polmonare che gli avrebbe impedito di continuare a
gareggiare. La bleomicina è comunque il farmaco meno efficace dei 3 e spesso viene eliminato
dal mix anche nei pazienti giovani.
La logica, quindi, è quella di intervenire il meno possibile per evitare i danni a lungo
termine, basandosi sull’altssima efficacia dei trattament anche in caso di recidiva.
La mortalità globale delle neoplasie del testcolo è del 9%, causata principalmente da
pazient con neoplasie non seminomatose dotate di masse retroperitoneali molto grandi alla
diagnosi e che non rispondono alla combinazione di chemioterapici del PEB. Ad oggi,
infatti, le problematche di queste neoplasie sono associate alla mancanza di un’adeguata
chemioterapia di seconda linea per i pochi pazient non responder.
In quest casi quindi si cerca di limitare i danni andando ad asportare chirurgicamente le
metastasi residue dopo la chemioterapia, in partcolare a livello retroperitoneale ma anche
a livello di mediastno, fegato,
polmoni e linfonodi di testa e collo. Questo tpo di chirurgia viene attuata a qualsiasi costo,
infatti la mancata rimozione di malattia residua causa la morte dei pazient.
Ad esempio può rendersi necessaria la resezione
dell’aorta o della vena cava e la loro sosttuzione con protesi, come si vede nell’immagine,
oppure si può dover
sacrificare un rene nel caso in cui l’arteria renale fosse infiltrata.
La chirurgia di queste masse residue è tuttavia estremamente difficoltosa, soprattutto nei
seminomi, a causa delle marcate reazioni fibroblastche in seguito alla terapia. Per fortuna le
masse residue nei seminomi sono poche, mentre quelle dei non seminomi sono molto più
frequent ma leggermente più facili da gestre.
I pazient a cui non si riesce a rimuovere tutta la malattia residua, o che contnuano ad avere
recidive di carcinoma vitale, sono quelli che effettivamente muoiono di neoplasia
testcolare. In extremis si può provare con la chemioterapia di disperazione ad alte dosi
associata al trapianto di midollo.
Nell’immagine in basso si riporta una linfoadenectomia retroperitoneale, in cui si
vedono la vena cava a destra e l’aorta sulla sinistra. In base alle dimensioni della massa:
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Se la massa è di dimensioni inferiori ai 3cm l’intervento è unilaterale (a destra escludendo
i paraarotci, a sinistra escludendo i paracavali);

Se invece supera i 3cm si esegue una rimozione bilaterale, dato nel 20% di quest casi se la
neoplasia è a destra si ha un coinvolgimento anche della componente sinistra. Il problema
dell’intervento bilaterale è la possibilità di danneggiare da entrambe le part le fibre
ortosimpatche ( evidenziate in immagine con i fili gialli) responsabili dell’eiaculazione,
andando a togliere la capacità eiaculatoria al paziente per il resto della vita. Con un po’ di
fortuna e di esperienza si riescono ad individuare e preservare, ma è rischioso.
Nonostante esistano dei modelli di riferimento, prima dell’intervento non è possibile
sapere che tpo di masse residue siano quelle del paziente quindi vanno operat tutti in modo
indiscriminato. Le masse residue in partcolare possono rivelarsi essere:

Fibrosi, per cui l’intervento è stato inutle;

Carcinoma vitale, per cui l’intervento è stato salvavita;

Teratoma che non risponde alla chemioterapia, motvo per cui la chirurgia è il trattamento
più adeguato.
Esistono degli studi riguardo l’utlizzo della PET nella captazione delle masse residue. La
PET è applicabile sono applicabili solo nel caso dei seminomi, in cui se la massa presenta
dimensioni di >3 cm che non captano PET non si interviene, mentre se la captano vanno
tolte. Nei non seminomi, tra cui il teratoma, questo metodo non è applicabile, per cui va
tolta qualsiasi massa di dimensioni superiore al centmetro.
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In sintesi nel trattamento delle neoplasie testcolari si deve cercare di fare il massimo per i
pazient resistent alla chemioterapia, mentre negli altri il minimo necessario valutando il
bilancio cost/benefici; il fatto che i pazient siano giovani consente comunque di avere un
ampio margine di manovra.
N.d.r. il professore, riprendendo la discussione sulla curiosa divisione degli appelli del
professor Corrado, afferma che coloro che si presenteranno al secondo appello una volta
rifiutato il voto del primo verranno valutati partendo da un voto in meno.
Neoplasia del testicolo (conclusione)
Qualora ci fossero masse residue, in qualsiasi caso queste devono essere rimosse
chirurgicamente dal
retroperitoneo. Solitamente tali masse sono teratomi e
l’istologia del retroperitoneo concorda con l’istologia delle eventuali ulteriori masse
residue.
Questo è un teratoma latero-cervicale di un paziente con
malattia residua del retroperitoneo: in questo caso vanno asportate le metastasi a distanza.
Le
immagini a lato mostrano
l’asportazione di una massa
residua mediastinica e una
polmonare. Non avendo a disposizione
un’efficace
chemioterapia per le masse residue,
dopo

la
conferma istologica della natura del
teratoma si
asportano le masse residue.
Viene trattata ora la patologia scrotale benigna, in particolare lo scoto acuto e il varicocele.
Scroto acuto
È un’emergenza clinica, corrispondente scrotale dell’addome acuto, si caratterizza per la
presenza di un dolore scrotale che insorge acutamente e può essere molto intenso. Può
essere inoltre accompagnato da sintomi locali come l’aumento delle dimensioni degli
organi scrotali e della loro temperatura; inoltre possono esserci sintomi sistemici
variabilmente present quali nausea, vomito e febbre.
Tra le molte cause sono 3 le principali:

Torsione del funicolo spermatico;

Orchiepididimite acuta;

Torsione dell’idatide del Morgagni, residuo embrionale del dotto di Muller; esso non ha
alcuna funzione fisiologica ed è localizzato al polo superiore del testcolo. Se sottoposto a
torsione può andare in ischemia).
Queste tre cause coprono il 95% dei casi di scroto acuto, mentre altre possono essere
traumi ed ernia inguino-scrotale complicata.
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Torsione del funicolo spermatico
Il testcolo è sorretto e alimentato dal funicolo, il quale contene i vasi ed è sospeso
all’interno della
borsa scrotale. È variabilmente fissato al polo
inferiore dello scroto tramite il gubernaculum tests,
che fissa il polo inferiore del testcolo al fondo della
borsa scrotale. In realtà c’è un grande numero di soggetti con testcoli ipermobili, fattore di
rischio per
la torsione del funicolo. In questa evenienza esso
ruota attorno al proprio asse risalendo leggermente;
nel funicolo i vasi vengono compressi provocando un’ischemia prima venosa e poi
arteriosa. Si tratta di una situazione non rarissima: coinvolge 1/4000 soggetti di età
inferiore ai 25 anni.
Ci sono due picchi di incidenza:

In età neonatale (per immaturità dei sistemi di ancoraggio testcolare);

In giovani adolescenti (per l’incremento volumetrico del testcolo).
Non c’è un fattore precipitante, nella maggior parte dei casi il soggetto va a dormire senza
alcun sintomo e si risveglia la notte con un dolore scrotale acuto. Ci sono comunque casi di
traumatsmi (rari), neoplasia testcolare (raro), storia di precedenti episodi di algia
scrotale autorisoltisi. Quest ultmi casi si manifestano in soggetti con funicolo lungo e un
testcolo ipermobile ma, in genere, si risolvono spontaneamente perché si ha solo una
subtorsione del funicolo.
Ci sono due tipi di torsione:

Extravaginale: la tonaca vaginale copre solo il didimo e l’epididimo ma non il funicolo, il
quale si attorciglia al di fuori della vaginale. In genere quest soggetti hanno più
dolore degli altri. C'è quindi alla base un’anomalia della
costtuzione della vaginale.

Intravaginale (90% dei casi di torsione), più tpica nei neonat, provoca un dolore meno
intenso.
La torsione comporta una stasi venosa che, se non risolta in poche ore, porta ad ischemia
arteriosa. Questo dipende anche da quanto si torce il funicolo: una torsione di 180° porta
ad un’ischemia meno marcata rispetto ad una torsione di 360° (la rotazione può variare da
180° a più di 720°).
La probabilità di salvare la gonade è
sostanzialmente variata a seconda che passino o no
6 ore dall’inizio della comparsa dei sintomi.
Garantre un intervento prima di questo limite di
tempo non è semplice perché è comune che ci sia
un ritardo o nell’arrivo al pronto soccorso da parte
del paziente o nella diagnosi da parte del medico. La torsione può essere infatti confusa con
una epididimite, perciò il rischio è quello di dare al paziente un antbiotco e mandarlo a
casa, 206
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perdendo la finestra di tempo utle al trattamento e trovandosi costretti in seguito ad
un’orchiectomia.
Per questo se arriva all’attenzione un giovane ragazzo con dolore testicolare va sempre
prima
presa in considerazione l’eventualità di una torsione del funicolo e vanno eseguite le
indagini nel più breve tempo possibile (6 ore). Se ritardiamo di 24 ore la probabilità di
salvare la gonade è vicina allo zero.
Nei soggetti giovani con algie addominali vanno sempre ispezionat i testcoli, poiché il
dolore, di solito molto importante e prevalentemente scrotale, potrebbe essere irradiato a
livello dell’addome. Tipicamente il soggetto va a dormire la sera asintomatco e si sveglia col
dolore.
Spesso si tratta di una subtorsione, che può autorisolversi o può risolversi perché il
soggetto toccandosi detorce il funicolo. Anche le subtorsioni tpicamente si verificano di
notte.
Domanda: perché l’insorgenza è notturna?
Risposta: non si sa con certezza, l’ipotesi è che ci sia una violenta contrazione del muscolo
cremastere (che è dipendenza del retto dell’addome) a causare la torsione del funicolo.
Se il paziente si lascia toccare (a volte il dolore può essere così forte che rifiuta di farsi
toccare) si apprezza il testcolo interessato risalito leggermente rispetto al controlaterale,
visivamente congesto e aumentato di dimensione. La cosa più importante all’esame
obiettivo è valutare i rapport anatomici tra didimo ed epididimo: normalmente la testa
dell’epididimo si trova superiormente e il corpo e la coda posteriormente, con testcolo
vertcale. Se vi è una torsione di 180°, il testcolo è orizzontale e il corpo e la coda
dell’epididimo sono anteriori. Se la torsione è di 360° i rapport anatomici sono conservat
ma il testcolo è più sollevato.
Possono esserci bruciori o disturbi minzionali, ma questo potrebbe essere più indicatvo
dell’orchiepididimite. In questo caso riusciamo a distnguere un aumentato volume e
consistenza dell’epipidimo e un dolore epididimale, anche molto intenso. Nell'epididimite
inoltre la cute è localmente arrossata e calda e spesso c’è febbre.
Viceversa, nella torsione dell’idatide si può palpare quest’ultma come un nodulo teso-
elastco di aumentat volume e consistenza al polo superiore del testcolo, con didimo ed
epididimo di normale posizione, consistenza e morfologia.
La
prima immagine è
uno scroto acuto che potrebbe essere qualsiasi cosa
ma spesso questi
quadri cosi macroscopicamente marcati sono
legati
all’orchiepididimite acuta.
Nella
seconda
immagine si vede il blue dot, che si presenta
a livello dell’idatide in caso di torsione
della stessa.
Dopo
l’esame obiettivo si
procede con l’ecocolordoppler (se
disponibile), test ad alte
sensibilità e specificità che può mostrare
tre scenari diversi:
1. Nella torsione del funicolo si ha morfologia del didimo alterata e assenza di flusso al
doppler. Solitamente il flusso intratestcolare è 1-2 ml al minuto e per stabilire l’assenza di
flusso si paragona il testcolo malato con quello sano.
2. Nell'orchiepididimite acuta si ha un flusso marcatamente aumentato e morfologicamente
si vedrà una disomogeineità del testcolo e dell’epididimo.
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3. Nella torsione dell’idatde si vede l’idatde aumentata di volume al polo superiore del
testcolo con flusso conservato.
Nell’immagine si vede a destra un testicolo normale e a
sinistra un’area ipoecogena e disomogenea, con
strutture vascolari ectasiche per la stasi venosa.
Se il doppler non è disponibile o la diagnosi non è chiara, bisogna assolutamente evitare di
mancare la diagnosi di torsione. Quindi tutte le volte in cui c’è un
dubbio diagnostco si esplora chirurgicamente il
paziente: la chirurgia è infatti il trattamento standard della torsione del funicolo. Infatti, se
si esplora un testcolo e poi si appura che è un’epididimite non si crea alcun danno, ma se
non si esplora un testcolo torto si provocano grossi danni.
Nell'immagine si osserva il testicolo che è stato esplorato chirurgicamente: è grigio per
l’ischemia e si osserva il funicolo attorcigliato. In questo caso il paziente era nella finestra di
6 ore utli al trattamento, che consiste nel derotare il testcolo in modo da sbrigliare il
funicolo, per poi applicare una garza calda sopra e sotto. Si aspettano 10 minut e si osserva
se la gonade riprende colore; se ciò avviene, si fissa il testcolo al polo inferiore della borsa
scrotale. Questo processo viene ripetuto per il testicolo controlaterale con lo stesso
taglio sulla borsa scrotale poiché, quasi sicuramente, esso sarà ipermobile e quindi
soggetto a torsione.
Nell'immagine a sinistra il testcolo è nero e
dopo le stesse procedure attuate nel caso precedente esso è rimasto ischemico.
Si è dunque incisa l’albuginea per vedere la polpa testcolare, anch’essa nera, quindi infine
è stata fatta l’orchiectomia. In quest casi il testcolo viene sempre e comunque rimosso
perché, oltre che essere non funzionale, potrebbe dar luogo alla formazione di antcorpi
contro l’altra gonade.
L'immagine a destra presenta una torsione dell’idatide che normalmente non va operata
ma il paziente viene avviato a terapia antbiotca e antinfiammatoria.
Si può anche operare ma l’intervento è inutle perché la struttura è priva di funzione.
Se invece la diagnosi è di orchiepididimite il paziente si sottopone a terapia antbiotca.
Quindi, come regola generale si operano tutti i pazienti con torsione del funicolo e
anche i casi dubbi.
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Riassunto della diagnosi differenziale dello scroto acuto: (Riferito

alla
tabella
sovrastante) Per
quanto riguarda
l’esame delle urine, solo nell’orchiepididimite è positvo perché solo in questo caso si tratta
di un’infezione. Riguardo il dolore, invece, nella torsione dell’idatde esso non è violento
come nel caso della torsione del funicolo.
In linea di massima, dopo la diagnosi di torsione del funicolo, prima di operare il paziente si
può provare la derotazione manuale (successo nel 25% dei casi). Il testcolo quando si
torce gira in senso latero-mediale, quindi il destro gira clockwise (in senso orario) e il
sinistro counterclockwise (antorario). Per derotarli vanno girati nella direzione
opposta e, se la manovra funziona, il paziente sente un immediato sollievo dal dolore, al
doppler si vede una iperemia e l’intervento chirurgico può attendere fino al giorno
successivo. Tuttavia, questa manovra può essere attuata se il tempo passato dalla torsione
è breve e può succedere che una volta detorto si torca di nuovo subito: in questo caso il
paziente va mandato in sala operatoria (non si hanno altre 6 ore di tempo perché il testcolo
è stato rivascolarizzato per poco tempo).
Varicocele
È una condizione patologica caratterizzata da una dilatazione, ectasia e tortuosità delle
vene spermatche che fanno capo al plesso pampiniforme.
Breve ripasso di anatomia (in riferimento all’immagine): A destra la vena gonadica sbocca
nella cava ad angolo acuto. A sinistra la vena gonadica sbocca nella vena renale
perpendicolarmente. Questo significa che le pressioni della renale sinistra si ripercuotono
nella vena
gonadica omolaterale ma questo non avviene a destra perché l’angolo acuto preserva
leggermente la vena gonadica. Ciò vuol dire che quasi sempre il varicocele si presenta a
sinistra.
Questa anatomia in realtà ha una prevalenza del 40% nella popolazione.
A livello testcolare c’è un plesso venoso superficiale e un plesso venoso profondo; in
quest’ultmo la componente anteriore (circa 15 vene), detta plesso pampiniforme, drena
la gonade e in parte la testa dell’epididimo. La componente posteriore consiste in 3-5 vene
che drenano corpo e coda dell’epididimo, le quali confluiscono in vasi che vanno all’iliaca
comune.
La sede preferenziale del varicocele, come detto, riguarda il plesso pampiniforme, ma può
succedere, a causa di comunicazioni tra il sistema anteriore e posteriore, che un grosso
varicocele anteriore vada a coinvolgere il compartmento posteriore. Infine, ci sono
varicoceli che si manifestano per un reflusso dalla vena iliaca, determinando un ritorno di
sangue che passa al sistema posteriore e quindi a quello anteriore.
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Ci sono inoltre cross-comunicazioni tra le vene gonadiche di sinistra e di destra.
Normalmente tali comunicazioni sono piccole ma in caso di varicocele sinistro possono
ampliarsi
per l’aumento di pressione a causa del reflusso, per cui ci
sono casi in cui c’è anche un varicocele destro, in genere
meno grave, alimentato dal reflusso sinistro. Questo spiega
perché a volte in caso di varicocele bilaterale si tratta solo il sinistro risolvendo entrambe le
problematche.
Nella flebografia in alto si osservano le vene dilatate con anatomia e quindi grado di
dilatazione variabile.
La classificazione di Barhen mostra i diversi tpi di anatomia delle vene: il tipo I, quello
tradizionale presentato in precedenza (singola vena gonadica che arriva alla vena renale), è
presente nel 40% della popolazione. Il restante 60% può avere multple vene gonadiche
che sboccano indipendentemente l’una dall’altra nella
vena renale (tipo II – 20% circa) o multple vene renali che
si associano in un solo tronco che sbocca nella vena renale
(tipo III – 20% circa) oppure casi più infrequent di multple vene alcune delle
quali sboccano nella capsula del rene (tipo IV – 13% circa). Ancora più raro è il caso di due
vene renali che si dipartono dallo stesso rene.
Questa classificazione è importante perché ci sono diversi modi di correggere il varicocele
ma non tutti vanno bene per tutti i tpi di varicocele.

Un’opzione è il trattamento di radiologia interventistica percutanea in cui il radiologo
punge la vena femorale, inserisce il catetere, raggiunge la cava e la renale e da qui imbocca
la gonadica. Questo trattamento va bene per il tpo I e discretamente bene per il tpo III ma di
sicuro non per il tpo II e IV.

Un'altra opzione è intervenire per via scrotale: si inietta il mezzo di contrasto e una colla
dalla vena dilatata a livello peri-testcolare. Questo può essere più efficace perché da qui il
collante può raggiungere tutti i sistemi.
Ultrastruttura della parete venosa nel varicocele
Non è chiara l’eziologia del varicocele: il concetto anatomico classico è che ci sono delle
valvole nelle vene con lo scopo di prevenire il reflusso. Probabilmente questo concetto
è sbagliato perché studi ultrastrutturali sostengono che quelle che sembrano valvole in
realtà sono incroci delle fibre muscolari della guaina longitudinale esterna e
circonferenziale interna del vaso. Il punto in cui si incrociano queste fibre determina una
riduzione locale del lume.
C’è sicuramente una differenza nella composizione della parete a seconda del grado di
varicocele. Uno studio del gruppo di Amburgo ha dimostrato che nel varicocele di basso
grado c’è una tonaca vascolare molto ricca e con poco tessuto connettivo, nel varicocele di
altro grado il tessuto muscolare si è assottigliato ed è aumentata la componente fibrosa.
Gli stessi autori hanno valutato con l’immunoistochimica per l’nf200 la componente di
tessuto nervoso nella parete, che è ridotto nel varicocele di alto grado.
Anche il professore ha fatto uno studio simile con il gruppo del professor De Caro, che ha
mostrato gli stessi risultati: le vene dei pazienti con varicocele di alto grado sono
assottigliate e 210
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hanno una ridotta componente vascolare nella parete. Non si sa però se le alterazioni
ultrastrutturali siano la causa o l’effetto del varicocele, quindi è ancora da chiarire se le
vene sono costtutvamente indebolite e questo porta a reflusso o se c’è reflusso e quindi le
vene si sfiancano.
La patologia benigna può determinare un’alterazione della crescita e della funzione
testcolare, in partcolare della spermatogenesi, presentandosi quindi come causa frequente
e correggibile di infertilità.
Diagnosi
Il primo passo per la diagnosi è l’esame obiettivo. In passato il varicocele veniva
diagnostcato con la visita militare mentre ad oggi lo si riscontra durante la visita sportva. Il
più delle volte viene ritrovato in maniera accidentale, in parte nei soggetti adult durante lo
studio della fertlità .
La classificazione clinica prevede la suddivisione del varicocele in:

Grado terzo (immagine a lato), definito visibile;

Grado secondo, definito palpabile anche senza la manovra di Valsalva. Ciò significa che
non è visibile ma, palpando il territorio mentre il paziente contrae l’addome, si possono
sentre le vene che aumentano di dimensioni;

Grado primo, palpabile solo durante la manovra di Valsalva Il passaggio seguente alla
visita è il power doppler, con cui si studia l’anatomia del testcolo
per vedere se sia tutto normale e documentare il
reflusso durante il ponzamento. Nell’immagine si
vedono le vene dilatate e il reflusso all’interno, identificativi di varicocele.
A questo punto, solo se il paziente è maggiorenne,
si fanno fare almeno 2 spermiogrammi. Uno solo
non basta poichè sono esami non standardizzat,
difficili da leggere e con alta variabilità
intraindividuale. A questo punto il
comportamento del medico è guidato dallo spermiogramma:

Se il paziente ha il varicocele e presenta uno spermiogramma normale, non si interviene;

Se ha il varicocele e lo spermiogramma alterato, lo si tratta;

Nell’adolescente e nel bambino lo spermiogramma non si fa, sia perché è proibito per legge,
sia perché non si sanno effettivamente quali siano i valori normali di spermatozoi nel
liquido seminale in quella fascia d’età . Quindi si decide come
trattare il paziente in base ad entità del reflusso (si trattano solo quelli di alto grado) ed
eventuale ipotrofia del testicolo omolaterale, che riguarda quasi sempre il sinistro. Nel
caso limite si tratta il bambino
con varicocele su richiesta dei familiari.
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Domanda: nel caso dell’adulto con spermiogramma normale come ci si comporta?
Risposta: se lo tiene e si fa follow-up.
Domanda: se il paziente ha dolore e spermiogramma normale cosa si fa?
Risposta: il varicocele può essere un reperto accidentale che si ritrova in pazienti con
orchialgia cronica, molto spesso legata a pubalgia o patologie della colonna. Se si vede un
giovane ragazzo con dolore testicolare con varicocele, gli si fa fare l’esame seminale e, se
questo è alterato, il paziente viene trattato per correggere l’esame seminale, mentre, se è
normale, anche con dolore il professore preferisce non trattarlo. Questi pazienti che
presentano solo dolore, se trattati, non è detto che risolvano, perché non si è in grado di
distinguere tra pazienti in cui il dolore è causato dal varicocele, da quelli in cui è provocato
da altre cause.
Domanda: se il primo spermiogramma va molto male cosa si fa?
Risposta: si fanno sempre due spermiogrammi.
Trattamento
Si è tentato di trattare il varicocele in qualsiasi maniera, cercando di bloccare le vene
dilatate ad ogni livello. In
linea di massima, il trattamento ritenuto migliore è la sclerotizzazione anterograda
secondo la tecnica di Tauber (ad oggi è stata modificata rispetto alla tecnica originale): si
palpeggia il deferente e lo si dissocia perché non si vogliono isolare le vene del deferente
dato che
appartengono al sistema posteriore, quindi si identfica
un segmento di 1,5cm dove si farà l’incisione. Si prosegue con anestesia locale, si incide e si
dissocia il
funicolo dalla struttura della cute. Una volta che si ha il funicolo in mano bisogna arrivare
alle vene. Il repere anatomico è il grasso all’interno del quale sono disposte le vene, quindi
si aprono le fasce del funicolo fino a raggiungere il grasso e, se il paziente ha un varicocele
reale, si vede una bella vena dilatata. La tecnica di Tauber modificata prevede
l’incanulamento della vena, invece che l’incisione, come fosse un prelievo. Viene piazzato
l’ago cannula all’interno della vena, esce il sangue, si spruzza il mezzo di contrasto iodato
nel paziente, che nel frattempo è sul
lettino radiologico in anestesia locale, e si esegue la flebografia che permette

di
studiare l’anatomia della vena di interesse, perché si deve essere cert che la

vena
incanulata sia la corretta. Ci sono stat dei casi, con elevata prevalenza nella regione
Veneto, in cui venivano sclerotzzate le vene senza la flebografia e questo ha avuto come
conseguenza un’emicolectomia sinistra per occlusione delle tributarie delle vene
mesenteriche. Si deve sempre sapere in che vena si sta operando e vedere vene ben dilatate
( come quella nell’immagine) che va verso l’alto, verso la renale o il sistema delle vie
capsulari.
Una volta avuta conferma con la flebografia, si usa la fettuccina per clampare il funicolo
distalmente all’ago cannula, di modo che quando si inietta
lo sclerosante questo non finisca nel testcolo causando un’orchite chimica.
Dopodiché la sclerotzzazione viene eseguita con la tecnica di Air block: si iniettano 1cc di
aria e 4cc di cianoacrilato. Contemporaneamente, il paziente deve ponzare delicatamente,
perché non si vuole fare arrivare la soluzione alla vena 212

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renale, ma deve rimanere localmente nelle vene testcolari. Il ragazzo può riferire di sentre
del sapore amaro in bocca o del dolore al fianco ma sono situazioni normali. A questo punto
si tra via l’ago cannula, vengono legate le vene che sono state bucate, si chiudono le fasce
del funicolo e l’operazione è conclusa.
Domanda: cosa succederebbe se il cianoacrilato andasse nel sistema venoso?
Risposta: il volume del sistema venoso è nettamente superiore ai 4cc immessi. Il cianoacrilato
agisce causando una reazione chimica che scatena una riposta infiammatoria che risulta in
un’obliterazione del vaso. Con 4cc non succede nulla, con 50cc si potrebbe chiudere anche la
vena renale. Questa è una misura convenzionale ma, se il varicocele è gigantesco, 4cc possono
essere pochi per chiudere tutte le vene e si può riscontrare nuovamente il reflusso.
Secondo uno studio condotto su 700 pazient trattat a Verona qualche anno fa con un
intervento durato 15 minut, la persistenza del reflusso è stata riscontrata nel 9% dei casi.
Quando si esegue il doppler spesso le vene restano dilatate ma non presentano reflusso
all’interno. Coloro che rientravano nel 9% spesso erano pazient di alto grado che
presentavano una persistenza di malattia di grado inferiore e quindi, se l’esame seminale
non era migliorato a sufficienza, veniva eseguito un altro trattamento con le stesse
metodiche, aggiungendo un altro po’di sclerosante.
Complicanze
Si verificano nel 5% dei casi:

Ematoma scrotale;

Orchiepididimite chimica, da farmaco. Questo succede solo in rarissimi casi perché la
procedura è sicura. La cosa più scomoda che può succedere è che non si riesca a trovare
una vena ben dilatata e ciò comporta la rottura di quella scelta nel momento in cui la si va
ad incanulare);

Dolore occasionale scrotale;

Dolore occasionale al fianco.
Un altro studio è stato condotto su adolescent di età media di 15 anni, trattat sempre a
Verona che hanno presentato gli stessi esit dello studio precedente: solo 1 caso su 50 (2%)
ha presentato persistenza del varicocele di basso grado, ma era stato trattato per patologia
di alto grado. I pazient quasi sempre si trattano perché sono interessat alla procreazione e
hanno alterazione dell’esame seminale. Teoricamente, se il paziente è gay e non è interessato
a fare figli, si può anche decidere di non trattarlo.
Spesso il ragionamento è un po’ aleatorio
perché ci sono pazient diagnostcat durante
l’esame della fertlità ma la maggior parte sono
giovani ragazzi di 20 anni, non interessat alla
procreazione momentaneamente, però in
futuro si, quindi vengono trattat ugualmente.
Il trattamento permette un netto miglioramento
dell’esame seminale: migliora la conta degli spermatozoi, la motlità e la percentuale di
forme normali; il trattamento è dunque efficace.
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Migliora anche la probabilità di gravidanza: il 37% dei pazient trattat per infertlità
raggiungeva la gravidanza. Questo valore non è altssimo, ma la gravidanza dipende da
moltssimi fattori nella maggior parte dipendent dalla donna, tra cui l’età della partner.
Il professore mostra una serie di studi che evidenziano come il trattamento migliori i
parametri del liquido seminale analizzati sopra.
Tant anni fa dei ginecologi hanno fatto una metanalisi che si è conclusa con: “è inutle
trattare il varicocele, perché si riescono ad ottenere più gravidanze con la fecondazione
assistta”. Questo è un palese messaggio di marketng che mirava ad aumentare il tasso di
fecondazione assistita.
Quest’ultma prevede delle procedure che non sono banali e prive di conseguenze
soprattutto per le donne che sono sottoposte a stmolazione ormonale massiva. Garantre un
trattamento alternatvo che possa aumentare la probabilità di gravidanza di circa il 40%
senza manipolazioni varie non è poco. In linea di massima recentemente è saltato fuori uno
studio che documenta come il trattamento del varicocele migliori anche l’outcome della
fecondazione assistta. Il concetto è che quest pazient vengono trattat per far aumentare la
probabilità di gravidanza spontanea (40%) e, soprattutto per il 60% dei casi in cui non si
avrà una gravidanza spontanea, si ha una probabilità circa doppia di gravidanza con le
tecniche di fecondazione assistta. Il problema è che il successo non è immediato perché la
spermatogenesi dura 6 mesi e quindi, se la partner del soggetto trattato ha 43 anni, non
può aspettare più di tanto perché più ella invecchia e più si riduce la probabilità di successo
della fecondazione assistta.
C’è una categoria di pazient in cui non si è cert che il trattamento abbia un beneficio e sono
quelli che presentano l’esame seminale più tragico, ovvero con marcate
teratozoospermie: in quest pazient le gravidanze spontanee sono solo il 10% ed il
miglioramento dell’esame seminale si verifica solo nel 50% dei casi. Quest ragazzi hanno
comunque un miglioramento ma minore rispetto al paziente standard: non si è in grado di
distnguere in questa categoria di pazient tra chi avrà un beneficio e chi no. A meno che non
sia completamente azoospermico (in quest casi non si ha indicazione al trattamento), si
tende a trattarlo ugualmente perché la procedura è poco invasiva, anche se si sa che avrà
un miglioramento dell’esame nettamente inferiore al paziente standard.
Domanda: per quanto riguarda le tempistiche, prima si opera il paziente e migliori sono i
risultati o è indifferente?
Risposta: l’età è correlata con la probabilità di gravidanza successiva, anche se è molto più
importante l’età della partner. Nel caso più tipico in cui il paziente arriva per infertilità
dunque, prima lo opero e meglio è; quando arriva il ragazzino con riscontro incidentale non è
chiaramente dimostrato che se lo opero dopo 1 anno vada peggio che se lo opero dopo 6 mesi.
Domanda: si può aspettare anche anni prima di fare l’intervento?
Risposta: se si vede un ragazzo di 17 anni, gli si dice di aspettare fino al compimento dei 18
anni, di fare lo spermiogramma e di regolarsi in base al risultato, quindi in questo caso si
aspetta. Altro caso in cui si fa passare del tempo è quando il ragazzo ha momentaneamente
degli impegni (come gli esami) e decide di farsi ricontrollare dopo qualche mese. Questi però
sono i pazienti meno importanti dal punto di vista della fertilità, perché sono giovani che
vorranno procreare dopo 10-15 anni. Quelli importanti sono coloro che vengono riscontrati
durante lo studio della fertilità e vengono operati istantaneamente. Non è quindi una
problematica reale quella dell’attesa, perché quelli infertili vengono trattati subito, quelli che
aspettano sono giovani non interessati alla procreazione in tempi brevi.
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Incontinenza urinaria da sforzo nella donna (SUI)
Incontnenza significa qualsiasi perdita di urina; da sforzo indica che sono causate da
aumento della pressione endoaddominale. Si trovano inoltre donne con incontnenza da
urgenza o con forme miste, con contemporanea presenza di incontnenza d’urgenza e da
sforzo.
Nella lezione odierna viene trattata la tipologia da sforzo, perché la forma d’urgenza è stata
trattata come sindrome della vescica iperattiva, mentre quella mixed sarà affrontata nella
prossima lezione.
Bisogna distnguere tra:

Sintomo incontinenza, ovvero la paziente arriva e riferisce di perdere urina;

Segno incontinenza, cioè quello che si riesce a dimostrare durante l’esame obiettivo
facendo lo stress test (si posiziona un catetere, si svuota la vescica, la si riempie con 250ml
di liquido; a questo punto la signora si alza in piedi a gambe piegate e le si dice di ponzare,
osservando la perdita di urine);

Osservazione urodinamica, che si riferisce all’incontnenza che si documenta durante
l’esame urodinamico.
Quest sono i 3 concetti a cui si fa riferimento e sono strettamente correlat.
L’incontnenza urinaria nella donna è un
fenomeno altamente prevalente: secondo uno
studio epidemiologico scandinavo, il tasso globale
è del 24% e di quest il 50% è da sforzo. Sono numeri molto alt perché fanno riferimento a
pazient isttuzionalizzat. Un altro studio europeo
( visibile nell’immagine) fatto su pazient non isttuzionalizzat e con numeri più applicabili
sulla
popolazione generale, mostra che la prevalenza globale è del 13% e che circa la metà di
quest sia da sforzo.
Meccanismi che impediscono l’incontinenza
Diversi meccanismi non fanno perdere urina, il più importante dei quali è il rabdosfintere,
struttura muscolare che circonda il collo vescicale e la parte prossimale dell’uretra, la cui
contrazione involontaria consente di chiudere l’uretra e di non far perdere urina.
Tutte le situazioni in cui c’è un danno di questo sfintere portano all’incontnenza urinaria. I
danni si possono verificare, ad esempio, in corso di intervent chirurgici (isterectomia per
prolasso o per neoplasia), o di radioterapia per patologie pelviche. Queste situazioni in cui
c’è un danno sfinterico sono responsabili del cosiddetto “deficit sfinterico intrinseco” e si
ritrovano in pazient con forme più gravi di incontnenza da sforzo.
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Lo sfintere non è l’unico meccanismo che
garantsce la contnenza, cioè ci possono
essere forme patologiche con sfintere
perfettamente sano. Nell’anatomia
normale, la porzione prossimale dell’uretra
e il collo vescicale sono in posizione
intraddominale: tutte le condizioni di
aumentata pressione addominale si
ripercuotono sulla vescica, spremendola, e automatcamente sul collo vescicale
comprimentdolo, favorendo la contnenza. Quando la normale posizione non è più
conservata per fallimento dei sistemi legamentosi e muscolari, con conseguente prolasso
dell’uretra, lo sfintere può trovarsi in posizione extraddominale. Gli aument di pressione
intraddominale si ripercuotono sulla vescica spremendola, ma non sullo sfintere, e questo
favorisce la perdita di urina anche con una struttura funzionalmente integra. In parallelo,
secondo la teoria del trampolino (o dell’amaca), le alterazioni delle strutture muscolari del
pavimento pelvico e delle varie strutture legamentose (legament pubo-uretrali, cardinali e
pubo-sacrali) possono far venir meno il supporto alla parete posteriore dell’uretra. È
fondamentale, per evitare l’incontinenza, che l’uretra si poggi su un supporto rigido
garantito dalla parete vaginale e dalle strutture circostanti: se il supporto viene a
mancare c’è un prolasso della parete dell’uretra, con la parete posteriore che si allontana
da quella anteriore e apertura dell’uretra anche a fronte di uno sfintere sano.
Ricapitolando: le cause di incontinenza possono riguardare il deficit sfinterico intrinseco o, se
lo sfintere è perfettamente sano, il fallimento dei meccanismi di supporto anatomico, per cui
si troverà in posizione più caudale fuori dalla cavità addominale. Quando lo sfintere è integro,
le pazienti possono perdere urina e si dice che hanno l’uretra ipermobile.
Fattori di rischio
I principali fattori di rischio di sviluppo del SUI sono:

Età ;

Numero di gravidanze;

Numero di part (specialmente per via vaginale), per danneggiamento dei muscoli del
pavimento pelvico al passaggio del neonato;

Peso del neonato (rischio più elevato con l’aumento del peso alla nascita);

Menopausa;

Isterectomia anche per patologie benigne aumenta del 50% il rischio di incontnenza;

Obesità , sttchezza, tosse cronica, per sovraccarico di lavoro sul pavimento pelvico;

Fumo.
Domanda: quanto impatta l’alterazione della funzione cognitiva sul trattamento?
Risposta: tanto. Soggetti che presentano patologie come Alzheimer, sarebbe meglio non
trattarli.
Diagnosi
Queste pazient vengono indagate nello stesso modo in cui si valutano i maschi con LUTS e
l’unica cosa che bisogna fare in più è di indagare l’incontnenza con una serie di questonari:
quello usato più comunemente è ICI-Q, molto semplice e rapido, che serve a misurare 216

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l’incontnenza e valutare le condizioni in cui questa si realizza, valutando l’impatto clinico
della patologia sulla qualità di vita della paziente. Si trattano le forme avent un forte
impatto clinico: non vanno trattate, ad esempio, le donne giovani che, dopo il primo parto,
perdono occasionalmente una minima quanttà di urina a seguito di un importante sforzo
fisico in palestra.
In più , sempre rispetto ai pazient con LUTS, bisogna indagare l’alvo, perché spesso queste
donne sono sttche, e l’attività sessuale con dei questonari specifici scarsamente utlizzat.
Le pazient più anziane non sono generalmente sessualmente attive, quindi il problema è di
poco conto, mentre quelle giovani vanno avvisate che spesso i trattament potrebbero
causare dispareunia, cioè dolore durante il rapporto sessuale.
Bisogna fare attenzione all’esame obbiettivo perché in una percentuale non bassissima di
casi ci può essere un prolasso della parete vaginale anteriore, di quella posteriore,
quindi della vescica e del retto, o addirittura anche dell’utero. Durante l’esame
obbiettivo, oltre alla solita valutazione addominale, si deve fare un’esplorazione vaginale
per valutare il trofismo dei tessut: vanno palpat i muscoli pubococcigei sulla destra e sulla
sinistra, per sentre se quest sono soffici e valutare la forza della contrattilità chiedendo alla
paziente di ponzare.
Un’altra procedura che si esegue è lo stress test (descritto sopra quando si spiegava il
segno incontnenza) per riprodurre il sintomo: il più delle volte viene riprodotto ma, in caso
non si riuscisse, non indicherebbe una mancanza di incontnenza perché le condizioni a cui
è sottoposta la donna non sono ottimali.
Si esegue inoltre il Q-tip test, per il quale si infila un cotton fioc gigante, solitamente usato
per fare i tamponi, all’interno dell’uretra di una paziente distesa sul lettino e le si chiede di
ponzare: se l’uretra è ipermobile si osserva il movimento del cotton fioc che segue quello
della parete dell’uretra. Di solito si considera patologico una modificazione dell’angolo del
cotton fioc superiore di 30 gradi.
Dopodiché si deve verificare se la paziente presenta un prolasso: una buona percentuale di
donne può avere questa condizione associata all’incontnenza. Ci sono una miriade di
sistemi classificatvi, ma quello più comunemente utlizzato è il Baden-walker (o half way
system), secondo cui:

Grado 0 indica la mancanza di prolasso;

Grado 1 significa che il prolasso della cervice arriva fino a metà strada rispetto al piano
dell’imene;

Grado 2 identfica un prolasso che arriva fino al
piano dell’imene;

Grado 3 indica un prolasso che supera l’imene;

Grado 4 è identfica la massima protrusione possibile.
Per la classificazione tramite questo sistema si utlizzano
2 valve: con la prima si solleva la parete vaginale anteriore per trar su la vescica e si fa
ponzare la paziente per vedere un eventuale prolasso posteriore; la stessa valva poi si
sposta a trar giù la parete posteriore per vedere se cede la parete anteriore; dopodiché,
contemporaneamente con le 2 valve, si trerà su la parete
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anteriore e in giù quella posteriore per vedere se, dopo aver fatto ponzare la paziente,
scende l’utero.
Un altro sistema di classificazione molto complicato ( il professore afferma che non lo
chiederà mai nel dettaglio all’esame) è il POP-Q
System: si vede nella paziente in che posizione si ritrovano i vari punt mettendo i numeri
corrispondent in un grafico e, in base alla posizione, si stabilisce il grado. Il vantaggio è che
il prolasso è misurabile in maniera oggettiva, ma rimane un sistema complicatssimo e che
richiede tanto tempo, quindi non viene usato.
Sintomi del prolasso
I sintomi del prolasso sono:

La paziente riferisce di sentre la pallina che scende;

Disturbi del basso apparato urinario se il prolasso è vescicale;

Disturbi nella fase di minzione in caso di discesa dell’utero.
Se una donna ha l’incontnenza isolata si tratterà solo quella; se la donna presenta
incontnenza associata a prolasso di basso grado asintomatco si tratta comunque solo
l’incontnenza; se ha incontnenza associata a prolasso sintomatco, si deve trattare anche
questo.
Le pazient devono scrivere un diario minzionale, esattamente come i soggetti affetti da
LUTS: se la donna è sufficientemente vigilie le si chiede di riportare anche il numero di
episodi di incontnenza.
Raramente può venire usato anche il PAD TEST: si pesa il pannolino prima e dopo un
determinato arco di tempo per cercare di quantficare quanto la signora perda. Non è un
test molto oggettivo perché dipende da quanta attività la signora fa in questo arco di tempo,
quindi non viene utlizzato di frequente.
Tradizionalmente, quando si deve decidere se trattare la paziente bisogna fare uno studio
urodinamico di pressione-flusso completo che document l’incontnenza ed escluda altre
patologie associate ai sintomi del basso apparato urinario. Questo però è abbastanza inutle,
perché ci sono stat recent studi che hanno mostrato come la probabilità di identficare un
prolasso sia uguale facendo o meno l’urodinamica. Quando ci sono prolassi e disturbi
minzionali associat o incontnenza urinaria mista è meglio fare sempre lo studio
urodinamico per documentare la funzionalità del basso apparato urinario.
Per quanto riguarda l’imaging, solitamente si esegue solo un’ecografia per escludere
problematche concomitant a utero, vescica o reni.
Trattamento
Dopodiché, bisogna decidere chi e come trattare: sono indicate pazient che lamentano un
significatvo impatto dell’incontnenza sulla qualità della vita. La prima cosa da mettere in
atto sono misure comportamentali come perdita di peso, miglioramento dell’eventuale
sttchezza e riduzione della tosse. Bisogna preferire la “restrizione idrica”, perché il modo
migliore per perdere meno è avere la vescica vuota e, a questo scopo, si possono educare le
pazient ad urinare ogni volta che hanno lo stmolo proprio per evitare il riempimento
vescicale.
Un’altra misura che si può adottare prevede la riabilitazione del pavimento pelvico, che
permette di gestre in modo ottimale pazient giovani con forme di incontnenza molto lievi.
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metanalisi riguardante dei trials randomizzat ha mostrato come, rispetto al controllo, ci sia
un miglioramento della paziente. Quando l’incontnenza è importante e marcata, la
riabilitazione è inutle.
C’era in passato una terapia farmacologica con duloxetina, che agisce a livello del nucleo di
Onuf, nominato la scorsa lezione con le lesioni sacrali, ed è un inibitore selettivo del re-
uptake di serotonina e noradrenalina, con conseguente aumento di serotonina a livello del
nucleo, che stmola la cascata colinergica responsabile della contrazione del rabdosfintere.
Nella pratca ci sono stat diversi studi che hanno dimostrato come questa terapia funzioni
abbastanza bene migliorando un po’ i sintomi, ma non è indicata perché si verifica un
incrementato rischio di suicidi come effetto collaterale: nel paziente psichiatrico questa
terapia è accettata con serenità , mentre nella donna con incontnenza no. Resta utlizzata
solo nel caso di donna giovane con incontnenza non trattabile in altri modi.
Quello che si fa più comunemente oggi è il Tape trans-otturatorio: si mette una retna in
polipropilene molto piccola a seguito di un’incisione a livello vaginale, si isola l’uretra e si
fanno passare degli agoni
alla destra e alla sinistra a ridosso del margine interno
inferiore del forame otturatorio perforando la
membren otturatoria, fino ad arrivare a livello della
regione degli adduttori e si tra la retna facendola fuoriuscire da entrambe le part. La logica
non è di ostruire l’uretra per aumentare la resistenza per non far perdere urina, ma è di
fornire un supporto perché all’interno delle maglie ha dei fori all’interno dei quali crescono
fibre collagene nell’arco di alcuni mesi che vicariano la funzione di supporto persa nei
pazient. Molt anni prima era stata descritta la stessa tecnica, in cui però gli agoni erano fatti
passare a livello retro-pubico. È efficace, però il passaggio degli aghi era alla cieca, con un
aumentato del rischio di lesionare la vescica o altri organi addominali. Per questo motvo è
stata successivamente sviluppata la tecnica trans-otturatoria che ha il vantaggio di evitare
la lesione di queste strutture. L’unico problema reale che le donne lamentano nei primi
giorni dopo l’intervento è un po’ di dolore a livello dei muscoli adduttori, ma è modesto e
passa rapidamente. La tecnica chirurgica è altamente efficace nel migliorare i sintomi della
paziente e queste pazient possono presentare come effetto collaterale lo sviluppo o di
ritenzione urinaria con necessità di cateterizzarsi nel caso in cui è stata trata troppo la
retna con ostruzione dell’uretra (capita nel 5% dei pazient), o di insorgenza di “de novo
urgency”, cioè urgenza minzionale che prima non era presente (15% dei casi). Si impianta
una quanttà molto modesta di rete che espone ugualmente la paziente al rischio di
infezione della rete, erosione uretrale o vaginale ma, nonostante ciò , si considera la
procedura sicura perché i rischi sono molto bassi.
Se la paziente è di 65-70 anni si impiantano le benderelle senza problema, mentre se la
paziente è di 45 anni la serenità dell’impianto è minore perché, ad oggi, il follow-up di
queste tecniche è solo 15 anni circa. Si cerca dunque di aspettare a fare questo intervento,
magari preferendo la riabilitazione del pavimento pelvico. Da qualche anno sono state
sviluppate benderelle più corte (“mini-sling”) che vengono bloccate a livello del forame
otturatorio e non arrivano alla cute, ma sono meno efficaci.
Nei casi disperat si usa lo sfintere artificiale (AMS 800), composto da un serbatoio che
viene impiantato nel retzius, una cuffia avvolta intorno al collo vescicale ed il comando, che
nel 219
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maschio viene posizionato a livello dello scroto controlaterale alla mano dominante e nella
donna delle grandi labbra. Quando la donna non deve urinare, il liquido dal serbatoio
riempie la cuffia che comprime l’uretra evitando perdite. Quando invece deve urinare, la
paziente preme il bottoncino, il liquido passa dalla cuffia al serbatoio, la cuffia si vuota,
l’uretra non è compressa e si ha la minzione. Dopo un minuto, il sistema si richiude da solo
con il liquido che torna dal serbatoio alla cuffia. La probabilità di contnenza di quest
dispositvi è elevatssima, oltre il 90%
ed è il trattamento che funziona meglio in assoluto, soprattutto quando lo sfintere è
danneggiato. Il problema è la durata a lungo termine: gli studi dicono che, a 10 anni, meno
del 40% dei sistemi è ancora in funzione e questo può succedere o perché qualche pezzo
del sistema o dei connettori si rompe, quindi il liquido esce e non si ha più il meccanismo
che riempie la cuffia e comprime l’uretra, o perché la cuffia, che era perfetta per quella
paziente al momento dell’intervento, negli anni può determinare l’atrofia dell’uretra e
danneggiarla, arrivando anche a comparire a livello dell’uretra (erosione uretrale).
Incontinenza
Il professore riprende il discorso relativo all’incontinenza urinaria mista, che è più frequente
nel sesso femminile. L’approccio terapeutico è simile per entrambi i sessi.
Il paziente con incontnenza urinaria mista ha contemporaneamente incontnenza da sforzo
e d’urgenza.
Inizialmente si tratta la problematca di maggiore rilevanza clinica per la paziente.
Se il disturbo principale riferito è l’incontnenza da urgenza, allora l’approccio terapeutco
prevede l’uso di farmaci antcolinergici ed eventualmente il botulino. Tale trattamento non
ha nessun impatto sull’incontnenza da sforzo, la quale, se rappresenta anch’essa un fattore
limitante, può essere trattata in un secondo momento.
Quando la componente preponderante è l’incontnenza da sforzo, allora si esegue la
riabilitazione del pavimento pelvico e viene posizionato un Tape trans-otturatorio.
Con tale trattamento, l’incontnenza d’urgenza peggiora, infatti il tape causa un de novo
urgency, ossia un’urgenza minzionale, oppure la peggiora se già presente.
Gli antcolinergici, utlizzat per trattare l’incontnenza d’urgenza peggiorata dal trattamento
per l’incontnenza da sforzo, spesso non portano a beneficio e il trattamento con il botulino
ha un rischio di autocateterismo che si somma al rischio di autocateterismo dovuto al tape
trans-otturatorio.
Nei pazient quindi trattat con tape e botulino, il rischio di autocateterizzarsi non è
trascurabile.
In alternatva al botulino, si può eseguire la neuromodulazione sacrale come seconda linea
di trattamento dopo i farmaci antcolinergici, dal momento che non da svantaggi sulla fase
di svuotamento.
Nei pazient con incontnenza mista, si esegue sempre uno studio urodinamico per avere
informazioni più approfondite, essendo tale categorie molto difficile da gestre.
Il professore accenna il concetto di fimosi chiesto da uno studente la lezione precedente.
La fimosi è una patologia congenita in cui il prepuzio non è regolarmente aperto e il glande
è coperto. È
tpica dei neonat e si tratta con la circoncisione.
Il medesimo quadro clinico si può presentare nel soggetto anziano. In questo caso si parla
di sclerosi del prepuzio.
Talvolta, la causa della sclerosi del prepuzio è una patologia dermatologica definita Lichen
sclero-atrofico, in cui l’anello del prepuzio assume un colore biancastro.
La circoncisione risolve il problema. Se all’esame istologico della circoncisione si evidenzia
che la causa di fimosi è il Lichen sclero-atrofico si esegue una terapia basata su steroidi
topici (in partcolare si utlizza il clobetasol) eseguita cinque giorni su sette per cicli
trimestrali.
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La causa di Lichen sclero-atrofica è sconosciuta.
In casi rari e difficili da gestre, il Lichen sclero-atrofico si propaga all’uretra dove causa dei
restringiment molto difficili da trattare. La circoncisione, in casi in cui l’uretra non è
coinvolta, è risolutva.
Risposta ad una domanda incomprensibile: a volte è possibile che il prepuzio sia leggermente
ristretto e non crea problemi durante i rapporti sessuali.
Risposta ad una domanda incomprensibile: quando vi è fimosi senza coinvolgimento
dell’uretra, si esegue la circoncisione che è risolutiva. In caso di interessamento dell’uretra, è
necessario intervenire per garantire la pervietà dell’uretra.
Male stress urinary incontinence
L’incontnenza urinaria interessa il 10% della popolazione maschile; l’incontnenza urinaria
da sforzo non è la principale forma di incontnenza nel sesso maschile in quanto la prostata
rappresenta una struttura anatomica protettiva e pertanto previene l’incontnenza urinaria
da sforzo.
Tuttavia il rischio di sviluppare tale condizione aumenta nei pazient che hanno subito una
prostatectomia radicale per neoplasia prostatca o una T.U.R.P ossia una resezione
transuretrale della prostata o trattament di laser affini per ipertrofia prostatca. Quest’ultme
due condizioni sono cause molto rare di incontnenza urinaria da sforzo.
In basso vi è un’immagine dello scavo pelvico. Anteriormente al retto poggia il plesso
pelvico.
Superiormente si trova prostata e uretra.
La prostata ha uno stretto rapporto con il collo vescicale e distalmente si contnua con lo
sfintere striato dell’uretra.
La prostatectomia radicale può essere causa di incontnenza per vari motvi.
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Durante l’intervento, si può :
- danneggiare direttamente il plesso pelvico
- danneggiare le fibre nervose del plesso pelvico che decorrono sulla superficie
anterolaterale della prostata e che sono deputate all’innervazione
dell’uretra.
Questo intervento quindi può causare la
disfunzione erettile (se ne parlerà dopo) e l’incontnenza da sforzo per danneggiamento
delle
fibre nervose destnate all’uretra.
-danneggiamento dello sfintere striato dell’uretra
Durante la prostatectomia, è possibile lesionare
direttamente lo sfintere striato dell’uretra in
quanto è strettamente a contatto con l’apice della
prostata e di conseguenza la lesione dello sfintere
striato rappresenta la principale causa di
incontnenza da sforzo.
Le due strutture sono strettamente collegate e a volte si compenetrano l’una con l’altra.
Pertanto un minimo danno allo sfintere striato è sforzoso quando si esegue una resezione
dell’apice prostatco. Se si vuole preservare lo sfintere, si rischia di lasciare in sede una
porzione di apice prostatco che è frequente sede di neoplasia prostatca.
Oltre alla posizione della prostata, un ruolo importante nel determinare un’eventuale
incontnenza maschile da sforzo è la forma della prostata che è molto variabile e che quindi
influisce nella capacità , durante la prostatectomia radicale, di isolare la prostata dallo
sfintere.
Nell’immagine a lato, si evidenziano le varie forme di prostata valutate in uno studio della
Mayo Clinic. Se associato alla neoplasia, vi è un’ipertrofia prostatca il volume e la forma
dell’organo cambiano notevolmente.
L’apice della prostata è importante essendo sede di neoplasia prostatca e pertanto è
necessario rimuoverlo durante l’intervento;
se la prostata ha una forma definita, in gergo, a ciambellina, non c’è una protrusione
posteriore “notch posteriore” che invade lo sfintere; in questo caso tagliando a raso la
prostata, si potrà preservare quasi per intero lo sfintere.
Nel caso di prostata con forma definita, in gergo, a croissant, vi è una protrusione
posteriore; se si incide comprendendo interamente la prostata si lesiona lo sfintere e il
paziente presenterà incontnenza post-operatoria, al contrario se si esclude lo sfintere, si
rischia di lasciare una parte dell’apice della prostata in sede. (ciò è facilmente intuibile
analizzando la foto sottostante).
In questo caso è necessario, prestando molta attenzione, dissociare lo sfintere e il notch
posteriore della prostata, potendo così rimuovere la prostata e lasciare in sede lo sfintere.
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Un altro problema è il fatto che la prostata non presenta una capsula per cui a livello
apicale, in caso di forme partcolari di prostata, i due element sono intmamente connessi.
In caso di prostatectomia radicale, un minimo danno allo sfintere uretrale è obbligatorio,
per cui molt pazient possono essere incontnent in seguito all’intervento; tuttavia è
possibile un graduale miglioramento dell’incontnenza nei due anni successivi.
Sono stat condotti degli studi che evidenziano che a tre mesi dall’intervento circa il 60% dei
pazient è contnente, a sei mesi il 75%, mentre ad un anno dall’intervento circa l’80% è
contnente.
Una misura che si può adottare, per trattare l’incontnenza post-operatoria, è la
riabilitazione del pavimento pelvico tramite cui si induce un’ipertrofia della componente
muscolare residua che compensa il danno, inoltre vi è un ripristno delle fibre nervose, solo
se contuse dall’intervento e non recise, del
plesso
pelvico che
innervano
l’uretra.
Quindi

i
pazient
guariscono
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spontaneamente se le fibre nervose sono solo contuse oppure vi è un miglioramento
dell’incontnenza grazie ad un approccio conservatvo, ossia la riabilitazione del pavimento
pelvico.
Il trattamento chirurgico viene preso in considerazione solo dopo due anni dall’intervento
di prostatectomia radicale, perché in quest casi l’incontnenza è una situazione definitva e
che non presenta margini di miglioramento.
Ricapitolando, nei primi due anni dopo l’intervento si esegue solo la riabilitazione pelvica,
se dopo i due anni la situazione non migliora si può pensare ad un approccio chirurgico.
Il problema di incontnenza in seguito all’intervento dipende da: 1- A
bilità del chirurgo che rappresenta il fattore prognostco principale.
2- E tà . A parità di bravura del chirurgo, più è giovane il paziente più il rischio di
incontnenza è ridotto.
3- Ra
dioterapia . I pazient che richiedono radioterapia in seguito a prostatectomia radicale
hanno un rischio maggiore di sviluppare incontnenza, soprattutto chi sviluppa una stenosi
dell’anastomosi tra vescica e uretra. Quest’ultma è una condizione rara, la cui frequenza
aumenta lievemente nei pazient che devono eseguire radioterapia.
Trattamento:
Come detto precedentemente, inizialmente si attua una terapia conservatva.
È presente uno studio che sostene che la riabilitazione del pavimento pelvico eseguita
prima dell’intervento riduca il rischio di sviluppare incontnenza post-operatorio.
Nella maggior parte dei casi, la riabilitazione del pavimento pelvico si esegue nei mesi
successivi dall’intervento.
Non è una tecnica di efficacia assoluta, ma garantsce un lieve miglioramento anche se
eseguita dopo diversi anni dall’intervento; il prerequisito affinché si possano evidenziare
dei migliorament è che il paziente present un’incontnenza di grado lieve.
Se il paziente richiede un trattamento chirurgico è necessario uno studio dinamico dove si
valuta la funzionalità vescicale perché spesso si tratta di vesciche parzialmente denervate
dall’intervento e non correttamente funzionant.
Sfintere artificiale
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Per anni l’unico strumento utlizzato per l’incontnenza era lo sfintere artficiale.
Il funzionamento è stato visto quando si è
parlato dell’incontnenza femminile, l’unica
differenza è che il comando è localizzato a livello
dell’emi-scroto controlaterale alla
mano
dominante.
L’efficacia è la medesima per entrambi i sessi.
Traggono benefico, da tale procedura, i pazient
con grave incontnenza. Il miglioramento
dell’incontnenza è elevato (fino al 90%), ma il
rischio di complicanze come infezioni, erosioni,
atrofia dell’uretra, malfunzionamento del
sistema, è altrettanto elevato.
Da uno studio è emerso che gli sfinteri
funzionat a 10 anni dall’intervento sono circa la
metà di quelli utlizzat, la restante metà ha
smesso di funzionare per varie problematche.
Lo sfintere artficiale è una strategia estremamente efficacie, ma che presenta gravi
complicanze e un’alta probabilità di ulteriori intervent chirurgici.
Sling Advance
Si tratta di una benderella di polipropilene chiamata Sling Advance, inventata da Christan
Gozzi; è simile al tape trans-otturatoria utlizzato per l’incontnenza femminile.
Si esegue un’incisione perineale e si isola il bulbo dell’uretra.
La logica dello sfintere è quella di riposizionare cranialmente il bulbo dell’uretra offrendo
un supporto posteriore all’uretra.
Una volta isolato il bulbo dell’uretra,
attraverso l’uso di aghi di grandi dimensioni, si
passano le estremità della benderella a livello
dei forami otturatori fino a farle emergere a
livello della loggia degli adduttori. La parte
centrale della benderella, che è la parte più
estesa, viene fissata al bulbo dell’uretra in
modo tale che non si dislochi. È una procedura
che avviene alla cieca.
Una complicanza che il paziente può riferire
dopo l’intervento è il dolore a livello della
loggia degli adduttori.
Il tasso di incontnenza, considerando tutti i vari tpi di benderelle, è circa del 50%, e
l’intervento è utle per le persone con un grado di incontnenza medio-moderato.
Il rischio di complicanze è del 18%, percentuale più bassa rispetto a quella delle
complicanze che insorgono con lo sfintere artficiale, inoltre le complicanze dello Sling
Advance solo lievi.
Le persone che hanno eseguito radioterapia dopo l’intervento, sono pazient che traggono
un ridotto beneficio da tale procedura; in realtà i vantaggi che traggono tali pazient sono
sempre ridotti rispetto a quelli delle persone non trattate con radioterapia,
indipendentemente dalla procedura utlizzata per trattare l’incontnenza.
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Un altro gruppo di individui che presenta vantaggi ridotti in seguito allo Sling Advance
sono i pazient con una grave incontnenza; in tal caso è consigliato l’uso dello sfintere
artficiale, perché nonostante l’alto rischio di complicanze, l’efficacia è decisamente
superiore (fino al 90% circa).
Il rischio di dover rimuovere il device è pratcamente nullo (0,5%), mentre il rischio, in caso
di sfintere artficiale, è del 50%.
La problematca principale che i pazient possono riscontrare è l’incapacità di urinare
correttamente e ciò è possibile quando la benderella, venendo tesa eccessivamente, diventa
ostruente. Per tale motvo bisogna avvisare il paziente dei rischi che possono insorgere e
quindi della possibilità di autocateterizzarsi. È una tecnica relatvamente semplice, simile a
quella utlizzata per l’incontnenza femminile.
Domanda: nel caso dello Sling Advance, non sarebbe indicato valutare prima la posizione del
bulbo uretrale per vedere se è effettivamente sceso?
Risposta: si, si esegue anche se non è una procedura molto precisa. Si fa una urodinamica, una
cistoscopia e si comprime il perineo simulando la compressione sull’uretra determinata dal
tape (tale procedura si definisce test Advance). Se endoscopicamente si evidenzia, mentre si
comprime il perineo, che la regione sfinterica si chiude, si può sospettare che il tape possa
funzionare correttamente.È una procedura grossolana, non vi sono tecniche più accurate.
Il gold standard per la definizione anatomica è RMN, ma la risonanza viene eseguita in
orizzontale, mentre i pazienti sono incontinenti in ortostatismo.
Un problema di statica pelvica si evidenzia maggiormente quando il paziente è in movimento
e non quando è disteso su un lettino.
Per l’incontnenza, ci sono altre tecniche la cui frequenza sta diminuendo; lo Sling Advance
ha sosttuito tale tecniche, ossia il bulking agents, adjustabale ballons…
Grazie all’introduzione della chirurgia robotca, l’intervento di prostatectomia radicale è
sempre più preciso pertanto l’incontnenza post-operatoria è lieve o moderata, le forme di
incontnenza grave sono sempre più ridotte.
Bulking agents.
Si può iniettare del materiale subito sotto il collo vescicale con l’obiettivo di restringere o
occludere il lume uretrale.
Questa tecnica si esegue nei pazient irradiat, i quali come visto precedentemente traggono
pochi benefici da i vari trattament per l’incontnenza. In quest pazient, sapendo che il
beneficio è estremamente ridotto e che il rischio di complicanze e la probabilità di
insuccesso è nettamente superiore rispetto ai pazient che non hanno eseguito la
radioterapia, si preferisce eseguire procedure mini invasive, come il Bulking Agents.
Tale tecnica non è una terapia duratura infatti il
materiale inserito si assorbe dopo un certo lasso
di tempo (solitamente pochi mesi) per cui
l’efficacia si vanifica. Non ci sono dei materiali
che, una volta iniettat, riescano a rimanere in
sede per molto tempo e inoltre hanno un costo
elevato. Tale trattamento, vista la modesta
efficacia, è un trattamento anteconomico.
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Da una metanalisi sul trattamento di bulking agents in pazient con incontnenza maschile è
emerso che è un trattamento la cui efficacia persiste per un lasso di tempo assai ridotto e
ha un costo elevato. Nella pratca, tale tecnica viene utlizzata nei pazient che non sono
candidabili ad altre procedure; quest pazient sono persone che rifiutano i trattament
propost o pazient che hanno eseguito radioterapia.
Adjustable balloons
Tale tecnica prevede l’impianto di palloncini aggiustabili. Nell’immagine si vede un
supporto con all’estremità un palloncino che viene gonfiato ed in basso a sinistra c’è una
valvola. Si posiziona il complesso, tramite radioscopia, al di sotto del collo vescicale e
successivamente si riempie il palloncino, sotto guida radioscopica, in modo da occludere il
collo vescicale. È possibile aggiustare il riempimento se il paziente è ancora incontnente
dopo l’intervento. Per via percutanea, si punge la valvola e si inietta il liquido che permette
di aumentare il volume del palloncino.
Complicanze evidenziate con tale tecnica:
1- Occlusione statca.
Nel caso dello sfintere artficiale,
l’occlusione è dinamica per cui quando
il paziente deve urinare, preme un
bottone e lo sfintere si apre, la cuffia si
sgonfia e l’uretra non è ostruita. Il
paziente non presenza problemi per
quanto riguarda la minzione.
Nel caso dei palloncini aggiustabili, essi
sono gonfi sempre nello stesso modo,
pertanto determinano un’ostruzione
cervico-uretrale che a lungo andare
può danneggiare la struttura
anatomica del collo vescicale già operato.
2- Complicanze post-operatorie
È stata eseguita una metanalisi sull’efficacia di tale tecnica. I pazient contnent sono il 60%,
percentuale simile a quella dei pazient trattat con lo Sling Advance, mentre è inferiore
rispetto a quella dei pazient trattat con lo sfintere artficiale.
I pazient contnent o migliorat almeno del 50% sono circa 80%. I pazient utlizzano dopo
l’intervento, in media, tre pannolini in meno.
È una procedura discretamente efficacie, tuttavia il rischio di complicanze è molto elevato
(perdita di liquido dal palloncino, revisione chirurgica, erosione..) Queste procedure
permettono di correggere, in parte o totalmente, il danno causato da un precedentemente
intervento, come la prostatectomia radicale.
L’incontnenza da sforzo è una situazione molto comune. In Italia vi sono 35.000 casi annui
di neoplasia prostatca, di cui (facendo una stma) 15.000 casi circa richiedono una
prostatectomia radicale. Se il 10%
di tale gruppo presenta un’incontnenza seria, il numero di persone (1500 all’anno) che
subiscono queste 227

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procedure è elevato. Inoltre sono persone che hanno una sopravvivenza elevata per cui il
trattamento dell’incontnenza è diffuso.
Bisogna prestare attenzione ai pazient con lo sfintere artficiale soprattutto se è necessario
il posizionamento di un catetere. Se si posiziona un catetere con lo sfintere chiuso, cioè con
la cuffia gonfia, si rischia di rompere la cuffia e ciò vanifica l’efficacia dello sfintere. È
consigliato richiedere l’intervento dell’urologo che, disattivandolo, blocca lo sfintere in
posizione aperta o in alternatva posiziona un catetere sovra pubico.
Disfunzione erettile:
la disfunzione erettile è una condizione molto diffusa.
Le definizioni di disfunzione erettile accettate sono:
1- DSM-IV: la disfunzione erettile è la persistente o ricorrente incapacità di ottenere o
mantenere un’erezione peniena adeguata per il completamento dell’attività sessuale.
2- NIH consensus development panel on impotence: incapacità di ottenere e/o
mantenere un’erezione sufficiente a consentre un rapporto sessuale soddisfacente.
Vi è un minimo margine di soggettività nel considerare un rapporto sessuale più o meno
soddisfacente, ad esempio non è chiaro per quale partner il rapporto non è soddisfacente Il
concetto di base è che vi è un’erezione ridotta o completamente assente che non consente
di portare a termine un rapporto sessuale in maniere appropriata.
I pazient presentano, più comunemente, un deficit erettile parziale (lamentano una durata
ridotta o una ridotta rigidità , o un periodo refrattario più lungo da un’erezione e all’altra),
mentre i pazient con prostatectomia radicale o pazient diabetci con neuropata diabetca
lamentano una disfunzione erettile totale.
L’erezione non è correlata al desiderio sessuale a meno che non vi sia un calo dei livelli di
testosterone o un aumento dei livelli di prolattina.
Solitamente in tutti i pazient che lamentano un deficit erettile viene richiesto il dosaggio dei
livelli di testosterone, mentre nei casi in cui il paziente riferisce, oltre ad un deficit erettile,
un calo del desiderio sessuale, viene richiesto anche il dosaggio della prolattina.
Prevalenza
Da uno studio epidemiologico americano, Massachussets Male Aging Study, è emerso che il
52% dei soggetti tra 40-70 anni riferisce deficit erettile.
Nel 10% dei casi ci sarà un deficit completo, nel 25% dei casi un deficit moderato, nel 17%
dei casi ci sarà un deficit lieve.
La prevalenza di tale condizione, in Italia, è del 13% considerando la popolazione maschile
adulta
con età superiore ai 18 anni.
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(Si considerano due popolazioni diverse, nello studio americano vengono inclusi solo
soggetti con età superiore ai 40 anni, mentre nello studio italiano sono compresi tutti gli
uomini con età superiore ai 18
anni).
Tale percentuale è in crescita; in Europa, le persone che attualmente presentano deficit
erettile sono circa trenta milioni. Si stma che nel 2025, il numero di pazient sarà almeno di
quaranta milioni.
Fattori di rischio
I fattori di rischio, nei pazient che non hanno eseguito una prostatectomia radicale, sono i
medesimi della cardiopata ischemica.
L’aterosclerosi è il comun denominatore e i pertanto i fattori di rischio per l’aterosclerosi
sono i responsabili sia della cardiopata ischemica, sia del deficit erettile.
Vi sono delle classi di pazient che hanno un elevato rischio di sviluppare deficit erettile.
1- I pazient diabetci , essendo il diabete un fattore di rischio per l’aterosclerosi, hanno un
rischio molto elevato di disfunzione erettile.
2- I pazient con deficit neurologici (sclerosi multpla, la malattia di Parkinson) 3- I pazient
che hanno subito una chirurgia pelvica (prostatectomia radicale o intervent per il colon-
retto) possono sviluppare deficit erettile, perché in entrambi i casi viene danneggiato il
plesso pelvico.
4- I pazient che hanno complicanze anatomiche quali la indurato penis plastca detta anche
malattia di la Peyronie o la fimosi. Quest’ultma non è la causa principale.
La malattia di Peyronie, la cui causa è sconosciuta, è un processo infiammatorio della tunica
albuginea, ossia la fascia che avvolge i corpi cavernosi. Normalmente la fascia è molto
elastca e nel momento dell’erezione la fascia si distende in quanto accompagna la
distensione dei corpi cavernosi. Nella malattia di la Peyronie, si realizzano degli
ispessiment di questa placca, per cui nel momento dell’erezione, la fascia non si distende in
quella zona. Inoltre, a livello della placca, ci può essere un leakage venoso, ossia una fuga di
sangue venoso, per cui, mancando l’occlusione venosa, l’erezione è più debole e il pene si
può incurvare dal momento che la fascia, a causa delle placche, non è elastca.
I pazient che presentano tale malattia sono numerosi e riferiscono di avere un
incurvamento del pene acquisito e che alla palpazione sentono un ispessimento.
5- I pazient con deficit endocrinologici ; pazient con ipogonadismo, con iperprolattinemia,
con deficit della funzionalità troidea, con alterazioni della funzionalità surrenalica…
6- I pazient che utlizzano determinat farmaci come gli inibitori delle 5-alfa reduttasi per il
trattamento dell’ipertrofia prostatca o come gli antpertensivi. L’ipertensione è un fattore di
rischio per l’aterosclerosi e quindi per il deficit erettile; in aggiunta anche il suo
trattamento comporta un rischio maggiore di disfunzione erettile.
D: “La malattia di La Peyronie come si può trattare?”
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R: “Nella pratica non si sa. Quello che di solito si fa è operare se la malattia è stabile da
almeno un anno (quando si è sicuri che il processo di incurvamento si è stabilizzato). Se
l’incurvamento è stabilizzato e fastidioso si può operare facendo una chirurgia di
raddrizzamento che consiste nel fare una plica dalla parte opposta per controbilanciare la
tensione della placca. Di solito la chirurgia è discretamente efficace ma il pene si accorcia di
almeno 2cm. Quando la malattia non è stabile si fanno trattamenti conservativi, il più delle
volte con onde d’urto.”
D: “Aveva detto che l’ispessimento è dovuta ad una parte dell’albuginea. Non si può
intervenire su questa tonaca?”
R: “In passato qualcuno resecava la parte di albuginea ristretta e copriva il buco con la vena
safena, però questo è associato ad un alto rischio di fuga venosa e di deficit erettile. Questo
oggi si fa soltanto negli incurvamenti mostruosi associati a deficit erettile in cui si corregge
l’incurvamento e si impianta una protesi peniena. Questo tendenzialmente è un trattamento
di ultima linea.”
Tornando alle cause di deficit erettile, vi sono per ultmi gli psicopatci, che avendo
qualunque tpo di problema possono presentare anche deficit erettile.
Quindi il più delle volte il paziente che arriva
all’osservazione dell’urologo che non ha
niente e riferisce solo deficit erettile ha i
fattori di rischio della cardiopata ischemica,
o il diabete, o qualche patologia endocrina
(molto più raramente) o semplicemente i
LUTS. Si era già accennato alla co-prevalenza
di LUTS e di disfunzione erettile: questo è
l’altro versante da sospettare quando si
visita un paziente che primariamente arriva
per un deficit erettile.
DEFICIT ERETTILE E RISCHIO CARDIO-VASCOLARE
Spesso i pazient che si presentano con disfunzione erettile:

Fumano

Fumano e sono diabetci

Fumano, sono diabetci e hanno una cardiopata ischemica già diagnostcata Il legame è così
stretto che quando arriva il paziente con deficit erettile lo si manda a fare indagini
per la cardiopatia ischemica silente. Gli studi dicono che quando si presenta un soggetto
con deficit erettile, egli potrebbe già aver avuto un evento coronarico silente oppure, se non
lo ha già avuto silente, nel giro di qualche anno ce l’avrà conclamato.
Lo studio sotto citato dice che il deficit erettile di solito prevede degli incident
cardiovascolari a due-cinque anni. Dato che ormai questa associazione è nota, quando
arriva l paziente con deficit erettile gli si fa automatcamente lo screening di tutti i fattori
di rischio cardiovascolari e si fa un ECG. Vi sono anche delle indicazioni specifiche per
mandarlo direttamente dal cardiologo.
230
Sbobinatori: S. Mieni, A. Murari
Lez. 01 urologia
Novara 04/10/19
Revisore: A.Galbiat
La disfunzione erettile si considera come un avvertmento di patologia sistemica
cardiovascolare: non solo si vanno a trattare il sintomo erettile, ma si indaga anche la
patologia sistemica cardiovascolare. Di pazient come quest se ne vedranno a centnaia
durante la carriera di medici.
Il prototpo di paziente con disfunzione erettile vede:

Anziani;

Diabetci;

Fumatori;

Dislipidemici;

Pazient affetti da sindrome metabolica;

Pazient con coronaropata nota o con un evento silente pregresso o che ce l’avranno
conclamato nel giro di un paio d’anni dalla diagnosi iniziale.
FARMACI CAUSANTI DEFICIT ERETTILE
Vi sono anche dei farmaci che possono causare il deficit erettile:

Finasteride e dutasteride per i LUTS;

Antacidi e H2 antagonist (ma non è tanto prevalente anche se l’uso di quest farmaci è molto
comune);

Antpertensivi (frequentssimo);

Interferone (anche se di scarso interesse in quanto non si usa quasi mai);

Farmaci per il carcinoma prostatco (LHRH analoghi azzerando la produzione di
testosterone causano deficit erettile);

Alcuni psicofarmaci (che si sommano al deficit erettile dovuto alla patologia psichiatrica di
base).
FISIOPATOLOGIA DELL’EREZIONE
Per avere un’erezione normale occorrono una serie di component regolarmente
funzionant: l’erezione è un evento nervoso-vascolare altamente complesso. Occorre
che:

il sistema nervoso centrale e periferico siano integri;

il sistema circolatorio sia integro in quanto l’erezione è determinata da un iperafflusso
arterioso (quindi nella sindrome di Leriche, che è la localizzazione dell’aterosclerosi a
livello dell’aorta distale, il deficit erettile è molto frequente)

il sistema endocrino sia integro.
1. Il ruolo del sistema nervoso
A livello centrale vi sono recettori per il testosterone in molte aree cerebrali: l’attività
di molte aree cerebrali dipende dal livello di testosterone. Sono state studiate le aree che si
attivano utlizzando indagini funzionali (il più delle volte non durante un rapporto sessuale
ma durante visione di filmat pornografici). Si è visto quali aree cerebrali si attivavano e vi è
una mappatura precisa delle aree che si 231

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Lez. 01 urologia
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attivano. Ne deriva che qualunque patologia neurologica centrale (ictus cerebri,
sclerosi multpla, parkinsonismi) o periferica (come i traumi) ha impatto sull’attività
erettile del paziente.
Le vie midollari sono fondamentali e i pazient mielolesi con trauma vertebrale possono
presentare disfunzione

erettile

per

effetto

dell’interruzione

delle

vie
nervose.
2. Il ruolo del sistema circolatorio
L’erezione si verifica perché c’è un iperafflusso arterioso e un rilasciamento delle
strutture muscolari lisce dei corpi cavernosi. Si rilasciano le arterie e aumenta il flusso
arterioso, le lacune vengono inondate di sangue arterioso: aumentano il volume e aumenta
la rigidità . Contemporaneamente si assiste alla compressione delle strutture venose e viene
ostacolato il deflusso venoso. La combinazione di iperafflusso arterioso, dell’ostacolato
deflusso venoso e la dilatazione delle strutture muscolari determina un allagamento
arterioso del tessuto del corpo cavernoso.
Tutte le condizioni di ipoafflusso arterioso (come la sindrome di Leriche oppure
l’aterosclerosi delle arterie elicine) determinano un ridotto afflusso. Tutte le condizioni in
cui il meccanismo occlusivo non funziona (come nella sindrome di La Peyronie) causano un
aumentato deflusso. Quindi l’erezione può essere anormale in quanto si hanno:

Afflusso arterioso ridotto;

Deflusso venoso aumentato (peggiore da trattare).
3. Il ruolo del sistema endocrino
Si descriverà in modo molto rapido: ci deve essere testosterone a sufficienza.
RUOLO DELL’OSSIDO NITRICO NEL PROCESSO DI EREZIONE
Il meccanismo finale ultmo con cui avviene la dilatazione delle strutture muscolari lisce del
corpo cavernoso è il seguente: l’effettore è l’ossido di azoto. Il meccanismo dipende dalla
guanilato ciclasi che mediante la sintesi di cGMP mobilizza il calcio: diminuisce il calcio
libero che viene eliminato all’esterno mediante i canali del calcio o viene accumulato
all’interno della cellula nel retcolo sarcoplasmatco. La 232

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riduzione del calcio libero fa diminuire il tono della fibrocellula muscolare liscia favorendo
la dilatazione delle strutture del corpo cavernoso. Tutto quindi è la conseguenza del rilascio
di ossido nitrico che funge da mediatore.
L’enzima che spegne il sistema è la
fosfodiesterasi 5. Essa va ad idrolizzare il cGMP in GMP lineare (che è la forma non
attiva) e questo autolimita il sistema
bloccando l’estrusione di calcio ionico dalla
cellula. La principale categoria di farmaci che
si hanno a disposizione per il trattamento
della disfunzione erettile sono gli inibitori
delle fosfodiesterasi che incrementano la
vita del cGMP e la sua efficacia nell’eliminare
il calcio intracellulare favorendo così la
dilatazione delle strutture muscolari lisce del
corpo cavernoso.
INQUADRAMENTO CLINICO:
Il paziente arriva all’osservazione del medico dicendo che ha un deficit erettile, si misura la
gravità del sintomo con il questonario (International Index Erectile Function) e si
ottiene lo score che consente di capire se la disfunzione è lieve, moderata o grave. Nel
modo appena descritto si va a misurare il sintomo.
Oltre a misurare il sintomo bisogna ricercare la causa sottostante alla disfunzione,
ricercando o esaminando:

i fattori di rischio cardiovascolare;

i segni di alterazione endocrinologica (come il calo del desiderio sessuale o, all’esame
obiettivo, l’alterazione dei caratteri sessuali secondari che può suggerire una
ipotestosteronemia);

il peso corporeo che si associa con il rischio cardiovascolare;

i sintomi del basso apparato urinario contaminant che sono altamente co-prevalent;

le terapie in atto che potrebbero essere associate al deficit erettile;

la presenza di diabete o delle altre patologie associate prima menzionate.
Quindi non solo bisogna individuare i
sintomi e trattarli, ma è necessario anche
cercare e correggere tutti i fattori di rischio
che sono stat menzionat.
Di lato viene riportata la flow chart di
inquadramento diagnostco. È di
fondamentale importanza valutare i fattori
di rischio cardiovascolari.
USO DEI PDE-5 INIBITORI NEI PAZIENTI
CARDIOVASCOLARI:
In passato, quando non vi erano gli
inibitori della PDE, si cercava
strenuamente di identficare la causa
precisa di deficit erettile. Ora, a parte la
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Lez. 01 urologia
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problematca cardiovascolare che si vuole correggere e in parte prevenire (facendo ECG,
misurando la glicemia e il profilo lipidico), viene trattato il sintomo con l’inibitore della
PDE5. L’uso di questa classe di farmaci è
a ltamente sicuro , tuttavia vi sono dei pazient in cui non lo è: i pazient con problematche
cardiovascolari. Alcuni anni fa alla Princeton Consensus Conference è stata proposta una
classificazione del rischio cardiovascolare nei pazient, con la finalità di capire dal punto di
vista esclusivamente urologico quali si possano trattare serenamente con PDE5 inibitori e
quali invece non possono essere trattat in quanto si rischia di causare un danno con il
farmaco somministrato.
I pazienti a basso rischio sono quelli che:

non hanno sintomi cardiovascolari attivi;

hanno meno di tre fattori di rischio (escluso il sesso maschile in quanto i pazient sono tutti
maschi);

hanno una angina stabile;

hanno una classe NYHA 1;

hanno avuto un precedente infarto, ma ora sono guarit, stabili e senza sintomatologia
residua importante.
Quest pazient sono quelli che si possono trattare direttamente con il PDE5 inibitore senza il
rischio di morte o di gravi effetti collaterali.
I pazienti ad alto rischio sono quelli che:

hanno una angina instabile;

hanno una aritmia ad alto rischio;

hanno sviluppato un infarto recente;

presentano una classe NYHA avanzata.
Quest pazient sono quelli che non si possono trattare, ma non serviva la Consensus
Conference per dirlo: bastava il “buon senso clinico”. Chi ha avuto un infarto da una
settimana non va trattato per il deficit erettile, le priorità sono altre.
La categoria importante è rappresentata tuttavia dai pazienti a rischio intermedio che:

hanno più di tre fattori di rischio;

hanno un infarto recente;

hanno una angina moderata ma
stabile nel tempo.
Quest pazient, secondo la Consensus
Conference, vanno indagat dal punto di vista
cardiologico prima di somministrare l’inibitore
della PDE5. Si può fare uno stress test,
un’ecocardiografia oppure un’eco-stress e in
base alla funzionalità residua che identifica il
cardiologo si può decidere se trattarli
serenamente o se definirli intrattabili.
TEST DIAGNOSTICI DI SECONDO LIVELLO:
In passato si eseguivano anche dei test
diagnostci di secondo livello, come l’ecografia
peniena, ma oggi sono stat completamente
abbandonat. A parte lo screening
cardiovascolare e la valutazione biochimica di
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glicemia, profilo lipidico, testosterone, FSH, LH, prolattina (in chi ha il deficit del desiderio
sessuale) o altri ormoni per rinvenire altri riscontri, non si fa altro.
TERAPIA DI PRIMA LINEA: trattamento del sintomo e trattamento della causa In
prima linea si tratta quasi sempre il sintomo con gli inibitori della PDE-5, però oltre a
trattare il sintomo bisogna mettere in campo alcune strategie per trattare la causa del
problema. Se il paziente presenta una ipotestosteronemia, essa va corretta somministrando
testosterone. Se vie è una iperprolattinemia, quasi sempre la causa è un adenoma
secernente da trattare. Se il soggetto ha problematiche ormonali, esse vanno risolte. Se
il soggetto è obeso, va messo a dieta in quanto gli studi dicono che il semplice
dimagrimento (ma anche l’attività fisica aerobica) migliora i rapport sessuali. Chi fuma
deve smettere, in quanto questo incrementa la probabilità di ottenere spontaneamente
erezioni valide, di rispondere meglio alla terapia e riduce tutte le altre problematche.
A lato viene mostrato l’esito di un trial randomizzato che mirava a valutare l’effetto degli
stli di vita nel miglioramento della funzionalità erettile. Il concetto è che fare attività
aerobica almeno due ore e mezza alla settimana riduce di 1/3 il rischio di deficit erettile.
Chi ha vita sedentaria quindi deve fare attività aerobica. Vi sono quindi tutta una serie
di misure comportamentali per cercare di trattare la causa sottostante al problema.
Non ci sono studi chiave che indagano la correlazione tra consumo di alcol e disfunzione
erettile, tuttavia non c’è nessuno studio che suggerisca che far smettere di bere non
sia di beneficio per il paziente (per tutte le altre problematche). Un’iperglicemia va corretta
e le eventuali patologie di base riscontrate vanno corrette.
TERAPIA DI PRIMA LINEA: gli inibitori delle fosfodiesterasi Gli inibitori delle
fosfodiesterasi sono utlizzat per trattare il sintomo. Come già detto più volte nella lezione, il
farmaco è l’inibitore delle fosfodiesterasi che blocca la degradazione del cGMP in GMP e
pertanto si ha un incremento dell’azione del nucleotde ciclico con un’estrusione prolungata
di calcio dalle cellule. Vi sono quattro different farmaci in commercio in Italia:
1. Sildenafil (nome commerciale: Viagra, il primo farmaco ad essere usato e in commercio
da oltre 25
anni);
2. Tadalafil (nome commerciale: Cialis, ora classificato come farmaco generico)
3. Vardenafil (nome commerciale: Levitra)
4. Avanafil (nome commerciale: Spedra, l’ultmo arrivato) Tutti quest farmaci agiscono con
meccanismo simile, andando ad impattare sulla PDE5 dei corpi cavernosi. Vi sono almeno
altri 10 tpi di fosfodiesterasi nel nostro corpo. L’affinità di quest farmaci per le varie PDE è
diversa, per cui chi prende il Viagra può avere dei disturbi visivi in quanto si ha un’azione
sulla PDE10 presente a livello retnico. Quest disturbi sono tuttavia transitori. Oltre alla
diversa affinità con le PDE, cambiano le caratteristiche di farmacocinetica, cioè:

il Sildenafil ha un’emivita breve (di 3/4 ore) e il suo Tmax è di circa 1h. Questo significa
che da quando viene somministrato a quando si raggiunge il T-max passa 1h. Da quando
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il farmaco ha raggiunto il T-max a quando ha raggiunto la massima efficacia passa un’altra
ora. Se il paziente lo prende alle 20.00 la massima efficacia si ha verso le 22.00.
Il tempo di dimezzamento è circa di 4h, quindi a partre dalle 24.00 i livelli cominciano a
scendere: la finestra operatva di beneficio massimale è partcolarmente ristretta tra le 22.00
e le 24.00. Se però l’assunzione del farmaco è stata accompagnata da un lauto pasto e/o da
un lauto abbeveraggio alcolico, i tempi slittano leggermente. Si può quindi affermare che
“con il Sildenafil bisogna stare a guardare l’orologio” in quanto la finestra di efficacia
massimale è relatvamente ristretta. Il Sildenafil quindi è scomodo;

il Tadalafil ha un’emivita di 18 ore. Da quando si somministra il T-max è di due ore: se il
paziente lo prende alle ore 13.00, a partre circa dalle ore 16.00 il farmaco diviene attivo.
Essendo l’emivita di 18 ore, dalle 16.00 si arriva fino alle 10.00 del giorno successivo: il
paziente ha un livello plasmatico efficace per avere un rapporto sessuale con il
massimo dell’efficacia del farmaco con una finestra molto più lunga. Il paziente riesce
a gestre il farmaco molto più facilmente: vi è una minor necessità di programmare l’attività
sessuale;

il Vardenafil è una via di mezzo tra i due farmaci appena esaminat, anche se è molto
simile al Sildenafil;

l’Avanafil è in commercio da poco e il
Professore dice di averlo usato
prescritto pochissimo fino ad ora. Il
vantaggio è che
l’insorgenza
dell’azione è molto rapida.
La network metanalisi riportata a lato fa
riferimento all’efficacia dei farmaci. Possiamo
vedervi anche quelli non present in Italia. I più
efficaci rispetto al placebo sono il Sildenafil 50,
il Sildenafil 100 e il Tadalafil 20. L’efficacia è grossomodo simile, ma dose dipendente,
quindi
in linea di massima il dosaggio pieno di Sildenafil
e Tadalafil sono quelli che assicurano la
maggiore efficacia.
In linea di massima, escludendo i diabetici di fase avanzata o gli operati di
prostatectomia
radicale (o affine), tutti rispondono abbastanza bene a questi farmaci. Coloro che non
rispondono bene, spesso vanno riconvocat e va spiegata bene la tempistca, la modalità e
tutto il discorso degli orari di assunzione che si faceva nell’elenco puntato sopra riportato. I
pazient inizialmente credevano che il farmaco fosse afrodisiaco, l’assumevano e non
succedeva nulla e credevano che il farmaco non fosse efficace. Per l’azione del farmaco è
necessaria la stimolazione sessuale normale e regolare: non è un afrodisiaco. Si può
quindi affermare che quando il farmaco non funziona va rispiegata al paziente come
assumerlo.
Dal punto di vista dell’efficacia, quest farmaci sono buoni e da poco sono stat approvati per
il trattamento dell’ipertensione polmonare. Dal punto di vista degli avvent avversi sono
farmaci estremamente maneggevoli, sono molto ben tollerati. La maggior parte dei
disturbi che i pazient riferiscono sono:

un po’ di mal di testa;

un po’ di congestone nasale;
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alterazioni visive (vedono blu soprattutto con il Viagra, ma dura poche ore);

un po’ di mal di schiena (soprattutto con
il Tadalafil le prime volte che lo
assumono).
L’immagine a lato mostra una metanalisi simile a quella esposta precedentemente. Questa
riguarda
tuttavia gli effetti avversi. I farmaci che funzionano di
meno hanno chiaramente meno effetti avversi,
mentre quelli che si è detto funzionare di più (il Sildenafil a dosaggio pieno e il Tadalafil a
dosaggio
pieno) hanno un po’ di più effetti avversi . In ogni caso quest sono generalmente dei
farmaci
altamente ben tollerati.
D: “Tutti questi farmaci sono efficaci per tutti i tipi di disfunzione erettile che si sono visti
prima?”
R: “Come si è accennato precedentemente, i pazienti
che rispondono peggio sono quelli che sono andati incontro ad una prostatectomia radicale
(come si vedrà tra breve) e i diabetici in fase avanzata che rispondono malissimo a qualsiasi
cosa.
Indipendentemente da queste due categorie, in generale i pazienti rispondono tutti nella
stessa maniera e rispondono così bene che si è smesso di ricercare la causa di disfunzione
erettile. Si è smesso di ricercarla in quanto il trattamento che abbiamo è solo questo e
funziona.”
INIBITORI DELLA FOSFODIESTERASI 5 E TERAPIA CON NITRATI
L’unico caveat da considerare è la terapia con i nitrat. G
li inibitori della PDE5 sono c ontroindicat in chi
sta facendo terapia con i nitrat. questo è dovuto al rischio di vasodilatazione sistemica con
conseguente ipotensione. Ad un paziente che sta facendo una terapia con i nitrat non si può
dare questa classe di farmaci.
D: “È per questo motivo che gli inibitori di PDE5 non si usano nei pazienti ad alto rischio
cardiocircolatorio?”
R: “Il paziente potrebbe essere ad alto rischio cardiovascolare e non fare i nitrati, quindi si
potrebbero dare gli inibitori. Gli inibitori tuttavia causano vasodilatazione; l’attività
sessuale causa uno sforzo fisico
e, se il paziente ha una funzionalità cardiovascolare molto compromessa, lo sforzo fisico
indotto dal rapporto sessuale può causare un infarto. A questo punto, in seguito alla
sindrome coronarica acuta, bisognerebbe somministrare il nitrato, ma non lo si può fare in
quanto il paziente ha assunto di recente il PDE5. Se il paziente ha assunto un farmaco a breve
emivita (Sildenafil o Vardenafil) e va incontro ad un infarto miocardico, non può assumere
nitrato per 24 ore. Se l’inibitore assunto era il Tadalafil, il tempo di attesa si allunga e il
nitrato non si può assumere per 48 ore. In PS bisogna stare attenti prima di somministrare
nitrati a pazienti con infarto miocardico: bisogna chiedere se hanno avuto rapporti
sessuali con PDE5i ed eventualmente con quale farmaco tra i quattro elencati.”
Quanto appena spiegato nella risposta alla domanda della collega spiega come nella pratca
sia necessario definire quale farmaco usare in quale paziente. In un soggetto molto giovane
con rapport sessuali molto frequent si tende a dare il Tadalafil da 20mg o addirittura il
Tadalafil da 5mg tutti i giorni, in quanto il rischio cardiovascolare di fare un infarto in un
soggetto molto giovane è basso. Viceversa nel vecchiotto che ha già avuto accidenti
cardiovascolari o presenta un rischio molto elevato di averne, si 237

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usa un farmaco a breve emivita. Quindi si ribadisce ancora il concetto: prima di
somministrare nitrat bisogna domandare se il paziente ha assunto degli inibitori della
PDE5.
D: “Non si potrebbe aumentare il dosaggio del nitrato?”
R: “No! Non si può somministrare. In caso la domanda doveva essere: “Posso ridurre il
dosaggio del nitrato?”. La risposta in ogni caso è che il nitrato non va neanche dato, è
controindicato.”
D: “Quindi si può dire che la controindicazione alla somministrazione di Tadalafil ad un
paziente con un fattore di rischio elevato per patologie cardiovascolari sta nel fatto che in
caso di attacco cardiovascolare non si possono somministrare i nitrati?”
R: “La classe di rischio elevata (si faccia riferimento a quanto detto a pagina14) comprende
“aritmie ad alto rischio in atto+ angina instabile o refrattaria in atto+ infarto entro due
settimane+ classe NYHA 3 o 4+ cardiopatia ipertrofica o ostruttiva”. Sono circostanze acute in
cui solo un irresponsabile andrebbe a dedicarsi all’attività sessuale. Tuttavia gli irresponsabili
esistono e va ricordato che dato che a loro non vanno prescritti PDE5 inibitori. Nei pazienti a
rischio basso non ci sono pericoli. Nei pazienti a rischio intermedio (senza evento acuto ma
con angina stabile di grado moderato) bisogna stare attenti e una volta stratificati in base al
test da sforzo, se risultano a rischio non si prescrive niente, se risultano a basso rischio si può
prescrivere un PDE5 inibitore ma a breve durata d’azione.”Se poi avranno un infarto durante
o subito dopo il rapporto sessuale, non si potranno trattare con nitrati per 24-48 h ( a
secondo di quale PDE5-I hanno assunto)”.
D: “Il trattamento farmacologico della disfunzione erettile può essere gestito dal medico di
medicina generale e dall’internista o bisogna chiedere sempre il parere dell’urologo?”
R: “Come tutte le cose, anche il trattamento della disfunzione erettile viene gestito da chi
lo sa fare. La probabilità di avere un medico di medicina generale che sappia dare la
pastiglietta di Viagra a random è altissima, mentre la probabilità che sappia spiegare bene al
paziente cosa fare quando “sembra non funzionare” è nettamente più bassa.”
D: “Si è detto che nel rischio intermedio bisogna valutare se somministrare l’inibitore in
quanto si può fare un danno al paziente. Ma il danno in cosa consiste? È rappresentato
dall’ipotensione?”
R: “Il danno è l’infarto durante il rapporto sessuale. È necessario fare un’attenta
valutazione cardiologica e i soggetti a rischio non viene dato il farmaco (->non potranno
avere rapporti sessuali-> prevengono l’infarto innescato dallo sforzo del rapporto sessuale).
Nei soggetti etichettati a basso rischio si possono somministrare i PDE5 inibitori, però il
paziente resta a rischio di infarto, sia perché essi agiscono come vasodilatatori e abbassano la
pressione (n.d.r. si suppone che il cuore a rischio per mantenere la pressione debba
compensare aumentando il proprio lavoro, condizione che potrebbe indurre una sindrome
coronarica acuta), sia perché rendono possibile il rapporto sessuale. Alcuni studi dicono che
lo sforzo fisico dell’attività sessuale standard equivale a quello di fare due rampe di scale a
piedi.”
Trattamento con onde d’urto a bassa intesità:
Da poco è stato approvato come terapia di prima linea in alternatva ai PDE5-I anche il
trattamento con onde d’urto a bassa intensità. Ci sono degli strument che inizialmente
venivano utlizzat solo dagli ortopedici per le pseudoartrosi, in cui vi è un cristallo che
emette onde d’urto che vengono focalizzate, nel caso dell’ortopedico, per favorire il
consolidamento. Questo trattamento viene usato anche nell’induratio penis plastica dove
vi è una placca evidente. Questa viene bombardata con onde d’urto a bassa energia nell’idea
di favorire, non si sa bene come,
la rottura della placca e la rigenerazione del tessuto.
Questo metodo sembra funzionare nell’indurato penis
plastca. Da qualche anno il trattamento è stato 238

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applicato anche nel deficit erettile. Il meccanismo d’azione è “fantascientfico” e nulla
vieta che possa essere una bufala. Sembra che l’alterazione endoteliale provocata con le
onde d’urto vada a determinare un’attivazione delle cellule staminali dell’endotelio dando
una rigenerazione del tessuto.
Sono stat fatti una serie di trials, quasi tutti di qualità metodologica pessima. Il concetto
rimarcato era che le onde a bassa energia avrebbero un impatto nel migliorare la funzione
erettile dei pazient, ma non di tutti: soltanto di quelli con deficit erettile di grado lieve e
solamente dopo 3 mesi di trattamento. La metodica non funzionerebbe in quelli con una
funzione erettile più compromessa.
A Padova di solito la tecnica si usa per il trattamento dell’indurato penis plastca, ma non
per il deficit erettile. Al momento la pratca è raccomandata dalle linee guida, ma l’evidenza
è abbastanza debole: non si capisce il meccanismo d’azione, l’efficacia è modesta e non si
può usare in tutti i pazient ma solamente in quelli con deficit erettile di grado più lieve.
Quindi la raccomandazione è prevista, ma il ruolo non è ancora chiaro, anche perché
spessissimo gli inibitori della PDE5 funzionano e i pazient sono soddisfatti. Gli inibitori
della PDE5 sono in fascia C (a pagamento per il paziente) ma la cosa non è un problema in
quanto costano poco adesso che sono genericat.
TERAPIA DI SECONDA LINEA: somministrazione intracavernosa di pge1
Cosa si fa in chi non risponde agli
inibitori della PDE5? Spesso quest
pazient sono diabetci, oppure hanno
fatto prostatectomia radicale. Quello
che si può fare è andare ad agire
sempre sulle fibre muscolari lisce
somministrando
per

via
intracavernosa le prostaglandine E1
(PGE1). Il farmaco si chiama Caverject
o Alprostadil. Si insegna al paziente
come farsi una punturetta all’interno
del corpo cavernoso con una siringa
molto piccola (con un ago da insulina)
in modo da iniettare la PGE1 che va ad
indurre lo stesso meccanismo visto
precedentemente per i PDE5 inibitori.
Qu
esta tecnica funziona i n chiunque abbia un danno nervoso in quanto non fa affidamento
sul rilascio di NO che viene indotto a cascata a partre da messaggi rilasciat dalle fibre
nervose funzionant. La tecnica presenta delle problematcità : è molto più scomoda che
assumere una pastglia per os, il paziente deve imparare a farsi la puntura sul pene, la
puntura è dolorosa e bisogna trovare la dose di farmaco giusta per il singolo paziente. Se si
inietta una dose eccessiva il paziente può sviluppare il così detto
“priapismo”: un’erezione prolungata e dolente non associata al desiderio sessuale, spesso
secondaria all’assunzione di PGE2. La puntura deve essere fatta ogni volta in un posto
diverso sulla superficie laterale del pene in quanto sulla superficie dorsale si ha il fascio
vasculo-nervoso esulla superficie ventrale c’è l’uretra. L’iniezione si fa quindi sulla
superficie laterale cambiando la sede di somministrazione, in quanto se l’iniezione si ripete
più volte nella medesima posizione si può sviluppare fibrosi.
IL PRIAPISMO
D: “Come ci si comporta con un paziente che si presenta con un’erezione dolente?”
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R: “Questa condizione capita periodicamente. Con priapismo si intende un’erezione
prolungata e dolente non associata al desiderio sessuale. Vi sono due tipi di priapismo:

Priapismo venoso a basso flusso

Priapismo arterioso ad alto flusso
Il priapismo causato da una dose eccessiva di PGE2 è a basso flusso. Questa condizione si può
avere anche in pazienti cocainomani, pazienti malati di anemia falciforme e diverse
psicopatologie. I casi causati dall’assunzione di PDE5 inibitori sono invece rarissimi. Il
paziente presenta i corpi cavernosi turgidi e dolenti. Il corpo spongioso dell’uretra di solito
non è in erezione. Il medico deve prendere un ago e fare un prelievo di sangue dal corpo
cavernoso e mandarlo ad analizzare con una emogasanalisi con il fine di misurare pH e pO₂
per distinguere tra sangue arterioso e venoso. Solitamente il pH è molto basso, la pO₂ è molto
bassa e la pCO₂ è molto alta e in questi casi si parla di priapismo venoso o a basso flusso.
Se si fa un controllo con doppler si può attestare l’assenza di flusso. Il problema è che se il
priapismo non
viene trattato entro massimo 6 ore si svilupperà una fibrosi e il paziente non potrà più
avere erezioni
per il resto della vita. L’obiettivo è “tirargli giù il pisello”. La prima cosa da fare per
raggiungere l’obiettivo è un impacco con ghiaccio. La seconda cosa da fare è procurarsi delle
agocannule grandi, conficcarle nei corpi cavernosi di destra e sinistra e svuotare il sangue
venoso contenuto all’interno, il più delle volte coagulato. Se non si riesce si prova con delle
agocannule più grandi e si fanno dei lavaggi con soluzione fisiologica. Quella del priapismo è
un’emergenza che due o tre volte all’anno capita.
Solitamente le manovre risolvono la problematica in 2-3 ore. Se questo non avviene è
necessario
“tirarglielo giù” entro le 6 ore per prevenire la fibrosi generalizzata. Per ottenere il risultato,
o si mettono altri aghi o si fa uno shunt tra il corpo spongioso e il corpo cavernoso. Questa
procedura è chirurgica: si fa uno squarcio per mettere in comunicazione il corpo cavernoso
priapico con il corpo spongioso che non è in erezione, in modo che il sangue defluisca
attraverso il corpo spongioso.
L’altro tipo di priapismo è quello ad alto flusso. Esso solitamente non è associato ad alcuna
delle cose dette fino ad ora, ma è post-traumatico secondario alla formazione di una
fistola artero-venosa. Al prelievo il sangue risulta arterioso e al doppler si vede un
iperafflusso. È necessaria una arteriografia per trovare e chiudere la fistola. Da questo
trattamento può derivare in ogni caso un deficit erettile.
D: “Come viene stabilito il dosaggio delle prostaglandine giusto per il paziente?”
R: “Si comincia con un dosaggio bassissimo fino a raggiungere un dosaggio sufficiente per
garantire un’erezione che non duri per un tempo troppo prolungato.”
DEFICIT ERETTILE DOPO PROSTATECTOMIA RADICALE
Il deficit erettile dopo prostatectomia radicale è una condizione che capiterà di
vedere nella carriera di medico. La stessa condizione si può avere dopo la resezione
del retto-sigma, in quanto il plesso pelvico viene danneggiato esattamente alla stessa
maniera.
Se non si riesce a fare una chirurgia delicata in cui non si riescono a preservare i nervi, il
90% circa dei pazient sarà impotente in modo definitvo. Per motvi ignot si ha un 10% dei
pazient che rimangono potent, probabilmente per via di decorsi anomali di alcuni nervi che
vengono preservat. In quest pazient non succede nulla anche se si somministrano gli
inibitori della PDE5, in quanto non ha senso inibire le PDE se non si ha nemmeno il rilascio
di NO a monte. Questi pazienti si possono trattare solo mediante le prostaglandine.
Se i nervi sono stat preservat, il più delle volte il paziente avrà alcuni mesi in cui sarà
comunque impotente. Questo deriva dal fatto che essi sono stat preservat in parte e in
parte sono stat danneggiat. Si dice che ci può essere una neuroaprassia, cioè i nervi che
non sono stat bruciat o tagliat possono essere integri ma non perfettamente funzionant. Si
ha quindi un periodo in cui i nervi non funzionano bene e il paziente o non ha erezioni, o ha
erezioni ridotte.
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Sbobinatori: S. Mieni, A. Murari
Lez. 01 urologia
Novara 04/10/19
Revisore: A.Galbiat
Per anni, oltre a questo meccanismo, il deficit erettile da prostectomia radicale può
essere dovuto al danneggiamento dell’irrorazione arteriosa del pene, soprattutto nel
caso di arterie pudende accessorie che possono essere tagliate durante l’intervento in
modo accidentale.
Quindi, quand’anche si siano preservate le strutture neurovascolari si avrà un periodo di
neuroaprassia.
Gli studi dicono che i pazient che fanno prostatectomia radicale e non hanno erezione
vanno incontro ad un accorciamento del pisello con lo sviluppo di fibrosi irreversibile.
Questo processo è la conseguenza dell’assenza di erezione ed è sostenuto da alcuni studi
indicat nella presentazione ma non sono approfondit dal Docente.
D: “È possibile confrontare questa condizione all’atrofia muscolare da disuso?”
R: “Si potrebbe dire che il paragone ci sta.”
RIABILITAZIONE DEI CORPI CAVERNOSI: UNA PRATICA ABBANDONATA Quanto detto
poco sopra e convalidato dagli studi accennat ha avuto delle ricadute. Per anni gli urologi si
erano interrogat su come ossigenare i corpi cavernosi nei primi mesi dopo l’intervento in
cui i nervi preservat andavano incontro al processo di neuroaprassia. Si cercava di
prevenire la fibrotzzazione dei corpi cavernosi attraverso la riabilitazione dei corpi
cavernosi. Il primo studio era stato fatto da Francesco Montorsi, ordinario del San Raffaele.
Dimostrava che i pazient randomizzat nel post-operatorio ad iniezione di prostaglandine
avevano una probabilità di erezioni spontanee a distanza superiore di quelli che non
venivano trattat con le prostaglandine. Lo studio pertanto suggeriva che se si faceva
qualcosa subito per migliorare l’ossigenazione dei corpi cavernosi e fargli avere delle
erezioni artficiali, se i nervi erano stat conservat, si aveva un aumento della probabilità che
si recuperasse la capacità di erezione spontanea. Questo studio non è mai stato riprodotto
da nessuno e, ad un’analisi statstca intenton-to-treat, la differenza non è statstcamente
significatva. Questo studio tuttavia è vecchio ed era stato pubblicato e accettato
da tutti gli urologi.
Quando si è fatto questo studio non vi
erano ancora gli inibitori della PDE5 e si
usavano le PGE. Quando sono stat scopert
gli inibitori della fosfodiesterasi si è rifatto
lo studio. È stato dato a tutti l’inibitore
delle fosfodiesterasi per mesi in modo tale
da incrementare la probabilità che i
pazient potessero recuperare la capacità di
avere delle erezioni spontanee e
prevenissero la fibrosi del pene. Alla fine
Francesco Montorsi pubblicò uno studio multcentrico e multnazionale in cui si presero dei
pazient operat e randomizzat alcuni a placebo, alcuni a Vardenafil a bisogno e altri a
Vardenafil tutte le sere. Il trattamento venne seguito per 9 mesi (in quanto entro un anno
chi deve recuperare recupera) e dopo si trattarono tutti con Vardenafil. Quello che emerse
fu che ad un anno dall’intervento, indipendentemente da qualsiasi cosa fatta prima
(placebo o farmaco on demand o
farmaco tutti i giorni) tutti
rispondevano allo stesso modo al
farmaco somministrato on
demand. Questo vuol dire che le
elucubrazioni fatte per anni sulla
riabilitazione dei corpi cavernosi
sono delle fesserie, altriment i
pazient randomizzat a placebo
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Sbobinatori: S. Mieni, A. Murari
Lez. 01 urologia
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(che avrebbero dovuto sviluppare l’atrofia dei corpi cavernosi) non avrebbero risposto al
Vardenafil, o avrebbero dovuto rispondere peggio di colore che avevano fatto il farmaco
attivo in riabilitazione.
Questo studio ha distrutto la riabilitazione dei corpi cavernosi.
Uno studio simile è stato fatto sempre da Francesco Montorsi con un farmaco diverso e
teoricamente migliore (il Tadalafil a lunga durata d’azione) che poteva garantre la massima
ossigenazione possibile del
“pene flaccido” e ha dimostrato esattamente la stessa cosa
(studio REACTT che si può vedere all’ultima slide della presentazione power point). Si è
quindi smesso di dare quest farmaci dopo l’intervento per favorire “qualsiasi bene futuro”.
Essi si danno a scopo sintomatologico quando si sono preservat i nervi. Se i nervi sono stat
preservat il paziente può trarre beneficio già nei primi mesi dopo l’intervento oppure
anche più a distanza, ma comunque se l’innervazione è stata in parte conservata un effetto
ci sarà . Non serve fare dei farmaci “a ponte” nel periodo in cui non vi sono erezioni
completamente spontanee per la neuroaprassia, in quanto l’efficacia a lungo andare è
simile in chi fa e in chi non fa questo tpo di terapia. Il concetto si è trasformato e chi ha la
preservazione dell’innervazione può fare PDE5 inibitori on demand. Chi non
risponde a questo può fare le prostaglandine. e ribadisce tutto quello detto fino ad ora:
“Caro paziente, prenda quello che vuole (se lo vuole), tanto non cambia niente: Lei tra un
anno andrà uguale.”.
VACUUM DEVICE E PROTESI PENIENA
In chi non vuole fare le prostaglandine o in chi non le
può fare in quanto ha già fatto priapismo, un’altra tecnica è quella di usare il vacuum
device. Questo device causa meccanicamente l’afflusso di sangue
arterioso all’interno del pene, ne favorisce la
distensione prevenendone l’accorciamento. Dopo aver
causato l’afflusso di sangue arterioso nel pene si mette
un anellino alla base del corpo cavernoso per
ostacolare il deflusso. La tecnica è discretamente efficace, ma il Professore afferma di non
farlo usare
comunemente ai pazient ma c’è qualcuno che lo usa.
La soluzione più estrema è rappresentata da AMS 700,
ovvero la protesi peniena. Essa è un dispositvo idraulico simile a quello dello sfintere
artficiale,. Il liquido va a riempire dei cilindri di tessuto che vengono impiantat a livello dei
corpi cavernosi.
Quando il sistema è disattivato il liquido è nel serbatoio e il pisello è floscio. Quando il
paziente vuole avere rapport sessuali preme
tre volte un bottoncino, il liquido si sposta dal
serbatoio al corpo cavernoso e avviene
l’erezione. Questo è il sistema più sofisticato,
in quanto è dinamico.
Esistono anche dei sistemi rigidi o semirigidi in
cui pisello è sempre nella stessa maniera. C’è
qualche paziente in giro con questo tpo di
protesi, in quanto a Bassano negli anni passat
erano solit metterle. Essi hanno il così detto
“pene a matita”, un pene sempre nelle
medesima conformazione indipendentemente
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Sbobinatori: S. Mieni, A. Murari
Lez. 01 urologia
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dal volere o non volere rapport sessuali. Questa è la soluzione chirurgicamente più
semplice, ma dal punto di vista funzionale non è molto raffinata.
A Padova di solito non si mettono le protesi rigide o semirigide e quando ci sono pazient
che le vogliono vengono solitamente indirizzat a Trieste. A Trieste si fa tanta chirurgia del
transessualismo (conversioni andro-ginoide e gino-androide). Il problema di quest device è
che costano moltssimo: l’ospedale fa già fatca a comprare qualche protesi per
l’incontnenza. Vi sono tuttavia pochi post in Italia in cui questa chirurgia viene fatta. Si
tratta di Bologna, Bari, Trieste, Torino e Milano, Napoli.
D: “Anche la protesi peniena vede un rischio di infezione?”
R: “Vi è rischio di infezione e di erosione del corpo spongioso e dei corpi cavernosi.”
Urologia pediatrica
L’urologia pediatrica non tratta
patologie dell’adulto “in miniatura”
ma patologie completamente diverse.
Nell’adulto si hanno prevalentemente
patologie degeneratve o legate
all’invecchiamento, in pazient che
hanno comorbidità important e con
una aspettatva di vita mediamente
più breve rispetto a quella del
bambino. In questo contesto la
chirurgia è prevalentemente demolitva, quindi l’organo malato viene rimosso.
Nel bambino al contrario la patologia è prevalentemente congenita e di tpo malformatvo,
si tratta di pazient che sono altriment sani. Alcune patologie possono presentarsi in quadri
sindromici, in cui i pazient sono altamente malformat e quindi presentano difetti in
numerosi organi e apparat.
In genere però , escludendo i quadri sindromici, l’aspettatva di vita è lunga, perciò si cerca
di preservare gli organi con una chirurgia improntata alla ricostruzione funzionale.
Nella patologia pediatrica ci sono moltssime malattie estremamente rare che non verranno
trattate nel corso della lezione, la quale invece si concentrerà principalmente sulle
patologie più comuni, suddivise in:

Patologie dell’alto apparato (pelvi e ureteri)
o Ostruzione del giunto pielo-ureterale
o Ostruzione del giunto uretero-vescicale
o Reflusso vescico-ureterale

Patologie del basso apparato (vescica e uretra)
o Disfunzione vescicale non neurogena

Patologie dei genitali
o Ipospadia
Anatomia
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I reni producono l’urina, che viene veicolata all’esterno tramite le vie escretrici che
comprendono calici minori e maggiori, pelvi renale, ureteri, vescica e uretra.
L’urina prodotta dal parenchima renale attraverso le papille viene immessa nei calici
minori e poi nei calici maggiori e infine nella pelvi che la porta nell’uretere. L’uretere è un
condotto che decorre sul muscolo psoas, incrocia i vasi gonadici e scavalca i vasi iliaci per
aprirsi infine dentro la vescica a livello del trigono con un orientamento preciso che
costtuisce un sistema ant-reflusso.
Ilb
asso apparato urinario è responsabile della c ontinenza , per cui le urine stoccate
all’interno della vescica vengono rilasciate all’esterno in un tempo e luogo adeguato.
La via urinaria fisiologicamente non è dilatata, ma può dilatarsi per una serie di motvi:

Co
mpressione ab-estrinseca da parte di strutture che dall’esterno la schiacciano

O
struzione intrinseca a causa di un restringimento o difetto di transito all’interno della via In
entrambe le circostanze porzione a monte dell’ostacolo della via urinaria si dilata.
La dilatazione quindi è un reperto aspecifico, ed è necessario capirne la causa.
Le ostruzioni malformatve coinvolgono principalmente la via escretva in due punt specifici:

Giunzione pielo-ureterale (GPU), a livello della quale può esserci esclusivamente
un’ostruzione al deflusso;

Giunzione uretero-vescicale (GUV), a livello di cui può esserci un’ostruzione al deflusso
che impedisce all’urina di andare in vescica oppure un reflusso attraverso cui l’urina torna
patologicamente dalla vescica all’interno dell’uretere.
Quando la via urinaria si dilata vi sono dei quadri patologici definit: 244
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o Idronefrosi
Dilatazione della pelvi renale e dei calici, solitamente dovuta ad una ostruzione GPU del
giunto pielo-ureterale, ma può essere dovuta anche al reflusso dato che è un fenomeno
intermittente. Infatti se la vescica è piena l’urina può tornare all’interno dell’uretere,
determinando il reflusso, mentre se è vuota non accade. Questo causa una dilatazione
intermittente dell’uretere, non costante, e quello che si vede è solo la dilatazione pelvica.
o Idroureteronefrosi
Dilatazione della pelvi renale, dei calici e dell’uretere, causata dall’ostruzione GUV del
giunto uretero-vescicale oppure dal reflusso vescico-ureterale.
Storia naturale
Sono stat effettuat degli studi in cui veniva valutata l’evoluzione del quadro patologico nel
tempo in assenza di trattamento, rivelando che la dilatazione non è in realtà espressione di
una malattia ma di un quadro disfunzionale, cioè non ha significato patologico e tende a
migliorare nel tempo, motvo per cui non tutte le dilatazioni vanno trattate. Richiedono
trattamento infatti solo le dilatazioni che comportano problemi clinici, quali infezione alle
vie urinarie, dolore e formazione di calcoli, oppure un danno renale, che causa una
disfunzione del rene a causa dell’ostruzione.
Vanno quindi distnte le dilatazioni ostruttive che son quelle che causano problemi e
pertanto son da trattare, da quelle non ostruttive che possono
migliorare spontaneamente, dato che non
provocano danno.
Storia naturale di pazienti con idronefrosi IDN
(ostruzione GPU)
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Con un follow up da 8 a 20 anni si ha un 5
0-75% dei pazient che migliora spontaneamente e
non necessita di chirurgia.
Storia naturale dei pazienti con idroureteronefrosi IDUN (ostruzione GUV) Il tasso di
intervento in quest pazient è ancora
più basso (10-15%) perché l’uretere dilatato aumenta la camera di decompressione, e
questo
permette una protezione dal danno renale più
efficace.
Molte dilatazioni vanno incontro a miglioramento
ma questo processo può durare anche 10 anni.
Storia naturale dei pazienti con reflusso vescico-
uretrale
In questo caso si vede che in 5 anni meno del 15%
dei casi è andato incontro a guarigione e a 10 anni
circa la metà dei pazient è guarito.
Quindi anche se quest quadri possono non dare
alcun problema clinico, possono persistere per
molto tempo e richiedono che i pazient vengano
seguit a lungo.
Presentazione clinica
Il paziente al momento della manifestazione
clinica può essere:

Sintomatico, presentando una colica renale, quindi dolore associato, febbre alta e sangue
nelle urine. Questa presentazione era tpica alcuni decenni fa.

Asintomatico, più comune al giorno d’oggi, in quanto la dilatazione viene diagnostcata
spesso durante l’ecografia di screening della gravidanza o come riscontro incidentale.
L’Idronefrosi congenita asintomatca è l’anomalia congenita più comune nella popolazione:
dall’
1 al 5% dei fet presenta una dilatazione delle vie urinarie, e questa rappresenta il 30% dei
difetti diagnostcat prima della nascita.
I l riscontro ecografico di una dilatazione è un reperto assolutamente a specifico : nel 25%
dei casi
si vede solo la dilatazione del rene e non dell’uretere, ma questo non significa che non sia
presente.
Quindi prima della nascita non si può dire assolutamente nulla, non sono necessarie
partcolari precauzioni ostetriche, ome il parto cesareo o un parto antcipato, né tantomeno
intervent 246

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durante la gravidanza. Qualunque intervento verrà rimandato a dopo la nascita quando si
potrà fare un maggior approfondimento diagnostco.
Le indagini post-natali permetteranno di confermare la dilatazione e definire la diagnosi,
quindi se si tratta di un’ostruzione GPU o GUV e se questa è refluente o meno, per
selezionare i casi da trattare, quindi quelli che presentano un danno renale in atto o che
sono a rischio di svilupparlo.
A questo punto se non c’è indicazione al trattamento i pazient vanno monitorat per lungo
tempo, se invece vengono operat bisogna valutare i risultat del trattamento.
Quindi riassumendo il ruolo della diagnostica implica: 1. Conferma post-natale
2. Definizione diagnostca:

Stabilire a che livello è la patologia, se nel giunto pieloureterale o più in basso nel giunto
uretero-vescicale

Caratterizzare la dilatazione, se è refluente o meno
3. Indicazione al trattamento
4. Monitoraggio evoluzione
5. Valutazione dei risultat del trattamento
Strumenti diagnostici
1. Ecografia
È molto disponibile, poco costosa, non invasiva e non dà radiazioni ionizzant. Per quest
motvi è un esame spesso abusato. Il limite principale è che è operatore-dipendente.
In queste patologie l’ecografia dovrebbe analizzare i reni e la vescica, e dovrebbe essere
eseguita sia in fase pre-minzionale che post-minzionale, ma questo non è sempre possibile
nei pazient pediatrici perché non collaboratvi.
L ’ecografia r enale valuta sia le caratteristche del parenchima del rene malato (se è
iperecogeno significa che è mal differenziato e funziona male), che le caratteristche del
rene controlaterale, dato che un rene sano è sufficiente per svolgere una vita normale e
quindi si può pensare a trattament diversi rispetto a quelli adottat in caso di rene
controlaterale malato. Inoltre deve valutare la gravità del grado della dilatazione.
Sistemi di grading
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Esistono due sistemi di grading:

SFU (society for fetal urology)
Questo sistema distngue 4 stadi in base alla
dilatazione del complesso renale centrale, ovvero
della pelvi, e allo spessore parenchimale.

DAP
Questo sistema si basa sulla misurazione del
diametro anteroposteriore della pelvi in millimetri,
a livello del seno renale su un piano trasverso.
Attenzione non viene misurato il diametro
massimo della pelvi, dato che non ha alcun valore
prognostco.
I cut off attorno ai 40mm sono stat definit in modo
arbitrario e sono soggettivi.
E’ presente discordanza tra i due sistemi, come dimostrato dall’immagine in basso che
riporta un’ecografia con una dilatazione che viene classificata come:
oD
ilatazione di tpo 4 (grave) secondo il sistema SFU
oD
ilatazione di grado lieve secondo il sistema DAP: infatti si vede che il diametro
anteroposteriore della pelvi non è partcolarmente dilatato, essendo questa una dilatazione
prevalentemente extrarenale.
Questa discordanza così significatva tra i due sistemi implica che non funzionano molto
bene.
L’ecografia, oltre alle sopracitate valutazioni renali, deve fornire informazioni sulla vescica.
Innanzitutto definisce un’eventuale dilatazione dell’uretere terminale, che normalmente
non si vede in ecografia e permette di prendere determinate decisioni diagnostche che
saranno trattate in seguito, inoltre permette di rilevare la presenza di un’eventuale
ureterocele, una sorta di palloncino in vescica, e fornisce informazioni sullo spessore
vescicale (quando c’è un’ostruzione, la vescica aumenta l’enttà della sua contrazione per
svuotarsi, determinando un’ipertrofia di parete).
248

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Quando si riesce a svolgere l’ecografia pre e post minzionale si può sapere anche il grado di
svuotamento vescicale e l’eventuale ristagno di urina.
Nell’ottica di trovare un equilibrio tra l’indagare, identficare e trattare pazient con malattia
significatva e il non medicalizzare troppo i pazient che non diventeranno mai clinicamente
rilevant, bisogna capire chi sottoporre ad ecografia post natale dei soggetti con diagnosi
prenatale di dilatazione e ci sono più scuole di pensiero:
o Alcuni sostengono che se la dilatazione è <1cm al terzo trimestre di gravidanza non serve
fare ulteriori accertament
o Altri che sono necessarie due ecografie post-natali negatve per escludere la presenza di
una patologia significatva
o Altri ancora che sia sempre opportuna almeno un’ecografia.
A Padova si raccomanda di fare almeno due ecografie postnatali ed è importante definire
anche quando queste vanno fatte:

N
on devono essere eseguite prima della 3-7 giornata di vita . Infatti in corrispondenza della
nascita c’è un crollo della produzione di urina da parte dei reni del neonato a causa della
disidratazione fisiologica provocata dalla perdita del supporto placentare. Per questo
motvo nei primi giorni di vita si rischia di non vedere o sottostadiare l’enttà di una
dilatazione.

Ripetere l’ecografia a 1-2 mesi di vita perché c’è il rischio che la prima non sia attendibile.
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Valutazioni al trattamento chirurgico
I l diametro antero-posteriore DAP della pelvi correla col r ischio chirurgico :

Diametro <15mm→ rischio basso

Diametro >50mm→ rischio molto elevato, infatti tutti richiedono l’intervento chirurgico
Tra quest due cutoff è presente una grande zona grigia.
A
llo stesso modo il grado SFU correla il r ischio di danno renale , che è presente solo in
pazient con una dilatazione di grado 4, ma non tutti i pazient con dilatazione di grado 4
hanno un danno renale.
Fondamentalmente il grado della dilatazione è indicatvo ma non consente di fare diagnosi
sul tpo di patologia o porre indicazione chirurgica.
Per quanto riguarda la dilatazione dell’uretere retro-vescicale, si è visto che c’è
differenza significatva tra quelli che vanno incontro a risoluzione e quelli che necessitano di
intervento.
Tuttavia ci sono dei casi intermedi che non migliorano né peggiorano, e ci sono anche
dilatazioni important che vanno incontro a miglioramento e dilatazioni modeste che
necessitano di intervento.
L’ecografia quindi può dare informazioni sulla gravità del quadro clinico, m
a la s celta terapeutica
però non può mai essere basata sulla singola ecografia. L’unica indicazione ecografica 250

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all’intervento si ha quando su più ecografie si dimostra che il quadro è ingravescente, anche
se il quadro può modificarsi semplicemente perché la vescica è più o meno piena e non
perché effettivamente vi sia stata una progressione. Il grado di dilatazione inoltre è
influenzato dallo stato di idratazione e di ritenzione vescicale.
Profilassi antibiotica
Si possono somministrare piccole dosi di antbiotco per prevenire l’insorgenza di infezioni
in caso di dilatazione importante di pelvi e uretere (controindicato in dilatazioni modeste e
sola IDN): generalmente 1/3 della dose terapeutica in monosomministrazione (a
Padova si usa Amoxicillina-acido clavulanico, ma l’antbiotco cambia in base al luogo dato
che variano i patogeni present).
Alcuni sostengono sia sufficiente somministrare l’antbiotco nei primi 6-12 mesi di vita, altri
invece ritengono sia necessaria la somministrazione fino all’acquisizione della contnenza.
Bisogna ricordare a prescindere dalla profilassi, che la maggior parte delle infezioni in
quest soggetti avvengono in occasione delle indagini invasive che prevedono la
cateterizzazione e sono attuate per determinat approfondiment del quadro patologico.
2. Cistografia minzionale (CUM)
Viene eseguita dopo l’ecografia, ed è un esame invasivo che permette di valutare la vescica,
e in partcolare se la dilatazione individuata è refluente o meno, attraverso l’introduzione di
un mezzo di contrasto mediante catetere (espone il paziente a radiazioni ionizzant).
Solitamente non viene accettato facilmente dalla famiglia del paziente per la sua invasività .
L’esame consiste in una fase di riempimento e una-fase minzionale, che soprattutto nel
maschio è utle per vedere il profilo uretrale durante la minzione.
Questo esame fornisce diverse informazioni riguardo:

Pr
ofilo vescicale , che può essere regolare o meno

Pr
ofilo dell’uretra

S vuotamento vescicale , che può essere completo o meno

Pr
esenza di reflusso RVU e in che grado (da 1 a 5)
o Grado 1→ corrisponde a una dilatazione della porzione distale dell’uretere o Grado 5→
reflusso che deforma completamente gli ureteri e la pelvi renale In realtà si è visto che
facendo cicli di riempimento e svuotamento multpli, il grado e la lateralità del reflusso
varia in circa il 40% dei casi. Quindi ad oggi si distngue un reflusso di basso grado (1-2) e
un reflusso di alto grado (4-5), lasciando il grado 3 che è il più comune senza una chiara
collocazione.
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Esempi di cistografia minzionale

Nell’ immagine 1 si vede un reflusso nel distretto inferiore, non facilissimo da definire con
l’aspetto cistografico detto “a fiore appassito”. Si può affermare che il reflusso sia nel
distretto inferiore dato che non è osservabile il calice superiore. L’ureterocele in cistografia
viene invece visto come un minus tondeggiante all’interno della vescica.
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L’ immagine 2 mostra un reflusso a doppio distretto: vi è un uretere che drena il distretto
superiore e uno che drena quello inferiore, a un certo punto i due ureteri si fondono.
L’ immagine 3 invece evidenzia una valvola uretra posteriore in cui a livello dell’uretra
posteriore vi è una grande dilatazione che improvvisamente si restringe.
Sono sottopost a cistografia minzionale solamente i pazient in cui:

A
ll’ecografia post-natale viene visualizzato l’uretere : infatti nelle idronefrosi isolate c’è una
bassa frequenza di reflusso e anche se c’è solitamente non è significatvo e molto
probabilmente non provoca infezione.

Si verificano infezioni delle vie urinarie (IVU).
3. Scintigrafia renale
Questo esame permette di valutare il funzionamento dei reni e quindi l’eventuale danno
renale attraverso la so
mministrazione endovena di un r adiofarmaco m arcato col tecnezio radioattivo,
in modo da essere rilevabile dalla gammacamera, che viene estratto selettivamente dal
rene.
Esistono due tpi di scintgrafia renale, utlizzate in base all’informazione da ricercare:

La scintigrafia renale dinamica, fatta con MAG3 o DTPA che consentono di valutare sia la
funzionalità del rene che l’escrezione dopo somministrazione di Lasix.

La scintigrafia renale statica, fatta con DMSA che permette di valutare in modo più
accurato il danno renale ma non dà alcuna informazione sullo scarico (escrezione).
In soggetti con ostruzione si può avere:
o Danno displasico congenito (iposviluppo), in cui il rene presenta dimensioni ridotte o
Danno acquisito da ostruzione
Entrambi i difetti riguardano in modo uniforme tutto il rene, quindi per indagarli
solitamente si utlizza la scintgrafia dinamica, dato che è più importante valutare la
funzionalità del rene, anche nella sua fase escretva, piuttosto che visualizzare un danno in
modo più accurato.
In soggetti con reflusso si può avere:
o Displasia renale congenita
o Danno acquisito da pielonefrite che è locale e segmentale quindi è necessario utlizzare
un esame che permetta di valutare difetti di captazione più piccoli. Quest’infezione
inizialmente causa un danno acuto, che può guarire oppure evolvere in una cicatrice a
lungo temine, che come vedremo non sono distnguibili in scintgrafia.
Quindi solitamente si utlizza la scintgrafia statca per valutare con più precisione il danno
renale.
Riprendendo l’iter diagnostco, una volta che la dilatazione è stata confermata in epoca post
natale:

Se la cistografia minzionale (CUM) è negatva o non c’è dilatazione ureterale→ si fa una
scintigrafia renale dinamica con test diuretico.

Se la cistografia (CUM) è positva, e quindi c’è reflusso→ si fa la scintigrafia renale statica.
253

Sbobinatori: S. Mieni, A. Murari


Lez. 01 urologia
Novara 04/10/19
Revisore: A.Galbiat
Scintigrafia renale statica (DMSA)
Nelle immagini soprariportate di scintgrafia statca si vede che l’immagine a sinistra
presenta un rene piccolo e ipodisplasico (ipodisplasia congenita), mentre nella seconda si
vede che manca un triangolo dal profilo del rene, quindi si ha una cicatrice pielonetritca.
I danni da infezione, come nel caso della pielonefrite, tendono a evolvere e possono
lasciare la cicatrice o meno. Se si fa la scintgrafia subito dopo l’infezione si vedrà il danno in
acuto che può guarire o lasciare la cicatrice.Pper questo motvo si esegue anche una
scintgrafia a distanza, dopo circa 6 mesi dall’infezione acuta per valutare eventuali cicatrici.
Non esistono però segni radiologici che permettano di distnguere una lesione acuta da una
cicatrice, quindi l’unico modo per distnguerli è conoscere la tempistca della scintgrafia in
rapporto all’infezione. Se l’ultma infezione si è verificata la settimana precedente allora è
una lesione acuta, se invece è avvenuta mesi prima e c’è ancora un difetto di captazione
allora è una cicatrice.
Uno studio randomizzato ha valutato l’accordo tra tre radiologi nel valutare le scintgrafie
DMSA ed è risultato che si ha l’accordo nel meno del 20% dei casi: non è un esame facile da
interpretare.
Approccio bottom-up
Si parte dal basso per salire verso i reni, è un approccio che viene usato nei pazient
individuat nello screening prenatale e nelle dilatazioni asintomatche.
Ecografia in tutti i pazient→ cistouretrografia minzionale in tutti i pazient→ scintigrafia
renale statica in pazient con RVU o evidenza di anomalie urinarie (valutazione danno
renale) Approccio top-down
È un approccio che viene applicato ai pazient di età superiore a 1 anno, che hanno un
esordio con infezioni renali febbrili date da germi comuni, come l’Escherichia Coli, in
assenza di storia prenatale.
Ecografia in tutti i pazient→ scintigrafia renale statica in pazient (valutazione funzione
renale)
→ cistouretrografia minzionale nei pazient in cui si rileva un danno renale.
Quindi con questo approccio se non c’è danno renale non viene indagato se c’è reflusso o
meno, perché la presenza di reflusso impone delle scelte terapeutche che altriment si
possono evitare. Si è quindi giunt a ritenere i l r eflusso solo un segno radiologico e non
una malattia di per sé, infatti può persistere anche a 10 anni della diagnosi senza dare alcun
disturbo.
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Il top-down permette di medicalizzare di meno pazient che potrebbero avere un’infezione
delle vie urinarie per molt altri motvi.
Viene analizzato uno studio che ha coinvolto 303 pazient con infezione acuta delle vie
urinarie (IUV), in cui il 51% aveva un DMSA anormale, il 26% presentava un reflusso RVU,
e solo 7 casi (il 4,7%) avevano DMSA negatvo e reflusso, di cui solo uno ha sviluppato un
danno renale progressivo durante il follow up. Quindi con questo approccio si può
risparmiare la cistografia alla metà dei pazient, e con quest criteri solo in 1/300 non sono
state identficate delle lesioni progressive.
Scintigrafia renale dinamica
Se la dilatazione delle vie urinarie è stata confermata in epoca post natale e la cistografia è
negatva o non è stata eseguita (perché non c’era dilatazione ureterale), quindi è già stato
escluso un problema di reflusso, si esegue la scintigrafia renale dinamica con test
diuretico perché è necessario vedere se c’è un problema di scarico.
Questo tpo di scintgrafia solitamente si fa col MAG3 perché è un mdc a escrezione tubulare,
mentre il DTPA ha filtrazione glomerulare, e dato che la filtrazione glomerulare matura
dopo la nascita può essere meno efficace nel “contrastare” ( mettere in risalto) le vie
urinarie. Si usa inoltre un diuretco come la furosemide per potenziare la diuresi.
Questo test permette di avere valutare:
1. Funzione renale differenziale (FRD)
La funzione renale differenziale è la funzione di un rene rispetto al controlaterale: se i reni
sono normali dovrebbero avere una funzione del 50% ciascuno, e la funzione è definita
compromessa quando è inferiore al 40%.
Questo cutoff è stato stabilito da uno studio sulla storia naturale durato 16 anni, che ha
osservato 108 casi che all’inizio avevano una funzione renale differenziale inferiore al 40%,
in cui il 90% aveva richiesto l’intervento chirurgico perché la patologia aveva contnuato a
evolvere.
Il medico nucleare disegna delle regioni d’interesse in cui si vede l’attività interna due
minut dopo l’infusione endovenosa del radiofarmaco, permettendo di valutare la FRD.
Si ricorda che le immagini scintigrafiche sono viste “da dietro”.
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La funzione renale differenziale è un parametro che si può usare solo se si ha un rene
controlaterale normale, se la patologia è bilaterale o se il rene è unico si avrà sempre una
funzione differenziale del 100% anche se in insufficienza renale terminale. In quest casi
chiaramente il trattamento chirurgico dovrà essere più aggressivo.
2. Escrezione: fase dinamica e curve di escrezione
Il rene normale compare nell’immagine dopo 1-3min dall’infusione del radiofarmaco e poi
progressivamente scompare dopo la somministrazione di Lasix, perché elimina
normalmente il radiofarmaco filtrato.
Invece il rene dilatato (sinistro in immagine) compare in immagine più lentamente,
perché filtra il radiofarmaco più lentamente e non scompare fino alla fine dell’indagine,
perché il radiofarmaco ristagna all’interno del rene a causa dell’ostruzione.
Al termine dell’esame, circa 40 min dopo l’infusione del radiofarmaco, per il rene che non
funziona correttamente la curva mostrerà sempre un accumulo.
In ascissa si ha il tempo e in ordinata si ha la radioattività nella ragione di interesse.
Si possono ottenere delle immagini a distanza che vengono definite post-ortostatismo e
minzione: il soggetto deve rimanere in piedi per circa 1 ora, così si elimina anche il residuo
presente in vescica. Si nota che il rene malato (sinistro in immagine) persiste nell’attività
mentre il rene di destra sano è scomparso completamente perché ha eliminato tutto il
radiofarmaco.
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Soprattutto nel bambino piccolo però quest parametri non sono diagnostci dell’ostruzione ,
perché molt di quest pazient non svilupperanno mai infezione né un danno renale, anzi
andranno incontro a un miglioramento progressivo. Quindi anche se scintgraficamente
viene documentato un difetto di scarico non si può dire che quel rene sia ostruito e che
richieda un intervento chirurgico.
Se invece si riesce a dimostrare che quel rene scarica bene si può dire che non è ostruito,
quindi, nonostante la bassa specificità e sensibilità , il test ha un buon valore predittivo
negatvo.
Ci può essere un’eccezione a quanto detto: il vaso polare.
Vaso polare
In questo caso l’ostruzione a livello del giunto non è dovuta al fatto che l’uretere non
trasporta bene l’urina, ma è presente un vaso accessorio che passa anteriormente al giunto
pielo-ureterale andando a comprimerlo dall’esterno. Questo vaso determina tpicamente
un’ostruzione intermittente: quando la pelvi comincia a dilatarsi viene schiacciata contro
il vaso e questo determina un’ostruzione al flusso urinario.
Quest pazienti sono solitamente bambini più grandi che presentano un dolore al fianco
intermittente come manifestazione di una dilatazione che può essere sia molto importante
che molto modesta. Le immagini in questo caso possono essere completamente normali
perché se il sistema non è in crisi scarica come un rene sano.
Esistono anche dei casi di bambini che lamentano dolore addominale per vari anni, senza
che venga mai diagnostcata la presenza di un vaso polare, perché il dolore addominale è un
sintomo molto aspecifico. Questo accade anche perché il bambino piccolo non è in grado di
localizzare il dolore al fianco ma riferisce dolore al centro dell’addome, a livello ombelicale,
rendendo tale sintomo ancora più aspecifico. In quest pazient al momento della diagnosi si
può trovare che la funzione renale è danneggiata anche gravemente.
Nel bambino grande e nell’adulto quasi il 15% delle ostruzioni del giunto pielo-ureterale
sono dovute a un vaso polare, quindi non è una situazione rara.
Diagnosi
La diagnosi viene eseguita:
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o In caso di un episodio di dolore durante la scintgrafia
o E cografia in dolore acuto : se dalla scintgrafia risulta che il rene funziona bene si manda il
paziente a casa e si aspetta che il dolore si present, in quel momento il paziente deve fare
una ecografia in PS perché la dilatazione aumenta in corrispondenza delle coliche dolorose
oD
anno renale già presente
o S toria di anni di dolore ripetuto al fianco
Talvolta i pazient con le dilatazioni molto modeste rilevate in epoca prenatale, che
sembrano essersi risolte, tornano quando hanno 5-6 anni: il bambino è cresciuto e i rapport
tra il vaso polare e il giunto sono cambiat causando la sintomatologia dolorosa.
4. Ulteriore imaging
È opportuno solo in casi selezionat per ottenere una migliore definizione anatomica.
 RMN
La risonanza magnetca ha un’ottima risoluzione anatomica, dà anche informazioni sulla
funzione renale, e può essere eseguita anche in epoca prenatale. I imit principali sono che
richiede l’anestesia generale ed è costosa, perciò è difficile che possa essere usata come
imaging per il follow-up ogni 6 mesi nel bambino. Si usa solo in casi selezionat per ottenere
una migliore definizione anatomica.
Esempi di situazioni in cui risulta necessaria l’RMN:
Nell’immagine a lato si nota un rene
normale e un rene ostruito in ectopia
pelvica, che ha una grande idronefrosi
alla TAC. In questo caso attraverso la
RMN si vuole capire meglio com’è
l’anatomia.
Quando l’ecografia mostra che è
presente una dilatazione gigante del
sistema fino al bacino, non si capisce
se è idronefrosi o idroureteronefrosi.
In questo caso la RMN viene utlizzata
per far diagnosi: si vede che la pelvi è
completamente dilatata e l’uretere
diventa filiforme, quindi è presente
una stenosi del giunto pielo-
ureterale.
Quando all’ecografia si evidenzia un
idroureteronefrosi polare superiore e
inferiore e anche un ureterocele in
vescica, si esegue la scintgrafia. Il
quadro scintgrafico non dice molto,
infatti si vede un rene di sinistra
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molto grande e il rene di destra normale. In questo caso la RMN permette di analizzare il
quadro con più precisione: il rene destro che non scarica con uretere dilatato, alla
risonanza si rivela un doppio distretto incompleto con apertura ectopica a livello del collo
vescicale.
Gli esempi riportat sono quadri molto partcolari in cui c’è incongruenza tra la scintgrafia e
il dato ecografico e quindi si vuole definire meglio l’anatomia per l’eventuale trattamento.
Terapia
Monitoraggio conservativo
Nel caso in cui il paziente non present indicazioni al trattamento, come succede di
frequente, si esegue un monitoraggio conservatvo, che prevede la ripetzione degli stessi
esami ad intervalli crescent (ogni 3, 6, 9, 12 mesi), in rapporto alla gravità del quadro
iniziale. Solitamente si utlizza l’ecografia che è un esame meno invasivo, e raramente la
scintgrafia.
Il paziente viene rivalutato in caso di peggioramento del quadro o comparsa
sintomatologia.
Se il paziente necessita di un intervento solitamente avviene durante i primi due anni di
vita, quindi questo è il periodo durante il quale vanno fatti più esami per capire se il quadro
sta evolvendo o migliorando spontaneamente.
Viene riportata dalla slide la tabella con le tempistiche di monitoraggio in base all’età:
Trattamento

Id
ronefrosi da ostruzione del giunto pielo-ureterale GPU
Nel caso di idronefrosi da ostruzione del giunto pielo-ureterale (GPU) che non può essere
subito operata ( ad esempio in caso di infezione o insufficienza renale), è necessario
derivare la via urinaria attraverso una nefrostomia. La derivazione urinaria si attua
mettendo un tubo per via percutanea attraverso cui le urine del rene ostruito vengono
raccolte in un sacchetto esterno.
Questa è una soluzione che viene attuata in urgenza, solo in casi specifici.
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Lez. 01 urologia
Novara 04/10/19
Revisore: A.Galbiat
L’intervento chirurgico, invece, è la pieloureteroplastica secondo Anderson-Hynes (PUP)
che prevede il distacco dell’uretere dalla pelvi, lo spatolamento, che implica l’eliminazione
dell’uretere prossimale che drenava male l’urina, e la riunione dell’uretere nella pelvi.
In caso di vasi polari, quest passano solitamente davant all’uretere, quindi l’anastomosi
uretero-pielica viene fatta anteriormente ai vasi che vengono dunque spostat
posteriormente alla pelvi. ( Per il procedimento si rimanda alla lezione 9 di urologia pag. 14)
I reni sono organi retroperitoneali che possono essere approcciat in diversi modi, quali
anteriormente con paziente in posizione supina, posteriormente con il paziente in
posizione prona e lateralmente con il paziente in decubito laterale, secondo diverse
tipologie di metodiche:

Modalità open

Modalità miniinvasive come la retroperitoneoscopia, la laparoscopia e la OTAP (one
trocar assisted) che sfrutta una telecamera e un canale operatore per identficare la
porzione di uretere da resecare e portarla esternamente alla ferita. (L’anastomosi viene
fatta in chirurgia open).

Modalità robotica (RALP), tecnica in notevole aumento negli ultmi tempi, che può essere
intesa come un’evoluzione della laparoscopia in quanto l’operazione viene fatta comunque
all’interno della cavità addominale ma gli strument sono comandat dalle braccia robotche
piuttosto che da quelle dell’uomo.
I vantaggi sono:
o Visione 3D ( nella laparoscopia invece la profondità viene persa) o Maggiore stabilità degli
strument, perché non soggetti al naturale tremore del chirurgo
o Suture molto più semplici da fare, perché il robot ha 8 gradi di movimento rispetto lo
strumento laparoscopico
o Condizioni più confortevoli per il chirurgo, che garantscono una migliore performance.
I limit sono invece:
o Ingombranza dello strumentario, fattore limitante soprattutto per il trattamento di
bambini
o Costo elevato.
Il grafico riportato in basso mostra il trend di utilizzo dei robot negli USA a partre dal
2004, data che corrisponde all’introduzione di questo sistema, confrontato con l’uso di
laparoscopia e chirurgia open tradizionale. È evidente come questo nuovo approccio sia
sempre più usato a 260
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Revisore: A.Galbiat
discapito della laparoscopia, mentre la chirurgia open contnua ad avere invece un ruolo
importante.
I l numero globale degli intervent di pieloplastca p ediatrica decresce progressivamente
nel
periodo di tempo considerato, perché i pazient vengono trattat principalmente con la
terapia conservatva che ha un gran successo, a discapito della chirurgia. Nell’adulto invece
il numero globale di intervent è in aumento.
Un’ulteriore analisi degli intervent chirurgici di PUP in diverse età mette in evidenza come
l’uso del robot è massimo negli adolescent (13-18 anni) e minimo negli infant (<1 anno) , a
causa della sopracitata ingombranza dell’apparecchiatura.
Nel lattante viene preferita la pieloplastca open, attuata attraverso un’incisione di meno di
3
cm con un approccio muscle-sparing che prevede una divaricazione muscolare, senza un
vero e proprio taglio del piano muscolare. Questo tpo di intervento è molto veloce, in
accordo con le recent linee anestesiologiche che, dopo aver dimostrato la neurotossicità
dell’anestesia generale nei bambini, raccomandano di evitarla nei primi 5-6 anni o di
optare per le procedure più rapide per evitare danni persistent al sistema nervoso centrale.
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Il grafico riportato sopra mostra una comparazione con un modello matematco validato
tra la chirurgia open e la robotca, riguardo il costo delle tecniche e la quanttà di intervent.
Si evidenzia come la robotca cost nettamente di più rispetto alla chirurgia open, e che solo
tramite un uso intensivo di questa tecnica si riesce ad ammortzzarne il costo. Infatti
neanche a 10 anni viene ammortzzato il costo della robotca in un centro che esegue almeno
100
pieloplastche robotche l’anno. Si consideri che 100 procedure/anno sono veramente molte,
bast pensare che a Padova ne vengono fatte circa 25 pediatriche. I numeri negli adult sono
di 300-400 robotche l’anno.

Me

gauretere ostruttivo
Con “megauretere” si intende una dilatazione di uno o entrambi gli ureteri, che nei
bambini è una condizione congenita. Se ne distnguono quattro tipi: ostruttivo, refluente,
non ostruttivo e non refluente, ostruttivo e refluente.
Il megauretere ostruttivo primitivo è un' ostruzione congenita della porzione
terminale dell'uretere, causato da un' ostruzione funzionale, dovuta al fatto che quel
segmento di uretere è privo di muscoli (aperistaltco) e non può quindi favorire il deflusso
dell'urina verso la vescica, oppure da un’ostruzione anatomica, una stenosi dell'uretere
in prossimità della vescica.
(Il paragrafo soprastate è stato riportato per chiarezza, la fonte è
www.ospedalebambingesù.it) Lo scopo del trattamento chirurgico in questo caso è risolvere
l’ostruzione al flusso, tuttavia bisogna prestare attenzione durante l’intervento a queste
problematiche:

Bisogna evitare di determinare un’altra ostruzione al deflusso urinario attraverso la
formazione di un inginocchiamento o una stenosi da rivascolarizzazione

È necessario creare un meccanismo ant-reflusso efficiente , che si effettua creando un
tunnel sottomucoso che sia almeno cinque volte più lungo del diametro dell’uretere. È
necessario dunque avere vesciche grandi abbastanza per creare un tunnel di lunghezza
congrua.
Ad esempio nel caso di un uretere con diametro di 1 cm, è necessario infilarlo in vescica per
una lunghezza di 5 cm in modo tale da garantire che l’urina non torni indietro al rene.

B
isogna evitare di danneggiare la funzione vescicale mediante denervazione periferica
mentre si cerca di isolare l’uretere, soprattutto nel bambino molto piccolo (<1 anno di vita).
A causa di queste problematche si evita di intervenire chirurgicamente prima dell’anno di
vita e si procede con una derivazione temporanea dell’urina per procedere solo dopo
anni alla procedura chirurgica. Esistono diversi modi per derivare l’urina ( si rimanda per
una spiegazione più precisa alla lezione 2 di urologia riguardo i tumori vescicali), i più usat
sono:

Uretero-cutaneostomia
L’uretere ostruito viene staccato dalla vescica e attaccato alla cute della parete addominale.
All’interno degli ureteri ostruit vengono inserit dei tubi, che presentano un ricciolo verso il
rene e un ricciolo verso la vescica (double J o double pigtail) in modo tale da rimanere
ancorat in sede, che permettano il flusso d’urina lungo l’uretere, risolvendo in tempi rapidi
l’ostruzione del flusso d’urina.

Uretero-cistostomia
L’uretere viene staccato dove è ostruito e fatto abboccare a pieno canale in vescica. Questa
procedura ha il vantaggio di evitare la de-funzionalizzazione della vescica, che è una
complicanza che si può 262

Sbobinatori: S. Mieni, A. Murari


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Novara 04/10/19
Revisore: A.Galbiat
presentare soprattutto in pazient con un rene solo il cui uretere viene spostato a livello
cutaneo, quindi la vescica rimane vuota, andando incontro a de-funzionalizzazione.
L’intervento definitvo è l’ureterocistoneostomia (UCNS)3, attuato attraverso un’incisione
simile a quella fatta nel cesareo.
Secondo la tecnica di reimpianto secondo Cohen, in questa procedura l’uretere viene
staccato e lo si reimpianta nella vescica creando un tunnel sottomucoso (tra la mucosa
vescicale e il muscolo detrusore) in modo tale che l’uretere rimanga ancorato in quella sede
(si ricorda che la lunghezza inglobata nel tunnel deve essere almeno 5 volte il diametro). Più
la vescica si riempie, più l’uretere è compresso. Questa tecnica permette il mantenimento
dell’andamento cranio-caudale dell’uretere, elemento importante perché se in futuro si
dovesse rendere necessario un intervento di rimozione di un calcolo ciò sarebbe facilitato
in quanto l’anatomia viene mantenuta.
In immagine si riporta la UCNS secondo Cohen:
Quando bisogna ridurre il diametro dell’uretere per poterlo includere nel tunnel, si effettua
la stessa operazione (UCNS) mediante la tecnica di tapering, che prevede una restrizione
del diametro dell’uretere, che può avvenire attraverso una plicazione ( secondo Star)
oppure un taglio ( secondo Hendren). È una tecnica più semplice da eseguire e più efficace,
ma presenta difficoltà maggiori qualora fosse necessario intervenire in una calcolosi, e
soprattutto presenta un rischio di devascolarizzazione con conseguente stenosi iatrogena
dell’uretere.
In basso si riporta in immagine il tapering secondo Star: 3 Per UCNS si intende un nuovo
abbocco dell’uretere in vescica.
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In basso si riporta in immagine il tapering escissionale secondo Hendren: Follow-up post-
operatorio
In seguito all’intervento, sia PUP che UCNS, tutti i pazient devono essere seguit in un
follow-up post-operatorio che determina il successo della chirurgia se rileva quest criteri:

Assenza di sintomi

Assenza di ostruzione persistente nel sistema reimpiantato o operato. Questo viene
valutato con una ecografia che deve dimostrare un miglioramento della dilatazione e con
una scintgrafia dinamica che dovrebbe mostrare un drenaggio non ostruito.

Assenza di reflusso in caso di reimpianto.
Vengono riportat i dat di uno studio riguardo il post-operatorio di quest pazient:
Il grafico B mostra come, anche partendo da una dilatazione pre-operatoria importante di
grado 3 o 4, a
24 mesi di tempo solitamente questa è migliorata ma
non ci si deve aspettare che scompaia del tutto: un caso
operato non avrà mai una anatomia ecografica uguale a
quella di un caso mai operato perché la dilatazione migliora ma ci mette tempo.
Il grafico C invece sottolinea come solitamente un uretere refluente migliora più
rapidamente rispetto ad
un uretere ostruttivo.
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Inoltre si evidenzia che alla scintgrafia si ha un miglioramento di scarico nel 99% dei casi,
di cui un 80% a 3 mesi dalla chirurgia e quasi tutti ad un anno.
Il reflusso dopo reimpianto (RVU) non deve essere cercato necessariamente, infatti se il
paziente migliora e non ha sintomi non viene fatta nemmeno una cistografia.
Invece in caso di RVU questo può essere trattato conservatvamente, dato che molto
ptobabilmente migliora nel tempo, o endoscopicamente.
Si riporta per completezza la slide riguardo cosa prevedede il follow-up, nonostante non
venga citata a lezione:

R
eflusso vescico-uretrale RVU
In questo caso esistono varie opzioni per il trattamento, i cui estremi sono:

Approccio osservazionale puro
È il caso del soggetto che arriva in PS con infezione delle vie urinarie in cui non viene fatta
la cistografia, quindi non è nemmeno necessaria la diagnosi.

Approccio curativo
Questo prevede nel caso più grave la chirurgia aperta.
Tra i due estremi esistono una serie di opzioni intermedie che prevedono la
somministrazione di una profilassi antbiotca o l’esecuzione di un trattamento endoscopico.
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La decisione terapeutica dipende dal grado di contnenza raggiunto dal bambino al
momento della diagnosi:
1. Bambino piccolo non toilet trained
Nel caso in cui paziente ha meno di 1 anno che non ha ancora tolto il pannolino, le opzioni
terapeutche sono:

Vigile attesa

Profilassi antbiotca

Trattamento endoscopico

Reimpianto ureterale
Si decide l’approccio in base a vari fattori, quali:

Quadro scintgrafico

Grado di reflusso

Storia di infezione

Sesso del paziente

Preferenze dei genitori
Solitamente il paziente si presenta una IVU febbrile, e in questo caso viene prescritta
solitamente una profilassi antibiotica.
L’efficacia della profilassi è stata ampliamente discussa: da alcune metanalisi e studi
randomizzat che confrontano la profilassi con l’osservazione ( slide 120) emerge che la
profilassi antbiotca sembra offrire un lieve vantaggio in termini di recidiva delle infezioni
delle vie urinarie mentre non sembra offrire un grande vantaggio in termini di
progressione del danno renale e di sviluppo di nuove cicatrici renali nel tempo.
Bisogna considerare inoltre che questo approccio presenta delle controindicazioni legate
prevalentemente all’antbiotcoprofilassi contnuatva, quali:

B
assa compliance dei genitori che non accettano di dare un antbiotco per diversi anni al
proprio figlio (60%-90% del totale)

Ri
schio di sviluppare infezioni da germi resistent che sono, per definizione, più gravi

Ri
schio di sviluppare malattie atopiche perché non protetti dalla tolleranza immunitaria
dell’organismo.
In quest casi per ridurre il rischio di IVU può essere fatta anche la circoncisione.
Riassumendo, l’approccio più comuneme nel caso di RVU primario di alto grado (≥III°) è la
profilassi antibiotica fino a 6 mesi dopo l’acquisizione della continenza diurna.
Invece risulta necessario effettuare un trattamento endoscopico in caso di:

Sviluppo di infezioni delle vie urinarie (IVU) durante la profilassi

Sviluppo di infezioni delle vie urinarie (IVU) dopo la sospensione della profilassi

Sviluppo di infezioni delle vie urinarie (IVU) dopo l’acquisizione della contnenza

Ridotta compliance dei genitori o se esiste una impossibilità a garantre una sorveglianza
stretta
Il trattamento endoscopico prevede di entrare in vescica con una telecamera e di
impiantare con un ago del materiale all’interno dell’uretere in modo da trattare il reflusso.
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D: Nel trattamento endoscopico il blocco all’ingresso dell’uretere viene lasciato in sede o viene
tolto?
R: La sostanza iniettata è volumizzante, viene impiantata all’interno dell’ostio ureterale dove
dovrà rimanere anche in tempi successivi. Questa procedura può determinare in meno
dell’1%
dei casi una ostruzione non consentendo più all’urina di essere escreta in vescica. L’efficacia
della tecnica dipende da vari fattori tra cui il principale è il grado di reflusso: un RVU di V°
grado e un ostio ureterale molto dilatato rendono difficile la riuscita del trattamento anche
aumentando la quantità di pasta impiantata. Se invece il RUV è di grado minore, il
trattamento ha una miglior percentuale di riuscita.
In caso di fallimento dell’endoscopia, quindi quando il soggetto contnua a sviluppare
infezioni, si attua il reimpianto ureterale.
2. Bambino più grande toilet trained
Nel caso in cui paziente ha più di 3 anni e ha tolto il pannolino, è necessario in prima linea
escludere che l’infezione sia dovuta a una dysfunctonal eliminaton syndrome (disfunzione
vescicale), sindrome che porta il soggetto a sviluppare IVU primariamente perché svuota
male la vescica e, solo secondariamente, a causa del RUV.
L’incapacità di svuotare bene la vescica è tpica del bambino che non vuole urinare e che
riesce a trattenere l’urina fino a farla solo 2 volte al giorno. Quest bambini solitamente sono
anche sttci. Disfunzione vescicale e stipsi espongono il bambino al maggior rischio di
sviluppo di infezioni.
È necessario trattare il reflusso simultaneamente alla disfunzione vescicale e alla stpsi,
infatti se venisse trattato solo il RUV infatti rimarrebbe comunque alto il rischio di IVU
post-intervento. Le modalità con cui può essere migliorata la disfunzione vescicale e la stpsi
nel bambino verranno esposte nel prossimo paragrafo.
La disfunzione del basso apparato
Il basso apparato è costtuito da:

Vescica

Uretra

Strutture sfinteriche che permettono la contnenza

Innervazione
La funzione del basso apparato urinario è quella di garantre la contnenza tramite lo
stoccaggio dell’urina a bassa pressione nella vescica e la sua periodica eliminazione
all’esterno in circostanze adeguate di tempo e luogo. La maggior parte delle persone svuota
la vescica da 4 a 267

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6 volte al giorno, rimane asciutta tra le minzioni e non ha la necessità di alzarsi di notte per
urinare.
Le patologie del basso apparato sono molte, tra cui:
1. Patologie delle valvole dell’uretra
Rappresentano la principale causa di insufficienza renale terminale nel 1°
anno di vita.
Nell’immagine a lato si vede una cistografia in cui è evidente una diverticolizzazione della
vescica insorta come conseguenza di una ostruzione dello sfintere uretrale.
2. Disfunzione vescicale neurogena (come nel mielomeningocele) 3. Disfunzione
vescicale non neurogena
È una disfunzione della vescica in un bambino normale che può causare incontnenza diurna
o incontnenza notturna (enuresi).
L’incontinenza nel bambino in età scolare è un problema molto frequente, infatti la
prevalenza è del 7-12% e, insieme all’asma, è il più frequente problema cronico in questa
età .
Anche l’enuresi è un problema molto comune e riguarda il 5-10% nei bambini di 7 anni, il
2-3%
a 12 anni e il 1-3% dopo la pubertà , a volte è invalidante perché può protrarsi anche in età
adulta.
Nel bambino l’incontinenza è dovuta ad un’alterazione del normale apprendimento dei
processi minzionali nel passaggio dalla vescica automatca a quella contnente, che può
essere causato da:

Ritardo di apprendimento della continenza

Cattive abitudini per postponimento della minzione È il caso del bambino impegnato a
giocare che si dimentca di andare in bagno se non rare volte al giorno quando il bisogno è
veramente impellente

Alterato apprendimento
Si manifesta in occasione dell’inizio della scuola quando ad esempio il bambino può
rifiutarsi di andare al bagno per diversi motvi imparando così a trattenere l’urina.
Minzione
Normalmente il ciclo della minzione comporta due fasi: 1. F ase prolungata di
riempimento
Durante la fase di riempimento il detrusore della vescica si distende progressivamente per
accogliere un volume crescente di urina senza che le pressioni endovescicali aumentno.
Questa adattabilità si chiama compliance vescicale. Normalmente quando il volume
raggiunge i 200 mL
si presenta il primo stmolo minzionale che diviene impellente quando il volume di urina
arriva a 400-600 mL. Tra una minzione e l’altra, se si esegue uno sforzo che port a un
aumento della pressione vescicale (come salire le scale, ridere, tossire) esistono dei riflessi
automatci che assicurano che gli sfinteri e il pavimento pelvico si contraggano per
mantenere la contnenza.
2. B
reve fase di svuotamento
Lo svuotamento avviene tra il primo stmolo minzionale e il raggiungimento della capacità
massima dello stmolo impellente. Affinché lo svuotamento avvenga le pressioni
endovescicali devono superare quelle uretrali in modo da permettere che le strutture
sfinteriche si rilascino, 268

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con una riduzione delle resistenze intravescicali, e il detrursore si contragga, andando a
formare l’imbuto.
Minzione volontaria
Il grafico blu riportato a pagina seguente mostra l’andamento di quest parametri durante la
minzione volontaria:

La pressione endovescicale ( sopra)

L’attività muscolare sfinterica, quindi il tono sfinterico, misurata con elettromiografia (
sotto)
La vescica si riempie progressivamente: ai 200 ml c’è un aumento della pressione
endovescicale ( 1° picco) che corrisponde alla prima sensazione di dover urinare e
all’aumento del tono sfinteriale che permette la contnenza; successivamente la vescica
contnua a riempirsi e le pressioni lentamente salgono fino a quando lo stimolo diventa
impellente, momento in cui la contrazione detrusoriale fa svuotare la vescica mentre lo
sfintere si rilascia.
La neurofisiologia della minzione volontaria prevede il coordinamento di diverse
stazioni: 1. Centro cerebrale della minzione
2. Centro pontno della minzione
3. Midollo spinale
4. Midollo sacrale
I nervi sacrali tendono a far contratte la vescica mentre il cervello tende a mantenere
contratto lo sfintere uretrale e rilasciato il detrusore. Quando il soggetto vuole mingere il
cervello fa rilasciare gli sfintere e permette agli stimoli sacrali di far contrarre la vescica.
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La funzione del detrusore viene regolata, in relazione alle variazioni pressorie e
volumetriche captate dai recettori neuro-muscolari, dalle fibre del:

Sistema nervoso parasimpatico→ svuotamento vescicale
Le fibre del parasimpatco (S2-S3-S4), condotte nel nervo pelvico, tendono a far contrarre
il detrusore e rilasciare la muscolatura uretrale (sfintere uretrale interno) per determinare
lo svuotamento vescicale attraverso dei recettori colinergici di tipo muscarinico.

Sistema nervoso simpatico→ contnenza vescicale involontaria Le fibre simpatche,
condotte dal nervo ipogastrico, originano dai nuclei toraco-lombari (T11-L2) e sono
responsabili del rilassamento del detrusore, attraverso i recettori β-adrenergici, e della
contrazione della muscolatura liscia dello sfintere uretrale interno, attraverso i recettori α-
adrenergici.

Sistema somatico→ contnenza vescicale volontaria
A livello sacrale le fibre somatche del nucleo di Onuf, formato dai corni anteriori S2-S3-S4,
condotte dal nervo pudendo interno, contraggono lo sfintere uretrale esterno striato
regolando dunque la contnenza volontaria.
La neurofisiologia della minzione è importante perché spiega il funzionamento di due classi
farmacologiche usate nel controllo della minzione:
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I farmaci alfa-litici che, agendo sui recettori alfa, determinano il rilasciamento del collo e
facilitano lo svuotamento vescicale quando questa azione presenta delle difficoltà , ad
esempio causata da iperplasia prostatca o disfunzione neurogena;

I farmaci anticolinergici favoriscono il rilasciamento della parete del detrusore quando
questa è in condizioni di iperattività , agendo sui recettori colinergici di tpo muscarinico.
Minzione nel feto
Nel feto la vescica ha capacità di 3-8 ml e le minzioni sono molto frequent, ogni 5-20 minut.
La minzione è incompleta e non coordinata tra detrusore e sfintere, e la vescica è
iperattiva.
Le minzioni dovrebbero essere sempre documentate all’ecografia prenatale perché l’urina
ha un ruolo importante nella vita, infatti viene ingerita dal feto e consente lo sviluppo dei
polmoni. I soggetti che nascono con un oligoidroamnios, quindi un ridotto liquido
amniotco, presentano una insufficienza respiratoria neonatale per ipoplasia polmonare e
muoiono di insufficienza respiratoria.
Minzione riflessa nel neonato
Nel neonato la vescica ha capacità di 20-40 ml e le minzioni sono comunque frequent, ogni
30-60 minut. La minzione diventa coordinata, permessa dall’attività detrusore-
sfinteriale, mentre si mantene un’iperattività vescicale nel 50% dei casi.
Il riempimento della vescica stmola i recettori di distensione che inviano impulsi sensitvi
che, quando sono abbastanza intensi, attivano il centro vescicale sacrale, un’area
specializzata nella parte inferiore del midollo spinale, che determina una contrazione del
detrusore e un rilasciamento delle strutture sfinteriche con successivo svuotamento della
vescica. Il sistema nervoso c’entrale non ha alcuna implicazione nella minzione riflessa.
In immagine soprariportata è rappresentato il meccanismo della minzione riflessa: il cervello
non prende parte alla regolazione e tutto si completa a livello sacrale. L’arrivo degli impulsi
afferenti di distensione precede l’invio degli impulsi efferenti di svuotamento.
Il grafico a lato mostra l’andamento della pressione endovescicale e del tono uretrale
durante la minzione riflessa: la vescica comincia a riempirsi, raggiunta la capacità massima
si verifica una contrazione del 271

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detrusore, un rilasciamento del tono sfinteriale e lo svuotamento della vescica. Questo si
ripete periodicamente durante la giornata.

Acquisizione della continenza urinaria ( toilet trained) Nel passaggio dalla minzione
riflessa a quella volontaria esiste una fase di transizione di immaturità vescicale che può
essere più o meno lunga, infatti l’età di raggiungimento della contnenza varia dai 0,75 ai
5,25 anni. La maggior parte dei bambini acquisisce la contnenza urinaria intorno ai 2,5-3
anni, e le femmine in genere sono più precoci dei maschi (2,25 vs 2,5
anni).
Nella fase di transizione possono insorgere dei quadri di disfunzione vescicale come:

Vescica iperattiva

Vescica ipoattiva
Condizione che prevede un mal svuotamento della vescica che si sviluppa conseguentemente
alla postcipazione della minzione ( Nds: il bambino continua a trattenere l’urina perché non
vuole urinare per molti motivi, ad esempio è impegnato a giocare oppure non vuole andare in
bagno con altre persone e i bagni sono sporchi, e facendo ciò facilità un’ipoattività vescicale).

Minzione disfunzionale
Disfunzione che si sviluppa perché il bambino non impara a controllare la contrazione
detrusoriale e il rilasciamento sfinterico.
Se l’incontnenza è notturna si parla di enuresi e, per essere definita tale, deve avere una
frequenza di almeno 2 volte/settimana per almeno 3 mesi consecutvi in un bambino di età
maggiore di 5 anni.
Essendo l’enuresi l’ultma caratteristca a scomparire nel passaggio da minzione riflessa a
volontaria, nella fase di transizione possono permanere enuresi ( che può essere primaria se
presente da sempre e secondaria) associata a sintomi diurni che si possono combinare in
molt modi.
Disfunzione vescicale non neurogena
Diagnosi
1. Anamnesi
È necessario valutare la storia clinica, indagando principalmente:

F amiliarità del disturbo , dato che il 25-50% di quest soggetti hanno una familiarità per
disfunzioni vescicali;

F requenza e caratteristche degli episodi di incontnenza , quindi se present più volte al
giorno, se solo nelle prime ore del mattino, o solo in determinate situazioni;

Ca
ratteristche del mitto , getto urinario, e dell’alvo;

S toria di IVU o febbri ;
In immagine viene riportata una classica posizione assunta dai soggetti con iperattività
detrusoriale, tanto tipica da essere considerata un segno clinico. Il paziente si inginocchia, in
modo da permettere al tallone di premere sul pavimento pelvico. Questa pressione 272
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Lez. 01 urologia
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imposta dall’esterno sopprime le contrazioni non inibite della vescica mantenendo la
continenza più a lungo.
2. Esame obbiettivo
Durante l’esame obiettivo bisogna porre attenzione alle seguent caratteristche:

D
ifetti dorsali mediani
La presenza di quest difetti suggeriscono una malformazione del midollo (spina bifida
occulta).
In caso di copresenza di sintomi di incontnenza e di quest difetti dorsali bisogna pensare a
una disfunzione vescicale neurogena occulta. Invece per avere il sospetto di una
disfunzione vescicale non neurogena quest difetti non devono essere present all’EO.

S tenosi del meato e
/o fimosi serrata del pene
In quest casi il bambino deve spingere molto per urinare e sviluppa una iperattività
vescicale.

S inechie delle piccole labbra (fusione)
Nell’immagine a lato sono rappresentat quest difetti
osservabili durante l’ispezione dell’esame obiettivo:

Nodulo peloso dorsale sopra le natiche (immagine in
alto a sinistra), indice di spina bifida occulta

Stenosi del meato e fimosi serrata del pene (due immagini in basso)

Sinechie delle piccole labbra (in altro a destra)
3. Diario minzionale
È un diario tenuto dal paziente per 48-72 ore consecutve,
in cui il soggetto deve scrivere a che ora urina, quanto urina, se ha perdite urinarie e quanto
beve. Solitamente infatti quest pazient hanno anche alterazioni del potus durante la
giornata.
Il diario minzionale fornisce diverse informazioni:

Valutazione della capacità vescicale funzionale in modo da distnguere le vesciche
piccole, dalle normali o grandi in base all’età . (Volume teorico atteso per età è
ml=30+30xetà)

Valutazione del volume di urine prodotto durante la notte: solitamente quest pazient
bevono il latte alla sera e presentano di conseguenza un’iperproduzione urinaria notturna
che determina enuresi

Valutazione del potus
4. Esame delle urine
È utle per distnguere le infezioni delle vie urinarie, il diabete mellito e il diabete insipido.
5. Valutazione urodinamica non invasiva

E cografia reno-vescicale pre e post-minzionale che permette la valutazione del ristagno
post-minzionale, dello spessore del detrusore e del diametro del retto

F lussometria
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Trattamento
Molto spesso i soggetti di 3-4 anni che presentano IVU per un reflusso presentano anche
problemi di svuotamento della vescica. Il trattamento di queste patologia non è chirurgico
ma è medico e, in misura maggiore, comportamentale. Questo approccio è motvato dal
fatto che molto spesso i sintomi tendono al miglioramento spontaneo. Il trattamento attivo
viene scelto solitamente dopo i 5-6 anni perché è necessario che il paziente sia molto
collaborante.
I tpi di trattamento utlizzat sono:
1. Terapia comportamentale
È il caposaldo del trattamento e necessita di grande collaborazione da parte del paziente, e
prevede la riabilitazione vescicale per curare l’ipoattività , l’iperattività e
l’incoordinazione detrusoriale. Le indicazioni riguardano l’unico tpo di ginnastca che può
fare il muscolo detrusoriale e prevedono:

A
bituare il bambino a bere e a urinare a intervalli regolari : bere 1-2 bicchieri d’acqua ogni 3
ore e mingere massimo ogni 3 ore;

I n caso di enuresi bisogna bere a
l massimo 1 bicchiere d’acqua nelle 3 ore prima di andare a letto: questo regime si può
mantenere solo se l’idratazione diurna è ben garantta;

M
ingere con uno sgabello sotto i piedi , invece che con le gambe a penzoloni, perché permette
di rilassare il pavimento pelvico, favorendo lo svuotamento vescicale;

A
ssicurare evacuazioni intestnali quotdiane perché quando l’ampolla rettale è piena di feci
comprime l’uretra anteriormente e rende più difficile lo svuotamento vescicale. Inoltre la
stasi fecale predispone allo sviluppo di infezioni;

Ri
muovere il pannolino appena possibile infatti se il bambino ha il pannolino si sente
tranquillo e non si sente motvato nel processo di educazione.
Il trattamento comportamentale ha una durata minima di 6-9 mesi, e data la sua lunghezza
necessita di motvazione e sostegno.
2. Terapia farmacologica
Può affiancare la terapia comportamentale, e i farmaci utlizzabili sono:

A
ntcolinergici che contrastano l’attività del detrusore

L assatvi se la stpsi è molto importante

D
esmopressina (ormone antdiuretco) se si è in presenza di enuresi, a cui si affianca l’allarme
notturno, sistema formato da un sensore, che viene posizionato nelle mutandine del
paziente, e quando rileva la perdita urinaria, comincia a suonare nell’intendo di svegliare il
bambino. Lo scopo del sistema è quello di instaurare nel paziente un riflesso che lo port a
svegliarsi prima di urinare a letto. Il problema di quest soggetti è che hanno un sonno
molto profondo, si ricordi infatti che il problema dell’enuresi è dato dal fatto che il pz non
viene risvegliato dallo stmolo inviato dalla vescica quando questa è piena. Non è
infrequente dunque che l’allarme notturno svegli tutti in casa tranne il bambino che
effettivamente dovrebbe essere svegliato.
È possibile usare terapie di associazione.
L’1% dei casi disfunzionali sono anche resistenti al trattamento , e per quest pazient è
necessario un inquadramento diagnostco con la cistografia, l’urodinamica invasiva o la
cistoscopia e il trattamento diviene iperspecialistco e più complesso. Diviene infatti
necessario usare farmaci intravescicali o procediment di neurostmolazione.
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Sbobinatori: S. Mieni, A. Murari
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Revisore: A.Galbiat
D: Invece del sistema dell’allarme notturno non sarebbe meglio svegliare il paziente, per
esempio a metà notte, e portarlo a urinare?
R: Anche se dal punto di vista generale questa sembra una buona idea, tuttavia questo è
l’approccio più sbagliato che si possa seguire. Infatti la vescica va educata di giorno, quindi
prima di tutto bisogna far urinare regolarmente il pz durante il giorno.
I genitori di questi pz inoltre riferiscono che i bambini alla mattina non ricordano di essere
stati svegliati e portati a urinare durante la notte. L’arousal, il livello a cui il nostro cervello si
risveglia dal sonno in rapporto allo stimolo, dei soggetti che soffrono di enuresi è molto più
alto di quello della popolazione normale. Inoltre, considerando che i fenomeni di enuresi
avvengono sempre nella fase rem (più profonda) del sonno, svegliare un soggetto enretico
comporta un’alterazione del suo ciclo sonno-veglia e un peggioramento delle sue prestazioni
diurne proprio perché corrisponderebbe a svegliare il pz dal suo sonno più profondo.
Patologie genitali
Le patologie genitali sono molte:

Patologie del dotto peritoneo vaginale, come ernia inguinale, idrocele e cist del funicolo,
che sono le più frequent in assoluto

Criptoorchidismo o testcolo ritenuto

Fimosi

Ipospadia

Anomalie dei genitali femminili (seno-urogenitale, agenesie vaginali) abbastanza rare
Ipospadia
L’ipospadia è una patologia frequente (1:300 neonat maschi) con un’incidenza in contnuo
aumento, tanto che negli ultmi 15 anni infatti è raddoppiata. È in linea con l’aumento di
incidenza di tutte le malformazioni dei genitali maschili, come criptorchidismo e tumori del
testcolo, che si crede sia dovuta all’uso diffuso di alcune sostanze come i diserbant che
hanno un’azione ant-androgenico e/o pro-estrogenico.
L’etmologia del termine “ipospadia” è “buco in basso”, ed è una malformazione congenita
caratterizzata da:

Diversa posizione del meato uretrale esterno
Il meato uretrale esterno, anziché all’apice del pene, si localizza sulla sua superficie
ventrale più o meno distalmente. La posizione del meato ipospadico nell’80% dei casi è in
posizione A, B o C
dell’immagine riportata a pagina seguente.
Per epispadia, fenomeno molto più raro dell’ipospadia, invece si intende una
malformazione congenita del meato che si apre nella superficie dorsale del pene.

Variabile grado di incurvamento penieno ventrale 275
Sbobinatori: S. Mieni, A. Murari
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D: Questo incurvamento si manifesta anche durante l’erezione?
R: Questo incurvamento compare soprattutto durante l’erezione, mentre nella flaccidità
l’incurvamento potrebbe non vedersi. Per valutare l’incurvamento di questi pazienti occorre
fare un test di erezione tramite l’iniezione di acqua nei corpi cavernosi.
Nell’80% dei casi quindi l’ipospadia è distale e presenta le seguent caratteristche:

Meato uretrale esterno in posizione variabile tra l’apice del glande e il solco coronale;

Il pene è solitamente di dimensioni normali, ma nelle ipospadie più gravi può essere ridotto
di dimensioni;

La curvatura in queste forme è assente o molto lieve e, se presente, è facilmente trattabile;

Il prepuzio ipospadico è aperto, non chiuso ventralmente ma tutto dorsale.
In concomitanza all’ipospadia possono essere present altre
anomalie come la torsione del pene.
Nell’immagine a lato si osserva un caso deficit di cute ventrale con torsione peniena, è visibile
come il rafe dello scroto sembra attaccarsi quasi alla base del glande.
È possibile inoltre che siano present delle varianti anatomiche (visibili nell’immagine
sottostante):

P
ene ipospadico stenotco (1° immagine)

A
pparente presenza di due meat uretrale esterni (2° immagine) L’uretra normalmente si
forma da un processo di fusione di due strutture che andranno a formare la fossetta
navicolare ( come mostrato nella 3° immagine): una struttura dorso-ventrale di origine
endodermica che si tubularizza a partre dalla base del pene verso l’apice e una porzione
data dall’introflessione dell’ectoderma. Se i processi originano correttamente ma non si
concludono si potrebbe avere una fossetta più apicale a fondo cieco e una ipospadica che
costtuisce il vero meato uretrale. Per questo motvo si parla di due meat apparent.

M
egameato con prepuzio integro ( 4° immagine)
276
Sbobinatori: S. Mieni, A. Murari
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In questo caso il meato è allargato ma è circondato da una cute perfettamente normale. Nel
neonato dunque non si vede perché la struttura è coperta dal prepuzio, quindi questo
quadro è diagnostcato quando crescendo il pene ha una pelle che diviene retraibile o
quando viene sottoposto a circoncisione per fimosi.
Dal punto di vista dello sviluppo l’ipospadia è un difetto di tubulizzazione dell’uretra.
L’uretra si forma dalla base verso la punta del pene e la doccia (o piatto) uretrale si va
chiudendo verso il glande. L’ipospadia è un’incompleta chiusura della doccia uretrale,
quindi distalmente all’ipospadia il glande e il prepuzio saranno apert.
In realtà la malformazione comincia più prossimalmente rispetto alla manifestazione
dell’ipospadia, infatti normalmente l’uretra presenta un rivestmento spongioso contnuo,
mentre nel caso dell’ipospadia presenta una biforcazione della spongiosa lasciando prima
del meato ipospadico un segmento di uretra sottilissimo e formato solo da urotelio. Questo
rende molto grave la condizione dell’ipospadia.
Diagnosi
Normalmente l’ipospadia distale è una malformazione isolata, quindi oltre all’esame
clinico non si rendono necessari ulteriori approfondiment diagnostci, come l’ecografia
delle vie urinarie o 277
Sbobinatori: S. Mieni, A. Murari
Lez. 01 urologia
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Revisore: A.Galbiat
valutazioni endocrinologiche e genetche, che invece diventano rilevant in caso di ipospadia
molto grave.
Nel 5-10% dei casi, invece, l’ipospadia può associarsi a criptorchidismo.
Trattamento
L’ipospadia distale non ha alcuna conseguenza funzionale dunque potenzialmente il
paziente può vivere tutta la vita con questa malformazione. Tuttavia esistono delle
indicazioni al trattamento chirurgico per un miglioramento cosmetco che riduca al
minimo l’impatto psicologico. L’impatto psicologico della condizione è sicuramente
presente perché l’ipospadia, che nel bambino sembra minima e impercettibile, con
l’aumentare della dimensioni del pene, diventa molto visibile dell’adulto ( come mostrato
nell’immagine a lato).
L’American academy of Pediatrics, dopo aver analizzato diversi aspetti, quali lo sviluppo
emozionale, sessuale e cognitvo, le conseguenze psicologiche della chirurgia e gli aspetti
anestesiologici, ha dichiarato che l’età consigliata per l’intervento è tra i 6 e i 18 mesi.
Vanno evitat i primi 6 mesi perché difficili da trattare dal punto di vista anestesiologico,
però è consigliato operare il difetto il prima possibile in modo tale che il bambino cresca
con un’immagine del proprio corpo il più definita possibile.
Tuttavia viene ribadito nuovamente come il gruppo anestesiologico raccomandi di evitare
qualsiasi intervento chirurgico troppo precoce e non necessario a causa della
neurotossicità dei farmaci anestetci sul bambino. Per tale motvo alcuni medici sono più
favorevoli a posticipare questo intervento oltre i 5-6 anni.
L’immagine in alto riporta le fasi dell’intervento di tubulizzazione della doccia uretrale
incisa (o tubulizzazione del piatto uretrale TIPU o di Snodgrass), che risolve l’ipospadia: il
segmento tra la punta del pene e il meato ipospadico viene isolato (A) e viene inciso (C) in
modo tale da allargarlo; successivamente questo segmento viene tubularizzato (D) e
ricoperto con tessuto vascolarizzato per evitare la formazione di un fistola uretrale, che è la
complicanza più frequente; infine si chiude il glande al di sopra.
Nell’immagine in basso a sinistra si osserva il pre-operatorio, a destra si osserva il post-
operatorio.
278

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Revisore: A.Galbiat
D: Da dove viene preso il tessuto vascolarizzato?
R: Negli USA, dove tendono a circoncidere i pazienti, il tessuto viene preso dal sottocute del
prepuzio perché questa porzione verrebbe altrimenti buttata. In Italia invece, dove si da
precedenza alla preservazione del prepuzio, viene usato del tessuto connettivo sottocutaneo
accanto all’uretra ricostruita.
Nel caso in cui ci sia un concomitante incurvamento del pene, questo viene risolto
attraverso una plicatura dorsale.
Le alternatve per la chirurgia del prepuzio sono:

Circoncisione

Plastica del prepuzio, che ne prevede la ricostruzione.
Entrambe le tecniche presentano vantaggi e svantaggi che vengono riportat seguendo
quanto riportato nel J. Urology :

I sostenitori della circoncisione dicono che la prepuzioplastca può aumentare le
complicanze e che ottiene risultat estetci subottimali perché difficilmente è raggiunta la
simmetria. Secondo la loro interpretazione inoltre la circoncisione presenta molt benefici
medici: ridurrebbe le IVU, le malattie sessualmente trasmissibili e il carcinoma del pene.
Gli Americani sostengono fermamente dunque che un pene ipospadico debba essere
circonciso.

I sostenitori della ricostruzione del prepuzio invece portano a loro favore il fatto che la
ricostruzione nasconde la malformazione e da al pene un aspetto più normale. A favore del
mantenimento del prepuzio inoltre c’è anche il fatto che è un tessuto erogeno e che può
essere utle in caso di complicanze. Le complicanze sono possibili ma ad un tasso accettabile
(2-10%).
D: I benefici della circoncisione valgono solo nel caso del trattamento dell’ipospadia?
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Sbobinatori: S. Mieni, A. Murari


Lez. 01 urologia
Novara 04/10/19
Revisore: A.Galbiat
R: No, sono i benefici relativi a tutta la circoncisione neonatale. Al di la delle culture in cui la
circoncisione viene fatta per motivi religiosi o culturali, la circoncisione neonatale viene
raccomandata anche in alcuni paesi occidentali come gli USA per i benefici sopra riportati. La
controversia relativa alla circoncisione neonatale riguarda sostanzialmente il “number
needed to treat”, quindi il numero di bambini sani che devono essere circoncisi per prevenire
una sola delle complicanze riportate. Infatti bisogna circoncidere centinaia di bambini per
prevenire una sola IVU.
L’alto “number needed to treat” è la motivazione per cui nei paesi europei la circoncisione
nenatale non viene raccomandata. Inoltre, a favore della tesi europea, è anche il fatto che le
complicanze, pur essendo molto rare (1-3%), possono essere molto gravi, dato che la
circoncisione di un neonato venga fatta senza anestesia4 e con degli apparecchi molto
cruenti (il professore parla di un apparecchio nel quale viene inserito il prepuzio, viene girato
e viene tagliato il prepuzio).
Le complicanze possibili sono:

Distacco del glande

Taglio di un pezzo di uretra

Anemizzazione importante da emoraggia post-circoncisione,

Intrappolamento del pene per rimozione della maggior parte della cute peniena.
Considerando il grande number needed to treat, non si può accettare nemmeno l’1% di
complicanze gravi: il prezzo da pagare è troppo alto per una procedura non medicalmente
certificata.
Il professor Novara precisa che negli adulti la tecnica è meno cruenta e più precisa. A seguito
di questa precisazione il professore Castegnetti sottolinea che il fatto che l’adulto sia molto
più collaborante del neonato aiuta l’esecuzione della manovra.
A seguito di una domanda il professore ribadisce come la clinica del neonato, data la sua
incapacità di identificare con precisione l’origine del dolore, abbia confini molto sfumati.
La gestione post-operatoria prevede l’inserimento di un catetere che va mantenuto in
sede per 5-14 giorni per garantre che la sutura rest asciutta.
Le complicanze variano dal 5% al 20% e tre quart di queste vengono diagnostcate quasi
subito nel 1° anno. Il quarto delle complicanze restante viene identficato dopo perché
effettivamente le complicanze insorgono dopo o perché quando si opera il bambino ha
ancora il pannolino e prima di vedere, per esempio, che urina da diversi punt del pene deve
toglierlo.
Tra le complicanze del post-operatorio ci sono:

Stenosi meatale, chela complicanza più frequente;

Fistole uretrali;

Deiscenze;

Complicanze cutanee.
Con l’insorgenza di queste può diventare necessario amputare tutta la struttura operata e
eseguire una re-uretroplastica in due tempi ( immagine a lato), in cui si prende della
mucosa dalla bocca e si sutura in loco, e dopo 6 mesi la struttura viene ritubulizzata.
4 Esiste un mito che dice che sotto l’anno di vita i neonat abbiano meno sensibilità 280
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Lez. 01 urologia
Novara 04/10/19
Revisore: A.Galbiat
Questa possibile complicanza dell’intervento deve far valutare attentamente se i possibili
benefici estetci giustfichino i potenziali rischi che si corrono in questo tpo di chirurgia.
Il follow-up post-operatorio prevede controlli clinici fino alla pubertà perché il pene tra
l’anno e la pubertà non cresce, ma dopo la pubertà cresce rapidamente e quando l’organo è
sviluppato, bisogna verificare che l’intervento sia funzionale anche in questa nuova
situazione.
Verrebbe spontaneo fare delle uroflussometrie per misurare la velocità del flusso urinario
e confrontare i risultat con quelli del soggetto normale. Questa misurazione non è però
adeguata perché l’intervento non ricrea un’uretra normale ma un tubo che sicuramente per
metà della sua circonferenza sarà costtuito da una cicatrice. La cicatrice per definizione è
anelastca e l’uretra ricostruita è formata solo da urotelio senza la spongiosa che dovrebbe
circondarla. La spongiosa è la parte che da elastcità all’uretra che in tale modo può
distendersi quando l’urina passa e contrarsi alla fine della minzione per svuotare
completamente l’uretra.
Non è dunque sorprendente che il 60% di quest soggetti present una uroflussometria
abnormale, infatti nella maggior parte dei casi l’uroflussometria migliora solo con la
pubertà .
Con la ricostruzione si possono formare dei problemi di svuotamento vescicale che
possono contribuire allo sviluppo di altre alterazioni del basso apparato urinario, che sono
già per sé alterazioni molto frequent.
Il professore sottolinea inoltre la difficoltà in un bambino di 6 anni con incontnenza diurna
nel fare diagnosi differenziale tra danno chirurgico dell’intervento per l’ipospadia o una
disfunzione vescicale non neurogena.
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