Urologia
(https://www.youtube.com/watch?v=0Kvw2BPKjz0)
Urologia URO02 – LUTS e disfunzione erettile
Programma d’esame
• Infezioni delle vie urinarie e delle vie genitali maschili;
• Lower Urinary Tract Syndrome (LUTS);
• Emospermia;
• Massa scrotale;
• Colica renale;
• Idronefrosi e uropatia ostruttiva;
• Incontinenza urinaria;
• Ritenzione urinaria;
• Calcolosi renale ed urinaria;
• PSA elevato;
• Sindrome della vescica dolorosa;
• Vescica neurologica;
• Derivazione urinaria.
Ndr. Confrontando questo programma con quello del 2017-2018, bisognerebbe aggiungere: malformazioni
dell’apparato uro-genitale (disturbi minzionali e ipertrofia prostatica benigna), TBC renale e delle vie uri-
narie, neoplasie del rene, della vescica, della prostata e del testicolo, infertilità maschile e di coppia, vari-
cocele, disturbi sessuali e disfunzione erettile, patologie del pavimento pelvico, traumi dell’apparato urina-
rio e genitale maschile e tecniche endoscopiche e chirurgia urologica.
Ndr: per fare un po’di chiarezza sui termini legati all’ipertrofia prostatica, riporto le definizioni della Ame-
rican Urological Association (2018):
• BPH: Benign prostatic hyperplasia. Si riferisce ad una diagnosi istologica di una proliferazione delle
cellule muscolari lisce ed epiteliali nella zona di transizione della prostata. Se presente da sola, non
richiede alcun trattamento e non è l’obiettivo di nessuna strategia terapeutica.
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Per DE si intende la difficoltà a raggiungere o mantenere l’erezione. Un altro problema correlato è quello della eiacu-
lazione precoce.
• BPE: Benign prostatic enlargement. È una BPH che ha provocato l’aumento delle dimensioni della
ghiandola, il che succede piuttosto frequentemente. Quindi, non tutti i pazienti con BPH sviluppe-
ranno BPE.
• BPO: Benign prostatic obstruction. È una BPE in cui la ghiandola ostruisce il collo vescicale. La BPO
è un’ostruzione non neoplastica. Di nuovo, non tutti i pazienti con BPE sviluppano BPO.
• BOO: Bladder outlet obstruction. Rappresenta qualsiasi ostruzione del collo vescicale, indipendente-
mente dalla patologia sottostante. Pertanto, la BPO è un tipo di BOO.
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L’IPSS (International Prostate Symptom Score) si basa sulle risposte a sette domande che riguardano i sintomi urinari,
alle quali si aggiunge una domanda sulla qualità di vita percepita dal paziente. Ogni domanda ha sei possibili risposte,
tra le quali il paziente può scegliere e che indicano il livello di gravità del sintomo. A ciascuna risposta è assegnato un
punteggio da 0 a 5 (0 senza sintomo, 5 gravità massima). Le domande si riferiscono ai seguenti sintomi urinari: svuota-
mento incompleto, frequenza diurna, intermittenza, urgenza, forza del flusso, difficoltà ad iniziare la minzione, nicturia.
o Pene: regolare per età, meato uretrale beante (potrebbe essere puntiforme e provocare
l’ostruzione), meato in sede (potrebbe trovarsi nella faccia dorsale, epispadia, o ventrale del
pene, ipospadia), prepuzio (foglietto balano-prepuziale scorrevole o meno: fimosi, che è con-
genita o si sviluppa nel diabetico come sequela di infezioni).
3. Esame dell’addome:
o Globo vescicale: richiede cateterismo;
o Pube;
o Punti ureterali superiori ed inferiori.
Esami di Laboratorio
• Esame urine: dipstick e sedimento urinario (fornisce indicazioni sulla presenza di microematuria
e leucociti). Esame banale, ma imprescindibile e spesso utile per indirizzare il sospetto diagnostico;
• Urinocoltura per individuare la presenza di agenti patogeni;
• Emocromo: può rilevare leucocitosi (segno di flogosi in atto);
• PSA (antigene prostatico specifico), prodotto dalla prostata. Il range di normalità dipende dal vo-
lume3 della prostata (se il volume della prostata è normale, il PSA prodotto è <4ng/mL; una pro-
stata più grande produce più PSA) e dalla presenza di stati patologici (infezioni o neoplasie) a ca-
rico dell’apparato genito-urinario (cistite, calcolosi vescicale).
L’aumento del PSA può essere provocato anche da manovre strumentali invasive (cateterismo,
cistoscopia) e dall’atto sessuale.
Il valore del PSA deve sempre essere interpretato sulla base di anamnesi ed esame obiettivo.
• Valutazione funzionalità renale: se all’anamnesi sospetto un IRC o in presenza di idronefrosi, o
se si sta considerando un approccio chirurgico
ai LUTS.
Esami strumentali
• Ecografia vescicale sovrapubica, pre e post-
minzionale.
Valutare:
Volume di riempimento vescicale;
Volume residuo post-minzionale di urina; un elevato residuo post-minzionale favorisce l’in-
sorgenza di infezioni e calcolosi, nonché idronefrosi bilaterale (responsabile di IRA ostrut-
tiva: l’aumento della creatinina che si risolve con un cateterismo).
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Per cercare di ovviare a questo limite, è stato introdotto il PSA density, che esprime il rapporto tra PSA e dimensioni
misurate ecograficamente della ghiandola.
Tra le cause di aumento del RPM, si ricorda l’ipotonia vescicale (ridotta attività detrusoriale
per problemi neurologici): i pazienti si sottopongono ad autocateterismi intermittenti per-
ché la vescica non è più in grado di contrarsi.
È importante inquadrare correttamente il paziente perché la disostruzione meccanica in un
paziente che ha un elevato RPM, senza aver eseguito lo studio delle pressioni vescicali, può
rendere il paziente incontinente.
Neoformazioni aggettanti nella parete vescicale (polipi,
neoplasie);
Calcolo dell’uretere iuxta-vescicale: il calcolo, di origine
ureterale, si incastra nello sbocco del meato ureterale, pro-
vocando disuria/pollachiuria. Ecograficamente si presenta
iperecogeno e con cono d’ombra posteriore;
Collo vescicale;
Aggetto prostatico in vescica e stima del volume della
prostata: soprattutto nei soggetti magri è possibile valu-
tare in modo approssimativo il volume prostatico, se il terzo lobo protrude in vescica.
Modificazioni anatomiche/complicanze associate all’ostruzione:
o Diverticoli vescicali: si formano in seguito all’aumento pressorio all’interno della vescica,
compatibile con quadri ostruttivi (per esempio da stenosi prostatica);
o Trabecolazioni/ispessimenti colonnari;
o Calcolosi (i calcoli hanno tutti le stesse caratteristiche ecografiche);
o Spessore del detrusore: l’ispessimento del detrusore è una caratteristica peculiare della
vescica da sforzo.
• Ecografia transrettale permette di studiare la prostata con immagini qualitativamente supe-
riori rispetto all’ecografia sovrapubica (per esempio permette di visualizzare la prostata e even-
tuali neoformazioni, nonchè di ottenerne le dimensioni precise) ed è appannaggio dello specialista
urologo.
È anche utile per evidenziare anomalie sfuggite all’ecografia sovrapubica, come la presenza di cal-
colosi in pazienti allettati con scarsa compliance vescicale (la vescica non si dilata bene).
È indicata anche nei pazienti obesi perché gli echi di origine sovrapubica non arrivano fino alla
parete posteriore della vescica.
L’ecografia è una guida molto utile per eseguire una biopsia prostatica.
L’ampolla rettale del paziente deve essere completamente vuota prima di realizzare l’eco trans-
rettale.
• Uroflussometria: esame specialistico che permette di stu-
diare il flusso urinario durante la minzione.
L'apparecchiatura, definita uroflussometro, è infatti in
grado di misurare la quantità di urina emessa nell'unità di
tempo, registrandola su un tracciato e, in un paziente che
urina normalmente, l’atto minzionale viene rappresentato
graficamente da una curva gaussiana.
La curva può essere alterata e apparire completamente
piatta; nei disturbi ostruttivi, la minzione è frequente e av-
viene a tratti, con uso del torchio addominale: all’uroflussometria si registrano tante piccole curve
con flusso basso.
La preparazione all’esame prevede di non avere un riempimento vescicale eccessivo, altrimenti
il picco potrebbe non essere realistico e il residuo minzionale risulterebbe non veritiero; il volume
ideale, per cui l’esame viene validato, è produrre 500-1000mL di urina.
Autore: Alberto Chierigo e Eliana Colucci per Medicina08 5 di 10
Urologia URO02 – LUTS e disfunzione erettile
In realtà le cause sono ben più variegate, poiché all’elenco di prima si potrebbero aggiungere:
o Ipovalidità del detrusore;
o Calcolo nell’uretere distale;
o Tumore vescicale;
o Stenosi uretrale;
o Corpo estraneo;
o Infezione delle vie urinarie (UTI: urinary tract infection);
o Disfunzione vescicale neurogenica;
o Sindrome da dolore pelvico cronico.
ALGORITMO DIAGNOSTICO
I LUTS maschili hanno un’elevata prevalenza e multifattorialità fisiopatologica, perciò una valutazione
clinica accurata è fondamentale per garantire una terapia adeguata. Il clinico deve fare quindi una dia-
gnosi differenziale, e definire così il profilo clinico del paziente.
Si parte dall’anamnesi, durante la quale va indagata anche la funzione sessuale, e poi si somministra un
questionario per lo score dei sintomi (I-PPS). A questo punto si procede con l’EO (con esplorazione ret-
tale), l’esame delle urine e il PSA. Successivamente si misura il PVR (post-void residual, in italiano resi-
duo post-minzionale o RPM).
Se il quadro clinico è dominato da LUTS fastidiosi, soprattutto residuo post-minzionale, LUTS di sto-
rage o nicturia, si procede con: compilazione di una frequency-volume chart, uroflussometria e valuta-
zione ecografica della prostata. In caso di elevato PVR, si prescrive anche un’ecografia renale e una va-
lutazione della funzionalità renale.
A questo punto l’iter diagnostico dovrebbe avere svelato una patologia benigna vescicale o prostatica,
da trattare secondo gli algoritmi terapeutici dedicati. A volte potrebbero essere necessari esami endo-
scopici o studi di pressione-flusso.
Se invece prevalgono altri disturbi (anomalie all’esplorazione rettale, PSA elevato, esame delle urine
alterato o sospetta patologia neurologica), si procede con algoritmi diagnostici diversi e specifici.
TERAPIA
La terapia viene modulata in base all’intensità dei sintomi.
Terapia conservativa
I pazienti con sintomi lievi o moderati, con un impatto minimo sulla qualità di vita, si possono rassicu-
rare e si consiglia una vigile attesa unitamente a variazioni dello stile di vita. Il paziente deve essere
rivisto almeno dopo sei mesi e poi ogni anno (anche prima se i sintomi non regrediscono o peggiorano).
Si può sconsigliare al paziente di bere un’eccessiva quantità di liquidi prima di coricarsi, altrimenti si
favorisce la nicturia. Inoltre, vanno evitati cibi piccanti o superalcolici, caffè/tè/cioccolato e altre so-
stanze irritative.
Terapia farmacologica
L’ approccio ai sintomi moderato-severi richiede la somministrazione di:
• α1-bloccanti: nell’ipertrofia prostatica permettono il rilascio della muscolatura liscia del collo
vescicale, favorendo un aumento del flusso massimo.
• Inibitori della 5α-reduttasi (5-ARI: finasteride): in pazienti con sintomi moderati-severi e ad alto
rischio di progressione della patologia (es. volume prostatico >40mL). Bisogna anche spiegare al
paziente che l’effetto di questi farmaci insorge con una latenza di 3-6 mesi.
• Antimuscarinici4: in caso di sintomi moderati-severi, principalmente legati a problemi di storage
vescicale (nei LUTS da vescica iperattiva aumentano la compliance vescicale);
• Inibitori della fosfodiesterasi 5 (PDE5-I: sildenafil e tadalafil): in pazienti con sintomi moderati-
severi, con o senza disfunzione erettile, hanno attività vasodilatante e anti-infiammatoria;
• Agonisti β3: in pazienti con sintomi moderati-severi e prevalentemente di storage;
• Fitoterapici: attività anti-infiammatoria vescicale e prostatica.
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Gli antimuscarinici, pur essendo efficaci contro la vescica iperattiva, non dovrebbero essere prescritti a pazienti con
PVR>150mL. Questo vale anche per le associazioni farmacologiche.
L’efficacia della terapia farmacologica va valutata dopo 4-6 settimane dall’inizio del trattamento, poi a
sei mesi, e poi ogni anno.
Nel caso di terapia con PDE5I la valutazione deve essere dopo 12 settimane e poi dopo sei mesi.
Nel trattamento con desmopressina occorre misurare la natriemia al 3° giorno, 7° giorno, e primo mese.
Se la natriemia è rimasta normale, si può passare ad un monitoraggio trimestrale, altrimenti bisogna
ridurre la dose e ricominciare il monitoraggio.
Terapia chirurgica
Di solito la chirurgia prostatica è riservata a quei pazienti che, anche dopo terapie conservative o farma-
cologiche, continuano a soffrire di LUTS o di PVR. In particolare, la chirurgia è offerta a coloro che sof-
frono di:
• Ritenzione urinaria ricorrente o refrattaria;
• Overflow incontinence: è un tipo di incontinenza urinaria caratterizzata dal rilascio involontario di
urina da una vescica troppo piena, spesso in assenza di urgenza minzionale;
• UTI ricorrenti;
• Diverticoli o calcoli vescicali;
• Macroematuria farmaco-resistente: dovuta a BPH o BPE (benign prostatic enlargement);
• Dilatazione delle vie urinarie superiori: a causa di BPO (benign prostatic obstruction), con o senza
insufficienza renale.
Le tecniche chirurgiche sono tantissime (laser, open, endoscopiche) e hanno invasività molto variabile.
La scelta della tecnica chirurgica deve tenere conto delle caratteristiche dei singoli pazienti: non tutti
possono sottoporsi ad anestesia generale, e il rischio di emorragia può diventare inaccettabile in pa-
zienti che assumono anticoagulanti (solo per alcuni interventi), almeno per le tecniche più invasive.
I pazienti devono essere visitati dopo 4-6 settimane dalla rimozione del catetere. Se i LUTS sono scom-
parsi e non ci sono lamentele rilevanti, ci si può fermare qui.
Epidemiologia
Oggi il carcinoma prostatico sembra essere il primo tumore per frequenza di diagnosi nel sesso maschile,
fortunatamente non per mortalità. Anzi la mortalità sta scendendo perché la diagnosi è sempre più precoce
e i trattamenti sempre migliori e preventivi.
Sembra che l’80% degli ultraottantenni, all’autopsia, abbia dei microfocolai di cancro prostatico. Quindi la
trasformazione dell’epitelio composto tubuloacinare della prostata può essere considerata una possibile
manifestazione della senescenza, ciò non toglie comunque che quel tumore possa essere aggressivo tanto
da determinare la morte del paziente.
La prognosi dipende dagli score istologici, come il Gleason score e il Grade Group: difatti un Gleason score
di 3+3 ha una buona prognosi, con bassissimo rischio di progressione e mortalità. Questo significa che non
tutti i cancri della prostata sono uguali e la diagnosi precoce resta un cardine fondamentale perché ci per-
mette di scegliere le modalità e il momento più opportuno per il trattamento e addirittura di dilazionarlo
nel tempo.
Fattori di rischio
Come la maggior parte dei tumori solidi, l’eziologia del carcinoma prostatico è multifattoriale. Esso infatti è
il risultato di una complessa interazione di fattori di rischio, i più importanti dei quali sicuramente sono:
• Età, il tumore diventa sempre più comune con l’aumentare dell’età;
• Razza, i Neri sono più soggetti, ma anche Scandinavi e Caucasici residenti negli Stati Uniti e
nell’Europa Occidentale;
• Presenza di androgeni biologicamente attivi nel sangue periferico e nel tessuto prostatico, il testo-
sterone e il deidrotestosterone sembrano essere essenziali per lo sviluppo della neoplasia;
• Fattori genetici (25% dei pazienti presentano storia familiare di tumore della prostata), sono stati
riscontrati diversi geni associati con trasmissione sia dominante sia recessiva ed espressione in-
completa, quindi la familiarità risulta abbastanza difficile da indagare;
• Stile di vita, in particolare l’inquinamento: residenti in aree urbane, esposizione al Cadmio, esposi-
zione ad agenti radioattivi;
• Dieta, che è tra i fattori modificabili. Per valutare l’influenza dei fattori dietetici, sono state prese in
considerazione le nazioni a più alta incidenza di tumore prostatico, in cima alla lista c’erano Canada
e USA, seguiti dai Paesi del Nord Europa (Norvegia, Finlandia, Olanda, Francia), mentre in fondo
c’erano Spagna, Grecia e Italia. Ciò che cambia, tra questi Paesi, è il consumo di grassi saturi (come
il burro), e in particolare di grassi di origine animale (carni rosse). Quindi in una famiglia con alta in-
cidenza di cancro prostatico, andrebbe consigliata una dieta povera di grassi animali.
Fattori protettivi
• Riduzione dell’assunzione di grassi,
• Maggior consumo di soia e derivati,
• Vitamina E,
• The verde.
Tuttavia, è difficile valutare la reale influenza di questi fattori sul cancro prostatico, perché dovremmo ave-
re persone con lo stesso corredo genetico, che vivono nello stesso ambiente, con lo stesso livello di inqui-
namento, che fanno la stessa dieta, e dovremmo ad esempio in maniera casuale dare a un gruppo la vita-
mina E mentre all’altro somministrare il placebo. Quindi sono studi impossibili da eseguire in prospettico. I
dati che abbiamo derivano da studi epidemiologici i quali però lasciano un po’ il tempo che trovano e non
sono certi.
L’ipertrofia è una patologia tipica della zona centrale della ghiandola, per questo motivo causa sintomi pre-
coci perché il passaggio dell’urina nell’uretra è ostruito dall’ipertrofia e quindi la vescica lavora contro una
resistenza. La zona periferica, quella palpabile col dito, è quella in cui più probabilmente cresce il tumore:
qui esso ha tanto spazio e quindi non dà sintomatologia.
Segni e sintomi
Il carcinoma della prostata, nel 2018, per definizione è asintomatico, perché oggi la diagnosi viene fatta
precocemente; gran parte dei sintomi sono riferibili all’IPB (ipertrofia prostatica benigna, evoluzione parafi-
siologica che avviene in tutti i soggetti, chi più precocemente, chi più tardivamente) che comunque è una
condizione che può coesistere con il tumore. Essi sono:
• Sintomi ostruttivi: attesa preminzionale, mitto ipovalido e prolungato, flusso intermittente, sgoc-
ciolamento terminale, sensazione di incompleto svuotamento;
• Sintomi irritativi: pollachiuria, nicturia, urgenza minzionale, fughe d’aria.
I sintomi tipici di tumore invece sono quelli della malattia tardiva, dovuti alle metastasi:
• Dolori ossei (mal di schiena e dolore al bacino, in particolare alle anche);
• Dolori perineali;
• L’emospermia è un sintomo tardivo di cancro prostatico, ma non è un sintomo specifico: nel 99%
dei casi essa è dovuta a infezioni o deposito di sali dentro il tubulo della prostata che creano attrito
durante l’eiaculazione e quindi sanguinamento. È tipica del giovane, infatti se un ragazzo presenta
questo segno va subito fatta una spermiocoltura per la possibilità di infezione e un’ecografia che
confermi la presenza di calcificazioni: a quest’età è improbabile che ci sia un tumore;
• Ematuria incoercibile, non episodica (da infiltrazione del trigono vescicale);
• Insufficienza renale (da ostruzione uretrale);
• Linfedemi degli arti inferiori da infiltrazione dei linfonodi inguinali (iliaci e otturatori), questa condi-
zione si presenta anche in seguito a prostatectomia radicale e linfoadenectomia (nel 5% dei casi,
perché perdendo i linfonodi inguinali, si perde la via di drenaggio).
Sono tutti sintomi molto rari, li vedono solo l’urologo o l’oncologo: siamo nell’epoca dello screening oppor-
tunistico del cancro alla prostata, questo significa che la maggior parte della popolazione arrivata a 50 anni
fa il dosaggio del PSA, quindi in genere la diagnosi è più precoce.
La prevenzione primaria consiste nell’eliminazione dei fattori di rischio. La prevenzione secondaria si riflette
nella diagnosi precoce, cioè nel riuscire a diagnosticare una patologia quando è ancora all’interno
dell’organo (es. screening).
Diagnosi
Essenzialmente si basa su:
1. Dosaggio PSA ematico (sia totale sia libero);
2. Esplorazione rettale;
3. Ecografia prostatica transrettale;
4. RMN;
5. Biopsia.
1. PSA
Il PSA (Prostate Specific Antigen) fluidifica il liquido seminale, è una glicoproteina di 237 aa con un peso mo-
lecolare di 28.5 kDa appartenente alla famiglia delle callicreine, serinproteasi che clivano peptidi vasoattivi
(chinine) da precursori inattivi (chininogeni), senza la quale il liquido seminale coagulerebbe e di conse-
guenza il soggetto non sarebbe fertile.
Intorno agli anni ‘70 si scoprì che questa glicoproteina è messa in circolo solo dalla prostata (che ricordiamo
essere un organo sessuale accessorio), e la sua quantità in un soggetto sano è stabile nelle 24h e nei giorni.
Quindi ha tutte le carte in regola per essere un ottimo marker di tumore o comunque di malattia. Essa si
trova nei liquidi biologici sia in forma libera che complessata con inibitori enzimatici (α1-antichimotripsina,
α2-macroglobulina).
È una molecola non cancro specifica ma che ci dà indicazioni sullo stato di salute e di irritazione della pro-
stata, essa è però abbastanza sensibile, in quanto se non è elevata consente di escludere con una certa si-
curezza la presenza di un tumore. Non esiste un vero e proprio range di normalità del PSA totale, il cut-off
alcuni lo settano a 2,5ng/ml altri a 4ng/ml; ma si può avere un carcinoma anche con valori di 1ng/ml, per-
ché l’1% dei tumori prostatici non produce PSA (es: carcinoma con differenziazione duttale). Quindi la valu-
tazione non viene fatta solo sulla carta, ma visitando il paziente: è inutile fare un dosaggio di PSA senza te-
nere conto di tutti gli altri fattori.
Si valutano il PSA totale ed anche i suoi surrogati. Il PSA circola nel sangue in forma legata alle proteine ed
anche in forma libera.
PSA density
È il rapporto tra PSA e volume prostatico (il peso normale della prostata è di 20g). Lo consideriamo:
Normale: <0.05
Intermedio: 0.051-0.099
Patologico: ≥0.1
La density è un criterio di inclusione nei protocolli di sorveglianza attiva, riservati ai pazienti con microfoco-
lai di carcinoma che hanno valori di PSA density inferiori a 0,20. Tuttavia, attualmente da solo non è consi-
derato affidabile.
PSA velocity
Sappiamo che il tumore della prostata può manifestarsi inizialmente con poca espressione di PSA, ma nel
tempo il paziente potrebbe avere un aumento importante. La normale crescita della prostata ipertrofica è
talmente lenta che non può mai dare un aumento dei valori del PSA maggiore di 0.75ng/ml all’anno. La PSA
velocity è forse il dato più fedele (altamente specifico e sensibile) e predittivo per presenza di carcinoma
per quanto riguarda il PSA. Vanno fatte almeno 3 misurazioni nel corso di 18/24 mesi.
2.Esplorazione rettale
È il primo approccio diagnostico ad un paziente che riferisca sintomi
attribuibili ad una patologia prostatica. Il paziente può essere messo
in varie posizioni, ma di solito si usa quella di Sims: il soggetto si
sdraia sul fianco sinistro con le ginocchia al petto; si mette il dito lu-
brificato nell’ano e si entra piano piano assecondando il rilassamento
dello sfintere. In questa posizione l’operatore ha il paziente girato di
spalle, questo significa che il polpastrello per sentire la prostata deve
indagare anteriormente sotto la sinfisi pubica, verso il pene. Si utiliz-
za questa posizione anche se non è comodissima perché è la stessa
posizione con cui si fa l’ecografia. La consistenza della prostata nor-
male è come quella di una pallina da tennis, quindi teso-elastica,
qualsiasi variazione in eccesso può essere espressione di cancro. L’IPB
aumenta la consistenza in toto della ghiandola, senza determinare
mai una sensazione di durezza della stessa, è soltanto un po’ più tesa,
mentre il tumore si presenta come un’area nodulare dura. Lievi au-
menti di consistenza, asimmetria della ghiandola oppure reperti
obiettivi negativi, rappresentano quadri sfumati. In ogni caso (sia se
l’obiettività è dubbia sia se è positiva) l’esplorazione rettale necessita
sempre di una conferma strumentale.
4. RM multiparametrica
Un quarto elemento che aiuta nella diagnosi di cancro prostatico è la presenza di un’area sospetta alla RM
multi-parametrica, questo strumento è stato preso in considerazione soprattutto negli ultimi 2-3 anni.
5. Biopsia
È l’unico esame che ci permette di fare diagnosi di certezza di presenza di carcinoma. Viene fatta quando:
• Il paziente ha incremento del PSA > 4ng/ml;
• L’esplorazione rettale è positiva;
• C’è un’area ipoecogena all’ecografia prostatica.
La biopsia può essere fatta in 2-3h ricoverando il pazien-
te, in day hospital o anche ambulatorialmente. La biopsia
prostatica non viene fatta solo su nodulo ecografico o
nodulo palpabile, ma si ha l’obbligo di mappare tutta la
ghiandola. Secondo le linee guida nazionali, vanno fatti
almeno 8 prelievi: 2 all’apice di destra, 2 a metà della
ghiandola di destra, 2 alla base della ghiandola di destra,
stessa cosa per le corrispettive zone dell’emighiandola
sinistra, includendo l’area ipoecogena (sempre che sia vi-
sibile e non sia una biopsia fatta per elevatissimo rischio). Il primo set bioptico del paziente, secondo linee
guida, non deve includere la zona di transizione, a meno che non ci sia un nodulo ben visibile: si fanno pre-
lievi solo sulla ZP. Lo standard di Ancona è quello di 12 prelievi (2 biopsie per area, compresa la zona di
transizione o centrale, difatti una piccola quota di cancri, circa il 25% può insorgere anche in quest’area, an-
che se di solito sono cancri che hanno crescita lenta e meno aggressiva). Il tumore prostatico richiede tutte
queste biopsie perché è, per definizione, multifocale; equivale a dire che se ho un paziente con una lesione
visibile e sospetta in una zona, essa può essere un campanello di allarme per la presenza nella ghiandola di
altri microfocolai che non riesco a vedere macroscopicamente: è raro trovare un paziente che ha solo una
zona di tumore.
Inoltre la mappa della distribuzione del cancro è essenziale poiché poi dovrò fare chirurgia, ma perché?
Perché posterolateralmente e verso l’apice della prostata passano i nervi erigendi, se la patologia si trova in
queste zone, non si farà una chirurgia di nerve-sparing perché c’è il rischio che il tumore in quella sede
permanga e, quindi, che recidivi dopo l’operazione. Il chirurgo deve essere a conoscenza di queste informa-
zioni preventivamente, perché sono malattie molto piccole non visibili né tangibili durante l’operazione.
Anche nel caso in cui il trattamento del paziente non fosse chirurgico, ma fosse la radioterapia, la mappatu-
ra servirebbe lo stesso, infatti potrebbe permettere un RT mirata: si posiziona il paziente sul lettino come se
volessi fare una biopsia, ma al posto dell’ago si mette un “semino d’oro” dentro alla zona dove si ha il can-
cro. La RT mirata è più efficace ed ha meno effetti collaterali. Ecco quindi il senso della mappatura della
prostata nonostante i numerosi elementi a sfavore, che sono: aumentato fastidio per il paziente (anche se
viene fatta in anestesia locale), aumentato rischio emorragico, sia dal retto che dall’uretra, e aumentato
rischio infettivo.
Autori: Pietro Guacci, Eva Vitali per Medicina08 Pag. 6 a 14
Urologia URO06 – Carcinoma prostatico
La biopsia può essere fatta o per via transrettale o per via transperineale.
La tecnica transrettale viene eseguita applicando apposite guide alla sonda ecografica, quindi l’esecuzione è
la stessa dell’ecografia transrettale.
Quando si fa la biopsia per via transperineale invece si fa assumere al paziente la posizione supina con
gambe flesse e ginocchia flesse, detta posizione ginecologica1, o posizione litotomica (perché un urologo la
descrisse per primo per togliere i calcoli dell’uretra), con sonda ecografica transrettale, perché la biopsia
viene sempre fatta ecoguidata, però l’ago non passa nel retto ma passa attraverso il rafe mediano, tra i te-
sticoli, sotto l’uretra. Tale tecnica serve per evitare il rischio di perforare il retto (infezione), o in chi non
vuole sottoporsi alla transrettale. L’ago viene messo all’angolo tra la vescicola seminale e la prostata, lì c’è
la membrana di Denonvillier dove passa il fascio neurovascolare, quindi infiltrando la lidocaina in questo
punto il paziente sarà anestetizzato, non proverà dolore ma al massimo la sensazione di pressione quando
l’ago entra (questa procedura non è necessaria in caso di approccio transrettale).
L’ago per fare biopsia si chiama TRU-CUT, è composto da un mandrino con un avvallamento nella sua parte
distale e da una camicia esterna. È montato su apposita ‘pistola’ che induce un rapido movimento in avanti
prima del mandrino, e poi della camicia tranciante, che seziona il tessuto appoggiato all’avvallamento, ot-
tenendo in tal modo delle carote di tessuto prostatico che verranno spalmate su una spugnetta.
Per fare una biopsia ci vuole un minuto e mezzo, però bisogna avere delle accortezze: il paziente non deve
prendere anticoagulanti (bisogna quindi indagare prima eventuali patologie della coagulazione); bisogna
fare un microclisma per la pulizia del retto così da ridurre la carica microbica; è necessario iniziare una pro-
filassi antibiotica il giorno prima o la mattina stessa con un fluorochinolonico; il paziente prima di andare a
casa deve urinare per vedere se ci riesce (nei pazienti con prostata grande, siccome la biopsia è un fattore
irritante, si può ingrossare la ghiandola tanto da dover mettere un catetere).
A casa il paziente può accorgersi della presenza di sangue nelle urine, una macroematuria prostatica transi-
toria (una volta sì e l’altra no). La macroematuria prostatica nella prova dei tre bicchieri è iniziale, ciò signi-
fica che poi il flusso urinario la lava via. Altre complicanze che il paziente può avere sono: sangue nelle feci,
1
Prima non si partoriva in questa posizione. Il parto in posizione ginecologica o litotomica è un’acquisizione degli ulti-
mi 70 anni, da quando il parto si fa in ospedale per limitare i rischi del feto e della mamma. Ma in realtà crea anche
tanti problemi: il modo di spingere della donna, durante il parto, aumenta il rischio di prolasso ed incontinenza urina-
ria.
Autori: Pietro Guacci, Eva Vitali per Medicina08 Pag. 7 a 14
Urologia URO06 – Carcinoma prostatico
febbre, emospermia, infezioni prostatiche e lesioni del retto (le ultime due solo in caso di un approccio per
via transrettale).
Grading
Il frustolo bioptico è sottile 0,5 mm e lungo 1,5-2 cm. Questo è il di-
segno di Gleason per spiegare le alterazioni cito-architetturali e i pat-
tern istologici del tumore alla prostata in accordo con il grado di dif-
ferenziazione ghiandolare.
Grado 1: si riconosce ancora la disposizione in acini dell’epitelio pro-
statico, le cellule sono di forma regolare, rotonde od ovali, separate
da uno stroma sottilissimo. Gli elementi cellulari sono disposti a bloc-
chi ben determinati.
Grado 5: completa disorganizzazione cito-architetturale: le cellule
sono fusate, riunite in aggregati nastriformi o laminari oppure isolate
con marcata infiltrazione dello stroma, non si riconoscono più né
acini, né tubuli. La produzione di parenchima ghiandolare è ridotta al
minimo.
Il tumore T1 è un reperto incidentale, cioè quello che si rileva nella zona di transizione dopo aver eseguito
una TURP (Transurethral resection of the prostate) cioè la resezione per disostruire un paziente affetto da
un’IPB che urina male e non risponde ai farmaci.
Digressione sul trattamento dell’IPB. I farmaci usati per trattare l’IPB sono gli inibitori della 5-alfa reduttasi
e gli alfa-antagonisti.
Tra gli effetti collaterali degli alfa-antagonisti abbiamo l’ipotensione e l’eiaculazione retrograda, infatti af-
finché lo sperma progredisca in maniera anterograda è necessario che il collo vescicale sia chiuso perché il
collicolo seminale (verumontanum) è molto più vicino alla vescica rispetto al meato urinario. Siccome la
tamsulosina mantiene ampio il collo per fare urinare bene il soggetto, l’8% dei pazienti che la prendono
hanno eiaculazione retrograda (“Che non è un metodo contraccettivo” cit.).
L’effetto collaterale della finasteride invece è la riduzione della libido, nonostante essa non alteri i livelli di
testosterone (perché viene ad essere bloccata la 5α-reduttasi, che è un’aromatasi intracellulare che serve
alla trasformazione del testosterone in diidrotestosterone) di fatto altera la capicità di erezione del pazien-
te. L’obiettivo clinico della finasteride/dutasteride è quello di ridurre il volume della prostata o di arginarne
la crescita (La prostata nel maschio cresce fino a quando vi è testosterone, che cala in maniera importante
solo dopo i 75 anni). Questo è importante perché se io vedo un paziente con 150 g di prostata a 70 anni con
sintomi sempre più severi, devo essere consapevole che per altri 5 anni quella prostata continuerà a cresce-
re e quindi devo fare un trattamento abbastanza importante come ad esempio un intervento chirurgico.
L’intervento chirurgico disostruttivo che si esegue in caso di una prostata così grande non può essere la
TURP, infatti va tenuto conto che essa ha un limite dimensionale di circa 70-100g, oltre ai quali l’operazione
ha una durata eccessiva perché lo strumento quasi non ci arriva, e si finirebbe per esporre il paziente a ef-
fetti collaterali troppo importanti. Infatti il paziente che viene sottoposto a TURP viene irrigato continua-
mente con una soluzione ipertonica, che se superiamo l’ora di resezione, va in circolo e può causare la sin-
drome TURR: una disidratazione importante dei tessuti, perché una sostanza ipertonica nel sangue richia-
ma liquido dalle cellule (situazione molto pericolosa soprattutto per il cervello), ed il paziente rischia la
morte previa sintomatologia soporifera. Ecco perché è bene non eccedere 1h-1h30 di intervento.
L’alternativa potrebbe essere quella di fare una cistotomia mediana della vescica (si fa un’incisione ombeli-
co-pubica, si incide la vescica medialmente, si mette un divaricatore apposito e per via transvescicale si
enuclea la porzione di prostata che protrude in vescica e si asporta. È lo stesso risultato della TURP, ma si fa
Autori: Pietro Guacci, Eva Vitali per Medicina08 Pag. 8 a 14
Urologia URO06 – Carcinoma prostatico
TNM
T1: TUMORE CLINICAMENTE NON PALPABILE E NON VISIBILE
T1a: carcinoma incidentale riscontrato in occasione di una resezione transuretrale con il 5% o meno
di tessuto neoplastico;
T1b: carcinoma incidentale riscontrato in occasione di una resezione transuretrale con più del 5% di
tessuto neoplastico;
T1c: riscontro tumorale in occasione di una biopsia (per esempio a causa di un elevato PSA).
[ndr: L’assistente proietta la slide del T1 ma viene interrotto dall’arrivo del prof. Galosi che poi riprenderà
lo staging in un secondo momento]
Quindi quando viene determinato il PSA andrebbe valutato anche il testosterone per valutare la presenza di
una testosteronemia normale o anormale, soprattutto durante lo studio di soggetti con probabili deficit di
androgeni.
Autori: Pietro Guacci, Eva Vitali per Medicina08 Pag. 9 a 14
Urologia URO06 – Carcinoma prostatico
Specifiche sulla RM
Avete visto poco fa l’esplorazione rettale (EDR), l’ecografia trans-rettale e, a completare l’imaging: la riso-
nanza magnetica. Quest’ultima oggi sta diventando un esame sempre più di 1° livello.
Non è però ben chiaro il timing per l’utilizzo di tale metodica, in quanto è particolarmente costosa e non
sempre disponibile. Inoltre, va deciso in quale tipologia di soggetto farla: i pazienti candidati sono in parti-
colare quelli con una buona aspettativa di vita ed un cancro verosimilmente localizzato. Infatti, nelle forme
avanzate di neoplasia, quando c’è necessità di fare diagnosi in tempi brevi e instaurare una terapia (spesso
sistemica) la RM non serve a nulla. Invece nelle forme iniziali la diagnosi può essere facilitata dalla risonan-
za, poiché alcuni foci possono sfuggire all’esplorazione rettale (assenza di nodularietà) o all’ecografia. La
RM valuta vari parametri (è multiparametrica), difatti utilizza anche la diffusione (proprietà del tessuto): in-
dice della capacità di movimento delle molecole d’acqua (più un tessuto è solido, più è alto il segnale alla
diffusione). Inoltre, si può anche somministrare il mdc, che fornisce qualche dato in più. Inoltre, per conclu-
dere il quadro, la RM ci dà anche informazioni sullo scavo pelvico (linfonodi, infiltrazione delle vescicole
seminali, infiltrazione della capsula…).
TNM (ripresa)
• Un T1 è un tumore clinicamente non palpabile ma visibile solo all’esame istologico. Abbiamo
un’imaging completamente negativo (anche la RM non vede nulla). Viene suddiviso in T1a, b e c
(vedi sopra);
• Nel T2 abbiamo un tumore limitato alla prostata, valutabile clinicamente, ma di cui non riusciamo
ad ottenere informazioni sulla capsula (nella quale potrebbe esserci un’iniziale infiltrazione). Esso è
divisibile in:
o T2a, con interessamento di un singolo lobulo,
o T2b, dove vengono interessati tutti e due.
• Il T3 va in diagnosi differenziale con il T4, ed è una forma che:
o infiltra la capsula, perforandola monolateralmente o bilateralmente (T3a),
o invade la vescicola seminale dall’esterno (T3b). Esiste infatti anche un’invasione delle vesci-
cole seminali dall’interno, per via endocanalicolare, frequente nel carcinoma duttale.
• Il T4 è un tumore che infiltra retto o vescica in maniera macroscopica (in questi casi sarebbe prefe-
ribile non operare, se possibile). [ndr: in contraddizione con quanto riportato nella slide:
“l’invasione del tumore interessa altre strutture vicine (fatta eccezione per le vescicole seminali, il
collo vescicale, sfintere uretrale esterno, retto, muscoli elevatori dell’ano e/o parete del bacino)].
Altro motivo per fare linfadenectomia: presenza di linfonodi, all’imaging, che superano 10 mm di diametro
trasversale. Attualmente, le tecniche di imaging sono decisamente poco sensibili, e il gold standard per lo
studio dei linfonodi pelvici è la linfadenectomia. Infatti, nella casistica delle linfadenectomie, circa il 25% dei
pazienti ha un N1, con una media di 2 metastasi linfonodali (possono essere da 1 a 4), la dimensione delle
quali risulta spesso essere < 5mm (troppo piccole per poter essere viste all’imaging). I linfonodi al di sopra
dell’incrocio dell’iliaca comune con gli ureteri, se positivi, sono da considerare metastasi (M1a).
Metastasi
• Mx: le metastasi periferiche non possono essere documentate;
• M0: nessuna metastasi periferica;
• M1a: linfonodi non regionali. (iliaci comuni, paraortici, cavali…);
• M1b: metastasi scheletriche;
• M1c: metastasi periferiche di localizzazione diversa.
Mezzi di stadiazione
I mezzi di stadiazione ad oggi utilizzati sono:
Approccio terapeutico-prognostico
Come si distingue quale cancro può dare metastasi e quale no? Qui l’anatomia patologica ci dà un aiuto im-
portante attraverso la classificazione in prognostic groups.
I prognostic groups numero 1 e 2 hanno un potenziale metastatico bassissimo. Questi sono soggetti candi-
dati o ad un trattamento locale o ad una sorveglianza attiva, e non c’è nemmeno la necessità di usare una
stadiazione sistemica. La terapia si basa su prostatectomia o radioterapia della loggia prostatica, che è più
selettiva, e non si è costretti ad abbinare l’ormonoterapia.
Al contrario, nei prognostic groups 4 e 5, si deve fare una stadiazione sistemica perché aumentano i rischi di
invasione linfonodale e di metastasi.
La scintigrafia, oggi superata da altre metodiche, potrebbe dare dei falsi positivi
da lesioni traumatiche, Paget, artrosi, con cui va in diagnosi differenziale. Tutta-
via, la scintigrafia ossea fornisce un quadro generale del soggetto, che può esse-
re considerato anche basale. Il carcinoma prostatico si localizza più frequente-
mente nelle vertebre, nelle coste, nel bacino, ma anche nelle teste femorali. Alla
scintigrafia osserviamo le metastasi ossee come lesioni osteoblastiche, anche se
talvolta possono presentarsi come osteolitiche, e le iperfissazioni non sono pato-
gnomoniche. Le metastasi vertebrali e quelle femorali ci interessano maggior-
mente perché sono ossa in cui vi è carico e si potrebbero formare delle fratture
patologiche. Nei soggetti con questo tipo di metastasi ad oggi la terapia di ele-
zione consiste nella combinazione di terapia ormonale (deprivazione androgeni-
ca) e chemioterapia.
Se necessario, in caso di aree di iperfissazione, si possono fare anche radiografie
mirate del segmento osseo con stratigrafia, ma la metodica migliore è la TC con
finestra ossea.
Può essere omessa la scintigrafia nei casi a basso rischio di metastasi (es. PSA,
indice di massa metastatica inferiore a 10ng/ml) o in caso di assenza di sintoma-
tologia algica scheletrica.
Opzioni terapeutiche
• La prostatectomia è una delle terapie più frequenti. Questa tecnica presuppone l’asportazione della
ghiandola prostatica e delle vescichette seminali con successiva anastomosi vescicouretrale e linfa-
denectomia pelvica per la valutazione dello stato linfonodale.
Il PSA, in teoria, dovrebbe diventare 0 dopo radioterapia o prostatectomia, e a questo punto è a tutti gli ef-
fetti un marcatore tumorale (mentre prima era marcatore d’organo). Il PSA libero è una quota del PSA che
serve a facilitare la diagnosi di tumore, cioè più è basso il PSA libero più è alta la possibilità di tumore, ed è
diagnostico; in un soggetto con diagnosi nota di tumore, è inutile. Nel soggetto trattato quindi, il monito-
raggio si fa solo dosando il PSA totale, abbinato al testosterone in alcuni casi, ad esempio nei soggetti che
fanno terapia ormonale.
Le ultime tre terapie ormonali che abbiamo citato sono molto costose, almeno 2000-3000 euro al mese!
Tutti questi farmaci vengono prescritti dallo specialista, ma il medico di medicina generale deve sapere co-
me gestire questa terapia. Il piano terapeutico ha, per legge, durata annuale, ma non vuol dire che dopo un
anno il paziente sia guarito. In un pz operato o trattato con radioterapia per tumore prostatico, si valuta il
PSA in genere ogni 3 mesi, ma tale tempistica varia in base alle caratteristiche del paziente e alla sua aspet-
tativa di vita (potrebbe essere valutato anche ogni 6 mesi). Dopo terapia, la comparsa di dolori ossei e frat-
ture patologiche è indicativa di metastasi.
Bisogna ricordarsi che ci sono anche dei casi di malattia “castration resistent”, sia metastatica che non. Si
tratta di soggetti operati, che hanno fatto radioterapia in cui a distanza di anni si verifica un aumento del
PSA. A quel punto facciamo tutti gli esami, come TC e scintigrafia ma non troviamo nulla; lo step successivo
sarà osservare la crescita del PSA: più è rapida più dobbiamo aspettarci delle metastasi, più è lenta meno è
probabile. Inoltre, dobbiamo prescrivere al paziente la terapia ormonale più adeguata; tuttavia spesso dopo
un certo intervallo di tempo il PSA ricomincia a salire, mentre il testosterone rimane azzerato: è una forma
castration resistent che determina morte del soggetto.
La scelta della terapia nella malattia primaria e nella recidiva di malattia è in genere discussa in un team
multidisciplinare dove abbiamo delle figure principali che sono l’oncologo, il radioterapista e l’urologo. A
queste si affiancano delle figure on-demand (cioè partecipano al team su richiesta): radiologo, medico nu-
cleare, patologo.
Quando si lavora in un team ci sono 3 regole da seguire:
1) Avere ben in mente lo stadio della malattia e i fattori prognostici relativi al paziente;
2) Valutare sempre lo stato del paziente, includendo l’aspettativa di vita e la sua qualità di vita;
3) Le decisioni diagnostiche o terapeutiche vengono prese solo quando hanno un peso tale da cam-
biare la terapia o la gestione del paziente, altrimenti si tratta solo di una perdita di soldi e di una ri-
duzione della qualità della vita del paziente.
Si utilizzano criteri personalizzati basati sull’evidenza non trascurando mai i nuovi sviluppi offerti dalla ricer-
ca!
Lezione te-
Lezione prof.Galosi
nuta da
Eventuali rife-
Slide proiettate a lezione (indicare quali)
rimenti
TUMORE RENALE
Nella pratica quotidiana si possono trovare delle lesioni espansive che coinvolgono il rene. Ci sono due
questioni da considerare di fronte ad un espanso renale: l’origine e la suddivisione in solido, cistico e solido-
cistico.
Origine: si può trattare di una lesione renale primitiva oppure di una lesione che coinvolge il rene, ossia
possono originare direttamente dal rene oppure arrivano al rene da neoplasie di altri organi. Un esempio è
l’espanso del pancreas oppure una lesione surrenalica, colica, duodenale che raggiunge il rene.
Suddivisione in solido, cistico e solido-cistico: si basa sull’ecografia addominale che è il primo esame ad
essere eseguito. Le lesioni cistiche appaiono anecogene, il liquido è infatti visibile all’ecografia come privo
di echi. Le lesioni solide contengono parenchima solido e all’imaging ecografico sono ipoecogene. Poi
possiamo avere le lesioni miste che hanno un contenuto solido-cistico. Questa distinzione è molto importante
perchè se il contenuto è prevalentemente cistico indichiamo un’indagine che è più approfondita per studiare
questa lesione, ossia la RM con mezzo di contrasto. Se la lesione è completamente solida si esegue la TC,
sempre con mezzo di contrasto. Dunque dopo l’ecografia si procede con la risonanza magnetica o la TC.
L’espanso renale è legato ad un imaging che si avvale dell’ecografia, RM, TC. Si identifica principalmente
tramite ecografia, ma anche in maniera casuale con altre indagini. L’ecografia dell’addome può essere
eseguita per un sospetto di tumore renale davanti a particolari segni e sintomi.
Segni
• massa palpabile all’esame obiettivo;
• febbricola o febbre regolare;
• ematuria: è a poussè, non costante. In genere è color coca cola, ma la colorazione è variabile in relazione
all’intensità del sanguinamento. Il colore può essere rosso vivo se il sanguinamento è vigoroso. Al
contrario, se è lento le urine sono scure, color coca-cola, perchè c’è emolisi e l’emoglobina viene ossidata;
• colica renale: è anche un sintomo ed è determinata da un coagulo ematico che simula un calcolo nella via
urinaria. La colica renale ed l’ematuria sono associate e, in particolare, l’ematuria è precedente alla colica
Sintomi
I tumori renali possono non dare sintomi nelle fasi iniziali, specialmente se sono solo espansivi e non
infiltrano organi, portando così alla formazione di masse anche molto grandi. Non c’è quindi una
correlazione fissa tra i sintomi e il diametro della lesione renale.
si percepisce dolore e senso di peso sul fianco. Il dolore si ha nei pazienti che hanno espansi di 8-10 cm
dove si vede la capsula in tensione e il tessuto adiposo infiltrato, altrimenti non viene avvertito questo
senso di peso e dolore.
• corpi vertebrali, da cui escono radici nervose e posti dietro la vena cava inferiore. Possono essere sede di
infiltrazione da parte della neoplasia non tanto del rene quanto dei linfonodi metastatici retroperitoneali
paravertebrali. Questi iniziano ad intaccare le radici attraverso un meccanismo neurotropo, lungo le guaine
nervose: le cellule tumorali crescono andando a colpire le radici che emergono dalla colonna dorso-
lombare. In fasi più avanzate si presenta quindi dolore da infiltrazione vertebrale;
N.B: Nei soggetti più magri c’è meno tessuto adiposo e più vicinanza tra i tessuti, quindi a parità di processo
espansivo hanno probabilità più alta d’avere infiltrazione. Questo però non vuol dire che debbano essere
trattati in modo diverso.
Vengono identificate due tipologie di tumori renali: quelli che originano dal parenchima e quelli dell’alta
via escretrice, mentre sono ritenuti rari quelli dei tessuti molli. Nella pratica clinica non sappiamo se il
tumore è parenchimale o delle vie escretrici, però è importante differenziarli perchè sono malattie
completamente diverse a cui bisogna approcciarsi in modo diverso.
Tumore parenchimale
• lesione con diametro inferiore o uguale a 4cm: chirurgia conservativa
• lesione compresa tra 4-7 cm: chirurgia conservativa
• lesione > 7 cm: chirurgia totale
L’espanso renale è sempre inviato al chirurgo, che però toglie il rene. Lo scopo sia dell’urologo sia del
nefrologo invece non è togliere il rene, ma risparmiarlo per evitare problematiche di insufficienza renale.
Sono stati fatti perciò degli studi che hanno modificato l’atteggiamento chirurgico portando ad una chirurgia
conservativa nelle lesioni inferiori a 4 cm e successivamente anche a quelle comprese tra 4-7 cm: si può fare
chirurgia conservativa fino a quando è tecnicamente fattibile.
La fattibilità tecnica di un intervento viene stabilita dal tecnico che lo esegue, ma chi stabilisce l’affidabilità
e l’abilità del chirurgo? Il tasso di operazioni. Il tecnico però potrebbe eseguire molti interventi chirurgici e
togliere sempre tutto il rene. In Italia infatti c’è una grande variabilità di gestione del tumore renale, anche se
nei centri che fanno più di 20-25 casi all’anno c’è già un tasso consistente di qualità. Per questo il Ministero
della Salute ha identificato un sistema di monitoraggio dei centri ospedalieri, dei singoli reparti e dei
chirurghi. Tale sistema è una garanzia e permette di monitorare la percentuale delle nefrectomie parziali nei
centri di chirurgia renale: possiamo avere un 98% in base al chirurgo, a seconda del centro un 90% di
chirurgia conservativa con lesioni inferiori a 4 cm. Queste percentuali indicano che è quasi sicuro mantenere
il rene e per le lesioni di piccole dimensioni stanno aumentando, a parità di controllo oncologico della
malattia.
I tumori uroteliali hanno un tasso di frequenza di 1:10 rispetto a quelli del parenchima, sono più rari, ma i
sintomi sono spesso tardivi, la prognosi è pessima e presentano difficoltà nella diagnosi iniziale. C’è quasi una
similitudine tra questo tipo di tumore e quelli delle vie biliari, legata al processo diagnostico e alla gestione:
entrambi sono difficili da diagnosticare e vengono trattati in fase tardiva.
Domanda di uno studente: di fronte ad una lesione che forma una massa nel parenchima renale, ad esempio
nel polo inferiore del rene, senza biopsia come faccio a stabilire se è un tumore parenchimale in cui fare un
approccio conservativo o uroteliale esteso al parenchima da trattare con nefroureterectomia?
La lesione deve essere comunque considerata come espansiva, solida e che coinvolge il polo inferiore del rene.
Questa è di pertinenza specialistica: alla fine è il chirurgo che opera che deve decidere qual è o vedere se ci
sono degli elementi sospetti, però è più di orientamento specialistico. In generale la TC fornisce delle diffe-
renze tra una lesione del parenchima rispetto ad una lesione uroteliale:
• TC del tumore della via escretrice: la pseudocapsula è assente, non è visibile una demarcazione
radiologicamente e si ha una crescita infiltrativa verso il parenchima. La via urinaria presenta degli aspetti
di infiltrazione oppure manca l’immagine della via perché è occupata dalla lesione. Ritornando ai segni
clinici, l’ematuria può essere assente.
Citologia urinaria: L’ esame citologico delle urine viene richiesto per pazienti con storia di tumore vescicale
o nella diagnosi differenziale tra lesione primitiva del rene e uroteliale. Nelle forme ad alto grado si verifica
l’esfoliazione delle cellule neoplastiche che vanno nel torrente urinario e possono essere rilevate dal patologo
attraverso l’esame del sedimento urinario, ripetuto per tre volte consecutive. L’ esame citologico delle urine è
positivo nel caso in cui vengano identificate cellule tumorali, ma la negatività non esclude il tumore. Possono
essere presi campioni di citologia anche nei soggetti che subiscono endoscopia: durante pielografia ascendente
si esegue un lavaggio del liquido, si prelevano in maniera selettiva le urine del rene evitando così la biopsia.
Limiti della TC/RM: La TC è migliore della risonanza magnetica perché mostra proprio la fase urinaria,
mentre la risonanza magnetica meno ed è anche meno interpretabile. E’ importante sapere che la sensibilità e
la specificità sono proporzionali alla dimensione della lesione: il limite diagnostico per la TC è rappresentato
dalle lesioni con diametro inferiore ad 1 cm. Tale aspetto è fondamentale perché se il paziente ha un’ematuria
di cui non si conosce la causa e la TC è negativa, potrebbe avere una lesione di questo tipo. A distanza di
tempo la TC sarà ripetuta per vedere se l’eventuale lesione è cresciuta, diventando così visibile. Tuttavia, se
continua ad essere negativa si rinforza l’idea che il paziente possa non avere problemi: non si può comunque
definire totalmente negativo, ma negativo per lesioni di grandi dimensioni e pericolose.
Pielografia ascendente o retrograda: Il mezzo di contrasto viene iniettato a livello dell’orifizio ureterale e
per l’esecuzione di questa procedura ci si avvale della cistoscopia, che quindi può essere abbinata alla
Invece l’urografia o pielografia endovenosa, usata per studiare le alte vie urinarie,
è stata quasi del tutto abolita e sostituita dall’uro-TC. Si tratta di una TC che può
essere definita tardiva perchè il mezzo di contrasto deve essere eliminato dalla via
urinaria. Il mezzo di contrasto appare bianco e il punto in cui è presente la lesione
appare ipodenso perchè si verifica un difetto di riempimento.
Domanda di uno studente: nei tumori del rene l’iter diagnostico comprende solo la TC? Sì, se non sono
presenti metastasi. In caso di metastasi, quali polmonari oppure ossee, l’iter diagnostico non si ferma al tumore
ma indagherà anche M.
Grading
• grado 1: neoplasia uroteliale papillare a basso grado di malignità. Questa classificazione è stata dettata in
parte da fini assicurativi perchè, una volta fatta la diagnosi di lesione tumorale della vescica o delle alte vie
urinarie e classificata come tale, le assicurazioni private aumentavano il costo di gestione. Le lesioni che
rientrano in questa classificazione non hanno potenziale metastatico, ma possono recidivare e questo è va-
lido sia per il tumore della vescica sia per quello delle vie urinarie;
• grado 2: carcinoma di basso grado. Ha una scarsa capacità di esfoliare verso l’urina e quindi la citologia
può essere negativa;
• grado 3: carcinoma di alto grado
Staging TNM
Il tumore uroteliale dei calici renali va subito ad infiltrare il parenchima renale: se ho un alto grado T3 la
probabilità di avere metastasi e una prognosi sfavorevole è molto alta perchè il rene è molto vascolarizzato e
ha un drenaggio linfatico ricco. Nell’uretere invece questi tumori al massimo infiltrano il tessuto adiposo pe-
riureterale e non il rene, mentre l’invasione degli organi limitrofi resta possibile.
La linfoadenectomia ha impatto sulla prognosi del paziente e si riesce a ridurre la mortalità di cancro uroteliale
eseguendo la linfadenectomia. A supporto del ruolo curativo della linfoadenectomia abbiamo tre
osservazioni:
1. se c’è una micro-metastatizzazione linfonodale il paziente può essere guarito da questo tipo di
colonizzazione neoplastica in fase iniziale;
2. i pazienti che hanno subito linfadenectomia anche con linfonodi negativi vivono di più rispetto a coloro
che non l’hanno fatta. Si potrebbe trattare di microscopiche lesioni linfonodali non viste all’esame
istopatologico ed eradicate con una semplice linfadenectomia;
3. Si possono fare terapie adiuvanti o complementari dopo l’intervento chirurgico se il paziente ha metastasi
linfonodali identificate istologicamente. La linfadenectomia consente l’accesso del paziente a dei
trattamenti chemioterapici successivi, quindi si inviano precocemente i pazienti alla chemioterapia. Se non
si esegue la linfadenectomia, si deve aspettare che i linfonodi aumentino di dimensioni o che compaiano
metastasi e in seguito si inizia il trattamento. Il problema è che potrebbe essere tardi.
E’ importante considerare:
• la funzione renale
• le comorbidità
• il rischio chirurgico attraverso il sistema di classificazione chiamato ASA-score, cioè un punteggio che ci
indica il rischio di mortalità per complicanze intra ed extraoperatorie. La chirurgica è fattibile fino ad un
ASA-score pari a 3.
La chirurgia consiste nella nefroureterectomia e si abbina a linfadenectomia regionale alla sede della
lesione, in particolare nei tumori ad alto grado. L’ureterectomia segmentale è eseguibile per i tumori
dell’uretere pelvico di basso grado. La nefroureterectomia è indicata per i tumori:
• multifocali
• di alto grado
Prognosi
Nelle forme T1-T2 la sopravvivenza a 5 anni si aggira attorno al 60-100% e scende al 10-50% nei tumori in
stadio T3-T4. In pazienti che hanno metastasi linfonodali e sistemiche la sopravvivenza è del 10% in 5 anni:
sono tumori molto aggressivi, peggiori del tumore vescicale, e necessitano di chemioterapia. Nelle forme T1-
T2, in cui posso fare chirurgia conservativa, ci si espone al rischio di non fare terapia a tali soggetti e di
sottostadiarli. La chirurgia conservativa nel tumore della via escretrice deve essere attentamente valutata in
centri esperti e con approccio multidisciplinare perchè c’è il rischio di sottotrattare una malattia.
Il SEER è un database americano che ha esaminato circa 10.000 nefroureterectomie, valutate poi con dati
statistici di mortalità:
• mortalità per cancro: 18%
• morte per tumore della vescica pregresso o successivo: 31%. Il tumore della via urinaria non va solo
inquadrato come una neoplasia, ma anche come una lesione sincrona o metacrona delle vie urinarie. Può
essere una malattia sincrona se si presenta assieme al tumore vescicale oppure metacrona nel caso in cui
prima si abbia il tumore delle alte vie escretrici e in seguito quello vescicale (e viceversa);
• altre cause di mortalità: 9%. Non è un valore basso, attraverso l’intervento di nefroureterectomia si
potrebbe indurre insufficienza renale con conseguente riduzione dell’outcome del paziente;
• la mortalità aumenta in ogni caso con l’avanzare dell’età
La seguente immagine mostra un campione chirurgico di una donna operata di nefroureterectomia bilaterale e
cistectomia per un tumore della via escretrice nel rene destro che dava ematuria. La paziente aveva avuto
multiple recidive superficiali della vescica, subito resezioni vescicali ed era già in dialisi. Nonostante il basso
grado del tumore vescicale e la possibilità di conservare la vescica, è stata eseguita la cistectomia perchè c’era
ematuria recidivante. Alla fine è stato identificato tumore T2 dell’alta via escretrice non infiltrante. Dato che
non era possibile fare un’osservazione di quello che rimaneva, il chirurgo ha optato per la nefroureterectomia
per evitare il rischio di future recidive in vescica o di sviluppo di un nuovo tumore nel rene sinistro. Questo è
un caso limite in cui l’asportazione delle vie urinare è necessaria: non è un intervento comune perchè può dare
dei rischi, specialmente se il paziente è in dialisi.
• tecnica open
• tecnica laparoscopica
• transaddominale
• tecniche retroperitoneali
A volte ci sono opinioni divergenti sull’approccio da eseguire: l’importante in realtà è il risultato, l’approccio
è un problema del chirurgo. Si può effettuare un intervento mini invasivo, ma deve essere evidente l’outcome
oncologico. Oggi è più facile proporre al soggetto un intervento transcutaneo meno invasivo, come infatti si
nota dall’aumento della richiesta di tecniche meno invasive, tuttavia i vantaggi di queste tecniche non sono
ancora bene codificate. Quello che ci interessa quindi è l’outcome, cioè se si fa o meno la linfadenectomia e
quanti linfonodi vengono asportati.
IDRONEFROSI
La diagnosi di stato di idronefrosi è ecografica, quella eziologica ha bisogno di una TC o RMN. Anche una
calcolosi banale che però sta a metà dell’uretere, zona ecograficamente difficile da esplorare, necessita di
una TC.
Gradi di idronefrosi
I gradi di idronefrosi sono molto relativi: un’idronefrosi di primo grado associata a sintomi spaventa tanto
quanto un’idronefrosi di grado 4 asintomatica. Di solito l'idronefrosi di grado importante non è associata a
sintomi perchè è inveterata. I gradi dal punto di vista classificativo dipendono dal coinvolgimento
dell’uretere e dall’assottigliamento del parenchima renale.
Cause di idronefrosi
Cause intrinseche:
• ostruzione litiasica;
• coagulo di origine tumorale o non tumorale
Cause estrinseche:
• cause vascolari, come le anomalie vascolari che comprimono ab-estrinseco l’uretere. Ad esempio un
aneurisma dell’aorta addominale determina idronefrosi del rene sinistro. Un altro caso è un vaso polare
anomalo del rene che si stacca direttamente al di sotto dell’arteria renale dall’aorta, va al polo inferiore a
dare vascolarizzazione e crea compressione sull’uretere;
• cause retroperitoneali come masse ovariche e uterine che comprimo dall’esterno l’uretere
Esistono poi anche le cause congenite che sono tutte intrinseche e sono dovute ad anomalie dello sviluppo
della via urinaria: la stenosi del giunto pielo ureterale e il reflusso vescico-ureterale. La prima è la più
frequente, in genere necessitano di intervento chirurgico e solo a volte si risolvono autonomamente.
Stenosi del giunto pielo ureterale: E’ determinata da immaturità nello sviluppo della struttura muscolare
tra giunto ed uretere, molto spesso visibile anche in vita intrauterina e causa l’ostruzione fibrotica di questo
passaggio. L’urina non ha un flusso adeguato e si accumulerà nel rene. Viene trattata nei primi mesi di vita se
crea ostruzione importante. La valutiamo con ecografia intrauterina nel rene del feto, si aspetta la nascita e si
fanno ecografie ripetute ogni mese. Se non c’è maturazione e aumenta l’idronefrosi, si fa la plastica del giunto
pielo ureterale. Con questa procedura viene asportato il tratto stenotico dell’uretere per anastomizzare il tratto
sottostante dell’uretere all’ampolla renale. Spesso questa malattia è latente e si manifesta in età adulta
palesemente. In questo caso si fanno esami radiologici che in età pediatrica non si fanno, ad eccezione della
scintigrafia usata per vedere se la funzionalità del rene è inferiore rispetto al controlaterale. In età adulta si usa
fare l’uro-TC che mostra il ritardo di svuotamento del bacinetto renale del giunto pielo ureterale anomalo.
Reflusso vescico-ureterale: E’ tipico delle bambine tra i 6-7 anni. L’impianto dell’uretere in vescica prevede
la presenza nell’ultimo tratto dell’uretere di fibre circonferenziali che formano il muscolo del Waldeyer. Si
tratta di una sorta di sfintere che impedisce risalita di urina verso l’uretere durante il riempimento passivo della
vescica o durante l’atto minzionale. L’ immaturità del muscolo del Waldeyer porta a risalita di urina durante
la minzione o riempimento passivo della vescica. Il reflusso passivo avviene durante la fase di riempimento
della vescica, quindi a bassa pressione, ed è più grave. Il reflusso minzionale è definito attivo e avviene ad una
pressione maggiore rispetto al precedente: il reflusso inizia sempre come attivo e poi può evolvere in passivo.
Si hanno cistiti ricorrenti bruciore, febbre e urinocoltura positiva, in un’età anomala dato che il principale
fattore di rischio per le cistiti è il rapporto sessuale. Queste bambine vengono indagate attraverso due esami:
1. ecografia: se non c’è reflusso attivo, in fase post-minzionale non viene rilevata l’idronefrosi. In questo
caso l’ecografia è prima eseguita alla bambina a vescica piena e non si nota l’idronefrosi renale.
Successivamente si invita la paziente ad urinare e si ripete l’ecografia. Il rene appare un po’ dilatato: questo
è un segno post-minzionale di reflusso.
2. cistografia retrograda e minzionale: si mette un catetere in vescica, si riempie vescica con mezzo di
contrasto e si osserva se abbiamo il reflusso passivo e poi se c’è anche durante la minzione. Alcune
bambine possono avere sia reflusso attivo sia passivo, altre hanno solo quello attivo. Prima si sviluppa
come reflusso attivo e poi può diventare anche passivo.
L’approccio prevede di aspettare per vedere se matura l’anello sfinteriale, ma molto dipende anche dalla
presenza di danno renale. Si può fare quindi la scintigrafia per vedere se c’è danno renale e in caso si deve
intervenire. Ci sono due tipologie di intervento:
• intervento definitivo: reimpianto dell’uretere in vescica con tecnica antireflusso, viene creato un tunnel
sottomucoso che determina una protezione al reflusso;
• impianto o iniezione attorno all’ostio ureterale di sostante tipo collagene, chiamate Macroplastique. Sono
una sorta di piccole sfere che si riassorbono molto lentamente e aumentano lo spessore dell’ostio ureterale
per ridurre il reflusso. E’ un trattamento endoscopico, poco invasivo, si riserva a pazienti che non hanno una
maturazione di questa problematica negli anni e hanno reflusso meno importante senza danno renale.
CASO CLINICO:
Donna di 55 con anamnesi di asportazione di tumore ovarico. Dopo 1 anno dall’asportazione del tumore
ovarico e dalla chemio, si reca al pronto soccorso per la febbre e pesantezza al fianco. All’ecografia abbiamo
idronefrosi del rene sinistro e lo stick urine è positivo: c’è un’infezione delle vie urinarie sostenuta
dall’idronefrosi. Supponendo che possa essere la recidiva del tumore si esegue la TC e si trovano i linfonodi
retroperitoneali che comprimono l’uretere.
La terapia ideale sarebbe quella eziologica, ma avendo poco tempo si disostruisce il rene che sta dando la
febbre. La febbre di un rene in idronefrosi è urosettica con picchi febbrili sopra 38,5 gradi e può diventare
sepsi. Ci sono due opzioni:
• Endoscopica: si mette uno stent doppio J per via retrograda. Con il cistoscopio viene inserito un catetere
che incannula il primo tratto, si usa un po’ di mezzo di contrasto e un filo guida con una punta sottile in
grado di superare gli ostacoli. Sul filo guida si inserisce lo stent doppio J creato in modo da essere autostatico
nel corpo, per non risalire vero il rene o scendere. Lo stent ha un lume molto sottile, è un 6 French. L’ urina
fluisce dentro lo stent ma in realtà gran parte passa attorno allo stent. Se un linfonodo comprime in maniera
importante l’uretere, si riesce a inserire lo stent ma non verrà eliminata la gran parte dell’urina che passa tra
la parete ureterale e lo stent e l’idronefrosi non viene risolta. Questo stent serve per creare una guida, non a
drenare l’urina dentro al suo lume che, essendo molto piccolo, spesso va incontro a calcificazioni
• Posizionamento di nefrostomia o pielostomia: si punge con un ago il calice renale inferiore sotto guida
ecografica e si inserisce una nefrostomia, cioè un catetere mono J che drena l’urina. Funziona meglio rispetto
alla tecnica precedente perchè se c’è una compressione ab estrinseco lo stent doppio J può non drenare tutta
l’urina dal rene. Nei pazienti con recidiva da massa che causa compressione ab estrinseco è sempre
preferibile utilizzare questa metodica, che è semplice e ha bisogno solo di anestesia locale
ECOGRAFIA VESCICALE
È poco costosa e subito disponibile, ma è operatore-
dipendente (poco riproducibile). In genere è di
pertinenza radiologica, anche se vi sono ecografie
che possono essere fatte da altre figure per
rispondere a quesiti pratici; come ad esempio la
valutazione del residuo post-minzionale (può essere
fatta anche dagli infermieri).
In ogni caso, anche se non si è in grado di effettuare l’indagine strumentale, il referto del radiologo va,
perlomeno, saputo interpretare.
Quindi, in presenza di un paziente con sintomi urinari, si chiede esame delle urine ed ecografia.
In un uomo con sintomi del basso tratto urinario, potrebbe essere utile fare ecografie in diverse sedi:
• Ecografia del rene: perché patologie del basso tratto (ostruzione) possono comportare idronefrosi;
l'interessamento e compromissione renale devono sempre essere valutati; l'obiettivo è salvaguardare il
rene. I reni vanno sempre valutati, non solo tramite la creatinina, ma anche tramite un’ecografia renale
(che ogni persona dovrebbe fare almeno una volta nella vita. Ha un costo limitato). Difatti, si
potrebbero trovare anomalie anatomiche (monorene ad es.), nonostante la creatinina sia normale.
• Ecografia vescicale: si fa con approccio addominale, sovrapubico.
• L’ecografia prostatica transrettale non va subito fatta, in quanto offre una visione della sola prostata,
ma la vescica non viene vista in maniera ottimale.
Scansione longitudinale:
Alterazioni nella parete vescicale da catetere, si trovano
caratteristicamente sulla linea mediana della vescica, altrimenti
si potrebbe pensare anche a lesioni tumorali.
È sempre importante tener conto del fatto che anche il sospetto di
tumore potrebbe avere un impatto psicologico importante sul
paziente.
Calcolo vescicale:
All' ecografia possono essere visualizzati i calcoli (dell'uretere
terminale e della vescica) come area iperecogena, con cono
d’ombra posteriore. Una lesione iperecogna come questa potrebbe
andare in diagnosi differenziale con una neoformazione con
calcificazioni: è utile far girare la persona e vedere se la lesione si
sposta (se sì, è un calcolo, le neoformazioni rimangono
fisse).
Se si usa un Doppler su un calcolo, questo colora
il cono d’ombra del calcolo (c'è un riverbero
nella zona in cui non passano gli ultrasuoni, il doppler evidenzia questa zona, che
risulta colorata- non sempre evidente all'eco normale) . Se il Doppler ricalca bene il
cono d'ombra si può fare diagnosi di calcolo altrimenti non è certo che sia una
calcolosi, potrebbe essere una neoplasia.
È possibile esplorare gli ultimi 4 cm dell’uretere con l’ecografia (non in tutti), e si possono vedere dei calcoli
all’interno dell’uretere (se il paziente ha avuto colica renale e si vede il calcolo, si fa subito terapia).
Altra immagine:
- Uretere dilatato
- Calcolo nell’uretere
Mostra calcolosi bilaterale dell’uretere terminale: il soggetto era ricoverato per sospetta pancreatite.
Il ragazzo aveva un rene a ferro di cavallo che caratteristicamente dà dolore a sbarra, trasversale,
bilaterale. In più, il soggetto aveva una calcolosi ureterale bilaterale (causa di coliche nel pz), ben vista
all’ecografia.
Altra foto: massa isoecogena endovescicale, inizialmente interpretata come ematoma, ma non lo era.
Vescica “a celle e colonne”: a livello ecografico indica una condizione da sforzo, l'ipertrofia del detrusore,
risultante dell’aumento delle resistenze minzionali.
Non è pratica quotidiana, non ci sono raccomandazioni a favore, in quanto il tutto è soggetto ad alcune
variabili (tecniche, dell’operatore, riempimento vescicale) che lo rendono non raccomandabile nella
routine. La valutazione dello spessore del detrusore ancora non è pratica clinica, si fa solo per ricerca.
In generale, lo spessore del detrusore è intorno a 2,5 mm.
L’uomo ha in genere una parete vescicale più spessa rispetto alla donna.
Autore: Nairus Aboud per Medicina08 Pagina 4 di 12
Urologia URO04 – Eco vescicale, giunzione vescico-uret., calcolosi
Si parla di LUTS/IPB complicati se c'è ritenzione urinaria refrattaria, calcolosi vescicale, idronefrosi, IRA
post-renale; queste complicanze sono in genere motivo di ricovero.
Mostra foto di un caso di pneumaturia (dovuta alla presenza di aria in vescica) e UTI; indicativo di fistola
sigmoido-vescicale. In questo caso TC o RMN fanno ben vedere i tessuti paravescicali (soprattutto la
risonanza, utile perché valuta meglio i tessuti molli).
Altra foto: ureterocele, una malformazione che consiste in una dilatazione focale dell’uretere terminale,
dove è presente il meato, che è stenotico. Quindi, vi è atonia su base malformativa. Viene trattato per via
endoscopica.
Mostra un altro foto dove l’ascite “sporca” il quadro vescicale (il liquido aveva gonfiato il cavo del Douglas,
posto in vicinanza delle vescichette seminali).
Mostra foto con segni di rigidità mucosa per infiltrazione da parte di tumore vescicale o prostatico avanzato
della parete rettale (si vede perché vi sono porzioni che formano una sorta di “tendina iperecogena”).
La parete rettale, normalmente, non è fissa (scorre sulla prostata), quindi si riesce a sentirne la consistenza
e capire se c’è un’infiltrazione.
GIUNZIONE URETERO-VESCICALE
Dal punto di vista fisiopatologico è molto importante, in quanto forma una sorta di valvola che, in
condizioni fisiologiche, consente di mingere ad alte pressioni senza che vi sia ripercussione pressoria nella
via urinaria superiore: a vescica piena, tale valvola si restringe sempre più, in maniera proporzionale alla
pressione vescicale; così facendo protegge il rene dalla pressione si svuotamento.
Nei soggetti con cistiti, la valvola evita anche che passino troppe urine infette dalla vescica al rene, con
l’effetto di ridurre la probabilità di pielonefrite.
Questa valvola può non funzionare per sovraccarico da ritenzione urinaria cronica, motivi congeniti,
chirurgici (si toglie la parte finale dell’uretere). Le cause congenite sono frequenti: vi è un difetto della
muscolatura uretero-vescicale. Questo conduce a reflusso vescico-renale congenito.
La conformazione della giunzione uretero-vescicale favorisce l’incuneamento del calcolo proprio a questo
livello, perché il passaggio del calcolo è anatomicamente difficoltoso.
In caso di calcolosi ureterale, si usa un α-litico (che ha effetto miorilassante sulla muscolatura liscia): la
muscolatura dell’uretere terminale e del trigono vengono rilasciate da tale farmaco (tamsulosina,
siludosina, alfuzosina), ciò favorisce l’espulsione del calcolo. Altro farmaco che si usa nella calcolosi renale
espulsiva è il cortisone, che riduce l’edema della mucosa che circonda il calcolo.
Nonostante non si possa sempre far espellere il calcolo, si riduce la flogosi e lo spasmo della muscolatura
ureterale (quindi, i sintomi).
CALCOLOSI URINARIA
Il trattamento della calcolosi urinaria si è affermato grazie a degli avanzamenti tecnologici, legati
all’introduzione dell’ecografia, della TC, di strumenti ottici, delle fibre ottiche, del laser.
In passato, la diagnosi si poteva fare al massimo con autopsia, oppure diagnosi cliniche basate sulla
sintomatologia. In genere, prima si moriva di infezione o di insufficienza renale. I calcoli sono pericolosi,
indipendentemente dalla dimensione.
Eziologia
Ha eziologia multifattoriale, può essere:
• Calcolosi primaria non associata ad altre patologie
• Calcolosi secondaria ad alterazioni endocrino-
metaboliche
La calcolosi colpisce il 10% delle persone, e la metà di
queste può avere una recidiva.
Rimane importante escludere forme ereditarie, secondarie
ad iperparatiroidismo…
La più frequente calcolosi è quella da acido urico (ed è
anche facile da correggere). Il consumo di molta carne
tende a condurre ad acidosi urinaria, che può favorire la
precipitazione dell’acido urico.
Clinica e diagnostica
Le calcolosi posso essere sintomatiche o meno. Le forme asintomatiche vengono scoperte con tecniche di
imaging (come la TC… )
Quella sintomatica si manifesta con colica renale, dolore addominale, sino a sintomi più sfumati come la
dolenzia al fianco, senso di peso, segni di nefrite. A volte viene scoperta per la presenza di lombalgia o altri
problemi che simulano il dolore al fianco.
Ci può essere ematuria, pollachiuria, leucocituria, piuria, IRA.
Se si trovano leucociti nelle urine, in assenza di infezione urinaria o sintomi clinici, va sempre ipotizzata la
presenza di calcolo renale (raramente, una causa di leucocituria può essere anche una TBC delle vie
urinarie).
La flogosi (leucocitosi ed aumento della PCR) può essere prodromo di uno stato settico.
EO ed anamnesi sono importanti per la diagnosi differenziale.
Esami strumentali
• Approccio di 1° livello: ecografia (l’ecografia renale e vescicale sono il primo approccio), radiografia
addome. L’urografia non è più praticata.
• Di 2° livello: TC senza mdc (mentre con mdc si valutano aspetti relativi alla funzione del rene ed alla
visualizzazione delle vie escretrici). In genere, in emergenza si chiede TC senza mdc.
L’eco addome non vede sempre il calcolo, ma è largamente utilizzato perché di rapida esecuzione, consente
di valutare molteplici patologie, soprattutto a livello addomino-pelvico. In genere si cerca di far diagnosi con
l’ecografia, per evitare l’esposizione a radiazioni. Se l’ecografia vede il calcolo con idronefrosi, a quel punto
si possono identificare le caratteristiche del calcolo (molto grossolane), ed anche l’entità dell’idronefrosi.
Esami ematochimici
• Funzionalità renale
• PCR, emocromo, kalemia (in sospetto di IRC)
• Calcemia, fosforemia, uricemia (raramente in urgenza)
Trattamento
Obiettivi del trattamento della calcolosi: tutelare la salute del soggetto; tutelare la funzione renale.
Ciò si ottiene tramite: 1) risoluzione dell’episodio acuto 2) risoluzione calcolosi persistente 3) prevenzione
recidive litiasiche.
La liberazione della via escretrice dall’urolita si può ottenere:
– Spontaneamente – Con sostanze farmacologiche – Con metodiche strumentali o chirurgiche
Il trattamento della calcolosi va adattato al contesto clinico, che viene valutato tramite una serie di
parametri:
1. Presenza o meno di complicanze della calcolosi
2. Età del soggetto e comorbidità
3. Sintomi di calcolosi
4. Alterazione della funzione renale o possibile sviluppo di complicanze
Inoltre, l’indicazione e il tipo di trattamento sono legati alla natura, dimensioni, sede del calcolo e alle
condizioni della via escretrice.
L’uso di ESWL, per i motivi prima definiti, si è ridotto di molto negli ultimi anni.
Oggi si usano tecniche che consentono la diretta frammentazione del calcolo e/o l’asportazione del
frammento. Altra tecnica si basa sulla riduzione in sabbia del calcolo, che viene così più facilmente espulsa.
Con ESWL, non si possono trattare le calcolosi complicate (da infezioni, IR).
Anatomia dell'uretere:
passaggi: posizione paziente e strumentario; cateterismo ureterale e pielografia; puntura via escretrice e
inserimento guida di sicurezza (si crea un tragitto percutaneo previa puntura del calice renale sotto guida
ecografica); dilatazione del tramite; litotrissia e asportazione dei frammenti; drenaggio via escretrice.
Indicazioni:
-calcoli a stampo ampollari o dell’uretere prox > 2-2,5cm; -insuccesso dell’ESLW -rimozione di frammenti da
ESWL; -ostruzione distale al calcolo (stenosi giunto pielo-ureteale, stenosi ureterale); -calcoli a stampo
recidivi dopo chirurgia -calcoli di consistenza maggiore.
La PCNL presenta indiscutibili vantaggi:
- se il calcolo può essere localizzato può quasi sempre essere distrutto
- la via escretrice può essere ispezionata direttamente.
- piccoli frammenti possono essere identificati e rimossi.
- poiché il tramite può essere mantenuto pervio a tempo indefinito, sono possibili ripetuti accessi.
- il successo o l’insuccesso dell’intervento sono evidenti immediatamente
Complicanze PcNL:
- Sanguinamento severo intraoperatorio - Sanguinamento tardivo - Sepsi - Fistole Urinarie, artero-venose,
uro-coliche - Riassorbimento di liquidi - Fratture/Contusioni parenchima renale - Perforazione pelvi/uretere
Fattori Modificabili: spasmo ureterale (contrazioni fasiche che non favoriscono l’espulsione); edema
mucosa; infezione ureterale (contrazioni toniche); pressione idrostatica (gradiente pressorio attorno al
calcolo).
Caso clinico: ragazza giovane di 28 anni, con tetraplegia spastica, priva di capacità di riferire dolore da colica
renale; aveva però febbre che andava e veniva da mesi, e veniva trattata come se avesse un'infezione
urinaria. Arriva in PS con idronefrosi, leucocitosi, quadro prodromico di sepsi. Si vede con l’eco che aveva
un calcolo ureterale; hanno messo uno stent, ma il parenchima renale era ormai perso (le urine erano
purulente). Hanno quindi messo una nefrostomia, AB. Il caso ha richiesto una nefrectomia; la flogosi cronica
aveva condotto all’adesione tra vena cava e rene. È stato tolto anche l’uretere con il calcolo (non poteva
essere lasciato in situ). La ragazza non aveva mai fatto prima un’eco renale.
Il prof consiglia come buon testo di urologia, scritto da docenti Italiani: Atlante di Urologia dell’Accademia
Italiana di urologia, presente su Amazon a due euro.
Il prof. inizia ricapitolando alcuni concetti della lezione precedente sui trattamenti radicali dei
carcinomi della prostata.
1. prostatectomia radicale, che può essere eseguita con le tecniche chirurgiche a cielo aperto,
laparoscopica e robotica.
2. Radioterapia ad intento radicale.
3. Brachiterapia, si tratta sempre di radioterapia ma tende ad essere in disuso.
Altre due opzioni terapeutiche, non invasive e percorribili solo se le precedenti non sono praticabili,
sono la:
Va distinto il trattamento per l’ipertrofia prostatica, che è la resezione endoscopica trans uretrale
della prostata o in alternativa il trattamento laser endoscopico. C’è anche l’adenomectomia trans
vescicale, che però è un intervento che tende a ridursi nel tempo.
Quindi, nel caso dell’ipertrofia si asporta la zona di transizione ipertrofia/adenoma ipertrofico; nel
caso del carcinoma della prostata si asporta in maniera radicale il tumore.
Ci sono differenze anche nel follow-up che segue i due tipi di intervento:
L’ipertrofia prostatica è la quarta patologia più frequente nel paziente anziano, il cancro della prostata
è invece la prima neoplasia dell’uomo adulto occidentale (dopo i 50 anni). Quando finisce
l’attenzione/screening verso il cancro della prostata, quindi intorno ai 70-75 anni, dato che
l’aspettativa di vita per questo tumore è di 10-15 anni, l’attenzione deve essere rivolta verso
l’ipertrofia. La mortalità per cancro della prostata riguarda in particolare i soggetti dopo i 75 anni.
Bisogna prevenire le complicanze dell’ipertrofia prostatica soprattutto nei pazienti anziani.
CLINICA UROLOGICA E NEFROLOGICA – Urologia URO04 – TUMORI VESCICALI
TUMORI VESCICALI
EPIDEMIOLOGIA
Il tumore alla vescica rappresenta il 4% di tutte le neoplasie solide e l'età più colpita è tra i 55 e i 60
anni, ma ciò non esclude che anche una donna giovane, e magari anche in gravidanza, non possa
esserne colpita. Si sono verificati infatti due casi di donne con tumore vescicale non molto aggressivo,
pertanto è sempre bene escludere la presenza di neoplasie anche in soggetti più giovani dei 50 anni. In
un altro caso un signore di 86 anni si è presentato con neoplasia vescicale ed ha subito una
cistectomia. Quindi tra 50 e 60 è il range in cui il fenomeno si verifica con maggior frequenza ma ciò
non esclude la possibilità che la neoplasia possa verificarsi prima o dopo.
L'epidemiologia ci aiuta e ci permette di riconoscere la patologia velocemente, ma è comunque
importante saper individuare anche la malattia rara nel caso in cui si dovesse presentare.
A differenza del cancro della prostata questi tumori recidivano di più (fino anche a 10 recidive); è
difficile stimare il tasso di recidiva, ma si riesce a capire sempre di più quali pazienti sono più a rischio.
Il tumore della vescica a cellule transizionali rappresenta circa il 90% delle neoplasie vescicali ed è
causato dall'industrializzazione, per questo si riscontra con maggior frequenza nelle aree industriali e
meno in quelle agricole. Si presenta con maggior frequenza nel maschio e il tipo istologico a cellule
squamose è più frequente in Italia, in Medio Oriente e in Egitto.
In Egitto la presenza del Schistosoma haematobium porta nel tempo a sviluppare tumore vescicale a
cellule squamose. La schistosomiasi e altre rare malattie possono dare un’irritazione cronica
dell’urotelio e se non trattate possono esitare in un tumore.
Le cellule transizionali dell'urotelio sono presenti dai calici fino all'uretra, nell'ultima parte avviene
il passaggio ad epitelio di tipo cutaneo. Quindi le cellule transizionali sono presenti per tutta la
lunghezza della via escretrice pertanto un paziente con tumore alla vescica sarà maggiormente
predisposto a sviluppare un altro tumore a livello dell'ampolla renale o dell'uretere, bilaterale o
monolaterale. Alcuni pazienti sono quindi più predisposti.
Alcuni soggetti operati di cistectomia si ritrovano ad essere operati di nefrectomia con interessamento
di entrambi i reni, e il paziente viene così mandato in dialisi. Il tumore a cellule transizionali è quindi
multifocale e questa caratteristica può comparire all'inizio della malattia, come nel caso di un
paziente operato per un tumore alla vescica e contemporaneamente un tumore all'uretere
controlaterale; se fosse stato dallo stesso lato si poteva ipotizzare che il tumore dell'uretere avesse
inseminato le cellule della vescica, ma è chiaro che nel caso di un tumore dall'altra parte bisogna
optare per un meccanismo di multicentralità.
I tumori a cellule transizionali hanno quindi prognosi più favorevole, salvo aspetti particolari, rispetto
a tumori a cellule squamose e all'adenocarcinoma la cui origine istologica è completamente differente
rispetto alle altre due tipologie.
Il fumo è un fattore ambientale di rischio per lo sviluppo di neoplasie e il sesso maschile è più
esposto anche se l'uso di tabacco da parte delle donne è in crescita. Il fumo, l'abuso di alcool, la
ciclofosfamide, farmaco usato per malattie sistemiche, o l’esposizione a fattori occupazionali come
coloranti, metalli, gomma e cuoio possono contribuire ad aumentare la probabilità di sviluppare
neoplasie.
Altri fattori fisici, la schistosomiasi e la calcolosi urinaria si comportano come agenti irritanti cronici
che possono lesionare la mucosa.
Anche l'età e il sesso sono fattori influenti: il sesso femminile è meno esposto allo sviluppo di
neoplasia vescicale, ma quando si ammala è più grave e di stadio avanzato. Anche gli ormoni sessuali
influenzano lo sviluppo di una neoplasia.
Il fumo con le sue sostanze ossidanti può determinare alterazioni genetiche che predispongono allo
sviluppo di neoplasia (mutazioni a p53 nel tumore vescicale sono frequenti).
I tipografi, chi lavora con la plastica, materiali sintetici, metalli, coloranti, diserbanti, polveri, fumi ecc..
sono maggiormente soggetti perché questi fattori determinano modificazioni ultrastrutturali delle
cellule, si ha un aumento della loro attività di divisione che predispone a modificazioni geniche e
determina la trasformazione neoplastica.
Agenti cancerogeni più comuni sono: la benzodina, l'aminobiofenile, naftilamina, clorobenzina e
sostanze varie.
CLASSIFICAZIONE
Possono essere classificati come forme vegetanti, cioè esofitiche, e infiltranti piatte, non così
evidenti come quelli vegetanti. Poi ci sono forme nodulari, esofitiche solide (il tumore più grave),
vegetanti, papillomatose, peduncolate, papillomatose sessili e ulcerate.
All'aspetto del tumore corrisponde una certa profondità di infiltrazione: la forma papillifera ha una
modesta infiltrazione, le forme solide invece presentano infiltrazione degli strati più profondi della
vescica.
L'urologo dalla cistoscopia se vede una forma solida deve ipotizzare un certo grado di infiltrazione e
agire di conseguenza.
Le forme nodulari possono essere ulcerate e presentare aree di necrosi, il tumore in questo caso avrà
una crescita abbastanza rapida.
Le sedi più frequenti sono il trigono vescicale e le pareti laterali. Se un tumore insorge sul trigono
destro o sinistro e vediamo con l'endoscopia un tumore in quella sede bisogna sospettare che il
tumore derivi da regioni superiori e che quello sia solo un effetto secondario del tumore.
Adenocarcinoma
sinfisi e in superficie è visibile una struttura mucosa che non è altro che la vescica con i meati ureterali
e l’urina sgorga all’esterno.
Altra malformazione che interessa i maschi e le femmine è l’epispadia in cui il canale uretrale non si è
chiuso. Il recupero è permesso da tecniche chirurgiche abbastanza complesse.
Gli adenocarcinomi di provenienza dall’uraco sono a cattiva prognosi.
Gli adenocarcinomi possono essere inoltre secondari per infiltrazione della parete intestinale. Uno dei
primi sintomi può essere la pollachiuria, cioè l’elevata frequenza minzionale, e nelle donne è spesso
difficile capire quanto questa sia associata a problemi urologici o psicologici. Effettuando una
cistoscopia si possono notare arrossamenti e individuare magari un tumore uncinoso con probabile
origine intestinale. Le cose sembrano rare ma si possono osservare anche se con frequenza minore.
STADIAZIONE TNM
I tumori della vescica si distinguono da un punto di vista diagnostico, terapeutico e prognostico in:
• superficiali, sono a migliore prognosi e interessano solo lo strato uroteliale senza invadere la
membrana basale;
• infiltranti, che vanno in profondità, quando un tumore infiltra anche solo la parte superficiale della
tonaca muscolare, il muscolo detrusore, anche se in maniera focale, si deve provvedere
all’asportazione completa dell’organo.
La fortuna è che i superficiali sono i più frequenti. I tumori superficiali si eliminano con un intervento
endoscopico, la prognosi è migliore e ci sono minori complicanze. Le migliori tecniche endoscopiche
permettono di lavorare in maniera riposata e con ampliamento di immagine. Riusciamo a curare
ripetutamente tumori superficiali mentre prima si consigliava di rimuovere la vescica, adesso invece si
tende ad evitarlo. Alcune volte il tumore nasce come superficiale e poi diventa infiltrante. Man mano
che passa il tempo il tumore recidiva e può aumentare di stadio e di grado. Alcuni tumori invece
nascono già maligni all’inizio e hanno prognosi peggiore.
I tumori superficiali secondo la stadiazione TNM sono i Ta e i T1. Il T1 è uno stadio in cui
non è interessato il muscolo. L’80% dei tumori vescicali sono superficiali e recidivano nel 70% dei casi.
Fattore prognostico importante è il numero di neoplasie presenti, tanto maggiore è il numero e
peggiore sarà la prognosi. Il numero e le dimensioni influenzano negativamente la prognosi, in
particolare la percentuale di recidiva e il peggioramento di grado e stadio.
I tumori infiltranti sono intorno al 10-20% (T2-T4) ed è l’anatomopatologo ad indicarci il grado di
infiltrazione. Gli esami clinici quali TAC e RMN hanno possibilità di errore nell’ inquadramento della
malattia, cioè possono dare una sovrastadiazione; ad esempio la TAC può indicarmi un’infiltrazione del
muscolo che non è confermata dall’esame istologico. L’esame che meglio permette di stabilire lo stadio
del tumore alla vescica è l’esame istopatologico però per avere un’ottima stadiazione, bisogna avere
dei buoni prelievi che interessino gli strati profondi in modo da permettere all’anatomopatologo di
rendersi conto della presenza o meno di cellule neoplastiche nello spessore muscolare.
Tra i tumori infiltranti il 5% si presenta già con metastasi. Alcuni pazienti possono non avere una
franca sintomatologia locale, cioè minzionale, ma presentare già metastasi. La TAC e la risonanza ci
mostreranno linfonodi ingrossati, formazioni nodulari nei polmoni e nel fegato e in questo caso la
prognosi sarà negativa.
Il Tis è un tumore focale superficiale, la prognosi però è diversa dai Ta e i T1 perché nonostante il
tumore sia limitato all’urotelio ha alte potenzialità di infiltrazione perciò non può essere classificato
come tumore superficiale.
Quindi abbiamo:
• Ta è limitato all’urotelio;
• T1 va al di sotto dell’urotelio ma non interessa il muscolo;
• il T2a e T2b interessano il muscolo detrusore, il T2a è più superficiale mentre il b più in profondità,
e così via;
• il T3a interessa tutto lo strato muscolare;
• il T3b arriva al pericistio e al grasso perivescicale;
• il T4a-b interessa invece gli organi circostanti specialmente la prostata nel maschio.
Il T4a è un tumore fisso nel piccolo bacino che si presenta con metastasi linfonodali, sono tumori
inoperabili perché fissi. La vescica è nella parte centrale del piccolo bacino, lateralmente ci sono
stazioni linfonodali e grossi vasi, iliaci e otturatori pertanto non si può pensare di operare queste
vesciche, primo perché non toglieremo tutto il tumore e secondo perché potrebbero presentarsi delle
importanti complicanze: la perforazione del retto nel caso il tumore avesse infiltrato quest’ultimo, ma
qui la soluzione intraoperatoria c’è, basta fare una colostomia, e la lacerazione dei grossi vasi,
complicanza peggiore. Pertanto rimuovendo la vescica faremo correre un grosso rischio di
sopravvivenza al paziente, si opta quindi per una derivazione urinaria.
La classificazione del grado (G0-G3) si basa sull’assenza/presenza di anaplasia, la quale sarà di
grado maggiore in G3, anaplasia, in cui il tumore è indifferenziato. In questo caso mandando un
campione all’anatomopatologo senza specificare la sede del prelievo quest’ultimo non riuscirà ad
identificarlo.
Maggiore è il grado di anaplasia e peggiore sarà la prognosi.
MANIFESTAZIONI E DIAGNOSI
• Ematuria: non deve mai essere sottovalutata sia dal paziente che dal medico.
È microscopica se ci sono più di 5 emazie per campo di ingrandimento all’esame delle urine. L’esame
fisiologico prevede la presenza di 2-3-4 fino a 5 emazie per campo di ingrandimento.
È macroscopica quando è visibile: urine di colore rosato/rosso, cioè “a lavatura di carne”; di colore
marsala, per sanguinamento vecchio o delle alte vie urinarie; fino a emissione di sangue vivo,
verosimilmente per sanguinamento acuto o delle basse vie urinarie o associato a coaguli o a ritenzione
urinaria; in questo caso si parla di tamponamento vescicale ed è un’emergenza perché il paziente ha
bisogno di urinare ma non riesce perché la vescica è piena di coaguli. Si deve mettere un catetere e
“lavare” la vescica.
L’ematuria può essere classificata anche come iniziale, se le prime gocce di urina sono sangue, può
essere legata all’uretere soprattutto nell’uomo; totale; terminale se c’è “lavatura di carne” al termine
della minzione, di solito è più di origine vescicale.
Le macroematurie sono capricciose e asintomatiche, spesso il soggetto non ha dolori e presenta urine
di colore rosso vivo e quando poi va la seconda volta ad urinare le urine possono essere limpide.
L’ematuria può quindi presentarsi anche con un solo episodio. Dove c’è sangue bisogna approfondire,
mai sottovalutare perché un successivo episodio può verificarsi dopo un anno o quattro mesi e nel
frattempo il tumore cresce. La frequenza con cui il tumore si manifesta con macroematuria è dell’85%
dei casi. Può corrispondere alla frequenza dei tumori superficiali, magari è proprio la rottura di una
frangetta superficiale a determinare questi episodi. Se il sangue è presente all’inizio della minzione è
probabile che sia di provenienza dalle parti basse dell’apparato urinario, cioè dalla vescica in giù,
contrariamente se presente alla fine, alla spremitura del detrusore è probabile che interesserà le
porzioni superiori del sistema urinario, ad esempio il rene, e il colore sarà rosso scuro.
presentano con pollachiuria ed urgenza minzionale. Per urgenza minzionale significa che dal
momento in cui avverto lo stimolo a quando sono costretto ad urinare passa poco tempo. Anche la
disuria, cioè la difficoltà ad urinare è un sintomo frequente. La disuria dipende dalla localizzazione
del tumore ed è presente quanto la neoplasia si trova lungo il transito dell’urina, ad esempio a
livello del collo vescicale. Questi disturbi sono soggettivi e devono preoccupare. Il medico generale
con un ecografo potrebbe subito individuare una dilatazione dovuta a un tumore che ha
infiltrato l’ostio.
I disturbi irritativi si distinguono in disturbi della fase di svuotamento e della fase di riempimento.
Quelli di riempimento sono collegati alla capacità di distendersi della vescica e al contenuto al suo
interno (se c’è una massa all’interno il paziente può aver bisogno di urinare spesso). Tra quelli di
svuotamento c’è l’urgenza minzionale: “devo sbrigarmi perché non riesco a contenere”; questa è
collegabile a patologie vescicali, non è specifica del tumore, simula una cistite, ma ogni cistite che non
passa deve essere indagata con le ecografie.
Il tenesmo, invece, è la sensazione di dover continuare a urinare. Questo interessa le fasi più
avanzate.
La disuria
Ci può essere stranguria.
Idroureteronefrosi se infiltrano l’uretere, mono o bilateralmente.
I tumori possono dare anche oliguria, anuria o addirittura insufficienza renale acuta da
idronefrosi, va indagata poi la causa.
La ritenzione acuta di urine è più frequente nella declinazione del tamponamento vescicale,
cioè perché ci sono coaguli e non si riesce ad urinare non perché c’è un blocco, un’ostruzione.
• Sintomi generali: presenti quando la malattia è in stadio avanzato e si manifestano con anemia,
febbricola, decadimento fisico, anoressia. L’ematuria può causare anemia ma deve essere di lunga
durata.
DIAGNOSI STRUMENTALE
L’ecografia vescicale (sovra pubica, trans rettale, trans vaginale, trans uretrale) consente di
rilevare le lesioni vescicali. Dalle immagini di alcune ecografie si può notare che quando un tumore
cresce si ha parallelamente ipertrofia dei vasi sanguigni.
L’ecografia rimane l’esame fondamentale per diagnosticare queste lesioni, ma ha dei limiti diagnostici:
lesioni sotto i 5 mm non sono visibili, così come le lesioni piane.
Per compensare a questo si utilizza la cistoscopia, che consente di evidenziare tutte le alterazioni della
mucosa vescicale; è però un esame invasivo, tuttavia oggi esiste anche la cistoscopia flessibile meglio
tollerata. Oggi c’è anche la fluorescenza per colorare il tumore in modo diverso rispetto all’epitelio
circostante.
L’urografia è stata sostituita con l’urotac che ci fa vedere bene tutto l’apparato urinario. In caso di
ematuria è bene ricorrere immediatamente a UroTac per fissare quel momento dell’apparato urinario.
Altro esame importante può essere la scintigrafia ossea per valutare la presenza di metastasi.
TERAPIA
Già la presenza di una neoformazione individuata con un’ ecografia basta per farci intervenire in
cistoscopia, rimuovere il tumore e fare l’esame istologico senza necessariamente ricorrere a Tac.
Se l’esame cistoscopio dà diagnosi certa si fa l’intervento: cistoscopia e resezione endoscopica della
neoformazione. L’ansa diatermica permette di rimuovere la lesione e anche la base di impianto, poi
l’anatomopatologo deve stabilire se il cancro è superficiale o infiltrante. Esistono delle tecniche di
resezione: le lesioni più grandi vengono fatte a fettine e poi viene pulita la base di impianto. Questi
interventi determinano un’ulcera, ci può essere anche una perforazione della parete vescicale per
scavare, ma è voluta per arrivare al muscolo. Il tumore vescicale dissemina dove tocca, ha un tropismo
di disseminazione, per questo motivo questi tumori vengono rimossi con questa tecnica e dopo si
utilizza un chemioterapico endovescicale per prevenire anche la disseminazione all’interno. Il
chemioterapico è raccomandato ma non è sempre usato proprio perché in seguito alla perforazione
della parete il chemioterapico può provocare un’irritazione che crea danno al paziente: dolori, fastidi,
retrazione cicatriziale. Se il paziente fa terapia anticoagulante avrà ematuria e tamponamento
vescicale, quindi vanno sempre valutati i rischi e i benefici di questa terapia, perché le lesioni
impiegano 25-30 giorni per guarire.
Il carcinoma in situ (Tis) è una delle forme non visibili all’ecografia. È una neoplasia di alto grado che
ha capacità di diffondersi in maniera orizzontale e si associa ad alto tasso di recidive, a una
progressione della malattia. Va indagato con delle biopsie aggiuntive. Questi pazienti si giovano
dell’esame citologico delle urine che viene eseguito nel follow up perché questo tumore desquama
cellule tumorali. Se si ha una citologia positiva con cistoscopia negativa comunque va indagato il
paziente facendo biopsie vescicali.
La cistectomia nell’uomo comporta anche l’asportazione della prostata; il collo vescicale è rivestito da
urotelio, che può essere coinvolto anche nell’uretra prostatica, mentre dal collicolo seminale all’uretra
nell’uomo abbiamo un epitelio transizionale pluristratificato non cheratinizzato.
Per ricostruire la vescica si utilizza il tratto terminale dell’ileo per eseguire un’anastomosi uretero
ileale e ileo cutanea: si parla di uretero ileo cutanestomia per indicare questa derivazione urinaria. Il
vantaggio di usare la porzione di ileo fra uretere e cute è di evitare infezioni e di evitare che lo stoma
cutaneo si chiuda. Infatti se ci fosse una connessione diretta uretere-cute c’è rischio che lo stoma si
chiuda, bisogna usare dei tutori nell’uretero cutaneo stomia. Questi tutori non sono necessari
nell’uretero ileo cutaneostomia e il paziente vive con una sacchettina in genere in fossa iliaca destra
che svuota quando si riempie e cambia con una cadenza di 2-3 giorni.
Un’altra derivazione è invece la neovescica ortotopica, che è un neoserbatoio ileale continente; si fa
un’anastomosi tra ileo e uretra e tra uretere e ileo e l’ileo viene riconfigurato in modo da creare un
serbatoio a bassa pressione, l’obiettivo è quello di salvaguardare le alte vie urinarie. Questa è la tecnica
secondo Studer.
Un altro intervento che crea una neovescica ha il vantaggio di mantenere gli ureteri in asse; gli ureteri
vengono sezionati a livello pelvico e vengono anastomizzati all’ileo in maniera indipendente e
parafisiologica. Con questa tecnica c’è un più facile accesso agli ureteri rispetto alla precedente.
C’è un’anastomosi uretero ileale con una tecnica antireflusso ma si è visto che queste tecniche
aumentano il tasso di stenosi quindi sono state abbandonate.
Oggi le forme infiltranti si giovano di un trattamento di chemioterapia sistemica prima della
cistectomia, questo determina un aumento del 5-10% della sopravvivenza.
La cistectomia ha una mortalità del 5% per le complicanze.
Nonostante le linee guida indichino di fare una chemioterapia neoadiuvante secondo la letteratura
nazionale e internazionale solamente il 15% riceve effettivamente questo trattamento; le
controindicazioni sono l’età avanzata, le comorbidità… La chemioterapia neoadiuvante non ha
cambiato il tasso di complicazioni e di riammissioni (ricoveri successivi). Quindi la chemioterapia
neoadiuvante è dedicata agli stadi localmente avanzati o gli stadi muscolo infiltranti; non è invece
indicata nelle forme in cui si fa una cistectomia precoce delle forme superficiali. Può essere utile nei
pazienti che hanno metastasi linfonodali e per ridurre il tasso di margine chirurgico positivo.
Nell’ultima parte della lezione il prof. passa in rassegna alcune immagini ecografiche della vescica.
CISTECTOMIA
La cistectomia consiste in un intervento di asportazione chirurgica della vescica.
È un intervento dedicato a pazienti con tumori vescicali di 2 tipi:
1) tumori vescicali infiltranti
2) tumori superficiali non infiltranti e non responsivi a trattamenti conservativi.
Non è un intervento di prima battuta nella gestione del tumore vescicale, infatti prima si cerca di
effettuare una terapia conservativa per evitare la cistectomia.
In un anno, un centro deve eseguire almeno 20 cistectomie per essere considerato un centro di alto
volume. Non solo, si valuta anche la qualità del servizio: il Piano Nazionale Esiti e l’AGENAS (Agenzia
Nazionale Sanitaria) monitorizzano ospedali, reparti e chirurghi. Ogni intervento chirurgico è firmato
con un codice fiscale identificante i primi due operatori, così da controllare gli esiti delle operazioni
fatte, valutare il numero degli interventi, la mortalità, la necessità di ricovero post-operatorio, il tempo
di degenza, etc.
Età media dei pazienti sottoposti a cistectomia: circa 72 anni, il range va da 49 a 88 anni.
La mortalità complessiva a 90 giorni dall’intervento è di 4 pazienti su 125 operati, legata a
comorbidità.
Esame istologico
Una volta asportata la vescica, segue l’esame
istologico con cui posso classificare la lesione in:
T0 non c’è tumore. Comprende casi di cistite
attinica, oppure soggetti sottoposti a chemioterapia o
resezioni vescicali precedenti la cistectomia, il che
rende possibile i T0 operati.
T1
T2 (maggior parte)
T3 (maggior parte)
T4
pTa magari sono tumori vescicali non responsivi a
terapie conservative.
LINFOADENECTOMIA
Consiste nell’asportazione dei linfonodi pelvici, necessaria per la sopravvivenza dei pazienti con
neoplasie vescicali.
Ha valore prognostico e curativo nel carcinoma vescicale, infatti non cambia tanto la recidiva di
malattia, ma cambia la sopravvivenza del paziente: se il paziente con carcinoma vescicale ha una
recidiva, muore.
La chemioterapia non cura completamente la condizione, tiene solo sotto controllo il tumore.
L’asportazione dei linfonodi prevede una linfadenectomia pelvica iliaco otturatoria bilaterale (in
media sono asportati 20 linfonodi). Se possibile, è meglio estendere l’esportazione anche ai linfonodi
iliaci comuni e/o presacrali (media di 34 linfonodi asportati).
Inoltre il numero medio di linfonodi asportati può essere indicativo della qualità del centro chirurgico
valutato.
Una buona chirurgia è indicativa anche di una buona collaborazione con l’anatomopatologia.
Rischi di linfadenectomia:
1. Linfedema da stasi all’arto inferiore;
2. Linfocele: raccolta di linfa in cavità addominale, come in delle sacche che possono poi comprimere le
vene. Un paziente operato di prostectomia e sottoposto a linfadenectomia estesa, riferiva sensazione di
“vescica piena”. In realtà la vescica era vuota ma aveva un linfocele (che all’ecografia simulava una
vescica piena) che comprimeva la vena iliaca e causava TVP, a sua volta causa di edema unilaterale
improntabile alla gamba.
Fisiologicamente, la linfa segue una strada retrograda; se si chiudono TUTTI i vasi linfatici linfedema
da stasi alla gamba, se non sono chiusi tutti si rischia il linfocele.
È meglio non avere né l’uno né l’altro, ma il prof preferisce rischiare il linfocele, non chiudendo i vasi
completamente, perché comunque la linfa può essere drenata a livello intraperitoneale e riassorbita
dall’organismo senza recare problemi di linfedema.
CHEMIOTERAPIA NEOADIUVANTE
Complessivamente, circa 1 pz su 3 si sottopone a chemioterapia, che può essere adiuvante o
neoadiuvante.
Quest’ultima, oggigiorno, è entrata nelle linee guida internazionali, perché sembra associarsi a una
riduzione del 5-7% della mortalità.
Prima dell’intervento, quindi, il paziente è valutato da un team multidisciplinare (urologo, oncologo,
radiologo, etc.) e in particolare l’oncologo sceglie se effettuare o meno la chemioterapia neoadiuvante.
Quasi un paziente su 10 ne trae beneficio
Alla chemioterapia neoadiuvante si associa un rischio di TROMBOEMOLIA.
1. Ureterocutaneostomia (UCS): i due ureteri vengono abboccati alla cute, per cui l’urina esce
dall’addome e viene raccolta in due sacchetti. È l’intervento più semplice da fare, perché l’intestino non
viene toccato.
Presenta però dei costi un costo sociale, legato al fatto che il paziente avrà due stomie (raramente
se ne riesce a fare una) e questo inciderà sulla qualità di vita;
aumenta per il pz il rischio di infezioni urinarie: infatti, questo tipo di derivazione urinaria
consente un transito ad ALTA pressione dell’urina. All’interno degli ureteri vengono messi dei tutori,
dei cateterini che ne impediscono la chiusura e impediscono quindi l’idronefrosi del rene, ma allo
stesso tempo proprio a causa dei tutori aumenta il rischio di infezioni.
Non tutti i pazienti possono sottoporsi all’operazione indistintamente: è pur sempre un intervento di
chirurgia maggiore, quindi viene selezionato chi presenta più problematiche cliniche contemporanee
(anatomiche, internistiche, neoplastiche, etc.).
TERAPIA TRIMODALE: consiste in una resezione vescicale per via endoscopica (attraverso un
cistoscopio).
Se il tumore è muscolo-infiltrante, si discute il caso con i colleghi e si può fare una nuova resezione
vescicale. Se quindi ci sono aspetti favorevoli, si può fare radioterapia e chemioterapia
combinata la combinazione radio-chemio può risparmiare la vescica in un paziente su 20. Ad
oggi la terapia trimodale è proposta in casi selezionati, raggiunge solo l’1% dei trattamenti eseguiti.
______________
MACROEMATURIA
Il prof illustra l’iter diagnostico per un paziente che si presenta con ematuria macroscopica, cioè
visibile.
Il primo obiettivo è quello di escludere neoplasie urinarie
Considerando l’aspetto logistico, il paziente può seguire due vie:
1. Procedura ambulatoriale (programmata o visita dal medico curante)
2. Pronto Soccorso
ESAMI DA PRESCRIVERE
1. ESAME URINE con STICK per confermare la presenza di sangue. Infatti, a volte possono
esserci pseudoematurie, cioè urine colorate dove il cambiamento di colore non __è legato alla
presenza di sangue, ma dovuto ad esempio:
Esistono casi in cui è possibile non indagare dettagliatamente e in urgenza l’ematuria con l’ecografia?
Sì, ad esempio se il paziente ha sintomi urinari associati, come pollachiuria, stranguria, che mi fanno
pensare a una cistite.
Il risultato dell’ecografia può essere:
1. Negativo si ripete esame urine per monitorare condizione nel tempo;
2. Dubbio all’ecografia non si evidenza la malattia, ma ciò non vuol dire che il pz non possa averla.
Magari non si riesce a vedere bene il rene o l’immagine è sfocata si ripete esame urine + eco.
In casi selezionati si ricorre ad altri accertamenti, come cistoscopia, uroTC o si continua con il
TRATTAMENTO
L’istologia è importante perché conferisce informazioni sulle caratteristiche del tumore e ci aiuta ad
orientarci sulla tipologia di intervento da intraprendere (dalla resezione endoscopica alla resezione
della vescica).
Se, ad esempio, ho un T2 o più, il tumore infiltra la muscolare è candidato a cistectomia radicale.
Un T2 può essere definito da istologia e/o da imaging (TC): ad esempio, se c’è una massa di 5 cm che
esce dalla parete vescicale, l’istologia lo definisce un carcinoma uroteliale e questo sarà classificato
come T3-T4.
Se la TC è negativa e la citologia è positiva si fa una resezione vescicale (TURV), che può essere
anche curativa se la neoplasia non è infiltrante (T1, Ta e Cis).
CLASSIFICAZIONE
Le lesioni papillari non infiltranti la parete vescicale si differenziano per i seguenti fattori:
1. Grado (basso/alto)
2. Numero di lesioni
3. Diametro della lesione maggiore (solitamente circa 3 cm)
4. Presenza o meno di carcinoma in situ (lesione piana dell’urotelio, identificata facendo prelievi
aggiuntivi)
5. Lesione primitiva o recidiva a meno di 1 anno.
dobbiamo considerare che l’effetto finale non sarà la cura della lesione. L’efficacia complessiva del
trattamento sarà la riduzione del 50% delle recidive e la riduzione della progressione della
lesione.
Prima di ricorrere alla cistectomia, sarebbe meglio tentare una immuno/chemioprofilassi.
La profilassi viene fatta attraverso un procedimento chiamato “instillazione vescicale”: inserisco un
catetere monovia, svuoto la vescica, metto farmaco, che è tenuto per 2h, poi elimino il catetere. Il
trattamento è fatto 1 volta alla settimana, per 6-8 settimane.
Domanda di uno studente: dopo il risultato di un esame urina positivo per ematuria, come medico di base
posso fare altri accertamenti prima di mandare il paziente dallo specialista?
Sì: si può misurare la pressione arteriosa, fare il dosaggio della creatinina, un’ecografia, posso far
ripetere l’esame delle urine, vedere se c’è proteinuria, fare attenzione al sedimento urinario, dove
posso trovare cilindri, verificare la natura dei cilindri, etc.
Si può anche fare una TC, tenendo conto della funzionalità renale del pz.
Cistoscopia è suggerita quando TC negativa e citologia urinaria positiva.
In genere, solo per casi selezionati, si possono eseguire mediche diagnostiche non nefrotossiche, come:
1) Pielografia ascendente
2) Ureterorenoscopia (anziché iniettare mdc nella via urinaria, si passa “dal basso” e si esplora per via
retrograda la via urinaria)
È utile fare un’ecografia prostatica? In realtà non aiuta in caso di ematuria, perché l’obiettivo è valutare
la vescica e non la prostata. Tramite ecografia diretta, si può però vedere un “aggetto” della prostata
nella vescica, quindi si può avere indirettamente una stima del volume prostatico e fare la valutazione
di un’eventuale ipertrofia prostatica.
Nell’ecografia, fatta da buon operatore e buon ecografo, il limite di identificazione della lesione è di
5mm di diametro, sotto i quali ci sono più falsi positivi e/o più falsi negativi.
Ciò che interessa al clinico non è tanto l’identificazione di “tutto, a tutti i costi”, piuttosto valutare il
rischio reale del pz: perciò una lesione sotto ai 5 mm, anche se non identificata, non allarma molto
perché generalmente non pone a rischio la vita del pz.
Eco negativa insieme a citologia negativa permettono di escludere con buona ragionevolezza la
presenza di un carcinoma in situ.
Se citologia urinaria + ecografia vescicale sono negative e il sangue scompare spontaneamente dalle
urine, ci si può anche fermare, consultare uno specialista e fare altri accertamenti per controllare che
non vi siano altre cause di ematuria.
A volte, infatti, l’ematuria è legata ad una ipertrofia
prostatica che crea gavoccioli venosi subepiteliali in
prossimità del collo vescicale. Questi gavoccioli, che
regrediscono spontaneamente, hanno propensione al
sanguinamento: possono sanguinare magari dopo
sforzi fisici, in concomitanza di infiammazioni, lievi
cistiti, in caso di terapia AC.
Altre cause di ematuria sono neoplasie che infiltrano
le vie urinarie, tumori dell’uretra, tumori della prostata
avanzati.
Il primo obiettivo resta quello di escludere
neoplasie urinarie e vale la regola che un singolo
episodio di ematuria non può far pensare ad un
tumore prostatico.
TUMORE URETRALE
Il tumore dell’uretra è molto raro, ma possibile, e va spesso incontro a diagnosi tardiva.
L’uretra è divisa in:
anteriore post-sfinterica, dallo sfintere fino al meato uretrale esterno;
posteriore dal collo vescicale allo sfintere, corrisponde per buona parte all’uretra prostatica.
Tumore dell’uretra anteriore è fuori dal controllo sfinteriale, quindi potrebbe causare
uretrorragia, cioè sangue dall’uretra. Il paziente trova le mutande sporche di sangue, oppure la
mattina si trova sporco di sangue.
Tumore dell’uretra posteriore il sintomo principale è sangue all’inizio della minzione, essendo
lo sfintere sotto il controllo minzionale (si rilascia durante la minzione).
Fimosi
P Mollard
P joubert
nosi del prepuzio, che possono essere complicate anche da depositi pseudo-micropene: nella maggior parte dei casi l’evoluzione spon-
tanea è abbastanza favorevole, ma Kelallis [41 segnala possibili turbe
dell’erezione che rendono necessaria una difficile chirurgia ripara-
trice ;
-
Ogni riferimento a questo articolo deve portare la menzione: Mollard P, joubert P Fimosi. Encycl Méd Chir (Editions Scientifiques et Médicales Elsevier SAS, Paris, tutti i diritti riservati), Tecniche chirurgiche - Chirurgia generale,
41-405, 2007, 3 p.
1 Postectomia totale. coso alivello del solco balano-prepuziale, lasciando un orletto mucoso di 3-4 mm.
A. Con il dito si fissa la cute anteriormente al pube. Si procede con un’incisione C. L’anello tra le due incisioni viene rimosso, lasciando il tessuto cellulare
circolare sul solco balano-prepuziale. sottocutaneo e facendo un’accurata emostasi man mano che si procede alla dissezione.
B. Il prepuzio viene retratto e si esegue una nuova incisione sul rivestimento mu- D. Sutura con punti sottili riassorbibili.
appare come affondata al disotto della cicatrice e assume l’aspetto di damente con formazione di una membrana bianco-grigiastra, sottile,
un micropene; si impone allora la realizzazione di una plastica; secca,che chiude in maniera più o meno serrata il meato. La mucosa
-
altre complicanze possono essere più gravi: ferita del glande, ferite del glande nelle vicinanze appare, allora, piuttosto pergamenacea.
e fistole uretrali nella regione del frenulo legate a una sutura troppo Bisogna, quindi, ricorrere a una vera meatotomia con sutura muco-
mucosa, piuttosto che a semplici dilatazioni.
profonda o a un’emostasi con bisturi elettrico troppo sostenuta.
Tutte queste complicanze sono molto facili da evitare, ma si riscon-
POSTECTOMIA PARZIALE LIMITATA ALLA MUCOSA
trano con una frequenza (Kaplan [3]: la percentuale di reinter-
certa
vento va dall’1,1% al 35%!), poiché la postectomia è considerata un
Viene illustrata nella figura 2. Questa tecnica è utilizzata da alcuni
intervento minore e, spesso, è lasciata ai chirurghi meno esperti.
chirurghi. È utilizzabile solo se il prepuzio è lungo permettendo,
Al contrario, una complicanza che è completamente indipendente cos , di rimuovere tutta la zona stenotica. Il risultato ottenuto spesso
dalla tecnica chirurgica è la stenosi del meato: nascosta dalla fimosi è eccellente, non sussistono cicatrici visibili e il glande resta in gran
può essere presente una dermatite da macerazione urinaria con parte ricoperto. Tuttavia, questo intervento espone al rischio di ste-
microulcerazioni meatali che, dopo la postectomia, cicatrizzano rapi- nosi con recidive della fimosi.
2
3 Plastica prepuziale: dilatazione dell’anello stenosante, retrazione
che permette di evidenziare i limiti della stenosi, incisione longitudina-
le fino a livello dell’albuginea, quindi, sutura trasversale.
PLASTICHE PREPUZIALI delle due tecniche proposte da Recht 13,61; la plastica a Z è quella che
noi preferiamo (fig. 4).
La più semplice e utilizzata consiste nell’effettuare un’incisione lon-
gitudinale seguita da una sutura trasversale. Il prepuzio viene
retratto dietro il glande e la zona di stenosi ben visibile viene incisa
Indicazioni
longitudinalmente sulla faccia dorsale. Bisogna evitare di prolun-
gare l’incisione sulla mucosa ma, al contrario, è necessario incidere i
piani sottocutanei fino all’albuginea. Dopo l’emostasi, si verifica che Ogni fimosi vera deve essere trattata chirurgicamente. La scelta
l’abbassamento del prepuzio sia agevole, quindi si sutura la cute tra- della tecnica operatoria dipende dalle condizioni del prepuzio: la
sversalmente (fig. 3). Bisogna, a volte, associare a questa plastica sclerosi dell’orifizio prepuziale può richiedere una postectomia, la
cutanea un allungamento del frenulo. Successivamente (Cendron fll) presenza di prepuzio molto lungo, una postectomia o una plastica a
si posiziona un piccolo rettangolo di garza grassa nella cavità prepu- Z. Bisogna, peraltro, tener conto delle preferenze del chirurgo e dei
ziale e il prepuzio stesso viene riposizionato. Il chirurgo deve rive- genitori. Alcuni auspicano spesso la conservazione del prepuzio, ma
dere il bambino dopo 5-10 giorni per abbassare lui stesso il pre- talvolta preferiscono la circoncisione per ragioni religiose o perché
puzio, rimuovere le garze e mostrare alla madre come procedere. anche il padre è stato circonciso. Al contrario, le teorie secondo le
L’abbassamento deve essere fatto quotidianamente con applicazione quali la circoncisione riduca il rischio di malattie a trasmissione ses-
di vasellina per almeno quindici giorni, prima di passare alla nor- suale, di cancro della prostata o del collo uterino nella partner, non
male igiene giornaliera. Il successo di questo intervento dipende hanno mai trovato conferma.
essenzialmente dalle cure postoperatorie quotidiane. Questa tecnica
molto semplice comporta esiti molto favorevoli e dà eccellenti risul-
La parafimosi, legata alla retrazione forzata dell’anello prepuziale
dietro il glande, può costituire un vero strozzamento, che si forma
tati, permettendo di conservare il prepuzio. Al contrario, non è indi- velocemente attraverso la formazione di un edema importante. Si
cata nelle fimosi secondarie con sclerosi estesa o con prepuzio molto
può tentare di ridurla con una lieve pressione manuale, ricorrendo
lungo, condizioni che espongono al rischio, dopo l’esecuzione della all’occorrenza alla puntura dell’edema o all’iniezione di ialuroni-
plastica, della formazione di due «orecchiette» antiestetiche. In dasi. Nei fatti, sarà quasi sempre preferibile effettuare uno sbriglia-
questo caso si può eseguire la plastica elicoidale di Gosse [21 o una mento dorsale dell’anello di strozzamento.
Indice bibliografico
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3
I - 41-417
Introduzione
ematocele isolato; pericoloso a causa dell’ischemia e della sclerosi che esso provoca;
-
lesioni del testicolo (fig. 2):
-
rottura del testicolo: l’albuginea è rotta, il parenchima testico-
-
contusione: l’albuginea è intatta e all’interno della ghiandola lare fuoriesce da questa breccia, sanguina e va rapidamente in
non c’è ematoma. Successivamente, si osserva la restitutio ad inte- necrosi;
grum senza sequele endocrine o esocrine; - lesioni degli annessi (fin. 3):
-
ematoma del cordone per lesione delle vene del plesso pampi-
Françols Desgrandchomps: Praticien
hospitalo-unlversltaire.
Plerre Telllae, Professeur des
Alaln Le Due: Professeur des
Universités, praticien hospitaliec niforme ;
Universités, praticien hospitalier.
Service d’urologie, hópital Saint-louis, 1, avenue Claude-Vellefaux, 75010 Paris, France. - lussazioni del testicolo.
Ogni riferimento a questo articolo deve portare la menzione: Pauthoc P, Desgrandchamps F, Teillac P, Le Duc A. Traumi recenti degli organi genitali esterni maschili. Encycl Méd Chir (Editions Scientifiques et Médicales Elsevier
SAS, Paris, tutti i diritti riservati), Tecniche chirurgiche - Chirurgia generale, 41-417, 2001, 9 9
p.
2 Lesioni anatomopatologiche del testicolo.
A. Ematoma intratesticolare.
B. Frattura del testicolo.
L’esame obiettivo sarà in funzione della violenza del trauma, ma E Traumi chiusi
anche del tempo trascorso tra il trauma e l’esame obiettivo. Questo
esame deve mettere in evidenza anche eventuali lesioni associate (in Il trattamento chirurgico consiste in un intervento esplorativo della
particolare quelle uretrali). Quando il paziente viene osservato pre- borsa scrotale.
cocemente, la diagnosi è facile. Bisogna ricercare un ematocele (pre- Dopo preparazione del campo operatorio (rasatura e detersione
sente nel 40% dei casi) che richiederebbe l’esplorazione chirurgica. locale con un antisettico), il paziente viene posto in decubito supino
Quando il ferito giunge dal medico tardivamente, il quadro è meno in anestesia generale.
univoco. In tal caso ci si trova, spesso, di fronte a una tumefazione Si realizza un’incisione trasversale sullo scroto traumatizzato (fig. 5).
infiammatoria e dolorosa del sacco scrotale (33% dei casi) o anche di
Si sezionano i diversi piani fino alla tonaca vaginale del testicolo.
fronte a uno scroto apparentemente normale. In questi casi l’unico
esame strumentale utile è l’ecografia del testicolo f2. 4. e. lsl. Scopo di Quindi si apre la tonaca vaginale, si enuclea il testicolo (fig. 6) e si
valutano le lesioni.
questo esame è mettere in evidenza un ematocele, una rottura dell’a-
buginea e ogni altra anomalia dell’ecogenicità del testicolo (testicolo In caso di ematocele isolato: si evacua l’ematocele, si fa un lavaggio del
disomogeneo). Tuttavia, anche se l’ecografia può aiutare nella dia- testicolo con soluzione fisiologica, quindi si reinserisce il testicolo
gnosi, l’assenza di anomalie del testicolo all’ecografia non deve nella tonaca vaginale. Chiusura della tonaca vaginale tramite soprag-
modificare le indicazioni terapeutiche poste in base alle manifesta- gitto con filo riassorbibile (tipo Vicryl©) 3/0. Si riposiziona il testicolo
zioni cliniche f41. nello scroto, quindi si chiudono le tonache testicolari con un soprag-
In pratica, di fronte a un trauma dello scroto si può proporre l’algo- gitto con filo riassorbibile 3/0. La cute viene chiusa a punti staccati
ritmo decisionale riportato in figura 4. (fig. 7) o con un sopraggitto con filo 3/0 a riassorbimento rapido.
2
4 Algoritmo decisionale per un trauma dello scroto.
In caso di ferita dello scroto: l’esplorazione chirurgica permette una primo tempo i testicoli vengono alloggiati dentro una sacca sottocu-
valutazione precisa delle lesioni. Tutti i tessuti necrotici vengono tanea, posta sulla faccia mediale di ognuna delle cosce (fig. 14) per
un periodo che va da 4 a 6 settimane. Quindi si ricostruisce lo scroto
escissi: si può essere indotti a realizzare un’orchiectomia parziale
3
10 Riparazione delle lesioni
dell’epididimo.
manovre azzardate durante il coito: 37%; Esistono principalmente due vie d’accesso.
-
altro: 17%.
Via d’accesso circolare nel solco balanoprepuziale
Quadro clinico ed esami complementari È indicata per le fratture con lesione uretrale, per quelle bilaterali, per
All’esame obiettivo si rileva un ematoma in corrispondenza della quelle distali o in caso di dubbio sulla localizzazione della lesione.
lesione con una deviazione controlaterale del pene a valle di questa. Dopo avere preparato il campo operatorio, si pratica un’incisione
La lacerazione della tonaca albuginea è quasi sempre palpabile. La circolare della guaina 2 mm a monte del solco balanoprepuziale fino
sede della lesione è variabile: la frattura di solito è prossimale e alla fascia di Buck (fig. 16).
9 Chiusura della tonaca albuginea
mediante patch di vaginale.
4
11 Orchidectomia parziale in corso di
un trauma «aperto».
14 Traumi aperti. I testicoli vengono posti all’interno della faccia mediale delle Guarigione delle lesioni cutanee
cosce.
Se le lesioni sono minime, è sufficiente medicare la regione colpita.
In caso contrario, si pratica l’exeresi dei tessuti necrotici:
Si l’ematoma, si fa l’emostasi, quindi si chiude l’albuginea
evacua -
antiinfiammatori e analgesici;
trattamenti che inibiscano l’erezione per 15 In caso di lesione uretrale
-
giorni (l’associazione
ciproterone acetato (200 mg/j) e diazepam (10 mg/j) sembra la più Nel caso di anuria senza fistola uretrale, è sufficiente un drenaggio
efficace [19]); vescicale con catetere sovrapubico per circa 8 giorni.
-
astensione dai rapporti sessuali per 6 settimane; In presenza di fistola uretrale, bisognerà prendere in considerazione
-
in caso di rottura dell’uretra, terapia antibiotica per 8-10 giorni. un intervento a distanza (2-3 mesi) di uretroplastica su tessuti sani.
In assenza di complicanze il paziente può essere dimesso tra la terza
e la quinta giornata postoperatoria.
AMPUTAZIONI
I risultati funzionali sono buoni 191. Le complicanze che possono veri-
ficarsi sono la curvatura del pene, la fimosi cicatriziale, i dolori Le amputazioni (parziali o totali) del pene sono traumi estrema-
durante i rapporti sessuali o la formazione di una placca fibrotica sui mente rari e si verificano in grande maggioranza in pazienti psicotici
6
15 Ricostruzione dello scroto tramite due lembi peduncolati
prelevati dalle cosce.
7
18 Incisione cutanea longitudinale e chiusura dell’albuginea del corpo cavernoso.
17 Chiusura dell’albuginea del corpo cavernoso. 21 Reimpianto del pene. Sutura dei corpi cavernosi.
rapidamente le lesioni intrascrotali ed evitare un trattamento radicale. zazione della guaina peniena;
L’ecografia è importante per l’accertamento diagnostico dei traumi -
nel caso di amputazione, la gestione del caso riguarda sia 1’urologo che
moderati, nei quali permette di ottimizzare l’indicazione chirurgica. lo psichiatra. La microchirurgia garantisce un buon risultato del
Peri traumi del pene, abbiamo tre possibilità: reimpianto.
8
20 Innesto sul pene di cute a tutto spessore
in strato sottile.
Indice bibliografico
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9
Orchiti
L’orchite è un'infezione dei testicoli, tipicamente correlata al virus della parotite. I sintomi sono il
dolore e il gonfiore testicolare. La diagnosi è clinica. La terapia è sintomatica. Il trattamento
antibiotico è indicato se viene identificata un'infezione batterica.
L'orchite isolata (ossia, un'infezione localizzata ai soli testicoli) è quasi sempre di origine virale e la
maggior parte dei casi è dovuta alla parotite. Tra le cause rare sono comprese la sifilide congenita,
la tubercolosi, la lebbra, le infezioni virali da echovirus, la coriomeningite linfocitaria, le infezioni da
coxsackievirus, mononucleosi, varicella e le infezioni da arborvirus di gruppo B. La maggior parte
delle orchiti batteriche è il risultato di una grave epididimite batterica estesa al testicolo (orchi-
epididimite).
L'orchite si sviluppa nel 20-25% dei maschi con parotite; l'80% dei casi si verifica in pazienti di
età < 10 anni. Due terzi dei casi sono unilaterali e un terzo bilaterale. Il 60% dei pazienti con orchite
da parotite sviluppa atrofia in almeno un testicolo. L'atrofia non è correlata alla fertilità o alla
severità dell'orchite. Non sembra che l'orchite parotitica aumenti l'incidenza di tumori, ma la
malattia riduce la fertilità in un quarto dei maschi dopo un'orchite monolaterale e in due terzi dei
maschi che hanno avuto una malattia bilaterale.
Sintomatologia
L'orchite parotitica monolaterale si sviluppa in maniera acuta tra il 4o e il 7o giorno dopo l'aumento
di volume delle parotidi da parotite epidemica. Nel 30% di casi, la malattia si estende all'altro
testicolo in 1-9 giorni. Il dolore può essere di qualsiasi grado di intensità. Oltre al dolore e al
rigonfiamento dei testicoli, possono essere presenti sintomi sistemici come il malessere, la febbre,
la nausea, la cefalea e le mialgie. L'esame obiettivo del testicolo rivela dolorabilità, aumento di
volume e di consistenza del testicolo, nonché edema ed eritema della cute scrotale.
Altre cause infettive producono una sintomatologia simile con una velocità di insorgenza e
un'intensità che sono correlate alla loro patogenicità.
Diagnosi
• Valutazione clinica e indagini diagnostiche selettive
• Ecocolordoppler per escludere altre cause di scroto acuto
L'anamnesi e l'esame obiettivo in genere orientano la diagnosi di orchite. La diagnosi differenziale
urgente di orchite rispetto alla torsione testicolare e alle altre cause di aumento volumetrico
scrotale acuto e di dolore si consegue con l'ecocolordoppler.
La diagnosi di parotite può essere confermata dalla ricerca degli anticorpi sierici con
l'immunofluorescenza. Altri agenti infettivi possono essere identificati con l'urinocoltura o con i test
sierologici.
Trattamento
• Interventi con analgesici
• Antibiotici se vi è infezione batterica
La terapia sintomatica con analgesici e impacchi caldi o freddi è sufficiente se è stata esclusa
un'infezione batterica. Le infezioni batteriche (generalmente causa di orchi-epididimite) sono
trattate con antibiotici appropriati.
È raccomandato il follow-up urologico.
Tumori dell’uretra
Il cancro dell'uretra è raro e colpisce entrambi i sessi; può essere un carcinoma a cellule squamose
o transizionali o, occasionalmente, un adenocarcinoma.
La maggior parte dei pazienti è di età ≥ 50 anni. In qualche caso, alcuni ceppi di papillomavirus
umani possono esserne la causa. I tumori uretrali invadono precocemente le strutture adiacenti e
tendono a essere già in fase avanzata al momento della diagnosi. I linfonodi inguinali esterni o i
linfonodi pelvici (otturatori) sono di solito la prima sede delle metastasi.
Sintomatologia
La maggior parte delle donne si presenta con ematuria e con una sintomatologia da ostruzione
minzionale o ritenzione urinaria. La maggior parte ha un'anamnesi di pollachiuria o sindrome
uretrale (ipersensibilità dei muscoli pelvici). La maggior parte degli uomini si presenta lamentando
i sintomi di una stenosi uretrale; solo pochi si presentano con ematuria o perdite ematiche. A volte
si può sentire una massa se il tumore è in fase avanzata.
Diagnosi
La diagnosi è suggerita dalle condizioni cliniche ed è confermata dall'uretrocistoscopia. La biopsia
può essere necessaria per distinguere un carcinoma uretrale, un prolasso o una caruncola. La TC o
la RM sono utilizzate per la stadiazione.
Prognosi
La prognosi dipende dalla precisa localizzazione nell'uretra e dall'estensione del tumore, in
particolare la profondità dell'invasione. Il tasso di sopravvivenza a 5 anni è > 60% nei pazienti con
tumori distali e del 10-20% per i pazienti con tumori prossimali. Il tasso di recidiva è > 50%.
Trattamento
• Generalmente escissione o ablazione
Per i tumori distali superficiali o minimamente invasivi dell'uretra anteriore, il trattamento consiste
nell'escissione chirurgica, nella terapia radiante (interstiziale o a combinazione di fasci interstiziali
ed esterni), nell'elettrocoagulazione o nell'ablazione con il laser. I tumori anteriori più grandi e più
profondamente invasivi e i tumori prossimali dell'uretra posteriore richiedono una terapia
multimodale con interventi chirurgici radicali e derivazione urinaria, generalmente in combinazione
con la radioterapia. La chirurgia prevede la dissezione bilaterale dei linfonodi pelvici e talvolta di
quelli inguinali, spesso con la rimozione di parte della sinfisi pubica e dei rami pubici inferiori. Il
valore della chemioterapia, che viene talvolta utilizzata, non è stato stabilito.
UROLOGIA E NEFROLOGIA - INTEGRAZIONI
MALATTIE RENALI CISTICHE – CLASSIFICAZIONE RADIOLOGICA (non fare questa, fare Bosniak)
Si tratta di un insieme eterogeneo di patologie, accomunate dalla presenza di cisti intraparenchimali renali,
uniche o multiple, visibili o meno in relazione al diametro, con varia patogenesi.
CLASSIFICAZIONE
• Forme non genetiche: includono le displasie renali ed il rene multicistico; il rene a spugna midollare,
la cisti semplice, la malattia cistica localizzata, le cisti in corso di IRC, la cisti multiloculare, le cisti
pielogeniche, epidermoidi…
• Forme genetiche
o Autosomiche recessive: rene policistico di tipo infantile, nefronoftisi
o Autosomiche dominanti: rene policistico di tipo adulto, sclerosi tuberosa, malattia cistica
della midollare, malattia glomerulo-cistica
o Associate ad altre patologie: sindrome di Meckel, di Von Hippel Lindau, di Zellwegger…
2. RENE MULTICISTICO
È una forma estrema di displasia nella quale il parenchima renale è pressoché totalmente sostituito da un
ammasso di formazioni cistiche; l’uretere è costantemente atresico.
La patogenesi è verosimilmente legata ad una mancata connessione tra l’abbozzo ureterale ed il blastema metanef-
rico. Può quindi conseguire o un difetto di induzione nella differenziazione del blastema renale, o una displasia secon-
daria ad ostruzione.
4. CISTI SIEROSA RENALE: è considerata una forma congenita, ma dal punto di vista diagnostico non è diffe-
renziabile dalle cisti che insorgono per ritenzione urinaria da ostruzione intraparenchimale3.
Il riscontro di cisti renali, quasi sempre asintomatiche, è estremamente frequente (sopra i 50 anni si trovano
nel 50% dei soggetti), ed in genere tendono ad aumentare di numero, più che di dimensioni.
1
Di fronte a una massa renale, nei primi giorni di vita, la diagnosi differenziale verte, per motivi di frequenza, in prima
istanza tra rene multicistico e idronefrosi; in seconda istanza verranno escluse le anomalie di posizione e forma dei
reni, la trombosi della vena renale, i tumori maligni.
2
Cisti di riscontro frequente, natura acquisita e origine probabilmente linfatica; si trovano nel seno renale, sono singole,
spesso multiple, talora multiloculate e ramificate.
3
Dovuta in genere a strozzamento dei tubuli a causa del connettivo.
Pag. 1 di 30
Il riconoscimento di natura è facile con l’ecografia, in quanto sono totalmente anecogene, a contenuto li-
quido limpido, dai margini netti, con rinforzo di parete posteriore.
Nella diagnosi differenziale con i tumori necrotici, si terrà conto del fatto che questi hanno solitamente pareti
spesse, irregolari, e non presentano rinforzo di parete posteriore.
Se persiste il dubbio, TC o RM potranno mostrare i margini netti e regolari della cisti, il valore di attenuazione
ed i tempi di rilassamento simili a quelli dell’urina, la compressione del parenchima circostante e soprattutto
il valore di attenuazione del contenuto e delle pareti delle cisti non modificato dalla somministrazione di mdc,
a differenza del parenchima circostante.
FORME GENETICHE
1. RENE POLICISTICO DI TIPO INFANTILE
è una forma a prognosi sfavorevole, ma poco frequente. L’età di insorgenza e la gravità hanno un rapporto
di proporzionalità inversa.
• Nella forma infantile, predomina l’interesse renale
• Nella forma giovanile, predomina l’interesse epatico (fibrosi
epatica congenita; malattia di Caroli; ipertensione portale)
Ecografia e TC evidenziano l’aumento delle dimensioni renali e la presenza di cisti multiple diffuse su tutto
l’ambito del parenchima renale.
La RM consente di evidenziare, in concomitanza con episodi di ematuria, fenomeni emorragici intracistici,
rilevabili anche ecograficamente (in quanto è presente corpuscolatura e ci sono livelli solido/liquido nelle
cisti). L’arteriografia renale, in caso di ematuria persistente, potrà consentire l’embolizzazione del ramo va-
sale alla base del sanguinamento.
Pag. 2 di 30
CLASSIFICAZIONE DI BOSNIAK delle masse cistiche renali
La classificazione di Bosniak definisce la presenza di 4 (5) tipi di cisti, in base alle loro caratteristiche alla TC
con mdc.
È utile nel predire il rischio di malignità annesso alla cisti, quindi guidare verso il follow up o verso la terapia.
• Tipo I: cisti semplice, con parete sottile. Non sono
presenti setti, né calcificazioni, né componenti
solide.
Non è presente neanche enhancement.
Non richiedono alcun follow up.
• Tipo II: sono presenti setti (sottili, senza enhan-
cement significativo), calcificazioni, elevata atte-
nuazione (può essere uniforme), generalmente
definite e < 3 cm. Non richiedono follow up.
• Tipo IIF: sono presenti setti, a volte con minimo
ispessimento di parete (che può esser dovuto a
calcificazione). Gran parte sono cisti intrarenali, senza enhancing (né della cisti, né dei tessuti molli
circostanti). Richiede follow up (eco/TC/RM).
• Tipo III: in questo caso, è presente enhancement misurabile (la massa è cistica, con pareti ispessite,
irregolari o lisce); si può optare per una nefrectomia parziale o ablazione in radiofrequenza nei più
anziani, o in pazienti ad alto rischio chirurgico.
• Tipo IV: la cisti è chiaramente maligna, con tutti i criteri della categoria III, ed in aggiunta a questi è
presente anche enhancement della componente tissutale molle, indipendentemente da quello dei
setti o delle pareti. Può avere componente cistica molto grande, o porzione necrotica. Richiede una
nefrectomia parziale o totale, quasi il 100% di queste è maligna.
In certe situazioni estreme, la parafimosi potrebbe favorire l’occlusione delle arterie genitali, quindi necrosi
ischemica del glande.
Pag. 3 di 30
CATETERI (da slides AFP e Medline)
L’uso di cateteri è molto importante in urologia.
In genere i cateteri sono dotati di un’estremità prossimale e di una estremità distale (che può essere
monovia, a doppia via o a tripla via). All’estremità distale viene spesso collegata una sacca di drenaggio
delle urine.
1. CALIBRO
Il calibro di ogni catetere viene misurato in French, ed 1
French equivale a 0,33 millimetri. Un catetere di 9 French
avrà quindi un diametro di 3 mm. Può essere abbreviato
in Fr, FR o F. A volte viene abbreviato in Ch o CH, che sta
per “Charrière”, il suo inventore.
Una dimensione crescente di French corrisponde ad un
catetere di diametro maggiore (contrariamente all’unità
di misura Gauge). Inoltre, la misura di French o Charrière
corrisponde al diametro esterno, mentre il Gauge riferisce al diametro interno.
Un catetere di diametro maggiore viene utilizzato quando l’urina è densa4, ma può causare un danno
uretrale con maggiore probabilità.
4
Es. forte ematuria o grande quantità di sedimento, che potrebbero bloccare il drenaggio in un catetere con piccolo
lume.
Pag. 4 di 30
2. MATERIALI
• Lattice: materiale morbido e confortevole, ideale per cateterismi di durata non superiore ai 15
giorni, seppure possano causare allergie
• Silicone: il materiale è più rigido, ed è ideale per cateterismi a permanenza, di durata superiore ai
15 giorni
• Hydrogel: funge da rivestimento esterno, principalmente per i cateteri al lattice. Ha l’effetto di
ridurre al minimo l’allergenicità di questi.
• PVC (plastica): è una sostanza innocua dal punto di vista allergenico, ben tollerata, usata solo per il
cateterismo ad intermittenza (alcuni cateteri sono dotati di gel lubrificante)
3. ESTREMITA’
I vari cateteri possono essere distinti in base alla loro estremità distale, e prendono il nome di colui che li ha
inventati.
4. TIPI DI CATETERE
• Catetere di Foley: è un catetere che
presenta un palloncino ad una
estremità (distale), che viene riempito
con acqua sterilizzata.
Può essere a doppio o singolo lume.
• Catetere Nelaton: non ha un
palloncino di ancoraggio, viene
utilizzato per il cateterismo
estemporaneo
• Catetere Coudé: progettato con punta
ricurva
• Catetere intermittente o di Robinson:
è un catetere flessibile, utilizzato per il
drenaggio a breve termine delle urine.
Non è dotato di palloncino, quindi non può rimanere in sede
senza supporto. Può essere rivestito o non rivestito (con
hydrogel), presenta tipicamente 2-6 aperture, per consentire
il drenaggio dell’urina (è particolarmente utile in presenza di
coaguli di sangue, che potrebbero occludere cateteri con
singola apertura)
• Catetere ad intermittenza: quello nel maschio è tipicamente
un catetere flessibile.
• Catetere curvo: es. Tiemann; la curva consente di facilitare il
passaggio tramite l’uretra prostatica
o Tiemann: catetere con punta ricurva, di forma conica,
con angolatura di 30°
o Mercier: semirigido e con punta angolata di 30-45°
(utile in caso di iperplasia importante)
o Dufour: semirigido, autostatico a 3 vie, con curva di 30° a becco di flauto e due fori laterali
contrapposti (utile per l’ematuria importante)
• Catetere emostatico (Couvelaire): è un catetere usato per l’emostasi, ad esempio post-TURP o
procedure chirurgiche endoscopiche, oppure in caso di macro-ematuria. È a punta dritta a becco di
flauto.
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Può essere a doppia via o a tripla via.
• Catetere maschile esterno (“condom catheter”):
viene generalmente utilizzato negli uomini che
soffrono di incontinenza, ed ha un rischio
infettivo inferiore rispetto ad un catetere interno
a permanenza.
CATETERE VESCICALE
Generalmente, un catetere vescicale è dotato di:
• Palloncino gonfiabile a livello dell’estremità distale
• Valvola per il gonfiaggio del palloncino e apertura per il
drenaggio urinario a livello dell’estremità prossimale
5
In tal caso, può essere richiesta un’irrigazione della vescica con soluzione salina sterilizzata, iniettata tramite catetere.
6
A volte si decide di farlo per evitare i problemi cutanei, o altre complicanze mediche
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Questo tipo di catetere viene solitamente cambiato ogni 6-8 settimane (42-56 giorni).
Il catetere può essere a drenaggio libero (le urine vengono continuamente immagazzinate nella sacca) o con
catetere con valvola (è presente una valvola all’estremità terminale, da usare al posto della sacca urinaria).
L’urina viene immagazzinata nella vescica, e svuotata tramite il catetere nella sacca o in bagno.
La durata della cateterizzazione è presumibilmente il più importante fattore di rischio per lo sviluppo di una
UTI associata a catetere, in quanto la sua punta altera l’urotelio, fungendo anche da superficie inerte per la
crescita batterica. Sono spesso infezioni polimicrobiche, causate da uropatogeni multiresistenti.
Non vanno toccati, con le mani o con i genitali, i bordi o l’interno del contenitore, che va chiuso accuratamen-
te. Il contenitore va consegnato al laboratorio in tempo breve (se non è possibile consegnarlo subito, va con-
servato a temperatura di circa 4°C in frigo, per un tempo massimo di due ore).
È assolutamente importante non prelevare le urine dal sacchetto di raccolta o sconnettendo il catetere.
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URINOCOLTURA IN PAZIENTI PORTATORI DI CATETERE VESCICALE
I pazienti portatori di catetere vescicale sono da considerarsi sempre batteriurici, perciò il monitoraggio
continuo, con prelievo di campioni di urina, è inutile e va scoraggiato.
L’urinocoltura, nel paziente cateterizzato, è indicata qualora il paziente presenti una sintomatologia rife-
ribile ad un’infezione sistemica.
Le urine vanno raccolte asetticamente, tramite aspirazione dal catetere, devono essere appena emesse.
La profilassi va eseguita solo nei pazienti con importanti comorbidità, in coloro che vengono sottoposti a
chirurgia urologica, negli immunodepressi e nelle donne in gravidanza.
TERAPIA
Nei portatori di catetere, in assenza di sindrome infettiva7, la batteriuria (carica batterica nelle urine ≥ 105
UFC/mL) e la candiduria (carica fungina ≥ 104 UFC/mL) necessitano di trattamento solo se associate a leuco-
cituria significativa o nei
pazienti a rischio8.
Il trattamento è indicato
esclusivamente per i
pazienti sintomatici,
iniziando con una terapia
empirica ad ampio
spettro, eventualmente da
sostituire in base
all’antibiogramma.
A destra, indicazioni
dettagliate (tratte dalle
slides).
PREVENZIONE DELLE INFEZIONI URINARIE ASSOCIATE A CATETERE VESCICALE (prima parte da slides; visto
che erano incomprensibili, verrà approfondita successivamente).
Il primo fattore da valutare è l’indicazione al posizionamento del catetere vescicale, che deve essere appro-
priata.
Il secondo fattore da considerare è quello di rimuovere il catetere precocemente, non appena l’indicazione
cessa di esistere, ri-esaminando periodicamente le condizioni che hanno reso indispensabile il cateterismo.
Va individuato il catetere più adatto alla situazione clinica ed al paziente, utilizzando dove possibile un
diametro adeguato alla anatomia del paziente.
Il posizionamento va eseguito seguendo una procedura corretta. Il circuito sacca-catetere dovrebbe rimane-
re sempre pervio, ed infine andrebbero utilizzati sistemi di drenaggio chiusi.
7
Definita dalla presenza di febbre, disuria, dolori lombari, insufficienza renale.
8
Neutropenici, donne in gravidanza, pazienti che vanno sottoposti a terapia urologica
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UROSEPSI
La sepsi è caratterizzata da segni di flogosi sistemica, presenza di disfunzione d’organo ed ipotensione per-
sistente, sino all’anossia tissutale. Si può manifestare con brivido scuotente.
L’urosepsi può mettere a rischio la vita del paziente, pertanto va sospettata in fase precoce.
9
Il paziente avrebbe: maggiore necessità di reintegrare fluidi, alcalosi respiratoria lieve, oliguria, iperglicemia.
10
Tachipnea, ipossiemia ed ipocapnia. Disfunzione soprattutto epatica, possibili anomalie ematologiche.
11
Shock, con azotemia ed alterazioni dell’equilibrio acido-base, anomalie della coagulazione.
12
Il paziente diviene dipendente dai vasocostrittori, oligurico o anurico (sviluppa, in genere, una colite ischemica ed
una acidosi lattica).
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ALTRE INTEGRAZIONI
La sacca di drenaggio consente la misurazione
del volume urinario espulso. Sono presenti
tre tipi di sacche di drenaggio:
• Sacca gambale (leg bag): viene legata
tramite bande elastiche alla gamba
(viene indossata durante il giorno, al
di sotto dei pantaloni).
• Down drain o sacca da letto13: è una
sacca di volume maggiore, che può
essere usata anche durante la notte.
Viene appesa ad un gancio posto
sotto al letto del paziente (mai sopra
il pavimento, a causa del rischio
infettivo).
• Belly bag o sacca addominale: viene
legata all’addome del paziente, può
essere indossata sempre.
13
O drenaggio urinario chiuso.
14
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PROCEDURA PER L’INSERZIONE DEL CATETERE
1. Prendere tutto l’equipaggiamento
2. Spiegare la procedura al paziente
3. Porre il paziente supino, a gambe divaricate e piedi
uniti (?)
4. Aprire il kit per la cateterizzazione ed il catetere
5. Preparare il campo sterilizzato, mettersi i guanti
6. Valutare la pervietà del catetere (gonfiarlo)
7. Porre lubrificante all’estremità distale
8. Applicare i teli chirurgici
9. Nella donna, separare le grandi labbra con la mano
non dominante. Nel maschio, tenere il pene con la
mano non dominante. Mantenere tale posizione fino a
che non si è pronti ad insufflare il palloncino
10. Usare la mano dominante per maneggiare le forbici,
pulire la mucosa periuretrale, dalla porzione anteriore
fino a quella posteriore, dall’interno all’esterno.
Passare ogni tampone una sola volta, poi allontanarli
dal campo sterilizzato.
11. Prendere il catetere con i guanti e la mano dominante,
tenendone la parte distale nel palmo
12. Alzare il pene sino ad una posizione perpendicolare al
corpo del paziente, ed applicare una leggera trazione verso l’alto (con la mano non dominante)
13. Identificare il meato uretrale ed inserire delicatamente fino a 1-2 centimetri, momento in cui l’urina
dovrebbe entrare nel catetere (continuare nel maschio)
14. Insufflare il palloncino, solitamente con 10 mL
15. Tirare leggermente il catetere, finché il pallone insufflato non è incastrato contro il collo vescicale
16. Connettere il catetere al sistema di drenaggio
17. Legare il catetere all’addome o alla coscia, facendo attenzione a non porre in tensione il tubo
18. Porre la sacca di drenaggio al di sotto del livello della vescica
19. Valutare la funzione del catetere e la quantità, il colore, l’odore e la qualità delle urine
20. Rimuovere i guanti e gli strumenti, lavare le mani
21. Documentare il diametro del catetere inserito, la quantità di acqua nel pallone, la risposta del
paziente alla procedura, valutare le urine
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NEFROPATIE GENETICHE DA INTEGRARE
1. SCLEROSI TUBEROSA: rara sindrome AD, con mutazione in uno dei segg: TSC1 (amartina), TSC2 (tuberina).
Si verifica in meno di 1:5.000 nascite; le cisti renali sono frequenti, come il carcinoma a cellule renali e gli
angiomiolipomi renali;
Sono presenti anche tumori benigni del SN, cuore (rabdomiomi), polmoni, fegato, cute.
Tutti i pazienti hanno lesioni cutanee, manifestazioni neurologiche e cognitive.
Il reperto renale più frequente sono gli angiomiolipomi, che tendono ad essere multipli e bilaterali.
Possono sanguinare, benché siano generalmente benigni. La rimozione chirurgica è spesso raccomandata,
come misura profilattica, se le lesioni hanno diametro superiore a 4 cm.
Le cisti da ST sono simili a quelle della ADPKD; tuttavia, aumenta il rischio di carcinomi a cellule renali, quindi
va fatto un follow up radiologico.
4. NEFRONOPTISI
Tale termine indica un insieme di patologie autosomiche recessive geneticamente distinte, ma correlate tra
loro. È una forma piuttosto rara, ma è la più comune causa genetica di insufficienza renale terminale nel
bambino.
Le diverse patologie che appartengono a questo gruppo sono accomunate da disturbi della funzione ciliare.
Sono presenti fibrosi tubulo-interstiziale, cisti corticomidollari, MRC progressiva.
La proteinuria è assente o lieve, il sedimento non è attivo.
Le varie forme possono essere isolate o parte di sindromi multiorganiche; sono spesso presenti anomalie
neurologiche, in alcuni pazienti anche alterazioni ossee ed epatiche.
Non esistono test clinici specifici per questa forma. La diagnosi genetica è possibile, ma presenta difficoltà
dovuta all’elevato numero di geni possibilmente responsabili. Non ci sono terapie specifiche, ma vanno
trattati tutti i segni di queste malattie, come le anomalie sistemiche.
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5. SINDROME DI ALPORT
Classicamente, questi pazienti hanno ematuria, assottigliamento e sdoppiamento della membrana basale
glomerulare, proteinuria moderata (< 1-2 g/24h) che compare nelle fasi avanzate, seguita da glomeruloscle-
rosi cronica, che portano ad insufficienza renale, associata a sordità neurosensoriale.
In alcuni pazienti si sviluppa un lenticono del cristallino anteriore, una retinopatia dot and fleck e, seppur
raramente, può essere presente ritardo mentale o leiomiomatosi.
L’85% dei pazienti ha mutazioni ereditarie X-linked a carico della catena α5 del collagene IV.
CLINICA
Il 70% dei pazienti presenta la forma giovanile, con mutazioni non senso o missenso, frame shift o ampie
delezioni, e sviluppa IR e sordità nei primi 30 anni di vita; i pazienti con varianti derivate da splicing
alternativo, exon skipping… Sviluppano la patologia dopo i 30 anni di età (forma adulta).
Lo sviluppo di sordità grave e precoce, di lenticono o proteinuria è associato ad una prognosi sfavorevole.
Alla biopsia renale risulteranno membrane basali sottili, che si ispessiscono nel tempo, dando luogo a
strutture multilamellari, che circondano aree translucide che spesso contengono granuli (“MB sdoppiate”).
I tubuli si ritirano, i glomeruli cicatrizzano, ed alla fine il rene soccombe alla fibrosi interstiziale.
Tutti i membri affetti di una famiglia con Alport dovrebbero essere identificati e seguiti, incluse le madri
dei pazienti maschi.
Terapia: controllo dell’ipertensione sistemica, uso di ACEi per rallentare la progressione del danno renale.
Sebbene nei pazienti sottoposti a trapianto si sviluppino generalmente Ig anti MBG diretti contro gli epitopi
del collagene assenti nel rene originario, lo sviluppo di una sindrome di Goodpasture conclamata è raro, e la
sopravvivenza dopo il trapianto è buona.
La MBG evidenzia un assottigliamento diffuso, rispetto ai valori normali per l’età del paziente, in biopsie
altrimenti normali. Nella maggioranza dei casi il decorso è benigno.
7. SINDROME ONICO-ROTULEA
È anche detta sindrome nail-patella, si sviluppano corna iliache sulla pelvi, ed è
presente displasia degli arti inferiori a carico della rotula, displasia dei gomiti e
delle unghie associata in modo variabile a un’alterazione neurosensoriale
dell’udito, a glaucoma e ad alterazioni della MBG e dei podociti, che provocano
ematuria, proteinuria, GSFS.
La sindrome è autosomica dominante, con aploinsufficienza del TF LMX1B per l’omeodominio LIM; la penet-
ranza è molto variabile, ma in generale è alterata l’espressione di geni che codificano per catene del collagene
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di tipo IV, di tipo III, per la podocina e per CD2AP (che aiuta a formare le membrane porose che connettono
i podociti).
È presente glomerulopatia, IR nel 30% dei pazienti, proteinuria ed ematuria isolate (in genere entro i 30
anni).
Biopsia renale: il rene appare translucido, con aumento delle fibrille di collagene di tipo III lungo i capillari
glomerulari e nel mesangio, e un danno a carico della membrana porosa, che provoca una grave proteinuria,
non dissimile da quella osservata nella sindrome nefrosica congenita.
Il trapianto offre buoni risultati, nei pazienti con insufficienza renale.
8. MALATTIA DI FABRY
È dovuta ad errore congenito X-linked nel metabolismo della globotriaosilceramide, secondario ad un deficit
di attività della α-galattosidasi A lisosomiale, che provoca un accumulo intracellulare eccessivo di globotria-
osilceramide. Gli organi colpiti comprendono il cuore, il cervello ed i reni.
Classicamente, la malattia si presenta nei maschi durante l’infanzia, con acroparestesie, angiocheratoma,
ipoidrosi. Col passare del tempo, i pazienti sviluppano cardiomiopatia, patologia cerebrovascolare e danno
renale. Il decesso avviene mediamente verso i 50 anni di età.
La biopsia renale rivela un quadro tipico (piccoli vacuoli chiari nei podociti, epitelio tubulare). La nefropatia
si presenta tipicamente nel 3° decennio di vita, con proteinuria (da lieve a moderata), talvolta accompagnata
da microematuria o sindrome nefrosica.
Si trovano cristalli a “croce maltese” nelle urine, per la diagnosi definitiva serve la biopsia renale.
9. SINDROME DI BARTTER
È una tubulopatia autosomica recessiva, caratterizzata da alcalosi ipokaliemica, perdita di Sali e ipotensione,
associata ad ipercalciuria.
• Tipo I: è mutato il gene SLC12A1, che codifica per il cotrasportatore NKCC2, che si trova nel tratto
ascendente spesso dell’ansa di Henle.
• Tipo II: non ci sono differenze fenotipiche con la prima forma. In questo caso è mutato il gene KCNJ1,
che codifica per il canale ROMK (dipendente dall’ATP).
• Tipo III: è la forma classica, non è presente nefrocalcinosi, il 30% dei soggetti presenta ipomagnese-
mia. La causa è la mutazione di CLCNKB, che codifica per il canale del cloro.
• Tipo IV e V: mutazione, rispettivamente, del gene per la barttina (subunità del canale del cloro), o di
CASR (recettore del calcio).
• Pseudosindrome di Bartter: caratterizzata da abuso di lassativi e diuretici, colpisce frequentemente
le giovani donne che lavorano in ambito medico-sanitario.
Terapia: potassio sostitutivo (tranne nella pseudo-Bartter, dove serve assistenza psicologica ed individua-
zione del farmaco in causa).
Clinica: può essere sintomatica o asintomatica. I soggetti potrebbero avere crampi muscolari o debolezza,
insensibilità, sete, nicturia, craving per il sale, sensazioni anomale, condrocalcinosi.
A volte, è presente un allungamento del QT; sono stati descritti anche casi di MCI da ipokalemia.
Glucosio, aminoacidi, bicarbonato, fosfato, acido urico, passano nelle urine anziché esser riassorbite.
Cause: la sindrome di Fanconi è dovuta ad un difetto generalizzato della funzione del TCP, piuttosto che a
mutazione di un singolo gene.
• Forme congenite: la cistinosi è una delle cause più frequenti. Altre sono il morbo di Wilson, la galatto-
semia, le glicogenosi, la sindrome di Lowe…
• Forme acquisite: tetracicline scadute15, effetto collaterale del tenofovir (in genere in presenza di
danno renale pre-esistente), avvelenamento, mieloma multiplo, patologie autoimmuni.
La diagnosi si basa sul semplice esame delle urine, la terapia viene fatta in base alle sostanze perse.
15
Vengono convertite da epitetracicline ad anidrotetracicline, le quali danneggiano il TCP.
Pag. 15 di 30
ALTRE INTEGRAZIONI
SINDROME DI GOODPASTURE
Sono presenti Ig diretti contro la MBG e contro la MB degli alveoli. Si parla propriamente di sindrome di Good-
Pasture solamente quando sono coinvolti sia rene che polmone (malattia emorragica polmonare e GNF).
I determinanti antigenici sono localizzati nella struttura quaternaria del dominio NC1 α3 del collagene IV.
Questi antigeni sono normalmente sequestrati nell’esamero di collagene IV e possono essere esposti in
seguito ad infezioni, fumo di tabacco, ossidanti o solventi.
La malattia, nel gruppo più giovane, ha generalmente carattere esplosivo, con emottisi, crollo improvviso
dell’emoglobina, febbre, dispnea, ematuria.
L’emottisi è perlopiù limitata ai fumatori e coloro che si presentano con emorragia polmonare hanno una
prognosi migliore rispetto alla popolazione anziana con danno renale prolungato e asintomatico.
La presentazione con oliguria è spesso associata ad esito infausto.
Nei casi di sospetta sindrome di GP è importante effettuare con urgenza una biopsia renale.
Queste mostrano una GNF con formazione di semilune (prima epiteliali, poi fibrose).
All’IF vi è il caratteristico pattern “a fumo di sigaretta”, si possono anche ricercare gli anticorpi a livello
sierico16.
Il 10-15% dei pazienti ha anche anticorpi ANCA contro la MPO, ed è una variante associata a vasculite, con
prognosi molto favorevole (se trattata).
RITORNO ALL’UROLOGIA
Definizione incerta di esame strumentale
La diagnostica strumentale si avvale di metodiche di laboratorio o radiologiche a supporto della diagnosi. Tali
metodiche vanno utilizzate soprattutto nei casi in cui la diagnosi possa apportare modifiche e miglioramenti
nella qualità della vita del soggetto.
16
Vanno ricercati specificatamente gli NC1 α3, in quanto gli anticorpi anti NC1 α1 possono essere presenti in alcune
sindromi paraneoplastiche.
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INDICAZIONI TERAPEUTICHE ALLA CISTOSCOPIA
• Trattamento delle stenosi uretrali
• Procedure da effettuare a livello del collo vescicale
• Procedure intravescicali (es. trattamento dei calcoli vescicali, ulcere vescicali, tumori vescicali,
prelievo di corpi estranei nella vescica, iniezione di tossina botulinica, cateterizzazione ureterale)
• Trattamento del reflusso nei pazienti pediatrici
La profilassi antibiotica andrebbe fatta solo in presenza di fattori di rischio per UTI, come l’età avanzata, le
anomalie anatomiche del tratto urinario, fumo, uso di corticosteroidi da tanto tempo, immunodeficienza,
catetere fisso, infezione coesistente, ospedalizzazione prolungata.
STENOSI URETRALE
Le principali cause di stenosi uretrale sono le flogosi
croniche (es. in pazienti con ipospadia, poi trattata chi-
rurgicamente), fratture pelviche, inserzione di cateteri,
radiazioni, chirurgia prostatica.
Raramente, le cause sono tumori in prossimità dell’uretra,
ripetute UTI, STIs (infezioni sessualmente trasmissibili), s-
toria di uretriti croniche.
DIAGNOSI: partendo dalla clinica, va poi fatto un esame obiettivo del pene.
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Possono essere condotti altri test, quali l’uroflussimetria, l’urinocoltura, cistoscopia, test per Chlamydia-Go-
norrhea.
TERAPIA
• Non chirurgica:
o Uso di un dilatatore uretrale. Si
passerà un piccolo filo lungo
l’uretra, fino alla vescica, con
un dilatatore che sarà allargato
gradualmente.
o Apposizione di un catetere a
dimora, soprattutto nei casi di
grave ritenzione urinaria.
• Chirurgica: si può fare un’uretroplastica
open, soprattutto per le stenosi più gra-
vi.
Il tessuto affetto viene rimosso, l’uretra ricostruita (foto).
• Uretrotomia endoscopica (il tessuto cicatriziale viene vaporizzato con un laser, oppure rimosso)
• Nefrostomia: necessaria nei casi di grave ritenzione urinaria.
Il testicolo andrebbe palpato, valutando la presenza di masse, volume (dovrebbe essere uguale nei due testi-
coli), dolorabilità o criptorchidismo.
Tutte le masse ed i rigonfiamenti andrebbero transilluminati (la luce non si trasmette attraverso un tumore
solido, mentre un idrocele verrà illuminato con luce rossa).
Le lesioni testicolari croniche (es. orchiti o torsione testicolare), possono causare atrofia monolaterale o bila-
terale. Se un testicolo non può esser palpato a livello dello scroto, il canale inguinale e l’addome inferiore
andrebbero esaminati (un testicolo non palpabile potrebbe essersi fisiologicamente retratto, o potrebbe
essere un criptorchidismo vero).
Epididimo: si trova posteriormente al testicolo. Il paziente dovrebbe effettuare una manovra di Valsalva in
ortostatismo, così che possa essere valutato alla ricerca di una dilatazione delle vene testicolari (varicocele),
subito sopra e posteriormente al testicolo, oppure di una massa.
Canale inguinale: va esplorato alla ricerca di ernie o dolorabilità dei cordoni (es. da funicolite, che potrebbe
causare dolore inguinale o scrotale, con testicolo normale). Infine, andrebbero ricercati lipomi del cordone,
o idroceli.
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potrebbe essere presente un “punto blu” nella cute dello scroto, che tuttavia viene reso non visibile
quando sopraggiunge idrocele.
• Epididimite: è la causa più comune di rigonfiamento doloroso del testicolo in maschi in età post-
puberale. È presente graduale insorgenza del dolore scrotale, con febbre, secrezioni uretrali, sin-
tomi urinari. La presenza di edema può rendere difficoltosa la distinzione dell’epididimo dal testicolo.
Lo scroto potrebbe essere eritematoso, il riflesso cremasterico è solitamente presente. La piuria è
molto comune. Va trattata con antibiotici.
• Orchite acuta: in genere è dovuta ad agenti virali o batteri piogeni. Si verifica nel 20-35% dei casi di
parotite, con una forma bilaterale nel 15% dei casi. Anche tubercolosi e sifilide possono causare or-
chite. Terapia: riposo, ghiaccio locale ed analgesici. Se la causa sospetta è batterica, servono gli AB.
La parotite causa infertilità solo nel 4% dei casi (poiché è bilaterale solo nel 15%).
• Ernia inguinale: è frequente la presentazione come massa scrotale. Urgente solo se strangolata.
• Tumore testicolare: in genere si presenta come una massa indolente (che al massimo causa un do-
lore sordo, oppure un senso di pesantezza scrotale). Ogni ematoma o idrocele causato da un trauma
scrotale minore dovrebbe far insorgere il sospetto di tumore testicolare.
Il dolore acuto può essere dovuto, al massimo, dall’emorragia testicolare acuta, che distende la tona-
ca albuginea, anelastica. Utili l’ecografia, la valutazione sierica di AFP, hCG.
Trattamento: orchiectomia radicale con legatura del funicolo spermatico, ed approccio inguinale.
Difatti, se si entra per via scrotale si potrebbe causare una recidiva locale (seeding). La diagnosi istolo-
gica da orchiectomia e lo staging clinico guidano verso la terapia.
Una massa aggressiva può richiedere una chemioterapia o RT (i seminomi sono molto radiosensibili).
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“QUANDO È CHE OPERI UN TUMORE RENALE BENIGNO?”
Internet dice che, spesso, l’imaging non riesce a distinguere le masse benigne da quelle maligne, per cui sono
spesso trattate in modo analogo. La biopsia renale è indicata in caso di masse multiple.
I tumori benigni più frequenti del rene sono:
• Adenoma papillare
• Oncocitoma
• Angiomiolipoma (può sanguinare, specie se > 4 cm), per
questi è possibile anche un’embolizzazione arteriosa17.
o Sporadico: è il più comune, più frequente nelle
donne
o Associato alla sclerosi tuberosa
• Rari: adenoma metanefrico, adenofibroma metanefrico,
tumori misti
Le complicanze maggiori sono rare (<1%); seppure un piccolo sanguinamento post-bioptico sia molto comune
(85-90%), le forme che richiedono una trasfusione sono molto rare (seppure più frequenti con aghi con dia-
metro al di sotto di 18 G).
È possibile che si verifichi seeding, ma sono stati riportati molti pochi casi, specie nel passato, dove si utilizza-
vano soprattutto altre metodiche.
Altre complicanze possibili sono quelle infettive, lo pneumotorace, la formazione di una fistola arterovenosa.
In molti centri, viene oggi consigliata la biopsia in molti (se non tutti) i pazienti che si presentino con una pic-
cola massa renale, inclusi i potenziali candidati alla chirurgia o terapia ablativa, così come alla sorveglianza
attiva.
17
Può esser fatta anche prima di un intervento chirurgico, così da ridurre l’emorragia durante la rimozione di un grande
tumore renale. Si può usare anche a scopo palliativo.
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• Conferma della completa ablazione
• Caratterizzazione del sottotipo di RCC nel contesto di una patologia metastatica18
Il ruolo della biopsia nelle masse renali sopra 7 cm (da T2 in su) è controverso, ma potrebbe essere fatta nei
casi in cui la nefrectomia parziale venga considerata per escludere che si tratti di un tumore di alto grado,
che potrebbe recidivare. La nefrectomia parziale potrebbe comunque essere considerata, nel caso in cui la
massa sia un grande oncocitoma, oppure un angiomiolipoma povero in lipidi.
Ci sono alcune controindicazioni alla biopsia renale, ma l’unica assoluta è una coagulopatia incorreggibile.
Quelle relative sono: scarsa aspettativa di vita, alto rischio chirurgico, quadri in cui la diagnosi non altererebbe
la terapia.
Possono essere utilizzate nei pazienti ad alto rischio chirurgico non candidabili per la sorveglianza attiva.
Le più utilizzate sono la crioterapia focale e l’ablazione con radiofrequenza.
PRIAPISMO
Con tale termine si intende un’erezione involontaria,
prolungata, non correlata a stimolazione sessuale e non
risolvibile tramite eiaculazione.
È anche un effetto collaterale di farmaci, tra cui β-bloccanti, anticoagulanti, anti-ipertensivi, antidepressivi e
corticosteroidi).
Infine, può essere associato all’abuso di droghe (amfetamina, alcol e cocaina), o conseguenza rara di uretriti,
cistiti, prostatiti, tumori pelvici o metastatici.
18
Per ottimizzare l’uso di biologici sistemici.
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FISIOPATOLOGIA
Nelle forme a basso flusso (o priapismo venoso), l’erezione prolungata è dovuta al mancato deflusso di san-
gue venoso dal pene, con ristagno ematico. La carenza di ossigeno, l’acidosi locale, l’edema delle trabecole
favoriscono il mantenimento dello stato di priapismo, ostacolando il drenaggio ematico.
Quando l’anossia diviene prolungata, la carenza di ossigeno provoca necrosi e fibrosi delle cellule muscolari,
esitando in deficit erettile permanente. Il priapismo venoso è quindi causato da trombosi venosa.
Le forme ad alto flusso sono in genere dovute ad un trauma genito-perineale, che danneggia un ramo della
arteria cavernosa, creando una fistola artero-venosa ad alto flusso.
CLINICA
• Priapismo a basso flusso o ischemico: è generalmente doloro-
so, seppure il dolore possa scomparire con un priapismo pro-
lungato.
Le caratteristiche di tale forma sono: erezione rigida, nessuna
evidenza di trauma, ischemia dei corpi cavernosi (vedi foto),
dovuta a compressione del de-flusso venoso.
• Priapismo ad alto flusso o non ischemico: è una forma
generalmente non dolorosa, che si può manifestare anche in
maniera episodica.
Il flusso arterioso è adeguato, ed è in genere causato da trauma
al pene (generalmente sono presenti anche i segni di tale
trauma, sulla superficie del pene) che conduce alla rottura di
un’arteria interna del pene, o dalla formazione di una fistola.
DIAGNOSI
Oltre alla clinica, possono essere utili esami di laboratorio o
esami di imaging.
• Laboratorio: utile l’emocromo (per valutare la pre-
senza di anemia, leucocitosi o trombocitosi), aPTT o
PT (in preparazione all’inter-vento chirurgico, nel caso
in cui la terapia medica fallisca), tipo sanguigno19, e-
mogas peniena (consente di distinguere tra forme
ischemiche e non).
• Imaging: un ecoDoppler può risultare utile per
identificare eventuali fistole artero-venose nei casi di priapismo non ischemico. Una volta riscontrate,
un’angiografia pelvica ne confermerà la sede.
La TC è consigliata nei casi in cui l’anamnesi suggerisce un priapismo secondario ad una metastasi o
a tumore maligno.
Può essere utile effettuare anche un ECG, specie se il paziente ha più di 55 anni, è un cardiopatico o un possi-
bile candidato chirurgico.
19
Potrebbe essere necessaria una trasfusione, specie se il priapismo è dovuto ad anemia falciforme, una delle cause
delle forme ischemiche.
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GESTIONE
1. Priapismo a basso flusso
La terapia dovrebbe seguire una certa gradualità, includendo anche i trattamenti di supporto e l’identifica-
zione e terapia delle cause reversibili.
• Aspirazione di sangue dai corpi cavernosi, con o
senza irrigazione di fisiologica non eparinata. È il
primo intervento che viene provato. Nel caso in
cui fallisca, si procede all’iniezione di simpatico-
mimetici.
• Fenilefrina intracavernosa: è di prima linea per
questa forma, perché ha un effetto α-agonista
quasi puro e minima attività β-agonista20. Prima di
passare alle soluzioni chirurgiche, è bene ripetere
più volte la procedura di iniezione intracavernosa.
• Shunt artificiale veno-cavernoso o caverno-spon-
gioso: è una metodica chirurgica creata al fine di
bypassare l’occlusione venosa, drenando il sangue in un’altra vena.
20
Può essere utile anche il ghiaccio, per il suo effetto vasocostrittore. Per il trattamento del dolore, è indicata la graduale
transizione dai FANS agli oppiacei.
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CALCOLOSI VESCICALE
La formazione di calcoli vescicali avviene, solitamente, quando la vescica non si svuota del tutto. Ciò comporta
un certo grado di ristagno urinario, che conduce alla aggregazione dei minerali contenuti nell’urina, con for-
mazione di cristalli e, in seguito, calcoli.
Epidemiologia: i calcoli vescicali sono frequenti nei bambini dei Paesi non Industrializzati. Le cause più fre-
quenti, in tali sedi, sono la disidratazione, le infezioni, le anomalie del tratto urinario ed una dieta ipoproteica.
CLINICA
A volte, calcoli vescicali, anche se molto grandi, sono asintomatici. I sintomi sopraggiungono se il calcolo irri-
ta la parete vescicale o blocca il flusso urinario. Eventuali segni e sintomi possono essere:
• Dolore ipogastrico
• Dolore o discomfort penico o scrotale
• Dolore urente durante la minzione
• Pollachiuria
• Disuria o flusso urinario interrotto
• Ematuria
• Urine di colore anomalo (opaco o scuro)
COMPLICANZE
Anche i calcoli che non causano sintomi, se non espulsi, possono causare:
• Disfunzione vescicale cronica: es. dolore o pollachiuria persistente. A volte può esser presente una
ostruzione al deflusso urinario (il calcolo si incunea nell’orifizio uretrale interno)
• UTI: il calcolo forma una superficie inerte per la crescita batterica, ma può anche danneggiare l’uro-
telio, facilitando un’eventuale impianto e crescita del germe stesso.
PREVENZIONE
• Bere molto: soprattutto acqua (in quanto diluisce i soluti vescicali). La quantità dovrebbe dipendere
dall’età, dalla taglia, dal livello di attività e dallo stato di salute.
• Correggere rapidamente patologie ostruttive urinarie (o neurologiche)
DIAGNOSI
Si basa sui seguenti rilievi:
• Esame obiettivo: palpazione dell’ipogastrio, per l’eventuale valutazione del globo vescicale (o EDR,
alla ricerca di un ingrandimento prostatico).
• Analisi delle urine: alla ricerca di ematuria, batteri, minerali cristallizzati. È utile anche nel determina-
re l’eventuale presenza di un’UTI.
• TC: può vedere calcoli anche molto piccoli, ed è uno dei test più sensibili.
• Ecografia: anche questa può rilevarli.
• Rx: li rileva tutti, tranne quelli di urato.
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TRATTAMENTO
In genere, i calcoli vescicali andrebbero rimossi. Quelli molto piccoli possono anche essere trattati aumen-
tando l’introito idrico, tuttavia gran parte dei casi richiede la rimozione del calcolo.
2. RIMOZIONE CHIRURGICA
Previa apertura vescicale, il calcolo viene rimosso direttamente.
Tale metodica viene utilizzata nei casi in cui il calcolo sia troppo grande o troppo duro (non frantumabile).
A volte, la linfadenectomia dei linfonodi addominali, utilizzata nei casi di tumore non seminomatoso del testi-
colo, può condurre ad eiaculazione retrograda. Questo può ridurre la fertilità. Tuttavia, rimane possibile il
prelievo di sperma direttamente dai testicoli (o dalle urine dopo rapporto sessuale), che può essere utilizzato
per fertilizzare il partner direttamente, o tramite tecnica in vitro.
La chemioterapia23, specie quella con cisplatino, viene spesso utilizzata nei tumori testicolari. Causa
infertilità temporanea; in genere questa risolve dopo alcuni mesi dal termine della chemioterapia; tuttavia,
per alcuni soggetti questo non accade, specie se le dosi sono state particolarmente elevate.
La radioterapia rende sconsigliabile la paternità durante trattamento e fino ad un anno dopo la fine dello
stesso. Se causa infertilità, questa è in genere temporanea. L’unica forma che causa spesso infertilità è quella
da radioterapia pre-trapianto, total-body (si utilizzano alte dosi di radiazioni).
Chiunque abbia raggiunto la pubertà può fare ricorso ala banca dello sperma.
21
Es. laser ad Olmio
22
Durante prostatectomia (o cistoprostatectomia), vengono rimosse la prostata e le vescichette seminali, che normal-
mente producono parte dello sperma. Oltretutto, viene anche interrotta la via che conduce le cellule spermatiche ad
essere introdotte nel seme. Infine, la chirurgia testicolare o quella colica possono condurre a danno dei nervi coinvolti
nell’eiaculazione, fino al cosiddetto “orgasmo secco”, cioè con sensazione di piacere, ma senza eiaculato.
23
I farmaci che tendono a danneggiare maggiormente il testicolo sono gli agenti alchilanti (ciclofosfamide…), cloram-
bucile, busulfano, procarbazina, nitrosuree, mostarde azotate. Ad alte dosi, anche i derivati del platino o farmaci quali
la bleomicina possono causare infertilità.
24
Alcune banche dello sperma consegnano un kit che può essere utilizzato a domicilio, dotato di sostanze chimiche utili
a preservare la vitalità degli spermatozoi.
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SCELTA DELLA TERAPIA NEI TUMORI TESTICOLARI (American Cancer Society)
• IGCNU ed altri tumori testicolari in situ: se viene diagnosticato successivamente all’orchiectomia,
non è richiesto alcun trattamento ulteriore.
Se viene riscontrato dopo una biopsia testicolare (es. fatta per problemi di fertilità), potrebbe esser
seguito tramite sorveglianza attiva (EO, ecografia, marker sierici).
Nei casi in cui venga trattato, le opzioni sono l’orchiectomia e la RT testicolare.
• Seminoma: la terapia è chirurgica (orchiectomia radicale inguinale, cioè con rimozione del testicolo
e del funicolo spermatico). Dopo terapia, le opzioni disponibili sono:
o Sorveglianza attiva: fino a 10 anni dopo la terapia (EO e valutazione dei markers sierici, a vol-
te CT). Se il tumore è fuoriuscito dal testicolo, si potrà fare una RT o una CHT. Il tasso di reci-
diva è del 15-20%, specie come metastasi linfonodale.
o Radioterapia: mirata sui linfonodi para-aortici (si possono usare basse dosi, in quanto il semi-
noma è molto sensibile alle radiazioni).
o Chemioterapia: 1-2 cicli con carboplatino (alcuni la preferiscono alla RT, perché la ritengono
più tollerabile).
• Seminoma stadio IIA: in questo caso, dopo orchiectomia radicale inguinale, si fa sempre RT dei linfo-
nodi retroperitoneali, o CHT (etoposide e cisplatino o bleomicina/etoposide/cisplatino).
• TUMORI NON SEMINOMATOSI
La terapia iniziale consiste sempre nell’orchiectomia radicale ingui-nale. Le altre scelte terapeutiche
dipendono dallo stadio.
o Stadio T1
▪ Sorveglianza attiva: ogni 2 mesi nel primo anno, poi 3 mesi nel secondo…
▪ Linfadenectomia retroperitoneale: il tasso di radicalità è maggiore, ma si rischiano
alterazioni dell’eiaculazione. Se i linfonodi erano positivi, la CHT è raccomandata.
▪ Chemioterapia: un ciclo di BEP (Bleomicina, Etoposide, cisPlatino).
o Stadi T2, T3, T4 e IB
▪ Linfadenectomia retroperitoneale: con CHT se i linfonodi sono positivi.
▪ Chemioterapia: al posto della chirurgia, è possibile un ciclo di BEP.
▪ Sorveglianza attiva: in genere nei casi di T2 senza invasione linfovascolare.
o Stadio II-III
▪ Orchiectomia radicale inguinale
▪ Chemioterapia adiuvante (4 cicli di EP: etoposide e cisplatino) o 3-4 cicli di BEP
▪ La CHT cambia se M1 (cervello, ossa, fegato): etoposide, MESNA, ifosfamide, cispla-
tino.
• Tumori stromali: orchiectomia radicale inguinale. La RT e la CHT in genere non funzionano.
• Tumori testicolari ricorrenti: in genere, le recidive si presentano entro i primi due anni dal tratta-
mento iniziale. Se recidivano nei linfonodi retroperitoneali, questi possono essere rimossi. Sarà even-
tualmente abbinata la CHT.
Se la recidiva è in altre sedi, in genere si fa CHT (a volte seguita da chirurgia).
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CISTINURIA
La cistinuria è un disturbo autosomico recessivo, che comporta un difetto nel riassorbimento di cistina ed an-
che degli aminoacidi dibasici (ornitina, arginina, lisina) dal lume del tubulo prossimale (e nel tenue).
La manifestazione più comune risiede nella formazione di calcoli di cistina (spesso ricorrenti).
In media, i pazienti sviluppano un nuovo calcolo ogni anno, e richiedono una chirurgia per la rimozione ogni
tre anni.
La solubilità della cistina nelle urine aumenta con l’aumentare del pH urinario.
La cistina è un omodimero di cisteina, legato con un ponte disolfuro. Il 66% di coloro che soffrono di cistinuria
hanno calcoli di cistina pura, mentre il restante 33% ha calcoli di cistina ed ossalato di calcio.
I cristalli di cistina pura sono tra i più duri.
EPIDEMIOLOGIA
La cistinuria causa l’1% di tutti i calcoli degli adulti, ed il 6-8% di quelli pediatrici negli USA.
CLINICA
I calcoli urinari sono generalmente l’unica manifestazione della cistinuria, sebbene il 10% dei casi sia compli-
cato da ipertensione.
I pazienti con cistinuria e formazione di calcoli sono a maggior rischio di nefrectomia, rispetto a coloro che
presentano calcoli di ossalato di calcio. Tuttavia, l’IRC grave dovrebbe verificarsi in meno del 5% dei pazienti
che soffrono di cistinuria. Altre complicanze sono le pielonefriti croniche, l’ipertensione, le patologie psichia-
triche.
La presentazione è quindi simile a quella di tutti i calcoli: colica renale, UTI in giovane età, ematuria, disuria.
DIAGNOSI
L’analisi del sedimento può mostrare cristalli esagonali, che sono patognomonici di cistinuria. La cristalluria
microscopica è presente nel 26-83% dei pazienti.
TERAPIA
Non ne esiste una specifica, le uniche raccomandazioni sono quelle di bere molto ed alcalinizzare le urine
(tramite citrato di potassio).
Quando la terapia conservativa fallisce, si possono utilizzare farmaci chelanti la cistina25, quali la D-
penicillamina, la tiopronina (o alfa-MPG), il captopril…
I calcoli di struvite sono noti anche come triplo fosfato27, calcoli da ureasi.
In passato, tali calcoli richiedevano operazioni chirurgiche molto invasive, con grandi complicanze e senza al-
cuna garanza di completa rimozione del calcolo.
25
I quali creano, con essa, un complesso solubile.
26
La Struvite sarebbe il fosfato magnesiaco di ammonio, ed è stata nominata in tale modo da un geologo svedese, che
l’ha scoperta nell’urina di pipistrello e nominata in onore del suo amico e mentore Baron von Struve (diplomatico natu-
ralista russo).
27
Tale termine riferisce al fatto che tre cationi siano associati ad un anione.
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Patogenesi: la formazione di tali cristalli è associata ad UTI, incluse quelle da Proteus spp. (principale), urea-
plasma urealyticum, Staphylococcus Spp., Klebsiella spp., Pseudomonas Spp.
Tali batteri lisano l’urea in ioni ammonio ed idrossile. L’Escherichia Coli non produce mai ureasi, mentre gli
enterococchi, gli streptococchi ed il citrobacter possono farlo.
La concentrazione di ammonio e fosfato nelle urine aumenta e, in combinazione con l’alcalosi delle stesse
(pH > 7.2), si formano cristalli di struvite e carbonato, apatite.
EPIDEMIOLOGIA
I calcoli di ossalato di calcio sono i più frequenti in Occidente, sebbene i calcoli di struvite formino il 30% dei
calcoli presenti su scala mondiale (10-15% negli USA).
Sono più frequenti nelle donne e nei soggetti con più di 50 anni (cioè quelli a maggior rischio di UTI ricorren-
te o persistente). Difatti, il trattamento di tale tipo di calcolo deve riguardare anche la fonte infettiva.
Questo tipo di calcoli cresce rapidamente, ed ogni frammento residuo può fungere da “nido” per la forma-
zione di futuri calcoli.
Per cui, anche dopo rimozione completa, i calcoli di struvite si ripresentano in circa il 10% dei pazienti.
Se rimangono dei frammenti o calcoli residui dopo terapia, il tasso di recidiva sale all’85%.
I calcoli di struvite sono una potenziale fonte di morbidità significativa. Inizialmente, si credeva che i pazienti
con calcoli di struvite, ma asintomatici, potessero essere trattati in maniera conservativa (senza chirurgia).
Il 30% di questi pazienti morì di insufficienza renale o pielonefrite e sepsi.
In rari casi, possono indurre metaplasia squamosa (poi SCC). Tale neoplasia ha una pessima prognosi (soprav-
vivenza a 5 anni del 10%).
I fattori di rischio per la formazione di tali calcoli sono gli stessi fattori di rischio per UTI.
CLINICA
Si può presentare tramite una colica renale, pielonefrite, pionefrosi, ascesso perinefrico.
È raro che si presenti con una colica renale isolata, in assenza di pregresso intervento chirurgico (o di fattori
favorenti una UTI).
Potrebbe essere presente anche idronefrosi, nausea, vomito.
In pazienti molto compromessi, la sepsi potrebbe essere l’unica evidenza di un sottostante calcolo di stru-
vite. In genere, tali calcoli vanno sempre rimossi.
La milza, il colon ed il fegato potrebbero essere lesi durante accesso renale tramite via percutanea.
LABORATORIO
Prima della terapia, andrebbero ordinati i seguenti esami di laboratorio:
• Emocromo (se è presente anemia, potrebbe dover esser fatta una tipizzazione del gruppo sanguigno,
onde pianificare eventuali trasfusioni).
• PT e aPTT
• Elettroliti sierici
• Creatininemia
• Esame delle urine
• Urinocoltura (se è presente un’infezione, si potrà fare un antibiogramma e poi dare un AB specifico).
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È indicata anche una valutazione dei livelli urinari di ossalato, calcio, acido urico, fosfato, citrato, magnesio,
sodio, volume, pH, oltre che dei livelli sierici di calcio, acido urico, elettroliti e fosfato.
STUDI DI IMAGING
L’Rx addome di solito documenta l’estensione del calcolo; tuttavia, test addizionali che rivelino l’anatomia
del tratto urinario potrebbero essere utili.
Per cui, l’AUA/ES28 consiglia, in pazienti con calcoli a stampo e ridotta funzione renale, una valutazione della
anatomia urinaria (es. CT o MR con MDC, oppure urografia endovenosa).
La TC è la metodica preferita, in quanto consente di valutare anche le strutture circostanti, e potrebbe aiu-
tare nella scelta della migliore via di accesso percutanea al sistema renale.
La presenza di un infundibolo ristretto potrebbe essere indicazione alla nefrostomia percutanea, mentre un
infundibolo largo può consentire l’esecuzione di una litrotissia extracorporea (è più probabile che i frammenti
vengano eliminati).
TERAPIA
La terapia medica, da sola, non può liberare il paziente dai calcoli di struvite, quindi tipicamente viene usata
come terapia sinergica a quella chirurgica.
Inibitori dell’ureasi: l’acido acetoidrossamico29 è il principale inibitore di tale enzima, viene assunto per
bocca.
Ha elevata clearance renale, può penetrare facilmente nella parete batterica, opera in sinergia con molti anti-
biotici.
Altre misure: la terapia antibiotica potrebbe prevenire la pielonefrite e l’infezione sistemica, e può aiutare
nel ridurre la crescita dei calcoli.
Litotrissia extracorporea: è efficace nel frantumare i calcoli di struvite, a causa delle loro multiple lamina-
zioni. Tuttavia, nonostante un’eccellente frantumazione con litotrissia primaria, la ripetizione della litotrissia
va fatta nella metà dei pazienti, a causa della grandezza del calcolo.
La potenziale ostruzione urinaria durante il passaggio dei frammenti richiede, solitamente, l’apposizione di
uno stent ureterale. Una nefrostomia percutanea può servire, fino al 40% dei pazienti, per consentire un dre-
naggio renale adeguato.
Nefrolitotomia percutanea: si accede alla pelvi tramite la cute. L’accesso al rene viene effettuato sotto guida
ecografica o fluoroscopica. Tramite una dilatazione delle vie urinarie, viene introdotto un nefroscopio rigido,
che consente di visualizzare il calcolo ed il sistema collettore, e di guidare la frammentazione.
Il calcolo viene frammentato tramite ultrasuoni, litotritori, sistemi elettroidraulici. Un nefroscopio flessibile
consente l’esame di tutto il rene, ed assicura una rimozione radicale del calcolo.
Nelle forme di calcolosi a stampo multipla, si potrebbero fare più accessi percutanei.
Dopo litotrissia, viene posizionato un “tubo” (Cit), per ottimizzare il drenaggio urinario e dei frammenti.
Complicanze: infezioni (pielonefriti, sepsi), in genere si verificano precocemente dopo una nefrolitotomia
percutanea, mentre sono ritardate dopo litotrissia extracorporea (in questo caso, tendono a verificarsi duran-
te il passaggio dei frammenti).
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American Urological Association/Endourological Society
29
Presenta effetti collaterali, quali: flebite, TVP, anemia emolitica. È maggiormente tossico in pazienti con Cr > 2,5 mg/dL
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Gran parte dei pazienti fa una nefrolitotomia percutanea (ha efficacia pari alle metodiche chirurgiche, ma
ridotte complicanze intra-operatorie e post-operatorie).
FOLLOW UP
Il paziente va attentamente seguito, alla ricerca di segni di infezione, disfunzione renale, sanguinamento.
A tal fine, è molto utile la valutazione degli elettroliti, l’esecuzione di un emocromo, della creatininemia.
È sempre utile fare una raccolta delle urine nelle 24h.
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