Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
ANATOMIA
PATOLOGICA
proff.
Scarpelli,
Montironi,
Goteri,
Santinelli,
Rubini
Mara
Barchetti
Giulia
Bevere
Giulia
Cadelli
Alberto
Chierigo
Eliana
Colucci
Ylenia
Ferraioli
Margherita
Gambelli
Lorenzo
Giusti
Giacomo
Marcozzi
Leonardo
Natalini
Elisabetta
Tola
Carmine
Valenza
Yari
Valeri
ANATOMIA'PATOLOGICA'I:'INDICE'
!
Introduzione'
1.'Anatomia'patologica:'introduzione,'diagnosi'istologica'e'citologica'(7)'
2.'Metodi'e'tecniche'dell’AP:'l’esame'microscopico'e'le'tecniche'ancillari'(7)'
Apparato'gastroenterico'
3.'Esofago'(15)'
4.'Stomaco'(17)'
5.'Intestino'tenue'(21)'
6.'GIST'(2)'
7.'Colon'(18)'
8.'Neoplasie'neuroendocrine'(9)'
9.'Neoplasie'neuroendocrine'del'pancreas'(7)'
10.'Neoplasie'epiteliali'del'pancreas'(13)'
11.'Fegato'(26)'
Sistema'endocrino'
12.'Ipofisi'e'patologie'della'sella'turcica'(15)'
13.'Tiroide'(16)'
14.'Surrene'e'paragangli'(16)'
15.'Patologia'mammaria'(29)'
Lesioni!in!situ!
Carcinoma!invasivo!
Tumori!stromali!
16.'Vasculiti'(19)'
17.'Cute'(40)'
Patologie!infiammatorie!
Patologia!neoplastica!non!melanocitaria!
Patologia!neoplastica!melanocitaria!
18.'Neoplasie'dei'tessuti'molli'(16)'
18b.'Nervo'periferico'(3)'
19.'Apparato'respiratorio'(35)'
Malattie!polmonari!croniche!diffuse!
Tumori!del!polmone!
Patologia!della!pleura!
20.'Cuore'(10)'
'
'
'
'
'
'
'
'
'
'
'
ANATOMIA'PATOLOGICA'II:'INDICE'
'
21.'Sistema'nervoso'centrale'
21a.'Patologia'benigna'(38)'
Introduzione:!ernie,!ipertensione!endocranica!ed!edema!cerebrale!
Patologia!infettiva!
Patologia!vascolare!
21b.'Neoplasie'del'SNC'(26)'
21c.'Meningiomi'(5)'
21d.'Malattia'non'neoplastica'del'muscolo'scheletrico'(7)'
22.'Malattie'ematologiche'(58)'
Introduzione!
Linfomi!B!
Linfomi!T!
23.'Rene'
23a.'Patologia'non'neoplastica'(54)'
Glomerulonefriti!
Nefropatia!diabetica!
GN!IgA!mesangiale!
Nefrite!lupica!
Danno!renale!in!corso!di!paraproteinemia!
23b.'Tumori'del'rene'(21)'
24.'Prostata'(65)'
Introduzione!
Diagnosi!di!adenocarcinoma!della!prostata!
Biopsia!prostatica!
ASAP!
Prostatectomia!
Varianti!del!carcinoma!della!prostata!
Lesioni!preneoplastiche!
Imitatori!del!carcinoma!della!prostata!
25.'Neoplasie'dell’urotelio'(33)'
Lesioni!non!invasive!
Fattori!prognostici!del!carcinoma!invasivo!
Varianti!del!carcinoma!invasivo!
26.'Tumori'del'testicolo'(11)'
Apparato'genitale'femminile'
27.'Patologia'dell’utero'(20)'
Patologia!della!cervice!uterina!
Patologia!del!corpo!dell’utero!
28.'Tumori'dell’ovaio'(14)'
29.'Patologia'della'gravidanza'(10)'
Distretto'testaVcollo'
30.'Carcinoma'del'cavo'orale'(9)'
31.'Patologia'neoplastica'delle'ghiandole'salivari'(10)'
'
ANATOMIA'PATOLOGICA:'INDICE'
!
Introduzione'
1.!Anatomia!patologica:!introduzione,!diagnosi!istologica!e!citologica!(7)!
2.!Metodi!e!tecniche!dell’AP:!l’esame!microscopico!e!le!tecniche!ancillari!(7)!
Apparato'gastroenterico'
3.!Esofago!(15)!
4.!Stomaco!(17)!
5.!Intestino!tenue!(21)!
6.!GIST!(2)!
7.!Colon!(18)!
8.!Neoplasie!neuroendocrine!(9)!
9.!Neoplasie!neuroendocrine!del!pancreas!(7)!
10.!Neoplasie!epiteliali!del!pancreas!(13)!
11.!Fegato!(26)!
Sistema'endocrino'
12.!Ipofisi!e!patologie!della!sella!turcica!(15)!
13.!Tiroide!(16)!
14.!Surrene!e!paragangli!(16)!
15.'Patologia'mammaria'(29)'
16.'Vasculiti'(19)'
17.'Cute'(40)'
18.'Neoplasie'dei'tessuti'molli'(16)'
18b.!Nervo!periferico!(3)!
19.'Apparato'respiratorio'(35)'
20.'Cuore'(10)'
21.'Sistema'nervoso'centrale'
21a.!Patologia!benigna!(38)!
21b.!Neoplasie!del!SNC!(26)!
21c.!Meningiomi!(5)!
21d.!Malattia!non!neoplastica!del!muscolo!scheletrico!(7)!
22.'Malattie'ematologiche'(58)'
23.'Rene'
23a.!Patologia!non!neoplastica!(54)!
23b.!Tumori!del!rene!(21)!
24.'Prostata'(65)'
25.'Neoplasie'dell’urotelio'(33)'
26.'Tumori'del'testicolo'(11)'
Apparato'genitale'femminile'
27.!Patologia!dell’utero!(20)!
28.!Tumori!dell’ovaio!(14)!
29.!Patologia!della!gravidanza!(10)!
Distretto'testaVcollo'
30.!Carcinoma!del!cavo!orale!(9)!
31.!Patologia!neoplastica!delle!ghiandole!salivari!(10)!
1.
ANATOMIA
PATOLOGICA:
INTRODUZIONE,
DIAGNOSI
ISTOLOGICA
E
CITOLOGICA
L’anatomia
patologia
(AP)
studia
le
modificazioni
morfologiche
indotte
negli
organi,
nei
tessuti
e
nelle
cellule
dallo
stato
di
ma-‐
lattia;
cerca
di
comprenderne
il
grado
di
alterazione
e
le
possibili
cause,
partendo
da
un
campione
di
tessuto.
E’
una
disciplina:
• diagnostica,
di
diagnosi
istologica
(che
osserva
i
tessuti),
citologica
(che
osserva
le
cellule),
molecolare:
non
cura
i
pazienti
ma
serve
a
formulare
le
diagnosi
(e
dal
referto
scaturiscono
prognosi
e
terapia);
• morfologica:
si
fonda
sull’osservazione
e
l’analisi
di
immagini.
L’AP
rappresenta
il
ponte
di
collegamento
tra
le
scienze
di
base
e
la
diagnostica,
ovvero
tra
la
ricerca
di
ba-‐
se
e
la
clinica
pura;
l’anatomia
patologica
infatti
applica
sistematicamente
agli
organi
le
nozioni
della
pato-‐
logia
generale
(che
studia
i
processi
comuni
delle
malattie,
che
descrivono
e
spiegano
come
i
tessuti
e
gli
organi
si
alterano)
e
ha
l’obiettivo,
attraverso
l’analisi
delle
modificazioni
cui
gli
organi
vanno
incontro,
di
diagnosticare
la
patologia
che
le
ha
determinate.
Storia
dell’anatomia
patologica
(non
per
l’esame)
L’AP
nasce
quando
si
inizia
a
correlare
quanto
il
medico
ha
visto
in
vita
(grazie
alla
semeiotica
classica)
a
quanto
viene
visto
con
l’autopsia
(primo
gesto
dell’anatomia
patologica);
in
altre
parole
si
inizia
a
pensare
che
dietro
i
segni
e
i
sintomi
di
una
malattia
ci
sia
un
correlato
organico,
cioè
delle
alterazioni
osservabili
ad
alcuni
organi.
I
padri
dell’AP
sono:
• Benivieni,
tra
i
primi
a
correlare
clinica
e
morfologia:
nella
Firenze
del
1400
aveva
raccolto
molti
ca-‐
si
clinici;
• Malpighi,
padre
dell’anatomia
microscopica,
che
sostenne
che
il
compito
dell’anatomia
risiede
nel-‐
la
considerazione
delle
cause,
delle
sedi,
della
struttura,
del
modo
e
della
materia
morbosa;
• Morgagni,
autore
del
primo
libro
di
anatomia
patologica
sistematica:
in
maniera
sistematica
ha
cor-‐
relato
i
sintomi
reperti
al
letto
del
paziente
con
le
alterazioni
organiche
macroscopiche;
• Virchow,
il
padre
dell’AP
microscopica,
che,
muovendosi
nel
solco
di
Bichat,
comprese
che
la
osser-‐
vazione
macroscopica
della
morfologia
non
fosse
sufficiente:
occorreva
osservare
la
struttura
dell’organo
malato,
cioè
le
sue
componenti.
Grazie
a
Virchow,
l’esame
istologico
divenne
fonda-‐
mentale
nella
diagnosi.
L’anatomia
patologica
moderna
fa
parte
del
Servizio
Sanitario
Nazionale
(SSN);
nelle
Marche
ci
sono
4
ana-‐
tomie
patologiche:
Ancona,
Ascoli,
Macerata,
Pesaro.
L’anatomia
patologica
si
inserisce
nel
percorso
dia-‐
gnostico-‐terapeutico
(PDTA)
di
molte
malattie.
PROCESSO
DIAGNOSTICO
Il
processo
diagnostico
prevede
diverse
fasi:
• riconoscimento
del
processo
patologico
in
atto:
infiammatorio,
degenerativo,
neoplastico
(sono
le
basi
della
patologia
generale),
• identificazione
della
causa
(eziologia),
• valutazione
dell’entità
del
danno
prodotto
dal
processo
patologico
(stadiazione),
• valutazione
delle
possibilità
evolutive
della
malattia
secondo
la
sua
storia
naturale,
ovvero
senza
che
si
intervenga
(prognosi),
e
delle
scelte
terapeutiche
(terapia).
Bisogna
quindi
conoscere
la
biologia
delle
lesioni
per
sapere
che
peso
dargli
e,
se
necessario,
identificare
alterazioni
molecolari
specifiche
rilevanti
ai
fini
della
prognosi
e
per
l’utilizzo
di
terapie
selettive
(esempio
chemioterapia
specifica):
questa
è
l’ultima
frontiera.
Tutto
questo
ha
l’obiettivo
di
identificare
la
terapia
più
adeguata
ed
efficace
per
trattare
le
malattie.
Il
lavoro
dell’AP
prevede:
• l’esame
macroscopico:
che
consiste
nell’osservazione
a
occhio
nudo
del
campione
o
del
pezzo
chi-‐
rurgico;
alcune
alterazioni
sono
già
visibili
a
occhio
nudo
(es.
infarto
del
miocardio
in
sede
autopti-‐
ca);
• l’esame
microscopico
(istopatologia):
si
osservano,
previa
prepa-‐
razione
del
tessuto,
le
alterazioni
al
microscopio
ottico
(un
mi-‐
croscopio
ottico
normale
arriva
a
un
ingrandimento
di
400x:
pos-‐
siamo
vedere
un
batterio,
un
micete
o
un
parassita,
ma
non
un
virus);
• l’esame
ultrastrutturale:
in
alcuni
casi
selezionati
si
può
osserva-‐
re
al
microscopio
elettronico;
è
una
tecnica
che
usa
gli
elettroni
(e
non
i
fotoni),
obsoleta
ai
fini
diagnostici
in
quanto
attualmente
sostituita
da
altre
metodiche
più
sensibili
e
specifiche;
• l’eventuale
ricorso
ad
altre
tecniche
(v.
dopo,
tecniche
ancillari),
come
quelle
dell’AP
molecolare
(che
identifica
molecole,
acidi
nucleici,
proteine,
come
marker
di
malattie).
RISCONTRO
DIAGNOSTICO
Il
riscontro
diagnostico
è
un
esame
dettagliato
condotto
sul
cadavere
con
il
fine
principale
di
formulare
una
diagnosi
sulla
causa
di
morte.
Occorre
precisare
che:
• gli
anatomopatologi
fanno
il
riscontro
diagnostico,
per
indagare
le
cause
di
morte
e
come
esse
sia-‐
no
sopraggiunte,
• i
medici
legali
fanno
le
autopsie,
finalizzate
a
identificare
un
rapporto
di
causa-‐effetto
tra
le
circo-‐
stanze
in
cui
è
avvenuta
la
morte
e
le
condizioni
del
cadavere,
quindi
a
mettere
in
evidenza
even-‐
tuali
problemi
legali
e
implicazioni
giudiziarie.
In
sede
di
riscontro
diagnostico
si
fa
un
esame
macroscopico
del
cadavere,
quindi
di
organi
e
apparati,
e,
se
serve,
si
fanno
esami
istologici;
in
casi
selezionati
si
possono
fare
analisi
aggiuntive:
molecolari,
tossicologi-‐
che,
batteriologiche.
Le
indicazioni
al
riscontro
diagnostico
sono
(domanda
d’esame):
• stabilire
la
causa
di
morte
e
correlarla
con
la
clinica
(soprattutto
quando
non
sembra
esserci
un
nesso
logico
tra
malattia
e
sintomi);
• confermare
o
escludere
la
presenza
di
malattie
genetiche
nei
feti
ai
fini
del
counseling
familiare
(quindi
vedere
se
questo
evento
ha
un
probabilità
di
riprodursi
nella
stessa
famiglia
e
poi
informare
gli
interessati);
• determinare
gli
effetti
di
eventuali
terapie
(che
possono
aver
complicato
le
situazioni
del
paziente);
• caratterizzare
gli
aspetti
morfologici
di
malattie
di
recente
descrizione
(così
si
caratterizzano
me-‐
glio
alcune
alterazioni
tissutali;
es.
AIDS
quando
è
stata
scoperta);
• rispondere
a
quesiti
clinici
specifici.
Il
riscontro
diagnostico
si
fa
dopo
circa
24
ore
dalla
dichiarazione
di
morte
(fatta
dal
medico
che
ha
in
carico
il
paziente).
Si
effettua
l’accesso
agli
organi
e
apparati
del
torace
tramite
un
taglio
trasversale
tra
le
artico-‐
lazioni
scapolo-‐omerali,
e
un
secondo
taglio
longitudinale
che
va
del
primo
taglio
al
pube;
segue
l’accesso
agli
organi
addominali.
Si
definisce
epicrisi
il
giudizio
conclusivo,
che
si
desume
da
una
somma
di
giudizi
parziali;
è
in
altre
parole
il
percorso
che
porta,
raccolti
tutti
i
dati
emersi
dal
riscontro
diagnostico,
all’identificazione
della
causa
del
decesso.
DIAGNOSI
ISTOLOGICA
La
diagnosi
istologica
è
la
diagnosi
fatta
nella
maggior
parte
dei
casi
per
i
pazienti
in
vita:
si
prelevano
tes-‐
suti
(dal
greco
històs,
tessuto)
che
devono
essere
analizzati
al
microscopio.
CAMPIONI
PER
LA
DIAGNOSI
ISTOLOGICA
I
campioni
su
cui
l’anatomia
patologica
può
fare
la
diagnosi
sono
ottenuti
con
diverse
modalità
di
prelievo:
• agobiopsia:
effettuata
con
aghi
(di
solito
di
21-‐22
Anatomia patologica APA01 – Introduzione ed esame istologico
Gauge,
inferiori
al
millimetro),
a
mano
libera,
sotto
guida
TAC
o
Eco,
o
a
cielo
coperto
(solitamente
per
gli
DIAGNOSI
organi
profondi,
ISTOLOGICA dove
un
accesso
preciso
nel
punto
E’ quelladella
chelesione
viene fatta non
nonsarebbe
eseguibile).
sui pazienti in vita. Per-‐
mette
di
ottenere
cilindri
di
tessuto
di
circa
2
cm
di
Può derivare da:
lunghezza
e
0,7-‐0,8
mm
di
diametro;
è
eseguita
dai
Agobiopsia: si ha un ago e si preleva del tessuto, la più
radiologi
interventisti,
comune è quella dagli
specialisti
epatica. Si fa o
condai
aghi patolo-‐di varie dimensioni
gi.
La
diagnosi
(21-22 sarà
Gauge dirimente
di solito), per
apianificare
mano libera la
toera-‐
sotto guida TC o
pia;
un
esempio
è
l’agobiopsia
epatica;
ecografica a cielo coperto. Permette di ottenere cilindri di
tessuto di circa 2 cm di lunghezza e 0,7-0,8 mm di diametro.
• biopsia
endoscopica:
i
campioni,
solitamente
di
po-‐
Biopsia endoscopica: di norma sono riservate agli organi cavi
chi
mm,
sono
prelevati
con
una
pinza
montata
sulla
(es.endoscopio.
testa
di
un
tratto GE, polmone, vescica:al
E’
riservata
incampiona-‐
questa si arriva mediante
le vie escretrici, come l’uretra).
mento
degli
organi
cavi
(tubo
digerente,
vie
urina-‐
In genere le biopsie sono di pochi mm, ed i campioni
rie,
vie
aeree),
ai
quali
si
accede
con
sonde
endo-‐
prelevati con una pinza montata sulla testa di un endoscopio
scopiche;
(vengono fatte soprattutto dai gastroenterologi).
• biopsia
chirurgica
incisionale:
è
il
prelievo
di
una
Biopsia chirurgica incisionale: tipica delle
parte
della
lesione
grandi a
scopo
lesioni, se ne diagnostico,
preleva una senza
porzione porta-‐a
re
via
tutta
scopo la
lesione:
diagnostico in
questo
(ad es. caso
è
necessaria
il tumore è grande, la
diagnosi
prima
maligno, di
aggressivo,
pianificare
non l’intervento,
penso di riuscire che
po-‐ ad
asportare tutta la massa o
trebbe
essere
molto
demolitivo
(occorre
una
valu-‐ non vale la pena
asportarla
tazione
attenta
tutta:e
necessito
di
rischi
benefici);
della diagnosi
è
usata
per
per
le
capire se i benefici dell’asportazione
grandi
lesioni,
supereranno i rischi).
• biopsia
chirurgica
escissionale:
è
il
prelievo
di
tutta
Biopsia chirurgica escissionale: questo vuol
la
lesione
a
fini
terapeutici
e
diagnostici
(es.
per
le-‐
dire che la massa viene prelevata del tutto,
sioni
cutanee);
tipico delle lesioni cutanee, superficiali (ad es. di 2 cm), ha
• pezzo
operatorio
o
resezione
chirurgica:
rimozione
fine terapeutico e diagnostico.
di
un
organo
o
di
una
parte
dello
stesso
a
fini
tera-‐
Pezzo operatorio: resezione di un organo o di una parte dello
peutici
(es.
stesso tumore
a finidel
colon
retto).
terapeutici (es. tumore Il
patologo
del colonin
retto).
Per i più curiosi, quella nella foto
sede
diagnostica
dovrà
informare
sui
margini,
che
a destra è una calcinosi scrotale.
2.
METODI
E
TECNICHE
DELL’AP:
L’ESAME
MICROSCOPICO
E
LE
TECNICHE
ANCILLARI
ESAME
MICROSCOPICO
In
media
un
patologo
ha
modo
di
vedere
la
quasi
totalità
delle
patologie
internistiche
e
non.
Il
tempo
che
dedica
all’analisi
dei
campioni
varia
in
base
alla
patologia
e
al
tipo
di
informazione
ricercata:
per
distinguere
un
tessuto
sano
da
uno
malato
occorrono
pochi
secondi,
ma
più
si
vuole
andare
a
fondo,
più
i
tempi
di
analisi
si
dilatano
(per
esempio
se
voglio
sapere
quanto
è
diffuso
un
processo
o
esattamente
quali
siano
le
cellule
coinvolte).
Il
microscopio,
fondamentale
per
l’esame
microscopico,
ha
due
ocula-‐
ri
con
ingrandimento
fisso
e
obiettivi
con
ingrandimenti
progressivi
(da
20x
a
400x);
l’approccio
di
osservazione
è
progressivo:
per
prima
cosa
bisogna
vedere
il
vetrino
controluce,
in
trasparenza,
per
indivi-‐
duare
le
dimensioni
del
preparato.
Poi
con
l’ausilio
del
microscopio
bisogna
confrontare
sempre
il
tessuto
patologico
con
quello
normale:
per
prima
cosa
si
guarda
l’architettura,
ovvero
la
struttura,
a
piccolo
ingrandimento;
poi
a
forte
ingrandimento
si
guarda
la
citologia,
ovve-‐
ro
il
dettaglio
cellulare
(per
esempio
vediamo
il
rapporto
nu-‐
cleo/citoplasma:
se
prevalgono
i
nuclei,
vuol
dire
che
prevale
la
proli-‐
ferazione
sulla
differenziazione
e
il
tumore
è
aggressivo).
Per
arrivare
alla
diagnosi
bisogna:
• sapere
come
è
fatto
il
normale
per
confrontarlo
con
il
patologico
(i
fenomeni
biologici
inoltre
non
sono
bianco-‐nero,
ma
distribuiti
su
una
gaussiana),
• conoscere
la
classificazione
diagnostica
per
poter
collocare
quella
patologia
in
una
precisa
catego-‐
ria
diagnostica.
Si
formula
quindi
la
diagnosi
di
maggiore
probabilità:
può
essere
sicura
al
100%
ma
non
sempre.
Per
le
lesioni
infiammatorie
non
esistono
classificazioni
specifiche;
per
i
tumori
si
usano
le
classificazioni
della
OMS
(WHO).
TECNICHE
ANCILLARI
Se
non
si
riesce
a
formulare
la
diagnosi
il
problema
è
la
mancata
esperienza
o
l’eccessiva
indifferenziazione.
In
questi
casi
si
può
ricorrere
a
metodiche
di
supporto
alla
diagnosi
microscopica
(oltre
all’Ematossilina-‐
Eosina),
dette
metodiche
ancillari,
quali:
1. l’istochimica,
importante
per
evidenziare
strutture,
2. l’immunoistochimica,
che
ha
superato
in
gran
parte
la
semplice
istochimica,
3. la
microscopia
elettronica,
è
una
tecnica
aggiuntiva
in
casi
molto
selezionati,
4. le
tecniche
di
biologia
molecolare:
sono
il
nuovo
orizzonte.
Molti
casi
si
possono
diagnosticare
solo
con
la
morfologia,
ovvero
con
l’EE;
in
alcuni
casi
si
usa
l’immunoistochimica,
in
casi
minori
si
usano
le
tecniche
molecolari.
In
altre
condizioni,
invece,
neanche
le
tecniche
ancillari
sono
sufficienti,
ma
è
necessaria
l’integrazione
con
la
clinica
o
gli
esami
strumentali:
per
esempio
nei
tumori
dell’osso
è
la
radiografia
a
permetterci
di
fare
la
diagnosi
differenziale.
1.
ISTOCHIMICA
L’istochimica
è
una
tecnica
che
si
basa
sulla
formazione
di
legami
chimici
fra
un
colorante
e
il
tessuto:
o
di-‐
rettamente
o
trasformando
una
struttura
ad
hoc
per
quel
colorante;
oggi
l’istochimica
è
in
gran
parte
supe-‐
rata
dalla
immunoistochimica.
Le
colorazioni
istochimiche
servono
per
mettere
in
evidenza
le
sostanze
chimiche
contenute
nei
tessuti
e
la
loro
posizione;
in
particolare:
• per
la
dimostrazione
dei
glicidi
si
utilizza
la
reazione
PAS
(dell’acido
periodico
di
Shiff),
• per
la
dimostrazione
dei
mucopolisaccaridi
acidi
(mucine
acide,
presenti
nel
muco
di
alcuni
tratti
dell’intestino
o
come
mucine
connettivali
nella
sostanza
fondamentale
del
tessuto
connettivo)
si
utilizza
l’àlcian,
• per
la
dimostrazione
del
reticolo
si
usano
i
sali
d’Argento
(utile
per
capire
la
struttura
degli
organi,
soprattutto
quelli
endocrini),
• per
la
dimostrazione
dell’amiloide
si
usa
il
Rosso
Congo.
Nelle
malattie
infiammatorie
croniche
(es.
ascessi
polmonari
cronici,
bronchiectasie)
o
nel
plasmacitoma
si
può
formare
l’amiloide
che
si
ac-‐
cumula
negli
organi
(diverso
è
il
caso
della
Corea
di
Huntington
dove
la
malattia
del
SNC
porta
all’accumulo
di
amiloide
indipendentemente
da
una
patologia
sistemica):
il
prelievo
si
fa
a
livello
del
colon
o
del
grasso
periombelicale
(è
una
biopsia
superficiale).
Si
colora
il
connettivo
di
rosso-‐
arancio
per
vedere
se
c’è
accumulo
di
amiloide
generalmente
nello
strato
mucoso
profondo
o
nella
sottomucosa;
ma
poiché
questa
colorazione
può
essere
anche
del
connettivo
senza
depositi
di
ami-‐
lode,
il
dato
dirimente
è
l’assunzione
di
una
colorazione
verde
alla
luce
polarizzata
(si
aggiunge
una
lente
al
microscopio).
2.
MICROSCOPIA
ELETTRONICA:
DIAGNOSI
ULTRASTRUTTURALE
La
microscopia
elettronica
è
una
tecnica
ancillare,
a
cui
si
ricorre
in
casi
molto
selezionati,
che
consente
la
diagnosi
ultrastrutturale.
Si
utilizzano
frammenti
da
campioni
istologici
e
citologici;
possiamo
usare
anche
un
blocco
in
paraffina
an-‐
che
se
gli
organelli
non
si
conservano
bene:
infatti
la
fissazione,
per
l’osservazione
al
microscopio
elettroni-‐
co,
si
realizza
con
il
congelamento
e
non
con
la
formalina
(per
conservare
la
struttura
subcellulare);
poi
si
usa
per
l’inclusione
una
resina
molto
dura,
che
consente
di
realizzare
fettine
ancora
più
piccole
Nel
dettaglio,
le
fasi
sono:
• fissazione,
• disidratazione,
• inclusione
in
resina,
• taglio,
• colorazione
di
sezioni
semifini
(1
micron),
• selezione
dell’area,
• taglio
di
sezioni
ultrafini
(0,15
micron),
• osservazione.
La
microscopia
elettronica
viene
usata
nella/e
(indicazioni):
• patologia
del
glomerulo
renale
(glomerulonefriti),
• malattie
da
accumulo
per
deficit
lisosomiale,
• neuropatie
periferiche
e
miopatie
congenite
o
acquisite;
per
le
neuropatie
periferiche
oggi
si
usa
l’approccio
genetico
con
l’analisi
delle
mutazioni
del
sangue,
in
passato
si
faceva
la
biopsia
del
ner-‐
vo
surale,
un
nervo
sensitivo
puro
che
raccoglie
la
sensibilità
della
cute
posteriore
della
caviglia,
• patologia
neoplastica,
in
particolare
nello
studio
di
tumori
non
differenziati;
le
cellule
epiteliali
so-‐
no
legate
tra
di
loro
con
giunzioni
serrate,
che,
pertanto,
sono
assenti
nel
tessuto
nervoso:
ma
al-‐
cuni
tumori
del
cervello
hanno
giunzioni
serrate,
visibili
al
microscopio
elettronico,
• valutazione
degli
apparati
ciliari
(liquido
seminale,
o
cellula
da
brushing
della
mucosa
nasale),
non
studiate
dal
patologo.
3.
IMMUNOISTOCHIMICA
L’immunoistochimica,
una
delle
tecniche
più
usate,
è
basata
sul
concetto
del
legame
tra
un
antigene
espresso
da
un
tessuto
e
un
anticorpo
specifico,
che
a
sua
volta
viene
legato
da
un
anticorpo
connesso
a
un
sistema
secondario
di
rilevazione
(cromogeno,
una
sostanza
che
sviluppa
una
colorazione);
quindi
si
ge-‐
nerano
immunocomplessi
evidenziabili
con
cromogeni
e
la
colorazione
immunoistochimica
ha
il
colore
del
cromogeno
(di
solito
marrone).
Tale
reazione
tra
antigene
e
anticorpo
deve
essere
il
più
possibile
sensibile
e
specifica,
ma
sappiamo
che
un’eccessiva
sensibilità
inficia
negativamente
sulla
specificità
e
viceversa:
se
la
reazione
è
troppo
sensibile
aumentano
i
falsi
positivi,
se
troppo
specifica
i
falsi
negativi.
I
tessuti
durante
la
loro
processazione
(cam-‐
pionamento,
fissazione,
inclusione,
etc.)
vengono
in
parte
danneggiati
ed
alcuni
antigeni
possono
essere
nascosti:
la
metodica
che
ci
permette
di
“smascherare”
questi
antigeni
prende
il
nome
di
retrieval
dell’antigene.
Le
applicazioni
diagnostiche
dell’immunoistochimica
sono:
• diagnostica
differenziale:
il
più
importante
campo
di
applicazione
dell’immunoistochimica.
Se
un
tumore
è
molto
indifferenziato
e
non
riesce
a
porre
diagnosi
sulla
base
della
morfologia,
si
cerca
di
differenziare
il
tumore
in
base
al
contenuto
antigenico.
Infatti,
ogni
tessuto
normale
(epiteliale,
muscolare,
etc.),
esprime
un
suo
specifico
corredo
proteico
e
nella
trasformazione
neoplastica
questi
antigeni
possono
essere
mantenuti
o
venire
modificati;
in
generale,
per
ogni
citotipo
si
di-‐
spone
di
un
anticorpo
marcatore
(che
può
essere
istogenetico
o
di
differenziazione).
I
marcatori
sono:
o filamenti
intermedi:
citocheratine,
vimenti-‐
na,
desmina,
neurofilamenti,
GFAP
(proteina
acida
fibrillare
della
glia,
presente
nel
cito-‐
scheletro
delle
cellule
del
SN).
Per
esempio
per
i
tumori
epiteliali
possiamo
utilizzare
an-‐
ticorpi
anti-‐cheratina;
la
cheratina
è
un
fila-‐
mento
intermedio
che
fa
parte
del
citosche-‐
letro
delle
cellule
dell’epidermide:
è
una
pro-‐
teina
che
viene
mantenuta
in
caso
di
tra-‐
sformazione
neoplastica
dei
carcinomi
e
dei
tumori
ectodermici.
Invece,
la
vimentina
è
il
filamento
intermedio
delle
cellule
mesenchimali
(es.
fibroblasti,
che
sono
il
prototipo),
mentre
la
desmina
prende
forma
il
citoscheletro
delle
cellule
muscolari
lisce.
Però
questi
criteri
di
distinzione
a
volte
non
sono
così
stringenti:
per
esempio
può
accadere
che
una
cellula
trasformata
vada
incontro
a
una
transizione
epitelio-‐mesenchimale,
e
che
quindi
perda
l’espressione
della
cheratina
e
inizi
a
esprimere
la
vimentina;
o antigeni
di
differenziazione
leucocitaria,
importanti
per
le
malattie
emo-‐linfo-‐proliferative.
Le
cellule
del
sangue
hanno
dei
marker
caratteristici,
i
CD,
che
possono
essere
studiati
attraverso
la
citofluorimetria
a
flusso,
che
seleziona
e
distribuisce
le
cellule
in
base
all’antigene
da
esse
espresso
(i
linfociti
B
sono
CD20+,
i
linfociti
T
CD3+);
lo
studio
dei
CD
è
fondamentale
per
la
diagnosi
differenziale,
molto
complessa,
di
molte
malattie
di
interesse
ematologico,
soprattut-‐
to
i
linfomi.
o marcatori
funzionali
di
specifiche
popolazioni
cellulari:
sono
marcatori
organo-‐specifici
come
ormoni,
il
PSA
(tumori
con
il
PSA
come
marker
testimoniano
la
provenienza
prostatica),
la
ti-‐
reoglobulina
(che
testimonia
l’origine
dalla
tiroide).
Gli
ormoni
possono
essere
molto
utili
in
caso
di
formazioni
la
cui
origine
è
dubbia,
o fattori
di
trascrizione
(espressi
a
partire
dalla
vita
fetale):
sono
markers
di
differenziazione
che
ci
permettono
di
risalire
all’origine
dei
tessuti,
soprattutto
nei
tumori
poco
differenziati;
ricor-‐
diamo:
TTF-‐1
(Fattore
di
Trascrizione
Tiroideo
1,
espresso
dalla
tiroide
ma
anche
dal
polmone
durante
la
sua
organogenesi1:
è
usato
nelle
DD
degli
adenocarcinomi
del
polmone),
CDX1,
Oct-‐
2,
PAX5,
PAX8
(di
derivazione
urogenitale);
• determinazione
dello
stato
funzionale
della
cellula
(rispetto
alla
mitosi):
l’espressione
di
alcuni
an-‐
tigeni
avviene
in
fasi
specifiche
del
ciclo
cellulare
e
si
possono
utilizzare
questi
marker
per
capire
in
che
fase
del
ciclo
cellulare
si
trovano
le
cellule.
Così
si
comprende
se
la
lesione
prolifera
molto
(il
pato-‐
logo
può
anche
contare
le
mitosi
al
microscopio
(10
campi
a
400x),
che
rappresentano
la
fine
di
un
pro-‐
cesso
proliferativo);
nel
dettaglio,
quando
la
cellula
esce
dalla
fase
G0
inizia
a
esprimere
altri
antigeni
specifici:
un
anticorpo
contro
questi
antigeni
(MIB1
o
Ki67,
v.
dopo)
permette
di
comprendere
quante
cellule
in
un
tessuto
stanno
proliferando.
Occorre
però
avere
la
certezza
che
si
sta
osservano
un
tumo-‐
re
e
non
un
processo
di
riparazione
dei
tessuti,
ca-‐
ratterizzato
da
molte
mitosi;
• anomalie
di
espressione
proteica.
Poiché
le
cellule
trasformate
tumorali
per
esempio
riacquisisco-‐
no
la
capacità
di
esprimere
agenti
fetali,
l’espressione
di
proteine
anomale
può
essere
indicativa
di
una
trasformazione;
• ricerca
di
marcatori
prognostici
e
predittivi
di
risposta
a
terapie.
In
questo
caso
la
immunoisto-‐
chimica
serve
per
vedere
se
in
quel
tumore
viene
espressa
una
specifica
proteina
(es.
PDL-‐1,
MIB1,
HER2)
indicativa
dal
punto
di
vista
prognostico,
e
in
base
ai
risultati
può
essere
programmata
la
te-‐
rapia.
Per
esempio:
o studiando
l’espressione
da
parte
di
alcuni
tumori
di
PDL-‐1
possiamo
capire
se
il
tumore
è
riu-‐
scito
a
realizzare
l’escape
del
sistema
immunitario,
e
quindi
se
c’è
indicazione
a
utilizzare
far-‐
maci
che
potenzino
il
sistema
immunitario
(l’immunoterapia
si
basa
sul
concetto
che
la
cellula
1
In
caso
di
una
lesione
polmonare
che
presenta
positività
al
TTF1,
potrebbero
sorgere
problemi
di
diagnosi
differen-‐
ziale
tra
un
tumore
primitivo
del
polmone
TTF1+
e
una
metastasi
polmonare
di
carcinoma
tiroideo;
in
questo
caso
è
dirimente
il
semplice
studio
morfologico
delle
cellule
all’EE,
nei
casi
dubbi
si
ricorre
a
marker
specifici
della
tiroide
quali
tireoglobulina
e
calcitonina.
neoplastica
viene
attaccata
dal
sistema
immunitario,
ma,
dopo
una
fase
di
equilibrio,
essa
rie-‐
sce
a
sfuggire
(escape));
o MIB1
(o
Ki67)
è
un
antigene
che
indica
la
quota
delle
cellule
proliferanti
(le
cellule
che
escono
dalla
fase
G0),
quindi
il
ritmo
di
proliferazione,
quindi
l’aggressività
del
tumore;
o il
tumore
della
mammella
cresce
su
stimolo
degli
estrogeni:
quando
si
fa
diagnosi
di
carcinoma
della
mammella
si
aggiunge
sempre
lo
studio
dello
stato
recettoriale,
importante
per
la
scelta
terapeutica,
e
si
può
aggiungere
l’espressione
dell’oncogene
HER2;
o BRAF,
può
essere
mutato
nel
40-‐60%
dei
melanomi,
dove
ha
valore
prognostico
e
terapeutico
(i
farmaci
contro
BRAF
mutato
hanno
permesso
di
trattare
anche
i
melanomi
metastatici:
sono
tumori
molto
aggressivi
per
i
quali,
per
molto
tempo,
non
c’era
terapia),
nei
carcinomi
della
ti-‐
roide
(che
di
solito
sono
meno
aggressivi
e
non
necessitano
di
terapie
mirate
contro
BRAF),
del
colon
retto,
nella
Hairy
Cell
Leukemia,
in
alcuni
tumori
cerebrali;
• identificazione
di
infezioni
virali.
Un
virus
è
troppo
piccolo:
non
si
vede
al
microscopio
elettronico,
ma
attraverso
una
reazione
anticorpale
possiamo
mostrare
la
presenza
di
un
virus,
soprattutto
quelli
associati
a
patologie
croniche
e
ad
aumen-‐
tata
incidenza
neoplastica
(EBV,
Papilloma,
CMV,
HHV8).
Il
CMV
si
vede
indirettamente
con
la
sem-‐
plice
morfologia
al
microscopio
ottico
(v.
fig)
per-‐
ché
forma
dei
grandi
inclusi
nel
nucleo,
ma
in
al-‐
cuni
casi
dubbi
l’immunoistochimica
può
essere
d’aiuto;
la
ricerca
di
EBV
in
alcuni
tipi
di
neoplasie,
in
particolare
i
linfomi,
può
essere
utile
ai
fini
dia-‐
gnostici
(in
caso
di
mononucleosi
i
test
sierologici
associati
alla
clinica
sono
sufficienti);
l’HHV8
è
diagnostico
per
il
sarcoma
di
Kaposi.
4.
TECNICHE
DI
BIOLOGIA
MOLECOLARE
La
biologia
molecolare
sta
diventando
parte
integrante
del
bagaglio
dell’AP
e
viene
utilizzata
a
scopo
dia-‐
gnostico,
prognostico
e
terapeutico
(predire
la
risposta
alla
terapia).
Nel
dettaglio,
le
mutazioni
in
campo
oncologico
servono:
• le
mutazioni
somatiche
per
la
diagnosi
(alcune
sono
caratteristiche)
e
la
terapia
mirata
(es.
studio
dello
stato
mutazionale
di
K-‐RAS
per
il
trattamento
del
tumore
al
colon);
I
tumori
che
in
questo
momento
vengono
studiati
per
le
mutazioni
somatiche
e
contro
i
quali
esiste
una
terapia
sono
car-‐
cinoma
del
polmone,
carcinoma
del
colon
(RAS),
melanoma,
GIST,
linfomi,
tumori
cerebrali;
• le
mutazioni
germinali,
presenti
alla
nascita,
per
l’ereditarietà
e
lo
studio
del
rischio
di
sindromi
o
alcuni
tumori
(es.
BRCA1/2
per
il
tumore
all’ovaio
e
alla
mammella).
Le
metodiche
di
biologia
molecolare
sono
tante:
la
scelta
dipende
dal
costo
e,
soprattutto,
dalla
specificità
e
sensibilità
richieste;
inoltre,
il
problema
delle
nuove
tecnologie
è
l’enorme
mole
di
dati
generati
che
non
è
sempre
semplice
da
gestire.
Le
tecniche
sono:
• ibridizzazione
in
situ.
Le
tecniche
di
ibridizzazione
in
situ,
fluorescenti
(FISH)
o
non
fluorescenti
(ISH),
permettono
di
dimostrare
la
presenza
di
un
acido
nucleico
(DNA
o
RNA)
in
situ,
ciò
nel
tessu-‐
to
prelevato
(soprattutto
biopsie
di
tumori
solidi
ma
anche
cellule,
comprese,
per
esempio,
quelle
del
sedimento
urinario,
le
cui
mutazioni
possono
essere
studiate
in
caso
di
sospetta
neoplasia).
Queste
metodiche
sono
analoghe
dell’immunoistochimica:
al
posto
dell’antigene
da
cercare
(il
tar-‐
get)
c’è
una
sequenza
di
DNA/RNA,
che
può
essere
mutata
o
non
mutata
(es.
HER2);
e
al
posto
dell’anticorpo
c’è
un
anticodone
corrispondente
(primer),
ovvero
una
sonda
connessa
a
un
rilevato-‐
re
che
si
lega
in
maniera
specifica
all’acido
nucleico
da
cercare:
il
rilevatore
può
essere
una
sostan-‐
za
fluorescente
(FISH,
utile
per
valutare
la
perdita
dei
frammenti
cromosomici,
perché
è
più
sensibi-‐
le)
o
un
cromogeno
(ISH,
è
come
l’immunoistochimica;
per
esempio
questa
tecnica
è
usata
per
ve-‐
dere
se
il
genoma
di
HPV
si
è
integrato
nel
genoma
della
cellula
ospite).
Per
ogni
acido
nucleico
da
mettere
in
evidenza
c’è
un
primer
ad
hoc,
disponibile
in
commercio.
Gli
ibridi
possono
essere
combinazioni
DNA-‐DNA
(sono
i
più
usati),
RNA-‐RNA,
DNA-‐RNA:
per
la
loro
formazione,
bisogna
aprire
la
doppia
elica
del
DNA
e
farla
riaccoppiare
con
la
sonda
marcata.
La
let-‐
tura
dei
preparati
per
la
FISH
è
effettuata
con
microscopi
a
fluorescenza.
Il
vantaggio
di
questa
tecnica,
che
richiede
in
media
2
giorni
di
lavoro,
risiede
nella
sua
possibilità
di
applicazione
alle
sezioni
istologiche
fissate
in
formalina
e
incluse
in
paraffina,
cioè
a
quelle
sezioni
ricavate
dai
blocchetti:
non
c’è
bisogno
di
avere
tessuto
fresco.
Per
esempio
l’ibridizzazione
in
situ
ha
sostituito
il
bandeggio,
una
metodica
tradizionale
per
lo
studio
dei
cromosomi
che
richiede
tes-‐
suto
fresco
e
prevede
la
coltura
di
cellule
vitali,
l’arresto
della
mitosi
e
la
conta
dei
cromosomi
per
l’individuazione
delle
anomalie
cromo-‐
somiche
dei
feti;
lo
studio
dei
cromosomi
con
l’ibridizzazione
richie-‐
de
l’utilizzo
di
primer
che
facciano
da
marker
per
i
centromeri,
la
parte
centrale
dei
cromosomi,
o
per
parti
delle
braccia
dei
cromo-‐
somi:
così
è
possibile
individuare
più
facilmente
eventuali
aneuploi-‐
die,
tipiche
anche
di
alcuni
tumori.
Nel
dettaglio:
o i
primer
centromerici
servono
a
contare
i
cromosomi:
per
esempio
se
sono
presenti
due
cro-‐
mosomi
10
e
si
usa
un
primer
specifico
contro
di
essi
emergono
due
segnali;
se,
come
in
alcuni
tumori
maligni
del
cervello,
si
perde
l’espressione
di
del
cromosoma
10,
emerge
un
solo
segna-‐
le;
o i
primer
locus-‐specifici
servono
a
individuare
mutazioni
cromosomiche
(traslocazioni,
amplifi-‐
cazioni,
delezioni);
• PCR,
una
delle
metodiche
più
semplici,
ma
usata
in
maniera
limitata
dall’AP,
se
non
per
studiare
la
clonalità
delle
popolazioni
linfocitarie
quando
lo
studio
del
fenotipo
CD
non
è
stato
dirimente:
in-‐
fatti,
a
volte,
nonostante
la
determinazione
dei
CD
dei
linfociti
reperti
nel
campione,
è
difficile
fare
la
diagnosi
differenziale
tra
alcuni
linfomi
(monoclonali,
con
linfociti
piccoli,
identici
a
quelli
norma-‐
li)
e
i
processi
reattivi
(policlonali).
Lo
studio
della
clonalità
si
effettua
per
i
linfociti
B
studiando
il
riarrangiamento
del
gene
GGH
e
per
i
linfociti
T
del
TCR;
• sequenziamento
diretto
(secondo
Sanger),
esone
per
esone,
si
fa
su
geni
coinvolti
in
alcuni
stadi
della
cancerogenesi.
I
geni
si
studiano,
nell’ambito
della
patologia
neoplastica,
nel
carcinoma
del
polmone,
carcinoma
del
colon,
GIST,
melanoma,
linfomi,
tumori
cerebrali
(per
la
diagnosi),
• pirosequenziamento,
più
efficiente
(perché
più
sensibile),
• spettrometria
di
massa,
• NGS
(next
generation
sequencing):
permette
di
sequenziare
moltissimi
geni
in
contemporanea
in
un
tempo
molto
rapido.
CASO
CLINICO:
MASSA
MAMMARIA
Anamnesi:
• donna,
55
anni,
precedentemente
operata
per
un
adenoma
sieroso
dell’ovaio,
• reperto
di
massa
mammaria.
Ipotesi
diagnostiche:
• carcinoma
dell’ovaio
metastatizzato
alla
mammella
(molto
raro);
• tumore
primitivo
della
mammella
(la
frequenza
è
elevata
nella
fascia
di
età
della
signora);
• tumore
della
mammella
in
paziente
con
predisposizione
genetica
per
tumore
all’ovaio
e
alla
mammella;
• altra
patologia
non
tumorale.
Biopsia
alla
mammella:
• Morfologia:
alla
visione
del
vetrino
in
EE
il
tumore
non
sembra
assimilabile
a
nessuno
di
quelli
co-‐
muni
della
mammella
e
dell’ovaio:
dato
che
morfologicamente
non
era
un
problema
risolvibile,
si
è
fatto
ricorso
all’immunoistochimica.
• Immunoistochimica:
si
deve
cercare
un
marker
che
ci
dia
la
possibilità
di
fare
diagnosi
differenzia-‐
le.
In
tutte
e
due
le
sedi
si
sviluppano
tumori
epiteliali:
pertanto
le
citocheratine,
tipicamente
espresse
in
questo
tipo
di
tumori,
non
sono
utili;
inoltre,
poiché
sia
la
mammella
sia
l’ovaio
rispon-‐
dono
a
degli
stimoli
ormonali
(estrogeni
e
progesterone),
gli
anticorpi
anti-‐recettore
per
gli
estro-‐
geni
e
il
progesterone
potrebbero
essere
espressi
in
entrambi
i
tumori.
Occorre
pertanto
utilizzare
fattori
di
trascrizione:
l’apparato
genitale
femminile
ha
una
derivazione
mulleriana;
in
particolare
un
fattore
molto
specifico
è
il
PAX-‐8
(assente
nella
mammella,
che
ha
un’altra
origine),
che
viene
mantenuto
(a
differenza
delle
citocheratine)
anche
negli
alti
gradi
di
anaplasia,
cioè
nei
tumori
molto
indifferenziati.
La
biopsia
alla
mammella
è
venuta
intensamente
positiva
per
il
PAX-‐8,
pertanto
si
è
fatta
diagnosi
di
rarissima
metastasi
alla
mammella
di
carcinoma
dell’ovaio.
CASO
CLINICO:
RISCONTRO
DIAGNOSTICO
Donna,
74
anni,
decesso
in
ospedale
per
motivo
sconosciuto:
c’è
indicazione
al
riscontro
diagnostico.
Nel
riscontro
diagnostico
le
prime
cose
da
valutare
sono
le
lesioni
della
cute
(assenti
in
questo
caso),
poi
si
accede
agli
organi
e
agli
apparati:
alla
cavità
toracica
e
a
quella
addominale.
Durante
l’esplorazione
del
to-‐
race
è
stato
reperto
emopericardio.
Le
ipotesi
diagnostiche
sono:
• dissecazione
aortica,
con
rottura
dell’aorta
intrapericardica
(in
caso
di
emotorace
avremmo
stu-‐
diato
l’aorta
toracica,
di
emoperitoneo
l’aorta
addominale):
la
causa
più
frequente
è
l’aneurisma
di
tale
tratto
secondario
a
ipertensione
e
aterosclerosi
aortica,
• rottura
cardiaca
post-‐infarto,
per
i
processi
di
riparazione
che
rendono
più
fragile
il
miocardio,
• rottura
cardiaca
post-‐traumatica
(è
dirimente
l’anamnesi
e
la
presenza
di
lesioni
cutanee).
E’
stata
reperta
la
rottura
dell’aorta
intrapericardica.
CASO
CLINICO:
NEOPLASIA
DEL
MUSCOLO
SCHELETRICO
Neoplasia
infiltrante
il
muscolo
scheletrico:
all’EE
emerge
una
neoplasia
maligna
a
piccole
cellule,
le
dia-‐
gnosi
differenziali
sono
5.
L’immunoistochimica
e
la
presenza
di
una
struttura
simil-‐ghiandolare
permetto-‐
no
di
restringere
il
campo
a
due
tumori:
il
sarcoma
di
Ewing
e
il
Sinovial-‐sarcoma.
Il
riscontro
alla
FISH
di
una
traslocazione
tra
il
cromosoma
X
e
il
cromosoma
18
t(X:18),
è
indicativo
di
Si-‐
novial-‐sarcoma.
3.
PATOLOGIA
DELL’ESOFAGO
INTRODUZIONE
ALLA
PATOLOGIA
DEL
TRATTO
GASTRO-‐ENTERICO
Le
patologie
del
tratto
gastro-‐enterico
(GE)
sono
molto
frequenti
da
un
punto
di
vista
epidemiologico:
l’AP
si
frequenta
quotidianamente
con
esse.
Studiamo
in
ordine
l’esofago,
lo
stomaco,
il
tenue,
il
colon-‐retto;
per
ogni
segmento
verrà
trattata
la
patologia
infiammatoria
e
quella
neoplastica,
entrambi
molto
comuni.
Fatta
la
diagnosi,
la
prognosi
dipende
dalla
stadiazione,
compresa
quella
patologica
(pTNM).
Il
patologo
di
solito
fornisce
la
T
(dimensioni
della
lesione)
e
la
N
(coinvolgimento
dei
linfonodi
loco-‐regionali
che
drena-‐
no
direttamente
il
tumore),
almeno
nel
tratto
gastro-‐enterico:
infatti
in
questo
tratto
(tranne
che
nell’esofago),
i
linfonodi
loco-‐regionali
sono
attaccati
al
meso
pertanto
sono
inclusi
nel
pezzo
chirurgico,
proprio
per
questo
motivo
l’anatomopatologo
stadia
anche
la
N.
Nel
digerente
la
T
non
dipende
dalla
dimensione
del
tumore,
come
avviene
nella
maggior
parte
dei
casi,
ma
dalla
profondità,
ovvero
dal
numero
delle
tonache
infiltrate,
pertanto
è
fondamentale
conoscere
la
compo-‐
sizione
delle
tuniche.
Il
TNM
dell’esofago
è
del
2017
ed
è
entrato
in
vigore
dal
1
gennaio
2018.
ANATOMIA
NORMALE
DELL’ESOFAGO
L’esofago
è
un
organo
cavo
lungo
25
cm,
formato
dal
lume
all’esterno
dalle
seguenti
tuniche:
• mucosa:
formata
da:
o un
epitelio
pavimentoso
pluristratificato
non
cheratinizzato,
con
cellule
in
differenti
stati
ma-‐
turativi
a
seconda
della
distanza
dalla
membrana
basale,
su
cui
poggiano
le
cellule
basali
(compartimento
staminale).
Lo
strato
basale
è
molto
sottile
(10-‐15%),
si
ispessisce
in
caso
di
patologie
in
cui
vi
è
un’alterazione
della
maturazione
(displasie),
ed
è
formato
da
1-‐4
strati
di
cellule
con
nuclei
ipercromatici
e
che
si
colorano
di
blu
perché
hanno
poco
citoplasma;
invece
gli
stati
maturativi
più
vicini
al
lume,
nelle
cui
cellule
aumenta
il
citoplasma
a
scapito
del
nucleo,
si
colorano
mag-‐
giormente
di
rosa.
Nel
complesso
le
cellule
sono
ricche
di
glicogeno,
quindi
PAS-‐positive,
o una
membrana
basale,
o la
lamina
propria
(connettivo
sottoepiteliale
vascolarizzato),
che
si
invagina
nell’epitelio
for-‐
mando
delle
papille;
è
un
connettivo
con
pochissime
cellule
e
un
po’
vascolarizzato,
o la
muscolaris
mucosae,
che
segna
il
confine
tra
mucosa
e
sottomucosa:
è
normalmente
sottile,
e
può
raddoppiare
di
spessore
a
seguito
di
danno
all’epitelio
(infiammazione
cronica),
fino
a
simulare
la
tonaca
muscolare.
Questo
è
un
principal
pitfalls,
• sottomucosa:
è
formata
da
un
connettivo
vascolarizzato
con
ghian-‐
dole
mucose,
presenti
soprattutto
a
livello
dell’esofago
distale;
al-‐
cuni
pensano
che
da
queste
ghiandole
possano
derivare
gli
adeno-‐
carcinomi,
• tonaca
muscolare
propria,
formata
da
uno
strato
circolare
interno
e
longitudinale
esterno
di
muscolatura
liscia,
• avventizia,
formata
dal
connettivo
periesofageo
contenente
vasi
sanguigni
e
linfatici,
• linfonodi
loco-‐regionali,
• tessuti
periesofagei
(adiposo)
e
organi
circostanti
(aorta,
pericar-‐
dio,
trachea),
che
possono
essere
infiltrati
nei
tumori
più
avanzati.
ESOFAGITI
Le
esofagiti
sono
patologie
infiammatorie
dell’esofago:
rientrano
tra
le
più
frequenti
patologie
esofagee
non
neoplastiche.
Quando
durante
un’EGDS
a
livello
esofageo
viene
individuata
un’alterazione
della
mucosa
compatibile
con
un
quadro
di
esofagite,
il
gastroenterologo
può
decidere
di
voler
fare
una
biopsia
per
avere
conferma
della
diagnosi,
stadiare
e
identificare
la
causa
dell’esofagite;
tuttavia
si
può
far
diagnosi
istologica
di
esofagite
anche
in
assenza
di
lesioni
macroscopiche
visibili
all’endoscopia.
CAUSE
DI
ESOFAGITI
Le
principali
cause
di
esofagiti
sono:
• il
reflusso
gastroesofageo,
la
causa
più
frequente.
Ricordiamo
che
il
termine
reflusso
GE
si
riferisce
al
reflusso
retrogrado
di
contenuto
gastrico
e
duodenale
nell’esofago
(il
contenuto
duodenale
è
ba-‐
sico
in
quanto
contiene
sali
biliari);
invece,
il
termine
malattia
da
reflusso
gastro-‐esofageo
(MRGE)
descrive
invece
l’intero
spettro
di
condizioni
cliniche
e
di
alterazioni
istologiche
che
conseguono
al
fenomeno
del
reflusso,
• farmaci:
corticosteroidi,
antibiotici,
chemioterapici,
• radiazioni,
• infezioni
batteriche,
virali,
fungine
(es.
candidosi
esofagea).
o I
batteri,
seppur
visibili
con
la
colorazione
di
Gram,
potrebbero
essere
presenti
in
colonie
sulla
superficie
dell’esofago
che
in
realtà
non
hanno
nessun
rilievo
con
la
patologia.
o I
virus
sono
troppo
piccoli
per
essere
visti
al
microscopio
elettronico:
sono
visibili
con
un’immunoistochimica
contro
le
proteine
virali
oppure
attraverso
il
rilevamento
microscopico
dei
corpi
inclusi
nucleari
nelle
cellule
infette
come
segno
indiretto
(es.
esofagite
da
CMV
o
er-‐
petica);
in
particolare
CMV,
virus
a
DNA,
replica
nel
nucleo
e
forma
dei
grandi
inclusi
nuclari.
o I
funghi
si
possono
vedere
al
microscopio
in
quanto
PAS
positivi
(a
400x
si
vedono
benissimo):
in
un’infezione
da
Candida
(che
colpisce
gli
immunodepressi
e
i
pazienti
che
assumono
cortico-‐
steroidi
per
via
inalatoria)
si
vedono
bene
le
ife
fungine.
QUADRI
ENDOSCOPICI
Gli
aspetti
endoscopici
dipendono
dal
meccanismo
patogenetico,
dall’agente
responsabile
e
dalla
durata
dell’esposizione
all’agente
causale:
• nelle
forme
lievi
c’è
iperemia
della
mucosa
e
a
volte
(30%
dei
casi)
manca
una
chiara
obiettività
endoscopica
di
patologia
(ciononostan-‐
te
l’anatomo-‐patologo
può
vedere
alterazioni
istologiche),
• nelle
forme
gravi
ci
possono
essere:
o erosioni,
o ulcerazioni,
o stenosi
(esito
di
malattia),
o metaplasia
di
Barret.
L’epitelio
dell’esofago
è
spesso,
pertanto
all’endoscopia
il
colore
della
mucosa
normale
è
il
bianco;
un
cam-‐
biamento
di
colore
all’endoscopia
(es.
da
bianco
a
rosa)
merita
pertanto
di
essere
approfondito.
STADI
ISTOLOGICI
Si
riconoscono
quattro
stadi
istologici
di
esofagite:
• stadio
acuto:
caratterizzato
da
necrosi,
infiammazione,
tessuto
di
granulazione.
Si
ha
necrosi,
quindi
un’ulcerazione
della
mucosa,
che
porta
all’infiammazione
di
epitelio
e
lamina
propria,
quindi
alla
formazione
del
tessuto
di
granulazione
(tessuto
infiammatorio
in
cui
si
trovano
vasi
neoformati
e
cellule
dell’infiammazione
acuta
e
cronica:
linfociti,
granulociti,
plasmacellule,
istiociti
e
miofibroblasti
che
si
occupano
della
cicatrizzazione),
in-‐
dicativo
del
processo
di
riparazione
del
tessuto
ulcerato,
• riparazione
dell’epitelio:
che
è
caratterizzato,
in
quanto
rigene-‐
rante,
dall’iperplasia
delle
cellule
basali
e
dallo
allungamento
delle
papille
della
lamina
propria
(v.
fig),
che
diventano
più
evi-‐
denti;
l’epitelio
è
quindi
ispessito
e
in
esso
prevalgono
i
processi
proliferativi
su
quelli
maturativi:
è
importante
la
diagnosi
differen-‐
ziale
con
un
epitelio
displastico,
• stadio
cronico:
si
osservano
fibrosi
ed
esofago
di
Barret.
La
fibrosi
della
lamina
propria
si
può
estendere
fino
alla
muscolaris
mucosae
e
può
coinvolgere
an-‐
che
la
sottomucosa
e
portare
a
stenosi.
Si
può
arrivare
all’esofago
di
Barret,
che
è
una
metaplasia
intestinale:
l’epitelio
esofageo
da
squa-‐
moso
diventa
cilindrico,
quindi
ghiandolare,
a
causa
del
cronicizzare
dell’infiammazione;
la
diagnosi
di
esofago
di
Barret
è
in
prima
istanza
endoscopica,
su
questa
di
iscrive
la
diagnosi
istologica.
La
metaplasia
è
il
cambiamento
di
un
tipo
di
epitelio
in
un
altro
tipo
e
non
è
una
condizione
pre-‐
cancerosa,
mente
la
displasia
può
precedere
l’adenocarcinoma
(displasia
e
carcinoma
sono
le
cose
più
temibili);
comunque,
in
questo
caso
occorre
un
follow-‐up
per
escludere
l’insorgenza
della
di-‐
splasia
sulla
metaplasia,
cosa
che
può
accadere
in
caso
di
persistenza
dello
stimolo
infiammatorio,
• complicazioni:
displasia
ed
adenocarcinoma,
che
insorge
quasi
sempre
nell’esofago
distale
sull’esofago
di
Barret
(ma
la
sequenza
metaplasia,
displasia,
carcinoma
non
è
obbligatoria).
Alla
luce
di
tutto
questo,
il
ruolo
della
biopsia
nell’esofagite
è:
• confermare
la
presenza
di
esofagite,
• determinare
la
sua
natura
e
severità,
• escludere
la
presenza
di
agenti
infettivi
(Candida,
HSV,
CMV),
• evidenziare
la
presenza
di
esofago
di
Barret,
• escludere
la
presenza
di
lesioni
displastiche
o
neoplastiche.
ALTERAZIONI
ISTOLOGICHE
Gli
aspetti
istologici
delle
lesioni
infiammatorie
dell’esofago
sono
aspecifici:
pertanto,
per
la
diagnosi,
sono
importanti
la
storia
clinica
e
il
quadro
endoscopico,
dai
quali
bisogna
partire
per
porre
all’anatomopatologo
un
quesito
clinico
specifico
da
dirimere
grazie
all’esame
istologico.
L’anatomopatologo
deve
cercare
i
segni
di
flogosi
caratteristici
dell’esofagite,
quindi:
• l’iperplasia
dell’epitelio
e
gli
aspetti
riparativi:
l’inspessimento
dello
strato
basale
(per
più
del
15%),
l’allungamento
delle
papille
che
diventano
alte
più
del
50%
dell’epitelio,
l’aumento
delle
mitosi1.
1
In
un
quadro
infiammatorio
le
mitosi
sono
solo
nello
strato
basale
e
parabasale:
più
in
alto
si
trovano
(dove
dovreb-‐
bero
esserci
cellule
mature,
che
non
proliferano),
maggiore
è
il
sospetto
che
il
processo
in
atto
non
sia
riparativo
ma
neoplastico,
in
cui
è
venuta
a
mancare
la
maturazione
cellulare.
È
quindi
molto
importante
sapere
il
preciso
punto
in
cui
si
ha
un
aumento
delle
figure
mitotiche
per
dirimere
i
problemi
di
diagnosi
differenziale,
perché
anche
in
un
sem-‐
plice
quadro
infiammatorio
l’accentuata
rapidità
di
rigenerazione
dell’epitelio
fa
sì
che
la
maturazione
delle
cellule
non
avvenga
come
dovrebbe
e
il
patologo
può
essere
tratto
in
inganno
e
scambiare
una
lesione
puramente
infiamma-‐
toria
con
una
neoplastica.
In
caso
di
dubbio
è
importante
l’interazione
con
il
clinico:
si
prende
in
considerazione
anche
l’opinione
del
gastroenterologo
il
quale
richiederà
altre
biopsie,
nell’immediato
se
il
sospetto
di
lesione
maligna
è
for-‐
te,
oppure
in
caso
contrario
dopo
qualche
mese.
Nella
mucosa
normale
si
ha
una
disposizione
a
palizzata
caratteristico,
l’epitelio
è
differenziato
e
c’è
prevalenza
dei
citoplasmi
sui
nuclei;
in
caso
di
esofagite
l’epitelio
è
più
spesso
e
presenta
ridotta
maturazione
cellulare:
c’è
iperplasia
basale
e
soprabasale,
ma
l’architettura
del
tessuto
resta
ordi-‐
nata
ed
è
conservata
la
disposizione
a
palizzata,
nonostante
la
prevalenza
dello
stato
proliferativo
su
quello
maturativo
(anche
le
cellule
superficiali
tendono,
come
quelle
dello
strato
basale,
ad
ave-‐
re
un
rapporto
nucleo/citoplasma
a
favore
del
nucleo).
E’
un
processo
iperplastico
e
non
displastico
in
cui
eliminando
la
noxa
patogena
l’epitelio
torna
normale.
C’è
quindi
un’atipia
cellulare,
in
questo
caso
riconducibile
ai
processi
riparativi;
infatti
l’atipia
non
è
sempre
indicativa
di
un
processo
neoplastico,
dipende
dal
contesto:
per
esempio
un
infiltrato
in-‐
fiammatorio
attorno
all’area
con
cellule
atipiche
è
più
suggestivo
di
un
processo
riparativo,
soprat-‐
tutto
se
ci
sono
in
quella
zona
delle
ulcere.
In
questo
caso
l’atipia
è
presente
perché
la
riparazione
è
così
rapida
da
non
permettere
alla
cellula
di
maturare.
I
segni
dell’atipia
cellulare
sono:
o alterazione
del
rapporto
nucleo/citoplasma
a
favore
del
nucleo,
o ipercromasia
del
nucleo,
o nucleolo
evidente
e
prominente
(indicativo
di
attiva
sintesi
proteica,
segnale
di
proliferazione).
In
generale,
la
DD
tra
atipia
da
displasia
(atipia
neoplastica)
e
atipia
da
iperproliferazione
(atipia
ri-‐
generativa)
è
suggerita
dal
contesto
clinico
e
senza
margine
di
certezza
dall’infiammazione
(pre-‐
senza
di
PMN),
in
quanto
l’aspetto
morfologico
dell’atipia
alla
biopsia
non
consente
diagnosi
diffe-‐
renziale
certa.
Nei
casi
dubbi
si
scrive
“atipie
di
incerto
significato,
si
consiglia
controllo
a
breve
termine”,
perché
una
cellula
in
riparazione
potrà
tornare
normale,
una
neoplastica
no.
In
caso
di
atipia
rigenerativa,
anche
franca,
si
può
parlare
di
iperplasia
pseudoepiteliomatosa
(l’epitelioma
è
il
carcinoma
dell’epitelio):
l’epitelio
è
molto
ispessito
e
presenta
un
aspetto
molto
iperplastico
e
riparativo
che
simula
un
carcinoma
dell’epitelio.
Occorre
cautela,
soprattutto
nelle
prime
fasi
dell’osservazione
al
microscopio:
un
campo
microscopico
singolo
e
piccolo
in
cui
si
vedo-‐
no
atipie
cellulari
può
simulare
un
quadro
neoplastico,
ma
non
bisogna
mai
studiare
un
unico
cam-‐
po:
in
questo
caso,
spostando
l’obiettivo
la
presenza
di
granulociti
suggerisce
un
processo
riparati-‐
vo.
Pertanto
questo
termine
di
“iperplasia
pseudoepiteliomatosa”
viene
utilizzata
dal
patologo
per
far
capire
che
guardando
il
vetrino,
nonostante
le
numerose
alterazioni,
ha
escluso
la
presenza
di
un
carcinoma,
e
per
dimostrare
di
aver
osservato
bene
e
di
aver
seguito
tutte
le
linee
guida
e
poi,
secondo
ragionamento,
di
essere
giunto
ad
una
diagnosi;
• l’ectasia
dei
capillari
all’apice
delle
papille,
per
l’infiammazione
e
l’iperemia;
non
è
molto
specifico
perché
il
confine
tra
una
dilatazione
considerata
normale
e
una
patologica
è
molto
sottile;
• l’edema
intercellulare
dell’epitelio
pavi-‐
mentoso:
le
cellule
si
separano
le
une
dall’altra,
si
allargano
i
desmosomi
(spongiosi);
le
cellule
sono
gonfie
e
chia-‐
re,
hanno
un
aspetto
balloniforme
(sem-‐
brano
palloncini;
è
una
sorta
di
edema
in-‐
tracellulare),
e
sono
come
separate
rima-‐
nendo
attaccate
dalla
giunzioni:
si
forma
un
ampio
spazio
tra
di
esse
riempito
dal
liquido
intercellulare
e
anche
le
giunzioni
divengono
visibili
al
microscopio
come
delle
spine
che
tengono
unite
le
cellule;
l’epitelio
sembra
quindi
rarefatto.
Nell’esofagite
da
reflusso
abbiamo
diversi
tipi
di
cellule,
che
vanno
identificate
a
a
livello
dell’epitelio
(c’è
anche
flogosi
nel
connettivo
ma
quello
che
ci
interessa
e
che
deve
essere
cercato
è
la
flogosi
dell’epitelio):
ci
deve
essere
infiammazione
con:
• linfociti
intraepiteliali
T
CD3+
(il
CD3
è
il
marker
‘’pan
T’’,
mentre
il
marker
‘’pan
B’’
è
il
CD20),
che
possono
avere
un
aspetto
allungato
(e
non
tondo
come
dovrebbero
essere)
a
causa
del
passaggio
tra
le
giunzioni
cellulari
(diapedesi)
e
che
quindi
possono
essere
confusi
con
istiociti
(vengono
diffe-‐
renziati
con
tecniche
immunoistochimiche:
i
linfociti
T
sono
CD3+,
gli
istiociti
CD68+);
• aumento
dei
granulociti
neutrofili
che
tendono
precocemente
a
degranulare
e
andare
incontro
ad
apoptosi,
per
cui
spesso
si
vedono
frammenti
dei
granulociti
(presenti
soprattutto
in
caso
di
erosio-‐
ni
o
ulcere);
• eosinofili
intraepiteliali:
la
loro
presenza
è
una
caratteristica
comune
delle
esofagiti,
a
partire
dalle
esofagiti
da
reflusso;
gli
eosinofili
possono
essere
presenti
anche
nella
lamina
propria
e,
nei
casi
più
gravi,
nella
sottomucosa:
possono
essere
tanto
numerosi
da
formare
piccoli
ascessi.
Soprattutto
quando
ci
sono
moltissimi
eosinofili
(v.
fig,
in
rosso),
si
pone
l’ipotesi
diagnostica
di
esofagite
eosinofi-‐
la,
non
scatenata
dal
reflusso
ma
da
meccanismi
simil-‐
allergici
(reazione
IgE-‐mediata
scatenata
da
antigeni
ali-‐
mentari):
la
DD
differenziale
tra
esofagite
eosinofila
e
eso-‐
fagite
da
reflusso
si
fa
con
la
clinica,
l’anatomia
patologia
(conta
degli
eosinofili
per
campo
a
forte
ingrandimento),
e,
se
serve,
il
criterio
ex
adiuvantibus.
ESOFAGO
DI
BARRET
L’esofago
di
Barret
è
una
condizione
acquisita
in
cui
l’epitelio
pavimentoso
dell’esofago
viene
sostituito
da
un
epitelio
colonnare
metaplasico
di
tipo
intestinale
(è
un
epitelio
ghiandolare),
definito
dalla
presenza
di
cellule
globose
contenenti
muco
acido
positivo
con
la
colorazione
di
Alcian
Blue;
queste
cellule,
anche
det-‐
te
cellule
caliciformi
mucipare
o
goblet
cells,
sono
evidenziabili
anche
con
la
colorazione
PAS
(con
acido
periodico)
che
colora
in
rosso
tutto
il
muco,
ma
è
meno
specifico
dell’Alcian
che
colora
prevalentemente
il
muco
acido.
L’esofago
di
Barret
sviluppa
nel
10-‐12%
dei
pazienti
con
malattia
da
reflusso
gastro-‐esofageo.
La
corretta
definizione
diagnostica
deve
soddisfare
due
requisiti:
uno
endoscopico
e
uno
istologico;
la
dia-‐
gnosi
è
quindi
combinata
(ci
possono
essere
infatti
molte
variabili):
• requisito
endoscopico:
la
mucosa
colonnare,
identificata
endoscopicamente
dal
colorito
roseo
(mentre
normalmente
dovrebbe
essere
biancastra),
si
deve
estendere
prossimalmente
alla
giun-‐
zione
gastro-‐esofagea,
che
è
la
giunzione
anatomica
in
cui
l‘esofago
tubulare
si
continua
con
lo
stomaco
ed
è
visibile
nel
punto
in
cui
terminano
le
pliche
gastriche
(linea
Z).
Il
problema
è
che
la
linea
di
giunzione
squamo-‐colonnare,
in
cui
cambia
la
mucosa
(visibile
come
passaggio
dal
bianco
dell’esofago
al
rosa
dello
stomaco),
non
sempre
coincide
con
la
giunzione
ana-‐
tomica:
nella
metà
dei
soggetti
sani
può
essere
irregolare
ed
essere
spostata
prossimalmente;
inol-‐
tre,
la
giunzione
è
difficile
da
identificare
in
caso
di
un’ampia
ernia
iatale,
Pertanto,
occorrono
biopsie
multiple
a
livello
della
giunzione,
della
linea
Z
e
della
mucosa
colonna-‐
re:
il
gastroenterologo
dovrà
inoltre
indicare
con
precisione
i
punti
in
cui
vengono
fatte
le
biopsie
così
da
poter
ricostruire
con
precisione
la
giunzione
irregolare.
Infatti
se
la
biopsia
viene
fatta
dove
la
mucosa
è
irregolare,
all’istologia
si
può
osservare
sia
l’epitelio
squamoso,
sia
quello
ghiandolare,
ma
non
sappiamo
con
certezza
se
tale
epitelio
ghiandolare
è
patologico
o
se
è
spostato
prossimal-‐
so di materiale biliare e di enzimi pancreatici. Da un massimo (M). Il campionamento bioptico prevede che si
punto di vista patogenetico si ipotizza che l’irritazione eseguano 4 biopsie (una per ciascun quadrante) ogni 2
cronica dell’epitelio esofageo con formazione di ulcere cm di estensione dell’epitelio metaplastico.
esiti in una alterazione del programma di differenzia- La diagnosi microscopica di EB è una diagnosi sempli-
zione delle cellule staminali della mucosa esofagea che ce se si dispone di un numero adeguato di biopsie e di
dà origine a un epitelio cilindrico con cellule calicifor- una descrizione endoscopica accurata che, oltre alle aree
mente
in
un
soggetto
sano
(si
tratta
di
una
variazione
nella
norma).
Più
è
grande
la
biopsia,
più
è
mi mucipare intestinali usualmente alternate a cellule sospette, indichi anche la distanza della giunzione eso-
mucosefacile
gastriche simili a quelle che si osservano nel fago-gastrica e della giunzione squamo-colonnare dal-
dirimere
questo
problema
diagnostico
differenziale,
cardias. l’arcata dentaria. La conferma istologica della diagnosi
• requisito
istologico:
le
biopsie
prelevate
dalla
mucosa
identificata
come
colonnare
devono
conte-‐
nere
epitelio
intestinale
metaplasico
(quindi
goblet
cells
con
muco
acido).
a b
FIGURA 8.6 Aspetto endoscopico dell’esofago di Barrett (a) e quadro istologico (b): l’epitelio colonnare metaplastico mostra un
colore rosa salmone e presenta istologicamente un fenotipo intestinale con cellule caliciformi mucipare. Per gentile concessione
di Massimo Conio.
Diagnosi
istologica
462
Per
la
diagnosi
istologica
è
necessaria
la
presenza
di
mucosa
specializzata
di
tipo
intestinale
con
cellule
co-‐
lonnari
di
tipo
intestinale
e
globet
cells
con
muco
acido.
Ci
possono
essere
diverse
forme
di
metaplasia
ma
alla
fine
si
è
compreso
che
solo
quella
intestinale
è
rite-‐
nuta
pericolosa
in
quanto
è
l’unica
che
possa
portare
a
displasia;
in
questo
contesto
di
parla
di:
• metaplasia
completa,
quando
le
cellule
colonnari
somigliano
a
quelle
del
piccolo
intestino:
osserviamo
i
villi
e
le
ghiandole
(a
piccolo
ingrandimento;
cioè
l’unità
villo-‐cripta),
le
cellule
secretorie,
le
goblet
cells,
l’orletto
a
spazzola,
e
le
cellule
di
Paneth
(con
apice
del
citoplasma
pieno
di
granuli
eosinofili,
ma
non
indispensabili
alla
diagnosi
come
le
globet
cells),
• metaplasia
incompleta,
quando
le
cellule
somigliano
a
quelle
del
colon:
non
ci
sono
i
villi
e
le
cellule
del
Paneth,
il
muco
non
è
più
limitato
alle
globet
cells
ma
è
più
diffuso
(si
osservano
tante
irregolari
gocce
di
mucina),
e
non
c’è
l’intensa
eosinofilia
degli
enteroci-‐
ti.
Una
metaplasia
incompleta
può
essere
anche
visi-‐
bile
come
una
mescolanza
di
cellule
di
tipo
gastrico;
in
altre
parole:
Ci
possono
anche
essere
aree
in
cui
questa
metaplasia
non
somiglia
tanto
al
colon
ma
piuttosto
a
una
mucosa
dello
stomaco.
La
metaplasia
intestinale
si
può
trovare
anche
nello
stomaco
(e
lì
ha
un
altro
significato).
Per
capire
se,
in
una
biopsia
della
giunzione
gastroesofagea,
si
sta
osservando
una
metaplasia
intestinale
a
livello
dello
sto-‐
maco
o
l’esofago
di
Barret,
occorre
che
intervenga
il
gastroenterologo
tramite
criteri
specifici
(vedi
dopo):
per
questo
la
diagnosi
deve
essere
combinata.
Poiché
l’esofago
di
Barret
è
una
condizione
predisponente
a
una
neoplasia:
c’è
un
rischio
di
trasformazione
in
adenocarcinoma
dell’esofago
(0,5%
all’anno),
nella
valutazione
della
biopsia
il
patologo
deve
cercare
al-‐
terazioni
displastiche2.
La
valutazione
della
presenza
di
displasia
comprende
la
valutazione
della:
• maturazione
dell’epitelio
di
superficie:
le
ghiandole
dell’intestino
proliferano
nella
parte
profonda
e
maturano
in
quella
superficiale;
i
nuclei
della
parte
più
profonda
delle
ghiandole
sono
più
larghi
e
ipercromatici
con
nucleoli
pronunciati,
e
queste
caratteristiche
vengono
meno
man
mano
che
ci
si
porta
verso
l’alto,
poiché
aumenta
la
maturazione.
La
assenza
di
questo
gradiente
maturativo
può
essere
indicativa
di
displasia
(l’epitelio
superficiale
assomiglia
a
quello
profondo).
Inoltre,
è
indica-‐
tiva
della
displasia
anche
l’assenza
di
muco,
quindi
di
maturazione,
negli
epiteli
ghiandolari.
• architettura
delle
ghiandole,
che
normalmente
sono
dritte
e
parallele
tra
loro
(a
palizzata):
posso-‐
no
diventare
irregolari
per
forma
e
dimensioni,
stipate,
con
riduzione
della
lamina
propria
(altera-‐
zione
del
rapporto
ghiandola/stroma),
e
gemmare
l’una
nell’altra.
Si
può
anche
osservare
il
feno-‐
meno
del
‘’budding’’:
la
proliferazione
è
così
eccessiva
da
condurre
ad
una
riduzione
della
lamina
propria
con
alterazione
del
rapporto
ghiandola-‐stroma3
e
confluenze
(gemmazioni)
di
una
ghiando-‐
la
nell’altra,
• alterazioni
citologiche,
ovvero
l’atipia
(ingrandimento
del
nucleo,
polimorfismi
del
nucleo,
nucleo
ipercromatico,
nucleoli
prominenti,
perdita
della
polarità).
Solitamente,
sia
in
condizioni
normali
sia
nella
metaplasia,
i
nuclei
sono
perpendicolari
alla
membrana
basale
su
cui
poggia
la
ghiandola
e
il
citoplasma
è
ricco
di
muco;
in
caso
di
atipia
cellulare
e
displasia
l’orientamento
dei
nuclei
è
altera-‐
to.
Quindi
per
diagnosticare
la
displasia
occorre
guardare
le
alterazioni
architetturali
a
piccolo
ingrandimento
e
quelle
citologiche
a
grande
ingrandimento:
non
sempre
c’è
una
correlazione
perfetta
tra
alterazioni
archi-‐
tetturali
e
citologiche,
infatti
possono
prevalere
le
une
sulle
altre
e
viceversa.
Dopo
aver
diagnosticato
la
displasia,
occorre
stadiarla:
si
distinguono
due
gradi
di
displasia,
di
basso
e
alto
grado
(in
passato
c’era
anche
la
displasia
di
grado
medio),
con
diversa
probabilità
di
associazione
con
il
car-‐
cinoma:
• displasia
di
basso
grado.
Non
c’è
un
disordi-‐
ne
importante
delle
ghiandole
né
un’atipia
marcata.
L’epitelio
di
superficie
matura
di
meno
ed
è
simile
a
quello
delle
ghiandole
(cioè
a
quello
profondo);
nella
parte
profon-‐
da
osserviamo
nuclei
ingranditi
e
ipercroma-‐
tici
senza
perdita
della
polarità,
se
non
mini-‐
ma.
Vi
è
perdita
di
mucina
nel
citoplasma,
in-‐
dicativa
di
un’alterazione
della
secrezione
(dovuta
al
fatto
che
le
cellule
non
maturano),
e
una
brusca
transizione
fra
l’epitelio
meta-‐
plastico
e
quello
displastico.
2
Ci
sono
varie
discussioni
sul
significato
di
metaplasia,
perché
secondo
alcuni
solo
quella
intestinale
può
evolvere
in
displasia
ed
è
quindi
la
più
pericolosa.
In
realtà
non
devo
focalizzarmi
troppo
su
quale
mucosa
somiglia
di
più,
questo
non
è
così
rilevante,
quello
che
devo
vedere
è
se
ci
sono
le
globet
cells,
perché
sono
loro
che
mi
caratterizzano
la
con-‐
dizione
di
metaplasia.
Questa
definizione
è
accettata
da
italiani,
americani
e
in
molti
altri
Paesi,
ma
in
Inghilterra
ad
esempio
per
fare
diagnosi
di
EB
è
sufficiente
che
ci
sia
una
metaplasia,
con
o
senza
globet
cells.
3
Tenete
presente
che
questo
è
un
epitelio
ghiandolare,
quindi
mentre
nell’esofago
la
lamina
propria
sta
sotto
la
membrana
basale
dell’epitelio,
qui
la
lamina
propria
sta
fra
le
ghiandole,
quindi
quello
che
vado
a
cercare
è
il
rapporto
tra
le
ghiandole
e
il
connettivo
che
sta
in
mezzo.
Il
rischio
di
sviluppare
il
cancro
è
del
10%
nel
primo
anno;
e
poiché
queste
lesioni,
molto
simili
a
quelle
da
riparazione,
si
mantengono
nel
tempo
e
non
hanno
tendenza
alla
progressione
maligna,
non
è
necessaria
l’asportazione
chirurgica:
il
paziente
viene
seguito
tramite
follow-‐up;
• displasia
di
alto
grado.
Si
osservano
alterazioni
complesse,
quali:
la
perdita
di
maturazione
dell’epitelio
di
superficie
e
della
polarità
dei
nuclei4.
Le
ghiandole
sono
affollate
con
grossolane
atipie
citologiche
(es.
nuclei
grandi),
presenti
nell’epitelio
a
tutto
spessore.
Il
processo
è
già
indirizzato
verso
il
cancro
e
non
regredisce
(al
contrario
del
Barret):
il
rischio
di
trasformazione
è
mag-‐
giore
(si
pensa
che
sia
un
precursore
obbligato)
e
la
displasia
viene
trattata
come
se
fosse
un
cancro
ma
tramite
tecniche
mininvasive
(magari
dopo
un
follow-‐up
più
stringente
e
do-‐
po
aver
effettuato
biopsie
più
estese).
E’
un
carcinoma
in
si-‐
tu
(non
infiltrante),
contenuto
al
di
sopra
della
membrana
basale.
In
sintesi,
il
processo
diagnostico
dell’esofago
di
Barret
prevede:
• identificare
la
presenza
di
esofago
di
Barret
(escludere
che
sia
stato
campionato
lo
stomaco),
verifi-‐
cando
la
presenza
di
metaplasia
intestinale
con
goblet
cells
ed
eventualmente
cellule
di
Paneth,
• vedere
se
c’è
displasia,
• stadiare
la
displasia,
da
cui
dipende
la
terapia.
ADENOCARCINOMA
DELL’ESOFAGO
L’adenocarcinoma
dell’esofago
è
un
carcinoma
che
mostra
una
differenziazione
ghiandolare
(e
questo
va-‐
le
per
tutti
gli
adenocarcinomi
del
digerente).
• E’
il
tumore
più
frequente
nell’esofago
distale,
ed
è
tipico
dei
pazienti
dopo
i
60
anni,
in
prevalenza
di
sesso
maschile
(come
in
tutte
le
lesioni
dell’esofago).
• In
più
del
95%
dei
casi
è
associato
alla
metaplasia
di
Barrett,
cioè
insorge
su
questa
lesione;
infatti
alla
periferia
dell’adenocarcinoma
può
essere
spesso
riscontrato
un
residuo
della
metaplasia
di
Bar-‐
rett.
• E’
visibile
macroscopicamente
come
lesioni
biancastre
a
livello
del
terzo
distale,
anche
se
questo
può
sembrare
riduttivo;
infatti
al-‐
tre
volte
possiamo
trovare
lesioni
bianca-‐
stre,
rosa,
ulcere,
lesioni
polipoidi,
piatte,
con
una
morfologia
molto
variabile.
Certo
è
che
più
la
neoplasia
è
grande
e
più
si
vede
come
tumor,
cioè
una
lesione
visibile,
più
la
lesione
è
iniziale,
più
si
vede
come
una
le-‐
sione
biancastra.
4
La
perdita
di
polarità
può
essere
focale
o
globale
ed
essa
non
può
essere
usata
come
criterio
per
diagnosticare
la
presenza
di
displasia.
Per
dire
che
esiste
displasia
devono
essere
valutati
la
perdita
della
maturazione,
l’alterazione
dei
nuclei
e
le
alterazioni
strutturali.
in fase avanzata infiltrano la parete esofagea a tutto duce drastica
spessore, estendendosi anche oltre la tonaca avventizia; la parete a tu
metastasi linfonodali loco-regionali o a distanza sono l’albero trach
frequenti. cardio. La pre
sono ulterio
Correlazioni anatomocliniche metastasi linf
La maggior parte degli adenocarcinomi esofagei in fa- di paraesofag
se iniziale è del tutto silente da un punto di vista clini- verificano in
radicale, con
• Microscopicamente
si
osservano
epiteli
ghiandolari
atipici,
in
co,
cui
sebbene in una parte di pazienti siano presenti i sin-
l'atipia
si
nota
perché:
tomi da reflusso gastroesofageo. Nelle forme avanzate espone i pazi
o le
ghiandole
sono
atipiche
come
architettura,
struttura
lae
sintomatologia
citologia
(ci
sono
tuttavia
è sovrapponibile a quelladei
delccarcino-
asi
in
e comporta u
ma squamoso, con disfagia, emorragia, calo ponderale e Il grado di d
cui
bisogna
distinguere
l'adenocarcinoma
da
una
displasia,
perché
le
ghiandole
sono
fatte
così
ostruzione del lume. di p53 non
gnostico di r
bene
che
sembra
ancora
una
lesione
benigna).
Si
osservano:
ü ghiandole
atipiche
con
tanti
lumi,
come
se
fosse-‐ Tumori
ro
tutta
forate:
si
chiama
pattern
di
crescita
cri-‐
La neoplasia
briforme
che
è
un
pattern
strutturale
caratteri-‐ a livello esof
genere di pic
stico
dei
cancri,
non
lo
hanno
le
lesioni
benigne,
sualmente in
ü atipia
cellulare,
non si associ
Sono costitu
ü piccole
ghiandole
singole
o
cellule
singole
che
fusato con p
sposti. All’in
crescono
in
maniera
indipendente
nello
stroma
neoplastiche
sottomucoso;
questo
reperto
è
indicativo
della
e la desmin
CD34, il che
perdita
della
coesione
e
del
superamento
della
tumori strom
mori stromali
muscolaris
mucosae,
quindi
dell’infiltrazione
del-‐ più rari.
Il melanoma p
la
sottomucosa
(quadre
inequivocabile
di
adeno-‐ primitiva o r
carcinoma),
sia primitiva
A livello eso
o oppure,
soprattutto
nei
casi
in
cui
le
ghiandole
non
ci
primitivi di ti
MALT (VED
sono
quasi
per
niente,
si
cerca
e
si
trova
un
deficit
Linfomi esof
nella
produzione
di
muco
(indicativa
della
perdita
eccezionali.
5
Una
volta
cresciuti
è
difficile
riconoscere
l’origine
di
questi
carcinomi,
ma
sono
sovrapponibili
per
la
stadiazione
quindi
non
cambia
molto
in
realtà
dal
punto
di
vista
pratico.
Tuttavia
se
si
estende
soprattutto
nell'esofago,
quindi
per
più
di
3
cm
(per
altri
autori
per
più
di
5
cm)
verso
l'esofago
viene
considerato
un
carcinoma
dell'esofago;
quando
si
estende
nello
stomaco
per
più
di
3-‐5
cm
viene
considerato
della
giunzione
gastroesofagea
e
quindi
dello
stomaco.
Il
carcinoma
dell'esofago
una
volta
diagnosticato
è
aggressivo,
perché
nella
maggior
parte
dei
casi
viene
diagnosticato
in
una
fase
avanzata.
Può
infatti
non
dare
segni
di
sé,
quindi
la
sopravvivenza
di
questi
pazienti
a
5
anni
è
bassa
(circa
del
15-‐20%).
Se
invece
un
paziente
ha
il
Barrett
diagnosticato
e
viene
seguito
con
follow-‐up,
è
più
probabile
che
ri-‐
scontriamo
dei
cancri
a
uno
stadio
più
precoce
e
quindi
con
una
mortalità
meno
elevata.
• la
differenziazione,
che
ha
implicazioni
terapeutiche
fondamentali,
fra:
o la
displasia
di
alto
grado,
una
lesione
intraepiteliale
che
ha
un'elevata
percentuale
di
trasfor-‐
mazione,
o il
carcinoma
intramucoso,
che
ha
superato
le
ghiandole
ed
ha
invaso
la
lamina
propria
o,
al
massimo,
la
muscolaris
mucosae6;
è
un
carcinoma
infiltrante
(extraepiteliale)
che
però
si
trova
ancora
nelle
fasi
iniziali;
o il
carcinoma
extramucoso
(o
invasivo):
che
ha
infiltrato
la
sottomucosa;
è
un
carcinoma
avan-‐
zato.
Quindi
il
termine
(adeno)carcinoma
implica
un’infiltrazione,
ovvero
il
superamento
della
membrana
basale.
Maggiore
è
l’infiltrazione,
più
il
paziente
è
candidato
a
una
terapia
aggressiva:
o
la
resezione
dell'esofago/esofago-‐gastrica
o,
se
inoperabile,
una
chiemioterapia
neoadiuvante
che
dovrebbe
ri-‐
durre
la
massa
e
renderlo
di
fatto
operabile.
In
sintesi,
bisogna
scegliere
la
terapia
in
base
allo
stadio,
al
contesto
clinico,
alle
comorbidità:
la
sto-‐
ria
clinica
delle
neoplasie
guida
la
diagnosi;
un
criterio
elementare
non
assoluto
è
se
l’atipia
è
confi-‐
nata
all’epitelio
(displasia
di
alto
grado)
o
alla
lamina
propria
(adenocarcinoma;
c’è,
anche
se
basso,
una
probabilità
di
metastasi):
questo
criterio
non
vale
per
il
colon
dove
si
parla
di
displasia
se
l’atipia
è
confinata
nella
mucosa
(nella
sottomucosa
si
parla
di
adenocarcinoma).
CARCINOMA
SQUAMOSO
DELL’ESOFAGO
Il
carcinoma
squamoso
dell’esofago
è
una
neoplasia
maligna
a
derivazione
dall’epitelio
squamoso
pluri-‐
stratificato
non
cheratinizzante
dell’esofago,
con
prognosi
estremamente
sfavorevole.
È
raro
alle
nostre
latitudini.
• E’
una
neoplasia
localizzata
prevalentemente
nel
tratto
intermedio
(50-‐55%)
e
nel
terzo
inferiore
(30-‐40%)
dell’esofago;
solo
il
15%
è
localizzato
nel
terzo
superiore.
• Ci
sono
predisposizioni
genetiche
generali
e
situazioni
locali
che
possono
favorire
l'insorgenza
con
flogosi
cronica
e
persistente
e
danno
cronico
dell'epitelio.
• C'è
una
possibile
associazione
con
la
malattia
celiaca
e
fattori
ambientali
come
alcol,
tabacco,
cibi
caldi,
cibi
tossici.
I
fattori
di
rischio
sono
diversi
da
quelli
dell’adenocarcinoma.
• In
una
parte
di
questi
pazienti
si
associa
a
carcinomi
squamosi
della
parte
alta
del
cavo
orale,
quindi
a
carcinomi
squamosi
delle
alte
vie
respiratorie.
• Non
vi
è
una
importante
sintomatologia
(come
nell'adenocarcinoma)
e
quindi
spesso
è
diagnosti-‐
cato
in
fase
avanzata
(diagnosi
tardiva).
STORIA
NATURALE,
EVOLUZIONE,
PROGNOSI
Negli
epiteli
squamosi
la
barriera
la
fa
la
membrana
basale:
• il
tumore
che
non
infiltra
la
lamina
propria,
quindi
non
supera
la
membrana
basale,
è
una
displasia
di
alto
grado
o
un
carcinoma
in
situ
(per
molti
autori
sono
sinonimi).
Poiché
negli
epiteli
pavimen-‐
6
Come
si
fa
a
distinguere
la
Muscolaris
Mucosae
dalla
Tonaca
Muscolare
Propria?
La
tonaca
muscolare
è
spessa
e
ha
dei
fasci
grossolani
e
organizzati,
la
muscolaris
mucosae
è
muscolo
liscio
molto
sottile;
il
problema
è
che
nella
patolo-‐
gia
infiammatoria
cronica
dell’esofago
(es.
Barrett),
la
muscolaris
mucosae
diventa
molto
spessa,
si
slamina
e
quindi
il
patologo
potrebbe
avere
difficoltà
a
distinguerla
dalla
tonaca
muscolare.
Tuttavia
anche
quando
individuo
la
muscola-‐
ris
mucosae
non
ho
una
prova
inconfutabile
che
quella
sia
muscolaris,
infatti
quelli
che
vediamo
potrebbero
essere
fibroblasti
o
miofibroblasti
del
connettivo
o
della
lamina
propria
che
sono
diventati
iperplastici
in
risposta
all’infiltrato
infiammatorio,
potrebbero
essere
dei
fibroblasti
attivati
etc.
Per
capire
se
è
o
non
è
muscolaris,
possiamo
usare
l’immunoistochimica,
quindi
un
marker
per
il
muscolo
liscio.
tosi
l’epitelio
e
la
lamina
propria
sottostante,
separati
dalla
membrana
basale,
sono
più
distinguibili
rispetto
agli
epiteli
ghiandolari
(in
cui
si
osserva
la
ghiandola
e
la
lamina
propria
attaccata,
in
stretto
contatto),
si
preferisce
utilizzare
per
i
primi
il
termine
carcinoma
in
situ,
in
quanto
il
fatto
che
il
tu-‐
more
sia
“in
situ”
è
facile
da
individuare:
basta
vedere
se
supera
la
membrana
basale
(negli
epiteli
ghiandolari
invece
è
più
difficile);
• il
tumore
che
infiltra
la
lamina
propria,
e
quindi
supera
la
membrana
basale,
è
un
carcinoma
infil-‐
trante,
e
ha
la
possibilità,
comunque
bassissima
se
resta
nella
lamina
propria,
di
dare
metastasi;
a
sua
volta,
il
carcinoma
infiltrante
può
essere
intramucoso
o
extramucoso
in
relazione
al
supera-‐
mento
della
muscolaris
mucosae.
La
sequenza
caratteristica
dell’evoluzione
del
carcinoma
è:
displasia
di
basso
grado,
displasia
di
alto
grado
o
carcinoma
in
situ,
carcinoma
infiltrante
intramucoso,
carcinoma
infiltrante
extramucoso;
solitamente
infatti
quando
abbiamo
un
carcinoma
infiltrante
alla
periferia
troviamo
carcinoma
in
situ.
Alla
luce
di
tutto
questo
emerge
che
la
storia
del
carcinoma
squamoso
dell’esofago
è
basata
sulla
profondi-‐
tà
d’infiltrazione
o
sulla
sua
estensione
e
possiamo
distinguere:
• il
carcinoma
squamoso
superficiale:
la
diagnosi
endoscopica
è
complessa,
in
quanto
non
è
facile
da
identificare;
è
confinato
alla
mucosa
e/o
sottomucosa
indipendentemente
dalla
presenza
di
meta-‐
stasi
linfonodale
(pTis,
pT1a,
pT1b);
c’è
una
sopravvivenza
a
5
anni
nell’intramucoso
vicina
al
100%,
nel
sottomucoso
del
50-‐55%
(c’è
la
probabilità
che
abbia
dato
metastasi
ai
linfonodi
ed
a
distanza,
perché
nella
sottomucosa
ci
sono
vasi
ematici
e
linfatici);
• il
carcinoma
avanzato:
infiltra
oltre
alla
sottomucosa
(tonaca
muscolare,
avventizia,
strutture
adia-‐
centi;
pT2-‐pT4):
la
sopravvivenza
a
5
anni
è
del
5%.
Il
trattamento
dipende
dalla
biologia
della
lesione,
che
impatta
sul
rischio
di
progressione
e
trasformazione.
Nella
biopsia
si
può
diagnosticare
un
carcinoma
squamocellulare
infiltrante,
non
si
può
dire
di
più
perché
non
si
sa
fino
a
dove
è
arrivato;
se
invece
si
ha
un
pezzo
di
esofago
si
può
procedere
con
la
stadiazione:
in
altre
parole,
la
stadiazione
si
fa
sul
campione
chirurgico
e
non
sulla
biopsia.
ASPETTO
MACROSCOPICO
In
generale
ha
un
aspetto
biancastro
(caratteristico
dell'epitelio
squamoso),
ma
l’aspetto
macroscopico
va-‐
ria
in
rapporto
alla
precocità
della
diagnosi:
• i
precoci
possono
essere
nodulari
(polipi),
a
placca
(crescono
in
larghezza,
sono
legger-‐
mente
rilevati),
depressi,
occulti
(non
si
ve-‐
dono)
o
apparire
come
aree
arrossate;
• gli
avanzati
vanno
a
formare
delle
masse
che
possono
essere
vegetanti,
ulcerati,
ste-‐
nosanti
(causano
rigidità
della
parete
esofa-‐
gea),
diffusamente
infiltranti
(conferiscono
all’esofago
un
aspetto
di
tubo
rigido).
ASPETTO
MICROSCOPICO
Un
carcinoma
squamoso
è
un
tumore
che
viene
da
un
epitelio
pavimentoso:
è
caratterizzato
da
cellule
con
differenziazione
di
tipo
squamoso
(con
cheratina,
se
non
è
troppo
indifferenziato)
che
assomigliano
a
un
epitelio
pavimentoso.
Nel
carcinoma
squamoso
l’epitelio
perde
l’aspetto
differenziativo
ed
è
più
spesso,
e
le
cellule
in
superficie
sono
uguali
a
quelle
basali:
presentano
nucleoli
prominenti,
mitosi
aumentate;
quindi
c’è
un’alterazione
della
maturazione
(dobbiamo
però
tener
conto
dei
processi
riparativi,
perché
magari
ci
troviamo
in
corri-‐
spondenza
di
ulcere,
allora
in
quel
caso
è
normale
trovare
mitosi,
ma
in
questo
caso
non
c’è
l’atipia
franca).
In
sintesi,
nella
displasia
(carcinoma
in
situ)
degli
epiteli
squamosi
si
osserva:
• alterazione
della
maturazione,
• atipia
cellulare,
• architettura
disorganizzata.
Nel
carcinoma
infiltrante,
che
è
un
tumore
che
infiltra,
si
osservano
dei
nidi
di
cellule
allungate
che
vanno
a
finire
dentro
la
lamina
propria;
indicativa
dell’infiltrazione
della
lamina
propria
è
la
reazione
desmoplasti-‐
ca:
che
è
la
reazione
del
connettivo
infiltrato
alla
presenza
del
tumore,
che
viene
circondato
da
uno
stroma
fibroso.
La
differenziazione
del
carcinoma
squamoso
correla
inoltre
con
la
tendenza
di
questo
tumore
a
cheratiniz-‐
PATOLOGIA DEL TRATTO
zare:
infatti
l’epitelio
pavimentoso
dell’esofago
normalmente
non
cheratinizza,
ma,
quando
si
trasforma
in
GASTROENTERICO
carcinoma
squamoso,
in
base
al
grado
di
differenziazione
tende
a
cheratinizzare;
un
carcinoma
che
perde
la
capacità
di
formare
cheratina
è
un
carcinoma
poco
differenziato,
quindi
Metas
prognosticamente
più
infausto
di
un
altro
tumore
con
la
stessa
stadiazione
circa i
tumor
ma
più
differenziato.
La
formazione
e
l’accumulo
di
cheratina
può
essere:
ai linfo
di par
• intracellulare:
la
cheratina
si
accumula
nel
citoplasma
delle
cellule,
terzo
nodi p
che
diventano
più
grandi,
con
il
citoplasma
rosa
come
quelle
La pro
nel co
dell’esofago
normale,
ma
più
atipiche
perché
ricche
di
filamenti
di
dia do
impor
cheratina,
ti di se
• Stad
• extracellulare:
la
cheratina
si
accumula
tra
le
cellule
e
si
formano
fatto
sie n
nidi
di
cheratina
organizzata,
tipiche
dei
carcinomi
squamosi,
detti
semp
perle
cornee.
Un
carcinoma
che
presenta
queste
perle
cornee
è
un
me a
te è
carcinoma
che
si
differenzia
ancora
in
senso
squamoso.
• Meta
linfo
ti co
gnifi
rali i
che
FIGURA 8.8 Carcinoma squamoso dell’esofago con foci di • Stato
cheratinizzazione. gini
neop
Oltre
allo
stato
maturativo,
occorre
osservare
i
margini
che
possono
essere:
• infiltranti
(infiltrating),
quando
i
margini
si
espandono
verso
la
mucosa,
la
sottomucosa
e
lo
strato
muscolare.
Il
tumore
fa
dei
nidi
di
cellule
allungati
che
vanno
a
finire
dentro
la
lamina
propria;
• arrotondati
(pushing),
che
spingono
e
comprimono
il
tessuto,
il
quale
in
qualche
modo
va
a
circo-‐
scrivere
il
tumore;
sono
perciò
caratterizzati
da
un
pattern
di
crescita
più
controllato
rispetto
a
quello
dei
tumori
con
margini
infiltranti
che
invece
vanno
da
tutte
le
parti.
Sono
prognosticamente
più
favorevoli.
Quando
questi
tumori
sono
infiltranti
in
maniera
estensiva,
infiltrano
il
mediastino
e
i
tessuti
extramurali,
spesso
infiltrano
i
vasi
linfatici
ed
hanno
una
prognosi
molto
negativa.
Esistono
dei
carcinomi
squamosi
che
sono
così
poco
differenziati
che
le
cellule
perdono
completamente
la
capacità
di
fare
cheratina
e
quindi
diventano
talmente
indifferenziate
da
assumere
una
morfologia
fusata
(somigliano
a
delle
cellule
mesenchimali).
Questi
tumori,
rari,
sono
estremamente
aggressivi:
tra
essi
stu-‐
diamo
il
carcinoma
sarcomatoide
(o
carcinoma
a
cellule
fusate).
CARCINOMA
A
CELLULE
FUSATE
O
SARCOMATOIDE
Il
carcinoma
sarcomatoide
o
a
cellule
fusate
è
una
variante
poco
differenziata
del
carcinoma
squamoso.
• È
un
tumore
maligno
squamoso
di
alto
grado
che,
ad
un
certo
punto
della
sua
storia
naturale,
as-‐
sume
l’aspetto
a
cellule
sarcomatoidi.
Il
prototipo
delle
cellule
epiteliali
è
una
cellula
arrotondata
(es.
cheratinocita),
quello
delle
cellule
mesenchimali
è
una
cellula
fusata
(es.
fibroblasto,
muscolari
lisce
e
striate,
di
Schwann).
Quando
i
tumori
epiteliali
crescono
rapidamente,
le
cellule
perdono
la
caratteristica
di
essere
arrotondate
e
possono
diventare
fusate,
allungate,
quindi
sarcomatoidi:
assomigliano
alle
cellule
dei
sarcomi,
ma
non
lo
sono;
altri
organi
coinvolti
dal
carcinoma
sarcomatoide
sono
principalmente
quelli
cavi,
co-‐
me
utero
e
vescica.
• Questi
tumori
crescono
formando
noduli
esofitici
intraluminali,
simili
a
polipi
che
sporgono
nel
lu-‐
me;
si
localizzano
nel
terzo
medio
o
nel
terzo
inferiore.
Spesso
sono
tumori
superficiali,
estesi
alla
mucosa
e
al
massimo
alla
sottomucosa.
• Questi
tumori
hanno
due
aspetti,
quindi
un
pattern
bifasico:
la
stessa
cellula
può
assumere
un
aspetto
di
cellula
epiteliale
o
fusata-‐sarcomatoide.
Non
è
un
tu-‐
more
misto,
ma
è
lo
stesso
tumore
che
si
manifesta
fenotipicamente
con
due
aspetti
diversi,
quindi
con
una
componente
a
cellule
fusate
sarcomatoide
e
una
di
carcinoma
squamoso
in
situ
o
infiltrante.
Durante
la
diagnosi
occorre
chiedersi
se
i
due
aspetti
sono
parte
dello
stesso
tumore
o
se
le
cellule
fusate
formano
un
tumore
a
parte,
quindi
se
c'è
la
coesi-‐
stenza
di
due
tumori.
Per
dirimere
questo
dubbio
l'a-‐
natomopatologo
deve
rilevare
isole
epiteliali
squa-‐
mose:
senza
questa
rilevazione,
a
volte
impossibile
da
realizzare,
vi
è
un'ampia
varietà
di
diagnosi
differen-‐
ziali,
perché
nell'esofago
possono
essere
presenti
tu-‐
mori
mesenchimali,
di
aspetto
molto
simile
ai
tumori
sarcomatoidi.
A
questo
punto
è
fondamentale
l’analisi
immunoistochimica:
la
positività
delle
citocheratine,
è
diagnostica,
insieme
alla
caratteristica
di
un
tumore
epiteliale
poco
differenziato,
di
un
tumore
sarcomatoide.
• Sono
sempre
tumori
scarsamente
differenziati
(G3)
e
molto
aggressivi;
addirittura
molti
ritengono
che
abbia
un'aggressività
maggiore
degli
altri
carcinomi
scarsamente
differenziati,
pertanto
va
sempre
specificato
“variante
sarcomatoide”.
Inoltre,
poiché
la
scarsa
differenziazione
è
già
compre-‐
sa
nel
concetto
di
carcinoma
sarcomatoide,
nel
referto
(in
questo
caso)
si
può
anche
non
specifica-‐
re
il
grading.
STADIAZIONE
PATOLOGICA
(pTNM)
E
GRADING
(G)
DEI
TUMORI
DELL’ESOFAGO
Il
patologo
segue
linee
guida
del
College
of
American
Pathologists,
che
pone
le
tappe
da
seguire
per
la
dia-‐
gnosi
e
specifica
le
informazioni
necessarie
al
clinico
per
scegliere
il
corretto
trattamento.
Il
primo
passo
consiste
nella
diagnosi,
ovvero
nell’inserire
la
lesione
osservata
all’interno
di
una
categoria
diagnostica,
e
per
far
questo
bisogna
conoscere
la
classificazione
dei
tumori
dell’esofago;
sono
stati
trattati
quelli
più
frequenti,
ma
esistono
anche
altri
istotitpi
quali:
i
carcinomi
muco-‐epidermoidi,
il
carcinoma
ade-‐
noido-‐cistico
(sono
tumori
provenienti
dalle
ghiandole
mucose
che
sono
nella
sottomucosa
esofagea,
e
so-‐
no
praticamente
i
tumori
tipici
delle
ghiandole
salivari),
etc.
Dopo
la
diagnosi
si
procede
con
la
stadiazione
(staging)
e
la
determinazione
del
grado
(grading).
Come
già
detto,
con
la
biopsia
si
può
fare
diagnosi
di
carcinoma
ma
non
possiamo
procedere
con
la
stadiazione,
per
la
quale
è
necessario
il
pezzo
chirurgico.
La
stadiazione
dei
tumori
dell’esofago
è
fatta
in
base:
• alla
profondità
di
invasione
della
parete
da
parte
del
tumore
(T),
• al
numero
di
linfonodi
loco-‐regionali
metastatici
(N),
• alla
presenza
di
metastasi
a
distanza
(M).
Nel
caso
dell’esofago,
poiché
i
linfonodi
di
solito
non
sono
inclusi
nel
pezzo
chirurgico,
il
patologo
definisce
solo
la
T;
se
presenti,
può
definire
anche
N
e
M
(es.
se
durante
l’intervento
il
chirurgo
trova
anche
un
altro
tumore,
lo
esporta
e
lo
manda
al
patologo).
Occorre
pertanto
integrare
la
stadiazione
patologica,
fatta
sul
pezzo
chirurgico
dal
patologo,
con
quella
clinica
che
fa
il
clinico
con
altri
esami
come
la
TAC
ed
esami
labo-‐
ratoristici.
La
rete
linfatica
è
infatti
molto
ricca
a
livello
dell'esofago,
quindi
i
tumori
che
si
portano
nella
re-‐
gione
periesofagea
disseminare
facilmente
e
precocemente.
Il
manuale
di
riferimento
è
il
“manuale
del
TNM”,
sottoposto
a
revisioni
periodiche
che
definisce
la
stadia-‐
zione;
la
stadiazione
del
parametro
T
è
la
seguente:
• Tx:
il
tumore
primario
non
può
essere
valutato
(es.
ad
una
stadiazione
a
posteriori
non
rileviamo
il
tumore:
il
tumore
è
stato
operato
tempo
fa,
ha
recidivato,
e
quello
originale
non
si
trova),
• T0:
nessuna
evidenza
di
tumore
(è
un
caso
eccezionale7),
• Tis:
tumore
in
situ
(nell’esofago
corrisponde
alla
displasia
di
alto
grado),
• T1:
tumore
superficiale
che
infiltra
la
lamina
propria
e/o
la
muscolaris
mucosae
(T1a),
o
anche
la
sottomucosa
(T1b),
• T2:
tumore
che
infiltra
la
tonaca
muscolare,
• T3:
tumore
che
invade
la
tonaca
avventizia,
7
Per
esempio:
ipergastrinemia
comunque
superiore
ad
uno
stato
di
iperfunzionalità
delle
cellule
gastrino
secernenti:
vado
a
cercare
nelle
sedi
principali,
ed
è
probabile
che
non
lo
trovi.
Altro
esempio:
adenomi
secernenti
aldosterone.
Se
non
trovo
l’adenoma
non
in
sede
surrenalica,
vado
a
valutare
l’attività
surrenalica
e
il
tipo
di
attività,
potrò
poi
ri-‐
muovere
il
surrene
iperfunzionante.
Altro
esempio:
l’endoscopista
vede
l’ulcera,
effettua
la
biopsia
e
poi
il
patologo
diagnostica
il
carcinoma.
Poi
viene
tolto
lo
stomaco,
l’ulcera
si
era
rimarginata
e
il
carcinoma
non
si
trova.
• T4:
tumore
che
invade
le
strutture
adiacenti:
in
punto
(es.
pleura)
in
cui
ancora
si
può
tentare
la
re-‐
sezione
chirurgica
(T4a)
o
gli
organi
adiacenti
non
resecabili
come
l’aorta,
la
trachea,
i
corpi
verte-‐
brali
(T4b).
Possono
essere
invasi
anche
diaframma
e
pericardio.
La
gradazione
(grading)
invece
è
la
differenziazione
istologica
del
tumore,
indica
cioè
quanto
il
tumore
è
differenziato
e
quindi
aggressivo:
i
tumori
con
grado
più
alto
sono
più
indifferenziati
e
prognosticamente
sfavorevoli.
Il
grado
è
descritto
numericamente
o
in
maniera
descrittiva:
• G1:
ben
differenziato,
• G2:
mediamente
differenziato,
• G3:
scarsamente
differenziato,
• Gx:
il
grado
non
può
essere
valutato
(caso
eccezionale).
Quando
ho
più
vetrini
con
diversi
grading,
il
grading
più
alto
grado
è
quello
che
guida
la
diagnosi.
La
stadiazione
è
più
importante,
ma
a
parità
di
stadio,
la
gradazione
è
informativa
sull’aggressività.
Quindi,
un
esempio
di
referto
patologico
è
il
seguente:
“adenocarcinoma
dell’esofago,
ben
differenziato
(G1),
infil-‐
tra
solo
la
mucosa
fino
alla
muscolaris
(T1a),
e
nessun
linfonodo
infiltrato”.
Ricordiamo
che
un
limite,
causa
di
errore,
della
stadiazione
e
del
grading
è
il
campionamento:
un
tumore
grande
(es.
5
cm)
non
può
essere
tutto
incluso,
si
fa
almeno
un
blocco
per
ogni
cm
(la
selezione
avviene
grazie
all’esame
macroscopico),
ma
una
parte
della
lesione
non
viene
analizzata
altrimenti
servirebbe
una
quantità
di
tempo
notevolmente
superiore
(però
aumentando
il
numero
di
blocchetti,
il
risultato
si
stabiliz-‐
za,
non
c’è
più
variabilità).
Bisogna
quindi
trovare
il
miglior
compromesso
tra
qualità
della
risposta
e
le
ri-‐
sorse
utilizzate:
il
patologo,
per
far
questo,
segue
delle
indicazioni
che
garantiscono
un
vero
positivo
nel
95%
dei
casi
(ovvero
che
nel
95%
dei
casi
quello
che
si
osserva
sia
congruente
con
il
grado
del
tumore
che
si
sta
analizzando);
sono
proprio
queste
indicazioni
a
stabilire,
per
esempio,
che
bisogna
realizzare
un
bloc-‐
chetto
per
ogni
cm.
4.
PATOLOGIA
DELLO
STOMACO
STRUTTURA
NORMALE
DELLO
STOMACO
Lo
stomaco
è
un
organo
cavo
formato
dalle
seguenti
tuniche:
• mucosa
(ghiandolare),
formata
da
foveole
alla
base
delle
quali
si
aprono
le
ghiandole
gastriche.
E’
formata
quindi
da
una
componente
ghiandolare
superficiale
e
una
componente
profonda:
o la
componente
ghiandolare
superficiale
corrisponde
all’epitelio
foveolare:
è
un
epitelio
co-‐
lonnare
con
cellule
che
secernono
mucina
neutra
e
bicarbonato
(PAS
positive).
Questo
muco
ha
la
funzione
di
proteggere
lo
stomaco
ed,
essendo
neutro
a
differenza
del
muco
intestinale
che
contiene
GAG
acidi,
non
si
colora
con
l’Alcian
ma
solo
con
il
PAS:
è
Alcian-‐negativo
e
PAS-‐
positivo;
se
quindi
in
una
biopsia
gastrica
c’è
positività
all’Alcian,
ipotizziamo
la
presenza
di
metaplasia
intestinale;
o la
componente
ghiandolare
profonda
corrisponde
alle
ghiandole
gastriche
che
si
aprono
alla
base
delle
foveole;
questa
componente
è
differente
a
seconda
della
zona
dello
stomaco
in
cui
ci
troviamo
(infatti
è
importante
la
corrispondenza
con
la
sede
di
prelievo
del
campione):
ü nella
zona
del
cardias
e
dell’antro-‐piloro:
le
ghiandole
sono
rappresentante
da
strutture
tubulari
lasse,
che
occupano
1/3-‐1/2
dello
spessore
della
mucosa.
Queste
ghiandole
pro-‐
ducono
soprattutto
mucine
neutre,
pepsinogeno
e
lisozima;
nella
parte
profonda
ci
sono
cellule
che
producono
muco.
Per
quanto
riguarda
la
funzione
secernente,
queste
zone
so-‐
no
quelle
meno
specializzate,
ü nella
zona
del
corpo
e
del
fondo:
le
ghiandole
sono
strutture
diritte
e
strettamente
ad-‐
dossate
che
occupano
i
3/4
dello
spessore
della
mucosa.
Queste
ghiandole
sono
formate
soprattutto
da
cellule
principali
e
parietali
(v.
dopo)
ma
anche
altre
cellule:
nel
complesso
sono
tutte
cellule
molto
più
specializzate
(osserviamo
colorazioni
eterogenee
indicative
di
diversi
citotipi).
In
questa
regione
del
corpo
e
del
fondo,
che
è
più
specializzata,
viene
prodotto
l'acido
cloridrico,
• sottomucosa,
separata
dalla
mucosa
sovrastante
dalla
muscolaris
mucosae,
• tonaca
muscolare,
• connettivo
sottomesoteliale
e
peritoneo.
I
citotipi
della
mucosa
sono:
• cellule
superficiali
(foveolari):
sono
cellule
cilindriche
mu-‐
co-‐secernenti,
• cellule
del
colletto:
cellule
cubiche
che
costituiscono
il
compartimento
proliferativo
delle
ghiandole
(quindi
la
proli-‐
ferazione
avviene
sia
verso
l’alto
sia
verso
il
basso),
• cellule
parietali
(ossintiche):
producono
HCl
e
fattore
in-‐
trinseco.
In
EE
hanno
il
citoplasma
rosa
(essendo
acide
si
co-‐
lorano
con
l’eosina),
• cellule
principali
(peptiche):
producono
pepsinogeno.
In
EE
hanno
il
citoplasma
blu
(contengono
tanti
granuli
basofili),
• cellule
endocrine:
sono
le
cellule
G,
che
producono
gastrina
e
sono
localizzate
nell’antro,
e
le
cellule
enterocromaffini-‐
like
(ECL),
che
producono
istamina
e
sono
localizzate
nel
corpo-‐fondo.
(continua)
a b
Zona superficiale
Zona
profonda
FIGURA 8.11 a) Mucosa del corpo gastrico (sinonomi: mucosa ossintica, mucosa specializzata). Le ghian-
dole hanno decorso rettilineo e sono costituite da 3 zone funzionali: 1) zona superficiale (costituita da cel-
lule colonnari mucosecernenti); 2) zona del colletto (costituisce il compartimento proliferativo); 3) zona del-
le cellule “specializzate” (cellule parietali secernenti HCl, cellule principali secernenti pepsinogeni, cellule
endocrine di tipo enterocromaffine [VEDI Tabella 8.3]). b) Mucosa (mucosecernente) dell’antro gastrico. A
valle del colletto, la foveola si dicotomizza e successivamente si arborizza in 3-5 sfondati ghiandolari. An-
che nelle ghiandole antrali si distinguono 3 zone funzionali: 1) zona superficiale (costituita da cellule co-
lonnari mucosecernenti); 2) zona del colletto (costituisce il compartimento proliferativo); 3) zona delle cel-
lule mucosecernenti. In questa zona, tra gli epiteli mucipari, sono localizzate cellule ormonosecernenti
(VEDI Tabella 8.3).
GASTRITI
plasmico liscio ben sviluppato e la presenza di numerosi mitocondri fanno sì che queste cellule siano
colorate di rosa (più o meno intenso) alla ematossilina-eosina.
4. Cellule principali: come le parietali derivano da proliferazione/differenziazione delle cellule del
Le
gastriti
sono
patologie
infiammatorie
dello
stomaco
molto
comuni,
che
sono
distinte
in
base
all’agente
colletto.
eziologico
e
aIllla
citoplasma
modalità
dèi
insorgenza
basofilo e icontiene
n:
granuli secretivi (principalmente pepsinogeni 1 e 2). Il pe-
•psinogeno
acute;
uèna
prodotto
gastrite
da un pricco
acuta
reticolo
uò
essere
endoplasmico
a
seconda
rugoso
delle
lesioni
e ciò conferisce alle cellule principali
osservate:
il caratteristico colore basofilo alla ematossilina-eosina.
5. Cellule o erosiva,
endocrine. Costituiscono circa 1.5% della massa epiteliale della mucosa e hanno diverse
o suppurativa,
specificità secretive (identificabili con metodi istochimici e – con maggiore specificità – con metodi im-
• croniche:
[i.e. anticorpi che reagiscono con peptidi specifici]) (Tabella 8.3). Anche le cellule en-
munoistochimici
docrine derivano dalla moltiplicazione/differenziazione delle cellule del compartimento proliferativo.
o autoimmune,
Rare cellule endocrine possono anche essere documentate nell’interstizio tra ghiandola e ghiandola (la-
o H.
Pylori
associata,
mina propria).
o linfocitica,
Le ghiandole della mucosa mucosecernente (tipica dell’antro, ma rappresentata anche nella zona pericar-
diale) sono o granulomatosa,
tubulari composte e sono costituite da 3 tipi di cellule.
eosinofilica.
1. Cellule superficiali: sono epiteli cilindrici mucosecernenti che tappezzano la superficie luminale del-
o
•la mucosa
[reattive:
e rivestono
chimica,
plaost-‐gastrectomia,
parte foveolare G (1/3AVE
craniale)
(da
ectasia
deidei
pozzetti ghiandolari.
vasi
dell’antro),
2. •Cellule del colletto ghiandolare
ipertrofiche:
ipersecretorie,
ipoproteinemica,
(compartimento proliferativo).
3. Cellule degli sfondati ghiandolari. Ciascuna foveola si dicotomizza e successivamente si arbo-
• miscellanee
infiammatorie:
polipo
infiammatorio
fibroide].
rizza in 3-5 sfondati ghiandolari. Gli epiteli di questi cul di sacco secernono mucine neutre. Gli epite-
Le
gastriti
li antrali croniche
producono non
guariscono
una modesta spontaneamente
quantità di pepsinogeno e
hanno
un
tipo andamento
2. cronico
che
può
portare
ad
alcune
conseguenze;
vanno
più
spesso
all’attenzione
del
patologo
rispetto
alle
acute.
Studiamo
nel
detta-‐
glio
le
gastriti
croniche
autoimmuni
e
quelle
HP
associate,
che
vanno
in
DD.
478
GASTRITI
ACUTE
Le
principali
cause
di
gastrite
acuta
sono:
• stress
fisiologico,
determinato
da:
uremia,
patologie
estese
della
cute
(ustioni
estese),
insufficienza
cardiaca,
sindrome
da
shock
tossico,
chirurgia
maggiore,
trauma,
insufficienza
respiratoria,
patolo-‐
gia
importante
del
SNC.
Il
rapporto
diretto
tra
queste
situazioni
cliniche
e
la
gastrite
non
è
ancora
ben
definito;
• stress
tossico:
reflusso,
droghe,
alcool,
alcuni
cibi,
FANS,
agenti
corrosivi,
• stress
circolatorio8:
shock,
ipovolemia,
ischemia,
ipertensione
portale,
ipotensione.
Le
gastriti
acute
sono
difficilmente
oggetto
di
biopsia:
la
diagnosi
è
clinica
ed
eventualmente
endoscopica,
e,
una
volta
rimossa
la
causa,
la
gastrite
si
risolve
in
breve
tempo;
nei
casi
più
gravi,
per
esempio
in
caso
di
sanguinamenti
o
lesioni
di
difficile
inquadramento,
può
intervenire
il
patologo:
la
biopsia
nella
gastrite
acu-‐
ta
interessa
al
massimo
la
parte
superficiale
della
mucosa.
Macroscopicamente
si
osservano:
• ulcere,
che
possono
sanguinare,
soprattutto
nel
corpo
e
nel
fondo,
• erosioni
diffuse:
sono
lesioni
più
superficiali,
che
non
si
associano
a
emorragie
imponenti
(ci
sono
micro-‐sanguinamenti);
soprattutto
nell’antro,
• edema,
iperemia,
piccole
petecchie
emorragiche
(espressione
di
sanguinamenti
di
piccoli
vasi
della
lamina
propria
o
della
sottomu-‐
cosa,
ma
non
di
grandi
vasi).
Microscopicamente
si
osserva:
• necrosi
della
mucosa
superficiale,
• infiltrato
infiammatorio
granulocitario
(caratteristico
dell’infiammazione
acuta;
un
infiltrato
linfo-‐
plasmacellulare
è
invece
caratteristico
delle
gastriti
croniche).
Infatti
nella
parte
superficiale
non
si
riconosce
il
disegno
della
mucosa,
che
è
ulcerata
e
infiltrata
di
granulo-‐
citi;
spesso
però
la
mucosa
profonda
è
risparmiata.
La
gastrite
acuta
può
sanguinare,
anche
tanto,
e
mettere
a
rischio
la
vita
(raro)
nel
caso
in
cui
ad
esempio
un
ulcera
penetrante
interessi
le
pareti
di
un
vaso
arterioso
della
sottomucosa.
GASTRITI
CRONICHE
AUTOIMMUNI
La
gastrite
cronica
autoimmune
è
una
rara
patologia
infiammatoria
dello
stomaco
localizzata
prevalente-‐
mente
nella
mucosa
specializzata,
quindi
nel
corpo
e
nel
fondo.
• E’
causata
dalla
formazione
anticorpi
contro
le
cellule
parietali
che
distruggono
la
mucosa:
c’è
una
completa
perdita
dalla
mucosa
specializzata
che
viene
sostituita
da
una
mucosa
semplice.
• Tale
distruzione
delle
cellule
della
mucosa
specializzata
determina
un’alterazione
del
pH
del
succo
gastrico
e
una
diminuzione
del
succo
gastrico;
si
osserva
ipocloridia
e
acloridia,
che
provocano
a
lo-‐
ro
volta
una
risposta
di
compenso:
l’iperplasia
delle
cellule
G
(che
producono
gastrina,
proliferano
perché
l’ipocloridia
rimuove
l’inibizione
al
rilascio
della
gastrina)
ed
ECL,
fino
ad
arrivare
all’iperplasia
foveolare
(la
mucosa
diventa
simile
a
quella
intestinale:
l’epitelio
foveolare
iperplasti-‐
co
va
progressivamente
a
sostituire
l’epitelio
specializzato).
A
volte
la
iperplasia
delle
cellule
neu-‐
roendocrine
può
essere
così
massiva
da
formare
nodulini,
che
possono
evolvere
in
un
tumore
neu-‐
roendocrino.
8
Infatti,
se
si
trovano
tracce
di
una
gastrite
acuta
emorragica
in
un'autopsia,
è
difficile
che
il
paziente
in
questione
sia
morto
a
causa
della
gastrite
acuta,
quanto
piuttosto
che
questa
sia
espressione
di
altre
manifestazioni
sistemiche,
per
lo
più
cardiocircolatorie.
• Si
associa
spesso
ad
altre
patologie
autoimmuni
quali:
anemia
perniciosa,
tiroidite,
diabete,
ipofun-‐
zione
di
altri
organi
endocrini
(surrene,
pancreas).
Si
distinguono
diverse
fasi
in
base
ai
tempi
e
all’estensione:
• gastrite
superficiale
(forma
blanda),
caratterizzata
dalla
presenza
di
infiltrato
infiammatorio
croni-‐
co
superficiale
(linfo-‐plasmacellulare
con
anche
granulociti
e
qualche
esosinofilo)
e
dall’assenza
dell’atrofia
delle
ghiandole:
è
un
quadro
totalmente
aspecifico
di
infiammazione
cronica
che
peral-‐
tro
non
presenta
i
criteri
per
diagnosticare
un
processo
autoimmune.
Pertanto
tale
quadro
morfo-‐
logico
“compatibile
con
gastrite
cronica
superficiale”
non
è
diagnostico
in
sé,
ma
va
inserito
nel
quadro
clinico
generale
(endoscopico,
sintomatologico,
etc.):
è
il
quadro
più
difficile
da
diagnostica-‐
re.
Inoltre,
diagnosi
differenziale
con
la
forma
Gallo HP-‐associata
è
altrettanto
08.qxd 29-09-2007 difficile;
19:59 Pagina 483
• gastrite
atrofica:
l’infiltrato
infiammatorio
coinvolge
l’intero
spessore
della
mucosa
e
si
osserva
marcata
atrofia
della
mucosa
con
severa
riduzione
del
numero
di
cellule
parietali
e
principali
nel-‐
la
parte
profonda
delle
ghiandole
(diminuisce
quindi
la
componente
specializzata).
E’
l’infiltrato
in-‐
fiammatorio
a
determinare
l’aggressione
della
mucosa;
in
questa
fase,
grazie
a
queste
caratteristi-‐ Pato
che,
può
essere
fatta
diagnosi
di
gastrite
cronica
autoimmune:
è
la
vera
fase
specifica
della
malat-‐
tia;
• atrofia
gastrica:
quando
il
processo
infiammatorio
Gast
si
spegne
(“non
c’è
più
nulla
da
aggredire”),
la
mu-‐
Gastriti
cosa
diventa
atrofica.
C’è
completa
perdita
delle
I virus
ghiandole
e
minima
infiammazione:
si
osserva
una
agenti p
metaplasia
di
tipo
pilorico
(compaiono
cellule
ga-‐ scono s
immun
striche
muco-‐secernenti
e
le
ghiandole
perdono
il
tipo ulc
loro
aspetto
fitto
e
ramificato)
o
intestinale
(com-‐ so o pa
crotich
paiono
le
goblet
cell);
in
sintesi,
le
ghiandole
spe-‐ (corpi i
cializzate
sono
sostituite
da
mucosa
semplice.
conferm
In
questa
fase,
la
mucosa
diventa
piatta,
come
un
FIGURA 8.13 Metaplasia intestinale delle ghiandole gastri- Gastriti
foglio
di
carta
sottile,
e
scompaiono
le
pliche
che
ci
che: colorazione con ematossilina-eosina. A sinistra gli epite- Gast
sono
normalmente.
In
questo
contesto,
la
presenza
liepiteli ghiandolari di tipo caliciforme muciparo sono intervallati da
colonnari con orletto a spazzola (metaplasia intestina-
strite b
età ped
di
ondulazioni
(la
mucosa
è
un
po’
sollevata)
può
le tipo piccolo intestino, frecce). A destra, le cellule caliciformi sanitari
mucipare sono ugualmente evidenti ma il profilo irregolare
essere
determinata
da
un
infiltrato
infiammatorio
o
del versante luminale (linea tratteggiata) dell’epitelio caratte- sino al
rizza tale metaplasia come del tipo grosso intestino. po) è ra
da
una
forma
di
metaplasia
intestinale
(che
può
pa e no
evolvere
verso
la
displasia).
zione (
“non-invasiva” è motivato dal fatto che le cellule atipi-
In
base
alla
fase
in
cui
ci
troviamo
possiamo
fare
una
diagnosi
più
o
meno
specifica.
La
diagnosi
si
fa
soprat-‐ in un c
che sono “inguainate” dalla membrana basale delle
tutto
nella
gastrite
atrofica.
H. pylo
ghiandole e tale guaina si oppone alla infiltrazione stro-
metodi
Inoltre,
la
localizzazione
nella
regione
gastrica
è
importante
per
male
la
dche è sinonimo
iagnosi,
di invasivià
in
quanto
VEDI unità
tale
p(atologia
è
didattica
loca-‐ todo di
Patologia neoplastica dello stomaco).
lizzata
fin
dall’inizio
nel
corpo-‐fondo.
tato di
sente la
Criteri classificativi delle gastriti H. pylo
Riepilogando,
per
la
diagnosi
istologica
occorre
l’esame
di
biopsie
della
mucosa
del
corpo-‐fondo,
dove
so-‐
Le alterazioni elementari sopra descritte concorrono della re
no
presenti
le
ghiandole
specializzate,
in
cui
possiamo
osservare:
(non necessariamente tutte e sempre) a realizzare il esordisc
quadro gastritico: il vario ricombinarsi quantitativo e specific
• la
distruzione
di
cellule
parietali
e
principali,
quindi
la
pqualitativo erdita
della
mucosa
delle specializzata,
alterazioni realizza fenotipi istologici terio ed
• l’iperplasia
delle
cellule
ECL
ed
eventuale
presenza
di
tumori
diversi, n spesso indicativi di specificità eziologica.
euroendocrini,
mediato
Le proposte classificative formulate per le gastriti sono scono m
• l’iperplasia
delle
cellule
G
(nell’antro),
numerose e talora contraddittorie.Tra tutte le catego- rio. La
• la
presenza
di
metaplasia
intestinale
o
pilorica,
rizzazioni, quella che distingue forme acute da forme (tossine
• la
presenza
eventuale
di
displasia
epiteliale
(lesione
preneoplastica).
croniche è forse la più radicata. La distinzione (fondata DNA b
sulla durata della sintomatologia) è largamente arbitra- ceppi b
La
gastrite
cronica
atrofica
va
in
DD
con
una
gastrite
molto
comune:
ria poichè:quella
a) lacronica
da
H
letteratura P.
definisce il limite tem-
non (protein
porale tra acuzie e cronicità; b) le aggettivazioni acuto specific
e cronico hanno fondamento clinico e, pertanto, do- sola è c
vrebbero riferirsi al decorso della sindrome dispeptica carcino
e non alle caratteristiche della infiammazione gastrica; infezion
c) l’infiltrato infiammatorio nelle cosiddette gastriti do e de
croniche è spesso dominato dai granulociti, che sono della po
Gallo 08.qxd 29-09-2007 19:59 Pagina 485
Patologia dello
GASTRITE
CRONICA
DA
HELICOBACTER
PYLORI
La
gastrite
cronica
da
Helicobacter
pylori
(HP)
è
la
forma
più
frequen-‐ colonie batteriche e
bosi vascolari venos
te
di
gastrite
cronica;
la
sua
frequenza
aumenta
con
l’età
(ne
è
affetto
quadro di una com
Spesso, la gastrite fle
il
40-‐50%
della
popolazione
con
più
di
50
anni)
e
nella
popolazioni
in
La mortalità della ga
La tubercolosi gastrica è
via
di
sviluppo,
nelle
quali
l’infezione
è
presente
fin
dall’infanzia.
colosi polmonare. L
presenza contempora
L’HP
è
un
batterio
spiraliforme
Gram-‐negativo
che
produce
l’ureasi,
granulomatose. La m
varie dimensioni e l’e
un
enzima
essenziale
per
colonizzare
la
mucosa
gastrica;
esso
si
collo-‐ za di granulomi con
ri alcol-acido resiste
ca
in
superficie,
tra
il
muco
e
l’epitelio,
e
nella
profondità
delle
foveo-‐ complex (MAC) sia
9 opportunistica in AID
le:
non
è
un
intracellulare
ma
si
accumula
nel
secreto.
sato. La sintomatolog
gia ulcerosa dello sto
HP
è
un
batterio
visibile
al
microscopio,
con
EE
a
forte
ingrandimento
alla terapia per l’ulcer
re adiacenti a infiltr
(400x):
questo
è
uno
dei
pochi
casi
in
cui
è
possibile
fare
diagnosi
ezio-‐ contenenti bacilli aci
La gastrite da Actyno
logica
con
la
morfologia.
Però
se
i
batteri
sono
pochi
e
singoli
è
più
dif-‐ sualizzante associata
gastrico. L’esame mi
ficile:
in
questo
caso
ci
si
avvale
ci
tecniche
ancillari
istochimiche,
co-‐ tiche nelle quali sono
mices.
me
l’impregnazione
argentica
(questi
batteri
si
legano
ai
sali
di
argen-‐
Gastriti da miceti
to)
o
la
Giemsa;
non
è
necessaria
l’immunoistochimica.
La Candida spesso c
(neoplastiche e non
Questo
tipo
di
gastrite
interessa
inizialmente
l’antro,
dove
compaiono
grava significativame
associata e la compl
le
prime
lesioni,
che
poi
possono
espandersi
a
corpo
e
fondo;
distin-‐ batterio è colorato in nero con il Warthin-Starry.
FIGURA 8.14 Helicobacter pylori in ghiandola gastrica: il
zoari fungini” è rara
La Histoplasmosi gastr
guiamo:
associata a immunod
patogenicità), ma anche a specifiche situazioni etniche e ca è più rara di quell
• una
fase
precoce
in
cui
si
osserva
un
infiltrato
infiammatorio
cronico
(linfociti
socio-economiche. e
mucosa
Atrofia plasmacellule)
con
sa/microulcerata e il
si sviluppa più pre-
cocemente in popolazioni orientali ed è più frequente un infiltrato di macro
anche
granulociti
neutrofili
confinato
alla
mucosa
gastrica
superficiale
(lamina
propria
ed
epitelio
in paesi in via di sviluppo. In Africa, l’infezione è fre- La gastrite da Cripto
quente e la gastrite atrofica infrequente; in Giappone un depressi ed è genera
ghiandolare);
all’inizio
l’infiltrato
è
presente
nella
lamina
propria,
elevatoverso
standard dila
vitaparte
luminale,
coesiste con poi
elevata prevalenza di si
intestinale (responsa
infezione e di atrofia. Non sono note le cause che indi- La Strongiloidiasi g
estende.
L’epitelio
foveolare
in
risposta
all’infiltrato
infiammatorio
diventa
iperplastico:
aumenta-‐
rizzano nell’uno o nell’altro senso la storia della gastrite. strongiloidiasi sistem
Dati recenti attribuiscono importanza rilevante alle ca- ingestione di uova p
no
le
foveole
e
le
cellule
che
producono
muco.
In
questa
fase
non
ci
sono
importanti
evidenze
en-‐
ratteristiche della risposta infiammatoria dell’ospite (po- rizzata da granulomi
limorfismo dei geni che modulano la risposta immune). eosinofila, spesso com
doscopiche;
Altri batteri. I batteri piogeni possono causare gastriti
suppurative/flemmonose. La localizzazione gastrica di
• una
fase
avanzata,
che
si
sviluppa
in
un
periodo
di
diversi
anni,
in
cui
sè i
secondaria
piogeni osserva
una
gastrite
a immunodepressione cronica
(associata a Gastriti e gas
sepsi con infiammazioni respiratorie e del cavo addo-
atrofica.
minale). La parete gastrica è sede di infiltrazione in- Da agenti chimici
fiammatoria a tutto spessore con estese perdite di mu- La patologia della m
Poiché
le
lesioni
sono
nella
mucosa
antrale,
che
è
più
semplice
rispetto
a
quella
specializzata
del
spesso associata a ero
cosa. Nel contesto della parete sono presenti ascessi,
corpo-‐fondo,
è
più
difficile
vedere
la
atrofia;
ci
può
essere
inoltre,
con
il
persistere
della
noxa
pato-‐ 485
gena,
la
metaplasia
intestinale:
compaiono
le
goblet
cell
e
i
villi
(non
compare
la
metaplasia
pilori-‐
ca
perché
siamo
già
nell’antro).
A
volte
l’infiltrato
infiammatorio
è
così
ricco
che
diventa
or-‐
ganizzato:
si
osserva
una
iperplasia
linfoide
con
follicoli
e
centri
germinativi
circondati
da
un
mantello
e,
ancora
più
esternamente,
da
una
zona
marginale;
questa
iperplasia
è
tipica
della
gastrite
cronica
da
HP:
si
parla
in
questo
caso
di
gastrite
follicolare.
Questo
reperto
è
importante
e
occorre
verificare
se
rappresenta
un
infiltrato
linfocitario
reattivo
(policlonale)
o
un
processo
linfoproliferativo
(linfoma
dello
stomaco:
è
un
linfoma
extranodale;
processo
monoclonale).
È
noto
oltretutto
che
la
gastrite
da
HP
è
associata
a
linfomi
e
all’adenocarcinoma
gastrico,
favorisce
infatti
l’insorgenza
di
questi
tumori.
9
A
proposito
degli
organismi
intracellulari,
nella
gastrite
da
CMV
il
virus
dà
un
incluso
citoplasmatico
grande
e
debol-‐
mente
eosinofilo
(rosa
scuro)
che
sembra
quasi
un
nucleo
atipico.
A
differenza
delle
displasie
però,
in
questo
caso
gli
inclusi
sono
sporadici:
interessano
una
cellula
ogni
tanto.
La
terapia
consiste
nell’eradicazione
con
antibiotici
dell’HP:
è
necessaria
per
evitare
le
sequele,
che
sono
erosioni,
ulcere,
atrofia,
trasformazione
tumorale;
in
particolare:
• il
quadro
morfologico
e
la
distribuzione
topografica
della
gastrite
si
correlano
strettamente
con
i
ri-‐
schi
di
sequele
cliniche,
in
modo
particolare
ulcere,
duodenali
e
gastriche,
atrofia
della
mucosa,
carcinoma
gastrico
o
linfoma
gastrico,
• nella
maggioranza
dei
soggetti
infetti
si
manifesta
una
pangastrite
(sono
coinvolti
anche
il
corpo
e
il
fondo)
non
atrofica
con
nessuna
predisposizione
alla
malattia
peptica
né
all’atrofia;
• i
pazienti
con
gastrite
prevalentemente
antrale
sono
predisposi
alla
iperacidità
e
all’ulcera
duode-‐
nale;
• i
pazienti
con
gastrite
prevalentemente
del
corpo
e
pangastrite
atrofica
multifocale
hanno
una
maggiore
predisposizione
per
l’ulcera
gastrica,
l’atrofia
ghiandolare,
la
metaplasia
intestinale
e
il
carcinoma
gastrico.
Fig.
Vediamo
uno
schema:
l'HP
va
nella
mucosa
gastrica
normale
e
causa
un'infezione
acuta,
Questa
può
cronicizzare,
prevalentemente
a
livello
antrale;
le
sue
complicanze
sono
l'ulcera
gastrica
e
duodenale,
oppure
può
essere
una
lesio-‐
ne
asintomatica
self-‐limiting.
Se
è
una
pangastrite
c'è
una
maggiore
tendenza
alla
formazione
dei
linfomi
MALT
(sono
indolenti,
non
rapidamente
progressivi,
self).
In
alcuni
casi
l'eradicazione
dell'HP
porta
alla
regressione
del
linfoma.
Oppure
se
interessa
particolarmente
il
corpo
avremo
atrofia
gastrica,
ulcere
gastriche,
metaplasia
intestinale
che
può
avere
displasia
associata,
poi
adenocarcinoma
gastrico.
Le
due
eziologie
(virale
e
autoimmune)
portano
allo
stesso
ri-‐
sultato,
ovvero
alla
gastrite
cronica
atrofica.
PATOLOGIA DEL TRATTO
GASTROENTERICO
• c’è
perdita
progressiva
di
cellule
specializzate
del
corpo-‐fondo
e
delle
ghiandole
della
mucosa
an-‐
• Metaplastica a) Lesione chiave: metaplasia delle ghiandole
Graduazione: lieve, moderata, grave
trale,
b) Topografia
• nello
stadio
finale,
a
flogosi
regredisce
e
c’è
atrofia
antrale
• Mucosa gastrica
completa.
Metaplasia
In
queste
gastriti
sono
comuni
le
metaplasie,
che
possono
essere
intestinale
di
due
tipi:
• Mucosa ossintica
• metaplasia
intestinale:
con
cellule
intestinali
Metaplasia colonnari
e
‘goblet
cells’
che
sostituiscono
l’epitelio
pseudopilorica
superficiale;
Metaplasia intestinale
• metaplasia
pilorica:
consiste
nella
perdita
di
cellule
specializzate
nella
mucosa
nel
corpo
e
fondo
che
vengono
sostituite
da
un
epitelio
ghiandolare
più
semplice
muco-‐secernente.
a b
FIGURA 8.12 Gastrite atrofica: a) Non-metaplastica; la atrofia mucosa è caratterizzata da perdita di ghiandole appropriate so-
stituite da sclerosi della lamina propria; sopravvivono piccoli gruppi di ghiandole gastriche “native” (incluse nei cerchi) interval-
lati da aree di fibrosi (→). b) Metaplastica; la mucosa è popolata da ghiandole inappropriate per sede (ghiandole metaplasti-
che = metaplasia intestinale) (→).
sce il rischio neoplastico. LESIONI
PRECANCEROSE
In generale, più estesa è la DELLO
Neoplasia
STOMACO:
DISPLASIA
non-invasiva (displasia). La neoplasia non-
intestinalizzazione gastrica, più rappresentata è la MI
invasiva dello stomaco rappresenta la trasformazione
tipo III (caratterizzata dal più elevato rischio di neo- fenotipica della mucosa gastrica a più alto rischio di
Nello
plasia).
stomaco
ci
possono
essere
condizioni
displastiche
che
possono
sviluppare essere
rilevate
un adenocarcinoma con
L’aggettivo
infiltrante. una
biopsia:
l’evoluzione
di
queste
condizioni
può
portare
allo
sviluppo
del
carcinoma
dello
stomaco.
In
una
biopsia
bi-‐
482
sogna
osservare
con
molta
attenzione
queste
lesioni
e
tutte
le
alterazioni
che
si
associano
al
rischio
di
tu-‐
more.
Nel
dettaglio
la
displasia:
• è
l’unica
lesione
associata
in
modo
specifico
e
significativo
con
il
carcinoma:
implica
che
sia
iniziato
un
processo
neoplastico;
• si
può
sviluppare:
o su
polipi
o
neoformazioni
(più
frequentemente),
quindi
su
una
lesione
vegetante,
si
parla
di
“displasia
su
polipo”:
quando
un
polipo
presenta
displasia
esso
prende
il
nome
di
adenoma;
o su
mucosa
piatta,
che
è
la
mucosa
dello
stomaco
che
resta
piatta,
ghiandolari (i.e. alterazioni istologiche/strutturali) e di 1 Neoplasia non-invasiva assente
epiteli atipici (i.e. alterazioni citologiche). Negli ultimi
15 anni, le informazioni derivate dagli studi molecolari 2 Neoplasia non-invasiva indefinita
hanno documentato, nelle lesioni displastiche, numero- 2.1 Iperproliferazione foveolare
2.2 Metaplasia intestinale iperproliferativa
se alterazioni genotipiche proprie delle neoplasie pie-
namente sviluppate. Questi dati consentono di conside- 3 Neoplasia non-invasiva
rare etimologicamente neoplastici (i.e. νε′ω′, neo; 3.1 Neoplasia non-invasiva di basso grado
•πλαξω ′ , plasia) gli epiteli atipici della displasia. Quanto 3.2 Neoplasia non-invasiva di alto grado
convenzionalmente
viene
classificata
in
2
gradi:
basso
grado
e
alto
grado
(corrisponde
alla
neopla-‐
detto ha costituito il razionale per cui la displasia gastri-
4 Neoplasia non-invasiva coesistente con sospetto
ca è sia
stataintraepiteliale
ridefinita come dlesione i
basso
e
alto
grado):
neoplastica intraepite- di carcinoma invasivo
o la
displasia
di
basso
grado
è
una
lesione
che
regredisce
nel
60-‐70%
dei
casi
eliminata
la
causa
liale/intraghiandolare (i.e. confinata dalla membrana
basale delle ghiandole displastiche). La continuità e in- 5 Adenocarcinoma invasivo dello stomaco
che
l’ha
prodotta,
progredisce
a
carcinoma
o
lo
si
ha
già
alla
diagnosi
nel
20-‐25%
dei
casi,
tegrità della guaina di matrice extracellulare (membra-
o la
displasia
di
alto
grado
è
associata
con
carcinoma
infiltrante
(probabilità
di
svilupparlo
o
di
na basale) che avvolge le ghiandole e segrega gli epiteli
“neoplastici” dallogià
averlo
stroma, escludendo
al
momento
quella
della
invasivitànell’85%
dei
casi.
diagnosi)
che è presupposto della potenzialità metastatizzante (Fi- national Padova Classification. La classificazione muta il
Quindi
sono
due
lesioni
significativamente
diverse.
gura 8.18). nomeIn
direaltà
“displasia”la
displasia
in quelloddii
a“neoplasia
lto
grado
non-invasi-
è
a
tutti
gli
ef-‐
fetti
un
carcinoma
in
situ,
ma
tale
definizione
è
riservata
soprattutto
agli
organi
con
epiteli
squa-‐
Nel 1998, una conferenza internazionale tenutasi a Pa- va” e con ciò sottolinea la unicità biologica della pro-
dova mosi
(es.
esofago):
nello
stomaco
si
preferisce
ugressiva
ha codificato tale ridefinizione terminologica trasformazione/de-differenziazione
tilizzare
degli epi-
il
termine
“displasia
di
alto
grado”.
proponendo un’originale classificazione delle lesioni teli gastrici sino allo sviluppo di una neoplasia invasiva
In
sintesi,
processo
evolutivo
ipotetico
attraverso
il
quale
nasce
e
si
sviluppa
un
carcinoma
gastrico
è
il
se-‐
pre-neoplastiche della mucosa gastrica e tale proposta è (che invade lo stroma interghiandolare).
stata mucosa
guente:
accettata dal La Tabella 8.8 illustra
WHO. (secondaria
alterata
gastriti
La
spesso
laa
Inter- neoplasiaatrofiche),
croniche
non-invasivametaplasia,
di basso grado può evolvere
displasia
di
basso
grado,
displasia
di
alto
grado
(carcinoma
in
situ),
adenocarcinoma
infiltrante.
a b
MB
FIGURA 8.18 Neoplasia non-invasiva. a) Nella figura a destra il disegno illustra la atipia degli epiteli neoplastici contenuti al-
l’interno della membrana basale (MB) della ghiandola (epiteli neoplastici non-invasivi). b) La fotografia istologica mostra epite-
li con nuclei atipici, pseudostratificati e allungati. Le ghiandole comprese nel campione bioptico sono sede di metaplasia inte-
stinale (presenza di cellule caliciformi mucipare (cellule goblet →).
498
ADENOMA
L’adenoma
è
un
polipo,
ovvero
una
lesione
che
sporge
dal
lume
del
viscere,
con
sopra
displasia;
gli
adeno-‐
mi:
• possono
insorgere
sia
su
mucosa
sana
sia
su
mucosa
patologica;
di
solito
insorgono
nel
contesto
patologico
di
una
gastrite
atrofica
con
metaplasia
intestinale.
Non
c’è
nesso
di
causa-‐effetto
ne-‐
cessario
tra
metaplasia,
displasia,
neoplasia;
• nella
maggior
parte
sono
solitari,
misurano
3-‐4
cm,
hanno
una
superficie
finemente
granulosa,
so-‐
no:
o sessili:
formano
un
rilievo
sulla
mucosa,
alla
quale
sono
attaccati;
pertanto
devono
essere
ri-‐
mossi
con
un
intervento
di
mucosectomia,
in
cui
si
eliminano
polipo
e
mucosa
attorno;
o peduncolati:
fluttuano
nel
lume
e
hanno
un
sottile
peduncolo
di
aggancio
alla
mucosa;
sono
più
facilmente
asportabili
all’endoscopia;
• hanno
un
epitelio
displastico,
che
in
genere
mostra
una
differenziazione
intestinale
(sono
simili
a
quelli
del
colon),
sono
associati
a
un
rischio
incrementato
di
adenocarcinoma
in
quella
zona
e
anche
in
altre
parti
•
dello
stomaco;
pertanto
i
pazienti
con
queste
lesioni
devono
seguire
un
follow-‐up;
• in
base
all’architettura
si
dividono
in:
o tubulari:
formano
tubuli
simili
a
quelli
della
mucosa
dell’intestino
crasso:
la
superficie
è
liscia
e
presenta
ghiandole
tubulari
semplici
ravvicinate,
o villosi:
formano
villi
come
nel
tenue:
la
superficie
è
a
cavolfiore;
hanno
un
rischio
maggiore
di
trasformazione,
sono
di
solito
più
grandi
e
più
aggressivi,
o tubulo-‐villosi:
presentano
tubuli
e
villi,
sono
i
più
frequenti,
• il
rischio
di
malignità,
quindi
di
insorgenza
del
tumore
è
correlato:
o alle
dimensioni:
adenomi
di
diametro
pari
a
3-‐4
cm
hanno
un
rischio
notevolmente
maggiore
rispetto
a
quelli
diametro
inferiore,
o al
grado
di
displasia:
adenomi
di
alto
grado
hanno
un
rischio
maggiore
rispetto
a
quelli
di
bas-‐
so
grado;
il
grado
di
displasia
dipende
da:
ü alterazioni
e
atipie
nucleari,
ü perdita
della
polarità
delle
cellule,
ü aumentata
attività
mitotica,
ü differenziazione
citoplasmatica
con
produzione
di
muco,
ü distorsione
architetturale
delle
ghiandole,
che
diventano
sempre
più
disordinate,
o alle
caratteristiche
morfologiche:
gli
adenomi
villosi
sono
più
soggetti
a
una
trasformazione
maligna;
Quando
l’epitelio
neoplastico
invade
la
lamina
propria
si
parla
di
adenocarcinoma
intramucoso;
è
un
carci-‐
noma
infiltrante
con
potenziale
metastatico
(la
lamina
propria
è
infatti
vascolarizzata),
che,
come
vedre-‐
mo,
ha
un
significato
diverso
dall’adenocarcinoma
intramucoso
del
colon:
quest’ultimo
anche
se
raggiunge
la
lamina
propria
non
viene
mai
definito
infiltrante
in
quanto
non
dà
mai
metastasi.10
La
diagnosi
differenziale
tra
displasia
di
alto
grado
e
adenocar-‐
cinoma
intramucoso
in
stadio
iniziale
in
alcuni
casi
è
tutt’altro
che
facile,
soprattutto
quando
il
tumore
infiltra
facendo
le
ghiandole;
può
essere
dirimente,
ma
non
sempre,
la
presenza
della
reazione
desmoplastica
(reazione
fibrosa
sullo
stroma
in
risposta
all’infiltrazione
da
parte
del
tumore
della
lamina
pro-‐
pria):
questo
segno
indiretto,
quando
c’è,
aiuta
nella
diagnosi,
ma
non
è
detto
che
ci
sia
sempre
in
caso
di
carcinoma
infil-‐
trante
(si
possono
fare
altre
sezioni
seriate;
oppure
richiedere
una
nuova
biopsia).
DISPLASIA
SU
MUCOSA
PIATTA
In
caso
di
displasia
su
mucosa
piatta,
all’endoscopia
si
osserva
non
un
polipo
ma
un’area
in
cui
la
muco-‐
sa
magari
si
presenta
arrossata,
biancastra,
ulcerata
o
con
esiti
di
gastrite
cronica
(tenuti
sotto
controllo
con
un
follow-‐up).
Il
carcinoma
gastrico
potrebbe
insorgere
anche
su
mucosa
sana,
nonostante
non
sia
la
forma
più
frequente.
10
Quale
è
il
confine
tra
displasia
ad
alto
grado
e
adenocarcinoma
intramucoso?
La
displasia
ad
alto
grado
è
una
lesio-‐
ne
intraghiandolare
(caricnoma
in
situ*),
l’adenocarcinoma
intramucoso
si
ha
quando
le
cellule
neoplastiche
invadono
la
membrana
basale
e
arrivano
alla
lamina
propria
diventando
un
carcinoma
infiltrante.
È
difficile
distinguere
le
due
forme
ma
la
differenza
sta
nel
fatto
che
l’adenocaricnoma
intramucoso
invadendo
la
lamina
propria
ricca
di
vasi
e
lin-‐
fatici
ha
un
maggior
rischio,
seppur
non
elevato,
di
dare
metastasi.
Le
caratteristiche
microscopiche
per
la
diagnosi
sono
le
stesse
viste
per
l’adenoma;
in
questo
caso,
però,
non
c’è
il
polipo,
quindi
la
lesione
è
meno
visibile
e
occorre
analizzare
più
campioni,
quindi
fare
prelievi
bioptici
multipli
(in
più
parti
della
mucosa).
Inoltre
questa
displasia
può
coinvolgere
solo
l’epitelio
superfi-‐
ciale
oppure
la
mucosa
a
tutto
spessore;
e
la
mucosa
circostante
il
più
delle
volte
presenta
metaplasia
inte-‐
stinale.
STADIAZIONE
DELLA
DISPLASIA
Per
la
stadiazione
della
displasia
di
solito
si
usano
criteri
soggettivi,
che
si
sta
cercando
di
standardizzare
grazie
alla
formazione
di
PDTA,
percorsi
diagnostici
assistenziali
(una
sorta
di
linee
guida
che
consentono
di
avere
lo
stesso
approccio
diagnostico
in
ogni
unità
operativa):
I
criteri
della
displasia
di
basso
grado
sono
i
seguenti:
• le
ghiandole
sono
leggermente
affollate
e
nell’insieme
mantengono
la
forma
tubulare
e
la
loro
di-‐
mensione
regolare;
• c’è
perdita
della
muco-‐secrezione:
le
cellule
sono
più
scure
per
la
perdita
del
muco;
• i
nuclei
sono
a
forma
di
sigaro
(allungati)
e
polarizzati.
I
criteri
della
displasia
di
alto
grado
sono
i
seguenti:
• le
ghiandole
sono
più
affollate
(si
vede
poco
anche
la
lamina
propria
che
le
divide),
tortuose
e
va-‐
riano
di
forma
e
dimensione.
Le
varie
ghiandole
cercano
di
creare
lumi
accessori
(“un
lume
dentro
un
lume”);
• si
evidenziano
mitosi
in
superficie
e
atipie
cellulari;
• i
nuclei
sono
irregolari,
ingranditi
e
atipici;
• i
nucleoli
sono
prominenti
(difficile
da
vedere).
La
displasia
di
alto
grado
va
tolta
subito
perché
il
rischio
che
sviluppi
adenocarcinoma
o
che
l’abbia
svilup-‐
pato
nelle
vicinanze
della
displasia
è
molto
alto;
nella
displasia
di
basso
grado
si
hanno
due
possibilità:
la
resezione
endoscopica
oppure,
data
la
bassa
percentuale
di
cancerizzazione
e
l’alta
percentuale
di
regres-‐
sione
dopo
la
rimozione
della
noxa
patogena,
il
controllo
con
un
follow-‐up.
CARCINOMA
GASTRICO
Il
carcinoma
gastrico
è
molto
studiato
sia
nel
mondo
Occidentale
sia
in
quello
Orientale:
c’è
una
grande
incidenza
in
Giappone
per
lo
stile
di
vita
e
le
abitudini
alimentari.
E’
un
tumore
dell’età
adulta-‐anziana,
se
com-‐
pare
nei
giovani
si
pensa
che
ci
sia
una
componente
genetica.
L’incidenza
sta
diminuendo.
Per
quanto
riguarda
la
sede,
la
maggior
parte
insorge
nella
parte
distale
(piloro
e
antro),
anche
se
negli
ultimi
anni
stanno
aumentando
i
tumori
in
sede
cardiale;
nel
dettaglio
le
sedi
sono:
• piloro
e
antro
(50-‐60%),
• cardias
(25%);
in
questa
zona
sorge
il
problema
della
diagnosi
differenziale
con
i
tumori
esofagei,
• corpo-‐fondo
o
diffuso
20-‐25%;
se
c’è
coinvolgimento
diffuso
c’è
un
inspessimento
e
un
irrigidimen-‐
to
della
parete
(non
c’è
più
il
movimento
dello
stomaco),
visibile
all’RX:
si
parla
di
“linite
plastica”,
La
piccola
curvatura
è
interessata
nel
40%
dei
casi,
la
grande
curvatura
nel
12%:
pertanto
l’anatomo-‐
patologo,
durante
l’esame
macroscopico,
apre
lo
stomaco
lungo
la
grande
curva,
per
mantenere
integra
l’immagine
dello
stomaco
sottoposta
a
gastrectomia.
In
sintesi,
la
sede
più
interessata
è
la
piccola
curva
della
regione
antro-‐pilorica.
CLASSIFICAZIONE
I
tumori
dello
stomaco
sono
di
solito
adenocarcinomi;
il
riscontro
di
carcinomi
squamosi
è
eccezionale.
La
classificazione,
la
stratificazione
del
rischio
e
lo
studio
del
carcinoma
dello
stomaco
si
basa
sull’osservazione
di
tre
aspetti:
a. l’aspetto
macroscopico,
che
ci
indirizza
sul
tipo
di
neoplasia,
b. il
tipo
di
crescita,
che
emerge
dall’aspetto
microscopico
(classificazione
di
Lauren
e
WHO),
c. la
profondità
della
infiltrazione,
in
base
alle
tuniche
interessate
(è
il
criterio
prognostico
più
impor-‐
tante).
Anatomia patologica APA05 - Carcinoma gastrico
a.
Aspetto
macroscopico
Nel
1926
Borrmann
ha
definito
la
classificazione
macroscopica,
che
si
fonda
sull’osservazione
a
occhio
nu-‐
1) Per quanto riguarda l’aspetto macroscopico si utilizza ancora una classificazione molto vecchia del 1926 che
do
della
lesione
(siamo
di
fronte
pertanto
a
un
carcinoma
gastrico
in
fase
avanzata),
una
volta
aperto
lo
era nata per i chirurghi. Questa classificazione è stata fatta da Bormann e tiene conto solo dell’aspetto degli
stomaco;
il
tumore
cresce
con
diversi
aspetti:
Advanced Gastric Cancer, cioè quei tumori che sono invasivi, e vengono divisi in 4 stadi:
I. polipoide,
è
un
tumore
rilevato
che
cresce
in
maniera
ro-‐
Tipo I POLIPOIDE: è un tumore con margini ben
tondeggiante,
con
margini
ben
delimitati,
e
con
una
super-‐
delimitati con una superficie liscia, che ha una larga
ficie
liscia.
Ha
base
una
ldi arga
impianto base
dei
cheimpianto
interessae
ilo
nteressa
lo
stra-‐
strato superficiale
to
superficiale
(pushing);
(pushing,
non
è
estesamente
infiltrante);
II. fungiforme
o
a
fungo
(fungating):
i
margini
sono
delimitati,
rotondeggianti
e
IIrilevati.
Tipo E’
sempre
superficiale
FUNGIFORME/ULCERATO: tumore con(non
margini è
estesamente
iben nfiltrante)
delimitati ma
e la
sempreporzione
dellocentrale
è
ulcerata:
strato superficiale ma
la superficie non 11 è liscia e rilevata, ma ulcerate
‘’ulcerato
a
margini
rilevati’’;
(motivo per cui si presenta con una depressione
III. ulcerato
(escavato):
centrale);la
lesione
è
diffusa,
tende
a
spingersi
più
in
profondità
verso
il
connettivo
sottosieroso
e
i
margi-‐
Tipo III ULCERATO/ESCAVATO: tumore con margini
ni
sono
mal
definiti
e
rilevati,
rilevati che va più in profondità e infiltra la tonaca
IV. infiltrativo:
il
tmuscolare;
umore
cresce
in
maniera
radiale,
non
c’è
una
parte
centrale
rilevata,
la
lesione
è
soprattutto
intramurale
e
i
margini
sono
mal
definiti,
in
alcuni
casi
la
parete
può
Tipo IV INFILTRATIVO DIFFUSO: tumore in cui non si
addirittura
irrigidirsi
vede più (linite
nodulo sulla plastica).
All’endoscopia
superficie ma da un’alterazione non
è
visibile
ma
solo
sospettabile,
mentre
alla
RMN
sarà
ben
vi-‐
diffusa della mucosa che è ispessita e poco rilevata, in
alcuni casi la parete può essere addirittura rigida
sibile
per
via
del
maggiore
spessore
e
della
sua
maggiore
(linite plastica).
rigidità.
Lo
stomaco
diventa
rigido
e
le
tuniche
sono
inspes-‐
site
e
translucide
Il diametro della (se
ilesione
l
tumore
nonpèroduce
muco).
stadiante, ma viene sempre indicato nel referto, mi dà indicazione di estensione
neoplastica.
Gli
adenocarcinomi
che
crescono
con
margini
infiltrativi
hanno
una
prognosi
peggiore
rispetto
a
quelli
con
N.B.mIlargini
pushingrotondeggianti:
tumor è molto meglio sono
entrambi
itumor,
dell’infiltring nfiltranti
ancheseppur
con
gentrambi.
se infiltrano radi
differenti.
Le
prime
due
forme
sono
più
limitate
rispetto
alle
ultime
due:
questa
non
è
una
classificazione
rigida.
I
giapponesi
aggiungono
un
tipo
[Inserisco anche un 0
che
si
diriferisce
esempio diagnosi adifferenziale
i
tumori
superficiali,
tra ulcera peptica che
sei
carcinoma
limitano
afatto
lla
m ucosa
dalla e
alla
prof.ssa sulla sot-‐
vecchia sbobinatura.]
tomucosa
(T1).
Il tipo ulcerato con margini poco definiti e il tipo diffusamente infiltrato vengono più facilmente identificati
Quindi,
in
presenza
di
una
lesione
vegetante,
la
diagnosi
differenziale
è
fra
adenoma
e
carcinoma;
in
pre-‐
come neoplasia. Abbiamo visto, quindi, come il carcinoma può mostrarsi come una lesione ulcerata, quindi vi
senza
di
una
lesione
chiedo:uche lcerata
rapporto la
dc’èiagnosi
fra ulcera differenziale
è
fra
ulcera
peptica e carcinoma peptica
gastrico? e
carcinoma
Nessuno, l’ulcera non ulcerato.
diventa cancro! Il
problema può essere di diagnosi differenziale fra un’ ulcera peptica e un carcinoma ulcerato a margini netti che
sembra un’ulcera. In presenza di una storia di ulcera ricorrente e non rispondente alla terapia bisogna chiedersi
se
quella
è
un’ulcera
che con il tempo si è trasformata o se era dall’inizio un adenocarcinoma di cui
non si era
11
Che
rapporto
cfatta
’è
tra
u lcera
p eptica
e
c arcinoma
g astrico?
N essuno,
l ’ulcera
n
diagnosi prima. Il problema è che in presenza di ulcera si effettuano 3/4 biopsie, rappresentanti unon
d iventa
c ancro.
I l
p roblema
può
es-‐
sere
la
diagnosi
dmillesimo
ifferenziale
q uando
l ’adenocaricnoma
u lcerato
h a
m argini
n etti
e
s
dell’ulcera stessa, quindi, si pone il problema di capire se il risultato sarà frutto del campionamento embra
u n
u lcera.
I n
p resenza
di
un
o
ulcera
che
non
risponde
alla
terapia
le
ipotesi
potrebbero
essere
che
si
sia
sviluppato
una
neoplasia
sull’ulcera
o
che
se rappresenta realmente lo stato della lesione. Si può escludere che ci sia il cancro soltanto dopo aver
sia
stato
un
adenocarcinoma
fin
dall’inizio
e
non
si
era
fatta
giusta
diagnosi.
Il
problema
nasce
dal
fatto
che
si
effet-‐
esaminato tutta quanta la lesione, perché questa potrebbe essere focale, quindi, la biopsia non mi da una
tuano
3-‐4
biopsie,
che
non
saranno
mai
sufficienti
per
definire
il
reale
stato
dell’ulcera
e
quindi
ad
escludere
con
cer-‐
certezza assoluta al 100%.
tezza
il
cancro,
che
potrebbe
essere
focale;
questo
è
il
limite
del
campionamento.
In presenza di una lesione vegetante, la diagnosi differenziale è fra adenoma e carcinoma; in presenza di una
lesione ulcerata la diagnosi differenziale è fra ulcera peptica e carcinoma ulcerato.
La presenza di una parete ispessita, dura e rigida è il quadro macroscopico di linite plastica, uno degli aspetti con
cui il carcinoma gastrico si manifesta, indicando diffusa infiltrazione di tutta parete; può essere o diffusa a tutto
lo stomaco o, più comunemente, ad un’ampia area dello stomaco. Il secondo passo nel percorso diagnostico è la
Gallo 08.qxd 29-09-2007 19:59 Pagina 497
Mucosa normale
497
b2.
Classificazione
WHO
2012
Secondo
la
classificazione
WHO
le
varianti
microscopiche
dell’adenocarcinoma
sono:
• papillare
(compreso
nella
variante
intestinale
di
Lauren):
è
costituito
da
strutture
fibrovascolari
con
core
di
connettivo
di
vasi
e
anche
cellule
epiteliali,
• tubulare
(compreso
nella
variante
intestinale
di
Lauren):
è
la
variante
più
comune,
• mucinoso
(compreso
nella
variante
intestinale
di
Lauren):
è
un
tumore
a
cellule
intestinali
che
pro-‐
ducono
tanto
muco.
È
una
variante
rara
(10%);
ci
possono
essere
pochissime
cellule
o
ghiandole
che
producono
tantissimo
muco
e
che
possono
rompersi
e
riversarlo
nello
stroma.
Quando
il
tumo-‐
re
invade
lo
stomaco
a
tutto
spessore
e
arriva
alla
sierosa,
il
muco
può
invadere
il
peritoneo,
dare
delle
bolle
e
formare
carcinosi
peritoneale,
da
distinguere
dallo
pseudomixoma
peritonei.
Infatti
nel
primo
caso
ci
sono
cellule
neoplastiche
da
carcinoma
mucinoso,
mentre
nel
secondo
c’è
solo
muco,
magari
prodotto
da
un
tumore
dell’ovaio
o
dell’appendice
con
metaplasia
mucoide.
Questa
diagnosi
differenziale
ha
implicazioni
terapeutiche
importanti,
perché
la
carcinosi
è
inoperabile,
mentre
lo
pseudomixoma,
una
volta
trovata
la
causa,
può
anche
essere
rimosso.
Molto
spesso
in-‐
fatti
il
chirurgo
richiede
l’esame
estemporaneo
intraoperatorio
per
capire
subito
di
cosa
si
tratta;
• scarsamente
coesivo
(variante
diffusa
di
Lauren):
le
cellule
non
sono
attaccate
le
une
alle
altre
e
all’interno
di
questa
categoria
vi
è
l’adenocarcinoma
scarsamente
coesivo
a
cellule
ad
anello
con
castone
(variante
principale).
La
caratteristica
che
unisce
gli
adenocarcinomi
diffusi
(sia
con
sia
senza
cellule
ad
anello
con
casto-‐
ne)
è
la
mutazione
di
un
gene
che
codifica
per
la
caderina,
una
proteina
di
adesione,
la
cui
mancata
espressione
Gallo 08.qxd porta
29-09-2007 19:59ad
uPagina
na
deficitaria
501 coesione
intercellulare
e
alla
possibilità
di
avere
metastasi
con
maggiore
facilità,
• misto,
• entità
rare:
carcinoma
adeno-‐squamoso,
carcinoma
squamoso,
adenocarcinoma
epatoide,
etc.
Patologia dello stomaco
Queste
varianti
quando
vengono
descritte
e
identificate
perché
rappresentano
entità
anatomo-‐
cliniche:
per
esempio
a
parità
di
stadio,
quello
epatoide
è
più
aggressivo.
a b
c d
FIGURA 8.20 Istotipi dell’adenocarcinoma gastrico. a) Carcinoma ben differenziato (tipo intestinale). b) Carcinoma ben diffe-
renziato con differenziazione papillare. c) Carcinoma gastrico di tipo mucinoso. d) Carcinoma scarsamente differenziato con
fenotipo diffuso.
Foto
1:
adenocarcinoma
tubulare,
osserviamo
ghiandole
tubulari
ben
differenziate
con
lume
ben
visibile
ed
altre
me-‐
no
differenziate
e
irregolari,
con
disordine
architetturale,
separate
da
uno
stroma
desmoplastico
dal
contesto
dello
stomaco
sano.
Ci
sono
i
segni
di
flogosi
per
l’ulcerazione.
Foto
2:
adenocarcinoma
mucinoso,
che
produce
muco
prevalentemente
al
di
fuori
della
cellula
(mucina
extracellula-‐
re),
le
cellule
sono
separate
dal
muco.
Ci
possono
essere
anche
cellule
con
anello
con
castone
(mucina
intracellulare):
se
questa
componente
prevale
oltre
il
50%
è
un
tumore
scarsamente
coesivo
con
cellule
ad
“anello
con
castone”
(DD).
Foto
3:
adenocarcinoma
di
tipo
diffuso
con
cellule
ad
“anello
con
castone”.
La
mucosa
dello
stomaco
in
superficie
conserva
la
sua
struttura,
c’è
un
grande
inspessimento
della
parete.
Osserviamo
a
più
forte
ingrandimento
cellule
con
inclusi
di
mucina
e
nucleo
periferico,
presenti
nella
lamina
propria
interposta
tra
ghiandole
normali.
La
conferma
che
sia
muco
è
la
colorazione
con
il
PAS;
se
ci
sono
macrofagi
o
istiociti
che
hanno
fagocitato
muco
o
lipidi
sono
chiari
an-‐
che
essi:
si
pone
quindi
un
problema
di
la
DD
tra
cellule
con
muco,
istiociti,
macrofagi,
che,
in
caso
di
dubbio,
può
es-‐
sere
risolto
con
l’immunoistochimica,
perché
le
cellule
ad
anello
con
castone
sono
cellule
epiteliali
(positive
agli
anti-‐
corpi
anti-‐cheratina,
a
differenza
degli
istiociti
e
ai
macrofagi).
Questo
carcinoma
non
fa
una
massa
polipoide
ma
cre-‐
sce
in
modo
piatto,
e
la
biopsia
dell’endoscopista
viene
fatta
a
livello
di
piccole
aree
ulcerate,
che
a
volte
possono
gua-‐
rire
velocemente.
Grading
La
classificazione
del
grading
interessa
solo
i
carcinomi
con
crescita
di
tipo
intestinale
perché
quelli
con
cel-‐
lule
ad
anello
con
castone
sono
già
indifferenziati,
dal
momento
che
il
grado
si
classifica
in
base
a
come
so-‐
no
le
ghiandole.
Distinguiamo:
• Grado
1:
ci
sono
ghiandole
ben
differenziate;
• Grado
2:
ci
sono
ghiandole
moderatamente
differenziate;
• Grado
3:
ci
sono
ghiandole
scarsamente
differenziate
Stadiazione
del
carcinoma
dello
stomaco
(TNM
gennaio
2018)
La
stadiazione
su
campione
chirurgico
inizia
dallo
studio
del
parametro
T,
quindi
del
numero
delle
tuniche
infiltrate;
distinguiamo:
• Tis:
carcinoma
in
situ,
più
frequentemente
chiamato
“displasia
di
alto
grado”.
E’
un
tumore
intrae-‐
piteliale,
senza
invasione
della
lamina
propria,
da
trattare
con
approccio
chirurgico,
• T1:
il
tumore
invade
la
lamina
propria
e
al
massimo
la
muscolaris
mucosae
(T1a),
e
anche
la
sot-‐
tomucosa
(T1b).
Sono
tumori
superficiali;
nella
sottomucosa
ci
sono
vasi
più
grandi,
pertanto
tra
il
T1a
e
il
T1b
aumenta
il
potenziale
invasivo.
Questi
tumori
hanno
una
prognosi
molto
più
favorevole
dei
seguenti;
in
questa
categoria
rientrano
gli
early
gastric
cancer;
• T2:
il
tumore
invade
la
tonaca
muscolare,
• T3:
il
tumore
invade
il
connettivo
sottosieroso,
• T4:
il
tumore
invade
la
sierosa,
cioè
infiltra
e
interrompe
il
peritoneo
(che
normalmente
appare
li-‐
scio,
lucente
e
trasparente,
formato
da
cellule
mesoteliali,
molto
sottili
e
appiattite).
Ci
può
essere
disseminazione
diretta
nel
cavo
peritoneale
e
quindi
carcinosi
peritoneale.
Distinguiamo
il
T4a,
in
cui
il
tumore
invade
la
sierosa,
dal
T4b,
in
cui
invade
le
strutture
adiacenti
(es.
il
colon
trasverso,
se
il
tumore
diffonde
lungo
il
legamento
gastro-‐colico,
o
il
pancreas).
La
N,
ovvero
il
numero
dei
linfonodi
loco-‐regionali
metastatici
(N;
si
studiano
i
linfonodi
presenti
nel
tessuto
adiposo
della
grande
e
piccola
curvatura,
inclusi
nella
gastroresezione,
che
vengono
reperti
manualmente
con
la
palpazione),
dipende
indirettamente
anche
dalla
T:
più
è
avanzato
il
tumore
per
quanto
riguarda
le
tuniche
infiltrate,
maggiore
è
la
tendenza
a
dare
metastasi
linfonodali.
Infine,
altri
fattori
prognostici
che
non
rientrano
nella
TNM,
sono:
• lo
stato
dei
margini.
Il
campionamento
prevede
una
sezione
a
livello
del
margine:
se
è
indenne
il
tumore
risulta
completamente
asportato;
se
c’è
il
dubbio,
il
chirurgo
manda
per
l’osservazione
estemporanea
il
margine
all’anatomo-‐patologo,
• il
diametro
(si
dà
il
diametro
massimo):
non
è
un
criterio
stadiante,
ma
dà
indicazione
dell’estensione
di
quella
neoplasia;
ci
aiuta
al
campionamento
l’osservazione
della
superficie
di
ta-‐
glio
trasversale.
STADIAZIONE
DEL
CARCINOMA
DELLA
GIUNZIONE
GASTRO-‐ESOFAGEA
Gran
parte
degli
adenocarcinomi
che
nascono
a
livello
dell’esofago
di-‐
stale
nascono
su
una
mucosa
precedentemente
danneggiata
(esofago
di
Barret):
in
questi
pazienti
insorge
un
adenocarcinoma
di
tipo
intestinale.
Il
problema
è
distinguere
tra
un
carcinoma
dell’esofago
e
uno
dello
stomaco;
non
è
semplice:
la
classificazione
del
2018
dice
che
bisogna
Gallo 08.qxd 29-09-2007 19:59 Pagina 500
classificare
il
tumore
come
gastrico
o
esofageo
in
base
alla
distanza
del
suo
epicentro
dalla
giunzione
gastro-‐esofagea.
Questa
operazione
la
fa
PATOLOGIA DEL TRATTO
o
l’endoscopista
o
il
patologo
se
ha
la
gastroresezione.
Invece
per
i
tu-‐
GASTROENTERICO
mori
che
hanno
prevalenza
espansione
a
livello
gastrico
o
livello
esofa-‐
geo
la
distinzione
è
più
semplice.
ziazione; va
EARLY
GASTRIC
CANCER
ferenziazion
Gli
early
gastric
cancer
sono
tumori
superficiali
(PT1a-‐b)
stico più fre
altrimenti s
che
non
hanno
infiltrato
la
tonaca
muscolare,
indipenden-‐ trimenti sp
temente
dalla
presenza
o
assenza
di
metastasi
ai
linfonodi
ma è stata o
di queste c
perigastrici.
La
sopravvivenza
a
5
anni
è
del
95%
circa,
e
le
di letteratur
metastasi
a
distanza
(M)
sono
quasi
assenti.
Secondo La
re distinto i
E’
stata
sviluppata
per
questi
piccoli
tumori
una
specifica
a. istotipo i
classificazione
endoscopica
(si
osservano
quadri
simili
a
che sede
quello
del
carcinoma
avanzato
ma
‘’in
miniatura’’),
che
si
Fcancer IGURA 8.19 Carcinoma gastrico superficiale (Early Gastric b. istotipo d
= pT = 1). Il carcinoma infiltra la mucosa (M) e (attra- Semplifican
fonda
su
una
correlazione
tra
l’aspetto
endoscopico
e
la
verso la muscularis mucosae) si può estendere alla sottomu- origina da g
cosa (SM), senza infiltrazione della tonaca muscolare pro-
morfologia
macroscopica
del
tumore;
essa
individua
i
se-‐ pria (Mu). La neoplasia può coesistere con metastasi ai nale) e tale
linfonodi regionali. La presenza di metastasi linfonodali non stinali (ghia
guenti
tipi
di
lesioni:
ne modifica la collocazione classificativa né (in modo sostan- riabile atti
ziale) la prognosi post-chirurgica.
• tipo
1:
protruding:
lesione
rilevata,
che
protrude
lesioni aven
zione, quest
come
se
fosse
un
polipo
largo,
ranza dei c
L’aspetto macroscopico varia in relazione allo stadio di
• tipo
2:
superficial:
lesione
lievemente
elevata
sviluppo della neoplasia. scibile. L’is
• Il carcinoma gastrico iniziale (carcinoma con infltrazio- intestinalizz
(2a),
piana
(2b)
o
lievemente
depressa
(2c),
spesso man
ne limitata alla mucosa e sottomucosa, cosiddetto
• tipo
3:
excavated:
lesione
ulcerata
ed
escavata.
early gastric cancer) (Figura 8.19) può avere aspetto pia- nocarcinom
no, depresso o rilevato. L’esperienza accolto il c
E’
molto
difficile
identificare
all’endoscopia
gli
early
gastric
cancer,
soprattutto
quelli
di
tipo
2,
eendoscopica
anche
rin-‐ anello con
giapponese è approdata a una dettagliata descrizione
tracciarli
una
seconda
volta
in
caso
di
successiva
endoscopia.
Tuttavia
è
bene
riconoscere
subito
le
lesioni
di queste forme, ciascuna delle quali ha valenza pro- nomatose h
iniziali
perché
possono
essere
trattate
in
maniera
meno
invasiva
gnostica.
con
L’importanza di tale classificazione
la
mucosectomia
e,
in
quanto
macro-
rara-‐ sono arroto
scopica è recentemente riaffermata per il perfeziona- un vacuolo
mente
danno
metastasi
linfonodali,
si
può
decidere
di
non
fare
subito
mento la
stadiazione
di tecniche di resezioneN
di(infatti
piccoli early in
caso
cancersdi
la periferia
mucosectomia,
a
differenza
della
gastroresezione,
non
sono
inclusi
nel
pezzo
con procedura chirurgico
endoscopica i
linfonodi).
(resezione mucosa endo- costituito d
scopica). sa coesione
Se
dall’analisi
microscopica
di
un
early
gastric
cancer
non
emerge
nulla
(e
accade
spesso),
vuol
dire
che
il
• I carcinomi avanzati possono realizzare due principa- quelli a cel
campionamento
non
è
stato
fatto
nel
punto
giusto:
in
questo
cliaso
si
va
aspetti avanti
a
cercare
macroscopici: a) crescita la
lesofitica,
esione
eb)
aaccre-
fare
i
tendenza a
scimento endofitico intraparietale, tipo linite plasti- maco; di qu
ca. I due aspetti macroscopici possono coesistere e si della neo
ambedue possono essere sede di ulcerazione. La de- L’istotipo i
scrizione macroscopica delle neoplasie avanzate ha quello pres
modesta rilevanza clinico-prognostica.Vale la rego- (VEDI carcin
la generale che quanto più grande e infiltrante è il teliali malign
tumore, tanto peggiore è la prognosi, ma una cor- dia di incid
retta valutazione morfologica è consentita solo dal- fuso) ed è c
vari
“blocchetti”
della
mucosa
resecata
con
mucosectomia
finché
non
si
trova
qualcosa12.
Comunque,
la
diagnosi
di
early
gastric
cancer
non
si
fa
sulla
biopsia
ma
sul
pezzo
chirurgico
(prelevato
con
mucosectomia
o
gastrectomia):
nel
caso
di
una
mucosectomia
in
cui
il
tumore
raggiunge
i
margini
si
è
costretti
a
fare
suc-‐
cessivamente
un
gastrectomia.
PREDISPOSIZIONE
GENETICA
E
SINDROMI
EREDITARIE
L’insorgenza
carcinoma
gastrico
nel
giovane
è
suggestiva
della
presenza
di
una
sindrome
geneticamente
determinata;
le
sindromi
da
prendere
in
considerazione
sono:
• mutazioni
germinale
del
gene
E-‐caderina
(CDH1),
che
causa
carcinoma
gastrico
diffuso.
Le
caderi-‐
ne
sono
proteine
importante
per
l’adesione;
sono
mutate
anche
in
altri
tumori
come
il
carcinoma
lobulare
della
mammella;
• Hereditary
Non
Polyposis
Colorectal
Cancer
syndrome
(HNPCC),
queste
mutazioni
sono
dovute
all’instabilità
microsatellitare:
sono
mutati
i
geni
MutS
e
MutL
che
codificano
per
enzimi
coinvolti
nel
riparo
del
DNA.
Da
patologia
generale:
“I
microsatelliti
sono
corte
regioni
del
DNA
ricche
di
ripetizioni
nucleotidi-‐
che
(di
una
o
due
basi),
dove
l’attività
proof-‐reading
non
funziona
bene
perché
potrebbe
provocare
il
mismatch,
cioè
il
non
corretto
appaiamento
tra
le
due
eliche,
determinato
da
una
base
in
più
o
una
in
meno.
A
questo
punto
interviene
il
sistema
del
mismatch
repair,
preposto
a
identificare
ed
eliminare
eventuali
disappaiamenti
tra
le
due
eliche
di
DNA.
Questo
sistema,
nei
batteri,
è
costituito
da
due
proteine:
MutS
e
MutL,
che
funzionano
insieme;
in
particolare,
MutS
si
porta
sul
DNA,
identifica
la
zona
del
mismatch
e
determina
un
cambio
conformazionale
del
DNA,
consentendo
così
l’attacco
di
MutL.
Come
accennato,
i
geni
mutati
nel
HNPCC
sono
coinvolti
nel
sistema
del
mismatch
repair.
Nelle
cel-‐
lule
neoplastiche
di
soggetti
con
HNPCC
si
riscontra
una
lunghezza
dei
microsatelliti
molto
differen-‐
te
rispetto
alle
cellule
normali
dello
stesso
individuo.
Ciò
è
dovuto
a
disfunzioni
del
mismatch
re-‐
pair.
L’opinione
più
accettata
è
quella
che
,
in
caso
di
mutazione
di
uno
o
più
geni
del
mismatch
re-‐
pari,
con
conseguenza
deficienza
funzionale
dei
prodotti,
si
verifichi
un
accumulo
di
errori
che
comportano
l’instaurarsi
di
una
condizione
di
destabilizzazione
genomica
che
predispone
a
una
ca-‐
scata
di
mutazione
a
carico
di
altri
geni.
Le
neoplasie
caratterizzate
dalla
presenza
di
tali
alterazioni
mostrano
un
fenotipo
MSI
(con
instabi-‐
lità
dei
microsatelliti).
Questa
instabilità
può
essere
evidenziata
con
l’elettroforesi
del
DNA
di
cellu-‐
le
sia
tumorali
che
normali
dello
stesso
individuo
prima
sottoposto
a
digestione
enzimatica”.
• Familial
Adenomatous
Polyposis
coli
(FAP):
causata
da
una
mutazione
al
gene
APC.
Da
patologia
generale:
“La
FAP
(poliposi
familiare
adenomatosa)
è
una
forma
ereditaria
di
tumore
del
colon-‐retto,
associata
a
mutazioni
del
gene
che
codifica
per
la
proteina
APC
(Adenomatous
Po-‐
lyposis
Coli).
Da
un
punto
di
vista
clinico,
la
patologia
è
caratterizzata
dalla
presenza
di
centinaia-‐
migliaia
di
polipi
ade-‐nomatosi
del
colon
(sono
necessari
almeno
100
polipi
per
diagnosticare
una
FAP
classica),
e
di
polipi
extra-‐colici
(a
livello
dello
stomaco,
del
duodeno
e
del
tenue).
La
malattia
si
manifesta
attorno
ai
30-‐40
anni
(nel
70%
dei
casi
compare
entro
i
40
anni)”;
• sindrome
di
Li-‐Fraumeni
(mutazione
p53),
sindrome
di
Peutz-‐Jeghers,
Gastric
hyperplastic
polypo-‐
sis.
Sono
sindromi
che
si
esprimono
a
livello
del
tubo
gastroenterico
12
Nel
mentre
il
tessuto
si
conserva
in
formalina.
In
generale
in
anatomia
patologica
i
campioni
si
conservano
fino
a
che
il
caso
non
è
risolto
e
comunque
per
almeno
tre
mesi
perché
così
se
dopo
la
diagnosi
si
aggiunge
una
nuova
pro-‐
blematica,
si
può
tornare
sul
caso.
ADENOCARCINOMA
GASTRICO
E
BIOLOGIA
MOLECOLARE
Il
carcinoma
dello
stomaco
è
la
seconda
più
comune
causa
di
morte
nel
mondo.
Per
i
pazienti
candidabili
con
la
chirurgia,
quindi
con
carcinoma
non
metastatico
al
momento
della
diagnosi,
la
chirurgia
e
il
tratta-‐
mento
post-‐operatorio
possono
essere
efficaci.
Per
i
pazienti
con
carcinoma
avanzato
la
chemioterapia
dà
una
sopravvivenza
media
di
9-‐11
mesi,
la
pro-‐
gnosi
è
negativa
e
la
sopravvivenza
a
5
anni
intorno
al
15%:
quindi
la
chemioterapia
è
poco
efficace
e
ricca
di
effetti
collaterali,
bisognerebbe
concentrarsi
sulle
alterazioni
molecolari
che
caratterizzano
i
vari
tipi
di
carcinoma
gastrico
in
modo
tale
da
poterle
utilizzare
come
target
per
la
terapia.
Il
problema
è
che
le
aber-‐
razioni
molecolari
che
portano
verso
la
cancerogenesi
sono
moltissime
e
quindi
trovare
quella
su
cui
lavora-‐
re
per
bloccare
lo
sviluppo
del
tumore
è
molto
complesso.
A
parte
l’instabilità
microsatellitare,
si
è
visto
che
nel
10-‐38%
dei
casi
e
soprattutto
nel
fenotipo
intestinale
c’è
una
mutazione
al
gene
HER2
(che
codifica
per
il
recettore
tirosinchinasico
dell’EGF),
con
amplificazione,
che
può
essere
messa
in
evidenza
con
tecniche
immunoistochimiche
(si
sfida
la
biopsia
con
anticorpo
con-‐
tro
la
proteina
amplificata
che
è
over-‐espressa;
Hercep-‐test),
o,
nei
casi
dubbi,
con
la
tecnica
FISH
(ibridiz-‐
zazione
in
situ
fluorescente:
si
usa
un
primer
contro
il
centromero
del
cromosoma
in
cui
si
trova
il
gene
e
uno
contro
la
parte
amplificata).
L’amplificazione
di
HER2,
riscontrabile
anche
nel
tumore
della
mammella,
rende
questi
pazienti
suscettibili
alla
terapia
con
il
Trastuzumab
(Herceptin)
ed
è
un
fattore
predittivo
posi-‐
tivo
di
risposta
alla
terapia.
Lo
studio
dello
stato
mutazionale
di
HER2
viene
richiesto
per
i
tumori
metastatici
e
per
quelli
che
non
han-‐
no
risposto
alla
terapia
di
I
linea.
CASO
CLINICO
1
Anamnesi:
donna
con
carcinoma
della
mammella
trattato
con
intervento
chirurgico.
Riferisce
gastralgia.
Viene
effettuata
EGDS
con
biopsia,
che
mette
in
evidenza
un
adenocarcinoma
dello
stomaco.
Ipotesi
diagnostiche:
• Adenocarcinoma
primitivo
dello
stomaco
• Metastasi
gastrica
di
tumore
mammario
Ragionamento
clinico
e
anatomo-‐patologico:
prima
cosa
dobbiamo
sapere
se
la
mammella
da
metastasi
sullo
sto-‐
maco
e
la
risposta
è
si
ma
molto
raramente,
la
seconda
domanda
è
se
un
tumore
della
mammella
posso
essere
simili
a
quelli
dello
stomaco
e
anche
qui
la
risposta
è
si.
Ora
bisogna
capire
se
questo
tumore
sia
veramente
una
metastasi:
una
cosa
che
ci
può
orientare
è
che
i
tumori
della
mammella
di
solito
hanno
i
recettori
per
gli
estrogeni,
ma
non
è
sempre
così;
ma
in
questo
caso
il
vecchio
tumore
li
aveva
e
il
tumore
dello
stomaco
non
avendoli
è
stato
classificato
come
tumore
primitivo
dello
stomaco.
CASO
CLINICO
2
• Donna,
80
anni
• EGDS:
grossolana
formazione
polipoide
di
3,5
cm
asportata
in
endoscopia.
• Referto
della
biopsia:
“adenoma
tubulare,
con
ghiandole
cisticamente
dilatate
e
perdita
della
maturazione
delle
ghiandole
in
superficie.
Displasia
di
alto
grado
e
basso
grado
e
focolaio
di
adenocarcinoma
ben
differenziato
in-‐
filtrante
la
muscolaris
mucosae
(pT1a),
margini
non
liberi”.
• Nonostante
i
margini
non
liberi,
la
paziente
non
viene
sottoposta
a
un
intervento
di
resezione
vista
l’età
e
il
ri-‐
schio:
il
95%
dei
pazienti
con
questa
neoplasia
guarisce
e
il
rischio
di
coinvolgimento
linfonodale
è
molto
basso;
inoltre
ci
sono
solo
focolai
di
carcinoma.
Infatti,
un
intervento
demolitivo
come
la
gastrectomia
in
una
paziente
del
genere
avrebbe
portato
a
complicanze
sicuramente
maggiori
rispetto
a
una
recidiva
di
quella
lesione
che,
potrebbe
poi
venire
nuovamente
tolta
per
via
endoscopica.
• Durante
EGDS
di
controllo
(dopo
3-‐4
mesi)
si
osserva
una
nuova
lesione
di
cui
si
fa
la
biopsia
e
che
viene
con-‐
frontata
con
la
lesione
precedente.
E’
una
recidiva,
che
viene
asportata.
5.
PATOLOGIA
DELL’INTESTINO
TENUE
Distinguiamo
la
patologia
dell’intestino
tenue
in:
• patologia
non
neoplastica.
La
patologia
infiammatoria
è
quella
principale
presente
nel
tenue,
a
sua
volta
distinguiamo:
o malattia
celiaca
(è
una
delle
principali
cause
di
biopsia
intestinale),
o enteriti
infettive,
o enteriti
ischemiche,
o enteropatia
autoimmune,
• patologia
neoplastica.
Gli
adenocarcinomi
sono
molto
rari
a
livello
dell’intestino
tenue,
sono
meno
rari
invece
i
tumori
neuroendocrini.
MALATTIA
CELIACA
La
malattia
celiaca
è
un
disordine
autoimmune
con
una
prevalenza
media
dell’1-‐2%
nella
popolazione
ge-‐
nerale.
Non
è
esclusiva
dell’età
pediatrica
ma
può
essere
diagnosticata
a
qualsiasi
età
(anche
V-‐VI
decade).
L’epidemiologia,
quindi
la
sensibilità
verso
la
malattia
e
la
diagnosi,
è
cambiata
con
l’introduzione
di
metodi
di
indagine
sierologica
(la
titolazione
degli
anticorpi
anti-‐endomisio,
anti-‐gliadina,
anti-‐transglutaminasi)
e
indagini
cliniche
(biopsia
duodenale)
che
hanno
clinical facilitato
pr acticela
diagnosi.
percent
IgA anti-tTG antibodies >95.0 (73.9–100) >95.0 (77.8–100) Recommended as first-level screen-
ing test
IgG anti-tTG antibodies Widely variable (12.6–99.3) Widely variable (86.3–100) Useful in patients with IgA deficiency
IgA antiendomysial >90.0 (82.6–100) 98.2 (94.7–100) Useful in patients with an uncertain
antibodies diagnosis
IgG DGP >90.0 (80.1–98.6) >90.0 (86.0–96.9) Useful in patients with IgA deficiency
and young children
HLA-DQ2 or HLA-DQ8 91.0 (82.6–97.0) 54.0 (12.0–68.0) High negative predictive value
* Data are from Husby et al.28 and Giersiepen et al.29 DGP denotes deamidated gliadin peptides, and tTG tissue trans-
glutaminase.
In
Italia
l’incidenza
ottenuta
mediante
le
indagini
sierologiche
di
screening
è
di
1/184,
mentre
l’incidenza
su
diagnosi
c“celiac”
linica
è
antibodies,
di
1/1000.
the C’è
aggregazione
development familiare.
of intestinal S t r ategie s a nd E v idence
enteropathy, the onset of symptoms, and the de-
La
diagnosi
di
celiachia
è
combinata:
è
clinica,
sierologica
ed
endoscopica
(con
biopsia
duodenale);
e
poi-‐
velopment of complications. Not all of these events Diagnosis
ché
i
quadri
morfologici
possono
essere
alterati
da
diete
iniziate
autonomamente
dai
pazienti,
la
diagnosi
may occur. The duration of each phase may range Serologic tests are fundamental for celiac disease
morfologica
fromda
weeks
sola
ntoon
si
fa
mPotential
decades. ai.
In
altre
celiac parole,
disease la
isbiopsia
screeningdi
per
(Table sé
non
è
sempre
screening
1). Serologic diagnostica
al
100%
ma
is also
lo
è
soltanto
nel
momento
in
cui
le
sue
informazioni
sono
integrate
con
dati
clinici,
laboratoristici
e
storia
characterized by the presence of celiac autoanti- recommended in all first-degree family members
familiare.
bodies in the serum in patients with a normal of patients who receive a diagnosis of celiac dis-
intestinal mucosa on biopsy. Overt intestinal dam- ease. Measurement of serum IgA anti–tissue
Per
quanto
riguarda
la
conoscenza
della
storia
clinica:
solitamente
nel
bambino
queste
informazioni
sono
age develops over time in a subgroup of these transglutaminase antibodies is recommended for
presenti
e
caratteristiche,
patients. 24 ma
nell’adulto
spesso
i
sintomi
dispeptici
initial testing sono
who
in persons poco
specifici.
do not have concom-Nel
dettaglio,
In contrast to the previous
nell’ambito
della
clinica
della
celiachia,
distinguiamo:
theory that immu- itant IgA deficiency because of its high sensitivity
nologic and mucosal changes typically develop (94%), high specificity (97%), and excellent stan-
• sintomi
early in tlife
ipici:
dolori
(soon aftercexposurerampiformi,
to glutendispepsia,
at wean-reflusso
gastro-‐esofageo,
dardization 30; IgG anti–tissue diarrea,
perdita
di
peso,
transglutaminase
• sintomi
ing), more atipici:
recentanemia
long-term sideropenica,
studies indicate osteoporosi,
that antibodies bassa
scan tatura,
infertilità,
be measured aborti
rwith
in persons ipetuti,
IgA
seroconversion
• una
forma
asintomatica
to celiac autoimmunity may oc- deficiency.
(rara),
individuata
soltanto
all’esame
bioptico.
Point-of-care tests assessing anti–tissue
cur at any time.25 This observation suggests that transglutaminase antibodies in a drop of whole
genetic susceptibility and ingestion of gluten- blood have been developed,31 but they are not
containing grains are necessary but not suffi- recommended for diagnosis because of possible
cient conditions for the loss of gluten tolerance false negative results.5 Measurement of IgA anti-
and the development of celiac disease. endomysial antibodies is nearly 100% specific
Loss of gluten tolerance appears to be reversible for active celiac disease,29 but it should be used
in some patients. In a Finnish follow-up study, only as a confirmatory test in the case of border-
damages epithelial
sion of interleukin-
thelial lymphocytes
toxic and kill entero
protein) on their su
result of permeabil
propria, where it is
ase, allowing intera
on the surface of a
presented to gliadi
T-cell receptor, resu
that cause tissue d
PATOGENESI
and crypt hyperpla
pansion of B cells t
I
meccanismi
e
gli
aspetti
della
patogenesi
della
malattia
sono:
Gliadin
mucosa courtesy o
Increased intestinal
• la
predisposizione
genetica,
che
spiega
l’aggregazione
fami-‐ absorptive Epithelial permeability
proteinases and
cells
tors that induce c
liare:
all’insorgenza
della
malattia
sono
associati
gli
aplotipi
jury.8 Gliadin pe
immune response
HLA
DQ2
(90-‐95%)
e
DQ8,
Overexpression
of interleukin-15 is characterized b
leukin-15 by ente
• i
fattori
ambientali,
primo
fra
tutti
l’intolleranza
al
glutine,
tion of intraepithe
activating recepto
• la
risposta
immunitaria
alterata,
mediata
dall’attivazione
Tissue marker.9 These a
transglutaminase
and kill enterocy
delle
cellule
T
tramite
il
T-‐cell
receptor
(TCR).
Esse
determi-‐ Intraepithelial
lymphocytes major-histocomp
related A (MIC-A)
nano
la
presenza
di
un
infiltrato
infiammatorio
cronico
con
Deamidated gliadin TCR
by stress, such a
CD4 Cytokine release
nism of the intera
plasmacellule
che
producono
i
vari
anticorpi:
tutto
questo
Lamina T cell
the epithelium an
elucidated.
determina
la
produzione
di
citochine
tossiche
per
l’epitelio
propria HLA-DQ2
B cell
Genetic Factors
intestinale,
e,
infine,
conduce
al
quadro
istologico
tipico
del-‐ Antigen- The genetic influe
presenting cell
disease is indicat
la
malattia
celiaca.
Antibodies (antigliadin, antiendomysial, Celiac disease do
and tissue transglutaminase)
has alleles that en
proteins, produc
DIAGNOSI
ISTOLOGICA
to HLA class II molecules DQ2 or DQ8 on anti- celiac disease, car
However, many pe
Informazioni
cliniche
indispensabili
al
patologo
per
una
corretta
diagnosi
ly interferon-γ.6 Tissue transglutaminase is an en- identical twins
zyme in the intestine that deamidates gliadin HLA genes to the
Version 8s
Author Gre
Fig # 1
Oggi
la
dimostrazione
di
malattia
celiaca
è
legata
alla
biopsia
duodenale;
in
alcune
categorie
di
pazienti
al-‐
peptides, increasing their immunogenicity.7 The ease is less than
ensuing inflammatory cascade releases metallo- that may influen
Title
ME
Cel
IK
DE JRI
cuni
esami
di
laboratorio
molto
specifici
e
sensibili
possono
sostituire
la
biopsia,
anche
se
essa
rimane
fon-‐ Artist
AUTHOR
LAM
• il
motivo
della
biopsia;
possono
essere
tantissimi:
malassorbimento
con
sospetto
di
celiachia,
sin-‐
tomi
extraintestinali,
dermatite
erpetiforme
(con
bollicine
cutanee),
soggetto
asintomatico
positivo
allo
screening
anticorpale,
familiarità,
diagnosi
di
DM1,
• i
dati
clinici
e
istologici
precedenti
e
attuali,
se
la
biopsia
è
di
controllo
(dopo
la
dieta);
è
necessario
per
l’anatomopatologo
conoscere
da
quanto
tempo
è
stato
iniziata
la
dieta,
quale
sia
l’aderenza,
come
è
la
dieta,
• i
valori
anticorpali:
anti-‐endomisio
(EMA),
anti-‐gliadina
(AGA),
anti-‐transglutaminasi
(tGA),
• i
reperti
endoscopici:
la
malattia
celiaca
di
regola
si
accompagna
ad
alcuni
reperti
caratteristici,
per
quanto
non
specifici.
Campionamento
Per
la
diagnosi
serve
materiale
adeguato:
occorrono
biopsie
multiple
(almeno
3-‐6
frammenti)
e
rappresen-‐
tative
del
duodeno;
la
patologia
infatti
può
essere
non
omogenea
nel
duodeno:
senza
il
campionamento
multiplo
possiamo
avere
falsi
negativi
a
causa
della
focalità
della
malattia.
I
prelievi
devono
essere
fatti
nella
seconda
e
terza
porzione
del
duodeno,
non
nel
bulbo
dove
spesso
ci
sono
delle
alterazioni
infiamma-‐
torie
aspecifiche.
Le
biopsie
devono
essere
opportunamente
orientate:
è
fondamentale
per
la
corretta
valutazione
della
ar-‐
chitettura
della
mucosa,
ovvero
del
rapporto
villo/cripta.
Nel
dettaglio,
il
campione
bioptico
deve
essere
posizionato
dal
gastroenterologo
su
carta
filtro
con
la
superficie
luminale
rivolta
verso
l’alto
e
quella
pro-‐
fonda
appoggiata
alla
carta:
in
questo
modo
sarà
possibile
per
il
patologo
ottenere
sezioni
di
muscosa
inte-‐
stinale
ben
orientata
con
almeno
4-‐5
villi
allungati
e
distesi
dalla
base
all’apice
e
altrettante
cripte
in
sezio-‐
ne
longitudinale.
I
campioni
bioptici
posti
su
carta
filtro
devono
essere
inseriti
in
contenitori
con
formalina.
In
laboratorio,
il
tecnico
ribalta
la
biopsia
di
90°
e
la
mette
nel
blocchetto
per
il
processo
di
inclusione:
così
nel
vetrino
saranno
presenti
i
villi
e
la
parte
profonda
della
mucosa.
Valutazione
istologica
della
biopsia
I
capisaldi
nella
diagnosi
di
celiachia
sono:
• l’incremento
del
numero
di
linfociti
T
intraepiteliali
(>
25
su
100
enterociti)1.
La
presenza
di
linfociti
intraepiteliali
è
suggerita
dalla
presenza
di
nuclei
nello
spessore
dell’epitelio:
Il
numero
di
linfociti
T
per
poter
sospettare
la
malattia
deve
essere
superiore
a
25
per
100
enterociti
(è
la
prima
cosa
che
si
vede
nei
pazienti
che
hanno
una
forma
attenuata
o
che
non
seguono
correttamente
la
dieta).
Nelle
situa-‐
zioni
borderline
è
utile
ricorrere
alla
immunoi-‐
stochimica:
si
vede
il
nucleo
degli
enterociti
co-‐
lorato
con
l’ematossilina
e
i
linfociti
T
colorati
con
il
CD3
(v.
fig.),
si
osservano
inoltre
detriti
nucleari
a
livello
epiteliale;
in
condizioni
specifi-‐
che
(non
di
routine)
si
subtipizzano
i
linfociti
presenti
nell’epitelio:
la
maggior
parte
dei
linfo-‐
citi
intraepiteliali
sono
CD8
(i
CD4
sono
prati-‐
camente
assenti
nell’epitelio,
e
sono
confinati
alla
lamina
propria).
La
linfocitosi
intraepiteliale
tende
a
essere
particolarmente
evidente
nell’apice
del
villo
(tip
villo),
ovvero
nella
parte
assorbente:
questa
caratteristica,
tipica
della
celiachia,
differenzia
questa
pato-‐
logia
dalle
altre
malattie
infiammatorie.
Pertanto
è
utile
calcolare
il
rapporto
linfociti:enterociti
all’apice
del
villo:
o normalmente
è
inferiore
a
5/20
enterociti;
o un
rapporto
maggiore
di
12/20
enterociti
è
indicativo
di
celiachia,
o un
rapporto
di
5-‐12/20
enterociti
si
associa
a
una
situazione
indeterminata.
I
villi
possono
contenere
l’infiltrato
infiammatorio
in
maniera
variabile,
alcuni
possono
essere
più
ricchi
di
altri:
si
contano
i
linfociti
nel
punto
in
cui
il
valore
è
massimo;
• l’iperplasia
delle
cripte
(>
1
mitosi
per
cripta),
di
natura
rigenerativa,
• l’atrofia
dei
villi
(riduzione
in
altezza),
alla
base
del
malassorbimento,
• l’alterazione
del
rapporto
villo/cripta
(<
3:1):
normalmente
il
villo
è
alto
circa
3-‐4
volte
la
cripta,
• le
alterazioni
degli
enterociti
di
superficie:
sono
alterazioni
degenerative
quali:
o la
riduzione
in
altezza
dei
microvilli
e
perdita
dell’orletto
a
spazzola
(brush-‐border),
o l’appiattimento
della
cellula,
o la
vacuolizzazione
intracitoplasmatica,
o l’assenza
del
glicocalice,
• la
presenza
nella
lamina
propria
di
un
infiltrato
infiammatorio
cronico,
costituito
da
plasmacellu-‐
le,
linfociti,
granulociti
eosinofili
(la
componente
granulocitaria
neutrofila
se
presente
è
scarsa).
1
Although
the
acceptable
number
of
“normal”
intraepithelial
lymphocytes
has
been
reported
to
be
as
high
as
40/100
enterocytes,
more
recent
analyses
have
defined
the
upper
limit
of
normal
to
be
20–25/100
enterocytes
in
hematoxy-‐
lin
and
eosin
(H&E)-‐
stained
sections
and
slightly
more
(25–35/100
enterocytes)
when
using
an
anti-‐CD3
immunohi-‐
stochemical
stain.
Traduci
e
scrivi
fonte.
Normalmente
il
rapporto
villo:cripta
è
maggiore
di
3:1,
non
ci
sono
ghiandole
del
Brunner
(perché
tipiche
della
prima
porzione
duodenale,
poco
adatta
per
i
prelievi),
si
possono
trovare
talvolta
linfociti
e
plasmacel-‐
lule
anche
nella
lamina
propria,
le
cellule
hanno
abbondante
citoplasma
eosinofilo
e
l’orletto
a
spazzola
è
più
basofilo.
In
condizioni
patologiche,
possono
essere
presenti
molte
cellule
infiammatorie
e
linfociti
in-‐
traepiteliali,
associati
alle
alterazioni
architetturali
descritte:
ma
l’anatomopatologo
potrà
dire
che
si
tratta
di
celiachia
solo
tenendo
in
considerazione
anche
dati
laboratoristici
e
clinici,
altrimenti
potrà
dire
solo
che
il
quadro
è
compatibile
con
la
celiachia.
Classificazione
di
Marsh
modificata
da
Oberhuber
Sulla
base
delle
alterazioni
morfologiche
descritte
(linfocitosi
intraepiteliale,
morfologia
dei
villi,
delle
crip-‐
te,
rapporto
villa:cripta),
la
classificazione
di
Marsh
modificata
da
Oberhuber
individua
4
differenti
catego-‐
rie
di
rischio
(ci
sono
alcuni
aspetti
molto
specifici,
altri
meno
specifici).
Distinguiamo
i
seguenti
quadri
isto-‐
logici
di
celiachia:
• tipo
0:
mucosa
normale,
• tipo
1:
varianti
infiltrativa
o
linfocitosi
intraepite-‐
liale.
Aumentano
i
linfociti
intraepiteliali
(>
25/100),
villi
e
cripte
sono
normali.
E’
tipica
di
pa-‐
zienti
che
non
osservano
la
dieta
in
maniera
rigoro-‐
sa,
hanno
associate
patologie
cutanee
aspecifiche
oppure
hanno
una
familiarità
senza
manifestare
i
sintomi,
• tipo
2:
variante
iperplastica.
Aumentano
i
linfociti
intraepiteliali
(>
25/100),
i
villi
hanno
morfologia
normale,
c’è
iperplasia
delle
cripte.
E’
tipica
di
pa-‐
zienti
con
scarsi
sintomi
oppure
che
seguono
la
dieta
priva
di
glutine
e
in
cui
le
alterazioni
morfolo-‐
giche
ancora
non
sono
regredite,
• tipo
3:
variante
distruttiva.
Aumentano
i
linfociti
intraepiteliali
(>
25/100),
c’è
un’atrofia
dei
villi
di
vario
grado,
associata
ad
iperplasia
delle
cripte.
In
relazione
alla
atrofia
distinguiamo:
o 3a:
atrofia
lieve,
o 3b:
atrofia
subtotale,
o 3c:
atrofia
totale.
È
la
variante
più
frequente
tra
i
pazienti
che
pre-‐
sentano
i
sintomi:
è
piuttosto
semplice
da
indivi-‐
duare;
è
la
variante
che
si
riscontra
solitamente
alla
prima
diagnosi.
Foto.
Different
grades
of
duodenal
mucosal
lesions
of
celiac
di-‐
sease.
A,
Infiltrative
type
(type
1)
or
nonatrophic
lesion
(grade
A)
with
normal
crypt
and
villous
architecture
and
increased
num-‐
bers
of
intraepithelial
lymphocytes
(IELs).
B,
Destructive
type
(ty-‐
pe
3b)
or
atrophic
lesion
(grade
B1)
with
moderate
villous
atro-‐
phy
and
diffuse
increase
in
IELs.
C,
Flat
lesion
(type
3c
or
grade
B2)
with
total
villous
atrophy
and
diffuse
increase
in
IELs
(hema-‐
toxylin-‐eosin,
original
magnifications
×100
[A
through
C]).
RISPOSTA
ALLA
TERAPIA
E
COMPLICANZE
Fatta
la
diagnosi
integrata,
si
mette
il
paziente
in
terapia,
ovvero
in
dieta
aglutinata.
Durante
il
follow-‐up
si
dovrebbero
osservare:
la
remissione
dei
sintomi,
la
negativizzazione
degli
anticorpi
e
la
normalizzazione
della
mucosa;
a
volte,
in
assenza
di
clinica
e
dati
laboratoristici
positivi,
non
si
consiglia
di
fare
la
biopsia
di
controllo.
• La
normalizzazione
istologica
della
mucosa
intestinale,
in
generale
si
verifica
in
6-‐12
mesi
dopo
l’inizio
di
una
dieta
priva
di
glutine,
contemporaneamente
alla
remissione
clinica.
• In
una
percentuale
variabile
di
casi
la
normalizzazione
è
incompleta
e
richiede
tempi
più
lunghi.
• In
pazienti
con
Marsh
3,
la
remissione
istologica
si
verifica
nel
65%
entro
2
anni,
nell’85%
entro
5
anni
e
nell’89%
in
un
lasso
di
tempo
maggiore:
il
tempo
medio
di
normalizzazione
è
quindi
di
2-‐5
Medical Progress
anni;
maggiore
è
la
gravità
della
celiachia
più
sono
bassi
i
tassi
di
remissione
istologica
(anche
se
spesso
la
sintomatologia
migliora)2.
• Nei
bambini
la
normalizzazione
si
verifica
nel
95%
entro
i
2
anni
e
nel
100%
successivamente
(non
A
sempre
nell’adulto).
• Nel
5%
la
celiachia
si
dimostra
refrattaria
e
non
risponde
alla
terapia
a
lungo
tempo
(sprue
refrat-‐
taria);
in
5/11
dei
pazienti
refrattari
(che
di
solito
hanno
la
malattia
più
grave)
compare
un
EATL,
ovvero
un
linfoma
intestinale
associato
all’enteropatia
(è
un
linfoma
extranodale).
Per
valutare
la
remissione
occorre
un
confronto
con
le
biopsie
precedenti.
CD3+ +
n engl j med
JOB: 357;17
35717 www.nejm.orgISSUE:
october 25, 2007
10-25-07 17
Quindi,
alla
prima
biopsia
si
fa
la
diagnosi
di
celiachia
(non
si
fa
la
tipizzazione
con
la
biologia
molecolare);
solo
successivamente
in
caso
sprue
refrattaria,
alla
biopsia
di
controllo,
si
procede
con:
• la
tipizzazione
CD8
e
CD4,
per
vedere
la
presenza
di
linfociti
CD8-‐negativi,
• tecniche
di
biologia
molecolare
(PCR
con
primer
del
TCRγ),
per
individuare
l’eventuale
una
popola-‐
zione
monoclonale.
Occorre
la
biologia
molecolare
per
dimostrare
la
monoclonalità
perché
questi
linfociti
non
sono
atipici
da
un
punto
di
vista
morfologico,
quindi
la
diagnosi
morfo-‐istologica
non
è
sufficiente3.
Servono
entrambi
gli
esami
(tipizzazione
e
biologia
molecolare),
in
quanto
in
assenza
del
CD8
la
popolazio-‐
ne
può
essere
o
monoclonale
o
policlonale.4
Non
porta
un
grande
vantaggio
la
tipizzazione
al
momento
della
diagnosi,
in
quanto
i
pazienti
che
presen-‐
tano
questo
riarrangiamento
sono
molto
pochi:
pertanto
questi
esami
di
secondo
livello
sono
indicati
solo
nei
pazienti
in
cui
non
c’è
remissione
clinica
o
istologica
durante
il
follow-‐up.
Linfoma
T
associato
a
enteropatia
Il
linfoma
T
associato
a
enteropatia
è
un
linfoma
associato
a
malattia
celiaca,
quindi
che
non
nasce
su
mu-‐
cosa
sana
ma
su
mucosa
alterata;
non
è
tipico
del
bambino
ma
dell’adulto
e
può
complicare
una
malattia
celiaca
già
diagnosticata
da
lungo
tempo,
ma
più
frequentemente
compare
dopo
una
storia
di
malattia
ce-‐
liaca
relativamente
breve
che
però
esordisce
rapidamente
e
con
molta
atrofia
(sprue
refrattaria).
E’
difficile
da
trattare
e
ha
una
prognosi
piuttosto
infausta.
Si
manifesta
nella
VI-‐VII
decade;
è
caratterizzato
da
linfociti
T,
mentre
la
maggior
parte
dei
linfomi
è
caratterizzata
da
linfociti
B.
Interessa
segmenti
multipli
del
piccolo
intestino:
è
multifocale;
è
frequente
la
disseminazione
ai
linfonodi,
fegato,
milza,
midollo
osseo,
cute,
polmoni.
La
sintomatologia
più
frequente
consiste
nell’aggravarsi
del
malassorbimento,
che
non
regredisce
con
una
dieta
priva
di
glutine;
c’è
anche
dolore
addominale
ed
eventualmente
perforazione.
Il
linfoma
può
di
per
sé
determinare
sintomi
come
occlusione
e
sanguinamenti.
Dopo
che
l’endoscopista
nota
una
mucosa
diversa
e
mette
in
dubbio
la
presenza
di
un
linfoma.
Infatti
macroscopica-‐
mente
si
osserva
la
mucosa
inspessita
a
causa
della
presen-‐
za
di
infiltrato
neoplastico,
liscia
e
senza
plicature,
o
con
3
Non
ci
sono
malattie
infiammatorie
intestinali
che
si
presentano
con
infiltrato
a
cellule
B,
tranne
che
in
alcuni
raris-‐
simi
casi,
in
cui
ci
possono
essere
dei
linfomi
intestinali
a
cellule
B,
non
associati
all’enteropatia,
in
cui
potrebbe
esserci
un
infiltrato
di
elementi
B
atipici.
Per
differenziare
fra
linfociti
T
e
B
ci
si
basa
sulla
morfologia
del
nucleo,
che
nel
linfo-‐
cita
B
è
perfettamente
rotondo,
mentre
nel
T
è
in
genere
irregolare.
Come
secondo
step,
si
fa
l’immunoistochimica.
4
Si
riesce
a
dire
che
quello
è
un
infiltrato
monoclonale
di
linfociti
T
anche
grazie
altri
markers
(oltre
CD3,
CD4,
CD8),
come
CD5
e
CD7.
Se
parte
dei
linfociti
esprime
CD5
o
CD7
e
altri
no,
non
c’è
una
popolazione
monoclonale
e
non
c’è
bisogno
di
fare
la
PCR
in
quanto
già
l’immunoistochimica
lo
dice.
In
un
linfoma,
che
non
riconosco
essere
con
certezza
un
linfoma
perché
ad
esempio
non
ha
abbastanza
atipia,
si
può
invece
riscontrare
una
popolazione
con
gli
stessi
CD
presenti
o
assenti
in
tutti
i
linfociti
T:
è
probabilmente
una
popolazione
monoclonale,
quindi
si
fa
la
PCR
per
valutare
il
riarrangiamento
del
TCR
che
dà
un
indicazione
di
clonalità.
Comunque,
una
popolazione
di
linfociti
T
monoclonali
non
è
per
forza
un
linfoma:
c’è
una
zona
grigia
di
transizione
detta
di
proliferazione
atipica
indeterminata,
in
cui
i
linfociti
perdono
progressivamente
markers,
formano
una
popolazione
monoclonale
ma
non
si
ha
ancora
una
linfoma
per
esempio
ci
sono
solo
linfoadenomegalie
(a
questo
stadio
non
sono
richieste
terapie
particolari:
alcuni
guariscono
completamente,
altri
si
trasformano
in
linfomi).
plicature
grossolane
e
imbottite;
talvolta
sono
presenti
delle
parti
ulcerate.
Si
osservano
localizzazioni
mul-‐
tiple
ed
è
tipico
l’aspetto
“a
salti”,
ovvero
l’alternanza
di
tratti
di
mucosa
coinvolti
ad
altri
normali
con
pli-‐
cature;
oppure
può
crescere
come
una
massa
simil
cancro.
Da
un
punto
di
vista
microscopico
può
essere
di:
• tipo
1,
con
cellule
grandi,
molto
atipiche
(pleomorfe,
irregolari),
dette
anaplastiche,
CD30+
(il
CD30
è
uno
dei
marker
della
cellula
di
Hodgkin)
e
CD8-‐:
c’è
una
popolazione
monoclonale
con
riarran-‐
giamento
del
TCRgamma.
Queste
cellule
grandi,
che
somigliano
alle
cellule
del
centro
germinativo
attivato
ma
sono
atipiche,
possono
trovarsi
in
mescolanza
a
cellule
piccole:
è
un
linfoma
polimorfo;
• tipo
2,
con
piccoli
linfociti
monomorfi
CD8+
non
atipici
(sono
normali,
simili
ai
piccoli
linfociti
dei
follicoli:
i
nuclei
sono
ipercromatici
e
non
c’è
citoplasma);
c’è
una
popolazione
monoclonale
con
riarrangiamento
del
TCRgamma
con
fenotipo
conservato
(simili
a
quello
della
popolazione
della
sprue
refrattaria5).
Si
possono
utilizzare
tecniche
per
evidenziare
la
monoclonalità
in
entrambi
i
casi,
ma
soprattutto
nei
linfomi
di
tipo
2,
per
dimostrare
che
quelle
cellule
non
atipiche
sono
monoclonali
e
dirimere
il
quesito
diagnostico
differenziale:
si
usa
ad
esempio
il
marker
CD56.
LINFONODI
E
ZONA
FOLLICOLARE
CORTICALE0
Nella
corticale
del
linfonodo
ci
sono
i
follicoli
(che
rappre-‐
sentano
la
zona
B,
formati
da:
centro
germinativo,
man-‐ Zona Mantellare
tello
e
zona
marginale)
e
la
zona
interfollicolare
(o
zona
T):
nella
patologia
flogistica
le
reazioni
immunitarie
sono
tutte
intranodali
e
la
capsula
è
intatta,
pertanto
il
linfo-‐ Centro Germinativo
nodo
è
mobile.
In
una
malattia
infettiva
la
risposta
linfocitaria
avviene
nel
centro
germinativo
del
linfonodo
(che
da
non
palpabile
diventa
palpabile),
dove
si
trovano
cellule
grandi,
che
Zona marginale
hanno
risposto
a
uno
stimolo,
proliferato,
e
cominciato
a
differenziarsi
per
fare
gli
anticorpi.
Infatti,
in
assenza
di
stimolo,
nel
centro
germinativo
ci
sono
i
centrociti
(cellule
piccole
con
nucleo
un
po’
irregolare).
Poi,
se
parliamo
di
Linea
B,
queste
cellule
piccole
sotto
stimo-‐
lo
si
transformano
in
centroblasti
che
successivamente
si
trasformano
in
cellule
grandissime
che
sono
gli
immunoblasti,
cioè
grandi
cellule
B
attivate
che
diventeranno
plasmacellule.
Questo
spiega
l’aumento
del-‐
le
dimensioni
del
linfonodo
in
caso
di
una
risposta
immunitaria.
Quindi
queste
cellule
grandi
o
fanno
parte
di
una
reazione
immunitaria
importante
(nel
caso
in
cui
si
tro-‐
vano
all’interno
del
centro
germinativo
e
sono
organizzate),
oppure
di
un
linfoma
se
si
trovano
in
un
set-‐
ting
diverso
e,
pur
somigliando
a
centroblasti
e
immunoblasti,
sono
atipiche
e
abitualmente
CD30+/CD8-‐
(linfoma
di
tipo
I,
quello
facilmente
caratterizzbile):
in
quest’ultimo
caso
sono
dette
anaplastiche.
Inoltre
i
linfociti
neoplastici
se
visti
a
forte
ingrandimento
cominciano
ad
avere
il
nucleo
più
aperto,
dei
nucleoli
che
destano
sospetto
(il
linfocita
per
definizione
non
ha
nucleoli,
non
si
vedono
perché
ha
il
nucleo
ipercroma-‐
tico:
in
questo
caso
invece
sono
più
pallidi).
5
È
importante
distinguere
l’infiltrato
infiammatorio
normale
della
celiachia
dal
linfoma
di
tipo
II:
in
entrambi
i
casi
si
ha
una
popolazione
monomorfa
di
cellule
linfatiche
piccole
con
i
nuclei
ipercromatici
e
senza
citoplasma
(descrizione
di
un
linfocita).
C’è
quindi
difficoltà
nel
riconoscere
dal
punto
di
vista
microscopico
le
due
situazioni.
Anche
dal
punto
di
vista
immunoistochimico
è
difficile
in
quanto
i
linfociti
in
entrambi
casi
sono
CD30
positivi.
Per
fare
la
diagnosi
si
ha
la
necessità
di
dimostrare
il
riarrangiamento
quindi
la
clonalità,
in
associazione
alla
lunga
storia
clinica
del
paziente
e
all’infiltrato
imponente.
Patologia dell’intestino tenue e
colon-retto
a b
Le
MICI
hanno
una
incidenza
di
10-‐15
casi/100mila
ab./anno,
con
una
prevalenza
dello
0,2-‐0,4%.
Colpisco-‐
no
prevalentemente
la
popolazione
giovane.
Nella
fisiopatologia
sono
coinvolti
fattori
genetici,
fattori
am-‐
bientali
e
l’immunità.
Sono
malattie
sistemiche:
possono
A
associarsi
a
poliartrite
migrante,
B
Montreal L-category Multiple sclerosis
Iritis, uveitis
Sono
sintomi
sistemici
che
si
associano
a
queste
malattie
e
non
mani-‐ thyroiditis Vasculitis
Myocarditis, pericarditis
festazioni
periferiche
di
queste
malattie.
Primary sclerosing
cholangitis,
Autoimmune
Autoimmune hepatitis
Immune thrombocytopenia
Durante
il
decorso
della
malattia
si
fanno
biopsie
per
la
diagnosi
e
il
cholangitis,
Overlap syndrome Coeliac disease
Psoriasis Autoimmune pancreatitis,
monitoraggio
della
terapia.
La
diagnosi
di
MICI
si
basa
sulla
integra-‐ Type I diabetes
Nephritis, amyloidosis
Infatti per prima cosa, il paziente va dal medico con segni e sintomi Osteoporosis
che fanno sospettare una MICI; egli viene indirizzato all’endoscopista Pauciarticular arthritis
che osserva delle lesioni infiammatorie ma non riesce a fare una dia-‐ Erythema nodosum
gnosi
certa
(ed
è
importante
identificare
con
precisione
di
quale
MICI
B1
Without stricture
B2
Stricturing
B3
Penetrating
B3p
Perianally penetrating
Pyoderma gangrenosum
formation
si
tratti
perché
la
terapia
e
il
decorso
sono
diversi):
pertanto
si
realiz-‐
non-penetrating
306 patients were diagnosed between the ages of 17 and dysplasia. Capsule endoscopy might be more sensitive 94
6
Il
granuloma
è
una
lesione
nodulare
causata
dalla
reazione
infiammatoria
cronica
contro
un
antigene
difficilmente
eliminabile;
è
formato
da
cellule
epitelioidi
(istiociti)
e
cellule
giganti
multinucleate
(di
Langhans),
esternamente
ci
so-‐
no
linfociti,
plasmacellule,
granulociti
neutrofili
ed
eosinofili
che
aiutano
a
capire
il
contesto
in
cui
ci
troviamo.
Al
cen-‐
tro
del
granuloma
c’è:
materiale
estraneo
nel
granuloma
da
corpo
estraneo,
necrosi
caseosa
nel
granuloma
tuberco-‐
lare
(visibile
come
liquido
giallastro),
necrosi
fibrinoide
nei
noduli
reumatoidi
o
della
malattia
reumatica
(intensamen-‐
te
eosinofilo),
assenza
di
necrosi
nella
sarcoidosi.
Altri
granulomi
sono
quello
di
Wegener
(poliangioite
granulomato-‐
sa),
con
necrosi
a
carta
geografica,
il
granuloma
,
di
solito
non
necrotizzante
e
nel
quale
si
cercano
cristalli
di
asbesto,
e
granulomi
da
agenti
infettivi
troppo
grandi
per
essere
digeriti
(es.
da
miceti).
Nel
polmone
troviamo
TBC
e
sarcoidosi
(determina
alterazioni
della
trama
polmonare
con
micronodularità)
e
pneu-‐
moconiosi;
nel
Crohn
ci
può
essere
interessamento
anche
della
cute.
L’eritema
nodoso
non
è
una
patologia
granulo-‐
matosa:
è
una
manifestazione
vasculitica
dovuta
al
deposito
di
immunocomplessi
nella
parete
vasale.
• linfangiectasie
(dilatazione
dei
vasi
linfatici,
appaiono
come
buchi
chiari)
e
dilatazioni
dei
vasi
san-‐
guigni,
• iperplasia
neurale
(iperplasia
dei
plessi
mioenterici),
• metaplasia
pilorica
della
mucosa
(si
forma
un
epitelio
cilindrico
semplice
che
non
ha
le
caratteristi-‐
che
di
specializzazione
dell’ileo
e
del
colon).
Questi
ultimi
sono
aspetti
presenti
anche
in
altre
situazioni,
pertanto
si
cercano
per
la
diagnosi
i
granulomi
e
le
fissurazioni.
Fig
(v.
foto).
Ulcere
a
fessura
che
si
approfondano
nello
spessore
della
parete,
lesioni
infiammatorie
transmurali
anche
nella
sottomucosa,
aggregati
linfoidi
transmurali,
granulomi
epitelioidei
(con
istiociti
che
assomigliano
alle
cellule
epiteliali,
ovvero
a
cellule
arrotondate;
hanno
un
citoplasma
molto
abbondante
e
eosinofilo).
Fig
(descritta).
Quando
la
malattia
va
in
remissione,
la
flo-‐
gosi
regredisce
e
la
mucosa
ha
un
aspetto
irregolare:
le
ghiandole
sono
rarefatte
e
c’è
un’alterazione
dell’ordine
delle
tuniche
a
causa
della
fibrosi
della
parete.
La
mucosa
è
atrofica,
nella
sottomucosa
si
vedono
spazi
chiari:
linfan-‐
giectasie.
Si
osservano
anche
granulomi.
Complicanze
del
MC
Il
decorso
clinico
del
MC
è
molto
variabile:
ci
sono
forme
molto
blande,
in
cui
riacutizzazioni
e
complicanze
si
verificano
in
tempi
molto
lunghi,
e
forme
più
aggressive.
La
malattia
diventa
di
interesse
chirurgico
quan-‐
do
insorgono
le
complicanze,
che
sono:
• le
aderenze,
che
si
sviluppano
quando
le
ulcere
profonde
interrompono
la
sierosa,
• le
fistole,
dovuta
al
fatto
che
l’infiammazione
è
a
tutto
spessore.
La
fistolizzazione
può
mettere
in
comunicazione
l’ansa
infiammata
con
altre
anse
intestinali
(fistole
entero-‐enteriche),
la
vescica
(fi-‐
stole
entero-‐vescicali),
la
vagina
(fistole
enetro-‐vaginali)
e
la
sede
perianale
(fistole
perianali),
• gli
ascessi
addominali
peri-‐intestinali,
sono
ascessi
saccati
(l’infiltrato
infiammatorio
viene
delimi-‐
tato)
e
non
portano
a
una
peritonite
purulenta;
una
delle
cause
più
comuni
di
peritonite
è
l’appendicite
acuta
purulenta
con
ascessualizzazione,
• la
stenosi
intestinale,
soprattutto
nell’ileo
terminale:
è
determinata
dai
processi
fibrotici
che
coin-‐
volgono
la
parete
a
tutto
spessore,
• il
carcinoma
del
colon
o
del
piccolo
intestino
(raro).
Lo
stimolo
infiammatorio
cronico
determina
un
aumento
del
rischio
di
sviluppare
una
malattia:
occorre
quindi
un
follow-‐up,
• le
emorragie
massive:
sono
rare
(sono
più
frequenti
in
caso
di
interessamento
colico);
• le
microemorragie
croniche,
che
a
causa
dello
stillicidio
ematico
da
ulcere
superficiali
possono
cau-‐
sare
anemia
sideropenica,
• il
malassorbimento,
in
caso
di
interessamento
diffuso
del
piccolo
intestino,
• il
megacolon
tossico:
è
meno
frequente
che
nella
CU
(anche
in
quel
caso
è
raro);
è
un’emergenza
di
interesse
chirurgico
caratterizzata
da
dilatazione
acuta
del
colon,
emorragie,
assottigliamento
della
parete,
rischio
di
perforazione.
Si
tratta
con
colectomia
totale.
In
sintesi,
la
malattia
si
automantiene,
con
fasi
di
quiescenza
e
di
riacutizzazione
con
possibili
complicanze
che
nella
maggior
parte
dei
casi
interessano
le
malattie
di
lunga
durata.
minar COLITE
ULCEROSA
La
colite
ulcerosa
è
una
malattia
infiammatoria
cronica
intestinale
che
esordisce
nel
retto
e
tende
ad
evol-‐
versi
in
senso
prossimale,
per
continuità,
coinvolgendo
un
tratto
variamente
esteso
del
colon,
fino
a
livello
della
valvola
ileo-‐cecale
(pancolite).
Raramente
coinvolge
l’ileo:
il
coinvolgimento
dell’ileo
distale
si
ha
solo
in
continuità
con
un
interessamento
del
colon
destro
(backwash
ileitis,
ileite
che
va
al
contrario),
visibile
al
quadro
endoscopico.
a
Fibroadiposo peri-intestinale
sottosieroso
Sottomucosa
Muscularis mucosae
Strato muscolare circolare
b c
Granuloma Aggregato
linfoide Pseudopolipo
Fissurazione
Ulcera
Ulcera
Fistola
Alterazione Alterazione
dell’architettura dell’architettura
mucosa mucosa
FIGURA 8.44 Lesioni della parete intestinale nelle malattie infiammatorie croniche intestinali. a) Parete intestinale normale: tutti
gli strati parietali sono rappresentati per consentirne il confronto con quanto di patologico è rilevabile nella MC e nella RCU. b)
Nella MC, la parete intestinale, dalla sottomucosa al fibroadiposo peri-intestinale, è (segmentariamente) ispessita/sclerotica
(aumentata consistenza parietale con lume ristretto → alterato transito intestinale). La architettura ghiandolare è alterata. Nella
malattia attiva sono presenti: 1) ulcere/erosioni; 2) infiammazione (granulociti nella lamina propria e ascessi criptici e/o gra-
nulomi). Possono essere presenti lesioni mucose polipoidi (iperplastiche e/o displastiche). Aggregati nodulari di linfociti (anche
con strutturazione follicolare) sono presenti in tutti gli strati parietali e nel fibro-adiposo sottosieroso sclerotico. Le ulcere posso-
no approfondarsi nello spessore parietale realizzando tramiti fistolosi. Quando il tratto intestinale abbia contratto aderenze con
strutture anatomiche contigue, le fistole transparietali penetrano nell’organo/struttura adiacente, realizzando una comunicazio-
ne tra le strutture coinvolte. c) Nella RCU, le lesioni infiammatorie si arrestano (con accettabile approssimazione) alla muscula-
ris mucosae. La mucosa mostra alterata architettura ghiandolare. Possono essere presenti lesioni mucose polipoidi (iperplasti-
che e/o displastiche). Nella malattia attiva sono presenti: 1) ulcere/erosioni, 2) infiammazione (granulociti nella lamina propria
e ascessi criptici).
spesso causa occlusione che può essere anche il segno alla parete e spesso ricopre la sierosa anti-mesenterica
di presentazione della malattia. Le stenosi e le fistole (aspetto a grasso rampicante).
sono più frequenti nelle sedi ileale e perianale; la valvo-
la ileociecale può essere sede di stenosi serrate. La sie- Quadro microscopico. I reperti istologici caratteristici
rosa ha aspetto granuloso o madreperlaceo, è iperemica della malattia di Crohn sono i seguenti:
sa appare intensa- delle cripte (perdita del profilo rettilineo, biforcazio-
mente eritematosa ni, dilatazioni e accorciamento, Figura 8.47). Gli epi-
con presenza di es-
sudato. Per gentile
teli delle cripte mostrano diminuzione o assenza di
concessione di Car- cellule caliciformi mucipare (cellule goblet) e metapla-
lo Mansi. sia a cellule di Paneth. La lamina propria è espansa da
TABELLA 8.18 Caratteristiche macroscopiche differenziali tra MC e RCU (modificata, da Fenoglio-Preiser, 1999).
541
TABELLA 8.19 Caratteristiche microscopiche differenziali tra MC e RCU (VEDI Figura 8.44).
COLITE
DI
TIPO
INDETERMINATO
La
colite
di
tipo
aindeterminato
secondaria terapia). Tale andamento o
malattia
clinico infiammatoria
ha un te. cNei
ronica
intestinale
pazienti con CSP, ilidiopatica
dell’intestino
rischio di carcinoma colo- è
una
corrispettivo endoscopico/macroscopico e istologico rettale è 5 volte maggiore rispetto ai pazienti senza
MICI
che:
(nota bene: attività infiammatoria istologica di basso epatopatia.
• grado interessa
circa
il
5%
dei
pazienti
con
malattia
infiammatoria
idiopatica
del
colon;
in
questi
pazienti
può essere rilevata anche in situazioni clinica- La complicanza intestinale non-neoplastica più tipica
mente e/o endoscopicamente silenti). della RCU è rappresentata dal megacolon tossico. Si trat-
sono
presenti
infatti
aspetti
contemporanei
di
RtaCU
e
MC,
di una evenienza rara (1-2% dei casi), grave (poten-
Varianti morfologiche. Sono state descritte
• viene
usata
come
diagnosi
provvisoria
in
pazienti
varianti senza
letale),
zialmente adeguate
infiammazioni
che, nella maggioranza dei cliniche,
endosco-‐
casi, si as-
morfologiche inusuali di RCU; esse sono di compe- socia a RCU a interessamento pancolico. Consiste
piche
tenza o
radiologiche,
specialistica e vengono solo brevemente accen- nella dilatazione di parte o tutto il colon, con perdita di
• nella
maggior
parte
dei
casi
(80%)
la
vera
natura
della
colite
diventa
chiara
nel
decorso
clinico
suc-‐
nate in questa sede. capacità contrattile ed esacerbazione delle lesioni in-
RCU con coinvolgimento discontinuo del colon: a) fiammatorie (cosiddetta “colite fulminante”). La parete
cessivo:
per effetto di terapia medica; b) nelle fasi di quiescenza colica si assottiglia e il rischio di perforazione è eleva-
di oforme in
lievi
più
di
dell’80%
malattia;dc)ei
nella
casi
fase
viene
diagnosticata
si esordio della come
to. RCU,
è estesamente ulcerata, e l’estensione
La mucosa
malattia pediatrica in assenza di localizzazione rettale; della flogosi nella tonaca muscolare danneggia il plesso
o in
1-‐15%
viene
diagnosticata
come
MC,
d) skip lesion (coinvolgimento del colon sinistro e della mioenterico; a ciò consegue peristalsi ridotta o assente.
solao appendicein
rari
cciecale
asi
si
ae/o
rriva
delall’esclusione
cieco/ascendente della
conmalattia
Acquainfiammatoria
cronica
intestinale.
ed elettroliti si accumulano nel lume; l’ipokalie-
risparmio del trasverso); backwash ileitis; colite fulmi-
Grazie
alla
letteratura
internazionale
e
alla
ricerca
clinica
questo
problema
contrattile
mia aggrava la capacità già indeterminata
della
colite
compromessa e è
sta-‐
nante; RCU con coinvolgimento del tratto GI supe- l’ipoproteinemia causa edema della parete. La gravità
to
oggetto
di
discussione
e
confronto.
Il
termine
è
stato
utilizzato
inizialmente
per
le
resezioni
chirurgiche
riore, forma recentemente descritta con lesioni infiam- del quadro (dominato dalle lesioni necro-infiammato-
matorie
dal
1978
e/o ulcerative
a
seguito
in stomaco,
di
megacolon
duodeno
tossico,
nel
o digiuno.
2007
tale
crie)
ategoria
è
stata
alepplicata
può mascherare più classicheanche
alle
biopsie:
caratteristiche isto- questo
Non è ancora chiaro se queste ultime rappresentino logiche della RCU, tanto da rendere difficoltosa la ca-
termine
unaandrebbe
localizzazione usato
solo
per
extracolica dile
RCU resezioni
o una ccondi-hirurgiche
(dopo
colectomia
ratterizzazione nosologica totale)
e
non
per
le
biopsie.
della malattia.
zione infiammatoria a sé stante che coesiste con RCU
Nel
dettaglio:
classica.
• nei
campioni
bioptici
non
diagnostici
si
usa
il
termine
Colitedi
indeterminata
MICI
(o
colite)
non
ealtrimenti
malattia specificabile
Complicanze
o
inclassificabile,
infiammatoria NAS
Le complicanze della RCU sono classificate in manie-
• ra nei
campioni
chirurgici
si
usa
il
termine
colite
indeterminata
propriamente
detta:
è
una
diagnosi
analoga a quelle della MC, e le complicanze extrain- Nel 5% dei casi (range: 1-20%) che presentano le carat-
provvisoria,
testinali (neoplastiche si
pone
in
attesa
di
capire
e non-neoplastiche), sono qsimili
uale
MICI
sia,
vedendo
teristiche clinichel’evoluzione
e morfologiche della
dellammalattia
alattia.
in-
a quelle già elencate per la MC.Tra le complicanze ex- fiammatoria cronica, il reperto istologico non consen-
Le
biopsie
sono
infatti
traintestinali per
loro
nlaatura
non-neoplastiche, non
sclerosante
colangite rappresentative
te didstabilire
ell’intero
materiale:
la diagnosi occorrono
differenziale più
biopsie.
tra malattia di An-‐
che
le
primitiva
linee
guida
(CSP) della
società
europea
è documentata nel 2-7% di
dei
anatomia
soggetti patologica
Crohn e d el
2014
colite confermano
ulcerosa. In tali casi,qlaueste
dizioni.
letteratura pro-
con RCU (più rara è la sua associazione con MC). Il pone la dizione diagnostica di “colite indeterminata”
75-100% dei pazienti con CSP è affetto da RCU. Il ri- (CI). Questo termine era originariamente ristretto ai
schio di CSP in RCU è maggiore nei casi di pancoli- casi di malattia a esordio acuto e con necrosi estesa (co-
543
Esame
macroscopico
All’esame
macroscopico
si
osservano:
• ulcerazioni
estese,
• coinvolgimento
del
colon
trasverso
e
di
destra
più
che
del
colon
distale
(sinistro
e
sigma),
• coinvolgimento
estensivo
(>
50%)
della
superficie
mucosa,
• malattia
diffusa
che
risparmia
il
retto,
• possibile
presenza
della
dilatazione
del
colon.
In
questi
casi
è
difficile
la
diagnosi
differenziale.
RIACUTIZZAZIONI
E/O
INFERZIONI
RCU
O
MC
Fatta
la
diagnosi,
inizia
la
terapia
immunosoppressiva
che
aumenta
il
rischio
di
sovrainfezione;
infatti
in
al-‐
Gallo 08.qxd 29-09-2007 20:00 Pagina 527
cuni
casi,
in
corso
di
RCU
ma
soprattutto
di
MC,
si
possono
verificare
infezioni
che
simulano
il
quadro
di
riacutizzazione:
il
paziente
ha
una
sintomatologia
come
da
malattia
attiva;
spesso
quindi
ci
si
chiede
se
la
riacutizzazione
sia
dovuta
ad
una
infezione
e
si
pone
il
problema
diagnostico
differenziale,
non
facile
da
ri-‐
solvere
da
un
punto
di
vista
clinico.
Patologia dell’intestino tenue e
Le
infezioni
possono
essere:
colon-retto
• da
CMV
(il
CMV
dello
stomaco
non
è
caratteristico
degli
immunodepressi,
a
differenza
di
quello
dell’intestino),
•primaria non si ha solitamente
da
Clostridium
difficile.
eliminazione completa
All’esame
microscopico
persiste
del CMV, ma questo si
pensa
in aforma di infezione cro-in
una
sovrainfezione
nica lieve o in stato latente all’interno dei macrofagi,
caso
condi:
eventuale riattivazione dell’infezione qualora le
•difese ulcere
immunitariemolto
estese
dell’ospite con
vengano
tessuto
meno. di
granulazio-‐
• Soggetti a rischio: neonati, soggetti
ne,
più
grandi
di
quelle
presenti
all’inizio,
immunodepressi
(trapianto di organi o midollo osseo, pazienti HIV
materiale
• positivi), necrotico
purulento
sulla
superficie;
politrasfusi.
•• Vie tipici
inclusi
nucleari
di trasmissione: nei neonati in
caso
di
sovrainfezione
via transplacentare, ca-
nale del parto infetto, allattamento. Nell’adulto
da
CMV,
serve
la
conferma
con
test
immunoi-‐ via
parenterale e sessuale.
stochimico
a
• Sintomatologia: disposizione
anoressia, febbre,per
dolorequesta
infezione
addominale,
virale.
diarrea acquosa o ematica, emorragie, perfo-
vomito,
Nel
caso
di
einfezione
razione peritonite.da
C.
difficile
l’identificazione
• Distribuzione topografica: l’infezione da CMV può in- FIGURA 8.35 Colite da CMV. Colorazione immunoistochimi-
dell’agente
eziologico
non
è
così
facile
ma
ci
sono
degli
teressare l’intero tratto gastroenterico, dall’esofago al ca con anticorpi anti-CMV. È presente positività in alcune cel-
aspetti
colon-retto.
indiretti
che
fanno
pensare
a
questa
patologia.
lule interstiziali: si tratta prevalentemente di endoteli.
• Quadro macroscopico: l’aspetto endoscopico mima
quello della colite ischemica, con presenza di emor-
ITER
DIAGNOSTICO-‐TERAPEUTICO
parte dei casi colpisce l’epitelio squamoso (esofagite
ragie, erosioni e ulcerazioni della mucosa che posso-
In
sintesi,
la
diagnosi
di
MICI
deriva
dall’integrazione
e proctocolite ulcerativa). Il coinvolgimento colico si
no interessare in profondità la parete a tutto spessore, tra
report
istopatologico,
dati
clinici,
laboratoristici,
manifesta con colite diffusa caratterizzata da ulcere
fino alla
radiologici
ed
eperforazione.
ndoscopici.
IlL’algoritmo
virus si localizza sia nelle cel-
diagnostico-‐terapeutico
è
il
seguente:
confluenti e quadro più severo nel sigma.
lule epiteliali che, talora preminentemente, in quelle
• in
caso
di
lesioni
endoscopiche
tipiche
e
diagnosi
i•stopatologica
Quadro macroscopico: non
equivoca
o
altamente
il coinvolgimento sugge-‐ si
mucoso
connettivali; l’interessamento delle cellule endotelia-
manifesta inizialmente con lesioni bollose central-
li stiva
dei vasi per
diuna
piccoloMICI
calibro
si
prescrive
provoca la
tinfiammazione
erapia
specifica
per
la
MICI,
mente ombelicate, la cui rottura esita in ulcere con-
• dell’endotelio con formazione
in
caso
di
lesioni
endoscopiche
di microtrombi cui
tipiche
e
diagnosi
istopatologica
fluenti con circostante negativa
essudato
(discordanza)
si
procede
infiammatorio.
conseguono fenomeni ischemici. Anche le cellule
con
follow-‐up
clinico-‐endoscopico
e
istopatologico,
•senza
t erapia
s pecifica,
Caratteristiche istologiche diagnostiche: presenza di cellu-
connettivali periendoteliali sono frequentemente in-
• fettate le multinucleate sinciziali con inclusioni eosinofile
in
caso
di
lesioni
endoscopiche
assenti
e
diagnosi
istologica
non
equivoca
o
altamente
suggestiva
dal virus.
intranucleari (corpi di Cowdry).
• Caratteristiche istologiche diagnostiche: presenza di in-
(discordanza),
si
procede
con
follow-‐up
clinico-‐endoscopico
e
istopatologico,
senza
terapia
specifi-‐
clusioni
ca,
virali eosinofile, nucleari e citoplasmatiche,
in cellule connettivali e epiteliali (particolarmente Enterocoliti batteriche
in
caso
din
• numerose i
endoscopia
e
istopatologia
Le
pazienti immunodepressi). negative
cellule occorre
indagare
cause
alternative
per
quei
sintomi.
infette sono
E’
importante
positive
quindi
fare
mall’immunoreazione
olte
biopsie
e
verificare
con anti- L’infezione èasempre
se
c’è
correlazione
la conseguenza di una alterazione
natomo-‐clinica.
corpi anti-cytomegalovirus (Figura 8.35). dell’ecosistema digestivo che, in condizioni normali, è
stabile e resistente alle infezioni grazie ai suoi intrinse-
Herpes virus ci sistemi di difesa. Il frequente riscontro di enterocoli-
In pazienti imunodepressi l’infezione da HSV può rap- ti infettive è conseguenza sia di condizioni ambientali
presentare sia una infezione primaria che la riattivazio- che favoriscono la trasmissione dell’infezione sia dello
ne di una infezione latente. sviluppo di meccanismi di virulenza da parte degli
• Soggetti a rischio: soprattutto adulti immunodepressi agenti infettivi che li rendono capaci di superare le di-
endoscopica dovrebbe interessare tutto il colon e la par- cheAnche
cliniche ed endoscopiche
gli aspetti macroscopicianaloghe
differenziano alla lecolite
neopla-
di Vater. La presenza di un adenoma in corrisponden-
te terminale dell’ileo; essa è finalizzata anche all’esecu- linfocitaria, ma che istologicamente è caratterizzata
sie del duodeno rispetto a quelle del digiuno-ileo. In-
za della papilla o dell’ampolla di Vater può comporta-
zione di biopsie. Il campionamento bioptico deve con- dallafatti
presenza di una
le prime, spessa banda
insorgendo di collageneininsede
prevalentemente cor-am-
re ostruzione al deflusso biliare e causare quindi sinto-
sentire di riconoscere il carattere continuo/discontinuo rispondenza della membrana basale sottostante
pollare o papillare producono ostruzione al deflusso l’epite-
mi analoghi a una calcolosi delle vie biliari. Le
delle lesioni e deve sempre coinvolgere anche la muco- biliare e per questo vengono diagnosticate di regola in
indagini endoscopiche oggi disponibili consentono di
sa del retto (anche se macroscopicamente normale) dato una fase più precoce; si tratta spesso di lesioni vegetan-
diagnosticare anche neoplasie di piccole dimensioni,
che essa è quasi
COLITI
M sempre interessata dalla RCU e quindi
ICROSCOPICHE
ti o parzialmente ulcerate. La maggior parte degli ade-
che possono essere asportate tramite polipectomia en-
la sua eventuale normalità risulta assai informativa. nocarcinomi digiuno-ileali viene diagnosticata invece
doscopica. La presenza in sede duodenale di adenomi
Le
coliti
microscopiche
sono
forme
di
coliti
molto
multipli, anche
rare:
sono
in sede extrapapillare,
caratterizzate
deve endosco-‐
da
un
quadro
far sospet- in una fase avanzata, e mostra spesso un’infiltrazione a
tare l’esistenza di una poliposi adenomatosa eredo-fa- tutto spessore della parete del viscere fino alla sierosa e
COLITI
miliare (FAP, MICROSCOPICHE
pico
negativo
e
da
lesioni
evidenti
solo
a
livello
paragrafo Sindromi adenomatose). Nei sog- metastasi ai linfonodi mesenterici.
istologico;
getti con FAP infatti,
in
sede
di
endoscopia,
l’insorgenza di adenomipur
in non
sede La diffusione metastatica è analoga a quella dei tumori
Roberto
duodenale Fioccaè reperti,
osservando
frequente l’endoscopista
e il rischio di fa
sviluppare
una
biopsia
un del colon: metastasi ai linfonodi regionali, metastasi
adenocarcinoma è 300 volte superiore rispetto
perché
il
paziente
sta
male,
ha
una
diarrea
che
a quel- ematogene al fegato e possibile carcinosi peritoneale.
lo della popolazione generale. Dal punto di vista microscopico gli adenocarcinomi
Definizione
non
regredisce.
del tenue assomigliano a quelli del colon-retto: si trat-
Il termine coliteGli microscopica
adenomi viene usato struttura
Sono
caratterizzate
da
un’alterazione
della
muco-‐
Morfologia. presentano per descrivere tubulare, ta in genere di neoplasie a struttura ghiandolare con
duevillosa
entità morfologicamente diverse
o mista e sono rivestiti da cellule con variabile che sono
sa
legata
o
a
un
infiltrato
linfocitario
che
assomi-‐ caratte- variabile grado di differenziazione (Figura 8.52). Istoti-
rizzate
grado da: di displasia. Analogamente a quanto si verifica pi meno comuni sono il carcinoma mucinoso, quello
glia
alle
gastriti
autoimmuni,
o
a
un
ispessimento
• diarrea acquosa cronica o intermittente;
nel colon, i prelievi bioptici superficiali in corso di en- FIGURA con8.51cellule
Colitea linfocitaria:
sigillo, il carcinoma
sono presenti adenosquamoso
numerosi linfo- e
della
MB
dell’epitelio
che
si
crede
causi
una
man-‐
• assenza
doscopia di alterazioni
possono dimostrare endoscopiche; esclusivamente una NiN citi Tquello intraepiteliali rivelati dall’anticorpo
indifferenziato CD3 con metodica
a piccole cellule.
• presenza
(ocata
di lesioni
funzionalità
displasia): microscopiche
occorre del
tuttavia della mucosa
colon.
tenere in considerazionecolica. immunoistochimica.
la
possibilità che tali biopsie sottostimino la reale natu- Aspetti genetici e molecolari. Le seguenti malattie gene-
ra
della neoformazione e che la stessa presenti caratte- 545 tiche comportano un maggior rischio di sviluppare un
ristiche infiltrative nella sua parte profonda. adenocarcinoma del tenue: FAP, sindrome del carcino-
NEOPLASIE
DELL’INTESTINO
TENUE
ma ereditario non poliposico (HNPCC), sindrome di
Puetz-Jeghers e poliposi giovanile (VEDI unità didattica
Adenocarcinoma
Oltre
ai
linfomi,
affrontati
nella
celiachia,
possiamo
avere,
nell’intestino
Patologia dell’intestino tenue
tenue
e colon-retto).
possono
Lo gstudio
insorgere
degli
li
adeno-‐
eventi molecolari che si accompagnano all’adenocarci-
carcinomi
e
i
tumori
neuroendocrini
(v.
dopo).
Per quanto meglio nota e studiata nel colon-retto, la
L’adenocarcinoma
sequenza adenoma-carcinoma dell’intestino
sembratenue
averè
luogo un
tumore
an-
molto
raro
che
si
localizza
che nell’intestino tenue: residui adenomatosi sono prevalentemente
a
livello
in-
fatti di frequente osservazione (circa 80%) alla periferia
del
duodeno,
soprattutto
nella
regione
dell’ampolla
e
degli adenocarcinomi
fa
parte
delle
problematiche
del tenue. Inoltre
legate
gli adenomi
a
pancreas,
vie
bi-‐
dell’intestino tenue presentano aspetti morfologici e
liari
e
ampolla.
È
una
lesione
simile
a
quella
che
viene
alterazioni molecolari che li accomunano ai loro ana-
nel
colon,
loghi a livello cioè
un
polipo
adenomatoso
che
può
de-‐
colico.
generare,
a
volte
può
L’adenocarcinoma del far
tenue parte
della
neoplasia
è una poliposi
adeno-‐ rara
(l’incidenza stimata è di 0.4 casi per 10 5/anno) che
matosa
familiare;
un
evento
raro
è
invece
il
caso
in
cui
colpisce soggetti di età media-avanzata (età media: 67
la
neoplasia
si
instauri
in
un
quadro
Crohn
(nel
caso
in
anni). Nei soggetti con FAP l’età di insorgenza è più
cui
la
malattia
sia
particolarmente
importante).
precoce.
AÈ
un
adenocarcinoma
intestinale,
fatto
come
un
ade-‐
parte la FAP, il maggiore fattore di rischio per l’in-
sorgenza
nocarcinoma
dell’adenocarcinoma
del
colon.
Sono
èmcostituito
olto
rari
adall’infiam-
l
di
fuori
del-‐
mazione cronica: non sorprende quindi che la malattia
la
regione
dell’ampolla
e
creano
problemi
di
diagnosi
FIGURA 8.52 Adenocarcinoma del digiuno: struttura ghian-
di Crohn e, in minor misura, la celiachia si associno a dolare differenziata simile a quella dei carcinomi dello sto-
perché
una maggior fare
b iopsie
a
ldell’adenocarcinoma.
incidenza ivello
dell’ampolla
è
molto
diffi-‐ maco e del colon.
cile.
La
resezione
chirurgica
è
il
trattamento
usuale.
552
6.
TUMORI
STROMALI
GASTROINTESTINALI
(GIST)
I
tumori
mesenchimali
gastrointestinali
(GIST)
sono
tumori
non
epiteliali
che
derivano
dalle
cellule
intersti-‐
ziali
di
Cajal
(CIC).
Le
CIC
sono
cellule
pacemaker
presenti
nel
tratto
gastrointestinale
in
corrispondenza
dei
gangli
nervosi
dei
plessi
mioenterici,
adibite
alla
coordinazione
dell’attività
peristaltica
del
sistema
gastroin-‐
testinale.
Hanno
un
fenotipo
intermedio
tra
una
cellula
muscolare
e
una
c.
di
Schwann;
esprimono
il
CD117.
STORIA
• Stout
(1941)
realizzò
la
prima
descrizione
delle
neoplasie
mesenchimali
gastrointestinali
come
neoplasie
de-‐
rivanti
dalle
cellule
muscolari
lisce,
ossia
leiomioni,
leiomioblastomi,
leiomiosarcomi.
• Mazur
e
Clark
(1983):
introdussero
il
termine
generico
di
tumori
stromali
gastrointestinali
(GIST)
per
la
man-‐
canza
di
criteri
obiettivi
di
differenziazione.
Il
termine
riflette
sia
l’incertezza
sulla
istogenesi
della
neoplasia
che
la
difficoltà
nel
predire
il
comportamento
biologico
• Sarlomo-‐Rikala
e
Coll.,
Hirota
e
Coll.
(1998)
individuarono
che
la
maggioranza
dei
GIST
esprime
il
recettore
di
membrana
ad
attività
tirosinchinasica
c-‐kit,
identificabile
con
l’anticorpo
anti-‐CD117,
e
il
ruolo
centrale
della
mutazione
del
proto-‐oncogene
KIT
come
elemento
diagnostico.
• Da
un
punto
di
vista
epidemiologico
i
GISTpresentano
un
picco
d’incidenza
a
40-‐70
anni,
non
vi
è
prevalenza
di
sesso,
l’incidenza
è
di
circa
1-‐2/100
000
(sono
il
2,2%
dei
tumori
gastrici,
il
13,9%
dei
tumori
del
tenue,
lo
0,1%
dei
tumori
colorettali).
• I
GIST
si
localizzano
nello:
stomaco
(50%),
piccolo
intestino
(25%),
retto,
esofago,
mesentere,
re-‐
troperitoneo
(15%),
colon
(10%).
• Da
un
punto
di
vista
clinico,
se
di
piccole
dimensioni,
sono
spesso
asintomatici:
il
riscontro
in
que-‐
sto
caso
è
occasionale;
se
sintomatici,
si
manifestano
con:
o vago
dolore
o
malessere
a
livello
gastrointestinale,
o emorragia
gastrointestinale:
se
diventano
grandi,
si
associano
a
perforazione
della
mucosa
so-‐
prastante,
o anemia,
anoressia,
perdita
di
peso,
nausea,
affaticamento
ed
altri
dolori
gastrointestinali,
o sanguinamento
o
perforazione
intraperitoneale
acuti.
• Da
un
punto
di
vista
molecolare
circa
l’80%
dei
GIST
esprime
mutazioni
attivanti
dei
recettori
c-‐KIT
(più
frequentemente
a
livello
dell’esone
11)
e
PDGFR-‐A:
entrambi
sono
recettori
tirosin-‐chinasici
con
struttura
simile,
i
cui
geni
mappano
sul
cromosoma
4.
Una
mutazione
attivante
di
uno
dei
due
geni
attiva
una
via
di
trasduzione
del
segnale
(in
cui
sono
presenti
AKT,
MAP
chinasi
e
STAT)
che
de-‐
termina
iperfosforilazione
e
proliferazione.
In
particolare
da
un
punto
di
vista
fenotipico
i
GIST
esprimono
c-‐KIT1
(CD117,
95%),
CD34
(marker
dei
precursori
mesenchimali
ed
ematopoietici,
60-‐70%),
PDGFRα
(4-‐5%).
Le
mutazioni
di
c-‐KIT
e
PDGFRα
sono
mutuamente
esclusive.
1
Il
c-‐KIT
è
un
recettore
di
membrana
dotato
di
attività
tirosinchinasica
(dimerico).
È
costituito
da
un
dominio
extra-‐
cellulare
contenente
il
sito
per
il
ligando,
da
un
dominio
transmembrana
e
da
un
dominio
intracellulare
con
attività
ti-‐
rosin-‐chinasica.
In
condizioni
fisiologiche
il
recettore
viene
attivato
attraverso
il
legame
con
il
suo
ligando,
il
Fattore
di
crescita
per
le
cellule
staminali
(SCF).
Tale
legame
determina
un
cambiamento
conformazionale
del
recettore
KIT,
l’omodimerizzazione
e
l’attivazione
della
fosforilazione
dei
residui
di
tirosina
nel
dominio
della
china
ed
avvia
una
ca-‐
scata
di
segnali
che
vengono
trasferiti
al
nucleo
inducendo
proliferazione
e
inibizione
dell’apoptosi.
Normalmente
il
recettore
KIT
attiva
una
proteina
substrato
come
PI3-‐chinasi,
mediante
fosforilazione,
la
quale
innesca
una
cascata
di
segnalazione
cluminante
nella
proliferazione
e
sopravvivenza
cellulare.
Nel
tumore
con
mutazione
al
gene
del
recetto-‐
re
c-‐KIT
l’attivazione
del
recettore
avviene
indipendentemente
dal
fattore
di
crescita
con
conseguente
autofosforilazio-‐
ne
del
recettore,
trasduzione
del
segnale
di
attivazione
continuativo
e
proliferazione
cellulare.
ASPETTO
MACROSCOPICO
Da
un
punto
di
vista
macroscopico
un
GIST
si
presenta
come
una
lesione
di
diametro
variabile
(1-‐20
cm
e
anche
più
grandi;
più
sono
grandi
più
ci
preoccupiamo),
con
frequente
ulcerazione
della
mucosa.
In
sezione
hanno
spesso
aree
di
degenerazione
centrale2.
In
genere
appaiono
come
noduli
a
margini
arrotondati,
netti,
di
colorazione
giallastra
(una
lesione
di
aspet-‐
to
giallastro
può
essere
un
NET
o
un
GIST);
sono
situati
sotto
la
mucosa.
Possono
essere
cistici.
In
genere
sono
solitari:
se
multipli,
bisogna
sospettare
una
sindrome;
basti
pensare
che
nel
tratto
gastroin-‐
testinale
dei
pazienti
con
familiarità
positiva
per
GIST
si
osserva
iperplasia
delle
CIC.
Può
esservi
carcinosi
peritoneale,
associata
a
GIST
maligno.
ASPETTO
MICROSCOPICO
Da
un
punto
di
vista
microscopico
possono
essere:
• a
cellule
fusate
(70%),
formato
da
cellule
allungate
organizzate
in
fasci
(corti,
intermedi,
lunghi)
di-‐
sorganizzati,
con
moderata
quantità
di
citoplasma
debolmente
eosinofilo.
Se
all’esame
istologico
si
osservano
queste
cellule,
si
fa
l’immunoistochimica
con
CD117;
• a
cellule
epitelioidi
(20%),
formato
da
cellule
arrotondate
con
abbondante
citoplasma
eosinofilo
di-‐
sposte
in
nidi;
• misto
(10%).
Le
cellule
possono
essere:
• a
bassa
atipia,
caratterizzate
da:
omogeneità
dei
fasci,
abbondante
citoplasma
eosinofilo,
assenza
di
cellule
gi-‐
ganti
polimorfe,
assenza
di
nuclei
ipercromatici
e
pleomorfi,
assenza
di
nucleoli
ingranditi.
La
presenza
di
una
scarsa
componente
cellulare
e
di
un’elevata
componente
stromale
rappresenta
un
segnale
positivo;
• ad
alta
atipia,
caratterizzate
da:
vacuolizzazione
paranucleare
(associata
a
differenziazione
muscolare),
dila-‐
tazioni
cistiche
dell’apparato
di
Golgi
e
del
reticolo
endoplasmatico,
fibre
schenoidi
(deposizione
di
collage
amorfo
extracellulare
eosinofilo
generalmente
riscontrabile
nei
GIST
ileali
di
solito
associata
alla
differenzia-‐
zione
neurale),
presenza
di
mitosi,
cellule
giganti
pleiomorfe
plurinucleate
con
nucleoli
prominenti.
Il
sospetto
di
GIST
viene
confermato
attraverso
la
positività
immunoistochimica
a
c-‐KIT
o
PDGFR.
PROGNOSI
E
TERAPIA
E’
difficile
distinguere
in
maniera
netta
i
GIST
benigni
da
quelli
maligni.
I
fattori
prognostici
principali
sono:
• le
dimensioni:
più
sono
grandi,
maggiore
è
la
probabilità
che
siano
maligni
(il
rischio
è
molto
basso
sotto
i
2
cm
ed
elevato
sopra
i
10
cm;
sopra
i
5
cm
bisogna
preoccuparsi),
• la
sede:
a
seconda
della
sede
la
probabilità
di
malignità
è
variabile;
nello
stomaco
circa
il
20%
dei
GIST
è
maligno,
nel
duodeno
il
35-‐50%,
nel
digiuno-‐ileo
il
40%
(sono
i
più
aggressivi);
• il
numero
di
mitosi
per
50
campi
ad
alto
ingrandimento
(50HPF;
si
contano
50
campi
perché
sono
tumori
a
bassa
proliferazione):
sotto
le
5
il
rischio
è
basso,
sopra
le
10
è
elevato.
Un
GIST
localizzato
si
tratta
con
una
resezione
completa
(endoscopica
o
chirurgica),
follow-‐up
a
lungo
ter-‐
mine,
particolarmente
stretto
nei
casi
più
a
rischio
di
comportamento
maligno.
Un
GIST
avanzato
(metasta-‐
tico
e/o
inoperabile),
si
tratta,
previo
studio
dello
stato
mutazionale
di
c-‐KIT
e
PDGFR,
con
l’Imatinib
mesila-‐
to
(Glivec),
un
inibitore
dei
recettori
tirosin-‐chinasici
che
occupa
la
tasca
di
legame
dell’ATP
del
dominio
chi-‐
nasico
di
c-‐KIT.
La
maggior
parte
dei
mutanti
PDGFRα,
ad
eccezione
di
D842V
è
sensibile
all’Imatinib.
2
Nel
contesto
di
lesioni
di
grandi
dimensioni,
si
può
avere
una
degenerazione
regressiva
centrale
come
conseguenza
di
una
necrosi
ischemica
oppure
si
può
avere
una
degenerazione
centrale
conseguente
a
necrosi
tumorale,
espressione
di
malignità
e
dell’aggressività
della
massa.
Nella
necrosi
ischemica
nell’ambito
di
una
massa
tumorale,
si
ha
un’area
di
necrosi
circondata
da
tessuto
fibroso
di
riparazione
con
presenza
in
periferia
di
cellule
che
non
sono
in
attività
prolife-‐
rativa,
bensì
cellule
con
carattere
di
benignità.
La
necrosi
tumorale
invece
presenta
una
soluzione
di
continuità
tra
l’area
necrotica
e
le
cellule
in
proliferazione
attiva.
7.
PATOLOGIA
DEL
COLON
Le
neoplasie
del
colon
sono
molto
frequenti.
Si
distinguono
neoplasie
epiteliali:
adenomi
(neoplasie
benigne)
e
adenocarcinomi
(neoplasie
maligne),
neoplasie
neuroendocrine,
GIST.
Studiamo
in
generale
i
polipi
colo-‐rettali
e
poi
nel
dettaglio
il
carcinoma
del
colon-‐retto.
POLIPI
COLO-‐RETTALI
Un
polipo
è
una
lesione
che
aggetta
nel
lume
dell’intestino
ed
è
vista
dall’endoscopista
come
lesione
rileva-‐
ta
(esofitica).
I
polipi
del
colon
possono
essere
distinti
in
due
grandi
categorie:
• polipi
non
neoplastici,
che
possono
essere:
o amartomatosi
(malformativi),
derivano
dalla
proliferazione
di
diverse
componenti
proprie
del-‐
la
mucosa
(miocellule
lisce,
tessuto
stromale
e
ghiandole)
strutturate
in
modo
anomalo
(in
greco
amartàno
significa
“erro,
manco
il
bersaglio”).
Una
componente
amartomatosa
è
pre-‐
sente
sia
nei
polipi
giovanili
sia
nei
polipi
della
sindrome
di
Peutz-‐Jeghers;
o infiammatori:
non
sono
molto
frequenti;
sono
circoscritti
nell’ambito
delle
MICI
e/o
sono
le-‐
sioni
post-‐flogistiche.
Infatti,
a
volte
succede
che
l’intestino
si
ul-‐
cera
e,
durante
il
processo
di
riparazione,
il
tessuto
di
granulazione
infiammatorio
di-‐
venta
rilevato:
l’endoscopista
può
scam-‐
biarlo
per
un
polipo
sospetto
e
fare
una
biopsia;
all’istologia
si
mostrerà
come
un
polipo
infiammatorio
(né
malformativo
né
displastico)
con
ghiandole
dilatate
conte-‐
nenti
mucina
e
stroma
infiltrato
da
cellule
infiammatorie,
Essi
sono
caratterizzati
da
un
potenziale
di
trasformazione
nullo
(o
basso1)
e
non
presentano
displa-‐
sia
(ma,
essendo
la
diagnosi
possibile
solo
all’istologia,
vanno
rimossi
comunque),
• polipi
neoplastici:
sono
gli
adenomi,
caratterizzati
dalla
displasia,
che
possono
evolvere
in
adeno-‐
carcinoma
del
colon-‐retto.
Una
categoria
emergente
è
rappresentata
dai
polipi
serrati,
che
verranno
trattati
a
parte.
POLIPI
NON
NEOPLASTICI
Polipi
giovanili
e
poliposi
giovanile
I
polipi
‘’giovanili’’
sono
così
definiti
perché
insorgono
principalmente
nei
giovani,
nel
caso
in
cui
vengano
riscontrati
in
un
soggetto
adulto-‐anziano
sono
definiti
“di
tipo
giovanile”.
Rientrano
tra
i
polipi
amartomatosi
e
possono
essere,
in
base
al
tipo
di
trasmissione
e
al
coinvolgimento
del
GI:
• sporadici,
più
frequenti
e
isolati.
Non
sono
correlati
al
rischio
di
sviluppare
una
neoplasia:
sono
le-‐
sioni
assolutamente
benigne;
una
volta
rimosse
si
considera
il
paziente
guarito;
1
I
polipi
amartomatosi
dal
punto
di
vista
biologico
hanno
una
ambigua
collocazione,
intermedia
tra
i
tumori
“non-‐
neoplastici”
e
quelli
“neoplastici”.
Comunque,
la
bassa
o
assente
potenzialità
evolutiva
in
senso
carcinomatoso
ne
giu-‐
stifica
la
collocazione
tra
tumori
non-‐neoplastici;
il
rischio
aumenta
soprattutto
nelle
sindromi
poliposiche.
sindromici:
sono
rari
e
non
isolati.
Il
loro
riscontro
è
diagnostico2
di
una
sindrome
definita
poliposi
•
giovanile3,
causata
da
una
mutazione
germline
(a
SMAD4).
Il
polipo
giovanile
può
essere
peduncolato
o
sessile,
presenta
una
superficie
liscia
e
da
un
punto
di
vista
microscopico:
• è
costituito
esclusivamente
da
componenti
della
mucosa:
ghiandole
e
lamina
propria.
In
particolare,
si
osservano
numerose
ghiandole,
con
cripte
cisti-‐
camente
dilatate
e
tortuose,
non
addossate
ma
se-‐
parate
da
lamina
propria
edematosa
ed
infiltrata
da
elementi
infiammatori,
• l’epitelio
è
normale
ma
iperplastico
(non
displasti-‐
co):
è
formato
da
cellule
alte
che
vanno
incontro
a
maturazione
e
producono
muco,
prive
di
atipia.
Quindi
a
essere
alterata
è
l’architettura
e
non
le
cellule:
per-‐
tanto
la
diagnosi
si
fa
già
a
piccolo
ingrandimento,
osser-‐
vando
la
struttura
generale,
ovvero
le
ghiandole
alterate4.
Sindrome
di
Peutz-‐Jeghers
La
sindrome
di
Peutz-‐Jeghers
è
una
malattia
genetica
a
trasmissione
autosomica
dominante
che
si
manife-‐
sta
con:
• aumento
della
pigmentazione
muco-‐cutanea
(soprattutto
nel
labbro
e
nella
mucosa
del
cavo
ora-‐
le);
il
paziente
ha
una
facies
caratteristica5,
• polipi
amartomatosi,
interessanti
preferenzialmente
il
piccolo
intestino,
associati
a
un
incremento
del
rischio
di
carcinoma
gastro-‐intestinale,
pur
non
essendo
displastici.
Da
un
punto
di
vista
microscopico
questi
polipi
sono
formati
da
un
epitelio
iperplastico
appropriato
per
la
sede
di
origine,
che
riveste
una
lesione
esofitica
formatasi
a
causa
della
proliferazione
arborescente
di
mu-‐
scolaris
mucosae
amartomatosa:
quindi
proliferano
simultaneamente
le
cellule
epiteliali
e
quelle
muscolari
lisce,
assenti
invece
nel
polipo
giovanile
(in
cui
lo
stroma
del
polipo
è
formato
solo
da
lamina
propria).
Nel
dettaglio,
si
osservano
tralci
di
muscolaris
mucosae
ispessita
che
manda
delle
proiezioni
all’interno
del
poli-‐
po
come
a
separare
la
ghiandole.
La
diagnosi
si
fa
a
piccolo
ingrandimento,
al
quale
è
già
evidente
la
proliferazione
arborescente
della
mu-‐
scolaris
mucosae.
Polipi
con
questa
morfologia
possono
essere
anche
sporadici.
2
La
diagnosi
di
sindrome
si
basa
sulla
presenza
di
5
o
più
polipi
giovanili
nel
colon
retto,
poliposi
giovanile
di
tutto
il
tratto
GI
oppure
un
qualsiasi
numero
di
polipi
giovanili
ed
una
storia
positiva
in
famiglia.
3
La
forma
sindromica
è
la
più
comune
poliposi
amartomatosa
gastrointestinale
L’età
media
alla
diagnosi
è
9
anni.
La
PG
è
caratterizzata
dalla
presenza
di
polipi
amartomatosi
multipli
GI
(soprattutto
colici)
con
aumentato
rischio
di
CRC.
4
Invece
un
polipo
iperplastico
è
formato
da
cripte
disorganizzate
e
senza
l’aspetto
di
maturazione
che
va
dalla
pro-‐
fondità
alla
superficie,
mentre
tutto
il
resto
è
uguale
(anche
se
ha
più
lamina
propria).
5
Anche
altre
sindromi
hanno
caratteristiche
pigmentazioni
mucose,
come
ad
esempio
la
sindrome
di
Carney,
che
ap-‐
partiene
all’
endocrinologia.
Il
complesso
di
Carney
(CNC)
è
una
sindrome
a
eredità
autosomica
dominante,
caratteriz-‐
zata
da
pigmentazione
cutanea
a
chiazze,
iperattività
endocrina
e
mixomi.
Le
anomalie
della
pigmentazione
cutanea
comprendono
lentiggini
e
nevi
blu.
I
disturbi
endocrinologici
più
comuni
sono
l'acromegalia,
i
tumori
della
tiroide
e
dei
testicoli
e
la
sindrome
di
Cushing
non
dipendente
dall'ACTH
(ormone
adrenocorticotropo),
causata
dalla
displasia
pri-‐
mitiva
pigmentata
nodulare
del
surrene
(PPNAD).
La
PPNAD,
una
causa
rara
della
sindrome
di
Cushing,
è
dovuta
al
de-‐
ficit
primitivo
bilaterale
del
surrene,
che
può
anche
essere
presente
in
assenza
degli
altri
sintomi
del
CNC
o
di
una
sto-‐
ria
familiare
positiva.
ADENOMI
L’adenoma
è
una
neoplasia
intraepiteliale
benigna
con
gradi
variabili
di
displasia
(di
basso
o
alto
grado);
la
cui
frequenza
aumenta
con
l’età
(picco
a
70
anni):
si
osserva
quindi
soprattutto
negli
adulti-‐anziani.
ITER
DIAGNOSTICO
L’adenoma
è
considerato
il
precursore
del
carcinoma
del
colon,
per
il
quale
è
stato
predisposto
uno
scree-‐
ning
che
prevede
la
ricerca
del
sangue
occulto
nelle
feci
(SOF)
e,
se
positivo,
la
colonscopia
come
esame
di
secondo
livello;
durante
la
colonscopia,
l’endoscopista
può
osservare
un
adenoma
e
rimuoverlo
con
poli-‐
pectomia
endoscopica
o
eseguire
una
biopsia
(se
di
grandi
dimensioni),
e
inviare
il
materiale
prelevato
al
patologo.
Se
sulla
biopsia
viene
fatta
diagnosi
di
adenoma,
c’è
l’indicazione
all’intervento
chirurgico
(in
quanto
il
polipo,
in
questo
caso,
non
può
essere
rimosso
in
sede
endoscopica);
se
invece
è
stata
fatta
la
po-‐
lipectomia,
e
l’anatomopatologo
conferma
la
diagnosi
di
adenoma
e
che
i
margini
sono
liberi,
il
paziente
si
considera
generalmente
guarito.
Nel
dettaglio,
all’esame
endoscopico
l’adenoma
è
visibile,
soprattutto
nel
colon
sinistro,
come
un
polipo,
ovvero
una
lesione
esofitica
in
genere
di
piccole
dimensioni6
(minore
a
1
cm),
dotata
o
meno
di
peduncolo,
e
definita
rispettivamente
polipo
peduncolato
o
sessile;
in
alcuni
casi
l’adenoma
è
piatto.
6
Polipi
piccoli
di
1-‐2
cm
con
peduncoli
lunghi
sono
suggestivi
di
benignità.
La
differenza
tra
polipo
sessile
e
peduncolato
è
rilevante
da
un
punto
di
vista
terapeutico:
• un
polipo
peduncolato
è
formato
da
una
base
d’impianto
stretta,
rappresentata
appunto
dal
peduncolo,
e
può
essere
asportato
facil-‐
mente
alla
base
del
peduncolo,
per
esempio
grazie
a
un’ansa
diater-‐
mica,
• un
polipo
sessile
è
invece
presenta
una
base
d’impianto
larga
ed
è
più
difficile
da
asportare
(soprattutto
in
caso
di
lesione
neoplastica
diffu-‐
sa):
il
rischio,
nel
caso
in
cui
si
vada
troppo
in
profondità,
è
anche
la
perforazione
dell’organo;
a
tal
proposito
l’endoscopista
inietta
un
po’
di
soluzione
fisiologica
sotto
la
mucosa
e
cerca
di
creare
un
peduncolo
artificiale
per
favorirne
la
rimozione
(mucosectomia).
Un’altra
ipotesi
è
asportarlo
con
biopsie
multiple
o
fare
una
sola
biopsia
e
program-‐
mare,
in
base
alla
diagnosi
anatomopatologica,
un
intervento
chirurgi-‐
co.
PROCESSAZIONE
Il
campione
prelevato
in
sede
endoscopica
viene
collocato
tra
due
spugnette
in
una
cassettina,
fissato
in
formalina
e
inviato
all’anatomia
patologica,
così
che
il
tecnico
possa
capire
come
è
orientato
ed
eseguire
correttamente
il
taglio
delle
sezioni,
che
devono
essere
parallele
quindi
intercettare
tutti
gli
strati
della
mu-‐
cosa.
In
particolare:
• il
polipo
peduncolato
va
tagliato
secondo
sezioni
parallele
che
passino
per
il
peduncolo,
• il
polipo
sessile
va
tagliato
allo
stesso
modo
secon-‐
do
sezioni
che
passino
per
lo
pseudo-‐peduncolo
creato
dall’endoscopista
con
l’iniezione
di
fisiologi-‐
ca;
ma
poiché
in
formalina
questo
pseudo-‐
peduncolo
si
raggrinzisce,
l’endoscopista
lo
segnala
con
un
repere
(in
genere
con
uno
spillo).
Questo
procedimento
è
molto
importante
perché
facendo
delle
sezioni
perpendicolari
invece
che
parallele,
si
possono
perdere
informazioni
importanti.
ESAME
MICROSCOPICO
a.
Architettura
Nell’esame
microscopico
di
un
adenoma,
bisogna
per
prima
cosa
osservare
l’architettura
e
definirne
l’istotipo;
un
adenoma
infatti
può
essere
da
un
punto
di
vista
istologico:
• tubulare,
se
costituito
per
più
dell’80%
da
strutture
tubulari
semplici,
come
le
cripte
del
colon;
di
solito
è
un
adenoma
piccolo,
peduncolato,
ed
è
il
più
in-‐
nocuo;
• villoso,
se
costituito
per
più
dell’80%
da
villi,
simili
a
quelli
della
mucosa
tenue;
è
di
dimensioni
in
media
più
grandi
dell’adenoma
tubulare
e
tende
a
essere
sessile.
E’
caratterizzato
da
una
superficie
irregola-‐
re
(a
cavolfiore)
ed
è
associato
a
un
rischio
di
cancerizzazione
maggiore
di
quello
tubulare;
• tubulo-‐villoso;
ha
un
rischio
di
cancerizzazione
intermedio
rispetto
ai
precedenti.
b.
Grado
di
displasia
Bisogna
poi
identificare
il
grado
di
displasia,
presente
per
definizione
nell’adenoma,
utilizzando
come
crite-‐
ri:
1. le
alterazione
della
struttura
(architetturali),
ovvero
del
gradiente
maturativo
baso-‐apicale,
2. l’atipia
nucleare,
3. l’aumento
delle
figure
mitotiche
(attività
proliferativa),
4. l’assenza
del
muco:
maggiore
è
la
displasia
e
minore
è
la
capacità
di
fare
mucina.
In
base
a
questi
criteri
si
parla
di:
• displasia
di
basso
grado,
se
si
osservano:
1. il
gradiente
di
maturazione
baso-‐apicale
conservato;
2. un
modesto
ingrandimento
dei
nuclei
con
ipercromasia
e
stratificazione
(i
nuclei,
fisiologica-‐
mente
in
fila
e
perpendicolari
alla
membrana
basale,
nella
displasia
diventano
più
affollati
e
di-‐
sposti
a
più
livelli),
3. un
aumento
delle
figure
mitotiche;
4. una
riduzione
della
mucina
intracellulare,
• displasia
di
alto
grado,
se
si
osservano:
1. la
perdita
del
gradiente
di
maturazione
baso-‐apicale,
2. un
importante
ingrandimento
dei
nuclei
con
ipercromasia
e
stratificazione,
fino
ad
arrivare
alla
perdita
della
polarità
nucleare
(il
nucleo
non
è
più
perpendicolare
alla
membrana
basale).
Quindi
aumenta
l’atipia
nucleare,
3. l’aumento
delle
figure
mitotiche,
4. la
perdita
di
mucina.
c.
Infiltrazione
A
proposito
della
displasia
di
alto
grado
bisogna
precisare
che
i
termini
displasia
di
alto
grado,
carcinoma
in
situ
(poco
utilizzato
per
il
colon)
e
carcinoma
intramucoso
sono
sinoni-‐
mi
nel
colon-‐retto;
infatti
in
questo
organo
le
lesioni
che
non
infiltrano
la
sottomucosa,
estese
quindi
al
di
so-‐
pra
della
muscolaris
mucosae,
non
esprimono
un
potenziale
metastatico:
sono
tutte
clinicamente
e
prognosti-‐
camente
sovrapponibili
(nella
pratica
clinica
si
preferisce
utilizzare
il
termi-‐
ne
displasia
di
alto
grado).
Invece
nello
stomaco
il
carcinoma
in
situ
(che
non
supera
la
membrana
basale)
e
il
carcinoma
intramucoso
(che
non
supera
la
muscolaris
mucosae)
non
sono
sinonimi:
il
primo
infatti
non
ha
potenziale
metastatico,
il
secondo
sì
(è
anche
detto
early
gastric
cancer).
Questa
differenza
tra
i
due
organi
è
emersa
da
studi
clinici:
si
è
visto
che
il
rischio
di
avere
metastasi
da
tumori
che
hanno
invaso
la
lamina
propria
è
nullo
nel
colon,
e
basso
(ma
comunque
presente)
nello
stomaco.
In
sintesi,
nel
colon,
il
confine
per
parlare
di
invasione,
quindi
di
passaggio
dalla
forma
benigna
(adenoma)
a
quella
maligna
(adenocarcinoma)
è
la
muscolaris
mucosae;
pertanto
durante
l’esame
microscopico
dell’adenoma
il
patologo
deve
osservare
con
attenzione
la
muscolaris
mucosae
(e
non
la
membrana
basa-‐
le):
se
la
lesione
è
tutta
contenuta
al
di
sopra
ed
è
stata
eliminata
totalmente,
il
paziente
può
essere
consi-‐
derato
guarito.
Seguono
alcune
considerazioni
sulla
valutazione
dell’infiltrazione.
• Non
è
sempre
facile
distinguere
una
forma
invasiva
da
una
non
invasiva:
in
alcuni
casi
per
esempio
può
esserci
una
pseudoinfiltrazione,
ovvero
si
possono
osservare
ghiandole
nella
sottomucosa
a
causa
di
un
artefatto
di
inclusione
e
di
taglio,
non
semplice
da
identificare
(soprattutto
se
c’è
di-‐
splasia
di
alto
grado).
Può
essere
d’aiuto
nella
distinzione
di
una
infiltrazione
da
una
pseudoinfiltra-‐
zione,
osservare
la
muscolaris
mucosae
e,
soprattutto,
lo
stroma
che
circonda
le
cellule
tumorali
presenti
nella
sottomucosa:
in
caso
di
infiltrazione
si
verifica
infatti
una
rea-‐
zione
desmoplastica
a
carico
dello
stroma,
che
diventa
fibroso,
neovasco-‐
larizzato
e
ricco
di
infiltrato
infiamma-‐
torio
cronico
(a
volte
in
caso
di
infezioni
sovrapposte
si
possono
osservare
anche
neutrofili).
Quindi,
in
sintesi,
in
caso
di
pseudoinfiltrazione,
si
osservano
ghian-‐
dole
nella
sottomucosa
in
assenza
di
uno
stroma
desmoplastico
e
di
margini
infiltrativi.
• Inoltre,
in
caso
di
un’eventuale
infiltrazione,
il
polipo
può
essere
disomogeneo,
ovvero
in
alcune
parti
è
ancora
una
displasia
di
alto
grado,
in
altre
è
un
carcinoma
infiltrante:
pertanto,
in
sede
di
esame
microscopico,
il
polipo
va
esplorato
nella
sua
interezza.
• Il
potenziale
di
infiltrazione
cambia
inoltre
in
base
al
tipo
di
polipo
(sessile
o
peduncolato):
o il
polipo
peduncolato
crescendo
si
trascina
con
sé
la
muscolaris
mucosae
e
la
sottomucosa
(co-‐
sa
che
non
succede
nel
polipo
giovanile;
quindi
tagliando
il
peduncolo
vengono
tagliate
muco-‐
sa,
muscolaris
mucosae,
e
sot-‐
tomucosa),
ma
nella
sottomu-‐
cosa
i
capillari
e
i
vasi
linfatici
si
trovano
in
profondità,
quindi
dopo
l’infiltrazione
(che
inizia
a
livello
della
testa)
non
c’è
subi-‐
to
invasione
linfovascolare,
o il
polipo
sessile,
quando
supera
la
muscolaris
mucosae
diventa
un
carcinoma
infiltrante
su
mucosa
piatta
e
arriva
rapida-‐
mente
ai
capillari
e
ai
vasai
lin-‐
fatici,
perché
in
questo
caso
c’è
una
maggiore
vicinanza
tra
mucosa
e
sottomucosa.
Quindi
il
potenziale
di
invasione
dei
polipi
sessili
è
maggiore
di
quello
di
un
polipo
peduncolato.
• In
caso
di
infiltrazione,
quindi
di
adenocarcinoma,
si
può
riscontrare
nella
sottomucosa
l’invasione
linfovascolare,
ovvero
si
osservano
masse
di
cellule
neoplastiche
in
una
cavità;
per
essere
sicuri
che
quella
cavità
sia
il
lume
di
un
vaso
e
non
una
cavità
artefattuale,
dovuta
ad
un
danneggiamento
del
tessuto
durante
l’inclusione
(infatti
con
le
cauterizzazioni
il
tessuto
viene
danneggiato
e
si
pos-‐
sono
formare
artefatti),
può
essere
utile
eseguire
l’immunoistochimica
per
le
citocheratine7
(a
cui
sono
positive
le
cellule
epiteliali
del
carcinoma)
e/o
le
cellule
endoteliali
dei
vasi.
d.
Stato
dei
margini
Occorre
infine,
in
sede
di
esame
microscopico,
studiare
il
margine
di
sezione:
è
rilevante,
soprattutto
nell’adenoma
con
displasia
di
alto
grado,
vedere
se
il
margine
di
sezione
è
libero
da
malattia.
L’asportazione
si
considera
a
margini
liberi
se
la
neoplasia
dista
almeno
2
mm
dal
margine.
PROGNOSI
E
TRATTAMENTO
DEI
POLIPI
DEL
COLON-‐RETTO
Dopo
aver
asportato
un
polipo
(adenoma
o
adenocarcinoma),
è
importante
stimare
il
rischio
di
trovare
un
adenocarcinoma
residuo
o
una
metastasi,
durante
il
follow-‐up
o
in
una
successiva
emicolectomia.
Il
patologo
deve
supportare
il
clinico
nel
quantificare
questo
rischio
indicando
nel
referto:
l’architettura
del-‐
la
lesione,
il
grado
di
displasia,
l’eventuale
infiltrazione
della
sottomucosa,
lo
stato
dei
margini
e/o
lo
stato
del
peduncolo.
La
valutazione
di
questo
rischio
dipende
quindi
dal
tipo
di
adenoma
ed
è
importante
nella
scelta
della
tera-‐
pia,
che
può
consistere
appunto
nel
follow-‐up
clinico-‐strumentale
o
nella
emicolectomia,
intervento
che
consentirebbe
peraltro
di
effettuare
la
stadiazione
pTNM.
7
il
tumore
del
colon
è
un
tumore
epiteliale
e
ha
quindi
un
citoscheletro
con
citocheratine.
Ci
sono
oltre
75
citochera-‐
tine
e
gli
epiteli
ghiandolari
e
squamosi
hanno
diversi
tipi
di
citocheratine,
ma
basterà
usare
anticorpi
per
una
citoche-‐
ratina
che
so
per
certo
essere
espressa
dal
carcinoma
del
colon.
Nonostante
le
diverse
correnti
di
pensiero,
attualmente
la
polipectomia
endoscopica
è
da
considerarsi
trat-‐
tamento
definitivo
e
risolutivo
(e
quindi
non
si
ha
necessità
di
fare
la
emicolectomia)
se:
• il
polipo
è
completamente
asportato:
ci
sono
almeno
2
mm
di
margine
libero8,
• la
lesione
è
infiltrante
(adenocarcinoma)
ma
non
è
scarsamente
differenziata
(non
è
un
G3),
• non
vi
è
evidenza
di
invasione
linfatica
o
vascolare.
Negli
altri
casi,
poiché
il
rischio
di
metastasi
aumenta,
ha
senso
fare
l’emicolectomia
per
la
stadiazione
pTNM,
comprendente
anche
lo
studio
dei
linfonodi
loco-‐regionali
(per
valutare
un’eventuale
infiltrazione),
quindi
la
definizione
della
prognosi,
ed
eventualmente
a
fini
terapeutici
(perché,
in
caso
di
lesione
infiltran-‐
te,
questo
gesto
chirurgico
si
può
rilevare
risolutivo
o
può
porre
l’indicazione
a
un
trattamento
chemiotera-‐
pico
adiuvante).
POLIPI
SERRATI
I
polipi
serrati
sono
lesioni
caratterizzate
istologica-‐
mente
da
un’architettura
“serrata”,
ovvero
con
un
profilo
superficiale
e
del
lume
delle
cripte
“a
denti
di
sega”
(irregolare,
dovuto
al
fatto
che
le
cellule
si
acca-‐
stellano).
E’
una
categoria
di
polipi
che
ha
guadagnato
successo
recentemente,
negli
ultimi
10
anni
(infatti
a
oggi
non
sono
ancora
stati
totalmente
caratterizzati).
Rappresentano
i
precursori
di
circa
1/3
dei
carcinomi
del
colon
retto;
infatti
è
emerso
che
oltre
alla
classica
sequenza
adenoma-‐carcinoma
(accertata
per
gli
ade-‐
nomi
tubulari,
villosi
e
tubulo-‐villosi),
può
esserci
un’altra
via
di
cancerogenesi
che
passa
attraverso
que-‐
ste
lesioni
serrate9,
che
differiscono
dagli
adenomi
non
solo
per
la
modalità
di
crescita
ma
anche
per
le
ca-‐
ratteristiche
molecolari.
Secondo
la
classificazione
WHO,
le
lesioni
serrate
del
colon
sono
classificate
in
tre
categorie:
a. polipi
iperplastici:
sono
lesioni
benigne
prive
di
displasia,
b. polipi/adenomi
di
tipo
serrato
sessile
(rispettivamente
senza
o
con
displasia),
c. adenoma
serrato
tradizionale.
a.
Polipi
iperplastici
I
polipi
iperplastici
rappresentano
i
polipi
più
comuni,
soprattutto
nel
colon
distale
e
nel
retto.
Si
riscontra-‐
no
con
frequenza
maggiore
dopo
i
40
anni
con
prevalenza
nel
sesso
maschile
(se
sono
osservati
nei
bambini
bisogna
pensare
a
qualche
altra
patologia).
Sono
lesioni
di
piccole
dimensioni
(pochi
millimetri,
di
solito
meno
di
5
mm),
asintomatiche,
scoperte
inci-‐
dentalmente
con
colonscopia,
e
prive
di
significato
clinico;
infatti
dal
punto
di
vista
istologico
non
hanno
significato
preneoplastico,
in
quanto
sono
privi
di
displasia,
ma
dal
punto
di
vista
fisiopatologico
hanno
un
significato
di
possibile
sviluppo
di
una
cancerogenesi.
8
Se
i
margini
non
sono
liberi
ma
su
questi
si
riscontra
displasia
a
basso
grado
si
può
evitare
di
fare
l’emicolectomia
e
si
fa
solamente
follow-‐up.
9
Libro:
in
particolare
il
“pathway
serrato”
riconosce
negli
AS
(adenomi
serrati)
e
negli
ASS
(adenomi
ser-‐rati
sessili)
le
lesioni
precorritrici
di
quei
carcinomi
colon-‐rettali
sporadici
(non-‐HNPCC)
che
sono
associati
a
instabilità
dei
micro-‐
satelliti.
All’endoscopia
appaiono
come
noduli
di
piccole
dimensioni
a
superficie
liscia,
frequentemente
multipli;
si
osservano
frequentemente
nel
colon
sinistro.
Da
un
punto
di
vista
microscopico:
• il
polipo
è
formato
da
cripte
al-‐
lungate
delimitate
da
cellule
epi-‐
teliali
a
configurazione
pseudo-‐
papillare,
costituite
a
loro
volta
da
cellule
epiteliali
ipermature
con
goblet
cells,
• le
cripte
sono
diritte
e
regolari,
• c’è
molto
muco:
la
perdita
di
muco
sarebbe
segno
di
displasia,
• le
cellule
della
parte
profonda
delle
cripte
possono
essere
pro-‐
liferanti
ma
la
maturazione
in
superficie
è
mantenuta.
Non
ha
nessun
significato
maligno.
b.
Polipi/adenomi
di
tipo
serrato
sessile
I
polipo/adenomi
di
tipo
sessile
sono
lesioni
serrate
identificate
circa
10
anni
fa
come
diverse
dai
polipi
iperplastici
per
le
dimensioni
maggiori,
e
la
localizzazione
prevalente
nel
colon
prossimale
(destro).
Infatti
sono
di
dimensioni
variabili
e
spesso
misurano
alcuni
cm
(sono
grandi
al
contrario
delle
lesioni
iper-‐
plastiche);
come
suggerisce
il
nome
sono
sempre
sessili
e
possono
non
presentare
o
presentare
la
displa-‐
sia:
si
chiamano
rispettivamente
polipo
(è
simile
a
un
grande
polipo
iperplastico)
o
adenoma.
Da
un
punto
di
vista
microscopico
si
osservano:
• cripte
più
irregolari,
disorganizzate
e
disorien-‐
tate:
sono
dilatate
alla
base
e
orientate
oriz-‐
zontalmente,
• alterazione
del
gradiente
maturativo:
persisto-‐
no
nella
parte
distale
delle
cripte
cellule
prolife-‐
ranti
e
atipiche,
con
nuclei
grandi
e
nucleolati,
e
mitosi;
• displasia
(non
sempre;
è
la
cosa
più
importante
è
cercare):
ghiandole
con
pochissimo
muco,
stratificazione
dei
nuclei,
presenza
di
mitosi.
Questi
sono
i
segni
della
displasia
tradizionale
(o
adenomatosa).
L’adenoma
di
tipo
serrato
sessile
potrebbe
essere
il
precursore
del
carcinoma
del
colon
destro,
che
ha
in-‐
fatti
una
morfologia
particolare
e
forse
deriva
da
questa
seconda
via
di
cancerogenesi
del
colon
(gli
adenomi
so-‐
no
principalmente
del
colon
sinistro).
c.
Adenoma
serrato
tradizionale
L’adenoma
serrato
tradizionale
è
una
lesione
tipicamente
grande
e
peduncolata;
presente
di
solito
nel
colon
sinistro.
E’
raro
e
caratterizzato
da
un
punto
di
vista
istologico
da:
• una
configurazione
villiforme,
con
crip-‐
te
sono
irregolari
e
iperplastiche,
• una
crescita
irregolare
e
affollata
di
cellule
con
citoplasma
intensamente
eosinofilo,
• molto
muco.
La
displasia
può
essere
di
tipo
tradizionale
(adenomatosa)
o
di
tipo
serrato,
che
è
più
peri-‐
colosa.
CARCINOMA
DEL
COLON-‐RETTO
Il
carcinoma
del
colon
retto
(CRC)
è
un
tumore
maligno
delle
ghiandole
intestinali
del
colon-‐retto.
Le
prin-‐
cipali
sedi
di
metastasi
sono
il
fegato
e
il
polmone.
CANCEROGENESI
Il
CRC
rappresenta
lo
progressione
di:
• una
lesione
displastica
(adenoma
classico
tubulo-‐villosi
con
displasia
di
basso/alto
grado),
• una
lesione
iperplastica
con
potenziale
di
trasformazione
neoplastica.
Si
è
capito
infatti
che
la
cancerogenesi
colica
è
un
processo
multistep,
in
cui
ogni
stadio
è
caratterizzato
dall’acquisizione
di
una
mutazione
e
dalla
conseguente
evoluzione
del
quadro
morfologico
(c’è
corrispon-‐
denza
tra
morfologia
e
biologia
molecolare);
inoltre,
sta
emergendo
che
questo
processo
non
presenta
una
via
unica:
basti
pensare
alle
differenze
tra
gli
adenomi
classici
e
quelli
serrati.
Nel
dettaglio,
sono
state
identificate
due
vie
della
cancerogenesi:
• una
“tradizionale”,
associata
a
instabilità
cromosomica
e
a
mutazione
somatica
del
gene
APC
(ge-‐
ne
della
poliposi
adenomatosa
familiare)
e
di
p53.
Questa
è
la
via
“percorsa”
soprattutto
dalle
le-‐
sioni
del
colon
sinistro,
che
da
adenomi
classici
(tubulo-‐villosi,
tubulari,
villosi)
si
trasformano
in
un
adenocarcinoma
moderatamente
differenziato;
Gallo 08.qxd 29-09-2007 20:00 Pagina 563
a b c d
Membrana basale
FIGURA 8.62 Modificazioni fenotipiche che conducono allo sviluppo di NiN (= adenoma = colociti displastici): a) cripta norma-
le; b) cripta iperplastica (compartimento proliferativo espanso); c) cripta aberrante con colociti proliferanti visibili allo sbocco
della cripta; d) adenoma con strutturazione tubulare (sinistra) o villosa (destra). La diffusione (non mostrata in figura) degli epi-
teli displastici oltre la membrana basale realizza il quadro della neoplasia invasiva, potenzialmente metastatica. La NiN è as-
sociata a inattivazione di APC. La inattivazione può conseguire a: 1) mutazione germinale (poliposi adenomatosa familiare);
2) mutazione somatica (carcinoma sporadico); 3) ipermetilazione del promotore (modificazione epigenetica); 4) mutazione di
Kras. Nella NiN di alto grado (generalmente associata a adenomi di più grandi dimensioni), le alterazioni molecolari già elen-
cate si associano a mutazioni di p53 e SMAD4.
• una
associata
a
instabilità
microsatellitare,
che
viene
“percorsa”
soprattutto
dalle
lesioni
del
colon
• Le cripte aberranti sono alterazioni iper-rigenerative tizzante) e progressivamente si estende ai piani parieta-
di
destra,
caratterizzate
dal
fenotipo
dei
polipi
serrati.
Queste
lesioni
evolvono,
senza
passare
at-‐
delle ghiandole intestinali documentabili con cro- li più profondi.
traverso
l’adenoma
classico,
in
un
carcinoma
mucinoso,
che
produce
molto
più
muco
di
un
carci-‐
moendoscopia (colorazione vitale eseguita durante Descritte le alterazioni fenotipiche “di base”, resta da
l’esame endoscopico; consente di differenziare aree associare a ciascuna di esse il background molecolare nel
noma
mucoseclassico,
è
solitamente
con differente scarsamente
affinità per differenziato,
il cromogeno). Il e
caratterizzato
quale maturano.Varie da
un
alterazioni infiltrato
sono
molecolari infiamma-‐
state
torio
linfocitario.
cromogeno dà risalto alle cripte aberranti che ap- associate a ciascuna delle lesioni morfologiche iscritte
paiono come isole di sbocchi ghiandolari irregolari e nello spettro delle precancerosi e dei CRC; di esse sarà
protrudenti rispetto al piano mucoso. Le cripte aber- dato conto in un paragrafo dedicato.
ranti, accreditate come la più precoce delle lesioni L’accoppiamento fenotipo-genotipo è credibile nelle
precancerose, sono espressione di alterato turnover de- sue linee generali, ma la letteratura propone non poche
gli epiteli ghiandolari, più proni alla rigenerazione discrepanze nell’associazione di specifiche alterazioni
che all’involuzione per apoptosi o anoikis (morte molecolari a specifiche alterazioni istologiche. La varia-
In
questo
caso
sono
mutati
(o
meglio
silenziati
a
causa
di
meccanismi
di
ipermetilazione)
i
geni
del
sistema
del
mismatch
repair
(uno
dei
sistemi
del
riparo
del
DNA)
la
cui
mancata
funzione
è
alla
ba-‐
se
dell’instabilità
microsatellitare.
Le
mutazioni
somatiche
sequenziali
che
caratterizzano
queste
vie
(insorte
verosimilmente
a
causa
della
esposizione
ad
agenti
mutageni),
in
alcuni
casi
insorgono
nelle
cellule
della
linea
germinale
e
possono
es-‐
sere
ereditate,
causando
l’insorgenza
di
sindromi
familiari10,
che
si
possono
manifestare
con
il
carcinoma
del
colon
ed
eventualmente
altri
segni
e
sintomi.
SINDROMI
FAMILIARI
Quindi
il
carcinoma
del
colon
può
essere:
• sporadico
(60-‐80%),
associato
a
mutazioni
somatiche.
Si
parla
di
tumore
sporadico
quando
non
ci
sono
altri
casi
nella
famiglia
e
quando
non
sono
presenti
elementi
che
suggeriscano
una
natura
ereditaria;
• familiare
(20-‐30%).
Si
parla
di
tumore
familiare
quando
l'individuo
che
ha
sviluppato
il
tumore
ha
parenti
di
I
grado
(genitore,
fratello/sorella;
figlio/a)
affetti
dallo
stesso
tipo
di
tumore;
• ereditario
(5%),
associato
a
mutazioni
genetiche
germline
che
causano
sindromi
familiari
()si
parla
di
tumore
ereditario
quando
in
una
famiglia,
la
predisposizione
a
sviluppare
un
tumore
è
legata
a
una
mutazione
genetica
che,
tramandata
da
una
generazione
alla
successiva,
conferisce
la
suscetti-‐
bilità
alla
malattia).
Ricordiamo
le
forme
principali:
o la
poliposi
adenomatosa
familiare
(FAP,
1%),
causata
da
una
mutazione
germinale
del
gene
APC
e
caratterizzata
dalla
presenza
di
polipi
adenomatosi,
che
percorrono
la
via
della
cancerogenesi
“tradizionale”.
Da
un
punto
di
vista
clinico
si
osservano
sono
migliaia
di
polipi
adenomatosi
nel
colon
(ne
servono
più
di
100
per
porre
diagnosi);
si
tratta
con
la
colectomia
totale
profilat-‐
tica
(perché
il
rischio
di
insorgenza
di
cancro
è
del
100%).
10
in
questo
caso
tutte
le
cellule
dell’organismo
presentano
la
mutazione,
che
pertanto
può
essere
riscontrata
anche
in
biopsie
di
tessuto
normale
Le
sue
varianti
sono:
§ la
FAP
attenuata,
caratterizzata
da
un
numero
di
adenomi
inferiore
(in
media
30),
localiz-‐
zati
soprattutto
nel
colon
prossimale.
Poiché
il
rischio
di
evoluzione
in
CRC
è
più
basso
(del
50%
circa)
la
decisione
della
colectomia
profilattica
si
basa
su
valutazioni
cliniche,
§ la
sindrome
di
Gardner,
caratterizzata
da
polipi
intestinali
identici
a
quelli
della
FAP
(la
mutazione
è
la
stessa),
ma
associata
ad
altre
manifestazioni
sistemiche:
ü osteomi
multipli
(mandibola,
cranio
e
ossa
lunghe),
sono
neoplasie
benigne
multiple
dell’osso,
sintomatiche
o
asintomatiche
ü
cisti
epidermoidali
cutanee,
lesioni
della
cute:
sono
cisti
benigne
ripiene
di
cherati-‐
na,
ü fibromatosi,
lesioni
dei
tessuti
molli
(muscolo
striato,
tessuto
adiposo,
vasi,
connetti-‐
vo,
che
appare
bianco
e
compatto);
o la
sindrome
di
Lynch
(carcinoma
colon-‐rettale
ereditario
non
poliposico,
HNPCC):
è
la
causa
più
frequente
di
CRC
ereditario
(2-‐3%).
E’
una
sindrome
causata
da
una
mutazione
germinale
ad
almeno
uno
dei
geni
del
sistema
del
mismatch
repair
(MMR).
Si
tratta
di
geni
riparatori
(hMSH2,
hMLH1,
hPMS2,
hMSH6;
vengono
persi
in
coppia)
implicati
nel
processo
di
controllo
del
DNA
in
replicazione:
la
loro
mutazione
si
manifesta
con
il
“sintomo
molecolare”
patognomonico
nell’instabilità
microsatellitare
E’
caratterizzata
da
adenomi
piatti
(non
poliposici),
che
percorrono
la
via
della
cancerogenesi
associata
a
instabilità
microsatellitare,
quindi
che
si
trasformano
in
carcinomi
mucinosi
(o
con
aspetti
a
cellule
ad
anello
con
castone)
con
intenso
infiltrato
linfocitario
.
La
morfologia
dell’adenoma
può
essere
una
spia
della
malattia:
quindi
un
carcinoma
mucinoso,
con
infiltrato
infiammatorio,
che
esordisce
in
età
giovanile
deve
far
venire
il
sospetto
clinico;
la
conferma
si
ha
con
l’immunoistochimica
contro
le
proteine
del
MMR11,
che
permette
di
vede-‐
re
se
il
gene
è
mutato,
senza
dover
ricorrere
al
test
genetico.
Questa
patologia
si
associa
anche
ad
altri
tumori
a
carico
di
endometrio,
ovaio,
stomaco,
vie
biliari,
etc.
ADENOMA
A
RISCHIO
DI
ADENOCARCINOMA
Come
già
detto,
l’adenoma
rappresente
nella
maggior
parte
dei
casi
il
precursore
dell’adenocarcinoma;
il
rischio
di
trasformazione
è
variabile
e
dipende
da:
• dimensioni,
più
è
grande
più
è
preoccupante
(al
di
sotto
di
1
cm
il
rischio
è
basso),
• architettura
istologica:
il
rischio
di
carcinoma
è
relativamente
basso
per
i
tubulari
e
più
alto
per
quelli
villosi.
Quindi,
il
rischio
è
bassissimo
negli
adenomi
tubulari
inferiori
di
1
cm
di
diametro,
in-‐
vece
è
alto
(circa
il
40%)
negli
adenomi
sessili
villosi
con
diametro
superiore
ai
4
cm;
• gravità
della
displasia:
il
rischio
di
evoluzione
di
una
displasia
di
basso
grado
è
basso,
invece
per
le
displasie
di
alto
grado
è
praticamente
certa
l’evoluzione
in
una
neoplasia
infiltrante:
bisogna
pren-‐
dere
iniziative
subito.
La
displasia
di
alto
grado,
quando
presente
si
trova
spesso
nelle
aree
villose.
11
Questa
instabilità
microsatellitare
oggi
viene
ricercata
in
diversi
tipi
di
tumori
e
non
solo
in
quelli
del
co-‐
lon
perché
si
è
visto
che
sapere
se
c’è
o
non
c’è
modifica
la
prognosi
e
la
terapia.
Il
test
per
identificare
tale
instabilità
è
sia
di
tipo
immunoistochimico
che
di
tipo
molecolare,
ma
non
è
parte
integrante
della
diagnosi
e
viene
chiesto
solo
nel
caso
ci
sia
necessità
di
una
terapia
specifica.
ASPETTO
MACROSCOPICO
L’aspetto
macroscopico
del
CRC
dipende:
• dallo
stadio
in
cui
lo
si
intercetta:
le
forme
iniziali
hanno
un
aspetto
sovrapponibile
a
quello
degli
adenomi,
• dalla
sede
(per
gli
stadi
avanzati):
o il
CRC
del
colon
destro
(che
è
caratterizzato
da
un
ampio
lume)
si
manifesta
in
stadio
avanzato
con
una
massa
esofitica,
vegentante
e
ulcerata;
i
sintomi
principali
sono
l’anemia
sideropenica
e
la
presenza
di
sangue
occulto
nelle
feci,
o il
CRC
del
colon
sinistro
(il
cui
lume
è
più
stretto
in
stadio
avanzato
ha
un
aspetto
infiltrativo
e
stenosante
(anulare);
i
sintomi
principali
sono
l’enterorragia
e
l’alterazione
dell’alvo.
• dalla
lesione
preinvasiva,
che
può
essere
piatta
o
polipoide,
adenomatosa
o
serrata;
un
CRC
che
nasce
su
una
lesione
adenomatosa
polipoide
ha
una
morfologia
diversa
rispetto
ad
un
che
nasce
su
una
lesione
piatta,
• dall’istotipo,
CLASSIFICAZIONE
ISTOLOGICA
Esistono
molte
varianti
del
CRC,
ma
nel
99%
dei
casi
si
osservano
adenocarcinomi.
Le
varianti
del
CRC
sono:
• l’adenocarcinoma
classico:
è
l’adenocarcinoma
colico
tradizionale
che
cresce
formando
ghiandole,
insorge
soprat-‐
tutto
nel
colon
di
sinistra
e
rappresenta
l’evoluzione
dell’adenoma
(in
questa
cate-‐
goria
rientra
la
maggior
parte
dei
tumori
del
colon);
• l'adenocarcinoma
mucinose
o
colloide
(con
prevalenza
di
muco
extracellulare;
v.
fig.):
in
questa
variante
più
del
50%
del
tumore
produce
muco.
E’
localizzato
più
frequentemente
a
destra
e
spesso
associato
a
instabilità
microsa-‐
tellitare;
• l’adenocarcinoma
con
cellule
ad
anello
con
castone
(con
prevalenza
di
muco
intracellulare):
in
questa
variante
più
del
50%
delle
cellule
ha
un
aspetto
di
cellula
ad
anello
con
castone.
Va
indicato
perché,
come
nello
stomaco,
è
molto
aggressivo
e
infiltrante;
in
genere
il
patologo
an-‐
che
se
le
cellule
non
sono
il
50%
indica
lo
stesso
questa
caratteristica;
che,
al
di
fuori
dello
stomaco,
di
solito
è
legata
a
instabilità
microsatellitare;
• il
carcinoma
squamoso,
predilige
la
parte
distale,
quindi
la
giunzione
anale
squamo-‐colonnare,
e
raramente
insorge
nel
retto
(i
carcinomi
del
canale
anale
sono
anche
essi
molto
rari
e
solitamente
causati
da
HPV);
• il
carcinoma
midollare:
è
un
carcinoma
poco
differenziato,
con
ricco
infiltrato
infiammatorio,
lega-‐
to
a
mutazioni
dei
geni
del
MMR
e
che
insorge
soprattutto
nel
colon
di
destra:
come
il
carcinoma
mucinoso,
si
può
associare
alla
sindrome
di
Lynch.
STADIAZIONE
La
stadiazione
della
T
del
carcinoma
del
colon
è
basata
sulla
profondità
dell’infiltrazione:
• pTis:
carcinoma
in
situ
o
displasia
di
alto
grado:
il
tumore
è
tutto
intramucoso,
• pT1:
il
tumore
invade
la
sottomucosa,
• pT2:
il
tumore
invade
la
muscolatura,
• pT3:
il
tumore
invade
i
tessuti
peri-‐colonrettali
(tessuto
connettivo
pericolico
sottostante
la
muscolare,
che
risponde
all’invasione
con
una
reazione
desmoplastica),
• pT4a:
il
tumore
infiltra
il
peritoneo
viscerale
(c’è
una
perforazione
della
sierosa
e
il
tumore
è
libero
di
crescere
nel
peritoneo).
Questo
stadio
non
è
attribuibile
ai
tumori
che
crescono
in
quei
segmenti
di
parete
colica
non
rive-‐
stita
da
peritoneo;
infatti
il
colon
non
è
tutto
ricoperto
dal
peritoneo:
il
trasverso,
il
cieco
e
il
sigma
sono
tutti
intraperitoneali
(A),
invece
il
colon
destro
e
sinistro
sono
ricoperti
solo
anteriormente
e
lateralmente
dal
peritoneo
(posteriormente12
c’è
tessuto
adiposo,
che
è
abbastanza
lasso
nel
colon
destro,
e
più
rigido
nel
colon
sinistro)
(B),
e
il
retto
medio-‐inferiore
è
sottoperitoneale
(C).
Quindi
in
questi
distretti
non
ricoperti
da
peritoneo
un
tumore
che
cresce
passa
da
pT3
a
pT4b,
• pT4b:
infiltrazione
di
altri
organi
e
strutture.
Si
procede
con
la
stadiazione
della
N:
infatti
nelle
resezioni
coliche
sono
presenti
anche
i
linfonodi
locore-‐
gionali,
che
devono
essere
ricercati
nel
tessuto
adiposo
pericolico
e
studiati.
Più
linfonodi
presentano
dis-‐
seminazione,
più
la
malattia
è
avanzata;
una
stadiazione
del
colon
appropriata
per
N
deve
presentare
al-‐
meno
12
linfonodi.
Bisogna
inoltre
anche
studiare
lo
stato
dei
margini
che
possono
essere
liberi
(R0)
o
positivi
(R1):
il
patolo-‐
go,
oltre
a
esaminare
il
margine
destro
e
il
margine
sinistro,
deve
esaminare
attentamente
anche
il
terzo
margine,
situato
in
corrispondenza
della
parete
posteriore
del
pezzo
chirurgico,
che
è
formato
da
perito-‐
neo
se
è
stato
resecato
un
segmento
colico
intraperitoneale,
e
da
tessuto
adiposo
pericolico,
se
è
stato
re-‐
secato
un
segmento
retroperitoneale.
GRADING
Un
importante
fattore
prognostico
che
deve
essere
valutato
dal
patologo
durante
l’esame
microscopico
è
il
grado
(G),
che
è
definito
dalla
similitudine
tra
le
strutture
neoplastiche
e
le
ghiandole
coliche
native,
ovvero
dalla
capacità
della
neoplasia
di
formare
le
ghiandole
(meno
ghiandole
fa,
meno
è
differenziato)
e
dall’atipia
nucleare.
Si
usa
per
l’adenocarcinoma
classico
la
seguente
scala:
• G1:
tumore
ben
differenziato,
• G2:
tumore
moderatamente
differenziato,
• G3:
tumore
scarsamente
differenziato,
• G4:
tumore
totalmente
indifferenziato:
non
si
usa
mai,
perché
una
differenziazione
minima
è
sem-‐
pre
presente
(se
non
alla
morfologia
almeno
l’immunoistochimica);
è
un
tumore
che
non
ha
nessu-‐
na
somiglianza
con
l’adenocarcinoma,
può
avere
un
aspetto
sarcomatoso.
Le
varianti
midollare
e
con
cellule
ad
anello
con
castone
sono
per
definizione
sempre
di
alto
grado.
12
Il
margine
ricoperto
da
peritoneo
è
definito
margine
anatomico,
mentre
dove
non
ho
peritoneo
è
definito
margine
chirurgico.
TUMORE
DEL
RETTO:
RUOLO
DEL
PATOLOGO
Sta
cambiando
molto
il
trattamento
del
tumore
del
retto,
con
l’obiettivo
realizzare
interventi
sempre
meno
demolitivi;
l’intervento
di
amputazione
del
retto
per
via
addomino-‐perineale
con
posizionamento
di
stomia
permanente
è
sempre
meno
effettuato:
si
tende
a
optare
per
un
intervento
meno
demolitivo,
che
risparmi
il
canale
anale,
preceduto
da
chemioterapia
e
radioterapia
neoadiuvanti,
che
hanno
l’obiettivo
di
far
rim-‐
piccolire
il
tumore
e
facilitarne
l’asportazione
completa.
In
questo
caso
è
di
grande
impatto
clinico
la
valu-‐
tazione
del
pezzo
chirurgico
in
sede
macroscopica
e
microscopica,
volta
a
confermare
che
tutto
il
tumore
sia
stato
asportato
dalla
pelvi.
In
caso
di
asportazione
del
retto,
il
pezzo
chirurgico
giunge
all’anatomia
patologica
a
fresco,
senza
essere
messo
in
formalina13
e
si
procede
subito
con
l’esame
macroscopico,
volta
a
valutare
lo
stato
del
mesoretto.
In
particolare,
durante
l’esame
macroscopico:
• il
pezzo
chirurgico
deve
essere
valutato
a
fresco,
chiuso
e
non
frammentato,
• il
mesoretto
integro
appare
come
un
cilindro
di
tessuto
adiposo
attorno
alla
parete
rettale
con
su-‐
perficie
lucida,
liscia
e
senza
discontinuità;
in
questo
tessuto
appaiono
aree
bianche
che
possono
essere
lo
stroma
desmoplastico
(quindi
un
indizio
di
interessamento
del
mesoretto)
o
fibrosi
reatti-‐
va
post-‐attinica
(causata
dalla
radioterpia
neoadivuante):
la
diagnosi
differenziale
non
è
facile
all’esame
macroscopico,
• il
mesoretto
viene
giudicato
non
integro
quando
la
superficie
è
irregolare
o
addirittura
presenta
di-‐
scontinuità
che
rendono
visibile
la
tonaca
muscolare
(la
resezione
in
questo
punto
potrebbe
essere
non
completa,
quindi
potremmo
non
aver
asportato
totalmente
la
lesione,
oppure
da
qui
la
lesione
può
essere
affiorata
verso
la
superficie).
Il
pezzo
chirurgico
viene
quindi
spennellato
con
l’inchiostro
di
china
(che
resiste
ai
processi
di
fissazione),
per
studiare
poi
i
margini
in
sede
microscopica,
aperto
longitudinalmente
e
tagliato
in
sezioni
trasversali14
di
3-‐4
mm
che
vengono
incluse
in
macrosezioni15.
All’esame
microscopico
bisogna
analizzare
il
margine
circonferenziale
(CRM)
e
vedere
se
il
tumore
è
a
con-‐
tatto
con
la
china
(ovvero
con
il
margine
chirurgico):
• se
c’è
questo
contatto
si
può
affermare
con
certezza
che
il
margine
è
interessato
(R1)
e
che
quindi
con
l’intervento
il
tumore
non
è
stato
asportato
del
tutto;
13
Questo
vale
per
Torrette
in
cui
le
sale
operatorie
sono
vicine
all’anatomia
patologica
14
Si
fanno
delle
sezioni
trasversali
dove
c’è
l’ulcera
e
nel
tessuto
circostante,
e
di
tutto
il
retto
perché
altrimenti
ci
vor-‐
rebbero
almeno
15
sezioni
15
Nel
retto
(ma
anche
per
esempio
nel
pancreas,
nel
cervello,
nella
prostata;
cioè
laddove
serve
vedere
i
margini
e
i
rapporti
delle
lesioni
con
i
tessuti
circostanti),
si
usa
la
tecnica
delle
macrosezioni,
invece
di
frammentare
il
preparato
in
blocchetti
più
piccoli,
per
mantenere
il
preparato
intero
e
osservarne
il
margine
circonferenziale.
• in
generale
una
distanza
tra
la
neoplasia
infiltrante
e
il
CRM
inferiore
ai
2
mm
è
associata
a
un
ri-‐
schio
molto
alto
di
recidive
locali
(es.
una
neoplasia
che
dista
1
mm
dal
margine
ha
un
rischio
di
re-‐
cidiva
altissimo
pur
non
essendoci
un’infiltrazione
reale).
Occorre
pertanto
misurare
questa
distan-‐
za
che
correla
con
il
rischio
di
recidiva.
Se
è
stata
effettuata
la
terapia
neoadiuvante
(volta
a
far
ridurre
le
dimensioni
del
tumore),
in
sede
micro-‐
scopica
è
utile
anche
osservare
l’entità
della
fibrosi:
infatti
dove
il
tumore
si
riduce
compare
la
fibrosi;
così,
orientativamente,
si
riesce
a
capire
quanto
la
neoplasia
fosse
estesa,
di
quanto
si
sia
ridotta,
quindi
quanto
abbia
risposto
al
trattamento
neoadiuvante.
In
sintesi,
in
base
alla
fibrosi
si
stabilisce
uno
score
di
regres-‐
sione,
indicativo
della
risposta
del
tumore
alla
terapia.
TERAPIA:
RUOLO
DEL
PATOLOGO
La
scelta
della
terapia
dipende
dalle
informazioni
fornite
dal
patologo:
presenza
di
infiltrazione,
invasione
linfovascolare,
variante
istologica,
stadiazione
pTN,
grading,
stato
dei
margini.
Inoltre,
soprattutto
se
sono
presenti
metastasi,
il
pa-‐
tologo
può
fornire
informazioni
molecolari
in
base
alle
quali
si
vede
se
sono
indicati
alcuni
farmaci;
infatti
lo
studio
delle
mutazioni
del
CRC
metastatico
ha
per-‐
messo
negli
ultimi
anni
di
ampliarne
la
farmacopea.
Nel
dettaglio,
nei
pazienti
con
tumori
in
stato
avanza-‐
to
si
studia
lo
stato
mutazionale
di
k-‐RAS:
se
esso
è
wild
type,
il
tumore
è
sensibile
alla
terapia
con
inibi-‐
tori
dell’EGFR
(cetuximab,
panitumumab);
per
studia-‐
re
k-‐RAS
si
estrae
il
DNA
da
un
campione
che
conten-‐
ga
almeno
il
70%
tessuto
tumorale
(primitivo
o
meta-‐
statico),
e
si
fa
l’amplificazione
del
gene.
8.
TUMORI
NEUROENDOCRINI
(NET):
GENERALITA’
E
NET
DEL
TRATTO
GE
I
tumori
neuroendocrini
(NET)
sono
neoplasie
relativamente
rare,
ma
importanti
soprattutto
nell’ambito
delle
diagnosi
differenziale.
Vengono
trattati
nel
contesto
dell’apparato
digerente
(tratto
gastro-‐enterico),
perché
i
NET
di
questo
distretto
sono
i
più
frequenti
ma
possono
insorgere
in
qualsiasi
distretto
corporeo.
La
storia
delle
neoplasie
neuroendocrine
è
travagliata:
la
classificazione
non
è
ancora
omogenea,
concorde
(per
esempio
nella
definizione
del
grading
e
dello
staging)
e
del
tutto
corrispondente
alla
clinica.
Sono
stati
studiati
e
classificati
principalmente
in
modo
“organo-‐specifico”
e
in
passato
venivano
trattati
con
gli
stessi
schemi
terapeutici
dei
principali
tumori
dell’organo
in
cui
insorgevano
(il
NET
del
polmone
veniva
trattato
come
se
fosse
un
adenocarcinoma
o
un
carcinoma
squamocellulare,
e
così
via).
La
diagnosi
richiede
come
condizione
necessaria
e
sufficiente
la
conferma
isto-‐patologica;
ma
non
è
suffi-‐
ciente
l’approccio
morfologico
(EE):
occorrono
metodiche
ancillari
(immunoistochimica).
L’ultima
classificazione
è
del
2010
e
nel
2017
è
realizzato
un
aggiornamento.
In
questi
anni
c’è
stato
un
gran
fervore
di
studi
e
ricerche
che
hanno
permesso
di
migliorare
la
conoscenza
di
questi
tumori.
CELLULE
NEUROENDOCRINE
E
SISTEMA
NEUROENDOCRINO
DIFFUSO:
STORIA
E
DEFINIZIONI
Le
cellule
neuroendocrine
sono
cellule
che
producono
sostanze
bioattive
(bioammine,
ormoni
peptidici)
che
vengono
liberate
nel
sangue;
sono
morfologicamente
simili
a
quelle
endocrine
che
si
trovano
in
alcuni
organi
e
devono
il
loro
nome
a
un’ipotesi
(smentita)
che
le
faceva
originare
tutte
dalle
creste
neurali
(con-‐
dividono
però
alcune
caratteristiche
con
le
cellule
nervose).
• La
storia
di
queste
cellule
nasce
da
Kultschitsky,
un
istologo
del
XIX
sec.
che,
studiando
le
ghiandole
mucosali
dell’intestino,
identificò
alcune
cellule
con
una
polarizzazione
diversa
e
che
riversano
i
se-‐
creti,
non
nel
lume
ghiandolare,
ma
verso
la
membrana
basale
ed
i
capillari.
Queste
cellule
sono
state
poi
chiamate
con
vari
nomi
(enterocromaffini
o
argentaffini,
per
la
loro
capacità
di
legare
e
ri-‐
durre
sali
di
cromo
e
argento,
cellule
di
Kultschitsky,
…)
e
distinte
esclusivamente
in
base
all’aspetto
morfologico.
• Nel
1907
il
patologo
tedesco
Oberdofer
coniò
la
parola
carcinoide
per
descrivere
un
tumore
dell’intestino
composto
da
nidi
di
cellule
solide
(piccole
cellule
spar-‐
se),
peculiarità
che
lo
distingueva
dagli
altri
tumori.
• Nel
1914
Pierre
Masson
affermò
che
le
cellule
neuroen-‐
docrine
ed
i
carcinoidi
erano
la
stessa
cosa,
ovvero
che
i
carcinoidi
del
tubo
gastroenterico
erano
formati
da
cel-‐
lule
neuroendocrine.
• Negli
anni
’60-‐’70
le
cellule
del
sistema
neuroendocrino
sono
state
identificate
in
tutti
i
tipi
di
mucose
(intesti-‐
no,
polmone,
ecc.),
e
si
è
visto
che
hanno
polarità
verso
la
base
della
cellula
e
che
possiedono
granuli
secretori
citoplasmatici,
detti
granuli
argentaffini
o
argirofili
(a
causa
della
loro
affinità
per
le
colorazioni
all’argento),
e
caratterizzati
da
un
core
denso
visibile
al
microscopio
elettronico.
• Nel
1963
Williams
classificò
i
tumori
neuroendocrini
del
tratto
GI
sulla
base
della
loro
derivazione
embriologica,
ovvero
a
seconda
delle
tre
zone
dell’intestino
primitivo
in
cui
originavano
(superiore,
medio
e
inferiore).
• Grazie
a
Pearse
e
Pollak
si
passò
poi
al
nome
“sistema
APUD”
(Amine
Precursor
Uptake
and
Decar-‐
boxylation),
in
riferimento
alla
capacità
di
queste
cellule
di
captare
e
decarbossilare
i
precursori
del-‐
le
bioamine.
Questa
denominazione
deriva
da
studi
di
immunoistochimica
ed
è
stata
abbandonata
da
tempo.
Oggi
si
definisce
sistema
neuroendocrino
diffuso
l’insieme
di
singole
cellule
endocrine
disseminate
nel
con-‐
testo
di
tessuti
epiteliali
non
endocrini;
sono
cellule
di
derivazione
dalla
cresta
neurale
(es.
cellule
di
Mer-‐
kel,
cellule
C
della
tiroide)
o
dall’endoderma
(cellule
neuroendocrine
del
tratto
gastroenterico).
Il
sistema
neuroendocrino
diffuso
non
è
apprezzabile
né
macroscopicamente,
in
quanto
le
cellule
che
lo
compongono
non
formano
un
organo
isolato,
né
al
microscopio
ottico
con
metodiche
convenzionali
(EE):
poiché
queste
cellule
sono
poche,
sparse
e
convengono
granuli
piccoli;
pertanto
per
il
risconoscimento
di
cellule
neuroendocrine
è
indispensabile
l’immunoistochimica.
TUMORI
NEUROENDOCRINI
(NET):
GENERALITA’
E
DIAGNOSI
I
tumori
neuroendocrini
sono
neoplasie
con
differenziazione
neuroendocrina
che
originano
nella
maggior
parte
degli
organi.
• Sono
particolarmente
descritti
nel
tubo
gastroenterico,
pancreas
e
polmone.
Possono
originare
anche
a
livello
urogenitale
(vescica,
prostata,
ovaio,
utero),
nel
timo
(ed
in
questo
caso
si
associano
a
quelli
del
polmone)
e
nella
cute
(carcinoma
a
cellule
di
Merkel).
• Alcune
delle
caratteristiche
cliniche
e
patologiche
sono
proprie
dell’organo
di
origine
altre
sono
comuni
a
tutte
le
neoplasie
neuroendocrine.
• Esistono
forme
ben
differenziate
(benigne)
e
forme
scarsamente
differenziate
(che
sono
veri
e
propri
carcinomi,
possono
avere
anche
un
comportamento
aggressivo).
La
malignità
è
variabile:
possono
essere
benigni,
maligni
o
a
potenziale
di
malignità
incerto;
la
maggior
parte
di
questi
tu-‐
mori
è
clinicamente
benigna.
• I
sistemi
di
grading,
staging
e
classificazione
sono
stati
sviluppato
dalla
WHO,
dalla
società
euro-‐
pea
di
tumori
neuroendocrini
(ENETS)
e
da
altre
società
scientifiche.
• Numerosi
studi
hanno
messo
in
evidenza
potenziali
fattori
prognostici
basati
sulla
morfologia,
l’immunofenotipo
e
la
biologia
molecolare.
ORGANO
TUMORE
COMPORTAMENTO
Ipofisi
Adenoma
Benigno/bassa
malignità
Carcinoma
(raro)
Paratiroidi
Adenoma
Benigno/malignità
bassa
o
intermedia
Carcinoma
(raro)
Tiroide
Carcinoma
midollare
Malignità
intermedia
Midollare
del
surrene
Paraganglioma
(feocromocitoma)
Benigno/bassa
malignità
Polmone
Carcinoide
tipico
Benigno/bassa
malignità
Carcinoide
atipico
Malignità
intermedia
Carcinoma
NE
a
grandi
o
a
piccole
cellule
Alta
malignità
Tratto
gastrointestinale
NET
(NE
Tumor)
-‐>
G1
o
G2
Benigno/bassa
malignità
NEC
(NE
Carcinoma)
-‐>
G3
Alta
malignità
Cute
Carcinoma
a
cellule
di
Merkel
Malignità
intermedia/alta
DIAGNOSI
Per
la
diagnosi
è
molto
importante
valutare
la
morfologia,
l’immunofenotipo
(immunoistochimica)
ed
eventualmente
la
biologia
molecolare
(per
avere
informazioni
prognostiche
più
accurate).
Si
identifica
poi
il
grading.
a.
Morfologia
Lo
studio
della
morfologia
è
più
informativo
nei
NET
ben
differenziati
(detti
carcinoidi)
che
non
in
quelli
in-‐
differenziati
(difficili
da
valutare).
Da
un
punto
di
vista
morfologico
i
NET
sono
definiti
(soprattutto
quelli):
• dal
tipo
di
crescita,
che
è
di
tipo
organoide
(cioè
organizzata)
e
può
essere
a
nidi
o
a
trabecole;
• dalla
distribuzione
della
cromatina
“sale
e
pepe”,
che
tende
cioè
a
formare
delle
zolle:
nel
nucleo
ci
sono
zolle
scure
di
cromatina
e
aree
più
chiare
in
cui
non
c’è
la
cromatina,
• dalla
produzione
di
proteine
neurosecretorie,
che
si
accumulano
nel
citoplasma
in
granuli
di
neu-‐
rosecreto
circondati
da
membrana,
non
visibili
al
microscopio
ottico
senza
immunoistochimica
(sono
troppo
piccoli),
e
ben
visibili
al
microscopio
elettronico
(sono
simili
a
quelli
evidenziabili
nei
neuroni
e
si
possono
osservare
perché
hanno
una
caratteristica
densità
se
vi
si
applica
l’osmio).
Il
citoplasma
può
essere
più
o
meno
ampio,
basofilo
o
acidofilo:
non
è
un
elemento
dirimente.
b.
Immunoistochimica
L’immunoistochimica
ha
un
ruolo
diagnostico
nell’ambito
dei
NET:
a. i
marker
neuroendocrini
generali
sono
la
cromogranina
e
la
sinaptofisina.
o La
cromogranina-‐A
colora
specificamente
i
granuli
di
neurosecreto
soprattutto
nei
tumori
ben
differenziati,
dove
sono
presenti
in
notevoli
quantità.
E’
un
marker
specifico
che
però
può
es-‐
sere
debolmente
positivo
o
negativo
nei
tumori
poco
differenziati.
o La
sinaptofisina,
così
chiamata
perché
è
stata
identificata
la
prima
volta
nelle
sinapsi,
è
diffusa
principalmente
nel
citoplasma
e
in
parte
anche
nei
granuli
(è
meno
specifica).
Ci
può
essere
un’espressione
differenziale
dei
due
marker,
ad
esempio
i
tumori
neuroendocrini
del
rene
sono
spesso
cromogranino-‐negativi
(anche
quelli
del
polmone
potrebbero
esserlo),
per
questo
vanno
fatti
sempre
entrambi
i
marker;
b. altri
marker
sono
il
CD56,
il
CD57,
che
però
sono
poco
specifici,
in
quanto
sono
positivi
in
molte
condizioni.
Vengono
utilizzati
quando
non
abbiamo
la
certezza
che
il
tumore
sia
un
NET
e
i
sono
ne-‐
gativi
sia
la
cromogranina
sia
la
sinaptofisina;
c. i
NET
esprimono
un
marker
caratteristico
di
differenziazione
epiteliale:
le
citocheratine
(CK),
la
cui
espressione
è
variabile
a
seconda
degli
organi
(non
è
sempre
positiva
nel
polmone),
d. il
patologo
dispone
anche
di
anticorpi
contro
specifici
ormoni
peptidici
o
bioamine
(non
indispen-‐
sabili
ai
fini
della
diagnosi).
Una
loro
positività
può
essere
correlata
ad
alcune
delle
manifestazioni
dei
NET,
come
la
sindrome
da
serotonina
(che
insorge
in
caso
di
secrezione
di
serotonina).
Nell
pratica
clinica:
a. l’uso
di
markers
neuroendocrini
generali
quali
cromogranina
e
sinaptofisina
è
raccomandato
nella
maggior
parte
dei
casi
e
in
particolare
è
necessario
nelle
metastasi
e
nelle
biopsie;
e. l’uso
di
marker
neuroendocrini
aggiuntivi
non
è
raccomandato
se
non
in
casi
specifici
(non
modifi-‐
ca
la
diagnosi);
f. l’uso
delle
citocheratine
non
è
consigliato
perché
non
è
di
aiuto
alla
diagnosi;
g. l’uso
di
anticorpi
contro
specifici
ormoni
non
è
in
genere
consigliato
perché
non
ha
significato
clini-‐
co.
Grading
I
NET
possono
essere
di
3
gradi:
• basso
grado
(G1),
• grado
intermedio
(G2),
• alto
grado
(G3).
I
criteri
di
definizione
cambiano
a
seconda
della
sede
anatomica;
comunque
l’identificazione
del
grado
non
è
semplice
perché,
a
differenza
dell’adenocarcinom
del
colon
per
esempio,
manca
una
struttura
anatomica
iniziale
di
riferimento
(confronto),
la
cui
alterazione
è
indicativa
di
progressiva
dedifferenziazione.
I
NET
ben
differenziati
sono
di
grado
G1
o
G2;
i
NET
scarsamente
differenziati
di
grado
G3
e
in
passato
ve-‐
nivano
chiamati
carcinomi
neuroendocrini
(NEC;
oggi
questa
definizione
è
decaduta
perché
non
tutti
i
G3
si
comportano
come
carcinomi).
I
parametri
per
definire
il
grading
sono:
• la
conta
delle
mitosi
in
2
mm2,
che
in
genere
corrispondono
a
circa
10
campi
a
forte
ingrandimento
(x
10HPF;
quindi
al
400x),
ma
non
sempre
(a
seconda
del
tipo
di
microscopio,
pertanto
l’indicazione
dell’area
in
mm2
rende
la
conta
più
riproducibile).
Si
fa
sul
vetrino
colorato
con
EE
nella
zona
mito-‐
ticamente
più
attiva
(hot
spots):
in
pratica
si
osservano
50
campi
e
si
scelgono
101;
1
Per
quanto
riguarda
il
tratto
GI,
nel
G1
le
mitosi
sono
inferiori
a
2,
nel
G2
sono
2-‐20,
nel
G3
maggiori
di
20.
2
Quindi
i
nucleoli
non
possono
essere
utilizzati
per
fare
diagnosi
di
atipia
cellulare,
caratteristica
dei
carcinomi.
• la
valutazione
della
attività
proliferativa,
con
l’anticorpo
Mib-‐1
(anche
detto
Ki67),
quindi
con
me-‐
todiche
immunoistochimiche
si
individuano
le
cellule
fuori
dalla
fase
G0,
cioè
tutte
quelle
che
si
stanno
preparando
alla
mitosi.
La
necrosi
fa
parte
solo
di
alcuni
sistemi
di
grading:
infatti
la
presenza
della
necrosi
è
importante
per
il
pol-‐
mone
e
non
per
il
tratto
gastroenterico.
Comunque,
in
tutti
i
casi
la
presenza
di
necrosi
estesa
è
indicativa
di
una
malattia
aggressiva.
Invece
l’atipia
cellulare
è
comune
e
non
ha
significato
prognostico.
Per
fare
una
buona
valutazione
bisogna
campionare
i
tumori
in
maniera
estensiva,
a
volte
anche
in
maniera
completa,
perché
i
NET
possono
essere
eterogenei:
un
tumore
apparentemente
di
a
basso
grado
potrebbe
presentare
spots
di
cellule
ad
altro
grado
di
malignità
(che
vanno
individuate
per
evitare
un
errore
diagno-‐
stico
molto
grave).
Quindi
a
causa
di
questa
eterogeneità,
la
conta
delle
mitosi
e
la
valutazione
dell’attività
proliferativa
sono
attendibili
soprattutto
se
calcolate
su
un
pezzo
chirurgico
valutato
nella
sua
interezza;
in
caso
di
biopsia
so-‐
no
meno
informative
perché
non
viene
studiato
tutto
il
tumore:
servono
soprattutto
a
farsi
un’idea
della
neoplasia
e
a
programmare
l’iter
terapeutico.
NEOPLASIE
NEUROENDOCRINE
DEL
TRATTO
GASTRO-‐ENTERO-‐PANCREATICO
(GEP)
Le
neoplasie
neuroendocrine
del
tratto
GEP
sono
le
più
frequenti
tra
i
NET:
rappresentano
i
2/3
dei
casi.
Al
secondo
posto
c’è
il
polmone.
Sono
in
aumento
negli
ultimi
anni
(da
1
a
5
nuovi
casi
per
100mila
abitan-‐
ti/anno),
pertanto
è
stato
introdotto
un
PDTA.
In
ordine
di
sequenza
decrescente
i
NET
del
tubo
digerente
insorgono
nell’intestino
tenue,
nel
retto
e
nell’appendice.
La
prognosi
e
la
stadiazione
dipendono
dal
livello
di
infiltrazione
della
parete
e
dalle
dimensioni
della
lesio-‐
ne.
TUMORI
NEUROENDOCRINI
DELL’INTESTINO
TENUE
I
NET
dell’intestino
tenue
rappresentano
il
30%
delle
neoplasie
del
piccolo
intestino
e
il
40%
dei
NET
del
tratto
GI.
Insorgono
prevalentemente
a
livello
dell’ileo
e
del
duodeno.
Sono
tumori
tipici
degli
adulti
anziani
(in
media
60
anni),
a
meno
che
non
ci
sia
una
sindrome
a
base
gene-‐
tica
per
cui
si
presentano
più
precocemente
(MEN1,
VHL);
nel
duodeno
sembra
che
ci
sia
una
leggera
pre-‐
valenza
nel
sesso
maschile.
In
circa
1/3
dei
pazienti
che
hanno
tumori
neuroendocrini
dell’ileo
si
osserva
la
presenza
di
un
tumore
sin-‐
crono/metacrono
in
altre
sedi
(colon,
polmone,
mammella,
stomaco).
Possono
o
meno
accompagnarsi
ad
una
sindrome
clinica,
soprattutto
legata
alla
produzione
di
serotonina.
Da
un
punto
di
vista
macroscopico:
• si
presentano
spesso
come
delle
lesioni
polipoidi,
rilevate,
caratterizzate
in
genere
da
una
colora-‐
zione
giallastra.
Possono
somigliare
ad
un
adenoma
tubulare
(non
villoso,
perché
crescono
nella
mucosa
e
sottomucosa),
• la
mucosa
di
solito
è
normale,
ma
può
presentarsi
ulcerata
con
sanguinamento
quando
il
tumore
raggiunge
uno
stadio
più
avanzato,
• il
tumore
cresce
nella
sottomucosa
e
nella
tonaca
muscolare
e
può
essere
responsabile
di
una
ste-‐
nosi
intestinale
(in
presenza
di
una
biopsia
non
è
possibile
valutare
l’interessamento
della
sottomu-‐
cosa,
motivo
per
cui
il
clinico
effettua
la
conta
mitotica
e
la
valutazione
dell’attività
proliferativa),
• un
importante
fattore
prognostico
è
rappresentato
dalle
dimensioni
(anche
tumori
piccoli
però
possono
dare
precocemente
localizzazioni
metastatiche).
Aspetto
microscopico
A
piccolo
ingrandimento
si
vede
un
tumore
ipercellulato
(ricco
di
nuclei)
che
può
crescere
secondo
diversi
pattern
(per
NET
ben
differenziati):
• insulare
o
a
nidi
solidi:
si
formano
isolotti
di
cellule,
separati
da
tralci
connettivali
vascolarizzati.
Si
osserva
una
ricchissima
vascolarizzazione
che
si
distribuisce
all’interno
della
neoplasia.
• crescita
cordonale
(trabecolare):
le
cellule
si
organizzano
in
nastri
e
crescono
in
modo
regolare
(or-‐
ganoide),
in
questo
caso
il
connettivo
è
meno
rappresentato,
ma
è
molto
vascolarizzato
• [acinare:
ci
sono
nidi
di
cellule
con
lume
centrale
e
buchi
chiari
tra
i
nidi
epiteliali
che
dipendono
dalla
retrazione
dell’epitelio
ghiandolare
dallo
stroma].
Le
cellule
hanno
un
citoplasma
molto
variabile,
o
ricco
e
fortemente
eosinofilo
o
meno
rappresentato.
Una
caratteristica
fondamentale
è
trovare,
soprattutto
nei
tumori
G1
e
G2
(più
difficilmente
in
G3),
cellule
con
nuclei
detti
“linfocito-‐like”:
sono
rotondi
e
monomorfi,
ipercromatici
(con
cromatina
distribuita
in
maniera
molto
regolare),
e
nucleoli
non
sono
evidenti
(nemmeno
nei
G32).
All’immunoistochimica
per
Mib1,
i
G1
hanno
una
bassissima
attività
proliferativa
(inferiore
al
2%),
mentre
i
G2
possono
arrivare
ad
un’attività
proliferativa
maggiore
del
20%.
I
casi
compresi
tra
questi
due
valori
rap-‐
presentano
i
G2.
TUMORI
NEUROENDOCRINI
DEL
COLON-‐RETTO
I
NET
del
colon
retto
rappresentano
il
10%
di
tutti
i
tumori
NE
ben
differenziati.
L’età
di
insorgenza
è
più
avanzata,
attorno
ai
60-‐70
anni.
Sono
usualmente
asintomatici:
sono
identificati,
soprattutto
nel
retto,
co-‐
me
incidentali
nell’ambito
dei
progetti
di
screening
per
il
cancro
del
colon
retto,
non
hanno
conseguenze
cliniche,
infatti
la
maggior
parte
è
di
basso
grado
e
non
aggressiva.
Le
sedi
più
frequenti
sono
il
colon
destro
e
il
retto:
il
40%
si
localizza
nel
cieco.
Per
la
maggior
parte
questi
NET
sono
di
basso
grado
(ben
differenziati)
e
poco
aggressivi.
I
NET
del
retto
si
possono
presentare,
all’endoscopia
o
all’esame
digitale,
come
piccole
lesioni
solitarie
(noduli
mucosi
o
sottomucosi)
di
dimensioni
inferiori
a
1
cm
(più
frequentemente)
o
come
tumori
più
gros-‐
solani
e
con
possibilità
di
metastasi.
Morfologicamente
le
cellule
sono
organizzate
in
isole.
Il
fattore
prognostico
più
importante
è
rappresentato
dalle
dimensioni:
• tumori
di
dimensioni
inferiori
a
1
cm
metastatizzano
nello
0-‐3%
dei
casi
e
si
trattano
con
mucosec-‐
tomia,
• tumori
di
dimensioni
di
1-‐1,9
cm
hanno
un’incidenza
di
metastasi
nel
10-‐15%
dei
casi,
• i
tumori
di
dimensioni
maggiori
di
2
cm
danno
mestatasi
linfonodali
o
epatiche
nel
60-‐90%
dei
casi.
Sono
aggressivi,
soprattutto
se
scarsamente
indifferenziati.
2
Quindi
i
nucleoli
non
possono
essere
utilizzati
per
fare
diagnosi
di
atipia
cellulare,
caratteristica
dei
carcinomi.
TUMORI
NEUROENDOCRINI
DELL’APPENDICE
L’appendice
rappresenta
la
terza
sede
più
comune
di
NET
del
tratto
GE
(dopo
l’ileo
ed
il
retto).
I
NET
dell’appendice3
sono
individuati
nel
0,2-‐0,9%
di
tutte
le
appendicectomie
come
reperti
incidentali:
sono
quindi
infrequenti;
si
possono
manifestare
con
un’appendicite
acuta
perché
possono
ostruire
il
lume
dell’appendice
favorendo
l’insorgenza
di
infezioni
acute,
soprattutto
nei
giovani.
In
genere
non
si
manifestano
con
la
sindrome
carcinoide,
non
producono
ormoni
che
alterano
la
motilità
intestinale
Più
spesso
sono
di
dimensioni
inferiori
al
centimetro,
e
sono
situati
nella
parte
distale:
la
morfologia
è
si-‐
mile
a
quella
di
altri
NET
di
basso
grado
del
tratto
GI;
la
mucosa
può
apparire
ulcerata.
Le
cellule
crescono
in
strutture
regolari,
sono
monomorfe
e
possono
avere
differenziazione
ghiandolare.
La
maggior
parte
ha
prognosi
favorevole;
nel
dettaglio:
• le
neoplasie
inferiori
al
1
cm
non
metastatizzano
praticamente
mai,
• quelle
inferiori
ai
2
cm
limitate
all’appendice
hanno
un
rischio
di
sviluppare
metastasi
dell’1%,
• le
neoplasie
di
dimensioni
maggiori
di
2
cm,
o
che
invadono
in
profondità
il
meso
dell’appendice
o
il
tessuto
sottosieroso
hanno
un
rischio
del
20-‐40%
di
metastasi
linfonodali.
3
L’appendice
misura
7-‐9
cm,
ha
un
corpo
ed
un
fondo.
L’esame
microscopico
si
effettua
sia
su
una
sezione
longitudi-‐
nale
del
fondo
(che
è
la
sede
più
comune
di
tumori
NE),
sia
su
una
trasversale
del
corpo.
L’appendice
normale
ha
una
mucosa
organizzata
come
quella
colica;
ci
possono
essere
follicoli
linfatici.
Nell’appendicite
l’infiltrato
infiammatorio
aumenta
e
sono
possibili
gli
ascessi
criptici.
La
mucosa
può
apparire
ulcerata.
Dopo
l’appendicectomia,
a
prescindere
dal
motivo
dell’intervento
e
dalla
causa
dell’appendicite,
si
invia
sempre
il
pez-‐
zo
chirurgico
in
anatomia
patologica
per
l’esame
istologico
ed
eventualmente
riscontrare
alcune
patologie
(stesso
di-‐
scorso
vale
per
la
colecisti
dopo
colecistectomia).
Carcinoide
“goblet
cells”
Il
carcinoide
goblet
cells
è
un
raro
tumore
neuroendocrino
dell’appendice,
classificato
però
tra
i
tumori
epi-‐
teliali
(per
la
sua
prognosi,
peggiore
di
quella
dei
NET):
non
è
un
tumore
innocuo
e
in
alcuni
casi
c’è
un
car-‐
cinoma
associato.
C’è
una
prevalenza
nel
sesso
femminile.
Spesso
si
manifesta
con
masse
palpabili
peritoneali
e
ovariche:
infatti
cresce
non
per
infiltrazione
locale
ma
per
disseminazione
peritoneale.
E’
un
tumore
con
fenotipo
misto,
formato
sia
da
cellule
neuroendocrine
che
crescono
a
nidi
solidi
(separa-‐
ti
da
tessuto
connettivo)
sia
da
cellule
caliciformi
mucipare
PAS-‐positive
(morfologia
intestinale).
CASO
CLINICO
Anamnesi
• Paziente
operata
10
anni
prima
di
tumore
della
mammella,
in
remissione
completa.
• Disturbi
addominali.
Riscontro
di
un
nodulo
di
6
cm
al
lobo
dx
del
fegato
in
assenza
di
altre
localizzazioni.
Ipotesi
diagnostiche:
• Nodulo
associato
al
carcinoma
della
mammella.
• Metastasi
• Tumore
de
novo.
Si
fa
la
biopsia
epatica
eco-‐guidata,
e
all’esame
istologico
il
tumore
ha
una
morfologia
diversa
da
quella
carcinoma
della
mammella
avuto
10
anni
prima:
quindi,
o
è
un
altro
tumore
o
è
lo
stesso
tumore
che
ha
cambiato
fenotipo.
Consideriamo
che
10
anni
fa
il
carcinoma
della
mammella
era
guarito
e
teniamo
conto
anche
del
fatto
che
le
recidive
di
questo
tumore
sono
di
solito
precoci
e
locali.
La
morfologia
è
quella
tipica
di
un
tumore
neuroendocrino,
piuttosto
aggressivo
(tante
mitosi).
Tuttavia,
essendo
i
tumori
NE
del
fegato
eccezionali,
possiamo
pensare
che
sia
una
metastasi
epatica
da
tumore
NE
(le
quali
sono,
inve-‐
ce,
molto
frequenti).
L’immunoistochimica
era
intensamente
positiva
sia
a
cromogranina
che
a
sinaptofisina.
Le
sedi
più
frequenti
di
tumore
NE
primitivo
solo
l’intestino,
in
particolare
il
tenue,
o
il
pancreas.
Ma
all’imaging
(TAC)
non
emerge
niente:
non
c’è
traccia
di
tumore
primitivo.
Questo
è
l’esempio
di
un
problema
non
risolvibile,
che
im-‐
patta
sulla
prognosi
e
sulla
terapia
(medica
o
chirurgica).
Se
fosse
metastatico
è
controindicata
l’epatectomia
parziale
(l’aspettativa
di
vita
della
paziente
è
bassa
così
come
le
prospettive
di
sopravvivenza
ad
un
intervento
di
quel
gene-‐
re).
Tuttavia
non
avendo
trovato
il
tumore
primitivo,
non
si
ha
chiaro
il
quadro
di
malattia
ed
è
difficile
ragionare
sull’aspettativa
di
vita
della
paziente.
Alla
fine
si
è
instaurata
una
terapia
per
tumore
neuroendocrino,
perché
è
l’unica
cosa
che
si
poteva
fare
9.
TUMORI
NEUROENDOCRINI
DEL
PANCREAS
I
tre
quarti
dei
tumori
neuroendocrini
(NET)
si
localizzano
nel
distretto
gastroenterico
e
pancreatico;
gli
altri
si
riscontrano
a
livello
del
tratto
bronco-‐polmonare
e
urogenitale.
Nel
complesso
i
NET
sono
caratterizzati
da
un’incidenza:
5
casi
100mila
ab./anno.
Verranno
trattati
i
NET
pancreatici,
alla
luce
della
nuova
classificazione
WHO
2017,
che
ha
sostituito
quella
del
2010.
EPIDEMIOLOGIA
I
NET
del
pancreas
rappresentano
l’1-‐2%
delle
neoplasie
pancreatiche;
insorgono
prevalentemente
in
sog-‐
getti
tra
i
30-‐60
anni
(età
media
50
anni)
e
sono
molto
rari
nei
giovani
e
nei
bambini
(di
solito
si
riscontrano
nel
contesto
di
forme
sindromiche1
come
la
MEN1
o
la
VHL).
Le
forme
maligne
(NEC,
carcinoma
neuroen-‐
docrino)
insorgono
dopo
la
IV
decade.
Si
osservano
soprattutto
a
livello
della
coda
e
del
corpo
del
pancreas.
CLASSIFICAZIONE
La
classificazione
dei
NET
comprende:
• neoplasie
a
differenziazione
neuroendocrina,
più
o
meno
differenziate
(NET
o
NEC),
• forme
miste,
formate
da
una
componente
neuroendocrina
e
da
una
non
neuroendocrina;
si
osser-‐
vano
per
esempio
nel
pancreas
o
nel
polmone.
La
classificazione
dei
NET
del
pancreas
WHO
2010
comprende:
• il
microadenoma
neuroendocrino,
un
tumore
neuroendocrino
non
funzionante
di
dimensioni
infe-‐
riori
ai
5
mm.
La
diagnosi
è
di
solito
incidentale
sul
pezzo
operatorio
di
una
duodeno-‐
cefalopancreasectomia;
• i
tumori
neuroendocrini
(NET),
che
possono
essere
funzionanti
e
non
funzionanti,
e
di
grado
G1
o
G2
(in
base
alla
conta
delle
mitosi
e
della
valutazione
dell’attività
proliferativa).
I
NET
funzionanti
rappresentano
una
quota
minoritaria
e
sono:
o l’insulinoma,
o il
glucagonoma,
o il
somatostatinoma,
o il
gastrinoma,
o il
VIPoma,
o altre
rare
entità
(neoplasie
che
producono
ACTH
o
serotonina).
In
questi
casi
la
sintomatologia
clinica
è
importante;
• il
carcinoma
neuroendocrino
(NEC),
a
piccole
e
grandi
cellule,
correlabile
come
entità,
a
quello
del
polmone.
E’
di
grado
G3;
• le
forme
miste
(MANEC,
mixed
adenoneurendocrine
carcinoma),
formate
da
una
componente
di
adenocarcinoma
(duttale/acinare)
e
da
una
di
NET,
che
possono
coesistere
in
diversi
gradi
di
diffe-‐
renziazione2,
ed
entrambe
presenti
in
più
del
30%
del
tumore
(valutazione
semiquantitativa;
se
non
si
raggiunge
questo
cut-‐off
la
diagnosi
non
è
di
tumore
misto,
ma
nel
referto
si
aggiunge
che
è
1
Dei
32
casi
raccolti
presso
l’Istituto
di
Ancona,
le
forme
sindromiche
(MEN1)
sono
3.
2
Possono
coesistere
adenocarcinomi
più
o
meno
differenziati
con
NET
più
o
meno
differenziati;
di
solito
si
trovano
a
uno
stadio
G3.
presente
una
componente
minoritaria).
La
prognosi
dipende
principalmente
dalla
componente
meno
differenziata,
quindi
più
aggressiva.
La
classificazione
dei
NET
del
pancreas
WHO
2017
comprende:
• NEN
ben
differenziate;
distinguibili
in
base
a
mitosi
e
attività
proliferativa
in:
o NET
G1,
o NET
G2,
o NET
G3,
• NEN
poco
differenziate:
o NEC
G3,
a
piccole
o
grandi
cellule,
• forme
miste
(MiNEN,
mixed
neuroendocrine-‐nonneuroendocrine
neoplasm).
Confrontando
le
due
classificazioni
emergono
le
seguenti
differenze:
• è
stato
introdotto
il
NET
G3,
ovvero
una
categoria
diagnostica
che
include
lesioni
ben
differenziate
(simili
a
un
NET
G2)
ma
con
alto
indice
mitotico
(come
un
NEC
G3).
Infatti
nella
classificazione
WHO
2010
la
categoria
dei
tumori
di
alto
grado
(NEC)
era
morfologicamente
e
biologicamente
ete-‐
rogenea
e
includeva
neoplasie
ben
differenziate
e
altre
poco
differenziate,
che
differivano
per
ri-‐
sposta
alla
terapia
e
per
la
prognosi,
• il
cut-‐off
del
Ki67
(v.
dopo)
per
fare
diagnosi
di
G1
è
stato
portato
da
≤
2
a
<
3,
• è
cambiata
la
dizione
delle
forme
miste
da
“carcinomi
adeno-‐neuroendocrini
misti”
(MANEC)
a
“neoplasie
neuroendocrine-‐non
neuroendocrine
miste”
(MiNEN),
per
mettere
in
evidenza
che
nelle
forme
miste
la
componente
non
neuroendocrina
non
è
sempre
un
adenocarcinoma
(può
essere
anche
un
carcinoma
squamocellulare),
• sono
state
integrate
nella
classificazione
WHO
2017
le
raccomandazioni
su
come
valutare
l’attività
proliferativa,
ovvero
l’espressione
di
Ki67
(v.
dopo).
REFERTAZIONE
Il
referto
anatomopatologico
deve
comprendere:
1. valutazione
della
morfologia
(citoarchitetturale),
2. diagnostica
immunoistochimica
(cromogranina
e
sinaptofisina),
3. indice
mitotico
e
attività
proliferativa,
4. grading
istologico
WHO
2017,
5. parametri
di
malignità
(invasione
vascolare
e
perineurale,
necrosi),
6. distanza
della
neoplasia
dei
margini,
7. valutazioni
immunoistochimiche
opzionali
(es.
CD56,
serotonina),
8. stadiazione
TNM.
1.
Valutazione
della
morfologia
Da
un
punto
di
vista
microscopico
un
NET
del
pancreas
è
caratterizzato
da:
• uno
o
più
pattern
di
crescita
che
possono
coesistere
nella
stessa
lesione;
il
tumore
può
crescere
in
maniera
trabecolare
(organoide),
acinare,
tubuloacinare,
• cellule
con
nuclei
rotondi,
monomorfi
con
cromatina
tipica
a
“sale
e
pepe”;
ci
sono
quindi
cellule
tutte
uguali
tra
loro
(il
polimorfismo
si
può
ritrovare
al
massimo
nelle
forme
poco
differenziate),
• occasionalmente
si
osservano
cellule
chiare,
ossifile,
vacuolate,
rabdoidi.
2.
e
7.
Immunoistochimica
I
marcatori
per
la
caratterizzazione
delle
NEN
hanno
un
ruolo:
• diagnostico,
come
la
cromogranina
e
la
sinaptofisina
(e
il
CD56):
ne
servono
almeno
2
e
la
loro
po-‐
sitività
può
essere
di
intensità
variabile;
il
CD56
nelle
linee
guida
2017
WHO
è
stato
messo
in
se-‐
condo
piano
perché
può
essere
positivo
in
tante
altre
neoplasie
poco
differenziate
e
anche
non
epi-‐
teliali
(tumore
odontogeno,
adenocarcinoma
poco
differenziato):
quindi
è
opzionale;
• indicativo
di
sede:
CDX2
(GI),
PAX8,
TTF1
(polmone),
serotonina
(lesioni
ileali).
Questi
marcatori
sono
utili
per
esempio
per
rintracciare
la
primitività
di
una
metastasi
epatica
neuroendocrina
e/o
in
generale
in
caso
di
lesioni
sincrone,
poiché
consentono
di
capire
se
una
lesione
sia
la
metastasi
dell’altra,
• prognostico
(grading):
Ki67
(o
Mib1).
In
sintesi,
nel
referto
di
un
tumore
neuroendocrino
pancreatico
è
obbligatorio
descrivere
l’espressione
di
cromogranina
e
sinaptofisina;
è
opzionale
valutare
altri
marcatori
come,
per
esempio,
il
CD56
o
la
seroto-‐
nina.
3.
Indice
mitotico
e
attività
proliferativa
La
conta
delle
mitosi
e
la
valutazione
dell’attività
proliferativa
(con
Ki67),
che
hanno
un
ruolo
nel
grading,
vanno
valutate
attentamente
nelle
aree
mitoticamente
più
attive.
La
classificazione
WHO
2017
riporta
delle
raccomandazioni3
per
la
loro
valutazione,
che
a
volte
non
è
ripro-‐
ducibile
inter-‐
o
intra-‐operatore:
• va
fatta
nelle
aree
mitoticamente
più
attive,
• per
valutare
l’espressione
di
Ki67
bisogna
contare
almeno
500
cellule
e
fare
la
media,
• le
mitosi
vanno
contate
in
un’area
di
2
mm2;
• sono
proposti
metodi
standardizzati
per
aumentare
l’oggettività
della
valutazione:
in
teoria,
indivi-‐
duato
un
campo
sul
vetrino,
bisognerebbe
fotografarlo,
dividerlo
con
una
griglia
e
contare
il
nume-‐
ro
di
cellule
positive,
• nell’attribuzione
a
un
grado,
in
caso
di
discordanza
tra
conta
delle
mitosi
e
valutazione
dell’attività
proliferativa,
si
sceglie
il
valore
corrispondente
al
grado
più
alto
(quasi
sempre
Ki67).
3
Questo
è
il
testo
originale
delle
raccomandazioni:
4.
Grading
istologico
(WHO
2017)
Il
numero
delle
mitosi
e
la
valutazione
dell’attività
proliferati-‐
va
sono
indispensabili
per
collocare
la
neoplasia
in
una
cate-‐
goria
diagnostica,
secondo
i
seguenti
criteri:
• NEN
ben
differenziate:
o NET
G1:
<
2
mitosi/2
mm2
e/o
<
3%
Ki-‐67,
o NET
G2:
2-‐20
mitosi/2
mm2
e/o
3-‐20%
Ki-‐67,
o NET
G3:
>
20
mitosi/2
mm2
e/o
>
20%
Ki-‐67,
• NEN
poco
differenziate:
o NEC
G3:
>20
mitosi/2
mm2
e/o
>
20%
Ki-‐67.
C’è
un’importante
differenza
prognostica,
in
termini
di
sopravvivenza
tra
le
diverse
categorie.
Uno
studio
(NORDIC
NEC;
Sorbye
2013)
ha
dimostrato
inoltre
che
il
grading
condiziona
anche
la
risposta
alla
terapia;
nel
dettaglio
è
emerso
che:
• pazienti
con
Ki67
<
55%
presentano
infatti
una
scarsa
risposta
alla
chemioterapia
con
platino,
• pazienti
con
Ki67
>
55%
presentano
invece
una
migliore
risposta
ma
una
peggiore
sopravvivenza.
A
seguito
dell’introduzione
dei
NET
G3
sono
sorti
problemi
nella
diagnosi
differenziale
dei
casi
borderline
tra
un
NET
G3
e
un
NEC
G3:
a
tal
proposito
sono
stati
studiati
alcuni
marcatori
immunoistochimici
e
mole-‐
colari,
utili
per
dirimere
tale
quesito
diagnostico
differenziale
(perché
molto
specifici),
da
cui
dipendono
prognosi
e
terapia.
Si
è
visto
che:
• nei
NET
è
espresso
SSTR2A
(78%),
• nei
NEC
sono
espressi
p53
(75%),
TP53
(67%)
e
viene
perso
Rb1
(45%).
Questa
classificazione
è
applicabile
prevalentemente
a
neoplasie
asportate
chirurgicamente,
poiché
l’eterogeneità
intratumorale
ne
limita
l’applicabilità
in
campioni
citologici
o
bioptici.
NET
G3
NEC
G3
6.
Distanza
della
neoplasia
dei
margini
Dove
c’è
l’indicazione
alla
chirurgia,
il
tumore
viene
asportato
con
duodenocefalopancreasectomia
e
il
pez-‐
zo
chirurgico
presenta
tre
reperi
standard
ovvero
tre
margini
di
resezione:
• la
trancia
di
resezione
della
via
biliare
principale,
• la
trancia
di
resezione
pancreatica,
• la
trancia
di
resezione
duodenale
prossimale
(ovvero
il
margine
mediale).
Durante
l’intervento,
i
primi
due
margini
so-‐
no
valutati
con
esame
estemporaneo
per
vedere
se
sono
liberi;
l’eventuale
positività
deve
suggerire
l’ampliamento
dei
margini
di
exeresi.
In
seguito
alla
valutazione
estemporanea,
il
pezzo
chirurgico
viene
tagliato
in
macrose-‐
zioni4
e
osservato
al
microscopio
per
l’esame
definitivo:
è
fondamentale
studiare
nel
dettaglio
i
margini,
che
sono
stati
colora-‐
ti
con
inchiostro
di
china5.
Il
margine
è
con-‐
siderato
libero
se
la
neoplasia
dista
più
di
1
mm
della
china;
al
di
sotto
di
1
mm
la
neo-‐
plasia
non
è
considerata
resecata.
4
Le
sezioni
si
realizzano
con
tagli
perpendicolari
all’asse
maggiore
del
duodeno
che
partono
dal
margine
superiore
di
questo
e
che
comprendono
tutto
il
pancreas.
[La
testa
pancreatica
è
sezionata
dal
margine
superiore
a
quello
inferiore
(di
solito
tumori
in
questa
sede
hanno
una
manifestazione
clinica
importante
e
precoce).
Per
corpo
e
coda
vengono
valutati
solo
i
margini
anteriori
e
posteriori
e
il
campione
viene
suddiviso
in
macrosezioni
perpendicolari
alla
lunghezza
dello
stesso.
Essendo
neoplasie
associate
a
scarsa
sintomatologia,
potrebbero
arrivare
ad
avere
dimensioni
notevoli
prima
della
diagnosi].
5
Ogni
margine
viene
colorato
diversamente,
effettuando
un’inchiostrazione
con
inchiostro
di
china,
nero
per
i
margi-‐
ni
anteriore
e
posteriore,
rosso
per
il
margine
biliare
e
giallo
per
il
margine
pancreatico.
È
importante
valutare
il
coinvolgimento
dei
tessuti
e
degli
organi
circostanti,
come
il
grasso
peripancreati-‐
co,
la
milza
e
il
duodeno,
sia
macroscopicamente,
sia
microscopicamente
(in
base
al
grado
di
infiltrazione
si
può
stabilire
il
TNM).
Inoltre,
nelle
macro-‐inclusioni
si
osservano,
in
genere,
dai
15
ai
30-‐35
linfonodi
contenuti
nel
tessuto
adi-‐
poso
peri-‐pancreatico
(che
viene
prelevato
dal
chirurgo):
sulla
base
di
essi
si
fa
la
stadiazione
del
parametro
N
(v.
stadiazione
TNM).
8.
Stadiazione
TNM
Prima
del
2017
venivano
utilizzate
due
stadiazioni
TNM
per
i
NET
pancreativi:
quella
Europea
e
quella
WHO
2010;
poiché
quella
europea
correlava
meglio
con
la
prognosi,
nel
2017
è
stata
utilizzata
anche
dalla
WHO.
Per
quanto
riguarda
l’estensione
del
tumore
(parametro
T):
• T1,
tumore
limitato
al
pancreas
e
di
dimensioni
inferiori
ai
2
cm,
• T2,
tumore
limitato
al
pancreas
e
di
dimensioni
di
2-‐4
cm,
• T3,
tumore
limitato
al
pancreas
e
di
dimensioni
inferiori
ai
4
cm,
o
con
invasione
del
duodeno
o
del
dotto
biliare,
• T4,
tumore
infiltrante
organi
adiacenti
(stomaco,
milza,
colon,
surrene)
o
la
parete
dei
grossi
vasi
(asse
celiaco,
arteria
mesenterica
superiore).
Per
quanto
riguarda
i
linfonodi
(parametro
N):
• N0:
assenza
di
linfonodi
metastatici,
• N1:
presenza
di
linfonodi
mestastatici.
Per
quanto
riguarda
la
presenza
di
metastasi
a
distanza
(parametro
M):
• MX:
le
metastasi
a
distanza
non
possono
essere
valutate,
• M0:
assenza
di
metastasi
a
distanza,
• M1:
presenza
di
metastasi
a
distanza.
FATTORI
PROGNOSTICI
I
fattori
prognostici
dei
NET
pancreatici
si
distinguono
in:
• fattori
prognostici
generali,
che
includono:
o classificazione
istopatologica
(un
NET
G1
è
prognosticamente
migliore
di
un
NET
G3),
o stadiazione
TNM,
o sede
del
tumore:
la
coda
rappresenta
la
sede
peggiore.
Un
NET
della
testa
del
pancreas
si
ma-‐
nifesta
prima;
uno
della
coda
è
caratterizzato
da
una
sintomatologia
minore,
o espressione
recettoriale,
• fattori
prognostici
macroscopici
e
microscopici,
che
includono:
o dimensioni
tumorali,
o plurifocalità,
o invasione
vascolare
e
perineurale
(non
fanno
parte
della
stadiazione6
ma
sono
fattori
progno-‐
stici
importanti),
o necrosi,
o distanza
del
tumore
dai
margini,
o forme
miste:
la
prognosi
la
fa
la
forma
meno
differenziata.
Solo
in
alcuni
rari
casi
l’invasione
vascolare
fa
la
T
(non
è
questo
il
caso).
6
10.$TUMORI$DEL$PANCREAS$
!
INTRODUZIONE$E$CLASSIFICAZIONE$
!
Il!pancreas$esocrino!è!formato!da!acini!e!dotti,!costituiti!rispetti3
vamente!da!cellule!acinari!e!cellule!duttali;!il!primo!segmento!dei!
dotti!è!intra3acinare!ed!è!formato!da!cellule!intercalari,!poi!i!dotti!
diventano! di! calibro! maggiore! e! si! uniscono! ad! altri! dotti,! fino! a!
convergere!tutti!nel!dotto!di!Wirsung!o!in!quello!di!Santorini.!
Il!pancreas!viene!incluso,!durante!la!processazione1,!in!macroseA
zioni,!per!essere!studiato!attentamente.!
I!tumori!del!pancreas!esocrino!(tumori!epiteliali)!possono!essere!
distinti! in! neoplasie$ benigne,! neoplasie$ premaligne! e! neoplasie$
maligne!(infiltranti).!
!
CLASSIFICAZIONE$(WHO2010)$
$
• Tumori$epiteliali$
o Benigni&
! Citoadenoma$sieroso$
! Cistoadenoma$mucinoso$(acinare)$
o Lesioni&premaligne&
! Neoplasia$pancreatica$intraepiteliale$(PanIN$3)$
! Neoplasia$mucinosa$papillare$intraduttale$(IPMN)$
! Neoplasia$intraduttale$tubuloApapillare$(ITMN)$
! Neoplasia$cistica$mucinosa$
o Maligni&
! Adenocarcinoma$duttale$
2
! Cistoadenocarcinoma!a!cellule!acinari !
! Carcinoma$a$cellule$acinari$
! IPMN!con!associata!componente!invasiva!
! Carcinoma!misto!acinare3duttale!
! Carcinoma!misto!acinare3neuroendocrino!
! Carcinoma!misto!duttale3neuroendocrino!
! Neoplasia$cistica$mucinosa$con$associata$componente$invasiva$
! Pancreatoblastoma!
! Cistoadenocarcinoma!sieroso!
! Neoplasia$solida$pseudopapillare$
o Neoplasie$neuroendocrine$(WHO$2017):$NET$(G1AG3),$NEC$
• Teratoma!maturo!
• Neoplasie$mesenchimali$
• Linfomi!
• Neoplasie$metastatiche!
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
1! Durante!la!processazione!si!inchiostra!il!campione!sui!vari!margini!(mediale,!anteriore!e!posteriore)!con!un!colore!
diverso!e!si!definisce!la!distanza!del!tumore!da!ognuno!di!essi.!Il!campione!di!testa!pancreatica!viene!analizzato!tutto,!
suddividendolo!in!fette!dal!margine!superiore!a!quello!inferiore.!Viene!quindi!valutata!ogni!macrosezione.!Per!corpo!e!
coda!vengono!valutati!solo!i!margini!anteriori!e!posteriori!ed!il!campione!viene!diviso!in!macrosezioni!perpendicolari!
alla!lunghezza!dello!stesso.!Nel!campione!da!analizzare!possono!essere!inclusi!parte!del!duodeno!(in!caso!di!duodeno3
cefalopancreasectomia!e!di!pancreasectomia!totale)!e!la!milza!(in!caso!di!pancreasectomia!totale!o!subtotale!di!corpo!
e!coda),!che!vanno!valutati.!Della!milza!si!valuta!l’ilo!ed!eventuali!zone!sospette!dal!punto!di!vista!macroscopico.!
2!Il!cistoadenocarcinoma!a!cellule!acinari!ha!le!stesse!caratteristiche!dell’omonimo!carcinoma!che!colpisce!le!ghiando3
le!salivari!(parotide,!sottomandibolare,!sottolinguale).!
Le!neoplasie$premaligne!sono!lesioni!ad!incentro!potenziale!maligno!che!si!riscontrano!o!isolate!o!alla!peri3
feria!di!una!lesione!infiltrante!(osservando!il!pancreas!incluso!in!macrosezioni),!e!pertanto!vanno!studiate!
con!attenzione!e!ben!tipizzate!per!riconoscere!l’effettiva!entità!della!lesione.!Tra!le!lesioni!premaligne!pic3
cole!ricordiamo!quelle!intraepiteliali!(PanIN),!che!sono!più!piccole!di!1!cm!(o!5mm)!e!interessano!i!dotti!dei!
lobuli;!tra!quelle!di!dimensioni!maggiori!(con!diametro!maggiore!di!1!cm),!visibili!anche!macroscopicamen3
te,!ricordiamo!le!IPMN,!che!possono!interessare!anche!il!dotto!principale.!
Tra! le! neoplasie! maligne! la! più! frequente! (90%)! è! l’adenocarcinoma$ duttale,! che! può! presentare! diversi!
istotipi;!si!possono!osservare!anche!tumori!maligni!misti,!per!esempio!con!una!componente!di!adenocarci3
noma!e!un’altra!neuroendocrina:!in!questo!caso!la!prognosi!dipende!dalla!componente!più!aggressiva.!
Oltre!che!di!tumori!epiteliali,!il!pancreas!può!in!rari!casi!essere!sede!di!neoplasie$mesenchimali$primitive!o!
essere! coinvolto,! per! contiguità,! da! neoplasie! mesen3
chimali!di!altri!organi!limitrofi.!
Le!metastasi$pancreatiche,!più!rare!dei!tumori!primitivi,!
originano! da! tumori! del! tratto! gastro3enterico! (es.! co3
lon),! del! rene,! della! mammella,! del! polmone! (più! rara3
mente)!o!da!melanomi.!
I$fattori$di$rischio$per!le!neoplasie!del!pancreas!sono:!
• tabacco,!
• fattori!nutrizionali,!
• obesità,!
• alcool,!
• storia!di!pancreatite!cronica.!
$
CISTOADENOMA$SIEROSO$
$
Il!cistoadenoma$sieroso!è!un!tumore$benigno$a$struttura$microcistica!con!fibrosi$stellata$centrale.!
Predilige!il!sesso!femminile!e!insorge!soprattutto!nella!VII!decade;!si!arriva!alla!diagnosi!(di!solito!strumen3
tale!e!poi!microscopica):!
• in!1/3!dei!casi!in!maniera!accidentale!durante!indagini!di!routine!o!all’autopsia,!
• nei!2/3!dei!pazienti!per!la!presenza!sintomi$da$effetto$massa!(dolori!addominale,!nausea,!vomito!e!
perdita!di!peso).!
E’!più!frequente!nella!testa!e!nella!coda.!
Da!un!punto!di!vista!macroscopico!appare!come!una!massa$rotondeggiante!ben!circoscritta!con!un!diameA
tro$medio$di$5A10$cm.!Sulla!superficie!di!taglio,!
che!appare!spugnosa,!ci!sono!numerose!piccole$
cisti$ sierose! contenenti! liquido! limpido.! Già!
dall’esame!macroscopico!si!ipotizza!che!sia!una!
lesione!benigna.!
Da! un! punto! di! vista! microscopico! la! lesione! è!
formata:!
• in!periferia!da!cisti$di$piccole$dimensioA
ni! circondate! da! uno! stroma! reticolare!
molto!fine,!
• nella!parte!centrale!da!cisti$più$grandi!e!
da!fibrosi$stellata$centrale.!
Queste!cisti,!contenenti!liquido!sieroso!di!aspetto!translucido,!sono!rivestite!da!epitelio$cubico$pluristratifiA
cato!formato!da!cellule!prive!di!evidente!atipia,!con!nuclei!piccoli!e!con!citoplasma!chiaro!contenente!glico3
geno!(PAS3positivo).!CI!sono!diverse!varianti:!solida,!microcistica,!macrocistica.!
!
! !
!
Nel!complesso!presenta!le!stesse!caratteristiche!dei!cistoadenomi!dell’ovaio!e!della!parotide.!
La!prognosi!è!buona:!a!prescindere!dalle!dimensioni!la!neoplasie!resta!benigna!(è!evento!eccezionale!la!tra3
sformazione!in!adenocarcinoma);!pertanto!è!indicato!il!trattamento$chirurgico$conservativo.!
!
LESIONI$CISTICHE$MUCINOSE$
$
Le!lesioni$cistiche$mucinose!sono!neoplasie!epiteliali!del!pancreas!che!si!manifestano!quasi!esclusivamente!
nelle!donne!durante!la!VAVI$decade.!Possono!essere!di!diverso!grado!(a!differenza!del!cistoadenoma!siero3
so!che!è!quasi!sempre!benigno);!distinguiamo!(in!base!alla!displasia!dell’epitelio!delle!cisti):!$
• il!cistoadenoma$mucinoso,!una!neoplasia!benigna,!
• la!neoplasia$cistica$mucinosa,!una!lesione!premaligna!o!borderline!(a!basso!grado!di!malignità),!
• la!neoplasia$cistica$mucinosa!con$associata$componente$invasiva!(cistoadenocarcinoma!invasivo),!
una!!neoplasia!maligna.!
Si!localizzano!soprattutto!a!livello!del!corpo!e!della!coda.!
La!presentazione$clinica!dipende!dalle!dimensioni!della!neoplasia:!
• tumori$ di! dimensioni$ inferiori$ ai$ 3$
cm!sono!di!solito!un!reperto$occaA
sionale,!
• neoplasie$più$voluminose!possono!
causare! sintomi! dovuti! a! compresA
sione$di$strutture$adiacenti!e!spes3
so! accompagnate! da! massa! addoA
minale$palpabile.!
E’!relativamente!frequente!l’associazione!con!il!diabete$mellito.!
Da!un!punto!di!vista!microscopico!queste!lesioni!sono!costituite!da!voluminose$cisti$multiloculari,!che!non!
hanno! alcuna! comunicazione! con! il! sistema! duttale,! rivestite! da! un! epitelio$ colonnare$ mucoAsecernente$
che!spesso!forma!papille!e!ghiandole!(al!taglio!nella!cisti!si!osserva!materiale!gelatinoso,!mucinoso).!Al!di!
sotto!dell’epitelio!è!presente!uno$stroma$similAovarico,!ovvero!densamente!cellulato!con!cellule!non!atipi3
che!(fusate!con!nuclei!rotondi)!e!positive!ai!recettori!per!estrogeni!e!progesterone.!
Le!cellule$mucoAsecernenti$dell’epitelio!della!cisti!sono!PAS3negative!e!presentano!un!diverso!grado!di!di3
splasia!a!seconda!della!malignità!della!lesione;!lo!spettro!di!differenziazione!dell’epitelio!varia!da!benigno!
(adenomatoso),! a! caratterizzato! da! aspetti! di! displasia! moderata3grave! (bordeline),! a! carcinoma! in) situ!
(un’altra! classificazione! in! base! alla! displasia! è! in:! tumore! di! basso! grado,! grado! intermedio,! alto! grado,!
adenocarcinoma!invasivo).!
Con!il!progredire!della!displasia!i!nuclei!diventano!pluristratificati!con!nuclei!allungati,!diminuisce!la!muco3
secrezione,!aumentano!le!mitosi!e!la!ghiandole!diventano!più!ravvicinate.!
!
! ! !
!
Quindi!osservare!all’esame!microscopico!bisogna!cercare!l’eventuale!componente$invasiva!e!osservare!at3
tentamente!il!grado$di$displasia$epiteliale,!che!ci!permette!di!classificare$la$lesione!e!di!definirne!la!proA
gnosi!che!è:!
• ottima!per!gli!adenomi!e!le!forme!borderline;!per!le!forme!non!invasive!la!sopravvivenza!è!infatti!
del!100%,!
• sfavorevole!per!la!forma!di!adenocarcinoma!mucinoso,!un!tumore!molto!invasivo!e!dà!frequente3
mente!metastasi!ai!linfonodi:!nel!dettaglio!la!prognosi!dipende!dalla!profondità!di!infiltrazione!della!
capsula! e! dei! tessuti! circostanti.! In! generale,! la! sopravvivenza! è! sovrapponibile! a! quella!
dell’adenocarcinoma!duttale!(si!muore!pochi!mesi!dopo!la!diagnosi).!
A! causa! della! difficoltà! nella! diagnosi! differenziale! e! per! il! fatto! che! tutte! le! neoplasie! cistiche! mucinose!
vengono!considerate!potenzialmente!maligne,!è!consigliata!l’asportazione$radicale$con$margini$liberi.!
Va!in!diagnosi!differenziale!con!la!neoplasia$intraduttale$tubuloApapillare$(ITNM),!che!di!solito!interessa!i!
grandi!dotti,!ma#quando#è#a#carico!dei!dotti!più!piccoli!!presenta!un!epitelio'è!muco3secernente;!la!negativi3
tà!immunoistochimica!delle!cellule!dello!stroma!per!il!recettore$del$progesterone!permette!la!diagnosi!dif3
ferenziale.!
!
NEOPLASIA$PANCREATICA$INTRAEPITELIALE$
$
Le! neoplasie$ pancreatiche$ intraepiteliali! sono! lesioni! (benigne! o! preneoplastiche)! dell’epitelio! duttale! di!
piccole!dimensioni!(inferiori!ai!5310!mm),!confinate!all’interno!dei!dotti!pancreatici,!con!crescita!papillare!o!
piatta,!formate!da!cellule!colonnari!o!piatte.!Rappresentano!i!precursori!più!comuni!dell’adenocarcinoma!
duttale!e!possono!essere!associate!ad!altre!neoplasie!pancreatiche;!quindi!la!diagnosi!è!o!microscopica!oc3
casionale!(su!pezzo!chirurgico!prelevato!per!altro!tumore)!o!fatta!con!imaging!(TC!o!RMN).!
Si!distinguono!in!tre!gradi!a!seconda!dell’atipia!architetturale!e!citologica:!
• PanIN$1A:!lesione$iperplastica.!E’!una!neoplasia!benigna!priva!di!atipie!citologiche!e!architetturali:!
è!una!lesione!piatta!formata!da!cellule!più!alte,!con!nuclei!piccoli!e!basali,!
• PanIN$1B:!lesione$con$architettura$micropapillare$o$papillare.!E’!una!lesione!neoplastica!benigna!
citologicamente!identica!alla!precedente!(priva!di!atipia!citologica)!ma!con!una!architettura!papilla3
re,!micropapillare,!o!piatta!con!epitelio!pseudostratificato,!
• PanIN$2:!lesione$piatta$o$papillare$con$alcune$atipie$nucleari.!E’!una!lesione!neoplastica!benigna!
che!cresce!in!maniera!papillare!o!piatta,!e!presenta!alcuni!nuclei!atipici!(perdita!della!polarità,!affol3
lamento,!aumento!delle!dimensioni,!pseudostratificazione)!ma!meno!che!nel!PanIN3;!le!rare!mitosi!
sono!tipiche,!
• PanAIN$ 3:$ lesione$ papllare$ e$ micropapillare,$ raramente$ piatta$ con$ atipia$ nucleare.! È! una! lesione!
premaligna!con!displasia!di!alto!grado!(atipia!architetturale!e!cellulare):!i!dotti!presentano!prolife3
razione!papillare!e!micropapillare!all’interno,!necrosi!intraluminale,!perdita!della!normale!polarità!
nucleare,!nuclei!polimorfici,!irregolarità!con!nucleoli!prominenti!e!mitosi!talora!atipiche.!Non!è!pre3
sente!infiltrazione!della!membrana!basale!né!dello!stroma!circostante,!quini!non!c’è!la!componente!
invasiva:!è!un!carcinoma$in&situ.!
In!sintesi!PanIN!1!e!PanIN!2!sono!lesioni!benigne;!PanIN!3!è!una!lesione!premaligna.!
!
!
NEOPLASIA$MUCINOSA$PAPILLARE$INTRADUTTALE$(IPMN)$
$
La!neoplasia$mucinosa$papillare$intraduttale!(IPMN)!è!una!lesione$premaligna!(non!invasiva),!più!frequen3
te!rispetto!alla!ITNM!(le!IPMN!insieme!alle!ITNM!rappresentano!comunque!meno!dell’1%!di!tutte!le!neopla3
sie!esocrine).!E’!uno!dei!precursori!dell’adenocarcinoma!duttale.!
La! maggior! parte! dei! pazienti! ha! manifestazioni$ similApancreatitiche:! dolore! epigastrico,! iperamilasemia,!
della!durata!anche!di!molti!anni.!Spesso!si!verifica!un’evoluzione!verso!l’insufficienza!pancreatica,!con!dia3
bete!e!steatorrea;!può!essere!causa!anche!di!una!pancreatite!cronica!da!occlusione!del!dotto!principale!del3
la!testa!pancreas!(sia!per!la!proliferazione!papillare!sia!per!la!produzione!di!muco).!
Da! un! punto! di! vista! radiologico! (TC)! si! osserva! come!
una! lesione! di! solito! dimensioni! maggiori! a! 1! cm! (per3
tanto!è!agevolmente!visibile):!se!inferiore!a!1!cm!la!dia3
gnosi!radiologica!è!di!di!PanIN;!questo!è!un!criterio!dia3
gnostico! radiologico! approssimativo! che! necessita! di!
conferma!con!esame!istologico.!
L’IPMN$ può! essere! classificata,! già! in! base! all’imaging,!
in:!
• centrale$ (main) duct) IPMN,) 75%),! se! cresce! nei!
dotti!principali!in!maniera!diffusa!(B)!o!segmen3
tale!(C),!
• periferica$ (branch7duct) IPMN),! se! cresce! esclu3
sivamente! nei! dotti! secondari! (A):! si! presenta!
come! cisti! mucinosa! comunicante! con! il! dotto!
pancreatico!principale,!che!però!non!è!dilatato.!
Può!essere!multifocale,!
• mista!(D).!
Da!un!punto!di!vista!microscopico,!come!suggerisce!il!
nome,!è!una!lesione!costituita!da!proliferazioni$papilA
lari$ di$ cellule$ mucosecernenti$ con$ differenziazione$
gastroenterica.!!
In!rapporto!al!grado!di!atipia!epiteliale,!che!può!essere!
variabile,!può!essere!classificata!in!IPMN$con$displasia$
di$grado$basso$o$alto$(in!questo!caso!è!un!carcinoma!
in) situ).! Resta! comunque! una! lesione! premaligna,! a!
prescindere! dal! grado! di! displasia:! se! compare! una!
componente!invasiva!diventa!invece!una!lesione!mali3
gna! (IPMN$ con$ associata$ componente$ invasiva).! Per3
tanto,!in!sede!di!esame!microscopico,!è!fondamentale!escludere!con!attenzione!che!ci!sia!una!componente!
invasiva;!per!esempio!un’IPMN!centrale!può!presentare!una!componente!invasiva!miscoscopica!non!visibile!
all’imaging!ma!solo!dal!patologo!(grazie!al!fatto!che!sono!state!effettuate!macroinclusioni!e!il!tessuto!viene!
osservato!nella!sua!interezza):!questo!cambia!la!prognosi!e!il!trattamento.!
A!seconda!dell’aspetto!citologico!dell’epitelio,!invece,!viene!classificata!in!IPMN:!
• gastroAintestinale,!di!solito!caratterizzata!da!displasia!lieve,!
• pancraticoAbiliare,!con!maggiore!tendenza!all’infiltrazione!e!displasia!di!alto!grado,!
• oncocitica!(ora!considerata!un’entità!a!sé!stante).!
La!sopravvivenza!a!5!anni!è!complessivamente!dell’83%;!in!particolare,!se!si!è!certi!che!la!neoplasia!è!tutta!
contenuta!nei!dotti,!la!prognosi!dipende!dal!tipo!di!atipie!cito3architetturali!e!dal!grado!di!displasia.!
La!forma!periferica!va!in!diagnosi$differenziale!con!una!neoplasia$mucinosa;!invece!quando!c’è!interessa3
mento!dei!dotti!principali!è!più!semplice!la!diagnosi!differenziale!con!una!neoplasia!mucinosa,!perché!essa!
non!interessa!mai!il!dotto!principale.!
!
!
!
!
NEOPLASIA$INTRADUTTALE$TUBULOAPAPILLARE$(ITNM)$
!
La! neoplasia$ intraduttale$ tubuloApapillare$ (ITNM)! è! una! lesione$ premaligna! molto! rara! (descritta! nel!
2009),!e!ben!circoscritta,!senza!aspetti!infiltrativi.!Non!produce!mucina.!
Da!un!punto!di!vista!microscopico!a!a!piccolo!ingran3
dimento!si!osserva!una!lesione!che!cresce!in!maniera!
organoide,!come!gli!acini!pancreatici,!formando!strutA
ture$ duttali$ e$ nidi$ solidi! sepimentati! da! tralci! fibrosi!
costituiti!da!collagene!poco!vascolarizzato;!ad!alto!in3
grandimento! si! notano! strutture$ tubulari$ e$ ghiandoA
lari!formate!da!cellule!con!minima$atipia$citologica. $
La! lesione! è! positiva! all’immunoistochimica! per! cito3
cheratina,! inibina! e! Mib1! (inferiore$ all’1%,! altrimenti!
si! tratta! di! una! neoplasia! maligna).! La! prova! che! la!
neoplasia!ha!un!andamento!clinico!benigno!è!il!bassis3
simo!numero!delle!mitosi.!
!
ADENOCARCINOMA$DUTTALE$
L’adenocarcinoma$ duttale$ è! una! neoplasia! maligna! (invasiva)! con! differenziazione! ghiandolare! (duttale)!
mucosecernente!simile!a!quelle!dell’apparato!digerente;!deriva!dall’epitelio!dei!dotti!pancreatici!e!rappre3
senta!il!90%!delle!neoplasie!del!pancreas.!Può!rappresentare!l’evoluzione!di!una!PanIN!o!di!un!IPMN.!
!
!
!
La!massima!incidenza!si!ha!tra$i$50$e$i$60$anni;!è!maggiormente!colpito!il!sesso$maschile.!
Nei!2/3!dei!casi!insorge!nella!testa!del!pancreas;!nei!restanti!casi!può!insorgere!con!la!stessa!probabilità!nel!
corpo!o!nella!coda.!Nella!maggior!parte!dei!casi!è!formato!da!lesioni!nodulari!singole,!ma!raramente!può!
essere!plurifocale.!
La! diagnosi! è! spesso! difficile$ e$ tardiva:! al! momento! della! diagnosi! di! solito! il! tumore! è! in! fase! avanzata.!
Quando!è!sintomatico!la!malattia!è!avanzata!e!la!prognosi!è!pessima;!i!sintomi!sono:!
• dolore$addominale!(correlato!all’infiltrazione!perineurale!dei!grossi!tronchi!nervosi),!
• perdita$di$peso$progressiva,$
• ittero!(50%),!solo!se!la!neoplasia!ha!sede!nella!testa,!per!stenosi!del!coledoco!o!dell’ampolla,!
• ascite,$in!caso!di!malattia!avanzata,$
• talora:!pancreatite!acuta,!tromboflebite!migrante!(correlata!a!produzione!di!fattori!procoagulanti!e!
attivazione!dell’aggregazione!piastrinica),!ipoglicemia,!ipercalcemia$
L’iter$ diagnostico$ prevede:! ecografia,! TAC,! RMN,! ERCP,! la! determinazione! dei! marker! tumorali! (Ca! 19.9,!
CEA),!l’ecoendoscopia!con!biopsia.!Spesso!la!diagnostica!macroscopica!non!corrisponde!a!quella!diagnosti3
ca!microscopica,!fondamentale!per!studiare!la!distanza!della!lesione!dal!margine!della!resezione,!da!cui!di3
pendono!la!terapia!e!l’andamento!della!malattia;!questo!vale!soprattutto!per!le!forme!poco!differenziate!
che!infiltrano!il!parenchima!circostante!a!nidi!o!a!singole!cellule!(non!visibili!macroscopicamente).!
!
MORFOLOGIA$
Da!un!punto!di!vista!macroscopico!appare!come!una!massa$sclerotica$biancoAgrigiastra!con!i!margini!mal!
definiti;!se!è!presente!necrosi!il!colore!è!bianco3giallastro.!
!
!!!!! !
!
Da!un!punto!di!vista!microscopico!il!tumore:!
• cresce! formando! dotti$ e$ ghiandole$ (più! o! meno! differenziate! in! base! al! grado),! con! un! fronte! di!
avanzamento!infiltrativo!e!molto!stroma$desmoplastico$(a!volte!così!importante!da!simulare!una!
pancreatite!cronica!slcerosante).)Poiché!l’infiltrazione!può!avvenire!anche!a!nidi!o!a!cellule!singole,!
il!margine!istologico!della!neoplasia!non!coincide!con!il!margine!macroscopico!osservato!durante!la!
resezione!chirurgica,$
• produce! mucina$ (soprattutto! nelle! forme! ben! differenziate),! a! differenza! dei! carcinomi! acinari! e!
neuroendocrini,!
• presenta!invasione$perineurale!(90%)!e!linfovascolare!(50%),!
• è!formato!da!cellule!con!atipia!e!numero!di!mitosi!più!o!meno!marcati!a!seconda!del!grado.!
!
!! !
Si!identificano!diversi!istotipi:!
• carcinoma!colloide,!presenta!una!importante!componente!mucinosa!(non!cistica)!ed!è!ipocellulata:!sembra!
che!le!poche!cellule!neoplastiche!(molto!atipiche)!galleggino!nel!muco,!
• carcinoma!con!cellule!ad!anello!con!castone,!
• carcinoma!adenosquamoso,!che!presenta!una!componente!ghiandolare!e!una!squamosa!(è!presente!anche!
nelle!ghiandole!salivari),!
• carcinoma!indifferenziato,!
• carcinoma! indifferenziato! con! cellule! giganti! osteoclast3like,! che! possono! simulare! un! altro! tumore,! per!
esempio!a!cellule!giganti,!
• carcinoma! epatoide,! che! cresce! formando! piccoli! nidi! solidi! di! cellule! e! strutture! trabecolari.! Sono! presenti!
aree! necrotico3emorragiche! e! presenta! le! caratteristiche! dell’epatocarcinoma! (è! positivo! ad! EparPar1,!
espresso!dagli!epatociti!normali!e!neoplastici);!va!in!diagnosi!differenziale!con!le!metastasi!da!HCC,!
• carcinoma!midollare.!
$
FATTORI$PROGNOSTICI$
La!prognosi!è!molto$infausta:!la!sopravvivenza$a$5$anni!non!supera!il!3A5%.!L’80%!dei!pazienti!è!inoperabile!
con!sopravvivenza!media!di!3!mesi;!nei!pazienti!operati!la!sopravvivenza!media!va!dai!10!ai!20!mesi.!
I!fattori$prognostici!sono:!
• sede:!al!momento!della!diagnosi!i!carcinomi!del!corpo!e!
della!coda!sono!più$avanzati!rispetto!a!quelli!della!testa,!
sia!per!la!sintomatologia!più!blanda!e!insidiosa!(che!por3
ta! a! una! diagnosi! più! tardiva)! sia! per! una! più! precoce!
diffusione!ai!tessuti!extrapancreatici;!
• dimensioni:! la! sopravvivenza! è! maggiore! nei! pazienti!
con!neoplasia!confinate!al!pancreas!di!diametro!inferioA
re$ai$3$cm!rispetto!a!pazienti!con!neoplasie!di!maggiori!
dimensioni!e/o!metastasi!linfonodali;!
• stadio$ TNM,! i! pazienti! con! neoplasia! confinata! al! pan3
creas! di! diametro! inferiore! ai! 2! cm! (T1N0M0)! sono! il!
10%!e!hanno!la!prognosi!più!favorevole;!in!caso!di!coin3
volgimento!di!1!o!2!linfonodi!peripancreatici!la!prognosi!
sembra! essere! la! stessa.! Si! parla! di! N1! anche! se! è! pre3
sente!un!solo!linfonodo!metastatico3.!$
Il! patologo! infatti,! oltre! a! valutare! almeno! 12A15$ linfoA
nodi$ locoregionali! presenti! nel! tessuto! adiposo! peri3
pancreatico;!
• grado$di$differenziazione,!secondo!alcuni!lavori!la!sopravvivenza!mediana!si!correla!in!modo!signifi3
cativo!con!il!grading,!la!cui!valutazione!dipende!da:!grado$di$differenziazione$delle$ghiandole,$indiA
ce$mitotico,$produzione$di$mucina$e$severità$delle$atipie$cellulari.!Però!la!valutazione!del!grading!
è!molto!spesso!soggettiva!e!poco!riproducibile.!Nel!dettaglio!abbiamo:!
o grado$1:!intensa!produzione!di!mucina,!5!mitosi/10HPF,!lieve!polimorfismo;!
o grado$2:!produzione!di!mucina!irregolare,!6310!mitosi/10HPF,!moderato!polimorfismo;!
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
3! Diversamente!da!altri!organi!l’N!non!si!fa!sul!numero!dei!linfonodi!metastatici!o!sulle!dimensioni!dei!linfonodi!meta3
statici!(ex.!carcinomi!delle!ghiandole!salivari!e!del!cavo!orale)!ma!dipende!unicamente!dalla!assenza!(N0)!o!presenza!
(N1)!dei!linfonodi.!N.d.r:!in!realtà!nell’ultima!classificazione!il!numero!dei!linfonodi!conta.!
o grado$3:!scarsa!produzione!di!mucina,!più!di!10!mitosi/10HPF,!marcato!polimorfismo!(con!in3
cremento!delle!dimensioni!cellulari).!
Nella!maggior!parte!dei!casi!(73%)!si!tratta!di!forme!ben!differenziate,!in!cui!si!riconoscono!ancora!
le!strutture!ghiandolari.!In!caso!di!eterogeneità,!il!grading!dipende!dalle!aree!con!grado!più!elevato:!
è!esso!ad!impattare!sulla!prognosi;!
• invasione$perineurale$e$vascolare,!
• istotipo,!
• stato$dei$margini.!Lo!studio!dello!stato!dei!margini!viene!effettuato!durante!l’esame!estemporaneo!
in!corso!di!duodenocefalopancreasectomia!(si!valutano!la!trancia!pancreatica!e!le!vie!biliari)!e!du3
rante!l’esame!definitivo;!in!entrambi!gli!esami!i!margini!vengono!colorati!con!l’inchiostro!di!china.!
Solitamente!si!vede!se!la!neoplasia!dista!di!più!(R0,!margine!libro)!o!di!meno!(R1,!margine!interes3
sato)!di!1$mm!dal$margine4.!In!quest’ultimo!caso!(malattia!non!resecata)!la!probabilità$di$recidiva!è!
prossima!al!100%.!Alcuni!autori!stanno!mettendo!in!discussione!la!distanza!di!1!mm!per!parlare!di!
margine!libero5.!
Le!recidive$locali!rappresentano!il!principale!fattore!che!determina!la!sopravvivenza!dopo!la!rese3
zione;!le!sedi!più!frequenti!di!recidive!sono!i!tessuti!che!circonda!i!grossi!vasi!mesenterici.!Seconde!
per! frequenza! sono! le! recidive! nei! linfonodi! e! le! metastasi! epatiche! non! evidenziate! al! momento!
dell’intervento.!
!
DIAGNOSI$DIFFERENZIALE$
La! diagnosi$ differenziale! dell’adenocarcinoma! duttale! è! problematica,! soprattutto! all’esame! estempora3
neo,!ma!anche!sul!pezzo!chirurgico.!Esso!va!in!diagnosi!differenziale!con:!
• pancreatite$cronica$diffusa:!ci!si!orienta!vedendo!sede!e!caratteristiche!citologiche!e!architetturali.!
Nella!pancreatite!cronica!l’area!in!cui!è!presente!il!sovvertimento!citoarchitetturale!può!estendersi!
per!più!di!233!cm.!Un!elemento!confondente!è!lo!stroma!desmoplastico!simula!lo!stroma!fibrotico!
della!pancreatite,!
• pancreatite$autoimmune.!Ma!in!questo!caso!si!osserva!un!infiltrato!infiammatorio!cronico!peridut3
tale!e!lo!stroma!è!cellulato,!
• aspetti$ riparativi$ delle$ ghiandole.! In! diverse! situazioni! gli! aspetti! iperplastico3riparativi! possono!
creare!problemi!di!diagnosi!differenziale,!perché!possono!essere!riscontrate!atipie!citologiche,!
• neoplasia$pancreatica$intraepiteliale:!la!differenza!la!fa!la!componente!invasiva.!
$
IMMUNOISTOCHIMICA$
Nella!maggior!parte!dei!casi!è!sufficiente!per!la!diagnosi!l’EE!(insieme!a!PAS!e!all’alcian,!che!ci!fanno!vedere!
la!mucina).!Le!tecniche!ancillari!potrebbero!essere!utili!per!la!diagnosi!differenziale,!anche!se!non!ci!sono!
marcatori!molto!specifici!per!differenziare!una!neoplasia!primitiva!muco3secernente!da!una!metastatica!o!
da!ghiandole!con!aspetti!riparativi;!quindi!i!marcatori!sono!utili!più!per!caratterizzare!i!sottotipi!di!un!ade3
nocarcinoma;!invece!è!la!storia!clinica!a!differenziare!un!tumore!primitivo!da!uno!metastatico.!
Nell’adenocarcinoma!duttale:!
• la!CK20!non!è!espressa!e!la!CK7!è!poco!espressa;!a!differenza!di!quanto!avviene!in!altri!organi!epiteliali,!
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
4
!Se#il#paziente#fa#una#terapia#neoadiuvante,#che#manda#in#necrosi#il#tumore,#la#stadiazione#risulta#più#difficile#poiché#
non#si#è#certi#dell’estensione#della#malattia#infatti,#in#questi#casi,#si#valutano#altri#aspetti#come#la#sostituzione#con#tes3
suto!fibroso.!Ci!possono!essere!dei!problemi!di!DD!nei!soggetti!che!hanno!avuto!pancreatite!cronica!dove!esiste!una!
componente!fibrosa!che!rende!difficile!definire!l’estensione!della!malattia!macroscopicamente.!
5
!Nel!cavo!orale!(emiglossectomia,!emimandibolectomia)!il!margine!libero!è!di!5!mm.!
6
• MUC1,!MUC3,!MUC4!di!solito!positivi,!e!MUC2!e!CDX2 ,!di!solito!negativi.!Questi!marker!si!usano!per!diffe3
renziare!una!neoplasia!muco3secernenti!da!un!adenocarcinoma!di!tipo!intestinale!si!usano;!
• il!CEA!è!positivo,!
• il!B72.3!è!positivo!(viene!usato!per!differenziare!a!livello!polmonare!un!mesotelioma!da!un!adenocarcinoma).!!
Marcatori!recenti!proposti!sono:!mesotelina,!annessina!A8,!claudina!4318!(positivi).!
!
CARCINOMA$ACINARE$
$
Il! carcinoma$ acinare! è! una! neoplasia! rara! (1%! delle! neoplasie! pancreas! esocrino)! che! prende! origine!
dall’epitelio! duttale! dei! dotti! escretori! o! anche! dall’epitelio! che! riveste! gli! acini! quindi! specializzato! nella!
produzione! di! enzimi! pancreatici.! A! prescindere! dall’origine,! le! cellule! della! neoplasia! sono! simili! a! quelle!
acinari.!
E’!una!neoplasia!aggressiva:!nel!50%$dei$casi!al!momento!della!diagnosi!sono!presenti!metastasi!epatiche!
e/o! linfonodali;! ha! una! malignità$ intermedia! tra! quella! dell’adenocarcinoma! duttale! e! quella! dei! tumori!
endocrini.!La!sopravvivenza!mediana'è'di'circa'19$mesi:!38!mesi!per!la!neoplasia!localizzata!e!18!per!neo3
plasia!metastatica.!
Da! un! punto! di! vista! macroscopico! si! pre3
senta!come!una!massa$di$grandi$dimensioni!
(in!media!di!10!cm),!di!colore!marrone$chiaA
ro! (rispetto! agli! adenocarcinomi! duttali! che!
sono!biancastri,!in!questa!neoplasia!cambia!
il!contenuto!di!lipidi!delle!cellule). !
Da!un!punto!di!vista!microscopico!cresce!in!
maniera!espansiva!formando!nidi,!ghiandole!
o! acini! dotati! di! lume;! le! cellule! hanno! un!
citoplasma! eosinofilo! e! PAS3positivo,! a! cau3
sa! del! ricco! contenuto! di! glicoproteine.! La!
citologia! è! più! blanda:! c’è! una! moderata!
atipia!cellulare. !
Si! osserva! positività$ immunoistochimica$
per$la$chimotripsina.!
L’immunoistochimica$ per$ gli$ enzimi$ panA
creatici$ (con! anticorpi! anti3tripsina,! anti3
chimotripsina! e! anti3amilasi)! è" importante"
per! distinguere! non! tanto! la! forma! duttale!
da!quella!acinare!(dal!momento!che!la!tera3
pia$per$le$due$forme$è$la$stessa),!ma!per!fa3
re! diagnosi! differenziale! tra! il! carcinoma!
acinare!e!il!tumore$endocrino!(che!possono!
essere!confusi).!
$
$
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
6!Il!CDX2!è!un!marcatore!immunistochimico!che!viene!usato!per!le!neoplasie!metastatiche!a!livello!epatico:!c’è!positi3
vità!nucleare!nelle!ghiandole!intestinali!normali!ed!è!negativo!nel!tumore;!se!la!lesione!epatica!esprime!CDX2,!citoche3
ratina,!si!può!ipotizzare!origine!instestinale.!
TUMORE$SOLIDO$PSEUDOPAPILLARE$
$
Il!tumore$solido$pseudopapillare!è!una!neoplasia!a!basso$grado$di$malignità!(clinicamente!benigna),!che!
colpisce!donne$giovani!e!il!cui!riscontro!è!spesso!casuale!(raramente!può!dare!ittero).!
Non!ha!predilezione!di!sede.!
Si! manifesta! macroscopicamente! come! una! massa$
rotondeggiante!(in!media!di!8310!cm),!ben$delimitaA
ta!da!un!rivestimento!capsulare!o!pseudocapsulare,!
granulosa;! presenta! aspetti! macro3! o! micro3cistici,!
talvolta!ci!possono!essere!aree!emorragiche,!cistico3
regressive,!necrotiche.!!!
Da! un! punto! di! vista! microscopico! questo! tumore!
ha!un!architettura!pseudopapillare:!si!osservano!ni3
di!solidi!di!cellule!scarsamente!coesive!che!formano!
un!manicotto!attorno!ai!vasi.!E’!un!tumore!di!basso!
grado:! le! cellule! sono$ monomorfe,$ con$ citologia!
blanda.$
In!generale!l’architettura!è!molto!variabile:!a!volte!si!osservano!papille!rivestite!da!epitelio!mono3!o!pluri3
stratificato!e!supportate!da!sottili!tralci,!con!aspetti!cistici,!altre!volte!la!neoplasia!cresce!in!maniera!solida!e!
si!osservano!vacuoli!con!materiale!glicoproteico!all’interno,!altre!volte!si!osserva!una!proliferazione!solida!a!
cellule!chiare.!
!! !
Da!un!punto!di!vista!immunoistochimico!le!cellule!di!questo!tumore!possono!essere!positive!per!il!recettore$
del$progesterone,$la!sinaptofisina,!il!CD56$(marker!neuroendocrino),$e!negative!per!la!cromogranina;!quin3
di!esprimono!dei!marcatori!molto!variabili.!Possono!esserci!anche!cellule!che!contengono!l’α1Aantitripsina,!
oppure!positive!per!il!CD10!(marcatore!epiteliale)!o!per!la!beta3catenina.!
Da! questo! profilo! immunoistochimico! emerge! che! l’origine! di! questo! tumore! non! è! chiara:! il! fatto! che!
esprimere!markers!epiteliali,!mesenchimali!ed!endocrini!suggerisce!un’origine!da$cellule$indifferenziate$toA
tipotenti.!
Può! dare! metastasi;! i! criteri! di! probabile! malignità,! quindi! di! metastasi! (linfonodali! ed! epatiche),! sono!
l’angioinvasione,!l’infiltrazione!perineurale!e!del!parenchima!pancreatico!circostante.!Il!tessuto!pancreatico!
può!infatti!essere!infiltrato,!però!se!la!lesione!è!asportata!completamente!non$c’è$il$rischio$di$recidiva,!a!
conferma!che!si!tratta!di!una!neoplasia!clinicamente!benigna.!
!
$
NEOPLASIE$METASTATICHE$
$
Il! pancreas! può! essere! sede! di! metastasi! singole! o! multiple,! che! possono! presentare! aspetto! necrotico3
emorragico.! Per! comprendere! se! una! lesione! pancreatica! è! un! tumore! primitivo! o! una! metastasi! di! una!
neoplasia!occulta!si!ricorre!all’immunoistochimica:!
I!marcatori!da!usare!in!caso!di!sospetta:!
• una!metastasi!dalla!mammella!è!positiva!a!CK7!e!CK20,$
• una!metastasi!dal!colon!è!negativa!a!CK7!!e!positiva!a!CK20!e!CDX2,$
• una!metastasi!da!melanoma!è!formata!da!cellule!epiteliomorfe!con!nucleo!grande!e!poco!citoplasma!privo!di!
pigmento!ed!è!positiva!a!S100!e!MelanA;!per!la!diagnosi!differenziale!si!può!usare!l’E600!che!colora!le!cellule!
melanocitarie;!$
• una!metastasi!di!carcinoma!a!cellule!chiare!del!rene!è"diagnosticabile!con!l’anamnesi!(ovviamente!se!disponi3
bile);$
• una!metastasi!da!neoplasia!di!tipo!uroteliale!è!positiva!a!p63!e!urotropina;$
• altri!anticorpi!utilizzati:!RCC,!S100,!MelanA,!GATA3,!p63,!uroplachina.!$
$
CARCINOMA$AMPOLLARE)
Neoplasia!che!origina!dall’epitelio!dell’ampolla!di!Vater!e!quindi!dalla!mucosa!di!tipo!intestinale!della!regione!ampol3
lare,!spesso!da!preesistenti!adenomi!villosi.!Va!distinta!dai!carcinomi!del!pancreas,!del!terzo!terminale!del!dotto!bilia3
re!comune,!e!da!altre!sedi!della!mucosa%duodenale.%Nelle%forme%avanzate%questa%distinzione%non%è%sempre%possibile:%
in#questi#casi#la#diagnosi#è#carcinoma$della$regione$PancreaticoABiliareAAmpollare.!!
La!neoplasia!può!invadere!per!infiltrazione!diretta!l’adiacente!mucosa!duodenale,!la!parete!duodenale,!il!pancreas&ed&
il#coledoco#ed#è#frequente#l’invasione#peri3neurale!con!metastasi!ai!linfonodi!regionali!che!si!riscontrano!nel!35350%!
dei!casi!e!sono!confinate!in!genere!nel!gruppo!peri3ampollare.!!
Sintomatologia.!Dà#molto#frequentemente#ittero!da!stasi!oppure!una!sintomatologia!pancreatica,!perché!impedisce!
il!deflusso!dei!succhi!pancreatici!e!il!ristagno!di!succo!pancreatico!con!possibile!pancreatite!acuta.!
Morfologia.!È"una"neoplasia"che"prende"origine"da"un"epitelio"che"è"al"limite"fra"l’epitelio!del!sistema!duttale!pan3
creatico(e(del(rivestimento(del(duodeno.(Molto(spesso(non(si(riesce(a(distinguere(bene(se(è(un(carcinoma(che(prende#
origine'dall’epitelio'dell’ampolla'o'se'è'un'carcinoma'che'prende'origine'dal'pancreas'e'che'ha'infiltrato!l’ampolla.!!
Ci!sono!tre!varianti:!
• carcinoma(ampollare(vero(e(proprio:(quando(la(neoplasia(è(confinata(all’interno(del(lume(dell’ampolla;!
• carcinoma(peri3ampollare:)quando)infiltra)la)parte)più)periferica;!
• carcinoma!misto!ampollare!e!peri3ampollare:!a!seconda!del!tipo!di!infiltrazione.!
Ha!un!aspetto!trabecolare!ordinato;!può!manifestarsi!sotto!forma!di!lesione!polipoide!che!al!taglio!mostra!una!proli3
ferazione!della!parete!dell’ampolla!e!la!ritrazione!della!parete!intra3ampollare.!Sono!in!genere!di!piccole!dimensioni!
perché,!il!più!delle!volte,$la$diagnosi$è$precoce.!Può!esserci!una!regione!ulcerata!depressa!che!interessa!sia!la!parete!
dell’ampolla!che!i!tessuti!peri3ampollari.!Ci!sono!lesioni!polipoidi!rilevate:!neoplasie!che!sono!rivestite!dall’epitelio!del!
duodeno!e!ne!crescono!al!di!sotto.!Quindi!la!neoplasia!pur!essendo!anche!di!grosse!dimensioni,!ha!dato!questa!lesio3
ne!polipoide!sulla!superficie!del!duodeno,!tuttavia%non%infiltra%molto%la%parete.%É%importante%che%non%dia%infiltrazione%
nel!tessuto!pancreatico!o!peri3pancreatico,!ricco!di!vasi!linfatici!e!vie!nervose,!poiché!sarebbe!più!facile!la!dissemina3
zione!per!le!vie!linfatiche!e!neurali.!In!questa!sede!sono!frequenti!tumori!come:!somatostatinoma!o!gastrinoma.!
La$ prognosi! è" significativamente" migliore" del" Ca." pancreatico" e" del" dotto! biliare! comune! (i# carcinomi# del# pancreas#
hanno%come%prognosi%pochi%mesi,%è%migliore%quella%dei%carcinomi%del%duodeno%e%dell’ampolla.%I%carcinomi%dell’ampolla%
con)linfonodi)negativi)hanno)una)prognosi)migliore)rispetto)a)quelli)positivi).)La!percentuale!di!sopravvivenza'a'5'anni'
è" del" 50%." In" assenza" di" metastasi" linfonodali" sale" all’80%." Le" metastasi" linfonodali" di" neoplasie" del" pancreas" e"
dell’ampolla)sono)decisive)per)la)prognosi)e)per)la)sopravvivenza)dei)pazienti.)La)prognosi)è)direttamente!correlata!
con! l’estensione! locale! della! neoplasia.! I! pazienti! con! neoplasia! confinata! all’interno! del! muscolo! di! Oddi! (stadio! I)!
hanno!una!sopravvivenza!a!5!anni!dell’85%.!
Immunoistochimica:$positivo!per!la!cromogranina.!
!
11.
PATOLOGIA
DEL
FEGATO
ANATOMIA
MICROSCOPICA
DEL
FEGATO
Nel
fegato
possono
essere
individuate
due
unità
morfo-‐funzionali:
• il
lobulo,
una
struttura
esagonale
il
cui
centro
è
formato
dalla
vena
centrolobulare;
ai
vertici
ci
so-‐
no
gli
spazi
portali
(la
fila
di
epatociti
che
si
colloca
tra
lo
spazio
portale
e
il
lobulo
prende
il
nome
di
lamina
limitante).
All’interno
del
lobulo
si
di-‐
stinguono
tre
zone:
la
zona
pericentrale,
attor-‐
no
alla
vena
centrolobulare,
la
zona
periportale,
attorno
allo
spazio
portale,
la
zona
intermedia;
• l’acino,
una
struttura
che
gravita
attorno
allo
spazio
portale
con
le
sue
componenti.
In
base
alla
distanza
dallo
spazio
portale,
si
distinguono
tre
zone:
zona
1
(periportale),
zona
2
(interme-‐
dia)
e
zona
3
(perivenosa,
vicino
alla
vena
cen-‐
trolobulare).
Lo
spazio
portale
contiene
la
triade
portale,
formata
da
tre
strutture
circondate
da
un
connettivo
di
sup-‐
porto;
esse
sono:
• una
vena
che
deriva
dal
sistema
portale
(ramo
della
vena
porta):
ha
un
lume
ampio
ed
una
parete
sottile,
costituita
da
cellule
endoteliali
e
membrana
basale
(il
connettivo
è
scarso
e
manca
la
mu-‐
scolare),
• un’arteria,
ramo
dell’arteria
epatica,
che
porta
sangue
ossigenato;
ha
lume
più
pic-‐
colo
e
parete
più
spessa
(data
dalla
mu-‐
scolare),
• un
duttulo
biliare
formato
da
un
mono-‐
strato
di
colangiociti
(cellule
epiteliali
cu-‐
biche).
È
un
epitelio
basso
(a
differenza
di
quello
dei
tubuli
renali,
il
quale
occupa
gran
parte
del
lume),
adatto
al
transito
della
bile,
prodotta
dagli
epatociti.
Il
sangue
dalla
vena
e
dall’arteria
è
immesso
nei
sinusoidi,
in
cui
c’è
quindi
mescolanza
di
sangue
ossigena-‐
to
e
non
ossigenato,
e
scorre
verso
la
vena
centrolobulare
(che
rappresenta
l’origine
delle
vene
sovraepati-‐
che:
si
presenta
ampia,
con
parete
sottilissima
e
protuberanze,
che
corrispondono
allo
sbocco
dei
sinusoidi
al
suo
interno);
mentre
la
bile
ha
un
decorso
opposto,
ovvero
dal
centro
del
lobulo
verso
i
dotti
biliari
dello
spazio
portale.
Gran
parte
dell’irrorazione
epatica
è
venosa
(vena
porta):
la
componente
arteriosa
è
minori-‐
taria;
ma
nella
cirrosi
avanzata,
l’architettura
epatica
è
così
compromessa
da
alterare
questo
flusso
ematico
artero-‐venoso:
il
sangue
bypassa
il
circolo
sinusoidale
(ostruito
dal
nodulo
cirrotico)
e
arriva
direttamente
alla
vena
centro-‐lobulare.
Si
mettono
in
evidenza
alcuni
aspetti
citoarchitettonici
importanti
nello
studio
dell’anatomia
patologia
del-‐
le
epatopatie.
• Il
sinusoide
è
un
capillare
con
decorso
non
rettilineo,
lume
più
ampio
ed
endotelio
fenestrato
con
membrana
basale
discontinua,
interposto
tra
travate
di
epatociti;
a
causa
dell’aumento
del
calibro,
il
sangue
scorre
più
lentamente
e
aumenta
il
tempo
di
contatto
con
gli
epatociti:
questo
favorisce
la
modificazione
delle
sostanze
provenienti
dal
circolo
portale.
• Gli
epatociti
sono
disposti
in
travate
monolaminari,
spesse
una
cellula
(questa
disposizione
si
alte-‐
ra
nei
processi
rigenerativi,
degenerativi
e
nei
noduli
preneoplastici
della
cirrosi
dove
tende
a
diven-‐
tare
nodulare).
L’epatocita
ha
un
nucleo
centrale
con
nucleolo
evidente
(è
metabolicamente
attivo)
e
un
citopla-‐
sma
granulare.
Al
suo
interno
si
possono
trovare
degli
accumuli
pigmento
giallastro,
fisiologici
e/o
patologici,
che
possono
essere
(in
ordine
di
probabilità
decrescente)
formati
da:
o lipofuscina1:
deriva
dai
prodotti
terminali
della
degradazione
cellulare.
Può
essere
anche
un
reperto
fisiologico,
o bile,
si
ritrova
nelle
patologie
colestatiche
(al
microscopio
ottico
assume
un
colore
giallo-‐
verdastro),
o emosiderina:
è
prodotta
dall’emocateresi.
Si
riscontra
nelle
malattie
da
accumulo
quali
l’emocromatosi,
nelle
talassemie
major
e
minor,
e
in
tutti
i
disturbi
della
degradazione
delle
emazie,
o melanina,
o rame,
nella
malattia
di
Wilson.
• Il
confine
tra
i
sinusoidi
e
gli
epato-‐
citi
non
è
netto:
al
di
sotto
dell’endotelio
dei
sinusoidi
c’è
un
sottile
spazio,
detto
spazio
di
Disse,
che
separa
il
sinusoide
dagli
epato-‐
citi;
è
uno
uno
spazio
più
o
meno
virtuale
(visibile
solo
al
microscopio
elettronico),
contenente
fibre
reti-‐
colari
visibili
con
la
impregnazione
argentica
e
che
supportano
i
due
tessuti
(travate
e
sinusoidi).
1
La
lipofuscina
non
è
un
pigmento
specifico
del
fegato:
si
può
trovare
in
tutti
gli
organi
con
una
distruzione
cellulare,
in
particolare
in:
neuroipofisi,
surrene,
milza
(la
splenomegalia
nei
processi
infiammatori
acuti
è
dovuta
al
rallenta-‐
mento
del
flusso
ematico
nei
sinusoidi
splenici,
che
aumenta
il
tempo
di
contatto
sangue-‐istiociti
fissi,
favorendo
la
rimozione
dei
detriti
cellulari
in
circolo)
e
vescichette
seminali
(gli
spermatozoi
che
non
vengono
eiaculati
muoiono
e
diventano
lipofuscina).
• Le
cellule
endoteliali
poggiano
su
una
sottile
membrana
basale,
che
forma
un
reticolo
collageno
visibile
con
l’impregnazione
argentica;
importante
è
che
la
membrana
basale
rimanga
sottile
per
favorire
il
contatto
e
la
diffusione
di
sostanze
tra
sinusoide
ed
epatocita.
Però
nelle
epatopatie
cro-‐
niche,
caratterizzate
da
fibrosi
dello
spazio
portale
e
dei
sinusoidi,
questa
membrana
si
inspessisce,
e
viene
compromesso
lo
scambio
di
sostanze2.
In
generale,
l’impregnazione
argentica,
colo-‐
rando
di
nero
le
fibre
reticolari,
consente
di
ve-‐
dere
un
eventuale
collasso
dei
sinusoidi:
in
tal
caso
le
membrane
basali
di
due
sinusoidi
adia-‐
centi
arrivano
a
toccarsi
(questo
evento
si
può
verificare
in
caso
di
necrosi
epatocitaria,
poi-‐
ché
la
travata
di
cellule
che
separava
i
due
sinu-‐
soidi
adiacenti
è
andata
incontro
a
perdita
cel-‐
lulare).
Inoltre,
questa
tecnica
permette
di
visualizzare
l’ispessimento
del
reticolo
in
caso
di
fibrosi
(aumen-‐
ta
la
distanza
sinusoide-‐epatocita).
Nella
fibrosi
il
sinusoide
si
capillarizza,
la
membrana
basale
di-‐
venta
continua,
diminuiscono
gli
scambi
ed
aumentano
la
velocità
di
transito
e
le
resistenze
(quindi
ci
può
essere
ipertensione
portale);
inoltre,
la
fibrosi
ostacola
la
rigenerazione
epatica,
poiché
di-‐
strugge
le
fibre
del
reticolo
collageno
che
fanno
da
guida
ai
processi
rigenerativi.
• Oltre
alle
cellule
endoteliali
fenestrate,
nei
sinusoidi
sono
presenti
elementi
istiocitari
fissi:
le
cellu-‐
le
di
Kupferr3,
che
eliminano
sostanze
di
scarto
e
detriti
cellulari
(compresi
quelli
che
si
liberano
nel
corso
di
un’epatite).
Su
base
morfologica
le
cellule
di
Kupffer
sono
indistinguibili
dagli
epatociti
(en-‐
trambe
rivestono
il
sinusoide).
Tuttavia,
in
caso
di
danno
cellulare,
le
cellule
di
Kupffer
cambiano
aspetto
e
diventano
distinguibili:
presentano
un
citoplasma
abbondante
e
si
colorano
con
il
pig-‐
mento.
La
loro
visualizzazione
è
quindi
un
segno
indiretto
di
danno
cellulare.
• Tra
due
epatociti
ci
sono
i
canalicoli
biliari
che
rappresentano
l’inizio
delle
vie
biliari:
sono
spazi
compresi
tra
le
cellule
(quindi
privi
di
parete
propria
e
delimitati
dalla
membrana
basale
degli
epa-‐
tociti),
che
confluiscono
in
dotti
biliari
dotati
di
parete
(formata
da
colangiociti),
detti
dotti
di
He-‐
ring,
che
si
portano
negli
spazi
biliari.
Al
microscopio
ottico
i
canalicoli
appaiono
come
puntini
gialli
tra
due
epatociti.
BIOPSIA
EPATICA
La
diagnosi
anatomopatologia
delle
patologie
del
fegato
si
fa
sulle
biopsie
epa-‐
tiche,
che
vengono
prelevate
con
un
ago
che
estrae
un
cilindro
di
parenchima.
L’ago
per
la
biopsia4
è
uguale
per
tutti
gli
organi
e
presenta
un
alloggiamento
dove
si
dispone
il
campione
di
tessuto
prelevato.
Il
diametro
si
misura
in
Gauge
(G)
e
dipende
dall’organo
da
biopsiare:
per
la
biopsia
epatica
è
da
16
G5.
2
Stessa
cosa
accade
nel
rene
dove
nell’interstizio
abbiamo
i
tubuli
circondati
dalla
membrana
basale
e
da
una
rete
di
capillari
arteriosi
con
i
quali
scambiano
sostanze:
in
processi
patologici
come
le
nefriti
interstiziali
abbiamo
fibrosi
e
aumenta
la
distanza
dal
lume
del
tubulo
con
questi
capillari
per
cui
c’è
un’alterata
diffusione.
3
Sono
cellule
del
sistema
monocito-‐macrofagico,
come
le
cellule
mesangiali
o
le
cellule
istiocitarie
di
sponda
della
mil-‐
za
(lì
presenti
per
eliminare
le
emazie
vecchie).
4
L’ago
per
la
biopsia
epatica
è
stato
inventato
da
un
maceratese,
il
Dott.
Menghini.
5
Per
quella
osteomidollare
è
da
14
G,
per
la
prostata
da
18G
e
per
l’agoaspirato
da
22
G;
maggiore
è
il
numero
più
piccolo
è
il
diametro
dell’ago.
La
fissazione
del
tessuto
epatico
pone
alcuni
problemi,
in
quanto
gli
zuccheri
in
esso
contenuti
vengono
sciolti
dalla
formalina
(composta
per
il
90%
da
acqua).
In
passato
si
usava
l’alcool,
ma
poi
il
tessuto
si
indu-‐
riva
e
frammentava.
Pertanto,
si
è
tornati
alla
formalina.
Le
indicazioni
alla
biopsia
epatica
sono:
• diagnosi,
grading
e
staging
dell’epatopatia
alcolica,
della
steatoepatite
alcolica
o
dell’epatite
au-‐
toimmune,
• grading
e
staging
dell’epatite
cronica
B
o
C,
• valutazione
delle
epatopatie
colestatiche
primitive
(cirrosi
biliare
primitiva
e
colangite
sclerosante
primitiva),
• valutazione
del
danno
da
trattamenti
terapeutici
(es.
metrotrexate
per
la
psoriasi),
• valutazione
del
fegato
del
donatore
prima
del
trapianto
e
delle
condizioni
del
fegato
dopo
il
tra-‐
pianto,
• diagnosi
su
noduli
o
masse
epatiche,
• diagnosi
di
emocromatosi,
• diagnosi
di
malattia
di
Wilson.
Il
grading
rappresenta
la
valutazione
della
gravità,
lo
staging
la
valutazione
del
grado
di
evoluzione
verso
la
cirrosi.
LESIONI
ELEMENTARI
DEL
FEGATO
Alla
biopsia
epatica
si
valutano
le
lesioni
elementari,
ovvero
le
alterazioni
delle
singole
componenti
del
pa-‐
renchima
epatico,
riscontrabili
in
tutte
le
epatopatie
e
dalla
cui
combinazione
scaturisce
la
diagnosi
finale.
Esse
sono:
• la
degenerazione,
che
consiste
nel
riscontro
di
aspetti
regressivi
degli
epatociti
che
precedono
la
necrosi;
sono
presenti
sia
nelle
forme
acute
sia
in
quelle
croniche.
La
degenerazione
può
essere:
o balloniforme,
a
carico
degli
epatociti
e
del
loro
nucleo;
si
osservano:
§ epatociti
aumentati
di
volume
con
accumulo
di
liquidi,
§ rarefazione
degli
organuli
citoplasmatici;
il
citoplasma
diventa
meno
omogeneo
e
più
granulare
per
la
presenza
dei
residui
degli
organelli,
§ dilatazioni
del
RER,
con
formazione
di
piccole
vescicole,
§ diminuzione
del
glicogeno:
il
citoplasma
diventa
più
chiaro
alla
colorazione
PAS,
§ corpi
di
Mallory-‐Denk
(possono
presentarsi
da
soli
associati
alla
degenerazione
balloni-‐
forme;
v.
dopo)
§ nuclei
ingranditi
con
rarefazione
della
cromatina,
§ necrosi
litica
(e
non
apoptotica).
Le
cause
di
degenerazione
balloniforme
sono
molteplici,
ma
in
generale
essa
è
considerata
un
segno
di
danno
acuto,
ad
esempio
nella
epatite
acuta
virale
e
nelle
epatiti
croniche
con
riacu-‐
tizzazione.
La
diagnosi
differenziale
è
con
la
steatosi,
nella
quale
non
ci
sono
residui
di
organelli
citoplasmatici.
La
degenerazione
balloniforme
precede
la
necrosi
litica
(v.
dopo);
o corpi
di
Mallory-‐Denk,
sono
accumuli
citoplasmatici
dovuti
alla
condensazione
dei
filamenti
di
citocheratina
del
citoscheletro;
o steatosi:
è
un
accumulo
monolacunare
di
grasso.
Il
citoplasma
dell’epatocita
è
occupato
da
un
singolo
vacuolo
bianco6,
costituito
da
grassi
(che
vengono
persi
con
la
processazione;
per
que-‐
sto
motivo
è
bianco,
ovvero
vuoto).
Tutti
gli
organelli
sono
spostati
alla
periferia
sotto
la
membrana
cellulare
che
appare
più
spessa;
a
volte
si
vedono
i
nuclei,
anche
essi
eccentrici,
as-‐
sottigliati
e
un
po’allungati.
La
steatosi
si
osserva
negli
alcolisti
e
nei
pazienti
dismetabolici
e
conduce
a
necrosi
apoptotica,
non
a
necrosi
litica;
o colestasi:
è
un’ostruzione
al
deflusso
della
bile
con
formazione
di
piccoli
trombi
biliari
nel
si-‐
stema
biliare,
in
particolare
nei
canalicoli
biliari
(in
fase
iniziale),
nei
piccoli
dotti
biliari
dotati
di
parete,
negli
epatociti.
La
bile
stagnante,
visibile
come
pigmento
giallo-‐verdastro
(a
seconda
di
quanto
sia
stata
coniugata),
può
refluire
nei
sinusoidi
e
andare
in
circolo.
Una
patologia
del
lobulo
di
tipo
infiammatorio
o
degenerativo
può
determinare
colestasi;
6
Il
tessuto
adiposo
non
si
fissa
con
la
formalina,
perché
questa
è
idrosolubile.
Prima
si
toglie
l’acqua
con
l’alcool,
poi
si
mette
lo
xilolo,
che
scioglie
i
grassi.
Infine,
si
fissa
con
la
paraffina.
Al
vetrino
la
differenza
tra
la
degenerazione
balloni-‐
forme
e
la
steatosi
è
che
mentre
nella
prima
ci
sono
residui
citoplasmatici,
nella
seconda
il
vacuolo
è
completamente
vuoto.
• necrosi:
può
essere
di
due
tipi:
o apoptotica7:
più
semplice
da
individuare
rispetto
alla
necrosi
litica,
è
una
necrosi
di
tipo
coagu-‐
lativo,
in
cui
le
cellule
condensano
gli
organelli
e
il
citoplasma,
che
diventa
eosinoflio,
e
hanno
un
nucleo
che
diventa
picnotico
per
addensamento
della
cromatina;
infine
il
nucleo
si
fram-‐
menta
(carioressi)
e
viene
perso:
si
formano
così
i
corpi
apoptotici
o
corpi
di
Councilman8.
Tali
corpi
si
trovano
all’inizio
nelle
travate
al
posto
degli
epatociti
morti,
successivamente
vicino
ai
sinusoidi
dove
vengono
fagocitati
dalle
cellule
di
Kupffer.
Le
cellule
di
Kupffer,
nell’eliminare
le
cellule
morte,
vanno
incontro
a
iperplasia
e
presentano
un
citoplasma
abbondante
in
cui
si
sono
accumulati
pigmenti;
diventano
così
distinguibili
dalle
cellule
endoteliali.
La
necrosi
apoptotica
si
osserva
comunemente
nelle
epatiti
virali
anitteriche,
croniche,
da
cause
tossiche
o
immunologiche;
o litica:
consiste
nella
dissoluzione
e
frammentazione
della
cellula,
senza
la
condensazione
del
citoplasma.
La
disgregazione
cellulare
è
seguita
dalla
rapida
scomparsa
dei
detriti
per
fagoci-‐
tosi,
talora
associata
alla
presenza
di
un
infiltrato
infiammatorio
cronico;
infatti
i
detriti
vengo-‐
no
rimossi
dalle
cellule
di
Kupffer,
ma
soprattutto
dai
linfociti
(la
cui
identificazione
è
utile
poi-‐
ché
questa
necrosi
è
talmente
rapida
da
non
essere
visualizzabile
al
vetrino).
La
necrosi
litica
rappresenta
spesso
la
conseguenza
della
degenerazione
balloniforme;
in
alcu-‐
ni
casi
si
può
associare
a
quella
coagulativa.
Può
essere
classificata
in
base
alla
topografia
(v.
dopo);
• rigenerazione:
si
manifesta
con
il
reperto
di
travate
più
spesse,
perché
bi-‐
o
tricellulari,
o
di
noduli
(non
si
valuta
con
un
aumento
dell’indice
mitotico);
questi
segni,
indicativi
delle
grosse
capacità
ri-‐
generative
del
fegato,
si
osservano
in
alcune
patologie
del
fegato
e
delle
vie
biliari;
• infiammazione:
presenza
di
un
infiltrato
infiammatorio
linfocitario
a
livello
dello
spazio
portale
(non
è
un’infiammazione
neutrofila).
Comunque,
la
presenza
di
elementi
infiammatori
nello
spazio
portale
non
è
necessariamente
segno
di
infiammazione
(la
stessa
cosa
vale
per
l’interstizio
renale
e
per
la
mucosa
gastrica);
• fibrosi:
è
un
segno
del
processo
di
riparazione
del
danno
degli
epatociti
e
può
avvenire
nelle
zone
in
cui
c’è
tessuto
connettivo,
ovvero
a
livello
dello
spazio
portale
(aumenta
il
connettivo
di
suppor-‐
to)
oppure
nei
lobuli
(per
aumento
della
deposizione
di
fibre
reticolari).
Può
evolvere
verso
la
cirro-‐
si,
che
rappresenta
una
condizione
preneoplastica;
• lesioni
pre-‐neoplastiche:
si
osservano
noduli
con
displasia,
visibili
nelle
epatopatie
croniche
e
asso-‐
ciati
a
un
aumento
dell’incidenza
di
neoplasie;
• lesioni
neoplastiche
(v.
dopo):
caratterizzano
il
quadro
di
epatocarcinoma
o
colangiocarcinoma,
a
seconda
dal
tipo
cellulare
da
cui
derivano.
7
È
una
necrosi,
non
ha
vie
molecolari
in
comune
non
l’apoptosi.
È
una
descrizione
morfologica,
il
cui
studio
ha
portato
alla
scoperta
dell’apoptosi.
Questi
fenomeni
si
osservano
anche
negli
altri
organi,
come
ad
esempio
nell’epidermide
ho
la
discheratosi
che
significa
perdita
del
nucleo
e
accumulo
di
cheratina
non
solo
negli
strati
superficiali
ma
preco-‐
cemente
e
anche
negli
strati
più
profondi,
come
in
quello
basale.
Questa
è
una
forma
di
apoptosi
in
cui
le
cellule
per-‐
dono
il
nucleo
e
diventano
eosinofile.
8
[Descritti
dall’omonimo
scienziato
nei
casi
di
febbre
gialla,
rappresentano
un
tipo
di
necrosi
focale
in
cui
l’epatocita
morto
è
identificabile
come
un
corpo
eosinofilo,
rotondo,
ristretto
e
dal
nucleo
variabile
(spesso
assente).
Di
solito
so-‐
no
accompagnati
da
infiammazione.
Sono
un
segno
di
danno
epatocellulare
non-‐specifico.
Il
Robbins
usa
questa
dici-‐
tura
solo
per
la
necrosi
da
febbre
gialla,
mentre
definisce
“corpi
acidofili”
quei
corpi
apoptotici
che
derivano
da
necrosi
epatica
per
altra
causa
(es.
epatiti
acute
e
croniche).
Questo
avviene
anche
negli
altri
organi,
es.
nella
discheratosi
dell’epidermide,
difetto
della
maturazione
in
cui
la
perdita
del
nucleo
e
l’accumulo
di
cheratina,
normalmente
confina-‐
ta
agli
strati
superficiali,
si
estende
in
profondità,
anche
fino
allo
strato
basale].
Ciascuna
lesione
interessa
quindi
solo
alcune
delle
strutture
istologiche
del
fegato:
• degenerazione,
necrosi
e
rigenerazione
si
riferiscono
agli
epatociti;
• l’infiammazione
si
riferisce
allo
stroma,
in
particolare
allo
spazio
portale;
• la
fibrosi
si
riferisce
in
parte
allo
spazio
portale
e
in
parte
alla
struttura
di
sostegno
del
fegato;
• le
lesioni
preneoplastica
e
neoplastiche
si
riferiscono
agli
epatociti
o
ai
colangiociti
dei
dotti
biliari.
TOPOGRAFIA
DELLA
NECROSI
LITICA
La
necrosi
litica
può
essere
classificata
in
base
alle
zone
interessate,
ovvero
alla
sua
topografia
(che
correla
peraltro
con
la
gravità
della
necrosi);
distinguiamo:
• necrosi
spotty,
o
a
spruzzo:
è
la
necrosi
litica
di
singoli
epatociti
o
di
piccoli
gruppi
di
epatociti
adiacenti.
La
necrosi
è
focale:
si
osservano
piccole
aree
necrotiche
distribuite
a
random
nell’acino,
anche
se
nelle
fasi
iniziali
è
più
evidente
nella
zona
perivenulare
(zona
3);
• necrosi
confluente:
è
una
necrosi
zonale
(più
abbondante),
che
coinvolge
gruppi
adiacenti
di
epa-‐
tociti.
Inizia
nella
zona
1
e
si
estende
verso
i
territori
acinari
periferici
(zone
2
e
3);
La
morte
degli
epatociti
porta
al
collasso
delle
fibre
reticolari
(perché
le
cellule
che
le
separavano
scompaiono),
con
conseguente
formazione
di
setti
passivi:
sono
costituiti
quindi
da
un
aggregato
di
fibre
reticolari
(setto),
non
associato
a
neodeposizione
di
collagene
(passivo)
e
privo
di
elementi
in-‐
fiammatori.
Durante
il
processo
di
riparazione,
le
fibre
collassate
di
tale
setto
saranno
nuovamente
divise
dagli
epatociti
in
proliferazione
che
si
riorganizzano
in
travate
(prima
più
spesse
poi
monostratificate),
utilizzando
come
guida
proprio
i
setti.
Si
ripristina
così
l’anatomia
e
il
rapporto
tra
travata
ed
epato-‐
cita;
• necrosi
a
ponte,
o
bridging:
è
una
forma
particolare
di
necrosi
confluente
che
connette
le
diverse
strutture
del
fegato
(spazi
portali
e/o
vene
centrolobulari);
può
essere:
o centro-‐centrale,
se
collega
due
vene
centrolobulari.
Normalmente
le
vene
centro-‐lobulari
sono
separate
dalle
travate
epatocitarie,
non
comunicano
fra
loro,
ma
in
caso
di
necrosi
vengono
ma del microscopio, si
buli del reticolo liscio.
rus B (in tale caso le
a anche in epatopatie
a farmaco-metaboliz- collegate
dalle
fibre
reticolari
che
supportano
le
travate
epatocitarie
necrotiche;
ciò
consente
(ad esempio da accu-
al
sangue
di
andare
da
una
vena
centrolobulare
all’altra,
invece
di
gettarsi
direttamente
nelle
vene
sovraepatiche;
’aspetto che mostrano o porto-‐portale,
se
collega
due
spazi
portali;
n seguito all’accumu- o porto-‐centrale,
se
collega
uno
spazio
portale
a
una
vena
centro-‐lobulare.
In
questo
caso
il
san-‐
e sono rigonfie e pre-
gue
portale
che
arriva
a
livello
dello
spazio
va
direttamente
nella
vena
centrolobulare,
bypas-‐
quale possono osser-
metodo all’orceina si sando
il
lobulo.
Più
estesa
è
la
necrosi,
maggiori
sono
le
alterazioni
della
circolazione
e
della
rrispondono ad accu- FIGURA 9.16 Fibrosi periterminale all’impregnazione argen-
tica:funzione
fibre collageneepatiche;
disposte intorno alla vena terminale o
(metallotioneine). centrolobulare. Gomori.
intensamente eosino-
o al nucleo degli epa- Fibrosi periterminale. La vena terminale (anche detta
cavallo” (Figura 9.15). centrolobulare) normalmente ha una parete fenestrata
one del citoscheletro. che consente ai sinusoidi di fare confluire il sangue che
nell’epatopatia alco- ha attraversato l’acino senza alcuna resistenza. La pre-
colestasi, nel morbo di senza di fibre collagene attorno alla vena può causare
lcolica, nel carcinoma un blocco del circolo ematico. Nei casi più gravi que-
ie sperimentali. sta lesione istologica, se diffusa, può essere la causa di
ipertensione portale (Figura 9.16).
Fibrosi a ponte. Si intende con fibrosi a ponte la deposi-
Gallo 09.qxd 29-09-2007 20:02 Pagina 596
rosi in funzione della zione di fibre di collagene all’interno degli acini, fino a
congiungere tra loro le diverse ramificazioni vascolari.
processo infiammato- Esistono, di conseguenza, diversi tipi di ponti:
amina limitante peri- • porto-portali (P-P) (Figura 9.17); PATOLOGIA DEL FEGATO
ché non altera l’archi- • porto-centrali (P-C); E DELLE VIE BILIARI
• porto-centro-portali (P-C-P) (Figura 9.18).
FIGURA 9.17 Schema che raffigura i setti fibrosi a ponte por- FIGURA 9.18 Schema che raffigura i setti fibrosi a ponte por-
to-portali: setto di tessuto connettivo fibroso che unisce due to-centro-portali: setto di tessuto connettivo fibroso che unisce
due spazi portali alla vena terminale o centrolobulare (di Da-
oplasma degli epatociti. spazi portali fra loro (di Daniela Fanni, Cagliari).
niela Fanni, Cagliari).
FIGURA 9.20 S
•595
necrosi
da
interfaccia
(piecemeal
necrosis):
è
quella
più
frequente
nelle
epatopatie
croniche
e
generazione ci
che unisce gli s
coinvolge
gli
epatociti
della
lamina
limitante,
cioè
che
separano
il
lobulo
dallo
spazio
portale,
for-‐ centrolobulari (
FIGURA 9.21 F
Essi sono considerati l’elemento determinante dell’al-
terazione dell’architettura epatica. La forma più grave è
il ponte P-C-P che delimita dei sequestri epatocitari Fibrosi intrasinu
Gallo 09.qxd 29-09-2007 20:02 Pagina 597
Le
fasi
della
necrosi
da
interfaccia
sono
due:
o peripolesi
(iniziale;
v.
fig.
sx):
gli
istiociti
escono
dagli
spazi
portali,
entrano
nel
lobulo
attraver-‐
so
la
lamina
limitante
e
si
dispongono
intorno
ai
singoli
epatociti.
Si
osservano
linfociti
a
stretto
contatto
con
gli
epatociti;
FIGURA 9.22 Necrosi della lamina periportale o epatite del- FIGURA 9.24 La CK7 marca le cellule di origine biliare: s
emperipolesi
(successiva;
v.
fig.
dx):
i
linfociti
si
invaginano
o l’interfaccia. come
se
entrassero
neoduttulogenesi a placcanperiportale,
egli
epatociti,
sia le cellule proli
ranti isolate, anche dette cellule
distruggendo
la
cellula.
A
livello
microscopico
sembra
che
i
linfociti
siano
contenuti
dentro
gli
ovali.
epatociti.
fiammatoria. L’uso di un anticorpo anticitocheratina
chiarisce il dubbio, marcando le cellule biliari prolif
ranti, dette anche cellule ovali per la forma del loro n
cleo (Figura 9.24).
Flogosi intralobulare. È la lesione tipica dell’epatite ac
ta, e si accompagna alla necrosi litica e all’apoptosi d
gli epatociti. Come avviene anche nell’epatite cronic
l’infiltrato è prevalentemente linfocitario. Alla necro
epatocitaria conseguono due lesioni ulteriori. La prim
è la presenza di cellule di Kupffer rigonfie, contenen
materiale granulare PAS-positivo diastasi-resisten
La
conseguenza
di
questa
risposta
infiammatoria
è
la
deposizione
di
collagene,
che
porta
alla
for-‐ detto anche pigmento ceroide (Figura 9.25); la secon
FIGURA 9.23 Peripolesi: linfociti che si interpongono tra gli
mazione
epatociti. d i
s etti
a ttivi:
s ono
s etti
d a
d eposizione
d i
c ollagene
cicatriziale
(e
non
da
collasso
di
colla-‐
gene
reticolare),
quindi
irreversibili,
che
contengono
elementi
infiammatori.
Questi
elementi
a
loro
volta
aggrediscono
gli
epatociti
adiacenti
ai
setti,
inducendone
la
necrosi;
così
aumenta
ulterior-‐
Necrosi della lamina periportale (epatite dell’interfac- 9
mente
lo
spazio
per
deporre
nuovo
collagene
e
la
fibrosi
si
espande
cia). Si intende lo sconfinamento della flogosi dai limi- :
così
il
processo
si
cronicizza
10
(quindi
s i
a utoperpetua)
ti dello spazio portale, definiti dalla lamina di epatociti e d
e sita
n ella
c irrosi .
I n
q uesta
f ase
s i
o sserva
un
progressivo
ampliamen-‐
to
fibrotico
che lo avvolgono dello
spazio
(Figura 9.22). I (linfociti
periportale
si interpon-
irreversibile).
gono tra gli epatociti
periportali, aderiscono alla loro
membrana avvolgendoli (peripolesi) e penetrano nel lo-
ro
citoplasma
(emperipolesi)
causandone la morte (Figu-
9 ra 9.23). È il tipico segno di attività in corso di epatite
Quindi
i
setti
passivi
sono
la
guida
per
la
rigenerazione
epatocitaria,
quelli
attivi
segnano
l’inizio
di
un’ulteriore
di-‐
struzione
degli
cronica. epatociti.
Può, però, riscontrarsi anche in epatiti acute,
La
cirrosi
è
isoprattutto rreversibile,
in quella da virus Delta. lLa necrosi della la-
10
ma
si
possono
rallentare
e
fasi
di
collagenizzazione.
mina limitante può essere causata, oltre che da linfoci-
ti, anche dalla proliferazione di cellule biliari, nel corso
di colestasi cronica, e prende il nome di necrosi della
lamina di tipo biliare. La diagnosi differenziale tra le FIGURA 9.25 Cellule di Kupffer ipertrofiche ripiene di ma
PATOLOGIA
INFIAMMATORIA
DEL
FEGATO:
EPATITI
E
CIRROSI
Le
epatiti
sono
patologie
infiammatorie
del
fegato
classificabili
in:
1. acute,
sono
virali,
ma
riconosciamo
anche
epatiti
da
altre
cause
(es.
da
farmaci).
Le
epatiti
acute
da
farmaci
sono
causate
da
danno
tossico
diretto
(dose-‐dipendente)
o
idiosincrasico
(dose-‐
indipendente,
non
mediato
direttamente
dal
farmaco).
Il
quadro
morfologico
è
caratterizzato
da
necrosi,
corpi
apoptotici,
steatosi,
colestasi,
infiltrato
infiammatorio,
rigenerazione,
2. croniche,
3. autoimmunitarie,
4. alcoliche,
5. [non
alcoliche
(metaboliche)].
Possono
tutte
evolvere
verso
la
cirrosi,
una
condizione
preneoplastica,
e
quindi
in
cancro.
1.
EPATITE
ACUTA
VIRALE
L’epatite
acuta
virale
è
una
patologia
infiammatoria
acuta
del
fegato
causata
dall’infezione
di
un
virus
epa-‐
totropo;
se
la
risposta
infiammatoria
contro
il
virus
si
cronicizza
e
dura
più
di
6
mesi,
può
evolvere
in
un’epatite
cronica.
I
virus
epatotropi
maggiori
che
causano
le
epatiti
acute
sono
cinque;
sono
classificati
con
una
lettera
maiu-‐
scola
e
vengono
identificati,
grazie
alla
biologia
molecolare,
in
base
alla
loro
sequenza
genetica
DNA
o
RNA.
HAV
HBV
HCV
HDV
HEV
Acido
nucleico
RNA
DNA
RNA
RNA
RNA
Trasmissione
Oro-‐fecale
Parenterale
Parenterale
Parenterale
Oro-‐fecale
Sessuale
Sessuale
Incubazione
2-‐6
settimane
4-‐26
settimane
2-‐26
settimane
4-‐7
settimane
2-‐8
settimane
Epatite
Cronica
No
7-‐10%
>
50%
<
5%
coinfezione
No
80%
superinfezione
Portatore
No
Sì
Sì
Sì
(tossicodipen-‐ No
denti,
emofiliaci)
HCC
No
Sì
Sì
Con
HBV
No
Come
accennato,
le
epatiti
acute
possono
cronicizzare
ed
esitare
in
una
forma
degenerazione
neoplastica
degli
epatociti
(carcinoma
epatocellulare),
che
quindi
non
è
una
conseguenza
del
danno
acuto
ma
solo
di
danno
cronico.
A
cronicizzare
sono
le
forme
B
(7-‐10%),
C
(più
del
50%)
e
D
(meno
del
5%
in
caso
di
coinfe-‐
zione11
e
80%
in
caso
di
superinfezione):
solo
in
questi
casi
può
insorgere
un
carcinoma
epatocellulare.
In
sintesi,
il
rischio
di
cronicizzazione
è
praticamente
assente
nelle
epatiti
A
ed
E
ed
è
massimo
in
caso
di
in-‐
fezione
da
HCV
e
di
superinfezione
da
HDV.
11
Il
virus
dell’epatite
delta
(HDV)
non
possiede
nel
genoma
i
geni
per
la
replicazione,
pertanto
è
in
grado
ci
completa-‐
re
il
ciclo
virale
solo
in
una
cellula
coinfettata
da
HBV;
gli
scenari
clinici
in
cui
si
può
verificare
questo
sono
due:
• la
coinfezione,
ovvero
l’infezione
contemporanea
di
HBV
e
HDV,
trasmessa
da
un
soggetto
a
sua
volta
coinfetto.
In
questo
caso
le
conseguenze
sono:
guarigione
(90%),
cronicizzazione
(meno
del
5%),
epatite
grave
fulminante
(3-‐4%),
cirrosi
(rara);
• la
superinfezione,
ovvero
l’infezione
da
HDV
in
un
soggetto
già
infetto
(o
portatore)
da
HBV.
In
questo
caso
le
conseguenze
sono:
cronicizzazione
(80%,
la
percentuale
aumenta
di
molto
rispetto
alla
coinfezione
perché
in
questo
caso
c’è
già
un’infezione
cronica
da
HBV),
guarigione
(10-‐15%),
epatite
fulminante
(7-‐10%).
La
morfologia
permette
di
diagnosticare
un
danno
epatocellulare
acuto
(caratterizzato
da
necrosi
litica
e
apoptotica,
infiltrato
infiammatorio
e
rigenerazione),
ma
non
di
distinguere
le
varie
forme
di
epatite
acuta
virale
e
di
arrivare
a
una
diagnosi
eziologica;
pertanto
è
fondamentale
l’integrazione
con
i
dati
clinici
e
la-‐
boratoristici.
Per
quanto
concerne
le
correlazioni
anatomo-‐cliniche,
l’epatite
acuta
si
manifesta
con:
• ittero,
dovuto
alla
necrosi
che
altera
la
comunicazione
tra
epatocita
e
vie
biliari;
questo
causa
l’immissione
in
circolo
di
bilirubina.
L’entità
dell’ittero
è
molto
variabile:
basti
pensare
che
l’epatite
acuta
virale
può
anche
decorrere
in
maniera
asintomatica
da
un
punto
di
vista
clinico;
• aumento
delle
transaminasi,
• aumento
della
bilirubina,
• [positività
ai
marker
virali
di
epatite].
Oggi
spesso
il
clinico
ha
elementi
clinici
e
laboratoristici
sufficienti
per
fare
la
diagnosi
di
epatite
acuta
ed
effettua
sempre
meno
biopsie,
a
cui
invece
si
ricorre
ancora
nelle
forme
cronicizzate
(soprattutto
che
per-‐
durano
per
più
di
6
mesi
senza
mostrare
nessun
segno
di
miglioramento).
MORFOLOGIA
Aspetto
macroscopico
Oggi
è
raro
morire
di
epatite
acuta,
pertanto
l’osservazione
macroscopica
del
fegato
in
corso
di
epatite
acuta
(fatta
post-‐mortem)
è
sempre
meno
frequente;
attualmente
solo
in
caso
epatite
fulminan-‐
te,
che
viene
trattata
con
il
trapianto
di
fegato,
si
os-‐
serva
il
fegato
asportato,
affetto
da
epatite
acuta,
che
appare
di
dimensioni
aumentate
(epatomegalia)
e
con
una
superficie
rossastra
(in
caso
di
rottura
dei
va-‐
si)
o
verdastra
(se
presente
colestasi).
Aspetto
microscopico
Nelle
epatiti
acute
c’è
la
combinazione
delle
lesioni
elementari
precedentemente
descritte;
in
particolare
si
osservano:
• lesioni
parenchimali,
che
sono
o degenerazione
balloniforme,
necrosi
litica
e
apoptotica,
necrosi
a
ponte
(nei
casi
gravi);
sono
lesioni
a
carico
degli
epatociti;
o sovvertimento
della
normale
architettura
dei
lobuli:
il
reticolo
collassa
e
si
formano
i
setti
passivi,
o segni
di
colestasi:
si
osservano
trombi
biliari
intracanalicolari
(e
a
volte
negli
epatociti),
perché
si
perde
la
continuità
tra
i
canalicoli
e
i
piccoli
dotti
biliari,
a
causa
della
distruzione
degli
epa-‐
tociti
(e
quindi
del
primissimo
tratto
delle
vie
biliari,
da
essi
delimitato),
o rigenerazione
epatocellulare,
che
non
emerge
dalle
mitosi
ma
dall’inspessimento
delle
travate
(che
diventano
bi-‐
o
tricellulari),
o cellule
di
Kuppfer
prominenti,
quindi
ipertrofiche
e
iperplastiche,
con
accumulo
di
detriti
cel-‐
lulari
(sotto
forma
di
pigmenti
ceroidi
di
lipofuscina
nel
citoplasma,
risultato
della
degradazio-‐
ne
lipidica
delle
membrane),
infiltrato
di
cellule
mononucleate
nei
sinusoidi:
i
linfociti12
invadono
il
lobulo
per
eliminare
gli
o
epatociti
morti;
• lesioni
portali:
o flogosi
prevalentemente
mononucleare
(con
infiltrato
linfocitario)
negli
spazi
portali,
o invasione
da
parte
dell’infiltrato
infiammatorio
del
parenchima
adiacente,
con
necrosi
epato-‐
cellulare
e
distruzione
della
lamina
limitante.
Molte
di
queste
lesioni
morfologiche
sono
riscontrabili
anche
nelle
epatiti
croniche.
L’unico
quadro
morfologico
che
permette
di
arrivare
alla
diagnosi
eziologica
di
un’epatite
acuta
virale
si
può
osservare
(qualche
volta)
in
corso
di
infezione
da
HBV:
è
il
cosiddetto
il
citoplasma
a
“vetro
smerigliato”,
dovuto
alla
ricchezza
di
particelle
virali
all’interno
del
citosol
dell’epatocita.
Classificazione
istologica
dell’epatite
virale
acuta
L’epatite
virale
acuta
può
essere
classificata
in
base
all’estensione
crescente
della
necrosi
in:
1. epatite
acuta
classica
con
necrosi
focale
“spotty”,
2. epatite
acuta
con
necrosi
periportale,
3. epatite
acuta
con
necrosi
a
ponte,
4. epatite
acuta
con
necrosi
panacinare
o
multiacinare,
porta
all’epatite
fulminante.
I
diversi
tipi
di
necrosi
possono
essere
presenti
contemporaneamente.
Si
è
visto
che
c’è
una
corrispondenza
anatomo-‐clinica
tra
l’entità
della
necrosi
e
il
quadro
clinico,
che
può
essere
molto
variabile:
va
da
un
malessere
generale,
che
passa
quasi
asintomatico,
a
forme
più
gravi
con
presenza
di
ittero.
Infatti,
se
la
necrosi
è
focale
il
paziente
guarisce
più
o
meno
spontaneamente,
se
la
ne-‐
crosi
è
massiva
il
quadro
può
evolvere
in
epatite
fulminante.
EPATITE
FULMINANTE
L’epatite
fulminante
è
una
condizione
clinica
e
morfologica
caratterizzata
da
necrosi
massiva
del
paren-‐
chima
epatico
ed
encefalopatia
(dovuta
all’aumento
in
circolo
di
sostanze
non
metabolizzate
o
rilasciate
dal
fegato).
Può
essere
causata
da
virus,
farmaci
(paracetamolo),
agenti
tossici,
morbo
di
Wilson.
All’esame
microscopico
del
fegato
si
osservano:
necrosi
massiva
degli
epatociti,
scarso
infiltrato
infiamma-‐
torio,
stravasi
emorragici.
Per
quanto
concerne
le
correlazioni
anatomo-‐cliniche,
si
osserva
un
aumento
in
circolo
di:
LDH,
AST
e
ALT
(20-‐30
volte
la
norma),
bilirubina,
ammonio.
12
I
neutrofili
compaiono
nell’infiammazione
acuta
batterica,
come
nell’ascesso
epatico,
in
cui
gli
agenti
infettivi
arri-‐
vano
per
via
canalicolare
(risalgono
dalle
vie
biliari
extraepatiche)
o
per
via
ematica
(in
caso
di
batteriemia
acuta).
2.
EPATITE
CRONICA
L’epatite
cronica
è
una
malattia
infiammatoria
del
fegato
che
persiste
nel
tempo
per
più
di
6
mesi,
in
as-‐
senza
di
un
miglioramento
clinico
ed
istopatologico.
Può
evolvere
in
cirrosi
(non
sempre)
e
quindi
in
cancro.
E’
una
sindrome
clinica
e
patologica
a
eziologia
multipla,
infatti
in
tale
categoria
diagnostica
rientrano
più
malattie
con
diversa
eziopatogenesi
ma
quadro
morfologico
sovrapponibile,
caratterizzato
da
necrosi
epa-‐
tocitaria,
infiltrato
linfocitario
di
entità
variabile
e
fibrosi
(che
rappresenta
l’unico
aspetto
in
più
rispetto
al
quadro
acuto).
Quindi
è
indispensabile
integrare
parametri
clinici,
istologici
e
sierologici
per
una
corretta
valutazione
dia-‐
gnostica
e
prognostica
delle
epatiti
croniche,
quindi
per
comprenderne
l’eziologia,
l’attività
della
malattia,
lo
stadio
della
malattia,
eventuali
superinfezioni
da
altri
virus
o
comparsa
di
mutanti
virali.
Nelle
epatiti
croniche
la
biopsia
è
indicata
per
valutare:
• la
gravità
del
danno
necrotico-‐infiammatorio,
quindi
l’attività
di
malattia
(grading),
che
correla
con
i
sintomi
e
con
la
velocità
di
progressione,
• lo
stadio,
quindi
l’evoluzione
verso
la
cirrosi
(staging),
che
dipende
dall’entità
della
fibrosi.
La
classificazione
eziopatogenetica
delle
epatiti
croniche
include:
• epatiti
virali
(gruppo
principale13),
sostenute
da
HBV,
HCV,
HDV
(soprattutto
superinfezione),
• epatiti
autoimmuni,
caratterizzate
da
attivazione
dell’autoimmunità;
possono
essere
di
tipo
I
o
II;
• epatiti
da
farmaci;
• epatite
criptogenetica:
è
presente
il
danno
morfologico
ma
non
è
possibile
identificare
l’eziopatogenesi.
E’
importante
individuare
la
causa
per
prescrivere
la
terapia
più
adeguata.
I
sintomi
associati
all’epatite
cronica
sono
aspecifici:
malessere
generale
e
ittero
sono
tra
i
più
frequenti,
meno
frequenti
sono
invece
nausea,
dolore
addominale
e
artralgie.
La
sintomatologia,
pertanto,
è
poco
in-‐
dicativa
eccetto
che
nelle
forme
più
gravi,
come
l’epatite
cronica
riacutizzata.
MORFOLOGIA
Le
lesioni
elementari
necrotico-‐infiammatorie
che
caratterizzano
il
quadro
morfologico
si
classificano
in:
• lesioni
portali.
A
livello
del
connettivo
dello
spazio
portale
si
osserva
un
infiltrato
infiammatorio
di
entità
variabile,
costituito
prevalentemente
da
linfociti
e,
in
quantità
inferiore,
plasmacellule
(gli
eosinofili
possono
essere
presenti
nelle
lesioni
da
farmaci),
talora
strutturati
in
agglomerati
“nodu-‐
lari”
o
in
veri
e
propri
follicoli
linfatici
(con
un
centro
germinativo).
In
caso
di
infiammazione
esclu-‐
siva
degli
spazi
portali
si
parlava
di
epatite
cronica
persistente
(questa
dizione
è
ora
desueto).
Questo
reperto
però
non
è
specifico;
infatti
nel
fegato,
l’assenza
di
neutrofili
è
compatibile
con
un
quadro
di
infiammazione
non
solo
cronica
ma
anche
acuta:
anche
nell’epatite
acuta14
sono
assenti
i
granulociti
neutrofili,
che
compaiono
nel
fegato
in
caso
di
attacco
acuto
verso
i
colangiociti
(quindi
di
colangite
acuta).
L’infiltrazione
linfocitaria
si
evidenzia
con
la
presenza
di
nuclei
cellulari
ipercromatici
nello
spazio
portale;
a
volte
questi
linfociti
(giunti
nel
fegato
per
attaccare
l’epatocita)
possono
rivolgersi
contro
i
colagiociti
dei
dotti
biliari
provocando
colangiti
linfocitarie.
• lesioni
periportali.
L’infiltrato
infiammatorio
attacca,
determinandone
la
necrosi,
gli
epatociti
al
confine
tra
lobulo
e
spazi
portali.
Si
parla
di
necrosi
periportale,
necrosi
della
lamina
limitante
o
ne-‐
13
E
c’è
anche
da
ricordare
che
una
parte
di
questi
pazienti
sono
pazienti
che
sono
immunodepressi
per
tratta-‐
menti
farmacologici
oppure
perché
sono
affetti
da
HIV,
quindi
questi
pazienti
hanno
una
combinazione
dello
stato
di
immu-‐
nosoppressione
e
poi
la
sovrainfezione
e
l’infezione
epatica
da
virus.
14
analogamente
alle
nefriti
interstiziali
e
a
differenza
della
colecistite
acuta
e
dell’appendicite
acuta
(per
esempio)
crosi
piecemeal
(per
il
fatto
che
il
danno
è
discontinuo
lungo
questa
lamina
di
epatociti).
Si
osserva-‐
no:
o cellule
infiammatorie
mononucleate
localizzate
all’interfaccia
porto-‐periportale;
o progressiva
perdita
degli
epatociti
della
lamina
limitante,
che
vanno
incontro
a
degenerazione
balloniforme
e
necrosi
litica;
o segni
di
necrosi
da
interfaccia:
sostituzione
fibrotica
di
grado
variabile,
formazione
di
setti
at-‐
tivi
e/o
di
ponti
(porto-‐portali,
etc.),
espansione
dello
spazio
portale,
peripolesi,
emperipolesi;
• lesioni
intraacinari:
sono
lesioni
che
interessano
la
parte
centrale
del
lobulo
(zona
2-‐3),
in
cui
si
os-‐
serva:
o necrosi
focale
o
confluente
degli
epatociti
determinata
dalla
flogosi.
Come
già
detto,
la
necro-‐
si
focale
è
una
necrosi
di
tipo
litico
(o
apoptotico)
di
epatociti
singoli
o
di
piccoli
gruppi
di
epa-‐
tociti;
la
necrosi
confluente
interessa
gruppi
di
epatociti
adiacenti
e
può
assumere
i
caratteri
della
necrosi
a
ponte
che
connette
strutture
portali
e/o
vene
centrolobulari
contigue
(questa
rappresenta
uno
dei
punti
di
passaggio
verso
la
cirrosi),
o attivazione
delle
cellule
di
Kupfer,
che
proliferano
e
captano
materiale
da
eliminare,
o infiltrato
infiammatorio
intrasinusoidale
per
l’infiltrazione
delle
cellule
infiammatorie
nel
si-‐
stema
vascolare
(i
linfociti
si
spostano
o
lungo
le
travate
necrotiche
o
lungo
i
vasi),
o steatosi,
per
esempio
nelle
forme
alcoliche,
o siderosi,
ovvero
accumulo
di
emosiderina.
In
sintesi
si
osserva
un’estensione
in
zona
2
e
3
delle
lesioni
viste
nell’area
periportale
(zona
1),
do-‐
vuta
allo
spostamento
dei
linfociti
verso
il
centro
del
lobulo;
• fibrosi:
è
tipica
delle
epatiti
croniche
e
può
assumere
i
caratteri
del
setto
attivo
o
del
setto
passivo,
• rigenerazione
conseguente
alla
necrosi
degli
epatociti
su
base
infiammatoria;
il
segno
più
caratteri-‐
stico
della
rigenerazione
epatica
è
il
riscontro
di
travate
di
epatociti
bi-‐
o
trilaminari.
Queste
lesioni,
classificate
in
base
alla
localizzazione
e
descritte
separatamente,
riconoscono
meccanismi
comuni
e,
pertanto,
non
sono
indipendenti
e
sono
compresenti
ma
in
sedi
diverse.
Grading
La
valutazione
dell’attività,
quindi
della
gravità,
della
malattia
si
basa
sull’entità
della
necrosi
(periportale
ed
acinare,
focale
e
confluente)
e
dall’infiammazione
(portale
e
acinare);
più
questi
fenomeni
sono
intensi,
più
è
grave
la
malattia,
più
è
grave
il
quadro
clinico
e
la
prognosi.
Infatti
il
grado
di
attività
della
malattia
ha
un
valore
prognostico.
Esistono
vari
metodi
per
definire
il
grado
di
attività,
più
o
meno
sovrapponibili
(METAVIR,
SCHEUER
score,
ISHAK
score).
METAVIR,
usato
presso
l’AP
di
Ancona,
valuta
la
peacemeal
necrosis
(PMN)
e
la
necrosi
lobu-‐
lare
(NL)
assegnando
a
ciascuna
un
punteggio
variabile
da
0
a
3
a
seconda
della
gravità.
Grado
Peacemeal
necrosis
(necrosi
periportale):
PMN
Necrosi
lobulare:
LN
0
Assente
Meno
di
un
focolaio
necrotico-‐infiammatorio
per
lobulo.
1
Lesioni
focali
della
lamina
limitante
in
alcuni
spa-‐ Almeno
un
focolaio
necrotico-‐infiammatorio
per
lo-‐
zi
portali.
bulo.
2
Lesioni
diffuse
della
lamina
limitante
in
alcuni
Numerosi
focolai
necrotico-‐emorragici
per
lobulo
o
spazi
portali
o
lesioni
focali
della
lamina
limitante
necrosi
confluente
con
“bridging”.
in
tutti
gli
spazi.
3
Lesioni
diffuse
della
lamina
limitante
in
tutti
gli
I
linfociti
vanno
all’interno
del
lobulo
e
alterano
la
spazi.
lamina
limitante.
I
due
punteggi
ottenuti
devono
essere
combinati15
per
ottenere
il
METAVIR
grade,
che
va
anch’esso
da
0
a
3
(il
grado
3
corrisponde
a
una
progressiva
sostituzione
dei
lobuli
da
parte
del
connettivo);
ricordiamo
che
quando
la
peacemeal
necrosis
è
pari
a
3,
il
METAVIR
grade
è
sempre
di
3,
a
prescindere
da
come
sia
la
ne-‐
crosi
lobulare.
Staging
Lo
staging
è
la
valutazione
dell’evoluzione
dell’epatite
cronica
verso
la
cirrosi,
che
rappresenta
lo
stadio
fi-‐
nale
non
obbligatorio
nella
progressione
della
malattia:
infatti
l’epatite
cronica
potrebbe
anche
rimanere
stabile
nel
tempo
o
regredire16
in
parte
(spontaneamente
o
in
seguito
alla
terapia).
Tale
valutazione
viene
effettuata
per
mezzo
dello
studio
1)
dell’estensione
della
fibrosi
(il
processo
finale
di
sostituzione
del
parenchima)
e,
di
conseguenza,
2)
della
presenza
di
alterazioni
dell’architettura
lobulare
e
della
disposizione
monolaminare
degli
epatociti.
Quindi,
maggiore
è
la
fibrosi,
maggiore
è
l’alterazione
dell’architettura
del
lobulo
e
maggiore
è
la
probabilità
di
evoluzione
verso
la
cirrosi.
Il
sistema
di
stadiazione
assegna
alla
fibrosi
un
punteggio
da
0
a
4:
• 0:
assenza
di
fibrosi;
• 1:
fibrosi
portale
senza
eviden-‐
za
di
setti;
• 2:
fibrosi
portale
con
evidenza
di
pochi
setti;
• 3:
numerosi
setti
senza
cirrosi;
• 4:
cirrosi.
La
fibrosi
va
valutata
al
microscopio
con
EE,
che
fa
vedere
i
setti
e
gli
epatociti,
non
più
compatti
e
separati
da
elementi
infiammatori
cronici
e
fibrosi,
Mallory,
che
colora
in
blu
il
connettivo
denso
e
fa
vedere
i
tralci
15
Nel
dettaglio:
• Se
PMN=0
e
LN=0,
il
grado
di
attività
è
0
anche
se
il
processo
dura
nel
tempo.
• Per
PMN=0,
il
grado
di
attività
è
1
o
2
a
seconda
che
LN
sia
1
o
2.
• Se
PMN=1,
per
LN
di
0
o
1
il
grado
di
attività
è
1,
mentre
per
LN
di
2,
il
grado
è
2.
• Per
PMN=3,
il
grado
di
attività
è
sempre
3
indipendentemente
dal
LN.
16
Secondo
alcuni
clinici,
la
fibrosi
è
un
processo
reversibile:
sono
stati
descritti
casi
in
cui
gli
epatociti
siano
tornati
a
costituire
un
lobulo
(per
quanto
al
Prof.
Montironi
non
sia
mai
capitato
di
osservarlo).
come
linee
blu,
più
o
meno
estese,
e
soprattutto
con
l’impregnazione
argentica,
che
mette
bene
in
eviden-‐
za
le
fibre
di
supporto
dei
sinusoidi
e
permette
di
valutare
la
presenza
e
l’estensione
dei
setti,
Comunque,
la
definizione
di
fibrosi
non
è
oggettiva:
solo
grazie
all’esperienza,
il
clinico
riesce
ad
essere
ab-‐
bastanza
accurato
e
riproducibile17.
Ruolo
della
biopsia
nell’epatite
cronica
La
biopsia
nell’epatite
cronica
serve
per:
• la
conferma
dell’ipotesi
clinica
di
epatite
cronica
e
l’esclusione
di
altre
patologie,
• la
definizione
di
grading
e
staging,
• il
monitoraggio
delle
lesioni
nei
pazienti
sottoposti
a
trattamento;
• la
diagnosi
eziologica,
ovvero
serve
a
valutare
la
compatibilità
tra
il
quadro
morfologico
e
l’ipotesi
eziologica
clinica;
• valutare
altre
lesioni
che
possono
essere
presenti
(epatopatia
alcolica,
emosiderosi,
granulomi),
• valutare
eventuali
lesioni
preneoplastiche
(displasia
a
piccole
o
grandi
cellule)
o
neoplastiche.
Tra
le
epatopatie
croniche
che
necessitano
di
biopsia,
si
ricordano
anche
l’emocromatosi,
la
malattia
di
Wil-‐
son
e
le
malattie
colestatiche.
3.
EPATOPATIE
AUTOIMMUNI
ED
EPATITI
AUTOIMMUNI
Le
epatiti
autoimmuni
fanno
parte
di
un
capitolo
più
ampio
di
patologie
autoimmunitarie,
le
epatopatie
au-‐
toimmuni,
che
comprendono:
• l’epatite
autoimmune
(EAI),
simile
alle
epatiti
virali
dal
punto
di
vista
istologico,
ma
differente
da
un
punto
di
vista
sierologico,
• la
cirrosi
biliare
primitiva
(CBP),
caratterizzata
dall’interessamento
dei
piccoli
dotti
biliari
dello
spa-‐
zio
portale,
e
dalla
successiva
alterazione
dei
lobuli;
• colangite
autoimmune,
simile
alla
cirrosi
biliare
primitiva
da
un
punto
di
vista
morfologico,
ma
dif-‐
ferente
da
un
punto
di
vista
sierologioco;
• colangite
sclerosante
primitiva
(CSP),
che
interessa
i
grossi
dotti
biliari,
generalmente
extraepatici;
• quadri
di
sovrapposizione
(forme
di
overlapping),
tra
EAI
e
CBP
o
CSP.
Queste
patologie
sono
distinguibili
(tra
di
loro
e
rispetto
alle
forme
virali)
grazie
alla
sierologia,
quindi
per
mezzo
dello
studio
del
profilo
autoanticorpale;
pertanto
per
la
diagnosi
è
indispensabile
l’integrazione
di
dati
clinici,
sierologici
e
morfologici.
Epatite
Cirrosi
biliare
Colangite
Colangite
sclerosante
autoimmune
primitiva
autoimmune
primitiva
F:M
4:1
9:1
9:1
1:2
Test
epatici
alterati
AST,
ALT
FA,
γ-‐GT
FA,
γ-‐GT
FA,
γ-‐GT
Aumento
IgG
IgM
IgM
IgG,
IgM
18
Autoanticorpi
Tipo
1:
ANA,
ASMA
AMA
ANA,
ASMA
p-‐ANCA
Tipo
2:
LKM1,
LC1
(anti-‐mitocondrio)
Istologia
Epatite
da
interfaccia
Lesioni
floride
dei
Lesioni
floride
Fibrosi
e
stenosi
dei
e
lobulare;
numerose
dotti
biliari
portali.
dei
dotti
biliari.
grossi
dotti
biliari;
plasmacellule.
duttopenia.
17
L’accuratezza
fa
riferimento
alla
corrispondenza
tra
ciò
che
si
osserva
e
quello
a
cui
corrisponde
realmente
l’immagine;
per
riproducibilità
si
intende
la
corrispondenza
tra
più
valutazioni
effettuate
in
tempi
diversi
(dalla
stessa
persona
o
da
persone
diverse).
18
La
positività
dei
p-‐ANCA
è
compatibile
con
i
quadri
di
patologie
pauci-‐immuni.
EPATITE
AUTOIMMUNE
L’epatite
autoimmune
è
una
malattia
cronica
necrotico-‐infiammatoria
del
fegato
ad
eziologia
sconosciuta.
Può
essere,
in
base
alla
sierologia:
• di
tipo
I
(95%):
positiva
ad
anticorpi
anti-‐nucleo
(ANA)
e/o
anti-‐cellule
muscolari
lisce
(ASMA);
• di
tipo
II
(5%):
positiva
ad
anticorpi
anti-‐microsomali
fegato-‐rene
(LKM1)
(o
anticitosol
epatico).
E’
importante
differenziarla
dalle
altre
forme
di
epatopatie
per
l’alta
percentuale
di
casi
che
rispondono
alla
terapia.
È
un
epatite
ad
interfaccia
e
lobulare,
caratterizzata
da
nu-‐
merose
plasmacellule
(diversamente
da
quanto
accade
nelle
forme
virali).
Gli
elementi
infiammatori
determinano
la
necrosi
degli
epato-‐
citi
a
cui
segue
la
deposizione
di
tessuto
connettivo,
con
com-‐
parsa
di
setti
fibrosi.
Con
terapia
o
spontaneamente,
l’infiltrato
infiammatorio
in-‐
tralobulare
si
riduce
progressivamente
e
il
parenchima
epati-‐
co
va
incontro
a
rigenerazione:
si
ricostituiscono
le
travate
epatocitarie,
grazie
al
supporto
delle
fibre
reticolari
dei
setti
passivi
e
dello
spazio
di
Disse
(che
circondano
i
sinusoidi).
La
biopsia
epatica
nell’epatite
autoimmune
è
utile
per:
• fornire
supporto
diagnostico:
conferma
il
sospetto
diagnostico
e/o
identifica
altre
patologie;
• fornire
indicazioni
prognostiche
(grading
e
staging);
• monitorare
la
malattia
durante
il
trattamento:
osservare
la
remissione
o
intercettare
un’eventuale
progressione
(verso
cirrosi
e/o
il
cancro).
Le
difficoltà
diagnostiche
nell’ambito
delle
epatiti
autoimmuni
sono
dovute
al
fatto
che:
• il
10-‐20%
dei
pazienti
presenta
autoanticorpi
negativi:
in
questo
caso
si
pone
la
diagnosi
di
epatite
criptogenetica,
• nel
20-‐40%
dei
pazienti
con
epatite
cronica
virale
si
riscontra
positività
a
vari
autoanticorpi,
solita-‐
mente
a
basso
titolo;
• nei
pazienti
con
epatite
autoimmune
si
può
riscontrare
una
falsa
positività
agli
anticorpi
anti-‐HCV
(ma
l’HCV-‐RNA
non
è
dosabile).
CIRROSI
BILIARE
PRIMITIVA
La
cirrosi
biliare
primitiva
è
un’epatopatia
autoimmune
che
interessa
in
fase
iniziale
i
piccolo
dotti
biliari
e
successivamente
il
lobulo,
come
nelle
epatiti
autoimmuni;
la
sierologia
è
caratterizzata
dal
riscontro
degli
anticorpi
anti-‐mitocondrio
(AMA),
positivi
nel
90%
dei
casi,
e
dall’aumento
policlonale
delle
IgM.
Predilige
le
donne
(F:M=9:1)
di
35-‐60
anni
e
può
associarsi
ad
altre
patologie
autoimmuni
(artrite
reuma-‐
toide,
tiroidite
di
Hashimoto,
morbo
di
Sjogren19,
dermatomiosite).
Il
quadro
clinico
della
cirrosi
biliare
primitiva
è
caratterizzato
da
prurito
intenso
(a
causa
della
deposizione
dei
sali
biliari
nei
tessuti),
ittero
colestatico,
aumento
degli
indici
di
colestasi
(fosfatasi
alcalina
e
γGT).
La
patologia
colpisce
l’epitelio
dei
dotti
di
Hering
(piccoli
dotti
biliari
che
fanno
da
raccordo
tra
il
canalicolo
biliare
e
il
dotto
biliare
dello
spazio
portale),
formati
da
colangiociti,
e
poi
gli
epatociti
del
lobulo;
infatti
la
risposta
immunitaria
anti-‐colangiocita
colpisce
anche
gli
epatociti
(perché
epatociti
e
colangiociti
hanno
un’origine
comune;
si
pensa
che
gli
epatociti
derivino
dai
colangiociti).
19
Si
manifesta
con
occhio
secco,
bocca
secca
e
sierologia
positiva;
la
conferma
diagnostica
si
ha
con
la
biopsia
delle
ghiandole
salivarie
minori
(il
patologo
valuta
l’entità
di
distribuzione
dell’infiammazione).
Il
dotto
biliare,
colpito
dalle
cellule
dell‘autoimmunità,
viene
interrotto
in
due
monconi:
il
moncone
distale
allo
spazio
portale
(che
si
trova
nel
lobulo)
prolifera
nel
tentativo
di
ripristinare
la
continuità,
ma
invano,
e
forma
dei
piccoli
grovigli
di
dotti
biliari20.
Infine,
mancando
la
comunicazione
tra
i
dotti,
la
bile
non
può
più
transitare
e
i
dotti
non
proliferano
ulteriormente
e
si
ha
duttopenia21.
Da
un
punto
di
vista
istologico
si
individuano
4
fasi,
che
corrispondono
a
4
stadi
di
malattia:
• stadio
1:
coinvolgimento
dei
dotti
biliari.
Questa
fase
è
caratterizzata
dall’infiammazione
degli
spa-‐
zi
portali
e
dell’epitelio
dei
dotti
di
Hering,
che
in
risposta
al
danno
(possono
essere
presenti
anche
lesioni
floride),
prolifera
nella
regione
di
confine
del
lobulo
(non
dentro
lo
spazio
portale);
• stadio
2:
coinvolgimento
dei
dotti
biliari
ed
epatite
da
interfaccia.
Oltre
ai
dotti
biliari,
è
interessa-‐
to
il
parenchima
epatico
a
livello
dell’interfaccia
periportale
(lamina
limitante):
si
ha
piecemeal
ne-‐
crosis,
perché
gli
autoanticorpi
attaccano
anche
gli
epatociti;
• stadio
3:
fibrosi
e
duttopenia.
Si
osservano
fibrosi
dello
spazio
portale,
che
si
estende
all’interno
dei
lobuli,
e
duttopenia
conseguente
alla
distruzione
dei
dotti
biliari
e
alla
rigenerazione
non
effica-‐
ce;
• stadio
4:
cirrosi.
COLANGITE
AUTOIMMUNE
(SCLEROSANTE)
La
colangite
autoimmune
è
un’epatopatia
autoimmune
caratterizzata
da
un
quadro
istologico
simile
a
quello
della
cirrosi
biliare
primitiva
e
dal
profilo
sierologico
dell’epatite
autoimmune
di
tipo
I
(con
positivi-‐
tà
agli
ANA
o
ASMA
e
negatività
agli
AMA).
In
questa
patologia
però
l’attacco
su
base
autoimmune
dei
piccoli
dotti
biliari
non
si
estende
anche
agli
epatociti,
che
pertanto
non
vengono
distrutti;
pertanto
si
ha
rarefazione
dei
dotti
biliari
(duttopenia
con
r i-‐
generazione
inefficace)
senza
necrosi
degli
epatociti
e,
di
conseguenza,
non
sussiste
il
rischio
di
trasforma-‐
zione
in
cirrosi.
Per
questi
motivi,
secondo
alcuni
autori,
la
colangite
autoimmune
è
considerata
una
cirrosi
biliare
primitiva
AMA-‐negativa
e
con
interessamento
dei
soli
dotti
biliari.
COLANGITE
SCLEROSANTE
PRIMITIVA
La
colangite
sclerosante
primitiva
è
una
patologia
autoimmune
che
interessa
i
grandi
dotti
biliari
intraepa-‐
tici
e
i
dotti
extraepatici,
che
permettono
alla
bile
di
convergere
fuori
dal
fegato.
In
circa
il
5%
dei
casi
sono
interessati
esclusivamente
i
piccoli
dotti
intraepatici
(colangite
sclerosante
primitiva
dei
piccoli
dotti),
che
possono
essere
colpiti
anche
nelle
forme
da
overlapping.
Si
manifesta
con
segni
clinici
e
laboratoristici
di
colestasi
e
con
la
positività
ai
p-‐ANCA.
Da
un
punto
di
vista
morfologico
è
caratterizzata
da
un
infiltrato
infiammatorio
aspecifico
(formato
da
istiociti
e
plasmacellule)
e
da
sostituzione
delle
cellule
muscolari
lisce
della
parete
con
fibre
collagene:
c’è
quindi
una
fi-‐
brosi
concentrica
progressiva
della
parete
delle
vie
bilia-‐
ri,
che
determina
l’insorgenza
di
stenosi
ed
ectasie
(a
monte
della
stenosi).
L’alternanza
tra
stenosi
e
dilatazioni
20
Anche
nel
neuroma
da
amputazione,
che
insorge
dopo
la
rottura
di
un
nervo,
i
monconi
rigenerano
nel
tentativo
di
ripristinare
la
continuità
e
si
formano
tanti
piccoli
nervetti.
21
Ogni
qualvolta
i
dotti
biliari
siano
colpiti
da
un
processo
autoimmune,
nella
fase
iniziale
vanno
incontro
a
rigenera-‐
zione
ma
nella
fase
tardiva
tendono
a
scomparire,
con
conseguente
duttopenia.
La
duttopenia
può
anche
essere
con-‐
natale.
può
essere
visualizzata
con
la
colangiografia
(non
è
patognomonica
perché
tale
quadro
può
presentarsi
an-‐
che
a
seguito
di
colangite
cronica
o
post-‐infiammatoria22);
a
differenza
della
cirrosi
biliare
primitiva,
le
vie
biliari
non
vanno
incontro
a
rarefazione.
La
diagnosi
differenziale
viene
eseguita
con
la
colangite
da
IgG423.
Gallo 09.qxd 29-09-2007 20:03 Pagina 623 4.
EPATOPATIA
ALCOLICA
L’epatopatia
alcolica
è
un’alterazione
morfo-‐funzionale
del
fegato
causata
dall’eccessiva
assunzione
di
al-‐
col
etilico.
In
passato
tale
patologia
era
molto
più
comune
nel
bevitore
cronico
(perché
il
consumo
di
alcol
era
molto
diffuso).
Epatopatie tossico-metaboliche
Le
lesioni
epatiche
in
corso
di
alcolismo,
che
rientrano
nell’ambito
dell’epatopatia
alcolica,
sono:
1. la
steatosi:
è
la
manifestazione
più
comune
e
precoce
dell’epatopatia
alcolica,
presente
nell’80%
degli
etilisti.
gli USA, presenta delle frequenze particolarmente ele-
E’
caratterizzata
dalla
presenza
negli
epatociti
vate in alcune popolazioni, tra le quali quelle della Sar-
degna e deldi
Costarica. bolle
di
steatosi
così
grandi
che
possono
portare
all’epatomegalia
asintomatica;
talora
Eziologia. È una malattia genetica, trasmessa con eredi-
tarietà autosomica può
comparire
una
recessiva. Il gene sintomatologia
del morbo didispeptica
Wil-
son codifica e
rper aramente
la proteina si
ha
ATP7B, insufficienza
che ha epatica
un ruolo acuta.
chiave nel La
trasporto steatosi
intracellulare inizia
nella
del zona
rame. In condi- gli
3
dell’acino;
zioni fisiologiche epatociti
essa steatosici
è localizzata possono
nell’apparato del a
andare
incontro
Golgi degli epatociti (Figura, 9.45, 9.51), dove ha il
compito dinecrosi
inserire litica
gli atomi e
liberare
di ramei
negli lipidi,
che
vengono
enzimi (ol-
tre 200) che necessitano di questo metallo per la loro captato
dagli
istiociti:
si
possono
formare
così
funzione. Ildei
lipogranulomi,
ovvero
dei
piccoli
aggrega-‐
rame, infatti, è il tipico elemento di transi-
zione, capace ti
di
diistiociti
cedereattorno
o acquisire ai
lipidi.
un elettrone,
pas-
sando dallo stato di Cu++ allo stato di Cu+ e vicever-
sa. Questa proprietà La
steatosi
non
è
patognomonica
dell’epatopatia
alcolica
(la
cui
diagnosi
è
confermata
solamente
viene utilizzata da un alto numero FIGURA 9.46 Lipogranuloma in morbo di Wilson.
di enzimi da
coinvolti analisi
incliniche)
reazionima
di ossidoriduzione. può
svilupparsi
Ilanche
in
presenza
di
obesità,
diabete
mellito,
morbo
di
malfunzionamento, Crohn,
rettocolite
in seguito ulcerosa,
a mutazione, insufficienza
del-cardiaca
congestizia,
malnutrizione
e
bypass
intestinale;
tosi micro- e macrovacuolare, cui si associa la presenza
l’ATP7B, ha come
2. la
steatosi
microvescicolare:
è
la
degenerazione
prima conseguenza l’abbassamento
deischiumosa
corpi di Malloryalcolica
e dtalora
egli
edei
patociti
che
presentano
lipogranulomi (Figura
dei livelli serici della ceruloplasmina. L’apoceruloplasmi-
piccoli
vacuoli
citoplasmatici;
9.46). Ciò rende il quadro istologico molto simile a
na, infatti, necessita degli atomi di rame per funzionare
3. la
fibrosi
e, perivenulare:
quello del danno da alcol. A questo proposito Desmet
come ferro-ossidasi mancando oèfunzionando
la
fibrosi
della
vena
centrolobulare
male (venula
epatica
terminale),
estesa
per
racconta spesso l’episodio di una sua lettura di una bio-
l’ATP7B, l’apoceruloplasmina almeno
2/3
del
perimetro
e
spessa
almeno
4
µm.
Si
associa
spesso
alla
fibrosi
perisinusoidale,
ca-‐
non riceve gli atomi di
psia epatica senza notizie cliniche, di una diagnosi di
rame e nonratterizzata
dalla
progressiva
capillarizzazione
dei
sinusoidi
e
dalla
formazione
di
ponti
fibrosi,
che
si trasforma in ceruloplasmina funzionan-
“quasi certezza” di epatopatia etilica, seguita dal sorriso
te. L’esordio clinico della malattia è molto vario: ci so-
esita
nella
cirrosi.
malizioso dei collaboratori che avevano la cartella clini-
no forme che si presentano nella prima infanzia, anche
La
fibrosi
perivenulare
e
perisinusoidale
sono
un
importante
elemento
predittivo
di
evoluzione
in
ca: si trattava di un paziente di 5 anni! Frequente è il ri-
a 5 anni, e altre a esordio tardivo, anche a 60 anni.
scontro di pseudoinclusi nucleari di glicogeno (nuclei
cirrosi
anche
in
assenza
di
epatite
alcolica;
infatti
in
caso
di
fibrosi
viene
deposto
il
collagene
cicatri-‐
Morfologia. Il quadro istologico epatico del morbo di glicogenati).A tali lesioni può associarsi una componente
Wilson è piuttosto ziale
(di
tipo
I),
che
non
fa
da
guida
per
la
rigenerazione
delle
travate,
e
gli
epatociti
proliferanti
si
vario. L’epatopatia insorge con stea- infiammatoria a livello portale, con necrosi della lamina
organizzano
in
noduli:
si
formano
così
i
noduli
climitante irrotici;
(epatite dell’interfaccia): in questi casi il quadro
4. le
lesioni
veno-‐occlusive:
sono
alterazioni
a
carico
delle
pareti
venose
che,
danneggiate,
rispondo-‐ istologico può essere molto simile a quello di un’epati-
no
al
danno
con
proliferazione
intimale,
fibrosi
della
parete
e
obliterazione
luminale
di
grado
va-‐ te cronica virale. La ricerca istochimica del rame può
essere di grande aiuto. Nei casi tipici, con il metodo del-
riabile.
Con
colorazione
Van
Gieson
per
il
tessuto
connettivo
la Rodanina rileva
9.32),
(Figura un
importante
si evidenziano aumento
i tipicidgranu-
i
fibre
collagene
(colore
rosso),
e
la
colorazione
nera
per
le
fibre
elastiche
evidenzia
la
lamina
elastica
in-‐ li di rame di colore rosso, soprattutto negli epatociti del-
la zona 1. In altri casi, il metodo di Timm svela i depositi
di rame in forma di fini granuli neri (Figura 9.33). In
una certa percentuale di casi, tuttavia, forse a causa del-
22
La
colangite
sclerosante
secondaria
consegue
ad
una
malattia
clinicamente
identificabile;
tra
le
principali
cause
si
la distribuzione irregolare del rame e della variabilità le-
ricordano
la
presenza
di
calcoli
all'interno
dei
dotti
biliari,
la
pancreatite
ricorrente,
gli
interventi
gata al campione bioptico, la ricercacistochimica hirurgici
sull'albero
del ra-
biliare,
l'AIDS
o
l'iniezione
di
farmaci
chemioterapici
attraverso
me l 'arteria
risulta e patica.
negativa. In questi casi possono avere grande
23
Le
malattie
da
IgG4
sono
malattie
flogistiche
associate
alle
importanza immunoglobuline
IgG4
e
due
diagnostica caratterizzate
altri esami: dalla
fibrosi.
• dosaggio quantitativo del rame, da eseguirsi me-
diante il metodo dell’assorbimento atomico su parte
del frustolo bioptico: un dosaggio superiore ai 250
µg/grammo di fegato secco (valori normali < 50) è
terna
sottoendoteliale
delle
vene
e
permette
di
identificare
il
diametro
del
vaso
(che
è
ridotto
a
causa
della
presenza
del
tessuto
connettivo).
Queste
lesioni
occlusive
possono
determinare
ristagno
di
sangue
a
monte
della
stenosi
e,
di
conse-‐
guenza,
ipertensione
portale
con
eventuale
comparsa
di
circoli
collaterali24;
infatti
è
possibile
ri-‐
scontrare
tali
lesioni
nel
52%
dei
casi
di
epatite
alcolica
con
ipertensione
portale
in
assenza
di
cir-‐
rosi.
Le
lesioni
veno-‐occlusive
non
sono
patognomoniche
dell’epatopatia
alcolica
benché
siano
molto
ca-‐
ratteristiche.
Queste
lesioni
venose
hanno
conseguenze
emodinamiche
connesse
con
l’occlusione,
la
fibrosi
perivenulare
ha
invece
effetti
sugli
epatociti,
5. l’epatite
alcolica,
6. la
cirrosi
epatica:
la
distruzione
degli
epatociti
a
causa
dell’infiammazione
e
della
steatosi
attiva
quel
processo
di
rigenerazione
e
fibrosi
alla
base
della
cirrosi.
EPATITE
ALCOLICA
L’epatite
alcolica
è
una
patologia
infiammatoria
a
carico
del
parenchima
epatico
causata
dal
danno
da
eta-‐
nolo.
A
differenza
della
steatosi,
che
è
molto
frequente
negli
etilisti,
l’epatite
alcolica
si
manifesta
solo
in
alcuni
pazienti,
anche
dopo
molti
anni
di
abuso
alcolica;
oggigiorno,
difficilmente
si
arriva
a
osservare
que-‐
sto
quadro
perché
il
paziente
viene
riconosciuto
precocemente
e
trattato
in
tempo.
Da
un
punto
di
vista
morfologico
l’epatite
alcolica
è
caratterizzata
da:
• steatosi,
• necrosi
epatocitaria,
prevalente
in
sede
perivenulare,
• infiltrato
flogistico
neutrofilo
periportale
e
intralobulare,
che
accelera
l’evoluzione
in
cirrosi,
• fibrosi
pericellulare
e
perivenulare.
Nelle
forme
lievi,
sono
presenti
rari
focolai
di
necrosi
prevalentemente
in
sede
perivenulare;
invece
nelle
forme
floride
compaiono
focolai
diffusi
di
necrosi.
Si
osservano
inoltre:
• epatociti
con
aspetto
“a
cellule
chiare”,
andati
incontro
a
degenerazione
schiumosa
alcolica
e
contenenti
nel
citoplasma
i
corpi
di
Mallory,
ov-‐
vero
materiale
eosinofilo
costituito
dalla
conden-‐
sazione
di
filamenti
citoplasmatici
(che
si
forma
a
cause
della
degenerazione
del
citoplasma),
e
me-‐
gamitocondri,
• un
infiltrato
di
granulociti
neutrofili
concentrato
attorno
agli
epatociti
contenenti
i
corpi
di
Mallory
(satellitosi).
In
questo
caso,
i
neutrofili
sono
pre-‐
senti
non
per
mediare
la
risposta
infiammatoria
(non
sono
indicativi
di
flogosi)
ma
in
qualità
di
“microfagi”
(è
uno
dei
loro
appellativi):
contribuisco-‐
no,
per
mezzo
della
degranulazione
e
della
liberazione
di
enzimi
lisosomiali,
alla
lisi
dei
corpi
di
Mal-‐
lory
e
alla
rimozione
della
cellula
necrotica,
in
collaborazione
con
gli
istiociti;
• steatosi,
lipogranulomi
e
fibrosi
perivenulare
(presenti
in
entità
variabile).
L’aggravamento
della
malattia,
causato
della
persistenza
e
del
ripetersi
di
episodi
di
epatite,
consiste
nell’estensione
della
necrosi
con
sostituzione
cicatriziale,
comparsa
di
setti
fibrosi
e
cirrosi.
La
cirrosi
quindi
non
rappresenta
l’evoluzione
obbligata
dell’epatopatia
alcolica.
24
A
livello
del
circolo
esofageo
ciò
porta
allo
sviluppo
di
varici,
ad
alto
rischio
di
ulcerazione
e
sanguinamento.
5.
STEATOEPATITE
NON
ALCOLICA
(NASH)
La
steatoepatite
non
alcolica
(NASH)
è
una
patologia
infiammatoria
del
fegato
caratterizzata
da
uno
spet-‐
tro
di
alterazioni
morfologiche
simili
a
quelle
osservate
nell’epatopatia
alcolica,
ma
si
manifesta
in
pazienti
che
non
abusano
di
etanolo;
è
relativamente
asintomatica
e
insidiosa.
Tra
le
cause
di
NASH
troviamo:
• diabete
mellito,
obesità,
malattie
del
metabolismo,
ipertrigliceridemia,
• abetalipoproteinemia,
lipodistrofia,
• farmaci:
nifedipina,
diltiazem,
tamoxifene,
estrogeni,
corticosteroidi,
MTX,
amiodarone,
Gallo 09.qxd • sostanze
tossiche:
solventi
industriali,
diluenti
e
solventi
per
coloranti,
esposizione
a
sostanze
pe-‐
29-09-2007 20:02 Pagina 596
trolchimiche,
cocaina
e
sostanze
utilizzate
per
tagliarla
(come
il
talco),
• nutrizione
parenterale
totale,
bypass
gastrico
o
digiuno-‐ileale.
PATOLOGIA DEL FEGATO
Il
quadro
può
essere
in
parte
dovuto
anche
al
consumo
di
alcol
(in
assenza
di
abuso)
e
in
parte
a
una
delle
altre
cE DELLE VIE BILIARI
ause.
6.
CIRROSI
EPATICA
La
cirrosi
epatica
rappresenta
lo
stadio
finale
(non
obbli-‐
gato)
di
quasi
tutte
le
epatopatie
croniche
ed
è
una
condi-‐
zione
preneoplastica,
ovvero
una
condizione
nella
quale
aumenta
il
rischio
di
insorgenza
di
una
neoplasia
(invece
una
lesione
preneoplastica
è
una
lesione
displastica,
in
cui
il
processo
di
cancerogenesi
è
avviato).
La
cirrosi
è
una
patologia
“irreversibile”
caratterizzata
da
un
diffuso
sovvertimento
della
normale
architettura
del
fegato
a
causa
della
fibrosi
e
della
formazione
di
noduli.
Secondo
alcuni
esperti,
la
cirrosi
è
in
realtà
un
quadro
po-‐
tenzialmente
FIGURA 9.18 reversibile.
Schema che raffigura i setti fibrosi a ponte por-
to-centro-portali: setto di tessuto connettivo fibroso che unisce
due spazi portali alla vena terminale o centrolobulare (di Da-
CAUSE
niela Fanni, Cagliari).
FIGURA 9.20 Schema che rappresenta la cirrosi: noduli di ri-
Tra
le
cause
di
cirrosi
epatica
si
annoverano:
generazione circoscritti da setti di tessuto connettivo fibroso
che unisce gli spazi portali fra loro e con le vene terminali o
• epatopatia
alcolica
(60-‐70%
dei
casi);
centrolobulari (di Daniela Fanni, Cagliari).
• epatite
virale
(10-‐15%);
• patologia
biliare
(5%);
• emocromatosi
(5%),
che
può
essere
congenita
o
secondaria,
per
esempio
ad
anemie
emolitiche
o
talassemie
(morbo
di
Cooley,
in
cui
aumenta
l’emocataresi
e
quindi
il
bilancio
marziale
è
positivo).
Si
osservano
accumuli
di
emosiderina
nel
fegato,
che
determinano
la
distruzione
degli
epatociti
e
la
loro
sostituzione
fibrotica;
• malattie
metaboliche
(<1%);
• cirrosi
criptogenetica
(10-‐15%):
si
osserva
in
pazienti
con
malattie
clinicamente
non
evidenti,
in
cui
si
osserva
solo
la
cirrosi.
FIGURA 9.19 Sequestro epatocellulare incompleto all’impre-
gnazione argentica. Gomori.
FIGURA 9.21 Fibrosi intrasinusoidale. Gomori.
Essi sono considerati l’elemento determinante dell’al-
terazione dell’architettura epatica. La forma più grave è
il ponte P-C-P che delimita dei sequestri epatocitari Fibrosi intrasinusoidale. È la deposizione di fibre reticolari
incompleti (Figura 9.19), da cui ha spesso origine la ri- nel lume dei sinusoidi (Figura 9.21). La costruzione di ve-
generazione epatocitaria con formazione di noduli, le- re e proprie dighe nel torrente sinusoidale crea alterazio-
sione tipica della cirrosi (Figura 9.20). ni nella circolazione intraepatica. Ciononostante, tale le-
MORFOLOGIA
Da
un
punto
di
vista
morfologico
la
cirrosi
è
caratterizzata
da:
• interessamento
diffuso
del
parenchima
epatico,
• fibrosi,
presente
sotto
forma
di
setti
(porto-‐centrali,
centro-‐centrali,
porto-‐portali)
o
estese
cicatri-‐
ci
che
sostituiscono
lobuli
adiacenti;
• noduli
parenchimali
conseguenti
alla
delimitazione
fibrosa
di
isole
di
parenchima
epatico.
I
noduli
possono
essere,
in
base
al
meccanismo
di
formazione,
di
due
tipi:
o noduli
di
rigenerazione,
si
sviluppano
a
causa
della
distruzione
epatocitaria
e
della
prolifera-‐
zione
di
epatociti
che
non
riescono
a
disporsi
in
travate
monolaminari:
si
perde
così
la
normale
architettura
e
la
funzione
del
fegato.
Possono
avere
dimensioni
tali
da
essere
visibili
macro-‐
scopicamente;
o noduli
da
sepimentazione
del
parenchima
epatico,
da
parte
di
setti
fibrosi
(è
presente
la
rige-‐
nerazione
ma
non
è
la
rigenerazione
che
forma
il
nodulo).
I
noduli
possono
essere
micronoduli
(fino
a
3
mm
di
diametro)
o
macronoduli
(maggiori
di
3
mm
di
diametro).
La
distinzione
micro-‐/macro-‐nodulare
era
particolarmente
utile
in
passato
perché
indi-‐
rizzava
l’anatomo-‐patologo
verso
la
diagnosi
eziologica:
per
esempio,
la
cirrosi
micronodulare
(che
non
si
associa
a
necrosi
importante)
è
tipica
delle
forme
di
epatopatia
alcolica,
quella
macronodula-‐
re
(che
si
associa
ad
aree
di
necrosi
importante)
è
caratteristica
delle
forme
post-‐infettive.
I
noduli
possono
essere:
o monolobulari
(subacinari):
sono
aree
nodulari
di
parenchima
epatico
deri-‐
vanti
dalla
dissecazione
fibrotica
del
lobulo
con
segregazione
di
parti
di
esso
in
piccole
formazioni
di
circondate
da
tessuto
connettivo.
Sono
quindi
noduli
da
sepimentazione
che
coinvolgono
il
singolo
lobulo.
Nei
noduli
monolobulari
non
sono
pre-‐
senti
spazi
portali,
né
struttura
vasco-‐
lari
efferenti
che
vengono
inglobate
nelle
aree
di
sclerosi.
Macroscopicamente,
i
noduli
monolobulari
realizzano
il
quadro
di
cirrosi
epatica
micronodula-‐
re;
o multilobulari:
realizzano
il
quadro
macroscopico
della
cirrosi
macronodulare,
generalmente
associata
ad
un
quadro
di
necrosi
portale.
Coinvolgono
più
lobuli
adiacenti.
Sono
presenti
due
tipi
di
noduli
multilobulari:
§ noduli
rigenerativi:
sono
noduli
multilobulari
composti
da
tessuto
epatico
proliferante
circondato
da
fibrosi;
sono
formati
da
trabecole
con
decorso
circolare
e
non
comprendo-‐
no
al
loro
interno
gli
spazi
portali.
Rappresentano
una
condizione
preneoplastica.
Inizialmente
la
rigenerazione
può
essere
assente
o
rappresentare
solo
una
componente
minoritaria
che
aumenta
con
l’evoluzione
della
malattia
(non
è
un
requisito
della
diagno-‐
si);
§ noduli
residui:
sono
noduli
multilobulari
da
sepimentazione,
alla
cui
costituzione
contri-‐
buiscono
due
o
più
acini
adiacenti
o
parte
di
essi,
e
che
pertanto
comprendono
al
loro
in-‐
terno
spazi
portali
evidenti.
In
queste
formazioni
nodulari
il
tessuto
acinare
residuo
può
mantenere
una
strutturazione
istologica
pressoché
normale;
ma
possono
insorgere
alte-‐
razioni
perché
a
causa
della
fibrosi
può
mancare
la
comunicazione
tra
lo
spazio
portale
compreso
nel
nodulo
e
la
vena
centrolobulare
che
drena
il
sangue:
questo
può
predispor-‐
re
al
quadro
di
insufficienza
epatica.
• alterazioni
vascolari:
si
osservano
importanti
modificazioni
del
microcircolo
e
si
alterano
i
rapporti
vascolari
tra
spazi
portali
e
vene
centrolobulari
(cosa
che
impedisce
la
fisiologica
rigenerazione
epa-‐
tica).
In
particolare,
nel
processo
che
dalla
necrosi
conduce
alla
fibrosi
attraverso
una
fase
di
tessuto
di
granulazione,
si
realizzano
delle
anastomosi
intraepatiche
che
bypassano
il
circolo
sinusoidale:
i
vasi
venosi
e
arteriosi
della
triade
portale
(vasi
afferenti)
si
anastomizzano
per
mezzo
di
nuovi
capil-‐
lari
con
i
vasi
immissari
della
vena
epatica
(vasi
efferenti)
dando
origine
ad
un
plesso
anastomotico
artero-‐venoso
(tra
arteria
epatica
e
vena
epatica)
e
veno-‐venoso
(tra
vena
porta
e
vena
epatica).
In
altre
parole
grazie
a
nuovi
vasi
capillari
(non
fenestrati)
si
realizza
una
via
diretta
di
comunicazione
tra
gli
spazi
portali
e
la
vena
centrolobulare.
Inoltre
i
sinusoidi
stessi
si
capillarizzano
e
perdono
la
fenestrazione,
e
si
depone
collagene
nello
spazio
di
Disse:
così
viene
compromesso
lo
scambio
tra
sangue
ed
epatociti.
Anche
i
ponti
necrotici
contribuiscono
all’alterazione
del
microcircolo:
i
ponti
centro-‐centrali
de-‐
terminano
delle
alterazioni
microcircolatorie
meno
gravi
di
quelle
dovute
ai
ponti
porto-‐centrali.
Nel
complesso
queste
alterazioni
possono
causare
l’ipertensione
portale,
che
può
essere:
o pre-‐sinusoidale,
dovuta
a
compressione
delle
vene
portali
a
causa
della
fibrosi,
o post-‐sinusoidale,
dovuta
a
compressione
e
dislocazione
delle
vene
epatiche
efferenti,
o sinusoidale,
dovuta
alla
capillarizzazione
della
parete
dei
sinusoidi,
o para-‐sinusoidale,
dovuta
alla
formazione
delle
anastomosi
artero-‐venose.
PATOLOGIA
PRENEOPLASTICA
E
NEOPLASTICA
DEL
FEGATO
Le
neoplasie
del
fegato
possono
essere,
in
base
alla
cellula
di
origine:
• l’epatocarcinoma
(o
carcinoma
epatocellulare,
HCC),
che
origina
dagli
epatociti;
è
la
forma
più
fre-‐
quente,
• il
colangiocarcinoma,
che
origina
dai
colangiociti,
• forme
miste,
presenti
a
causa
dell’origine
embiologica
comune
di
questi
due
citotipi.
NODULO
DISPLASTICO
I
noduli
rigenerativi
della
cirrosi,
che
rappresentano
una
condizione
preneoplastica,
possono
evolvere
se
compare
la
displasia
in
noduli
displastici,
che
rappresentano
lesioni
preneoplastiche,
e
poi
in
carcinoma:
è
questo
il
meccanismo
con
cui
insorge
l’HCC
su
fegato
cirrotico.
Il
nodulo
displastico
è
un
nodulo
di
epatociti
di
diametro
superiore
a
1
cm,
con
displasia
citologica
e
alte-‐
razioni
strutturali,
privo
di
chiari
aspetti
di
malignità
(infiltrazione);
è
usualmente
riscontrato
nei
fegati
cir-‐
rotici
ma
non
sempre:
per
esempio
si
possono
osservare
noduli
rigenerativi
su
fegato
sano
nelle
pazienti
che
assumono
la
pillola
anticoncezionale
(e
questi
noduli
potrebbero
evolvere
in
epatocarcinoma;
pertanto
occorrerebbe
limitare
la
terapia
a
5
anni).
La
displasia
può
essere
in
base
all’atipia
di
alto
o
basso
grado;
i
noduli
con
displasia
di
basso
grado
a
volte
sono
difficili
da
distinguere
da
un
grosso
nodulo
rigenerativo
(multiacinare),
quelli
con
atipia
di
alto
grado
sono
uguali
all’HCC
ma
privi
aspetti
infiltrativi.
In
particolare
un
nodulo
con
displasia
di
basso
grado
è
formato
da
epatociti
con:
• minima
atipia
nucleare;
• mitosi
assenti;
• citoplasma
simile
al
parenchima
circostante
o
suggestivo
per
una
popolazione
clonale.
Invece
un
nodulo
con
displasia
di
basso
grado
(o
nodulo
borderline)
è
caratterizzato
da:
• epatociti
con
elevato
rapporto
nu-‐
cleo/citoplasma,
ipercromasia
nuclea-‐
re,
basofilia
citoplasmatica;
• riduzione
delle
fibre
di
reticolina
(si
al-‐
tera
la
guida
alla
formazione
dei
setti);
• ispessimento
delle
travate
epatocitarie
(non
si
formano
più
le
travate
monocel-‐
lulari),
• formazione
di
pseudoghiandole;
• capillarizzazione
dei
sinusoidi,
circon-‐
dati
da
una
parete
più
spessa;
• apporto
ematico
alterato
(rispetto
ai
noduli
cirrotici
circostanti):
si
osservano
arterie
“unpaired”,
che
non
decorrono
in
coppia
con
le
vene.
Da
studi
clinici
e
anatomopatologici
è
emerso
che
i
noduli
con
displasia
di
alto
grado
sono
precursori
diretti
dell’epatocarcinoma:
la
trasformazione
si
realizza
nell’arco
di
pochi
anni;
invece
il
rischio
di
trasformazione
maligna
per
i
noduli
con
displasia
di
basso
grado
è
molto
inferiore.
EPATOCARCINOMA
EARLY
HCC
(EPATOCARCINOMA
IN
STADIO
PRECOCE)
Un
nodulo
displastico,
paragonabile
a
una
condizione
di
carcinoma
in
situ,
quando
inizia
a
infiltrare
il
pa-‐
renchima
circostante
diventa
un
epatocarcinoma
in
stadio
precoce
(early
HCC):
esso
corrisponde
a
una
le-‐
sione
di
piccole
dimensioni
(inferiore
ai
2
cm),
ben
differenziata,
a
margini
nodulari
conservati
ma
meno
definiti,
con
incompleta
vascolarizzazione
arteriosa.
L’infiltrazione
da
un
punto
di
vista
morfologico
si
manifesta
con
nidi
di
epatociti
circondati
da
fibrosi,
che
in
questo
caso
è
il
segno
di
una
reazione
sclerotica
stimolata
dalle
cellule
epatiche
infiltranti.
Ha
margini
mal
definiti
e
non
è
delimitato
da
pseudocapsula
fibrosa.
Nel
dettaglio
l’early
HCC
si
distingue
dalla
displasia
di
alto
grado
(diagnosi
differenziale)
per:
• la
morfologia:
nell’HCC
è
presente
invasione
stromale
degli
spazi
portali
e
dei
setti;
ma
è
difficile
utilizzare
questo
importare
criterio
di
diagnosi
differenziale
nelle
biopsie,
che
intercettano
solo
una
parte
del
nodulo:
non
è
detto
infatti
che
venga
campionato
il
punto
della
periferia
del
lobulo
in
cui
c’è
infiltrazione;
• l’istochimica,
che
mostra
in
caso
di
HCC
una
più
marcata
riduzione
o
perdita
del
reticolo
che
delimi-‐
ta
i
sinusoidi;
• l’immunoistochimica:
nell’HCC
viene
acquisita
o
persa
l’espressione
di
alcuni
marker
epatocitari.
In
genere
si
adoperano
panel
di
biomarcatori
come
Glypican
325
(GPC3,
espresso
nella
maggior
parte
dei
noduli
neoplastici),
Hsp70
e
glutammina-‐sintasi
(GS):
la
positività
ad
almeno
due
marker
è
ve-‐
rosimilmente
indicativa
di
early
HCC.
La
prognosi
è
buona:
la
sopravvivenza
a
5
anni
è
maggiore
del
90%.
25
Il
Glypican
3
è
usato
anche
per
i
tumori
del
testicolo.
PROGRESSED
HCC
(EPATOCARCINOMA
IN
STADIO
AVANZATO)
L’epatocarcinoma
in
stadio
avanzato
(progressed
HCC)
è
caratterizzato
da
una
lesione
di
dimensioni
infe-‐
riori
ai
2
cm
ma
meno
differenziate
(G2-‐G3),
oppure
di
grandi
dimensioni
(maggiori
2
cm).
A
volte
si
posso-‐
no
formare
noduli
accessori.
Può
originare
o
direttamente
da
un
nodulo
con
displasia
di
al-‐
to
grado
(NDHG,
nodulo
displastico
high
grade)
o
da
un
early
HCC,
e,
crescendo,
diventa
sempre
più
infiltrante:
si
può
osser-‐
vare
anche
infiltrazione
vascolare
(di
solito
a
livello
capillare
o
delle
venule,
dove
la
parete
del
vaso
è
meno
spessa).
E’
caratterizzato
da
alterazioni
vascolari
molto
importanti
che
consistono
nella
scomparsa
progressiva
dell’apporto
venoso
portale:
progressivamente
l’apporto
di
sangue
al
nodulo
diven-‐
ta
esclusivamente
di
tipo
arterioso.
Si
può
osservare
anche
la
steatosi,
indipendentemente
dall’eziologia
alcolica,
che
denota
un’alterazione
del
metabolismo
delle
cellule.
La
prognosi
è
peggiore
dell’HCC:
la
sopravvivenza
a
5
anni
è
del
50%.
I
fattori
prognostici
negativi
sono:
• le
dimensioni
(1
nodulo
maggiore
di
5
cm,
3
noduli
inferiori
a
1
cm),
• l’invasione
microvascolare,
• il
grading
nucleare.
Una
variante
associata
a
prognosi
migliore
è
quella
fibrolamellare,
in
cui
si
osservano
epatociti
organizzati
in
maniera
lamellare
separati
da
tralci
di
connettivo
fibrosi;
interessa
pazienti
più
giovani
ed
è
meno
fre-‐
quentemente
associato
a
cirrosi
e
ad
altri
tipi
di
epatopatie.
Il
marker
caratteristico
è
il
CD34
che
mette
in
evidenza
le
cellule
endoteliali,
che
in
questo
tumore
delimitano
gruppi
di
epatociti.
STADIAZIONE
TNM
La
stadiazione
della
T
dell’HCC
è
la
seguente:
• T1:
tumore
solitario
senza
invasione
vascolare;
• T2:
tumore
solitario
con
invasione
vascolare
(T2a)
o
tumori
multipli
con
o
senza
invasione
vascolare
(T2b),
nessuno
dei
quali
maggiore
di
5
cm;
• T3:
tumori
multipli
con
dimensioni
maggiori
di
5
cm
o
invasione
di
un
ramo
principale
della
vena
porta
o
delle
vene
epatiche;
• T4:
invasione
diretta
degli
organi
circostanti
o
perforazione
del
peritoneo
viscerale.
COLANGIOCARCINOMA
Il
colangiocarcinoma
è
un
tumore
che
origina
dall’epitelio
delle
vie
biliari
(in-‐
traepatiche
o
extraepatiche);
è
meno
frequente
dell’epatocarcinoma
ma
le
due
forme
possono
essere
sovrapponibili
e
compresenti.
Durante
la
cancerogenesi,
l’epitelio
biliare
diventa
prima
displastico
e
poi
neo-‐
plastico,
e
forma
tubuli
e
ghiandole,
così
da
assumere
l’aspetto
di
un
adeno-‐
carcinoma.
Si
osserva
inoltre
una
spiccata
fibrosi,
a
differenza
dell’HCC
(in
cui
il
processo
fibrotico
è
generalmente
assente,
se
non
nella
variante
lamellare).
Poiché
HCC
e
colangiocarcinoma
derivano
entrambi
da
cellule
presenti
alla
peri-‐
feria
degli
spazi
portali,
a
volte
può
esserci
una
certa
difficoltà
nella
diagnosi
dif-‐
ferenziale.
12.
PATOLOGIA
DELL’IPOFISI
E
DELLA
SELLA
TURCICA
L’anatomia
patologica
dell’ipofisi
è
comune
e
serve
per
le
diagnosi:
il
patologo
riceve
diversi
quesiti.
In
ge-‐
nerale,
i
tumori
dell’ipofisi
non
pongono
grossi
problemi
di
diagnosi
differenziale
e
la
diagnosi
è
rapida.
Tut-‐
tavia,
ci
sono
dei
problemi
classificativi,
di
correlazione.
ANATOMIA
DELL’IPOFISI
Anatomia
macroscopica
L’ipofisi
è
una
ghiandola
endocrina
molto
piccola,
del
peso
di
po-‐
chissimi
grammi,
che
si
trova
nella
sella
turcica
del
corpo
sfenoi-‐
de,
ed
è
quindi
adagiata
sulla
base
cranica.
Per
Cartesio
era
il
cen-‐
tro
della
vita.
Pur
essendo
immersa
nel
liquor,
è
separata
dal
resto
dell’encefalo
per
mezzo
del
diaframma
(o
tetto)
della
sella,
ossia
un
ripiega-‐
mento
inferiore
della
dura
madre
che
fa
da
tetto
alla
sella
turcica.
Pertanto,
eventuali
aumenti
della
pressione
intracranica
non
si
ripercuotono
sull’ipofisi.
Durante
la
rimozione
del
cervello
l’ipofisi
rimane
nella
sella,
poiché
viene
tagliato
il
peduncolo
ipofisario.
La
rimozione
dell'ipofisi
è
possibile
solo
dopo
quella
del
diaframma
sellare,
attraverso
cui
passa
il
peduncolo
stesso.
L’assenza
del
diaframma
della
sella
turcica
mette
in
comunicazione
la
fossa
cranica
media
con
la
sella
stes-‐
sa,
provocando
la
sindrome
della
sella
vuota:
con
gli
esami
radiologici
si
vede
lo
spazio
liquorale
allargato
(il
liquor
è
dentro
la
sella),
e
l’ipofisi
che
è
stata
spinta
in
periferia
dalla
pressione
liquorale
e
può
essere
non
funzionante:
infatti
questa
sindrome
determina
quadri
di
insufficienza
ipofisaria
o
iperprolattinemia.
Distinguiamo
nell’ipofisi
due
parti
sono
molto
diverse,
così
come
lo
sono
i
loro
tumori
e
l’approccio
ad
essi;
esse
sono:
• l’adenoipofisi
(che
rappresenta
la
maggior
parte
del
parenchima),
formata
da
tessuto
epiteliale
ghiandolare
endocrino;
distinguiamo
al
suo
interno:
o una
parte
distale:
principale,
che
corrisponde
al
lobo
anteriore,
o una
parte
intermedia:
si
trova
al
confine
con
la
neuroipofisi.
E’
il
rudimentale
residuo
della
parte
posteriore
della
tasca
di
Rathke,
e
può
contenere
piccole
cisti;
residui
di
questa
tasca
che
possono
dare
origine
a
cisti
più
grandi
e
raramente
tumori,
o una
parte
tuberale,
che
rappresenta
l’estensione
verso
l’alto
delle
cellule
che
circondano
il
pe-‐
duncolo
ipofisario
(quindi
il
reperto
di
cellule
ipofisarie
che
circondano
il
peduncolo
non
è
pa-‐
tologico),
• la
neuroipofisi,
formata
da
tessuto
biancastro
compatto
molto
simile
al
tessuto
nervoso.
E’
un’estroflessione
del
sistema
nervoso,
è
formata
da
cellule
neuronali.
In
altre
parole,
a
fini
pratici,
l’ipofisi
anteriore
è
separata
completamente
da
quella
posteriore,
anche
se
a
volte
le
patologie
si
sovrappongono,
dando
qualche
problema;
la
maggior
parte
dei
tumori
coinvolge
l’adenoipofisi.
L’ipofisi
prende
rapporto
con
il
nervo
e
il
chiasma
ottico
anteriormente,
e
con
i
seni
cavernosi
ai
lati
(con-‐
tenenti
l’arteria
carotide
interna
e
i
nervi
oculo-‐motore,
trocleare,
abducente,
oftalmico
e
mascellare).
Un
adenoma
ipofisario,
espandendosi,
può
quindi
danneggiare
queste
strutture,
così
come
lo
può
fare
un
intervento
chirurgico.
Se
il
tumore
è
racchiuso
all'interno
della
sella,
non
dovrebbero
esserci
problemi;
il
tumore
può
però
espandersi
anche
verso
il
seno
cavernoso
e
i
nervi
cranici
(zona
più
pericolosa),
o
verso
l'ipotalamo,
dove
provoca
compressione
locale
o
disturbo
della
circolazione
liquorale.
Di
solito
l’approccio
chirurgico
è
trans-‐nasale:
il
neurochirurgo
raggiunge
l’ipofisi
passando
per
la
lamina
dell’etmoide.
L’intervento
è
riservato
attualmente
ai
soggetti
in
cui
fallisce
la
terapia
medica
e
persistono
i
sintomi
o
c’è
effetto
massa1.
Anatomia
microscopica
L’ipofisi
normale
è
comporta
di
diverse
cellule
ormono-‐secernenti,
classificabili
secondo
diverse
modalità.
• La
classificazione
tradizionale,
morfologica,
distingue
le
cel-‐
lule
in
base
alla
colorazione
del
citoplasma
in
EE,
che
dipen-‐
de
dai
granuli.
Questa
classificazione
non
rispecchia
affatto
la
produzione
ormonale
delle
varie
cellule,
non
dà
informa-‐
zioni
funzionali,
ed
è
quindi
limitata
e
poco
utile.
Le
cellule
sono
divise
in:
o acidofile
(GH,
PRL,
TSH):
colorate
con
l’eosina
(rossa)
come
nelle
parti
periferiche.
Rappresentano
il
50%
della
popolazione
cellulare;
o basofile
(ACTH):
si
colorano
con
l’ematossilina,
che
co-‐
lora
anche
il
nucleo.
Rappresentano
il
15%
della
popola-‐
zione
cellulare;
o cromofobe
(LH,
FSH):
si
colorano
poco
con
entrambe.
• La
caratterizzazione
ultrastrutturale,
usata
in
passato
(anni
’70-‐’80),
si
basa
sull’osservazione
delle
caratteristiche
dei
granuli,
dei
mitocondri
e
del
reticolo;
tuttavia
è
molto
indaginosa,
richiede
molto
tempo
e
non
ha
vantaggi
sostanziali
rispetto
all’immunoistochimica.
Inoltre
necessita
di
una
fissa-‐
zione
adatta
al
microscopio
elettronico,
cioè
quella
con
glutaraldeide
(cancerogeno).
• La
classificazione
migliore
(e
più
usata
anche
per
classificare
i
tumori)
è
la
quella
immunoistochimi-‐
ca,
realizzata
mediante
anticorpi
contro
gli
ormoni
proteici
ipofisari,
che
identificano
le
cellule
in
base
all’ormone
prodotto.
Le
cellule
ipofisarie
sono
divisibili
in
tre
famiglie,
in
base
al
precursore
da
cui
derivano:
o GH,
PRL,
TSH;
o ACTH;
o FSH,
LH.
Queste
famiglie
hanno
anche
un
correlato
patologico.
Infatti,
alcuni
adenomi
producono
sia
GH
che
PRL,
oppure
sia
GH
che
altre
tropine
ipofisarie
(adenomi
multiormonali).
La
produzione
multiormo-‐
nale
può
avvenire
sia
nella
stessa
cellula,
sia
in
due
popolazioni
del
medesimo
adenoma.
Ciascuna
famiglia
ha
anche
un’espressione
selettiva
dei
fattori
di
trascrizione
(v.
dopo).
1
Concetto
di
malignità.
Il
concetto
di
maligno
ha
un
significato
diverso
a
seconda
della
specialità.
Infatti,
un
tumore
istologicamente
maligno
ha
delle
caratteristiche
microscopiche
tali
da
far
pensare
che
il
suo
comportamento
sia
ag-‐
gressivo,
ma
a
questo
bisogna
sempre
sommare
la
parte
clinica,
per
esempio
la
localizzazione,
le
dimensioni
e
le
pos-‐
sibili
complicanze.
Pertanto,
“istologicamente
maligno”
non
significa
sempre
maligno
tout
court.
Nel
caso
dell’ipofisi,
un
tumore
intrasellare
viene
trattato
facilmente,
mentre
per
uno
extrasellare
e
con
invasione
del
seno
cavernoso
l’intervento
è
più
difficile
e
le
recidive
sono
frequenti.
Inoltre,
se
il
secondo
caso
provoca
una
sindro-‐
me
endocrina,
è
destinato
a
continuare
a
darla,
anche
se
istologicamente
non
è
maligno.
Infine,
alcuni
tumori
maligni,
presi
in
fase
iniziale,
guariscono.
Osserviamo
in
sezione
trasversale:
• le
ali
acidofile
dell’ipofisi,
contenenti
cellule
GH-‐secernenti
(50%),
• il
cuneo
mucoide
dell’ipofisi,
con
cellule
che
producono
ACTH
(15-‐20%)
concentrate
nell’area
centrale,
• le
altre
cellule
sparse
tra
queste
aree
che
producono
PRL,
TSH,
gonadotrope.
L’ipofisi
è
però
soggetta
a
cambiamenti
fisiologici,
soprattutto
nelle
don-‐
ne
(ciclo
e
gravidanza),
e
quindi
la
morfologia
cambia
a
seconda
dello
sta-‐
to
funzionale,
rendendo
difficile
definire
le
esatte
percentuali
di
espres-‐
sione
delle
diverse
cellule
(dipendono
dal
sesso,
dallo
stato
funzionale,
ecc).
CLASSIFICAZIONE
DEI
TUMORI
IPOFISARI
La
classificazione
dei
tumori
ipofisari
è
quella
WHO
2017
(non
trattata
e
piuttosto
lunga);
fa
parte
del
blue
book2
dei
tumori
endocrini,
in
cui,
nel
2017
sono
stati
aggiunti
i
tumori
neuroendocrini
del
pancreas.
Il
99%
dei
tumori
ipofisari
è
formato
da
adenomi;
i
carcinomi
sono
rarissimi.
Tuttavia,
la
regione
sellare
non
contiene
solo
l’ipofisi
e
il
suo
peduncolo,
ma
anche
i
vasi,
il
connettivo
e
la
meninge,
e
può
essere
quindi
in-‐
teressata
da
diversi
tipi
di
tumore.
Infatti,
la
diagnosi
differenziale
degli
adenomi
ipofisari
non
è
difficile,
ma
quella
fra
adenoma
e
tumore
della
regione
della
sella
può
anche
essere
complessa;
analogamente
la
dia-‐
gnosi
differenziale
tra
i
tumori
della
neuroipofisi
con
i
tumori
che
originano
nel
SNC
può
essere
complessa.
Distinguiamo:
• adenoma
ipofisario
(tumore
benigno),
• carcinoma
ipofisario
(tumore
maligno,
eccezional-‐
mente
raro:
1
caso
ogni
20
anni),
• tumori
della
neuroipofisi:
tumori
neuronali,
• tumori
della
neuroipofisi:
tumori
dei
pituiciti
(cellule
della
neuroipofisi,
sono
una
via
di
mezzo
tra
un
neu-‐
rone
e
un
astrocita;
es.
oncocitoma
a
cellule
fusate),
• blastoma
ipofisario,
• craniofaringioma.
I
tumori
più
frequenti
sono,
in
base
all’aggressività
istologica
di
due
tipi,
maligni
e
benigni
(carcinomi
e
adenomi).
Gli
adenomi
erano
distinti
in
variante
tipica
e
variante
atipica
in
base
al
comportamento
radiologico
e
clinico
(l’atipico
era
istologicamente
benigno,
ma
infiltrante,
ad
alto
indice
mitoti-‐
co
(MIB1
>3%)
e
positività
nucleare
per
p53).
Nella
classifica-‐
zione
WHO
2017
questa
distinzione
è
stata
abbandonata,
poi-‐
ché
il
cut-‐off
tra
atipico
e
tipico
non
era
identificabile
in
ma-‐
niera
univoca
e
perché
la
“tipicità”
è
un
concetto
puramente
morfologico,
che
deve
essere
stabilito
dal
patologo:
è
compito
del
clino
e
del
radiologo
invece
definire
se
l’adenoma
è
infil-‐
trante/invasivo
o
meno.
2
I
“blue
book”,
libri
regolarmente
redatti
dall’OMS
che
contengono
le
classificazioni
ufficiali
di
riferimento
per
l’anatomia
patologica.
3
TUMORI
ECTOPICI.
Si
ha
sempre
la
possibilità
che
gli
adenomi
ipofisari
si
presentino
in
sede
ectopica,
originando
da
ADENOMI
IPOFISARI
Gli
adenomi
ipofisari
sono
tumori
benigni
(istologicamente
non
aggressivi:
non
danno
metastasi))
che
però
possono
invadere
le
strutture
circostanti
(possono
essere
clinicamente
aggressivi).
• Di
solito
si
sviluppano
come
noduli
(nidi
solidi).
• Sono
istologicamente
benigni
e
non
danno
segni
di
aggressività:
sono
tumori
a
crescita
lenta
(MIB1
<3%,
poche
mitosi),
sono
ben
demarcati
(dato
anatomopatologico
o
radiologico),
non
sono
nella
maggior
parte
dei
casi
invasivi
delle
strutture
circostanti:
tendono
a
rimanere
invece
localizzati
nel-‐
la
sella
turcica,
eventualmente
comprimendo
il
parenchima
circostante.
Quando
presente,
l’aggressività
non
è
istologica
ma
dovuta
all’invasione
delle
strutture
circostanti
(es.
seno
cavernoso):
non
ci
sono
indici
predittivi
di
questa
espansività.
• Rappresentano
il
15%
dei
tumori
endocranici.
• Sono
localizzati
nella
sella
turcica
ma
possono
essere
ectopici3;
in
quest’ultimo
caso
per
esempio
la
sella
è
normale,
ci
sono
i
sintomi
di
ipersecrezione
di
GH,
e
il
tumore
è
presente
a
livello
dell’osso
sfenoide:
con
la
progressione
possono
comparire
la
cefalea
o
l’emianopsia
bitemporale
(il
paziente
vede
benissimo
davanti
e
non
vede
bene
di
lato,
è
un
segno
subdolo).
• Segni
e
sintomi
legati
alla
produzione
di
ormoni
o
all’effetto
massa.
Le
classificazioni
sono
molteplici:
• funzionale,
basata
sull’attività
endocrina:
il
tumore
è
funzionale
o
non
funzionale,
quindi
secernen-‐
te
o
non
secernente;
ci
si
aspetta
che
i
tumori
secernenti
mantengano
lo
stesso
fenotipo
della
cellu-‐
la
normale,
quindi
la
stessa
attività
secretiva.
L’endocrinologo
classifica
il
tumore
da
un
punto
di
vi-‐
sta
funzionale
con
l’esame
obiettivo,
imaging,
esami
di
laboratorio;
comunque,
tutti
gli
organi
en-‐
docrini
c’è
la
possibilità
che
la
sindrome
non
sia
data
da
un
adenoma,
ma
da
una
iperplasia;
• anatomica
e
neuroradiologica:
basata
sulle
di-‐
mensioni
del
tumore
o
sul
grado
di
invasione
loca-‐
le
(si
vede
se
il
tumore
è
dentro
o
fuori
la
sella);
si
distinguono:
microadenomi
(diametro
inferiore
a
1
cm),
macroadenomi
o
adenomi
infiltranti.
E’
di
appannaggio
del
radiologo,
• istologica:
basata
sull’osservazione
della
morfolo-‐
gia
delle
cellule
e
delle
loro
caratteristiche
immu-‐
noistochimiche.
E’
di
appannaggio
del
patologo;
• ultrastrutturale:
basata
sulle
somiglianze
dello
adenoma
alle
cellule
pituitarie
normali
(è
in
disu-‐
so).
3
TUMORI
ECTOPICI.
Si
ha
sempre
la
possibilità
che
gli
adenomi
ipofisari
si
presentino
in
sede
ectopica,
originando
da
frammenti
non
riassorbiti
di
ipofisi
lungo
il
tragitto
embriogenetico
dell’ipofisi
stessa:
per
esempio
i
polipi
del
naso,
cje
vengono
più
spesso
ai
soggetti
allergici,
non
sono
rilevanti
e
appaiono
pieni
di
eosinofili,
possono
celare
un
adenoma
ipofisario
ectopico
(nato
lì
da
un
residuo
di
tessuto
ipofisario),
oppure
l’adenoma,
crescendo,
può
logorare
il
pavimen-‐
to
della
sella
e
arrivare
al
naso
senza
dare
segni
di
sé
sia
perché
non
è
secernente
sia
perché
non
occupa
spazio
al
di
sopra
della
sella,
cosicché
l’otorino
lo
considera
un
banale
polipo
allergico
e
l’anatomo-‐patologo
scopre
la
sua
vera
na-‐
tura.
Un
altro
polipo
del
naso
può
essere
a
partenza
dal
nervo
olfattorio,
nervo
particolare
come
il
nervo
ottico
perché
è
dato
da
terminazioni
nervose
pure,
si
configura
come
un
tumore
del
SNC,
quale
l’exstesio
neuroblastoma
(exstesio
perché
si
pensa
che
derivi
dai
filuzzi
del
nervo
olfattorio
che
si
trova
in
quella
zona)
e
si
manifesta
come
un
polipo
na-‐
sale
in
una
persona
di
mezza
età;
è
molto
raro
ma
molto
spesso
non
è
sospettato
mentre
invece
è
maligno
e
aggressi-‐
vo.
DIAGNOSI
ANATOMO-‐PATOLOGICA
L’algoritmo
della
diagnosi
anatomo-‐patologica
è,
in
ordine:
studio
della
morfologia
con
EE,
immunoisto-‐
chimica
per
gli
ormoni
e,
nei
casi
dubbi,
per
i
fattori
di
trascrizione.
Poiché
il
neurochirurgo
manda
tanti
frammenti
(l’approccio
chirurgico
è
infatti
trans-‐nasale),
non
è
possibile
fare
una
descrizione
macroscopica,
inoltre
è
difficile
capire
se
ci
si
trovi
di
fronte
a
un
tumore
o
ad
un
tessuto
non-‐neoplastico
(es.
iperplasia
con
iperfunzione).
Si
esamina
tutto
il
materiale
inviato.
• Studio
morfologico
in
EE.
L’analisi
istologica
inizia
l’osservazione
della
morfologia
in
EE
a
piccolo
ingrandimento,
per
valutare
l’architettura
(cioè
la
cellularità).
Si
prosegue
poi
ad
ingrandimenti
progressivamente
maggiori,
fino
allo
studio
delle
singole
cellule.
Bisogna
capire
innanzitutto
se
l’ipofisi
è
patologica
o
normale,
partendo
dalla
distribuzione
genera-‐
le
delle
cellule:
la
cellularità
della
massa
neoplastica
si
presenta
con
una
colorazione
più
bluastra
(in
EE),
indicativa
di
una
maggiore
quantità
di
nuclei,
invece
il
parenchima
sano
ha
una
colorazione
più
rossastra,
indicativa
di
maggiore
presenza
di
citoplasma,
e
quindi
di
me-‐
no
cellule.
È
poi
importante
osservare
la
disposi-‐
zione
delle
cellule:
nell’ipofisi
normale,
diversamente
dalla
lesione,
le
cellule
sono
disposte
in
modo
ordinato,
strut-‐
turato,
seguendo
una
crescita
solida
in
sottili
cordoncini,
variabili
a
seconda
del
taglio
e
separati
dal
connettivo
lasso.
Quest’ultimo
appare
poco
colorato,
ric-‐
co
di
vasi
e
povero
di
nuclei
(quindi
di
fibroblasti).
Bisogna
poi
studiare
il
rapporto
tra
la
lesione
ed
area
circostante:
la
lesione
può
essere
infiltrante
o
ben
delimitata,
in
questo
ultimo
caso
non
infiltra
il
parenchima
circostante
ed
è
circondata
da
una
capsula
di
tessuto
connettivo
di
variabile
spessore.
Per
individuare
la
capsula
–
e
non
è
facile
pro-‐
prio
a
causa
di
questo
diverso
spessore
–
si
può
ricorrere
all’impregnazione
argentica,
che
permet-‐
te
di
valutare
l’organizzazione
dell’organo
a
seconda
della
distribuzione
del
reticolo
(nero):
il
retico-‐
lo
è
assente
ed
eterogeneo
nell’adenoma
(ci
sono
aree
dove
il
reticolo
non
si
vede,
alternate
ad
aree
con
spiccata
regolarità)
mentre
è
presente
e
regolare
nel
tessuto
normale
(v.
dopo).
L’adenoma
all’impregnazione
argentica
appare
come
grandi
villi
separati
da
tralci
di
connettivo
e
reticolo.
• Immunoistochimica
e
fattori
di
trascrizione.
Si
fa
l’immunoistochimica
per
tutti
gli
ormoni
dell’adenoipofisi;
il
tumore
appare
come
un’area
intensamente
positiva
situata
in
corrispondenza
della
parte
cellulata
osservata
in
EE
(le
sezioni
sono
in
serie,
e
quindi
confrontabili).
Se
manca
una
capsula
vera,
alla
periferia
della
lesione
si
vedono
singole
cellule
positive.
Si
colorano
anche
alcune
cellule
del
tessuto
definito
normale
all’EE:
questo
è
fondamentale
perché
da
un
lato
attesta
che
la
colorazione
sia
avvenuta
(controllo
interno),
dall’altro
conferma
che
nella
parte
normale
in
EE
ci
siano
cellule
normo-‐secernenti.
Comunque,
da
un
punto
di
vista
istologico
non
è
possibile
capire
se
l’adenoma
sia
funzionante
o
meno,
perché
gli
adenomi
non-‐funzionanti
non
sono
negativi
all’immunoistochimica:
magari
si
co-‐
lorano
poco,
oppure
il
paziente
è
poco
responsivo
e
quindi
asintomatico
(es.
donna
di
65
anni
a
cui
viene
un
tumore
LH-‐secernente),
ma
istologicamente
si
osserva
un
ormone
secreto.
Per
la
classificazione
immunoistochimica
si
usano:
o anticorpi
monoclonali
contro
ormoni
ipofisari:
GH,
PRL,
TSH,
ACTH,
FSH,
LH
(studiare
in
quest’ordine);
ci
sono
tre
grandi
famiglie
biochimiche:
GH,
PRL
e
TSH
hanno
una
struttura
ana-‐
loga,
ACTH
non
presenta
analogie
con
nessun
altro
ormone,
FSH
e
LH
formano
un
altro
gruppo,
o anticorpi
contro
fattori
di
trascrizione
ipofisari:
a
ogni
gruppo
corrisponde
un
fattore
di
tra-‐
scrizione
(questi
fattori
di
trascrizione
guidano
l’ontogenesi
dell’ipofisi
durante
la
vita
fetale
e
possono
essere
silenziati
e
ricomparire
nei
tumori,
o
essere
fisiologicamente
espressi
nell’adulto):
ü Pit-‐1
(Pituitary
specific
transcription
factor
1)
per
GH,
PRL,
TSH;
questi
tumo-‐
ri
appaiono
cromofobi
o
acidofili
all’EE:
si
chiamano:
§ adenoma
GH-‐secernente,
§ adenoma
mammo-‐somatotropi,
§ adenoma
PRL-‐secernente,
§ acidophilic
stem
cell
adenoma,
ü Tpit
(T-‐box
transcription
factor)
per
l’ACTH,
ü sf-‐1
(steroidogenic
factor)
per
FSH
e
LH
(presente
anche
nel
surrene).
Si
usano
gli
anticorpi
contro
i
fattori
di
tra-‐
scrizione
quando
l’ormone
è
poco
prodotto,
e
quindi
ce
n’è
poco
per
essere
intercettato
con
gli
anticorpi
contro
gli
ormoni.
Possono
esserci
comunque,
molto
raramente,
ade-‐
nomi
negativi
alla
immunoistochimica
anche
a
questi
fattori
di
trascrizione,
definiti
non
classificabili
o
null
cell
adenomas.
Un
ulteriore
analisi
è
quella
dei
recettori
per
gli
estrogeni,
positivi
negli
adenomi
secernenti
prolat-‐
tina
o
gonadotropine.
L’immunoistochimica
per
gli
ormoni
permette
di
osservare,
indipendentemente
dall’ormone
pro-‐
dotto,
il
numero
dei
granuli:
i
tumori
possono
essere:
o intensamente
granulati
(densely
granulated):
con
tanti
granuli,
si
colorano
intensamente
(es.
adenomi
GH
secernenti),
o scarsamente
granulati
(sparsely
granulated):
con
pochi
granuli,
si
colorano
poco
(es.
adenomi
gonadotropi).
Questa
è
una
definizione
dell'anatomia
patologica
tradizionale:
il
tumore
ricco
di
granuli
era
anche
detto
acidofilo,
quello
con
pochi
granuli
era
detto
cromofobo
e
induceva
nel
clinico
il
pensiero
che
il
tumore
era
non
secernente,
cosa
non
necessariamente
vera:
infatti
i
tumori
estremamente
attivi
dismettono
immediatamente
in
circolo
l'ormone
prodotto
in
maniera
massiva,
senza
accumularlo
in
granuli.
Quindi
non
c’è
correlazione
tra
funzione
secernente
e
granularità,
e
la
definizione
di
cromofobo
non
ha
quindi
affatto
un
significato
correlato
alla
funzione
delle
cellule,
e
tutti
gli
ade-‐
nomi
possono
essere
cromofobi.
In
alcuni
casi,
l’anatomopatologo
può
avvalersi
di
colorazioni
aggiuntive,
non
immunoistochimiche
e
non
finalizzate
ad
evidenziare
la
presenza
dei
granuli.
Sono
utili
per
le
diagnosi
differenziali,
usate
soprattutto
nel
caso
di
adenomi
ad
ACTH.
Sono
le
seguenti:
• impregnazione
argentica:
è
una
colorazione
istochimica,
sempre
chiesta
insieme
alle
routinarie.
Serve
a
evidenziare
il
reticolo,
lo
stroma
dell'ipofisi,
che
è
solitamente
regolare,
fatto
di
piccoli
nidi
(sottili
cordoncini
separati
da
connettivo
lasso)
contenenti
le
cellule
endocrine.
Poiché
l'adenoma
perde
questa
regolarità,
questa
colorazione
ci
permette
quindi
di
distinguere
con
assoluta
certezza
l'ipofisi
normale
dall'adenoma
(con
EE
ed
immunoistochimica
questo
compito
non
sarebbe
proprio
facile).
La
presenza
di
grandi
(o
grossolani)
nidi
regolari,
può
essere
indicativa
di
iperplasia
e
si
manifesta
con
un’alterazione
(e
non
perdita)
della
struttura
normale;
• PAS;
• p53:
a
volte
viene
espresso
nei
tumori
ipofisari
più
aggressivi
localmente;
• MiB-‐1:
fornisce
l'indice
di
proliferazione,
ma
non
rappresenta
un
criterio
di
malignità:
servi,
insie-‐
me
a
p53
per
capire
l'aggressività
intrinseca
dell'adenoma.
In
sintesi,
il
referto
deve
fornire
due
indicazioni
fondamentali
sulla
lesione
osservata:
1)
in
quale
categoria
rientra
con
maggiore
probabilità
diagnostica
in
base
alle
conoscenze
che
si
hanno
fino
a
quel
momento,
2)
quale
sia
la
potenziale
aggressività
istologica.
ADENOMI
GH-‐SECERNENTI
Gli
adenomi
GH
secernenti
possono
essere
di
due
tipi,
a
seconda
della
densità
dei
granuli,
a
cui
corrispon-‐
dono
due
comportamenti
clinici
diversi;
distinguiamo:
• adenomi
densamente
granulati
(frequenti):
sono
adenomi
a
crescita
lenta
e
bassa
invasività.
Sono
caratterizzati
da
un’intensa
produzione
ormonale,
quindi
un’intensa
positi-‐
vità
al
GH.
Si
osservano
cellule
eosinofile
Pit-‐1-‐positive;
• adenomi
scarsamente
granulati
(rari):
sono
adenomi
a
ra-‐
pida
crescita
e
infiltrativi,
formati
da
cellule
cromofobe
Pit-‐
1-‐positive.
La
positività
per
il
GH
è
debole
e
variabile
(in
ge-‐
nere
è
intensa
in
sede
perinucleare).
Sono
positivi
alla
cito-‐
cheratina
a
basso
peso
molecolare
CAM
5.2,
che
si
accumu-‐
la
in
sede
paranucleare,
dove
forma
un
corpo
citocherati-‐
no-‐positivo,
anche
detto
corpo
fibroso,
che
appare
come
una
goccia
(è
caratteristico
e
spinge
i
granuli
a
ridosso
della
membrana).
Ci
sono
adenomi
mammo-‐somatrotopi,
formati
da
cellule
acidofile
che
producono
GH
e
PRL4
(di
solito
la
stessa
cellula
produce
en-‐
trambi),
che
causano
una
sindrome
clinica
mista.
Se
la
secrezione
avviene
in
cellule
separate,
si
parla
di
adenoma
misto.
Sono
molto
rari
e
clinicamente
hanno
crescita
lenta
e
bassa
aggressività
locale.
La
terapia
di
prima
scelta
è
chirurgica,
perché
gli
adenomi
GH
hanno
una
scarsa
risposta
clinica;
nei
tumori
a
secrezione
mista
è
utile
la
terapia
medica
con
analoghi
a
lunga
emivita
della
somatostatina.
4
Tuttavia,
l’immunoistochimica
potrebbe
essere
positiva
solo
ad
un
ormone,
perché
magari
una
sezione
non
prende
l’adenoma;
si
può
allora
usare
un
cromogeno
marrone
per
il
GH
ed
uno
rosso
per
la
PRL,
in
modo
da
vedere
nella
stes-‐
sa
sezione
entrambi
gli
ormoni.
Altrimenti
si
può
ricorrere
alla
microscopia
elettronica,
che
mostra
caratteristiche
cel-‐
lulari
intermedie
fra
quelle
degli
adenomi
a
GH
e
a
PRL.
Possono
anche
essere
positivi
ai
recettori
per
gli
estrogeni.
ADENOMI
PRLOLATTINO-‐SECERNENTI
Tra
gli
adenomi
ipofisari
prolattino-‐secernenti
distinguiamo:
• adenomi
scarsamente
granulati:
più
comuni.
Sono
debolmente
acidofili,
all’immunoistochimica
presentano
intensa
positività
per
la
prolattina
in
sede
perinucleare;
il
nucleo
tende
ad
essere
spo-‐
stato.
Le
cellule
possono
avere
diverse
forme
di
atipia
senza
significato
clinico
specifico.
Spesso
presentano
calcificazioni
(depositi
calcifici)
e
depositi
di
amiloide5
(acidofila,
ma
meglio
evidenziabile
con
il
rosso
Congo,
che
è
verde
alla
luce
polarizzata):
l’amiloide,
che
si
forma
al
di
fuo-‐
ri
di
un
quadro
di
amiloidosi
sistemica,
è
causata
dalla
precipitazione
delle
secrezioni
del
tumore.
Esprimono
anche
i
recettori
per
gli
estrogeni;
adenomi
densamente
granulati:
più
rari,
hanno
una
intensa
e
diffusa
positività
per
la
prolattina.
•
Esiste
anche
l’adenoma
acidofilo
a
cellule
staminali,
un
adenoma
PRL-‐secernente
con
una
com-‐
•
ponente
di
cellule
GH.
E’
aggressivo
e
fortunatamente
raro;
si
confonde
con
gli
scarsamente
granu-‐
lati.
Differisce
dai
mammo-‐somatotropi
per
via
di
una
maggiore
tendenza
all’infiltrazione
locale.
Presenta
cellule
acidofile,
Pit-‐positive,
ma
all’immunoistochimica
non
si
vedono
ormoni.
Spesso
ha
una
trasformazione
dei
mitocondri,
detta
trasformazione
oncocitaria6:
i
mitocondri
diventano
mol-‐
to
numerosi,
voluminosi
e
con
una
struttura
alterata.
Pertanto,
l’acidofilia
del
citoplasma
non
è
do-‐
vuta
alla
presenza
dei
granuli,
ma
ai
mitocondri.
La
terapia
di
un
adenoma
prolattino-‐secernente
è
farmacologica
(quello
scarsamente
granulato
risponde
di
meno
alla
terapia
medica
di
quello
densamente
granulato);
l’intervento
è
indicato
solo
in
caso
di
mancata
risposta
o
dopo
lunghi
periodi
di
trattamento.
I
prolattinomi
sono
solitamente
aggressivi
(recidivano).
ADENOMI
ACTH-‐SECERNENTI
• Gli
adenomi
ACHT-‐secernenti
tendono
a
essere
intercettati
quando
sono
microadenomi,
poiché
sono
causa
di
una
sindrome
endocrina
clinicamente
evidente,
che
si
manifesta
precocemente
e
subito:
non
hanno
tempo
di
crescere.
Sono
piccolissimi,
difficili
da
intercettare
e
da
vedere
per
il
radiologo,
il
chi-‐
rurgo
e
il
patologo.
Molto
più
raramente
possono
presentarsi
come
macroadenomi
silenti
che
danno
sintomi
da
compressione.
5
L’amiloide
è
organo-‐specifica,
non
una
amiloidosi
diffusa,
ed
è
causata
dal
deposito
di
prolattina.
6
Le
cellule
oncocitarie
sono
comuni
in
tutti
i
tumori
degli
organi
endocrini,
nella
tiroide
costituiscono
una
neoplasia
a
sé
stante.
• A
seconda
del
numero
di
granuli,
le
cellule
sono
basofile
o
cromofobe
(originano
infatti
dalle
cellule
che
si
trovano
fisiologicamente
nel
centro
mucoide
dell’ipofisi);
gli
adenomi
possono
essere
pertanto
basofili
o
cromofobi.
• C’è
positività
all’immunoistochimica
per
l’ACTH
e
il
Tpit.
• Le
cellule
possono
sviluppare
il
cambiamento
ialino
di
Crooke
(descritto
all’inizio
del
secolo
scorso),
che
consiste
in
un
accumulo
ialino
perinucleare
di
citocheratina,
che
spinge
i
granuli
di
ACTH
verso
la
periferia
della
cellula
(pertanto,
l’immunoistochimica
colora
la
periferia
delle
cellule).
Questo
cambiamento
caratterizza
fisiologi-‐
camente
i
pituiciti
esposti
ad
un
eccesso
di
cortisolo
circolante.
Possono
esserci
anche
delle
situazioni
in
cui
un
adenoma
dell’ipofisi,
non
ad
ACTH,
presenta
questo
cambiamento,
creando
problemi
di
diagnosi
differenziale
perché
non
sembra
più
un
adenoma.
Si
tratta
di
cellule
epitelioidi,
rotonde,
con
nucleo
centrale,
citoplasmi
molto
abbondanti
e
membrana
citoplasmatica
ben
definita.
Que-‐
sto
aspetto
può
creare
problemi
di
diagnosi
differenziale
con
metastasi
da
tumori
epite-‐
liali.
ADENOMI
GONADOTROPO-‐SECERNENTI
Gli
adenomi
gonadotropo-‐secernenti
secernono
LH,
FSH
o
entrambi.
• Sono
paucisintomatici,
quindi
tendono
a
presentarsi
come
macroadenomi
non
secernenti
e
a
usci-‐
re
dalla
sella:
pertanto
possono
anche
esordire
con
sintomi
compressivi
(cefalea,
emianopsia
bi-‐
temporale,
ecc.).
Sono
più
tipici
delle
persone
anziane,
quando
i
sintomi
endocrini
vengono
attribuiti
alla
vecchiaia
(nell’uomo
l’impotenza
e
il
calo
della
libido,
nella
donna
amenorrea).
• Sono
costituiti
da
cellule
cromofobe,
scarsamente
granulate,
che
crescono
in
nidi
solidi
o
papille.
• Possono
anche
essere
diffusi,
e
sono
vascolarizzati
in
maniera
regolare.
Il
più
delle
volte
la
positivi-‐
tà
agli
ormoni
negli
adenomi
a
FSH
è
focale.
Esprimono
Sf-‐1.
CARCINOMA
IPOFISARIO
Il
carcinoma
ipofisario
è
rarissimo7
e,
poiché
è
estremamente
difficile
definire
la
malignità
di
una
neoplasia
endocrina,
la
diagnosi
è
a
posteriori:
è
esclusivamente
legata
alla
presenza
di
metastasi.
Le
metastasi
di
solito
avvengono
per
disseminazione
liquorale
o
a
distanz
per
via
ematica:
• le
metastasi
per
via
liquorale
interessano
il
SNC
(encefalo
e
midollo
spinale),
• quelle
per
via
ematica
i
polmoni,
il
fegato,
ecc.
L’unico
criterio
diagnostico
è
la
presenza
di
metastasi
perché
la
morfologia
del
carcinoma
è
identica
a
quel-‐
la
dell’adenoma,
e
l'atipia
non
incide
sull'aggressività
del
tumore.
Neppure
l’attività
proliferativa
è
diagno-‐
stica.
Non
ci
sono
marker
predittivi
di
metastasi
né
di
aggressività.
La
terapia
e
il
follow-‐up
sono
dunque
gli
stessi
di
un
adenoma
con
maggiore
aggressività,
elevata
attività
proliferativa
e
forte
espressione
di
p53.
7
La
prof.
Scarpelli
non
ne
ha
mai
visto
uno.
PATOLOGIE
DELLA
SELLA:
DIAGNOSI
DIFFERENZIALE
Quando
non
c’è
una
sindrome
endocrina,
quindi
in
assenza
di
ipersecrezione
ormonale,
occorre
nella
dia-‐
gnosi
delle
lesioni
dell’ipofisi
prendere
in
considerazione
le
patologie
della
sella,
per
la
diagnosi
differenzia-‐
le,
ovvero
le
neoplasie
a
cellule
fusate
e
le
lesioni
infiammatorie
a
carico
di
neuro-‐andeoipofisi
o
ipotalamo.
Studiamo
nel
dettaglio
tali
patologie.
• Adenoma
non
secernente.
• Oncocitoma
a
cellule
fusate:
è
un
tumore
benigno
estremamente
raro,
che
può
essere
soprasellare
o
intrasellare
e
occasionalmente
associato
ad
altre
lesioni
endocrine
(adenomi
tiroidei);
potrebbe
origi-‐
nare
da
cellule
ipofisarie
non-‐secernenti
(secondo
alcuni
autori
è
un
tumore
dell’ipofisi
posteriore,
e(o
che
deriva
dai
pituiciti
che
hanno
subito
mutazioni
somatiche),
ma
in
realtà
l’origine
di
questo
cambia-‐
mento
fenotipico
delle
cellule
è
ancora
ignota.
L’oncocitoma
è
una
lesione
che
può
essere
riscontrata
in
tutti
gli
organi
endocrini
e
anche
nelle
ghian-‐
dole
salivarie;
è
formata
da
cellule,
dette
oncociti,
rotondeggianti
e
con
citoplasma
eosinofilo
e
granu-‐
lare,
indicativo
della
presenza
di
mitocondri
proliferanti
numerosi,
aumentati
di
dimensioni
e
dismorfi-‐
ci.
Gli
oncociti
sono
presenti
in
patologie
neoplastiche
e
non-‐neoplastiche:
la
variazione
della
forma
da
cellule
rotonde
a
fusate
è
tipica
della
trasformazione
neoplastica.
La
diagnosi
si
fa
con
anticorpi
anti-‐
mitocondrio
o
al
microscopio
elettronico.
Gli
oncociti,
eosinofili
e
di
forma
allungata,
all’immunoistochimica
sono
negativi
per
tutti
gli
ormoni
ipofisari,
ma
positivi
a:
o S100,
un
marker
tipico
delle
cellule
di
Schwann
e
usato
per
individuare
cellule
con
differenziazione
neuroectodermica8,
o TTF1
(thyroid
transcription
factor),
un
fattore
di
trascrizione
tiroideo
espresso
nella
vita
fetale
e
mantenuto
nella
tiroide
dell’adulto.
Oltre
a
essere
espresso
nella
tiroide,
normale
e
patologica,
si
trova
nelle
lesioni
della
cavità
cranica
(es.
tumore
a
cellule
granulari
della
neuro-‐ipofisi)
e
nel
tumo-‐
re
del
polmone
a
livello
dei
bronchioli
terminali.
Non
è
espresso
dagli
adenomi
ipofisari.
Sono
positive
anche
a
L600
(come
le
cellule
di
Langherans).
• Pituicitoma:
un
raro
tumore
dell’adulto
che
origina
dai
pituiciti
e
che
è
formato
da
cellule
rotondeg-‐
gianti;
se
la
lesione
origina
dall’ipofisi
posteriore
è
a
cellule
fusate.
• Tumore
a
cellule
granulari
della
neuroipofisi
(granular
cell
tumor):
è
una
neoplasia
benigna,
costituita
da
cellule
grandi
e
rotonde,
contenenti
granuli
(non
sono
oncociti)
e
S100-‐positive,
per
cui
si
ipotizza
un’origine
simile
a
quella
delle
cellule
di
Schwann.
8
Anche
la
cartilagine
e
gli
istiociti
a
cellule
di
Langherans
possono
essere
S100+,
per
cui
questo
marker
va
usato
in
un
contesto
specifico
(sicuramente
non
per
riconoscere
la
cartilagine
ialina).
Al
microscopio
ottico
somigliano
agli
oncociti,
ma
le
Ig
anti-‐mitocondrio
sono
negative,
e
alle
cellule
muscolari
per
la
tipica
eosinofilia;
i
granuli
somigliano
a
lisosomi,
ma
la
loro
natura
è
ignota.
Questo
tumore
benigno
può
anche
insorgere
nella
lingua
(benigno),
mammella
(in
vicinanza
del
capez-‐
zolo),
cute,
organi
profondi
(tubo
gastroenterico,
sono
eccezionali:
si
osservano
piccole
lesioni
rilevate
S. El Hussein, C. Vincentelli $QQDOVRI'LDJQRVWLF3DWKRORJ\²
polipoidi
rivestite
da
mucosa
normale).
Ci
sono
rari
casi
di
tumori
maligni.
Table 1
Histologic patterns of TTF-1 positive neoplasms: pituicytoma, granular cell tumor of the neurohypophysis and spindle cell oncocytoma.
• Ipofisite
granulomatosa,
una
patologia
infiammatoria
dell’ipofisi:
o caratterizzata
da
un
infiltrato
contenente
istiociti
e
cellule
giganti
plu-‐
rinucleate
organizzate
a
formare
granulomi;
i
granulomi
sono
piccoli,
non
necrotizzanti
e
separati
dall’infiltrato
infiammatorio,
o si
manifesta
con
un
quadro
clinico
di
ipopituitarismo
di
grado
e
tipo
va-‐
riabile,
associato
o
meno
a
sintomi
da
massa,
o la
diagnosi
differenziale
include:
ü la
sarcoidosi,
caratterizzata
da
granulomi
non
necrotizzanti,
e
da
(mancanti)
FUO
e
interes-‐
samento
di
cute
e
polmone,
ü alcune
malattie
infettive,
come
la
TBC
pre-‐necrosi9,
o
infezioni
fungine.
Le
ipofisiti
si
trattano
con
terapia
antiinfiammatoria,
che
rappresenta
un
criterio
diagnostico
ex
adiu-‐
vantibus.
9
La
necrosi
del
granuloma
compare
in
seguito
a
ipossia,
oppure
in
seguito
all’efficace
attacco
da
parte
del
SI,
motivo
per
cui
nel
granuloma
necrotizzante
si
trovano
pochi
bacilli
di
Koch.
Il
granuloma
necrotizzante
è
tipico
della
TBC
cro-‐
nica
localizzata
(possono
essere
interessati
polmone,
osso
o
intestino),
mentre
i
granulomi
non-‐necrotizzanti
(sono
piccoli
granulomi
epitelioidei)
possono
essere
presenti
nella
TBC
iniziale
o
in
caso
di
una
riattivazione/reinfezione
con-‐
tro
la
quale
il
paziente
non
riesce
a
montare
una
risposta
immune
efficace.
In
questo
caso
c’è
un
difetto
dell’immunità
che
non
riesce
a
controllare
il
bacillo
e
si
ha
una
malattia
disseminata
(tubercolosi
miliare,
da
“miglio”,
una
pianta
graminacea
ricca
di
semini).
Nei
granulomi
non-‐necrotizzanti
sono
presenti
tanti
bacilli
di
Koch,
rilevati
grazie
alla
co-‐
lorazione
di
Ziehl-‐Neelsen.
• Ipofisite
associata
a
cisti
della
tasca
di
Rathke,
una
pa-‐
tologia
infiammatoria
causata
dalla
rottura
di
una
cisti
della
tasca
di
Rathke.
Infatti,
nell’ipofisi
si
possono
trovare
piccole
cisti
asin-‐
tomatiche,
residui
della
tasca
di
Rathke
(è
la
estrofles-‐
sione
dello
stomodeo
primitivo
da
cui
deriva
la
adenoi-‐
pofisi):
esse
derivano
dall’ampliamento
di
piccoli
spazi
a
fessura
(v.
fig.),
situati
fra
l’ipofisi
anteriore
e
posterio-‐
re,
rivestiti
da
un
epitelio
squamoso
o
colonnare
con
globet
cells.
Quando
diventano
grandi
o
si
infiammano,
queste
cisti
diventano
sintomatiche,
possono
simulare
un
tumore,
e
a
volte
possono
rompersi
ed
evocare
una
reazione
infiammatoria
da
corpo
estraneo
contro
il
materiale
presente
nella
cisti
che
viene
liberato
(citocheratina
e
muco):
insorge
così
un’ipofisite
asso-‐
ciata
a
cisti
della
tasca
di
Rathke.
Questa
patologia:
o predilige
adolescenti
e
giovani
adulti,
o è
caratterizzata
da
un
infiltrato
infiammatorio
cronico
linfo-‐plasmacellulare,
comprendente
an-‐
che
cristalli
di
colesterolo
(ad
ago),
cellule
giganti
da
corpo
estraneo,
depositi
di
emosiderina,
ma-‐
crofagi;
frammiste
a
questo
infiltrato
si
osserva
un
epitelio
squamoso,
cuboidale
o
misto,
o va
in
diagnosi
differenziale
con
il
craniofaringioma,
un
tumore
benigno.
• Craniofaringoma
(v.
fig):
è
un
tumore
benigno
della
re-‐
gione
sellare
costituito
da
epitelio
pavimentoso
e
origi-‐
nante
dalla
degenerazione
neoplastica
delle
cellule
del-‐
la
cisti
della
tasca
di
Rathke.
Presenta
caratteristiche,
nonché
origine,
simili
all’adamantinoma,
una
lesione
comune
nei
giovani
formata
da
isole
di
epitelio
pavi-‐
mentoso
frammisto
a
tessuto
mixoide
(liquido
o
solido).
• Metastasi
ipofisarie
di
altri
tumori
(es.
mammella
e
polmone)
che
possono
simulare
neoplasie
primitive
dell’ipofisi:
in
questi
casi
la
diagnosi
differenziale
si
complica,
ma
è
fondamentale
l’anamnesi.
Le
metastasi
sono
più
frequenti
delle
altre
patologie
sellari.
• Cordoma
della
sella
turcica:
tumore
che
origina
a
livello
della
base
cranica
o
a
livello
sacrale,
entrambe
regioni
che
contengono
residui
della
notocorda.
È
raro,
invasivo
e
difficilmente
asportabile
(v.
fig).
• Tumore
della
dura
madre.
ALGORITMO
DIAGNOSTICO
DELLE
PATOLOGIE
DELLA
REGIONE
DELLA
SELLA
Nel
porre
diagnosi
di
una
lesione
della
sella
occorre
distinguere
i
seguenti
scenari:
• ipofisi
normale,
• adenoma
ipofisario;
può
essere
densamente
o
scarsamente
granulato,
• neoplasia
non-‐adenoma:
o metastatica
(soprattutto
mammella
e
polmone;
quelli
TTF-‐1
positivi
e
aggressivi
sono
metastasi
di
polmone
o
tiroide),
o non
metastatica
(meningioma,
craniofaringioma
sono
TTF-‐1
negativi;
pituicitoma,
oncocitoma
a
cellule
fusate,
granular
cell
tumor
sono
TTF-‐1
positivi);
• lesione
infiammatoria
(ipofisiti
linfocitarie,
granulomatose,
istiocitosi),
• lesione
cistica.
13.
PATOLOGIA
DELLA
TIROIDE
ANATOMIA
UMANA
NORMALE
Anatomia
macroscopica
La
tiroide
è
una
ghiandola
endocrina
formata
da
due
lobi
simmetri-‐
ci
(potrebbero
diventare
asimmetrici
in
caso
di
patologia)
uniti
da
un
istmo
sottile,
a
volte
nella
parte
centrale
si
può
osservare
un
piccolo
lobo
accessorio.
E’
rivestita
da
una
capsula
fibrosa.
Pesa
cir-‐
ca
20
g
e
il
diametro
massimo
misura
circa
4
cm.
Durante
l’ontogenesi
il
tessuto
tiroideo
origina
da
un
inspessimen-‐
to
del
tessuto
della
faringe
e
migra
lungo
la
linea
mediana
verso
il
collo:
durante
la
migrazione
si
forma
il
dotto
tireoglosso,
un
diver-‐
ticolo
attraverso
cui
la
tiroide
resta
connessa
con
la
faringe,
nel
punto
in
cui
si
formerà
foro
cieco
(che
si
trova
all’apice
del
V
lingua-‐
le);
a
seguito
dell’obliterazione
del
dotto
tireoglosso
possono
resi-‐
duare
frammenti
ectopici
di
parenchima
tiroideo,
che
restano
lungo
la
linea
di
migrazione
(alla
base
della
lingua,
nella
laringe,
nella
trachea,
nel
pericardio
e
nel
cuore)
e
che
possono
essere
causa
di
patologie
nell’adulto,
come
le
cisti
mediane
del
collo
o
tumori
tiroidei
ectopici
(vanno
in
diagnosi
differenziali
con
metastasi
di
tumore
primitivo).
La
capsula
fibrosa
della
tiroide
non
è
continua
ma
discontinua
e
non
perfettamente
definita:
ci
sono
delle
parti
della
tiroide
che
potrebbero
non
essere
circondate
dalla
capsula;
questo
è
importante
perché
fisiolo-‐
gicamente
possono
essere
trovati
all’interno
della
tiroide
i
tessuti
circostanti
(soprattutto
l’adiposo,
ma
an-‐
che
quello
muscolare
scheletrico
a
livello
dell’istmo).
Questa
incompletezza
della
capsula,
quindi
l’assenza
di
una
barriera,
rende
difficoltosa
la
stadiazione
dei
tumori:
è
problematico
comprendere
se,
per
esempio
quando
si
osserva
un
tumore
della
tiroide
che
è
a
contatto
con
il
tessuto
adiposo,
si
tratti
di
un
tumore
non
invasivo
(quindi
a
contatto
con
il
tessuto
adiposo
intratiroideo;
pT1-‐2)
o
un
tumore
con
estensione
extratiroidea
(pT3-‐4).
E
cambia
lo
stadio
di
malattia,
quin-‐
di
la
terapia
e
la
prognosi.
Alla
luce
di
queste
evidenze,
si
è
convenuti1
che
l’invasione
del
tessuto
adiposo,
così
come
quella
del
tessuto
muscolare
nell’istmo,
non
può
essere
diagnostica
di
estensione
extratiroidea
di
un
tumore
della
tiroide:
questa
conclusione
è
concorde
con
l’ultima
revisione
dei
criteri
stadiativi
del
car-‐
cinoma
della
tiroide
(v.
dopo).
1
Ozgur
M
et
al,
Controversies
in
Thyroid
Pathology:
Thyroid
Capsule
Invasion
and
Extrathyroidal
Extension,
Ann
Surg
Controversial Thyroid Capsule 389
Oncol
(2010)
17:386–391.
Si
veda
la
tabella
per
chiarimenti.
TABLE 1 Summary
d The thyroid gland is covered by an incomplete, thin pseudocapsule composed of fibroadipose connective tissue derived from midline deep
cervical fascia.
d Thyroid parenchyma migrates into the lateral neck during embryogenesis, and because there is no defined capsule restricting it, elements can
migrate beyond the normal confines of the soft tissue planes.
d At the periphery of the thyroid gland, there is a close anatomical relationship between the outermost thyroid parenchyma and skeletal muscle.
d Muscle invasion is the hallmark of ETE in the lateral lobes of the thyroid.
d The interpretation of ETE is problematic in the isthmus because of the normal proximity of muscle and thyroid follicles.
d Because the thyroid capsule is often incomplete and contains varying proportion of fibrous and adipose tissue, the criteria for defining minimal
(pT3) ETE are subjective and problematic.
d The assessment of ETE starts preoperatively, continues intraoperatively, and is finalized by pathological examination.
d Marked ETE, as evidenced by pT4 classification, should be based on careful gross examination, sampling of the tumor with peripheral surgical
resection margins, and intraoperative and/or biopsy evidence of invasion of adjacent structures.
ETE extrathyroidal extension
2
L’ecografia
è
imprescindibile
perché
il
radiologo
studiando
le
caratteristiche
del
nodulo
esegue
una
stratificazione
del
rischio
cioè
ci
sa
dire
se
il
nodulo
è
più
o
meno
sospetto
per
essere
una
neoplasia.
Valutando
l’ipoecogenicità,
la
dimensione,
la
vascolarizzazione
e
i
margini,
il
radiologo
individua
i
noduli
sospetti
che
hanno
necessità
di
eseguire
va-‐
lutazione
citologica.
L’ecografia
va
eseguita
anche
per
noduli
individuati
in
altri
esami,
infatti
molto
frequenti
sono
i
noduli
individuati
durante
color-‐doppler
delle
carotidi.
Quindi
anche
gli
incidentalomi
hanno
bisogno
di
un
ecografa
tiroidea
per
poter
valutare
approfonditamente
le
caratteristiche.
Sia
che
ho
un
nodulo
conosciuto
sia
che
sia
un
incidentaloma
prima
di
eseguire
un
agoaspirato
bisogna
sempre
ese-‐
guire
un
ecografia
recente
per
poter
avere
una
valutazione
ottimale.
L’ecografia
alla
tiroide
quindi
è
un
passaggio
fon-‐
damentale
che
stabilisce
chi
deve
eseguire
l’ago
aspirato.
Nel
caso
di
un
nodulo
benigno
ecograficamente
non
si
ese-‐
gue
FNA.
Se
il
nodulo
risulta
sospetto,
si
valutano
le
dimensioni:
per
noduli
<
di
1
cm
si
esegue
follow
up
ravvicinato,
mentre
per
noduli
>1cm
si
esegue
FNA.
In
caso
di
un
nodulo
grande
(1
cm
circa)
ma
con
un
sospetto
basso
non
si
ese-‐
gue
FNA
finché
il
nodulo
evolve
in
dimensioni
di
1,5
o
2
cm.
• dopo
la
asportazione,
il
nodulo
viene
studiato
mediante
esame
istologico
dall’anatomopatologo,
che
ne
osserva
in
maniera
sistematica
1)
la
capsula
e
i
margini,
2)
il
pattern
architetturale,
3)
la
morfologia
cellulare
e
i
nuclei.
ADENOMA
FOLLICOLARE
L’adenoma
follicolare
è
un
tumore
benigno
capsulato
che
presenta
differenziazione
follicolare.
Si
manife-‐
sta
come
un
nodulo
(di
2-‐3
cm)
e
rappresenta
il
95%
delle
lesioni
nodulari
della
tiroide
(che,
di
conseguen-‐
za,
sono
quasi
sempre
benigne).
Ha
le
seguenti
caratteristiche:
• di
solito
è
un
nodulo
solitario
(invece
di
fronte
a
no-‐
duli
multipli
la
prima
ipotesi
diagnostica
è
un
gozzo
multinodulare);
all’esame
macroscopico
ha
un
colore
che
va
dal
grigio-‐bianco
al
rosso
scuro,
a
seconda
della
cellularità
e
del
contenuto
di
colloide
dell’adenoma.
Possono
esserci,
soprattutto
in
quelli
di
dimensioni
maggiori,
aree
di
emorragia,
fibrosi,
calcificazioni,
co-‐
me
nel
gozzo
multinodulare
(v.
dopo);
• è
una
lesione
monoclonale
che
cresce
formando
folli-‐
coli
e
comprimendo
il
parenchima
esterno
circostan-‐
te
(e
non
infiltrandolo);
• presenta
una
capsula
sottile
e
completa
di
tessuto
fi-‐
broso
e
con
vasi;
quando
la
capsula
del
nodulo
diven-‐
ta
grande
si
fonde
con
quella
della
tiroide,
• l’aspetto
istologico
è
variabile,
• si
toglie
nei
casi
dubbi
(TIR3).
Va
in
diagnosi
differenziale
con
alcune
malattie
che
nel
5%
dei
casi
possono
essere:
1. nodulo
dominante
di
iperplasia
nodulare
(nodulo
iperplastico
all’interno
di
un
gozzo).
In
un
gozzo
(nodulare
o
diffuso)
la
tiroide
è
per
definizione
di
dimensioni
aumentate,
spesso
in
modo
asimme-‐
trico,
a
causa
dell’iperplasia
(crescita
policlonale);
nel
gozzo
nodulare
possono
esserci
noduli
multi-‐
pli
iperplastici
separati
da
una
capsula
incompleta,
con
emorragie,
cisti
e
calcificazioni:
in
questo
contesto
multinodulare,
a
volte
può
prevalere
un
nodulo,
e
il
paziente
si
presenta
clinicamente
co-‐
me
se
avesse
un
nodulo
singolo,
quindi
come
se
avesse
un
adenoma
(è
l’ipotesi
diagnostica
più
probabile:
95%),
in
realtà
ha
un
nodulo
iperplastico.
Altre
volte
invece
in
questo
contesto
policlona-‐
le
può
insorgere
una
lesione
monoclonale
vera
e
propria
(adenoma
all’interno
del
gozzo).
Comunque
di
solito
non
viene
trattato
chirurgicamente,
e
nel
caso
in
cui
si
portasse
il
paziente
all’intervento,
una
volta
effettuata
la
tiroidectomia,
non
ci
sono
differenze
da
un
punto
di
vista
te-‐
rapeutico
tra
iperplasia
e
adenoma
(non
richiedono
follow-‐up);
quindi
questa
diagnosi
differenziale
non
ha
implicazioni
determinanti,
anche
perché,
a
differenza
del
colon,
non
è
dimostrato
che
dall’adenoma
si
sviluppi
poi
un
carcinoma;
2. carcinoma
follicolare
minimamente
invasivo:
questa
(e
anche
la
seguente)
diagnosi
differenziale
è
invece
determinante
e
sostanziale
da
un
punto
di
vista
terapeutico;
3. variante
follicolare
capsulata
del
carcinoma
papillifero,
è
un
tumore
follicolare
non
invasivo,
con
cambiamenti
nucleari
simili
a
quelli
del
carcinoma
papillifero
(NIFTP).
Occorre
pertanto
un
attento
esame,
che
comprenda
una
attenta
valutazione
dell’integrità
della
capsula,
per
escludere
le
forme
maligne.
CARCINOMA
FOLLICOLARE
Il
carcinoma
follicolare
(CF)
della
tiroide
è
il
meno
frequente
dei
tumori
della
tiroide
ben
differenziati.
Si
presenta
con
una
frequenza
variabile
del
5-‐20%,
predilige
il
sesso
femminile.
In
media
i
pazienti
colpiti
hanno
un’età
di
50-‐60
anni;
quindi
sono
di
circa
10
anni
più
vecchi
rispetto
a
quelli
con
carcinoma
papillife-‐
ro.
Si
distinguono
due
varianti,
valutate
in
rapporto
alla
capsula
(se
c’è
o
non
c’è,
e
se
è
infiltrata):
• CF
minimamente
invasivo:
macroscopicamente
e
citologicamente
è
uguale
all’adenoma
in
quanto
è
capsulato
e
formato
da
cellule
analoghe
a
quelle
dell’adenoma
(il
citologo
non
riesce
a
distin-‐
guerli).
A
fare
la
differenza,
è
l’infiltrazione
della
capsula
e/o
dei
vasi3,
che
deve
essere
studiata
per
mezzo
di
un
campionamento
estensivo,
occorre
infatti
distinguere
con
accuratezza
se
eventua-‐
li
irregolarità
(es.
inspessimenti)
della
capsula
sono
intrinseche
(e
la
lesione
è
un
adenoma)
o
dovu-‐
te
all’invasione
(e
la
lesione
è
una
CF
minimamente
invasivo),
e
individuare
in
quanti
punti
della
capsula
o
in
quanti
vasi
c’è
invasione:
non
devono
esserci
più
di
2
o
3
invasioni,
perché
al
di
sopra
il
CF
diventa
estesamente
invasivo4
e
la
differenza
è
sostanziale
da
un
punto
di
vista
prognostico.
A
causa
della
bassa
concordanza
tra
patologi
nel
diagnosticare
il
CF
minimamente
invasivo,
JKC
Chan,
uno
dei
più
grandi
patologi
del
mondo,
ha
cercato
di
standardizzare
la
diagnosi
identificando
i
diversi
pattern
di
invasione
capsulare
e
vascolare5.
In
caso
di
sospetta
invasione
vascolare,
per
avere
la
conferma
che
l’area
invasa
sia
un
vaso
si
può
ricorrere
all’immunoistochimica
per
il
CD34,
marker
88
delle
cellule
endoteliali.
Head and Neck Pathol (2009) 3:86–93
FIGURA 12.22 Carcinoma follicolare. Si tratta di una neoplasia capsulata (a) ad architettura follicolare con evidenza di pene-
trazione completa della capsula tumorale e/o di invasione vascolare in strutture vascolari extracapsulari (b).
745
CARCINOMA
PAPILLIFERO
Il
carcinoma
papillifero
della
tiroide
è
il
più
comune
dei
tumori
ben
differenziati
della
tiroide.
Colpisce
adulti
più
giovani
(20-‐50
anni)
con
un
rapporto
F:M
di
4:1,
e
rappresenta
il
90%
dei
tumori
del
bambino
e
del
giovane.
Si
associa
a
esposizione
a
radiazioni
ionizzanti
(iatrogena,
per
terapie
fatte
per
altri
motivi,
o
ambientale)
nel
5-‐10%
dei
casi,
e
anche
alla
tiroidite
di
Hashimoto.
Da
un
punto
di
vista
macroscopico,
si
osserva
un
nodulo
di
1-‐3
cm
di
diametro,
solido,
duro
di
consistenza,
privo
di
capsula
e
chiaramente
invasivo.
Può
presentare
delle
microcalcificazioni
concentriche,
dette
corpi
psammo-‐
matosi,
già
percepibili
al
taglio
che
è
stridente
e
indicati-‐
vo
(non
sono
presenti
nel
tumore
follicolare
e
midollare).
Da
un
punto
di
vista
microscopico
cresce
formando
pa-‐
pille
costituite
da
un
asse
stromale
fibro-‐vascolare
e
ri-‐
vestite
da
un
una
singola
fila
di
cellule
follicolari
neopla-‐
stiche.
In
alcuni
casi
può
crescere
anche
formando
dei
follicoli
al
posto
delle
papille;
comunque
viene
classifica-‐
to
come
tumore
papillifero
a
causa
della
presenza
di
nuclei
particolari
e
caratteristici.
Si
osservano
infatti
nuclei
chiari,
perché
la
cromatina
è
dispersa
alla
periferia
a
ridosso
della
membrana
nu-‐
cleare,
aventi
un
profilo
irregolare,
e
ricchi
di
incisure
e
pseudoinclusi:
sono
pezzi
di
citoplasma
che
stanno
nel
nucleo
(che
si
formano
durante
il
taglio).
Questi
nuclei
sono
detti
“nuclei
dell’orfanella
Annie”,
perché
ricordano
gli
occhioni
chiari
dell’omonimo
personaggio
di
un
cartone
animato
americano.
Questa
caratteri-‐
stica
cellulare,
che
dipende
dal
processo
di
inclusione,
è
osservabile
solo
dall’istologo,
e
non
dal
citologo,
che
osserva
solo
le
incisure,
comunque
diagnostiche.
Le
varianti
del
carcinoma
papillifero
della
tiroide
sono:
• la
variante
classica,
• il
microcarcinoma
papillifero
(anche
detto
sclerosante
occulto
o
papillifero
occulto),
è
la
variante
più
frequente.
E’
un
tumore
piccolo,
di
dimensioni
inferiori
a
1
cm,
che
nel
25%
dei
casi
è
un
reper-‐
to
incidentale
in
una
tiroidectomia
eseguita
per
un
gozzo
o
un
adenoma.
Può
essere
associato
a
metastasi
laterocervicali,
che
clinicamente
si
manifestano
con
linfoadenomegalia
anche
prima
del
tumore
primitivo;
mentre
le
metastasi
a
distanza
sono
eccezionali.
La
prognosi
è
eccellente,
non
porta
a
morte
e
si
tratta
rimuovendo
la
tiroide
e
i
linfonodi
metastatici;
• la
variante
follicolare.
Il
tumore
cresce
formando
follicoli
e,
a
differenza
delle
altre
varianti
del
car-‐
cinoma
papillifero,
è
capsulato,
ma
nelle
forme
a
margini
infiltrativi
la
capsula
può
essere
assente.
A
causa
di
queste
due
caratteristiche,
follicoli
e
capsula,
va
in
diagnosi
differenziale
con
il
carcino-‐
ma
follicolare
(minimamente
o
estesamente
invasivo),
ma
a
fare
la
differenza
sono
i
nuclei
(criterio
diagnostico).
Se
è
capsulato
è
prognosticamente
favorevole:
non
dà
metastasi
a
distanza
e
si
tratta
con
tiroidec-‐
tomia
o
lobectomia,
quindi
la
dizione,
non
del
tutto
adeguata,
è
stata
sostituita
con
“tumore
follico-‐
lare
non
invasivo
con
nuclei
del
carcinoma
papillare”
(NIFTP).
Se
ci
sono
margini
infiltrativi
la
pro-‐
gnosi
peggiora;
• la
variante
oncocitaria,
va
in
diagnosi
differenziale
con
tutte
le
lesioni
oncocitarie,
• la
variante
sclerosante
diffusa:
una
variante
rara
difficile
da
diagnosticare
che
colpisce
soggetti
ab-‐
bastanza
giovani
(anche
di
15-‐20
anni),
uomini
e
donne.
C’è
un
coinvolgimento
diffuso
di
uno
o
entrambi
i
lobi
della
tiroide,
a
differenza
degli
altri
tumori
papilliferi
che
hanno
aspetto
nodulare;
sono
presenti
fibrosi,
calcificazioni,
infiltrato
linfocitario.
Già
al
momento
della
diagnosi
sono
frequenti
le
metastasi
linfonodali
e
per
via
ematica
(polmone
e
cervello;
molto
più
caratteristiche
del
carcinoma
follicolare),
che
talvolta
sono
causa
del
sintomo
di
esordio.
Ciononostante
spesso
non
ha
un
comportamento
aggressivo
ed
è
indolente:
la
prognosi
a
distanza
è
buona.
Simula
la
tiroidite
di
Hashimoto,
con
cui
va
in
diagnosi
differenziale.
Per
quanto
riguarda
il
comportamento
metastatico,
in
generale,
il
carcinoma
papillare
della
tiroide
tende
soprattutto
a
dare
metastasi
linfonodali,
a
differenza
del
carcinoma
follicolare
che
tende
a
dare
metastasi
per
via
ematica;
presenta
entrambi
questi
comportamenti
la
variante
sclerosante
diffusa
del
carcinoma
pa-‐
pillare.
TIROIDITE
DI
HASHIMOTO
La
tiroidite
di
Hashimoto
è
una
patologia
infiammatoria
della
tiroide;
colpisce
principalmente
donne
di
media
età
(55-‐58
ani)
e
bambini.
• La
tiroide
è
di
solito
diffusamente
aumentata
di
dimensioni
e
consistenza,
ma
non
sempre,
perché
quando
c’è
molta
fibrosi
è
ridotta;
in
alcuni
casi
c’è
un
interessamento
asimmetrico
dell’organo,
anche
se
di
solito
interessa
entrambi
i
lobi
e
l’istmo.
Si
può
osservare
fibrosi,
che
causa
un
induri-‐
mento
importante
tanto
da
simulare
un
tumore
infiltrante,
ma
che
è
confinata
nel
parenchima
dell’organo:
non
sono
interessati
in
maniera
estensiva
i
tessuti
molli
circostanti.
• Da
un
punto
di
microscopico
si
osserva
flogosi
con
infiltrato
cronico
organizzato
e
cellule
di
Hur-‐
thle
(sono
cellule
andate
incontro
a
trasformazione
oncocitaria,
anche
detti
oncociti,
v.
dopo);
questo
aspetto
è
diagnostico.
Infatti
l’infiltrato
infiammatorio
linfocellulare
si
organizza
in
follicoli
con
centro
geminativo
(come
nella
gastrite)
e
distrugge
la
tiroide:
le
cellule
tiroidee,
in
risposta
al
danno,
vanno
incontro
a
una
trasformazione
oncocitaria,
cioè
diventano
cellule
ricche
di
mito-‐
condri.
• Nei
pazienti
con
tiroidite
di
Hashimoto
si
osserva
una
maggiore
incidenza
di
carcinomi
papilliferi:
alcuni
autori
hanno
studiato
le
caratteristiche
morfologiche
e
molecolari
delle
cellule
della
ti-‐
roidite
e
hanno
visto
che
una
parte
di
esse
condivide
le
mutazioni
tipiche
del
carcinoma
papil-‐
lifero,
come
se
fosse
una
fase
iniziale
di
trasformazione.
Quindi
si
possono
trovare
carcinomi
papilliferi
nodulari,
che
si
identificano
macroscopicamente,
o
microcarcinomi
incidentali,
che
si
indentificano
nell’ambito
di
questa
malattia.
In
generale,
a
causa
di
questa
associazione,
tutte
le
volte
che
nel
contesto
della
tiroidite
di
Hashimoto
comincia
a
svilupparsi
una
nodularità
(rilevata
ecograficamente,
se
non
palpatoriamente),
sorge
il
sospet-‐
to
e
occorrono
approfondimenti.
• Simula
la
variante
sclerosante
diffusa
del
carcinoma
papillifero,
con
cui
va
in
diagnosi
differenzia-‐
le,
ma
non
c’è
un
rapporto
di
evolutività
con
questo
tumore.
• C’è
indicazione
alla
tiroidectomia
se
non
risponde
a
terapia,
se
c’è
un
nodulo
(associato
all’insorgenza
di
un
carcinoma
papillifero)
o
se
c’è
fibrosi.
Tradizionalmente
le
tiroiditi
croniche
vengono
distinte
in
diverse
varianti,
in
base
alla
componente
infiam-‐
matoria
e
a
quella
fibrosa;
oltre
alla
tiroidite
di
Hashimoto,
ricordiamo
la:
• tiroidite
di
Riedel,
una
tiroidite
sclerosante,
priva
dei
caratteri
della
tiroidite
di
Hashimoto
classica;
si
caratterizza
per
la
presenza
di
fibrosi,
non
solo
dentro
la
tiroide,
ma
anche
nei
tessuti
molli
del
collo,
• tiroidite
di
De
Quervain.
TUMORI
ONCOCITARI
In
alcune
patologie,
sia
benigne
sia
maligne,
della
tiroide
(e
anche
di
altri
organi
endocrini,
ghiandole
saliva-‐
ri,
rene,
pancreas)
si
possono
osservare
le
cellule
di
Hurthle
o
oncociti:
• nella
tiroide
derivano
da
cellule
follicolari
che
hanno
subito
una
mutazione
somatica
che
determina
una
modificazione
del
fenotipo:
sono
carat-‐
terizzate
da
un
abbondante
citoplasma
granulare
eosinofilo
(potenzialmente
indi-‐
cativo
della
presenza
di
mitocondri,
granuli,
lisosomi,
RE),
• tale
eosinofilia
è
dovuta
a
un
accumulo
di
mitocondri,
molti
dei
quali
mostrano
alte-‐
razioni
strutturali
alla
microscopia
elettro-‐
nica:
sono
irregolari,
atipici,
alterati
a
causa
di
mutazioni
somatiche,
• i
nuclei
sono
atipici:
si
pensava
che
queste
cellule
fossero
maligne,
ma
si
è
visto
che
es-‐
sa
non
è
una
atipia
proliferativa
e
maligna,
ma
regressiva.
I
tumori
composti
esclusivamente
o
prevalentemente
da
oncociti
(>80%)
sono
detti
tumori
oncocitari:
• formano
dei
noduli
solidi
di
colorito
bruno
(“marrone
mogano”;
invece
il
follicolare
e
il
papillifero
sono
bianchi,
un
po’
giallastro
il
follicolare)
e
sono
capsulati,
• presentano
una
crescita
follicolare
o
solida
(si
formano
nidi
solidi
che
sono
follicoli
sen-‐
za
colloide),
molto
raramente
papillare
(in
questo
ultimo
caso
va
in
diagnosi
differen-‐
ziale
con
la
variante
oncocitaria
del
tumore
papillare),
• possono
essere
benigni
o
maligni,
quindi
possono
essere
adenomi
o
carcinomi,
e
hanno
gli
stessi
criteri
di
malignità
del
carcinoma
follicolare
(minimamente
o
diffusamente
invasivo),
quindi
occorre
studiare
l’invasione
della
capsula
e/o
dei
vasi.
CARCINOMA
SCARSAMENTE
DIFFERENZIATO
Il
carcinoma
scarsamente
differenziato
della
tiroide
è
un
tumore
di
derivazione
dall’epitelio
follicolare
con
comportamento
intermedio
tra
i
carcinomi
papilliferi/follicolari
ben
differenziati
e
gli
anaplastici.
Ha
un
comportamento
clinico
più
aggressivo
che
si
palesa
sin
da
subito:
all’esordio
il
tumore
è
già
infiltran-‐
te
o
molto
grande.
Sono
indicativi
di
malignità
e
comportamento
aggressivo:
• le
alterazioni
architetturali,
• la
presenza
di
necrosi7
macroscopica
tumorale
(preoccupante
perché
raramente
presente,
a
diffe-‐
renza
di
altri
tumori
in
cui
è
più
presente
come
l’adenocarcinoma
dello
stomaco),
• le
invasioni
vascolari,
• un
elevato
numero
di
mitosi
e/o
mitosi
aberranti
(tripolari)
Possono
essere
insulari
e
non
insulari:
• quello
insulare
cresce
formando
nidi
di
cellule
o
isole
separate
da
tessuto
connettivo,
o da
un
punto
di
vista
macroscopico
è
solido,
sono
presenti
focolai
di
ne-‐
crosi,
ci
sono
margini
invasivi,
non
ha
la
capsula
e
quindi
limiti
netti,
o da
un
punto
di
vista
microscopico
cresce
in
maniera
solida
o
microfolli-‐
colare:
si
osservano
nidi
(isole)
costi-‐
tuite
da
una
popolazione
monomor-‐
fa
di
piccole
cellule
con
nuclei
ro-‐
tondi
e
poco
citoplasma,
infatti
è
scuro
all’EE
proprio
a
causa
di
questa
scarsità
citoplasmatica.
Vedendo
le
cellule
può
anche
non
essere
visto
come
carcinoma
aggressivo
(sembra
benigno,
infatti
i
patologi
tedeschi
lo
chiamavano
struma
metastatizzante,
perché
sembra
uno
struma,
ovvero
una
forma
benigna,
che
può
dare
metastasi),
ma
la
differenza
la
fa
la
citoarchitettura
e
non
la
morfologia
delle
cellule:
in
altre
parole
c’è
una
discrepanza
tra
il
fenotipo
delle
cellule
e
l’aggressività
clinica
nell’insulare;
o sono
frequenti
le
invasioni
vascolari;
o la
sopravvivenza
a
5
anni
è
del
68%.
• non
insulare:
non
forma
isole
ma
cresce
in
altri
modi
(follicolare,
papillare,
etc.)
è
più
facile
da
rico-‐
noscere.
Presenta
margini
arrotondati
con
noduli
confluenti;
l’aspetto
è
eterogeneo
con
aree
emorragiche
e
di
necrosi
tumorale
macroscopica
(sono
le
cellule
tumorali
che
vanno
in
necrosi,
spesso
a
focolai).
Ha
un
aspetto
infiltrativo
(sta
uscendo
dalla
tiroide),
e
ha
un
aspetto
lardaceo
molto
omogeneo
(inusuale
per
la
tiroide).
In
alcuni
casi
offre
problemi
diagnostici:
infatti
può
crescere
anche
formando
follicoli
o
papille;
oc-‐
corre
considerare
pertanto
anche
il
comportamento
clinico
aggressivo
all’inizio.
Nell’ambito
dei
tumori
ben
differenziati
(cioè
i
tumori
papilliferi,
follicolari
e
oncocitari),
possono
esserci
delle
aree
di
tumore
con
un
aspetto
scarsamente
differenziato,
ovvero
con
caratteristiche
di
malignità
non
7
Le
necrosi
sono
tumorali
(molto
spesso
a
focolai),
ischemica
(coagulativa,
tende
ad
accadere
al
centro
della
lesione),
emorragica.
La
necrosi
non
deve
essere
presente
nei
tumori
benigni;
la
necrosi
è
uno
dei
criteri
di
malignità
istologia
assieme
alle
mitosi.
accettabili
per
un
tumore
ben
differenziato.
In
questo
caso
il
tumore
può
essere
classificato
nella
categoria
dei
carcinomi
papilliferi,
o
in
quella
dei
follicolari,
o
in
quella
degli
oncocitari,
con
l’aggiunta
della
dizione
“scarsamente
differenziato”,
indicativa
del
sospetto
che
sia
clinicamente
più
aggressivo.
CARCINOMA
INDIFFERENZIATO
(ANAPLASTICO)
DELLA
TIROIDE
Il
carcinoma
indifferenziato
della
tiroide
è:
• raro,
rappresenta
infatti
il
2%
di
tutti
i
tumori
della
tiroide,
e
tipico
dell’anziano
(70-‐80
anni),
• una
lesione
che
nel
25%
dei
casi
si
manifesta
in
sog-‐
getti
con
gozzo
da
diversi
anni;
cresce
rapidamente
nel
collo
e
dà
sintomi
compressivi,
• prognosticamente
molto
infausto:
la
sopravvivenza
media
dall’esordio
è
inferiore
a
7
mesi,
quella
a
5
anni
è
del
0-‐14%;
vengono
trattati
con
radioterapia
e
raramente
operati,
• classificabile
in
varianti:
o a
cellule
fusate,
simile
a
un
tumore
mesenchimale,
o a
cellule
giganti
(ci
sono
cellule
plurinucleate),
o a
piccole
cellule
(con
nucleo
ipercromatico
e
scarso
citoplasma),
• un
tumore
che
perde
tutte
le
caratteristiche
di
differenziazione
e
diventa
così
indifferenziato
che
non
è
detto
nemmeno
che
sia
un
tumore
della
tiroide:
se
ci
sono
cellule
fusate
per
esempio
può
anche
essere
un
tumore
dei
tessuti
molli
(sarcoma).
In
generale,
va
in
diagnosi
differenziale
con:
sarco-‐
mi
(soprattutto
la
variante
a
cellule
fusate),
variante
solida
del
carcinoma
papillifero,
carcinoma
insulare,
carcinoma
midollare,
linfoma,
metastasi
soprattutto
di
carcinomi
a
piccole
cellule
(tumori
neuroendocri-‐
ni
di
grado
3,
o
tumori
del
polmone),
• caratterizzato
da
aree
di
necrosi
massive
in
cui
si
possono
formare
pseudocisti
(lesioni
in
cui
c’è
un’area
centrale
priva
di
tessuto),
invasione
vasco-‐
lare
venosa
massiva
(infiltra
i
grandi
vasi
del
collo),
• negativo
quasi
del
tutto
TTF-‐1,
tireoglobulina,
tanto
è
indifferenziato.
CARCINOMA
MIDOLLARE
DELLA
TIROIDE
Il
carcinoma
midollare
della
tiroide
è
un
tumore
maligno
delle
cellule
C
molto
raro,
rappresenta
il
5-‐10%
dei
tumori
tiroidei
maligni.
Può
essere:
• sporadico
(75%):
o insorge
prevalentemente
negli
anziani,
o cresce
formando
un
unico
nodulo
localizzato
prevalentemente
nella
parte
superiore
della
ti-‐
roide,
dove
ci
sono
le
cellule
C
della
tiroide,
• sindromico
o
familiare
(25%):
fa
parte
di
una
sindrome
genetica
chiamata
Neoplasia
Endocrina
Multipla
2
(MEN
2),
che
può
avere
comportamento
clinico
blando,
simile
a
quello
del
tumore
spo-‐
radico
(MEN2A),
o
aggressivo
(MEN2B,
può
essere
già
presente
al
momento
della
nascita):
o insorge
prevalentemente
nei
giovani
(nelle
MEN2B
entro
i
primi
anni
di
vita),
o è
plurinodulare
e
tendenzialmente
poco
aggressivo,
tranne
che
nella
MEN2B,
in
cui
si
effettua
una
tiroi-‐
dectomia
preventiva
entro
i
primi
mesi
di
vita.
Nel
50%
dei
casi
alla
diagnosi
sono
già
presenti
me-‐
tastasi
linfonodali
e
nel
15%
dei
casi
sono
riscontra-‐
bili
metastasi
a
distanza.
In
alcuni
casi
può
manife-‐
starsi
una
sindrome
paraneoplastica
dovuta
alla
produzione
di
ormoni
polipeptidici
(ad
esempio
VIP
o
ACTH).
La
sopravvivenza
a
5
anni
è
di
circa
l’80%,
e
dipende
essenzialmente
dallo
stadio
della
malattia.
La
MEN
di
tipo
2
è
causata
da
mutazioni
germinali
all’oncogene
RET
che
si
trasmette
con
modalità
autosomica
dominante
e
colpisce
le
paratiroidi,
le
cellule
C
della
tiroide
e
la
midollare
del
surrene
(feocromocitoma).
In
questa
patologia
le
alterazioni
a
questi
tre
organi
non
insorgono
contempo-‐
raneamente,
inizialmente
è
solo
un
organo
a
essere
alterato;
per
questo
motivo,
a
un
paziente
con
cancro
alla
midollare
del
surrene
vengono
monitorate
anche
le
altre
due
ghiandole,
per
escludere
o
meno
un
MEN
di
tipo
2.
La
MEN
di
tipo
2
si
divide
in
3
forme,
accomunate
dalla
presenza
del
carcinoma
midollare
della
ti-‐
roide,
esse
sono:
o FMTC
(carcinoma
midollare
della
tiroide
di
tipo
familiare),
in
cui
si
sviluppa
solo
il
tumore
alla
tiroide;
o MEN
2A,
caratterizzata
da
tumore
a
tutti
e
tre
gli
organi
(carcinoma
midollare
della
tiroide,
iperplasia
delle
paratiroidi
e
feocromocitoma);
o MEN
2B,
caratterizzata
da
tumore
alla
tiroide,
feocromocitoma
e
ganglioneuromatosi
diffusa;
il
paziente
presenta
un
aspetto
marfanoide
(alto,
con
gli
arti
più
lunghi
del
normale).
Il
tumore
forma
nelle
forme
sporadiche
un
nodulo
circoscritto,
con
bordi
distinti
ma
non
capsulato
(a
diffe-‐
renza
dei
follicolari);
di
solito
ha
un
colore
giallino
(come
i
NET
intestinali)
e
quindi
anche
macroscopica-‐
mente
si
riconosce.
Può
crescere
in
diversi
modi
e
pertanto
è
difficile
da
valutare
da
un
pun-‐
to
di
vista
architetturale:
nella
maggior
parte
dei
casi
cresce
in
maniera
solida,
in
alcuni
casi
facendo
dei
follicoli
(assomiglia
a
un
tumore
follico-‐
lare).
Aree
più
diagnostiche
sono
quelle
con
crescita
lobulare
e
trabeco-‐
lare,
come
nei
NET
intestinali.
La
morfologia
cellulare
è
meno
eteroge-‐
nea
di
quella
architetturale:
le
cellule
in
molti
casi
sono
rotonde,
e
a
vol-‐
te
fusate
(in
quest’ultimo
caso
va
in
diagnosi
differenziale
con
i
tumori
poco
differenziati
della
tiroide).
Può
essere
identificato
perché
produce
la
calcitonina
e
anche
amiloide
locale
in
maniera
“tumore-‐
specifica”,
che
si
deposita
nello
stroma;
a
volte
può
produrre
muco.
In
rarissimi
casi
è
negativo
alla
calci-‐
tonina,
perché
produce
una
calcitonina
che
non
è
legata
dall’anticorpo,
ma
comunque
è
sempre
positivo
(a
differenza
del
carcinoma
follicolare),
in
quanto
tumore
neuroendocrino,
alla
cromogranina
A
e
alla
si-‐
naptofisina.
Nella
forma
sindromica,
molto
spesso
nel
tessuto
tiroideo
non
neoplastico
è
riscontrabile
la
presenza
di
iperplasia
delle
cellule
C,
e
la
progressione
tra
l’iperplasia
e
il
carcinoma
midollare
vero
e
proprio
è
stata
dimostrata
anche
da
un
punto
di
vista
molecolare.
Invece,
nella
forma
sporadica,
raramente
si
evidenzia
l’iperplasia
delle
cellule
C:
per
questo
motivo,
è
tuttora
discussa
la
possibilità
LINEE GUIDA che
l’iperplasia
di
cellule
C
TUMORI DELLA TIROIDE
2017
possa
rappresentare
il
precursore
anche
della
forma
sporadica
di
carcinoma
midollare,
e
il
passaggio
alla
fase
tumorale
si
ha
quando
c’è
il
nodulo
(la
lesione
inizia
ad
uscire
dal
follicolo
in
cui
si
è
sviluppata
e
rag-‐
giunge
dimensioni
estensione maggiori
extratiroidea delatumore
qualche
millimetro,
primitivo [T3 oformando
T4], evidenza un
nodulo).
pre-operatoria
di metastasi linfonodali nei
Va
compartimenti
in
diagnosi
differenziale
laterali del collo con
[cN1b].
le
condizioni
in
cui
si
osserva
iperplasia
delle
cellule
C:
la
tiroidite
di
Hashi-‐
moto,
l’età
avanzata
e
neonatale,
l’emitiroidectomia
(iperplasia
di
compenso),
alcuni
tumori
non
midollari.
TAC, RISONANZA MAGNETICA e Tac/PET-FDG
Nella maggior parte dei casi l’ecografia CITOPATOLOGIA
è l’unica(FNA)
indagine DELLA
TIROIDE
in preparazione all’intervento
raccomandata
chirurgico purché effettuata da un operatore esperto.
In alcuni settings clinici è indicato associare
all’ecografia ulteriori indagini radiologiche (TAC, Risonanza e PET) non tanto per l’identificazione delle
Lo
scopo
principale
della
citopatologia
della
tiroide
è
distinguere
i
pazienti
che
devono
essere
sottoposti
a
adenopatie laterocervicali e del comparto centrale, quanto per uno studio dell’estensione extratiroidea della
trattamento
malattia nei chirurgico
casi a rapido per
il
loro
alto
rischio
accrescimento o di
conmalignità
impegnoda
nel quelli
che
possono
mediastino superiore essere
perseguiti
una migliorenel
tempo
perché
a
rischio
molto
basso.
Pertanto,
il
referto
citologico
dovrebbe
essere
descrittivo
ma
anche
conclu-‐
pianificazione dell’estensione dell’intervento chirurgico (Haugen BR, 2016; Perros P, 2014). Si sottolinea
che la l’attribuzione
dersi
con
somministrazione di mezzoa
di
del
paziente
contrasto iodato
una
categoria
durante
diagnostica
la rischio
e
di
Tac non permette
ben
definita
l’impiego di
e
identificabile
radioterapia metabolica con iodio131 per i successivi 40-60 giorni.
con
un
codice
numerico.
Dopo
2.2aver
Dosaggioprelevato
della le
cellule
tireoglobulinacon
agoaspirato
(Tg) ECO-‐giudato,
sierica si
effettua
la
colorazione
di
Papanicolau
e
si
procede
Non è cindicato
on
l’osservazione
il dosaggio adella l
microscopio
Tg sierica eo
sdegli i
individua
anticorpi la
canti
ategoria
Tg a scopo diagnostica
di
corrispondenza.
diagnostico nel pre-operatorio.
Nel
2014
è
stata
realizzata
la
classificazione
italiana
della
citologia
tiroidea:
2.3
• Esame citologico Si
ripete
l’esame
dopo
almeno
1
mese
(perché
la
flogosi
da
aspirato
potreb-‐
TIR1:
non
diagnostico.
L’esame be
icitologico
nficiare
l’interpretazione
da agoaspirato con del
ago
campione);
sottile rappresenta il miglior test per la diagnosi di natura della
patologia nodulare tiroidea (Perros P, 2014). Benché si tratti di una metodica caratterizzata da elevata
• TIR1C:
lesione
cistica
non
diagnostica:
non
ci
sono
cellule
da
leggere
perché
si
è
aspirata
una
cisti
sensibilità, soffre di due limiti: campionamenti “inadeguati” e diagnosi “indeterminate” (diagnosi
(che
è
fluida).
Il
rischio
di
malignità
è
praticamente
nullo:
si
valuta
la
clinica
e
l’imaging,
e
si
fa
fol-‐
differenziale fra neoplasie follicolari benigne e maligne [carcinoma follicolare della tiroide e variante
low-‐up
follicolare delnel
tempo;
PTC*) (Pacini F, 2012; Perros P, 2014). Per ridurre il numero di campionamenti errati,
l’agoaspirato deve essere eseguito Cmediante
• TIR2:
lesione
non
maligna.
guidao
ecografica
i
sono
gozzo
noduli
piccoli:
(piuttosto che d“ai
m
il
rischio
mano libera”),
alignità
in modo
è
inferiore
al
3da
%.
Si
selezionare i noduli sospetti da esaminare in un contesto plurinodulare; di mirare il prelievo nel singolo
fa
follow-‐up
nel
tempo
per
monitorare
la
crescita;
nodulo (per esempio la porzione solida di un nodulo parzialmente cistico); di ridurre il rischio di
• TIR3A:
per
complicanze L-‐RIL,
danno lesione
indeterminata
da puntura accidentale a
bdiasso
vasi,rischio.
nervi e Ntrachea on
si
sa
cosa
sia
(Gharib Hm a
le
cInoltre,
2016). aratteristiche
la lettura citologi-‐
dei
preparati che
depongono
a
favore
della
benignità,
con
rischio
di
malignità
inferiore
al
10%.
Si
rifà
l’esame
e
deve essere affidata ad un patologo esperto (Perros P, 2014).
Categorie citologiche. In anni recenti si è avvertita l’esigenza di uniformare le descrizioni e le terminologie
follow-‐up
clinico;
citologiche in modo da permettere al patologo e al clinico di interagire più efficacemente fra loro a garanzia
di• unaTIR3B:
migliorH-‐RIL,
selezione lesione
dei isoggetti
ndeterminata
da avviare ad
aalto
rischio.
INsistemi
chirurgia. on
si
sa
classificativi
cosa
sia
ma
più
il
rischio
utilizzati di
msono
alignità
basati è
del
su schemi 15-‐30%.
E’
indicata
la
chirurgia;
a 5 o 6 categorie: nel 2014 è stata aggiornata la classificazione italiana, mantenendo lo schema a 5
categorie (associate al suggerimento di un comportamento clinico in relazione al rischio atteso di malignità)
• TIR4:
sospetto
di
malignità
(60-‐80%
di
rischio);
è
indicata
la
chirurgia;
con importanti variazioni relativamente alla categoria TIR1 e TIR3, e rendendola confrontabile con le altre
• TIR5:
principali maligno
(cancro
classificazioni utilizzate: all’esame
quellacitologico).
AmericanaIl
(Bethesda rischio
di
System)
malignità
maggiore
e quella Inglese del
(UKRCP).
95%;
può
e(Nardi
ssere
un
F, 2014; carcinoma
scarsamente
differenziato,
papillifero,
indifferenziato.
E’
indicata
la
chirurgia.
Cibas E, 2009) (Tabella 1, Tabella 2)
Tabella 1. Classificazione Italiana della Citologia Tiroidea
Rischio atteso di
Codice Categoria diagnostica Suggerimento clinico
malignità (%)
TIR1 Non diagnostico Non definito Ripetizione di FNA US dopo almeno un
mese
TIR1 C Non diagnostico, cistico Basso, variabile in base Secondo il contesto clinico e/o ripetere
al quadro clinico FNA
TIR2 Non maligno / benigno <3 Follow – up
TIR3 A Lesione indeterminata a < 10 Follow – up / ripetere FNA
basso rischio
TIR3 B Lesione indeterminata ad 15 – 30 Exeresi chirurgica
alto rischio
TIR4 Sospetto di malignità 60 – 80 Exeresi chirurgica / eventuale istologia
intraoperatoria
TIR5 Maligno 95 Exeresi chirurgica; approfondimento
diagnostico in casi selezionati
Legenda: FNA: fine-needle aspiration; US: ultrasound examination
13
Tale
classificazione,
si
rifà
a
quella
americana
(sistema
di
Bethesda),
ideata
per
la
cervice
uterina
poi
appli-‐
cato
ad
altri
distretti,
che
identifica
sei
categorie
diagnostiche
(nella
tabella
seguente
si
possono
apprezzare
le
corrispondenze):
tumore bifasico,
I. non
cioè io(es.
diagnostico
potrei per
avere un tumore
campione
a due lesioni,
inadeguato)
ma è raro! Piuttosto, mi pongo il problema se
o
cistico,
quella
II. lesione
benigna
(struma,
gozzo,
tiroidite
di
Hashimoto),
o se sia tiroide residua. Come faccio per
parte positiva alla tireoglobulina sia una parte del tumore
risolvere il dubbio?
III. atipia
La distinzione
di
significato
indeterminato
è basata o
lesclusivamente sulla capacità di riconoscere la tiroide normale:
esione
follicolare,
questa non è tiroide normale! La tiroide normale cresce facendo follicoli, e questa è del tutto irregolare.
IV. neoplasia
follicolare
o
sospetta
per
neoplasia
follicolare,
LINEE GUIDA
TUMORI DELLA TIROIDE
V. sospetto
(Immagine) Ci di
sono
malignità
cellule fatte come gli 2017
VI. maligno.
osteoclasti: che ci stanno a fare lì? Alcuni tumori
hanno
delle cellule che assomigliano ad
osteoclasti,
Tabella 2. ma Confrontonon sifrasa se siano deicitologica
la classificazione veri Italiana, Americana e Inglese
osteoclasti,
ITALIA:allora SIAPEC-IAP, li chiameremo AIT, “osteoclasti-
USA: Bethesda UK: RCPath
like”:AME,
quindi SIEper il patologo è importante sapere
TIR1. Non diagnostico I. non diagnostico. Cistico. Thy 1 / Thy 1c. Non diagnostico.
da dove proviene il campione bioptico, perché se
TIR1 C. Non diagnostico cistico Cistico
viene dalla tibia questo potrebbe essere un
sarcoma
TIR2. Non dell’osso!
maligno Una stessa II.morfologia Benigno Thy 2 / Thy 2c. Non neoplastico
dev’essere interpretata in maniera diversa a
TIR3del
seconda A.contesto
Lesione indeterminata
in cui ci troviamo. III. Atipie di significato Thy 3a. Possibile neoplasia –
a basso rischio indeterminato o lesione follicolare atipia / non diagnostico
(AUS / FLUS)*
Tecniche
TIR3ancillari
B. Lesione indeterminata IV. Neoplasia follicolare o Thy 3f. Possibile neoplasia /
ad altodei
Abbiamo rischio sospetta per
markers per le cellule follicolari neoplasia follicolare
(tireoglobulina e TTF-1) e suggestivo di neoplasia
dei markers follicolareper le
(neuroendocrini)
TIR4. Sospetto di malignità V. Sospetto di malignità Thy 4. Sospetto di malignità
cellule C ma non abbiamo niente che ci dica se siano benigni o maligni, possiamo solo distinguere se è tiroide
e seTIR5.sono Maligno cellule follicolari o cellule VI. C. Quindi
Malignonon è semplice. Le nuove Thytecniche
5. Maligno a disposizione possono
migliorare la mia performance diagnostica? Sì, hanno studiato nuovi markers istochimici e molecolari, ma
* AUS (atypia of undetermined significance); FLUS (follicular lesion of undetermined significance)
l’unico (fra i markers in tabella) che viene veramente usato è l’HBME-1, che lo ritroveremo anche quando
faremo il tumore del polmone. È un marker che inizialmente è stato messo a punto per studiare i tumori
Nella classificazione italiana i codici TIR2, TIR4 e TIR5 non sono sostanzialmente differenti rispetto alla
Nei
casi
dubbi
(quindi
classificazione
mesoteliali (la
categoria
pleura),più
precedente mad2007;
del ubbia
poi sisono èè
Tvisto
IR3B)
state che si
possono
invece alcuniapplicare
in introdotte modifiche
tumori agli
relativamente
della atiroide
spirati
viene
tecniche
ancillari,
alle categorie(laTIR1
espresso di
biolo-‐
tiroide
gia
normale
molecolare
e TIR3 non lo che o
iesprime,
mmunoistochimica,
comportano anche un
mentre tireoglobulina sfidando
il
eccalcitonina
aggiornamento ampione
con
dei possibili sì: aquindi
nticorpi
comportamenti
è un contro
marker markers
clinici da per
le
cLoellule
adottare.
di malignità). Nella
usiamo folli-‐
categoria TIR1, che comprende i campioni cellulari non rappresentativi e/o inadeguati (non dovrebbero
colari
(tireoglobunina
e
TTF-‐1)
e
per
nella praticailclinica
superare 10% dei quando abbiamo
casi, escluse
le
le qualche
cellule
dubbio:
lesioni cistiche),
C
(calcitonina
e
markers
neuroendocrini);
non
ci
sono
però
se viene
viene intensamente
introdotta la categoria positivoTIR1C.ci spinge più verso
Quest’ultima è la
markers
malignità, indicativi
rappresentativa ma dadi
di solobenignità
lesioni o
malignità.
non parzialmente
dice niente; cistiche ci dev’essere con colloideun tumore scarsa con determinate
e cellularità caratteristiche
non adeguata che sono in cui
generalmente di natura benigna e richiedono la ripetizione dell’agoaspirato solo
Sono
stati
studiati
nuovi
markers
istochimici
e
molecolari
tra
cui
l’HBME-‐1
(studiato
per
i
tumori
della
pleu-‐
l’incertezza può portare all’uso di questo anticorpo. CK19 e la Galectina hanno in presenza
sicuramente di un
meno sospetto impatto.
clinico (per escludere un PTC cistico). Va inoltre precisato che i campioni scarsamente cellulati che
ra)
Lache
cosa si
èinteressante
presentino
visto
essere
atipie
è che
vengono espresso
se voi iandate
n
alcuni
classificati nelletumori
a fare questo
categorie della
tiroide
anticorpo
a rischio e
in
e non può
unaessere
nella TIR1.cLa
tiroidite onsiderato
di Hashimoto, un
malcune
categoria TIR3, arker
di
mali-‐
che nella
cellule
gnità
perché
non
è
espresso
dal
tessuto
tiroideo
normale.
Markers
come
il
CK19
e
la
Galectina
sono
poco
si colorano,
precedentecome se fosse un’iniziale
classificazione trasformazione.
poneva l’indicazione Nessunochirurgico,
all’intervento di questi markers comunque
è stata suddivisa è specifico.
in due sottoclassi:
La • TIR3A
biologia che
molecolare comprende nella le lesioni
pratica indeterminate
clinica non
specifici
(ad
esempio
si
colorano
anche
nella
tiroidite
di
Hashimoto).
viene con basso
usata rischio
però il atteso
suo uso di malignità
è stato (< 10%)
proposto per le quali
perché molti
è possibile attuare una sorveglianza clinica che prevede la rivalutazione
carcinomi molecolare
nella
pratica
clinica
non
viene
praticamente
usata,
ma
il
suo
uso
è
stato
proposto
della tiroide hanno delle mutazioni fisse. In particolare, il carcinoma papillifero ha nella maggior ecografica ed eventualmente la
La
biologia
ripetizione dell’ago aspirato;
parte
perché
dei
• ci
TIR3B
sono
casimuna mutazione
olti
include
che carcinomi
di BRAF
della
le lesioni
(si legge
tiroide
indeterminateche
h“bi raf”)mcoinvolta
anno
ad alto utazioni
rischio fatteso
in diverse
isse:
vie della cancerogenesi e negli
di malignità (15 – 30%) con il
ultimi anni suggerimento è stato sviluppato un farmaco capace di bloccare la via del BRAF (non si usa nel carcinoma
• più
del
70%
ddi ei
provvedere
carcinomi
p all’exeresi
apilliferi
chirurgica.
della
tiroide
ha
mutazioni
di
BRAF,
RET/PTC
o
RAS;
La suddivisione
anaplastico della categoria
della tiroide TIR3 nelle
ma, per esempio, due sottocategorie
il melanoma quando A haelaBmutazione
ha l’obiettivo puòdiessere
ridurre il numero
trattato di
così).
l’80%
candidati
• soggetti dei
carcinomi
follicolari
alla chirurgia per h a
mutazioni
patologia benigna. di
RAS
Va otuttavia
PAX8.
precisato che questa sottoclassificazione
deriva soprattutto dall’esperienza clinica ed è parzialmente sostenuta da evidenze scientifiche. Per tal motivo
la nuova classificazione Marker immunoistochimici
italiana richiederà di essere validata da uno studio multicentrico Biologia molecolare
e sarà sottoposta a
revisione. HBME-1: In entrambe malignitàle categorie tumorale,citologiche, tumorila decisione di terapeutica Più (sorveglianza
del 70% dei vs. carcinomi
lobectomia papilliferi
vs.
tiroidectomia derivazione totale)follicolare
va integratapiù ocon meno l’eventuale
differenziati; presenza di fattori di rischio
hanno clinici (es.,
mutazioni familiarità
di BRAF, RET odiRAS; I
grado per carcinoma tiroideo, esposizione a radiazioni), le caratteristiche ecografiche e le dimensioni del
CK19: Carcinoma papillifero;
nodulo, il riscontro di noduli tiroidei controlaterali alla lesione oggetto di valutazione citologica, la volontà
Più dell’80% dei carcinomi follicolari
del paziente. Galectina 3: over-espressione nei tumori maligni. hanno mutazioni RAS o PAXB/PPARγ.
La diagnosi citologica TIR4 e TIR5pone l’indicazione all’exeresi chirurgica.
Attualmente
2.4 Biologia la
caratterizzazione
molecolare molecolare
è
pagata
dal
SSN
ma
deve
essere
fatta
su
richiesta.
In ambito diagnostico, la citologia rappresenta l’indagine cardine nella diagnosi di natura del nodulo tiroideo
tuttavia soffre il limite delle diagnosi indeterminate o sospette che inducono all’intervento chirurgico per
Lorenzo Rossini per Unifacile.it
ottenere la definizione istologica. Considerato che la percentuale attesa di noduli benigni è > 90% nella
3 di 15
categoria citologica TIR3A, tra 70% e 85% nella categoria TIR3B e tra il 20% e il 40% nella categoria TIR4,
si è cercato di individuare ulteriori parametri, che fossero predittivi di malignità, da associare all’esame
14
STADIAZIONE
DEI
TUMORI
DELLA
TIROIDE
La
stadiazione
dei
tumori
della
tiroide
è
basata
su
diversi
criteri:
se
il
tumore
è
limitato
alla
tiroide
(T1-‐T2)
sono
fondamentali,
ai
fini
della
stadiazione,
le
dimensioni;
se
è
extratiroideo
bisogna
vedere
il
rapporto
con
le
strutture
infiltrate.
Un
problema
nell’operare
una
corretta
stadiazione
è
insito
nella
discontinuità
della
capsula,
come
già
visto;
studi
retrospettivi
hanno
messo
in
evidenza
che
pazienti
con
tumore
invasivo
che
interessava
i
muscoli
del-‐
la
loggia
anteriore
del
collo
(ex
stadio
T4)
avevano
una
prognosi
migliore
di
altri
pazienti
in
cui
erano
infil-‐
trate
altre
strutture
come
i
vasi,
la
fascia,
la
trachea,
l’esofago
(sempre
inclusi
nella
categoria
T4):
pertanto
è
stata
recentemente
aggiunta
la
categoria
T3b,
in
cui
sono
inclusi
pazienti
con
un
tumore
con
minima
estensione
extratiroidea
nei
muscoli
del
collo
(che
in
parte
possono
prendere
rapporto
con
la
tiroide
anche
senza
la
mediazione
della
capsula,
che
è
discontinua).
T-‐Tumore
Primitivo
• Tx:
Tumore
non
valutabile
• T0:
Nessuna
evidenza
di
tumore
• T1:
Tumore
di
<
2
cm
limitato
alla
tiroide
(T1a:
1
cm,
T1b:
1-‐2
cm),
• T2:
Tumore
2-‐4
cm,
limitato
alla
tiroide
• T3:
Tumore
>
4
cm
limitato
alla
tiroide
o
con
macroscopica
estensione
extratiroidea
con
in-‐
vasione
solo
dei
muscoli
anteriori
del
collo:
o T3a:
Tumore
>
4
cm
limitato
alla
tiroide,
o T3b:
Estensione
extratiroidea
macroscopi-‐
ca
con
invasione
solo
dei
muscoli
anteriori
del
collo
(sterno-‐ioideo,
sterno-‐tiroideo,
ti-‐
ro-‐ioideo
o
muscoli
omoioidei)
da
parte
di
un
tumore
di
qualsiasi
dimensione,
• T4:
include
invasione
macroscopica
extratiroi-‐
dea,
[invasione
dei
tessuti
circostanti]
o T4a:
estensione
extratiroidea
macroscopica
con
diffusione
alla
fascia
prevertebrale
o
con
coinvolgimento
dell’arteria
carotide
o
dei
vasi
mediastinici
da
parte
di
un
tumore
di
qualsiasi
dimensione
Tutte
le
categorie
possono
essere
suddivise
in:
(s)
tumore
solitario
e
(m)
tumore
multifocale
(il
tumore
di
maggiori
dimensioni
condiziona
la
classificazione).
CASO
CLINICO
Anamnesi
• Donna,
45
anni
• Diagnosi
clinica
ed
ecografica
di
nodulo
tiroideo
di
6
mm
trattato
con
lobectomia
Analisi
del
pezzo
chirurgico
Le
dimensioni
del
nodulo
fanno
supporre
che
il
problema
non
sia
tanto
da
effetto
massa,
ma
da
iperfun-‐
zione
tiroidea.
Descrizione
del
quadro
istologico,
architetturale
e
citologico
• Ci
sono
follicoli
di
dimensione
normale
nel
tessuto
sano.
Le
cellule
C
non
sono
subito
visibili
(è
pos-‐
sibile
cercarle
con
l’immunoistochimica
per
calcitonina,
cromogranina
A
e
sinaptofisina),
si
trovano
normalmente
nei
2/3
superiori
e
posteriori
del
parenchima,
i
primi
da
esplorare
in
caso
di
sospetta
patologia
che
le
riguardi.
• Il
nodulo
è
a
margini
arrotondati;
questo
ci
fa
pensare
ad
una
lesione
follicolare
capsulata,
oppure
una
lesione
a
margini
ben
delimitati,
come
1)
adenoma,
2)
carcinoma
follicolare
minimamente
in-‐
vasivo,
3)
variante
follicolare
capsulata
del
carcinoma
papillifero.
• A
piccolo
ingrandimento,
si
possono
vedere
follicoli
contenenti
colloide
e
zone
rosee
all’esterno
(membrana
basale
e
stroma).
Ci
sono
anche
follicoli
che
non
accumulano
colloide
(segno
preoccu-‐
pante;
tranne
nel
feto
e
nell’embrione
in
cui
la
tiroide
non
ha
la
colloide),
riconoscibili
perché
vi
sono
cellule
disposte
intorno
ad
una
struttura
connettivale,
con
la
stessa
morfologia
citoplasmati-‐
ca
e
nucleare
dei
tireociti
normali.
• La
lesione
è
dotata
di
capsula
sottile,
di
spessore
abbastanza
omogeneo;
a
maggior
ingrandimen-‐
to,
si
rilevano
dei
piccoli
punti
in
cui
la
capsula
viene
spinta
verso
l’esterno
da
parenchima
tiroideo
esuberante,
ma
non
è
infiltrata.
Si
esclude
l’ipotesi
2).
• Restano
le
ipotesi
1)
e
3)
che
prognosticamente
hanno
lo
stesso
significato:
non
è
necessaria
la
ti-‐
roidectomia
totale.
L’unica
differenza
è
che
nel
papillifero
bisogna
seguire
il
paziente
per
10-‐15
anni,
perché
le
metastasi,
di
solito
linfonodali,
crescono
molto
lentamente.
14.
PATOLOGIA
DEL
SURRENE
E
DEI
PARAGANGLI
ANATOMIA
DEL
SURRENE
Il
surrene
è
un
organo
retroperitoneale
costituito
da
una
regione
corticale
de-‐
rivata
dal
mesoderma
e
da
una
regione
midollare,
di
origine
neuroectodermi-‐
ca;
ha
peso
variabile,
ma
generalmente
di
5
g
nell’adulto
(il
peso
può
essere
usato
per
valutare
la
malignità
delle
lesioni).
Da
un
punto
di
vista
macroscopi-‐
co
si
identificano
una
testa,
un
corpo,
una
coda
e
delle
ali.
Presenta
una
capsula
fibrosa
continua
al
di
sotto
della
quale
si
trovano
le
cel-‐
lule
staminali
surrenaliche,
da
cui
originano
i
diversi
citotipi
della
ghiandola,
e
che
possono
in
alcuni
casi
essere
causa
di
una
trasformazione
neoplastica.
Al
di
sotto
della
zona
subcapsulare
si
trova
la
regione
corticale,
di
circa
1-‐2
mm
(più
spessa
della
midollare,
con
cui
il
rapporto
è
di
10:1);
lo
spessore
è
ge-‐
neralmente
uniforme
ed
eventuali
alterazioni
possono
essere
indicative
di
un
processo
patologico.
È
ricca
di
lipidi
e
di
colore
giallo
e
talvolta
sono
visibili
piccole
estrusioni
nel
tessuto
adiposo
circostante
(ri-‐
lievi
normali
da
non
confondere
con
forme
patologiche);
infatti
il
surrene
è
circondato
da
tessuto
adiposo
anche
bruno
e
l’ibernoma
è
il
tumore
del
grasso
bruno
che
potrebbe
insorgere
in
questa
zona.
La
corticale
è
divisa
in
3
zone
(dalla
più
superficiale
alla
più
profonda):
• glomerulare
(produzione
di
aldosterone):
sottile
e
discontinua,
è
formata
da
cellule
piccole
con
po-‐
co
citoplasma;
• fascicolata
(produzione
di
cortisolo):
è
organizzata
in
colonne
di
cellule
con
citoplasma
abbondante
e
chia-‐
ro,
ricche
di
lipidi,
fondamentali
per
la
sintesi
degli
ormoni
steroidei
e
raggruppati
in
piccole
goccioline
delimitate
da
membrana.
L’abbondanza
di
lipidi
cito-‐
plasmatici
viene
persa
durante
il
processo
di
disidra-‐
tazione
e
inclusione
in
paraffina:
per
questo
motivo,
rimangono
cellule
dal
citoplasma
chiaro
(vuoto)
e
“bucherellate”.
La
zona
fascicolata
occupa
il
70%
della
corticale
del
surrene
di
un
adulto
ed
è
responsabile
del
colore
gial-‐
lo
oro;
• reticolare
(produzione
di
ormoni
sessuali):
ha
molti
meno
lipidi
e
quindi
il
citoplasma
appare
eosinofilo;
spesso
presenta
dei
depositi
di
pigmenti
fisiologici
di
lipofuscina
(formata
da
un
insieme
di
proteine
dege-‐
neri
che
si
accumulano
nel
citosol).
L’estensione
delle
tre
zone
può
variare
in
caso
di
alterazione
funzionale;
comunque
l’osservazione
della
ghiandola
al
microscopio
non
permette
di
stabilire
con
sicurezza
quali
sono
gli
ormoni
prodotti:
la
fisiologia
non
corrisponde
perfettamente
alla
morfologia.
Anche
nel
surrene,
come
nella
tiroide,
possono
essere
presenti
gli
oncociti
(cellule
grandi
con
citoplasma
rosso
abbondante).
La
midollare
è
presente
in
testa
e
corpo
della
ghiandola
(non
è
distribuita
in
maniera
omogenea,
è
infatti
assente
nelle
parti
laterali)
e,
essendo
priva
di
lipidi,
non
assume
il
caratteristico
colore
giallo
ma
appare
macroscopicamente
grigia.
Si
identifica
facilmente
all’esame
microscopico
perché
ha
una
caratteristica
struttura
a
nidi
solidi
detti
Zellballen
separati
da
vasi
sottili.
È
composta
da
diversi
tipi
cellulari:
• feocromociti,
cellule
neuroendocrine
che
secernono
catecolammine
e
che
crescono
in
nidi;
• cellule
gangliari,
veri
e
propri
neuroni
come
quelli
dei
gangli
simpatici;
• cellule
sustentacolari:
sono
delle
cellule
di
Schwann
modificate
che
circondano
le
cellule
gangliari.
Nor-‐
malmente
delimitano
il
confine
tra
corticale
e
midol-‐
lare,
ponendosi
attorno
ai
nidi
solidi
della
midollare.
Tale
confine
non
è
netto,
infatti,
ci
possono
essere
isole
di
corticale
all’interno
della
midollare
(una
condizione
non
patologica).
Le
cellule
presentano
citoplasma
basofilo
e
finemente
granulare
assieme
a
cellule
gangliari
e
globuli
ialini.
Al
centro
della
midollare
è
presente
la
vena
centrale,
circondata
da
tessuto
corticale
ectopico
(di
colore
giallastro).
La
midollare
surrenalica
produce
prevalentemente
adrenalina
(80-‐90%),
mentre
la
noradrenalina
è
prodot-‐
ta
principalmente
dal
tessuto
paragangliare
parasimpatico
extrasurrenalico.
TUMORI
SURRENALICI
Iter
diagnostico
La
patologia
tumorale
del
surrene,
relativamente
rara,
può
essere:
• funzionale,
se
il
tumore
è
secernente
e
quindi
causa
una
sindrome
endocrina;
quindi
il
tumore
vie-‐
ne
diagnosticato
durante
un
work-‐up
effettuato
per
un
paziente
affetto
da
sindrome
endocrina;
• silente,
se
il
tumore
non
è
secernente.
Di
solito
in
questo
caso
la
lesione
è
scoperta
casualmente
(infatti
si
parla
di
incidentaloma),
soprattutto
se
si
tratta
di
un
tumore
di
dimensioni
ridotte,
che
per
esempio
può
essere
diagnosticato
durante
un’ecografia
fatta
per
una
patologia
renale
o
coleci-‐
stica.
Vista
la
posizione
retroperitoneale,
una
massa
surrenalica
non
secernente
di
dimensioni
più
grandi
si
può
manifestare
per
l’effetto
massa:
può
comprimere
i
tronchi
nervosi
o
determinare
uno
spo-‐
stamento
in
basso
del
rene
e
un
inginocchiamento
dell’uretere,
con
possibili
infezioni
ricorrenti,
do-‐
lore
ed
ematuria;
tuttavia
questi
reperti
si
riscontrano
nei
casi
in
cui
la
massa
sia
di
dimensioni
ele-‐
vate
(15
cm
circa).
In
caso
di
patologia
apparentemente
silente,
la
dimostrazione
che
il
paziente
sia
affetto
da
sindro-‐
me
endocrina
subclinica
viene
effettuata
successivamente
alla
scoperta
del
nodulo;
infatti
è
neces-‐
sario
comunque
sviluppare
un
percorso
che
verifichi
l’eventuale
attività
secernente
del
nodulo,
at-‐
traverso
esami
ematochimici
(ed
eventualmente
il
cateterismo
delle
vene
surrenaliche)
e
valuta-‐
zione
clinica.
Al
termine
della
valutazione
possiamo
avere
o
un’alterazione
degli
indici
di
attività
del
surrene
del
paziente
(il
nodulo
produce,
e
abbiamo
la
manifestazione
di
una
sindrome),
oppure
il
nodulo
è
completamente
silente:
o se
il
nodulo
ha
un’attività
secernente
(anche
bassa),
viene
asportato,
a
prescindere
che
si
tratti
di
adenoma
o
carcinoma;
o se
il
nodulo
è
completamente
silente
bisogna
valutarne
la
benignità:
se
il
tumore
è
benigno
e
non
produttivo,
non
c’è
indicazione
all’intervento
chirurgico;
tuttavia
bisogna
essere
sicuri
che
si
tratti
di
un
nodulo
benigno:
si
tratta
di
dover
decidere
tra
il
rischio
di
sottoporre
il
paziente
ad
un
intervento
per
il
sospetto
che
si
tratti
di
un
cancro.
Una
massa
surrenalica
può
essere
di
varia
natura
e
non
sempre
corrisponde
ad
un
tumore
primitivo
del
sur-‐
rene;
infatti
in
alcuni
casi
si
possono
manifestare
tumori
che
derivano
dal
tessuto
adiposo
perisurrenalico
(lipomi
nel
caso
del
tessuto
adiposo
bianco,
ibernomi
nel
caso
del
bruno).
Classificazione
I
tumori
del
surrene
rientrano
nella
classificazione
dei
tumori
endocrini
del
2017
e
sono
distinti
in
neopla-‐
sie
della
corticale
e
della
midollare;
tra
queste
ultime
sono
anche
comprese
le
lesioni
dei
paragangli
extra-‐
surrenalici,
stazioni
del
sistema
nervoso
autonomo
localizzate
nella
zona
testa-‐collo
(paragangli
del
para-‐
simpatico)
e
del
retroperitoneo
(paragangli
del
simpatico).
Infatti
la
morfologia,
normale
e
patologica,
dei
paragangli
è
simile
a
quella
della
midollare
del
surrene,
e
i
tumori
dei
Table
paragangli,
1 Modifieddversion etti
pofaragangliomi,
WHO classification ofptumours ro-‐ of adrenal p
gland and extra-adrenal paraganglia
m
prio
come
il
feocromocitoma,
possono
dare
ipertensione.
I. Tumours of the adrenal cortex
Nel
dettaglio,
distinguiamo:
Cortical carcinoma (
• tumori
della
corticale:
sono
i
più
comuni
tumori
del
sur-‐ Cortical adenoma c
Sex cord stromal tumours c
rene
e
possono
essere
benigni
(adenomi
secernenti
e
non)
o
Granulosa cell tumour
o
maligni
(carcinomi
secernenti
e
non).
Distinguiamo:
Leydig cell tumour a
l
o adenoma
della
corticale,
Adenomatoid tumour
Mesenchymal and stromal tumours m
o carcinoma
della
corticale,
Myelolipoma g
o tumori
oncocitari,
Schwannoma a
Haematological tumours t
o (iperplasia
nodulare),
s
Secondary tumours
o tumore
adenomatoide,
un
tumore
benigno
non
se-‐ II. Tumours of the adrenal medulla and extra-adrenal paraganglia 2
a
cernente,
derivato
dalle
cellule
mesoteliali;
è
raro;
Pheochromocytoma
Gallo 12.qxd 4-10-2007 10:19 Pagina 772
Morfologia
Quadro macroscopico. Il carcinoma surrenalico è soli-
tamente voluminoso, superiore a 5 cm di diametro e ta-
lora anche maggiore di 10 cm, con un peso che può
su-
FIGURA 12.38
Adenoma
Aspetto macroscopico di un adenoma corti-
di
Cushing
perare i 100
Adenoma
onn
(Figura 12.40). Le dimensioni del-
di
Cgrammi
cosurrenalico delimitato da capsula fibrosa (in alto a sinistra) la neoplasia non costituiscono un criterio prognostico
e costituito da cellule tipo-fascicolato asportato in paziente
affetta da sindrome di Cushing. assoluto, poiché esistono casi di carcinoma di piccole
CARCINOMA
SURRENALICO
dimensioni e alta aggressività biologica. Si sviluppa co-
me massa a margini talora infiltranti che distrugge il
Il
carcinoma
surrenalico
è
una
rara
neoplasia
maligna
(2%
di
tutti
i
tumori
maligni),
generalmente
non
se-‐
surrene e anche gli organi circostanti, estendendosi in
particolare al polo superiore del rene omolaterale e al
cernente,
che
viene
diagnosticata
grazie
ai
sintomi
causati
dalla
crescita
invasiva
piuttosto
che
alla
secre-‐
zione
endocrina.
Aspetto
macroscopico
Da
un
punto
di
vista
macroscopico
è:
• solido
e
lobulato,
• di
colore
giallo
o
marrone,
• caratterizzato
da
frequenti
aree
di
emorragie
(possibili
anche
nell’adenoma)
e
necrosi
(tipiche
dei
tumori
maligni),
• caratterizzato
dalla
tendenza
ad
infiltrare
i
tessuti
molli
circostanti
(adiposo
e
rene).
F 12.39 Iperplasia
Sono
indicativi
IGURA nodulare della corteccia surrenalica
di
malignità:
indotta dal morbo di Cushing di origine ipofisaria.
• le
dimensioni,
solitamente
maggiori
di
6
cm
(con
ampie
va-‐
riazioni,
ma
la
diagnosi
tiene
conto
anche
delle
dimensioni).
I
tumori
maligni
del
surrene
di
solito
sono
noduli
di
grandi
scritto dimensioni
anche a livello che
renale, e infiltrato
hanno
di altri organi. In ade-
macroscopicamente
i
tes-‐
nomi surrenalici presenti da lungo tempo, sono di
frequentesuti
riscontro
circostanti
aree(i
di
carcinomi
emorragia, in
media
fibrosi esono
calci- più
grandi
degli
adenomi):
l’adenoma
ficazione.Talora più
sono
gvarandi,
incontromaggiore
è
il
rischio
a parziale in- di
malignità.
voluzione cistica. Più raramente si possono associare
Cut-‐off
netti
non
esistono,
ma
generalmente
un
nodulo
che
componenti lipomatose o mielolipomatose. Il pro-
quando
viene
scoperto
incidentalmente
è
superiore
ai
6
cm
blema più importante risiede nella diagnosi differen- FIGURA 12.40 Voluminoso carcinoma surrenalico di oltre 11
è
un
nodulo
che
richiede
grande
attenzione;
cm di diametro, a crescita infiltrante nel grasso retroperito-
ziale con il carcinoma corticosurrenalico, i cui crite-
• il
peso;
ri distintivi un
carcinoma
verranno descrittipnella
esa
ssuccessiva
olitamente
più
di
100
gneale,
sezione
con compressione ma non invasione del sottostante pa-
(il
peso
si
riferisce
a
vecchie
casistiche
in
cui
gli
renchima renale omolaterale. La neoplasia ha colorito gialla-
di questa unità
esami
di
didattica.
imaging
erano
meno
sensibili,
oggi
si
fa
diagnosi
stro e aspetto prima
variegato
di
raggiungere
con areeun
tale
livello).;
emorragiche e necrotiche.
• l’aspetto
radiologico
scarsamente
lipidizzato.
Al
contrario
dell’adenoma,
il
carcinoma
è
povero
di
772
lipidi:
il
radiologo,
grazie
alle
sequenze
in
RMN,
può
capire
se
è
presente
o
meno
tessuto
adiposo
per
indirizzare
il
sospetto
diagnostico;
più
tessuto
adiposo
è
presente
e
più
è
probabile
che
il
tumo-‐
re
sia
benigno.
Anche
la
necrosi
e
l’infiltrazione
macroscopica
sono
segni
di
malignità.
Aspetto
microscopico
In
alcuni
casi
il
tumore
è
però
localizzato,
non
infiltrante
e
simile
ad
un
adenoma:
occorre
in
tal
caso
osser-‐
vare
l’aspetto
microscopico.
Al
fine
di
identificare
le
forme
maligne,
sono
stati
proposti
vari
sistemi
di
valu-‐
tazione
dei
parametri
morfologici
(istologici
e
citologici),
che
prevedono
dei
valori
soglia
in
grado
di
di-‐
scriminare
le
forme
benigne
da
quelle
maligne.
Questi
sistemi
sono
formati
da
più
criteri,
infetti
nessuno
da
solo
è
patognomonico
e
in
grado
di
dare
una
definizione
univoca.
Il
metodo
più
utilizzato
è
il
Weiss
system,
che
prende
in
considerazione
9
parametri
(non
bisogna
ricordarli
tutti;
cit.
Scarpelli.
Quindi
studiamoli
tutti):
1. cellule
atipiche:
le
cellule
di
un
adenoma,
inizialmente
piccole
e
rotonde,
iniziano
a
presentare
nu-‐
clei
atipici;
2. numero
delle
mitosi:
più
di
5
per
50
campi
a
forte
ingrandimento
(HPF);
normalmente
si
osserva-‐
no
10
campi
a
40x,
ma
nel
surrene
si
usano
50
campi
perché
può
essere
presente
bassa
attività
pro-‐
liferativa
(sono
tumori
a
basso
indice
mitotico):
è
auspicabile
avere
almeno
5
frammenti
della
le-‐
sione
in
ognuno
dei
quali
si
analizzano
10
campi;
3. mitosi
atipiche
(non
presenti
in
nessun
tumore
benigno),
con
aspetto
di
polarità
multiple;
4. eosinophilic
tumor
cell
cytoplasm:
le
cellule
eosinofiliche
devono
essere
più
del
75%,
o
(è
comple-‐
mentare)
le
cellule
con
lipidi
(chiare
o
con
vacuoli)
devono
essere
meno
del
25%.
Infatti
le
cellule
tumorali
generalmente
non
presentano
lipidi
(anche
se
le
cellule
dell’adenoma
possono
ugual-‐
mente
non
presentarle);
5. crescita
diffusa:
il
tumore
cresce
senza
rispettare
la
normale
architettura
surrenalica
(è
uno
dei
cri-‐
teri
più
soggettivi);
6. necrosi:
necrosi
geografica
(con
gruppi
cellulari
che
vanno
in
necrosi
ad
ampie
aree:
è
la
necrosi
ti-‐
pica
dei
tumori
maligni;
7. invasione
dei
vasi
venosi
(più
importante
di
quella
sinusoidale,
in
quanto
il
vaso
venoso
ha
una
pa-‐
rete
muscolare,
più
spessa):
il
tumore
può
invadere
le
strutture
vascolari,
come
ad
esempio
la
vena
surrenalica,
aderendo
alla
parete
del
vaso
e
invadendone
la
tonaca
muscolare;
8. invasione
dei
sinusoidi:
i
sinusoidi
non
hanno
la
tonaca
muscolare,
sono
vasi
a
lume
ampio
che
si
trovano
soprattutto
nella
capsula
e
hanno
una
parete
sottilissima;
9. invasione
della
capsula,
generalmente
microscopica
e
minima.
La
presenza
di
almeno
3
criteri
indirizza
con
alta
probabilità
verso
la
diagnosi
di
carcinoma;
se
sono
presenti
2
criteri
(zona
grigia),
è
opportuno
che
essi
siano
valutati
con
estrema
attenzione
(sbagliare
la
conta
delle
mitosi,
per
esempio,
potrebbe
delineare
un
quadro
molto
differente).
La
classificazione
dei
criteri
di
malignità,
seppur
molto
vecchia,
è
ancora
utilizzata
in
quanto
non
si
è
riusciti
a
trovare
criteri
migliori
per
una
diagnosi
più
efficiente
del
carcinoma
surrenalico.
Questo
perché
i
carcino-‐
mi
del
surrene
sono
molto
diversi
tra
loro
(si
va
da
tumori
altamente
invasivi
e
mortali
a
tumori
piccoli,
non
infiltranti
e
con
comportamento
molto
meno
aggressivo);
resta
però
il
problema
della
soggettività
dei
sin-‐
goli
criteri,
ad
esempio
della
determinazione
dell’atipia
delle
cellule
atipiche,
o
della
conta
delle
mitosi
(quale
microscopio?
dove
contarle?).
I
criteri
più
importanti
sono
l’indice
mitotico,
le
figure
mitotiche
atipiche
e
l’invasione
vascolare
venosa.
Gli
altri
criteri
sono
meno
importanti
poiché
meno
riproducibili.
morali, dei vasi pericapsulari e della capsula fibrosa sono stati studiati vari marcatori molecolari (ad esem-
stessa. pio l’indice di proliferazione cellulare valutato con la
Poiché tutte le caratteristiche istologiche qui descritte determinazione immunoistochimica di Ki67).
non sono costantemente presenti in tutti i casi, la di- La diagnosi differenziale del carcinoma surrenalico non
stinzione di un carcinoma surrenalico da un adenoma si pone soltanto con l’adenoma, ma anche con tumori
1 2 3
4 5 6
7 8 9
FIGURA 12.41 La diagnosi di carcinoma surrenalico si basa sul riconoscimento di parametri istologici, che sono variamente
espressi dai singoli tumori e che, nel sistema più comunemente utilizzato (secondo Weiss), vengono contati per il raggiungi-
mento di un valore soglia indicativo di malignità se superiore o uguale a 3. Le immagini (partendo dall’alto a sinistra) esempli-
ficano: 1) la presenza di cellule eosinofile in oltre il 25% del tumore (con rare cellule chiare a sinistra); 2) la crescita diffusa; 3)
la presenza di necrosi; 4) la penetrazione capsulare; 5) l’invasione vascolare; 6) l’invasione dei sinusoidi intratumorali; 7) la
presenza di atipie nucleari; 8) l’elevato numero di mitosi; 9) la presenza di mitosi atipiche.
773
Poi
si
può
ricorrere
alle
tecniche
ancillari.
I
marker
immunoistochimici
usati
per
la
diagnosi
differenziale
comprendono:
• l’inibina
A
(glicoproteina
con
subunità
α
legata
ad
una
o
due
subunità
β),
prodotta
dalle
cellule
che
secernono
ormoni
steroidei,
quindi
anche
da
ovaio
e
testicolo;
• A103
o
melan-‐A,
positivo
nel
carcinoma
surrenalico
e
nel
melanoma
(e
anche
nei
tumori
del
testi-‐
colo
e
dell’ovaio);
• MIB-‐1
è
un
marker
di
proliferazione
utile
nei
casi
di
conta
mitotica
dubbia
(non
è
incluso
ufficial-‐
mente
nei
criteri
diagnostici:
infatti
la
diagnosi
si
fonda
sulla
conta
delle
mitosi
e
non
sulla
valuta-‐
zione
percentuale
dell’attività
proliferativa).
L’immunoistochimica
è
usata
quindi
anche
per
capire
la
provenienza
delle
cellule
ed
è
fondamentale
per
la
diagnosi
differenziale:
nel
caso
di
un
tumore
molto
grande
del
surrene
di
destra,
la
diagnosi
differenziale
include
non
solo
il
carcinoma
del
rene
ma
anche
l’epatocarcinoma,
che
può
manifestarsi
con
un
nodulo
po-‐
steriore
esteso
al
surrene
per
contiguità.
L’esame
citologico
non
permette
di
differenziare
un
adenoma
da
un
carcinoma
e
per
questo
non
viene
rea-‐
lizzato;
è
indicato
solo
nei
casi
in
cui
un
paziente
presenti
una
massa
surrenalica
e
una
neoplasia
primitiva
in
una
sede
diversa
dal
surrene
(es.
polmone
o
mammella),
per
capire
se
la
massa
surrenalica
è
una
metastasi
o
un
reperto
incidentale:
questa
differenze
è
sostanziale
da
un
punto
di
vista
prognostico
e
terapeutico.
In
altre
parole,
la
citologia
è
utile
nei
casi
di
storia
clinica
positiva
per
la
presenza
di
tumori
maligni
(altrimen-‐
ti
ha
poco
senso
realizzarla
a
causa
della
sovrapposizione
morfologica
presente
tra
lesioni
corticali
benigne
e
maligne).
TUMORI
ONCOCITARI
La
trasformazione
tumorale
degli
oncociti
(cellule
di
Hurtle),
grandi
cellule
eosinofile
ricche
di
mitocondri,
è
particolarmente
frequente
nei
tumori
endocrini
(tiroide,
ipofisi
e
surrene).
I
tumori
oncocitari
del
surrene
sono
lesioni
costituite
almeno
dall’80%
di
cellule
oncocitarie
e
si
individua-‐
no
facilmente
per
il
caratteristico
colore
bruno/mogano
chiaro
e
l’assenza
di
infiltrazione
parenchimale;
possono
presentare
al
centro
aree
più
scure,
nerastre,
che
in
passato
si
ipotizzava
fossero
emorragiche
(at-‐
tualmente,
si
pensa
siano
costituite
da
tessuto
linfoide).
Sono
tumori
ben
delimitati
da
un
punto
di
vista
macroscopico:
non
infiltrano
i
tessuti
circostanti
ed
è
visibile
la
porzione
surrenalica
residua;
non
ci
sono
quindi
aspetti
di
malignità
macroscopici.
I
parametri
del
Weiss
system
non
sono
applicabili
a
queste
lesioni,
che
risulterebbero
sempre
maligne,
con
il
rischio
di
sovrastimare
la
gravità
della
patologia:
infatti
esse
sono
caratterizzate
da
aspetti
morfologici
che
in
altre
sedi,
ma
non
in
questo
caso,
rappresenterebbero
criteri
di
malignità
come:
• la
crescita
diffusa,
• l’assenza
di
lipidi,
• il
citoplasma
granulare
eosinofilo,
• l’atipia
cellulare
con
cellule
giganti
pleiomorfe.
Al
fine
di
distinguere
tumori
benigni
e
maligni,
sono
stati
elaborati
per
i
tumori
oncocitari
criteri
maggiori
e
minori
di
malignità;
tra
i
criteri
maggiori
di
malignità
si
trova:
• più
di
5
mitosi
per
50
campi
a
forte
ingrandimento;
• figure
mitotiche
atipiche;
• invasione
venosa
(il
vaso
deve
presentare
una
parete
muscolare,
altrimenti
è
un
sinusoide).
La
presenza
di
1
criterio
di
malignità
è
sufficiente
per
parlare
di
lesione
maligna.
I
criteri
minori
di
malignità
(non
confermano
la
malignità,
ma
sono
motivo
di
sospetto)
includono:
• dimensioni
maggiori
10
cm
e/o
peso
maggiore
di
200g;
• necrosi;
• invasione
capsulare;
• invasione
sinusoidale.
Questi
criteri
non
sono
applicabili
ai
casi
infantili,
la
cui
prognosi
è
generalmente
favorevole
e
per
i
quali
esistono
altri
parametri
di
valutazione
(non
trattati).
I
tumori
oncocitari
si
definiscono:
• oncocitomi
quando
benigni,
in
assenza
di
criteri
minori
e
maggiori;
• neoplasia
ad
incerto
potenziale
maligno
se
è
presente
un
criterio
minore.
Generalmente
hanno
comporta-‐
mento
benigno
e
sono
caratterizzati
da
assenza
di
infil-‐
trazione
o
metastasi
e,
dopo
rimozione,
non
determi-‐
nano
recidiva
locale
(in
un
numero
piccolissimo
di
casi
però
possono
esserci
metastasi);
la
diagnosi
del
pato-‐
logo
ha,
quindi,
anche
valore
prognostico.
Utilizzare
questa
categoria
rende
difficile
la
gestione
clinica
del
paziente
(va
fatto
un
follow-‐up
anche
se
il
rischio
di
metastasi
o
recidiva
è
bassissimo),
per
cui
si
cerca
di
limitare
i
casi
in
cui
è
applicata;
• carcinoma
(v.
fig.)
quando
è
presente
un
qualsiasi
cri-‐
terio
maggiore.
2.
TUMORI
DELLA
MIDOLLARE
DEL
SURRENE
I
tumori
della
midollare
del
surrene
sono
più
rari.
In
questo
distretto
l’anatomopatologo
si
confronta
con
quadri
di:
• iperplasia,
che
può
manifestarsi
(come
l’iperplasia
delle
cellule
C
della
tiroide)
nel
contesto
di
una
sindrome
familiare
(es.
MEN2b)
o
in
casi
sporadi-‐
ci
(rarissimi);
anche
in
questo
caso,
nelle
forme
famigliari,
l’iperplasia
rappresenta
una
lesione
proliferativa
che
precede
l’insorgenza
di
una
neo-‐
plasia
(progressione
multistep;
nella
MEN2b
l’evoluzione
è
rapida
e
in
caso
di
sospetta
iperpla-‐
sia
si
effettua
subito
l’asportazione
del
surrene
profilattica).
Valutare
l’iperplasia
midollare
è
molto
complesso:
la
midollare
ha
infatti
una
distribuzione
molto
disomogenea
e
per
la
diagnosi
è
necessario
asportare
il
surrene
ed
osservarlo
in
toto
(non
si
effet-‐
tuano
mai
surrenectomie
parziali!):
i
contesti
clinici
in
cui
può
essere
asportato
un
surrene
con
iperplasia
della
midollare
sono:
o la
presenza
di
sintomi
da
ipersecrezione
di
adrenalina
in
assenza
di
un
nodulo
(occorre
in
que-‐
sto
caso
dosare
le
catecolamine
nelle
urine
e
studiare
l’attività
secernente
dei
surreni
con
il
ca-‐
teterismo
delle
vene
surrenaliche),
o l’asportazione
profilattica
di
un
surrene
in
paziente
con
sindrome
familiare,
dopo
che
era
già
stato
rimosso
il
surrene
controlaterale
magari
a
causa
di
un
nodulo.
Fatta
la
diagnosi
clinico-‐laboratoristica,
si
asporta
il
surrene
e
si
procede
con
misurazioni
complicate
(nell’ottica
di
una
valutazione
quantitativa)
o
con
la
semplice
osservazione,
tenendo
conto
della
presenza
all’anamnesi
di
una
eventuale
forma
sindromica;
• neoplasia.
I
tumori
della
midollare,
rispetto
a
quelli
della
corticale,
sono
più
rari
e
generalmente
maligni;
sono
riconducibili
a
due
categorie:
o il
feocromocitoma,
che
colpisce
il
paziente
adulto,
di
solito
con
età
maggiore
di
50
anni
(rara-‐
mente
sono
presenti
casi
infantili,
se
non
nel
contesto
di
sindromi).
La
sintomatologia
del
feo-‐
cromocitoma
è
legata
alla
produzione
di
amine
biogene
ipertensivanti:
può
manifestarsi
iper-‐
tensione
stabile
oppure
una
sindrome
ipertensiva
caratteristica,
a
poussè,
entrambe
difficili
da
trattare
farmacologicamente;
o i
tumori
della
linea
neurale
o
neuroblastici,
di
derivazione
dalle
cellule
della
cresta
neurale
che
popolano
la
midollare
del
surrene
e
i
paragangli.
Sono
tumori
tipici
del
bambino
e
com-‐
prendono
il
neuroblastoma
(la
forma
meno
differenziata),
il
ganglio-‐neuroblastoma
(forma
mista),
il
ganglioneuroma
(la
forma
più
differenziata).
Il
neuroblastoma,
uno
dei
tumori
più
frequenti
del
bambino,
è
un
tumore
maligno
embrionale
indifferenziato
costituito
da
cellule
piccole
e
rotonde
(blasti
della
cresta
neurale).
Si
può
diffe-‐
renziare
formando
cellule
gangliari,
quindi
dando
origine
a
un
ganglioneuroblastoma.
Il
sospetto
diagnostico
e
il
ragionamento
clinico
devono
anche
tener
conto
dell’età:
a
un
paziente
di
18
anni
può
venire
sia
un
feocromocitoma
sia
un
neuroblastoma
perché
quella
è
una
fascia
di
pas-‐
saggio;
a
uno
di
60
anni
non
verrà
mai
un
neuroblastoma
(tumore
pediatrico);
il
feocromocitoma
al
bambino
non
viene
a
meno
che
non
faccia
parte
di
una
sindrome.
FEOCROMOCITOMA
La
midollare
del
surrene
è
considerata
un
paraganglio
del
sistema
simpatico:
ha
una
struttura
identica
a
quella
di
altri
paragangli
(glomo
carotideo,
glomo
timpanico,
organi
di
Zuckerkandl1);
infatti,
senza
indicazioni
sulla
provenienza
del
tessuto,
morfologica-‐
mente
non
è
possibile
distinguere
il
feocro-‐
mocitoma
da
un
paraganglioma.
Il
tumore
della
midollare
del
surrene
può
pertanto
essere
definito
paraganglioma
del-‐
la
ghiandola
surrenale
o
feocromocitoma,
in
quanto
origina
da
cellule
dette
feocromo-‐
citi
(o
cellule
cromaffini,
per
la
loro
affinità
nei
confronti
di
alcuni
coloranti).
E’
un
tumore
che
secerne
catecolamine
e
può
essere
causa
di
sintomi
clinici
(quando
causa
picchi
iperten-‐
sivi
dovuti
a
una
secrezione
oscillante);
quando
è
silente
(perché
la
secrezione
è
costante
e
causa
un’ipertensione
asintomatica,
soprattutto
all’inizio)
può
essere
scoperto
incidentalmente.
Per
la
diagnosi
radiologica
sono
utili
la
RMN
e
la
scintigrafia
con
un
metabolita
del
colesterolo.
Forme
sporadiche
e
sindromiche
Esistono
due
forme
di
feocromocitoma:
1. sporadiche,
tipiche
dell’età
adulta
(intorno
ai
50
anni),
di
solito
singole
e
monolaterali;
2. sindromiche
familiari,
che
insorgono
più
precocemente
e
sono
di
solito
multiple
e
bilaterali.
Rap-‐
presentano
il
caso
più
frequente
di
comparsa
di
feocromocitoma
e
la
diagnosi
del
patologo
è
di
fondamentale
aiuto
per
identificare
una
sindrome
ancora
clinicamente
silente,
tenendo
conto
dell’età
del
paziente
e
dell’anamnesi.
Non
è
facile
distinguere
le
due
forme:
potrebbe
essere
dirimente
l’anamnesi
familiare,
spesso
positiva
nel-‐
la
forma
sindromica;
ma
non
sempre:
esistono
infatti
alcune
forme
sindromiche
con
penetranza
variabile
non
clinicamente
evidenti.
Al
contrario,
anche
nelle
forme
sporadiche,
tecniche
di
biologia
molecolare,
come
la
NGS
(Next
Generation
Sequencing),
potrebbero
rilevare
mutazioni
riconducibili
a
sindromi
note.
Le
mutazioni
principali
sono
a
carico
degli
enzimi
del
ciclo
di
Krebs:
una
mutazione
della
succinico-‐
deidrogenasi2,
in
particolare,
sembra
avere
valore
prognostico
negativo.
Le
mutazioni
sono
individuate
tramite
immunoistochimica
con
anticorpi
diretti
contro
una
delle
isoforme
della
succinico-‐deidrogenasi
(anti-‐SDH):
solitamente
può
essere
mutata
l’isoforma
B,
soprattutto
(infatti
si
testa
di
routine)
o
A.
In
caso
di
mancata
colorazione
(immunoistochimica
negativa),
indicativa
della
presenza
di
una
mutazione
che
im-‐
pedisce
all’anticorpo
di
riconoscere
l’antigene,
si
procede
con
tecniche
di
biologia
molecolare
(II
livello)
come
la
NGS:
in
particolare
si
esegue
un
test
genetico
per
individuare
una
mutazione
germ-‐line
dell’enzima.
1
Paraganglio
localizzato
alla
biforcazione
aortica
o
all’origine
dell’arteria
mesenterica
inferiore.
2
E’
un
enzima
della
membrana
mitocondriale
interna,
rappresenta
il
secondo
complesso
della
catena
respiratoria,
e
interviene
anche
nel
ciclo
di
Krebs;
catalizza
la
trasformazione
del
succinato
in
fumarato
e
la
riduzione
del
FAD
in
FADH2
Sindromi
e
feocromocitoma
Le
sindromi
in
cui
può
insorgere
il
feocromocitoma
(>10%
dei
casi)
sono:
• MEN
IIA
e
IIB:
sono
neoplasie
endocrine
multiple.
Per
esempio
nel
contesto
della
MEN
IIA
si
posso-‐
no
osservare:
il
carcinoma
midollare
tiroide,
il
feocromocitoma,
il
tumore
dell’ipofisi,
il
tumore
paratiroidi
e
manifestazioni
cutanee
e
mucose
(le
pigmentazioni
cutanee
e
mucose
possono
essere
diagnostiche).
Il
feocromocitoma
può
essere
presente
anche
in
un’altra
sindrome
neuroendocrina
multipla,
ovve-‐
ro
la
sindrome
di
Carney,
che
si
manifesta
con
mixoma
cardiaco
e
pigmentazioni
cutanee.
Que-‐
ste
condizioni
vengono
gestite
congiuntamente
da
endocrinologo
e
dermatologo;
• neurofibromatosi
di
tipo
1
(NF1)
o
malattia
di
von
Recklinghausen:
caratterizzata
dalla
presenza
di:
o macchie
color
caffè-‐latte
sulla
cute
del
dorso
soprattutto
(non
visibili
alla
nascita
e
con
pene-‐
tranza
variabile),
o noduli
(o
stria)
iridei
di
Lisch
e
glaucoma
congenito,
o deformazioni
e
tumori
ossei,
o tumori
cutanei,
o tumori
cerebrali
e
del
sistema
nervoso
periferico
(es.
astrocitoma
pilocitico
inoperabile
al
nervo
ottico).
La
neurofibromatosi
di
tipo
2
(NF2)
non
è
associata
alla
presenza
di
feocromocitoma,
quanto
ma
al
neurinoma
dell’acustico
bilaterale
e
simmetrico;
• sindrome
di
Von
Hippel-‐Lindau:
al
feocromocitoma
è
associata
la
presenza
di
carcinoma
renale
e
angiomi
retinici
(che
vanno
in
diagnosi
differenziale
con
il
melanoma),
• sclerosi
tuberosa,
poco
rilevante
e
caratterizzata
dalla
presenza
di
tumori
del
rene,
del
cuore,
della
cute;
• nessuna
sindrome
associata,
ma
il
tumore
si
ripresenta
nella
famiglia.
L’insorgenza,
in
questo
caso,
avviene
in
età
giovanile
e
non
sono
associate
altre
neoplasie.
Attraverso
la
morfologia
in
alcuni
casi
si
può
identificare
una
sindrome
anche
prima
della
sua
manifestazio-‐
ne;
sono
fondamentali
(per
ipotizzare
una
sindrome)
la
clinica,
l’anamnesi,
l’età.
Per
esempio
se
un
pazien-‐
te
ha
un
feocromocitoma
intorno
ai
20
anni,
anche
apparentemente
sporadico,
prima
di
dire
che
è
sporadi-‐
co
è
importante
fare
il
test
molecolare
perché
a
20
anni
non
dovrebbe
insorgere
un
feocromocitoma.
Aspetto
macroscopico
Da
un
punto
di
vista
macroscopico,
il
feocromocitoma:
• ha
dimensioni
di
3-‐5
cm
(non
molto
grande);
la
dimensione
correla
con
il
rischio
di
malignità;
• pesa
50-‐70
g
(non
ha
lo
stesso
valore
dei
tumori
della
corticale);
• è
un
nodulo
ben
circoscritto;
• è
consistente
e
ha
un
aspetto
grigio-‐biancastro
(diventa
arancio
se
si
fissa
con
dicromato
di
potas-‐
sio).
Si
possono
osservare
frequentemente
aree
emorragiche,
vista
l’importante
vascolarizzazione,
e
cisti,
che
pongono
un
problema
di
diagnosi
differenziale.
Senza
la
storia
clinica
(es.
aumento
delle
catecolamine
urinarie),
può
essere
difficile
distinguere
un
tumore
della
corticale
da
uno
della
midollare
(che
in
rarissimi
casi
sono
anche
compresenti),
vista
la
bassa
frequen-‐
za
del
feocromocitoma;
inoltre,
anche
un
tumore
corticale
aldosterone-‐secernente
può
determinare
un’ipertensione
del
tutto
simile
a
quella
causata
dal
feocromocitoma,
quando
non
libera
catecolammine
a
poussè.
Per
la
diagnosi
differenziale
bisogna,
in
assenza
di
storia
clinica
(es.
dosaggio
delle
catecolamine
urinarie),
considerare:
tumori
del
rene,
tumori
del
fegato,
tumori
della
corticale
del
surrene.
Aspetto
microscopico
Il
feocromocitoma
è
formato
da:
• cellule
cromaffini,
ampiamente
distribuite
nella
midollare
del
surrene
e
nei
paragangli,
contenenti
catecolamine.
Il
lemma
cromaffine
deriva
del
viraggio
di
colore
dei
granuli
di
catecolamine
visibile
in
caso
di
utilizzo
di
fissativi
contenenti
dicromato
di
potassio:
i
granuli
da
marroni
diventano
rossa-‐
stri;
il
fissativo
attualmente
utilizzato
è
la
formalina,
che
non
determina
più
la
reazione
cromaffine;
Le
cellule
cromaffini
sono
cellule
neuroendocrine
evidenziabili
tramite
marcatori
quali
sinaptofisi-‐
na
e
cromogranina;
• cellule
sustentacolari
(di
sostegno),
poco
visibili
in
EE
e
S-‐100
positive
(l’S-‐100
è
un
marcatore
delle
cellule
della
guaina
nervosa,
come
le
cellule
di
Schwann,
che
producono
la
mielina).
L’aspetto
microscopico,
insieme
all’osservazione
macroscopica,
permette
di
porre
la
diagnosi;
occorre
os-‐
servare
l’architettura
e
le
cellule:
• architettura:
il
tumore
cresce
formando
nidi
solidi
o
cistici
(quindi
in
maniera
trabecolare
o
alveo-‐
lare),
separati
da
cellule
sustentacolari
S-‐100
positive,
sono
cellule
allungate
specializzate
normal-‐
mente
presenti
nei
gangli;
Gallo 12.qxd •4-10-2007 citologia:
il
citoplasma
è
finemente
granulare
(ci
sono
gra-‐
10:19 Pagina 782
nuli
di
adrenalina
e
noradrenalina)
e
non
lipidizzato.
I
nu-‐
clei
sono
singoli,
rotondeggianti,
con
pseudoinclusioni,
op-‐
PATOLOGIApure
possono
avere
dimensioni
aumentate
e
apparire
iper-‐
DEL SISTEMA
ENDOCRINOcromatici.
La
presenza
di
nuclei
atipici,
piuttosto
frequente,
non
ha
nessun
valore
prognostico;
quindi
l’atipia
nucleare
non
è
un
criterio
di
malignità
del
feocromocitoma.
FIGURA 12.43 Il feocromocitoma ha una crescita diffusa di FIGURA 12.45 Il feocromocitoma è una neoplasia neuroen-
ampie cellule irregolari con citoplasma basofilo e occasio- docrina che, in analogia con le cellule della midollare surre-
nali atipie. Le cellule sono più voluminose di quelle della cor- nalica, produce cromogranina: una reazione immunoistochi-
teccia surrenalica normale che si apprezza al di fuori della mica con anticorpi specifici mostra l’intensa colorazione
capsula (a sinistra). della maggior parte delle cellule tumorali.
In particolare:
• il 10% dei feocromocitomi ha sede extrasurrenalica;
• il 10% è bilaterale (tra i casi sporadici);
• il 10% si sviluppa nel contesto di sindromi familiari
(in questo caso i bilaterali sono oltre la metà);
• il 10% interessa soggetti in età pediatrica;
Criteri
di
malignità
Il
feocromocitoma
è
quasi
sempre
benigno
(>90%):
solo
nel
10%
(2,4-‐14%)
ci
sono
metastasi.
Ma
non
esistono
criteri
istologici
di
certezza
per
definirne
la
malignità:
tra
i
vari
criteri
predittivi
di
maligni-‐
tà
che
si
è
tentato
di
applicare
al
feocromocitoma
(anche
quelli
del
Weiss
Sysytem),
nessuno
è
risultato
as-‐
solutamente
attendibile;
attualmente
solo
la
presenza
di
metastasi
a
distanza
in
sedi
dove
normalmente
non
è
presente
tessuto
cromaffine3
(cervello,
linfonodi,
fegato,
polmoni,
ossa)
giustifica
una
diagnosi
certa
di
feocromocitoma
maligno.
I
criteri
di
sospetto
a
favore
della
malignità
sono:
• le
dimensioni:
l’aumento
delle
dimensioni
(senza
un
preciso
cut-‐off)
correla
con
un
maggiore
ri-‐
schio;
• l’alta
attività
proliferativa,
identificata
grazie
all’utilizzo
di
anticorpi
(es.
Mib-‐1);
• l’infiltrazione
dei
tessuti
circostanti
(tessuti
molli
e
organi);
• l’invasione
vascolare.
In
relazione
alla
possibilità
di
esprimere
alcune
caratteristiche
clinicopatologiche
del
feocromocitoma
tra-‐
mite
percentuale,
tale
tumore
è
anche
noto
come
“tumore
del
10%”;
però
il
rischio
di
metastatizzare
del
10%
sembra
sovrastimato.
La
percentuale
di
sopravvivenza
a
5
anni
delle
forme
metastatiche
è
del
53%
ma,
nonostante
ciò,
la
morte
è
dovuta
soprattutto
all’ipertensione
incontrollata
(infatti
nelle
forme
metastatiche,
la
sindrome
clinica
può
diventare
estremamente
grave
perché
non
ci
sono
risorse
per
la
terapia).
PARAGANGLIOMI
EXTRASURRENALICI
I
paragangliomi
extrasurrenalici
sono
tumori
morfologicamente
identici
al
feocromocitoma
ma
localizzati
a
livello
extrasurrenalico.
Quindi
sono
costituiti
da
cellule
neuroepiteliali
disposte
in
nidi
solidi
(Zellballen)
de-‐
limitati
da
una
sottile
rima
di
cellule
sustentacolari
S100-‐positive.
Sono
tumori
estremamente
rari
e
vengono
classificati
(con
alcune
eccezioni)
in:
• paragangliomi
simpatici
(sottodiaframmatici):
localizzati
in
sede
para-‐aortica,
frequentemente
da-‐
vanti
all’aorta,
in
corrispondenza
del
ganglio
celiaco,
o
in
sede
paravertebrale.
Possono
anche
svi-‐
lupparsi
all’integro
degli
organi
che
sono
in
stretto
contatto
con
queste
strutture,
come
cuore,
duodeno,
vescica
e
rene
(in
alcuni
casi
molto
rari).
Producono
in
genere
noradrenalina
e
hanno
un
rischio
di
malignità
più
elevato;
• paragangliomi
parasimpatici
(sopra-‐
diaframmatici),
le
cui
sedi
più
comuni
includono:
o regione
testa-‐collo
(3%):
§ biforcazione
della
carotide,
in
corrispondenza
del
glomo
carotideo;
§ timpano;
§ lungo
il
decorso
del
n.
vago,
o mediastino
(12%):
§ in
rapporto
con
l’aorta;
§ mediastino
posteriore
(rari).
3
La
presenza
di
un
nodulo
paraortico
retroperitoneale
(potrebbe
derivare
da
un
linfonodo
ma
anche
da
un
paragan-‐
glio)
non
permette
di
diagnosticare
una
metastasi
perché
potrebbero
essere
compresenti
feocromocitoma
e
paragan-‐
glioma,
come
descritto
in
varie
sindromi.
Sono
spesso
non
funzionanti
e
presenta-‐
to
sintomi
legati
alla
crescita
espansiva
locoregionale.
Nella
maggior
parte
dei
casi
(specialmente
nella
regione
testa-‐collo)
non
sono
secernenti
e
quindi
clinicamente
silenti:
per
questo
sono
definiti
re-‐
perti
nodulari
incidentali
a
decorso
indolente
e
senza
comportamento
aggressivo.
La
maggior
parte
è
benigna
ma,
nei
casi
in
cui
viene
persa
l’espressione
della
succinico-‐DH
(forme
familia-‐
ri),
si
ha
un
comportamento
più
aggressivo.
Il
3-‐
5%
dei
pazienti
sviluppa
metastasi.
Come
il
feocromocitoma,
i
paragangliomi
cre-‐
scono
in
nidi
solidi
delimitati
da
cellule
sustenta-‐
colari
(v.
fig.).
A
differenza
del
feocromocitoma
presentano:
dimensioni
più
piccole,
colore
bru-‐
no,
presenza
di
piccole
cisti.
TUMORI
NEUROBLASTICI
I
neuroblasti
sono
cellule
del
neuroectoderma
che
at-‐
traversano
fasi
intermedie
di
differenziazione,
a
partire
da
una
piccola
cellula,
fino
ad
assumere
l’aspetto
di
cel-‐
lule
piramidali,
con
soma
piriforme,
un
grande
assone,
un
nucleo
ampio
e
un
nucleolo
evidente
(infatti
i
gangli
nervosi
sono
costituiti
da
cellule
del
tutto
simili
ai
neu-‐
roni
della
corteccia
motoria).
I
tumori
neuroblastici
possono
essere
differenziati
in
base
alla
morfologia,
che
rispecchia
il
grado
di
differen-‐
ziazione
della
cellula,
in:
• tumore
totalmente
indifferenziato:
è
la
forma
classica
di
neuroblastoma
surrenalico.
E’
costituito
solo
da
cellule
di
colore
blu.
La
diagnosi
richiede
necessariamente
l’immunoistochimica;
• tumore
parzialmente
differenziato
verso
la
cellula
matura
del
sistema
nervoso
periferico:
si
osser-‐
vano
cellule
blu
che
mostrano
dei
prolungamenti;
si
parla
di
ganglioneuroblastoma;
• tumore
totalmente
differenziato,
definito
ganglioneuroma.
NEUROBLASTOMA
(E
GANGLIONEUROBLASTOMA)
Il
neuroblastoma
è
un
tumore
primitivo
neuroectodermico
che
origina
nelle
sedi
in
cui
è
distribuito
il
si-‐
stema
nervoso
simpatico,
la
cui
localizzazione
principale
è
rappresentata
dalla
midollare
del
surrene
(più
raramente
il
mediastino).
È
strettamente
correlato
al
ganglioneuroblastoma;
è
maligno
e
aggressivo.
Appartiene
alla
categoria
dei
tumori
embrionali
primitivi,
che
a
loro
volta
fanno
parte
dei
tumori
a
piccole
cellule4.
4
In
inglese
sono
noti
come
“small
blue
cells
tumors”,
per
via
delle
cellule
piccole
che,
non
avendo
citoplasma,
ap-‐
paiono
completamente
blu
dopo
colorazione
con
EE
(blu
è
il
colore
del
nucleo).
In
base
alla
sede
in
cui
troviamo
que-‐
ste
cellule,
possiamo
sospettare
un
tumore
diverso:
neuroblastoma
(surrene),
sarcoma
di
Ewing
(tessuti
molli),
osteo-‐
sarcoma
(osso),
leucemia
(midollo
osseo).
Da
un
punto
di
vista
epidemiologico:
• è
il
quarto5
tumore
maligno
per
frequenza
nei
bambini,
• può
essere
connatale
(visibile
anche
in
utero),
ma
nell’85%
dei
casi
insorge
nei
primi
4
anni
di
vita;
• è
un
reperto
raro
dopo
la
seconda
decade
di
vita
e
rarissimo
negli
adulti.
È
positivo
ai
marker
del
SN
endocrino
sinaptofisina
e
cromogranina.
Aspetto
macroscopico
• Si
osserva
una
massa
di
notevoli
dimensioni
che
può
essere
associata
a
calcificazioni
(percepite
anche
con
la
lama
del
bisturi),
aree
di
necrosi
ed
emorragie.
• E’
monolaterale,
ha
un
aspetto
infiltrativo
nei
confronti
dei
tessuti
circostanti
e
margini
irregolari.
• Può
esserci
un
nodulo
ben
circoscritto
o
noduli
multipli
(masse
multinodulari).
Prima
della
rimozione
chirurgica
si
tenta
di
ridurre
le
dimensioni
della
massa
con
la
chemioterapia
neoadiu-‐
vante,
che
offre
ottimi
risultati,
e
il
patologo
è
chiamato
a
valutare
la
percentuale
residua
di
tumore
ese-‐
guendo
una
biopsia
(che
ha
valore
prognostico).
Aspetto
microscopico
• Presenta
un
pattern
di
crescita
diffusa
o
nodulare.
• E’
formato
da
cellule
piccole
e
indifferenziate
con
nucleo
ipercromatico
e
nucleoli
scarsamente
evidenti;
sono
frequenti
le
atipie.
Tale
aspetto
entra
in
diagnosi
differenziale
con
gli
altri
tumori
a
piccole
cellule
dell’infanzia.
• Queste
cellule
sono
strettamente
ammassate
nel
tumore
indifferenziato;
invece,
nel
tumo-‐
re
parzialmente
differenziato,
la
cellule
non
solo
presentano
prolungamenti
ma
iniziano
a
organizzarsi
in
strutture
che
ricordano
il
si-‐
stema
nervoso
primitivo
in
via
di
sviluppo:
si
aggregano
a
formare
delle
piccole
rosette
(le
cellule
sono
disposte
concentricamente
at-‐
torno
a
una
cavità
virtuale,
con
i
nuclei
alla
periferia
e
i
citoplasmi
ricchi
di
neurofilamenti
verso
l’interno)
oppure
sviluppano
il
neuropi-‐
lo
(un
ammasso
di
prolungamenti)
che
distan-‐
zia
i
nuclei.
Prognosi
La
prognosi
è
legata
alla
risposta
alla
chemioterapia,
responsabile
non
solo
della
regressione
del
tumore
ma
anche
della
sua
maturazione
(è
uno
dei
pochissimi
esempi
in
cui
la
chemioterapia
induce
la
maturazio-‐
ne
del
tumore);
quindi
il
tumore
residuo
e
le
eventuali
metastasi
vanno
incontro
a
differenziazione
in
sen-‐
so
gangliare
(valutata
in
base
alla
presenza
o
meno
delle
cellule
di
Schwann)
e
le
cellule
assumono
il
fenoti-‐
po
delle
cellule
nervose
adulte.
Più
il
tumore
è
differenziato
dopo
chemioterapia
e
più
migliora
la
prognosi.
I
fattori
prognostici
possono
essere
indicati
come
segue:
• differenziazione
iniziale
(più
è
differenziato,
migliore
è
la
prognosi);
• differenziazione
post-‐terapia;
5
Tumori
che
colpiscono
il
bambino,
in
ordine
di
frequenza:
1)
leucemia
linfoblastica
acuta,
2)
tumori
cerebrali
(-‐
blastomi),
3)
tumori
dell’osso
e
dei
tessuti
molli
(osteosarcoma).
• altri:
o indice
proliferativo;
o presenza
di
calcificazioni
(indicative
di
necrosi
e
regressione);
o stato
della
ploidia
(cellule
aploidi
o
diploidi)
influenza
la
risposta
alla
terapia.
o amplificazione
di
n-‐myc
ha
un
impatto
estremamente
sfavorevole
sulla
prognosi;
o età
del
paziente
(prognosi
favorevole
se
l’età
di
insorgenza
è
precoce).
Inoltre,
l’età
di
insorgenza
ha
un
valore
prognostico:
• età
al
di
sotto
di
1
anno:
anche
se
il
neuroblastoma
mostra
un
comportamento
aggressivo
con
me-‐
tastasi,
la
prognosi
è
positiva
perché
alcuni
regrediscono
spontaneamente;
• età
al
di
sopra
di
1
anno:
il
neuroblastoma
mostra
comportamento
più
aggressivo.
GANGLIONEUROMA
Il
ganglioneuroma
un
tumore
benigno,
costituito
da
cellule
gangliari
e
stroma
Schwanniano,
che
si
ipotizza
derivi
dalla
maturazione
spontanea
di
un
neuroblastoma
asintomatico
non
diagnosticato
in
età
pediatrica.
È
molto
raro
e
in
genere
la
diagnosi
avviene
intorno
ai
20
anni
come
incidentaloma.
Gallo 12.qxd 4-10-2007 10:19 Pagina 784
Entra
in
diagnosi
differenziale
con:
• l’adenoma
del
surrene
non
secernente;
• il
feocromocitoma
PATOLOGIA (può
DELrientrare
SISTEMAtra
gli
incidentalomi
se
clinicamente
silente).
Da
un
punto
di
vista
macroscopico
si
presenta
come
un
nodulo
retroperitoneale
solido,
ben
delimitato
e
ENDOCRINO
dal
colore
biancastro
(come
un
“uovo
sodo”).
Da
un
punto
di
vista
microscopico
ha
un
aspetto
molto
eterogeneo.
sintomatologia
Si
distinguono
legata 3
zone:
alla massa e dipendente dalla lo-
• una
zona
rossa
caratterizzata
da
caratteristica
calizzazione. Una localizzazione cellule
più
èdense;
quella
retro-orbitaria con formazione di ecchimosi orbitarie,
• una
zona
fibrillare,
caratterizzata
da
poche
cellule
che fanno parte della sindrome di Hutchinson. Un sin-
e
molto
tomosfrequente troma,
sèimile
al
neuropilo.
una diarrea liquida conCi
satonia
ono
cinte-
ellule
stinale e abbondante perdita di potassio, dovuta all’a-
gangliari
zione del e
i
VIP
loro
prolungamenti
(peptide con
le
cellule
intestinale vasoattivo), prodottodi
Shwann
dal tumore intorno;
quando tende alla maturazione.
• una
La zona
stadiazione del neuroblastoma
con
cellule
bianche,
proposta
grandi
dall’Interna-
e
atipiche:
tional Neuroblastoma Staging System è riassunta nella
sono
cellule
gangliari
caratterizzate
da
grande
cito-‐
Tabella 12.10. Esiste una situazione particolare, quella
dello stadio 4S: questo tipo di pazienti è di età inferio-
plasma.
Le
cellule
gangliari
non
sono
proprio
iden-‐
re all’anno, ed è in apparente stadio 4 senza, però, me-
tiche
tastasi a
quelle
ossee. Nel normali,
75% di infatti
questi casi queste
si verifica sono
inten-‐ FIGURA 12.46 Particolare microscopico di un ganglioneuro-
un’invo-
samente
positive
a
marker
neuroendocrini
come
la
ma surrenalico con la classica commistione fra cellule gan-
luzione spontanea, senza terapia.Talvolta è, però, neces-
sario praticare della radioterapia o chemioterapia a gliari ampie eosinofile e granulari, e fibre nervose varia-
sinaptofisina.
basse dosi per avviare il processo di regressione.
mente orientate ricche di cellule di guaina mielinica di forma
allungata e fusata.
In
alcuni
casi
può
diventare
completamente
maturo
e
tra-‐
I fattori predittivi di migliore prognosi sono l’età infe-
sformarsi
in
riore a un anno, la sede mediastinica, un basso stadio alla dia-
gangliomieloma.
gnosi (1, 2A, 2B) e alcuni parametri istologici (bassa conta
mitotica, presenza di calcificazioni, presenza di diffe- esempio mediastino). È una neoplasia benigna, a cresci-
renziazione gangliare o di cellule di Schwann). L’ampli- ta solida espansiva, capsulata, a margini ben delimitati e
colorito biancastro. Microscopicamente, riproduce la
ficazione del gene N-myc ha invece un impatto estrema-
mente sfavorevole sulla prognosi. struttura dei gangli, con cellule gangliari voluminose
immerse in una rete di fibre nervose ricche di cellule di
Schwann (Figura 12.46). Alcuni autori ipotizzano che
Ganglioneuroma tutti i ganglioneuromi siano in realtà il risultato di una
maturazione completa di un neuroblastoma insorto
Il ganglioneuroma colpisce una fascia di età tra i 20 e anni prima, in cui i neuroblasti si sono differenziati a
30 anni. Le forme miste (ganglioneuroblastoma) si svilup- cellule gangliari, e lo stroma si è arricchito di cellule di
pano a ogni età e anche in sede extra-addominale (ad Schwann.
Stadio 2A La neoplasia è localizzata in una sede, ma non è completamente resecabile chirurgicamente. I linfonodi ipsi-
laterali vanno esenti da metastasi all’esame istologico
15.$PATOLOGIA$DELLA$MAMMELLA$
$
Il#prof.#Santinelli#ha#tenuto#la#lezione#e,#nel#caso#in#cui#all’esame#esca#una#domanda#sulla#mammella,#cor8
reggerà#lui#le#risposte#scritte:#ci#tiene#moltissimo#all’epidemiologia#e#alla#statistica.#
$
La#patologia$mammaria#è#la#patologia#neoplastica#più#diffusa#in#assoluto;#1$donna$su$9#si#ammala#di#cancro#
alla#mammella:#è#un#problema#sociale#molto#rilevante.#La#funzione#della#mammella,#ovvero#l’allattamento,#
è#sostituibile#ma#il#suo#ruolo#psicologico#e#sessuale#è#fondamentale#nell’identità#della#donna:#pertanto,#nel#
trattamento,#oltre#al#gesto#demolitivo#occorre#un#approccio#conservativo.#
Si#arriva#alla#diagnosi#di#neoplasia#mammaria#in#maniera#occasionale#o#attraverso#lo#screening:#in#Italia#esi@
ste#uno#screening$del$carcinoma$della$mammella#nelle#pazienti#dopo#i#50#anni#(bisognerebbe#anticiparlo#ai#
40#anni),#che#consiste#in#un#esame$mammografico.#L’aderenza#a#tale#programma#di#screening,#rispetto#agli#
altri#messi#in#atto#dal#Sistema#Sanitario#Nazionale,#è#la#peggiore#(45%);#ma#questo#dato#non#è#del#tutto#indi@
Gallo 17.qxd 4-10-2007 13:43 Pagina 1028
cativo#perché#storicamente,#in#Italia,#le#donne#sono#molto#sensibili#al#problema#mammario#e#costantemen@
te# e# spontaneamente# fanno# controlli# PATOLOGIA già# da# prima# al# di# fuori# dello# screening# (poiché# questa# popolazione#
DELLA MAMMELLA
rappresenta#un#altro#40@45%,#allo#screening#in#Italia#si#sottopone#l’85@90%#della#popolazione#femminile;#nel@
le#Marche#l’adesione#supera#il#90%).#
Oltre# allo# screening," la" sorveglianza" di" base" della" mammella" è" attuabile" mediante" autopalpazione," ma" è"
possibile#anche#sottoporsi#alla#palpazione#da#parte#del#medico#di#base#o#del#ginecologo#durante#la#visita#se@
nologica,#o#ad#esami#strumentali.##
La#trattazione#che#segue#dell’anatomia#patologica#della#mammella#affronterà#i#seguenti#argomenti:#
1. anatomia#ed#esami#strumentali#della#mammella,#
2. lesioni#proliferative#e#forme#in#situ,#
3. lesioni#maligne:#carcinomi,#
4. tumori#stromali#e#altri#tumori.#
# FIGURA 17.4 Inizio di proliferazione epiteliale (freccia) nel
contesto di un lobulo atrofico (donna in post-menopausa). In
questa visione tridimensionale non è possibile definire se si
1.$ANATOMIA$ED$ESAMI$STRUMENTALI$DELLA$MAMMELLA$ tratta di iperplasia tipica o atipica. Le cellule della zona indi-
cata sono sfuggite al controllo endocrino, per cui proliferano
# anche in assenza di estrogeni.
ANATOMIA$MICROSCOPICA$
La#mammella#è#una#ghiandola#cutanea#modificata#la#cui#unità#funzio@
nale#è#l’unità#duttuloGlobulare$terminale$(TDLU),$formata#dal: #
• lobulo#mammario,#contenente#gli#acini#che#secernono#il#latte.#
Dotti#e#acini#presentano#un#epitelio$bistratificato,#formato#da:#
FIGURA 17.3 Albero ghiandolare di mammella di donna in
o uno# strato# di# cellule$post-menopausa
interne# (luminali$ o$ epiteliali),#
in visione tridimensionale. La ghiandolache#
ha
un aspetto atrofico, costituita essenzialmente da dotti, con
negli# acini# producono# le#abbozzi
soltanto sostanze#
di lobuli. del# latte# e# nei# dotti#
modificano#la#composizione#del#latte#che#scorre#al#loro#in@
duttulo viene stimolato a entrare alternativamente nel
terno,# ciclo cellulare e nella via apoptotica. L’epitelio mam-
o uno# strato# di# cellule$ mario,esterne#
quindi, ben(mioepiteliali$
rientra nel gruppo deio$tessuti
e, di conseguenza, ha un rischio alquanto elevato di
basali),#
labili
che#strutturano#la#forma#del#dotto#(svolgono#una#funzio@
Cellule staminali mammarie
È ormai ben noto che i processi rigenerativi di un tes-
ne# di# sostegno)# e# con#suto la#
sonoloro# debole#
assicurati attività#
da cellule contrattile#
multipotenti, chiamate
staminali adulte, per differenziarle da quelle embrionali,
favoriscono#la#progressione#del#secreto#nell’albero#dutta@
che danno origine all’intero organismo. Una cellula
le:# sono# infatti# formate# da# filamenti#
staminale si riproduce di# cheratina#
attraverso ma# an@
un processo
divisione asimmetrica, dando luogo, cioè, sia a una cellula
di
che#di#actina,#che#conferiscono#contrattilità.#
indifferenziata uguale a se stessa, sia a una cellula diffe-
FIGURA 17.5 Tipi cellulari della ghiandola mammaria. La
renziata. Questo è reso possibile dal fatto che durante la freccia indica le cellule luminali. Le cellule basali sono evi-
Al#di#sotto#troviamo#la#membrana$basale,#poi#lo#stroma$intraG
citocinesi alcune proteine si localizzano in modo di- denziate mediante metodica immunoistochimica con anticor-
verso nelle due cellule; in particolare, proteine che fa- pi specifici.
lobulare$(v.#dopo);#
1028
• duttulo,#che#rappresenta#l’inizio#dello#al@
bero# duttale;# tali# duttuli# convergono# in#
piccoli$dotti#di#calibro#maggiore#che#a#lo@
ro# volta# confluiscono# in# dotti$ intermedi#
e,# infine,# nei# 15@20# dotti$ galattofori# che#
fuoriescono#direttamente#dal#capezzolo.#
Queste# componenti# sono# immerse# nello# stroma$
Gallo di$ sostegno,#che#può#essere#di#due#tipologie;#di@
17.qxd 4-10-2007 13:43 Pagina 1027
stinguiamo#infatti:#
• lo# stroma$ specializzato$ (intralobulare),#
situato#attorno#agli#acini#e#forma#il#lobulo#
Patologia neoplastica
insieme#a#essi:#le#cellule#di#questa#componente#stromale#sono#ormonoGsensibili,#cioè#esprimono#i#
recettori#per#gli#estrogeni,#il#progesterone#e#la#prolattina;#
• lo#stroma$di$sostegno$fibroGadiposo$(interlobulare),#che#forma#la#parte#restante#del#parenchima.#
a b
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
2!“Quindi#se#io#dovessi#chiedervi#le#lesioni#proliferative#intraduttali#della#mammella#senza#specificare#benigne#o#mali@
gne#voi#dovete#parlarmi#di#tutte#queste#cinque#(intende#anche#i#sottotipi)”.#
• lesioni$che$nascono$dal$lobulo$(lesioni$intralobulari),$ovvero#le#lesioni#intralobulari#(2),#a#cellule#co@
lonnari# (3)# e# sclerosanti# (5).$ Nelle# lesioni# intralobulari# (2)# prolifera# l’epitelio# degli# acini,# finché# gli#
acini#non#vengono#occlusi#e#poi#si#ingrandiscono;#anche#nelle#lesioni#a#cellule#colonnari#(3)#gli#acini#
aumentano#di#dimensioni.#Invece#nelle#lesioni#sclerosanti#(5)#aumenta#il#numero,#e#non#le#dimen@
sioni,#degli#acini#(c’è#una#crescita#definita#organoide)#e#c’è#fibrosi#dello#stroma.#
$
MASTOPATIA$FIBROCISTICA$
La#mastopatia$fibrocistica#è#la#lesione#più#frequente#della#mammella#(prevalenza#maggiore#del#90%):#è#pa@
rafisiologica#dopo#una#certa#età#ed#è#caratterizzata#da#una#triade:#
• fibrosi#fisiologica,#
• dilatazione#cistica#dei#dotti,#potenzialmente#palpabili#all’EO#come#dei#“pallini#di#fucile”;#sono#tese#
perché#ripiene#di#secreto,#
• metaplasia#di$tipo$apocrino#dell’epitelio#duttale:#l’epitelio#della#mammella#diventa#fenotipicamen@
te#simile#a#quello#delle#ghiandole#sudoripare#apocrine#che#si#trovano#a#livello#ascellare#e#inguinale).#
Questa#mastopatia#può#essere#associata#(nell’80@85%#dei#casi)#ad#alcune#lesioni,#e#in#questo#caso#è#chiama@
ta#mastopatia$fibrocistica$proliferativa.#Queste#lesioni#sono:#
• focolai#di#iperplasia$duttale$tipica,#anche#florida,#
• iperplasia$o$modificazioni$a$cellule$colonnari$tipiche,##
• adenosi$sclerosante.#
Non#cambia#il#rischio#di#insorgenza#di#carcinoma#della#mammella.#
$
LESIONI$CHE$NASCONO$DAL$DOTTO:$LESIONI$INTRADUTTALI$BENIGNE$
#
Si#rimanda#ai#paragrafi#sui#carcinomi#per#la#trattazione#delle#lesioni#intraduttali#maligne:#il#carcinoma#intra@
duttale#e#il#carcinoma#intraduttale#papillare.#
#
PAPILLOMA$INTRADUTTALE$
• Morfologia.#Il#papilloma$intraduttale#è#una#lesione#benigna#arborescente,#cioè#assimilabile#a#un#grosso#
albero#con#fronde#che#cresce#fino#a#occludere#tutto#il#lume#del#dotto.#Presenta#un#core$di$stroma$vaG
scolarizzato#(contenente#quindi#un#asse#fibrovascolare)#e#papille#a#loro#volta#rivestite#da#due#tipi#di#cel@
lule#(questo#ci#permette#di#fare#la#DD#dal#carcinoma#papillare);#da#un#punto#di#vista#evolutivo#l'epitelio#
può#aumentare#di#spessore#e#generare#un'iperplasia#duttale#oppure#si#può#sclerotizzare#lo#stroma#(va@
riante#sclerosante).#
!! $
• Clinica.#E’#una#lesione#molle#che#può#erodersi$e$ulcerarsi#in#superficie#fino#a#dare#una#secrezione$emaG
tica$o$sieroGematica$o$sierosa,$monorifiziale$e$monolaterale$(apprezzabile#soprattutto#dopo#stimola@
zione#meccanica):#per#questo#motivo#la#galattografia#(iniezione#di#mdc#nel#dotto#galattoforo)#può#esse@
re#utile#a#fini#diagnostici,#infatti#a#volte#il#carcinoma#papillare#intraduttale#o#il#carcinoma#intraduttale#in@
filtrante#possono#causare#secrezione#siero@ematica.#
A#volte#il#papilloma#intraduttale#non#si#manifesta#con#nessuna#secrezione:#può#presentarsi#solamente#
come#nodulo.#La#radiologia#è#normale#(a#volte)#o#può#emergere#alla#mammografia#un#nodulo#circoscrit@
to#con#possibili#microcalcificazioni;#all’ecografia#emerge#una#lesione#solida#o#cistica#con#pareti#lisce#o#
un#nodulo#ipoecogeno.#
• Classificazione.#Può#essere:#
o solitario#(unico):#insorge#nei#dotti#di#grosso#calibro#(dotti$ galattofori),#ovvero#i#grossi#dotti#suba@
reolari;#può#variare#da#2@3#mm#fino#a#1@3#cm,#
o multiplo:#la#papillomatosi#multipla#è#caratteristica#dei#dotti#periferici#(di#piccolo@medio#calibro).#
Di#solito#il#papilloma#solitario#insorge#in#donne#giovani#in#premenopausa#(circa#35#anni);#le#forme#mul@
tiple#e#periferiche#possono#insorgere#anche#nelle#donne#un#po’#più#giovani.#
• Rischio$e$terapia.#Fatta#la#diagnosi$su#biopsia#(core#biopsy),#si#classifica#la#lesione#come#B3:#infatti#in#chi#
ha#questa#lesione,#il#rischio#di#insorgenza#di#cancro#nei#15#anni#successivi#è#aumentato#di$2$volte$rispet@
to#alla#popolazione#generale#(su#entrambi#i#seni),#quindi#occorre#una#sorveglianza#un#po’#più#stringente.#
Questa#lesione#ha#un#VPP$per$cancro3#dell’11%:#c’è#una#probabilità#dell’11%#che#ci#sia#una#lesione#vici@
no# a# dove# è# stata# fatta# la# biopsia,# anche# per# questo# motivo# si# classifica# come# B3# ed# è# indicata# per# il#
trattamento#l’escissione$chirurgica$conservativa,#cioè#la#nodulectomia$con$margini$liberi.#Si#sta#pen@
sando#di#usare#l’ex1vacuum)biopsy#terapeutica#al#posto#della#nodulectomia,#o#solo#il#follow@up.#
Se#sono#reperti#eventuali#focolai#di#iperplasia$duttale$tipica$e$atipica#il#rischio#aumenta#ulteriormente:#
è#di#7,5#volte#maggiore#(VPP#per#cancro#del#41%).#
La#papillomatosi,#più#difficile#da#evidenziare,#si#tratta#con#una#resezione#nella#zona#e#con#un#follow@up#
ancora#più#stringente#perché#il#rischio#a#15#anni#è#aumentato#di#2,5G3$volte.#
#
IPERPLASIA$DUTTALE$(TIPICA,$DH)$
• Morfologia.# L’iperplasia$ duttale$ tipica$ è# la# più# frequente# delle# lesioni# benigne# (può# anche# far# parte#
della#mastopatia#fibrocistica#proliferativa);#è#caratterizzata#dalla#proliferazione$dell’epitelio$luminale,#
che#ha#un#aspetto#uguale#a#quello#che#caratterizza#i#dotti#e#può#avere#un#pattern#solido#(se#la#prolifera@
zione#occupa#tutto#il#lume),#filiforme#(se#ci#sono#lumi#vuoti),#micropapillare#(raro).#Questa#proliferazio@
ne#interessa#uno#o#più#dotti#e#porta#alla#formazione#di#tre#o#più#strati#di#cellule#tipiche,#con#aspetto#e#
orientamento#benigno,#con#variabile#architettura;#la#proliferazione#può#essere#florida#se#gli#strati#non#
sono#3@4#ma#così#tanti#da#obliterare#il#lume#(iperplasia#duttale#florida).#
## #
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
3!E’#la#probabilità#di#trovare#un#tumore#nella#zona#perilesionale#a#dove#è#stata#fatta#la#biopsia.#Tale#parametro#si#calco@
la#sono#in#relazione#alla#biopsia:#in#caso#di#escissione#chirurgica#tale#valore#è#nullo#perché#tutta#la#zona#perilesionale#
viene#prelevata.#
• Clinica$e$diagnosi.#Questa#lesione#è#il#più#delle#volte#un#incidentaloma,#in#quanto#non#dà#segno#di#sé#
né# clinico# né# radiologico:# non# è# evidente# macroscopicamente;# può# essere# reperta# o# nel# contesto# di#
biopsie# eseguite# per# altri# motivi# o# se# (raramente)# si# associa# microcalcificazioni$ endoluminali$ visibili#
all’imaging,#per#la#cui#genesi#occorre#che#le#cellule#proliferanti#producano#un#abbondante#secreto#che#
chela#poi#i#sali#di#calcio.#In#questo#caso#è#indicata#la#biopsia#perché#le#microcalcificazioni#possono#asso@
ciarsi#anche#a#lesioni#più#a#rischio.#
E’#una#lesione$benigna#classificata#come#B2$(è#come#se#avessimo#una#mammella#che#risente#di#più#del@
lo#stimolo#ormonale).#
• Rischio$e$terapia.#Alcuni#dicono#che#il#rischio#di#carcinoma#a#15#anni#aumenta#di#1,5#rispetto#alla#popo@
lazione# generale,# ma# non# tutti# sono# d’accordo# (forse# solo# nella# variante# florida).# Il#VPP$ per$ cancro# è#
dello# 0%.# Pertanto,# la# donna# continua# con# il# followGup$ radiologico# legato# all’età# (non# è# indicata#
l’escissione#chirurgica).#
#
IPERPLASIA$DUTTALE$ATIPICA$(ADH)$
• Morfologia.#L’iperplasia$duttale$atipica$è#una#lesione#caratterizzata#da#iperplasia$duttale#(con#un#pat@
tern#talvolta#solido#talvolta#cribrato),#le#cellule#sono#però#atipiche#e#molto#simili#a#quelle#del#carcinoma#
intraduttale#di#basso#grado:#iniziano#a#essere#presenti,#in#parte#e#in#basso#grado,#il#monomorfismo#e#
l’atipia#nucleare,#inoltre#le#cellule#perdono#il#loro#orientamento#all’interno#del#dotto.#
A#differenza#del#carcinoma,#le#dimensioni#sono#di#1G2$mm:#queste#lesioni#non#sono#diffuse#e#tendono#a#
essere#confinate#a#1@2#dotti.#Le#cellule#mioepiteliali#possono#essere#mantenute,#perché#la#lesione#è#nel#
dotto,#quindi#l’elemento#esterno#(mioepiteliale)#può#essere#indenne.#
In#sintesi#può#essere#considerata#una#forma$di$passaggio#tra#l’iperplasia#duttale#ed#il#carcinoma#intra@
duttale# di# basso# grado;# come# già# detto:# morfologicamente- è- quasi- impossibile- distinguerlo- dal- carci@
noma#intraduttale#di#basso#grado,#esistono#delle#peculiarità#morfologiche#che#sono#delle#finezze#anche#
per#gli#addetti#ai#lavori;#la#differenza!è"quindi"individuabile"nella#quantità$di$dotti$interessati.#
# #
• Clinica$e$diagnosi.#Questa#lesione#è#il#più#delle#volte#un#incidentaloma,#in#quanto#non#dà#segno#di#sé#
né#clinico,#non#forma#un#nodulo,#né#radiologico,#ma#delle#volte#ci#possono#essere#microcalcificazioni.#
Non#dà#segno#di#sé#altrimenti.#E’#una#lesione#classificata#come#B3.#
Se#viene#reperta#come#incidentaloma#nel#contesto#di#una#biopsia#eseguita#per#altri#motivi,#non#si#è#in#
grado#di#risolvere#il#problema#di#diagnosi$differenziale$tra$iperplasia$e$carcinoma,#che#si#pone#in#base#
alla#quantità#di#dotti#interessati;#in#altre#parole#non#è#detto#che#nella#biopsia#sia#presente#tutta#la#le@
sione:#in#tal#caso#siamo#davanti#a#un’iperplasia,#se#invece#al#di#fuori#della#biopsia#(quindi#nella#paziente)#
c’è#gran#parte#della#lesione#si#è#in#presenza#di#un#carcinoma.#Pertanto,#per#non#sbilanciarsi#si#pone#dia@
gnosi#di#“proliferazione#intraduttale#epiteliale#atipica”#e#ci#si#riserva#di#risolvere#il#problema#di#diagnosi#
differenziale#dopo#l’escissione#chirurgica#(indicata#in#entrambi#i#casi,#di#iperplasia#o#carcinoma,#perché#
la#lesione#è#atipica):#nel#50%#dei#casi#si#fa#poi#diagnosi#di#lesione#maligna.#
• Terapia$ e$ rischio.#E’#indicata#l’escissione$ chirurgica$ conservativa:#se#non#si#trovano#altre#lesioni#si#fa#
follow@up#stringente,#altrimenti#si#procede#con#l’intervento#chirurgico#adatto.#Aumenta#il#rischio#a#15#
anni#di#insorgenza#bilaterale#di#carcinoma#di#4G5$volte$rispetto#alla#popolazione#generale;#il#VPP$di$canG
cro$è$del$41%:#in#4#casi#su#10#quando#facciamo#l’escissione#troviamo#una#lesione#più#grave#(carcinoma#
intraduttale,#carcinoma#infiltrante).##
#
LESIONI$CHE$NASCONO$DAL$LOBULO$
#
Studiamo#le#lesioni#che#nascono#dal#lobulo,#sia#benigne#sia#maligne.#
#
LESIONI$INTRALOBULARI$
Il#lobulo#è#formato#da#un#duttulo$terminale#che#si#sfiocca#in#tanti#acini,#separati#da#uno#stroma#specializza@
to:# queste# strutture# formano# l’unità# duttulo@lobulare# terminale# (TDLU);# il# lobulo# può# proliferare# in# varie#
maniere:#per#esempio#possono#proliferare#le#cellule#luminali#acinari,#fino#ad#occludere#il#lume#dell’acino;#in#
questo#caso#possiamo#avere:#
• iperplasia$lobulare$atipica#(ALH),#in#passato#LIN1#(LIN#sta#per#lobular#intraepithelial#neoplasia,#neo@
plasia#lobulare#in#situ)#
• carcinoma$lobulare$in$situ$variante$classica#(LCIS),#in#passato#LIN2,#
• carcinoma$lobulare$in$situ$variante$pleiomorfa,#in#passato#LIN3.#
La#proliferazione,#nel#LIN1#e#nel#LIN2,#è"formata"da"cellule$monomorfe#(tutte#uguali#tra#di#loro)#e#con$bassa$
atipia$cellulare;#invece#nel#LIN3#le#cellule#diventano#più#polimorfe$ed$atipiche.#
Tutte#le#lesioni#lobulari#(in#situ#o#infiltranti)#sono#accumunate#da#un’alterazione#genetica,#ovvero#la#muta@
zione#somatica#del#gene$CDH1#che#codifica#per#la#EGcaderina,#una#proteina#che#insieme#alle#catenine#garan@
tisce# l’adesione# tra# cellule.# Quindi# in# queste# lesioni# le# cellule# perdono# la# loro# adesività# e# sono# negative#
nell’85%#dei#casi#all’immunoistochimica#per#la#E@caderina#(perché#è#mutata);#nel#restante#15%#a#essere#mu@
tata#è#la#B@catenina.#
Queste# lesioni# danno# raramente# segno# di# sé# clinico# o# radiografico:# sono# soprattutto# incidentalomi,# con#
l’eccezione#del#carcinoma#lobulare#in#situ#variante#pleiomorfa#che#può#formare#più#spesso#delle#microcalci@
ficazioni.#
Studiamole#nel#dettaglio.#
• Iperplasia)lobulare)atipica#(LIN1).#La#proliferazione,#di#cellule#monomorfe#e#con#bassa#atipia,#riem@
pie#il#lume#degli#acini#che#però#non$sono$dilatati#dalla#proliferazione,#hanno#dimensioni$conservate$
(per# più# del# 50%).# Dà# raramente# segno# di# sé# (incidentaloma):# non# forma# un# nodulo,# raramente# è#
associata#a#microcalcificazione.#
E’#un#B3.#Il#rischio#a#15#anni#di#insorgenza#di#carcinoma#è#aumentato$di$4G5$volte#rispetto#alla#popo@
lazione#generale;#il#VPP$di$cancro#è#del#20%.#E’#indicata#l’escissione$chirurgica$conservativa$seguita#
da#un#follow@up#stringente#con#RMN.#
#
• Carcinoma) lobulare) in) situ) (classico)# (LIN2).# La# proliferazione,# di# cellule# monomorfe# e# con# bassa#
atipia,##occupa#completamente#tutti#gli#acini,#che#sono#dilatati#dalla$ proliferazione.#Dà#raramente#
segno#di#sé#(incidentaloma):#non#forma#un#nodulo,#raramente#è#associata#a#microcalcificazione.#
E’#un#B3.#Il#rischio#a#15#anni#di#insorgenza#di#carcinoma#è#aumentato$di$8G10$volte#rispetto#alla#po@
polazione#generale;#il#VPP$di$cancro#è#del#50%#circa.#E’#indicata#l’escissione$chirurgica$conservativa$
seguita#da#un#follow@up#stringente#con#RMN;#non#si#può#togliere#del#tutto#la#lesione#perché#nel#60@
70%#dei#casi#le#lesioni#sono#multifocali#e#nel#50@60%#dei#casi#sono#bilaterali:#per#annullare#il#rischio,#
e#negli#USA#si#fa#così,#occorrerebbe#la#bimastectomia#sottocutanea#con#ricostruzione.#
# #
#
• Carcinoma)lobulare)in)situ)(pleiomorfo)#(LIN3).#Le#cellule#che#proliferano#non#sono#tutte#uguali#fra#
di#loro#ma#polimorfe,#e#presentano#atipia$cellulare$di$alto$grado;#la#proliferazione#diffonde#verso#i#
dotti#che#originano#dal#lobulo#in#cui#la#lesione#si#sviluppa#(ma#non#è#un#carcinoma#intraduttale:#per@
ché#queste#cellule#hanno#scarsa#coesività#tra#di#loro).#E’#un#po’#più#frequente#la#presenza#di#microG
calcificazioni,#perché#le#cellule#proliferano#molto,#ci#può#essere#necrosi#centrale#e#deposito#di#sali#di#
calcio.#
Va#trattato#come#un#carcinoma#intraduttale#di#alto#grado:#presenta#infatti#alterazioni#genetiche#ti@
piche#delle#lesioni#di#alto#grado#della#mammella,#ovvero#mutazioni#a#k@RAS,#HER2,#p53,#che#aumen@
tano#il#potenziale#infiltrativo;#è#un#B5a#su#biopsia.#E’#indicata#pertanto#la#resezione$chirurgica$della$
lesione$con$margini$liberi#e#la#radioterapia#adiuvante#(QUART;#la#RT#diminuisce#di#molto#la#recidi@
va);#ricordiamo#che#quando#un#carcinoma#intraduttale#recidiva,#se#avviene,#nel#50%#dei#casi#recidiva#
in#quella#zona#diventando#infiltrante.#
#
LESIONI$A$CELLULE$COLONNARI$
Le# lesioni$ a$ cellule$ colonnari# (modificazione# o# iperplasia# a# cellule# colonnari)# nascono# nell’unità# duttulo@
lobulare#terminale#(TDLU)#e#sono#caratterizzate#da#modificazioni$ degli$ acini,#che#diventano#più$ grandi#(in#
numero#uguale#o#minore)#e#con#un#epitelio#con#metaplasia$colonnare:#le#cellule#diventano#più#alte#e#con@
tengono#una#gocciola$di$secreto#nel#versante#apicale#(che#forma#un#“cap”,#cioè#una#specie#di#cappello),#in@
dicativa#delle#importanti#capacità#secernenti#della#lesione#e#della#possibilità#di#formare#microcalcificazioni#
(la#goccia#di#secreto#rilasciata#nel#lume#chela#sali#di#calcio#e#si#formano#microcalcificazioni).#
Queste#cellule#metaplasiche#possono#formare:#
• un#monostrato#di#cellule:#si#parla#di#modificazione#a$cellule$colonnari#(le#cellule#mioepiteliali#sotto@
stanti#sono#sempre#presenti),#
• più$strati$di#cellule:#si#parla#di#iperplasia#a$cellule$colonnari.#
Distinguiamo#da#un#punto#di#vista#classificativo#e#prognostico:#
• una#forma$tipica,#che#rientra#nelle#lesioni#B2;#
• una#forma$ atipica,#se#le#cellule#presentano#una#bassa#atipia;#rientra#nelle#lesioni#B3.#Nella#pratica#
clinica#le#lesioni#atipiche#(iperplasia#e#modificazioni#a#cellule#colonnari)#sono#inserite#in#un’unica#ca@
tegoria#diagnostica#di#“atipia$epiteliale$piatta”#(FEA,#flat#epitelial#atipia):#ci#sono#2@3#strati#di#cellule#
piatte.#
In#questa#lesione,#il#lobulo#di#presenta#deformato#e#perde#la#chiara#demarcazione.#
#
E’#una#lesione#associata#alla#mastopatia$fibrocistica$(soprattutto#la#forma#tipica);#si#riscontra#più#spesso#del@
le#altre#lesioni#da#un#punto#di#vista#strumentale#in#quanto#sono#spesso#presenti#a#livello#radiologico#microG
calcificazioni.#Invece#da#un#punto#di#vista#clinico#queste#lesioni#non#sono#apprezzabili#alla#palpazione.#
Il#trattamento#delle#forme#tipiche#(B2),#in#cui#non#aumenta#il#rischio#di#cancro,#prevede#il#followGup;#quello#
delle#forme#atipiche#(B3),#in#cui#il#rischio#a#15#anni#aumenta#di#4@5#volte#rispetto#alla#popolazione#generale#e#
il#VPP#di#cancro#è#del#20%,#prevede#l’escissione$ chirurgica$ conservativa#seguita#da#un#follow@up#più#strin@
gente.# Se# durante# il# follow@up# della# FEA# ci# sono# recidive# bisogna# prendere# in# considerazione# due# ipotesi:#
un’altra#escissione#chirurgica#conservativa#o#la#mastectomia#profilattica#con#ricostruzione;#la#scelta#va#fatta#
in#base#al#numero#delle#recidive#e#all’ammontare#del#tessuto#rimosso#o#potenzialmente#da#rimuovere.#
#
ADENOSI$SCLEROSANTE$
• Morfologia.# L’adenosi$ sclerosante$ è# una# delle# più# frequenti# lesioni$ benigne$ dell’unità$ duttuloG
lobulare$terminale#(TDLU).#E’#caratterizzata#dalla#proliferazione$degli$acini$(aumento#di#numero#di#aci@
ni#nel#lobulo),#che#restano#di#dimensioni#simili#o#leggermente#ridotte#(a#differenza#delle#lesioni#lobulari#
in#cui#può#aumentare#di#dimensioni);#la#proliferazione#di#entrambi$i$citotipi$dell’acino$(cellule$luminali$
e$mioepiteliali)$fa#sì#che#gli#acini#crescano#in#numero#in#maniera#organoide,#ricordando#il#lobulo#da#cui#
derivano:#quest’ultimo#di#conseguenza#diventa#più#grande,#disorganizzato#e#con#deposito$di$stroma$fiG
broso#in#mezzo#agli#acini.#Infatti#questa#proliferazione#è#accompagnata#da#sclerosi,#che#può#schiacciare#
gli#acini#proliferanti#fino#a#renderli#allungati#e#con#un#lume#appena#evidente#al#centro#(diventano#dei#
cordoni#di#cellule).#
# #
A#volte#non#si#riesce#a#capire#se#la#proliferazione#è#benigna#o#maligna,#perché#a#volte#c’è#un#aspetto#
pseudoinfiltrativo;#in#questo#caso#è#fondamentale#l’immunoistochimica#per#identificare#i#due#citotipi:#
se#sono#compresenti#la#lesione#è#benigna,#altrimenti#è#un#carcinoma.#In#particolare#si#utilizzano#anti@
corpi#anti@p63,#una#proteina#nucleare#espressa#dalle#cellule#mioepiteliali.#
• Clinica$e$diagnosi.#Da#un#punto#di#vista#clinico#la#lesione,#poiché#non#forma#noduli,#non#è#né#visibile#né#
palpabile.#Alla#mammografia#di#solito#non#si#vede,#ma#può#manifestarsi#a#volte#con#microcalcificazioni$
endoluminali$(perché#può#essere#rilasciato#nel#lume#un#po’#di#secreto)#o#come#una#distorsione$parenG
chimale#(zona#maggiormente#fibrotica#rispetto#al#tessuto#limitrofo).#Nella#maggior#parte#dei#casi#si#trat@
ta#quindi#di#un#incidentaloma.#La#lesione#è#benigna#e#viene#classificata#come#B2;#può#essere#associata#
alla#mastopatia#fibrocistica#proliferativa.#
• Terapia$e$rischio.#Non#aumenta#il#rischio#di#cancro#a#15#anni#rispetto#alla#popolazione#generale#e#il#VPP#
di#cancro#è#dello#0%#(non#c’è#il#cancro#nella#zona#perilesionale).#Ci#si#limita#pertanto#al#follow@up#a#cui#è#
sottoposta#la#popolazione.#
#
NODULO$SCLEROGELASTOTICO$(RADIAL)SCAR,$CICATRICE$RADIALE)$
• Morfologia.#Il#nodulo$scleroGelastotico#(radial#scar)#è#una#lesione#benigna#caratterizzata#dalla#prolife@
razione#degli#acini#(aumento#del#numero#degli#acini#nel#lobulo)#che#tende#ad#estendersi#in#maniera#raG
diale#nel#circostante#tessuto#mammario#fibroadiposo.#Il#core#di#questa#lesione#è#scleroGelastotico,#ca@
ratterizzata#quindi#da#sclerosi$(fibrosi#densa),#presenza#di#connettivo#denso#ipocellulato#molto#ricco#di#
fibre#collagene,#ed#elastosi,#ovvero#degenerazione#delle#fibre#elastiche#dello#stroma.#Gli#acini#prolife@
ranti#presentano#un#epitelio#con#due#citotipi,#che#è#un#importante#indice#di#benignità#che#dirime#la#dia@
gnosi#differenziale#con#il#carcinoma#(a#cui#questa#lesione#assomiglia#da#un#punto#di#vista#clinico,#radio@
logico#e#macroscopico).#
# #
Macroscopicamente#il#pezzo#operatorio#è#denso,#netto,#spicolato#(lesione$stellata)#e#può#sembrare#un#
cancro#(in#cui#la#densità#della#lesione#è#determinata#dalla#reazione#connettivale#desmoplastica#secon@
daria#all’infiltrazione#del#parenchima);#anche#microscopicamente#osserviamo#un#core#sclero@elastotico#
(con#l’EE,#la#sclerosi#è#rosa#e#ipocellulata,#l’elastosi#appare#come#bande#grigiastre),#in#cui#sono#immersi#
picco$dotti#sbilenchi,#schiacciati#e#plurimi,#che#si#portano#con#atteggiamento#pseudoinfiltrativo#alla#pe@
riferia,# dove# troviamo# dotti# con# lesioni# a# cellule# colonnari# o# iperplasia# (l’infiltrazione# è# assente,# altri@
menti#parleremmo#di#carcinoma).#
Anche# radiologicamente# assomiglia# molto# a# un# cancro:# osserviamo# una# lesione# spicolata# (stellata)# e#
radio@opaca#(bianca),#da#qui#il#nome#radial)scar$(“cicatrice#radiale”,#che#è#fuorviante#perché#questa#le@
sione#non#è#associata#a#precedenti#traumi#o#interventi#chirurgici).#
• Clinica$e$diagnosi.#Da#un#punto#di#vista#clinico#è#rilevabile#palpatoriamente#un#nodulo#duro#e#la#mam@
mografia#mostra#un#aspetto#molto#probabilmente#maligno.#E’#solo#il#reperto#bioptico#di#due#citotipi#dif@
ferenti#a#smentire#l’ipotesi#diagnostica#di#carcinoma#(nel#carcinoma#tubulare#ci#sono#solo#cellule#epite@
liali#luminali).#Questa#lesione#viene#classificata#come#B3.#
• Terapia$e$rischio.$Il#rischio#a#15#anni#di#cancro#bilaterale#è#aumentato#di#2#volte#rispetto#alla#popolazio@
ne#generale;#se#i#noduli#sono#multipli#o#se#lesione#è#sopra#il#cm#(si#parla#in#quest’ultimo#caso#di#lesione$
sclerosante$ complessa)#il#rischio#a#15#anni#aumenta#a#3#(leggermente#aumentato).#Il#VPP#di#cancro#è#
sempre#del#12%.#E’#pertanto#indicata#l’escissione$ chirurgica$ conservativa$ seguita#da#follow@up;#si#sta#
cercando#di#fare#VAB#terapeutico#o#solo#follow#up.#
#
3.$LESIONI$MALIGNE:$CARCINOMI$
#
Nel#95%#dei#casi#sono#le#cellule#epiteliali#luminali#che#danno#origine#al#cancro.#In#un#5%#il#cancro#può#insor@
gere#anche#dalle#cellule#mioepiteliali#(carcinoma#miobasale).#
Poiché#ogni#lesione#ha#una#propria#storia#naturale#di#cui#vetrino#è#una#sola#istantanea,#all’interno#delle#le@
sioni#classificate#come#carcinoma#possiamo#distinguere#tre#tipi#di#storia#naturale#della#lesione:#
• carcinoma$ intraduttale$ puro$ (20@25%):#la!lesione'è'in'tutta'la'sua'estensione'confinata'all’interno'
dei$dotti.$Sono$lesioni$che$hanno$acquisito$capacità$proliferativa,$ma$non$ancora$quella$infiltrativa,#
e#per#questo#si#espandono#all’interno#dei#dotti,#senza#evaderne,#sostituendosi#al#normale#epitelio#
duttulare,#
• carcinoma$infiltrante$con$componente$intraduttale$(60%):#alcune#cellule#all’interno#di#un#carcino@
ma# infiltrante# puro# hanno# acquisito! capacità' infiltrative.' Un' pezzo' anatomopatologico' di' questo'
genere#si#presenta#con#zone#in#cui#è#presente#l’infiltrazione#e#altre#in#cui#è#assente,#
• carcinoma$infiltrante$ab)initio)(10@15%):#in#questo#caso#il#pezzo#anatomopatologico#presenta#aree#
di#infiltrazione#senza#una#vera#e#propria#componente#intraduttale#d’accompagnamento.#
Non#c’è#quindi#una#netta#dicotomia#tra#carcinoma#intraduttale#puro#e#carcinoma#infiltrante#ab#initio:#emer@
ge,#al#contrario,#che#il#quadro#borderline#è#quello#più#frequente.#Una#volta#che#il#cancro#diventa#infiltrante,#
cioè# quando# viene# superata# la# membrana# basale,# lo# stroma# reagisce# con# la# reazione# desmoplastica:# una#
proliferazione# di# fibroblasti# che# producono# tanto# collagene# (per# questo# il# cancro# è# di# consistenza# duro@
lignea).#
#
CARCINOMA$INTRADUTTALE$
$
Il#carcinoma$intraduttale#è#l’estremo#maligno#delle#proliferazioni$intraduttali#(così#come#il#carcinoma#lobu@
lare#in#situ#variante#pleiomorfa#è#l’estremo#maligno#delle#proliferazioni#acinari):#è#una#lesione#maligna#in#si8
tu.#Rappresenta#il#20G25%#dei#carcinomi#mammari:#questa#percentuale#è#in#aumento#a#causa#del#migliora@
mento#delle#tecniche#diagnostiche#e#della#crescente#sensibilità#delle#donne.#
L’incidenza#è#di#32,5#per#100mila#donne/anno.#
!#
Clinica$e$imaging$
Nella#maggior#parte#dei#casi#il#carcinoma#intraduttale"puro"dà"manifestazione"di"sé#con#microcalcificazioni,#
soprattutto#nei#gradi#più#bassi,#perché#il#secreto#in#eccesso#chela#il#calcio,#invece#nei#gradi#più!alti%c’è%necroG
si;#oggi#riusciamo#ad#identificare#microcalcificazioni#fino#ai#100#micron#di#diametro.#
Raramente,#solo#nel#10%#dei#casi,#forma#un#nodulo:#può#formarlo#nella#sua#variante#papillare,#e#in#alcune#
altre#varianti.#
porta alla loro graduale dilatazione e accorciamento, fi- neoplastici, che chiaramente si vedono insorgere en-
no alla loro fusione in una cavità unica. Quello che al trambi nei lobuli, ai quali corrispondono anche com-
microscopio appare come una sezione trasversa di un portamenti biologici diversi. Di particolare interesse è
dotto, in realtà è la sezione di una sfera o, meglio, di un lo stretto rapporto fra ciascuno di essi e un diverso tipo
tozzo cilindro costituito dallo svolgimento del lobulo e di MMTV: il virus MMTV-C3H dà luogo a neoplasie
dalla dilatazione del dotto terminale (Figure 17.8 e endocrino-indipendenti e con alta capacità metastatica,
17.9). Al contrario, nei carcinomi lobulari in situ que-
In#assenza#di!microcalcificazioni+e+noduli,+è+molto+difficile+identificare#tale#lesione#anche#con#la#RM,!che$è$la$
mentre il virus MMTV-RIII dà luogo a tumori morfo-
sto processo non ha luogo, per cui la struttura del lobu- logicamente di altro tipo, con bassa frequenza di meta-
metodica#più#sensibile#di#tutte:#l’unico#altro#segno#alla#RM#da#cercare,#in#assenza#dei#precedenti,#è#un#auG
lo è ancora riconoscibile. stasi e caratterizzati da ormonodipendenza. Come fu
mento$focale$della$vascolarizzazione,#marcatore#indiretto#di#un#aumento#della#proliferazione#in#quella#zo@
na.#
a b
#
Gestione$e$trattamento$
Necrosi. Un CDIS con necrosi centrale prende il lesione, si causa la fuoriuscita del materiale necrotico
Nella#gestione#della#lesione,#fatta#la#diagnosi#di#carcinoma#intraduttale#(che#non#ha#possibilità#di#metastatiz@
nome di comedocarcinoma. Comedòne indica i densi accumulato nei “dotti”, sotto forma di comedoni.
aggregati vermiformi, tipici dell’acne, che sbucano
zare),# bisogna# asportare# la# lesione# con# un# trattamento$dai Il comedocarcinoma si differenzia
radicale# (es.# la# tecnica# QUART:# dagli altri istotipi
quadrantectomia#
dotti escretori delle ghiandole sebacee alla spremitura per l’alto grado di atipia nucleare. Su questa base è pos-
(senza#asportazione#dei#linfonodi)#e#radioterapia#adiuvante).#
della cute. Il termine deriva dalla parola latina comédo, sibile classificare le lesioni duttali in situ in comedocarci-
Il#che
problema#
significa è,# poiché# non# è# detto# che#
“mangione”,“ghiottone”, tutti#
poiché ini#tem-
focolai# di# carcinoma#
noma e CDIS non intraduttale# abbiano# dato# segno# di# sé,#
comedocarcinoma.
pi lontani si riteneva che gli aggregati prima ricordati Atipia. Il grado di atipia nucleare nei CDIS può va-
asportare# la# lesione# nella# sua# interezza;# pertanto,# quando# arriva# il# pezzo# chirurgico# all’anatomo@patologo#
fossero vermi che si nutrissero del materiale accumula- riare da lieve a moderato a grave, sulla base dell’entità del-
occorre:#
to nella pelle. Spremendo una porzione di mammella le differenze di forma e di dimensioni. Un concetto or-
• confermare#che#ci#sia#il#carcinoma#intraduttale#puro,#e#che#escludere#l’infiltrazione,#campionando#la#
sezionata in corrispondenza di un’area contenente la mai stabile è che nella maggior parte dei casi la patoge-
lesione#nel#quadrante#(non#si#studia#tutto#il#pezzo#in#ogni#suo#mm,#occorrerebbe#troppo#tempo;#e#
questo#è#un#limite:#pertanto#la#diagnosi#non#è#mai#di#certezza,#ma#probabilistica):#bisogna#stare#at@
a b
tenti#in#quello#di#alto#grado,#in#cui#occorre#un#campionamento#più#stringente,#a#causa#del#rischio#del#
15%#che#già#ci#sia#invasione;#
• eseguire#uno#studio$estensivo$e$dettagliato$dei$margini$chirurgici.#
Dopo#la#radioterapia#segue#il#follow@up;#il#rischio#di#recidiva#è#dell’1@2%#se#il#lavoro#è#fatto#bene.#Se#il#tumo@
re#recidiva,#nella#metà#dei#casi$(50%)#recidiva#come#infiltrante:#in#quest’ultimo#caso#la#probabilità#di#guari@
gione#non#è#certa,#si#dice#che#la#paziente#(nonostante#il#trattamento#radicale)#va#in#remissione#clinica#non#
guarisce,#in#quanto#c’è#la#probabilità#del#15@20%#di#recidiva.#
Lo#studio#del#linfonodo#sentinella#è#indicato#nelle#lesioni#di#alto#grado#o#di#basso#grado#ma#molto#grandi,#
FIGURA 17.12 Lesioni papillari.
perché# in# queste# aumenta# la# probabilità# di# microinfiltrazione.# L’estemporanea# non# si# può#
a) Papilloma. fare# perché#
La lesione è ben i#
contenuta nel lume del dotto; a
margini#sono#adiposi#e#si#tagliano#molto#male.# maggior ingrandimento si note-
rebbe la presenza degli assi e
Per#quanto#riguarda#la#profilassi,#la#forma$ genetica#è#quella#BRCA1/BRCA2Gpositiva#e#rappresenta#circa#il#
l’assenza di atipie. b) Carcino-
5%#del#totale;#per#questa#si#può#prendere#in#considerazione#la##mastectomia$profilattica##(ovviamente#bila@
ma papillare infiltrante; a sinistra
si osservano le vegetazioni pa-
terale).#Per#tutte#le#altre#forme#di#familiarità#il#discorso#è#molto#più#complesso#e#va#valutato#caso#per#caso,#
pillari nel lume; a destra si nota
anche#se#nelle#forme#non#genetiche#di#familiarità#il#rischio#è#relativamente#basso.# l’infiltrazione neoplastica dello
stroma intorno al dotto.
#
Fattori$prognostici$ 1034
I#fattori#prognostici#del#carcinoma#papillare#sono:#
• dimensioni$molto$grandi/estensione,$
• stato$dei$margini#di$resezione:#sarebbe#necessaria#una#distanza#dai#margini#di#2#mm#o#più#(se#<#2#
mm#l’intervento#non#è#buono),#
• grado$ nucleare.#Il#carcinoma#di#basso#grado#prolifera#di#meno#ed#è#bassa#la#probabilità#di#trovare#
metastasi#linfonodale,#che#aumenta#al#15%#nel#grado#nucleare#alto#(up#grading):#in#questo#caso#la#
lesione#prolifera#molto#(si#fa#quadrantectomia#ed#RT#post@operatoria,#QUART,#o#mastectomia#nipple#
sparing,#con#risparmio#del#capezzolo;#in#questo#ultimo#caso#si#fa#l’estemporanea#su#cono#retroareo@
lare).#Però,#come#già#detto,#mentre#i#carcinomi#di#alto#grado#sono#nel#95%#dei#casi#solitari,#quelli#di#
basso#grado#sono#multipli#o#addirittura#bilaterali#in#una#percentuale#di#casi#non#irrilevante,#
• presenza$di$necrosi$e$pattern$architetturale.$La#necrosi#è#correlata#con#la#presenza#di#microcalcifi@
cazioni# e# con# il# grado# nucleare# e# può# essere# classificata# in# 2# tipi:# una# necrosi# centrale# tipo# come@
docarcinoma#quasi#sempre#associata#a#lesioni#di#alto#grado;#oppure#una#necrosi#focale#il#più#delle#
volte#associata#ad#una#lesione#di#grado#medio,$
• giovane$ età:$ più#una#donna#è#giovane#più#il#tumore#ha#tempo#per#recidivare#o#per#sviluppare#una#
seconda#lesione#primitiva,$
• presenza$di$obiettività$clinica,$
• fattori$biopatologici:$solitamente#le#lesioni#di#basso#grado#esprimono#quasi#sempre#i#recettori#degli#
estrogeni.# Alcuni# sostengono# l’utilità# di# un’ormonoterapia# preventiva# anche# dopo# asportazione# di#
carcinoma#intraduttale#per#aiutare#ad#evitare#recidive.#Non#tutti#sono#d’accordo.$
#
CARCINOMA$INFILTRANTE$
$
Il#carcinoma$infiltrante$della$mammella#inizialmente#era#considerato#una#malattia#locale#da#trattare#in#ma@
niera# molto# demolitiva;# poi# Veronesi# comprese# che# non# era# una# malattia# locale# ma#sistemica,# quindi# si# è#
Gallo passati#a#una#minima#terapia#efficace#sempre#più#conservativa,#con#la#quadrantectomia.#La#cute#il#più#delle#
17.qxd 4-10-2007 13:43 Pagina 1033
volte#viene#risparmiata#e#il#gesto#demolitivo#è#seguito#da#un#gesto#ricostruttivo#(operato#dal#chirurgo#plasti@
co).#
Poi#ci#si#è#resi#conto#che#non#era#necessario#togliere#sempre#tutti#i#linfonodi:#con#l’evoluzione#delle#tecniche#
Patologia neoplastica
di#indagine#strumentali#si#è#visto#che#nel#70%#dei#casi#i#linfonodi#tolti#erano#negativi#ed#è#stata#sviluppata#la#
tecnica#del#linfonodo$sentinella.#Da#un#punto#di#visto#prognostico#si#è#visto#che#nel#follow@up#a#6@7#anni#la#
sopravvivenza#è#quasi#la#stessa#(se#togliamo#il#linfonodo#sentinella#o#tutti#i#linfonodi).#
a b
FIGURA 17.10 Prime fasi dell’invasione tumorale. a) Gruppi di cellule alla periferia di un carcinoma duttale in situ esprimono
il recettore per la laminina; il legame del recettore con la laminina della mebrana basale rappresenta il segnale per la produ-
zione delle proteasi necessarie per la lisi della parete del dotto. b) Un gettone di cellule neoplastiche (frecce doppie) ha appe-
na attraversato la breccia (frecce singole), uscendo dal lume del dotto per invadere lo stroma circostante.
#
$
$ Vengono distinte forme in situ e forme infiltranti. Le mente sezioni trasversali di dotti mammari. Come pre-
$ seconde costituiscono circa il 70-85% delle diagnosi di cisato in precedenza, esse non sono altro che dotti ter-
carcinoma mammario, mentre le prime rappresentano minali e lobuli dilatati, che, in seguito a un processo di
il restante 15-30%. svolgimento, si sono trasformati in sfere o in strutture
Di carcinoma in situ, come si è già visto prima, si rico- simil-duttali. Il loro lume è pieno di cellule epiteliali
noscono due tipi: neoplastiche, il cui graduale accumulo ha causato la di-
– duttale, che ne costituisce circa l’80%; latazione delle TDLU. Le cellule possono presentarsi
Gallo 17.qxd 4-10-2007 13:43 Pagina 1037
CLASSIFICAZIONE$WHO$
Il#carcinoma#infiltrante#della#mammella#è#una#neoplasia#molto#diffusa#che#dal#punto#di#vista#morfologico#si#
classifica# secondo# delle# precise$ correlazioni$ anatomoGcliniche# (es.# se# il# carcinoma# è# tubulare,# la# donna# è# Patologi
guarita).#
La#classificazione#WHO#distingue:#
• carcinoma$duttale$o$non)special)type#(NST;#o#car@
cinoma#duttale#infiltrante#o#non#altrimenti#specifi@
cato):#è#il#più#diffuso#e#rappresenta#il#60%#dei#casi#
del#cancro#della#mammella,#
• carcinoma$ lobulare$ infiltrante:#è#un#istotipo#spe@
ciale#(special$type)#la#cui#incidenza#sta#aumentan@
do# (30%).# E’# caratterizzato# da# un’alterazione# del#
Gallo 17.qxd 4-10-2007 13:43 Pagina 1037
rado17.21
FIGURA con areeCarcinoma
di necrosi midollare. Le aree più
e di emorragia, chiarecon
anche so- for- Carcinoma mucinoso
no formate dalle cellule neoplastiche, voluminose, strettamen-
mazione di piccole pseudocisti. La superficie di taglio si
te aderenti fra loro, con nuclei molto atipici. Le aree più scu- Caratteri microscopici. Il tumore è formato da vasti “la-
re solleva, in quanto,
corrispondono ad un con il taglio,
infiltrato il nodulo,
infiammatorio che cresce in
linfocitario. ghi” di materiale mucinoso, nel quale “galleggiano”
modo espansivo, viene a essere liberato dalla compres- piccoli gruppi di cellule neoplastiche. Le cellule perdo-
sione esercitata dal tessuto circostante. Clinicamente, i no la normale polarità funzionale, per cui producono
solide, dovedella
caratteri mantengono stretti rapporti
sua consistenza intercellulari,
e dei suoi margini ricor- mucina lungo tutta la loro superficie, riversandola all’e-
talidano
da dare l’impressioneIl di
il fibroadenoma. suoformare un sincizio.
nome deriva Lo me-
dal latino sterno. L’accumulo del secreto causa il sovvertimento
stroma è assente o, al massimo, molto scarso,
dulla, che indica qualcosa di importante che mentre
è benècon- dell’architettura e porta ad atrofia le stesse cellule che
frequente un infiltrato infiammatorio, moderato o in-
servato all’interno di una struttura, come il midollo l’hanno prodotto, che, per questo motivo, possono es-
tenso, di linfociti e plasmacellule, sia nel contesto della
osseo o il midollo spinale. Poiché queste strutture sono sere pochissime (Figura 17.22). Una componente in-
popolazione neoplastica, che alla periferia della lesione.
di consistenza
Il margine è netto,molle, delicata,
rivelando in sensodi traslato
una crescita “midol-
tipo espan-
traduttale può completare il quadro, con qualunque dei
lare”
sivo assume
(Figura anche questo significato.
17.21). suoi istotipi (solido, cribroso ecc.). Il carcinoma muci-
Caratteri
Caratteri bio-molecolari.
macroscopici. Il carcinoma
Alla sezione midollare
del tessuto asporta-viene
FIGURA 17.21nel Carcinoma deimidollare. Le di
aree piùbasale,
chiare come
so-
toinserito gruppo
chirurgicamente, il tumorecarcinomi
si presenta tipo
come un no-
no formate dalle cellule neoplastiche, voluminose, strettamen- FIGURA 17.22 Carcinoma mucinoso, gelatinoso. Le cellule
FIGURA 17.20 Carcinoma tubulare. Le cellule neoplastiche te si vedrà
dulo
aderenti meglio
fra nella
ben circoscritto,
loro, con condescrizione
una
nuclei molto della
consistenza
atipici. classificazione
molle,
Le aree piùse-
scu- sono riunite in isolotti dispersi in un materiale amorfo, chia-
formano soltanto tubuli, immersi in uno stroma fibroso. molecolare deladcarcinoma mammario. Lalinfocitario.
sua frequen-
condaria
re alla mancanza
corrispondono o scarsità
un infiltrato
za è particolarmente elevata fra i tumori eredofamilia-
dello stroma,
infiammatorio non di ro, costituito da mucina.
#
Anche# nell’era# della# biologia# molecolare# continua#
ri da mutazioni ad#BRCA.
dei geni avere# senso# fare# 1038 tutte# queste# distinzioni# istologiche#
solide, dove mantengono stretti rapporti intercellulari,
perché,# indipendentemente# dalle# caratterizzazioni# genetiche# e# molecolari,# queste# categorie# morfologiche#
Carcinoma
tali da dare mucinoso
l’impressione di formare un sincizio. Lo
stroma è assente
Caratteri o, al massimo,
microscopici. Il tumoremolto scarso, da
è formato mentre è
vasti “la-
sono# nella# maggior# parte# dei# casi# informative#
frequente
ghi” di un sulla#
infiltrato
materiale prognosi#
infiammatorio,
mucinoso, moderato
nel quale della#
o in-paziente.# Va# anche# detto# però# che#
“galleggiano”
tenso, di linfociti
piccoli gruppi di e plasmacellule, sia nel Le
cellule neoplastiche. contesto
cellule della
perdo-
l’identificazione#di#alcuni#istotipi#non#è#così#dirimente#da#un#punto#di#vista#prognostico:#ci#sono#infatti#alcuni#
popolazione neoplastica,
no la normale polaritàche alla periferia
funzionale, per della lesione.
cui producono
Il margine è netto, rivelando una crescita di tipo espan-
mucina lungo tutta la loro superficie, riversandola all’e-
istotipi#più#ambigui;#al#contrario,#nei#casi#in#cui#l’istotipo(è(riconosciuto#come#a#prognosi#favorevole,#esso#
sivo (Figura
sterno. 17.21). del secreto causa il sovvertimento
L’accumulo
“vince”#anche#sull’atipia#cellulare#(“cioè:&se&ho&un&istotipo&che&ha&prognosi&favorevole,&importa&relativamen@
dell’architettura
Caratteri e porta
macroscopici. Alla ad atrofia
sezione delletessuto
stesse cellule
asporta-che
to l’hanno prodotto, ilche,
chirurgicamente, per questo
tumore motivo,
si presenta comepossono
un no-es- FIGURA 17.22 Carcinoma mucinoso, gelatinoso. Le cellule
te#poco#che#abbia#un#grado#elevato#o#che#non#esponga#recettori#per#gli#estrogeni,#la#prognosi#rimane#co@
sereben
dulo pochissime
traduttale
circoscritto, con 17.22).
(Figura Una componente
una consistenza molle, se-in- sono riunite in isolotti dispersi in un materiale amorfo, chia-
condaria allapuò completare
mancanza il quadro,
o scarsità dellocon qualunque
stroma, non didei ro, costituito da mucina.
munque&più&favorevole,&rispetto&ad&un&istotipo,&magari&di&grado&intermedio,&che&però&è&risaputamente&più&
suoi istotipi (solido, cribroso ecc.). Il carcinoma muci-
1038
aggressivo”).#
FIGURA 17.21 Carcinoma midollare. Le aree più chiare so-
no formate dalle cellule neoplastiche, voluminose, strettamen-
# te aderenti fra loro, con nuclei molto atipici. Le aree più scu-
re corrispondono ad un infiltrato infiammatorio linfocitario.
TRATTAMENTO$
Gli#interventi$chirurgici#indicati#per#il#carcinoma#mammario#infiltrante#sono:#
solide, dove mantengono stretti rapporti intercellulari,
tali da dare l’impressione di formare un sincizio. Lo
stroma QUART,#
• è assente o, al massimo, molto scarso, mentre è
frequente un infiltrato infiammatorio, moderato o in-
mastectomia#semplice,#
tenso,•di linfociti e plasmacellule, sia nel contesto della
popolazione neoplastica, che alla periferia della lesione.
• èmastectomia#con#risparmio#di#cute,#
Il margine netto, rivelando una crescita di tipo espan-
sivo (Figura 17.21).
• mastectomia#con#conservazione#di#cute#e#capezzolo,#
Caratteri macroscopici. Alla sezione del tessuto asporta-
to chirurgicamente, il tumore si presenta come un no-
• mastectomia#con#linfoadenectomia#ascellare#(indicata#in#prima#battuta#se#i#linfonodi#sono#positivi#
dulo ben circoscritto, con una consistenza molle, se-
FIGURA 17.22 Carcinoma mucinoso, gelatinoso. Le cellule
sono riunite in isolotti dispersi in un materiale amorfo, chia-
condaria allaall’ecografia#e/o#alla#biopsia#fatta#prima#dell’intervento),#
mancanza o scarsità dello stroma, non di ro, costituito da mucina.
1038
• linfonodo#sentinella.#Quando#non#è#indicata#in#prima#battuta#la#linfoadenectomia#ascellare,#si#stu@
dia#il#linfonodo$sentinella,#ovvero#il#primo#linfonodo#che#drena#la#linfa#dalla#zona#della#neoplasia.#
Esso# deve# essere# individuato# grazie# a# trac@
cianti# radiomarcati,# prelevato# in# sede# opera@
toria 4 #e# studiato# nella# sua# interessa# per#
escludere# la# presenza# di# micro@# o# macrome@
tastasi.#Il#razionale#è#che#se#il#linfonodo#senti@
nella#è#negativo,#nel#98%#dei#casi#non#c’è#in@
teressamento# degli# altri# linfonodi;# al# contra@
rio# se# è# positivo,# c’è# una# probabilità# del# 70@
75%#che#altri#linfonodi#siano#positivi. #
I#problemi#sono#due:#
• studiare#con#campionamento$estensivo#e#bene#la#neoplasia#infiltrante,#che,#grazie#alla#reazione#de@
smoplastica,#è#ben#evidente#anche#macroscopicamente#come#un#nodulo#a#margini#stellati#o#com@
pressivi,#biancastro,#con#steatonecrosi#sul#margine:#c’è#una#sottile#rima#in#periferia#del#nodulo#di#co@
lore#giallo@arancio,#che#si#distingue#dal#tessuto#adiposo#più#pallido.#
Invece# nell’intraduttale# si# può# avere# difficoltà# a# evidenziare#la# neoplasia,# che# solo# nel# 10@20%# dei#
casi# fa# noduli:# di# solito# le# cellule# corrono# nei# dotti,# a# volte# vediamo# pallini# giallo@ocra# per# necrosi#
centrale.#
Bisogna#campionare#il#nodulo#che#è#eterogeneo,#anche#dal#punto#di#vista#molecolare:#questa#etero@
geneità#è#uno#dei#problemi#più#importanti#ed#è#più#importante#per#le#neoplasie#grandi#(ma#anche#
neoplasie#al#di#sotto#del#cm#presentano#eterogeneità#in#alcuni#parametri#importanti#da#cui#dipen@
dono#terapia#e#prognosi),#
• studio$ accurato$ dei#margini,#che#devono#essere#liberi:#dopo#averli#colorati#con#inchiostro#di#china#
(prima#del#processamento)#non#bisogna#vedere#il#tumore#colorato#con#l’inchiostro#di#china#(no#inch#
in#tumor);#il#margine,#per#l’intraduttale,#deve#essere#libero#di#2#cm.#
Nei# carcinomi# infiltranti,# dopo# l’intervento# chirurgico# bisogna# programmare# sempre# la# terapia$ sistemica#
sulla# base# del# referto# anatomo@patologico,# che# deve# contenere# lo# studio# di# tutti# i# fattori# prognostico@
predittivi#del#tumore#(v.#dopo).#
L’oncologo#infatti,#proprio#sulla#base#del#referto#anatomo@patologico,#decide#se#utilizzare#l’ormono@terapia#
(in#base#all’espressione#recettoriale),#la#terapia#con#farmaci#citotossici#(grande#problema#per#l’oncologo)#e#
la#targeted#therapy#(dipende#dall’iperespressione#e/o#amplificazione#di#HER2,#presente#nel#14@18%#dei#casi).#
L’oncologo#può#fare#chemioterapia:#
• primaria#(neoadiuvante,$ovvero#prima#dell’intervento),#se#la#malattia#è#in#stadio#early#ma#avanzato,#
di#grandi#dimensioni#e#con#linfonodi#presi,#o#in#caso#di#parametri#che#suggeriscono#la#scomparsa#to@
tale#della#neoplasia,#o#per#testare#in#vivo#l’efficacia#della#terapia,#
• adiuvante,#dopo#l’intervento#chirurgico.#
#
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
4!Il#linfonodo#sentinella#non#è#facile#da#identificare.#Oggi#si#utilizza#il#Tecnezio99#(si#sta#valutando#l'utilizzo#del#verde#di#
indocianina)#il#quale#si#inietta#la#sera#prima#e#ci#permette#di#evidenziare#il#linfonodo#sentinella#il#giorno#successivo#du@
rante#l'intervento#attraverso#l’utilizzo#di#un’apposita#macchinetta#che#emette#un#segnale#acustico#quando#si#trova#nel@
le#prossimità#del#linfonodo.#Bisogna#asportare#il#linfonodo#sentinella,#ma#dobbiamo#anche#vedere#se#intorno#ci#sono#
altri#linfonodi#megalici#e#duri;#questo#perché#può#verificarsi#che#se#il#linfonodo#sentinella#è#massivamente#metastatico,#
la#linfa#radiattiva#trova#il#linfonodo#sentinella#intasato#dalla#neoplasia#e#bypassa#il#linfonodo#sentinella#stesso#raggiun@
gendo#quello#successivo.#Il#problema#è#quindi#nell'identificazione#del#vero#linfonodo#sentinella#perché#potrei#identifi@
care#come#linfonodo#sentinella#quello#che#ha#raccolto#la#linfa#radioattiva#bypassando#il#vero#linfonodo#sentinella,#che#è#
quello#massivamente#metastatico!#Se#il#chirurgo#è#bravo#deve#asportare#il#linfonodo#che#ha#raccolto#la#linfa#radioattiva#
e#deve#anche#verificare#se#ci#sono#altri#linfonodi#sospetti#(che#si#presentano#lignei#e#megalici);#nel#caso#in#cui#questi#ci#
fossero,#deve#asportarli#e#farli#analizzare.#Il#linfonodo#sentinella#poi#deve#essere#analizzato,#non#basta#solo#asportarlo!!
FATTORI$PROGNOSTICOGPREDITTIVI$DEL$CARCINOMA$INFILTRANTE$
Come#già#detto#i#fattori$prognosticoGpredittivi#nel#carcinoma$infiltrante$della$mammella$early#(non#meta@
statico#a#distanza;#si#intende#il#parametro#M#e#non#quello#N,#che#corrisponde#alle#metastasi#ai#linfonodi#lo@
co@regionali),#devono#essere#contenuti#all’interno#del#referto#anatomo@patologico#per#orientare#l’oncologo#
nel# trattamento.# Invece,# nel# carcinoma# metastatico# la# prognosi# dipende# dalla# metastasi,# ma# è# comunque#
infausta:#non#c’è#nessuna#neoplasia#metastatica#guaribile.#
Ricordiamo#che:#
• un#parametro$prognostico$è#un#parametro#che,#al#di#là#delle#cure#che#si#fanno,#incide#sulla#prognosi#
a#parità#di#altri#parametri.#I#parametri#morfologici#sono#prognostici;#
• un#parametro$predittivo#è#un#parametro#che#predice#invece#la#risposta$alla$terapia#prevista;#
• un#parametro$prognosticoGpredittivo,$ha#entrambe#le#caratteristiche:#la#sua#presenza#è#per#esem@
pio#un#fattore#prognostico#negativo,&però&allo&stesso&tempo&un#fattore#predittivo#positivo.#
#
Parametri$prognostici$del#carcinoma$infiltrante$della$mammella$early$
Tranne#i#primi#due#i#parametri,#gli#altri#li#fornisce#l’anatomo@patologo#e#da#essi#dipendono#la#prognosi#e#la#
terapia;#essi#sono:#
• età,$
• razza,$
• dimensioni$ del$ tumore:#un#tempo#fondamentali,#hanno#perso#molto#della#loro#importanza#con#la#
scoperta#di#altri#fattori#prognostico@predittivi.#Oggi#peraltro,#la#maggior#parte#dei#tumori#è#di#piccole#
dimensioni,# grazie# ai# progressi# dello# screening.# Questo# parametro# resta# molto# importante# per# le#
neoplasie#eclatanti,#al#di#sopra#dei#2$cm#(<15%);#un#tumore#di#dimensioni#molto#grandi#invece#(es.#7#
cm),#molto#probabilmente#è#già#metastatico,#e#in#questo#caso#la#prognosi#dipende#dalla#metastasi,#
• istotipo,#fondamentale#(v.#classificazione).#Hanno#una#prognosi#migliore#gli#istotipi#tubulare,#muci@
noso,#cribriforme.#Al#contrario,#per#esempio,#c’è#una#variante#dell’NST#(“carcinoma#duttale#infiltran@
te# G3# con# estensiva# necrosi/sclerosi# centrale”)# in# cui# c’è# un’estensiva# parte# centrale# necrotica# o#
sclerotica:#è#un#cancro#estremamente#aggressivo,#triplo#negativo#(per#i#recettori#ormonali#e#HER2),#
ha#un’attività#proliferativa#del#70@90%;#a#3#anni#la#sopravvivenza#è#del#5%,#alla#diagnosi#presenta#già#
metastasi#encefaliche#o#polmonari.#E’#quello#con#la#prognosi#peggiore#di#tutte,#
• stato$ linfonodale,# ha# un’importanza# perché# le#
recidive$ a$ 10$ anni# nelle# pazienti# con# linfonodi#
positivi#(N+)#sono#del#60G70%,#in#quelle#con#lin@
fonodi# negativi# (N@)# sono# del# 20G30%;# cambia#
anche# se# ci# sono# macrometastasi# (># 2# mm)# o#
micrometastasi#(0,2@2#mm)5.#
Il# linfonodo# sentinella# è# fondamentale,# bisogna#
studiare# tutto# il# linfonodo# sentinella# o# con# tec@
niche# istologiche# o# con# OSNA# (metodica# auto@
matica,# che# studia# le# metastasi# identificando# il#
numero# delle# citocheratine# 19:# lisa# completa@
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
5!La#tendenza##attuale#degli#oncologi#è#quella#di#non#andare#a#rioperare#una#paziente#che#presenta#micrometastasi#a#
livello#del#linfonodo#sentinella#se#presenta#parametri#che#permettono#di#attuare#un#certo#tipo#di#terapia;#altre#volte#
invece#l'oncologo#è#indeciso#sulla#terapia#e#decide#di#proseguire#con#lo#svuotamento#del#cavo#ascellare.#Ciò#dipende#
essenzialmente#dalle#caratteristiche#del#tumore#e#da#quanto#influisce#la#presenza#di#micrometastasi#sulla#prognosi#e#
mente#il#linfonodo#e#analizza#le#citocheratine;#a#seconda#del#numero#di#copie#possiamo#dire#se#sia@
mo#davanti#a#macro@#o#micrometastasi)6. #
Questo#parametro#è#anche#importante#per#valutare#se#fare#o#meno#la#chemioterapia:#
o fino$a$3$linfonodi$positivi#per#metastasi#(pN1)#l’indicazione#alla#chemioterapia#dipende#dagli#al@
tri#parametri;#
o da$4$linfonodi$positivi$(pN2:#4@10#linfonodi#positivi;#oltre#i#10:#pN3),#indipendentemente#dagli#
altri#parametri,#si#aggiunge#la#chemioterapia.#
Tutto#questo#è#riferito#allo#studio#dei#linfonodi#ascellari;#i#linfonodi#mammari#interni#non#vengono#
studiati#di#norma,#spesso#sono#negativi#e#il#loro#studio#non#è#agevole#(solo#se#si#hanno#neoplasie#dei#
quadranti#interni#potrebbero#essere#positivi).#
• grado#(secondo#Elston@Ellis),#si#applica#a#tutti#i#carcinomi#mammari#infiltranti;#si#basa#sulla#valuta@
zione#di#tre#parametri,#con#un#punteggio#da#1#a#3#per#ogni#parametro#e#poi#sommando#i#punteggi:#
1) capacità$della$neoplasia$di$formare$ghiandole#(>#75%:#1#punto;#10@75%:#2#punti;#<10%:#3#pun@
ti);#parametro#morfologico@strutturale,#
2) atipia$nucleare#(nuclei#simili#a#quelli#normali:#1#punto;#nuclei#molti#diversi,#grandi#e#polimorfi:#3#
punti;#grado#intermedio:#2#punti);#parametro#morfologico@strutturale,#
3) numero$di$mitosi#(0@7:#1#punto,#8@15:#2#punti,#da#16:#3#punti;#le#mitosi#si#studiano#su#10#campi#
ad#alto#ingrandimento#400x,#ma#in#base#agli#oculari#dobbiamo#calibrare);#parametro#funziona@
le.#
Si#fa#poi#la#somma#(se#3@5:#G1,#6@7:#G2,#8@9:#G3).#Il#grado#impatta#sulla#sopravvivenza$a$10$anni#sen@
za#la#terapia:#83%$per$il$G1,$59%$per$il$G2,$42%$per$il$G3;#pertanto#è#un#importante#parametro#pro@
gnostico,#
• invasione$vascolare$linfatica#(soprattutto)#o$ematica,#
visibile# all’ematossilina@eosina# in# zona$ peritumorale$
(cioè# al# di# fuori# del# tumore# nel# parenchima# mamma@
rio):#questa#invasione#vascolare#correla#molto#bene#sia#
con#la#probabilità#di#recidiva$locale,#sia#con#la#sopravG
vivenza,#sia#negli#N0#sia#(secondo#gli#ultimi#studi)#negli#
N+.#E’#importante#segnalare#anche#le#invasioni#vasco@
lari#del#circolo$linfatico$superficiale$del$derma$(infatti#
quando# un# tumore# molto# infiltrante# arriva# al# derma#
senza#creare#ulcerazioni#cutanee,#può#invadere#anche#
i# dotti# linfatici),# da# trattare# con# la# radioterapia# in#
quanto# c’è# elevata# probabilità# che# la# malattia# meta@
statizzi#a#livello#cutaneo.#
#
Parametri$predittivi$del#carcinoma$infiltrante$della$mammella$early$
I#parametri$predittivi#del#carcinoma#infiltrante#della#mammella#early#sono:#
• Ki67:#è#un#antigene$di$proliferazione$nucleare,#espresso#da#tutte#le#cellule#che#non#sono#in#fase#G0#
del#ciclo#cellulare#(in#massima#quantità#dalle#cellule#in#G2,#M#ed#S,#in#minori#quantità#dalle#cellule#in#
tarda#fase#G1).#
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
6!Questo#metodo#può#essere#fallace#in#quanto#esistono#delle#alterazioni#embriogenetiche#(rare)#nella#quali#si#hanno#
inclusioni#epiteliali#benigne#citocheratina#19#positive#(tessuto#mammario#e#linfonodi#ascellari#sono#a#stretto#contatto),#
potrei# quindi# avere# una# falsa# positività.# Rimane# comunque# un# metodo# valido# e# alternativo# al# metodo# istologico# in#
quanto#solo#l'1%#dei#linfonodi#presenta#questa#alterazione.#
Lo# studio# con# l’immunoistochimica# di# Ki67# consente#
quindi# di# valutare$ l’attività$ proliferativa,# che# si# cor@
rela#direttamente#con#la#risposta$della$neoplasia$alla$
chemioterapia;# la# chemioterapia# (CHT)# infatti# è# effi@
cace#solo#sulle#cellule#che#stanno#proliferando:#più#le#
cellule# sono# attive,# più# la# chemioterapia# può# essere#
efficace,#però#la#neoplasia#è#più#aggressiva:#
o se#Ki67>30%#si#fa#la#CHT,#
o tra#20@30%#si#valutano#altri#parametri,!#
o se#<20%#non#si#fa#CHT#a#meno#che#non#ci#sia#im@
pegno#linfonodale#importante,#
• stato$ recettoriale$ (ER$ e$ PgR).# Nel# 70%# dei# casi# le# cellule# neoplastiche# del# carcinoma# mammario#
esprimono#i#recettori#nucleari#per#gli#estrogeni#e/o#il#progesterone#(gli#estrogeni#stimolano#la#proli@
ferazione#delle#cellule#neoplastiche).#
La# positività# di# questi# recettori# rappresenta# un# fattore# prognostico# relativamente# debole# (soprat@
tutto#il#progesterone),#ma#attualmente#il$più$forte$fattore$predittivo:#infatti#c’è#correlazione#tra#po@
sitività#ormonale#e#risposta$alla$terapia$ormonale#(con#tamoxifene,#modulatore#selettivo#del#recet@
tore#per#gli#estrogeni,#o#inibitori#dell’aromatasi,#che#impediscono#la#trasformazione#degli#androgeni#
in#estrogeni);#questa#terapia#adiuvante#permette,#dopo#l’intervento,#di#bersagliare#le#cellule#ormo@
no@sensibili#in#circolo#che#si#sono#distaccate#dalla#neoplasia#e#che#potrebbero#causare#una#recidiva:#
nel# dettaglio# il# tamoxifene# impedisce# che# gli# ormoni# si# leghino# a# queste# cellule# e# che# quindi# esse#
proliferino.#La#terapia#è#indicata#per#5#anni#dopo#l’intervento,#nelle#donne#con#positività#a#questi#re@
cettori.#
Occorre# pertanto# studiare# lo# stato# recettoriale# con# l’immunoistochimica;# generalmente,# una# neo@
plasia#positiva#per#gli#estrogeni#si#colora#diffusamente,#una#positiva#per#il#progesterone#si#colora#a#
macchia#di#leopardo#(ci#sono#aree#che#esprimono#questo#recettore#e#altre#che#non#l’esprimono).#
Le#risposte#all’ormono@terapia#sono#buone:#nelle#neoplasie#ER+#e#PgR+#sono#del#60@70%,#in#quelle#
ER+#e#PgR@#del#40%#e#in#quelle#ER@#e#PgR@#del#5%.#
Tra#i#due#il#progesterone#ha#anche#valenza#prognostica#(seppur#debole):#le#neoplasie#con#ER+#e#PgR@#
hanno#prognosi#peggiore#di#quelle#recettore@positive,#
• HER2.#Il#gene$HER2#codifica#per#un#recettore$di$membrana$dell’EGF#(EGFR),#espresso#normalmente#
nelle#cellule#epiteliali#e#importante#per#la#crescita#e#la#differenziazione;#in#particolare,#in#presenza#
del#ligando,#questo#recettore#etero@#o#omodimerizza#e#attiva#la#trasduzione#del#segnale.#In#questa#
neoplasia#HER2,#che#è#normalmente#espresso,#può#essere#iperespresso#(invece#delle#normali#1000#
copie#per#cellula#sono#espresse#1M#di#copie#per#cellule)#a#causa#dell’amplificazione#del$gene:#que@
sto#causa#una#spontanea#dimerizzazione,#indipendente#dal#ligando#(dovuta#alla#vicinanza#di#questi#
recettori#sulla#membrana),#quindi#l’avvio#non#regolato#della#trasduzione,#che#determina#un#aumen@
to#del#vantaggio#proliferativo,#della#resistenza#all’apoptosi#e#della#motilità#cellulare.#
Il# 15@20%# dei# carcinomi# mammari# presenta# l’amplificazione# di# HER2:# questa# iperespressione# è# un#
fattore$ prognostico$ negativo#ma,#al#contempo,#un#fattore$ predittivo$ positivo;#infatti#questa#neo@
plasia#risponde#meglio#alle#terapie#con#antracicline#e#taxani#e#risponde#molto#bene#al#Trastuzumab$
(Herceptin),# inibitore# di# HER2# che# ha# rivoluzionato# la# terapia# del# carcinoma# della# mammella# (nel#
2001#in#Italia#è#iniziata#la#terapia#col#Trastuzumab;#da#poco#è#in#commercio#anche#il#Pertuzumab,#
inibitore#di#HER2#e#di#HER3).#
Per#studiare#l’iperespressione#di#HER2#ci#si#avvale#dell’immunoistochimica,#in#particolare#dello#HerG
cepGtest:#si#sfida#con#l’anticorpo#monoclonale#anti@HER2#(Trastuzumab)#il#preparato#istologico,#che#
può#essere:#
o 0:#totalmente$negativo,#
o 1+:#negativo,#in#cui#le#membrane#plasmatiche#di#meno#del#10%#delle#cellule#sono#parzialmente#
colorate#con#intensità#debole#o#moderata,#
o 2+:# equivoco,# ho# più# del# 10%# delle# cellule# neopla@
stiche# con# membrana# citoplasmatica# colorata# to@
talmente,#con#una#colorazione$lieve$o$moderata.#In#
queste# neoplasie# occorre# la# biologia# molecolare#
(FISH)#per#evidenziare#l’amplificazione#del#gene#sul#
braccio# lungo# del# cromosoma# 17,# che# si# ritrova# in#
un#20%#dei#casi#(questo#esame,#di#difficile#interpre@
tazione,#deve#essere#svolto#da#centri#di#II#livello),#
o 3+:#positivo,#più#del#10%#delle#cellule#neoplastiche#hanno#una#membrana#plasmatica#comple@
tamente#positiva#con#un’intensità$forte.#
Serve#che#la#valutazione#di#HER2#sia#svolta#da#centri#che#vedono#molti#casi#(almeno#250#di#immu@
noistochimica,#e#100#di#FISH),#che#abbiamo#apparecchiature#per#allestire#i#preparati,#che#gli#opera@
tori#siano#dedicati,#e#che#ci#sia#la#partecipazione#a#controlli#di#qualità#(che#verificano#l’aderenza#al#
dato#di#letteratura#dell’incidenza#e#la#concordanza#tra#operatori).#
#
BIOLOGIA$MOLECOLARE$DEL$CARCINOMA$INFILTRANTE#(per#l’esame#i#concetti#chiave)#
Da#quanto#detto#si#deduce#facilmente#che#il#moderno#orientamento#della#oncologia#clinica#è#di#affiancare#
alla#chemioterapia#farmaci#in#grado#di#trasformare#il#cancro#in#una#malattia#cronica:#mentre#da#un#lato#si#
cerca#di#uccidere#le#cellule#neoplastiche,#dall’altro#si#blocca#la#crescita#di#quelle#che#residuano.#Questo#ap@
proccio&è&ben&giustificato&dal&convincimento#che#al#momento#è#difficile#riuscire#a#eliminare#tutte#le#cellule#
tumorali#presenti,#soprattutto#dopo#la#nascita#della#sempre#più#radicata#ipotesi#delle#cellule#staminali#neo@
plastiche.#
Per#poter#sviluppare#e#applicare#su#larga#scala#la#“terapia$molecolare”,#è#necessario#che#vengano#conosciu@
te# le# vie# molecolari# dei# vari# gruppi# di# neoplasie,# definiti# sulla# base# non# tanto# dei# loro# caratteri# istologici#
quanto# del# loro# comportamento# clinico,# per# poi# poter# individuare# quelle# che# caratterizzano# il# tumore# del#
singolo#paziente.#
Un# approccio# molto# usato# in# questo# tipo# di# ricerca# consiste# nell’analisi$ dell’espressione$ genica,# al# fine# di#
capire#quali#geni#siano#iperespressi#o#ipoespressi#o#non#modificati#nella#loro#espressione#nel#passaggio#fra#
normale#e#tumore,#fra#tumore#in#situ#e#tumore#metastatizzante#o#fra#gruppi#di#istotipi#diversi.#La#tecnologia#
utilizzata#è#quella#dei#microarray#o#microchip#o#chip#di#espressione,#attraverso#la#quale#è#possibile#analizza@
re#su#un#piccolo#supporto#migliaia#di#geni.#
La#mole#complessiva#dei#dati#da#esaminare#rende#indispensabile#il#ricorso#alla#bioinformatica,#che#consente#
di#rapportare#il#comportamento#di#gruppi#di#geni#a#specifici#parametri#(quali#l’istotipo#o#la#risposta#alla#tera@
pia#o#la#sopravvivenza#ecc.).#
Questo#filone#di#studi#ha#aperto#la#strada#verso#la#definizione#di#una#classificazione#molecolare#dei#tumori,#e#
appare#particolarmente#promettente#per#quanto#riguarda#il#carcinoma#mammario.#
Sulla#base#del#profilo#molecolare,#Perou#e#altri#proposero#nel#2000#di#classificare#i#carcinomi#della#mammel@
la#in#rapporto#alla#cellula#di#origine#e#ad#alcune#caratteristiche#biologiche.#
#
#
Vengono#distinti#almeno#quattro#gruppi:#
• tumore$luminali$A$e$B,$
• tumore$normal)breast)like,$
• tumore$basal)like,$
• tumore$HER2+.$
Dai#nomi#utilizzati#si#deduce#facilmente#che#per#quattro#di#essi#viene#proposto#un#rapporto#con#normali#tipi#
di#cellule#della#mammella:#le#cellule#epiteliali#che#rivestono#il#lume#ghiandolare#(luminali),#le#cellule#che#so@
no#in#posizione#basale#nell’epitelio#ghiandolare#(basali,#che#comprendono#cellule#sia#epiteliali#che#mioepite@
liali)#e#cellule#connettivali,#come#gli#adipociti.#
Si#è#poi#cercata#una#correlazione#con#l’immunofenotipo,#ovvero#di#collocare#in#queste#categorie#le#lesioni##in#
base#ai#parametri#che#si#studiano#con#l’immunoistochimica#(ER,#PgR,#HER2,#Ki67):#questo#ci#consente#di#uti@
lizzare# queste# categorie# senza# ogni# volta# utilizzare# le# tecniche# di# biologia# molecolare# per# la# diagnosi# e# la#
classificazione#della#lesione.#E’#emerso#che:#
• i#tumori$luminali,#che#derivano#dalle#cellule#luminali,#possono#essere#divisi#in#luminali#A#e#B.#La#loro#
caratteristica#principale#è#l’espressione#di#geni#dei#recettori#degli#estrogeni.#In#dettaglio:#
o nei#luminali$A#c’è:#
! estrema#positività#ai#recettori#ormonali#(90%),#
! positività#al#Ki67#inferiore#al#15@20%,#
! HER2#negativo;#
o nei#luminali$B:#
! i#recettori#ormonali#possono#avere#una#positività#un#po’#più#bassa#e#il#PgR#a#volte#può#es@
sere#negativo,#
! HER2#può#essere#positivo#o#negativo,#
! Ki67#può#essere#sempre#alto.#
• i#tumori$HER2+#(10%)#sono#HER2+,#con#Ki67#alto#e#recettori#ormonali#negativi,#
• i# tumori$ basal) like# (10%)# presentano# citocheratine# tipiche# delle# cellule# basali# mioepiteliali,# tutti# i#
recettori# (ER,# PgR# ed# HER2)# sono# negativi# (tripli# negativi)# e# il# Ki67# è# alto# (80@90%);# ci# può# essere#
spesso#la#mutazione#di#BRCA1#e#possono#essere#positivi#a#HER1.#Hanno#una#attività#proliferativa#al@
tissima.#I#basal#like#si#intersecano#per#il#90%#con#i#tripli#negativi,#
• i# tumori$ normal) breast) like# sono# invece# un# errore# di# campionamento# (causato# dall’inclusione# di#
troppo#materiale#normale#che#ha#inquinato#i#risultati).#
Per#quanto#riguarda#la#prognosi,#dal#migliore#al#peggiore#abbiamo:#Luminale#A,#di#Luminale#B,#HER2+#che#
che#è#uguale#al#basal@like#(ma#con#il#Trastuzumab#la#prognosi#di#HER2+#è#paragonabile#a#quella#dei#luminali#
A).#
In# altre# parole,# gli# aspetti# certamente# più# interessanti# di# questo# nuovo# modo# di# classificare# i# tumori# sono#
quelli#dei#rapporti#con#la#prognosi#e#con#il#comportamento#di#geni#di#particolare#rilevanza:#
• prognosi:"la"prognosi"è"nettamente"superiore"per"i"luminali"in"rapporto"ai"basali/HER2+,"con"il"tipo"A"
in#vantaggio#rispetto#al#B;#
• gene) p53:#le#mutazioni#di#p53#sono#frequenti#nei#carcinomi#mammari#e#correlano#con#la#prognosi;#
ebbene,#la#percentuale#dei#casi#con#mutazione*di*p53*è*solo*di*circa*il*15%*nei*luminali*A,*per*salire*
rapidamente#negli#altri#tipi,#raggiungendo#ben#il#75%#nel#basale#e#l’85%#nell’HER2+;#
• gene)BRCA1:!come%si%è%visto%in%precedenza,%i%geni%BRCA%sono%responsabili%della%trasmissione%eredita8
ria#di#rischio#di#carcinoma#della#mammella;#i#tumori#da#alterazioni#di#BRCA1#appartengono#in#larga#
parte#al#gruppo#dei#carcinomi#basali#e,#come#tali,#hanno#una#elevata#frequenza#di#mutazioni#di#p53;#
inoltre,#compare#spesso#il#tipo#midollare.#
La#situazione#è#molto%dinamica,%per%cui%sarà%necessario%un%tempo%alquanto%lungo%per%poter%arrivare%a%una%
classificazione+con+prospettive+di+una+certa+stabilità+temporale.#
Il#cancro#mammario#si#può#anche#suddividere#in#due#grandi#gruppi#distinti:#
• lesioni$di$basso$grado#che#nascono#dalle#lesioni#preneoplastiche:#sfociano#nel#Luminale#A#e#in#parte#
nel#luminale#B.#Quasi#mai#facciamo#chemioterapia#ma#sempre#ormonoterapia:#nell’80@85%#dei#casi#
si#ha#la#guarigione,#in#alternativa#non#danno#recidive/metastasi#a#distanza#entro#i#5#anni.#Ma#a#10@
20#anni#possiamo#avere#recidive#a#distanza,#
• lesioni$di$alto$grado:#partono#dall’intraduttale#di#alto#grado;#sono:#basal#like,#HER2+#e#luminali#B#più#
cattivi.#Facciamo#tutte#le#terapie;#se#non#abbiamo#recidive#e#metastasi#a#distanza#entro#5#anni#pos@
siamo#dire#che#la#donna#è#guarita#(sono#rare#le#metastasi#dopo#10#anni).#
C’è# anche# correlazione$ anatomoGbiologica:# il# carcinoma# secretorio# è# triplo# negativo,# il# low@grade# adeno@
squamous#carcinoma#è#triplo#negativo#(è#difficile#che#dia#recidiva#locale).#
Quando# il# carcinoma# recidiva# può# cambiare$ lo$ stato$ recettoriale,# soprattutto# se# c’è# eterogeneità# all’atto#
della#diagnosi#di#HER2#ma#anche#perché#sono#state#fatte#terapie:#se#si#può#si#rifà#biopsia.#
#
4.$TUMORI$STROMALI$E$ALTRI$TUMORI$
#
Come%è%già#stato#precisato,#nella#mammella#vi#sono#due#tipi#di#stroma,#quello#interlobulare,#più#denso,#e#
quello# intralobulare,# delicato,# con# caratteri# mixoidi.# Neoplasie# del# tutto# diverse# possono# derivare# da# en@
trambi#i#tipi:#
• neoplasie$dello$stroma$intralobulare:#se#ne#riconoscono#due#tipi,#il#fibroadenoma#e#il#tumore#filloi@
de#(v.#dopo).#Sono#lesioni#proliferative#nodulari#tumorali#della#mammella#miste$o$composte$o$bifaG
siche,#ovvero#quelle#lesioni#che#comprendono#una#parte#epiteliale#e#una#stromale,#
• neoplasie$dello$stroma$interlobulare.#Qualsiasi#altro#tipo#di#neoplasia#mesenchimale#può#insorgere#
nello#stroma#della#mammella,#sia#benigna,#che#maligna,#quali#lipomi#e#liposarcomi,#fibromi#e#fibro@
sarcomi,#angiomi#e#angiosarcomi,'e'così'via.'Come'in'genere#accade#in#questa#categoria#di#tumori,#
la#via#preferita%di%disseminazione%delle%forme%maligne%è%quella%ematica,#per#cui#le#metastasi#sono#in#
genere#viscerali#e#non#linfonodali.#
Possono#comunque#essere#presenti#altre#neoplasie#benigne#e#maligne,#che#possono#aver#avuto#origine#dalla#
cute#e#dai#suoi#annessi.#I#linfomi#possono#essere#primitivi#o#far#parte#di#un#quadro#sistemico.#Raramente#le#
mammelle#sono#sede#di#metastasi;#quando#questo#si#verifica,#la#neoplasia#può#essere#secondaria#a#un#car@
cinoma#mammario#controlaterale,#a#un#melanoma,#a#un#carcinoma#del#polmone.#
#
FIBROADENOMA$
E’#il#più#comune#tumore#benigno#della#mammella#femminile,#che#può#comparire#a#qualsiasi#età#lungo#la#vita#
riproduttiva#della#donna,#soprattutto#prima$ dei$ 30$ anni$ (20@30#anni)."È"una"lesione$ benigna$ bifasica,#con#
proliferazione#di#elementi#sia#stromali#che#epiteliali,#che#insorge#nella#TDLU.#
In#realtà#può#anche#essere#considerato#il#risultato#di#un#processo#iperplastico#indotto#da#una#abnorme#sti@
molazione# estrogenica# e# collocato# nell’ambito# della# displasia# mammaria.# La# presenza# di# ERα# nelle# cellule#
epiteliali# e# di# ERβ# nello# stroma# avvalora# l’ipotesi# di# ritenerlo# una# lesione# ormono@dipendente.# Eccezional@
mente,&un&fibroadenoma&può&essere#sede#di#insorgenza#di#un#carcinoma;#infatti#i#fibroadenomi#sono#stati#
originariamenti#inclusi#nella#grande#nebulosa#delle#lesioni#proliferative#“senza#atipie”,#che#conferiscono#un#
moderato#aumento#del#rischio#di#sviluppare#un#successivo#carcinoma.#
#
#
#
mammaria. La presenza di ERα nelle cellule epiteliali necrosi infartuale.
e di ERβ nello stroma avvalora l’ipotesi di ritenerlo
una lesione ormonodipendente. Eccezionalmente, un Tumore filloide
fibroadenoma può essere sede di insorgenza di un car- Anche questo è un tumore bifasico, con proliferazione
cinoma. di entrambe le componenti, epiteliale e stromale, e an-
ch’esso origina dalle TDLU.Veniva chiamato anche ci-
Caratteri microscopici. Il nodulo, ben delimitato da una stosarcoma filloide, ma questo termine è stato abbando-
capsula fibrosa che ne dimostra la crescita di tipo
Caratteri$microscopici$ nato, in quanto la neoplasia ha in genere un comporta-
espansivo, è caratterizzato da una abbondante quantità mento benigno o comunque poco aggressivo. Il ri-
Il#nodulo,#ben#delimitato#da#una#capsula$fibrosa#che!ne#dimostra#la#crescita#di#tipo#espansivo,#è#caratteriz@
di stroma, delicato, cellulato, spesso mixoide, simile al schio, infatti, è quello della recidiva locale, che viene
zato#da#una#abbondante$quantità$di$stroma,#delicato,#cellulato,#spesso#mixoide,#simile#al#connettivo#intra@
connettivo intralobulare. In questo contesto sono pre- evitato con l’esecuzione di un intervento chirurgico
senti strutture ghiandolari, che possono dar luogo a allargato o con la mastectomia, secondo le dimensioni
lobulare.#In#questo#contesto#sono#presenti#strutture$ghiandolari,#che#possono#dar#luogo#a#due#diversi#tipi#di#
due diversi tipi di architettura. Più frequentemente si del tumore e della mammella. L’asportazione dei linfo-
architettura:#
tratta di sottili fessure irregolari, arborescenti, delimita- nodi ascellari omolaterali non viene suggerita, essendo
• unforma$
te da intracanalicolare#
epitelio (più# frequente):#
cubico, talora appiattito (fibroadenomaci# sono# sottili$
molto bassafessure# irregolari,#
la possibilità di unaarborescenti,# delimitate#
diffusione metastatica.
intracanalicolare). Negli eccezionali casi di metastasi, queste sono date so-
da#un#epitelio#cubico,#talora#appiattito.#L’epitelio#è#compresso#o#deformato#dallo#stroma,#
Una seconda possibilità è quella della forma pericanali- lo dalle cellule stromali.Anche in questo caso viene de-
• dove
colare, forma$pericanalicolare:#le#ghiandole#appaiono#come#tubuli#con#lume#ben#evidente#(l’epitelio#è#cir@
le ghiandole appaiono come tubuli con lu- scritta la presenza di ERα nelle cellule epiteliali e di
me bencondato#ma#non#compresso#dallo#stroma),#
evidente (Figura 17.30). Frequente è la presen- ERβ nello stroma, anche se il fatto che nella maggior
za •di una forma mista.
forma$mista.$ Con il passare del tempo, lo parte dei casi il tumore filloide compaia nel V decennio
stroma diventa fibroso e poi scleroialino, talora con non porta a ritenerlo una neoplasia ormono-dipen-
Con#il#passare#del#tempo,#lo#stroma#diventa#fibroso#e#poi#scleroialino,#talora#con#precipitazione#di#sali#di#cal@
precipitazione di sali di calcio. dente.
cio.#
a b
Si
possono
osservare
anche
alterazioni
secondarie:
o stravasi
di
emazie,
che
lasciano
il
lume,
a
causa
del
danno
della
parete,
e
sono
spinte
nei
tes-‐
suti
circostanti
dalla
differenza
pressoria
vaso-‐tessuto.
Nelle
vasculiti
cutanee,
il
correlato
clini-‐
co
ispettivo
di
tale
stravaso
sono
le
petecchie,
porpore,
ematomi,
formate
da
un’area
emorra-‐
gica
scura,
più
o
meno
grande,
circondata
da
un
alone
rosso;
o nuclear
dust
(“frammenti
di
nucleo”):
sono
frammenti
basofili
e
ipercromatici
dei
nuclei
degli
elementi
infiammatori,
che,
dopo
aver
degranulanto
e
liberato
gli
enzimi
lisosomiali,
muoiono
e
rilasciano
questi
frammenti
nel
tessuto
e
nella
pa-‐
rete
del
vaso:
si
parla
di
leucocitoclasia
o
carioressi
(v.
fig),
o alterazione
e
rigonfiamento
dell’endotelio:
la
infiammazione
e
la
necrosi
interessano
anche
l’endotelio
che,
necrotico,
si
stacca
dalla
membrana
basale;
di
conseguenza
il
lume
viene
esposto
al
connettivo
sottoendoteliale
e
si
ha
coagulazione
dentro
il
lume
(trombosi),
con
possibile
ostruzione,
o ulcerazione
dei
tessuti
a
valle
del
vaso
interessato
e
ostruito,
se
esso
irrora
la
cute
o
le
muco-‐
se:
si
ha
ischemia
a
valle,
necrosi
e
ulcerazione;
fa
parte
di
un
circolo
terminale,
o infarto
o
necrosi
nel
parenchima
di
un
organo,
se
l’organo
ha
una
vascolarizzazione
di
tipo
terminale
(es.
circolo
coronarico;
infatti
per
esempio
è
difficile
che
un
organo
vascolarizzato
con
un
circolo
ricco
di
anastomosi,
come
l’intestino,
sviluppi
una
vasculite
che
possa
causare
un
infarto
intestinale).
• la
fase
delle
sequele
(o
tardiva
o
di
guarigione)
si
osserva
dopo
la
guarigione,
spontanea
o
indotta
da
terapia,
ed
è
caratterizzata
da
esiti
fibrotici:
soprattutto
dopo
la
terapia,
la
componente
infiam-‐
matoria
tende
a
scomparire
e
a
essere
sostituita
da
processi
riparativi;
però
il
vaso,
le
cui
pareti
so-‐
no
ricche
di
connettivo,
non
recupera
la
sua
funzione.
Si
osservano
le
seguenti
lesioni:
o laminazione
della
parete
vasale
a
buccia
di
cipolla
(onion
skinning),
dovuta
alla
deposizione
concentrica
di
collagene
attorno
al
vaso:
la
tonaca
muscolare
propria
e
l’elastica
interna
non
vengono
riparati
ma
sostituiti
da
connettivo
cicatriziale;
o obliterazione
del
lume:
il
danno
endoteliale
determina
l’attivazione
della
cascata
della
coagu-‐
lazione,
che
causa:
§ nelle
fasi
iniziali
un’occlusione
trombotica
del
lume,
e
il
trombo
può
andare
incontro
a
ri-‐
canalizzazione
oppure
a
organizzazione
(in
questo
caso
risulterà
costituito
da
tessuto
con-‐
nettivo
lasso),
§ successivamente
l’innesco
dei
processi
riparativi,
ovvero
la
formazione
del
tessuto
di
granulazione
e
la
proliferazione
dei
piccoli
vasi
e
dell’endotelio,
che
possono
obliterare
il
lume.
Questo
processo
di
invasione
del
lume
da
parte
del
tessuto
connettivo
si
chiama
endoarterite
obliterante,
e,
in
assenza
di
circoli
collaterali,
causa
un
infarto,
o perdita
della
lamina
elastica
interna,
focale
o
completa.
La
lamina
elastica
interna
è
presente
nelle
arterie
di
dimensioni
intermedie
(più
a
valle
viene
sostituita
da
una
membrana
basale,
per
permettere
gli
scambi
capillari);
in
questa
fase
si
frammenta
e
il
vaso
perde
il
suo
tono
e
quell’elasticità
importante
per
contenere
la
pressione
sanguigna.
Infatti,
un
vaso
diventa
rigido
e
incapace
di
adattarsi
ogni
volta
che
perde
la
propria
lamina
muscolare
o
la
propria
lamina
elastica;
o neovascolarizzazione
dell’avventizia
(la
tonaca
esterna
dei
vasi),
soprattutto
dei
vasi
di
medio
e
grande
calibro,
in
cui
si
osserva
un
processo
di
infiammazione
con
organizzazione.
Si
formano
nell’avventizia
dei
piccoli
capillari
privi
di
parete
muscolare,
come
se
fosse
un
tentativo
di
by-‐
passare
la
sede
della
lesione.
La
biopsia
per
diagnosticare
una
vasculite
va
fatta
quando
la
lesione
è
iniziale
e
in
assenza
di
terapia;
il
ma-‐
teriale
va
processato
per
fare
l’esame
istologico
(con
formalina)
e
l’immunofluorescenza
(congelando
il
preparato:
nel
tessuto
fissato
non
si
può
fare
immunofluorescenza
perché
i
substrati
perdono
la
reattività).
Nella
fase
tardiva
manca
un
quadro
preciso:
quello
che
si
osserva
potrebbe
essere
anche
l’esito
di
un
trau-‐
ma.
c.
FISIOPATOLOGIA:
MECCANISMI
COINVOLTI
NELLE
VASCULITI
In
base
ai
meccanismi
fisiopatologici
coinvolti,
una
vasculite
può
essere:
• immunomediata.
E’
innescata
da
una
risposta
immunitaria
contro
un
antigene
esogeno
o
endoge-‐
no,
in
cui
si
forma
un
complesso
immune
(dato
dall’associazione
dell’anticorpo,
IgM,
IgA,
IgG,
con
l’antigene)
che
attiva
il
complemento,
che
a
sula
volta
è
responsabile
del
quadro
morfologico.
Il
complemento
infatti:
favorisce
chemiotassi
mediata
da
anafilotossine,
causa
lisi
delle
cellule
e
quindi
necrosi,
attiva
la
coagulazione.
Si
depongono
IgG,
IgM,
IgA
e/o
C3
nella
parete
del
vaso
danneggiato,
nei
tessuti
circostanti
o
addi-‐
rittura
nel
lume
vasale;
in
quest’ultimo
caso
inoltre
c’è
l’attivazione,
sempre
mediata
dal
comple-‐
mento,
del
fibrinogeno
in
fibrina:
si
può
riconoscere
tale
attivazione
sia
dal
punto
di
vista
morfolo-‐
gico,
in
quanto
la
fibrina
è
eosinofila,
sia
mediante
immunoistochimica,
per
mezzo
di
anticorpi
anti-‐
fibrina/fibrinogeno.
Il
pattern
di
immunofluorescenza,
una
tecnica
che
permette
di
osservare
la
localizzazione
di
com-‐
plemento
e
immunoglobuline,
cambia
a
seconda
del
tipo
di
vasculite,
per
esempio:
o le
vasculiti
ricche
di
IgA
sollevano
il
sospetto
diagnostico
di
porpora
di
Shonlein-‐Henoch,
o quelle
con
depositi
di
immunocomplessi
ricchi
di
IgA,
IgG
e
IgM
fanno
pensare
al
LES
(in
cui
c’è
una
reazione
immunitaria
con
immunoglobuline
multiple),
o quelle
con
accumulo
di
anticorpi
anche
nel
lume
dei
vasi
fanno
pensare
alla
crioglobulinemia
(in
cui
quando
si
abbassa
la
temperatura
precipitano
degli
anticorpi
detti
crioglobuline,
che
si
depositano
sia
nella
parete
dei
vasi,
dove
danno
una
vasculite,
ma
anche
nel
lume,
formando
delle
palline
che
assomigliano
a
dei
trombi);
• pauci-‐immune
(ANCA-‐associata).
Gli
ANCA
sono
anticorpi
diretti
contro
componenti
citoplasmati-‐
che
dei
neutrofili,
che
reagiscono
all’attacco
autoanticorpale
con
la
degranulazione,
ovvero
il
rila-‐
scio
enzimi
che
causano
un
danno
morfologicamente
analogo
a
quello
delle
vasculiti
immunome-‐
diate,
ma
senza
deposizione
di
immunocomplessi.
Quindi
all’immunofluorescenza
man-‐
cano
i
complessi
immuni:
ci
sono
pochi
Ig
e/o
C3
(di
ri-‐
scontro
nella
malattia
di
Wegener,
nella
sindrome
di
Churg-‐Strauss
e
nella
Poliar-‐
trite
microscopica).
L’appellativo
“pauci-‐immuni”
deriva
proprio
da
questa
di-‐
screpanza
tra
danno
morfolo-‐
gico
e
immunofluorescenza
(che
non
mette
in
evidenza
depositi
anticorpali).
A
seconda
dell’antigene
riconosciuto,
riconosciamo
due
tipi
di
ANCA:
gli
c-‐ANCA,
diretti
contro
la
proteinasi
3
(PR3),
e
i
p-‐ANCA,
diretti
contro
la
mieloperossidasi,
un
enzima
utilizzato
dai
neutrofili
per
produrre
radicali
liberi
(sono
anticorpi
anti-‐MPO).
In
altre
parole,
ciò
che
differenzia
le
forme
ANCA-‐associate
da
quelle
causate
dal
deposito
di
im-‐
munocomplessi
è
il
fatto
che
in
questo
caso
i
neutrofili
sono
il
target
dell’azione
immunitaria,
la
quale
induce
in
essi
la
degranulazione
e
il
conseguente
rilascio
di
enzimi
lisosomiali,
mentre
nell’altro
caso
i
neutrofili
rilasciano
gli
enzimi
dopo
essere
migrati
per
chemiotassi
nel
sito
infiam-‐
matorio,
esplicando
quindi
la
funzione
per
cui
sono
richiamati;
il
risultato
pratico
è
lo
stesso:
in
en-‐
trambi
i
casi
il
danno
è
causato
dagli
enzimi
litici
rilasciati
da
queste
cellule.
d.
CLASSIFICAZIONE
DELLE
VASCULITI
Le
vasculiti
si
classificano
in
base
a
due
criteri
fondamentali:
• dimensione
del
vaso:
a
seconda
del
calibro
i
vasi
possono
avere
una
vasculite
specifica:
o vasculiti
dei
piccoli
vasi
(arteriole
precapillari
e
capillari):
sono
poliangiti
necrotizzanti,
in
cui
prevalgono
necrosi
e
fibrinoidosi,
e
un
infiltrato
caratterizzato
soprattutto
da
neutrofili
ma
an-‐
che
da
eosinofili;
distinguiamo:
ü la
granulomatosi
di
Wegener,
ü la
sindrome
di
Churg-‐Strauss,
ü la
poliangioite
microscopica,
ü la
porpora
di
Schonlein-‐Henoch,
ü la
crioglobulinemia
mista
essenziale,
ü la
vasculite
leucocitoclastica
cutanea,
o vasculiti
dei
vasi
intermedi
(tra
le
arteriole
precapillari
e
i
grossi
vasi
dell’aorta):
sono
arteriti
necrotizzanti,
sempre
caratterizzate
da
necrosi
e
fibrinoidosi.
I
vasi
intermedi
sono
i
vasi
viscerali,
come
ad
esempio
i
rami
interlobari
e
arciformi
dell’arteria
renale;
ma
anche
i
vasi
epatici,
mesenterici,
coronarici.
Le
arteriti
dei
piccoli
vasi
sono:
ü la
poliarterite
nodosa,
più
comune
alle
nostre
latitudini,
ü la
malattia
di
Kawasaki,
più
rara,
o vasculiti
dei
grossi
vasi
(aorta
e
suoi
vasi
principali:
epiaortici,
arteria
renale,
vasi
per
le
estre-‐
mità):
sono
vasculiti
granulomatose
croniche
in
cui
prevale
la
componente
istiocitaria
e
granu-‐
lomatosa.
Si
distinguono
due
forme
differenti
per
clinica,
sede
di
interessamento,
ma
sono
sovrapponibili
morfologicamente:
ü l’arterite
giganto-‐cellulare
di
Horton,
ü l’arterite
di
Takayasu.
Comunque
questa
suddivisione
è
arbitraria
e
nella
realtà
questa
distinzione
non
è
così
rigida:
non
c’è
un
cambiamento
repentino
del
lume
e
della
struttura
dei
vasi,
ma
graduale.
Ad
esempio
le
va-‐
sculiti
dei
vasi
intermedi
possono
interessare
vasi
più
grandi
o
più
piccoli.
• tipo
di
infiltrato
infiammatorio
prevalente,
che
può
essere:
o neutrofilo
(come
in
una
fase
acuta
di
una
glomerulonefrite),
o granulomatoso
(responsabile
di
una
cronicizzazione),
o linfocitico
(è
l’equivalente
di
una
GN
a
lesioni
minime
in
cui
si
hanno
linfociti
in
sede),
o eosinofilo
(non
si
ha
mai
nel
caso
delle
GN).
Quindi,
tutti
gli
elementi
tranne
i
basofili
possono
essere
reperiti
nell’infiltrato
infiammatorio.
GRANULOMATOSI
DI
WEGENER
La
granulomatosi
di
Wegener
(granulomatosi
con
poliangioite)
è
una
vasculite
dei
piccoli
vasi
c-‐ANCA
as-‐
sociata
caratterizzata
da
lesioni
infiammatorie
granulomatose
a
livello
del
polmone,
alte
vie
aeree
e
rene.
E’
caratterizzata
da
necrosi
e
fibrinoidosi
con
componente
istiocitaria.
In
particolare,
per
quanto
riguarda
i
distretti
colpiti:
• nel
polmone
la
malattia
causa
un’alveolite
emorragica,
secondaria
a
capillarite,
che
si
manifesta
con
emoftoe
ed
emottisi;
il
quadro
clinico
evolve
verso
l’insufficienza
respiratoria.
All’RX
torace
si
osservano
masse
opache
(aree
senza
aria),
dovute
al
fatto
che
la
vasculite
necrotiz-‐
zante
ostruisce
il
lume,
c’è
quindi
necrosi
su
base
ischemica
del
parenchima
polmonare
a
valle
dell’ostruzione,
e
viene
infine
richiamato
un
infiltrato
infiammatorio
granulomatoso,
che
si
organiz-‐
za
in
granulomi
con
cellule
giganti1
plurinucleate
(istiociti
con
nuclei
multiple,
che
si
formano
o
per
fusione
o
per
mitosi
senza
citodieresi),
costituiti
da
una
zona
centrale
di
necrosi
ischemica
a
carta
geo-‐
grafica.
Queste
lesioni
neoplastiformi,
che
tendono
a
in-‐
grandirsi
per
estensione
sempre
crescente
del
pro-‐
cesso,
occupano
lo
spazio
alveolare,
riducono
gli
scambi
e
favoriscono
la
progressione
verso
l’insufficienza
respiratoria.
1
Le
cellule
giganti
si
trovano
nel:
Wegener
(nuclei
a
corona),
aspergillo,
TBC
(nuclei
a
corona
incompleta,
con
necrosi
caseosa),
sarcoidosi,
corpo
estraneo;
in
ogni
malattia
le
cellule
giganti
hanno
caratteristiche
diverse
e
cambia
anche
il
Il
quadro
non
è
specifico:
alcune
infezioni
polmonari
da
funghi2
possono
essere
causa
di
un
quadro
analogo;
per
esempio
l’aspergillo
nella
sua
fase
invasiva
si
estende
nella
parete
dei
vasi
e
dà
una
reazione
infiammatoria
con
necrosi
della
parete,
a
cui
seguono
deposizione
di
fibrina,
occlusione
del
vaso
e
una
reazione
granulomatosa.
Aiutano
nella
diagnosi
differenziale
elementi
clinici,
morfologici
e
siero-‐
logici
(per
esempio
è
difficile
che
l’aspergillo
dia
interes-‐
samento
renale);
• nelle
alte
vie
aeree,
dove
si
osservano
alterazioni
muco-‐
se
ulcerative
ad
esempio
della
cavità
nasale,
che
possono
essere
causa
di
rinorrea
ed
epistassi,
“o
delle
gengive,
che
hanno
un
aspetto
patognomonico
a
fragola
(straw-‐
berry
gingivitis,
v.
fig.)”,
• nel
rene,
la
reazione
granulomatosa
si
osserva
soprattutto
attorno
ai
glomeruli
(periglomerulite
granulomatosa),
manca
la
componente
necrotica
e
c’è
una
reazione
granulomatosa;
possono
esse-‐
re
anche
presenti
(oltre
a
questo
quadro
caratteristico)
l’arterite
necrotizzante
dell’arteriola
affe-‐
rente
e
la
glomerulonefrite
necrotizzante.
Il
quadro
clinico
evolve
verso
l’insufficienza
renale.
Raramente
può
interessare
unicamente
il
distretto
polmonare;
invece
è
difficile
che
sia
solo
renale.
Anche
la
malattia
di
Good-‐Pasture,
causata
da
anticorpi
anti-‐membrana
basale,
interessa
questi
due
organi:
la
dif-‐
ferenza
importante
è
che
nel
Wegener
sono
interessate
anche
le
vie
aeree
superiori.
Un’altra
malattia
che
può
essere
caratterizzata
dal
coinvolgimento
di
rene
e
polmone
è
il
LES.
SINDROME
DI
CHURG-‐STRAUSS
La
sindrome
di
Churg-‐Strauss
è
una
rara
vasculite
dei
piccoli
vasi
paucimmune
p-‐ANCA
associata;
coinvol-‐
ge
polmoni
e
rene
ed
è
caratterizzata
da
un’infiammazione
granulomatosa
con
ricco
infiltrato
eosinofilo:
si
ha
una
vasculite
necrotizzante
e
nel
il
tessuto
a
valle,
in
sofferenza,
SEMINAR si
osserva
una
reazione
granulomato-‐
Si
osservano
all’RX
del
torace
lesioni
polmonari
che
non
Chapel Hill
Pathologica
sono
fisse,
ma
migrano
(ripetendo
l’esame
a
distanza
di
Eosinophil-
respiratory
tempo);
infatti,
a
differenza
della
granulomatosi
di
Wege-‐ medium-siz
eosinophili
rinary granular The renal lesions forare designated as necrotizing crescentic sinceglomerulo-
fisse
e
in
espansione
nephritis (Fig. 1). precede
nella
subjectivity,
considerable
Focal thrombosis
Wegener,
migranti
especially nella
vasculitis Churg-‐
may
asthma inof rare glomerular
cases of capillaries
the disorder.with fibri-The 16–20
Strauss;
noid necrosis un
isaltro
aninvolvement
early criterio
lesionofwhich è
quello
more than
is two laboratoristico:
followed organs
by theisrupture difficultoftothe nella
assess
glomerular basement without doing a biopsy—an
membrane and extracapillary invasive proliferation.
procedure in patientsThis
Wegener
ci
sono
soprattutto
i
c-‐ANCA,
nella
Churg-‐Strauss
i
who may be very ill and need initiation of aggressive
results in crescent formation, initially as cellular crescents, later forming
systemic corticosteroid treatment.
tients [11]. In a p-‐ANCA.
more fibrous crescents. Periglomerular accumulation of mononuclear
[31] identified cells follows the glomerular Frequency inflammatory
of Churg-Strauss process syndrome
[7]. Figure 2: Systemic distribution of vasculitis in Churg-Strauss
s of symptoms
The depositionFor of immunoglobulins
reasons given above, and the
complement
prevalencewithin the ves-
of Churg-Strauss syndrome
ere included. POLIANGITE
sel wall is hardly syndrome with
MICROSCOPICA
consistent in the population
a so-called varies between
“pauci-immune reports. In
vasculitis”
diffuse alveolar [51]. patients in the general population, the frequency of the that the disorder might be caused by “an idiosyncratic or
as been report- La
poliangite
microscopica
è
una
vasculite
dei
piccoli
vasi
paucimmune
p-‐ANCA
associata
che
interessa
il
disorder has been estimated at 2·4–6·8 per 1 000 000 hypersensitivity reaction to [leukotriene receptor agonists]”.
patient-years (panel 2). In a 10-year study in the UK, the 21,22
They also considered the notion that forme fruste Churg-
ymptoms of an microcircolo,
cioè
arteriole,
capillari
e
venule
(vasi
con
una
sottile
tonaca
muscolare
e
privi
della
limitante
6. Diagnosis annual frequency of Churg-Strauss syndrome was 2·7 per Strauss syndrome could exist at initiation of leukotriene-
gh, and pleurit- 1 000 000 patient-years. Watts and colleagues reported a 22
receptor-agonist therapy. Indeed, development of the
23
elastica
interna).
Radiography significant
has been useful difference
in identifying in incidence of the disorder
pulmonary involvementbetween disorder is frequently associated with taper of oral
Spain and the UK. (94%) on computed tomography is corticosteroid treatment, suggesting unmasking of Churg-
nary manifesta- E’
definita
con
il
prefisso
“poli-‐”
perché
interessa
distretti
multipli;
in MPA. The most common finding
Straussa
syndrome
volte
sono
thatinteressati
was previouslyrene
(dove
cby
suppressed au-‐
is is unclear, a ground-glass attenuation, Relation of which corresponds
antiasthma treatments to alveolar haemorrhage
to Churg-Strauss systemic corticosteroid therapy. This explanation could be
nted as a possi- sa
una
GN
necrotizzante)
e
polmone
(dove
causa
un
capillarite
alveolare
che
si
manifesta
con
emottisi)
e
(Fig. 2), interstitial chronic inflammation of the alveolar septa, and
syndrome true for development of Churg-Strauss syndrome in
nary fibrosis is capillaritis. [11,38,52].
può
simulare
la
granulomatosi
di
Wegener
(si
dirime
la
diagnosi
differenziale
perché
in
questo
caso
manca
In 1998, Wechsler and colleagues published a provocative 24
patients receiving fluticasone or budesonide, which have 24,29
39] and are the for MPA. Because ANCAs Stirling areand Chung,
detected citing
in only evidence
50–75% of MPA
28
of development
patients concern remains that antileukotriene therapy might block
I
tessuti
coinvolti
s ono
r icchi
d i
i nfiltrato
of Churg-Strauss syndrome after treatment with i nfiammatorio
p rivo
d i
g ranulomi.
actions of cysteinyl-leukotrienes in the lung and in
e purpura is the
azithromycin and other macrolide antibiotics, oestrogen 840 extrapulmonary tissues. Researchers A.have Greco et al.
not/ Autoimmunity
yet Reviews 14 (2015) 83
atients [39,40].
replacement therapy, and carbamazepine, also suggested established whether cysteinyl-leukotrienes are useful in
s, urticaria, and modulation of inflammatory reactions or regulation of perinuclear neu
ions have been Panel 2: Estimated frequency of Churg-Strauss migration of dendritic cells to lymph nodes with sion; it is found
syndrome consequent differential effects on T-helper cells—eg, the atypical pattern
balance between T-helper-1 cells and T-helper-2 cells.31,32 plasmic and per
Reference Population Frequency
In their report to the US National Institutes of Health drug exposure,
(cases/106 patients
panel,1 representatives of the Adverse Events Reporting most often in th
per year)
System of the US Food and Drugs Administration noted The major ta
ptom in MPA is 22 General population 2·4
development of Churg-Strauss syndrome in 165 patients 3 (PR3) and MP
14 General population 3·3
atients [13,15]. who met two or more American College of Rheumatology mainly associat
21 General population 6·8
of patients [41, criteria for the disorder. Of these, 126 (76%) had a history pattern and are p
21 Population without asthma 1·8
of previous oral corticosteroid use, and of those for whom nofluorescence
21 Population with asthma 64·4
adequate information was available, 88% developed PR3-ANCA and M
fy ANCAs with d
combination of
THE LANCET • Vol 361 • February 15, 2003 • www.thelancet.com 589 MPO-ANCA) has
cts between 37 for ANCA-detect
ccurs more fre- For personal use. Only reproduce with permission from The Lancet Publishing Group.
h mononeuritis
6.2. Automated a
e predominant
g vasculitis can To address
patients; nerve
3
(haematoxylin
Fig. 1. Crescentic glomerulonephritis in a patient with microscopic polyangiitis
and eosin stain). From: Chung SA, Seo P. Microscopic polyangiitis. Rheum image analysis o
5].
Il
Disbasofilo
Clin Northh Am a
g2010;36:545–558.
ranuli
grandi
basofili
blu-‐viola;
gli
eosinofili
hanno
Fig.g2.ranuli
Computedrtomography
osso
intenso;
i
neutrofili
scan demonstrating evidence of hpulmonary
anno
ghaemorrhage
ranuli
pic-‐
in
a patient with microscopic polyangiitis. From: Chung SA, Seo P. Microscopic polyangiitis.
applied to the a
coli
e
non
sono
intensamente
eosinofili.
Rheum Dis Clin North Am 2010;36:545–558. tems, several of
4 acquisition and
E’
possibile
distinguere
l’arteriola
afferente
da
quella
efferente
in
quanto
quest’ultima,
ha
alcune
caratteristiche
della
ognition algorit
vena,
come
la
parete
muscolare
più
sottile
e
la
membrana
basale.
[13,15], the absence of circulating ANCA does not exclude this diagnosis.
ANCA associated with MPA generally has a perinuclear staining pattern
mated image a
(75%) than conv
(P-ANCA) caused by antibodies against myeloperoxidase (MPO-ANCA),
Altogether, t
which can be detected using enzyme-linked immunoassays (ELISA).
terns is a promis
Immunofluorescence has greater sensitivity, but ELISA has greater spec-
ment and evalua
ificity for the diagnosis of MPA.
applicable in ro
PORPORA
DI
SCHONLEIN-‐HENOCH
La
porpora
di
Schonlein-‐Henoch
è
una
vasculite
dei
piccoli
vasi
caratterizzata
dalla
deposizione
in
alcuni
distretti
di
IgA,
prodotte
a
livello
mucoso
(intestinale,
vie
aeree)
e
poi
liberate
in
sede
extra-‐mucosa
a
causa
di
alterazioni
e
danno
di
queste
stesse
mucose
(es.
faringite).
L’immunofluorescenza
(del
materiale
bioptico
congelato)
mette
in
evidenza
le
IgA,
e
il
fibrinogeno
e
il
complemento.
Le
sedi
di
deposito
delle
IgA,
da
cui
dipendono
i
sintomi
sono:
• rene,
dove
causano
ematuria
(soprattutto
macro),
dovuta
a
una
glomerulonefrite
IgA
mesangiale.
Questa
glomerulonefrite
isolata,
al
di
fuori
quindi
di
una
malattia
sistemica,
prende
anche
il
nome
di
malattia
di
Berger:
va
sospettata
quando
un
paziente
riferisce
ematuria
a
distanza
di
qualche
giorno
da
una
patologia
che
interessa
le
vie
aeree
superiori
(es.
faringite).
Tale
rapidità
dell’insorgenza
dei
sintomi
nefrologici
è
indicativa,
a
differenza
della
GN
post-‐streptococcica,
che
le
IgA
sono
già
pronte
e
subito
si
formano
i
complessi
immuni,
• cute,
dove
causano
porpora
cutanea
(o
petecchie),
dovuta
alla
vasculite
dei
vasi
del
derma
papil-‐
lare,
con
necrosi
e
fuoriuscita
delle
emazie
attorno
al
vaso,
che
si
accumulano
nel
derma.
La
lesione
emorragica
è
più
scura
al
centro,
dove
si
trova
il
vaso
colpito
dalla
vasculite
(che
è
ricco
di
cellule
e
va
incontro
a
necrosi),
e
più
chiara
in
periferia,
perché
man
mano
che
ci
si
sposta
in
direzione
cen-‐
trifuga
le
emazie
diventano
meno
frequenti.
Queste
lesioni
si
trovano
soprattutto
negli
arti
inferio-‐
ri,
dove
la
pressione
è
maggiore
e
viene
quindi
favorita
la
fuoriuscita
di
complessi
immuni,
• intestino,
dove
causano
dolori
addominali,
a
causa
di
una
vasculite
dei
vasi
terminali
periferici
del-‐
la
parete
intestinale:
l’occlusione
del
lume
del
vaso
porta
a
necrosi
a
valle
e
quindi
dolore
per
il
piccolo
infarto
della
mucosa,
• articolazioni,
dove
causano
artrite
e
dolori
arti-‐
colari,
in
parte
dovuti
a
una
patologia
vascolare
a
livello
delle
articolazioni,
in
parte
alla
forma-‐
zione
di
depositi
nell’articolazione.
Ricordiamo
che
la
membrana
sinoviale,
che
non
è
un
epite-‐
lio,
è
formata
da
sinoviociti
immersi
nel
connet-‐
tivo
e
che
nella
profondità
del
connettivo,
ricco
di
vasi
che
possono
avere
una
vasculite,
ci
sono
cellule
immature
che
formano
il
compartimento
staminale
(questo
vale
per
non
solo
membrana
basale
e
ma
anche
le
sierose:
peritoneo,
pleura,
pericardio
e
tonaca
vaginale
del
testicolo).
I
sintomi
non
sono
sempre
contemporanei:
a
volte
compare
per
prima
la
vasculite
cutanea,
a
volte
la
GN;
in
caso
di
coinvolgimento
cutaneo
isolato,
va
in
diagnosi
differenziale
con
la
angite
leucocitoclasica
cutanea.
Anche
altre
malattie
sistemiche
possono
dare
questi
sintomi,
come
l’artrite
reumatoide
(in
cui
si
può
avere
artrite,
vasculite
intestinale
e
cutanea,
glomerulonefrite)
e
il
LES;
ma
ognuna
di
queste
malattie
ha
una
sie-‐
rologia
caratteristica
(es.
nel
LES
ci
sono
gli
ANA,
nell’AR
ci
possono
essere
il
fattore
reumatoide
e
gli
anti-‐
corpi
anti-‐CCP).
VASCULITE
ASSOCIATA
ALLA
CRIOGLOBULINEMIA
MISTA
ESSENZIALE
La
vasculite
associata
alla
crioglobulinemia
mista
essenziale
è
una
vasculite
dei
vasi
di
piccolo
calibro
ca-‐
ratterizzata
da
necrosi
fibrinoide
della
parete
vasale
e
depositi
di
crioglobuline
nel
lume
di
piccoli
vasi
di
(IgG
e
IgM,
visibili
alla
fluorescenza).
“E’
riscontrabile
in
corso
di
malattie
infettive
(soprattutto
infezioni
da
HCV),
autoimmuni,
neoplastiche”.
Le
crioglobuline
sono
immunoglobuline
che
precipitano
in
vitro
a
temperature
inferiori
a
37°C;
la
loro
pre-‐
senza
nel
siero,
definita
crioglobulinemia,
può
causare
danno
d’organo
attraverso
due
meccanismi:
• precipitazione
e
formazione
di
piccoli
trombi
nei
piccoli
vasi
(ciò
non
significa
che
il
paziente
abbia
la
vasculite),
con
conseguente
occlusione
vascolare;
in
questi
casi,
poiché
per
precipitare
le
crio-‐
globuline
devono
essere
presenti
in
grandi
quantità,
si
osserva
anche
un
aumento
della
viscosità
ematica;
• formazione
di
complessi
immuni
(le
crioglobuline
rappresentano
l’antigene,
che
viene
riconosciuto
da
altri
anticorpi)
che
precipitano
vaso
determinando
infiammazione
delle
pareti
del
vaso:
in
que-‐
sto
caso
si
ha
una
vasculite,
che
a
livello
cutaneo
si
manifesta
con
la
porpora.
I
trombi
possono
es-‐
sere
compresenti,
ma
sono
formati
non
solo
da
fibrina,
come
nella
CID
o
nella
PTT
Seminar (o
porpora
di
Moscowitz),
ma
da
crioglobuline
tenute
insieme
proprio
dalla
fibrina.
Da
un
punto
di
vista
morfologico
nei
vasi
con
la
vasculite
si
osservano:
fibrina
(materiale
eosinofilo)
e
un
infiltrato
infiammatorio
inizialmente
con
neutrofili,
poi
con
linfociti
e
istiociti,
che
cercano
di
rimuovere
il
materiale
necrotico.
Sono
interessati
laboratory. Thus cold d alla
vasculite:
exposure could be a contributing
A B
factor to clinical manifestations of cryoglobulinaemia in
• i
v asi
d ella
c ute
the distal extremities. Internal organ involvement is more d egli
a rti
i nferiori
difficult to e
explaindegli
onarti
the sbasis uperiori:
si
osservano
of temperature changes
alone because of the tight regulation of core body
temperature. la
Protein
porpora
solubility e
il
can
fenomeno
depend on di
Ray-‐of
a range
factors, including primary structure
naud,
dovuto
anche
alla
precipi-‐ and steric con-
formation which, in turn, depend on temperature, pH,
and ionic strength. tazione
e
alla
riduzione
del
flusso
49
Scarcity of tyrosine residues, relative
abundance of hydrophobic aminoacids, and reduced
ematico
in
periferia.
“In
particola-‐
concentration of galactose and sialic acid in the glycosylated
portion of the re
si
osservano
piccole
lesioni
pe-‐
molecule can increase precipitation. In 49,50
C D
type II mixed cryoglobulinaemia, the formation of large,
tecchiali
agli
arti
inferiori,
che
complement bound, IgM–IgG complexes is a major factor
influencingpossono
estendersi
anche
al
tora-‐
cryoprecipitation. 51
logical patient in
neoplasia, 54
andthe is very appropriate uncommon clinical context isCutaneous
in patients essential. purpura • Unexplained
is probably high the titres
most of rheumatoid
charac ter- factor
with mixed Some healthy individuals
cryoglobulinaemia (<3%). have The low key concentrations
istic of
manifestation • of Pseudothrombocytosis
cryoglobulinaemic vasculitis
16,55
use of a case de
fino
all’aorta,
e
vasi
più
piccoli:
spesso
(25%
dei
casi)
interessa
surveys in Japan
about the appropr
le
coronarie.
clinical tool to iden
Insorge
soprattutto
nei
bambini
e
nei
giovani
(nell’80%
dei
prevent coronary-a
Thus, a broader de
casi
sotto
i
5
anni)
con
un
quadro
sovrapponibile
a
quello
del-‐ identification of a
IVIG treatment.
la
poliarterite
nodosa
associato
a
una
sindrome
muco-‐ In many cases,
cutanea,
con
arrossamento
della
cute
(E),
lesioni
cutanee
an-‐ syndrome are no
Experienced clinici
che
desquamative
(es.
a
livello
del
cavo
orale
(B,
C),
congiun-‐ and physical exami
a rash/fever syndr
tivite
(A)),
linfoadenomegalia
reattiva
(D)
e
febbre.
and sensitive diagn
La
diagnosi
è
soprattutto
clinica;
la
rilevanza
clinica
dipende
correct identificatio
The clinical chall
soprattutto
dalla
predilezione
per
le
coronarie:
in
caso
di
arte-‐ diseases that resem
different treatmen
rite
coronarica
infatti
si
possono
formare
trombi
o
aneurismi
coccal or streptoco
che
si
rompono,
e
può
esserci
un
infarto
acuto
al
miocardio,
attempts to identif
tests that could d
per
esempio
in
un
bambino.
other illnesses wi
greatest concern is
Dal
punto
di
vista
morfologico
non
ha
nulla
di
distintivo:
il
there is also likely t
quadro
è
abbastanza
aspecifico;
si
osserva
la
necrosi,
clinical practice, p
inflammation (eg, h
l’infiammazione
a
tutto
spessore
della
parete
e
la
fibrina
che
protein, and erythr
the diagnosis of K
intrappola
elementi
endoteliali
proliferanti,
istiociti,
neutrofili.
rash/fever syndrom
The concept of
syndrome has em
ARTERITE
GIGANTO-‐CELLULARE
DI
HORTON
should be used fo
L’arterite-‐giganto
cellulare
di
Horton
è
una
vasculite
dei
grossi
vasi
che
interessa
soprattutto
l’arteria
days, at least two
syndrome, no oth
temporale.
Insorge
in
pazienti
anziani,
con
più
di
50
anni;
si
associa
Figures1:pesso
Features ofaKawasaki
lla
polimialgia
syndrome reumatica.
illness, and labora
A: Bilateral, non-exudative conjunctival injection with perilimbal sparing. B: systemic inflamm
A
causa
della
vasculite,
il
lume
dell’arteria
temporale
è
ristretto
papillae (“seeds” of strawberry). C: Erythematous, fissured lips. D: Unilateral
Strawberry tongue with loss of filiform papillae and persistence of fungiform
have encountered
disorder who did n
o
occluso:
diminuisce
l’apporto
di
sangue
in
periferia
nono-‐ swelling of dorsa of feet. G: Periungual desquamation of toes in convalescent
enlarged left jugulodigastric nodes. E: Erythematous rash. F: Erythema of soles,
but in whom
stante
la
presenza
di
circoli
collaterali
di
compenso.
I
pazienti
phase. coronary-artery ab
diagnosis of Kawa
accusano
cefalea,
dolore
alle
tempie,
dolenzia
alla
palpazione
Panel 1: Diagnostic criteria for Kawasaki syndrome mind that five of
series of 50 would
dell’arteria
temporale
che
appare
tumefatta
e
disturbi
visivi.
The diagnosis is confirmed by the presence of fever for at case definition. 3
Per
la
diagnosi
occorre
una
biopsia:
si
asporta
un
segmento
di
least 5 days and of four of the five criteria below, and by the The recognition
lack of another known disease process to explain the illness. for Kawasaki syndr
arteria
temporale
di
circa
1-‐2
cm
(il
sangue
arriverà
alle
zone
● Bilateral conjunctival injection on physicians to co
Changes of the mucous membranes of the upper unexplained illness
perfuse
grazie
a
circoli
collaterali),
nel
punto
in
cui
palpatoria-‐
●
respiratory tract: injected pharynx; injected, fissured lips; features of Kawa
mente
si
percepisce
un
cordoncino
duro,
indice
di
perdita
di
strawberry tongue physicians includ
● Polymorphous rash urinary-tract infec
elasticità
(a
causa
dell’inspessimento
della
parete
pieno
di
tes-‐ ● Changes of the extremities: peripheral oedema, misdiagnosed as a
peripheral erythema, periungual desquamation bacterial meningit
suto
di
granulazione
e
di
collagene
neoformato).
● Cervical adenopathy drug eruption,
La
biopsia
è
importante
per
la
diagnosi
differenziale
con
l’arteriosclerosi
grave,
in
cui
c’è
sclerosi
della
pare-‐misdiagnosed as b
te
secondaria
a
un’alterazione
luminale
dal
vaso;
questa
diagnosi
differenziale
è
fondamentale
per
la
tera-‐
534
pia.
Al
microscopio
ottico
si
osservano
nella
biopsia:
• il
lume
parzialmente
obliterato,
perché
contenente
fibrina
(che
si
colora
in
rosa),
UIFSBQZTIPVMEOPUCFEFMBZFEQFOEJOHBCJPQTZ*OUIJTSFHBSE
JUIBTCFFO
SFQPSUFEUIBUUFNQPSBMBSUFSZCJPQTJFTNBZTIPXWBTDVMJUJTFWFOBGUFS∼ BOEMBSHFTJ[FEBSUFSJFTDIBSBDUFSJ[FECZBTUSPOHQSFEJMFDUJPOGPSUIF
EBZTPGHMVDPDPSUJDPJEUIFSBQZ"ESBNBUJDDMJOJDBMSFTQPOTFUPBUSJBMPG BPSUJDBSDIBOEJUTCSBODIFT
HMVDPDPSUJDPJEUIFSBQZDBOGVSUIFSTVQQPSUUIFEJBHOPTJT
INCIDENCE AND PREVALENCE
-BSHFWFTTFM EJTFBTF NBZ CF TVHHFTUFE CZ TZNQUPNT BOE GJOEJOHT
5BLBZBTVBSUFSJUJTJTBOVODPNNPOEJTFBTFXJUIBOFTUJNBUFEBOOVBM
PO QIZTJDBM FYBNJOBUJPO TVDI BT EJNJOJTIFE QVMTFT PS CSVJUT *U JT
JODJEFODF SBUF PG o DBTFT QFS NJMMJPO *U JT NPTU QSFWBMFOU JO
DPOGJSNFE CZ WBTDVMBS JNBHJOH
NPTU DPNNPOMZ UISPVHI NBHOFUJD
BEPMFTDFOU HJSMT BOE ZPVOH XPNFO "MUIPVHI JU JT NPSF DPNNPO JO
SFTPOBODFPSDPNQVUFEUPNPHSBQIZ The cause
• la
presenza
di
cellule
giganti
plurinucleate
*TPMBUFE QPMZNZBMHJB SIFVNBUJDB JT B DMJOJDBM EJBHOPTJT NBEF CZ
(da
A
"TJB
JUJTOFJUIFSSBDJBMMZOPSHFPHSBQIJDBMMZSFTUSJDUFE
decreasing
corpo
estraneo)
che
formano
una
specie
di
granu-‐
UIFQSFTFODFPGUZQJDBMTZNQUPNTPGTUJGGOFTT
BDIJOH
BOEQBJOJOUIF highest inci
NVTDMFTPGUIFIJQBOETIPVMEFSHJSEMF
BOJODSFBTFE&43
UIFBCTFODF PATHOLOGY AND PATHOGENESIS
loma
nello
spessore
del
vaso
malato,
e
non
nel
PGDMJOJDBMGFBUVSFTTVHHFTUJWFPGHJBOUDFMMBSUFSJUJT
BOEBQSPNQUUIFSB- 5IFEJTFBTFJOWPMWFTNFEJVNBOEMBSHFTJ[FEBSUFSJFT
XJUIBTUSPOH
in US co
QSFEJMFDUJPOGPSUIFBPSUJDBSDIBOEJUTCSBODIFTUIFQVMNPOBSZBSUFSZ background
tessuto
necrotico
a
valle
di
un
vaso
interessato
QFVUJDSFTQPOTFUPMPXEPTFQSFEOJTPOF da
support to
NBZ BMTP CF JOWPMWFE 5IF NPTU DPNNPOMZ BGGFDUFE BSUFSJFT TFFO CZ
vasculite
come
nella
Wegener;
sono
presenti
an-‐
BSUFSJPHSBQIZBSFMJTUFEJOTable 385-7.5IFJOWPMWFNFOUPGUIFNBKPS risk factors.
TREATMENT GIANT CELL ARTERITIS AND
che
elementi
nucleati
con
scarso
citoplasma
CSBODIFTPGUIFBPSUBJTNVDINPSFNBSLFEBUUIFJSPSJHJOUIBOEJT- rates and t
POLYMYALGIA RHEUMATICA
(PMN,
istiociti,
linfociti),
UBMMZ 5IF EJTFBTF JT B QBOBSUFSJUJT XJUI JOGMBNNBUPSZ NPOPOVDMFBS studies mi
e.
ETIOLOGIA
In
base
all’etiologia,
si
classificano
le
vasculiti
in
forme
primitive,
secondarie
e
incidentali.
Cambia
solo
la
classificazione
quindi
il
punto
di
vista.
Distinguiamo:
• forme
primitive,
in
cui
non
c’è
una
malattia
sistemica
che
induce
la
comparsa
di
vasculite,
sono
in-‐
teressati
solo
i
vasi;
le
distinguiamo
a
seconda
del
calibro:
o piccoli
vasi:
§ vasculiti
ANCA-‐associate
(Wegener,
Strauss,
poliangioite
microscopica),
§ porpora
di
Schonlein-‐Henoch,
§ crioglobulinemia
mista
essenziale,
§ angite
leucocitoclastica
cutanea,
o vasi
intermedi:
§ poliarterite
nodosa,
§ malattia
di
Kawasaki,
o grossi
vasi:
§ arterite
di
Horton,
§ malattia
di
Takayasu,
• forme
secondarie,
causate
da
una
malattia
sistemica
che
interessa
anche
i
vascolare.
Sono
forme
necrotizzanti,
in
cui
non
cambia
il
quadro
morfologico
ma
il
setting
clinico;
sono
secondarie
a:
o connettiviti
(malattie
del
collagene):
§ LES,
una
malattia
sistemica
complessa
a
patogenesi
autoimmune
in
cui
il
sistema
immuni-‐
tario
attacca
diverse
componenti
dell’organismo,
e
si
liberano
componenti
nucleari
che
stimolano
la
produzione
di
autoanticorpi.
Quindi
si
formano
complessi
immuni
(con
anti-‐
geni
nucleari
e
autoanticorpi)
che
si
possono
depositare
in
diverse
sedi;
per
esempio
a
li-‐
vello
del
glomerulo
causano
una
glomerulonefrite
e
a
livello
dei
vasi
una
vasculite;
§ artrite
reumatoide,
una
malattia
sistemica
autoimmune
spesso
caratterizzata
dalla
pre-‐
senza
del
fattore
reumatoide,
un
anticorpo
IgM
anti-‐anticorpo
(di
solito
IgG)
che
prende
parte
alla
formazione
di
complessi
immuni
che
tendono
a
precipitare,
attivare
il
comple-‐
mento
e
generare
una
vasculite
o
glomerulonefrite.
A
livello
delle
articolazioni
e
nei
distretti
sottoposti
a
stress
si
possono
formare
noduli
reumatodi:
per
esempio
a
livello
del
gomito,
il
microtrauma
dell’endotelio
favorisce
la
de-‐
posizione
di
complessi
immuni,
seguono
quindi
danno
e
necrosi
che
si
estende
ai
tessuti
circostanti;
il
tessuto
necrotico
richiama
a
sua
volta
una
reazione
istiocitaria
e
si
forma
granuloma
reumatoide
simile
a
quello
reumatico,
con
istiociti
che
tendono
a
eliminare
tessuto
necrotico.
Patologicamente
parlando
non
è
diversa
dal
LES,
quello
che
fa
la
differenza
sono
il
quadro
clinico
e
sierologico;
§ sindrome
di
Sjogren:
una
malattia
sistemica
autoimmune
che
coinvolge
le
ghiandole
eso-‐
crine
(salivarie
e
lacrimali),
e
può
essere
associata
anche
ad
altre
patologie
autoimmuni;
§ dertamomiosite,
una
malattia
reumatologica
caratterizzata
dall’interessamento
di
musco-‐
li
e
cute;
§ sclerodermia
(sclerosi
sistemica),
una
malattia
sistemica
caratterizzata
da
una
vasculite
peculiare,
non
(come
negli
altri
casi)
con
necrosi
fibrinoide.
In
questo
caso
c’è
deposizione
di
connettivo
tra
endotelio
e
lamina
elastica
interna
ed
è
interessata
soprattutto
la
tonaca
intima
vascolare
che
quindi
risulta
essere
ispessita;
inoltre
compare
edema
mixoide.
C’è
inoltre
una
rarefazione
del
microcircolo
che
si
manifesta
con
fibrosi
e
ulcere
alla
punte
delle
dita;
o infezioni:
§ da
batteri
(per
esempio
una
vasculite
da
streptococco),
§ da
virus.
Per
esempio
HCV
e
HBV
possono
causare
una
vasculite
simile
a
quella
della
pa-‐
narterite
nodosa,
tanto
che
bisogna
fare
la
sierologia
per
questi
virus
prima
della
diagnosi
di
panarterite
nodosa
primitiva;
§ da
funghi,
§ da
protozoi,
§ da
elminti,
Ci
sono
due
meccanismi
alla
base
delle
vasculiti
a
eziologia
infettiva:
§ la
stimolazione
del
sistema
immunitario
da
parte
di
antigeni
di
microrganismi
(es.
com-‐
ponenti
della
parete)
che
evocano
la
produzione
di
anticorpi,
quindi
causano
la
formazio-‐
ne
di
complessi
immuni
(contenti
l’antigene
del
microrganismo
e
l’anticorpi
umano).
Per
esempio
alcuni
antigeni
dello
streptococco
possono
innescare
la
formazione
di
immu-‐
nocomplessi
che
si
depositano
a
livello
del
rene,
dove
causano
una
glomerulonefrite
acu-‐
ta
post-‐streptococcica,
o
dei
vasi,
dove
si
forma
un
nodulo
reumatico.
Nel
dettaglio,
le
deposizione
di
questi
immunocomplessi
nei
vasi
determina,
in
una
fase
iniziale,
una
va-‐
sculite
necrotizzante;
l’estensione
della
necrosi
al
tessuto
circostante
attiva
una
reazione
granulomatosa
di
contenimento
di
queste
aree
necrotiche.
Quindi
un
nodulo
reumatico
presenta
una
zona
centrale
con
una
vasculite,
circondata
da
un’area
di
necrosi
e
tessuto
granulomatoso5,
§ l’infiammazione
dovuta
alla
presenza
del
batterio
nel
vaso
(vasculite
settica),
per
la
cui
insorgenza
deve
esserci
una
batteriemia.
In
questo
contesto
di
in-‐
fiammazione
di
un
segmento
della
pare-‐
te
di
un
vaso,
il
batterio
può
essere
in-‐
trappolato
nella
fibrina
e
permanere
portando
alla
formazione
di
emboli
set-‐
tici6.
Poiché
non
è
semplice
identificare
la
vasculite
settica
da
un
punto
di
vista
morfologico
(ci
sono
neutrofili,
fibrina;
è
difficile
vedere
il
microrganismo),
per
la
diagnosi,
da
cui
dipende
la
terapia,
è
di-‐
rimente
il
quadro
clinico
di
setticemia7.
A
seconda
del
meccanismo,
il
trattamento
è
completamente
diverso:
se
la
vasculite
è
su
base
infettiva
(settica)
occorrono
gli
antibiotici,
se
è
da
danno
immunitario
servono
farmaci
che
agi-‐
scano
sul
sistema
immunitario;
5
Il
nodulo
reumatoide
è
la
stessa
cosa,
quello
che
cambia
è
l’antigene,
che
nella
malattia
reumatica
è
batterico,
nella
artrite
reumatoide
è
una
immunoglobulina.
6
Gli
emboli
possono
essere:
da
trombi,
settico
(osteomielite),
gassoso
(subacquei),
grassoso
(interventi
ortopedici,
fratture,
massaggio
cardiaco
con
rottura
delle
coste
e
dello
sterno),
amniotico,
neoplastico
(carcinoma
renale),
arte-‐
riosclerotico
(parte
la
placca
con
cristalli
di
colesterolo).
7
Questo
vale
anche
per
le
GN:
abbiamo
GN
a
complessi
immuni
con
immunofluorescenza
positiva,
e
quelle
settiche,
in
cui
vediamo
con
immunoistochimica
il
batterio
se
siamo
fortunati.
o uso
di
farmaci.
Sebbene
in
anatomia
patologica
siano
rare,
sono
molti
i
farmaci
che
possono
essere
causa
di
una
vasculite
secondaria
(es.
la
penicillamina,
usata
nel
trattamento
dell’artrite
reumatoide
come
i
sali
d’oro),
per
mezzo
di
due
meccanismi:
si
parla
infatti
di:
§ drug-‐induced
vasculitis.
In
questo
vasculitis and other definable types of vasculitis.8 After Table 1. Medications associated with drug-induced
caso
il
farmaco
può
agire
da
aptene,
vasculitis
the diagnosis of drug-induced ANCA-associated vasculitis
is made, the un
antigene
offending incompleto
drugs should beche
non
è
in
Antibiotics
withdrawn
immediately, grado
di
scatenare
and appropriate una
risposta
im-‐ Cephotaxime
immunosuppressive Minocycline
therapy should munitaria
only be administeredpiena,
se
tonpatients with vital
on
legandosi
ad
Anti-thyroid drugs
organ involvement. The duration of immunosuppressive Benzylthiouracil
altre
proteine
o
sostanze
(dette
car-‐ Carbimazole
therapy should be much shorter than that in primary Methimazole
ANCA-associated rier):
a
questo
vasculitis and punto
long-term si
maintenance
genera
una
Prophythiouracil
therapy might not risposta
be necessary. immunitaria
The prognosis da
complessi
of patients Anti-tumour necrosis factor-a agents
with drug-induced ANCA-associated
immuni
che
innesca
vasculitis is good as
la
vasculite;
in
Adalimumab
Etanercept
long as the offending drug is discontinued in time.
alternativa,
il
farmaco
può
stimolare
Infliximab
una
reazione
pauciimmune,
ovvero
Psychoactive agents
Clozapine
G E N E R A L la
FEA produzione
TURES di
anticorpi
contro
Thioridazine
componenti
dei
granuli
citoplasma-‐ Miscellaneous drugs
Drug-induced vasculitis usually attacks the skin and
tici
dei
neutrofili
(ANCA),
che
causa-‐ Allopurinol
sometimes the subcutaneous part of the skin, but D-Penicillamine
sometimes alsono
thedanno
kidneys un
and
quadro
the lungs.di
vasculite;
9,10
Clinicalla
Hydralazine
Levamisole
symptoms include sospensione
arthralgiasdel
and farmaco
myalgias but dà
la
gua-‐ Phenytoin
usually
do not develop rigione;
into overt
arthritis or myositis, manifested Sulfasalazine
as muscle weakness. End-stage kidney disease due to
§ drug-‐induced
lupus-‐like
disease
(vasculite
secondaria
a
farmaci
simile
a
quella
indotta
da
glomerular vasculitis may occur, but early removal of
the offending LES).
In
questo
caso
il
farmaco
altera
i
tessuti,
le
cellule
rilasciano
antigeni
nucleari
e
cel-‐
drug usually leads to resolution of the
lulari
determinando
glomerular inflammation. A few casescosì
la
formazione
long-term
of drug-induced di
complessi
outcomes immuni,
che
precipitano
of patients e
causano
with propylthiouracil-
vasculitis presenting with a haemorrhagic syndrome induced vasculitis provide useful information on
danno;
due to lung capillaritis have been reported. Patients with understanding drug-induced vasculitis.19 It has been
o sindromi
paraneoplastiche.
drug-induced vasculitis typically harbour ANCA directed
La
vasculite
secondaria
a
sindrome
paraneoplastica
è
causata
da
shown that propylthiouracil is implicated in 80 to 90%
to one or un
moretumore
neutrophil maligno
cytoplasmche
antigens,
rilascia
antigeni
the most o
sostanze
che
hanno
cases of vasculitis inducedeffetti
su
tessuti
drugs,
by anti-thyroid circostanti
while o
common lontani;
antigens beingtali
antigeni
the granule possono
proteins MPO, evocare
HLE,una
cases
risposta
anticorpale
related e
la
formazione
to other drugs, di
immuno-‐
such as methimazole,
cathepsin G, and lactoferrin.11-14 In one study the levels of carbimazole and benzylthiouracil, are less frequent.20
complessi
che
possono
depositarsi
nei
vasi
causando
una
vasculite;
MPO-ANCA were found to be much higher in 30 patients Clear evidence for an association with the development
•withforme
incidentali,
drug-induced MPO-ANCA riscontrate
incidentalmente
vasculitis than those in
of una
biopsia
effettuata
drug-induced vasculitis has per
also
altri
been
motivi;
shown il
quadro
for the è
lo
stesso
usually found indelle
idiopathicvasculiti
primarie
vasculitides, and o
theresecondarie.
was a Per
esempio
following le
possiamo
drugs: hydralazine, trovare
anti-tumour nel
fondo
necrosis factor-adi
strong association between presence of HLE-ANCA and (TNF-a) agents, sulfasalazine, D-penicillamine
un’ulcera
o
di
una
cicatrice
(per
esempio
in
una
biopsia
cutanea
di
area
cicatriziale
da
cui
in
passato
and
lactoferrin-ANCA and exposure to the candidate drugs.15 minocycline; however, most of this evidence was limited to
è
stata
asportata
una
lesione).
E’
fondamentale
la
correlazione
anatomo-‐clinica.
Other research showed a strong association between case reports.
21-25
The increasing use of so-called ‘biological’
heredity and development of drug-induced vasculitis agents in medical practice has been accompanied by
during treatment with propylthiouracil f.
VASCULITI
in Smonozygotic
ISTEMICHE
E
O RGANO-‐SPECIFICHE
growing evidence on the toxicity profile of these agents,
triplets with Graves’ disease. Two of these children, 16
including drug-induced vasculitis. Anti-TNF-a drugs,
who were treated with propylthiouracil, had multispecific such as adalimumab, infliximab and etanercept, are now
Le
vasculiti
possono
essere:
ANCA including HLE-ANCA, while the third triplet had established therapy in the management of rheumatoid
sistemiche
(multi-‐organo):
sono
vasculiti
che
interessano
più
organi
contemporaneamente
(es.
da
•no signs of drug-induced vasculitis and no ANCA during arthritis and several other chronic inflammatory diseases.
Wegener,
treatment da
LES),
with carbimazole. Repeated treatment with these agents can lead to the
To date, many studies have indicated that drug-induced development of autoantibodies, including antinuclear
• localizzate,
se
interessano
un
singolo
organo,
quindi
un
vaso
ematico
(di
grande,
medio,
piccolo
ca-‐
vasculitis may be a complication of therapy with prior use antibodies (ANA), anti-dsDNA and anti-cardiolipin
libro)
medications
of certain confinato
iin n
usome n
singolo
organo;
patients, generalmente
and unreported sono
incidentali
antibodies, in up to 10%(es.
dopo
asportazione
of patients. 26
The autoantibody di
ute-‐
ro,
undiagnosed
and/or colecisti,
ecases tc.)
emay
possono
be beyond manifestarsi
in
tutti
synthesis
our imagination. gli
organi.
is Iassociated
l
rischio
pwith
erò
acgreater
he
possano
diventare
cumulative dose ofsi-‐
stemiche
è
basso.
Il
quadro
morfologico
è
uguale
a
quello
delle
vasculiti
sistemiche
(c’è
la
necrosi).
As shown in table 1, the most often implicated drug in therapy. Although uncommon, some patients receiving
the published work is propylthiouracil, which may result anti-TNF-a agents were found to develop vasculitis.22
Per
esempio
nel
contesto
di
un
tessuto
con
u n
t umore
che
libera
antigeni
tumorali
è
verosimile
che
from more frequent prescriptions in clinical practice.13,17,18 Medications, such as biological agents, are geared toward
ci
s ia
u na
v asculite
d
Propylthiouracil is a common anti-thyroid drug widely a
c omplessi
i mmuni;
i n
q uesto
targetingsi
c aso
segue
immune
specific il
paziente
per
il
tumore
mechanisms, e
si
fmay
and they a
an-‐
usedche
un
follow
up
per
la
vasculite
(che
non
va
trattata,
ma
c’è
un
bassissimo
il
rischio
che
possa
di-‐
all over the world. In the published work, over 100 skew the immune response dramatically.
cases of propylthiouracil-induced
ventare
sistemica).
vasculitis have been Leukotriene antagonists (LTA, such as montelukast and
reported. Further studies in pathogenesis, treatment and zafirlukast) have been implicated in the pathogenesis of
8
Così
come
la
radioterapia
pelvica
per
il
tumore
dell’utero
può
causare
una
cistite
attinica
che
a
volte
può
portare
alla
cistectomia.
9
La
PTT
è
una
malattia
microtrombotica
caratterizzata
dalla
deposizione
piccoli
trombi
nei
piccoli
vasi
della
cute
e
di-‐
struzione
delle
emazie
(anemia
emolitica
traumatica).
10
La
SEU
è
una
malattia
microtrombotica
caratterizzata
da
accumulo
di
microtrombi
di
fibrina
nell’arteriola
afferente
e
nel
seno
del
glomerulo:
di
conseguenza
dal
seno
il
sangue
si
porta
direttamente
nell’arteriola
efferente
e
si
osserva-‐
no
emolisi
da
trauma,
distruzione
dell’endotelio,
diminuzione
della
filtrazione
e
uremia.
l’accumulo
di
trombi
di
fibrina
sulla
parete
dei
simulando
in
parte
una
vasculite,
in
particolare
la
crioglobulinemia
mista
essenziale
(dove
però
ci
sono
microtrombi
di
crioglobuline);
o altri
processi;
• nei
vasi
di
piccolo
calibro
la
lesione
può
essere
causata
da:
o embolie
grassose
di
colesterolo
proveniente
da
una
placca
aterosclerotica.
La
placca
ateroma-‐
sica
è
formata
da
lipidi
(gialli
prima
della
processazione
e
poi
bianchi
perché
con
le
procedure
vengono
persi)
non
riconosciuti
come
self,
che
vengono
circondati
da
una
reazione
granuloma-‐
tosa.
Se
la
placca
si
rompe
partono
gli
emboli
che
si
fermano
più
a
valle
nella
cute
o
nel
rene
dove
causano
lesioni
microischemiche
(al
microscopio
si
osserva,
nel
punto
in
cui
c’era
la
plac-‐
ca,
uno
spazio
vuoto
aghiforme);
o radioterapia:
i
pazienti
irradiati
presentano
sempre
lesioni
vascolari,
soprattutto
desquama-‐
zione
endoteliale
con
conseguente
esposizione
al
flusso
sanguigno
del
connettivo
sottoendote-‐
liale,
che
innesca
un
processo
di
coagulazione
(non
è
una
vasculite);
o sarcoidosi:
è
una
malattia
sistemica
caratterizzata
da
un
quadro
di
patologia
granulomatosa
(ci
sono
granulomi
non
necrotizzanti
con
un
substrato
del
tipo
immunitario);
o linfomi
(v.
sopra);
o vasospastic
disorders,
dovuti
all’esposizione
a
sostanze
allucinogene
e
droghe
(cocaina).
I
pa-‐
zienti
che
fanno
uso
di
queste
sostanze
possono
essere
affetti
da
patologie
vascolari
anche
gravi
a
carico
dei
vasi
renali
(glomerulonefriti)
e
non
solo;
o arterosclerosi:
coinvolge
i
vasi
arteriosi
dove
c’è
un
accumulo
di
materiale
grasso
nel
sotto
en-‐
dotelio,
che
determina
una
reazione
infiammatoria
ed
un
ristringimento
del
lume.
3.
PSEUDOVASCULITI
Mentre
nelle
vasculiti
c’è
danno
vascolare,
nelle
mimics
c’è
danno
vascolare
non
vasculitico,
nelle
pseudo-‐
vasculiti
si
osserva
una
danno
collaterale,
che
non
interessa
il
vaso,
con
lesioni
spesso
a
livello
cutaneo
che
sembrano
dovute
a
una
vasculite.
Un
esempio
classico
è
quello
della
terapia
anticoagulante:
nella
gangrena
da
Warfarin
(Coumadin)
non
c’è
un
danno
vascolare,
ma
solo
un
meccanismo
che
ha
fatto
fuoriuscire
le
emazie.
Le
pseudovasculiti,
riscontrabili
soprattutto
a
livello
cutaneo,
possono
essere
suddivise
in
due
gruppi:
• emorragiche,
se
si
manifestano
con
petecchie;
sono:
o traumatiche,
o da
farmaci,
o da
disturbi
della
coagulazione,
• su
base
occlusiva.
17.$PATOLOGIA$DELLA$CUTE$
!
La#patologia(della(cute#rappresenta#una#delle#più#frequenti#patologie#diagnosticate#dall’anatomia#patologi6
ca#(20%#dei#campioni),#perché#è#visibile#direttamente#all’ispezione#e#caratterizzata#da#un#approccio#diagno6
stico#semplice:#infatti#è#facile#effettuare#una#biopsia#cutanea#(basta#tagliare#con#un#bisturi#una#losanga,#o#
fare#una#punch#biospsy),#anche#in#regime#ambulatoriale.#Quindi#la#tentazione#di#fare#biopsie,#soprattutto#per#
dirimere#quesiti#di#diagnosi#differenziale,#è#alta.#
Inoltre,#un’alterazione#della#cute#può#essere#anche#una#spia#di#una#patologia#sistemica.#
#
Dopo!aver!studiato!l’istologia!normale!della!cute;!la!trattazione!riguarderà:!
A. le!patologie$infiammatorie$della$cute,!
B. la!patologia$neoplastica$non$melanocitaria,!
C. la!patologia$neoplastica$melanocitaria.!
!
ISTOLOGIA$NORMALE$DELLA$CUTE$
$
La!cute!è!un!organo!formato!dalle!seguenti!componenti:!
• epidermide,!un!epitelio!pavimentoso!pluristratificato!cheratinizzato!formato!dai!seguenti!strati:!
o strato$basale,$
o strato$parabasale,$
o strato$spinoso,$
o strato$granuloso,$
o strato$corneo!(più!spesso!a!livello!dei!piedi!e!delle!mani).!
Questo!epitelio!poggia!su!una!membrana!basale,!che!si!trova!all’interfaccia!con!il!derma.!La!memF
brana$ basale!va!valutata!nelle!patologie!neoplastiche!per!capire!se!c’è!stata!o!meno!invasione!da!
parte!del!tumore;!
!
• derma,!un!tessuto!connettivo!contenente!vasi$e$nervi!che!si!divide!a!sua!volta!in:#
o derma$papillare,!formato!da!una!delicata$e$regolare$rete$di$fibre$collagene,!che!varia!a!seconF
da!della!sede.#
In!alcuni!distretti!(es.!testaFcollo)!sono!ben!evidenti!papille!dermiche!(estroflessioni!di!derma!
perso!la!superficie)!alternate!ad!estroflessioni!dell’epidermide!in!senso!opposto:!è!la!cosiddetF
ta!rete#ridges.!Nelle!papille!dermiche!si!osservano!numerosi!vasi!di!piccolo!calibro!(interessati!
nelle!vasculiti!leucocitoclasiche)!e!un!connettivo!molto!lasso;#
oderma$ reticolare,! più! profondo,! formato! da!
fibre$collagene$spesse!e!fibre!elastiche!orienF
tate!in!maniera!variabile.!Contiene!gli!annesF
si$cutanei!(presenti!ad!altezze!variabili);!#
La!divisione!tra!derma!papillare!e!reticolare!non!è!
semplicissima,!specialmente!nella!cute!soggetta!a!
invecchiamento! e/o! a! danno! attinico! (dovuto!
quindi!all'esposizione!ai!raggi!solari);!
• ipoderma! (“al! di! sotto! del! derma”),! formato! dal!
tessuto!adiposo!sottocutaneo,!spesso!sepimentaF
to! da! tralci! fibrosi! di! collagene! provenienti! dal!
derma!reticolare!sovrastante,!
• annessi$ cutanei,!che!comprendono!le!ghiandole$ sudoripare!(profonde!al!confine!con!tessuto!adiF
poso)!e!gli!annessi$pilosebacei,!formati!da!peli,!muscoli!erettori!del!pelo!e!ghiandole!sebacee1.!
Questa!architettura!presenta!minime$diversità!nei!vari!distretti!anatomici2!e!a!seconda!dell’età!del!pazienF
te3:!il!patologo,!poiché!a!volte!deve!fare!la!diagnosi!sulla!base!di!alterazioni!minime,!deve!sapere!da!dove!
proviene!il!campione!di!cute.!
!
CITOTIPI$DELL’EPIDERMIDE
Oltre!ai!cheratinociti,!che!sono!le!cellule!più!rappresentate!dell’epidermide,!adibite!alla!secrezione!di!cheF
ratina,!gli!altri!citotipi!dell’epidermide!sono:!
• i$melanociti:!sono!piccole!cellule$singole!con!citoplasma$chiaro!che!si!trovano!lungo!la!membrana!
basale,!e!non!sono!ben!visibili!all’EE;!sono!positive!a!SF100!(marker!delle!cellule!che!derivano!dalla!
cresta! neurale,! quindi! anche! delle! cellule! di!
Schwann! e! sustentacolari)! e! a! melanFA$ (o!
A103,!che!colora!anche!i!tumori!della!corticaF
le!del!surrene).!Nel!dettaglio:!
o il!loro!numero!è!variabile:!sono!presenti!
rispetto!ai!cheratinociti!basali!in!un!rapF
porto! che! va! da! 1:4$ a$ 1:10,! a! seconda!
che! la! zona! della! cute! sia! esposta! (1:4,!
aree!più!pigmentate)!o!non!esposta,!
o sono! distribuiti! in! modo! regolare! nello!
strato$basale!separati!dai!cheratinociti,!
o producono!melanina!che!viene!accumuF
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
1
!Il! numero! delle! ghiandole! piloFsebacee! deve! essere! valutato:! sapendo! per! esempio! che! a! livello! dello! scalpo! le!
ghiandole! piloFsebacee! sono! molto! presenti,! se! ne! troviamo! un! numero! ridotto! potremmo! pensare! all'alopecia! o!
comunque! a! qualcosa! di! patologico,! mentre! se! stiamo! osservando! cute! di! avambraccio! sarà! normale! trovarne! una!
piccola! quantità.! La! lunghezza! dei! peli! è! indicativa! del! tratto! cutaneo! che! analizziamo,! perché! nella! cute! del! cuoio!
cappelluto!i!peli!sono!profondi,!nella!restante!cute,!invece,!sono!bassi.!
2
!In! alcuni! distretti! (es.! testaFcollo)! si! alternano! papille! dermiche! a! estroflessioni! dell’epidermide:! in! queste! aree! le!
alterazioni!sono!a!stretto!contratto.!A!questo!livello!le!vasculiti!sono!leucocitoclasiche!(capillari!e!postFcapillari).!
3
!Il!“Journal!of!anatomy”!nel!2014!ha!pubblicato!un!lavoro!di!un!gruppo!spagnolo!che!ha!studiato!cute!di!pazienti!con!
età!diversa:!nella!cute!del!neonato!le!fibre!collagene!sono!tutte!parallele!e!c'è!una!chiara!definizione!dei!due!strati!del!
derma,!nell'adulto!le!fibre!sono!più!spesse!e!intrecciate,!infine!nell'anziano!si!ritorna!ad!una!struttura!simile!a!quella!
del! neonato,! ma! con! delle! fibre! collagene! molto! meno! spesse! e! il! derma! papillare! ispessito.! Ciò! ci! interessa! per!
comprendere!a!fondo!cosa!può!essere!identificato!come!patologico!e!cosa!invece!non!lo!è.!
lata!nei!melanosomi!e!poi!subito!trasferita!ai!cheratinociti!dello!strato!basale!e!serve!a!protegF
gere!la!cute!dalle!radiazioni!ultraviolette,!
o sono!cellule!piccole.!Possono!essere!confuse!con!le!cellule!di!Langerhans,!ma!differiscono!da!
esse!per!la!posizione:!il!melanocita!si!trova!nello!strato!basale,!la!cellula!di!Langerhans!in!una!
posizione!intermedia;!il!reperto!di!melanociti!in!un’altra!posizione!o!in!numero!maggiore!è!inF
dicativo!di!qualcosa!di!patologico;!
• cellule$di$Langherans:$sono!cellule$istiocitarie$residenti!(macrofagi)!localizzate!nello!strato!spinoso!
intermedio!dell’epidermide.!Sono!cellule!allungate,!ricche!di!prolungamenti,!positive!all’SF100,!o!a!
marker!istiocitari!come!il!CD1A$e!il$CD68.#Hanno!diverse!funzioni:!vengono!attivate!in!molte!forme!
di!infiammazione!cronica!della!cute,!sono!responsabili!dell'immunità!della!cute!ed!hanno!a!che!fare!
con!la!migrazione!dei!linfociti!T.!Quindi!aumentano!in!numero!in!caso!di!infiammazione!o!nei!linF
fomi$cutanei;$
• cellule$ di$ Merkel:! sono! cellule$ neuF
roendocrine! della! cute,! distribuite!
prevalentemente! lungo! la! membraF
na$ basale! e! associate! alle! terminaF
zioni$ nervose! del! derma! papillare!
che!arrivano!fino!all'epidermide.!SoF
no! raramente! visibili! in! condizioni!
normali! ma! si! colorano! con! marker!
neuroendocrini! (cromogranina$ e$ siF
naptofisina). !
Le!patologie!dei!melanociti!sono!le!più!comuni,!quelle!delle!cellule!di!Langerhans!e!delle!cellule!di!Merkel!
(tumori!neuroendocrini!della!cute)!sono!più!rare.!!
A.$PATOLOGIE$INFIAMMATORIE$DELLA$CUTE!
$
GENERALITA’$E$APPROCCIO$ALLA$DIAGNOSI$
!
Le!patologie$infiammatorie$della$cute!che!vengono!biopsate!(per!le!altre!la!diagnosi!è!clinica)!sono!difficili!
da!diagnosticare!in!quanto!non!hanno!un!prototipo:!presentano!molte!insidie!di!diagnosi$differenziale!ed!è!
indispensabile!per!la!diagnosi!di!certezza!un’integrazione!delle!informazioni!cliniche!(correlazioni$anatomoF
cliniche).!
• Infatti!numerose!patologie!infiammatorie!hanno!morfologia$simile,$perché!la!cute!risponde!ad!una!
patologia!infiammatoria!in!maniera!stereotipata:!ci!sono!dei!pattern!generali!per!tante!malattie,$e,!
al!contrario,!la!stessa!patologia!può!avere!una!morfologia!differente!a!seconda!dalla!fase$di!evoluF
zione! della! lesione! (se! osservassimo! una! lesione! come! un! pomfo! un'ora! dopo! la! sua! comparsa! o!
dopo!una!settimana,!vedremmo!cose!differenti).!!
• L’esame!istopatologico!isolato!ha!numerose!limitazioni!e!deve!essere!correlato$con$la$diagnosi$difF
ferenziale$clinica!e!l’osservazione$macroscopica:$quindi!la!diagnosi!morfologica!si!fa!a!partire!da!alF
cune!ipotesi!cliniche!di!diagnosi!differenziale.!
• Per! le! lesioni! infiammatorie! della! cute! di! solito! si! effettuano! piccole$ biopsie$ incisionali! o! punch(
biopsy!(che!preleva!un!cilindretto!di!cute!di!0,5!cm!grazie!a!una!sorta!di!ghigliottina).!
• Un!problema!è!che!spesso!la!biopsia!si!fa!dopo$la$terapia$cortisonica,!che!altera!il!quadro!morfoloF
gico!specifico.!
!
REQUISITI$PER$UNA$CORRETTA$DIAGNOSI$
Per!giungere!a!una!corretta!diagnosi!sono!indispensabili!le!seF
guenti!informazioni!cliniche:!
• sede!della$lesione,!in!quanto!la!cute!ha!una!morfoloF
gia! diversa! a! seconda! della! sede! e! ci! possono! essere!
cambiamenti!parafisiologici,!
• aspetto$ in$ vivo,! come! appare! la! lesione! (es.! placca,!
nodulo,!etc.;!v.!fig.),!
• numero$di$lesioni,$
• epoca$di$insorgenza,$
• sintomatologia$associata!(es.!febbre,!asma,!etc;!la!cuF
te!è!la!spia!di!tante!patologie!sistemiche),!
• anamnesi$ personale$ e$ familiare,$ per!esempio!la!preF
senza!di!sindromi!sistemiche!note,$
• presenza$ di$ alterazioni$ genetiche$ predisponenti,$ soF
prattutto!di!tipo!immunitario,$
• terapie$locali$o$sistemiche,!che!possono!aver!alterato!
il!quadro,!
• diagnosi$ differenziale$ clinica.$ E’! fondamentale! che! chi! ha! fatto! la! biopsia! compili! la! richiesta! di!
esame!istologico!inserendo!delle!ipotesi!diagnostiche!formulate!durante!l’esame!clinico!(il!probleF
ma!è!la!biopsia!cutanea!può!essere!fatta!da!qualsiasi!medico!che!sappia!mettere!i!punti;!quindi!le!
informazioni!possono!essere!carenti!e!la!diagnosi!è!più!difficile).!
!
!
REAZIONE$DELLA$CUTE$A$EVENTI$PATOGENI$
In!risposta!a!eventi!patogeni!si!possono!osservare!nella!cute!della!alterazioni,!ovvero!delle!lesioni!elemenF
tari,!che!si!combinano!in!pattern.!
!
Lesioni$elementari$
Nell’epidermide!si!osservano,!in!generale,!iperplasia!e!alterazione!della!maturazione,!a!volte!accompagnate!
dalla!presenza!di!un!infiltrato!infiammatorio!intraepiteliale.!Nel!dettaglio,!alcune!lesioni$ elementari$ della$
epidermide!sono:!
• l’acantosi:! è! un! inspessimenF
to!dell’epidermide!causato!da!
una! iperplasia! delle! cellule!
dello!strato!spinoso;!
• la!papillomatosi:!è!un!aumenF
to! del! connettivo! del! derma!
papillare! con! formazione! di!
prolungamenti! (i! rete# ridges!
diventano! più! spessi)! e! assotF
tigliamento! della! epidermide!
sovrastante; !
• la!cheratosi:!è!un!aumento!dello!spessore!dello!strato!corneo!che!può!essere:!
o uguale!a!quello!normale!(struttura!conservata)!ma!solo!inspessito!a!causa!dell’aumento!della!
cheratinizzazione!(ortoFcheratosi),!
o caratterizzato!da!un!difetto!dalla!maturazione,!ovvero!dalla!presenza!nello!strato!corneo!di!celF
lule!con!i!nuclei,!fisiologicamente!assenti!(paracheratosi),!
o causato!da!un’alterazione!del!processo!di!cheratinizzazione,!con!presenza!di!cheratina!già!nelle!
cellule!dello!strato!spinoso!(discheratosi).!
• la!bolla,!conseguenza!di!un!distacco!(caratteristico!delle!patologie!bollose)!che!può!avvenire!nello!
spessore!dell’epidermide!(con!formazione!di!una!bolla$intraepidermica)!o!fra!derma!ed!epidermide!
(con!formazione!di!una!bolla$dermoFepidermica).!
Nell’immagine!sono!riportate!per!completezza!tutte!le!alterazioni!elementari.!
!
!
!
Invece,!nel!derma!si!possono!osservare:!
• infiltrati$ infiammatori$ perivascolari! (soprattutto)! o! diffusi,! che! possono! essere! superficiali! (nel!
derma!papillare)!e/o!profondi$(nel!derma!reticolare).!Tali!infiltrati!possono!essere!linfocitari,!granuF
locitari,!neutrofili!o!eosinofili,!plasmacellulari;!
• flogosi$ granulomatosa$ (rara):!questo!reperto!può!essere!utile!per!dirimere!un!quesito!di!diagnosi!
differenziale;!
• vasculiti:! bisogna! escludere! eventuali! infiammazioni! delle! pareti! dei! vasi,! in! quanto! le! vasculiti! si!
manifestano!spesso!con!segni!cutanei!(comunque!le!vasculiti!non!rientrano!tra!le!patologie!infiamF
matorie!della!cute;!formano!un!capitolo!a!sé!stante).!
!
Pattern$
La!combinazione!di!queste!alterazioni,!che!non!sono!specifiche,!porta!all’identificazione!di!alcuni!pattern,!
ovvero!di!grandi$categorie!(gruppi!di!patologie)!che!comprendono!molteplici!malattie;!è!poi!indispensabile!
l’integrazione!con!la!clinica!per!arrivare!alla!diagnosi!di!maggiore!probabilità.!
I!pattern!caratteristici!dell’epidermide!sono:!
• la! dermatite$ spongiotica/eczematosa,! caratterizzata! da! spongiosi,! ovvero! dalla! presenza! di! spazi!
tra!le!cellule!indicativi!di!edema$intercellulare!nell’epidermide!(strato!spinoso);!
• la!dermatite$psoriasiforme,!caratterizzata!da!papillomatosi!e!infiammazione$del$derma$papillare,!
• il!lichen!(o!dermatite$lichenoide!da!interfaccia),!
• le!malattie$ bollose!o!con!acantolisi!(nei!disordini!acantolitici!degenerano!le!spine!intercellulari,!si!
perde!il!contatto!tra!le!varie!cellule,!e!si!formano!le!bolle).!
I!principali!pattern!del!derma$e$ipoderma!sono:!
• la!dermatite$perivascolare$interstiziale$superficiale/profonda$o$diffusa!(se!sono!presenti!infiltrati!
perivascolari),!
• la!dermatite$granulomatosa,!
• i!processi$fibrosanti,!
• i!processi$vasculitici!(processi!infiammatori!della!parete!dei!vasi),!
• i! processi$ infiammatori$ dell’ipoderma,! come! la! panniculite4.! Essa! è! caratterizzata! da! flogosi! proF
fonda!(istiociti!nell’ipoderma)!e!necrosi!degli!adipociti,!e!si!manifesta!con!lesioni!dolorose!in!cui!la!
cute!diventa!fissa!e!dura;!anche!chiamata!cellulite!lipofagica,!è!una!delle!complicanze!del!diabete;!!
• i!depositi$di$derma.$
!
Quindi!mettendo!insieme!le!lesioni$elementari!e!i!pattern,!ci!si!orienta!verso!una!delle!seguenti!patologie!
infiammatorie!della!cute,!che!verranno!trattate!singolarmente:!
1. la!dermatite$eczematosa$(allergiche,$spongiotiche),$
2. la!psoriasi$e!la$dermatite$psoriasiforme,$
3. il!lichen$planus$e!la$dermatite$lichenoide,$
4. il!pemfigo$volgare,$una!malattia!bollosa,$
5. il!pemfigoide$bolloso,!una!malattia!bollosa,$
6. altre$patologie$rare.$
!
$
$
$
$
$
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
4
!Il!prototipo!della!panniculite!è!la!pancreatite$ acuta,!in!cui!si!osserva!necrosi!del!tessuto!adiposo!dell’omento!o!del!
meso! (steatonecrosi).! Anche! i! linfomi! possono! avere! localizzazione! esclusiva! nel! tessuto! adiposo! sottocutaneo,! e!
vanno!quindi!in!diagnosi!differenziale!con!la!patologia!infiammatoria!dell’ipoderma.!
1.$DERMATITE$ECZEMATOSA$
$
La! dermatite$ ecztematosa! (anche! detta! allergica! o! spongiotica)! rappresenta! uno! dei! pattern! più! comuni,!
può!essere!localizzata$o$diffusa,!ed!è!caratterizzata!da!un!quadro$clinico$molto$variegato. !
Il!paziente!ha!una!eruzione$eritematosa,$con$macchie$pruriginose$spesso!multiple!che!possono!diventare$
papuloFvescicolari!(un’area!eritematosa!può!diventare!rilevata,!formare!quindi!una!papula,!ed!evolvere!in!
vescicola).!
Può! avere! cause! differenti,! ma! generalmente! è! su! base! allergica5!(dermatite! da! contatto,! assunzione! di!
farmaci,!ingestione!di!cibi).!!
La!biopsia!è!indicata!solo!se!le!manifestazioni!sono!cliniche!o!recidivanti;!da!un!punto!di!vista!morfologico!
si!osservano:!
• spongiosi:!accumulo!di!fluido!nella!epidermide!(edema$intercellulare!dei!cheratinociti)!
• possibile!formazione!di!vescicole$intraepidermiche,!se!l’edema!è!importante;!in!questo!caso!va!in!
diagnosi!differenziale!con!una!dermatite!spongiotica!o!una!dermatite!bollosa,!
• infiltrazione$linfocitaria!dell’epidermide.!
Nel! dettaglio,! si! distinguono! diverse$ fasi! con! gradi! variabili! di! iperplasia! dell’epidermide! (papillomatosi! e!
acantosi):!
• in!acuto!prevale!la!spongiosi,!associata!alla!cheratosi!dovuta!alle!lesioni$secondarie$da$grattamenF
to!(ortocheratosi!che!diventa!paracheratosi!se!la!patologia!è!recidivante);!si!osserva!una!lieve!papilF
lomatosi;!
• in!cronico,!quando!la!malattia!è!in!regressione,!non!ci!sono!più!vescicolazioni!e!si!osserva!un!patF
tern!tipico!delle!dermatiti$psoriasiformi,!l’edema!si!riduce!e!c’è!acantosi.!
E’!fondamentale!la!correlazione!con!la!clinica6,!soprattutto!il!fase!cronica,!in!cui!si!rischia!(in!assenza!di!inF
formazioni!cliniche)!di!confondere!questa!patologia!con!una!dermatite!psoriasiforme.!
!
!!!!!! !
!
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
5
!Ad! esempio! nei! bambini! con! asma! e! malattie! allergiche! sono! tipiche! le! dermatiti! atopiche! (dovute! a! fattori!
endogeni),! mentre% nell'adulto% più% comunemente% sono% legate% a% fattori% esogeni;% uno% degli% esempi% più% classici% è% la%
dermatite(da(contatto,(dermatiti(in(qualche(modo(allergiche(in(cui(c’è(il(riconoscimento(di(un(allergene.!
6
!Se! il! paziente! ha! questo! quadro! da! 6! mesi! a! poussè& recidivanti& possiamo& pensare& all’evoluzione& di& una& dermatite&
spongiotica,! se! invece! si! ha! dopo! 15! giorni! dobbiamo! immaginare! qualcosa! di! diverso.! Quindi! la! diagnosi! dipende!
molto!dalla!tempistica.!
2.$PSORIASI$(DERMATITE$PSORIASIFORME)$
!
La! psoriasi! è! una! malattia$ dermatologica$ cronica! papuloF
squamosa$molto!comune:!è!un’entità!clinica!e!anatomica.!InF
vece,!le!lesioni!che!non!sono!psoriasi!ma!che!sono!caratterizF
zate!da!una!morfologia!simile!a!quella!della!psoriasi!!prendoF
no!il!nome!di!dermatiti$psoriasiformi.!
La!psoriasi!è!facilmente!diagnosticabile!con!la!clinica:!si!osserF
vano!lesioni$eritematose$e$ipercheratosiche!localizzate!in!seF
di$tipiche,!come!il!gomito,!gli!arti!inferiori,!le!pieghe!intergluF
tee,!il!cuoio!capielluto.!
La! biopsia! è! indicata! quando! la! malattia! non! è! tipica! perché!
c’è! la! possibilità! che! tale! quadro! di! dermatite! psoriasiforme!
sia!causato!da!infezioni$fungine$croniche$della$cute!(la!coloraF
zione!con!il!PAS!è!dirimente!in!quanto!evidenzia!i!microrganiF
smi! fungini),! o! da! linfomi$ cutanei$ primitivi! (come! la! micosi!
fungoide,!ma!in!questo!caso!ci!sono!linfociti!atipici).!
Da!un!punto!di!vista!morfologico!si!osservano:!
• papillomatosi,! ovvero! iperplasia!
dell’epidermide!con!allungamento!reF
golare$ delle! papille! dermiche! (che! asF
sumono!un!aspetto!“a!dente!di!sega”).!
• paracheratosi$ a$ placche$ (discontinua,!
ovvero!intervallata!da!aree!di!ortocheF
ratosi):!si!osservano!i!nuclei!nello!straF
to!corneo!dell’epidermide,!
• esocitosi! di$ linfociti$ e$ neutrofili:! è! la!
migrazione!delle!cellule!infiammatorie!
dal! derma! (loro! sede! fisiologica)!
all’epidermide,!dove!possono!formare!
microFascessi! caratteristici! della! psoF
riasi! (accumulo! di! granulociti! nello!
strato! corneo! paracheratosico! o! nello!
strato!spinoso);!
• capillari$prominenti$nell’apice$delle$papille$dermiche,!al!di!sopra!delle!quali!l’epidermide!è!assottiF
gliata:! la! compresenza! di! questi! due! fattori! (tanti! capillari! iperemici! e! assottigliamento!
dell’epidermide)!può!provocare!sanguinamenti!dopo!strofinamento!o!grattamento.!
Nella! dermatite$ psoriasiforme,! a! differenza! della! psoriasi,! le! papille! sono! più! irregolari,! non! ci! sono! gli!
ascessi! e/o! manca! una! storia! clinica! di! psoriasi! (es.! familiarità,! presenza! di! artrite);! la! dermatite! psoriasiF
forme!va!in!diagnosi!differenziale!con!la!dermatite!eczematosa!in!fase!cronica.!!!
!
3.$DERMATITI$DA$INTERFACCIA:$LICHEN$PLANUS$E$DERMATITI$LICHENOIDI$
$
Le!dermatiti$da$interfaccia!sono!patologie!infiammatorie!cutanee!in!cui!la!flogosi!è!presente!all’interfaccia$
tra!il!derma!e!l’epidermide!(dal!derma!superficiale!si!estende!allo!strato!basale!dell’epidermide).!
Il! prototipo! delle! dermatiti! da! interfaccia! è! il! liF
chen,! una! malattia! infiammatoria! mucoFcutanea7!
di! origine! immunitaria! che! si! manifesta! clinicaF
mente!con!papule$e$placche$pruritiche,!di!dimenF
sioni! variabili! da! pochi! mm! a! 1! cm;! il! paziente! di!
conseguenza! si! gratta! causando! lesioni! secondaF
rie,!facilitando!le!sovrainfezioni!e!mascherando!un!
po'! il! pattern.! Le! lesioni! cutanee! che! presentano!
caratteristiche!simili!a!quelle!del!lichen!prendono!
il!nome!di!dermatite$lichenoide. !
Da!un!punto!di!vista!morfologico!si!osservano:!
• flogosi! del$ derma$ superficiale! che! si! estende! allo! stato! basale! dell’epidermide,! con! infiltrato$ inF
fiammatorio! linfocitario,! diffuso! “a$ banda”! a! livello! della! giunzione! dermoFepidermica! (non! è! un!
infiltrato! perivascolare! come! nella! psoriasi):! in! questa! sede! esso! causa! la! distruzione! dello! strato!
basale.!
La! melanina! dei! melanociti! viene!
persa! e! poi! fagocitata! dagli! istiociti,!
che! appaiono! come! cellule! pigmenF
tate!dette!melanofagi;!
• ipercheratosi$ ortocheratosica:$ semF
pre!presente!(ma!l’epidermide!non!è!
inspessita!come!nella!psoriasi);!il!reF
perto! di! paracheratosi! invece! escluF
de!la!diagnosi!di!lichen,!
• ipergranulosi:! aumenta! lo! strato!
granuloso! dell’epidermide,! a! causa!
non!di!un!difetto!di!maturazione!ma!
dell’iperplasia,! che! si! manifesta! anF
che!con!iperproduzione!di!cheratina.!
!
4.$PEMFIGO$VOLGARE$
$
Il! pemfigo$ volgare! è! una! dermatite! bollosa8!della! cute!
che! colpisce! gli! adultiFanziani! ed! è! causata! da! una! reaF
zione!immunitaria!contro!le!desmogeline,!proteine!che!
costituiscono! i! desmosomi! dei! cheratinociti:! questo! atF
tacco!autoimmune!determina!la!diminuzione!della!adeF
sività! dei! cheratinociti! e! predispone! all’accumulo! di! liF
quido!quindi!alla!formazione!di!bolle$intraepidermiche,!
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
7
!Esistono!molte!varianti!di!lichen:!studiamo!in!questo!contesto!il!lichen!cutaneo,!ma!esiste!anche!quello!delle!mucose,!
per!esempio!del!cavo!orale:!in!questo!caso!non!c’è!la!cheratina!e!va!in!diagnosi!differenziale!con!la!leucoplachia!(la!
leucoplachia! può! essere! con! displasia,! in! questo! caso! aumenta! il! rischio! di! trasformazione,! o! senza! displasia,! per!
esempio!secondaria!a!microtraumatismi!cronici!e/o!malocclusione).!
8
!Le!lesioni!bollose!della!cute!si!distinguono!in!pemfigo!(che!può!essere!volgare,!foliaceo,!paraneoplastico),!e!pemfiF
goidi!(che!comprende:!pemfigoide!bolloso,!epidermolisi!bollosa!acquisita,!herpes!gestationis,!malattia!bollosa!con!deF
positi!lineari!di!IgA,!dermatite!erpetiforme).!Interessano!gli!adulti!anziani,!tranne!l’herpes!gestationis.!
grandi!anche!alcuni!centimetri.!!
Queste!vescicole!intraepidermiche!possono!rompersi!facilmente!(ma!tendono!a!guarire)!e!aumentare!il!riF
schio!di!infezione!(nelle!forme!gravi). !
Le!bolle!si!vedono!bene!clinicamente,!anche!se!nelle!fasi!precoci!(quando!la!bolla!ancora!non!si!è!formata)!e!
nelle!tardive!(quando!la!bolla!si!è! già!rotta!e!si!è!sovrapposta!una!flogosi)!la!diagnosi!clinica!di!malattia!bolF
losa!può!non!essere!così!semplice.!
Da!un!punto!di!vista!morfologico:!
• la!cute!può!essere!normale!o!eritematosa,!
• si! osservano! vescicole$ intraepidermiche!
causate!dalla!perdita!di!adesività!dei!cheF
ratinociti! degli! strati! parabasali,! quindi!
dallo!scollamento!di!due!strati!della!cute;!
• la!vescicola!contiene!linfociti$e$eosinofili,!
• all’immunofluorescenza$ diretta! si! osserF
vano!depositi$di$IgG$antiFdesmogleine!atF
torno! alle! membrane! citoplasmatiche! dei!
cheratinotici.! La! positività! si! osserva! anF
che! in! assenza! della! bolla,! ovvero! è! già!
presente! prima! che! si! formi! la! bolla,! e! in!
qualsiasi!distretto!cutaneo!biopsato.!Nella!
cute!normale!c’è!negatività.!
!
5.$PEMFIGOIDE$BOLLOSO$
!
Il!pemfigoide$bolloso!è!una!malattia$bollosa$della$cuF
te! che! colpisce! gli! adultiFanziani! ed! è! causata! da! una!
reazione! immunitaria! contro! alcune! proteine$ della$
membrana$ basale$ dell’epidermide;! di! conseguenza,!
secondo! meccanismi! analoghi! a! quelli! descritti! nel!
pemfigo,! si! formano! bolle! a$ livello$ della$ giunzione$
dermoFepidermica.!Clinicamente!si!manifesta!con!paF
pule!e!placche!orticarioidi!associate!a!bolle!meno!fraF
gili!(sono!più!profonde!e!non!si!rompono).$
Da!un!punto!di!vista!morfologico!si!osservano:!
• infiltrato$ infiammatorio! a! livello! del! derma!
superficiale! (giunzione! dermoFepidermica,!
come! nel! Lichen)! e! non! a! livello! intraepiderF
mico!come!nel!pemfigo,!ricco!di!eosinofili!(asF
senti! nel! Lichen):! questo! infiltrato! provoca! il!
distacco!dermoFepidermico,!
• numerosi!eosinofili$nella$bolla, !
• all’immunofluorescenza! diretta$ depositi$ liF
neari$ di$ IgG$ antiFmembrana$ basale! a! livello!
della!giunzione!dermoFepidermica.!
Va!in!diagnosi!differenziale!con!la!dermatite!spongiotica!con!vescicolazione.!
Quindi!in!queste!due!malattie!bollose!(pemfigo!e!pemfigoide)!l’immunofluorescenza$è!fondamentale!per!la!
diagnosi$ di$ certezza,!la!diagnosi!precoce!(quando!le!bolle!non!si!sono!formate)!e!la!diagnosi!differenziale!
tra!pemfigo!volgare!e!pemfigoide!bolloso;!per!la!sua!esecuzione!non!bisogna!fissare!in!formalina!il!tessuto,!
che!va!inviato!a!fresco!il!più!rapidamente!possibile,!congelato!con!azoto!liquido!e!tagliato!con!criostato!(inF
fatti!la!formalina!farebbe!perdere!la!reattività!al!tessuto).!Dopo!aver!sfidato!il!preparato!con!gli!anticorpi!
antiFanticorpi!coniugati!con!la!fluorescina!(antiFIgG,!antiFIgA,!antiFIgM,!antiFIgE,!antiFC3),!l’osservazione!si!fa!
al!microscopio!a!fluorescenza.!!
!
Queste!lesioni!eritematose!a!volte!sono!la!spia!dei!linfomi!cutanei!come!la!micosi$fungoide,!il!prototipo!dei!
linfomi!cutanei!(in!cui!però!sono!presenti!cellule!atipiche).!
$
$ PEMFIGO$ PEMFIGOIDI$
Autoanticorpi$$ AntiFdesmogleine! AntiFproteine!della!MB!
Localizzazione$della$bolla$$ Intraepidermica!(sovrabasale)! Giunzione!DE!
Immunofluorescenza$$ Positività!IgG!sovra!basale! Positività!IgG,!IgA,!C3!lineare!su!MB!
Clinica$$$ Bolle!fragili,!che!tendono!a!guarire! Bolle!dure,!che!necessitano!di!CHIR!
spontaneamente!
Età$$ AdultoFanziano! AdultoFanziano!(ad!eccezione!
dell’herpes!gestationis)!
B.$PATOLOGIA$NEOPLASTICA$DELLA$CUTE$NON$MELANOCITARIA$
!
CLASSIFICAZIONE$DELLE$NEOPLASIE$DELLA$CUTE$
• Neoplasie$dell’epitelio$di$superficie,!ovvero!dell’epidermide:!sono!quelle!più!comuni!in!assoluto.!
• Neoplasie$degli$annessi$cutanei:!in!genere!si!tratta!di!tumori!benigni!e!estremamente!rari;!si!trovano!
nel!derma!e!si!comportano!come!le!lesioni!dell’epitelio!di!superficie.!
• Lesioni$e$neoplasie$melanocitarie$
• Neoplasie$mesenchimali:!a!livello!cutaneo!insorgono!molte!lesioni!mesenchimali,!che!si!manifestano!
sotto!forme!di!un!nodulo!rilevato!e!rivestito!da!epidermide!normale;!nella!maggior!parte!dei!casi!sono!
benigne.!
!
Studiamo!nel!dettaglio!le!neoplasie!dell’epitelio!di!superficie!
!
!
CLASSIFICAZIONE$DELLE$NEOPLASIE$DELL’EPITELIO$DI$SUPERFICIE$
$
Le!neoplasie$dell’epitelio$di$superficie!si!distinguono!in:!
• lesioni$preinvasive$(in(situ),$che!comprendono:$
o la!cheratosi$attinica,!principale!lesione!della!cute!esposta,!
o il!morbo$di$Bowen!(CIS),!principale!lesione!della!cute!non!esposta,!
o la!cheratosi$seborroica,!
o il!cheratoacantoma,!
• carcinomi$(infiltranti),$che!comprendono:$
o il!carcinoma$squamocellulare,!
o il!carcinoma$basocellulare,!
o il!carcinoma!a!cellule!di!Merkel.!
In!queste!neoplasie!bisogna!tener!presente!che!la!presenza!o!assenza!di!infiltrazione!(quindi!il!superamento!
o! meno! della! membrana! basale)! non! correla! con! il! comportamento! clinico,! ovvero! con! la! benignità! o!
l’aggressività;!infatti,!nella!maggior!parte!dei!casi,!i!carcinomi!infiltranti!non!sono!aggressivi.!
!
CHERATOSI$ATTINICA$E$CHERATOSI$ATTINICA$BOWENOIDE$
$
La!cheratosi$attinica,!patologia!molto!freF
quente,!è!una!lesione$ precancerosa$ e$ diF
splastica! dei! cheratinociti,! caratterizzata!
quindi! da! un’alterazione! della! maturazioF
ne! dell’epidermide,! simile! a! quella! del!
carcinoma.!
E’! più! frequente! nell’età$ avanzata! e! inF
sorge!nelle!zone$fotoesposte!(testaFcollo,!
mani,!braccia,!avambracci;!gli!arti!inferiori!
sono! raramente! interessati),! in! quanto!
correlata!ai!raggi!UV.!
Clinicamente!si!manifesta!con!una!lesione!
variamente!cheratosica$e$pigmentata.!
Da!un!punto!di!vista!morfologico!si!osservano:!
• displasia$basale$e$soprabasale:!c’è!un’alterata!maturazione!dell’epidermide!profonda,!ovvero!a!liF
vello!dello!strato$basale,!in!cui!si!riscontrano,!al!posto!delle!normali!cellule!non!cheratinizzate!picF
cole!e!monomorfe,!cellule$ atipiche$ e$ alterate,$ caratterizzate!da!aumento!delle!dimensioni!e!delle!
mitosi,! proliferazione! disorganizzata! e! non! più! a! palizzata,! alterazione! della! morfologia! nucleare,!
mantenimento! del! nucleo! nonostante! il! citoplasma! sia! pieno! di! cheratina.! All’atipia! si! associa!
l’atrofia!(più!raramente!l’iperplasia)!delle!cellule!basali.!
Se! le! cellule$ atipiche! sono! presenti! nell’epidermide! a$ tutto$ spessore,! e! di! conseguenza!
l’epidermide!si!inspessisce,!si!parla!di!cheratosi$attinica$Bowenoide9,!che!rappresenta!un$carcinoF
ma$in(situ10!(è!il!corrispettivo!del!morbo!di!Bowen!per!la!cute!non!esposta);!
• alternanza$di$paracheratosi$e$ipercheratosi:!dovute!all’alterata!maturazione!dell’epidermide!che!si!
riflette!sugli!strati!superficiali.!In!alcuni!casi!(soprattutto!negli!anziani),!l’ipercheratosi!diventa!così!
spessa,!che!si!osserva!una!caratteristica!formazione!appuntita,!simile!a!un!piccolo!cono,!detta!corF
no$cutaneo;!
• elastosi:!è!un’alterazione!del!derma!tipica!delle!forme!attiniche,!caratterizzata!dalla!degenerazione$
delle$fibre$elastiche!del!derma!reticolare!(soprattutto)!e!papillare,!che!si!colorano!in!bluFgrigio!con!
l’EE;!cambia!quindi!l’affinità!tintoriale!del!derma,!che!da!eosinofilo!diventa!basofilo.!
!
C’è! una! variante$ proliferativa! con! cellule$ atipiche$ basaloidi$ estese$ nel$ derma$ superficiale,! qui! presenti!
perché!la!lesione!prolifera!e!forma!digitazioni!verso!il!derma!superficiale.!Si!usa!l’appellativo!“variante!proliF
ferativa”!perché!non!è!un!carcinoma!in!senso!stretto!(se!lo!si!chiama!carcinoma!in!situ!non!cambia!molto).!
La!rimozione!con!i!margini!liberi!(R0)!determina!la!guarigione;!se!i!margini!sono!positivi!(R1)!al!massimo!ci!
sarà!una!recidiva!locale,!perché!la!lesione!che!non!ha!ancora!infiltrato!il!connettivo.!Nel!caso!di!cheratosi!
attinica! bowenoide,! soprattutto! per! motivi! estetici,! è! indicato! fare! prima! una! biopsia$ incisionale! e! poi,! a!
seconda! del! referto! (quindi! della! presenza! o! assenza! di! infiltrazione),! è! indicato! fare! un! intervento$ più$ o$
meno$ demolitivo.!Infatti!la!cheratosi!attinica!bowenoide!può!evolvere!in!carcinoma!basocellulare!o!squaF
mocellulare.!
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
9
!Quando!troviamo!una!lesione!di!questo!tipo!a!livello!della!cute!di!complesso!areolaFcapezzolo!o!della!cute!genitale!
può!essere!complessa!la!DD!con!la!malattia!di!Paget;!tuttavia!in!quest’ultima!non!c’è!displasia!dell’epitelio.!
10
!Per! non! allarmare! il! paziente! è! meglio! chiamarla! cheratosi! attinica! bowenoide! piuttosto! che! carcinoma! in! situ!
(infatti,!una!volta!tolta!la!cheratosi!con!i!margini!puliti,!si!ha!la!guarigione).!
MORBO$DI$BOWEN$o$CARCINOMA$IN$SITU$
$
Il!morbo$ di$ Bowen!o!carcinoma$ in( situ!è!una!lesione$ atipica$ e$ displastica$ non$ infiltrante!che!origina!dai!
cheratinociti!a!livello!delle!zone$non$esposte!(es.!gambe,!dorso).!
• Clinicamente!si!manifesta!con!una!placca$unica,$ipercheratosica,$indolente,$eritematosa.!
• E’!il!corrispettivo!della!cheratosi!attinica!bowenoide!che!insorge!nelle!aree!fotoesposte.!
• E’! caratterizzata! da! un! inspessimento$ dell’epidermide,! con! cheratinociti$ atipici$ a$ tutti$ i$ livelli! e!
perdita!completa!della!differenziazione!(maturazione!gravemente!alterata).!
• Le!cellule$atipiche!sono!caratterizzate!da!vacuolizzazione$citoplasmatica!(si!osservano!quindi!celluF
le!chiare),!atipia$nucleare,$mitosi$atipiche!(possono!esserci!cheratinociti!plurinucleati).!!
• La!membrana!basale!è!integra:!non!c’è!infiltrazione;!se!non!trattato!può!diventare!infiltrante.!
$$$ $
$
CARCINOMA$SQUAMOCELLULARE$
!
Il!carcinoma$squamocellulare!(o!spinocellulare)!è!un!tumore$maligno$infiltrante!dei!cheratinociti.!
Da!un!punto!di!vista!clinico!si!presenta!con!un!aspetto$molto$variabile:!
• spesso!come!una!lesione!rilevata!dalla!cute,!quindi!placca$o$nodulo,!ricoperta!da!una!crosta$iperF
cheratosica$biancastra!(la!cheratina,!che!viene!prodotta!dalle!cellule!tumorali,!è!infatti!bianca),!
• frequentemente!va!incontro!a!ulcerazione!e!si!forma!un!escara!in!superficie!(se!ulcera!viene!persa!
la!cheratina!e!quindi!l’aspetto!biancastro),!
• in!alcuni!casi!ha!un!aspetto$verrucoso,!come!cavolfiore,!ovvero!caratterizzato!da!una!superficie!fiF
nemente!granulare,!o!un!aspetto$“a$cratere”,!se!al!centro!del!nodulo!si!osserva!un!deposito!bianco!
di!cheratina.!
!
E’!un!tumore!che!insorge!sulla!cute$danneggiata$da$fattori$esogeni!quali:!
• l’esposizione$ai$raggi$UV,!infatti!origina!nella!maggior$parte$dei$casi!in!sedi!fotoesposte,!
• le!ulcere$croniche,!di!lunga!data!(es.!lesioni!cutanee!con!problematiche!di!guarigione,!come!possoF
no!essere!i!processi!di!riparazione!dalle!ustioni,!le!piaghe!da!decubito!oppure!quelle!a!livello!degli!
arti!inferiori!in!seguito!a!insufficienze!venose),!
• i!cancerogeni$chimici!(es.!arsenico).!
Sono!più!comuni!a!livello!della!regione$testaFcollo,!ma!anche!sulla!superficie!superioF
re!del!tronco;!una!sede!tipica!è!l’orecchio,!dove!può!insorgere!un!corno$cutaneo!(che!
va!in!diagnosi!differenziale!con!quello!della!cheratosi!attinica),!o!la!giunzione$cutaneoF
mucosa$del$labbro,!dove!rappresenta!l’evoluzione!di!cheilite!attinica!che!si!ulcera!freF
quentemente. !
Difficilmente!nasce!su!cute!sana:!il!più!delle!volte!deriva!dalla!evoluzione!di!un!carcinoma$in(situ!(se!insorF
ge!nelle!zone!non!esposte)!o!di!una!cheratosi$attinica!(se!insorge!nelle!zone!esposte).!
!
ASPETTO$MICROSCOPICO$
Da!un!punto!di!vista!morfologico!si!osservano:!
• isole$di$epitelio$squamoso,!formate!da!cellule!variamente$differenziate!con!citoplasma$rosa!e!con!
variabile! attività$ mitotica,! anche$ atipica! (invece! le! mitosi! nei! contesti! rigenerativi,! che! sono! tenF
denzialmente!tipiche).!Possono!essere!presenti!anche!cellule!con!nucleo!picnotico!(degenerato,!a!
causa!della!morte!cellulare);!
• cheratinizzazione$ dismorfica!(ovvero!alterazione!della!cheratinizzazione!di!grado!variabile):!si!forF
mano!perle$cornee,!quindi!nidi!di!cellule!cheratinizzate,!o!si!osservano!singole$cellule!che!vanno!inF
contro!a!cheratinizzazione!anomala.!
La!capacità!di!produrre!cheratina,!che!è!visibile!in!quanto!intensamente!eosinofila,!è!indicativa!delF
la!maturazione!della!cellula:!più!cheratina!produce,!più!la!cellula!è!differenziata;!
• spine,!artefatti!presenti!normalmente!nell’epidermide!che!si!formano!a!livello!delle!giunzioni!celluF
laFcellula! dilatate;! questi! artefatti! sono! ancora! visibili! nel! tumore,! nonostante! l’alterazione! della!
maturazione,!poiché!le!cellule!squamose!mantengono!i!ponti$intercellulari$con$desmosomi.!Il!loro!
riscontro!ha!un!ruolo!diagnostico!in!quanto!conferma!l’origine!squamosa!della!neoplasia;!
• invasione$del$derma!da!parte!delle!cellule!neoplastiche.!Ma!non!è!sempre!facile!vedere!l’invasione,!
soprattutto!se!il!fronte!di!avanzamento!è!caratterizzato!da!margini$compressivi11!e!non!infiltrativi;!
è!di!aiuto!nella!diagnosi!di!invasione!il!riscontro!di!una!reazione$stromale$desmoplastica!(ovvero!di!
stroma!lasso!in!rapporto!a!isole!di!epitelio!squamoso!neoplastico).!È!l’infiltrazione!che!differenzia!
un!carcinoma!in!situ!dal!carcinoma!squamocelluare.!
In!sintesi,!la!presenza!delle!spine,!la!cheratinizzazione!anomala,!la!presenza!di!cellule!eosinofile!con!atipia!
nucleare!(mitosi!e!picnosi),!e!lo!stroma!desmoplastico!permettono!di!fare!diagnosi.!
!!! !
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
11
!In!generale!un!tumore!può!crescere!con!margini:!
• infiltrativi!(spicolati,!irregolari,!circondati!da!reazione!desmoplastica!evidente),!
• compressivi!(rotondeggianti,!con!schiacciamento!dei!tessuti!circostanti!e!in!assenza!o!scarsità!di!reazione!deF
smoplastica).!
PROGNOSI$
Nonostante!il!superamento!della!membrana!basale,!nei!carcinomi!squamocellulari!globalmente!la!percenF
tuale$di$metastasi$è!bassa:!dello!0,5%!se!insorgono!su!danno!attinico!(quindi!su!aree!esposte)!e!del$2F3%$se!
originano!su!cute!non!esposta!(invece!i!carcinomi!squamocellulari!delle!mucose!hanno!una!prognosi!pegF
giore).!
Quindi! la! resezione$ chirurgica$ completa! è! nella! gran! parte! dei! casi! curativa:! solo! una! piccolissima! parte!
mostra!un!comportamento!aggressivo;!infatti!basti!pensare!che!un!paziente!con!questa!neoplasia!non!vieF
ne!depennato!dai!registri!dei!donatori!d’organo!(può!continuare!a!essere!donatore!perché!la!neoplasia!non!
è!aggressiva).!
Il!rischio$di$metastatizzazione,!soprattutto!per!quelli!esposti,!dipende!dai!seguenti!fattori$prognostici:!
• diametro$maggiore$di$2$cm.$In!generale!più!il!tumore!è!piccolo,!migliore!è!la!prognosi;!ma!il!rischio!
di!metastasi!è!alto!al!di!sopra!dei!2!cm.!
E’!facile$di!solito!misurare!le!dimensioni!perché!per!tali!lesioni!si!effettuano!tendenzialmente!biopF
sie$escissionali!(con!asportazione!completa!della!lesione!e!con!un!po’!di!pelle!sana!intorno;!solo!se!
la!lesione!è!molto!grande!si!può!fare!una!biopsia!incisionale!o!una!punch#biopsy).!Occorre!fornire!il!
diametro$maggiore,!da!misurare!in!sede!di!esame!macroscopico;!
• aspetti!di!alto!rischio:!
o grado$istologico:!il!tumore!può!essere!ben/mediamente/scarsamente!differenziato,!a!seconda!
della!morfologia!cellulare,!presenza!di!ponti!e!presenza!di!cheratina.!Un!tumore!scarsamente!
differenziato!può!perdere!la!cheratina!e!diventare!anche!a!cellule!fusate!(acquisisce!quindi!un!
fenotipo!mesenchimale);!
o sede:!se!insorge!nell’orecchio!o!nella!cute!del!labbro!è!un!po’!più!aggressivo,!
o profondità$ di$ infiltrazione$ maggiore$ 2$ mm! (che! non! è! compresa! nel! TNM):! più! è! profondo!
maggiore!è!il!rischio;!
o IV$livello$di$Clark,!ovvero!infiltrazione!del!derma!reticolare!(i!livelli!di!Clark,!utilizzati!per!i!meF
lanomi,!variano!a!seconda!dell’avanzamento!della!neoplasia!tra!gli!strati!della!cute);!
o invasione$ perineurale,$ suggestiva!del!fatto!che!il!tumore!si!diffonde!a!distanza,!attraverso!le!
guaine.$L’invasione$vascolare$è!rara!in!questo!tumore.!
!
VARIANTI$
Tra!le!molteplici!varianti$del$carcinoma$squamocellulare,!ne!ricordiamo!due!che!originano!sulla!cute!espoF
sta,!rilevanti!perché!vanno!in!diagnosi!differenziale!con!alcune!neoplasie!che!insorgono!negli!stessi!distretti;!
esse!sono:!
• il!carcinoma$squamocellulare$a$cellule$fusate,!è!un!tumore!molto$indifferenziato$e$aggressivo,!soF
prattutto!se!associato!a!precedente$irradiazione.!E’!caratterizzato!da:!
o cellule$ fusate! arrangiate! in! fasci! e! citologicaF
mente!maligne,!con!nuclei!ipercromatici!atipici,!
o continuità!con!lo!strato!basale!dell’epidermide:!
è! presente! un! punto! di! contatto! con!
l’epidermide,! che! suggerisce! l’origine! a! partire!
da!un!cheratinocita,!
o aspetti!focali!di!differenziazione!squamosa!(non!
sempre!presenti);!la!cheratina!invece!è!quasi!o!
del!tutto!assente. !
La!diagnosi!differenziale!è!complessa!perché!include!
neoplasie! cutanee! ed! extracutanee,! come! il! melaF
noma,!le!metastasi!cutanee,!il!sarcoma.!Per!risolvere!il!quesito!diagnostico!differenziale!occorre!per!
prima! cosa! cercare! focolai! squamosi! e! il! contatto! con! l’epidermide;! può! essere! di! aiuto!
l’immunoistochimica!per!le!citocheratine,$che!questa!variante!esprime,!a!differenza!del!melanoma;!
• il! carcinoma$ verrucoso,! è! una! variante! molto! rara,! macroscopicamente! simile! a! verruca! (lesione!
sporgente!caratterizzata!da!una!proliferazione!ridondante).!
E’!una!lesione!indolente!che!insorge!in!alcune!sedi!tipiche,!come!le!regioni$acrali!(mani,!piedi)!e!la!
regione$anogenitale,!in!cui!possono!insorgere!anche!lesioni$papillomatose$HPVFmediate!con!cui!va!
in!diagnosi!differenziale!e/o!alla!quale!può!in!alcuni!casi!essere!associato.!
Da! un! punto! di! vista! microscopico! si! osserva! un! proliferazione! di! lobuli! di! epitelio! squamoso! ben!
differenziato!a!crescita$endofitica,!con!margini$espansivi!e!non!infiltrativi.!
!
CHERATOACANTOMA$
!
Il!cheratoacantoma!è!una!lesione!benigna!ipercheratosica!molto!comune!nelle!persone!anziane!e!che!inF
sorge!a!livello!della!cute$esposta!di!mani,!arti!superiori!e!testa.!Non!metastatizza.!
Da!un!punto!di!vista!macroscopico!è!una!proliferazione$squamosa,$ipercheratosica,$simmetrica,$rilevata,$a$
rapida$crescita!che!tende!alla!regressione$spontanea$(è!autolimitante).!Si!possono!osservare!anche!lesioni!
multiple.!
L’aspetto!morfologico!dipende!dalla!fase!in!cui!si!trova:!si!osservano!in!genere:!
• una!lesione!simmetrica,!con!core$ centrale$ di$ cheratina!circondato!da!epitelio$ squamoso$ prolifeF
rante! con! abbondante! citoplasma! pallido.! E’! come! se! il! derma! e! l’epidermide! circostante! abbracF
ciassero!la!lesione!(si!osserva!un!caratteristico!collare!di!derma!attorno!all’area!ipercheratosica);!
• alla! base! del! tumore$ un$ infiltrato$ infiammatorio$ intenso! (sempre! presente),! che! si! pensa! sia! reF
sponsabile!della!regressione!del!tumore;!
• la!presenza!di!tutti!i!fattori!prognostici!positivi.!
! ! !
A!causa!della!presenza!dell’infiltrato!infiammatorio!alla!base!e!del!cratere!centrale,!va!in!diagnosi$differenF
ziale!con!un!carcinoma$squamocellulare$ben$differenziato!e$ipercheratosico!a!margini!liberi;!è!fondamenF
tale!per!la!diagnosi!differenziale:!
• conoscere!il!tempo$di$insorgenza:!se!è!insorto!da!meno!di!6$mesi!può!essere!entrambe!le!lesioni,!
altrimenti!in!genere!è!un!carcinoma!squamocellulare,!
• osservare$ la$ lesione$ a$ basso$ ingrandimento:!alla!periferia!il!cheratoacantoma!è!caratterizzato!da!
una!tipica!invaginazione!dell’epitelio!che!abbraccia!il!tumore!ed!è!inoltre!molto!ben!delimitato!(a!
differenza!del!carcinoma!squamocellulare).!
Comunque,!in!entrambi!i!casi!l’asportazione!chirurgica!a!margini!liberi!è!curativa.!!
CARCINOMA$BASOCELLULARE$
$
Il!carcinoma$ basocellulare,!il!più!frequente!della!cute,!è!un!tumore!invasivo!dei!cheratinociti!a!comportaF
mento!clinico!solitamente!benigno.!In!passato!era!definito!basalioma!poi!epitelioma$basocellulare.!
Insorge!in!genere!in!zone$esposte$al$sole!(quindi!al!danno!attinico),!preferenzialmente!negli!anziani,$dove!è!
sporadico;!nei!giovani,!in!cui!è!molto!raro,!bisogna!sempre!pensare,!soprattutto!se!è!multiplo!e!localizzato!
in!zone!non!fotoesposte,!che!sia!associato!a!sindromi$ genetiche12!causate!da!mutazioni!che!determinano!
instabilità!cromosomica!(caratterizzate!da!un!aumento!della!suscettibilità!alle!radiazioni!ionizzanti).!
E’!un!tumore!piccolo,$a$lenta$crescita,$autolimitante,$che$metastatizza$raramente$(non!c’è!aggressività!siF
stemica):$ la! terapia! è! l’asportazione$ chirugica$ a$ margini$ liberi;! l’unico! rischio,! se! non! è! correttamente!
asportato,!è!la!recidiva$ locale$ (quindi!è!ancora!più!benigno!dello!squamocellulare).!In!alcuni!rari!casi!può!
diventare! molto! infiltrante! localmente! e! destruente! (distrugge! i! tessuti! molli! della! faccia,! è! rarissimo! e!
prende!il!nome!di!ulcus#rodens).!
Da!un!punto!di!vista!clinico$e$macroscopico:!
• si!manifesta!con!una!papula$traslucida$biancoFgrigiastra,!che!tende!ad!essere!più$rosea!del!carciF
noma! squamocellulare! perché! non! è! ricoperta! da! materiale! cheratinico! (l’ipercheratosi! è! rara! in!
questo!tumore)!e!contiene!capillari!subepidermici!prominenti!e!dilatati!(teleangectasie),!
• questa!lesione!può!essere!piana$o$un$po’$rilevata!e!nella!maggior!parte!dei!casi!indolente;!a!volte!
può! essere! erosa! o! ulcerata.! E’! raro! che! sia! eritematosa,! ipercheratosica! o!pigmentata! (in! questo!
caso!va!in!diagnosi!differenziale!con!le!lesioni!melanocitarie!della!cute).!
! ! ! !
Da!un!punto!di!vista!microscopico!studiamo!le!tre!varianti!principali13:!
• la!variante!nodulare,$che!si!manifesta!clinicamente!con!una!lesione$tonda$e$rilevata,!è!caratterizF
zata!dalla!presenza!nel!derma!superficiale!e!profondo!di!noduli$e$nidi$ben$definiti$di!cellule$basaF
loidi!(simili!a!quelle!basali!dell’epidermide!normale):!queste!cellule!sono!piccole,$monomorfe,!con!
nucleo$ipercromatico!e!scarso$citoplasma,!e!si!dispongono!alla!periferia!dei!nidi!allineate!a!formaF
re$“palizzate”.!I!tumori!che!si!comportano!in!questo!modo!si!chiamano!basaloidi,!perché!ricordano!
il!carcinoma!basocellulare!della!cute!(che!è!il!prototipo!di!questo!tipo!di!crescita!molto!regolare).!
Prevale! il! blu,! ovvero! l’ematossilina! dei! nuclei,! invece! nel! carcinoma! squamocellulare! prevale!
l’eosinofilia!della!cheratina.!
E’!caratterizzato!da!margini$arrotondati,!pertanto!è!facilmente!asportabile!e!presenta!una!minore!
tendenza!alla!recidiva!(dovuta!anche!al!fatto!che!non!tende!a!crescere!in!maniera!radiale).!
Il!tumore!deve!essere!in!continuità!con!l’epitelio!di!superficie!(se!è!tutto!sotto!epidermico!e!senza!
nessun!contatto,!non!è!un!tumore!dell’epidermide);!
!
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
12
!Come!la!sindrome!degli!amartromi!basocellulari!(o!nevomatosi!basocellulare).!Si!è!visto!che!nella!maggior!parte!dei!
carcinomi!basocellulari!sindromici!e!sporadici!ci!sono!mutazioni!del!gene!PTCH.!
13
!La!presenza!di!molte!cisti!invece!può!essere!indicativa!di!una!differenziazione!verso!gli!annessi!cutanei;!è!quindi!un!
tumore!camaleontico!che!può!avere!molti!aspetti.!
!
• la$variante$superficiale$(multicentrica)!è!caratterizzata!da!nidi$multipli$di$cellule$basaloidi!che!oriF
ginano! dallo! strato! basale! dell’epidermide! e! tendono! a! crescere! in! maniera! radiale,! quindi! in! larF
ghezza!e!non!in!profondità:!non!infiltrano!il!derma!reticolare!ma!interessano!una!vasta!area!della!
cute.!
Spesso! si! osserva! un! infiltrato! infiammatorio! lichenoide,! diffuso! a! livello! della! giunzione! dermoF
epidermica.!
E’!un!tumore!difficile!da!diagnosticare!macroscopicamente:!è!un!po’!a!arrossato!e!mima!le!lesioni!
infiammatorie;!è!anche!difficile!da!asportare,!perché!cresce!in!larghezza!e!in!maniera!discontinua!
(si!alternano!noduli!ad!aree!di!cute!normale):!pertanto!ci!possono!essere!recidive$locali;!
!
• la$ variante$ sclerosante$ (morfeaFlike),!estremamente!rara,!è!
caratterizzata! da! cordoni$ (isole)$ di$ cellule$ proliferanti! imF
merse!in!uno!stroma$desmoplastico:!il!derma!quindi!diventa!
fibroso! e! spesso! si! osserva! a! livello! della! giunzione! dermoF
epidermica!un!infiltrato!infiammatorio!lichenoide.!
Macroscopicamente! non! si! vede! sempre! bene:! sembra!
un’area$cicatriziale$che!si!mimetizza!con!la!cute!circostante. !
E’! un! tumore! chiaramente! infiltrante! quindi! ad! elevata$ agF
gressività$locale,!ancora!più!difficile!da!asportare!in!maniera!
completa:!ci!sono!quindi!recidive$locali.!
Soprattutto!le!varianti!superficiali!e!sclerosanti,!a!causa!della!loro!modalità!di!crescita!(tendono!a!infiltrare!
e!hanno!margini!indistinti),!sono!difficili!da!asportare!in!maniera!completa!e!hanno!una!maggiore!tendenza!
alla!recidiva$locale;!questo!problema!è!complicato!dal!fatto!che!insorgono!sul!viso!(es.!palpebre),!e!pertanF
to!bisogna!trovare!il!giusto!compromesso!tra!conservazione!dell’aspetto!estetico!e!ablazione!a!margini!libeF
ri.!Spesso!si!fa!l’estemporanea!per!lo!studio!dei!margini!di!resezione.!In!alcuni!casi!al!patologo!viene!chiesto!
un!esame$estemporaneo!a!ferita!aperta!mirato!alla!definizione!dei!margini!(che!sono!orientati!come!le!lanF
cette!di!un!orologio):!così!il!chirurgo!può!allargare!la!sezione!nella!direzione!indicata!dal!patologo14.!
Va!in!diagnosi$differenziale!con!lesioni!infiammatorie,!lesioni!melanocitarie!della!cute!(quando!è!pigmentaF
to),!carcinoma!squamocellulare,!cheratosi!seborroica;!ma!nella!forma!classica!è!facilmente!riconoscibile.!
!
CHERATOSI$SEBORROICA$
$
La! cheratosi$ seborroica! è! una! lesione! benigna! pigmentata! molto! comune! che! va! in! diagnosi! differenziale!
con!le!lesioni!melanocitarie.!Ha!una!predilezione!per!adulti!e!anziani!(insorge!dopo!i!10!anni).!
Da!un!punto!di!vista!clinico!e!macroscopico!appare!come!placche$finemente$verrucose,!ipercheratosiche!e!
variabilmente!pigmentate,!a!volte!pruriginose,!simili!a!un!piccolo!cavolfiore!molto!friabile!(può!sfaldarsi!a!
seguito!di!grattamento).!Queste!lesioni,!molto!regolari!e!spesse!fino!al!derma!profondo,!si!osservano!sulla!
faccia!e!sul!tronco.!
!
!
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
15
!Spesso! al! centro! c'è! una! porzione! più! chiara! e! disomogenea,! con! le! cellule! molto! separate! fra! loro! (somiglia! al!
follicolo! linfatico,! anche! a! causa! della! frequente! presenza! di! un! infiltrato! infiammatorio! reattivo).! Per! la! diagnosi! la!
ciliegina!sulla!torta!è!il!modo!di!crescere!paranucleare.!
C.$LESIONI$MELANOCITARIE$DELLA$CUTE$
!
Le!lesioni$melanocitarie$della$cute!sono!neoplasie!molto$frequenti!dei!melanociti,!cellule!che!derivano!dalF
la!cresta!neurale!e!secernono!melanina,!che!viene!acquisita!dai!cheratinociti!delle!cellule!basali.!Sono!posiF
tive!a!SF100,!melanFA,!HMB45.!
Si!distinguono!in!lesioni!benigne,!dette!nevi,!e!maligne,!i!melanomi;!a!volte!queste!lesioni!si!assomigliano!o!
rappresentano!le!une!i!precursori!delle!altre:!se!si!riscontra!una!lesione!che!può!evolvere!in!melanoma,!biF
sogna!considerare!l’andamento!temporale!delle!lesioni,!lo!stile!di!vita,!la!familiarità,!i!fattori!di!rischio.!
La!diagnosi!delle!lesione!melanocitarie!è!combinata:!occorre!integrare!la!anatomia!patologica!con!la!clinica,!
quindi!con!i!reperti$dell’esame$ispettivo$e$dermoscopico,!effettuato!con!uno!strumento!(dermoscopio)!che!
permette! di! vedere! la! distribuzione! della! pigmentazione! e! della! vascolarizzazione! (se! sono! clinicamente$
atipici!si!fa!la!biopsia).!
A!Torrette!c’è!un!PDTA!per!i!melanomi!(percorso!diagnosticoFterapeuticoFassistenziale),!un!percorso!deciF
sionale!che!si!occupa!di!diagnosi!e!terapia,!gestito!da!team!multidisciplinare).!
Le$lesioni$melanocitarie$della$cute$si!distinguono!in:!
1. nevi$(benigni)$
o nevi!congeniti:$
o nevi!comuni!o!acquisiti:$
a. lentigo#simplex,#
b. lentigo#solare,#
c. nevo!giunzionale,!
d. nevo!composito,!
e. nevo!dermico,!
f. nevo!di!Spitz,!
g. nevo!di!Reed,!
h. nevo!blu,!
i. nevo!displastico,!
2. melanoma$(maligno).$
Bisogna!considerare!nella!diagnosi!differenziale!di!queste!lesioni!anche!le!lesioni!pigmentate!non!melanociF
tarie!come!la!cheratosi!seborroica,!la!cheratosi!attinica,!i!carcinomi,!che!a!volte!possono!essere!pigmentati.!
!
1.$NEVI$MELANOCITICI$
$
I!nevi$melanocitici!sono!lesioni!proliferative!dei!melanociti!istologicamente!e!clinicamente!benigne.!I!melaF
nociti!alterati!che!costituiscono!la!lesione!sono!definiti!cellule$neviche!e!sono!distinti!dai!melanociti!normali!
per!alcune!caratteristiche:!
• l’acquisizione!di!una!forma$arrotondata!con!perdita!della!morfologia!dendritica!(diventano!più!arF
rotondate),!
• la! perdita$ della$ inibizione$ da$ contatto:! formano! dei! nidi! e! perdono! il! rapporto! con! cellule!
dell’epidermide!(inoltre!aumenta!il!rapporto!tra!melanociti!e!cellule!basali);!
• la!tendenza!a!mantenere$il$pigmento$nel$citoplasma!(a!differenza!dei!melanociti):!sono!infatti!celF
lule!pigmentate,!
• la!tendenza!a!migrare!dallo!strato!basale!nel$derma$papillare:!questo!reperto!è!normale!per!queste!
lesioni!(non!c’è!malignità)!e!non!viene!identificato!come!una!infiltrazione!(è!dovuto!al!fatto!che!c’è!
una!modificazione!delle!caratteristiche!delle!cellule).!
!
Si$distinguono$in:!
• nevi$congeniti:$sono!proliferazioni!neviche!presenti$alla$nascita,!o!che!insorgono!subito!dopo!la!naF
scita,!che!restano!stabili!nel$tempo.$
Sono!di!dimensioni$variabili:!piccole!(<1,5!cm)!o!intermedie/grandi;$possono!anche!essere!segmenF
tali,!quindi!estendersi!in!maniera!discontinua!lungo!un!intero!arto!o!lungo!la!schiena.!Quelli!giganti!
possono! essere! estetitcamente! deturpanti! e! sono! a! rischio! di! evolvere! in! melanoma! (occorre! folF
lowFup).!
Si!estendono!in!profondità!nel!derma!lungo!le!strutture!preesistenti,!infatti!tendono!a!coinvolgere$
gli$annessi,!soprattutto!pilosebacei,!che!vanno!spesso!incontro!a!ipertrofia;!si!possono!trovare!a!liF
vello!del!tessuto!adiposo!o!dell’ipoderma!senza!che!questo!rappresenti!un!criterio!di!malignità;!
• nevi$comuni$o$acquisiti,$più!frequenti.$Sono!lesioni$puntiformi!che!quando!diventano!visibili!misuF
rano!1F2!mm!e!si!presentano!come!una!piccola$ macula$ pigmentata:!all’inizio!sembrano!lentiggini!
(lentigo#simplex)!e!poi!possono!crescere!fino!a!4F5!mm.$
Per!quanto!riguarda!il!pattern!di!crescita!inizialmente!le!cellule!neviche!crescono!in!maniera$singola$
o$lentigginosa!(infatti!la!lentigo!è!la!proliferazione!singola!dei!melanociti)!poi!si!aggregano!in!nidi,!
noduli!o!teche!e!crescono!in!maniera$nodulare.$
Compaiono!in!genere!nell’infanzia!e!raggiungono!un!massimo!nella!adolescenza:!quindi!sono!tipici$
del$giovane;!è!raro!che!insorgano!in!età!avanzata:!se!compaiono!a!50!anni!vanno!valutati!con!granF
de!attenzione.!Con!l’aumentare!dell’età!tendono!alla!regressione.$
Studiamo!in!maniera!sistematica!i!nevi!acquisiti.!
(
a.$LENTIGO(SIMPLEX(
La!lentigo(simplex!è!una!lesione!melanocitaria!benigna!molto!comune,!totalmente!irrilevante!dal!punto!di!
vista!clinico!e!non$associata$all’esposizione$solare.!Clinicamente!si!osservano!delle!lesioni!pigmentate!punF
tiformi!(lentiggini)!in!genere!di!1F2!mm!(non!superano!il!centimetro).!
Di!solito!si!presenta!con!lesioni!isolate,!ma!in!alcuni!rari$casi!può!essere!associato!al!alcune!sindromi,!come!
la!sindrome$ di$ PeutzFJeghers!(con!polipi),!la!sindrome$ di$ Carney!(con!ipersecrezione!endocrina!e!mixomi!
cardiaci),!le!MEN.!Nelle!sindromi!si!osservano!molte!lesioni!pigmentate.!
Da!un!punto!di!vista!morfologico!si!osservano:!
• melanociti$ arrotondati!disposti!in!maniera$ lineare!lungo!la!membrana!basale!e!aumentati$ in$ nuF
mero:!aumenta!il!rapporto!tra!melanociti!e!cheratinociti!(arriva!a!6F7:10);!queste!cellule!crescono!
in! maniera! lentigginosa,! quindi! una! accanto! all’altra! senza$ creare$ aggregati,! e! trattengono! il! pigF
mento:!per!questo!la!lesione!è!pigmentata16.!
• un!allungamento$delle$papille$dermiche!(si!inspessisce!il!derma).!
!!! !!! !
!
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
16
!Ricordiamo! che! una! lesione! può! essere! pigmentata! a! causa! o! di! una! proliferazione! dei! melanociti,! o! di! un!
incremento!della!pigmentazione!nelle!cellule!epiteliali!basali!senza!aumento!del!numero!di!melanociti!(efelide),!
b.$LENTIGO(SOLARE((lentigo(senile)(
La!lentigo$solare!è!un!nevo!melanocitico!che!insorge!soprattutto!negli!anziani!su!cute$esposta!(faccia!e!maF
ni)!e!si!manifesta!con!una!macchia$pigmentata.!
! !! !
Da!un!punto!di!vista!morfologico!è!caratterizzata!da:!
• incrementata$ pigmentazione$ basale,! causata!
da!un!aumento$della$produzione$di$melanina!e!
non!del!numero!di!melanociti!nello!strato!basaF
le!(che!è!normale!o!lievemente!incrementato),!
• allungamento$delle$papille$dermiche,!
• elastosi,!causata!da!danno!attinico!del!derma. !
Va!in!diagnosi!differenziale!con!il!melanoma.!
!
c.$NEVO$GIUNZIONALE$
Il!nevo$giunzionale!è!una!lesione!melanocitica!benigna!che!insorge!in!età$giovane.!
Si!manifesta!come!una!lesione$piccola,$piatta!(non!nodulare),!pigmentata!in!
modo!regolare,!simmetrica.!Può!rimanere!piccola,!di!2F3!mm,!o!crescere$in$
maniera$radiale,!quindi!allargarsi!lateralmente,!ma!in!genere!non!supera!i!5$
mm$di$diametro!(<!1!cm). !
Da! un! punto! di! vista! clinico! va! in! diagnosi$ differenziale$ con$ il$ melanoma:!
sono!suggestivi!di!malignità,!quindi!devono!destare!il!sospetto,!le!grandi!diF
mensioni! e! l’insorgenza! in! età! adultaFanziana;! pertanto! è! fondamentale! la!
correlazione!con!la!clinica.!
Da!un!punto!di!vista!microscopico!bisogna!osservare!l’architettura!e!l’atipia!cellulare;!nel!dettaglio:!
• le! cellule$ neviche! si! aggregano! in!
nidi$ tondi$ e$ regolari! circondati!
dall’epidermide,! detti! teche! e! locaF
lizzati! alla! giunzione$ dermoF
epidermica.! Al! di! sopra! delle! teche!
c’è! l’epidermide! normale,! con! al!
massimo! un! inspessimento! dello!
strato!basale.!
Le! teche! sono! localizzate! esclusivaF
mente! nell’epidermide! (se! si! trovaF
no! nel! derma! non! si! parla! di! più! di!
nevo! giunzionale! ma! di! nevo! comF
posto,! v.! dopo),! spesso! sul! fondo!
delle! papille! epidermiche,! e! possoF
no!seguire!gli!annessi!cutanei!(in!questo!caso!nel!vetrino!sembrano!che!si!trovino!nel!derma,!ma!in!
realtà!sono!intraepidermici).!
Si!pensa,!anche!se!non!è!sempre!così,!che!questi!nidi!rappresentino!l’aggregazione!di!cellule!neviF
che! che! crescevano! in! maniera! lentigginosa,! quindi! che! il! nevo! giunzionale! possa! essere!
l’evoluzione!di!una!lentigo, !
• la!pigmentazione!delle!cellule!neviche!è!scarsa;!in!questo!caso!c’è!invece!iperpigmentazione$delle!
cellule$basali!(se!le!cellule!neviche!sono!ricche!di!melanina!si!identifica!una!specifica!variante);!
• nel!derma!si!osservano!un!po’!di!melanina!rilasciata!dai!nidi!e!melanofagi!(istiociti!che!hanno!fagoF
citato!la!melanina,!CD68Fpositivi),!presenti!anche,!e!soprattutto,!nel!melanoma.!
Nel!referto!deve!essere!incluso!lo!studio$dei$margini!che!possono!essere!indenni!(R0)!o!presi!(R1):!in!questo!
ultimo!caso!può!ricrescere!quindi!causare!recidiva!locale.!
Ci!sono!moltissime$varianti!di!questa!lesione;!per!esempio!una!di!queste!è!caratterizzata!dalla!presenza!a!
livello!della!membrana!basale!di!cellule!chiare,!melanociti!o!cellule!neviche,!che!non!crescono!in!teche!ma!
in!maniera!lentigginosa:!è!la!combinazione!di!un!nevo!giunzionale!e!di!un!nevo!lentiginoso!(ma!da!un!punto!
di!vista!diagnostico!resta!un!nevo!giunzionale).!
!
d.$NEVO$COMPOSTO$
Il!nevo$ composto!è!una!lesione$ melanocitaria$ benigna,!molto!comune!e!caF
ratterizzata,!come!suggerisce!il!nome,!da!una!componente!giunzionale!e!una!
dermica.!E’!una!lesione$ rilevata,!in!genere!meno!pigmentata!rispetto!ai!nevi!
giunzionali,!ma!spesso!formata!da!aree!più!scure!alternate!ad!altre!più!chiare!
(pigmentazione$non$omogenea). !
Da!un!punto!di!vista!microscopico:!
• rappresenta!la!maturazione$ di$ un$ nevo$ giunzionale,!che!si!realizza!attraverso!la!migrazione!delle!
cellule!neviche!nel!derma$papillare!e!a!volte!nel!derma!reticolare!(il!melanocita!quando!matura!va!
nel! derma:! non! è! un’infiltrazione);! in!
questo! distretto! compaiono! quindi!
cellule! neviche! molto! fragili! (che! si!
possono! perdere! durante! la! fissazioF
ne! creando! problemi! di! interpretaF
zione),!
• si! osservano! quindi! nidi! sia! a! livello!
giunzionale!(teche)!sia!a!livello!dermiF
co,! che! aumentano! in! numero! e! diF
mensioni:!così!la!lesione!da!piatta!diF
venta!rilevata,!come!una!papula.!!
$
e.$NEVO$DERMICO$
Il!nevo$dermico!(o!verrucoso)!è!una!lesione$melanocitaria$benigna,!che!rappresenta!
la!maturazione!completa!del!nevo!composto:!è!una!lesione!matura,!quindi!priva!di!
qualsiasi!attività!proliferativa,!e!che,!pertanto,!non$recidiva:!in!questo!caso,!a!diffeF
renza!del!nevo!giunzionale!e!composto,!lo!studio!dei!margini!è!quindi!non!rilevante. !
Si!manifesta!clinicamente!con!una!piccola!lesione$rilevata,!verrucosa!(da!qui!il!nome!
alternativo! di! nevo! verrucoso)! o! anche! polipoide! (presenta! un! piccolo! peduncolo),!
pigmentata!poco$o$per$niente.!
Si!manifesta!in!aree!sottoposte!a!trauma!(non!solo!collegate!all’esposizione!solare)!
e!si!asporta!per!shaving!(con!un’asportazione!superficiale)!per!motivi!estetici,!senza!interesse!per!lo!stato!
dei!margini!.!
Da!un!punto!di!vista!morfologico:!
• si!osservano!cellule$neviche$solo$nel$derma;!quindi!la!componente!epidermica!giunzionale!è!scomF
parsa!e!aumenta!quella!dermica,!
• dopo!alcuni!anni!la!componente!dermica!diventa!“neurotizzata”:!rappresenta!il!livello!estremo!di!
maturazione,!ed!è!morfologicamente!simile$alle$cellule$di$Schwann!(anche!esse!di!derivazione!dalla!
cresta!neurale!come!i!melanociti),!quindi!alle!cellule!di!tumore!benigno!del!nervo!periferico!(SchF
wannoma).!Nel!dettaglio,!le!cellule!neviche!diventano!più!piccole!e!assumono!una!forma!fusata,!
• alcune!di!queste!lesioni!possono!contenere!all'interno!strutture$pilosebacee!che!possono!infettarsi!
e!formare!cisti$o$ascessi:!in!tal!caso,!da!un!punto!di!vista!clinico,!si!osservano!un!ingrossamento!del!
nevo!nel!giro!si!pochi!giorni!accompagnato!da!flogosi!e!dolore!(non!è!un!melanoma,!perché!un!tuF
more!non!cresce!pochi).!
! !
In! sintesi! queste! ultime! lesioni!
(nevo! giunzionale,! composto,!
dermico,! dermico! neurotizzato)!
sono! parte! di! uno! stesso! perF
corso! non! obbligato,! cioè! posF
sono! evolvere! l’una! nell’altra!
ma!anche!nascere!direttamente!
nella!forma!più!avanzata.!
(v.! fig.! A)! cute! normale,! B)! nevo!
giunzionale,! C)! nevo! composto,! D)!
nevo! dermico,! E)! nevo! dermico!
neuronizzato).!
!
f.$NEVO$DI$SPITZ$
Il! nevo$ di$ Spitz,! che! prende! il! nome! dall’anatomopatologa! che! lo! ha!
identificato! (Sophie! Spitz),! è! una! lesione$ melanocitaria$ benigna! freF
quente!nei!bambini!e!giovani!adulti,!ed!eccezionale!dopo!i!60!anni.!
Clinicamente!si!manifesta!con!una!papula!rosea!non$pigmentata$che!
cresce$in$maniera$rapida,!ovvero!nell’arco!di!alcune!settimane,!a!livelF
lo!della!faccia!o!degli!arti$inferiori.!E’!di!dimensioni!moderate,!di!circa!
3F10$mm;$dopo!la!comparsa!può!rimanere!stabile!o!regredire. !
Nella!maggior!parte!dei!casi!si!comporta!in!maniera!non!aggressiva,!a!
differenza!dei!melanomi,!che!invece!hanno!un!comportamento!maligno,!ma!sono!tumori!dell’adulto!(ecceF
zionali!nei!bambini):!quindi!l’età!è!utile!per!la!diagnosi!differenziale!(ma!non!risolutiva).!
Da!un!punto!di!vista!morfologico!(a!differenza!del!melanoma):!
• cresce!in!maniera!regolare!e$simmetrica$(il!melanoma!è!invece!asimmetrico),!con!un!pattern!giunF
zionale,!composto!(nella!maggior!parte!dei!casi)!o!dermico,!
• presenta!una!netta$demarcazione$laterale!(non!cresce!radiale);!se!cresce!a!livello!giunzionale!si!osF
servano!teche!simmetriche!che!finiscono!in!maniera!netta,!
• è!associato!a!ipercheratosi!(assente!nel!melanoma),!e!mai!alla!papillomatosi,!
• prolifera$in$superficie$e$matura$in$direzione$del$derma:!quando!è!totalmente!maturo!si!osservano!
nel!derma!cellule!che!hanno!perso!la!capacità!di!proliferare!e!che!sono!morfologicamente!simili!alle!
cellule!di!Schwann.!Quindi!nel!nevo!di!Spitz!classico!non!ci!deve!essere!proliferazione!nel!derma!(alF
trimenti!è!un!melanoma),!
• le!cellule!sono!grandi,!morfologicamente!uniformi,!fusate$associate!o!meno!a!cellule$epiteliodi,!e!
con!un!nucleolo$prominente!(possono!essere!anche!atipiche!ma!sono!tutte!uguali:!non!c’è!polimorF
fismo),!
• la!melanina!è!assente!o!scarsa!(invece!è!presente!nel!melanoma.!
! !
Il!problema!di!questo!nevo!(da!alcuni!anche!chiamato!tumore!di!Spitz!o!melanoma!giovanile),!uno!dei!più!
comuni!e!importanti!problemi!dell’anatomia!patologica,!è!la!diagnosi$ differenziale!con!le!forme!maligne;!
infatti!a!volte!i!criteri!morfologici!sono!ibridi!o!ambigui!e!non!è!facile!stabilirne!la!benignità.!
Questa!distinzione!è!però!fondamentale!perché!il!nevo$di$Spitz$classico!guarisce!con!la!rimozione,!a!diffeF
renza!delle!due!forme!maligne!con!cui!esso!va!in!diagnosi!differenziale,!ovvero:!
• il!melanoma$spitzoide,!una!lesione!maligna!e!potenzialmente!metastatica!che!va!tratta!con!una!reF
sezione! chirurgica! completa! ad! ampi! margini! liberi! e! con! lo! studio! del! linfonodo! sentinella! (per!
escludere!una!metastasi!tra!le!prime!stazioni!linfonodali;!anche!se!non!!è!sempre!facile!rintracciare!
col!tracciante!il!linfonodo!sentinella!e/o!prelevarlo);!
• il!nevo$di$Spitz$atipico,!che!presenta!la!morfologia!del!nevo!di!Spitz!classico!ma!anche!alcuni!aspetti!
istologici! del! melanoma,! è! quindi! un! ibrido! tra! le! due! lesioni.! Nel! bambino! è! indolente! e! si! tratta!
quindi!con!asportazione!chirurgica;!nell’adulto!è!invece!potenzialmente!aggressivo!e!si!tratta!come!
se!fosse!un!melanoma!(si!fa!quindi!il!linfonodo!sentinella).!
I!nevi!di!Spitz!atipici!vengono!spesso!inviati!a!patologi!esperti!per!seconda!opinione,!ma!anche!tra!esperti!
Diagnostic algor
non!c’è!concordanza;!in!generale,!nella!distinzione!di!queste!lesioni,!sono!preoccupanti!e!non!suggestivi!di!
JH Cho-Vega
benignità!i!seguenti!aspetti:!
• alterazioni$architetturali!quali:! Table 1 Histological and immunohistochemical features cell prolife
signifying melanoma in atypical spitzoid tumors a complete
o asimmetria,! algorithmic
Architectural features
o crescita!radiale!e!non!circoscritta,!! Asymmetrya spitzoid tu
Lack of circumscription pattern’ of
o mitosi!nella!parte!profonda,! Lack of maturation in depth of the dermis zygous loss
o ulcerazioni!in!assenza!di!traumatismi,! Ulcera 11q13 will
High and frequent consumption of epidermis
a specific
o migrazione!dei!melanociti!verso!l’alto,! array-based
Cytological features
• alterazioni$ citologiche:!mitosi,!mitosi!atipiF Deep dermal mitosisa not be req
Frequent mitosisa and atypical mitosis in the dermis spitzoid tu
che! e! atipia! citologica,! che! va! al! di! là! di! High-grade cytological atypiaa
FISH resul
quella! riscontrabile! normalmente! nel! nevo! Host response hybridizati
di!Spitz!classico,! Brisk tumor infiltrating lymphocytic infiltrates based com
strates a m
• presenza$ della$ risposta$ infiammatoria$ Immunohistochemical features tions, the
Deep dermal cell proliferation by a dual-color Ki67/MART-1
dell’ospite.! Nel! nevo! di! Spitz! classico! Complete loss of HMB45 expression melanomas
Complete loss of p16 expression tive genom
l’infiltrato! infiammatorio! è! assente;! invece! show a n
a
il! melanoma! e! le! lesioni! neviche! atipiche! Histological features most correlated with disease progression.3 aberrations
spitzoid tum
che!evocano!una!importante!risposta!infiammatoria.!Il!melanoma!infatti!è!uno!dei!tumori!con!bur6 based comp
lesions with uncertain malignancy potential. There not detect
den!mutazionale!più!elevato!e,!di!conseguenza,!è!molto!antigenico,!
is no standardized histological criterion to establish for this par
• criteri$ aggiuntivi$ immunoistochimici$ e$ molecolari.! Poiché! nessun!
the diagnosis of atypicalmarcatore! spitzoidè! specifico,! bisogna!
tumor, which these cases
results in occasional disagreement even among risk,’ as in
combinare!markers!di!differenziazione!(come!SF100,!melanFA,!HMB46)!e!di!proliferazione.!
experts.2,3
17 excision an
Un!marker!dell’attività!proliferativa,!più!attendibile!della!conta!delle!mitosi!al!400x
To address these difficulties, appropriate ,!è!Mib1,!che!
molecu- melanoma
lar and immunohistochemical tests have been
colora!tutte!le!cellule!fuori!dalla!fase!G0:!una!marcata!positività!desta!sospetto;!un!altro!marker!è! mic hybri
developed using a panel of selected immunomarkers recommend
p16,!che!controlla!il!ciclo!cellulare!ed!è!normalmente!espresso!dalle!cellule!neviche:!una!sua!negaF
and genes that
Diagnostic contribute
algorithm the tumors
for atypical spitzoid most to melanoma
JH Cho-Vega 4–7 In particular, recent application of
pathogenesis. 659
tività!desta!sospetto.!Ora!si!stanno!utilizzando!anche!metodiche!molecolari,!come!la!FISH.!
fluorescence in situ hybridization (FISH) and array-
Table 2 Comparison of the immunohistochemical expressionbased comparative
of p16, Ki67, genomic
and HMB45 between Spitz hybridization assays
nevi and spitzoid melanomas
Histologi
has uncovered an increasing spectrum of potential Although
Reference Diagnosis (no. of cases) p16 Ki67 HMB45
chromosomal aberrations implicated in atypical neoplasm,
Stefanaki et al 10 SN (10) spitzoid0.3–5%,
51–73%, 10/10 (100%) tumors.
10/10Using
(100%) a combination
NA of immuno- can be di
BN (20) 460%, 20/20 (100%) o2%, 19/20
histochemical and cytogenetic/molecular
(95%) a NA tests, the
NonSM (16) 0 to o 5%, 8/16 (50%) 2–40%, 16/16 (100%) NA
HRAS acti
diagnostic
5 to o 30%, 6/16 (38%) algorithm proposed here aims to assess either by a
the
30 to o 40%, 2/16 malignant potential of atypical spitzoid tumors.
(12%) HRAS act
Pradela et al11 SM (10) NA 4–65/mm2, 32/32 (100%) 2/9 (22%), intense/diffuse stain incomplete
(Average 25.6/mm2) 7/9 (78%), mild/moderate stainb several hist
Al Dhaybi et al12 SN (18) 18/18 (100%) Proposed diagnostic
o2%, 18/18 (100%) algorithm
NA have limite
SM (6) 0/6 (0%) 18–75%, 6/6 (100%) NA tumors di
Garrido-Ruiz et al13c SN (28) 26/26 (100%) In addition to classical
A few cells+, 5/27 (20%) morphological
12/27 (44%)cevaluation, melanoma
NonSM (62) 55/62 (89%) ≥ 20%, 23/62
this algorithm (37%) a set of immunohistochemis-
applies 59/62 (95%)
to rule out
George et al9d SN (27) try assays (a dual-color of Ki67/MART-1, p16Ink4a,
Nuclear dermal, 68% NA NA general, Sp
Cytoplasmic dermal, 80%
AST (19)
and HMB45),
Nuclear dermal, 52% NA
FISH with five probes NA
(covering the such as d
chromosomal
Cytoplasmic dermal, 65% loci 6p25, 8q24, 11q13, centromere 9, morpholog
SM (42) and 9p21;
Nuclear dermal, 40% NA NeoSITE melanoma, NA Neogenomics hyperplasia
Cytoplasmic dermal, 57%
Laboratories), and a more comprehensive array- Kamino bo
Puri et al14 SN (17) NA 0 or staining in superficial
based comparative genomic lesion hybridization
Maturation pattern assay deep in th
AST favor SN (17) NA 0 or staining in superficial lesion Maturation pattern
AST favor SM (3) NA (University of California,
Significant San
stain at base of Francisco)
lesion Uneven or for anstain
diffuse entire epithelioid
SM (9) NA chromosomal evaluation.
Significant stain at base of lesion Uneven or diffuse stain dant opaqu
Following the identification of histological fea- phological
Abbreviations: BN, benign nevi; NA, not available; NonSM, nonspitzoid melanoma; SM, spitzoid melanoma; SN, Spitz nevus.
All references tested retrieval cases with consensus diagnosis.
tures associated with melanoma including ulcers, asymmetry
aOne case shows 5% Ki67 positivity. asymmetry, high-grade cellular atypia, and frequent tion deep
bTwo SM cases show maturation pattern of HMB45.
cImmunohistochemistry was applied to tissue microarray. dermal and deep dermal mitosis from cases with consumptio
Spitz
dThere were two patterns of p16 loss: loss of nuclear stain and loss of bothnevus-like morphology
nuclear and cytoplasmic stains. (Table 1), a set of atypical an
immunohistochemistry assays will be performed. If !
nent, high
immunohistochemistry assays confirm deep dermal lymphocyti
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
expression. 17,20 The tumor suppressors p14ARF and nevi display heterozygous loss of 9p21, whereas
17
!La!conta!delle!mitosi!può!essere!difficile!perché!dipende!dalla!fase!
p16INK4A are coded from alternatively spliced tran- homozygous loss of 9p21 is common in spitzoid
scripts in different reading frames at the INK4A/ARF melanomas.23,24 Further, 67% of atypical spitzoid
locus on chromosome 9p21 (Figure 2a). The INK4A/ tumors with heterozygous loss of 9p21 showed p16
ARF locus on chromosome 9p21 is frequently altered expression while none of the observed atypical
in human cancer, and inherited p16Ink4a/p14ARF spitzoid tumors with homozygous loss of 9p21
mutations are associated with melanoma suscept- expressed p16 protein.25
g.$NEVO$DI$REED$
Il! nevo$ di$ Reed$ (nevo$ a$ cellule$ fusate$ pigmentato)! è! una! rara! lesione! melanocitaria! benigna! tipica! delle!
giovani$donne!e!in!genere!localizzata!a!livello!degli!arti$inferiori!(ma!anche!della!congiuntiva).!
Si!manifesta!clinicamente!come!una!lesione$ tonda$ molto$ pigmentata$ e$ ben$ rilevata!(papula!o!placca),!di!
dimensioni!moderate!(3F10!mm).!
Da!un!punto!di!vista!morfologico:!
• è!un!nevo!composto!o!dermico!che!cresce!in!maniera!simmetrica,!con!margini$netti;!l’epidermide!
è!iperplastica!e!ipercheratosica,!
• è!formato!da!cellule$ovoidali$o$allungate,!simili!a!quelle!del!nevo!di!Spitz18,!in!genere!localizzate!nel!
derma!papillare!senza!interessamento!del!derma!reticolare!(sono!più!superficiali!di!quelle!del!nevo!
di!Spitz),!
• è!iperpigmentato,$a$differenza!del!nevo!di!Spitz:!si!osservano!abbondantissimi!e!grossolani!depositi$
di$melanina$nell’interstizio,!soprattutto!in!superficie.!La!melanina!è!evidente!anche!nel!citoplasma!
delle! cellule! neviche! (perché! non! viene! persa! a! differenza! delle! altre! cellule! neviche).!
L’iperpigmentazione!dell’interstizio!è!a!tutto!spessore,!perché!la!melanina,!e!non!le!cellule,!migra!in!
alto.!
!!!! !!!! !
Va!in!diagnosi!differenziale!con!il!melanoma$(a$cellule$fusate),!che!di!solito!è!meno!pigmentato!(anche!se!
sono!stati!descritti!melanomi!iperpigmentati):!solitamente!questa!iperpigmentazione!è!suggestiva!di!beniF
gnità.!
!
h.$NEVO$BLU!$
Il! nevo$ blu! è! una! lesione! melanocitaria! benigna! che! insorge! nelle!
regioni$ acrali!(mani!e!piedi),!del!distretto! testaFcollo!(scalpo!e!facF
cia),!dei!glutei.!Incidentalmente!può!essere!reperto!anche!nelle!muF
cose!(cavo!orale,!vulva!o!canale!cervicale,!linfonodi!cervicali,!meninF
ge,!congiuntiva).!
Clinicamente!si!manifesta!con!una!lesione$molto$pigmentata!(di!coF
lorito!bluastro!o!nero),!di!dimensioni$piccoleFintermedie!(4F10!mm),!
con!margini$leggermente$rilevati!e$sfumati. !
!
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
18
!Diverse!fonti!associano!i!due!tipi!di!nevi!(Spitz!e!Reed).!La!somiglianza!clinica!è!assente,!ma!è!presente!una!certa!soF
miglianza!istologica!(cellule!fusate):!il!nevo!di!Spitz!viene!anche!detto!'nevo!a!cellule!epitelioidi!e!fusate',!mentre!il!neF
vo!di!Reed!'nevo!pigmentato!a!cellule!fusate'”!
Da!un!punto!di!vista!morfologico:!
• cresce!tutta!nel!derma!(non!è!riconosciuta!la!progressioF
ne!multistep,!ovvero!la!migrazione!dall’area!giunzionale):!
è! caratterizzato! dalla! proliferazione! di! melanociti$ fusati$
nel$derma$reticolare.!Ci!sono!infatti!dei!melanociti!che!si!
trovano!fisiologicamente!nel!derma!e!possono!andare!inF
contro! a! proliferazione:! sono! piccoli,! numerosi,! pigmenF
tati!(molto!ricchi!di!melanina)!e!dendritici.!
E’! quindi! una! lesione! profonda,! spesso! localizzata! vicino!
ai!vasi:!questo!spiega!il!colorito!bluastro!e!la!presenza!di!
margini!sfumati;!a!causa!di!questa!profondità,!si!osserva!
tra! la! lesione! e! l’epidermide! sovrastante! una! zona! di!
derma!libera,!non!interessata!dalla!proliferazione;!
• è!iperpigmentata:!si!osserva!un!abbondante$deposito$di$
pigmento;! ma! la! melanina! è! finemente! reticolare! e! non!
grossolana. !
Va!in!diagnosi!differenziale!con!il!melanoma$a$cellule$fusate.!
!
i.$NEVO$DISPLASTICO$
Durante!l’esame!clinico,!il!dermatologo!può!riscontrare!un!nevo$atipico!(questa!categoria!è!esclusivamente!
clinica!e!non!morfologica),!ovvero!un!nevo!che!desta!sospetto!perché!è!di!dimensioni!irregolari,!associato!a!
flogosi,!caratterizzato!da!una!vascolarizzazione!e/o!una!pigmentazione!inusuali!(visibili!con!il!dermoscopio).!
In!tal!caso!il!nevo!viene!asportato!con!una!biopsia!escissionale!e!inviato!all’anatomopatologo!come!“nevo!
atipico”,!ovvero!con!il!quesito!diagnostico!circa!la!sua!benignità!o!malignità;!all’esame!microscopico!questa!
lesione!potrà!essere:!
• benigna,!nella!maggior!parte!dei!casi:!per!esempio!è!un!nevo!comune!infiammato!al!momento!delF
la!visita!e!quindi!clinicamente!atipico;!è!comunque!indicato!effettuare!la!biopsia!come!misura!preF
cauzionale,!
• maligna,!quindi!un!melanoma,!
• displastica,!ovvero!con!alcuni!aspetti!di!atipia$citologica$e/o$architetturale!ma!priva!dei!criteri!diaF
gnostici!del!melanoma.!
E’!quindi!una!lesione!non!maligna!che!presenta!displasia!e!che!può!essere!definita,!anche!se!non!
tutti!gli!autori!sono!concordi,!nevo$displastico.!
Nonostante! questa! categoria! diagnostica! sia! inclusa! ai! fini! didattici! nella! trattazione! delle! lesioni!
melanocitarie,! il! patologo! non! la! utilizza! nella! refertazione:! parla! invece! di! “nevo$ …$ (giunzionaF
le/composto/etc.)$con$displasia”.!Infatti!la!comunità!scientifica!si!sta!ancora!chiedendo!se!il!nevo!
displastico!abbia!un!significato$prognostico!così!diverso!da!quello!delle!lesioni!benigne!da!formare!
una!categoria!diagnostica!a!sé!stante!(v.!dopo).!
Certo!è!che!la!displasia!(o!il!nevo!displastico)!rappresenta!per!il!patologo!una!categoria$di$incertezF
za$biologica!tra!la!patologia!benigna!e!quella!maligna,!e!necessita!quindi!di!un!followFup.!
Nel!dettaglio,!i!nevi$displastici:!
• possono!insorgere!in!pazienti:!
o con!solo!questo!nevo,!
o con!molti!nevi!di!cui!alcuni!atipici,!
o con!storia!familiare!positiva!per!melanoma,!
o con!storia!personale!di!melanoma.!
Infatti!i!nevi!displastici!sono!varianti!di!nevi!acquisiti!descritti!per!la!prima!volta!in!membri!di!famiF
glie!in!cui!almeno!due!membri!erano!affetti!da!melanoma;!successivamente!sono!stati!descritti!anF
che!in!pazienti!con!una!storia!personale!di!melanoma!e!nella!popolazione!normale,!
• sono!soprattutto,!ma!non!solo!(v.!prima),!il!correlato!morfologico!di!nevi!atipici,!che!hanno!destano!
sospetto!perché!si!sono!modificati,!e!che!giungono!all’attenzione!del!clinico!o!perché!il!paziente!se!
n’è!accorto!da!solo!o!perché!durante$ il$ followFup!si!riscontra!un!cambiamento!rispetto!alla!visita!
precedente! (infatti,! soprattutto! nei! pazienti! con! tanti! nevi! e/o! storia! familiare! positiva,! si! realizza!
una!mappatura!dei!nevi!che!viene!aggiornata!con!un!followFup).!
Nella!trattazione19!è!importante!identificare!i!criteri$morfologici!indicativi!di!displasia!e!descrivere!il!signifiF
cato$clinico$e$prognostico$della$lesione,!ovvero!quale!sia!il!rischio!di!sviluppare!un!melanoma!e!da!cosa!diF
penda!tale!rischio.!
!
Criteri$morfologici$
I!criteri!morfologici,!architetturali$e$citologici,!per!la!diagnosi$di$nevo$displastico!sono:!
• la! proliferazione$ basale! di! melanociti$ atipici,! che! può! avvenire! in! nidi! o! in! modo! lentiginoso! (in!
questo!caso!è!una!lentigo#simplex!con!atipia).!Si!osserva,!in!altre!parole,!una!zona!ipercellulare!a!liF
vello!basale:!in!questo!caso!la!proliferazione!melanocitaria!è!eutopica!(e!si!estende!per!almeno!tre!
papille!di!epidermide),!
• l’atipia$ citologica$ lieveFmoderata$ dei$ melanociti,!che!assumono!un!aspetto!epitelioideo,!caratteF
rizzato!da!grandi!dimensioni,!contorni!irregolari,!nucleo!grande!e!ipercromatico!(con!eventuali!miF
tosi)!e!nucleoli!prominenti,!
• la!fibrosi!lamellare!o!eosinofilia!concentrica!del!derma,!molto!regolare!(questa!alterazione!nei!nevi!
composti!si!interpone!tra!i!melanociti!giunzionali!e!quelli!dermici),!
• la!neovascolarizzazione!del$derma!associata!spesso!a!una!risposta$infiammatoria,$con!un!ricco!inF
filtrato!contenente!anche!melanoF
fagi!(l’infiltrato!è!assente!nel!nevo!
non!traumatizzato!o!presente!solo!
in!una!variante!rara!di!nevo),!
• l’alterazione$ architetturale$ delle$
papille$ dermiche:$ viene! meno!
l’alternanza! euritmica! di! papille!
dermiche,! che! appaiono! quindi!
non! più! perpendicolari! alla! superF
ficie!e!aumentate!di!dimensioni;!a!
volte! possono! essere! talmente! irF
regolari!da!fondersi!tra!di!loro.!
Sono!tutti!criteri!di!disordine$citologico$e$architetturale,!ma!non!compatibili!con!la!diagnosi!di!melanoma!
(in!cui!l’atipia!cellulare!è!grave!e!le!cellule!neviche!si!portano!anche!negli!strati!superficiali!dell’epidermide,!
quindi!in!sede!ectopica).!
L’esame! microscopico! deve! includere,! fatta! la! diagnosi! di! displasia! (o! di! nevo! displastico),! lo! studio$ dei$
margini,!che!devono!essere!liberi.!
!
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
19
!All’esame!se!vi!si!chiede!del!nevo!displastico!si!può$dire$che$è$una$lesione$incerta$da$un$punto$di$vista$biologico,$ma$
da#un#punto#di#vista#pratico#può#essere#identificata#dal#patologo#in#questo#modo....#(Criteri#fondamentali#architetturali#
e"citologici)"ed"è"stato"descritto"in"famiglie"che"avevano"una!maggiore!tendenza!a!sviluppare!i!melanoma.!
Significato$biologico$e$prognostico$della$lesione$
Fatta!la!diagnosi!occorre!seguire!il!paziente!con!un!followFup$regolare$per$le$altre$lesioni!(quella!biopsiata!
è!stata!totalmente!rimossa!con!la!biopsia)!perché!il!paziente!è!a!rischio.!
Come!accennato,!la!comunità!scientifica!sta!discutendo!sul!significato$biologico$della$lesione,!e!non!è!anF
cora!concorde!nell’interpretazione!del!suo!rischio$di$trasformazione$maligna,!ovvero!nel!comprendere!se!è!
aumentato!o!sovrapponibile!a!quello!dei!nevi!comuni.!
Infatti!scuole!di!pensiero!diverse!sostengono!tesi!diverse.!Per!esempio,!la!scuola!australiana,!tra!le!prime!al!
mondo! nel! campo! della! dermatopatologia,! non! riconosce! questa! differenza! prognostica;! a! proposito! del!
nevo! displastico! essa! parla! di! una! “lesione! potenzialmente! dannosa,! differente! dal! nevo! comune! ma! con!
alcuni!aspetti!di!sovrapposizione.!Studi!mostrano!che!un!melanoma!ha!la!stessa$ probabilità!di!svilupparsi!
da!un!nevo!comune!o!da!un!nevo!displastico”.!
Inoltre,!a!conferma!del!fatto!che!il!nevo!displastico!non!rappresenta!una!categoria!prognostica!a!sé!stante,!
non!ci!sono$marker$citogenetici$o$molecolari$che!permettono!di$distinguere$i$nevi$displastici$da$quelli$coF
muni:!in!entrambi!i!casi!BRAF!è!mutato!(come!nei!melanomi)!e!p16!è!generalmente!wildFtipe.!
In!sintesi,!secondo!questa!scuola,!il!riscontro!morfologico!di!displasia!non!ha!un!significativo!impatto!proF
gnostico;!invece,!dall’analisi!di!tutta!la!letteratura!sul!rischio!di!sviluppare!il!melanoma,!emergono!i!seguenF
ti!fattori$di$rischio!fondamentali:!
• un$alto$numero$di$nevi:!in!chi!ha!più!di!100!nevi!il!rischio!di!melanoma!aumenta!di!7!volte!rispetto!
a!chi!ne!ha!meno!di!15;!
• la!presenza!di!nevi$grandi:!più!sono!grandi,!maggiore!è!il!rischio.!
!
2.$MELANOMA$
$
20
Il! melanoma! (cutaneo )! è! una! lesione$ melanocitaria$ maligna,! spesso! aggressiva.! Rappresenta! il! 4%! dei!
tumori!della!cute!ma!la!principale!causa!di!morte!tra!i!tumori!cutanei.!
Presenta!diverse!origini:!
• può! svilupparsi! da! una! preesistente$ condizione$ benigna,! ovvero! un! nevo$ congenito$ o$ acquisito:!
pertanto!i!nevi!vanno!guardati!attentamente;!
• può!complicare!un!nevo$displastico:!all’interno!di!un!nevo!displastico!può!esserci!un!melanoma;!
• può! originare! “de! novo”,! senza! iscriversi! su! una! lesione! sottostante;! è! più! difficile! da! individuare!
clinicamente;!
• molto!raramente!evolve!da!un!nevo$blu.!
Quindi,! il! segno! principale! del! melanoma! cutaneo! è! il! cambiamento$ nell'aspetto$ di$ un$ nevo! o! la$ comparsa$ di$ uno$
nuovo.!Le!caratteristiche!cliniche!di!un!nevo!che!possono!indicare!l'insorgenza!di!un!melanoma!sono!riassunte!nella!
sigla!ABCDE:!
• A!come!asimmetria!nella!forma!(un!neo!benigno!è!generalmente!circolare!o!comunque!tondeggiante,!un!meF
lanoma!è!più!irregolare);!!
• B!come!bordi!irregolari!e!indistinti!(quelli!di!un!melanoma!sono!più!spesso!frastagliati);!
• C!come!colore!variabile!e!disomogeneo!(ovvero!con!sfumature!diverse!all'interno!del!neo!stesso);!
• D!come!dimensioni!in!aumento,!sia!in!larghezza!sia!in!spessore;!
• E!come!evoluzione!del!nevo!che,!in!un!tempo!piuttosto!breve,!mostra!cambiamenti!di!aspetto.!
Altri!campanelli!d'allarme!che!devono!essere!valutati!da!un!medico!sono!un!nevo$che$sanguina,!che!prude!o!che!è!cirF
condato!da!un!nodulo!o!da!un'area!arrossata.!
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
20
!Il! melanoma! può! tuttavia,! in! casi! più! rari,! svilupparsi! anche! in! parti! del! corpo! poco! visibili,! ad! esempio! sotto$ le$
unghie,! all'interno! della! bocca! o! delle! mucose! digestive,! urinarie! e! dei! genitali.! In! questi! casi,! è! più! difficile! da!
diagnosticare,!anche!perché!è!facile!confonderlo!con!altre!patologie!più!comuni.!
CLASSIFICAZIONE$ISTOLOGICA$
La!classificazione$istologica!dei!melanomi!include:!
a. il!melanoma$a$diffusione$superficiale,!è!il!più!comune!in!assoluto,!
b. il!melanoma$nodulare,$
c. la!lentigo$maligna/melanoma,$
d. il!melanoma$lentiginoso$acrale,$
e. il!melanoma$desmoplastico/neurotropo.$
!
a.$Melanoma$a$diffusione$superficiale$
Il!melanoma$a$diffusione$superficiale!rappresenta!la!variante!più!comune.!Non!è!correlato!all’esposizione!
attinica,!infatti!le!sedi!più!frequenti!sono!gli!arti!(gambe)!e!la!schiena.$
Da!un!punto!di!vista$clinico$(e!morfologico)!si!distinguono!due!stadi,!che!corrispondono!a!due!modalità!di!
crescita:!
• inizialmente! si! presenta! come! una! lesione$ piana! a! margini$ irregolari! di$ 1F2$ cm,! irregolarmente$
pigmentata,!in!questa!fase$di$crescita$radiale!il!nervo!creF
sce! in! modo! orizzontale! lungo! la! membrana! basale! e! si!
parla!di!melanoma$in(situ$o$inizialmente$infiltrante;!
• successivamente! si! sviluppa! un! nodulo$ pigmentato$ (cirF
condato! da! una! componente! piana! pigmentata),! che! seF
gna!il!passaggio!nella!fase$di$crescita$verticale,!durante!la!
quale!il!melanoma!è!infiltrante.!In!questa!fase!aumenta!il!
rischio!di!sviluppare!metastasi!a!distanza.!
Da!un!punto!di!vista!microscopico,!le!caratteristiche!architetturali!e!citologiche!della!lesione!sono:!
• la! proliferazione! asimmetrica! (tracciando! una! linea! che! passa! per! il! centro! della! lesione! vengono!
individuate! due! metà! non! speculari)! di! melanociti$ atipici! distribuiti! singolarmente! e$ in$ piccoli$
gruppi!nell’intero$spessore$dell’epidermide.!
In!altre!parole!queste!cellule!possono!crescere!singolarmente,!in!maniera!lentiginosa!o!pagetoide,!e!
in!piccoli!gruppi,!come!nel!nevo!comune!o!displastico,!e!infiltrano!l’epidermide!portandosi!fino!allo!
strato! superficiale,! proprio! come! avviene! nella! malattia! di! Paget.! Quindi,! soprattutto! in! alcuni! diF
stretti,!va!in!diagnosi!differenziale!con!la!malattia!di!Paget;!
• le!cellule!atipiche!sono!epitelioidi!(arrotondate)!con!abbondante$ citoplasma,!nucleo!polimorfo!e!
nucleoli$evidenti, !
• c’è!una$ scarsa!evidenza$ di!danno$
attinico! nella! cute! (infatti! non! è!
correlato!all’esposizione!a!UV),!
• presenza! di! cellule$ atipiche$ nel!
derma,! nel! caso! in! cui! la! crescita!
sia!diventata!infiltrante.!
Infatti,! nel! melanoma! in# situ! le!
cellule! atipiche! si! trovano! ancora!
tutte!nell’epidermide!(fase!di!creF
scita! radiale),! la! lesione! ancora!
non! ha! infiltrato,! e! la! prognosi! è!
buona! (però! si! tratta! sempre! di!
un! melanoma! che! con! il! tempo!
può!evolvere!ed!infiltrare).!Le!due!
fasi! di! crescita! sono! molto! importanti! da! identificare! perché! caratterizzate! da! una! prognosi! diffeF
rente,!
• infiltrato$infiammatorio!di!entità!variabile!(v.!fattori!prognostici).!
Questa!variante!del!melanoma!va!in!diagnosi!differenziale!con:!
• la!malattia$ di$ Paget,!una!lesione!neoplastica!tipica!della!cute!del!capezzolo,!manifestazione!di!un!
carcinoma! della! mammella.! Si! osserva! un’eruzione! eritematosa! a! livello! del! capezzolo,! la! cui! cute!
diventa!rossa!e!desquamante!(come!se!fosse!una!dermatite!allergica).!Istologicamente!si!osservano!
nell’intero$spessore$dell’epidermide$cellule!atipiche,!grandi!con!abbondante!citoplasma,!epitelioiF
di,!disposte!singolarmente!o!in!piccoli!nidi:!sono!cellule!del!carcinoma!mammario!in!situ!o!infiltranF
te,! molto! simili! a! quelle! del! melanoma.! A! causa! della! differente! origine,! la! diagnosi! differenziale!
può!essere!condotta!con!l’immunoistochimica!per!le!citocheratine!(le!cellule!di!Paget!si!colorano,!a!
differenza!dei!melanociti).!
Questa!malattia,!tipicamente!localizzata!a!livello!della!cute!e!del!capezzolo,!in!rari!casi!è!localizzata!
a!livello!della!vulva!e!della!regione!perianale!(aree!ricche!di!ghiandole!apocrine),!
• il!nevo$giunzionale.!Infatti!anche!nel!melanoma!le!cellule!atipiche!si!dispongono!in!nidi;!la!differenF
za!sta!nel!fatto!che!il!nevo!giunzionale!non!è!formato!da!cellule!così!atipiche!e!non!è!caratterizzato!
dall’infiltrazione!dell’epidermide!a!tutto!spessore,!
• il!nevo$displastico:!in!entrambi!i!casi!c’è!un!disordine!architetturale,!proliferazione!asimmetrica!(inF
vece!nel!nevo!di!Spitz!è!simmetrica),!atipia!cellulare;!ma!nel!melanoma!le!cellule!melanocitarie!infilF
trano!l’epidermide!arrivando!in!alto,!nel!nevo!displastico!l’epidermide!non!è!infiltrata.!
!
b.$Melanoma$nodulare$
• Il!melanoma$nodulare!è!una!variante!che!inizia!a!crescere!direttamente!infiltrando!il!derma:!si!caF
ratterizza!quindi!per!l’assenza$della$fase$di$crescita$radiale.!
• Le!sedi!più!comuni!sono!il!tronco!e!gli!arti:!non!è!legato!all’esposizione!attinica.!
• Per!la!sua!crescita!infiltrativa,!si!manifesta!come!una!lesione$rilevata,!nodulare!o!polipoide!(a!volte!
con!un!piccolo!peduncolo),!che!cresce!molto!rapidamente.!E’!spesso!amelanotico$ (non!pigmentaF
to),!e!in!questo!caso!si!diagnostica!con!maggiore!difficoltà,!e!ulcerato:!l’ulcerazione!macroscopica!e!
microscopica!rappresenta!un!criterio!prognostico!molto!sfavorevole.!
• Da!un!punto!di!vista!microscopico!si!osservano!nidi$di$cellule$atipiche!che!crescono!nel!derma!coF
me!se!fossero!teche,!pigmento!nell’interstizio,!mitosi,!assenza$di$struttura$regolare.!
• Essendo!spesso!amelanotico!e!presentandosi!come!un!semplice!nodulo!cutaneo!non!è!facile!la!diaF
gnosi$differenziale!con!altre!neoplasie:!viene!spesso!confuso!con!un!tumore$dei$tessuti$molli!della!
cute!o!addirittura!con!una!lesione!vascolare;!serve!l’immunoistochimica$per!una!diagnosi!di!certezF
za.!E’!invece!facilmente!distinguibile!da!una!lesione!melanocitaria!benigna!
!
!
c.$Lentigo$maligna$F$melanoma$
La$ lentigo$ maligna$ è!una!variante!del!melanoma!che!si!sviluppa!tipicaF
mente!in!pazienti$anziani!nelle!zone$esposte:!la!sede!preferenziale!è!la!
regione$testaFcollo.$
Da!un!punto!di!vista!clinico!è!una!lesione$piana,$variabilmente$pigmenF
tata! (pigmentazione! eterogenea),! a! lentaFlentissima$ crescita! radiale:!
può!crescere!fino!a!raggiungere!alcuni!centrimetri!di!diametro!(pertanF
to,!se!molto!estesa,!si!esegue!una!biopsia!incisionale).!E’!estremamente!
indolente. $
Da!un!punto!di!vista!microscopico!è!l’esatto!opposto!del!melanoma!nodulare;!è!caratterizzata!da:!
• proliferazione$lentiginosa!di!melanociti$atipici!a!livello$della$giunzione$dermoFepidermica,!e!anche!
lungo!gli!annessi$cutanei:!c’è!infatti!un!coinvolgimento!frequente!dei!follicoli!piliferi!e!delle!ghianF
dole!sudoripare;!
• tendenza,!nelle!fasi!più!avanzate,!dei!melanociti!singoli!ad!aggregarsi:!è!comune!osservare!nidi$ di$
melanociti!e!cellule$giganti$multinucleate;$
• molto!tempo!dopo!che!è!comparsa!la!lesione!diventa!invasivo:!si!porta!più!in!profondità!nel!derma!
dove!si!osservano!cellule$fusate!(e!non!epitelioidi,!come!quelle!del!melanoma!superficiale)!e!stroF
ma!desmoplastico!(caratteristica!dei!melanomi!invasivi),$
• compresenza!delle!alterazioni!riscontrabili!nella!cute!sede!di!danno$attinico!(quindi!nella!dermatosi!
attinica),!quali:!atrofia$dell’epidermide,!appiattamento$delle$papille$dermiche!ed!elastosi.!
È!simile!ad!un!melanoma!a!diffusione!superficiale!ma!si!differenzia!per!la!crescita!lenta!e!indolente!in!sedi!
tipiche!(nelle!zone!esposte),!e!per!lo!sviluppo!del!melanoma!molto!tempo!dopo!che!è!comparsa!la!lesione;!
va!quindi!in!diagnosi!differenziale!con!la!lentigo!solare21.!
!
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
21
!Quando!il!dermatologo!vede!una!lesione!pigmentata!sulla!faccia!di!un!anziano,!si!pone!l’ipotesi!di!una!lentigo!maliF
gna;!poi!pensa!alla!lentigo!solare.!
d.$Melanoma$lentigginoso$acrale$
Il!melanoma$lentigginoso$acrale!è!una!variante!
del!melanoma!che!insorge!preferenzialmente!in!
pazienti$ anziani!soprattutto!a!livello!delle!dita,!
in! zona$ periungueale$ e$ subungueale,! e! della!
pianta$ del$ piede! (non! c’è! correlazione! con!
esposizione!attinica).!
Clinicamente!si!manifesta!con!macule$irregolari$
e$ variabilmente$ pigmentate,! che! possono! siF
mulare! un! ematoma! subungueale! postF
traumatico! o! un! angioma.! A! volte! esordisce!
come! un’ulcera! della$ pianta$ del$ piede,! infatti!
questa!zona!è!sottoposta!a!continua!pressione,!
che! non! guarisce! e! può! simulare! un’ulcera! diaF
betica.!
Da!un!punto!di!vista!morfologico!si!osservano:!
• atipia$ melanocitaria:! si! osservano! meF
lanociti!prevalentemente!fusati,!che!inF
filtrano! il! derma! e! causano! una! reazioF
ne$desmoplastica,!
• acantosi:! l’epidermide! appare! ipercheF
ratosica!e!inspessita!(mentre!negli!altri!
casi!l’epidermide!è!atrofica),!
• irregolare! allungamento$ delle$ papille$
dermiche. !
!
e.$Melanoma$desmoplastico/neurotropo$
Il! melanoma$ desmoplastico/neurotropo! è! una! variante! molto!
rara!di!melanoma,!difficile!da!diagnosticare,!che!di!solito!origina!
sulla!cute$esposta!in!individui$adultiFanziani. $
Si!manifesta!con!una!lesione$arrossata$in$genere$non$pigmentaF
ta,!che!può!simulare!una!puntura!di!insetto,!un!linfoma,!etc.!
Da!un!punto!di!vista!morfologico:!
• è! caratterizzato! dalla! presenza! di! un!
ricco! stroma! collagene! (reazione$ deF
smoplastica),! in! cui! si! nascondono!
cellule!non!atipiche,!
• generalmente!coinvolge!il!derma$proF
fondo! e! l’ipoderma! già! alla! diagnosi,!
e!la!componente$giunzionale!è!assenF
te!o!molto$scarsa,!
• la! presenza! di! elementi$ infiammatori!
fa!venire!il!sospetto!diagnostico,!
• infiltra$ precocemente! le! strutture$
nervose!vicine.!
!
Tipi$di$cellule$nel$melanoma$
La!diagnosi!del!melanoma!può!essere!molto!complessa:!prevede!l’osservazione!dell’architettura,!dell’atipia!
cellulare!e!la!correlazione!con!la!clinica.!A!volte!le!cellule!sono!talmente!pleiomorfe!e!atipiche!che!è!difficile!
dire!che!si!tratti!di!un!melanoma;!in!sintesi!le!cellule$del$melanoma!possono!essere:!
• epitelioidi,$quindi!grandi,!arrotondate,!con!abbondante!citoplasma,!e!contenenti!pigmento!in!misuF
ra!variabile.!Sono!caratteristiche!del$melanoma!a!diffusione!superficiale!e!nodulare;$
• fusate,!quindi$allungate,!sottili,!simili!a!cellule!mesenchimali.!Sono!caratteristiche!della$lentigo!maF
ligna!e!del!melanoma!lentiginoso!sacrale.$Se!è!assente!o!poco!visibile!la!componente!giunzionale!e!
si!osservano!solo!cellule!fusate!nel!derma,!non!si!può!dire!con!certezza!che!è!un!melanoma!e!la!leF
sione!va!in!diagnosi$differenziale!con!tutte!le!neoplasie$a$cellule$fusate$della$cute.$
!
FATTORI$PROGNOSTICI$ISTOLOGICI$
Fatta!la!diagnosi,!il!patologo!deve!includere!nel!referto!alcune!informazioni!utili,!che!hanno!valore!prognoF
stico!e!importanti!per!la!terapia.!
1. Spessore$di$Breslow.$E’!il!fattore!prognostico!fondamentale!e!più!importante!per!i!melanomi!infilF
tranti:!va!misurato$con!il!microscopio!(oculare!micrometrico)!nella!sezione!in!cui!il!melanoma!è!più$
spesso,! senza! includere! la! componente! superficiale! (strato! corneo),! ovvero! partendo! dallo! strato$
granuloso!della!cute!o!dalla!superficie!ulcerata!fino!al!punto!di!massima!infiltrazione.$
Un!eventuale!nodulo!sotto!l’infiltrazione!non!va!incluso,!e!va!segnalato!come!satellitosi!microscopiF
ca!(v.!dopo).!
Nel! referto! si! scrive! ad! esempio! “melanoma! maligno! a! diffusione! superficiale! con! componente! di!
crescita!verticale!di!x!mm”;!In!assenza!di!crescita!verticale,!cioè!se!il!melanoma!è!in#situ,!non!si!miF
sura!lo!spessore.$
2. Livello$di$invasione$(di$Clark).!I!livelli!di!Clark!che!indicano!quanto!il!fronte!di!infiltrazione!del!tumoF
re!stia!avanzando!tra!i!vari!strati!della!cute:!più!è!superficiale!migliore!è!la!prognosi;!tali!livelli!sono:!
o I$livello:!tumore!intraepidermico,!
o II$livello:!infiltrazione!parziale!del!derma!papillare,!
o III$livello:!infiltrazione!totale!del!derma!papillare,!
o IV$livello:!infiltrazione!del!derma!reticolare,!
o V!livello:!infiltrazione!del!tessuto!adiposo!sottocutaneo. !
!
Il!problema!è!che!non!sempre!è!facile!distinguere!i!vari!strati!della!cute,!in!particolare!il!confine!tra!
derma!papillare!e!reticolare,!per!esempio!in!un!soggetto!con!elastosi!dovuta!all’esposizione!attiniF
ca;!pertanto!c’è!una!bassa!riproducibilità!dell’identificazione!dei!livelli!di!invasione!che,!secondo!le!
nuove!linee!guida,!non!rappresenta!più!un!criterio!stadiativo:!il!livello!di!invasione!oggi!è!stato!soF
stituito!dalla!conta!delle!mitosi.!
3. Fase$ di$ crescita$ (verticale$ o$ radiale).!Non!è!facile!diF
stinguere!la!fase!in#situ!(intraepidermica!o!di!crescita!
radiale)!da!quella!infiltrante!(dermica!o!di!crescita!verF
ticale),! quindi! capire! se! il! melanoma! è! passato! nel!
derma!superficiale.!!
Infatti,!durante!la!fase!di!crescita!radiale,!caratterizzaF
ta! dalla! presenza! di! nidi! nell’epidermide,! può! anche!
esserci!un!minimo!coinvolgimento!del!derma!papillare!
(Clark!II):!è!il!cosiddetto!“melanoma!sottile”.!Nel!dettaglio!questa!fase$microinfiltrante,!identificabiF
le!in!molti!tumori,!è!caratterizzata!dalla!presenza!nel!derma!papillare!di!piccolissimi$focolai$di$celluF
le!con!la!stessa!morfologia!del!melanoma!sovrastante:!questa!è!la!componente!microinvasiva!il!cui!
spessore!va!misurato!sempre!partendo!dallo!strato!granuloso.!
In!questa!fase!microinvasiva!la!prognosi!è!la!stessa!del!melanoma!in!situ:!quindi!aggiungere!che!il!
tumore!è!in!fase!di!crescita!radiale!dopo!aver!scritto!che!è!un!secondo!livello!di!Clark!fa!capire!che!il!
tumore!ha!la!stessa!prognosi!di!un!tumore!intraepidermico!e!che!nella!maggioranza!dei!casi!guariF
sce!dopo!asportazione.!
Quando!compaiono!i!nidi!di!cellule$ tumorali$ nel$ derma$ papillare!la!crescita!diventa!verticale!e!la!
prognosi!peggiora!(comunque!quello!che!conta!da!un!punto!di!vista!prognostico!è!lo!spessore).!
4. Attività$ mitotica$ (0F10$ ca).! L’attività! proliferativa! del! melanoma! infiltrante! è! rilevante! per! la! proF
gnosi!del!melanoma,!a!parità!di!spessore.!Si!conta!il!numero$di$mitosi/mm2!(a!forte!ingrandimento)!
nell’area$ più$ mitoticamente$ attiva$ (normalmente! si! osservano! 1F2! mitosi! per! campo,! invece! nei!
nevi!nodulari!sono!solitamente!5F10).!Ora!l’attività!mitotica!non!è!più!stadiante!ma!ha!solo!valore!
prognostico:!viene!utilizzata!per!la!scelta!della!terapia;!
5. Ulcerazione!(presente!o!assente).!La!presenza!di!ulcerazione!ha!un!valore!prognostico!negativo;!peF
rò! bisogna! prestare! attenzione! nel! distinguere! un’ulcerazione! neoplastica! da! una! fittizia! (postF
traumatica).! Uno! dei! migliori! metodi! per! valutarla! è! vedere! se! il! melanoma! è! in! continuità! con!
l’ulcera;!infatti!l’ulcerazione!neoplastica!avviene!perché!il!melanoma!infiltra!la!cute!e,!quando!l’ha!
occupata!per!gran!parte,!essa!si!ulcera.!
6. Infiltrazione$linfoFvascolare$(presente/assente).!La!presenza!di!infiltrazione!linfoFvascolare,!ovvero!
di!trombi$neoplastici!nei!vasi!è!indicativa!di!invasività!ed!è!un!fattore!prognostico!negativo.!
Si!parla!genericamente!di!invasione!“LinfoFvascolare”!perché!non!è!facile!distinguere!un!vaso!linfaF
tico!da!un!capillare!dilatato!o!da!una!venula!postFcapillare,!a!causa!dell’assenza!di!una!parete!vaF
scolare:!ci!sono!però!dei!marker!che!ci!permettono!questa!discriminazione,!che!in!genere!non!venF
gono!utilizzati!perché!tra!le!varie!infiltrazioni!non!cambia!il!significato!prognostico.!
7. Infiltrazione$ perineurale.! L’infiltrazione! perineurale! è! la! diffusione! del! melanoma! lungo! i! tronchi$
nervosi$preesistenti,!all’interno!della!guaina!del!nervo!periferico.!E’!un!fattore!prognostico!negatiF
vo,!indicativo!della!possibilità!da!parte!del!tumore!di!dare!metastasi!a!distanza,!ma!è!meno!signifiF
cativa!dell’infiltrazione!linfoFvascolare.!
8. Regressione.!La!regressione!è!un!fenomeno!importante:!consiste!
nella! scomparsa$ spontanea! totale! o! parziale! di! una! neoplasia,!
senza!alcuna!terapia!o!con!terapia!inadeguata;!non!significa!che!il!
paziente!sia!guarito!perché!la!neoplasia,!anche!se!regredita!localF
mente,!può!manifestarsi!con!metastasi!a!distanza. !
Se!la!regressione!è!parziale,!la!lesione!è!osservabile!più!facilmenF
te,!se!invece!è!totale,!la!lesione!viene!sostituita!da!un’area$cicatriF
ziale! e! può! essere! diagnosticata! addirittura! dopo! il! riscontro! di!
metastasi:!in!questo!caso!l’anamnesi!è!fondamentale.!Quindi!nel!paziente!con!metastasi!di!melaF
noma! si! fa! un’accurata! ricerca! del! tumore! primitivo! che,! in! caso! di! regressione,! non! è! facilmente!
rintracciabile!(può!essere!assente!o!molto!piccolo,!quindi!sembrare!poco!aggressivo).!
Da!un!punto!di!vista!microscopico,!nell’area!di!regressione,!si!osservano!nel!derma:!
• melanociti$assenti$o$ridotti$(a!volte!c’è!solo!la!componente!giunzionale,!nell’epidermide),$
• flogosi$
• melanofagi!(come!quelli!nel!Lichen!che!però!fagocitano!lo!strato!basale),!
• fibrosi$(connettivo!fibroso!simile!a!quello!del!derma!reticolare),!
• vasi$ectasici$perpendicolari!all’epidermide!(fisiologicamente!sono!paralleli).!
Il!rischio!di!metastasi!di!un!carcinoma!in!regressione!o!regredito,!che!di!solito!prima!di!questo!feF
nomeno!si!trovava!in!fase!di!crescita!verticale,!dipende!dal!suo!spessore$ prima$ della$ regressione,!
che!non!può!essere!identificato:!va!misurato!dove!ancora!il!melanoma!è!presente!ma!va!interpretaF
to! alla! luce! di! questo! fenomeno,! che! deve! essere! descritto! nel! referto.! Altrimenti! il! clinico! pensa!
che!il!tumore!abbia!una!prognosi!sia!migliore!di!quella!reale!e!dà!al!paziente!una!falsa!sicurezza.!!
!
9. Microsatellitosi.!Al!di!sotto!del!suo!fronte!di!crescita!del!melanoma!principale!possono!crescere!dei!
piccoli$noduli$satelliti;!essi!non!vanno!inclusi!nella!misurazione!del!melanoma:!basta!aggiungere!nel!
referto!che!ci!sono!noduli!satelliti.!La!loro!presenza!rappresenta!un!fattore!prognostico!negativo!e!
aumenta!il!rischio!di!metastasi!cutanee.!Vanno!in!diagnosi!differenziale!con!un!vaso!completamenF
te!obliterato.!
10. Infiltrato$infiammatorio.!Il!melanoma!è!uno!dei!tumori!più!studiati!per!quanto!riguarda!la!risposta!
infiammatoria!al!tumore!ed!è!emerso!che!la!presenza!di!infiammazione!nel!melanoma!rappresenta!
un!fattore$prognostico$positivo,!indicativo!del!fatto!che!l’organismo!sta!contrastando!la!crescita!e!
la!diffusione!del!melanoma!(si!pensa!sia!la!prima!fase!della!regressione).!
La!refertazione!dell’infiltrato!infiammatorio!è!standardizzata;!esso!può!essere:!
• assente;!
• vivace:$ i! linfociti! circondano! il! tumore! (infiltrato$ peritumorale)! e! possono! anche! portarsi!
all’interno!(infiltrato$periF$e$intratumorale);!
• non$vivace:$i!linfociti!infiltrano!solo!focalmente!il!tumore.!
!
STADIAZIONE$
Il!principale!criterio!per!la!stadiazione!del!melanoma!è!lo!spessore$ della$ lesione:!infatti!più!esso!è!sottile,!
minore!è!il!rischio!di!sviluppare!le!metastasi.!Nel!T1!lo!spessore!è!inferiore!o!uguale!a!1$mm:!questo!valore!
rappresenta!il!cutFoff!per!l’aumento!del!rischio!di!sviluppare!metastasi.!
Poi!bisogna!vedere,!a!parità!di!spessore,!se!la!lesione!è!ulcerata!(T1b)!o!non$ulcerata!(T1a):!questa!distinF
zione!impatta!sulla!terapia,!infatti!nel!T1a!l’asportazione!con!margini!liberi!è!curativa,!nel!T1b!invece!il!riF
specializzati.
2
Miofibroblasto:
fibroblasto
con
parziale
differenziazione
muscolare
liscia,
caratteristico
del
tessuto
di
granulazione,
responsabile
della
guarigione
delle
ferite.
3
Istiocita:
cellula
con
capacità
fagocitica
che,
in
risposta
a
determinati
stimoli,
può
trasformarsi
in
un
macrofago.
4
Periciti:
cellule
ibride
che
si
trovano
attorno
alla
parete
dei
vasi.
ITER
DIAGNOSTICO
• Prima
tappa:
il
patologo
va
alla
ricerca
del
fenotipo
caratteristico
(cellulare,
architetturale
e
della
matrice)
che
permetta
l’attribuzione
ad
una
specifica
categoria.
• Seconda
tappa
(eventuale):
immunoistochimica
(es.
S100
per
cellula
di
Schwann,
actina
per
cellula
muscolare
liscia),
utile
per
la
diagnosi
differenziale;
se
non
si
riesce
ancora
ad
identificare
la
lesione
si
passa
alla
tappa
successiva.
• Terza
tappa:
uso
di
metodiche
di
citogenetica
e
biologia
molecolare
(sequenziamento
o
FISH),
sa-‐
pendo
che
alcuni
tumori
hanno
mutazioni
caratteristiche.
I
tumori
maligni
sono
molto
rari:
è
diffici-‐
le
avere
a
disposizione
tutti
i
marker;
pertanto
in
Italia
ci
sono
centri
di
riferimento
dove
si
esegue
la
biologia
molecolare
di
questi
tumori.
ESAME
MICROSCOPICO
Si
valutano:
• morfologia
delle
cellule:
le
cellule
possono
essere:
o fusate
(allungate):
fibroblasti,
cellule
perineurali,
cellule
di
Schwann,
muscolari
lisce,
o epitelioidi:
cellule
arrotondate
che
somigliano
a
cellule
epiteliali,
con
citoplasma
abbondante;
spesso
richiedono
immunoistochimica
poiché
si
ri-‐
trovano
in
vari
tumori
(melanoma),
oltre
quelli
dei
tessuti
molli,
o a
cellule
rotonde,
in
genere
sono
tipiche
di
tumori
aggressivi,
come
quelli
dei
bambini,
o pleiomorfe
(atipiche
e
indifferenziate,
indicative
di
malignità)
• presenza
di
matrice,
che
può
essere:
o mixoide,
molto
chiara
e
ampia,
ricca
in
mucopolisaccaridi,
o condroide,
indicativa
di
differenziazione
cartilaginea,
o ossea
(rara),
indicativa
di
differenziazione
ossea,
• componente
vascolare
o
emorragica:
per
capire
se
si
tratta
di
un
tumore
dei
vasi,
comprendere
i
pattern
vascolari
(distribuzione
dei
vasi),
valutare
la
presenza
di
emorragie.
Dopo
aver
identificato
il
tumore
con
i
criteri
precedenti,
occorre
capire
che
tipo
di
aggressività
biologica
ha,
per
cui
si
passa
al
grading.
GRADING
Il
grado
di
malignità,
da
inserire
nel
referto
solo
per
i
tumori
maligni,
emerge
da:
• grado
di
cellularità:
più
il
tumore
è
cellulato,
maggiore
è
il
rischio
di
malignità.
Se
predomina
la
ma-‐
trice
piuttosto
che
le
cellule,
è
probabile
che
il
tumore
sia
differenziato,
• polimorfismo
cellulare
o
anaplasia,
• attività
mitotica
(frequenza
e
anormalità
delle
mitosi),
• presenza
ed
entità
della
necrosi5
(estensione):
nei
tumori
maligni
è
diffusa
e
sparsa
(“a
carta
geo-‐
grafica”),
5
La necrosi
origina
dal
fatto
che
il
tumore
maligno
cresce
rapidamente
e
si
scompensa
il
bilancio
tra
cellule
ed
apporto
ematico;
inoltre
si
sviluppano
alterazioni
biologiche
insite
nella
cellula
che
ne
riducono
la
sopravvivenza.
tipo
di
crescita:
può
essere
compressiva,
infiltrativa
o
invasiva;
permette
di
valutare
lo
stato
dei
•
margini:
o i
tumori
benigni
tendono
ad
essere
ben
delimitati
e
crescono
in
maniera
compressiva
(margini
“pushing”),
sono
più
facilmente
asportabili
in
maniera
radicale;
o i
tumori
maligni
invece
tendono
alla
crescita
infiltrativa
(dissociano
le
cellule
del
tessuto
preesi-‐
stente)
o
invasiva
(entrano
all’interno
di
porzioni
di
tessuto
limitrofo);
la
radicalità
è
molto
più
difficile
in
questo
caso.
L’entità
della
necrosi
e
l’attività
mitotica
sono
i
criteri
fondamentali
per
vedere
la
malignità.
Ci
sono
due
metodi
utilizzati
per
il
grading
dei
tumori
maligni:
• americano
(National
Cancer
Institute
(1984)),
poco
usato
nella
pratica
clinica,
• francese
(Fédération
Nationale
des
Centres
de
Lutte
Contre
le
Cancer
(1986)),
il
più
utilizzato
oggi.
Questo
sistema
di
classificazione
adotta
uno
score
basato
sui
seguenti
parametri:
o numero
di
mitosi
per
10
campi
a
forte
ingrandimento6
o
HPF
(400x),
a
seconda
del
numero
di
mitosi
si
assegna
un
punteggio
da
1
a
3;
o estensione
della
necrosi
tumorale
(microscopica),
con
punteggio
da
0
(assente)
a
2
(>
50%);
o grado
di
differenziazione
(è
la
parte
più
debole
della
classificazione
in
quanto
molto
soggetti-‐
va):
a
seconda
di
quanto
assomiglia
al
tessuto
di
origine
come
morfologia
si
assegna
uno
score
che
va
da
1
a
3.
Secondo
i
suggerimenti
CAP
(College
of
American
Pathologists,
2013)
si
attri-‐
buisce:
score
1
se
la
cellula
è
simile
a
quella
normale,
score
2
se
la
differenziazione
non
è
sicura
ma
ci
sono
aspetti
(stroma,
vasi)
riconducibili
ad
una
certa
categoria,
score
3
se
non
riusciamo
a
capire
di
che
tumore
si
tratti
(cellule
totalmente
indifferenziate).
In
base
al
punteggio
totale,
il
CAP
suggerisce
di
suddividere
i
tumori
in
3
gradi
(score
da
2
a
8):
• Grado
1:
ha
raggiunto
uno
score
totale
di
2
o
3,
• Grado
2:
ha
raggiunto
uno
score
di
4-‐5,
• Grado
3:
ha
raggiunto
uno
score
di
6-‐8.
Alcuni
tipi
istologici
di
tumore
hanno
un
loro
grado
di
differenziazione
ben
definito.
Il
liposarcoma
ben
dif-‐
ferenziato,
ad
esempio,
è
per
definizione
di
grado
1,
mentre
il
sarcoma
di
Ewing
è
sempre
un
grado
3.
Applicabilità
del
grading
Ricordiamo
che:
• il
grading
si
applica
solo
ai
sarcomi
dell’adulto,
non
vale
per
tutti
i
tumori,
• alcuni
sarcomi
sono,
per
definizione,
ad
alto
grado
(es.
sarcoma
di
Ewing),
• altri
sono,
per
definizione,
di
basso
grado
(es.
liposarcoma
ben
differenziato),
• per
alcuni
sarcomi
il
grading
non
è
applicabile.
Tumori
dei
tessuti
molli
più
frequenti
a
cui
si
applica
il
grading
con
successo:
• liposarcoma
(va
sempre
escluso
nella
diagnosi,
in
quanto
molto
frequente),
• leiomiosarcoma,
• tumore
maligno
del
nervo
periferico,
• fibrosarcoma.
Dovrebbero
essere
biopsate
tutte
le
masse
di
dimensioni
superiori
a
5
cm
e
le
lesioni
comparse
di
recente
a
rapida
crescita
o
sintomatiche;
un’eventuale
asportazione
troppo
demolitiva
va
eseguita
solo
previa
dia-‐
gnosi
su
biopsia
incisionale
(altrimenti
la
lesione
si
asporta
direttamente).
6
Score
1:
mitosi
da
0-‐9
per
10
HPF;
Score
2:
10-‐19
mitosi
per
10
HPF;
Score
3:
>
19
mitosi
per
10
HPF
MATERIALE
SU
CUI
FARE
DIAGNOSI
Le
metodiche
utilizzate
per
reperire
il
materiale
diagnostico
sono:
• FNA
o
Fine
Needle
Aspiration
(agoaspirato
sottile):
fortemente
scoraggiato,
è
difficile
far
diagnosi
su
poche
cellule,
• core-‐needle
biopsy:
consente
di
avere
un
cilindro
di
tumore
(2
mm
di
diametro).
La
massa
viene
lo-‐
calizzata
con
biopsia
o
TC,
• biopsia
Escissionale
(per
lesioni
fra
3-‐5
cm
o
estremamente
superficiali):
consiste
nell’esportazione
dell’intero
nodulo
con
ampio
margine,
• biopsia
Incisionale:
a
causa
della
probabilità
di
disseminazione,
si
usa
soprattutto
nei
grandi
centri,
dove
poi
si
andrà
subito
all’intervento.
È
indicata
per
le
masse
di
dimensioni
maggiori
di
5
cm.
REFERTAZIONE
Per
la
diagnosi
e
prognosi
dei
tumori
dei
tessuti
molli,
è
importante
conoscere:
• informazioni
cliniche:
età
(alcuni
tumori
si
presentano
solo
nei
bambini),
sede
(profondi
o
superfi-‐
ciali),
presentazione
clinica,
• descrizione
macroscopica
della
massa
(utile
anche
per
lo
studio
dei
margini),
• esame
microscopico.
In
un
referto
anatomopatologico
vengono
riportati:
• tipo
istologico
(es.
lipoma,
liposarcoma),
• grado
(se
applicabile),
• estensione
della
necrosi,
• dimensioni
del
tumore,
• profondità
(derma,
sottocute,
sotto
la
fascia,
cavità
corporee);
è
essenziale
capire
se
questi
tumori
sono
superficiali
o
profondi:
o sono
profondi
tutti
i
tumori
che
si
trovano
sotto
la
fascia
muscolare,
o sono
superficiali
tutti
quelli
che
si
trovano
sopra
la
fascia
muscolare.
I
tumori
superficiali
sono,
in
assoluto,
molto
meno
aggressivi
di
quelli
profondi,
• localizzazione,
• tipo
di
resezione,
• margini
(positivi
o
negativi).
Per
lo
studio
dei
margini:
o il
campione
chirurgico
intatto
deve
essere
colorato
con
inchiostro
di
china,
o deve
essere
descritta
la
distanza
macroscopica
del
tumore
dal
margine
più
vicino,
o devono
essere
effettuati
prelievi
comprendenti
i
margini
più
vicini
e
la
distanza
(valutata
mi-‐
croscopicamente)
deve
essere
riportata.
Lo
studio
dei
margini
è
la
parte
più
complessa
per
il
chirurgo.
Soprattutto
nei
tumori
retroperito-‐
neali,
in
cui
vi
è
uno
spazio
molto
grande,
i
tumori
crescono
indisturbati
per
molto
tempo,
ed
i
sin-‐
tomi
sono
tardivi:
iniziano
solo
quando
vi
è
inginocchiamento
dell’uretere,
compressione
della
testa
del
pancreas,
sanguinamento,
abbassamento
del
rene.
Le
presentazioni
cliniche
sono
quindi
molto
eterogenee.
Per
tali
tumori
è
spesso
difficile
essere
radicali,
motivo
per
il
quale
recidivano
di
fre-‐
quente,
• risultati
di
tecniche
aggiuntive
(qualora
necessarie).
1.
TUMORI
FIBROBLASTICI
E
MIOFIBROBLASTICI
I
tumori
fibroblastici
sono
tumori
del
fibroblasto
e
del
miofibroblasto,
ovvero
del
tessuto
connettivo,
che
offrono
spesso
problemi
di
diagnosi
differenziale.
I
tumori
benigni
e
quelli
a
malignità
intermedia
tendono
generalmente
ad
essere
superficiali
(soprafasciali):
interessano
sottocute
e
derma
(vanno
in
diagnosi
diffe-‐
renziale
con
patologie
della
cute);
quelli
maligni
hanno
prevalentemente
una
localizzazione
profonda
(sot-‐
tofasciale).
a.
TUMORI
BENIGNI
• Fascite
nodulare
(spesso
ha
una
chiara
relazione
con
le
fasce
muscolari,
da
cui
“fascite”):
è
una
lesione
tipica
del
giovane
adulto
(30-‐40
anni)
e
del
bambino.
Insorge
prevalentemente
nella
regione
testa-‐collo
e
agli
arti
superiori;
a
volte
può
svilupparsi
in
sedi
atipiche
come
mucose
o
stroma
di
alcuni
organi.
Generalmente,
si
pre-‐
senta
come
nodulo
di
piccole
dimensioni
(<
2cm)
costi-‐
tuito
da
cellule
fusate
di
tipo
fibroblastico
o
miofibro-‐
blastico,
localizzato
nel
tessuto
adiposo
sottocutaneo
o
a
livello
muscolare.
Al
microscopio
sembra
un
sarcoma,
cresce
rapidamente
(per
cui
è
ricco
di
figure
mitotiche)
ed
è
molto
cellulato:
tuttavia,
le
mitosi
sono
tipiche
(si
riscontrano
anche
nei
tessuti
normali
che
rigenerano).
Questi
aspetti
le
conferiscono
l’appellativo
di
lesione
pseudosarcomatosa
in
quanto
simula,
morfologicamente
e
talvolta
anche
clinicamente,
un
sarcoma.
La
presenza
di
infiltrati
infiammatori
che
circoscrivono
la
lesione
è
di
aiuto
nella
diagnosi.
• Fibroma:
termine
che
viene
utilizzato
spesso
in
maniera
impropria
per
indicare
qualsiasi
neoforma-‐
zione
con
morfologia
un
po’
arrotondata,
con
proliferazione
di
cellule
fusate;
in
realtà,
il
termine
“fibroma”
si
riferisce
ad
un
tumore
benigno
estremamente
raro,
costituito
da
fibroblasti
e
matrice
fibrillare.
I
fibromi
possono
trovarsi
a
livello
cutaneo
e
mucoso,
come
esito
di
un
trauma.
• Elastofibroma:
fibroma
che
contiene
anche
tessuto
elastico.
La
diagnosi
è
semplice,
in
quanto
la
sede
è
caratteristica:
insorge
sempre
a
livello
della
scapola,
dove
forma
una
massa
dura
e
spesso
presenta
margini
irregolari.
b.
TUMORI
A
MALIGNITA’
INTERMEDIA
I
tumori
a
malignità
intermedia
sono:
• localmente
aggressivi
(elevata
tendenza
a
dare
recidive
locali):
fibromatosi
(superficiale
e
profon-‐
da)
• raramente
metastatizzanti:
tumore
fibroso
solitario,
fibrosarcoma
infantile
• grande
variabilità
morfologica:
difficoltà
nella
diagnosi
differenziale
Tra
le
lesioni
a
malignità
intermedia
studiamo
la
fibromatosi.
Fibromatosi
La
fibromatosi
è
una
proliferazione
di
cellule
fusate
con
caratteristiche
morfologiche
e
immunoistochimiche
di
miofibroblasti
(con
differenziazione
verso
la
cellula
muscolare
liscia),
il
cui
comportamento
è
intermedio
tra
quello
di
un
tumore
benigno
e
di
un
fibrosarcoma.
Cresce
tipicamente
con
margini
infiltrativi,
motivo
per
cui
tende
a
recidivare
in
situ,
ma
non
causano
metastasi
(malignità
locale).
E’
una
lesione
diffusa
(a
differenza
della
fascite
nodulare
che
si
presenta
come
nodulo
rotondeggiante,
pur
essendo
sprovvisto
di
capsula):
questo
aspetto
rende
l’asportazione
chirurgica
più
difficile.
Le
fibromatosi
possono
essere
suddivise
in
due
gruppi:
• fibromatosi
profonde:
interessano
fasce,
aponeurosi
e
muscoli
profondi;
insorgono
a
livello
di:
o spalla,
o parete
toracica,
o collo,
o parete
addominale:
coinvolgono
principalmente
il
muscolo
retto
dell’addome.
Questa
localiz-‐
zazione
è
tipica
di
donne
in
età
fertile
con
storia
di
gravidanza
recente.
Possono
manifestarsi
anche
a
livello
intraddominale
(mesentere,
omento)
come
conseguenza
di
eventi
traumatici
o
in
associazione
a
sindromi
(es.
sindrome
di
Gardner,
caratterizzata
da
poliposi
intestinale,
osteomi,
fibromi
multipli
e
cisti
epidermoidi
dovuta
a
mutazione
del
gene
APC).
Nel
mesentere
tendono
a
formare
un
nodulo
più
circoscritto;
• fibromatosi
superficiali
(più
frequenti);
comprendono
le
seguenti
forme:
o palmare
(o
Morbo
di
Duputryen):
si
manifesta
con
piccoli
noduli
duri,
fissi
e
indolenti
localizzati
nel
palmo
della
mano
che
tendono
a
confluire
negli
anni
e
pos-‐
sono
portare
ad
una
progressiva
retrazione
dell’aponeurosi
che
esita
nella
fissità
delle
dita
e
in
un
atteggiamento
di
flessione
obbligata
delle
metacarpo-‐falangee
(soprattutto
4°
e
5°
dito);
insorge
generalmente
intorno
ai
50
anni,
con
maggior
incidenza
nel
sesso
maschile.
L’eziologia
non
è
nota:
sono
state
descritte
associazioni
con
DM,
alcolismo,
antiepilettici,
o plantare,
o peniena
(Malattia
di
Peyronie),
interessa
i
corpi
cavernosi
del
pene
(molto
rara),
o infantile,
a
localizzazione
nucale.
La
forma
palmare
e
quella
plantare
sono
le
più
comuni.
Le
forme
profonde
sono
più
preoccupanti
di
quelle
superficiali;
quest’ultime
si
identificano
facilmente,
quelle
profonde
possono
manifestarsi
come
un
induri-‐
mento,
con
crescita
irregolare
dell’area
interessata.
Alcune
forme
di
fibromatosi
esprimono
una
positività
nucleare
per
la
beta-‐catenina,
coinvolta
nella
cance-‐
rogenesi:
a
seguito
di
una
mutazione
e
attivazione
anomala
della
via,
la
beta-‐catenina
migra
nel
nucleo,
do-‐
ve
normalmente
non
è
espressa
e
riduce
l’espressione
della
E-‐caderina,
molecola
di
adesione
intercellulare,
favorendo
la
migrazione
e
proliferazione
cellulare.
c.
TUMORI
MALIGNI:
fibrosarcoma
Il
fibrosarcoma
è
un
tumore
molto
raro;
ne
distinguiamo
due
varianti,
diverse
per
contesto
clinico:
• forma
dell’adulto:
è
un
sarcoma
a
tutti
gli
effetti,
con
grado
variabile
di
cellularità
e
atipia;
si
loca-‐
lizza
tipicamente
al
tronco
e
nella
regione
testa-‐collo,
• forma
congenita
infantile:
o ha
una
scarsa
tendenza
all’accrescimento
(a
differenza
della
forma
dell’adulto),
un
comporta-‐
mento
clinico
non
aggressivo
ed
è
raramente
metastatizzante;
o può
essere
visibile
già
alla
nascita,
o interessa
prevalentemente
le
estremità
distali;
o l’aspetto
peculiare
(non
presente
nella
variante
dell’adulto)
è
una
traslocazione
cromosomica
caratteristica
(12-‐15).
Da
un
punto
di
vista
morfologico
le
due
varianti
sono
identiche:
entrambe
sono
costituite
da
fibroblasti
che
si
organizzano
in
fasci
disposti
a
“spina
di
pesce”.
2.
TUMORI
DEI
PERICITI
TUMORE
FIBROSO
SOLITARIO
• Il
tumore
fibroso
solitario
venne
descritto
per
la
prima
volta
nel-‐
la
pleura:
è
un
tumore
mesenchimale,
a
lenta
crescita,
a
cui
fu
attribuito
in
passato
il
nome
di
mesotelioma
localizzato
o
beni-‐
gno
(era
considerato
un
tumore
di
derivazione
mesoteliale).
• E’
un
tumore
raro,
tipico
dell’adulto-‐anziano,
che
può
insorgere
in
qualsiasi
sede,
tra
cui
le
meningi;
la
localizzazione
caratteristi-‐
ca
è
il
torace
(cavità
pleurica).
È
il
primo
tumore
a
cui
pensare
nel
caso
in
cui
si
trovi
una
massa
di
tipo
non-‐epiteliale
nella
pleura.
• Nella
maggior
parte
dei
casi
è
un
tumore
benigno,
raramente
si
ha
trasformazione
maligna.
• E’
un
tumore
origina
dalle
cellule
perivascolari
(periciti).
• Microscopicamente,
è
costituito
da
cellule
fusate,
monomorfe
e
senza
atipia,
separate
da
vasi,
estremamente
ramificati,
che
somigliano
a
“corna
di
cervo”
(staghorn
vessels).
• Dal
punto
di
vista
immunoistochimico,
esprime
il
marcatore
delle
cellule
endoteliali
CD34.
Esprime
una
mutazione
ricorrente
diagnostica,
che
si
valuta
tramite
un
Ig
(anti
STAT6)
3.
TUMORI
MESENCHIMALI
CUTANEI
I
tumori
mesenchimali
cutanei
comprendono:
• lesioni
benigne:
o la
più
comune
delle
quali
è
il
dermatofibroma
(o
istiocitoma
fibroso
benigno),
molto
frequente
dopo
i
50
anni;
si
presenta
come
un
piccolo
nodulo
cutaneo
rilevato
(<
1
cm),
talvolta
può
essere
anche
piano,
ulcerato
o
depresso.
Può
essere
pigmentato
e
simulare
una
lesione
nevica;
insorge
tipicamente
agli
arti
inferiori
e
nella
regione
testa
collo.
I
margini
sono
spesso
mal
definiti;
occorre
un’asportazione
completa,
altrimenti
può
recidivare.
La
cu-‐
te
sovrastante
la
lesione
è
iperplastica,
tuttavia
il
tumore
rimane
confinato
nel
derma
e
non
la
invade,
• lesioni
a
malignità
intermedia:
o fibroxantoma
atipico:
insorge
tipicamente
nella
cute
esposta
(testa-‐collo)
di
soggetti
anziani.
È
un
tumore
poco
differenziato,
costituito
da
cellule
fusate
e
pleomorfe,
simili
a
fibroblasti
o
istiociti.
Dal
punto
di
vista
istologico,
risulta
atipico
in
quanto
è
for-‐
mato
da
cellule
grandi,
polimorfe,
con
nucleoli
evidenti
e
molte
mito-‐
si,
anche
atipiche.
L’escissione
può
essere
seguita
da
recidiva.
Va
in
diagnosi
differenziale
con
melanoma
e
carcinoma
squamocellulare;
o dermatofibrosarcoma
protuberans:
tipico
dei
soggetti
di
razza
nera.
È
un
tumore
superficiale
dei
giovani-‐adulti,
tende
a
recidivare
conti-‐
nuamente
dopo
l’asportazione,
ma
non
dà
metastasi.
Si
manifesta
come
una
massa
unica
con
piccoli
noduli
multipli,
infiltrante
il
derma
e
il
tessuto
sottocutaneo.
È
composto
da
cellule
fusate,
disposte
co-‐
me
a
formare
le
ruote
di
un
carro
(le
cellule
sembrano
radiare
da
un
centro).
In
alcuni
casi,
può
avere
evoluzione
sarcomatosa.
3.
TUMORI
DEL
TESSUTO
ADIPOSO
Tra
i
tumori
dei
tessuti
molli,
quelli
del
tessuto
adiposo
sono
la
categoria
più
frequente
nell’adulto.
Gene-‐
ralmente
sono
tumori
superficiali,
tanto
che
si
possono
apprezzare
alla
palpazione
(bozze);
talvolta
si
loca-‐
lizzano
in
profondità
negli
arti
e
nel
retroperitoneo.
Le
dimensioni
possono
essere
variabili:
c’è
un
rapporto
diretto
tra
dimensioni
della
neoplasia
e
malignità:
più
sono
grandi,
più
è
probabile
che
si
tratti
di
un
tumore
maligno.
a.
TUMORI
BENIGNI:
LIPOMI
I
lipomi:
• sono
tumori
benigni
molto
comuni,
specialmente
quelli
a
localizzazione
superficiale:
si
asportano
chirurgicamente
se
danno
fastidio,
se
si
ulcerano
o
creano
inestetismi.
Una
volta
asportati,
in
genere
non
recidivano
• macroscopicamente
sono
ben
circoscritti,
appaiono
di
co-‐
lore
giallo
(come
il
tessuto
adiposo
normale)
• microscopicamente
si
osservano
adipociti
maturi,
senza
atipie.
I
tumori
del
tessuto
adiposo
bruno
(estremamente
rari)
sono
chiamati
ibernomi
e
si
localizzano
nel
tessuto
retroperitoneale,
attorno
alla
ghiandola
surrenalica.
b.
TUMORI
MALIGNI:
LIPOSARCOMA
Il
liposarcoma
è
il
tumore
maligno
dei
tessuti
molli
più
frequente.
I
tumori
del
tessuto
adiposo
solitamente
producono
lipidi
(lipogenici):
se
questi
non
sono
presenti,
è
indice
del
fatto
che
il
tumore
è
poco
differen-‐
ziato,
quindi
più
aggressivo.
Nella
massa
tumorale,
ci
sono
aree
con
diverso
grado
di
differenziazione.
I
liposarcomi
si
distinguono
in
tre
varianti
biologiche
(e
non
istologiche),
che
differiscono
per
mutazioni
e
setting
clinico:
• liposarcoma
ben
differenziato/dedifferenziato,
• liposarcoma
mixoide/a
cellule
rotonde,
• liposarcoma
pleomorfo.
Liposarcoma
ben
differenziato/dedifferenziato
• Sono
le
forme
più
frequenti
tra
i
liposarcomi
(40-‐45%),
colpiscono
l’età
adulta-‐anziana
(picco
d’incidenza
a
60
anni)
e
non
hanno
predilezione
di
sesso.
• Insorge
preferenzialmente
nei
tessuti
molli
profondi
degli
arti
inferiori,
nel
retroperitoneo,
nel
tessuto
pa-‐
ratesticolare
(sede
caratteristica
(scroto
o
funicolo
spermatico))
e
nel
mediastino
(raro);
talvolta
possono
essere
superficiali,
nel
tessuto
sottocutaneo.
• E’
una
neoplasia
mesenchimale
maligna
localmente
aggressiva
composta,
interamente
o
in
parte,
da
adi-‐
pociti
maturi,
che
conservano
la
capacità
di
produrre
lipidi.
Gli
adipociti
sono
maggiormente
atipici
rispetto
al
lipoma,
la
densità
cellulare
è
maggiore
ed
i
nuclei
sono
ben
visibili
(negli
adipociti
normali
il
nucleo
non
si
vede,
essendo
schiacciato
dalla
goccia
lipidica).
• Nel
10%
dei
casi
alcune
aree
possono
essere
dedifferenziate:
viene
persa
la
capacità
lipogenica
e
diventa
un
tumore
a
cellule
fusate
(aree
più
bianche),
più
difficile
da
riconoscere
(soprattutto
se
al
patologo
giunge
un
campionamento
bioptico
e
non
l’intera
lesione);
maggiore
è
la
componente
a
cellule
fusate
(quindi
dedifferenziata),
più
aggressivo
è
il
tumore:
la
neoplasia
assume
la
capacità
di
metastatizzare
a
distanza.
In
altre
parole,
può
essere
o
tutto
ben
differenziato,
quindi
formato
da
adipociti
maturi
atipici
(ed
è
giallo),
o
con
aree
dedifferenziate
biancastre
in
cui
al
posto
degli
adipociti
ci
sono
cellule
fusate;
comunque
in
entrambi
i
casi
la
categoria
diagnostica
non
cambia,
perché
la
biologia
molecolare
del-‐
la
lesione
(ovvero
le
mutazioni)
è
la
stessa:
a
cambiare
è
il
grado7.
Liposarcoma
mixoide/a
cellule
rotonde
• E’
il
secondo
tipo
di
liposarcoma
per
frequenza.
• Il
liposarcoma
mixoide
è
composto
da
adipociti
immaturi,
che
somigliano
alle
cellule
adipose
del
feto
(soprattutto)
e
del
neonato,
con
pochissimi
lipidi
(lipoblasti).
• Macroscopicamente
appare
per
lo
più
di
colore
biancastro,
lucido.
• La
localizzazione
tipica
è
alle
estremità
distali
(in
particolare,
interessa
i
muscoli
della
coscia),
mol-‐
to
raro
nel
retroperitoneo.
• L’aspetto
caratteristico
di
questa
variante
è
l’aumento
della
vascolarizzazione
(neoformazione
di
vasi
ramificati,
a
parete
sottile).
• Generalmente
presenta
una
matrice
mixoide,
ricca
di
mucopolisaccaridi,
che
conferisce
al
tumore
un
aspetto
gelatinoso
(talvolta
la
matrice
è
così
abbondante
da
somigliare
a
muco).
• Può
evolvere
nella
variante
de-‐differenziata,
“a
cellule
rotonde”:
in
questo
caso
il
tumore
è
formato
da
cellule
rotonde
(cellule
primitive
indifferenziate)
non
lipogeniche,
e
da
un
numero
variabile
di
li-‐
poblasti
plurilobulari
ad
“anello
con
castone”
immersi
in
una
matrice
mixoide.
Liposarcoma
pleiomorfo
È
la
variante
più
rara
(10%
dei
casi)
ed
anche
la
più
aggressiva:
è
un
tumore
molto
indifferenziato
(per
defi-‐
nizione
di
grado
3),
con
cellule
giganti
anaplastiche
e
lipoblasti
molto
atipici.
4.
TUMORI
DEL
MUSCOLO
LISCIO
I
tumori
del
muscolo
liscio
sono
prevalentemente
benigni
(leiomiomi);
quelli
maligni
sono
chiamati
leiomiosarcomi.
LEIOMIOMA
Può
insorgere
nel:
8
• tratto
genitale
femminile:
l’utero ,
in
particolare,
rappresenta
la
sede
più
comune;
si
sviluppano
soprat-‐
tutto
in
donne
in
perimenopausa
o
post-‐menopausa.
Tendono
generalmente
alla
regressione;
• tratto
gastroenterico:
a
questo
livello
il
tumore
mesenchimale
più
comune
è
il
GIST
che,
in
alcuni
casi,
può
avere
una
differenziazione
muscolare
liscia:
è
importante
la
diagnosi
differenziale
in
modo
tale
da
distin-‐
guerlo
dal
leiomioma
puro
(per
escludere
GIST
si
osserva
la
morfologia
e
si
usa
l’immunoistochimica
per-‐
ché
tipicamente
presenta
una
mutazione
di
c-‐kit
o
PDGF-‐alfa);
7
Quindi
il
termine
dedifferenziato
si
applica
a
un
sarcoma
a
cellule
fusate
che
si
presenta
in
associazione
con
un
lipo-‐
sarcome
dedifferenziato
8
Utero
con
noduli
multipli
(leiomiomatosi):
noduli
multipli
che
sporgono
nella
cavità
uterina,
crescono
all’interno,
provocano
sanguinamento
per
erosione
dell’endometrio
(manifestazione
precoce).
Il
resto
del
corpo
dell’utero
è
de-‐
formato
da
questa
proliferazione:
si
passa
da
una
parete
normale
ad
una
parete
inspessita
con
aspetto
diffuso
e
con-‐
fluente.
• cute:
si
sviluppano
a
partire
dal
muscolo
erettore
del
pelo;
si
presentano
come
piccoli
noduli
rilevati,
non
danno
alcun
problema
dal
punto
di
vista
clinico:
generalmente
vengono
rimossi
per
questioni
estetiche
o,
in
casi
rari,
perché
dolorosi
essendo
riccamente
vascolarizzati
e
avendo
terminazioni
nervose
all’interno;
• tessuti
molli
propriamente
detti
(molto
raro).
LEIOMIOSARCOMA
• Si
localizza
soprattutto
a
livello
retroperitoneale:
la
massa
può
presentarsi
con
un
aspetto
nodulare
multi-‐
plo,
costituita
da
cellule
fusate,
disposte
a
formare
dei
fasci.
Il
citoplasma
è
abbondante,
rosa,
perché
han-‐
no
molti
filamenti,
caratteristica
delle
cellule
muscolari
lisce.
• Raramente
insorgono
nei
tessuti
somatici
(arti
inferiori
e
superiori).
• Una
delle
possibili
origini
dei
leiomiosarcomi
sembra
essere
la
parete
dei
grandi
vasi,
provvisti
di
una
tona-‐
ca
muscolare
liscia
molto
spessa.
Ad
esempio,
i
tumori
del
retroperitoneo
potrebbero
derivare
dalla
parete
dell’aorta
o
della
vena
cava
inferiore.
• Per
alcuni
tumori
maligni
del
muscolo
liscio
è
stata
descritta
una
correlazione
con
EBV.
5.
TUMORI
DEL
MUSCOLO
STRIATO
I
tumori
del
muscolo
striato
sono
ancor
più
rari
di
quelli
del
muscolo
liscio.
Si
distinguono
lesioni
benigne
(rabdomiomi)
e
maligne
(rabdomiosarcomi).
RABDOMIOMA
Il
rabdomioma
si
divide
in:
• cardiaco:
generalmente
associato
ad
alcune
sindromi
(specie
nei
bambini),
la
più
frequente
delle
quali
è
la
sclerosi
tuberosa
(con
coinvolgimento
del
SNC:
i
soggetti
affetti
presentano
deficit
di
ap-‐
prendimento,
bassa
statura,
tumori
in
diverse
sedi);
• extracardiaco
(testa
e
collo).
RABDOMIOSARCOMA
Il
rabdomiosarcoma
è
estremamente
raro
nell’adulto,
è
un
tumore
tipico
del
bambino
e
di
soggetti
giovani.
Si
localizza:
• nella
regione
testa-‐collo
(sede
più
frequente),
• nella
regione
paratesticolare,
• in
vescica,
vulva,
vagina,
utero:
in
queste
sedi
il
tumore
cresce
formando
grandi
masse
polipoidi,
definite
botrioidi
(“qualcosa
che
cresce
al
di
fuori”)
che
tendono
a
fuoriuscire
dall’uretra
o
dall’orifizio
vaginale.
Il
rabdomiosarcoma
embrionario
è
la
forma
più
frequente:
• interessa
prevalentemente
la
regione
testa-‐collo,
apparato
genito-‐urinario
(soprattutto
vescica,
vulva,
vagina);
ra-‐
ro
nei
tessuti
molli
somatici,
• frequente
nei
bambini
(3-‐12
anni):
forma
oltre
il
50%
di
tutti
i
sarcomi
dell’infanzia,
• quando
cresce
sotto
le
superfici
muco-‐
se
(es.
urotelio)
forma
masse
polipoidi
che
possono
diventare
enormi,
e
pro-‐
gressivamente,
occludere
il
lume
della
vescica;
quando
si
sviluppa
in
vagina
tende
a
formare
masse
polipoidi
esofitiche,
con
aspetto
di
crescita
botrioide
(a
grappolo
d’uva);
• cresce
molto
rapidamente;
è
un
tumore
molto
aggressivo,
difficile
da
controllare,
• morfologicamente
è
un
tumore
a
piccole
cellule,
indifferenziato:
sono
cellule
con
caratteristiche
primitive
che
somigliano
ai
rabdomioblasti
dell’embrione
(hanno
una
forma
“a
racchetta”,
con
am-‐
pio
citoplasma
intensamente
eosinofilo),
• per
capire
che
si
tratta
di
un
tumore
del
muscolo
scheletrico
non
è
sufficiente
la
morfologia,
per
cui
ci
si
deve
affidare
all’immunoistochimica:
il
marker
principale
è
la
desmina.
Altri
marker
aggiuntivi
con
cui
si
colorano
le
cellule
muscolari
striate
sono
MyoD1,
PAX7,
• va
in
diagnosi
differenziale
con
altri
tumori
a
piccole
cellule
metastatici
(che
possono
esordire
come
tali)
quali
il
Sarcoma
di
Ewing,
il
neuroblastoma
(tipico
della
midollare
del
surrene),
il
linfoma
linfo-‐
blastico.
6.
TUMORI
DEI
VASI
I
tumori
dei
vasi
si
distinguono
in:
• benigni:
(em)angiomi,
sono
di
comune
riscontro
e
spesso
non
ven-‐
gono
considerati
come
veri
e
propri
tumori,
ma
forme
intermedie
tra
lesioni
malformative
e
tumori
benigni.
Si
localizzano
general-‐
mente
a
livello
cutaneo;
possono
anche
trovarsi
nei
tessuti
molli
profondi
o
nel
parenchima
di
alcuni
organi
(fegato,
polmoni).
Sono
lesioni
piccole,
di
colore
rosso
scuro
che
possono
essere
scambiate
per
lesioni
pigmentate;
• a
malignità
intermedia
(ad
aggressività
locale,
senza
la
possibilità
di
dare
metastasi):
emangioendoteliomi,
più
rari
e
difficili
da
diagno-‐
sticare.
Sono
lesioni
ubiquitarie;
• maligni:
angiosarcomi;
essi:
o sono
molto
rari
e
insorgono
principalmente
in
due
contesti
clinici
(fattori
di
rischio):
in
pazienti
con
linfedemi
cronici
(es.
intervento
chirurgico
con
linfoadenectomia),
in
soggetti
sottoposti
a
terapia
radiante,
o il
tessuto
maggiormente
colpito
è
quello
cutaneo,
la
sede
preferenziale
è
la
regione
testa-‐collo;
l’angiosarcoma
cuta-‐
neo
del
capo
è
la
lesione
tipica
del
soggetto
anziano,
o crescono
formando
vasi
atipici;
la
morfologia
è
variabile
(a
cellule
fusate
o
epitelioidee),
o clinicamente
è
emorragico,
o va
in
diagnosi
differenziale
con
i
tumori
maligni
della
cute
(carcinoma
squamocellulare,
basocellulare
e
melanoma).
SARCOMA
DI
KAPOSI
Il
sarcoma
di
Kaposi
è
un
tumore
che
prende
origine
dalle
cellule
endoteliali
e
può
manifestarsi
a
livello
di
cute,
mucose
e
organi
interni.
• L’agente
eziologico
è
HHV8,
la
cui
presenza
è
dimostrabile
con
l’immunoistochimica.
• In
fase
iniziale
(fase
della
patch,
“placchetta”),
si
manifesta
con
macchioline
rosse,
molto
piccole
e
può
essere
scambiato
con
un
angioma,
in
quanto
molto
vascolarizzato.
La
diagnosi
è
più
semplice
nella
fase
nodulare:
la
lesione
prolifera
ed
assume
un
aspetto
emorragico
diffuso.
• Dal
punto
di
vista
istologi-‐
co,
è
un
tumore
formato
da
vasi
e
cellule
fusate
(allungate
e
monomorfe,
di
tipo
endoteliale)
in
stretta
relazione
con
essi.
La
presenza
di
cellule
fu-‐
sate
è
l’aspetto
prepon-‐
derante
su
cui
si
basa
la
diagnosi.
Si
distinguono
diverse
forme:
• variante
classica:
sarcoma
indolente
“low
growing”
che
interessa
prevalentemente
gli
anziani
di
sesso
maschile
e
colpisce
le
estremità
inferiori;
forma
placche
ulcerate
e
non
porta
a
morte
il
pa-‐
ziente,
• variante
legata
all’immunodepressione
(AIDS
correlata):
colpisce
soggetti
giovani;
interessa
cute,
mucose,
linfonodi
ed
organi
interni,
tipicamente
a
livello
del
volto
(coinvolgimento
sistemico),
• forma
iatrogena:
post-‐trapianto
d’organo.
Soprattutto
nelle
fasi
iniziali,
di
grande
aiuto
nel
percorso
diagnostico
è
la
positività
per
alcuni
marker
im-‐
munoistochimici:
o anticorpi
anti-‐HHV8,
che
rendono
agevole
la
diagnosi
o CD34:
marker
delle
cellule
endoteliali,
non
specifico,
che
permette
di
vedere
i
vasi
o CD31
o ERG:
è
il
marker
usato
attualmente
o SMA
(anticorpi
anti-‐muscolo
liscio):
consente
di
vedere
miofibroblasti
attorno
ai
vasi
7.
TUMORI
DEL
SISTEMA
NERVOSO
PERIFERICO
I
nervi
periferici
sono
formati
da
fasci
di
assoni
e
da
cellule
di
Sch-‐
wann.
In
ogni
fascio
si
trovano
sia
fibre
mieliniche
che
amieliniche
(la
mielina
deriva
dalla
membrana
delle
cellule
di
Schwann).
I
fasci
nervosi
sono
circondati
(dall’interno
all’esterno)
da
endonevrio,
perinevrio
(formato
da
fibroblasti
specializzati),
epinevrio.
In
questa
categoria
rientrano
anche
lesioni
non
neoplastiche
(lesioni
iperplastiche)
che
possono
formare
noduli,
i
quali
possono
simulare
tumori.
LESIONI
IPERPLASTICHE
DEL
SNP
• Neuroma
capsulato:
è
un
tumore
ad
origine
traumatica,
si
può
presentare
come
nodulo
nella
sede
di
un
pregres-‐
so
intervento
(es.
colecistectomia).
In
questo
caso,
il
nervo
viene
sezionato
e
la
sua
parte
prossimale,
non
avendo
più
la
guaina
nervosa
che
lo
guida,
cresce
in
maniera
aberrante.
Riattaccando
i
due
estremi
del
nervo
rapidamen-‐
te,
dopo
il
trauma,
si
può
impedire
questa
crescita
aberrante,
in
quanto
si
recupera
la
struttura
della
guaina
entro
cui
il
nervo
può
ricrescere
correttamente.
• Neuromi
mucosi,
neuromatosi
della
mucosa
e
ganglioneuromatosi
intestinale:
i
neuromi
insorgono
su
lingua,
labbra,
palpebre
e
occhi.
La
ganglioneuromatosi
riguarda
principalmente
l’intestino.
Queste
lesioni
possono
fare
da
spia
a
delle
sindromi,
in
particolare
a
poliadenomatosi
endocrine
(MEN2B).
LESIONI
NEOPLASTICHE
I
tumori
benigni
del
SNP
sono
300
volte
più
frequenti
rispetto
ai
tumori
maligni,
che
sono
estremamente
rari
(tranne
che
nella
neurofibromatosi
di
tipo
1
(NF1)
e
nei
soggetti
che
hanno
fatto
radioterapia
per
una
precedente
neoplasia).
Uno
dei
problemi
principali
è
la
distinzione
con
le
altre
neoplasie
a
cellule
fusate
(può
essere
di
aiuto
la
sede).
I
tumori
benigni
sono
particolarmente
frequenti
nelle
zone
superficiali
(cute
e
sottocute).
Le
sedi
tipiche
sono
la
regione
testa-‐collo
e
gli
arti.
Possono
interessare
tutte
le
radici
spinali
ed
i
nervi
cranici,
si
possono
trovare
anche
dentro
il
midollo
spinale,
a
livello
paraspi-‐
nale
(mediastino
posteriore
e
retroperitoneo)
o
in
corri-‐
spondenza
dell’angolo
ponto-‐cerebellare
(sede
tipica
del
neurinoma
dell’acustico
che
causa
ipoacusia,
tintinnio,
senso
di
instabilità).
Nella
categoria
dei
tumori
maligni
figura
solo
il
tumore
maligno
delle
guaine
nervose
o
schwannoma
maligno
(termine
ormai
obsoleto,
difatti
non
origina
quasi
mai
dallo
schwannoma:
è
più
probabile
che
origini
da
un
neu-‐
rofibroma).
I
tumori
del
nervo
periferico
sono:
• schwannomi:
sono
tumori
benigni
costituiti
interamente
da
cellule
di
Schwann,
tipici
dell’adulto,
con
esordio
nella
3°-‐
4°
decade.
Le
regioni
più
colpite
sono
testa,
collo
e
superficie
flessoria
delle
estremità.
Possono
essere
intracranici,
intraspinali
(extradurali
o
intradurali),
o
periferici
(cute).
Spesso
sono
associati
con
la
NF2,
insorgono
frequentemente
nell’angolo
ponto-‐cerebellare
e
sono
bilaterali,
simmetrici
e
multipli.
o Macroscopicamente,
presentano
un
aspetto
nodulare
a
su-‐
perficie
liscia,
sono
provvisti
di
capsula
fibrosa;
hanno
soli-‐
tamente
dimensioni
inferiori
a
10
cm
(i
più
grandi
si
localiz-‐
zano
nel
retroperitoneo
e
nel
mediastino
posteriore),
colore
giallo
(sembra
un
lipoma)
a
causa
della
presenza
degli
istioci-‐
ti
schiumosi
(macrofagi
che
fagocitano
cellule
degenerate
e
si
ingolfano
dei
lipidi
delle
membrane).
Crescono
spingendo
alla
periferia
il
nervo
di
origine,
che
viene
spostato
e
non
è
inglobato
nel
tumore:
questo
con-‐
sente
un
intervento
conservativo,
asportando
la
massa
e
risparmiando
gran
parte
del
nervo
(soprattutto
se
si
tratta
di
un
grande
tronco
nervoso).
o Microscopicamente,
le
cellule
sono
pri-‐
ve
di
atipia;
alterna
aree
più
cellulate
(chiamate
Antoni
A)
dove
le
cellule
fu-‐
sate
formano
dei
fasci,
ad
aree
lasse
o
ipocellulate
(Antoni
B);
è
positivo
in
maniera
molto
diffusa
all’S100
(utile
per
differenziarlo
da
altri
tumori
dei
tessuti
molli,
ma
non
dal
melanoma
che
espri-‐
me
questo
marker).
Esiste
una
variante
di
Schwannoma
a
cellule
rotonde
iperpigmentate,
che
si
trova
nella
sindrome
di
Carney,
a
trasmissione
autosomica
dominante
(manifestazioni
cliniche:
Schwannomi
pigmentati
epitelioidei
(DD
con
melanoma
metastatico),
mixomi
cardiaci,
iperplasia
nodulare
del
surrene
e
tumori
ipofisari);
• neurofibromi:
sono
tumori
benigni
compositi
(a
componente
mista),
costituiti
da
cellule
di
Sch-‐
wann,
cellule
perineurali
(del
perinevrio)
e
fibroblasti.
Crescono
dentro
al
nervo
(a
differenza
de-‐
gli
schwannomi,
che
crescono
al
di
fuori),
per
cui
la
loro
escissione
ne
richiede
spesso
il
sacrificio;
hanno
per
lo
più
una
localizzazione
cutanea,
si
presentano
sotto
forma
di
piccolo
nodulo
(forma
localizzata)
o
come
ispessimento
diffuso
(forma
plessiforme).
Possono
essere
associati
a
NF19
(con
localizzazioni
cutanee
multiple)
o
sporadici
(solitari).
La
forma
plessiforme
si
configura
come
una
placca
maggiore
di
2
cm
nella
regione
testa-‐collo,
all’interno
di
grossi
tronchi
nervosi
dei
quali
causa
allargamento,
con
proliferazione
del
nervo
che
diventa
più
lungo
e
più
largo;
il
ner-‐
vo,
che
prima
era
dritto,
ora
assume
una
forma
più
nodulare;
• tumori
maligni
delle
guaine
nervose
(MPNST):
sono
molto
rari,
originano
da
preesistenti
neurofi-‐
bromi
che
vanno
incontro
a
trasformazione
maligna,
o
de
novo.
Le
sedi
interessate
sono:
glutei,
co-‐
scia,
plesso,
brachiale
e
arto
superiore,
nervi
paraspinali.
Il
rischio
di
sviluppare
un
tumore
maligno
delle
guaine
nervose
è
più
elevato
nella
NF1
e
nei
soggetti
sottoposti
a
radioterapia
per
una
prece-‐
dente
neoplasia.
Sono
tumori
grandi,
molto
aggressivi,
formati
da
cellule
fusate
prive
di
qualsiasi
differenziazione.
Nella
maggior
parte
dei
casi
sono
di
alto
grado
all’esordio,
con
mitosi
e
necrosi.
L’S100
a
volte
risulta
negativo
(poiché
più
il
tumore
è
indifferenziato,
più
perde
le
sue
caratteristi-‐
che);
la
diagnosi
differenziale
è
difficile:
può
aiutare
l’anamnesi
positiva
per
NF1
o
precedente
irra-‐
diazione,
e
la
presenza
di
una
stretta
relazione
topografica
con
il
nervo
periferico.
A
volte,
è
neces-‐
sario
ricorrere
alla
biologia
molecolare
per
dirimere
il
dubbio
diagnostico.
CASO
CLINICO
1
Anamnesi
• Tumefazione
della
spalla
Ipotesi
diagnostiche
• Lesione
sottocutanea.
In
questo
caso
vediamo
la
cute:
se
non
è
esposta
pensiamo
a
un
melanoma,
se
è
esposta
a
un
carcinoma
basocellulare,
a
uno
squamocellulare
o
a
un
melanoma.
• Tumore
a
cellule
fusate:
vediamo
a
cellule
fusate
alla
morfologia,
e
ci
facciamo
guidare
dalla
immunoisto-‐
chimica
per
liposarcoma,
fibroblasti,
tumori
del
nervo
periferico,
tumori
delle
cellule
muscolari
lisce
e
stria-‐
te.
CASO
CLINICO
2:
GANGLIONEUROMA
Donna
di
70
anni
con
una
massa
di
12
cm
retroperitoneale.
La
lesione
era
tutta
gialla,
ed
aveva
una
grande
area
bianca
al
centro
(sembrava
un
liposarcoma
dedifferenziato);
in
realtà,
l’area
centrale
bianca
era
formata
da
cellule
di
Schwann,
con
tante
cellule
gangliari
nel
mezzo.
Era
un
caso
del
tutto
insolito
di
tumore
benigno
del
nervo
periferico,
il
ganglioneuroma,
che
stranamente
presentava
tessuto
adiposo
(variante
lipomatosa
del
ganglioneuroma).
Erano
presenti
anche
di
Schwann
e
cellule
gangliari.
Tale
tumore
cresce
come
un
nodulo
rotondo,
non
infiltrativo,
con
cellule
di
Schwann
che
formano
noduli.
Può
derivare
dalla
maturazione
del
neuroblastoma
(spontanea
o
sotto
terapia).
Il
nodulo
è
ben
delimitato,
è
giallo,
e
nei
punti
in
cui
il
tumore
degenera,
i
macrofagi
si
riempiono
di
lipidi
e
conferiscono
il
colore
giallo.
Tipicamente
ci
sono
grandi
vasi
a
parete
scleroialina,
aree
lasse
ed
aree
cellulate.
Esiste
la
possibilità
che
siano
associati
alla
neurofibromatosi
di
tipo
2,
in
cui
tipicamente
vi
è
uno
Schwannoma
(o
neurinoma)
bilaterale
del
vestibolare
superiore,
che
in
genere
fa
fare
diagnosi
della
sindrome.
9
Diagnosi
di
NF1:
macchie
caffè
latte,
ridondanza
della
cute,
tumori
ossei,
deformità
ossee,
pigmentazione
estensiva,
neurofibromi
cutanei.
CASO
CLINICO
3
Dati
clinici
• Materiale
bioptico
prelevato
da
una
lesione
nodulare
della
regione
testa
collo
(più
in
dettaglio
dallo
scalpo)
che
il
chirurgo
ha
completamente
rimosso
arrivando
a
raschiare
l’osso
sottostante.
• Paziente
anziano.
• Lesione
di
almeno
2-‐3
cm,
di
colore
rosso.
Iter
diagnostico
• Lesione
cutanea
a
cellule
fusate
epitelioidi
pleiomorfe;
in
base
all’aspetto,
all’invasione
vascolare
e
all’attività
proliferativa
si
sottolinea
l’aspetto
maligno
e
aggressivo.
Nel
vetrino
si
vedono
molto
emorragie,
c’è
una
alterazione
dell’epidermide
ma
la
cute
non
è
iperplastica,
c’è
elastosi
(tessuto
azzurrino,
accumulo
a
livello
del
derma
di
fibre
elastiche
degenerate):
tutte
alterazioni
compatibili
con
danno
attinico
che
possono
però
essere
presenti
in
diverse
tipologie
di
lesione.
Una
partico-‐
larità
è
che
l’epidermide
si
sta
ulcerando,
c’è
dell’edema
raccolto
tra
l’epidermide
e
la
lesione
che
risultano
quindi
essere
distaccate,
nei
punti
in
cui
l’epidermide
non
è
danneggiata
non
si
notano
alterazioni
della
ma-‐
turazione:
c’è
dubbia
relazione
tra
lesione
e
epidermide.
Le
cellule
della
lesione
sono
pleiomorfe
(perchè
so-‐
no
allungate
ma
I
nuclei
sono
irregolari,
le
cellule
a
gruppetti
presentano
morfologie
diverse)
con
I
citopla-‐
smi
rossi
eosinofili.
Nell’immagine
c’è
un
buco
ovvero
un
vaso
con
la
lesione
che
si
aggetta
all’interno,
il
vaso
è
grosso
con
parete
muscolare
molto
sottile
quindi
il
tumore
ha
una
invasione
vascolare
evidente,
si
pensa
a
un
tumore
maligno.
• Si
esclude
il
Kaposi
perchè
la
localizzazione
non
è
tipica.
• Le
diagnosi
possibili
sono:
o carcinoma
squamocellulare
(variante
poco
differenziata,
non
c’è
un
chiaro
legame
con
l’epidermide,
non
c’è
prova
che
si
tratti
di
un
carcinoma
però
essendo
frequente
bisogna
fare
la
prova
con
il
marker
citocheratina),
o melanoma
(con
scarsa
attività
funzionale
e
aspetto
nodulare,
secondo
tipo
da
scartare
utilizzando
il
marker
S-‐100),
o angiosarcoma,
essendoci
un
nodulo
rosso
ciliegia
quindi
molto
vascolarizzato
(a
cellule
fusate
poco
dif-‐
ferenziato,
uso
marker
per
cellule
endoteliali),
o fibroxantoma
atipico
(dopo
aver
escluso
tutti
gli
altri).
• Le
citocheratine
esistono
di
diversi
tipi
con
diversi
pesi
molecolari,
si
utilizza
in
questo
caso
un
anticorpo
“ad
ampio
spettro”,
che
riconosce
diverse
citocheratine
(pancitocheratina):
risulta
esserci
un
gruppo
di
cellule
positive
che
non
sono
residui
cutanei
e
assomigliano
morfologicamente
alle
cellule
neoplastiche.
C’è
quindi
un
focolaio
minimo
positivo
indubbio
alla
citocheratina.
Un
melanoma
potrebbe
esprimere
focalmente
la
ci-‐
tocheratina
quindi
si
fa
anche
la
S-‐100
per
la
ricerca
del
melanoma,
che
viene
completamente
negativa.
Si
possono
ricercare
marker
per
cellule
endoteliali
perché
la
lesione
era
molto
emorragica
che
vengono
però
negativi.
Per
il
fibroxantoma
atipico
non
c’è
niente
di
specifico,
si
può
ricercare
positività
a
CD34
che
viene
negativa.
Quindi
solo
la
citocheratina
è
positiva
in
una
zona
focale
e
la
lesione
è
considerata
come
un
carci-‐
noma
squamocellulare
a
cellule
fusate
e
in
assenza
di
altri
marker
con
questa
morfologia
è
sufficiente
que-‐
sta
positività
focale
per
fare
diagnosi.
La
diagnosi
è
immunoistochimica.
• È
molto
alto
il
rischio
di
metastasi
perché
la
lesione
è
grande,
è
spessa,
è
pleiomorfa,
ha
invaso
il
vaso.
I
fat-‐
tori
di
rischio
per
il
carcinoma
squamocellulare
che
insorge
nelle
zone
esposte
sono
proprio
la
dimensione
e
lo
spessore
(la
profondità
raggiunta).
Se
in
quel
paziente
a
rischio
di
metastasi
compare
una
linfoadenome-‐
galia
per
fare
diagnosi
del
problema
linfonodale
potrebbe
essere
sufficiente
un
agoaspirato
in
modo
tale
da
vedere
se
le
cellule
prelevate
sono
simili
a
quelle
della
lesione
primitiva.
• Se
Il
paziente
non
fosse
stato
a
rischio
avremmo
pensato
innanzitutto
a
una
infezione.
Quindi
la
storia,
la
anamnesi
del
paziente
è
molto
importante.
18b.
NERVO
PERIFERICO
Il
nervo
periferico
è
costituito
dagli
assoni
mielinizzati
e
non
mielinizzati,
e
da
un
supporto
connettivo-‐
vascolare
che
costituisce
un’impalcatura
in
cui
le
fibre
nervose
scorrono,
formato
dall’endonevrio,
sottilis-‐
simo
che
circonda
le
singole
fibre,
dal
perinevrio,
che
è
la
parte
importante
che
circonda
i
singoli
fascetti,
e
dal
epinevrio,
che
circonda
l’intero
tronco
nervoso.
L’unità
semplice
è
l’assone,
circondato
da
mielina
e
da
una
sottile
rete
di
connettivo
reticolare
(endoner-‐
vio);
più
fibre
insieme
formano
un
fascetto,
circondato
da
perinevrio;
più
fascetti
formano
il
tronco
nervo-‐
so,
che
è
circondato
da
epinevrio,
connettivo
vascolare
e
tessuto
adiposo
(spesso
presente).
Queste
strutture
possono
subire
un
danno
che
si
manifesta
clinicamente
con
una
neuropatia
periferica,
che
è
una
delle
patologie
non
neoplastiche
del
sistema
nervoso
periferico.
Studiamo,
relativamente
al
nervo
periferico:
• malattie
non
neoplastiche,
che
si
manifestano
con
una
neuropatia
periferica,
• lesioni
simil-‐tumorali,
• lesioni
neoplastiche.
NEUROPATIA
PERIFERICA:
ITER
DIAGNOSTICO
E
BIOPSIA
DEL
NERVO
PERIFERICO
Il
patologo
si
confronta
con
una
neuropatia
periferica
quando
viene
fatta
una
biopsia
del
nervo
periferico,
gesto
aggressivo
perché
occorre
incidere
la
cute
e
prendere
un
pezzo
di
nervo.
Questa
pratica
viene
riserva-‐
ta
ai
pazienti
nei
quali
lo
studio
clinico
ed
elettrofisiologico
non
ha
permesso
la
diagnosi
della
malattia.
Infatti
prima
il
paziente
viene
studiato
in
maniera
estensiva
dal
punto
di
vista
generale.
Lo
studio
clinico-‐
strumentale
prevede:
• anamnesi
familiare,
• anamnesi
patologica:
tempo
di
esordio,
distribuzione
della
debolezza,
tipo
di
neuropatia,
• studio
funzionale
del
nervo,
per
vedere
se
c’è
un
danno
dell’assone
o
un
danno
mielinico
prevalen-‐
te,
• test
ematici,
per
vedere
se
c’è
malattia
sistemica
associata,
• esame
del
liquor,
per
vedere
se
la
neuropatia
è
parte
di
una
malattia
sistemica
del
sistema
SNC,
• imaging,
per
patologie
del
SNC
(che
coinvolgono
muscoli
ad
esempio),
• test
molecolari,
per
le
malattie
genetiche
che
coinvolgono
il
SNP
di
cui
è
nota
la
mutazione;
quindi
in
base
alla
clinica
vengono
clinicamente
identificate
alcune
categorie
di
maggiore
probabilità,
per
le
quali
si
può
fare
un
test
genetico.
Se
tutti
questi
esami
non
sono
conclusivi,
è
indicata
la
biopsia,
che
non
rappresenta
la
prima
scelta
e
biso-‐
gna
sapere
quale
risposta
può
dare,
che
cosa
ci
si
può
aspettare,
visto
che
non
è
molto
sensibile.
La
biopsia
del
nervo
periferico,
affinché
possa
essere
di
aiuto
e
permetta
di
ottenere
un
segmento
di
nervo
su
cui
fare
una
diagnosi
(non
inferiore
a
1
cm
in
genere
di
circa
2
cm),
deve
essere
effettuata
in
modo
accu-‐
rato
ed
idoneo:
è
una
procedura
complessa
non
eseguita
da
tutti
i
chirurghi.
Di
solito
viene
fatta
sul
nervo
surale,
un
nervo
sensitivo
che
decorre
nel
sottocute,
dietro
il
malleolo
laterale,
molto
facile
da
raggiungere;
causa
quindi
un’anestesia
permanente
della
parte
esterna
del
piede.
La
biopsia
è
di
grande
aiuto
per
esempio
in
caso
di:
• una
neuropatia
periferica
che
peggiora
rapidamente
(le
forme
genetiche
sono
in
genere
a
lento
decorso,
invece
quelle
che
insorgono
con
una
causa
nota
sono
in
genere
a
rapido
peggioramento),
• una
patologia
del
nervo
periferico
in
un
paziente
con
una
patologia
immunitaria
(gammopatia
mo-‐
nonoclonale
o
mieloma),
• malattie
croniche
del
nervo
periferico
non
diagnosticabili
con
l’esame
del
liquor
o
con
i
test
ematici,
• forme
ereditarie
in
cui
il
test
genetico
non
è
stato
sufficiente
per
la
diagnosi,
perché
le
mutazioni
possono
essere
molto
variabili.
Di
solito
il
test
si
fa
per
le
mutazioni
più
frequenti:
negli
altri
casi
oc-‐
corre
l’intero
sequenziamento
del
gene
per
capire
dov’è
la
mutazione;
in
questo
caso
la
biopsia
può
aiutare,
• neuropatie
infiammatorie,
primitive
del
nervo
o
secondarie
a
vasculiti,
che
interessano
sia
il
si-‐
stema
SNC
sia
il
SNP,
di
solito
sono
associate
a
malattie
sistemiche.
Qualcuno
ritiene
che
a
livello
di
SN
ci
siano
vasculiti
che
interessano
esclusivamente
il
nervo
periferico;
in
casi
molto
rari
possono
insorgere
infatti
delle
vasculiti
esclusive
nel
nervo
periferico,
che
si
manifestano
con
neuropatia,
• una
mononeurite
multiplex,
che
interessa
un
singolo
nervo
a
salti
(il
che
non
è
tipico
delle
neuro-‐
patie
periferiche,
che
di
solito
sono
simmetriche
e
a
stampo
sensitivo-‐motorio);
in
questi
quadri
spesso
il
danno
è
secondario
ad
un
problema
vascolare
quindi
la
biopsia
è
di
grande
aiuto,
• una
neuropatia
periferica
da
amiloidosi,
in
cui
l’amiloide
si
deposita
nel
nervo
determinandone
perdita
di
funzione
e
degenerazione,
• un
tumore,
che
non
è
un
problema
medico
ma
chirurgico.
Processazione
Il
campione
deve
arrivare
presto
e
a
fresco
in
anatomia
patologica
(perché
se
si
mette
in
formalina
non
si
possono
applicare
altri
metodi
di
fissazione),
poi
dal
nervo
si
ottengono
tre
campioni
differenti:
• un
segmento
di
nervo
da
processare
con
le
tecniche
tradizionali,
• dei
frammenti
da
processare
per
la
microscopia
elettronica
(per
la
quale
occorre
realizzare
sezioni
semifini):
si
fissano
con
gluteraldeide
(ha
il
vantaggio
di
avere
una
penetrazione
molto
rapida1)
e
si
includono
con
una
resina
chimica
estremamente
dura
(non
in
paraffina
che
è
molle),
perché
poi
devono
essere
realizzate
fettine
molto
sottili
con
lama
di
diamante
di
circa
1
micron,
• preparazioni
a
fibre
singole:
sono
singoli
assoni
o
gruppi
di
2-‐3
assoni,
separati
l’uno
dall’altro
con
grande
pazienza
grazie
all’aiuto
di
una
lente,
per
evidenziarne
le
alterazioni.
In
questo
caso
per
ve-‐
dere
assone
e
guaina
mielinica,
che
sono
trasparenti,
bisogna
usare
come
colorante
il
tetrossido
di
osmio
che
colora
di
nero
le
guaine
mieliniche,
visibili
con
una
lente
d’ingrandimento
molto
potente.
Infine
un
pezzettino
piccolo
viene
congelato:
il
congelato
serve
per
ottenere
informazioni
su
cambiamenti
e
alterazioni
non
visibili
dopo
fissazione
in
formalina.
Ad
esempio
se
si
volessero
studiare
le
immunoglobuline
a
livello
delle
guaine
del
nervo,
il
tessuto
perderebbe
di
reattività
dopo
la
fissazione
in
formalina:
occorre
in
questo
caso
congelare
il
preparato
e
studiarlo
con
tecniche
di
immunofluorescenza.
Il
frammento
congelato
si
utilizza
solo
se
serve,
è
una
specie
di
“banca”:
può
essere
eventualmente
utilizzato
per
studi
molecolari,
senza
fare
altri
prelievi.
Esame
microscopico
e
aspetti
morfologici
Le
malattie
non
neoplastiche
del
nervo
periferico
sono
morfologicamente
stereotipate:
si
ha
una
flogosi
che
porta
a
un
danno
più
o
meno
aspecifico
del
tessuto,
ma
le
alterazioni
non
sono
specifiche
e
vanno
let-‐
te
nel
setting
delle
malattie
di
base
del
paziente,
quindi
in
base
al
contesto
clinico;
in
altre
parole,
lo
spet-‐
tro
delle
alterazioni
morfologiche
è
abbastanza
limitato
rispetto
all’ampio
numero
di
patologie
sottostanti.
E’
importante
quindi
per
il
patologo
conoscere
come
questa
patologie
insorgono,
da
quanto
tempo
sono
insorte,
etc.
1
La
formalina
fissa
lentamente,
il
tessuto
comincia
la
sua
autolisi
prima
della
fissazione;
al
microscopio
ottico
non
è
tanto
importante
perché
si
cercano
le
alterazioni
cellulari.
Con
il
microscopio
elettronico
si
cercano
alterazioni
sub-‐
cellulari,
gli
organelli
cellulari,
quindi
c’è
bisogno
di
una
morfologia
perfetta
e
di
un
fissativo
che
agisca
molto
rapida-‐
mente.
Studiamo
alcuni
aspetti
morfologici,
che
vanno
correlati
col
dato
clinico.
• Il
rapporto
tra
assone
e
guaina
mielinica
è
1
a
1:
ogni
cellula
di
Schwann
prende
rapporto
con
un
assone;
in
caso
di
danno
del
nervo
(esempio
sezione
dell’assone),
questo
rapporto
può
cambiare:
si
osservano
infatti
la
degenerazione
Walleriana
(soprattutto
del
moncone
distale)
e
la
rigenerazione
(del
moncone
prossimale,
che
rimane
attaccato
alla
cellula,
che
rigenera).
In
questo
caso
si
osser-‐
vano
tanti
piccoli
assoni
che
prendono
rapporto
con
una
sola
cellula
di
Schwann.
• La
proliferazione
a
bulbo
di
cipolla
delle
cellule
di
Schwann
attorno
all’assone
testimonia
un
danno
della
guaina
mielinica.
• Nelle
forme
di
neuropatia
mediate
da
immunoglobuline
le
guaine
mieliniche
sono
separate.
• La
parte
di
assone
mielinizzata
da
una
cellule
di
Schwann
interposta
tra
due
nodi
di
Ranvier
prende
il
nome
di
segmento
internodale.
Valutando
lunghezza
e
spessore
di
questi
segmenti
si
può
capire
se
c’è
stata
una
patologia:
es.
nelle
malattie
demielinizzanti
ci
sono
internodi
di
vario
spessore.
• In
caso
di
patologia
infiammatoria
del
nervo
periferico
(primitiva
o
secondaria
a
vasculite)
si
osser-‐
vano
i
segni
della
flogosi
a
livello
dei
vasi
dell’endonevrio,
perinevrio
ed
epinevrio.
• Nella
mononeurite
multiplex
si
osserva
un
grosso
vaso
dell’epinevrio
circondato
da
elementi
in-‐
fiammatori
cronici
(infociti
e
plasmacellule,
granulociti);
c’è
una
vasculite
necrotizzante,
infatti
la
parete
del
vaso
non
si
riconosce
bene
perché
necrotica,
e
il
nervo
non
presenta
più
le
guaine
mieli-‐
niche:
la
funzione
è
persa
perché
il
nervo
è
danneggiato.
• La
ricerca
dell’amiloide
va
sempre
fatta
nel
nervo
periferico,
infatti
molte
amiloidosi
si
manifestano
con
una
neuropatia
periferica.
Si
effettua
quindi
una
colorazione
tradizionale
con
rosso
congo
che
fa
vedere
in
luce
polarizzata
il
deposito
come
verde.
LESIONI
SIMIL-‐TUMORALI
Le
lesioni
simil-‐tumorali
formano
noduli
ma
non
sono
dei
veri
e
propri
tumori:
sono
lesioni
reattive,
ripara-‐
tive
o
iperplastiche
del
nervo.
Studiamo
le
più
frequenti.
• Il
neuroma
traumatico
è
anche
detto
neuroma
da
amputazione
poiché
quando
il
nervo
viene
se-‐
zionato
la
parte
prossimale
rigenera,
ma
il
risultato
è
insufficiente.
Per
questo
motivo
bisogna
esse-‐
re
rapidi
nel
“riattaccare”
i
due
monconi
del
nervo,
prima
che
degeneri
la
parte
distale,
per
ristabili-‐
re
la
continuità
del
perinevrio
cosicché
gli
assoni
possano
rigenerare
all'interno
di
questo
“tubo”.
Se
non
si
riattaccano
immediatamente
avviene
una
rigenerazione
aberrante
e
la
funzionalità
è
persa.
Tale
rigenerazione
aberrante
può
portare
alla
formazione
di
un
nodulo
doloroso.
• Il
neuroma
di
Morton,
caratteristico
delle
donne
che
portano
i
tacchi
alti,
è
una
lesione
estrema-‐
mente
dolorosa
localizzata
nella
pianta
del
piede,
negli
spazi
intermetatarsali
tra
terzo
e
quarto
di-‐
to,
o
secondo
e
terzo
dito.
E’
verosimilmente
causata
dalla
compressione
del
nervo
digitale
planta-‐
re.
Macroscopicamente
si
osserva
il
nervo
danneggiato,
che
degenera,
e
si
forma
un
nodulo
dato
dalla
proliferazione
del
tessuto
connettivo
con
infiltrato
infiammatorio.
Il
nervo
residuo
è
circon-‐
dato
da
guaine
spesse,
in
presenza
di
sclerosi
ialina
e
fibrosi
(quindi
si
mantiene
il
nervo,
ma
i
fasci
nervosi
sono
separati
da
abbondante
tessuto
connettivo).
• Le
neuromatosi
mucose
sono
lesioni
iperplastiche
del
nervo
periferico
associate
a
sindromi
multi-‐
ple
(MEN2B,
di
cui
può
essere
la
prima
manifestazione);
si
osservano
soprattutto
a
livello
GI:
i
neu-‐
romi
mucosi
crescono
a
livello
dell’intestino,
ma
anche
della
lingua,
labbra
e
viso.
I
pazienti
con
MEN2B
hanno
nodulini
multipli,
soprattutto
a
livello
della
lingua;
altre
volte
i
pazienti
non
hanno
la
sindrome
completa.
Il
patologo
deve
porre
subito
l’ipotesi
di
MEN,
per
poi
eventualmente
effettua-‐
re
l’indagine
genetica.
La
diagnosi
differenziale
rispetto
ai
tumori
benigni
non
è
sempre
semplice.
19a.
PATOLOGIA
DEL
POLMONE
Studiamo
la
patologia
neoplastica
e
non
neoplastica
del
polmone.
Recentemente
sono
stati
fatti
importanti
progressi
nella
terapia
delle
patologie
neoplastiche
del
polmone,
che
rappresentano
un
campo
in
espansio-‐
ne:
la
loro
diagnosi
è
molto
impegnativa
e
il
patologo
viene
chiamato
in
causa
per
valutare
l’espressione
dei
biomarkers
attraverso
le
tecniche
della
biologia
molecolare.
Nel
caso
della
patologia
non
neoplastica,
la
diagnosi
corretta
è
realizzata
solo
attraverso
l’integrazione
tra
storia
clinica
del
paziente
e
quadro
radiologico:
all’anatomopatologo
viene
richiesto
di
identificare
un
pat-‐
tern
che
si
integra
con
gli
altri
dati
specialistici.
ANATOMIA
NORMALE
DEL
POLMONE
• I
polmoni
sono
divisi
in
lobi.
• Le
ramificazioni
bronchiali
prossimali
definiscono
i
segmenti
all’interno
dei
lobi
(il
chirurgo
toracico
può
eseguire
pneumectomia,
bilobectomia,
lobectomia
o
segmentectomia).
• I
lobuli
rappresentano
il
compartimento
anatomico
più
pic-‐
colo
del
polmone
che
può
essere
evidenziato
macroscopi-‐
camente
(1-‐3
cm).
Rappresentano
la
quota
di
parenchima
polmonare
che
è
delimitata
dalla
pleura
e/o
dai
setti
fibrosi
(che
derivano
dalla
pleura)
dove
decorrono
le
vene.
I
setti
sono
evidenziati
a
causa
della
deposizione
del
pigmento
an-‐
tracotico;
infatti
col
passare
del
tempo
diventano
neri.
• Al
centro
del
lobulo
ci
sono
il
bronchiolo
terminale
e
l’arteria
polmonare;
le
vene
e
i
vasi
linfatici
scorrono
nei
setti.
• I
lobuli
sono
formati
dall’insieme
di
acini
(in
media
3-‐6).
L’acino
è
una
struttura
complessa
visibile
microscopicamen-‐
te:
è
la
parte
di
parenchima
servita
da
un
bronchiolo
termi-‐
nale
(dotato
di
una
parete
fibro-‐muscolare
completa).
Dal
bronchiolo
terminale
derivano
tre
generazioni
di
bronchioli
respiratori,
chiamati
rispettivamente
dotti
alveolari,
sacchi
alveolari
e
alveolo.
• Un
bronchiolo
terminale
è
formato
da
assenza
di
cartilagine,
da
un
muscolo
liscio
della
parete,
con
cellule
colonnari
ciliate
pseudostratificate:
è
un
epitelio
respiratorio.
• A
valle
del
bronchiolo
terminale
iniziano
gli
spazi
per
gli
scambi
respiratori
(manca
la
parete
musco-‐
lare).
L’alveolo
è
una
struttura
sottile
rivestita
da
cellule
appiattite
con
poco
citoplasma
(pneumoci-‐
ti
di
primo
e
secondo
ordine),
a
contatto
con
capillari.
Studiamo
nel
dettaglio
i
componenti
del
parenchima
polmonare.
• Bronchi:
la
parete
è
composta
da:
o tonaca
mucosa:
epitelio
colonnare
ciliato
pseudostratificato
cui
si
aggiungo-‐
no
cellule
mucipare,
cellule
neuroendocrine
e
cellule
basali;
o tonaca
sottomucosa:
tessuto
connettivo
lasso
e
fibre
elastiche
longitudinali,
nel
cui
contesto
si
trovano
ghiandole
bronchiali
sieromucinose
(freccia)
i
cui
dotti
si
aprono
nel
lume
bronchiale
ed
aggregati
di
tessuto
linfoide;
o tonaca
muscolo
cartilaginea:
anelli
cartilaginei
(stella)
e
fasci
muscolari
lisci.
• Bronchioli
terminali:
la
parete
è
composta
da:
o epitelio
cilindrico
ciliato
pseudostratificato
e
da
cellule
non
ciliate
di
Clara
di
forma
cilindrica
o
cubica;
la
loro
regione
apicale
è
ricca
di
mitocondri
e
granuli
di
secre-‐
zione
pieni
di
materiale
elettrondenso
(PAS+).
Hanno
funzione
secretoria
(materiale
sieroso
ad
azione
surfac-‐
tante)
e
rigeneratrice
a
seguito
di
danno
bronchiolare;
o strato
di
muscolo
liscio
abbondante
e
disposto
a
spirale;
o tessuto
connettivo
avventiziale.
Come
i
bronchi,
anche
i
bronchioli
sono
accompagnati
nel
loro
decorso
dalle
arterie
polmonari
che
hanno
lo
stesso
calibro
dei
bronchioli.
• Acini:
più
acini
formano
il
lobulo
e
rappresentano
le
unità
funzionali
del
polmone
composti
da:
o bronchioli
terminali,
dotato
di
una
parete
fibro-‐muscolare
completa,
con
muscolo
liscio
nella
parete.
Nel
bronchiolo
terminale
è
assente
la
cartilagine
e
l’epitelio
respiratorio
è
costituito
da
cellule
colonnari
ciliate
pseudostratificate.
o bronchioli
respiratori
(dove
cominciano
ad
avvenire
gli
scambi
gassosi):
l’epitelio
è
pavimentoso
e
mo-‐
nostratificato
o dotti
alveolari:
si
presentano
come
spazi
tubulari
rettilinei
le
cui
pareti
si
aprono
nei
sacchi
alveolari;
nei
tratti
sporgenti
in
cavità
le
pareti
risultano
rinforzate
da
fibre
collagene,
elastiche
e
muscolari
lisce
o alveoli:
strutture
sottili
dove
risulta
difficile
riconoscere
il
citoplasma
degli
pneumociti
al
di
fuori
di
contesto
pa-‐
tologico.
L’alveolo
ha
la
forma
di
piccole
sacche
aperte
verso
dotti
alveolari
e
bronchioli
respiratori.
Aggregati
di
più
alveoli
adiacenti
vengono
definiti
sac-‐
chi
alveolari.
Sono
strettamente
addossati
gli
uni
agli
al-‐
tri
e
separati
da
setti
interalveolari,
impalcature
vascolo
connettivali
che
presentano
delle
aperture
(porocanali-‐
coli
di
Kohn),
che
permettono
il
passaggio
di
aria
da
un
alveolo
all’altro.
o I
setti
sono
costituiti
da
un
sottile
strato
di
cellule
epite-‐
liali,
pneumociti
che
poggiano
su
una
membrana
basale,
in
genere
fusa
con
quella
dei
vasi
capillari,
consentendo
lo
scambio
gassoso.
Le
cellule
che
rivestono
le
pareti
degli
alveoli
sono
di
due
tipi:
§ pneumocita
di
tipo
I
(appiattito,
90%
delle
cellule):
citoplasma
sottile
e
nucleo
rotondo
che
sporge
nel
lume
§ pneumocita
di
tipo
II
(“granulare”
o
cuboidali):
grosso
nucleo
basale
con
nucleolo
prominente
e
abbondanti
inclusioni
lamellari
intracitoplasmati-‐
che
(surfattante).
Non
è
facile
apprezzare
le
strutture
terminali,
per
cui
è
necessaria
una
fissazione
ottimale
che
permetta
di
mantenere
distesi
gli
alveoli
in
modo
tale
da
far
percepire
anche
le
più
fini
alterazioni
del
parenchima.
PROCEDURE
DIAGNOSTICHE
DELLE
MALATTIE
POLMONARI
MATERIALE
PER
LA
DIAGNOSI
La
diagnosi
di
patologia
polmonare
si
fa
su:
• biopsie
endobrionchiali;
non
sono
di
grande
rilievo
nella
patologia
diffusa
del
polmone,
perché
non
sono
interessati
i
grandi
bronchi,
ma
la
parte
distale,
• biopsie
transbrochiali,
in
cui
attraverso
la
parete
bronchiale
si
preleva
il
parenchima
circostante.
Rappresentano
il
metodo
più
usato
e
sicuro
per
la
studio
e
la
diagnosi
di
noduli
e
infiltrati
polmo-‐
nari;
la
validità
è
condizionata
dalla
topografia
della
lesione,
sebbene
oggi
I’uso
del
broncoscopio
a
fibre
ottiche
flessibile
consente
prelievi
molto
in
periferia.
Anche
esse
non
sono
indicate
per
lo
stu-‐
dio
della
patologia
diffusa
del
polmone,
• brushing,
che
consiste
nel
prelievo
di
cellule
spazzolate
sulla
superficie
bronchiale;
è
indicato
per
prelevare
un
campione
citologico
(per
la
diagnosi
di
malattie
neoplastiche);
• FNA
(fine
needle
aspiration)
transbronchiale:
indicato
per
l’esame
citologico
per
la
diagnosi
di
ma-‐
lattie
neoplastiche,
è
molto
utile
per
lo
studio
dei
linfonodi
transbronchiali
o
mediastinici
(nell’ambito
di
una
neoplasia
periferica);
• biopsie
pleuriche,
rilevanti
nell’ambito
della
patologia
neoplastica,
• biopsie
transtoraciche
e
biopsie
del
polmone,
trovano
la
loro
principale
applicazione
nella
patolo-‐
gia
non
neoplastica.
Consentono
di
ottenere
campioni
di
tessuto
di
dimensioni
ottimali
per
la
dia-‐
gnosi
di
lesioni
(non
neoplastiche)
nodulari
periferiche,
di
processi
infiammatori
e/o
di
fibrosi
pol-‐
monare;
• criobiopsie,
che
consentono
il
prelievo
di
materiale
bioptico
di
dimensioni
intermedie
tra
quello
prelevato
con
la
biopsia
endoscopica
e
quello
prelevato
con
la
biopsia
a
cielo
aperto
(chirurgica).
Stanno
sostituendo
le
biopsie
chirurgiche
a
cielo
aperto
per
lo
studio
della
patologia
non
neoplasti-‐
ca;
rappresentano
una
nuova
tecnica,
in
cui
il
polmone
viene
congelato
molto
velocemente
e
si
di-‐
stacca
senza
sanguinare,
• resezione
segmentaria
chirurgica,
• riscontro
diagnostico;
il
polmone
è
un
organo
che
deve
essere
assolutamente
indagato
nell’esame
post
mortem.
Il
patologo
deve
conoscere
la
tecnica
di
prelievo
utilizzata
in
modo
da
poter
tener
conto
dei
suoi
limiti.
Non
viene
richiesta
uno
specifico
tipo
di
fissazione,
è
sufficiente
la
formalina.
PER
UNA
CORRETTA
DIAGNOSI
Per
una
corretta
diagnosi
servono:
• informazioni
cliniche
e
radiologiche
dettagliate,
• materiale
adeguato
prelevato
dallo
pneumologo:
non
si
può
fare
una
diagnosi
di
patologia
non
neoplastica
su
biopsie
endobronchiali
per
esempio.
I
campioni
istologici
devono
essere
prelevati
in
almeno
tre
punti
diversi
e
devono
essere
sufficien-‐
temente
grandi
per
consentire
al
patologo
di
valutare
l’architettura
polmonare
nel
suo
complesso
(per
esempio,
i
frammenti
bioptici
ottenuti
da
biopsie
transbronchiali,
non
sono
sufficienti
per
que-‐
sto
scopo),
• conoscenza
della
struttura
macroscopica
(campione
chirurgico)
e
microscopica
(biopsia,
aspetto
istologico)
del
polmone
normale,
• conoscenza
dei
principali
pattern
di
patologia
nel
tessuto,
ovvero
di
risposta
del
parenchima
al
danno.
PATOLOGIA
NON
NEOPLASTICA
DEL
POLMONE
(Malattie
polmonari
croniche
diffuse)
Come
già
detto,
la
diagnosi
delle
patologie
non
neoplastiche
può
essere
fatta
in
maniera
corretta
attraverso
una
stretta
integrazione
con
la
storia
clinica
del
paziente
e
il
quadro
radiologico
(ovvero
i
pattern
identifica-‐
ti
dal
radiologo).
Studiamo
nel
dettaglio
le
patologie
polmonari
croniche
diffuse,
che
possono
essere
distin-‐
te
in
due
grandi
gruppi:
• forme
prevalentemente
ostruttive,
• forme
prevalentemente
restrittive:
sono
forme
interstiziali
diffuse,
in
cui
non
c’è
un
chiaro
rappor-‐
to
con
le
vie
respiratorie.
Queste
patologie
vanno
diagnosticate
dopo
aver
escluso
le
malattie
infettive
del
polmone,
che
bisogna
sempre
tenere
in
considerazione
nell’iter
diagnostico.
MALATTIE
POLMONARI
CRONICHE
OSTRUTTIVE
(COPD
o
BPCO)
Le
descrizioni
morfologiche,
molto
dettagliate,
delle
malattie
polmonari
croniche
ostruttive
sono
state
fat-‐
te
negli
ultimi
50
anni
del
Novecento;
recentemente
invece
è
cambiata
l’interpretazione
di
queste
descri-‐
zioni,
poiché
le
conoscenza
cliniche
e
genetiche
hanno
permesso
di
inserire
questi
quadri
morfologici
in
ca-‐
tegorie
diagnostiche
più
appropriate.
Infatti
in
passato
(1995),
le
COPD
venivano
definite
come
“patologie
caratterizzate
da
una
limitazione
al
flusso,
provocate
da
bronchite
cronica
o
enfisema:
la
limitazione
al
flusso
è
generalmente
progressiva,
può
essere
accompagnata
da
ipereattività
bronchiale
e
può
essere
parzialmente
reversibile”.
Secondo
le
nuove
linee
guida
GOLD
(2015),
la
BPCO
è
una
“malattia
comune
prevenibile
e
trattabile,
carat-‐
terizzata
da
una
persistente
limitazione
al
flusso
aereo
e
che
è
di
solito
progressiva
ed
è
associata
a
una
ri-‐
sposta
infiammatoria
cronica
a
diversi
agenti
tossici.
Riacutizzazioni
e
comorbidità
possono
contribuire
alla
severità
della
malattia”.
Questa
definizione
sottolinea
la
possibilità
di
prevenire
la
patologia,
il
contributo
della
risposta
infiammatoria
del
paziente
e
la
variabilità
individuale.
Da
un
punto
di
vista
morfologico,
le
malattie
polmonari
croniche
ostruttive
di
caratterizzano
dalla
associa-‐
zione
in
quantità
diverse
dei
seguenti
quadri
macroscopici
e
microscopici:
1. enfisema,
2. alterazione
delle
piccole
vie
respiratorie,
3. alterazione
della
vascolarizzazione.
Il
primo
reperto
associato
alla
COPD
è
stato
l’enfisema;
poi,
la
descrizione
del
coinvolgimento
dei
bronchio-‐
li
respiratori,
dell’infiammazione
e
delle
alterazioni
vascolari
ha
portato
al
concetto
moderno
di
COPD.
Recentemente
è
stata
anche
descritta
la
coesistenza
di
COPD
con
malattie
interstiziale
del
polmone
(quin-‐
di
i
due
grandi
quadri,
ostruttivo
e
restrittivo,
sono
stati
messi
insieme).
Histopathologic Features of Chronic Obstructive Pulmonary Disease
Emphysema Proximal acinar emphysema
! Destruction of respiratory bronchioles with relative sparing of distal alveoli
Panacinar emphysema
! Destruction of respiratory bronchioles through to terminal alveoli
Alteration of the airways Respiratory (smoker’s) bronchiolitis
Inflammation and fibrosis of terminal and respiratory bronchioles
Reduction in terminal bronchioles
Goblet cell metaplasia
Squamous metaplasia
Alteration of the vasculature Intimal thickening with smooth muscle proliferation and elastin/collagen deposition
Smooth muscle hyperplasia of the media
different severities and at different times during the remodeling results in the formation of a definite muscularis
development of COPD. media (Figure 6).
Changes in the airway epithelium can also be found, with The mechanisms by which such remodeling occurs, and
the most marked changes in the larger conducting airways. their physiologic consequences, are postulated by the
The most obvious of these is goblet cell metaplasia of the ‘‘endothelial dysfunction’’ paradigm. Endothelial dysfunc-
usual pseudostratified epithelium (larger airways), or ciliated tion is defined as a physiologic alteration of the normal
1.
ENFISEMA
• L’enfisema
è
un
permanente
e
anormale
allargamento
degli
spazi
aerei
respiratori
associato
a
di-‐
struzione
della
loro
parete
senza
fibrosi
macroscopica1.
• La
descrizione
dell’enfisema
da
un
punto
di
vista
macroscopico,
microscopico
e
con
speculazioni
sulla
possibile
fisiopatologia,
risale
agli
anni
’50
del
1900.
• Sono
state
descritte
delle
varianti
quali
il
centroacinare
(centrolobulare)
e
panacinare
(panlobula-‐
re),
in
base
alla
struttura
normale
del
polmone,
diviso
in
acini
e
lobuli.
In
generale,
le
varianti
sono:
o acinare
prossimale
o
centroacinare
(o
centrolobulare),
tipico
dei
fumatori,
interessa
la
parte
prossimale
dell’acino,
o panacinare
o
panlobulare:
interessa
in
maniera
diffusa
l’acino,
è
tipico
del
deficit
di
alfa-‐1-‐antitripsina,
o acinare
distale
o
parasettale,
tipico
dei
giovani
adulti
con
pneumotorace
spontaneo:
il
pazienta
sviluppa
grandi
bolle
di
enfisema
al
di
sotto
della
pleura
soprat-‐
tutto
nei
lobi
superiori.
La
rottura
di
queste
bolle
causa
uno
pneumotorace
spontaneo
che
si
tratta
con
l’asportazione
del
segmento
interessato,
o con
fibrosi
(o
paracicatriziale),
si
sviluppa
attorno
a
esiti
cicatriziali
di
una
patologia,
o forme
miste.
I
primi
due
sono
i
più
frequenti.
Non
si
vedono
come
surgical
pathology.
2.
ALTERAZIONE
DELLE
VIE
RESPIRATORIE
(TERMINALI)
In
caso
di
alterazione
delle
vie
respiratorie
terminali
si
osservano:
• la
perdita
di
bronchioli
respiratori,
che
vengono
obliterali.
C’è
un
processo
di
alterazione,
rimodel-‐
lamento
e
obliterazione
dei
piccoli
bronchioli
(con
calibro
inferiore
ai
2
mm),
• l’infiammazione.
C’è
una
bronchiolite
respiratoria
(detta
anche
bronchiolite
del
fumatore),
che
si
caratterizza
per
un
incremento
di
macrofagi,
contenenti
un
fine
pigmento
dorato,
nel
lume
del
bronchiolo
respiratorio.
Altre
cellule
infiammatorie
come
neutrofili
ed
eosinofili
possono
essere
aumentati
ma
non
sono
rilevanti;
spesso
si
possono
identificare
follicoli
o
aggregati
linfoidi
nell’avventizia
delle
vie
aeree;
• metaplasia
a
cellule
goblet:
inizia
a
esserci
secrezione
di
muco
che
si
riversa
nel
lume
dei
bronchioli
e
si
accumula
nell’albero
bronchiale.
Non
è
specifica,
da
sola,
di
questa
forma;
• metaplasia
squamosa.
3.
ALTERAZIONI
DEI
VASI
Il
vaso
arterioso,
che
decorre
parallelamente
e
adiacente
ai
bronchioli,
è
caratterizzato
da:
• ispessimento
dell’intima2,
reduplicazione
dell’elastica
(frammentata
e
reduplicata)
e
alterazioni
della
media,
• proliferazione
del
muscolo
liscio
della
media
con
aumento
di
deposito
di
elastina
e
collagene,
1
È
importante
notare
che:
1)
la
fibrosi
macroscopica
differenzia
la
distruzione
enfisematosa
delle
vie
aeree
dal
rimo-‐
dellamento
tipico
delle
malattie
interstiziali;
2)
l’uso
del
termine
distruzione
serve
a
differenziare
l’enfisema
dal
sem-‐
plice
allargamento
degli
spazi
aerei
tipico
dell’età,
dell’enfisema
compensatorio
e
dell’iperinsufflazione
lobare
conge-‐
nita.
Quindi
la
fibrosi
non
è
una
caratteristica
delle
malattie
ostruttive,
a
meno
che
non
ci
sia
overlap.
2
Alterazioni
analoghe
a
quelle
presenti
nell’arteriosclerosi.
3
Di
fronte
alla
biopsia
di
un
polmone
con
infiltrato
infiammatorio,
si
potrebbero
notare
delle
zone
più
pallide
di
altre
• le
piccole
arterie
acquisiscono
una
evidente
tonaca
muscolare
media
e
il
loro
lume
diminuisce;
questo
inspessimento
di
parete
prende
il
nome
di
“muscolarizzazione
dei
vasi”
(analogamente
a
quanto
accade
in
corso
di
ipertensione
polmonare
cronica).
Queste
alterazioni
possono
evolvere
nell’ipertensione
polmonare,
che
rappresenta
una
complicanza
della
BPCO.
A:
ispessimento
intimale;
B:
ispessimento
della
media;
C:
formazione
di
vasi
plessiformi.
Quindi
la
fibrosi
non
è
un
quadro
caratteristico
delle
forme
ostruttive,
a
meno
che
non
si
sovrappongano
ad
altre
patologie.
MALATTIE
POLMONARI
CRONICHE
RESTRITTIVE
Le
malattie
polmonari
croniche
restrittive
sono
malattie
interstiziali
con
danno
parenchimale
diffuso
e
bilaterale
a
carico
delle
vie
respiratorie
periferiche,
caratterizzato
da
una
risposta
infiammatoria
e
ripara-‐
zione
del
danno
con
esiti
fibrotici.
Rappresentano
una
importante
causa
di
insufficienza
respiratoria.
• Le
informazioni
cliniche
sono
essenziali,
in
particolare
la
durata
dei
sintomi;
importante
per
capire
in
che
fase
della
malattia
si
trova
il
paziente.
Occorre
pertanto
valutare
tra
gli
aspetti
della
malattia:
o la
gravità,
o i
sintomi,
o l’insorgenza,
o l’esposizione
anamnestica
ad
agenti
tossici
(asbesto,
fumi
tossici,
deiezioni
di
voltatili),
o il
profilo
autoanticorpale,
la
presenta
di
una
malattia
autoimmune
e/o
del
collagene
sottostan-‐
te
(AR,
SS,
SSj,
vasculiti,
immunodeficienza),
o le
anormalità
di
laboratorio
(anemia,
eosinofilia),
o i
reperti
radiologici
(pattern
e
loro
distribuzione)
alla
TAC
al
alta
risoluzione
del
torace
(HR-‐TC,
la
cui
risoluzione
è
tanto
alta,
a
volte,
da
sostituire
la
biopsia),
o i
risultati
dei
test
respiratori
funzionali.
La
biopsia
è
realizzata
solo
quando
non
è
stato
possibile
giungere
alla
diagnosi
con
il
quadro
clini-‐
co-‐radiologico
e
laboratoristico.
• Il
pattern
istologico
prevalente
e
la
sua
distribuzione
nel
parenchima
polmonare
è
importante
per
la
definizione
patologica
della
malattia:
il
compito
del
patologo
infatti
è
individuare
il
pattern
preva-‐
lente,
confrontandosi
anche
con
il
clinico
e
il
radiologo.
Tra
i
pattern
ricordiamo:
o la
polmonite
interstiziale
idiopatica
(UIP,
usual
interstitial
pneumonia),
che
va
esclusa
per
prima,
in
quanto
è
il
reperto
più
frequente
e
caratteristico.
E’
una
malattia
caratterizzata
dalla
presenza
di
fibrosi
diffusa;
collagenized fibrosis with or without smooth muscle interstitial and/or which may form nodular lymphoid
metaplasia, ‘‘younger’’ disease activity may be recognized aggregates with or without germinal centers.
by the presence of ‘‘scattered convex subepithelial foci of As in any classification system, the 2002 ATS/ERS
proliferating fibroblasts and myofibroblasts (so-called fibro- international multidisciplinary consensus classification of
blast foci).’’ 5 The classic histologic findings of UIP with the IIPs3 included an unclassifiable interstitial pneumonia
heterogeneous fibrosis including fibroblast foci are illustrat- category for cases that could not be classified for various
ed in Figure 1, A through C. Although most commonly reasons: inadequate clinical or radiologic information;
encountered in IPF, the pattern of UIP may also be inadequate biopsy; major discrepancies between clinical
o la
non
specific
interstitial
pneumonia
(NSIP):
encountered in connective tissue disease–associated inter-
presenta
radiologic caratteristiche
and pathologic findings;non
and/or specifiche,
manca
major discrepan-
ovvero
stitial pneumonia, un
quadro
in chronic classico
di
pneumonitis,
hypersensitivity UIP,
cies with histologic findings among multiple biopsies from
in familial pulmonary fibrosis, and in some other interstitial the same case.
o la
polmonite
in
fase
di
organizzazione,
lung diseases.
o il
danno
The histologic alveolare
findings of the other diffuso
IIPs (from
DAD),
the 2002 DIAGNOSIS BY MULTIDISCIPLINARY DISCUSSION
ATS/ERS international multidisciplinary consensus classifi- Clearly, a pathologic classification of IIPs cannot stand
cation ofothe la
IIPsbronchiolite
respiratoria,
are well known. 3
Nonspecific interstitial alone; thus, clinicians and radiologists alike now widely
pneumonia altre
forme
pbyiù
relative
o is characterized rare.
spatial homogeneity accept the fact that the diagnosis and management of the
of parenchymal lung involvement (in contrast to the patchy IIPs specifically require clinical-radiologic-pathologic corre-
Table 2. American Thoracic Society/European Respiratory Society 2002 International Multidisciplinary Consensus
Classification of the Idiopathic Interstitial Pneumoniasa
Histologic Pattern Clinical-Radiologic-Pathologic Diagnosis
Usual interstitial pneumonia Idiopathic pulmonary fibrosis or cryptogenic fibrosing alveolitis
Nonspecific interstitial pneumonia Nonspecific interstitial pneumonia (provisional)
Organizing pneumonia Cryptogenic organizing pneumonia
Diffuse alveolar damage Acute interstitial pneumonia
Respiratory bronchiolitis Respiratory bronchiolitis interstitial lung disease
Desquamative interstitial pneumonia Desquamative interstitial pneumonia
Lymphoid interstitial pneumonia Lymphoid interstitial pneumonia
a
Data adapted from American Thoracic Society; European Respiratory Society.3 American Thoracic Society/European Respiratory Society
international multidisciplinary consensus classification of the idiopathic interstitial pneumonias. Am J Respir Crit Care Med. 2002;165(2):277–304.
Arch Pathol Lab Med—Vol 136, October 2012 Idiopathic Interstitial Pneumonias—Larsen & Colby 1235
Nell’iter
diagnostico,
se
si
riscontra
alla
HRTC
un’alterazione
diffusa
del
quadro
polmonare,
bisogna
appro-‐
fondire
la
clinica;
la
prima
cosa
da
chiedersi
è
da
quanto
tempo
siano
insorti
i
sintomi.
L’insorgenza
può
es-‐
sere:
• acuta
(ore-‐giorni):
di
solito
si
tratta
di
un
danno
alveolare
diffuso
acuto,
• subacuta
(settimane-‐mesi):
in
questo
caso
si
ipotizza
una
malattia
legata
al
fumo
di
sigaretta,
la
polmonite
da
ipersensibilità
o
la
polmonite
non
specifica
(NSIP),
• cronica
(molti
mesi-‐anni):
in
questo
caso
la
diagnosi
più
probabile
è
la
UIP.
I
principali
aspetti
di
patologia
(pattern)
da
definire
al
microscopio
sono:
• la
distribuzione
anatomica
delle
alterazioni
(quali
e
quanti
lobi
sono
coinvolti),
• la
presenza
di
danno
polmonare
acuto,
• la
presenza
di
fibrosi
e
il
tipo
di
fibrosi,
• la
presenza
di
infiltrati
cellulari
cronici
e
di
che
tipo
sono,
• la
presenza
di
cellularità
aumentata
negli
alveoli
che
appaiono
ripieni,
• la
presenza
di
noduli;
bisogna
capire
se
l’infiammazione
si
organizza
in
noduli
o
resta
diffusa.
I
pattern
sono
caratteristici
ma
non
specifici.
1.
Danno
alveolare
diffuso
(DAD)
acuto
• In
caso
di
DAD
acuto
si
osserva
un
danno
polmonare
diffuso
degli
alveoli
determinato
da
varie
cau-‐
se:
infezioni,
tossici
inalati,
farmaci,
shock,
malattie
del
collagene
sistemiche,
reazioni
allergiche
acute,
prematurità
(deficit
di
surfattante)
,
altro.
Sono
o
situazioni
acute
(clinica
acuta)
che
compli-‐
cano
patologie
preesistenti
o
patologie
che
insorgono
ex
novo.
• All’istologia
si
osserva
un
danno
alveolare
diffuso,
con
polmonite
eosinofila
acuta
(si
osservano
un
infiltrato
infiammatorio
e,
poi,
l’organizzazione
del
danno),
e
può
essere
presente
una
emorragia
alveolare
diffusa.
• Si
parla
di
malattia
delle
membrane
ialine
che
può
essere
del
bambino
(legata
a
immaturità
del
polmone
e
a
deficit
di
surfattante)
o
dell’adulto
(che
ha
molte
cause).
• Il
quadro
morfologico
varia
a
seconda
della
fase
in
cui
viene
effettuato
l’esame
microscopico.
In
fase
acuta
si
osservano:
o edema,
visibile
nei
primissimi
giorni
come
inspes-‐
simento
dei
setti
(edema
interstiziale)
e
poi
per
la
presenza
di
fluido
negli
alveoli
(edema
intra-‐
alveolare),
con
lievi
emorragie
e
depositi
di
fibri-‐
na
(l’edema
è
visto
meglio
dal
radiologo);
o formazione
delle
membrane
ialine,
dovute
alla
deposizione
di
materiale
omogeneo
e
intensa-‐
mente
eosinofilo
lungo
la
parete
degli
alveoli,
co-‐
stituito
da
proteine
plasmatiche,
filtrate
a
causa
del
danno
delle
membrane
alveolari;
o uno
scarso
infiltrato
infiammatorio
nei
setti
alveolari,
o trombi
di
fibrina
nelle
piccole
arterie
polmonari
(suggestive
di
CID,
che
si
può
associare
a
que-‐
sto
quadro).
Nella
fase
di
organizzazione
si
osservano:
o il
riassorbimento
delle
membrane
iali-‐
ne
(nel
passaggio
dalla
fase
acuta
a
quella
di
riparazione):
c’è
una
fase
di
riparazione,
che
consiste
nella
fagoci-‐
tosi
delle
membrane
ialine
da
parte
dei
macrofagi
alveolari,
o un
infiltrato
infiammatorio,
l’iperplasia
riparativa
degli
pneumociti
alveolari
caratterizzati
da
atipia,
e
la
prolifera-‐
zione
dei
fibroblasti
nei
setti,
o la
fibrosi
diffusa,
con
fibroblasti,
miofibroblasti
e
sparse
cellule
infiammatorie:
questa
è
la
fase
terminale
del
processo.
La
fibrosi
può
essere
recente,
se
formata
da
un
connettivo
lasso
(mixoide)
contenente
fibre
collagene
e
fibroblasti,
o
avanzata,
se
caratterizzata
da
sclerosi
collagena
(rosa
omogeneo).
I
due
quadri
possono
coesistere
in
quanto
rappresentano
un’evoluzione
l’uno
dell’altro.
2.
Fibrosi
La
fibrosi
è
comune
nella
UIP,
una
polmonite
tipica
dell’adulto
e
dell’anziano,
di
cui
non
si
conosce
la
causa,
e
la
cui
diagnosi
è
di
esclusione:
i
sintomi
sono
dispnea
e
tosse
da
più
di
un
anno.
Oltre
che
nella
UIP,
in
cui
la
fibrosi
è
localizzata
esclusivamente
nel
polmone,
la
fibrosi
polmonare
può
esse-‐
re
reperta
in
corso
di
connettivite
sistemica
(ma
sono
coinvolti
anche
altri
organi)
o
essere
causata
da
trat-‐
tamenti
farmacologici.
Il
pattern
di
fibrosi
nella
UIP
è
caratterizzato
da:
• localizzazione
bilaterale,
soprattutto
alle
basi
dei
pol-‐
moni
e
prevalentemente
a
livello
subpleurico,
• coinvolgimento
disomogeneo
del
polmone:
si
osserva-‐
no
aree
molto
interessate
e
altre
meno
interessate;
e
asincronia
temporale:
ci
sono
aree
in
cui
il
processo
è
all’inizio,
altre
in
cui
è
più
avanzato
(fibrosi
consolidata),
• interessamento
dei
setti,
che
diventano
fibrotici
e
cau-‐
sano
forme
di
retroazione
cicatriziale.
Il
correlato
radio-‐
Figure 1. Schematic representation of the 3 basic patterns of pulmonary fibrosis and their comparison to healthy lung. A, Healthy lung with thin
alveolar walls and pleura, bronchovascular bundles located at the center of the lobules, and barely perceptible interlobular septae. B, Fibrotic
nonspecific interstitial pneumonia pattern of fibrosis showing diffuse involvement of the alveolar walls with thickening, fusion, and simplification. The
pleura is similarly affected. In areas, there is more-significant fusion and thickening lending a suggestion of heterogeneity, despite it being a diffuse
process. C, Airway-centered pattern of fibrosis with centrilobular stellate–appearing fibrosis, occasional bridges from one airway to another, and
scattered fibroblast foci. Note the marked heterogeneity from field to field. D, Usual interstitial pneumonia pattern of fibrosis with marked irregular
fibrosis in a peripheral and subpleural distribution. The fibrosis transitions to completely normal alveolar walls abruptly, with numerous fibroblast foci
logico
è
un
pattern
TC
è
“a
vetro
smerigliato”
in
cui
si
riesce
ad
osservare
la
trama
del
polmone
perché
è
rinforzata
diffusamente
dalla
fibrosi;
• alterazione
degli
spazi
respiratori
che,
a
causa
della
retroazione
cicatriziale,
confluiscono
e
diven-‐
tano
cavità
visibili
macroscopicamente
come
un
aspetto
ad
alveare
(honey
combing);
questo
aspet-‐
to
è
caratteristico
della
fibrosi
avanzata;
• modesta
flogosi;
• alterazione
dell’epitelio
respiratorio
che
diven-‐
ta
alto
e
assume
un
aspetto
muco-‐secernente,
• presenza
di
focolai
di
proliferazione
dei
fibro-‐
blasti
alla
periferia
del
polmone,
soprattutto
nelle
aree
in
cui
il
processo
è
nella
fase
iniziale,
in
cui
si
osserva
una
matrice
lassa
(tipica
della
fibrosi
recente);
• eventuale
presenza
di
metaplasia
ossea.
La
diagnosi
di
UIP
può
essere
radiologica
quando
il
quadro
è
caratteristico
(interessamento
polmonare
di-‐
somogeneo
e
asincronia
temporale):
in
questo
caso
non
c’è
bisogno
della
biopsia,
indicata
quando
il
quadro
non
è
tipico
(in
base
alla
fase
in
cui
si
trova
e
all’esperienza
di
chi
fa
diagnosi).
Il
quadro
di
UIP
entra
in
diagnosi
differenziale
con
la
polmonite
cronica
da
ipersensibilità
e
la
NSIP.
Infatti,
se
nel
contesto
della
fibrosi
si
osserva
un
pattern
molto
più
omogeneo,
senza
aree
di
fibrosi
densa,
bisogna
pensare
alla
polmonite
cronica
da
ipersensibilità,
che
è
caratterizzata
da:
• fibrosi
distribuita
omogeneamente
(coinvolgimento
uniforme
del
polmone)
e
tutta
allo
stesso
sta-‐
dio:
non
c’è
asincronia
temporale
e
mancano
i
foci
fibroblastici
tipici
della
UIP;
• la
parete
dell’alveolo
non
è
più
rivestita
da
cellule
alveolari
classiche
(epitelio
alveolare)
ma
dall’epitelio
respiratorio
dei
bronchi:
c’è
una
bronchiolizzazione
degli
alveoli;
• si
osservano
cellule
giganti
plurinucleate
insieme
a
uno
scarso
infiltrato
infiammatorio
cronico,
che
si
organizzano
in
una
sorta
di
granulomi
non
necrotizzanti
(poco
formati).
La
polmonite
cronica
da
ipersensibilità
(HP,
detta
anche
alveolite
allergica
estrinseca)
è
una
patologia
complessa
che
varia
per
intensità,
presentazione
clinica
e
storia
naturale,
dovuta
ad
un’infiammazione
immuno-‐mediata
(HYP
di
tipo
III
e
IV)
in
risposta
all’inalazione
di
una
grande
varietà
di
antigeni
naturali
o
chimici.
Istologicamente
è
caratterizzata
da
un’infiammazione
centrata
alle
vie
aeree
con
fibrosi
e
granulomi
necrotizzanti
poco
formati.
Rappresenta
il
4-‐15%
delle
patologie
interstiziali
polmonari,
con
età
media
di
insorgenza
dii
50
–
60
anni,
senza
prefe-‐
renza
di
sesso.
Predomina
nei
lobi
medi
e
superiori
ed
è
di
solito
bilaterale.
Può
essere
acuta,
subacuta
o
cronica.
In
base
all’antigene
responsabile,
la
polmonite
cronica
da
ipersensibilità
può
avere
diversi
nomi:
• polmone
da
aria
condizionata:
dovuto
a
batteri
termofili
• bissinoisi:
si
riscontra
nei
lavoratori
tessili
ed
è
dovuta
a
fibre
di
cotone,
lino
e
canapa
(somiglia
clinicamente
all’asma
e
potrebbero
giocare
un
ruolo
le
endotossine
dei
batteri
che
contaminano
il
cotone)
• polmone
del
contadino:
dovuta
alle
spore
di
actinomiceti
presenti
nel
fieno
La
diagnosi
si
basa
su
clinica,
HRCT
e
esame
del
patologo;
la
biopsia
chirurgica
è
spesso
necessaria
per
differenziarla
dalle
altre
malattia
interstiziali.
Il
lavaggio
broncoalveolare
supporta
la
diagnosi
ma
manca
di
standardizzazione.
In
presenza
di
fibrosi,
ma
in
assenza
di
aspetti
diagnostici
della
UIP,
della
polmonite
da
ipersensibilità,
o
di
altre
polmoniti
interstiziali,
si
fa
diagnosi
di
NSIP.
Il
pattern
NSIP
è
il
secondo
più
comune,
va
in
diagnosi
differenziale
con
la
UIP,
a
differenza
della
quale
ha
un
ha
una
migliore
prognosi.
Interessa
prevalentemente
i
lobi
inferiori,
bilateralmente,
ed
è
caratterizzato
da
fibrosi
uniforme
e
monomorfa.
Un
elemento
diagnostico
importante
è
l’assenza
di
una
significativa
al-‐
terazione
del
disegno
degli
spazi
aerei,
che
in
altre
condizioni
determina
il
caratteristico
aspetto
a
nido
d’ape.
Table 1. Diagnostic Features and Differential Diagnosis for the Different Patterns of Pulmonary Fibrosis
Fibrosis Pattern Diagnostic Features Potential Etiologies
Usual interstitial pneumonia pattern3 ! Evidence of marked fibrosis/ ! Idiopathic pulmonary fibrosis
architectural distortion, with or ! Connective tissue disease
without honeycombing in a associated
predominantly subpleural/paraseptal ! Chronic hypersensitivity
distribution pneumonitis
! Presence of patchy involvement of ! Pneumoconioses
lung parenchyma by fibrosis
! Presence of fibroblast foci
! Absence of features against a
diagnosis of usual interstitial
pneumonia suggesting an alternate
diagnosis
Fibrotic nonspecific interstitial ! Uniform interstitial fibrosis, extending ! Connective tissue disease associated
pneumonia pattern2,18 from the airway to the pleura/septum, ! Chronic hypersensitivity
with an even distribution pneumonitis
! With or without an associated ! Adverse drug reaction
inflammatory cell infiltrate ! Infection
! Absence of temporal and geographic ! Immunodeficiency diseases
heterogeneity ! Healed acute lung injury
! Absence of microscopic honeycomb ! Smoking-related interstitial fibrosis
remodeling and fibroblast foci (more ! Idiopathic fibrotic nonspecific
often then not) interstitial pneumonia
Airway-centered fibrosis27 ! Presence of interstitial fibrosis centered ! Chronic hypersensitivity pneumonitis
and extending around the bronchioles ! Chronic aspiration
! Presence of bronchiolar ! Adverse drug reaction
inflammation ! Connective tissue disease
! Presence of bronchiolar metaplasia associated
of the epithelium ! Smoking/other inhalational
! Chronic/recurrent infection
! Chronic allograft rejection
! Potential idiopathic disease
Other rare, fibrosing lung diseases ! Other fibrosis patterns not fitting well ! Sarcoidosis/berylliosis
into the above ! Immunoglobulin G4-related
disease
! Erdheim-Chester disease
! Hermansky-Pudlak syndrome
! Idiopathic pleuroparenchymal
fibroelastosis
3.
Infiltrati
infiammatori
Le
patologie
restrittive
possono
essere
caratterizzate
dalla
presenza
di
un
infiltrato
infiammatorio,
che
va
analizzato
per
capire
quali
sono
le
cellule
che
lo
costituitscono,
acquisire
informazioni
sulla
diagnosi
(infatti
l’infiltrato
è
presente
anche
nelle
patologie
infettive)
e
scelta
del
trattamento,
ed
escludere
eventuali
ma-‐
lattie
linfoproliferative.
L’infiltrato
nelle
patologie
restrittive
è
costituito
dalla:
• presenza
di
linfociti
e
plasmacellule,
• presenza
o
assenza
di
granulomi,
che
possono
essere
incompleti
o
completi
(un
granuloma
in-‐
completo
è
un
gruppo
di
istiociti
con
aspetti
epitelioidei).
Questo
tipo
di
infiltrato
infiammatorio3
è
riscontrabile
in
diverse
condizioni
cliniche
che
spaziano
dalle
pol-‐
moniti
da
ipersensibilità,
alle
infezioni
croniche
e
reazioni
ai
farmaci,
etc.
Negli
ultimi
anni,
ha
suscitato
un
notevole
interesse
l’infiltrato
infiammatorio
cronico
della
Smoking
Rela-‐
ted
Interstizial
Pneumonia
(SRIP),
aggiunta
nella
recente
classificazione
e
caratterizzata
da
macrofagi
al-‐
veolari
carichi
di
un
fine
pigmento
citoplasmatico
(hallmark)
e
da
una
fine
fibrosi
reticolare;
ricordiamo
che
il
fumo
può
causare
anche
bronchiolite
ed
enfisema
centroacinare.
La
presenza
dei
granulomi,
molto
utili
per
fare
la
diagnosi,
identifica
il
gruppo
delle
malattie
granulomatose
croniche
sistemiche
polmonari,
tra
cui
ricordiamo:
• la
tubercolosi,
caratterizzata
da
un
granuloma
di
ti-‐
po
tubercolare;
• la
sarcoidosi,
caratterizzata
da
interstiziopatia
diffu-‐
sa
con
modesta
fibrosi,
infiltrato
infiammatorio,
e
granulomi
senza
necrosi
caseosa;
se
ci
sono
i
linfo-‐
nodi
mediastinici
aumentati
la
diagnosi
di
sarcoidosi
si
fa
su
materiale
linfonodale
prelevato
per
via
tran-‐
sbronchiale
(sono
più
facili
da
raggiungere).
La
diagnosi
differenziale
si
fa
cercando
il
micobatterio;
oggi
si
possono
usare
tecniche
molecolari,
più
sensi-‐
bili
rispetto
alla
colorazione
di
Ziehl-‐Neelsen,
che
permettono
di
individuarne
il
DNA
del
patogeno
(quindi,
in
questo
caso,
il
tessuto
prelevato
dalla
biopsia
in
parte
viene
inviato
al
laboratorio
analisi
per
la
coltura,
in
parte
è
utilizzato
per
l’analisi
del
DNA).
CASO
CLINICO
Anamnesi
• Maschio
adulto
anziano.
• Tosse
e
dispnea
da
1
anno
• Ex
fumatore:
ha
fumato
per
10
anni;
occupazione:
impiegato
statale,
nessuna
patologia
immunitaria
nota,
nessuna
familiarità.
• HRTC:
processo
fibrosante
e
a
vetro
smerigliato
(ground
glass),
cioè
con
rinforzo
diffuso
della
trama
del
pol-‐
mone,
che
rende
visibili
tutte
le
sue
striature,
senza
formazione
di
noduli.
Viene
eseguita
una
biopsia
chirurgica
che
consiste
nella
segmentectomia
del
lobo
inferiore
sx
e
della
lingula.
Tale
asportazione
di
due
pezzi
ha
lo
scopo
di
analizzare
due
sedi
anatomiche
differenti
(per
valutare
la
presenza
di
UIP,
con
la
sua
disomogeneità
anatomica).
3
Di
fronte
alla
biopsia
di
un
polmone
con
infiltrato
infiammatorio,
si
potrebbero
notare
delle
zone
più
pallide
di
altre
che
indicano
la
presenza
di
un
processo
riorganizzativo
in
atto.
Possibili
cause
sono:
1)
polmonite
con
molta
fibrina
che
non
guarisce
spontaneamente
(la
fibrina
si
organizza
in
tessuto
fibroso
dando
luogo
a
polmonite
cronica),
2)
gua-‐
rigione
di
un
danno
acuto
alveolare
che
viene
sostituito
da
un
materiale
fibrinoso
che
forma
delle
membrane
ialine.
Referto
anatomo-‐patologico:
• Al
taglio,
il
parenchima
della
lingula
appare
di
consistenza
aumentata,
con
cavità
che
assumono
un
aspetto
ad
alveare.
• Lobo
inferiore
sx:
“Parenchima
polmonare
con
architettura
alterata,
presenza
di
un
processo
fibrosante
4
prevalentemente
subpleurico ,
con
rari
foci
fibroblastici.
Le
aree
alterate
si
alternano
ad
aree
con
parenchi-‐
ma
che
sembra
sano,
in
verità
infiltrato
da
cellule
infiammatorie,
bronchioli
con
ispessimento
della
media
e
metaplasia
goblet
cells
dei
bronchioli;
il
quadro
era
compatibile
con
bronchiolite
obliterante”.
“Vi
è
modesta
flogosi
cronica
interstiziale
diffusa,
vi
è
una
pleura
indenne
da
lesioni”.
5
• Lingula:
“parenchima
polmonare
diffusamente
alterato;
processo
con
caratteristica
di
pattern
UIP ”.
Non
ci
sono
quindi
pattern
specifici
nelle
varie
aree.
SINDROME
DA
DISTRESS
RESPIRATORIO
DEL
NEONATO
(NRDS)
Colpisce
soprattutto
i
prematuri
e
i
nati
da
madri
diabetiche
ed
è
correlata
ad
assenza,
o
deficit,
di
surfactante.
È
ca-‐
ratterizzata
da
cianosi
marcata
e
dispnea
grave
e
un
caratteristico
aspetto
a
“vetro
smerigliato”
all’RX.
Microscopicamente,
si
osserva
bilateralmente
diffusa
atelectasia
del
parenchima,
con
gli
spazi
bronchioloalveolari
in
parte
collassati,
in
parte
rivestiti
da
membrane
ialine
(rappresentate
da
materiale
eosinofilo,
PAS-‐positivo
e
distasi-‐
resistente,
negativo
per
le
colorazioni
per
il
ferro
e
la
fibrina).
SINDROME
DA
DISTRESS
RESPIRATORIO
DELL’ADULTO
(ARDS)
Sindrome
clinica
prevalentemente
caratterizzata
da
una
grave
insufficienza
respiratoria
acuta,
con
edema
polmona-‐
re,
cianosi,
e
grave
ipossia
arteriosa
resistente
a
ossigenoterapia.
Non
va
considerata
una
patologia
polmonare
specifica
ma
una
grave
complicanza
di
altre
patologie,
sia
polmonari
che
sistemiche.
La
patologia
polmonare
nell’ambito
della
quale
la
sindrome
si
scatena
è
molto
varia,
ma
è
principalmente
rappresen-‐
tata
da:
• diffuse
infezioni
polmonari
(tubercolosi,
micoplasma,
Pneumocystis
carinii,
virus);
• inalazione
di
gas
tossici;
• ingestione
di
liquido
gastrico;
• trauma
toracico
chiuso.
La
patologia
sistemica
scatenante
è
prevalentemente
rappresentata
da
shock
settico,
shock
post-‐traumatico,
pan-‐
creatiti,
ustioni,
traumi
chirurgici
(soprattutto
in
corso
di
chirurgia
cardiaca
con
circolazione
extracorporea),
intossi-‐
cazioni
da
farmaci,
overdose
da
stupefacenti,
emodialisi.
TUBERCOLOSI
La
tubercolosi
nell’uomo
è
causata
da
batteri
appartenenti
alla
famiglia
dei
Micobatteri,
nella
larga
maggioranza
dei
casi
è
implicato
il
Mycobacterium
tuberculosis;
resistono
all’immunità
in
quanto,
inibendo
i
meccanismi
di
fagocitosi
permangono
all’interno
dei
fagociti
che
li
hanno
inglobati,
stimolando
la
tipica
reazione
granulomatosa.
Per
la
colo-‐
razione
richiedono
la
speciale
metodica
di
Ziehl-‐Nielsen:
i
batteri
nei
tessuti
infetti,
appaiono
come
“virgole”
colorate
in
rosso.
Sono,
tuttavia
sempre
più
utilizzate
nei
laboratori
di
istopatologia
le
metodiche
biomolecolari,
in
particola-‐
re
la
PCR.
La
risposta
tissutale
ad
un’infezione
da
Micobatterio
tubercolare
può
essere
diversa
da
caso
a
caso
e
dipende
essen-‐
zialmente
da
due
fattori:
lo
stato
immunitario
del
soggetto
e
un
eventuale
precedente
contatto
con
il
batterio.
È
possible
quindi
distinguere:
• tubercolosi
primaria,
in
pazienti
generalmente
di
giovane
età,
con
sistema
immunitario
ben
funzionante,
al
4
Compatibile
con
UIP,
insieme
ai
foci
fibroblastici
5
Non
è
una
diagnosi,
ma
un
pattern
tipic
primo
contatto
con
il
batterio:
è
caratterizzata
da
lesioni
autolimitanti
e,
generalmente,
ad
andamento
sub-‐
clinico.
• tubercolosi
primaria
progressiva,
in
pazienti
al
primo
contatto
ma
che
hanno
un
sistema
immunitario
defi-‐
citario
o,comunque,
compromesso:
le
lesioni
non
si
autolimitano
ma
evolvono
clinicamente.
• tubercolosi
post-‐primaria
(da
alcuni
definite
secondaria),
insorge
in
pazienti
generalmente
adulti,
già
affetti
da
tubercolosi
primaria
e
che
vengono
nuovamente
in
contatto
con
il
batterio
(reinfezio-‐
ne)
per
via
esogena
o,
in
taluni
casi,
per
via
endogena,
(per
il
riattivarsi
di
batteri
rimasti
quiescenti
in
un
fo-‐
colaio
primario
non
completamente
guarito).
Aspetti
morfologici
È
possibile
individuare
alcuni
elementi
basilari
dell’espressione
morfologica
della
malattia:
• necrosi
caseosa:
potenzialmente
presente
in
tutte
le
sue
manifestazioni,
è
una
necrosi
coagulativa
peculia-‐
re,
piuttosto
secca,
giallo
pallido;
microscopicamente
si
colora
omogeneamente
di
rosa
con
l’EE
ed
è,
come
viene
definita,
“fredda”,
priva
cioè
di
una
componente
suppurativa
o
corpuscolata,
• granuloma
tubercolare:
espressione
morfologica
elementare
della
tubercolosi,
consiste
di
istiociti
epite-‐
lioidi
con
cellule
giganti
di
tipo
Langhans
–
con
marginalizzazione
dei
nuclei
verso
la
membrana
citoplasma-‐
tica,
con
caratteristica
disposizione
a
ferro
di
cavallo.
Commisti
con
gli
istiociti
epitelioidi,
vi
sono
linfociti
di
tipo
T.
Perifericamente
è
in
genere
presente
un
man-‐
tello
di
B
linfociti,
• caverna
tubercolare:
modificazione
morfologica
macroscopica,
secondaria
a
perdita
di
parenchima,
e
pre-‐
ceduta
da
estesa
produzione
di
necrosi
caseosa.
È
l’elemento
meglio
conosciuto
della
malattia,
anche
stori-‐
camente,
perché
associato
all’emottisi,
• focolai
elementari:
sono
lesioni
contraddistinte
da
caratteristiche
morfologiche
e
biologiche
distinte,
alle
quali
possono
essere
sostanzialmente
ricondotte
tutte
le
numerose
presentazioni
cliniche
della
tubercolo-‐
si.
Si
distinguono:
1. il
focolaio
isolato
caratterizzato
entrambi
da
un
nucleo
di
necrosi
caseosa
delimitato
da
una
rima
di
tes-‐
suto
granulomatoso;
tende
alla
circoscrizione
e
all’involuzione.
É
tipicamente
rappresentato
dal
foco-‐
laio
di
Ghon
del
complesso
primario,
2. il
focolaio
nodulare
(simile
morfologicamente
a
quello
isolato)
è
tipico
delle
lesioni
della
tubercolosi
post-‐primaria;
a
seguito
del
drenaggio
della
necrosi
caseosa,
si
escava
e
dà
luogo
alla
caverna.
Tende
all’espansione
e
alla
cavitazione
(formazione
di
caverna),
3. il
focolaio
miliarico
corrisponde
al
classico
“tubercolo”
ed
esprime
il
granuloma
con
scarsa
tendenza
al-‐
la
necrosi
centrale,
tipico
della
miliare
post-‐primaria.
TUBERCOLOSI
PRIMARIA
Con
la
definizione
di
tubercolosi
primaria
si
indicano
le
modificazioni
che
avvengono
a
seguito
del
primo
contatto
col
bacillo
tubercolare.
L’infezione
primaria
tubercolare
si
localizza
di
norma
al
polmone,
dando
luogo
al
cosiddetto
complesso
primario.
Quest’ultimo
è
rappresentato
da:
• un
focolaio
parenchimale,
generalmente
subpleurico,
potenzialmente
riscontrabile
in
qualsiasi
punto
dei
lo-‐
bi
polmonari,
denominato
focolaio
di
Ghon;
• una
linfangite
consensuale,
generalmente
caratterizzata
da
piccoli
granulomi
disseminati
lungo
il
percorso
dei
linfatici;
• una
linfoadenopatia
ilare,
caratterizzata
da
flogosi
granulomatosa
con
consistente
necrosi
caseosa.
Di
norma
poco
sintomatico
o
talvolta
asintomatico,
è
presente
talora
febbricola,
sudorazione,
lieve
malessere
gene-‐
rale.
La
progressione
più
frequente
è
rappresentata
dall’involuzione
del
focolaio
polmonare
con
un
esito
cicatriziale
o
una
calcificazione.
Più
raramente,
il
focolaio
tende
a
essere
incapsulato
ma
a
mantenere
la
necrosi
caseosa
con
batteri
attivi
che,
nel
tempo,
possono
determinare
una
“reinfezione
endogena”.
I
linfonodi
possono
avere
la
stessa
evoluzione
ma,
in
considerazione
del
maggiore
volume
di
necrosi
caseosa,
vanno
incontro
più
frequentemente
a
una
parziale
regressione
calcifica
e
rappresentano
quindi
la
fonte
più
attiva
di
reinfe-‐
zione
endogena.
TUBERCOLOSI
PRIMARIA
PROGRESSIVA
Presenta
caratteristiche
analoghe
a
quelle
della
tubercolosi
post-‐primaria,
in
particolare
la
precoce
disseminazione
miliarica,
ma
differisce
da
quest’ultima
per
il
criterio
temporale:
la
tubercolosi
primaria
progressive
rappresenta
l’evoluzione
di
una
tubercolosi
primaria
in
soggetti
immunodepressi
(oggi
più
evidente
in
concomitanza
della
diffu-‐
sione
dell’AIDS).
TUBERCOLOSI
POST-‐PRIMARIA
Presenta
un’ampia
gamma
di
lesioni:
• focolai
nodulari
(cosiddetti
anche
“a
impronta
essudativa”)
e
in
evoluzione
cavernosa;
• focolai
miliarici:
la
tubercolosi
nota
come
miliare
è
caratterizzata
dalla
propagazione
per
via
ematogena
dei
batteri.
Si
ha
disseminazione
in
entrambi
i
campi
polmonari
e,
spesso,
in
altri
organi,
di
numerosi
piccolo
noduli
(della
grandezza
media
di
un
grano
di
miglio)
ciascuno
dei
quali
con
le
caratteristiche
morfologiche
del
granuloma
tubercolare;
• focolai
isolati:
la
tubercolosi
post-‐primaria
caratterizzata
da
focolai
isolati
è
ovviamente
quella
ad
andamen-‐
to
più
favorevole,
ed
è
abbastanza
comune.
È
prevalentemente
rappresentata
dalla
tubercolosi
dell’apice.
Si
tratta
di
noduli
fibrocaseosi,
parzialmente
calcifici
o
in
evoluzione
fibrosclerotica,
sostanzialmente
poco
at-‐
tivi
sul
piano
biologico
e,
in
genere,
asintomatici
o
solo
modestamente
sintomatici.
Possono
inoltre
produrre
alcune
lesioni
raggruppate
col
termine
di
tubercoloma.
Si
tratta
di
una
neoforma-‐
zione
nodulare,
talvolta
anche
di
dimensioni
consistenti
(10
cm
di
diametro),
generalmente
apicale,
costi-‐
tuita
da
necrosi
caseosa
ben
delimitata
e
circoscritta
da
tessuto
granulomatoso
in
parziale
evoluzione
scle-‐
rotica,
spesso
calcifica,
nettamente
delimitata
rispetto
al
parenchima
circostante
che
è
indenne.
Si
tratta
di
lesioni
di
bassissima
attività
biologica,
cronicamente
stabilizzate,
che
in
non
poche
occasioni
pos-‐
sono,
però,
simulare
radiologicamente
delle
neoplasie.
Affinché
si
veda
la
necrosi
caseosa
il
tubercoloma
deve
essere
di
grandi
dimensioni.
PATOLOGIA
NEOPLASTICA
DEL
POLMONE
Il
carcinoma
del
polmone
è
una
neoplasia
frequente,
la
cui
diagnosi
è
tardiva,
ed
è
associata
quindi
a
una
prognosi
infausta:
la
sopravvivenza
a
5
anni
è
inferiore
al
15%;
nei
pazienti
in
cui
la
diagnosi
viene
fatta
ne-‐
gli
stadi
iniziali
la
sopravvivenza
a
5
anni
è
del
20-‐80%
(quindi
la
prognosi
dipende
da
quando
viene
diagno-‐
sticato).
Purtroppo
non
esistono
test
di
screening:
il
sospetto
diagnostico
si
basa
quindi
sui
sintomi
o
sull’esposizione
a
fattori
di
rischio
(fumo
e
malattie
respiratorie
croniche).
Nella
trattazione
saranno
affrontati:
1. la
classificazione,
2. l’approccio
alla
diagnosi,
3. le
caratteristiche
morfologiche
e
molecolari
di
supporto
alla
terapia.
L’anatomopatologo
deve
essere
molto
preciso
nel
caratterizzare
l’istotipo
e
le
caratteristiche
biologiche
del
tumore,
per
scegliere
una
terapia
mirata
(infatti
negli
ultimi
anni
sono
stati
messi
in
commercio
farmaci
efficaci
come
gli
anticorpi
monoclonali).
A
Torrette
c’è
un
PDTA
sul
carcinoma
polmonare,
in
cui
si
realizza
un
approccio
terapeutico
personalizzato.
1.
CLASSIFICAZIONE
L’ultima
classificazione
è
del
2015.
Dalla
prima
classificazione
del
1967,
fatta
unicamente
sull’EE,
ovvero
sul-‐
la
morfologia,
si
è
passati
ad
altre
classificazioni,
che
si
avvalevano
di
tecniche
ancillari
come
l’istochimica
(1987;
per
vedere
se
il
tumore
produce
muco,
quindi
per
separare
gli
adenocarcinomi
dai
carcinomi
squa-‐
mosi),
l’immunostochimica
e
la
microscopia
elettronica
(1999),
le
tecniche
di
biologia
molecolare
(2004).
La
classificazione
del
2015
si
avvale
quindi
di
EE,
istochimica,
immunoistochimica,
biologia
molecolare,
ci-‐
tologia
e
radiologia.
La
citologia
offre
un
supporto
nei
casi
in
cui
non
si
abbia
a
disposizione
molto
materia-‐
le
istologico;
la
radiologia
rappresenta
il
primo
approccio
e,
con
tecniche
accurate
e
ad
alta
risoluzione,
permette
di
intercettare
neoplasie
nello
stadio
iniziale
(quindi
le
correlazioni
anatomo-‐radiologiche
fanno
parte
della
classificazione).
I
tumori
del
polmone
vengono
divisi
in
due
grandi
gruppi:
• carcinomi
a
piccole
cellule
(SCLC),
che
rappresen-‐
tano
il
20%
dei
tumori
e
includono
i
tumori
neu-‐
roendocrini
del
polmone,
• carcinomi
non
a
piccole
cellule
(NSCLC),
sono
l’80%;
essi
sono:
o l’adenocarcinoma
polmonare,
che
compren-‐
de
le
lesioni
preinvasive
(nuova
categorie)
e
diverse
varianti.
Quindi
sono
state
inserite
re-‐
centemente
le
forme
preivasive,
che
possono
essere
identificate
secondo
una
correlazione
anatomo-‐radiologica:
se
intercettato
in
questa
fase,
il
tumore
(che
è
in
situ
o
minimamente
invasivo)
si
associa
a
una
prognosi
buona.
Quindi
questo
tumore
può
crescere
in
diversi
modi
(v.
varianti):
c’è
un
pattern
particolare
che
è
quello
lepidico;
in
questo
caso
il
tumore
cresce
rivestendo
le
strutture
del
polmone
(alveoli
e
acini)
senza
modificarle.
Il
trattamento
di
questi
tumori
è,
negli
ultimi
anni,
in
evoluzione:
sono
disponibili
nuovi
farmaci
molto
più
efficaci;
o il
carcinoma
squamoso
(in
cui
non
c’è
ancora
una
correlazione
anatomo-‐radiologica
per
le
forme
preinvasive).
Esso
viene
trattato
soprattutto
con
le
terapie
tradizionali,
che
sono
ancora
poco
efficaci;
è
presente
nella
classificazione
una
fase
preinvasiva,
che
non
è
diagnosticabile
radiologicamente,
a
differenza
della
fase
preinvasiva
dello
adenocarcinoma
(che
si
vede
come
alterazione
del
segnale
radiologico).
Questa
categoria
diagnostica
viene
utilizzata
solo
quando
questo
tumore
viene
osservato,
durante
l’esame
microscopico,
associato
ad
altre
lesioni
che
hanno
rappresentato
l’indicazione
alla
biopsia.
ADENOCARCINOMA
POLMONARE
L’adenocarcinoma
del
polmone
rappresenta
attualmente
la
forma
più
comune
di
tumore
del
polmone
(più
del
40%
dei
casi).
Epidemiologia
• La
differenza
fra
maschi
e
femmine
nell’incidenza
è
me-‐
no
evidente
rispetto
al
carcinoma
squamoso.
• I
fattori
di
rischio
per
la
sua
insorgenza
sono:
fumo
di
si-‐
garetta,
radiazioni,
esposizione
all’asbesto,
malattie
pol-‐
monari
croniche,
storia
familiare.
• Può
essere
singolo
o
multiplo6
(tumori
sincroni);
in
quest’ultimo
caso
è
fondamentale
escludere
per
prima
cosa
che
siano
metastasi,
principalmente
da
tumori
epi-‐
teliali
o
renali.
• Nella
richiesta
di
esame
istologico
vanno
specificati:
età,
se
il
paziente
è
o
è
stato
fumatore,
il
numero
di
sigaret-‐
te/die,
l’aspetto
radiologico,
l’anamnesi
occupazionale.
• Per
quanto
riguarda
la
localizzazione,
circa
il
65%
delle
localizzazioni
è
periferico
e
in
circa
l’80%
dei
casi
è
coin-‐
volta
la
pleura
viscerale
alla
diagnosi.
A
causa
di
questa
localizzazione
periferica
i
sintomi
sono
tardivi
e
il
coinvol-‐
gimento
della
pleura
è
precoce
(questo
crea
inoltre
pro-‐
blemi
di
diagnosi
differenziale
tra
un
tumore
primitivo
del
mesotelio
e
del
polmone).
Esame
macroscopico
• Da
un
punto
di
vista
macroscopico
si
presenta
come
una
massa
scarsamente
delimitata,
solida,
e
di
aspetto
gelatinoso
se
produce
muco
(come
negli
adenocarcinomi
del
colon
che
producono
mu-‐
co).
Se
non
produce
muco
appare
come
un
nodulo
solido
bianco-‐grigio
con
fibrosi
centrale.
Non
ci
sono
grandi
aree
di
necrosi
o
cavitazioni
centrali;
soprattutto
nei
pazienti
fumatori,
si
osserva
all’interno
del
tumore
un
fine
reticolo
dovuto
all’antracosi,
quindi
alla
deposizione
del
pigmento
antracotico
lungo
i
vasi
linfatici
e
i
setti.
6
Di
fronte
a
noduli
multipli,
il
patologo
è
chiamato
a
campionarli
uno
ad
uno,
osservarli
per
valutarne
la
morfologia
e
capire
se
sono
lo
stesso
tumore:
la
biologia
molecolare
aiuta
molto
in
questo
caso.
• Sono
importanti
per
la
stadiazione
le
dimensioni
e
l’infiltrazione
macroscopica
della
pleura.
All’arrivo
del
pezzo
chirurgico,
il
nodulo
viene
misurato,
descritto
macroscopicamente
e
si
esegue
il
campionamento,
in
base
alle
ipotesi
diagnostiche
del
radiologo
e
del
chirurgo.
Classificazione
La
classificazione
WHO
2015
comprende:
• l’adenocarcinoma
invasivo
(infiltrante);
si
inserisce
la
lesione
in
questa
categoria
senza
dubbi
se
si
osserva
un
nodulo
che
distrugge
e
sostituisce
l’architettura
del
polmone.
Questo
tumore
può
cre-‐
scere
in
maniera
o acinare,
se
forma
delle
ghiandole,
o papillare,
se
forma
delle
papille,
ovvero
delle
strutture
con
un
core
stromale
vascolarizzato
e
ricoperte
da
un
epitelio,
o micropapillare,
se
forma
delle
micropapille
(agglomerati
di
cellule
senza
uno
stroma
connetti-‐
vo-‐vascolare
evidente);
queste
cellule,
come
nella
vescica,
sono
lasse
e
tendono
a
desquama-‐
re,
o solido,
o mucinoso,
se
produce
molto
muco,
o lepidico,
se
il
tumore
ha
la
capacità
di
diffondere
e
tappezzare
le
vie
aeree
senza
alterare
la
ar-‐
chitettura
del
polmone,
• l’adenocarcinoma
minimamente
invasivo,
che
presenta
una
crescita
lepidica,
• le
lesioni
preinvasive:
o iperplasia
adenomatosa
atipica,
è
l’equivalente
di
una
displasia
di
alto
grado,
o adenocarcinoma
in
situ
(mucinoso
e
non
mucinoso);
di
solito
presenta
una
crescita
lepidica.
Nella
nuova
classificazione
non
esiste
più
il
concetto
del
carcinoma
bronchiolo-‐alveolare
(BAC).
I
BAC
erano
piccoli
adenocarcinomi
del
polmone
che
presentavano
caratteristiche
istologiche
e
prognostiche
particolari
(non
infauste):
non
erano
tipicamente
associati
con
il
fumo,
la
localizzazione
era
tipicamente
periferica,
ed
erano
formati
da
cellule
neoplastiche
che
crescono
in
maniera
lepidica
senza
evidenza
di
invasione;
sono
quasi
tutti
di
tipo
non
mucinoso.
Oggi
i
BAC
sono
stati
sostituiti
dalle
lesioni
preinvasive
e
minimamente
in-‐
vasive
che
crescono
in
maniera
lepidica.
Iperplasia
adenomatosa
atipica
(AAH)
• L’iperplasia
adenomatosa
atipica
è
una
lesione
centroacinare
di
piccole
dimensioni,
inferiori
agli
0,5
cm,
che
corrisponde
a
una
piccola
opacità
“ground-‐glass”
(a
vetro
smerigliato)
alla
TC
ad
alta
ri-‐
soluzione.
• Nella
maggior
parte
dei
casi
rappresenta
un
re-‐
perto
incidentale
in
campioni
chirurgici
reseca-‐
ti
per
altri
motivi;
è
considerata
un
precursore
dell’adenocrcinoma.
• Da
un
punto
di
vista
microscopico
è
una
prolife-‐
razione
di
cellule
atipiche
che
rivestono
la
pare-‐
te
alveolare:
è
l’equivalente
di
una
displasia
di
alto
grado;
è
una
piccola
lesione
che
diffonde
lungo
i
setti
preesistenti.
L’opacità
radiologica
corrisponde
proprio
alla
presenza
di
queste
cel-‐
lule
e
all’inspessimento
dei
setti
un
po’
fibrotici.
Adenocarcinoma
in
situ
• E’
un
carcinoma
in
situ
di
dimensioni
di
0,5-‐3
cm
(la
misurazione
è
radiologica
e
anatomopatologica),
ca-‐
ratterizzato
dalla
crescita
lepidica
di
cellule
neoplasti-‐
che
lungo
strutture
alveolari
preesistenti,
senza
inva-‐
sione
stromale,
vascolare
o
pleurica.
• Virtualmente
tutti
i
casi
sono
di
tipo
non
mucinoso7
(quello
mucinoso
è
molto
raro).
L’atipia
è
variabile.
I
setti
possono
essere
ispessiti
per
fibroelastosi.
• La
diagnosi
è
istologica.
La
lesione
va
campionata
tutta;
è
difficile
capire
se
c’è
infiltrazione
o
meno:
si
vede
se
è
conservata
la
struttura,
se
il
tumore
è
omogeneo,
se
l’atipia
è
elevata,
di
quanto
i
setti
sono
inspessiti.
• Se
la
lesione
è
completamente
asportata,
la
sopravvivenza
è
del
100%
(senza
terapia
adiuvante).
• La
diagnosi
differenziale
con
l’AAH
dipende
dalle
dimensioni
(se
è
piccolo,
è
difficile
distinguere
la
due
forme;
ma
questa
distinzione
non
è
così
rilevante
perché
hanno
lo
stesso
significato
prognosti-‐
co).
Di
solito
l’AAH
è
un
reperto
incidentale
in
campioni
chirugici,
l’adenocarcinoma
in
situ
è
un
re-‐
perto
radiologico.
Adenocarcinoma
minimamente
invasivo
• L’adenocarcinoma
minimamente
invasivo
è
un
piccolo
e
solitario
adenocarcinoma,
di
dimensioni
inferiori
ai
3
cm,
con
crescita
prevalente
di
tipo
lepidico,
e
focolai
di
infiltrazione
inferiori
o
uguali
a
5
mm
di
dimensioni
massime.
• Negli
alveoli
ci
sono
cellule
atipiche
che
crescono
in
maniera
irregolare,
lo
stroma
è
molto
ispessito
e
fibroso.
• E’
un
adenocarcinoma
in
parte
lepidico
(<
3
cm)
e
in
parte
solido
(<0,5
cm):
quindi
radiologicamen-‐
te
si
osserva
un’area
solida
all’interno
di
un’area
ground
glass.
Contano
le
dimensioni
globali
e
dell’area
infiltrante,
che
devono
essere
misurate
sia
dal
radiologo
sia
dall’anatomopatologo.
• La
sopravvivenza
è
del
100%
dopo
resezione
completa.
Adenocarcinoma
infiltrante
• Si
fa
diagnosi
di
adenocarcinoma
infiltrante
se
si
riscontra
uno
dei
seguenti
reperti:
o un
focolaio
di
infiltrazione
maggiore
di
0,5
cm,
o dimensioni
del
tumore
nel
complesso
maggiori
di
3
cm,
o invasione
della
pleura
o
dei
vasi
(linfatici
o
sanguigni),
o pattern
di
crescita
non
lepidico8,
o necrosi,
o infiltrazione
con
reazione
desmoplastica.
Le
dimensioni
della
componente
infiltrante
hanno
valore
prognostico.
7
La
maggior
parte
dei
tumori
a
crescita
lepidica
è
non
mucinoso.
Esso
cresce
all’interno
delle
vie
aeree,
e
si
ipotizza
che
cresca
all’interno
delle
cavità
polmonari.
I
tumori
mucinosi,
nella
gran
parte
dei
casi,
si
pensa
che
diffondano
all’interno
delle
vie
aeree,
in
quanto
le
masse
sono
spesso
multiple.
Nei
tumori
non
mucinosi,
non
è
chiaro
se
diffon-‐
dano
per
le
vie
aeree
o
meno,
ecco
perché
il
patologo
deve
descrivere
tutti
i
noduli
che
trova
per
capire
se
derivano
da
un
nodulo
principale
o
se
siano
noduli
multipli
sincroni,
e
in
questo
la
biologia
molecolare
aiuta
molto.
È
logico
però
pensare
che
ci
sia
un
effetto
campo.
8
Per
dimensioni
>3
cm
esiste
un
rischio
di
metastatizzazione
non
ancora
specificato.
L’unica
certezza
è
che
per
dimen-‐
sioni
<3
cm,
le
metastasi
non
sono
mai
presenti,
se
non
in
caso
di
invasione
vascolare
o
pleurica
o
se
la
componente
infiltrante
è
<5
mm.
• I
pattern
di
crescita
sono
diversi
anche
nell’ambito
dello
stesso
tumore:
in
passato
si
parlava
di
tu-‐
mori
misti,
invece
oggi9
si
definisce
il
pattern
di
crescita
prevalente
(predominant)
e
poi
si
elencano
gli
altri
pattern
in
percentuale
(secondo
incrementi
del
5%,
ma
anche
del
10%;
questa
identificazio-‐
ne
quantitativa
è
poco
riproducible
tra
patologi).
Il
tumore
quindi
può
essere
prevalentemente
lepidico,
acinare
(la
maggior
parte),
papillare,
micro-‐
papillare
(il
più
aggressivo
poiché
tende
a
dare
invasioni
vascolari),
solido.
Nel
dettaglio,
il
pattern
di
crescita
predominante
può
essere:
o lepidico
(conosciuto
in
passato
come
pattern
alveolo-‐bronchiale
non
mucinoso),
con
crescita
simile
a
quella
definita
per
gli
adenocarcinomi
in
situ
e
minimamente
invasivi.
Produce
uno
stroma
desmoplastico
che
porta
alla
formazione
di
un
nodulo;
gli
pneumociti
sono
in
genere
blandi,
con
nucleoli
visibili
e
senza
significativa
atipica.
Il
tumore
non
è
mucinoso.
La
prognosi
è
favorevole:
la
componente
prevalente
del
tumore
si
comporta
come
un
adeno-‐
carcinoma
in
situ,
e
la
componente
infiltrante
ha
dimensioni
discrete.
L’aspetto
radiologico
mostra
un
leggero
ispessimento
dei
setti10,
dovuto
alla
crescita
lepidica,
e
anche
un’area
più
intensamente
nodulare.
A
volte
questi
tumori
sono
molto
estesi,
arrivando
ad
interessare
anche
metà
lobo,
simulando
un
processo
infiammatorio;
o acinare:
il
tumore
cresce
formando
ghiandole
rotonde
o
ovali
con
lume
centrale.
Nel
lume
o
all’interno
delle
cellule
può
esserci
mucina
(il
lume
talvolta
non
è
visibile
a
causa
della
compres-‐
sione).
È
il
pattern
più
comune;
o papillare:
le
cellule
neoplastiche,
atipiche,
cre-‐
scono
intorno
ad
un
core
centrale
fibrovascola-‐
re;
è
importante
fare
diagnosi
differenziale
tra
il
tumore
papillare
del
polmone
e
le
metastasi
da
carcinoma
papillifero
della
tiroide.
Li
differenzia
il
fatto
che
nel
secondo,
a
forte
ingrandimento,
ci
sono
caratteristiche
che
ricordano
la
tiroide:
per
dirimere
i
dubbi
può
anche
essere
usata
l’immunoistochimica
per
la
tireoglobulina;
o micropapillare:
le
cellule,
non
particolarmente
atipiche,
formano
proliferazioni
papillari
senza
core
microvascolare.
Ha
una
crescita
molto
di-‐
scoesiva
e
aggressiva
(come
nella
mammella
e
nella
vescica):
a
parità
di
stadiazione
è
più
preoccupante;
o solido
(molto
comune):
è
composto
da
nidi
so-‐
lidi
di
cellule
poligonali
e
può
somigliare
al
carcinoma
squamocellulare.
È
caratterizzato
da
atipia
severa
con
produzione
di
una
scarsa
quantità
di
mucina
intracellulare
(da
cercare
con
attenzione
e
con
l’istochimica
per
il
DPAS;
la
D
sta
per
digerito,
cioè
PAS
dopo
diastasi11).
Se
non
si
trova
il
muco,
la
diagnosi
differenziale
è
con
il
carcinoma
squamocellulare
e
con
i
car-‐
cinomi
neuroendocrini
a
grandi
cellule.
9
Per
evitare
incomprensioni,
infatti
l’aspetto
misto
poteva
essere
fuorviante
e
far
pensare
a
un
tumore
costituito
da
cellule
diverse.
10
L’ispessimento
dei
setti
potrebbe
essere
anche
dovuto
a
fibrosi,
flogosi,
neoplasia
di
altro
genere,
linfoma.
• La
prognosi
dipende
dalle
dimensioni
(T)
e
dal
coinvolgimento
dei
linfonodali
regionali
all’esordio
(N);
il
pattern
di
crescita
ha
un
valore
prognostico
migliorativo
o
peggiorativo,
quindi
impatta
di
meno
sulla
prognosi
rispetto
a
questi
due
parametri.
La
T
dipende:
1) dalle
dimensioni
del
tumore
in
cm
misurate
macroscopicamente,
2) dal
rapporto
tra
il
tumore
e
la
pleura,
3) dal
rapporto
con
i
bronchi
principali.
Lo
studio
dei
linfonodi
è
complesso
e
dipende
dal
tipo
di
intervento
chirurgico
(infatti
le
stazioni
lin-‐
fonodali
sono
prelevate
dal
chirurgo).
• Le
varianti
dell’adenocarcinoma
rare
sono:
o l’adenocarcinoma
mucinoso
invasivo,
produce
molto
muco
e
assomiglia
al
carcinoma
del
co-‐
lon
(c’è
una
variante
di
tipo
enterico).
E’
formato
da
cellule
goblet
e/o
colonnari,
che
hanno
un
citoplasma
ricco
di
mucina
(raramente
possono
esserci
cellule
signet
ring,
con
prominenti
vacuoli
intracitoplasmatici
di
mucina).
L’atipia
è
minima,
la
crescita
è
nella
maggior
parete
dei
casi
lepidica,
ma
può
essere
acinare,
papillare
o
micropapillare.
Va
in
diagnosi
differenziale
con
le
metastasi
da
carcinoma
del
colon12
o
dello
stomaco
(se
so-‐
no
presenti
le
cellule
signet
ring),
che
possono
essere
identiche:
a
dirimere
il
quesito
è
la
sto-‐
ria
clinica
del
paziente.
E’
raro
e
spesso
alla
diagnosi
sono
già
presenti
metastasi;
o adenocarcinoma
colloide,
formato
da
cellule
che
producono
grandi
quantità
di
muco,
che
viene
subito
estromesso
e
per
questo
il
citoplasma
presenta
scarsa
mucina.
Le
cellule
sono
molto
rare
e
difficilmente
evidenziabili:
somiglia
allo
pseudomixoma
peritonei.
CARCINOMA
SQUAMOSO
• Il
carcinoma
squamocellulare
si
riscontra
più
frequente-‐
mente
nei
maschi
ed
è
meno
comune,
al
contrario
di
quel-‐
lo
che
si
pensava
in
passato,
dell’adenocarcinoma.
• Nella
maggior
parte
dei
casi
ha
rapporto
con
i
bronchi
segmentari
e
pertanto
si
presenta
come
una
massa
ilare
o
parailare:
a
differenza
dell’adenocarcinoma,
quindi,
tende
a
essere
centrale
e
a
interessare,
fino
a
ostruire,
le
grandi
vie
respiratorie.
In
rari
casi
si
presenta
come
masse
polipodi
intrabron-‐
chiali.
• Si
manifesta
nel
50%
dei
casi
con
segni
di
occlusione
o
subocclusione
bronchiale,
sotto
forma
di
polmoniti
reci-‐
divanti
o
atelettasie;
i
sintomi,
a
causa
della
localizzazione
centrale,
insorgono
in
genere
più
precocemente
rispetto
all’adenocarcinoma
(anche
emottisi).
• Da
un
punto
di
vista
macroscopico
appare
come
un
nodu-‐
11
La
colorazione
PAS
è
una
colorazione
abbastanza
aspecifica
perché
colora
sostanze
come
glicoproteine,
cerebrosidi,
mucoproteine,
mono
e
polisaccaridi.
Per
sapere
se
la
sostanza
colorata
è
effettivamente
glicogena
si
associa
in
genere
la
colorazione
di
PAS
con
la
colorazione
di
PAS
DIASTASI.
La
diastasi
è
un
enzima
che
digerisce
selettivamente
il
glicoge-‐
no.
Se
si
aveva
prima
una
colorazione
rossa
che
scompare
con
la
diastasi
vuol
dire
che
la
sostanza
è
effettivamente
gli-‐
cogena:
se
permane
il
rosso,
questo
implica
la
presenza
di
mucoproteine
(non
digerite
dall’amilasi).
12
Può
presentarsi
anche
nella
mammella
e
nel
pancreas.
lo
solido
con
un’area
di
necrosi
centrale
con
cavitazione.
Può
essere
intensamente
bianco
per
la
presenza
di
cheratina.
• Può
essere,
in
base
alla
differenziazione
squamosa:
o cheratinizzante,
caratterizzato
dalla
presenza
di
differen-‐
ziazione
squamosa
evidenziata
da
perle
cornee
(accumuli
extracellulari
di
cheratina
disorganizzata
e
intensamente
eosinofili)
e
ponti
intracellulari
(le
cellule
sono
infatti
te-‐
nute
insieme
da
spine,
ovvero
i
desmosomi
dello
strato
spinoso),
o non
cheratinizzante,
che
ha
perso
la
differenziazione.
In
questo
caso
la
differenziazione
squamosa
è
evidenziata
da
colorazioni
immunoistochimiche.
E’
un
tumore
a
cre-‐
scita
solida
che
va
in
diagnosi
differenziale
con
l’adeno-‐
carcinoma
a
crescita
solida
(che
è
PAS-‐positivo).
• Non
si
fa
il
grading
in
quanto
non
esiste
un
sistema
riproduci-‐
bile
per
definirlo
e
non
c’è
una
correlazione
anatomo-‐clinica.
TUMORI
A
PICCOLE
CELLULE
(NEUROENDOCRINI)
I
tumori
a
piccole
cellule
sono
i
tumori
neuroendocrini
del
polmone
e
rappresentano
il
25%
delle
neoplasie
del
polmone.
L’aggettivo
“piccole”
non
è
correlato
alla
dimensione
della
cellula,
ma
alla
caratteristica
del
nucleo.
Si
classificano
in:
• carcinoma
a
piccole
cellule
(che
dà
il
nome
alla
ca-‐
tegoria,
è
il
prototipo
di
tutti
i
carcinomi
a
piccole
cellule);
rappresenta
la
stragrande
maggioranza
dei
tumori
neuroendocrini
del
polmone
(e
il
20%
delle
neoplasie
del
polmone).
E’
un
tumore
molto
aggres-‐
sivo
scarsamente
differenziato
di
alto
grado
(è
l’equivalente
dei
NEC
del
tratto
grastro-‐enterico),
ma
che
risponde
bene
alla
chemioterapia;
• carcinoma
neuroendocrino
a
grandi
cellule,
è
una
variante
del
precedente
(è
sempre
l’equivalente
di
un
NEC)
e
non
risponde
alla
chemioterapia.
E’
un
tumore
scarsamente
differenziato
di
alto
grado;
• carcinoide13,
è
un
tumore
non
aggressivo
e
ben
differenziato:
è
l’equivalente
dei
NET
(tumore
neu-‐
roendrocrino
ben
differenziato).
Può
essere
tipico
(di
basso
grado,
come
un
NET
G1)
o
atipico
(di
grado
intermedio,
come
un
NET
G2),
in
base
al
numero
delle
mitosi
(quindi
all’attività
proliferativa),
e
alla
presenza
di
necrosi;
• lesioni
preinvasive.
Questi
tumori
originano
dalle
cellule
neuroendocrine
del
polmone
(di
Kulchitsky),
sono
cellule
che
produ-‐
cono
serotonina,
di
norma
situate
tra
le
cellule
dell’epitelio
o
delle
ghiandole
bronchiali,
di
piccole
dimen-‐
sioni,
con
nucleo
rotondo,
poco
citoplasma
e
molte
proiezioni
dendritiche.
Le
cellule
di
Kulchitsky
sono
scarsamente
visibili
all’EE
e
si
identificano
bene
con
l’immunoistochimica
per
la
cromogranina
e
la
sinaptofisina,
a
volte
anche
CD56
(ma
è
poco
specifico).
Sono
rare:
nell’epitelio
nor-‐
male
se
ne
osserva
una
ogni
100
cellule.
13
Per
il
polmone
il
termine
carcinoide
viene
ancora
utilizzato
mentre
per
i
tumori
neuroendocrini
dell’apparato
GI
non
più:
si
ricorre
al
termine
NET.
Analogamente
alle
MEN,
in
cui
è
descritta
la
progressione
dell’iperplasia
verso
il
carcinoma
midollare
della
tiroide,
anche
nel
carcinoma
a
piccole
cellule
del
polmone
c’è
una
fase
di
iper-‐
plasia
reattiva
(per
esempio
secondaria
a
ma-‐
lattie
interstiziali
del
polmone14),
seguita
dalla
formazione
di
piccoli
noduli
reperti
incidental-‐
mente:
sono
piccoli
tumori
senza
significato
cli-‐
nico,
visibili,
se
numerosi,
all’RX,
accompagnati
da
fibrosi,
o
in
polmoni
asportati
per
altre
ra-‐
gioni.
Sono
piccole
isole
di
iperplasia
di
dimen-‐
sioni
inferiori
ai
5
mm
(dette
tumorlet),
che
si
considerano
dei
precursori
del
carcinoide.
Carcinoide
Il
carcinoide
è
un
tumore
neuroendocrino
ben
differenziato
che
può
essere
in
base
al
numero
delle
mitosi
(quindi
all’attività
proliferativa)
e
alla
presenza
di
necrosi:
• tipico,
se
ci
sono
meno
di
2
mitosi
per
2
mm2
e
non
c’è
la
necrosi;
• atipico,
se
ci
sono
2-‐10
mitosi
per
2
mm2
e
c’è
necrosi
focale.
Nel
dettaglio:
• il
carcinoide
tipico
rappresenta
meno
del
5%
dei
tumori
primitivi
del
polmone.
Insorge
ad
un’età
media
di
60
anni,
senza
predilizione
di
genere
o
correlazione
con
il
fumo
di
sigaretta.
È
localmente
invasivo
e
raramente
metastatizza:
potrebbe
infiltrare
o
diffondersi
ai
linfonodi
ma
ciò
non
inficia
la
prognosi.
A
10
anni
la
sopravvivenza
è
del
50%.
A
volte
si
associa
alle
poliadenomatosi
endocrine
(MEN1)
mentre
raramente
può
essere
associato
a
sindromi
paraneoplastiche,
cioè
a
sindrome
da
carcinoide
(flushing,
diarrea
e
cianosi).
Di
solito
è
centrale,
per
questo,
quando
coinvolge
le
gros-‐
se
diramazioni
bronchiali,
può
dare
sintomi
ostruttivi;
nel
caso
in
cui
sia
localizzato
perifericamente
è
di
solito
un
reperto
incidentale;
in
quest’ultimo
caso
ha
un
aspetto
“coin
lesion”:
forma
un
nodulo
tondo
ben
delimitato.
Non
c’è
necrosi,
a
volte
può
dare
emorragia
in
quanto
è
ben
vascolarizzato.
Presenta
un’architettura
“organoide”,
ha
cioè
una
cresci-‐
ta
regolare
di
tipo
neuroendocrino,
formando
nidi,
cor-‐
doni
o
festoni.
Le
cellule
sono
piccole
e
monomorfe.
La
cromatina
è
scura
e
ben
evidente,
granulare
(“sale
e
pepe”).
I
nucleoli
non
sono
evidenti,
come
in
tutti
i
tumori
neuroendocrini.
L’immunoistochimica
non
serve
per
la
diagnosi:
si
potrebbero
usare
sinaptofisina,
cromogranina,
CD56.
Poiché
il
quadro
immunoistochimico
è
molto
variabile,
per
la
diagnosi
è
sufficiente
la
positi-‐
vità
a
uno
solo
dei
markers
citati;
• il
carcinoide
atipico
si
differenzia
dal
tipico
solo
per
il
maggior
numero
di
mitosi
e
la
presenza
di
ne-‐
crosi
“a
spruzzo”,
che
coinvolge
cioè
gruppetti
di
cellule.
Presenta
inoltre
un
certo
grado
di
pleo-‐
morfismo
nucleare.
E’
positivo
anche
esso
a
cromogranina
e
sinaptofisina.
14
Anche
nella
tiroide
c’è
iperplasia
accanto
ai
carcinomi
papillari
o
nel
contesto
delle
tiroiditi.
Carcinoma
neuroendocrino
a
piccole
cellule
Il
carcinoma
neuroendocrino
a
piccole
cellule
rappresenta
circa
il
20%
dei
carcinomi
del
polmone
e
inte-‐
ressa
i
pazienti
maschi,
di
età
superiore
ai
50
anni;
è
fortemente
associato
con
il
fumo
di
sigaretta.
Ha
lo-‐
calizzazione
prossimale
e
tende
a
dare
infiltrazione
precoce
(linfonodi
e
tessuti
mediastinici)
e
metastasi
a
distanza,
per
cui
alla
diagnosi
risulta
spesso
inoperabile:
meno
del
5%
dei
casi
è
diagnosticato
allo
stadio
I;
la
progressione
è
rapida
e,
nonostante
l’alta
responsività
alla
chemioterapia
iniziale,
tende
a
recidivare.
In
sintesi:
la
prognosi
è
pessima;
la
sopravvivenza
a
5
anni
è
inferiore
al
5%.
È
correlato
a
sindromi
paraneoplastiche,
quindi
alla
secrezione
inap-‐
propriata
di
ACTH
(pattern
cushingoide),
di
ADH
(iponatriemia),
calcito-‐
nina
(ipocalcemia),
gonadotropine
(ginecomastia),
PTH
(iperparatiroidi-‐
smo)
o
serotonina
(sindrome
da
carcinoide).
Può
anche
dar
luogo
a
po-‐
lineuropatie
periferiche,
se
il
tumore
produce
anticorpi
anti-‐mielina.
Da
un
punto
di
vista
macroscopico,
di
solito
è
centrale
o
ilare,
di
colore
biancastro,
soffice,
friabile
e
con
estesa
necrosi.
Presenta
una
morfologia
per
alcuni
aspetti
simile
a
quella
di
un
tumore
del
tessuto
nervoso
(fenotipo
misto):
un
aspetto
tipico
è
la
tendenza
a
formare
rosette
(come
negli
ependimomi)
ovvero
aggregati
di
cellule
con
i
nuclei
periferici
(assenti
al
centro).
Lo
stroma
è
scarso
e
le
cellule
che
lo
costituiscono
presentano
alcune
caratteristiche:
• bordi
poco
definiti,
• dimensioni
piccole
(almeno
nella
variante
classica),
• grande
nucleo
blu
con
cromatina
dispersa
e
az-‐
zollata
(nucleo
omogeneamente
ipercolorato);
o i
nucleoli
non
si
vedono
molto
bene
(non
sono
prominenti
nonostante
l’aggressività),
o il
nucleo
può
essere
arrotondato
o
allunga-‐
to/fusato,
e
in
questo
caso
le
cellule
sono
definite
“a
grani
di
avena”
(oat
cells;
da
qui
il
nome
alternativo
della
malattia:
oat
cells
carcinoma).
I
nuclei
sono
estremamente
fragili
e
si
rovinano
con
la
processazione,
• pochissimo
citoplasma
(di
colore
rosa):
sono
tumori
che
appaiono
quasi
totalmente
blu,
• mitosi
particolarmente
numerose15:
in
genere
molte
di
più
di
10
per
2
mm 2
(spesso
più
di
50);
in
questi
casi
la
diagnosi
differenziale
con
un
carcinoide
atipico
è
facile
(a
differenza
dei
casi
borderli-‐
ne).
Carcinoma
neuroendocrino
a
grandi
cellule
Il
carcinoma
neuroendocrino
a
grandi
cellule
rappresenta
il
3%
dei
tumori
del
polmone:
è
una
neoplasia
strettamente
correlata
al
fumo
di
sigaretta,
più
frequente
nel
sesso
maschile
e
in
età
avanzata;
si
associa
meno
frequentemente,
rispetto
a
quello
a
piccole
cellule,
alle
sindromi
paraneoplastiche.
15 2
Il
cut
off
tra
carcinoide
atipico
e
tumore
neuroendocrino
a
piccole
cellule
è
di
10
mitosi
calcolate
per
2
mm .
Tuttavia
si
pongono
due
problemi
nella
conta
delle
mitosi:
• distinguere
le
cellule
morenti:
si
può
valutare
per
la
morfologia
del
nucleo
in
picnosi
(condensazione)
o
carioressi
(frammentazione);
• ricercare
le
cellule
conservate:
le
cellule
(in
particolare
la
cromatina)
si
rovinano
facilmente
all’atto
della
biopsia.
Quando
la
cromatina
è
danneggiata,
come
nelle
piccolo
biopsie,
si
può
ricorrere
al
Ki67
(alias
Mib-‐1).
È
comunemente
localizzato
in
periferia.
Presenta
una
crescita
organoide
in
trabecole,
con
nidi
e
rosette;
è
formato
da
cellule
grandi
con
citoplasma
abbondante
e
nuclei
non
ipercromatici
con
nucleoli
prominenti
(a
differenza
della
forma
a
piccole
cellule).
Si
osservano
necrosi
e
frequenti
mitosi:
è
un
tumore
poco
differenziato
in
cui
è
difficile
distinguere
le
strutture
che
produce,
e
che
potrebbe
essere
scambiato
con
un
carcinoma
squamoso
o
un
adenocarcinoma
non
differenziato.
Pertanto
per
la
diagnosi
è
necessaria
la
conferma
immunoistochimica
della
natura
neu-‐
roendocrina
attraverso
alcuni
marker
(che
potrebbero
essere
non
espressi
a
causa
della
dedifferenziazio-‐
ne);
essi
sono:
• la
cromogranina
(marker
principe
dei
tumori
neuroendocrini):
colora
i
granuli,
tuttavia
è
il
primo
marker
ad
essere
perso,
• sinaptofisina
(meno
sensibile
ma
più
specifico),
• CD56
(utile
ricercarlo
nel
polmone,
rispetto
ad
altri
organi).
Basta
la
positività
di
uno
marcatore
per
dare
supporto
all’ipotesi
di
una
differenziazione
neuroendocrina16.
Se
sia
l’immunoistochimica
sia
la
morfologia
sono
negative,
ovvero
non
mostrano
aspetti
caratteristici,
si
fa
la
diagnosi
di
carcinoma
a
grandi
cellule
(senza
l’aggettivo
“neuroendocrino”):
è
una
diagnosi
di
esclusio-‐
ne.
Il
carcinoma
a
grandi
cellule
è
un
carcinoma
indifferenziato
di
alto
grado
non
a
piccole
cellule
che
non
presenta
le
caratteristiche
citologiche,
architetturali
ed
immunoistochimiche
degli
altri
istotipi.
2.
APPROCCIO
ALLA
DIAGNOSI
DI
CARCINOMA
DEL
POLMONE
La
diagnosi
di
neoplasia
del
polmone
si
fa
su:
• piccole
biopsie,
• materiale
citologico17,
prelevato
con
aspirazione
transbronchiale
(TBNA),
o
aspirazione
endobrion-‐
chiale
o
esofagea
ECO-‐guidata.
Con
queste
ultime
due
tecniche
ecoguidate
si
ottiene
un
coagulo
incluso:
lo
pneumologo
preleva
una
certa
quantità
di
tessuto,
spesso
mescolato
a
sangue,
che
vie-‐
ne
fissato
in
formalina;
nel
sangue
coagulato,
nuotano
frustolini
di
tessuto:
si
ottiene
così
un
cam-‐
pione
a
metà
strada
tra
la
citologia
e
l’istologia
tradizionale.
La
FNA
(fine
needle
aspiration),
è
la
miglior
tecnica
per
le
lesioni
sotto
la
superficie
epiteliale
bron-‐
chiale:
si
può
eseguire
in
endoscopia,
ecoendoscopia
o
con
approccio
transtoracico
per
lesioni
peri-‐
feriche.
Il
materiale
citologico
dell’agoaspirato
se
ben
usato,
offre
una
specificità
e
una
sensibilità
accura-‐
te18,
molto
simili
a
quelle
della
biopsia.
In
genere
si
eseguono
entrambi:
quando
ciò
non
è
possibile
16
Se
è
positiva
solo
la
sinaptofisina,
e
in
maniera
non
molto
intensa,
quindi
difficile
da
interpretare.
Cosa
bisogna
fare?
Aiuta
molto
l’esperienza,
ma
non
solo.
Bisogna:
1)
considerare
l’ipotesi
di
ripetere
l’esame
(posso
fare
un
al-‐
tro
prelievo,
se
ho
una
resezione;
con
una
biopsia
–
quindi
con
materiale
molto
scarso
–
ciò
è
molto
difficile),
2)
vedere
se
la
morfologia
o
l’organizzazione
delle
cellule
è
di
tipo
neuroendocrino:
se
sì
allora
devo
dare
valore
alla
sinaptofisina,
altrimenti
no.
3)
Inoltre
poi
dipende
dalla
terapia
a
disposizione.
Ecco
perché
l’anatomia
patologica
de-‐
ve
essere
correlata
alla
clinica.
Da
questo
punto
di
vista,
la
diagnosi
differenziale
principale
si
ha
con
lo
adenocarci-‐
noma:
io
ho
i
farmaci
per
l’adenocarcinoma;
se
trovo
le
caratteristiche
di
quest’ultimo,
il
paziente
lo
mando
alla
te-‐
rapia.
Quindi
è
necessario
prendere
le
decisioni
basandosi
sulla
evidence
based
medicine,
seguendo
procedure
fi-‐
nalizzate
a
tentare
di
ottenere
una
certo
grado
di
certezza;
solo
nel
caso
in
cui
ciò
non
dovesse
bastare
posso
fare
maggiore
affidamento
sulla
esperienza.
Questo
aiuta
lo
stesso
medico
anche
in
ambito
medico-‐legale.
17
L’espettorato
è
poco
usato
in
quanto
per
ottenere
cellule
tumorali,
la
neoplasia
deve
aver
oltrepassato
il
limite
del
bronco.
In
tal
caso
sono
visibili
cellule
pavimentose
del
cavo
orale
(la
maggioranza),
ma
anche
cellule
neoplastiche.
18
I
criteri
citologici
sono
1)
per
il
carcinoma
squamoso
la
cheratinizzazione
(principale),
seguono
la
presenza
di
singo-‐
le
cellule,
cromatina
densa
e
irregolare,
cariopicnosi,
citoplasma
eosinofilo;
2)
per
l’adenocarcinoma
la
presenza
di
va-‐
cuoli
(presenti
quando
il
citoplasma
appare
evidente;
è
dove
c’è
il
muco),
granuli
citoplasmatici,
formazione
di
cluster
3D
(gruppi
di
cellule
molto
serrati)
e
macronucleoli.
si
fa
solo
l’ago-‐aspirato;
comunque,
gli
esami
citologici
evitano
la
chirurgia
nel
30%
dei
pazienti
e
sono
quindi
uno
strumento
molto
prezioso
per
la
diagnosi.
Il
materiale
prelevato
viene
strisciato
su
vetrino
e
sottoposto
a
colorazione
di
Papanicolau,
poi
si
può
ricorrere
alle
tecniche
ancillari,
• pezzo
chirurgico.
Bisogna
tener
presente
che:
• i
criteri
istologici
sono
fondamentali,
• è
indispensabile
l’integrazione
con
i
dati
clinici,
radiologici
e
molecolari,
• la
classificazione
tradizionale
si
basa
sulla
diagnosi
fatta
su
resezioni
chirurgiche,
• ma
la
maggior
parte
dei
carcinomi
polmonari
alla
diagnosi
è
in
fase
avanzata
e
la
diagnosi
viene
fat-‐
ta
su
materiale
non
chirurgico
ovvero
bioptico
e/o
citologico,
che
spesso
è
scarso
ed
esiguo
(il
pa-‐
tologo
sta
imparando
a
confrontarsi
con
campioni
sempre
più
piccoli).
Infatti,
il
70%
dei
tumori
non
a
piccole
cellule
alla
diagnosi
è
in
stadio
avanzato
e
quindi
inoperabi-‐
le;
è
operabile
il
restante
30%:
e
solo
in
questi
casi
l’anatomopatologo
può
fare
la
diagnosi
sul
pez-‐
zo
chirurgico.
Il
materiale
viene
quindi
studiato
con
le
procedure
standard
e
ancillari
dell’anatomia
patologica:
sono
ne-‐
cessarie
l’immunoistochimica,
l’istochimica
e
gli
studi
molecolari
per
poter
definire
una
chemioterapia
per-‐
sonalizzata;
infatti
è
ormai
indispensabile
prelevare
il
DNA
e
l’RNA
dalle
cellule
tumorali
per
definire
il
profi-‐
lo
molecolare
della
lesione,
e
questa
procedura
può
essere
eseguita
su
ogni
tipo
di
campione
(chirurgico,
bioptico,
citologico,
coagulo
incluso).
L’iter
diagnostico
è
quindi
integrato
e
sono
fondamentali
tre
figure:
l’anatomopatologo,
il
biologo
moleco-‐
lare
e
il
tecnico
di
laboratorio.
IMMUNOISTOCHIMICA
Dopo
aver
identificato
la
presenza
di
una
neoplasia
e
ipotizzato
l’istotipo
si
ricorre
ai
marcatori
immunoi-‐
stochimici
(la
scelta
dipende
quindi
dall’ipotesi
diagnostica
e
questo
permette
di
non
sprecare
il
materiale,
che
è
poco);
essi
sono:
• per
l’adenocarcinoma
il
principale
marker
è
TTF-‐1
(presente
nell’epitelio
degli
alveoli
e
non
dei
bronchi
principali).
Ci
sono
anche:
Napsin,
PE-‐100.
Il
TTF-‐1
è
positivo
anche
per
altri
tumori
come
i
tumori
neuroendocrini
del
polmone,
i
tumori
della
tiroide
(papillare,
follicolare,
midollare;
primari
e
metastatici)
e
tumori
non
tiroidei
né
polmonari
(in
piccole
percentuali);
quindi
non
è
dirimente
nella
diagnosi
differenziale
tra
un
tumore
primitivo
del
polmone
e
una
metastasi
polmonare
di
carcinoma
tiroideo;
• per
il
carcinoma
squamoso
è
sufficiente,
nei
casi
in
cui
manca
la
cheratinizzazione,
p40,
un
marker
di
differenziazione
squamosa;
ci
sono
anche
p6319
(presente
nelle
cellule
basali
dell’epitelio
dei
bronchi
e
in
caso
metaplasia
squamosa),
CK5/6,
34bE12.
Spesso
si
fanno
entrambi
i
marker
TTF-‐1/p40,
che
nei
tumori
ibridi
possono
essere
coespressi:
in
questi
casi
è
favorita
la
diagnosi
di
adenocarcinoma
(perché
c’è
una
terapia
più
efficace),
ma
è
comunque
indicata
la
tipizzazione
molecolare
dell’EGFR
(e
se
è
mutato
è
indicata
la
terapia
con
inibitori
della
tirosinchinasi).
BIOLOGIA
MOLECOLARE
Nell’iter
diagnostico
delle
neoplasie
polmonari,
si
valutano
di
routine
con
tecniche
di
biologia
molecolare
alcune
mutazioni;
dopo
aver
prelevato
il
DNA
o
l’RNA
dalle
cellule
tumorali
presenti
in
qualsiasi
campio-‐
19
Attenzione
che
i
linfomi
possono
essere
positivi
a
p63
ma
per
fortuna
non
a
p40
ne20,
si
possono
usare
diverse
metodiche:
la
FISH
(utile
per
vedere
le
traslocazioni,
non
individuabili
con
il
sequenziamento
diretto)
o
il
sequenziamento
(con
macchinari
di
NGS).
I
geni
studiati
sono:
• EGFR
(17%).
Nel
2004
è
stato
pubblicato
sul
New
England
Journal
of
Medicine
un
la-‐
voro
in
cui
è
stato
evidenziato
che
le
muta-‐
zioni
attivanti
(delezioni
o
mutazioni
missen-‐
so)
dell’EGFR
nell’adenocarcinoma
rappre-‐
sentano
un
evento
comune
(ma
non
comu-‐
nissimo),
• K-‐RAS
o
N-‐RAS
(25%),
mutato
anche
nel
pancreas
e
soprattutto
nel
colon;
ma
la
mu-‐
tazione
di
RAS
non
svolge
un
ruolo
di
driver
nel
tumore
del
polmone:
infatti
il
polmone
non
risponde
a
un’eventuale
terapia
contro
K-‐RAS.
Tuttavia
questa
mutazione
è
un
indi-‐
catore
negativo
della
risposta
alla
terapia
con
inibitori
delle
tirosinkinasi
• ALK
(7%),
caratteristica
dei
linfomi
ma
pre-‐
sente
anche
nell’adenocarcinoma,
• ROS1,
• b-‐RAF.
Il
30%
dei
tumori
non
presenta
nessuna
delle
muta-‐
zioni
cercate,
ma
probabilmente
grazie
alle
metodi-‐
che
di
NGS
sarà
possibile
identificare
altre
muta-‐
zioni.
In
base
ai
risultati
si
sceglie
una
terapia
mirata
(targeted
theraphy,
che
è
più
efficace
e
meno
costosa);
in-‐
fatti
lo
studio
dello
stato
mutazionale
di
questi
geni
è
stato
proposto
quando
si
è
visto
che
non
tutte
le
neoplasie
del
polmone
rispondevano
allo
stesso
modo
agli
inibitori
delle
tirosinchinasi.
Se,
in
base
alle
mu-‐
tazioni,
non
sono
indicate
le
terapie
mirate,
si
applicano
degli
schemi
di
chemioterapia
classica.
Si
è
visto
che
il
tumore
risponde
alla
targeted
theraphy
per
un
certo
periodo
poi
esso
acquisisce
nuove
mu-‐
tazioni
e
diventa
farmacoresistente;
per
avere
la
conferma
di
questa
resistenza
e
per
caratterizzarla,
biso-‐
gnerebbe
disporre
del
tessuto
della
recidiva,
ma
non
è
facile
ottenerlo:
per
ovviare
a
questo
problema
è
na-‐
to
il
concetto
della
biopsia
liquida,
che
consiste
nella
possibilità
di
estrarre
e
poi
studiare
il
DNA
dalle
cellu-‐
le
tumorali
circolanti
nel
sangue
(per
vedere
se
sono
intervenute
mutazioni
causa
di
resistenze
agli
inibitori
delle
tirosinkinasi);
se
è
presente
la
mutazione
si
procede
alla
sostituzione
del
farmaco,
con
presidi
di
se-‐
conda
o
terza
generazione.
20
Con
il
TBNA
in
maniera
transtracheale
si
può
fare
anche
un
prelievo
dai
linfonodi
paratracheali
per
vedere
se
il
tu-‐
more
è
metastatico.
SINTESI
CONCLUSIVA
(non
fare)
1. STEP
1:
quando
la
biopsia
o
la
citologia
dimostrano
chiaramente
la
morfologia
di
un
adenocarcinoma
o
di
un
carcinoma
squamocellulare,
la
diagnosi
è
fatta.
Se
la
morfologia
è
quella
di
un
tumore
neuroendocrino
e
l’IHC
lo
conferma,
il
tumore
deve
essere
classificato
come
a
piccole
cellule
(SCLC)
o
non
a
piccole
cellule
(NSCLC),
probabilmente
un
carcinoma
neuroendocrino
a
grandi
cellule
(LCNEC)
Se
non
ha
la
morfologia
di
un
adenocarcinoma
o
di
un
carcinoma
squamocellulare,
viene
considerato
come
un
carcinoma
non
a
piccole
cellule
non
altrimenti
specificato
(NSCLC-‐NOS,
not
otherwise
specified)
2. STEP
2:
il
NSCLC-‐NOS
può
essere
ulteriormente
classificato
sulla
base
dell’IHC,
della
produzione
di
mucina
o
del-‐
la
biologia
molecolare.
Se
tutti
i
marker
sono
a
favore
dell’ADC
(i.e.,TTF-‐1
and/or
mucin
positive)
e
quelli
del
SQCC
sono
negativi,
allora
il
tumore
viene
classificato
come
NSCLC,
favor
ADC.
Se
tutti
i
marker
sono
a
favore
del
SQCC
(i.e.,
p63
and/or
CK5/6)
e
quelli
dell’ADC
sono
ne-‐
gativi,
allora
il
tumore
è
classificato
come
NSCLC,
favor
SQCC.
Se
i
marker
sono
entrambi
positivi
in
popola-‐
zioni
diverse
di
cellule
tumorali,
la
neoplasia
è
classificata
come
NSCLC
–
NOS,
ma
con
il
commento
che
potrebbe
essere
un
carcinoma
adenosquamoso.
Se
tutti
i
markers
sono
negativi,
la
neoplasia
è
classificata
come
NSCLS
-‐
NOS.
La
mutazione
di
EGFR
dovrebbe
essere
ricer-‐
cata
1)
nell’ADC,
2)
nel
NSCLC,
favor
ADC
3)
NSLC
–
NOS
e
4)
NSLC
–
NOS,
possibile
carci-‐
noma
adenosquamoso.
Se
in
un
NSCLC
–
NOS
il
risultato
è
positivo,
è
probabile
che
il
tumore
sia
un
ADC
piuttosto
che
un
SQCC:
la
ricerca
di
EGFR
è
proprio
giu-‐
stificato
dal
fatto
di
avere
un
terapia
a
disposi-‐
zione!
3. STEP
3:
se
la
gestione
clinica
richiede
una
dia-‐
gnosi
più
specifica
di
un
NSCLC
–
NOS,
potreb-‐
bero
essere
indicate
ulteriori
biopsie.
STADIAZIONE
Il
tumore
del
polmone
è
uno
dei
più
difficili
da
stadiare,
perché
la
pTNM
viene
fatta
sulla
base
dei
tessuti
a
disposizione
del
patologo,
cioè
la
neoplasia
primitiva
e
i
linfonodi
locoregionali
(quindi
T
e
N).
Tuttavia,
nella
definizione
del
parametro
T,
vengono
prese
in
carico
anche
delle
conoscenze
che
il
patologo
non
ha
come
per
esempio
la
distanza
del
tumore
dal
bronco
principale,
la
presenza
di
atelettasia,
di
una
polmonite
ostruttiva
etc;
e
peraltro
le
linee
guida
non
dicono
come
acquisire
queste
informazioni.
In
generale,
il
punto
focale
nella
definizione
del
parametro
T
è
rappresentato
dalle
dimensioni,
che
vanno
misurate
accuratamente
sul
pezzo
istologico
in
centimetri.
Se
la
lesione
è
maggiore
di
7
cm,
il
tumore
è
avanzato
(T4).
Inoltre
bisogna
prendere
anche
in
considerazione
l’infiltrazione
della
pleura
a
parità
di
di-‐
mensione:
in
caso
di
invasione
della
pleura
viscerale
il
tumore
diventa
un
T2,
se
c’è
anche
l’invasione
della
pleura
parietale
diventa
T3.
Per
i
tumori
molto
piccoli
la
riproducibilità
nella
stadiazione
è
bassa.
Parametro
T
Per
quello
che
riguarda
il
parametro
T,
il
patologo
si
concentra
su:
• dimensioni
del
tumore
(la
riproducibilità
è
bassa
soprattutto
per
i
piccoli
tumori),
• presenza
o
meno
di
infiltrazione
della
pleura
viscerale
(T2),
• presenza
o
meno
di
infiltrazione
della
pleura
parietale
o
della
parete
toracica
(T3),
• presenza
di
noduli
tumorali
aggiuntivi:
o due
noduli
nello
stesso
lobo
(
T3),
o infiltrazione
nello
stesso
polmone
(T4),
o infiltrazione
nell’altro
polmone
(metastasi;
M1).
Per
quello
che
riguarda
l’infiltrazione
della
pleura
viscerale,
il
tumore
potrebbe
affiorare
(ed
essere
visibile
macro-‐
scopicamente)
oppure
infiltrare
la
pleura:
le
linee
guida
indicano
che
c’è
infiltrazione
quando
il
tumore
supera
la
lamina
elastica.
Per
cui
quando
il
patologo
vede
un
nodulo
in
prossimità
della
pleura
o
non
è
certo,
viene
richiesta
la
colorazione
di
21
Weigert
per
le
fibre
elastiche.
Quest’ultima
colora
le
fibre
elastiche
in
nero
e
il
connettivo
di
rosa;
il
problema
è
che
quando
il
paziente
ha
un
danno
cronico,
la
pleura
si
ispessisce:
lo
strato
di
connettivo
aumenta,
mentre
le
fibre
elastiche
diventano
reduplicate.
Per
questi
motivi
è
difficile
valutare
l’infiltrazione
in
una
pleura
patologica.
Per
quello
che
riguarda
l’infiltrazione
della
pleura
parietale,
la
valutazione
è
ancora
più
difficile,
soprattutto
quan-‐
do
si
verifica
la
fusione
tra
pleura
viscerale
e
parietale,
a
seguito
di
fibrosi,
infezione
da
TBC,
talcaggio
(indicato
nei
pazienti
con
versamenti
pleurici
recidivanti);
anche
in
questo
caso
lo
strato
di
fibre
elastiche
segna
il
confine
per
l’invasione.
Parametro
N
Le
stazioni
linfonodali
sono
identificate
con
dei
numeri
in
senso
inverso
dalla
trachea
(1)
all'ilo
(14):
chiaramente
più
la
metastasi
è
vicina
al
tumore,
migliore
è
la
prognosi.
Il
chirurgo
toracico
durante
l’operazione
asporterà
le
sta-‐
zioni
linfonodali
che
trova
mettendole
in
bicchierini
separati
e
numerandoli.
Per
cui
in
base
alla
localizzazione
il
parametro
N
potrà
essere
N0,
N1
o
N2
(non
solo
N0
–
N1).
È
una
stadiazione
chirurgico-‐patologica.
A
differenza
del
colon,
in
cui
il
patologo
deve
cercare
tutti
i
linfonodi,
nel
tessuto
adiposo,
che
sono
tutti
locoregionali,
qui
la
stadiazione
è
prevalentemente
chirurgica,
perché
il
chirurgo
manderà
le
stazioni
numerate.
Parametro
M
Per
quanto
riguarda
le
metastasi,
sono
distinte
in
due
tipi:
localizzate
alla
cavità
toracica
e
a
distanza.
Per
quello
che
riguarda
le
prime
sono
considerati
metastatici:
• noduli
nel
polmone
controlaterale,
• noduli
pleurici
(diverso
da
invasione),
• presenza
di
un
versamento
maligno,
cioè
contenente
cellule
neoplastiche
individuate
all’analisi
di
aspira-‐
to
o,
se
abbondante,
di
toracentesi.
Anche
quest’ultima
valutazione
non
è
facile,
perché
le
cellule
mesoteliali,
quando
stimolate
da
qualsiasi
agente,
compreso
l’infiltrato
infiammatorio,
rispondono
modi-‐
ficando
la
loro
forma
(diventano
cellule
attivate,
difficili
da
differenziare
da
cellule
neoplastiche).
Sedi
comuni
di
metastasi
a
distanza
sono:
osso,
fegato,
cervello
ma
caratteristiche
sono
le
ghiandole
surrenali;
per
esempio:
in
caso
di
tumore
al
polmone
con
metastasi
alle
ossa
e
al
cervello,
non
è
difficile
interpretare
un
nodulo
al
surrene.
Ma
in
presenza
di
un
tumore
al
polmone
e
un
unico
nodulo
surrenalico,
la
storia
è
differen-‐
te.
Si
può
eseguire
un
citologico
e
confrontare
le
cellule
dei
due
noduli.
In
conclusione,
dalla
stadiazione
patologica
di
un
pezzo
chirurgico
emergono:
tipo
di
tumore,
dimensioni,
presenza
o
meno
di
infiltrazione
della
pleura,
la
presenza
di
metastasi
linfonodali.
La
stadiazione
completa
viene
eseguita
insieme
al
chirurgo
e
all’oncologo.
21
Il
metodo
(Weigert
“metodo
lungo”)
sfrutta
l’affinità
per
le
fibre
elastiche
del
precipitato
(cresofucsina)
ottenuto
facendo
reagire
varie
sostanze
chimiche.
La
specificità
del
metodo
non
è
assoluta
per
cui
si
ricorre
al
contrasto
con
la
colorazione
tricromica
di
Van
Gieson
che
permette
di
differenziare
il
collagene
dal
connettivo
visualizzando
nel
con-‐
tempo
anche
i
nuclei.
3.
CARATTERISTICHE
MOLECOLARI
DI
SUPPORTO
ALLA
TERAPIA
Inibitori
della
tirosinchinasi
Si
veda
il
paragrafo
“biologia
molecolare”
(p.25).
Immunoterapia:
inibitori
di
PD1
Secondo
la
teoria
immunologica
della
risposta
ai
tumori,
il
sistema
immunitario
risponde
alla
neoplasia
ten-‐
tando
di
eliminare
le
cellule
trasformate,
che
hanno
subito
una
mutazione:
in
una
prima
fase
questa
elimina-‐
zione
è
efficiente,
poi
nel
tempo
si
instaura
un
equilibrio
tra
sistema
immunitario
e
tumore
che,
infine,
si
rompe:
il
sintema
immunitario
non
riconosce
più
le
cellule
tumorali,
che
sono
riuscite
ad
eludere
la
risposta
immune
(escape).
Si
è
visto
che
bloccando
la
risposta
immunitaria
T,
ovvero
il
feed-‐back
mediato
dal
meccanismo
PD-‐1/PDL-‐
1,
la
risposta
immunitaria
contro
il
tumore
si
prolunga:
questo
è
il
meccanismo
di
azione
degli
inibitori
di
PD-‐1,
come
il
Pembrolizumab
(utilizzati
anche
nel
melanoma
metastatico,
per
il
quale
la
risposta
immunita-‐
ria
rappresenta
uno
dei
criteri
prognostici
più
importanti22.
Quando
diventa
metastatico,
le
armi
a
disposi-‐
zione
sono
poche
e
tra
di
esse
gli
anticorpi
anti
PD-‐1,
per
prolungare
e
potenziare
la
risposta
immune).
Poiché
non
esiste
ancora
una
biomarker
ideale
predittivo
della
risposta
agli
inibitori
di
PD-‐1;
viene
chiesto
al
patologo
di
valutare
la
risposta
infiammatoria.
Il
patologo
sfida
il
preparato
con
un
anticorpo
anti-‐PDL-‐1
e
valuta
l’espressione
percentuale
media
di
questo
marcatore
nel
preparato
istologico.
Si
valuta
l’espressione
nel
tumore
(se
superiore
al
50%,
è
indicata
la
somministrazione
di
Pembrolizumab).
INIBITORI
DI
PD-‐1
Il
nivolumab
e
pembrolizumab
sono
anticorpi
monoclonali
inibitori
della
PD-‐1
(programmed
death-‐1),
un
corecettore
espresso
dai
linfociti
attivati
dall’interazione
con
l’antigene
(presen-‐
tato
dalle
APC,
cellule
presentati
l’antigene),
il
cui
ruolo
è
limitare
l’autoimmunità,
inibendo
l’attività
delle
cellule
T
nella
periferia
e
nei
tessuti
durante
la
risposta
immunitaria.
Fisiologicamente
il
PD1
è
quindi
un
regolatore
negativo
dell’attività
delle
cellule
T
e
i
suoi
li-‐
gandi
(PDL-‐1
e
PDL-‐2)
sono
espressi
proprio
dalle
APC.
Ma
il
PD-‐1
è
espresso
anche
dai
linfociti
che
infiltrano
il
tumore
(TIL)
e
dai
linfoci-‐
ti
T
CD8+
“disfunzionali”
(dysfunctional)
in
vari
tipi
di
neoplasie;
e
il
PDL-‐1
è
iperespresso
nella
maggior
parte
dei
tumori
solidi
(dalle
cel-‐
lule
tumorali
o
da
altre
cellule
nel
microambiente
tumorale):
in
que-‐
sto
modo
il
tumore
inibisce
la
produ-‐
zione
di
citochine
e
l’attività
citolitica
dei
linfociti
T
PD-‐1+
che
lo
infiltrano.
Questi
farmaci,
legandosi
al
PD1,
ne
bloccano
l’interazione
con
i
ligandi,
quindi
potenziano
le
risposte
delle
cellule
T
e
aumentano
la
capacità
del
sistema
immunitario
di
uccidere
le
cellule
tumorali.
22
Nel
1989
alcuni
studiosi
pubblicarono
il
risultato
di
una
ricerca
riguardante
le
diverse
modalità
d'azione
dei
TILs
nel
melanoma
e
formularono
tre
"comportamenti"
delle
cellule
immunitarie
nei
confronti
del
tumore
primario:
1. Brisk
(tradotto
"vivaci",
ma
in
alcuni
referti
è
anche
presente
il
termine
"efficaci"):
i
TILs
sono
presenti
nello
del
tumore,
o
lungo
i
suoi
margini
di
invasione; I
pazienti
con
TILs
Brisk
avevano
una
prognosi
estremamente
favore-‐
vole;
2. Non
Brisk
(tradotto
"non
vivaci",
ma
in
alcuni
referti
è
presente
anche
il
termine
"non
efficaci"):
i
TILs
sono
pre-‐
senti
focalmente
al
centro
del
tumore
o
parzialmente
lungo
i
margini
di
NON-‐invasione.
I
pazienti
con
TILs
non
brisk
avevano
una
prognosi
non
ottimale
3. Assente:
linfociti
non
visibili
oppure
linfociti
visibili
ma
che
non
interagiscono
con
le
cellule
di
melanoma.
Esem-‐
pio:
linfociti
presenti
nel
nodulo
tumorale
ma
arrangiati
in
maniera
perivenulare
o
in
bande
fibrose
nella
matrice
extracellulare
del
tumore
ma
non
nella
cellula
stessa.
I
pazienti
con
TILs
assenti
avevano
una
scarsa
prognosi.
19b.
PATOLOGIA
DELLA
PLEURA
ANATOMIA
DELLA
PLEURA
La
pleura
è
una
membrana
sierosa
di
origine
mesodermica
che
riveste
il
polmone
e
in
condizioni
fisiologi-‐
che
è
lucente
e
trasparente;
è
formata
da
un
foglietto
viscerale
e
uno
parietale.
La
pleura
viscerale
riveste
il
polmone
addentrandosi
nelle
fessure
interlobari
e
nell’ilo
dove
si
riflette
per
formare
la
pleura
parietale,
che
è
distinta
in
tre
parti
• costale,
che
aderisce
alle
costole;
• mediastinica,
che
si
trova
medialmente
verso
il
cuore;
• diaframmatica,
che
si
trova
lungo
il
diaframma.
Istologicamente,
la
pleura
è
costituita
da:
• un
sottile
strato
di
tessuto
connettivo,
più
o
meno
variabile,
contenente
all’interno
uno
strato
di
fibre
elastiche
interposto
tra
due
strati
di
connettivo
più
lasso.
Oltre
al
collagene
e
all’elastina
(evi-‐
denziata
dalla
colorazione
di
Verhoeff23)
sono
presenti
vasi
e
fibroblasti;
• cellule
mesoteliali24,
disposte
in
un
singolo
strato,
di
forma
appiattita
o
cubica.
Le
cellule
mesoteliali
sono
particolarmente
sensibili
a
qualsiasi
tipo
di
insulto
che
coinvolga
la
pleura
e
quindi
tendono
facilmente
a
desquamare.
Il
tessuto
mesoteliale
ha
tuttavia
una
grande
capacità
reattivo-‐rigenerativa
che
si
manifesta
sia
con
una
rigenerazione
con
migrazione
centripeta
delle
cellule
mesoteliali
periferiche
verso
le
aree
erose,
sia
grazie
alla
capacità
dei
fibroblasti
sotto-‐
mesoteliali
di
differenziarsi
in
vere
e
proprie
cellule
mesoteliali.
In
questo
processo
differenziativo,
i
fibroblasti
acquisiscono
le
stesse
capacità
funzionali
e
le
stesse
caratteristiche
immunocitochimiche
delle
cellule
mesoteliali.
Questo
spiega
le
difficoltà
diagnostiche
che
si
possono
incontrare
dal
pun-‐
to
di
vista
morfologico
e
immunocitochimico
tra
un
processo
reattivo
e
una
neoplasia
maligna.
Gli
strati
della
pleura
viscerale
sono:
• il
mesotelio
del
foglietto
viscerale,
• il
connettivo
sottomesoteliale,
• lo
strato
di
fibre
elastiche,
• il
tessuto
connettivo
con
rare
fibre
elastiche,
• gli
alveoli.
Gli
strati
della
pleura
parietale
sono:
• il
mesotelio
del
foglietto
parietale,
• il
connettivo
sottomesoteliale
(fibroadiposo),
• lo
strato
di
fibre
elastiche,
• il
tessuto
muscoloscheletrico
della
parete
to-‐
racica.
Come
già
visto
nella
stadiazione
dei
tumori
del
pol-‐
mone,
si
parla
di
invasione
della
pleura
(viscerale
o
parietale)
se
viene
superato
lo
strato
di
fibre
elasti-‐
che.
23
Il
metodo
di
Verhoeff
è
una
colorazione
specifica
per
le
fibre
elastiche
(in
particolare
per
la
proteina
elastina)
24
Sono
caratterizzate
da:
citoplasma
eosinofilo
a
bordi
netti
e
nuclei
regolari
e
di
aspetto
vescicoloso.
Alla
microscopia
elettronica
sono
unite
tra
loro
da
tight
junction
e
desmosomi
mentre
sulla
superficie
apicale
sono
presenti
sottili
mi-‐
crovilli.
Nel
citoplasma
ci
sono
ribosomi,
RER
e
mitocondri,
e
filamenti
intermedi
in
sede
perinucleare
(vimentina
e
ci-‐
tocheratina).
PATOLOGIA
POLMONARE
DA
ESPOSIZIONE
ALL’ASBESTO
L’inalazione
di
polveri
di
asbesto25
(minerale
a
struttura
fibrosa)
è
correlata
all’insorgenza
sia
di
una
malat-‐
tia
cronica
denominata
asbestosi
(rientra
tra
le
pneumoconiosi26)
sia
di
neoplasie
dell’apparato
respirato-‐
rio,
in
particolare
del
mesotelioma
pleurico
(ma
anche
del
carcinoma
del
polmone).
ASBESTOSI
L’asbestosi
è
una
pneumoconiosi
caratterizzata
da
fibrosi
interstiziale
diffusa
e
bilaterale
che
all’inizio
coinvolge
soprattutto
i
lobi
polmonari
inferiori
e
la
pleura,
e
con
il
tempo
tende
a
estendersi
al
resto
del
parenchima.
Si
manifesta
con
i
sintomi
ingravescenti
della
fibrosi
polmonare.
Condizione
essenziale
per
l’insorgenza
della
malattia
è
il
raggiungimento
da
parte
delle
fibre
di
asbesto
del-‐
le
piccole
vie
aeree
distali
e
degli
alveoli27:
i
macrofagi,
alveolari
e
interstiziali,
fagocitano
le
fibre
liberando
mediatori
chimici
che
determinano
una
diffusa
infiammazione
interstiziale,
la
proliferazione
dei
fibrobla-‐
sti
e
la
produzione
di
collagene,
con
conseguente
fibrosi
interstiziale.
Il
quadro
risulta
caratterizzato
da
interessamento
sia
del
polmone
sia
della
pleura;
nel
dettaglio
ci
sono:
• fibrosi
diffusa,
fine
e
reticolare
(non
nodulare)
dell’interstizio
polmonare:
interessa
inizialmen-‐
te
i
bronchioli
respiratori
e
poi
si
estende
agli
alveoli
(soprattutto
subpleurici)
e
all’interstizio,
ge-‐
nerando
la
scomparsa
degli
spazi
alveolari28.
Il
grado
di
fibrosi
è
variabile,
in
relazione
alla
durata
dell’esposizione
(da
modesta
a
molto
marcata,
fino
alla
produzione
di
aspetti
honey
combing);
• fibrosi
pleurica
viscerale
diffusa,
che
interessa
prevalentemente
i
lobi
inferiori
del
polmone;
a
livello
delle
scissure
i
foglietti
viscerali
si
fondono,
e
quando
il
quadro
è
avanzato,
è
interessata
an-‐
che
la
pleura
parietale
e
possono
fondersi
i
foglietti
parietale
e
viscerale,
• presenza
di
placche
pleuriche
parietali
macroscopiche
(aree
di
ispessimento
madreperlacee
ri-‐
levate):
in
questo
caso
la
fibrosi
è
talmente
estesa
da
contenere
all’interno
depositi
calcifici.
La
diagnosi
di
certezza
viene
fatta
con
l’identificazione
dei
corpi
dell’asbesto29
nel
citoplasma
dei
macro-‐
fagi:
sono
corpuscoli
costituiti
da
frammenti
di
fibre
sulle
cui
estremità
si
stratificano
proteine
ed
emosiderina
(tipica
forma
“a
bacchetta
di
tamburo”).
Sono
ben
evidenti,
di
colore
marrone
dorato
e
facili
da
individuare
al
microscopio
a
causa
della
loro
grandezza
(talora
si
ritrovano
anche
i
cosid-‐
detti
corpi
ferruginosi,
costituiti
solo
dal
deposito
proteico-‐emosiderinico,
senza
la
fibra).
Essi
tendono
ad
aumentare
con
il
progredire
della
fibrosi.
Se
non
ben
visibili,
si
può
utilizzare
una
colorazione
che
metta
in
evidenza
il
ferro,
dato
che
ne
sono
pesan-‐
temente
ricoperti
(ne
rende
la
superficie
blu).
Ad
oggi
esistono
anche
delle
metodiche
chimiche,
utilizzate
in
medicina
legale,
per
evidenziare
i
corpi.
I
corpi
dell’asbesto
si
possono
trovare
nell’espettorato.
Se
non
ci
sono
i
corpi
dell’asbesto,
il
quadro
va
in
diagnosi
differenziale
con
la
fibrosi
polmonare.
25
L’ambiente
in
cui
principalmente
si
produce
asbesto
è
rappresentato
dalle
fabbriche
di
amianto:
pertanto
i
lavora-‐
tori
che
vi
operano
sono
i
soggetti
a
maggior
rischio
(esposizione
professionale).
Anche
le
famiglie
sono
a
rischio
(esposizione
paraprofessionale)
in
quanto
i
lavoratori
portano
a
casa
indumenti
contaminati
e
trasmettono
particelle
di
amianto
con
la
respirazione.
26
Non
saranno
affrontate
le
pneumoconiosi,
per
due
motivi:
nel
nostro
territorio
non
sono
frequentissime;
e
ad
ognuno
di
questi
agenti
(asbesto,
berillio,
silice)
corrispondono
quadri
polmonari
leggermente
differenti,
accomu-‐
nati
dalla
fibrosi.
In
generale
la
più
frequente
è
l’asbestosi
27
La
forma
serpentina
è
più
flessibile
e
solubile
e,
pertanto,
facilmente
rimossa
dall’apparato
ciliare;
gli
anfiboli,
al
contrario,
sono
rigidi
e,
frammentandosi,
formano
veri
e
propri
aghi
in
grado
di
penetrare
tra
le
cellule
epiteliali
alveo-‐
lari
e
nell’interstizio.
28
Le
aree
di
fibrosi,
soprattutto
nelle
fasi
più
avanzate,
si
alternano
ad
aree
di
enfisema.
Ciò
accade
perché
la
pleura,
fibrotizzando,
stira
il
parenchima
polmonare,
creando
di
conseguenza
spazi
aerei
all'interno
dello
stesso.
29
È
possibile
anche
identificare
mediante
microscopio
a
luce
polarizzata,
gli
aghi
di
asbesto.
MESOTELIOMA
PLEURICO
Il
mesotelioma
maligno
è
un
tumore
che
origina
dal
mesotelio
della
pleura,
del
peritoneo,
del
pericardio
e
della
tunica
vaginalis
del
testicolo:
il
mesotelioma
pleurico
rappresenta
la
forma
più
comune.
Tra
i
fattori
di
rischio
ci
sono
l’esposizione
all’asbesto
e
le
radiazioni;
il
fumo
non
aumenta
il
rischio.
Dal
punto
di
vista
clinico
si
manifesta
con
progressiva
dispnea,
dolore
toracico
di
solito
unilaterale,
tosse,
febbre,
malessere,
mialgia
e
perdita
di
peso.
Aspetto
macroscopico
Il
mesotelioma
può
coinvolgere
sia
la
pleura
parietale
sia
quella
visce-‐
rale
e
può
assumere
una
morfologia
variabile:
• all’inizio
si
presenta
sotto
forma
di
piccoli
noduli
multipli
gial-‐
lo-‐grigiastri,
indistinguibili
da
una
semplice
reazione
fibrosa
della
pleura,
che
possono
originare
da
uno
o
entrambi
i
fo-‐
glietti,
• con
il
passare
del
tempo,
i
noduli
confluiscono
creando
delle
placche
dure,
• in
fase
avanzata
la
pleura
è
diffusamente
ispessita
e
solida
tanto
da
obliterare
il
cavo
pleurico
e
incarcerare
ab
estrinseco
i
polmoni;
in
alcuni
punti
può
esserci
anche
la
fusione
della
pleura
parietale
e
viscerale.
In
questa
fase,
a
differenza
di
quella
iniziale,
è
evidente
che
si
tratti
di
una
lesione
neopla-‐
stica
(infatti
le
pleuriti
croniche
non
danno
simili
quadri).
Il
mesotelioma
infiltra
anche
il
parenchima
polmonare
in
maniera
diffusa,
come
una
fibrosi.
In
sintesi,
l’aspetto
macroscopico
non
è
caratteristico
e
può
essere
reperto
nel
carcinoma
primitivo
del
polmone,
nelle
metastasi
e
nei
linfomi
che
interessano
la
pleura.
Aspetto
microscopico
Il
mesotelioma
pleurico
è
classificato
istologicamente
in
base
alla
crescita;
può
presentare
un
patter
di
cre-‐
scita:
• bifasica
(caratteristica
del
mesotelioma,
ma
non
frequente),
se
presenta
una
componente
epitelia-‐
le
e
una
mesenchimale:
non
è
un
tumore
misto
ma
sono
semplicemente
due
aspetti
di
crescita
della
stessa
cellula.
È
molto
facile
far
diagnosi
ma
questo
pattern
di
crescita
non
è
molto
fre-‐
quente;
• pura,
che
può
essere:
o di
tipo
epiteliale:
è
la
variante
più
comune
del
mesotelioma
(comprende
le
varianti
tubulo-‐
papillare,
deciduoide,
a
cellule
chiare
e
a
piccole
cellule).
Assomiglia
all'adenocarcinoma
sia
per
il
pattern
architetturale
sia
per
la
morfologia
cellula-‐
re,
infatti
cresce
formando
strutture
solide,
ghian-‐
dolari,
papillari,
tubulo-‐papillari,
ed
è
costituito
da
cellule
poliedriche
e
moderatamente
atipiche
(dif-‐
ficilmente
raggiungono
un'atipia
estrema
come
nell'adenocarcinoma
polmonare).
Al
microscopio
elettronico,
si
osserva
che
la
cellule
mesoteliale
possiede
molti
microvilli
(ma
oggi
tale
è
sostituita
dall'immunoistochimica,
c he
è
più
pratica
e
facile);
o di
tipo
mesenchimale
(sarcomatoide;
include
le
varianti
de-‐
smoplastica
e
linfocistoide).
E’
formato
da
cellule
fusate
con
atipia
variabile
e
organizzate
in
fasci
(ovvero
gruppi
di
cellule
che
corrono
nella
stessa
direzione)
o
in
maniera
storiforme
(se
crescono
a
raggiera
attorno
ad
un
core
centrale
di
stroma
connettivale;
aspetto
di
crescita
già
visto
per
i
tumori
dei
tessuti
molli).
Possono
esserci
cambiamenti
metaplastici
dello
stroma
connettivale
in
tessuto
muscolare
li-‐
scio,
cartilagineo,
adipose
o
qualunque
altro
tessuto
di
origine
mesenchimale.
Problemi
diagnostici
Come
accennato,
i
due
grandi
problemi
nella
diagnosi
del
mesotelioma
sono:
• differenziare
una
lesione
pleurica
reattiva
da
una
neoplastica30;
infatti
il
mesotelio,
in
caso
di
ver-‐
samenti
cronici,
risponde
con
l’iperplasia;
• differenziare
una
lesione
neoplastica
primaria
(mesotelioma)
da
metastasi
pleuriche
di
altri
tumori
(adenocarcinoma
polmonare
metastatico,
carcinoma
polmonare
indifferenziato
a
piccole
cellule,
linfoma,
melanoma
metastatico).
Queste
diagnosi
di
metastasi
devono
essere
escluse.
La
diagnostica
differenziale
delle
neoplasie
pleuriche
è
resa
particolarmente
difficoltosa
dalle
caratteristi-‐
che
dei
campioni
che
più
spesso
arrivano
al
patologo,
cioè
i
versamenti
pleurici
e
le
biopsie
toracoscopi-‐
che,
che
possono
presentare
un
serie
di
problematiche
come
ad
esempio
le
piccole
dimensioni
o
gli
artefat-‐
ti
da
compressione.
In
alcuni
casi
la
morfologia
della
neoplasia
è
sufficiente
per
un
orientamento
diagnostico,
ma
in
gran
parte
delle
situazioni,
invece,
sia
in
presenza
di
biopsie
sia,
soprattutto,
di
versamenti,
la
sola
valutazione
morfo-‐
logica
non
basta
per
dare
indicazione
di
primitività.
È
quindi
opportuno
confermare
la
natura
della
neopla-‐
sia
mediante
un
pannello
di
reazioni
immunoistochimiche.
Sfortunatamente
non
esiste
un
singolo
anticor-‐
po
che
consenta
di
distinguere
univocamente
e
costantemente
cellule
epiteliali
da
cellule
mesoteliali:
per
questa
ragione
si
raccomanda
l’uso
di
almeno
due
marcatori
mesoteliali
ed
epiteliali.
Tra
i
marker
mesoteliali
ricordiamo
la
calretinina,
che
co-‐
lora
sia
il
nucleo
sia
il
citoplasma,
le
citocheratine
5
e
6
(il
mesotelio
è
positivo
alle
citocheratine
in
tutti
i
suoi
fenotipi,
compreso
quello
a
cellule
fusate),
WT1.
Per
esempio,
nella
diagnosi
differenziale
tra
un
mesote-‐
lioma
e
un
carcinoma
del
polmone
periferico
che
ha
inte-‐
ressato
la
pleura,
il
criterio
principale
è
l’espressione
del
TTF1
che
il
mesotelioma
non
esprime;
altri
marcatori
epi-‐
teliali
sono
HER2
(per
le
metastasi
di
carcinoma
mamma-‐
rio)
o
CDX2,
CK
7,
CK20
(per
le
metastasi
di
adenocarci-‐
noma
del
colon).
Anche
alcune
tecniche
istochimiche
possono
essere
utili
per
la
diagnosi
differenziale.
30
Ci
sono
delle
situazioni
in
cui
questa
DD
non
è
facile:
per
esempio
se
si
ha
una
pleurite
essudativa,
l'essudato
è
ric-‐
co
di
proteine
e
quindi
di
fibrina.
Sotto
la
fibrina
ci
sono
gruppi
di
cellule
che
formano
una
ghiandola,
il
quesito,
molto
difficile
da
risolvere,
è
capire
se
le
gjiandole
sono
reattive
alla
fibrina
o
sono
l'iniziale
proliferazione
neo-‐
plastica.
Questo
è
un
problema
perché
non
ci
sono
criteri
morfologici
certi.
CASO
CLINICO
Anamnesi
• Uomo,
1938.
• Non
fumatore
• Importante
calo
ponderale
• Versamento
pleurico
massivo
dx
Poiché
la
radiologia
e
la
clinica
non
sono
dirimenti,
viene
effettuata
una
biopsia
della
pleura
parietale
(non
c'è
scrit-‐
to
se
c'è
storia
di
rischio
per
mesotelioma,
cosa
che
andrebbe
sempre
scritta).
Esame
istologico
• La
biopsia
è
fatta
di
piccoli
frustolini,
e
si
vede
tessuto
molto
rosa
(connettivo).
• A
forte
ingrandimento
vediamo
una
componente
molto
cellulata,
ci
sono
cellule
stellate
che
sembrano
fibroblasti
attivati.
In
alcuni
punti
della
biopsia
ci
sono
gruppi
di
cellule
grandi,
con
citoplasma
eosino-‐
filo
con
moderata
atipia
nucleare.
Sono
cellule
che
infiltrano
la
pleura
o
cellule
attivate
inglobate
nella
proliferazione
fibrosa?
• Si
cerca
qualcosa
di
simile
negli
altri
pezzettini
della
biopsia
e
si
trova
un'area
più
cellulata
con
tanti
gruppi
di
cellule,
come
quelli
di
prima,
che
formano
nidi
solidi
e
ghiandole:
c’è
una
differenziazione
in
sen-‐
so
ghiandolare;
non
ci
sono
quindi
dubbi
che
sia
un'infiltrazione.
• Le
cellule
non
hanno
atipia
estrema
ma
si
vedono
anche
zone
con
emosiderina
(se
si
facesse
il
Perl
sa-‐
rebbe
tutto
blu).
La
DD
è
tra:
• mesotelioma
epiteliale,
• adenocarcinoma
polmonare,
• adenocarcinoma
primitivo
in
altra
sede.
Avendo
scarsa
atipia
e
crescita
regolare
la
prima
ipotesi
è
un
carcinoma
primitivo
della
pleura.
Poi
si
fa
immu-‐
noistochimica
con
la
calretinina
(negativa)
e
con
TTF-‐1
si
(intensamente
positivo).
La
diagnosi
è
metastasi
di
adenocarcinoma
di
verosimile
carcinoma
polmonare
(potrebbe
essere
anche
della
tiroide
al
limite...).
20.
PATOLOGIA
DEL
CUORE
Il
ruolo
del
patologo
nella
patologia
cardiaca
appartiene
soprattutto
alla
sala
settoria.
Le
biopsie
cardiache
sono
eseguite
invece
nell’ambito
della
surgical
pathology,
strettamente
correlata
al
trapianto
di
cuore
(sia
nel
pre-‐operatorio
sia
nel
post-‐operatorio
per
il
rischio
di
rigetto).
ESAME
DELLA
CAVITÀ
TORACICA
AL
RISCONTRO
DIAGNOSTICO
L’accesso
alla
cavità
toracica
è
possibile
solo
in
seguito
alla
ri-‐
mozione
dello
sterno,
previo
taglio
delle
articolazioni
sterno-‐
clavicolari
e
delle
cartilagini
costali.
L’osservazione
macroscopica
è
un
momento
fondamentale
del
riscontro
diagnostico
e,
in
sede
toracica,
permette
di
esamina-‐
re
l’aia
cardiaca,
le
cavità
pleuriche
e
il
timo
(soprattutto
nel
bambino),
valutando
il
rapporto
in
situ
tra
gli
organi,
correlato
all’età
del
paziente.
Nel
torace
adulto
si
comincia
dall’asportazione
del
cuore
e,
successivamente,
dei
polmoni;
se
si
sospettano
problematiche
di
natura
genetica
a
carico
dell’apparato
cardiovascolare,
è
preferibile
asportare
il
preparato
cuore-‐polmone,
così
da
valu-‐
tare
nel
complesso
la
presenza
di
malformazioni
vascolari.
Nel
neonato
e
nel
bambino
è
molto
più
facile
eseguire
un’eviscerazione
completa
e
studiare
direttamente
il
preparato
cuore-‐polmone.
L’esame
del
cuore
inizia
con
l’apertura
del
pericardio
tramite
un
taglio
a
Y
rovesciata
e
la
valutazione
ma-‐
croscopica
della
cavità
pericardica
(in
condizioni
normali
contiene
20-‐30cc
di
liquido
limpido1).
Sollevando
il
cuore
verso
l’alto,
si
vanno
a
esporre
le
vene
sulla
superficie
posteriore.
Per
isolare
l’organo,
si
sezionano
le
porzioni
intrapericardiche
dei
vasi
che
affluiscono
e
partono
da
esso,
in
ordine:
vena
cava
infe-‐
riore,
vene
polmonari
sinistra
e
destra,
vena
cava
superiore,
aorta
e
arteria
polmonare
(si
segue
la
direzione
del
flusso
di
sangue).
Dopo
la
separazione
del
pericardio
e
l’isolamento
del
cuore
si
valuta:
• peso:
fornisce
un’informazione
immediata
sulla
presenza
di
un’anomalia
cardiaca.
Il
range
di
nor-‐
malità
varia
con
l’età
e
in
base
a
sesso,
massa
corporea,
grado
di
attività
fisica
e
stato
di
salute.
I
va-‐
lori
normali
oscillano
tra
270-‐310
g
nell’uomo
adulto
(sono
inferiori
nelle
donne).
Nel
bambino,
il
peso
del
cuore
normale
non
supera
10
g
di
massa
cardiaca/
kg
peso
corporeo.
• forma;
• dimensioni
(diametro
longitudinale,
trasversale
e
antero-‐posteriore)
rapportate
ai
valori
presenti
in
tabelle
di
riferimento
per
un
cuore
sano;
• esame
delle
coronarie
nel
decorso
subepicardico:
permette
di
valutare
la
presenza
di
placche
ate-‐
romasiche
e
percepire
le
calcificazioni.
1
In
caso
di
versamento
pericardico,
il
liquido
è
opaco
in
presenza
di
essudato
o
limpido
se
è
presente
un
trasudato.
Il
passo
successivo
consiste
nella
valutazione
delle
cavità
cardiache,
che
vengono
sezionate
con
un
ordine
preciso:
• apertura
dell’atrio
destro
con
taglio
longitudinale
che
si
porta
dalla
vena
cava
superiore
alla
inferio-‐
re
(gli
osti
delle
due
vene
cave
si
trovano
sulla
stessa
linea).L’atrio
di
destra
ha
una
parete
molto
sottile;
• apertura
del
ventricolo
destro
lungo
il
margine
acuto
del
cuore:
permette
di
valutarne
lo
spessore
e
di
osservare
la
valvola
atrioventricolare;
• apertura
della
camera
di
efflusso
dalla
punta
del
cuore
alla
valvola
polmonare
(conclude
l’apertura
delle
sezioni
destre
del
cuore);
• apertura
dell’atrio
sinistro
attraverso
lo
sbocco
di
ognuna
delle
vene
polmonari;
• apertura
del
ventricolo
sinistro
lungo
il
margine
ottuso:
permette
di
valutare
spessore
e
valvola
atrioventricolare;
• apertura
della
camera
di
efflusso
con
taglio
rasente
al
setto
interventricolare:
si
deve
sacrificare
l’arteria
polmonare
per
arrivare
alla
sezione
dell’aorta
intrapericardica.
Le
informazioni
fondamentali
da
ottenere
riguardano
lo
stato
delle
camere
cardiache
e
lo
spessore
dell’endocardio,
nonché
lo
stato
delle
valvole,
per
definire
la
presenza
di
patologie
evidenti
in
atto.
Infine
l’apertura
dell’aorta
permette
l’osservazione
delle
valvole
semilunari
aortiche
e
l’imbocco
delle
arte-‐
rie
coronarie
(potrebbe
non
essere
pervio
per
la
presenza
di
una
placca
all’imbocco
dell’ostio
coronarico).
Le
arterie
coronarie
vengono
tagliate
grazie
all’utilizzo
di
forbici
estremamente
sottili
ma,
visto
che
il
dia-‐
metro
dei
vasi
diminuisce
progressivamente,
si
segue
l’andamento
dei
tronchi
principali
delle
due
corona-‐
rie,
senza
osservare
le
fini
ramificazioni
che
partono
da
esse.
Quando
i
rami
collaterali
hanno
un
lume
trop-‐
po
ridotto,
si
eseguono
tagli
trasversali
che
saranno
osservati
in
un
secondo
momento
al
microscopio.
L’approccio
trasversale
permette
di
apprezzare
anche
un
trombo
di
recente
formazione
(che
si
correrebbe
il
rischio
di
alterare
se
il
vaso
fosse
tagliato
con
le
forbici).
PATOLOGIA
CARDIACA
La
maggior
parte
delle
patologie
cardiache
ha
una
diagnosi
chiara
anche
ante-‐mortem.
Il
riscontro
diagnostico
effettuato
sul
cuore
è
particolarmente
indicato
qualora
un
paziente
vada
rapida-‐
mente
incontro
a
morte
improvvisa,
non
pienamente
giustificata
dalla
storia
clinica.
Le
principali
patologie
cardiache
di
interesse
per
il
patologo
sono:
• cardiopatia
ischemica,
tipica
del
paziente
adulto;
• patologia
delle
valvole
cardiache;
• patologie
primitive
del
miocardio,
di
frequente
riscontro
nel
bambino.
CARDIOPATIA
ISCHEMICA
La
cardiopatia
ischemica
è
la
patologia
più
frequente
dell’adulto,
associata
a
occlusione
o
riduzione
critica
del
lume
della
coronaria.
Sedi
elettive
di
ostruzione
sono
rappresentate
dall’arteria
discendente
anteriore,
dall’arteria
circonflessa
o
dal
tronco
principale
dell’arteria
coronaria
destra.
Dal
punto
di
vista
eziologico,
la
cardiopatia
ischemica
è
favorita
da:
• riduzione
dell’afflusso
di
sangue
per
una
lesione
aterosclerotica
o
per
un
evento
tromboembolico
acuto
(cause
più
frequenti).
Cause
rare
che
provocano
la
riduzione
dell’afflusso
di
sangue
alle
coronarie
includono:
1. patologie
infiammatorie
(per
esempio,
in
corso
di
panarterite
nodosa):
l’infiltrato
infiammato-‐
rio
provoca
ispessimento
del
vaso
e
ostruzione;
2. aneurisma
dissecante
dell’aorta
intrapericardica:
la
dissecatio
aortica,
cioè
l’ingresso
di
sangue
tra
media
e
avventizia
attraverso
una
lacerazione
endoteliale,
può
occludere
gli
osti
coronarici;
3. origine
anomala
delle
coronarie
e
alterazione
del
flusso;
4. decorso
anomalo
intramurale
o
intramuscolare
della
coronaria
discendente
anteriore:
il
danno
ischemico
può
verificarsi
potenzialmente
a
ogni
fase
sistolica.
Cause
più
frequenti
di
tromboembolia:
1. patologia
della
valvola
semilunare
aortica:
l’endocardite
(batterica
o
non
batterica)
può
de-‐
terminare
il
distacco
di
vegetazioni
che
si
portano
in
una
delle
coronarie,
il
cui
imbocco
è
sopra
la
valvola;
2. fibrilazione
atriale
cronica,
predispone
alla
formazione
di
trombi
in
sede
auricolare
(visibili
do-‐
po
aver
ribaltato
l’auricola),
dove
è
favorita
la
stasi
di
sangue;
3. patologie
croniche
del
ventricolo
sinistro,
come
aneurismi
o
infarti
pregressi:
favoriscono
la
formazione
di
trombi
murali;
• riduzione
della
disponibilità
di
O2
associata
a
grave
anemia
o
avvelenamento
da
CO.
L’esame
macroscopico
permette
di
apprezzare
due
diversi
tipi
di
patologia
ischemica
del
miocardio:
• infarto
transmurale:
interessa
l’intero
spessore
della
parete
ventri-‐
colare.
È
provocato
da
ischemia
distrettuale
conseguente
all’occlusione
subtotale
o
completa
di
un
ramo
subepicardico
di
una
coronaria
(più
frequentemente
coronaria
destra,
discendente
anteriore
e
cir-‐
conflessa
sinistra).
La
necrosi
determina
un
infarto
segmentario;
• infarto
subendocardico:
lesione
superficiale
legata
all’ipoperfusione
generalizzata
da
stenosi
coro-‐
narica
diffusa,
associata
a
riduzione
della
pressione
di
perfusione
o
incremento
delle
richieste
me-‐
taboliche,
che
non
provoca
necrosi
miocardica.
Di
solito
è
distribuito
su
un
territorio
esteso
che
ec-‐
cede
i
limiti
di
uno
dei
rami
maggiori
delle
arterie
coronariche.
Il
riscontro
è
frequente
nel
terzo
in-‐
terno-‐metà
interna
del
miocardio
ventricolare
sinistro.
DIAGNOSI
MACROSCOPICA
Il
quadro
infartuale
si
sviluppa
nel
corso
di
diverse
ore,
progredendo
dall’endocardio
verso
l’eterno.
Il
danno
macroscopico
causato
dall’infarto
si
apprezza
circa
12
ore
dopo
l’evento
scatenante
(che
coincide
clinicamente
con
l’insorgenza
di
un’aritmia
o
arresto
cardiaco).
Se
l’anatomopatologo
dovesse
trovarsi
in
sede
di
riscontro
diagnostico
in
questo
lasso
di
tempo,
potrebbe
realizzare
unicamente
una
diagnosi
di
esclusione
perché
non
sono
ancora
visibili
alterazioni
del
miocardio.
In
aiuto
alla
diagnosi
in
questo
caso,
potrebbe
essere
la
presenza
di
una
coronaria
occlusa.
L’evoluzione
del
danno
si
articola
in
3
fasi:
• fase
di
necrosi
ischemica;
• fase
della
riparazione
cellulare
(fase
infiammatoria);
• fase
cicatriziale.
La
necrosi
dei
miocardiociti
si
associa
a
liberazione
degli
enzimi
citoplasmatici,
ancor
prima
che
il
danno
macroscopico
determini
un’alterazione
morfologica.
Tra
questi,
l’enzima
lattico
deidrogenasi
può
essere
rilevato
tramite
Nitro
Blu
Tetrazolio
già
a
3
ore
dall’evento
ischemico.
Questa
metodica
prevede
di
immergere
una
sezione
trasversale
del
cuore
in
una
soluzione
dove
avviene
una
reazione
enzimatica,
in
presenza
di
LDH,
che
determina
un
viraggio
di
colore
del
miocardio
verso
il
blu.
Il
danno
alla
cellula
miocardica
si
associa
a
una
pallida
colorazione
del
tessuto,
scarsamente
positivo
alla
LDH.
La
verifica
istologica
dopo
Nitro-‐BT
non
è
sempre
necessaria,
se
esistono
informazioni
sufficienti
per
indivi-‐
duare
la
causa
del
decesso
(per
esempio
occlusione
della
coronaria
nella
zona
di
colorazione
pallida).
Se
l’autopsia
è
realizzata
dopo
che
il
danno
necrotico
ha
avuto
il
tempo
di
provocare
alterazioni
macrosco-‐
piche
visibili,
non
è
necessario
realizzare
la
colorazione
NitroBT
ma
è
sufficiente
osservare
il
campione.
• Tra
le
12-‐48
h
successive
all’infarto,
la
prima
alterazione
visibile
è
la
comparsa
di
un’area
pallida
di
colore
giallastro
(corrispondente
alla
sede
di
ischemia),
conseguenza
della
necrosi
coagulativa.
• Dopo
3-‐5
giorni
(e
fino
a
un
massimo
di
10
giorni),
hanno
inizio
i
processi
di
riparazione,
con
la
comparsa
di
un
infiltrato
infiammatorio
che
procede
dalla
periferia
dell’area
lesa
fino
alla
zona
cen-‐
trale.
L’infiltrato
granulocitario
tipico
della
fase
acuta
permette
la
digestione
del
tessuto
necrotico,
in
assenza
di
una
vera
e
propria
risposta
immunitaria.
All’infiltrato
si
associano
iperemia
e
neoangiogenesi,
a
circoscrivere
l’area
necrotica
che,
in
perife-‐
ria,
diventa
rossa
e
si
forma
una
lesione
anulare
in
corrispondenza
del
tessuto
di
granulazione.
In
un
secondo
momento
la
reazione
infiammatoria
si
organizza
e
vede
la
partecipazione
di
linfociti
e
plasmacellule;
l’area
gialla
centrale
regredisce
progressivamente
mentre
l’anello
rossastro
si
espande.
• Dopo
14
giorni
compare
il
tessuto
cicatriziale
nella
sede
in
cui
è
stato
rimosso
il
tessuto
necrotico:
la
lesione
assume
un
aspetto
bianco-‐giallastro,
per
diventare
definitivamente
bianco-‐grigiastra
do-‐
po
2-‐6
settimane
quando
la
cicatrice
sostituisce
completamente
il
parenchima
danneggiato.
DIAGNOSI
MICROSCOPICA
Nelle
prime
ore
successive
all’infarto,
solo
il
microscopio
elettronico
è
abbastanza
sensibile
da
evidenziare
alterazioni,
tuttavia
il
suo
utilizzo
non
è
compatibile
con
i
tempi
di
realizzazione
dell’autopsia
dopo
un
de-‐
cesso2,
dichiarato
almeno
24
ore
dopo
che
il
cuore
ha
smesso
di
battere.
Inoltre,
avrebbe
poco
senso
identificare
il
danno
dalle
alterazioni
degli
organelli
citoplasmatici,
quando
per
la
diagnosi
di
infarto
è
sufficiente
identificare
poche
ma
tipiche
alterazioni
strutturali
del
muscolo.
Un
infarto
acuto
non
è
identificabile
Al
MO
nelle
prime
12
ore.
• A
12-‐24
ore
dall’evento,
è
possibile
valutare
la
necrosi
coagulativa
delle
fibre
miocardiche,
associa-‐
ta
all’ipereosinofilia3
delle
miocardiociti;
il
nucleo
delle
cellule
diventa
picnotico
e
perde
la
sua
normale
struttura.
• Dopo
2-‐3
giorni
è
possibile
evidenziare
l’accumulo
di
granulociti
neutrofili
alla
periferia
della
zona
infartuata,
spesso
interposti
a
fibre
muscolari
adiacenti.
• 5-‐7
giorni
dopo
i
neutrofili
sono
progressivamente
sostituiti
dai
macrofagi,
il
cui
ruolo
è
di
fagocita-‐
re
il
materiale
necrotico.
A
questo
si
associa
la
proliferazione
dei
fibroblasti.
• La
fase
finale
del
riassorbimento
(a
2-‐8
settimane)
prevede
la
deposizione
del
tessuto
fibroso,
con
la
comparsa
di
tessuto
cicatriziale
irregolare
(la
cicatrice
fibrosa
è
visibile
macroscopicamente):
il
connettivo
depositato
è
evidenziato
grazie
alla
colorazione
tricromica
di
Mallory,
che
lo
colora
in
blu;
al
contrario,
le
fibre
muscolari
assumono
il
colore
rosso.
I
fenomeni
autolitici
che
iniziano
abbondantemente
dopo
le
24
ore
(tempo
in
cui
viene
realizzato
il
riscon-‐
tro
diagnostico)
possono
determinare
l’insorgenza
di
alterazioni
non
vitali,
cioè
non
presenti
quando
il
pa-‐
ziente
era
ancora
in
vita
ma
in
un
secondo
momento,
per
via
delle
alterazioni
enzimatiche
indotte
dal
de-‐
cesso.
È
opportuno
realizzare
un
prelievo
e
un
campionamento
corretto
per
facilitare
la
diagnosi:
la
presenza
di
infiltrato
infiammatorio
può
portare
a
un
errore
diagnostico,
se
non
associato
all’identificazione
delle
fibre
necrotiche,
unico
strumento
di
diagnosi
differenziale
rispetto
ad
una
malattia
infiammatoria
cardiaca.
Anche
l’aspetto
macroscopico
aiuta
nella
diagnosi
differenziale.
2
Il
decesso
viene
documentato
attraverso
l’ECG,
che
deve
mostrare
un
tracciato
isoelettrico
per
almeno
24
ore,
tali
da
escludere
casi
di
morte
apparente.
3
Le
fibre
muscolari
sono
normalmente
eosinofile
per
la
presenza
di
miosina.
DIAGNOSI
DI
INFARTO
POST-‐RIVASCOLARIZZAZIONE
Le
tecniche
moderne
di
riperfusione
del
muscolo
cardiaco
infartuato
hanno
permesso
di
ridurre
la
mortali-‐
tà,
l’estensione
ed
(in
parte)
le
complicanze
dell’infarto.
L’angioplastica
o
coronaroplastica
(PTCA)
insieme
alla
terapia
trombolitica
garantiscono
una
rapida
rivasco-‐
larizzazione
del
miocardio,
migliorando
la
prognosi.
Se
queste
strategie
dovessero
rivelarsi
poco
efficaci,
in
seguito
al
decesso,
il
patologo
osserverebbe
in
sede
autoptica
un
cuore
post-‐rivascolarizzazione.
Questo
reperto
è
molto
più
frequente
rispetto
all’evoluzione
naturale
della
malattia
non
trattata.
L’aspetto
macroscopico
e
microscopico
appare
più
vistosamente
emorragico
(piccoli
vasi
iperemici
circon-‐
dati
da
emorragia),
per
via
del
danno
anossico
diffuso
a
seguito
della
riperfusione.
Un
elemento
caratteristico
è
rappresentato
dalla
necrosi
a
bande
di
contrazione4
delle
miocellule:
bande
ipereosinofile
costituite
dall’aggregazione
delle
componenti
contrattili
del
miocardiocita.
Complicanze
dell’infarto
Le
complicanze
dell’infarto
sono
di
varia
natura
e
non
tutte
consentono
una
diagnosi
anatomopatologica,
poiché
non
apprezzabili
macro
e
microscopicamente:
• l’aritmia
ventricolare
non
è
associata
a
un
quadro
morfologico,
ma
può
essere
ipotizzata
nel
conte-‐
sto
di
un
infarto
acuto
del
miocardio
a
carico
di
aree
coinvolte
nella
genesi
e
nella
trasmissione
dell’impulso
elettrico,
soprattutto
se
l’area
infartuata
non
è
così
estesa
da
poter
essere
compatibile
con
la
causa
di
morte
del
paziente.
Tuttavia,
solo
il
clinico
può
porre
la
diagnosi
certa
di
aritmia
ventricolare.
• Stessa
considerazione
vale
per
lo
shock
cardiogeno,
la
cui
diagnosi
non
è
eseguita
dall’anatomopatologo,
il
cui
ruolo
è
quello
di
trovare
il
substrato
morfologico
tale
da
poter
giustifi-‐
care
una
diagnosi
più
probabile.
L’approccio
anatomopatologico
può
essere
invece
applicato
in
caso
di:
• insufficienza
ventricolare
sinistra:
segno
indiretto
è
il
rimodellamento
cardiaco
(in
presenza
o
me-‐
no
di
rimodellamento
delle
valvole
cardiache)
in
presenza
di
una
lesione
cicatriziale
ampia;
• rottura
della
parete
libera
del
miocardio:
in
acuto
provoca
emorragia
intrapericardica5,
visibile
al
momento
della
sezione
del
pericardio.
Di
solito
non
è
presente
in
caso
di
necrosi
cardiaca
o
durante
il
riassorbimento
del
tessuto
necrotico;
• rottura
del
SIV
se
l’infarto
interessa
la
regione
del
setto:
si
associa
alla
comparsa
di
un
canale
di
comunicazione
tra
i
ventricoli,
come
accade
nelle
patologie
da
difetto
congenito
del
setto.
Il
maggiore
rischio
di
rottura
coincide
con
la
fase
di
riassorbimento
del
tessuto
necrotico,
alcuni
giorni
dopo
l’evento
acuto;
• rottura
dei
muscoli
papillari:
il
muscolo
papillare
va
in
necrosi
(aspetto
uguale
alla
necrosi
della
pa-‐
rete)
e
può
provocare
insufficienza
valvolare
acuta,
che
può
essere
rapidamente
fatale;
• aneurismi:
in
presenza
di
infarto
trans-‐murale,
la
parete
del
ventricolo
si
assottiglia
e
perde
la
ca-‐
pacità
di
contrarsi
per
via
della
sostituzione
con
tessuto
cicatriziale.
Queste
modifiche
favoriscono
il
cedimento
della
parete
ventricolare,
che
si
dilata
e
dà
origine
all’aneurisma.
La
presenza
dell’aneurisma
aumenta
il
rischio
di
trombosi
murale
e,
di
conseguenza,
la
possibilità
di
eventi
embolici
nel
distretto
polmonare
o
sistemico;
• pericardite
di
Dressler:
il
tessuto
di
granulazione
formatosi
in
seguito
a
infarto
trans-‐murale
inte-‐
ressa
il
foglietto
viscerale
del
pericardio,
determinando
un’area
di
flogosi
ben
delimitata
alla
zona
di
4 + +
La
contrazione
dei
miocardiociti
sembra
essere
dovuta
a
una
precoce
perdita
di
funzione
della
Na /K -‐ATPasi,
che
fa-‐
vorisce
l’ingresso
massiccio
di
Na
non
bilanciado
dal
K,
con
conseguente
depolarizzazione
e
contrazione.
5
A
seguito
di
aneurisma
dell’aorta
intrapericardica,
si
osserva
un
quadro
simile
di
emorragia
intrapericardica.
contatto
con
la
ragione
infartuata
(aspetto
che
permette
la
diagnosi
differenziale
con
un
processo
infiammatorio
diffuso);
• perforazione
cardiaca:
rottura
del
cuore
che
provoca
un
massivo
versamento
pericardico.
Nessuna
di
queste
complicanze
si
verifica
prima
di
una
settimana
dall’evento
acuto.
PATOLOGIE
VALVOLARI
Le
patologie
valvolari
cardiache
secondarie
sono
diventate,
nel
corso
degli
anni,
più
rare
per
via
della
mino-‐
re
incidenza
di
patologie
associate
a
coinvolgimento
valvolare,
come
la
malattia
reumatica
(responsabile
di
insufficienza
cardiaca
da
steno-‐insufficienza
mitralica
nel
giovane).
L’autopsia
permette
di
diagnosticare
patologie
valvolari
anche
grazie
alla
storia
clinica
del
paziente.
Le
cause
di
patologia
valvolare
secondaria
includono:
• malattia
reumatica
cronica,
tipica
del
bambino:
l’interessamento
cardiaco
è
a
carico
di
endocardio,
miocardio
e
pericardio
(pancardite)
e
viene
definito
cronico
quando
il
paziente
va
incontro
a
riacu-‐
tizzazioni
frequenti,
che
reiterano
il
danno
alla
valvola.
In
particolare,
la
valvola
mitralica
va
incon-‐
tro
a
una
fusione
dei
lembi
che
determina
stenosi
e
insufficienza
valvolare,
diagnosticata
di
solito
in
fase
tardiva.
Il
trattamento
antibiotico
durante
la
fase
acuta
della
malattia
permette
la
guarigio-‐
ne.
Elemento
patognomico
della
malattia
è
il
nodulo
o
granuloma6
di
Aschoff,
non
infettivo.
Il
nodulo
è
un
tipico
granuloma
immunitario,
identico
al
nodulo
reumatoide:
è
caratterizzato
da
necrosi
cen-‐
trale
di
tipo
fibrinoide
(assume
colorazione
rossa
in
EE)
e
in
periferia
è
presente
un
infiltrato
in-‐
fiammatorio
costituito
da
linfociti,
plasmacellule
e
istiociti
(o
cellule
di
Aschoff).
Difficilmente
in
fa-‐
se
acuta
si
osserva
un
nodulo
di
Aschoff
in
sede
valvolare,
ma
è
molto
più
probabile
trovare
gli
esiti
della
patologia,
ovvero
la
stenosi
mitralica
con
i
lembi
valvolari
fusi
e
ispessiti;
• endocardite
in
corso
di
connettiviti
o
malattie
autoimmuni:
in
corso
di
LES
vi
può
essere
interes-‐
samento
granulomatoso
dell’endocardio
(endocardite
di
Liebman-‐Sacks);
• endocardite
batterica:
le
categorie
più
a
rischio
includono
soggetti
le
cui
le
valvole
hanno
già
subito
un
danno:
o bambini
con
malattie
cardiache
congenite;
o adulti
con
patologie
valvolari;
o tossicodipendenti;
o portatori
di
protesi
valvolari;
o paziente
con
batteriemia
transitoria;
o anziani.
La
storia
clinica
del
paziente
può,
in
questo
caso,
non
essere
utile
perché
l’endocardite
batterica
non
è
una
patologia
cronica,
sebbene
si
associ
a
fattori
di
rischio
noti
che
facilitano
la
diagnosi.
La
principale
complicanza
è
rappresentata
dalla
formazione
di
emboli
settici
originanti
dalle
vege-‐
tazioni
valvolari
altamente
friabili:
l’embolizzazione
può
portare
alla
formazione
di
ascessi
cere-‐
brali,
la
cui
origine
è
difficilmente
identificabile
in
assenza
di
un
reperto
anamnestico
suggestivo;
• endocardite
trombotica
non
batterica:
sono
presenti
vegetazioni
asettiche
a
livello
valvolare
(in
assenza
di
infezione),
possibile
sorgente
emboligena.
L’eziologia
è
idiopatica.
6
Il
granuloma
è
una
lesione
nodulare
in
cui
si
identifica
una
zona
centrale
(può
essere,
o
meno,
necrotica)
circondata
da
una
reazione
infiammatoria
di
variabile
importanza
e
tipo.
PROLASSO
MITRALICO
Il
prolasso
interessa
frequentemente
la
valvola
mitralica
ed
è
una
condizione
in
cui
i
lembi
della
mitrale
si
ingrandiscono
e
le
corde
tendinee
si
assottigliano
e
allungano
al
punto
che
i
lembi
prolassano
nell’atrio
sini-‐
stro
durante
la
sistole.
Il
prolasso
si
verifica
perché
i
lembi
mitralici
sono
infiltrati
da
mucopolisaccaridi
acidi
(materiale
mixoide
derivante
dalla
degenerazione
dello
stroma
ghiandolare)
che
favoriscono
la
lassità
e
l’aumentata
mobilità
dei
lembi
(e
delle
corde
tendinee).
Il
danno
valvolare
può
provocare
insufficienza
cardiaca
acuta
che
de-‐
termina
morte
improvvisa
nel
giovane.
Nella
maggior
parte
dei
casi,
il
prolasso
mitralico
è
primitivo
e
si
ipotizza
una
predisposizione
genetica
non
caratterizzata.
Il
prolasso
mitralico
può
essere
associato
a
quadri
morbosi
(nei
quali
il
paziente
va
seguito
con
follow-‐up):
• sindrome
di
Marfan;
• malattie
del
metabolismo
del
collagene
(rare,
a
trasmissione
familiare);
• distrofia
muscolare
miotonica;
• ipertiroidismo
e,
più
raramente,
ipotiroidismo
provocano
degenerazione
mixomatosa
dei
lembi;
MALATTIE
PRIMITIVE
DEL
MUSCOLO
CARDIACO
MIOCARDITI
Il
miocardio
può
essere
interessato
da
processi
patologici
di
varia
natura,
che
rappresentano
una
potenziale
causa
di
morte
da
scompenso
cardiaco
acuto
su
base
aritmica:
• infettivi
(miocarditi
virali,
batteri7,
micotiche):
la
biopsia
cardiaca
rappresenta
uno
strumento
dia-‐
gnostico
utile
in
corso
di
miocardite,
per
caratterizzare
il
processo
infiammatorio
e
la
necrosi;
• non
infettivi:
o immunitarie
(sarcoidosi,
LES,
febbre
reumatica,
miocardite
a
cellule
giganti);
o da
ipersensibilità;
o tossiche
(farmaci
e
droghe);
o idiopatiche.
L’aspetto
microscopico
è
caratterizzato
da
necrosi
focale
o
diffusa
delle
fibre
muscolari.
L’infiltrato
infiammatorio
ha
morfologia
variabile
in
rapporto
con
l’eziologia.
L’esame
istologico
su
biopsia
può
sottostimare
la
presenza
della
lesione
e
solo
raramente
può
dare
informazione
sull’eziologia.
L’unica
terapia
risolutiva
è
rappresentata
dal
trapianto
di
cuore.
MIOCARDIOPATIE
Si
distinguono
due
tipi
principali
di
cardiomiopatia:
• cardiomiopatia
dilatativa
idiopatica,
congenita
o
acquisita
(post-‐infiammatoria).
L’aspetto
caratte-‐
ristico
è
determinato
dalla
dilatazione
delle
camere
cardiache
a
cui
segue
l’insufficienza
cardiaca;
• cardiomiopatia
ipertrofica,
di
solito
congenita
(mutazioni
genetiche
isolate
o
associate
a
un
quadro
sindromico).
Si
caratterizzano
per
l’aumento
concentrico
di
spessore
della
parete
del
ventricolo
e
riduzione
volumetrico
della
camera
ventricolare.
7
Batterio
responsabili
di
miocardite
sono
la
Borrelia
o
T.
Cruzi
in
corso
di
sifilide
terziaria.
CASO
CLINICO
Referto
autoptico
di
un
neonato
con
cardiopatia
ipertrofica
ostruttiva
da
sindrome
malformativa.
Facies
dismorfica:
occhi
distanziati,
naso
largo,
labbra
spesse,
ipertricosi,
distensione
addominale,
mani
e
piedi
grandi.
Atrofia
delle
masse
muscolari,
cute
ridondante
particolarmente
evidente
a
livello
degli
arti
in-‐
feriori.
Cuore:
ipertrofico,
peso
50
g,
forma
globosa
(quasi
sferico),
con
un
diametro
longitudinale
di
6
cm
e
un
diametro
trasversale
di
circa
5
cm.
Per
escludere
una
patologia
malformativa
dei
vasi,
osservare
i
grandi
va-‐
si
(in
questo
caso
normali).
È
presenta
una
modesta
ipertrofia
ventricolare
destra
e
grave
ipertrofia
ventricolare
sinistra
concentrica.
Il
setto
interventricolare
sporge
nella
cavità
destra
deformandola.
Il
miocardio
appare
omogeneo.
Polmoni:
caratterizzati
da
colorito
disomogeneo
con
aree
multiple
rossastre
alternate
ad
aree
pallide
(tipica
alterazione
causata
dal
respiratore
che
difficilmente
riproduce
una
perfetta
ventilazione
omogenea).
Pancreas.
Macroscopicamente
normale,
ma
al
MO
si
osserva
diffusa
iperplasia
e
ipertrofia
delle
isole
di
Langherans.
Il
quadro
clinico
è
compatibile
con
la
sindrome
di
Donohue:
la
tipica
facies
è
alla
base
del
sospetto
diagnosti-‐
co
che
porta
il
clinico
a
richiedere
il
test
genetico
per
rilevare
la
mutazione
al
gene
per
il
recettore
dell’insulina.
TUMORI
DEL
MIOCARDIO
I
principali
tumori
cardiaci
includono:
• mixomi:
tumore
più
frequente
del
cuore,
localizzata
in
qualsiasi
punto.
E
un
tumore
estremamente
lasso
e,
di
conseguenza,
fragile
per
cui
ha
la
tendenza
a
embolizzare
a
distanza.
• rabdomiomi,
tipici
del
bambino;
• fibromi:
tipici
del
bambino.
Rabdomiomi
e
fibromi
sono
presenti
in
forma
sporadica
o
associata
a
sindrome.
MIXOMA
• Rappresenta
>50%
dei
tumori
del
cuore,
tipicamente
dell’adulto.
• Si
localizzano
più
spesso
all’
atrio
sinistro.
• La
maggior
parte
dei
casi
è
sporadica,
ma
esistono
forme
con
aggrega-‐
zione
familiare.
Nel
20%
dei
casi
si
associano
alla
sindrome
di
Carney
(sindrome
endocrinologica
con
iperpigmentazione
cutanea).
• La
parola
mixoma
sottintende
una
ricchissima
componente
di
mu-‐
copolisaccaridi
acidi8
(tessuto
mixoide),
simile
a
gelatina.
• Si
presentano
spesso
come
formazioni
polipoidi,
molli
e
soffici,
talora
emorragiche.
• Le
cellule
sono
piccole,
rotonde
e
non
atipiche:
il
mixoma
è
un
tumore
benigno.
• Occasionalmente
il
tessuto
interno
al
tumore
può
andare
incontro
a
metaplasia
formando
aree
di
tessuto
ghiandolare,
cartilagineo,
emopoietico;
possono
essere
presenti
anche
residui
embriologici
di
timo.
8
Scarsamente
colorati
dal
PAS
(colora
i
mucopolisaccardidi
neutri),
motivo
per
cui
si
preferisce
l’Alcian
blu.
• All’imaging
e
all’esame
macroscopico
hanno
aspetto
simile
a
un
trombo,
con
cui
entrano
in
dia-‐
gnosi
differenziale.
FIBROMA
• Secondo
tumore
cardiaco
più
frequente
nel
bambino,
dopo
il
rabdomioma.
• Si
presenta
come
un
nodulo
solitario
costituito
da
cellule
di
tessuto
connettivo;
• Colorazione
rosa
con
Verhoeff-‐van
Gieson;
• Origina
dal
setto
o
dalla
parete
libera
del
ventricolo,
più
comune-‐
mente
a
sinistra,
ma
la
massa
sporge
nelle
cavità
a
destra
e
sinistra;
• Può
provocare
disturbi
del
ritmo
e
morte
cardiaca
improvvisa;
• Di
solito
non
si
associa
a
sindromi.
RABDOMIOMA
• Tumore
benigno
del
muscolo
scheletrico,
benigno
dal
punto
di
vista
istologico;
• Solitamente
associato
a
un
quadro
sindromico,
tra
cui
la
sclerosi
tuberosa,
responsabile
di
manifestazioni
neurologiche
(noduli
mal-‐
formativi
nel
SNC
responsabili
di
attacchi
epilettici
incurabili),
cuta-‐
nee
(piccoli
tumori
cutanei
benigni),
renali
e
cardiache.
Al
contrario
del
comportamento
istologico,
il
tumore
è
maligno
dal
punto
di
vi-‐
sta
clinico.
21a.
PATOLOGIA
NON
NEOPLASTICA
DEL
SISTEMA
NERVOSO
CENTRALE
1.
INTRODUZIONE
• Riscontro
diagnostico
in
neuropatologia
• Diagnosi
su
campioni
chirurgici
• Ipertensione
endocranica
• Ernie
• Edema
cerebrale
2.
PATOLOGIA
INFETTIVA
DEL
SNC
• Infezioni
virali
• Infezioni
batteriche
• Infezioni
da
parassiti
3.
PATOLOGIA
VASCOLARE
DEL
SNC
• Aterosclerosi
• Patologia
vascolare
ischemica
• Demenza
vascolare
• Patologia
vascolare
emorragica
1.
INTRODUZIONE
Il
sistema
nervoso
centrale
(SNC)
è
un
capitolo
molto
grande
dell’anatomia
patologia,
che
forma
una
sotto-‐
specialità
detta
neuropatologia:
è
quella
parte
dell’AP
che
si
occupa
dello
studio
e
della
diagnosi
delle
le-‐
sioni
del
SNC
e
periferico.
Si
avvale
di
metodiche
comuni
alla
AP.
Se
ne
occupa
il
patologo
per:
• riscontri
diagnostici
su
pazienti
con
patologie
neurologiche,
psichiatriche
o
di
interesse
neurochirur-‐
gico;
si
effettuano
sul
tavolo
autoptico
24
ore
dopo
la
morte
del
paziente
per
stabilirne
la
causa
e
correlarla
con
la
patologia
clinica,
• la
diagnosi
su
materiale
neurochirurgico,
prelevato
in
sala
operatoria,
• lo
studio
della
patologia
neoplastica
o
degenerativa
del
sistema
nervoso
periferico,
• lo
studio
delle
biopsie
muscolari
(molto
di
nicchia).
RISCONTRO
DIAGNOSTICO
IN
NEUROPATOLOGIA
Esame
dell’encefalo
post-‐mortem
L’esame
dell’encefalo
non
viene
fatto
sempre
durante
il
riscontro
diagnostico,
ma
solo
quando
c’è
necessi-‐
tà;
in
particolare
esso
trova
indicazione
in:
• pazienti
con
malattie
neurologiche
o
psichiatriche,
• pazienti
con
patologie
sistemiche
che
possono
interessare
il
SNC
e
avere
un
impatto
sulla
causa
di
morte;
come
patologie
cardiovascolari,
linfomi
e
leucemie
(che
vanno
quindi
in
diagnosi
differenziale
con
i
linfomi
primitivi
cerebrali)
e
metastasi
neoplastiche1,
1
Per
esempio,
un
paziente
con
neoplasia
allo
stomaco
certa,
presente
sintomatologia
neurologica
a
causa
di:
1)
meta-‐
stasi
cerebrali,
2)
carenza
di
B12
(che
può
causare
una
patologia
degenerativa
a
livello
del
cervello
o
dei
nuclei
della
base),
3)
sindrome
paraneoplastica
che
simula
patologie
psichiatriche
o
demenza.
• tutti
i
casi
in
cui
l’esame
dei
diversi
organi
e
apparati
non
ha
evidenziato
una
definitiva
causa
di
mor-‐
te.
Per
esempio,
il
paziente
sviluppa
una
sintomatologia
acuta,
non
necessariamente
neurologica,
e
muore
poco
dopo
l’accesso
in
ospedale;
se
non
c’è
una
storia
clinica
da
seguire
e
non
ci
sono
altera-‐
zioni
morfologiche
di
organi
e
apparati
toraco-‐addominali,
occorre
in
questo
caso
studiare
l’encefalo.
La
rimozione
dell’encefalo
(dura
10
minuti
circa)
prevede
i
seguenti
passaggi:
1. scollamento
dei
tessuti
molli:
con
un’incisione
semicircolare
da
orecchio
ad
orecchio
della
cute
che
aderisce
in
maniera
molto
lassa
alla
teca
cranica,
2. taglio
delle
inserzioni
muscolari,
3. asportazione
della
calotta
cranica:
con
una
sega
elettrica2
si
effettua
un
taglio
circolare
della
teca
cranica
poco
sopra
il
rilievo
so-‐
vraorbitario
fino
alla
protuberanza
occipita-‐
le,
quindi
si
espone
la
dura
madre
o
pa-‐
chimeninge,
di
solito
poco
aderente
al
ta-‐
volato
interno,
che
deve
essere
lasciata
in-‐
tatta
ai
fini
dell’esplorazione,
4. ispezione
del
seno
longitudinale
superiore
(e
man
mano
di
tutti
i
seni),
sede
del
drenaggio
venoso
e
del
riassorbimento
di
liquor
grazie
alle
granulazioni
del
Pacchioni,
5. rimozione
della
dura
madre
ed
esposizione
della
leptomeninge
(aracnoide
e
pia
madre),
6. sezione
della
falce,
dei
nervi
ottici
e
del
tentorio
per
l’esplorazione
della
fossa
cranica
posteriore,
7. taglio
trasversale
a
livello
del
midollo
cervicale
e
rimozione
dell’encefalo.
Il
riscontro
diagnostico,
che
avviene
grazie
alla
collaborazione
tra
tecnico
e
medico,
si
effettua:
• al
tavolo
autoptico,
in
cui
si
osservano:
o alterazioni
della
scatola
cranica,
studio
dell’anatomia
topografica
e
corretta
localizzazione
degli
organi,
o presenza
di
sanguinamenti,
che
possono
essere:
§ extradurali:
tra
osso
e
dura
madre
(una
volta
fissato
il
cervello
non
sono
più
visibili);
§ subdurali:
tra
dura
madre
ed
aracnoide
(una
volta
fissato
il
cervello
non
sono
più
visibili);
§ subaracnoidei:
tra
aracnoide
e
pia
madre,
§ intraparenchimali,
o malformazioni,
• dopo
fissazione.
La
fissazione
si
effettua
per
sospensione:
l’organo
viene
sospeso
per
almeno
3
set-‐
timane
in
un
contenitore
con
formalina
(il
volume
di
fissativo
deve
essere
10
volte
maggiore
di
quel-‐
lo
del
cervello)
attraverso
un
filo
che
passa
per
la
dura
madre
(se
essa
è
lasciata
in
sede),
o
attraver-‐
so
l’arteria
basilare,
che
è
molto
robusta.
Infatti
il
cervello,
che
ha
una
consistenza
molle
(soprattutto
nel
neonato),
diventa
solido
solo
dopo
l’utilizzo
del
liquido
fissativo.
Dopo
aver
fissato
il
pezzo
chirurgico,
si
procede
con:
o l’esame
macroscopico:
il
cervello,
più
o
meno
rivestito
da
leptomeninge
(pia
madre
e
aracnoide
che
sono
trasparenti),
appare
biancastro
e
con
circonvoluzioni
evidenti.
Bisogna
analizzare
mol-‐
to
bene
il
giro
ippocampale,
soprattutto
in
caso
di
ipertensione
endocranica
sospetta.
In
ogni
se-‐
zione
si
osserva
chiaramente
il
passaggio
netto
tra
sostanza
grigia
e
sostanza
bianca,
che
assu-‐
mono
colorazione
bianco-‐grigiastra
dopo
il
contatto
con
la
formalina.
Si
osservano
simmetria
ri-‐
spetto
alla
linea
mediana,
morfologia
della
sostanza
bianca
e
grigia,
ventricoli.
2
In
caso
di
feto/neonato,
non
c’è
bisogno
della
sega
per
tagliare
la
teca
cranica,
è
sufficiente
utilizzare
un
paio
di
for-‐
bici,
perché
non
calcifica
prima
dei
5-‐6
mesi
ed
è
formata
da
cartilagine
e
tessuto
fibroso.
Le
principali
lesioni
visibili
macroscopicamente
dopo
fissazione
sono:
§ segni
di
rigonfiamento
cerebrale
ed
erniazione,
dovuti
a:
ü lesioni
occupanti
spazio
che
possono
causare
incremento
della
pressione
endocranica,
ü aumento
del
volume
delle
principali
componenti
endocraniche,
§ alterazioni
dei
vasi
del
poligono
di
Willis
(trombosi
recenti,
aneurismi,
etc.),
§ emorragie,
§ infarti,
§ alterazioni
della
leptomeninge;
o la
dissezione
(si
effettuano
sezioni
di
1
cm
attraverso
l’encefalotomo);
che
comprende:
§ peso
dell’encefalo
(M
1,1-‐1,6
Kg,
F
1,05-‐1,5
Kg),
non
molto
rilevante.
Una
riduzione
del
pe-‐
so
al
di
sotto
di
1
Kg
è
patologica
e
può
essere
causata
da
da
alterazione
degenerativa,
invece
un
aumento
di
peso
(più
ra-‐
ro)
può
essere
indicativo
di
edema;
§ esame
del
poligono
di
Willis,
se
non
è
stato
rimosso
al
mo-‐
mento
dell’asportazione
dell’encefalo,
a
causa
di
emorragie
subaracnoidee
(si
rimuove
per
vedere
eventuali
aneurismi,
che
se
fissati
non
si
vedrebbero
bene);
§ separazione
del
tronco
dal
cervello
con
un
taglio
che
passa
per
il
mesencefalo;
§ taglio
di
sezioni
coronali
perpendicolari
all’asse
maggiore
(trasversali);
la
prima
sezione
passa
per
i
corpi
mammillari;
o l’esame
microscopico
(non
è
routinario,
è
a
discrezione
del
patologo):
prevede:
§ il
campionamento
istologico:
si
scelgono
dei
blocchi
dalle
sezioni
coronali
convenzionali
per
la
preparazione
di
vetrini
e/o
macrosezioni3.
La
scelta
è
guidata
dal
quesito
diagnostico
e
dai
sospetti
nati
dall’esame
macroscopico.
Essendo
le
sezioni
coronali
spesse
1
cm,
una
piccola
lesione
potrebbe
non
essere
rilevata
dall’AP;
risulta
utile
in
questi
casi
la
correlazione
anatomo-‐radiologica,
che
consiste
nella
ricerca
delle
lesioni
a
partire
dal
referto
radiologico
della
risonanza
magnetica,
che
permet-‐
te
di
ottenere
sezioni
cronali
radiologiche
dello
spessore
di
3
mm,
§ le
colorazioni
routinarie
e
istochimiche
usate
sono:
• ematossilina-‐eosina;
• impregnazione
argentica,
poco
utilizzata
(es.
per
vedere
placche
senili
dell’interstizio,
patognomoni-‐
che
della
malattia
di
Alzheimer);
• Luxol
Fast
Blue
o
Kluver-‐Barrera:
permette
di
evi-‐
denziare
la
mielina;
è
utile
nelle
patologie
demieli-‐
nizzanti
dove
gli
assoni
e
l’architettura
cerebrale,
in
alcuni
casi,
possono
non
essere
alterati4;
• colorazioni
immunoistochimiche:
anticorpi
contro
antigeni
(proteine
del
citoscheletro,
beta-‐amiloide,
antigeni
nucleari,
ecc.)
specifici
di
una
patologia.
3
Le
macrosezioni
sono
preparati
istologici
più
grandi
dei
preparati
standard
e
possono
comprendere
una
sezione
inte-‐
ra
dell’organo
o
della
lesione
che
si
intende
studiare.
Vengono
effettuate
raramente
perché
richiedono
una
procedura
complessa
e
l’inclusione
in
celloidina.
4
Nel
neonato
non
è
presente
la
mielina
perché
il
cervello
deve
ancora
mielinizzarsi.
SURGICAL
PATHOLOGY:
DIAGNOSI
SU
CAMPIONI
CiHIRURGICI
Oggi
la
maggior
parte
dei
campioni
proviene
dalle
sale
operatorie
della
neurochirurgia
con
la
richiesta
di
esami
sia
post-‐operatori
sia
estemporanei,
la
maggior
parte
per
sospetti
tumori.
La
diagnosi
si
attua
su:
• resezioni
di
neoplasie,
per
esempio
di
noduli
neoplastici,
• biopsie,
soprattutto
di
lesioni
profonde
per
il
cui
trattamento
demolitivo
serve
una
diagnosi
certa,
• microbiopsie
chirurgiche.
Questi
campioni
sono
trattati
con
metodiche
diagnostiche
standard
(EE,
istochimica,
immunoistochimica)
e
con
l’aiuto
delle
tecniche
di
biologia
molecolare
(FISH,
PCR
e
altre
metodiche
di
sequenziamento).
E’
molto
usata
la
procedura
dell’esame
intraoperatorio,
soprattutto
per
la
diagnosi
quando
le
informazioni
radiologiche
non
sono
dirimenti:
in
questo
caso
il
frammento
bioptico
è
studiato
mediante
esame
estem-‐
poraneo
citologico
su
striscio
(dopo
fissazione
in
alcool
e
colorazione
con
blu
di
toluidina),
infatti
il
SNC
è
privo
di
stroma
e
le
cellule
nervose
si
dissociano
tra
loro
molto
facilmente,
pertanto
può
essere
strisciato.
IPERTENSIONE
ENDOCRANICA
L’encefalo
è
una
struttura
racchiusa,
almeno
do-‐
po
la
prima
infanzia,
in
un
involucro
rigido
costi-‐
tuito
dalla
scatola
cranica.
La
pressione
intracra-‐
nica
(PI)
quindi
dipende
dai
volumi
degli
elementi
contenuti
nella
cavità
stessa,
cioè:
• cervello
(circa
70%),
• liquor
(circa
15%),
• sangue
(circa
15%).
Quindi,
poiché
il
neurocranio
è
una
scatola
chiusa,
un
aumento
di
volume
di
una
di
queste
tre
componenti
determina
un
aumento
della
pressione
endocranica
se
non
è
compensato
da
una
riduzione
corrispondente
del
volume
delle
altre
componenti
(applicazione
della
legge
di
Monro-‐Kellie5).
Questo
meccanismo
permette
di
mantenere
entro
un
certo
range
la
pressione
intracranica
(con
oscillazioni
massime
di
1
mmHg),
nonostante
le
ampie
oscillazioni
di
pressione
e
vascolarizzazione:
ci
sono
quindi
fisio-‐
logicamente
dei
meccanismi
di
compenso
che
rientrano
in
un
sistema
di
autoregolazione.
Invece,
in
assen-‐
za
di
compenso,
aumenta
la
pressione
endocranica,
che
può
essere
misurata
principalmente
attraverso
ca-‐
teterismo
intraventricolare
o
dello
spazio
subaracnoideo.
Per
esempio
se
è
presente
una
massa
cerebrale
in
lenta
espansione,
inizialmente
il
compenso
è
realizzato
da
una
diminuzione
dei
volumi
di
sangue
e
liquor,
poi,
a
un
certo
punto,
il
sistema
si
scompensa
e
la
pres-‐
sioni
inizia
a
salire.
In
generale
le
condizioni
che
possono
causare
un
aumento
della
pressione
endocranica
sono:
• aumenti
di
volume
dell’encefalo
come
lesioni
occupanti
spazio
(es.
tumore),
che
comprendono:
o tumori
maligni
primitivi
o
metastatici,
che
determinano
un
aumento
della
pressione
endocra-‐
nica
più
rapido
che
rispetto
ai
tumori
benigni,
o tumori
benigni
delle
meningi,
dei
nervi
cranici,
della
teca
cranica,
o infarti
ischemici
associati
ad
edema
(un
infarto
di
1
cm
può
diventare
di
4
cm
se
associato
a
edema),
5
“La
variazione
di
volume
di
uno
dei
tre
elementi
contenuti
nella
scatola
cranica
è
possibile
solo
se
compensata
da
opposte
modificazioni
degli
altri
due”.
emorragie,
o
processi
infettivi
acuti
o
cronici
(ascessi6
causati
da:
piogeni
per
embolo
settico,
infezioni
puru-‐
o
lente
dei
seni
paranasali,
otiti,
tubercoloma
cerebrale
o
conglomerazione
di
granulomi),
• patologie
vasomotorie
con
danno
alla
BEE7
che
si
trova
a
livello
del
microcircolo
cerebrale
(arterio-‐
le
pre-‐capillari,
letto
capillare,
venule
post-‐capillari),
• alterazioni
della
circolazione
liquorale,
come
aumento
della
produzione
di
liquor,
od
ostacolo
al
suo
deflusso
e
riassorbimento,
• modificazioni
della
pressione
arteriosa
o
aumento
della
pressione
venosa.
Se
vengono
meno
i
meccanismi
di
compenso
o
non
fanno
in
tempo
ad
attivano,
perché
la
pressione
intra-‐
cranica
aumenta
molto
velocemente,
si
possono
osservare
danni
irreparabili
che
si
manifestano
con
sin-‐
tomi
clinici.
Infatti
il
compenso
è
migliore
quanto
più
la
lesione
occupante
spazio
cresce
lentamente:
per
esempio
un
meningioma
(a
lenta
crescita)
può
essere
asintomatico
finché
la
massa
non
diventa
di
grandi
dimensioni,
a
quel
punto
il
compenso
si
esaurisce
ed
insorgono
sintomi
come
sonnolenza
e
cefalea;
invece
un
tumore
aggressivo
o
un’emorragia
causano
una
sintomatologia
da
subito
evidente
perché
il
rapido
aumento
di
volume
non
permette
il
compenso.
In
questo
stadio
molto
avanzato,
a
piccoli
aumenti
di
vo-‐
lume
si
associa
un
aumento
esponenziale
della
pressione
intracranica;
infatti
la
curva
pressione-‐volume
che
rappresenta
le
variazioni
della
pressione
endocranica
in
funzione
delle
variazioni
di
volume
è
espo-‐
nenziale:
più
il
volume
aumenta,
più
servono
piccoli
incrementi
volu-‐
metrici
per
aumentare
la
pressione.
Distinguiamo
diverse
fasi
dell’ipertensione
endocranica.
1. Stadio
1
(fase
della
compensazione
spaziale).
L’incremento
di
volume
di
una
componente
è
com-‐
pensato
da
un
decremento
nelle
restanti
componenti.
2. Stadio
2.
Quando
il
meccanismo
di
compenso
si
esaurisce,
la
pressione
endocranica
comincia
a
salire
lentamente,
nel
tentativo
di
mantenere
la
pressione
di
perfusione
(che
è
la
differenza
tra
la
PA
si-‐
stemica
e
la
pressione
endocranica).
3. Stadio
3.
La
pressione
endocranica
sale
rapidamente
e
la
pressione
perfusione
si
riduce.
4. Stadio
4.
C’è
paralisi
vasomotoria.
La
pressione
endocranica
e
la
PA
sistemica
sono
uguali
e
la
circo-‐
lazione
cerebrale
cessa
(il
sangue
si
ferma
a
livello
del
forame
carotideo,
perché
la
pressione
arterio-‐
sa
non
riesce
a
vincere
le
resistenze
del
circolo
cerebrale).
Il
quadro,
a
causa
dell’assenza
di
perfusio-‐
ne
cerebrale,
esita
nella
morte
cerebrale.
Al
netto
distinguiamo:
• una
fase
di
compensazione
spaziale
in
cui
c’è
una
riduzione
del
liquido
cefalo-‐rachidiano,
dei
ventri-‐
coli
e
dello
spazio
subaracnoideo;
• una
distorsione
del
cervello
con
produzione
di
ernie.
Esse
inizialmente
costituiscono
un
meccanismo
di
compenso
temporaneo
all’aumento
di
pressione
che
alla
lunga
però
favorisce
lo
scompenso
finale;
infatti
questa
fase
precede
la
comparsa
di
ipertensione
endocranica
clinicamente
significativa.
Queste
fasi
possono
susseguirsi
in
maniera
lenta
o
molto
rapida
a
seconda
della
causa,
con
un
progressivo
deterioramento
delle
funzioni
cerebrali.
6
L’ascesso
è
costituito
da
una
parte
centrale
di
necrosi
purulenta
con
batteri,
una
parte
intermedia
di
tessuto
di
gra-‐
nulazione
con
vasi
e
cellule
infiammatorie
e
una
parte
esterna
di
tessuto
connettivo,
in
fase
iniziale
può
essere
non
riconoscibile
perché
non
ancora
ben
formato
(Il
Toxoplasma
non
determina
ascessi
ma
necrosi,
simulando
lesioni
ischemiche
con
edema).
7
La
BEE
è
formata
da
endotelio
continuo
(tight
junction)
non
fenestrato,
membrana
basale
e
processi
astrocitari
dista-‐
li.
ERNIE
CEREBRALI
La
scatola
cranica
è
compartimentalizzata
dai
sepimenti
della
du-‐
ra
madre
che
sono:
• la
falce
cerebrale,
che
divide
l’emisfero
destro
dal
sinistro,
• il
tentorio
del
cervelletto,
che
separa
gli
emisferi
dalla
fossa
cranica
posteriore;
esso
presenta
un’incisura
al
centro
sulla
quale
si
affacciano
le
parti
mediali
dei
lobi
temporali
e
a
li-‐
vello
della
quale
passa
il
mesencefalo,
che
è
in
rapporto
la-‐
teralmente
con
i
nervi
oculomotori
[III].
In
caso
di
aumento
della
pressione
endocranica,
attraverso
questi
sepimenti
si
può
formare
un’ernia
cerebrale,
cioè
uno
spostamen-‐
to
di
parte
dell’encefalo
dalla
sua
normale
posizione
a
un
compar-‐
timento
adiacente.
Distinguiamo
tre
tipi
di
ernie:
• subfalcina
(o
sopracallosa
o
del
giro
del
cingolo),
sotto
la
falce,
in
cui:
o il
giro
del
cingolo
ernia
lateralmente
sotto
il
margine
libero
della
falce,
quindi
tra
falce
e
corpo
calloso,
e
si
porta
nell’emisfero
controlaterale
trascindando
con
sé
spesso
le
due
arterie
perical-‐
lose
(rami
terminali
dell’arteria
cerebrale
anteriore),
o il
tetto
del
ventricolo
laterale
è
spinto
verso
il
basso;
o tra
le
possibili
complicanze,
può
esserci
un
infarto
del
territorio
delle
pericallose
per
compres-‐
sione
delle
stesse
e
quindi
mancanza
di
flusso
a
valle;
o si
associa
a
lesioni
piuttosto
anteriori;
• transtentoriali,
in
cui
una
parte
del
cervello,
insieme
a
vasi
e
nervi,
ernia
in
fossa
cranica
posteriore;
nel
dettaglio:
o l’uncus
(parte
mediale
del
lobo
temporale)
e
la
parte
mediale
del
giro
paraippocampale
si
erniano
attraverso
l’incisura
del
tentorio
e
si
portano
in
fossa
cranica
po-‐
steriore;
o il
tronco
è
deformato,
l’acquedotto
è
compresso,
il
pe-‐
duncolo
cerebrale
controlaterale
è
spinto
verso
il
mar-‐
gine
libero
del
tentorio
(c’è
una
paresi
che
va
in
diagnosi
differenziale
con
una
lesione
della
capsula
interna),
l’oculomotore
omolaterale
è
compresso
fra
il
margine
libero
del
tentorio
e
l’arteria
cerebellare
posteriore
(pertanto
può
esserci
midriasi),
Le
complicanze
sono:
o necrosi
da
pressione
sul
parenchima
a
livello
dell’erniazione,
o infarto
nel
territorio
della
arteria
cerebrale
posteriore
(talamo
posteriore
e
lobo
occipitale),
nel
caso
in
cui
questo
vaso
venga
compresso
dall’erniazione,
o emorragie
ed
infarti
nel
tronco
cerebrale,
come
le
emorragie
del
rafe
mediano,
segno
inequi-‐
vocabile
di
ipertensione
endocranica
(e
non
di
lesioni
traumatiche),
dovute
a
un
disallineamen-‐
to
delle
arterie
perforanti,
rami
della
basilare,
che
si
rompono
e
possono
perdere
il
contatto
con
il
vaso
di
origine.
Sono
patognomoniche
di
IP
e
rappresentano
una
possibile
causa
di
morte;
• tonsillari:
in
cui
si
ernia
il
contenuto
della
fossa
crani-‐
ca
posteriore,
in
particolare
le
tonsille
cerebellari,
nel
canale
vertebrale,
attraverso
il
forame
occipitale
(le
tonsille
cerebellari
sono
già
nell’anatomia
normale
parzialmente
impegnate
nel
canale
vertebrale).
Un’ernia
tonsillare
potrebbe
verificarsi
come
complicanza
di
tumori
cerebellari
che
crescono
rapidamente,
per
esempio
nei
bambini.
Si
ha
compressione
del
midollo,
del
bulbo
cervicale
e
dei
vasi
annessi
con
alterazione
della
respira-‐
zione
e
del
battito
cardiaco8.
Il
midollo
è
allungato
e
deformato
(a
volte
fino
a
livello
toracico),
le
tonsille
sono
necrotiche
e
c’è
danno
vascolare.
L’ernia
va
riparata
velocemente
altrimenti
può
porta-‐
re
ad
exitus.
EDEMA
CEREBRALE
Un
grande
contributo
al
precipitare
di
una
patologia
cerebrale,
compresa
quella
da
ipertensione
endocrani-‐
ca,
è
l’insorgenza
dell’edema
cerebrale,
dovuto
alla
reazione
del
parenchima
cerebrale
che
sta
attorno
alla
lesione,
in
cui
si
osserva
una
modificazione
del
contenuto
di
acqua.
In
generale
l’edema:
• è
un
incremento
del
volume
del
cervello
dovuto
a
un
aumento
del
suo
contenuto
di
acqua,
intersti-‐
ziale
o
intracellulare,
• è
una
potenziale
complicanza
di
traumi,
ischemie,
emorragie,
tumori,
infezioni
e
disturbi
metabolici,
• può
causare
significativo
incremento
di
volume
di
una
lesione
occupante
spazio.
I
tipi
principali
di
edema
cerebrale:
• vasogenico:
conseguenza
di
traumi
(potrebbero
entrare
in
gioco
meccanismi
di
pinocitosi)
e
necrosi
della
parete
vascolare
in
tumori,
infarti
e
lesioni
infiammatorie.
Si
ha
un’alterazione
della
BEE
che
causa
accumulo
di
acqua,
proteine
e
sodio
nello
spazio
extravascolare.
Si
localizza
principalmente
nella
sostanza
bianca;
• citotossico:
accumulo
di
acqua
in
sede
intracellulare
dovuto
a
un
danno
della
membrana
cellulare
e
a
un’alterazione
dell’equilibrio
osmotico
successivo
all’ischemia.
In
particolare,
si
ha
rigonfiamento
isotonico
delle
cellule
per
ingresso
massivo
di
acqua
ed
elettroliti
dagli
spazi
extracellulari,
conse-‐
guente
a
depolarizzazione
per
arresto
delle
pompe
ioniche
ATP-‐dipendenti9.
L’effetto
netto
è
lo
stesso:
aumenta
l’acqua,
quindi
il
volume
e
il
peso
nel
cervello.
Differenziare
le
due
forme
è
complesso
perché
i
due
meccanismi,
qualunque
sia
l’agente
scatenante,
alla
fine
vengono
coinvolti
entrambi.
L’edema
causa
effetti
clinici
solo
quando
è
sufficientemente
grave
da
produrre
aumento
della
pressione
endocranica
o
distorsione
ed
erniazione
del
cervello.
Le
conseguenze
sono:
• erniazioni
ed
espansioni
con
appiattimento
delle
circonvoluzioni,
• riduzione
del
liquor
(quasi
assente)
perché
è
riassorbito
nello
spazio
subaracnoideo,
• spostamento
della
linea
mediana
(uno
dei
criteri
principali
per
diagnosticare
la
sindrome
da
iper-‐
tensione
endocranica)
e
asimmetria
ventricolare,
• piccole
emorragie
diffuse.
8
Il
midollo
allungato
controlla
processi
fondamentali
per
la
sopravvivenza;
infatti
il
coma
progredisce
in
termini
di
gravità
con
il
progressivo
coinvolgimento
dell’encefalo
in
senso
rostro-‐caudale.
9
Questo
processo
è
tipico
dell’ischemia
e
può
essere
determinato
da:
mancanza
di
substrato,
iperconsumo
di
ATP,
cause
tossiche,
gravi
turbe
del
metabolismo
idrosalino.
CASI
CLINICI
1) Riscontro
diagnostico
nel
feto
(fino
al
IV-‐V
mese
non
c’è
calcificazione
completa
delle
ossa
craniche
e
pertanto
il
cranio
si
apre
nel
feto
non
con
la
sega
ma
con
le
forbici;
peraltro
fino
al
primo
anno
di
vita,
è
possibile
valutare
un’ipertensione
endocranica
semplicemente
premendo
leggermente
sulle
fonta-‐
nelle,
che
saranno
tese
in
caso
di
ipertensione):
si
osserva
ipoplasia
delle
ossa
craniche
ed
emorragia
emisferica
bilaterale
in
diversa
fase
di
organizzazione
in
un
feto.
Una
causa
possibile
è
il
trattamento
con
Valsartan
in
gravidanza
che
può
causare:
ipoplasia
polmonare,
insufficienza
renale,
disturbi
dell’ossificazione
cranica,
paralisi
flaccida.
2) Riscontro
diagnostico
nel
feto:
si
osserva:
• dilatazione
della
fossa
cranica
posteriore,
• agenesie
del
verme
cerebellare,
• dilatazione
cistica
del
IV
ventricolo.
La
compresenza
di
queste
tre
alterazioni
prende
il
nome
di
malformazione
di
Dandy-‐Walker.
I
pazienti
manifestano
nei
primi
mesi
di
vita
idrocefalo,
associato
a
occipite
prominente.
Sono
frequenti
i
segni
della
fossa
posteriore
come
le
paralisi
dei
nervi
cranici,
il
nistagmo
e
l'atassia.
3) Riscontro
diagnostico
del
cervello:
si
vedono
neoformazioni
che
invadono
la
fossa
cranica
anteriore
sx,
la
lamina
cribrosa
dell’etmoide
e
separano
l’osso
dalle
meningi.
Può
essere
una
neoformazione
del-‐
le
meningi
o
un
tumore
dei
seni
paranasali
che
ha
invaso
la
fossa
cranica.
Si
esamina
la
storia
clinica
della
paziente:
3
anni
prima
dell’exitus
aveva
effettuato
un
intervento
neu-‐
rochirurgico
con
allegato
il
seguente
referto
anatomopatologico:
• neoplasia
maligna
indifferenziata
con
crescita
in
nidi
solidi
e
trabecole,
• cellule
di
dimensioni
intermedie,
nucleo
ipercromatico,
profilo
irregolare
con
tendenza
alla
formazione
di
“Molding
nucleare”
(cellule
che
si
abbracciano),
nucleoli
scarsamente
evidenti,
• nessun
aspetto
di
differenziazione
neuronale:
non
si
vedono
rosette
né
neuropilo,
• positività
alla
CAM5.2
(citocheratina
indicativa
di
origine
epi-‐
teliale),
sinaptofisina
e
cromogranina
(marker
neuroendocri-‐
ni),
TTF-‐1
(per
tiroide
e
polmone),
S-‐100
(marcatore
neuroec-‐
todermico:
melanocita
e
cellula
di
Schwann),
MelanA
(per
i
melanomi).
La
diagnosi
differenziale
include
principalmente
un
carcinoma
neuroendocrino
scarsamente
differen-‐
ziato
e
un
neuroblastoma
olfattorio
indifferenziato
(grado
IV):
la
positività
per
la
citocheratina
e
per
TTF-‐1
depongono
a
favore
della
diagnosi
di
carcinoma
neuroendocrino
dei
seni
paranasali.
Ricordiamo
che
le
neoplasie
dei
seni
paranasali
sono:
1. papilloma,
2. carcinoma
seno-‐nasale
(squamoso
cheratinizzante,
adenocarcinoma,
a
piccole
cellule
neu-‐
roendocrino,
indifferenziato/anaplastico),
3. tumori
neurogeni
(tumore
raro,
origina
dai
filuzzi
del
nervo
olfattorio:
estesioneuroblastoma),
4. tumori
dei
melanociti,
5. linfomi.
4) Riscontro
diagnostico:
perdita
di
sostanza
bianca
parzialmente
cistica
nell’emisfero
di
sinistra
di
1
cm:
è
una
lacuna
vascolare.
5) Riscontro
diagnostico,
si
osserva:
• emorragia
subaracnoidea
estesa
alle
leptomeningi,
• petecchie
intraparenchimali
nei
lobi
frontale
e
temporale,
• edema
diffuso
alla
regione
sopratentoriale;
viene
rispar-‐
miato
il
cervelletto,
le
tonsille
cerebellari
sono
in
sede,
• le
circonvoluzioni
appaiono
più
ampie
mentre
i
solchi
sono
ristretti,
• ernia
transtentoriale
monolaterale
a
destra
del
giro
para-‐
ippocampale
(uncus).
In
sezione
coronale
si
osserva:
• parenchima
diffusamente
iperemico,
• emorragie
petecchiali
con
importante
coinvolgimento
del
lobo
temporale
in
sede
corticale
e
sottocorticale
(non
in
profondità);
l’interessamento
del
lobo
frontale
è
meno
esteso,
• vasi
iperemici.
6) Riscontro
diagnostico:
si
osserva
una
sezione
coronale
con
dilatazione
dei
ventricoli
e
della
scissura
sil-‐
viana.
C’è
un
idrocefalo,
le
cui
cause
possono
essere:
• blocco
liquorale
(idrocefalo
ostruttivo):
il
liquor
non
riesce
ad
uscire
dalle
diverse
zone
di
deflusso
a
causa
di
malformazioni
congenite
o
esiti
fibrotici
che
bloccano
la
circolazione
e
il
riassorbimento
del
liquor.
Ricordiamo
che
il
liquor
si
porta
dai
ventricoli
laterali,
attraverso
il
foro
del
Monro,
al
terzo
ventricolo,
quindi
all’acquedotto
di
Silvio
(che
è
una
struttura
sottile
che
può
chiudersi
fa-‐
cilmente;
è
una
causa
di
riduzione
del
deflusso
nell’idrocefalo
del
bambino),
poi
al
quarto
ventri-‐
colo,
infine
attraverso
i
fori
di
Luska
e
Magendie
nello
spazio
subaracnoideo.
Quindi,
i
principali
punti
di
chiusura
sono
il
terzo
ventricolo,
l’acquedotto
del
Silvio,
il
quarto
ventricolo
e
lo
spazio
subaracnoideo,
se
ci
sono
ponti
fibrotici
esito
di
una
flogosi
preesistente;
• aumento
di
produzione
del
liquor
(idrocefalo
ipersecretivo):
non
si
verifica
nell’adulto,
ma
nel
bambino
esiste
un
raro
tumore
benigno
dei
plessi
corioidei
(strutture
nei
ventricoli
deputate
a
produrre
il
liquor)
nel
quale
il
plesso
stesso
prolifera.
I
plessi
corioidei
infatti
si
trovano
a
livello
del
forame
di
Monroe,
del
terzo
ventricolo
(poco
visibi-‐
le),
del
quarto
ventricolo
(visibile),
del
corno
occipitale
dei
ventricoli
laterali;
• dilatazione
ex
vacuo:
si
ha
una
atrofia
del
parenchima
cerebrale
con
conseguente
dilatazione
del-‐
le
cavità,
con
il
cervello
che
riduce
il
suo
peso;
in
più,
si
verifica
la
dilatazione
dei
solchi
e
soprat-‐
tutto
della
scissura
silviana.
2.
PATOLOGIA
INFETTIVA
DEL
SNC
Le
patologie
infettive
del
SNC
sono
caratterizzate
da:
• manifestazioni
cliniche
variabili:
il
decorso
può
essere
rapido
o
indolente
e
progressivo,
a
seconda
dall’interazione
tra
agente
infettivo
ed
ospite,
• differenti
sedi
di
localizzazione,
come
lo
spazio
subdurale,
lo
spazio
extradurale
(tra
cranio
e
dura
madre,
soprattutto
al
vertice
della
calotta,
in
cui
le
due
strutture
non
sono
così
adese,
o
addirittura
nella
colonna
vertebrale
in
cui
sono
contenuti
tessuto
adiposo
e
molti
vasi.
Per
esempio
un
ascesso
tubercolare
osseo
vertebrale
può
portarsi
in
questo
spazio),
le
meningi
(dentro
la
leptomeninge),
il
parenchima
cerebrale;
• differenti
vie
di
ingresso:
l’infezione
può
diffondersi
al
SNC
prevalentemente
per
via
ematogena;
si
diffonde
per
contiguità,
in
genere,
in
presenza
di
processi
infettivi
al
massiccio
facciale,
come
in
caso
di
ascessi
dentari,
otite,
sinusite
cronica
ai
seni
paranasali
(indipendentemente
dalla
virulenza
del
pa-‐
togeno,
l’ascesso
può
superare
le
sottili
ossa
che
delimitano
i
seni
ed
espandersi
nella
cavità
extradu-‐
rale,
poi
in
sede
subdurale
ed
in
fine
formare
un
ascesso
cerebrale
nel
parenchima).
Le
vie
d’ingresso,
da
cui
il
patogeno
diffonde
poi
per
via
ematogena
o
linfatica,
sono
più
frequente-‐
mente
le
mucose
del
tratto
GI,
le
vie
respiratorie;
il
virus
della
Rabbia,
l’Herpes
virus
e
tutti
gli
Arbovi-‐
rus
guadagnano
l’accesso
attraverso
la
cute;
• differenti
agenti
patogeni10:
si
distinguono
infezioni
virali,
batteriche
o
da
protozoi
e
parassiti.
Que-‐
ste
sono
di
differente
intensità
e
gravità
in
relazione
all’immunità
dell’ospite
(immunocompetente
o
immunocompromesso).
MALATTIE
VIRALI
DEL
SNC
Le
malattie
virali
del
SNC
sono:
• la
meningite
virale
(infiammazione
delle
leptomeningi),
• l’encefalite
acuta
infettiva
e
l’encefalomielite,
con
interessamento
del
parenchima
cerebrale:
l’encefalite
interessa
la
corteccia
e
la
sostanza
bianca
sottostante,
l’encefalomielite
interessa
anche
il
midollo
spinale,
• l’encefalite
acuta
post-‐infettiva,
su
base
immunitaria,
• l’encefalite
subacuta,
che
si
automantiene,
• l’encefalite
cronica.
L’AP
è
coinvolta
soprattutto
nelle
encefaliti,
di
solito
nel
riscontro
diagnostico
post
mortem,
raramente
per
la
diagnosi
su
biopsie.
MENINGITE
VIRALE
La
meningite
virale
non
è
di
competenza
dell’anatomo-‐patologo;
infatti
per
questa
forma
di
meningite
non
è
necessaria
una
diagnosi
morfologica
su
frammenti
bioptici.
• E’
una
meningite
relativamente
comune
che
colpisce
bambini
e
giovani
adulti.
• Si
osserva
generalmente
un
esordio
acuto,
un’evoluzione
benigna
e
una
risoluzione
senza
conse-‐
guenze
(si
autoestingue).
• La
diagnosi
è
prevalentemente
clinica
e
laboratoristica
con
esame
del
liquor
(chimico,
citologico
e
vi-‐
rologico).
Il
liquor
ha
un
aspetto
limpido
e
chiaro,
con
scarsa
cellularità:
si
parla
infatti
di
meningite
a
10
Ricordiamo
che
i
virus
non
sono
visibili
al
microscopio
ottico,
se
non
per
la
presenza
di
inclusi
virali,
a
differenza
del-‐
la
maggior
parte
dei
batteri
(anche
differenziabili
in
Gram-‐positivi
e
negativi),
dei
parassiti
e
dei
protozoi.
liquor
limpido;
si
può
ricorrere
alla
PCR11
che
risulta
positiva
per
il
genoma
virale
e
indica
che
il
virus
si
sta
replicando
attivamente.
• Il
principale
patogeno
è
l’Enterovirus.
ENCEFALITE
ACUTA
L’encefalite
acuta
è
una
infiammazione
localizzata
nel
parenchima
cerebrale,
conseguenza
di
una
malat-‐
tia
virale
disseminata.
Ha
un’evoluzione
progressiva
che
può
essere
arrestata
da
una
diagnosi
precoce
e
da
una
terapia
mirata,
senza
le
quali
può
condurre
all’exitus
del
paziente.
La
diagnosi
è
radiologica
e
viro-‐
logica,
l’esame
anatomo-‐patologico
può
essere
post
mortem
o
bioptico.
Esame
macroscopico
L’
aspetto
macroscopico,
eseguito
post
mortem,
varia
in
rapporto
alla
fase
dell’infezione
i
n
cui
si
è
verifica-‐
to
i
l
decesso.
Quando
la
morte
avviene
in
modo
improvviso
e
precoce
(per
esempio
per
complicanze
in-‐
ternistiche),
il
parenchima
può
apparire
normale
e
privo
di
alterazioni
macroscopiche.
Se
l’infezione
è
ad
uno
stadio
avanzato,
è
possibile
osservare:
• opacamento
delle
meningi
e
congestione
vascolare
(aspecifico);
• emorragie,
segno
patognomonico
di
infezione
virale,
soprattutto
quando
localizzate
in
specifiche
aree
dei
lobi
corticali;
• necrosi
estesa
o
“rammollimento”
del
parenchima
(riduzione
di
consistenza):
nonostante
la
fissazio-‐
ne,
le
regioni
in
cui
si
è
verificata
la
necrosi
si
caratterizzano
per
una
consistenza
morbida
e
meno
compatta
rispetto
alle
aree
circostanti;
• edema
generalizzato
o
localizzato,
quadro
aspecifico
conseguenza
di
un’alterazione
alla
circola-‐
zione
endocranica
e
della
BEE.
Esame
microscopico
Per
l’esame
microscopico
serve
un
campionamento
ampio,
che
tenga
presente
che
le
zone
maggiormente
informative
sono
quelle
attorno
alla
lesione.
Si
osservano:
• infiltrato
infiammatorio
generalmente
cronico
(lin-‐
fociti
T
e
B,
plasmacellule
policlonali
e
macrofagi).
Nelle
forme
virali
inizialmente
possono
associarsi
a
un
infiltrato
infiammatorio
acuto
(con
granulociti
neutrofili)
che
va
in
diagnosi
differenziale
con
le
en-‐ Reazione istiocitaria
cefaliti
batteriche.
I
linfociti
tendono
ad
aggregarsi
at-‐ e macrofagica con
cellule che si allonta-‐
torno
ai
vasi,
che
sono
conservati,
dove
formano
ca-‐
nano dal vaso.
ratteristici
manicotti
perivascolari;
• reazione
microgliale,
degli
istiociti
residenti
(individuabili
con
difficoltà
nel
parenchima
normale),
che
possono
essere
messi
in
evidenza
con
anticorpi
contro
gli
istiociti
(anti-‐CD68).
Sono
cellule
allungate
con
prolungamenti
piccoli
e
corti.
In
caso
di
encefalite
virale
si
osservano
ipertrofia
e
iperplastia
del-‐
le
cellule
della
microglia,
che
assumono
un
aspetto
reticolare
ed
allungato
con
prolungamenti
sottili
(“rod
cells”),
e
si
uniscono
in
gruppi
(addensamenti)
di
cellule
iperplastiche
dette
stelle
microgliari
(aspetto
patognomonico
dell’infezione
virale).
Le
cellule
della
microglia
si
dispongono
quindi
attorno
ai
neuroni
in
necrosi
nel
tentativo
di
fagocitarli:
il
processo
è
chiamato
neuronofagia.
11
La
ricerca
del
genoma
virale,
oltre
che
con
PCR
nel
liquor,
può
essere
ricercato
anche
sul
campione
istologico
fissato
in
formalina
e
incluso
in
paraffina.
Infatti
è
possibile
estrarre
il
DNA
virale
dalla
paraffina
e
fare
la
PCR,
oppure
utilizza-‐
re
tecniche
FISH-‐simili
usando
dei
cromogeni,
che
possono
essere
visti
al
microscopio
ottico
-‐
questa
tecnica
è
tipica-‐
mente
usata
per
individuare
la
presenza
del
EBV
in
cellule
infettate
o
neoplastiche
(linfoma
di
Burkitt).
Si
ha
una
doppia
reazione
istiocitaria
data
dalla
somma
della
reazione
microgliare
e
della
reazione
monocito-‐macrofagica
operata
dai
monociti
arrivati
dal
circolo
ematico;
• astrocitosi:
è
una
reazione
astrocitaria
di
tipo
riparativo
in
cui
gli
astrociti
reattivi
diventano
iperpla-‐
stici
e
ipertrofici,
e
presentano
un
abbondante
citoplasma
eosinofilo,
un
nucleo
con
cromatina
di-‐
spersa,
nucleoli
ben
evidenti,
e
perdono
o
riducono
i
prolungamenti
(morfologicamente
assomigliano
ad
un
neurone,
essendo
tuttavia
privi
della
sostanza
tigroide
o
corpo
di
Niessel).
Per
mezzo
di
questo
processo
si
forma
una
cicatrice
glio-‐mesenchimale
nel
parenchima
cerebrale:
nel
SNC
il
tessuto
per
la
cicatrizzazione,
poiché
il
cervello
ne
è
quasi
privo,
è
prelevato
dal
tessuto
connettivo
delle
menin-‐
gi,
che
genera
gli
spazi
di
Virchow
e
Robin,
e
dalla
avventizia
dei
vasi
più
grandi;
• alterazioni
nei
neuroni,
dovute
al
fatto
che
il
virus
è
citopatico.
Per
esempio
si
formano
corpi
inclusi:
strutture
eosinofile
all’interno
del
nucleo
e
che
spin-‐
gono
alla
periferia
la
cromatina,
sostituendola.
Atte-‐
stano
la
localizzazione
intracellulare
del
virus.
Basan-‐
dosi
sulla
loro
caratteristica
morfologia,
l’anatomo-‐
patologo
può
formulare
una
diagnosi
certa
di
infe-‐
zione
virale;
Corpi
inclusi
• necrosi
(aspecifica).
Gli
istiociti
schiumosi
(o
cellule
granulo-‐grassose
o
macrofagi
spumosi)
prove-‐
nienti
dal
circolo
ematico
fagocitano
il
neuropilo
necrotico:
si
accumulano
pertanto
nel
loro
cito-‐
plasma
grandi
quantità
di
lipidi
derivati
dal
rivestimento
mielinico
degli
assoni;
• demielinizzazione
(aspecifica),
caratteristica
delle
forme
post-‐infettive.
Encefaliti
erpetiche:
caratteristiche
specifiche
Le
principali
encefaliti
virali
sono
da
HSV1
e
HSV2,
CMV,
EBV12,
VZV.
Queste
classi
virali
colpiscono
gene-‐
ralmente
adulti
o
anziani
e
raramente
causano
infezioni
nei
bambini;
essi
sono
responsabili
di
encefaliti
vi-‐
rali
in
soggetti
sia
immunocompetenti
che
immunocompromessi.
• Encefalite
da
HSV1.
L’encefalite
da
HSV1
è
la
forma
sporadica
e
non
stagionale
più
comune
nei
sog-‐
getti
immunocompetenti
e
ha
un
decorso
rapido
e
infausto.
L’esame
macroscopico
mostra
una
le-‐
sione
fronto-‐temporale
(lobo
frontale
basale
e
mediale,
insula,
giro
del
cingolo)
necrotico-‐
emorragica,
caratterizzata
da
lesioni
bilaterali
e
asimmetriche.
Nel
dettaglio,
sempre
da
un
punto
di
vista
macroscopico,
il
cervello
appare
aumentato
di
dimensioni
(edematoso)
con
circonvoluzioni
schiacciate,
emorragie
sulla
leptomeninge
e
intraparenchimali,
aree
corticali
e
sottocorticali
necrotiche.
Se
il
paziente
non
muore
subito
l’infezione
si
può
consolidare
(innescando
una
lenta
risposta
cicatriziale),
la
corteccia
necrotica
si
assottiglia
e
rimane
di
colorito
rossastro.
La
diagnosi
è
principalmente
radiologica
per
la
caratteristica
localizzazione
dell’infezione,
e
virologica
(PCR
su
liquor);
nel
bambino
piccolo
è
più
complessa
perché
le
lesioni
possono
es-‐
sere
diffuse
e
corrispondere
a
specifici
territori
vascolari.
Patognomonici
sono
gli
inclusi
nucleari
eosinofili
e
omogenei
che
dislocano
la
cromatina
in
periferia,
ma
in
loro
assenza
la
diagnosi
è
di
deduzione
dagli
aspetti
emorragici
e
dall’esame
Inclusi
nucleari
HSV1
citologico.
specifici
12
Non
tanto
coinvolto
nella
patologia
infiammatoria,
bensì
nella
malattia
linfoproliferativa
• Encefalite
da
HSV2.
HSV2
colpisce
tipicamente
la
zona
genitale
e
raramente
è
causa
di
encefalite.
Si
manifesta
principalmente
nei
neonati
per
infezione
perinatale
al
passaggio
nel
canale
del
parto
e
in
soggetti
immunocompromessi
(raramente).
L’infezione
provoca
un’encefalite
acuta
e
diffusa,
senza
una
chiara
delimitazione
di
territorio
a
differenza
della
forma
da
HSV1.
• Encefalite
da
Citomegalovirus
(CMV).
Nella
maggior
parte
dei
casi
CMV
causa
encefalite
subacuta
in
pazienti
immunocompromessi.
Il
CMV
è
un
virus
opportunista,
può
aggravare
il
quadro
di
malattie
croniche
preesistenti
come
la
ret-‐
to
colite
ulcerosa
(RCU),
oppure
può
colpire
pazienti
con
immunodeficienza
acquisita
da
HIV
o
iatro-‐
gena
(a
seguito
dell’utilizzo
di
chemioterapici
o
immunosoppressori
in
pazienti
trapiantati).
Nel
neonato,
l’encefalite
si
può
sviluppare
in
seguito
ad
infezione
prenatale
contratta
in
utero;
soli-‐
tamente
si
risolve,
ma
in
rari
casi
c’è
una
grave
distruzione
cerebrale
che
determina
una
compromis-‐
sione
grave
dello
sviluppo
dell’encefalo
(microcefalia).
L’infezione
ha
una
localizzazione
periventricolare,
aspetto
utile
per
fare
diagnosi:
c’è
un’intensa
ven-‐
triculite
con
infiltrato
infiammatorio
nei
plessi
corioidei
e
iperemia;
nelle
sedi
interessate,
dopo
la
guarigione,
ci
sono
calcificazioni.
A
livello
microscopico
si
osservano:
o infiltrato
infiammatorio
formato
da
molti
granulociti
(va
in
diagnosi
differenziale
con
infezione
batterica),
monociti,
linfociti
e
plasmacellule,
o inclusi13
patognomonici
detti
“a
uccello
notturno”
(nome
tradi-‐
zionale)
o
“a
occhio
di
civetta”,
visibili
al
microscopio
ottico
a
forte
ingrandimento.
L’incluso
intranucleare
è
di
grandi
dimen-‐
sioni
ed
occupa
una
posizione
centrale,
si
vede
un
alone
più
chia-‐
ro
alla
periferia
del
nucleo.
La
diagnosi
è
istologica
e
possono
essere
utilizzate
tecniche
ancillari
come
l’immunoistochimica
e
la
PCR
(su
liquor
o
campione
istologi-‐
co).14
ENCEFALITE
POST-‐INFETTIVA
(ALLERGICA
O
PERIVENOSA
–
ADEM)
L’encefalite
post-‐infettiva
è
una
patologia
autoimmunitaria
rara
scatenata
da
un’infezione
virale:
c’è
una
cross-‐reattività
del
sistema
immunitario
che
inizia
a
danneggiare
il
parenchima
cerebrale;
non
c’è
quindi
un
danno
diretto
da
parte
del
virus.
• Si
presenta
con
esordio
acuto
nel
corso
di
una
malattia
esantematica
(varicella,
morbillo,
paroti-‐
te,
rosolia,
etc.)
o
virale
di
altro
tipo,
dai
5
ai
25
giorni
successivi
al
rush
cutaneo.
• Può
avere
un
decorso
acuto
o
subacuto
con
pro-‐
gressiva
distruzione
del
parenchima
cerebrale
mediata
dal
sistema
immunitario:
il
virus
non
è
13
È
possibile
trovare
degli
inclusi
a
livello
extracerebrale:
nello
stomaco,
dove
si
associano
a
sintomatologia
blanda,
a
livello
intestinale
in
un
paziente
con
RCU,
dove
indicano
una
superinfezione
in
atto.
14
Oggi
vengono
fatte
sempre
più
diagnosi
molecolari
con
ricercando
il
genoma
virale
con
la
tecnica
PCR
nel
liquor,
ma
anche
sul
campione
istologico
fissato
in
formalina
e
incluso
in
paraffina:
viene
estratto
il
DNA
virale
dalla
paraffina
e
inviato
al
microbiologo
che
fa
la
PCR
per
identificare
l’agente.
Si
possono
utilizzare
tecniche
simili
alla
FISH
di
ibridizza-‐
zione
in
situ,
non
con
fluorescenza,
ma
usando
dei
cromogeni,
che
possono
essere
visti
al
microscopio
ottico:
dopo
aver
messo
a
contatto
un
primer
marcato
contro
il
DNA
virale
col
tessuto,
laddove
si
verifichi
il
match,
si
avrà
una
rea-‐
zione
cromatica.
Questa
tecnica
si
usa
tipicamente
per
individuare
la
presenza
del
EBV
in
cellule
infettate
o
in
cellule
che
hanno
subito
una
trasformazione
neoplastica
a
causa
dell’infezione
da
parte
del
medesimo
agente
eziologico.
isolabile
nel
cervello
(la
PCR
su
tessuto
o
liquor
è
negativa).
• L’aspetto
caratteristico
è
un
quadro
di
demielinizzazione,
in
genere
perivascolare
ed
evidenziabile
con
il
Luxol
fast
blue,
associata
ad
infiltrato
infiammatorio
diffuso
di
linfociti
reattivi
che
mediano
la
risposta
immunitaria
scatenata
dall’infezione
(contro
la
mielina).
• La
mielina
garantisce
la
conduzione
dell’impulso,
quindi
una
sua
perdita
provoca
deficit
motori
e
sensoriali
importanti
che
si
manifestano
con
sintomi
clinici
neurologici.
Va
in
diagnosi
differenziale
con
la
sclerosi
multipla15.
Questa
perdita
di
mielina
può
essere
evidenziata
con
la
colorazione
immunoistochimica
Luxol
fast
blue:
il
pigmento
lega
ad
alta
affinità
la
mielina,
le
aree
non
colorate
sono
quelle
in
cui
è
avvenuta
la
demielinizzazione.
Anche
la
risonanza
magnetica
è
sensibile
e
permette
di
evidenziare
la
perdita
di
mielina.
Un
virus
che
può
essere
causa
di
un’encefalite
post-‐infettiva
è
il
virus
del
morbillo,
che,
in
generale,
può
causare
a
livello
cerebrale:
• un’encefalite
da
morbillo,
che
è
un’encefalite
necrotizzante
causata
dal
virus
che
si
porta
nel
SNC
e
causa
danno
diretto,
• un’encefalite
post-‐infettiva
demielinizzante,
• un’encefalite
da
corpi
inclusi,
tipica
dei
pazienti
immunocompromessi
che
vengono
a
contatto
con
il
virus:
è
rara,
subdola
e
difficile
da
riconoscere
(ci
sono
inclusi
virali),
• la
pancencefalite
subacuta
sclerosante,
che
colpisce
i
bambini
che
hanno
avuto
il
morbillo
nei
primi
anni
della
vita,
è
la
forma
più
grave
e
può
insorgere
anche
anni
dopo
l’infezione.
INFEZIONI
BATTERICHE
DEL
SNC
Le
infezioni
batteriche
del
SNC
si
concentrano
soprattutto
sulle
meningi,
a
differenza
dei
virus
che
preferi-‐
scono
il
cervello.
Infatti,
l’encefalite
batterica
è
molto
rara.
La
patologia
infettiva
batterica
più
frequente
è
la
meningite
purulenta,
che
è
molto
differente
dalla
meningite
virale.
Le
vie
d’accesso
dei
batteri
sono:
• la
diffusione
ematogena
da
un
focolaio
a
distanza
(osteomielite,
endocardite,
infezione
cutanea,
bronchiectasie,
artrite
settica),
• la
diffusione
da
per
contiguità
da
un
focolaio
limitrofo
(seni
paranasali,
orecchio
medio
o
ascesso
paradontale);
in
questo
caso
l’origine
è
una
sede
di
infezione
della
regione
testa-‐collo;
• ferite
penetranti
o
traumi
(raramente),
• malformazioni
cardiache
o
shunt
cardiali
inseriti
in
un
ventricolo,
che
favoriscono
il
passaggio
di
emboli
settici.
I
fattori
predisponenti
sono:
• patologie
predisponenti,
• età
molto
giovane
o
età
avanzata
per
immunodeficienza
(scarsa
risposta
immunitaria
alle
infezioni),
• malattie
croniche
della
regione
testa-‐collo
e
del
polmone,
15
La
sclerosi
multipla
è
un’altra
patologia
demielinizzante
degenerativa
con
decorso
cronico
alternato
a
fasi
di
riacu-‐
tizzazione.
Ha
differente
eziologia,
ma
sintomatologia
clinica
simile
all’encefalite
poiché
il
meccanismo
patologico
co-‐
mune
è
la
perdita
di
mielina
sostenuta
da
un
processo
infiammatorio,
che
nelle
fasi
acute
di
malattia
è
ben
visibile
all’imaging
(RM).
Inoltre,
all’esame
istologico
della
SM
in
fase
attiva,
si
notano
lesioni
simili
a
quelle
dell’encefalite
post-‐infettiva.
• splenectomia,
• immunocompromissione
(soprattutto
della
risposta
innata),
• valvulopatia
cardiaca
su
base
infettiva,
• shunt
cardiaci
interatriali,
• immunodeficienze
acquisite,
• la
presenza
di
cateteri
nei
ventricoli
che
drenano
in
addome.
La
fisiopatologia
si
caratterizza
per:
• microbi
che
circolano
durante
la
sepsi
attraversano
il
microcircolo
e
raggiungono
rapidamente
la
me-‐
ninge;
• microbi
che
arrivano
con
emboli
settici
producono
ascessi
intraparenchimali
senza
importante
lep-‐
tomeningite;
• microbi
che
arrivano
direttamente
dai
seni
e
provocano
empiema
epidurale
o
subdurale.
Nel
dettaglio,
le
infezioni
da
piogeni
del
SNC
sono:
• leptomeningite
purulenta
(per
diffusione
ematogena),
la
più
frequente,
• ascessi
(più
frequenti)
o intraparenchimali
(cerebrali):
si
sviluppano
soprattutto
a
partire
da
endocarditi
batteriche
che
formano
emboli
settici,
i
quali
attraverso
il
circolo
ematico
tendono
a
bypassare
la
meninge,
o epidurali
o
extradurali:
si
sviluppano
per
contiguità
da
un
focolaio
settico,
per
esempio
da
infe-‐
zioni
croniche
localizzate
del
massiccio
facciale
che
creano
tessuto
di
granulazione
con
vasi
neoformati
e
possono
erodere
il
tavolato
osseo,
o subdurali
o
empiema.
Un
altro
quadro
caratteristico,
non
da
piogeni,
è
quello
della
meningite
cronica
(tubercolare,
neurosifilide,
malattia
di
Lyme).
(LEPTO)MENINGITE
BATTERICA
La
leptomeningite
batterica
è
frequente,
colpisce
soprattutto
i
bambini
e
i
giovani
adulti.
• Può
colpire
i
neonati
per
infezione
perinatale
contratta
nel
canale
del
parto
da
batteri
della
flora
va-‐
ginale
o
del
canale
anale
materno
(Streptococco
β-‐emolitico
gruppo
B,
Pseudomonas,
E.
coli,
Listeria,
S.
aureus).
• Nel
periodo
postnatale
gli
agenti
patogeni
più
comuni
sono
Neisseria,
Pneumococco
(responsabile
anche
delle
infezioni
nello
adulto),
Haemofilus
influenzae.
• Il
meningococco
rappresenta
la
sola
forma
epidemica:
è
la
forma
più
frequente
entro
i
5
anni
di
vita.
Si
contrae
più
facilmente
fre-‐
quentando
ambienti
affollati
come
asili
e
scuole,
per
questo
è
considerata
una
patolo-‐
gia
‘comunitaria’.
• La
maggior
parte
delle
meningiti
nell’adulto
è
causata
dallo
pneumococco.
La
diagnosi
è
laboratoristica,
si
identifica
l’agente
eziologico
attraverso
la
coltura
liquorale
o
tramite
meto-‐
diche
di
biologia
molecolare.
La
meningite
batterica,
a
differenza
di
quella
virale,
è
una
meningite
a
liquor
torbido:
il
liquor
è
ricco
di
neutrofili
(purulento).
Meningite
da
meningococco
La
meningite
da
meningococco
è
il
prototipo
delle
meningiti
batteriche,
così
come
la
meningite
da
Herpe-‐
svirus
è
il
prototipo
di
quelle
virali.
Frequente
nei
bambini
nei
primi
5
anni,
esordisce
generalmente
dopo
un’infezione
delle
vie
aeree
superio-‐
ri.
Ha
un
decorso
acuto
molto
rapido.
I
sintomi
clinici
riferiti
sono:
febbre,
cefalea,
nausea,
vomito,
stato
di
confusione
mentale,
letargia,
fotofobia,
rigidità
nucale,
rash
cutaneo
(manifestazione
rara).
Nei
neonati
può
avere
presentazioni
atipiche.
Talvolta,
la
sintomatologia
classica
è
preceduta
da
una
com-‐
plicanza
sistemica
come
la
sepsi
generalizzata
(setticemia)
con
shock
e
CID
che,
nei
casi
più
gravi,
può
por-‐
tare
a
morte
in
poche
ore.
Si
consiglia
di
non
iniziare
precocemente
una
terapia
antibiotica
per
non
ma-‐
scherare
o
attenuare
la
comparsa
dei
sintomi.
La
diagnosi
è
prevalentemente
clinica.
La
neuroradiologia
nelle
fasi
precoci
non
è
sensibile
perché
non
vi
sono
ancora
lesioni
necrotiche
o
emorragiche
del
parenchima
cerebrale,
essendo
interessata
soprattutto
la
meninge.
Se
si
sospetta
una
meningite
è
necessario
eseguire
l’esame
del
liquor
che
mostra:
• aspetto
purulento,
• molti
granulociti
e
proteine,
marcata
riduzione
del
glucosio,
• positività
per
l’agente
infettivo.
L’anatomia
patologica
si
occupa
di
autopsie
su
soggetti
deceduti
repentinamente
e/o
con
sospetto
di
menin-‐
gite
batterica;
spesso
le
lesioni
alle
meningi
non
sono
evidenti
macroscopicamente,
ma
si
osservano
segni
di
una
pregressa
CID
(petecchie
e
micro-‐emorragie)
nel
parenchima
di
altri
organi
o
nella
cute
che
inducono
a
ricercare
l’infezione
a
livello
microscopico.
A
seconda
del
decorso
della
meningite
abbiamo
differenti
quadri
microscopici:
• meningite
a
decorso
iperacuto
(exitus
entro
24h),
con
sviluppo
di
setticemia,
shock
settico
e
CID.
All’autopsia
si
notano
i
segni
indiretti
dell’infezione
e
gli
aspetti
di
un
difetto
del
microcircolo.
Lesioni
riconducibili
alla
CID
possono
essere
osservate
in
diversi
organi
e
apparati:
o l’emorragia
surrenalica
bilaterale
(sindrome
di
Waterhouse-‐Friderichsen),
o necrosi
centro-‐lobulare
del
fegato,
o emorragia
petecchiale
disseminata.
Il
focolaio
iniziale
è
difficile
da
identificare,
le
meningi
sono
soltanto
iperemiche;
• meningite
a
decorso
acuto
(2
giorni):
quadro
classico
di
meningite
purulenta.
Il
focolaio
si
trova
nello
spazio
sub-‐aracnoideo,
che
è
pieno
di
pus,
soprattutto
a
livello
del
basicranio,
dove
lo
spazio
è
più
grande
per
la
presenza
di
cisterne.
Il
liquor
è
torbido,
i
vasi
sanguigni
sono
iperemici,
congestio-‐
nati
e
prominenti,
e
si
verifica
un’alterazione
della
circolazione,
che
porta
alla
formazione
di
edema
diffuso.
Nel
giro
di
1-‐2
giorni
si
può
sviluppare
un
danno
al
parenchima
secondario
alla
presenza
di
ede-‐
ma
cerebrale,
infiltrato
infiammatorio
e
micro-‐emorragie;
• meningite
a
decorso
subacuto
(1
settimana
o
in
caso
di
terapia
non
immediatamente
efficace):
pro-‐
cesso
di
cronicizzazione
con
comparsa
di
un
infiltrato
infiammatorio
cronico
(linfociti,
macrofagi
e
plasmacellule)
che
può
evolvere
in
un
quadro
più
critico
o
risolversi
senza
sequela.
Il
peggiora-‐
mento
è
dovuto
alla
diffusione
dell’infiltrato
nel
sistema
ventricolare,
quindi
nel
circolo
liquorale.
Nello
spazio
subaracnoideo
si
possono
formare
briglie
o
tralci
fibrotici,
che
possono
causare
una
chiusura
dell’acquedotto
e
lo
sviluppo
di
un
idrocefalo
post-‐infettivo.
Una
terapia
rapida
ed
adegua-‐
ta,
in
fase
acuta,
può
prevenire
la
cronicizzazione
e
portare
a
guarigione
senza
reliquati.
All’esame
macroscopico
si
osserva
infiammazione
purulenta
localizzata
a
livello
della
base
cranica,
in
corrispondenza
della
cisterna
liquorale.
All’esame
microscopico
si
identificano
numerosi
granulociti,
agglomerati
batterici
ed
istiociti
reattivi
nel
processo
di
fagocitosi;
si
può
localizzare
anche
l’agente
infettivo.
ASCESSO
CEREBRALE
L’ascesso
cerebrale
è
una
massa
occupante
spazio
localizzata
nella
sostanza
bianca.
Ha
margini
ben
definiti
e
presenta
un
tessuto
di
granulazione
con
aspetto
simile
alla
neoagiogenesi
tumorale;
va
in
diagnosi
differenziale
con
un
nodulo
neoplastico.
Generalmente
deriva
dall’infiltrazione
di
un
agen-‐
te
infettivo
che
scatena
una
risposta
immunitaria
efficace,
si
instaura
quindi
un
equilibrio
tra
il
bat-‐
terio
a
bassa
virulenza
(principalmente
patogeni
dentali
e
dell’orecchio)
e
l’ospite.
Il
processo
infiammatorio
circoscrive
l’infezione,
si
forma
un
nodulo
con
centro
necrotico
e
tessuto
di
gra-‐
nulazione16,
delimitato
in
periferia
da
una
capsula
fibrosa
che
macroscopicamente
appare
perlacea
e
viene
formata
lentamente
nel
tempo
e
con
fatica,
poiché
il
parenchima
cerebrale
normale
è
privo
di
tessuto
con-‐
nettivo:
il
tessuto
connettivo
deriva
in
parte
dai
vasi
neoformati
del
tessuto
di
granulazione,
e
in
parte
dalla
meninge
e
dal
connettivo
avventiziale
dei
vasi
più
grandi.
In
caso
di
raccolta
purulenta
nello
spazio
subdurale
si
parla
di
empiema
subdurale.
MENINGITI
CRONICHE
BATTERICHE
Il
prototipo
di
meningite
cronica
batterica
è
la
meningite
tubercolare,
seppur
oggi
molto
meno
frequente
da
un
punto
di
vista
epidemiologico.
Può
essere
più
raramente
associata
a
sifilide
oppure
essere
l’evoluzione
di
una
meningite
acuta
non
adeguatamente
trattata.
La
meningite
tubercolare
può
insorgere:
• nella
forma
primaria,
per
disseminazione
quando
si
contrae
l’infezione:
in
questo
caso
la
malattia
è
acuta;
• nella
forma
secondaria,
a
seguito
di
interessamento
sistemi-‐
co
(TBC
miliare),
dovuta
a
una
riattivazione
della
malattia
per
inefficace
o
ridotta
risposta
immunitaria.
La
lesione
istologica
patognomonica
è
il
granuloma
circondato
da
tessuto
fibrotico
(dato
dall’equilibrio
stabile
tra
agente
infettivo
e
ospite),
che
diventa
tubercolo
in
presenza
di
necrosi
caseosa17.
La
meningite
cronica
batterica
si
localizza
prevalentemente
alla
ba-‐
se
cranica
(a
differenza
della
meningite
acuta
batterica,
diffusa
omogeneamente
nel
parenchima
cerebrale),
dove
ci
sono
i
grossi
vasi
e
i
nervi
cranici.
Infatti
la
sintomatologia
è
riconducibile:
• al
frequente
coinvolgimento
dei
nervi
crani,
che
si
manifesta
con
l’insorgenza
di
deficit
funzionali,
• all’obliterazione
fibrotica
dello
spazio
subaracnoideo,
• all’endoarterite
obliterante
che
determina
occlusione
dei
vasi
e
infarto
superficiale
ischemico.
16
Neoformazione
vascolare
associata
a
proliferazione
di
elementi
miofibroblastici
frammisti
a
macrofagi
ed
elementi
infiammatori
cronici.
17
La
necrosi
caseosa
è
una
necrosi
coagulativa
che
contiene
all’interno
macrofagi
con
aspetto
epitelioide,
materiale
necrotico
e
alla
periferia
è
delimitata
da
tessuto
di
granulazione
con
un’elevata
quantità
di
istiociti.
La
diagnosi
clinica
è
complessa
e
all’esame
microscopico
nella
meninge
sono
presenti
granulomi.
Va
in
dia-‐
gnosi
differenziale
con
le
patologie
infiammatorie
e
neoplastiche.
Dirimenti
sono
l’esame
colturale
e
la
co-‐
lorazione
specifica
di
Ziel-‐Nielssen,
che
mette
in
evidenza
il
bacillo
di
Koch
nella
sezione
istologica.
Il
meto-‐
do
più
efficace
e
veloce
resta
il
sequenziamento
genico
con
PCR.
INFEZIONI
DA
PARASSITI
DEL
SNC
TOXOPLASMOSI
La
toxoplasmosi
è
un’infezione
opportunistica
di
comune
riscontro
nei
pazienti
immunocompromessi
HIV-‐
positivi
(è
rara
in
soggetti
immunocompetenti),
che
si
manifesta
clinicamente
in
maniera
subacuta
(infatti
il
patogeno
non
evoca
un’importante
risposta
infiammatoria),
con
un’encefalopatia
aspecifica
o
meningoen-‐
cefalite
o
una
massa
occupante
spazio.
All’esame
microscopico
dell’encefalo
si
osservano:
• cisti
delimitate
da
membrana
contenenti
cistoziti,
che
sono
eosinofile
con
granuli
basofili,
• necrosi
e
microemorragie,
• scarsi
infiltrati
infiammatori,
• reazione
microgliale.
Nei
pazienti
con
AIDS
può
causare
masse
necrotiche
molto
grandi
che
simulano
neoplasie.
Può
andare
in
diagnosi
differenziale
con
la
sindrome
di
Wernicke-‐Korsakoff.
La
sindrome
di
Wernicke-‐Korsakoff
è
una
patologia
dovuta
ad
un
deficit
di
tiamina
associato
ad
alcooli-‐
smo,
malnutrizione,
neoplasie
gastriche
e
farmaci
per
il
trattamento
della
leucemia
(v.
caso
clinico).
La
clinica
è
caratterizzata
da:
• psicosi
(di
Korsakoff),
• oftalmoplegia,
• nistagmo,
• atassia,
• confusione,
disorientamento
e
coma.
Il
quadro
neuropatologico
si
compone
di
multiple
lesioni
microemorragiche
nei
corpi
mammillari,
nelle
re-‐
gioni
peri-‐ventricolari
(del
III
e
del
IV
ventricolo)
e
intorno
all’acquedotto
di
Silvio.
L’aspetto
macro-‐
e
mi-‐
croscopico
dipende
dal
decorso
(acuto,
subacuto,
cronico)
della
malattia.
CASI
CLINICI
7) Biopsia
di
un’infezione
in
fase
avanzata:
• e vidente
coinvolgimento
bilaterale
del
lobo
temporale,
• interessamento
monolaterale
del
lobo
frontale,
• componente
emorragica
ridotta,
• non
sono
visibili
erniazioni,
• unico
incluso
intranucleare
eosinofilo
ed
omogeneo
in
sede
centrale
che
disloca
la
cromatina
nucleare
alla
periferia.
La
mancata
risoluzione
dell’infezione
porta
a
cicatrizzazione
e
ad
assottigliamento
della
corteccia
cerebrale.
8) Riscontro
diagnostico:
si
osservano
aree
puntiformi
rossastre
non
omogene
a
livello
del
recesso
anteriore
del
III
ventricolo
e
del
pa-‐
vimento
del
IV
ventricolo,
che
possono
indicare
micro-‐emorragie
diencefaliche
da
danno
dei
piccoli
vasi.
Si
effettua
il
campiona-‐
mento
e
si
valuta
la
storia
clinica.
Con
la
microscopia
si
ricercano
le
componenti
vascolari
e
i
citotipi
del
SNC,
che
sono:
• neuroni,
• astrociti:
cellula
allungata
con
prolungamenti
che
fanno
parte
della
BEE.
Nuclei
regolari
ed
allun-‐
gati.
Meglio
evidenziabili
attraverso
colorazione
della
proteina
fibrillare
acida,
• microglia
(cellule
istocitarie),
• oligodendrocita:
cellula
con
pochi
prolungamenti
e
tozzi,
produce
mielina
e
presenta
un
alone
bianco
attorno
al
nucleo.
Dobbiamo
distinguere
la
sostanza
bianca
(pochi
nuclei
e
ricca
di
“matrice
eosinofila
con
prolunga-‐
menti
cellulari”
detta
neuropilo),
dalla
sostanza
grigia
(ricca
di
cellule
con
poca
matrice
e
stratifica-‐
zione).
Osservando
il
primo
vetrino
vediamo:
in
alto
a
SX
la
sostanza
bian-‐
ca
che
appare
normale,
mentre
in
basso
a
DX
si
osserva
un
aumen-‐
to
della
densità
dei
nuclei
(ipernucleosi)
e
dei
vasi
con
vacuoli
bianchi
che
indicano
la
perdita
di
parenchima.
L’ipercellularità
è
data
da
un
aumento
delle
cellule
infiammatorie:
istiociti
sistemici,
neutrofili,
linfociti
e
microglia
(istiociti
locali
con
un
aspetto
più
chiaro
rispetto
ai
granulociti).
La
sede
di
queste
microemorragie
e
la
presenza
di
un
vaso
che
vascolarizza
solo
questa
zona
sub-‐ependimale
sono
anomale
per
una
pa-‐
tologia
vascolare;
si
analizzano
quindi
tutte
le
aree
attorno
alla
lesione,
che
comunque
vengono
sempre
campionate.
Nel
secondo
vetrino
si
osserva
la
porzione
al
confine
fra
la
sostan-‐
za
grigia
e
la
sostanza
bianca.
A
maggiore
ingrandimento
si
nota
un‘area
di
ipercellularità
con
linfociti
(ipercromatici)
e
cellule
in-‐
fiammatorie
con
nuclei
allungati
attorno
ad
una
chiazza
eosinofila
che
contiene
puntini
basofili
all’interno.
Le
strutture
circostanti
sono
normali.
Questo
è
un
quadro
patognomonico
di
encefalite
da
Toxoplasma.
Per
identificarlo
con
certezza
si
usa
l’immunoistochimica.
9) Riscontro
diagnostico
di
paziente
trattato
per
leucemia
acuta
e
comparsa
rapida
di
una
sintomatologia
neurologica
che
lo
ha
por-‐
tato
ad
exitus:
si
riscontrano
lesioni
emorragiche
nei
corpi
mam-‐
millari,
nelle
regioni
peri-‐ventricolari
e
intorno
all’acquedotto
di
Silvio
(simile
al
caso
precedente).
Il
tessuto
è
conservato
con
numerose
e
piccole
emorragie,
ma
senza
ipercellularità.
La
sintomatologia
è
indicativa
della
Sindro-‐
me
di
Wernicke-‐Korsakoff.
L’autopsia
si
effettua
con
lo
scopo
di
capire
la
correlazione
tra
questa
sindrome,
causa
della
morte,
e
la
leucemia
in
trattamento.
La
letteratura
evidenzia
casi
simili
legati
ad
un
componente
del
farmaco
che
il
paziente
stava
assumendo
per
il
trattamento
della
leucemia.
PATOLOGIA
VASCOLARE
DEL
SNC
La
patologia
vascolare
del
SNC
è
una
delle
principali
patologie
non
neoplastiche
del
SNC;
con
essa
l’anatomopatologo
si
confronta
durante
la
valutazione
del
cervello
post
mortem
e
in
caso
di
manifestazioni
cliniche
che
possono
creare
problematiche
di
diagnosi
differenziale,
in
cui
è
indicata
la
biopsia
per
dirimere
il
quesito
diagnostico.
Le
principali
patologie
vascolari
sono:
• la
patologia
ischemica,
che
comprende
infarti
ischemici
(globali
o
focali)
e
infarti
emorragici,
• la
patologia
emorragica.
Inoltre
ricordiamo:
• l’aterosclerosi,
associata
o
meno
ad
ipertensione,
• le
patologie
infiammatore
o
infettive
dei
vasi
come
le
vasculiti,
rarissime
(vengono
chiamate
in
causa
quando
non
si
riconosce
altra
patologia),
• gli
aneurismi
(es.
da
deposito
di
sostanze,
come
l’amiloide
che
altera
la
parete
del
vaso),
• le
malformazioni
vascolari,
• rare
forme
di
angiopatia,
occasionale
causa
di
sanguinamenti.
VASCOLARIZZAZIONE
DELL’ENCEFALO
Le
arterie
deputate
alla
vascolarizzazione
dell’encefalo
(arterie
vertebrali
e
arterie
carotidi
interne)
si
orga-‐
nizzano
in
un
circolo
arterioso
anastomotico
di
forma
esagonale:
il
poligono
di
Willis,
che
si
trova
si
trova
nello
spazio
subaracnoideo
ed
è
circondato
dal
liquor.
Le
arterie
vertebrali
entrano
nel
cranio
attraverso
il
grande
foro
occipitale,
e
danno
due
rami
collaterali:
• l’arteria
cerebellare
inferiore,
per
il
cervelletto,
• un’arteria
per
il
midollo
spinale.
Poi
le
due
arterie
vertebrali
si
uniscono
formando
la
arteria
basilare,
che
decorre
nel
solco
basilare
del
ponte,
e
dà
i
seguenti
rami
collaterali:
• l’a.
cerebellare
media,
per
il
cervelletto,
che
decorre
nel
solco
circonferenziale
del
cervelletto,
e
che
dà
a
sua
volta
l’arteria
uditiva
interna
(che
decorre
assieme
al
ner-‐
vo
stato-‐acustico),
• le
aa.
pontine,
perpendicolari
alla
basilare
(pertanto
il
flusso
del
sangue
che
si
porta
in
questi
vasi
non
è
laminare
ma
turbolento),
• l’a.
cerebellare
superiore,
per
il
cervelletto,
all’altezza
del
solco
ponto-‐mesencefalico.
L’arteria
basilare
si
divide
infine
nelle
arterie
cere-‐
brali
posteriori,
tra
le
quali
è
presente
il
III
paio
di
nervi
cranici,
e
che
abbracciano
il
mesencefalo
e
si
anastomizzano
con
le
arterie
comunicanti
posterio-‐
ri
(rami
terminali
della
carotide
interna).
Quindi
il
sistema
vetebro-‐basilare
perfonde
il
cervelletto,
una
parte
del
tronco
e
la
parte
posteriore
degli
emisferi
cerebrali.
L’arteria
carotide
interna,
entrata
nel
cranio
attraverso
il
canale
carotico
della
piramide
del
temporale,
do-‐
po
aver
dato
l’arteria
oftalmica,
si
divide
in
quattro
rami
terminali:
• l’arteria
comunicante
posteriore
(di
calibro
molto
variabile),
che
si
anastomizza
con
l’arteria
cere-‐
brale
posteriore,
• l’arteria
cerebrale
media
o
silviana,
che
corre
nella
scissura
silviana;
nel
primo
tratto
fornisce
i
ra-‐
mi
perforanti
che
penetrano
nella
sostanza
perforata
anteriore
e
irrorano
i
nuclei
della
base;
alla
fine
fornisce
rami
frontali,
parietali
e
temporali
per
gli
omonimi
lobi,
• l’arteria
corioidea
anteriore,
per
la
formazione
dei
plessi
corioidei,
• l’arteria
cerebrale
anteriore,
che
decorre
in
avanti
e
si
unisce
alla
controlaterale
per
mezzo
dell’arteria
comunicante
anteriore;
entra
nella
fessura
interemisferica
e
gira
sopra
il
corpo
calloso.
Le
tre
arterie
cerebrali
si
dividono
i
territori
corticali
di
irrorazione:
• la
cerebrale
posteriore
irrora
la
parte
mediale
dell’occipitale
e
il
talamo
po-‐
steriore,
• la
cerebrale
media
irrora
i
lobi
frontale
posteriore,
temporale,
parietale,
il
ta-‐
lamo
anteriore,
il
putamen
e
il
pallido,
• la
cerebrale
anteriore
irrora
la
parte
mediale
del
frontale
e
la
parte
anteriore
del
caudato.
Inoltre
il
circolo
è
plastico:
in
caso
di
ipoperfusione
cronica
si
possono
sviluppare
circoli
collaterali
anasto-‐
motici
che
garantiscono
l’adattamento
a
deficit
di
perfusione,
per
esempio
dovuto
a
subocclusione
della
carotide;
questi
circoli
collaterali
si
possono
formare:
• a
livello
delle
grandi
arterie
del
collo
e
del
cranio
prima
che
formino
il
poligono
di
Willis,
• dentro
il
poligono
di
Willis,
• a
livello
della
leptomeninge,
dove
si
formano
anastomosi
piali
fra
le
maggiori
arterie
cerebrali.
ATEROSCLEROSI
L’aterosclerosi
è
una
delle
patologie
vascolari
più
frequenti
del
SNC,
oggi
più
limitata
per
quanto
ne
riguar-‐
da
l’evoluzione
grazie
alla
prevenzione
cardiovascolare.
Può
essere
causa
di
eventi
acuti
che
interessano
il
cervello
e
che
causano
sintomi
clinici
e
quadri
anatomo-‐
patologici
corrispondenti.
Nel
dettaglio,
le
placche
aterosclerotiche
possono
causare
a
livello
encefalico
un’ischemia
su
base
occlusiva
se
si
verificano
complicanze
quali
trombosi
su
placca
ed
embolizzazione
a
distanza
di
una
placca
ulcerata.
Colpisce
principalmente
le
carotidi
e
i
grandi
vasi
del
poligono
di
Willis,
come
il
segmento
vertebro-‐basilare.
In
questi
casi
può
esserci
ischemia
focale;
e,
se
la
patologia
è
avanzata,
si
osserva
all’esame
macroscopico
post
mortem,
ancora
prima
di
tagliare
le
sezioni,
dalla
sola
ispezione
autoptica
dei
vasi
arteriosi,
che
il
tron-‐
co
della
basilare
e
delle
carotidi18
è
deformato
e
per
la
presenza
di
placche:
in
questo
caso
non
è
improbabi-‐
le
che
nel
contesto
del
parenchima
cerebrale
ci
siano
lesioni
ischemiche
anche
misconosciute.
A
livello
microscopico
si
può
osservare
che
un
vaso
interessato
dall’aterosclerosi
cronica,
soprattutto
se
presente
anche
ipertensione,
diventa
sclerotico,
allungato,
tortuoso,
rigido:
nello
spessore
della
parete
c’è
tessuto
connettivo
al
posto
del
normale
tessuto
muscolare.
18
La
colorazione
specifica
per
le
fibre
elastiche
è
la
colorazione
Weigert-‐Van
Gieson.
PATOLOGIA
VASCOLARE
ISCHEMICA
L’infarto
è
una
lesione
necrotica
ischemica
(difetto
di
ossigenazione)
che
si
sviluppa
in
seguito
all’arresto
o
alla
riduzione
del
flusso
sanguigno
arterioso19.
La
sintomatologia
dell’infarto
dipende
dalla
topografia
e
dal-‐
la
funzione
dell’area
ischemica.
Un
infarto
può
essere
causato:
• da
un’ostruzione
tromboembolica
o
stenotica
(stenosi
serrata),
• da
discrepanza
tra
afflusso
e
necessità
metabolica
(dovuta
a
una
diminuzione
della
pressione
di
perfusione,
per
esempio
in
caso
di
ipotensione
grave
dovuta
ad
aritmia
grave).
Distinguiamo:
• infarto
ischemico:
tipicamente
osservato
dopo
occlusione
trombotica
o
embolica
di
arterie
di
grande
e
medio
calibro,
spesso
per
complicanze
di
placche
ateromasiche
o
patologie
cardiache.
Tale
occlusione
determina
morte
cellulare
per
mancato
afflusso
di
sangue
nei
territori
perfusi
dal
vaso
occluso
in
cui,
infatti,
macroscopicamente,
non
c’è
sangue.
Possono
esserci
due
tipi
di
ischemia:
o focale:
è
più
comune
e
causata
da
una
patologia
occlusiva
o
sub-‐
occlusiva
di
un
vaso
con
conseguente
danno
solo
al
territorio
perfuso
da
quel
vaso.
Insorge
in
acuto
con
perdita
di
funzione
(stroke):
per
esempio
il
paziente
diventa
emiparetico
e
va
in
coma;
comunque
la
sintomatologia
dipende
dalla
topografia
e
dalla
funzione
dell’area
ischemica
(v.
fig.);
o globale:
è
rara
e
causata
da
una
ridotta
perfusione,
ovvero
da
una
dimi-‐
nuzione
della
gittata
cardiaca,
a
sua
volta
causata
da
arresto
cardiaco,
trauma
o
fibrillazione
ventricolare:
dal
lasso
di
tempo
tra
l’arresto
del
cir-‐
colo
e
l’eventuale
riperfusione
dipende
l’entità
del
danno.
In
questo
caso,
la
distribuzione
del
danno
ischemico
dipende
dal
metabo-‐
lismo
energetico
delle
differenti
popolazioni
cellulari:
si
ha
morte
preco-‐
ce
neuronale
in
alcune
sedi
piuttosto
che
in
altre
(e
questo
può
aiutare
il
medico
legale
nella
diagnosi);
il
neurone
piramidale
è
più
sensibile
al
danno
perché
presenta
un
metabolismo
ossidativo
più
spiccato,
a
diffe-‐
renza
della
corteccia
cerebellare
che
è
meno
dipendente
dall’ossigeno.
Da
un
punto
di
vista
clinico,
se
i
sintomi
insorgono
acutamente
(a
causa
di
tromboembolismo
o
ipoperfusione)
e
si
risolvono
spontaneamente
entro
24
ore
si
parla
di
attacco
ischemico
transitorio
(TIA);
• infarto
emorragico:
consiste
nel
reflusso
di
sangue
in
un’area
necrotica
precedentemente
interes-‐
sata
da
un
infarto
ischemico,
tipicamente
di
tipo
embolico
(è
quindi
un
aspetto
della
malattia
ischemica).
Il
reflusso
di
sangue
in
quest’area,
esposta
all’ischemia
e
sede
di
necrosi,
avviene
per
mezzo
di
circoli
collaterali,
a
seguito
di
danno
alla
parete
dei
vasi,
o
per
migrazione
dell’embolo
che
aveva
causato
l’occlusione
ischemica.
Nella
pratica
clinica
a
volte
i
lemmi
infarto
ischemico
ed
emorragico
sono
utilizzati
in
modo
inter-‐
cambiabile:
nell’AP
non
è
così,
anche
se
due
aspetti
di
una
patologia
vascolare
ischemica;
invece
molto
diversa,
da
un
punto
di
vista
eziologico
e
patogenetico,
è
un’emorragia
secondaria
a
una
rot-‐
tura
di
un
vaso.
19
Esistono
dei
rari
casi
in
cui
il
danno
non
è
secondario
all’occlusione
di
un
vaso
arterioso
ma
all’arresto
del
deflusso
venoso:
si
crea
una
pressione
idrostatica
troppo
elevata
per
cui
il
sangue
arterioso
non
riesce
a
circolare
(infarto
re-‐
trogrado).
Macroscopicamente
si
osserva
un’area
emorragica,
che
diventa
marrone
dopo
la
fissazione
in
for-‐
malina,
e
che
può
essere
conseguente
a
un
infarto
emorragico
o
a
un’emorragia
(diagnosi
differen-‐
ziale).
Poiché
gli
infarti
emorragici
sono
tipicamente
conseguenza
di
infarti
embolici,
occorre
valu-‐
tare
l’eventuale
presenza
di
una
patologia
cardiaca
per
giustificare
l’origine
dell’embolo.
ASPETTO
MACROSCOPICO
• L’aspetto
macroscopico
di
un
infarto,
visibile
se
le
dimensioni
sono
maggiori
di
15
mm,
dipende
dal-‐
la
fase
in
cui
viene
osservato.
• Le
alterazioni
macroscopiche
sono
visibili
dopo
12-‐36
ore
dall’occlusione:
occorre
che
il
tessuto
sia
esposto
all’ischemia
per
qualche
ora,
prima
che
la
necrosi
sia
visibile
al
patologo.
Insorgo-‐
no
prima
le
alterazioni
microscopiche
di
quelle
macroscopiche,
quindi
l’esame
macroscopico
potrebbe
essere
negativo,
perché
l’infarto
è
molto
precoce
o
molto
piccola;
invece
il
radiologo
nelle
prime
ore
osserva
già
un’alterazione
del
segnale,
perché
il
danno
ischemico
determina
una
reazione
citotossica
e
un
danno
della
permeabilità
cellulare
e
quindi
edema
20
nella
zona
del
danno.
• Nelle
fasi
precoci
si
apprezza
maggiormente
una
riduzione
di
consistenza
(rammollimento)21
e
un
rigonfiamento;
le
aree
necrotiche
dopo
fissazione
non
diventano
consistenti,
a
differenza
del
tes-‐
suto
normale:
è
un
segno
inequivocabile
di
danno
(vascolare,
infettivo).
Si
osservano
aree
necroti-‐
che
focali,
in
zone
localizzate
del
cervello,
che
corrispondono
al
territorio
irrorato
dal
vaso
occluso.
• Successivamente
si
attiva
il
processo
di
riparazione
e
si
osserva
una
demarcazione
del
parenchima
normale
da
quello
patologico.
• In
queste
fasi,
a
causa
della
lesione
necrotica,
e
del
danno
vascolare
e
citotossico
presente
anche
nel
tessuto
perinecrotico,
insorge
l’edema
cerebrale:
si
possono
osservare
asimmetrie
degli
emi-‐
sferi
(distorsioni)
e
la
presenza
di
ernie,
segno
indiretto
dell’alterazione
della
pressione
endocrani-‐
ca.
ALTERAZIONI
MICROSCOPICHE
• Si
può
osservare
alla
microscopia
ottica
il
caratteristico
cambiamento
ischemico
neuronale22:
è
una
alterazione
precoce
di
nucleo
e
citoplasma
dovuta
alla
sofferenza
ischemica
neuronale
che
consiste
nell’ipereosinofilia
ci-‐
toplasmatica
e
nella
picnosi
nucleare
(perdita
dei
contor-‐
ni
del
nucleo
che
diventa
raggrinzito
con
la
cromatina
condensata).
Fisiologicamente,
un
neurone
è
caratterizzato
da
nucleo
20
Nella
fase
acuta
l’edema
impedisce
una
demarcazione
della
zona
che
appare
però
di
aumentate
dimensioni,
pertan-‐
to
bisogna
cercare
l’asimmetria
degli
emisferi,
delle
aree
e
l’eventuale
presenza
di
ernie
(segno
indiretto
di
alterazione
della
pressione
endocranica,
ma
non
così
precoce);
quando,
in
fase
molto
precoce,
l’esame
macroscopico
radiologico
non
porta
a
evidenza
di
infarto,
se
non
ad
una
minima
alterazione,
se
permane
un
minimo
dubbio
di
presenza
di
infar-‐
to,
si
può
effettuare
una
biopsia.
21
La
necrosi
non
è
causata
solo
da
mancanza
di
vascolarizzazione,
anche
alcune
forme
di
encefalite
infettiva
possono
darla
e
solo
sentendo
il
rammollimento
non
posso
fare
diagnosi
differenziale.
22
La
microscopia
elettronica,
non
usata
per
queste
lesioni,
permette
addirittura
di
mettere
in
evidenza
delle
lesioni
ancora
più
precoci
del
cambiamento
ischemico
neuronale
visibile
alla
microscopia
ottica,
come
la
vacuolizzazione
del
citoplasma
e
dei
suoi
prolungamenti.
grande
con
nucleolo
prominente
(non
è
maligno)
e
da
citoplasma
basofilo
per
il
grande
contenuto
di
proteine
(neurofilamenti
e
neurotubuli).
Inoltre,
nel
citoplasma
è
presente
la
sostanza
di
Niessel,
una
sostanza
anch’essa
basofila
e
granula-‐
re
che
corrisponde
al
sistema
delle
endomembrane.
Invece
in
caso
di
cambiamento
ischemico
neu-‐
ronale
cambia
l’affinità
tintoriale
del
citoplasma,
che
diventa
rosso
intenso,
e
il
nucleo
diventa
scuro
e
monomorfo
(non
si
vede
il
nucleolo).
Questa
è
una
delle
caratteristiche
più
precoci
del
danno
ischemico
perché
il
neurone
(soprattutto
piramidale
degli
strati
III
e
V
della
corteccia)
risente
maggiormente
dell’ischemia
date
le
sue
mag-‐
giori
dimensioni
(è
la
prima
cellule
che
risente
del
danno
ipossico).
La
regione
più
sensibile
è
l’ippocampo;
comunque
il
danno
è
visibile
precocemente
a
livello
della
corteccia,
anche
se
in
realtà
può
essere
esteso
alla
sostanza
bianca.
• C’è
una
vacuolizzazione
del
neuropilo
(insieme
dei
prolungamenti
dei
neuroni
e
delle
cellule
gliali)
dovuta
all’edema
citotossico
e
quindi
alla
espansione
di
diversi
compartimenti
cellulari.
Questo
se-‐
gno
è
visibile
anche
dal
radiologo.
• Si
osservano
anche
alterazioni
delle
cellule
endoteliali
dei
capillari
che
rispondono
al
danno
ische-‐
mico
e
da
piccole
cellule
con
sottile
rima
citoplasmatica
diventano
prominenti.
C’è
quindi
un’alterazione
della
BEE,
che
diventa
meno
selettiva,
e
aumenta
il
passaggio
di
liquidi
fino
all’edema
interstiziale.
Inoltre,
il
danno
vascolare
può
portare
alla
formazione
di
piccole
emorragie
perivascolari,
spia
di
danno
anche
se
superficiale.
Queste
lesioni
sono
presenti
secondo
una
specifica
distribuzione
(zonazione
dell’infarto):
• nell’area
centrale
infartuata
si
osserva
a
causa
dell’arresto
del
circolo
una
necrosi
coagulativa23
in
cui
tutte
le
cellule
sono
perse;
• nell’area
periferica
il
parenchima
è
anossico
e
non
completamente
necrotico:
in
quest’area
c’è
la
massima
vacuolizzazione
del
neuropilo
(che
corrisponde
radiologicamente
alla
zona
d’ombra
peri-‐
lesionale),
inoltre
questa
è
anche
la
zona
dove
si
arriva
primariamente
la
risposta
infiammatoria:
sono
riconoscibili
molte
cellule
infiammatorie
e
astrociti
reattivi;
• ancora
più
in
periferia
c’è
una
zona
marginale
di
astrociti
e
oligodendrociti
reattivi,
che
si
attivano
per
tentare
di
cicatrizzare
l’infarto
e
si
portano
negli
strati
esterni
ancora
sani
dove
si
localizza
la
reazione
microgliare
e
astrocitaria.
Evoluzione
degli
infarti
La
risposta
infiammatoria,
che
tenta
di
eliminare
il
danno
e
riparare
la
ferita,
all’inizio
può
essere
così
im-‐
portante
da
simulare
un’infezione
(ci
sono
moltissimi
neutrofili).
Nel
dettaglio24:
• 4-‐12
h:
si
osserva
il
cambiamento
ischemico
neuronale:
citoplasma
neuronale
eosinofilo
e
nucleo
picnotico.
La
barriera
comincia
a
essere
danneggiata;
• 15-‐24
h:
c’è
infiltrazione
granulocitaria
(tra
il
primo
e
il
secondo
giorno),
che
potrebbe
simulare,
in
una
fase
molto
precoce,
un
evento
infettivo
acuto;
23
Necrosi
coagulativa:
causata
da
ischemia,
anche
nel
SNC,
differentemente
a
quanto
detto
nel
Robbins
(è
vero
che
dopo
3-‐4
giorni
dall’inizio
del
processo
necrotico
posso
trovare
dei
granulociti
neutrofili
che
digeriscono
il
tessuto,
ma
mai
in
quantità
paragonabili
a
quelli
che
si
trovano
nella
necrosi
colliquativa).
Necrosi
colliquativa:
caratterizzata
dalla
digestione
del
parenchima
da
parte
di
enzimi
di
provenienza
granulocitaria;
è
tipica
degli
ascessi
(batterici
o,
raramen-‐
te,
fungini).
24
In
base
al
tempo
necessario
per
questo
processo
di
guarigione,
possiamo
stabilire
il
tempo
in
cui
è
avvenuto
il
dan-‐
no
ischemico,
concetto
importante
perché
se
dobbiamo
correlare
un
sintomo
clinico
con
un
evento
ischemico
dob-‐
biamo
capire
se
sussiste
un
rapporto
di
causa-‐effetto,
soprattutto
in
caso
di
evento
traumatico.
Esempio
classico,
un
uomo
che
cade
dalla
bicicletta:
il
problema
sarà
“è
caduto
per
un
evento
ischemico?”
o
“è
caduto
perché
una
macchi-‐
na
gli
è
passata
troppo
vicino?”.
Questo
cambia
l’approccio
per
un’eventuale
assicurazione.
• 2-‐3
giorni:
arrivano
i
macrofagi
(CD68+
con
abbondante
citoplasma,
fisiologi-‐
camente
sono
presenti
con
una
fre-‐
quenza
di
1
ogni
100
cellule;
la
immu-‐
noistochimica
per
il
CD68
colora
il
cito-‐
plasma)
che
restano
per
molto
tempo
e
diminuiscono
i
granulociti
dal
quinto
giorno.
I
macrofagi
fagocitano
la
mieli-‐
na25
(fagocitosi
di
lipidi)
e
prendono
il
nome
di
cellule
granulo-‐grassose;
• 1
settimana:
c’è
proliferazione
degli
astrociti
e
aumenta
la
densità
dei
vasi,
• dopo
mesi
persiste
la
fagocitosi
e
si
os-‐
serva
una
reazione
gliomesenchimale:
le
cellule
gliali
tentano
di
deporre
tessu-‐
to
connettivo
cicatriziale,
prendendo
il
tessuto
cicatriziale
dalla
avventizia
dei
vasi
e
dalle
meningi.
Se
l’area
necrotica
è
grande
non
si
riesce
a
formare
una
ci-‐
catrice
e
si
osserva
una
cisti
(evoluzione
dell’infarto
grande),
le
cui
pareti
sono
delimitate
da
questa
reazione
glio-‐
mesenchimale.
DISTRIBUZIONE
DEGLI
INFARTI
Il
circolo
cerebrale
è
di
tipo
terminale
e
l’estensione
delle
aree
ischemiche
dipende
in
maniera
più
o
meno
variabile
dalla
possibilità
di
attivare
meccanismi
di
compenso,
quindi
di
formare
collaterali
che
possano
compensare
il
deficit
vascolare.
La
zona
più
vascolarizzata
da
un
vaso
è
quella
centrale
del
territorio
di
va-‐
scolarizzazione;
quindi
le
zone
più
a
rischio
sono
quelle
di
confine,
tra
i
territori
dove
la
pressione
di
perfu-‐
sione
è
fisiologicamente
ridotta.
La
distribuzione
degli
infarti
dipende
da:
• il
vaso
arterioso
interessato
e,
quindi,
suo
territorio
di
perfusione,
• lo
stato
precedente
del
paziente,
ovvero
se
la
patologia
che
ha
causato
l’infarto
è
cronica
o
insorta
acutamente:
da
questo
quindi
la
possibilità
di
formare
circoli
collaterali
di
compenso26,
• l’evento
che
ha
causato
l’ischemia;
generalizzando
si
può
affermare
che:
o in
caso
di
grave
ipotensione
(e
in
generale
di
ipoafflusso
per
esempio
a
causa
di
una
stenosi)
il
danno
è
maggiore
nella
parte
periferica
perché
nel
territorio
di
perfusione
di
un’arteria
c’è
un
gradiente
pressorio
centro-‐periferia
decrescente;
quindi
quando
la
pressione
di
perfusione
25
La
colorazione
luxor-‐fast-‐blue,
che
mette
in
evidenza
la
mielina
e
quindi
la
sua
perdita
(come
in
questo
caso),
viene
usata
anche
nelle
patologie
demielinizzanti:
occorre
quindi
distinguere
la
perdita
mielinica
da
malattia
demielinizzante
da
quella
infartuale.
Per
far
questo
bisogna
tener
conto
che
la
patologia
demielinizzante
risparmia
l’assone,
che
invece
è
danneggiato
in
seguito
a
infarto.
Si
può
verificare
la
presenza
dell’assone
utilizzando
una
colorazione
per
le
citoche-‐
ratine
contenute
nel
suo
citoscheletro
(neurofilamenti
e
neurotubuli).
Gli
assoni
danneggiati
(infarto)
sono
interrotti
e
dilatati
perché
poi
rigenerano:
la
prima
forma
di
rigenerazione
è
il
rigonfiamento
da
cui
poi
inizia
lo
sprouting;
si
tratta
del
processo
che
prende
il
nome
di
degenerazione
e
rigenerazione
Walleriana.
26
Es.
in
caso
di
arresto
cardiaco
completo
tutto
il
cervello
è
anossico
e
c’è
danno
ischemico
globale
da
arresto
di
flus-‐
so
di
diversa
intensità
(il
danno
è
prevalente
nel
territorio
di
confine).
si
abbassa,
il
flusso
si
concentra
a
livello
della
zona
centrale
e
il
danno
ischemico
si
ha
in
peri-‐
feria;
o in
caso
di
occlusione
che
si
inscrive
su
una
stenosi
il
danno
è
soprattutto
al
centro.
Questo
perché
a
causa
della
stenosi
si
sono
sviluppati
circoli
collaterali,
provenienti
dai
vasi
meningei
e
dalla
carotide.
Nelle
zone
periferiche,
dove
l’ipoafflusso
sarebbe
maggiore
in
assenza
di
cir-‐
coli
collaterali,
i
circoli
collaterali
sono
quindi
più
sviluppati
e
possono
compensare
meglio
la
riduzione
del
flusso,
mantenendo
la
perfusione
e
salvaguardando
i
tessuti
dall’infarto.
Questo
evento
è
molto
comune
in
pazienti
anziani
con
danno
progressivo
aterosclerotico
delle
caro-‐
tidi;
o in
caso
di
occlusione
rapida
o
in
assenza
di
circoli
collaterali
di
compenso,
il
danno
ischemico
è
più
diffuso
(l’estensione
dell’area
ischemica
avviene
comunque
in
direzione
centrifuga).
A
seconda
delle
cause
la
distribuzione
è
variabile;
per
esempio:
• l’occlusione
acuta
dell’arteria
cerebrale
media
causa
un
infar-‐
to
diffuso
nel
territorio
irrorato
da
questa
arteria
(che
si
esten-‐
de
attorno
alla
scissura
di
Silvio)
(v.
fig);
• l’occlusione
acuta
dell’arteria
cerebrale
media
dopo
la
emer-‐
genza
delle
collaterali
principali
causa
un
infarto
che
interessa
un’area
più
circoscritta,
sempre
a
ridosso
della
scissura
silviana
(v.
fig.);
• in
caso
di
occlusione
in
acuto
dell’arteria
cerebrale
media
che
però
possiede
un
circolo
anastomoti-‐
co
con
la
cerebrale
anteriore,
il
cuneo
interessato
dall’infarto
è
molto
stretto,
intorno
alla
scissura
di
Silvio
(v.
fig.);
• la
stenosi
delle
arterie
cerebrali
anteriore
e
media
determina
necrosi
nel
territorio
di
confine
tra
questi
due
rami
(più
in
alto
rispetto
alla
scissura
di
Silvio)
(v.
fig.);
• in
caso
di
occlusione
della
carotide
interna,
l’infarto
insorge
nelle
aree
di
vascolarizzazione
della
ce-‐
rebrale
media
e
anteriore
(dalla
linea
mediale
dell’emisfero
al
lobo
temporale
posteriore;
e
c’è
in-‐
teressamento
del
talamo
e
del
caudato);
• ci
possono
essere
anche
situazioni
più
complesse,
in
cui
il
flusso
è
ridotto
sia
a
livello
del
circolo
an-‐
teriore
che
di
quello
posteriore.
INFARTI
EMBOLICI
Gli
infarti
embolici
sono
infarti
ischemici
causati
dall’ostruzione
di
un
vaso
da
parte
di
un
embolo.
Gli
em-‐
boli
si
formano
o
nel
contesto
di
una
patologia
cardiaca
preesistente
(soprattutto),
o
da
una
placca
atero-‐
sclerotica
complicata
con
trombosi.
Le
più
importanti
cause
cardiache
di
infarti
embolici
cerebrali
sono:
• la
fibrillazione
atriale
cronica
con
formazione
di
trombi
murali
in
auricola:
a
causa
dell’acinesia
atriale
c’è
ristagno
di
sangue
in
atrio
e
si
formano
trombi,
soprattutto
nell’auricola,
che
è
la
parte
più
stretta
in
cui
il
sangue
circola
peggio;
• i
trombi
endocardici
dopo
infarto
miocardico,
• la
stenosi
della
mitrale
e
le
sostituzioni
valvolari,
• le
endocarditi,
• le
comunicazioni
interventricolari,
il
forame
ovale
pervio,
le
fistole
polmonari
artero-‐venose,
• tumori
cardiaci
(mixoma).
In
sede
di
riscontro
diagnostico
con
sospetto
di
malattia
ischemica
di
tipo
embolico-‐cerebrale
occorre
stu-‐
diare
il
cuore
con
attenzione.
Gli
infarti
embolici,
a
differenza
di
quelli
da
trombosi,
possono
essere:
• multipli
(l’infarto
trombotico
avviene
nel
territorio
di
distribuzione
del
vaso
con
trombosi),
• bilaterali,
• spesso
emorragici
(invece
l’infarto
trombotico
è
spesso
ischemico),
• localizzati
principalmente
nei
territori
della
carotide
interna
e
della
cerebrale
media.
Infatti
è
più
probabile
che
un
embolo
si
porti
all’arteria
cerebrale
media,
naturale
prosecuzione
della
carotide
interna
(riceve
pieno
flusso
da
essa),
e
non
nell’arteria
cerebrale
anteriore,
che
non
è
imboccata
a
pieno
canale.
Per
esempio
possono
essere
coinvolti
i
nuclei
della
base,
perfusi
dalle
arterie
lentico-‐
lari,
rami
perforanti
dell’arteria
cerebrale
media.
INFARTO
VENOSO
In
rarissimi
casi
si
possono
avere
degli
infarti
emorragici
massivi
(diffuso)
per
trombosi
dei
seni
venosi
del-‐
la
dura
madre
(in
particolare
del
seno
sagittale
superiore)
che
impedisce
al
sangue
di
uscire
dalla
cavità
cranica:
questo
determina
un
aumento
della
pressione
venosa
così
importante
da
fermare
il
sangue
e
cau-‐
sare
un
infarto
emorragico.
Sono
situazioni
a
rischio:
le
condizioni
infettive
(flebite
settica),
la
gravidanza,
i
contraccettivi
orali,
la
chi-‐
rurgia,
la
disidratazione
nei
bambini
piccoli,
risulta
comunque
una
condizione
rara.
CASI
CLINICI
1)
Infarto
molto
recente:
si
osserva
sostanza
bianca.
Nell’area
bianca
al
centro
non
si
distinguono
più
le
strutture
tipiche,
i
vasi
sono
dilatati,
ma
privi
di
emorragia
e
ancora
non
del
tutto
necro-‐
tici.
Alla
periferia
si
ha
la
zona
di
vacuolizzazione
del
neuropilo.
Ancora
non
si
osservano
cellule
infiammatorie.
2)
Riscontro
diagnostico
(sezione
coronale):
si
osserva
una
lesione
emorragica
dei
nuclei
della
base
di
sini-‐
stra
e
una
lesione
in
parte
ischemica
e
in
parte
emorragica
nella
parte
mediale
del
lobo
frontale.
La
cortec-‐
cia
sovrastante
la
lesione
ai
nuclei
della
base
è
integra
quindi,
non
è
leso
il
tronco
principale
della
cerebra-‐
le
media,
ma
un
ramo
collaterale.
La
stessa
cosa
si
osserva
nella
lesio-‐
ne
del
lobo
frontale,
solo
che
in
questo
caso
il
danno
è
legato
ai
rami
pericallosi
della
a.
cerebrale
anteriore.
Ipotesi
diagnostiche:
• due
infarti
emorragici
embolici
contestuali
(le
lesioni
non
sono
entrambe
ben
evidenti,
quindi
non
sono
contemporanee),
• A
livello
nuclei
della
base
è
avvenuto
un
infarto
embolico
pri-‐
mitivo,
che
ha
causato
edema
ed
ipertensione
endocranica,
con
formazione
di
un’ernia
subfalcina
e
occlusione
della
peri-‐
callosa,
che
ha
causato
un
secondo
infarto.
CVLs can result in ‘pure’ VaD, that is, extensive vascular poses a difficult challenge (see section ‘Clinico-pathological
lesions, without widespread neurodegenerative pathology correlations and mismatch in VaD and mixed VaD/AD’).
such as Alzheimer’s disease (AD) or Lewy body path-
ology, which explains the clinical dementia. VaD can be Prevalence of vascular dementia
classified into three major forms depending on lesion In clinical population-based series, the prevalence of
distribution: multi-infarct dementia, strategic infarct VaD/VCI averages 8–15.8 % (in Japan, 23.6–35 %) with
dementia or subcortical vascular encephalopathy. Multi- VASCOLARE
DEMENZA
standardised incidence rates between 0.42 and 2.68 per
infarct dementia is characterised by multiple lacunar 1000/year, increasing with age [23]. The range is broader
infarcts and microinfarcts, as well as small and/or large
in clinical studies using convenience series from western
La
patologia
vascolare
del
SNC,
soprattutto
cronica,
può
manifestarsi
con
demenza
vascolare,
ovvero
con
infarcts in the cortex and subcortical regions. The total memory clinics, varying from 4.5 to 39 % [23]. However,
amount
un
of damaged
progressivo
cerebral tissue
decadimento
delle
results inmentali.
facoltà
a signifi-La
demenza
the prevalence rates of
vascolare
VaD/VCI are unlikely
è
caratterizzata,
da
un
to be ac-
punto
di
cant decrease in functional brain capacity, surpassing curate in any of these series because even the best clin-
vista
m orfologico,
d a
l esioni
c erebrovascolari
q uali:
the threshold for cognitive impairment. In contrast, stra- ical diagnostic criteria show only moderate sensitivity
aree
dementia
tegic• infarct infartuali
is the multiple
result ofe
bailaterali,
single infarctin
diversa
in a f(approximately
ase
di
evoluzione
50 %)e
rand
iassorbimento
(demenza
variable specificity (rangem64– ulti-‐
strategicinfarto),
region ofdovute
the brain that results in significant 98 %) [23, 24]. VaD in autopsy series also
a
infarti
ischemici
o
emorragiche,
che
possono
essere
estesi,
lacunari
o
microinfar-‐ varies tremen-
cognitive deficits, for example, a single lacunar or micro- dously, ranging from 0.03 to 58 % [23], and this variation
infarct inti
the(v.
dhippocampus
opo).
Queste
canaree
leadinfartuali
to markedsi
memory
localizzano
is apartly
livello
due della
to the corteccia,
della
sostanza
lack of internationally bianca
con-
accepted sot-‐
impairment tocorticale
[15, 16]. e
Lastly,dei
nuclei
della
subcortical base
(nei
vascular enceph- gangli
sensus
della
base
le
lesioni
criteria for theprendono
sovente
diagnosis
neuropathological l’aspetto
ofdi
alopathyspazi
(synonymous with Binswanger’s
a
fessura
o
piccole
lacune),
disease) de- VaD. In elderly patients, the prevalence of ‘pure’ VaD
scribes confluent severe demyelination and axonal loss ranges from 5 to 78 %. In the oldest-old, that is,
• un
interessamento
diffuso
della
sostanza
bianca
con
relativo
risparmio
della
corteccia:
è
una
pos-‐
in the white matter with sparing of subcortical U-fibres ≥90 years, the prevalence of pure VaD drops (to 4.5–
([13, 15, sibilità
molto
rara
che
prende
il
nome
di
encefalopatia
di
Binswanger
(in
questo
caso
l’infarto
non
16]; for review see [17]). 46.8 %) but that of mixed AD/VaD increases, reflecting a
si
vede),
constant age-related increase of neurodegenerative
Comorbidity of cerebrovascular disease and Alzheimer’s changes. Rigorous population-based clinico-pathological
• emorragie.
disease pathology correlative studies addressing the prevalence of VaD are
La
Ad emenza
large proportionvascolare
of patientspuò
ewith
ssere
causata
dementia whoda
have
(studiare
sig- lo
schema):
few, but they are arguably more informative about the
nificant CVLs also exhibit more severe concomitant AD actual prevalence of VaD/VCI. In population-based
• l’aterosclerosi,
pathology [18], such as deposits of hyperphosphorylated clinico-pathological series, the prevalence of pure VaD
• la
malattia
dei
piccoli
vasi,
tau (HPτ) and Aβ, and thus fulfil the neuropathological ranges from 2.4 to 23.7 %, and that of mixed AD/VaD
• l’angiopatia
amiloide.
Fig. 1 Schematic diagram illustrating the three most commonly observed cerebrovascular diseases and their resulting cerebrovascular lesions
that may lead to specific types of vascular dementia
MALATTIA
DEI
PICCOLI
VASI
La
malattia
dei
piccoli
vasi
è
tipica
dell’anziano
ed
è
caratterizzata
da
cambiamenti
patologici
dei
piccoli
va-‐
si
leptomeningei
e
intraparenchimali
osservabili
in
pazienti
anziani
con
diabete
e
ipertensione27.
27
Gli effetti
dell’ipertensione
arteriosa
sull’encefalo
(Robbins)
sono:
• Infarti
lacunari,
le
sedi
più
frequenti
sono:
nucleo
lenticolare,
talamo,
capsula
interna,
SB
profonda,
nucleo
caudato,
ponte.
• Emorragie
a
fessura:
emorragie
riassorbitesi
che
lasciano
una
cavità
a
forma
di
fessura
circondata
da
tessuto
di
colore
brunastro)
• Encefalopatia
ipertensiva:
o acuta:
successiva
a
crisi
ipertensiva
con
emicrania,
stato
confusionale,
vomito,
convulsioni,
talvolta
coma.
il
meccanismo
si
basa
sull’aumento
della
pressione
endocranica.
o cronica:
l’ipertensione
porta
a
demenza
multi-‐infartuale,
alterazioni
del
movimento
ed
altri
disturbi;
Gli
infarti
multipli
sono
secondari
a:
aterosclerosi
cerebrale,
trombosi
vasale
o
embolizzazione
a
partenza
dei
vasi
carotidei
o
delle
cavità
cardiache,
arteriolosclerosi.
• Emorragia
intracerebrale
ipertensiva
Clinicamente
può
essere
silente,
manifestarsi
in
cronico
a
seconda
delle
aree
colpite
principalmente
con
demenza,
e
più
raramente
con
eventi
acuti28.
Si
caratterizza
per:
• piccole
lesioni
ischemiche
(infarti
lacunari
e
microinfarti),
• piccole
lesioni
emorragiche
(piccole
emorragie
e
microsanguinamenti).
Queste
lesioni
guariscono
con
formazione
di
piccole
cisti
o
lesioni
con
perdita
di
sostanza,
dette
“lacune”:
sono
tanti
buchi
di
forma
variabile
(tondi,
allungati,
a
fessura),
di
dimensioni
inferiori
a
1,5
cm.
Nel
cervello
dell’anziano
c’è
inoltre
una
fisiologica
riduzione
di
volume
anche
con
dilatazione
degli
spazi
perivascolari
che
sembrano
simulare
queste
lacune
(v.
lettura
di
approfondimento).
Aspetto
macroscopico:
lacune
e
infarti
lacunari
• Si
osservano
piccole
cavità
di
dimensioni
variabili
fra
0,5
e
15
mm,
più
comunemente
nel
nucleo
lenticolare
(nuclei
della
base)
e
nella
sostanza
bianca
sottocorticale.
• Spesso
sono
multiple
e
sono
distribuite
al
di
là
dei
confini
dei
territori
di
perfusione
di
un
singolo
vaso.
• Possono
essere
responsabili
di
specifici
tipi
di
infarto,
con
sin-‐
tomi
neurologici
multifocali,
oppure
possono
essere
scoperte
incidentalmente
senza
sintomi
clinici,
a
seconda
dell’area
lesa.
Come
già
detto,
una
lacuna
può
rappresentare
l’esito
cicatriziale
di
una
lesione
ischemica,
emorragica
o
di
una
dilatazione
di
uno
spazio
perivascolare:
sono
tre
lesioni
che
a
loro
volta
hanno
una
diversa
causa:
• gli
infarti
lacunari
derivano
dall’ostruzione
di
piccole
arterie
perforanti
(c’è
un
piccolo
infarto
ischemico
con
necrosi
e
riparazione
cicatriziale),
• le
emorragie
lacunari
sono
causate
dalla
rottura
di
piccoli
vasi
perforanti;
per
esempio
la
rottura
può
verificarsi
in
un
un
segmento
in
cui
è
presente
necrosi
fibrinoide:
c’è
quindi
una
piccola
emor-‐
ragia
che
poi
viene
riassorbita
lasciando
una
lacuna,
• gli
spazi
perivascolari
dilatati
derivano
dall’allungamento,
dilatazione
e
spiralizzazione
delle
arterie
perforanti
in
essi
contenuti,
con
distorsione
delle
ramificazioni
e
distacco
dal
parenchima
cerebrale.
Nel
dettaglio,
un’arteria
perforante
contenuta
in
uno
spazio
perivascolare
può
andare
incontro
a
degenerazione
aterosclerotica,
dilatarsi,
e
dilatare
di
conseguenza
lo
spazio
perivascolare
in
cui
è
contenuta;
il
danno
può
essere
peggiore
in
caso
di
concomitante
diavete.
Aspetto
microscopico
Si
osserva,
nella
fase
acuta,
una
delle
seguenti
alterazioni
morfologiche
della
parete
del
vaso:
• necrosi
fibrinoide
della
parete
del
vaso29.
C’è
necrosi,
alterazione
della
permeabilità
del
vaso
(per
esempio
a
causa
dell’esposizione
ad
alte
pressioni)
e
deposito
di
proteine
plasmatiche
nella
parete
28
Nel dettaglio, le
conseguenze
cliniche
delle
malattie
dei
piccoli
vasi
possono
essere
distinte
in:
• Eventi
acuti:
o Infarti
lacunari
o Emorragie
cerebrali
o Ischemie
cerebrali
• Eventi
cronici:
demenza,
causata
dalla
malattia
vascolare
sola
o
in
associazione
a
malattie
neurodegenerative
classiche
es.
Alzheimer,
associati
alla
demenza
si
trovano:
o Infarti
lacunari
di
sostanza
bianca
profonda,
nuclei
della
base,
tronco
o Infarti
multipli
che
interessano
zone
di
confine
o Rare
le
emorragie.
29
Se
la
necrosi
fibrinoide
si
associa
a
macrofagi
schiumosi
si
parla
di
lipoialinosi.
dell’arteriola,
ovvero
di
fibrinogeno
e
fibrina,
distinguibili
per
le
specifiche
affinità
tintoriali:
la
fibrina
è
rossa
alla
tri-‐
cromica
di
Masson
(e
eosinofila,
quindi
rosa
all’EE,
ma
quest’ultima
colorazione
è
meno
specifica30).
La
parete
del
vaso
degenera:
diventa
omogenea,
non
si
vede
più
la
tonaca
muscolare,
aumenta
il
calibro
del
lume.
E’
tipica
nella
ipertensione
acuta
(es.
feocromocitoma
o
ipertensione
gestazionale)
e
cronica;
• microaneurismi
dei
vasi
(descritti
da
Charcot
e
Buchard
più
di
150
anni
fa
e
dettagliati
da
Fisher
nel
1971
in
una
serie
di
pazienti
ipertesi
con
diversi
tipi
di
emorragie).
Sono
dilatazioni
sacciformi
della
parete
dei
piccoli
vasi
con:
o trombi
recenti
del
lume,
o depositi
di
fibrina
nella
parete,
o emazie
stravasate,
o macrofagi
contenti
emosiderina,
indicativi
di
danno
cronico
(l’emosiderina
è
giallo
arancio
macroscopica-‐
mente,
e
può
aiutare
a
datare
il
danno).
Non
sono
facili
da
trovare
perché
spesso
l’emorragia
è
destruente;
• arteriolosclerosi
(sclerosi
concentrica
della
parete
del
vaso);
si
osservano
vasi
con:
o perdita
di
cellule
muscolari
lisce,
o inspessimento
della
parete
che
appare
ialinizzata,
o riduzione
concentrica
del
lume.
Questi
vasi
stenotici
possono
chiudersi
senza
un
trombo;
• angiopatia
amiloide31,
che
può
essere
causa
di
demenza
vascolare
anche
come
fattore
isolato.
Si
può
osservare
una
vacuolizzazione
del
neuropilo
attorno
ai
vasi
lesi:
c’è
un’alterazione
diffusa
della
so-‐
stanza
bianca
tipica
dei
pazienti
anziani
con
diabete
e
ipertensione
cronica,
con
un
decadimento
delle
alte-‐
razioni
cognitive.
CASO
CLINICO
Malattia
dei
piccoli
vasi
(esame
macroscopico).
Si
osserva
idrocefalo,
cioè
dilatazione
dei
ventricoli
bilaterale,
al-‐
largamento
della
scissura
Silviana:
è
dilatata,
quindi
c’è
atrofia
delle
circonvoluzioni
in
maniera
diffusa.
L’idrocefalo,
ovvero
la
dilatazione
dei
ventricoli,
può
essere
ex
vacuo
(dovuto
a
rarefazione
del
parenchima)
o
secondario
a
pro-‐
blemi
di
deflusso.
30
Posso
utilizzare
colorazioni
per
la
fibrina
(es.
azcarminio).
31
L’ispessimento
eosinofilo
all’EE
della
parete
dei
piccoli
vasi
può
significare
1)
arteriolosclerosi:
ispessimento
concen-‐
trico
fatto
da
tessuto
connettivo,
2)
necrosi
fibrinoide:
deposito
di
fibrina,
3)
deposito
di
amiloide.
La
DD
può
essere
effettuata
mediate
colorazione:
per
evidenziare
l’arteriosclerosi
e
la
necrosi
fibrinoide
uso
il
Picro-‐Mallory,
per
eviden-‐
ziare
l’amiloide
uso
il
Rosso
Congo
oppure
la
colorazione
per
la
beta
amiloide.
LO
SPAZIO
PERIVASCOLARE
Gli
spazi
perivascolari,
noti
anche
come
spazi
di
Virchow-‐Robin
(SVR),
sono
canali
in
continuità
con
lo
spazio
subaracnoideo
che
circondano
le
pareti
delle
arterie
e
delle
vene
penetranti
ed
emergenti
dalla
corteccia
cerebrale.
Infatti,
quando
i
vasi
perforanti
entrano
nel
parenchima
cerebrale
sono
accompagnati
dalla
leptomenin-‐
ge,
che
li
avvolge
con
l’interposizione
di
questo
spazio
(le
cui
pareti
sono
quindi
l’avventizia
dei
vasi
e
la
pia
madre);
poi,
a
livello
dell’arteriola
precapillare,
del
capillare
e
della
venula
postca-‐
pillare,
questo
spazio
viene
sostituito
dalla
BEE.
Uno
dei
ruoli
più
importanti
degli
spazi
perivascolari
è
drenare
il
liquido
interstiziale
dalle
cellule
neuronali
del
sistema
nervoso
centrale
ai
linfonodi
cervicali.
Questi
spazi
possono
dilatarsi
a
causa
dell’età,
ipertensione,
demenza
e
lesioni
cerebrali
traumatiche;
inol-‐
tre,
al
loro
interno
potrebbe
localizzarsi
infiltrato
infiammatorio
che,
tramite
questa
via,
può
arrivare
al
pa-‐
renchima
cerebrale.
Se
l’infiltrato
infiammatorio
procede
nello
spazio
perivascolare
non
si
parla
ancora
di
encefalite
(intesa
come
infiammazione
del
parenchima
cerebrale),
ma
di
meningite.
ANGIOPATIA
AMILOIDE
L’angiopatia
amiloide
è
un’amiloidosi
localizzata32
dei
vasi
del
cervello,
studiata
negli
ultimi
20-‐30
anni
ed
è
la
principale
causa
di
emorragia
nell’anziano.
• Si
manifesta
in
acuto
con
emorragie
spontanee,
piccole,
multiple
e
ricorrenti,
solitamente
localiz-‐
zate
superficialmente
(corteccia
e
sostanza
bianca
sottocorticale.
Questa
è
una
caratteristica
di-‐
stintiva:
infatti
le
emorragie
ipertensive
si
localizzano
invece
a
livello
dei
nuclei
della
base);
a
volte
possono
esserci
però
grandi
emorragie
lobale.
In
caso
di
piccole
emorragie
il
neurochirurgo
svuota
l’ematoma
e
porta
il
materiale
all’AP.
• Quando
non
si
associa
a
sanguinamento,
può
essere
causa
in
cronico
di
un
danno
diffuso
della
so-‐
stanza
bianca
associato
a
rapido
deterioramento
cognitivo
(demenza).
• E’
causata
dal
deposito
di
beta-‐amiloide
che
deriva
dalla
processazione
della
proteina
precursore
della
beta-‐amiloide
(APP):
questo
peptide,
trasferito
nello
spazio
perivascolare,
si
deposita
nella
parete
dei
vasi,
provocandone
inspessimento,
e
in
parte
minore
anche
nel
parenchima.
L’amiloide
si
colora
con
il
rosso
congo,
che
dà
una
rifrangenza
verde
con
la
luce
polarizzata,
o
all’immuno-‐
istochimica.
• Si
è
visto
che
in
alcuni
pazienti
con
angiopatia
amiloide
pura
si
può
sviluppare
una
vasculite
con
rapido
deterioramento
dello
stato
cognitivo
del
paziente:
l’amiloide
provoca
una
risposta
infiam-‐
matoria
di
tipo
immunitario
(ci
sono
linfociti
B
attorno
al
deposito);
questa
condizione
risponde
alla
somministrazione
di
immunosoppressori,
che
determinano
un
rallentamento
della
progressione
della
malattia.
32
Ricordiamo
che
l’amiloidosi
può
essere
sistemica
o
localizzata.
Nell’amiloidosi
sistemica
(AA,
AL,
ATTR,
AH)
l’amiloide
si
deposita
in
tutto
l'organismo,
soprattutto,
almeno
inizialmente,
nel
rene,
polmone
e
fegato
(di
solito
il
cervello
è
risparmiato);
colpisce
soprattutto
il
rene,
in
associazione
al
mieloma
multiplo
o
a
malattie
infiammatorie
croniche
autoimmuni
come
l’artrite
reumatoide.
Nell’amiloidosi
localizzata
l’amiloide
si
deposita
soltanto
in
un
orga-‐
no,
in
particolare
degli
organi
endocrini,
tra
cui
l’ipofisi,
ma
soprattutto
la
tiroide
(nel
carcinoma
midollare),
e
cervello.
L’angiopatia
amiloide
è
localizzata
a
livello
cerebrale,
non
è
quindi
associata
ad
amiloidosi
sistemica.
• C’è
una
stretta
correlazione
tra
il
meccanismo
fisiopatogenetico
di
questa
malattia
e
la
deposizione
di
beta-‐amiloide
nella
malattia
di
Alzheimer,
anche
essa
una
amiloidosi
localizzata
nel
SNC
che
causa
demenza.
Un’altra
amiloidosi
localizzata
a
livello
cerebrale
è
la
malattia
di
Creutzer-‐Jacob.
DEMENZA
TIPO
ALZHEIMER
La
malattia
di
Alzheimer
è
il
prototipo
di
tutte
le
demenze.
E’
caratterizzata
da
lesioni
anatomopatologi-‐
che
che
possono
essere
considerate
quasi
“parafisiologiche”;
però
nei
pazienti
con
demenza
di
Alzheimer
sono
quantitativamente
molto
superiori
rispetto
ai
soggetti
normali
(per
esempio
ce
ne
sono
6
a
45
anni).
La
diagnosi
è
quindi
basata
sulla
presenza
e
quantificazione
di
alterazioni
morfologiche
che
non
sono
di-‐
stribuite
omogeneamente
in
tutte
le
regioni
dell’encefalo,
quali:
• alterazioni
cellulari.
Ci
sono
“tangles”
(grovigli)
neurofibrillari,
ovvero
accumuli
di
proteine
fibro-‐
se
nel
citoplasma
soprattutto
dei
neuroni
piramidali
(es.
nell’ippocampo):
sono
accumuli
di
un
neurofilamento
alterato
ovvero
di
proteina
tau
iperfosforilata.
Un
anticorpo
contro
la
proteina
tau
permette
di
evidenziare
l’accumulo
con
l’immunoistochimica;
inoltre
questa
proteina
alterata
si
trova
anche
nel
liquor
(c’è
quindi
anche
un
dato
biochimico);
• alterazioni
extracellulari.
Ci
sono
placche
senili
con
un
core
centrale
di
beta-‐amiloide
circondato
da
un
anello
di
neuriti
e
processi
neuronali
alterati
(è
un
groviglio
periferico
di
prolungamenti
degenerati).
Le
placche
se-‐
nili
sono
fisiologicamente
presenti
in
maniera
età-‐
dipendente,
quindi
l’insorgenza
della
demenza
dipende
dalla
quantità
di
placche.
Inoltre,
la
malattia
si
associa
a
un
variabile
deposito
di
amiloide
nei
vasi
(soprattutto
della
leptomeminge),
anche
se
questo
aspetto
non
è
patognomonico
e
cospicuo:
i
vasi
possono
essere
anche
indenni.
MALATTIA
DI
CREUTZER-‐JACOB
La
malattia
di
Creutzer-‐Jacob
(morbo
della
mucca
pazza)
è
un’encefalopatia
da
prioni
a
rapida
evoluzione,
fatale,
trasmissibile
attraverso
la
carne
bovina
e
potenzialmente
per
via
parenterale
dopo
il
contatto
con
un
infetto.
E’
una
patologia
endemica,
nelle
Marche
si
hanno
circa
2-‐3
casi
all’anno.
In
una
malattia
da
prioni
c’è
una
proteina
degenere
con
struttura
a
foglietto
beta
che
interagisce
con
altre
proteine
modificandole
e
inducendone
la
trasformazione
in
foglietto
beta:
si
formano
così
depositi
di
ami-‐
loide
(placche
senili).
Poiché
la
diagnosi
è
post
mortem,
da
quando
si
è
diffusa
questa
malattia,
è
obbliga-‐
toria
per
legge
l’autopsia
nei
pazienti
morti
per
demenza.
La
conferma
si
fa
con
l’immunoistochimica
con
un
anticorpo
contro
il
materiale
amiloide.
VASCULITE
PRIMITIVA
DEL
SNC
La
vasculite
primitiva
del
sistema
nervoso
centrale
(PACNS)
è
una
patologia
infiammatoria
dei
vasi
del
si-‐
stema
nervoso
centrale
a
eziologia
sconosciuta
e
potenzialmente
fatale.
• E’
una
malattia
estremamente
rara
(1%
delle
vasculiti
sistemiche)
che
comunemente
interessa
maschi
di
età
media
(circa
50
anni),
al
di
fuori
di
una
malattia
sistemica:
è
quindi
primitiva
(cioè
non
secondaria
a
patologie
come
angiopatia
amiloide,
LES,
etc.).
• I
sintomi
più
comuni
sono
cefalea
e
declino
cognitivo,
che
insorgono
al
di
fuori
di
una
sindrome
si-‐
stemica;
ma,
poiché
i
sintomi
all’esordio
sono
simili
a
quelli
di
una
sindrome
sistemica,
bisogna
escludere
questa
ipotesi
con
marker
di
laboratorio
(diagnosi
d’esclusione).
• Esordisce
con
uno
stroke
nel
40%
dei
pazienti:
è
un’insorgenza
acuta
con
sintomi
neurologici
che
non
regrediscono.
• I
sintomi
o
i
marker
sierologici
riferibili
a
infiammazione
sistemica
sono
rari:
il
quadro
laboratori-‐
stico
è
negativo
per
un
interessamento
extra-‐cerebrale.
La
RMN
cerebrale
mostra
alterazioni
della
sostanza
bianca
sottocorticale
molto
diffuse
(manca
un
focolaio
o
una
lesione
nodulare),
che
rap-‐
presentano
un
reperto
aspecifico
in
quanto
comune
a
molte
patologie
del
SNC.
• Viene
ipotizzata
nei
casi
difficili
da
diagnosticare.
La
diagnosi
differenziale
è
clinica,
radiologica
e
patologica.
La
biopsia
cerebrale
è
indicata
solo
in
prospettiva
di
una
terapia
e
viene
effettuata
nel
polo
temporale
dell’emisfero
non
dominante
comprendente
la
meninge
(è
il
polo
che
fornisce
mi-‐
gliori
informazioni
senza
alterare
molto
le
funzioni
del
paziente;
la
meninge
va
inclusa
perché
la
malattia
può
localizzarsi
anche
in
essa).
• All’esame
microscopico
si
osserva,
nella
maggior
parte
dei
casi,
una
vasculite
granulomatosa
che
distrugge
la
parete
dei
vasi;
raramente
c’è
una
vasculite
necrotizzante
e
linfocitaria
(più
frequen-‐
temente
presente
nelle
malattie
sistemiche).
[Distinguiamo
diversi
pattern
morfologici:
o granulomatoso,
con
infiammazione
transmurale
di
una
arteria
con
prevalente
infiltrato
di
cel-‐
lule
mononucleate
organizzate
in
granuli
ed
eventuale
presenza
di
trombi
endoluminali;
o granulomatoso
con
deposito
di
amiloide,
con
granulomi
nello
spessore
delle
pareti
dei
vasi
vasi
e
ispessimento
parietale;
con
immunoistochimica
per
possono
essere
messi
in
evidenza
i
depositi
di
beta-‐4-‐amiloide;
o linfocitico,
con
infiltrato
transmurale
linfocitario
e
la
quasi
completa
obliterazione
dei
vasi;
o con
necrosi
fibrinoide
(raro)].
PATOLOGIA
EMORRAGICA
DEL
SNC:
EMORRAGIE
INTRACRANICHE
Un’emorragie
intracranica
è
una
condizione
neurologica
caratterizzata
da
un’improvvisa
fuoriuscita
di
san-‐
gue
all’interno
del
cranio:
è
una
patologia
destruente,
che
insorge
in
età
adulta
o
avanzata
ed
è
associata
ad
elevata
mortalità
(maggiore
di
quella
dello
stroke
ischemico
poiché
si
realizza
molto
velocemente).
Può
avvenire
in
tutti
i
compartimenti
presenti
all’interno
del
cranio
e
del
midollo);
può
essere:
• extradurale,
localizzata
tra
l’osso
e
la
dura
madre:
è
soprattutto
post-‐traumatica,
• subdurale,
localizzata
tra
la
dura
madre
e
la
leptomeninge:
è
soprattutto
post-‐traumatica,
• subaracnoidea,
localizzata
nello
spazio
subaracnoideo:
è
soprattutto
post-‐traumatica
ma
può
esse-‐
re
anche
primitiva,
• intracerebrale,
interessa
il
parenchima
cerebrale:
riconoscono
diversi
meccanismi,
il
principale
è
l’ipertensione,
ma
si
deve
sempre
escludere
un
precedente
evento
traumatico
(anche
minimi
traumi,
soprattutto
nell’anziano).
Una
condizione
predisponente
le
emorragie
è
rappresentata
dagli
aneurismi.
EMORRAGIE
INTRACEREBRALI
Le
emorragie
intracerebrali
possono
essere:
• traumatiche,
• spontanee,
se
non
traumatiche;
a
loro
volta
possono
essere
classificate
in:
o primitive,
se
non
esistono
lesioni
preesistenti
note;
sono
soprattutto
su
base
ipertensiva,
o secondarie,
se
insorgono
su
malformazioni
vascolari,
tumori;
rientrano
nel
gruppo
eterogeneo
delle
emorragie
non
ipertensive.
I
fattori
di
rischio
delle
emorragie
spontanee
sono:
o l’ipertensione
(l’angiopatia
ipertensiva
rappresenta
il
prototipo
delle
emorragie),
o l’angiopatia
amiloide,
o il
fumo
di
sigaretta,
o l’elevato
consumo
di
alcool,
o l’uso
di
anticoagulanti
(soprattutto
il
warfarin),
o alcuni
fattori
genetici
(i
geni
candidati
sono
diversi,
ma
le
mutazioni
sono
difficili
da
interpreta-‐
re
in
quanto
non
sono
tutte
patogene
e
presentano
un’aggregazione).
Emorragie
ipertensive
Nelle
emorragie
su
base
ipertensiva:
• c’è
una
sede
tipica,
quasi
patognomonica,
a
livello
dei
nuclei
della
base
(quella
tipica
dell’angiopatia
amiloide
è
più
superficiale),
• la
rottura
di
un
vaso
causa
una
lesione
destruente
a
rapida
espansione
(una
massa
che
occupa
spazio);
non
ci
sono
possibilità
di
compenso
del
parenchima
cerebrale,
quindi
si
verifica
distorsione
ed
erniazio-‐
ne
dell’encefalo
con
spostamento
della
linea
me-‐
diana.
All’esame
macroscopico
(v.
fig.)
si
può
osser-‐
vare
una
emorragia
superficiale
con
lobo
“esploso”
(burst
lobe)
che
può
arrivare
a
coinvolgere
la
cor-‐
teccia
e
la
sostanza
bianca
sottocorticale,
• il
sangue
può
prendere
una
via
minor
resistentiae
portandosi
o
nei
ventricoli
o
nello
spazio
suba-‐
racnoideo:
in
questi
casi
si
parla
di
grande
emorragia
cerebrale.
In
caso
di
diffusione
del
sangue
nei
ventricoli
si
genera
un’emorragia
intraventricolare:
il
liquor
viene
sostituito
dal
sangue
e
aumenta
la
pressione
intraventricolare;
• se
il
paziente
sopravvive,
il
sangue
viene
progressivamente
riassorbito
lasciando
una
cisti
vuota
o
contente
un
liquido
bruno
che
prende
il
no-‐
me
di
cisti
apoplettica:
è
circondata
da
una
spessa
regione
arancione
ben
delimitata
in
cui
sono
presenti
macrofagi
che,
fagocitando
il
sangue,
sono
ricchi
di
emosiderina.
In
quanto
ben
delimitata,
la
cisti
apoplettica
va
in
diagnosi
differenziale
radiologica
con
un
tumore.
Attorno
all’ematoma
è
possibile
trovare
parenchima
con
vasi
caratterizzati
da
microaneurismi,
angiopatia
amiloide,
segmenti
vascolari
con
necrosi
fibrinoide,
arteriolosclerosi
diffusa
dei
vasi
(danno
microvascolare
predisponente).
La
localizzazione
caratteristica
a
livello
dei
nuclei
della
base
permette
di
dirimere
problemi
di
natura
medi-‐
co-‐legale
e,
a
volte,
di
operare
una
diagnosi
differenziale
tra
emorragia
spontanea
ed
emorragia
post-‐
traumatica,
o
di
capire
se
l’emorragia
è
una
causa
o
una
conseguenza
della
morte.
Per
esempio
se
un
pa-‐
ziente
viene
trovato
morto
in
casa,
l’esame
dell’encefalo
e
la
localizzazione
di
un’eventuale
emorragia
in-‐
tracerebrale
potrebbe
aiutare
a
comprendere,
ma
non
sempre,
se
la
morte
è
avvenuta
fatalmente
o
a
se-‐
guito
di
un
trauma
e/o
una
colluttazione
con
un
eventuale
omicida.
Nel
primo
caso
si
osserva
post-‐mortem
un’emorragia
ai
nuclei
della
base,
con
un
eventuale
ematoma
cutaneo
a
livello
del
cranio
secondario
alla
caduta
del
paziente
in
fin
di
vita;
nel
secondo
si
osserva
l’ematoma
e
un’eventuale
emorragia
altrove,
ma
non
di
solito
a
livello
dei
nuclei
della
base.
Emorragie
non
ipertensive
Le
emorragie
su
base
non
ipertensiva
sono
comunemente
causate
da:
• malformazioni
vascolari
intraparenchimali
non
diagnosticate
per
l’assenza
di
screening
nella
popo-‐
lazione
generale,
pur
essendo
relativamente
comuni.
Si
manifestano
con
sanguinamenti
o
con
sin-‐
tomi
irritativi
(cefalea,
epilessia);
• sanguinamenti
in
corso
di
malattie
ematologiche
(leucemie
acute
o
disturbi
della
coagulazione),
• angiopatia
amiloide,
• sanguinamenti
nell’ambito
di
neoplasie
cerebrali.
Si
manifestano
con
sanguinamenti
o
con
sintomi
irritativi
(cefalea,
epilessia).
Le
malformazioni
vascolari
del
tessuto
cerebrale
sono
classificate
in
quattro
gruppi
principali:
• malformazioni
artero-‐venose
(MAV),
le
più
temute,
la
cui
rottura
causa
un’emorragia
destruente.
o Sono
anomalie
strutturali
formate
da
masse
di
ar-‐
terie
e
vene
in
comunicazione
fra
di
loro
per
mez-‐
zo
di
vasi
anomali,
senza
l’interposizione
di
un
let-‐
to
capillare
(l’arteria
imbocca
a
pieno
canale
la
ve-‐
na);
pertanto
i
vasi
che
mediano
questa
comunica-‐
zione
interfacciale
sono
esposti
ad
alte
pressioni
e
pertanto
a
un
rischio
di
rottura
e
a
un’elevata
propensione
al
sanguinamento.
o La
sede
più
comune
è
il
territorio
dell’arteria
cere-‐
brale
media,
in
particolare
delle
ramificazioni
po-‐
steriori.
o Una
MAV
giunta
alla
sua
piena
maturazione
può
manifestarsi
sotto
forma
di
massa
estesa,
pul-‐
sante
e
calda;
l’aumento
della
dimensione
è
dovuto
all’aumento
dei
vasi
anomali.
Può
essere
diagnosticata
dal
radiologo
con
una
TAC
con
mdc:
si
osserva
una
fase
arteriosa
seguita
imme-‐
diatamente
da
una
venosa,
senza
l’interposizione
di
una
fase
capillare.
o Il
parenchima
cerebrale
circostante
alla
MAV
presenta
emosiderina
e
gliosi
con
calcificazioni,
indicativi
di
microsanguinamenti
che
possono
essere
silenti
o
clinicamente
manifesti:
in
quest’ultimo
caso
la
diagnosi
viene
fatta
prima
di
un
evento
potenzialmente
fatale.
o I
maschi
sono
colpiti
due
volte
più
delle
femmine
e
la
lesione
spesso
si
manifesta
fra
i
20-‐40
anni
con
un’emorragia
intracerebrale
o
subaracnoidea
(infatti
i
vasi
interessati
dalla
MAV
an-‐
che
se
sono
intraparenchimali
presentano
‘feeding
vessels’
in
regione
subaracnoidea).
o Quando
non
sanguinano
possono
manifestarsi
a
volte
con
epilessia:
quindi
in
caso
di
epilessia
insorta
nel
giovane-‐adulto
bisogna
studiare
anche
i
vasi.
• angiomi
cavernosi:
sono
ammassi
di
capillari
con
lumi
dilatati
e
con
parete
sottile
senza
parenchi-‐
ma
cerebrale
interposto.
Sono
canali
a
basso
flusso
che
non
prendono
parte
a
shunt
arterovenosi:
quelli
più
danneggiati
sviluppano
fibrosi
e
si
inspessiscono
(si
localizzano,
in
ordine
di
frequenza
decrescente,
nel
cervelletto,
nel
ponte
e
nelle
regioni
subcorticali).
L’intervento
chirurgico
è
indica-‐
to
solo
in
caso
di
sanguinamento;
• teleangectasie
capillari:
sono
foci
microscopici
di
canali
vascolari
a
parete
sottile,
dilatati,
separati
da
un
parenchima
cerebrale
apparentemente
normale,
che
si
osservano
con
maggiore
frequenza
nel
ponte,
• angiomi
venosi
(varici):
sono
alterazioni
vascolari
delle
vene,
che
consistono
in
aggregati
di
vasi
ve-‐
nosi
ectasici
separati
da
parenchima
normale;
causano
piccoli
sanguinamenti
a
bassa
pressione
che
solitamente
non
hanno
implicazioni
cliniche
importanti.
Sono
operati
solo
se
sintomatici.
Di
questi,
i
primi
due
sono
i
tipo
associati
al
rischio
di
emorragia
e
di
sviluppo
di
sintomi
neurologici.
EMORRAGIA
SUBARACNOIDEA
Le
emorragie
subaracnoidee
sono
emorragie
localizzate
nello
spazio
subaracnoideo.
• Possono
essere:
o traumatiche,
o non
traumatiche:
sono
causate
di
solito
dalla
rottura
a
livello
di
un
aneurisma
dei
vasi
del
po-‐
ligono
di
Willis,
che
scorrono
nello
spazio
subaracnoideo
alla
base
dell’encefalo.
La
causa
più
frequente
e
significativa
è
la
rottura
di
un
aneurisma
sacciforme
(a
bacca)
in
un’arteria
cere-‐
brale,
soprattutto
dell’arteria
comunicante
anteriore.
L’emorragia
può
anche
dipendere
dall’estensione
di
un
ematoma
traumatico,
dalla
rottura
di
un’emorragia
ipertensiva
intracerebrale
nel
sistema
ventricolare,
da
una
malformazione
vasco-‐
lare,
da
disturbi
ematologici
e
da
tumori.
• In
caso
di
rottura
dei
vasi
del
poligono
di
Willis
il
sangue
si
accumula
nella
base
cranica,
dove
lo
spazio
subaracnoideo
è
molto
ampio
per
la
presenza
di
cisterne.
In
questo
caso
(sangue
nello
spa-‐
zio
subaracnoideo
della
base
cranica)
la
diagnosi
differenziale
tra
emorragia
post-‐traumatica
e
non
traumatica
da
rottura
dell’aneurisma,
che
può
avere
importanti
implicazioni
medico-‐legali,
si
fa
per
mezzo
dell’esame
macroscopico
dei
vasi
del
poligono
di
Willis.
• Di
solito
esordiscono
rapidamente
con
una
cefalea
violentissima,
spesso
nucale
(nella
regione
oc-‐
cipitale),
che
non
regredisce
con
nessuna
terapia.
• La
mortalità
nei
primi
2
giorni
è
del
30%
circa
e
ad
ogni
episodio
di
sanguinamento
la
prognosi
si
aggrava.
• Le
complicanze
precoci
(avvengono
nelle
ore
e
nei
giorni
seguenti
all’emorragia)
sono:
o il
vasospasmo:
il
sangue
che
si
porta
nello
spazio
subaracnoideo
determina
un’alterazione
del-‐
la
reattività
dei
vasi
con
conseguente
vasospasmo
che
può
causare
lesioni
ischemiche
secon-‐
darie
per
interessamento
vasi
diversi
da
quelli
originariamente
lesi.
Per
questo
motivo
le
emorragie
subaracnoidee
non
si
operano
in
acuto,
ma
dopo
2-‐3
giorni,
o la
recidiva
dell’emorragia.
• Le
complicanze
tardive
(associate
al
processo
di
guarigione)
sono:
o fibrosi
meningea,
dopo
l’emorragia
il
sangue
viene
progressivamente
riassorbito
e
le
cellule
in-‐
fiammatorie
possono
depositare
tessuto
fibroso,
o idrocefalo:
le
lesioni
cicatriziali
possono
ostacolare
il
deflusso
di
liquor
dallo
spazio
subarac-‐
noideo
e
portare
alla
formazione
di
idrocefalo.
In
caso
di
emorragia
cerebrale
traumatica
non
fatale
è
importante
monitorare
il
paziente
per
escludere
le-‐
sioni
da
ipertensione
endocranica
tramite
l’imaging
nei
giorni
successivi
al
trauma;
infatti,
se
il
cervello
non
risponde
con
un
adeguato
meccanismo
di
compenso,
insorgono
lesioni
da
ipertensione
endocranica
che
possono
portare
a
morte
in
pochi
giorni.
ANEURISMI
CEREBRALI
Gli
aneurismi
cerebrali
sono
dilatazioni
patologiche
della
parete
dei
vasi
arteriosi
cerebrali.
Possono
esse-‐
re:
• sacculari
o
“a
bacca”
(90%):
assomigliano
ad
una
bacca
con
uno
stelo
sottile;
sono
quelli
più
signifi-‐
cativi
nell’ambito
delle
lesioni
emorragiche
causate
dalla
rottura
dei
vasi
del
poligono
di
Willis,
• fusiformi
(e
dolicoectasia):
protrudono
su
tutti
i
lati
(circonferenzialmente)
e
sono
generalmente
associati
ad
aterosclerosi,
• infettivi
(o
micotici):
sono
causati
da
un’infezione
della
parete
arteriosa
sostenuta
da
germi
presen-‐
ti
in
circolo
(tossicodipendenti,
immunocompromessi,
stati
settici
gravi…),
• dissecanti,
che
si
formano
a
causa
della
fuoriuscita
di
sangue
attraverso
una
breccia
nella
tonaca
intima
della
parete
dell’arteria:
in
questo
caso
il
sangue
si
raccoglie
tra
gli
strati
della
parete
vasale,
che
si
dilata.
Nel
dettaglio,
gli
aneurismi
sacculari:
• insorgono
nel
60%
dei
casi
tra
i
40
e
i
60
anni.
Sono
molto
raramente
fami-‐
liari:
comunque
non
è
ancora
chiaro
se
la
familiarità
sia
un
fattore
di
ri-‐
schio
e
quale
sia
il
ruolo
della
genetica,
infatti
insorgono
troppo
tardiva-‐
mente
per
essere
geneticamente
determinati,
• hanno
un’eziologia
non
chiara33:
molto
probabilmente
si
sviluppano
da
le-‐
sioni
degenerative
acquisite
aggravate
da
stress
emodinamico.
E’
possibile
un’associazione
con
i
disordini
del
tessuto
connettivo
e/o
con
i
MAV;
• i
fattori
di
rischio
sono
l’ipertensione,
il
fumo
e
l’alcol,
• sono
localizzati
nell’80-‐90%
dei
casi
nella
parte
terminale
della
carotide
e
nella
porzione
anteriore
del
poligono,
• più
sono
grandi,
più
tendono
a
trombizzare:
ma
questo
si
associa
a
un
diminuito
rischio
di
sangui-‐
namento
(in
quanto
le
pareti
sono
meno
esposte
a
turbolenze).
Quindi
la
grandezza
dell’aneurisma
non
correla
con
il
rischio
di
rottura.
Fig.
Aneurisma
sacculare
della
cerebrale
poste-‐ Fig.
Aneurisma
trombizzato:
più
gli
aneurismi
sono
riore
all’imbocco
della
comunicante
posteriore.
grandi,
più
tendono
a
trombizzare
e
a
non
sanguinare.
33
Robbins:
l’anomalia
strutturale
del
vaso
coinvolto
(assenza
del
muscolo
liscio
e
di
lamina
elastica
interna)
suggerisce
che
essi
rappresentino
un
disturbo
dello
sviluppo.
Nonostante
la
maggior
parte
dei
casi
insorga
sporadicamente,
i
fat-‐
tori
genetici
sembrano
avere
un
ruolo
importante
nella
patogenesi
poiché
si
riscontra
un
aumento
del
rischio
di
aneu-‐
risma
nei
parenti
di
primo
grado
dei
pazienti
dei
pazienti
affetti.
Sebbene
vengano
a
volte
descritti
come
congeniti,
gli
aneurismi
sono
assenti
alla
nascita
ma
si
sviluppano
nel
tempo
a
causa
di
difetti
a
livello
della
tonaca
media
dei
vasi.
21b.
PATOLOGIA
NEOPLASTICA
DEL
SISTEMA
NERVOSO
CENTRALE
PROCESSI
ESPANSIVI
ENDOCRANICI
CLASSIFICAZIONE
In
sede
endocranica
si
possono
osservare
processi
espansivi
che
originano
dall’osso,
dalle
meningi
e
dall’encefalo.
Nel
dettaglio
distinguiamo:
1. lesioni
del
cranio
e
tessuti
molli.
Sono
processi
espansivi
molto
rari
che
crescono
dentro
la
cavità
cranica,
ma
che
derivano
dall’esterno
(come
accade
con
l’osso);
infatti,
oltre
a
crescere
verso
l’interno
della
teca,
causando
problemi
di
ipertensione
endocranica,
potrebbero
crescere
anche
verso
l’esterno
(in
questo
caso
la
localizzazione
è
sottocutanea,
più
visibile
ma
meno
sintomatica).
Queste
lesioni
possono
essere:
• non
neoplastiche,
come
l’istiocitosi
X
a
cellule
di
Langerhans1,
che
può
colpire
diversi
distretti.
Una
variante
monostotica
a
carico
delle
ossa
craniche
è
il
granuloma
eosinofilo,
una
lesione
osteolitica
autolimitante
che
colpisce
i
bambini
e
che
va
in
diagnosi
differenziale
con
lesioni
neoplastiche
(nell’adulto
pensiamo
a
un
mieloma
multiplo
o
a
una
metastasi).
La
sintomatologia
consiste
in
dolorabilità
e
tumefazione
delle
sedi
ossee
interessate,
con
pos-‐
sibilità
di
fratture.
La
diagnosi
è
effettuata
mediante
biopsia
ossea
e
riscontro
istologico
delle
lesioni,
che
mostra
le
tipiche
formazioni
granulomatose,
costituite
da
cellule
di
Langerhans
e
cellule
eosinofile
di
natura
reattiva;
• neoplastiche:
o benigne:
§ emangiomi:
si
verificano
frequentemente
a
livello
della
teca
cranica
e
delle
vertebre
e
pongono
problematiche
di
diagnosi
differenziale
con
lesioni
metastatiche;
§ osteoma:
risulta
ben
visibile,
poiché
bianco,
rispetto
al
sangue
e
alla
componente
mieloide
dell’osso
trabecolare
spugnoso.
Non
preoccupa
perché
rappresenta
solo
un
problema
estetico,
da
trattare
con
chirurgia
locale;
o maligne:
§ mieloma
multiplo
(più
frequente
dei
due
precedenti);
§ metastasi
ossea
di
carcinoma;
§ tumori
primitivi
dell’osso,
tra
cui
ricordiamo
i
cordomi:
si
sviluppano
lungo
il
decorso
della
notocorda
(a
partire
dalla
proliferazione
da
cellule
della
notocorda
che
residua-‐
no),
in
particolare
a
livello
della
base
cranica
in
posizione
mediana
(sede
specifica
che
permette
la
diagnosi),
del
sacro
e
raramente
vertebrale.
Si
tratta
di
una
neoplasia
si-‐
mile
ai
tumori
della
cartilagine,
localmente
aggressiva
a
bassa
malignità:
una
volta
escissa
tende
a
recidivare.
Va
in
diagnosi
differenziale
con
le
masse
che
possono
svi-‐
lupparsi
a
livello
della
base
cranica,
ossia
quelle
lesioni
che
interessano
o
la
sella
tur-‐
cica
o
il
corpo
dello
sfenoide;
2. lesioni
delle
meningi
endocraniche.
La
meninge
si
compone
di
cellule
aracnoidee,
cellule
specializ-‐
zate
simili
alle
cellule
endoteliali,
e
può
dare
origine
a
neoplasie
simili
a
quelle
delle
sierose
(infatti
1
Si
comporta
localmente
come
una
patologia
neoplastica,
anche
se
teoricamente
è
ritenuto
tra
le
lesioni
non
neopla-‐
stiche.
anche
le
meningi
sono
formate
da
cellule
appiattite,
con
nucleo
poco
evidente,
che
si
appoggiano
su
un
piccolo
strato
di
connettivo
sub-‐epiteliale);
distinguiamo:
• meningiomi,
tumori
che
derivano
dalla
cellule
aracnoidee,
• tumori
mesenchimali
non
meningoteliali,
che
non
derivano
dalle
cellule
(sub)aracnoidee:
o tumori
fibrosi
solitari
(o
emangiopericitomi),
che
derivano
dai
periciti
attorno
ai
vasi;
la
diagnosi
differenziale
è
complicata,
non
sempre
possibile.
Sono
tumori
che
tendono
a
causare
sanguinamenti
marcati,
formati
da
una
rete
vascolare
irregolare
con
un
caratteri-‐
stico
aspetto
a
“corna
di
cervo”.
Sono
tumori
benigni,
ma
possono
recidivare
localmente;
se
sono
di
alto
grado
possono
essere
considerati
maligni;
o tumori
melanocitari:
§ nevo
(benigno);
§ melanoma
(maligno,
raro
in
questa
sede).
Va
distinto
dalle
localizzazioni
metastati-‐
che
cerebrali
del
melanoma,
ma
la
diagnosi
differenziale
è
quasi
impossibile
(sono
uguali,
può
aiutare
solo
la
clinica);
§ altro;
3. lesioni
dell’encefalo,
che
possono
essere:
• neoplasie
primitive
e
secondarie
(metastasi).
Quelle
primitive
sono
molto
rare
e
difficili
da
diagnosticare;
sono
generalmente
a
prognosi
infausta,
nonostante
i
progressi
della
biologia
molecolare.
A
complicare
l’iter
diagnostico
c’è
il
fatto
che
una
neoplasia
intraparenchimale
non
è
sempre
intrassiale
(ovvero
non
è
detto
che
origini
dai
tessuti
del
SNC):
per
esempio
c’è
la
possibilità
che
un
tumore
in
fossa
cranica
posteriore
non
derivi
dal
cervelletto,
bensì
dalla
meninge
o
dai
nervi
cranici
(rientra
in
questo
caso
nella
categoria
dei
tumori
del
SNP);
in
questi
casi
la
massa
è
definita
intracranica
ma
extra-‐assiale
(i
neuroradiologi
e
i
neurochirurghi
utilizzano
spesso
intrassiale
come
sinonimo
di
intraparenchimale).
La
diagnosi
differenziale
dei
tumori
dal
punto
di
vista
radiologico
non
è
agevole2:
ad
esempio,
solo
al
tavolo
operatorio
si
può
distinguere
una
cisti
post-‐sanguinamento
circondata
da
infil-‐
trato
infiammatorio
da
un
tumore,
che
hanno
aspetto
simile
all’imaging.
Oppure,
è
difficile
da
distinguere
la
radionecrosi
(dovuta
a
radioterapia)
da
una
recidiva,
sia
radiologicamente
sia
dal
punto
di
vista
anatomopatologico,
in
quanto
gli
astrociti
neoplastici
somigliano
molto
a
quelli
reattivi.
Il
problema
delle
neoplasie
cerebrali
è
legato
anche
alla
resecabilità:
il
neurochirurgo
non
può
realizzare
resezioni
ampie
e,
in
assenza
di
escissione
completa,
vi
è
un
alto
rischio
di
recidive.
L’asportazione
completa
di
un
tumore
si
realizza
solo
se
la
lesione
si
localizza
nel
lobo
frontale
o
parietale:
nelle
altre
sedi
si
rischierebbe
di
danneggiare
strutture
vitali;
• ascessi;
• ematomi;
• infarti
recenti;
• encefalopatie
infettive;
• encefalopatie
metaboliche.
2
Le
lesioni
non
neoplastiche
che
possono
essere
interpretate
come
neoplasie
sono:
• gliosi
reattiva
(astrocita
in
ipertrofia
e
iperplasia
in
risposta
a
uno
stimolo
non
sempre
riconosciuto);
• malattie
demielinizzanti;
• infarti
cerebrali
(cisti
post-‐sanguinamento).
Clinica
La
clinica
non
permette
di
arrivare
a
comprendere
il
tipo
di
lesione,
in
quanto
i
sintomi
sono
aspecifici,
co-‐
me:
• l’epilessia,
sintomo
abbastanza
comune
(la
comparsa
di
epilessia
in
un
adulto
dovrebbe
mettere
in
allerta
ed
essere
indagata);
• la
cefalea;
• la
perdita
di
funzioni
specifiche
(atassia,
afasia,
allucinazioni,
etc.)
in
base
alla
localizzazione
del
tumore.
La
sintomatologia
dipende
dalla
velocità
di
crescita.
Masse
encefaliche
a
crescita
rapida
non
danno
tempo
al
parenchima
cerebrale
di
attivare
meccanismi
di
compenso:
la
sintomatologia
clinica
è
molto
più
marcata
e
grave
rispetto
a
quella
di
un
tumore
che
cresce
lentamente.
Quindi,
più
il
tumore
cresce
lentamente,
più
i
sintomi
sono
irritativi;
se
invece
l’espansione
è
rapida
ci
sono
sintomi
legati
all’incremento
della
pressione
endocranica.
Non
esiste
screening
per
i
tumori
cerebrali
(perché
sono
troppo
rari):
il
sospetto
si
basa
sulla
clinica,
a
parti-‐
re
dalla
quale
si
arriva
a
diagnosi
e
terapia.
Solo
raramente
ci
si
imbatte
in
lesioni
cerebrali
asintomatiche
in
corso
di
esami
radiologici
eseguiti
per
altro
motivo.
Diagnosi
L’insorgenza
della
sintomatologia
porta
i
paziente
dal
medico,
che
può
essere
il
medico
di
medicina
genera-‐
le,
il
neurologo
o
il
medico
di
pronto
soccorso,
a
seconda
della
specificità
e
gravità
dei
sintomi.
Le
scienze
diagnostiche
in
questo
caso
includono
la
neuroradiologia
(TC
o,
più
frequentemente,
RM)
e,
qualora
si
de-‐
cida
di
operare,
l’anatomia
patologica.
Gli
esami
di
laboratorio
non
sono
molto
utili.
Terapia
Laddove
siano
aggredibili,
la
terapia
d’elezione
è
chirurgica;
solo
in
seguito
dell’escissione
del
tumore,
la
terapia
proposta
è
quella
tradizionale,
ovvero
radioterapica
e
chemioterapica;
sono
in
studio
terapie
mira-‐
te.
Se
il
paziente
non
è
candidabile
alla
terapia
chirurgica,
si
procede
direttamente
con
la
radioterapia
e/o
chemioterapia.
L’anatomopatologo
fornisce
gli
indicatori
utili
per
avviare
il
paziente
ad
una
determinata
terapia,
come
i
marcatori
biologici,
grazie
a
studi
aggiuntivi
condotti
sul
tumore
per
tentare
di
capire
se
il
paziente
sia
can-‐
didabile
a
terapia
alternative.
DIAGNOSI
ANATOMOPATOLOGICA
L’anatomopatologo
si
inserisce
nell’iter
diagnostico
dei
processi
espansivi
del
SNC
a
diversi
livelli.
1. Esame
estemporaneo.
Può
essere
di
due
tipi:
o esame
istologico
al
congelatore,
che
prevede
il
congelamento
del
campione
a
-‐30°C
(è
un
aforma
di
fissazione),
il
taglio
con
criostato
e
la
realizzazione
di
sezioni
colorate
rapidamente
con
blu
di
toluidina.
Questo
processo
deve
essere
realizzato
nell’arco
di
5-‐10
minuti,
ed
è
mol-‐
to
complesso
e
impegnativo:
nella
neuropatologia
è
infatti
un
problema
a
volte
ottenere
abba-‐
stanza
materiale
per
poter
fare
le
fettine;
pertanto
oggi
questo
esame
è
stato
in
gran
parte
so-‐
stituito
da
quello
citologico
con
striscio
(v.
dopo).
Il
neurochirurgo
richiede
l’esame
istologico
con
congelamento,
chiedendo
all’anatomo-‐
patologo:
§ indicazioni
sulla
diagnosi
istologica
(es.
linfoma
o
tumore
cerebrale
primitivo).
Poiché
i
tumori
cerebrali,
per
definizione,
non
presentano
margini
chiari
e
ben
definiti,
il
patologo
non
viene
interpellato
(come
nell’ambito
di
altre
specialità
chirurgiche)
per
studiare
lo
stato
dei
margini
o
per
condurre
una
diagnosi
precisa;
il
neurochirurgo
ha
solo
bisogno
della
conferma
che
il
tessuto
prelevato
sia
tumorale
e
di
un
orientamento
riguardo
alla
ca-‐
tegoria
cui
il
tumore
appartiene.
E
poiché
i
tumori
cerebrali
presentano
picchi
di
incidenza
in
età
diverse,
il
patologo
deve
essere
a
conoscenza
dell’età
del
paziente
(si
ricercano
le
diagnosi
di
maggiore
probabili-‐
tà);
§ se
la
quantità
di
tessuto
è
adeguata
per
le
procedure
diagnostiche
non
di
routine:
il
neu-‐
rochirurgo
tenta
di
asportare
una
quantità
adatta
di
tessuto
neoplastico
per
poter
porre
diagnosi,
attraverso
metodiche
specifiche,
nelle
fasi
successive
all’intervento;
§ se
il
materiale
è
adeguato:
se
il
neurochirurgo
si
trova
a
sezionare
una
lesione
profonda,
il
patologo,
attraverso
l’analisi
di
frammenti
rimossi,
guida
il
livello
di
profondità
a
cui
si
può/deve
arrivare
ad
asportare
(dicendo
se
quel
tessuto
è
tumorale
o
non
tumorale);
o esame
citologico
con
striscio.
Il
cervello,
essendo
un
tessuto
molle,
può
essere
strisciato
su
ve-‐
trino
e
colorato
con
blu
di
toluidina3
per
realizzare
l’esame
citologico;
questa
procedura
rap-‐
presenta
l’esame
estemporaneo
tradizionale.
Il
patologo
con
lo
striscio
valuta:
§ la
presenza
o
meno
di
vasi,
§ la
presenza
o
meno
di
cellule
neoplastiche
(se
presenti
in
che
numero),
§ la
morfologia
delle
cellule.
2. Diagnosi
istologica.
E’
la
diagnosi
tradizionale
e
definitiva
che
può
essere
realizzata
su:
• resezione
unica
(molto
raro);
• frammenti;
• biopsia
di
lesione
inasportabile.
L’esame
istologico
include:
• la
colorazione
in
EE:
permette
di
valutare
morfologia
cellulare,
tipo
di
crescita,
distribuzione
delle
cellule,
e
di
arrivare
alla
diagnosi
nel
99%
dei
casi;
• raramente
l’applicazione
di
tecniche
istochimiche
(PAS,
Luxol
Fast
Blue4,
etc.).
La
diagnosi
è
generalmente
fenotipica:
le
cellule
neoplastiche
vengono
confrontate
con
la
contro-‐
parte
normale
a
cui
somigliano.
Tuttavia,
molte
di
queste
neoplasie
presentano
aspetti
non
ricon-‐
ducibili
a
quelli
della
controparte
normale:
occorre
pertanto
ricorrere
alla
immunoistochimica,
uti-‐
lizzando
dei
marker
caratteristici
(ma
non
specifici).
3. Immunoistochimica
(ormai
indispensabile),
molto
usata
per
evidenziare:
• marker
delle
cellule
gliali5:
o proteina
fibrillare
acida,
GFAP
(Glial
Fibrillary
Acid
Protein),
marker
principale
della
glia,
di
cui
forma
il
citoscheletro,
espressa
soprattutto
dagli
astrociti
(utile
nella
diagnosi
di
tu-‐
mori
astrocitari);
o S-‐100:
poco
utile
per
i
tumori
del
SNC,
perché
è
aspecifica;
ma
è
utile
nei
tumori
del
SNP
che
si
localizzano
a
livello
intracranico
(ossia
i
tumori
dei
nervi
cranici);
• marker
dei
neuroni;
o sinaptofisina,
marker
caratteristico
delle
cellule
con
differenziazione
neuronale
(che
sono
negative
alla
cromogranina);
o neurofilamenti:
marker
del
citoscheletro
delle
cellule
neuronali;
3
Il
blu
di
toluidina
è
una
colorazione
rapida
realizzata
con
colorante
generico,
soprattutto
citoplasmatico:
i
nuclei
po-‐
trebbero
non
essere
ben
visibili
(è
possibile
sbagliarsi).
4
Il
Luxol
Fast
Blue
visualizza
lo
stato
di
mielinizzazione,
utile
per
la
DD
tra
tumori
e
lesioni
demielinizzanti.
5
La
maggior
parte
dei
tumori
del
cervello
è
di
origine
gliale.
o NEU-‐N:
fattore
di
trascrizione
delle
cellule
neuronali
(colora
i
nuclei);
• Mib-‐1
per
valutare
l’attività
proliferativa:
non
è
diagnostico,
ma
più
cellule
proliferanti
trovia-‐
mo,
più
è
probabile
che
si
tratti
di
un
tumore.
4. Microscopia
elettronica,
obsoleta.
5. Biologia
molecolare,
i
cui
marker
sono
utili
per
la
diagnosi6
e
per
la
correlazione
con
la
chemiotera-‐
pia.
Le
tecniche
più
adoperate
includono:
• FISH
(molto
usata
nei
tumori
cerebrali):
permette
di
individuare
la
perdita/acquisizione
di
cromosomi
o
di
loro
parti;
lo
studio
del
DNA
viene
eseguito
su
sezioni
prese
dal
blocchetto
cel-‐
lula,
incluse
e
fissate
in
paraffina;
• sequenziamento
genico:
usato
in
vari
contesti,
è
informativo
di
mutazioni
genetiche
o
dei
alte-‐
razioni
epigenetiche.
6. Esame
citologico
del
liquor:
poco
utilizzato
perché
fornisce
scarse
informazioni
(inoltre
nei
tumori
che
si
associano
a
ipertensione
endocranica
la
puntura
lombare
a
scopo
diagnostico
non
è
indica-‐
ta).
CASO
CLINICO
Anamnesi
• Maschio,
50
anni
• Massa
nell’emisfero
cerebellare
sinistro.
Esame
istologico
estemporaneo
Al
MO,
le
cellule
sono
tonde
e
tutte
uguali,
senza
disposizione
caratteristica.
La
presenza
di
cellule
giganti
fa
sorgere
il
sospetto
di
linfoma,
legato
al
fatto
che
i
granuli
cerebellari
possono
essere
scambiati
per
linfociti
(sono
simili,
presen-‐
tano
entrambi
un
nucleo
ipercromatico).
Esame
istologico
definitivo
Dopo
asportazione
della
lesione
e
colorazione
in
EE,
si
vede
che
la
grande
cellula
isolata
è
una
cellula
di
Purkinje.
Le
spie
di
errore
potevano
essere:
• lo
striscio
di
sangue
mostra
cellule
monomorfe
(solo
la
LLC
o
il
linfoma
linfocitico
presentano
cellule
tutte
uguali
ma
non
si
è
mai
osservata
una
LLC
con
localizzazione
primitiva
a
livello
del
cerebellare);
• le
cellule
erano
troppo
uguali
tra
loro,
cosa
improbabile
anche
nelle
LLC
(si
osserva
una
minima
atipia).
6
Per
esempio,
il
glioblastoma
perde
il
cromosoma
10,
caratteristica
diagnostica.
NEOPLASIE
CEREBRALI
Nella
patologia
tumorale
del
SNC
l’anatomia
patologia
ha
un
ruolo
diagnostico
e
terapeutico
imprescindibi-‐
le.
Poiché
i
tumori
dei
neuroni
sono
rarissimi,
studieremo
soprattutto
i
tumori
delle
cellule
della
glia,
che
hanno
una
maggior
capacità
di
riparazione
e
proliferazione
rispetto
ai
neuroni.
EPIDEMIOLOGIA
• I
tumori
del
SNC
sono
tumori
rari:
rappresentano
meno
del
2%
di
tutte
le
neoplasie
maligne.
• L’incidenza
è
più
elevata
nel
mondo
occidentale
(7-‐10
nuovi
casi/anno/
100.000
abitanti).
• Si
verificano
a
tutte
le
età,
ma
vi
sono
due
picchi:
o uno
pediatrico:
nei
bambini
sono
i
tumori
più
frequenti
dopo
quelli
ematologici
e
hanno
un
comportamento
diverso
rispetto
a
quello
degli
adulti,
o uno
negli
adulti
dai
45
ai
70
anni.
Ogni
tumore
ha
un
target
anagrafico
più
specifico.
CLASSIFICAZIONE
I
tumori
cerebrali
sono
stati
classificati
per
oltre
un
secolo
esclusivamente
sulla
base
della
morfologia,
ov-‐
vero
valutando
la
somiglianza
con
l’ipotetica
cellula
d’origine
del
cervello,
e
lo
stato
di
differenziazione,
grazie
al
supporto
dell’EE,
dell’immunoistochimica
(e
in
casi
selezionati
della
microscopia
elettronica).
La
nuova
classificazione
WHO
2016
(che
rappresenta
un
aggiornamento
della
precedente
classificazione
del
2007)
include,
accanto
ai
criteri
morfologici,
anche
criteri
di
biologia
molecolare;
in
altre
parole
per
in-‐
serire
un
tumore
in
una
categoria
diagnostica,
soprattutto
un
tumore
gliale
diffuso,
non
è
sufficiente
lo
stu-‐
dio
della
morfologia
ma
è
indispensabile
studiare
anche
alcune
mutazioni
(definite
driver).
Le
macrocategorie
diagnostiche
sono:
• gliomi
(tumori
delle
cellule
della
glia),
che
comprendono:
astrocitomi,
oligodendrogliomi,
ependi-‐
momi
e
tumori
dei
plessi
corioidei,
• tumori
neuronali
e
neuro-‐gliali
(rari),
• tumori
della
regione
pineale,
• tumori
embrionali,
• tumori
dei
nervi
cranici,
• meningiomi,
• tumori
mesenchimali,
• linfomi,
• altri
(tumori
melanocitici,
tumori
istiocitici,
tumori
germinali,
tumori
della
regione
sellare),
• metastasi.
Vengono
trattate
in
maniera
approfondita
le
classificazioni
WHO
2007
e
WHO
2016
dei
tumori
più
fre-‐
quenti,
ovvero
degli
astrocitomi
e
degli
oligodendrogliomi.
Ai
fini
didattici
tale
trattazione
è
preceduta
dallo
studio
del
grading;
invece
lo
staging
(TNM)
non
è
applicabile
ai
tumori
cerebrali,
perché:
• il
neurochirurgo
invia
dei
frammenti
della
neoplasia
e
non
una
massa
unica
da
misurare
per
definire
il
parametro
T
(quindi
le
dimensioni
e
i
criteri
di
invasione
di
strutture
circostanti
non
sono
valuta-‐
bili);
• non
sono
presenti
linfonodi,
quindi
anche
il
parametro
N
non
è
valutabile.
GRADING
Per
ciascuna
categoria,
la
classificazione
WHO
fornisce
i
criteri
per
attribuire
un
grado
istologico,
ovvero
una
stima
dell’aggressività
intrinseca
della
neoplasia
basata
su
specifiche
caratteristiche
cito-‐architetturali
osservabili
al
microscopio.
Il
grado
risultante
da
questa
stima
ha
valore
prognostico
e
predittivo.
Nella
clas-‐
sificazione
aggiornata
al
2016,
sebbene
sia
cambiata
la
classificazione
dei
tumori
e
la
nomenclatura,
il
gra-‐
ding
è
rimasto
invariato.
Per
i
tumori
gliali,
la
valutazione
del
grading
si
fonda
su
quattro
parametri:
• l'atipia
citologica,
che
si
basa
sull’osservazione
del
citoplasma
e
del
nucleo
(variazione
di
forma
e
dimensioni
e
ipercromasia);
• mitosi
e
attività
proliferativa.
Si
valutano
su
due
vetrini
differenti:
le
mitosi
si
contano
sul
vetrino
in
EE
a
forte
ingrandimento;
l’attività
proliferativa
(da
studiare
solo
se
necessaria)
si
valuta
con
l’immunoistochimica
per
il
Mib-‐1
(che
mette
in
evidenza
i
nuclei
delle
cellule
fuori
dalla
fase
G0):
è
utile
per
distinguere
i
tumori
di
II
grado
dai
tumori
di
III
grado;
• necrosi:
se
è
presente
o
meno;
se
è
presente
e
accompagnata
da
altri
criteri
si
pensa
a
un
tumore
maligno
(ma
può
essere
anche
una
necrosi
di
tipo
ischemico,
riscontrabile
anche
nei
tumori
beni-‐
gni:
in
questi
casi
bisogna
vedere
se
la
necrosi
è
da
sola
o
se
si
presenta
insieme
ad
altri
criteri);
• proliferazione
vascolare
(neovascolarizzazione).
Per
esempio
per
gli
astrocitomi,
in
base
alla
combinazione
dei
parametri
si
ottiene:
Atipia
nucleare
Grado
II
7
GII
+
mitosi
Grado
III
G3
+
necrosi
e/o
proliferazione
vascolare
Grado
IV
CLASSIFICAZIONE
WHO
2007
La
classificazione
WHO
2007,
che
non
includeva
criteri
di
biologia
molecolare,
comprende
(per
quanto
ri-‐
guarda
i
tumori
delle
cellule
della
glia):
• gliomi
astrocitari
diffusamente
infiltranti,
formati
da
cellule
simili
agli
astrociti,
che
per
loro
natura
sono
infiltranti:
nascono
quindi
come
tumori
infiltranti
e
non
sono
mai
di
grado
I.
Formano
un’area
diffusa
e
non
una
massa
circoscritta:
è
impossibile
per
il
neurochirurgo
asportarli
completamente,
quindi
tendono
a
recidivare.
In
base
al
grado
si
distinguono:
o astrocitoma
diffuso
(grado
II),
o astrocitoma
anaplastico
(grado
III),
o glioblastoma8
(grado
IV):
è
un
glioma
astrocitario
molto
aggressivo,
la
cui
sopravvivenza
era
di
tre
mesi
alla
diagnosi,
• oligodendrogliomi,
formati
da
cellule
simili
agli
oligodendrociti
che
crescono
in
maniera
diffusa.
Si
distinguono:
o oligodendroglioma
(grado
II),
o oligodendroglioma
anaplastico
(grado
III),
Gli
oligodendrogliomi
non
sono
mai
di
grado
IV;
• tumori
oligoastrocitici,
come
l’oligoastrocitoma
(grado
III),
un
tumore
ibrido
ed
eterogeneo:
non
si
è
in
grado
di
distinguere
se
le
cellule
abbiano
derivino
dagli
astrociti
o
dagli
oligodendrociti.
Nei
casi
7
Non
c’è
un
cut-‐off
per
le
mitosi;
certo
è
che
una
mitosi
solitaria
in
un
campione
di
grandi
dimensioni
non
giustifica
la
designazione
di
grado
III.
8
Il
glioblastoma
fu
descritto
da
Harvey
Cushing,
che
lavorava
alla
Mayo
Clinic
nei
primi
anni
‘20
del
Novecento:
Cushing
pensava
che
questo
tumore
derivasse
da
una
cellula
detta
“glioblasto”
(che
non
ha
mai
visto
nessuno),
che
non
fosse
quindi
correlato
ad
astrociti
e
oligodendrociti.
dubbi
si
poneva
questa
diagnosi
dando
al
paziente
la
possibilità
di
essere
trattato
con
cicli
di
che-‐
mioterapia
(infatti
mentre
gli
oligodendrogliomi
sono
trattati
con
chemioterapia
con
ottimi
tassi
di
risposta,
per
l’astrocitoma
non
è
indicata
la
chemioterapia,
in
quanto
non
efficace)
CLASSIFICAZIONE
WHO
2016
Come
accennato,
nel
2016
sono
state
incluse
nella
classificazione
le
nozioni
di
biologia
molecolare,
di
cui
si
disponeva
già
nel
2007
senza
conoscerne
però
il
significato
preciso
(non
si
sapeva
che
peso
avessero
nella
storia
clinica
di
questi
tumori).
Quando
è
emerso
che
le
mutazioni
molecolari
individuate,
come
la
mutazione
dell’IDH
(isocitrato
deidro-‐
genasi),
svolgevano
un
ruolo
di
driver
nella
trasformazione
neoplastica
dei
tumori
gliali,
è
stato
conferito
ad
essi
un
valore
diagnostico
e
si
è
reso
necessario
aggiornare
(“update”)
la
classificazione;
questo
implica
che
il
laboratorio
di
anatomia
patologica
deve
disporre
di
attrezzature
adeguate
per
l’esecuzione
delle
tecniche
di
biologia
molecolare
previste
dall’iter
diagnostico.
La
classificazione
WHO
2016
include
(per
quanto
riguarda
i
tumori
delle
cellule
della
glia):
1. tumori
astrocitici
ed
oligodendrogliali
diffusi9;
nella
nuova
classificazione
sono
riuniti
in
un
unico
gruppo
perché
entrambi
i
tumori
sono
gliali
e
possono
assumere
un
fenotipo
astrocitico
o
oligo-‐
dendrogliale,
sono
accomunati
da
una
modalità
di
crescita
diffusa,
indipendentemente
dai
margini
macroscopici
della
massa.
A
seconda
dello
stato
mutazionale
dell’IDH
si
distinguono:
o astrocitoma
diffuso
(G2):
§ IDH-‐mutato,
§ WT
(wild-‐type),
§ NOS
(non
altrimenti
specificato):
si
inserisce
il
tumore
in
questa
categoria
se
non
si
cono-‐
sce
lo
stato
mutazionale
ovvero
non
si
può
studiarne
la
biologia
molecolare,
o
perché
il
campione
è
inadeguato
o
perché
manca
l’apparecchiatura
per
la
biologia
molecolare,
o astrocitoma
anaplastico
(G3):
§ IDH-‐mutato,
§ WT,
§ NOS,
o glioblastoma
(G4):
§ IDH-‐mutato,
§ WT,
§ NOS,
o oligodendroglioma
(G2):
§ IDH
e
1p/19q
codeleto,
§ NOS.
Non
è
mai
WT:
in
tal
caso
il
tumore
va
collo-‐
cato
in
un’altra
categoria
diagnostica;
o oligodendroglioma
anaplastico
(G3):
§ IDH
e
1p/19q
codeleto,
§ NOS.
Non
è
mai
WT:
in
tal
caso
il
tumore
va
collo-‐
cato
in
un’altra
categoria
diagnostica;
o oligoastrocitoma
NOS.
Questa
categoria
ibri-‐
9
Il
termine
‘diffuso’
implica
che
tali
tumori
nascono
tutti
infiltranti.
Nel
cervello
non
esistono
tumori
ben
delimitati,
anche
se
benigni.
È
per
tale
motivo
che
non
esiste
il
grado
I:
il
termine
diffuso
prende
in
carico
la
morfologia
di
queste
neoplasie,
infiltranti
sin
dall’inizio
e
indipendentemente
dal
grado.
Per
questo
l’asportazione
chirurgica
è
difficoltosa.
da
è
stata
eliminata
dalla
nuova
classificazione
perché
grazie
a
tecniche
di
biologia
molecolare
aggiuntive
è
sempre
possibile
collocare
il
tumore
nella
categoria
degli
oligodendrogliomi
o
de-‐
gli
astrocitomi;
si
pone
attualmente
questa
diagnosi
in
casi
rarissimi,
solo
se
si
osserva
un
tu-‐
more
morfologicamente
ibrido
e
non
è
possibile
studiarne
la
biologia
molecolare
(per
i
motivi
di
cui
sopra).
Quindi
l’iter
diagnostico
di
questi
tumori
parte
dall’osservazione
di
una
lesione
a
crescita
diffusa
con
componente
cellulare
che
somiglia
a
un
astrocita
o
a
un
oligodendrocita,
e
prosegue
nello
stu-‐
dio
della
biologia
molecolare
della
lesione,
2. altri
tumori
astrocitici,
sono
forme
localizzate
a
prognosi
relativamente
favorevole:
o astrocitoma
pilocitico;
o xantoastrocitoma
pleomorfo;
o astrocitoma
gigantocellulare
subependimale;
3. tumori
ependimali,
tra
cui
ricordiamo
l’ependimoma,
4. tumori
dei
plessi
corioidei.
BIOLOGIA
MOLECOLARE
Come
accennato,
la
mutazione
driver
nei
tumori
gliali,
che
determina
l’inizio
del
processo
di
cancerogenesi
gliale,
è
a
carico
dell’enzima
isocitrato
deidrogenasi
di
tipo
1
(IDH-‐1)
o
di
tipo
2
(IDH-‐2).
Per
esempio
è
emerso
nei
gliomi
diffusi
IDH-‐mutati
di
basso
grado
(G2
e
G3)
è
mutata
l’IDH1
nel
97%
dei
casi,
e
l’IDH2
nel
restante
3%10.
Resta
ancora
da
studiare
nel
dettaglio
il
processo
di
cancerogenesi
multistep
una
volta
av-‐
venuta
questa
mutazione.
Nel
dettaglio,
durante
l’iter
diagnostico,
il
patologo
ricorre
alle
seguenti
tecniche
di
biologia
molecolare:
• l’immunoistochimica,
che
consente
di
vedere
se
il
tumore
presenta
o
meno
la
mutazione
a
carico
dell’IDH1.
Esiste
infatti
un
anticorpo
che
è
in
grado
di
riconoscere
una
sola
mutazione,
la
più
fre-‐
quente
(presente
nel
90%
dei
casi),
a
carico
di
un
particolare
esone
dell’IDH1;
se
il
gene
è
mutato
la
proteina
è
espressa
(cosa
che
non
accade
nel
cervello
normale)
e
il
vetrino
si
colora
all’immunoistochimica.
Nel
restante
10%
dei
casi
in
cui
l’immunoistochimica
è
negativa,
il
patologo
non
può
escludere
una
mutazione
in
sede
diversa
del
gene
IDH,
non
riconosciuta
dall’anticorpo.
L’immunoistochimica
funge
da
screening
e
viene
effettuata
in
quanto
poco
costosa
e
rapidamente
fattibile:
se
risulta
positiva,
la
mutazione
è
presente;
• il
sequenziamento
(diretto
secondo
Sanger
o
pirosequenziamento),
indicato
nel
caso
in
cui
l’immunoistochimica
per
l’IDH1
dia
un
risultato
negativo,
• la
FISH
(basata
sull’utilizzo
di
un
primer
che
viene
identificato
da
un
rivelatore
fluorescente),
indica-‐
ta
per
cercare
una
codelezione
bilanciata
(sbilanciata
sulla
slide)
che
riguarda
1p36-‐19q13,
hallmark
dell’oligodendroglioma
(a
prescindere
dalla
morfologia).
In
questo
caso,
la
mutazione
ha
valore
prognostico
perché
la
neoplasia
risulta
più
sensibile
alla
chemioterapia.
10
Nel
2008
in
uno
studio
multicentrico
sono
stati
sequenziati
più
di
20000
geni
in
22
glioblastomi
e
è
stata
identificata
una
comune
mutazione
puntiforme
nel
gene
IDH-‐1
(12%
dei
casi);
ulteriori
studi
hanno
dimostrato
che
questa
muta-‐
zione
si
riscontra
in
circa
dl’80%
dei
gliomi
G2
e
G3
e
nei
glioblastomi
secondari.
PATHWAYS
MOLECOLARI
NELLA
CANCEROGENESI
DEI
GLIOMI
(GLIOMAGENESI)
A
carico
della
cellula
progenitrice
del
glioma
(non
è
nota,
ancora
deve
essere
identificata)
possono
verifi-‐
carsi
diverse
mutazioni:
• una
mutazione
di
IDH-‐1
favorisce
l’insorgenza
di
un
tumore
(glioma
infiltrante
IDH-‐1
mutato),
che
può
assumere,
a
seconda
delle
successive
mutazioni,
il
fenotipo
di:
o un
astrocitoma
diffuso
(grado
2),
se
si
somma
una
mutazione
a
carico
di
ATRX
(che
viene
per-‐
so)
o
di
Tp53;
la
presenza
di
ulteriori
mutazioni11
ne
determina
l’evoluzione
verso
un
astroci-‐
toma
anaplastico
(grado
312)
e
poi,
se
si
aggiungono
altre
mutazioni13,
verso
un
glioblastoma
IDH-‐mutato
(grado
4).
Questo
è
un
glioblastoma
secondario,
che
origina
per
progressione
di
anaplasia
da
un
astroci-‐
toma
anaplastico
(precedentemente
definito
glioblastoma
multiforme
secondario),
è
una
for-‐
ma
tipica
del
soggetto
giovane
con
storia
di
neoplasia
cerebrale;
o un
oligodendroglioma
diffuso
(grado
2),
se
si
somma
una
codelezione
a
carico
di
1p/19q
(braccio
corto
del
cromosoma
1
e
braccio
lungo
del
cromosoma
19);
l’insorgenza
di
ulteriori
mutazioni14
ne
determina
l’evoluzione
verso
un
oligodendroglioma
anaplastico
(grado
3).
Questo
tumore
è
prognosticamente
migliore:
è
meno
aggressivo
e
ha
una
minore
tendenza
al-‐
la
progressione;
• mutazioni
a
carico
di
TERT,
dell’EGFR,
di
PTEN
(delezione),
e
di
altri
geni15
favoriscono
l’insorgenza
di
un
glioblastoma
primitivo
IDH-‐WT
(precedentemente
denominato
glioblastoma
multiforme
primario
adulto).
Il
questo
caso
il
tumore
si
manifesta
sin
dall’inizio
come
glioblastoma
e
insorge
in
pazienti
di
età
avanzata,
dopo
i
60
anni;
a
parità
di
diagnosi
morfologica
di
glioblastoma,
ha
un
comportamento
clinico
più
aggressivo
rispetto
a
quello
del
glioblastoma
secondario:
infatti,
la
so-‐
pravvivenza
del
glioblastoma
secondario
dopo
terapia
è
doppia
rispetto
al
glioblastoma
primario;
• [una
mutazione
di
BRAF
favoriscono
l’insorgenza
di
un
astrocitoma
pilocitico;
• mutazioni
a
carico
di
H3F3A,
DAXX,
TP53,
ATRX
favoriscono
l’insorgenza
di
un
astrocitoma
pediatri-‐
co
anaplastico/glioblastoma].
In
caso
di
tumore
cerebrale
in
un
bambino,
occorre
tenere
a
mente
che
la
cancerogenesi
è
a
sé
stante
(per
esempio
un
glioblastoma16
IDH-‐WT
è
caratterizzato
da
una
cancerogenesi
differente).
11
A
carico
di
CDK4,
CDKN2A,
MDM2,
LOH
10Q
12
Tuttavia
degli
astrocitomi
possono
insorgere
ab
initio
come
anaplastici
oppure
come
glioblastomi
(fin
dall’inizio
so-‐
no
presenti
tutte
le
mutazioni
successive).
13
A
carico
di
PDGFRA,
LOH
10Q,
CDKN2A
14
A
carico
di
CDKN2A,
PIK3CA,
PIK3R1
15
Quali
PTEN,
CDKN2A/B,
NF1,
PDGFRA.
La
mutazione
dell’EGFR
è
costante
nel
glioblastoma,
ma
i
farmaci
anti-‐EGFR
non
agiscono
su
questo
tumore
16
Il
glioblastoma
nel
bambino
è
estremamente
raro
mentre
nell’adulto
rappresenta
il
tumore
cerebrale
più
frequente.
ATRX
Un
tumore
IDH
mutato
può
essere
un
oligodendroglioma,
se
presenta
la
codelezione
1p/19q
(evidenziabile
con
la
FISH),
o
un
astrocitoma,
che
non
presenta
la
codelezione
e
nella
gran
parte
dei
casi
è
caratte-‐
rizzato
dalla
perdita
dell’espressione
di
ATRX
che
è
mutato.
Nella
distinzione
dei
tumori
IDH-‐mutati,
per
evitare
la
FISH,
che
è
molto
costosa,
si
sta
discutendo
se
l’immunoistochimica
per
la
ricerca
della
mutazione
di
ATRX
possa
rappresentare
una
valida
alternativa.
La
mutazione
di
ATRX,
nel
dettaglio:
• spesso
associata
alla
mutazione
di
p53
ed
è
mutuamente
esclusiva
con
la
mutazione
di
TERT
(carat-‐
teristica
dei
glioblastomi
primitivi),
• si
trova
nel
70%
degli
astrocitomi
(tumori
IDH-‐mutati
senza
codelezione
di
1p/19q),
e
non
è
descrit-‐
ta
negli
oligodendrogliomi,
• se
germline
è
associata
alla
sindrome
α-‐Thalassemia
mental
Retardation
syndrome
X-‐linked,
è
una
rara
sindrome
multidistrettuale,
• comporta
la
mancata
colorazione
dei
nuclei
all’immunoistochimica
(che
invece
sono
colorati
nel
cervello
con
ATRX-‐WT),
Quindi
attualmente
si
effettua
l’immunoistochimica
per
IDH
e
ATRX;
la
positività
di
entrambe
è
fortemente
indicativa
di
astrocitoma17,
ma
è
ancora
dibattuto18
il
fatto
che
possa
essere
o
meno
evitata
la
valutazione
della
codelezione
(la
probabilità
di
trovarla
in
tale
situazione
è
molto
bassa,
inferiore
all’1%
dei
casi).
MGMT
La
biologia
molecolare
è
utile
anche
nello
studio
dei
fattori
predittivi
di
risposta
alla
terapia.
Nel
dettaglio,
nei
glioblastomi
primitivi,
lo
studio
dello
stato
di
metilazione
dei
promoter
del
gene
MGMT
rappresenta
un
fattore
predittivo
di
risposta
alla
chemioterapia.
Il
gene
MGMT
(06-‐metil
guanina-‐DNA-‐metil-‐transferasi)
codifica
per
l’omonima
proteina
coinvolta
nei
meccanismi
del
riparo
del
DNA;
se
il
suo
promotore
è
iperme-‐
tilato
il
gene
non
è
espresso,
se
è
non
metilato
il
gene
viene
espresso.
Poiché
il
glioblastoma
viene
trattato
con
agenti
alchilanti
(carmustina,
procarbazina,
temozolamide,
l’unico
effettivamente
utile
per
il
glioblastoma),
il
cui
meccanismo
d’azione
si
basa
sulla
distruzione
del
filamento
del
DNA,
se
MGMT
viene
espresso,
e
ripara
il
DNA,
si
ha
chemioresistenza.
Al
contrario,
se
il
promoter
di
MGMT
è
ipermetilato
si
ha
chemiosensibilità.
Nei
glioblastomi
primitivi
(in
quelli
secondari
per
definizione
il
promoter
è
ipermetilato)
è
utile
quindi
stu-‐
diare
la
metilazione
del
promotore
del
gene
per
predire
la
sensibilità
alla
temozolamide:
esistono
diversi
metodi
(PCR,
RT-‐PCR,
pirosequenziamento,
etc.),
eseguiti
su
cellule
vitali.
Le
metodiche
sono
estremamen-‐
te
variabili
per
sensibilità
e
specificità
e
vi
sono
discordanze
tra
metodiche
e
tra
laboratori.
A
prescindere
dai
risultati,
nella
maggior
parte
dei
casi
il
trattamento
farmacologico
viene
comunque
som-‐
ministrato,
perché
rappresenta
l’unico
presidio
disponibile
per
una
malattia
a
prognosi
infausta.
Tuttavia,
un
piccolo
numero
di
pazienti
senza
metilazione
risponde
alla
terapia
(o
perché
la
MGMT
non
è
l’unica
via
o
proprio
per
le
discordanze
metodologiche
menzionate).
17
Si
tratta
di
un
tumore
astrocitario
non
solo
da
un
punto
di
vista
morfologico
ma
anche
sulla
base
del
comportamen-‐
to
biologico.
18
Non
eseguendo
la
ricerca
della
codelezione,
si
accetta
un
rischio
minimo
di
mancare
la
diagnosi
di
un
oligodendro-‐
glioma.
Di
solito,
negli
oligodendrogliomi
non
è
descritta
la
mutazione
di
ATRX
ma
per
essere
rigorosi
sarebbe
neces-‐
sario
ricercare
la
mutazione
di
IDH,
ATRX
e
la
codelezione
1p/19q.
ITER
DIAGNOSTICO
Il
sospetto
di
tumore
cerebrale
è
nella
maggior
parte
di
casi
clinico
e
viene
confermato
dal
neuroradiologo
con
l’imaging;
un
altro
scenario
diagnostico
è
quello
in
cui
il
tumore
viene
riscontrato
all’imaging
in
un
pa-‐
ziente
che
sta
effettuando
un
esame
per
altri
motivi.
Il
referto
del
neuroradiologo
descrive
la
massa,
la
se-‐
de,
le
dimensioni,
il
pattern
di
crescita,
la
presa
di
contrasto:
offre
così
al
patologo
e
al
neurochiurgo
un’indicazione
circa
la
natura
del
tumore.
Se
c’è
indicazione,
la
massa
viene
rimossa
chirurgicamente
e
al
patologo
è
richiesto
di
analizzare
i
campioni
inviati
dalla
sala
operatoria
(oltre
che
di
realizzare
gli
esami
intraoperatori):
il
pezzo
operatorio
viene
fissato
in
formalina,
processato
e
campionato
(in
genere
il
campionamento
è
esteso,
dato
che
la
sede
della
lesione
non
è
ben
definibile
ed
è
possibile
che
il
tumore
non
sia
visibile
macroscopicamente).
Il
processo
diagnostico
dell’anatomopatologo
è
suddiviso
in
3
fasi:
1. valutazione
istologica:
si
valuta
l’istotipo
(in
base
alla
morfologia
cellulare)
e
si
attribuisce
il
grado.
A
basso
ingrandimento
si
studiano
le
caratteristiche
architetturali
del
tumore
(in
genere
si
osserva
un
aumento
della
densità
cellulare
e
cellule
che
crescono
in
maniera
diffusa),
a
maggiore
ingrandi-‐
mento
si
studia
il
dettaglio
cellulare.
Se
l’aspetto
morfologico
non
è
sufficiente,
si
ricorre
a
marker
immunoistochimici
(i
primi
due
sono
i
più
utilizzati):
• proteina
acida
fibrillare
(GFAP),
permette
di
identificare
l’origine
neuronale
della
neoplasia
perché
è
espressa
solamente
dalle
cellule
gliali
(proteina
del
citoscheletro);
• sinaptofisina:
marker
neuronale,
la
cui
positività
è
intensa
nella
sede
della
sinapsi;
• S100,
poco
specifica
perché
è
spesso
positiva
nei
neuroni
cerebrali;
viene
usata
per
identificare
tumori
cerebrali
che
hanno
origine
dai
nervi
cranici;
• NEU-‐N:
marker
nucleare
dei
neuroni19;
• neurofilamenti:
marker
citoplasmatico
dei
neuroni
(il
cui
citoscheletro
è
formato
da
neurotu-‐
buli
e
da
neurofilamenti);
• Mib1,
per
studiare
l’attività
proliferativa.
Un
tumore
molto
dedifferenziato
può
anche
perdere
l’espressione
dei
marcatori;
2. studio
dello
stato
mutazionale
di
IDH1
con
l’immunoistochimica,
che
colora
il
citoplasma
(back-‐
ground
diffusamente
positivo;
il
cervello
normale
è
negativo
alla
colorazione,
quando
c’è
la
muta-‐
zione
il
cervello
si
colora
di
marrone);
questo
studio
offre
due
possibili
risultati:
• tumore
IDH1-‐mutato;
si
procede
l’iter
diagnostico
con
la
FISH
(v.
dopo),
• tumore
IDH1-‐WT.
In
questo
caso
si
fa
il
pirosequenziamento
per
la
ricerca
della
mutazione
del
gene
IDH1/IDH2;
se
IDH
risulta
negativo
anche
con
la
tecnica
molecolare,
il
tumore
si
può
defi-‐
nire
IDH-‐WT:
in
questo
caso
la
diagnosi
definitiva
è
molto
complessa
e
include
il
glioblastoma
primitivo
e
gli
astrocitomi
WT.
Certo
è
che
queste
forme
IDH-‐WT
sono
prognosticamente
peg-‐
giori
(anche
se
di
basso
grado):
occorrono
un
follow-‐up
più
stresso
e
una
terapia
tempestiva.
Il
pirosequenziamento
si
effettua
per
conferma
anche
nei
casi
dubbi
(IDH1
debolmente
positivi)
all’immunoistochimica.
Nei
casi
in
cui
non
si
riesca
a
dimostrare
la
mutazione
di
IDH
perché
il
materiale
è
scarso
o
il
DNA
ha
perso
di
qualità
con
la
fissazione,
il
tumore
rientra
nella
categoria
NOS
(evenienza
rara);
19
Un
tumore
con
diffusa
positività
cellulare
alla
GFAP,
che
colora
il
citoplasma
ed
i
prolungamenti
delle
cellule,
ma
che
presenta
alcune
cellule
positive
al
NEU
N
(marker
neuronale)
è
compatibile
con
un
tumore
gliale
che
infiltra
diffusa-‐
mente
il
parenchima:
le
cellule
positive
al
NEU
N
sono
dei
neuroni
sani
(costituiscono
la
corteccia
normale
infiltrata
e
mostrano
una
architettura
organoide).
3. ricerca
della
codelezione
di
1p/19q
con
la
FISH20
(se
il
tumore
è
IDH-‐mutato):
• se
è
presente
la
codelezione,
il
tumore
è
un
oligoden-‐
droglioma,
indipendentemente
dalla
morfologia;
• se
non
presenta
la
codelezione,
è
un
astrocitoma
(o
un
glioblastoma
secondario).
In
questo
caso
si
può
ri-‐
cercare
all’immunoistochimica,
come
conferma,
la
mutazione
di
ATRX21,
tipica
dell’astrocitoma;
se
ATRX
è
WT
comunque
il
tumore
non
può
essere
inserito
tra
gli
oligodendrogliomi.
I
tumori
IDH-‐wildtype
con
codelezione
(casi
rari)
sono
oggetto
di
studio:
attualmente
non
si
è
auto-‐
rizzati
a
porre
la
diagnosi
di
oligodendroglioma;
però
la
presenza
della
co-‐delezione
supporterebbe
il
patologo
a
pensare
che
la
negatività
per
IDH-‐1
rappresenti
un
falso
negativo
(causato
dal
limite
intrinseco
della
tecnica
immunoistochimica).
20
La
tecnica
FISH
prevede
l’esecuzione
di
due
test
separati
per
1p
e
per
19q.
Si
utilizza
un
marker
per
il
centromero
(che
consente
di
individuare
entrambi
i
cromosomi,
puntino
verde)
ed
uno
per
la
delezione
(puntino
rosso).
Se
si
ha
la
delezione
si
hanno
due
puntini
verdi
per
il
centromero
(dimostra
la
diploidia)
e
un
solo
puntino
rosso.
21
Se
fatto
inizialmente
insieme
alla
ricerca
della
mutazione
IDH,
sempre
con
immunoistochimica,
consente
(secondo
alcuni
autori)
di
risparmiare
la
FISH.
Poiché
nella
pratica
l’immunoistochimica
per
IDH-‐1
e
per
ATRX
si
fa
insieme,
se
sono
entrambi
WT,
si
fa
la
FISH
prima
del
sequenziamento:
se
essa
mostra
la
codelezione,
si
fa
diagnosi
di
oligoden-‐
drocitoma
senza
il
pirosequenziamento
per
IDH-‐2
(che
sicuramente
sarà
mutato);
così
si
risparmia
un
esame
di
biolo-‐
gia
molecolare.
FATTORI
PROGNOSTICI
I
fattori
prognostici
dei
tumori
cerebrali
sono:
• l’età:
i
tumori
che
insorgono
in
pazienti
giovani
hanno
una
prognosi
migliore
rispetto
a
quelli
degli
anziani.
Infatti
i
tumori
G2
tendono
a
insorgere
nei
soggetti
più
giovani;
quelli
G3
e
G4
di
più
negli
anziani;
• le
mutazioni:
gli
astrocitomi
G2
o
G3
senza
mutazione
di
IDH
rispetto
a
quelli
IDH-‐mutati
sono
bio-‐
logicamente
più
aggressivi
(anche
senza
necrosi
e
vasi
neoformati)
e
rispondono
peggio
alla
che-‐
mioterapia.
La
mutazione
di
EGFR
è
sfavorevole;
• la
sede,
da
cui
dipende
la
resecabilità:
un
tumore
talamico
è
inoperabile
mentre
le
sedi
che
per-‐
mettono
un’escissione
più
radicale
sono
quelle
frontali
e
temporali.
1.
TUMORI
ASTROCITARI
E
OLIGODENDROGLIALI
DIFFUSI
I
tumori
diffusi
già
all'esordio
presentano
un
atteggiamento
infiltrativo;
sono
dei
tumori
in
cui
i
confini
non
sono
chiari
né
alla
radiologia,
né
durante
l'intervento
chirurgico,
né
per
il
patologo,
che
non
sarà
in
grado
di
dare
un'indicazione
sui
margini.
ASTROCITOMI
ASTROCITOMA
DIFFUSO
IDH-‐MUTATO
(G2)
• L’astrocitoma
diffuso
rappresenta
il
30-‐40%
dei
tumori
primitivi
cerebrali;
origina
in
ogni
sede,
pre-‐
ferenzialmente
negli
emisferi
(lobo
frontale
e
temporale).
Si
manifesta
in
età
adulta
(30-‐40
anni).
• L’eziologia
non
è
nota,
tuttavia
sembra
esservi
una
correlazione
con
le
radiazioni
ionizzanti
(soprat-‐
tutto
a
scopo
terapeutico):
spesso
pazienti
che
hanno
presentato
un
tumore
cerebrale
in
età
pedia-‐
trica
e
sono
stati
sottoposti
a
radioterapia,
in
età
adulta
sviluppano
nuove
neoplasie
gliali.
• Vi
è
una
suscettibilità
genetica:
si
osserva
una
certa
familiarità
e
un’associazione
con
la
sindrome
di
Li
Fraumeni,
la
sclerosi
tuberosa,
la
neurofibromatosi,
la
poliposi
colica
familiare
e
la
sindrome
di
Von
Hippel
Lindau.
• La
sintomatologia
dipende
dalla
sede
e
comprende
sintomi
ir-‐
ritativi
(cefalea,
epilessia),
turbe
del
comportamento
(tipiche
dell’interessamento
frontale)
e
deficit
neurologici.
L’esordio
non
prevede
mai
una
sindrome
acuta
connotata
da
vomito
o
perdita
di
coscienza.
• Anatomia
macroscopica:
il
tumore
non
presenta
margini
ben
definiti,
ed
è
visibile
l’infiltrazione
diffusa
del
parenchima
ce-‐
rebrale.
Il
comportamento
è
piuttosto
variabile
e
ha
tendenza
alla
progressione
maligna,
diventando
di
grado
3.
• Anatomia
microscopica.
Si
osservano:
o astrociti
ben
differenziati
fibrillari
o
gemistociti
in
un
background
lasso,
spesso
microcistico;
o cellularità
moderatamente
incrementata;
o mitosi
assenti;
o tumore
omogeneo
a
basso
ingrandimento,
con
necrosi
assente.
Gli
astrociti,
da
un
punto
di
vista
anatomico,
sono
distinti
in:
o fibrillari:
si
trovano
nella
sostanza
bianca
e
sono
dotati
di
pochi
prolungamenti
di
grande
lun-‐
ghezza.
Un
astrocitoma
fibrillare
è
un
tumore
moderatamente
cellulato
formato
da
astrociti
fi-‐
brillari
neoplastici
uniformi;
o protoplasmatici:
si
trovano
nella
sostanza
grigia
e
presentano
molti
prolungamenti
relativa-‐
mente
corti.
Un
astrocitoma
è
caratterizzato
da
un’estensiva
degenerazione
mucoide
e
da
un’architettura
che
simula
una
ragnatela;
o gemistocitici:
astrociti
che,
in
risposta
a
un
insulto
patogeno,
possono
andare
incontro
ad
ipertrofia
divenendo
più
grandi
e
acquisendo
un
citoplasma
globoso,
eosinofilo
e
con
nucleo
spostato
in
periferia.
• Immunoistochimica.
Si
riscontra:
o positività
per
GFAP
(prima
indagine
eseguita
per
stabilire
la
natura
della
neoplasia),
che
mo-‐
stra
i
prolungamenti
delle
cellule
astrocitarie;
positività
per
Mib122
inferiore
al
4%
(in
media
del
2,5%);
o
positività
per
IDH
e
perdita
di
espressione
di
ATRX
(a
cui
si
associa
spesso
la
perdita
di
p53).
Il
o
riscontro
dell’espressione
di
ATRX
può
essere
attribuito
alla
presenza
di
cellule
non
neoplasti-‐
che,
che
il
patologo
riconosce
e
distingue
da
quelle
neoplastiche
in
quanto
prive
di
atipia.
• Prognosi:
la
sopravvivenza
media
dopo
trattamento
chirurgico
è
pari
a
6-‐8
anni;
si
osserva
progres-‐
sione
dopo
4-‐5
anni.
ASTROCITOMA
ANAPLASTICO
IDH-‐MUTATO
(G3)
• L’astrocitoma
anaplastico
è
caratterizzato
da
un
picco
di
incidenza
fra
40-‐50
anni
(media
45
anni).
• La
sintomatologia
è
simile
a
quella
precedente
tuttavia,
seppur
raramente,
è
possibile
che
gli
astro-‐
citomi
anaplastici
IDH-‐mutati
esordiscano
con
una
sindrome
da
ipertensione
endocranica,
con
ce-‐
falea
violenta,
vomito,
obnubilamento
del
sensorio.
• Da
un
punto
di
vista
macroscopico,
il
neurora-‐
diologo
apprezza
un’area
disomogenea
in
ter-‐
mini
di
presa
di
mezzo
di
contrasto.
• L’aspetto
microscopico
è
caratterizzato
da:
o astrociti
atipici;
o cellularità
aumentata;
o attività
mitotica
aumentata,
in
genere
tra
il
5
ed
il
10%
ma
con
notevole
overlap
con
gli
astrocitomi
G2
ed
i
glioblastomi;
o nucleoli
prominenti
con
cellule
bi-‐
o
pluri-‐
nucleate.
È
di
grado
III
perché
presenta
sia
atipia
sia
mitosi.
• Prognosi:
tende
a
progredire
verso
il
G4
in
media
in
2
anni,
quindi
in
maniera
più
rapida
di
quanto
il
G2
progredisca
verso
il
G3.
OLIGODENDROGLIOMI
Gli
oligodendrogliomi
sono
gliomi
diffusamente
infiltranti,
composti
da
cellule
morfologicamente
simili
agli
oligodendrociti
maturi.
• Rappresentano
circa
il
5%
dei
gliomi
e
insorgono
in
adulti
di
età
compresa
tra
i
40
e
i
60
anni
con
un
pic-‐
co
di
incidenza
fra
35
e
45
anni.
• Si
localizzano
prevalentemente
nella
corteccia
degli
emisferi
cerebrali
(soprattutto
in
sede
frontale
e
temporale)
con
una
predilezione
per
la
sostanza
bianca.
• Le
lesioni
sono
relativamente
ben
delimitate,
molli,
con
frequenti
calcificazioni23
evidenziabili
tramite
TC.
Sono
più
superficiali
rispetto
agli
astrocitomi.
22
C'è
differenza
fra
mitosi
effettivamente
presenti
e
attività
mitotica:
qualsiasi
cellula
uscita
dalla
fase
G0,
anche
se
non
ancora
entrata
in
mitosi,
viene
marcata
dall'anticorpo.
23
La
prima
ipotesi
davanti
a
un
tumore
con
calcificazioni
diffuse
è
quella
di
un
oligodendroglioma,
anche
se
tutti
pos-‐
sono
avere
calcificazioni.
• Le
cellule
neoplastiche
sono
rotonde,
con
nuclei
arrotondati
circondati
da
un
alone
perinuclare,
e
citoplasma
chiaro
(fried
egg),
separate
da
una
fitta
e
regolare
rete
di
capillari
sottili
(pattern
‘chic-‐
ken
wire’,
ossia
a
rete
di
gabbia
di
pollo;
non
sono
neovasi).
• Esiste
una
forma
a
basso
grado
(G2)
e
una
ad
alto
grado,
anaplastica
(G3).
OLIGODENDROGLIOMA
(G2)
• Presenta
attività
proliferativa
inferiore
al
5%.
• Anatomia
microscopica:
già
a
basso
ingrandimento,
le
cellule
appaiono
tonde,
piccole
e
monomorfe.
I
nuclei
non
sono
atipici,
il
citoplasma
è
chiaro
e
i
prolungamenti
non
si
vedono
perché
sono
piccoli
e
sottili.
Sono
presenti
molti
vasi,
tipici
del
tumore.
L’oligodendroglioma
cresce
nella
sostanza
bianca
ma
tende
più
precocemente
a
infiltrare
la
corteccia
e
a
for-‐
mare
coroncine
attorno
ai
neuroni:
si
parla
di
satellitosi
perineuronale
e
aggregazioni
perivascolari.
• Le
alterazioni
rilevate
con
la
biologia
molecolare
includono:
o mutazione
di
IDH1/2;
o co-‐delezione
del
braccio
lungo
del
cromosoma
19
(50-‐80%
dei
casi)
e
del
braccio
corto
del
cromosoma
1
(67%
dei
casi)
valutate
tramite
doppia
FISH.
• Va
in
diagnosi
differenziale
con
astrocitoma
ed
ependimoma.
• Prognosi:
la
sopravvivenza
media
a
5
anni
è
del
70%
e
a
10
del
54%
circa;
sono
meno
aggressivi
ri-‐
spetto
agli
astrocitomi
e
hanno
minore
tendenza
ad
andare
incontro
all’anaplasia.
I
fattori
prognostici
positivi
sono
giovane
età,
resecabilità
totale,
attività
proliferativa
bassa.
OLIGODENDROGLIOMA
ANAPLASTICO
(G3)
• L’oligodendroglioma
anaplastico
è
caratterizzato
da
un’età
media
d’insorgenza
superiore
a
quella
degli
oligodendrogliomi
G2
(circa
50
anni).
• Da
un
punto
di
vista
macroscopico
è
identico
all’oligodendroglioma
G2
ma
presenta
in
più:
o aree
di
necrosi
(si
tratta
di
una
necrosi
ischemica:
non
è
una
necrosi
tumorale,
tipica
dei
tumo-‐
ri
maligni
e
costituita
da
focolai
multipli
visibili,
in
genere,
al
microscopio),
o emorragie:
può
essere
la
modalità
di
esordio
clinico
di
questo
tumore
(che
è
riccamente
vasco-‐
larizzato).
• Dal
punto
di
vista
microscopico
si
osservano:
o incrementata
cellularità;
o atipia
citologica;
o elevata
attività
mitotica;
o presenza
di
neoangiogenesi
e
necrosi:
in
tal
caso
è
definito
anaplastico
ma,
nonostante
sia
il
corrispettivo
del
glioblastoma,
non
è
altrettanto
aggressivo.
• Prognosi:
la
sopravvivenza
media
è
di
4
anni.
Un
attore
prognostico
favorevole
è
la
presenza
della
co-‐delezione
1p/19q
che
presenta:
o valore
diagnostico,
in
quanto
consente
al
patologo
di
differenziare
un
oligodendroglioma
ana-‐
plastico
da
un
glioblastoma
con
aspetti
oligodendrogliali
o
un
oligodendroglioma
G2
da
un
astrocitoma
di
basso
grado;
o valore
prognostico,
in
quanto
la
presenza
di
tale
co-‐delezione
si
associa
ad
una
migliore
rispo-‐
sta
alla
chemioterapia
e/o
radioterapia,
con
aumento
del
tempo
di
sopravvivenza.
Talvolta
la
co-‐delezione
potrebbe
non
essere
presente
ed
il
patologo
osserva
la
perdita
di
uno
solo
dei
due
bracci
cromosomici.
GLIOBLASTOMA
• Il
glioblastoma
è
il
tumore
intracranico
più
frequente
dopo
i
50
anni
(12-‐15%
delle
neoplasie
intracraniche;
50-‐60%
delle
neo-‐
plasie
astrocitarie).
• Si
manifesta
all’esordio
con
una
sindrome
da
ipertensione
en-‐
docranica
(cefalea,
nausea,
vomito
che
conducono
il
paziente
al
PS).
• Aspetto
macroscopico:
ha
un
aspetto
variegato
con
un’area
pe-‐
riferica
grigiastra
e
aree
giallastre
di
necrosi
centrale,
a
volte
associate
a
zone
rossastre
di
emorragia.
All’imaging
si
osservano
masse
mal
definite
e
si
rileva
la
presen-‐
za
di
necrosi
(aree
di
alterato
segnale)
e
una
notevole
vascola-‐
rizzazione
(enhancement).
A
volte
i
glioblastomi
possono
infil-‐
trare
il
corpo
calloso
e
diventare
bilaterali,
con
immagine
radiologica
a
farfalla.
Il
riscontro
di
un
glioblastoma
integro
all’autopsia
è
raro
perché
mentre
il
paziente
è
ancora
in
vita
si
cerca
di
intervenire
chirurgicamente
a
scopo
palliativo
per
l’ipertensione
endocranica.
• Aspetto
microscopico.
Istologicamente
è
simile
all’astrocitoma
anaplastico,
con
l’aggiunta
di:
o necrosi
che
assume
un
aspetto
festonato
perché
le
cellule
neoplastiche
si
addensano
lungo
i
bordi
in
maniera
regolare
con
un
caratteristico
aspetto
“a
palizzata”.
o proliferazione
vascolare
o
endoteliale;
quest’ultima
consiste
in
piccoli
vasi
neo-‐
formati
con
cellule
endoteliali
iperplastiche
disposte
in
più
strati.
I
vasi
neoformati
non
sono
sottili
e
non
hanno
un
lume
evidente,
si
caratterizzano
per
proliferazioni
solide
(formazioni
glomeruloidi)
in
cui
ogni
tanto
si
vedono
dei
lumi,
che
non
contengono
emazie;
in
genere
si
trovano
al
confine
tra
tumore
e
tessuto
cerebrale
normale
(permettono
di
individua-‐
re
il
fronte
di
avanzamento).
La
neoproliferazione
vascolare
è
favorita
dalla
produzione
da
par-‐
te
degli
astrociti
neoplastici
del
fattore
di
crescita
vascolare
endoteliale
(VEGF)
in
risposta
all’ipossia.
Poiché
i
nuovi
vasi
atipici
non
sono
caratterizzati
dalla
BEE,
c’è
edema
e
insorgono
i
sintomi
da
ipertensione
endocranica;
la
presenza
dei
vasi
neoformati
privi
di
BEE
è
anche
alla
base
della
visualizzazione
radiologica
della
neoplasia
dopo
iniezione
di
mezzo
di
contrasto;
o elevata
densità
cellulare,
con
cellule
piccole,
atipiche,
monomorfe:
i
nuclei
sono
lunghi
e
si
venfono
i
nucleoli;
le
cellule
sono
ingrassate
e
alcune
hanno
una
“pancina”
rosa.
Si
osservano
mitosi.
Una
volta
il
glioblastoma
era
chiamato
“multiforme”
perché
può
assumere
molte
mor-‐
fologie.
In
sintesi,
sono
suggestivi
di
glioblastoma:
l’atipia
nucleare,
l’attività
mitotica,
la
proliferazione
mi-‐
crovascolare
e/o
la
necrosi.
• Si
riconoscono
due
tipi
di
glioblastoma,
indistinguibili
da
un
punto
di
vista
istologico,
ma
ben
distinti
clinicamente24
e
dal
punto
di
vista
molecolare:
o primitivo
IDH-‐WT
(90%):
insorge
prevalentemente
oltre
i
60
anni.
Il
profilo
genico
è
caratteriz-‐
zato
da
amplificazione
e/o
overespressione
di
EGFR25
(sul
cromosoma
7),
mutazione
di
TERT
e
PTEN.
La
storia
clinica
è
molto
breve:
i
sintomi
clinici
tendono
ad
essere
presenti
solo
da
pochi
mesi
oppure
ad
esordire
in
niera
molto
acuta
nel
giro
di
chi
giorni.
La
sopravvivenza
me-‐
dia
dopo
chirurgia,
radioterapia
e
chemioterapia
è
di
15
mesi;
o secondario
IDH-‐mutato
(10%),
deriva
dalla
progressione
mali-‐
gna
di
astrocitomi
diffusi
o
ana-‐
plastici,
insorge
in
pazienti
più
giovani
(40-‐50
anni)
e
non
si
as-‐
socia
quasi
mai
a
mutazione
di
EGFR
o
PTEN.
La
sopravvivenza
media
dopo
chirurgia,
radioterapia
e
che-‐
mioterapia
è
di
31
mesi.
• Biologia
molecolare:
si
usa
la
FISH
per
cercare
in
particolare
3
alterazioni:
o perdita
di
eterozigosi
nel
cromosoma
1;
o trisomia
7
(presente
in
tutti
i
tumori
astrocitari);
o perdita
del
cromosoma
10
(caratteristica
del
glioblastoma).
Nessuna
di
queste
alterazioni
è
utile
per
la
terapia,
a
differenza
dello
studio
dello
stato
di
metila-‐
zione
dei
promoter
del
gene
MGMT.
Un
glioblastoma
IDH-‐mutato
per
definizione
ha
la
metilazio-‐
ne;
uno
IDH-‐WT
può
essere
metilato
o
meno
e
quindi
è
utile
testare
la
sua
sensibilità
alla
temozo-‐
lamide.
• Un
glioblastoma
totalmente
anaplastico
può
andare
in
diagnosi
differenziale
con
il
carcinoma
a
piccole
cellule
del
polmone
metastatico,
che
viene
escluso
sulla
base
di:
o necrosi
a
palizzata
(è
caratteristica);
o storia
del
paziente;
o immunoistochimica:
se
GFAP
è
positiva
non
c’è
dubbio
che
si
tratti
di
un
glioblastoma.
Ma
al-‐
cune
cellule
molto
anaplastiche
possono
perde
la
capacità
di
esprimere
GFAP.
24
Varia
la
risposta
alla
terapia:
nel
glioblastoma
primitivo,
la
sopravvivenza
media
dopo
CHT,
RT
e
chirurgia
è
di
15
mesi
mentre
con
regime
di
solo
RT
+
chirurgia
è
di
9
mesi;
nel
glioblastoma
secondario
la
sopravvivenza
media
dopo
CHT,
RT
e
chirurgia
è
di
31mesi
mentre
con
regime
di
solo
RT
+
chirurgia
è
di
24
mesi.
25
Tuttavia
gli
inibitori
di
EGFR
non
hanno
utilità
terapeutica
perché
non
è
la
mutazione
driving
del
tumore,
2.
ALTRI
TUMORI
ASTROCITICI
La
classificazione
WHO
2016
comprende
una
categoria
di
tumori
rari
(“altri
tumori
astrocitici”),
che,
a
diffe-‐
renza
dei
tumori
astrociti
e
oligodendrogliali
diffusi,
crescono
formando
lesioni
circoscritte
e
ben
delimita-‐
te.
Il
neuroradiologo
osserva
quindi
un
pattern
di
crescita
differente
e
il
neurochirurgo
può
fare
resezioni
ampie
con
probabilità
di
recidiva
bassa
(prognosi
migliore).
Le
cellule
tumorali
sono
simili
ad
astrociti
e
so-‐
no
intrinsecamente
tumori
di
basso
grado.
Il
più
importante
dei
tumori
di
questa
categoria
è
l’astrocitoma
pilocitico.
ASTROCITOMA
PILOCITICO
(G1)
• L’astrocitoma
pilocitico
insorge
tipicamente
nei
bambini
e
nei
giovani
adulti
(1°-‐2°
decade);
è
l’astrocitoma
più
frequente
nei
bambini.
• La
sede
tipica
è:
o cerebellare
(85%),
o cerebrale
(10%;
talamo,
nuclei
della
base,
vie
ottiche
e
ipotalamo),
o midollare
(rari
casi).
Le
sede
facilita
la
diagnosi
perché
gli
astrocitomi
diffusi
insorgono
invece
tipicamente
negli
emisferi
(temporali
e
frontali).
• Può
essere
legato
a
sindromi,
più
spesso
alla
neurofibromatosi
di
tipo
1,
sospettata
soprattutto
quando
si
diagnostica
in
un
bambino
un
astrocitoma
pilocitico
localizzato
lungo
le
vie
ottiche.
• Macroscopicamente
si
presenta
come
una
grande
lesione
cistica
con
piccolo
nodulo
parietale,
o
come
una
massa
ben
circoscritta,
a
lenta
crescita;
se
il
chirurgo
buca
la
cisti
ne
determina
il
collasso
e
il
nodulo
potrebbe
non
essere
più
visibile.
Un
altro
tumore
responsabile
di
lesioni
cistiche
nel
cer-‐
velletto
o
nel
canale
vertebrale
è
l’emangioblastoma
(associato
a
VHL).
• Al
microscopio
ottico
è
un
tumore
bifasi-‐
co,
caratterizzato
quindi
dall’alternanza
di
aree
cellulari
e
di
zone
più
lasse.
Si
osservano
cellule
allungate,
con
pro-‐
lungamenti
filiformi
(“piloidi”,
sembrano
dei
capelli)
e
senza
aspetti
di
aggressività
istologica
(mitosi,
necrosi,
neovasi).
Carat-‐
teristica
peculiare
è
rappresentata
da
pic-‐
coli
corpi
intracellulari
intensamente
eo-‐
sinofili
ed
allungati,
i
corpi
di
Rosenthal,
dovuti
all’accumulo
di
filamenti
gliali
(pa-‐
tognomonici).
• E’
caratterizzato
da
una
bassa
attività
proliferativa
(0-‐4%),
ed
è
IDH-‐WT
(non
ha
la
mutazione
di
IDH
e
segue
una
strada
di
cancerogenesi
differente
da
quella
dei
gliomi
diffusi).
• Presenta
un
comportamento
clinico
indolente.
E’
un
tumore
con
ottima
prognosi
e
viene
conside-‐
rato
benigno,
perciò
il
WHO
gli
attribuisce
grado
I
(unico
fra
gli
astrocitomi
perché
è
circoscritto).
Se
asportato
completamente
il
bambino
è
considerato
guarito:
non
è
indicata
nemmeno
la
terapia
adiuvante;
recidiva
raramente
e
senza
progredire
(ovvero
recidiva
come
astrocitoma
pilocitico).
XANTOASTROCITOMA
PLEIOMORFO
(G2-‐G3)
• Lo
xantoastrocitoma
pleiomorfo
è
un
tumore
raro
che
colpisce
bambini
e
giovani
adulti.
• Insorge
superficialmente,
spesso
in
sede
temporale
(all’anamnesi
può
essere
presente
storia
di
epi-‐
lessia
di
lunga
durata).
• Macroscopicamente
si
presenta
come
una
nodulo
cistico
sopratentoriale
(va
in
diagnosi
differen-‐
ziale
con
l’astrocitoma
pilocitico
ma
in
questo
caso
è
spesso
localizzato
nel
cervelletto).
• All’esame
microscopico
è
costituto
da
cellule
astrocitarie
marcatamente
pleomorfe
con
aspetti
di
lipidizzazione
citoplasmatica.
L’elevata
cellularità
e
le
atipie
citologiche
possono
erroneamente
far
pensare
una
diagnosi
di
malignità.
• La
prognosi
è
in
genere
buona,
con
sopravvivenze
dell’80%
a
5
anni.
La
necrosi
e
le
mitosi,
quando
presenti,
indicano
forme
che
possono
avere
un
decorso
più
aggressivo.
ASTROCITOMA
GIGANTOCELLULARE
SUBEPENDIMALE
(G1)
• L’astrocitoma
gigantocellulare
subependimale
è
un
tumore
tipicamente
associato
alla
sclerosi
tube-‐
rosa.
• Si
presenta
come
nodulo
irregolare
nella
sostanza
grigia
periventricolare.
• La
popolazione
cellulare
è
eterogenea
e
comprende
grandi
cellule
a
citoplasma
eosinofilo
e
nuclei
con
evidenti
nucleoli,
frammiste
a
cellule
più
piccole
e
ad
astrociti
fusati.
Sono
frequenti
le
calcifica-‐
zioni.
3.
TUMORI
EPENDIMALI
I
tumori
ependimali
rappresentano
il
10%
dei
tumori
neuro-‐epiteliali
e
derivano
dal
rivestimento
ependi-‐
male
delle
strutture
ventricolari
e
del
canale
midollare
spinale.
EPENDIMOMA
(G2-‐G3)
• L’ependimoma
rappresenta
il
terzo
tumore
per
frequenza
nel
bambino,
dopo
l’astrocitoma
piloci-‐
tico
e
il
medulloblastoma.
• Nei
bambini
e
nei
giovani
adulti
hanno
una
localizzazione
intracerebrale
con
una
predilezione
per:
o fossa
cranica
posteriore;
o pavimento
e
tetto
del
IV
ventricolo,
in
prossimità
del
verme.
E’
quindi
un
tumore
mediano
a
differenza
dell’astrocitoma
pilocitico
che
è
monolaterale.
Negli
adulti
prevale
la
localizzazione
intramidollare;
ed
è
il
tumore
più
frequente
del
midollo
spina-‐
le
(50-‐60%).
Può
essere
sopratentoriale
sia
negli
adulti,
sia
nei
bambini.
• Macroscopicamente
appare
come
una
massa
nodulare
o
lobulata
di
colorito
grigio-‐roseo,
spesso
ben
delimitata
e
con
un
buon
piano
di
clivaggio.
• Istologicamente,
gli
ependimomi
sono
costituiti
da
cellule
piccole
e
monomorfe
con
nuclei
regolari
rotondeggianti
o
ovalari
immersi
in
un
denso
stroma
fibrillare,
che
possono
formare
papille.
Reperti
caratteristici
includono:
o pseudorosette
vascolari
(v.
figg.
sx),
aree
perivascolari
prive
di
nuclei
e
formate
da
sottili
pro-‐
lungamenti
cellulari
fibrillari
a
disposizione
radiale
(sono
un
reperto
costante);
o rosette
ependimali
vere
(v.
figg.
dx),
formate
da
cellule
tumorali
disposte
attorno
a
un
lume
centrale
che
ricorda
il
primitivo
ventricolo
cerebrale
nel
suo
sviluppo,
con
ciglia
che
possono
sporgere
nel
lume
(sono
eccezionalmente
rare).
• L’immunoistochimica
non
è
dirimente,
e
risultano
positive
GFAP
e
EMA
(Epithelial
Membrane
Anti-‐
gen).
• È
uno
dei
pochi
tumori
in
cui
la
microscopia
elettronica
può
contribuire
alla
diagnosi,
perché
le
cel-‐
lule
ependimali
sono
unite
da
giunzioni
serrate
tipiche,
molto
lunghe
e
convolute,
dette
“zipper-‐
like”
(assomigliano
a
una
cerniera).
Al
microscopio
elettronico
sono
visibili
anche
lumi
intracitopla-‐
smatici
e
ciglia.
• La
maggioranza
degli
ependimomi
sono
ben
differenziati
e
hanno
un
grado
2;
meno
frequentemen-‐
te
si
osservano
segni
istologici
di
anaplasia
con
numerose
mitosi,
proliferazione
vascolare
e
necrosi
e
con
comportamento
clinico
più
aggressivo
(grado
3;
ependimoma
anaplastico).
In
questo
caso
il
grading
ha
un
significato
minore:
per
la
prognosi
contano
soprattutto
l’età
del
paziente
e
la
sede
(che
stabilisce
se
è
operabile).
• [L’alterazione
genetica
più
frequente,
ovvero
la
mutazione
al
gene
NF2,
si
osserva
quasi
esclusiva-‐
mente
negli
ependimomi
midollari.
La
mutazione
di
tale
gene,
localizzato
sul
cromosoma
22,
è
la
causa
della
malattia
ereditaria
conosciuta
come
neurofibromatosi
di
tipo
2.]
4.
TUMORI
EMBRIONALI
Le
neoplasie
embrionarie
–
denominate
anche
tumori
primitivi
neuroectodermici
(PNET)
–
derivano
da
cel-‐
lule
embrionali.
Tipicamente
insorgono
nei
bambini
e
sono
altamente
maligne,
ma
spesso
rispondono
bene
al
trattamento
radio-‐chemioterapico.
Istologicamente
sono
costituite
da
cellule
indifferenziate
di
piccole
dimensioni
con
scarso
citoplasma.
Tut-‐
tavia
esse
possono
dimostrare
vari
gradi
di
differenziazione
neuronale,
gliale
o
anche
mesenchimale.
Le
neoplasie
embrionarie
comprendono:
• il
medulloblastoma;
• i
pinealoblastomi;
• il
neuroblastoma;
• l’ependimoblastoma.
MEDULLOBLASTOMA
• Il
medulloblastoma
il
tumore
embrionale
più
comune
dell’infanzia,
secondo
per
incidenza
solo
all’astrocitoma
pilocitico
fra
tutte
le
neoplasie
intracraniche.
• Insorge
nel
cervelletto,
a
livello
del
verme,
e
meno
frequentemente
negli
emisferi
cerebellari
(il
coinvolgimento
degli
emisferi
è
più
frequente
nell’adulto).
• L’alterazione
cromosomica
più
comune
è
la
perdita
del
braccio
corto
del
cromosoma
17,
causata
dalla
duplicazione
del
braccio
lungo
del
cromosoma
17
(isocromosoma
17q).
Le
alterazioni
moleco-‐
lari
alla
base
del
medulloblastoma
sono
quelle
che
interessano
le
vie
molecolari
coinvolte
nella
morfogenesi
del
cervelletto,
in
particolare
la
via
Sonic
hedghog
(coinvolta
nel
controllo
della
nor-‐
male
proliferazione
dei
granuli
cerebellari)
e
quella
Wnt
(comprendente
APC
e
β-‐catenina).
In
base
a
tali
alterazioni
genetiche
è
possibile
suddividere
il
medulloblastoma
in
quattro
gruppi26.
• L’aspetto
macroscopico
è
variabile:
alcuni
sono
molli
e
mal
definiti,
al
contrario
di
altri
più
consi-‐
stenti
e
meglio
demarcati.
• Aspetto
microscopico.
Si
possono
osservare
quattro
va-‐
rianti
istologiche:
o medulloblastoma
classico:
è
costituto
istologica-‐
mente
da
cellule
indifferenziate
piccole,
ipercro-‐
matiche
con
scarso
citoplasma
che
talvolta
circon-‐
dano
aree
fibrillari
acellulari
a
formare
le
cosiddet-‐
te
rosette
neuroblastiche
di
Homer
Wright.
Di
regola
le
mitosi
sono
frequenti,
come
le
figure
apoptotiche.
Aree
estesi
di
necrosi
sono
rare;
o medulloblastoma
desmoplastico
/nodulare:
carat-‐
terizzato
da
abbondanza
di
reticolina
e
collagene.
Si
osserva
un
quadro
bifasico
con
aree
densamente
cellulate,
ricche
di
reticolo
e
punteggiate
da
isole
pallide27
prive
di
reticolo,
ad
attività
proliferativa
ridotta;
26
(a)
WNT
activated,(b)
SHH
activated
(either
TP53
mutated
or
TP53
wild
type),
non
WNT
/
non
SHH,
either
(c)
medul-‐
loblastoma
group
3
or
(d)
medulloblastoma
group
4.
27
Le
cellule
delle
isole
sono
più
grandi,
meno
stipate,
con
nuclei
rotondi
e
citoplasma
fibrillare
più
ampio.
In
queste
aree
non
è
raro
trovare
aspetti
citologici
di
tipo
neuronale
con
espressione
immunoistochimica
di
sinaptofisina.
o medulloblastoma
con
nodularità
estesa:
architettura
lobulare
espansa
in
zone
nodulari
senza
reticolina
e
ricchi
di
tessuto
simile
a
neuropilo;
o medulloblastoma
a
grandi
cellule/anaplastico:
variante
molto
aggressiva
caratterizzata
dalla
presenza
di
grandi
cellule
con
grossi
nuclei
ed
evidenti
nucleoli
ed
estese
aree
di
necrosi.
• Sono
tutti
tumori
di
IV
grado:
il
medulloblastoma,
lasciato
a
sé,
è
una
neoplasia
altamente
maligna
che
infiltra
e
dissemina
per
via
liquorale
dando
metastasi
a
distanza
sulla
superficie
del
midollo
spi-‐
nale.
Gli
attuali
protocolli
terapeutici,
che
comprendono
radio-‐
e
chemioterapia,
permettono
una
buona
percentuale
di
sopravvivenza
a
5
anni
nella
maggioranza
dei
pazienti.
5.
MENINGIOMA
• I
meningiomi
costituiscono
il
20-‐30%
di
tutti
i
tumori
cerebrali,
derivano
dalle
cellule
meningoteliali
dell’aracnoide,
e
pertanto,
nella
maggioranza
dei
casi,
sono
tumori
che
crescono
esternamente
al
tessuto
cerebrale.
• Sono
quasi
tutti
benigni:
il
paziente
si
considera
guarito
dopo
l’asportazione
chirurgica
(bisogna
so-‐
lo
stare
attenti
se
è
localizzato
in
qualche
area
particolare,
in
cui
è
difficile
l’intervento).
• Sono
più
comuni
nelle
donne,
soprattutto
dopo
i
50-‐60
anni,
ipotizzando
un
ruolo
da
parte
dei
fat-‐
tori
ormonali28.
• Possono
essere
associati
alla
NF2,
variante
non
classica,
che
si
sospetta
qualora
si
associ
a
un
glio-‐
ma
o
a
uno
schwannoma.
• Hanno
una
crescita
lenta
(può
crescere
rapidamente
durante
la
gravidanza),
e
si
associano
a
sinto-‐
mi
vaghi
o
correlati
alla
compressione
cerebrale.
• Il
parenchima
cerebrale
adiacente
appare
compresso.
Talvolta
la
teca
cranica
al
di
sopra
del
me-‐
ningioma
appare
ispessita
per
iperostosi
reattiva
o
perché
invasa
dal
meningioma.
L’inspessimento
della
dura
madre
è
segnalato
dal
radiologo
come
“segno
durale”.
• Si
presentano
come
noduli
ben
delimitati,
generalmente
localizzate
alle
sedi
in
cui
la
dura
madre
prende
contatto
con
altre
strutture
(es.
seni
venosi,
dove
il
liquor
è
riassorbito
nelle
granulazioni
del
Pacchioni).
• Da
un
punto
di
vista
fenotipico
sono
simili
ai
tumori
delle
sierose.
I
meningiomi
possono
mostrare
un’ampia
varietà
di
tipi
istologici:
o meningioma
meningoteliale:
è
la
varietà
più
comune,
costituita
da
cellule
fusate
disposte
a
formare
vortici;
o meningioma
fibroblastico,
in
cui
si
osservano
depositi
di
collagene;
o meningioma
transizionale
che
presenta
una
mescolanza
dei
due
aspetti;
o meningioma
psammomatoso,
così
detto
per
la
presenza
di
corpi
psammomatosi,
ovvero
calci-‐
ficazioni
costituite
da
figure
lamellari
concentriche
(sono
più
frequenti
a
livello
spinale).
Vi
sono
anche
altri
tipi
istologici
(angiomatoso,
secretorio,
microcistico,
con
ricchezza
linfoplasmo-‐
citaria,
metastatico)
ma
si
tratta
di
distinzioni
che
non
hanno
un
significato
prognostico.
• Sono
tumori
relativamente
comuni
e
benigni
(grado
I),
fatta
eccezione
per
alcune
varianti29
di
me-‐
ningiomi
che
presentano
pleomorfismo
nucleare,
frequenti
mitosi
e
a
volte
invasione
del
tessuto
cerebrale30
sottostante:
sono
definiti
meningiomi
atipici
(grado
II)
e
hanno
un’elevata
probabilità
di
recidivare
a
distanza
di
tempo
dopo
l’asportazione
chirurgica.
Molto
raramente
i
meningiomi
possono
essere
francamente
maligni
o
anaplastici
(grado
III)
e
por-‐
tare
rapidamente
a
morte
il
paziente.
28
In
passato
si
è
osservato
che
i
meningiomi
esprimevano
i
recettori
degli
estrogeni
e,
soprattutto
del
progesterone;
tuttavia
non
è
stata
stabilita
alcuna
correlazione
con
lo
sviluppo
di
carcinoma
mammario
perché
il
meningioma
è
mol-‐
to
più
raro.
29
La
maggior
parte
dei
meningiomi
sono
di
grado
I
ma
esistono
delle
varianti
che
appartengono,
per
definizione,
al
grado
II
o
III
e
si
associano
a
un
comportamento
più
aggressivo,
per
cui
il
follow-‐up
dopo
escissione
chirurgica
è
più
stringente.
Le
varianti
non
sono
da
conoscere.
30
L’infiltrazione
cerebrale
è
dimostrabile
con
la
positività
IIC
per
GFAP,
a
cui
il
meningioma
è
negativo.
CASI
CLINICI
1)
Bambino
di
4
anni
con
tumore
del
IV
ventricolo.
I
due
tumori
più
frequenti
in
questa
sede
sono
l’ependimoma
o
il
medulloblastoma.
Il
radiologo
evidenzia
aspetti
di
malignità
del
tumore
e
l’istologia
mostra
cellule
rotonde,
monomorfe,
con
pseudorosette
perivascolari:
si
tratta
di
un
ependimoma.
L’ependima
normale
che
riveste
i
ventricoli
è
positivo
ad
un
marker
epiteliale
e
alla
GFAP.
L’ependimoma
in
questione
aveva
mitosi,
necrosi
e
neovasi
quindi
era
un
ependimoma
anaplastico
(G3).
Tuttavia,
il
chirurgo
era
riuscito
ad
essere
radicale,
ed
il
bambino
è
sopravvissuto
(quindi,
la
resezione
chirurgica
completa
è
il
criterio
prognostico
più
importante,
perché
se
ben
escisso
non
recidiva).
2)
Bambino
di
1
anno
con
diagnosi
di
ependimoma.
E’
stata
eseguita
la
resezione
chirurgica
(non
radicale)
ma
nonostante
nella
neoplasia
non
vi
fossero
aspetti
anaplasti-‐
ci,
il
bambino
è
morto
rapidamente
a
causa
dell’ipertensione
endocranica
non
controllata.
3)
Uomo
di
57
anni
con
tumore
del
phyilum
terminale
(porzione
centrale
finale
della
cauda
equina:
questo
fa
parte
del
SNC,
mentre
le
radici
del
SNP).
È
una
variante
dell’ependimoma
che
nasce
nel
phyilum
terminale,
particolarmente
poco
aggressivo,
di
basso
grado,
che
si
colora
con
i
coloranti
utilizzati
per
il
muco
(si
può
pensare
erroneamente
ad
una
metastasi).
[Si
tratta
di
un
ependimoma
mixopapillare,
grado
I,
caratterizzato
da
lenta
crescita
e
localizzazione
quasi
esclusiva
nel
cono
midolla-‐
re,
cauda
equina
o
filum
terminale.
Istologicamente
mostra
cellule
organizzate
secondo
un
pattern
papillare
e
cores
mixoidi].
DIAGNOSI
DIFFERENZIALE
DEI
TUMORI
CEREBELLARI
NEL
BAMBINO
• Astrocitoma
pilocitico
(prevalente
localizzazione
negli
emisferi
cerebellari);
• Tumore
delle
cellule
ependimali
(in
genere
in
sede
mediana
sul
verme,
perché
le
cellule
ependimali
delimitano
il
ventricolo
e
il
tumore
cresce
in
prossimità
del
4°
ventricolo);
• Medulloblastoma,
tumore
maligno
embrionale
estremamente
aggressivo
(G4).
MENINGIOMI
(2011)
prof.ssa
Scarpelli
I
meningiomi
sono
i
tumori
del
sistema
nervoso
più
frequenti
e
in
genere
sono
benigni.
Dalla
meninge
pos-‐
sono
svilupparsi
anche
altri
tipi
di
tumori
molto
più
rari:
• emangiopericitoma
specifico
non
solo
del
SN,
ma
anche
dei
tessuti
molli,
• lesioni
melanocitarie
caratterizzate
da
lesioni
pigmentate
in
sedi
non
classiche
(extracutanee).
Il
meningioma
deriva
dalle
cellule
aracnoidee
che
rivestono
i
villi
aracnoidei.
Queste
cellule
nel
bambino
sono
poco
distinte
le
une
dalle
altre
mentre,
negli
adulti
diventano
ben
evidenti,
formando
dei
piccoli
vorti-‐
ci,
delle
calcificazioni
concentriche
(corpi
psammomatosi1)
simili
a
quelle
che
si
vedono
nei
meningiomi.
Questi
tumori
non
sono
attaccati
all’aracnoide
bensì
alla
dura
madre,
tant’è
che
i
primi
che
li
descrissero,
all’inizio
del
secolo,
avevano
pensato
che
fossero
tumori
derivati
dalla
dura
madre,
che
è
una
struttura
fi-‐
brosa.
In
realtà
derivano
dalle
cellule
aracnoidee
ma,
essendo
la
dura
madre
molto
vicina
all’aracnoide
spe-‐
cie,
in
alcune
parti
del
cervello
(come
i
villi
aracnoidali
che
vanno
dentro
i
seni
longitudinali
della
dura
ma-‐
dre
per
riassorbire
il
liquor),
il
tumore
cresce
attaccandosi
alla
dura
madre
nella
maggior
parte
dei
casi.
A
volte
si
riscontrano
questi
tumori
anche
dove
la
meninge
apparentemente
non
c’è
come,
per
esempio,
all’interno
dei
ventricoli
celebrali,
poiché,
in
realtà,
nel
ventricolo,
ci
sono
delle
introflessioni
della
meninge
da
cui
possono
trarre
origine
a
questi
tumori.
CELLULE
DELLE
MENINGI
Le
funzioni
delle
meningi
sono
tantissime:
• funzione
di
barriera:
costituiscono
un
involucro
di
protezione
per
il
cervello,
• funzione
di
barriera
ematoencefalica:
aiutano
a
mantenere
l’equilibrio
tra
drenaggio
e
riassorbi-‐
mento
del
liquor,
• funzione
simil-‐istiocitica.
Nello
svolgimento
di
queste
diverse
funzioni
le
cellule
aracnoidee
assumono
un
fenotipo
diverso
a
seconda
della
funzione
stessa;
possono
essere:
• cellule
simili
a
dei
fibroblasti,
quando
producono
collagene
e
agiscono
quindi
come
cellule
che
fanno
cicatrici,
come
i
fibroblasti.
In
questo
caso
hanno
un
aspetto
fusiforme;
• cellule
simil-‐epiteliale,
quando
svolgono
una
funzione
secretoria,
ovvero
quando
sintetizzano
di-‐
verse
sostanze,
come
ad
esempio
il
GF2
e
l’apoproteina-‐E,
tutte
sostanze
prodotte
in
diverse
forme
di
flogosi.
In
questo
caso
hanno
un
aspetto
arrotondato
e
sono
unite
alle
altre
cellule
tramite
giun-‐
zioni,
• cellule
simil-‐istiocitarie,
quando
intervengono
in
una
reazione
immunitaria.
Somigliano
a
una
cellu-‐
la
gigante
o
ad
una
cellula
epitelioidea
(una
cellula
che
sembra
epiteliale
ma
in
realtà
non
lo
è).
Questo
tipo
di
fenotipo
non
è
tipico
della
meninge
ma
possiamo
ritrovarlo
in
altre
membrane
(le
sierose).
Quindi
sono
cellule
in
parte
mesenchimali,
in
parte
epiteliali,
che
possono
esprimere
HLA,
cioè
antigeni
di
istocompatibilità.
Ne
deriva
che,
i
tumori
che
nascono
da
queste
cellule
con
funzioni
così
variegate,
posso-‐
no
avere
un
fenotipo
diverso,
in
base
al
tipo
di
fenotipo
della
cellula
di
origine,
e
anche
un
fenotipo
misto.
1
Queste
cellule
formano
delle
specie
di
nuclei
che
si
chiamano
caps.
Sono
come
dei
cappellini.
Sono
delle
calcificazioni
concentriche
che
per
tradizione
si
chiamano
corpi
psammomatosi.
Sono
delle
degenerazioni
congenite
della
membra-‐
na
basale
che
diventano
poi
calcifiche.
Questi
corpi
sono
comuni
nei
meningiomi
e
ne
fanno
parte
ma,
possiamo
tro-‐
varli
anche
in
tumori
diversi
dal
meningioma,
come
i
tumori
dell’ovaio.
l
corpi
psammomatosi
non
sono
dunque
speci-‐
fici
del
meningioma
ma,
il
tumore
in
cui
li
troviamo
nel
SN
è
il
meningioma.
Dunque,
per
il
patologo,
a
volte,
fare
una
diagnosi
banale
come
quella
di
meningioma
può
diventare
diffici-‐
le2.
Questo
discorso
è
analogo
per
le
membrane
sierose
(pleura,
peritoneo,
pericardio),
formate
da
cellule
me-‐
soteliali,
dalle
quali
originano
diversi
tipi
di
tumori
con
fenotipi
diversi;
infatti
il
mesotelioma
pleurico
può
avere
un
fenotipo
epiteliale
(assomiglia
a
un
tumore
epiteliale
e
dunque
avremo
il
problema
della
diagnosi
differenziale
con
un
tumore
primitivo
del
polmone),
un
fenotipo
mesenchimale
(fatto
da
cellule
fusate.
Avremo
in
questo
caso
il
problema
di
differenziarlo
da
un
tumore
maligno
dei
tessuti
molli),
o
un
fenotipo
misto
(non
bisogna
pensare
che
ci
siano
però,
entrambi
i
tipi
di
cellule,
bensì,
il
tumore,
è
determinato
dallo
stesso
tipo
di
cellula
che
presenta
entrambe
le
caratteristiche).
EPIDEMIOLOGIA
E
FATTORI
DI
RISCHIO
I
meningiomi
sono
i
tumori
più
frequenti
nel
SNC.
Sono
tumori
che
prediligono
gli
adulti
anziani,
nascono
dopo
i
50-‐60
anni,
hanno
nettissima
prevalenza
nelle
femmine
(a
differenza
dei
tumori
celebrali
in
cui
non
c’è
una
prevalenza
di
sesso),
quindi
si
pensa
che
ci
sia
una
questione
ormonale
responsabile.
Infatti
si
è
ipo-‐
tizzato
che
i
nuclei
delle
cellule
tumorali
fossero
positivi
ai
recettori
degli
estrogeni
(così
come
nella
mam-‐
mella
e
nell’endometrio,
che
esprime
questi
recettori
a
livello
sia
delle
ghiandole
sia
dello
stroma)
e
si
è
scoperto
che
c’è
espressione
sia
del
recettore
degli
estrogeni
sia,
soprattutto,
del
progesterone.
Non
si
sa
però
se
il
progesterone
e
gli
estrogeni
favoriscano
la
crescita
di
queste
cellule3.
L’esposizione
a
radiazioni
viene
considerata
un
fattore
di
rischio
per
lo
sviluppo
di
meningiomi:
un
pazien-‐
te
esposto
in
età
giovanile
a
radiazioni
per
tumore
celebrale,
se
sopravvive
in
età
più
avanzata
può
svilup-‐
pare
meningioma.
Nella
grande
maggioranza
dei
casi
il
tumore
è
sporadico;
in
una
piccola
percentuale
di
pazienti
è
legato
alla
presenza
di
una
sindrome,
da
sospettare
quando
il
tumore
compare
nel
bambino
e/o
è
multiplo.
Il
menin-‐
gioma
sporadico
infatti
di
solito
è
formato
da
un
nodulo
singolo
che
insorge
in
un
paziente
adulto-‐anziano;
quello
sindromico
è
associato
alla
neurofibromatosi
di
tipo
2.
che,
nella
variante
classica,
si
manifesta
con
schwannomi
bilaterali
(benigni
tumori
del
nervo
periferico)
a
livello
dell’angolo
ponto-‐cerebellare,
quindi
a
livello
dell’VIII
paio
di
nervi
cranici
(neurinoma
dell’acustico
bilaterale).
Nella
variante
non
classica
si
manifesta
con
meningiomi,
un
meningioma
associato
a
un
glioma
o
a
uno
schwannoma.
Bisogna
fare
dunque
fare
un’anamnesi
familiare
approfondita
(che
può
essere
anche
negativa)
e
il
test
genetico
di
conferma:
la
malattia
è
autosomica
dominante
e
la
mutazione
è
a
livello
del
braccio
lungo
del
cromosoma
22.
I
meningiomi
nei
bambini
non
hanno
prevalenza
di
sesso
come
nell’adulto
e
sono
eccezionali;
bisogna
quindi
sempre
pensare
a
una
sindrome
o
alla
radioterapia
(una
volta,
tra
il
1948
e
il
1960,
la
radioesposizio-‐
ne
della
testa
a
basse
dosi
veniva
fatta
per
bambini
che
avevano
la
tinea
capitis
e
più
tardi
in
questi
bambini
si
notava
lo
sviluppo
di
tumori
cerebrali).
2
Le
cellule
meningee
possono
formare
dei
piccoli
noduli
che
si
trovano
anche
nel
polmone.
Ci
sono
infatti
segnalati
in
letteratura
dei
casi
eccezionali
di
meningiomi
che
nascono
nei
polmoni.
Questi
sono
però
reperti
incidentali
che
ven-‐
gono
trovati
a
livello
polmonare
in
corso
di
autopsie.
Non
si
sa,
né
che
significato
abbiano,
né
come
nascano,
ma
si
trovano
a
livello
del
polmone.
Hanno
notato
che
questi
noduli
si
trovano
soprattutto
in
pazienti
che
hanno
un
edema
polmonare
cronico,
ed
hanno
dunque
sostenuto
che
abbiano
un
ruolo
di
assorbimento
del
liquido
un
po’
come
nel
cervello.
non
hanno
alcun
significato
patologico,
quindi,
non
bisogna
preoccuparsi.
3
Qualcuno
aveva
anche
proposto
che
ci
fosse
un’aumentata
associazione
tra
il
carcinoma
della
mammella
e
il
menin-‐
gioma,
volendo
dunque
dire
che
queste
donne
hanno
un’alterata
risposta
all’estrogeno,
essendo
dunque
più
soggette
allo
sviluppo
di
questi
2
tipi
di
tumori.
Questo
però
non
è
stato
provato
perché
se
il
carcinoma
della
mammella
è
estremamente
frequente
il
meningioma
è
meno
frequente
ed
è
dunque
difficile
stabilire
una
significatività
fra
i
due.
Di
fatto
il
meningioma
esprime
i
recettori
per
il
progesterone
e
per
gli
estrogeni
e
una
qualche
associazione
ormonale
verosimilmente
c’è.
STORIA
NATURALE
E
CLINICA
Sono
tumori
che
crescono
molto
lentamente
e
sono
nella
stragrande
maggioranza
di
casi
tumori
benigni;
sono
destinati
a
dare
segno
di
sé
a
causa
dell’effetto
di
compressione
esercitato,
mentre
crescono,
a
livello
della
scatola
cranica.
I
sintomi
da
effetto
massa
sono
molto
legati
alla
velocità
di
crescita,
perché
il
cervello
è
plastico
e
in
grado
di
modificare
la
disposizione
dei
suoi
compartimenti:
più
un
tumore
cresce
lentamente
più
il
cervello
si
adatta,
ragion
per
cui
possono
anche
raggiungere
dimensioni
enormi
pari
a
6-‐8
cm
prima
di
diventare
sintomatico
(con
una
sindrome
di
ipertensione
celebrale).
Macroscopicamente
e
microscopicamente
le
lesioni
sono
molto
ben
circoscritte.
Esse
infiltrano
l’osso
della
teca
cranica
pur
non
essendo
tumori
maligni.
All’esame
autoptico
possiamo
vedere
un
tumore
che
è
cre-‐
sciuto
molto
lentamente
formando
un
buco
ovvero
una
fossa
nel
cervello
(senza
infiltrarlo),
e
causando
l’adesione-‐fusione
della
dura
madre
al
tavolato
cranico
interno
(tra
i
quali
non
c’è
più
un
piano
di
clivaggio
livello
del
tumore).
Il
chirurgo
che
va
dunque
a
togliere
questo
tumore
non
deve
toccare
il
cervello,
che
è
ancora
separato
e
protetto
dalla
leptomeninge:
in
questo
caso
egli
si
limita
a
togliere
il
nodulo,
che
è
asso-‐
lutamente
ben
delimitato,
e
l’intervento
sarà
risolutivo
nella
maggior
parte
dei
casi.
Oltre
ai
sintomi
da
compressione,
possono
insorgere
sintomi
legati
ad
un
problema
di
atrofia
che
si
crea
nel
parenchima
compresso:
una
parte
di
questi
pazienti
può
manifestare
sintomi
psichiatrici
che
simulano
una
malattia
degenerativa,
ovvero
sintomi
da
demenza
frontale4.
In
alcuni
casi
il
tumore
anziché
formare
un
nodulo
a
livello
della
dura
madre
cresce
dentro
l’osso
diretta-‐
mente:
il
meningioma
in
questo
caso
non
si
vede
perché
cresce
dentro
l’osso
e
la
teca
cranica
raggiunge
uno
spessore
di
due
tre
volte
maggiore.
Il
tumore
può
anche
crescere
adeso
alla
falce
e
separare
la
zona
emisferica
formando
un
bel
nodulo,
ben
circoscritto,
con
compressione
cerebrale.
A
livello
radiologico
un
tumore
che
cresce
in
periferia
è
molto
probabilmente
un
meningioma
(questo
aspetto
è
molto
utile
per
i
radiologi
per
fare
la
diagnosi
differenziale);
infatti,
in
periferia,
la
dura
madre
in-‐
spessita,
ci
darà
un
segno
radiologico
caratteristico,
detto
segno
durale.
Le
forme
più
aggressive
crescono
attraverso
l’osso
nei
tessuti
molli
sottocutanei,
formando
un
bozzo
pal-‐
pabile
con
la
mano
a
livello
del
neurocranio;
in
altri
casi
il
tumore
può
addirittura
erodere
l’osso.
La
prognosi
dipende
dalla
possibilità
di
asportarlo
completamente,
altrimenti
il
tumore
recidiva5
e
conti-‐
nua
a
crescere
in
maniera
inesorabile
fino
a
causare
uno
scompenso,
con
conseguente
morte
per
iperten-‐
sione
endocranica;
quindi
è
importante
da
un
punto
di
vista
prognostico
la
localizzazione:
per
esempio
un
tumore
che
nasce
a
livello
della
base
cranica,
che
coinvolge
lo
sfenoide
e
che
va
a
finire
nel
seno
cavernoso
e
a
interessare
i
nervi
cranici,
pur
essendo
istologicamente
benigno,
può
comportarsi
in
maniera
aggressiva.
ISTOLOGIA
Anche
alcune
variabili
istologiche
hanno
valore
prognostico
e
vanno
dunque
prese
in
considerazione
per
valutare
la
probabilità
di
recidiva
(frequenza
e
rapidità)
e
la
potenziale
aggressività
di
questi
tumori:
anche
per
i
meningiomi
sono
stati
stabiliti
dei
gradi;
distinguiamo:
• meningiomi
di
grado
I,
in
cui
vengono
inseriti
più
del
90%
dei
meningiomi.
E’
formato
da
cellule
prive
di
atipia,
che
crescono
tutte
insieme,
senza
confini
netti.
Ai
primi
autori
che
le
descrissero
4
In
passato
non
era
così
facile
accedere
ai
servizi
di
radiologia
e
di
risonanza
e
questi
pazienti
venivano
considerati
dementi.
Venivano
considerati
affetti
da
malattia
degenerativa
perché
avevano
dei
sintomi
da
demenza
frontale,
an-‐
che
se
in
realtà
era
il
tumore
a
causare
demenza.
Oggi
è
difficile
che
venga
fatta
diagnosi
di
demenza
se
prima
non
è
stato
fatto
almeno
un
esame
radiologico.
5
Infatti
i
meningiomi
hanno
una
strana
tendenza
a
recidivare.
Questo
si
sa
da
quando
Cushing
all’inizio
del
1900
de-‐
scrisse
i
300
casi
di
persone
da
lui
operate,
facendo
anche
la
prima
classificazione
dei
tumori
celebrali,
quando
ancora
la
neurochirurgia
era
proprio
ai
suoi
albori.
Vide
da
subito
che
i
meningiomi
recidivavano
e
li
andò
ad
analizzare
al
mi-‐
croscopio
sperando
di
capire
il
motivo
della
recidiva,
ma
vide
che
essi
erano
istologicamente
uguali.
Emerse
infine
che
per
prevenire
la
recidiva
era
fondamentale
la
resezione
chirurgica
completa.
queste
cellule
erano
apparse
tutte
attaccate
le
une
all’altra
come
un
sincizio
(es.
sinciziotrfoblasto),
tant’è
che
inizialmente
questa
variante
veniva
chiamata
meningioma
sinciziale.
Le
cellule
meningoteliali
tendono
a
formare
dei
vortici
(diagnostici),
ad
avvolgersi
in
maniera
con-‐
centrica
intorno
a
qualsiasi
cosa
trovano
(un
vaso,
un
core
di
connettivo
calcifico
che
diventa
un
corpo
psammomatoso);
quando
il
vortice
non
è
così
deformato,
le
cellule
tendono
a
irradiarsi
da
questa
struttura.
• meningiomi
di
grado
II:
atipici
(molto
più
rari).
Si
osservano
mitosi,
atipie
citologiche
evidenti,
infil-‐
trazione
del
cervello
(evidenziabile
con
l’immuoistochimica
per
la
GFAP:
se
tra
le
cellule
del
tumore
GFAP-‐negative,
ci
sono
cellule
GFAP-‐positive,
ovvero
astrociti,
vuol
dire
che
il
tumore
ha
infiltrato
il
cervello);
• meningiomi
di
grado
III:
anaplastici
(si
riscontrano
in
casi
eccezionali).
Il
tumore
recidiverà
con
cer-‐
tezza
ma
può
anche
dare
metastasi
o
all’interno
della
cavità
cranica,
come
disseminazione
a
livello
meningeo,
o
addirittura
extracraniche;
tradizionalmente
i
tumori
celebrali
non
danno
metastasi:
i
casi
di
neurometastasi
sono
eccezionali
e
le
sedi
di
metastasi
sono
tendenzialmente
due,
cioè
pol-‐
mone
e
linfonodi
laterocervicali.
In
questo
caso
quindi
il
meningioma
si
comporta
come
un
tumore
maligno
(ed
è
paragonabile
in
al-‐
cuni
casi
al
glioblastoma).
Si
osservano
cellule
molto
atipiche
in
replicazione,
necrosi
a
palizzata
che
ricorda
quelle
del
glioblastoma
(e
qualche
volta
non
è
facile
distinguerli).
Si
possono
osservare
cel-‐
lule
fusate
ed
è
quindi
difficile
capire
che
tumore
sia
perché
abbiamo
perso
la
struttura.
E’
quindi
un
tumore
francamente
anaplastico
e
quindi
non
si
riconosce
più
quell’aspetto
organizza-‐
to
del
meningioma
e
c’è
difficoltà
a
credere
che
quello
sia
un
tumore
della
meninge:
infatti
la
dia-‐
gnosi
di
meningioma
può
proprio
diventare
difficile;
la
natura
meningoteliale
del
tumore
non
è
più
riconoscibile
e
può
assomigliare
a
un
miosarcoma,
a
un
carcinoma
o
addirittura
a
un
melanoma.
Va
dunque
in
diagnosi
differenziale
con
i
tumori
metastatici.
L’attribuzione
del
grado
dipende
da:
• mitosi
e
attività
proliferativa:
i
meningiomi
però
non
hanno
mitosi
e
se
le
trovassi
mi
dovrei
preoc-‐
cupare
perché
queste
mi
indicano
tumore
con
alto
grado
di
aggressività
(almeno
di
grado
II);
i
tu-‐
mori
di
grado
III
hanno
molte
mitosi
(20
mitosi
per
10
campi),
• infiltrazione
del
cervello.
Il
meningioma
rimane
sempre
separato
dal
cervello,
dalla
pia
madre
e
dall’aracnoide
stessa.
Quando
il
tumore
interrompe
la
barriera
anatomica
che
esiste
e
infiltra
il
pa-‐
renchima
celebrale,
è
indubbiamente
aggressivo
e
almeno
di
grado
II.
Nel
momento
in
cui
un
tumore
che
penetra
nel
parenchima
celebrale
devo
decidere
se
mi
trovo
di
fronte
ad
un
tumore
del
parenchima
celebrale
che
ha
infiltrato
la
meninge
o
se
questo
è
un
tumore
della
meninge
che
ha
infiltrato
il
parenchima
celebrale:
quando
la
morfologia
non
è
dirimente
po-‐
trò
usare
l’immunoistochimica
(se
si
osservano
cellule
tumorali
GFAP-‐positive
il
tumore
non
è
un
meningioma,
perché
questo
non
è
fatto
da
astrociti);
• necrosi,
che
aiuta
a
vedere
se
c’è
un
aumento
di
attività
proliferativa
infatti
le
due
cosa
spesso
si
presentano
insieme.
La
neovascolarizzazione
non
è
un
criterio
di
malignità
perché
i
meningiomi
sono
vascolarizzati
di
per
sé.
In
base
al
grado
si
fa
un
follow-‐up
più
o
meno
stringente.
Esistono
moltissime
varianti
(istotipi),
che
nella
maggior
parte
dei
casi,
però,
non
hanno
un
risvolto
pro-‐
gnostico,
quindi,
non
è
indispensabile
individuare
la
variante
per
la
refertazione;
bisogna
scrivere
solo
quel-‐
le
3-‐4
varianti
associate
a
un
maggiore
rischio
di
recidiva,
ovvero
che
sono
per
definizione
di
grado
II
o
III
(ad
esempio
la
variante
a
cellule
chiare
è
per
definizione
di
grado
II,
perché
ha
una
particolare
tendenza
al-‐
le
recidive,
la
variante
papillare
è
per
definizione
di
grado
III).
Quindi,
nel
referto
anatomo-‐patologico
ci
dovrà
essere
scritto
il
nome
del
tumore
(meningioma)
e
il
grado.
TUMORE
FIBROSO
SOLITARIO
(EMANGIOPERICITOMA)
Altre
lesioni
molto
rare
sono
gli
emangiopericitomi,
che
al
tempo
di
Cushing
si
pensava
che
fossero
una
va-‐
riante
del
meningioma,
poi
si
è
visto
che
sono
tumori
diversi
che
simulano
i
meningiomi;
sono
caratterizza-‐
ti
dalla
presenza
di
vasi
e
di
cellule
piccole
e
monomorfe.
L’emangiopericitoma
è
già
in
partenza
un
tumore
di
grado
II,
che
ha
cioè
un’elevata
tendenza
alle
recidive;
il
grado
I
in
questo
tumore
non
esiste:
esso
è
o
di
grado
II
o
di
grado
III,
a
seconda
della
proliferazione
e
della
necrosi.
Il
termine
emangiopericitoma
è
stato
coniato
da
due
patologi
che
nel
1949
avevano
definito
e
descritto
il
tumore,
pensando
che
derivasse
dai
periciti,
cellule
che
si
trovano
attorno
vasi
a
metà
strada
tra
un
fibro-‐
blasto
e
una
cellula
muscolare
liscia;
ma
questo
termine
è
caduto
in
disuso
ed
è
stato
sostituito
da
tumore
fibroso
solitario,
termine
usato
per
un
tumore
descritto
per
la
prima
volta
nella
pleura:
ma
si
è
visto
che
questo
tumore
era
simile
all’emangiopericitoma.
Da
un
punto
di
vista
macroscopico
appare
come
un
nodulo
tondo,
ben
delimitato.
Da
un
punto
di
vista
mi-‐
croscopico
è
formato
da
vasi
irregolari
“a
corna
di
cervo”,
cellule
piccole
monomorfe
a
volte
fusate
e
cel-‐
lule
endoteliali
CD34-‐positive.
E’
un
tumore
tipico
degli
adulti
che
insorge
anche
a
livello
dei
tessuti
molli
(di
coscia,
retroperitoneo,
su-‐
perfici
sierose)
e
la
sede
tipica
è
la
pleura
(la
prima
ipotesi
diagnostica
di
fronte
a
un
nodulo
tondo
e
ben
delimitato
della
pleura
è
di
tumore
fibroso
solitario).
I
sintomi
e
i
segni
sono
variabili.
Spesso
il
tumore
è
un
reperto
incidentale
perché
non
dà
segni,
non
infil-‐
tra.
Dopo
l’asportazione
spesso
recidiva,
e
in
alcuni
casi
può
diventare
aggressivo
come
un
sarcoma:
il
gra-‐
do
II
recidiva
mentre
il
grado
III
può
dare
metastasi.
21d.
PATOLOGIA
NON
NEOPLASTICA
DEL
MUSCOLO
SCHELETRICO
(prof.ssa
Scarpelli
2014)
La
patologia
del
muscolo
scheletrico
chiama
in
causa
raramente
l’anatomopatologo;
basti
pensare
che
ogni
anno
l'anatomia
patologica
di
Ancona
processa
un
centinaio
di
biopsie
muscolari
su
un
totale
di
30-‐31mila
esami.
ANATOMIA
DEL
MUSCOLO
SCHELETRICO
Il
muscolo
scheletrico:
• è
ricoperto
da
una
fascia
(difatti
quando
abbiamo
neoplasie
dei
tessuti
molli
le
distinguiamo
infatti
in
sovra-‐
e
sotto-‐fasciali),
• si
attacca
alle
articolazioni
mediante
il
tessuto
connettivo
specializzato
del
tendine
(a
questo
livello
abbiamo
una
zona
di
passaggio)
ma
nel
ventre
muscolare
non
c'è
connettivo;
• dalla
fascia
superficiale
originano
dei
setti
sempre
più
sottili
di
connettivo
che
vanno
dentro
al
mu-‐
scolo
e
lo
separano
in
fasci
sempre
più
piccoli.
E’
un
connettivo
lasso,
vascolarizzato
e
non
fibrotico
che
praticamente
non
si
vede
(endomisio);
il
fatto
che
sia
vascolarizzato
è
importante
perché
in
ca-‐
so
di
alterazioni
a
carico
di
questo
connettivo
abbiamo
un
danno
anche
a
carico
dei
vasi.
Il
muscolo,
le
sue
fibre
e
anche
i
tumori
da
esso
originato
sono
eosinofili.
Alla
microscopia
ottica
il
muscolo
normale
presenta
le
seguenti
caratteristiche:
• i
nuclei
in
EE
sono
alla
periferia
delle
fibre
muscolari,
• le
fibre
muscolari
sono
di
dimensioni
più
o
meno
uguali,
la
variazione
nelle
dimensioni
delle
fibre
è
minima;
facendo
un
grafico
della
distribuzione
delle
dimensioni
otteniamo
una
gaussiana:
alcuni
tipi
di
fibre
sono
più
piccoli
ma
sempre
in
un
andamento
normale;
• assenza
di
tessuto
connettivo
ed
adiposo.
In
EE
possiamo
vedere
delle
alterazioni
delle
fibre;
se
avessimo
una
miopatia
infiammatoria
con
un
infiltra-‐
to
di
linfociti
già
ad
un
basso
ingrandimento
potrei
vederli
e
svelare
questo
infiltrato.
BIOPSIA
MUSCOLARE
PRELIEVO
La
prima
cosa
importante
è
la
selezione
del
muscolo;
il
prelievo
deve
essere
effettuato:
• in
una
zona
sicura,
• in
una
zona
interessata
dalla
patologia
ma
non
troppo,
questo
perché
se
troppo
la
zona
è
troppo
interessata
il
muscolo
è
atrofico
e
non
vediamo
più
nulla,
la
specificità
dell'esame
è
zero,
• in
una
zona
che
consenta
un
campionamento
adeguato,
altrimenti
non
si
può
fare
diagnosi.
I
muscoli
non
sono
tutti
uguali,
essi
hanno
una
struttura
differente
in
base
alla
funzione:
muscoli
per
la
resi-‐
stenza
hanno
un
differente
metabolismo
ossidativo
rispetto
a
muscoli
per
la
velocità
(utilizzando
delle
colo-‐
razioni
per
gli
enzimi
posso
evidenziare
delle
diverse
composizioni
enzimatiche
e
dunque
comprendere
da
quali
fibre
è
costituito
il
muscolo
in
esame).
Il
muscolo
di
scelta,
nella
maggior
parte
dei
casi,
è
il
quadricipite
e
in
particolare
il
vasto
laterale
perché
non
vi
è
rischio
di
sanguinamento:
non
vi
sono
grossi
vasi
intorno,
al
massimo
si
arriva
fino
all'osso
ma
sen-‐
za
creare
un
danno.
La
biopsia
viene
eseguita
a
cielo
aperto:
si
fa
un'incisione
cutanea
di
1
cm,
si
giunge
nel
sottocute,
si
apre
la
fascia
e
si
prende
il
ventre
muscolare.
È
fondamentale
che
il
prelievo
avvenga
al
di
sotto
della
fascia,
e
que-‐
sto
non
è
scontato:
infatti
in
caso
di
atrofia
del
muscolo,
specialmente
nel
bambino,
è
difficile
riconoscere
il
muscolo,
per
questo
motivo
è
fondamentale
avere
un
chirurgo
esperto
nelle
biopsie
sul
quadricipite.
Non
sempre
le
biopsie
che
vengono
fornite
dal
chirurgo
permettono
di
fare
diagnosi;
qualora
vada
ripetuta
la
biopsia
è
molto
importante
che
si
vada
a
campionare
sempre
lo
stesso
muscolo
se
questo
è
interessato.
Chiaramente
se
ho
un
paziente
con
interessamento
solo
del
cingolo
scapolare
non
andrò
a
prendere
il
qua-‐
dricipite
ma
il
bicipite
o
il
deltoide.
Otteniamo
in
questo
modo
un
frammento
di
muscolo,
1
cm
o
anche
meno,
che
viene
inviato
in
Anatomia
Patologica
per
tutte
le
caratterizzazioni
che
servono
per
fare
la
diagnosi,
senza
essere
fissato
in
formalina.
Infatti,
la
diagnosi
non
può
essere
fatta
su
materiale
fissato
in
formalina,
bisogna
avere
materiale
congela-‐
to
fresco
perché
l'esame
del
muscolo
sfrutta
una
serie
di
reazioni
enzimatiche
che
si
perdono
con
la
fissa-‐
zione;
sono
indispensabili
metodiche
istochimiche
ed
immunoistochimiche
da
fare
di
routine
per
il
comple-‐
tamento
e
il
perfezionamento
della
diagnosi.
PROCESSAZIONE
Il
muscolo
è
una
struttura
perfettamente
organizzata
e,
per
mantenere
questa
organizzazione,
deve
essere
orientato
per
fare
la
sezione
(se
non
riusciamo
ad
occhio
nudo
possiamo
usare
una
lampada
ad
ingrandi-‐
mento);
la
sezione
del
quadricipite,
muscolo
longitudinale,
può
essere
effettuata:
• longitudinalmente:
per
vedere
tutte
le
fibre
allungate
• perpendicolarmente,
a
90°
rispetto
al
decorso
Per
tradizione
e
perché
si
ha
una
migliore
visione
il
quadricipite
viene
osservato
perpendicolarmente
e
quindi
in
sezione
trasversale.
Gli
step
da
eseguire
sono:
• il
pezzo
di
muscolo
viene
posto
su
un
pezzettino
di
sughero
che
funge
da
supporto;
• dopo
la
sezione
viene
aggiunta
una
specie
di
gelatina
che
poi
con
il
freddo
si
solidifica;
• il
muscolo
viene
quindi
fissato
per
congelamento:
deve
essere
immerso
all'interno
dell'azoto
liqui-‐
do,
il
processo
di
congelamento
è
molto
rapido
(5
secondi);
tuttavia
se
mettessimo
il
pezzettino
di
muscolo
direttamente
nell'azoto
liquido
questo
creerebbe
uno
stress
termico
estremo,
le
fibre
si
separerebbero
e
all'interno
si
formerebbero
dei
cristalli
di
ghiaccio;
per
questo
motivo
è
necessaria
un'interfaccia
per
il
congelamento
(ex.
tributano)
che
crea
una
sorta
di
camera
di
separazione;
• il
blocchetto
ottenuto
viene
montato
in
un
porta
oggetti
e
poi
tagliato
con
un
criostato,
una
mac-‐
china
che
mantiene
il
freddo,
• le
sezioni
vengono
poi
colorate
in
ematossilina-‐eosina.
Queste
biopsie
vengono
programmate
in
modo
che
sia
tutto
predisposto
per
quando
il
pezzo
arriva.
Le
indagini
che
possiamo
fare
una
volta
ottenuto
il
campione
sono:
• microscopia
ottica,
• microscopia
elettronica
(una
delle
pochissime
applicazioni
in
cui
viene
ancora
utilizzata
ed
è
anzi
fondamentale
in
alcuni
casi),
• indagini
genetiche
che
in
gran
parte
sono
fattibili
anche
sul
sangue,
ma
non
necessariamente:
ave-‐
re
il
tessuto
permette
di
fare
delle
indagini
aggiuntive
che
non
sono
possibili
sul
sangue.
COLORAZIONI
PER
IL
MUSCOLO
SCHELETRICO
Le
colorazioni
ci
permettono
di
sapere
come
sono
distribuite
le
diverse
fibre
del
muscolo
scheletrico
e
di
individuare
delle
alterazioni.
Le
colorazioni
di
routine
sono
quelle
istochimiche
e
quelle
enzimatiche
(que-‐
ste
ultime
sono
più
informative).
Nelle
distrofie
si
fa
anche
l’immunistochimica.
Colorazioni
istochimiche:
• colorazione
PAS;
che
serve
per
lo
studio
del
glicogeno
in
caso
di
sospetto
di
glicogenosi,
patologia
di
accumulo
di
glicogeno
(che
possiamo
identificare
tenendo
presente
che
il
muscolo
ne
è
comun-‐
que
ricco
di
base),
• colorazione
Oil
Red
O,
che
mette
in
evidenza
i
lipidi,
e,
di
conseguenza,
anche
una
alterazione
del
metabolismo
ossidativo
degli
acidi
grassi,
in
cui
il
muscolo
non
è
più
in
grado
di
catabolizzarli,
• colorazione
di
Gomori,
una
colorazione
tradizionale
tricromica
che
mette
in
evidenza
con
colori
differenti
il
muscolo,
il
connettivo
e
i
nuclei.
Permette
di
identificare
alcune
alterazioni
nella
strut-‐
tura
delle
fibre
che
sono
utili
per
fare
diagnosi.
Mediante
le
colorazioni
istochimiche
cerchiamo:
• aumento
del
tessuto
connettivo
ed
adiposo,
• dimensioni
delle
fibre
(le
fibre
sono
grossolanamente
omogenee);
un'importante
variazione
(valu-‐
tabile
sia
ad
occhio
che
misurando)
con
fibre
molto
piccole,
atrofiche
o
molto
grandi,
ipertrofiche,
è
indicativa
di
patologia,
• presenza
di
fibre
necrotiche,
• aspetti
di
rigenerazione
(fibre
piccole
che
stanno
riformando
il
muscolo),
• infiltrato
infiammatorio,
• alterazioni
peculiari
della
struttura
delle
fibre
come
vacuoli
o
corpi
inclusi
che
possono
dare
una
in-‐
dicazione
della
patologia.
Colorazioni
enzimatiche
Le
colorazioni
enzimatiche
possono
essere
divise
in
due
tipologie
in
base
alla
componente
che
evidenziano:
• la
componente
contrattile
(miofibrillare)
si
mette
in
evidenza
con
una
colorazione
per
l'ATPasi.
Così
possono
emergere
alterazioni
nella
distribuzione
delle
fibre;
nel
muscolo
possiamo
vedere
due
tipi
di
fibre:
o fibre
1,
sono
quelle
lente,
ad
esempio
sono
più
abbondanti
nel
muscolo
paravetebrale,
o fibre
21,
sono
quelle
veloci,
ad
esempio
sono
più
abbondanti
nel
quadricipite.
In
alcune
patologie
la
distribuzione
delle
fibre,
normalmente
sono
disposte
come
in
una
scacchiera,
si
modifica
e
mediante
la
ATPasi
posso
osservare
la
componente
delle
due
fibre
all'interno
del
mu-‐
scolo
(es.
quadricipite).
Quando
effettuiamo
la
colorazione
per
l'ATPasi
abbiamo
una
distribuzione
di
tipo
bianco/nero
avremo
dunque
delle
aree
colorate
(molto
o
poco)
e
delle
aree
non
colorate;
inoltre
la
distribuzione
delle
fibre
colorate
cambia
a
seconda
del
pH
a
cui
viene
effettuata
la
colorazione.
Normalmente
la
colorazione
viene
effettuata
su
tre
sezioni
del
muscolo,
ed:
o effettuando
la
colorazione
ad
un
pH
alcalino
di
9.4
osserviamo
che
le
fibre
scure
sono
le
fibre
di
tipo
2
e
quelle
chiare
sono
quelle
di
tipo
1,
o effettuando
la
colorazione
ad
un
pH
acido
di
4.3
ottengo
il
quadro
opposto
le
fibre
scure
sono
le
fibre
1
e
le
fibre
chiare
sono
quelle
di
tipo
1.
Una
cosa
importante
da
considerare
è
che
la
distribuzione
nella
colorazione
è
molto
regolare,
• la
componente
non
contrattile
si
mette
in
evidenza
con
una
colorazione
per
il
NADH
tetrazolo
re-‐
duttasi,
o
il
citocromo
ossidasi,
o
la
succinico
deidrogenasi;
dato
che
abbiamo
detto
che
le
fibre
hanno
un
diverso
metabolismo,
questa
colorazione
è
quella
che
ci
permette
di
osservare
la
diversa
distribuzione
degli
organelli
all'interno
delle
fibre.
La
colorazione
per
la
componente
non
contrattile
ci
permette
di
osservare
una
alterazione
nella
di-‐
stribuzione
dei
mitocondri
che
può
comparire
in
alcune
malattie
specifiche
che
coinvolgono
il
mu-‐
scolo
e
il
sistema
nervoso.
1
Le
fibre
di
tipo
II
sono
quelle
che
garantiscono
il
movimento:
ad
esempio
in
un
paziente
allettato
abbiamo
una
ridu-‐
1
L’etimologia
è
dovuta
al
fatto
che
i
pazienti
leucemici
hanno
il
sangue
bianco
poiché
ci
sono
talmente
tante
cellule
“non
globulo
rosso”
che
il
sangue
diventa
chiaro,
anziché
essere
rosso.
o per
la
diagnosi
è
necessario
l’esame
istologico
del
tessuto
coinvolto,
che
deve
essere
asporta-‐
to
completamente
dal
chirurgo;
o la
BOM
è
mandatoria
dopo
la
diagnosi
a
fini
stadiativi.
Nel
dettaglio,
l’esame
citologico,
per
esempio
di
un
linfonodo
megalico,
non
è
diagnostico
e
ha
il
solo
compito
di:
o collocare
le
cellule,
in
base
alla
loro
morfologia,
in
una
categoria
di
rischio:
C1
(benigne;
rara-‐
mente
viene
fatta
questa
diagnosi),
C3
(indeterminate),
C4
(probabilmente
maligne),
C5
(mali-‐
gne),
o individuare
la
ipotetica
macrocausa
della
linfoadenomegalia:
linfoma,
metastasi
di
carcinoma,
infiammazione,
infezione.
Si
effettuano
a
tal
proposito
studi
di
immunofenotipizzazione
(con
citofluorimetria
a
flusso):
per
esempio,
per
l’individuazione
delle
cellule
epiteliali
di
un
carci-‐
noma
si
testa
il
campione
con
le
citocheratine,
in
caso
di
sospetto
linfoma
si
studia
l’espressione
dell’antigene
leucocitario
comune.
Questo
permette,
in
fase
preliminare,
di
indirizzare
l’iter
diagnostico
(che
può
essere
ematologico,
oncologico,
internistico).
Per
esempio
è
indicata
l’asportazione
del
linfonodo
per
lo
studio
istologico
in
caso
sospetto
linfoma
C3,
C4
o
C5;
invece
in
caso
di
metastasi
di
carcinoma
occorre
cercare
il
tu-‐
more
primitivo
e
stadiare
la
neoplasia
da
un
punto
di
vista
clinico
(l’iter
diagnostico
diventa
di
com-‐
petenza
oncologico).
L’esame
citologico
non
è
diagnostico
di
linfoma
perché
non
fornisce
un
tessuto
su
cui
eseguire
una
tipizzazione
linfocitaria
ampia
e
completa;
i
linfomi
sono
infatti
formati
da
popolazioni
linfocitarie
eterogenee,
ovvero
da
linfociti
reattivi
e
da
una
minima
quota
di
linfociti
neoplastici
monoclonali.
Solo
alcuni
linfomi
potrebbero
essere
diagnosticati
con
l’esame
citologico
e
la
citofluorimetria:
sono
i
linfomi
omogenei
in
cui
tutte
le
cellule
esprimono
lo
stesso
fenotipo.
e
si
fa
affidamento
per
la
terapia
alla
diagnosi
orientativa
citologica.
Comunque,
secondo
le
linee
guida,
senza
la
diagnosi
istologica
di
linfoma
non
può
essere
attivato
nessun
trattamento
terapeutico;
fanno
eccezione:
o le
leucemie
(linfoblastiche)
acute,
in
cui
bisogna
agire
in
tempi
rapidi
con
la
somministrazione
della
terapia;
o quelle
condizioni
cliniche
in
cui
non
è
possibile
l’asportazione
linfonodale
completa;
ad
esem-‐
pio
non
si
asporta
chirurgicamente
un
linfonodo
mediastinico
(situato
quindi
in
una
sede
pro-‐
fonda
e
delicata)
in
un
paziente
anziano
con
comorbidità,
che
non
può
subire
un
intervento
chirurgico;
o i
linfomi
delle
sierose
o
che
coinvolgono
il
liquor;
sono
dei
linfomi
“liquidi”,
caratterizzati
da
un
liquido
(liquor,
versamento
pleurico
o
ascitico)
in
cui
sono
contenute
le
cellule
linfomatose.
In
questi
casi
ci
si
accontenta
o
è
sufficiente
la
diagnosi
con
citologia
agoaspirativa
e
la
tipizzazione
delle
cellule.
Esiste,
infine,
un
piccolo
gruppo
di
linfomi
caratterizzati
da
una
presentazione
leucemica
(10%
dei
casi):
questi
tumori,
all’inizio,
non
formano
masse
solide
ma
invadono
il
midollo
osseo
e
si
portano
nel
sangue
periferico.
In
questo
caso:
o la
diagnosi
viene
fatta
su
sangue
periferico
(ed
eventualmente
midollare)
attraverso
lo
studio
morfologico
delle
cellule
circolanti,
la
tipizzazione
con
citofluorimetria
e
l’analisi
citogenetica
delle
aberrazioni
cromosomiche;
o la
biopsia
ossea
è
mandatoria
allo
scopo
di
stadiare
la
malattia.
Studiamo
nel
dettaglio
le
neoplasie
linfopoietiche.
CLASSIFICAZIONE
DELLE
NEOPLASIE
EMOLINFOPOIETICHE
• Neoplasie
emopoietiche.
Sono
caratterizzate
da
un
aumento
in
periferia
di
una
cellula
del
sangue;
esse
sono:
o la
leucemia
mieloide
acuta
(AML),
o la
leucemia
mieloide
cronica
(CML):
è
una
leucemia
cronica
in
cui
c’è
un
marcato
aumento
dei
granulociti
3
neutrofili,
quindi
di
cellule
mature,
che
raggiungono
valori
di
30.000-‐40.000
(v.n.
<10.000/mm ).
Il
cromo-‐
soma
Philadelphia
(traslocazione
9-‐22)
è
il
marcatore
molecolare
di
questa
malattia:
si
ricerca,
quindi,
il
riar-‐
rangiamento
Bcl-‐Abr;
o la
policitemia
vera:
è
una
leucemia
cronica
che
si
presenta
con
un
incremento
dell’emoglobina
che
com-‐
porta
eritrocitosi
(aumento
dei
globuli
rossi;
i
valori
normali
di
emoglobina
sono
inferiori
a
16
g/dL
nel
san-‐
gue
periferico)
in
assenza
di
cause
che
possano
aver
stimolato
l’iperproduzione
di
globuli
rossi.
Infatti
l’eritrocitosi
può
essere
secondaria
(o
reattiva)
in
pazienti
con
problemi
respiratori,
come
risposta
alla
ridu-‐
zione
di
ossigenazione
del
sangue;
o la
trombocitemia
essenziale,
una
leucemia
cronica
che
si
presenta
con
aumento
persistente
delle
piastrine
sopra
i
400.000,
in
assenza
di
patologie
concomitanti
come
carenza
di
ferro,
infezioni,
malattie
epatiche
(in
questi
casi
“reattivi”,
si
parla
di
semplice
piastrinosi);
o la
mielofibrosi
primaria
(in
passato,
chiamata
idiopatica):
malattia
che
si
presenta
con
anemia,
leucopenia
e
piastrinopenia
(pancitopenia).
È
una
malattia
mieloproliferativa
in
cui
il
midollo
non
riesce
però
a
mandare
in
circolo
le
cellule
che
produce:
infatti
le
cellule
ematiche
nel
sangue
periferico
risultano
ridotte.
Questo
è
legato
alla
caratteristica
presenza
di
fibrosi
del
midollo,
che
non
è
però
presente
fin
dall’inizio
(quindi,
nelle
prime
fasi
si
possono
osservare
dei
quadri
che
simulano
la
CML
o
la
trombocitemia
essenziale,
con
aumento
di
globuli
bianchi
e
piastrine);
nel
tempo,
si
ha
la
deposizione
di
collagene
e
la
conseguente
fibrosi
fa
sì
che
l’emopoiesi
si
sposti
nel
fegato
e
nella
milza:
per
questo
motivo
il
paziente
si
presenta
con
pancitopenia,
epatomegalia
e
splenomegalia.
I
marcatori
molecolari
di
queste
patologie
sono
i
seguenti:
o la
CML
ha
il
marker
nel
riarrangiamento
Bcr-‐Abl
(presente
quasi
nel
100%
dei
casi)
e
viene
trattata
con
Ima-‐
tinib,
farmaco
anti-‐c-‐Kit
mirato
contro
la
cascata
enzimatica
che
viene
attivata
in
questa
neoplasia,
o per
le
altre
tre
forme
croniche
(policitemia
vera,
trombocitemia
essenziale
e
mielofibrosi
primaria),
dette
“Philadelphia
Negative”,
sono
stati
identificati
dei
marcatori
molecolari
che
però
sono
espressi
in
maniera
variabile:
i
principali
sono
Jak2,
MPL
e
Calreticulina.
Per
questo
gruppo
di
patologie,
nei
casi
in
cui
sia
rilevi
la
mutazione
di
Jak2,
si
hanno
a
disposizione
farmaci
anti-‐Jak2
(Imatinib
non
funziona).
• Linfomi:
o linfomi
non
Hodgkin,
§ linfomi
B
(90%),
§ linfomi
T
(10%),
§ linfomi
NK,
o linfomi
Hodgkin:
rimane
un’entità
a
sé
stante
dal
punto
di
vista
classificativo
ma
in
realtà
è
un
linfoma
B
che
non
esprime
gli
antigeni
principali
di
linea
T
o
B.
LINFOMI:
GENERALITA’
ISTOLOGIA
DEL
LINFONODO
Il
linfonodo
è
un
organo
linfatico
secondario
capsulato
formato
da:
• una
corticale
esterna,
che
presenta
follicoli
(aree
B),
in
cui
possono
essere
presenti
i
centri
germi-‐
nativi:
o se
il
follicolo
presenta
un’area
circolare
chiara
(centro
germinativo)
circondata
da
una
corona
più
scura
(mantello),
prende
il
nome
di
follicolo
secondario;
o se
il
follicolo
non
presenta
il
centro
germi-‐
nativo
ed
è
formato
solo
da
cellule
del
mantello,
ovvero
appare
come
una
massa
rotonda
scura
formata
da
piccoli
linfociti,
prende
il
nome
di
follicolo
primario;
• una
midollare,
i
cui
seni
linfatici
convergono
verso
l’ilo,
• una
zona
interposta,
detta
paracorticale
(area
T),
che
si
estende
anche
tra
i
follicoli
della
corti-‐
cale.
E’
la
zona
di
insorgenza
dei
linfomi
T
e
del
linfoma
di
Hodgkin.
Nel
linfonodo,
la
linfa
scorre
dai
vasi
linfatici
afferenti
a
quello
efferente
(che
origina
dall’ilo)
in
grandi
seni
linfatici
con
endotelio
fenestrato
detti
sinusoidi,
che
rappresentano
la
sede
più
frequente
delle
metastasi
linfonodali
dei
carcinomi.
I
linfomi
invece
nascono
o
nel
centro
germinativo
o
nella
zona
paracorticale.
Nel
dettaglio
un
follicolo
secondario
è
formato,
dall’interno
verso
l’esterno
da:
• il
centro
germinativo,
un’area
proliferante
costituita
prevalentemente
da
linfociti
B
e
da
un
numero
minore
di
macrofagi,
cellule
dendritiche
e
linfociti
T.
La
sua
presenza
è
indicativa
del
fatto
che
è
sta-‐
to
incontrato
un
antigene
che
ha
innescato
una
reazione
immunitaria.
Il
centro
germinativo
nor-‐
malmente
è
polarizzato,
ovvero,
a
sua
volta,
è
formato
al
suo
interno
da:
o una
zona
chiara
occupata
dai
centroblasti,
grandi
cellu-‐
le
blastiche
con
nucleoli
visibili
che,
proliferando,
si
spostano
nella
zona
scura
trasformandosi
in
centrociti,
o una
zona
scura
adiacente,
costituita
da
centrociti
che,
o
vanno
incontro
ad
apoptosi
per
mancata
acquisizione
di
specificità,
o
si
portano
nella
zona
marginale,
prose-‐
guendo
l’iter
differenziativo
in
senso
plasmacellulare,
• la
zona
mantellare
(o
mantello),
più
scura,
formata
da
pic-‐
coli
linfociti,
• la
zona
marginale,
una
zona
chiara
circolare
esterna,
raramente
visibile
se
non
in
particolari
situa-‐
zioni
in
cui
si
attiva
(è
più
facilmente
visibile
nella
milza).
Quindi
la
cellula
naive
entra
nel
follicolo,
incontra
l’antigene,
si
attiva,
prolifera
come
centroblasto,
diventa
centrocita
(cellula
matura),
e
o
muore
o
esce
nella
zona
marginale,
dove
diventa
linfocito
B
della
zona
mar-‐
ginale
e
poi
plasmacellula.
I
tre
linfomi
che
possono
originare
dal
follicolo
sono
morfologicamente
molto
simili:
hanno
tutti
e
tre
una
forma
nodulare
e
tendono
a
crescere
alterando
la
normale
architettura
del
follicolo;
vengono
pertanto
di-‐
stinti
per
mezzo
dello
studio
dell’immunofenotipo.
Infatti:
• nei
linfomi
del
centro
germinativo
la
cellula
anomala
prolifera
in
maniera
disorganizzata
tendendo
ad
annullare
il
mantello
e
la
zona
marginale;
• la
cellula
neoplastica
del
linfoma
mantellare
tende
da
una
parte
ad
entrare
nel
centro
germinativo
e
dall’altra
ad
uscire
nella
zona
marginale,
• la
cellula
del
linfoma
della
zona
marginale
prolifera
sia
verso
il
centro
del
centro
germinativo
sia
verso
l’esterno.
CLASSIFICAZIONE
DEI
LINFOMI
I
linfomi
possono
essere
classificati
secondo
molti
criteri.
La
classificazione
dei
linfomi
si
basa,
innanzitutto,
sul
fenotipo
delle
cellule;
distinguiamo:
• linfomi
B,
• linfomi
T,
• linfomi
NK2,
• linfoma
di
Hodgkin:
è
un
linfoma
che
deriva
nel
99%
dei
casi
da
una
cellula
di
origine
B;
non
viene
ancora
inserito
tra
i
linfomi
B
e
forma
una
categoria
a
parte
per
ragioni
storiche:
è
stata
il
primo
lin-‐
foma
descritto,
gli
altri
linfomi
man
mano
scoperti
venivano
inclusi
nel
gruppo
di
linfomi
non
Hodgkin.
In
passato
veniva
chiamato
malattia
(o
morbo)
di
Hodgkin
perché
non
era
ancora
stata
in-‐
dividuata
l’origine
linfocitaria
del
tumore
e
si
pensava
che
derivasse
da
macrofagi
o
monociti.
La
distinzione
tra
linfomi
Hodgkin
e
linfomi
non
Hodgkin
esisteva
in
passato,
quando
era
stata
individuata
questa
categoria
di
linfoma
che
si
presentava
in
maniera
molto
diversa
dagli
altri;
oggi
questa
distinzione
è
stata
superata
perché
esiste
il
linfoma
di
Hodgkin
e
tanti
tipi
di
linfomi
B
e
T-‐NK.
In
base
alla
sede
di
insorgenza,
si
distinguono
linfomi:
• nodali
(60%),
che
originano
nei
linfonodi.
Si
manifestano
con
linfoadenopatia
singola,
multipla
(più
linfonodi
ingrossati
nello
stesso
distretto)
o
pluridistrettuale
(ad
esempio,
con
coinvolgimento
di
linfonodi
ascellari
e
viscerali).
Possono
essere
interessati
linfonodi
sia
superficiali
(latero-‐cervicali,
ascellari,
inguinali;
che
possono
essere
asportati
più
facilmente
e
studiati
con
esame
istologico)
sia
profondi
(mediastinici,
toracici,
addominali
profondi,
più
difficili
da
asportare:
pertanto
vengono
studiati
con
esame
citologico
combinato
alla
citofluorimetria).
Il
linfoma
origina,
generalmente,
dalla
corticale
o
dai
follicoli;
• extranodali
(30%),
che
insorgono
al
di
fuori
degli
organi
linfoidi.
Possono
presentare
problemati-‐
che
di
diagnosi
differenziale
poiché
spesso
si
manifestano
come
masse
viscerali
a
livello
dell’apparato
gastro-‐intestinale,
della
cute,
del
polmone,
del
SNC,
delle
ghiandole
salivari
o
lacrima-‐
li.
Quindi,
in
prima
istanza,
si
pensa
solitamente
a
tumori
primitivi
dell’organo
interessato
piuttosto
che
a
un
linfoma;
• leucemici
(10%):
non
si
manifestano
come
masse
o
con
linfoadenopatia,
ma
con
tantissime
cellule
leucocitarie
in
circolo
nel
sangue
periferico,
quindi
con
un’alterazione
dell’emocromo.
2
Sebbene
i
linfociti
T
e
NK
siano
cellule
diverse,
i
linfomi
che
derivano
da
essi
possono
essere
inclusi
in
unico
gruppo
perché
ci
sono
linfomi
T
che
esprimono
marcatori
delle
NK.
Poiché
i
linfomi
sono
tutti
definiti
“maligni”
(non
esiste
per
i
linfomi
la
terminologia
“benigno”),
si
aggiunge,
accanto
al
lemma
linfoma
maligno,
un
aggettivo
indicativo
di
quanto
la
malattia
sia
aggressiva.
Quindi,
in
base
al
comportamento
clinico
(intimamente
connesso
con
la
prognosi),
i
linfomi
si
distinguono
in:
• indolenti:
sono
linfomi
a
crescita
lenta
che
non
tendono
a
diffondere;
i
pazienti
hanno
una
soprav-‐
vivenza
simile,
ma
leggermente
inferiore,
alla
popolazione
generale.
Talvolta
non
è
necessaria
neanche
la
chemioterapia,
che
potrebbe
risultare
dannosa
per
via
degli
importanti
effetti
avversi;
• aggressivi:
sono
linfomi
spesso
sintomatici,
che
si
manifestano
con
masse
a
rapida
crescita.
La
so-‐
pravvivenza
è
dell’ordine
di
mesi,
se
non
viene
adottata
una
terapia
specifica
che
può
consistere
in
chemioterapia,
trapianto
autologo
o
eterologo;
• altamente
aggressivi:
sono
linfomi
a
rapida
crescita,
che
spesso
insorgono
nel
mediastino
o
nel
SNC
causando
sindromi
mediastiniche
o
cerebrali
molto
gravi.
La
gravità
di
questi
linfomi
è
dovuta
alla
loro
localizzazione
(ad
esempio,
un
linfoma
in
sede
mediastinica
a
contatto
con
i
vasi
può
esse-‐
re
causa
di
gravi
fenomeni
trombotici).
La
diagnosi
deve
essere
effettuata
con
rapidità
perché
l’inizio
della
terapia
scongiura
la
morte.
Rientrano
in
questo
gruppo
le
Leucemie
Acute
Linfatiche
(LAL)
che,
se
non
trattate,
portano
a
mor-‐
te
per
insufficienza
midollare.
Le
leucemie
(ovvero
i
linfomi
a
manifestazione
leucemica)
si
dividono,
in
base
all’aspettativa
di
vita,
in:
• acute:
sono
rapidamente
progressive,
per
l’elevata
capacità
di
replicazione,
e
pericolose
per
la
vita
del
paziente:
senza
una
tempestiva
terapia
di
salvataggio
il
paziente
muore
in
pochi
mesi;
• croniche:
proliferano
di
meno
e
si
manifestano
con
un
aumento
di
cellule
circolanti;
la
sopravviven-‐
za
del
paziente
è
maggiore
(può
sopravvivere
anni).
EPIDEMIOLOGIA
• Da
un
punto
di
vista
epidemiologico,
i
linfomi
sono
in
costante
aumento,
anche
a
causa
di
un
aumento
della
possibilità
di
diagnosticarli.
• Possono
colpire
tutte
le
fasce
di
età
e
tutti
i
livelli
socio-‐economici;
alcuni
soggetti
hanno
particolare
predisposizione
nello
sviluppo
dei
linfomi
(immunodepressi).
• La
mortalità
è
controllata
a
causa
delle
molteplici
opportunità
terapeutiche,
sempre
più
mirate
e
sar-‐
toriali
(il
bersaglio
della
terapia
è
nella
maggior
parte
dei
casi
una
specifica
molecola
espressa
dal
tu-‐
more).
• In
Italia
ci
sono
40
nuovi
casi
l’anno
ogni
100.000
abitanti
(nelle
Marche
intorno
ai
600
casi
l’anno,
ad
Ancona
circa
50).
• I
linfomi,
spesso,
hanno
una
distribuzione
geografica
caratteristica:
o il
linfoma
di
Burkitt
colpisce
i
bambini
africani;
o il
linfoma
follicolare
e
il
linfoma
B
a
grandi
cellule
diffuso
sono
tipici
dell’Italia,
Europa
e
Nord
America;
in
generale
il
90%
dei
linfomi
in
Occidente
è
di
origine
B,
o il
linfoma
T/NK
del
rinofaringe
è
tipico
del
Sud-‐Est
asiatico,
dei
Paesi
Caraibici
del
sud
America;
in
generale,
i
linfomi
T
sono
molto
più
frequenti
in
queste
aree.
Questa
differente
incidenza
è
legata
in
parte
a
fattori
genetici
ed
in
parte
all’ambiente
(es.
virus
più
frequenti
in
alcune
aree).
PATOGENESI
I
linfomi
sono
malattie
multifattoriali
in
cui
si
osserva
la
proliferazione
non
controllata
di
un
clone
aberran-‐
te
di
linfociti;
giocano
un
ruolo
importante
nella
patogenesi:
• traslocazioni
cromosomiche,
che
determinano
la
trascrizione
aberrante
di
un
oncogene
normal-‐
mente
silente;
queste
anomalie
sono
marker
della
malattia
e
possono
essere
utilizzate
anche
a
scopo
diagnostico.
Le
traslocazioni
significative
sono
quelle
che
avvicinano
un
oncogene
al
gene
che
codifica
per
il
re-‐
cettore
dell’antigene;
nei
linfomi
B,
ad
esempio,
l’oncogene
viene
traslocato
accanto
ai
geni
delle
immunoglobuline
(che
sono
geni
ad
elevata
trascrizione)
e
ipertrascritto
anch’esso,
con
conseguen-‐
te
acquisizione
di
un
vantaggio
proliferativo
da
parte
della
cellula;
• condizioni
predisponenti:
una
categoria
maggiormente
predisposta
allo
sviluppo
di
linfomi
è
quella
degli
immunodepressi,
ovvero
dei
pazienti
che
presentano
delle
anomalie
nel
sistema
immunitario
che
possono
essere:
o congenite
(questi
soggetti
possono
sviluppare
neoplasie
anche
precocemente);
o acquisite,
secondarie
a:
§ patologie
autoimmuni
(connettivi,
Hashimoto):
soggetti
con
un
controllo
alterato
delle
popolazioni
linfocitarie,
possono
sviluppare
dei
cloni
che
danno
origine
a
processi
linfo-‐
proliferativi
(un
linfoma
complica
la
malattia
infiammatoria
su
base
autoimmunitaria);
§ uso
di
farmaci
citotossici
e
immunosoppressori;
§ infezione
non
controllata
da
HIV
(i
linfomi
possono
complicare
il
decorso
della
malattia);
§ trapianti
di
organo
solido:
le
terapie
immunosoppressive
a
cui
i
soggetti
trapiantati
sono
sottoposti,
possono
far
emergere
dei
cloni
linfocitari
che
non
sono
più
sotto
il
controllo
dell’immunità;
§ età
avanzata:
in
età
senile
esiste
una
compromissione
della
funzionalità
del
sistema
im-‐
munitario
tale
da
determinare
un
aumento
del
rischio
di
sviluppare
un
linfoma;
• fattori
ambientali:
inquinamento
ambientale,
radiazioni
ionizzanti,
sostanze
chimiche
(benzene,
pesticidi),
chemioterapici;
• agenti
eziologici
infettivi
di
tipo
virale
e
batterico,
quali:
o l’Helycobacter
pylori
è
l’agente
più
frequentemente
associato
all’insorgenza
del
linfoma
ga-‐
strico
MALT;
l’infezione
causa
una
gastrite
cronica
che
può
esitare
nello
sviluppo,
nell’ambito
della
popolazione
linfocitaria
che
reagisce
contro
gli
antigeni
batterici,
di
un
clone
neoplastico
per
acquisizione
di
mutazioni.
Nella
prima
fase,
la
crescita
linfoide
indolente
è
ancora
dipen-‐
dente
dalla
presenza
dell’Helycobacter:
pertanto,
se
si
eradica
in
questa
fase
l’infezione
con
una
terapia
energica,
il
linfoma
può
regredire
in
una
buona
percentuale
dei
casi;
o Chlamidya,
agente
batterico
diffuso
nelle
zone
di
campagna,
il
cui
serbatoio
è
rappresentato
da
volatili,
come
uccellini
e
pappagallini.
Questo
patogeno
può
determinare
un’infezione
della
congiuntiva
o
dei
polmoni;
l’infezione
non
trattata
può
portare
nel
tempo
all’insorgenza
di
lin-‐
fomi
delle
ghiandole
lacrimali,
della
congiuntiva
e
del
polmone;
o Borrelia
burgdorferi,
batterio
trasmesse
dalla
zecca.
Esiste
un’associazione
diretta
tra
infezio-‐
ne
da
Borrelia
e
il
linfoma
cutaneo
MALT
(un
linfoma
della
zona
marginale).
Anche
in
questo
caso,
il
linfoma
regredisce
curando
l’infezione;
o EBV,
che
infetta
sia
i
linfociti
T
sia
quelli
B:
la
forma
acuta
dell’infezione
è
la
mononucleosi
in-‐
fettiva.
Il
virus
ha
la
capacità
di
restare
latente
nelle
cellule
infettate
dopo
la
fase
acuta
e
di
riattivarsi;
la
riattivazione
del
virus
nelle
cellule
B
è
responsabile
in
maniera
certa
di
alcuni
tipi
di
linfomi
in
pazienti
immunodepressi
(ad
esempio,
dei
linfomi
B
a
grandi
cellule
dell’anziano).
In
questo
caso
una
terapia
che
riduce
l’attività
virale
ha
un
effetto
positivo
an-‐
che
sulla
crescita
linfomatosa.
C’è
anche
un’associazione
diretta
tra
EBV
e
linfoma
di
Burkitt:
nelle
cellule
linfomatose
dei
lin-‐
fomi
di
Burkitt
dei
bambini
africani
si
individua
sempre
l’EBV
(nei
linfomi
di
Burkitt
diagnostica-‐
ti
in
Italia
l’incidenza
del
EBV
è
invece
molto
più
bassa).
Nel
linfoma
di
Hodgkin
l’importanza
di
EBV
non
è
ancora
chiara:
in
circa
la
metà
dei
casi
ci
so-‐
no
le
cellule
EBV-‐positive
ma
non
siamo
ancora
in
grado
di
capire
se
il
virus
sia
un
innocent
by-‐
stander
(“spettatore
innocente”)
oppure
sia
implicato
direttamente
nella
patogenesi;
o HIV
e,
più
in
generale,
i
retrovirus;
o HHV-‐8
o
virus
del
sarcoma
di
Kaposi
(KSV),
che
svolge
un
ruolo
importante
nei
soggetti
immu-‐
nodepressi,
inquanto
può
infettare
le
cellule
endoteliali
e
dare
origine
al
Sarcoma
di
Kaposi
nei
soggetti
HIV-‐positivi
(è
un
sarcoma
vascolare
che
colpisce
la
cute).
Inoltre
tale
virus
è
stato
os-‐
servato
anche
nei
linfomi
B
plasmoblastici.
CLINICA
Da
un
punto
di
vista
clinico
i
linfomi
possono
essere/manifestarsi
con:
• asintomatici,
• sintomi
costituzionali:
febbre
con
brivido
(serale),
sudorazione
notturna,
perdita
di
peso,
prurito,
• linfoadenomegalia:
in
questo
caso
si
pensa
su-‐
bito
alla
presenza
di
un
linfoma,
quando
però
la
localizzazione
è
extranodale,
il
linfoma
è
alla
fi-‐
ne
della
lista
delle
ipotesi
diagnostiche
e
la
con-‐
ferma
arriva
solo
con
l’esame
istologico,
• splenomegalia,
epatomegalia;
milza
e
fegato
sono
sedi
frequentemente
interessate
dai
lin-‐
fomi
nodali
e
devono
quindi
essere
indagati
con
RM
o
TC,
• lesioni
cutanee
(ulcere
o
noduli
tumorali),
• masse,
per
esempio
nel
linfoma
di
Burkitt
sono
maxillo-‐facciali,
renali,
a
livello
delle
gonadi.
Prima
di
giungere
ad
una
diagnosi
anatomopatologica,
il
paziente
compie
un
percorso
clinico
che
prevede
diversi
esami
strumentali,
quali:
RX
torace,
ecografia
delle
stazioni
linfonodali,
TC,
RM,
esami
endoscopi-‐
ci.
Questi
esami
servono
anche
per
eseguire
la
stadiazione,
una
volta
che
è
stata
formulata
la
diagnosi.
Ul-‐
timamente,
nei
linfomi
sta
acquisendo
importanza
sempre
maggiore
la
diagnosi
fatta
con
la
PET,
utilizzata
soprattutto
nel
linfoma
di
Hodgkin.
STADIAZIONE
La
stadiazione
dei
linfomi
è
di
pertinenza
del
clinico
e
si
effettua
mediante
dati
clinici
e
strumentali.
In
base
all’estensione
della
malattia
nei
linfonodi
e
nelle
sedi
extranodali,
i
linfomi
vengono
stadiati
in:
• stadio
1:
malattia
limitata
ad
una
o
massimo
due
stazioni
linfonodali
contigue
dallo
stesso
lato
del
diaframma
(es.
latero-‐cervicale
e
sovraclaveare,
inguinale
e
iliaca);
• stadio
2:
malattia
presente
in
più
di
due
stazioni
linfonodali
non
contigue
ma
dallo
stesso
lato
del
diaframma
(ad
esempio:
latero-‐cervicale
e
mediastinica);
• stadio
3:
malattia
che
si
estende
in
sede
sopra
e
sottodiaframmatica;
• stadio
4:
interessamento
extralinfatico
(per
via
ematica)
di
fegato,
polmone
e/o
midollo
osseo
in-‐
sieme
a
plurime
localizzazioni
linfonodali.
Si
aggiunge
la
lettera
E
nei
primi
tre
stadi
in
caso
di
interessamento
extranodale
di
organi
infiltrati
per
via
linfatica.
Si
aggiunge
la
lettera
S
in
caso
di
interessamento
della
milza.
TERAPIA
La
terapia
per
i
linfomi
prevede
generalmente
radio-‐
e
chemioterapia;
solo
in
pochi
casi
extranodali
(cute,
tiroide,
ghiandola
salivare)
è
indicato
il
trattamento
chirurgico,
che
diventa
diagnostico
e
curativo.
Attualmente,
si
utilizzano
a
scopo
terapeutico
anche
anticorpi
monoclonali
contro
antigeni
espressi
dalle
cellule
lin-‐
fomatose.
Questa
terapia
biologica,
tuttavia,
non
viene
applicata
in
prima
linea
ma
quando
vi
è
una
recidiva
o
in
segui-‐
to
all’insuccesso
della
terapia
standard.
Nella
diagnosi
istologica
anatomopatologica
deve
quindi
essere
specificato
se
il
tumore
esprime
o
meno
questi
mar-‐
catori,
che
possono
essere
il
bersaglio
di
terapie
mirate
(fattori
predittivi
positivi).
Il
primo
anticorpo
ad
essere
stato
utilizzato
è
Rituximab,
anticorpo
anti-‐CD20
(marcatore
dei
linfociti
B);
recentemen-‐
te
è
stato
introdotto
Brentuximab,
anticorpo
anti-‐CD30,
a
cui
sono
fortemente
positive
le
cellule
del
linfoma
di
Hodgkin
e
di
alcuni
linfomi
T.
RECETTORI
ANTIGENICI
La
capacità
dei
linfociti
di
riconoscere
un
antigene
mediante
uno
specifico
recettore
(per
poi
allestire
una
risposta
immunitaria
contro
di
esso)
è
in
parte
conservata
dalle
cellule
linfomatose
che
esprimono
i
recettori
degli
antigeni,
ovvero
il
TCR
(se
derivano
dai
linfociti
T)
o
l’immunoglobulina
di
superficie
(se
derivano
dal
linfocita
B).
I
recettori
degli
antigeni
sono
molecole
proteiche
che
i
linfociti
assemblano
sulla
loro
membrana
citoplasmatica:
sono
formati
da
una
parte
costante
e
da
una
parte
più
specifica,
in
cui
c’è
un
punto
proteico
con
una
determinata
confor-‐
mazione
che
riconosce
specifici
antigeni.
Questo
sistema
di
produzione
dei
recettori
per
l’antigene
si
realizza
prima
che
la
cellula
abbia
incontrato
l’antigene;
quando
avviene
l’incontro,
si
ha
una
modifica
ulteriore
del
recettore:
dopo
questo
riarrangiamento
il
recettore
rimane
stabile
e
la
cellula
si
definisce
in
fase
post-‐antigenica.
Si
tratta
di
modificazioni
che
avvengono
a
livello
dei
geni
che
codificano
per
le
proteine
del
recettore
antigenico.
I
recettori
antigenici
sono:
• le
immunoglobuline
di
tutte
le
classi
(IgA,
IgD,
IgE,
IgM,
IgG),
per
i
linfociti
B,
composte
da
catene
leggere
e
catene
pesanti.
Le
catene
leggere
in
una
popolazione
linfocitaria
sono
in
parte
κ
(sono
quelle
più
espresse
la
loro
sintesi
è
più
agevole)
e
in
parte
λ,
mente
la
catena
pesante
cambia
a
seconda
dello
stato
della
cellula
(IgM
ed
IgD
sono
più
precoci,
IgG
sono
più
tardive,
IgA
sono
montate
da
cellule
nei
tessuti
extranodali
(tonsil-‐
le,
intestino));
• il
TCR,
per
le
cellule
T.
Il
TCR
è
un
eterodimero,
composto
nel
90%
dei
linfociti
T
da
una
catena
α
e
una
catena
β,
mentre
nel
restante
10%
dei
linfociti
T
da
una
catena
γ
e
una
catena
δ.
Ciascuna
catena
è
formata
da
un
dominio
Ig
variabile
(V),
un
dominio
Ig
costante,
una
regione
transmembrana
e
una
coda
citoplasmatica.
LINFOMI
B
I
linfomi
B
rappresentano
il
90%
dei
linfomi
in
Italia;
per
definizione
derivano
dalle
cellule
B,
ovvero
possie-‐
dono
i
marcatori
di
linea
B.
Vengono
classificati
in
base
allo
stadio
differenziativo
della
cellula
B
normale
da
cui
derivano,
che
viene
in-‐
dividuato
in
base
alla
morfologia,
all’espressione
di
marcatori
fenotipici,
alle
anomalie
citogenetiche
(tra-‐
slocazioni
specifiche)
e
alla
presentazione
clinica.
Come
già
accennato,
possono
inoltre
essere
classificati
in
indolenti,
aggressivi,
altamente
aggressivi
e
in
linfomi
nodali,
extranodali
o
leucemici.
La
diagnosi,
quindi,
scaturisce
una
combinazione
di
dati
clinici,
morfologici,
fenotipici
e
molecolari.
Studiamo
gli
stadi
di
differenziazione
della
cellula
B,
nominando,
ad
ogni
tappa,
il
corrispondente
linfoma.
• Il
precursore
B
o
linfoblasto
B
origina
nel
midollo
(B
sta
per
bone
marrow)
e
rappresenta
la
cellula
primordiale,
ovvero
la
cellula
staminale
molto
immatura
che
ha
ricevuto
il
commitment
per
diven-‐
tare
linfocito:
rappresenta
quindi
la
riserva
di
tutti
i
linfociti
B.
È
una
cellula
dalle
spiccate
capacità
proliferative.
La
quantità
di
precursori
normalmente
presente
nel
midollo
è
molto
bassa,
inferiore
all’1%.
I
marcatori
dei
precursori
sono:
TdT,
CD10,
CD34,
catene
μ
intracitoplasmatiche.
Dal
precursore
B
trae
origine
il
linfoma
linfoblastico
B
o
leucemia
acuta
linfoblastica
B,
caratte-‐
rizzato
da
blasti
molto
proliferanti
che
esprimono
i
marcatori
sopraelencati.
• Poi
il
precursore
matura
in
linfocita
B
naive
o
cellula
vergine:
è
una
cellula
silente
(inattiva)
che
at-‐
tende
l'incontro
con
l'antigene;
essa
lascia
il
midollo
e
circola
nel
sangue
periferico,
nella
linfa,
negli
organi
linfoidi
periferici,
nei
linfonodi,
nei
tessuti
extranodali.
Pur
essendo
“vicina”
nel
processo
dif-‐
ferenziativo
al
precursore,
la
cellula
naive
se
ne
differenzia
molto
perché
prolifera
pochissimo.
Morfologicamente,
è
una
cellula
piccola,
che
esprime
i
marcatori
CD5
(marker
delle
cellule
T),
CD23
(marker
di
attivazione)
e
CD20
(mantenuto
finché
non
si
verifica
la
maturazione
in
plasmacellula).
Il
linfoma
a
piccoli
linfociti
o
leucemia
linfatica
cronica
è
il
linfoma
della
cellula
naive
circolante:
proprio
perché
la
cellula
circola,
si
tratta
spesso
di
un
linfoma
leucemico
formato
da
cellule
che
non
proliferano
molto.
• Successivamente,
ovunque
ci
sia
tessuto
linfoide
formato,
quindi
nel
linfonodo
o
in
sede
extranoda-‐
le
(per
esempio,
nel
MALT)
si
verifica
l'incontro
con
l'antigene,
che
induce
la
maturazione
di
più
cellule
naive
silenti3
in
una
cellule
proliferanti:
vengono
poi
selezionati
i
linfociti
specifici
(che
di-‐
ventano
immunocompetenti)
ed
eliminati
con
apoptosi
quelli
non
specifici.
La
maturazione
può
quindi
avvenire:
o nel
centro
germinativo
dei
follicoli:
è
più
specifica
e
più
duratura.
La
cellula
naive
entra
nel
fol-‐
licolo
richiamata
dall’antigene
e
transita
nel
mantello,
dove
viene
persa
l’espressione
del
CD23
e
diventa
cellula
mantellare
(CD5+
e
CD23-‐).
Dalla
cellula
del
mantello
origina
il
linfoma
mantellare.
La
cellula
giunge
quindi
nel
centro
germinativo,
dove
incontra
l’antigene
e
diventa
blasto
folli-‐
colare:
perde
il
CD5
e
acquisisce
marker
tipici
del
centro
germinativo
(Bcl-‐6,
CD10).
Dal
blasto
follicolare
deriva
il
linfoma
di
Burkitt.
Il
blasto
follicolare
prolifera
molto
velocemente,
generando
dapprima
i
centroblasti
(cellule
grandi
con
nucleoli)
e
poi
i
centrociti
(cellule
piccoli
con
il
nucleo
un
po'
indentato,
senza
nu-‐
cleoli).
Nel
centro
germinativo,
i
linfociti
subiscono
delle
mutazioni
nei
geni
che
codificano
per
il
recettore
per
l’antigene:
originano
così
tanti
linfociti
con
specificità
antigenica
molto
elevata.
Mentre
si
sviluppano
i
centrociti,
il
sistema
immunitario
elimina
per
apoptosi
le
cellule
meno
specifiche
per
l’antigene
presentato,
che
rappresentano
il
95%.
Dalle
cellule
del
centro
germinativo
originano
il
linfoma
(centro)follicolare,
fatto
da
centro-‐
blasti
e
centrociti,
e
il
linfoma
B
diffuso
a
grandi
cellule
CGB-‐type,
fatto
solo
da
centroblasti.
Le
cellule
selezionate
escono
dal
centro
germinativo
e
si
portano
nella
zona
marginale,
dove
diventano
linfociti
B
della
zona
marginale
e
cominciano
a
produrre
immunoglobuline:
queste
cellule
perdoni
i
marker
del
centro
germinativo
e
acquisiscono
MUM1.
Dalla
cellula
della
zona
marginale
deriva
il
linfoma
della
zona
marginale.
Infine
esse:
§ se
esprimono
anche
MUM1
e
IRTA1
diventano
cellule
B
della
memoria,
§ se
perdono
il
CD20
e
acquisiscono
MUM1
e
CD38
diventano
plasmacellule:
in
questo
caso
producono
una
maggiore
quantità
di
immunoglobuline
e
si
localizzano
nei
linfonodi
o,
più
frequentemente,
fanno
ritorno
al
midollo
osseo.
Dalla
plasmacellula
origina
il
plasmocitoma,
che
quindi
si
manifesta
nella
maggior
parte
dei
casi
come
un
tumore
a
localizzazione
ossea
(e
non
linfonodale).
o al
di
fuori
del
centro
germinativo:
è
meno
specifica
e
meno
duratura.
In
sede
extra-‐follicolare,
a
livello
della
para-‐corticale
del
linfonodo
o
del
MALT,
avviene
solitamente
la
reazione
immu-‐
nitaria
primaria
veloce:
il
linfocita
B
naïve
incontra
l’antigene
trasformandosi
in
un
immuno-‐
basto
B.
Dall’immunoblasto
B
deriva
linfoma
B
a
grandi
cellule
ABC-‐type.
Poi
l’immunoblasto
B
si
trasforma
a
sua
volta
in
un
linfocito
plasmacitoide
IgM-‐secernente
a
breve
emivita
che
produce
immunoglobuline
e
viene
immesso
in
circolo
(e
poi
muore).
Dal
linfocita
plasmacitoide
deriva
il
linfoma
linfoplasmocitico,
che
spesso
viene
diagnostica-‐
to
all’interno
del
midollo
e
si
presenta
con
una
gammopatia
monoclonale.
3
Infatti
un
antigene
è
in
grado
di
attivare
linfociti
che
esprimono
recettori
aventi
specificità
antigeniche
anche
molto
diverse
tra
di
loro.
CLASSIFICAZIONE
DEI
LINFOMI
B
La
prima
grande
distinzione
è
tra
i
linfomi
derivanti
dai
precursori
B
e
quelli
derivanti
dalle
cellule
periferi-‐
che.
• Linfomi
di
derivazione
dai
precursori
B
o Leucemia
acuta
linfoblastica
o
linfoma
linfoblastico
B
• Linfomi
periferici
B
(più
frequenti)
o
neoplasie
a
cellule
B
mature
o Leucemia
linfatica
cronica
(LLC)
o
linfoma
a
piccoli
linfociti
o Leucemia
prolinfocitica.
E’
una
malattia
estremamente
rara
che
origina
dai
pro-‐linfociti,
che
sono
cellule
blastiche
che
si
formano
nel
contesto
della
LLC.
Come
vedremo,
la
LLC
è
formata
da
piccoli
linfociti
e
da
linfociti
più
grandi
(prolinfociti)
che
tendono
a
formare
piccoli
noduli
di
accrescimento:
se
i
prolinfociti
sono
più
del
50%
di
tutte
le
cellule
linfomatose
si
fa
diagnosi
di
leucemia
prolinfocitica,
che
è
più
aggressiva.
o Leucemia
a
cellule
capellute
(a
tricoleucociti)
o Linfoma
marginale,
che
presenta
almeno
tre
sottotipi
(differenti
per
decorso
e
prognosi):
§ splenico
§ nodale
§ extranodale
(o
MALT)
o Linfoma
(centro)follicolare
o Linfoma
mantellare
o Linfoma
diffuso
a
grandi
cellule
o Linfoma
di
Burkitt
o Linfoma
linfoplasmacitico
(della
zona
paracorticale)
o Plasmocitoma
Nella
nostra
popolazione,
il
50%
dei
linfomi
(B
e
T)
è
rappresentato
dal
linfoma
follicolare
e
dal
linfoma
dif-‐
fuso
a
grandi
cellule.
1.
LEUCEMIA
ACUTA
LINFOBLASTICA
O
LINFOMA
LINFOBLASTICO
B
• La
leucemia
acuta
linfoblastica
B
è
una
malattia
linfopoietica
che
origina
dal
precursore
B,
meno
co-‐
mune
della
corrispettiva
forma
che
origina
dal
precursore
T.
• E’
una
malattia
molto
aggressiva
che
colpisce
soprattutto
i
bambini
(in
cui
c’è
una
maggiore
attività
dei
linfoblasti
precursori).
• E’
formata
da
linfociti
indifferenziati
e
molto
immaturi,
che
esprimono
il
Tdt4,
e
altri
marcatori
B5
co-‐
me
CD19,
CD79a,
CD20
(spesso
negativo),
PAX5,
CD10
(espresso
nelle
fasi
intermedie)
e
CD22;
spesso
non
esprime
le
Ig
di
superficie
o
citoplasmatiche.
Il
riscontro
di
una
grande
espressione
di
questi
mar-‐
catori
porta
a
diagnosi
certa.
• Può
presentarsi:
o come
una
leucemia
(leucemia
acuta
linfoblastica),
ovvero
con
una
importante
leucocitosi
(dovu-‐
ta
all’aumento
di
linfoblasti
in
circolo),
a
volte
accompagnata
da
linfoadenomegalia,
e
con
blasti
nel
midollo
osseo
superiori
al
cut-‐off
del
25%,
o come
una
malattia
nodale
(linfoma
linfoblastico),
con
linfoadenomegalia
senza
coinvolgimento
del
sangue
periferico,
e
con
una
concentrazione
di
blasti,
a
livello
del
midollo,
inferiore
al
25%.
In
sintesi,
la
conta
dei
linfoblasti
nel
midollo
permette
di
distinguere
queste
due
varianti.
• Si
può
localizzare
quindi:
o nel
sangue
periferico
(leucocitosi,
linfocitosi,
blastosi),
midollo,
tessuti
linfonodali;
o nel
SNC,
milza,
fegato,
testicoli,
cute,
tessuti
molli.
Il
SNC
e
il
testicolo
vengono
anche
detti
organi
santuario
perché
la
chemioterapia
vi
arriva
difficilmente,
in
caso
di
localizzazione
in
queste
sedi.
o nel
mediastino
(raramente
nella
forma
B;
questa
sede
è
più
frequente
nelle
leucemie
acute
linfo-‐
blastiche
a
fenotipo
T
poiché
i
linfociti
T
stanno
nel
timo).
• I
sintomi
possono
essere
raggruppati
in
tre
classi;
si
osservano:
o astenia,
infezioni
ed
emorragie,
determinate
rispettivamente
da
anemia,
granulocitopenia
e
pia-‐
strinopenia:
è
il
quadro
clinico
della
insufficienza
midollare
causato
dalla
crescita
dei
cloni
nel
midollo
a
discapito
della
normale
emopoiesi
che
viene
soppressa;
o spleno-‐epatomegalia,
linfoadenomegalie
spesso
simmetriche
(superficiali
e
profonde),
reperto
di
masse:
questi
segni
sono
dovuto
all’infiltrazione
e
colonizzazione
di
organi
linfoidi
e
non
linfoidi,
o febbricola
o
febbre,
dolori
ossei,
muscolari
ed
articolari,
sudorazione
profusa:
sono
segni
e
sin-‐
tomi
causati
dalla
liberazione
di
linfochine
e
mediatori
dell’infiammazione
da
parte
delle
cellule
leucemiche.
4
Il
Tdt
è
un
enzima
impiegato
dalla
cellula
nella
replicazione
del
DNA,
serve
ad
aggiungere
basi
nucleotidiche
alla
ca-‐
tena
di
DNA
in
formazione;
è
molto
espresso
nelle
cellule
in
rapida
proliferazione
(precursori)
e
viene
perso
precoce-‐
mente,
quando
il
riarrangiamento
è
terminato
(in
fase
preliminare).
Quindi
non
è
espresso
dai
linfociti
periferici.
5
CD20,
CD79A
e
PAX5
sono
tutti
marcatori
testabili
su
tessuto.
• CD20
è
un
marcatore
di
membrana
espresso
in
tutti
i
linfociti
B
tranne
che
a
livello
dei
precursori
e
delle
pla-‐
smacellule.
Quindi
tale
antigene
è
spesso
negativo
nella
leucemia
linfoblastica
acuta
B,
in
quanto
è
un
antigene
espresso
quando
la
cellula
sta
lasciando
lo
stadio
di
precursore;
è
legato
all’espressione
di
immunoglobuline.
• CD79a
è
un
marcatore
citoplasmatico,
positivo
in
tutti
i
linfociti
B
ed
anche
nelle
plasmacellule.
• PAX5
è
un
marcatore
nucleare,
presente
in
tutta
la
linea
B,
tranne
che
nella
plasmacellula
(quindi,
serve
come
marcatore
di
linea
linfoide
B)
• CD19
è
in
tutti
gli
B
ma
difficilmente
utilizzabile
per
i
tessuti,
viene
usato
soprattutto
negli
esami
in
citofluori-‐
metria.
• Il
CD10
(una
volta
detto
antigene
CALLA)
è
molto
espresso
in
questo
tipo
di
linfomi.
Sulla
superficie
di
queste
cellule
spesso
le
Ig
non
sono
presenti
o
se
presenti
le
troviamo
nel
plasma
come
IgM.
• Da
un
punto
di
vista
prognostico,
si
osserva
una
buona
risposta
ai
farmaci,
soprattutto
nei
bambini;
negli
invece
adulti
la
prognosi
è
peggiore
(nel
dettaglio,
si
assiste
alla
remissione
completa
in
più
del
95%
dei
bambini
e
nel
60-‐80%
degli
adulti;
la
guarigione
si
realizza
nell’80%
dei
bambini
e
in
meno
del
50%
degli
adulti).
I
fattori
prognostici
sfavorevoli
sono
età
inferiore
ad
1
anno
o
età
molto
avanzata,
alti
livelli
di
leuco-‐
citi,
lenta
risposta
alla
terapia,
malattia
minima
residua,
interessamento
del
SNC,
fattori
genetici,
tan-‐
to
significativi
da
essere
stati
inclusi
nella
nuova
classificazione
WHO.
I
fattori
genetici
sfavorevoli
sono:
o la
traslocazione
t(9;22);
è
la
stessa
della
LMC:
si
ha
riarrangiamento
tra
i
geni
BCR-‐ABL.
E’
impor-‐
tante
individuarla
perché
può
essere
trattata
con
inibitori
delle
tirosinchinasi
(Imatinib).
Pur
aven-‐
do
una
terapia
ad
hoc,
ha
una
prognosi
sfavorevole
(sono
più
interessati
gli
adulti
dei
bambini);
o la
traslocazione
del
cromosoma
11,
con
riarrangiamento
del
gene
KMT2A
(MLL).
Interessa
spesso
bambini
al
di
sotto
di
un
anno;
o l’ipoploidia
(meno
di
46
cromosomi).
Invece,
i
fattori
genetici
associati
a
prognosi
favorevole
sono
invece:
o la
traslocazione
t(12;21),
che
coinvolge
i
geni
ETV6
e
RUNX1
ed
è
associata
a
una
prognosi
molto
favorevole
e
alla
guarigione
in
più
del
90%
dei
bambini,
o l’iperploidia
(con
più
di
50
cromosomi,
in
genere
non
supera
mai
i
66),
associata
a
una
prognosi
molto
favorevole.
DIAGNOSI
La
diagnosi
può
essere
fatta:
• nella
forma
leucemica
su
campioni
di
sangue
periferico
e
midollare,
che
vengono
studiati
con
mor-‐
fologia,
citogenetica
e
citofluorimetria.
Viene
poi
sempre
fatta
la
BOM
di
conferma;
• nella
forma
linfomatosa
(quindi
se
non
ci
sono
cellule
neoplastiche
nel
sangue
periferico)
si
effettua
l’esame
istologico
del
linfonodo
megalico
(morfologico
e
immunoistochimico)
e
la
BOM.
Da
un
punto
di
vista
morfologico
nel
midollo
e
in
circolo
si
osservano:
• cellule
di
piccole
dimensioni6,
monomorfe,
con
poco
citoplasma,
formate
quasi
esclusivamente
da
nucleo,
con
cromatina
particolarmente
fine
(a
vetro
smerigliato,
tipo
sale
e
pepe),
nucleoli
multi-‐
pli
e
piccoli;
queste
cellule
presentano
positività
a
tutti
i
marcatori
sopraelencati.
Si
può
osservare
per
esempio:
o positività
immunoistochimica
al
Tdt
e
al
CD34,
marker
precoci
di
immaturità
che
tuttavia
da
soli
non
consentono
al
patologo
di
differenziare
una
leucemia
acuta
linfoide
da
una
mieloide
(occorrerebbe,
so-‐
prattutto
nel
midollo,
anche
mettere
in
evidenza
con
la
colorazione
per
la
mieloperossidasi
le
cellule
midollari
mieloidi,
che
sono
pochissime
perché
il
midollo
è
sostituito),
o positività
istochimica
al
PAS,
che
colora
sia
il
glicogeno
sia
le
sostanze
mucose;
• un
aspetto
“a
cielo
stellato”,
ovvero
un
campo
tutto
blu
(il
cielo)
con
aree
chiare
(le
stelle):
gli
elementi
linfoidi
neoplasti-‐
ci,
piccoli
e
addossati,
conferiscono
il
colore
blu,
le
stelle
sono
i
macrofagi
molto
grandi
con
all’interno
cellule
fagocitate.
Questo
pattern
si
riscontra
nel
linfoma
linfoblastico
e
nel
lin-‐
foma
diffuso
a
grandi
cellule,
quindi
nei
linfomi
aggressivi.
6
Nello
studio
morfologico
delle
malattie
emolinfopoietiche,
la
cellula
viene
definita
di
piccole
dimensioni
se
parago-‐
nabile
al
GR;
di
medie
dimensioni
se
è
paragonabile
al
nucleo
di
un
macrofago
o
di
una
cellule
endoteliale;
di
grandi
dimensioni
se
superiore
al
nucleo
di
un
macrofago
o
di
una
cellule
endoteliale.
2.
LEUCEMIA
LINFATICA
CRONICA
(LLC)
O
LINFOMA
A
PICCOLI
LINFOCITI
B
• La
leucemia
linfatica
cronica
è
una
malattia
linfoproliferativa
che
deriva
dalla
cellula
B
naive.
• E’
una
malattia
indolente,
che
insorge
più
spesso
negli
anziani
con
un
rapporto
M:F
pari
a
2:1.
• E’
formata
da
cellule
neoplastiche
che
esprimono
il
CD20
(linfociti
maturi),
il
CD5
(marker
normalmen-‐
te
espresso
dai
linfociti
T
ma
anche
da
un
piccolo
gruppo
di
linfociti
B
circolanti),
CD23
(marker
di
atti-‐
vazione).
• La
differenza
tra
leucemia
linfatica
cronica
e
linfoma
a
piccoli
linfociti
B
è
soltanto
clinica,
a
seconda
che
la
neoplasia
si
presenti
prevalentemente
con
coinvolgimento
del
sangue
periferico
(leucemia
linfa-‐
tica
cronica)
o
come
tumore
solido
(linfoma
a
piccoli
linfociti
B).
Dal
punto
di
vista
morfologico,
le
due
forme
sono
indistinguibili.
CLINICA
• La
patologia
si
manifesta
con
una
notevole
linfocitosi
(oltre
i
5000/mm3),
e/o
con
l’ingrandimento
di
linfonodi,
milza
e
anello
di
Waldayer.
• È
possibile
che
la
mattia
esordisca
con
una
citopenia
autoimmune,
infatti
le
cellule
linfomatose
sono
in
grado
di
produrre
autoanticorpi
IgM
che
possono
essere
causa
di
anemia
emolitica
autoimmune
e/o
di
piastrinopenia
autoimmune.
Pertanto
nei
casi
di
anemia
e
piastrinopenia
autoimmune
si
studia
anche
il
midollo
osseo
per
escludere
un
linfoma
indolente.
• Sempre
a
causa
del
fatto
che
questo
tumore
può
presentare
una
differenziazione
in
senso
immuno-‐
secernente,
pur
mantenendo
le
caratteristiche
fenotipiche
e
morfologiche
di
LLC,
mel
10%
dei
casi
esordisce
con
una
gammopatia
IgM
(evidenziabile
con
il
riscontro
di
una
componente
monoclonale
all’elettroforesi).
• Nel
5%
dei
casi
si
verifica
la
progressione;
la
malattia
può
evolvere:
o nella
sindrome
di
Richter,
che
si
manifesta
con
febbre,
calo
ponderale,
sudorazione,
linfoadeno-‐
patia,
epatosplenomegalia,
sviluppo
improvviso
di
masse
bulky;
in
questo
caso
la
LLC
da
una
neo-‐
plasia
a
piccoli
linfociti
evolve
in
una
neoplasia
a
grandi
cellule
proliferanti,
come
un
linfoma
a
grandi
cellule
molto
aggressivo;
o per
mezzo
di
una
progressione
prolinfocitoide
nella
leucemia
prolinfocitica,
se
c’è
una
leucemiz-‐
zazione
massiva
a
prolinfociti,
ovvero
se
si
osserva
un
aumento
in
numero
dei
prolinfociti,
cellule
un
po’
più
grandi
dei
linfociti
di
solito
presenti
nella
LLC
in
piccole
quantità.
PROGNOSI
La
malattia
è
indolente
e
la
mediana
della
sopravvivenza
è
nell’ordine
di
10
anni.
Tra
i
fattori
prognostici
sfavorevoli
ricordiamo:
• l’assenza
di
mutazioni
somatiche
al
gene
IgVH,
che
codifica
per
le
catene
pesanti
delle
Ig.
Infatti
nella
cellule
linfomatosa
della
LLC
tale
gene
può
essere:
o mutato
(50%),
se
è
stato
incontrato
l’antigene
e
riarrangiato
il
gene;
in
questo
caso
le
cellule
mostrano
una
scarsa
risposta
agli
stimoli
proliferativi,
o non
mutato
(50%),
se
l’incontro
con
l’antigene
non
è
avvenuto
e,
di
conseguenza,
neanche
il
riarrangiamento;
queste
cellule
hanno
un’attività
proliferativa
più
spiccata.
Quindi
le
forme
non
mutate
tendono
ad
avere
un
decorso
clinico
più
aggressivo,
• l’espressione
di
CD38,
• la
mutazione
p53
(sul
cromosoma
17),
• altri
(espressione
di
Zap70,
delezione
11q
e
17p,
presenza
di
un
cariotipo
complesso).
Tra
i
fattori
prognostici
favorevoli
ricordiamo
la
trisomia
del
13.
DIAGNOSI
• L’iter
diagnostico
prevede
lo
studio
morfologico
e
immunofenotipico
del
sangue
periferico,
e,
indi-‐
spensabile
per
la
diagnosi
in
caso
di
sospetto
diagnostico,
la
BOM.
• La
biopsia
del
linfonodo
è
aggiuntiva
e
importante
in
assenza
di
interessamento
leucemico
o
midollare
(forme
linfomatose),
o
se
nel
decorso
della
malattia
si
osserva
una
linfoadenomegalia
che
fa
venire
il
sospetto
di
progressione
clinica
(se
la
linfoadenomegalia
è
superficiale
il
chirurgo
toglie
il
linfonodo,
se
è
profonda
si
evita
l’intervento
chirurgico
e
si
ricorre
all’agobiopsia).
• La
concentrazione
di
linfociti
circolanti
nel
sangue
periferico
è
il
criterio
su
cui
si
basa
la
distinzione
tra
la
forma
ad
espressione
leucemica
e
quella
ad
espressione
linfomatosa:
o per
porre
diagnosi
di
leucemia
linfatica
cronica
è
necessario
dimostrare
attraverso
l’immuno-‐
fenotipizzazione
la
presenza
di
almeno
5000
linfociti/mm3
con
caratteristiche
monoclonali;
o per
confermare
la
diagnosi
di
linfoma
a
piccoli
linfociti
è
richiesta
la
valutazione
istologica
(mor-‐
fologica
e
immunoistochimica)
di
una
biopsia
escissionale
o
incisionale
di
un
linfonodo
sospetto,
e
la
dimostrazione
che
nel
sangue
periferico
i
linfociti
monoclonali
non
siano
superiori
ai
5000/mm3.
• All’esame
istologico
del
midollo
l’architettura
linfonodale
appare
diffusamente
sovvertita
da
un
infil-‐
trato
diffuso,
composto
prevalentemente
da
piccoli
linfociti
(con
nuclei
tondi
o
leggermente
irregolari,
cromatina
addensata
e
scarso
citoplasma)
e
da
piccole
nodularità
definite
centro
di
accrescimento
(più
chiare):
nel
dettaglio,
sono
dei
noduli
centrolacunari
(situati
al
centro
delle
lacune
midollari)
con
un
aspetto
pseudo-‐follicolare
(nell’85%
dei
casi),
formati
da:
o una
zona
periferica
contenente
piccoli
linfociti
neoplastici,
o una
zona
centrale,
più
chiara,
definita
centro
di
accrescimento,
in
mezzo
alla
quale
vi
sono
prolin-‐
fociti,
cellule
più
grandi
con
nucleolo
centrale
(la
cui
prevalenza
è
indicativa
della
progressione
prolinfocitoide
della
malattia)
o
para-‐immunoblasti
(la
cui
prevalenza
è
indicativa
della
progres-‐
sione
verso
la
sindrome
di
Richter).
• In
generale
in
caso
di
sospetta
progressione,
che
si
può
manifestare
con
sintomi
e/o
con
masse
a
rapi-‐
da
crescita
(nodali
e/o
extranodali),
si
effettua
la
BOM
e
il
campionamento
di
queste
masse:
nella
maggior
parte
dei
casi
nel
midollo
la
malattia
è
ancora
un
linfoma
indolente
a
piccoli
linfociti
e
nella
massa
è
un
linfoma
a
grandi
cellule
aggressive.
• L’agobiopsia
è
molto
utile
nel
follow-‐up
fatto
dopo
la
diagnosi
istologica.
3.
LEUCEMIA
A
CELLULE
CAPELLUTE
(HAIRY
CELL
LEUKEMIA)
• La
leucemia
a
cellule
capellute
è
una
malattia
linfoproliferativa
che
origina
da
una
cellula
B
della
me-‐
moria
post-‐centro
germinativo,
localizzata
a
livello
splenico
o
midollare,
che
non
ha
ancora
subito
la
maturazione
terminale
in
plasmacellula.
• E’
una
malattia
indolente
che
colpisce
gli
adulti
(età
media:
50
anni).
• Da
un
punto
di
vista
fenotipico
le
cellula
tumorale
esprime:
CD20,
CD103,
CD25,
Annessina
A1
(non
espresso
dal
linfoma
marginale
splenico
con
cui
va
in
diagnosi
differenziale),
CD11c
(marker
monocita-‐
rio),
CD123,
Ciclina
D1
(BCL-‐1,
in
modo
molto
debole;
è
il
marker
del
linfoma
mantellare),
DBA44
(mol-‐
to
usato
in
passato),
e
presenta
positività
per
la
fosfatasi
alcalina
tartaro-‐resistente
(nel
citoplasma
è
contenuto
l’isoenzima
5
della
fosfatasi
acida,
che
resiste
alla
decolorazione
operata
dall’acido
tartari-‐
co).
La
cellula
presenta,
inoltre,
nel
100%
dei
casi
la
mutazione
di
BRAF
V600E
(presente
anche
in
alcuni
melanomi),
importante
ai
fini
diagnostici
per
la
diagnosi
differenziale
e
non
a
fini
terapeutici
(il
farma-‐
co
anti-‐BRAF
non
è
indicato
perché
la
malattia
è
comunque
trattabile
con
altri
farmaci
efficaci).
• E’
una
malattia
caratterizzata
da
una
triade
clinica:
o fibrosi
midollare,
causata
dalla
stimolazione
della
deposizione
di
collagene
e
che
si
rende
eviden-‐
te
clinicamente
attraverso
impossibilità
di
aspirare
cellule
con
l’agoaspirato
midollare
(punctio
sicca),
o conseguente
pancitopenia,
ovvero
anemia,
piastrinopenia
e
leucopenia,
dovute
al
fatto
che
dimi-‐
nuisce
l’immissione
in
circolo
di
cellule
mature
dal
midollo
fibrotico,
o notevole
splenomegalia
(presente
anche
in
altri
linfomi
e
altre
malattie
ematologiche
come
la
mielofibrosi
idiopatica
o
la
leucemia
mielomonocitica
cronica).
• La
prognosi
è
buona.
La
leucemia
a
cellule
capellute
risponde
molto
bene
alla
terapia
medica,
tanto
che
il
più
delle
volte,
si
assiste
alla
remissione
completa.
Non
esiste
la
possibilità
di
progressione
in
forme
di
alto
grado.
In
passato
veniva
trattata
con
la
splenectomia;
oggi
la
chemioterapia
è
sufficiente.
ITER
DIAGNOSTICO
• Al
clinico
viene
il
sospetto
diagnostico
partendo
dalla
triade:
splenomegalia,
pancitopenia
e
punctio
sicca.
• La
diagnosi
di
leucemia
a
cellule
capellute
viene
però
fatta
dall’anatomopatologo
su
BOM
ed
è
emi-‐
nentemente
istologica;
poiché
le
cellule
neoplastiche
in
circolo
sono
poche,
l’esame
citologico
del
sangue
periferico
può
essere
indicativo
ma
non
è
esaustivo
ai
fini
diagnostici:
tali
cellule
infatti
sono
localizzate
o
tutte
nella
milza
o
tutte
nel
midollo
(che
va
studiato
però
con
la
BOM;
non
può
essere
studiato
con
l’agoaspirato
midollare
a
causa
della
punctio
sicca).
• Se
presenti
in
circolo,
lo
striscio
di
sangue
periferico
met-‐
te
in
evidenza
cellule
“capellute”
provviste
di
un
nucleo
reniforme
con
cromatina
a
zolle
e
reticolare,
di
un
cito-‐
plasma
abbondante,
lievemente
basofilo,
generalmente
privo
di
granuli
e
dotato
di
fini
propaggini
filamentose
che
si
dispongono
in
maniera
circonferenziale
(come
dei
capel-‐
li).
La
presenza
dei
prolungamenti
è
verosimilmente
legata
alla
capacità
di
queste
cellule,
localizzate
nella
milza
e
nel
midollo,
di
interagire
con
il
microambiente.
• La
diagnosi
su
BOM
è
composita
e
prevede
l’integrazione
di
dati
morfologici
e
immunoistochimici:
si
osserva
nel
midollo:
o un
infiltrato
interstiziale
diffuso,
ovvero
che
sostituisce
il
midollo
in
maniera
diffusa
senza
forma-‐
re
noduli,
definito
“a
uovo
fritto”,
quindi
formato
da
cellule
con
citoplasma
ampio,
chiaro
e
nu-‐
cleo
centrale,
o la
fibrosi,
ovvero
l’ispessimento
delle
fibre
connettivali
reticolari
che
formano
una
rete
(normal-‐
mente
la
rete
non
è
visibile
ed
esse
appaiono
spezzettate),
evidenziabile
alla
colorazione
Gomori.
L’immunoistochimica
mette
in
evidenza
gli
antigeni
caratteristici
espressi
dalle
cellule
tumorali.
Nei
casi
sospetti,
soprattutto
quando
vi
è
la
presenza
di
antigeni
normalmente
non
espressi,
come
CD10
(nel
5%
dei
casi;
è
più
caratteristico
della
LAL
o
del
linfoma
follicolare)
o
CD23,
si
può
usare
la
citofluo-‐
rimetria,
che
testa
un
pannello
ampio
di
antigeni
(per
esempio
è
espressa
anche
la
BCL-‐2,
ma
non
è
specifica).
• Va
in
diagnosi
differenziale
con
il
linfoma
marginale
splenico,
che
però,
per
esempio,
non
esprime
l’annessina-‐1.
4.
LINFOMA
MARGINALE
SPLENICO
• Il
linfoma
marginale
splenico
è
una
malattia
linfopoietica
che
origina
da
una
cellula
della
memoria
post-‐centro
germinativo,
localizzata
nella
zona
marginale
della
polpa
bianca
della
milza.
• È
un
linfoma
indolente
che
colpisce
adulti
con
età
superiore
a
50
anni
(in
genere
soggetti
anziani);
• La
cellula
tumorale
è,
generalmente,
negativa
per
i
marcatori
della
leucemia
a
cellule
capellute
(CD11c-‐,
CD103-‐,
CD25-‐,
CD123-‐,
Ciclina
D1-‐,
Annessina
A1-‐;
la
mutazione
BRAF
non
è
mai
presente),
della
LLC
(CD23-‐,
CD5-‐),
del
linfoma
mantellare
e
del
linfoma
follicolare.
Spesso
esprime
IgM
e
IgD
e
CD207.
Quindi
lo
studio
dell’immunofenotipo
avviene
soprattutto
per
esclusione
che
non
per
la
pre-‐
senza
di
un
fenotipo
positivo.
• Clinicamente
si
presenta
con
splenomegalia
marcata
e
linfocitosi
cospicua
(come
se
fosse
una
LLC
con
splenomegalia);
di
solito
alla
TC,
non
si
osserva
ingrossamento
dei
linfonodi,
se
non
di
quelli
peri-‐
splenici.
• La
sopravvivenza
è
molto
buona
tuttavia,
c’è
la
possibilità
di
progressione
morfologica
nel
10%
dei
ca-‐
si.
DIAGNOSI
• Il
sospetto
diagnostico
sorge
a
partire
dalla
clinica
e
dallo
studio
citologico
dello
striscio
di
sangue
pe-‐
riferico.
La
diagnosi
definitiva
è
tuttavia
istologica,
posta
generalmente
su
un
campione
di
tessuto
ot-‐
tenuto
da
biopsia
osteomidollare.
Talvolta,
il
patologo
può
condurre
diagnosi
direttamente
su
un
campione
esito
di
splenectomia,
effettuata
in
via
profilattica
nel
caso
in
cui
la
splenomegalia
è
così
marcata
da
poter
comportare
il
rischio
di
rottura,
oppure
quando
lo
studio
del
sangue
periferico
e
del
midollo
non
è
risultato
dirimente.
• Analizzando
uno
striscio
di
sangue
periferico,
si
osservano
linfociti
villosi,
provvisti
di
prolungamenti
citoplasmatici
ad
un
solo
polo
della
cellula
(diversamente
dalle
cellule
capellute,
in
cui
la
distribuzione
dei
prolungamenti
è
diffusa).
• All’esame
istologico
della
BOM
si
riscontrano
dei
piccoli
noduli
di
linfoma
con
cellule
istiocitarie
asso-‐
ciate,
situati
al
centro
della
lacuna
o
vicino
alle
trabecole
e
che
si
diffondono
all'interno
dei
sinusoidi
come
a
formare
delle
“catenelle”.
Segue
l’esame
immunoistochimico
della
BOM.
• A
livello
splenico
si
osserva
sia
macroscopica-‐
mente
sia
microscopicamente
un
aumento
del-‐
la
polpa
bianca.
Al
taglio
del
pezzo
chirurgico
la
milza
ha
un
aspetto
micronodulare
diffuso
do-‐
vuto
a
ingrandimento
della
polpa
bianca
(nor-‐
malmente
la
milza
è
formata
in
prevalenza
da
polpa
rossa);
all’esame
istologico
si
osservano
micronoduli,
simili
a
dei
follicoli
“invertiti”,
in
cui
si
apprezza
un
centro
germinativo
più
scuro
circondato
da
una
popolazione
marginale
chia-‐
ra,
caratteristica
del
linfoma.
7
In
circa
il
25%
dei
casi
si
riscontra
una
mutazione
al
gene
NOTCH2
(anche
se
non
viene
ricercata
a
scopo
diagnosti-‐
co).
5.
LINFOMA
FOLLICOLARE
Il
linfoma
follicolare
è
uno
dei
linfomi
più
frequenti
in
Europa,
che
origina
dai
linfociti
del
centro
ger-‐
•
minativo
del
linfonodo,
ovvero
dai
centroblasti
e
dai
centrociti
.
• E’
il
secondo
più
frequente
tra
i
linfomi
non
Hodgkin
e
colpisce
tutte
le
età;
la
presentazione
avviene,
in
media,
a
55
anni.
• E’
una
malattia
generalmente
indolente.
E’
uno
dei
pochi
linfomi
in
cui
si
valuta
il
grading:
infatti
ci
so-‐
no
casi
con
maggiore
aggressività.
• Le
cellule
tumorali
esprimono
CD20,
CD10,
BCL68
e
BCL2.
Il
centro
germinativo
normale
è
formato
da
cellule
CD10-‐positive,
BCL6-‐positive
e
BCL2-‐negative
(le
cellule
attorno
al
centro
germinativo
sono
in-‐
vece
fisiologicamente
positive
a
BCL2).
• Si
associa
alla
traslocazione
t(14-‐18),
che
coinvolge
il
gene
che
codifica
per
la
proteina
antiapoptotica
BCL-‐2
e
i
geni
delle
immunoglobuline
(che
sono
i
recettori
antigenici
dei
linfociti
B).
L’oncogene
BCL-‐2,
nel
centro
germinativo,
in
condizioni
normali,
è
silente:
viene
espresso
solo
nel
caso
in
cui
la
cellula
riesca
a
sviluppare
un
recettore
specifico
per
l’antigene
presentato
a
livello
del
centro
germinativo;
altrimenti
la
cellula
va
in
apoptosi
(fenomeno
che
si
verifica
per
il
99,99%
dei
linfociti).
In
altre
parole
BCL-‐2
è
fisiologicamente
espresso
solo
dalle
poche
cellule
che
superano
la
sele-‐
zione
e
vanno
avanti
con
la
maturazione.
Con
la
traslocazione,
l’oncogene
BCL-‐2
passa
dal
cromosoma
18
al
cromosoma
14,
sotto
il
controllo
dei
geni
delle
immunoglobuline,
al-‐
tamente
trascritti,
e
quindi
viene
sottratto
al
normale
controllo
negativo
e
trascritto
mag-‐
giormente:
di
conseguenza
le
cellule
del
cen-‐
tro
germinativo
neoplastico
iper-‐esprimono
la
proteina
BCL-‐2
e
sono
protette
dall’apoptosi.
Così
i
linfonodi
tendono
ad
ingrandirsi.
In
sintesi,
in
questo
linfoma,
BCL-‐2
è
espressa
a
causa
della
traslocazione
(perché
a
questo
stadio
di
differenziazione
linfocitaria
tale
proteina
non
è
espressa
normalmente);
nei
linfomi
studiati
finora
(pre-‐
centro
germinativo)
invece
BCL-‐2
era
espressa
a
causa
della
loro
origine
da
cellule
BCL-‐2-‐positive.
CLINICA
• La
clinica
è
estremamente
eterogenea:
il
linfoma,
in
base
alle
cellule
che
proliferano,
può
avere
un
de-‐
corso
indolente
o
un
decorso
più
aggressivo.
• In
generale,
la
malattia
si
manifesta
con
una
notevole
linfoadenomegalia
che
coinvolge
linfonodi
isola-‐
ti
o
generalizzati;
sebbene
più
raramente,
è
possibile
che
la
localizzazione
primitiva
sia
extranodale
(cute,
duodeno,
tiroide).
• Spesso
insorge
in
stadio
III
o
IV
(80%)
e
il
midollo
è
coinvolto
nel
40-‐70%.
8
BCL6
è
una
proteina
espressa
dal
nucleo
della
cellula;
CD10
e
Bcl-‐6
identificano
fisiologicamente
un
linfocita
del
cen-‐
tro
germinativo:
nelle
cellule
normali,
la
positività
a
questi
marker
non
sia
associa
mai
all’espressione
di
Bcl-‐2,
il
quale
rappresenta
l’elemento
diagnostico
della
popolazione
neoplastica.
La
positività
per
Bcl-‐2
risulta
essere
diagnostica
di
linfoma
follicolare
solo
quando
si
accompagna
contemporaneamente
alla
positività
per
CD10
e
Bcl-‐6.
• Generalmente,
è
incurabile
perché
la
cellula
neoplastica
va
in
circolo;
quindi
sono
frequenti
le
recidive
(50%
dei
casi).
• Nel
25-‐30%
dei
casi,
ci
può
essere
una
progressione
morfologica
a
5-‐10
anni
dalla
diagnosi:
quasi
tutti
i
linfomi
indolenti,
tranne
l’Hairy
Cell
leukemia,
possono
progredire
verso
un
linfoma
più
proliferante,
come
il
linfoma
diffuso
a
grandi
cellule,
il
linfoma
di
Burkitt
(quando
c’è
anche
il
riarrangiamento
del
gene
c-‐Myc),
il
linfoma
linfoblastico
o
il
linfoma
di
Hodgkin
(estremamente
rare).
PROGNOSI
• La
prognosi
dipende
dalla
localizzazione
primitiva:
quelli
extranodali
hanno
una
prognosi
eccellente,
quelli
nodali
hanno
una
prognosi
variabile.
E’
il
clinico
a
individuare
la
localizzazione
primitiva
con
la
stadiazione
clinica,
da
cui
dipende,
oltre
che
la
prognosi,
la
terapia
(una
forma
isolata
extranodale,
per
esempio
della
cute
viene
trattata
con
la
radioterapia,
una
forma
diffusa
con
la
chemioterapia).
L’anatomopatologo
non
può
dire
se
il
tumore
che
sta
osservano
sia
primitivo
o
secondario
(al
massi-‐
mo,
nel
un
referto
può
essere
scritto
un
commento
“compatibile
con
la
forma
primaria”).
• Sono
fattori
prognostici
negativi:
età
sopra
60
anni,
anemia
(Hb
<
12
g/dl),
elevati
valori
di
LDH,
stadio
avanzato
(II-‐IV),
più
di
4
stazioni
interessate.
In
generale,
un
alto
stadio
e
un
alto
grado
correlano
con
una
prognosi
peggiore.
ITER
DIAGNOSTICO
L’iter
diagnostico
del
linfoma
follicolare
nodale
prevede:
1. il
sospetto
clinico
(v.
sopra),
2. l’esame
dei
linfonodi
megalici
(con
studio
morfologico
e
immunoistochimico).
E’
indispensabile
per
la
diagnosi
lo
studio
istologico
di
uno
o
più
linfonodi
sospetti
escissi
chirurgicamente.
Da
un
punto
di
vista
microscopico
si
osserva
una
completa
alterazione
della
architettura
del
linfo-‐
nodo.
La
popolazione
B
clonare
che
origina
dai
centri
germinativi
cresce
inizialmente
in
maniera
fol-‐
licolare9,
formando
dei
noduli,
e,
nelle
fasi
più
avanzate,
in
maniera
diffusa
(perché
i
noduli
tendo-‐
no
a
confluire
e
non
sono
più
chiaramente
distinguibili).
In
base
al
pattern
architetturale,
questo
linfoma
viene
definito:
• follicolare,
se
più
del
75%
della
neoplasia
è
composta
da
noduli,
• follicolare
e
diffuso,
se
la
componente
nodulare
costituisce
il
25-‐75%
della
neoplasia,
• prevalentemente
diffuso,
se
la
neoplasia
è
costituita
da
noduli
per
meno
del
25%,
• diffuso,
se
non
è
presente
nessuna
componente
nodulare.
A
maggior
ingrandimento
è
possibile
apprezzare
il
dettaglio
cellulare;
emerge
che
il
linfoma
follico-‐
lare
è
tipicamente
composto
da
due
tipi
di
cellule
B
che
normalmente
si
trovano
nei
centri
germi-‐
nativi,
ovvero
da:
• centrociti:
piccoli,
con
nuclei
un
po’
stirati
(aspetto
a
“pera”,
quindi
non
perfettamente
roton-‐
do)
e
scarso
citoplasma.
• centroblasti:
grandi
e
proliferanti,
caratterizzati
da
una
sottile
rima
citoplasmatica
e
da
nuclei
rotondeggianti,
talora
multilobati,
con
cromatina
finemente
dispersa
e
1-‐3
nucleoli
posti
sotto
la
membrana
nucleare.
9
i
follicoli
linfoidi
che
si
sviluppano
mostrino
aspetto
atipico
(follicoli
molto
numerosi,
strettamente
ravvicinati
e
con
crescita
“schiena
a
schiena”,
a
contorni
mal
definiti,
con
zona
mantellare
assente
e
scarsa
polarizzazione
dei
centrociti
e
centroblasti
nel
centro
germinativo).
Accanto
alla
crescita
follicolare,
è
comune
la
diffusione
interfollicolare
delle
cellule
neoplastiche.
È
uno
dei
pochi
linfomi
a
cui
si
può
applicare
il
grading:
la
cui
valutazione
si
fonda
sulla
conta
ad
al-‐
to
ingrandimento
dei
centroblasti
(si
osservano
in
almeno
10
campi
e
poi
viene
fatta
la
media);
di-‐
stinguiamo:
• forme
di
basso
grado,
con
meno
di
15
centroblasti
per
campo
(a
40x):
o grado
1:
0-‐5
CB
per
campo
a
40x,
o grado
2:
6-‐15
CB
per
campo
a
40x,
• forme
di
alto
grado,
con
più
di
15
centroblasti
per
campo
(a
40x):
o grado
3A:
più
di
15
CB
per
campo
a
40x
con
centrociti
presenti;
o grado
3B:
più
di
15
CB
per
campo
a
40x
senza
centrociti
presenti.
All’aumentare
del
grado
istologico
aumentano
la
proliferazione
e
l’aggressività
clinica
(quelli
di
alto
grado,
ricchi
di
centroblasti,
proliferano
di
più
e
si
comportano
in
una
maniera
più
vicina
a
quella
dei
linfomi
B
aggressivi
fatti
da
grandi
cellule).
Dal
punto
di
vista
immunoistochimi-‐
co,
i
centrociti
ed
i
centroblasti
espri-‐
mono
i
marcatori
B
(CD19,
CD20,
CD22,
CD79a)
e
i
marcatori
del
centro
germinativo
(Bcl-‐6
a
livello
nucleare
e
CD10
a
livello
citoplasmatico),
mentre
sono
negativi
ai
marcatori
dei
linfociti
T
(CD3,
CD5,
CD43).
La
proteina
BCL-‐2,
espressa
nell’85-‐
90%
dei
casi
di
linfoma
follicolare
di
grado
1
e
2
e
nel
50%
dei
casi
di
grado
3,
è
utile
per
distinguere
i
follicoli
neoplastici
dai
follicoli
reattivi
(che
sono
sempre
negativi
a
Bcl-‐2);
tuttavia,
la
sua
mancata
espressione
non
è
sufficiente
ad
escludere
la
diagnosi.
Infatti
la
traslocazione
è
documentabile
indirettamente
con
l’immunoistochimica
per
BCL-‐
2
nella
maggior
parte
dei
casi,
ma
a
volte
è
falsamente
negativa
perché
l’anticorpo
non
riconosce
il
substrato;
pertanto
in
questi
casi
occorre
cercare
la
traslocazione
con
altre
procedure,
come
la
FISH.
3. la
BOM,
necessaria
per
la
stadiazione
(andrebbe
fatta
dopo
la
diagnosi
istologica
su
linfonodo,
ma
spesso
il
clinico
fa
eseguire
entrambi
gli
esami
contemporaneamente);
infatti,
in
circa
il
50%
dei
casi
si
osserva
un
interessamento
anche
minimo
del
midollo10
e
la
neoplasia
diventa
di
stadio
4.
Nel
midollo,
il
linfoma
follicolare
si
distribuisce
in
maniera
caratteristica
attorno
alle
trabecole
os-‐
see,
formando
dei
manicotti
peritrabecolari
(questo
modello
di
crescita
è
presente
anche
nel
lin-‐
foma
mantellare
e
nel
linfoma
marginale;
a
differenza
della
LLC
che
forma
dei
noduli
al
centro
delle
lacune,
il
linfoma
follicolare
non
si
dispone
mai
nelle
lacune).
Anche
nel
midollo
si
osservano
cellule
B
che
esprimono
in
modo
marcato
il
CD10;
se
il
midollo
non
è
coinvolto
o
è
coinvolto
in
fase
iniziale
non
sono
ben
espressi
tutti
i
marcatori
del
centro
germina-‐
tivo.
4. la
stadiazione
clinica,
la
cui
accuratezza
risulta
di
fondamentale
importante
per
poter
pianificare
un
adeguato
trattamento,
viene
eseguita
tramite
TC
di
collo,
torace,
addome
e
pelvi,
con
mezzo
di
contrasto,
eventualmente
affiancata
alla
PET.
10
O
di
presenza
di
cellule
BCL-‐2
positive
nel
sangue
midollare.
LINFOMA/NEOPLASI
FOLLICOLARE
IN
SITU
Una
neoplasia
follicolare
in
situ
è
formata
da
un
aggregato
di
linfociti
monoclonali,
con
traslocazione
t(14;18),
che
cresce
all’interno
del
centro
germinativo
(in
non
più
di
due
follicoli
linfonodali),
senza
invade-‐
re
le
strutture
circostanti.
Rappresenta,
analogamente
ai
carcinomi,
la
fase
iniziale
del
processo
linfomatoso
(è
il
corrispettivo
del
car-‐
cinoma
in
situ);
la
diagnosi
è
quasi
sempre
incidentale
(infatti
è
rarissimo
che
due
follicoli
con
tali
cellule
neoplastiche
inducano
una
linfoadenomegalia
tale
da
richiedere
una
linfadenectomia),
viene
di
solito
effet-‐
tuata
durante
lo
studio
di
linfonodi
escissi
a
fini
stadiativi
(per
stadiare
una
neoplasia
maligna
di
tutt’altra
natura).
Tale
lesione
non
viene
definita
linfoma
follicolare
ma
viene
refertata
con
“neoplasia
follicolare
in
situ”;
do-‐
po
anni
di
studi
su
come
comportarsi
a
seguito
di
questa
diagnosi
si
è
concluso
che:
• occorre
ricercare
un
eventuale
linfoma
follicolare
presente
in
altri
linfonodi
(tramite
TC,
PET,
BOM),
di
cui
il
reperto
diagnosticato
potrebbe
rappresentare
una
disseminazione;
• se
le
varie
indagini
diagnostiche
condotte
dal
clinico
sono
negative,
si
conferma
di
neoplasia
follico-‐
lare
in
situ
(altrimenti
si
parla
di
linfoma)
e
il
paziente
non
necessita
di
trattamento
terapeutico;
va
però
inserito
in
un
programma
di
follow-‐up,
perché
è
a
rischio
di
sviluppare
un
linfoma
follicolare.
CASO
CLINICO
• Donna,
69
anni
con
carcinoma
infiltrante
del
diametro
di
1,3
cm
• Si
esegue
quadrantectomia
supero-‐esterna
della
mammella
sx
e
linfadenectomia
ascellare
sx.
• Sono
prelevati
14
linfonodi
ascellari
del
diametro
massimo
di
1,2
cm
con
struttura
conservata
e
senza
evidenza
di
metastasi.
4 dei 21 c.g. presenti in questo campo esprimono fortemente la bcl-2
All’esame
istologico
si
osservano
follicoli
normali,
con
un
centro
chia-‐
ro
e
un
mantello
scuro,
e
alcuni
follicoli
con
un
aspetto
invertito
(centri
scuri
e
qualcosa
di
chiaro
attorno).
Studiando
l’espressione
della
Bcl-‐2
emerge
che
il
follicoli
che
morfo-‐
logicamente
sembravano
normali
sono
Bcl-‐2
negativi
e
intorno
al
centro
germinativo
c’è
un
po’
di
positività
(abbastanza
debole);
inve-‐
ce
gli
altri
sono
formati
tutti
da
cellule
Bcl-‐2-‐positive
ed
esprimono
fortemente
la
Bcl-‐2.
Si
tratta
di
un
linfoma
in
situ,
contenuto
ancora
all’interno
dei
centri
Bcl-2
a.
Linfoma
follicolare
cutaneo
• Il
linfoma
follicolare
cutaneo
è
una
neo-‐
plasia
linfoproliferativa
indolente
che
deri-‐
va
da
cellule
B
follicolari
e
che
si
presenta
primitivamente
a
livello
della
cute
(ovvero
al
momento
della
diagnosi
non
risulta
altra
localizzazione).
• Colpisce
gli
adulti
con
più
di
50
anni.
• Le
sedi
elettive
sono
il
dorso
(linfoma
di
Crosti,
dal
nome
di
un
dermatologo
italiano),
il
cuoio
capellu-‐
to,
la
testa
(si
dice
che
quelli
della
testa
sono
più
frequentemente
secondari).
• Il
trattamento
è
radioterapico
(non
chemioterapico
come
la
forma
linfonodale)
e
la
prognosi
è
molto
buona
(sopravvivenza
superiore
al
95%
a
5
anni).
Tende
a
recidivare
nella
cute,
ed
eventualmente
ad
estendersi
ai
linfonodi
dopo
decenni.
Nei
casi
in
cui
ci
siano
molti
centroblasti
a
volte
non
è
sufficiente
la
radioterapia
e
può
essere
indicata
la
chemioterapia.
Diagnosi
• Per
la
diagnosi
sono
fondamentali
la
biopsia
cutanea
della
lesione,
che
viene
studiata
con
esame
mor-‐
fologico
e
immunoistochimico,
e
la
stadiazione
clinica.
Come
già
detto
il
patologo
si
limita
a
descrivere
la
proliferazione
linfomatosa
nella
cute
biopsata
e
a
fa-‐
re
diagnosi
di
linfoma;
è
compito
del
clinico,
con
la
stadiazione,
comprendere
se
il
linfoma
cutaneo
è
primitivo
o
secondario
a
un
linfoma
nodale
che
si
è
diffuso.
Tale
distinzione
impatta
sulla
prognosi:
il
linfoma
follicolare
primitivo
della
cute
resta
localizzato,
non
tende
a
diffondere
ed
ha
una
prognosi
molto
buono;
il
linfoma
follicolare
con
interessamento
secondario,
invece,
ha
una
tendenza
alla
recidi-‐
va
ed
alla
progressione
morfologica.
• Allo
studio
morfologico
della
biopsia
si
osservano
delle
placchette
rilevate
o
delle
chiazzette
confluenti:
sono
infil-‐
trati
linfoidi
costituiti
da
cellule
B
del
centro
germinativo
che
si
portano
in
profondità
seguendo
gli
annessi
e
localizzandosi
attorno
ai
follicoli
e
ai
vasi.
Dal
punto
di
vista
citologico,
si
osserva
una
mescolanza
di
centrociti
e
centroblasti,
in
varia
proporzione
(i
centroblasti
sono
più
grandi,
con
nucleoli
evi-‐
denti;
quelli
più
piccoli
e
scuri,
sono
i
centrociti).
• All’immunoistochimica,
le
cellule
neoplastiche
esprimono
Bcl-‐6
e
CD10.
Bcl-‐2
è
nella
maggior
parte
dei
casi
negativa;
infatti
nel
linfoma
follicolare
cutaneo
è
spesso
assente
la
tra-‐
slocazione
(14;18)
(per
questo
motivo
è
stato
separato
dal
linfoma
follicolare
nodale).
Pertanto,
in
questo
contesto,
per
distinguere
un
linfoma
folli-‐
colare
cutaneo
da
una
lesione
reattiva,
si
va
alla
ricerca
della
monoclonalità.
b.
Linfoma
follicolare
duodenale
Il
linfoma
follicolare
duodenale
è
morfologicamente
identico
a
quello
linfonodale,
ma
al
momento
della
diagnosi
non
c’è
interessamento
dei
linfonodi.
La
prognosi
è
molto
buona:
in
genere
viene
curato
e,
se
re-‐
cidiva,
si
osserva
solo
una
recidiva
locale
senza
progressione.
6.
LINFOMA
MANTELLARE
• Il
linfoma
mantellare
è
un
linfoma
maligno
che
origina
dalle
cellule
B
del
mantello,
ovvero
situati
nella
zona
mantellare
attorno
al
centro
germinativo
del
follicolo
linfonodale.
• Rappresenta
il
3-‐10%
dei
linfomi
e
colpisce
maggiormente
gli
anziani
sopra
i
60
anni,
nei
quali
alla
dia-‐
gnosi
(spesso
tardiva)
è
già
allo
stadio
III
e
IV.
• E’
un
linfoma
aggressivo
nella
maggior
parte
dei
casi
e
non
facilmente
curabile;
è
il
più
aggressivo
tra
tutti
i
linfomi
a
piccole
cellule
(LLC,
linfoma
linfoplasmocitico,
linfoma
marginale).
Tuttavia
recente-‐
mente
sono
stati
descritti
casi
in
cui
presenta
un
comportamento
clinico
indolente,
pur
mantenendo
tutte
le
caratteristiche
tipiche
del
linfoma
mantellare.
• Il
fenotipo
della
cellula
neoplastica
è
quello
di
una
cellula
B
periferica
(CD20+,
Tdt-‐),
negativa
ai
mar-‐
catori
del
centro
germinativo
(BCL-‐6-‐
e
CD10-‐),
che
ha
perso
il
CD23,
ed
esprime
il
CD5,
IgM/IgD
(posi-‐
tività
citoplasmatica),
SOX-‐11
(negativo
nelle
forme
a
decorso
indolente),
BCL-‐1
(o
ciclina
D1).
L’espressione
di
BCL-‐1
è
causata
dalla
traslocazione
t(11;14);
infatti
tale
gene
è
localizzato
nel
cromo-‐
soma
11
e
normalmente
non
è
espresso
nei
linfociti,
ma
a
seguito
della
traslocazione
viene
posto
vici-‐
no
ai
geni
che
codificano
per
le
Ig,
costitutivamente
molto
attivi
e
viene
trascritto.
Esso
codifica
per
una
proteina
nucleare
e
citoplasmatica
che
favorisce
la
proliferazione
cellulare:
quindi
con
questa
tra-‐
slocazione
aumenta
la
capacità
proliferativa
della
cellula.
• Clinicamente,
la
malattia
è
caratterizzata
da
una
notevole
linfoadenomegalia,
splenomegalia11
e
inte-‐
ressamento
leucemico;
inoltre
può
presentarsi
in
sede
gastrointestinale,
soprattutto
nel
colon,
come
poliposi
linfomatoide
multipla
(è
una
localizzazione
extranodale
che
simula
il
linfoma
MALT
dell’intestino,
la
diagnosi
differenziale
si
basa
sulla
tipizzazione
linfocitaria):
ci
si
accorge
del
linfoma
perché
la
ricerca
del
sangue
occulto
nelle
feci
può
essere
positiva.
• La
prognosi
è
pessima:
la
mediana
di
sopravvivenza
alla
diagnosi
è
di
3-‐5
anni
(il
50%
dei
pazienti
muo-‐
re
entro
questo
periodo
di
tempo).
Un
fattore
prognostico
sfavorevole
è
rappresentato
da
un’alta
attività
proliferativa
(Ki-‐67>30%)
o
da
un
alto
numero
di
mitosi
(>
50/mm2);
un
fattore
prognostico
favorevole
è
invece
la
negatività
di
SOX-‐
11,
che
permette
di
distinguere
le
forme
aggressive
da
quelle
indolenti.
A
volte
può
andare
incontro
a
progressione
morfologica
verso
un
linfoma
mantellare
blastoide
o
un
linfoma
mantellare
polimorfo.
DIAGNOSI
• Per
la
diagnosi
occorre
l’esame
istologico
(con
studio
morfolo-‐
gico
e
immunoistochimico)
della
biopsia
linfonodale
e
la
BOM
(a
fini
stadiativi);
soprattutto
in
caso
di
interessamento
leuce-‐
mico
occorre
studiare
anche
gli
elementi
circolanti
facendo
lo
striscio
di
sangue.
• Nello
striscio
di
sangue
periferico,
le
cellule
linfomatose
ap-‐
paiono
di
piccole-‐medie
dimensioni,
con
un
nucleo
clivato
(a
profilo
irregolare),
ovvero
che
presenta
un’indentatura
eviden-‐
te
e
caratteristica
(“cellule
buttock”,
ossia
cellule
a
natica).
11
A
volte
la
splenomegalia
è
molto
spiccata
e
può
rappresentare
il
primo
segno
di
cui
il
paziente
si
accorge
(e
associa-‐
ta
a
senso
di
peso
al
fianco
sinistro);
questo
può
succedere
anche
nel
linfoma
marginale
splenico
e
nell’HCL.
• Nel
linfonodo,
si
osserva
in
nelle
prime
fasi
un
pattern
di
crescita
nodulare
attorno
ai
centri
germinati-‐
vi
pre-‐esistenti,
in
fase
avanzata
la
crescita
diventa
confluente
e
si
osserva
un
infiltrato
linfocitario
dif-‐
fuso
che
sovverte
completamente
l’architettura
del
linfonodo.
A
maggior
ingrandimento,
a
differenza
del
linfoma
follicolare
che
è
più
eterogeneo
(per
la
presenza
di
centrociti
e
centroblasti),
si
osserva
una
popolazione
monomorfa
di
cellule
di
piccole-‐medie
dimensio-‐
ni
con
nucleo
clivato12,
che
proliferano
abbastanza
(a
causa
della
trascrizione
di
BCL-‐1).
Si
riconoscono
inoltre
alcune
varianti
morfologiche
che
presentano
un
atteggiamento
molto
più
ag-‐
gressivo:
o il
linfoma
mantellare
blastoide,
che
assomiglia
morfologicamente
a
un
linfoma
linfoblastico,
o il
linfoma
mantellare
polimorfo,
simile
ad
un
linfoma
a
grandi
cellule.
L’immunoistochimica
per
CD5
e
CD23
permette
di
distinguere
il
linfoma
mantellare
(CD5+/CD23-‐)
dal
linfoma
a
piccoli
linfociti
o
LLC
(CD5+/CD23+).
Inoltre
nello
studio
immunoistochimico
del
CD23,
nono-‐
stante
le
cellule
neoplastiche
siano
CD23-‐,
si
osserva
che
tale
marcatore
è
espresso:
tale
reperto
è
indicativo
della
presenza
delle
cellule
dendritiche
follicolari
(FDC),
positive
a
CD21
e
CD23
e
localizzate
a
livello
del
centro
germinati-‐
vo,
dove
formano
in
questa
malattia
dei
reticoli
tridimen-‐
sionali
(che
apparentemente
definiscono
la
struttura
del
comparto
follicolare).
Questa
particolarità,
ovvero
la
presenza
di
un
reticolo
di
FDC,
accomuna
tutti
i
linfomi
che
originano
dal
follicolo:
quello
follicolare,
mantellare
e
marginale.
• A
livello
midollare,
si
evidenzia
un’infiltrazione
con
pattern
nodulare
o
diffuso:
i
noduli
che
possono
essere
o
centrolacunari
o
peritrabecolari
(come
nel
linfoma
follicolare).
• Nei
casi
particolari,
in
cui
la
Bcl-‐1
risultasse
negativa
o
ci
fossero
delle
aberrazioni
cromosomiche,
per
poter
individuare
la
t(11;14)
nelle
cellule
del
sangue
periferico,
si
può
ricorrere
alla
FISH
(molto
sem-‐
plice
da
effettuare
sulle
cellule
del
sangue
periferico).
Ma
la
positività
immunoistochimica
alla
BCL-‐1
o
la
presenza
di
traslocazione
t(11;14)
non
sono
reperti
patognomonici:
esistono
altri
linfomi,
seppure
siano
pochi,
che
possono
presentare
la
traslocazione,
come
la
Hairy
Cell
Leukemia
(che
presenta
una
debole
positività)
e
le
neoplasie
plasmacellulari
(soprat-‐
tutto
i
plasmacitomi
fatti
da
piccole
plasmacellule).
12
Dunque,
un
linfoma
follicolare
che
presenta
una
scarsa
componente
centroblastica
può
entrare
in
diagnosi
differen-‐
ziale
con
il
linfoma
mantellare:
in
questo
caso
l’immunoistochimica
risulta
essere
dirimente,
poiché
nel
linfoma
follico-‐
lare
si
assisterà
a
negatività
per
CD5
e
BCL1
mentre
nel
linfoma
mantellare
si
assisterà
a
positiva
per
CD5
e
BCL-‐1.
7.
LINFOMA
MARGINALE
NODALE
• Il
linfoma
marginale
è
un
linfoma
maligno
che
origina
da
linfociti
B
della
zona
marginale
del
follicolo
del
linfonodo:
sono
linfociti
B
periferici
post-‐centro
germinativo.
• È
una
malattia
generalmente
indolente.
• La
cellula
neoplastica
non
presenta
un
fenotipo
caratteristico:
al
momento
non
disponibili
marcatori
che
riconoscano
specificamente
le
cellule
della
zona
marginale
del
follicolo.
Pertanto,
dopo
aver
defini-‐
to
il
fenotipo
B
(con
la
positività
a
CD19
e
CD20),
si
procede
per
esclusione
(“fenotipo
di
esclusione”):
si
osserva
che
la
cellula
è
negativa
ai
marcatori
del
centro
germinativo
(BCL-‐6,
CD10),
del
linfoma
man-‐
tellare
(BCL-‐1),
della
LLC
(CD5,
CD23).
• Da
un
punto
di
vista
clinico
il
linfoma
marginale
nodale
è
caratterizzato
da
linfoadenomegalie
multi-‐
ple.
Non
c’è
interessamento
extranodale
o
splenico,
altrimenti
non
di
parla
di
linfoma
marginale
no-‐
dale.
E’
spesso
associato
a
malattie
autoimmuni
(Sjögren,
Hashimoto):
i
pazienti
affetti
da
queste
sin-‐
dromi
hanno
un
rischio
aumentato
di
sviluppare
questo
linfoma.
• In
alcuni
casi
può
avere
una
differenziazione
di
tipo
plasmacellulare
(immunosecernente).
• La
prognosi
è
peggiore
rispetto
alla
forma
marginale
extranodale
e
splenica.
Può
esserci
progressione
morfologica
nel
10%
dei
casi
in
un
linfoma
diffuso
a
grandi
cellule.
DIAGNOSI
• Per
la
diagnosi
occorre
l’esame
istologico
(con
studio
morfologico
e
immunoistochimico)
della
biop-‐
sia
linfonodale
e
la
BOM
(a
fini
stadiativi).
• Nel
linfonodo
si
osservano
linfociti
piccoli,
con
nucleo
rotondo
o
un
po’
irregolare
e
citoplasma
chia-‐
ro13,
più
o
meno
abbondante,
che
proliferano:
o inizialmente
in
maniera
nodulare
nella
zona
marginale,
quindi
nella
periferia
dei
follicoli,
i
cui
cen-‐
tri
germinativi
sono
iperplastici
e
reattivi,
o successivamente,
in
maniera
diffusa
sostituendo
integralmente
i
follicoli.
Quindi,
in
base
al
momento
evolutivo
nel
quale
la
biopsia
viene
eseguita
(di
solito
si
effettuano
tardi-‐
vamente),
la
architettura
di
crescita
può
variare
da
un
pattern
“tipo
zona
marginale”
o
nodulare
a
uno
diffuso.
13
Le
cellule
assomigliano
a
quelle
del
linfoma
mantellare,
follicolare,
a
piccoli
linfociti
(linfomi
B
di
basso
grado),
per-‐
ché
possono
avere
uno
spettro
morfologico
abbastanza
ampio.
Talvolta
si
può
osservare
una
quota,
più
o
meno
significativa,
di
cellule
con
differenziazione
plasma-‐
cellulare:
questo
può
accadere
perché
la
cellula
di
origine
ha
già
incontrato
l’antigene
nel
centro
ger-‐
minativo
ed
è
avviata
verso
la
differenziazione
in
plasmacellula.
Quindi
a
seconda
della
capacità
diffe-‐
renziativa
della
cellula
linfomatosa,
si
può
avere
un
linfoma
fatto
da
linfociti
piccoli
(che
va
in
diagnosi
differenziale
il
linfoma
a
piccoli
linfociti)
o
da
cellule
più
grandi
simil-‐plasmacellulari.
Normalmente
in
questo
linfoma
ci
sono
pochi
blasti
isolati
(cellule
di
dimensioni
più
grandi),
il
cui
au-‐
mento
in
numero
e
organizzazione
in
clusters,
ovvero
in
nidi
confluenti,
sono
indicativi
di
un’aumentata
proliferazione
e
di
una
progressione
morfologica.
Durante
lo
studio
immunoistochimico
e
immuno-‐architetturale,
fondamentale
per
la
diagnosi
e
anche
per
la
differenziale
con
il
linfoma
a
piccoli
linfociti,
bisogna
prestare
attenzione
ai
seguenti
pitfalls:
o un’eventuale
positività
per
Bcl-‐6
e
CD10
non
è
attribuibile
al
linfoma,
bensì
alla
presenza
di
resi-‐
dui
di
centri
germinativi
preesistenti
che
il
linfoma
colonizza
e
tenta
di
distruggere
(in
fase
preco-‐
ce);
infatti
questi
centri
residui
sono
formati
da
cellule
positive
a
CD10
e
BCL-‐6
e
negative
a
BCL-‐2
(una
debole
positività
per
BCL-‐2
nel
centro
germinativo
è
attribuibile
al
contrario
alle
cellule
neo-‐
plastiche
stesse
che
hanno
invaso
il
centro
germinativo),
o una
positività
per
CD23
è
da
attribuire
alla
presenza
dei
reticoli
disgregati
di
cellule
dendritiche
follicolari,
caratteristiche
dei
linfomi
che
originano
dal
follicolo,
o poiché
questo
tipo
di
linfoma
ha
generalmente
un
indice
proliferativo
basso
(Ki67
del
20-‐25%),
se
l’attività
proliferativa
è
eterogenea
non
bisogna
considerare
le
aree
maggiormente
positive
al
Ki67,
in
quanto
corrispondono
non
alla
neoplasia
ma
ai
centri
germinativi
reattivi
e
iperplastici
pre-‐esistenti
(che
sono
ancora
proliferanti).
• In
caso
di
differenziazione
in
senso
immunosecernente
le
cellule
linfomatose
producono
immunoglo-‐
buline
e
si
può
rilevare
una
restrizione
monotipica:
o sia
delle
catene
leggere
κ
o
λ:
le
cellule
andate
incontro
a
differenziazione
plasmacellulari,
in
quanto
monoclonali,
esprimono
tutte
la
stessa
catena
leggera,
o sia
delle
catene
pesanti;
queste
stesse
cellule
sono
positive
a
una
sola
delle
catene
pesanti
tra:
IgM
(più
frequentemente),
IgG,
IgA
e
IgD
(immunoglobulina
normalmente
espresse
dalle
cellule
del
mantello).
Questa
restrizione
è
valutabile
attraverso:
o la
citofluorimetria
a
flusso
su
sangue
periferico,
che
mette
in
evidenza
le
immunoglobuline
di
su-‐
perficie,
ovvero
espresse
sulla
membrana
del
linfocito
prima
di
diventare
plasmacellule,
o l’immunoistochimica
su
tessuto
istologico,
che
valuta
le
catene
leggere
e
pesanti
citoplasmatiche
(le
immunoglobuline
di
superficie
perdono
la
reattività
durante
la
processazione,
a
causa
della
fis-‐
sazione).
8.
LINFOMA
MARGINALE
EXTRANODALE
(MALT)
• Il
linfoma
marginale
extranodale
(MALT)
è
un
linfoma
maligno
che
origina
dai
linfociti
B
della
zona
marginale
extranodale
ed
è
associato
a
flogosi
cronica
o
autoimmunità.
• Rappresenta
il
7-‐8%
di
tutti
i
linfomi;
è
abbastanza
frequente.
• È
una
malattia
generalmente
indolente.
• Le
cellule
tumorali
sono
linfociti
B
che
presentano
positività
al
CD20
e
un
fenotipo
di
esclusione,
ovve-‐
ro
caratterizzato
dalla
negatività
ai
marcatori
del
centro
germinativo
e
mantello
(CD10,
BCL6,
CD5,
BCL-‐1).
• Clinicamente
insorge
formando
masse
in
sede
extranodale,
potenzialmente
in
tutti
gli
organi
del
cor-‐
po,
ma
in
particolare
a
livello
del
tratto
gastrointestinale
(sede
più
frequente),
annessi
oculari,
cute,
ti-‐
roide,
polmone,
ghiandole
salivari
(più
raramente
del
fegato,
vescica
e
rene):
in
questi
organi,
la
massa
può
essere
facilmente
scambiata
per
un
tumore
primitivo
dell’organo.
La
massa
tende
a
rimanere
localizzata
nell’organo
in
cui
insorge
per
molto
tempo:
c’è
una
scarsa
ten-‐
denza
alla
disseminazione
(stadio
I/II)
e,
dopo
il
trattamento,
al
massimo
recidiva
nella
stessa
sede.
Si
ipotizza
che
questo
comportamento
derivi
dalla
presenza
di
recettori
di
homing
che
limitano
la
diffu-‐
sione
delle
cellule
neoplastiche
(e
richiamano
il
linfocita
neoplastico
nel
posto
in
cui
si
è
formato).
• Si
sviluppa
dalla
prevalenza,
in
una
contesto
di
stimolazione
immunitaria
persistente
non
controllata,
di
un
clone
di
linfociti
che
proliferano
in
maniera
sempre
più
autonoma
e
indipendente.
Quindi
in
una
prima
fase
la
malattia
è
ancora
reattiva
(c’è
un’infiammazione
spesso
su
base
autoimmune),
in
una
fa-‐
se
intermedia
si
verifica
la
trasformazione
in
linfoma,
e
infine
c’è
la
progressione
in
un
vero
e
proprio
linfoma
di
tipo
marginale.
• Potrebbe
esserci
una
progressione
morfologica,
cioè
una
trasformazione
in
un
linfoma
con
un
alto
numero
di
cellule
blastiche,
una
maggiore
proliferazione
e
una
maggiore
aggressività.
• La
diagnosi
è
istologica
su
biopsia
del
distretto
interessato:
all’esame
microscopico
si
osservano
cellule
identiche
a
quelle
del
linfoma
marginale
nodale,
ovvero
linfociti
piccoli
con
nuclei
rotondi
o
indentati
e
citoplasma
chiaro,
accompagnati
da
elementi
plasmacellulari.
LINFOMA
MALT
GASTRICO
• Il
linfoma
MALT
gastrico
rappresenta
il
linfoma
marginale
extranodale
più
frequente;
è
il
primo
linfo-‐
ma
extranodale
a
essere
identificato
e,
in
quanto
associato
all’infezione
da
H.
pylori,
eradicato
con
la
terapia
antibiotica.
• Sul
piano
clinico,
può
manifestarsi
con
una
massa
polipoide,
vege-‐
tante
o
ulcerata,
che
simula
l’adenocarcinoma
dello
stomaco,
o
con
un’area
ulcerata
o
con
un
ispessimento
irregolare
delle
pliche;
que-‐
ste
lesioni
possono
essere
anche
multifocali.
Di
solito
la
diagnosi
en-‐
doscopica
del
gastroenterologo
è
di
sospetto
adenocarcinoma
gastri-‐
co
o
di
malattia
ulcerosa.
• La
prognosi
è
ottima
e
la
percentuale
di
guarigione
completa
è
molto
alta.
Possono
esserci
recidive,
ma
localizzate
allo
stomaco.
• All’esame
microscopico,
si
osserva
un
abbondante
infiltrato
linfoci-‐
tario
che
aggredisce
le
ghiandole
ed
è
organizzato
in
noduli
nello
spessore
della
mucosa
denominati
lesioni
linfoepiteliali.
Questo
linfoma
origina
all’interno
di
un
follicolo
reattivo,
in
cui
insorge
un
clone
di
linfocitiche
prolife-‐
ra,
si
espande
e
aggredisce
le
ghiandole.
Il
quadro
istopatologico
è
molto
simile
a
quello
della
gastrite
folicolare
da
H.
pylori.
Per
la
diagnosi
dif-‐
ferenziale
tra
gastrite
follicolare
e
linfoma
MALT
si
vede
se
la
crescita
linfocitaria
è
abbondante,
sosti-‐
tutiva
e
caratterizzata
da
numerose
lesioni
linfoepiteliali;
questo
infiltrato
linfocitario
intramucosale
può
essere
valutato
tramite
un
sistema
di
grading
che
individua
tre
gradi:
o infiltrato
linfoide
indeterminato;
o infiltrato
linfoide
probabilmente
di
tipo
linfomatoso;
o linfoma
MALT
dello
stomaco
(diagnosi
di
certezza).
• A
causa
dell’origine
infettiva,
al
momento
della
diagnosi
e
al
termine
della
terapia
eradicante
(durante
il
follow-‐up),
bisogna
dimostrare
la
presenza
del
patogeno
sia
con
il
breath
test
sia
nelle
biopsie.
Poi-‐
ché
nella
biopsia
HP
è
presente
con
una
bassa
concentrazione,
occorre
ricorrere
a
tecniche
isto-‐
chimiche
come
l’impregnazione
argentica,
che
mette
in
evidenza
un
piccolo
batterio
a
forma
di
“S”
attaccato
alla
superficie
mucosa.
• C’è
la
possibilità
di
far
regredire
il
linfoma
con
un’adeguata
terapia
antibiotica
contro
l’H.
pylo-‐
ri,
a
dimostrazione
del
fatto
che
questa
prolifera-‐
zione
monoclonale
dipende
dalla
presenza
dell’antigene
per
crescere.
Infatti
la
terapia
prevede
la
terapia
antibiotica
eradicante
e
la
ripetizione
delle
biopsie
con
un
ampio
campionamento
(per
dimostrare
l’avvenuta
eradicazione);
nei
casi
di
“infiltrato
linfoide
indeterminato”
ci
si
limita
a
questo,
invece,
se
l’infiltrato
è
di
grado
maggiore
bisogna
in
aggiunta
studiare,
tramite
tecniche
di
biologia
molecolare,
l’eventuale
presenza
di
alterazioni
citogenetiche
tipiche
e
la
presenza
della
monoclonalità,
che
supporta
la
diagnosi
di
lesione
linfoproliferativa.
In
passato
si
trattava
il
linfoma
MALT
la
gastroresezione14,
oggi
sono
indicate
la
terapia
antibiotica
e,
se
necessaria,
la
chemioterapia
per
i
linfomi
di
basso
grado.
• Nelle
forme
con
differenziazione
plasmacellulare,
è
possibile
individuare
una
restrizione
delle
catene
leggere
tramite
immunoistochimica
o,
se
questa
differenziazione
non
è
presente,
PCR.
LINFOMA
CUTANEO
DELLA
ZONA
MARGINALE
• Il
linfoma
cutaneo
della
zona
marginale
colpisce
soprattutto
gli
adulti
e
i
giovani.
• Si
presenta
con
lesioni
multiple
o
singole,
come
papule,
placche,
nodu-‐
li,
agli
arti
e
tronco
(sono
spesso
multifocali).
• Ha
una
ottima
prognosi,
perché
le
lesioni
sono
sin
da
subito
visibili
e
di
conseguenza
trattate
in
fase
iniziali
con
asportazione
completa
(che
è
curativa).
Al
massimo
può
esserci
una
recidiva
locale,
senza
dissemina-‐
zione
o
progressione.
14
Oggi
la
terapia
chirurgica
deve
essere
presa
in
considerazione
soltanto
in
numero
limitato
di
casi,
laddove
cioè
sia
presente
un
quadro
clinico
d’esordio
caratterizzato
da
abbondante
sanguinamento,
infiltrazione
a
tutto
spessore
delle
pareti
gastriche
da
parte
della
neoplasia,
stenosi
pilorica;
data
la
multifocalità
della
patologia,
il
trattamento
prevede
quasi
sempre
la
gastrectomia
totale.
• C’è
un’associazione
con
l’infezione
da
HCV
o
da
Borrelia
burgdorferi
a
seconda
della
zona
geografica:
o la
malattia
da
B.
burgdorferi
è
particolarmente
frequente
in
Europa
Centrale
(Austria,
Germania,
Svizzera,
per
una
maggiore
diffusione
della
zecca
delle
Alpi,
veicolo
del
patogeno),
o in
Italia
(soprattutto
centrale)
è
più
frequente
ri-‐
scontrare
un’associazione
con
HCV
(nel
nord
Italia
può
esserci
un’associazione
con
la
Borrelia).
In
gene-‐
rale,
in
tutti
i
pazienti
con
linfoma
marginale
(noda-‐
le,
extranodale
o
splenico)
c’è
una
maggiore
inci-‐
denza
dell’infezione
da
HCV.
• All’esame
istologico
si
osservano
infiltrati
nodulari
for-‐
mati
da
piccoli
elementi
cellulari
e
disposti
attorno
alle
strutture
annessiali;
questi
noduli
presentano
aree
scure
e
aree
chiare:
le
aree
scure
centrali
rappresentano
il
cen-‐
tro
germinativo,
le
aree
chiare
sono
costituite
dalle
cellu-‐
le
marginali
linfomatose
che,
nel
loro
processo
di
accre-‐
scimento,
si
portano
dentro
i
centri
germinativi.
Può
esserci
una
più
o
meno
marcata
differenziazione
plasmacellulare
a
livello
della
periferia
del
nodulo
(ulte-‐
riore
contorno
scuro),
che
può
essere
evidenziata
tramite
colorazione
immunoistochimica
per
le
catene
leggere.
9.
LINFOMA
B
DIFFUSO
A
GRANDI
CELLULE
(DLBCL)
• Il
linfoma
B
diffuso
a
grandi
cellule
è
un
linfoma
maligno
che
origina
dalle
cellule
del
centro
germina-‐
tivo
attivate
(centroblasti),
ma
può
originare
anche
da
linfociti
attivati
in
sede
extrafollicolare.
• Rappresenta
il
linfoma
maligno
più
frequente
in
Europa
(40%)
e
interessa
i
soggetti
di
ogni
età,
ma
meno
frequentemente
i
bambini.
• È
una
malattia
aggressiva
con
prognosi
infausta,
che
in
assenza
di
terapia
tende
a
crescere
e
a
causare
la
morte
del
paziente.
Pertanto
deve
essere
diagnosticata
velocemente
e
trattata
con
urgenza,
infatti
è
molto
sensibile
ai
regimi
chemioterapici
(nel
50%
dei
casi,
a
seconda
dei
fattori
prognostici).
• La
cellula
linfomatosa
è
un
linfocita
B
CD20-‐positivo,
che
esprime
i
marcatori
del
centro
germinativo
(CD10,
BCL6,
BCL215)
o
extrafollicolari
(MUM1/IRF4
e
CD138).
• Clinicamente
è
caratterizzata
dalla
comparsa
di
una
massa
in
qualsiasi
sede,
sia
a
livello
nodale
sia
ex-‐
tranodale
(mediastinica,
gastrointestinale,
cutanea,
sierosa),
e
dalla
tendenza
a
diffondere
rapida-‐
mente.
Difficilmente
si
osserva
un
interessamento
leucemico.
• Le
forme
primitive
extranodali
hanno
una
prognosi
migliore
rispetto
a
quelle
nodali;
esistono
tuttavia
delle
localizzazioni
extranodali
associate
a
una
maggiore
aggressività:
il
mediastino,
perché
il
linfoma
del
mediastino
prende
contatto
con
gli
organi
toracici
(cuore,
grandi
vasi
e
polmoni)
e
può
infiltrarli
(causando
trombosi,
emorragie,
etc.),
e
il
SNC,
che
rappresenta
una
sede
anatomica
difficilmente
rag-‐
giungibile
dai
trattamenti
farmacologici
(organo
santuario)
e
chirurgici,
e
anche
perché
l’infiltrazione
di
alcune
zone
del
SNC
può
portare
a
morte
indipendentemente
dall’aggressività
del
linfoma.
• A
livello
prognostico,
i
linfomi
che
hanno
un’impronta
del
centro
germinativo,
ovvero
formati
da
cellu-‐
le
che
si
sono
attivate
nel
centro
germinativo
(GCB),
hanno
un
decorso
molto
più
favorevole
rispetto
a
quelli
che
derivano
da
cellule
che
si
sono
attivate
al
di
fuori
del
follicolo
(ABC).
Si
tratta
di
uno
dei
pochi
linfomi
guaribili:
alcune
delle
forme
precedenti,
seppur
indolenti
invece,
non
possono
essere
guarite.
• Esistono
dei
linfomi
de
novo,
che
sono
all’esordio
linfomi
a
grandi
cellule,
e
linfomi
secondari,
risultato
della
progressione
morfologica
dei
linfomi
di
basso
grado
studiati
finora.
DIAGNOSI
• Per
la
diagnosi
occorre
l’esame
istologico
(con
studio
morfologico
e
immunoistochimico)
della
biop-‐
sia
della
massa
(linfonodale
o
extranodale)
e
la
BOM
(a
fini
stadiativi).
• All’esame
istologico
si
osservano
linfociti
CD20-‐positivi
grandi,
simili
a
un
centroblasto,
e
polimorfi.
La
positività
del
CD20
pone
l’indicazione
al
trattamento
con
farmaci
anti-‐CD20
(Rituximab)
e
pertanto
va
specificata
nel
referto;
stesso
discorso
vale
per
il
CD30,
contro
il
quale
esiste
un
farmaco
recentemente
commercializzato
in
Italia.
• Si
riconoscono
delle
classiche
varianti
morfologiche
(che
non
hanno
una
grande
importanza
prognosti-‐
ca):
o variante
centroblastica:
composta
in
prevalenza
da
centroblasti,
ossia
da
grandi
cellule
linfoidi
con
nuclei
tondi
o
clivati,
e
nucleoli
multipli,
spesso
addossati
alla
membrana
nucleare,
o variante
multilobata:
si
osservano
cellule
con
un
nucleo
lobato,
con
aspetto
cerebriforme
(simile
a
quello
di
una
circumvoluzione
cerebrale),
15
BCL-‐2
è
espresso
in
percentuali
variabili
dal
50%
all’85%
dei
casi.
o variante
immunoblastica:
nella
quale
oltre
il
90%
delle
cellule
è
costituito
da
immunoblasti,
ossia
grandi
cellule
linfoidi
con
citoplasma
basofilo,
alone
perinucleare,
nucleo
centrale
o
periferico
con
un
grosso
nucleolo
prominente.
Poiché
l’immunoblasto
è
la
cellula
che
precede
la
formazione
della
plasmacellula,
a
volte
può
es-‐
serci
una
differenziazione
plasmacellulare;
o variante
anaplastica:
composta
da
elementi
linfoidi
grandi
o
molto
grandi,
con
spiccato
pleomor-‐
fismo
nucleo-‐citoplasmatico,
crescita
coesiva,
frequente
diffusione
all’interno
dei
sinusoidi
del
lin-‐
fonodo
e
talora
aspetti
che
possono
mimare
le
cellule
di
carcinoma
indifferenziato
(a
differenza
delle
quali
esprimono
il
CD20
e
spesso
il
CD30).
Spesso
si
osservano
forme
miste,
formate
da
immunoblasti
e
centroblasti:
in
questi
casi
è
difficile
dare
una
definizione
morfologica
e
si
parla
di
linfomi
“con
morfologia
polimorfa
con
centroblasti
e
immu-‐
noblasti”.
Altre
rare
varianti
citologiche,
importanti
solo
per
il
patologo
nelle
diagnosi
differenziali,
sono:
o epitelioidea:
con
citoplasma
eosinofilo,
simula
un
carcinoma,
o a
cellule
chiare:
simula
un
tumore
renale
o
un
sarcoma
a
cellule
chiare,
o signet
ring:
simula
un
carcinoma
gastrico
o
un
carcinoma
lobulare
della
mammella,
o a
rosette:
simula
un
tumore
cerebrale
molto
indifferenziato,
o Kikuchi’s
like:
simula
un
processo
benigno
necrotizzante,
ovvero
la
malattia
di
Kikuchi-‐Fujimoto
(o
linfadenite
necrotizzante
istiocitaria),
una
malattia
rara
che
si
autorisolve16.
• La
classificazione
morfologica
ha
rappresentato
per
anni
l’unico
sistema
per
dare
significato
prognosti-‐
co
a
questa
malattia
così
eterogenea:
è
da
subito
emerso
infatti
che
le
forme
centroblastiche
sono
prognosticamente
migliori
di
quelle
immunoblastiche,
anche
per
quanto
riguarda
la
risposta
alla
tera-‐
pia.
Oggi,
grazie
a
studi
di
biologia
molecolari,
sono
emersi
fattori
diagnostici
molto
più
precisi
(v.
do-‐
po).
CLASSIFICAZIONE
La
classificazione
WHO
2016
mette
a
disposizione
del
patologo
diverse
varianti
e
una
categoria
generale,
quella
del
linfoma
B
diffuso
a
grandi
cellule
non
altrimenti
specificato
(NOS),
in
cui
si
collocano
tutti
i
casi
non
riconducibili
a
una
variante
specifica
(rappresentano
la
maggioranza;
infatti
nella
maggior
parte
dei
casi
non
si
osservano
peculiarità
clinico-‐morfologiche).
Inoltre,
per
la
diagnosi
delle
varianti,
più
rare
e
particola-‐
ri,
occorre
spesso
una
correlazione
clinico-‐patologica.
16
E’
riscontrabile
soprattutto
fra
le
popolazioni
dell’estremo
oriente.
È
una
linfoadenopatia
che
colpisce
generalmente
la
regione
cervicale:
i
primi
sintomi
sono
di
solito
una
leggera
febbre,
lieve
ma
continua,
nausea,
vomito,
mal
di
gola,
perdita
di
peso.
Quindi
distinguiamo
diverse
entità
morfologicamente
simili
pur
essendo
eterogenee
sotto
il
profilo
biologi-‐
co:
• il
linfoma
B
diffuso
a
grandi
cellule
non
altrimenti
specificato
(NOS),
o GCB
(germinal
center
B-‐cell)
type,
o ABC
(activated
B-‐cell)
type,
• il
linfoma
B
a
grandi
cellule
ricco
in
linfociti
t
e/o
istiociti,
• il
linfoma
B
a
grandi
cellule
primitivo
del
mediastino,
• il
linfoma
B
a
grandi
cellule
primitivo
del
SNC,
• il
linfoma
B
a
grandi
cellule
primitivo
cutaneo
(leg-‐type),
• il
linfoma
B
a
grandi
cellule
EBV-‐positivo
NOS,
• il
linfoma
B
a
grandi
cellule
intravascolare,
• il
linfoma
B
a
grandi
cellule
diffuso
associato
ad
infiammazione
cronica.
Per
la
diagnosi
occorre
il
dato
clinico-‐anamnestico
dell’infiammazione
cronica
nella
sede
in
cui
si
è
osservato
il
linfoma
(es.
a
carico
di
una
protesi
di
un
arto);
infatti
è
un
linfoma
che
insorge
in
una
sede
di
flogosi
cronica,
per
esempio
può
inscriversi
su
un
empiema
toracico;
• il
linfoma
B
a
grandi
cellule
ALK+:
esprime
la
chinasi
ALK,
espressa
anche
dai
linfomi
T
anaplastici;
di
solito
è
una
malattia
nei
soggetti
immunodepressi
in
cui
si
osserva
differenziazione
plasmacellu-‐
lare,
• il
linfoma
plasmablastico,
formato
da
cellule
B
con
spiccata
differenziazione
plasmoblastica:
per-‐
dono
infatti
l’espressione
del
CD20
come
le
plasmacellule,
• il
linfoma
primitivo
delle
sierose:
è
un
linfoma
liquido
che
si
manifesta
con
versamenti
sierosali;
la
diagnosi
si
fa
con
l’esame
citologico
e
citofluorimetrico
(non
è
quindi
di
pertinenza
dell’anatomo-‐
patologo)
del
versamento
pleurico
o
ascitico;
• il
linfoma
B
a
grandi
cellule
in
malattia
di
Castleman
multicentrica
HHV8+;
la
malattia
di
Castel-‐
man
è
una
linfoadenopatia
reattiva
che
può
predisporre
a
un
linfoma
in
presenza
di
infezione
da
HHV8,
in
genere
nei
soggetti
immunodepressi;
• il
linfoma
di
Burkitt,
un
linfoma
aggressivo
e
cu-‐
rabile
endemico
(in
Africa)
o
episodico
(in
Euro-‐
pa);
• il
linfoma
B
a
grandi
cellule
con
double
o
triple
hit,
che
ha
sostituito
la
categoria
di
linfoma
in-‐
termedio
tra
il
linfoma
diffuso
a
grandi
cellule
e
il
linfoma
di
Burkitt;
• il
linfoma
B
intermedio
tra
linfoma
B
a
grandi
cellule
diffuso
e
Linfoma
di
Hodgkin
classico,
si
colloca
il
linfoma
in
questa
categoria
quando
non
si
è
sicuri
di
quale
delle
due
patologie
si
tratti.
Linfoma
B
diffuso
a
grandi
cellule
non
altrimenti
specificato
(NOS)
• Il
linfoma
B
diffuso
a
grandi
cellule
non
altrimenti
specificato
è
caratterizzato
dalla
crescita
diffusa
di
cellule
neoplastiche
grandi,
con
diametro
superiore
ai
20
μm
(circa
3
volte
superiore
a
quello
del
glo-‐
bulo
rosso).
• Può
avere
una
presentazione
nodale
o
extranodale.
• Generalmente
è
una
forma
primitiva,
ma
può
derivare
dalla
trasformazione
di
un
linfoma
indolente
(LLC,
linfoma
linfoplasmocitico,
linfoma
della
zona
marginale,
linfoma
follicolare).
Questa
distinzione
ha
un
impatto
clinico,
perché
le
forme
secondarie
possono
essere
trattate
e
si
può
rallentare
la
pro-‐
gressione17.
A
tal
proposito
sono
stati
individuati
diversi
marcatori
diagnostici
e
prognostici
ed
è
emerso
che
i
linfomi
secondari
sono
causati
nella
maggior
parte
dei
casi
da
una
mutazione
attivante
di
p53
e
da
un’iperespressione
di
questa
proteina.
• Gli
studi
di
biologia
moelcolare
hanno
permesso
di
distinguere
due
tipi
di
questo
linfoma,
caratteriz-‐
zati
da
due
programmi
di
attivazione
cellulare
diversa
e
da
una
diversa
prognosi;
distinguiamo:
o linfomi
GCB-‐type
(germinal
center
B-‐cell
type),
che
derivano
da
linfociti
attivati
nel
centro-‐
germinativo,
caratterizzati
quindi
dal
programma
di
attivazione
del
centro
germinativo;
in
parti-‐
colare:
l’attivazione
di
Bcl-‐6
e
la
riduzione
dell’NF-‐κB
determinano
il
blocco
della
maturazione
del-‐
la
cellula
e
ne
impediscono
la
differenziazione
in
senso
plasmacellulare.
Questi
linfociti:
§ esprimono
i
geni
del
centro
germinativo
(BCL-‐6,
CD10),
§ presentano
ipermutazioni
somatiche
al
gene
delle
immunoglobuline,
volte
ad
aumentare
la
specificità
antigenica,
§ presentano
alterazioni
genetiche
specifiche,
come
la
traslocazione
t(14;18),
le
mutazioni
di
p53,
le
amplificazioni
di
alcuni
miRNA
(17-‐92)
che
down-‐regolano
PTEN.
Sono
ridotte
p53
e
BCL-‐2.
Queste
forme
sono
prognosticamente
migliori;
o linfomi
ABC-‐type
(activated
B-‐cell),
che
derivano
da
linfociti
attivati
in
sede
extra-‐follicolare
e
av-‐
viati
verso
la
differenziazione
plasmacellulare,
caratterizzati
quindi
dal
programma
di
attivazione
plasmacellulare;
in
particolare:
§ sono
espressi
i
geni
del
programma
plasmacellulare
e
bloccati
quelli
del
centro
germinativo,
§ c’è
un’attivazione
costitutiva
di
NF-‐kB
con
espressione
di
MUM1,
responsabile
della
diffe-‐
renziazione
in
senso
plasmacellulare;
al
contempo,
però,
ci
sono
mutazioni
che
impediscono
la
completa
maturazione
plasmacellulare
(perché
interferiscono
con
Blimp-‐1),
§ c’è
un’aumentata
espressione
di
BCL-‐2,
§ ci
sono
delezioni
degli
oncosoppressori
p16
e
p14,
correlati
a
una
scarsa
risposta
alla
che-‐
mioterapia.
Queste
forme
sono
prognosticamente
peggiori.
Ci
sono
forme
intermedie
con
un
comportamento
clinico
intermedio.
Poiché,
per
la
definizione
della
prognosi
e
della
terapia
è
indispensabile
che
il
clinico
sappia
a
quale
categoria
appartenga
il
linfoma,
al
posto
delle
indagini
di
biologia
molecolare
per
lo
studio
del
genoti-‐
po
(molte
costose
e
che
necessitano
di
tempi
lunghi),
si
ricorre
a
tecniche
surrogate
quali
l’immunoistochimica,
che
studia
il
fenotipo,
ovvero
i
prodotti
di
tali
geni
(le
proteine),
sebbene
non
ci
sia
una
corrispondenza
assoluta
tra
genotipo
e
fenotipo.
Nello
studio
del
fenotipo
del
linfoma
B
diffuso
a
grandi
cellule
NOS
si
osserva:
o positività
ai
marcatori
di
linea
B
(PAX-‐5,
CD20,
CD79a),
o l’espressione
di
Ig
citoplasmatiche
(rare
quelle
di
superficie);
o un’elevata
attività
proliferativa
(studiata
con
il
Ki67);
17
però
clinicamente
il
linfoma
può
recidivare
successivamente
come
un
linfoma
di
basso
grado
o
come
un
linfoma
gra-‐
ve,
quindi
diciamo
che
è
diverso
sicuramente
dai
linfomi
primari.
o positività
ai
marcatori
del
centro
germinativo
(CD10,
BCL6)
o
della
linea
plasmacellulare
(MUM1,
CD138,
CD30);
IRTA1
sarebbe
utile
ma
non
si
trova
comunemente
nei
laboratori;
o positività
a
CD5
nel
10%
dei
casi
(è
un
sottogruppo
che
non
va
confuso
con
il
linfoma
mantellare
o
con
la
LLC):
secondo
la
letteratura
medica,
in
questo
caso
la
prognosi
diventa
più
sfavorevole.
La
BCL-‐1
deve
essere
completamente
negativa,
altrimenti
è
un
linfoma
mantellare
variante
polimor-‐
fa
(blastica).
Sono
stati
proposti
molti
algoritmi
per
distinguere
con
l’immunoistochimica
le
forme
GCB
da
quelle
ABC
(o
non-‐CG):
per
esempio
si
utilizza
l’algoritmo
di
Hans,
che
utilizza
tre
anticorpi,
contro
CD10,
BCL-‐6
e
MUM1.
Il
razionale
è
che
si
definisce
“centro-‐
germinativo”
un
linfoma
che
non
esprime
MUM1
ed
esprime
almeno
uno
tra
CD10
e
BCL-‐6.
In
pratica:
o se
il
linfoma
è
CD10-‐positivo,
il
tumore
viene
classificato
come
linfoma
B
diffuso
a
grandi
cellule
CGB-‐type
(la
positività
al
CD10
è
sufficiente);
o se
è
CD10-‐negativo,
si
valuta
BCL-‐6:
§ se
è
BCL-‐6-‐negativo,
il
linfoma
è
ABC-‐type
(non-‐GC);
§ se
è
BCL-‐6-‐positivo,
si
valuta
MUM1:
ü se
è
MUM1-‐positivo,
il
linfoma
è
ABC-‐type
(non-‐GC);
ü se
è
MUM1-‐negativo,
il
tumore
è
CGB-‐type.
Il
cut-‐off
di
espressione
che
definisce
la
positività
o
negatività
di
questi
marcatori
è,
per
convenzione,
del
il
30%.
Linfoma
B
a
grandi
cellule
ricco
in
linfociti
T
e/o
istiociti
• Il
linfoma
B
a
grandi
cellule
ricco
in
linfociti
T
e/o
istiociti
è
una
variante
morfologica
recentemente
descritta
con
molte
caratteristiche
cliniche
distintive,
molto
simile
al
linfoma
di
Hodgkin
(sia
classico
sia
a
prevalenza
linfocitaria
nodulare):
infatti
è
costituito
per
meno
del
10%
da
cellule
B
grandi
e
per
il
90%
da
cellule
reattive
al
linfoma,
ovvero
cellule
T
e
istiociti
(prima
dell’immunoistochimica,
questi
linfomi
erano
definiti
come
linfomi
di
Hodgkin).
• Ha
un
comportamento
clinico
molto
aggressivo,
si
presenta
in
uno
stadio
avanzato,
con
splenomega-‐
lia
e
interessamento
midollare
(valutato
con
BOM).
• La
milza
ha
un
aspetto
micronodulare
che
simula
il
linfoma
marginale:
ma
all’istologia
i
noduli
sono
fatti
da
poche
cellule
neoplastiche
mescolate
a
molte
cellule
di
accompagnamento.
• Nel
linfonodo,
all’immunoistochimica,
si
osservano
grandi
cellule
linfomatose
CD20-‐positive
sparse
in
un
background
di
cellule
istiocitarie
CD68-‐positive
e
linfocitarie
CD3-‐positive.
• I
casi
in
cui
si
osservano
cellule
CD20-‐positive
ed
EBV-‐positive
si
inseriscono
tra
le
forme
EBV-‐correlate.
Linfoma
B
a
grandi
cellule
primitivo
del
mediastino
• Il
linfoma
B
a
grandi
cellule
primitivo
del
mediastino
origina
da
una
cellula
B
presente
nella
midollare
del
timo18,
in
cui
ci
sono
cellule
asteroidi
(con
forma
a
stella).
18
Il
timo
è
un
organo
linfoepiteliale
particolarmente
importante
nelle
prime
epoche
di
vita
in
quanto
è
fondamentale
per
la
differenziazione
della
popolazione
linfocitaria
(motivo
per
cui
timo
e
mediastino
sono
spesso
sede
di
linfomi
lin-‐
foblastici
T).
Mentre
i
linfociti
T
si
localizzano
generalmente
nella
corticale
del
timo,
a
livello
midollare
(dove
si
identifi-‐
cano
i
corpuscoli
di
Hassall)
possono
essere
riscontrate
rarissime
cellule
B,
che
sono
quelle
che
possono
dare
origine
ai
follicoli
linfatici
riscontrabili
in
pazienti
affetti
da
miastenia
grave.
Queste
cellule
B,
che
si
identificano
per
la
loro
mor-‐
• Rappresenta
il
2-‐3%
dei
linfomi
e
colpisce
giovani
adulti
(35
anni),
per
lo
più
femmine.
• Viene
differenziato
dal
linfoma
B
diffuso
a
grandi
cellule
NOS
perché
origina
da
una
cellula
che
presen-‐
ta
un
pattern
di
espressione
genica
differente
da
quello
GBC-‐type
e
ABC-‐type,
e
più
simile
a
quello
del
linfoma
di
Hodgkin.
• È
una
malattia
cosiddetta
bulky19
del
mediastino:
si
presenta
con
massa
grossa
sclerotica
nel
media-‐
stino,
generalmente
anteriore-‐superiore,
sopra
al
cuore
e
attorno
ai
vasi
e
ai
bronchi;
si
manifesta
cli-‐
nicamente
con
tosse,
dispnea,
disturbi
cardiaci
e
addirittura
può
causare
una
trombosi
della
vena
cava
o
della
succlavia.
Infatti
la
malattia
si
può
estendere
ai
linfonodi
e
ai
vasi
del
collo.
• E’
uno
dei
linfomi
più
frequenti
e
difficili
da
diagnosticare:
la
diagnosi
viene
in
genere
condotta
su
biopsia
trans-‐bronchiale
o
trans-‐toracica;
nel
caso
in
cui
non
sia
sufficiente
occorre
l’intervento
chi-‐
rurgico.
• Si
presenta
come
una
proliferazione
di
linfociti
grandi,
con
abbondante
citoplasma
chiaro,
nuclei
spesso
irregolari,
morfologia
simil-‐Hodgkin/Reed-‐
Sternberg;
si
osserva
sclerosi
compartimentaliz-‐
zante,
ovvero
che
tende
a
circoscrivere
dei
nodu-‐
li
di
cellule
B
grandi.
• Viene
trattata
con
chemio-‐
e
radioterapia;
può
anche
esserci
guarigione
completa.
Se
recidiva,
di
solito
in
sede
addominale
(ovaio,
rene,
fegato,
raramente
midollo),
la
prognosi
è
infausta.
• La
diagnosi
differenziale
con
il
linfoma
di
Hodgkin
è
complessa.
Infatti
entrambi
colpiscono
soggetti
giovani
con
massa
mediastinica,
hanno
origine
B,
esprimono
il
CD30,
hanno
sclerosi,
presentano
cel-‐
lule
simili
alla
cellula
di
Reed-‐Sternberg,
hanno
un
profilo
di
espressione
genica
simile
e
sono
caratte-‐
rizzati
dall’attivazione
di
NF-‐kB
e
JAK/STAT.
Proprio
a
causa
di
queste
analogie
delle
volte
una
malattia
può
recidivare
come
un’altra.
Differiscono
per
la
composizione
cellulare:
infatti
nel
LH
prevalgono
le
cellule
reattive
e
nel
linfoma
mediastinico
quelle
neoplastiche;
e,
di
solito,
per
il
fenotipo:
il
linfoma
mediastinico
classico
esprime
una
positività
a
CD20
e
CD23
in
maniera
diffusa,
a
CD30
in
maniera
parziale,
ed
è
negativo
al
CD15.
Nelle
forme
borderline,
i
cui
aumenta
l’espressione
di
CD30
e
CD15
non
si
riesce
a
distinguere
le
due
forme,
e
si
ricorre
alla
categoria
diagnostica
di
linfoma
B
intermedio
tra
linfoma
B
a
grandi
cellule
dif-‐
fuso
e
Linfoma
di
Hodgkin
classico,
che
viene
trattato
come
se
fosse
un
linfoma
mediastinico
(rispon-‐
de
meglio
a
questa
terapia).
fologia
particolare
(forma
ad
asteroide)
sembrerebbero
rappresentare
la
controparte
benigna
del
linfoma
a
grandi
cel-‐
lule
primitivo
del
mediastino.
19
Bulky
(voluminoso):
un
linfoma
si
definisce
così
se
ha
un
diametro
superiore
ai
10
cm.
Nel
caso
in
cui
ci
si
riferisce
ad
un
linfoma
mediastinico,
il
termine
bulky
lo
si
attribuisce
quando
questo
ha
un
diametro
superiore
ad
un
terzo
del
diametro
toracico.
Linfoma
B
a
grandi
cellule
primitivo
del
SNC
• Il
linfoma
B
a
grandi
cellule
primitivo
del
SNC
è
un
linfoma
che
di
solito
origina
da
cellule
B
attivate
(ABC-‐type),
con
marcatori
plasmacellulari;
ma
può
anche
essere
GCB-‐type
e
di
tipo
indeterminato.
• Ha
un
comportamento
molto
aggressivo;
rappresenta
meno
dell’1%
dei
linfomi
e
il
3%
dei
tumori
del
sistema
nervoso
centrale.
• E’
localizzato
a
livello
del
cervello,
midollo
spinale,
occhio
e
leptomeningi,
più
spesso
in
sede
sopra-‐
tentoriale
(lobo
frontale).
• C’è
una
certa
similarità
con
i
linfomi
del
testicolo;
infatti
i
linfomi
B
a
grandi
cellule
primitivi
delle
sedi
immunoprivilegiate
(sedi
santuario,
ovvero
testicolo
e
SNC)
perdono
l’espressione
dei
geni
HLA,
che
correla
con
una
riduzione
dei
CD3+
infiltranti
il
tumore.
• La
prognosi
infausta
perché
la
barriera
ematoencefalica
impedisce
l’accesso
ai
farmaci
chemioterapici
usualmente
utilizzati.
Linfoma
B
a
grandi
cellule
primitivo
della
cute
• Il
linfoma
B
a
grandi
cellule
primitivo
della
cute
è
un
linfoma
ABC-‐type,
di
solito
definito
leg
type,
perché
normalmente
si
localizza
nelle
gambe,
soprattutto
di
soggetti
anziani,
affette
da
problemi
circolatori.
• Viene
diagnosticato
se
alla
stadiazione
non
emerge
nessun’altra
localizzazione
(vale
per
tutti
i
linfomi
primitivi
della
cute),
e
trattato
con
la
chemioterapia.
Ha
una
prognosi
infausta.
• Anche
i
linfomi
primitivi
della
cute
possono
essere
GCB-‐type
e
ABC-‐type:
o quelli
GCB-‐type
sono
ancora
chiamati
linfomi
follicolari
della
cute
con
ricca
componente
di
bla-‐
sti:
anche
se
sono
formati
da
centroblasti
non
vengono
considerati
tra
i
linfomi
a
grandi
cellule,
hanno
una
buona
prognosi
(comportamento)
e
vengono
trattati
con
radioterapia;
o quelli
ABC-‐type
sono
chiamati
linfomi
leg
type:
sono
formati
da
cellule
B
attivate
in
sede
extrafol-‐
licolare
(MUM1-‐positive,
BCL-‐6-‐negative,
BCL-‐2-‐positive)
e
hanno
prognosi
sfavorevole.
Quindi,
in
sintesi,
nella
cute
insorgono
tre
linfomi
primitivi:
il
linfoma
della
zona
marginale
(che
ha
un’ottima
prognosi),
il
linfoma
follicolare,
il
linfoma
della
gamba
(che
colpisce
normalmente
soggetti
anziani,
nelle
gambe
per
problemi
circolatori).
Linfoma
B
a
grandi
cellule
EBV+
non
altrimenti
specificato
(NOS)
• Il
linfoma
B
a
grandi
cellule
EBV+
non
altrimenti
specificato
(NOS)
è
un
linfoma
maligno
che
deriva
da
una
cellula
B
matura
trasformata
da
EBV.
• Precedentemente
veniva
classificato
come
una
forma
dell’anziano.20
Infatti
nell’anziano
sono
descritti
tanti
linfomi
B
EBV-‐positivi,
dovuti
al
fatto
che
in
tarda
età
c’è
un’immunodeficienza
senile.
Ma
può
in-‐
sorgere
anche
in
pazienti
più
giovani,
per
esempio
che
hanno
fatto
chemioterapia
per
tumori
solidi.
20
Dal
2008,
mentre
l’Organizzazione
Mondiale
della
Sanità
includeva
il
linfoma
B
a
grandi
cellule
diffuse
EBV+
come
un’entità
provvisoria
di
linfoma
che
si
verificava
negli
anziani
senza
alcuna
causa
nota
di
immunodeficienza,
è
stato
via
via
osservato
che
tale
patologia
poteva
verificarsi
anche
in
soggetti
più
giovani,
in
stretta
correlazione
temporale
con
l’infezione
primaria
da
EBV.
Come
conseguenza,
nella
classificazione
del
2016
è
stata
rimossa,
rispetto
alla
definizione
precedente,
l’etichetta
di
anzianità
ed
è
stato
inserito
il
termine
“non
altrimenti
specificato”,
locuzione
mediante
cui
si
tenta
di
sottolineare
il
fatto
che
esistono
entità
più
specifiche
caratterizzate
dalla
presenza
di
grandi
cellule
B
EBV-‐
positive,
come
ad
esempio
la
granulomatosi
linfomatoide.
• Può
essere
nodale
o
extra-‐nodale
ed
è
costituito
da
grandi
cellule
trasformate
Hodgkin-‐like
con
o
senza
necrosi,
con
background
di
piccoli
linfociti.
Ma
il
fenotipo
è
diverso
dal
linfoma
di
Hodgkin:
le
cellule
sono
positive
a
CD20,
CD30
e
EBV
(e
PAX5+,
MUM1+,
BCL6-‐,
CD10-‐).
• E’
un
linfoma
molto
aggressivo
associato
a
una
pessima
pro-‐
gnosi
(peggiore
di
quella
del
LH).
Linfoma
B
a
grandi
cellule
intravascolare
• Il
linfoma
B
a
grandi
cellule
intravascolare
è
caratterizzato
dalla
presenza
di
grandi
cellule
B
localizza-‐
te
esclusivamente
all’interno
dei
piccoli
vasi.
• Insorge
negli
adulti.
• La
cellula
linfomatosa
ha
un
profilo
di
espressione
genica
simile
a
quello
del
linfoma
B
a
grandi
cellule
diffuso
ABC-‐type,
quindi
un
fenotipo
CD10-‐
e
CD5+.
• Clinicamente
non
ci
sono
masse
e
quindi
è
difficile
da
diagnosticare:
la
TC
è
negativa,
ma
il
paziente
sta
male,
ha
la
febbre
ed
è
deperito
(sintomi
aspecifici).
L’interessamento
non
è
nodale
ma
extra-‐nodale,
a
livello
cutaneo
(la
prognosi
è
migliore
se
la
cute
è
l’unica
sede
interessata),
del
midollo
osseo,
o
del
sistema
nervoso
centrale:
in
questo
caso
la
prognosi
è
infausta
perché
è
difficile
diagnosticare
in
vita
la
malattia,
che
determina
l’ostruzione
dei
vasi
e,
di
conseguenza,
l’insorgenza
di
microfocolai
emor-‐
ragici
e
ischemici.
In
passato
veniva
diagnosticata
al
tavolo
autoptico
perché
il
paziente
moriva
velocemente:
si
osserva-‐
vano
capillari
cerebrali
pieni
di
zaffi
di
cellule
B
grandi.
• All’esame
microscopico
si
osservano
filiere
intravasali
di
cellule
CD5+
e
CD10-‐,
occlusione
vascolare
e
aree
di
necrosi
ischemica
dei
parenchimi
degli
organi
interessati.
• Si
complica
con
una
sindrome
emofagocitica.
La
diagnosi
richiede
che
non
vi
siano
altre
cause
di
immunodeficienza,
che
non
vi
sia
una
pregressa
storia
di
linfoma
e
che
siano
state
escluse
altre
entità
caratterizzate
da
grandi
cellule
B
EBV+.
10.
LINFOMA
DI
BURKITT
• Il
linfoma
di
Burkitt
è
un
linfoma
B
che
origina
da
un
blasto
attivato
del
centro
germinativo.
• E’
altamente
aggressivo,
ma
c’è
la
possibilità
di
cura
con
terapie
massimali
ad
hoc.
• Origina
dai
linfociti
B
attivati
in
sede
follicolare
ed
è
caratterizzata
dall’espressione
di
CD20,
dei
marca-‐
tori
del
centro
germinativo
(CD10
e
BCL-‐6;
negatività
per
BCL-‐2).
Nella
maggior
parte
dei
casi
è
presen-‐
te
la
traslocazione
t(8;14)
a
causa
della
quale
il
gene
c-‐myc
passa
sotto
il
controllo
del
gene
delle
cate-‐
ne
pesanti
delle
immunoglobuline.
E’
spesso
associata
all’EBV.
Ki67
è
espresso
quasi
al
100%.
• Può
presentarsi
come
massa
nodale
diffusa
o
localizzata,
come
massa
extra-‐nodale
(mediastinica,
ga-‐
strointestinale,
cutanea,
sierosa,
ovarica)
o
con
una
presentazione
leucemica
(a
differenza
del
linfoma
B
diffuso
a
grandi
cellule):
corrisponde
alla
leucemia
acuta
linfoblastica
L3
(matura:
Tdt-‐,
Ig+)
• Si
riconoscono
tre
varianti,
in
base
alla
distribuzione
geografia
ed
epidemiologica:
o la
forma
endemica
è
diffusa
dell’Africa
equatoriale
e
della
Papua
Nuova
Guinea,
soprattutto
tra
i
bambini
affetti
da
malaria
o
EBV,
o la
forma
sporadica,
riscontrabile
in
tutto
il
mondo,
è
caratterizzata
da
una
traslocazione
del
gene
c-‐Myc
ed
è
associata
all’EBV
nel
30%
dei
casi,
o la
forma
associata
a
immunodeficienza:
rappresenta
il
30%
di
tutti
i
linfomi
HIV-‐correlati
e
l’EBV
è
identificato
nel
30%
dei
casi.
Si
manifesta
con
sudorazioni
improvvise
e
abbondanti,
ascite,
san-‐
guinamento
gastrointestinale,
perforazione.
DIAGNOSI
• Per
la
diagnosi
occorre
l’esame
istologico
(con
studio
morfologico
e
immunoistochimico)
della
biop-‐
sia
della
massa
(nodale
o
exranodale)
e
la
BOM
(a
fini
stadiativi);
soprattutto
in
caso
di
interessamen-‐
to
leucemico
occorre
studiare
anche
gli
elementi
circolanti
facendo
lo
striscio
di
sangue.
• All’esame
istologico
si
osservano
linfociti
di
media
taglia
e
monomorfi
con
nucleo
più
piccolo
di
quello
degli
istiociti
presenti,
rotondo
o
indentato,
con
piccoli
nucleoli
centrali,
citoplasma
molto
basofilo,
spesso
provvisto
di
fini
vacuoli.
L’indice
proliferativo
è
molto
alto
(Ki-‐67
quasi
del
100%),
il
numero
delle
mitosi
è
elevato,
così
come
il
numero
di
detriti
nucleari
e
la
necrosi.
Questi
ultimi
due
elementi
richiamano
gli
istiociti
che
fagocitano
i
residui
cellulari
e
di
conseguenza
il
tumore
ha
un
aspetto
un
caratteristico
e
diagnostico
“a
cielo
stellato”
(dove
gli
istiociti
sono
le
“stelle
chiare”
in
un
“cielo
blu”
rappresentato
dalle
cellule
di
Burkitt
che,
per
la
basofilia
del
citoplasma,
risul-‐
tano
di
colore
blu
alla
colorazione
Giemsa).
• Talvolta
si
osserva
un
linfoma
B
a
grandi
cellule
diffuso
che
assomiglia
al
linfoma
di
Burkitt,
detto
Bur-‐
kitt-‐type,
atipico
da
un
punto
di
vista
morfologico
(perché
formato
da
cellule
grandi)
e
fenotipico
(BCL-‐
2+,
CD10-‐),
e
associato
a
una
prognosi
più
sfavorevole.
Se
non
si
riusciva
a
risolvere
la
diagnosi
differenziale
si
ricorreva
alla
categoria
(classificazione
WHO
2008)
di
“linfoma
a
cellule
B,
non
classificabile,
con
caratteristiche
intermedie
tra
il
linfoma
B
a
gran-‐
di
cellule
diffuso
ed
il
linfoma
di
Burkitt”
(BCLU);
in
questa
categoria
rientravano
i
linfomi
B
a
grandi
cellule
con
riarrangiamento
di
c-‐Myc
e
di
BCL-‐2
e/o
BCL-‐6,
ovvero
con
caratteristiche
mutazionali
in-‐
termedie.
La
classificazione
WHO
2016
ha
sostituito
questa
categoria
intermedia
con
tre
categorie,
la
cui
diagno-‐
si
è
possibile
a
partire
dallo
studio
combinato,
tramite
FISH,
di
BCL6-‐,
BCL-‐2
e
c-‐myc
(con
tre
sonde);
identifichiamo:
o il
linfoma
di
Burkitt,
in
cui
rientrano
i
linfomi
che
presentano
solo
il
riarrangiamento
di
c-‐myc
e
un
morfofenotipo
compatibile
con
quello
del
Burkitt,
o il
linfoma
B
di
alto
grado
non
altrimenti
specificato,
caratterizzato
da
un
morfofenotipo
interme-‐
dio
(aspetto
blastoide)
e
da
un
solo
riarrangiamento
tra
c-‐myc,
BCL-‐6
o
BCL-‐2,
o il
linfoma
B
di
alto
grado
con
doppio/triplo
hit
(con
riarrangiamento
di
c-‐Myc
e
BCL-‐2
e/o
BCL-‐6),
caratterizzato
da
un
riarrangiamento
dei
geni
c-‐Myc
e
BCL-‐2
e/o
BCL-‐6
(‘double
hit’
o
‘triple
hit’).
La
prognosi
è
peggiore
perché
c’è
una
bassa
risposta
alla
terapia:
si
è
visto
che
questi
tumori
sono
in
origine
linfomi
a
grandi
cellule
con
traslocazione
di
BCL-‐2
o
BCL-‐6,
a
cui
si
aggiunge
successiva-‐
mente
la
traslocazione
di
c-‐Myc
(nel
Burkitt
invece
la
traslocazione
di
c-‐Myc
insorge
all’inizio).
Pertanto
non
può
essere
utilizzata
la
stessa
terapia
del
linfoma
di
Burkitt.
11.
LINFOMA
LINFOPLASMACITICO
• Il
linfoma
linfoplasmacitico
è
un
linfoma
maligno
che
deriva
dal
linfocito
plasmacitoide
IgM-‐
secernente,
che
ha
incontrato
l’antigene
generalmente
al
di
fuori
del
centro
germinativo
ed
è
andato
incontro
a
differenziazione
plasmacellulare.
La
linfoproliferazione
è
localizzata
di
solito
nel
midollo
e
talvolta
in
linfonodi
e
milza.
• E’
un
linfoma
indolente,
che
colpisce
gli
adulti
e
anziani
(VII
decade),
con
possibilità
di
progressione
del
10%
in
linfoma
B
a
grandi
cellule.
• La
cellula
linfomatosa
esprime
il
CD20,
ed
è
negativa
agli
altri
marcatori
tipici
di
altri
linfomi:
la
caratte-‐
rizzazione
dell’immunofenotipo
avviene
quindi
per
esclusione.
In
più
del
90-‐99%
dei
casi
vi
è
la
muta-‐
zione
al
gene
Myd88.
• Si
manifesta
con
astenia
e
anemia
e
si
diagnostica
a
partire
da
una
complicanza,
che
è
la
paraprotei-‐
nemia
IgM
(più
raramente
IgG),
ovvero
un’ipergammaglobulinemia
monoclonale:
i
valori
di
IgM
sono
altissimi;
talora
si
presenta
anche
una
crioglobulinemia,
che
si
ha
quando
la
componente
monoclonale
precipita
con
il
freddo:
in
tal
caso
i
pazienti,
esposti
al
freddo,
manifestano
sintomi
legati
al
disturbo
del
microcircolo.
• Quindi
il
sospetto
diagnostico
clinico
diventa
ancora
più
forte
con
l’immunoelettroforesi
(metodica
qualitativa)
e
l’immunodiffusione
(metodica
quantitativa)
che,
rispettivamente,
caratterizzano
(identi-‐
ficano
l’IgM)
e
quantificano
il
picco
monoclonale.
Un
picco
monoclonale
IgM,
infatti,
raramente
è
asso-‐
ciato
a
un
plasmocitoma,
e
più
frequentemente
è
un
segno
di
un
linfoma
linfoplasmocitico.
• Per
la
diagnosi
definitiva
occorre
lo
studio
istologico
(morfologico
e
immunoistochimico)
della
BOM.
Nel
midollo
si
osserva
un
infiltrato
di
piccoli
linfociti
B,
plasmacellule
e
linfociti
plasmocitoidi,
spesso
ac-‐
compagnato
da
un’iperplasia
reattiva
dei
mastociti.
A
volte
le
Ig
si
trovano
all’interno
del
nucleo
e
formano
i
cosiddetti
corpi
di
Dutcher,
ossia
inclusi
intranuclea-‐
ri
di
immunoglobuline
PAS-‐positive.
Il
nucleo
si
pre-‐
senta
come
storiforme.
Per
valutare
la
monoclonalità
alla
biopsia
bisogna
studiare
all’immunoistochimica
l’espressione
delle
catene
leggere
κ
e
λ:
fisiologicamente,
poiché
i
linfo-‐
citi
tendono
maggiormente
a
scegliere
la
catena
κ,
una
popolazione
policlonale
è
caratterizzata
da
un
rapporto
κ:λ
di
3:1.
Un
rapporto
κ:λ
maggiore
di
8:1
è
indicativo
di
monoclonalità
κ,
e
già
un
rapporto
κ:λ
di
2:1
è
indicativo
di
monoclonalità
λ.
E’
fondamentale
che
correlare
l’immunoelettroforesi
con
lo
studio
immunoistochimico
delle
catene
leggere
nella
BOM:
per
esempio,
la
presenza
di
due
picchi
monoclonali
all’immunoelettroforesi,
κ
e
λ,
o
IgG
e
IgM,
è
indicativa
della
presenza
di
due
cloni;
se
il
patologo
non
conoscesse
questo
dato,
inter-‐
preterebbe
l’espressione
immunoistochimica
delle
IgM
e
IgG
come
indicativa
di
una
popolazione
poli-‐
clonale
e
non
di
due
popolazioni
monoliclonali.
La
diagnosi
differenziale
più
difficile
è
con
il
linfoma
marginale
che
può
avere
una
differenziazione
pla-‐
smacellulare.
12.
PLASMOCITOMA
• Il
plasmocitoma
è
un
linfoma
maligno
che
deriva
dalla
plasmacellula,
una
cellula
post-‐centro
germina-‐
tivo
che
secerne
immunoglobuline
ed
è
localizzata
nella
maggior
parte
dei
casi
nel
midollo
osseo.
E’
anche
detto
mieloma,
mieloma
plasmocellulare,
mieloma
multiplo
o
tumore
plasmocitico.
Queste
denominazioni
non
sono
totalmente
sovrapponibili:
la
dizione
“mieloma
multiplo”
è
indicata
nel
caso
in
cui
ci
siano
multiple
localizzazione
ossee
di
malattia;
se
c’è
un’unica
localizzazione
si
preferisce
par-‐
lare
di
plasmocitoma
localizzato.
• È
una
malattia
con
variabile
aggressività,
la
cui
incidenza
aumenta
con
l’età
e
raggiunge
un
picco
nella
VII
decade.
• Il
fenotipo
della
cellule
neoplastica
è
quello
di
una
plasmacellula,
che,
a
differenza
del
linfocito
B,
non
esprime
più
il
CD20
(in
alcuni
casi
il
tumore
può
essere
CD20-‐positivo
perché
nelle
fasi
iniziali
della
dif-‐
ferenziazione
in
plasmacellula
può
non
avere
ancora
perso
tale
marcatore),
né
il
CD45
(antigene
leuco-‐
citario
comune),
né
il
PAX5;
sono
espressi
CD79,
CD38,
CD138,
MUM1
(gli
ultimi
tre
sono
caratteristici
della
differenziazione
plasmacellulare).
Le
plasmacellule
neoplastiche
possono
esprimere
anche
mar-‐
catori
aberranti
come
CD56
e
BCL-‐121
(marcatori
di
malignità).
• Spesso
rappresenta
l’evoluzione
di
una
gammopatia
monoclonale
non
IgM
non
altrimenti
specificata
(M-‐GUS
non
IgM),
una
condizione
clinico-‐laboratoristica
in
cui
c’è
una
componente
monoclonale
(CM)
ma:
o le
IgG,
IgA
e
IgD
sono
inferiori
ai
3
g/dL
(la
CM
è
quindi
inferiore
ai
3
g/dL),
o le
plasmacellule
nel
midollo
sono
inferiori
al
10%
della
popolazione
mononucleata
totale,
o non
ci
sono
lesioni
ossee,
insufficienza
renale
e
ipercalcemia.
I
pazienti
affetti
da
questa
gammopatia
monoclonale
(che
può
essere
a
IgG,
IgA
o
IgD
a
seconda
della
componente
monoclonale)
hanno
un
rischio
di
sviluppare
un
plasmocitoma
che
aumenta
dell’1%
ogni
anno.
• Da
un
punto
di
vista
clinico
il
plasmocitoma
si
manifesta
con
dolori
ossei
(es.
in
sede
lombare),
dovuti
alla
proliferazione
e
all’accumulo
di
plasmacellule
monoclonali
negli
spazi
lacunari
del
tessuto
osseo,
distribuiti
in
tutto
lo
scheletro,
in
particolare
a
livello
dello
scheletro
assile
mediano
(rachide
e
baci-‐
no).
Radiologicamente
si
osservano
lesioni
osteolitiche
diffuse
a
livello
di
tutto
il
corpo,
compresa
la
teca
cranica,
che
possono
esitare
in
fratture
patologiche.
In
alcuni
casi
possono
esserci
lesioni
osteoadden-‐
santi,
perché
la
presenza
del
tumore
stimola
la
produzione
di
osso.
Altri
segni
clinico-‐laboratoristici,
oltre
al
coinvolgimento
osseo,
sono
l’ipercalcemia,
l’insufficienza
re-‐
nale,
l’anemia,
la
gammopatia
monoclonale
nel
siero
e
nelle
urine
(raramente
a
IgM);
gli
inglesi
utiliz-‐
zano
l’acronimo
CRAB
(calcio,
rene,
anemia,
bone).
In
generale,
la
clinica
è
variabile
a
seconda
della
estensione
delle
lesioni
tumorali
e
delle
eventuali
complicanze,
legate
alla
produzione
di
Ig
con
attività
crioglobulinemica
o
al
deposito
di
sostanza
ami-‐
loide
nei
tessuti
(amiloidosi
AL).
L’amiloidosi,
una
malattia
degenerativa
che
porta
allo
scompenso
degli
organi,
quando
si
associa
a
questa
malattia
è
di
tipo
AL,
ovvero
è
associata
dalla
produzione
di
catene
leggere
che
non
riescono
a
essere
catabolizzate
e
che
vengono
eliminate
per
via
urinaria,
dove
possono
aggregarsi
in
cilindri
intra-‐
tubuli
e/o
depositi
glomerulari,
che
causano
a
un’insufficienza
renale
di
tipo
ostruttivo
o
filtrativo.
21
Ricordiamo
che
Bcl-‐1
è
espresso
anche
dalla
leucemia
a
cellule
capellute
e,
soprattutto,
dal
linfoma
mantellare.
Esistono
anche
plasmocitomi
non
secernenti,
in
cui
le
plasmacellule
non
mandano
in
circolo
Ig,
in
que-‐
sto
caso
la
presentazione
clinica
è
diversa:
la
diagnosi
è
maggiormente
orientata
verso
un
tumore
me-‐
tastatico
multiplo
alle
ossa
di
altra
natura;
solo
la
diagnosi
istologica
porta
alla
definizione
della
malat-‐
tia.
• E’
una
malattia
trattabile
ma
non
curabile:
possono
esserci
molte
recidive
è
c’è
la
possibilità
di
evolu-‐
zione
leucemica.
DIAGNOSI
• La
diagnosi
integra
reperti
di
laboratorio,
come
la
qualità
e
quantità
di
Ig
circolanti
(studiate
mediante
immunoelettroforesi
e
immunofissazione),
e
reperti
istologici.
Si
effettuano
la
conta
delle
plasmacel-‐
lule
su
sangue
midollare
e,
soprattutto,
lo
studio
istologico
(morfologico
e
immunoistochimico)
della
BOM.
• Nella
BOM
le
plasmacellule
sono
almeno
il
10%
della
popolazione
mononucleata
totale:
si
osserva
una
popolazione
di
plasmacellule
che
cresce
in
maniera
sostitutiva.
Con
l’immunoistochimica
per
le
catene
pesanti
e
le
catene
leggere
(vanno
studiate
tutte)
si
dimostra
la
restrizione
monoclonale
degli
elementi
plasmacellulari,
che
esprimono
tutti
la
stessa
catena
leggera
(o
κ
o
λ)
e
la
stessa
catena
pesante.
Normalmente
sono
espresse
le
catene
IgG
o
IgA,
raramente
le
IgM.
• Contemporaneamente
alla
valutazione
della
BOM,
l’ematologo
effettua
la
conta
delle
plasmacellule
su
sangue
midollare;
però
nell’aspi
razione
ci
può
essere
una
diluizione
del
sangue
midollare
e
quindi
ci
può
essere
una
sottostima
(quindi
l’aspirato
è
meno
preciso
della
BOM).
• La
BOM
si
fa
alla
diagnosi
e
ogni
volta
che
l’ematologo
vuole
controllare
la
presenza
e
la
quantità
di
plasmacellule
nel
midollo
dopo
le
terapie
(nel
follow-‐up);
poiché
in
questo
caso
si
osserva,
oltre
alla
componente
neoplastica,
una
componente
reattiva,
è
importante
effettuale
la
conta
alla
immunoisto-‐
chimica
delle
sole
cellule
positive
alla
catena
leggera
monoclonale.
LINFOADENITI
E
MALATTIE
DEL
LINFONODO:
DIAGNOSI
DIFFERENZIALI
CON
I
LINFOMI
1)
DD
delle
proliferazioni
follicolari
dei
centri
germinativi
con
atipia
tra:
• Iperplasia
follicolare
• Linfoma
follicolare
Depongono
a
favore
del
linfoma:
• la
presenza
di
una
mutazione
• la
crescita
di
tipo
sostitutivo
• la
dimostrazione
della
monoclonalità
2)
DD
tra:
• LH,
che
può
contenere
granulomi
• Linfoadenite
granulomatosa
La
DD
è
complessa
soprattutto
nei
casi
in
cui
nel
LH
ci
sono
granulomi
con
cellule
di
Hodgkin
con
densità
minima
3)
DD
nei
quadri
di
proliferazione
con
blasti:
• Iperplasia
blastica
• Linfomi
T
con
blasti
• Linfomi
B
con
blasti
LINFOMI
T
I
linfomi
T
rappresentano
un
gruppo
di
neoplasie,
abbastanza
raro
nella
nostra
popolazione:
rappresentano
il
10%
dei
linfomi
nei
Paesi
Occidentali;
manca
una
classificazione
sistematica
che
utilizzi
come
criterio
la
differenziazione
della
cellula
di
origine
e
molte
entità
sono
denominate
a
seconda
della
sede
anatomica
coinvolta.
SCHEMA
DI
DIFFERENZIAZIONE
I
marcatori
dei
linfociti
T
sono
il
CD3,
CD2,
CD5,
CD7,
che
vengono
espressi
in
maniera
progressiva
durante
la
differenziazione.
Nella
maggior
parte
dei
casi,
i
linfociti
T
iniziano
a
svilupparsi
nel
midollo,
dove
vengono
espressi
il
CD3-‐
epsilon
a
livello
citoplasmatico
e
il
CD34
a
livello
della
membrana,
poi
viene
espresso
anche
il
CD7.
La
maturazione
prosegue
del
timo,
dove
man
mano
che
la
cellula
differenzia
(dalla
corticale
alla
midollare)
ì
acquisisce
Tdt,
CD2,
CD5
e
il
TCR
che
può
essere:
• TCRαβ
(95%),
in
questo
caso
origina
un
linfocito
T
αβ,
che
all’inizio
esprime
sia
il
CD4
sia
il
CD8,
poi
decide
se
diventare
linfocito
T
helper
CD4+/CD8-‐,
o
linfocito
T
suppressor
CD4-‐/CD8+,
• TCRγδ
(5%),
in
questo
caso
origina
un
linfocito
T
γδ
(CD4-‐/CD8-‐)
da
cui
originano
linfomi
partico-‐
larmente
aggressivi,
generalmente
epato-‐splenici
o
cutanei).
Poi
i
linfociti
vanno
nel
sangue
periferico,
circolano
e
incontrano
l’antigene.
CLASSIFICAZIONE
DEI
LINFOMI
T
Distinguiamo:
• linfomi
che
originano
dai
precursori
T,
che
possono
avere
una
presentazione
leucemica
o
linfoma-‐
tosa;
analogamente
al
linfoma
linfoblastico
B
prende
il
nome
di
linfoma
linfoblastico
T
se
si
mani-‐
festa
come
massa
linfonodale
o
mediastinica,
o
di
leucemia
linfoblastica
T
se
si
manifesta
come
leucemia
acuta.
Va
in
diagnosi
differenziale
con
le
leucemie
acute
mieloidi
non
granulate,
ovvero
non
differenziate
(M0
o
M1):
per
operare
tale
distinzione
è
indispensabile
lo
studio
dell’immunofenotipo;
• linfomi
periferici
a
cellule
T,
che
mancano
dell’espressione
del
TdT
e
possiedono
un
fenotipo
T
di
vario
tipo
(helper,
suppressor,
regolatori,
cellule
della
memoria,
ecc.);
quindi
un
linfocito
periferico
è
una
cellula
Tdt-‐negativa
e
CD3-‐positiva.
Tra
questi
ricordiamo:
o linfomi
ad
espressione
leucemica
come:
§ la
leucemia
prolinfocitica
T,
molto
rara
(1
caso
ogni
30
anni);
tra
le
malattie
linfoprolifera-‐
tive
T
non
esiste
la
LLC
T:
la
malattia
esordisce
direttamente
la
leucemia
prolinfocitica;
§ la
leucemia
a
linfociti
granulari
T,
caratterizzata
da
una
linfocitosi
T
monoclonale,
ovvero
dal
riscontro
in
circolo
di
cellule
con
granuli
e
con
attività
citotossica,
che
causano
panci-‐
topenia.
La
diagnosi
è
legata
alla
dimostrazione
della
linfocitosi
monoclonale
nel
sangue
midollare
e
periferico.
In
queste
prime
due
forme,
a
espressione
leucemica,
è
necessaria
la
BOM
e
un
esame
appro-‐
fondito
del
sangue
periferico
e
midollare
con
citofluorimetria;
o linfomi
periferici
nodali
T
come:
§ il
linfoma
angioimmunoblastico,
un
linfoma
nodale
che
deriva
dai
linfociti
T
helper
follico-‐
lari,
§ il
linfoma
T
anaplastico
a
grandi
cellule
(nodale),
un
linfoma
nodale
formato
da
cellule
grandi
con
morfologia
molto
atipica,
che
esprimono
in
maniera
molto
molto
forte
il
CD30,
§ il
linfoma
a
cellule
T
periferiche
NOS
(non
altrimenti
specificato),
un
linfoma
nodale
non
formato
da
linfociti
T
follicolari
né
da
cellule
linfomatose
CD30-‐positive;
la
diagnosi
si
fa
escludendo
le
due
forme
precedenti.
Questa
categoria
diagnostica
comprende
linfoni
ete-‐
rogenei
per
comportamento
clinico
e
istologico;
o linfomi
cutanei
come:
§ la
micosi
fungoide
e
la
sindrome
di
Sezary,
§ disordini
proliferativi
CD30+
cutanei
come:
ü la
papulosi
linfomatoide,
ü il
linfoma
anaplastico
a
grandi
cellule
cutaneo
CD30+;
è
un
linfoma
primitivo
della
cute,
simile
a
quello
anaplastico
a
grandi
cellule
nodale
ma
a
prognosi
benigna,
§ altri
linfomi
più
rari
(come
il
linfoma
T
panniculitico,
il
linfoma
T/NK
nasale,
il
linfoma
epi-‐
dermotropo,
il
linfoma
γδ);
o il
linfoma
T
enteropatico,
o altri.
La
prognosi
è:
• buona
nel
linfoma
anaplastico
a
grandi
cellule
della
cute
e
nel
lin-‐
foma
anaplastico
nodale
ALK-‐
positivo
(in
cui
è
espressa
la
chi-‐
nasi
ALK,
ovvero
la
kinasi
del
lin-‐
foma
anaplastico,
a
causa
di
una
traslocazione),
• intermedia
nella
micosi
fungoide,
che
nella
fase
iniziale
cresce
come
linfoma
indolente,
e
nel
linfoma
panniculitico,
• peggiore
negli
altri
casi.
1.
LEUCEMIA
LINFOBLASTICA
T
o
LINFOMA
LINFOBLASTICO
T
• La
leucemia
linfoblastica
T
o
linfoma
linfoblstico
T
è
una
malattia
linfoproliferativa
che
origina
dai
precursori
T
(cellula
proT).
• E’
un
linfoma
aggressivo
che
colpisce
giovani
e
adolescenti;
rappresenta
il
40%
dei
linfomi
infantili
e
il
15%
delle
leucemie
acute
linfoblastiche
pediatriche.
• La
cellula
neoplastica
presenta
un
fenotipo
immaturo
(come
quello
di
un
linfoblasto):
con
positività
a
TdT,
CD3
(di
solito
citoplasmatica
e
non
su
membrana;
c’è
una
rima
attorno
al
nucleo),
CD7;
possono
esserci
linfoblasti
che
esprimono
il
CD4
e/o
il
CD8
come
avviene
all’inizio
del
processo
di
maturazione1.
• Origina
dal
timo,
sede
della
maturazione
e
differenziazione
dei
linfociti
T,
e
si
presenta
con
una
massa
mediastinica
(mediastino
antero-‐superiore):
linfoma
linfoblastico
T.
Successivamente
può
coinvolgere
il
sangue
(leucemia
linfoblastica
T),
a
causa
della
sua
aggressività,
spesso
il
SNC.
• Per
la
diagnosi
occorre
studiare
da
un
punto
di
vista
morfologico
e
immunofenotipico
il
sangue
perife-‐
rico,
il
sangue
midollare
e
il
tessuto
midollare
prelevato
con
la
BOM;
nella
forma
linfomatosa
si
mani-‐
festa
con
una
massa
mediastinica
o
linfonodale,
in
quella
leucemica
si
osservano
leucocitosi
o
coinvol-‐
gimento
midollare
superiore
al
25%.
• Va
in
diagnosi
differenziale
con
la
leucemia
linfoblastica
B
e
le
leucemie
acute
mieloidi
non
granulate,
ovvero
non
differenziate
(M0
o
M1):
poiché
da
un
punto
di
vista
morfolo-‐
gico
tali
entità
sono
molto
simili,
per
operare
la
diagnosi
differenziale
è
indispensabile
lo
studio
dell’immunofenotipo.
• E’
un
linfoma
aggressivo
ma
potenzialmente
curabile
in
maniera
definitiva;
le
forme
B,
pe-‐
rò,
hanno
una
prognosi
migliore.
2.
LINFOMA
T
IMMUNOANGIOBLASTICO
• Il
linfoma
T
immunoangioblastico
è
un
linfoma
nodale
che
origina
dal
linfocita
T
helper
follicolare,
cellula
che
normalmente
risiede
nel
centro
germinativo
del
follicolo
linfoide
B
e
che
contribuisce
alla
risposta
immunitaria
(ovvero
alla
maturazione
B-‐T
dipendente).
• È
una
malattia
tipica
delle
persone
adulte-‐anziane
(età
media
64
anni)
che
esordisce
come
un
linfoma
in
stadio
avanzato
(III
o
IV).
• Le
cellule
linfomatose,
come
i
linfociti
T
helper
follicolari,
esprimono
il
CD4,
i
marcatori
del
centro
ger-‐
minativo
(Bcl6,
CD10)
e
marcatori
specifici
come
PD1
e
CXCL13
(è
un
ligando
della
chemochina;
carat-‐
terizza
questo
linfoma).
In
quanto
linfociti
T
periferici
esprimono
il
CD3
e
sono
negativi
al
Tdt.
• Si
manifesta
con
linfoadenomegalia
generalizzata
(con
linfonodi
di
solito
inferiori
3
cm),
accompagna-‐
ta
da
epatosplenomegalia
(66%)
e
spiccati
sintomi
costituzionali
(febbre,
calo
ponderale,
sudorazione
notturna),
rush
cutanei,
edemi
declivi2
o
versamenti
nelle
sierose.
1
Possiamo
trovarci
perciò
di
fronte
a
tre
fenotipi
diversi
1)
doppia
negatività
per
CD4
e
CD8:
tipico
del
timocita
della
corticale
timica
precoce,
2)
doppia
positività
per
CD4
e
CD8:
tipico
del
timocita
della
corticale
timica
tardivo;
3)
singola
positività:
tipico
del
timocita
della
midollare
timica.
2
Questo
perché
il
linfoma
si
accompagna
ad
una
ipergammaglobulinemia
policlonale
(prodotta
dalla
componente
B)
e
alla
perdita
di
proteine
attraverso
le
urine
che
si
riflette
nel
sangue
con
una
ipoalbuminemia,
che
giustifica
la
presenza
di
edemi
o
versamenti.
• Questi
sintomi
sono
dovuti
a
una
disfunzione
del
sistema
immunitario,
in
particolare
della
risposta
B;
infatti
la
presenza
di
cellule
linfomatose
T
evoca
un’attivazione
dei
linfociti
B
che
a
sua
volta
determi-‐
na:
o una
gammopatia
policlonale,
un’anemia
emolitica
e
la
presenza
in
circolo
di
immunocomplessi.
Ci
sono
quindi
manifestazioni
autoimmuni
e
da
ipersecrezione
di
immunoglobuline,
o una
riattivazione
dell’EBV3
e
la
proliferazione
di
cellule
B
EBV-‐positive,
che
concorre
all’insorgenza
di
sintomi
simili
a
quelli
della
mononucleosi
infettiva,
o un
aumento
della
suscettibilità
alle
infezioni;
più
del
50%
dei
pazienti
muore
non
tanto
per
il
lin-‐
foma
ma
a
causa
di
un’infezione.
• C’è
un’anamnesi
positiva
per
infezioni
virali
o
reazioni
avverse
ai
farmaci
(25%).
• E’
una
malattia
aggressiva
che
per
essere
debellata
ha
bisogno
di
una
importante
terapia.
DIAGNOSI
• La
malattia
è
diagnosticabile
solo
tramite
esame
istologico
del
linfonodo
asportato
nella
sua
interez-‐
za;
non
si
può
fare
la
diagnosi
su
agobiopsia
né
su
aspirazione
del
linfonodo
(che
può
portare
alla
erra-‐
ta
identificazione
di
un
processo
reattivo).
Per
la
stadiazione
è
indispensabile
la
BOM
(se
il
patologo
si
trova
a
refertare
la
BOM
prima
della
biopsia
linfonodale,
non
è
certo
che
arrivi
alla
diagnosi,
perché
il
quadro
midollare
non
è
caratteristico).
• L’esame
istologico
del
linfonodo
(morfologico
e
immunoistochimico)
mette
in
evidenza:
o l’espansione
dell’area
paracorticale
(area
T),
o una
spiccata
proliferazione
vascolare
delle
venule
a
endotelio
alto
del
linfonodo
(situate
nella
paracorticale),
che
formano
un
pattern
arborizzante,
o la
presenza
di
linfociti
atipici
con
citoplasma
chiaro
e
nuclei
polimorfici
e
nucleolati,
o un
infiltrato
infiammatorio
di
accompagnamento
(reattivo)
con
plasmacellule,
eosinofili,
granu-‐
lomi,
cellule
dendritiche
follicolari
proliferanti.
Le
cellule
dendritiche
follicolari
sono
le
cellule
stromali
del
centro
germinativo,
caratterizzate
da
morfologia
fusata
e
positività
a
CD21
e
CD23:
in
questa
patologia
proliferano
in
sede
extrafollicolare
attorno
ai
vasi,
formando
un
reticolo4
(quindi
non
proliferano
quindi
nella
loro
fisiologica
sede
follicolare),
o la
presenza
di
cellule
B
proliferanti
e
attivate:
si
osservano
discrete
quantità
di
immunoblasti
B
CD20-‐positivi,
presenti
o
come
singoli
elementi
o
come
cluster
proliferanti,
che
possono
diventare
anch’essi
monoclonali
ed
evolvere
in
un
linfoma
a
grandi
cellule
B
(che
si
inscrive
quindi
su
un
lin-‐
foma
T),
o tramite
l’utilizzo
di
tecniche
immunoistochimiche
l’assetto
antigenico,
che
può
essere
conservato
o
aberrante:
la
mancanza
di
antigeni
T
favorisce
la
diagnosi
di
linfomi,
o la
presenza
di
cellule
B
EBV-‐positive;
messe
in
evidenza
con
ibridazione
in
situ
per
gli
EBER.
3
Dimostrabile
con
la
presenza
di
Ab
e
DNA
virale
4
Come
nei
linfomi
follicolari,
mantellari
e
nei
marginali;
ma
in
queste
malattie
crescono
in
sede
follicolare.
• Alla
BOM
si
osservano
noduli
di
linfociti
T
come
in
chi
ha
un’infezione
in
corso
o
la
febbre
(manca
il
quadro
caratteristico
e
complesso
del
linfonodo).
• Il
follow-‐up
dipende
dalla
risposta
alla
chemioterapia
(che
nei
pazienti
molto
defedati
alla
diagnosi
non
può
essere
fatta
immediatamente):
il
paziente
può
rispondere
o
recidivare;
la
recidiva
si
valuta
con
la
BOM
e
con
l’esame
dei
linfonodi
megalici
(in
questo
caso
non
è
controindicato
il
prelievo
di
materiale
linfonodale
con
aghi
sottili).
E’
importante
conoscere
in
maniera
precisa
il
quadro
di
malattia
alla
dia-‐
gnosi
per
studiare
il
quadro
della
recidiva.
3.
LINFOMA
T
ANAPLASTICO
A
GRANDI
CELLULE
(NODALE)
• Il
linfoma
T
anaplastico
a
grandi
cellule
nodale
è
un
raro
linfoma
a
interessamento
nodale
formato
da
cellule
atipiche
mostruose,
che
va
distinto
dal
linfoma
T
anaplastico
primitivo
cutaneo.
• Si
manifesta
clinicamente
con
linfoadenomegalia,
che
può
essere
(non
sempre)
accompagnata
da
sin-‐
tomi
sistemici.
• Da
un
punto
di
vista
fenotipico
è
formato
da
cellule
linfomatose
positive
al
CD30;
gli
altri
marcatori
T
(CD3,
CD2,
CD5
e
CD7)
possono
essere
variabilmente
espressi
e
addirittura
non
espressi
per
niente
(fenotipo
null).
Nell’80%
dei
casi
la
cellula
ha
un
fenotipo
citotossico,
anche
se
non
esprime
il
CD8,
evidenziabile
con
l’espressione
di
perforina,
granzima
e
TIA1.
In
più
del
60%
dei
casi
è
espressa
ALK.
• Da
un
punto
di
vista
diagnostico
e
prognostico,
in
base
all’espressione
della
chinasi
ALK5
(chinasi
del
linfoma
anaplastico),
tale
tumore
può
essere:
o ALK-‐positivo
(più
del
60%),
se
esprime
la
chinasi
ALK,
normalmente
non
espressa
in
nessun
linfo-‐
cito.
Questa
espressione
è
causata
della
traslocazione
t(2;5)6,
quindi
dal
passaggio
di
ALK
sotto
il
controllo
del
promotore
di
un
altro
gene
presente
sul
cromosoma
5.
Questa
forma,
anche
detta
ALKoma,
è
prognosticamente
favorevole
ed
è
tipica
dei
bambini;
o ALK-‐negativo,
se
la
chinasi
ALK
non
è
espressa
perché
non
c’è
la
traslocazione;
è
prognosticamen-‐
te
sfavorevole.
DIAGNOSI
• Per
la
diagnosi
occorre
lo
studio
morfologico
del
linfo-‐
nodo;
la
BOM
è
mandatoria
per
la
stadiazione.
• Nel
linfonodo
si
osservano
grandi
cellule
mostruose,
molto
atipiche:
sono
così
grandi
tanto
da
non
sembrare
linfociti,
con
nucleoli
evidenti
(possono
essere
anche
plurinucleate).
C’è
elevata
attività
proliferativa
(eviden-‐
ziabile
tramite
Mib-‐1).
Lo
studio
immunoistochimica
del
linfonodo
mette
in
evidenza,
in
almeno
l’80%
delle
cel-‐
lule
neoplastiche,
una
positività
al
CD30
(solo
citopla-‐
5
ALK
è
stata
descritta
la
prima
volta
nei
linfomi
ma
può
essere
espressa
da
altre
neoplasie
non
ematologiche
(carci-‐
noma
del
polmone,
sarcomi
quali
proliferazioni
miofibroblastiche
dei
tessuti
molli).
Infatti
in
queste
patologie
è
indi-‐
cato
il
farmaco
anti-‐ALK.
6
Tale
traslocazione
giustappone
il
gene
ALK,
codificante
per
un
recettore
tirosin-‐chinasico,
a
un
gene
del
cromosoma
5
come
quello
che
codifica
per
la
nucleofosmina
o
per
la
claritrina.
Per
esempio
la
nucleofosmina
è
una
proteina
costi-‐
tutivamente
espressa
nelle
cellule
normali
soprattutto
a
livello
nucleare,
svolgendo
un
ruolo
di
shuttle
nucleo-‐
citoplasmatico.
Dalla
traslocazione
risulta
un
gene
(NPM-‐ALK)
dal
quale
viene
tradotta
una
proteina
chimerica
o
di
fu-‐
sione
non
esistente
nei
tessuti
normali.
In
questo
nuovo
assetto,
NPM
tende
a
risiedere
anche
nel
citoplasma
delle
cellule,
perdendo
la
sua
fisiologica
prevalente
collocazione
nucleare;
per
tale
motivo,
la
cellula
neoplastica
mostra
po-‐
sitività
all’anticorpo
anti-‐ALK
sia
nel
nucleo
che
nel
citoplasma.
smatica
o
citoplasmatica
e
nucleare,
a
seconda
della
espressione
del
partner
vicino
a
cui
è
avvenuta
la
traslocazione
di
ALK:
si
osservano
la
membrana
colorata
e
un
dot
(granulo)
perinucleare,
come
nel
lin-‐
foma
di
Hodgkin).
• La
forma
ALK-‐positiva
va
in
diagnosi
differenziale
con
le
metastasi
linfonodali
da
carcinoma
o
da
sar-‐
coma
ALK-‐positivi
(anche
tali
neoplasie
possono
esprimere
la
chinasi
ALK);
è
indispensabile
l’immunoistochimica
per
la
diagnosi
differenziale
(es.
anticorpi
contro
le
citocheratine).
4.
MICOSI
FUNGOIDE
E
SINDROME
DI
SEZARY
• La
micosi
fungoide
è
un
linfoma
T
cutaneo
molto
frequente,
il
cui
nome
deriva
dal
fatto
che
si
manifesta
con
lesioni
cutanee
che
cre-‐
scendo
diventano
rilevate
fino
a
sembrare
dei
funghi
in
fase
avan-‐
zata
(ma
non
c’è
un
fungo
come
agente
eziopatogenetico).
E’
uno
dei
più
frequenti
linfomi
T.
• E’
un
linfoma
indolente
e
asintomatica
nella
fase
iniziale
(c’è
solo
un
problema
estetico)
e
aggressivo
in
fase
avanzata.
• La
lesione
cutanea
insorge
di
solito
in
distretti
non
foto-‐esposti7
(es.
glutei,
pettorali).
Da
un
punto
di
vista
clinico
si
susseguono
tre
fasi:
o inizialmente
la
lesione
appare
come
una
chiazza
eritematosa,
anche
molto
grande,
che
simula
una
dermatite:
in
questa
fase
il
paziente,
vedendo
la
lesione,
utilizza
di
solito
creme
a
base
di
cortisone,
che
possono
avere
effetti
favorevoli,
ovvero
possono
determinano
la
regressione
della
lesione
che,
però,
poi
ritorna.
Questa
è
la
fase
più
favorevole,
in
cui
è
intercettato
il
90%
dei
pazienti,
o poi
diventa
una
placca,
o poi
diventa
un
nodulo
tumorale.
In
questa
fase
la
malattia
è
più
aggressiva
e
può
presentare
evo-‐
luzione
sistemica
e
leucemica
nella
sindrome
di
Sezary.
• La
sindrome
di
Sezary
è
la
evoluzione/variante
leucemica
della
micosi
fungoide.
E’
un
linfoma
ad
espressione
leucemico
aggressivo,
che
si
manifesta
clinicamente
con
una
triade:
o eritrodermia
generalizzata,
associata
ad
alopecia,
onicodistro-‐
fia,
ipercheratosi
palmo-‐plantare;
il
paziente
presenta
quindi
un
rossore
diffuso
(riscontrabile
anche
in
molte
patologie
dermato-‐
logiche
infiammatorie)
associato
a
prurito
(homme
rouge);
o linfoadenopatia
generalizzata,
soprattutto
inguinale
e
ascellare;
o presenza
nel
sangue
periferico
delle
cellule
di
Sezary,
in
quanti-‐
tà
superiori
a
1000/mm3:
sono
cellule
nuclei
convoluti
(cerebri-‐
formi),
CD4-‐positive,
con
anomalie
fenotipiche.
La
prognosi
è
più
sfavorevole
rispetto
alla
micosi
fungoide:
la
mortalità
è
intorno
al
50-‐60%
e
la
dia-‐
gnosi
molto
spesso
è
tardiva
perché
i
pazienti
che
presentano
questi
sintomi,
hanno
spesso
difficoltà
a
relazionarsi,
quindi
tendono
a
nascondere
la
malattia
agli
altri;
è
importante
fornire
un
supporto
psico-‐
logico.
7
Tali
lesioni
scompaiono
quando
vengono
esposte
alla
luce
solare:
pertanto
i
pazienti
vanno
incontro
tipicamente
ad
una
temporanea
scomparsa
di
tali
aree
durante
l’estate,
con
ricorrenza
durante
l’inverno.
DIAGNOSI
• Per
la
diagnosi
di
micosi
fungoide
occorre
lo
studio
istologico
della
biopsia
della
lesione
cutanea;
la
BOM
non
è
obbligatoria
come
negli
altri
linfomi,
poiché
l’interessamento
midollare
da
micosi
fungoide
è
molto
raro.
E’
obbligatorio
lo
studio
morfologico
e
immunofenoticipico
del
sangue
periferico
e
mi-‐
dollare
alla
ricerca
di
un
eventuale
clone
circolante
che
rappresenterebbe
un
fattore
prognostico
sfa-‐
vorevole.
• Nella
biopsia
cutanea
si
osserva,
nella
pri-‐
ma
fase
(chiazza),
si
osserva
un
infiltrato
infiammatorio
linfocitario
che
aggredisce
l’epidermide,
come
in
una
dermatite
aller-‐
gica
(dove
però
l’infiltrato
è
reattivo,
for-‐
mato
da
cellule
tipiche
e
sempre
policlona-‐
le).
Infatti
i
infociti
T
helper
2
cutanei
sono
richiamati
dalle
cellule
dendritiche
della
epidermide
per
mezzo
di
meccanismi
di
homing,
quindi
si
accumulano
nella
epi-‐
dermide
e
la
aggrediscono.
Nel
dettaglio,
nell’epidermide
si
osservano
linfociti
atipici
e
irregolari
con
nuclei
cerebriformi,
disposti
lungo
la
membrana
basale,
come
un
filo
di
perle,
e
aggregati
in
noduli
(ascessi
di
Pautrier),
mai
pre-‐
senti
in
una
dermatite.
Sotto
l’epidermide
si
osserva
un
infiltrato
linfocitario
a
banda.
E’
necessaria
l’immunoistochimica
che
mette
in
evidenza
la
presenza
di
una
popolazione
non
sempre
monoclonale
di
linfociti,
di
solito
T
helper
2
CD4+,
che
mostrano
un
fenotipo
aberrante,
ovvero
non
esprimono
tutti
gli
antigeni
T
(ci
può
essere
negatività
a
uno
o
più
antigeni
tra
CD2,
CD3,
CD5,
CD7);
esistono
anche
forme
rare
(1%)
in
cui
i
linfociti
atipici
sono
CD8+
o
doppio
negativi
(CD4-‐/CD8-‐).
E’
al-‐
trettanto
rara
l’espressione
di
molecole
citotossiche.
Nelle
fasi
iniziali
(chiazza
e
placca),
la
monoclonalità
è
documentabile
solo
nel
50%
dei
casi:
nei
casi
in
cui
osserva
un
infiltrato
policlonale
l’atteggiamento
terapeutico
è
conservativo
perché
ci
sono
molti
simulatori
della
dermatologia.
Con
la
progressione
della
malattia,
si
osserva
sempre
più
frequente-‐
mente
la
monoclonalità;
quando
la
malattia
è
franca
tanto
da
non
aver
bisogno
della
monoclonalità,
la
monoclonalità
è
spiccata.
Non
è
definito
il
valore
prognostico
della
presenza
o
assenza
della
monoclo-‐
nalità.
In
ogni
caso,
comunque,
il
TCR
è
di
tipo
αβ:
c’è
infatti
positività
all’anticorpo
betaF1
(il
riscontro
di
un
fenotipo
γδ
farebbe
porre
diagnosi
di
un
linfoma
cutaneo
molto
più
aggressivo).
Nelle
dermatiti
invece
si
sarebbe
osservata
una
mescolanza
di
CD4
e
CD8.
• Con
l’evoluzione
della
malattia
può
diminuire
progressivamente
l’epidermotropismo
dei
linfociti,
si
osservano
infatti
una
diminuzione
dei
linfociti
neoplastici
nella
cute
e
un
aumento
di
quelli
circolanti:
così
la
malattia
diventa
leucemica
e
insorge
la
sindrome
di
Sezary.
Un’alternativa
è
l’evoluzione
in
un
linfoma
a
grandi
cellule
o
pleomorfo:
le
cellule
diventano
più
grandi
e
può
presentarsi
l’espressione
del
CD30,
assumendo
perciò
caratteristiche
simili,
morfologicamente
e
fenotipicamente,
ai
linfomi
no-‐
dali.
• Nella
sindrome
di
Cezary
si
osservano
linfociti
a
livello
cutaneo
(che
spiegano
l’eritrodermia)
ma
in
mi-‐
nori
quantità:
l’infiltrato
è
minimo
(sembra
in
fase
iniziale);
è
fondamentale
per
la
diagnosi
lo
studio
morfologico
e
immunoistotipico
del
sangue
periferico.
Non
è
obbligatoria
la
BOM.
In
questa
fase
il
ruolo
dell’anatomopatologo
è
limitato
perché
la
malattia
è
sistemica
e,
infatti,
senza
correlazioni
anatomo-‐cliniche,
non
può
arrivare
alla
diagnosi.
5.
PAPULOSI
LINFOMATOIDE
• La
papulosi
cutanea
è
un
disordine
linfoproliferativo
cutaneo
CD30+
che
colpisce
i
giovani
adulti.
• Si
manifesta
con
un’eruzione
papulo-‐nodulare
ricorrente
necrotica
au-‐
tolimitante:
si
osservano
piccole
papule
cutanee
che
si
formano,
vanno
incontro
a
necrosi
e
ulcerazione,
regrediscono
e
poi
ricompaiono.
• E’
un
linfoma
abortivo,
non
completamente
sviluppato
formato
da
cel-‐
lule
positive
a
CD3,
CD4
e
CD30;
regredisce
a
volte
da
solo
a
volte
con
trattamenti
chemioterapici.
Quindi
è
un
linfoma
talmente
indolente
da
essere
classificato
come
un
disordine
linfoproliferativo
monoclonale.
• La
prognosi
è
favorevole
nel
100%
dei
casi:
non
è
un
linfoma
franco
ma
è
associato
a
un
rischio
di
pro-‐
gressione.
Infatti
i
pazienti
non
muoiono
ma
sono
predisposti
allo
sviluppo
di
altri
linfomi
CD30-‐
positivi
(linfoma
di
Hodgkin,
linfoma
anaplastico
a
grandi
cellule);
pertanto
occorre
impostare
un
fol-‐
low-‐up.
La
terapia
farmacologica
è
indicata
solo
se
la
malattia
si
presenta
con
molte
riacutizzazioni
ed
è
fastidiosa.
• Per
la
diagnosi
occorre
l’esame
istologico
e
immunoistochimico
della
biopsia
cutanea.
L’infiltrato
lin-‐
fomatoso,
formato
da
cellule
atipiche
CD30-‐positive
che
formano
cluster
coesivi,
può
essere
di
tre
tipi
(che
differiscono
solo
da
un
punto
di
vista
morfologico
e
non
da
un
punto
di
vista
prognostico).
o tipo
A
(84%):
si
osserva
una
lesione
superficiale
“a
V”
con
ulcerazione
formata
da
infiltrato
in-‐
fiammatorio
e
sparse
cellule
anaplastiche
CD30+
simil-‐Hodgkin,
o tipo
B
(3%):
si
osserva
un
infiltrato
a
banda
intra-‐
e
sottoepidermico
con
aggressione
dell’epidermide;
l’aspetto
è
simile
a
quello
della
micosi
fungoide
(MF-‐like),
o tipo
C
(13%):
si
osserva
un
tumorale,
formato
da
un
tappeto
diffuso
di
blasti
CD30-‐positivi;
l’aspetto
è
simile
a
quello
del
linfoma
anaplastico
a
grandi
cellule
(ACLC-‐like).
6.
LINFOMA
ANAPLASTICO
A
GRANDI
CELLULE
CUTANEO
CD30+
• Il
linfoma
anaplastico
a
grandi
cellule
cutaneo
CD30+
è
un
linfoma
primitivo
della
cute
che
insorge
nell’adulto.
• E’
un
linfoma
indolente
con
un’ottima
prognosi:
la
so-‐
pravvivenza
a
5
anni
è
del
90%.
Potenzialmente,
può
andare
incontro
a
parziale
regressione.
• E’
formato
da
cellule
CD30-‐positive
(per
più
dell’80%),
alcune
esprimono
il
CD4
altre
il
CD8;
il
CD3
è
variabil-‐
mente
espresso
e
non
c’è
mai
l’espressione
di
ALK
(la
sua
positività
sarebbe
indicativa
di
una
localizzazione
cu-‐
tanea
di
un
linfoma
sistemico).
• Si
manifesta
con
lesioni
cutanee
fungoidi
molto
rosse
(massimo
di
2
cm),
solitarie
o
multiple
localizza-‐
te
in
una
stessa
area,
che
tendono
a
ulcerarsi
(a
volte
le
ulcere
sono
grandi).
E’
localizzato
esclusiva-‐
mente
a
livello
cutaneo.
C’è
una
discordanza
tra
le
manifestazioni
cliniche
e
la
morfologia:
si
osserva-‐
no
casi
con
lesioni
cutanee
molto
grandi
in
cui
la
trasformazione
neoplastica
è
bordeline.
• Per
la
diagnosi
è
fondamentale
lo
studio
morfologico
e
immunoistochimico
della
biopsia
cutanea:
l’aspetto
istologico
è
sovrapponibile
a
quello
del
linfoma
anaplastico
nodale
(ma
è
ALK-‐negativo).
La
diagnosi
viene
perciò
confermata,
se
soddisfa
questi
criteri:
o presenza
per
oltre
l’80%
di
cellule
CD30+
ALK-‐negative;
o morfologia
anaplastica
delle
cellule;
o localizzazione
esclusivamente
cutanea.
Per
valutare
la
prognosi,
è
fondamentale
capire
se
la
lesione
è
un
linfoma
primitivo
della
pelle
(prognosi
buona)
o
una
loca-‐
lizzazione
cutanea
di
un
linfoma
sistemico.
Va
inoltre
in
dia-‐
gnosi
differenziale
con
la
trasformazione
tumorale
a
grandi
cel-‐
lule
della
micosi
fungoide.
Inoltre,
questi
linfomi
a
volte
danno
anche
una
proliferazione
dell’epidermide
che
inducono
il
der-‐
matologo
ad
identificarli
come
un
epitelioma
o
un
carcinoma
squamo-‐cellulare.
7.
ALTRI
LINFOMI
CUTANEI
Gli
altri
linfomi
cutanei
vengono
descritti
in
base
alla
sede
coinvolta
• Linfoma
panniculitico:
molto
frequente
nei
bambini,
è
un
linfoma
a
localizzazione
nel
tessuto
adiposo
sottocutaneo,
formato
da
linfociti
CD8+
che
circonda
i
lobuli
di
tessuto
adiposo.
Risponde
alla
terapia
con
steroidi
e
la
sopravvivenza
a
5
anni
è
dell’80%.
• Linfoma
CD8+
indolente
dell’orecchio
(ci
sono
delle
sedi
preferenziali
per
i
linfomi).
• Linfoma
nasal-‐type:
è
un
linfoma
a
cellule
NK,
CD56+
(marcatore
citotossico)
e
spesso
associato
all’EBV.
Affligge
più
frequente
gli
uomini
adulti.
E’
necrotico
e
molto
aggressivo.
• Linfoma
CD8+
citotossico
ed
epidermotropo:
è
un
linfoma
molto
raro
che
presenta
un
comportamen-‐
to
aggressivo
con
spiccato
tropismo
cutaneo
e
crescita
in
profondità.
Porta
alla
formazione
di
papule,
placche
e
masse
ulcerate.
C’è
un
rapido
interessamento
di
molti
distretti
corporei:
spesso
coinvolge
il
polmone,
i
testicoli,
il
SNC
e
la
cavità
orale.
Si
distingue
dalla
micosi
fungoide
CD8+
attraverso
la
conoscenza
di
informazioni
cliniche:
in
questo
ca-‐
so
il
paziente
sta
molto
male
e
ha
la
febbre.
• Linfoma
γδ:
è
un
linfoma
estremamente
aggressivo
a
prognosi
infausta
(può
presentare
3
sottotipi
istologici:
epidermotropico,
dermico
e
sottocutaneo).
E’
formato
da
linfociti
T
che
esprimono
il
TCR
γδ
e
il
CD56.
Già
alla
diagnosi
sono
interessati
altri
organi
extracutanei.
8.
LINFOMA
T
ENTEROPATICO
• Il
linfoma
T
enteropatico
è
un
raro
linfoma
associato
a
malas-‐
sorbimento
e
caratterizzato
da
ulcere
digiunali,
che
possono
evolvere
in
una
perforazione:
in
questo
caso
il
paziente
viene
operato
di
urgenza.
• La
diagnosi
viene
fatta
o
su
biopsia
digiunale,
in
un
paziente
che
presenta
i
sintomi
del
malassorbimento,
o
su
pezzo
chiru-‐
gico
(nei
casi
di
perforazione).
• Si
osserva
una
proliferazione
monoclonale
di
linfociti
che
infil-‐
tra
le
ghiandole
e
i
villi
dell’intestino
(compreso
l’epitelio
di
superficie),
alterando
l’architettura
della
mucosa.
Va
in
dia-‐
gnosi
differenziale
con
la
celiachia,
in
cui
però
l’infiltrato
di
lin-‐
fociti
è
policlonale
(non
aberrante).
LINFOMA
DI
HODGKIN
(LH)
• Il
linfoma
di
Hodkgin
è
una
malattia
linfomatosa
che
origina
da
una
cellula
B;
è
un
linfoma
molto
fre-‐
quente,
separato
da
tutti
gli
altri
linfomi
per
motivi
storici.
E’
stato
descritto
la
prima
volta
da
Thomas
Hodgkin
nel
XIX
sec.
(quindi
un
secolo
prima
dell’avvento
dell’immunoistochimica
e
della
biologia
mo-‐
lecolare).
• Può
colpire
tutte
le
età
ma
presenta
due
picchi
di
incidenza
nell’età
giovanile
e
anziana.
• E’
una
malattia
nodale,
che
colpisce
prevalentemente
i
linfonodi
latero-‐cervicali,
toracici
e
addomina-‐
li;
si
diffonde
lungo
la
catena
linfonodale
per
continuità
e
non
in
maniera
segmentaria.
I
casi
diagnosti-‐
cati
in
cui
c’è
interessamento
extranodale
sono
sospetti.
DIAGNOSI
• E’
formato
da
una
componente
minoritaria
(inferiore
al
5%)
di
cellule
neoplastiche
associate
a
una
componente
infiammatoria
di
accompagnamento
(preponderante).
La
classificazione
si
basa
sul
tipo
di
cellula
neoplastica
e
sulla
composizione
della
componente
infiammatoria.
• La
diagnosi
si
fa
con
lo
studio
istologico
e
immunoistochimico
della
biopsia
linfonodale;
la
BOM
a
fini
stadiativi
non
è
obbligatoria
secondo
le
linee
guida
(ma
di
solito
viene
fatta
per
studiare
l’interessamento
midollare).
E’
difficilissimo
diagnosticare
questa
malattia
con
la
citofluorimetria
su
aspirato
linfonodale,
in
quanto
le
cellule
diagnostiche
(comunque
osservabili
su
preparato
citologico
ma
meglio
su
preparato
istologico)
sono
la
minoranza.
• La
cellula
neoplastica
può
essere
di
diversi
tipi;
possiamo
osservare:
o cellule
neoplastiche
grandi,
atipiche,
mono-‐
o
multinucleate,
con
fenotipo
classico,
con
negativi-‐
tà
per
i
marcatori
B,
T
e
CD45
e
positività
assoluta
per
CD30
e
CD15
(per
entrambi
è
di
membrana
e
dot-‐like)
e
meno
marcata
per
MUM1;
il
CD20
può
essere
espresso
ma
in
maniera
non
omoge-‐
nea.
Nel
dettaglio,
in
questo
caso,
la
cellula
B
neoplastica
è
stata
“azzoppata”
durante
la
trasformazio-‐
ne
neoplastica:
perde
la
capacità
di
produrre
Ig
(Ig-‐),
perde
il
CD20
(solo
a
volte
è
espresso),
ed
esprime
poco
o
per
niente
i
fattori
di
trascrizione
delle
Ig
(BOB1
e
OCT2);
l’unica
testimonianza
dell’origine
B
della
cellula
è
la
debole
positività
per
PAX5.
Distinguiamo:
§ la
cellula
classica
di
Reed-‐Sternberg,
formata
da
due
nuclei
nucleolati
(grandi
quanto
un
nu-‐
cleo
di
un
piccolo
linfocita),
a
occhio
di
civetta
(v.
fig.
a
sx);
a
volte
è
multinucleata,
§ la
cellula
di
Hodkgin,
come
la
precedente
ma
mononucleata
(con
nucleolo
grande),
§ la
cellula
lacunare,
che
si
osserva
quando
il
linfoma
si
accompagna
a
sclerosi
(variante
sclero-‐
si
nodulare):
è
una
cellula
con
nucleo
ben
visibile
e
citoplasma
retratto
in
una
lacuna
(come
le
gambe
di
un
ragnetto
dentro
uno
spazio
vuoto;
v.
fig.
a
dx);
o la
cellula
PL
(prevalenza
linfocitaria)
o
popcorn
o
L&H:
è
una
cellula
grande
con
un
nucleo
scoppiato,
cromatina
fine
(come
un
popcorn)
e
senza
nu-‐
cleoli.
Presenta
un
fenotipo
diverso
dalle
cellule
precedenti:
è
negativa
a
CD30
e
CD15,
e
presenta
forte
positività
a
CD20,
caratteristica
della
varian-‐
te
a
prevalenza
linfocitaria
nodulare
(5%).
Questa
cellula
è
ancora
in
grado
di
formare
Ig
(Ig+)
ed
è
positiva
a
PAX5
(marcatore
della
cellula
B
funzionante),
i
fattori
di
trascrizione
delle
Ig
(BOB1,
OCT2),
BCL6
(generalmente,
indicativo
che
queste
cellule
derivano
dal
centro
germinativo)
e
negativa
a
MUM1.
• Quindi
partendo
dall’identificazione
di
queste
cellule
mediante
studio
del
fenotipo
di
membrana
(CD30,
CD15,
CD20),
distinguiamo
due
forme
di
LH
con
prognosi
diversa:
o il
LH
classico
(95%):
che
contiene
cellule
tumorali
CD30-‐positive
e
CD20-‐negative
(nella
maggior
parte
dei
casi),
accompagnate
da
un
infiltrato
infiammatorio
eterogeneo
e
variabile
(formato
da
linfociti,
plasmacellulare,
macrofagi,
eosinofili,
neutrofili,
fibroblasti,
reazione
granulomatosa).
La
prognosi
non
è
eccellente,
perché
il
20%
dei
pazienti
non
guarisce
con
le
terapie
specifiche
per
il
LH
(diverse
da
quelle
degli
altri
linfomi)
e
c’è
tendenza
alla
recidiva.
Distinguiamo
4
varianti:
§ sclerosi
nodulare
(70-‐75%):
è
formata
da
noduli
sepimenta-‐
ti
da
spessi
tralci
sclerotici
e
contenenti
cellule
lacunari
(diagnostiche)
accompagnate
da
piccoli
linfociti
e
altre
cel-‐
lule
infiammatorie;
le
altre
varianti
sono
invece
diffuse.
E’
frequente
nei
giovani,
ha
una
prognosi
eccellente.
Una
variante
particolare
è
quella
sinciziale
(o
di
tipo
II),
che
si
osserva
quando
c’è
una
proliferazione
coesiva
di
queste
cellule
che
simula
il
linfoma
B
a
grandi
cellule
del
mediasti-‐
no;
poiché
entrambi
i
casi
si
presentano
con
masse
media-‐
stiniche,
il
riscontro
del
fenotipo
classico
del
LH
(CD30+
e
CD15+)
permette
la
diagnosi
differenziale;
§ cellularità
mista:
da
un
punto
di
vista
architettonico
non
ci
sono
né
noduli
né
sclerosi;
è
caratterizzata
dalla
presenza
di
cellule
di
Hodgkin
e
di
Reed-‐Sternberg,
accompagnate
da
un
infiltrato
infiammatorio
importante
e
misto
(formato
da
eosinofili,
neutrofili,
macrofagi,
plasmacellule,
linfociti),
da
cui
il
nome.
E’
più
frequente
negli
over
50;
§ ricca
in
linfociti
(5%):
è
caratterizzata
dalla
presenza
di
cel-‐
lule
di
Hodgkin
e
di
Reed-‐Sternberg,
accompagnate
da
un
infiltrato
infiammatorio
ricco
di
soli
linfociti
(quindi
a
com-‐
ponente
di
accompagnamento
è
la
stessa
della
prevalenza
linfocitaria
nodulare).
Eventualmente
ci
possono
essere
no-‐
duli
di
linfociti,
ma
non
c’è
mai
sclerosi;
§ deplezione
linfocitaria
(<1%):
a
differenza
delle
prime
due
non
si
osservano
né
noduli
con
sclerosi
né
cellularità
mista;
è
caratterizzata
dalla
prevalenza
di
cellule
di
Hodgkin
e
di
Reed-‐Sternberg
molto
atipiche
e
da
una
deplezione
della
componente
infiammatoria:
questo
aumento
delle
cellule
neoplastiche
rappresenta
l’ultimo
stadio
di
malattia.
La
pro-‐
gnosi
è
sfavorevole.
Ci
può
essere
un
certo
grado
di
fibrosi
sparsa.
o il
LH
a
prevalenza
linfocitaria
nodulare
(5%):
formato
da
cellule
neoplastiche
PL
CD20+,
CD30-‐,
CD15-‐,
e
da
un
infiltrato
di
ac-‐
compagnamento
formato
da
linfociti
follicolari
(B
e
T
helper
fol-‐
licolari),
ed
eventualmente
granulomi
epitelioidei
e
macrofagi
(non
sono
presenti
neutrofili,
plasmacellule,
eosinofili).
In
sintesi
è
formato
da
cellule
neoplastiche
che
derivano
dal
centro
ger-‐
minativo
(positive
a
BCL-‐6),
accompagnate
da
linfociti
follicolari.
La
malattia
è
spesso
localizzata
in
una
sede:
c’è
un
linfonodo
in-‐
grandito
con
noduli.
In
fase
iniziale
si
osserva
una
progressiva
trasformazione
dei
centri
germinativi:
il
follicolo
si
frammenta
e
le
cellule
neoplastiche
vengono
rosettate
da
cellule
reattive;
si
osservano
rosette
di
linfociti
T
helper
follicolari
(CD3+,
CD20-‐,
CD57+
e
PD1+)
e
sono
presenti
anche
cellule
dendritiche
follico-‐
lari
(CD21+
e
CD23+).
A
differenza
del
LH
classico,
la
prognosi
è
eccellente
(soprattutto
se
sono
coinvolte
1-‐2
stazioni):
tolto
il
linfonodo
il
paziente
non
ha
una
progressione.
Nell’1%
dei
casi
può
complicarsi
in
un
lin-‐
foma
B
a
grandi
cellule8.
• Secondo
linee
guida
lo
studio
del
midollo
non
è
obbligatorio
nell’LH
classico,
ma
viene
fatto
sempre.
Per
la
diagnosi
di
localizzazione
midollare
bisogna
osservare
almeno
una
cellula
neoplastica
di
Reed-‐
Sternberg;
il
solo
reperto
di
noduli
linfoidi,
anche
con
eosinofili
o
granulomi,
non
è
diagnostico:
si
re-‐
ferta
come
“midollo
con
noduli
linfoidi,
indenne
da
localizzazione
di
linfoma”.
8
Linfoma
B
a
grandi
cellule
T-‐cell/histiocytic
rich
(ricco
di
linfociti
e/o
istiociti).
E’
una
variante
specifica
del
linfoma
B
diffuso
a
grandi
cellule.
Ha
una
struttura
generale
simile
a
quella
del
LH
a
prevalenza
linfocitaria
nodulare,
da
cui
diffe-‐
risce
perché
non
presenta
un'architettura
nodulare,
la
cellula
T
di
accompagnamento
non
è
un
linfocita
T
helper
folli-‐
colare
ma
un
T
CD8,
e
non
deriva
dal
follicolo.
Nel
tempo
si
è
visto
che
i
pazienti
che
hanno
il
LH
a
prevalenza
linfocitaria
nodulare,
possono
avere
nei
linfonodi
vicini
delle
alterazioni
che
si
considerano
una
possibile
fase
iniziale
di
malattia,
in
quanto
potrebbe
essere
seguita
dalla
pro-‐
gressiva
trasformazione
del
centro
germinativo.
Quando
il
centro
germinativo
si
trasforma,
il
centro
viene
frammenta-‐
to
dal
mantello
che
si
espande
e
in
qualche
modo
i
linfociti
T
e
B
si
mescolano
ai
centroblasti
del
centro
germinativo,
quindi
si
crea
una
specie
di
grosso
follicolo
anomalo,
in
cui
si
vede
qualche
centroblasto
con
la
rosetta
attorno
(questa
non
è
una
fase
neoplastica).
Spesso
questa
lesione
la
diagnostichiamo
perché
i
pazienti
si
presentano
con
le
linfoadenomegalie,
ma
è
una
diagnosi
differenziale,
non
è
una
malignità;
è
vero
però
che
i
pazienti
che
hanno
la
prevalenza
linfocitaria
nodulare,
possono
avere
negli
altri
linfonodi
questo
tipo
di
lesioni,
quindi
è
da
ricordare
questa
associazione.
23.$PATOLOGIA$NON$NEOPLASTICA$DEL$RENE:$GLOMERULONEFRITI$E$ALTRE$NEFROPATIE$
!
!
ANATOMIA$NORMALE$DEL$GLOMERULO$
$
Il!glomerulo!è!un!letto!capillare!mirabi1
lis! che! si! forma! alla! confluenza! di! due!
vasi:! l’arteriola! afferente,! che! porta! il!
sangue! al! glomerulo,! e! l’arteriola! effe1
rente.! Il! sangue! immesso! si! accumula!
al!polo!vascolare!in!un!seno!da!cui!par1
tono!anse$ capillari!(formano!una!mas1
sa! cerebriforme):! sono! come! dei! loop!
attorcigliati! su! se! stessi! (e! non! dritti,!
come! una! scala! a! chiocciola,! per! au1
mentare!la!superficie).!
A! livello! dei! capillari$ glomerulari! av1
viene!la!filtrazione,!quindi!la!formazio1
ne!della!preurina!che!si!accumula!nello!
spazio! di! Bowman,! da! qui! si! immette!
nel! tubulo! renale,! che! origina! nel! glo1
merulo! dalla! parte! opposta! del! polo!
vascolare.!!
Al!centro!tra!le!anse!capillari,!quindi!nel!mezzo!dei!vasi!(in!greco!“mèsos'àngios”),!c’è!il!mesangio,!il!“palo!di!
sostegno!della!scala!a!chiocciola”;!è!costituito!da!cellule!e!da!matrice$ricca$di$collagene$di$tipo$IV.!Le!cellule!
del!mesangio:!!
• partecipano!al!metabolismo!della!membrana!basale!glome1
rulare,!
• hanno!un’attività$macrofagica:!sono!macrofagi$fissi8;!even1
tuali!sostanze!da!fagocitare!presenti!nel!letto!capillare!ven1
gono!captate!e!metabolizzate,!
• una!ipotetica!terza!funzione!è!la!stessa!delle!cellule!mioepi1
teliale:!hanno!funzione$contrattile,!riducono!il!lume!dei!ca1
pillari!e!regolano!la!filtrazione!glomerulare.!
I! capillari! glomerulari! sono! delimitati! da! una! membrana$ basale! e!
sono!formati!da!endotelio$fenestrato!con!cellule!aventi!il!nucleo!po1
larizzato! verso! il! mesangio:! questi! due! aspetti! favoriscono! la! filtra1
zione.! All’esterno! ci! sono! i! podociti$ o$ epiciti$ (l’analogo! dei! periciti!
nei!capillari!periferici):!sono!cellule!con!prolungamenti,!piccoli!piedi,!
che! poggiano! direttamente! sulla! membrana! basale,! e! con! i! nuclei!
(visibili!all’EE),!che!si!trovano!anch’essi!perifericamente!nel!punto!di!
contatto!tra!MB!e!mesangio,!così!non!ostruiscono!la!filtrazione.!
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
8!Gli!istiociti!fissi!sono:!le!cellule!mesangiali,!le!cellule!di!Kupferr!nel!fegato!e!le!cellule!di!sponda!dei!sinusoidi!splenici!
situati!nella!polpa!rossa!(si!rallenta!la!circolazione,!aumenta!il!tempo!di!contatto!tra!il!sangue!e!le!cellule!di!sponda!e!
viene!favorita!l’emocataresi).!
rene è condizionata da vari fattori, fra i quali è premi- spite. Fra le p
nente la dimensione. IC di piccole dimensioni, forma- • la carica el
tisi in forte eccesso di Ag, hanno scarsa propensione a cariche ani
depositarsi, così come quelli di grandi dimensioni, for- m.b.g. e de
matisi in forte eccesso di Ac che sono rapidamente al- raggiungon
lontanati dal circolo per fagocitosi da parte del sistema gli IC a car
macrofagico. sottoendote
La condizione più favorevole per la deposizione degli • la struttura
IC èe$quella
Podociti! e! cellule! endoteliali! garantiscono! l’integrità$ morfologica$ di aggregati
funzionale$ di medie
della$ dimensioni, basale,!
membrana$ formati complessa,
in condizioni di lieve eccesso di Ag che sfuggono alla della m.b.g.
quindi!la!filtrazione:!questa!funzione!è!persa!nelle!glomerulonefriti.!fagocitosi. Nel glomerulo gli IC possono localizzarsi in doteliale de
varie sedi (Figura 13.4), interagendo con gli altri prota- Fra i fattori le
La!membrana$ basale!non!riveste!tutto!il!capillare,!ma!nel!punto!di!contatto!tra!capillare!e!mesangio!si$
gonisti del processo infiammatorio ed esercitando ca- riL • la pressione
flette!a!rivestire!il!mesangio!e!quindi!va!a!rivestire!un!altro!capillare!(cioè!riveste!solamente!la!parte!del!ca1 cumulo deg
• l’efficienza
pillare! che! sporge! all’interno! dello! spazio! di! filtrazione);! di! crofagico) e
conseguenza! c’è! un! contatto$ diretto! tra! area! mesangiale! e! re gli IC in
B
L’accumulo d
cellula! endoteliale:! questo! favorisce! la! fagocitosi! di! sostanze! namico prodo
zione e, dall’a
da!eliminare!(es.!complessi!immuni)!presenti!nel!sangue.! A
C
nismi di fagoc
Lo! spazio$ di$ filtrazione! è! delimitato! all’esterno! dalla! capsula$ bilizzazione d
di$ Bowmann,! formata! da! una! membrana,! simile! quella! delle! M Ac anti-cellule
EN
dimostrato in
membrane! basale,! e! da! un! epitelio! che! continua! con! quello! sperimentali.
te della sua p
dei! podociti! a! livello! del! polo! vascolare! e! con! quello! giali sono sta
dell’epitelio!tubulare!al!polo!opposto.! depositi di Ig
GN lupica, m
In!sintesi!le!zone$del$glomerulo,!in!cui!si!possono!accumulare!i! D
25
20
15
Patients (%)
10
0
ep e
ep or
di ge
sc ve
e
e
y
is
hy
rs
is
is
s
ep us
di ial
s
sc d
ep d
iti
iti
on tiv
iti
iti
as
as
th
iti
os
os
os
lo te
on te
he
ro si
an
on e
on o
t
it
hr
hr
hr
hr
se
se
hr
pa
pa
ul as
ul ra
ul an
ru en
ph ten
ul ia
id
ler
ler
rst
Ot
ch
ep
er fe
er ise
er soc
ylo
ro
ro
er br
te
ne per
i
um
sn
ph
ph
om t d
om g
om m
om ro
in
Am
om as
gl l se
Hy
gl Me
pu
ne
ne
gl op
lo
gl osi
gl A-
im
bu
ca
Lu
an
C
A
ic
in
C3 dep
AN
Fo
Ig
Tu
et
M
br
ab
em
e
ns
Di
M
De
Glomerulonephritides
Figure 1: Kidney biopsy diagnoses in 2243 adult patients undergoing native kidney biopsy at the Division of Nephrology, Aachen University Hospital,
Aachen, Germany, between 1990 and 2013
ANCA=anti-neutrophil cytoplasmic antibodies. Data from Schlieper and colleagues (Schlieper G, Aachen University Hospital, Aachen, Germany, personal communication). $
$
Differential diagnosis shown in the appendix. A renal biopsy is deemed a safe
Although nephrotic syndrome and rapidly progressive procedure if conditions are optimised (ie, experienced
renal failure are suggestive of a glomerulonephritis, physician, normal coagulation, no antiplatelet drugs for
most other clinical and laboratory findings carry a broad 7 days, normal blood pressure, no urinary tract infection,
range of differential diagnoses, including many non- and biopsy under ultrasound view with a 16–18 gauge
GLOMERULONEFRITI$PRIMITIVE$
$
GLOMERULONEFRITE$ENDOTELIOLMESANGIALE$(POSTLSTREPTOCOCCICA$o$POSTLINFETTIVA)$
Gallo 13.qxd 4-10-2007 14:50 Pagina 813
La!GN!endotelio1mesangiale!è!la!forma!più!comune!di!GN.!
• Si! manifesta! con! un’alterazione! della! funzione! renale! (ematuria,! proteinuria! e! s.! nefritica)! nei! pa1
Glomeru
zienti!dopo$2L3$settimane!da!una!tonsillite!streptococcica:!durante!l’infezione!vengono!infatti!libe1 immuno
rati!gli!antigeni!dello!streptococco!che!stimolano!la!produzione!di!IgG,!quindi!si!formano!immunoL
complessi!che!si!depositano!a!livello!del!glomerulo!e!dei!vasi9!in!generale.!Si!osservano!infatti!deL
positi$ di$ immunocomplessi! prima! sottoendoteliali! larità raggiu
a
poi!mensangiali,!formati!soprattutto!da!IgG!e!C3.!Se! due settiman
damente rist
l’alterazione! della! funzione! renale! insorge! il! giorno! settimane. P
dopo! una! tonsillite! o! faringite,! non! è! una! GN! post1 chiede anch
L’indagine II
infettiva:! vuol! dire! che! gli! Ab! sono! già! pronti! (es.! depositi mo
malattia!di!Berger,!v.!dopo).! stribuiti, prev
il tipico aspe
• Nella!fase$iniziale!si!osservano!granulociti$neutrofili! forme meno
nel!lume!dei!capillari!(ipernucleosi).! La positività
frazione C3
Infatti!il!deposito!di!immunocomplessi,!formatosi!in! (prevalentem
prima! istanza! livello! della! membrana! basale! nel! desta. Il repe
b la presenza
punto! di! filtrazione! (spazio! sottoendoteliale),! de1 evidenzia gr
termina,! mediante! l’attivazione! del! complemento,! isolati, fortem
ne della mala
chemiotassi!e!richiamo$ di$ neutrofili!(e!qualche!eo1 tre compaio
sinofilo)!che!riempiono$il$lume$capillare$(anche!nel1 sangiali.
le!batteremie!ci!sono!nel!lume!i!neutrofili,!in!questo! Correlazioni
della sindrom
caso!richiamati!dalla!presenza!del!batterio!e!non!dal! te alla iperc
complemento);! così! diminuisce! la! circolazione! di! cielo stellato
mesi success
sangue!e!la!filtrazione:!c’è!un’insufficienza$renale$di! proliferazion
grado! variabile! co! oliguria! che! determina! un! au1 li, il quadro
c desta protein
mento!della!pressione!arteriosa.! prognosi è b
Inoltre,! il! complemento! e! gli! enzimi! lisosomiali! dei! casi nei bam
luzione è m
neutrofili!forano$la$MB!e!le!emazie!fuoriescono:!c’è! tologia urin
ematuria$con!formazione!di!cilindri!eritrocitari;!poi1 sia pure do
morfologici
ché! si! alterano! anche! i! legami! delle! glicoproteine! un’importan
della! MB,! passano! anche! le! proteine:! c’è! proteinuL vascolare.
ria.!In!questa!prima!fase!si!attiva,!sempre!grazie!alla!
mediazione! del! complemento,! anche! la! coagulazio1 GLOMER
ne,!che!tenta!di!riparare!la!MB.! FIGURA 13.5 GN acuta post-infettiva. a) m.o.: quadro di iper- PROLIFE
cellularità glomerulare per proliferazione endoteliale e infiltra-
• Nella! fase$ tardiva! si! osservano! proliferazione$ meL zione leucocitaria. b) IIC: positività per C3 in granuli sparsi a Definizione e
cielo stellato. c) m.e.: proliferazione endocapillare e depositi
sangiale!con!aumento$della$matrice.! elettrondensi subepiteliali (humps) indicati dalle frecce. a un quadro
di semilune.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! pillari sono r
9!La!deposizione!degli!immunocomplessi!nei!vasi!determina!la!formazione!di!un!nodulo!reumatico.!Nel!dettaglio,!il!noL
glomerulari si accompagnano edema diffuso e infiltra- di GN senza
zione
dulo$ reumatico! si! forma! a! seguito! della! deposizione! in! un! vaso! di! un! infiammatoria
complesso! dell’interstizio
immune! (contenente!e la un!
presenza di
antigene! stico o prog
emazie nel lume dei tubuli. lari configur
streptococcico),!seguita!da!attivazione!del!complemento!e!necrosi!fibrinoide!della!parete!del!vaso!che!poi!si!estende!ai!
La tipologia e la gravità delle lesioni sono condiziona- quando coin
tessuti!circostanti)stimolando)una)reazione)istiocitaria)giganto1cellulare;(pertanto(un(nodulo(reumatico(è(costituito(da(
te dal momento in cui si esegue la biopsia. L’ipercellu- Le GN prol
una!parte!centrale!di!tessuto!necrotico,!circondato!da!cellule!istiocitarie!che!delimitano!e!cercano!di!eliminare!questo!
materiale!necrotico.! 813
Le!sedi!principali!dei!noduli!reumatici!sono!ginocchio$e$gomito,!perché!sono!sedi!in!cui!frequentemente!si!può!avere!
un! microtrauma! della! parete! vasale,! soprattutto! dell’endotelio:! questo! danno! endoteliale! favorisce! il! deposito! del!
complesso!immune!che!attiva!il!complemento.!
Gli! immunocomplessi! sono! fagocitati!
dal!mesangio!e!si!spostano!in!questo!di1
stretto! dove! vengono! degradati.! Il! dan1
no! si! sposta! quindi! nel! mesangio,! dove!
aumentano! le! cellule! e! la! matrice:! il!
mesangio! si! è! attivato! perché! deve!
svolgere! una! funzione! di! rimozione;!
questo! spostamento! di! sede! del! danno!
è!possibile!perché!è!la!MB!non!si!inter1
pone!tra!mesangio!e!capillari.!
Il!lume!è!nuovamente!pervio,!il!sangue!circola!e!vengono!meno!la!sindrome!nefritica!e!la!insuffi1
cienza!renale!(se!ci!fosse!sarebbe!dovuta!dalla!solidificazione!dei!glomeruli),!ma!c’è!ancora!proteiL
nuria!perché!non!è!stata!ancora!ripristinata!l’integrità!della!MB.!
• Il!quadro!clinico!è!caratterizzato!dalla!sindrome$nefritica!in!fase!iniziale!(o!acuta)!e,!in!fase!tardiva!
(o!cronica),!da!proteinuria$con$ematuria!entrambe!modeste.!I!termini!acuta!e!cronica!si!riferiscono!
alla!storia!naturale!clinica,!quindi!all’intensità!della!sintomatologia,!che!nella!fase!cronica!è!meno!
grave.!La!malattia!di!solito!tende!a!guarire!(durante!la!remissione!la!morfologia!è!quella!della!GN!
proliferativa!mesangiale!focale),!ma!in!alcuni!casi!se!il!processo!perdura!nel!tempo!alcuni!glomeruli!
vanno!incontro!a!glomerulosclerosi:!c’è!sclero1ialinosi!delle!anse!e!occupazione!dello!spazio!di!fil1
trazione!da!parte!del!collagene,!così!la!clinica!progredisce!verso!l’insufficienza!renale!e!il!paziente!è!
candidato!alla!dialisi!e!al!trapianto.!
La!fluorescenza!è!positiva!per!C3!(lungo!la!membrana!basale!e!nell’interstizio!mesangiale),!fibrinogeno!e!Ag!
streptococcico.!
$
GLOMERULONEFRITE$EXTRACAPILLARE$(RAPIDAMENTE$PROGRESSIVA)$
Come!suggerisce!il!nome,!nella!GN!extracapillare!!si!osserva!il!danno!non!nei!lumi!capillari!ma!nello!spazio!
di!filtrazione!e!la!presentazione!clinica!è!rapidamente!progressiva,!con!insufficienza!renale!ingravescente.!
• Nella!maggior!parte!dei!casi!è!determinata!dalla!presenza!di!anticorpi$IgG$antiLMB,!che!si!legano!in!
maniera$lineare!alla!MB,!i!cui!antigeni!glicoproteici!(non!più!riconosciuti!come!self)!sono!distribuiti!
in!maniera!regolare;!questo!legame!innesca!l’attivazione!del!complemento,!quindi!la!lisi$della$MB!e!
l’attivazione!della!cascata!coagulativa:!dai!fori!della!MB!escono!emazie$e$fibrina!(attivata!dal!com1
plemento!stesso),!che!entrano$ in$ contatL
to! con! le! cellule$ della$ capsula$ di$ BowL
man,! che! in! risposta! proliferano$ rapida1
mente!(la!fibrina!induce!la!proliferazione).!
Questa!proliferazione!riempie!lo!spazio!di!
filtrazione! fino! a! formare! delle! semilune!
che! comprimono! il! glomerulo,! cioè! fanno!
collassare! le! anse! ostacolandone$ la$ funL
zione$ di$ filtrazione:! aumenta! in! maniera!
rapidamente! progressiva! il! numero! di!
glomeruli!eliminati!dal!punto!di!vista!fun1
zionale!e!si!va!verso!l’insufficienza$renale.!
• Anche!in!altre$forme$di$GN!la!fibrina!può!portarsi!nello!spazio!di!filtrazione!e!indurre!la!formazione!
di! semilune:! le! forme$ pauciLimmuni! (ANCA1associate,! in! cui! con! la! degranulazione! dei! neutrofili,!
sono!rilasciati!enzimi!litici!che!determinano!danno!alla!membrana!e!attivazione!del!fibrinogeno)!e!
Gallo 13.qxd 4-10-2007 14:50 Pagina 814
postLstreptococciche!(una!variante!particolarmente!grave,!da!complessi!immuni)!in!alcuni!casi!pos1
sono!simulare!questa!forma.!
La!DD!tra!queste!tre!forme!con!semilune,!importante!per!le!sue!implicazioni!terapeutiche,!si!fa!con!
PATOLOGIA DEL RENE
osservando!il!pattern!con!l’immunofluorescenza,!che!è!lineare!in!quella!da!anticorpi!anti1MB,!gra1
nulare!in!quella!post1streptococcica!da!complessi!immuni,!negativa!nella!pauci1immune!(v.!dopo).!
• Le! semilune! che! occupano! lo! spazio! di! filtrazione!
un gruppo eterogeneo di malattie glomerulari accomu- a
sono!prima!epiteliali!(nelle!fasi!iniziali!c’è!prolifera1
nate da un identico aspetto al m.o., ma diverse per qua-
dro clinico e meccanismi patogenetici. Con riferimento
zione! delle! cellule!
a questi ultimicapsulari)! e! reversibili,!
si possono identificare tre forme e!distinte:
poi! fiL
brose,! cioè!
1. daformate! da! collagene$ cicatriziale! che! è!
Ac anti-m.b.g.;
2. da IC in corso di varie GN (ad es GN a depositi di
stato! deposto! dai! fibroblasti,!
IgA primitive giunti!
o secondarie, nella!
GN acuta capsula! o!
post-infettiva);
3. pauci-immune.
dal! sangue! e! dall’interstizio! renale! che! circonda! la!
capsula!di!Bowman!(nei!punti!in!cui!la!capsula!è!in1
Eziopatogenesi. La prima forma è dovuta alla formazio-
ne nelle m.b.g. di IC costituiti da Ac anti-m.b.g. pro-
terrotta);!a!questo!punto!si!forma!una!cicatrice!che!
venienti dal circolo che si legano ad Ag strutturali “fis-
non! può! si”
essere! α3 del collagene
(catenariassorbita,! IV),anse!
e! le! mentre la seconda èsi!
collassate!
dovuta alla deposizione di IC, sia circolanti, sia formati
solidificano:!in!altre!parole,!le!semilune!fibrose!sono!
in situ. b
Diverso, e non ancora completamente chiarito è il
irreversibili.!
meccanismo della forma pauci-immune. Elemento di-
• La! clinica!stintivo
si! manifesta!
è la presenzacon!
nelun’insufficienza$ renale$
siero di Ac anti-citoplasma dei
granulociti neutrofili (ANCA) di cui si ammette il potere
rapidamente$ progressiva$
patogeno. Gli ANCA, di (insorge! nell’arco!
cui si distinguono duedi! set1
forme
timane1mesi);! poiché! il! danno! è! extracapillare,! a!
(c-ANCA e p-ANCA) sono capaci di provocare ne-li1
crosi fibrinoide dei vasi, compresi i capillari glomeru-
vello!dello!spazio!di!filtrazione,!non!abbiamo!di!soli1
lari. Gli Ag bersaglio sono rispettivamente la proteinasi
3 e la mieloperossidasi contenute in granuli citoplasmati-
to!proteinuria!o!ematuria,!ma!il!sintomo!principale!
ci di PMN e monociti. Questi, una volta esteriorizzati
è!la!mancanza!filtrazione.!
sulla membrana cellulare interagiscono con c- e p-
ANCA innescando il meccanismo flogogeno con libe-
Non! tende! alla! guarigione! spontanea! e! serve! una! FIGURA 13.6 GN proliferativa extra-capillare. a) m.o.: lo
razione di enzimi tossici e litici.
spazio urinifero è occupato da una semiluna florida circon-
diagnosi$ precoce!per!evitare!di!intervenire!quando!
I fenomeni necrotici a carico del flocculo provocano il
ferenziale che comprime il flocculo. b) IIC: depositi lineari di
passaggio dal circolo nello spazio urinifero di cellule e IgG nella forma da Ac anti-g.b.m.
il! processo! è! irreversibile,! ovvero! quando! si!
proteine (in particolare il fibrinogeno) che costituisco- sono!
formate!le!semilune!fibrose!l’IR;!infatti!all’inizio!c’è!spazio!per!una!terapia$immunosoppressiva,!che!
no il substrato su cui si forma la semiluna.
tolga!la!sorgente!del!danno,!ovvero!la!produzione!degli!anticorpi!anti1MB!da!parte!dei!linfociti.!Al1
Epidemiologia. Costituisce il 5-7% delle GN. La forma due. Le alterazioni extraglomerulari più comuni sono
pauci-immune è la più frequente (60%), seguita da quel- l’edema diffuso e l’infiltrazione infiammatoria dell’inter-
trimenti!la!terapia!in!fase!avanzata!è!la!dialisi!o!il!trapianto:!ma!c’è!il!rischio!del!rigetto!e!della!reci1
la da IC (30%) e da quella da Ac anti-m.b.g. (10%) (Jen- stizio e il danno tubulare, fino alla necrosi epiteliale a
diva,!se!viene!ripresa!la!produzione!di!anticorpi!anti1MB.!
nette e Falk, 1994). Nella forma pauci-immune preval- causa dell’ematuria. Lesioni vascolari a carico di arterie
gono nettamente i casi p-ANCA positivi, collegati alla o arteriole, con necrosi fibrinoide e infiammazione tran-
L’immunofluorescenza!per!IgG!e!C3!è!lineare!(profilo!“a!fumo!di!sigaretta”)!in!caso!di!produzione!di!anti1
poliangiite microscopica, su quelli c-ANCA positivi, smurale, sono evidenti nella forma pauci-immune AN-
che rientrano nell’ambito della sindrome di Wegener.
corpi!anti1MB!(causa!più!frequente),!il!mesangio!non!viene!coinvolto!ed!è!negativo;!quella!per!la!fibrina!co1
CA-correlata. Nei casi c-ANCA correlati l’infiamma-
zione assume spesso aspetto granulomatoso per la
Morfologia. L’elemento caratterizzante è la presenza di
lora!lo!spazio!di!Bowman,!quindi!le!semilune,!e!non!le!anse!capillari:!infatti,!le!cellule!epiteliali!capsulari!che!
presenza di macrofagi, cellule epitelioidi e giganti a lo-
semilune che possono occupare parzialmente (segmen-
calizzazione periglomerulare e perivascolare.
proliferano!sono!separate!da!una!specie!di!reticolo!costituito!da!quella!fibrina!che!ne!ha!indotto!la!prolife1
tarie) o completamente (circonferenziali) lo spazio urini-
Discriminante per la definizione patogenetica e la valu-
fero (Figura 13.6a). Nelle fasi iniziali della malattia le
razione.!Nella!fase!tardiva,!l’immunofluorescenza!è!negativa,!perché!questo!processo!è!spento.!
tazione diagnostica è l’indagine IIC (Figura 13.6b). La
semilune risultano cellulari, suscettibili di regressione. In
forma da Ac anti-m.b.g. mostra una positività lineare in-
! fasi più tardive evolvono in forme fibrocellulari e fibrose.
tensa per IgG. Nei casi da IC, la positività è granulare con
Il flocculo è compresso dalla semiluna e può presentare
GLOMERULONEFRITE$MEMBRANOLPROLIFERATIVA$(DI$TIPO$1)$
aree di necrosi, frammentazioni della m.b.g. e della m.b.
composizione e intensità varie, mentre il reperto è so-
stanzialmente negativo per la forma pauci-immune.
E’!una!GN!con!interessamento!del!mesangio!e!della!membrana$
della capsula di Bowman. Quadri di ipercellularità en- basale;!ne!esistono!diversi!tipi,!la!più!fre1
docapillare e mesangiale e di essudazione sono presenti Correlazioni anatomocliniche. Il quadro clinico è quello
quente!è!quella!di!tipo!1.!A!differenza!della!GN!endotelio1mesangiale,!la!proliferazione!mesangiale!compare!
nella forma da IC, mentre di norma mancano nelle altre di una sindrome nefritica rapidamente progressiva ver-
precocemente,!contestualmente!all’inspessimento!della!membrana!basale.!
814
• E’!causata!da!depositi$di$immunocomplessi$a$livello$sottoendoteliale!(nello!spazio!virtuale!tra!en1
dotelio!e!MB);!si!associa!quindi!a!un!pattern!granulare!all’IF!ed!è!ricca!di!C3!(C3+++):!infatti!i!pazien1
ti!possono!presentare!ipocomplementemia$da$consumo,!
• In!risposta!a!questa!deposizione,!le!cellule$mesangiali!proliferano!e!mandano$prolungamenti!nello!
spazio!sottoendoteliale!nel!tentativo!di!rimuovere!i!complessi!immuni!(quindi!in!questo!caso!non!
sono!gli!IC!a!spostarsi,!restano!fermi!nello!spazio!sottoendoteliali,!ma!le!cellule!del!mesangio!getta1
no!i!prolungamenti):!così!lo!spazio!sottoendotelia1
le!(contenente!ora!depositi!di!IC,!complemento,!e!
prolungamenti!di!cellule!mesangiali)!si!ampia.!
Gallo 13.qxd 4-10-2007 14:50 Pagina 816
• Le! cellule! endoteliali,! poiché! entrano! in! contatto!
nel!versante!basale!con!qualcosa!di!nuovo!(i!pro1
lungamenti! delle! cellule! mesangiali),! sono! stimo1
late! a! produrre! una! nuova$ membrana$ basale! in1 PATOLOGIA DEL RENE
terna! molto! sottile! (infatti! esse! sono! deputate! al!
mantenimento! della! MB).! Si! ha! pertanto! una! duL
plicazione!(sdoppiamento)!della!membrana!basa1 Malatti
a
le!e!proliferazione!del!mesangio!(soprattutto!nelle!
fasi! tardive,! che! aumenta! e! produce! anche! più! Epidemiologi
Eziopatogen
matrice! mesangiale).! Come! in! qualsiasi! forma! di! ne di IC par
GN,! nella! fase! finale! si! ha! glomerulosclerosi$ ialiL Morfologia. I
na.! solo in una p
lo di un diff
• La! clinica! dipende! dall’alterazione! della! MB! che!
meno impo
dà:! proteinuria$ variabile! fino! alla! sindrome$ neL nalmente, an
frosica!(simile!a!quella!della!membranosa).!I!lumi! Le m.b.g. s
identificabil
capillari! restano! pervi,! il! sangue! circola,! non! ab1 same ultrast
biamo!né!sindrome!nefritica!né!insufficienza!rena1 nastriformi
b ra 13.8). An
le!(se!non!nella!fase!finale!quando!c’è!glomerulo1 m.b della ca
sclerosi).! IIC si osser
neari nelle
Con! l’impregnazione$ argentica,! che! mette! in! evidenza! il!
mesangio, c
collagene!di!tipo!IV!delle!MB,!si!osservano!le!MB!inspessi1 nastriformi
te,!duplicate,!con!uno!spazio!chiaro!al!centro;!anche!con!il! nica (m.e.).
PAS,!che!colora!le!MB,!è!possibile!vedere!le!MB!inspessite!
e!lo!spazio!chiaro!al!centro.! GLOME
Quando! viene! deposta,! in! fase! finale,! molta! matrice! me1 DI IgA
sangiale,! è! possibile! identificare! le! singole! anse! capillari,! Definizione e
che! prendono! il! nome! di! lobuli,! e! che! di! solito! non! sono! mine eponim
c scrisse per p
identificabili!individualmente;!si!parla!in!questo!stadio!an1 ta inizialme
che! di! GN$ lobulare! (infatti! a! basso! ingrandimento! si! os1 M focale-segm
L
descrive ogg
servano!i!lobuli).! polimorfo, p
Questa!forma!di!GN!va!in!diagnosi$differenziale!con:! luzione anch
• la!glomerulosclerosi$diabetica,!in!cui!si!ha!inspes1 M
simento! della! MB! e! del! mesangio,! poiché! le! pro1
teine!che!costituiscono!la!MB,!in!quanto!glicosila1
te,!non!riescono!a!essere!smaltite!e!si!accumulano!
SU
nel!mesangio!e!nella!MB!stessi!(che!sono!entram1
bi!PAS1positivi).!
FIGURA 13.7 GN membranoproliferativa a depositi sottoen-
L’assenza! del! doppio! contorno! della! MB! alla! mi1 doteliali. a) m.o.: ipercellularità glomerulare per aumento
croscopia! ottica,! e! l’immunofluorescenza,! in! que1 delle cellule mesangiali ed endoteliali. Le m. b. appaiono re-
duplicate e sottendono ampi depositi colorati in rosso. b) IIC:
sto! caso! negativa,! consentono! la! diagnosi! diffe1 positività granulare per C3 nella parete dei capillari e in se-
de mesangiale. c) m.e.: parete di capillare glomerulare con
renziali!con!la!GN!membrano1proliferativa,! quadro di interposizione di lamine citoplasmatiche di cellule
mesangiali (M). FIGURA 13.8
LEGENDA: L = lume del capillare. SU = spazio urinifero. no evidenti e
816
• l’amiloidosi10,!in!cui!frammenti!di!immunoglobuline!(che!formano!l’amiloide)!si!depositano!in!vari!
tessuti,! soprattutto! sede! di! filtrazione,! compresi! il! mesangio,! che! si! ampia,! e! la! MB$ glomerulare,!
che!si!inspessisce.!C’è!alterazione!del!metabolismo!della!MB!e!proteinuria!fino!alla!sindrome$ neL
frosica.!
L’immunofluorescenza!negativa!e!la!positività$al$Rosso$Congo!(valutata!con!la!luce!polarizzata,!che!
mette!in!evidenza!una!colorazione!verde)!o$alla$tioflavina$T!(in!cui!si!ha!fluorescenza!verde!in!cam1
po!scuro;!il!dettaglio!è!migliore)!permettono!la!diagnosi!differenziale;!
• la!malattia$da$depositi$di$catene$leggere.!
Esiste!anche!una!GN$membranoLproliferativa$di$tipo$2,!caratterizzata!dalla!presenza!di!grossolani!depositi!
nella!membrana!basale!glomerulare!e!capillare!associata!ad!un!disturbo!della!distribuzione!del!grasso!cor1
poreo:!lipodistrofia$parziale.!
!
GLOMERULONEFRITE$MEMBRANOSA$(O$EPIMEMBRANOSA)$
E’!caratterizzata!da!un’alterazione$della$MB$senza!interessamento!del!mesangio.!
• E’!causata!dalla!deposizione$di$immunocomplessi,!soprattutto!IgG$e$C3,!sul!contorno!esterno!della!
MB,!tra!la!MB!e!i!podociti,!dove!formano!degli!aggregati;!da!qui!il!nome!“epimembranosa”:!infatti!
epì!in!greco!vuol!dire!“sopra,!al!di!là”.!E’!la!capacità!aggregativa!dei!complessi!immuni!a!deteminar1
ne!il!punto!in!cui!si!formano!i!depositi:!i!complessi!più!grandi!e!che!si!aggregano!più!facilmente!in1
fatti!non!riescono!a!superare!la!membrana!basale!e!innescano!un’altra!forma!di!GN;!quelli!che!in1
vece!riescono!ad!attraversare!singolarmente!la!MB!riescono!a!portarsi!fino!allo!spazio!esterno!sot1
topodocitario.!
• Non!c’è!attivazione!del!mesangio!perché!i!depositi!non!sono!a!contatto!con!le!cellule!mesangiali,!
che!stanno!all’interno.!L’unica!reazione!è!l’inspessimento$progressivo$della!MB!che!cerca!di!ingloL
bare!nel!suo!spessore!i!depositi,!grazie!alla!deposizione$di$matrice!da!parte!dei!podociti!(in!questa!
GN!sono!i!podociti!la!causa!inspessimento;!nella!membrano1proliferativa!le!cellule!endoteliali).!
• Il!quadro!clinico!è!quello!della!sindrome$ nefrosica;!sono!filtrate!le!proteine!perché!cambia!la!per1
meabilità!della!MB!a!causa!delle!modificazioni!dei!legami!tra!le!glicoproteine!di!membrana.!!
• Il! deposito! di! immunocomplessi! e! l’inspessimento! della! MB! avvengono! in! diverse! fasi,! a! seconda!
della!quantità!di!matrice!depositata!(gli!stadi!non!sono!separati,!ci!può!essere!anche!una!sovrappo1
sizione:!si!fornisce!lo!stadio!prevalente):!
o stadio$ I! (fase! iniziale):! si! formano! i! depositi$ di$ immunocomplessi,! visibili! alla! immunofluore1
scenza,! senza! alterazione! e! reazione! della! MB;! i! glomeruli! sembrano! normali! all’EE:! si! pone!
quindi!la!diagnosi$differenziale$con$la$GN$a$lesioni$minime!(in!cui!però!la!immunofluorescenza!
è!negativa).!Il!paziente!ha!una!sindrome!nefrosica,!
o stadio$II:!viene!depositata!matrice!che!si!insinua!tra!due!complessi!immuni!adiacenti:!si!forma1
no!delle!strutture!protuberanti!simili!a!spine!dette!spikes,!ben!visibili!con!l’argento!metenami1
na,!
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
10!Le!patologie$associate$alle$amiloidosi!possono!essere!localizzate!o!sistemiche.!In!quelle!localizzate!non!abbiamo!un!
deposito!a!livello!del!glomerulo!(es.!Alzheimer).!Il!deposito!a!livello!del!glomerulo!lo!abbiamo!nelle!amiloidosi!sistemi1
che:!malattie!infiammatorie!croniche!o!malattie!linfoproliferative!come!il!plasmocitoma,!quelle!malattie!che!produco1
no#una#quantità#abnorme#e#alterata#di#immunoglobuline.#Le!infiammazioni!croniche!che!possono!dare!amiloidosi!so1
no:!la!tubercolosi,!il!plasmocitoma!(non!quello!conclamato!ma!le!forme!minori,!subdole,!che!producono!immunoglo1
buline!e!si!possono!depositare),!l’artrite!reumatoide!(non!il!LES,!se!in!un!paziente!con!il!LES!compare!una!sindrome!ne1
frosica!prima!di!pensare!all’amiloidosi,!pensiamo!alla!membranosa).!
a b
I m.b.g. di spessore usuale Depositi granulari molto piccoli rav- Piccoli depositi extramembranosi,
vicinati/aspetti simil-lineari fusione dei pedicelli
II m.b.g. moderatamente ispessite Depositi più grandi chiaramente Depositi in parte indovati nella
granulari m.b.g
III m.b.g. fortemente ispessite di aspet- Ampi depositi ravvicinati Depositi intramembranosi, in parte
to tarlato riassorbiti, anche su più file
IV m.b.g. molto ispessite, glomeruli Ampi depositi discontinui Pochi depositi, m.b.g. rimaneggiate
sclerotici e ispessite
!
Al!microscopio$ottico,!con!l’EE!si!vedono$MB$inspessite$e$eosinofile,!il!PAS!(che!colora!cellule!e!glicoprotei1
ne)!permette!di!osservare!lo!stadio!della!malattia.!
zione della proteinuria, e l’evoluzione è alquanto varia: raggiunge l’IRC dopo parecchi anni (anche 10 o 15).
L’impregnazione$ argentica,$ con!argento!metenamina,! permette!di!osservare!il! profilo$ delle$ MB,! di! solito!
1/3 circa dei pazienti, anche non trattati, va incontro a Fra i parametri morfologici di significato prognostico
liscio:!si!osserva!che!il!contorno$esterno$è$irregolare$(con!spine,!in!stadio!II,!o!con!buchi,!in!stadio!III!o!IV).!I!
regressione spontanea, verosimilmente in seguito alla sfavorevole vanno ricordati lo stadio avanzato, la pre-
Gallo 13.qxd 10-10-2007 12:38 Pagina 822
scomparsa della stimolazione antigenica, 1/3 rimane senza di un’importante glomerulosclerosi e di fibrosi
sali!di!Ag!non!si!legano!alle!cellule!ma!alle!glicoproteine!della!membrana!e!alla!matrice.!
proteinurico ma non evolve verso la IRC, 1/3 infine interstiziale.
L’immunofluorescenza!per!IgG$e$C3!è!granulare$(o!pseudolineare,!perché!i!granuli!sono!più!piccoli!e!posi1
822
zionati!gli!uni!accanto!agli!altri):!interessa!le!MB,!che!sono!inspessite,!e!non!il!mesangio.!In!questo!caso!la!
C3! non! determina! necrosi,!
PATOLOGIA DEL RENE perforazione! della! MB! (quindi! ematuria),!chemiotassi! e! deposizione! di! fibrina;!
l’attivazione!del!complemento!determina!al!massimo!un’alterazione!della!MB.!Nello!stadio!IV,!a!causa!del!
riassorbimento!dei!complessi!immuni,!l’IF!può!essere!negativa.!
!
a b
!
!
!
!
!
!
!
c
Alla!microscopia$elettronica!si!osservano!la!MB!e!gli!aggregati!di!complessi!immuni!(depositi!scuri!elettron1
densi),!separati!in!stadio!II!dagli!spikes'(che!sono!chiari);!questa!metodica!consente!inoltre!di!distinguere!tra!
stadio!III!e!stadio!IV!a!seconda!del!livello!di!riassorbimento!dei!complessi!immuni!(altrimenti!questi!due!sta1
di!sono!identici!alla!microscopia!ottica).!Possiamo!osservare!anche!la!fusione!dei!pedicelli!dei!podociti.!
!
FORME$MISTE$DI$GLOMERULONEFRITE$
In! alcuni! casi! si! può! osservare! una! combinazione! di! diverse! forme! di! GN:! sono! delle! forme! miste.! Le! GN!
primitive!sono!raramente!miste!(richiederebbe!complessi!immuni!di!diverse!dimensioni!in!grado!sia!di!at1
traversare!la!MB,!sia!di!depositarsi!nel!mesangio!o!in!sede!sottoendoteliale);!invece!le!GN!secondarie!sono!
più! spesso! miste,! soprattutto! il! LES! (in! cui! c’è! una! straordinaria! eterogeneità! di! complessi! immuni,! che! si!
depositano!in!sedi!diverse).!
!
GLOMERULONEFRITE$A$LESIONI$MINIME$
E’,!come!suggerisce!il!nome,!caratterizzata!da!un!quadro!morfologico!normale!alla!microscopia!elettronica!
con!EE:!i!glomeruli!sono!normali!nonostante!il!quadro!clinico.!
• E’!causata!da!danno$mediato$dai!linfociti$T!che!liberano!sostanze!che!alterano!il!metabolismo!della!
MB:!si!ha!quindi!perdita!di!proteine.!Infatti!il!danno!non!è!mediato!dagli!immunocomplessi!che!si!
depositano,!quindi!dai!linfociti!B:!l’immunofluorescenza!per!Ig!e!C3!sarà!pertanto!negativa.!
• In!risposta!alla!perdita!di!proteine,!si!fondono$ i$
pedicelli$ dei$ podociti,$ che!formano!una!lamina!
continua!di!citoplasma:!è!una!sorta!di!meccani1
smo! di! compenso! con! cui! l’organismo! tende! di!
arginare! tale! perdita! secondaria! al! danno! della!
MB.! Un’altra! ipotesi! fisiopatologica! prevede,! al!
contrario,!che!il!primum'movens!sia!il!danno!dei!
pedicelli!che!si!fondono:!l’alterazione!del!meta1
bolismo! e! il! danno! della! membrana! basale! in!
questo! caso! sarebbero! conseguenze! di! questa!
fusione! che! modifica! peraltro! le! capacità! di! fil1
trazione!del!glomerulo.!
• Comunque,!entrambi!i!meccanismi!ipotizzati!esitano!nelle!stesse!manifestazioni!cliniche:!si!ha!sinL
Seminar
drome$nefrosica!accompagnata!da!edemi!periferici!(soprattutto!nel!bambino),!che!non!evolve!ver1
so!l’insufficienza!renale;!c’è!pertanto!una!discrepanza!importante!tra!la!morfologia!(normale!all’EE)!
e!la!clinica.!
Per!quanto!riguarda!la!diagnosi:!
• la!microscopia$ottica!è!normale!(la!MB!è!
to be discovered, establishing primary membranous
A B
normale!e!intatta);!l’unica!cosa!che!a!vol1
glomerulonephritis as a family of autoimmune disorders.
Autoantigens or exogenous antigens in the rare situation
te#si#nota#è#che#i!podociti!che!stanno!sul!
of neonatal membranous glomerulonephritis include
neutral endopeptidase and bovine serum albumin. 57
• la! recurrences
immunofluorescenza! è! negativa;!
after kidney transplantation. A decreasese!
64
in (A) By light microscopy (PAS stain), no substantial abnormalities of the glomerular structure are noted.
antibody titres during treatment often precedes (B) Electron microscopy shows widespread effacement of podocyte foot processes (arrows) in the absence of
positiva!ipotizziamo!una!GN!membranosa!
proteinuria response and can thus help to differentiate
65 electron-dense or fibrillary deposits.
patients who respond to treatment from those who are Immunosuppressive treatment for membranous
refractory to treatment. The finding of PLA2R on glomerulonephritis has so far relied on alkylating agents
podocytes on renal biopsy can also aid in the diagnosis plus corticosteroids or calcineurin inhibitors. In British
of membranous glomerulonephritis. In particular, high-risk patients (ie, those with impaired GFR at
patients who are negative for PLA2R or THSD7A baseline), the combination of prednisolone and
autoantibodies exhibit a high probability of spontaneous chlorambucil delayed GFR loss significantly better than
in!stadio!I,!con!cui!questa!GN!va!in!diagnosi!differenziale,!
• la!microscopia$elettronica!è!diagnostica!e!dirimente!in!questa!forma!di!GN!(è!uno!dei!pochi!casi!in!
cui!è!essenziale):!si!osserva!una!fusione$dei$pedicelli!che!formano!una!lamina$continua$di$citoplaL
sma.!!
I!pazienti!trattati!con!cortisone!guariscono:!c’è!totale$restitutio&ad&integrum!in!quanto!i!glucocorticoidi!in1
ducono!l’apoptosi!dei!linfociti!T,!che!non!producono!più!sostanze!tossiche.!Nei!bambini!la!somminsitrazione!
di! cortisone! può! essere! usata! come! criterio! diagnostico! ex' adiuvantibus! in! sostituzione! della! biopsia;!
nell’adulto!si!preferisce!fare!la!biopsia.!
!
GLOMERULONEFRITE$PROLIFERATIVA$FOCALE$E$SEGMENTARIA$
E’!una!GN!in!cui!è!interessato!meno!dell’80%!dei!glomeruli!(focale)!e,!nel!singolo!glomerulo,!non!tutte!le!
anse!sono!interessate!(segmentaria).!
Non! è! una! forma! autonoma,! ma! corrisponde! alla! fase$ tardiva$ della$ GN$ endotelioLmesangiale! (post1
streptococcica),!che,!quando!c’è!interessamento!tardivo!del!mesangio,!a!seconda!dello!stato!del!paziente,!
può! cronicizzare! (se! intervengono! i! linfociti! T)! o! regredire.! L’unica! differenza! con! la! GN! endotelio1
mesangiale!in!fase!tardiva!“propriamente!detta”!è!che!in!questo!quadro!l’interessamento!dei!glomeruli!è!
minore!dell’80%.!
Le!caratteristiche$microscopiche!sono!le!stesse!della!GN!endotelio1mesangiale!in!fase!tardiva:!si!osserva!un!
eccesso!di!nuclei!a!livello!mesangiale,!in!quanto!il!mesangio!è!attivo!per!eliminare!i!complessi!immuni!(al1
cuni!autori!contano!i!nuclei!per!area!mesangiale:!1!nucleo!corrisponde!a!un!mesangio!normale,!2!o!più!nu1
clei!alla!proliferazione!mesangiale),!i!lumi!sono!pervi.!
Clinicamente! si! manifesta! con! proteinuria$ ed$ ematuria$ modeste,! dovute! rispettivamente! ad! alterazione!
del!legame!tra!glicoproteine!della!MB!e!alla!formazione!di!pori.!
L’immunofluorescenza!può!essere!positiva!o!negativa!(indicativa!del!fatto!che!gli!immunocomplessi!sono!
stati!fagocitati).!
!
GLOMERULOSCLEROSI$FOCALE$E$SEGMENTARIA$
E’!una!forma!di!GN!definita!glomerulosclerosi!perché!il!quadro!è!dominato!soprattutto!dalla!sclerosi$e$soliL
dificazione$delle$ anse$ capillari!distribuita!in!maniera!focale!(è!interessato!meno!dell’80%!dei!glomeruli)!e!
segmentaria!(non!tutte!le!anse!sono!interessate).!
• Nelle!aree$ solidificate!si!osserva!la!scomparsa!della!distinzione!
tra!mesangio,!membrana!basale!e!capillare;!ci!sono!inoltre:!
o depositi$di$tessuto$connettivo,!ovvero!di!collagene!di!tipo!I!
o! IV,! residuo! delle! membrane! basali! (v.! fig.,! nero).! Si! colo1
rano!di!rosso!scuro!al!PAS,!di!rosa!all’EE,!di!blu!al!Mallory!(il!
Picro1Mallory!colora!di!blu!il!collagene,!di!rosso!la!fibrina!e!
il!materiale!plasmatico,!di!giallo!il!lume),!
o depositi$di$origine$plasmatica,$contenenti!Ig,!Gp,!altre!glo1
buline! (v.! fig.,! rosso).! Sono! depositi! non! immunologici! e!
aspecifici! da! intrappolamento! di! sostanze,! che! non! creano!
danno!(se!c’è!un!deposito!di!Ig!senza!attivazione!del!com1
plemento! possiamo! ipotizzare! anche! un! deficit! del! com1
plemento).!Si!colorano!di!rosso!all’EE!e!al!Mallory,!di!chiaro!
al!PAS.!
Le!anse!al!di!fuori!della!sclerosi!non!mostrano!alterazioni!morfologiche,!se!non!la!fusione$pedicellaL
re:!quindi!il!quadro!è!sovrapponibile!in!queste!aree!a!una!GN!a!lesioni!minime.!
• Sulla!base!di!tale!evidenza,!alcuni!autori!considerano!la!glomerulosclerosi!focale!e!segmentaria!co1
me!una!forma!di!evoluzione$della$GN$a$lesioni$minime,!che!non!guarisce!nonostante!la!terapia!con!
glucocorticoidi:!!infatti!è!proprio!in!questo!caso!che!si!sospetta!glomerulosclerosi.!
• Clinicamente!si!manifesta!con!una!sindrome$nefrosica!che!non!recede!con!la!terapia!cortisonica.!La!
glomerulosclerosi! non! è! stabile:! progredisce$ lentamente! determinando! l’eliminazione! delle! anse!
glomerulari,!con!diminuzione!della!funzione!renale!fino!all’insufficienza$renale.!
Le!cause!di!glomerulosclerosi!focale!e!segmentaria!sono:!
1. primitiva!(es.!dopo!precedente!diagnosi!di!GN!a!lesioni!minime),!
2. associata!ad!HIV,!
3. pazienti!che!fanno!uso!di!eroina!e!in!cui!insorge!a!un!certo!punto!la!sindrome!nefrosica,!
4. forme!familiari,!
5. forme!tossiche!e!da!farmaci,!
6. forme!secondari!a!nefrectomia!(parziale!o!monolaterale):!il!parenchima!restante!per!compensare!è!
sottoposto!a!sovraccarico!di!lavoro.!
eminar La!glomerulosclerosi!può!essere!presente!anche!in!altri!quadri!di!GN:!rappresenta!la!fase$finale$del$danno$
glomerulare!che!va!verso!la!solidificazione,!e!che!si!manifesta!clinicamente!con!l’insufficienza!renale.!
L’immunofluorescenza$è!negativa!nei!glomeruli!e!nelle!anse!non!scleroialine,!invece!è!positiva$per$le$IgM!a!
livello!delle!aree!di!accumulo!del!materiale!plasmatico!(un’abbondanza!di!IgM!in!paziente!con!sindrome!ne1
frosica!è!indicativa!di!glomerulosclerosi!focale!e!segmentaria;!troviamo!le!IgG!nelle!altre!forme!di!GN;!le!IgA!
si!trova!in!una!forma!particolare!di!GN).!
A B C
situation should not be confused with IgA nephropathy.75 (eg, HIV), inducing a collapsing variant of focal
si! occludono.! Qui! la! prognosi! non! è! pessima! perché! la! progressione! verso! l’insufficienza! renale! è!
Whether minimal change disease and focal segmental segmental glomerulosclerosis.
lenta! e! c’è!represent
glomerulosclerosis la! sindrome$ nefrosica:!
different queste! of
manifestations manifestazioni! dirimono! la! diagnosi! differenziale! con! la!
forma!extracapillare!in!cui!le!semilune!sono!associate!a!sindrome!nefritica!e!a!insufficienza!renale!
one disease (with minimal change disease potentially Major diagnostic advances
progressing to focal segmental glomerulosclerosis) or Glomerular permeability factors in minimal change
rapidamente!progressiva.!
two different diseases is unknown. They are both covered disease include angiopoietin-like-4, and in focal
81
jointly here, since therapeutic studies often do not segmental glomerulosclerosis they might include
differentiate between them. $ soluble urokinase plasminogen activator receptor
Focal segmental glomerulosclerosis is a confusing (suPAR),82 cardiotrophin-like cytokine-1,83 and others.84
term because it is used by pathologists both to describe a Only suPAR has been assessed in several clinical studies.
glomerular scar (figure 5), which can result from almost Raised circulating suPAR concentrations specifically
any injury affecting the kidneys, and clinically to denote a identified patients with primary focal segmental
family of glomerular diseases. Central to the pathogenesis glomerulosclerosis in an initial study,82 but subsequent
GLOMERULONEFRITI$SECONDARIE$
!
Nelle!forme!secondarie,!la!GN!si!inserisce!nel!contesto!di!una!malattia$sistemica.!Il!quadro!morfologico!del1
le!forme!secondarie!può!essere!simile!a!quello!visto!nelle!forme!primitive.!Distinguiamo!le!forme!seconda1
rie!a:!
• malattie$sistemiche:!
o LES! (v.! dopo),! in! cui! il! sistema! immune! innesca! una! risposta! contro! antigeni! a! localizzazione!
nucleare,!
o artrite$ reumatoide,! caratterizzata! dalla! formazione! di! immunocomplessi! contenenti! antigeni!
endogeni!(come!una!Ig;!quindi!il!complesso!immune!è!formato!da!Ig!e!anticorpo!anti1Ig),!che!
depositandosi!a!livello!articolare!causano!un'artrite,!a!livello!vascolare!un!nodulo$reumatoide,!
a!livello!glomerulare!una!glomerulonefrite.!Il!nodulo!reumatoide!si!forma!perché!il!deposito!di!
complesso!immune!a!livello!di!un!vaso!determina!attivazione!del!complemento,!necrosi!e!rea1
zione!istiocitaria:!si!ha!una!vasculite,!con!necrosi!a!valle!e!quindi!reazione!granulomatosa.!
Alla$ microscopia$ ottica$ il$ nodulo$ reumatico$ è$ identico$ a$ quello$ reumatico! (che! si! forma! nella!
malattia!reumatica),!l'immunofluorescenza!fa!vedere!deposito!di!complessi!immuni!in!entram1
bi! i! noduli;! però! gli! immunocomplessi! che! si! depositano! nelle! aere! dove! si! formerà! il! nodulo!
reumatico!contengono!un!antigene!esogeno!streptococcico,!
o porpora$di$SchonleinLHenoch,!una!malattia!sistemica!caratterizzata!dalla!deposizione!in!alcuni!
distretti!di!IgA,!prodotte!a!livello!mucoso!(intestinale,!vie!aeree)!e!poi!liberate!in!sede!extra1
mucosa!a!causa!di!alterazioni!e!danno!di!queste!stesse!mucose!(es.!faringite).!Le!sedi!di!deposi1
to!delle!IgA,!da!cui!dipendono!i!sintomi!sono:!
! rene,! dove! causano! ematuria,! dovuta! a! una! glomerulonefrite! IgA$ mesangiale.! Questa!
glomerulonefrite!isolata,!al!di!fuori!quindi!di!una!malattia!sistemica,!prende!anche!il!nome!
di! malattia$ di$ Berger:! va! sospettata! quando! un! paziente! riferisce! ematuria! a! distanza! di!
qualche! giorno! da! una! patologia! che! interessa! le! vie! aeree! superiori! (es.! faringite).! Tale!
rapidità! dell’insorgenza! dei! sintomi! nefrologici! è! indicativa,! a! differenza! della! GN! post1
streptococcica,!che!le!IgA!sono!già!pronta!e!subito!si!formano!i!complessi!immuni,!
! cute,!dove!causano!porpora$cutanea$(o!petecchie),!dovuta!alla!vasculite$dei$vasi$del$derL
ma$papillare,!con!necrosi!e!fuoriuscita!delle!emazie!attorno!al!vaso,!che!si!accumulano!nel!
derma.!La!lesione!emorragica!è!più!scura!al!centro,!dove!si!trova!il!vaso!colpito!dalla!va1
sculite! (che! è! ricco! di! cellule! e! va!
incontro!a!necrosi),!e!più!chiara!in!
periferia,!perché!man!mano!che!ci!
si!sposta!in!direzione!centrifuga!le!
emazie! diventano! meno! frequen1
ti.! Queste! lesioni! si! trovano! so1
prattutto! negli! arti! inferiori,! dove!
la! pressione! è! maggiore! e! viene!
quindi! favorita! la! fuoriuscita! di!
complessi!immuni,!
! intestino,! dove! causano! dolori$
addominali,!a!causa!di!una!vascu1
lite!dei!vasi!della!parete!intestina1
le:! l’occlusione! del! lume! del! vaso!
porta! a! necrosi! a! valle! e! quindi!
Seminar
GFR=glomerular filtration rate; ESRD=end-stage renal disease; GBM=glomerular basement membrane; ANCA=antineutrophil cytoplasmic antibodies; ACE=angiotensin-converting enzyme.
$ !
www.thelancet.com Vol 365 May 21, 2005 1803
NEFROPATIA$DIABETICA$
!
Il!diabete$mellito$(DM)!è!una!sindrome!eterogenea!con!iperglicemia!cronica!ed!alterazioni!del!metabolismo!
lipidico,!proteico,!glucidico,!con!difetto$assoluto$o$relativo$di$insulina;!è!associata!a!complicanze!croniche!
microangiopatiche!(retinopatia,!nefropatia,!neuropatia)!e!macro1angiopatiche.!
La!nefropatia$diabetica!è!il!termine!con!cui!si!descrivono!le!alterazioni!anatmo1patologiche!e!i!segni!e!sin1
tomi! clinici! indicativi! di! interessamento! renale! nel! paziente! con! DM;! distinguiamo! due! forme! principali!di!
DM!e!in!entrambe!si!può!sviluppare!la!nefropatia!diabetica:!
• DM$di$tipo$1!(giovanile),!dovuto!a!distruzione!autoimmune!delle!cellule!beta!del!pancreas;!poiché!
insorge!in!età!precoce!e!il!tempo!di!esposizione!al!danno!è!più!lungo,!in!questi!pazienti,!in!età!adul1
ta,!si!può!diagnosticare!una!nefropatia!molto!avanzata,!
• DM$di$tipo$2!(dell’adulto),!dovuto!a!insulino1resistenza,!in!cui,!poiché!la!storia!naturale!di!malattia!è!
più!breve,!di!solito!di!intercetta!una!nefropatia!diabetica!meno!grave.!
!
FISIOPATOLOGIA$
$
Nella!patologia!diabetica!si!ha!una!glicosilazione$non$enzimatica!e!non!controllata!delle!proteine,!compre1
se!quelle!della!membrana!basale!(collagene!di!tipo!IV),!che!pertanto!vengono!smaltite!con!maggiore!diffi1
coltà;!di!conseguenza!si!ha!un’alterazione$del$metabolismo$delle$membrane$basali$(diminuzione$del$cataL
bolismo)$ e! un! loro! ispessimento.! E’! rilevante,! da! un! punto! di! vista! anatomopatologico! e! clinico,!
l’interessamento!delle!membrane!basali!dei!vasi!(capillari!e!di!calibro!maggiore),!alla!base!dei!quadri!di!mi1
cro1!e!macroangiopatia;!in!particolare,!a!livello!renale!sono!interessate!per!esempio!le!membrane!basali!dei!
glomeruli,!dei!capillari,!dei!tubuli!renali,!e!la!matrice!interstiziale.!
Nel!dettaglio,!la!nefropatia$diabetica!comprende:!
• alterazioni$glomerulari,!che!progrediscono!verso!la!glomerulosclerosi;!in!particolare:!
o la!MB!si!inspessisce!e!si!altera!il!legame!tra!le!glicoproteine!di!membrana!a!causa!della!glicosi1
lazione,!di!conseguenza!si!modifica!la!morfologia!del!filtro!di!filtrazione,!quindi!la!funzione$ di$
filtrazione!e!si!osserva!una!proteinuria$subnefrosica!(non!si!formano!dei!fori,!non!ci!deve!esse1
re!quindi!microematuria),!
o la!capsula$di$Bowman!si!inspessice,!
o aumenta$la$matrice$nel$mesangio:!le!proteine!glicosilate!che!non!riescono!ad!essere!smaltite!
si!accumulano!non!solo!nella!MB!ma!anche!nel!mesangio!(il!quadro!simula!quasi!una!GN!mem1
brano1proliferativa),!che!pertanto!si!espande!a!scapito!del!lume!dei!capillari,!quindi!si$riduce$il$
flusso$ematico.!
Con!il!progressivo!e!generale!aumento!di!matrice!nel!glomerulo,!il!danno!progredisce!verso!la!gloL
merulosclerosi,!che!può!assumere!un!aspetto!nodulare!(glomerulosclerosi!nodulare),!quindi!verso!
la!diminuzione!dei!glomeruli!funzionanti,!
• alterazioni$vascolari,!che!prendono!il!nome!di!microangiopatia$diabetica:!c’è!un!inspessimento$fiL
brotico$della$MB$delle$arteriole$afferente$ed$efferente,!che!avviene!a!scapito!del!lume:!queste!ar1
teriole!diventano!quindi!meno!capaci!di!modificare!il!loro!tono;!si!verifica!pertanto!un’alterazione$
del$flusso$ematico$e!un!danno!all’apparato!iuxta1glomerulare!(posizionato!a!livello!del!polo!vascola1
re!del!glomerulo),!che!diventa!meno!performante!nel!regolare$la$pressione$arteriosa,!
• alterazioni$ tubuloLinterstiziali,! che! evolvono! verso! la! nefrite$ interstiziale.! Si! osserva! una! fibrosi!
progressiva!dell’interstizio!renale!e!un!inspessimento!della!MB!dei!tubuli:!si!alterano!anche!le!funL
zioni$ tubulari,!ovvero!gli!scambi!tra!lume!tubulare!e!letto!capillare!peritubulare!(riassorbimento!e!
secrezione).!
Queste!alterazioni,!che!coinvolgono!soprattutto!la!corticale!(nella!midollare,!che!è!poco!alterata,!al!massi1
mo!si!nota!un!inspessimento!delle!MB),!verranno!approfondite!singolarmente!da!un!punto!di!vista!morfo1
logico.!
!
!
PRESENTAZIONE$CLINICA$
$
La!presentazione!clinica!della!nefropatia!diabetica!comprende:!
• proteinuria!(subnefrosica),!indicativa!della!modificazione!del!filtro!di!filtrazione.!Si!perdono!protei1
ne!prima!fra!tutte!l’albumina,!
• sindrome$nefrosica,!può!indicare!l’evoluzione!della!malattia,!o,!più!spesso,!l’insorgenza!di!un’altra!
patologia!concomitante;!soprattutto!nel!passato,!i!diabetici!potevano!sviluppare!una!sindrome!ne1
frosica,!perché!il!trattamento!con!l’insulina!di!origine!non!umana!poteva!determinare!una!reazione!
immunitaria!con!formazione!di!auto1anticorpi!anti1insulina,!quindi!di!complessi!immuni,!che!si!de1
positavano!a!livello!del!glomerulo!causando!una!GN!membranosa!e!la!sindrome!nefrosica,!
• ipertensione,! causata! dalla! diminuzione! del! numero! di! glomeruli! funzionali,! della! fibrosi! dei! vasi,!
della! riduzione! della! circolazione! renale! e! dall’alterazione! dell’apparato! iuxta1glomerulare.! Anche!
una!lieve!ipertensione!(1301140!mmHg)!va!trattata!per!evitare!la!progressione!del!danno!ai!vasi!e!
l’ulteriore!aumento!pressorio,!
• insufficienza$ renale$ cronica:! è! determinata! 1)! dalla! diminuzione! dei! lumi! capillari! a! causa!
dell’espansione!del!mesangio,!2)!dall’aumento!del!numero!dei!glomeruli$scleroialini!(soprattutto),!
quindi!non!funzionali,!3)!dalla!sclerosi!anche!delle!altre!le!componenti!del!nefrone!(vasi,!tubuli!e!in1
terstizio),!che!vengono!progressivamente!compromessi,!
• ematuria!(?):!non!c’è!motivo!per!avere!perdita!di!emazie,!che!pertanto!è!attribuibile!a!un'altra!pa1
tologia!sovrapposta!o!a!una!complicanza!della!nefropatia!diabetica!(infezione!delle!vie!urinarie!fa1
vorita!dalla!glicosuria),!
In!generale!la!biopsia!renale!nei!pazienti!con!DM!è!indicata!quando!si!presentano!altre$manifestazioni$cliL
niche$oltre$la$proteinura$subnefrosica,!come!la!proteinuria!nefrosica!o!l’ematuria!(manifestazioni$cliniche$
inusuali),!suggestive!di!un’altra!patologia!sovrapposta:!in!questo!caso!la!biopsia!serve!a!capire!se!c’è!anche!
sovrapposizione! con! altra! malattia.! Un’altra! indicazione! alla! biopsia! renale! è! la!valutazione!della! progresL
sione!della!malattia.!
!
DIAGNOSI$ISTOLOGICA:$MORFOLOGIA$
$
Per!l’esame!microscopico!bisogna!osservare!almeno!10$glomeruli,!perché!le!lesioni!non!sono!distribuite!in!
modo!omogeneo!e!pertanto!non!riusciremmo!a!capire!se!la!patologia!è!diffusa$ o$ focale.!L’obiettivo!dello!
anatomopatologo!non!è!solo!diagnosticare!la!nefropatia!ma!anche!stadiarla,!comprendere!a!che!punto!sia!
la!progressione!verso!l’insufficienza!renale.!
I!metodi!di!valutazione!sono:!
• la!microscopia$ottica,!con:!
o ematossilinaLeosina,!ci!permette!di!apprezzare!le!strutture!e!a!piccolo!ingrandimento!la!capsu1
la,!la!corticale!(spessa!meno!di!1!cm,!in!media!617!mm)!e!la!midollare,!
o PAS,!che!colora!le!glicoproteine!della!MB,!quindi!il!collagene!di!tipo!IV,!e!del!mesangio,!e!per1
tanto!consente!di!vedere!quante!sono!accumulate;!colora!in!parte!anche!le!cellule.!
Ci!permette!di!osservare!capsula,!corticale,!midollare,!arterie!arciformi,!
o impregnazione$ argentica! (con! argento! metenamina),! che! colora! solo! le! MB! e! il! mesangio,!
quindi!il!dettaglio!è!maggiore!(serve!camera!oscura),!
o tricromica! (Picro1Mallory),! che! colora! in! blu! il! connettivo,! in! rosso! l’actina! e! le! proteine! pla1
smatiche,!in!giallo!le!emazie!e!i!vasi.!
Si!osserva!un!inspessimento!della!MB!PAS1positivo!segmentato!(non!uniforme),!
• la! immunofluorescenza,! perché! di! solito,! quando! vie1
ne! richiesta! la! biopsia! renale,! bisogna! risolvere! un!
quesito!clinico!su!un’eventuale!malattia!concomitante. !
Si!usano!anticorpi!contro!IgA,$IgG,$IgM,$C3,$fibrinogeL
no!e!catene$leggere$kappa$e$lambda;$si!aggiungono!gli!
anticorpi!contro!le!catene!leggere!perché!la!patologia!
da! catene! leggere! può! simulare! la! nefropatia! diabeti1
ca:!tali!catene!leggere!infatti!si!accumulano!e!si!depo1
sitano!sulle!superfici!di!filtrazione!(glomerulo!e!piccoli!
vasi),!ed!essendo!PAS!positive!danno!un!quadro!simile!
a!quello!della!glomerulosclerosi!diabetica.!
between glucose and diabetic complications78. However, Elevated blood
the defining prospective clinical study by Jean Pirart the developme
and his Belgian colleagues unequivocally demonstrated betes92–94. In in
that the degree and duration of hyperglycaemia were pressure level
associated with microvascular complications, including become eleva
CKD79. Subsequently, randomized controlled trials have albuminuria95.
validated this causal link in both type 1 diabetes80 and ute to the prese
L’immunofluorescenza!va!interpretata!con!giudizio:!c’è!un!pattern$lineare,!dovuto!all’accumulo!sul1
type 2 diabetes81,82. Nevertheless, although conventional may precede C
le!superficie!di!filtrazione!di!materiale$plasmatico$non$filtrato!(proteine!come!l’albumina!e!IgG),!e!
markers of glucose levels, such as glycated haemoglobin This importan
(HbA1c), are associated with the incidence of micro- of renal damag
non!alla!presenza!di!anticorpi$antiLMB.!Facciamo!la!diagnosi!differenziale!perché!nella!GN!da!anti1
albuminuria, it is also clear that many patients with poor renal autoregul
corpi!anti1MB!sono!presenti!le!semilune!fibrose!e!l’immunofluorescenza$per$l’albumina$è$negativa;!
glycaemic control do not develop renal complications, sure is directly
whereas others do despite intensive interventions and capillaries96,97. C
infatti!c’è!un!accumulo!di!albumina,!solo!in!caso!di!disturbo!della!filtrazione!e!proteinuria.!
dedicated compliance (FIG. 5). This discordance might above which th
In! caso! di! GN! concomitante! da! trattare! con! glucocorticoidi,!
be becausela!markers
terapia! steroidea!
such as HbA1cpuò!fail toaggravare!
capture thela! or below whic
malattia!di!base;! dynamic dysglycaemia associated with diabetes. Indeed, sure control on
even in the absence of chronic hyperglycaemia, transient ignored in pati
• la!microscopia$elettronica,!può!essere!di!aiuto!soprattutto!nelle!fasi!iniziali!della!malattia,!in!cui!le!
hyperglycaemia, transient hypoglycaemia or increased
alterazioni!sono!visibili!soprattutto!con!questa!tecnica!ancillare.!
glycaemic variability around a normal mean might have Blood lipid ab
long-lasting and long-term effects on the development Dyslipidaemia
L’obiettivo!dello!anatomopatologo!non!è!solo!diagnosticare!la!nefropatia!ma!anche!stadiarla$e$classificarla,!
and progression of complications related to diabetes, development o
comprendere!a!che!punto!sia!la!progressione!verso!l’insufficienza!renale.! including renal disease83–87. triglycerides, n
! Alternatively, past periods of poor glucose control, apolipoprotein
even before diagnosis, could also have a long-lasting leg- (HDL) cholest
CLASSIFICAZIONE$DELLA$NEFROPATIA$DIABETICA$ acy in the kidney, and therefore the risk for DKD might with the develo
La!classificazione!della!patologia!diabetica!va!fatta!sulla!base!delle!alterazioni$glomerulare,!principalmente,!
not be represented by current or recent HbA1c levels. diabetes98,99. Ho
e!sulla!base!dell’osservazione!di!lesioni$tubuloLinterstiziali!e!vascolari.! This phenomenon has become known as ‘metabolic measurements
and lipoprotein
In!linea!generale,!per!quanto!riguar1 CKD. For exam
da! l’alterazione! glomerulare,! il! pro1 Box 2 | Proposed histological staging of diabetic glomerulopathy* protective, ant
erties in CKD,
cesso! inizia! nella! membrana! basale,! Class I: glomerular basement membrane thickening alone pathogenetic100
Glomerular basement membrane thickness of >430 nm in men and >395 nm in women
poi!interessa!il!mesangio!e!infine!esi1 Class II: mesangial expansion‡ have suggested
ta! nella! scleroialinosi:! questo! pro1 Defined by expansion present in >25% of the mesangium apolipoprotein
protein A-II,
cesso! viene! suddiviso! in! classi! per1 Class III: nodular sclerosis
Defined by the presence of Kimmelstiel–Wilson lesions but <50% diffuse global enrichment mi
ché!dà#indicazioni#al#clinico#di#quan1 glomerulosclerosis progressive DK
Class IV: advanced diabetic glomerulosclerosis lipidomics to e
to! la! malattia! sia! progredita! verso! with complica
Defined as >50% diffuse global glomerulosclerosis with or without nodules
una!fase!irreversibile.! *See REF. 77 for more details. ‡Previously known as diffuse diabetic glomerulosclerosis.
which lipids or
the pathogenes
Al! clinico! interessa! sapere! soprattutto! il! numero$ dei$ glomeruli$ scleroialini,! indicativo! della! progressione!
verso!l’insufficienza!renale!(quindi!se!abbiamo!10!glomeruli!5!sono!scleroialini,!la!sclero!ialinosi!sarà!al!50%;!
NATURE REVIEWS | DISEASE PRIMERS
se!togliamo!il!50%!dei!glomeruli!al!paziente!questo!andrà!in!insufficienza!renale). !!
© 2015 Macmillan Publishers Limited. All rights reserved
Distinguiamo:!
1. classe$I$(è!raro!fare!la!biopsia!renale!in!questo!stadio,!a!meno!che!non!si!sospetti!una!malattia!con1
comitante):!inspessimento$delle$MB.!Nel!dettaglio: !
• il!glomerulo!sembra!normale!nonostante!il!pa1
ziente! diabetico! presenti! sintomatologia! (pro1
teinuria);! ci! sono! modeste$ e$ aspecifiche$ alteL
razioni,!come!quelle!riscontrabili!nel!parafisio1
logico!processo!di!invecchiamento,!
• soprattutto!alla!microscopia!elettronica!(che!in!
questo!stadio!è!necessaria!per!la!diagnosi!fina1
le)!si!apprezza!un!inspessimento$della$MB$delL
le$ arteriole$ (microangiopatia! diabetica)! e$ dei$
capillari$ glomerulari,! che! avviene! a! discapito!
del!lume!(ma!non!è!importante;!l’inspessimento!della!membrana!basale!glomerulare!si!diagno1
stica!se!è!maggiore!di!395!nm!nella!F!e!di!430!nm!nel!M,!di!età!maggiore!o!uguale!ai!9!anni).!
Questo! inspessimento! è! difficile! da! apprezzare! alla! microscopia! ottica! con! il! PAS,! che! colora!
non!solo!la!MB!ma!anche!qualche!cellula!(si!distinguono!con!difficoltà),!
• non!ci!sono!espansione!mesangiale!(classe!II),!noduli!(classe!III)!e!glomerulosclerosi!(avanzata!
in!classe!IV):!i!lumi!capillari!nel!complesso!sono!normali,!
2. classe$II$(aLb):!espansione$mesangiale.!Nel!dettaglio: !
• si! osserva,! alla! microscopia! ottica,! una! espansione$
mesangiale$ in!più!del!25%!del!mesangio!osservato!
nella!biopsia!(sbob!vecchia:!“un!aumento!della!ma1
trice! mesangiale! superiore! al! 25%”):! aumenta$ la$
matrice$ma!non!i!nuclei;!infatti!aumenta!il!collage1
ne!di!tipo!IV,!che,!in!quanto!glicosilato,!non!riesce!a!
essere!smaltito!con!il!turnover!fisiologico11,!
• l’espansione! mesangiale! può! essere! moderata!
(classe!IIa)!o!severa!(classe!IIb);!la!valutazione!della!
quantità!di!matrice!deposta!si!fa!mettendo!confrontando!l’area$mesangiale$con!l’area$del$luL
me$capillare:!se!l’area!mesangiale!è!minore!di!quella!del!lume!capillare!(in!altre!parole!si!rico1
noscono!i!lumi!capillari)!si!è!in!classe$IIa;!se!è!maggiore!(quindi!i!lumi!capillari!sono!molto!più!
piccoli!dell’area!mesangiale)!si!è!in!classe$IIb.!Man!mano!che!si!espande!il!mesangio,!sono!obli1
terati!i!lumi!capillari!e!quindi!diminuisce!la!filtrazione$glomerulare,!
• questo! stadio! viene! anche! chiamato! “glomerulosclerosi$ diabetica$ diffusa”! a! indicare! il! fatto!
che!interessa!quasi!tutti!i!glomeruli;!si!verifica!un!aumento!della!matrice!soprattutto!nel!me1
sangio,! ma! in! misura! minore! anche! nel! glomerulo! (per! esempio! si! può! osservare! la! sclerosi!
dell’apparato!iuxtaglomerulare),!
• non!ci!sono!noduli!(classe!III)!e!glomerulosclerosi!avanzata!(classe!IV),!
3. classe$III:!sclerosi$nodulare.!Nel!dettaglio:!
• si!osservano!nel!mesangio!i!noduli$ di$ KimmelstielL
Wilson! (almeno! uno):! sono! noduli! patognomonici!
di!matrice!(che!si!è!accumulata!progressivamente),!
quindi!ialini!e!ipocellulari,!con!nuclei!alla!periferia!e!
che!comprimono!i!lumi!capillari!circostanti, !
• poiché! si! formano! nel! mesangio! vanno! distinti!
dall’espansione! mesangiale:! si! parla! di! nodulo! (e!
non!di!espansione)!se!il!suo!diametro!è!superiore!di!
40$micron,!
• nel!glomerulo,!al!difuori!dei!noduli,!si!osservano!lesioni!compatibili!con!la!classe!II:!indicativa!
del!fatto!che!la!classe!III!è!una!progressione$della$classe$II,!
• non!c’è!glomerulosclerosi!avanzata!(classe!IV),!cioè!superiore!al!50%,!
4. classe$IV:!glomerulosclerosi$diabetica$avanzata.!Nel!dettaglio:!
• più!del!50%$ dei$ glomeruli!mostra!sclerosi$ con!soliL
dificazione$ delle$ anse:!la!glomerulosclerosi!è!diffuL
sa! (e! non! più! focale,! perché! il! cut1off! è! del! 50%! e!
non! dell’80%! come! nelle! GN! primitive),! e! globale!
(interessa!tutte!le!anse),!
• nelle! anse! capillari! c’è! un! accumulo! progressivo! di!
collagene!di!tipo!IV!(PAS1positivo),!con!riduzione!del!
lume! capillare,! collasso! delle! anse! e! blocco! del! cir1
colo:!quando!il!lume!non!permette!più!la!circolazio1
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
11!L’aumento!della!matrice!mesangiale!non!è!specifico!nel!diabete:!può!essere!osservato!anche!nelle!fasi!finali!delle!
GN,!in!cui!si!ha!un!disturbo!del!metabolismo!della!matrice!mesangiale!a!causa!di!una!reazione!immunitaria.!
ne,!il!glomerulo!si!organizza.!Anche!lo!spazio$di$filtrazione!si!riempie!di!collagene!di!tipo!I!(col1
lagene!cicatriziale!PAS1negativo)!e!si!forma!una!semiluna$fibrosa,!
• si!osserva!nefrite$interstiziale$cronica:!c’è!un!aumento!dell’interstizio!corticale!che!diventa!fi1
brotico,!i!tubuli!non!si!toccano!più,!ci!sono!linfociti,!indicativi!della!flogosi!cronica,!
• la!sclerosi,!quindi!l’eliminazione,!di!più!del!50%!dei!glomeruli!impatta!negativamente!sulla!funL
zione$renale:$il!quadro!clinico!progredisce!verso!l’insufficienza$renale.$
• N.B.! Questo! quadro! morfologico! di! sclero1ialinosi! diffusa! e! globale! corrisponde! alla! classe! IV!
della!nefropatia!diabetica!solo!se!c’è!evidenza$ di$ diabete;!altrimenti!può!essere!determinato!
da!altre$condizioni$morbose:!arteriosclerosi!dei!vasi!renali,!nefropatia!idiopatica!in!fase!avan1
zata,!etc. $
L’iter! diagnostico! della! stadiazione! procede! per$ esclusione:! ci! si! chiede! per! prima! cosa! se! ci! sono! gli! ele1
menti! della! classe! IV,! se! non! ci! sono! si! cercano! quelli! della! classe! III,! così! a! scalare.! Quindi! si! cercano:! la!
glomerulosclerosi!diffusa!(>!50%),!poi!i!noduli!di!Kimmelstiel1Wilson,$poi!l’espansione!mesangiale!(>!25%)!e!
il!suo!rapporto!con!il!lume!capillare,!e!infine!l’inspessimento!della!MB.!
!
ALTERAZIONI$GLOMERULARI!$
Come!già!detto,!nella!nefropatia!diabete,!l’interessamento!glomerulare!consiste,!in!ordine,!nello!inspessi1
mento!della!MB,!poi!nell’aumento!della!matrice!mesangiale,!e!infine!nella!sclero1ialinosi;!ma,!oltre!a!queste!
lesioni!principali!diagnostiche!e!stadiative,!sono!presenti!altre!lesioni.!
Elenchiamo!in!maniera!sistematica!tutte!le!lesioni$glomerulari!(le!prime!tre!sono!state!descritte):!
• inspessimento$della$MB:!è!uno!dei!primi!segni!di!nefropatia!diabetica,!avviene!a!scapito!del!lume!e,!
come!già!detto,!si!diagnostica!se!è!maggiore!di!395!nm!nella!F!e!di!430!nm!nel!M,!di!età!maggiore!o!
uguale!ai!9!anni!
• aumento$e$accumulo$di$matrice,!quindi!espansione$mesangiale!e!ipertrofia!dei!glomeruli,!
• scleroLialinosi$dei$glomeruli:!determinata!1)!dalla!diminuzione!del!catabolismo!della!matrice!a!cau1
sa!della!glicosilazione!delle!glicoproteine,!2)!dall’alterazione!dei!piccoli!vasi!afferenti!che!determina!
diminuzione!dell’irrorazione!e!quindi!collasso!delle!anse.!
Si!arriva!quindi!alla!solidificazione!delle!anse!capillari,!che!diventano!ben!distinguibili:!progressiva1
mente!il!glomerulo!va!in!atrofia!fino!a!collassare,!
• alterazione$dei$podociti:!analogamente!a!quanto!avviene!nella!GN!a!lesioni!minime,!i!pedicelli!dei!
podociti!diventano!più!grossolani!e!si!riducono!di!numero,!perché!si!fondono!tra!di!loro.!Secondo!
alcuni!autori!queste!modificazioni!dei!podociti,!cellule!che!contribuiscono!al!metabolismo!della!MB,!
sono!responsabili!delle!alterazioni!della!MB!e!della!proteinuria,!
• microaneurismi:! sono! determinati! dal! distacco! della!
MB!che!sta!a!ridosso!del!mesangio!e!quindi!dalla!con1
fluenza! dei! lumi! di! due! capillari! vicini,! che! quindi! si!
fondono!e!restano!delimitati!dalla!MB!che!stava!a!ri1
dosso! dal! mesangio! (a! differenza! dell’aneurisma!
dell’aorta!non!si!formano!a!seguito!di!dilatazione,!ma!
di! confluenza:! poi! possono! dilatarsi! ulteriormente! a!
causa! della! pressione! sanguigna).! La! MB! si! stacca! in!
quanto! è! alterata! e! inspessita.! Anche! nel! fondo!
dell’occhio,! la! retinopatia$ diabetica! può! manifestarsi!
con!microaneurismi, !
Nefropatie su base metabolica
P R I M E 833
(edema,!fibrosi!o!infiammazione)!che!determina!un!aumento!della!rima!interstiziale,!questi!proces1
si!si!possono!alterare.!
R
Nella!nefropatia!diabetica:!
• a! causa! dell’alterazione! del! metabo1 Bone marrow-derived Local resident deposition and
brocytes broblasts influx of infla
lismo! e! della! vascolarizzazione,! le! is partly in re
as a mediator
MB$ dei$ tubuli! sono! inspessite! e,! i! their products
tubuli,! che! normalmente! si! toccano,! Tubulointerstitial activated com
brosis microenvironm
sono! separati! dalla! deposizione$ di$ leukocyte recru
Endothelial to Tubuloepithelial to
collagene$ di$ tipo$ I!nell’interstizio!(fiL mesenchymal
transition
mesenchymal
transition
kidney protect
and progressive
brosi$interstiziale),!finché!non!diven1 Mesenchymal
stem cells mice, which a
tano! atrofici,$ collassati! e! più! piccoli! develop album
renal fibrosis a
rispetto!alla!norma.!Alla!microscopia!
Nature Reviews | Disease Primers
Renal tubular
Figure 4 | Cellular contributors to myofibroblast recruitment and subsequent The renal tubu
tubulointerstitial fibrosis in DKD. The myofibroblasts responsible for the matrix Early in diabe
deposition that leads to tubulointerstitial fibrosis in diabetic kidney disease (DKD) to the proxim
are derived from various sources. Transformation of local resident fibroblasts, trophy and hy
mesenchymal stem cells and bone marrow-derived fibrocytes and the induction of
with upregula
ottica!i!tubuli!hanno!un!contorno$festonato!e!un!lume$più$piccolo,!indicativi!del!collasso!della!strut1
tura;!quindi!anche!la!MB!è!festonata!e!raggrinzita;!!
• come! già! detto,! la! fibrosi! interstiziale! occlude$ i$ capillari$ peritubulari! (c’è! ipoafflusso! di! sangue! e!
ischemia!relativa)!e!li$ distanzia$ dal$ tubulo,!aumenta!così!la!difficoltà$ dei$ processi$ di$ scambio!tra!
tubuli!e!capillari!peritubulari!(riassorbimento!e!secrezione);!analogamente!nella!fibrosi!interstiziale!
polmonare,!aumenta!la!difficoltà!degli!scambi!alveolari,!perché!i!capillari!alveolari!sono!allontanati!
dal!lume!dell’alveolo!dalla!fibrosi,!
• la!fibrosi!occlude!e!riduce!la!rete!di!capillari!peritubulari!e!si!innesca!un!circolo$vizioso!in!cui!altera1
zioni!interstiziali!e!glomerulari!si!influenzano!negativamente!a!vicenda:!
o un!danno$glomerulare!determina!l’atrofia$del$tubulo:!se!il!glomerulo!va!incontro!a!danno!e!a!
sclerosi,!arriva!meno!sangue!ai!capillari!peritubulari!(che!si!trovano!in!serie!rispetto!al!letto!ca1
pillare!glomerulare),!e!quindi!i!tubuli!sono!meno!perfusi!e!vanno!in!atrofia,!
o se!invece!si!danneggia$il$tubulo,!il!glomerulo!non!è!più!funzionale!e!va!in!glomerulosclerosi,!
• nell’interstizio!fibrotico!possono!essere!presenti!cellule$infiammatorie$croniche!(linfociti):!si!inscri1
ve! in! tal! caso! sulla! fibrosi! interstiziale! una! nefrite$ interstiziale$ cronica,! cioè! un’infiammazione!
dell’interstizio! del! rene.! La! nefrite! interstiziale! può! essere! acuta! (con! neutrofili)! o! cronica! (con! fi1
brosi!e!linfociti):!è!una!condizione!che!altera!le!funzioni!tubulari!e!quindi!determina!un!peggiora1
mento!della!funzione!renale.!
Un! paziente! con! diabete! è! più! a! rischio! infiammazioni! su! innesco! infettivo! a! livello! dell’apparato!
urinario,!quindi!di!cistite,!nefrite!interstiziale!e/o!pielonefrite!(se!l’infezione!si!estende!alla!pelvi!re1
nale),!pielite!(se!l’infezione!interessa!solo!la!pelvi!renale),!perché!il!glucosio!nelle!urine!favorisce!la!
crescita$dei$batteri,!soprattutto!nella!vescica.!In!caso!di!batteriuria!o!cistite!però,!si!innesca!una!pa1
tologia!infettiva!nelle!alte!vie!urinarie!solo!se!sono!compresenti!
condizioni!che!favoriscano:!
o il! ristagno! di! urina,! come! un! calcolo! incuneato! nella! giun1
zione!pielo1ureterale;!di!conseguenza,!l’urina!stagnante!re1
fluisce!nel!rene!e!può!causare!una!pielonefrite,!
o e/o!il!reflusso!di!urina!infetta!dalla!vescica,!lungo!gli!urete1
ri,! verso! il! rene! (e! i! tubuli).! Di! solito! durante! la! minzione,!
dato! che! la! prima! porzione! dell’uretere! si! trova! dentro! il!
muscolo! detrusore! della! vescica! (intramurale),! la! contra1
zione!del!muscolo!impedisce!il!reflusso!di!urina;!se!invece!il!
segmento!intramurale!dell’uretere!non!collabisce,!l’urina!va!
nel!parenchima!renale,!dove!i!batteri!si!localizzano!e!danno!
una!flogosi!acuta!con!un!piccolo!ascesso.!
Si! può! avere! così! una! nefrite! interstiziale! o! una! pielonefrite$
ascendente! (diversa! dalla! pielonefrite! ematogena,! in! cui! il! mi1
crorganismo!giunge!al!rene!e!per!via!ematica,!ed!è!in!circolo!per!
esempio! perché! il! paziente! ha! un’osteomielite:! dal! circolo! si!
porta,! attraverso! il! letto! capillare! peritubulare,! nell’interstizio,!
dove!richiama!neutrofili!e!causa!il!danno). !
Quindi!il!diabetico!è!quindi!più!a!rischio!di:!
o cistiti,! che! sono! una! delle! cause! più! frequenti! dell’eventuale! ematuria! in! corso! di! nefropatia!
diabetica:! perché! nelle! vie! escretrici! i! capillari! si! trovano! nella! mucosa! sotto! l’urotelio,!
un’erosione!mucosa!superficiale!dovuta!alla!crescita!dei!batteri!può!causare!perdita!di!emazie!
nelle!urine,!
o nefriti$interstiziali!e!pielonefriti$ascendenti$croniche:!quando!cronicizzano!i!batteri!scompaio1
no!e!il!processo!si!automantiene!perché!permangono!localmente!degli!antigeni$batterici!della$
parete!che!continuano!a!stimolare!la!flogosi,!contribuendo!così!alla!cronicizzazione;!aumenta1
no!la!fibrosi!interstiziale!e!l’atrofia!dei!tubuli,!e!si!osserva!un!infiltrato!infiammatorio!costituito!
soprattutto!da!linfociti.!
Una!causa!non!infettiva!di!nefriti!interstiziali!è!l’utilizzo!di!farmaci!che!possono!scatenare!rea1
zioni!eosinofile,!
• la!conseguenza!più!grave,!anche!se!fortunatamente!rara,!si!ha!quando!nefrite$interstiziale,$glomeL
rulosclerosi$e$microangiopatia$riducono!l’afflusso!di!sangue!a!livello!di!una!papilla!così!tanto!da!de1
terminare!la!necrosi$papillare.!
Ricordiamo!che!la!papilla!è!quella!parte!di!midollare!che!sporge!a!piramide!all’interno!di!un!calice!
renale:!contiene!anse!di!Henle,!abbondante!interstizio!e!capillari!peritubulari,!che!servono!ad!irro1
rarla.!A!seguito!della!riduzione!dei!lumi!capillari,!nella!papilla!ci!può!essere!necrosi!del!parenchima!
perché,! mentre! a! monte! ci! sono! anastomosi! che! compensano,! nella! papilla! le! anastomosi! sono!
molto!scarse!o!assenti.!
Quindi!la!papilla!va!in!necrosi!coagulativa,!si!stacca,!cade!nel!calice!renale!e!si!incunea!nel!giunto!
pielo1ureterale,!dove!causa!ostruzione!(come!nella!litiasi)!e!dolore!da!colica!renale.!Il!parenchima!
renale!da!dove!si!è!staccata!la!papilla,!non!più!protetto!dall’urotelio,!ed!è!a!contatto!con!urina!sta1
gnante!ed!esposto$ ai$ batteri:!ci!può!essere!pertanto!un!aggravamento!della!nefrite!interstiziale!e!
un!innesco!di!una!pielonefrite.!
!
ALTERAZIONI$VASCOLARI:$MICROANGIOPATIA$DIABETICA$E$ARTERIOSCLEROSI$
Nella! nefropatia! diabetica! l’interessamento! dei! vasi!
(microangiopatia$ diabetica)! consiste! nello! inspessiL
mento$fibrotico$della$MB$delle$arteriole$afferente$ed$
efferente,! che! avviene! a! scapito! del! lume;! quindi! il!
lume$ è$ ristretto! e! si! osserva! a! livello! dei! vasi! un! au1
mento! della! matrice! glicoproteica! (PAS! positivo).! A!
causa! dei! regimi! pressori! maggiori,! è! lievemente! più!
evidente!il!danno!a!carico!dell’arteriola!afferente.!
Come! podociti! e! cellule! endoteliali! si! occupano! del!
metabolismo!della!membrana!basale!glomerulare,!co1
sì! ! periciti! e! cellule$ endoteliali! sono! responsabili! del!
metabolismo! della! MB! degli! altri! capillari,! anch’esso!
alterato!a!causa!della!glicosilazione!delle!proteine. !
In! alcuni! punti! la! MB! può! sfiancarsi! e! si! formano! microaneurismi,! che! possono! organizzarsi! nei! noduli! di!
Kimmelstiel1Wilson.!
Nelle!arteriole$a$monte,!dove!è!presente!la!lamina$elastica$interna!al!posto!della!MB!non!c’è!la!microan1
giopatia!ma!l’arteriosclerosi:!la!fibrosi!della!parete!sostituisce!la!tonaca!muscolare,!si!accumula!collagene!in!
sede!sotto1endoteliale,!si!riduce!il!lume,!c’è!alterazione!e!duplicazione!della!lamina!elastica!interna.!Questa!
arteriosclerosi!è!più!grave!di!quella!dei!pazienti!non!diabetici!(es.!anziani!displidipemici)!e!impatta!su!gruppi!
di!glomeruli!e!su!segmenti!di!parenchima.!Inoltre,!tali!alterazioni!possono!affliggere!anche!i!vasi!cerebrali.!
Nei!vasi!di!dimensioni!ancora!maggiore!c’è!la!macroangiopatia,!ovvero!l’aterosclerosi:!il!DM!infatti!porta!a!
un’alterazione! delle! proteine! plasmatiche,! che! si! riflette! sul! metabolismo! dei! lipidi,! e! si! formano! placche,!
cioè!si!accumulano!lipidi,!al!di!sotto!dell’endotelio.!
Anche!i!piccoli$ vasi$ cutanei!sono!affetti!dalla!microangiopatia!(ispessimento!della!matrice!delle!MB,!ridu1
zione!del!lume):!si!può!avere!necrosi!per!insufficiente!vascolarizzazione!a!valle!e!formazione!di!ulcerazioni!
cutanee.!
Infine,!anche!i!vasi$del$circolo$retinici,!visibili!nel!fondo!dell’occhio!presentano!la!microangiopatia!(retinoL
patia$diabetica):!c’è!inspessimento!delle!pareti!dei!vasi,!alterazione!della!permeabilità!(infatti,!con!la!fluo1
rangiografia,!in!cui!si!inietta!ev!un!marcatore!fluorescente,!si!osserva!la!fuoriuscita!del!marcatore!dai!vasi!
del!fondo!dell’occhio,!detta!likeage),!formazione!di!microaneurismi,!emorragie.!
!
PATOLOGIE$CORRELATE$E$CONCLUSIONI$
$
Bisogna!controllare!la!glicemia!per!non!far!progredire!la!patologia!vascolare!e!glomerulare.!Se!il!controllo$
terapeutico$della$glicemia!è!buono,!il!danno!renale!non!regredisce,!se!non!in!casi!aneddotici!(è!difficile!che!
ci!sia!una!guarigione),!ma!si!stabilizza.!
Inoltre,!i!pazienti!diabetici!sono!predisposti!allo!sviluppo!di!altre!malattie!concomitanti:!
• patologie!micro1!e!macrosvascolari,!come!l’infarto!del!miocardio!(causato!da!aterosclerosi!delle!co1
ronarie,!complicanza!di!placca!e!ischemia!del!miocardio),!
• infezioni!delle!vie!urinarie!e!del!rene!(cistite,!pielite,!nefrite,!pielonefrite),!
• nefrite!interstiziale!(es.!da!farmaci),!
• reazioni!immunitarie!contro!farmaci!(in!passato!quando!non!si!somministrava!l’insulina!umana),!
• infezioni!sistemiche,!
• forme!primitive!di!glomerulonefrite,!come!la!GN!membranosa!(che!si!può!avere!a!causa!del!tratta1
mento!o!dalla!liberazione!di!antigeni!tubulari!segregati!contro!i!quali!non!si!è!sviluppata!la!tolleran1
za!immunitaria),!o!la!GN!post1infettiva.!
!
!
!
!
CASO$CLINICO$
Paziente!maschio,!70!anni!
• Diabete!mellito!di!tipo!II!da!circa!20!anni.!
• Progressiva!riduzione!della!funzionalità"renale!
• Esame!urine:!proteinuria!e!microematuria.!
Viene%fatta%una%biopsia%renale%per%vedere%qual%è%il%danno.!Osserviamo:!
• glomerulosclerosi!di!origine!diabetica,!nefrite!interstiziale,!microangiopatia.!Pazienti!con!glomeruli!scleroia1
lini,!tubuli!atrofici!e!fibrosi!interstiziale!(la!quale!non!si!riassorbe,!come!nel!fegato:!il!paziente!con!cirrosi!va!
in!insufficienza!epatica)!vanno!in!insufficienza!renale.!Hanno!bisogno!della!dialisi!e!poi!devono!essere!sotto1
posti!a!trapianto!renale.!Le!terapia!che!facciamo!per!rendere!compatibile!il!rene!al!paziente!diabetico!che!
deve! riceverne! uno! nuovo! potrebbe! avere! anche! effetto! sulla! malattia! diabetica:! per! esempio! il! cortisone!
manda!in!apoptosi!i!linfociti!e!questo!potrebbe!far!bene!al!trapianto,!ma!ha!anche!effetto!sul!metabolismo!
dei!glucidi,!
• deposito!di!IgA,!poco!lungo!la!membrana!basale,!molto!nel!mesangio,!il!che!significa!che!il!nostro!paziente!
oltre!alla!glomerulosclerosi!ha!associata!una!glomerulonefrite!IgA!mesangiale,!che!ci!spiega!l’ematuria.!Il!no1
stro!caso!clinico!presentava!ematuria,!per!questo!infatti!abbiamo!eseguito!l’immunofluorescenza.!
Quando!noi!vediamo!un!vaso!abbastanza!grande!lo!includiamo!nel!referto,!perché!qualche!volta!dopo!aver!fatto!le!
biopsie!ci!può!essere!un’!ematuria!importante,!la!quale!preoccupa!il!clinico.!Se!sanguina!infatti!vuol!dire!che!il!clinico!
ha!tagliato!un!vaso!abbastanza!grande.!
!
CILINDRI$
I!cilindri!si!dividono!in:!
• cilindri!cellulari:!eritrocitari,!leucocitari!(es.!da!pielonefriti),!batterici,!epiteliali,!
• cilindri!acellulari:!ialini,!granulari,!cerei,!etc.!
I!cilindri!prendono!questo!nome!perché!originano!dal!tubulo.!Nella!fase!iniziale!della!formazione!del!cilindro!dentro!il!
tubulo,!il!cilindro!non!è!cellulato,!ma!è!composto!da!materiale!glicoproteico!filtrato!prima!con!le!urine!e!poi!precipita1
to!nel!lume.!Questo!cilindro!viene!successivamente!trasportato!lungo!il!sistema!dei!tubuli!e!lo!ritroviamo!all’esame!
delle!urine.!Se!ad!esempio!ho!una!pielonefrite!posso!ritrovarmi!i!granulociti!neutrofili!nel!lume!del!tubulo,!questi!si!
possono!accumulare,!impilare!e!poi!li!ritroviamo!nelle!urine!sotto!forma!di!cilindri!leucocitari.!!
!
“Domanda!sul!diabete!all’esame:!di!base!vengono!chieste!le!quattro!classi,!la!definizione!e!il!significato”.!
$ $
lectin pathway . The biological activities of these com- injury . In particular, glomerulosclerosis in patients
plexes are affected by various factors, such as the size with IgAN is associated with podocytopenia52,53 as well
and composition of the complex 2,33. The receptors on as alterations of podocyte components, such as podo-
mesangial cells that are engaged by these nephritogenic calyxin (which functions to keep adjacent foot processes
immune complexes are not well understood44 (BOX 2). separated and control urinary filtration) and dendrin
Several studies have identified the transferrin receptor (a component of the glomerular slit diaphragm).
(CD71) as a key receptor for binding polymeric Gd-IgA1 Podocyte injury, typically leading to proteinuria,
GLOMERULONEFRITE$A$IgA$MESANGIALI$(MALATTIA$DI$BERGER)$
and Gd-IgA1-containing immune complexes 45,46. can involve apoptosis, necrosis, detachment from the
However, an alternative mechanism for the formation of$ glomerular basement membrane and defective auto-
IgA1-containing complexes
La!glomerulonefrite$ has been proposed: adi$
IgA$ mesangiale!(malattia$ soluble phagy. Deposition of IgA, IgG and complement 3 in
Berger)!è!una!patologia!infiammatoria!del!glomerulo!ca1
form of the Fcα receptor (sCD89) generates circulatory the glomerular capillaryparamesangiale,!al!di!sotto!
ratterizzata!da!deposito$ di$ IgA!(e!C3)!prevalentemente!nel!mesangio,!in!sede$ walls and/or the presence of
complexes with Gd-IgA1 (REF. 47). Studies using an ani- cytokines or reactive oxygen species produced by resi-
della!MB!(nel!punto!in!cui!la!MB!dei!capillari!si!riflette!per!coprire!il!mensangio).!
mal model suggested that activation of mesangial cells dent glomerular cells can also induce podocyte injury.
Finora!abbiamo!visto!nel!glomerulo!depositi!di!IgG!che!si!trovano!all’interno!di!immunocomplessi,!e!di!IgM!
by complexes containing Gd-IgA1 requires sCD89 and It seems that patterns of podocyte abnormalities differ
transglutaminase 2 for disease development48. However, depending on disease activity in IgAN, with increased
che!non!formano!immunocomplessi!(nella!glomerulosclerosi!focale!e!segmentaria).!
patients with IgAN and a stable clinical course have been levels of urinary podocalyxin evident in the acute phase
shown to have high levels of sCD89, which contrasts with and loss of podocytes in the chronic phase54. In an experi-
EPIDEMIOLOGIA,$CLINICA,$FISIOPATOLOGIA$
the low levels evident in patients with progressive dis- mental model of glomerulonephritis, abundant den-
ease49. This finding suggests that
• La!GN!IgA!mesangiale!è!una$ the binding
delle$ forme$ of sCD89
più$ drindi$
frequenti$ was detected in the nuclei of injured podocytes54.
GN:!rappresenta!in!alcune!aree!del!mondo,!
to polymeric Gd-IgA1 could be protective. A recent In another report, Kodama et al.55 noted that increased
come!il!Sud1Est!Asiatico,!il!50%$delle$GN!(ad!Ancona!il!30140%!dei!casi);!invece!in!alcune!regioni,!come!
study revealed that disease recurrence after kidney trans- numbers of dendrin-positive nuclei per glomer ulus
in!Africa,!è!estremamente!rara!(meno!dell’1%):!questo!dipende!dalle!condizioni!socio1economiche,!ov1
plantation is associated with increased serum levels of correlated with acute extracapillary changes and disease
vero!dal!sistema!sanitario!poco!funzionante!che!non!favorisce!la!diagnosi!di!alcune!patologie!e!condi1
Gd-IgA1, Gd-IgA1–IgG complexes and Gd-IgA1–sCD89 progression in IgAN. The number of dendrin-positive
complexes50. Further studies are needed to clarify all of nuclei in renal biopsy specimens could, therefore, be use-
zioni!cliniche!(es.!ematuria).!
the processes induced by immune complexes containing ful for evaluating disease activity of IgAN. Podocytes that
• Nel!mondo$Occidentale!(Europa!e!Nord!America)!il!rapporto$M:F!è!di!2,5:1;!in!Asia!di!1:1.!
Gd-IgA1 in the pathogenesis of IgAN and to identify those express the apoptosis marker annexin V are also detected
• L’età$ di$driving
that are presentazione$ è!in!media!di!30L40$
disease development anni,!ma!può!essere!presente!a!qualsiasi$
and progression. in urine. Translocation of dendrin toetà,!dall’infanzia!
podocyte nuclei
fino!ai!90!anni12.!
Singapore (43.2)
Brazil (20.1)
Australia (34.1)
Figure 2 | Global distribution of patients with IgA nephropathy in some key regions of the
Nature world.| Disease
Reviews Prevalence is
Primers
shown as percentage of biopsy-proven primary glomerulonephritis.
!
• La!clinica!è!caratteristica:!il!paziente!riferisce!una!episodio$di$macroematuria$1L2$giorni$dopo$una$faL
E REVIEWS | DISEASEringite,!che!poi!tende!a!scomparire!e!resta!la!microematuria,!che!può!essere!anche!prolungata.!A!volte!
PRIMERS VOLUME 2 | 2016 | 5
si!manifesta!solo!la!microematuria.!
© 2016 Macmillan Publishers Limited. All rights reserved
C’è!una!malattia$ verosimilmente$ virale!che!colpisce!le!vie$ aeree,!dove!sono!presenti!plasmacellule!e!
IgA$già$pronte!a!reagire!contro!le!componenti!virali:!si!formano!subito!immunocomplessi!che!si!porta1
no!in!circolo!a!causa!del!danno!alle!mucose!e!si!depositano!in!varie!sedi,!compreso!il!mesangio,!che!ha!
una!funzione$macrofagica,!quindi!di!eliminazione!di!sostanze!tossiche!per!l’organismo.!
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
12
!In!genere!in!un!paziente!anziano!in!cui!è!presente!microematuria,!non!associata!a!proteinuria,!non!andiamo!ad!in1
dagare!troppo!perché,!anche!dovessimo!trovargli!una!glomerulonefrite,!il!trattamento!non!gli!andrebbe!a!migliorare!
l’aspettativa!di!vita,!ma!forse!invece!ne!inficerebbe!la!qualità.!
PRIMER
complessi!immuni!prevalentemente!a!livello!mesangiale,!ematuria!e!proteinuria.!
E’!compito!dell’anatomopatologo!individuare!la!malattia!e!l’entità!del!danno.!
!
ESAME$MICROSCOPICO:$MORFOLOGIA$
• Alla! microscopia$ ottica! si! osserva! un! aumento$ dell’area$ mesangiale$ PASLpositivo,! con! aumento$ dei$
nuclei!mesangiali,!perché!c’è!attività!macrofagica;!aumenta!la!matrice!mesangiale!non!perché!ci!sia!de1
posito!di!collagene!di!tipo!IV!ovvero!di!matrice,!ma!a!causa!dei!depositi$di$Ig!(anch’essi!PAS1positivi):!in1
fatti! al! Picro1Mallory! questa! area! non! si! colora! in! blu! (come! il! connettivo! e! il! collagene)! ma! in! rosso!
(come!le!sostanze!del!sangue).!L’impregnazione!argentica!mette!in!evidenza!i!pori!nella!MB.!
• In!questa!patologia!l’immunofluorescenza!met1
te!in!evidenza!depositi$di$IgA$e$C3!(che!media!il!
danno:! infatti! l’IgA! da! sola! non! è! sufficiente! a!
essere! causa! di! danno);! il! solo! deposito! di! IgA!
potrebbe!essere!il!risultato!della!funzione!fisio1
logica!di!fagocitosi!del!mesangio).!
C’è!un!pattern!granulare!e!un!aspetto!caratteri1
stico! “a! rami! d’albero”,! indicativo! di! grossolani!
depositi!nel!mesangio!e!di!una!minoranza!di!essi!
a!livello!della!membrana!basale.!
Nella! GN! IgA! mesangiale,! oltre! alle! IgA! e! al! C3,!
possono! essere! anche! presenti,! ma! in! propor1
zione!variabile!e!inferiore:!
o IgG!(50%),!
o IgM!(70%),!
o catene$kappa$e$lambda!(100%,!sono!le!ca1
tene!leggere!delle!immunoglobuline),!
o C1q!(10%),!
o fibrinogeno13.!
È"importante"che"la"colorazione"delle"IgA"sia"inL
tensa!perché!il!LES!può!avere!tutte!e!tre!le!im1
munoglobuline!senza!la!prevalenza!delle!IgA.!Per!evidenziare!il!deposito!di!IgA,!oltre!all’IF,!si!può!usare!
anche!la!immunoperossidasi!(anche!su!tessuti!fissati!in!formalina),!che!si!usa!per!l’immunistochimica:!in!
questo!caso!i!depositi!sono!colorati!di!marrone,!ma!i!risultati!sono!peggiori!perché!ne!vengono!eviden1
ziati!di!meno!(diminuisce!la!reattività!del!tessuto).!
La!positività$alle$IgA!può!essere!reperta!anche!a!livello$tubulare:!le!IgA!passano!nel!tubulo!attraverso!i!
foro!realizzati!dal!complemento!oppure!si!possono!spiegare!nel!contesto!della!proteinuria,!e!possono!
partecipare!alla!formazione!dei!cilindri14.!
• Alla!microscopia$elettronica!osserviamo!depositi$elettrondensi$paramesangiali!tra!la!MB!e!il!mesangio!
stesso.!
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
13!Tipicamente!presente!nelle!fasi!di!macroematuria!quando!abbiamo!anche!le!aree!di!necrosi!(la!sua$presenza$deriva$
dal$fatto$che$fra$le$funzioni$di$C3$c’è$anche$quella$di$stimolare$la$coagulazione).!
14
!Quando!si!formano!troppi!cilindri,!eritrocitari!o!proteici!con!IgA,!si!può!avere!danno!tubulare!e!riduzione!del!flusso!
dovuto!proprio!all’ostruzione.!Da!ciò!risulta!poi!l’idronefrosi,!cioè!un!accumulo!di!urine!che!può!portare!a!dilatazione!
dei! tubuli! e! ad! una! loro! regressione.! L’ostruzione! può! avvenire! a! livello! del! giunto! pielo1ureterale! (il! punto! in! cui!
l’uretere!inizia!dalla!pelvi),!oppure!a!livello!tubulare!(si!parla!di!idronefrosi$intrarenale).!Nei!bambini!l’ostruzione!può!
essere!dovuta!a!una!fibrosi.!!
L’idronefrosi!intrarenale!è!tipica!pazienti!con!la!gotta!ed!è!causata!del!deposito!di!cristalli!di!acido!urico!a!livello!dei!
tratti!distali!dei!Dotti!di!Bellini!(le!parti!terminali!dei!tubuli!che!sboccano!nelle!papille).!Non!si!vedono!nella!biopsia,!
perché!con!la!procedura!non!si!arriva!fino!a!quel!punto,!ma!nei!pezzi!chirurgici!(ma!anche!in!questi!casi!non!è!facile!
trovarli! perché! la! formalina,! che! ha! una! componente! acquosa! importante,! li! scioglie;! quindi! questi! pezzi! chirurgici!
vanno!conservati!nell’alcool,!che!non!scioglie!i!cristalli).!
Un’altra! causa! di! idronefrosi! intrarenale! (intratubulare)! può! essere! la! displasia! plasmacellulare! o! plasmacitoma,! in!
questo!caso!abbiamo!la!proteinuria$di$BenceLJones.!Queste!proteine!poi!precipitano!nei!tubuli!e!li!ostruiscono,!i!cilin1
dri!che!formano!assumono!una!forma!caratteristica!poiché!vengono!circondati!da!una!reazione!istiocitaria.
Quadri$morfologici!
In!base!alla!sede!del!deposito!possiamo!avere!diver1
si!quadri!morfologici:!
• assenza$ di$ lesioni$ morfologiche! (come! la!
nefropatia! diabetica! in! fase! iniziale):! il! glo1
merulo!sembra!normale,!le!MB!non!sono!al1
terate,! ma! c’è! sintomatologia,! perché! i! de1
positi! mesangiali! non! sono! ancora! grandi! e!
non!c’è!ipernucleosi!mesangiale,!
• quadro$ proliferativoLmesangiale,! con! au1
mento!della!matrice!e!dei!nuclei!mesangiali;!
è!simile!al!quadro!finale!della!GN!endotelio1
mesangiale,!
• quadro$proliferativo$mesangiale$e$capillare!
(focale,!40%!dei!casi,!o!diffuso,!30%!dei!casi;!
a! seconda! che! sia! coinvolto! o! meno! l’80%!
dei! lumi! capillari):! sono! coinvolti! oltre! al!
mesangio! anche! i! capillari! glomerulari! (co1
me!nella!GN!endotelio1mesangiale),!
• quadro$extracapillare,!
• quadro$cronico.!!
Quindi!nella!IgA!mesangiale!possiamo!avere!tutti!i!quadri!morfologici!che!abbiamo!visto!nelle!forme!primi1
tive,!ad!eccezione!della!forma!membranosa,!perché!le!IgA!sono!piuttosto!grandi!e!non!riescono!a!superare!
la!membrana!basale.!
!
!
!
!
!
!
!
!
!
!
!
!
!
!
!
!
!
!
!
!
!
Al!giorno!d’oggi,!la!GN!a!IgA!mesangiali!si!chiama!più!propriamente!“GN$a$IgA$mesangiali$prevalenti”!(cioè!
prevalente!nel!mesangio),!per!evidenziare!il!fatto!che!ci!possono!essere!accumuli!anche!altrove;!infatti!nel!
20L50%$ dei$ casi!si!osserva!il!deposito!non!solo!nel!mesangio!ma!anche!nella!MB$ sottoLendoteliale!come!
avviene!nella!GN$endotelioLmesangiale!(la!differenza!è!che!qui!ci!sono!IgA!connesse!con!un!virus!e!non!le!
IgG! connesse! con! lo! streptococco).! In! questo! caso! (deposito! anche! a! livello! della! MB! anche! sotto1
endoteliale),!c’è:!
• maggiore$proteinuria!alla!presentazione,!
• maggiore$attività$istologica$e$cronicità:!cambiano!le!frequenze!di!presentazione!dei!quadri!morfo1
logici,!cioè!aumenta!la!probabilità!che!si!formino!semilune!(45%),!perché!il!complemento!attivatosi!
a!livello!endoteliale!determina!fori!a!livello!della!MB!e!passaggio!nella!capsula!di!Bowman!di!fibrina.!
Quindi!aumenta!la!probabilità!di!proliferazione!dell’epitelio!capsulato!(maggiore!attività!istologica)!
e!di!involuzione!fibrotica!delle!semilune!(maggiore!cronicità),!
• un!quadro!clinico!che!tende!a!essere!prognosticamente$meno$favorevole!rispetto!a!quello!classico.!
!
Diagnosi$e$stadiazione$
Bisogna!informare!il!clinico!il!maniera!preciso!sull’entità$dell’alterazione:!perché!se!è!modesta!è!sufficiente!
trattare!la!patologia$ delle$ vie$ aeree$ superiori,!se!grave!bisogna!trattare!anche!la!patologia$ glomerulare;!
pertanto!bisogna!identificare!e!quantificare!le!lesioni!elementari,!in!particolare:!
• l’ipercellularità$mesangiale:!presente!se!ci!sono!più!di!3!nuclei!a!livello!mesangiale!(valutati!con!il!
PAS),!
• l’ipercellularità$endocapillare:!normalmente!i!lumi!capillari!sono!vuoti,!ma!quando!c’è!un!deposito!
sotto1endoteliale,!sono!richiamate!cellule!infiammatorie!(come!nella!GN!endotelio1mesangiale):!si!
osservano!neutrofili,!macrofagi!e!cellule!endoteliali!che!proliferano!o!aumentano!in!dimensioni!in!
risposta!al!danno!(si!attivano!per!eliminare!la!fibrina).!
L’ipercellularità!endocapillare!è!associata!a!una!diminuzione!del!lume,!quindi!della!funzione!di!fil1
trazione! (che! progredisce! verso! l’insufficienza! renale! e! la! ritenzione! idrosalina),! e! a! una! prognosi!
meno!favorevole,!
• la$sclerosi$segmentaria,!ovvero!la!solidificazione!di!un’ansa!del!glomerulo,!determinata!da!aumen1
to!della!matrice!extracellulare!e!deposizione!di!sostanze!ialine!e!istiociti,!che!si!associa!a!oblitera1
zione!del!lume!capillare,!
• l’adesione,! ovvero! il! legame! tra! un’ansa! solidificata! e! la! capsula! di! Bowman! (aderenza! capsulo1
capillare).!L’aderenza!si!forma!per!produzione!di!collagene,!quindi!di!deposizione!di!tessuto!cicatri1
ziale!in!un!segmento!necrotico!delle!anse!(la!necrosi!era!stata!causata!dall’attivazione!del!comple1
mento15):!tale!segmento!necrotico!entra!in!contatto!con!l’epitelio!capsulare,!che!diventa!fibroso!e!
si!forma!la!cicatrice.!
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
15
!L’attività!del!complemento!dà!la!necrosi!o!diretta!o!indiretta!(mediata!dalle!cellule!che!ha!richiamato),!quali!sono!i!
vari!tipi!di!necrosi:!
• litica,!
• coagulativa:!non!c’è!più!apporto!di!sangue!e!il!tessuto!diventa!come!mummificato,!non!c’è!!fibrina!(es.:!infar1
to!del!miocardio),!
• colliquativa:!è!la!fase!successiva!alla!necrosi!coagulativa,!vengono!rilasciati!enzimi!litici!per!!rimuovere!il!tes1
suto!necrotico!che!deve!essere!sostituito!da!tessuto!fibroso,!ci!sono!quindi!!neutrofili!e!detriti!cellulari,!ci!può!
essere!un!po’!di!fibrina!ma!non!come!in!una!necrosi!fibrinoide,!
• fibrinoide:!tipica!delle!reazioni!immunitarie!(vasculiti),!abbiamo!necrosi!del!tessuto!e!attivazione!della!coagu1
lazione,!abbiamo!tanta!fibrina,!tanto!fibrinogeno!e!detriti!cellulari.!Non!è!!una!necrosi!stabile!nel!tempo!per1
ché!deve!essere!sostituita!da!una!cicatrice,!
• emorragica:!tipica!degli!infarti!intestinali,!
Le!ultime!due!lesioni!sono!il!risultato!di!una!necrosi$locale!e!di!una!organizzazione.!
Sulla!base!di!queste!lesioni!è!stato!elaborato!lo!score$semiquantitativo$MEST,!che!si!calcola!osservando:!
• l’ipercellularità$ mesangiale,!se!interessa!più!o!meno!il!50%!dei!glomeruli!(ne!osserviamo!5110):!si!
attribuisce!M0!se!interessa!meno!del!50%!dei!glomeruli,!M1!se!interessa!più!del!50%!dei!glomeruli,!
• l’ipercellularità$endocapillare:!si!attribuisce!E0!se!è!assente,!E1!se!presente,!
• la!sclerosi$segmentale$e$adesione:!si!attribuisce!S0!se!è!assente,!S1!se!presente,!
• l’atrofia$tubulare$e$fibrosi$interstiziale:$sono!segni!indiretti,!sempre!associati!tra!di!loro,!indicativi!
della! distruzione! e! sclero1ialinosi! del! glomerulo! (infatti! la! scleroi1ialinosi! del! glomerulo! determina!
l’atrofia!del!tubulo;!il!paziente!non!ha!un!anefrite!interstiziale!determinata!dalla!patologia!di!base);!
J. Clin. Med. 2018, 7, 225 3 of 16
in! base! all’estensione! di! queste! lesioni! nella! biopsia! attribuiamo! T0! (<25%),! T1! (26150%)! o! T2!
(>50%).! Table 1. Modified Oxford classification and MEST score system (adapted from Roberts, I. S. et al. [10]).
Histological Finding Score
M0: Presence of mesangial hypercellularity in <50% glomeruli
Mesangial hypercellularity
M1: Presence of mesangial hypercellularity in >50% glomeruli
E0: No endocapillary hypercellularity
Endocapillary hypercellularity
E1: Presence of any endocapillary hypercellularity
S0: No segmental glomerulosclerosis
Segmental glomerulosclerosis
S1: Presence of any segmental glomerulosclerosis
T0: 0–25% tubular atrophy/interstitial fibrosis in cortical area
Tubular atrophy and interstitial
T1: 26–50% tubular atrophy/interstitial fibrosis in cortical area
fibrosis
T2: >50% tubular atrophy/interstitial fibrosis in cortical area
C0: no cellular or fibrocellular crescents
Cellular or fibrocellular crescents C1: Presence of cellular/fibrocellular crescents in <25% glomeruli
C2: Presence of cellular/fibrocellular crescents in >25% glomeruli
M: mesangial hypercellularity; E: endocapillary hypercellularity; S: segmental glomerulosclerosis; T: tubular atrophy
and interstitial fibrosis; C: crescent formation.
!
Questo!scora!ha!un!significato!prognostico,!ovvero!correla!la!riduzione$della$funzione$renale:!soprattutto!la!
3. Pathogenesis of IgAN
proliferazione$ mesangiale! e! l’atrofia$ tubulare$ con! fibrosi! interstiziale! correlano! con! questa! riduzione! (è!
Currently, IgAN is considered an autoimmune disease, with a multi-hit hypothesis proposed to
quanto!emerge!dall’analisi!multivariata).!
explain its immunopathogenesis [15]. The production of galactose-deficient IgA1 (Gd-IgA1) is the
first hit during the development of IgAN, and it plays an important role in the formation of immune
I!pazienti!con!patologia!attiva!sono!trattati!con!terapia$immunosoppressiva:!essa!determina!riduzione!della!
complexes. The second hit represents the production of IgG autoantibodies, which target the O-glycans
proliferazione! mesangiale,! delle! semilune! epiteliali! e! della! sclerosi! segmentale! in! maniera! clinicamente! e!
in the hinge region, leading to the formation of immune complexes. These complexes induce local
statisticamente!significativa.!
inflammatory responses and they are deposited in kidneys, leading to the activation and mesangial
cell damage. In Figure 1, the steps of the multi-hit IgAN development are presented. The three major
In!sintesi,!nel!referto!bisogna:!
antibodies, Gd-IgA1, antiglycan autoantibody (anti-Gd-IgA1 autoantibody), and C3 are involved in
• descrivere!quello!che!vediamo!in!microscopia!ottica,!immunoistochimica,!microscopia!elettronica;!!
the IgAN pathogenesis.
• aggiungere!lo!score$MEST,!
• dare!informazioni$aggiuntive!per!la!scelta!terapeutica:!
o numero!di!glomeruli!totali!nella!biopsia,!
o numero!di!glomeruli!scleroialini!(in!%),!
o presenza!di!semilune!epiteliali!o!fibrose!(quelle!epiteliali!sono!da!trattare!subitoprima!che!va1
dano!incontro!a!trasformazione!fibrosa),!
o presenza!di!necrosi!(in!%),!
o presenza!di!proliferazione!endocapillare!(in!%).!
Così!si!riesce!a!fornire!un’informazione!precisa!sulla!diagnosi,!attività!della!malattia!(la!malattia!si!dice!atti1
va!quando!ci!sono!aree!di!necrosi!e!di!proliferazione!endoteliale!e!capsulare)!ed!evolutività!verso!la!insuffi1
cienza!renale,!da!cui!dipende!la!terapia$immunosoppressiva.!
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
• caseosa:!si!chiama!così!perché!è!ricca!di!grassi!(come!il!formaggio)!che!derivano!dalle!membrane!cellulari,!si!
ha!una!reazione!granulomatosa!perché!c’è!qualcosa!che!non!viene!visto!come!proprio!dall’organismo.!Tipica!
della!tubercolosi.!
Figure 1. The multi-“hit” hypothesis explaining the immunopathogenesis of IgAN.
L’aspetto!fibroso!è!indice!di!cronicità!e!predice!una!scarsa!risposta!alla!terapia,!che!invece!serve!a!prevenire!
questo!tipo!di!alterazioni!avanzate!e!irreversibili,!trattabili!solo!con!dialisi!o!trapianto.!Invece!la!presenza!di!
semilune!epiteliali!è!un!fattore!predittivo!positivo!di!risposta!alla!terapia.!
!
Difficoltà$diagnostiche$
1) Non!è!raccomandato!calcolare!il!MEST!e!utilizzare!la!classificazione!morfologica!in!presenza$di$malatL
tie$concomitanti!come!il!diabete!mellito,!la!porpora!di!Schonlein!Henoch,!le!infezioni!da!HCV!e!HIV,!in!
cui!sono!presenti!alterazioni!di!base!dei!glomeruli:!in!questi!casi!non!si!riesce!a!capire!in#che#entità#le#
alterazioni!sono!dovute!a!una!patologia!piuttosto!che!ad!un’altra.!
La!porpora!di!Schonlein!Henoch!fa!parte!delle!GN!a!IgA!mesangiali!secondarie:!se!c’è!solo!interessa1
mento!del!rene!si!parla!della!malattia!di!Berger!(che!per!alcuni!autori!è!una!Schonlein!Henoch!mono1
sintomatica).!
2) Ci!sono!forme$di$GN$endotelioLmesangiali,$quindi!con!ipernucleosi!diffusa!a!livello!mesangiale!e!capil1
lare,$ricche$di$IgA$(oltre!che!di!IgG):!fare!diagnosi!in!queste!situazioni!diventa!complesso;!in!questi!casi!
non!si!fa!diagnosi!diretta!di!GN!IgA!mesangiale!ma!si!scrive!una!diagnosi!morfologica!di!“GN!con!iper1
nucleosi!mesangiale,!capillare!e!depositi!di!IgA”.!
3) Ci!sono!condizioni!in!cui!la!IgA!mesangiale!si!può!associare$ad$altre$GN:!a!lesioni!minime!(con!fusione!
pedicellare! visibile! al! microscopio! elettronico),! pauci1immune! (se! si! ha! positività! sia! alle! IgA! sia! agli!
ANCA).!In!questo!quadro!composito!è!complesso!distinguere!le!due!entità.!
4) A!volte!ci!sono!quadri$ particolari!come!una!necrosi$ importante$ delle$ anse$ capillari,!che!non!è!tipica!
delle!IgA!mesangiali;!in!questi!casi!è!più!probabile!che!ci!siano!altre!malattie!immunitarie!come!il!LES.!
! PRIMER
TERAPIA$(Nature,$2016)$
IgA nephropathy Findings
Uncommon clinical scenario
Treatment
50% crescents 50% crescents
<1 g per day proteinuria 1 g per day proteinuria <1 g per day proteinuria 1 g per day proteinuria
Stable GFR Stable GFR Declining GFR Declining GFR
*
<5% GFR decline 5–10% GFR decline >10% GFR decline
per year per year per year
Figure 8 | An algorithm of proposed treatment options for IgA nephropathy. Patients are treated for IgA nephropathy
Naturereceive
(IgAN) depending on the severity of disease. Patients with substantial crescentic disease (BOX 1) Reviews | Disease Primers
immunosuppression and steroids to control renal inflammation; those with less-severe crescentic disease must achieve
blood pressure control. If proteinuria develops upon blood pressure control, the level of proteinuria and the decline in
glomerular filtration rate (GFR) determine the course of action. For white patients with >10% GFR decline per year,
cyclophosphamide-based immunosuppression is given; Chinese patients benefit from mycophenolate mofetil-based
immunosuppression. *Monitoring of acid–base balance and blood pressure, and restriction of nephrotoxic drug use.
ACEI, angiotensin-converting enzyme inhibitor; ARB, angiotensin receptor blocker. $
high risk of developing ESRD, namely, those with cres- glycosyltransferases involved in the glycosylation of IgA1
centic glomerular lesions and rapidly progressive clinical has been demonstrated to be downregulated in tonsil-
course99,100. In Chinese patients, crescentic IgAN carries a lar B lymphocytes from patients with IgAN leading to
poor prognosis. Among 113 such patients from 8 centres underglycosylation of IgA1 (REF. 101).
across China, renal survival or progression to ESRD was Tonsillectomy as a management strategy for IgAN
in early and intermediate signalling, adhesion and co- given anti-TN
stimulation, gene transcription, and alternative splicing with skin rash
implicating T-cell dysfunction in disease pathogenesis. The incide
B-lymphocyte stimulator (BLys), interleukin 6, well known
interleukin 17, interleukin 18, type I interferons, and after menopa
tumour necrosis factor α (TNFα) are cytokines that are with pregnan
involved in the inflammatory process and tissue injury in 238 308 wom
NEFRITE$LUPICA:$INTERESSAMENTO$RENALE$IN$CORSO$DI$LES$
patients with lupus.16 The growing knowledge of these and 2003,21
$ cytokines provides an opportunity for their clinical contraceptive
applications. and postmen
Il!Lupus$Eritematoso$Sistemico!(LES)!è!una!patologie$sistemica$autoimmune!in!cui!il!sistema!immunitario! with increase
Environmental and hormonal factors
reagisce!contro!alcuni!antigeni!self!producendo!autoLanticorpi!che!attaccano!l’organismo!ed!entrano!a!far! Use of com
Ultraviolet light is the most well described environmental 351 menopau
parte!di!complessi$immuni$(formati!dagli!auto1Ab!e!dagli!Ag!self),!che!a!loro!volta!determinano!danno!nelle!
trigger of systemic lupus erythematosus. Both ultraviolet of increasing
sedi!in!cui!si!depositano.!
E’!più!frequente!nelle!donne!(1:9),!insorge!in!età$giovaL Cardiovascu
Panel 2: Environmental triggering factors in systemic
The recogniti
neLadulta! ed! è! una! patologia! multifattoriale:! occorre! lupus erythematosus
the immune
una! predisposizione! genetica! su! cui! agiscono! fattori! • Sunlight association of
ambientali!che!possono!scatenare!la!malattia.! • Cigarette smoking a predilectio
• Infection lupus erythem
E’!una!patologia!multisistemica,!che!interessa!molteplici! • Vaccine* according to t
organi,!tra!cui:!rene,!cervello,!cuore,!cute,!articolazioni,! • Vitamin D deficiency from 6% to
• Exogenous oestrogen women aged
vasi,!polmone,!sierose.! myocardial in
• Conventional drugs
Quindi,! l’interessamento! degli! organi! e! i! sintomi! sono,! • Biological agents with an a
come!già!detto,!determinati!dall’azione!diretta!degli!au1 • Pesticides population.26 V
• Phthalates substantially
toanticorpi! e! dalla! sede! di! deposizione! dei! complessi! systemic lup
*There are many anecdotal case reports of induction or exacerbation of systemic lupus
immuni,! che! peraltro! sono! straordinariamente$ eteroL erythematosus after immunisation, but overall these instances are rare.
208 patients w
48 died at a m
genei!per!dimensioni,!affinità,!classe,!capacità!di!deter1
minare!danno.!
1880
!
$
$
$
$
$
NEFRITE$LUPICA$
!
Quando! gli! immunocomplessi! (IC)! si! depositano! a! livello! renale! si! può! avere! la! nefrite$ lupica.! L’incidenza!
della!patologia!renale,!soprattutto!glomerulare,!in!corso!di!LES!è!elevata:!il!danno!renale!c’è!nella!maggior!
parte!dei!pazienti!con!LES,!ma!in!una!parte!di!questi!il!quadro!è!minimo!e!non!si!associa!a!modificazioni!del1
la!funzionalità!renale!(nefrite$lupica$silente);!il!danno!dipende!infatti!dall’attivazione$del$complemento:!in!
questo!caso,!soprattutto!quando!il!danno!progredisce!verso!l’insufficienza!renale,!occorre!la!terapia.!
!
La!patologia!coinvolge:!
• glomeruli,$soprattutto,!
• tubuli$e$interstizio$(se!gli!IC!si!depositano!nella!MB!dei!tubuli,!dove!giungono!attraverso!i!capillari!
peritubulari),!
• vasi.!
La!deposizione!di!IC!nel!glomerulo!può!avvenire!in!diverse$sedi,!a!seconda!delle!loro!dimensioni;!come!ac1
cennato,!c’è!infatti!una!eterogeneità$e$compresenza$di$IC,!che!spiega!i!quadri!multipli!(c’è!come!una!asso1
ciazione!di!differenti!quadri!di!GN!primitiva).!Le!sedi!di!deposito!sono:!
• sottoLendoteliale:!il!quadro!è!simile!all’endotelio1mesangiale!in!fase!acuta!(si!attiva!il!complemento!
e!c’è!danno!locale),!
• mesangiale:!c’è!un!quadro!mesangiale!con!proliferazione!del!mesangio!che!tenta!di!eliminare!gli!IC,!
• sottoLepiteliale!(sottoepicitaria):!il!quadro!è!simile!alla!forma!membranosa.!
Ci!possono!essere!anche!depositi!in!sedi!multipli,!con!una!sede!prevalente:!c’è!quindi!una!malattia!renale!
da!immunocomplessi!più!eterogenea!(inter1!e!intraglomerulo)!e!complessa,!in!cui!il!quadro$morfologico!è!
pleomorfo$e$variabile$nel!tempo.!Con!l’evolvere!della!malattia,!ci!può!essere,!spontaneamente!o!dopo!te1
rapia,!anche!una!trasformazione!del!pattern!e!del!quadro!morfologico,!perché!si!formano!nuovi!complessi!
immuni:!per!esempio!può!esserci!una!fase!iniziale!soprattutto!membranosa!e!una!successiva!diversa.!
Questa!variabilità!spiega!il!decorso$ clinico$ variabile!della!nefrite!lupica:!si!alternano!fasi!di!recrudescenza!
della!malattia!renale!ad!altre!di!guarigione,!in!parte!spontanea!e!in!parte!grazie!alla!terapia.!
Come!accennato,!nella!nefrite$lupica$silente!c’è!deposito!di!immunocomplessi!senza!l’attivazione!del!com1
plemento,! fondamentale! mediatore! del! danno! morfologico:! la! biopsia! renale! in! questo! è! negativa$
all’immunofluorescenza,!perché!c’è!un!deposito$aspecifico!che!non!ha!attivato!il!complemento.!Si!osserva!
un!danno!minimo!da!un!punto!di!vista!morfologico!e!clinico,!quindi&non&c’è&una&sintomatologia&tale&da&di1
ventare!di!interesse!medico1internistico.!
!
BIOPSIA$RENALE$NELLA$NEFRITE$LUPICA$
La!biopsia$renale!nei!pazienti!con!il!LES!è!indicata!a!fini!della:!
• diagnosi:! in! caso! di! ematuria,! proteinuria,! disfunzione! renale,! ipertensione,! ipocomplementemia,!
altre!lesioni!renali;!in!generale!se!c’è!una!sintomatologia!particolare16!per!cui!è!importante!definire!
la!natura!del!danno,!il!tipo!di!alterazione!morfologica,!
• prognosi:!per!valutare!l’attività!di!malattia,!la!cronicità!e!per!prevedere!outcome;!quindi!si!stima!la!
probabilità!di!progressione!verso!l’insufficienza!renale,!
• scelta$della$terapia:!per!impostare!il!trattamento!iniziale!o!cambiare!la!terapia;!quindi!con!la!biop1
sia!si!cercano!lesioni!che!possono!essere!controllate!con!la!terapia.!
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
16
!Ad#esempio#se#il#paziente#ha#una#proteinuria#minima#e#una#microematuria#è#verosimile#che#il#danno#sia#modesto#e#
non!richieda!la!biopsia,!ma!se!improvvisamente)la)proteinuria)diventa)nefrosica)e)l’ematuria)diventa)più)importante)
significa(che(c’è(una(modifica(del(danno(morfologico(che(richiede(un(attenzione(particolare.!
I!limiti$della$biopsia$renale!sono:!
• l’inadeguatezza!del!materiale,!!
• la!necessità!di!tessuto!corticale!(occorrono!almeno!10!glomeruli).!
Infatti,!poiché!la!corticale!è!spessa!meno!di!un!centimetro!è!possibile!a!volte!che!non!venga!prelevata!in!
quantità!sufficiente!(c’è!molta!midollare!nella!biopsia),!
!
TECNICHE$DIAGNOSTICHE$E$QUADRI$
Per! la! diagnosi! ci! si! avvale! di! microscopia! ottica,! immunofluorescenza! e! microscopia! elettronica;! bisogna!
avere!in!mente!le!lesioni!da!andare!a!cercare!e!considerare!che!la!soglia!per!distinguere!forme!focali!e!dif1
fuse!è!del!50%.!
• Microscopia$ ottica.!Il!campione!viene!colorato!con!differenti!colorazioni:!EE,!PAS!(per!evidenziare!
la! matrice),! impregnazione! argentica,! tricromica! (che! facilita! l’osservazione! dell’entità! coinvolgi1
mento!dei!glomeruli,!focale!o!diffuso).!
• Fluorescenza.$
o C’è!un!full&house&pattern:!c’è!una!variabilità!di!immunocomplessi,!infatti!ci!sono$Ig$di$diverse$
classi!(IgG,$IgM,$IgA),!presenti!in!diverse!proporzione!nelle!diverse!sedi,!associati!a$C3,$C1q,$fiL
brigeno$ e$ fibrina;!la!compresenza!di!tutte!le!Ig!è!suggestiva!infatti!di!una!malattia!sistemica,!
quindi!a!una!GN!secondaria!come!la!nefrite!lupica.!
La!presenza!di!fibrina!all’IF!è!indicativa!della!presenza$di$aree$di$necrosi,!quindi!di!lesioni!attive!
che!richiedono!una!terapia!particolare.!
o Il!pattern!è!granulare;!a!volte!i!granuli!sono!piccoli!e!può!esserci!un!pattern!pseudolineare.!
o I!granuli,!quindi!i!depositi,!sono!presenti!in!tutte!quelle!sedi!in!cui!c’è!una!membrana!di!filtra1
zione:! li! osserviamo! in! sede! sottoLendoteliale,$ mesangiale,$ sottoLepiteliale,$ nella$ capsula$ di$
Bowman!(dove!arrivano!dal!capillare!peritubulare),!a!livello!della!MB$di$vasi$e$dei$tubuli!(dove!
arrivano!dal!capillare!peritubulare;!anche!qui!possono!attivare!il!complemento!e!determinare!
necrosi!fibrinoide,!assente!nelle!forme!di!GN!primitiva).!Queste!differenti!sedi!di!deposito!con1
fermano!l’eterogeneità!degli!anticorpi!che!si!sono!prodotti.!
o Si! può! confermare! il! sospetto! di! LES! sfidando! il! preparato! (ovvero! il! tessuto! di! un! paziente!
normale!congelato)!con!il!plasma!del!paziente,!che!dovrebbe!contenere!anticorpi!anti1nucleo!
(ANA);!se!poi!si!aggiunge!un!anticorpo!anti1IgG!coniugato!con!la!fluorescina!e!si!guarda!al!mi1
croscopio:!i!nuclei!dovrebbero!apparire!fluorescenti.!
• Microscopia$elettronica.!Oltre!a!mettere!in!evidenza!alcuni!depositi$elettrondensi!omogenei!(neri)!
in!diverse!sedi,!può!mostrare!depositi!con!aspetti$variabili:!
o ci!sono!depositi!elettrondensi!con!un!pattern!che!sembra!in!alcuni!punti!un’impronta$digitale,!
o a!volte!ci!sono!depositi!che!assomigliano!a!inclusioni$ virali,!sono!lesioni$ tubuloLreticolari!del!
citoplasma! delle! cellule.! E’! verosimile! che! questi! pazienti! che! hanno! disturbi! dell’immunità!
possano!sviluppare!in!qualche!modo!anche!sovrapposte!malattie!virali.!
Il!ruolo!della!ME!è!identificare!questi!pattern!di!depositi:!a!volte!la!biopsia!viene!fatta!senza!la!dia1
gnosi!di!LES,!e!poi!mette!in!evidenza!questa!eterogeneità!e!fa!sorgere!l’ipotesi!diagnostica.!
!
CLASSIFICAZIONE$
La!glomerulonefrite$lupica!può!essere!classificata!in!sei$classi,!ovvero!in!sei!quadri!morfologici!che!differi1
scono!per!la!disposizione!dei!depositi!e!l’attività!di!malattia,!quindi!la!prognosi!e!la!terapia.!Infatti:!
• la!I!e!la!II!sono!caratterizzate!dal!deposito!di!immunocomplessi!prevalente!a!livello!mesangiale,!con!
aumento!della!cellularità!del!mesangio!minimo!in!classe!I!e!maggiore!in!classe!II.!Ci!sono!proteinu1
ria!ed!ematuria!modeste,!
• la!III!e!la!IV!a!livello!subendoteliale,!con!coinvolgimento!di!meno!del!50%!dei!glomeruli!in!classe!III!
(forma!focale)!e!di!più!del!50%!in!classe!IV!(forma!diffusa),!
• la!V!soprattutto!a!livello!sottoepiteliale!(contorno!esterno!della!membrana!basale),!
• la!VI!è!una!forma!avanzata!in!cui!il!paziente!è!arrivato!all’insufficienza!renale.!
Nel!dettaglio!distinguiamo:!
I. nefrite$ lupica$ mesangiale$ minima:!il!glomerulo!sembra!quasi!normale!alla!microscopia!ottica.!Nel!
mesangio! si! osservano! una! minima$ proliferazione$ mesangiale! (al! massimo! ci! sono! 213! cellule)! e!
poca$ matrice$ mesangiale.!I!depositi,!formati!da!diversi!tipi!di!Ig,!sono!localizzati$ unicamente$ nel$
mesangio!ma!sono!pochi.!Le!MB!sono!indenni.!Il!capillare!è!integro.!Ci!sono!ematuria!e!proteinuria!
minima!e!la!prognosi!è!eccellente;!
Figure 1. Lupus nephritis class I. A, Glomerulus with no significant mesangial hypercellularity (periodic acid–Schiff, original magnification !400).
B, Immunofluorescence microscopy showing focal mesangial trace to 1" staining for immunoglobulin G (IgG) (fluorescein isothiocyanate–con-
jugated anti-human IgG, original magnification !500). C, Electron micrograph of glomerular capillary with normal basement membrane and
preserved foot processes showing small, granular mesangial deposits (arrows) (original magnification !12 000). D, Diagram of small, mesangial
deposits with normal glomerular epithelial, endothelial, and mesangial cells.
!
II. forma$ proliferativa$ mesangiale,!simile!alla!GN!endotelio1mesangiale!in!fase!di!guarigione,!in!cui!i!
nostic line with a quantitative assessment reflecting pre- lesions can be accompanied by areas of active tubuloin-
depositi!si!spostano!dal!subendotelio!a!mesangio,!che!prolifera.!Quindi!è!simile!alla!classe!I!ma!ci!
dominantly active, mixture of active and chronic, or most- terstitial inflammation with or without tubular basement
ly chronic parameters. In contrast to IF, EM may be less membrane deposits, or tubular atrophy and interstitial fi-
sono! alterazioni!
sensitive morfologiche!
in class III because of the focalpiù! evidenti:!
distribution c’è! una!
of the brosismaggiore$ espansione$
in the chronic phase. mesangiale,! dovuta!
proliferative lesions (Figure 3, C and D), the variability in Clinical renal presentation of class III is more hetero-
all’aumento!dei!nuclei!(più!di!3!per!area),!della!matrice!e!dei!depositi.!
the extent and severity of disease, and sample size. The geneous, spanning hematuria, proteinuria, a nephritic pic-
actual amount of glomerular deposits also varies within ture (Table 1) with active sediment, and nephrotic syn-
the same biopsy when an available glomerulus is studied drome in a smaller group of patients. This may be accom-
by EM. When only focal segmental sclerosing lesions are panied by mild to moderate renal insufficiency in fewer
present, class III-C is assigned to indicate a previous active than 25% of cases. The prognosis of patients with class III
episode that has progressed to scarring. The glomerular lesions also varies widely, from no change to progression
238 Arch Pathol Lab Med—Vol 133, February 2009 Renal Disease in SLE—Seshan & Jennette
All’IF!ci!sono!abbondanti!depositi!di!tutte!e!tre!le!classi!di!Ig!e!di!C3,!soprattutto!nel!mesangio.!La!
ricchezza!dei!depositi!in!sede!mesangiale!emerge!soprattutto!alla!microscopia!elettronica;!
Figure 2. Lupus nephritis class II. A, Glomerulus with mild focal mesangial hypercellularity (arrows) (periodic acid–Schiff, original magnification
!400). B, Immunofluorescence microscopy showing 2" granular staining for immunoglobulin G (IgG) restricted to the mesangium (fluorescein
isothiocyanate anti-human IgG, original magnification !500). C, Electron micrograph of a glomerular mesangial area with finely granular, darkly
electron-dense deposits admixed with pale matrix and cells. Normal glomerular basement membrane reflected on the mesangium (arrows) (original
magnification !10 000). D, Diagram of increased mesangial cells and deposits with focal distortion of foot processes.
!
III. forma$focale:!è!interessato!meno$del$50%$dei$glomeruli!(bisogna!osservarne!almeno!10),!in!cui!so1
to class IV and class V, as seen in subsequent renal biop- term lupus nephritis outcome study (#10 years) that dem-
no!presenti!lesioni!segmentarie.!
sies (Table 2), whereas others recover, posting higher 5- onstrated a poor prognosis for diffuse segmental (class
Il!year renal survival rates.3
deposito! è! ancora! presente! nel! mesangio,! che! può! IV-S) LGN compared with diffuse global (class IV-G) LGN
essere!membranous
or combined espanso,! ma! and compare!
diffuse global soprattutto!
LGN (class in!
Class IV: Diffuse LGN
sede$sottoLendoteliale,!dove!determina!danni$alla$MB$in!quando!viene!richiamato!il!complemento!
V " class IV-G). This study and a subsequent study by
42
This class has involvement of 50% or more of all glo- Hill et al43 also raise the possibility that class IV-G and
che!distrugge!il!mesangio!e!i!capillari:!quindi!si!osservano:!
meruli with segmental (S) or global (G) A or C lesions. 36
class IV-S LGN are caused by different pathogenetic mech-
Class IV-G has global lesions in 50% or more of glomeruli, anisms. This subdivision may facilitate further studies re-
oand fori$ e$ fissurazioni!
class IV-S della! inMB:!
has segmental lesions 50% passano!
or more of garding their possible pathogenetic mechanisms, clinical
cific clinical profiles (Table 1), but guide the type of ther- Table 5.andActive and Chronic Glomerular Lesions*
glomeruli. Class IV-S and class IV-G are further catego- relevance, prognostic significance.
apy and emazie!e!c’è!ematuria,!
prognosis. The pathologic features are
rized by the presence of A, A " C, or C lesions (Tables 3highly var- In addition,
Active lesions other glomerular histologic variants of class
iableand
ofrom
The
patient
pathologic
to patient.
necrosi$delle$anse,!
4). Active lesions
criteria
(Figure 4, A through E) have varying
for the various classes of loop
LGNle-
IV include (1) extensive
Endocapillary subendothelial
hypercellularity, deposits
with or without with in-
leukocyte min-
degrees of large subendothelial deposits (‘‘wire imal filtration
or no proliferative component,
and with substantial luminal(2)reduction
diffuse severe mes-
formulated comparsa$di$elementi$infiammatori,$
osions’’), inhyaline
the now widelyendocapillary
thrombi, used ISN/RPS classification
cellular prolifera- angial proliferation with widespread subendothelial de-
Karyorrhexis
are described in Table cell
tion, inflammatory 3 and in an abbreviated
infiltration, form with
fibrinoid necrosis in posits, (3) diffuse,
Fibrinoid necrosis global endocapillary proliferation and
o 36diminuzione$ dei$ lumi$ a! causa! della! pre1
4. This schema
Tabledisruption was basement
of capillary designed membranes,
to accommodate cen-
and cellular inflammatory cell infiltration
Rupture of glomerular basementwith minimal or moderate
membrane
ters around
crescents thethat
world where EM
generally is not
have a standard
mesangial practice
proliferation. Crescents,
deposits, andcellular or fibrocellular
(4) membranoproliferative pattern of glo-
in examining
senza!di!cellule!e!della!necrosi,$
renal biopsies
Chronic glomerular andinclude
lesions wheresegmental
limited resources
and global Subendothelial deposits
merulonephritis, 36
thus identifiable by LM the
demonstrating (wireloops)
heterogeneity
Intraluminal immune aggregates (hyaline
class thrombi)
proliferazione$
mayoglomerulosclerosis
be available to perform dell’epitelio$
routine EM.
and fibrocellular (Figure capsulare!
Although
4, F) andLMfi- of the glomerular patterns in this of lupus nephritis.
and brous
IF yield considerable/reliable
crescents (Table 5). information with rea- All of the
Chronic active glomerular features (Table 5) may mani-
lesions
sonableThe (reattiva!al!contatto!con!la!fibrina),!che!si!
subdivisions
certainty of class
regarding theIV-S and class
specific IV-G
class of were
LGN,in- festGlomerular
fully withsclerosis
any degree of severity.
(segmental, global)Focal or widespread
alongcluded
with in the
the
espande! ISN/RPS
extent of classification
reversibility
nello! spazio! or because of treat-
potentially
di! filtrazione! a long-
fino! a! active interstitial
Fibrous adhesionsinflammation and edema and active tub-
able Arch
lesions, the Fibrous crescents
Pathol Labapplication
Med—Vol 133, of February
EM is crucial
2009 in a propor- Renal Disease in SLE—Seshan & Jennette 239
cases for diagnosis, prognosis, !and
tion of causare!il!collasso!delle!anse. ! manage- microscopy. with permission from the authors. LM indicates light
* Reprinted 36
ment. 28,29,37–40
Similar pathologic criteria should be applied
for Questo!è!il!quadro!attivo,!in!cui!prevale!la!necrosi;!poi!in!cronico!il!tessuto!necrotico!viene!sostitui1
repeat biopsies to retain the uniformity of reporting
andto!da!tessuto$connettivo$cicatriziale,!che!si!organizza!e!solidifica!in!maniera!irreversibile:!si!forma1
comparison.
terial vessels are generally preserved. Clinically, nearly
Class I: Minimal Mesangial LGN
no!aree$di$sclerosi$segmentaria!e!aderenze!con!la!capsula,!si!eliminano!anse!funzionali!e!progredi1
60% of patients with class II lesions present with asymp-
All 3 previous versions of the classification of lupus ne- tomatic proteinuria (subnephrotic range), asymptomatic
sce!l’insufficienza!renale.!
phritis (1974, 1982, and 1995) included specimens with hematuria, or both with normal renal function (Table 1).
normal glomeruli by LM, EM, and IF in class I lupus ne- Nephrotic-range proteinuria is not common in this class.
Alla!microscopia$ottica!il!tessuto!cicatriziale!presenta!aree!più!chiare,!in!cui!c’è!il!collagene!di!tipo!I!
phritis. The ISN/RPS schema has omitted normal glo- This may be indicative of minimal-change disease (lipoid
(che!deriva!dalle!cellule!capsulari!proliferate),!e!aree!più!scure,!in!cui!c’è!il!collagene!di!tipo!IV!(che!
meruli by LM, EM, and IF from class I. The ISN/RPS class nephrosis). Although these glomerular lesions remain sta-
I includes specimens with glomeruli that appear normal ble in most cases with close clinical monitoring of the sys-
by LM but have mesangial immune complex deposits by temic disease and supportive therapy, a significant num-
IF.36 The capillary walls are generally of normal thickness ber may progress to class III or class IV LGN.
by periodic acid–Schiff and silver staining with widely
patent lumina (Figure 1). Tubuloreticular inclusions are Class III: Focal LGN
observed frequently by EM in endothelial cells in class I The definition of this category is proliferative glomeru-
deriva!dalla!MB);!alla!microscopia$ elettronica!emergono!depositi!elettrondensi!nel!mesangio!e!in!
sede!sottoendoteliale.!
Al!clinico!interessa!sapere!se!c’è!una!lesione$ attiva,!che!va!subito!trattata!per!evitare!che!diventi!
tardiva!(sclerotica!e!quindi!intrattabile),!e!quindi!che!il!paziente!evolva!verso!l’insufficienza!renale;!
Figure 3. A, Lupus nephritis class III–active. Segmental glomerular endocapillary proliferation and infiltration of inflammatory cells, covered by
a small cellular crescent (!50% of glomeruli) with mild mesangial hypercellularity (periodic acid–Schiff, original magnification "600). B, Class
III–chronic. Segmental sclerosing lesions with capsular adhesions, mild mesangial changes, and a small fibrous crescent in one (arrow) (periodic
acid–Schiff, original magnification "400). C, Class III–active. Electron micrograph of a glomerular lobule showing endothelial swelling and an
influx of polymorphonuclear leukocytes and focal subendothelial electron-dense deposits (original magnification "6000). D, Diagram of focal
subendothelial deposits, mesangial deposits, and hypercellularity.
!
IV. forma$diffusa$(segmentale$o$globale):!c’è!interessamento!di!più!del!50%!dei!glomeruli!(forma!dif1
fusa),! con!
ulitis may coinvolgimento!
accompany the active di! alcune! disease.
glomerular (segmentale)!
Vas- o! di! such
type), tutte!
as (globale)! le! anse:! si! parla!structures
(1) crystalline/fingerprint-like rispettivaL
in
cular lesions that are most frequently encountered range 5% to 10% of cases, usually with a thickness of 10 to 15
mente$di$forma$diffusa$segmentale!(IV1S)!e!di!forma$diffusa$globale!(IV1G).!
from vascular immune deposits by IF but not LM to lupus nm of the thin curvilinear bands and having cross-stria-
vasculopathy with massive noninflammatory small arte- tions with a periodicity (Figure 7, A)37; and (2) cryoglob-
Il!pattern!di!danno!è!lo!stesso!della!classe!III!ma!è!più!diffuso!perché!i!depositi$sottoendoteliali!so1
rial and arteriolar intimal deposits, thrombotic microan- ulins composed of larger hollow tubular-type deposits
giopathy or, on rare occasions, necrotizing arteritis. measuring 50 to 100 nm in thickness and occasional Con-
no!molto$più!abbondanti$e$diffusi!e!c’è!un!maggior!danno!da!attivazione!del!complemento:!si!os1
Generally, a full house IF pattern is found in class IV go red–negative fibrillary deposits, occurring at random
servano!necrosi,!ipernucleosi!simile!alla!GN!
lesions, with occasional cases that are pauci-immune, usu- or in parallel bundles, composed of polyclonal immuno-
ally class IV-S (Figure 5). Most deposits are located in the globulins (Figure 7, B).44 These fingerprint forms, which
endotelio1mesangiale!
subendothelial and mesangial in! areas,
fase! finale,! e! le! al1
with scattered or var- may not always be associated with cryoglobulinemia,38,40,44
iable numbers of deposits under
tre!lesioni!viste!in!classe!III.! the epithelium as seen are more frequently observed in deposits around the glo-
by EM (Figure 6, A and B). When subepithelial deposits merular basement membranes than in mesangial areas
Anche!in!questa!classe!possono!esserci!alteL
exceed 50% of the capillary walls, the class V category and are also found along tubular and peritubular capillary
should be reported in combination with class IV. In this basement membranes and arteriolar walls. Such organized
razioni$acute$(attive)$e$croniche$(consolidaL
situation, EM is a useful tool to make this distinction bet- deposits are rarely seen in renal lesions long before the
ter than IF alone. Frequently, granular deposits along tu- actual onset of SLE.45 Patients with hepatitis C–associated
te),!talvolta!anche!compresenti!nella!stessa!
bular basement membranes are associated with this active cryoglobulinemic glomerulonephritis46 and monoclonal
biopsia,!a!evidenziare!il!fatto!che!la!deposi1
lesion. immunoglobulin diseases secondary to lymphoprolifera-
In class IV as well as in other classes of LGN, a variety tive or plasma cell myeloma disorders47 may have similar
zione! di! IC! può!features
of ultrastructural continuare!
may be ed! evolvere!
observed, du1 fo- organized tubular or fibrillary substructure of the glo-
including
cal or diffuse organized deposits (admixed with granular merular deposits. Intracytoplasmic tubuloreticular inclu-
rante! la! malattia! (che! è! capricciosa! e! inco1
240 Arch Pathol Lab Med—Vol 133, February 2009 Renal Disease in SLE—Seshan & Jennette
stante):! ci! sono! quindi! lesioni! più! precoci! e!
altre!più!tardive,!che!si!trovano!quindi!in!di1
verse!fasi!evolutive.!!
brane spikes alternating with lucencies on the outer aspect
of the glomerular basement membranes (Figure 8, A).
Subepithelial deposits, when present in substantial
amounts, appear by trichrome stain as fuchsinophilic
granules on the outer aspect of glomerular basement
Figure 5. Class IV–global-active. Immunofluorescence microscopy of
membrane. In advanced cases of class V, double contours
the glomerulus reveals strong (3!), global, granular staining for im-
munoglobulin G (IgG) along the capillary walls and in the mesangial of the capillary walls may be seen due to intramembra-
areas (1–2 !) (fluorescein isothiocyanate anti-human IgG, original mag- nous deposits, fusion of spikes, and new basement mem-
nification "600). brane formation. Since this is a diffuse process, IF shows
Si! possono! trovare! inoltre! abbondanti! depositi! di! materiale$ di$ origine$
a typical, global coarsely plasmatica! (Ig,!pattern
to finely granular fibrina,!
of so1
glo-
merular capillary wall staining, usually for all 3 immu-
stanze!plasmatiche),!che!formano:!
sions are noted within the endoplasmic reticulum of the noglobulins—IgG being the most intense (Figure 8, B)—
o anse$a$fil$di$ferro$(wire&loop):$a!causa!dell’abbondanza!di!depositi!sottoendoteliali,!le!MB!sono!
endothelial cells and infiltrating lymphocytes in lupus ne- and complement components C3 and C1q, as well as in
phritis (Figure 7, C). Frequent tubuloreticular inclusions, the mesangium. The characteristic, granular, and irregular
ispessite,!
and especially rigide! e! ben!
confronting allineate!
cylindrical come!
cisternae, areun! fil! di!subepithelial
asso- ferro! (visibile! al! PAS):!
and/or non! è! un!dense
intramembranous inspessimento!
deposits are
ciated with minimally treated and clinically active dis- noted in the glomerular basement membrane by EM (Fig-
della!matrice."Questo"aspetto"è"presente"soprattutto"nelle!forme!di!classe!IV,!quelle!più!gravi;!
ease.48 These are believed to be induced by the high serum ure 8, C and D), some of them having a penetrating prop-
o trombi$ialini:!nel!LES!c’è!un!disturbo!della!coagulazione,!sempre!su!base!autoimmune,!e!si!de1
levels of interferon #, elaborated by the activated T lym- erty traversing part of or the entire thickness of the lamina
phocytes in patients with SLE. These inclusions are not densa.
17
3
positano!microtrombi$di$fibrina!nel!lume!capillari
specific for lupus and may also be observed in patients .! clinical and pathologic parameters can be used
Several
with human immunodeficiency virus (HIV) and, rarely, to distinguish a non–lupus membranous GN from mem-
Con!l’aumentare!dei!glomeruli!e!delle!anse!interessate!peggiora!la!prognosi,!ovvero!il!rischio!di!an1
other viral infections (hepatitis B and C) in the kidney. branous LGN when overt SLE manifestations are not read-
dare!incontro!a!insufficienza$renale;!
Figure 6. A, Lupus nephritis class IV–global-active. Electron micrograph (high magnification) of glomerular capillary basement membranes dem-
onstrating abundant subendothelial deposits (wire loop lesion) and small adjacent mesangial and scattered discrete subepithelial deposits. The
overlying epithelial foot processes are effaced with intact lamina densa (original magnification "7000). B, Diagram of extensive, large, suben-
dothelial deposits with small, scattered, subepithelial deposits. Varying mesangial hypercellularity and deposits are observed.
!
V. forma$
242 Archmembranosa:$
Pathol Lab Med—Volci! sono!
133, depositi!
February 2009 sottoepiteliali,! al! di! sotto! dei! podociti,!
Renal Diseasecioè! nel! contorno$
in SLE—Seshan & Jennette
esterno$ della$ MB! (come! GN! membranosa! idiopatica).! A! differenza! della! forma! idiopatica,! però,! i!
depositi!non!si!trovano!solo!in!sede!sotto1endoteliale,!ma!possono!trovarsi!(nel!32%!dei!casi)!anche!
nel!mesangio,$che!presenta!ipercellularità.$
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
17!Due!patologie!microtrombotiche!(microangiopatie!trombotiche),!in!cui!si!depositano!piccoli!trombi!di!fibrina!nella!
parete!delle!arteriole!e!dei!capillari!sono!la!sindrome!emolitico1uremica!(SEU)!e!la!porpora!trombotica!trombocitope1
nica!(PTT).!Ci!sono!disturbi!analoghi!a!quelli!visti!nel!LES!ma!primitivi.!
Nella!SEU!c’è!microtrombosi!all’ingresso!del!glomerulo,!che!termina!diminuzione!del!flusso!(quindi!insufficienza!renale!
e!uremia),!ed!emolisi!da!trauma!(i!GR!che!passano!nei!vasi!in!cui!si!è!depositato!un!microtrombo!vengono!traumatizza1
ti!e!lesionati,!e!vanno!incontro!a!rottura);!può!essere!causata!da!un’infezione!(forma!“tipica”)!da!E.'coli'enteroemorra1
gico!(EHEC,!tipo!O157:H7),!che!libera!una!tossina!che!determina!danno!endoteliale!e!diatesi!pro1trombotiche,!o!da!un!
deficit!(forma!“atipica”)!di!alcuni!fattori!del!complemento!(fattore!H,!fattore!I!o!CD46).!
La!PTT,!come!suggerisce!il!nome!è!caratterizzata!da!lesioni!cutanee,!microtrombosi,!anemia!emolitica!da!trauma!e!de1
ficit!di!piastrine!(ci!possono!essere!anche!febbre,!deficit!neurologici!transitori!e!IRA);!è!associata!a!un!deficit!(eredita1
rio!o!acquisito)!di!un!enzima!plasmatico!noto!come!metalloproteasi!del!fattore!di!von!Willebrand!(ADAMTS13),!che!
degrada!questo!fattore!della!coagulazione.!In!sua!assenza,!i!polimeri!del!vWF!si!accu1!mulano!e!tendono!a!stimolare!
sia!l’attivazione!sia!l’aggregazione+piastrinica.+La+concomitante+pre1!senza&di&una&lesione&endoteliale&(indotta&da&altre&
cause)'può'ulteriormente'favorire'la'formazione'di'microaggregati'piastrinici,'scatenando!l’insorgenza!o!aggravando!il!
decorso!di!una!TTP.!
Un’altra!malattia!in!cui!c’è!microtrombosi!(oltre!al!LES,!PTT!e!SEU)!è!la!crioglobulinemia:!è!caratterizzata!dalla!precipi1
tazione!del!sangue!di!Ig!quando!si!abbassa!la!temperatura;!le!Ig!formano!dei!piccoli!trombi!nel!lume!dei!capillari!e!si!
manifesta!con!lesioni!cutanee!quali!petecchie!e!lesioni!ischemiche!(dovute!all’occlusione!die!vasi!a!causa!del!trombo).!
Si!osservano!lesioni$in$diverse$fasi$di$evoluzione!(in!fase!attiva!e!di!solidificazione):!la!MB!è!inspes1
sita!e!presenta!all’impregnazione!argentica!il!contorno!esterno!visibilmente!alterato,!c’è!ipercellu1
larità! nelle! anse! dei! capillari,! può! esserci! proliferazione! dell’epitelio! capsulare! con! formazione! di!
semilune.!
In!caso!di!interessamento!del!mesangio!potrebbe!essere!una!forma$mista$primitiva,!ma!prima!bi1
sogna!escludere!una!forma!secondaria,!a!partire!dal!LES;!in!questo!ci!aiutano!l’anamnesi!e!i!reperti!
clinici:!sono!infatti!suggestivi$o$associati$al$LES!il!sesso!femminile,!la!giovane!età,!la!ipocomplemen1
temia!da!consumo,!gli!ANA,!la!presenza!di!inclusioni!tubulo1reticolari!visibili!alla!microscopia!elet1
tronica,!la!presenza!di!depositi!a!livello!tubulare.$
La!forma!membranosa!secondari!al!LES!non!guarisce,!a!differenza!della!forma!idiopatica!membra1
nosa!o!mista!che!può!guarire;!
Figure 8. Membranous lupus nephritis class V. A, Glomerulus with advanced membranous lupus glomerulonephritis showing global irregular
thickening of the capillary walls due to abundant subepithelial deposits, focal basement membrane spikes, and segmental new basement membrane
formation without significant proliferation or inflammatory cell infiltration (periodic acid–Schiff, original magnification !600). B, Immunofluores-
cence microscopy reveals granular capillary wall immunoglobulin G (IgG) deposits with focal mesangial staining (fluorescein isothiocyanate anti-
human IgG, original magnification !500). C, Electron micrograph of glomerulus with numerous subepithelial and focal intramembranous electron-
dense (dark) deposits interspersed by basement membrane spikes and total foot process effacement. Small mesangial deposits are present (arrows)
(original magnification !6000). D, Diagram demonstrating many subepithelial deposits with spikes and focal mesangial deposits. Rare small
subendothelial deposits are present.
$
VI. forma$avanzata$ con$ glomerulosclerosi:$si!ha!la!scleroLialinosi$
culopathy (noninflammatory, eosinophilic, intimal im- di$ più$
renchymal disease. del$
Thus, 90%$diagnosis
proper dei$ glomeruli,!in!un!
and identifi-
mune complex deposition involving small arteries and ar- cation of the type, extent, and severity of the lesion have
rene!esposto!a!una!lunga!storia!di!nefrite!lupica,!quindi!alla!ripetizione!dei!processi!di!necrosi!e!so1
terioles; Figure 9, A), acute/chronic thrombotic microan- considerable prognostic and therapeutic value.53–55 The
lidificazione!delle!anse!che!portano!verso!l’insufficienza!renale.$
giopathy (glomeruli, arterial vessels; Figure 9, B and C), pathogenetic mechanisms leading to vascular lesions in
and rarely transmural necrotizing vasculitis (intrarenal ar- SLE primarily cause endothelial injury due to one or more
Si!osservano!inoltre:!fibrosi!interstiziale,!atrofia!tubulare!e!alterazioni!vascolari.!
terioles and small arteries; Figure 9, D and E). These vas- factors, such as immune complexes, cell-mediated mech-
cular lesions may accompany mostly the proliferative clas- anisms, anti-phospholipid antibodies, anti-endothelial an-
Rientrano!in!questa!classe!i!pazienti!già!in!insufficienza!renale!e!che!richiedono!la!dialisi!e!la!terapia!
ses of lupus nephritis, whereas thrombotic microangiop- tibodies, superimposed anti-neutrophil cytoplasmic anti-
specifica!per!il!LES:!sono!pazienti!candidati$al$trapianto$renale,!che!ristabilirebbe!la!funzione!renale!
athy (glomerular and/or vascular) may develop in all clas- bodies, host/genetic factors, and concomitant activation of
ses of lupus nephritis, and sometimes even in the absence coagulation factors.
ma!non!guarirebbe!il!LES!(è!possibile!una!recidiva).$
of other forms of renal parenchymal disease. Evidence of The higher rate of prevalence of anti-phospholipid an-
endothelial damage (swelling, separation from capillary tibodies in a patient with SLE or lupus nephritis is linked
Nel!LES!quasi!sempre!queste!classi!non!sono!mai!pure,!ma!sovrapposte,!perché!le!sedi!di!danno!renale!so1
wall, and degenerative changes) suggesting isolated or to increased risk of renal and/or extrarenal thrombotic
concurrent thrombotic microangiopathy due to anti-phos- manifestations, commonly recurrent venous thrombosis,
no!molteplici:!quindi!troviamo!delle!forme!miste!(quando!ho!una!forma!mista!devo!sempre!pensare!a!una!
pholipid antibodies is yet another reason for ultrastruc- pulmonary emboli, fetal loss during pregnancy, and ce-
tural study of renal biopsies from patients with SLE. De- rebrovascular accident. Renal thrombotic microangiopathy
generative or sclerosing vascular lesions are found follow- in the absence of immune complex–mediated glomerular
ing healed acute or chronic vascular injury. Vascular le- lesions showing fresh organizing thrombi; cellular, mu-
sions in SLE contribute significantly to the development coid or fibrous intimal hyperplasia; or occlusion of small
of hypertension, progressive course, and chronic renal pa- arteries/arterioles, glomerular thrombi, and EM evidence
244 Arch Pathol Lab Med—Vol 133, February 2009 Renal Disease in SLE—Seshan & Jennette
glomerulonefrite!secondaria!associata!a!una!patologia!sistemica;!mentre,!per!esempio,!nella!IgA!mesangia1
le!e!nella!Schonlein1Enoch!si!osservano!delle!forme!pure),!ad!esempio!si!può!osservare!un’associazione!del1
le!classi!III!e!V,!con!depositi!sia!subendoteliali!sia!subepiteliali.!
Facendo!biopsie$ripetute!è!emerso:!
• che!le!classi!non!sono!stabili!nel!tempo,!e!che!c’è!un$rapporto$tra$classe$ed$evoluzione:!
o in!classe!I!non!c’è!evoluzione,!
o un!quadro!morfologico!in!classe!II!e!ancor!di!più!in!classe!III!può!evolvere,!
o un!quadro!in!classe!IV!può!progredire,!regredire!o!restare!stabile,!
o quadri!morfologici!in!classe!V!e!VI!restano!stabili;!
• che!c’è!un!rapporto$tra$classe$(quindi$morfologia)$e$presentazione$clinica:!
o l’ematuria!e!la!proteinuria!asintomatiche!sono!più!probabili!in!classe!I!e!II,!
o la!sindrome!nefrosica!si!presenta!soprattutto!in!classe!V,!
o la!sindrome!nefritica!è!più!frequente!nelle!altre!classi!(III!e!IV),!
o l’insufficienza!renale!cronica!è!più!frequente!in!classe!VI.!
Table 1. Frequency of Clinical Renal Manifestations in Various Classes of Lupus Glomerulonephritis (LGN):
541 Patients*
ISN/RPS Class, %
I II III IV-G IV-S V VI
Clinical Features (n ! 5) (n ! 54)† (n ! 107)‡ (n ! 111)§ (n ! 87)§ (n ! 159)! (n ! 18)
Asymptomatic hematuria 40 19 22 4 6 5 ...
Asymptomatic proteinuria 40 42 25 7 6 13 ...
Nephrotic syndrome¶ 20 15 17 40 38 65 11
Nephritic syndrome# ... 20 34 27 26 7 ...
Acute renal failure** ... 4 2 18 16 2 ...
Chronic renal failure†† ... ... ... 4 8 8 89
* Combined classes V ! III: 68; combined classes V ! IV: 37. Bold, italic numbers indicate common clinical renal manifestations of the various
classes of LGN; ellipses represent no cases cited. ISN/RPS indicates International Society of Nephrology/Renal Pathology Society.
† More than 80% of class II LGN patients presented with asymptomatic hematuria/proteinuria or nephritic syndrome. Nephrotic syndrome was
associated with minimal-change disease, and acute renal failure was secondary to acute tubular injury.
‡ Class III patients presented with hematuria/nephritic syndrome in more than 55% of cases, and 17% presented with nephrotic syndrome.
§ Most (85%) class IV (global [G] and segmental [S]) patients manifested nephrotic/nephritic syndrome or acute renal failure. Most of the
combined classes III ! V and classes IV ! V are also included in the class III and class IV groups, respectively.
! Nearly 80% of class V patients presented with proteinuria/nephrotic syndrome.
¶ Nephrotic syndrome: edema, proteinuria ("3.0 g/24 h), hypoalbuminemia.
# Nephritic syndrome: hematuria, proteinuria, hypertension, and/or varying degrees of renal insufficiency, active urinary sediment.
** Acute renal failure: sudden, sustained decline in glomerular filtration rate, usually associated with azotemia and a fall in urine output.
†† Chronic renal failure: slow, progressive rise in creatinine, hypertension with or without hematuria, and proteinuria.
!
INDICI$
50% of SLE cases, a subset at risk for developing anti- These processes may be triggered by the interaction of a
Il!patologo,!oltre!a!collocare!il!quadro!morfologico!in!una!classe!deve!fornire:!
phospholipid antibody syndrome causing intravascular multitude of host (immunologic, genetic, hormonal) and/
thrombosis.7 Although these serologic tests are generally or environmental factors (photosensitivity, infections). In
un!indice$di$attività,!indicativo!di!quanto!la!malattia!sia!attiva!e!acuta,!
•diagnostic, the titers of the antibodies can fluctuate with recent years, the role of Toll-like receptors (particularly
•timeun!indice$di$cronicità,!indicativo!di!quanto!la!malattia!sia!evoluta!e!progredita!verso!l’insufficienza!
and disease activity. Kidney involvement contributes types 3, 7, 8, and 9) of innate immunity and their inter-
significantly to morbidity and mortality in SLE patients.5,8 action with adaptive immunity have led to new perspec-
renale.! clinical manifestations are not always re- tives in elucidating the molecular basis of endogenous or
Multisystemic
liable indicators of the presence or severity of underlying exogenous triggers in the onset of autoimmune disease
Per!calcolare!l’indice$di$attività$si!valutano:!
renal lesions. Moreover, the diverse renal pathologic find- and, more importantly, immune complex–mediated lupus
•ings ipercellularità$
in SLE present with a range of clinical
endocapillare! (numero!renaldi!syn-
cellule! nel! lume!The
nephritis. primary che!
source of autoantigens in SLE sot1
12,13
capillare,! rispecchia! il! deposito!
dromes, such as asymptomatic hematuria/proteinuria, ne- may be deranged and/or inhibited cellular apoptosis
toendoteliale),!
phrotic syndrome, or nephritic syndrome (Table 1). This from a number of mechanisms, including abnormal
may be accompanied by varying degrees of hypertension T-cell receptor function, defective expression of Fas ligand
•and infiltrazione$di$neutrofili!(nei!lumi!capillari!e!nelle!aree!di!necrosi),!
renal dysfunction.5,8 A meticulously performed ex- affecting Fas receptor binding, and overexpression of
•amination of active urinary sediment in lupus nephritis bcl-2.11,14 This results in the persistence of autoreactive T
anse$a$fil$di$ferro!(che!rispecchiano!l’abbondanza!di!depositi!lungo!la!membrana!basale),!
may reveal granular casts, red blood cell casts, waxy casts, cells and allows the release of structurally abnormal nu-
•whitenecrosi$fibrinoide$e$carioressi!(necrosi!delle!anse!associata!alla!deposizione!di!fibrina!e!frammenta1
blood cells, and oval fat bodies, also known as a cleosomes, as well as excess intraglomerular generation of
telescoped sediment. A proportion of cases also manifest nucleosomes that contribute to glomerular immune de-
acutezione!dei!neutrofili!per!lisi!con!liberazione!del!materiale!nucleare),!
renal failure or chronic progressive renal insufficien- posits. Specific antibodies or antibody clustering have
cy. Hematuria, varying degrees of proteinuria, and renal been shown to be predictive of clinical subsets of SLE,
semilune$cellulari,$
•dysfunction are usually linked to proliferative lupus glo- type and severity of renal disease, and prognosis of
•merulonephritis (LGN) with an active urine sediment. Ne- LGN.15,16
infiammazione$interstiziale!(presenza!di!nefrite!interstiziale,!indicativa!della!presenza!di!IC!a!livello!
phrotic-range proteinuria generally predominates in There is a strong association between proliferative LGN
della!MB!tubulare).!
membranous LGN. In active lupus renal disease, both the and serologic findings of high-titer anti-nuclear antibodies
classic as well as the alternate pathways of the comple- and double-stranded anti-DNA antibodies, complexed pri-
Per!ogni!voce!si!attribuisce!uno!score!che!va!da!0!a!3;!la!necrosi!fibrinoide!e!le!semilune!hanno!peso!doppio!
ment cascade are activated, and serum levels of C3, C4, marily with nucleosomes and histones.17 These antibodies
and C1q are often depressed. In a small number of pa- have significant nephritogenic potential, with a wide
(si! moltiplica!
tients, renallo! score!
disease x! 2,!
may a! causa!
precede del! loro!
the onset maggiore!
of clinical SLE valore!
range ofprognostico!
cross-reactivity sfavorevole).! Poi! si! sommano!
to normal glomerular constitu- gli!
by months or years. ents, avidly binding to heparan
score!e!si!ricava!un!indice!di!attività!di!malattia!(0124):!più!è!alto!più!la!malattia!richiede!trattamento.!
8
sulfate and type IV col-
lagen in the glomerular basement membranes and the
11
PATHOGENESIS endothelial and mesangial surfaces.18 Anti-C1q antibodies
The basis for the induction of autoimmunity has been a are postulated amplification factors for the immune com-
subject of investigation for many years using experimental plex in LGN.19 Immune complexes may form in situ or
models.9,10 In addition to a variety of altered T-cell–medi- arrive as circulating preformed complexes. The spectrum
ated immunologic functions, including emergence of au- of glomerular lesions, including combined patterns, rarely
seen outside the context of lupus, reflects the diverse spec-
Per!calcolare!l’indice$di$cronicità$valutiamo:!
• glomerulosclerosi!(glomeruli!non!funzionanti!sostituiti!da!matrice!mesangiale!e!collagene),!
• semilune$fibrose!(esito!dell’organizzazione!delle!semilune!epiteliali),!
• fibrosi$interstiziale!(risultato!della!nefrite!interstiziale),!
• atrofia$tubulare!(risultato!della!tubulite!in!corso!di!LES).!
Per!ogni!voce!si!attribuisce!uno!score!che!va!da!0!a!3;!poi!si!sommano!gli!score!e!si!ricava!un!indice!di!croni1
cità!(0112).!
!
LESIONI$TUBULOLINTERSTIALI$
La!classificazione!morfologica!della!nefrite!lupica!gravita!soprattutto!attorno!alle!lesioni!glomerulari;!sono!
presenti!però!anche!lesioni$tubuloLinterstiziali,!che!vengono!prese!in!considerazione!per!calcolare!gli!indici!
di!attività!e!di!cronicità,!quindi!l’impatto!sulla!funzione!renale.!
La!malattia!da!immunocomplessi!coinvolge!infatti!anche!tubuli!e!interstizio:!ci!sono!nefrite$interstiziale,$fiL
brosi$ interstiziale! e! atrofia$ dei$ tubuli.! Tali! alterazioni! sono! determinate! dal! fatto! che! i! depositi! tubulo1
interstiziali!attivano!il!complemento:!si!hanno!quindi!danno!da!lisi,!chemiotassi,!coagulazione,!che!esitano!
in!un!quadro!di!nefrite!interstiziale,!più!evidente!nelle!classi!più!alte!e!che!modifica!fortemente!il!quadro!
clinico! verso! l’insufficienza! renale.! Si! osservano! tubuli! distanziati! dall’edema! infiammatorio,! granulociti!
neutrofili,!aree!necrotiche;!successivamente!le!aree!di!danno!vanno!incontro!a!sostituzione!fibrotica.!
Infatti! è! stata! messa! in! evidenza! un’associazione! tra! classe! (quindi! danno! glomerulare)! e! danno! tubulo1
interstiziale;!è!emerso!che:!
• in!classe!II!c’è!interessamento!tubulo1interstiziale!modesto,!
• in!classe$IV!c’è!una!severa$alterazione$tubuloLinterstiziale.!
Infatti,!all’aumentare!dei!depositi!sottoendoteliali!e!quindi!della!gravità!delle!lesioni!glomerulari,!aumenta1
no!anche!i!depositi!a!livello!della!MB!e!quindi!le!alterazioni!tubulo1interstiziali!(soprattutto!in!classe!IV).!
!
LESIONI$VASCOLARI$
Infine,!se!i!complessi!immuni!si!depositano!a!livello!dei!vasi,!ci!può!essere!anche!una!vasculite.!Le!lesioni!va1
scolari,!anche!esse!non!comprese!nelle!classi,!possono!essere!di!due!tipi;!possiamo!osservare:!
• necrosi$fibrinoide!della!parete!del!vaso,!causata!da!deposizione!di!fibrina!e!frammenti!nucleari!dei!
granulociti!neutrofili!che,!dopo!esser!stati!richiama1
ti!dal!complemento!per!chemiotassi!e!avere!svolto!
la! loro! funzione,! vanno! incontro! a! carioressi! e! si!
frantumano.!
Si! ha! quindi! un! quadro! di! vasculite$ necrotizzante!
con! necrosi,! deposizione! di! fibrina,! riduzione! del!
lume,! diminuzione! dell’afflusso! di! sangue! nei! glo1
meruli! fino! all’insufficienza! renale;! tale! quadro! si!
può!osservare!nei!pazienti!che!hanno!concomitanti!
lesioni!glomerulari!attive!(necrosi!e!fibrinoidosi!dei!
glomeruli),! Figure 9. A, Lupus vasculopathy. A preglomerular arteriole showing extensive, circumferential amorphous, intimal immune com
under the endothelium, considerably narrowing the lumen without inflammation. Mild proliferative change and a fibrocellular cresc
in the glomerulus (periodic acid–Schiff, original magnification !600). B, Acute thrombotic microangiopathy and class IV–global lu
• depositi!a!livello!dei!piccoli!vasi!in!prossimità!dei!glomeruli,!che!determinano!un!quadro!simile!ai!
lonephritis. Glomerulus with global proliferation, circumferential cellular crescent, and fibrin microthrombi (arrowheads) in a capil
hilar arteriole. A small artery (arrows) shows noninflammatory subendothelial, intimal lucency and degenerative cellular changes lead
wire&loops!(abbondanti!depositi!sottoendoteliali):!nei!vasi!con!i!depositi!si!osserva!una!parete!vasa1
occlusion (hematoxylin-eosin, original magnification !400). C, Chronic thrombotic microangiopathy. Preglomerular arteriole sh
fibromyointimal proliferation and lamellation (onion skinning) with near-occlusion of the lumen, an organizing hilar thrombus (arrow
le!omogenea!e!ispessita.!Sono!i!più!impattanti!i!depositi!a!livello!della!MB!nel!LES!in!quanto!molto!
wrinkling and ischemic collapse of the corresponding glomerulus (periodic acid–Schiff, original magnification !600). D, Acute arteri
affecting a hilar arteriole of a glomerulus with global proliferation and a cellular crescent surrounded by marked active interstitial
gravi.! reaction (hematoxylin-eosin, original magnification !600). E, Acute, intrarenal necrotizing small vessel vasculitis showing abun
eosinophilic, fibrinoid deposits associated with transmural polymorphonuclear leukocytic infiltrate (hematoxylin-eosin, original
Può!comparire!anche!microangiopatia$trombotica:!ci!sono!infatti!piccoli!trombicini!endoluminali,!determi1
!400).
Arch Pathol Lab Med—Vol 133, February 2009 Renal Disease in SLE—Seshan & J
nati!dal!fatto!che!nel!LES!c’è!un!disturbo!della!coagulazione.!
CONCLUSIONI$
Come!per!la!IgA!mesangiale!(in!cui!il!quadro!è!però!raramente!grave!come!nel!LES),!la!nefrite!lupica!può!
correlarsi!ad!altre$patologie$renali!sovrapposte:!
• sindrome!nefrosica!da!lesioni!minime,!
• glomerusclerosi!focale!segmentaria,!
• glomerulopatia!da!collasso,!
• forma!pauci1immune,!
• patologia!tubulo1interstiziale.!
In!conclusione:!
• il!rene!è"coinvolto"nella"maggior"parte"dei"pazienti"affetti"da"LES"sistemico,!
• è"presente"una"variabilità!istologica!delle!alterazioni!glomerulari!e!tubulo1interstiziali!che!si!riflette!
sulle!manifestazioni!cliniche,! Semin
• la"biopsia"è"importante"per"la"diagnosi,"la!prognosi!e!la!terapia,!
• a!differenza!delle!forme!primitive,!si!osserva!una!sovrapposizioni!di!diversi!quadri!morfologici!e!il!
rischio!di!evoluzione!verso!l’insufficienza!renale!è!maggiore.!
!
Terapia$del$LES$(Lancet,$2014)$
Inquadramento
In corso di mieloma multiplo e di MGUS si possono avere: amiloi-
dosi AL; GN immunotattoide; tubulopatia mielomatosa ostruttiva;
malattia da deposizione di Ig monoclonali
$
$
MALATTIE$DA$DEPOSITO$DI$CATENE$LEGGERE$
! Obiettivi didattici
Le!malattie$da$deposito$di$immunoglobuline$monoclonali!si!dividono!in!tre!grossi!gruppi:!
Alla fine dello studio di questa unità didattica
• malattie$da$deposito$di$catene$leggere!(κ!o!λ),!
lo studente dovrà
• malattie$da$deposito$di$catene$pesanti,$
➞
• malattie$da$deposito$di$catene$leggere$e$pesanti.$
conoscere l’eziologia, la morfologia, e le correlazioni anatomocliniche del danno renale da di-
sprotidemia, con particolare riferimento alle forme causate da malattie della serie linfoide
Esse!possono!simulare!malattie!come!l’amiloidosi,!la!crioglobulinemia!(caratterizzata!da!piccoli!aggregati!a!
livello!dei!lumi!capillari!midollari!e!extramidollari!di!crioglobuline),!la!nefropatia$da$mieloma$(che!porta!alla!
formazione!di!cilindri!nei!tubuli!a!livello!midollare)!e!la!nefropatia$diabetica.!!
Verrà!trattata!la$ patologia$ da$ deposito$ di$ catene$837 leggere,$ che!è!quella!più!frequente:!è!una!patologia$ siL
stemica!in!cui!le!catene!leggere!delle!immunoglobuline!si!depositano!nei!vasi$sistemici!e!a!livello$renale;!in!
3/4!dei!pazienti!i!depositi!sono!costituiti!da!catene$di$tipo$κ.!Il$quadro$clinico$è"dominato"dalla$proteinuria,$
spesso$nefrosica,!e!dalla$evoluzione$in$IRC.!
Questa!patologia!è!un’entità!sempre!esistita!e!in!passato!veniva!chiamata!amiloidosi$negativa$per$il$rosso$
congo!o!glomerulosclerosi$diabetica$nei$pazienti$non$diabetici,$a!evidenziare!la!somiglianza!con!altre!ne1
fropatie;!l’introduzione!dell’immunoistochimica!ha!permesso!di!identificare!la!natura!dei!depositi!e!di!cam1
biarne!la!dizione!(libro:!“attualmente!si!preferisce!la!dizione!di!malattia!da!deposizione!di!Ig!monoclonali”).!
$
MORFOLOGIA:$ASPETTO$MICROSCOPICO$
La!malattia!da!deposito!di!catene!leggere!(MDCL)!è!caratterizzata!dalla!deposizione$di$materiale!costituito!
principalmente!da!immunoglobuline$monoclonali$abnormi:!si!formano!depositi$eosinofili$(all’EE)!e$intenL
samente$PAS$positivi!nelle!sedi$di$filtrazione,!ovvero!nelle!MB$dei$capillari,$mesangio,$capsula$di$Bowman$
e$tubuli.!!
Le!sedi!di!deposito!sono!sovrapponibili!a!quelle!dell’amiloidosi:!sono!le!sedi!in!cui!avviene!una!filtrazione;!a!
cambiare!è!la!tipologia!dei!depositi!che,!nell’amiloidosi,!sono!formati!da!frammenti$ di$ immunoglobuline,!
mentre!nella!MDCL!da!immunoglobuline$alterate.!
Verosimilmente,!come!nella!nefropatia!diabetica,!nella!storia!naturale!della!MDCL!si!distingue:!
• una! fase$ iniziale! di! espansione$ mesangiale:! c’è! una! espansione! diffusoLfocale$ della$ matrice$ meL
sangiale$(che!potrebbe!rappresentare!l’analogo!della!fase!diffusa!della!glomerulopatia!diabetica),!
• una!fase$avanzata$nodulare,!in!cui!si!trova!la!maggior!parte!delle!biopsie.!Il!quadro!si!presenta!co1
me!una!glomerulosclerosi$nodulare,$molto!simile!a!quella!diabetica;!la!differenza!in!questo!caso!è!
che!nel!diabete!i!noduli!sono!formati!dalla!deposizione!e!accumulo!nodulare!di!matrice,!nella!MDCL!
da!immunoglobuline!alterate.!Però!1!e!questo!crea!problemi!di!diagnosi!differenziale!1!in!entrambi!i!
casi!i!depositi!sono!intensamente$PAS$positivi.!
Quindi!nella!maggior!parte!dei!casi,!si!osservano!glomeruli$grandi!e!noduli,!che!“sono!le!singole!anse!capil1
lari!separate!dalle!deposizioni”;!i!noduli!possono!essere!di!due!dimensioni:!!
• grandi!(superiori!ai!40!μm):!sono!acellulari!nella!parte$centrale,!a!causa!della!deposizione!di!mate1
riale!PAS!positivo,!e!con!nuclei!di!cellule!di!origine!mesangiale!in!periferia!(sono!quindi!simili!ai!no1
duli!di!Kimmelstiel1Wilson$del!diabete);!queste!cellule!mesangiali!contribuiscono!in!parte!al!deposi1
Gallo 13.qxd 4-10-2007 14:50 Pagina 840
to!di!matrice!nei!noduli.!
Infatti,!qualche!volta,!si!osserva!una!deposizione$concentrica$lamellare,!analoga!agli!anelli!del!tron1
co!di!un!albero!in!crescita,!che!rispecchia!il!fatto!che!vi!siano!state!fasi!successive!di!deposito!della!
PATOLOGIA DEL RENE
matrice.!
Come! nel! diabete,! ci! può! essere! una! mesangiolisi,! ovvero! il! distacco! della! membrana! basale! dal!
mesangio!con!formazione!di!microaneurismi.! • Nella tubu
a
Il!nodulo!non!viene!tutto!colorato!con!l’impregnazione! teinuria t
monoclon
argentica,!che!colora!le!MB!e!la!matrice!mesangiale:!si! re può co
colora!solo!la!periferia!che!è,!verosimilmente,!il!residuo! centrare l
casi avanz
del!mesangio!e!la!membrana!basale;!invece!nel!diabete! massiva d
IRA, faci
il! nodulo! sarebbe! tutto! nero! (quando! non! si! colora! ministrazi
pensiamo!alla!MDCL!o!all’amiloide);! diologich
tinfiamm
• piccoli!(inferiori!ai!40!μm).!Sono!costituiti!da!matrice!e! • Nella mal
cellule!mesangiali,!di!natura!macrofagica!che!cercano!in! clinico è
spesso ne
qualche!modo!di!eliminare!il!materiale!depositato.!! b
In!aggiunta!a!queste!alterazioni!osserviamo!che:!
DANNO
• le!MB!dei$glomeruli!sono!ispessite!a!causa!del!deposi1 CRIOGL
to,!come!nell’amiloidosi.!In!alcuni!casi!sono!focalmente$
Definizione.
replicate,!come!nella!GN!membrano1proliferativa,!per1 cità, reversib
no tre tipi (
ché!si!formano!depositi!!di!catene!leggere!sottoendote1 a. tipo 1: co
liali! che! inducono,! a! ridosso! del! deposito,!la! prolifera1 solito IgG
b. tipo 2: in
zione!delle!cellule!endoteliali!e!la!deposizione!di!matri1 policlona
ce,! c. tipo 3: in
FIGURA 13.25 Malattia da deposizione di Ig monoclonali. clonali (I
• si! possono! formare! semilune! a! causa! della! reazione! a) m.o.: lesioni glomerulari sclerotiche nodulari. b) IIC: de- Il tipo 1 si a
posizione di catene κ in corrispondenza del glomerulo e lun- macroglobu
delle!cellule!capsulari!al!deposito!delle!immunoglobuli1 go le m.b. dei tubuli.
associazione
tite e occasi
nifesta come una glomerulosclerosi nodulare del toimmuni.
tutto simile a quella della GSD (Figura 13.25a). In toimmuni.
altri casi, le lesioni glomerulari hanno caratteri aspe-
Morfologia.
cifici, quali l’ampiamento, anche modesto, degli assi
ne.!Se!non!si!è!allertati!dalla!presenza!di!questa!malattia,!in!un!quadro!di!glomerulosclerosi!con!se1
milune!può!pensare!che!il!paziente!sia!diabetico!anche!se!non!lo!è,!
• c’è!un!ispessimento$della$MB$dei$tubuli!per!deposito!di!immunoglobuline!alterate.!La!stessa!cosa!
avviene!nel!diabete,!dove!però!le!pareti!si!ispessiscono!per!la!presenza!di!una!patologia!del!meta1
bolismo!della!MB,!
• c’è!un’alterazione$ dei$ piccoli$ vasi,!in!particolare!arteriole!afferenti!e!efferenti,!per!la!deposizione!
sempre!di!immunoglobuline!alterate;!i!depositi!distanziano!le!cellule!muscolari!lisce!fino!a!formare!
dei! buchi.! Il! quadro! è! simile! alla! microangiopatia! diabetica,!dove! però! c’è! un! inspessimento! delle!
pareti!dei!vasi!innescato!dall’alterazione!del!metabolismo!delle!MB!e!dall’accumulo!di!glicoproteine!
della!MB.!
A!causa!di!queste!analogie!con!la!nefropatia!diabetica,!in!passato,!quando!questa!patologia!non!aveva!rice1
vuto!identificazione!e!si!chiamava!glomerulosclerosi$diabetica$nei$pazienti$non$diabetici,!questi!quadri!ve1
nivano!descritti!come!glomerulosclerosi!diabetica!e!successivamente!si!chiedeva!al!clinico!se!il!paziente!fos1
se!o!meno!diabetico.!Nel!primo!caso!si!faceva!diagnosi!di!glomerulosclerosi!nodulare!diabetica,!nel!secondo!
invece!di!questa!patologia.!!
Per!la!diagnosi!finale!si!usa!l’immunofluorescenza,!utilizzando!markers!coniugati!ad!anticorpi!contro!le!ca1
tene!κ!o!λ!(si!può!usare!il!marker!tioflavina!T,!usato!anche!per!l’amiloide);!la!fluorescenza!risulta!intensaL
mente$positiva!in!corrispondenza!di!tutti$i$siti$deposito!(membrana!basale,!mesangio,!vasi,!interstizio,!tu1
buli)!per!una$sola$delle$due$catene$leggere!(nei!3/4!dei!casi!κ),!poiché!la!patologie!è!monoclonale.!
La!microscopia$elettronica!aiuta,!ma!non!molto!rispetto!alla!microscopia!ottica!e!all’immunofluorescenza.!!
$
DIAGNOSI$DIFFERENZIALE$!
La! malattia! da! deposito! di! catene! leggere! simula! molto! da! vicino! la! glomerulosclerosi! diabetica! e!
l’amiloidosi:!è!importante!è!la!diagnosi!differenziale.!
• Nella!nefropatia!diabetica!i!noduli!sono!PAS1positivi,!la!membrana!basale!è!ispessita,!ma!non!è!re1
plicata! (a! differenza! della! MDCL).! La! positività! al! PAS,! presente! in! entrambe! le! situazioni,! porta! a!
chiedere!al!clinico!se!il!paziente!è!diabetico:!se!non!lo!è,!si!pensa!alla!deposizione!di!catene!leggere!
o!pesanti.!L’immunofluorescenza!per!una!catena!leggera!è!negativa!nel!diabete!e!conferma!la!dia1
gnosi!differenziale.!
• Nell’amiloidosi!il!materiale!ha!aspetto!eosinofilo,!non!si!colora!con!il!PAS!né!con!l’impregnazione!
argentica,! ma! si! colora! con! rosso! congo! e! tioflavina! T.! Inoltre,! presenta! un! aspetto! caratteristico!
con!la!microscopia!elettronica!e!l’immunoistochimica!è!diversa!da!quella!della!MDCL.!
Il! rosso! congo! richiede! l’uso! della! luce! polarizzata! per! l’osservazione! dei! depositi18;! invece,! per! la!
tioflavina!T!(più!sensibile)!è!necessario!il!microscopio!a!fluorescenza.!
L’immunofluorescenza!risulta,!al!netto,!negativa!nell’amiloidosi:!la!tioflavina!T!dà!una!fluorescenza!
leggera!per!le!catene!leggere,!e!quindi!non!intensamente!positiva!e!diffusa!come!nella!malattia!da!
deposito!di!catene.!!
In!conclusione,!per!la!diagnosi!di!questa!patologia!è!importante!la!collaborazione!con!il!clinico!che!tramite!
valutazioni! cliniche! e! laboratoristiche!traccia!un! percorso! diagnostico!che!porta!alla!biopsia,!che!verrà!in1
terpretata!dall’anatomopatologo!in!funzione!del!quesito!clinico.!!
!
!
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
18!“Quello!che!facciamo!è!che!nel!microscopio!poniamo!due!fessure!una!sopra!una!sotto!alla!luce,!una!sotto!al!vetrino!
quando!diventano!parallele!lasciano!passare!la!luce!quando!si!chiude!una!lasciano!dei!quadratini.!Nella!norma!la!luce!
bianca!è!presente!in!entrambi!i!casi,!quando!invece!abbiamo!l’amiloide!si!manifesta!il!caratteristico!colore!rosso”.!
PROTEINURIA$DI$BENCELJONES$
!
Il!mieloma$multiplo!(plasmacitoma)!è!un!tumore!maligno!delle!cellule!B!terminali!(plasmacellule),!localizza1
to!in!sedi!multiple!nel!midollo!emopoietico,!con!lesioni!osteolitiche,!e!presenza!nel!siero!di!elevati!livelli!di!
Ig!monoclonali!e/o!di!catene!leggere!(proteine$di$BenceLJones)!nelle!urine.!
Le!plasmacellule!neoplastiche!possono!conservare!la!capacità!di!produrre!immunoglobuline!complete!(che!
nel!60%!dei!casi!sono!IgG,!nel!20%!IgA,!e!raramente!IgM,!IgD!e!IgE)!o!–!come!accade!nel!15120%!dei!casi!–!
sono!in!grado!di!produrre!soltanto$la$catena$leggera$delle$immunoglobuline,!anche!nota!come!proteina$di$
BenceLJones.$$
L’eccesso!di!anticorpo!prodotto!dalle!cellule!neoplastiche!può!causare!danni!a!livello!renale!o!può!deposi1
Gallo 13.qxd 4-10-2007 14:50 Pagina 839
tarsi!nei!tessuti!sotto!forma!di!sostanza!amiloide'di!tipo!immune.!Le!alterazioni!presenti!a!livello!renale!so1
no!la!conseguenza!dell’elevata!quantità!di!Ig!monoclonale!che!attraversa!il!filtro!glomerulare.!
Lesioni renali in corso di disprotidemia e
Nel!dettaglio,!la!proteina!di!Bence1Jones,!che!deriva!dal!filtrato!glomerulare,!precipita!nel!lume!dei!tubuli,!
malattie ematologiche
forma!cilindri,!e!può!causare!una!modesta!insufficienza!renale!(se!invece!il!paziente!ha!una!sindrome!ne1
frosica,!si!pensa!che!questa!possa!dipendere!da!una!amiloidosi).!
Infatti,!i!glomeruli!sono!più!o!meno!normali!e!non!c’è!una!nefri1
a a
te! interstiziale;! però! si! formano! nella! midollare,! a! livello!
dell’ansa! di! Henle,!cilindri$ basofili! con! fessurazioni! caratteristi1
che! (cilindri! ialini)! che! vanno! a! ostruire! i! tubuli! causando! una!
idronefrosi$ intrarenale! (o! tubulopatia$ ostruttiva):! c’è! ristagno!
di!urina!a!monte,!dentro!i!tubuli,!che!si!dilatano!(l’idronefrosi!di!
interesse! urologico! invece! è!una!dilatazione!delle!cavità!calico1
pieliche! che! si! riflette! sull’interstizio,! determinata! per! esempio!
da! un! calcolo! nella! pelvi,! a! livello! del! giunto! pielo1ureterale).! b
b
Inoltre!questi!cilindri,!che!riempiono!il!lume!del!tubulo,!induco1
no! anche! una! certa! reazione! cellulare! lì! intorno! e! a! volte! sono!
presenti!anche!cellule!giganti:!in!altre!parole,!questi!cilindri!ven1
gono!circondati!da!una!reazione!istiocitaria.!!
Dal!libro:!“Al!danno!tossico!dell’epitelio!tubulare#può#conseguire!
acidosi#tubulare,#incapacità#a#concentrare!le!urine!o!diabete!in1
sipido!nefrogenico.!Nei!casi!avanzati,!con!grave!danno!tubulare!
e!formazione#massiva#di#cilindri,#la#malattia#può#essere#causa#di# FIGURA 13.24 Tubulopatia mielomatosa ostruttiva. a) I tubuli
FIGURA 13.23 Amiloidosi renale. Glomerulo ipocellulare per
IRA,!facilitata!da!episodi!di!disidratazione!o!da!somministrazione!
deposizione di sostanza amiloide positiva alla colorazione
con il Rosso Congo osservata in campo chiaro (a) e in luce
sono dilatati e contengono ampi cilindri in rapporto ai quali
sono cellule giganti. b) All’indagine IIC i cilindri sono positi-
vi per le catene λ.
di!sostanze!radiopache!per!indagini!radiologiche,!di!farmaci!diu1
polarizzata (b) ove mostra la caratteristica birifrangenza ver-
de mela.
retici!(furosermide)!e!antinfiammatori!non!steroidei”.! zione da parte delle cellule mesangiali di citochine
Quindi!del!paziente!con!plasmocitoma,!che!ha!una!modesta!insufficienza!renale!da!indagare,!bisogna!stu1
con lo stesso aspetto morfologico, ma causati dalla de- quali il platelet-derived growth factor e il trasforming
posizione di catene leggere, di sole catene pesanti o, growth factor β.
diare!anche!la!midollare,!cioè!la!parte!profonda!del!rene.!!
contemporaneamente, di catene pesanti e leggere.
Morfologia. Il quadro morfologico è diverso nelle due
Dal!libro:!“a!lungo!termine!si!ha!nel!rene:!!
Eziopatogenesi. Il danno renale causato dalle catene forme.
prodotte in eccesso assume aspetti diversi in rapporto • Nel caso della tubulopatia ostruttiva (Figura 13.24), il
• accumulo!di!proteina!a!livello!della!membrana!basale!(glomerulonefrite!membranosa);!!!
alle loro caratteristiche fisico-chimiche che ne condi- quadro è dominato dal danno tubulare, con necrosi e
zionano il passaggio attraverso il filtro glomerulare. desquamazione dell’epitelio e formazione, nel nefro-
• danno!tubulare!dovuto!al!riassorbimento!dell’eccesso!di!proteina!filtrata;!!!
• Tubulopatia ostruttiva: catene monomere o dimere ad ne distale, di ampi cilindri di aspetto squadrato (Figu-
alto punto isoelettrico passano facilmente il filtro ra 13.24a) che reagiscono positivamente con Ac an-
• danno!interstiziale,!dovuto!alla!rottura!dei!tubuli!contenenti!cilindri!proteici,!allo!spandimento!del!
glomerulare, esercitano un’azione tossica sull’epitelio ti-catene λ (Figura 13.24b) e mostrano struttura
materiale!nell’interstizio!ed!alla!conseguente!infiammazione!cronica!interstiziale”.!!
tubulare e, dopo essersi legate alla proteina di Tamm- cristallina in m.e. Ai cilindri aderiscono elementi gi-
Horsfall, precipitano formando ampi cilindri. gantocellulari multinucleati di origine macrofagica.
! • Malattia da Ig monoclonali: catene polimeriche a basso A seguito della rottura della parete tubulare il mate-
punto isoelettrico sono trattenute nel torrente circo- riale proteico diffonde nell’interstizio ove provoca
! latorio e tendono a depositarsi nei tessuti. Nel rene reazione infiammatoria e, successivamente, fibrosi.
! la parte più danneggiata è il glomerulo, con incre- • Nella malattia da deposizione di Ig monoclonali il dan-
mento della matrice mesangiale dovuta a iperprodu- no glomerulare, nella forma più caratteristica, si ma-
!
839
AMILOIDOSI$(dal!libro)!
!
Epidemiologia.!È"responsabile"del"6.7%"delle"sindromi!nefrosiche!in!Italia.!Può!essere!secondaria!a!malattie!
Gallo 13.qxd 4-10-2007 14:50 Pagina 839
infiammatorie! croniche! (amiloidosi! AA),! o! riconoscere! una! trasmissione! genetica,! ma! attualmente! il! coin1
volgimento!renale!più!frequente!si!riscontra!nei!pazienti!con!malattie!linfoproliferative!benigne!o!maligne!
(amiloidosi! AL).! Si! tratta! in! genere! di! pazienti! anziani,! soprattutto! nella! forma! AL.! Va! sottolineato! che,! al! Lesioni re
momento!dell’identificazione!dell’amiloidosi,!soltanto!in"una"minoranza"dei"casi"è"già!manifesta!la!malattia! malattie
linfo1proliferativa!che!può!comparire!anche!a!distanza!di!anni.!
Morfologia.!Nelle!forme!conclamate!i!reni!sono!simmetri1
camente! ingranditi,! di! aspetto! grigio1giallastro,! cereo! e! di! a a
consistenza!aumentata.!
L’amiloide!si!deposita!in!corrispondenza!dei!glomeruli,!dei!
tubuli!e!dei!vasi.!I!glomeruli!sono!ipocellulari,!con!assi!me1
sangiali! allargati! per! deposizione! di! amiloide! che! appare!
sotto! forma! di! materiale! ialino! o! finemente! granulare.! Le!
pareti! dei! capillari,! inizialmente! indenni,! si! ispessiscono!
nelle!fasi!più!avanzate.!In!corrispondenza!dei!tubuli,!la!de1
posizione! di! amiloide! appare! più! evidente! a! carico! della!
MB!dell’ansa!di!Henle!e!dei!dotti!collettori,!il!cui!epitelio!va! b b
incontro! a! fenomeni! regressivi! fino! a! diventare! atrofico.! I!
lumi!sono!dilatati!e!zaffati!da!cilindri!superficialmente!rive1
stiti$da$amiloide.$Quest’ultima$evenienza$è$particolarmente$
frequente! nell’amiloidosi! in! corso! di! mieloma! multiplo.! La!
deposizione! a! livello! vascolare! si! verifica! a! cari1! co! della!
componente! arteriosa! e,! in! particolare,! delle! arterie! arci1
formi!e!interlobulari.!
Per! l’identificazione! della! sostanza! amiloide! e! la! sua! tipiz1
zazione! sono! necessarie! reazioni! istochimiche,! immunoi1 FIGURA 13.24
FIGURA 13.23 Amiloidosi renale. Glomerulo ipocellulare per
stochimiche! e! la! microscopia! elettronica,! che! evidenzia! deposizione di sostanza amiloide positiva alla colorazione sono dilatati e
con il Rosso Congo osservata in campo chiaro (a) e in luce sono cellule gi
ammassi! di! fibrille! ad! andamento! disordinato! localizzate! polarizzata (b) ove mostra la caratteristica birifrangenza ver- vi per le catene
de mela.
nel! mesangio! e! nello! spazio! sotto1endoteliale! della! MB!
zione da p
glomerulare.! con lo stesso aspetto morfologico, ma causati dalla de- quali il pla
Correlazioni$anatomocliniche.!Al!momento!della!diagnosi!la!quasi!totalità!dei!pazienti!presenta!proteinuria,!
posizione di catene leggere, di sole catene pesanti o, growth factor
contemporaneamente, di catene pesanti e leggere.
per!lo!più!con!valori!nefrosici%e%due%terzi%circa%dei%pazienti%è%già!in!IRC.!! Morfologia. Il
Eziopatogenesi. Il danno renale causato dalle catene forme.
!
prodotte in eccesso assume aspetti diversi in rapporto • Nel caso d
! ! alle loro caratteristiche fisico-chimiche che ne condi- quadro è do
zionano il passaggio attraverso il filtro glomerulare. desquamazi
• Tubulopatia ostruttiva: catene monomere o dimere ad ne distale, d
alto punto isoelettrico passano facilmente il filtro ra 13.24a)
glomerulare, esercitano un’azione tossica sull’epitelio ti-catene λ
tubulare e, dopo essersi legate alla proteina di Tamm- cristallina in
Horsfall, precipitano formando ampi cilindri. gantocellul
• Malattia da Ig monoclonali: catene polimeriche a basso A seguito d
punto isoelettrico sono trattenute nel torrente circo- riale protei
latorio e tendono a depositarsi nei tessuti. Nel rene reazione in
la parte più danneggiata è il glomerulo, con incre- • Nella malat
mento della matrice mesangiale dovuta a iperprodu- no glomeru
839
23b.%TUMORI%DEL%RENE%
!
!
I!tumori%del!rene!sono!neoplasie!che!derivano!soprattutto!dall’epitelio%dei%tubuli%renali,!che!si!dividono!in!
diversi!segmenti:!tubulo!contorto!prossimale!(TCP),!ansa!di!Henle,!tubulo!contro!distale!(TCD),!dotto!di!Bel@
lini;!a!seconda!del!segmento!interessato!può!insorgere!un!diverso!tipo!di!tumore.!Comprendono!pochi!isto@
tipi!fondamentali!e!nuovi!istotipi,!simili!a!quelli!tradizionali!ma!con!alcune!modificazioni.!
!
ASPETTO%MACROSCOPICO%
Il!rene!normale!(che!misura!12x6x3!cm)!è!formato!da!una!parte!chiara,!la!corticale!(contenente!i!glomeruli),!
e!da!una!profonda,!la!midollare!(dove!ci!sono!le!anse!di!Henle),!la!cui!punta,!detta!papilla% renale,!appare!
biancastra!a!causa!della!presenza!di!maggiore!connettivo!interstiziale.!In!sezione!longitudinale!si!può!notare!
anche!il!tessuto!adiposo!del!seno%renale,!e!i!vari!calici!maggiori!che!convergono!nella!pelvi%renale,!da!cui!si!
diparte!l’uretere.!Sono!presenti!anche!vasi%arteriosi,!rami!dell’arteria!renale,!e!venosi,!che!convergono!nel@
la!vena!renale.!
I!tumori!del!rene!sono!caratterizzati!da!una!crescita%espansiva%(e!non!infiltrativa!come!in!altri!organi!quali!
mammella,!colon!e!stomaco):!tendono!a!formare!dei!noduli!o!delle!masse!rotondeggianti,!che,!se!di!origine!
corticale!(come!la!maggior!parte!dei!tumori!del!rene,!che!derivano!dalle!cellule!del!TCP),!crescono!superfi@
cialmente! fino! a! sporgere% sulla% superficie% esterna,! se! di! origine! midollare! (ansa! di! Henle,! dotti! di! Bellini)!
crescono!internamente.!
Da!un!punto!di!vista%macroscopico!si!possono!osservare!nel!
tumore:!
• aree%gialle,!corrispondenti!al!tessuto!neoplastico,!!
• aree! marrone% scuro,! emorragiche! (il! sangue! in! for@
malina!diventa!marrone!scuro),!
• aree% biancastre,! cicatriziali;! infatti! nella! parte! cen@
trale!ci!sono!ipossia!e!atrofia!degenerativa.!
Esternamente!è!presente!una!capsula!o!comunque!un!mar@
gine!di!tipo!compressivo.!
Le!masse%renali%piccole!(3@4!cm)!possono!essere!trattate!con!la!resezione;!invece,!la!gestione!clinica!e!tera@
peutica!di!tumori%più%grandi,!con!diramazioni!che!arrivano!fino!alla!midollare,!è!molto!più!complicata.!
!
FATTORI%PROGNOSTICI%
I!tumori!del!rene!possono!essere!benigni!e!maligni!(soprattutto);!i!fattori%prognostici!sono:!
1. il!tipo%istologico,!
2. la!presenza%di%aree%di%alto%grado!(sarcomatoidi!o!rabdoidi),!indicative!di!aggressività;!il!tumore!ac@
quista,!in!caso!di!differenziazione!sarcomatoide,!la!morfologia!del!sarcoma,!in!caso!di!differenzia@
zione!rabdoide!la!morfologia!di!un!rabdiomioblasto,!
3. la!presenza%di%necrosi,!elemento!prognostico!negativo,!
4. la!presenza%di%invasione%microvascolare!(dei!piccoli!vasi),!
5. il!grado%del%tumore,!
6. lo!stadio.!
L’anatomopatologo!deve!operare!una!valutazione!completa,!che!tenga!conto!di!questi!aspetti,!per!essere!di!
ausilio!al!clinico!nella!terapia!e!nella!definizione!della!prognosi.!
%
%
1.%TIPO%ISTOLOGICO%
%
La!classificazione!dei!tumori!renali!è!quella!WHO%del%2016,!che!identifica:!
• tumori%a%cellule%renali,!quindi!che!originano!dall’epitelio!tubulare,!sono!i!più!frequenti,!
• tumori% metanefrici,! che! assomigliano! a! quelli! embrionali;! sono! rari:! studieremo! solo! l’adenoma!
metanefrico,!che!va!in!diagnosi!differenziale!con!il!carcinoma!papillare,!
• nefroblastomi!(tumori!pediatrici),!tumori!pediatrici!dovuti!a!un’alterazione!dell’embriogenesi,!
• tumori!mesenchimali,!
• tumori!misti!(epiteliali!e!stromali),!
• tumori!neuroendrocrini,!
• tumori!metastatici.!
Studiamo!i!tumori% a% cellule% renali,!tenendo!presente!che!
il!nome!del!tumore!rispecchia!la!costituzione!morfologica!
o! citoarchitetturale! della! lesione;! distinguiamo,! semplifi@
cando:!
• il!carcinoma%renale%a%cellule%chiare%(70%),%forma@
to!da!cellule!con!un!citoplasma!chiaro!e!vuoto,!
• il!carcinoma%renale%papillare%(15%),%caratterizzato!
da! un’architettura! papillare! simile! al! carcinoma!
papillare!della!tiroide!(struttura!arboriforme!rive@
stita!da!un!monostrato!di!cellule),!
• il% carcinoma% renale% cromofobo% (3U5%),% che!si!co@
lora!poco!dopo!processazione,%
• l’oncocitoma! (3@5%),! che! rappresenta! la! contro@
parte!benigna!del!cromofobo,!
• altri!tumori!non%comuni%e%recentemente%descritti!(2%!circa),!
Le!forme%non%comuni!sono:!!
o il!carcinoma%renale%associato%alla%leiomiomatosi,!
o i!tumori%associati%a%traslocazione,!
o il!carcinoma%renale%a%cellule%chiare%papillare,!
o il!carcinoma%renale%associato%alla%malattia%cistica%acquisita,!
o il!carcinoma%renale%tubuloUcistico.!
I!tumori%renali%emergenti!sono:!
o il!carcinoma%renale%similUtiroideo%follicolare,!
o il!carcinoma%renale%con%traslocazione%ALK,!
o il!carcinoma%renale%associato%a%deficit%della%SuccinicoUdeidrogenasi%B.!
• tumori%non%classificabili!(3@6%);!sono!tumori!che!non!possono!essere!inseriti!in!una!categoria!dia@
gnostica:!questo!non!implica!che!siano!di!alto!grado.!
I!primi!tre!rappresentano!il!90%%dei%tumori;!sono!tre!tumori!maligni!che,!come!verrà!dettagliato!nella!trat@
tazione,!presentano!tre!controparti!benigne;!in!particolare!la!controparte!benigna:!
• del!carcinoma%cromofobo!è!l’oncocitoma,!
• del!carcinoma%a%cellule%chiare!è!la!neoplasia%renale%multiloculare%cistica%con%basso%potenziale%maU
ligno,!
• de! carcinoma% papillare! è! l’adenoma% papillare% (di! dimensioni! inferiori! a! 1,5! cm).! In! questo! caso!
l’adenoma!rappresenta,!più!che!la!controparte!benigna,!la!lesione!iniziale.!
In!sintesi,!i!carcinomi!del!rene!sono!3!più!frequenti,!5!non!comuni!e!3!emergenti!(“tre,!cinque,!tre”).!
L’istotipo!ha!valore!non!solo!diagnostico!ma!anche!prognostico,!perché!a!seconda!del!tipo!istologico!cam@
biano!le!curve!di!sopravvivenza:!
• la!sopravvivenza!a!10!anni!dei!pazienti!affetti!da!carcinoma%papillare!e!carcinoma%cromofobo!supe@
ra!il!90%,%
• la! sopravvivenza! a! 10! anni! dei! pazienti! affetti! da! carcinoma% a% cellule% chiare! è! un% po’% meno%
dell’80%.%
!
CARCINOMA%RENALE%A%CELLULE%CHIARE%(CRCC)%
%
Il!carcinoma%renale%a%cellule%chiare!rappresenta!il!70%%dei%tumori%renali.!
• Da!un!punto!di!vista!macroscopico:!
o è!giallo,!come!il!grasso,!perché!il!citoplasma!delle!cellule!
che!lo!compongono!è!ricco!di!lipidi%(le!cellule!tubulari!in@
fatti!accumulano!lipidi!in!corso!di!patologia);!invece!da!un!
punto! di! vista! microscopico,! poiché! i! lipidi! si! sciolgono!
durante!la!processazione,!il!tumore!diventa!chiaro,!
o è!capsulato:!la!capsula!deriva!dal!fatto!che!il!tumore!cre@
sce,!si!espande!e!condensa!lo!stroma!preesistente,!!
o presenta! una! parte% centrale,! più! lontana! dalla! compo@
nente!vasale,!che!è!maggiormente!esposta!all’ipossia!e!va!
incontro!ad!atrofia.!
• Da!un!punto!di!vista!microscopico:%
o è! formato! da! cellule! con! citoplasma! chiaro,! indicativo! della! presenza! di! lipidi! (ma! non! pato@
gnomonico!di!questo!istotipo),!e!a!volte!granulare%(visibile!nelle!cellule!meno!ricche!di!lipidi!e!
con!più!organelli!citoplasmatici,!a!causa!della!loro!permanenza!dopo!la!fissazione),%
o il! rapporto% nucleo/citoplasma! è! basso:! il! citoplasma! è! abbondante! rispetto! al! nucleo,! che! è!
abbastanza!piccolo!e!disposto!in!periferia,!%
o l’architettura,!in!quanto!deriva!dall’epitelio!tubulare,!è!o!a!piccoli%nidi!o!tubuloUcistica!(ci!sono!
strutture!simil@tubulari!e!cisti!dovute!alla!dilatazione!dei!tubuli),%
o ogni!nido!solido!o!tubulo!è!circondato!da!una!rete%di%capillari%caratteristica%(evidenziabile!con!
anticorpi! anti@CD34):! questo! è! un! aspetto! peculiare! e! importante! (infatti! negli! altri! tumori! la!
rete! capillare! è! molto!
meno! densa),! respon@
sabile! anche! della! ele@
vata! sopravvivenza! del@
le! metastasi! da! carci@
noma! renale! a! cellule!
chiare;! infatti! gli! onco@
logi! aggiungono! nello!
schema! di! trattamento!
anche! un! farmaco! anti@
angiogenico! (Bevacizu@
mab)!per!ridurre!questa!
rete,!
! a!volte!i!capillari!possono!avere!il!lume!dilatato!e!mostrare!quindi!un!pattern%sinusoidale!(as@
somiglia! un! po’! all’epatocarcinoma);! le! cellule! che! circondano! questi! lumi! dilatati! sono! tutte!
CD34+,!ovvero!sono!cellule!endoteliali,%
! nella!parte%centrale,!meno!vascolarizzata,!i!nidi!di!cellule!sono!più%piccoli!perché!le!stesse!cel@
lule,!sofferenti!e!con!poco!nutrimento,!si!riducono!di!dimensioni!(atrofia),!i!capillari%più%radi,!e!
viene!deposto!connettivo% cicatriziale:!è!lo!stesso!effetto!che!si!ottiene!con!la!terapia!antian@
giogenica,%
! può!esserci!anche!una!componente%infiammatoria%cronica%stromale!costituita!da!linfociti!infil@
tranti!il!tumore!(TILs):!essi!possono!essere!risvegliati!e!potenziati!nelle!loro!capacità!antitumo@
rali!dall’immunoterapia!(con!farmaci!che!interferiscono!sul!legame!PD1:PDL1).!La!prognosi!di@
pende!anche!da!quanto!è!prevalente!l’infiltrato.!
• E’!caratteristica!di!questo!tumore!la!disregolazione%dell’anidrasi%carbonica%9%(CA%IX),!il!cui!reperto!
mediante! tecniche! immunoistochimiche! aiuta! nella! diagnosi.! L’immunoistochimica! per! le! cellule!
CD34@positive,!consente!invece!di!mettere!in!evidenza!la!ricca!trama!vascolare!del!tumore1.!
• La!trasformazione%tumorale!è!causata!dalla!delezione%del%braccio%corto%del%cromosoma%3!(3p@),!in!
cui!è!localizzato!il!gene!di!Von%Hippel%Lindau:!non!viene!quindi!prodotta!la!proteina!VHL!e!si!accu@
mula!HIF@alfa,!un!fattore!di!trascrizione!che!determina!l’aumento!della!produzione!di!VEGF% (e!an@
che!PDGF,!TGFα),!che!a!sua!volta!induce!la!formazione!della!caratteristica!rete!capillare!del!tumore.!
Questa! mutazione! è! riscontrabile! nel! 70%! dei! CRCC! sporadici;! negli! altri! casi! c’è! la! mutazione! del!
gene!PTEN!(con!disregolazione!della!pathway!di!mTOR).!
• La!maggior!parte!di!questi!tumori!è!sporadica!e!insorge!casualmente,!a!causa!di!questa!mutazione!
al!braccio!corto!del!cromosoma!3.!Le!altre!forme!sono!invece!ereditarie:!in!esse!questa!mutazione!
è!germline,!quindi!viene!trasmessa!da!uno!dei!genitori!e!può!causare!l’insorgenza!della!sindrome%di%
Von%Hippel%Lindau,!che!è!caratterizzata!da:!
o tumori%a%cellule%chiare%bilaterali%e%multifocali:!ci!sono!diversi!focolai!di!tumore!a!cellule!chiare!
perché!l’alterazione!genetica!è!diffusa!(comunque!occorre!tener!presente!che!possono!essere!
multipli!anche!alcuni!tumori!renali!sporadici),!
o emangioblastomi%del%SNC%(cervelletto),%
o tumori%neuroendocrini%del%pancreas,%
o feocromocitomi,%
o angiomi%retinici,%
o altro.%
• Per!quanto!riguarda!la!prognosi,!la!sopravvivenza!a!10!anni!è!un!po’!inferiore!all’80%;!bisogna!con@
siderare!che!un!soggetto!con!carcinoma!renale!a!cellule!chiare!anche!dopo!la!resezione!non!si!con@
sidera!guarito!al!100%:!dopo!15@20!anni!potrebbero!esserci!metastasi!causate!da!cellule!quiescenti!
che!si!riattivano!e!attecchiscono.!
• La%diagnosi%differenziale!tiene!conto!di!tumori!che!possono!avere!caratteristiche!simili,!quali:!
1. il!carcinoma%papillare%a%cellule%chiare,!che!presenta!in!aggiunta!un’architettura!papillare,!
2. il! carcinoma% cromofobo,! in! cui! si! osservano! di! solito! le! caratteristiche! dei! tumori! cromofobi,!
ma!a!volte!tale!tumore!si!colora!talmente!poco!da!presentare!un!aspetto!chiaro,!
3. il!carcinoma%associato%a%traslocazione,!che!ha!un’altra!prognosi!e!terapia,!
4. il!carcinoma%con%stroma%leiomiomatoso.!
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
1!E!di!distinguere!i!tre!tipi!principali!di!carcinoma!renale:!infatti,'mentre'nel'CRCC'l’architettura'è'tubulare,'a'piccoli'
nidi!circondati!da!una!grossa!rete!capillare,!il!papillare!forma!papille,!con!pochi!capillari,!tutti!presenti!nell’asse!delle!
papille.!Nel!cromofobo,!i!capillari!sono!invece!alla!periferia.!
NEOPLASIA%RENALE%MULTILOCULARE%CISTICA%A%BASSO%POTENZIALE%DI%MALIGNITÀ%
Il!corrispettivo%benigno!del!CRCC!è!la!neoplasia%renale%multiloculare%cistica%con%basso%potenziale%maligno;!
in!passato!era!chiamata!carcinoma%renale%a%cellule%chiare%con%architettura%multiloculare%cistica,!ma,!poi@
ché!non!dà!mai!metastasi!e!la!prognosi!è!eccellente,!è!stato!cambiato!il!nome!(soprattutto!per!motivi!psico@
logici!e!assicurativi!negli!USA).!
• E’!una!neoplasia!rara!(<!1%!dei!tutti!i!tumori!renali).!
• Non!sono!presenti!noduli% solidi% gialli%identificabili!macroscopicamente!(questo!riscontro!è!incomU
patibile!con!la!diagnosi).!
• Ha!un!aspetto%multiloculare%cistico:!in!altre!parole!è!caratterizzata!da!molte%cisti!comunicanti!tra!
di!loro!e!separate!da!setti%fibrosi%sottili.!
• Le!cellule,!che!rivestono!le!cisti!e!i!setti!fibrosi!formando!un!monostrato,!hanno!citoplasma%chiaro,!
nucleo%rotondo%regolare%privo%di%atipia%o!con!atipia!di!basso!grado!(i!nucleoli!sono!scarsamente%viU
sibili).!
• Non!è!metastatico.!
• Va!in!diagnosi%differenziale!con!i!CRCC!che!sono!andati!incontro!a!fenomeni!regressivi,!hanno!for@
mato!cisti!e!simulano!così!un!tumore!multiloculare!cistico,!pur!conservando!il!potenziale!metastati@
co;!per!dirimere!il!quesito!di!diagnosi!differenziale!si!vanno!a!cercare!aree%solide,!ma!anche!la!loro!
assenza! non! dà! la! certezza! diagnostica! della! controparte! benigna:! ci! sono! infatti! alcuni! CCR! che!
possono!simulare!perfettamente!questa!neoplasia!e!dare!metastasi!di!cui!ci!si!accorge!troppo!tardi.!
Per!questo!motivo!questa!forma!benigna!non!può!essere!etichettata!come!adenoma.!
!
%
%
CARCINOMA%RENALE%PAPILLARE%
%
Il!carcinoma%renale%papillare!rappresenta!il!15%!dei!tumori!renali.!
• E’!un!tumore!ben!delimitato!dal!parenchima!circostan@
te!da!una!sorta!di!capsula.!Ha!un!aspetto!macroscopiU
co%granulare%e!di!colore%marroncino:!è!quindi!ben!di@
stinguibile! dal! CRCC,! ma! talvolta! può! presentare! un!
colorito! giallastro,! dovuto! alla! abbondante! presenza!
di!istiociti!e!di!lipidi.!
Infatti,!nello!stroma!possono!esserci!gruppi%di%istiociti!
con!citoplasma%schiumoso!ricco!di!lipidi,!che!formano!
un!accumulo%chiaro:!sono!istiociti!che!hanno!fagocita@
to!i!residui!di!cellule!tumorali,!soprattutto!i!lipidi!delle!
membrane!cellulari. !
Bisogna!comunque!prestare!attenzione!perché!a!volte!a!livello!renale!ci!può!essere!una!infiammaU
zione%cronica%xantoUgranulomatosa,!che!appare!gialla!e!può!simulare!un!tumore.!
• E’!caratterizzato!da!un’architettura:!
o papillare,% se!si!osservano!piccole% cisti!contenenti!papille,!che!derivano!dall’epitelio!tubulare:!
queste! cisti! sono! i! tubuli! all’interno! dei! quali! cresce! una! papilla,! ovvero! una! struttura! arbori@
forme!rivestita!da!un!monostrato!di!cellule!(è!l’analogo!del!carcinoma!papillare!della!tiroide2);!
o tubuloUpapillare:!se!può!anche!formare!tubuli,!ovvero!strutture!formate!da!un!epitelio!mono@
stratificato!che!poggia!su!membrana!basale!e!delimita!un!lume!(corrisponde!alla!variante!folli@
colare!del!carcinoma!papillare!della!tiroide).!
o Talvolta!il!pattern!di!crescita!è!di!tipo!glomeruloide:!l’epitelio!cresce!all’interno!dei!tubuli!sen@
za!supporto!di!un!asse!stromale.!
• Si!distinguono!in!base!all’atipia%cellulare,%che!nel!rene!dipende!soprattutto!dalla!grandezza%dei%nuU
cleoli%(indicativi!di!una!cellula!metabolicamente!attiva),!due!tipi!di!carcinoma!renale!papillare,!con!
due!significati!prognostici!differenti:!
o di% tipo% 1:! con! atipia% di% basso% grado! e!
cellule%basofile;!le!papille!sono!rivestite!
da!monostrato!di!cellule!con!scarso% ciU
toplasma!e!nuclei%rotondi%e%ovoidali.!E’!
più!benigno% e!generalmente% meno% agU
gressivo:%ha!una!prognosi%eccellente.!Si!
associa!a!una!mutazione!del!gene!RET; !
o tipo%23:!con!atipia%di%alto%grado!e!celluU
le% eosinofile;! l’architettura! papillare! è!
conservata! ma! le! papille! sono! rivestite!
da! un! epitelio! pseudostratificato,! ov@
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
2!Il!carcinoma!papillare!della!tiroide:!presenta!tre!aspetti!nucleari:!1)!pseudo@inclusi!nucleari,!c’è!una!parte!del!citopla@
sma!che!sporge!all’interno!del!nucleo,!e!2)!nucleo!chiaro,!come!se!fosse!scomparsa!la!cromatina!che!si!è!disciolta!o!
spostata!verso!la!membrana!nucleare,!3)!il!nucleo!presenta!incisure,!dovute!alla!condensazione!della!cromatina.!
3
!Nonostante!nella!classificazione!recente!sia!stata!inserita!la!suddivisone!in!tipo!1!e!tipo!2,!si!è!osservato!che!all'inter@
no!del!tipo!2!esistono!numerose%forme!che!differiscono!dal!punto!di!vista!genetico;!pertanto,!il!carcinoma!papillare!di!
tipo!2!non!rappresenta!un'entità!a!sé!stante!(come!il!tipo!1!che!si!associa!a!mutazione!del!gene!RET)!ma!un!gruppo!
eterogeneo!di!neoplasie!correlate!a!mutazioni!diverse.!
vero!formato!da!cellule!con!nuclei!collocati!ad!altezza!diversa!ma!tutte!a!contatto!con!la!mem@
brana!basale,!caratterizzate!da!un!citoplasma%più%abbondante!e!nuclei%più%atipici!con!nucleoli%
evidenti.!E’!più!aggressivo!e!geneticamente!più!eterogeneo. !
Soprattutto! il! tipo! 1! presenta! una! variante%
oncocitica4!(che!per!alcuni!autori!rappresenta!
il! tipo! 3),! formata! da! cellule! (di! Hurthle)! con!
citoplasma% abbondante,% eosinofilo,% ricco% di%
mitocondri;! va! in! diagnosi! differenziale! con! il!
carcinoma! cromofobo,! che! a! volte! si! colora!
tanto! fino! a! simulare! un! papillare,! e! con!
l’oncocitoma! (anch’esso! formato! da! cellule!
ricche! di! granuli! e! mitocondri,! ma! caratteriz@
zato! da! una! diversa! architettura:! cresce! for@
mando! nidi! delimitati! da! un’abbondante! rete!
capillare!e!non!papille).!Questa!diagnosi!diffe@
renziale!è!importante!per!la!prognosi.!
• Da!un!punto!di!vista!immunoistochimico!esprime!la!CK7% (citocheratina% 7)!e!la!AMACR% (racemasi,!
alfa@metil@acilCoA!racemasi,!non!è!specifica!di!questo!tipo!di!tumore:!può!essere!espressa!anche!da!
tumori!della!prostata).!Non!esprime!l’anidrasi!carbonica!IX.!
• Per!quanto!riguarda!la!prognosi,!in!media!la!sopravvivenza!a!10!anni!è!del!90%.!
• Va!in!diagnosi%differenziale!con:!
o il! carcinoma% renale% papillare% a% cellule% chiare,% caratterizzato! dall’architettura! del! carcinoma!
papillare!e!dalle!cellule!del!CRCC,%
o il!carcinoma%associato%a%traslocazione,%
o il!carcinoma%renale%associato%alla%malattia%cistica%acquisita,%che!presenta!tubuli!dilatati,!
o il!carcinoma%renale%dei%dotti%collettori!(di!Bellini)!e!della%midollare.!Non!ha!una!prognosi!buo@
na:!la!sopravvivenza!a!10!anni!è!di!circa!il!10%.!
La!diagnosi!differenziale!è!importante!per!la!prognosi.!
%
ADENOMA%PAPILLARE%
La!lesioni!incipiente!(iniziale)!del!carcinoma!papillare!viene!chiamata!adenoma%papillare:!esso!rappresenta!
anche!una!sorta,!ma!non!proprio,!di!controparte!benigna!di!questo!tumore5.!
• E’!piccolo:!inferiore% ai% 15% mm.!Le!dimensioni!rappresentano!il!principale!criterio!di!distinzione!tra!
adenoma!e!carcinoma!(nel!colon!invece!l’adenoma!si!distingue!dal!carcinoma!anche!per!le!caratte@
ristiche!architetturali!e!cellulari).!
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
4
!Altre!due!varianti!del!carcinoma!papillare!sono:!
• il!carcinoma% papillare% con% cellule% fusate:!talvolta!i!carcinomi!papillari!possono!avere!cellule!fusate!in!assenza!di!
una! degenerazione! sarcomatoide.! La! prognosi! è,! infatti,! la!stessa! di! un! papillare.!All’immunoistochimica!è!posi@
tivo!alla!citocheratina@7!e!racemasi,!come!il!papillare!classico;!
• il!carcinoma%papillare%solidoUcompatto,!caratterizzato!da!strutture!micro@tubulari!o!solide,!che!tendono!a!confe@
rire!una!struttura!compatta.!All’immunoistochimica!è!positivo!alla!citocheratina@7!e!racemasi,!va!in!diagnosi!diffe@
renziale!con!l’adenoma!metanefrico.!
Anche!nella!tiroide!si!potrebbero!riscontrare,!sia!nelle!varianti!papillari!sia!in!quelle!follicolari,!delle!cellule!chiare.!Non!
si! tratta! di! una! variante,! sono! un! artefatto.! La! variante! oncocitica! invece! è! presente! sia! nella! forme! follicolari! sia! in!
quelle!papillari.!
5!In!questo!caso!è!lo!stesso!tumore!in!due!stadi!evolutivi!diversi;!invece!per!nel!carcinoma!renale!a!cellule!chiare!non!
esiste!un’analoga!forma!iniziale!ma!solo!una!controparte!benigna:!il!tumore!multiloculare@cistico.!
• Da!un!punto!di!vista!architetturale!è!come!il!carcinoma!papillare,!cioè!formato!da!cisti!(tubuli!dila@
tati)! contenenti! papille! che! confluiscono;! in! particolare,! nella! fase! iniziale! cresce! formando! una!
struttura!glomeruloide,!poi!si!forma!la!papilla!con!il!suo!asse!stromale.!
• Da! un! punto! di! vista% citologico% non! presenta! atipia% nucleare! (pleomorfismo! e! attività! mitotica),!
quindi!è!simile!al!tipo!1,!ed!è!positivo%a%CK7%e%AMACR.%
Se!sono!compresenti!questi!aspetti!il!carcinoma!papillare!viene!declassato!ad!adenoma!perché:!
o non!dà!metastasi:!la!prognosi!è!eccellente!e!può!essere!trattato!efficacemente!con!l’asportazione,!
o è!meglio!da!un!punto!di!vista!psicologico!per!il!paziente,!
o è!compatibile%con%la%donazione!del!rene!a!un!altro!paziente!in!dialisi!in!attesa!di!trapianto!(prima,!
per!il!trapianto,!il!limite!era!di!5!mm,!poi!è!stato!ampliato:!così!sono!aumentati!i!reni!trapiantabili).!
La!diagnosi!differenziale!principale!è!con!l’adenoma%metanefrico.!
!
ADENOMA%METANEFRICO%
%
L’adenoma% metanefrico% è! una! neoplasia% benigna! che! origina! da! residui! del! blastema% metanefrogeno!
(primitivo! abbozzo! renale! da! cui! derivano! tubuli! e! glomeruli),! che! possono! mantenersi! nell'adulto.! Nel!
bambino!da!questi!residui!embrionali!ha!invece!origine!il!nefroblastoma!(tumore!di!Wilms),!che!è!maligno;!
si!chiama!“adenoma”!perché!non!è!metastatico!(infatti!la!prognosi!è!eccellente;!100%!di!sopravvivenza)!e!
“metanefrico”!perché!ricorda!il!nefroblastoma.!
L’adenoma%metanefrico:!
• è!sprovvisto!di!una!capsula,!quindi!di!una!demarcazione%netta!dal!parenchima!circostante,!a!diffe@
renza!del!carcinoma!papillare!(che!forma!una!sorta!di!capsula),!
• presenta!un’architettura%papillare,!simile!a!quella!del!carcinoma!renale!papillare:!è!caratterizzato!
da! tubuli% contenenti% strutture% papillari,! che! rappresentano! una! sorta! di! tentativo! di! formare!
un’ansa!capillare!(ci!sono!abbozzi!di!glomeruli!all’interno;!come!se!fosse!il!blastema!originale!del!
rene),!
• presenta!corpi% psammomatosi,!formati!da!depositi% calcifici!attorno!a!un!nucleo!che!sembra!una!
cellula! morta! (sono! presenti! nei! tumori! papillari! della! tiroide,! nei! tumori! papillari! del! rene,!
nell’adenoma!metanefrico),!
• è!formato!da!cellule!piccole!e!uniformi!con!citoplasma!scarso,%pallido,%rosa%chiaro,!e!nuclei%piccoli%
e%rotondi%contenenti%cromatina%finemente%dispersa,%con%nucleoli%assenti,!
• sono!di!aiuto!nella!diagnosi!differenziale!la!negatività!per!la!CK7!e!la!racemasi,!e!la!positività%per%
CD57%e%WT1!(il!WT1!è!l’antigene!1!del!tumore!di!Wills,!marker!di!questo!tumore).!
!! !
!
CARCINOMA%MUCINOSO%TUBULARE%A%CELLULE%FUSATE%
Il!carcinoma%mucinoso%tubulare!a%cellule%fusate!è!un!tumore!che!deriva!dall’ansa%di%Henle,%formata!da!un!
punto!di!vista!istologico!da!un!epitelio%basso!interposto!in!uno!stroma%lasso%e%mucinoso.!
Questo!tumore,!anche!se!descritto!come!entità!a!sé!stante,!è!probabile!che!sia!una!variante!del!carcinoma!
renale!papillare,!perché!si!trova!spesso!nel!contesto!di!un!tumore!papillare!di!tipo!1,!sotto!forma!di!aree%
mucinose% tubulari% e% a% cellule% fusate;! questo! riscontro! però! non! determina! variazioni! nel! trattamento,! in!
quanto!esso!non!rappresenta!una!forma!aggressiva!e!ha!un!comportamento!favorevole.!
E’!un!tumore!che!cresce!soprattutto!nella!midollare,!chiamato!dagli!inglesi!loopoma,%per!richiamare!il!loop,!
ovvero!la!struttura!a!forcina!dell’ansa!di!Henle.!E’!una!neoplasia!caratterizzata,!come!dice!il!nome,!da:!
• architettura%tubulare,!ovvero!da!tubuli!allunganti!con!un!lume%simile%a%una%fessura,!delimitato!da!
un!epitelio%basso!formato!da!cellule%con%scarso%citoplasma.!Come!nella!forma!papillare,!nei!tubuli!
si!può!osservare!il!tentativo!di!formare!una!papilla!in!una!piccola!cisti,!
• stroma%mucinoso!con!mucina!extracellulare!basofila,!
• cellule%fusate,!che!hanno!questa!forma!perché!sono!cellule!cuboidali!compresse%e%allungate!(spind+
le,cells)!e!non!perché!sono%atipiche!e!con!trasformazione!sarcomatoide!(segno!di!aggressività);!in@
fatti!mantengono!positività%ai%marcatori!(CK7!e!AMACR).!
Va!in!diagnosi%differenziale%con!il!carcinoma!papillare%di%tipo%1%con%trasformazione%sarcomatoide,%ovvero!
caratterizzato!da!una!trasformazione%aggressiva,!tuttavia!rara!nel!tipo!1!(quando!è!presente!nel!95%!dei!ca@
si!è!di!altro!grado!mentre!nel!restante!5%!dei!casi!è!di!basso!grado);!ha!la!morfologia!di!un!fibrosarcoma.!
Quindi! questa! diagnosi! differenziale! ha! importanti! implicazioni! prognostiche:! la! presenza! di! poche! cellule!
separate!da!una!mucina!depone!a!favore!dell’ipotesi!benigna,!ovvero!del!carcinoma!mucinoso!tubulare!a!
cellule!fusate.!
!
ALTRI%TUMORI%RENALI%CON%ARCHITETTURA%PAPILLARE%
!
In!generale,!i!tumori!del!rene!con!architettura%papillare%sono,!oltre!al!carcinoma%renale%papillare:!
• il!carcinoma%renale%associato%alla%leiomiomatosi%ereditaria,!!
• il!carcinoma%renale%papillare%a%cellule%chiare,!
• il!carcinoma%renale%associato%a%malattia%cistica%acquisita,!
• i!carcinomi%renali%associati%a%traslocazione.!
Queste! quattro! forme! sono! molto! più! rare,! tuttavia! vanno! prese! in! considerazione! nella! diagnosi! perché!
impattano!sulla!prognosi!e!la!terapia.!
!
CARCINOMA%RENALE%ASSOCIATO%ALLA%LEIOMIOMATOSI%EREDITARIA%
• Il!carcinoma%renale%associato%alla%leiomiomatosi%ereditaria!è!un!tumore!frequente!soprattutto!nel@
le!donne!in!età!precoce,!ovvero!di!20%anni!(in!genere!i!leiomiomi!compaiono!intorno!ai!40@50!anni).!
• E’!una!manifestazione!di!una!sindrome%ereditaria%causata!da!una!mutazione!a%trasmissione%autoU
somica% dominante! al! gene! della! idratasi% fumarata% (FH),! che! viene! persa! (mappa! sul! cromosoma!
1q):!l’immunoistochimica!per!l’FH!è!negativa!(nei!tumori!e!nei!leiomiomi)!e!conferma!la!diagnosi!fi@
nale.!!
• Come!suggerisce!il!nome,!è!una!neoplasia!renale!associata!a!leiomiomi% multipli,!ovvero!a!tumori!
muscolari!lisci!benigni,!che!possono!essere:!
o uterini!(che!di!solito,!al!di!fuori!di!questa!forma!sindromica,!insorgono!in!menopausa,!intorno!
ai! 40@50! anni):! sono! tumori! del! miometrio! formati! da! cellule% fusate! con! nucleoli% prominenti!
circondati!da!un!alone%chiaro%perinucleolare,!cosa!insolita!per!un!leiomioma,!
o cutanei,!che!derivano!dai!muscoli!erettori!del!pelo.!
In!una!donna!di!20@30!anni!con!leiomiomatosi!multipla,!bisogna!pertanto!indagare!il!rene!per!iden@
tificare!il!tumore!renale,!che!è!aggressivo%all’esordio;!invece,!in!questa!sindrome,!i!leiomiomi!sono!
benigni!(solo!qualche!volta!sono!leiomiosarcomi).!
• Da!un!punto!di!vista!macroscopico!è!un!tumore!marroncino,!un!po’!granulare,!con!necrosi!e!senza!
particolari!caratteristiche.!
• Questo! tumore! è! simile! al! carcinoma% renale%
papillare% di% tipo% 2!(nella!vecchia!classificazione!
era!un!sottotipo!del!papillare!del!tipo!2!eredita@
rio):! ha! un’architettura! papillare! ed! è! formato!
da! cellule! con! citoplasma% eosinofilo,! nucleoli%
prominenti! circondati! da! un! alone% chiaro% periU
nucleolare! (che! assomiglia! ad! un! incluso! di!
CMV,!ma!in!realtà!è!un!artefatto).!
L’immunoistochimica!per!l’idratasi!fumarata!è!negativa.!
!
CARCINOMA%RENALE%(TUBULO)PAPILLARE%A%CELLULE%CHIARE%
Il!carcinoma!renale!papillare!a!cellule!chiare!è!il!quarto!tumore!renale!più!
frequente.!!
• E’! macroscopicamente! ben% delimitato% (capsulato):! a! volte! pre@
senta! una! capsula% bianca;! può! essere! solido! o! cistico,! proprio!
come!il!CCR,!che!può!essere!solido!in!assenza!di!necrosi!o!cistico!
se!sono!presenti!aspetti!regressivi:!l’unica!differenza!con!il!CCR!è!
che!in!questo!caso!sono!assenti!aree!gialle.!E’!unicentrico,!unilaterale!e!in!generale!piccolo!(fino!a!6!
cm):!può!pertanto!essere!asportato!con!una!nefrectomia!parziale.!
• Presenta% un'architettura! simile! a! quella! del! carcinoma% papillare% di% tipo% 1,! che! quindi! può! essere!
papillare,!tubulo@acinare!e!cistica.!Infatti,!poiché!deriva!dal!tubulo,!questo!tumore!può!anche!for@
mare!tubuli.!
• E’! formato! da! cellule% cuboiU
dali! simili! a! quelle! carcinoU
ma% a% cellule% chiare,! con! ciU
toplasma% chiaro% e% vuoto,!
nuclei% rotondi% e% regolari,!
con!atipia!di!basso!grado,!di@
sposti! a! metà! tra! la! base! e!
l’apice! della! cellula! (come!
nell’endometrio! secretivo! in!
fase!iniziale,!in!cui!è!presen@
te!il!vacuolo!di!glicogeno!tra!
la! base! e! il! nucleo),! che! for@
mano! come! una! linea! lonta@
na!dalla!membrana!basale.!
• E’!un!tumore!CK7Upositivo,%racemasiUnegativo%e%CA%IXUpositivo!(anidrasi!carbonica!9).!La!positività!
alla!CA!IX!è!riscontrabile!anche!nel!CCR!e!non!nel!carcinoma!papillare!classico;!a!differenza!del!CCR!
però,!gli!anticorpi!anti@CA!IX!in!questo!caso!non!colorano!il!versante!luminale!delle!cellule!ma!solo!
quello!basolaterale!(a!“U”;!invece!nel!CCR!è!colorato!tutto!il!perimetro!delle!cellule).!
• E’!un!tumore!a!basso%potenziale%di%malignità,!non!dà!metastasi.!La!prognosi!è!eccellente;!la!rese@
zione!determina!la!guarigione!nel!100%!dei!casi.!
• Va!in!diagnosi!differenziale!con!il!carcinoma%renale%a%cellule%chiare!e!con!il!carcinoma%renale%papilU
lare.!Quando!forma!dei!tubuli!va!in!diagnosi!differenziale!con!la!variante%tubulare%del%CCR;!in!que@
sto!caso!a!dirimere!la!diagnosi!è!il!pattern!di!positività!del!CA!IX.!
!
CARCINOMA%RENALE%ASSOCIATO%A%MALATTIA%CISTICA%ACQUISITA%
Nel!parenchima!renale!di!un!paziente%in%dialisi%da%anni%(più!di!10),!i!tubuli!tendono!a!dilatarsi!e!a!formare!
cisti,!e!l’epitelio%dei%tubuli%può!andare!incontro!a!trasformazione%neoplastica6!e!dare!origine:!
• a!tumori%del%rene%usuali,!come!il!CCR,!il!carcinoma!papillare!e!il!cromofobo,!
• a!tumori%del%rene%non%usuali,!come!il!carcinoma%renale%associato%a%malattia%cistica%acquisita%(so@
prattutto),!o!al!carcinoma!renale!papillare!a!cellule!chiare!del!rene!in!stadio!terminale,!
• ad!altre!lesioni!simil@tumorali,!di!tipo!cistiche!o!pretumorali!(adenoma!papillare).!
Quindi,!a!causa!del!rischio!di!trasformazione!neoplastica,!i!reni!dei!pazienti!in!dialisi!da!molto!tempo!vanno!
monitorati.!
Il!carcinoma%renale%associato%a%malattia%cistica%acquisita:!
• rappresenta!il!36%%dei%tumori%più%frequenti!presenti!in!reni!in!stadio!terminale!con!malattia!cistica!
acquisita,!è!diagnosticato!soprattutto!incidentalmente!in!pazienti!con!malattia!renale!cronica;!
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
6
!Nelle!glomerulonefriti!quando!il!parenchima!va!in!atrofia!i!tubuli!diventano!atrofici,!ma!se!il!glomerulo!produce!anco@
ra!la!preurina!essi!possono!anche!dilatarsi!e!formare!delle!cisti,!perché!la!preurina!si!accumula!in!assenza!di!uno!sboc@
co;! nella! preurina! inoltre! si! accumulano! sostanze! che! possono! danneggiare! e! favorire! la! trasformazione! neoplastica!
dell’epitelio!che!riveste!queste!cisti.!
• presenta!caratteristiche!particolari!non!tanto!architetturali!quanto!cellulari:!ha!un’architettura%tuU
bulare,!e!a!volte!tubulo@papillare,!ed!è!formato!da!cellule% con% abbondante% citoplasma!eosinofilo!
contenente!all’interno!piccoli%lumi%(intracellulari!e!intercellulari)!e%cristalli%di%ossalato;!
• insorge!in!un!rene!affetto!da!malattia!
cistica!acquisita,!in!cui!la!fibrosi%interU
stiziale! strozza! i! tubuli,! i! cui! lumi!
quindi!non!sono!più!in!comunicazione!
con!le!cavità!calico@pieliche.!Di!conse@
guenza,! i! cristalli! di! ossalato7,! che! di!
solito! scorrono! nel! tubulo! e! sono! im@
messi!nelle!cavità!calico@pieliche!dove!
si!possono!aggregare!in!calcoli,!restaU
no% nel% lume% tubulare! e! precipitano%
nel% citoplasma% delle% cellule% tubulari,!
innescando! verosimilmente! la! tra@
sformazione!neoplastica!delle!cellule;!
• va!in!diagnosi!differenziale!con!il!carcinoma% renale% papillare% di% tipo% 2,!a!causa!del!citoplasma!ab@
bondante!ed!eosinofilo;!però!in!questo!caso!sono!presenti!i!lumi!e!i!cristalli!di!ossalato8!(alla!luce!
polarizzata);!
• in!caso!di!diagnosi!precoce!presenta!una!prognosi%relativamente%buona;!sono!rari!i!casi!in!cui!sono!
state!descritte!metastasi.!
!
CARCINOMA%RENALE%ASSOCIATO%A%TRASLOCAZIONE%
Il!carcinoma%renale%associato%a%traslocazione:!
• si!pensava!fosse!un!tumore%pediatrico,!perché!può!insorgere!in!questa!età,!poi!è!stato!descritto!an@
che!nell’adulto,!
• è!caratterizzato!da!una!fase!iniziale!che!sembra!a!prognosi!favorevole,!poi!dopo!alcuni!anni!comin@
ciano!a!presentarsi!metastasi,!
• come!suggerisce!il!nome!è!causato!da!una!traslocazione;!in!base!al!tipo!di!mutazione!identifichiamo!
due!grandi!gruppi:!!
o uno!con!differenti!traslocazioni!del!braccio%corto%(p)%del!cromosoma%X!(Xp11.2)!che!si!può!por@
tare! nel! cromosoma% 17,% 1% e% 3% (rispettivamente! le! traslocazioni! sono:! t(X;17)(p11.2;q25),!
t(X;1)(p11.2;q21),!t(x;3)),!
o un!altro!con!traslocazioni!del!cromosoma%6!nel!cromosoma%11.!
• La!traslocazione!determina!un!aumento!della!produzione!e!accumulo%nucleare!di!un!fattore!di!tra@
scrizione! identificabile! con! l’immunoistochimica:! nel! primo! caso! è! il! TFE3% (fattore! di! trascrizione!
E3),!nel!secondo!il!TFEB%(fattore!di!trascrizione!EB).!
• Il!tumore!con!traslocazione%del%cromosoma%X:%
o ha!un’architettura%papillare%come!nel!carcinoma!papillare!di!tipo!2,!
o è!formato!da!cellule%con%citoplasma%abbondante,%chiaro!(come!nel!CCR)!e!in!parte!eosinofilo,!
e!con!una!membrana%nucleare%prominente,!come!una!bolla!di!sapone,!
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
7
!Visibili!alla!luce!polarizzata:!quando!dobbiamo!vedere!i!cristalli!mettiamo!due!lenti,!una!sotto!il!vetrino!e!l’altra!so@
pra,!poi!le!giriamo,!così!che!la!luce!venga!filtrata!in!modo!da!dare!colore!ai!cristalli.!La!maggior!parte!dei!cristalli!pre@
senti!nel!rene!sono!idrosolubili!in!ambiente!acquoso!e!possono!sciogliersi!a!causa!della!fissazione.!
8!Normalmente*la*maggior*parte*dei*cristalli*è*idrosolubile,*quindi*la*fissazione*in*formalina*potrebbe*non*renderli*più*
visibili!dopo!alcuni!giorni!(bisogna!stare!attenti!a!fissarli!poco).!
o presenta!corpi%psamomatosi,!come!nel!carcinoma!papillare!classico,!
o ha!un!comportamento%aggressivo:!è!fondamentale!pertanto!la!diagnosi!differenziale,!
o si!diagnostica!con!l’immunoistochimica!per!il!TFE3!che!colora!tutti!i!nuclei.!
• Il!tumore!con!traslocazione%t(6;11):%
o presenta! architettura% epitelioidea!
che! può! simulare! un! carcinoma!
papillare! di! tipo! 2,! ma! in! aggiunta!
ci! sono! piccoli% nidi% di% cellule! (che!
formano! una! sorta! di! rosetta)! con!
scarso% citoplasma% eosinofilo! e! un!
accumulo!di!matrice!simile!a!quel@
la!della!membrana!basale;!
o assomiglia!a!un!carcinoide;!
o si! diagnostica! con! l’immunoisto@
chimica!per!il!TFEB!che!colora!tutti!
i!nuclei;!
o è!potenzialmente!aggressivo.!
%
TUMORE%CROMOFOBO%
Il!tumore%cromofobo!rappresenta!il!4U5%!dei!tumori!del!rene.!E’!così!chiamato!per!il!fatto!che!le!cellule!si!
colorano!poco,!anche!se!non!sono!chiare!come!nel!CCRC.!
• Da!un!punto!di!vista!macroscopico%ha!un!colore%marU
rone% chiaro,! aspecifico,! e! può! presentare! aree% bianU
che!di!fibrosi!o!aree%rosse!di!congestione!ematica!(che!
con!la!fissazione!diventano!marroni).!Presenta!margi@
ni!ben!definiti:!c’è!una!capsula!gialla!periferica.!!
• Ha! un’architettura! a! grandi% nidi% solidi% scarsamente%
vascolarizzati!(quindi!non!tubulare!né!papillare);!poi@
ché! deriva! dall’epitelio! tubulare,! forma! a! volte! qual@
che!tubulo!dilatato.!
• E’!formato!da!cellule!con:!
o una! membrana% citoplasmatica!
spessa:! è! un! artefatto! non!
sempre! presente,! dovuto! al!
fatto! che! gli! organelli! citopla@
smatici!si!spostano!verso!il!ver@
sante! interno! della! membrana!
durante!la!fissazione!e!a!esso!si!
ancorano! per! mezzo! della! for@
malina;!
o un! citoplasma! abbondante,! fi@
nemente! granulare,! a! causa!
degli! organelli! citoplasmatici!
sparsi! e! della! ricchezza% di! miU
tocondri,! e! chiaro! (come! nel!
CCR,!ma!le!membrane!sono!meno!spesse!in!quel!caso).!Esiste!una!variante%eosinofilica!in!cui!il!
citoplasma!è!maggiormente!eosinofilico!(si!osserva!nel!caso!in!cui!non!si!verifica!lo!spostamen@
to!degli!organelli!verso!la!membrana);!
o nuclei!rotondi%o%allungati,!irregolari!sin!dall’inizio!(infatti!non!si!applica!il!grading!tradizionale)!
e!circondati!da!un!alone%chiaro%perinucleare!(artefatto!della!fissazione).!
• È!l’unico!tumore!renale!ad!avere!un’istochimica%caratteristica:!si!colora!in!blu!con!il!ferro%colloidale%
(colorazione!di!Hale);!all’immunoistochimica!è!CK7@positivo!e!racemasiUnegativo!(questo!consente!
la!diagnosi!differenziale!con!il!papillare).!Da!un!punto!di!vista!molecolare!sono!persi!diversi!cromo@
somi,!ma!è!un!aspetto!aspecifico.!
• Nella%variante%eosinofilica:%
o il!citoplasma!si!colora!intensamente!con!l’eosina!(a!causa!di!un!artefatto),!
o c’è!un!alone!chiaro!perinucleare,!
o si!pone!la!diagnosi!differenziale!con!l’oncocitoma,!controparte!benigna!del!cromofobo;!a!risol@
vere!il!quesito!diagnostico!differenziale!sono!l’alone!perinucleare!e!soprattutto!l’aspetto!solido!
(se!ci!sono!problemi!si!fa!l’istochimica!con!ferro!colloidale).!
• Di!solito!ha!un!comportamento!benigno!(forma!classica):!in!questi!casi!il!paziente!guarisce!dopo!la!
rimozione;!altre!volte!invece!è!aggressivo!e!può!essere!metastatico:!in!questi!casi!gli!aspetti!di!ag@
gressività!sono:!
o la!necrosi%tumorale,%
o la!trasformazione%sarcomatoide:!le!cellule!sono!allungate,%fusiformi,%atipiche,!con!figure!mito@
tiche!(c’è!stata!una!trasformazione!epitelio@mesenchimale).!A!volte!ci!può!essere!una!differen@
ziazione! eterologo,! ovvero! si! osserva! la! formazione! di! cartilagine! e! di! osso:! in! questo! caso! si!
parla!di!carcinosarcoma.!
In!questi!casi!un!ulteriore!segno!di!aggressività!è!l’invasione!cellulare.!
• Va!in%diagnosi%differenziale%con:%
o il%carcinoma%renale%a%cellule%chiare,!soprattutto!quando!il!citoplasma!è!pallido.!La!diagnosi!dif@
ferenziale,! importante! perché! il! CCRC! può! avere! un! comportamento! aggressivo,! si! fa! con! la!
morfologia,!il!ferro!colloidale!e!il!CA@IX;!
o l’oncocitoma,%un!tumore!benigno.!Anche!in!questo!caso!è!opportuno!distinguere!i!due!tumori,!
che!hanno!un!comportamento!diverso;%
o l’angiomiolipoma,! un! tumore! benigno! non! epiteliale! che! deriva! dalle! cellule! muscolari! lisce!
della!parete!della!arteriole!ed!è!formato!da:!
" vasi!(angio),!
" cellule% muscolari% lisce!della!parete!vasale!(mio);!a!volte!possono!essere!epitelioidee!con!
citoplasma!ampio,!
" adipociti!(lipoma).!
A!volte!è!riscontrabile!in!pazienti!con!la!sclerosi!tuberosa.!
E’!positivo!ai!marker%muscolari%lisci:!actina%muscolare%liscia!e!desmina;!che!sono!espressi!dal!
carcinoma!cromofobo!solo!in!caso!di!trasformazione!sarcomatoide!con!differenziazione!etero@
loga!in!senso!muscolare!liscio!(però!in!questo!caso!la!componente!del!tumore!che!non!ha!avu@
to!trasformazione!non!è!positiva!a!questi!marker).!
!
!
!
!
!
ONCOCITOMA%
L’oncocitoma! è! un! tumore% benigno! che! rappresenta! la! controparte% benigna% del% carcinoma% cromofobo9;!
rappresenta! l’8%% dei! tumori! renali.! Deriva,! come! il! carcinoma! cromofobo,! dalle! cellule% intercalate!
dell’epitelio!dell’ansa!di!Henle.!Ci!può!essere!familiarità. !
• Da!un!punto!di!vista!macroscopico%non!è!molto!diverso!da!un!carcinoma!cromofobo:!è!un!tumore!
marroncino,!che!però!presenta!nella!parte!centrale!una%cicatrice%bianca%radiata,!dovuta!alla!mino@
re!vascolarizzazione!e!a!fenomeni!regressivi!di!atrofia!e!sostituzione!con!tessuto!connettivo!denso.!
Presenta!una!capsula!fibrosa!sottile.!
• Da!un!punto!di!vista!architetturale!è!formato!da!piccoli%nidi%di%cellule,!a!volte!con!lumi%centrali,!cir@
condati! da! ricca% vascolarizzazione! (come! nel! CCR).! Infatti! il! pattern! di! crescita! è! compatto! ma! in!
qualche!area!può!essere!microcistico,!perché!ci!sono!dei!lumi!che!si!possono!dilatare10!(visibili!già!a!
basso!ingrandimento);!può!quindi!andare!in!diagnosi!differenziale!con!tumori!che!hanno!un!aspetto!
microcistico.!
• E’!formato!da!cellule!con!citoplasma%eosinofilo%granulare!(e!non!chiaro!come!nel!CCR),!ricco!di!gra@
nuli!e!mitocondri,!e!con!nuclei!rotondi!e!a!volte!pleomorfi,!con!contorno%irregolare!(in!questo!caso!
il!pleomorfismo!è!segno!di!modificazione!regressiva!dei!nuclei!e!non!di!aggressività).!Si!possono!os@
servare!pseudoinclusi!nucleari:!sono!dati!da!una!parte!di!citoplasma!che!sporge!nel!nucleo.!
!
• Le!cellule!sono!negative!alla!CAUIX,!alla!CK7!e!al!ferro%colloidale%(il!citoplasma!è!negativo,!si!colora!
solo!il!bordo!citoplasmatico!sul!versante!luminale).!
• A!volte!può!estendersi!nel!tessuto% adiposo% perirenale!e/o!crescere% nei% vasi,!simulando!aspetti!di!
invasione%vascolare:!infatti!questa!crescita!è!benigna!e!non!si!associa!a!metastasi!(è!un’eccezione)!e!
questi!aspetti!morfologici!sono!permissibili!con!questa!patologia11.!
• A!volte!ci!sono!forme%ibride,!in!cui!una!parte!assomiglia!all’oncocitoma!e!una!parte!al!cromofobo,!o!
in!cui!la!morfologia!delle!cellule!ha!un!aspetto!intermedio!tra!un!oncocitoma!e!un!cromofobo.!Co@
munque!queste!forme!non!sono!aggressive.!
Si!possono!osservare!forme!ibride!in!tre!diverse!situazioni:!
1. sindrome%di%BirtUHoggUDubè!(BHD),!malattia!di!interesse!dermatologico!associata!a!mutazione!
del!braccio!corto!del!cromosoma!17,!che!si!trasmette!in!maniera!autosomica!dominante,!e!si!
manifesta!con:!
o noduli%cutanei%nel%viso!(fibrofolliculomi;!sono!tumori!benigni!degli!annessi!cutanei),!
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
9
!Il!carcinoma!a!cellule!chiare!ha!una!controparte!benigna,!ossia!il!multiloculare!cistico,!il!papillare!ha!una!lesione!ini@
ziale,!l’adenoma,!mentre!il!cromofobo!ha!una!controparte!benigna,!l’oncocitoma!(significa!che!non!è!che!ad!un!certo!
punto!evolve!nel!cromofobo,!come!l’adenoma!in!papillare,!ma!sono!due!forme!diverse).!
10!Questo!tumore!infatti!deriva!da!un!tubulo,!e!come!un!tubulo!può!diventare!cistico,!anche!il!tumore!può!diventare!
cistico!(le!forme!tumorali!possono!fare!tutto!quello!che!fa!il!tessuto!normale!da!cui!derivano).!
11!Infatti,!quando!si!fa!diagnosi!sicura!di!oncocitoma!se!c’è!estensione!nel!tessuto!adiposo!o!invasione!vascolare!non!si!
scrive!nel!referto!per!evitare!di!creare!panico!nel!clinico!e!nel!paziente.!
o cisti%polmonari%periferiche!che!possono!rompersi!e!causare!problemi!di!riempimento!del!
cavo!pleurico!e!pneumotorace,!
o tumori% renali! multipli% oncocitici;% c’è! un’oncocitosi! perché! ci! sono! tanti! oncocitomi,! che!
possono!essere!anche!tumori!ibridi!o!cromofobi;!
2. oncocitosi%senza%BHD,%in!cui%ci!sono!noduli!multipli!neoplastici,!nello!stesso!rene!e!a!volte!bila@
teralmente,!di!oncocitomi,!carcinomi!cromofobi!o!forme!ibride;!
3. sporadico;!in!questo!caso!c’è!tumore!unico!con!aspetti!misti!a!basso!potenziale!di!malignità.!
!
NUOVI%TUMORI%EPITELIALI%2016:%FORME%NON%COMUNI%
%
La!classificazione!WHO!2016!dei!tumori!del!rene!ha!messo!in!evidenza!e!identificato!come!categoria!a!sé!
stante!le!seguenti!forme!non!comuni,!molte!delle!quali!in!passato!erano!incluse!tra!i!carcinomi!papillari:!
1. il! carcinoma% renale% associato% alla% leiomiomatosi% ereditaria,! precedentemente! incluso! tra! i! carci@
nomi!papillari!di!tipo!2;!
2. i%tumori%associati%a%traslocazione,!distinguibili!in!due!sottogruppi,!
3. il!carcinoma%renale%a%cellule%chiare%papillare,!in!passato!incluso!tra!i!carcinomi!papillari!classici,!
4. il!carcinoma%renale%associato%alla%malattia%cistica%acquisita,!con!architettura!papillare!e!deposizio@
ne!di!cristalli!di!ossalati,!
5. il!carcinoma%renale%tubuloUcistico,%in!passato!incluso!tra!i!carcinomi!papillari.%
!
CARCINOMA%RENALE%TUBULOUCISTICO%
Il!carcinoma%renale%tubuloUcistico!è!un!tumore!che:!
• origina!nella!corticale!renale,!e!a!volte!è!osservato!anche!nella!midollare;!in!passato!era!considerato!
tra! i! tumori! che! derivano! dalle! cellule! del! dotto! di! Bellini,! e! poi! tra! i! carcinomi! papillari:! infine,! a!
causa!del!suo!significato!prognostico,!è!stato!identificato!come!una!forma!a!sé!stante;!
• ha! le! caratteristiche! del! carcinoma!
papillare:! ha! un! aspetto% spugnoso,!
con!molte!piccole!cavità!cistiche!di@
latate,!e!bianco,!per!la!presenza!del!
connettivo!delle!pareti!delle!cisti.!In!
particolare,! è! formato! da! aggregati%
di% tubuli% e% cisti! rivestite! da! un! epiU
telio% cubico% monostratificato;! inol@
tre! i! tubuli! atrofici! accumulano! nel!
lume! una! matrice! eosinofila! similti@
roidea;!
• è!formato!da!cellule!hanno!citoplaU
sma% eosinofilo,! nuclei% prominenti!
con! grado% nucleare% alto! (grado!3:! i!
nucleoli!sono!visibili!a!basso!ingran@
dimento,!al!10x);!
• è!positivo!alla!racemasi!e!al!CD10!(in!più!del!90%!dei!tumori),!ma!anche!alla!CK7%(la!cui!positività!è!
però!focale);!
• è!potenzialmente% aggressivo% (rispetto!al!papillare!di!tipo!1),!in!grado!di!infiltrare!e!causare!meta@
stasi.!
!
TUMORI%RENALI%EMERGENTI%
%
I!tumori%renali%emergenti,!di!cui!non!è!ancora!stato!definito!in!maniera!chiara!il!significato%clinico,!sono:!
1. il%carcinoma%renale%similUtiroideo%follicolare:!è!formato!da!follicoli!con!un!lume!contenente!mate@
riale!denso!ed!eosinofilo!simile!alla!colloide!(ma!è!negativo!alla!tireoglobulina).!Va!in!diagnosi!diffe@
renziale! con! le! metastasi! renali! del! carcinoma! della! tiroide.! Ha! basso! potenziale! di! malignità;!
!
2. il% carcinoma% renale% con% traslocazione% di% ALK,!un!carcinoma!non!frequente!ma!che!crea!problemi!
importanti!perché!cresce!localmente!in!maniera!infiltrativa!ed!è!difficile!da!eradicare.!
I!pazienti!con!traslocazione!di!ALK!hanno!un!linfoma!a!cui!si!possono!associare!neoplasie!multiple!
(alkomi)!polmonari,!renali!e!il!tumore!miofibroblastico!infiammatorio!(tumore!ad!invasione!mesen@
chimale! che! simula! quasi! un! fibrosarcoma! ma! c’è! la! traslocazione).! La! diagnosi! si! fa! con!
l’immunoistochimica!per!ALK12;!
3. il%carcinoma%renale%associato%al%deficit%della%SucciniU
coUdeidrogenasi% B,! che! faceva! parte! delle! forme! on@
cocitiche,! in! quanto! dal! punto! di! vista! morfologico!
sembra!un!oncocitoma.!E’!formato!da!cellule!con!vaU
cuoli% citoplasmatici! caratteristici,! e! si! identifica! con!
l’immunoistochimica!per!la!succinicoUdeidrogenasi%B,%
che! risulta! negativa.! E’! importante! identificarlo! per@
ché! si! associa! con! tumori% in% altre% sedi! (sindrome),!
può! avere! comportamento% aggressivo,! e! predilezioU
ne%di%sesso!(donne). !
!
FORME%NON%CLASSIFICABILI%
%
Il!3@6%!dei!tumori!renali!rientra!in!una!forma%non%classificabile;!essi!non!sono!assegnati!a!nessuna!delle!al@
tre!categorie!diagnostiche!perché:!
• c’è!un!aspetto!architetturale!misto,!sono!quindi!presenti!pattern!multipli,!
• ci!sono!cellule!che!non!assomigliano!a!nessuna!forma!riconosciuta,!
• ci!sono!elementi!stromali!ed!epiteliali!misti!insieme,!
• c’è!una!morfologia!sarcomatoide!in!assenza!di!elementi!epiteliali!che!ci!permettano!di!identificare!
l’istotipo!di!origine!(si!sono!persi!con!la!trasformazione!sarcomatoide).!
La!prognosi!dipende!da:!invasività!nel!parenchima!sottostante,!invasione!vascolare!e!componente!sarcoma@
toide.!Non!sono!necessariamente!tumori!aggressivi.!
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
12
!È! importante! trovare! la! traslocazione! per! poter! utilizzare! il! farmaco% apposito,! usato! nei! linfomi,! che! si! è! visto!
funzionare!(però!è!un!po’!diverso)!per!il!polmone,!per!alcuni!di!questi!tumori!renali!con!la!traslocazione!di!ALK!e!per!il!
tumore!miofibroblastico!infiammatorio!(un!tumore!ad!invasion!mesenchimale,!che!simula!quasi!un!fibrosarcoma,!ma!
che!presenta!la!traslocazione).!!
2U6.%ALTRI%FATTORI%PROGNOSTICI%
!
Oltre!all’istotipo!del!tumore!(il!CCR!ha!una!prognosi!peggiore!del!cromofobo!e!del!papillare),!gli!altri%fattori%
prognostici!sono:!
2. la!presenza%di%aree%di%alto%grado,!sarcomatoidi%o%rabdoidi,!indicative!di!aggressività.!
In! caso! di! trasformazione% sarcomatoide! il! tu@
more!acquista!(in!un!secondo!momento!e!non!
dall’inizio)! la! morfologia! del! sarcoma:! è! costi@
tuito! da! cellule% fusate,! come! quelle! mesen@
chimali,! che! hanno! subito! quindi! una! trasfor@
mazione! epitelio@mesenchimale.! Assomiglia! a!
un! fibrosarcoma,! che! nel! rene! non! esiste:!
quindi! in! presenza! di! cellule! fusate! bisogna!
cercare!e!studiare!la!componente!differenziata!
per! fare! la! diagnosi! finale! (se! manca! si! inseri@
sce!tra!le!forme!non!classificabili).!!
All’immunoistochimica!continuano!a!essere!espressi!i!marker!epiteliali!(come!le!citocheratine)!e!si!
rilevano!marker!mesenchimali!(come!la!vimentina).!Questa!trasformazione!può!essere!presente!in!
tutti!gli!istotipi!(non!è!specifico!del!cromofobo):!CCR!(8%),!papillare!(3%),!cromofobo!(9%),!dei!dotti!
collettori!(29%),!non!classificabili!(11%);!nel!95%!dei!casi!insorge!in!tumori!che!hanno!un!grado%3%o%
4!(v.!dopo).!!
Da! un! punto! di! vista! macroscopico! le! aree! sarcomatoidi! possono! apparire! bianche! ed! estendersi!
con!aspetto%infiltrativo,!per!esempio!verso!il!tessuto!adiposo!del!seno!renale:!tendono!quindi!a!da@
re! invasione% vascolare% (delle! piccole! vene).! Il! tumore! quindi! diventa! aggressivo,! metastatico,! e! la!
sopravvivenza!crolla!a!7!mesi!(come!nel!tumore!anaplastico!della!tiroide).!
Come!accade!in!altri!i!tumori!(per!esempio!nel!carcinoma!tiroideo),!a!causa!di!insufficiente%vascolaU
rizzazione,!il!tumore!va!incontro!a!regressione%e%atrofia!e!può!essere!sostituito!da!connettivo!stro@
male,!che!può!andare!incontro!a!metaplasia;!in!questi!casi!nello!stroma!ci!può!essere!metaplasia%
ossea,!che!non!è!indicativa!di!trasformazione!sarcomatoide.!Differente!@!perché!prognosticamente!
sfavorevole!@!è!il!caso!in!cui,!in!un!carcinoma!con!trasformazione!sarcomatoide,!le!cellule!fusate!ap@
parse!iniziano!a!produrre%tessuto%osseo,%cartilagineo,%nervoso%e%muscolare%liscio:!a!seguito!di!que@
sto! processo,! definito! di! differenziazione% eterologa,! il! tumore! prende! il! nome! di! carcinosarcoma%
(anche!nella!tiroide!si!può!osservare!un!carcinosarcoma).!
Invece,! in! caso! di! trasformazione% rabdoide! le!
cellule! tumorali! assomigliano! a! rabdomioblasti!
(precursori!mononucleati!delle!cellule!muscola@
ri):! sono! cellule! non! allungate! ma! rotonde% ed%
epitelioidee!(cellule!non!epiteliali!con!un!aspet@
to! di! cellule! epiteliali),! che! presentano! un! abU
bondante% citoplasma,! un! vacuolo% citoplasmaU
tico!(inclusione!paranucleare)!contenente% citoU
cheratine! (invece! il! rabdomioblasto! conterreb@
be% filamenti!contrattili).!Il!nucleo!è!vescicolare,!
eccentrico! e! con! un! nucleolo! prominente.! La!
positività!dell’immunoistochimica!per!i!filamen@
ti!contrattili!è!indicativa!di!rabdomioblasti!veri!e!
propri:!in!questo!caso!si!tratta!di!differenziazione!eterologa,!quindi!di!trasformazione!sarcomatoide!
e!non!di!differenziazione!rabdoide;!!
3. la!presenza%di%necrosi,!segno!di!aggressività!e!fattore!prognostico!negativo!(a!prescindere!dal!fatto!
che! la! patologia! sia! localizzata! o! metastatica;! è! un! fattore! prognostico! indipendente).! La! necrosi!
tumorale!non!è!dovuta!all’insufficiente!vascolarizzazione!ma!al!fatto!che!la!neoplasia!prolifera!rapi@
damente;!
4. la!presenza% di% invasione% microvascolare,!ovvero!di!invasione!da!parte!del!tumore!dei!piccoli!vasi!
del! parenchima! renale! peritumorale.! Infatti! i! tumori! del! rene,! pur! essendo! capsulati,! inducono! la!
linfoangiogenesi!nel!parenchima!renale!peritumorale!e,!nel!caso!in!cui!questi!piccoli!neovasi!ven@
gano!infiltrati!dalla!neoplasia,!aumenta!la!probabilità!di!riscontro!di!metastasi!linfonodali;!
5. il!grado%del%tumore,!per!il!grading!dei!tumori!del!rene!veniva!utilizzato!il!sistema!di!Fuhrman%che,%in!
base!a!dimensioni%e%forma%dei%nuclei!e!dimensioni%dei%nucleoli,!identifica!quattro!gradi!(da!1!a!413):!
si!andava!dal!grado!1,!in!cui!i!nuclei!sono!piccoli!e!rotondi,!al!grado!4,!con!nuclei!bizzarri!e!pleomor@
fi.!Poi!il!sistema!di!Fuhrman!è!stato!semplificato!e!ci!si!è!focalizzati!solo!sulle!dimensioni!dei!nucleoli!
(sistema%ISUP):!distinguiamo!quindi:!
• grado% 1:! nucleoli! non! visibili! al!
400x!(40x!e!10x!di!oculare);!la!so@
pravvivenza!a!10!anni!è!del!90%,!
• grado% 2:% nucleoli! visibili! a! 400x! e!
non!al!100x;!la!sopravvivenza!a!10!
anni!è!dell’80%,!
• grado% 3:% nucleoli! visibili! distinta@
mente!al!100x;!la!sopravvivenza!a!
10!anni!è!del!40%,!
• grado% 4:% tumore! con! differenzia@
zione!sarcomatoide!o!rabdoide,!o! A:#grado1;#B:#grado2;#C:#grado3;#D:#grado4,
cellule!gianti,!o!estremo!pleiomor@
,
fismo!nucleare!(nuclei!bizzarri);!la!sopravvivenza!a!10!anni!è!del!20%.!
Am J Surg Pathol Volume 37, Number 3, March 2013
! Clear Cell RCC Incorporating Tumor Necrosis
I!primi!due!gradi!hanno!una!prognosi!
ottima! a! 10! anni! e! forse! andrebbero!
accorpati!in!un!unico!gruppo;!il!grado!
3!ha!una!prognosi!intermedia,!il!grado!
4!ha!una!prognosi!infausta.!
Il!sistema!di!grading!dei!tumori!renali!
viene!applicato!di!routine!alle!forme!a!
cellule! chiare! e! papillare;! per! il! croU
mofobo!non!si!applica!il!grading,!per@
ché! già! all’esordio! i! nuclei! possono!
essere! già! irregolari! (l’aggressività! di@
pende! in! questo! caso! solo! da! necrosi! FIGURE 3. Cancer-specific survival by the ISUP grading system for 3017 patients with clear cell RCC.
e!trasformazione!sarcomatoide).!
Clear Cell RCC non-necrotic grade 2 tumors; those with necrotic grade 2
The combinations of the ISUP grading system, or non-necrotic grade 3 tumors; those with necrotic grade
coagulative tumor necrosis, and sarcomatoid/rhabdoid 3 or non-necrotic, non-sarcomatoid/rhabdoid grade 4
differentiation for the 3017 patients with clear cell RCC tumors; and those with grade 4 tumors with either ne-
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! are summarized in Table 2. There was no statistically
significant difference in cancer-specific survival between
crosis and/or sarcomatoid/rhabdoid differentiation.
Cancer-specific survival for this proposed grading classi-
13!Grado%1:!nucleo!tondo,!uniforme,!di!circa!10!micron!e!nucleoli!inconsistenti:!simile!ad!un!epitelio!tubulare!normale;!
patients with ISUP grade 1 tumors and patients with non- fication, as well as for the ISUP grading classification, is
necrotic grade 2 tumors (group 1 vs. 2; P = 0.07) or be- summarized in Table 3 and illustrated in Figures 1–3.
grado%2:!nuclei!irregolari,!nucleoli!evidenti;!grado%3:!nuclei!ancora!più!grandi!e!nucleoli!larghi!e!prominenti;!grado%4:!
tween patients with necrotic grade 2 tumors and patients
with non-necrotic grade 3 tumors (group 3 vs. 4; P = 0.34).
Cancer-specific survival was statistically significantly
different between patients in groups 1/2 and patients in
atipia!nucleare!e!grandezza!dei!nucleoli!vanno!aumentando.! However, there was a statistically significant difference
between patients with non-necrotic and those with necrotic
groups 3/4 (P < 0.001), between patients in groups 3/4
and patients in groups 5/6 (P < 0.001), and between pa-
grade 2 tumors (group 2 vs. 3; P = 0.005). Cancer-specific tients in groups 5/6 and patients in groups 7/8/9
survival was similar for patients with necrotic grade 3 tu- (P < 0.001). Cancer-specific survival was also statistically
mors and patients with non-necrotic, non-sarcomatoid/ significantly different between patients with ISUP grade 1
rhabdoid grade 4 tumors (group 5 vs. 6; P = 0.69). Cancer- and those with ISUP grade 2 tumors (P = 0.041), between
specific survival was the poorest for patients with necrotic patients with ISUP grade 2 and those with ISUP grade 3
and sarcomatoid/rhabdoid grade 4 tumors (group 9). tumors (P < 0.001), and between patients with ISUP
Survival for patients in this group was statistically sig- grade 3 and those with ISUP grade 4 tumors (P < 0.001).
nificantly different compared with patients with necrotic, However, as demonstrated by the c indexes, the proposed
non-sarcomatoid/rhabdoid grade 4 tumors (group 9 vs. 7; grading classification contained greater predictive ability
6. lo!stadio!(stadiazione%TNM).%La!T!studia!le!dimensioni%del%tumore!e!la!presenza%di%aggressività%loU
cale;!distinguiamo:!
o T1:!tumore!di!diametro!fino%a%7%cm;!si!divide!in:!
" T1a,!tumore!di!diametro!inferiore!a!4!cm;!è!asportabile!con!la!nefrectomia!parziale,!
" T1b,!tumore!di!diametro!di!4@7!cm;!è!asportabile!con!la!nefrectomia!totale;!
o T2:!tumore!di!diametro!maggiore%di%7%cm%ma%limitato%nel%rene:!
" T2a:!tumore!di!diametro!di!7@10!cm,!
" T2b:!tumore!di!diametro!maggiore!di!10!cm;!
o T3:!tumore!aggressivo!che!si!estende!ai!vasi!e!al!tessuto%adiposo%del%seno%renale;!distinguia@
mo:!
" T3a,!se!il!tumore!si!estende!alla!vena%renale!e!al!tessuto%adiposo%del%seno%renale,!
" T3b,!se!va!verso!la!vena%cava!ma!resta!sotto%il%diaframma,!
" T3c,!se!il!tumore!si!estende!sopra% il% diaframma,!verso!l’atrio!di!destra!o!infiltra!le!pareti!
della!vena!cava.!
Questa!sottodivisione!del!T3!ha!valore%prognostico,!perché!si!fonda!sul!tempo%di%contatto%del%
tumore%con%il%sistema%vascolare,!e!correla!con!la!probabilità!di!metastatizzazione%per%via%emaU
tica.%La!prognosi!cambia!perché!la!neoplasia!nel!T3a!è!a!contatto!con!il!circolo!da!poco!tempo,!
mentre!nel!T3b!o!T2c!il!contatto!può!essere!presente!da!anni,!e!quindi!il!tumore!si!presenta!
con!un!maggiore!potenziale!invasivo!(ha!avuto!più!tempo!di!mandare!cellule!tumorali!in!circo@
lo).!
Nell’VIII! edizione! c’è! stata! una! precisazione! sulla! definizione! dello! stadio! T3,! che! prima! com@
prendeva!l’invasione!dei!grossi!vasi!del!seno!renale!e/o!della!cava!inferiore,!ma!non!dei!piccoli!
vasi!venosi!tributari!della!vena!renale,!che,!dopo!essere!originati!nel!parenchima!dalla!conver@
genza!dei!capillari,!si!portano!nel!grasso!del!seno!renale,!interposto!tra!il!sistema!calico@pielico!
e!il!parenchima!renale.!Nella!nuova!edizione!si!parla!di!T3!anche!se!è!interessato!un!vaso%picU
colo%con!la!parete!sottile,!quindi!anche!se!il!tumore%cresce%nel!grasso%del%seno%renale.!
La! crescita! in! questo! distretto! è! favorita! dall’interruzione% della% capsula% renale,% che! separa!
l’organo!dal!tessuto!adiposo!perirenale;!nel!seno!renale!non!c’è!quindi!un!una!struttura!di!con@
tenimento!che!ostacola!la!crescita!tumorale!dal!parenchima!renale!(colonne!corticali)!verso!il!
seno!renale,!quindi!verso!i!piccoli!vasi!venosi.!Questa!è!la!fase!iniziale!dell’invasione!della!vena!
renale,!che!dal!2018!viene!considerata!come!T3;!
o T4:!il!tumore!è!localmente%avanzato!e!infiltra!la!fascia%di%Gerota,!che!circonda!il!tessuto!adipo@
so!perirenale!(che!garantisce!un!minimo!di!mobilità!e!impedisce!la!termodispersione),!o!il!surU
rene:!a!questo!stadio!la!neoplasia!viene!trattata!solo!con!terapia!medica!e!non!con!la!chirurgia.!
Ricordiamo!che!la!ghiandola!surrenale!può!essere!interessata!per!estensione!diretta!(T4)!o!può!
presentare! un! nodulo! separato! di! carcinoma! a! cellule! renali,! che! in! questo! caso! rappresenta!
una!metastasi!(M1).!
!
PICCOLE%MASSE%RENALI%
!
In!caso!di!neoplasie%inferiori%a%4%cm!(T1a)!può!essere!indicata!la!nefrectomia%parziale,!che!rappresenta!un!
intervento!chirurgico!preferibile!alla!nefrectomia!totale,!in!cui!resterebbe!un!solo!rene!che,!per!compensa@
re,!diventa!iperfunzionante!e!va!più!rapidamente!incontro!a!sclerosi!e,!quindi,!a!insufficienza!renale.!!
Per!effettuare!una!nefrectomia!parziale!occorre!una!diagnosi!su!biopsia;!infatti!l’urologo!deve!conoscere!in!
anticipo!l’istotipo!perché,!nel!caso!in!cui!sia!molto!aggressivo,!preferisce!comunque!eseguire!una!nefrecto@
mia!totale!nonostante!le!piccole!dimensioni.!
Quindi!per!effettuare!una!nefrectomia!parziale!di!una!neoplasia!occorre!eseguire!una!biopsia%della%neoplaU
sia% renale,! dalla! cui! osservazione! l’anatomopatologo! deve! fornire,! per! guidare! l’urologo! nella! scelta! tera@
peutica,!le!seguenti!informazioni:!
• benignità%o%malignità,!ovvero!se!il!tumore!è:!
o maligno!(es.!carcinoma!a!cellule!renale),!
o benigno!(es.!oncocitoma),!
o sospetto,!
o non!diagnostico!(non!è!intercettata!la!neoplasia!con!la!biopsia),!
• l’istotipo,!
• il!grading,!
• la!presenza%di%necrosi,!
• eventuali!informazioni!di!immunoistochimica%o%biologia%molecolare!(in!caso!di!dubbio!diagnostico).!
In!caso!di!pazienti!di!età!avanzata!e!con!tumori!non!aggressivi,!si!opta!per!la!sorveglianza!attiva.!
!
CASO%CLINICO%
Paziente! con! nodulo! polmonare:! la! neoplasia! è! formata! da! piccoli! nidi! di! cellule! con! citoplasma! chiaro;! i!
nuclei!sono!grandi!e!ci!sono!bei!nucleoli;!è!una!neoplasia!a!cellule!chiare.!
L’immunoistochimica!è!PAX8@positiva!(PAX8!è!un!marker!nucleare!dei!tumori!renali)!e!RCC@positiva!(RCC!è!
il! marker! del! tumore! renale! che! colora! il! citoplasma! e! in! parte! la! membrana),! vimentina@positiva,! CA@IX@
positiva.!
La!diagnosi!è!di!metastasi!polmonare!di!carcinoma!renale:!è!indicato!il!trattamento!chirurgico.!
!
24.
PATOLOGIA
DELLA
PROSTATA
ANATOMIA
DELLA
PROSTATA
ANATOMIA
MACROSCOPICA
La
prostata
è
una
ghiandola
esocrina
grande
come
una
castagna
e
che
si
trova
anteriormente
al
retto
e
poste-‐
riormente
al
pube.
E’
interposta
tra
la
vescica
e
l’uretra
peniena
ed
è
attraversata
dall’uretra
prostatica,
che
ha
un
decorso
a
L
(in
cui
si
individuano
due
tratti).
A
metà
dell’uretra
prostatica
è
presente
un
piccolo
rilievo
longi-‐
tudinale,
il
vero
montano
(anche
detto
collicolo
semina-‐
le):
è
il
punto
in
cui
sboccano
i
dotti
prostatici
e
i
dotti
eiaculatori,
che
originano
a
loro
volta
dall’unione
del
dotto
deferente
(prosecuzione
dell’epididimo)
con
le
ve-‐
scichette
seminali.
Questo
sbocco
contestuale
permette
di
unire
la
secrezione
prostatica
(ricca
di
PSA)
a
quella
delle
vescichette
seminali
(spermatozoi),
per
garantire
un’adeguata
mobilità
agli
spermatozoi.
Nella
prostata
ci
sono
3
zone:
• zona
di
transizione:
circonda
la
prima
metà
dell’uretra
prostatica
(quindi
fino
al
vero
montano).
È
la
zona
che
va
incontro
a
iperplasia:
crescendo,
la
prostata
comprime
l’uretra,
e
dà
problemi
urinari
(non
può
crescere
verso
l’esterno
perché
è
circondata
dalla
capsula).
L’iperplasia
non
si
associa
a
di-‐
fetti
eiaculatori
perché
il
vero
montano
si
trova
alla
fine
della
zona
di
transizione,
e
non
è
coinvolto
dall’iperplasia,
• zona
periferica
(l’unica
inda-‐
gabile
tramite
l’esplorazione
rettale).
Non
è
sede
di
iper-‐
plasia;
è
la
zona
in
cui
com-‐
pare
l’80%
dei
tumori,
quin-‐
di
quella
dove
è
fatta
la
maggior
parte
delle
biopsie1,
• zona
centrale:
piccola
zona
centrale
(compresa
nella
zo-‐
na
periferica)
situata
attorno
ai
dotti
eiaculatori,
più
scura
all’EE.
Attorno
alla
prostata
ci
sono
i
tessuti
molli
periprostatici,
e
bilateralmente
sono
presenti
due
nervi
erigen-‐
ti,
importanti
per
l’erezione.
La
prostata
produce
il
PSA
(prostatic
specific
antigen),
una
callicreina,
ovvero
un
enzima
proteolitico
pro-‐
dotto
dalle
cellule
secretorie
della
prostata.
Il
PSA
ha
una
funzione
specifica:
nel
momento
dell’eiaculazione
1
N.B.
la
biopsia
è
l’ultimo
passo
di
un
algoritmo
diagnostico
che
inizia
con
un
riscontro
di
innalzamento
del
PSA,
esplo-‐
razione
rettale,
ecografia
transrettale,
risonanza
magnetica
multiparametrica,
ecc.
si
unisce
al
liquido
proveniente
dalle
vescichette
seminali
e
liquefà
il
coagulo
contenente
gli
spermatozoi,
in
modo
da
permetterne
il
movimento.
Analogamente,
nella
donna
ci
sono
ghiandole
periuretrali
che
producono
il
PSA
e
possono
andare
incontro
a
trasformazione
neoplastica
e
dare
origina
a
un
adenocarcinoma
PSA-‐secernente;
al
contrario,
nell’uomo
il
corrispettivo
dell’utero
è
l’utricolo
che
si
trova
nel
vero
montano:
anche
esso
può
trasformarsi
e
generare
tumori
endometroidi,
come
quelli
dell’endometrio
(oggi
chiamati
carcinomi
duttali
con
morfologia
simil-‐
endometrioide).
ANATOMIA
MICROSCOPICA
Dal
punto
di
vista
istologico
la
prostata
è
una
ghiandola
tubulo-‐acinare
costituita
da
due
componenti:
• epiteliale:
costituita
da
nidi
ghiandolari
ovvero
da
acini,
situati
in
periferia,
che
si
aprono
in
lunghi
dotti,
che
a
loro
volta
convergono
verso
la
parte
centrale
dell’uretra
prostatica
(a
livello
del
vero
montano).
L’epitelio
ghiandolare
degli
acini
è
bistratificato
e
formato
da
due
citotipi:
o cellule
secretorie
(luminali):
hanno
morfologia
cilindrica,
nucleo
basale,
citoplasma
apicale
chiaro,
abbondante
e
finemente
granulare
(ci
sono
granuli
di
PSA,
rilasciati
dal
dominio
apicale
con
una
rapida
secrezione
apocrina).
La
immunoistochimica
per
il
PSA
è
positiva
nel
citopla-‐
sma
apicale;
o cellule
basali
(staminali),
che,
proliferando
e
maturando,
sostengono
il
turnover
delle
cellule
secretorie.
Hanno
positività
citoplasmatica
per
le
citocheratine
e
nucleare
per
p63.
A
differen-‐
za
delle
cellule
basali
della
mammella,
non
hanno
capacità
contrattili.
Come
nei
tumori
della
mammella,
nell’adenocarcinoma
della
prostata
ci
sono
solo
cellule
secretorie
(lo
strato
basale
scompare).
• stromale:
si
colora
di
rosa
ed
è
formata
da
tessuto
muscolare
liscio,
simile
a
quello
del
miometrio.
Lo
stroma
prostatico
ha
la
funzione
di
spingere
in
uretra
il
contenuto
dei
dotti
e
degli
acini
al
mo-‐
mento
dell’eiaculazione
(simile
al
miometrio,
che
spinge
il
neonato,
o
alla
mammella,
dalla
quale
il
latte
esce
grazie
alla
suzione
unita
all’azione
delle
cellule
mioepiteliali).
A
differenza
della
mammella,
nella
prostata
la
contrazione
di
elementi
mioepiteliali
sarebbe
troppo
lenta
per
l’eiaculazione.
Pertanto,
le
cellule
mioepiteliali
sono
sostituite
dallo
strato
di
cellule
basali
e
la
loro
funzione
è
svolta
dallo
stroma
muscolare
liscio,
che
consente
di
cosecernere
rapidamente
i
secreti
di
prostata
e
vesci-‐
chette
seminali
Inoltre,
la
prostata
è
molto
ricca
di
nervi,
perché
nella
fase
dell'eiacula-‐
zione
deve
esserci
una
contrazione
immediata
della
muscolatura
stroma-‐
le,
in
modo
da
consentire
una
rapida
fuoriuscita
del
secreto
dai
dotti.
Un
nervo
ha
cellule
dai
nuclei
allungati
e
con
disposizione
ondulata.
Lo
stroma
del
nervo
ha
basofilia
simile
a
quello
delle
cellule
muscolari.
Il
citoplasma
delle
cellule
nervose
è
più
scarso
e
ha
meno
fibrille
contrattili.
NEOPLASIE
PROSTATICHE:
INTRODUZIONE
Epidemiologia
L’adenocarcinoma
della
prostata
è
il
tumore
più
comune
nell’uomo;
la
sua
frequenza
aumenta
con
l’età
(a
partire
dai
50-‐60);
infatti
il
50%
degli
uomini
sopra
gli
80
anni
sviluppa
un
carcinoma
della
prostata.
Tutta-‐
via,
nella
maggior
parte
dei
casi
il
comportamento
non
è
aggressivo2:
la
sopravvivenza
a
5
anni
è
di
circa
il
90%
(la
prognosi
cambia
solo
in
casi
particolari).
Alla
luce
di
questi
dati,
non
è
previsto
uno
screening;
infatti,
vista
la
loro
frequenza,
con
lo
screening
si
in-‐
tercetterebbero
molti
tumori,
che
però
nella
maggior
parte
dei
casi
crescono
lentamente
e
non
uccidono
il
paziente
(anche
se
tendono
a
diventare
meno
differenziati
e
più
aggressivi).
Inoltre,
il
trattamento
(prosta-‐
tectomia
radicale)
non
migliora
la
sopravvivenza
ed
espone
il
paziente
a
rischio
di
incontinenza
e
impoten-‐
za.
Bisogna
quindi
ricorrere
all’intervento
solo
se
necessario.
Iter
diagnostico
Di
solito
gli
uomini
si
recano
dall’urologo
per
un
PSA
elevato,
che
può
dipendere
da
varie
cause,
tra
cui
il
carcinoma.
Si
procede
con
esplorazione
rettale,
ecografia
e
biopsia.
Le
prime
due
non
sono
diagnostiche,
perché
esistono
modificazioni
morfologiche
della
prostata
che
possono
alterare
i
reperti
palpatori
ed
eco-‐
grafici
e,
viceversa,
l’adenocarcinoma
può
esistere
anche
in
aree
palpatoriamente
ed
ecograficamente
normali.
Comunque,
raramente
l’esordio
è
con
neoplasia
metastatica,
senza
storia
precedente
di
cancro
della
prostata.
Nel
dettaglio,
l’iter
diagnostico
prevede:
• il
dosaggio
del
PSA.
Parte
del
PSA
prodotto
dalla
prostata
va
anche
nel
sangue,
dove
può
essere
dosato
(ng/ml)
e
usato
come
marker
per
valutare
lo
stato
della
prostata.
Il
suo
livello
dipende
an-‐
che
dall’età:
negli
uomini
di
70-‐80
anni
può
arrivare
a
4
ng/ml,
a
40
anni
deve
essere
minore
di
1
ng/ml,
a
20
anni
circa
0,1
ng/ml
Un
valore
più
alto
in
un
paziente
di
40
anni
indica
qualcosa
di
anormale:
un
aumento
del
PSA
si
ri-‐
scontra
in
caso
di
tumore
o
prostatite
(la
disfunzione
endoteliale
ne
provoca
il
rilascio
nel
lume
ghiandolare);
in
particolare
bisogna
dosare
le
due
componenti
del
PSA,
il
PSA
libero
e
quello
totale,
il
cui
rapporto
deve
essere
maggiore
del
15%:
un
rapporto
inferiore
deve
far
venire
il
sospetto
di
cancro.
Negli
USA
il
dosaggio
del
PSA
non
è
consigliato
(costa).
Questo
porterà
probabilmente
ad
un
aumento
dei
tumori
diagnosticati
in
fase
avanzata,
con
una
diminuzione
della
sopravvivenza,
• esplorazione
rettale,
con
la
quale
è
possibile
apprezzare
l’aumentata
consistenza
del
parenchi-‐
ma
nella
regione
posteriore
o
laterale,
ma
non
lesioni
anteriori
o
in
profondità
nel
parenchima
• ecografia
trans-‐rettale,
che
può
mostrare
aree
ipoecogene
sospette
per
neoplasia,
• RMN
nucleare
multiparametrica,
• biopsia
prostatica,
che
è
diagnostica.
Campioni
su
cui
si
fa
diagnosi
La
diagnosi
di
carcinoma
della
prostata
si
basa
su
criteri
morfologici;
infatti
i
criteri
clinici
e
strumentali,
da
soli,
non
sono
dirimenti
(basti
pensare
che
anche
una
prostatite
può
causare
un
aumento
del
PSA).
2
Per
avere
un’idea
della
scarsa
aggressività
di
questo
tumore,
basta
pensare
che
gli
uomini
con
un
tumore
della
vesci-‐
ca
che
infiltra
la
tonaca
muscolare
propria,
sottoposti
a
cistoprostatectomia
(o
Cyp,
è
la
rimozione
di
prostata
e
vesci-‐
ca,
a
causa
della
contiguità
anatomica
tra
i
due
organi),
nel
50%
dei
casi
hanno
anche
un
tumore
della
prostata,
ma
la
prognosi
dipende
dal
carcinoma
uroteliale.
La
diagnosi
morfologica,
indispensabile
per
programmare
e
prescrivere
qualsiasi
terapia,
si
effettua
su
campioni
ottenuti
in
modi
diversi:
• resezione
transuretrale
(TURP)
e
prostatectomia
open
(semplice),
effettuate
in
pazienti
con
sinto-‐
mi
ostruttivi
dell’iperplasia
resistente
alla
terapia
medica
(diretta
contro
le
cellule
muscolari
lisce
o
contro
l’epitelio).
In
questo
caso
si
asporta
la
zona
di
transizione,
sede
di
iperplasia,
dove
nel
20%
dei
casi
si
trova
un
adenocarcinoma
incidentale
di
basso
grado
della
zona
di
transizione
(è
giallo,
e
pertanto
distinguibile
dal
parenchima
resecato
che,
dopo
la
fissazione,
è
bianco);
• biopsie
prostatiche:
fanno
parte
dell’iter
diagnostico
del
carcinoma;
senza
la
diagnosi
su
biopsia
non
si
può
programmare
un
intervento
demolitivo
(v.
dopo);
• prostatectomia
radicale
e
cistoprostatectomia
(CYP):
in
questo
caso
la
diagnosi
morfologica
è
pre-‐
operatoria,
quindi
è
già
stata
fatta
su
biopsia;
si
studia
il
pezzo
chirurgico
per
individuare
i
fattori
prognostici.
Senza
diagnosi
morfologica
non
si
fa
l’intervento
chirurgico,
perché
può
provocare
im-‐
potenza3
(piuttosto
frequente)
e
l’incontinenza
(frequenza
abbastanza
bassa).
La
CYP
è
indicata
nei
carcinomi
della
vescica
che
infiltrano
la
tonaca
muscolare
propria.
Si
asporta
anche
la
prostata
perché,
contraendo
intimi
rapporti
con
la
vescica,
spesso
è
infiltrata.
Inoltre,
il
40%
dei
pazienti
con
carcinoma
vescicale,
trattati
con
cistoprostatectomia,
ha
anche
un
carcinoma
prostatico
incidentale,
che
di
solito
non
ha
carattere
di
aggressività;
• metastasi
linfonodali
o
parenchimali,
senza
storia
di
carcinoma
prostatico
(raro).
Ci
sono
pazienti
in
cui
la
malattia
esordisce
in
fase
metastatica.
Categorie
diagnostiche
Non
sempre
la
biopsia
è
seguita
da
una
diagnosi
di
adenocarcinoma.
Infatti,
alla
biopsia
possiamo
trovare:
• tessuto
benigno
(60%),
nella
più
ampia
accezione
di
“non-‐maligno”
(tessuto
normale,
tessuto
in-‐
fiammatorio,
ecc.);
• lesioni
preneoplastiche
e
preinvasive
(2-‐3%),
come:
o l’HG-‐PIN
(High
Grade
Prostatic
Intraepithelial
Neoplasia):
lesione
preneoplastica
che
precede
la
comparsa
del
carcinoma
(è
il
corrispettivo
del
carcinoma
intraduttale
della
mammella);
o l’IDC-‐P
(Intraductal
carcinoma
of
the
prostate),
analogo
del
carcinoma
intraduttale
della
mammella.
Molto
spesso
contiene
un
adenocarcinoma;
• l’adenocarcinoma
della
prostata
(40%);
i
tipi
sono
principalmente
due
(in
base
all’aspetto
morfolo-‐
gico
microscopico):
o adenocarcinoma
acinare
(adenocarcinoma
classico):
può
derivare
dall’epitelio
di
rivestimento
dell’acino
o
del
dotto,
infatti
l’epitelio
dei
dotti
è
identico
a
quello
degli
acini;
o adenocarcinoma
duttale:
“duttale”
non
si
riferisce
alla
provenienza
del
tumore,
ma
al
suo
aspetto
microscopico,
simile
a
quello
del
carcinoma
duttale
della
mammella4.
Può
derivare
sia
dai
dotti
che
dagli
acini.
Il
carcinoma
della
prostata
può
essere
clinicamente
evidente,
incidentale
(reperto
per
esempio
nel-‐
lo
studio
di
campioni
chirugici
di
CYP),
occulto
(reperto
in
sede
autoptica);
3
Da
danno
ai
nervi
erigendi,
che
decorrono
bilateralmente
nel
tessuto
adiposo
periprostatico
postero-‐laterale.
Ha
una
frequenza
piuttosto
elevata,
anche
nella
la
tecnica
con
risparmio
dei
nervi,
perché
lo
stiramento
degli
stessi
du-‐
rante
l’intervento
danneggia
gli
assoni.
4
In
passato
si
pensava
che
l’adenocarcinoma
duttale
derivasse
dall’utricolo,
per
somiglianza
con
il
carcinoma
dell’endometrio,
tanto
che
era
chiamato
anche
adenocarcinoma
endometrioide.
Ricordiamo
che
l’utricolo
è
il
corri-‐
spettivo
maschile
dell’utero.
una
proliferazione
microacinare
atipica
(ASAP)
(2-‐3%),
di
significato
incerto.
La
biopsia
mostra
•
ghiandole
sospette
formate
da
piccoli
acini,
ma
non
è
possibile
stabilire
se
siano
benigne
o
maligne,
perché,
nonostante
le
atipie,
non
sono
soddisfatti
tutti
i
criteri
per
la
diagnosi
di
adenocarcinoma.
ASAP,
HGPIN
e
IDC-‐P
si
riscontrano
nel
2-‐3%
delle
biopsie
effettuate.
Tutti
questi
casi
possono
correlarsi
ad
elevati
valori
del
PSA:
in
caso
di
neoplasia
aumenta
la
produzione,
nella
flogosi
la
morte
delle
cellule
lo
libera
nello
spazio
extracellulare,
e
nell’iperplasia
aumenta
il
tessuto
secernente.
Nei
casi
di
tessuto
benigno
bisogna
ricercare
la
causa
dell’innalzamento
(es.
infiammazione:
di-‐
struzione
epitelio
con
fuoriuscita
PSA).
Questi
quadri
possono
anche
provocare
alterazioni
ecografiche
od
obiettivabili.
Cenni
di
terapia
Ci
sono
diversi
presidi
terapeutici
del
carcinoma
della
prostata.
• Sorveglianza
attiva.
Alcuni
pazienti
con
neoplasie
ben
differenziate
e
meno
aggressive
(grado
1
se-‐
condo
Epstein,
v.
dopo)
possono
essere
sottoposti
a
una
sorveglianza
attiva:
invece
di
un
interven-‐
to
immediato,
si
opta
per
uno
stretto
follow-‐up
(PSA
e
visita
ogni
6
mesi),
e
di
operarli
solo
se
la
neoplasia
cresce
(aumento
delle
biopsie
positive)
e/o
diventa
più
aggressiva
(aumento
di
grado).
• Terapia
ormonale.
La
prostata
è
sotto
il
controllo
degli
androgeni,
la
cui
inibizione
è
terapeutica
nelle
neoplasie
e
nell’ipertrofia
prostatica
benigna5.
Nel
caso
del
cancro,
prima
dello
sviluppo
dei
farmaci
si
faceva
l’orchiectomia:
si
eliminava
la
fonte
di
testosterone,
bloccando
lo
sviluppo
della
neoplasia;
oggi
invece
ci
sono
gli
analoghi
dell’LH-‐RH
e
gli
antagonisti
del
recettore
degli
androge-‐
ni
(flutamide,
bicalutamide,
nilutamide,
ciproterone
acetato,
abiraterone),
anche
se
l’espressione
recettoriale
del
tumore
non
viene
studiata.
Un’alternativa,
ma
poco
efficiente,
e
pertanto
riservata
all’ipertrofia
prostatica
benigna,
è
inibire
la
5-‐alfa-‐reduttasi,
un
enzima
che
converte
il
testosterone
in
di-‐idro-‐testosterone,
che
stimola
il
re-‐
cettore
degli
androgeni
(ci
sono
due
forme
di
questo
enzima:
la
finasteride
ne
inibisce
uno
solo,
la
dutasterite
entrambi);
nell’iperplasia
gli
inibitori
della
5-‐alfa-‐reduttasi
mandano
in
atrofia
l’epitelio
degli
acini,
quindi
viene
prodotto
meno
PSA
(diminuisce
del
50%)
e
ci
sono
problemi
di
potenziale
sterilità,
ma
la
tonaca
muscolare
rimane.
I
limiti
di
questi
farmaci
(e
in
generale
della
terapia
ormonale)
sono
l’incapacità
di
mandare
in
atro-‐
fia
il
tessuto
muscolare,
l’infertilità,
l’impotenza
(che
può
permanere
dopo
la
sospensione
del
trat-‐
tamento
perché
i
vasi
diventano
aterosclerotici),
il
rischio
di
sviluppo
dei
cloni
che
non
esprimono
i
recettori
per
gli
androgeni
che
possono
essere
estremamente
aggressivi.
Per
questi
motivi
non
si
fa
più,
come
in
passato,
la
chemioprevenzione
nei
soggetti
a
rischio
con
finasteride:
infatti
nell’80%
dei
pazienti
c’era
un
beneficio
ma
nel
20%
dei
pazienti
si
sviluppava
un
clone
più
aggressivo.
• Chirurgia.
L’approccio
chirurgico
è
la
prostatectomia
radicale
(rimozione
completa
della
prostata),
poiché
se
si
lascia
un
pezzo
di
prostata,
c’è
il
rischio
di
non
asportare
completamente
il
tumore.
La
vescica
e
l’uretra
peniena
devono
essere
ricollegate,
rischiando
però
di
compromettere
lo
sfintere
e
causare
incontinenza.
Attualmente
si
utilizzano
per
questo
intervento
anche
tecniche
robotiche.
Per
fare
una
prostatectomia
non
va
lungo
il
contorno
esterno
della
prostata
e
la
si
portar
via,
sepa-‐
randola
all’apice
dall’uretra
peniena,
e
alla
base
dalla
vescica.
5
Per
esempio,
nella
terapia
medica
dell’iperplasia
prostatica
sono
utilizzati
sia
gli
alfa-‐bloccanti,
che
riducono
la
com-‐
pressione
esercitata
dal
muscolo
liscio,
sia
gli
inibitori
della
5α-‐reduttasi
(finasteride,
dutasteride),
che
riducono
la
quantità
di
epitelio
secretorio
(atrofia).
Riducendosi
la
quantità
di
epitelio,
si
produce
meno
PSA,
quindi
in
questi
pa-‐
zienti
c’è
una
ridotta
liquefazione
del
gel
nel
quale
si
trovano
gli
spermatozoi.
La
prostatectomia
può
essere
eseguita
secondo
due
tecniche,
a
seconda
dell’estensione
del
carci-‐
noma:
o nerve-‐sparing:
risparmia
i
nervi
erigendi;
o non-‐nerve-‐sparing:
si
utilizza
nei
tumori
estesi
e
che
originano
dalla
zona
periferica,
poiché
è
verosimile
che
il
tumore
abbia
infiltrato
i
tessuti
periprostatici.
La
rimozione
del
nervo
erigen-‐
do
può
essere
mono-‐
o
bliaterale;
per
l’erezione
anche
un
nervo
solo
è
sufficiente.
Esiste
anche
la
terapia
focale
(equivalente
della
quadrantectomia
mammaria),
che
consiste
nel
di-‐
struggere
parte
della
prostata
col
calore
o
col
freddo.
Tuttavia,
esiste
il
rischio
di
recidiva,
legato
al-‐
la
possibile
estensione
a
distanza
della
neoplasia,
lungo
i
dotti
o
lungo
i
nervi
(v.
dopo).
• Radioterapia.
Consiste
nell’irradiare
la
prostata
col
fine
di
distruggerne
le
cellule.
• Brachiterapia.
Radioterapia
interna
effettuata
con
aghi
radioattivi
all’interno
dell’organo
aventi
un
raggio
di
estensione
molto
limitata
(1-‐2
mm);
così
si
distrugge
la
prostata
che
diventa
come
un
gel.
• Terapia
focale.
Prevede
la
distruzione
di
una
porzione
specifica
della
prostata
ed
è
indicata
quando
la
neoplasia
ha
una
localizzazione
ben
nota.
Una
delle
possibili
tecniche
è
la
crioterapia
(usata
an-‐
che
nel
trattamento
delle
metastasi
epatiche)
che
cristallizza
l’acqua
nel
citoplasma,
e
determina
quindi
la
formazione
di
aghi
che
nella
fase
di
riscaldamento
bucano
la
membrana
citoplasmatica;
tutto
questo
determina
una
perdita
degli
organelli
e
la
necrosi
delle
cellule.
• Combinazioni
o
altre.
Ci
sono
diverse
associazioni:
per
esempio
la
combinazione
della
terapia
or-‐
monale
e
radioterapia
ha
un
effetto
sinergico,
perché
la
terapia
ormonale
rende
più
sensibili
le
cel-‐
lule
alla
radioterapia.
Un
altro
esempio
di
combinazione
è
la
chirurgia
di
salvataggio
dopo
radiote-‐
rapia,
che
però
aumenta
la
probabilità
degli
effetti
collaterali
dell’intervento.
SCREENING
DEI
PRINCIPALI
TUMORI
Per
i
tumori
di
mammella,
cervice
uterina
e
colon
sono
previsti
screening
mirati,
poiché
una
diagnosi
pre-‐
coce
consente
di
eseguire
una
terapia
più
conservativa
ed
efficace,
riducendo
la
mortalità.
Nel
caso
della
mammella
(il
tumorepiù
comune
nella
donna)
si
fa
un
mammografia
ogni
2
anni
dai
50
ai
69
anni.
Invece,
il
protocollo
di
screening
per
il
cancro
della
cervice
uterina
(quinto
tumore
per
frequenza
nel-‐
le
donne
italiane)
varia
in
base
all’età
delle
pazienti:
• 25-‐35
anni:
Pap
test,
ogni
3
anni.
Se
è
positivo,
si
effettua
una
colposcopia
ed
eventualmente
una
biopsia;
• più
di
35
anni:
HPV-‐HR
test,
ogni
5
anni.
Si
fa
uno
striscio
di
cellule
della
cervice
e
si
cerca
il
ge-‐
noma
degli
HPV
ad
alto
rischio
(HPV
HR).
Se
il
test
è
positivo,
si
passa
al
Pap
test.
Se
il
Pap
test
è
normale,
si
aspetta
un
anno
e
si
ripete
il
test
HPV,
poiché
una
buona
parte
delle
infezioni
scompa-‐
re
da
sola
dopo
un
anno.
Se
invece
anche
il
Pap
test
è
anormale,
si
esegue
la
colposcopia
(e
in
ca-‐
so
una
biopsia).
In
questo
modo
si
individuano
le
fasi
preneoplastiche
e
si
evita
di
sottoporre
le
pazienti
ad
isterectomia.
Non
si
fanno
test
prima
di
questa
età
perché
nei
giovani
le
infezioni
da
HPV
sono
molto
frequenti
e
spesso
si
autorisolvono.
Inoltre,
le
lesioni
si
formano
nel
corso
di
alcuni
anni
(secondo
alcuni
anche
20)
e
i
test
in-‐
dividuano
anche
lesioni
iniziali.
Pertanto,
la
frequenza
di
screening
può
essere
bassa.
Grazie
a
screening
e
campagna
vaccini,
si
potrebbe
arrivare
alla
scomparsa
del
tumore.
Nel
caso
dei
tumori
del
colon
si
fa
la
ricerca
del
sangue
occulto
nelle
feci
(SOF)
ogni
due
anni,
in
pazienti
di
50-‐69
anni.
Se
positivo,
si
consiglia
una
colonscopia
e,
se
si
vede
un
polipo,
lo
si
asporta,
si
analizza
e
si
fa
un
follow
up.
Anche
per
i
tumori
del
colon
in
fase
avanzata
è
prevista
una
riduzione
della
frequenza,
con
miglioramento
della
sopravvivenza.
Una
proliferazione
benigna
della
mucosa
colica
impiega
circa
7 -‐15
anni
per
diventare
maligna.
CRITERI
MORFOLOGICI
PER
LA
DIAGNOSI
DELL’ADENOCARCINOMA
DELLA
PROSTATA
Per
fare
diagnosi
di
carcinoma,
soprattutto
nelle
lesioni
piccole
e
simili
a
quelle
benigne,
bisogna
valutare
una
serie
di
fattori
(alterazioni),
che
possono
essere:
1. patognomonici
di
adenocarcinoma:
sono
fattori
la
cui
presenza
è
diagnostica
di
adenocarcinoma
prostatico,
anche
se
sono
presenti
in
una
singola
ghiandola;
2. favorenti
la
diagnosi
di
adenocarcinoma6:
distinti
in
criteri
maggiori
e
minori
in
base
alla
forza
del
parametro,
ovvero
alla
maggiore
probabilità
di
riscontro
nel
cancro
o
nel
tessuto
sano.
Questi
fat-‐
tori
aiutano
a
fare
diagnosi,
ma
non
sono
patognomonici
per
il
cancro
perché
non
sempre
sono
presenti
e,
al
contrario,
a
volte
possono
essere
riscontrati
in
lesioni
non
neoplastiche;
3. contro
la
diagnosi
di
adenocarcinoma,
sono
alterazioni
o
pattern
che
escludono
la
diagnosi
di
can-‐
cro;
4. risultati
dell’applicazione
delle
tecniche
ancillari
(es.
immunoistochimica),
a
cui
si
ricorre
nel
2%
dei
casi.
Ciascuna
classe
di
fattori
verrà
trattata
di
seguito
in
modo
approfondito.
Comunque,
in
generale,
nella
pro-‐
stata
la
lista
dei
parametri
da
valutare
è
più
lunga
rispetto
a
quella
degli
altri
organi,
per
motivi
specifici:
• la
maggior
parte
dei
tumori
è
ben
differenziata:
è
quindi
difficile
distinguere
tessuto
tumorale
da
tessuto
normale;
• ci
sono
molte
lesioni
di
natura
benigna
che
possono
mimare
un
tumore;
• la
diagnosi
è
tramite
biopsia
e,
dato
che
queste
neoplasie
sono
intercettate
precocemente,
la
quan-‐
tità
di
tumore
prelevabile
è
minima
e
difficilmente
studiabile
(è
una
sezione
istologica
di
circa
2
cm).
1.
FATTORI
PATOGNOMONICI
DI
ADENOCARCINOMA
I
fattori
patognomonici
di
adenocarcinoma
sono
quattro:
• la
fibroplasia
mucinosa
(micronodulo
collageno)
(1-‐
2%):
“un
ammasso
nodulare
microscopico
di
materia-‐
le
fibrillare
eosinofilo
e
pauci-‐cellulare
che
aggetta
verso
il
lume
degli
acini”.
Nel
dettaglio,
ci
sono
poche
cellule
neoplastiche
ghiandolari
disperse
in
uno
stroma
chiaro
ricco
di
mucina
acida
(muco
acido
basofilo)
e
matrice
di
membrana
basale
(collagene
di
tipo
IV
che
forma
striature
esoinofile
simil-‐membrana
basale).
Le
quan-‐
tità
di
matrice
(fibroplasia)
e
di
muco
sono
variabili.
Questa
fibroplasia
mucinosa
si
forma,
da
un
punto
di
vista
fisiopatologico,
perché
negli
adenocarci-‐
nomi
muco-‐secernenti
della
prostata,
l’epitelio
ghiandolare
va
incontro
a
metaplasia
ed
inizia
a
sintetizzare
e
rilasciare
muco:
questo
muco
extracellulare
può
stravasare
anche
nello
stroma
e
qui
stimola
le
cellule
neoplastiche
infiltranti
a
produrre
membrana
basale,
che,
quindi,
viene
deposta
nello
stroma
stesso
insieme
al
muco.
La
fibroaplasia
mucinosa
è
rara,
ma
facile
da
diagnosticare
(esistono
quadri
simili
anche
nella
mammella);
6
Tali
parametri
non
ricorrono
solo
per
la
prostata
ma
anche
per
altri
organi
con
un'architettura
di
tipo
ghiandolare,
in
particolare
per
la
mammella.
• la
glomerulazione
(o
aspetto
glomeruloide)
(3-‐15%):
“una
pro-‐
liferazione
cribriforme
intralumi-‐
nale”
che
non
riempie
completa-‐
mente
il
lume.
Si
osservano
acini
con
un
epitelio
proliferante
che
forma
una
strut-‐
tura
simile
a
un
glomerulo:
è
una
masserella
cribriforme7,
con
dei
buchi
(simili
ai
lumi
dei
capillari
glomerulari),
che
resta
adesa
in
un
polo
all’epitelio
acinare
(simile
al
polo
vascolare
del
glomerulo),
è
sprovvista
di
un
supporto
stromale,
e
aggetta
nel
lume
senza
riempirlo
completamente
(simile
allo
spazio
di
filtrazione):
questo
aspetto
prende
il
nome
di
glomeruloide.
Nel
caso
in
cui
il
lume
fosse
tutto
riempito
da
questa
masserella,
quindi
mancasse
l’equivalente
dello
spazio
di
filtrazione,
si
parla
di
aspetto
cribriforme,
che,
al
contrario
di
quello
glomeruloide,
non
è
patognomonico,
in
quanto
presente
anche
in
altre
condizioni,
ad
esempio
nelle
lesioni
pre-‐
neoplastiche
o
nel
carcinoma
intraduttale
(l'equivalente
di
quello
della
mammella).
L'aspetto
glomeruloide
e
quello
cribriforme
possono
essere
associati
ad
un
comportamento
ag-‐
gressivo.
Non
bisogna
confondere
questo
aspetto
con
quello
della
pseudoglomerulazione,
in
cui
è
presente
un
supporto
stromale:
in
questo
caso
l’epitelio
ghiandolare
si
aggetta
nell’acino,
simulando
un
aspetto
cribriforme
o
glome-‐
ruloide,
ma
in
sezioni
seriate
si
osserva
che
tale
espansione
verso
il
lume
è
secondaria
a
una
espansione
ab
estrinseco
dello
stroma;
tale
lesione
che
ha
una
struttura
simil-‐
papillare8
è
causata
infatti
dalla
deposizione
di
collagene
nello
stroma
verso
il
lume
ghiandolare,
di
solito
in
risposta
a
uno
sti-‐
molo
infiammatorio.
Le
due
forme
sono
distinguibili
attraverso
l’esecuzione
di
sezioni
seriate,
condotte
a
profondità
dif-‐
ferenti:
nella
pseudoglomerulazione,
prima
o
poi,
si
osserva
una
protrusione
intraluminale
(reatti-‐
va)
dello
stroma,
provvista
di
un
rivestimento
epiteliale
normale
(bistratificato).
Al
contrario,
l’assenza
del
supporto
stromale
e
dell’invaginazione
luminale
dello
stroma
depongono
per
una
pro-‐
liferazione
maligna;
• l’invasione
perineurale
(11-‐37%):
“presenza
di
adenocarcinoma
prostatico
intimamente
giustappo-‐
sto
lungo,
attorno
o
all’interno
di
un
nervo”,
che
rappresenta
un
facile
via
di
diffusione
extraghina-‐
dolare.
Descrive
uno
strettissimo
rapporto
del
carcinoma
con
i
nervi,
di
cui
la
prostata
è
ricca
a
7
Letteralmente “simile a un crivello”, ovvero a un setaccio; vuol dire “bucherellata”.
8
Anche
l’iperplasia
benigna
può
avere
una
crescita
papillare
(o
pseudo-‐glomeruloide).
In
questa
proliferazione
non-‐
neoplastica
della
zona
di
transizione
aumenta
il
numero
di
ghiandole
e,
allo
stesso
tempo,
cresce
l'epitelio
(aumento
del
PSA),
portandosi
dietro
lo
stroma.
In
questo
modo
aumenta
la
superficie
secretoria.
causa
della
loro
funzione
di
stimolo
della
contrazione
della
muscolatura
stromale
(tale
rapporto
non
è
una
semplice
vicinanza
tra
carcinoma
e
nervo;
è
necessario
che
il
tumore
aggredisca
il
nervo).
I
tipi
di
invasione
sono
tre:
o perineurale:
il
carcinoma
è
intimamente
giustapposto
lungo
il
nervo;
o circonferenziale:
il
carcinoma
circonda
il
nervo;
o intraneurale:
il
carcinoma
si
estende
all’interno
del
nervo.
Un
carcinoma
con
invasione
peri-‐
neurale
usa
i
nervi
erigendi
come
guida
di
crescita
e
apripista
per
la
disseminazione
a
distanza,
senza
dover
infiltrare
la
capsula,
nei
tessuti
periprostatici.
Inoltre,
il
tessuto
neurale
è
ricco
di
vasi
e
vero-‐
similmente
produce
fattori
trofici
che
attraggono
le
cellule
tumorali
e
ne
favoriscono
la
migrazione
lungo
il
decorso
del
nervo.
Tutto
ciò
aumenta
di
molto
il
rischio
di
metastasi
(anche
per
via
emato-‐
gena)
e
peggiora
la
prognosi:
qualsiasi
tumore
con
questo
comportamento
è
almeno
un
pT3.
L’invasione
perineurale
può
essere
presente
anche
in
mammella,
pancreas,
tubo
GI.
In
alcuni
casi
l’aspetto
del
tessuto
è
ingannevole,
e
bisogna
stare
attenti
ai
cosiddetti
“pitfalls”
(trappole),
che
possono
ingannare
il
patologo.
I
principali
sono:
o l’indentazione
perineurale,
ovvero
la
presenza
di
ghiandole
prostatiche
normali
adiacenti
ai
nervi
prostatici,
che
determinano
compressione
o
indentazione
degli
stessi;
o la
presenza
di
un
piccolo
vaso
all’interno
del
nervo.
Nei
casi
dubbi
si
può
ricorrere
all’immunoistochimica
per
evidenziare
le
cellule
basali
(p63),
positive
solo
nel
tessuto
normale
o
benigno.
Il
nervo
si
evidenzia
con
S-‐100
(marker
di
tessuto
di
origine
neuroectodermica);
• lo
stravaso
mucinoso
extracel-‐
lulare9
(<1%).
Si
osserva
quan-‐
do
l’epitelio
neoplastico
subisce
una
metaplasia
mucinosa
e
produce,
oltre
al
PSA,
muco
(mucina)
che
è
immesso
e
si
ac-‐
cumula
nell’ambiente
circostan-‐
te,
quindi
nello
stroma,
in
cui
sono
immersi
noduli
di
cellule
neoplastiche.
Questo
aspetto
è
più
frequente
nelle
neoplasie
tratto
GI
(carcinoma
colloide
dello
stomaco,
in
cui
il
muco,
invece
di
accumularsi
nei
vacuoli
citoplasmatici
si
accumula
nello
stomaco).
Tuttavia,
nella
prostata
ci
possono
essere
anche
carcinomi
mucinosi
secondari,
derivanti
da
neo-‐
plasie
uroteliali
dell’uretra
con
differenziazione
ghiandolare,
oppure
un
tumore
del
retto
o
della
ve-‐
scica.
La
diagnosi
differenziale
si
fa
con
l’immunoistochimica
per
PSA
(pe
la
prostata),
CEA
(per
il
co-‐
lon),
GATA3
e
uroplachina
(per
la
vescica).
9
In
passato
era
un
fattore
prognostico
negativo,
mentre
oggi
si
studia
la
crescita
delle
cellule
nel
muco
(vedi
grading).
2.
FATTORI
FAVORENTI
LA
DIAGNOSI
DI
ADENOCARCINOMA
I
fattori
favorenti
la
diagnosi
di
adenocarcinoma,
non
patognomonici,
possono
essere
distinti
in:
• criteri
maggiori,
più
importanti
e
sospetti
perché
frequentemente
associati
al
cancro:
o pattern
di
crescita
infiltrativo,
definibile
come:
§ “presenza
di
piccole
ghiandole
maligne
tra
ghiandole
benigne,
più
larghe,
più
complesse
e
talvolta
più
pallide”
(poiché
il
citoplasma
è
di
tipo
secretorio);
questo
rappresenta
l’80%
dei
casi.
Una
ghiandola
benigna
è
formata
da
dotti
centrali
ed
acini
periferici
(similmente
ai
dotti
e
lobuli
della
mammella),
separati
da
uno
stroma
muscolare
liscio
che
li
avvolge;
e
di
solito
tale
stroma
è
privo
di
ghiandole.
Inoltre,
le
ghiandole
normali
hanno
dimensione,
distribu-‐
zione,
morfologia
e
contorno
simili.
Invece,
come
nella
mammella,
quando
c’è
una
crescita
infiltrante,
per
definizione
le
cellu-‐
le
superano
la
membrana
basale
dei
dotti
e
degli
acini
e
raggiungono
lo
stroma,
dove
pos-‐
sono
essere
quindi
reperte
cellule
ghiandolari
PSA-‐positive
o,
a
volte,
addirittura
intere
ghiandole
neoplastiche,
intercalate
a
ghiandole
benigne
più
grandi
e
complesse,
e
spesso
più
pallide;
§ “ghiandole
con
morfologia
disordinata
e
casuale,
disperse
a
caso
nello
stroma,
senza
di-‐
sponibilità
di
ghiandole
benigne
come
riferimento
comparativo”.
Soprattutto
nella
biopsia,
in
assenza
di
un
confronto
con
tessuto
sano
o
benigno,
diventa
suggestiva
di
infiltrazione
l’irregolarità
della
distribuzione,
della
forma
e
delle
dimensioni
ghiandolari:
si
osservano
ghiandole
che
non
formano
un
lobulo
ben
definito,
e
che
non
sono
formate
da
un
acino
connesso
a
un
lungo
dotto
(alcune
ghiandole
sono
vicine,
altre
sono
sparse,
alcune
sono
rotonde,
altre
allungate).
Questo
criterio
si
studia
soprattutto
nei
tumori
ben
differenziati,
poiché
molto
spesso
nelle
forme
ad
alto
grado
c’è
positività
dei
criteri
patognomonici
e
questo
pattern
di
crescita
è
as-‐
sente.
Lo
stesso
accade
nell’adenocarcinoma
prostatico
che
origina
dalla
zona
di
transizione10.
La
crescita
infiltrativa
non
è
un
fattore
patognomonico,
in
quanto
è
assente
nel
13-‐18%
delle
lesioni
maligne:
sono
di
solito
carcinomi
costituiti
da
ghiandole
che
crescono
in
maniera
com-‐
pressiva11,
con
un
fronte
di
avanzamento
(e
non
con
ghiandole
sparpagliate),
ben
differenziati,
con
un
Gleason
score
pari
a
4,
ben
circoscritti
per
definizione
(carcinomi
minimi);
nel
dettaglio:
§ sono
caratterizzati
da
piccoli
acini
pallidi
e
strettamente
addensati;
§ per
la
diagnosi
occorre
mostrare
l’assenza
delle
cellule
basali
e
l’atipia
nucleare.
Al
contrario,
l’aspetto
infiltrativo
(pseudoinfiltrativo)
è
osservabile
in
lesioni
non
neoplastiche
o
benigne,
come
la
flogosi
o
la
fibrosi.
Due
lesioni
benigne
che
possono
avere
un
aspetto
pseudoinfiltrativo
sono:
§ l’adenosi
(AAH),
nella
zona
di
transizione
(equivalente
dell’adenosi
della
mammella).
Nel
19%
dei
casi,
nel
contesto
di
un’adenosi,
si
formano
dei
noduli
che,
nella
fase
iniziale,
pro-‐
liferano
in
gruppi
di
ghiandole
benigne,
a
volte
poco
mature,
simulando
un
carcinoma;
10
Questa
zona
è
solitamente
interessata
da
iperplasia.
Nel
20%
dei
casi
è
presente
anche
un
adenocarcinoma
della
zona
di
transizione,
che
è
caratterizzato
da
gruppi
di
ghiandole
che
ricalcano
l’iperplasia,
poiché
sono
separate
in
m o-‐
do
netto
dallo
stroma
circostante.
La
diagnosi
si
basa,
come
sempre,
sull’analisi
di
tutti
gli
altri
criteri
morfologici
clas-‐
sici.
11
Anche
in
altri
tumori,
come
il
carcinoma
midollare
della
mammella,
c’è
una
crescita
compressiva:
è
un
carcinoma
duttale
con
margini
periferici
ben
definiti
e
compressivo,
e
uno
stroma
ricco
di
linfociti,
quasi
un
linfoepitelioma,
ha
una
prognosi
eccellente.
§ l’atrofia,
nella
zona
periferica
(equivalente
dell’adenosi
sclerosante
mammaria).
La
zona
periferica
è
la
sede
più
frequente
delle
infiammazioni
croniche
(prostatiti
croniche),
per-‐
ché
i
dotti
che
originano
dalla
parte
periferica
e
che
sono
diretti
verso
il
vero
montano,
in
caso
di
iperplasia,
risultano
compressi
ed
ostruiti,
con
conseguente
ristagno
di
secrezioni
ed
infiammazione,
seguita
da
atrofia
e
sclerosi
stromale:
lo
stroma
muscolare
viene
sosti-‐
tuito
da
connettivo,
che
strozza
gli
acini,
facendoli
sembrare
irregolari,
come
se
fossero
neoplastici
(aspetto
pseudoinfiltrativo;
infiltrative-‐like
pattern).
Invece,
un
carcinoma
infil-‐
trante
non
determina
una
reazione
stromale
(infiltra
senza
modificare
lo
stroma).
Nei
casi
dubbi
si
ricorre
ai
marker
p63,
CK
5/6
e
p40,
negativi
nelle
cellule
mioepiteliali
(che
so-‐
no
invece
positive
per
S100
e
actina
muscolare).
o assenza
di
cellule
basali.
Per
definizione,
nei
carcinomi
in-‐
filtranti
l’epitelio
ghiandolare
è
composto
esclusivamente
da
cellule
luminali
e
le
cellule
basali
scompaiono12;
ma
questo
criterio
non
è
pato-‐
gnomonico
poiché
ci
sono
condizioni
benigne
in
cui
l’epitelio
è
privo
delle
cellule
basali
e
carcinomi
in
cui
ci
sono
cellule
che
simulano
le
cellule
basali:
occorre
quindi
uno
studio
attento,
in
sezioni
fissate
adeguatamente
e
colorate
con
EE,
delle
cellule
basali
anche
nelle
ghiandole
normali,
che
peraltro
hanno
una
morfologia
molto
variabile.
Nel
contesto
di
carcinomi
si
possono
trovare
epiteli
apparentemente
bistratificati
perché,
quando
la
neoplasia
infiltra lo stroma, le cellule neoplastiche luminali si avvicinano a quelle
stromali tanto da simulare un epitelio con due strati;
nel
dettaglio,
a
imitare
le
cellule
basali
possono
esserci:
§ i
fibroblasti,
le
cellule
muscolari
lisce
o
le
cellule
endoteliali
stromali,
compressi;
sono
vi-‐
sibili
anche
solo
focalmente
nella
periferia
di
un
carcinoma
infiltrante;
§ cellule
neoplastiche
distorte,
schiacciate
o
scarsamente
preservate;
§ le
cellule
basali
di
un
acino
normale,
che
quindi
conserva
lo
strato
basale
ma
che
è
infil-‐
trato
a
livello
luminale
da
piccoli
foci
di
adenocarcinoma
provenienti
da
un
acino
neopla-‐
stico
adiacente.
Al
contrario,
come
accennato,
occorre
considerare
che
lo
strato
di
cellule
basali
è
discontinuo,
e
quindi
le
cellule
basali
potrebbero
essere
anche
assenti
a
livello
di
alcune
ghiandole
benigne
(soprattutto
quelle
con
gli
acini
più
piccoli).
In
definitiva,
una
colorazione
immunoistochimica
per
p63
è
spesso
dirimente,
poiché
permette
di
distinguere
le
cellule
basali
(che
hanno
positività
nucleare)
da
quelle
stromali
(negative).
o atipia
nucleare.
Nell’adenocarcinoma
della
prostata,
a
differenza
delle
altre
neoplasie
in
cui
l’atipia
dipende
dal
pleomorfismo
nucleare
(forma
e
dimensioni
irregolari;
es.
carcinoma
della
mammella,
in
cui
rientra
nel
grading).
12
La
stessa
cosa
accade
nella
mammella:
l’infiltrazione
del
tessuto
si
associa
alla
perdita
delle
cellule
mioepiteliali.
L’atipia
nucleare
si
definisce
sulla
base
di:
§ ingrandimento
nucleare
(nucleo
grande);
§ nucleoli
prominenti,
indicativi
di
intensa
attività
sintetica.
Si
distinguono
attraverso
i
seguenti
parametri:
ü diametro
maggiore
di
1,5
µm
(oppu-‐
re
tra
1
µm
e
3
µm);
ü forte
basofilia;
ü posizione
eccentrica
(vicino
alla
membrana
nucleare);
ü multipli.
Frequentemente
il
nucleolo
è
circondato
da
un
alone
chiaro
perinucleolare
artefat-‐
tuale;
§ cromatina
chiara
e
dispersa,
§ cromatina
così
chiara
da
simulare
un
oc-‐
chio
(“looks
back
at
you”).
La
determinazione
dell’atipia
si
fonda
sulla
comparazione
con
le
cellule
epiteliali
benigne.
Anche
questo
criterio
non
è
patognomonico;
infatti
i
nuclei
grandi
e
i
nucleoli
prominenti
pos-‐
sono
essere
osservati
anche
in
contesti
benigni
come
l’iperplasia,
l’atrofia
(soprattutto
se
c’è
un
concomitante
processo
infiammatorio),
e
l’adenosi
(40%
dei
casi),
dato
che
c’è
proliferazio-‐
ne.
Al
contrario,
alcuni
carcinomi,
specialmente
quelli
della
zona
di
transizione
che
formano
nodu-‐
li,
non
mostrano
queste
caratteristiche
di
atipia
nucleare
(ma
l’assenza
di
cellule
basali
è
dia-‐
gnostica).
Può
anche
accadere
che
i
nucleoli
non
si
vedano
a
causa
di
errate
procedure
durante
la
processazione
(problemi
nella
preservazione,
fissazione,
taglio,
etc.);
• criteri
minori:
non
sono
specifici
per
il
carcinoma
della
prostata,
ma
sollecitano
lo
studio
approfon-‐
dito
delle
ghiandole
con
queste
alterazione,
al
fine
di
identificare
in
esse
le
alterazioni
descritte
dai
criteri
maggiori.
I
criteri
minori
sono:
o secrezioni
mucinose
basofile
(18-‐52%):
la
mucina
basofila
nel
lume
è
presente
sia
nei
carcino-‐
mi
con
reazione
stromale
e
fibroplasia
mucinosa
(è
indicativa
di
una
sorta
di
differenziazione
mucinosa),
sia
nel
54%
delle
adenosi,
perciò
rappresenta
un
pitfall;
o secrezioni
rosa
dense
(53-‐87%).
La
secrezione
del
PSA
avviene
per
mezzo
di
un
meccanismo
paracrino:
la
porzione
apicale
delle
cellule
luminali
contenente
il
secreto
vescicolette
si
distac-‐
ca,
ma
può
aggregarsi
e
formare
delle
secrezioni
intraluminali
rosa
dense;
o cristalloidi
intraluminali
(21-‐41%),
costituiti
dal
secreto
endoluminale
che
si
condensa
in
cristalli.
Possono
essere
rinvenuti
nell’ambito
di
NP/BPH
(1-‐5%),
HGPIN
(3%),
adenosi
(16-‐
50%)
e
carcinoma
(10-‐75%);
o figure
mitotiche
(rare);
o citoplasma
anfofilo
(36-‐60%),
con
pochi
va-‐
cuoli
citoplasmatici:
non
è
così
differenziato
come
nella
norma,
ma
un
po’basofilo.
3.
CRITERI
CONTRO
LA
DIAGNOSI
DI
ADENOCARCINOMA
I
criteri
contro
la
diagnosi
di
adenocarcinoma
sono
alterazioni
che
escludono
la
diagnosi
di
adenocarcino-‐
ma
invasivo;
essi
includono
la
presenza
di:
• ghiandole
grandi,
ramificate
o
lobulari
(normali):
è
raro
che
un
adenocarcinoma
abbia
un’architettura
normale,
con
conservazione
dell’aspetto
tubulo-‐acinare,
ovvero
di
acini
connessi
a
un
dotto,
• piccole
ghiandole
con
citologia
normale
adiacenti
a
ghiandole
normali:
in
assenza
di
alterazioni
morfologiche
e
citologiche
(evidenziabili
dal
confronto
con
il
tessuto
normale
adiacente;
quindi
se
il
citoplasma
e
il
nucleo
sono
simili
a
quelli
delle
cellule
normali),
non
è
possibile
diagnosticare
una
neoplasia.
Una
lesione
microacinare
citologicamente
normale
può
essere
al
massimo
benigna
(es.
adenosi,
in
cui
c’è
una
proliferazione
dei
piccoli
acini);
• piccoli
acini
rivestiti
da
cellule
con
nucleoli
prominenti
adiacenti
a
una
lesione
pre-‐neoplastica
(PIN).
Nei
PIN
si
osserva
un
dotto
con
margini
irregolari
e
rivestito
da
un
epitelio
bistratificato
for-‐
mato
da
cellule
con
nuclei
grandi
e
nucleoli
prominenti;
attorno
a
questo
dotto
possono
essere
presenti
dei
piccoli
acini
con
architettura
conservata
contenenti
gruppetti
di
cellule
anch’esse
atipi-‐
che:
tali
gruppi
di
cellule,
se
sono
presenti
due
citotipi,
non
sono
indicativi
di
un’infiltrazione,
quindi
di
un
carcinoma
invasivo,
ma
di
una
lesione
preneoplastica
che
si
è
diffusa
per
continuità
lungo
l’epitelio
(infatti,
anche
se
non
sempre
il
taglio
lo
intercetta,
il
lume
di
quei
piccoli
acini
comunica
con
il
lume
dotto).
Quindi
a
dirimere
questo
quesito
diagnostico
differenziale
è
il
reperto
di
due
ci-‐
totipi
nei
gruppetti
di
cellule
atipiche
adiacenti
al
dotto
che
contiene
il
PIN;
• atipia
nucleare
con
infiammazione
(atipia
reattiva
o
riparativa):
le
cellule
in
riparazione
hanno
nu-‐
clei
grandi
e
nucleoli
prominenti,
che
simulano
un
adenocarcinoma.
Tuttavia,
l’immunoistochimica
per
p63
testimonia
la
presenza
di
cellule
basali,
e
quindi
esclude
una
neoplasia
maligna:
l’atipia
nu-‐
cleare
è
dovuta
all’infiammazione
e
ai
processi
riparativi.
4.
TECNICHE
ANCILLARI
Nel
2%
dei
casi
si
ricorre
a
tecniche
ancillari,
ovvero
all'immunoistochimica,
che
rappresenta
la
più
impor-‐
tante
tra
esse.
Si
utilizzano
anticorpi
per
individuare:
• i
marker
delle
cellule
basali,
generalmente
assenti
negli
adenocarcinomi,
come:
o le
citocheratine
(marker
citoplasmatici):
CK
5/6
e
CK
ad
alto
peso
molecolare
(34βE12);
o p63
(marker
nucleare);
E’
possibile
sfidare
il
preparato
con
un
cocktail,
ovvero
utilizzando
un
anticorpo
per
un
marker
cito-‐
plasmatico
e
uno
per
un
marker
nucleare
(p63/34βE12,
p63/CK
5/6).
Gli
errori
sono
dovuti
al
fatto
che:
o una
piccola
percentuale
di
ghiandole
benigne
può
presentare
uno
strato
di
cellule
basali
di-‐
scontinuo
o
addirittura
assente,
con
negatività
all’immunoistochimica
per
i
marker
delle
cellule
basali,
o ci
può
essere
negatività
in
alcune
lesioni
benigne
come:
l’atrofia
(11%),
l’iperplasia
delle
cellule
basali
(12%),
l’adenosi
(50%),
o il
carcinoma
prostatico
può
essere
positivo
ai
marker
delle
cellule
basali
in
caso
di:
§ carcinoma
prostatico
che
mantiene
la
positività
per
p63
delle
cellule
intermedie:
è
un
ra-‐
ro
carcinoma
della
prostata
p63-‐positivo
(e
non
CK-‐positivo),
formato
da
cellule
interme-‐
die,
che
da
un
punto
di
vista
differenziativo
si
trovano
a
metà
strada
tra
cellule
basali
e
luminali,
§ ghiandola
benigna
intrappolata
nell’ambito
di
un
carcinoma,
§ carcinoma
intraduttale;
• il
marker
delle
cellule
secretorie,
rappresentato
dall’α-‐metil
coenzima
A
racemasi
(AMACR,
coin-‐
volta
nel
metabolismo
lipidico),
che
è:
o espressa
nell’80-‐90%
dei
carcinomi
prostatici,
o positiva
anche
in:
lesioni
preneoplastiche
di
alto
grado
(HG-‐PIN),
e
adenosi,
atrofia
e
metapla-‐
sia
nefrogenica,
o negativa
in
alcuni
carcinomi
prostatici.
Dovrebbe
essere
utilizzata
su
campioni
colorati
con
ematossilina-‐eosina
e
in
concomitanza
di
mar-‐
catori
delle
cellule
basali
(poiché
la
SE
e
SP
non
sono
ottime).
A
differenza
del
PSA
che
è
espresso
da
cellule
benigne
e
maligna,
la
racemasi
è
un
marker
di
mali-‐
gnità,
sia
dello
stadio
preinvasivo
di
alto
grado
sia
di
quello
infiltrante.
Quindi
l’immunoistochimica
non
è
patognomonica.
Si
possono
utilizzare
cocktail
di
anticorpi
contro
marker
di
cellule
basali
e
di
cellule
secretorie,
per
ridurre
il
numero
di
vetrini
da
colorare
e/o
per
una
maggiore
chiarezza
nei
casi
dubbi.
I
cocktail
disponibili
sono:
• AMACR/p63,
• AMACR/p63/34βE12,
• AMACR/p63/CK5/6.
In
sintesi,
la
diagnosi
di
adenocarcinoma
deriva
da
una
combinazione
di
alterazioni;
non
c’è
un
numero
de-‐
finitivo
di
criteri:
al
contrario,
ogni
caso
deve
essere
individualizzato
e
interpretato
sulla
base
dell’unicità
dei
reperti.
Ci
sono
molte
insidie
diagnostiche
nella
valutazione
della
prostata,
soprattutto
nei
pazienti
con
so-‐
spetto
di
cancro.
BIOPSIA
PROSTATICA:
PROCEDURA
E
REFERTAZIONE
PROCEDURA
La
biopsia
prostatica
è
una
procedura
invasiva
effettuata
dall’urologo
per
mezzo
di
un
ago
di
18
Gauge
(non
è
molto
doloroso).
L’ago,
come
è
possibile
apprezzare
in
figura,
presenta
una
porzione
più
esile
(di
al-‐
loggiamento)
interposta
tra
due
porzioni
più
grandi,
di
cui
una
in
punta:
esso
seziona
un
cilindro
di
tessuto,
che
viene
alloggiato
all’interno
della
parte
più
sottile
e
poi
estrapolato,
quando
poi
l’ago
viene
retratto.
Le
vie
di
accesso
sono
trans-‐perineale
o
trans-‐rettale.
Prima
dell’avvento
dello
screening
con
il
PSA,
i
tumo-‐
ri
della
prostata
erano
diagnosticati
facendo
biopsie
nei
punti
in
cui
erano
presenti
noduli
palpati
all’esplorazione
rettale:
la
biopsia
era
facile,
ma
la
diagnosi
era
tardiva.
Oggi,
dato
che
i
tumori
sono
sempre
più
piccoli,
si
fanno
prelievi
non
solo
nella
zona
sospetta,
ma
in
diverse
zone
della
prostata,
in
modo
tale
da
massimizzare
la
probabilità
di
diagnosi
ed
avere
un’idea
precisa
755
dell’estensione
di
malattia.
Con
ogni
prelievo
si
ottiene
un
frustoli
lungo
1,7
cm:
più
è
lungo,
maggiore
è
la
EUROPEAN UROLOGY 61 (2012) 751–756
Si
campionano:
le
basi
(dx
e
sx),
gli
apici
( dx
e
s x),
l a
z ona
p eriferica
same cancer nodule and not representative of a multifocal
PCa (ie, the same cancer going in and out of the plane of the
( dx
e
s x)
e
l a
z ona
d i
t ransizione.
(ie, 45%). In the second example, Figure 4 shows a biopsy
with a length when fresh of 1.7 cm and after processing of
section in contrast to multifocal cancer). We have made a
biopsy–RP comparison in a small series of cases and reached
1.0 cm, with a loss of evaluable material of 7 mm (41%). The
length of cancer was 4.0 mm (ie, 40%). The biopsy was sent
this same conclusion (data not shown). Therefore, measur- to the pathology laboratory of United Hospitals, Ancona, in a
ing the cancer from where it starts to where it ends on the jar and not flattened between nylon sponges.
core would give the minimal diameter of cancer in the
prostate and might better reflect the actual tumor volume. 6.2. Multiple cores submitted in a single cassette
6. Factors influencing the evaluation of the extent Ideally, there would be one core per cassette. Two biopsies
of cancer on needle biopsy cores from the same location could be embedded together
(Fig. 5A). It has been shown that simultaneous inclusion
The percentage of core involvement by PCa is dependent on of three biopsies in the same cassette can lead to the loss of a
the final length of core in the slide. This is influenced by mean length of 1.15 cm of assessable tissue, corresponding
several technical factors involved in the tissue processing to the average length of one prostate biopsy [1,11,12].
and/or slide preparation. The same technical problems can When multiple cores are submitted in a single cassette or
reduce the probability of making a diagnosis of cancer, due jar by the urologist and processed in a single cassette, many
to the loss of material [13–15]. pathologists give the overall percentage of cancer for the
entire slide as opposed to the percentage for each individual
6.1.
Flattening cores between nylon sponges in cassettes
core (Fig. 5B). At the pathology laboratory of United
Hospitals, Ancona, we attempt to give the percentage of
Non
si
fa
l’agoaspirato
perché
nella
prostata
le
atipie
nucleari
possono
esserci
anche
in
cellule
prelevate
da
Cores should be delivered and embedded after flattening cancer per core for each individual positive core, regardless
between nylon sponges. If flattening is not achieved, some of how many cores are on a given slide.
lesioni
benigne
(vedi
poi).
segments of prostate tissues may not be seen on slides and
will not be accessible to pathologic evaluation [15].
6.3. Measurement of cancer on fragmented cores
Eseguita
la
biopsia,
il
clinico
pone
ciascun
campione
in
una
cassetta
istologica
(quindi
i
campioni
vengono
Two examples show the importance of flattening cores
between nylon sponges. In the first example, the fresh
If there are multiple fragmented small cores containing
inviati
separatamente
in
cassette
diverse
all’anatomia
patologica),
nel
seguente
cancer, modo:
biopsy shown in the slide of Figure 1 was 1.7 cm. The biopsy
an accurate assessment of percentage of cancer per
• adagia
il
frammento
bioptico
su
un
cuscinetto
spugnoso
in
modo
che
resti
r
was sent to the pathology laboratory of United Hospitals,
ettilineo;
core cannot be determined, and only an overall percentage
Ancona, flattened between two sponges in a tissue cassette.
of cancer per fragmented specimen can be noted [1]. In this
• inchiostra
il
frammento
(che,
essendo
bianco,
può
essere
“mancato”
dal
scenario,
of evaluable material was 2 mm (11.7%). As shown
patologo);
The length of the core on the slide was 1.5 cm, and the loss one cannot even determine with certainty the
number of positive cores (Fig. 5C).
Fig. 5 – (A) Histologic slide with two biopsies from the same location embedded together. (B) Histologic slide with multiple cores processed in a single
cassette; one can give the percentage of cancer per core for each individual positive core, regardless of how many cores are on a given slide. (C) Histologic
slide with multiple fragmented small cores; one cannot even determine with certainty the number of positive cores.
quindi
vetrini,
diversi;
questo
determina
una
perdita
di
tessuto
campionato
e
una
frammentazione
di
quel-‐
lo
processato,
con
conseguente
diminuzione
della
capacità
di
fare
diagnosi13.
Le
biopsie
vanno
processate
e
refertate
individualmente,
tenendo
conto
della
sede
della
biopsia:
questo
metodo
ha
l’obiettivo
di
localizzare
il
cancro
nel
contesto
del
parenchima
ghiandolare
e
guidare
l’urologo
nella
prostatectomia
radicale
(per
esempio
decidere
se
fare
o
meno
la
nerve
sparing,
e
in
che
lato
farla).
REFERTAZIONE
Il
referto
di
ogni
biopsia
deve
includere
la
lunghezza
del
campione
istologico,
che
correla
con
la
probabilità
di
fare
diagnosi
di
adenocarcinoma,
e
altri
parametri,
che
sono:
1. la
sede
della
biopsia
positiva;
2. il
tipo
istologico:
ci
sono
varianti
aggressive
e
altre
meno
aggressive;
3. il
grading;
4. l’estensione
del
tumore,
che
correla
con
la
prognosi,
5. altri:
• le
invasioni
perineurale,
• l’estensione
extraprostatica,
• il
carcinoma
intraduttale,
6. i
test
molecolari
e
genetici,
che
possono
aiutare
nella
diagnosi
e
nella
determinazione
dell’aggressività
della
neoplasia.
1.
SEDE
DELLE
BIOPSIE
La
sede
della
lesione
guida
l’urologo
nella
scelta
terapeutica
e
nell’intervento,
che
l’obiettivo
di
asportare
tutto
il
tumore
senza
far
diventare
il
paziente
incontinente
e
impotente;
nel
dettaglio
l’adenocarcinoma
può
essere
localizzato:
• alla
base
della
prostata,
e
questa
localizzazione
correla
con
l’estensione
extraprostatica
(tessuti
molli
periprostatici
e
vescica).
Inoltre,
una
neoplasia
che
interessa
questa
zona
può
associarsi,
se
c’è
un
Gleason
score
di
7-‐9,
a
invasione
delle
vescichette
seminali
e
alla
disseminazione
metastatica
linfonodale.
A
seconda
dello
stato
infiltrativo,
a
volte
è
necessario
asportare
questi
organi
(es.
parte
del
collo
vescicale);
• nella
parte
laterale,
ricca
di
vasi
linfatici:
in
questo
caso
il
tumore
può
associarsi
a
una
invasione
linfonodale,
che
deve
essere
eventualmente
trattata
con
linfoadenectomia
locoregionale;
• nell’apice
della
prostata:
in
questo
caso
aumenta
la
probabilità
che
la
neoplasia
sia
uscita
dal
con-‐
fine
prostatico
(quindi
che
sia
positivo
il
margine
apicale
della
prostata),
e
che
quindi
l’urologo
deb-‐
ba
asportare
anche
i
nervi
erigendi,
rendendo
il
paziente
impotente,
e/o
parte
dell’uretra
peniena
e
dello
sfintere
striato
dell’uretra
(che
fa
parte
del
piano
perineale),
rendendo
il
paziente
inconti-‐
nente.
Questa
asportazione
è
necessaria,
perché
la
mancata
rimozione
di
parte
della
neoplasia
va-‐
nificherebbe
l’intervento.
2.
TIPO
ISTOLOGICO
Sono
state
descritte
numerose
varianti
di
carcinoma
prostatico;
gli
istotipi
sono:
• acinare
(o
microacinare,
usuale,
di
tipo
convenzionale):
rappresenta
più
del
95%
di
tutti
i
carcinomi
della
prostata.
Ha
la
morfologia
dell’epitelio
secretorio
di
acini
e
dotti:
si
osservano
acini
rotondeg-‐
13
Il
Cancer
Detection
Rate
è
un
grafico
che
illustra
l’incremento
delle
probabilità
di
diagnosi
all’aumentare
della
lun-‐
ghezza
del
preparato
istologico
su
vetrino.
gianti
e
rivestiti
da
un
epitelio
colonnare
monostratificato
formato
da
cellule
luminali
con
citopla-‐
sma
sopranucleare
chiaro
e
ricco
di
PSA,
nuclei
alla
base
e
nucleoli
prominenti.
E’
infiltrante,
per-‐
tanto
lo
stroma
tra
gli
acini
neoplastici
è
minimo;
• duttale
(endometrioide14):
un
tempo
si
pensava
derivasse
dall’utricolo
prostatico,
poiché
inizial-‐
mente
fu
identificato
lì,
poi
si
è
visto
che
origina
nei
dotti,
diffonde
verso
l’uretra
prostatica
e
infil-‐
tra
il
vero
montano
e
l’utricolo
secondariamente
(così
come
il
carcinoma
duttale
mammella
cresce
in
maniera
pagetoide
e
infiltra
secondariamente
il
capezzolo).
E’
un
istotipo
di
alto
grado15
la
cui
aggressività,
maggiore
dell’acinare,
è
testimoniata
dalla
crescita
papillare,
cribriforme,
solida,
e
confluente:
c’è
un
fronte
di
avanzamento
ben
delimitato.
Deriva
dai
grandi
dotti
(e
in
parte
dagli
acini)
della
prostata
che
sboccano
a
livello
del
vero
monta-‐
no,
ed
è
caratterizzato
da
un
epitelio
pluristratificato
in
alcune
zone
e
pseudostratificato
in
altre
(in
quest’ultimo
caso
va
in
diagnosi
differenziale
con
l’acinare).
Esprime
i
recettori
per
gli
androge-‐
ni;
• mucinoso:
produce
mucina
e
la
rilascia
nello
stoma
perighiandolare.
Va
in
diagnosi
differenziale
con
il
carcinoma
della
vescica
invasivo
e
con
le
metastasi;
• a
cellule
ad
anello
con
castone,
simile
a
quello
dello
stomaco:
si
osservano
cellule
con
un
nucleo
a
forma
di
semiluna
schiacciato
alla
periferia
e
un
lume
intracitoplasmatico.
E’
di
alto
grado
e
aggres-‐
sivo;
• a
piccole
cellule:
è
una
variante
ad
alto
grado
che
insorge
generalmente
in
pazienti
con
lunga
storia
di
adenocarcinoma
trattati
con
radioterapia
o
terapia
ormonale.
Infatti,
questi
trattamenti
induco-‐
no
degli
aspetti
regressivi
nell’adenocarcinoma,
il
quale
può
tuttavia
continuare
a
crescere,
prolife-‐
rare
e
differenziarsi
in
una
linea
neuroendocrina16.
Le
cellule
hanno
nuclei
grandi
ed
ipercromici
e
citoplasma
scarso,
e
non
esprimono
i
recettori
ormonali.
Può
essere
trattato
con
la
stessa
terapia
dei
tumori
neuroendocrini
di
vescica
e
polmone;
• sarcomatoide,
con
cellule
fusate
indicative
di
transizione
epitelio-‐mesenchimale;
se
compare
la
componente
eterologa
si
chiama
carcinosarcoma;
• adenosquamoso:
è
caratterizzato
da
ghiandole
con
un
epitelio
squamoso,
si
riscontra
in
pazienti
trattati
con
radioterapia
od
ormonoterapia.
Queste
varianti,
anche
se
relativamente
poco
frequenti
(globalmente
rappresentano
il
5%
dei
tumori),
hanno,
secondo
studi
multicentrici,
un
importante
valore
diagnostico,
prognostico
e
terapeutico;
in
gene-‐
rale
si
associano
a
un
comportamento
più
aggressivo.
Alcuni
adenocarcinomi
devono
essere
asportati
con
una
prostatectomia
radicale,
altri
si
possono
trattare
con
radioterapia
locoregionale,
altri
ancora
(piccoli
e
ben
differenziati)
si
seguono
con
la
sorveglianza
atti-‐
va;
per
altri
invece
occorre
un
trattamento
alternativo:
per
esempio
il
tumore
a
piccole
cellule
non
va
trat-‐
tato
con
la
terapia
ormonale
perché
le
cellule
non
esprimono
i
recettori
per
gli
ormoni.
Alcune
varianti
non
nascono
così
ab
initio,
ma
sono
conseguenza
di
terapia
ormonale
o
radioterapia;
se-‐
condo
i
vecchi
schemi
terapeutici,
dopo
i
70
anni
erano
indicate
la
radioterapia
e/o
l’ormonoterapia,
a
se-‐
guito
delle
quali,
le
neoplasie
diventavano
sarcomatoidi
o
squamose.
Infatti,
per
esempio,
la
terapia
ormo-‐
nale
condotta
per
qualche
anno,
può
selezionare
cloni
privi
di
recettori
per
gli
androgeni
che
possono
esse-‐
re
estremamente
aggressivi.
14
Anche
detto
endometrioide
per
la
sua
architettura
papillare
o
cribriforme,
simile
a
quella
del
carcinoma
endome-‐
triale.
15
Vi
è
la
variante
a
ghiandole
separate
PIN-‐like
che
è
un
grado
4
o
5
a
seconda
che
sia
solido
o
meno
16
Questo
accade
anche
in
vescica
e
polmone,
in
cui
i
carcinomi
neuroendocrini
a
piccole
cellule
possono
essere
isolati
e
primitivi,
ma
anche
secondari
ad
altri
carcinomi
differenziati,
di
cui
rappresentano
l’evoluzione.
3.
GRADING
Il
sistema
di
grading
Gleason
(o
Gleason
Score)
porta
il
nome
del
suo
autore
e
fornisce
indicazioni
progno-‐
stiche
fondamentali
sul
carcinoma
prostatico;
esso
riesce
a
predire:
• la
recidiva
biochimica,
ovvero
la
secrezione
di
PSA
in
un
paziente
sottoposto
a
prostatectomia
ra-‐
dicale,
in
cui
tale
marcatore
dovrebbe
essere
indosabile.
Tale
aumento
è
indicativo
di
recidive
locali
(linfonodali
o
nell’anastomosi
uretro-‐vescicale)
o
metastasi,
anche
microscopiche.
Pertanto,
l’intervento
è
seguito
da
un
follow-‐up
con
monitoraggio
del
PSA
sierico:
nel
caso
in
cui
diventi
do-‐
sabile,
si
inizia
una
terapia
ormonale;
• la
recidiva
locale;
• la
presenza
di
metastasi
ai
linfonodi
regionali
o
a
distanza:
sia
nei
pazienti
che
ricevono
trattamen-‐
to,
sia
in
quelli
che
non
lo
ricevono.
In
caso
di
elevata
probabilità
di
metastasi
linfonodali
o
a
distan-‐
za,
la
prostatectomia
si
associa
ad
una
linfadenectomia
pelvica
(più
o
meno
estesa),
non
necessaria
per
le
neoplasie
piccole
e
ben
differenziate.
Gleason
grading
Il
Gleason
grading
primordiale
era
molto
semplice,
perché
non
valutava
la
citologia,
ma
solo
l’architettura,
assegnando
un
grado
da
1
a
5
in
base
al
pattern
morfologico
del
carcinoma,
ovvero
alla
presenza
di
acini
separati
(più
o
meno
lontani
tra
di
loro;
gradi
1-‐3),
fusi
(grado
4)
o
solidi
(grado
5).
Nel
dettaglio
i
5
gradi
sono:
1. grado
1:
le
ghiandole
sono
separate,
ben
formate
e
a
margi-‐
ni
ben
definiti,
e
tendono
a
formare
un
nodulo
(come
se
fos-‐
se
iperplasia),
con
i
contorni
ben
delimitati;
quindi
il
fronte
di
avanzamento
della
lesione
è
netto
e
compressivo,
2. grado
2:
le
ghiandole
sono
separate,
ben
formate,
con
ten-‐
denza
a
formare
un
nodulo,
ma
con
dispersione
periferica,
ovvero
margini
irregolari;
ma
il
fronte
di
avanzamento
resta
abbastanza
netto,
3. grado
3:
le
ghiandole
sono
separate
e
presentano
dispersio-‐
ne
globale;
4. grado
4:
le
ghiandole
sono
fuse
e
non
separate;
5. grado
5:
ci
sono
ghiandole
solide
senza
lume.
Attualmente,
le
ghiandole
con
acini
separati
(1,
2,
3)
sono
considerate
a
basso
grado,
quelle
con
acini
fusi
hanno
grado
intermedio
e
quelle
con
acini
solidi
hanno
grado
alto.
Gleason
score
Il
tumore
della
prostata,
poiché
è
eterogeneo
-‐
presenta
cioè
aree
con
pattern
di
diverso
grado,
deve
esse-‐
re
valutato
con
il
Gleason
score,
che
rispecchia
in
modo
adeguato
questa
eterogeneità
architetturale:
tale
score
si
calcola
sommando
il
pattern
primario,
ovvero
il
grado
del
pattern
più
diffuso,
al
pattern
seconda-‐
rio,
cioè
al
grado
del
secondo
pattern
per
diffusione;
lo
score
va
quindi
teoricamente
da
2
a
10.
Tuttavia,
poiché
oggi
si
tende
ad
assegnare
come
grado
minimo
il
grado
3,
quindi
ad
accorpare
i
primi
tre
gradi
in
un'unica
classe
di
neoplasie
caratterizzate
da
ghiandole
separate,
il
Gleason
score
minimo
realmen-‐
te
attribuibile
è
pari
a
6
(3+3).
Affinché
gli
score
siano
confrontabili,
in
caso
di
un
singolo
pattern
dominante
si
raddoppia
il
punteggio
del
pattern.
Se
invece
a
dominare
sono
tre
pattern,
si
considerano
solo
il
più
aggressivo
e
il
più
rappresentato.
limited tissue of needle biopsy. In light of poor correlation with Gleason pattern 4 cancers in the same biopsy in >80% of
with prostatectomy grade and reproducibility among cases [19]. This evidence, along with the significant
experts, GS 2–4 are for practical purposes not diagnosed morphologic overlap with, and occasionally observed
in these specimens [15,16]. Conversely, Gleason pattern 5, transitions to, cribriform Gleason pattern 4 carcinoma, favors
including single cells, sheet of cells, and comedocarcinoma, classifying glomerulations as pattern 4 (Fig. 3).
is essentially unchanged from its original descriptions The 2005 ISUP conference also highlighted the controver-
[12–14]. Overall, the 2005 ISUP recommendations convey a sy surrounding classification of ‘‘ill-defined glands with
significant contraction of Gleason pattern 3 and a conse- poorly-formed glandular lumina’’ (Fig. 4). While there is
Per
esempio,
una
neoplasia
con
pattern
primario
4
e
pattern
secondario
5
ha
un
Gleason
score
di
9
(4+5),
quent expansion of Gleason pattern 4, with Gleason pattern some consensus that such foci should be graded as pattern 4,
3mentre
typicallyuthe n
tumore
che
cresce
lowest assigned grade. solo
The nel
most pattern
profound 5
ha
un
this Gleason
morphology score
represents
di
10
(5x2).
a significant challenge for the
Lo
score
si
calcola
separatamente
su
ogni
biopsia,
poi
il
clinico
prende
in
considerazione
impact of these changes has been on grading of prostatic Gleason grading system, with la
bimages
few instructive iopsia
inche
the ha
il
needle biopsies, with GS 7 now being the most commonly existing literature. The ISUP panel cautioned that a ‘‘cluster of
grado
più
alto;
inoltre
tale
score
si
assegna
anche
se
il
tumore
è
estremamente
focale
(e
quindi
potrebbe
assigned score in many settings [20,21]. ill-defined glands in which a tangential section E U R OofP Epattern
A N U R O3L O G Y 6 2 ( 2 0 1 2 ) 2 0 – 3
P E A N U R O L O G Ynon
corrispondere
precisamente
alla
realtà),
perché,
comunque,
il
Gleason
score
influenza
la
scelta
della
6In 2 (modern terms, discrete and well-formed, infiltrative
2012) 20 –39
[(Fig._3)TD$IG]
glands—even when small—have been retained within
terapia.
[(Fig._1)TD$IG] Nel
referto
può
anche
fornire
l’estensione
(in
Gleason pattern 3 (Fig. 1). In contrast, practice patterns have
[(Fig._2)TD$IG] percentuale)
dei
pattern
più
a
rischio.
Table 2 – Report
ed over the cribriform Gleason pattern 3 found that nearly all cases were *
Like a number o
on much- considered Gleason grade 4 [18] (Fig. 2). In routine practice, with acinar (conve
tatic needle therefore, cribriform glands, regardless of size, are nearly with stratified or ‘
described, typicall
ce 2005 have always diagnosed as pattern 4. Fig. 3 – Glomerulations demonstrating significant morphologic overlap
with and transition to cribriform Gleason pattern 4 carcinoma. carcinoma with com
A related feature E U R O P E A N U R O L O G Y 6 2 ( 2 0 1 2 ) 2 0 – 3 9 23
mited to no Fig. 1 – Gleason patternof
3:PCa
smallistoglomerulations or glomeruloid
medium-sized discrete acini with focal Fig. 2 – Medium-sized cribriform gland with somewhat irregular luminal
structures, tangential
[(Fig._3)TD$IG] characterized by dilated glands with intraluminal
sectioning. spaces [(Fig._4)TD$IG] (on left) that would be assigned Gleason pattern 4.
Table 2 – Reporting recommendations for prostate cancer variants 3.1.4. Needle bio
s
edle biopsy Variant Gleason grade Although Gleas
nal) type, to cribriform structures, a morphology not accounted for in the mentally based
Atrophic 3
ied. Gleason original Gleason system. While the 2005 ISUP group did not common patter
Pseudohyperplastic 3
circumscrip- reach consensus on this histology, a recent study reported Foamy 3 or 4 (depending on architecture) strategies for so
uable in the that 45 biopsies with glomerulations showed an association Vacuoles 3, 4, or 5 (extract vacuoles/grade architecture) logic patterns a
Mucinous (colloid) Either 4 (based on extracellular mucin alone) Gleason system
r correlation with Gleason pattern 4 cancers in the same biopsy in >80% of or 3 or 4 (extract mucin/grade architecture)
lity among cases [19]. This evidence, along with the significant Ductal 4*
precise, and (3)
t diagnosed morphologic overlap with, and occasionally observed Sarcomatoid 5 (glandular component graded separately) some of these
n pattern 5, transitions to, cribriform Gleason pattern 4 carcinoma, favors
Signet ring cell 5 original Gleason
Small cell/ Not graded
ocarcinoma, classifying glomerulations as pattern 4 (Fig. 3). has been clarifi
neuroendocrine
descriptions The 2005 ISUP conference also highlighted the controver- Squamous Not graded
recommendatio
ons convey a sy surrounding classification of ‘‘ill-defined glands with Basaloid Not graded
glomeruloid
GG = Gleason grade; GS = Gleason score; NB = needle biopsy.
ated with extravasated mucin (either focal or abundant)
Fig. 2 – Medium-sized cribriform gland with somewhat irregular luminal
ntraluminal
spaces (on left) that would be assigned Gleason pattern 4.
and/or mucinous fibroplasia present a diagnostic challenge
because of significant distortion of tumor architecture [23].
glands cannot account for the histology’’ would be diagnos- In the biopsy context, it is difficult to evaluate true
able as Gleason pattern 4 [16], a determination that in many mucinous (colloid) carcinoma, which requires the presence
EURURO-4814; No. of Pages 10
Fig. 1 – Schematic representations of Gleason grading systems. The most important changes between them are in patterns 3 and 4. In the modified system,
most cribriform patterns and also poorly defined glands are included in pattern 4. In the currently used system, all cribriform glands are included as
pattern 4.
Score
di
Epstein
Testing the validity of the modified system requires large large studies using the contemporary Gleason grading
Inoltre
cumulative sono
emersi
data aboutdits ei
correlation
problemi
with relativi
al
Goutcome,
patients’ leason
score,
system.quali:
and•veryil
few numero
eccessivo
di
score
con
prognosi
simile
(potenzialmente
studies have addressed this issue mainly due to Another implication ci
sono
of the2change
5
combinazioni);
in the grading system
short follow-up periods since the inception of the modified is in relation to patients with high-grade tumors (GS 8–10).
• in
system il
f2005.
atto
cHowever,
he
il
Gleason
7
non
in a recent largeè
ostudy
mogeneo,
in
quanto
including Those può
essere
patients 3+4
o
4+3,
traditionally a
seconda
were discourageddel
from
grado
under-pre-‐
806 RPs valente;
ma
si
è
dimostrato
che
questi
due
stati,
3+4
e
4+3,
non
sono
prognosticamente
sovrappo-‐
performed between1993 and 1999, cases assigned a going surgery due to the high likelihood of locally advanced
GS of 3 + 3 or 3 + 4 using the original grading system were
nibili:
il
secondo
ha
una
prognosi
peggiore.
Tale
or even systemic disease at presentation. However, a
affermazione
è
talmente
vera,
che
Chang
ha
dimo-‐
retrospectively reassigned a grade according to the modified number of more recent studies have suggested that men
system [7]. strato
che
In that nel
c34%
study, ontesto
of cases del
(210 Gleason
Score
7
(3+4)
of 622) originally with la
phigh-grade
rognosi
peggiora
tumors may all’aumentare
do better thandella
previously
quantità
diagnosed di
pasattern
GS 6 were 4;
regraded as GS !7 with the vast thought with surgery [9]. Therefore the tendency toward
majority of those reassigned a grade 3 + 4. In comparison, upgrading may be balanced by an increasing trend to
vi
sono
gruppi
inconsistenti
e
inutilizzati,
ossia
i
Gleason
Score
al
di
sotto
di
6,
e,
di
conseguenza,
è
26%•of patients (48 of 184) originally assigned a GS 3 + 4 were perform surgery in the context of high-grade disease [10].
considered alterata
la
percezione
del
paziente
che
percepisce
lo
score
6,
quello
minimo,
come
uno
score
alto,
to be either 4 + 3 or 4 + 4 on review. Compared The change in the Gleason grading system makes it difficult
with the classic scoring system, the modified system results to compare data sets of prostate cancer patients that span
quindi
pensa
che
il
tumore
sia
aggressivo
(mentre
il
tumore
è
ben
differenziato).
in a better correlation with pathologic stage, rate of positive the time when grade modifications were implemented.
Per
far
fronte
margins, and a
tali
problemi,
biochemical allo
score
recurrence withdi
GSGleason
the only è
stato
affiancato
lo
score
di
Epstein
(prognostic
Gleason
grade
grouping)
che
deriva
dal
raggruppamento
dei
gradi
del
Glison
Score
e
che
attualmente
deve
essere
independent predictor of the development of metastatic 3.2. Relation of Gleason grade in needle biopsy to pathologic
disease [7]. The contemporary group of cancers with GS 6 is features in radical prostatectomy
incluso
therefore nel
a rhomogeneous
eferto
assieme
allo
associated
group score
di
G leason;
with probabilmente,
sostituirà
il
Gleason
Score
del
tutto,
in
fu-‐
a better
turo.
prognosis than GS 6 tumors under the original system, which Biopsy Gleason grade has been incorporated in several
included mixed cases of what today would be diagnosed as models predicting findings in RPs. The two most commonly
used are the Partin tables and the Kattan nomogram. It has
GS 7. In addition, cases in the past graded as Gleason 2–5 are
currently considered 2014
GleasonISUP
M6, ODIFIED
further G LEASON
toPROGNOSTIC
contributing a become common GLEASON
GRADE
practice GROUPING
to integrate the highest GS in a
better prognosis. The falseGS
impression that survival rates core rather than the most common GS in such predictive
≤
6
(3+3)
I
have improved, when in fact much of the changes are due to models. Such practice was initiated by two studies. The first
changes in classifications, isGS
7
(3+4)
referred to as the Will Rogers study showed that II
when a core had GS 4 + 4 while the rest
phenomenon [8]. Other factors GS
may 7
(4+3)
have also contributed to of positive cores were III
GS "7, the pathologic stage at RP was
the observed change in survival rates and include overtreat- comparable with cases in which all cores have a GS of 4 + 4
ment of men with minimal GS
8
(4+4,
cancers 3+5
ecoming
5+3)
to clinical [11]. In a similar fashion, IV
the second study showed that the
attention and the lack of sufficient GS
9
-‐follow-up
10
time in most highest GS of a biopsy V
correlated best with the final GS on RP
Please cite this article in press as: Brimo F, et al. Contemporary Grading for Prostate Cancer: Implications for Patient Care. Eur Urol
(2012), http://dx.doi.org/10.1016/j.eururo.2012.10.015
On univariate analysis, the C-index for a five grade group 2–4, 5–7, 8–10 (Prostate Cancer Outcomes Study) [7]; 2–6, 7,
system was 0.02 to 0.05 higher than for the common three- 8–10 (Scandinavian Prostate Cancer Group Study); and 2–6,
group approach, and the highest of any approach (Table 3). 7–10 (Prostate Cancer Prevention Trial and Prostate Cancer
Differences were smaller on multivariable analysis, but the Intervention versus Observation Trial) [8,9]. The most
five grade group system retained its advantage. The common risk stratification for PCa is the D’Amico classifica-
increment in the C-index by including 9–10 separately tion, also used by the National Comprehensive Cancer
from 8 ranges from 0.001 to 0.003. This is largely because Network [10]. It stratifies PCa based on serum PSA values,
the prevalence of Gleason 9–10 disease is low, only about 5% clinical stage, and biopsy score into low-, intermediate-, and
Lo
score
di
Epstein
correla
in
modo
ottimale
con
la
sopravvivenza
e
il
rischio
di
recidiva
biochimica
dopo
of the cohort. Nonetheless, as can be seen in Table 2 and high-risk groups incorporating Gleason scores into a three-
prostatectomia
Figures 1 and 2,radicale,
biopsia
Gleason 9–10 haso
aradioterapia.
markedly poorer Nel
dettaglio,
tiered Gleason la
sopravvivenza:
score grouping (2–6, 7, and 8–10).
• del
Gleason
Score
6
(3+3)
è
pari
circa
al
100%;
prognosis than Gleason 8. Similarly, HRs for Gleason In addition to the lack of uniformity of the various score
4 + 3 disease were generally threefold higher than for groupings, precluding meaningful comparisons between
3 + •4 anddel
areGnotleason
Score
accounted for7in
(3+4)
è
pari
circa
the three-group al
75-‐80%;
studies, the combinations used have significant flaws.
approach.
• del
Gleason
Score
7
(4+3)
è
pari
circa
al
60%;
Gleason scores 2–4 virtually never exist on current biopsy
4. Discussion material. Many of these cases in Gleason’s era, predating the
• del
Gleason
Score
8-‐9
è
pari
circa
al
40%;
use of modern immunohistochemistry, probably represent
del
Gleason
The• Gleason score has score
been 10
the
decresce
single most ulteriormente,
powerful fino
ad
arrivare
adenosis, a mimic allo
of0cancer.
%.
Studies combining Gleason
predictor of PCa prognosis. Although Gleason scores range 6 and 7 span tumors with an almost uniformly excellent
[(Fig._1)TD$IG] [(Fig._2)TD$IG]
Fig. 1 – Recurrence-free progression following radical prostatectomy Fig. 2 – Recurrence-free progression following radical prostatectomy
stratified by prostatectomy grade. Green line: Gleason score =6, grade stratified by pre-prostatectomy biopsy grade. Green line: Gleason score
group 1. Orange line: Gleason score 3 + 4, grade group 2. Dark blue line: =6, grade group 1. Orange line: Gleason score 3 + 4, grade group 2. Dark
Gleason score 4 + 3, grade group 3. Red line: Gleason score 8, grade blue line: Gleason score 4 + 3, grade group 3. Red line: Gleason score 8,
group 4. Purple line: Gleason score I9, grade group 5. grade group 4. Purple line: Gleason score I9, grade group 5.
RFP = recurrence-free progression. RFP = recurrence-free progression.
L’algoritmo
terapeutico
si
basa
su
sistemi
predittivi
che
calcolano
la
probabilità
di
metastasi
dall’analisi
di:
tipo
istologico,
Gleason
score,
estensione
del
tumore
nelle
biopsie
e
PSA.
Perciò
il
Gleason
score
ha
anche
importanti
risvolti
terapeutici.
Per
esempio,
in
Italia
i
pazienti
che
hanno
un
Gleason
score
pari
a
6
vanno
in
sorveglianza
attiva.
In
altre
nazioni
(Canada),
la
sorveglianza
attiva
si
estende
anche
allo
score
7
(3+4).
Il
Gleason
score
decide
anche
se
sia
necessario
effettuare
o
meno
una
linfadenectomia
(i
cui
effetti
collate-‐
rali
sono
l’edema
degli
arti
inferiori
e
il
linfocele).
4.
ESTENSIONE
L’estensione
indica
quanta
parte
della
biopsia
è
occupata
da
tumore,
e
ha
un
importante
significato
pro-‐
gnostico
e
terapeutico;
infatti,
le
linee
guida
prevedono
la
sorveglianza
attiva
solo
per
gli
adenocarcinomi
ben
differenziati
e
poco
estesi
(lesioni
occupanti
meno
del
50%
della
lunghezza
della
biopsia).
Nel
dettaglio,
l’estensione
del
tumore
si
quantifica
valutando:
• l’estensione
della
neoplasia
nella
singola
biopsia:
è
la
percentuale
interessata
in
ciascuna
biopsia,
calcolata
attraverso
il
rapporto
tra
lunghezza
lineare
del
cancro
e
lunghezza
della
biopsia
(entrambe
in
mm),
moltiplicato
per
100.
In
alternativa
si
può
calcolare
tale
valore
percentuale
con
un
metodo
spannometrico
(“a
occhio”),
ma
è
meno
accurato.
Tale
estensione
percentuale
correla
con
le
dimensioni
del
tumore
e
quindi
con
la
prognosi.
Nei
“multiple
cores”
(più
biopsie
accatastate)
e
nei
“fragmented”
(frammentate)
è
impossibile
stabilire
questo
rapporto.
754 EUROPEAN UROLOGY 61 (2012) 75
[(Fig._3)TD$IG]
Se
c’è
tessuto
sano
interposto
tra
due
highest perc
aree
tumorali,
bisogna
considerare
and nine pat
l’intero
spazio
compreso
tra
le
due
lesio-‐ criteria. Seve
RP, and 30 h
ni,
quindi
includere
anche
il
tessuto
sano,
cases (score
poiché
è
più
probabile
che
il
vetrino
deri-‐ association b
vi
da
una
massa
irregolare
(di
cui
un
ago
core with or
margins, reg
rettilineo
ha
campionato
solo
due
digita-‐ JHH or at th
zioni),
piuttosto
che
da
due
neoplasie
that for PCa
piccole
e
separate.
In
questo
modo
si
evi-‐ tive of the e
Quantifying
ta
di
applicare
la
sorveglianza
attiva
in
tinuous can
pazienti
con
malattia
troppo
avanzata;
opposed to
intervening
• il
numero
di
biopsie
positive;
organ-confin
• l’unilateralità
o
la
bilateralità
delle
biop-‐ Figure 3 i
sie
positive.
specimen o
Fig. 3 – Whole-mount histologic section from a radical prostatectomy shown in Fi
Per
quanto
riguarda
il
significato
dell’estensione
della
specimen. neoplasia
della
The dotted biopsia,
area tale
estensione:
in the peripheral zone represents the external
boundary of a prostate cancer focus. The trajectory of the needle biopsy
represents
• correla
con
il
Gleason
score,
il
volume
del
tumore,
i
m
(shown in Fig. 2) is shown. argini
c hirurgici,
3 + 3 = 6 PC
• predice
la
recidiva
biochimica,
la
progressione
post-‐prostatectomia
e
il
fallimento
della
terapia
ra-‐ measured o
of the positi
diante,
quantification on needle biopsy [10]. The selection of the surgical spe
• è
inclusa
in
alcuni
normogrammi
che
predicono
lo
stadio
patologico
e
l’invasione
delle
vescichette
material was restricted to those cases with biopsy Gleason projections.
score 6 in
seminali
dopo
prostatectomia
radicale
e
fallimento
della
terapia
radiante.
which there was at least 15% discordance dotted area
between the outside and JHH in terms of the reported intervening
[(Fig._4)TD$IG]
5.
ALTRI
PARAMETRI
Invasione
perineurale
L’invasione
perineurale
è
uno
dei
fattori
diagnostici
patognomonici
(v.
prima),
ma
rappresenta
anche
una
via
di
diffusione
della
neoplasia
al
di
fuori
della
prostata.
È
importante
dal
punto
di
vista
clinico
perché:
• correla
con
l’estensione
extra-‐prostatica
(38-‐93%),
che
potrebbe
precludere
l’intervento.
Pertanto,
nei
pazienti
con
invasione
perineurale
la
sorveglianza
attiva
non
si
fa
mai,
nemmeno
se
la
neoplasia
è
piccola
e
ben
differenziata
(grado
I);
• secondo
studi
recenti
predice
in
maniera
indipendente
le
metastasi
linfonodali
e
la
progressione
post-‐chirurgica,
• deve
essere
presa
in
considerazione
nel
pianificare
una
chirurgia
nerve-‐sparing
o
non
nerve-‐
sparing:
nel
primo
caso
il
chirurgo
potrebbe
lasciare
il
tumore;
• in
caso
di
trattamento
con
radioterapia
bisogna
aumentare
la
dose
di
radiazioni
e
il
campo,
per
evitare
che
insorga
una
recidiva
da
un
residuo
di
malattia
adiacente
alla
prostata
e
non
irradiato.
La
radioterapia
è
di
solito
riservata
a
pazienti
anziani
con
più
di
70
anni,
perché
non
sempre
eradica
il
tumore
e
può
insorgere
una
recidiva
dopo
10-‐15
anni,
che
in
questo
caso
può
essere
trattata
con
terapia
ormonale,
senza
diventare
la
causa
di
morte.
Estensione
extra-‐prostatica
(invasione
locale)
Occasionalmente,
le
biopsie
potrebbero
contenere
i
tessuti
molli
extraprostatici
e/o
delle
vescichette
semi-‐
nali.
Se
il
cancro
coinvolge
queste
strutture,
il
patologo
deve
includere
queste
informazioni
nel
referto,
in
quanto
la
neoplasia
ha
prognosi
infausta
e
viene
direttamente
stadiata
come:
• pT3a
se
vi
è
interessamento
dei
tessuti
molli
periprostatici,
in
cui
il
tumore
si
porta
per
diffusione
o
Fig. 4 – As shown by the ruler, the length of the core is 1.0 cm. The len
seguendo
il
decorso
dei
nervi.
Bisogna
prestare
attenzione
perché
a
volte
il
tessuto
adiposo
può
essere
presente
anche
all’interno
della
prostata:
in
questo
caso
c’è
invasione
del
tessuto
adiposo
intra-‐prostatico,
che
corrisponde
a
una
malattia
localizzata;
• pT3b
se
vi
è
interessamento
delle
vescichette
seminali
(sono
fuori
dalla
prostata
e
dietro
la
vesci-‐
ca).
Le
vescichette
seminali
hanno
un
lume
irregolare
con
multiple
digitazioni
che
determinano
un
au-‐
mento
della
superficie
e
il
mantenimento
di
una
temperatura
compatibile
con
il
mantenimento
de-‐
gli
spermatozoi;
la
lamina
propria
è
molto
vascolarizzata:
i
vasi
servono
a
mantenere
la
temperatu-‐
ra.
Il
lume
è
rivestito
da
un
epitelio
bistratificato
come
quello
della
prostata,
ma
le
cellule
luminali
hanno
i
nuclei
irregolari
e
pleomorfi
18
e
un
citoplasma
che
contiene
lipofuscina
(pigmento
giallo,
che
deriva
dal
fatto
che
gli
spermatozoi
che
muoiono
nelle
vescichette
si
frammentano
e
vengono
riassorbiti:
i
prodotti
di
degradazione
delle
membrane
degli
spermatozoi
formano
la
lipofuscina).
Quando
nell’agoaspirato,
in
passato,
venivano
prelevate
queste
cellule
con
nuclei
normalmente
pleiomorfi
si
poteva,
in
assenza
dei
pigmenti,
fare
una
diagnosi
di
cancro
falsamente
positiva.
Lo
stesso
epitelio
si
trova
nei
dotti
eiaculatori
(intraprostatici),
distinguibili
dalle
vescichette
semi-‐
nali
poiché
nei
dotti
l’epitelio
è
circondato
da
tessuto
muscolare
liscio
sotttoepiteliale,
invece
nelle
vescichette
si
osserva
una
lamina
propria
sottoepiteliale
(formata
da
connettivo
cellulato
e
fusato).
Questa
diagnosi
differenziale
ha
importanti
implicazioni
prognostiche:
in
caso
di
infiltrazione
del
dotto
eiaculatore
si
attribuisce
uno
stadio
T1,
e
non
un
pT3b.
Il
cancro
arriva
alla
vescichetta
seminale
per
via
epiteliale
(in
maniera
simil-‐pagetoide),
per
esten-‐
sione
extraprostatica
o
per
via
ematica
(pT3b).
Comunque,
in
caso
di
dubbio
di
interessamento
delle
vescichette
seminali
si
possono
fare
anche
le
biopsie
dell’epitelio
delle
vescichette
seminali.
L’identificazione
di
questi
reperti
è
importante,
poiché
assegnare
un
pT3
(sia
pT3a
sia
pT3b)
inficia
forte-‐
mente
sul
tasso
di
sopravvivenza
libero
di
malattia
(si
passa
da
circa
100%
di
un
pT2,
a
40%
di
un
pT3a,
a
circa
0%
di
un
pT3b).
Questo
calo
è
dovuto
soprattutto
alla
maggiore
incidenza
di
metastasi
linfonodali
e
a
distanza,
piuttosto
che
alla
crescita
locale.
In
aggiunta,
un
pT3
è
un
tumore
localmente
avanzato.
In
questi
pazienti
la
radioterapia
ha
lo
stesso
impat-‐
to
prognostico
della
prostatectomia,
con
meno
effetti
collaterali.
Invasione
linfovascolare
L’invasione
linfovascolare
è
raramente
reper-‐
ta
nel
contesto
di
biopsie;
poiché
nello
studio
della
prostata
dopo
prostatectomia
radicale
correla
con
le
metastasi
linfonodali,
la
recidi-‐
va
biochimica
e
le
metastasi
a
distanza,
la
sua
presenza
nella
biopsia
ha
probabilmente
correlazioni
simili.
La
localizzazione
linfonodale
può
quindi
con-‐
durre
a
morte
il
paziente;
va
inclusa
nella
ri-‐
sposta
perché
guida
l’urologo
nell’intervento
chirurgico,
ovvero
nell’esecuzione
di
una
lin-‐
foadenectomia
più
o
meno
estesa.
18
Per
confondere
questi
nuclei
irregolari
con
i
nuclei
di
una
neoplasia
maligna,
oggi
si
definiscono
atipici
i
nuclei
grandi
con
nucleoli
prominenti.
BIOPSIA
GUIDATA
DALLA
RM
MULTIPARAMETRICA
Oggi
nell’iter
diagnostico
del
carcinoma
della
prostata
è
stata
aggiunta
la
risonanza
magnetica
multipara-‐
metrica
(mp-‐MRI)
che
ha
alcuni
vantaggi:
• riduce
il
numero
di
biopsie
necessarie
(quindi
il
carico
di
lavoro
dell’anatomopatologo),
poiché
identifica
i
noduli
verosimilmente
tumorali
e
in
generale
le
aree
sospette,
permettendo
di
fare
biopsie
mirate
invece
che
random
su
tutta
la
prostata:
di
conseguenza
non
vengono
intercettati
i
piccoli
focolai
ben
differenziati,
ma
questo
non
ha
un
impatto
sulla
prognosi,
che
dipende
dal
nodu-‐
lo
dominante;
• fa
vedere
le
lesioni
di
grado
intermedio
e
alto
(maggiore
di
1
secondo
Epstein),
ovvero
riconosce
meglio
i
tumori
che
hanno
una
componente
4
(più
aggressivi),
anche
se
non
vede
i
3+3
(meno
ag-‐
gressivi);
• localizza
la
lesione
intraprostatica
dominante,
migliorando
la
correlazione
clinico-‐patologica;
al
nodulo
sospetto
viene
attribuito
un
valore
(p-‐RATS)
che
va
da
1
a
5;
• aumenta
la
percentuale
di
cancro
nella
lunghezza
della
biopsia
(è
un
bene,
perché
si
evita
di
sotto-‐
stimare):
si
identifica
più
tumore
nelle
biopsie,
cosa
che
correla
meglio
con
le
dimensioni
del
tumo-‐
re
e
quindi
con
la
prognosi.
ATYPICAL
SMALL
ACINAR
PROLIFERATION
(ASAP)
L’ASAP,
proliferazione
microacinare
atipica,
è
una
categoria
in
cui
si
collocano
le
biopsie
sospette
ma
non
diagnostiche
per
adenocarcinoma
(non
è
una
entità
diagnostica);
non
è
una
diagnosi
finale,
infatti,
fatta
questa
diagnosi
di
incertezza,
si
fa
ripetere
la
biopsia
dopo
3
mesi,
necessari
per
far
recedere
la
flogosi
irri-‐
tativa
della
ghiandola
causata
dalla
procedura
invasiva,
e
durante
i
quali,
nel
caso
in
cui
ci
sia
un
cancro,
non
succede
niente.
Un
nome
errato
è
quello
di
“tessuto
prostatico
con
piccolo
focolaio
di
ghiandole
atipiche”:
potrebbe
fuor-‐
viare
sia
il
medico
che
il
paziente.
Infatti,
“atipico”
nella
dizione
inglese
si
riferisce
letteralmente
a
qualcosa
fuori
dalla
norma,
mentre
ben
più
spesso
è
usato
come
sinonimo
di
“neoplastico”.
La
percentuale
di
frequenza
di
ASAP
nelle
biopsie
prostatiche
deve
restare
intorno
al
4%.
Se
ci
si
discosta
da
queste
percentuali,
aumenta
la
probabilità
di
errore
del
patologo.
Ad
Ancona
viene
refertato
come
ASAP
il
4-‐5%
delle
biopsie
prostatiche.
MORFOLOGIA
Le
caratteristiche
principali
di
una
ASAP
so-‐
no
quattro:
• la
proliferazione
microacinare:
gli
acini
sono
più
piccoli
rispetto
a
quelli
di
una
ghiandola
normale,
• la
presenza
di
poche
cellule
con
nu-‐
cleolo
prominente,
• l’assenza,
ma
incerta,
di
cellule
ba-‐
sali
nei
preparati
colorati
con
EE,
• la
presenza
di
un
focolaio
piccolo
(solo
sei
ghiandole).
Di
solito,
non
si
riesce
a
fare
diagnosi
e
si
ricorre
a
questa
categoria
di
dubbio
perché:
• mancano
elementi
sufficienti
per
fare
diagnosi
di
cancro:
o il
focolaio
è
troppo
piccolo;
o si
sono
perse
delle
lesioni
nelle
sezioni
seriate
più
profonde;
o ci
sono
insufficienti
atipie
citologiche
e
architetturali:
non
tutti
i
nucleoli
sono
prominenti
e
manca
l’aspetto
infiltrativo;
• si
teme
di
non
rintracciare
il
cancro
nella
prostatectomia
radicale
(T0).
Se
il
patologo
fa
una
dia-‐
gnosi
di
cancro,
si
pone
l’indicazione
all’intervento:
un
eventuale
falso
positivo
ha
risvolti
estrema-‐
mente
importanti
(incontinenza
e
impotenza).
Pertanto,
si
adotta
un
approccio
difensivo:
si
indica
l’anomalia
e
si
ripete
la
biopsia.
ITER
DIAGNOSTICO
Quindi
l’ASAP
non
è
un’entità
diagnostica,
bensì
una
categoria
diagnostica
che
include
un
gruppo
di
lesioni
con
significato
clinico
variabile,
da
studiare
ulteriormente.
Non
è
una
diagnosi
finale
e
non
è
indicata
una
terapia
definitiva;
per
arrivare
alla
diagnosi
finale
si
applica
un
protocollo
codificato,
che
prevede
tre
step
(sequenziali):
1. applicare
tecniche
ancillari
(immunoistochimica)
alla
biopsia
iniziale;
2. inviare
la
biopsia
a
centri
di
riferimento
specialistici
(per
un
consulto);
3. ripetere
le
biopsie.
1.
Immunoistochimica
Con
l’immunoistochimica
si
cercano
le
cellule
basali
(nel
nucleo
p63,
nel
citoplasma
CK5/6
e
34βE12)
e
dell’epitelio
secretorio
(racemasi):
il
cancro
non
ha
cellule
basali
ed
esprime
la
racemasi.
Ci
sono
però
dei
limiti:
• le
cellule
basali
sono
assenti
o
ridotte
anche
in
alcune
lesioni
proliferative
benigne
(ad
esempio
nell’adenosi);
• la
racemasi
può
essere
espressa
anche
nel
tessuto
benigno,
soprattutto
vicino
ad
un
focolaio
di
car-‐
cinoma.
È
possibile
che
tessuto
benigno
circostante
non
vi
siano
modificazioni
morfologiche,
ma
esclusivamente
molecolari,
che
potrebbero
rappresentare
l’iniziale
trasformazione
in
senso
neopla-‐
stico.
Ci
sono
studi
che
dimostrano
che
nella
maggior
parte
dei
casi
l’immunoistochimica
è
dirimente.
Carcinoma
HG-‐PIN
Adenosi
(AAH)
Tessuto
benigno
Strato
c.
basali
Assente
Discontinuo
Assente/focale
Continuo
o
focalmente
discontinuo
Espress.
racemasi
80%
>
90%
17,5%
12%
2.
Richiesta
di
consulto
ai
centri
di
riferimento
Dal
consulto
potrebbe
emergere
che:
• la
lesione
atipica
sospetta
(ATYP
o
HGPIN)
è
un
cancro
(13,9%
dei
casi);
• la
lesione
atipica
sospetta
(ATYP
o
HGPIN)
è
un
tumore
benigno
(5,4%
dei
casi);
• la
diagnosi
di
cancro
viene
smentita
(3%
dei
casi).
3.
Ripetere
le
biopsie
• Nei
pazienti
con
età
inferiore
a
70
anni
le
biopsie
vanno
ripetute
dopo
3
mesi,
sempre
nella
stessa
zona.
Servono
tre
mesi
perché
la
flogosi
riparativa
causata
dal
campionamento
del
tessuto
potreb-‐
be
compromettere
la
qualità
del
campione.
Inoltre,
una
seconda
serie
di
biopsie
può
causare
una
prostatite
acuta,
con
possibile
exitus.
• Nei
pazienti
più
anziani,
è
l’urologo
a
stabilire
l’eventuale
necessità
di
nuove
biopsie.
Infatti,
l’80%
dei
pazienti
al
di
sopra
degli
80
anni
ha
un
adenocarcinoma
ben
differenziato,
da
seguire
con
sorve-‐
glianza
attiva.
Pertanto,
le
ulteriori
procedure
diagnostiche
perdono
importanza.
Un
adenocarci-‐
noma
di
alto
grado
avrebbe
già
dato
testimonianza
di
sé
anni
prima.
Ad
un
soggetto
di
75
anni
si
proporrà
dunque
una
terapia
ormonale
palliativa,
nel
tentativo
di
con-‐
trollare
la
crescita
neoplastica:
la
prostatectomia
radicale
o
la
radioterapia
avrebbero
troppi
effetti
collaterali.
Nel
ripetere
la
biopsia:
• occorre
concentrarsi
sulla
regione
in
cui
era
stata
rintracciata
l’atipia,
con
un
minor
campionamen-‐
to
delle
aree
restanti.
In
una
lesione
prostatica
intraepiteliale
di
alto
grado,
invece,
la
strategia
è
differente,
in
quanto
il
cancro
potrebbe
essere
presente
anche
in
regioni
differenti;
• il
cancro
è
trovato
nello
stesso
sito
in
cui
era
stata
individuata
la
lesione
atipica
nel
48%
dei
casi,
lo-‐
calizzato
nella
stessa
sede
delle
prime
biopsie
nel
20%
dei
casi;
• il
valore
predittivo
di
un
ASAP
per
cancro
nella
biopsia
successiva
è
alto,
di
circa
il
40%.
Negli
Stati
Uniti
dopo
una
certa
età
si
interrompe
lo
screening
con
il
PSA
(anche
se
l’aspettativa
di
vita
dei
maschi
si
è
ridotta).
Diagnosi
differenziale
dell’ASAP
L’ASAP
va
in
diagnosi
differenziale
con
quadri
comuni:
• adenocarcinoma
prostatico
(40%);
• atrofia
oppure
iperplasia
post-‐atrofica;
• iperplasia
delle
cellule
basali;
• lesione
delle
vescicole
seminali
o
dotti
eiaculatori,
e
anche
quadri
meno
comuni:
• adenosi19.
Talvolta
viene
confusa
con
un
ASAP,
in
particolare
nelle
biopsie
di
piccole
dimensioni,
poiché:
o ha
un
pattern
infiltrativo
alla
periferia;
o la
relazione,
sempre
presente,
con
gli
acini
ed
i
dotti
normali
non
è
sempre
osservabile;
o a
volte
ha
nucleoli
visibili
anche
se
non
prominenti;
o lo
strato
delle
cellule
basali
può
essere
particolarmente
frammentato;
o la
racemasi
è
positiva
del
18%
dei
casi;
• ghiandole
di
Cowper:
sono
ghiandole
muco-‐secernenti
localizzate
tra
l’uretra
prostatica
e
quella
peniena,
che
lubrificano
l’eiaculato,
favorendone
una
rapida
uscita.
L’epitelio
è
tipico
di
una
ghian-‐
dole
muco-‐secernente;
• adenoma
nefrogenico:
lesione
benigna
formata
da
cellule
origine
tubulare
(derivano
dall’epitelio
desquamato
dei
tubuli
renali).
Esprime
la
racemasi;
• iperplasia
della
mucosa
ghiandolare
del
vero
montano.
19
In
passato
era
denominata
“iperplasia
adenomatosa
atipica”,
ma
questo
termine
induceva
un
sospetto
di
neoplasia
nel
clinico
e
nel
paziente.
STUDIO
DELLA
PROSTATA
DOPO
PROSTATECTOMIA
RADICALE
Dopo
aver
effettuato
la
diagnosi
su
materiale
bioptico
di
adenocarcinoma
della
prostata,
in
base
ai
fattori
prognostici,
si
decide
il
tipo
di
intervento
successivo:
chirurgico,
con
terapia
medica,
di
sorveglianza
attiva,
palliativo.
In
caso
di
intervento
chirurgico
l’urologo
effettua
una
prostatectomia
radicale
e
il
pezzo
chirurgico,
ovvero
la
prostata
con
il
tessuto
periprostatico,
le
vescichette
seminali
e
il
segmento
terminale
del
dotto
deferen-‐
te,
viene
inviato
all’anatomia
patologia
per
essere
studiato.
PROCESSAZIONE
Consegnato
all’anatomia
patologica,
il
pezzo
chirurgico
viene
colorato
con
l’inchiostro
di
china
per
permettere,
in
fase
di
esame
microscopico,
lo
studio
dei
margini
(la
cui
positività
correla
con
il
rischio
di
recidiva).
Si
procede
quindi
la
processazione
e
il
campionamento,
che
deve
com-‐
prendere:
• l’apice:
va
studiato
per
identificare
l’estensione
della
neoplasia
in
questa
zona
e,
di
conseguenza,
un’eventuale
infiltrazione
dello
sfintere
esterno,
• il
corpo,
studiato
con
macrosezioni,
• la
base,
per
studiare
un
eventuale
interessamento
del
detrusore,
• le
vescichette
seminali,
che
vengono
aperte
a
sandwich,
e
il
dot-‐
to
deferente,
per
studiare
l’estensione
extraprostatica
della
neo-‐
plasia.
Se
non
si
applica
questa
procedura
per
il
taglio
e
il
campionamento
diventa
difficile:
• realizzare
correlazioni
tra
l’esplorazione
rettale,
l’ecografia
trans-‐rettale,
l’intervento
chirurgico
e
la
diagnosi
su
biopsia,
• definire
in
maniera
precisa
alcuni
aspetti
morfologici
che
hanno
valore
diagnostico
come
la
multi-‐
focalità
del
tumore
e
la
localizzazione
delle
lesioni
(soprattutto
di
quella
dominante).
Dall’osservazione
macroscopica,
e
soprattutto
microscopica
della
macrosezione
a
piccolo
ingrandimento,
si
possono
ricavare
alcune
informazioni
(che
si
perderebbero
se
non
si
facessero
le
macrosezioni),
quali:
• l’integrità
della
ghiandola
o,
al
contrario,
l’asportazione
incompleta.
Bisogna
studiare
se
la
prosta-‐
ta
è
stata
asportata
tutta:
in
caso
contrario
il
PSA
non
diventa
indosabile
e
rappresenta
un
marker
meno
affidabile
di
recidiva
durante
il
follow-‐up.
Può
capitare
infatti
che
l’urologo,
nel
seguire
i
con-‐
fini
della
prostata,
segua
una
strada
falsa,
ovvero
entri
nella
prostata
lasciandone
così
in
sede
una
porzione.
Comunque
per
comprendere
se
gli
eventuali
residui
non
rimossi
nel
paziente
contengano
o
meno
cancro
può
essere
utile
osservare
l’andamento
del
PSA
(stabile
o
in
rapido
aumento);
• la
presenza
o
assenza
del
tessuto
adiposo
periprostatico
posterolaterale,
che
contiene
i
nervi
eri-‐
gendi:
la
sua
assenza
è
indicativa
di
un
intervento
nerve-‐
sparing,
che,
se
bilaterale,
può
essere
causa
di
impotenza;
• gli
esiti
di
una
TURP,
che
sono
rappresentati
dal
lume
dell’uretra
prostatica
molto
dilatato.
Come
già
detto,
studian-‐
do
i
frammenti
della
TURP,
può
essere
diagnosticato
un
tumo-‐
re
nel
20%
dei
casi:
se
c’è
indicazione
si
effettua
una
prosta-‐
tectomia
radicale,
in
cui
si
può
osservare
un
tumore
della
zo-‐
na
di
transizione,
che
di
solito
cresce
anteriormente;
• gli
esiti
della
terapia
ormonale,
che
sono
rappresentato
da
un
parenchima
intensamente
colorato:
la
parte
chiara,
corri-‐
spondente
agli
acini,
è
pochissima
in
quanto
la
terapia
ormo-‐
nale
ha
mandato
in
atrofia
l’epitelio.
In
questo
caso
è
stato
ef-‐
fettuato,
dopo
la
terapia
ormonale,
una
prostatectomia
radi-‐
cale
di
salvataggio,
• l’estensione
extraprostatica
nel
retto
(pT4).
Durante
l’intervento,
in
caso
di
aderenza
con
il
retto
(quindi
se
s
livello
della
fascia
di
Denonviller
si
è
perso
il
piano
di
clivaggio,
si
asporta
anche
un
segmento
di
parete
rettale.
Questa
tecnica
delle
macrosezioni
permette
infine
di
inserire
nel
referto
una
sorta
di
mappa
grafica
della
prostata
in
cui
sono
evidenziate
le
aree
in
cui
è
presente
il
tumore.
REFERTAZIONE
La
refertazione
della
prostatectomia
radicale
deve
includere:
1. il
numero
e
le
dimensioni
dei
noduli
di
neoplasia,
in
particolare
del
nodulo
maggiore,
da
cui
dipen-‐
de
la
prognosi,
2. il
tipo
istologico
(v.
biopsia),
3. il
grading
(sistema
di
Gleason
e
di
Epstein),
4. la
stadiazione
pTNM,
lo
stato
dei
margini
(R)
e
l’invasione
linfovascolare
(LVI),
5. la
valutazione
delle
dimensioni
del
tumore.
In
base
al
referto,
quindi
a
questi
parametri
che
hanno
significato
prognostico,
si
programma
il
follow-‐up.
1.
NUMERO
DEI
NODULI
(STUDIO
DELLA
MULTIFOCALITA’)
Il
tumore
della
prostata
è,
fino
all’80%
dei
casi,
multifocale,
ovvero
caratterizzato
da
focolai
multipli.
Nella
refertazione
bisogna
identificare
tutti
i
noduli
e
definire
per
ognuno,
separatamente,
grado
e
dimensioni
(o
volume),
così
da
evitare
il
cosiddetto
“dilution
effect”
o
effetto
diluzionale
(che
determina
una
sottostima
del
potenziale
maligno
della
neoplasia;
per
esempio,
nel
caso
in
cui
ci
fossero
due
noduli
con
Gleason
score
rispettivamente
di
7
e
5,
si
attribuirebbe
un
Gleason
score
complessivo
di
6).
Però,
nella
definizione
della
prognosi
riveste
un
ruolo
di
primaria
importanza
il
nodulo
dominante,
che
è
di
solito
il
più
grande
e
con
il
grado
di
Gleason
più
alto.
Gli
altri
noduli
sono
di
solito
piccoli,
ben
differenziati
e
prognosticamente
meno
significativi;
basti
pensare
infatti
che
quando
c’è
indicazione
a
una
terapia
focale
(es.
crioterapia)
si
tratta
in
maniera
mirata
il
nodulo
dominante
e
quelli
più
piccoli
sono
lasciati
in
sede.
Inoltre,
di
solito,
è
il
nodulo
dominante
a
essere
responsabile
delle
metastasi,
che
possono
insorgere
anche
tardivamente;
infatti
da
uno
studio
pubblicato
sul
New
England
Journal
of
Medicine
è
emerso
che
le
cellule
di
una
metastasi
di
carcinoma
prostatico
hanno
le
stesse
caratteristiche
molecolari
e
genetiche
delle
cellule
del
nodulo
dominante.
Per
il
carcinoma
della
prostata
le
metastasi
possono
essere
parenchimali
(cerebrali,
polmonari,
ossee)
o
linfonodali
(linfonodi
retroperitoneali).
Altri
studi
dimostrano
che
la
progressione
di
malattia
correla
non
tanto
con
il
volume
totale
della
neoplasia
quanto
con
il
volume
del
nodulo
dominante.
In
sintesi
dalle
caratteristiche
del
nodulo
dominante
dipendono
la
progressione,
la
recidiva
locale
e
il
ri-‐
schio
di
metastasi
parenchimali
e
linfonodali.
2.
TIPO
ISTOLOGICO
Come
già
detto,
nella
maggior
parte
dei
casi
(95%)
il
tumore
è
di
tipo
acinare
(o
microacinare
o
acinare),
e
nella
refertazione
non
è
necessario
specificarlo,
data
la
frequenza
di
osservazione;
però,
nel
restante
5%
dei
casi
ci
sono
varianti,
che
vanno
identificate
e
refertate,
perché
possono
essere
associate
a
uno
specifico
si-‐
gnificato
prognostico,
ovvero
a
un
comportamento
più
aggressivo.
Per
le
caratteristiche
morfologiche
e
il
significato
delle
varianti
si
rimanda
alle
biopsie.
3.
GRADING
Il
grading
della
prostatectomia
radicale
si
calcola
con
gli
stessi
sistemi
utilizzati
per
le
biopsie
(peraltro
il
grading
delle
biopsie
predice
il
grading
che
si
troverà
nella
prostatectomia
radicale)
e
ha
un
importante
va-‐
lore
prognostico
in
quanto
predice
il
rischio
di:
• recidiva
biochimica,
• recidiva
locale,
• metastasi
linfonodali
o
a
distanza.
Un
importante
fattore
prognostico
è
la
quantità
di
pattern
4,
infatti
si
è
visto
che
i
pattern
3+3
e
quelli
3+4
con
poco
4
sono
sovrapponibili.
I
clinici
utilizzano
dei
modelli
statistici
predittivi,
detti
normogrammi,
che,
in
base
a
parametri
prognostici
come
il
numero
delle
biopsie
positive,
lo
score
di
Gleason
(costantemente
inclusa
in
tutti
i
normogrammi),
il
valore
del
PSA,
e
altri,
definiscono
l’iter
terapeutico,
il
tipo
di
intervento
(se
fare
o
meno
la
linfoadenecto-‐
mia).
Infatti,
per
esempio,
sono
molti
i
parametri
da
considerare
per
calcolare
il
rapporto
rischi/benefici
di
una
linfoadectomia,
i
cui
effetti
collaterali
sono
il
linfedema
e
il
linfocele20.
20
Ectasia
di
tipo
cistico
dei
vasi
linfatici,
che
esita
in
una
raccolta
extraperitoneale
di
linfa,
conseguenza
di
interventi
chirurgici
che
richiedano
l'asportazione
di
linfonodi.
Questa
raccolta
liquida
determina
compressione
sulle
grosse
vene
con
il
rischio
di
formazione
di
trombosi
venosa.
Si
tratta
in
laparoscopia
si
creando
una
comunicazione
tra
linfocele
e
peritoneo.
In
questo
modo
la
linfa
potrà
essere
assorbita
dalla
membrana
peritoneale
4.
STADIAZIONE
TNM
E
STATO
DEI
MARGINI
La
stadiazione
TNM
è
sottoposta
a
continue
revisioni,
a
causa
dell’avanzamento
della
conoscenza
della
ma-‐
lattia.
Inizialmente
era
utilizzata
per
descrivere
il
tumore,
poi
anche
come
fattore
prognostico.
La
stadiazione
dell’anatomopatologo
(pTNM)
si
effettua
sul
pezzo
chirurgico
di
prostatectomia
totale
e
ini-‐
zia
dal
T2;
infatti
il
T1
è
una
categoria
clinica
(usata
solo
nel
cTNM).
Distinguiamo,
secondo
l’8°
edizione
del
TNM:
• Tx:
il
tumore
primitivo
non
può
essere
definito
(categorizzato);
• T0:
non
evidenza
del
tumore
primitivo;
• pT2:
tumore
intraprostatico;
• pT3:
tumore
con
estensione
extraprostatica:
o pT3a:
estensione
extraprostatica
o
invasione
microscopica
del
collo
vescicale;
il
chirurgo
cer-‐
ca
di
risparmiare
il
più
possibile
il
detrusore,
o pT3b:
invasione
delle
vescichette
seminali
(una
o
entrambe);
• pT4:
invasione
del
retto
e/o
della
vescica.
E’
utile
fare
alcune
considerazioni:
• il
cT1
corrisponde
a
un
tumore
clinicamente
non
apprezzabile,
non
palpabile
né
visibile
con
le
im-‐
magini;
di
solito
è
un
adenocarcinoma
diagnosticato
nel
tessuto
derivante
da
una
TURP.
Distin-‐
guiamo,
in
base
a
quanto
è
estesa
la
neoplasia
nei
pezzi
che
arrivano
al
patologo:
o T1a:
tumore
scoperto
casualmente
nel
5%
o
meno
del
tessuto
asportato
in
seguito
a
TURP
(è
un
piccolo
focolaio
di
adenocarcinoma),
o T1b:
tumore
scoperto
casualmente
in
più
del
5%
del
tessuto
asportato
in
seguito
a
TURP,
o T1c:
tumore
diagnosticato
mediante
biopsia,
ad
esempio,
a
causa
del
PSA
elevato,
non
palpabi-‐
le
né
visibile
mediante
la
diagnostica
per
immagini
(se
l’esplorazione
rettale
è
positiva
si
passa
a
un
cT2)];
• nella
vecchia
stadiazione
(7°
edizione)
lo
stadio
pT2
era
suddiviso
in
tre
sottostadi:
o pT2a,
se
c’è
un
focolaio
monolaterale
che
interessa
la
metà
o
meno
di
un
lobo,
o pT2b,
se
c’è
un
focolaio
monolaterale
che
interessa
più
della
metà
di
un
lobo
ma
non
entrambi
i
lobi,
o pT2c,
se
interessa
entrambi
i
lobi.
Ma
si
è
visto
che
questa
sottoclassificazione,
effettuata
dai
clinici
e
acquisita
dai
patologi,
era
priva
di
valore
prognostico,
ovvero
che
la
prognosi
non
peggiora
con
il
progredire
delle
lettere
(pT2a
e
pT2b
sono
sovrapponibili);
tuttavia
il
clinico
la
conserva
(cT2a,
cT2b,
cT2c)
per
modulare
la
terapia
chirurgica
o
radiologica
(es.
individuare
il
campo
da
irradiare).
Dai
dati
della
letteratura
sta
invece
emergendo
che,
in
questo
stadio,
è
prognosticamente
molto
in-‐
formativo,
a
differenza
della
precedente
sottoclassificazione,
la
multifocalità,
il
grado
delle
singole
lesioni
e
il
volume
del
tumore;
si
è
visto
che
un
tumore
inferiore
a
0,5
cc
non
è
aggressivo.
Estensione
extraprostatica
(pT3a)
In
caso
di
estensione
extraprostatica
(EPE,
anche
definita
extracapsulare,
ma
impropriamente
perché
la
prostata
non
ha
una
capsula
come
la
tiroide),
il
tumore
esce
dai
confini
anatomici
della
prostata,
ovvero
giunge
per
infiltrazione
diretta
o
perineurale
nel
tessuto
adiposo
extraprostatico,
ricco
di
vasi
capillari
e
nervi
(compresi
quelli
erigendi
nella
porzione
posterolaterale);
così,
proprio
a
causa
della
fitta
rete
capilla-‐
re,
aumenta
la
probabilità
di
metastasi.
• L’osservazione
di
tessuto
adiposo
infiltrato
rappresenta
la
manifestazione
più
facilmente
identifi-‐
cabile
di
EPE.
Però,
in
alcune
sedi,
il
tessuto
adiposo
non
c’è;
[e
si
può
fare
diagnosi
di
pT3
in
assen-‐
za
di
coinvolgimento
del
tessuto
adiposo
quando:
o il
tumore
si
porta
oltre
il
contorno
anatomico
della
ghiandola,
anche
anteriormente,
o il
tumore
si
porta
oltre
le
fibre
muscolari
lisce
della
prostata
condensate
nella
porzione
poste-‐
riore
e
posterolaterale
o c’è
una
reazione
stromale
desmoplastica].
Nel
dettaglio,
per
esempio,
nella
parte
anteriore
della
prostata,
a
differenza
di
quella
laterale
e
po-‐
sterolaterale,
è
quasi
del
tutto
assente
il
tessuto
adiposo
ed
è
quindi
più
complesso
identificare
un’eventuale
EPE.
In
questi
casi
si
traccia
sulla
macrosezione
una
linea
a
livello
dei
confini
anato-‐
mici
ipotetici
della
prostata
e
si
diagnostica
il
pT3a
se
il
tumore
si
trova
al
di
fuori
di
questa
linea
di
confine.
I
tumori
che
danno
EPE
anteriore
sono
i
tumori
della
zona
di
transizione
associati
all’iperplasia,
che
non
crescono
postero-‐lateralmente
a
causa
di
una
fascia
connettivale
di
contenimento
interposta
tra
la
parte
centrale
e
quella
periferica
della
prostata.
Peraltro,
questi
tumori
sono
difficili
da
biopsare
per
via
transrettale
(la
biopsia
transrettale
campiona
la
regione
periferica
e
in
parte
quella
di
transizione;
è
più
utile
in
questi
casi
una
biopsia
trans-‐perineale
che
campiona
sia
la
pare
perife-‐
rica
sia
quella
anteriore)
e
vanno
operati
chirurgicamente
con
cautela
perché
anteriormente
HUMAN PATHOLOGY alla
Volume 29,
prostata
c’è
un
plesso
vascolare.
ent by
• Dopo
averla
individuato,
l’EPE
va
quantificata:
LO L1 L2 L3 patien
diatio
in
passato
si
definiva
focale
se
nel
tessuto
ci
, , , F : E
evide
sono
poche
ghiandole
e
non
focale
(o
diffusa)
of th
comp
se
ce
ne
sono
molte.
Oggi
si
parla
di
EPE:
censo
o focale
se
l’estensione
è
compresa
tutta
in
P
tion a A
un
campo
a
40x;
semia
o non
focale
se
si
estende
oltre
un
capo
a
Serum
21 were
40x
altrimenti
è
estesa .
the di
Questa
differenza
ha
un
impatto
prognostico
The p
(mean
in
quanto
correla
con
la
probabilità
di
pro-‐ negat
gressione
(recidiva
biochimica,
recidiva
locale
0.5 to
withd
e
metastasi
a
distanza),
che
è:
FIGURE 1. Levels of prostatic capsular invasion modified from their
Stamey et al 18and Wheeler 11(see text for definitions). Extrapros- date o
o del
13,5%
se
il
tumore
è
confinato
nell’organo,
tatic extension designated as L3 signifies extension of tumor S
into periprostatic soft tissue, which may be subclassified as
o del
21,2%
se
c’è
EPE
focale,
focal (L3F) or established (L3E). The sharpness of the boundaries ing fr
metho
o del
65,4%
se
c’è
EPE
non
focale.
between prostatic stroma, capsule, and adipose tissue is
betwe exaggerated for clarity.
factor
21 were
Questa
valutazione
assomiglia
un
po’
alla
valutazione
dell’estensione
questioned nel
the derma
very dexistence
el
melanoma
of a capsule, a5 As a practical serum
matter, if the tumor is 1 to 2 small gland diameters from
the radica
extraprostatic adipose tissue, this is coded as level 2, even if a prosta
layer more fibrous than muscular cannot be recognized. with r
The presence or absence of SVI and +LN was also chi-sq
recorded. Tumor volume (TTV, in cm 3) was calculated from ordin
each tumor map as described previously.16 The level and
Un’alternativa
per
quantificare
l’EPE
potrebbe
essere
calcolare
la
distanza
radiale
(come
si
fa
con
il
melanoma22),
ovvero
quanto
misura
in
millimetri
la
porzione
più
distante
della
neoplasia
dalla
su-‐
perficie
prostatica;
infatti
si
è
visto
che
maggiore
è
la
distanza
radiale,
peggiore
è
la
prognosi:
in
particolare,
la
distanza
focale
di
0,75
mm
rappresenta
un
cut-‐off
con
valore
prognostico
(se
la
di-‐
stanza
radiale
è
maggiore
di
0,75
mm,
la
prognosi
è
peggiore).
• Nel
pT3a
è
stata
inclusa
l’invasione
microscopica
del
collo
vescicale.
Infatti,
un
tumore
che
interes-‐
sa
primariamente
la
base
della
prostata
può
estendersi
al
collo
vescicale,
perché
in
questa
sede
lo
stroma
prostatico
muscolare
liscio
è
in
continuità
e
si
interseca
direttamente
con
lo
stroma
del
muscolo
detrusore
della
vescica;
pertanto
l’urologo
quando
esegue
la
prostatectomia
porta
via
an-‐
che
una
piccola
parte
del
collo
vescicale
e
se
in
quella
sede
il
patologo
trova
neoplasia,
essa
viene
considerata
un’estensione
extra-‐prostatica.
• Esiste
un
rapporto
tra
PSA
ed
EPE,
basata
anche
sullo
score
di
Gleason.
Ad
esempio
se
il
PSA
è
di
10
e
il
Gleason
di
5,
la
probabilità
di
un’estensione
extra-‐prostatica
è
del
30%;
se
il
PSA
è
di
10
ma
il
Gleason
di
8,
la
probabilità
sale
a
80%.
Stato
dei
margini
chirurgici
(R)
Nella
prostata
la
valutazione
dei
margini
chirurgici
è
importante,
come
nel
carcinoma
lobulare
della
mam-‐
mella,
dove
però,
se
i
margini
sono
positivi,
si
può
reintervenire
con
un
intervento
di
recupero
e
allargarsi
nella
resezione;
nel
carcinoma
della
prostata
invece,
poiché
si
effettua
una
prostatectomia
radicale,
non
ha
senso
reintervenire.
Il
margine,
R
(in
passato
significava
“residuo”),
può
essere:
• R0:
negativo
o
libero
o
assente,
• R1:
positivo/non
libero
microscopico
(margine
chirurgico
positivo
istologicamente),
• R2:
positivo/non
libero
macroscopico
(margine
chirurgico
positivo
visto
a
occhio
nudo).
Per
lo
studio
dei
margini
chirurgici
si
procede
con
l’inchiostrazione
del
pezzo
chirurgico
con
la
china:
l’inchiostro
nero
di
china
è
adatto
perché
crea
un
ottimo
contrasto
con
il
rosa
della
EE.
Se
si
osserva
al
mi-‐
croscopio
elettronico
che
c’è
inchiostro
sulle
cellule
tumorali,
vuol
dire
che
la
neoplasia
è
stata
intercettata
con
il
taglio,
quindi
che
il
margine
è
positivo23
(R1),
e
che
probabilmente
è
rimasto
del
tumore
nel
paziente,
che
può
essere
responsabile
di
una
recidiva
biochimica
e
locale.
Un
margine
chirurgico
positivo
può
essere:
• extraprostatico,
se
il
tumore
è
molto
esteso,
anche
al
di
fuori
dei
confini
anatomici
della
ghiandola,
e
raggiunge
la
superficie
di
resezione;
in
questo
caso
il
tumore
che
presentava
estensione
extrapro-‐
statica
era
così
grande
che
non
si
è
stati
in
grado
di
asportarla
completamente,
• intraprostatico,
se,
soprattutto
nel
tentativo
di
eseguire
un
intervento
nerve
sparing,
si
effettua
il
taglio
al
confine
della
prostata
stessa,
e
si
lascia
per
errore
un
residuo
di
ghiandola
in
loco.
In
que-‐
sto
caso
non
si
riesce
a
capire
quanto
la
neoplasia
vada
lontano
da
quel
margine
positivo
e
quindi
se
il
tumore
sia
intraprostatico
(pT2)
o
se
ci
sia
stata
EPE
(pT3a);
pertanto
si
attribuisce
lo
stadio
pT2+
(o
pT2x,
per
sottolineare
il
fatto
che
non
si
può
determinare
il
tessuto
rimasto
al
di
là
del
mar-‐
gine).
22
Lo
spessore
di
infiltrazione
del
melanoma
si
calcola
non
partendo
dallo
strato
corneo
ma
da
quello
granuloso,
perché
lo
strato
corneo
sovrastante
non
è
uniforme
ma
suscettibile
e
variabile
a
seconda
degli
stimoli
cui
è
sottoposto
(vedi
raschiamento).
23
A
volte
il
margine
può
essere
equivoco:
la
neoplasia
arriva
molto
vicino
al
margine
ma
non
si
capisce
se
lo
tocca
o
meno.
Uno
studio
ha
verificato
che
in
pazienti
in
cui
il
margine
era
stato
considerato
negative,
ma
con
neoplasia
molto
vicina
ad
esso,
c’è
un
rischio
considerevole
di
recidiva
biochimica:
questo
dipende
dal
fatto
che
non
possiamo
sapere
cosa
accade
nella
profondità
delle
sezioni,
che
comunque
hanno
un
certo
spessore.
È
possibile
che
ci
sia
un
margine
positivo
in
profondità
che
non
riusciamo
a
valutare.
E’
importante
quantificare
l’estensione
del
margine
positivo,
che
dipende
dal
numero
dei
blocchetti
in
cui
ci
sono
i
margini
positivi
e
dalla
lunghezza
in
mm
del
margine
R1;
infatti
in
base
a
quest’ultimo
parametro
un
margine
positivo
può
essere:
• focale,
se
minore
o
uguale
a
3
mm,
• esteso,
se
maggiore
di
3
mm;
oltre
questo
cut-‐off
peggiora
molto
la
prognosi.
Il
margine
positivo
predice
la
probabilità
di
progressione
di
malattia,
quindi
di
recidiva
biochimica
e
locale:
ha
pertanto
un
valore
prognostico;
inoltre,
si
è
visto
che
c’è
una
relazione
tra
il
grado
di
Gleason
della
neo-‐
plasia
che
determina
la
positività
del
margine
e
la
progressione
della
malattia.
Lo
stato
del
margine,
inoltre,
permette
anche
di
misurare
le
abilità
tecniche
del
chirurgo
per
esempio
nell’ambito
di
controlli
di
qualità
(proprio
come
l’ASAP
per
il
patologo):
troppi
margini
chirurgici
positivi
im-‐
pattano
negativamente
sulla
qualità
delle
prestazioni
del
chirurgo.
Pertanto
i
patologi
specificano
la
localiz-‐
zazione
del
margine
chirurgico
positivo,
così
da
fornire
all’urologo
un
feedback
e
facilitarlo
nel
migliorare
e
raffinare
la
tecnica
chirurgica.
Oltre
che
dipendere
dalla
tecnica,
un
margine
chirurgico
posi-‐
tivo
può
anche
essere
dovuto
al
fatto
di
aver
operato
un
pa-‐
ziente
con
malattia
localmente
molto
avanzata,
che
non
sa-‐
rebbe
eleggibile
all’intervento
(perché
esso
non
migliora
la
sopravvivenza).
Il
margine
chirurgico,
in
alcuni
casi,
potrebbe
essere
un
arte-‐
fatto,
per
esempio
se
si
apre
una
fessura
durante
l’intervento
e
i
sui
limiti
vengono
colorati
dall’inchiostro,
o
se
in
un
punto
si
stacca
la
fascia
a
causa
del
maneggiamento
incauto
dell’organo
durante
l’intervento24
(cosa
possibile
perché
la
prostata
è
allocata
nello
scavo
pelvico,
una
zona
angusta
dove
è
difficile
operare):
in
questi
casi
potrebbe
esserci
un
margine
positivo
artefattuale.
Questi
errori
artefattuali
possono
essere
evitati
con
un
corretto
campionamento;
per
esempio
avvicinando
corret-‐
tamente
i
margini
prima
dell’inchiostrazione.
In
caso
di
margine
positivo
si
fa
la
terapia
adiuvante
con
radioterapia
sull’anastomosi,
che
impatta
negati-‐
vamente
sulla
cicatrizzazione,
sulla
incontinenza
e
sulla
vescica
e
sul
retto
(dove
può
causare
rispettivamen-‐
te
una
cistite
e
una
proctite
attinica),
e
ormonoterapia
(che
rende
più
sensibili
le
cellule
alla
radioterapia).
Interessamento
del
collo
vescicale
Una
sede
critica
in
cui
può
insorgere
il
tumore
è
la
base
della
prostata
in
cui
il
tessuto
muscolare
e
stromale
prostatico
è
in
continuità
con
quello
del
muscolo
detrusore
della
vescica
(che
a
livello
del
collo
vescicale,
in
prossimità
della
prostata,
ha
anche
una
funzione
di
sfintere
interno,
fondamentale
nell’impedire
l’eiaculazione
retrograda).
L’urologo
durante
la
prostatectomia
taglia
la
prostata
a
livello
della
base,
cercando
di
risparmiare
il
più
pos-‐
sibile
la
vescica
e
il
detrusore;
comunque,
a
causa
di
questa
continuità
anatomica,
il
confine
tra
i
due
organi
non
è
netto
e
di
conseguenza
questa
area
deve
essere
studiata
attentamente
per
distinguere,
in
pratica,
se
un’eventuale
neoplasia
della
base
della
prostata
si
trova
ancora
nella
prostata
o
già
ha
iniziato
a
infiltrare
il
collo
della
vescica,
anche
solo
microscopicamente
(cambia
la
stadiazione):
• se
si
osserva
un
tumore
con
ghiandole
normali,
vuol
dire
che
siamo
nella
prostata
e
quindi
che
la
neoplasia
della
base
della
prostata
è
ancora
localizzata
nell’organo
(pT2);
• se
si
osserva
un
tumore
senza
ghiandole
normali,
vuol
dire
che
siamo
nel
collo
della
vescica
e
quin-‐
di
che
la
neoplasia
della
base
della
prostata
ha
un’estensione
extraprostatica
e
ha
iniziato
a
infiltra-‐
re
il
collo
della
vescica
in
maniera
microscopica
(pT3a;
prima
era
un
pT4
e
si
trattava
con
RT
adiu-‐
vante)
o
macroscopica
(pT4,
più
aggressivo
e
prognosticamente
peggiore).
Se
per
la
base
è
la
presenza
o
l’assenza
di
ghiandole
prostatiche
normali
a
definire
l’eventuale
EPE,
per
l’apice
non
c’è
un
criterio,
e
in
caso
di
interessamento
delle
fibre
muscolari
scheletriche
del
muscolo
sfinte-‐
re
esterno,
il
tumore
viene
considerato
ancora
intraprostatico
(pT2).
Interessamento
delle
vescichette
seminali
(pT3b)
Le
vescichette
seminali,
situate
posteriormente
sotto
la
base
del
collo
vescicale,
sono
interessate
se
il
tumore
si
porta
nella
tonaca
muscola-‐
re
liscia
delle
vescichette
seminali.
In
questo
caso
il
tumore
diventa
un
pT3
e
prognosticamente
negativo;
non
è
comunque
necessario
studiare
nella
loro
interezza,
ma
è
mandatorio
campionare
la
giun-‐
zione
tra
le
vescichette
seminali
e
la
prostata.
Come
già
detto,
esse
possono
essere
raggiunte
dal
tumore
per
tre
vie
(che
non
hanno
un
diverso
significato
prognostico):
attraverso
l’EPE,
per
via
linfo-‐vascolare,
lungo
il
dotto
eiaculatore
(questo
vale
soprat-‐
tutto
per
i
tumori
della
zona
centrale).
24
Esempio:
banderella
di
tessuto
staccata
dal
margine
che
espone
il
tessuto
sottostante
alla
colorazione
con
l’inchiostro:
il
margine
appare
positivo.
In
realtà
quella
banderella
se
ribaltata
idealmente
e
riposizionata
nella
sua
se-‐
de
originale
va
a
coprire
il
margine
che
poteva
sembrare
inizialmente
positivo
e
in
realtà
non
lo
è.
Quella
banderella
è
stata
creata
dal
chirurgo
che
aveva
inizialmente
stretto
troppo
il
margine
di
sezione
e
si
è
successivamente
corretto
riallargandolo.
5.
DIMENSIONI
DEL
TUMORE
Bisogna
infine
fornire
le
dimensioni
del
tumore.
Non
c’è
un
accordo
a
livello
internazionale
su
come
il
vo-‐
lume
del
tumore
vada
calcolato.
Negli
Stati
Uniti
ad
esempio
si
misura
il
diametro
del
tumore
nelle
sezio-‐
ni
in
cui
il
tumore
ha
diametro
maggiore.
In
altre
parti
si
calcola
il
volume,
che
è
più
preciso.
Certo
è
che
il
volume
della
neoplasia
(e
anche
del
nodulo
dominante)
correla
con
la
recidiva
biochimica,
e
quindi
ha
valore
prognostico.
SINTESI
DELLA
REFERTAZIONE
Il
referto
isto-‐patologico
deve
contenere
un
riassunto
che
deve
essere
chiaro.
Le
informazioni
in
esso
conte-‐
nute
servono
al
clinico
per
la
prognosi
e
per
decidere
cosa
fare
dopo
l’intervento
chirurgico.
Per
esempio:
in
caso
di
tumore
con
un
nodulo
dominante
a
destra,
che
interessa
la
base
con
estensione
extraprostatica
a
livello
del
tessuto
adiposo,
con
margine
positivo
e
altro
nodulo
contro
laterale,
il
referto
può
essere:
• (y)
pT3a
(m,2)
(focal
EPE),
R1
(focal),
LVI
0,
Mx:
o (y):
indica
che
il
paziente
ha
ricevuto
terapia
ormonale
neoadiuvante,
o pT3a:
indica
che
il
tumore
ha
un’estensione
extraprostatica,
o (m2):
sta
per
multifocale
con
2
focolai,
o focal
EPE:
estensione
extraprostatica
focale,
o R1:
indica
un
margine
positivo
microscopico,
o LVI
0:
sta
per
Linfo
Vascular
Invasion
assente,
o Mx:
metastasi
non
note,
cioè
non
si
hanno
informazioni
a
riguardo.
• Volume
della
neoplasia
totale:
0,9
cc
• Volume
del
nodulo
dominante:
0,7
cc.
• Diametro:
1,32
cm.
• Gleason
score
7
(4+3)
nel
nodulo
domi-‐
nante;
%
del
tumore
con
un
grado
di
Gleason
pari
a
4:
10%
(si
fornisce
la
per-‐
centuale
della
componente
a
più
alto
grado).
• Grado
della
neoplasia
a
ridosso
del
mar-‐
gine
positivo:
grado
3
(più
alto
è
più
pro-‐
babile
è
la
recidiva)
• Mappa
del
tumore
(v.
fig.).
VARIANTI
DELL’ADENOCARCINOMA
PROSTATICO
Come
già
detto,
più
del
95%
dei
tumori
della
prostata
è
di
tipo
acinare
(o
microacinare
o
convenzionale):
EUROPEAN UROLOGY 62 (2012) 20–39 23
[(Fig._3)TD$IG] assomiglia
quindi
all’epitelio
secretorio
degli
acini
ed
è
formato
da
cellule
cilindriche
con
nucleo
atipico.
Nel
restante
5%
dei
casi
ci
sono
varianti
che
riflet-‐ Table 2 – Reporting recommendations for prostate cancer variants
tono
le
variazioni
morfologiche
a
cui
può
andare
Variant Gleason grade
incontro
l’epitelio
normale
dei
dotti
e
degli
acini.
Atrophic 3
In
queste
varianti,
il
Gleason
score
si
calcola
nella
Pseudohyperplastic 3
Foamy 3 or 4 (depending on architecture)
maggior
parte
dei
casi
perché
rappresenta
un
fon-‐ Vacuoles 3, 4, or 5 (extract vacuoles/grade architecture)
damentale
fattore
prognostico;
infatti
esse,
nella
Mucinous (colloid) Either 4 (based on extracellular mucin alone)
or 3 or 4 (extract mucin/grade architecture)
gran
parte
dei
casi,
non
hanno
un
comportamento
Ductal *
4
Sarcomatoid 5 (glandular component graded separately)
particolare:
però
devono
essere
identificate
per
al-‐ Signet ring cell 5
lertare
il
patologo
nella
diagnosi
differenziale
di
Small cell/ Not graded
neuroendocrine
alcuni
aspetti
comuni
alla
patologia
benigna
e
mali-‐ Squamous Not graded
Basaloid Not graded
gna.
*
Like a number of other variants, ductal carcinoma is typically associated
Nel
dettaglio
è
importante
conoscere
tali
varianti
del
carcinoma
prostatico
in
quanto:
with acinar (conventional) adenocarcinoma. Recently, ductal carcinomas
• alcuni
pattern
possono
simulare
lesioni
benigne
e
determinare
misinterpretazioni
diagnostiche,
with stratified or ‘‘high grade PIN-like’’ morphology [17] have been
Fig. 3 – Glomerulations demonstrating significant morphologic overlap described, typically associated with Gleason pattern 3. Finding ductal
with and • alcuni
transition istotipi
Gleason
to cribriform possono
essere
pattern associati
a
differenti
4 carcinoma. outcome
carcinoma clinici,
would warrant assigning a Gleason pattern 5.
with comedonecrosis
tico
(c’è
un
buco
vuoto
nella
cellula),
The Gleason grading of a number of variants has been
modified from the original system, as reflected in Table 2.
7. la
variante
pleiomorfa
a
cellule
giganti,
analoga
Fig. 4 – Gleason score 3 + 4 = 7 carcinoma. Note multiple poorly formed Thea
qgroup
uella
of
della
vescica,
tumors is a controversial and
mucin-related
glands with 8. ill-defined
la
variante
luminasand/orarcomatoide,
analoga
incomplete nuclear a
quella
della
complement. vescica.
evolving area within Gleason grading. Carcinomas associ-
ated with extravasated mucin (either focal or abundant)
and/or mucinous fibroplasia present a diagnostic challenge
1.
ADENOCARCINOMA
ACINARE
ATROFICO
because of significant distortion of tumor architecture [23].
Rispetto
all’atrofia,
una
lesione
benigna
in
cui
c’è
diminu-‐
glands cannot account for the histology’’ would be diagnos- In the biopsy context, it is difficult to evaluate true
able as Gleason pattern 4 [16], a determination that in many mucinous (colloid) carcinoma, which requires the presence
zione
delle
dimensioni
degli
acini
alla
periferia
del
sistema
cases necessitates evaluation of multiple levels and sections of >25% mucin pools for its diagnosis [24]. However,
duttulo-‐acinare
of such glands. (le
cellule
sono
appiattite,
con
scarso
carcinomas
ci-‐ with mucinous features, typically composed of
toplasma
e
i
nuclei
sono
appiattiti
alla
periferia),
il
carci-‐
noma
prostatico
acinare
atrofico
presenta
una
o
più
tra
Table 3 – Reporting recommendations for special Gleason grading scenarios
le
seguenti
caratteristiche:
Scenario Recommendation
• ha
un
aspetto
maggiormente
infiltrativo,
rappre-‐
sentato
da
ghiandole
tumorali
atipiche
che
infil-‐
Only one grade present (eg, GG 3)
Abundant high-grade cancer (eg, GG 4) with <5% lower-grade cancer
Double that grade (assign GS 3 + 3 = 6)
Ignore the lower-grade cancer (assign GS 4 + 4 = 8)
Smaller focus trano
with mostlylo
sGG
troma
circostante
4 and few glands of GG 3(ci
sono
quindi
ghian-‐
Since GG 3 occupies >5%, include lower-grade cancer (assign GS 4 + 3 = 7)
Abundant GG 3 with any extent of GG 4 Include the higher grade (assign GS 3 + 4 = 7)
Three grades (eg,dole
GG i3,
solate
4, and 5) interposte
present tra
ghiandole
benigne),
Classify as high grade (assign most common plus highest grade)
NB: multiple cores showing different grades—cores submitted Assign separate GS to each core
separately and/or with designated location
NB: multiple cores showing different grades—all cores were Assign overall GS for the specimen
submitted in one container or cores are fragmented
• può
essere
associato
a
un
carcinoma
prostatico
non
atrofico
(aspetto
classico),
• presenta
una
prominente
atipia
citologica,
che
è
nucleare
(nucleoli
prominenti),
• l’immunoistochimica
è
negativa
per
i
marker
delle
cellule
basali
(es.
citocheratine
ad
alto
peso
mo-‐
lecolare)
e
positiva
per
la
racemasi
(nell’atrofia
benigna
è
il
contrario).
Questi
aspetti
permettono
di
dirimere
il
quesito
diagnostico
differenziale
con
l’atrofia
semplice
(v.
fig.)
e
l’iperplasia
post-‐atrofica,
condizioni
che
tuttavia
presentano
delle
caratteristiche
peculiari
assenti
in
questa
variante
di
carcinoma,
quali:
• la
configurazione
lobulare:
possiamo
ancora
identificare
il
dot-‐
to
e
gli
acini
periferici,
anche
se
ridotti
di
dimensioni;
• la
basofilia
citoplasmatica
(rispetto
all’epitelio
normale),
sia
apicale
sia
laterale,
dovuta
alla
mancanza
di
differenziazione
ci-‐
toplasmatica
in
termini
di
secrezione
di
PSA,
• lo
stroma
sostituito
da
fibrosi
(ha
un
aspetto
pallido),
esito
di
infiammazione
che
ha
distrutto
le
cellule
muscolari
lisce
e
por-‐
tato
alla
proliferazione
del
tessuto
connettivo,
con
deposizione
peri-‐acinare
di
collagene.
Nello
adenocarcinoma,
la
reazione
stromale
è
un
evento
estremamente
infrequente.
2.
ADENOCARCINOMA
(PSEUDO)IPERPLASTICO
L’adenocarcinoma
iperplastico
è
formato
da
ghiandole
simili
a
quelle
riscontrabili
nei
noduli
dell’iperplasia
della
zona
di
transizione
(in
cui
si
osserva
un
aumento
delle
ghiandole
e
dello
stroma).
Questa
variante,
che
non
è
specifica
della
zona
di
transizione,
è
caratterizzata
da:
• l’affollamento
e
lo
stipamento
ghiandolare:
tra
le
ghiandole
c’è
poco
stroma
interposto
(come
nell’iperplasia);
le
ghiandole,
oltre
ad
essere
iperplasti-‐
che,
sono
irregolari
da
un
punto
di
vista
morfologico
già
a
basso
ingrandimento
(alcune
sono
più
grandi,
al-‐
tre
più
piccole),
e
sono
formate
da
cellule
con
citopla-‐
sma
abbondante
e
finemente
granulare
che
formano
introflessioni
o
papille
come
nel
nodulo
iperplastico;
• l’associazione
con
il
carcinoma
acinare
usuale,
• la
presenza
di
nuclei
atipici,
• l’assenza
dello
strato
di
cellule
basali
sia
all’EE
sia
all’immunoistochimica,
• la
positività
immunoistochimica
per
la
racemasi;
co-‐
munque
il
circa
un
quarto
dei
casi
di
adenocarcinoma
iperplastico
la
racemasi
può
essere
negativa.
Nei
casi
dubbi
alla
biopsia,
se
l’immunoistochimica
non
è
dirimente,
si
pone
la
diagnosi
di
ASAP:
si
aspetta-‐
no
3
o
6
mesi
e
si
ripete
la
biopsia.
Si
è
visto
che,
qualora
non
venisse
riconosciuto
un
adenocarcinoma
pseudo-‐iperplastico,
dopo
3/6
mesi
il
paziente
non
mostra
progressione
della
malattia:
questo
è
un
vantag-‐
gio
dei
carcinomi
della
prostata,
ovvero
crescono/evolvono
molto
lentamente.
Invece,
l’assenza
di
questi
cinque
reperti
depone
a
favore
di
una
diagnosi
di
iperplasia
prostatica
della
zona
di
transizione
(assenza
di
affollamento
ghiandolare
e
irregolarità
morfologica,
dell’associazione
con
un
adenocarcinoma
usuale,
nuclei
con
morfologia
tipica,
presenza
dello
strato
di
cellule
basali,
negatività
per
la
racemasi).
3.
ADENOCARCINOMA
MICROCISTICO
L’adenocarcinoma
microcistico
è
una
variante
dell’adenacarcinoma
acinare
che
simula
l’atrofia
cistica
be-‐
nigna
della
zona
periferica:
è
una
lesione
in
cui
il
secreto
si
accumula
negli
acini,
probabilmente
perché
i
dotti
principali
sono
strozzati
dalla
fibrosi
e
quindi
ostruiti;
di
conseguenza
gli
acini
si
dilatano25
(un
po’
co-‐
me
nella
mastopatia
fibrocistica)
e
presentano
nel
lume
un
accumulo
di
cristalloidi
(rosa).
Nel
dettaglio,
l’adenocarcinoma
microcistico
è
caratterizzato
da:
• un
aspetto
che
a
basso
ingrandimento
simula
una
lesione
benigna;
• la
localizzazione
prevalente
nella
zona
periferica;
• la
presenza
della
dilatazione
cistica
del-‐
le
ghiandole,
che
sono
rivestite
da
uno
strato
di
cellule
luminali
appiattite
e
pe-‐
rò
conservano
un
contorno
arrotonda-‐
to,
nell’ambito
di
un
adenocarcinoma
usuale;
• la
frequente
associazione
con
ad
adenocarcinoma
atrofico
(si
osservano
in
uno
stesso
vetrino
acini
atrofici
e
ghiandole
dilatate)
e/o
pseudo-‐iperplastico
e/o
classico;
• l’atipia
nucleare
(nuclei
grandi
e
nucleoli
prominenti);
invece
l’atrofia
cistica
benigna
presenta
all’EE
nuclei
non
atipici
(regolari,
piccoli,
rotondi,
ipercromatici
quindi
con
cromatina
addensata);
• la
positività
per
la
racemasi
e
negatività
per
la
p63;
nell’atrofia
cistica
benigna
invece
c’è
negatività
per
la
racemasi
e
positività
per
la
p63
(c’è
lo
strato
di
cellule
basali):
quindi
l’immunoistochimica
è
dirimente
per
la
diagnosi
differenziale;
• un
comportamento
aggressivo:
è
spesso
associato
a
estensione
extra-‐prostatica
(sempre
assente
nell’atrofia
cistica
benigna).
4.
ADENOCARCINOMA
A
CELLULE
SCHIUMOSE
L’adenocarcinoma
a
cellule
schiumose
è
una
variante
dell’adenocarcinoma
acinare
che
può
creare
un
pro-‐
blema
diagnostico
soprattutto
nelle
piccole
biopsie:
simula
le
cellule
schiumose
dell’iperplasia
cribriforme
a
cellule
chiare
della
zona
di
transizione
(CCCH);
è
caratterizzato
da:
• piccoli
acini
infiltrativi
e
affollati
formati
da
cellule
cilin-‐
driche
con
un
citoplasma
xantomatoso
caratteristico,
ampio
e
finemente
granulare,
e
con
un
nucleo
ipercroma-‐
tico
privo
di
atipia
nucleare
classica
(non
si
osservano
nu-‐
clei
grandi
e
nucleoli
prominenti)
disposto
alla
base,
verso
lo
stroma,
• margini
di
tipo
compressivo
e
raramente
infiltrativo,
• una
secrezione
rosa
intraluminale,
presente
in
circa
la
metà
dei
casi,
• la
positività
per
racemasi
(incostante)
e
la
negatività
per
i
marker
delle
cellule
basali
(aspetto
maggiormente
diri-‐
mente),
25
Questa
lesione
ricorda
molto
da
vicino
la
mastopatia
fibrocistica
della
mammella:
“fibro-‐“
in
quanto
si
ha
fibrosi
che
sostituisce
in
parte
il
tessuto
adiposo
della
mammella
e
“cistica”
in
quanto
si
osservano
ghiandole
e
dotti
con
lume
ampio,
dilatato
a
causa
dello
strozzamento
esercitato
dalla
fibrosi
stessa.
• lo
stesso
significato
prognostico
all’adenocarcinoma
acinare
(c’è
una
sovrapposizione
delle
curve
di
sopravvivenza
in
assenza
di
metastasi):
al
netto
le
ghiandole
non
sono
molto
diverse
da
quelle
normali
né
sono
fuse,
quindi
questa
variante
non
ha
una
particolare
aggressività
e
ha
uno
score
di
Gleason
3+3
(perché
le
ghiandole
sono
separate
e
l’aspetto
è
omogeneo).
La
prognosi
dipende
quindi
dal
grado
e
dall’estensione
della
lesione;
in
questo
caso,
può
essere
re-‐
perta
un’estensione
extraprostatica,
anche
di
tipo
linfonodale,
che
peggiora
radicalmente
la
pro-‐
gnosi.
Il
riconoscimento
di
tale
istotipo
non
ha
significato
prognostico
bensì
diagnostico:
occorre
riconoscerlo
e
differenziarlo
da
una
lesione
benigna,
ovvero
dall’iperplasia
cribriforme
a
cellule
chiare,
in
cui
si
osservano
la
presenza
dello
strato
delle
cellule
basali,
un
aspetto
architetturale
cribriforme
con
lumi
accessori,
cellule
con
citoplasma
chiaro
a
un
po’
schiumoso,
nuclei
non
atipici.
E’
una
modificazione
benigna
dell’epitelio
del-‐
la
zona
di
transizione
che
si
trova
in
associazione
all’iperplasia
e
che
va
in
diagnosi
differenziale
con
l’adenocarcinoma
a
cellule
schiumose.
5.
ADENOCARCINOMA
COLLOIDE
(MUCINOSO)
L’adenocarcinoma
colloide
è
una
variante
che
produce
muco
che
si
accumula
nello
stroma
(aspetto
patognonomico):
almeno
il
25%
del
tumore
resecato
contiene
laghi
di
mucina
extra-‐
cellulare,
accanto
a
gruppi
di
cellule
atipiche.
• Ha
un’incidenza
dello
0,3%.
I
pazienti
presentano
un’età
media
di
56
anni
(44-‐69)
con
un
elevato
PSA
sierico
(in
media
9
ng/ml);
il
tumore
conserva
infatti
la
capacità
di
produrre
il
PSA,
e
questo
aiuta
nella
diagnosi
differen-‐
ziale
con
una
metastasi
di
tumore
del
tubo
gastro-‐
enterico.
Se
è
espresso
il
PSA
è
un
pT2
della
prostata
variante
colloide,
se
non
è
espresso
potrebbe
essere
una
metastasi
di
un
tumore
del
tratto
gastroenterico
(M1):
cambia
completamente
la
prognosi.
• La
prognosi
di
questa
variante
è
sovrapponibile
a
quella
di
un
adenocarcinoma
usuale.
• Il
grading
di
un
adenocarcinoma
con
caratteristiche
mucinose
deve
essere
basato
sul
sottostante
pattern
architetturale
piuttosto
che
considerare
tutte
le
ghiandole
come
un
pattern
4.
Occorre
estrapolare
l’architettura
dal
contesto
circostante
caratterizzato
dalla
deposizione
di
mucina.
• Oltre
alla
diagnosi
differenziale
con
un
tumore
secondario
metastatico,
può
andare
in
diagnosi
dif-‐
ferenziale
con
un
tumore
uroteliale
infiltrante
la
prostata,
un
tumore
vescicale
infiltrante
la
prosta-‐
ta,
un
tumore
mucinoso
uretrale
che
si
porta
alla
prostata.
6.
VARIANTE
SIGNET
RING-‐LIKE
La
variante
signet
ring-‐like
è
una
variante
caratterizzata
da
una
architettura
solida,
dunque
si
tratta
di
una
forma
di
alto
grado
(pattern
5).
E’
formata
da
cellule
simili
a
quelle
con
anello
con
castone:
ma
in
questo
caso,
al
posto
del
vacuolo
di
muco,
è
presente
un
lume
intracitoplasmatico26
(vacuolo
vuoto);
infatti
le
cel-‐
26
Anche
nel
carcinoma
lobulare
della
mammella
si
possono
osservare
dei
piccoli
lumi
intracitoplasmatici;
ricordiamo
che
il
carcinoma
della
mammella
può
essere
lobulare
o
duttale,
ed
entrambi
possono
essere
in
situ
(preinvasivi)
o
infil-‐
tranti.
Il
carcinoma
lobulare
in
situ
si
localizza
nei
lobuli:
essi
presentano
lume
dilatato
e
sono
ripieni
di
cellule
solide;
quando
evolve
nella
forma
infiltrante
le
cellule
circondano
il
dotto
centrale:
si
osservano
cellule
singole
che
formano
lule
neoplastiche
della
prostata,
che
ten-‐
dono
ad
formare
ghiandole
e
quindi
a
ri-‐
produrre
l’architettura
del
tessuto
di
ori-‐
gine,
quando
non
riescono
ad
aggregarsi
e
a
delimitare
un
lume,
formano
autono-‐
mamente
dei
lumi
nel
citoplasma.
Le
cellule
sono
inoltre
caratterizzate
da
un
nucleo
spostato
in
periferia
e
dalla
positività
al
PSA
(questo
permette
la
dia-‐
gnosi
differenziali
con
le
cellule
signet
ring
gastriche);
lo
stroma
è
negativo
al
PSA.
8.
LINFOEPITELIOMA-‐LIKE
La
variante
linfoepitelioma-‐like
è
caratterizzata
da
uno
stroma
con
un
ricco
infiltrato
infiammatorio
(quindi
ricco
di
cellule
neoplastiche
e
linfociti):
assomiglia
al
linfoepitelioma
(carcinoma
linfoepiteliale)
del
rinofa-‐
ringe
o
tumore
di
Schmincke.
È
un
tumore
che
risponde
alla
terapia,
anche
quando
ha
dato
metastasi
late-‐
ro-‐cervicali,
proprio
a
causa
di
questo
infiltrato
linfocitario
stromale.
VARIANTE
DUTTALE
DELL’ADENOCARCINOMA
Un
tempo
si
pensava
che
l’adenocarcinoma
duttale
derivasse
dall’utricolo
prostatico,
poiché
inizialmente
fu
identificato
lì,
poi
si
è
visto
che
origina
nei
dotti,
diffonde
verso
l’uretra
prostatica
e
infiltra
il
vero
mon-‐
tano
e
l’utricolo
secondariamente
(così
come
il
carcinoma
duttale
mammella
cresce
in
maniera
pagetoide
e
infiltra
secondariamente
il
capezzolo).
In
passato,
era
anche
detto
di
tipo
endometrioide
per
la
sua
archi-‐
tettura
papillare
o
cribriforme,
simile
a
quella
del
carcinoma
endometriale
(peraltro
l’utricolo
è
l’equivalente
dell’utero
nel
maschio).
E’
un
istotipo
di
alto
grado
la
cui
aggressività,
maggiore
dell’acinare,
è
testimoniata
dalla
crescita
papillare,
cribriforme,
solida,
e
con-‐
fluente:
c’è
un
fronte
di
avanzamento
ben
de-‐
limitato.
Deriva
dai
grandi
dotti,
e
in
parte
dagli
acini27,
della
prostata
che
sboccano
a
livello
del
vero
montano,
ed
è
caratterizzato
da
ghiandole
separate
con
un
epitelio
pluristratificato
in
alcune
zone
e
pseudostratificato
in
altre
(in
quest’ultimo
caso
va
in
diagnosi
differenziale
con
l’acinare),
formato
da
cellule
colonnari
a
citoplasma
anfofilo.
Esprime
i
recettori
per
gli
androgeni.
una
fila
indiana
che
crescono
in
modo
concentrico
attorno
a
dotti
presistenti.
Invece,
il
carcinoma
duttale
tende
a
formare
aree
solide
(noduli).
Anche
il
tumore
plasmacitoide
della
vescica
è
formato
da
cellule
singole
che
formano
file
indiane
e
assomigliano
a
pla-‐
smacellule
che
alcune
volta
hanno
un
lume
nel
citoplasma.
27
Il
termine
“duttale”
non
indica
che
necessariamente
il
tumore
nasca
dai
dotti:
può
originare
sia
dai
dotti
che
dagli
acini
(ciò
che
lo
differenzia
dall’acinare
è
la
morfologia).
Si
osserva
in
circa
l’8%
delle
biopsie.
Presenta
diversi
pattern
istologici,
che
hanno
valore
prognostico28:
• pattern
papillare
(grado
4
di
Gleason),
caratterizzato
da
invaginazioni
e
protrusioni
(papille)
all’interno
dei
lumi,
e
da
cellule
in
parte
stratificate.
È
il
pattern
più
frequente,
e
presenta
positività
per
la
racemasi,
i
recettori
per
gli
androgeni
(il
carcinoma
endometrioide
dell’endometrio
è
positivo
per
gli
estrogeni
e
p53).
E’
più
aggressivo
perché
non
forma
ghiandole
ben
delimitate,
ma
strutture
fuse;
• pattern
cribriforme
(grado
4
di
Gleason),
con
cellule
stratificate
(se
non
sono
stratificate
è
acina-‐
re29);
• pattern
solido
(grado
5
di
Gleason);
• pattern
a
ghiandole
separate
o
PIN-‐like
(grado
3
di
Gleason):
è
un
pattern
che
simula
un
adenocarcinoma
del
colon30
o
una
neoplasia
intraepiteliale
di
alto
grado
(HG-‐PIN).
A
differenza
di
un
PIN
di
alto
grado,
nella
variante
PIN-‐like
sono
assenti
le
cellule
basali.
Poiché
è
a
ghiandole
separate
(né
fuse,
né
solide),
con
un
epitelio
pluri-‐
o
pseudo-‐stratificato,
il
pattern
è
di
tipo
3
(è
meno
aggressivo
dei
precedenti),
e
c’è
in-‐
filtrazione
perineurale.
Il
paziente
che
presenta
un
carcinoma
duttale
a
ghiandole
individuali,
può
essere
trattato
con
la
sor-‐
veglianza
attiva,
approccio
terapeutico
generalmente
inusuale
nel
contesto
di
un
carcinoma
duttale.
VARIANTI
DEL
CARCINOMA
PROSTATICO
INSORTE
IN
POST-‐TERAPIA
(ORMONALE
O
RADIANTE)
In
pazienti
con
carcinoma
della
prostata
trattato
con
radioterapia
e
ormonoterapia
per
molto
tempo
può
esserci
una
selezione
di
cellule
tumorali,
responsabili
dell’insorgenza
di
alcune
varianti
molto
aggressive
dell’adenocarcinoma
che
vengono
trattate,
se
la
neoplasia
progredisce,
con
un
intervento
di
salvataggio.
28
E’
il
pattern
a
determinare
la
prognosi:
“duttale”
o
“acinare”
(ovvero
la
stratificazione
delle
cellule
epiteliali)
non
impattano
sulla
prognosi.
Il
tipo
di
crescita
è
l’altro
elemento
fondamentale:
la
crescita
solida
ha
una
prognosi
negati-‐
va.
29
La
stratificazione
ci
permette
di
distinguere
un
carcinoma
duttale
dall’acinare:
essa
è
comune
a
tutti
i
carcinoma
dut-‐
tali,
mentre
nell’acinare
l’epitelio
rimane
monostratificato,
secretorio
con
citoplasma
tendenzialmente
chiaro.
30
Occasionalmente
le
ghiandole
prostatiche
atipiche
possono
essere
separate,
quindi
non
fuse
e
simulare
un
adeno-‐
carcinoma
del
colon.
Quando
viene
riscontrata
una
lesione
di
questo
tipo
si
deve
innanzitutto
escludere
che
si
tratti
di
un
tumore
invasivo
che
origina
da
organi
adiacenti
(ad
esempio
un
carcinoma
del
retto
che,
dopo
aver
superato
la
pa-‐
rete,
invade
il
tessuto
adiposo
extrarettale
e
da
lì
può
entrare
direttamente
nella
prostata,
si
tratta
di
un
T4)
o
di
una
lesione
secondaria.
Quando
troviamo
un
carcinoma
di
tipo
colon
nella
prostata,
in
primo
luogo
dobbiamo
pensare
qual
è
la
sede
più
frequente
di
un
adenocarcinoma
di
tipo
colon
e
quindi
dobbiamo
pensare
che
sia
una
lesione
secondaria
(analogamente
quando
nel
polmone
abbiamo
un
adenocarcinoma
di
tipo
intestinale,
prima
di
accertarlo
come
pri-‐
mitivo
polmonare,
dobbiamo
pensare
che
sia
una
metastasi:
tra
metastasi
e
carcinoma
primitivo
cambia
la
pro-‐
gnosi.
Nel
polmone
all’immunoistochimica
la
positività
per
TTF1
indica
tumore
primitivo
del
polmone).
Questo
discorso
vale
sempre:
quando
si
individua
un
tumore
in
una
sede
inusuale,
prima
di
considerarlo
positivo,
si
deve
escludere
che
sia
un
tumore
secondario.
Altro
esempio:
se
si
riscontra
un
carcinoma
a
piccole
cellule
nella
prostata,
pri-‐
ma
di
definirlo
prostatico
bisogna
pensare
che
la
sede
più
frequente
del
carcinoma
a
piccole
cellule
è
il
polmone
e,
quando
questo
diventa
esteso,
dal
polmone
può
arrivare
a
tutti
gli
organi,
fino
a
dare
metastasi
anche
nella
prostata.
Tali
varianti
sono:
1. il
carcinoma
sarcomatoide
(carcinosarcoma),
2. il
carcinoma
squamocellulare
o
adenosquamoso,
3. i
tumori
neuroendocrini,
4. la
variante
pleomorfa
a
cellule
giganti.
Gli
ultimi
due,
in
quanto
possono
insorgere
anche
nella
vescica,
vanno
in
diagnosi
differenziali
con
tumori
della
vescica
che
hanno
invaso
la
prostata.
1.
CARCINOMA
SARCOMATOIDE
(CARCINOSARCOMA)
Il
carcinoma
sarcomatoide
della
prostata
è
una
variante
caratterizzata
da
una
componente
a
cellule
fusate
pleiomorfe
associata
a
una
componente
ghiandolare
acinare;
se
inoltre
compare
una
differenziazione
ete-‐
rologa
(il
tumore
inizia
a
produrre
osso,
muscolo,
cartilagine,
tessuto
adiposo,
etc.)
si
parla
di
carcinosar-‐
coma.
• Insorge
in
pazienti
con
età
media
di
70
anni
e
con
anamnesi
positiva
per
adenocarcinoma
prostatico
(nei
6
mesi
–
16
anni
precedenti),
trattato
con
te-‐
rapia
radiante,
ormonale,
brachiterapia
o
terapia
di
combinazione.
• La
componente
sarcomatoide
è
associata
a
una
componente
ghiandolare
di
tipo
acinare
che
cresce
nel
lume
un
po’
con
aspetto
glomeruloide
e
cribri-‐
forme.
• E’
una
forma
di
alto
grado,
che
all’immunoistochimica,
nelle
aree
mesenchimali,
è
negativa
per
l’EMA
(marker
epiteliale)
e
il
PSA
e
positiva
per
la
SMA
(actina
del
muscolo
liscio,
espressa
dalla
componente
mesenchimale
e
indicativa
di
una
differenziazione
neoplastica
eterologa).
Le
cellule
acinari
invece
risultano
ancora
positive
a
EMA.
• E’
un
forma
altamente
aggressiva
insensibile
all’ormonoterapia
e
alla
radioterapia.
La
prognosi
è
molto
sfavorevole
ed
è
indicata
la
prostatectomia
di
salvataggio,
molto
demolitiva
(non
prevede
la
nerve-‐sparing).
2.
CARCINOMA
SQUAMOCELLULARE
O
ADENOSQUAMOSO
Un
adenocarcinoma
dopo
la
terapia
può
diventare
un
carcinoma
squamoso,
così
come
una
neoplasia
in-‐
traepitaliale
di
alto
grado
(v.
dopo).
Questa
variante,
poco
frequente
e
altamente
aggressiva,
è
caratterizzata
dalla
positività
per
la
CK
ad
alto
peso
molecolare
(34βE12)
e
dalla
negatività
per
il
PSA.
3.
TUMORI
NEUROENDOCRINI
Come
nella
vescica,
nella
prostata
possono
insorgere
tumori
neuroendocrini,
spesso
associati
ad
alcune
forme
di
terapia
che
hanno
indotto
una
selezione
di
cloni
neoplastici
proliferanti.
Sono
tumori
che
crescono
molto
velocemente
ed
esprimono
un
potenziale
infiltrativo
rilevante
nei
confronti
degli
organi
circostanti
(a
partire
dalla
vescica).
Nella
maggior
parte
dei
casi
i
tumori
neuroendocrini
della
prostata
hanno
una
com-‐
ponente
“adeno-‐“
per
cui
è
necessario
un
trattamento
adeguato
ad
entrambi
gli
istotipi.
Distinguiamo:
• l'adenocarcinoma
con
differenziazione
neuroendocrina
(misto).
Poiché
le
cellule
staminali
della
prostata
sono
in
grado
fisiologicamente
di
evolvere
sia
verso
le
cellule
secretorie
(che
producono
PSA)
sia
verso
le
cellule
neuroendocrine
(che
producono
fattori
trofici
per
la
sopravvivenza
della
ghiandola;
sono
poche),
nei
pazienti
sottoposti
a
blocco
androgenico,
diminuiscono
le
cellule
stami-‐
nali
con
i
recettori
per
gli
androgeni
e
viene
quindi
inibita
la
differenziazione
verso
le
cellule
secreto-‐
rie:
di
conseguenza
le
cellule
staminali
vanno
incontro
a
differenziazione
neuroendocrina
(che
di-‐
venta
reponderante).
Talvolta
la
differenziazione
neuroendocrina
può
presentarsi
come
metaplasia
intestinale
con
evi-‐
denziazione
di
cellule
simili
alle
cellule
di
Paneth
(a
questa
componente,
in
tal
caso,
non
occorre
as-‐
segnare
un
grado
di
Gleason);
• il
tumore
neuroendocrino
ben
differenzia-‐
to
(carcinoide).
E’
un
tumore
molto
raro
che
può
simulare
una
metastasi
di
carci-‐
noma
solido
del
polmone,
ed
è
l’unico
che
può
insorgere
anche
non
dopo
terapia.
Il
problema
è
che
l’adenocarcinoma
pro-‐
statico
acinare,
quando
assume
un
pattern
5,
può
simulare
un
carcinoide:
in
tal
caso
occorre
distinguere
queste
due
condizioni,
che
hanno
due
prognosi
differenti;
infatti,
un
adenocarcinoma
prostatico
con
pat-‐
tern
5
ha
un
Gleason
Score
10
(5+5),
ed
è
particolarmente
aggressivo,
mentre
un
tumore
neuroendocrino
ben
differenziato
ha
una
prognosi
favorevole.
Nei
casi
dubbi,
si
esegue
l’immunoistochimica
per
cromogranina
A,
sinaptofisina
e
CD56:
l’adenocarcinoma
prostatico
usuale
è
negativo
a
tali
marcatori
(al
massimo
mostra
una
focale
posi-‐
tività,
per
la
presenza
fisiologica
di
cellule
staminali
neuroendocrine
deputate
al
trofismo
ghiandola-‐
re),
invece
il
carcinoide
mostra
una
positività
diffusa;
• il
carcinoma
neuroendocrino
a
piccole
cellule,
che
va
in
diagnosi
differenziale
con
le
metastasi
pro-‐
statiche
delle
neoplasie
neuroendocrine
a
piccole
cellule
del
polmone
o
della
vescica.
Per
distinguere
una
forma
primitiva
da
una
metastatica,
può
essere
utile
vedere
se
sono
presenti
cellule
che
producono
il
PSA.
Se
non
si
riscontra
un’associazione
con
un
adenocarcinoma
prostatico
usuale,
occorre
verificare
un’eventuale
origine
vescicale
per
mezzo
dell’immunoistochimica
per
p63
e
GATA-‐3.
Il
TTF1
non
è
dirimente
perché
è
espresso
da
polmone,
vescica
e
prostata.
Un
altro
problema,
che
di
solito
non
impatta
sulla
terapia,
è
capire,
quando
si
osserva
un
tumore
neuroendocrino
molto
esteso
nella
prostata
e
nella
vescica,
stabilire
quale
sia
l’organo
di
origine:
in
genere
si
tratta
di
un’evoluzione
di
un
carcinoma
acinare
o
duttale;
• il
carcinoma
neuroendocrino
a
grandi
cellule,
che
in
più
dell’80%
dei
casi,
insorge
in
paziente
con
storia
di
adenocarcinoma
prostatico
di
lunga
data
trattato
con
terapia
ormonale.
E’
formato
da
grandi
cellule,
con
rapporto
nucleo-‐citoplasma
basso,
nuclei
non
prominenti,
croma-‐
tina
finemente
dispersa,
positività
immunoistochimica
per
marker
neuroendocrini.
Ha
la
medesima
prognosi
del
carcinoma
neuroendocrino
a
piccole
cellule,
a
differenza
del
qual
presenta
aree
di
ne-‐
crosi
e
citoplasma
più
grande.
Non
si
applica
il
sistema
di
Gleason
in
quanto
i
tumori
sono
solidi:
si
usa
lo
score
dei
tumori
neuroendocrini.
4.
VARIANTE
PLEOMORFA
A
CELLULE
GIGANTI
[La
variante
pleomorfa
a
cellule
giganti
è
estremamente
rara
e
va
in
diagnosi
differenziale,
in
quanto
è
morfologicamente
uguale,
con
il
carcinoma
uroteliale
pleomorfo
che
ha
invaso
o
metastatizzato
nella
pro-‐
stata.
Per
dirimere
la
diagnosi
differenziale,
da
cui
dipende
la
terapia,
occorre
ricercare
la
componente
differen-‐
ziata
associata:
se
è
di
origine
uroteliale
è
positivo
per
p63
e
GATA-‐3,
se
è
di
origine
prostatica,
è
positivo
al
PSA].
ALTRE
VARIANTI
DEL
CARCINOMA
PROSTATICO
CARCINOMA
BASOCELLULARE
Il
carcinoma
basocellulare31
è
un
tumore
raro
che
origina
dallo
strato
delle
cellule
basali,
a
differenza
dei
tumori
visti
fino
ad
ora
che
originano
dallo
strato
delle
cellule
secretorie
(l’adenocarcinoma
prostatico
aci-‐
nare
e
le
sue
varianti
non
originano
mai
dallo
strato
delle
cellule
basali).
Non
produce
il
PSA,
in
quanto
non
deriva
dalle
cellule
acinari,
e
si
comporta
proprio
come
il
carcinoma
ba-‐
socellulare
della
cute:
tendenzialmente
non
dà
metastasi
e
tende
a
crescere
localmente
(quindi
non
porta
a
morte);
va
distinto
dall’iperplasia
delle
cellule
basali,
rispetto
al
quale
presenta
i
seguenti
criteri
di
maligni-‐
tà,
utili
per
la
diagnosi
differenziale:
• infiltrazione
estensiva
dello
stroma
interposto
tra
le
normali
ghiandole
prostatiche,
• estensione
extra-‐prostatica,
• invasione
peri-‐neurale,
• necrosi,
• istologia.
La
negatività
al
PAS
è
fondamentale
per
la
diagnosi
differenziale
con
l’adenocarcinoma.
CARCINOMA
UROTELIALE
Il
carcinoma
uroteliale
della
prostata
è
un
tumore
microci-‐
stico
che
deriva
dall’urotelio
che
riveste
l’uretra
prostatica
o
da
un
tumore
uroteliale
più
a
monte
che
desquama
e
le
cui
cellule,
trasportate
dall’urina,
si
impiantano
nella
prostata.
Differenti
sono
i
carcinomi
uroteliali
nella
prostata,
che
de-‐
rivano
da
una
infiltrazione
per
continuità
di
un
carcinoma
della
vescica32.
E’
caratterizzato
da
negatività
per
PSA
e
positività
per
p63
e
GATA-‐3
e
uroplachina.
31
Assomiglia
ai
carcinomi
della
cute
e
delle
ghiandole
salivari.
La
ghiandola
salivare
è
pleomorfa
e
contiene
due
strati
di
cellule,
una
secretoria
e
una
mioepiteliale:
un
adenoma
pleiomorfo
è
una
proliferazione
che
ha
una
componente
basale
(mioepiteliali)
e
una
luminale;
la
proliferazione
delle
sole
cellule
basali
causa
iperplasia
basale
o
carcinoma
ba-‐
socellulare.
32
In
tal
caso
è
indicata
la
cistoprostatectomia
a
cui,
in
generale,
si
ricorre
quando
un
tumore
della
vescica
infiltra
la
tonaca
muscolare,
perché
è
elevato
il
rischio
che
esso
sia
associato
a:
1)
un
tumore
prostatico
(in
tal
caso
si
parla
di
pT4
della
vescica);
2)
un
tumore
uroteliale
dell’uretra
prostatica
(più
raramente
dell’uretra
peniena)
che
deriva
da
car-‐
cinoma
uroteliale
vescicale
(cellule
neoplastiche
che
si
sono
staccate
e
si
sono
impiantate
a
valle
dando
un
carcinoma
infiltrante).
Questo
tumore
è
GATA3
positivo
e
uroplachina
positivo.
LESIONI
PRENEOPLASTICHE
DELLA
PROSTATA
Nella
prostata,
in
una
piccola
percentuale
di
casi,
possono
essere
reperte,
come
nella
mammella,
lesioni
preinvasive
e
preneoplastiche,
che,
in
base
all’associazione
con
l’adenocarcinoma,
sono
divise
in:
Possiamo
dividere
le
lesioni
preneoplastiche
in
2
grandi
gruppi:
1. lesioni
strongly
implicated,
strettamente
collegate
allo
sviluppo
e
alla
presenza
di
adenocarcinoma;
si
distinguono
in:
• neoplasia
prostatica
intraepiteliale
di
alto
grado
(HG-‐PIN),
• carcinoma
intraduttale
della
prostata
(IDC-‐P).
Sono
due
lesioni
che
in
qualche
modo
possono
rappresentare
diversi
stadi
evolutivi
dello
sviluppo
della
neoplasia
in
situ
(così
come
nella
mammella
i
carcinomi
intraduttali
presentano
vari
gradi
nu-‐
cleari:
basso
grado
e
alto
grado);
2. lesioni
weakly
implicated,
non
strettamente
associate
allo
sviluppo
di
adenocarcinoma;
esse
sono:
• neoplasia
prostatica
intraepiteliale
di
basso
grado
(LG-‐PIN),
• [adenosi;
in
passato,
• atrofia
ghiandolare
associata
a
infiammazione
(PIA);
in
passato33].
Studiamo
nel
dettaglio
la
PIN
di
alto
grado
e
il
carcinoma
intraduttale.
NEOPLASIA
PROSTATICA
INTRAEPITELIALE
DI
ALTO
GRADO
(HG-‐PIN)
34
La
PIN
rappresenta
la
principale
lesione
preneoplastica
(è
l’analogo
della
CIN
della
cervice);
nella
tratta-‐
zione
di
questa
lesione,
quindi
nell’iter
diagnostico,
occorre
prendere
in
considerazione
tre
aspetti:
1. la
morfologia
della
lesione,
2. il
rapporto
l’adenocarcinoma
prostatico;
3. il
significato
clinico
dell’HG-‐PIN
isolato
in
una
biopsia
prostatica.
1.
STUDIO
MORFOLOGICO
DELLA
LESIONE
Morfologia
(EE)
Per
quanto
riguarda
le
caratteristiche
istologiche
dell’HG-‐PIN,
si
osserva
a
basso
ingrandimento
(10x)
che:
• il
rivestimento
epiteliale
dei
dotti
e
degli
acini
preneoplastici
è
più
scuro
rispetto
a
quello
che
rive-‐
ste
gli
acini
e
i
dotti
normali,
perché
il
citoplasma
non
è
differenziato
e
non
secerne
PSA
(normal-‐
mente
le
cellule
epiteliali
prostatiche
hanno
un
citoplasma
chiaro
e
finemente
granulare
per
la
produ-‐
zione
di
PSA);
• l’epitelio
è
più
spesso
perché
formato
da
più
strati
(stratificazione
delle
cellule
secretorie),
• le
cellule
tendono
a
crescere
nel
lume
(pattern
di
crescita
intraluminale).
33
La
PIA
(atrofia
infiammatoria
proliferativa)
in
passato
veniva
vista
come
una
fase
iniziale
della
trasformazione
neoplastica.
Si
pensava
che
una
infiammazione
cronica
nella
zona
periferica
inducesse
una
maggiore
proliferazio-‐
ne,
quindi
una
maggiore
probabilità
di
trasformazione
neoplastica.
Oggi
non
c'è
evidenza
che
la
flogosi
provochi
una
modificazione
tale
da
causare
l'insorgenza
di
una
neoplasia,
perciò
la
presenza
di
una
zona
di
atrofia
nella
zona
periferica
con
associata
un'infiammazione
non
è
più
vista
come
una
lesione
preneoplastica.
34
Ricordiamo
altre
neoplasie
intraepiteliali:
CIN:
Cervical
Intraepithelial
Neoplasia,
VIN:
Vulvar
Intraepithelial
Neopla-‐
sia,
VaIN:
Vaginal
Intraepithelial
Neoplasia,
PeIN:
Penile
Intraepitelial
Neoplasia.
Ad
alto
ingrandimento
(40x)
si
osservano:
• stratificazione
nucleare
di
grado
variabile
con
ingrandimento
nucleare;
c’è
quindi
una
stratificazione
delle
cellule,
• nuclei
grandi
e
ipercromatici
(vengono
così
definiti
in
base
al
confronto
col
tessuto
cir-‐
costante),
simili
a
quelli
dell'adenocarcino-‐
ma,
• nucleoli
prominenti35.
Analogamente
a
quello
che
accade
in
altri
organi
(mammella36,
vescica,
intestino37,
cervice)
esiste
uno
spettro
morfologico
continuo
che
comprende:
• la
morfologia
normale,
• la
PIN
di
basso
grado38
(PIN
1),
formata
da
cellule
con
nuclei
grandi
ma
nucleoli
non
prominenti
(rappresenta
una
fase
iniziale
della
cancerogenesi),
• la
PIN
di
alto
grado
(PIN
2
e
3),
formato
da
cellule
simili
a
quelle
dell’adenocarcinoma
microacinare
con
pattern
3
secondo
Gleason:
ci
sono
nuclei
grandi
e
nucleoli
prominenti.
Rappresenta
il
più
pro-‐
babile
precursore
dell’adenocarcinoma,
in
accordo
verosimilmente
a
tutte
le
evidenze
finora
dispo-‐
nibili,
• l’adenocarcinoma
(carcinoma
infiltrante),
in
cui
si
osserva
il
superamento
della
membrana
basale,
la
perdita
dello
strato
delle
cellule
basali,
e
la
presenza
di
strutture
ghiandolari
nello
stroma.
Con
il
progredire
della
lesione
aumentano
la
stratificazione
dei
nuclei,
l’atipica
nucleare,
la
tendenza
a
for-‐
mare
ghiandole
nello
stroma
circostante,
e
tendono
a
scomparire
le
cellule
basali.
35
Nell’adenocarcinoma
si
osservano
stratificazione
delle
cellule,
nuclei
grandi,
nucleoli
prominenti
con
contorno
irre-‐
golare,
circondati
da
un
alone
chiaro
(tipico
dell’adenocarcinoma
infiltrante),
nonché
l’emergenza
di
ghiandole
( che
sono
simili
dal
punto
di
vista
citologico
ad
una
HGPIN)
che
vanno
nello
stroma
sottostante.
Nella
cervice
il
discorso
è
analogo:
abbiamo
un
carcinoma
in
situ,
una
CIN
di
alto
grado,
un
carcinoma
squamocellu-‐
lare
infiltrante
in
cui
le
ghiandole
superano
la
membrana
basale
e
le
cellule
vanno
nello
stroma
sottostante;
nella
mammella
si
parla
di
carcinoma
duttale,
nell’urotelio
di
carcinoma
uroteliale
infiltrante.
Il
concetto
è
sempre
lo
stes-‐
so:
le
ghiandole
superano
la
M.B
e
si
portano
nello
stroma
conservando
le
caratteristiche
citologiche
della
PIN
di
alto
grado.
36
Epitelio
dei
dotti,
carcinoma
intraduttale
di
vari
gradi,
carcinoma
infiltrante.
37
Epitelio
ghiandolare,
adenoma
di
basso
grado,
adenoma
di
alto
grado,
carcinoma
(reazione
stromale
analoga
a
quel-‐
la
della
vescica).
38
La
LG-‐PIN
è
caratterizzata
da
affollamento
delle
cellule
epiteliali
secernenti,
con
nuclei
di
dimensioni
variabili,
piccoli
nucleoli
e
cellule
dello
strato
basale
conservate.
Questo
reperto
ha
un
valore
predittivo
positivo
per
adenocarcinoma
pari
a
quello
posseduto
dal
tessuto
prostatico
normale;
per
questo
motivo,
e
anche
perché
la
sua
identificazione
è
po-‐
co
riproducibile,
anche
se
diagnosticato
non
viene
incluso
nel
referto
istopatologico:
infatti
sia
il
paziente
sia
il
clinico
potrebbero,
erroneamente,
essere
allertati
da
questo
reperto
il
quale,
mancando
di
significato
prognostico,
non
deve
essere
sottoposto
a
nessuna
terapia.
Immunoistochimica
Da
un
punto
di
vista
immunoistochimico
si
osserva:
• positività
per
i
marker
delle
cellule
basali,
come
le
CK,
34βE12
e
p63
(marker
nucleare),
che
sono
assenti,
per
definizione,
nell’adenocarcinoma
(o
interrotte);
• positività
per
la
racemasi
(AMACR),
marker
di
malignità
espresso
dalle
cellule
secretorie
atipiche
della
neoplasia
intraepiteliale
di
alto
grado
e
dell’adenocarcinoma;
• positività
per
il
PSA,
espresso
dalle
cellule
luminali.
Pattern
di
architettura
I
pattern
architetturali
di
crescita
dei
PIN
rappresentano
le
modalità
con
cui
le
cellule
atipiche
crescono
all’interno
dei
dotti
e
degli
acini
verso
il
lume,
e
rispecchiano
pattern
architetturali
presenti
anche
nella
pro-‐
stata
normale
(infatti
anche
l’epitelio
normale
può
crescere
verso
l’interno
del
lume)
e
nell’adeno-‐
carcinoma.
Una
PIN
(così
come
il
carcinoma
intraduttale
in
della
mammella)
può
crescere
in
maniera:
• piatta,
se
si
osservano
cellule
con
atipia
nucleare
ma
non
si
modifica
il
numero
degli
strati,
per
cui
esse
non
aggettano
nel
lume;
• a
piccoli
nidi
che
sporgono
nel
lume;
• micropapillare;
• cribriforme:
va
in
diagnosi
differenziale
con
il
carcinoma
cribriforme,
che
però
non
ha
cellule
basali
ed
è
già
infiltrante.
E’
estremamente
raro
questo
pattern
nella
prostata
normale.
È
verosimile
che
nell’evoluzione
di
queste
lesioni
si
parta
da
una
forma
piatta,
simile
ad
un
carcinoma
in
si-‐
tu,
dalla
quale
si
formano
dei
nidi
che
aggettano
nel
lume,
dall’allungamento
dei
quali
si
formano
le
micro-‐
papille
che,
andandosi
a
congiungere
al
centro,
definiscono
un
pattern
cribriforme.
Non
è
sicuro
che
i
differenti
pattern
abbiano
significato
clinico-‐prognostico
però
la
loro
identificazione
aiu-‐
ta
il
patologo
ad
identificare
la
HG-‐PIN.
Varianti
Per
il
PIN
sono
descritte
le
stesse
varianti
trattate
nell’ambito
dell’adenocarcinoma,
di
cui
il
PIN
rappresenta
lo
stadio
iniziale.
Ricordiamo
tra
le
varianti
quella
con
metaplasia
mucinosa,
mucinosa,
con
differenziazione
squamosa,
con
cellule
signet-‐ring,
a
piccole
cellule,
etc.
In
altre
parole,
la
forma
invasiva
riflette
la
variabilità
della
lesione
preneoplastica
iniziale
(se
la
variante
è
si-‐
gnet
ring,
sarà
signet
ring
anche
la
componente
preinvasiva39).
[Nel
dettaglio
ricordiamo
la
variante:
• con
cellule
signet-‐ring,
con
cellule
con
nucleo
spostato
alla
periferia
e
un
grosso
vacuolo
citoplasmatico
che
non
contiene
muco
(come
nel
carcinoma
uroteliale
plasmocitoide),
39
Altro
esempio:
il
carcinoma
squamocellulare
che
deriva
dall’epitelio
pavimentoso
quando
infiltra
cercherà
di
ripe-‐
tere
gli
aspetti
citologici
e
architetturali
dell’epitelio
pavimentoso:
1)
produzione
di
cheratina
e
accumulo
nelle
per-‐
le
cornee;
2)
formazione
di
spine
intercellulari
negli
strati
soprabasali.
40
• con
piccole
cellule
(neuroendocrina)
in
cui
tali
cellule
si
localizzano
tipicamente
al
centro;
• con
muco-‐secrezione:
è
possibile
riscontrare
1)
metaplasia
mucinosa
in
cui
si
osservano
cellule
simili
a
cellule
ca-‐
liciformi
(con
vacuolo
citoplasmatico
ricco
di
muco),
2)
una
lesione
con
aspetto
mucinoso
in
cui
il
muco
si
accu-‐
41
mula
nel
lume
ghiandolare
(aspetto
mucinoso),
oppure
una
3)
fibroplasia
mucinosa
in
cui
il
muco
si
accumula
nello
stroma
(è
uno
degli
elementi
patognomonici
per
l’adeno-‐carcinoma);
• con
differenziazione
squamosa,
un
adenocarcinoma
derivante
dalle
cellule
secretorie
dell’epitelio
prostatico,
nella
fase
evolutiva,
dopo
che
il
paziente
è
stato
sottoposto
a
radioterapia
e/o
terapia
ormonale,
può
evolvere
verso
forme
più
aggressive:
una
di
queste
è
la
differenziazione
neuroendocrina,
l’altra
è
la
differenziazione
42
squamosa.
La
differenziazione
con
componente
ghiandolare-‐squamosa
si
chiama
carcinoma
adenosquamoso :
origina
da
due
cellule
progenitrici
diverse;
• con
differenziazione
neuroendocrina
Paneth-‐Like:
le
cellule
di
Paneth
contengono
granuli
neuroendocrini
e
di
solito
stanno
nell’intestino.
Nello
stomaco,
nelle
gastriti
croniche,
si
parla
di
metaplasia
intestinale
quan-‐
do
compaiono
le
cellule
caliciformi
e
di
metaplasia
intestinale
completa
quando
compaiono
le
cellule
calici-‐
formi
con
le
cellule
di
Paneth.
Nello
stomaco
viene
vista
come
una
condizione
preneoplastica
(situazione
in
cui
il
carcinoma
diventa
più
probabile);
• con
aspetto
schiumoso;
• con
nuclei
invertiti].
Diagnosi
differenziale
Ci
sono
lesioni
benigne
e
maligne
che
possono
mimare
una
HG-‐PIN:
la
diagnosi
differenziale
con
le
forme
benigne
è
piuttosto
agevole,
mentre
è
più
complessa
per
quanto
riguarda
le
lesioni
maligne;
esse
sono:
• forme
benigne:
o epitelio
della
zona
centrale,
o epitelio
cribriforme
a
cellule
chiare,
o iperplasia
a
cellule
basali;
• forme
maligne
(la
cui
prognosi
dipende
da
tipo
istologico,
grado
di
differenziazione
ed
estensione):
o carcinoma
intraduttale
o adenocarcinoma
duttale
PIN-‐like
(è
un
carcinoma
infiltrante),
o [adenocarcinoma
acinare
cribriforme].
In
generale,
e
questo
vale
anche
per
il
polmone
e
la
mammella,
quando
un
carcinoma
infiltra
può
simulare
una
PIN
(di
alto
o
di
basso
grado).
40
Nelle
forme
infiltranti
dell’adenocarcinoma
della
prostata
(come
per
il
polmone
e
altri
organi)
si
tratta
di
una
vera
differenziazione
neuroendocrina:
nel
polmone
abbiamo
vari
tipi
di
tumore
(squamocellulare;
adenocarcinoma;
a
piccole
cellule;
a
grandi
cellule),
ma
i
principali
sono:
1)
squamocellulare
che
deriva
da
una
metaplasia
squamosa
che
diventa
displasia,
carcinoma
in
situ,
carcinoma
infiltrante
che
nella
sua
evoluzione
può
mostrare
una
differenzia-‐
zione
neuroendocrina;
2)
adenocarcinoma
ch e
deriva
da
una
lesione
dei
dotti
alveolari
e
degli
alveoli
che
dà
inizial-‐
mente
un
adenocarcinoma
in
situ
che
poi
può
diventare
infiltrante
e,
come
tale,
può
presentare
una
differenziazione
neuroendocrina
(evoluzione
della
neoplasia
in
senso
più
aggressive).
Tutte
le
neoplasie
hanno
tendenza
a
diventare
più
aggressive.
Nella
tiroide,
sia
follicolare
che
papillare,
abbiamo
forme
scarsamente
differenziate
come
l’insulare
che
possono
diventare
indifferenziate
e
quando
diventano
tali
possono
assumere
caratteri
neuroendocrini
( perché
le
cellule
di
base
hanno
la
capacità
di
differenziare
lungo
diverse
linee
evolutive).
Nella
prostata,
la
maggior
parte
delle
cellule
basali
va
verso
la
linea
delle
cellule
secretorie,
ma
una
minoranza
forma
anche
cellule
neuroendocrine
(che
hanno
una
funzione
particolare:
producono
sostanze
che
mantengono
il
trofismo
dei
tessuti);
quindi
il
fatto
che
le
cellule
basali
possono
seguire
due
linee
differenziative
si
può
riflettere
anche
nel
tumore.
41
Si
tratta
di
una
proliferazione
dello
stroma
stimolata
dalla
secrezione
di
muco
da
parte
delle
cellule
tumorali:
è
un
segno
del
fatto
che
il
tumore
è
diventato
infiltrante.
42
Istotipo
riscontrabile
anche
nel
polmone.
Nella
vescica,
invece,
in
genere
non
si
ha
l’adenocarcinoma:
dall'urotelio
origina
il
carcinoma
uroteliale
e
se
c’è
la
componente
squamosa
si
parla
di
carcinoma
uroteliale
con
differenziazione
squamosa
(si
può
riscontrare
già
nella
fase
preinvasiva).
[Nel
dettaglio,
per
quanto
riguarda
le
forme
benigne,
ricordiamo:
• l’epitelio
della
zona
centrale.
È
bene
precisare
che
l’epitelio
della
zona
centrale
(ovvero
l’area
intorno
ai
dot-‐
ti
eiaculatori)
fisiologicamente
non
è
un
epitelio
finemente
chiaro
o
finemente
granulare:
esso
si
presenta
basofilo,
leggermente
stratificato
e
con
una
crescita
aggettante
nel
lume
con
architettura
micropapillare.
Se
si
osservano
i
nucleoli
ed
i
nuclei,
essi
sono
normali.
Per
tal
motivo
è
importante
per
il
patologo
conoscere
il
sito
a
livello
del
quale
è
stata
condotta
la
biopsia;
• l’iperplasia
delle
cellule
basali,
che,
a
differenza
della
PIN
(in
cui
le
cellule
basali
sono
conservate
e
quelle
lu-‐
minali
proliferanti
e
atipiche),
è
caratterizzata
dal
monostrato
di
cellule
secretorie
conservato
e
da
cellule
ba-‐
sali
atipiche,
con
nucleoli
prominenti
e
positività
per
la
p63
e
le
citocheratine
ad
alto
peso
molecolare.
Questa
diagnosi
differenziale
ha
un’importante
implicazione
prognostica:
l’HG-‐PIN,
dal
momento
che
origina
dall’epitelio
secretorio,
è
connessa
ad
adenocarcinoma,
mentre
l’evenienza
che
un’iperplasia
delle
cellule
ba-‐
sali
evolva
in
carcinoma
basocellulare
è
molto
rara;
• l’iperplasia
cribriforme
a
cellule
chiare.
Qualche
volta,
in
associazione
all’iperplasia
della
zona
di
transizione,
l’epitelio
tende
a
crescere
dentro
il
lume
delle
ghiandole
e
degli
acini
formando
qualche
piccola
papilla;
altre
volte
cresce
in
modo
estensivo
fino
ad
assumere
un
aspetto
cribriforme,
simile
a
quello
della
HG-‐PIN.
La
dif-‐
ferenza
sta
nel
fatto
che
nell’HG-‐PIN
si
osservano
cellule
con
citoplasma
non
differenziato
e
nuclei
atipici,
mentre
nella
forma
cribriforme
a
cellule
chiare
cellule
con
citoplasma
differenziato
(chiaro),
nuclei
non
atipici
e
nucleoli
non
prominenti;
Per
quanto
riguarda
le
forme
maligne,
ricordiamo:
• il
carcinoma
intraduttale,
una
lesione
che
cresce
ancora
all’interno
di
acini
e
dotti
verso
il
lume,
simile
all’HG-‐
PIN,
ma
caratterizzata
da
cellule
con
un’atipia
maggiore
(sono
presenti
cellule
basali
e
luminali).
E’
importan-‐
te
fare
diagnosi
differenziale
perché
cambia
il
valore
predittivo
positivo
per
adenocarcinoma
ovvero
la
pro-‐
babilità
che
si
riscontri
un
adenocarcinoma
nelle
biopsie
successive
(del
95%
per
il
carcinoma
intraduttale,
del
20-‐30%
per
una
PIN);
43
• l’adenocarcinoma
acinare
cribriforme ,
chi
differisce
da
una
HG-‐PIN
con
crescita
cribriforme
per
l’assenza
delle
cellule
basali
(negatività
all’immunoistochimica);
• l’adenocarcinoma
duttale,
la
cui
variante
a
ghiandole
individuali,
per
la
somiglianza
morfologica
con
l’HG-‐
PIN,
è
anche
detta
PIN-‐like;
è
una
variante
rara
(i
casi
descritti
sono
pochi),
ben
differenziata
e
meno
aggres-‐
44
siva
rispetto
a
quelle
convenzionali
(ha
un
pattern
3
di
Gleason,
quindi,
poiché
3+3=6,
appartiene
al
gruppo
1
di
Epstein).
Importante
è
la
diagnosi
differenziale
tra
carcinoma
duttale
PIN-‐like
e
HG-‐PIN,
perché
questa
ultima
è
una
lesione
preinvasiva
e
ha
una
prognosi
completamente
diversa
rispetto
al
carcinoma
duttale
che
invece
è
infiltrante
(infiltra
per
esempio
i
nervi)].
CASI
CLINICI
• Carcinoma
duttale
PIN-‐like.
Si
osserva
prima
a
basso
ingrandimento
un
epitelio
pluristratificato
e
ghiandole
sepa-‐
rate,
poi
a
maggiore
ingrandimento
vediamo
nuclei
grandi,
nucleoli
prominenti,
alone
chiaro
peri-‐nucleolare.
La
descrizione
corrisponde
a
una
HGPIN.
Tuttavia
sembra
ci
sia
un
nervo
in
mezzo,
ma
una
PIN
non
infiltra
i
nervi
quindi
è
un
duttale
che
simula
una
HGPIN
3+3=
6:
la
prognosi
rimane
sempre
ottima.
• Carcinoma
duttale
PIN-‐like.
Si
osserva
un
nodulo
più
scuro,
epitelio
stratificato
(caratteristica
che
permette
di
escludere
un
carcinoma
acinare
e
ci
orienta
verso
il
duttale),
ghiandole
separate
(fanno
pensare
ad
un
carcinoma
duttale
PIN-‐like),
nuclei
grandi,
mancano
nucleoli
prominenti
(ci
orienta
verso
un
carcinoma
duttale
PIN-‐like
di
basso
grado
perché
nell’alto
grado
ci
sono
i
nucleoli
prominenti);
si
potrebbe
ipotizzare
una
HGPIN.
La
immunoi-‐
stochimica
evidenzia
l’espressione
della
racemasi
che
ci
sarebbe
anche
nella
PIN.
Tuttavia
non
ci
sono
cellule
ba-‐
sali
per
cui
assenza
di
cellule
basali
e
positività
per
la
racemasi
indicano
malignità.
43
Come
detto
sopra,
la
HG-‐PIN
quando
è
all’interno
degli
acini
può
assumere
un
aspetto
cribriforme;
quando
diventa
infiltrante
può
presentare
di
nuovo
un
aspetto
cribriforme
(quando
troviamo
questo
aspetto
il
pattern
è
sempre
un
pattern
4
di
Gleason).
44
Il
papillare,
il
cribriforme
e
il
solido
sono
carcinomi
aggressivi
(sono
considerati
pattern
di
grado
4-‐5
(alto)
perchè
le
ghiandole
sono
fuse-‐solide)
mentre
il
carcinoma
a
ghiandole
individuali
è
meno
aggressivo
del
carcinoma
duttale
con-‐
venzionale.
2.
RAPPORTO
CON
CANCRO
DELLA
PROSTATA
A
differenza
della
cervice
uterina,
in
cui
la
storia
naturale
delle
lesione
preneoplastica
è
stata
ampiamente
osservata
e
prevede
la
comparsa
di
una
displasia,
poi
di
un
carcinoma
in
situ
e
in-‐
fine
di
un
carcinoma
squamocellulare
(progressione
temporale),
è
un
po’
più
complesso
seguire
la
storia
naturale
delle
lesioni
preneoplastiche
della
prostata,
perché
si
dovrebbero
eseguire
biopsie
ri-‐
petute
prelevando
campioni
sempre
dalla
stessa
sede
e
vedere
cosa
succede
nel
tempo:
questo
è
impossibile,
per
cui
si
parla
piuttosto
di
progressione
spaziale.
Bisogno
studiare
nel
contesto
della
stessa
biopsia
in
cui
è
stato
diagnosticato
un
pin
se
c’è
un
microfocolaio
infiltrante
o
con
infiltrazione
iniziale.
Quindi
bisogna
valutare
alcuni
aspetti
clinici
e
molecolari
grazie
ai
quali
emerge
che
la
HG-‐PIN
è
la
lesione
pre-‐invasiva,
che
precede
la
comparsa
dello
adenocarcinoma:
• le
evidenze
clinico-‐patologiche
che
legano
la
HG-‐PIN
al
carcinoma
prostatico
sono
le
seguenti:
o la
PIN
di
alto
grado
ed
il
carcinoma
prostatico
sono
entrambi
multifocali
e
presentano
una
lo-‐
calizzazione
simile
a
livello
della
zona
periferica,
o la
transizione
da
HG-‐PIN
a
carcinoma
prostatico
(più
importante
prognosticamente)
può
esse-‐
re
osservata
da
un
punto
di
vista
morfologico,
o lo
strato
delle
cellule
basali
è
interrotto
nella
HG-‐PIN
ed
è
assente
nel
carcinoma
prostatico.
Le
cellule
basali
non
sono
parte
attiva
del
processo
ma
tendono
progressivamente
a
scompari-‐
REVIEW
re
nella
HG-‐PIN
e
scompaiono
definitivamente
nell’adenocarcinoma:
questa
è
la
maggiore
evi-‐
denza
che
supporta
la
www.nature.com/clinicalpractice/uro
trasformazione
da
HGPIN
ad
adenocarcinoma,
o la
HG-‐PIN
ed
il
carcinoma
prostatico
sono
Other secr
Box 3 Clinicomorphological evidence linking
morfometricamente
simili,
ossia
presenta-‐ high-grade prostatic intraepithelial neoplasia and binding pr
no
nuclei
dimensionalmente
identici,
prostate cancer. glycoprote
o [più
è
estesa
la
HG-‐PIN,
più
è
frequente
■ Incidence and extent of HGPIN in the prostate X and Lew
l’osservazione
dell’adenocarcinoma,
increase with advancing age and adeno
o nelle
prostatectomie,
quando
si
rileva
un
■ The frequency, severity and extent of HGPIN
CLINICAL
adenocarcinoma
si
rileva
anche
una
HG-‐ increases in the presence of prostate cancer
HGPIN ON
PIN,
che
non
impatta
sulla
terapia,
■ HGPIN and prostate cancer are both multifocal Clinical fe
o dalla
HG-‐PIN
emergono
delle
piccole
strut-‐ and share similar locations in the prostate zones Abnormal
ture
ghiandolari
che
interrompono
lo
strato
■ Transition of HGPIN to prostate cancer can be digital re
delle
cellule
basali
e
infiltrano
lo
stroma:
si
observed from the morphological point of view HGPIN,
able from
parla
di
HG-‐PIN
associata
ad
adenocarci-‐ ■ HGPIN has several features similar to those
of prostate cancer a hypoech
noma,
ma
di
fatto
la
prognosi
e
la
terapia
examinati
dipendono
dalla
presenza
di
adenocarci-‐ Abbreviation: HGPIN, high-grade prostatic intraepithelial elevate ser
neoplasia.
noma,
dalla
sua
estensione
e
grado];
HGPIN as
on needle
Box 4 Genetic and molecular evidence linking
The frequ
high-grade prostatic intraepithelial neoplasia
biopsy is a
and prostate cancer.
prostatic t
■ Rates of cell proliferation and death are raised low-grade
in HGPIN and prostate cancer compared with
of carcino
■ HGPIN has several features similar to those
able from
of prostate cancer a hypoecho
examinatio
Abbreviation: HGPIN, high-grade prostatic intraepithelial elevate seru
neoplasia.
HGPIN as a
• le
evidenze
genetiche
e
molecolari
che
legano
la
on needle
Box 4 Genetic and molecular evidence linking The freque
HG-‐PIN
al
carcinoma
prostatico
sono
le
seguenti:
high-grade prostatic intraepithelial neoplasia
biopsy is ab
o la
proliferazione
cellulare
(valutata
tramite
Ki-‐ and prostate cancer.
prostatic ti
67)
e
la
morte
cellulare
sono
maggiormente
■ Rates of cell proliferation and death are raised low-grade P
in HGPIN and prostate cancer compared with
evidenti
nella
HG-‐PIN
e
nel
carcinoma
rispetto
of carcinom
those in normal prostates
al
tessuto
prostatico
normale,
identificatio
■ HGPIN and prostate cancer are phenotypically was about 3
o la
neovascolarizzazione
è
più
pronunciata
nella
similar been seen i
HG-‐PIN
e
nel
carcinoma
prostatico
rispetto
al
■ HGPIN and prostate cancer are HGPIN to
tessuto
prostatico
normale,
morphometrically similar Epstein and
o nella
HG-‐PIN
e
nell’adenocarcinoma
ci
sono
al-‐ ■ Some genetic and molecular alterations are ping cance
common to both HGPIN and prostate cancer nosis of HG
terazioni
genetiche
e
molecolari
in
comune:
higher than
■ The basal-cell layer is disrupted in HGPIN and
per
esempio
la
racemasi
(P540S)
è
negativa
nel
is absent in prostate cancer repeat biop
tessuto
prostatico
normale,
ma
è
espressa45
sia
■ The rate of neovascularization is raised
A slightly lo
nell’adenocarcinoma
sia
nella
HG-‐PIN;
invece
in HGPIN and in prostate cancer compared was observe
with that in normal prostates The trend
tutte
le
lesioni
benigne
che
entrano
in
diagnosi
rates in sub
differenziale
con
la
neoplasia
intraepiteliale
so-‐ Abbreviation: HGPIN, high-grade prostatic intraepithelial
neoplasia.
HGPIN mi
no
racemasi
negative.
tion, reduce
population
use of new b
3.
SIGNIFICATO
CLINICO
The differentiated compartment is partly increased n
La
HG-‐PIN
può
trovarsi
nei
pezzi
chirurgici
o
nelle
biopsie
associata
al
cancro,
obscured in PIN,ebecause
in
questo
caso
the cells non
ahdefec-
show a
valo-‐ findings co
tive expression of differentiation markers.43
re
prognostico
perché
la
prognosi
è
data
dal
cancro,
o
isolata,
e
in
questo
caso
ha
valore
prognostico.
Oc-‐ of follow-u
Virtually all studies of differentiation markers nosis of iso
corre
conoscere
la
frequenza
di
osservazione
di
una
HG-‐PIN:
indicate that HGPIN is more closely related to contribute
• negli
studi
autoptici
l’incidenza
aumenta
con
l’aumentare
dell’età:
8%
(terza
decade),
23%
(quarta
carcinoma than to benign epithelium. Many a diagnosis
decade),
29%
(quinta
decade),
49%
(sesta
decade),
53%
(settima
markers, decade),
including markers 67%
of (ottava
secretorydecade).
differ- family hist
entiation, such as prostatic
L’aumento
dell’incidenza
proporzionale
all’età
è
compatibile
con
l’aumentata
incidenza
di
adeno-‐ acid phosphatase levels, and
and PSA, are downregulated with increasing should be ta
carcinoma,
che
è
raro
nei
giovani
(30-‐40
anni)
e
compare
intorno
grades of PINai
60
cancer.
and anni,
età
dopo
la
quale
la
Reduction of some deciding cli
frequenza
aumenta
progressivamente,
diventando
clinicamente
cytoplasmic evidente
differentiationintorno
amarkers
60-‐70
anni;
during Isolated
the preinvasive phase might be
• nelle
biopsie
prostatiche,
la
HG-‐PIN
isolata
è
riscontrata
con
una
frequenza
compresa
tra
lo
0
e
il
followed by tive value f
abrupt re-expression at the site of invasion. two situati
24,6%,
in
media
del
5%
(se
il
patologo,
durante
il
proprio
lavoro,
si
discosta
troppo
da
questo
valo-‐
re,
è
verosimile
che
stia
commettendo
degli
errori
di
valutazione);
• nelle
resezioni
prostatiche
endoscopiche
(TURP)
PRACTICE
326 NATURE CLINICAL è
riscontrata
UROLOGY con
una
frequenza
compresa
tra
il
2,8
e
il
33%;
• nelle
prostatectomie
radicali,
indicata
dopo
la
diagnosi
di
adenocarcinoma,
la
frequenza
è
compre-‐
sa
tra
l’85
ed
il
100%:
visto
che
la
neoplasia
intraepiteliale
di
alto
grado
e
l’adenocarcinoma
sono
ncpuro_2006_092.indd 326
45
La
positività
è
osservabile
sia
come
colorazione
marrone
che
come
colorazione
rossa:
la
tonalità
di
colorazione
di-‐
pende
dal
sistema
di
rilevazione
utilizzato.
46
Si
tratta
di
un
intervento
chirurgico
eseguito
in
elezione
in
cui
vengono
rimosse
vescica
e
prostata,
perché
non
c’è
un
confine
netto
tra
esse
a
livello
del
tessuto
muscolare
liscio.
Nelle
donne
l’intervento
prevede
l’asportazione
della
vescica
con
l’utero
perché
l’utero
è
dietro
e
c’è
il
rischio
che
il
tumore
superi
la
parete
e
possa
andare
nel
tessuto
adi-‐
poso
perivescicale
che
è
in
diretta
continuazione
con
il
tessuto
adiposo
attorno
all’utero,
la
parte
del
canale
cervicale.
noma
prostatico;
presumibilmente
ciò
che
induce
il
carcinoma
uroteliale
può
favorire
anche
l’insorgenza
di
adenocarcinoma
prostatico.
Dopo
la
diagnosi
su
biopsia
di
una
HG-‐PIN
isolata,
c’è
il
rischio,
espresso
in
probabilità
percentuale,
di
ri-‐
scontrare
un
adenocarcinoma
nelle
biopsie
ripetute
sia
a
lungo
sia
a
breve
termine;
infatti
il
reperto
di
una
HG-‐PIN
non
indica
necessariamente
che
il
paziente
svilupperò
un
adenocarcinoma:
in
alcuni
casi
la
PIN
può
rimanere
stabile,
in
altri
addirittura
regredire.
REVIEW
Tale
rischio
di
identificare
un
adenocarcinoma
alla
biopsia
successiva,
dopo
la
diagnosi
bioptica
di
HG-‐PIN:
www.nature.com/clinicalpractice/uro
• a
breve
termine,
quindi
con
adjacent to atypical glands. This combination
una
re-‐biopsia
entro
6
mesi,
è
Table 1 Risk of detection of carcinoma on needle core repeat biopsy.
confers a raised risk of subsequent diagnosis of
Initial diagnosis Mean proportion of patients with
carcinomadel
(average21%.
53%)—higher
Tale
valore
predittivo
even than a diagnosis of cancer on repeat
that for either HGPIN
positivo
or atypical
(VPP)
focus
è
simile
alone
a
quello
biopsy (%)
(Table 1).13,14,48,52,53 The other situation is Benign prostatic tissue 20
representeddelle
biopsie
by multifocal normali
HGPIN. 54–56(in
Roscigno cui
è
LGPIN 16
56 inferiore
o
uguale
al
20%):
si
ri-‐
et al. showed that the rate of cancer detec-
HGPIN 21a
tion was significantly
pete
quindi
higher among dopo
la
biopsia
patients 6-‐
with plurifocal HGPIN than among those with Atypical focus suspicious for malignancy 40.7
monofocal12
HGPIN.mesi;
By se
icontrast,
nvece
la
the PIN
è
mul-‐
number HGPIN plus atypical focus suspicious for 53
of biopsy tifocale
specimens(ovvero
positive for viene
HGPIN reperta
on malignancy
aDeclined from 36%.48 Abbreviations: HGPIN, high-grade prostatic intraepithelial neoplasia;
initial biopsy was not associated
in
biopsie
multiple,
with ≥3),
a raised
il
VPP
LGPIN, low-grade prostatic intraepithelial neoplasia.
likelihood of prostate cancer on repeat biopsy
sale
in the study by Naya et al.al
40%,
come
55 nell’ASAP:
si
The importanceripete
la
ofbHGPIN
iopsia
don opo
3
mbiopsy
initial esi
(necessari
per
far
regredire
l’infiammazione
prostatica
post-‐biopsia47).
samples asSe,
a marker
infine,
ofsi
prostate
osserva
cancernella
bbeing iopsia
un’associazione
tra
PIN
e
ASAP,
il
VPP
sale
al
50%.
Invece,
come
si
diagnosed in repeat biopsy samples has been of atypical glands on initial biopsy. Intuitively,
extensivelydirà
in
seguito,
investigated, butil
little
VPP
isdknown
i
un
carcinoma
of intraduttale
a greater diagnostic è
yield
del
9for 0%;
malignancy will be
the actual• rate a
lungo
of cancer termine,
in the whole quindi
con
uin
prostate na
re-‐biopsia
provided by a
3focusing
-‐5
anni,
onil
sites
rischio
withndocumented
on
è
ancora
ben
definito
perché
ci
this setting because repeat biopsies 48 could miss atypical foci.
sono
pochi
studi .
the area of cancer. Roustan Delatour et al.57 Whether serum PSA levels and digital rectal
Avendo
il
carcinoma
della
prostata
la
tendenza
a
rimanere
localizzato
per
molto,
è
possibile
aspettare
0-‐6
aimed to define a precise positive predictive examination findings provide information on
mesiof49.
isolated
value Se
alla
HGPIN
successiva
biopsia
on initial biopsy non
in si
ha
ethe
videnza
risk fordsubsequent i
cancro,
sdetectioni
imposta
ofucarcinoma
n
follow-‐up
a
due
anni
con
biop-‐
predicting cancer in the prostate gland. They beyond the presence of HGPIN is unclear.12
sie
semestrali:
se
non
si
riscontra
nulla,
si
smette
di
biopsiare
il
paziente
(slide:
si
fanno
biopsie
ogni
20
me-‐
found that the positive predictive value of Data are inconsistent as to whether the extent
si).
Poiché
l’HG-‐PIN
è
un
fattore
di
rischio
per
il
carcinoma
in
tutta
la
ghiandola,
la
re-‐biopsia
deve
essere
HGPIN was 64%. of HGPIN and its architectural pattern predict
eseguita
su
tutta
la
ghiandola
e
non
solo
nella
riskzof
ona
dove
era
carcinoma.
subsequent stata
reperta
Neitherla
lesione.
genetic
Repeat biopsy strategies abnormalities nor immunophenotype of
In
generale,
i
criterio
clinici
tramite
cui
identificare
i
pazienti
con
HG-‐PIN
più
a
rischio,
sono:
Current standards of care recommend that HGPIN is currently used to stratify risk for
patients • with la
pisolated
resenza
di
una
undergo
HGPIN forma
frepeat amiliare,
subsequentche
è
a
maggiore
detectionrof ischio
di
evoluzione:
in
questo
caso
si
tiene
il
carcinoma.
biopsy 0–6paziente
months after sotto
initial
controllo
biopsy, con
irre-
un
follow-‐up
stringente,
spective of serum PSA level and findings on CLINICAL IMPORTANCE OF HGPIN
digital rectal examination, then every 6 months IN SURGICAL SPECIMENS
47 2 years, and every 12 months thereafter for
for HGPIN in transurethral resection
Le
biopsie,
quando
vengono
eseguite,
inducono
delle
alterazioni
parenchimali,
ad
esempio
emorragie
(la
perfora-‐
zione
di
un
vaso
e/o
dell’uretra
può
determinare
ematuria),
formazione
dof
life. This recommendation might change, how - specimens as a predictor malignancy
i
tessuto
cicatriziale
ed
edema
(con
ritenzio-‐
ever, if data emerge that indicate a reduced risk
ne
urinaria
per
strozzamento
vescicale),
processi
infiammatori
con
sovrainfezione
batterica
(prostatite),
trombosi
va-‐ A few studies have reported that the detection
ofscolari:
prostate carcinoma
pertanto,
prima
di
ri-‐effettuare
una
biopsia,
after a needle biopsy of HGPIN in prostatic
sarà
necessario
transurethral
aspettare
qualche
m resec-
ese.
showing
48 HGPIN.12,13 tion specimens indicates a raised risk for the
In
uno
di
questi,
si
è
osservato
che
8
uomini
su
31,
presentanti
una
neoplasia
i10,11 ntraepiteliale
isolata,
hanno
presenta-‐
Repeat biopsy of the prostate should entail subsequent detection of cancer. Among
to
un
carcinoma
prostatico
in
un
follow-‐up
durato
3
anni.
Molto
presumibilmente,
in
questi
soggetti
erano
presenti
at least systematic sextant biopsy of the entire 14 patients with HGPIN and benign prostatic
dei
focolai
gland, 58 sincecarcinomatosi
a positive finding che
for non
HGPIN sono
stati
in identificati
hyperplasia poiché,
who m algrado
were followednon
sup i
sia
for a
cup
onoscenza
to di
quanto
tempo
sia
necessario
tissue from any area indicates a risk of develo- p er
f ar
s ì
c he
u na
n eoplasia
i ntraepiteliale
e volva
v erso
u n
7 years (mean, 5.9 years), 3 (21.4%) developed a denocarcinoma,
i l
l asso
d i
tempo
è
davvero
ri-‐
stretto.
ping cancer throughout the gland. In one study
14
prostatic cancer. Mean serum PSA concen-
In
un
35% of carcinomas altro
studio
would condotto
have a
been Detroit,
missed sono
if state
tration fatte
wasbiopsie
higher prostatiche
in these patients a
tutti
quelli
than in che
morivano
per
incidenti
stradali
samples at repeat biopsy had been taken only e
s i
è
c apito
c he
s e
l a
P IN
i niziava
a
3 0
athose who did not develop cancer (8.1 versus comparsa
della
PIN
a
40
nni
c irca,
c ’era
u na
r elazione
t ra
i l
t empo
d ella
anni
e
from the side on which positive HGPIN speci- l a
c omparsa
d ell'adenocarcinoma
a
5 0
a nni.
Questo
All
4.6 ng/ml). vuol
dire
che
ucancers
subsequent na
PIN
cseemed i
può
mto ettere
anche
10
anni
per
di-‐
ventare
mens were un
found adenocarcinoma.
previously.57 Most cases arise in the peripheral zone and were detected
ofIn
carcinoma un
altro
studio,
(80–90%) 14
pazienti
are detected presentanti
on theuna
Hby G-‐PIN
needleisolata
sono
By
biopsy. stati
osservati
contrast, a ilong-term n
un
follow-‐up
durato
più
di
cinque
anni
first repeat e
a
nessuno
biopsy dafter i
questi
a HGPIN è
stato
diagnosis. diagnosticato
study un
adenocarcinoma.
from Norway demonstrated no associ-
Persistent
49
Il
follow-‐up
HGPINdeve
might essere
also fortemente
be detected legato
in ation between
al
rischio
the presence
predittivo
of HGPIN
di
carcinoma
prostatico,
on per
esempio
in
caso
di
5–43% 58
of cases.
ASAP
noi
stabiliamo
una
re-‐biopsia
dopo
3
mesi,
con
una
HGPIN
possiamo
aspettare
anche
of6
mesi
-‐
1
anno.
trans urethral resection and the incidence
For HGPIN associated with atypical small subsequent cancer.59
acinar proliferation, repeat biopsy is reason- In young men with HGPIN on transurethral
able within 3–4 months after the observation resection, needle biopsy might be worthwhile
JUNE 2007 VOL 4 NO 6 MONTIRONI ET AL. NATURE CLINICAL PRACTICE UROLOGY 327
• la
somiglianza
stretta
con
un
adenocarcinoma
di
alto
grado,
• un
numero
di
biopsie
prostatiche
in
cui
si
è
riscontrata
una
HG-‐PIN
maggiore
o
uguale
a
3;
in
que-‐
sto
caso
il
VPP
di
adenocarcinoma
è
del
40%.
Altri
fattori
di
rischio
ipotizzati
che
però
non
si
sono
rilevati
indicativi
sono:
• i
livelli
di
PSA,
che
non
sembrano
essere
predittivi.
Il
PSA
serve
in
fase
iniziale
per
dare
un'idea
del
rischio
gene-‐
rico
di
una
patologia
prostatica
nel
paziente
però
non
aiuta
nel
dire
che
il
paziente
ha
un
adenocarcinoma;
• l’esplorazione
rettale
e
l’ecografia
trans-‐rettale
(TRUS;
Transrectal
ultrasonography),
anche
essi
ininfluenti
nel
predire
quali
pazienti
con
HG-‐PIN
alla
biopsia
prostatica
presentino
un
adenocarcinoma
(l’esplorazione
rettale
non
permette
neanche
di
fare
diagnosi
differenziale
tra
una
semplice
flogosi
e
un
adenocarcinoma;
• i
livelli
di
espressione
della
racemasi
all’immunoistochimica
non
aiutano
il
patologo,
in
quanto
essa
è
espressa
sia
nelle
HG-‐PIN
sia
nell’adenocarcinoma
(alcuni
autori
sostengono
che
si
possa
protendere
verso
un
focolaio
di
adenocarcinoma
qualora
l’intensità
immunoistochimica
sia
particolarmente
marcata);
• il
pattern
architetturale
della
HG-‐PIN
non
sembra
essere
predittivo,
anche
se
si
suole
affermare
che
il
pattern
cribriforme
sembra
essere
quello
maggiormente
associato
(se
la
HG-‐PIN
è
multifocale,
con
evidenza
di
compo-‐
50
nente
cribriforme,
il
paziente
va
considerato
ad
alto
rischio );
• [il
marker
PCA3:
è
un
marker
urinario
espresso
spesso
in
pazienti
con
cancro
alla
prostata,
(l’esame
si
esegue
sul-‐
le
urine
previo
massaggio
prostatico).]
51 52
Nel
trattamento
della
HG-‐PIN,
la
prostatectomia
radicale
profilattica ,
la
terapia
radiante
profilattica
e
il
blocco
an-‐
53
drogenico
non
sono
una
soluzione
accettabile
visti
gli
effetti
collaterali,
a
fronte
del
basso
rischio.
Soprattutto
in
pas-‐
54
sato
si
attuava
la
chemioprevenzione
con
finasteride
e
dutasteride ,
che
a
basse
dosi
riducono
la
probabilità
di
evolu-‐
zione
verso
un
carcinoma
nel
20%
dei
soggetti,
senza
sviluppo
di
effetti
collaterali;
infatti
questi
farmaci,
poiché
l’HG-‐
PIN
esprime
i
recettori
per
il
testosterone,
possono
stabilizzare
o
addirittura
far
regredire
la
PIN.
Però
recentemente
sono
emersi
degli
effetti
collaterali
che
pesano
più
degli
effetti
terapeutici,
e
a
causa
dei
quali
la
chemiprevenzione
non
è
più
effettuata;
essi
sono:
• l’infertilità,
causata
dalla
riduzione
della
secrezione
di
PSA
(per
cui
gli
spermatozoi
non
acquisiscono
mobili-‐
tà),
• l’impotenza
(5-‐10%),
causata
dall’arteriolosclerosi
dei
vasi
dei
corpi
cavernosi
• l’esaurimento
dell’effetto
del
farmaco
nel
tempo,
• lo
sviluppo
di
un
adenocarcinoma
(in
una
minoranza
di
casi),
con
grading
per
lo
più
di
alto
grado.
50
Da
sbob
vecchia:
In
caso
di
pattern
cribriforme
è
difficile
distinguere
HGPIN
da
un
carcinoma
Intraduttale:
ci
si
basa
sulla
biologia
molecolare,
tramite
vari
marker:
ad
es.
ERG
è
altamente
espresso
nelle
lesoni
di
alto
grado
e
nel
carci-‐
noma
intraduttale.
51
La
prostatectomia
radicale
ha
essenzialmente
due
effetti
collaterali:
incontinenza
e
impotenza.
52
La
radioterapia
determina
1)
atrofia
dei
dotti
e
degli
acini
normali,
con
riduzione
della
qualità
e
quantità
dell’eiaculato,
2)
cistite
da
radiazione,
3)
proctite
attinica.
53
Non
si
può
stabilire
un
blocco
androgenico,
come
si
realizza
per
il
trattamento
dell’adenocarcinoma,
in
quanto
po-‐
trebbe
verificarsi
impotenza.
Per
quanto
questo
approccio,
si
pensava
che
il
blocco
androgenico
in
fase
pre-‐operatoria,
avrebbe
determinato
una
riduzione
del
tumore
e
così
l’intervento
sarebbe
stato
più
facile
per
l’urologo;
in
realtà
la
tera-‐
pia
neoadiuvante
non
ha
mostrato
nessun
beneficio
e
la
prognosi
di
questi
pazienti
è
risultata
uguale
a
quella
dei
pazienti
che
non
facevano
nessun
trattamento.
Comunque
questa
terapia
farmacologica
ha
permesso
di
studiare
il
mo-‐
do
in
cui
la
patologia
regredisce
sotto
un
blocco
androgenico:
ci
sono
almeno
3
modi
per
interferire
con
questo
signal-‐
ling:
1)
ridurre
la
trasformazione
del
testosterone
in
diidrotestosterone
(anche
se
il
testosterone
è
comunque
in
grado
di
attivare
il
R
del
diidrotestosterone);
2)
occupare
il
R
senza
che
si
scateni
tutta
la
cascata
di
attivazione;
3)
ridurre
la
produzione
di
androgeni
a
livello
delle
Cellule
di
Leydig;
4)
altri.
In
assenza
di
stimolo
androgenico
le
cellule
prostatiche
sono
prive
di
stimolo
proliferativo
per
cui
vanno
incontro
a
fe-‐
nomeni
regressive:
I
nucleoli
sono
più
piccoli,
il
citoplasma
è
più
chiaro
e
inoltre
si
osservano
anche
corpi
apoptotici.
54
Discorso
analogo
a
quello
fatto
per
donne
sottoposte
a
quadrantectomia
per
carcinoma
della
mammella:
si
sommi-‐
nistrano
basse
dosi
di
tamoxifene
al
fine
di
prevenire
recidive
e
metastasi.
CARCINOMA
INTRADUTTALE
(IDC-‐P)
Il
carcinoma
intraduttale
rientra
tra
le
lesioni
preneoplastiche;
precedentemente
veniva
considerato
come
un
aspetto
particolare
della
HG-‐PIN
(con
architettura
più
solida
e
atipia
maggiore),
invece
nella
classificazione
più
recente
forma
una
categoria
diagnostica
a
sé
stante,
perché
ha
un
diverso
significato
prognostico:
è
una
lesione
associata
alla
presenza
di
un
tumore
aggressivo.
Definizione
Il
carcinoma
intraduttale
è:
• una
proliferazione
epiteliale
neoplastica
intracinare
e/o
intraduttale
(da
cui
il
nome
“duttale”),
• caratterizzato
da
alcuni
aspetti
in
comune
con
un’HG-‐PIN,
ma
presenta
una
maggiore
atipia
archi-‐
tetturale
e/o
citologica
(architettura
tipicamente
solida
e
citologia
più
atipica);
• tipicamente
associato
a
un
carcinoma
della
prostata
di
alto
grado
e
alto
stadio
(90%
dei
casi),
anche
quando
si
presenta
in
forma
isolata
(pertanto
è
indicato
un
trattamento
definitivo;
nel
restante
10%
non
associato
a
carcinoma
infiltrante
si
raccomanda
la
ripetizione
delle
biopsie).
Va
distinto
dal
carcinoma
duttale
infiltrante
di
cui
non
rappresenta
la
lesione
preinvasiva.
Aspetto
microscopico
Da
un
punto
di
vista
morfologico,
il
carcinoma
intraduttale
è
formato
da
cellule
epiteliali
maligne
che
prolife-‐
rano
riempiendo
ed
espandendo
i
dotti
e
gli
acini
(a
basso
ingrandimento
si
vedono
acini
dilatati
pieni
di
cel-‐
lule55
e
i
dotti
con
il
lume
di
almeno
il
doppio
del
normale),
con
preservazione
dello
strato
delle
cellule
basali.
Questa
espansione
duttulo-‐acinare
non
si
riscontra
nella
HG-‐PIN;
28 ma
in
entrambi
ci
sono
acini
cEonservati.
UROPEAN UROLOGY 62 (2012) 2
CARCINOMA
CARCINOMA
Caratteristiche
HG-‐PIN
CRIBRIFORME
INTRADUTTALE
INFILTRANTE
Struttura
Espansa
Preservata
Distorta
dotto-‐lobulare
Aumentata
>2
volte
la
dimen-‐
Dimensioni
ghiandole
Normale
Variabile
sione
delle
cellule
normali
Dispersione
luminale
Presente
in
Presente
Presente
di
cellule
HGPIN
cribriforme
1. Piatta
1. Trabecolare
micropapillare
Pattern
di
crescita
2. A
piccoli
nidi
1. Cribriforme
2. Cribriforme
intraduttale
3. Micropapillare
2. Solido
3. Solido
4. Cribriforme
Comedonecrosi
+/-‐
-‐
+/-‐
Cellule
basali
+
+
-‐
58
Il
carcinoma
intraduttale
ha
l'aspetto
pagetoide
(analogo
a
quello
che
si
ha
nel
Paget
del
carcinoma
della
mammella).
Il
Paget
della
mammella
si
ha
quando
in
un
carcinoma
intraduttale
le
cellule
si
espandono
lungo
il
dotto
tra
la
membra-‐
na
basale
e
le
cellule
secretorie
e
arrivano
fino
all'inizio
del
capezzolo
e
lo
colonizzano.
In
questa
situazione
il
capezzolo
è
rosso,
perché
viene
indotta
una
vascolarizzazione
del
derma
sottostante.
Può
essere
eroso
perché
le
cellule
tendono
a
sfaldarsi
(anche
quelle
normali).
Significato
clinico
Il
carcinoma
intraduttale
isolato59
si
riscontra
in
una
biopsia
con
una
frequenza
dello
0,1-‐0,3%
(raro);
inve-‐
ce
se
associato
a
un
adenocarcinoma
infiltrante
il
riscontro
è
del
2,8%.
Infine
nella
prostatectomia
radica-‐
le
si
osserva
nel
20-‐40%
dei
casi
a
seconda
del
grado
e
dello
stadio
dell’adenocarcinoma
che
portato
all’intervento.
A
partire
dall’evidenza
che
nelle
prostatectomie
radicali
il
carcinoma
intraduttale
è:
• nel
90%
dei
casi
associato
a
un
carcinoma
di
alto
grado
e
stadio,
quindi
già
diffuso
(Gleason
8
o
gra-‐
pe
group
4,
e
almeno
pT3),
• nel
10%
una
forma
pura,
cioè
non
associata
a
un
carcinoma
invasivo
(in
questo
caso
la
prostatec-‐
tomia
è
stata
eseguita
proprio
a
seguito
della
diagnosi
bioptica
di
carcinoma
intraduttale;
era
una
pratica
diffusa
negli
USA,
ora
non
più),
emerge
che
il
carcinoma
intraduttale
può
essere:
• regular
(90%):
rappresenta
un
evento
tardivo
nell’evoluzione
del
cancro
della
prostata,
che
consi-‐
ste
nella
diffusione
intraduttale
di
un
carcinoma
prostatico
aggressivo
e
nella
cancerizzazione
di
dotti
e
acini
preesistenti
da
un
adenocarcinoma
di
alto
grado;
• precursor
(10%):
in
una
minoranza
dei
casi
rappresenta
un
precursore
di
un
adenocarcinoma
della
prostata
(è
una
lesione
preinvasiva
come
la
HG-‐PIN).
Dal
punto
di
vista
morfologico
e
molecolare
non
è
possibile,
allo
stato
attuale
delle
conoscenze,
distinguere
queste
due
forme
al
di
fuori
del
contesto
in
cui
si
sviluppano.
Emerge,
in
sintesi,
che
la
HG-‐PIN
è
sempre
una
lesione
preinvasiva,
che
può
diventare
infiltrante
ma
non
sempre,
mentre
il
carcinoma
intraduttale
è
preinvasivo
solo
nel
10%
dei
casi;
inoltre
la
HG-‐PIN
si
associa
sia
a
tumori
di
basso
sia
di
alto
grado,
mentre
il
carcinoma
intraduttale
si
associa
solo
a
tumori
di
alto
grado.
Alla
luce
di
queste
evidenze,
dopo
la
diagnosi
bioptica
di
carcinoma
intraduttale
(quindi
in
assenza
di
una
componente
infiltrante),
si
ripete
la
biopsia
dopo
alcuni
mesi
(con
frequenza
simile
a
quella
vista
per
la
HGPIN
isolata
o
multifocale):
la
probabilità
di
riscontrare
un
carcinoma
infiltrante
nelle
biopsie
successive
(VPP)
è
del
90%;
quindi
la
diagnosi
bioptica
di
carcinoma
intraduttale
non
pone
l’indicazione
alla
prostatec-‐
tomia
(si
ricorre
alla
chirurgia
solo
se
le
biopsie
documentano
una
lesione
infiltrante).
59
Bisogna
sempre
cercare
di
vedere
gli
argomenti
in
modo
trasversale.
Facciamo
un
paragone
con
la
mammella.
Il
carcinoma
duttale
in
situ
della
mammella
può
essere
di
basso
grado
o
di
alto
grado.
Il
carcinoma
intraduttale
della
prostata
è
l'equivalente
del
carcinoma
duttale
in
situ
della
mammella
di
alto
grado;
la
PIN
è
invece
l’equivalente
del
car-‐
cinoma
duttale
in
situo
della
mammella
di
basso
grado.
Il
carcinoma
mammario
duttale
in
situ
ha
una
gradazione
sia
in
base
a
parametri
architetturali
che
nucleari.
Quello
di
alto
grado
è
caratterizzato
dalla
proliferazione
solida,
dotti
dilatati,
necrosi
centrale
e
atipia
nucleare.
Il
carcinoma
duttale
in
situ
della
mammella
di
basso
grado
presenta
nuclei
rotondi
e
regolari,
e
non
francamente
atipici.
Il
carcinoma
duttale
in
situ
di
alto
grado
della
mammella
come
il
carcinoma
intraduttale
della
prostata
può
essere
isolato
o
associato
a
carcinoma
infiltrante
(che
invade
il
parenchima
circostante).
In
questo
secondo
caso
si
ha
dunque
un
nodu-‐
lo
non
neoplastico
associato
a
carcinoma
duttale
nei
dotti
circostanti:
in
questo
caso,
più
che
parlare
di
un
carcinoma
che
precede
l’infiltrazione,
si
parla
di
diffusione
simile
a
quella
vista
nella
prostata.
Il
carcinoma
intraduttale
lo
troviamo
anche
nel
pancreas:
somiglia
all’adenocarcinoma,
ma
cresce
all’interno
dei
dotti
e
può
diffondersi
attraverso
di
essi
(carcinoma
mucosecernente).
In
caso
di
nodulo
a
livello
della
testa
del
pancreas
causato
da
una
lesione
intraduttale
che
presenta
diffusione
all’interno
di
dotti
o
acini,
si
fa
un
intervento
chirurgico
per
asportar-‐
lo,
ma
prima
di
richiudere
si
chiede
un’estemporanea:
non
serve
tanto
a
valutare
la
componente
infiltrante
(perchè
il
no-‐
dulo
di
solito
è
ben
definito)
quanto
piuttosto
la
componente
intraduttale
per
vedere
se
si
è
diffuso
nei
dotti
e
negli
acini
(nella
mammella
non
diffonde
a
distanza;
nella
prostata
il
carcinoma
intraduttale
invade
al
massimo
a
1-‐2
mm
di
distan-‐
za;
nel
pancreas
può
invadere
di
molto).
Anche
le
ghiandole
salivari
possono
essere
sede
di
carcinoma
intraduttale:
hanno
un
sistema
di
dotti
principali
e
un
si-‐
stema
acinare
formanti
ghiandole
che
secernono
saliva.
La
morfologia
delle
ghiandole
è
simile
alla
mammella,
ma
cambia
il
secreto:
lipidico
nella
mammella,
nelle
ghiandole
salivari
abbiamo
un
secreto
a
prevalenza
peptidico
di
2
tipi:
sieroso
(enzimi)
e
mucoso.
Ricordate
che
nella
s.
di
Sjogren
abbiamo
la
distruzione
delle
ghiandole
salivari
IMITATORI
DEL
CARCINOMA
DELL
PROSTATA
Gli
imitatori
del
carcinoma
della
prostata
sono
lesioni
benigne
che
possono
simulare
il
carcinoma
prostati-‐
co60.
È
importante
conoscere
tali
lesioni
perché
potrebbero
condurre
a
una
diagnosi
erronea.
Questi
imitatori,
possono
essere
suddivisi
in
3
gruppi
in
base
all’aspetto
morfologico
in:
1. lesioni
a
piccoli
acini,
che
simulano
il
carcinoma
acinare
di
pattern
3;
2. lesioni
ad
acini
grandi
e
cribriformi,
che
simulano
il
carcinoma
cribriforme
di
pattern
4
o
glomeru-‐
loide,
3. lesioni
ad
acini
solidi
e
non
ghiandolari,
che
simulano
il
carcinoma
solido
di
pattern
5.
All’interno
di
questi
3
gruppi
troviamo
lesioni
che:
• mimano
un
carcinoma
di
basso
grado
(Gleason
score
≤
3)
o
di
alto
grado
(Gleason
score
4-‐5);
• prendono
origine
dall’epitelio
prostatico
oppure
non
prostatico;
• sono
benigni
o
maligni.
1.
LESIONI
A
PICCOLI
ACINI
Le
lesioni
a
piccoli
acini
derivanti
dall’epitelio
prostatico
sono:
• l’atrofia,
• l’adenosi,
chiamata
in
passato
iperplasia
adenomatosa
atipica61
(AAH,
in
cui
“atipico”
veniva
usato
con
l’accezione
di
“inusuale”;
poi,
poiché
il
lemma
atipico
è
stato
sempre
più
associato
al
cancro,
si
è
cambiata
la
dizione);
simula
molto
da
vicino
una
HG-‐PIN:
le
cellule
alla
periferia
possono
avere
un
aspetto
proliferativo
minimo,
ci
può
essere
un
po'
di
necrosi,
c'è
qualche
acino
senza
cellule
basali,
• adenosi
sclerosante
(simile
a
quella
della
mammella),
• atipia
da
radiazioni:
si
riscontra
nei
pazienti
con
carcinoma
della
prostata
che
non
vengono
trattati
chirurgicamente,
ma
vengono
sottoposti
a
radioterapia;
eseguendo
biopsie
ripetute
su
questi
pa-‐
zienti
per
valutare
l’eventuale
persistenza
del
carcinoma,
può
accadere
di
evidenziare
un’atipia
da
radiazioni,
• iperplasia
delle
ghiandole
mucose
del
vero
montano
(ha
un
epitelio
ghiandolare
diverso
dall'urotelio
e
dall'epitelio
della
prostata).
Anche
lesioni
a
piccolo
acini
non
derivanti
dall’epitelio
prostatico
possono
simulare
l’adenocarcinoma
pro-‐
statico,
esse
sono:
• l’adenoma
nefrogenico,
• i
residui
mesonefrici,
• l’epitelio
dei
dotti
eiaculatori
e
delle
vescichette
seminali,
• la
metaplasia
mucinosa,
• le
ghiandole
buolbouretrali
di
Cowper
che
si
trovano
verso
l’uretra
peniena;
[sono
formate
da
acini
60
Lo
stesso
discorso
vale
per
la
mammella
in
cui
ci
sono
lesioni
proliferative
benigne
che
possono
simulare
quelle
ma-‐
ligne
(accade
anche
nel
pancreas):
1)
la
mastopatia
fibrocistica
si
presenta
con
fibrosi,
dilatazione
cistica
dei
dotti
in
cui
possiamo
trovare
metaplasia,
2 )
l'adenosi
sclerosante
che
è
caratterizzata
da
piccolo
lobuli
la
cui
numerosità
fa
pensare
alla
presenza
di
un
carcinoma
(se
si
aggiunge
la
flogosi
che
ne
altera
i
contorni
la
DD
diventa
ancora
più
com-‐
plessa),
ma
ancora
più
importante
è
3)
l'iperlasia
duttale
(precedentemente
chiamata
epiteliosi),
cioè
la
crescita
dell'epitelio
dei
dotti
fino
a
riempirli,
simulando
così
un
carcinoma
intraduttale
in
situ.
In
quest'ultimo
le
cellule
che
proliferano
sono
tutte
atipiche,
mentre
nell'iperplasia
duttale
tipica
proliferano
sia
le
cellule
basali
sia
le
luminali.
61
L’atipia
faceva
supporre
che
fosse
una
lesione
preneoplastica
ovvero
che
potesse
diventare
un
adenocarcinoma
del-‐
la
zona
di
transizione;
questa
possibilità
non
è
mai
stata
documentata,
quindi
attualmente
si
chiama
solo
adenosi
ed
è
simile
all'adenosi
della
mammella.
messi
uno
vicino
all’altro
e
somigliano
ad
un
carcinoma,
ma
presentano
cellule
con
aspetto
calici-‐
forme,
nucleo
alla
base
e
citoplasma
ricco
di
muco
(che
determina
l’intensa
positività
alla
colora-‐
zione
PAS)
come
quelle
intestinali];
• le
ghiandole
del
colon,
in
caso
di
biopsie
fatte
per
via
trans
rettale.
[Queste
ghiandole
possono
si-‐
mulare
un
carcinoma
e
potrebbero
essere
incluse
nella
biopsia
se
l’ago
trascinarla
con
sé
un
po’
di
mucosa
rettale.
Al
vetrino
quindi
si
osserverà
un
epitelio
molto
diverso
da
quello
prostatico
ma
il
da-‐
to
dirimente
è
rappresentano
dallo
stroma
che
non
è
muscolare
liscio,
ma
fibro-‐connettivale
tipico
del
colon-‐retto.
Inoltre
qui
si
osserva
muco
e
il
PSA
risulta
negativo].
ATROFIA
L'atrofia
della
prostata,
comune
soprattutto
nella
zona
periferica,
è
caratterizzata
dal
riscontro
di
acini
di
di-‐
mensioni
più
piccole
e
può
essere
distinta
in
diverse
forme
(come
accade
nella
mammella):
• atrofia
semplice
(o
cistica)
e
iperplasia
post-‐atrofica62:
ca-‐
ratterizzata
da:
o configurazione
lobulare:
si
individua
un
dotto
centri-‐
peto
con
acini
alla
periferia,
di
dimensioni
diminuite,
o basofilia,
a
causa
della
perdita
marcata
del
citopla-‐
sma,
apicale
e
laterale
(di
solito
il
citoplasma
è
ampio,
chiaro
e
granulare):
le
cellule
non
sono
più
cilindriche,
i
nuclei
sono
piccoli
appaiono
affollati,
il
citoplasma
diventa
ricco
di
granuli
(che
si
accumulano
perché
la
secrezione
è
minima),
o stroma
alterato
dalla
fibrosi,
ovvero
dalla
deposizio-‐
ne
di
collagene
periacinare,
che
a
volte
distorce
gli
acini
(dando
un
aspetto
che
ricorda
l'adenosi
sclero-‐
sante
della
mammella).
La
fibrosi
sostituisce
le
cellule
muscolari
lisce
e
comprime
le
ghiandole
soprattutto
lateralmente,
fino
quasi
a
scomparire.
Quando
la
fibrosi
strozza
il
dotto,
può
accumularsi
il
secreto
e
ci
può
essere
dilatazione
cistica
degli
acini:
si
parla
in
tal
caso
di
atrofia
cistica;
se
invece
i
dotti
proliferano
e
si
formano
nuove
ghiandole
si
parla
di
iperplasia
post-‐atrofica:
è
una
lesione
nella
quale
si
formano
nuovi
acini
a
partire
da
pic-‐
coli
acini
atrofici,
sotto
stimolazione
da
parte
degli
androgeni
(è
una
lesione
proliferativa
benigna
che
presenta
le
cellule
basali).
Queste
lesioni
di
solito
non
rappresentano
un
problema
diagnostico
differenziale
con
il
cancro
(va-‐
riante
atrofica
del
carcinoma
acinare)
perché
sono
positive
per
i
marker
delle
cellule
basali;
inoltre,
l’atrofia
semplice
è
di
solito
negativa
alla
racemasi,
l’ipertrofia
post-‐atrofica
la
esprime
in
maniera
molto
inusuale;
• atrofia
parziale:
è
caratterizzata
anche
essa
da
una
configurazione
lobulare
ma,
invece,
dalla
perdita
solo
del
citoplasma
apicale
(si
tratta
di
quella
porzione
compresa
tra
Il
nucleo
e
l’apice
della
cellula
che
è
ricca
di
PSA),
quindi
la
cellula
da
cilindrica
tende
a
diventare
cubica;
nelle
parti
laterali
invece
il
citoplasma
rimane
normale,
ovvero
chiaro
e
granulare,
e
di
conseguenza
i
nuclei
sono
meno
affollati
rispetto
all’atrofia
semplice.
62
È
una
lesione
riscontrabile
anche
nella
mammella.
Di
conseguenza
la
regressione
degli
acini
e
dei
dotti
non
è
completa:
può
simulare
maggiormente
un
adenocarcinoma
perché:
o le
ghiandole
sono
affollate
e
alla
periferia
pos-‐
sono
avere
un
pattern
di
crescita
disorganizzato
(con
margini
irregolari
rispetto
allo
stroma);
o i
nucleoli
sono
piccoli,
ma
visibili
(anche
se
non
francamente
prominenti),
o una
parte
delle
ghiandole
è
negativa
per
i
mar-‐
ker
di
cellule
basali
all’immunoistochimica
e
al-‐
cune
ghiandole
hanno
una
positività
focale
alla
racemasi63.
Ma,
a
differenza
del
cancro64,
le
ghiandole
non
hanno
un
aspetto
infiltrativo,
e,
rispetto
al
tessuto
normale
circostante65,
il
citoplasma
delle
cellule
è
simile:
è
chiaro
(mentre
nel
cancro
è
basofilo).
La
diagnosi
è
abbastanza
facile
quando
abbiamo
l’intera
visione
su
un
pezzo
chirurgico
ampio,
in
cui
ci
si
può
orientare
facilmente;
il
problema
nasce
quando
si
è
chiamati
a
valutare
le
piccole
biopsie
che
si
tendono
a
fare
sempre
più
spesso
perché
in
esse
potenzialmente
potrebbero
concentrare
tut-‐
te
le
alterazioni
dette
sopra
portando
a
una
erronea
diagnosi
di
carcinoma.
Se
non
si
riesce
a
rag-‐
giungere
una
decisione
si
fa
diagnosi
di
ASAP66
(lesione
piccola
con
diagnosi
incerta
e
si
programma
la
biopsia
a
3-‐4
mesi).
ADENOSI
(AAH)
L’adenosi
è
una
lesione
proliferativa
benigna
a
piccoli
acini
che
origina
dall’epitelio
dei
dotti
prostatici,
a
li-‐
vello
della
zona
di
transizione,
dove
può
associarsi
a
iperplasia
prostatica
(mentre
le
atrofie
si
localizzano
nella
zona
periferica
dove
possono
associarsi
a
carcinoma).
E’
la
lesione
che
più
di
frequente
simula
l’adenocarcinoma67
(3+3,
quindi
6)
e
presenta
le
seguenti
caratte-‐
ristiche
architetturali68:
• si
osserva
la
proliferazione
di
piccoli
acini
ghiandolari
normali,
• questi
acini
sono
localizzati
soprattutto
nello
stroma
perilobulare
e
perinodulare
(ovvero
accanto
ai
63
L’assenza
di
cellule
basali
e
la
positività
alla
racemasi
devono
essere
valutate
su
tutta
la
lesione
per
parlare
di
tumore,
mentre
per
l’atrofia
non
è
necessario.
64
Aspetti
morfologici
che
permettono
di
escludere
il
cancro
sono:
• una
configurazione
nodulare,
• la
positività
del
marker
per
le
cellule
basali
e
la
negatività
della
racemasi
(nel
caso
in
cui
si
individui
qualche
acino
separato
dal
dotto
principale),
• la
positività
di
p63,
nel
caso
in
cui
la
lesione
presenti
acini
piccoli
(atrofici),
in
cui
il
dotto
principale
non
è
visibile
e
l’aspetto
lobulare
non
è
apprezzabile.
Questa
positività
ci
permette
di
affermare
che
si
tratta
di
un’iperplasia
post-‐
atrofica
(e
quindi
di
escludere
il
carcinoma).
65
Ogni
volta
che
si
rileva
una
lesione
sospetta,
è
fondamentale
valutare
se
la
citologia
è
analoga
al
tessuto
circostante
sano:
aiuta
a
fare
diagnosi
differenziale,
perché
nel
carcinoma
la
differenza
con
le
cellule
circostanti
è
netta.
66
È
una
definizione
che
non
si
può
usare
in
caso
di
prostatectomia
radicale,
ovvero
su
pezzo
operatorio,
perché
in
tal
caso
si
deve
essere
in
grado
di
fare
diagnosi;
si
usa
solo
quando
si
fanno
resezioni
parziali.
67
Per
tal
motivo
in
passato
era
considerata
una
lesione
preneoplastica
dell’adenocarcinoma
ben
differenziato
della
zona
di
transizione.
Cioè
si
pensava
che
se
un
pz
aveva
un’iperplasia
nodulare,
questa
evolveva
in
adenosi
(iperplasia
adenomatosa
atipica),
ovvero
la
fase
iniziale
di
un
carcinoma
infiltrante.
Non
c’è
dimostrazione
di
questa
evoluzione
ad
oggi
per
cui
l’adenosi
ad
oggi
è
considerata
una
lesione
benigna.
68
Quando
Gleason
fece
la
classificazione
(gradi
1-‐2-‐3-‐4-‐5)
inserì
l’adenosi
nel
grado
1
perché
non
aveva
a
disposizione
l’immunoistochimica;
però
questa
tipologia
aveva
una
prognosi
eccellente
proprio
perché
non
era
un
adenocarcinoma.
noduli
di
ipertrofia
prostatica69,
che
è
for-‐
mata
da
noduli
di
ghiandole
benigne
con
al-‐
la
periferia
acini
che
proliferano
nello
stro-‐
ma),
sono
quindi
associati
a
dotti
e
acini
normali
(a
differenza
del
cancro),
• le
ghiandole
sono
caratterizzate
da
variabi-‐
lità
di
forma
e
dimensione.
L’aspetto
archi-‐
tetturale
è
particolare
e
confondente,
per-‐
ché
ci
sono
acini
più
grandi
che
partono
dal-‐
la
zona
perinodulare
(vicino
a
tessuto
nor-‐
male)
e
poi
man
mano
che
si
va
verso
la
periferia
diventano
più
piccoli
e
i
lumi
non
si
vedono
(di
fat-‐
to
si
ha
un
gradiente
decrescente
di
maturazione
degli
acini
man
mano
che
ci
si
sposta
alla
periferia),
• le
ghiandole
sono
fittamente
stipate
e
cubiformi
(il
lume
è
assente
o
poco
formato),
con
poco
stro-‐
ma
interposto,
ma
comunque
separate,
in
altre
parole
non
mostrano
segni
di
fusione.
A
maggiore
ingrandimento
si
osservano:
• nuclei
rotondi
e
nucleoli
visibili
anche
se
non
prominenti,
• possibile
presenza
di
corpi
amilacei,
cristal-‐
loidi
e
mucina
basofila,
• strato
delle
cellule
basali
a
volte
disconti-‐
nuo
(sempre
assenti
nello
adenocarcinoma);
• poiché
ci
può
essere
una
parziale
positività
alla
racemasi
(18%
delle
cellule),
è
più
im-‐
portante,
per
la
diagnosi
differenziale
con
una
lesione
maligna,
la
positività
ai
marker
per
le
cellule
basali
che
sono
presenti,
anche
se
in
ma-‐
niera
discontinua:
comunque
anche
in
questo
caso
bisogna
stare
attenti
perché
a
volte
le
cellule
ba-‐
sali
non
si
colorano
(alcune
ghiandole
possono
esserne
prive),
Per
fare
la
diagnosi
differenziale
bisogna
andare
alla
ricerca
di
ghiandole
in
posizione
perinodulare
e
perilo-‐
bulare
che
hanno
acini
più
grandi
al
centro
e
più
piccoli
in
periferia
(stessa
cosa
che
succede
nell’adenosi
sclerosante
della
mammella)
e
anche
qui
in
caso
di
dubbio
facciamo
la
diagnosi
di
ASAP.
La
tabella
riassume
le
caratteristiche
tra
adenosi
e
adenocarcinoma:
Adenosi
Carcinomi
Localizzazione
perinodulare
e
perilobulare
Infiltrazione
irregolare
nello
stroma
Ghiandole
che
proliferano
simili
alle
normali
Ghiandole
alterate
Citoplasma
normale,
chiaro
Citoplasma
basofilo
Nucleoli
medio
evidenti
Nucleoli
grandi
e
prominenti
Secrezioni
mucinose
blu
scarse
Secrezioni
mucinose
blu
abbondanti
Cellule
basali
assenti
a
tratti
Non
ci
sono
cellule
basali
Corpi
amilacei
comuni
Corpi
amilacei
rari
69
Il
pazienti
con
ipertrofia
prostatica
viene
trattato
con
terapia
ormonale
(Finasteride)
per
molto
tempo
prima
di
un’eventuale
chirurgia;
i
noduli
così
trattati
hanno
lume
chiaro
e
ampio
con
scarso
citoplasma
per
atrofia
delle
cellule-‐
data
dal
farmaco.
In
conclusione,
l’adenosi
è
una
lesione
benigna
e
il
paziente
non
va
trattato,
infatti
il
più
delle
volte
se
si
ri-‐
scontra
alla
biopsia
neanche
si
referta;
non
c’è
nessuna
prova
di
una
relazione
di
progressione
tra
l’adenosi
e
lo
adenocarcinoma
(in
passato
si
pensava
fosse
una
lesione
preneoplastica
dell’adenocarcinoma
ben
diffe-‐
renziato
della
zona
di
transizione).
ADENOMA
NEFROGENICO
L’adenoma
nefrogenico
è
una
lesione
a
piccoli
acini
che
non
origina
dall’epitelio
prostatico;
anch’essa
può
simulare
l’adenocarcinoma
prostatico.
Origina
verosimilmente
dalle
cellule
tubulari
del
rene,
che,
sfaldate,
sono
trasportate
dal
flusso
urinario
e
si
impiantano
nella
mucosa
uroteliale
ulcerata
in
sede
sottoepiteliale:
in
questa
sede
proliferano
e
danno
origine
a
strutture
simili
ai
tubuli
renali
(da
cui
il
nome).
Questo
fenomeno
è
favorito
da
procedure
diagnostiche
e
te-‐
rapeutiche
(queste
cellule
tendono
a
impiantarsi
nella
vescica
dopo
la
TURV
e
nella
prostata
dopo
la
TURP).
L’adenoma
nefrogenico:
• è
costituito
da
papille,
piccoli
tubuli,
cisti
irrego-‐
lari
(derivate
dalla
dilatazione
dei
tubuli);
tali
strutture
sono
rivestite
da
un
epitelio
cuboidale,
colonnare
basso
o
formato
da
cellule
eosinofile
hobnail-‐shaped
(simili
a
un
chiodo
con
testa
che
sporge
verso
il
lume
e
la
parte
sottile
rivolta
ver-‐
so
la
membrane
basale),
• può
essere
costituito
un
epitelio
simile
a
quello
tubulare
dopo
necrosi
tubulare
acuta,
ovvero
costituito
da
cellule
un
po’
atipiche
e
pleomorfe
con
nuclei
regolari
e
nucleoli
prominenti:
è
un’atipia
riparativa.
Infatti
la
tendenza
dell’epitelio
dei
tubuli
renali
a
riparare
spontaneamente,
se
danneggiato
da
necrosi
tossica
e/o
in-‐
fiammazione
(dopo
NTA),
è
conservata
anche
dall’adenoma
nefrogenico,
• l’architettura
è
quindi
simile
a
quella
della
midollare
renale:
i
tubuli
renali,
che
tendono
a
formare
papille
e
possono
presentare
cilindri,
sono
separati
da
stroma
mixoide,
solido,
ricco
di
capillari
ed
edematoso:
questo
stroma
permette
la
diagnosi
differenziale
perché
nel
carcinoma
della
prostata
non
c’è
reazione
stromale
e
conserva
un
aspetto
muscolare
liscio,
• presenta
diverse
localizzazioni,
inclusa
la
zona
periuretrale,
dove
va
in
diagnosi
differenziale
con
l’adenocarcinoma
prostatico
e
il
carcinoma
uroteliale
a
piccoli
tubuli
(in
genere
non
si
trova
nel
pa-‐
renchima
prostatico,
ma
in
prossimità
dell’urotelio),
• all’immunoistochimica
è
positivo
alla
racemasi,
al
PSA
(non
dirimenti
per
la
diagnosi
differenziale),
alla
CK7
e
a
PAX2
e
PAX8;
è
negativa
alla
p63,
che
pertanto
non
dirime
la
diagnosi
differenziale
con
il
carcinoma
e
ma
solo
quella
con
il
carcinoma
uroteliale
a
piccoli
tubuli
(che
invece
è
p63-‐positivo).
Diagnostica
è
la
positività
per
PAX2
e
PAX8,
indicativi
dell’origine
tubulare
renale.
Quindi
in
prima
istanza
si
fanno
un
marker
renale
e
uno
prostatico
(non
vanno
fatti
racemasi,
PSA
e
PSA3)70.
70
Altro
aspetto
che
aiuta
nella
diagnosi
differenziale
con
adenocarcinoma:
il
tubulo
renale
è
delimitato
da
una
mem-‐
brana
basale
per
cui
quando
rigenera
forma
tubulo,
membrane
basale
e
interstizio;
il
carcinoma
della
prostate
forma
dotto,
acino
e
tubule
ma
non
ha
membrana
basale
nè
stroma
specializzato.
2.
LESIONI
AD
ACINI
GRANDI
E
CRIBRIFORMI
Tra
le
lesioni
ad
acini
grandi
e
cribriformi,
che
simulano
il
carcinoma
(cribriforme,
duttale
o
pseudoiperpla-‐
stico)
e/o
una
PIN
di
alto
grado,
ricordiamo:
• l’iperplasia
delle
cellule
basali;
• l’iperplasia
cribriforme
a
cellule
chiare;
• ghiandole
iperplastiche
di
taglia
medio-‐grande.
IPERPLASIA
DELLE
CELLULE
BASALI
L’iperplasia
delle
cellule
basali
è
una
lesione
benigna
caratterizzata
da
proliferazione
delle
cellule
basali,
al
di
sotto
delle
cellule
secretorie
luminali.
Distinguiamo:
• forma
semplice;
con
proliferazione
delle
cellule
basali
e
atrofia
di
quelle
luminali
(queste
ultime
vanno
incontro
ad
atrofia,
poiché
vengono
eccessivamente
distanziate
dalla
membrana
basale).
La
proliferazione
determina
un
restringimento
dei
lumi
e
un
apparente
stratificazione
dell’epitelio
che
as-‐
sume
un
aspetto
cribiforme;
infatti,
l’iperplasia
delle
cellule
basali
può
simulare
una
HG-‐PIN
o
un
car-‐
cinoma
(cribriforme,
duttale
o
pseudoiperplastico);
• forma
con
nucleoli
prominenti
(in
precedenza
chiamata
iperplasia
a
cellule
basali
atipica).
Va
in
diagnosi
differenziale
con
una
HG-‐PIN
(dove
però
sono
le
cellule
secretorie
a
prolifera-‐
re),
qui
però
le
cellule
secretorie
sono
atrofiche:
in
caso
di
dub-‐
bio
l’immuno-‐istochimica
permette
di
evidenziare
la
forte
posi-‐
tività
a
p63,
marker
delle
cellule
basali71;
• carcinoma
baso-‐cellulare
(definito
adenoidocistico
perché
mima
il
carcinoma
delle
ghiandole
salivari),
di
cui
l’iperplasia
sembra
rappresentare
la
lesione
preneoplastica.
Quello
che
li
distingue
è
che
il
carcinoma
presenta
un’infiltrazione
estensi-‐
va
tra
le
ghiandole
normali,
un’infiltrazione
perineurale
e
la
necrosi,
inoltre
è
intensamente
positivo
a
Ki67
e
Bcl-‐2
(markers
di
cellule
in
attiva
proliferazione).
Le
cellule
basali
proliferanti
possono
simulare
anche
un
carcinoma
uroteliale
con
diffusione
pagetoide:
en-‐
trambi
sono
citocheratina-‐positivi,
ma
differiscono
perché
il
carcinoma
uroteliale
è
uroplachina-‐positivo.
[IPERPLASIA
CRIBRIFORME
A
CELLULE
CHIARE
E’
una
lesione
benigna
ad
acini
grandi
della
zona
di
transizione
che
può
simulare
un
carcinoma
della
prostata.
E’
forma-‐
ta
da
ghiandole
cribriformi
con
cellule
basali
e
cellule
luminali
normali
(non
atipiche),
con
nuclei
rotondi
e
citoplasma
chiaro
(normale).
C’è
iperplasia
nodulare,
infatti
è
una
lesione
della
zona
di
transizione.
Va
in
diagnosi
differenziale
soprattutto
col
carcinoma
cribriforme
(che
in
genere
è
di
alto
grado,
4
o
5
di
Gleason;
quin-‐
di
cambia
di
molto
la
prognosi),
ma
anche
con
altre
lesioni:
a
basso
ingrandimento
si
valuta
se
c’è
un
aspetto
nodulare-‐
lobulare,
cioè
se
i
margini
sono
definiti
per
mancanza
dell'aspetto
infiltrativo;
a
maggiore
ingrandimento
si
valuta
se
sono
presenti
le
cellule
basali,
a
favore
dell'iperplasie
a
cellule
basali,
e
si
deve
verificare
che
non
ci
sia
atipia
nucleare.
Nell'adenocarcinoma
cribriforme
ci
sono
dei
lumi
accessori,
ma
le
cellule
non
sono
chiare,
non
troviamo
le
cellule
basali
e
ci
sono
strutture
che
non
sono
compatibili
con
dotti
preesistenti
(perché
sono
di
dimensioni
nettamente
superiori
a
causa
dell’infiltrazione
stromale)].
71
Nel
cancro
sono
assenti,
nella
PIN
sono
diradate
e
tendono
a
scomparire,
nell’adenosi
sono
poche.
Nell’iperplasia
a
cellule
basali
sono
molto
numerose
e
tendono
a
formare
cuscinetti.
3.
LESIONI
AD
ACINI
SOLIDI
E
NON
GHIANDOLARI
Le
lesioni
ad
acini
solidi
e
non
ghiandolari
che
simulano
un
carcinoma
della
prostata
(di
alto
grado
(pattern
4
o
5),
a
cellule
schiumose,
post-‐terapia
radiante
od
ormonale)
sono:
• prostatite
cronica
granulomatosa
non
specifica,
flogosi
intensa
e
malakoplachia.
La
prostatite
cronica
granulomatosa72
non
specifica
è
una
flogosi
cronica
che
deriva
dalla
flogosi
del
testicolo
(nel
lume
dei
tubuli
seminiferi
possono
esserci
sostanze,
anche
portate
dagli
stessi
spermatozoi,
che
causano
una
reazione
granulomatosa).
Qualche
volta
è
caratterizzata
da
una
densità
di
nuclei
così
elevata
da
simulare,
a
basso
ingran-‐
dimento,
un
carcinoma
solido
di
alto
grado:
a
maggiore
ingrandimento
si
osservano
istiociti,
cellule
giganti
pluri-‐
nucleate,
elementi
infiammatori
e
a
volte
anche
eosinofili
(che
fanno
pensare
a
una
lesione
benigna
flogistica).
In
caso
di
dubbio
si
ricorre
all’immunoistochimica:
la
flogosi
cronica
granulomatosa
risulta
positiva
ai
markers
istiocitari
e
al
CD68;
il
carcinoma
risulta
positivo
ai
markers
epiteliali.
Molte
volte,
in
caso
di
flogosi
intensa,
dal
punto
di
vista
clinico
si
osservano
dei
noduli
c
solidi
all’esplorazione
rettale
e
alla
RMN
multiparametrica,
che
simulano
un
cancro.
La
biopsia
permette
di
fare
diagnosi.
Infine,
la
malakoplakia
è
un’infiammazione
cronica
in
cui
gli
istiociti
inglobano
particelle
batteriche
calcifiche
e
si
calcificano
a
loro
volta:
la
flogosi
è
intensa
e
mima
un
adenocarcinoma,
ma
è
inve-‐
ce
una
lesione
benigna;
• modificazione
di
cellule
ad
anello
con
castone
in
cellule
non
epiteliali.
Nella
prostata
si
possono
os-‐
servare,
soprattutto
nelle
pareti
di
un’arteriola,
cellule
che
hanno
un
vacuolo,
come
nella
variante
signet
ring-‐like
del
carcinoma
della
prostata:
sono
modificazioni
del
muscolo
liscio
delle
arteriole
che
possono
simulare
un
adenocarcinoma;
per
la
diagnosi
si
valuta
l’espressione
dell’actina
musco-‐
lare
liscia;
• xantoma
prostatico73:
è
un
aggregato
di
istiociti
con
citoplasma
ampio
e
schiumoso
per
la
fagocitosi
di
lipidi.
Si
osservano
cellule
una
vicina
all’altra
che
simulano
carcinoma
e
che
si
differenziano
con
marker
per
gli
istiociti;
• ganglio
nervoso
intraprostatico,
che
può
simulare
un
carcinoma
all’esplorazione
rettale,
alla
ecogra-‐
fia
e
alla
RMN
multiparametrica.
E’
caratterizzato
da
una
elevata
densità
cellulare,
nucleoli
promi-‐
nenti,
cellule
di
diverse
dimensioni.
La
diagnosi
differenziale
si
fa
con
S100
che
mette
ine
videnza
le
cellule
sustentacolari.
• metaplasia
squamosa:
per
infiammazione
post-‐biopsia
da
batteri
della
mucosa
rettale
(per
questo
prima
e
dopo
la
biopsia
si
fa
terapia
antibiotica).
72
In
pazienti
che
hanno
carcinoma
della
vescica,
si
fa
spesso
biopsia
della
prostata
perché
nel
50%
dei
casi
c’è
anche
un
carcinoma
prostatico,
mentre
altre
volte
si
può
riscontrare
un’infiamm
azio
ne
cronica
granulomatosa
(questa
sembra
sia
dovuta
a
una
forma
di
tubercolosi
localizzata
da
terapia
con
BCG).
Il
carcinoma
della
vescica
viene
diviso
in
base
all’estensione;
• quelli
superficiali
che
arrivano
fino
a
connettivo
sottoepiteliale,
vengono
trattati
con
BCG
(in
pratica
si
mette
il
bacillo
di
Calmette-‐Guérin
nella
vescica
che
stimola
la
flogosi
cronica
e
la
reazione
contro
le
cellule
epiteliali
neo-‐
plastiche.)
che
stimola
l’immunità.
In
questi
pazienti
però,
può
svilupparsi
una
tubercolosi
locale,
che
stimola
la
formazione
di
granulomi
a
livello
della
prostata
e
della
vescica;
• quelli
profondi
che
invadono
la
tonaca
muscolare
e
arrivano
fino
al
detrusore
invece
si
trattano
solo
con
chirurgia
73
Si
può
verificare
anche
a
livello
di
stomaco
e
vescica.
TUMORI
DELLO
STROMA
PROSTATICO
I
tumori
dello
stroma
prostatico
sono
rari.
Lo
stroma
prostatico,
che
sostiene
il
trofismo
dell’epitelio
ghiandolare,
è
formato
da
cellule
muscolari
lisce
e
fibroblasti
particolari
che
possono
andare
incontro
a
trasformazione
neoplastica
formando
una
lesione
simile
a
quelle
dello
stroma
dell’endometrio.
L’endometrio
presenta
ghiandole
che
possono
diventare
neoplastiche
dando
il
carcinoma
endometrioide
e
uno
stroma
(fibroso
denso,
specializzato,
con
recettori
per
gli
estrogeni
e
progesterone)
che
può
diventare
neoplastico
ma
è
estremamente
raro.
25.
NEOPLASIE
DELL’UROTELIO
L’urotelio
o
epitelio
di
transizione
è
l’epitelio
pluristratificato
che
riveste
la
vescica
e
gran
parte
delle
vie
urinarie.
La
maggior
parte
dei
tumori
dell’urotelio
insorge
nella
vescica.
ANATOMIA
DELLA
VESCICA
La
vescica
è
un
organo
cavo
formato
da:
• una
tonaca
mucosa
a
sua
volta
formata
da
urotelio
(che
poggia
su
una
membrana
basale)
e
connettivo
sot-‐
touroteliale
(lamina
propria);
questo
tessuto
connettivo
è
più
sottile
a
livello
del
trigono
vescicale
(area
triango-‐
lare
della
parete
vescicale,
i
cui
vertici
sono
il
meato
uretrale
e
i
due
meati
ureterali):
pertanto
un
tumore
del
trigono
infiltra
più
facilmente
la
tonaca
muscolare.
A
metà
del
connettivo
sottouroteliale
è
presente
la
mu-‐
scolaris
mucosae1;
ma,
a
differenza
degli
altri
organi
ca-‐
vi,
il
connettivo
sottostante
la
muscolaris
mucosae
non
prende
il
nome
di
sottomucosa
(è
sempre
lamina
pro-‐
pria);
• una
tonaca
muscolare,
anche
detta
muscolo
detrusore,
• il
tessuto
adiposo
perivescicale,
che
in
una
parte
è
rive-‐
stito
dalla
sierosa
peritoneale.
Come
già
detto,
l’urotelio
inizia
dalle
cavità
calico-‐pieliche,
con-‐
tinua
negli
ureteri
e
nella
vescica,
e
quindi:
• nell’uomo
termina
a
livello
dell’uretra
prostatica,
infatti
l’uretra
peniena
è
rivestita
da
un
epitelio
pavimentoso
non
cheratinizzato;
• nella
donna
termina
nella
vescica,
che
è
rivestita
inte-‐
ramente
da
urotelio
ad
eccezione
del
trigono,
che
inve-‐
ce
è
rivestito
da
epitelio
pavimentoso
non
cheratinizza-‐
to 2 ;
infatti
nella
donna
il
trigono
è
di
colore
bianco
(nell’uomo
è
roseo).
L’epitelio
pavimentoso
del
trigono
va
incontro
a
modifi-‐
cazioni
minime
con
lo
stato
ormonale
e
con
la
meno-‐
pausa
diventa
cheratinizzato:
si
ha
una
metaplasia
squamosa.
1
La
muscolaris
mucosae
consiste
di
fascicolo
sottile
e
ondulato
di
muscolo
liscio
associato
generalmente
a
vasi
sottili
di
grandi
calibro.
Essa
è
collocata
a
metà
tra
la
superficie
epiteliale
e
la
tonaca
muscolare
propria
detrusoriale:
tale
fat-‐
tore
anatomico
è
importante
perché
molti
clinici
parlano
di
sottomucosa
della
vescica,
che
in
realtà
non
esiste;
vi
è
essenzialmente
una
mucosa
che
è
costituita
da
epitelio
e
connettivo
sub-‐epiteliale,
con
interposta
la
muscolaris
muco-‐
sae.
2
Questa
differenza
è
importante
e
da
sapere,
in
quanto
uno
degli
errori
più
frequenti
che
si
fa
in
medicina
nelle
donne
che
si
sottopongono
a
cistoscopia
è
diagnosticare
una
cistite
cronica
basandosi
sull’evidenza
che
il
trigono
è
rivestito
da
una
mucosa
più
bianca
rispetto
al
resto
(che
essendo
rivestito
da
urotelio
è
roseo
perché
esso
fa
trasparire
i
vasi
sottostanti).
Tale
distinzione
cromatica
è
del
tutto
fisiologica
ma
chi
non
lo
sa
(ginecologi
o
urologi
in
questo
caso)
può
scambiare
questo
con
una
modificazione
della
mucosa
dovuta
a
infiammazione
cronica.
L’urotelio
si
chiamava
epitelio
di
transizione
perché:
• cambia
il
numero
degli
strati.
L’urotelio
è
un
epitelio
pluristratificato
il
cui
numero
degli
strati
cambia
a
se-‐
conda
dello
stato
di
riempimento,
ovvero
di
distensio-‐
ne,
della
vescica,
e
va
da
3
(quando
la
vescica
è
piena)
a
7
circa;
• cambia
la
morfologia
delle
cellule
in
senso
baso-‐
apicale.
Le
cellule
dell’urotelio,
che
è
sostenuto
da
una
membrana
basale,
proliferano
nello
strato
basale
e
maturanp
con
un
gradiente
baso-‐apicale:
quelle
su-‐
perficiali
sono
positive
alla
CK20,
quelle
basali
alla
34betaE12
(inoltre,
poiché
l’urotelio
normale
può
con-‐
! 2008 The Authors. Journal compilation ! 2008 Blackwell Publishing Ltd, Histopathology, 53, 621–633.
tenere
il
glicogeno,
che
con
la
fissazione
si
scioglie,
le
A B
cellule
uroteliali
possono
apparire
chiare).
Le
cellule
superficiali
sono
dette,
per
la
loro
morfologia,
cellule
cupoliformi
o
a
ombrello:
esse
ricoprono
più
cellule
sottostanti
e
producono
una
sottile
membrana
glicoproteica
citocheratino-‐negativa
che
viene
deposta
sulla
superficie,
detta
membrana
asimmetrica:
essa
impedisce
il
reflusso
dell’urina
ed
è
formata
da
diversi
strati
di
diverso
spessore
(visibili
alla
microscopia
elet-‐
tronica:
si
osservano
uno
strato
chiaro
centrale
e
due
strati
scuri
periferici);
può
essere
evidenziata
con
l’immunoistochimica
per
l’uroplachina-‐3;
E F
• può
andare
incontro
a
metaplasia,
che
è
la
sostituzione
di
un
epitelio
normale
con
un
altro
epitelio
normale.
Essa
rappresenta
una
condizione
preneoplastica,
ovvero
una
condizione
associata
a
un
ri-‐
schio
maggiore
di
insorgenza
di
una
neoplasia
rispetto
a
un
epitelio
normale
(invece
una
lesione
preneoplastica
è
una
lesione
che
presenta
già
le
caratteristiche
architetturali
delle
lesioni
pre-‐
invasive).
La
metaplasia
della
vescia
può
essere:
o ghiandolare
(o
intestinale),
se
diventa
simile
all’epitelio
intestinale
(formato
da
cripte
ricoper-‐
te
da
un
monostrato
di
cellule
cilindriche).
Ciò
è
possibile
perché
embriologicamente
vescica
e
retto
fanno
parte
di
un’unica
cavità
(la
cloaca)
che
poi
si
sepimenta
in
due:
la
parte
anteriore
diventa
la
vescica,
quella
posteriore
il
retto,
o pavimentosa
(o
squamosa),
se
viene
sostituito
da
un
epitelio
pavimentoso
pluristratificato
cheratinizzato.
I J
Figure 1. A, Normal urothelium. B, Flat urothelial hyperplas
expression in dysplasia). E, Urothelial carcinoma in situ (CIS)
antibody against AE1–AE3 cytokeratins). G, Urothelial papillo
carcinoma of low grade. J, Urothelial papillary carcinoma of
squamous cell metaplasia, vaginal type; insert 2: squamous c
L’urotelio,
inoltre,
esprime
fisiologicamente
la
capacità
di
crescere
nel
connettivo
sottoepiteliale,
infatti
in
questo
distretto
possono
essere
reperti
i
nidi
di
von
Brunn:
sono
nidi
rotondeggianti
di
cellule
uroteliali
ba-‐
sali
tipiche,
che
talora
non
presentano
un’evidente
con-‐
nessione
con
l’epitelio
superficiale;
presentano
una
prevalente
localizzazione
al
trigono.
Un
tempo
ritenuti
effetto
di
processi
infiammatori,
oggi
sono
considerati
reperti
normali.
L’evoluzione
di
questi
nidi
è
rappresen-‐
tata
dalla
cistite
ghiandolare,
che
si
caratterizza
per
la
presenza
nello
stroma
di
piccole
cavità
centralmente
circondate
da
elementi
uroteliali,
e
che
può
ulterior-‐
mente
evolvere
in
una
cistite
cistica,
in
cui
le
cavità
rag-‐
giungono
maggiori
dimensioni,
tanto
da
essere
ricono-‐
scibili
all’esame
macroscopico.
In
sintesi,
maturando,
i
nidi
di
Brunn
possono
formare
delle
cisti
con
un
lume.
Questa
fisiologica
capacità
di
crescere
nel
connettivo
sottouroteliale
è
conservata
ed
espressa
dalle
neopla-‐
sie
endofitiche
dell’urotelio.
NEOPLASIE
DELLA
VESCICA
Le
neoplasie
della
vescica
vengono
classificate
in
base
alle
tonache
infiltrate
in:
• neoplasie
(o
lesioni)
non
invasive,
se
la
proliferazione
neoplastica
non
supera
la
membrana
basale;
in
questo
caso
il
trattamento
è
conservativo,
di
solito
è
indicata
una
resezione
endoscopica
(che
può
essere
messa
in
atto
anche
per
neoplasie
invasive
confinate
al
connettivo
sottouroteliale),
• neoplasie
invasive,
se
viene
superata
la
membrana
basale.
In
caso
di
infiltrazione
della
tonaca
mu-‐
scolare,
il
trattamento
è
chirurgico
e
demolitivo
(cistectomia).
Studiamo
le
lesioni
invasive
e
non
invasive
della
vescica,
e,
in
generale,
dell’urotelio.
LESIONI
NON
INVASIVE
DELL’UROTELIO
Le
lesioni
non
invasive
dell’urotelio,
che
non
infiltrano
quindi
il
connettivo
sottoendoteliale,
possono
esse-‐
re
uroteliali,
o
rispecchiare
le
modificazioni
metaplastiche
cui
va
incontro
l’urotelio.
Nel
dettaglio
distinguiamo:
1. neoplasie
uroteliali,
sono
lesioni
preneoplastiche
dell’urotelio
associate
ad
alterazioni
architettura-‐
li;
esse
possono
manifestarsi
come:
a. una
lesione
piatta
(displasia
piatta),
b. una
lesione
papillare
(esofitica),
c. una
lesione
invertita
(endofitica),
che
cresce
nel
connettivo
sotto-‐endoteliale
in
modo
non
in-‐
vasivo
(ovvero
senza
interruzione
della
membrana
basale).
Queste
tre
neoplasie
possono
evolvere
verso
un
carcinoma
uroteliale
invasivo;
2. neoplasie
a
cellule
squamose;
esse
sono:
a. la
metaplasia
squamosa
cheratinizzante,
causata
da
una
stimolazione
cronica
dell’urotelio
(per
esempio
da
un
catetere
a
dimora),
b. la
displasia
squamosa,
che
evolve
verso
il
carcinoma
squamoso
in
situ,
che
a
sua
volta
verso
il
carcinoma
squamo-‐cellulare
infiltrante
(è
una
lesione
invasiva;
v.
dopo):
questa
stessa
progres-‐
sione
è
osservabile
anche
nella
cervice
uterina,
3. neoplasie
ghiandolari;
esse
sono:
a. la
metaplasia
ghiandolare
(intestinale),
in
cui
l’urotelio
diventa
come
la
mucosa
del
colon,
con
cripte
formate
da
un
epitelio
monostratificato;
b. l’adenoma
con
displasia
prima
di
basso
grado
poi
di
alto
grado:
esso
deriva
dalla
trasforma-‐
zione
maligna
della
metaplasia
intestinale
ed
evolve
verso
l’adenocarcinoma
(c’è
una
modifi-‐
cazione
analoga
a
quella
del
tumore
del
colon).
Quindi
nella
vescica
possono
insorgere
tre
neoplasie
invasive
(v.
dopo):
il
carcinoma
uroteliale,
il
carcinoma
squamo-‐cellulare
e
l’adenocarcinoma.
1.
LESIONI
UROTELIALI
Le
lesioni
uroteliali
sono
lesioni
formate
da
urotelio
che
mostra
alterazioni
o
trasformazioni
preneoplasti-‐
che;
possono
essere:
a. piatte
(ricordano
l’adenoma
tubulare
piatto
del
colon):
crescono
nello
spessore
dell’urotelio,
senza
sollevarsi
o
sporgere;
b. esofitiche
(papillari):
crescono
sporgendo
nel
lume
della
vescica
in
modo
papillare,
ovvero
formando
una
struttura
arboriforme
rivesti-‐
ta
da
urotelio
preneoplastico.
La
vecchia
classificazione
del
1973
identificava
tutte
le
forme
papillari
come
carcinoma;
c. endofitiche
(simili
al
papilloma
invertito
del
naso):
l’urotelio
pre-‐
neoplastico,
un
po’
sporgente,
cresce
soprattutto
in
maniera
com-‐
pressiva
nel
connettivo
sottoepiteliale
formando
dei
nidi
(questa
ca-‐
pacità
è
presente
anche
nell’urotelio
normale
e
porta
alla
formazio-‐
ne
dei
nidi
di
Brunn).
Queste
tre
categorie
si
possono
associare:
in
un
paziente
con
una
forma
papillare
si
può
riscontrare
nell’urotelio
circostante
una
lesione
piatta.
E
proprio
per
questo
motivo,
ovvero
questa
capacità
di
associa-‐
zione,
le
lesioni
uroteliali
tendono
a
recidivare
durante
il
follow-‐up.
a.
LESIONI
PIATTE
Le
lesioni
uroteliali
piatte
si
dividono
in
due
sottogruppi
in
base
alla
presenza
o
assenza
di
atipia
nucleare:
• lesioni
uroteliali
piatte
senza
atipia,
tra
cui
identifichiamo
! 2008 The Authors. Journal compilation ! 2008 Blackwell Publishing Ltd, Histopathology, 53, 621–633.
un’unica
lesione:
la
proliferazione
uroteliale
di
incerto
poten-‐
A B C
ziale
di
malignità,
in
passato
definita
iperplasia
uroteliale.
Da
un
punto
di
vista
morfologico
questa
lesione
è
caratterizza-‐
ta
da
un
urotelio
privo
di
atipia,
con
architettura
conservata,
ma
di
spessore
aumentato
(è
l’unico
caso)
a
causa
dell’aumento
del
numero
di
strati:
da
7
diventano
circa
10
(si
contano
gli
strati
in
base
all’altezza
dei
nuclei);
poiché
la
mor-‐
fologia
è
conservata,
vuol
dire
che
ad
aumentare
sono
le
cellu-‐
le
negli
strati
intermedi.
Questa
lesione
in
una
minoranza
dei
casi
può
evolvere
in
un
carcinoma
ed
è
un
reperto
incidenta-‐
F
le:
di
solito
viene
osservata
in
pEazienti
che
hanno
già
avuto
una
neoplasia
dell’urotelio
di
basso
gra-‐ G
do
e
verosimilmente
rappresenta
la
fase
iniziale
di
una
recidiva
della
neoplasia3;
negli
altri
casi
rap-‐
presenta
l’esordio
di
una
lesione
preneoplastica.
Quindi
la
nuova
dizione
riflette
l’andamento
della
lesione
e
non
è
meramente
morfologica
come
quella
vecchia
(“iperplasia
uroteliale”).
Fatta
questa
diagnosi,
il
paziente
viene
seguito
nel
tempo
con
un
follow-‐up
ed
è
controindicata
una
terapia
definitiva:
al
massimo
può
esserci
una
recidiva
di
neoplasia
di
basso
grado;
• lesioni
uroteliali
piatte
con
atipia;
esse
sono:
o l’atipia
uroteliale
reattiva:
è
un’atipia
riparativa
che
si
manifesta
nello
spessore
dell’urotelio
a
seguito
di
una
infiammazione
(cistite4),
soprattutto
acuta:
si
osservano
cellule
con
nuclei
irre-‐
golari
in
forma
e
dimensioni
e
figure
mitotiche.
In
questo
caso
il
lemma
atipia
indica,
alla
lette-‐
I J K
ra,
qualcosa
di
non
tipico,
ovvero
di
non
usuale,
e
non
si
riferisce
al
cancro.
E’
caratterizzata
da:
§ spessore
e
polarità
dell’urotelio
conservati,
§ nuclei
uniformemente
ingranditi
(alcuni
sono
B C D
rotondi
e
alcuni
allungati)
e
vescicolari
(perché
la
cromatina
è
dispersa),
con
nucleoli
promi-‐
nenti,
§ figure
mitotiche
non
solo
nella
base
ma
anche
negli
strati
superficiali
(indicative
dalla
attiva-‐
zione
del
compartimento
Figure 1. A, staminale
per
ricosti-‐
Normal urothelium. B, Flat urothelial hyperplasia. C, Reactive atypia. D, Urothelial dysplasia
expression in dysplasia). E, Urothelial carcinoma in situ (CIS), pagetoid type. F, Urothelial CIS with microin
tuire
l’endotelio),
antibody against AE1–AE3 cytokeratins). G, Urothelial papilloma (insert: magnification of the lesion). H, Pap
§ infiltrato
infiammatorio
intrauroteliale
(e
non
papillary carcinoma of high grade (insert: microinvasion detected wit
carcinoma of low grade. J, Urothelial
squamous cell metaplasia, vaginal type; insert 2: squamous cell metaplasia, keratinizing type). L, Villous a
nel
connettivo
sottoepiteliale),
acuto
(soprat-‐
tutto,
formato
quindi
da
neutrofili)
o
cronico,
§ spesso
storia
precedente
di
cateterismo,
procedure
invasive,
litiasi,
terapie.
Questa
lesione
Fnon
dovrebbe
essere
considerata
neoplastica;
G H
3
Gli
urologi
quando
asportano
una
lesione
che
sporge
nel
lume
non
asportano
tutta
quanta
la
mucosa
ma
solo
un
po'
della
mucosa
circostante,
tuttavia
la
mucosa
circostante
che
rimane
in
sede
già
è
alterata
ed
è
la
stessa
che
può
dare
origine
alla
recidiva.
4
La
clinica
della
cistite
è
caratterizzata
da
pollachiuria
ed
eventuale
ematuria.
La
pollachiuria
è
dovuta
al
fatto
che
l’urotelio
è
alterato
e
l’urina
può
entrare
nel
connettivo
sotto-‐uroteliale
e
stimolare
le
terminazioni
nervose;
l’ematuria
al
fatto
che
l’infiammazione
può
desquamare
l’urotelio:
la
membrana
basale
e
il
connettivo
sottouroteliale
ricco
di
capillari
sono
a
diretto
contatto
con
l’urina
e
si
verifica
perdita
di
sangue
nell’urina.
o l’atipia
di
significato
non
conosciuto:
non
rappresenta
un’entità
diagnostica,
ma
una
categoria
descrittiva
e
di
incertezza
diagnostica
(questa
categoria
esiste
anche
nella
mammella),
in
cui
è
difficile
capire
se
le
lesione
sia
una
displasia
o
un
processo
riparativo
post-‐infiammatorio
(que-‐
sta
condizione
di
ambiguità
può
essere
riscontrato
anche
nella
cervice
uterina).
Nel
dettaglio,
questa
categoria
va
utilizzata
nei
casi
in
cui
la
severità
dell’atipia
reattiva
è
spro-‐
porzionata
rispetto
all’estensione
dell’infiammazione
così
tanto
da
non
poter
escludere
con
certezza
una
displasia.
In
questo
caso
l’urologo
segue
il
paziente
in
maniera
più
stringente
e
ri-‐
pete
la
cistoscopia
e
la
biopsia
dopo
qualche
mese,
una
volta
regredita
l’infiammazione;
o la
displasia
uroteliale:
è
una
lesione
preneoplastica
caratterizzata
da:
§ spessore
dell’urotelio
di
solito
normale,
§ nucleomegalia,
alterata
distribuzione
della
cromatina
e
certo
grado
di
polimorfismo
nu-‐
cleare,
§ figure
mitotiche
in
superficie,
C D
§ perdita
della
polarità:
i
nuclei
non
hanno
più
l’asse
maggiore
perpendicolare
alla
membrana
basale,
ma
diventano
inclinati,
quindi
le
cellule
maturano
in
direzione
baso-‐
apicale
seguendo
una
traiettoria
non
verti-‐
cale
ma
obliqua
(“vanno
lateralmente”),
§ atipia
nucleare
a
anormalità
architetturali
severe
ma
non
abbastanza
per
porre
dia-‐
gnosi
di
carcinoma
in
situ:
sono
presenti
le
cellule
cupoliformi
e
c’è
ancora
un
gradiente
baso-‐apicale.
A
differenza
della
cervice
uterina
(in
cui
la
displasia
è
distinta
in
grado
lieve,
medio
e
grave),
G la
displasia
non
si
classifica
in
base
alla
gravità
nell’urotelio
H 5.
La
displasia
può
insorgere:
§ de
novo:
in
questo
caso
il
paziente
ha
un
basso
rischio
di
sviluppare
il
carcinoma
(5-‐13%);
viene
reperta
la
displasia
perché
il
paziente
con
storia
negativa
ha
una
sintomatologia
e
fa
la
cistoscopia
con
biopsia,
§ in
pazienti
che
hanno
avuto
una
neoplasia
non
invasiva
o
superficialmente
invasiva:
in
questo
caso
la
displasia
rappresenta
la
base
per
la
recidiva
della
neoplasia
o,
anche
se
il
rischio
è
minimo,
per
la
progressione
verso
un
carcinoma
infiltrante.
Si
parla
di
recidiva
se
reinsorge
una
lesione
identica
a
quella
precedentemente
asportata,
e
di
progressione
se
la
lesione
che
reinsorge
è
aumentata
in
grado
o
stadio,
§ in
pazienti
con
neoplasia
che
infiltra
la
tonaca
muscolare:
in
questo
caso
la
prognosi
è
determinata
dalla
neoplasia
infiltrante,
che
richiede
un
approccio
demolitivo,
o il
carcinoma
K in
situ
(CIS):
è
una
lesione
a
metà
tra
la
displasia
e
il
carcinoma
infiltrante,
ed
è
L
anche
detta
neoplasia
intrauroteliale
di
alto
grado.
Infatti
si
susseguono
le
seguenti
lesioni
piatte:
urotelio
normale,
displasia
uroteliale,
carcinoma
uroteliale
in
situ,
carcinoma
uroteliale
infiltrante;
ma
questa
sequenza
non
è
sempre
riscontrabile:
per
esempio
la
displasia
piatta
può
evolvere
in
una
forma
papillare
che
poi
diventa
infiltrante.
5
In
passato
si
distingueva
la
displasia
lieve
(attualmente
inclusa
in
quel
minimo
di
variabilità
riscontrabile
nell’urotelio
normale),
media
(corrisponde
all’attuale
displasia)
e
grave
(attualmente
fa
parte
dello
spettro
morfologico
del
carci-‐
noma
in
situ).
a. C, Reactive atypia. D, Urothelial dysplasia (left part of the image) adjacent to normal urothelium (right) (insert: p53
! 2008 The Authors. Journal compilation ! 2008 Blackwell Publishing Ltd, Histopathology, 53, 621–633.
A B
Le
caratteristiche
del
CIS
sono:
§ spessore
dell’urotelio
normale
o
diminuito
(solo
nell’iperplasia
aumenta);
lo
spessore
E F
può
essere
ridotto
a
causa
della
desquama-‐
zione:
infatti
le
cellule
neoplastiche
tendono
a
essere
meno
differenziate,
quindi
prive
anche
dei
ponti
intercellulari
(desmosomi),
e
a
contatto
con
l’urina
desquamano
per
poi
essere
trasportate
dal
flusso
urinario.
Proprio
a
causa
di
questa
caratteristica
di
desquamare,
il
follow-‐up
del
tumore
della
vescica
si
fa
con
la
citologia
urinaria6,
volta
a
rintracciare
cellule
atipiche
nelle
urine.
In
alcuni
casi
l’urotelio
può
essere
franca-‐
mente
denudato
a
causa
di
questo
processo
di
desquamazione;
poiché
l’urotelio
denuda-‐
I
to
può
anche
essere
presente
nella
cistite,
per
la
diagnosi
differenziale
si
studia
l’urotelio
J
circostante
(con
sezioni
seriate)
che
può
essere
tipico
(cistite)
o
atipico
(neoplasia),
§ nuclei
francamente
atipici:
grandi,
irregolari,
ipercromatici,
con
nucleoli
prominenti,
simili
a
quelli
del
cancro
invasivo
di
alto
grado
(in
cui
però
si
osservano
cellule
tumorali
nel
con-‐
nettivo
sotto-‐epiteliale
o
nella
parete),
§ la
presenza
di
figure
mitotiche
fino
in
superficie
(non
c’è
più
la
conservazione
dello
strato
superficiale
cupoliforme);
§ completa
perdita
della
polarità;
§ integrità
della
membrana
basale.
La
sintomatologia
è
quella
della
cistite:
pollachiuria
ed
ematuria.
Ma
l’ematuria
da
sola
non
è
indicativa
di
una
neoplasia
della
vescica.
Figure 1. A, Normal urothelium. B, Flat urothelial hyper
6
I
pazienti
che
hanno
una
storia
di
carcinoma
in
situ
o
di
alto
grado
nel
follow-‐up
possono
fare
una
citologia
urinaria
expression in dysplasia). E, Urothelial carcinoma in situ (
(o
cistoscopia,
ma
si
sta
cercando
di
ridurre
il
più
possibile
questo
esame
che
èagainst antibody AE1–AE3
invasivo).
cytokeratins).
Solo
in
questi
G, Urothelial pa
due
casi,
infat-‐
ti,
funziona
bene
tale
indagine
perché
abbiamo
un’alterazione
della
citologia,
mof
carcinoma entre
lowad
esempio
grade. se
il
paziente
J, Urothelial aveva
carcinoma
papillary
avuto
una
storia
di
iperplasia
e
gli
facciamo
la
citologia
urinaria,
troviamo
un
urotelio
squamous normale
e
qvaginal
cell metaplasia, uindi
in
qtype;
uesto
insert
caso
2: squamo
non
serve
a
nulla.
Anche
i
pazienti
che
hanno
avuto
una
storia
di
iperplasia
vanno
seguiti,
però,
in
questo
caso
quello
che
può
verificarsi
al
massimo
è
che
il
paziente
sviluppi
una
neoplasia
non
infiltrante
di
basso
grado
e
il
paziente
non
ci
muore,
mentre
il
paziente
può
morire
a
causa
di
un
carcinoma
uroteliale
in
situ
o
di
alto
grado.
Le
varianti
del
CIS
sono:
§ a
grandi
cellule:
variante
classica,
§ a
piccole
cellule,
le
cui
cellule
sono
simili
alle
piccole
cellule
di
un
tumore
neuroendocri-‐
no,
§ denudante,
in
cui
a
causa
della
desquamazione
dell’urotelio
si
osserva
una
mucosa
priva
di
rivestimento,
§ di
aspetto
pagetoide 7 :
il
tu-‐
more
cresce
lateralmente
so-‐
pra
la
membrana
basale
e
al
di
sotto
dell’urotelio
soprastante
che
è
normale
(alla
cistoscopia
l’area
è
arrossata
perché
nel
connettivo
sottouroteliale
c’è
neoangiogenesi,
indotta
dalla
presenza
di
cellule
atipiche);
§ che
coinvolge
i
nidi
di
Brunn,
§ con
microinvasione:
rappresenta
il
passaggio
verso
il
carcinoma
uroteliale
infiltrante,
ma
l’aspetto
principale
è
quello
del
carcinoma
in
situ,
§ con
differenziazione
squamosa
o
ghiandolare;
ci
può
essere
attorno
un
carcinoma
squa-‐
moso
o
un
adenocarcinoma.
Queste
varianti
sono
usate
dal
patologo
per
identificare
più
facilmente
la
presenza
di
un
car-‐
cinoma
in
situ,
non
hanno
un
differente
significato
clinico
e
prognostico,
ma
soltanto
un
valo-‐
re
diagnostico.
Le
metodiche
diagnostiche
standard
per
il
CIS
sono
la
cistoscopia
tradizionale
a
luce
bianca
e
la
citologia
urinaria.
Alla
cistoscopia
osserviamo
un’area
rossa
straordinariamente
ricca
di
ca-‐
pillari,
a
causa
della
neovascolarizzazione
del
tumore:
le
cellule
atipiche
in
superficie
produ-‐
cono
infatti
fattori
neoangiogenetici
e
quindi
nel
connettivo
sottostante
si
formano
capillari
responsabili
dell’aspetto
rossastro
della
mucosa.
La
cistoscopia
e
la
citologia
urinaria
sono
pe-‐
rò
molto
meno
sensibili
della
cistocopia
a
fluorescenza,
esame
eseguito
somministrando
per
via
endovena
un
tracciante
fotoattivo
che
si
accumula
preferenzialmente
nella
sede
di
tra-‐
sformazione
neoplastica
e,
illuminata
alla
luce
blu,
la
lesione
si
presenta
di
aspetto
nodulare
con
variazione
di
colore
dal
blu
al
rosso.
Il
CIS
può
insorgere:
§ de
novo,
se
insorge
in
paziente
con
storia
negativa;
è
un
reperto
occasionale
alla
cistosco-‐
pia,
dove
appare
come
un’area
eritematosa:
si
riscontra
frequentemente
in
pazienti
con
anamnesi
negativa
per
carcinoma
uroteliale
che
eseguono
endoscopia
in
presenza
di
pol-‐
lachiuria.
Il
rischio
è
che
possa
diventare
infiltrante,
pertanto
si
tratta
con
immunoterapia,
ovvero
con
instillazioni
endovescicali
di
BCG
(Bacillo
di
Calmette-‐Guerin;
è
il
micobatterio
bovis
attenuato,
che
stimola
la
risposta
immunitaria
nei
confronti
dell’urotelio
displasti-‐
co),
§ in
pazienti
con
neoplasie
non
invasiva
o
superficiali
papillari:
per
esempio
viene
reperto
accanto
a
un
carcinoma
papillare
rimosso.
In
questo
caso
il
CIS
è
indicativo
di
recidiva
o
Le
cellule
neoplastiche
di
un
carcinoma
intraduttale
della
mammella
con
crescita
pagetoide
invece
che
in-‐
7
filtrare
si
espandono
lateralmente
e
crescono
lungo
la
membrana
basale
dei
dotti
fino
all’areola
(che
si
ul-‐
cera
ed
è
rossa
perché
le
cellule
atipiche
inducono
la
neoangiogenesi).
progressione,
ed
è
associato
a
un
aumentato
rischio
di
invasione
e
di
malattia
multifocale
(estesa
all’uretra
prostatica
o
alla
pelvi
renale).
Muore
il
7-‐15%
dei
pazienti,
§ con
microinfiltrazione.
In
attesa
che
venga
formulata
una
definizione
univoca
della
mi-‐
croinfiltrazione,
è
indicato
porre
questa
diagnosi
se
l’area
di
invasione
è
inferiore
a
1
campo
ad
alto
ingrandimento
(40x)
o
se
si
estende
in
profondità
per
meno
di
0,5
mm
dalla
membrana
basale
più
vicina.
Se
sono
presenti
queste
caratteristiche
c’è
un
rischio
più
basso
di
metastasi
e
morte;
c’è
infatti
associazione
tra
profondità
di
infiltrazione
e
pro-‐
fondità
di
metastasi,
perché
più
il
tumore
infiltra
in
profondità
maggiore
è
la
probabilità
di
angioinvasione,
§ con
concomitante
tumore
infiltrante
il
detrusore,
il
rischio
di
morte
è
del
45-‐65%,
la
pro-‐
gnosi
è
aggravata
perché
la
neoplasia
infiltra
già
la
tonaca
muscolare
della
vescica
e
si
os-‐
Classification of bladder neoplasms 625
serva
spesso
invasione
vascolare.
A
15
anni
la
soprav-‐
Table 2. Prognosis of flat
vivenza
è
dell’80%.
urothelial lesions (based on
Reactive Flat Carcinoma
atypia hyperplasia Dysplasia in situ
In
particolare,
se
il
the published literature)
Recurrence No Unknown Unknown* Unknown*
CIS
è
primario
o
de
73% versus 43% in cases Unknown†
without dysplasia†
novo
la
sopravvi-‐
venza
a
5
anni
è
del
Progression No Unknown 13–19%‡,* 28%§,*
30–36%§,† 42–83%§,†
90%,
se
è
una
forma
*Primary.
secondaria
associata
†Secondary.
a
un
carcinoma
infil-‐ ‡Progression to carcinoma in situ.
§Progression to muscle-invasive carcinoma.
trante
del
60%.
624 R Montironi et al.
Table 3. Morphological patterns of carcinoma in situ (CIS) CIS is accepted as a direct precursor of invasive
carcinoma. The development of invasion is seen in the
Small cell
Table 1. Comparison of CIS
reactive atypia, hyperplasia, dysplasia and carcinoma in situ
follow-up in 20–30% of cases. Prognosis is reported in
Large cell CIS Table 2.
Features Reactive atypia Hyperplasia Dysplasia CIS*
CIS with microinvasion. CIS with microinvasion of the
Denuding CIS (‘denuding cystitis’)
Cell layers Variable ‡10 urinary bladder is defined by invasion
Variable Variableinto the lamina
Undermining (lepedic) growth propria to a depth of 5 mm from the basement
Polarization Slightly abnormal Normal membrane,25,26 and, accordingDisordered
Disordered to Lopez-Beltran et al.,9
Pagetoid CIS should not exceed 20 cells in the subepithelial connec-
Cytoplasm Often vacuolated Homogeneous Variable, homogeneous
tive tissue. It appears as directVariable
extension cords (ten-
to granular
tacular), single cells, or single cells and clusters of cells
(Figure 1F). The neoplastic cells may be interspersed
N ⁄ C ratio Table 4.Normal
Problems
toand pitfalls in theNormal
slightly diagnosistoofslightly
flat lesions Slightly
among increased
and masked by chronicIncreased
inflammation. In this
with atypia
increased increased case immunohistochemistry with antibodies against
Inflammatory atypia carcinoembryonic antigen (CEA) or CKs (such as AE1–
Nuclear size Enlarged Normal Enlarged Enlarged with variation
AE3) should be applied to identify the invading cells
Therapy-associated atypia 9
(Figure 1F, insert). Desmoplasia in or
size
retraction artefacts
Nuclear borders Extensive denudation
Regular ⁄ smooth Regular ⁄ smoth that may mimic
Notches ⁄ creases vascular invasion
Pleomorphic are useful in
recognizing invasion. The urologist is most often
Truncated papillae of treated papillary carcinoma
Chromatin Fine ⁄ dusty Fine unsuspecting
Slight of invasive disease
hyperchromasia Coarseon the basis of
CIS involving von Brunn’s nest (overdiagnosis of invasion) cystoscopic evaluation.
Nucleoli Large, single Small ⁄ absent Small
CIS with microinvasion isLarge, often multiple
a clinically relevant
CIS with microinvasion (underdiagnosis of invasion) lesion. Of totally embedded cystectomy specimens that
Mitotic figures Variable Absent Rare, basalextensive CIS, i.e. involving
contained Frequent,‡25%alloflevels
the blad-
Polyomavirus infection
der, 34% were found to contain microinvasion; 5.8%
Umbrella cells Uniformly present Present Present May be present
CIS, carcinoma in situ. had lymph node metastases and died of disease.25,27
Denudation Variable No No Variable
*Full thickness involvement is not required for the diagnosis of urothelial carcinoma in situ (CIS).
Table 5. Diagnosis of flat
Normal urothelium Reactive atypia Carcinoma in situ
lesions. Adjunctive role of
immunohistochemistry Cytokeratin 20 Umbrella cells Umbrella cells Full thickness
Atypia of unknown significance. This category was ties with CIS and therefore is likely to represent a
CD44 Basal and parabasal All study
cell layersthat applied
Residual
thenormal
created to include those instances where a lesion precursor
cells
lesion. One 1998
basal cells of the
cannot be confidently placed in the reactive versus ISUP ⁄ WHO criteria indicated a 19% risknormal of developing
urothelium
dysplastic groups. The degree of cytological atypia is cancer with a mean follow-up of 4.9 years15 (Table 2).
judged to be outside of the accepted range p53 for reactive Negative
Urothelial carcinomaNegative Full thickness by
in situ. CIS is characterized
processes, although this possibility cannot be excluded. architectural disorder and nuclear pleomorphism9,10
! 2008 The Authors. Journal compilation ! 2008 Blackwell Publishing Ltd, Histopathology, 53, 621–633.
Histologically, there is usually an inflammatory back- (Figure 1E). The cytologically atypical cells need not
ground. Re-evaluation after inflammation subsides involve the full thickness of the epithelium and, at the
b.
LESIONI
PAPILLARI
Le
lesioni
papillari
o
esofitiche,
che
sporgono
nel
lume,
possono
essere
divise
in
base
all’atipia
in:
• forme
esofitiche
senza
atipia,
che
sono:
o papilloma
uroteliale:
è
una
lesione
benigna
esofitica,
B C D
arborescente,
adesa
alla
mucosa
vescicale
tramite
un
asse
fibrovascolare
centrale
costituito
da
stroma
connettivale
edematoso,
e
rivestita
da
urotelio
nor-‐
male
per
architettura
(si
osserva
lo
strato
di
cellule
ad
ombrello),
spessore
e
citologia.
È
rara
e
insorge
principalmente
nei
pazienti
giovani;
si
sospetta
in
ca-‐
so
di
microematuria
(determinata
dal
distacco
di
frammenti
dalla
lesione).
Il
trattamento
con
la
rese-‐
zione
trans-‐uretrale
(TURV)
determina
la
guarigione
del
paziente;
! 2008 The Authors. Journal compilation ! 2008 Blackwell Publishing Ltd, Histopathology, 53, 621–633.
o neoplasia
uroteliale
papillare
a
basso
potenziale
di
F G A
H B
malignità
(PUNLMP),
è
l’equivalente
della
iperplasia
piatta
(ovvero
della
proliferazione
uroteliale
di
incer-‐
to
potenziale
di
malignità).
È
un
papilloma
rivestito
da
urotelio
iperplastico,
ov-‐
vero
caratterizzato
da
un
aumento
del
numero
degli
strati
(maggiore
di
7)
e
da
cellule
a
polarizzazione
conservata
e
prive
di
atipia.
Al
momento
della
dia-‐
gnosi
microscopica
bisogna
studiare
l’urotelio
e
il
rapporto
con
lo
stroma
(per
escludere
che
sia
infil-‐
trante).
L’iperplasia
può
essere
riscontrata
sia
nell’epitelio
di
rivestimento
E della
lesione
papillare,
sia
in
F
quello
della
mucosa
piatta
circostante
alla
lesione:
se
l’epitelio
iperplastico
non
viene
asporta-‐
J K L
to
completamente
può
essere
causa
di
una
recidiva
(36%
dei
casi)
o
di
una
progressione
(3,7%).
La
terapia
prevede
resezione
endovescicale
trans
uretrale
e
successivo
follow-‐up;
• forme
esofitiche
con
atipia,
che
può
essere:
o carcinoma
uroteliale
papillare
di
basso
grado
(LG-‐PUC):
è
l’analogo
della
displasia
uroteliale
piatta;
è
caratterizzato
da:
§ architettura
apparentemente
conservata,
ma
a
maggiore
ingrandimento
emerge
facil-‐
mente
una
certa
variabilità;
si
osservano:
moderata
atipia
citologica
(variazione
della
po-‐
larità
delle
cellule)
e
nucleare
(variabilità
di
di-‐
mensioni,
forma
e
distribuzione
della
cromati-‐ I J
hyperplasia. C, Reactive atypia. D, na).
Le
figure
mitotiche
sono
infrequenti
e
di
so-‐
Urothelial dysplasia (left part of the image) adjacent to normal urothelium (right) (insert: p53
situ (CIS), pagetoid type. F, Urothelial lito
limitate
CIS withalla
metà
inferiore
microinvasion dell’epitelio;
(the invading cells are la
highlighted by immunohistochemistry with
al papilloma (insert: magnification fusione
di
papille
adiacenti
può
portare
a
un
low malignant potential. I, Urothelial papillary
of the lesion). H, Papillary urothelial neoplasm with
noma of high grade (insert: microinvasion detected with antibody against AE1–AE3 cytokeratins). K, Squamous cell CIS (insert 1:
overgrading
a
causa
dell’apparente
disordine;
uamous cell metaplasia, keratinizing type). L, Villous adenoma (insert: intestinal metaplasia).
§ recidiva
nel
50%
dei
casi
ma
il
rischio
di
progres-‐
sione
resta
basso,
del
10%
(in
questi
casi
può
in-‐
filtrare
la
parete
vescicale).
In
ragione
di
questo
comportamento
invasivo
non
viene
definito
“neoplasia”
bensì
carcinoma;
Figure 1. A, Normal urothelium. B, Flat urothelial hyperplasi
expression in dysplasia). E, Urothelial carcinoma in situ (CIS),
antibody against AE1–AE3 cytokeratins). G, Urothelial papillom
carcinoma of low grade. J, Urothelial papillary carcinoma of h
squamous cell metaplasia, vaginal type; insert 2: squamous c
o carcinoma
uroteliale
papillare
di
alto
grado
(HG-‐PUC):
è
l’analogo
morfologico
del
CIS.
E’
ca-‐
ratterizzato
da:
§ alterazioni
architetturali
e
pleiomorfismo
cellulare
(moderato-‐marcato),
già
visibili
a
bas-‐
so
ingrandimento,
§ figure
mitotiche
anche
atipiche
distribuite
in
tutti
gli
strati
dell’urotelio,
§ cellule
francamente
atipiche
e
con
tendenza
a
desquamare
perché
non
hanno
ponti.
A
volte
infatti
si
osservano
papille
senza
rivestimento
uroteliale,
§ rischio
di
progressione,
ovvero
di
infiltrare
il
connettivo
sottoepiteliale,
maggiore
rispetto
all’LG-‐PUC:
è
del
40%;
§ frequente
associazione
con
l’invasione
al
momento
della
diagnosi:
in
questo
caso
c’è
una
riduzione
della
sopravvivenza
perché
il
potenziale
metastatico
è
aumentato.
Invece,
come
nel
CIS,
in
caso
di
microinfiltrazione
(riscontro
di
infiltrazione
in
meno
di
un
campo
a
40x
o
meno
di
0,5
mm
in
profondità),
la
probabilità
di
metastasi
è
più
bassa.
902
• il
papilloma
death due resta
papilloma,
to disease can be observed in as many as 65%
of patients [3].
• il
grado
1
corrisponde
al
PUNLMP
(ed
eventualmen-‐rank test, p = 0.42) or in PFS (log rank test, p = 0.16). In all
groups, except for the papillomas, progression occurred
two tier low
RFS did not d
te
al
basso
grado),
during follow up, mainly to Tis and T1. The grade of recurrent did (p = 0.01
4. Genetics turmour was most often intermediate, but high grade the strict crit
• il
grado
2
corrisponde
al
basso
grado
(ed
eventual-‐recurrent tumours were also seen, even in PNLMP (table 4). recurrence or
mente
aThe ll’alto
studies so far published have used The RFS and PFS rates for the modified 1973 WHO
grado),
genetic papilloma (1
tumors classified according to 1973 WHO scheme classification system are shown in figs 3 and 4. The log rank recurrent pap
6 8
*If present, small and regular and not accompanied by other features of high-grade carcinoma.
Table 7. Prognosis of urothelial papillary lesions*
Papillary
neoplasm of Low-grade High-grade
Papilloma low malignant papillary papillary
(%) potential (%) carcinoma (%) carcinoma (%)
Table 6. Comparison
acknowledged that of papilloma,
the papillarypapillary
lower grade neoplasm neo-
of low malignant potential,
at the lower end low-grade papillary were
of the spectrum carcinoma and high-
acknowledged
grade papillary
plasms were notcarcinoma
intrinsically malignant, but were to be clinically significant, with close clinical follow-
associated with significant risk for the development
Papillary neoplasm of up necessary but further intravesicle therapy not
3
new papillary tumours (i.e. recurrence).
of low These lesions Low-grade
malignant indicated.papillary
Features Papilloma potential carcinoma High-grade papillary carcinoma
! 2008 The Authors. Journal compilation ! 2008 Blackwell Publishing Ltd, Histopathology, 53, 621–633.
Architecture
Papillae Delicate Delicate. Occasional Fused, branching, Fused, branching and delicate
fused and delicate
Cytology
Nuclear size Identical May be uniformly Enlarged with variation Enlarged with variation in size
to normal enlarged in size
Nuclear chromatin Fine Fine Mild variation within Moderate–marked variation both
and between cells within and between cells with
hyperchromasia
Mitoses Absent Rare, basal Occasionally at any level Usually frequent, at any level
*If present, small and regular and not accompanied by other features of high-grade carcinoma.
Table 7. Prognosis of urothelial papillary lesions*
Evoluzione
delle
forme
piatte
e
papillari
Papillary
Come
emerge
dallo
schema,
le
forme
piatte,
oltre
a
progredire
neoplasm of per
malignità
Low-grade in
CIS
e
poi
in
carcinoma
High-gradeuro-‐
Papilloma low malignant papillary papillary
teliale
invasivo,
possono
rappresentare
i
precursori
delle
lesioni
papillari
(è
quello
che
accade
nelle
recidi-‐
(%) potential (%) carcinoma (%) carcinoma (%)
ve).
Nel
dettaglio:
Recurrence 0–8 27–47 48–71 55–58
• l’iperplasia
può
evolvere
in
una
fase
iniziale
di
PUNLMP
o
essere
responsabile
della
recidiva
di
una
Grade progression 2 11 7 Not applicable
lesione
di
basso
grado
(di
per
sé
non
diventa
CIS),
Stage progression 0 0–4 2–12 27–61
acknowledged that the lower grade papillary neo- at the lower end of the spectrum were acknowledged
• la
displasia
può
progredire
in
LG-‐PUC
o
diventare
CIS,
in
altri
casi
può
essere
responsabile
della
re-‐
cidiva
di
lesioni
papillari.
In
sintesi
iperplasia
e
displasia
sono
caratterizzate
da
un
modesto
rischio
di
recidiva
ma
un
poten-‐
ziale
di
progressione
molto
basso,
perciò
alcuni
autori
suggeriscono
di
descriverle
come
unica
enti-‐
tà
nosologica,
• quasi
la
metà
dei
pazienti
con
forme
di
PUNLMP
presenta
recidiva,
tuttavia
il
potenziale
di
progres-‐
sione
è
molto
basso
perciò
può
essere
considerata
una
lesione
benigna,
• il
LG-‐PUC
è
una
condizione
intermedia
con
tasso
di
recidiva
leggermente
maggiore
rispetto
al
PUNLMP
ma
la
progressione
in
CIS
è
comunque
rara,
• il
HG-‐PUC
è
associato
soltanto
ad
una
progressione
di
stadio,
che
correla
con
una
ridotta
sopravvi-‐
venza
per
il
paziente,
• il
carcinoma
in
situ
può
diventare
infiltrante
oppure
può
dare
origine
a
una
forma
di
carcinoma
pa-‐
pillare
infiltrante.
La
direzione
di
infiltrazione
è
in
profondità
(a
differenza
del
carcinoma
prostati-‐
co
che
si
estende
in
senso
circonferenziale
verso
l’esterno
e
il
tessuto
adiposo
periprostatico)
e
im-‐
patta
sulla
prognosi:
essa
infatti
non
è
dovuta
alla
crescita
locale
della
neoplasia
ma
all’invasione
vascolare
e
alla
presenza
di
metastasi.
c.
LESIONI
INVERTITE
(ENDOFITICHE)
Le
lesioni
invertite
(o
endofitiche)
sono
caratterizzate
da
una
crescita
dell’urotelio
non
invasiva,
quindi
a
membrana
basale
integra,
nel
connettivo
sottouroteliale;
e
quando
la
lesione
raggiunge
il
muscolo,
che
non
può
infiltrare,
tende
a
sporgere
nel
lume:
emerge
così
una
formazione
polipoide
liscia.
La
capacità
dell’urotelio
di
dare
origine
a
lesioni
invertite8
deriva
dalla
sua
fisiologica
capacità
di
crescere
nel
connettivo
sottoendoteliale,
formando
i
nidi
di
Brunn,
che,
come
accennato,
sono
formazioni
nodulari
ben
delimitate
visibili
alla
normale
istologia
della
vescica,
formatesi
a
seguito
di
una
invaginazione
dell’epitelio
nella
lamina
propria;
essi
sono
costituiti
da
un
pool
di
cellule
staminali
caratterizzate
da
attiva
proliferazione
nel
connettivo
subepiteliale,
continuità
con
lo
strato
basale
dell’epitelio
e
crescita
non
infiltrativa
(non
superano
la
lamina
propria).
8
Le
lesioni
a
crescita
invertita
sono
varianti
del
carcinoma
squamocellulare
della
mucosa
nasale
o
del
rinofaringe
dove
spesso
tendono
a
recidivare
se
non
asportate
in
modo
radicale
ed
ampio,
tuttavia
non
hanno
un
comportamento
ma-‐
ligno.
Nella
prostata
invece
le
lesioni
proliferano
direttamente
nel
lume
e
frequentemente
possono
ostruire
l’uretra.
Distinguiamo:
• proliferazioni
benigne:
vengono
definite
cistiti
ma
sottendono
patologie
della
mucosa
vescicale
a
eziologia
infiammatoria;
esse
sono:
o la
cistite
cistica:
è
una
lesione
proliferativa
benigna
(riparativa)
derivata
dalla
stimolazione
cronica
dei
nidi
di
Von
Brunn;
le
cellule
staminali
vanno
incontro
a
maturazione
e
si
organizza-‐
no
a
formare
delle
cavitazioni
cistiche
con
lume
in
continuità
con
la
superficie;
o la
cistite
ghiandolare:
è
un
quadro
di
cistite
cistica
con
associata
a
metaplasia
ghiandolare
con
muco-‐secrezione.
• forme
endofitiche
senza
atipia,
che
comprende:
o il
papilloma
uroteliale
invertito;
alla
cistoscopia
è
esuberante:
forma
una
lesione
polipoide
macroscopica
(a
differenza
della
cistite
cistica
in
cui
si
osserva
un’area
lievemente
irregolare,
come
se
ci
fossero
tante
bollicine),
o la
neoplasia
uroteliale
papillare
invertita
a
basso
potenziale
di
malignità
(IUNLMP):
è
una
le-‐
sione
endofitica
con
caratteristiche
comuni
al
papilloma
uroteliale
esofitico.
Si
verifica
in
pa-‐
zienti
con
una
storia
di
carcinoma
uroteliale
(che
molto
raramente
esordisce
come
neoplasia
uroteliale
invertita).
È
importante
fare
diagnosi
differenziale
tra
cistite
cistica
e
lesione
inverti-‐
ta
a
basso
potenziale
di
malignità
perché
la
cistite
cistica
è
benigna,
è
un
processo
riparativo,
mentre
la
neoplasia
invertita
a
basso
potenziale
di
malignità
è
una
neoplasia
a
cui
manca
l'ati-‐
pia.
Nella
cistite
cistica
la
crescita
non
va
in
profondità,
a
differenza
della
neoplasia
invertita
a
basso
potenziale
di
malignità;
• forme
endofitiche
con
atipia,
che
sono:
o il
carcinoma
uroteliale
papillare
invertito
di
basso
grado
(LG-‐IUC),
o il
carcinoma
uroteliale
papillare
invertito
di
alto
grado
(HG-‐IUC).
All’esame
microscopico
bisogna
valutare
il
grado
di
atipia
dei
nuclei,
i
margini,
l’infiltrazione
(ovvero
l’integrità
della
membrana
basale:
se
viene
superata
si
osservano
cellule
singole
nel
connettivo).
LESIONI
PIATTE
Iperplasia
uroteliale
Displasia
uroteliale
Carcinoma
in
situ
(CIS)
(proliferazione
uroteliale
di
incer-‐
to
potenziale
di
malignità)
LESIONI
PAPILLARI
PUNLMP
LG-‐PUC
HG-‐PUC
LESIONI
INVERTITE
IUNLMP
LG-‐IUC
HG-‐IUC
2.
NEOPLASIE
A
CELLULE
SQUAMOSE
La
metaplasia
squamosa
della
vescica
è
una
condizione
preneoplastica
in
cui
si
osservano
aree
di
urotelio
sostituito
da
epitelio
squamoso
cheratinizzato.
Essa
può
evolvere
displasia,
carcinoma
in
situ,
quindi
in
carcinoma
squamoso
invasivo
(la
sequenza
è
simile
a
quella
della
cervice
uterina).
Come
nella
cervice
uterina,
nella
vescica
ci
possono
essere
lesioni
squamose
preneoplastiche
HPV-‐
associate;
l’HPV
è
un
virus
che
raggiunge
la
vescica
risalendo
per
via
retrograda
dall’uretra
(anatomicamen-‐
te
più
breve
nella
donna
rispetto
all’uomo).
Un’altra
causa
di
metaplasia
squamosa,
in
passato
molto
diffusa
in
Egitto,
è
l’infezione
da
schistosoma
(un
parassita
diffuso
lungo
le
sponde
del
Nilo
le
cui
uova
vivono
nello
spes-‐
sore
della
vescica):
infatti
in
passato
la
metà
dei
casi
dei
tumori
della
vescica
registrati
in
Egitto
erano
dovuti
a
questo
parassita.
Si
os-‐
servano
zone
di
aspetto
grigio
scuro,
ad
alto
rischio
di
progressione
in
carcinoma
squamo-‐
cellulare.
3.
NEOPLASIE
GHIANDOLARI
La
metaplasia
intestinale
della
vescica
è
una
condizione
preneoplastica
in
cui
l’urotelio
viene
sostituito
con
mucosa
del
colon
(caratterizzata
dalle
cripte).
Nel
dettaglio,
inizialmente
l’urotelio
viene
sostituito
da
un
urotelio
caliciforme:
c’è
quindi
una
metaplasia
mucinosa;
poi
in
alcuni
segmenti
si
osserva
una
sostituzione
completa,
con
cripte
parallele
le
une
alle
altre.
Questa
condizione
può
evolvere
in
una
di-‐
splasia
adenomatosa
di
diversi
gradi
e
poi
in
un
adenocarcinoma
in
situ
(v.
fig).
In
caso
di
infiltrazione
della
parete
in
direzio-‐
ne
del
retto
è
difficile
capire
se
quello
adeno-‐
carcinoma
di
tipo
intestinale
è
un
tumore
primitivo
della
vescica
che
ha
infiltrato
in
di-‐
rezione
del
retto
o
un
tumore
primitivo
del
retto
che
ha
infiltrato
in
direzione
della
vesci-‐
ca.
Invece,
quando
il
tumore
è
localizzato
nella
cupola
è
associato
nella
maggior
parte
dei
casi
a
residui
dell’uraco9.
9
Nella
vita
embrionale
l’uraco,
residuo
dell’allantoide,
mette
in
comunicazione
la
vescica
con
il
cordone
ombelicale,
alla
nascita
va
in
regressione.
In
età
adulta,
dai
residui
dell’uraco
possono
svilupparsi
recidive
o
cisti
o
carcinoma
squamocellulare
o
adenocarcinoma
(carcinoma
uracale).
E’
importante
riconoscere
questo
tipo
di
neoplasia
in
quanto
l’approccio
chirurgico
è
differente:
è
richiesta
un’ampia
resezione
della
cupola
vescicale
con
rimozione
degli
elementi
presenti
lungo
il
decorso
dell’uraco.
Non
è
indicata
la
prostatectomia.
CARCINOMA
INVASIVO
DELLA
VESCICA
Il
carcinoma
invasivo
della
vescia
è
un
tumore
epiteliale
della
vescica
che
ha
superato
la
membrana
basale;
può
essere:
1. uroteliale
(95%),
evoluzione
di
una
neoplasia
uroteliale
non
invasiva;
distinto
in:
• forma
convenzionale
(classica
o
usuale),
• varianti,
2. puro
non
uroteliale:
è
un
tumore
della
vescica
invasivo
che
insorge
al
termine
del
processo
evoluti-‐
vo
multistep
metaplasia-‐displasia-‐neoplasia
non
invasiva.
Non
è
associato
al
carcinoma
uroteliale
invasivo;
può
essere:
• carcinoma
squamoso
infiltrante;
è
un
carcinoma
che
presenta
cheratinizzazione,
• adenocarcinoma
(inclusa
la
forma
epatoide).
Queste
forme
sono
meno
frequenti:
è
più
probabile
il
reperto
di
un
carcinoma
uroteliale
con
una
componente
ghiandolare
o
squamosa;
3. non
differenziato.
E’
un
tumore
raro
molto
aggressivo.
In
questo
caso,
a
seconda
delle
tuniche
infiltrate,
è
indicata
una
terapia
più
o
meno
demolitiva.
Le
forme
“superficiali”
arrivano
al
pT1
(pTis,
pTa,
pT1):
sono
forme
che
non
raggiungono
la
tonaca
muscolare
propria
e
sono
trattate
in
modo
conservativo
(con
chemioterapia
o
immunoterapia
endovescicale).
Attualmente,
l’utilizzo
dell’aggettivo
“superficiale”
per
indicare
queste
forme
è
sconsigliato:
infatti
il
pT1,
pur
essendo
trattato
con
terapia
conservativa,
è
uno
stadio
in
cui
il
fronte
di
avanzamento
ha
superato
la
membrana
ba-‐
sale,
e
quindi
è
potenzialmente
invasivo.
L’intervento
chirurgico
è
indicato
se
il
carcinoma
è:
• invasivo,
ovvero
ha
superato
la
tunica
muscolare
(secondo
questa
accezione,
scorretta,
per
“invasi-‐
vo”
non
si
intende
il
superamento
della
membrana
basale),
• superficiale
ma
non
risponde
alla
chemioterapia,
• molto
grande
(è
difficile
farlo
regredire
con
BCG
o
asportarlo
completamente
con
TURV).
L’intervento
più
demolitivo
è
nell’uomo
la
cistoprostatectomia
(asportazione
di
vescica
e
prostata),
nella
donna
l’exenteratio
pelvis
(asportazione
di
vescica
e
utero),
infatti,
se
necessario,
oltre
alla
vescia,
si
aspor-‐
tano
gli
organi
sede
di
potenziale
infiltrazione.
Si
esegue
anche
la
linfoadenectomia.
CISTECTOMIA:
GESTIONE
E
PROCESSAMENTO
DEL
CAMPIONE
VESCICALE
• La
formalina
è
iniettata
con
una
siringa
all’interno
della
cavità
vescicale
tramite
un’apertura
uretrale.
• Il
tempo
di
fissazione
è
di
48
ore
in
larghi
contenitori
con
abbondante
formalina.
• L’intero
organo
è
tagliato
in
fette
di
spessore
di
circa
5
mm
partendo
dal
margine
uretrale
distale.
o Nella
donna
non
si
separa
l’utero:
l’utero
viene
portato
via
nell’ipotesi
in
cui
vi
sia
infiltrazione
della
parete;
se
si
distacca
l’utero
si
perde
il
punto
di
contatto.
Si
comincia
a
tagliare
dall’apice
dell’uretra
e
da
questo
repere
si
procede
verso
la
cupola,
sezionando
contemporaneamente
vescica
e
terzo
superiore
della
vagina,
la
cervice,
il
collo
e
l’utero.
o Nell’uomo
non
si
separa
la
prostata
ed
essa
viene
tagliata
contemporaneamente
con
la
vescica.
• La
multifocalità
del
tumore
è
valutata
macroscopicamente
includendo
le
dimensioni
del
tumore
e
la
profondità
dell’invasione.
• Si
campiona
l’uretere
perché,
in
quanto
le
neoplasie
uroteliali
sono
multifocali,
ci
può
essere
una
localizzazione
anche
a
questo
livello.
FATTORI
PROGNOSTICI
DEL
TUMORE
DELLA
VESCICA
I
fattori
prognostici
del
tumore
della
vescica
sono:
1. tipo
istologico
(v.
dopo),
2. grado
istologico,
che
può
essere
alto
o
basso,
3. profondità
dell’infiltrazione,
4. coinvolgimento
linfonodale,
diagnosticabile
con
l’immunoistochimica
per
GATA-‐3
e
p63;
per
una
adeguata
stadiazione
del
parametro
N
servono
circa
15-‐20
linfonodi,
5. invasione
linfo-‐vascolare,
6. stato
dei
margini,
7. malattia
multifocale
e
carcinoma
in
situ
dell’uretra
o
degli
ureteri.
STAGING
Per
definire
lo
staging
si
usa
il
sistema
TNM,
in
realtà
la
valutazione
completa
prevede:
T
(profondità
di
in-‐
filtrazione),
R
(margini),
LVI
(invasione
linfovascolare),
N
(interessamento
dei
linfonodi
iuxta-‐regionali),
M
(metastasi).
3.
Profondità
dell’infiltrazione
(parametro
T)
Dal
parametro
T,
ovvero
dalla
profondità
dell’infiltrazione,
dipendono
la
diagnosi
e
la
prognosi;
infatti,
più
la
neoplasia
si
estende,
maggiore
è
la
probabilità
di
invasione
linfo-‐vascolare
e
quindi
il
potenziale
meta-‐
statico.
Per
quanto
riguarda
il
parametro
T
si
parla,
in
base
al
contesto
in
cui
viene
definito,
di:
• cT,
se
definito
dal
clinico,
• pT,
se
definito
dal
patologo,
• yT,
se
viene
definito
dopo
la
terapia
neoadiuvante,
• rT,
se
si
sta
studiando
la
recidiva
di
un
tumore,
• aT,
se
viene
definito
incidentalmente
in
sede
autoptica.
Gli
stadi
della
T
sono
i
seguenti:
• pT0:
nel
pezzo
chirurgico
non
è
presente
la
neoplasia;
questa
categoria
viene
utilizzato
quando
la
chirurgia
è
definitiva
(una
TURV
non
può
essere
stadiata
come
pT0).
Per
esempio
se
si
fa
diagnosi
di
neoplasia
invasiva
su
materiale
bioptico
prelevato
con
una
TURV,
si
pone
l’indicazione
alla
cistectomia
con
linfoadectomia;
ma
a
volte
può
capitare
che
con
la
TURV
venga
asportata
tutta
la
neoplasia,
e
nel
pezzo
chirurgico
della
cistectomia
sia
assente
il
carcinoma
residuo10.
Oggi,
poiché
è
indicata,
dopo
la
TURV
e
prima
della
cistectomia,
la
chemioterapia
neoadiuvante
con
cisplatino,
nel
30%
dei
casi
può
essere
diagnosticata
una
ypT0
(la
chirurgia
è
comunque
necessaria
per
la
stadiazione).
10
Lo
stesso
algoritmo
può
essere
utilizzato
nel
contesto
di
un
adenoma
cancerizzato:
si
riscontra,
a
seguito
di
polipec-‐
tomia,
un
adenoma
cancerizzato
che
infiltra
la
base
del
polipo.
Essendoci
una
probabilità,
seppur
bassa,
di
metastasi
tumorale,
si
esegue
una
resezione
colica
ristretta
e
può
verificarsi
che,
analizzando
quest’ultimo
campione,
non
si
rie-‐
sca
ad
evidenziare
il
tumore
primitivo.
Il
campione
della
resezione
colica
viene
etichettato
come
T0
ma
occorre
sem-‐
pre
tenere
a
mente
che
a
quel
livello
prima
era
presente
una
massa
che
infiltrava
il
connettivo
sub-‐epiteliale:
l’orientamento
attuale
è
che
se
si
ha
un
adenoma
cancerizzato
che
si
porta
nel
connettivo
sub-‐epiteliale,
esso
è
da
considerarsi
un
T1
clinico.
to be preneoplastic, yet falling short of the diagnostic cystoscopic findings is useful in such a scenario, because
threshold for transitional cell carcinoma in situ”.9 The if a papillary lesion was indeed biopsied, then the inter-
cytologic changes in dysplasia are generally limited to pretation of the biopsy result should incorporate this fact
hyperchromasia, mild nuclear abnormalities, and mini- and be appropriately designated papillary urothelial car-
mal architectural alterations (loss of polarity). Pleomor- cinoma, high-grade, and associated with CIS.
phism, prominent nucleoli, and mitoses in the upper lay- Carcinoma in situ may be associated with microinva-
ers of the urothelium, when present with nuclear chro- sion into the lamina propria. However, this association
La
matin
frequenza
di
questo
abnormalities, generallyreperto
favor èa
diagnosis
del
10%
(e
solo
nel
has
of CIS. 3-‐7%
received dei
pscant
T0
cattention
’è
interessamento
in the pathology linfonodale).
literature.
In addition, denudation, which reflects rapid cell turn- Cystoscopically, microinvasion is not apparent, so clini-
La
over
sopravvivenza
a
5
anni
and which may be in part è
da ell’80-‐90%:
il
processing or biopsy 15%
dei
pcally
azienti
thesem uore
pare
patients er
assumed
metastasi,
to have perché
noninvasivenel
pdis-
ezzo
asportato
con
la
TURV
c’era
invasione
linfovascolare,
pertanto
il
tumore
era
già
invasivo
al
momen-‐
artifact, 8
was present at least focally in 40% of CIS cases ease. To our knowledge, the only study that has included
in our current study, but in our experience is not a com- clinical outcome was from the Mayo Clinic, in which
to
mon
della
TURV
(o
della
chemioterapia).
Quindi,
in
questo
feature of dysplasia. Therefore, cytologic atypia,
caso,
il
principale
fattore
prognostico
nega-‐
5-mm depth of invasion was used as a criterion for mi-
tivo
è
rappresentato
architectural alterations,dand alla
the
presenza
morphologic di
ipatterns
nvasione
of linfovascolare.
croinvasion. Thirty-four percent of cystectomy speci-
CIS should facilitate the distinction of CIS from reactive mens in patients with CIS (in which cystectomy was
Onde
evitare
che
il
paziente
pensi
che
sia
stata
asportata
la
vescica
senza
motivo,
nel
referto
si
scri-‐
atypia; changes falling short of the diagnostic threshold performed for CIS) had microinvasion, and 5.8% of
ve
forla
CISduplice
should bestadiazione:
designated as dysplasia, quella
adel
pezzo
diagnosis for chirurgico
these patients (pT0),
hade
lymph
quella
node che
ha
rappresentato
metastasis and died of
36
which the
l’indicazione
alla
interobserver reproducibility is low even disease.
cistectomia,
fatta
sul
materiale
prelevato
con
la
TURV;
One of us (M.B.A.) and Dr. Robert H. Young
among experts.2 In the absence of a history of urothelial have previously opined that the 5-mm cutoff may be too
• pTis:
forma
non
invasiva
piatta;
neoplasia, the diagnosis of dysplasia (i.e., è
il
de
carcinoma
novo dys- in
situ.
generousNon
to c’è
indicazione
categorize alla
chirurgia
microinvasion 1,5 se
non
n2 ei
and suggested
plasia) should be made with great caution because the mm as the cutoff for the
pazienti
con
una
storia
lunga
di
carcinoma
non
responsivo
alla
terapia
(per
evitare
che
diventi
diagnosis, which is the criterioninfil-‐
features of dysplasia and reactive atypia may overlap that we adopted in this study. The clinical significance of
trante).
In
questo
significantly. 29,30 stadio
uno
dei
più
importanti
fattori
prognostici
è
rappresentato
dal
grading;
depth of invasion using this criterion needs to be ad-
11
• pTa :
forma
non
invasiva
Chemotherapeutic papillare
changes
and radiation-induced o
papillare
may invertita;
dressed inil
future grado
di
infiltrazione
studies, although it isè
clearlo
stesso
from the del
be misdiagnosed as intraepithelial neoplasia because of Mayo Clinic experience that limited invasion in the set-
pTis,
a
cambiare
atypical, enlargedè
nuclei.
solo
il
tHowever,
ipo
di
lesione:
the presence è
quindi
of un
Cting IS
eofsofitico
CIS confers (HG-‐PUC)
o
endofitico
on the neoplasm (HG-‐IUC).
the ability to result
E’
indicata
la
TURV
per
le
lesioni
localizzate
e
la
cistoprostatectomia
per
le
lesioni
estese
number
abundant cytoplasm, nuclear chromatin degeneration, in metastasis and death, albeit in a limited (se
si
dof
eve
multinucleation, prominent nucleoli, and involvement of cases.36 The diagnosis of early or microinvasion associ-
asportare
m età
d ella
t onaca
predominantly the superficial urothelium are features
m ucosa
n on
s arebbe
u tile
l a
T URV).
ated with CIS requires awareness of the histologic pat-
E’
importante
studiare
attentamente
la
membrana
basale
e
distinguere
questa
lesione
da
un
pT1,
that help distinguish therapy-related changes from terns of invasion and nature of the elicited stromal re-
neoplasia.24,30
che
infiltra
il
connettivo
sottouroteliale
ed
esprime
usponse (Fig. 12). The common patterns found were ir-
n
potenziale
invasivo,
quindi
metastatico;
Another diagnostic factor to consider in CIS cases, regular nests, cords extending from the overlying
• pT1:
invasione
although della
bylamina
not studied us, is the propria
finding(connettivo
that obvious sotto-‐uroteliale).
urothelium, and single cells invading the lamina propria.
CIS sometimes shows focal micropapillary
Il
fronte
invasivo
in
fase
iniziale
emerge
osservando
architecture An le
unusual yet nel
cellule
fairlyconnettivo
characteristicsottouroteliale
stromal response che
to
without vascularity12in the papillae, but with accentuated microinvasion in this series was retraction of stroma
possono
apparire at
the
neovascularization come:
base. The possibilities raised by around clusters or single invasive cells, which mimics
this histology
o singole
cellule,
include 1) changes within the spectrum of vascular invasion. This feature is also seen in early in-
CIS, 2) incipient papillary carcinoma, and 3) truncated vasion associated with papillary neoplasia1,30 and in the
opapillae nidi
(asirregulary
a result of cprior
haped
nests),
therapy.24 Cor-
intravesical micropapillary variant of urothelial carcinoma.3 Micro-
orelation proiezioni
with thedigitiformi
clinical history (finger-‐like
of prior therapy extension).
and invasion is usually subtle and may be missed. Hence,
Comunque
la
prognosi
resta
la
stessa.
FIG. 12. Schematic representation of patterns of invasion (micro invasion) associated with urothelial carcinoma in situ.
In
fase
iniziale
le
cellule
che
infiltrano
hanno
un
citoplasma
ampio
ed
eosinofilo,
simile
a
quello
Am J Surg Pathol, Vol. 25, No. 3, 2001
delle
cellule
cupoliformi:
si
parla
di
differenziazione
paradossa,
proprio
perché
appaiono
a
livello
basale
aspetti
differenziativi
delle
cellule
di
superficie.
Queste
cellule
presenti
nel
connettivo
possono
penetrare
nel
lume
dei
capillari
ematici
o
linfatici
e
dare
metastasi
parenchimali
o
linfonodali;
i
capillari
sono
invasi
dalle
cellule
tumorali
più
facil-‐
mente
rispetto
agli
altri
vasi
perché
non
presentano
una
tonaca
muscolare
e
sono
costituiti
da
una
parete
virtuale
(formata
da
endotelio
e
una
membrana
basale
sottile).
11
Quale
sia
il
significato
della
“A”
è
a
tutt’oggi
ignoto:
si
pensa
che
in
realtà
derivi
da
un
errore
di
trascrizione
com-‐
messo
dalla
segretaria
di
colui
che
per
la
prima
volta
elaborò
il
TNM
del
carcinoma
uroteliale.
12
Se
non
si
è
certi
della
componente
infiltrativa,
si
può
utilizzare
una
immunoistochimica
volta
alla
ricerca
della
positi-‐
vità
per
le
citocheratine
ad
alto
peso
molecolare.
In
questo
contesto
è
importante
l’entità
della
colorazione
risultante
dall’immunoistochimica
in
quanto
una
micro-‐infiltrazione
è
prognosticamente
differente
da
una
macro-‐infiltrazione.
Quando
la
neoplasia
diventa
infiltrante
si
osservano
modificazioni
dello
stroma
(analoghe
a
quelle
della
reazione
fibrosa
nel
colon):
o lo
stroma
appare
mixoide,
ipocellulare,
basofilo
(è
Alcian-‐positivo),
o c’è
una
reazione
fibroblastica-‐stromale,
con
stroma
desmoplastico
(collagenizzazione)
e
pro-‐
liferazione
dei
fibroblasti.
I
fibroblasti
proliferanti
in
maniera
esuberante
possono
simulare
una
variante
sarcomatoide;
la
diagnosi
differenziale
si
fa
con
il
GATA3
(che
colora
le
cellule
dell’urotelio):
se
le
cellule
fu-‐
sate
non
si
colorano
c’è
un’alterazione
dello
stroma
(sono
quindi
fibroblasti
vimentino-‐
positivi),
se
si
colorano
c’è
una
neoplasia
molto
aggressiva
con
aspetto
sarcomatoide
(sono
cellule
uroteliali
fusiformi);
o ci
sono
artefatti
di
retroazione:
si
osservano
nel
connettivo
nidi
di
cellule
che
sembrano
di-‐
staccarsi
dallo
stroma
(ovvero
separarsi
dal
connettivo).
Questa
retroazione,
dovuta
alla
fis-‐
sazione,
simula
una
invasione
linfo-‐vascolare13
(o
una
variante
micropapillare;
v.
dopo):
la
diagnosi
differenziale
si
fa
con
la
immunoistochimica
per
le
cellule
endoteliali
(CD34,
CD31,
fattore
VIII,
D2-‐40
(podoplanina)
per
le
cellule
linfatiche).
In
quanto
artefatto,
la
retrazione
non
ha
significato
prognostico.
La
prognosi
è
variabile
e
dipende
dal
grado
istologico14
e
dall’estensione
in
profondità
del
fronte
di
avanzamento
nel
connettivo
sottouroteliale,
che
è
spesso
quasi
1
cm;
pertanto
è
stata
proposta
una
sottostadiazione
del
T1
che
considera
la
distanza
della
muscolaris
mucosae
(MM):
se
è
supera-‐
ta
la
prognosi
è
più
assimilabile
a
un
T2,
se
non
è
superata
e
la
neoplasia
è
superficiale
la
prognosi
è
migliore.
La
muscolaris
mucosae
non
è
sempre
evidente:
nei
punti
in
cui
essa
non
è
continua
sono
generalmente
presenti
delle
strutture
vascolari
di
grande
calibro
a
parete
sottile,
la
cui
identifica-‐
zione
può
essere
utilizzata
come
marker
surrogato
di
muscolaris
mucosae.
Distinguiamo
pertanto
una
sottoclassificazione
in
due
o
tre
sottostadi:
o T1a,
se
non
supera
la
MM,
o T1b,
se
supera
la
MM(o,
per
chi
identifica
tre
sottostadi,
se
è
a
livello
della
MM),
o T1c
(solo
per
chi
identifica
tre
sottostadi),
se
supera
la
MM,
La
probabilità
di
progressione
della
malattia
è
del
7%
se
la
neoplasia
è
sopra
la
MM,
del
54%
se
è
sotto;
cambia
anche
la
sopravvivenza
a
5
anni,
rispettivamente
dell’86%
e
del
52%.
Secondo
alcuni
autori
è
più
utile
identificare,
come
nel
melanoma,
la
profondità
dell’invasione
espressa
in
millimetri:
il
cut-‐off
è
rappresentato
da
1,5
mm
(oltre
i
quali
peggiora
la
prognosi);
il
problema
è
che
quando
il
campione
istologico
è
stato
prelevato
con
la
TURV,
l’orientamento
può
essere
non
conservato
e
diventa
complesso
misurare
la
profondità
(è
più
semplice
studiare
il
rap-‐
porto
con
la
MM);
• pT2:
invasione
della
tonaca
muscolare
propria.
Questo
sta-‐
dio
può
essere
a
sua
volta
diviso
in:
o pT2a,
se
il
tumore
è
contenuto
nella
metà
interna
della
muscolare
propria
(meno
del
50%
dello
spessore):
la
prognosi
è
simile
al
pT1b
(sopravvivenza
a
5
anni
del
50%)
ed
è
indicato
un
trattamento
conservativo,
13
Non
è
sempre
agevole
identificare
l’infiltrazione
del
connettivo
sub-‐epiteliale
poiché
potrebbero
esservi
delle
com-‐
ponenti
basali
(nidi
di
Brunn)
che
possono
simulare
un’invasione:
tuttavia,
se
si
osserva
lo
stroma
circostante,
in
que-‐
sto
caso
esso
risulta
normale.
14
La
componente
infiltrante,
inoltre,
va
distinta
da
un
punto
di
vista
di
grading
istologico
in
una
componente
di
basso
grado
(10%
dei
casi)
e
alto
grado
(90%
dei
casi).
Vi
è
una
situazione
paradossa:
alcune
forme
di
basso
grado,
come
ad
esempio
la
variante
a
nidi,
presenta
un
comportamento
molto
aggressivo.
pT2b,
se
il
tumore
si
estende
nella
metà
esterna
della
muscolare
propria:
la
prognosi
è
simile
al
o
pT3.
in
E’
indicato
l’intervento
chirurgico
(cistoprostatectomia
con
resezione
dei
dotti
deferenti
nell’uomo
ed
exenteratio
pelvis
nella
donna).
Nello
studio
di
frammenti
TURV
contenenti
il
tumore
che
infiltra
il
tessuto
muscolare
liscio,
si
pone
il
problema
se
quel
tessuto
sia
della
muscolaris
mucosae
(che
può
essere
anche
ipertrofica,
per
esempio
in
un
paziente
con
ipertrofia
prostatica
benigna)
o
della
muscolaris
propria;
per
dirimere
questo
dubbio
si
usa
l’immunoistochimica
per
la
smoothelina
che
colora
solo
la
seconda
(invece
la
desmina
colorerebbe
entrambe):
è
molto
importante
operare
questa
distinzione
perché
cambia
la
terapia.
Un
elemento
prognostico
importante
nel
pT3
sembra
essere
rappresentato
dal
diametro
della
neoplasia:
lesioni
con
diametro
superiore
a
3
cm
presentano
una
prognosi
peggiore
rispetto
a
le-‐
sioni
con
diametro
inferiore
a
3
cm;
• pT3:
invasione
del
tessuto
adiposo
perivescicale;
si
distinguono:
o pT3a:
invasione
microscopica,
o pT3b:
invasione
macroscopica
(di
maggiore
entità).
Una
neoplasia
che
raggiunge
il
tessuto
adiposo
peri-‐vescicale
ha
una
prognosi
altamente
infausta
vista
la
grande
densità
di
vasi
ivi
presente,
con
aumento
della
probabilità
di
metastasi.
Poiché
il
tessuto
adiposo
può
essere
presente
anche
nel
tessuto
sottoepiteliale
(in
quantità
scarna)
e
nella
tonaca
muscolare
propria
(abbondante),
nello
studio
dei
frammenti
di
TURV
ci
possono
es-‐
sere
problemi
di
stadiazione
(anche
se
nella
TURV
non
si
tende
ad
arrivare
fino
al
tessuto
adiposo
per
il
rischio
di
perforazione
della
vescic15a;
bisogna
però
tenere
presente
che
la
presenza
di
tessu-‐
to
adiposo
di
TURV
non
indica
necessariamente
un
pT3);
• pT4:
invasione
degli
organi
circostanti.
In
questo
stadio
è
difficile
che
il
tumore
raggiunga
l’utero
nella
donna
perché
deve
attraversare
tutto
il
tessuto
adiposo
perivescicale;
è
più
facile
che
ci
sia
l’invasione
della
prostata
nell’uomo
perché
il
trigono
continua
con
lo
stroma
e
il
muscolo
stromale
della
prostata.
La
sopravvivenza
a
5
anni
è
la
seguente:
1. T1:
67-‐75%
(T1a:
86%,
T1b:
53%),
2. T2:
60-‐63%,
3. T3:
30-‐50%,
4. T4:
10-‐25%.
Nella
stadiazione
bisogna
prestare
attenzione
alle
seguenti
condizioni:
• nel
trigono
il
connettivo
sottouroteliale
è
scarso
(1
mm)
e
quindi
una
neoplasia
del
trigono
infiltra
più
frequentemente
e
facilmente
la
tonaca
muscolare
e
la
prostata
(neoplasie
prostatiche
possono
invadere
il
trigono
e
neoplasie
del
trigono
possono
invadere
la
prostata16);
pertanto
si
è
più
allertati
quando
la
neoplasia
colpisce
il
trigono
e
c’è
una
frequenza
maggiore
della
cistectomia;
15
Quando
si
fa
la
resezione
transuretrale
l’urologo
cerca
di
non
raggiungere
il
tessuto
adiposo
perivescicale,
perché
se
si
porta
via
tutto
il
tessuto
muscolare
e
fa
rimanere
solo
t.
adiposo
quando
la
vescica
si
riempie
e
si
contrae
non
ha
più
la
resistenza
e
quindi
l’urina
potrebbe
filtrare
nel
t.
adiposo
e
raggiungere
il
peritoneo,
c’è
un
rischio
importante
di
perforazione,
per
cui
l’urologo
non
ci
arriva.
16
Però
il
carcinoma
uroteliale
è
più
aggressivo
el
carcinoma
prostatico,
e
la
storia
naturale
dei
pazienti
con
carcinoma
uroteliale
è
molto
più
breve.
Nel
50%
dei
pazienti
con
carcinoma
uroteliale
infiltrante
la
tonaca
muscolare
ed
indica-‐
zione
alla
cistoprostatectomia
si
ha
diagnosi
istologica
anche
di
carcinoma
prostatico
incidentale,
ma
in
tutti
i
casi
la
sopravvivenza
a
5
anni
risulta
molto
ridotta
rispetto
ad
un
paziente
con
CIS.
Il
peggioramento
della
prognosi
non
è
do-‐
vuto
alla
presenza
del
carcinoma
prostatico
bensì
alla
stadiazione
avanzata
del
carcinoma
vescicale,
che
è
molto
più
aggressivo
del
PCA.
• nei
pazienti
con
ipertrofia
prostatica,
per
aumento
della
pressione
endoluminale
dovuta
all’ostacolo
al
deflusso
urinario,
si
possono
formare
dei
diverticoli
vescicali,
ov-‐
vero
delle
estroflessioni
a
dito
di
guanto
ricoperte
da
uro-‐
telio
e
prive
di
tonaca
muscolare
propria:
questo
impatta
sulla
stadiazione
di
un
eventuale
neoplasia
infiltrante
di
un
diverticolo
(la
cui
insorgenza
è
favorita
dal
ristagno
di
urina).
Infatti,
la
progressione
della
neoplasia
in
questo
caso
è
diversa:
il
tumore,
dopo
aver
infiltrato
il
connettivo
sottoepiteliale,
giunge
subito
a
contatto
con
il
tessuto
adiposo
perivescicale,
e
aumenta
la
probabilità
di
dare
metastasi;
quindi
si
passa
subito
da
un
T1
a
un
T3.
6.
Stato
dei
margini
Nella
stadiazione
si
valutano
i
margini,
che
potrebbero
essere
positivi
a
livello
dell’apice
e
della
superficie
esterna
che
in
parte
è
rivestita
da
mesotelio.
Quando
l’urologo
decide
di
fare
una
cistoprastatectomia
fa
l’esame
estemporaneo
dell’apice
della
prostata
per
valutare
se
il
margine
dell’uretra
prostatica
è
indenne:
se
è
interessato
(a
causa
dal
seeding),
si
fa
l’uretrectomia
e
si
porta
via
anche
l’uretra
peniena17
(anche
lì
potrebbe
essere
avvenuto
il
fenomeno
del
seeding).
Anche
nella
donna
se
c’è
positività
del
margine
a
livello
dell’uretra
si
asporta
tutta
l’uretra.
Si
valutano
anche
i
margini
a
livello
degli
ureteri:
se
sono
interessati
si
fa
un’asportazione
più
estensiva,
fi-‐
no
ad
arrivare
a
intercettare
un
segmento
indette.
7.
Malattia
multifocale
Per
malattia
multifocale
si
intende
la
presenza
della
patologia
in
più
siti
dell’urotelio.
Il
tumore
della
vescica
può
essere
multifocale
per
due
motivi:
• le
sostanze
che
inducono
la
trasformazione
neoplastica
arrivano
nelle
vie
urinarie
con
l’urina
e
quindi
entrano
in
contatto
con
la
superficie
uroteliale
in
diversi
punti
(quindi
possono
causare
tra-‐
sformazione
neoplastica
in
diverse
sedi):
è
il
cosiddetto
“field
effect”.
Il
fumo
è
la
prima
causa
di
trasformazione
neoplastica
dell’urotelio
in
quanto
i
suoi
prodotti
ven-‐
gono
escreti
per
via
renale
e
si
accumulano
nella
vescica,
dove
possono
essere
causa
di
malattia
multifocale
dell’urotelio.
Il
paziente
può
anche
smettere
di
fumare,
ma
il
danno
che
è
stato
fatto
al
DNA
può
non
essere
riparato,
quindi
il
paziente
resta
a
rischio
per
lo
sviluppo
del
carcinoma
della
vescica18;
• per
il
fenomeno
del
seeding:
le
cellule
neoplastiche
si
desquamano,
sono
trasportate
dall’urina
e
possono
reimpiantarsi
e
dare
origine
un
nuovo
tumore
nella
vescica
(si
parla
in
questo
caso
di
tu-‐
more
multifocale),
ma
anche
nell’urotelio
dell’uretra
prostatica
(in
questo
caso
il
tumore
non
si
stadia
come
un
T4
ma
si
tratta
di
una
nuova
neoplasia,
e
il
TNM
si
fa
sia
per
il
tumore
della
vescica
che
per
quello
dell’uretra).
17
Non
è
una
penectomia
ma
non
fa
altro
che
sfilare
la
mucosa,
prende
l'inizio
e
la
fine
e
lo
tira
fuori
(stesso
procedi-‐
mento
che
si
fa
per
le
vene
varicose:
si
identifica
la
parte
più
prossimale
della
vena
poi
si
mette
un
filo
di
metallo
che
arriva
in
profondità
,
taglia
il
punto
in
cui
finisce
il
filo
metallico,
lega
l'accesso
distale
del
vaso
al
filo
di
ferro
e
lo
tira
via
come
una
calza).
18
Questo
può
avvenire
anche
nell’ambito
della
patologia
del
colon,
gli
adenomi
con
diverse
localizzazioni
o
che
compaiono
successivamente
nel
tempo,
sono
causati
da
cancerogeni
che
ingeriamo.
Questi
possono
agire
in
diver-‐
se
sedi
e
dare
malattia
multifocale.
ISTOTIPI
DEL
CARCINOMA
UROTELIALE
INVASIVO:
FORMA
CONVENZIONALE
E
VARIANTI
(WHO
2016)
CARCINOMA
UROTELIALE
• Convenzionale
• Varianti:
1. con
differenziazione
divergente:
§ squamosa,
§ ghiandolare,
§ trofoblastica,
§ epatoide
(del
sacco
vitellino),
§ neuroendocrina:
ü originanti
dall’urotelio,
ü originanti
dalle
cellule
paragangliari
della
parete
vescicale,
§ mülleriana:
ü adenocarcinoma
a
cellule
chiare,
ü adenocarcinoma
endometrioide,
2. con
caratteristiche
morfologiche
blande:
§ a
nidi,
§ microcistico,
3. micropapillare,
4. plasmacitoide,
5. sarcomatoide,
6. con
reazioni
stromali
inusuali,
7. altre
varianti:
§ linfoepiteliale
(linfoepitelioma-‐like),
§ a
cellule
giganti,
§ lipoideo,
§ a
cellule
chiare.
CARCINOMA
UROTELIALE
CONVENZIONALE
• Il
carcinoma
uroteliale
convenzionale
(classico
o
usuale)
può
pre-‐
sentarsi
macroscopicamente
come
una
lesione
polipoide,
sessile,
ulcerata;
rappresenta
l’evoluzione
di
una
neoplasia
uroteliale
non
invasiva,
che
può
a
sua
volta
essere
piatta,
papillare
o
invertita
(ci
sono
anche
forme
associate).
• Da
un
punto
di
vista
microscopico
si
osservano
cellule
neoplastiche
invadono
il
connettivo
sottoepiteliale
della
vescica
sotto
forma
di
travate,
trabecole,
piccoli
nidi19
o
singole
cellule
generalmente
se-‐
parate
da
uno
stroma
desmoplastico.
Infatti,
quando
la
neoplasia
19
Una
volta
acquisita
la
capacità
infiltrativa,
il
carcinoma
uroteliale
può
infiltrare
costituendo
strutture
che
il
patologo
inesperto
potrebbe
confondere
con
i
nidi
di
Brunn.
Un
carcinoma
uroteliale,
quando
diviene
in-‐
filtrante,
ha
il
ricordo
ancestrale
di
ciò
che
poteva
fare
prima
di
divenire
infiltrante,
ossia
la
capacità
di
proli-‐
ferare
a
livello
del
connettivo
sub-‐epiteliale
come
nido
di
Brunn.
supera
la
membrana
basale,
essa
induce
una
modificazione
del
connettivo.
Con
l’avanzamento
della
neoplasia
possono
essere
interessate
tutte
le
tuniche.
Il
superamento
della
sierosa
comporta
una
malattia
disseminata
a
livello
peritoneale;
il
non
superamento
della
sierosa
fa
sì
che
la
malattia
possa
dare
infiltrazione
loco-‐regionale,
ossia
a
livello
del
retto,
nell’uomo,
e
dell’utero,
nella
donna.
• Le
cellule
neoplastiche
sono
generalmente
di
grande
taglia
con
citoplasma
eosinofilo
abbondante.
C’è
evidente
atipia
nucleare20:
ovvero
i
nuclei
sono
pleiomorfi
e
in
alcuni
casi
ipercromici
con
anaplasia
marcata.
Si
osservano,
come
nel
carcinoma
papillare
della
tiroide,
anche
grooves
nucleari
longitudinali,
ossia
solchi
dovuti
ad
avvallamento
della
cromatina
che
il
citologo
osserva
come
regione
a
colorazione
più
scura
(sono
caratteristici).
Le
cellule
sono
in
attività
mitotica.
• All’immunoistochimica
si
osserva
positività
per:
o uroplachina
(1B,
2,
3);
gli
anticorpi
anti-‐uroplachina
colorano
la
membrana
asimmetrica
di
superfi-‐
cie
e,
nel
carcinoma,
gli
spazi
intercellulari
o
l’interno
delle
cellule,
o GATA
3,
che
non
è
specifico
per
la
vescica
(può
essere
trovato
anche
in
tumori
di
altra
origine),
o p63,
utile
per
la
diagnosi
differenziale
con
il
carcinoma
prostatico
(p63-‐negativo),
o CK7
(con
o
senza
positività
per
CK20),
o 34βE12,
CK5,
CK6,
trombomodulina.
Vengono
usati
più
marker
contemporaneamente
perché
alcuni
possono
essere
negativi
(per
esempio
l’uroplachina,
espressa
dalle
cellule
differenziate,
può
essere
negativa
nelle
forme
scarsamente
diffe-‐
renziate).
Questi
markers
si
usano
anche
nei
linfonodi
(es.
sovraclaveare)
in
cui
si
riscontrano
cellule
neoplasti-‐
che,
ad
esempio
se
si
trovano
dei
nidi
solidi,
per
verificare
la
presenza
di
cellule
metastatiche
prove-‐
nienti
dalla
vescica
(infatti
non
ci
sono
caratteristiche
morfologiche
così
specifiche
da
permettere
di
diagnosticare
una
metastasi
linfonodale
con
la
sola
morfologia).
L’immunoistochimica
è
utile
inoltre
per
distinguere
il
carcinoma
uroteliale
da
quello
prostatico
di
alto
grado
(a
volte
si
confondono
e
la
terapia
è
diversa);
infatti
nell’uomo
non
c’è
un
confine
naturale
tra
la
muscolare
propria
della
vescica,
i
tessuti
molli
e
il
muscolo
liscio
della
prostata.
Il
riconoscimento
dell’atipia
nucleare
consente
la
diagnosi
differenziale
con
il
carcinoma
prostatico
in
cui,
20
anche
nelle
forme
meno
differenziate,
i
nuclei
non
sono
mai
pleomorfi,
ossia
mantengono
caratteristiche
e
morfologie
regolari.
VARIANTI
DEL
CARCINOMA
UROTELIALE
Le
varianti
del
carcinoma
uroteliale
sono
molteplici.
Ne
verranno
trattate
alcune
e
divise
in
gruppi,
ma
è
importante
conoscerle
perché:
• possono
andare
in
diagnosi
differenziale
con
lesioni
benigne,
• possono
richiedere
un
trattamento
particolare,
• possono
avere
un
significato
prognostico
diverso.
1.
CARCINOMA
UROTELIALE
CON
DIFFERENZIAZIONI
DIVERGENTI
Come
l’urotelio
normale
può
andare
incontro
a
metaplasia,
analogamente
il
carcinoma
uroteliale
invasivo
può
andare
incontro
a
una
differenziazione
divergente;
si
osserva
in
questi
casi,
accanto
a
un
carcinoma
uroteliale
convenzionale,
una
componente
che
ha
assunto
una
diversa
differenziazione
(a
differenza
dei
tumori
puri
non
uroteliali,
in
cui
non
si
rintraccia
la
componente
uroteliale).
Al
patologo
si
raccomanda
di
descrivere
nel
referto
la
presenza
di
questa
componente
e
la
sua
percentuale;
l’incidenza
di
differenziazione
divergente
nei
campioni
di
cistectomia
può
arrivare
al
33%
invece
nei
fram-‐
menti
di
TURV
può
predire
un
cancro
localmente
avanzato
all’esame
della
successiva
cistectomia.
Le
differenziazioni
divergenti
sono:
• squamosa
(si
osserva
nel
20%
di
carcinomi
uroteliali
della
vescica),
se
si
riscontra
una
componente
pavimentosa
pluristratificata
cheratinizzata
(come
l’epidermide).
E’
particolarmente
frequente
(44%)
quando
il
carcinoma
dell’urotelio
origina
a
livello
delle
cavità
calico-‐pieliche;
infatti
questi
tumori
possono
essere
associati
alla
presenza
di
calcoli,
che
stimolano
l’urotelio
normale
ad
andare
incontro
a
metaplasia
e
il
carcinoma
uroteliale
ad
andare
incontro
a
differenziazione
divergente.
I
criteri
diagnostici
sono
(reperibili
anche
nell’epidermide):
o presenza
di
cheratina
intracellulare,
quindi
si
osservano
cellule
con
citoplasma
ampio,
eosino-‐
filo,
ricche
di
cheratina
e
simili
a
quelle
superficiali
dell’epidermide
(situate
al
di
sotto
dello
strato
corneo),
o presenza
ponti
intracellulari,
che
appaiono
come
spine
artefattuali
(visibili
anche
nello
strato
spinoso
dell’epidermide),
o perle
cornee:
sono
nidi
di
cellule
cheratiniz-‐
zate
con
accumuli
di
cheratina;
questi
accu-‐
muli
si
formano
perché,
a
differenza
dell’epidermide,
non
c’è
una
superficie
o
un
lume
in
cui
le
cellule
superficiali
possono
de-‐
squamare.
La
loro
presenza
è
un
segno
di
dif-‐
ferenziazione
della
neoplasia;
• ghiandolare
(6%),
se
si
riscontra
una
componente
simile
alla
mucosa
dell’adenocarcinoma
del
co-‐
lon,
quindi
con
lumi
simil-‐ghiandolari
(le
cellule
hanno
la
tendenza
a
formare
lumi),
privi
di
muci-‐
na
(meno
frequentemente
possono
essere
pre-‐
senti
cellule
ad
anello
con
castone
o
una
compo-‐
nente
mucinosa);
all’immunoistochimica
si
può
ri-‐
scontrare
positività
al
CEA
(e
a
CK7).
La
comparsa
di
una
differenziazione
ghiandolare
o
squamosa
è
indicativa
di
una
neoplasia
più
ag-‐
gressiva
e
meno
sensibile
alla
chemioterapia
e
radioterapia
rispetto
alle
forme
comuni:
pertanto
cambia
la
terapia,
• trofoblastica,
che
ricorda
la
placenta:
si
os-‐
servano
quindi
digitazioni
immerse
in
un
la-‐
go
vascolare
e
ricoperte
da
cellule
mononu-‐
cleate
(come
il
citotrofoblasto)
e,
soprattut-‐
to,
plurinucleate
(come
il
sinciziotrofobla-‐
sto).
E’
una
forma
di
alto
grado
molto
ag-‐
gressiva
(tutti
i
tumori
dell’organismo
pos-‐
sono
andare
incontro
a
questa
differenzia-‐
zione).
In
questi
pazienti
aumenta
la
β-‐HCG
sierica
(e
diminuisce
se
il
tumore
risponde
alla
terapia).
Nel
dettaglio
si
osservano
tre
pattern:
o con
cellule
plurinucleate
(giganti
o
pleomorfe)
positive
alla
β-‐HCG;
sono
cellule
del
sinciziotro-‐
foblasto
ben
distinguibili,
quindi
plurinucleate
con
citoplasma
basofilo
β-‐HCG-‐positivo,
nuclei
pleiomorfici
(polilobati),
ipercromatici
e
cromatina
addensata,
o con
cellule
pleomorfe
e
giganti
positive
alla
beta-‐HCG,
ma
che
non
hanno
l’aspetto
del
sinci-‐
ziotrofoblasto
(senza
immunoistochimica
è
difficile
fare
la
diagnosi),
o con
una
componente
di
coriocarcinoma
in
associazione
a
una
componente
di
citotrofoblasto
e
sinciziotrofoblasto.
In
questo
caso
la
prognosi
è
ancora
più
infausta.
Ogni
volta
che
si
trovano
cellule
pleomorfe
e/o
plurinucleate
si
l’immunoistochimica
per
la
beta-‐
HCG
per
diagnosticare
le
varianti
e
per
fornire
al
clinico
un
marcatore
per
il
monitoraggio,
• epatoide
(tumore
del
sacco
vitellino
o
del
seno
endodermico),
simile
all’omonimo
tumore
del
te-‐
sticolo.
Questa
differenziazione,
definita
un
tempo
“epatoide”
in
quanto
esprime
l’α-‐fetoproteina
(marker
dell’epatocarcinoma),
è
caratteristica
di
un
tumore
a
cellule
germinali
anche
esso
positivo
all’α-‐fetoproteina.
L’α-‐fetoproteina
è
un
marker
utile
per
la
diagnosi,
il
monitoraggio
degli
effetti
della
terapia
e
il
follow-‐up
successivo,
• neuroendocrina.
I
tumori
neuroendocrini
nella
vescica
possono
originare:
o dall’urotelio,
e
possono
essere
(come
i
tumori
del
polmone):
§ carcinoma
neuroendocrino
a
piccole
cellule,
il
più
frequente
(v.
dopo),
§ carcinoma
neuroendocrino
a
grandi
cellule,
formato
da
cellule
con
abbondante
citopla-‐
sma
simili
a
quelle
del
carcinoma
uroteliale
convenzionale
(quindi
quando
si
vedono
cellu-‐
le
inusuali
in
una
neoplasia
vescicale
si
fanno
i
marcatori
per
questa
diagnosi
differenzia-‐
le).
E’
molto
raro,
§ carcinoidi:
sono
tumori
neuroendocrini
ben
differenziati
(rappresentano
la
controparte
benigna
del
carcinoma
neuroendocrino);
o dalle
cellule
dei
paragangli:
si
tratta
in
questo
caso
di
un
paraganglioma
(tumore
a
piccole
cel-‐
lule
secernente
catecolamine;
da
un
punto
di
vista
morfologico
è
una
sorta
di
feocromocitoma
extrasurrenalico),
che
cresce
dentro
la
parete
della
vescica
al
di
sotto
della
mucosa
normale.
Il
rischio
durante
l’intervento
di
asportazione
è
l’insorgenza
di
una
crisi
ipertensiva,
che
può
es-‐
sere
mortale.
Il
tumore
neuroendocrino
a
piccole
cellule,
è
formato
macroscopicamente
da
una
massa
ulcerata
o
non
ulcerata
che
può
essere
larga,
solida,
solitaria,
polipoide
e
nodulare;
alla
diagnosi
è
presente
sempre
invasione
(che
si
spinge
almeno
a
livello
della
muscolare
propria):
quindi
il
reperto
di
que-‐
sta
componente
si
associa
a
una
prognosi
peggiore
e
a
un
cambiamento
della
terapia
(è
trattato
come
un
tumore
neuroendocrino
del
polmone).
Da
un
punto
di
vista
microscopico
il
vetrino
è
scuro,
formato
da
molti
nuclei
e
poco
citoplasma;
nel
dettaglio
si
osservano:
o gruppi
di
piccole
cellule
separate
da
scarso
stroma,
o crescita
infiltrativa
diffusa,
o cellule
rotonde
od
ovali,
con
scarso
citoplasma
basogilo
e
un
nucleo
piccolo
e
ipercromatico
(né
i
nuclei
né
i
nucleoli
sono
prominenti),
o numerose
mitosi
facilmente
identificabili,
o necrosi21
(comune);
infatti
poiché
lo
stroma
è
scarso,
lo
è
anche
la
vascolarizzazione,
che
non
riesce
a
supportare
la
proliferazione
delle
cellule,
o positività
immunoistochimica
a
cromogranina
(che
colora
i
granuli
del
citoplasma),
sinaptofi-‐
sina
e
TTF1
(quest’ultimo
è
aspecifico
perché
è
espresso
dal
polmone,
dalla
prostata
e
dalla
vescica:
aiuta
a
identificare
un
tumore
come
neuroendocrino
ma
non
a
capire
se
è
primario
o
metastatico).
Può
essere
puro
(è
difficile
trovarlo22)
o
misto,
quindi
è
una
forma
di
differenziazione
divergente
associata
a
un
carcinoma
uroteliale
convenzionale;
quando
si
osserva
un
tumore
con
queste
carat-‐
teristiche
bisogna
escludere
per
prima
cosa
una
localizzazione
secondaria:
se
il
tumore
è
inusuale
da
un
punto
di
vista
morfologico
e
non
è
presente
la
componente
uroteliale
(puro),
va
segnalato
perché
il
clinico
deve
cercare
un’eventuale
sede
primitiva;
comunque
la
terapia
non
cambia
(è
quel-‐
la
dei
tumori
neuroendocrini).
21
Quando
vi
è
necrosi,
può
verificarsi
la
liberazione
del
contenuto
nucleare,
con
accumulo
dello
stesso
attorno
ai
vasi:
l’accumulo
di
contenuto
nucleare
basofilo
a
livello
del
tessuto
connettivo
perivascolare
è
definito
fenomeno
di
Azzo-‐
pardi.
22
Malgrado
non
venga
riscontrata
la
componente
uroteliale,
presumibilmente
anche
in
questo
caso
si
ha
una
deriva-‐
zione
uroteliale:
se
si
osserva
l’urotelio
superficiale
delle
forme
pure
presenta
un’atipia
ed
una
morfologia
simili
a
quelle
del
carcinoma
in
situ.
Il
tumore
neuroendocrino
a
piccole
cellule
della
vescica
va
in
diagnosi
differenziale
con:
1. metastasi
di
tumore
a
piccole
cellule
di
altra
sede;
la
metastasi
è
GATA-‐3
negativa,
2. carcinoma
uroteliale
e
adenocarcinoma
prostatico23
scarsamente
differenziati,
che
a
volte
possono
simulare
il
carcinoma
a
piccole
cellule,
ma
sono
cromogranina-‐negativi,
3. linfoma
maligno,
che
è
cromogranino-‐negativo
ed
esprime
marker
specifici,
4. rabdomiosarcoma
e
PNET,
soprattutto
in
età
pediatrica:
è
il
tumore
più
frequente
nel
bambi-‐
no
ed
esprime
i
marker
del
muscolo
striato.
Nell’adulto
si
questi
marker
sono
espressi
in
que-‐
sta
sede
in
caso
di
carcinosarcoma
dell’urotelio
con
differenziazione
eterologa.
Quindi
l’età
aiuta
in
questa
diagnosi
differenziale.
Da
un
punto
di
vista
prognostico
è
caratterizzato
da:
o decorso
clinico
aggressivo,
o stadio
avanzato
alla
diagnosi
e
propensione
a
metastatizzare,
o alcuni
fattori
prognostici
negativi
(età
del
paziente
superiore
ai
65
anni,
stadio
TNM
alto,
ma-‐
lattia
metastatica
alla
diagnosi).
• mulleriana,
come
un
adenocarcinoma
a
cellule
chiare
o
endometrioide
dell’endometrio.
VARIANTE
CON
DIFFERENZIAZIONE
MÜLLERIANA
24
E’
una
differenziazione
divergente
riscontrata
predominantemente
nelle
donne
e
che
verosimilmente
trae
origine
dai
precursori
mülleriani
presenti
all’interno
della
parete
vescicale
o
livello
dei
tessuti
molli
adiacenti.
Tra
queste
neoplasie
mulleriane
riscotrabili
nel
contesto
di
un
tumore
invasivo
uroteliale
(ma
anche
a
livel-‐
lo
ovarico),
distinguiamo:
• l’adenocarcinoma
a
cellule
chiare
(più
frequente),
è
un
tumore
che
presenta
una
crescita
gene-‐
ralmente
tubulo-‐cistica,
papillare
o
diffusa,
ed
è
formato
da
“cellule
a
chiodo”
(“hobnail
cells”),
che
presentano
un
citoplasma
spongioso,
ampio
e
chiaro
per
accumulo
di
glicogeno,
con
eventua-‐
le
presenza
di
secrezioni
eosinofile
o
basofile.
Si
identificano
due
porzioni:
la
“testa
del
chiodo”,
ossia
la
parte
della
cellula
contenente
il
nucleo,
che
sporge
verso
il
lume,
e
il
“peduncolo
del
chio-‐
do”,
meno
prominente,
che
sporge
verso
lo
stroma.
Da
un
punto
di
vista
immunoistochimico
presenta
positività
per
PAX-‐8,
CA125
e
p53,
alla
stregua
della
controparte
ovarica,
come
la
quale
va
trattato.
Talvolta
l’adenocarcinoma
a
cellule
chiare
viene
confuso
con:
o l’adenoma
nefrogenico,
una
lesione
benigna
che
insorge
a
seguito
di
ulcerazione
uroteliale
secondaria
a
traumatismi
(resezione
trans-‐uretrale,
cateterismo,
procedure
diagnostiche
ben
differenziate);
costituisce
l’esito
dell’impianto
di
cellule
di
origine
tubulare
nei
siti
di
danno
uroteliale.
In
passato
si
riteneva
che
l’adenocarcinoma
a
cellule
chiare
fosse
la
controparte
maligna
dell’adenoma
nefrogenico.
Può
simulare
un
carcinoma
inoltre
poiché
queste
lesioni
sono
generalmente
racemasi-‐positive,
alla
stregua
del
carcinoma
renale
papillare
e
dell’adenocarcinoma
prostatico.
Dunque,
anche
se
in
alcuni
casi
l’adenoma
nefrogenico
può
essere
confuso
con
un
adenocar-‐
cinoma
a
cellule
chiare,
l’assenza
di
pleomorfismo
e
polimorfismo
nucleare,
evidenziabili
in-‐
vece
nell’adenocarcinoma
a
cellule
chiare,
costituiscono
elementi
validi
per
giungere
facil-‐
mente
alla
diagnosi;
o il
carcinoma
renale
a
cellule
chiare,
che
è
vimentina-‐positivo,
23
In
fase
avanzata,
un
adenocarcinoma
prostatico
infiltrante
la
vescica
può
presentare
una
popolazione
a
piccole
cel-‐
lule:
in
questo
caso
però
la
componente
prostatica
sarà
positiva
all’immunoistochimica
per
PSA.
24
Occasionalmente
può
verificarsi
negli
uomini:
in
pazienti
con
carcinoma
uroteliale
ed
in
trattamento
con
terapia
an-‐
ti-‐androgenica
per
concomitante
carcinoma
prostatico
può
verificarsi
una
differenziazione
divergente
mülleriana.
o il
carcinoma
uroteliale
nella
variante
solida
a
cellule
chiare,
che
esprime
GATA-‐3
e
uropla-‐
china.
• l’adenocarcinoma
endometrioide,
negativo
per
PAX-‐8
e
p53
ma
generalmente
positivo
per
ER
e
PR.
Tre
sono
le
teorie
circa
l’origine
di
queste
neoplasie:
o l’urotelio
va
incontro
a
trasformazione
endometriale:
in
questo
caso
si
tratta
quindi
di
un
car-‐
cinoma
uroteliale
infiltrante
con
differenziazione
divergente
di
tipo
mulleriano;
o all’interno
della
mucosa
vescicale
sono
presenti
residui
ectopici
di
mucosa
endometriale
(en-‐
dometriosi):
si
osserva
quindi
un
tumore
di
tipo
Mulleriano
puro.
La
presenza
di
mucosa
endometriale
ectopica
può
osservarsi
anche
a
livello
ovarico
(cisti
en-‐
dometriosica),
a
livello
della
parete
toracica
(in
donne
sottoposte
a
taglio
cesareo,
piccoli
frammenti
di
endometrio
possono
impiantarsi
a
livello
toracico),
a
livello
intestinale
e
a
livel-‐
lo
vescicale.
L’endometriosi
va
incontro
a
modificazioni
cicliche
come
un
endometrio
classico
e
pertanto
durante
la
fase
mestruale,
se
si
ha
una
endometriosi
vescicale,
le
pazienti
possono
riferire
ematuria
e,
se
si
ha
endometriosi
intestinale
(molto
più
frequente
rispetto
a
quella
in-‐
testinale)
le
pazienti
possono
riferire
dolori
addominali.
La
trasformazione
neoplastica
a
cui
può
andare
incontro
una
endometriosi
vescicale
può
esi-‐
tare
in
carcinoma
endometrioide
(raro)
o
in
adenocarcinoma
a
cellule
chiare
(più
frequente-‐
mente);
o all’interno
della
mucosa
vescicale
non
si
ha
specificamente
la
presenza
di
mucosa
endome-‐
triale
bensì
si
osserva
un
epitelio
simile
o
a
quello
tubarico
o
a
quello
endocervicale
(mulle-‐
rianosi).
Per
quanto
concerne
la
prognosi,
un
adenocarcinoma
a
cellule
chiare
di
basso
stadio
(T1-‐T2),
specie
se
con
crescita
esofitica,
può
presentare
un
decorso
favorevole
se
trattato
aggressivamente
in
maniera
tempesti-‐
va;
tumori
di
alto
stadio
invece
sono
tipicamente
associati
ad
una
prognosi
peggiore.
La
prognosi
del
carcinoma
endometriale
è
difficile
da
valutare
vista,
in
virtù
della
sua
rarità,
la
mancanza
di
studi
a
riguardo.
In
sintesi,
le
forme
neuroendocrina
e
trofoblastica
sono
più
aggressive
di
quelle
squamosa
e
ghiandolare.
I
marcatori
sierologici
sono
utili
per
il
monitoraggio
e
per
intercettare
un’eventuale
recidiva.
2.
CARCINOMA
UROTELIALE
CON
ASPETTI
BLANDI
La
gran
parte
dei
tumori
invasici
dell’urotelio
è
facilmente
diagnosticabile
a
causa
della
evidente
atipia
cel-‐
lulare
e
della
crescita
infiltrativa.
Ma
alcune
forme
ambigue
di
cancro
possono
essere
diagnosticate
più
dif-‐
ficilmente
a
causa
di:
• aspetti
citologici
relativamente
innocui
o
• una
sorprendente
somiglianza
con
le
più
frequenti
proliferazioni
benigne.
Queste
varianti
del
carcinoma
uroteliale
sono
definite
“con
aspetti
blandi”;
sono
tumori
caratterizzati
da
una
morfologia
nucleare
di
basso
grado
ma
aggressivi,
pertanto
non
ha
senso
parlare,
per
essi,
di
alto
e
basso
grado.
Rientrano
in
questa
famiglia
due
varianti:
• a
nidi
(“nested”),
caratterizzata
dalla
presenza
di
nidi
di
cellule
che
mimano
i
nidi
di
von
Brunn
(so-‐
no
la
controparte
benigna
ma
non
la
lesione
incipiente).
E’
una
variante
rara
(0,3%)
che
infiltra
for-‐
mando
dei
nidi
di
cellule
con
bassa
atipia
nucleare.
Presenta
una
configurazione
bifasica,
infatti
può
essere:
o superficiale.
E’
caratterizzata
da
nidi
di
dimensioni
variabili,
separati,
strettamente
addossati,
a
volte
confluenti
(fusi),
organizzati
casualmente
con
una
variabile
interposizione
stromale;
l’urotelio
sovrastante
non
presenta
importanti
alterazioni
morfologiche
(sono
presenti
le
cellu-‐
le
cupoliformi
tipiche)25.
La
maggior
parte
delle
cellule
ha
un
aspetto
relativamente
blando,
ma
alcune
hanno
un
maggior
grado
di
atipia
citologica.
Ciò
che
distingue
il
pattern
superficiale
di
un
carcinoma
uroteliale
“nested”
da
un
nido
di
Brunn
è
la
variabilità
in
termini
dimensionali
(alcune
strutture
sono
più
grandi,
altre
più
picco-‐
le,
alcune
tendono
a
gemmare
altre
tendono
a
formare
una
struttura
confluente);
o profonda.
E’
caratterizzata,
man
mano
che
si
porta
in
profondità,
da
maggiore
atipia
citologica
e/o
un
pattern
infiltrativo
più
irregolare,
che
comprende
anche
cambiamenti
dello
stroma
(reazione
stromale).
E’
invasa
la
muscolaris
propria.
Quindi
in
profondità
gli
aspetti
blandi
riscontrati
in
superficie
vengono
persi
e
si
osservano
gli
aspetti
citologici
di
un
carcinoma
uroteliale
classico.
E’
difficile
fare
la
diagnosi
soprattutto
sui
frammenti
di
TURV,
che
non
permettono
di
osservare
in
profondità
il
connettivo
e
il
tessuto
muscolare.
E’
un
tumore
caratterizzato
da
un
decorso
clinico
aggressivo,
quindi
da
progressione
della
malattia,
metastasi
e
morte
(quello
un
grado
di
atipia
più
basso
tende
a
rimanere
localizzato
inizialmente;
è
comunque
aggressivo).
E’
fondamentale
quindi
identificare
questa
variante26,
nelle
biopsie
superficiali
o
parziali,
e
distin-‐
guerla
dalla
controparte
benigna
(nidi
di
Brunn)27;
25
Caso
emblematico:
un
vecchio
urologo
conduceva
esclusivamente
biopsie
superficiali
ed
il
patologo
refertava
la
presenza
di
nidi
di
Von
Brunn
iperplastici.
L’urologo
notò
la
discrepanza
tra
quello
che
il
patologo
includeva
nel
refer-‐
to
e
l’espressione
clinica
della
lesione;
l’urologo
osservava
di
fatto
una
massa
neoplastica
che
non
era
supportata
dalla
diagnosi
morfologica
istopatologica.
Fu
così
che
Montironi
scoprì
e
descrisse
per
la
prima
volta
questa
variante.
26
La
diagnosi
differenziale
è
con
1)
Nidi
di
Von
Brunn,
2)
Adenoma
nefrogenico
con
pattern
a
nidi,
3)
Tumori
con
un
pattern
a
nidi
(Paraganglioma,
Tumore
carcinoide,
Adenocarcinoma
prostatico,
Melanoma,
Sarcoma
alveolare).
27
Per
la
diagnosi
differenziale
può
essere
utile
il
seguente
schema:
• Non
si
osserva
una
risposta
dell’ospite
nei
confronti
delle
cellule
neoplastiche.
• Raramente
possono
essere
presenti
dei
corpi
psammomatosi28.
• Le
cellule
sono
caratterizzata
da
alto
grado
nucleare,
tuttavia
alcune
aree
possono
essere
di
basso
grado.
Comunque
il
grado
nucleare
non
conta:
quello
che
conta
da
un
punto
di
vista
prognostico
è
l’architettura.
• Nel
50%
dei
casi
si
associa
a
un
carcinoma
in
situ,
da
cui
il
tumore
micropapillare
deriva.
Si
osserva
invasione
linfovascolare
nel
50%
dei
casi;
bisogna
distinguere
un’invasione
linfovascolare
vera
da
una
falsa
(ovvero
dalle
lacune).
• In
sintesi,
da
un
punto
di
vista
prognostico,
questo
tumore
è
di
alto
grado
e
spesso
di
alto
stadio,
e
frequentemente
associato
a
invasione
linfovascolare.
La
quantità
della
componente
micropapillare
correla
negativamente
con
la
prognosi
che
è
sfavorevole:
la
sopravvivenza
a
5
anni
e
a
10
anni
è
ri-‐
spettivamente
del
51%
e
del
24%.
Pertanto,
anche
nelle
forme
più
superficiale,
il
trattamento
di
prima
scelta
è
la
chirurgia.
• La
principale
diagnosi
differenziale
nella
donna
è
con
una
metastasi
di
tumore
sieroso
dell’ovaio
micropapillare
(che
presenta
un’architettura
simile),
soprattutto
se
il
tumore
è
stato
riscontrato
primariamente
nel
peritoneo,
nei
linfonodi
addominali
e
nel
mesentere,
o
se
c’è
una
storia
di
pre-‐
gresso
tumore
ovarico.
• Nella
diagnosi
differenziale,
soprattutto
se
con
l’EE
non
si
trova
una
componente
uroteliale
associa-‐
ta,
l’immunoistochimica
può
essere
di
supporto:
la
variante
micropapillare
è
positiva
a
GATA3
e
uroplachina
e
negativa
a
TTF1
e
WT1
(presente
nel
Willms
e
nell’adenoma
metanefrico
e
nelle
forme
sierose
del
tumore
dell’ovaio29).
Se
anche
l’immunoistochimica
non
è
dirimente,
depone
a
favore
dell’ipotesi
di
un
tumore
primario
della
vescica
l’assenza
di
tumori
in
altri
distretti
anatomici
(studiati
con
la
clinica
e
la
radiologia).
4.
CARCINOMA
UROTELIALE
PLASMACITOIDE
Il
carcinoma
uroteliale
plasmacitoide
rappresenta
una
variante
rara
e
aggressiva,
caratterizzata
da
cellule
con
morfologia
sovrapponibile
a
quella
delle
plasmacellule
(e
che,
in
generale,
possono
assumere
aspetti
plasmacitoidi,
linfoidi,
signet
ring,
rabdoidi).
L’infiltrazione
dello
stroma
è
a
cellule
singole:
non
ci
sono
nidi
solidi
ma
cellule
scarsamente
coesive30,
che
presentano
un
citoplasma
basofilo
ed
eventualmente
vacuoli
citoplasmatici
privi
di
muco,
un
nucleo
alla
periferia
circondato
a
volte
da
un
alone
chiaro
perinucleare
(arcoplasma).
Da
un
punto
di
vista
molecolare
è
caratterizzato
dalla
perdita
dell’espressione
della
E-‐caderina.
28
Esito
della
deposizione
di
strati
concentrici
di
calcio
attorno
ad
un
nucleo
centrale
verosimilmente
costituito
da
cel-‐
lule
necrotiche.
Questi
corpi
psammomatosi
sono
rintracciabili
anche
nel
carcinoma
sieroso
papillare
dell’ovaio
(con
aggravamento
delle
difficoltà
di
diagnosi
differenziale)
e
nel
carcinoma
papillare
della
tiroide.
29
Il
micropapillare
dell’urotelio
inoltre
esprime
p63,
mentre
quello
dell’ovaio
esprime
i
recettori
per
gli
estrogeni
e
p53.
30
Come
nel
carcinoma
lobulare
della
mammella,
in
cui
ci
sono
cellule
che
infiltrano
lo
stroma
in
fila
indiana
e
possono
31
Da
tenere
in
considerazione
inoltre
anche
la
diagnosi
differenziale
inversa,
ossia
una
lesione
cutanea
come
esito
di
metastasi
da
carcinoma
uroteliale
plasmocitoide:
a
tal
fine,
il
prof
a
lezione
mostra
un
reperto
bioptico
di
cute
positivo
per
GATA-‐3
e
HMWCK.
• Lo
stroma
reattivo
può
andare
incontro
a
metaplasia
ossea
o
cartilaginea
e
simula
quello
dei
carci-‐
nosarcomi
con
differenziazione
eterologa;
ma
in
questo
ultimo
caso,
prognosticamente
negativo,
le
cellule
ossee
e
cartilaginee
derivano
dalle
cellule
maligne
sarcomatoidi,
nel
primo
caso
invece
da
cellule
reattive.
• In
caso
di
infiltrato
infiammatorio
linfoide
prominente
si
pone
il
problema
della
diagnosi
differen-‐
ziale
con
la
variante
linfoepitelioma-‐like,
che
risponde
bene
alla
chemioterapia
(quindi
questa
dia-‐
gnosi
differenziale
è
importante
da
un
punto
di
vista
prognostico
e
predittivo).
7.
ALTRE
VARIANTI
• Variante
linfoepitelioma-‐like,
caratterizzata
da
sincizi
di
cellule,
che
non
presentano
una
grossa
atipia
nucleare,
associati
ad
un
ricco
infiltrato
infiammatorio
stromale.
Presenta
una
morfologia
affine
a
quella
del
linfoepite-‐
lioma
del
rinofaringe
(tumore
di
Schmincke,
si
presume
che
verosimilmente
esso
rappresenti
una
particolare
va-‐
riante
di
carcinoma
squamocellulare),
il
quale
presenta
un’ottima
prognosi
se
riconosciuto
e
adeguatamente
trattato
(anche
se
metastatico,
poiché
vi
è
una
importante
componente
linfocitaria
stromale
in
grado
di
tenere
a
bada
la
crescita
neoplastica).
Da
un
punto
di
vista
morfologico,
il
carcinoma
uroteliale
linfoepiteliale
è
caratterizzato
da:
o cellule
larghe
arrangiate
in
sincizi,
o cellule
indifferenziate
con
larghi
nuclei
vescicolari
pleomorfici,
nucleoli
prominenti,
numerose
mitosi,
o infiltrato
predominantemente
linfoide,
con
presenza
di
una
componente
T
e
B,
o immunoistochimica
positiva
per
citocheratina.
Anche
il
carcinoma
uroteliale
convenzionale
può
presentare
uno
stroma
linfoide:
tuttavia
ciò
non
significa
che
esso
sia
un
linfoepitelioma;
La
prognosi
è
sovrapponibile
con
quella
del
linfoepitelioma
del
rinofaringe.
• Variante
a
cellule
giganti:
è
un
carcinoma
uroteliale
poco
differenziato,
in
cui
possono
riscontrarsi
cellule
giganti
pleomorfe:
l’urotelio
non
è
morfologicamente
identificabile
tuttavia
si
ha
una
positività
immunoistochimica
per
i
marker
uroteliali.
Possono
essere
rinvenute
cellule
con
aspetto
di
cellule
giganti
1)
nel
carcinoma
indifferenziato
ricco
di
osteocla-‐
sti,
2)
nel
carcinoma
uroteliale
di
alto
grado
con
sinciziotrofoblasti
e/o
elementi
di
differenziazione
coriocarci-‐
nomatosa,
3)
in
corso
di
trattamento
(a
seguito
di
una
resezione
trans-‐uretrale
o
di
una
immunoterapia
con
istil-‐
lazione
vescicale
di
BCG,
il
sistema
immunitario
si
attiva
nel
tentativo
di
combattere
la
neoplasia:
le
cellule
gigan-‐
ti
non
sono
altro
che
la
manifestazione
della
risposta
immunitaria
dell’organismo
nei
confronti
della
neoplasia).
• Variante
lipoidea:
ci
sono
lipoblasti
immaturi
in
cui,
a
differenza
del
monovacuolo
lipidico
tipico
degli
adipociti,
si
osservano
numerosi
vacuoli
lipidici
intracitoplasmatici.
Può
entrare
in
diagnosi
differenziale
con
un
carcinoma
sarcomatoide
presentante
una
differenziazione
eterologa
sarcomatosa.
• Variante
a
cellule
chiare.
Carcinoma
costituito
da
cellule
chiare,
aspetto
conferito
dalla
ricchezza
in
glicogeno.
Può
entrare
in
diagnosi
differenziale
con
un
carcinoma
renale
a
cellule
chiare,
il
quale
può
metastatizzare
a
livel-‐
lo
vescicale.
SIGNIFICATO
DELLE
VARIANTI
Come
già
detto
si
identificano
le
varianti
per
tre
motivi:
• possono
avere
un
significato
prognostico
diverso:
alcuni
sono
molto
aggressivi
(micropapillare,
sa-‐
cromatoide,
a
piccole
cellule),
altri
hanno
una
prognosi
favorevole
(linfoepitelioma-‐like,
carcinoide,
verrucoso),
• possono
andare
in
diagnosi
differenziale
con
lesioni
benigne
o
maligne:
per
esempio
quello
a
nidi
simula
i
nidi
di
Brunn,
quello
plasmacitoide
simula
un
plasmacitoma,
• possono
richiedere
un
trattamento
particolare,
come
il
carcinoma
sarcomatoide,
quelli
neuroen-‐
docrini
a
piccole
e
grandi
cellule,
e
quello
linfoepitelioma-‐like.
26.
TUMORI
DEL
TESTICOLO
ANATOMIA
NORMALE
DEL
TESTICOLO
ANATOMIA
MACROSCOPICA
Il
testicolo
è
la
gonade
maschile,
ovvero
l’organo
adibito
alla
formazione
dei
gameti;
è
un
organo
parenchimatoso
tubulare
di
dimensioni
di
5x3
cm
situato
nella
sacca
scro-‐
tale.
Dal
testicolo
originano
le
vie
spermatiche,
formate
dall’epididimo,
il
dotto
deferente
che
diventa,
alla
con-‐
fluenza
delle
vescichette
seminali,
dotto
eiaculatore:
esso
a
sua
volta
sbocca
a
livello
del
collicolo
seminale,
dove
le
vie
spermatiche
continuano
nell’uretra
prostatica
e
poi
nell’uretra
peniena.
Il
testicolo
è
suddiviso
in
circa
250
lobuli
separati
da
setti
fibrosi:
ogni
lobulo
contiene
dei
tubuli
seminiferi,
che
con-‐
vergono
verso
l’ilo
del
testicolo,
dove
è
presente
la
rete
testis,1
che
a
sua
volta
si
continua
nell’epididimo.
Le
tonache
che
rivestono
il
testicolo
sono,
dall’esterno
all’interno:
• la
tonaca
albuginea,
una
capsula
fibro-‐connettivale
da
cui
originano
i
setti
fibrosi
che
delimitano
i
lobul
del
testicolo;
• la
tonaca
vaginale,
una
sierosa
formata
da
due
foglietti
uno
viscerale
(epiorchio)
e
uno
parietale
(periorchio)
che
si
riflettono
a
livello
del
margine
posteriore
del
testicolo
andando
a
delimitare
una
cavità
contenente
un
sottile
film
liquido
e
che
conferisce
al
testicolo
una
certa
mobilità
(analo-‐
gamente
a
quanto
fa
il
peritoneo
con
l’intestino).
Sono
due
foglietti
di
mesotelio
(formati
da
cellule
mesoteliali
e
connettivo
vascolarizzato),
che
deri-‐
vano
dal
peritoneo
con
la
discesa
del
testicolo:
anche
in
questa
sede,
quindi,
possono
insorgere
i
mesoteliomi.
E’
importante
conoscere
questi
rapporti
perché
in
caso
di
invasione
della
tonaca
vaginale
il
tumore
raggiunge
una
fase
critica
di
diffusione;
• la
parete
dello
scroto,
formata
da
strutture
fa-‐
sciali,
muscolari
e
cutanee2.
1
La
rete
testis
si
continua
nei
i
duttuli
efferenti,
che
formano
la
testa
dell’epididimo.
Mano
a
mano
questi
duttuli
di-‐
ventano
sempre
di
meno
in
numero
e
più
grandi,
andando
a
costituire
il
corpo
e
la
coda
dell’epididimo,
che
è
in
conti-‐
nuità
diretta
con
il
dotto
deferente.
2
Nel
dettaglio,
continuando
dall’interno
verso
l’esterno,
dopo
il
periorchio
troviamo:
• la
fascia
spermatica
interna,
che
deriva
dalla
fascia
trasversalis,
• il
muscolo
cremastere,
che
deriva
dall’obliquo
interno,
• la
fascia
spermatica
esterna,
che
deriva
dall’aponeurosi
dell’obliquo
esterno,
• la
tonaca
dartos,
contenuta
nel
sottocutaneo
dello
scroto,
• la
cute
dello
scroto.
ANATOMIA
MICROSCOPICA
Come
accennato
il
testicolo
è
formato
da
tubuli
convoluti,
stipati
all’interno
dei
lobuli,
e
delimitati
da
una
membrana
basale.
Nell’epitelio
dei
tubuli
(epitelio
germinativo)
si
osservano
due
tipi
di
cellule:
• le
cellule
germinali,
presenti
a
diversi
stati
maturativi
(spermatogoni,
spermatociti
primari
e
secondari,
spermatidi):
esse
matu-‐
rano
in
spermatozoi
in
senso
baso-‐apicale
e
in
maniera
asincrona
tra
i
diversi
tubuli,
• le
cellule
di
Sertoli,
più
grandi,
con
citopla-‐
sma
più
ampio,
che
svolgono
molte
funzioni
(si
supporto
ed
endocrine).
Si
vedono
con
maggiore
difficoltà
all’EE.
Nell’interstizio,
quindi
al
di
fuori
dell’epitelio
dei
tu-‐
buli,
ci
sono
le
cellule
interstiziali
di
Leyding,
con
citoplasma
ampio
e
granulare,
caratteristico
delle
cellule
steroido-‐secernenti:
esse
infatti
su
stimolo
dell’LH
producono
testosterone,
che
influisce
sulla
maturazione
delle
cellule
germinali
e
agisce
su
tutti
i
tessuti
che
esprimono
i
recettori
per
gli
androgeni.
Si
trovano
in
quantità
proporzionale
allo
stato
fun-‐
zionale
del
testicolo.
Gli
spermatozoi
che
hanno
concluso
la
maturazione
nei
tubuli
si
portano
verso
la
rete
testis
(formata
da
epitelio
cilindrico
ciliato).
TUMORI
DEL
TESTICOLO:
GENERALITA’
Epidemiologia
• Più
del
90%
dei
tumori
del
testicolo
deriva
dalle
cellule
germinali.
• Più
del
50%
dei
tumori
germinali
è
costituito
da
più
di
un
tipo
di
tumore;
quindi
tra
i
tumori
germi-‐
nali
ci
sono
soprattutto
forme
miste.
• La
maggior
parte
dei
tumori
germinali
del
testicolo
compare
fra
i
20
e
i
50
anni;
gli
altri
compaiono
in
età
pediatrica
e
prepuberale,
o
anche
in
età
avanzata.
• L’incidenza
è
più
elevata
in
Europa,
dove
peraltro
c’è
una
variabilità
tra
le
diverse
nazioni
a
causa
di
fattori
ambientali:
si
osservano
più
casi
nell’Europa
del
nord
(Danimarca,
Germania,
Norvegia,
Un-‐
gheria,
Svizzera).
In
Italia
sono
rari:
ad
Ancona
arrivano
2-‐3
casi
al
mese.
Fattori
di
rischio
I
fattori
di
rischio
del
tumore
del
testicolo
sono:
• il
criptorchidismo,
ovvero
la
mancata
discesa
del
testicolo
nel
sacco
scrotale
(può
rimanere
addirit-‐
tura
nell’addome),
che
è
associato
a
un
aumentato
rischio
di
trasformazione
neoplastica
perché
l’organo
resta
a
una
temperatura
più
alta
rispetto
a
quella
scrotale,
• fattori
prenatali,
come
il
basso
peso
alla
nascita,
• l’infertilità,
• la
familiarità:
i
figli
dei
pazienti
con
un
tumore
del
testicolo
hanno
un
rischio
maggiore,
una
precedente
neoplasia
germinale:
se
un
paziente
ha
avuto
un
tumore
in
un
testicolo,
c’è
un
ri-‐
•
schio
aumentato
che
insorga
nel
testicolo
controlaterale
(infatti,
in
una
minoranza
dei
casi,
nel
te-‐
sticolo
controlaterale
è
già
possibile
riscontrare
una
neoplasia
preinvasiva).
I
pazienti
con
questi
fattori
di
rischio
vanno
controllati
in
maniera
più
stringente.
Segni
e
sintomi
Un
tumore
del
testicolo
si
manifesta
con:
• un
nodulo
palpabile:
è
il
segno
più
frequente,
• un
aumento
di
volume
del
testicolo,
• dolore
(raramente),
• una
sintomatologia
dovuta
alla
metastasi
a
distanza
(10%),
soprattutto
retroperitoneale
(perché
lì
drenano
i
linfonodi
del
testicolo).
Classificazione
I
tumori
del
testicolo
si
classificano
in:
• tumori
delle
cellule
germinali
(90-‐95%),
• tumori
stromali3
(4%),
come:
o il
tumore
delle
cellule
di
Leyding
(3%),
o il
tumore
delle
cellule
di
Sertoli
(1%),
o altri
tumori
rari,
• tumori
misti
germinali
e
stromali
(<1%),
• tumori
linfoidi
ed
ematopoietici
(<1%).
Il
testicolo
può
essere
sede
di
linfomi
extranodali
primitivi4
o
di
localizzazioni
secondarie
di
malattie
linfoproliferative,
in
quanto
rappresentano
per
le
cellule
neoplastiche
una
specie
di
santuari
(a
causa
della
minore
immunovigilanza),
• metastasi.
Studiamo
nel
dettaglio
solo
i
tumori
germinali
del
testicolo.
3
Prof.
Rubini:
I
tumori
stromali
del
testicolo
solo
occasionalmente
possono
avere
comportamento
aggressivo
ma
non
abbiamo
strumenti
per
prevederne
il
comportamento.
E
non
disponiamo
di
una
terapia
specifica.
• Il
tumore
a
cellule
di
Sertoli
è
raro,
si
può
associare
alla
sindrome
di
Carney
e
di
Peutz-‐Jeghers.
Nel
90%
dei
casi
è
benigno,
negli
altri
casi
può
dare
metastasi
retroperitoneali,
cute,
polmoni.
Si
manifesta
con
ginecomastia
nel
20%
dei
casi.
Poiché
le
cellule
di
Sertoli
stanno
dentro
i
tubuli,
questi
tumori
tendono
a
formare
tubuli
o
microcisti
all'interno
delle
quali
loro
crescono.
I
parametri
morfologici
predittivi
di
comportamento
aggressivo:
diametro
(>5cm),
necrosi,
atipia
moderata
o
seve-‐
ra,
vascular
invasion,
mitotic
rate
>
5/10HPF.
• Il
tumore
a
cellule
di
Leydig
rappresenta
il
2%
tumori
testicolari,
nel
40%
dei
casi
insorge
al
di
sotto
30
anni,
e
si
associa
a
un
aumento
di
testosterone
e
estrogeni
circolanti;
all’immunoistochimica
è
positivo
all’inibina
(come
il
surrene).
Dal
punto
di
vista
istologico
è
simile
alle
cellule
di
Leydig
con
citoplasma
ampio
e
granulare.
A
volte
tro-‐
viamo
i
cristalli
di
Reinke,
cristalli
citoplasmatici
tipici
delle
cellule
di
Leydig.
4
Sono
praticamente
l'unica
neoplasia
testicolare
del
paziente
>65
anni,
sono
frequentemente
unilaterali,
asintomati-‐
ci,
con
margini
sfumati
(
il
più
frequente
è
il
linfoma
diffuso
B
a
grandi
cellule).
TUMORI
GERMINALI
DEL
TESTICOLO
La
classificazione
dei
tumori
germinali
del
testicolo
comprende:
• la
neoplasia
a
cellule
germinali
intratubulare
non
classificata
(IGCNU):
rappresenta
la
neoplasia
a
cellule
germinali
in
situ,
ovvero
il
precursore
dei
tumori
invasivi;
• sei
istotipi
puri:
o il
seminoma
(è
il
corrispettivo
del
germinoma
dell’ovaio),
o il
seminoma
spermatocitico
(o
tumore
spermatocitico),
o il
carcinoma
embrionario,
o il
tumore
del
seno
endodermico
(o
del
sacco
vitellino),
o i
tumori
trofoblastici,
come
il
coriocarcinoma,
formato
da
cellule
che
producono
β-‐HCG,
o il
teratoma.
Tranne
il
seminoma
spermatocitico,
questi
istotipi
si
trovano
anche
al
di
fuori
del
testicolo:
possono
insorgere
nell’ovaio
o
lungo
la
linea
mediana,
nel
retroperitoneo,
nel
mediastino
e
anche
nel
cer-‐
vello;
• forme
miste,
in
cui
sono
individuabili
(almeno)
due
componenti
specifiche
ognuna
riconducibile
agli
istotipi
elencati.
Le
forme
miste
rappresentano
quelle
più
frequenti.
0.
NEOPLASIA
A
CELLULE
GERMINALI
INTRATUBULARE
NON
CLASSIFICATA
(IGCNU)
• La
neoplasia
a
cellule
germinali
intratubulare
non
classificata
è
un
carcinoma
in
situ:
rappresenta
il
precursore
delle
forme
invasive5.
• Si
osserva
spesso
questa
neoplasia
in
sede
di
campionamento
post-‐orchiectomia;
ovvero
studiando
il
testicolo
dopo
orchiectomia
(intervento
di
asportazione
del
testicolo
indicato
in
caso
di
tumore
invasivo)
si
riscontra
un
IGCNU
associata
al
tumore
invasivo
che
ha
rappresentato
l’indicazione
all’intervento
(anche
nella
prostata
attorno
a
un
adenocarcinoma
invasivo
può
esserci
una
HG-‐PIN
o
un
carcinoma
intraduttale).
• La
diagnosi
andrebbe
fatta
con
la
biopsia
a
pazienti
con
fattori
di
rischio;
il
trattamento
include:
os-‐
servazione,
orchiectomia,
radioterapia
o
radioterapia.
L’approccio
negli
USA
è
di
solito
conservati-‐
vo,
tranne
che
nei
pazienti
ad
alto
rischio
(con
infertilità,
storia
di
criptorchidismo,
atrofia
del
testi-‐
colo).
• E’
definita
“non
classificata”
perché
da
un
punto
di
vista
morfologico
non
è
riconducibile
a
nessuno
dei
sei
istotipi
puri;
di
solito,
infatti,
solo
quando
diventa
infiltrante
si
differenzia
in
un
istotipo
spe-‐
cifico.
Qualche
volta
però
la
differenziazione
avviene
quando
la
neoplasia
è
ancora
intratubulare:
in
questo
caso
cambia
la
dizione
e
si
parla
di
seminoma
in
situ,
carcinoma
embrionario
in
situ,
etc.
• Questa
neoplasia
è
formato
da
cellule
germinali
proliferanti
e
indifferenziate
(non
maturate
in
uno
spermatozoo):
sono
cellule
atipiche,
monomorfe,
con
ampio
citoplasma
chiaro,
nuclei
grandi
con
cromatina
addensata
e
nucleoli
prominenti,
che
riempiono
il
tubulo
(e
non
superano
la
membrana
basale),
non
riconducibili
a
quelle
degli
istotipi
puri.
5
Da
un
punto
di
vista
epidemiologico:
• l'incidenza
generale
della
IGCNU
è
dello
0.8%
e
quando
lo
troviamo
la
probabilità
di
trovarlo
anche
nel
controla-‐
terale
è
del
5%;
questo
crea
problemi
di
sorveglianza
attiva
e
di
gestione
dei
pazienti
a
rischio,
• nel
98%
dei
casi
di
IGCNU
troviamo
un
tumore
a
cellule
germinali
adiacente,
• la
frequenza
aumenta
nei
pazienti
con
precedenti
tumori
a
cellule
germinali
• il
50%
i
pz
con
IGCNU
sviluppano
una
neoplasia
invasiva
in
5
anni
(quindi
trovarle
comporta
un
aumento
del
ri-‐
schio.
• Un
marker
utile
per
la
diagnosi
è
la
PLAP
(fosfatasi
alcalina
placentare),
a
cui
sono
positive
le
cellu-‐
le
tumorali
dei
tubuli
(non
è
espresso
dal
testicolo
normale).
Altri
marker
sono
Oct3/4
e
c-‐Kit.
1.
SEMINOMA
Il
seminoma
è
il
tumore
germinale
infiltrante
del
testicolo
più
comune
(è
spesso
puro);
da
un
punto
di
vista
clinico
ed
epidemiologico:
• presenta
la
massima
incidenza
attorno
ai
40
anni
(è
estremamente
raro
prima
della
pubertà),
• si
manifesta
come
massa
testicolare
non
dolente,
• in
una
minoranza
dei
casi
(2-‐3%)
si
presenta
con
sintomi
correlati
alle
metastasi,
• il
30%
dei
pazienti
ha
metastasi
al
momento
della
diagnosi,
• non
esprime
marker
sierologici:
è
caratterizzato
da
normali
livelli
sierici
di
AFP
e
β-‐HCG.
Da
un
punto
di
vista
morfologico:
• macroscopicamente
si
osserva
un
nodulo
bianco,
a
volte
multifocale,
che
può
essere
grande
e
occupare
gran
parte
del
testicolo,
• il
tumore
è
formato
da
nidi
di
cellule
(simili
a
quelli
che
si
trovano
nel-‐
la
forma
intralobulare)
separati
da
setti
di
connettivo
ricchi
di
linfoci-‐
ti:
la
presenza
di
cellule
infiammatorie6
nei
setti
è
un
aspetto
caratte-‐
ristico
del
seminoma.
Possono
esserci
anche
noduli
più
chiari,
• si
possono
osservare
nel
15%
dei
casi
anche
cellule
plurinucleate
sin-‐
ciziali,
indicative
di
differenziazione
trofoblastica7,
che
producono
la
β-‐HCG,
che
può
innalzarsi
leggermente
a
livello
sierico
(ma
non
in
ma-‐
niera
così
rilevante
come
nel
coriocarcinoma).
Questo
reperto
però
non
rappresenta
un
elemento
peggiorativo
della
prognosi,
6
L’infiltrato
infiammatorio
può
essere
anche
granulomatoso,
quindi
formato
da
cellule
epitelioidee,
cellule
giganti
e
plasmacellule.
A
volte
può
essere
così
estensivo
da
mascherare
il
tumore.
Questo
infiltrato
infiammatorio
può
simula-‐
re
un’infiammazione
granulomatosa
del
testicolo.
7
Come
nei
tumori
dell’urotelio.
• il
tumore
cresce
all’interno
dei
vasi:
questa
caratteristica
dei
tumori
del
testicolo
rappresenta
un
fattore
prognostico
negativo
e
spiega
una
così
alta
percentuale
di
metastasi
alla
diagnosi,
• può
andare
anche
incontro
a
fenomeni
regressivi
(anche
l’oncocitoma
renale
e
il
carcinoma
renale
a
cellule
chiare
vanno
incontro
a
fibrosi
nella
parte
centrale);
in
questo
caso
le
cellule
tumorali,
per
effetto
dell’infiltrato
infiammatorio,
scompaiono
e
sono
sostituite
da
connettivo
con
linfociti
e
cal-‐
cificazioni:
si
parla
di
burned
out
seminoma.
In
questi
pazienti
il
tumore
resta
comunque
invasivo
ed
esprime
il
suo
potenziale
metastatico:
per
esempio
può
essere
riscontrata
una
metastasi
retroperitoneale
di
tumore
germinale
e,
andando
al-‐
la
ricerca
del
primitivo,
nel
testicolo
si
osserva
una
piccola
cicatrice
fibrosa
al
posto
del
disegno
tu-‐
bulare,
• all'immunoistochimica
le
cellule
tumorali
mostrano
positività
alla
PLAP8.
2.
TUMORE
SPERMATOCITICO
(o
SEMINOMA
SPERMATOCITICO)
Il
seminoma
spermatocitico
da
un
punto
di
vista
epidemiologico
e
clinico:
• è
un
tumore
che
insorge
dopo
i
50
anni,
quindi
in
persone
più
anziane
di
quelle
a
cui
si
diagnostica
un
seminoma,
• rappresenta
una
piccola
quota
(1-‐4,5%)
dei
tumori
delle
cellule
germinali
del
testicolo.
• nel
5%
dei
casi
è
bilaterale,
• è
benigno
e
non
metastatico,
a
meno
che
non
presenti
trasformazione
sarcomatoide
(1%
dei
casi);
pertanto,
dopo
la
rimozione
il
paziente
si
considera
guarito,
• non
esprime
marker
sierologici
tumorali.
Da
un
punto
di
vista
morfologico:
• non
è
mai
associato
a
un'altra
componente
a
cellule
germinali,
• da
un
punto
di
vista
macroscopico
ha
un
aspetto
gelatinoso,
pallido,
grande,
8
Utile
soprattutto
quando
si
ha
dubbio
tra
reazione
granulomatosa
al
seminoma
o
flogosi
primitiva
del
testicolo.
• è
formato
da
cellule
in
tre
diversi
stadi
ma-‐
turativi
(analogamente
all’epitelio
normale
dei
tubuli
seminiferi);
si
osservano:
o cellule
simili
a
quelle
del
seminoma,
ma
con
un
citoplasma
più
denso,
o cellule
più
piccole
con
un
nucleo
denso
e
omogeneo,
o cellule
più
grandi
con
cromatina
simile
a
quella
degli
spermatociti
primari.
• non
c’è,
a
differenza
del
seminoma,
lo
stro-‐
ma
fibroso
con
linfociti,
• all’immunoistochimica
è
positivo
a
CD117,
OCT4,
PLAP.
3.
CARCINOMA
EMBRIONARIO
Il
carcinoma
embrionario,
da
un
punto
di
vista
epidemiologico
e
clinico:
• è
particolarmente
frequente
nelle
forme
miste9;
la
forma
pura
è
invece
rara
(2-‐10%),
• insorge
in
pazienti
con
età
media
di
circa
30
anni
(più
giovani);
è
eccezionale
in
età
prepuberale,
• si
manifesta
con
una
massa
associata
a
dolore
nel
30%
dei
casi;
il
dolore
quindi
è
più
frequente
e
può
insorgere
anche
dopo
un
minimo
trauma,
• nel
40%
dei
casi
sono
evidenti
metastasi
alla
diagnosi,
• da
un
punto
di
vista
sierologico
è
caratterizzato
da
AFP
normale
e
β-‐HCG
elevata,
Da
un
punto
di
vista
morfologico:
• macroscopicamente
è
caratterizzato
da
margini
arrotondati
e
non
è
omogeneo
(a
differenza
del
seminoma):
si
osservano
in-‐
fatti
aree
di
necrosi
e
aree
emorragiche
nel
contesto
di
una
massa
biancastra,
• presenta
un
pattern
di
crescita
solido
(ma
a
volte
papillare
o
tu-‐
bulare),
ma
comunque
cresce
in
maniera
diffusa
(ricorda
un
carcinoma
squamoso
di
altre
sedi),
• è
formato
da
cellule
grandi,
atipiche,
con
nucleoli
evidenti
(un
po’
epitelioidee)
e
frequenti
mitosi
(rare
nel
seminoma);
posso-‐
no
esserci
anche
cellule
sinciziotrofoblastiche
(plurinucleate,
v.
fig.
dx
pag.
seg.),
che
secernono
la
β-‐HCG
e
in
questo
caso
non
sono
innocue,
come
nel
seminoma,
ma
rappresentano
una
componente
di
coriocarcinoma,
• lo
stroma
è
fibroso,
come
in
qualsiasi
carcinoma
(reazione
stromale),
e
non
si
osserva
un
infiltrato
infiammatorio
stromale;
è
molto
frequente
l’invasione
vascolare,
• è
positivo
all’immunoistochimica
al
CD30,
come
il
linfoma
di
Hodgkin
e
il
linfoma
a
grandi
cellule,
alle
citocheratine
e
a
Oct3/4.
9
Quindi
è
particolarmente
importante
fare
un
campionamento
estensivo
perché
il
carcinoma
embrionario
risponde
alla
terapia,
ma
la
componente
di
accompagnamento
potrebbe
non
rispondere.
Se
noi
non
la
troviamo
manchiamo
un
fattore
prognostico
importante.
4.
TUMORE
DEL
SENO
ENDODERMICO
(O
DEL
SACCO
VITELLINO)
Il
tumore
del
seno
endodermico
(o
del
sacco
vitellino10)
da
un
punto
di
vista
clinico
ed
epidemiologico:
• nella
forma
pura
è
il
tumore
più
frequente
nei
bambini,
entro
i
primi
2
anni
di
vita
(forma
prepu-‐
berale),
• nell’adulto
è
eccezionale
in
forma
pura:
si
presenta
nelle
forme
miste
(forma
post-‐puberale);
è
as-‐
sociato
nella
maggior
parte
dei
casi
al
carcinoma
embrionario,
che
diventa
dominante
per
prognosi
e
terapia,
rispetto
al
tumore
del
seno
endodermico,
• è
caratterizzato
da
un
aumento
dell’α-‐fetoproteina11
(come
nell’epatocarcinoma),
• la
prognosi
cambia
completamente
a
seconda
dell’età:
nel
bambino
la
sopravvivenza
a
5
anni
è
su-‐
periore
al
90%,
nell’adulto
è
più
aggressivo
e
più
spesso
metastatico
anche
perché
misto,
• nel
10-‐20%
dei
pazienti
si
presenta
con
metastasi
(al
polmone).
Da
un
punto
di
vista
morfologico:
• può
presentare
un
pattern
di
crescita:
o reticolare,
caratterizzato
cioè
da
un
reticolo
di
spazi
irregolari
delimitati
da
cellule
piatte,
cubiche
o
cilindriche
(è
come
se
le
cellule
formassero
dei
lumi
intercellulari),
o microcistico,
come
il
sacco
vitellino
primitivo
(caratterizzato
da
vacuoli
intracellulari
e
cel-‐
lule
simili
a
un
lipoblasto;
come
se
le
cellule
formassero
piccole
cisti),
• non
sono
presenti
i
linfociti
stromali,
• nel
50%
dei
casi
sono
presenti
i
corpi
di
Schiller-‐
Duval
(patognomonici):
si
osserva
una
papilla
che
si
proietta
in
uno
spazio
cistico,
formata
da
un
core
di
tessuto
connettivo
contenente
un
vaso
centrale
e
rivestita
da
cellule
indifferenziate;
lo
spazio
cistico
ricorda
la
cavità
celomatica
em-‐
brionaria,
• all’immunoistochimica
può
esprimere
il
glipican-‐
3
e
l’AFP
(come
l’HCC),
ed
è
negativo
per
Oct3/4.
10
Il
sacco
vitellino
è
una
struttura
extraembrionaria
che
scompare
con
lo
sviluppo
del
feto.
11
Qualche
volta
nei
carcinomi
dell’urotelio
ci
può
essere
una
differenziazione
epatoide,
in
cui
il
tumore
diventa
come
il
tumore
del
sacco
vitellino:
infatti
sono
espressi
gli
stessi
marcatori.
5.
TUMORI
TROFOBLASTICI
I
tumori
trofoblastici
possono
essere
distinti
in:
• coriocarcinoma,
• tumori
trofoblastici
non
coriocarcinoma
(come
i
tumori
trofoblastici
epitelioidi,
i
tumori
trofobla-‐
stici
cistici
e
i
tumori
trofoblastici
del
sito
placentale).
Nel
dettaglio
il
coriocarcinoma
è
tumore
che
può
essere:
• gravidico,
se
deriva
dalle
cellule
del
sinciziotrofoblasto,
• extragravidico:
può
insorgere
nel
testicolo
(soprattutto),
nell’ovaio,
nel
retroperitoneo,
nel
media-‐
stino
o
alla
base
del
cervello.
A
livello
uroteliale
possono
esserci
focolai
di
coriocarcinoma.
E’
formato
da
due
componenti:
• il
citotrofoblasto,
con
cellule
mononucleate,
che
rappresentano
il
“compartimento
proliferativo”,
• il
sinciziotrofoblasto,
con
cellule
plurinucleate
sinciziali,
che
derivano
dalla
maturazione
delle
cellu-‐
le
del
citotrofoblasto
e
producono
β-‐HCG.
Se
si
osserva
solo
la
componente
di
sinciziotrofoblasto
non
si
parla
di
coriocarcinoma
ma
una
differenzia-‐
zione
trofoblastica.
Il
coriocarcinoma
del
testicolo:
• rappresenta
meno
dell’1%
dei
tumori
del
testicolo12,
• insorge
nella
seconda
e
terza
decade,
• si
manifesta
con
emorragie
dalle
mestastasi
(es.
cerebrali)
e/o
ginecomastia,
• è
caratterizzato
da
un
aumento
massivo
della
β-‐HCG
(>100000
mlU/mL).
E’
un
tumore
talmente
aggressivo
che
alla
diagnosi
è
di
grande
dimensioni
e
ha
un
aspetto
macroscopico
emorragico:
questo
tumore
mantiene
infatti
la
caratteristica
fondamentale
del
trofoblasto,
cioè
quella
di
infiltrarsi
nei
vasi
e
distruggerli.
Da
un
punto
di
vista
microscopico
si
osserva
una
disposizione
plessiforme
del
sinciziotrofoblasto
e
di
cellule
mononucleate
(occorre
il
reperto
di
entrambe
queste
componenti)
at-‐
torno
a
foci
emorragici:
sembra
quasi
che
queste
cellule
tentino
di
riprodurre
l’architettura
della
placenta
originale.
12
Sono
forme
molto
rare,
quasi
sempre
associato
a
Yolk-‐sac
o
al
carcinoma
embrionario.
Da
solo
è
praticamente
ine-‐
sistente.
6.
TERATOMI
I
teratomi
del
testicolo
possono
essere
di
due
tipi:
• prepuberali,
se
insorgono
nei
bambini
(24-‐36%):
hanno
un
comportamento
quasi
sempre
benigno
e
si
manifesta
di
solito
con
cisti
dermoide,
• postpuberali,
se
insorgono
negli
adulti:
sono
caratterizzati
da
un
comportamento
più
aggressivo
e
sono
quasi
sempre
misti13.
Raramente
il
teratoma
può
essere
da
solo
ed
essere
esso
stesso
mali-‐
gno.
Nel
dettaglio,
da
un
punto
di
vista
morfologico,
possono
essere
classificati
in:
• teratoma
(propriamente
detto),
se
so-‐
no
presenti
tessuti
maturi
provenienti
da
tutti
e
tre
i
foglietti
embrionali
(me-‐
soderma,
endoderma
ed
ectoderma).
Quindi
il
teratoma
può
ricreare
prati-‐
camente
qualsiasi
tessuto
o
addirittura
organi
maturi,
• teratoma
monodermico,
se
è
monofile-‐
tico,
ovvero
formato
da
un
unico
tipo
di
tessuto:
di
solito
rappresenta
un
tumo-‐
re
neuroendocrino
ben
differenziati
(carcinoide
del
testicolo),
• cisti
dermoide,
se
si
osserva
una
cisti
piena
di
cheratina
rivestita
da
epider-‐
mide
e
con
annessi
cutanei
nel
connet-‐
tivo
circostante
(se
si
rompe
il
contenu-‐
to
di
cheratina
fuoriesce
ed
evoca
una
flogosi
granulomatosa);
deriva
da
2-‐3
foglietti
embrionali.
La
cisti
epidermoi-‐
de
è
invece
più
rara
e
si
pensa
derivi
da
un
solo
foglietto
embrionale,
• teratoma
con
tumore
maligno
di
tipo
somatico
(rabdomiosarcomi
e
tumori
primitivi
neuroectodermici),
che
è
espressione
di
differenziazione
maligna.
Accanto
a
questa
componente
di
teratoma,
nel
parenchima
circostante,
si
osserva
nella
forma
postpuberale
una
componente
in
situ,
ovvero
delle
cellule
atipiche
all’interno
dei
tubuli,
che
non
è
riscontrabile
nella
forma
prepuberale.
Così
vengono
distinte
le
forme
pre-‐
e
postpube-‐
rali
e
non
in
base
all’età.
13
Quindi
se
troviamo
una
citi
dermoide,
dobbiamo
pensare
che
sia
associata
ad
un
tumore
germinale,
e
quindi
dob-‐
biamo
andare
a
campionare
bene
la
zona
e
cercare
nei
tubuli
vicini.
Nei
rari
casi
in
cui
la
cisti
dermoide
sia
pura,
senza
neoplasie
germinali
vicine,
sembra
essere
benigna
come
nel
bambino.
7.
TUMORI
M ISTI
TESTICOLO LINEE GUIDA
TUMORE DEL
2018
Il
30-‐50%
dei
tumori
del
testicolo
è
misto,
ovvero
costituito
da
più
di
un
tipo
di
tumore,
che
si
forma
perché
la
cellula
atipica
dei
tubuli
quando
infiltra
dà
origine
a
due
istotipi
diversi.
Praticamente
Dopo l’orchiectomia, tutte
le
cinombinazioni
caso si prevedano possono
essere
presenti
trattamenti adiuvanti (teratoma
(chemioe
e/o carcinoma
embrionario,
radioterapia) teratoma
o l’asportazione
18-20
e
dei linfonodi
tumore
del
sretroperitoneali
eno
endodermico,
è necessario
teratoma
eseguire un esame
e
seminoma,
seminale
carcinoma
con crioconservazione
embrionario
e
seminoma).
. Dopo 12
mesi
E’
dal trattamento
importante
è utile
identificare
le
una visita
forme
andrologica
miste
di controllo
perché
alcuni
istotipi
scon
ono
esame del liquido
più
aggressivi
(es.
seminale, valutazione
embrionario)
rispetto
dei livelli ormonali ed ecografia scrotale. Nei soggetti con severa oligo-azoospermia o aumentati livelli di
ad
altre,
e
perché
esistono
farmaci
per
le
forme
seminomatose
e
farmaci
per
le
forme
non
seminomatose.
LH andrebbe inoltre consigliato un dosaggio di 25-OH vitamina D21 ed uno studio del metabolismo glucidico
In
particolare,
la
prognosi
peggiora
con
l’aumento
della
componente
di
carcinoma
embrionario
e
migliora
e lipidico. Al momento della ricerca di prole, che andrebbe sconsigliata fino a 2 anni dalla sospensione di
22
eventuali
con
chemioterapie,
l’aumento
della
componente
utile esecuzione di un esame seminale (da associare allo studio delle aneuploidie e
di
seminoma.
Nel
dubbio,
per
23identificare
e
quantificare
inle
della frammentazione del DNA degli spermatozoi caso di pregressa
diverse
chemioterapia
componenti,
può
e/o radioterapia)
essere
e di un
utile
ricorrere
dosaggio ormonale . Poiché le terapie adiuvanti riducono le difese immunitarie dei pazienti, si suggerisce di
all’immunoistochimica
associare all’esame seminale per
PLAP
(seminoma),
CD30
(embrionale),
AFP
(seno
di controllo, una spermiocoltura anche perendodermico),
Mycoplasmi, βChlamydie -‐HCG
(corion-‐
e
carcinoma).
24
Papilloma Virus . (Garolla A, Pizzol D, Bertoldo A, Ghezzi M, Carraro U, Ferlin A, Foresta C. Testicular
cancer and HPV semen infection. Front Endocrinol (Lausanne). 2012 Dec 21;3:172).
[PROGNOSI
La
prognosi
dipende
da:
3.3 Stadiazione clinica
• tipo
istologico
• necrosi,
TNM viene usata per definire lo stadio clinico di questi pazienti affetti da GCT.La tabella
La classificazione
• per
3 riporta la iclassificazione
l
seminoma:
dimensioni
TNM per (4
le
cm)
e
invasione
neoplasie rete
testis,
germinali del testicolo in vigore da 1/1/201825.
• per
non
seminomi:
invasione
linfovascolare,
Tabella 3: Classificazione
• stadiazione,
TNM
che
dipende
per le neoplasie
dall’estensione
germinali
e
dalla
presenza
del testicolo
di
invasione
(AJCC TNM Eighth Edition
vascolare].
Staging System)
T patologico (pT)
pTx—Il tumore primitivo non puo’ essere determinato
pT0—Assenza di tumore primitivo
pTis—GCNIS (neoplasia a cellule germinali in situ)
pT1—Tumore confinato al testicolo (inclusa invasione della rete testis) senza LVI *
pT1a—Tumore di dimensione inferiore a cm.3**
pT1b—Tumore di cm 3 o di dimensioni > cm.3**
pT2—Tumore confinato al testicolo (inclusa invasione della rete testis) con LVI o Tumore infiltrante il
tessuto molle ilare o l’ epididimo o infiltrante lo strato di mesotelio viscerale rivestente la superficie
esterna della tonaca albuginea con o senza LVI
pT3—Tumore infiltrante il cordone spermatico con o senza LVI
pT4—Tumore infiltrante lo scroto con o senza LVI
pN - Stato patologico dei linfonodi regionali
pNx— Stato patologico dei linfonodi non determinabile
pN0—Assenza di metastasi ai linfonodi regionali
pN1—Metastasi linfonodale con massa pari o inferiore (diametro maggiore) a cm. 2 e <5 linfonodi
positivi, con massa metastatica non superiore a cm.2 di diametro maggiore
pN2—Metastasi linfonodale con massa superiore a 2 cm ma inferiore a a 5 cm di diametro maggiore o
>5 linfonodi positivi, con metastasi non superiori a cm. 5 di diametro o evidenza di estensione
extralinfonodale
pN3— Metastasi linfonodale con massa superiore a 5 cm (diametro maggiore)
Definizione di metastasi a distanza (M)
M0—Nessuna metastasi a distanza
M1—Presenza di metastasi a distanza
M1a— Metastasi a linfonodi in sede non retro peritoneale o metastasi al polmone
M1b—Metastasi viscerale non polmonare
CORPO
Il
corpo
dell’utero,
che
sporge
nella
cavità
peritoneale,
è
formato
dall’interno
all’esterno
da:
• endometrio:
è
una
mucosa
si
modifica
ciclicamente
(ciclo
mestruale)
in
rispo-‐
sta
al
cambiamento
ciclico
della
con-‐
centrazione
degli
ormoni
prodotti
dall’ovaio
(con
il
ciclo
ovarico).
E’
formato
da
un
epitelio
cilindrico
mo-‐
nostratificato
che
si
approfonda
nella
lamina
propria,
fino
al
miometrio,
for-‐
mando
ghiandole
tubulari
semplici
(ret-‐
tilinee
in
superficie
e
più
irregolari
in
profondità;
ma
la
loro
conformazione
cambia
in
base
alla
fase
del
ciclo
mestruale).
Tra
le
ghiandole
c’è
uno
stroma
ricco
di
cellule
(anche
esse
ormono-‐senisibili)
che
ha
funzione
di
supporto
ed
è
chiamato
stroma
dell’endometrio
o
stroma
citogeno,
• miometrio:
è
la
tonaca
muscolare,
formata
da
tessuto
muscolare
liscio,
• perimetrio:
è
la
tonaca
esterna
formata
da
peritoneo
e
avventizia.
I
tessuti
molli
periuterini,
situati
soprattutto
attorno
al
canale
cervicale
formano
il
parametrio.
Il
ciclo
mestruale
è
l’insieme
delle
modificazioni
cicliche
cui
va
incontro
l’endometrio
su
stimolo
degli
or-‐
moni
ovarici,
per
prepararsi
ad
accogliere
l’eventuale
prodotto
del
concepimento;
è
formato
da:
• una
fase
desquamativa,
in
cui,
se
non
avviene
l’annidamento,
l’endometrio
proliferato
e
se-‐
cernente
del
ciclo
precedente
si
sfalda
su
sti-‐
molo
del
progesterone;
a
sfaldarsi
sono
solo
i
due
terzi
superiori
dell’endometrio
(parte
in-‐
termedia
e
superficiale,
detto
endometrio
funzionale):
il
terzo
inferiore,
che
contiene
gli
sfondati
ghiandolari,
resta
e
rigenera;
• una
fase
proliferativa,
in
cui
l’endometrio
re-‐
siduo
si
rigenera
su
stimolazione
estrogenica:
in
questa
fase
si
osservano
ghiandole
tubulari
sem-‐
plici
(cilindriche)
separate
da
stroma
citogeno
di
supporto,
e
rivestite
da
epitelio
monostratificato
con
figure
mitotiche;
• una
fase
secretiva,
in
cui
queste
ghiandole
iniziano
ad
accumulare
al
loro
interno
il
secreto,
cioè
il
glicogeno,
che
serve
per
nutrire
la
blastocisti
nelle
prime
fasi
dopo
l’impianto
(prima
che
si
formi
la
placenta).
Nel
dettaglio,
in
questa
fase
le
ghiandole
modificano
il
loro
contorno,
che
diventa
irrego-‐
lare
a
cavaturacciolo,
così
aumenta
la
loro
superficie
di
secrezione;
l’epitelio
diventa
più
scuro
per-‐
ché
contiene
secreto,
ovvero
la
goccia
di
glicogeno,
in
posizione
prima
sottonucleare
(tra
il
versante
basale
della
membrana
e
il
nucleo)
e
poi
sopranucleare
(tra
il
nucleo
e
il
versante
apicale
della
membrana).
rus).
Sta
aumentando
l’incidenza
in
donne
più
giovani
e
nelle
teenagers,
a
seconda
delle
abitudini
sessuali;
• nelle
pazienti
più
giovani
si
osservano
lesioni
preneoplastiche,
nelle
anziane
(anche
in
menopausa)
le
forme
invasive;
significa
che
è
necessario
molto
tempo
affinché
una
lesione
preinvasiva
diventi
invasiva
(in
assenza
di
terapia),
• negli
USA
la
frequenza
è
maggiore
nelle
donne
di
origine
ispanica,
seguite
da
quelle
afroamericane
e
infine
dalle
causasiche.
Per
parecchi
anni
è
stato
riconosciuto
che
la
neoplasia
intraepiteliale
della
(CIN)
cervice
è
una
patologia
sessualmente
trasmessa;
più
recentemente,
come
già
detto,
si
è
osservato
che
la
maggior
parte
dei
casi
di
CIN
sono
il
risultato
della
infezione
da
HPV
(infatti,
a
conferma
del
fatto
che
la
trasmissione
è
sessuale,
si
possono
osservare
lesioni
peniene
HPV-‐positive).
Lo
stesso
vale
anche
per
il
carcinoma
squamocellulare
della
cervice,
la
cui
incidenza
è
nettamente
diminuita
nei
Paesi
in
cui
è
attivo
un
programma
di
screening
come
l’Italia;
nel
nostro
Paese
infatti
la
maggior
parte
delle
lesioni
squamose
della
cervice
sono
intercettate
nella
fase
preinvasiva
grazie
al
Pap
test.
Fattori
di
rischio
Nel
dettaglio,
i
fattori
di
rischio
per
le
lesioni
squamose
preinvasive
sono:
• l’infezione
da
HPV
(RR
3,2),
un’infezione
virale
capace
di
attivare
la
cancerogenesi;
possono
essere
coinvolti
anche
altri
virus
ma
l’HPV
rappresenta
il
principale.
Comunque
non
sempre
l’infezione
causa
una
trasformazione:
in
alcuni
casi
può
anche
causare
una
cervicite
o
una
infiammazione
asintomatica;
• i
contraccettivi
orali
(uso
prolungato),
che
aumentano
di
4
volte
il
rischio,
non
tanto
per
un
mecca-‐
nismo
messo
in
atto
dal
farmaco
ma
perché
chi
ne
fa
uso
ha,
in
media,
un
comportamento
ses-‐
sualmente
più
disinibito
e
non
utilizza
i
preservativi
(non
c’è
quindi
una
barriera
meccanica);
• il
fumo,
che
aumenta
il
rischio
di
4,3
volte,
non
perché
il
fumo
causi
direttamente
la
trasformazione
neoplastica
dell’epitelio,
ma
perché
c’è
un
associazione
statisticamente
significativa
tra
abitudine
tabagica
e
comportamenti
sessuali
disinibiti;
• l’infezione
da
HIV,
sia
perché
determina
immunodeficienza
(che
favorisce
l’attecchimento
del
vi-‐
rus),
sia
perché
spesso
i
pazienti
affetti
da
HIV
fumano,
usano
droghe
e
hanno
attività
sessuale
più
intensa.
Un
fattore
di
protezione
è
rappresentato
dalla
circoncisione
maschile
(molto
diffusa
nella
popolazione
di
cultura
ebraica),
che
riduce
la
frequenza
del
carcinoma
da
HPV
nel
pene
(perché
favorisce
la
pulizia
del
pe-‐
ne)
e,
di
conseguenza,
nelle
donne.
Human
Papillomavirus
(HPV)
L’HPV
è
un
virus
a
DNA
circolare
a
doppia
elica
appartenente
alla
famiglia
dei
papovavirus;
sono
stati
identi-‐
ficati
più
di
100
tipi
di
HPV,
di
cui
20
tipi
sono
stati
associati
con
la
neoplasia
cervicale:
in
particolare,
quelli
maggiormente
a
rischio
di
innescare
la
trasformazione
sono:
• tipo
16:
50%
(è
quello
più
a
rischio);
• tipo
18:
24%;
• tipo
45:
8%;
• tipo
31:
5%.
Si
parla
di
rischio
di
trasformazione
perché,
come
già
detto,
lo
sviluppo
della
lesione
preneoplastica
non
è
una
tappa
obbligata
dell’infezione
virale
e
dipende
dal
tipo
di
virus
e
dalle
caratteristiche
dell’ospite;
in
ge-‐
nerale
i
tipi
virali
possono
essere
distinti
in
tre
classi
in
base
al
rischio
di
causare
la
trasformazione
neopla-‐
stica:
• basso
rischio:
6,
11,
42,
43,
44,
• rischio
intermedio:
31,
33,
35,
51,
52,
• alto
rischio:
16,
18,
45,
56.
Per
quanto
riguarda
il
ciclo
replicativo,
HPV
è
in
grado
di
infettare
cellule
epiteliali
proliferanti,
in
questo
caso
quelle
dello
strato
basale
dell’epitelio
pavimentoso
non
cheratinizzato
della
zona
di
trasformazione
(punto
di
passaggio
tra
eso-‐
cervice
ed
endocervice),
che
si
rigenera
frequente-‐
mente
e
si
sposta
a
seconda
dello
stato
ormonale;
dopo
l’ingresso
il
virus
esprime
i
sette
geni
iniziali
(E,
early)
che
codificano
per
proteine
non
strutturali
(denomina-‐
te
da
E1
a
E7)
e
poi
esprime
due
geni
tardivi
(L,
late)
che
codificano
per
due
proteine
strutturali
(L1
ed
L2).
Inoltre,
il
virus
che
duplica
nel
nucleo
può
integrarsi
nel
DNA,
modificando
le
funzioni
replicative
della
cellu-‐
la;
nel
dettaglio,
alcune
proteine
virali
interagiscono
con
le
proteine
dell’ospite
che
regolano
il
ciclo
cellula-‐
re:
E6
inibisce
p53
ed
E7
inibisce
pRb,
due
oncosoppressori
coinvolti
nel
riparo
del
DNA
e
nella
progressione
del
ciclo
cellulare.
Così
viene
impedita
la
riparazione
dei
danni
al
DNA,
aumenta
il
ritmo
di
proliferazione
e
quindi
il
rischio
di
trasformazione.
Poiché
l’espressione
di
E7
determina
una
overespressione
della
proteina
p16,
per
vedere
se
una
cellula
epi-‐
teliale
è
stata
infettata
dall’HPV
si
studia,
mediante
tecniche
immunoistochimiche,
proprio
l’espressione
di
questa
proteina;
in
caso
di
positività
occorre
individuare
il
tipo
di
virus,
per
mezzo
di
tecniche
di
biologia
molecolare
molto
costose
che
mostrano
la
presenza
del
DNA
virale
nelle
cellule,
e
impostare
un
follow-‐up
più
o
meno
stingente
a
seconda
del
rischio
di
trasformazione.
Se
si
osserva
una
lesione
preinvasiva
invece
si
effettua
la
conizzazione.
In
sintesi,
in
una
paziente
ad
alto
rischio
di
sviluppare
una
lesione
preinvasiva
o
invasiva
si
osserva
una
infe-‐
zione
sostenuta
da
un
ceppo
ad
alto
rischio,
con
integrazione
del
genoma
virale
nel
DNA
dell’ospite.
Classificazione
Le
lesioni
squamose
preinvasive
possono
essere
classificate
a
seconda
della
terminologia
in:
• displasia
lieve,
media
o
grave.
Questa
terminologia
viene
usata
come
negli
altri
organi
per
descri-‐
vere
lo
spettro
morfologico
delle
lesioni
preinvasive;
• CIN
(Cervical
intraepithelial
neoplasia).
Questa
sigla
viene
utilizzata
anche
in
atri
organi
(es.
prosta-‐
ta)
per
descrivere
le
neoplasie
intraepiteliali;
c’è
una
corrispondenza
tra
CIN
e
displasia:
distinguia-‐
mo:
o CIN
1:
displasia
lieve,
o CIN
2:
displasia
media,
o CIN
3:
displasia
grave
e
carcinoma
in
situ
(CIS):
in
passato
venivano
separati
ora
sono
usati
come
sinonimi.
SIL
(Squamous
intraepithelial
lesion),
quindi
lesione
intraepiteliale
squamosa.
Questa
classificazio-‐
•
ne
combina
la
descrizione
morfologica
della
lesione
con
il
tipo
di
virus
presente
e
distingue:
o Low-‐grade
SIL,
se
si
osserva
una
lesione
con
displasia
di
basso
grado
sostenuta
da
un
virus
a
basso
rischio
di
trasformazione;
è
una
lesione
che
spesso
regredisce;
o High-‐grade
SIL,
se
si
osserva
una
lesione
con
maggiore
displasia
(sta
progredendo
verso
il
car-‐
cinoma
invasivo)
causata
da
un
virus
ad
alto
rischio.
Questa
classificazione
non
essendo
meramente
morfologica,
non
viene
utilizzata
dal
patologo.
C’è
una
corrispondenza
tra
queste
categorie
diagnostiche
e
classificative:
• l’L-‐SIL
comprende
la
displasia
di
basso
grado,
la
CIN1,
e
il
condiloma
(piatto
o
esofitico),
una
lesione
HPV-‐associata2
che
però
non
va
incontro
a
trasformazione
neoplastica:
si
osserva
nella
regione
pe-‐
rianale
(in
entrambi
i
sessi,
in
pazienti
che
hanno
rapporti
sessuali
anali)
e
nella
donna
a
livello
della
vulva
e/o
del
canale
genitale.
Un
condiloma
anale,
per
esempio
è
formato
da
piccole
vegetazioni
bianche
che
vanno
in
diagnosi
differenziale
con
il
carcinoma
dell’ano,
• l’H-‐SIL
comprende
la
displasia
moderata
e
severa,
la
CIN1
e
la
CIN2,
e
il
carcinoma
in
situ.
Aspetti
clinici
Dal
punto
di
vista
clinico,
le
lesioni
pre-‐invasive
sono:
• asintomatiche;
c’è
una
la
sintomatologia
solo
se
ci
sono
associate
cerviciti.
Invece
la
presenza
di
presenza
perdite
ematiche
o
mucose
è
più
suggestiva
di
un
carcinoma
infiltrante;
• più
frequenti
nel
labbro
anteriore
(l’esocervice
è
formata
da
un
labbro
anteriore
e
uno
posteriore);
• l’estensione
è
connessa
con
la
gravità
della
lesione
(se
la
displasia
è
grave
la
lesione
è
più
estesa);
• la
zona
di
trasformazione
è
quella
più
frequentemente
interessata
(proprio
perché
prolifera
ed
è
in
grado
di
integrare
il
genoma
virale).
Inoltre:
• la
CIN
della
zona
di
trasformazione
è
più
severa
e
tende
ad
estendersi
al
canale
cervicale
(anche
perché
l’eradicazione
con
conizzazione
è
più
difficile3);
• la
CIN
dell’epitelio
maturo
è
in
genere
di
basso
grado
e
non
si
estende
verso
l’ostio
cervicale.
Iter
diagnostico
• Per
quanto
riguarda
l’iter
diagnostico,
poiché
è
asintomatica,
la
lesione
preinvasiva
può
essere
in-‐
tercettata
attraverso
lo
screening
che
si
fa
con
la
citologia
vaginale
(Pap
test)
e
l’eventuale
studio
dell’HPV-‐DNA
per
individuare
il
tipo
di
virus.
[Dal
2018
lo
screening
si
fa
direttamente
con
la
ricerca
dell’HPV-‐DNA
e
non
con
il
Pap
test].
• In
caso
di
positività
si
procede
con
la
colposcopia,
durante
la
quale
si
individua
la
lesione
e
si
effet-‐
tua
una
biopsia,
che
è
indispensabile
per
la
diagnosi
e
la
terapia.
• La
terapia,
in
base
al
grado
di
CIN
e
al
tipo
di
virus,
prevede
il
follow-‐up
o
la
conizzazione
(infatti
se
le
donne
hanno
un
virus
connesso
a
basso
rischio
è
molto
probabile
che
ci
sia
una
regressione
spontanea
della
lesione
e
quindi
non
si
interviene).
2
Sono
il
corrispettivo
delle
verruche
virali
della
cute,
formate
da
un
bordo
rilevato
e
un
cratere
ricco
di
cheratina.
3
Il
99%
delle
CIN
è
eradicato
dopo
aver
asportato
tessuto
cervicale
fino
a
4,8
mm
in
profondità.
Tecniche
diagnostiche,
terapeutiche
e
preventive
• Pap-‐test
(o
citologia
vaginale).
Consiste
nel
prelievo
delle
cellule
a
livello
del
punto
di
passaggio
tra
endocervice
ed
esocervice;
in
particolare
si
effettuano
due
prelievi:
con
una
spatola
si
prelevano
le
cellule
della
portio
e
della
vagina,
poi
con
uno
spazzolino
(citobrush)
inserito
nel
canale
cervicale
le
cellule
dell’endocervice.
Infatti
le
lesioni
preneoplastiche
possono
insorgere
nella
zona
di
trasfor-‐
mazione,
nella
vagina
e
nel
canale
cervicale.
Le
cellule
vengono
studiate
da
un
punto
di
vista
morfologico:
si
cerca
la
coilocitosi
e
si
quantifica
l’eventuale
atipia
nucleare;
poi
si
applicano
le
tecniche
ancillari
che
confermano
la
presenza
del
vi-‐
rus
e
si
cerca
l’HPV-‐DNA.
• Biopsia.
E’
un
esame
di
II
livello,
da
eseguire
in
caso
di
citologia
sospetta,
che
permette
di
definire
l’entità
della
displasia.
E’
anche
indicato
se
si
osserva
durante
la
colposcopia
un’area
biancastra
(dovuta
a
un
aumento
della
cheratinizzazione)
o
rossastra
(per
neoangiogenesi).
• Tecniche
ancillari.
Con
tecniche
ancillari
si
studiano:
l’espressione
di
p16
(indicativa
di
infezione
vi-‐
rale),
il
tipo
di
virus
(con
l’ibridazione
in
situ
o
la
PCR),
l’attività
proliferativa.
• Conizzazione.
E’
una
procedura
chirurgica
effettuata
nelle
pa-‐
zienti
ad
alto
rischio
che
prevede
la
decorticazione
dell’eso-‐
ed
endocervice,
volta
a
rimuovere
la
zona
di
trasformazione
e
a
portare
alla
guarigione.
Si
asporta
un
pezzo
di
tessuto
a
forma
di
cono,
poi
l’epitelio
vaginale
ricresce
e
va
a
riepitelizzare
il
tessuto
della
cervice
esposto.
• Vaccino.
Introdotto
negli
ultimi
anni,
il
vaccino
contro
HPV
è
un
vaccino
quadrivalente
diretto
con-‐
tro
i
virus
a
più
alto
rischio
(6,
11,
16,
18).
Viene
somministrato
alle
bambine,
in
modo
da
precedere
l’inizio
dell’attività
sessuale
(non
ha
effetto
infatti
sulle
lesioni
in
atto);
sono
somministrate
3
dosi.
Attualmente
lo
si
consiglia
anche
agli
uomini
per
evitare
la
diffusione
della
malattia
e
prevenire
le
lesioni
displastiche
del
pene,
del
tutto
simili
a
quelle
della
cervice.
L’ipotesi
è
che
nel
giro
di
15-‐20
anni
il
carcinoma
della
cervice
sarà
eradicato.
CARCINOMA
SQUAMOCELLULARE
INFILTRANTE
Le
lesioni
squamose
preneoplastiche
della
cervice
(CIN),
se
non
trattate,
potrebbero
evolvere
verso
il
carci-‐
noma
squamocellulare
infiltrante,
identico
a
quello
reperto
in
altre
sedi.
E’
una
neoplasia
in
cui
si
osserva-‐
no
cellule
atipiche
superare
la
membrana
basale
e
crescere
nel
connettivo
sottoepiteliale,
dove
sono
pre-‐
senti
i
vasi;
è
pertanto
prognosticamente
peggiore
perché
c’è
un
rischio
di
invasione
linfovascolare
e
quindi
di
metastasi
(si
muore
per
metastasi
linfonodali
e
parenchimali).
Epidemiologia
Esso,
da
un
punto
di
vista
epidemiologico:
• è
il
secondo
tumore
maligno
più
frequente
nelle
donne,
ma
la
sua
frequenza
sta
diminuendo
grazie
alle
campagne
di
screening
e
di
sensibilizzazione;
si
sviluppa
per
lo
più
durante
la
IV
e
V
decade
di
vita,
• è
il
tumore
più
comune
nelle
zone
in
via
di
sviluppo,
per
via
dello
scarso
igiene
e
delle
pratiche
ses-‐
suali;
infatti
è
più
frequente
in
Centro
America
(Messico),
America
del
Sud,
Africa
ed
in
parte
Asia,
• è
il
10°
come
frequenza
nelle
nazioni
più
sviluppate,
proprio
per
lo
screening
che
permette
di
in-‐
tercettarlo
quando
c’è
ancora
una
lesione
preneoplastica.
Infatti
la
frequenza
è
minore
in
Europa,
USA
e
Canada,
• la
frequenza
aumenta
nelle
zone
in
cui
le
donne
sono
più
restie
a
farsi
visitare
dal
ginecologo
(es.
aree
rurali)
e
vanno
dal
medico
quando
ci
sono
sintomi
(perdite
ematiche).
In
sintesi,
tali
differenze
dipendono:
• dal
sistema
sanitario,
• dallo
screening,
• dall’esposizione
ai
fattori
di
rischio.
Da
un
punto
di
vista
prognostico:
• rappresenta
il
3,5%
di
tutte
le
morti
per
carcinoma
negli
USA,
• incidenza
e
mortalità
sono
diminuite
negli
utlimi
anni
grazie
allo
screening.
Invasione
e
carcinoma
microinvasivo:
diagnosi
e
prognosi
L’invasione
può
essere
studiata
solo
su
esame
istologico
(la
citologia
vaginale
non
distingue
tra
un
carcino-‐
ma
in
situ
e
un
carcinoma
infiltrante)
e
può
essere:
• identificabile
microscopicamente:
è
diagnosticata
dal
patologo
che
osserva
un
focolaio
minimo
di
invasione,
e
corrisponde
allo
stadio
FIGO
IA,
ovvero
si
osserva
una
lesione
profonda
fino
a
5
mm
e
larga
fino
a
7
mm;
a
sua
volta
possono
essere
distinti
dei
sotto
stadi:
o IA1:
carcinoma
microinvasivo:
è
definito
come
un
carcinoma
che
ha
una
profondità
≤3
mm
e
una
estensione
in
superficie
<
7
mm;
è
una
sorta
di
CIS
che
presenza
un’estroflessione
della
parte
profonda
all’interno
dello
stroma.
E’
formato
da
cellule
con
citoplasma
più
abbondante
ed
eosinofilo
delle
cellule
degli
strati
pro-‐
fondi
del
CIS
(differenziazione
paradossa),
e
lo
stroma
attorno
alle
cellule
infiltranti
appare
desmoplastico
e
con
infiltrato
infiammatorio4;
o IA2:
profondità
maggiore
di
3
mm
(ma
minore
di
5
mm)
e
larghezza
fino
a
7
mm;
• identificabile
clinicamente:
è
diagnosticata
già
dal
clinico
con
la
colposcopia.
Si
osserva
una
lesione
che
corrisponde
allo
stadio
FIGO
IB,
ovvero
con
profondità
maggiore
di
5
mm
e/o
larghezza
maggio-‐
re
di
7
mm.
Poiché
la
prognosi,
ovvero
la
probabilità
di
morire,
dipende
da
quanto
è
estesa
la
lesione
e
dal
tipo
di
inva-‐
sione,
questi
parametri
di
estensione
(in
lar-‐
ghezza
e
profondità)
correlano
con
la
soprav-‐
vivenza,
che
è
molto
elevata
in
caso
di
mi-‐
croinvasione
(la
probabilità
di
guarigione
re-‐
sta
molto
alta).
Quindi
è
fondamentale
identi-‐
ficare
la
lesione
in
fase
iniziale.
Nel
dettaglio
l’estensione
del
tumore
nella
profondità
del
connettivo
sottoepiteliale
correla
con
l’invasione
linfovascolare
(LVI):
• se
il
tumore
si
estende
≤
1
mm,
si
osserva
LVI
nello
0-‐8%
dei
casi;
• se
l’estensione
è
di
2-‐5
mm,
si
osserva
LVI
fino
al
22%
dei
casi.
La
LVI
a
sua
volta
correla
con
l’insorgenza
di
metastasi:
• nei
tumori
che
si
estendono
in
profondità
≤
1
mm,
la
probabilità
di
metastasi
è
dello
0,4%,
• in
quelli
di
1,1-‐3
mm
la
probabilità
di
metastasi
è
dell’1,3%
e
quella
di
recidiva
dello
0,5%,
• in
quelli
di
3,1-‐5
mm
la
probabilità
di
metastasi
è
del
6,8%
e
quella
di
recidiva
del
2,3%.
La
recidiva
deriva
dall’epitelio
della
vagina,
che
è
identico
a
quello
dell’esocervice
e
anch’esso
può
essere
sede
di
infezione
virale
da
HPV,
o
dall’endocervice,
se
l’epitelio
pavimentoso
scorre
nella
cervice
e
non
vie-‐
ne
rimosso
interamente
con
la
conizzazione.
Carcinoma
squamocellulare
diffusamente
infiltrante
Il
carcinoma
squamocellulare
diffusamente
infiltrante
da
un
punto
di
vista
macroscopico
non
ha
un
aspet-‐
to
tipico,
può
essere:
• esofitico,
se
appare
come
una
lesione
che
protrude
all’interno
della
vagina,
ulcerata,
con
superfi-‐
cie
irregolare,
biancastra
o
rossastra.
E’
ben
visibile
alla
colposcopia;
• endofitico,
se
cresce
all’interno
del
canale
cervicale
(la
portio
può
sembrare
normale
alla
colpo-‐
scopia).
La
parete
è
indurita
e
la
superficie
endocervicale
è
irregolare
(eventualmente
visibile
all’isteroscopia).
Questo
è
il
motivo
per
cui
per
il
Pap-‐test
vengono
prelevate
anche
le
cellule
del
tratto
iniziale
del
canale
cervicale.
Da
un
punto
di
vista
microscopico
si
osserva:
• un
carcinoma
squamocellulare
simile
a
quello
di
altre
sedi
(come
polmone
e
cu-‐
te),
in
cui
si
osservano
quindi
1)
cellule
con
cheratina
nel
citoplasma,
2)
ponti
in-‐
tercellulari
e
3)
perle
cornee.
4
Ogniqualvolta
si
riscontra
nel
connettivo
sub-‐epiteliale
una
reazione
desmoplastica
o
una
reazione
infiammatoria
oc-‐
corre
porre
sospetto
di
infiltrazione
iniziale.
La
sola
presenza
di
infiltrato
infiammatorio
non
è
però
sempre
associata
ad
infiltrazione:
la
cervice
è
spesso
sede
di
processi
infiammatori;
se
non
vi
è
evidenza
di
un
aspetto
infiltrativo
inizia-‐
le,
non
significa
che
si
tratti
di
un
processo
associato
ad
una
neoplasia.
Può
essere
a
grandi
cellule
o
a
piccole
cellule,
in
questo
caso,
se
è
indifferenziato,
va
in
diagnosi
dif-‐
ferenziale
con
il
carcinoma
neuroendocrino
a
piccole
cellule
della
cervice
uterina,
che
è
molto
raro
(va
trattato
con
la
terapia
dei
tumori
neuroendocrini);
• può
essere
di
tre
gradi
a
seconda
della
capacità
di
produrre
la
cheratina
e
di
formare
le
perle
cor-‐
nee:
o ben
differenziato,
o moderatamente
differenziato,
o scarsamente
differenziato,
formata
principalmente
da
cellule
simili
a
quelle
basali.
Il
grading
è
importante
perché
le
cellule
scarsamente
differenziate
proliferano
di
più
e
maggiore
è
la
probabilità
di
metastasi.
Oltre
che
dal
grado,
la
prognosi
dipende
da
(fattori
prognostici):
• profondità
di
infiltrazione:
maggiore
è
l’infiltrazione
in
profondità
nella
parete
del
canale
cervicale
verso
i
tessuti
circostanti
(paramètri),
peggiore
è
la
prognosi
perché
in
profondità
c’è
una
ricchezza
maggiore
dei
vasi,
• invasione
vascolare,
• interessamento
dei
paramètri,
ovvero
dei
tessuti
molli
che
stanno
intorno
al
canale
cervicale
al
li-‐
vello
del
pavimento
pelvico,
formati
da
tessuto
connettivo
lasso
e
tessuto
adiposo
riccamente
va-‐
scolarizzati
(quindi
è
più
facile
che
ci
sia
LVI).
Questi
tessuti
conferiscono
mobilità
alle
pareti
dell’utero
(fondamentale
al
momento
del
parto)
ma,
al
contempo,
se
diventano
troppo
lassi,
pos-‐
sono
predisporre
al
prolasso
dell’utero
in
vagina,
• metastasi
linfonodali
e
parenchimali.
Non
è
più
rilevante
se
il
tumore
è
a
eziologia
virale,
perché
la
prognosi
non
la
fa
più
il
virus
ma
la
presenza
dell’infiltrazione5.
Stadiazione
e
prognosi
La
stadiazione
si
basa
sulla
classificazione
FIGO
(della
federazione
internazionale
di
ginecologia
e
ostetricia),
che
è
quella
più
utilizza-‐
ta,
o
sulla
stadiazione
TNM.
All’aumentare
dell’estensione
aumenta
lo
stadio,
e,
di
conseguen-‐
za,
peggiora
la
prognosi.
C’è
una
correlazione
tra
lo
stadio
e
la
sopravvivenza
a
5
anni
e
stadio:
5
Diagnosi
differenziale
• Reazione
deciduale:
modificazione
deciduale
dello
stroma
con
cellule
a
citoplasma
ampio
ed
eosinofilo
in
donna
in
gravidanza.
Nei
casi
dubbi
si
procede
con
l'immunoistochimica:
la
decidua
è
positiva
ai
recettori
per
estrogeni
e
progesterone,
mentre
il
carcinoma
squamocellulare
è
positivo
alle
citocheratine.
• Metaplasia
squamosa
estensiva:
si
trova
nelle
donne
anziane
dove
non
c'è
più
la
variabilità
del
confine
tra
eso-‐
e
endocervice
e
prevale
la
componente
squamosa.
Quest'ultima,
soprattutto
se
è
concomitante
anche
un
prolasso
uterino,
tipico
di
quell’età,
si
estende
nel
canale
cervicale
e
va
dentro
le
ghiandole
qui
presenti
formando
come
dei
nidi
epiteliali
che
possono
mimare
il
carcinoma
squamoso.
• Estensivo
coinvolgimento
di
ghiandole
endocrine
e
dell'epitelio
squamoso
con
displasia.
metriale,
che
proliferando
diventa
più
spessa
(normalmente
è
spessa
2-‐3
mm)
e
tende
a
riempire
la
cavità
endometriale
causando,
eventualmente,
perdite
ematiche.
Poiché
durante
il
periodo
fertile
l’endometrio
si
rigenera
e
si
sfalda
ciclicamente,
la
trasformazione
neoplastica
dell’endometrio
inizia
di
solito
nel
periodo
peri-‐
menopausale,
durante
il
quale
la
mucosa
endometriale
invece
che
prendere
la
strada
dell’atrofia
(cosa
che
accade
fisiologicamente)
inizia
a
proliferare,
perché
si
perde
la
ciclica
alternanza
di
fasi
estrogeniche
e
progestiniche,
e
può
persiste-‐
re
la
stimolazione
estrogenica
in
assenza
di
quella
progestinica.
Gli
estrogeni
infatti
agiscono
soprattutto
sull’epitelio
ghiandolare,
e
meno
sullo
stroma
cito-‐
geno,
inducendone
la
proliferazione.
Analogamente,
anche
nelle
donne
con
ciclo
anovulatorio,
una
condizione
beni-‐
gna
disfunzionale
caratterizzata
da
una
stimolazione
estrogenica
prolungata
a
cui
non
segue
una
fase
progestinica,
la
mucosa
tende
(dopo
una
ventina
di
gior-‐
ni)
a
crescere
e
a
inspessirsi6.
Quindi
a
seconda
dell’età
della
paziente,
ovvero
del
fatto
che
sia
in
età
fertile
o
in
menopausa,
l’iperplasia
endometriale
è
causata
rispettivamente
da
una
patologia
disfunzionale
beni-‐
gna
e
da
una
patologia
displastica
potenzialmente
maligna.
Iter
diagnostico
Per
quanto
riguarda
l’iter
diagnostico,
l’iperplasia
può
essere
intercettata
o
in
una
donna
con
perdite
ema-‐
tiche
(metrorragia
o
polimenorrea)
o
in
una
paziente
asintomatica
durante
l’ecografia
transvaginale
(di
con-‐
trollo
o
fatta
per
altri
motivi),
che
mette
in
evidenza
l’endometrio
inspessito
(>
4
mm;
la
presenza
di
questo
reperto
richiede
ulteriori
accertamenti).
Si
procede
con
l’isteroscopia
e
la
biopsia
endometriale,
necessaria
per
la
diagnosi
che
è
istologica.
Esame
istologico
e
classificazione
dell’iperplasia
Da
un
punto
di
vista
microscopico
l’iperplasia
è
definita
dalla
proliferazione
di
ghiandole
che
diventano
ir-‐
regolari
in
forma
e
dimensioni,
e
che
si
accompagna
a
un
aumento
del
rapporto
ghiandole/stroma,
ovvero
alla
diminuzione
dello
stroma
(rispetto
a
quello
dell’endometrio
proliferativo).
L’endometrio
iperplastico
è
inoltre
riccamente
vascolarizzato
e
può
ulcerarsi
e
manifestarsi
con
perdite
ematiche;
lo
stroma
non
è
infil-‐
trato
dalle
cellule
proliferanti.
L’iperplasia
dell’endometrio
può
essere
classificata
in
base
all’entità
dell’alterazione
morfologica
e
citologi-‐
ca
in:
• iperplasia
semplice
e
iperplasia
cistica,
caratterizzata
da
un
aumento
focale
delle
ghiandole,
che
qualche
vol-‐
ta
possono
apparire
dilatate
(iperplasia
cistica),
e
da
una
diminuzione
focale
dello
stroma,
• iperplasia
adenomatosa
(o
iperplasia
complessa),
ca-‐
ratterizzata
da
un
aumento
diffuso
delle
ghiandole
con
diminuzione
diffusa
dello
stroma;
si
osserva
lo
stroma
ridotto
in
maniera
consistente
interposto
tra
ghiandole
con
epitelio
irregolare
(con
organizzazione
stratificata
e
6
Dal
punto
di
vista
istologico
questo
è
un
quadro
simile
all’iperplasia
ma
la
questione
è
di
tipo
disfunzionale
tant’è
ve-‐
ro
che
in
queste
situazioni
il
problema
è
soprattutto
a
livello
delle
ovaie
e
le
donne
vengono
trattate
con
i
progestinici
che
inducono
la
fase
proliferativa
e,
se
poi
si
sospende
il
trattamento,
quella
desquamativa
con
la
mestruazione.
Il
percorso
completo
di
progressione
è
lento,
necessita
di
almeno
10
anni
motivo
per
cui
le
donne
in
pre-‐
menopausa
possono
avere
l’iperplasia
e
poi
in
post-‐menopausa
l’adenocarcinoma.
Il
vantaggio
è
che
iperplasia
e
adenocarcinoma,
non
essendo
asintomatici
e
potendosi
manifestare
con
per-‐
dite
ematiche,
allertano
la
donna
ad
andare
dal
ginecologo,
che
può
intercettare
il
processo
prima
che
sia
troppo
avanzato;
spesso
il
ginecologo
constata
che
i
sanguinamenti
e
l’inspessimento
dell’endometrio
non
sono
causati
da
una
patologia
iperplastica
ma
da
una
patologia
disfunzionale
benigna.
Terapia
La
terapia
dell’iperplasia
prevede,
a
seconda
del
rischio
di
evoluzione
e
dell’età
della
paziente:
• il
trattamento
ormonale
con
progestinici,
• il
raschiamento
(ablazione
endometriale
con
resettoscopio
per
via
isteroscopica),
• l’isteroannessiectomia
(indicata
in
post-‐menopausa
e/o
nei
casi
ad
alto
rischio).
ADENOCARCINOMA
L’adenocarcinoma
dell’endometrio
è
una
neoplasia
maligna
(infiltrante)
dell’endometrio
che
si
inscrive
sull’iperplasia
atipica;
da
un
punto
di
vista
macroscopico
la
crescita
è
visibile
prima
come
inspessimento
dell’endometrio,
poi
come
una
massa
che
protrude
nella
cavità
uterina
e
infiltra
il
miometrio.
Classificazione
Distinguiamo
diverse
varianti
(analoghe
a
quelle
dei
tumori
dell’ovaio
e
del
canale
cervicale).
• carcinoma
endometrioide:
è
la
variante
principale,
in
cui
il
tumore
ha
un’architettura
che
richiama
quella
dell’endometrio;
è
l’analogo
dei
tumori
endometriodi
dell’ovaio,
• carcinoma
sieroso:
è
caratterizzato
da
cellule
con
epitelio
ciliato
simile
a
quello
delle
tube
e
delle
fimbrie.
Si
osserva
in
caso
di
metaplasia
tubarica
dell’endometrio
che
va
incontro
a
trasformazione
maligna
(la
stessa
cosa
può
accadere
nel
canale
cervicale),
• carcinoma
a
cellule
chiare,
come
nelle
varianti
mulleriane
del
carcinoma
uroteliale,
• carcinoma
mucinoso,
mucosecernente,
• carcinoma
squamocellulare,
con
differenziazione
squamosa,
• carcinoma
misto,
• carcinoma
indifferenziato:
neuroendocrino,
a
cellule
giganti,
a
cellule
fusate.
Studiamo
il
carcinoma
endometrioide.
Aspetto
macroscopico
e
microscopico
Si
osserva
una
massa
che
cresce
nella
cavità
uterina,
rivestita
da
un
tessuto
gra-‐
nulare,
nodulare
ed
emorragico.
Essa
può
essere
intramucosa
o
invadere
il
miome-‐
trio:
l’avanzamento
del
fronte
di
invasio-‐
ne
correla
con
il
potenziale
invasivo
e
me-‐
tastatico,
e
quindi
impatta
sulla
prognosi.
Da
un
punto
di
vista
microscopico
si
os-‐
servano
cellule
atipiche
che
infiltrano
lo
stroma
e
che
crescono
in
maniera
con-‐
fluente,
sostitutiva
e
distruttiva,
sovver-‐
tendo
l’architettura
dell’endometrio;
si
osserva
in
altre
parole
una
crescita
solida
che
progressivamente
sostituisce
i
lumi.
Grado
Il
grado
si
basa
sulla
percentuale
di
crescita
solida:
più
aumenta
l’area
solida,
quindi
più
diminuiscono
i
lumi
ghiandolari
(segno
di
differenziazione7),
e
più
la
neoplasia
è
indifferenziata:
• grado
1:
la
crescita
solida
è
inferiore
al
5%;
il
tumore
cresce
prevalentemente
in
maniera
ghiandola-‐
re
(le
ghiandole
sono
ben
formate),
• grado
2:
la
crescita
solida
è
del
5-‐50%,
• grado
3:
la
crescita
solida
supera
il
50%.
La
presenza
di
atipia
nucleare
severa
(quindi
di
nuclei
molto
irregolari)
determina
l’attribuzione
di
un
grado
in
più
(il
G1
diventa
G2
e
il
G2
diventa
G3).
Stadiazione
Per
la
stadiazione
si
utilizza
il
sistema
FIGO:
all’aumentare
della
profondità
dell’invasione
aumenta
lo
stadio
(e
quindi
peggiora
la
prognosi).
La
presenza
di
interessamento
dei
linfonodi
locoregioanali
e
di
metastasi
a
distanza
è
compresa
nella
progressione
della
stadiazione
(che
è
quindi
unica;
non
ci
sono
tre
stadiazioni
pa-‐
rallele
come
nel
TNM).
Se
il
tumore
è
limitato
all’endometrio
(FIGO
IA)
la
prognosi
è
buona;
se
infiltra
il
miometrio
bisogna
vedere
a
che
livello
è
l’infiltrazione:
se
infiltra
meno
del
50%
del
miometrio
(FIGO
IB)
la
prognosi
è
migliore,
se
in-‐
filtra
più
del
50%
(FIGO
IC)
la
prognosi
è
peggiore.
Quindi,
fatta
l’isteroannessiectomia,
l’anatomopatologo
deve
fornire,
refertano
il
pez-‐
zo
chirurgico,
questo
dato.
Il
tumore
può,
crescendo,
in-‐
filtrare
il
canale
cervicale
(FI-‐
GO
II)
e
la
sierosa
(FIGO
IIIA).
In
base
all’estensione
del
tu-‐
more
il
ginecologo
decide
se
fare
o
meno
la
linfoadenec-‐
tomia;
è
indicata
nel
FIGO
IC.
Diagnosi
differenziale
tra
iperplasia
atipica
e
adenocarcinoma
G1
E’
fondamentale
distinguere
l’iperplasia
adenomatosa
atipica
dall’adenocarcinoma
G1,
che
differiscono
per
la
presenza
o
assenza
di
invasione
stromale.
L’adenocarcinoma
G1
è
infatti
caratterizzato
da
almeno
uno
dei
seguenti
aspetti
(non
presenti
nell’iperplasia):
• una
risposta
stromale
desmoplastica
(con
fibrosi
e
fibroblasti
stromali
attorno
alla
sede
di
crescita),
indicativa
di
invasione;
invece
nell’iperplasia
lo
stroma
è
ancora
citogeno,
• una
crescita
ghiandolare
confluente:
le
ghiandole
crescono
in
maniera
confluente
senza
stroma
at-‐
torno
interposto
(non
è
visibile
in
quest’area
la
rea-‐
zione
stromale),
• un
pattern
papillare
estensivo,
assente
nell’endometrio
normale
o
iperplastico.
L’endome-‐
trio
neoplastico
cresce
formando
papille,
7
In
questo
tumore
la
presenza
dei
lumi
rappresenta
l’elemento
di
differenziazione,
così
come
la
presenza
di
perle
cor-‐
nee
è
il
segno
di
differenziazione
dei
carcinomi
squamo-‐cellulari.
una
sostituzione
dello
stroma
da
parte
di
masse
squamose
(raro);
si
osserva
quindi
una
componen-‐
•
te
squamosa
che
deriva
dalla
trasformazione
di
aree
di
metaplasia
squamosa
dell’endometrio.
Gli
ultimi
tre
aspetti
devono
essere
visibili
in
almeno
mezzo
campo
a
basso
ingrandimento.
Metastasi
Il
carcinoma
endometrioide
può
metastatizzare
a:
• polmone
(41%),
• peritoneo
(39%),
se
supera
la
sierosa
e
si
dissemina
nel
peritoneo
causando
carcinosi
peritoneale,
• ovaio
(34%),
se
il
tumore
risale
per
via
retrograda
le
tube;
• altro.
Tipi
di
carcinoma
endometrioide
L’adenocarcinoma
endometrioide
può
essere:
• di
tipo
1
(65%):
è
una
forma
non
aggressiva
che
insorge
in
pazienti
dismetaboliche,
obese
e
diabeti-‐
che
che
hanno
disturbi
ormonali,
ovvero
sono
esposte
a
una
stimolazione
estrogenica
di
lunga
du-‐
rata.
Probabilmente
il
diabete
aumenta
il
rischio
perché
c’è
un
disturbo
del
metabolismo
anche
de-‐
gli
ormoni.
In
genere
sono
tumori
ben
differenziati
(G1
e
G2),
superficiali,
con
un
basso
potenziale
metastatico
e
sensibili
ai
progestinici
(le
ghiandole
iniziano
a
secernere
dopo
stimolazione
con
progestinici)8.
La
prognosi
è
favorevole.
Deriva
da
forme
di
iperplasia
atipica
con
metaplasia
squamosa;
• di
tipo
2
(35%):
è
una
forma
aggressiva
che
insorge
in
pazienti
non
diabetiche
e
non
obese.
La
sen-‐
sibilità
ai
progestinici
è
bassa
(il
tumore
è
formato
da
ghiandole
che
hanno
i
recettori
per
gli
estro-‐
geni
ma
non
quelli
per
il
progesterone).
E’
un
tumore
meno
differenziato
(G3),
profondo,
con
alto
potenziale
metastatico.
La
durata
dei
sin-‐
tomi
è
più
beve
e
la
prognosi
è
infausta.
Prognosi
Nel
carcinoma
endometrioide,
la
sopravvivenza
a
5
anni
dipende
dall’infiltrazione
in
profondità:
• nel
carcinoma
intramucoso
è
del
100%,
• nel
carcinoma
infiltrante
il
terzo
interno
del
miometrio
è
del
95%,
• nel
carcinoma
infiltrante
il
terzo
medio
del
miometrio
è
dell’86%,
• nel
carcinoma
infiltrante
il
terzo
esterno
del
miometrio
è
dell’83%.
L’80%
delle
recidive
insorge
entro
i
primi
3
anni:
esse
possono
essere
pelviche
(50%)
o
a
distanza
(50%).
Invece,
per
quanto
riguarda
il
confronto
tra
i
diversi
istotipi,
la
sopravvivenza
a
5
anni
è:
• del
50%
nel
carcinoma
a
cellule
chiare,
• del
45%
nel
carcinoma
endometrioide
forme
di
alto
grado,
• del
36%
nel
carcinoma
sieroso
(che
è
il
più
aggressivo).
8
Una
volta
infatti
prima
di
fare
il
trattamento
chirurgico
si
faceva
un
breve
periodo
di
trattamento
neoadiuvante
pro-‐
gestinico
per
vedere
se
c’era
secrezione.
28.
TUMORI
DELL’OVAIO
ANATOMIA
DELL’OVAIO
L’ovaio
è
la
gonade
femminile,
ovvero
l’organo
in
cui
avviene
la
maturazione
dei
gameti;
è
un
organo
paren-‐
chimatoso
pelvico
(di
dimensioni
4x2x1
cm)
formato
da
diversi
tessuti:
• l'epitelio
germinale
dell'ovaio,
un
epitelio
cubico
semplice
che
riveste
esternamente
l’ovaio
ed
è
in
continuità
con
il
peritoneo
del
mesovario
(da
cui
deriva
per
modificazione;
è
pertanto
di
tipo
mesote-‐
liale).
E’
così
chiamato
impropriamente
perché
in
passato
si
riteneva
che
le
cellule
che
lo
costituisco-‐
no
dessero
origine
ai
gameti;
• la
tunica
(falsa)
albuginea,
localizzata
appena
al
di
sotto
dell'epitelio
germinale,
è
formata
tessuto
connettivo
fibroso
dalla
consistenza
molto
dura.
Serve
a
supportare
e
proteggere
i
delicati
tessuti
sottostanti;
• la
corticale
ovarica:
è
la
regione
situata
sotto
la
tunica
albuginea,
che
contiene
le
cellule
germinali
dell'ovaio
(o
follicoli
ovarici)
e
le
cellule
stromali
dell'ovaio.
Le
cellule
germinali
dell'ovaio
sono
gli
elementi
cellulari,
che
danno
origine
ai
gameti
femminili;
le
cellule
stromali
dell'ovaio,
invece,
sono
le
cellule
adibite
al
sostegno
delle
cellule
germinali
e
alla
secrezione
degli
ormoni
sessuali
femminili
(circondano
le
cellule
germinali
formando
i
follicoli);
• la
midollare
ovarica:
è
la
regione
più
profonda
dell'ovaio,
che
contiene
vasi
sanguigni,
vasi
linfatici
e
strutture
nervose,
che
servono
a
nutrire
e
innervare
tutte
le
cellule
costituenti
le
ovaie.
ANATOMIA
DELLE
TUBE
UTERINE
Le
tube
uterine
sono
organi
cavi
tubulari
che
collegano
l’ovaio
all’utero;
all’estremità
ovarica
sono
presenti
le
fimbrie
che
prendono
contatto
con
la
superficie
esterna
dell’ovaio
e
favoriscono
la
captazione
dell’oocita
secondario
espulso
al
momento
dell’ovulazione.
Le
tube
sono
rivestite
internamente
da
una
mucosa
con
molte
pieghe
longitudinali,
piuttosto
alte,
che
nelle
porzioni
infundibolare
e
ampollare
riducono
il
lume
dell'organo
a
sottili
fessure.
La
mucosa
è
formata
da
un
epitelio
cilindrico
monostratificato
ciliato,
con
intercalate
cellule
caliciformi
mucipare.
Il
movimento
di
trasporto
dell’oocita
secondario
è
inoltre
favorito,
oltre
che
dalle
ciglia,
dalla
muscolatura
liscia
dell'organo,
organizzata
in
uno
strato
circolare
interno
e
longitudinale
esterno.
CLASSIFICAZIONE
DEI
TUMORI
DELL’OVAIO
La
classificazione
dei
tumori
dell’ovaio
comprende:
• tumori
epiteliali
(65-‐60%):
sono
quelli
più
frequenti
e
derivano
dall’epitelio
di
superficie
dell’ovaio,
quindi
dalle
cellule
dell’epitelio
germinativo,
• tumori
mesenchimali
(15-‐20%):
originano
dalle
cellule
dello
stroma
dell’ovaio.
Le
forme
benigne
so-‐
no
più
frequenti
(es.
fibroma,
leiomioma)
rispetto
a
quelle
maligne
(es.
leiomiosarcoma),
• tumori
germinali
(5-‐10%):
derivano
dalle
cellule
germinali
e
sono
simili
a
quelli
studiati
nel
testicolo,
• metastasi
(5%):
l’ovaio,
in
quanto
è
riccamente
vascolarizzato
soprattutto
a
livello
dell’ilo,
può
essere
sede
di
metastasi
del
carcinoma
della
mammella
o
di
tumori
del
tratto
gastro-‐enterico;
poiché
le
me-‐
tastasi
da
tumore
gastro-‐intestinale
sono
simili
ai
tumori
primitivi
dell’ovaio,
la
diagnosi
differenziale
è
complessa
e
a
volte
può
essere
necessario
il
supporto
di
dati
clinici:
in
tali
circostanze
si
procede
con
l’esplorazione
intraoperatoria
anche
del
tubo
gastroenterico
oltre
che
di
entrambe
le
ovaie.
Studiamo
nel
dettaglio
i
tumori
epiteliali.
TUMORI
EPITELIALI:
CLASSIFICAZIONE
I
tumori
epiteliali
dell’ovaio
possono
essere
classificati
in
relazione
alla
malignità
(a
seconda
della
morfolo-‐
gia
dei
tumori
e
del
loro
potenziale
metastatico)
in:
• benigni,
che
non
danno
né
metastasi
né
recidiva
locale.
L’asportazione
porta
alla
guarigione,
• borderline
(o
a
basso
potenziale
di
malignità),
che
possono
recidivare
e,
occasionalmente,
dare
an-‐
che
metastasi;
solitamente,
però,
hanno
un
comportamento
benigno,
• maligni:
sono
carcinomi
che
possono
dare
sia
metastasi
sia
recidiva
locale.
Nel
dettaglio
questi
tumori
possono
derivare
da:
• l’epitelio
di
superficie
dell’ovaio
o
sue
cisti
da
inclusione.
L’epitelio
superficiale
dell’ovaio
può
anda-‐
re
incontro
a
metaplasia
(es.
tubarica,
intestinale,
squamosa),
che
evolve
in
displasia
e
poi
in
un
car-‐
cinoma;
inoltre
questo
epitelio,
poiché
al
momento
dell’ovulazione
si
interrompe
per
permettere
l’espulsione
dell’oocito
secondario,
può
essere
incluso
all’interno
del
parenchima
e
dare
origine
a
ci-‐
sti
da
inclusione:
anche
dall’epitelio
della
cisti
può
originare
un
tumore;
• l’endometrio
ectopico
presente
a
livello
dell’ovaio
se
la
paziente
è
affetta
da
endometriosi;
la
tra-‐
sformazione
di
questo
tessuto
determina
l’insorgenza
di
forme
endometrioidi,
• le
fimbrie
tubariche,
che,
dopo
essere
andate
incontro
a
trasformazione
neoplastica,
possono
dare
origine
a
una
neoplasia
cresce
nell’ovaio.
Da
un
punto
di
vista
morfologico
i
tumori
dell’ovaio
(come
quelli
dell’endometrio
e
del
canale
cervicale)
pos-‐
sono
essere
(ed
è
importante
riconoscerli
ai
fini
terapeutici):
1. sierosi:
sono
quelli
più
frequenti
e
sono
formati
da
un
epitelio
neoplastico
simile
a
quello
della
tuba,
2. mucinosi,
che
producono
muco
e
sono
simili
a
quelli
del
canale
cervicale,
3. endometrioidi,
simili
a
quelli
dell’endometrio.
4. a
cellule
chiare,
formati
da
cellule
con
un
citoplasma
chiaro.
Sono
simili
alla
variante
mulleriana
del
tumore
invasivo
dell’urotelio,
5. transizionali:
sono
rari
e
simili
a
quelli
dell’urotelio,
6. squamosi,
simili
a
quelli
dell’esocervice
(vanno
in
diagnosi
differenziale
con
le
metastasi
ovariche
dei
carcinomi
squamocellulari),
7. misti,
con
più
aspetti
delle
morfologie
precedenti
(es.
sieromucosi),
8. indifferenziati,
se
hanno
perso
tutte
le
caratteristiche
morfologiche
(soprattutto
architetturali)
e
non
si
riesce
a
risalire
all’origine.
1.
TUMORI
SIEROSI
I
tumori
sierosi
dell’ovaio
sono
i
tumori
epiteliali
più
frequenti
(25%
di
tutti
i
tumori
ovarici)
e
sono
caratte-‐
rizzati,
da
un
punto
di
vista
morfologico,
da
un
epitelio
simile
a
quello
tubarico
(controparte
benigna).
Epidemiologia
I
tumori
sierosi
dell’ovario
possono
essere:
a. benigni
(50%),
caratterizzati
da
un
prognosi
eccellente;
b. borderline
(15%),
caratterizzati
da
un’evoluzione
clinica
benigna:
non
danno
metastasi,
ma
in
alcuni
casi
può
esserci
un
impianto
peritoneale
o
linfonodale;
comunque
non
portano
a
morte
la
paziente;
c. maligni
(35%),
distinti
forme
di
basso
e
di
alto
grado
(queste
ultime
con
prognosi
peggiore).
In
gene-‐
rale
possono
essere
altamente
aggressivi
e
associati
ad
alta
mortalità.
La
comparsa
di
questi
tumori
può
essere
messa
in
relazione
all’età
delle
donne:
• in
pre-‐menopausa
insorgono
soprattutto
le
forme
benigne
e
borderline,
• in
post-‐menopausa
insorgono
soprattutto
le
forme
maligne;
questo
conferma
il
fatto
che
le
forme
maligne
possono
derivare
per
progressione
dalle
forme
borderline
e
da
quelle
benigne
(quindi
occor-‐
re
tempo
affinché
ci
sia
la
trasformazione
neoplastica),
• in
età
infantile
sono
estremamente
rari;
in
questa
età
nascono
soprattutto
tumori
germinali.
I
tumori
sierosi
dell’ovaio
possono
essere:
• monolaterali
(20-‐40%),
• bilaterali
(60-‐80%);
o benigni
(20%),
o borderline
e
maligni
(40-‐50%).
Quelli
benigni
sono
generalmente
monolaterali;
poiché
quelli
maligni
possono
essere
bilaterali
il
ginecologo
deve
esplorare
sempre
entrambe
le
ovaie
ed
effettua
spesso,
in
caso
in
cui
ci
siano
aspetti
di
malignità
a
un
ovaio,
l’isteroannessiectomia
bilaterale1
(si
rimuove
anche
l’utero
perché
c’è
un
rischio
di
metastatizzazione
evidente
anche
molto
dopo
l’intervento).
1a.
TUMORI
SIEROSI
BENIGNI
Aspetto
macroscopico
e
classificazione
I
tumori
sierosi
benigni
sono
soprattutto
cistici:
crescono
cioè
formando
una
cisti
rivestita
da
un
epitelio
si-‐
mil-‐tubarico
regolare,
contenente
materiale
sieroso
(liquido
trasparente
e
traslucido;
diventa
più
scuro
se
compaiono
detriti
cellulari),
e
circondata
da
stroma
fibroso
che
può
proliferare
in
maniera
reattiva;
questi
tumori
possono
essere
classificati
in
base
all’aspetto
macroscopico,
ovvero
in
base
al
rapporto
tra
epitelio
neoplastico
e
stroma
ovarico,
in:
• cistoadenoma
(o
cistoma)
sieroso,
se
il
tumore
è
cisti-‐
co
e
lo
stroma
è
scarso
e
assente.
Può
essere
unilocu-‐
lare
(formato
da
una
sola
cavità;
v.
fig.)
o
multiloculare
(formato
da
cavità
multiple
convergenti);
• cistoadenofibroma
sieroso,
se
il
tumore
è
cistico
e
c’è
una
quantità
discreta
di
stroma
fibroso,
• adenofibroma
sieroso,
se
il
tumore
è
cistico
e
lo
stro-‐
1
Prima
di
attuare
questa
procedura
invasiva,
i
ginecologi
tendono
comunque
ad
avere
un
approccio
conservativo,
ope-‐
rando
prima
monolateralmente
ed
esplorando
l’ovaio
controlaterale,
effettuano
una
biopsia
estemporanea
per
accer-‐
tamento
(soprattutto
nelle
donne
in
età
fertile
per
non
precludere
l’attività
di
procreazione).
ma
fibroso
rappresenta
la
componente
prevalente,
• papilloma
superficiale
(raro),
se
il
tumore
non
cresce
come
una
cisti
ma
è
localizzato
a
livello
dell’epitelio
di
superficie.
Queste
lesioni
superficiali
possono
desquamare
e
impiantarsi
nell’ovaio
controlaterale
o
nel
peritoneo.
Da
un
punto
di
vista
macroscopico
la
superficie
interna
delle
cisti
sierose
benigne
è
regolare
e
biancastra.
Aspetto
microscopico
Da
un
punto
di
vista
microscopico:
• l’epitelio
(della
cisti
o
della
lesione
superficiale)
è
monostratificato
e
simile
a
quello
tubarico:
è
formato
da
cellule
alte
(ciliate
e
non
ciliate)
e
intersperse
cel-‐
lule
con
citoplasma
chiaro
(cellule
staminali
di
riser-‐
va).
Non
c’è
atipia
cellulare,
• l’architettura
dell’epitelio
può
essere:
o piatta
(generalmente),
o papillare,
cioè
caratterizzata
da
papille
formate
da
un
sottile
asse
fibrovascolare;
se
sono
ab-‐
bondanti
si
parla
di
cistoadenoma
sieroso
papillifero
(papillare)
o,
se
la
lesione
è
superficiale,
di
papilloma
sieroso
superficiale,
• la
lesione
epiteliale
può
essere
circondata
da
stroma
fibroso;
se
è
abbondante
si
parla
di
cistoadeno-‐
fibroma
o
di
adenofibroma.
Da
un
punto
di
vista
microscopico
l’adenofibroma
(che
macroscopicamente
appare
come
una
massa
solida
biancastra,
per
la
fibrosi
massiva)
è
formato
da
connettivo
fibroso
contenente
cellule
allungate
prive
di
atipia
(come
quelle
dello
stroma
ovarico)
e
in
cui
sono
disperse
piccole
cisti
sierose,
• possono
esserci
corpi
psammomatosi,
ovvero
concrezioni
concentriche
(che
si
formano
per
deposi-‐
zioni
successive
di
calcio
attorno
a
cellule
morte);
sono
presenti
anche
nei
tumori
papillari
del
rene
e
della
tiroide,
e
anche
a
livello
del
pancreas.
Non
hanno
valore
prognostico
ma
solo
diagnostico.
1b.
TUMORI
SIEROSI
BORDERLINE
(A
MALIGNITÀ
INTERMEDIA)
I
tumori
sierosi
borderline
derivano
verosimilmente
dalle
lesioni
benigne
(si
notano
a
volte
in
queste
lesioni
entrambe
le
componenti)
e,
in
generale,
sono
tumori
caratterizzati
da
atipia
ma
prognosticamente
favorevo-‐
li.
Studiamone
l’aspetto
macro-‐
e
microscopico
e
il
comportamento
biologico,
soffermandoci
su:
invasione
microscopica
stromale,
impianto
peritoneale
e
impianto
linfonodale.
Aspetto
macroscopico
Da
un
punto
di
vista
macroscopico,
i
tumori
sierosi
borderline
sono:
• in
generale
di
grandi
dimensioni
(più
grandi
delle
for-‐
me
benigne),
con
diametro
medio
di
8
cm,
• spesso
(35-‐40%)
bilaterali,
come
i
tumori
maligni;
in
tal
caso
c’è
stata
una
modificazione
dell’epitelio
di
super-‐
ficie
che
ha
interessato
entrambe
le
ovaie,
• in
genere
multiloculari
(formati
da
cisti
multiple),
• caratterizzati
da
formazioni
papillari
tozze
sulla
super-‐
ficie
interna,
che
pertanto
non
è
liscia
come
nelle
for-‐
me
benigne
ma
irregolare;
le
papille
sono
tozze
perché
contengono
una
maggiore
quantità
di
stroma,
• caratterizzati,
nel
40%
dei
casi,
anche
da
formazioni
papillari
superficiali
presenti
sulla
superficie
esterna
dell’ovaio,
e
che
non
sono
in
continuità
con
la
cisti:
tali
formazioni
non
sono
diagnostiche
di
una
infiltrazione
di
parete
(aspetto
di
malignità)
ma
sono
solo
indicative
di
una
contemporanea
tra-‐
sformazione
dell’epitelio,
• formati
da
una
componente
fibrosa
(che
può
essere
presente
ma
non
è
così
importante)
e
mai,
a
dif-‐
ferenza
delle
forme
maligne,
da
aree
solide
di
aspetto
carnoso
(fleshy),
• caratterizzati
da
aree
emorragiche
e/o
necrotiche
solo
dopo
torsione
(nelle
forme
maligne
invece
sono
presenti
a
causa
della
crescita
aggressiva
del
tumore).
Aspetto
microscopico
Da
un
punto
di
vista
microscopico,
i
tumori
sierosi
borderline:
• presentano
un’architettura
papillare
ramificata
complessa:
si
osservano
papille
ramificate
tozze
formate
da
un
tronco
e
ramificazioni
secondarie
(nelle
forme
benigne
sono
regolari
e
identiche),
• l’epitelio
delle
papille
è
pluristratificato,
a
diffe-‐
renza
delle
forme
benigne
e
nell’epitelio
normale
tuba
(monostratificato),
e
“tufting”,
ovvero
for-‐
mato
da
piccoli
noduli
epiteliali
sporgenti
in
su-‐
perficie
(come
nel
PIN
a
piccoli
nidi;
non
sono
noduli
con
un
core
stromale),
• presentano
cellule
di
dimensioni
variabili,
con
atipia
nucleare
variabile
(di
basso
grado
o
di
alto
gra-‐
do,
come
nel
PIN),
ovvero
nuclei
grandi
e
nucleoli
prominenti,
e
figure
mitotiche,
• sono
caratterizzati
da
una
diminuzione
delle
cellule
ciliate,
indicative
della
maturazione
dell’epitelio
(le
ciglia
sono
un
marker
di
differenziazione
e
sono
in
numero
ridotto
nelle
forme
borderline,
assenti
nelle
forme
maligne).
In
base
all'entità
di
queste
alterazioni
(che
possono
presentarsi
con
uno
spettro
molto
variabile),
i
tumori
sie-‐
rosi
borderline
vengono
distinti
in
due
sottogruppi:
• forme
con
atipia
minima,
simili
ai
tumori
sierosi
benigni
(la
stratificazione
nucleare
e
il
tufting
sono
leggermente
maggiori
rispetto
alle
forme
benigne),
• forme
con
atipia
importante,
simili
ai
tumori
sierosi
maligni
(con
cui
vanno
in
diagnosi
differenziale)
ma
manca
l’infiltrazione.
Si
distinguono
dalle
forme
maligne
anche
perché
non
sono
presenti
aree
solide
carnose
(fleshy),
né
aree
emorragiche
e
necrotiche
(a
meno
che
non
ci
sia
stata
torsione
della
massa
ovarica
intorno
alle
tube
o
al
legamento
largo;
in
questo
caso
la
necrosi
è
secondaria
all’alterazione
circolatoria
indotta
dalla
torsione,
che
ostacola
il
deflusso
ematico).
Questa
distinzione
è
importante
dal
punto
di
vista
diagnostico
ma
non
da
un
punto
di
vista
prognostico
(?).
Invasione
microscopica
stromale
(microinvasione)
Nel
5-‐10%
dei
casi,
i
tumori
borderline
sono
caratterizzati
da
in-‐
vasione
microscopica
stromale
(inferiore
ai
3
mm);
questo
re-‐
perto
non
fa
porre
diagnosi
di
“carcinoma
minimamente
invasi-‐
vo”
perché
non
impatta
sulla
prognosi
(resta
la
stessa
dei
tumori
borderline,
che
è
favorevole)
e,
di
conseguenza,
non
viene
nean-‐
che
descritto
nel
referto
istopatologico.
Infatti
la
microinvasione
non
aumenta
il
rischio
di
metastasi,
e
anche
la
terapia
rimane
invariata
(ovariectomia
bilaterale);
se
c'è
invasione
superiore
ai
3
mm,
invece,
si
è
in
presenza
di
una
forma
maligna
associata
a
un
rischio
concreto
di
metastatizzazione
e
da
trattare
con
ovariectomia
e
chemioterapia.
I
foci
di
microinfiltrazione
possono
essere
singoli
o
multipli
e
presentare
2
pattern
di
microinvasione
diffe-‐
renti;
si
possono
osservare
(come
nella
vescica):
• cellule
singole
o
in
piccoli
gruppi
con
citoplasma
abbondante
ed
eosinofilo
(differenziazione
para-‐
dossa)
circondate
da
stroma
fibroso
reattivo
(reazione
desmoplastica),
• nidi
epiteliali
o
micropapille
circondate
da
alone
chiaro
artefattuale
di
stroma
mixoide
(come
il
car-‐
cinoma
micropapillare
dell'urotelio).
A
volte,
per
distinguere
nello
stroma
infiltrato
le
cellule
epiteliali
neoplastiche
da
quelle
cellule
stromali
reat-‐
tive,
può
essere
necessario
l'uso
di
tecniche
immunoistochimiche:
per
esempio
anticorpi
anti-‐citocheratine
possono
evidenziare
le
cellule
epiteliali
e
confermare
la
microinfiltrazione.
Come
giù
detto,
l’invasione
microscopica
stromale
è
un
fattore
prognostico
peggiorativo
non
certo.
Impianti
tumorali
peritoneali
od
omentali
Nel
30%
dei
casi,
si
possono
trovare
le
cellule
del
tumore
borderline
a
livello
peritoneale
od
omentale:
si
par-‐
la
di
impianto
tumorale
peritoneale
od
omentale;
a
causa
di
questa
possibilità,
la
terapia
per
le
forme
bor-‐
derline
prevede,
oltre
all’ovariectomia
bilaterale,
l’esplorazione
del
cavo
peritoneale
ed
eventualmente
la
biopsia
omentale.
Questo
reperto,
pur
non
impattando
generalmente
sulla
prognosi,
è
significativo
perché
può
essere
causa
di
recidiva;
quindi,
se
all’ispezione
del
cavo
peritoneale
si
osserva
una
lesione
compatibile
con
impianto
peritoneale
di
tumore
dell’ovaio,
tale
lesione
va
rimossa.
Sono
state
formulate
due
ipotesi
sulla
formazione
degli
impianti:
essi
possono
essere:
• delle
lesioni
sincrone
con
il
tumore
ovarico
sieroso
borderline,
che
originano
da
un
metaplasia
tuba-‐
rica
del
mesotelio
omentale.
Quindi,
secondo
questa
ipotesi
(maggiormente
accreditata),
sia
nell’epitelio
di
superficie
dell’ovaio
sia
nel
peritoneo,
insorgono
contemporaneamente
due
foci
di
metaplasia
tubarica,
da
cui
si
sviluppano
i
rispettivi
tumori
borderline.
A
sostegno
di
questa
ipotesi
c’è
il
fatto
che
l’epitelio
di
superficie
dell’ovaio
e
il
mesotelio
sono
morfologicamente
simili
e
ontolo-‐
gicamente
“imparentati”,
• delle
lesioni
metastatiche,
ovvero
delle
localizzazioni
secondarie
del
tumore
ovarico
borderline
che
si
formano
per
diffusione
celomatica
o
seeding
(le
cellule
tumorali
si
staccano
dalla
superficie
ovarica,
esfoliano
nel
cavo
peritoneale,
e
si
impiantano
sulla
superficie
peritoneale
dove
formano
nidi
di
cel-‐
lule
neoplastiche).
L'impianto
peritoneale
od
omentale
può
presentare
tre
pattern
morfologici
diversi;
può
essere:
• non
invasivo,
se
è
formato
da
una
lesione
che
cresce
nell’epitelio
superficiale
(senza
invade-‐
re),
in
maniera
simile
a
un
tumore
borderline
(si
osserva
una
papilla),
• non
invasivo
con
desmoplasia,
se
è
associato
a
proliferazione
reattiva
del
connettivo
sotto-‐
sieroso
ma
resta
non
invasivo,
• invasivo,
se
l’invasione
supera
i
3
mm
e
si
osserva
una
reazione
desmoplastica
del
connettivo
sotto-‐
sieroso.
E’
l’equivalente
di
un
carcinoma
infiltrante
sieroso
di
basso
grado
delle
sierose;
in
questo
ca-‐
so
la
prognosi
è
infausta
e
alla
terapia
chirurgica
si
associa
chemioterapia
adiuvante.
In
sintesi,
l’epitelio
sieroso
che
si
trova
nelle
cisti
ovariche,
sulla
superficie
dell’ovaio
e
nel
peritoneo,
può
presentarsi
in
differenti
stati
evolutivi
(benigno,
borderline,
invasivo),
che
possono
cambiare
da
un
distretto
a
un
altro
(asincronia
di
progressione).
A
volte
addirittura
si
osserva
una
lesione
peritoneale
in
assenza
di
in-‐
teressamento
dell’ovaio:
sono
lesioni
primitive
che
confermano
l’ipotesi
delle
lesioni
sincrone.
Impianto
linfonodale
In
alcuni
casi
si
possono
osservare
impianti
a
livello
dei
linfonodi
pelvici,
aortici
e,
raramente,
extraddominali.
Gli
impianti
linfonodali
si
formano
a
seguito
dell’impianto
di
cellule
tumorali
nei
linfonodi,
qui
giunte
per
mezzo
dei
vasi
linfatici2.
Sono
lesioni
morfologicamente
identiche
agli
impianti
peritoneali
e
riconducibili
ai
medesimi
processi
di
progressione
di
metaplasia,
tanto
che
frequentemente
queste
due
forme
di
impianto
sono
associate.
Esistono
due
pattern
di
impianto
linfonodale:
esso
si
può
manifestare
con:
• piccole
cisti
con
papille
che
sporgono
nel
lume
(come
nel
tumore
borderline
dell’ovaio),
• cellule
singole,
piccoli
gruppi
di
cellule
e
papille
localizzate
principalmente
nel
seno
sottocapsulare
(come
nella
microinfiltrazione).
Il
seno
sottocapsulare
è
la
sede
principale
delle
metastasi.
L’impianto
linfonodale
va
in
diagnosi
differenziale
con
le
inclusioni
epiteliali
benigne
(endosalpingiosi),
ca-‐
ratterizzate
dalla
presenza
di
epitelio
tubarico
ectopico
a
livello
linfonodale3
sotto
forma
di
cisti
benigne.
L’impianto
linfonodale
non
è
una
metastasi
e
non
rappresenta,
proprio
come
l’impianto
peritoneale,
un
fat-‐
tore
prognostico
sfavorevole.
1c.
TUMORI
SIEROSI
MALIGNI
I
tumori
sierosi
maligni
sono
i
tumori
maligni
dell'ovaio
più
frequenti:
le
forme
di
alto
grado
rappresentano
il
75%
dei
carcinomi
dell’ovaio;
sono
molto
aggressivi
e
hanno
una
prognosi
infausta:
la
sopravvivenza
a
5
anni
del
carcinoma
sieroso
è
del
20-‐40%
nella
forma
di
alto
grado
e
del
50%
nella
forma
di
basso
grado
(rispetto
al
tumore
maligno
endometrioide,
in
cui
è
del
95%).
Aspetto
macroscopico
• Sono
tumori
usualmente
grandi
(più
grandi
di
quelli
borderline),
spesso
bilaterali.
• Generalmente
si
presentano
con
aspetti
misti:
ci
sono
aree
solide
carnose
(fleshy),
cistiche
e
papillari.
• Presentano
frequentemente
aree
emorragiche
e
di
necrosi
tumorale
da
insufficiente
vascolarizzazione
(nelle
forme
borderline
la
necrosi,
quando
presente,
è
da
torsione
e
non
tumorale).
• Infiltrano
(per
più
di
3
mm)
la
capsula
dell'ovaio
e
crescono
sulla
superficie
dell'organo
(nelle
forme
borderline
non
c’è
questa
infiltrazione).
Aspetto
microscopico
Da
un
punto
di
vista
istologico
distinguiamo:
• una
forma
di
basso
grado,
con
atipia
citologica
simile
a
quella
del
tumore
borderline
ma
con
l’aggiunta
dell’infiltrazione
(maggiore
di
3
mm).
E’
meno
frequente,
• una
forma
di
alto
grado,
più
frequente,
formata
da
cellule
francamente
atipiche,
bizzarre
e
pleomor-‐
fe
(possono
essere
anche
multinucleate),
con
scarso
citoplasma
e
nuclei
grandi
con
nucleoli
promi-‐
2
Anche
nei
tumori
papillari
della
tiroide
ci
possono
essere
impianti
(ora
denominati
micrometastasi)
ai
linfonodi
latero-‐
cervicali
(in
passato
si
parlava
di
tiroide
laterocervicale
aberrante);
la
prognosi
rimane
eccellente
e
nella
tiroide
si
tro-‐
vano
tumori
piccolissimi
(poiché
in
passato
non
si
riusciva
a
trovarli,
si
pensava
fosse
tessuto
tiroideo
ectopico)
Per
la
diagnosi,
nelle
forme
papillari,
non
si
fa
lo
svuotamento
del
collo
ma
si
asporta
il
singolo
linfonodo
megalico
(quindi
me-‐
tastatico).
3
Per
analogia,
le
metastasi
linfonodali
di
melanoma
vanno
in
diagnosi
differenziale
con
le
inclusioni
neviche
benigne
dei
linfonodi.
nenti.
L’attività
mitotica
è
alta
e
prognosticamente
è
molto
aggressivo.
Cresce
formando
aree
solide,
più
frequentemente,
ma
anche
ghiandolari
e
papillari;
l’architettura,
nonostante
di
base
sia
solida,
mostra
una
“reminiscenza”
della
componete
sierosa:
c’è
sempre
un
tentativo,
seppur
minimo,
di
differenziazione
papillare,
micropapillare
o
con
lumi
ghiandolari.
Può
essere
tuttavia
completamente
solido
(è
sempre
di
alto
grado).
Quindi
ha
un
aspetto
variabile
che
qualche
volta
causa
problemi
di
diagnosi
differenziale
con
altri
tumori4.
È
importante
tuttavia
fare
una
diagnosi
definitiva5
per
orientare
il
clinico
nella
terapia
più
adeguata.
Patogenesi
In
base
al
tipo
di
mutazione,
le
forme
sierose
possono
essere
sporadiche
(90%)
o
familiari
(10%,
se
si
mo-‐
strano
in
più
membri
di
una
stessa
famiglia),
di
alto
o
di
basso
grado.
• Le
forme
di
basso
grado
sono
sempre
sporadiche
e
derivano
dall’epitelio
di
superficie
che
evolve,
in
progressione,
in:
metaplasia
tubarica,
tumore
borderline,
tumore
borderline
micropapillare,
carcinoma
invasivo
di
basso
grado.
In
sintesi,
le
forme
di
basso
grado
derivano
dalle
lesioni
borderline
dell’epitelio
di
super-‐
ficie
dell’ovaio
e
sono
associate
alla
mutazio-‐
ne
di
BRAF
e
K-‐ras.
Contemporaneamente
si
possono
osservare
lesioni
morfologicamente
identiche
nel
peritoneo.
Am J Surg Pathol ! Volume 29, Number 2, February 2005
• Le
forme
di
alto
grado
possono
essere
spora-‐
diche
o
familiari
e
derivano
dall’epitelio
tuba-‐ type I
rico
delle
fimbrie
della
tuba.
Nelle
fimbrie
not int
model
compare
la
displasia
(dal
punto
di
vista
mor-‐ in the
fologico
è
simile
a
una
modificazione
border-‐ various
framew
line)
che
poi
si
porta
nell’ovaio
ed
evolve
in
un
ogenes
carcinoma
di
alto
grado.
I
were n
Le
mutazioni
nelle
forme
sporadiche
sono
a
the mu
carico
di
BRAF
e
K-‐ras
e
nelle
forme
familiari
a
some
carico
di
BRCA-‐1
e
BRCA-‐2
(geni
coinvolti
nella
a p53
fusely
riparazione
del
DNA);
in
entrambe
le
forme
la
is relat
mutazione
associata
al
passaggio
da
displasia
hand,
cells) c
a
carcinoma
di
alto
grado
è
a
carico
di
p53.
p53 (8
FIGURE 3. Proposed model for the development of ovarian
serous carcinoma. Low-grade serous carcinoma (prototypic
provid
diffuse
type I tumor) develops in a stepwise fashion from an atypical
in rulin
proliferative tumor (APST) through an in situ stage of intra-
it is co
4 epithelial ‘‘micropapillary serous carcinoma’’ (MPSC) or intra-
Qualche
volta
può
inoltre
simulare
anche
altri
tipi
di
tumori
oepithelial
varici,
rendendo
low-grade in
serous
questo
carcinoma
modo
difficile
l’identificazione
(collectively APSTs and stainin
dell’istotipo:
bisogna
fare
comunque
un
tentativo
dal
punto
di
vista
dell’IHC
e
della
morfologia
perché
diversi
tipi
di
tu-‐
MPSCs correspond to ‘‘borderline’’ tumors) before becoming sequen
more
dell’ovaio
richiedono
diversi
tipi
di
approccio
terapeutico.
Quindi
sAPSTs
invasive. i
può
pmay
resentare
come
arise from theun
surface
tumore:
epithelium as an ovarian
• a
cellule
transizionale-‐like
(TTC-‐like),
exophytic tumor or from serous cystadenomas. Low-grade previou
serous carcinomas are associated with frequent KRAS or BRAF I
• pseudoendometrioide:
simile
all’endometrioide,
non
possiede
metaplasia
squamosa
e
non
ha
un
precursore
en-‐
mutations but rare p53 mutations. High-grade serous carci- serous
dometrioide;
nomas develop from the ovarian surface epithelium or signific
• a
cellule
chiare;
inclusion cysts without morphologically recognizable interme-
invasiv
diate stages. High-grade serous carcinomas are characterized
• microcistico
e
signet
ring.
by frequent p53 mutations but rare KRAS and BRAF mutations. quency
5
I
criteri
per
diagnosi
di
carcinoma
sieroso
di
alto
grado
sono
in
parte
morfologici
e
in
parte
immunoistochimici.
Trovare
low-gr
in
un
tumore
solido
dei
lumi
ghiandolari
è
di
grande
aiuto
perché
ci
orienta
verso
o
l’istotipo
sieroso
o
l’endometrioide,
grade
categories designated type I and type II, which correspond to a simil
poi
da
qui
si
procede
con
la
diagnosi
differenziale.
the two main pathways of tumorigenesis. Type I tumors are of BR
low-grade indolent neoplasms that develop in a stepwise invasiv
fashion from borderline tumors. They include in addition to and K
low-grade serous carcinomas, mucinous carcinomas, endome- ports t
trioid carcinomas, malignant Brenner tumors, and clear cell Low-g
As earlier noted, in studies of ovarian and primary and not by the usual (type II) pathway that begins with a
peritoneal high-grade serous carcinomas in which the TP53 mutation. Third, clear-cut mucosal tubal involve-
entire fallopian tubes were carefully sectioned, mucosal ment could have been obscured by overgrowth of the
involvement of the tube, including STICs, was identified pelvic carcinoma. Fourth, the fimbria of the fallopian
in approximately 70% of cases.19 The question arises as tube normally is in intimate contact with the ovarian
to the source of the remaining ovarian carcinomas that surface at the time of ovulation. It is conceivable that
lack evidence of tubal involvement. There are a number when the ovarian surface epithelium is disrupted at the
of possible explanations. First, despite thorough section- time of ovulation, normal tubal epithelial cells from the
Nel
dettaglio,
nelle
forme
di
alto
grado
il
tumore
della
ing, a small STIC could have been missed (unpublished
fimbria
si
porta
nell’ovaio
perché
al
momento
fimbria may be dislodged and implant in the ovary to
dell’ovulazione
la
fimbria
data). Second, occasionally con
neoplasia
high-grade si
trova
in
cform
serous carcinomas ontatto
molto
rcyst
an inclusion avvicinato
(Fig. 2) c on
iwhich
from l
sito
d
a ella
rottura
high-grade
are intimately associated with serous borderline tumors serous carcinoma could develop (see below). Evidence to
del
follicolo,
e
le
cellule
epiteliali
tubariche
and low-grade serous carcinomas. In these cases,atipiche
possono
desquamare
e
impiantarsi
sulla
superfi-‐
the support this notion is the observation that fallopian tube
cie
denudata
(in
cui
l’epitelio
germinativo
è
interrotto
a
causa
dell’ovulazione),
per
poi
formare
una
high-grade tumors have had KRAS mutations identical epithelial cells are easily obtained for culture by flushing
to those in the serous borderline tumors and lacked TP53 the fallopian tube (Shih, Unpublished data).34 This
cisti
da
inclusione,
che
continua
a
crescere
all’interno
dell’ovaio
come
carcinoma
sieroso
maligno
di
mutations.9 This finding suggests that some high-grade mechanism could also explain the development of endo-
serous carcinomas arise from low-grade serous tumors salpingiosis, a lesion composed of glands and papillary
alto
grado.
FIGURE 2. Transfer of normal tubal epithelium to the ovary. A, Anatomical relationship of fallopian tube with the ovary at the
time of ovulation. The fimbria envelops the ovary. B, Ovulation. The ovarian surface ruptures with expulsion and transfer of
the oocyte to the fimbria. The fimbria is in intimate contact with the ovary at the site of rupture. C, Tubal epithelial cells from the
fimbria are dislodged and implant on the denuded surface of the ovary resulting in the formation of an inclusion cyst.
r 2010 Lippincott Williams & Wilkins www.ajsp.com | 437
È
importantissimo
intercettare
quindi
la
displasia
o
carcinoma
intraepiteliale
sieroso
della
tuba
(STIC),
in
particolare
della
fibra,
che
rappresenta
quindi
una
condizione
predisponente;
è
una
sorta
di
lesione
borderline
caratterizzata
da
modificazioni
architetturali
(es.
epitelio
pluristratificato)
e
citolo-‐
gico-‐nucleari6,
che
precedono
il
carcinoma
dell’ovaio. E’
una
neoplasia
intraepitaliale
di
alto
grado
e
qualche
volta
può
a
evolvere
in
un
carcinoma
sieroso
della
tuba
(estremamente
raro)
o
più
frequen-‐
temente
in
un
carcinoma
sieroso
di
alto
grado
dell’ovaio7.
6
Si
osserva
una
fimbria
con
epitelio
pluristratificato
(e
non
monostratificato),
formato
da
cellule
che
tendono
a
forma-‐
re
dei
lumi
accessori,
figure
mitotiche
in
eccesso,
figure
apoptotiche,
nuclei
sono
grandi,
a
volte
rotondi
e
a
volte
pleo-‐
morfi,
con
una
distribuzione
anormale
della
cromatina
(nella
norma
è
distribuita
in
modo
omogeneo,
qui
invece
ci
sono
zolle
di
diverse
dimensioni).
Dal
punto
di
vista
immunoistochimico
abbiamo
positività
per
la
p53.
7
Altre
volte
le
fimbrie
possono
mostrare
lesioni
atipiche,
che
sono
modificazioni
in
qualche
modo
connesse
allo
stato
ormonale
e
non
rappresentano
forme
di
carcinoma
intraepiteliale.
Sono
lesioni
positive
alla
p53
ma
non
si
nota
attività
proliferativa.
È
detta
atipia
con
aspetti
regressive
dell’epitelio.
La
mutazione
a
BRCA18
e
BRCA29
conferisce
ereditarietà
ai
tumori
della
mammella
e
ovarici
nella
donna,
e
ai
tumori
duttali
della
mammella
e
al
carcinoma
della
prostata
nell’uomo.
Poiché
il
rischio
è
aumentato
sono
indicati
un
follow-‐up
stringente
e/o
l’annessiectomia
profilattica
bilaterale10.
2.
TUMORI
MUCINOSI
I
tumori
ovarici
mucinosi
sono
tumori
epiteliali
che
producono
muco,
formati
da
cellule
morfologicamente
simili
a
quelle
tumori
intestinali
e,
in
generale,
del
tratto
gastro-‐enterico.
Sono,
nel
complesso,
meno
fre-‐
quenti
delle
forme
sierose
(rappresentano
il
20%
di
tutti
i
tumori
dell’ovaio).
Come
per
le
forme
sierose
si
distinguono:
• forme
benigne,
come
il
cistoadenoma
mucinoso;
• forme
borderline,
come
il
cistoadenoma
mucinoso
borderline,
formato
da
un
epitelio
simile
a
quello
degli
adenomi
del
grosso
intestino
di
basso
e
alto
grado,
• forme
maligne,
ovvero
i
carcinomi
mucinosi,
simili
all’adenocarcinoma
intestinale.
2a.
TUMORI
MUCINOSI
BENIGNI
(CISTOADENOMA
MUCINOSO)
I
tumori
mucinosi
benigni
hanno
un’incidenza
simile
a
quella
tumori
sierosi
benigni.
Da
un
punto
di
vista
macroscopico
sono
cisti
multiloculari
divise
da
setti
sottili,
di
grandi
dimensioni,
in
ge-‐
nerale
maggiori
di
10
cm
di
diametro
(le
dimensioni
dipendono
dalla
distensione
causata
dalla
produzione
di
muco),
raramente
bilaterali
(5%).
Sono
formate
da
una
superficie
interna
liscia
e
contengo-‐
no
all’interno
muco
“filante”
e
biancastro,
cosa
che
le
ren-‐
de
facilmente
identificabili
dal
punto
di
vista
macroscopico
(e
distinguibili
dalle
forme
sierose,
a
contenuto
limpido).
Anche
in
questo
caso,
se
aumenta
e
prevale
la
componen-‐
te
fibrosa
reattiva,
si
parla
di
cistoadenofibroma
mucinoso
e
di
adenofibroma
mucinoso;
se
cresce
solo
sull’epitelio
di
superficie
è
una
forma
superficiale
mucinosa.
8
Mutazione
BRCA-‐1:
Donne:
tumori
ovarici
nel
25-‐45%
dei
casi
e
fino
al
80-‐85%
tumori
della
mammella.
Questi
insorgono
in
età
•
precoce.
Di
solito
la
presentazione
iniziale
è
alla
mammella.
• Uomini:
aumentato
rischio
di
carcinoma
della
prostata.
9
Mutazione
BRCA-‐2:
• Donne:
tumori
ovarici
nel
10-‐27%
dei
casi
e
nel
40-‐85%
dei
casi
cancro
mammella.
• Uomini:
è
presente
un
duplice
rischio;
il
6%
ha
un
cancro
della
mammella
(nell’uomo
sono
solitamente
carci-‐
nomi
duttali,
perché
non
ha
i
lobuli
sviluppati,
anche
se
qualche
volta
possiamo
avere
forme
lobulari).
C’è
an-‐
che
un
aumentato
rischio
per
carcinoma
di
prostata,
laringe
e
pancreas.
10
Screening
familiare.
Quando
una
paziente
ha
un
tumore
sieroso
alla
mammella
o
all’ovaio
viene
fatto
uno
screening
nei
familiari
per
vedere
se
la
mutazione
è
familiare
o
sporadica.
Ciò
consente,
nel
caso
in
cui
la
mutazione
fosse
familiare,
di
mettere
in
atto
strategie
di
prevenzione:
• mastectomia
sottocutanea
• chemioprevenzione
a
livello
ovarico,
soprattutto
attraverso
contraccettivi
orali.
• meno
frequentemente
viene
fatta
solo
sorveglianza:
le
pazienti
vengono
seguite
con
ecografia
e
dosaggio
del
CA125
• meno
frequentemente
si
fa
annessiectomia
(saplingo-‐ovariectomia)
bilaterale,
che
ovviamente
comporta
ste-‐
rilità.
Nel
confronto
tra
profilassi
chirurgica
e
sorveglianza
si
vede
che
attraverso
la
chirurgia
il
rischio
di
insorgenza
di
cancro
ovarico
e
di
morte
è
vicina
allo
zero,
mentre
con
la
sorveglianza
non
si
riesce
a
prevenire
l’insorgenza
del
cancro
e
quin-‐
di
nemmeno
ad
azzerare
il
rischio
di
morte.
Da
un
punto
di
vista
microscopico
sono
formati
da
un
epitelio
mucosecernente
identico
a
quello
della
muco-‐
sa
intestinale:
cilindrico,
monostratificato,
ricco
di
mu-‐
co
nella
parte
sopranucleare,
privo
di
atipia.
In
passato
si
distinguevano
due
varianti
di
questo
epi-‐
telio
muco-‐secernente
a
seconda
dell’assenza
(varian-‐
te
intestinale)
o
presenza
(variante
endocervicale)
dei
neutrofili;
oggi
non
si
opera
più
questa
distinzione.
2b.
TUMORI
MUCINOSI
BORDERLINE
I
tumori
mucinosi
borderline
sono
formati
da
cisti
multiloculari,
che
hanno
una
maggiore
tendenza
a
crescere
e
a
produrre
muco
(che
distende
la
cisti),
in-‐
fatti
sono
più
grandi
delle
forme
benigne
(diametro
di
10-‐20
cm).
La
superficie
ha
un
aspetto
macroscopico
spugnoso
(come
nel
rene
dell’adulto)
ed
è
ricca
di
mu-‐
co,
che
si
accumula
nelle
cisti
ammassate
tra
di
loro.
Bisogna
valutare
attentamente
dal
punto
di
vista
isto-‐
logico
eventuali
aree
solide
bianche
perché
potrebbero
rappresentare
un’area
di
crescita
eccessiva
di
stroma
ovarico
o
di
adenocarcinoma.
Da
un
punto
di
vista
microscopico
sono
presenti
due
pattern
istologici;
il
tumore
può
essere
simile:
• alla
displasia
di
basso
grado
degli
adenomi
intestinali:
c’è
ancora
un
certo
grado
di
differenziazione
e
l’atipia
è
minima
(i
nuclei
sono
un
po’
allungati,
a
sigaro
e
sono
di
base
monostratificati,
compaiono
ancora
le
cellule
caliciformi,
caratterizzate
da
un
vacuolo
citoplasmatico
con
mucina),
• alla
displasia
di
alto
grado
degli
adenomi
intestinali;
in
questo
caso
il
grado
di
differenziazione
è
mol-‐
to
basso,
le
cellule
sono
maligne
(atipia
importante,
nuclei
molto
pleomorfi,
cellule
caliciformi
più
o
meno
assenti)
ma
manca
l’infiltrazione
stromale
(tumore
mucinoso
borderline
con
carcinoma
in-‐
traepiteliale).
Nel
2%
dei
casi
c’è
una
recidiva,
soprattutto
nell’ovaio
controlaterale.
L’epitelio
può
crescere
formando
delle
strutture
villose
(orientativamente,
come
negli
adenomi
intestinali,
possiamo
avere
strutture
tubulari,
villose
o
tubulo-‐villose),
in
cui
si
osserva
proliferazione
anche
a
livello
su-‐
perficiale
e
non
solo
alla
base
del
villo
(come
nell’adenoma).
Può
esserci
microinfiltrazione
stromale
nel
5-‐10%
dei
casi
ed
è
spesso
multifocale.
Si
parla
di
microinfiltra-‐
zione
se
il
fronte
di
avanzamento
è
di
massimo
3-‐5
mm
(nelle
forme
sierose
il
limite
è
di
3
mm);
sono
presen-‐
ti
diversi
pattern
(proprio
come
nelle
forme
sierose;
a
cellule
singole,
cellule
clavate,
con
architettura
micro-‐
papillare).
La
presenza
di
microinfiltrazione
modifica
la
prognosi.
2c.
TUMORI
MUCINOSI
MALIGNI
I
tumori
mucinosi
maligni
rappresentano
meno
del
5%
dei
carcinomi
dell’ovaio
e
crescono
formando
una
massa
solida
(o
parzialmente
cistica)
con
necrosi,
simile
dal
punto
di
vista
istologico
all’adenocarcinoma
del
grosso
intestino.
Non
c’è
il
classico
aspetto
multiloculare
cistico.
Va
quindi
in
diagnosi
differenziale
con
una
metastasi
di
un
tumore
del
tubo
gastroenterico:
a
tal
proposito,
se
c’è
il
sospetto
di
un
carcinoma
mucinoso,
prima
della
fine
dell’intervento
di
annessiectomia
bisogna
esplo-‐
rare
il
tubo
gastroenterico
per
vedere
se
ci
sono
lesioni
concomitanti
(se
ce
ne
sono
nel
grosso
intestino,
è
probabile
che
le
masse
ovariche
siano
metastasi).
Da
un
punto
di
vista
microscopico
si
osservano:
atipia
cellulare
e
nucleare
elevata,
mitosi
atipiche.
TUMORE
DI
KRUKENBERG
Il
problema
della
diagnosi
differenziale
tra
tumore
primitivo
dell’ovaio
e
metastasi
si
pone
anche
in
altre
cir-‐
costanze;
a
volte
quando
si
asporta
una
massa
ovarica
solida
molto
dura,
che
sembra
quasi
un
tumore
stro-‐
male,
si
può
osservare
all’istologia
la
presenza
di
cellule
signet
ring,
indicative
del
fatto
che
tale
massa
è
una
metastasi
di
un
tumore
signet
ring
del
tratto
gastro-‐enterico
(che
va
esplorato):
si
fa
diagnosi
in
questo
ca-‐
so
di
tumore
di
Krukenberg.
Il
tumore
di
Krukenberg
è
una
metastasi
a
entrambe
le
ovaie
del
carcinoma
maligno
signet
ring
dello
stomaco
o
di
qualsiasi
altra
sede
(es.
intestinale).
E’
caratterizzato
da
un
punto
di
vista
macro-‐
scopico
da
masse
ovariche
bilaterali
solide,
dure
e
biancastre,
e
da
un
punto
di
vista
microscopico
da
cellule
signet
ring
che
crescono
in
un
abbonante
stroma
(andato
incontro
a
proliferazione
proprio
a
causa
della
presenza
delle
cellule
neoplastiche).
Non
è
facile
identificare
tali
cellule
alla
morfologia:
occorre
effettuare
una
colorazione
istochimica
con
D-‐
PAS
(PAS
dopo
digestion)
si
mette
in
evidenza
il
grande
vacuolo
citoplasmatico
di
muco.
Non
ci
sono
le
glo-‐
bet
cells
(che
sono
una
specie
di
controparte
benigna
delle
signet
ring).
Pseudomixoma
peritonei
I
tumori
mucinosi
dell’ovaio
possono
essere
associati
a
pseudomixoma
peritonei:
è
una
condizione
anato-‐
mo-‐clinica
caratterizzata
dalla
presenza
nel
cavo
peritoneale
di
muco
(fino
ad
arrivare
all’ascite
mucinosa),
causata
dalla
disseminazione
peritoneale
di
neoplasie
mucinose
(dell’ovaio,
dell’appendice,
etc).
E’
l’analogo
dell’impianto
peritoneale
nei
tumori
sierosi.
Da
un
punto
di
vista
fisiopatologico
questa
condizione
è
secondaria
alla
presenza
di
un
tumore
mucinoso
in
un
organo
che
prende
rapporto
con
il
peritoneo
(un
tumore
mucinoso
è
formato
da
cellule
mucosecernenti
e
muco
nello
stroma);
poi
da
tale
organo
fuoriescono,
a
causa
di
rottura
o
attraverso
punti
di
minor
resistenza,
muco
e
cellule
mucosecernenti,
che
vanno
a
impiantarsi
nel
peritoneo,
dove
proliferano
e
formano
nastri
di
epitelio
mucosecernente.
Di
conseguenza
inizia
ad
accumularsi
muco
nel
cavo
peritoneale.
Per
esempio
tale
condizione
può
essere
secondaria
alla
rottura
di
una
cisti
ovarica
mucinosa
nel
cui
lume
si
è
accumulato
muco
fino
a
farla
esplodere,
all’interruzione
della
superficie
di
una
cisti
ovarica
mucinosa
(sen-‐
za
esplosione),
o
al
mucocele
dell’appendice
(appendice
dilatata
contenente
muco)
in
cui
il
muco
fuoriesce
dall’organo
attraverso
i
punti
della
parete
appendicolare
in
cui
entrano
i
vasi
perforanti
(sono
loci
minor
resi-‐
stentiae
in
cui
si
possono
formare
anche
diverticoli).
Clinicamente
si
può
manifestare
con
addome
peritonitico
(disteso
e
non
trattabile),
e
addirittura
con
l’occlusione
intestinale
(se
è
molto
esteso).
Le
cellule
nel
peritoneo
possono
essere
di
due
tipi
(con
importanza
prognostica
diversa):
• simili
a
quelle
dei
tumori
borderline
dell’ovaio,
quindi
prive
di
aggressività,
• simili
a
quelle
di
un
adenocarcinoma,
quindi
molto
aggressive.
E’
come
se
ci
fosse
una
metastasi
o
la
carcinosi
peritoneale;
ma
non
si
parla
di
carcinosi
peritoneale
perché
in
essa
ci
sono
molte
cellule
e
poco
muco,
in
questo
caso
invece
il
muco
è
abbondante.
Da
un
punto
di
vista
chirurgico
in
queste
condizioni,
oltre
all’asportazione
della
massa
ovarica
mucinosa
è
in-‐
dicata
l’appendicectomia
profilattica11
(perché
nell’appendice
potrebbe
esserci
una
patologia
analoga).
11
Quando
il
chirurgo
(es.
ginecologo)
sta
operando
un
tumore
ovarico
e
non
sa
se
estendere
l’intervento
all’appendice
per
l’incerta
natura
del
tumore
(mucinoso
o
no)
può
fare
due
cose:
una
volta
asportato
può
inviare
un
pezzo
per
essere
analizzato
in
estemporanea
oppure
può
aprire
la
cisti
e
vedere
se
il
contenuto
è
mucinoso/gelatinoso.
La
cosa
più
temi-‐
bile
che
può
accadere
al
chirurgo
è
che
la
cisti
si
rompa
durante
l’asportazione:
se
è
una
forma
benigna
non
accade
nul-‐
la,
ma
se
la
forma
primitiva
è
borderline
o
maligna
la
recidiva
in
peritoneo
è
certa
e
quindi
il
chirurgo
deve
fare
una
puli-‐
zia
accurata
della
cavità
peritoneale
in
associazione
ad
una
chemioterapia
endoaddominale.
3.
TUMORI
ENDOMETRIOIDI
I
tumori
endometriodi
dell’ovaio
sono
neoplasie
caratterizzate
da
cellule
che
per
morfologia
e
pattern
di
crescita
ricordano
i
tumori
dell’endometrio
in
cui
l’epitelio,
ovvero
crescono
formando
strutture
simili
alle
ghiandole
endometriali.
Si
distinguono
in:
• benigni:
hanno
la
morfologia
di
un
adenofibroma
con
cellule
di
tipo
endometriale
in
genere
proliferative.
Si
osserva
quindi
una
formazione
cistica
rivestita
all’interno
da
endometrio
normale
che
cresce
asso-‐
ciato
allo
stroma
ovarico
(simile
a
una
cisti
endome-‐
triosica
ma
priva
di
stroma
citogeno);
• borderline:
è
una
formazione
cistica
(adeno-‐
o
cistoadenofibroma)
rivestita
da
endometrio
citologi-‐
camente
simile
a
quello
dell’iperplasia
adenomatosa
atipica,
con
crescita
più
o
meno
papillare;
• maligni:
sono
formazioni
a
crescita
solida
che
possono
presentare
aree
emorragiche
e
di
necrosi;
da
un
punto
di
vista
microscopico
sono
formati
da
un
epitelio
simile
a
quello
dell’adenocarcinoma
en-‐
dometrioide
dell’utero.
A
differenza
della
forma
borderline:
le
ghiandole
presentano
crescita
con-‐
fluente,
c’è
sostituzione
dello
stroma,
la
crescita
papillare
diventa
estensiva.
Rappresentano
l’8-‐10%
dei
carcinomi
maligni
dell’ovaio.
Vanno
in
diagnosi
differenziale
con
le
forme
sierose
di
alto
grado,
da
cui
differiscono
per
l’assenza
di
ciglia
e
per
l’espressione
di
marker
immunoistochimici
(da
studiare
nei
casi
dubbi);
le
forme
sierose
di
alto
grado
esprimono
p53
(90%)
e
WT1
(80%),
che
si
riscontrano
solo
nel
10%
dei
carcinomi
en-‐
dometrioidi12.
Questa
distinzione,
non
sempre
facile
all’esame
macroscopico,
impatta
sulla
terapia.
4.
TUMORI
A
CELLULE
CHIARE
I
tumori
a
cellule
chiare
sono
tumori
estremamente
rari
simili
a
quelli
che
insorgono
nella
variante
mulleria-‐
na
del
carcinoma
uroteliale
invasivo;
non
devono
essere
confusi
con
il
carcinoma
a
cellule
chiare
del
rene.
Si
distinguono
forme
benigne,
borderline
e
maligne;
nella
maggior
parte
dei
casi
sono
maligni.
L’aspetto
macroscopico
è
aspecifico:
sono
formazioni
solide
con
aspetti
emorragici.
Da
un
punto
di
vista
mi-‐
croscopico
si
osservano
isole
solide
visibili
come
spazi
chiari,
formate
da
cellule
chiare
proliferanti
(simili
a
quelle
della
corticale
del
surrene13)
con
un
nucleo
spostato
verso
il
lume
e
una
morfologia
simile
a
un
chiodo
(la
testa
del
chiodo
corrisponde
al
nucleo
e
il
peduncolo
al
citoplasma
chiaro);
sembrano
contenere
muco
ma
sono
PAS-‐negative.
A
differenza
delle
forme
endometriodi
e
sierose,
con
cui
va
in
diagnosi
differenziale,
non
esprime
i
recettori
per
gli
estrogeni;
non
esprime
neanche
p53
e
WT1.
5.
TUMORI
UROTELIALI
(TUMORE
DI
BRENNER)
I
tumori
uroteliali
ovarici
sono
neoplasie
che
derivano
dalla
trasformazione
di
un’area
di
metaplasia
urotelia-‐
le
dell’epitelio
ovarico
(in
cui
possono
esserci
nidi
di
Brunn).
Sono
benigni
nella
maggior
parte
dei
casi.
Il
tumore
di
Brenner
è
un
raro
tumore
ovarico
uroteliale
benigno
caratterizzato
dalla
presenza
nello
stroma
(diventato
prominente)
di
nidi
di
cellule
uroteliali,
simili
a
quelli
della
cistite
cistica
(nido
di
Brunn
con
il
lume)
12
Il
carcinoma
psudoendometrioide
è
un
tumore
sieroso
di
alto
grado
che
simula
morfologicamente
un
tumore
endo-‐
metrioide,
ma
con
l’immunoistochimica
uguale
alle
forme
sierose
di
alto
grado.
13
A
livello
dell’ovaio
possiamo
trovare
residui
di
altri
organi,
compresa
la
corticale
del
surrene
che
possono
avere
cito-‐
plasma
chiaro.
Quindi
un
tumore
a
cellule
chiare
va
in
diagnosi
differenziale
con
la
corticale
del
surrene
ectopica
(può
essere
presente
anche
nel
rene
e
nel
testicolo).
e
ghiandolare,
che
mostrano
positività
a
GATA-‐3.
Il
patologo
è
allertato
durante
l’esame
macroscopico
per-‐
ché
osserva
che
nell’ovaio
ci
sono
masse
dure
al
taglio:
i
noduli
sono
infatti
duri
e
solidi.
La
presenza
di
cellule
uroteliali
atipiche
è
invece
suggestiva
di
un
tumore
ovarico
uroteliale
borderline.
Il
carcinoma
uroteliale
(o
transizionale)
dell’ovaio,
rarissimo,
è
invece
caratterizzato
da
infiltrazione
dello
stroma
e
da
una
crescita
neoplastica
diffusa;
va
in
diagnosi
differenziale
con
una
metastasi
di
un
carcinoma
uroteliale
vescicale14.
PROGNOSI
DEI
TUMORI
OVARICI
EPITELIALI
Gallo 16.qxd 4-10-2007 13:22 Pagina 1003
La
prognosi
dei
tumori
ovarici
epiteliali
dipende
da:
• tipo
istologico:
il
sieroso
è
il
più
aggressivo;
• grado:
possono
essere
di
basso
o
alto
grado;
• stadio
(secondo
FIGO):
che
aumenta
con
la
diffusione
della
malattia;
il
punto
cruciale
della
diffusione
Patologia degli annessi
tumorale
è
il
superamento
della
superficie:
se
il
tumore
supera
la
superficie
dell’ovaio
può
dissemi-‐
narsi
nel
peritoneo
e
dare
metastasi
per
via
celomatica.
Per
dare
metastasi
per
via
ematica
invece
le
cellule
neoplastiche
devono
invadere
l’ilo
ovarico,
dove
ci
sono
i
vasi.
[non
va
studiata]
TABELLA 16.9 Stadiazione delle neoplasie ovariche (FIGO, 2002).
TUMORI
documentano OVARICI
RARI
neoplastiche nel liquido ascitico o
cellule vante, che deve comprendere la raccolta di liquido pe-
I
tumori
dello
stroma
ovarico
sono:
fibroma,
fibromiosarcoma,
leiomioma,
leiomiosarcoma
(quando
si
ha
un
leio-‐
•nel liquido di lavaggio peritoneale. ritoneale per l’esame citologico o/e il prelievo di liqui-
miosarcoma
dell’ovaio
bisogna
escludere
che
sia
stato
un
do di lavaggio
tumore
peritoneale
primitivo
dell’utero
con
che
hsoluzione fisiologica; la
a
infiltrato).
Diffusione e stadiazione biopsia di ogni lesione sospetta onde
• I
tumori
germinali
sono
identici
a
quelli
del
testicolo:
seminoma,
embrionario
e
del
sacco
vitellino.
evidenziare in tal
Il sistema di stadiazione usato per le neoplasie maligne modo focolai neoplastici microscopici.
• Le
metastasi
nell’ovaio
derivano
principalmente
dal
tubo
GI,
e
vanno
in
DD
con
le
forme
mucinose.
ovariche è quello codificato dalla FIGO (Tabella 16.9).
Nel
90%
dei
casi,
il
carcinoma
ovarico
è diagnosticato in
14 Neoplasie epiteliali
fase Per
dila
diffusione diagnosi
differenziale
extrapelvica (stadio con
il
carcinoma
III-IV). In uroteliale
questi Rappresentano il 60% delle neoplasie ovariche. Colpi-
della
vescica
casi, nonostante il miglioramento delle tecniche (TCC-‐B)
dobbiamo
considerare
che
chirur-
nell’ovaio
scono sia le donne in età riproduttiva che quelle in età
esistono
due
tipi
di
carcinomi
uroteliali:
quelli
Brenner-‐type
giche e delle terapie mediche adiuvanti, la percentuale di avanzata. Derivano dall’epitelio di superficie ovarico di
(Brener)
sopravvivenza e
quelli
a non-‐Brenner-‐type
5 anni non supera (TCC-‐O).
il 20%. Al L’uroplachina
contrario, 3
origine mesoteliale e dal sottostante stroma ovarico.
è
presente
nel
40%
dei
casi
del
TTC-‐B,
in
circa
l’80%
dei
casi
se la malattia è diagnosticata quando è limitata alle ovaie Sono classificate secondo il tipo cellulare:
del
(stadio Brenner
I), lae
sopravvivenza raramente
(6%)
a 5dei
anni casi
èddel el
T90%.
CC-‐O.
– sieroso;
Il tumore ovarico, crescendo sulla superficie dell’orga- – mucinoso;
no o in seguito a rottura della capsula che lo contiene, – endometrioide;
diffonde facilmente alla superficie peritoneale per dis- – a cellule chiare;
seminazione, e grazie alla presenza di liquido perito- – transizionale;
neale può impiantarsi sull’omento, sulle sierose, sui me- e vengono sottoclassificate in base agli aspetti architettura-
29.
PATOLOGIA
DELLA
GRAVIDANZA
La
gravidanza
è
un
evento
fisiologico
e
dura
40
settimane.
Se
la
gravidanza
diventa
patologica,
l’esame
del-‐
la
placenta
diventa
fondamentale.
Studiamo
la
istologia
della
placenta
e
l’esame
placentare,
e
poi
la
malat-‐
tia
gestazionale
del
trofoblasto.
PLACENTA
ISTOLOGIA
E
FORMAZIONE
DELLA
PLACENTA
Con
la
fecondazione
si
forma
lo
zigote,
che
diventa,
a
seguito
della
segmentazione
(dopo
3
giorni)
una
mo-‐
rula
e
poi
una
blastocisti,
costituita
da:
• embrioblasto:
parte
interna,
da
cui
derivano
l’embrione,
il
cordone
ombelicale
e
l’amnion,
• cavità
blastocistica,
• trofoblasto:
parte
esterna,
da
cui
origina
la
placenta.
A
6
giorni
dalla
fecondazione
il
trofoblasto
si
impianta
nell’endometrio
attraverso
il
polo
embrionale
e
si
differenzia
in:
• citotrofoblasto
(CTF),
formato
da
cellule
mononucleate
che
inizial-‐
mente
non
sono
a
contatto
con
i
tessuti
materni
ma
con
la
cavità
del-‐
la
blastocisti
(strato
interno),
• sinciziotrofoblasto
(STF),
formato
da
cellule
plurinucleate
che
sono
a
contatto
con
i
tessuti
materni
(stra-‐
to
esterno).
L’impianto
è
molto
importante
perché
è
visibile
anche
dal
patologo.
Per
impiantarsi
la
blastocisti
deve
in-‐
durre
delle
modificazioni
all’endometrio,
il
quale
è
molto
suscettibile
all’azione
ormonale:
il
progesterone
lo
trasforma
in
endometrio
gravidico
e
poi
l’HCG
in
decidua,
al
fine
di
fornire
il
nutrimento
all’embrione
nel-‐
le
fasi
iniziali.
Nel
STF
si
formano
delle
trabecole,
ovvero
delle
lacune
che
vengono
riempite
dal
sangue
materno
derivan-‐
te
dalla
rottura
dei
capillari
endometriali,
determinando
la
formazione
di
una
circolazione
utero-‐placentare
primordiale.
Il
CTF,
in
contatto
con
la
cavità
della
blastocisti,
forma
il
piatto
corionico
primitivo.
Le
cellule
del
CTF
si
estendono
tra
le
trabecole
del
STF
e
vengono
a
contatto
con
l’endometrio:
la
proliferazione
è
più
spessa
al
polo
di
impianto
dove
più
tardi
si
formerà
il
disco
placentare.
La
placenta
progressivamente
cresce
fino
a
essere
visibile
macroscopicamente:
questa
proliferazione
del
CTF
tra
le
trabecole
del
STF
porta
alla
formazione
dei
villi
corionici,
che
rappresentano
l’unità
della
placenta
e
sono
inizialmente
primari,
poi
secondari.
• I
villi
corionici
primari
non
sono
altro
che
l’estensione
del
CTF
nel
STF;
in
altre
parole
sono
formati
da
uno
strato
esterno
di
STF
e
da
uno
interno
di
CTF.
• I
villi
corionici
secondari
si
formano
in
terza
settima-‐
na
e
presentano,
in
aggiunta,
un
core
di
tessuto
con-‐
nettivo
derivato
dallo
strato
mesenchimale
del
piat-‐
to
corionico
primitivo.
Alla
fine
della
terza
settimana
il
sangue
embrionale
comincia
a
fluire
attraverso
i
capillari
dei
villi.
• Si
parla
di
villi
corionici
terziari
quando
diventano
vi-‐
sibili
i
vasi
sanguigni
dell’embrione
sempre
nel
villo.
Sono
villi
più
maturi,
in
cui
si
riduce
il
connettivo
e
compaiono
i
vasi.
Successivamente
al
sito
di
impianto
i
villi
accrescono
maggiormente
(corium
frondosum)
e
lì
si
forma
la
pla-‐
centa
definitiva;
nella
parte
periferica
(extra-‐sito
di
impianto)
i
villi
che
si
erano
sviluppati,
formando
una
sorta
di
placenta
circonferenziale,
regrediscono
(corium
laeve).
La
placenta
al
secondo
trimestre
di
gravidanza
presenta
villi
primari,
secondari
e
terziari,
mentre
quella
a
termine
ha
dei
grandi
villi
soprattutto
terziari
(perché
a
questo
punto
le
membrane
tra
il
trofoblasto
e
il
va-‐
so
devono
essere
sottilissime
per
favorire
uno
scambio
velocissimo).
Se
abbiamo
solo
mesenchima
ci
tro-‐
viamo
a
che
fare
con
villi
molto
primitivi.
Nei
villi
si
possono
notare
delle
cellulare
più
sgargianti
che
sono
le
cellule
istiocitarie
dei
villi
(cellule
di
Hofbauer)
che
hanno
un
ruolo
fondamentale
nella
guarigione
di
pato-‐
logie
infettive
della
placenta.
La
placenta
è
in
continuità
con
il
sacco
amniotico
che
circonda
il
feto
che
è
formato
dalle
membrane
extra-‐
placentari
ovvero
amnios
e
corion
che
insieme
formano
la
membrana
amniocoriale,
circondate
dalla
deci-‐
dua.
Sono
queste
membrane
che
si
rompono
quando
si
ha
la
rottura
delle
acque.
Al
termine
della
maturazione
la
placenta
è
formata
da
2
versanti:
• il
versante
fetale,
definito
piatto
corionico
(da
dove
partono
i
villi
corionici),
rivestito
da
una
mem-‐
brana
(amnios)
bagnata
dal
liquido
amniotico.
In
questo
versante
decorrono
le
arterie,
che
portano
il
sangue
poco
ossigenato
dal
feto
alla
placenta,
e
le
vene,
che
porta
il
sangue
ossigenato
dalla
pla-‐
centa
al
feto;
questi
vasi
convergono
in
vasi
più
grandi
e
infine
nei
vasi
del
cordone
ombelicale;
• il
versante
materno,
formato
dalla
decidua
e
dalla
componente
fetale
della
placenta.
In
questo
ver-‐
sante
arriva
il
sangue
della
madre,
che
viene
riversato
nello
spazio
intervilloso
per
andare
a
fare
gli
scambi
coi
villi.
In
particolare,
il
sangue
presente
negli
spazi
intervillosi
proviene
da
80-‐100
arterie
spirali
endometriali
che
si
capillarizzano
all’interno
degli
spazi
per
poi
ritornare
nella
circolazione
materna
attraverso
le
vene.
In
sintesi
nel
core
di
villi
c’è
il
plesso
capillare
dei
vasi
ombelicali,
nello
spazio
intervilloso
esterno
viene
ri-‐
versato
il
sangue
materno,
e
attraverso
l’epitelio
dei
villi,
che
fa
da
barriera,
avvengono
gli
scambi
di
gas
e
nutrienti.
ASPETTO
MACROSCOPICO
DELLA
PLACENTA
NORMALE
La
placenta
rappresenta
la
principale
sede
di
scambio
di
so-‐
stanze
nutritive
e
gas
tra
madre
e
feto
ed
è
divisa
in
lobi
detti
cotiledoni
(da
10
a
40)
delimitati
da
setti
intercotile-‐
donari,
che
derivano
dalla
decidua.
Al
centro
di
ogni
lobo
può
essere
reperta
una
o
più
arterie
spirali.
Una
placenta
a
termine
è
ricoperta
da
membrane
e
presen-‐
ta
il
cordone
ombelicale
che
può
impiantarsi
in
qualsiasi
punto
(centrale
o
più
laterale)
e
che
normalmente
è
spira-‐
lizzato.
Quando
le
membrane
si
rompono,
o
spontanea-‐
mente
o
su
induzione,
il
liquido
amniotico
esce.
Macroscopicamente
all’esterno,
sulla
superficie
fetale,
si
rilevano
dei
piccoli
abbozzi
che
sono
i
cotiledoni,
mentre
la
superficie
materna
è
liscia.
Successivamente
si
fanno
dei
tagli
e
la
si
rovescia
a
90°
per
vedere
come
è
fatta
dentro.
La
placenta
è
spessa
2,5-‐3
cm
quindi
il
blocchetto
certe
volte
riesce
a
prendere
tutte
e
due
le
superfici,
sia
materna
che
fetale,
in
un’unica
sezione;
se
è
presente
una
patologia
della
madre
si
valutano
il
versante
ma-‐
terno
e
la
decidua
gravida1,
mentre
se
è
presente
una
patologia
fetale
si
valutano
i
villi
e
le
membrane,
quindi
il
trofoblasto.
ESAME
PLACENTARE
L’esame
della
placenta
può
aiutare
a:
• comprendere
le
cause
di
morte
fetale,
di
nascita
prematura,
di
ritardo
di
crescita
intrauterina,
• comprendere
se
le
cause
di
danno
al
feto
sono
acute
(es.
distacco
della
placenta)
o
croniche
(es.
in-‐
fezioni),
• identificare
condizioni
con
rischio
di
ricorrenza.
Infatti
alterazioni
strutturali
della
placenta
espon-‐
gono
la
madre
al
rischio
di
avere
feti
malformati,
patologie
e
aborti
ripetuti.
La
decisione
viene
presa
dal
ginecologo
e
dovrebbe
essere
clinicamente
orientata.
INDICAZIONI
ALL’ESAME
PLACENTARE
L’esame
della
placenta
viene
eseguito
in
caso
di:
• gravidanza
patologica:
gravidanza
in
cui
non
tutto
sta
andando
bene
anche
se
magari
il
neonato
nasce
normale.
Possiamo
avere
diverse
cause:
o diabete,
o gestosi
gravidica
(innalzamento
della
pressione
associato
o
meno
ad
albuminuria:
è
definita
pre-‐eclampsia
e
la
paziente
è
a
rischio
di
attacchi
ipertensivi
e
trombosi);
o ipertensione;
1
Se
in
un
raschiamento
riesco
ad
individuare
il
sito
d’impianto,
anche
se
non
vedo
i
villi,
posso
dire
che
è
una
gravi-‐
danza
uterina,
mentre
se
vedo
endometrio
trasformato
dal
progesterone
non
posso
essere
certa
che
lo
sia.
o malattie
autoimmuni;
o minaccia
d’aborto;
o infezioni
in
gravidanza.
• alterazioni
di
crescita:
fisiologicamente
l’incremento
delle
dimensioni
viene
calcolato
con
ecografie
progressive.
Il
mancato
raggiungimento
dei
percentili
ogni
tre
mesi
è
indicativo
di
qualche
altera-‐
zione;
• alterazioni
della
cronologia
del
parto:
in
media
la
gravidanza
dura
40
settimane,
ma
nei
casi
di
par-‐
ti
pretermine
si
conserva
la
placenta
perché
il
feto
non
ha
raggiunto
la
sua
maturità
completa;
• malformazioni
del
feto:
la
placenta
può
essere
una
spia
di
esse
ma
non
risulta
così
utile;
• alterazioni
degli
annessi:
possono
essere
documentate
prima
del
parto,
anche
di
qualche
settima-‐
na.
Un
esempio
molto
importante
è
la
rottura
prematura
delle
membrane
(PROM,
premature
rup-‐
ture
of
membranes),
dove
il
rischio
di
infezione
diventa
molto
elevato
e
quindi
l’esame
della
pla-‐
centa
è
necessario;
• parti
gemellari;
• morte
fetale.
L’esame
della
placenta
può
essere
utile
in
caso
di
morte
di
un
feto
potenzialmente
vitale;
il
feto
si
considera
vitale
dopo
la
21esima
settimana
di
gestazione.
Una
morte
endouterina
prima
delle
21
settimane
si
consi-‐
dera
prodotto
abortivo,
cioè
che
non
sarebbe
stato
vitale.
Dopo
la
21esima
settimana
il
feto
anche
se
pre-‐
maturo
è
considerato
vitale
e
quindi
la
richiesta
del
reparto
sarà
di
riscontro
diagnostico
(autopsia).
E’
stata
emanata
una
legge
a
livello
nazionale
nella
quale
si
obbligano
gli
ospedali
ad
effettuare
esame
au-‐
toptico
su
feti
morti
dopo
la
25esima
settimana
gestazionale
per
cause
inaspettate,
sono
quindi
esami
su
feti
vitali
ma
molto
precoci
(ovviamente
con
esame
della
placenta
annesso).
ESECUZIONE
DELL’ESAME
PLACENTARE
All’esame
macroscopico,
la
placenta
viene
valutata
secondo
un
protocollo
condiviso
con
ginecologi
e
medi-‐
ci
legali,
che
prevede
la
valutazione
di
dimensioni,
peso
(la
placenta
a
termine
pesa
circa
450-‐550
g),
even-‐
tuali
alterazioni.
Nel
caso
in
cui
non
ci
siano
aspetti
rilevanti
di
patologia
all’esame
macroscopico,
non
si
esegue
l’esame
mi-‐
croscopico;
ma
comunque
vengono
preparati
dei
blocchetti
che
vengono
inclusi
in
paraffina
e
tenuti
in
ar-‐
chivio,
nell’eventualità
che,
a
distanza
di
qualche
giorno,
il
clinico
noti
qualche
problema
al
neonato
o
alla
madre
che
possa
correlare
con
una
patologia
evidente
a
livello
placentare:
in
tal
caso
i
blocchetti
vengono
ripresi,
tagliati
e
osservati
al
microscopio.
Molti
prodotti
abortivi
che
arrivano
all’anatomia
patologica
sono
materiali
ottenuti
in
seguito
ad
un
“ra-‐
schiamento”
(il
ginecologo
raschia
la
mucosa
endometriale)
eseguito
in
caso
di
aborti
spontanei:
in
questa
fase
la
placenta
o
non
si
è
formata
per
niente
(sta
avvenendo
l’impianto)
o
si
è
appena
formata.
In
questo
caso
l’AP
deve:
• analizzare
se
i
villi
sono
presenti,
indicativi
di
una
gravidanza
intrauterina,
o
assenti:
potrebbero
es-‐
sere
indicativi
di
una
gravidanza
extrauterina
tubarica,
• indagare
le
cause
dell’aborto
(cosa
molto
difficile).
In
queste
situazioni
precoci,
nella
maggior
parte
dei
casi,
siamo
di
fronte
ad
aborti
sporadici
e
quindi
non
serve
indagare
la
causa
mentre
in
alcuni
casi,
se
siamo
di
fronte
ad
aborti
ripetuti,
è
necessario
cercare
di
identificare
una
spiegazione.
Dopo
la
21esima
settimana
è
presente
la
placenta
e
l’esame
è
più
complesso
e
prevede
la
valutazione
di:
a. cordone
ombelicale,
di
cui
bisogna
valutare:
• l’inserzione
nel
piatto
coriale
(mancata
o
parziale):
se
è
troppo
marginale
o
si
inserisce
sulle
membrane,
il
feto
soffre
a
causa
del
difetto
di
vascolarizzazione
e
si
ha
morte
fetale,
la
lunghezza
(>32
cm):
se
è
troppo
corto
si
avranno
problemi
di
•
motilità,
se
è
troppo
lungo
c’è
il
rischio
di
attorcigliamento
in-‐
torno
al
collo
oppure
può
essere
maggiormente
suscettibile
a
schiacciamento,
con
conseguente
ipovascolarizzazione
e
morte
fetale,
• il
numero
di
vasi:
di
norma
è
formato
da
2
arterie
ombelicali
e
da
1
vena;
la
presenza
di
una
sola
arteria
causa
insufficiente
os-‐
sigenazione,
• la
presenza
di
spiralizzazione
del
funicolo
tra
le
vene
e
le
arterie
(come
una
scala
a
chiocciola).
L’assenza
di
spiralizzazione
(i
vasi
decorrono
dritti)
è
indice
di
una
mancata
maturazione
e
fa-‐
vorisce
anche
la
formazione
di
nodi
quindi
l’insorgenza
di
difetti
di
vascolarizzazione.
Si
è
visto
che
sono
maggiormente
frequenti
nelle
gravidanze
complicate,
b. membrane
extraplacentari,
che
vengono
separate
dal
disco
placentare;
esse
sono
costituite
dalla:
• membrana
amniocoriale,
che
è
formata
(portandosi
dalla
cavità
amniotica
verso
la
decidua)
da
epitelio
amniotico,
stroma
amniotico,
stroma
corionico,
epitelio
corionico,
• decidua
capsulare.
Di
esse
si
valuta
(dopo
averle
separate
dal
disco
placentare):
• se
l’inserzione
è
normale
cioè
se
ha
una
posizione
marginale
nel
disco
placentare,
• il
colore
e
la
trasparenza
la
cui
modificazione
spesso
è
indice
di
flogosi:
fisiologicamente
sono
incolori,
trasparenti,
lisce
e
lucenti.
Il
problema
maggiore
delle
membrane
ex-‐
tra-‐placentari
è
la
patologia
infettiva:
il
patogeno
raggiungere
gli
annessi
passan-‐
do
per
via
vaginale-‐transcervicale
(ascen-‐
dente)
in
caso
di
PROM,
per
via
ematoge-‐
na
(e
interessa
soprattutto
il
piatto
basa-‐
le),
per
via
transuterina
(iatrogena,
duran-‐
te
una
manovra
di
diagnosi
prenatale).
Un’infezione
della
membrana
corioamniotica
prende
il
nome
di
corioamniosite,
che
può
essere
la
causa
della
morte
intrauterina
del
feto
(occorre
in
questo
caso
valutare
anche
il
feto
e
cercare
i
se-‐
gni
di
un’infezione).
Nell’esame
microscopico
bisogna
considerare
che
la
fibrina
nel
corion
è
normalmente
presente
e
non
è
un
segno
di
necrosi
o
infiammazione;
in
caso
di
corioamniosite
si
osservano
un
infiltrato
in-‐
fiammatorio,
aree
necrotiche
e
ascessuali,
l’inspessimento
dell’epitelio
del
corion.
Infine,
la
certezza
dell’interessamento
del
feto
è
la
presenza
dell’infiltrato
granulocitario
nei
vasi
del
funicolo:
si
può
nei
casi
estremi
(grave
funiculite)
vedere
il
coinvolgimento
a
tutto
spessore
dell’arteria
ombelicale
e
anche
del
lume
con
la
possibilità
di
trombosi
settica.
c. disco
placentare,
di
cui
si
valutano
macroscopicamente:
• il
peso
della
placenta,
che
va
confrontato
con
le
medie
di
peso
per
quel
determinato
periodo
di
gravidanza.
Nella
maggior
parte
dei
casi
si
esaminano
placente
a
termine,
il
cui
peso
è
intorno
ai
450-‐550
g.
Variazioni
di
peso
(diminuzione
o
aumento)
possono
essere
suggestive
di
una
pa-‐
tologia,
• le
dimensioni,
• la
struttura
dei
vasi
coriali,
• la
presenza
di
emorragie
ed
ematomi
(tipici
del
distacco
placentare),
• la
presenza
di
infarti
e
necrosi,
• i
depositi
di
fibrina
subcoriali,
• l’impianto
anomalo
(placenta
accreta,
increta,
percreta):
può
essere
anomalo
per
sede
o
per
profondità.
In
condizioni
normali
il
trofoblasto
invade
la
decidua
(endometrio)
in
modo
con-‐
trollato
e
converte
le
arteriole
spirali
in
vasi
utero-‐placentali,
i
quali
di
norma
dopo
il
parto
si
contraggono
e
permettono
il
distacco
della
placenta;
invece
nella
placenta
accreta
la
decidua
non
si
forma
perché
l’endometrio
è
mancante
(e
ciò
impedisce
che
si
generino
questi
vasi
della
relazione
placenta-‐utero
e
di
conseguenza
il
distacco
della
placenta,
al
momento
del
parto,
non
avviene;
accreta
è
increta
hanno
sottili
differenze
di
significato
pertanto
possono
essere
utilizzati
come
sinonimi).
Questo
si
verifica
più
frequentemente
in
caso
di
placenta
previa
(impianto
della
placenta
sopra
l’orifizio
uterino
interno):
“previa”
si
dice
di
una
placenta
che
si
impianta
nella
parte
bassa
dell’utero,
significa
che
sta
“pre
via”
cioè
ostruisce
la
strada
di
uscita
del
feto
dal
canale
del
parto;
inoltre
in
questo
distretto
l’endometrio
manca
o
è
molto
scarso.
Questo
è
già
un
motivo
per
fare
comunque
un
cesareo
altrimenti
all’inizio
del
parto
il
feto
si
incunea
e
non
ha
modo
di
uscire.
La
placenta
accreta
può
essere
associata
ad
emorragie
potenzialmente
fatali
e
può
perforare
la
parete
dell’utero
e
invadere
la
parete
della
vescica,
dove
può
associarsi
a
ematuria
massiva
(è
rarissimo
ma
possibile
data
la
capacità
infiltrativa
del
trofoblasto).
Un
eventuale
esame
microscopico
del
disco
placentare
permette
di
mettere
in
evidenza
lo
stato
di
maturazione
dei
villi
e
la
presenza
di
villite
acuta
o
cronica
(infiammazione
dei
villi
su
base
infettiva;
può
essere
sostenuta
da
Listeria,
CMV,
T.
pallidum).
CASO
CLINICO
1
Morte
endouterina
di
un
feto
alla
38esima
settimana
di
gestazione
(vicino
all’epoca
del
parto,
due
settimane
circa,
quindi
praticamente
a
termine)
in
una
paziente
con
storia
di
ipertensione
gravidica
in
trattamento
farmacologico
(controllata
a
giudizio
del
ginecologo).
E’
stata
richiesta
un’autopsia
per
indagarne
le
cause.
La
placenta
pesa
346
gr
(un
po’
più
piccola
e
meno
pesante
della
media,
ma
non
di
tanto)
con
un
diametro
di
14
cm
(all'incirca
quello
normale).
Si
apprezza
la
superficie
fetale
della
placenta,
con
il
funicolo
in
sezione
fa-‐
cilmente
riconoscibile
in
posizione
paracentrale
(l’impianto
del
funicolo
è
normale),
aderente
al
piatto
coriale.
Si
possono
vedere
bene
i
vasi
del
fu-‐
nicolo
che
si
ramificano
e
in
più
sembra
esserci
una
specie
di
ripiegamen-‐
to,
come
se
fosse
una
varice,
una
varicosità.
Potrebbe
sembrare
un
nodo
ma,
se
così
fosse,
avrebbe
una
parte
rosso
scura
(poiché
infartuata)
e
il
resto
normale.
Qui
invece
il
funicolo
non
ha
alterazioni
della
colorazione,
tuttavia
appare
ipospiralizzato
poiché
macroscopicamente
si
intravede
un
giro,
al
mas-‐
simo
due.
La
paziente
era
ipertesa
e
in
queste
pazienti
il
problema
sono
i
vasi,
che
possono
presentare:
necrosi,
atro-‐
fia
della
parete,
trombosi
del
lume
fino
a
infarti
multipli
placentari
e
una
scarsa
crescita
del
feto.
Per
il
resto
la
superficie
fetale
sembra
essere
normale
e
le
membrane
sono
trasparenti.
Si
nota
alla
periferia
della
pla-‐
centa,
in
sede
marginale,
un’area
giallastra
che
però
c’è
sempre
nella
placenta
a
termine,
è
un
deposito
di
fibrina
ed
è
parte
dell’invecchiamento
della
placenta.
Quindi
trovarla
alla
fine
della
gravidanza
è
normale,
ma
soltanto
se
è
in
sede
marginale,
altrimenti
in
altre
sedi
può
essere
patologica
per
questo
valutarla
è
importante.
In
sezione
perpendicolare
si
può
notare
un’area
che
si
discosta
dal
classico
aspetto
rosso
scuro
della
placenta,
simile
ad
una
spugna
imbevuta
di
sangue:
è
un’area
gial-‐
lastra
con
alla
periferia
delle
aree
rosse
che
nel
comples-‐
so
modifica
la
struttura
della
placenta.
E’
una
lesione
grande,
riscontrabile
in
due
sezioni
contigue,
con
diame-‐
tro
maggiore
di
5
cm
che
va
a
finire
nella
parte
materna
della
placenta,
interessandola
quasi
a
tutto
spessore.
Il
feto
d’altra
appare
normale,
comincia
ad
avere
un’iniziale
macerazione
a
livello
della
cute
ma
da
un
punto
di
vista
generale
ha
una
facies
normale.
Il
funicolo
adeso
al
feto
è
marroncino
perché
disidratato,
infatti
la
gelatina
del
funi-‐
colo
si
disidrata
molto
facilmente
dopo
24
h
se
non
sta
a
bagno,
quindi
questo
è
un
artefatto
che
compare
dopo
la
morte
e
il
patologo
deve
in
qualche
modo
esserne
conscio.
Si
procede
poi
con
un’eviscerazione
completa
per
valutare
lo
stato
degli
organi
e
gli
unici
reperti
riscontrabili
sono
delle
petecchie
emorragiche
bilateralmente
sui
polmoni
a
li-‐
vello
superficiale,
subpleurico.
Nient’altro,
nessuna
malformazione
evidente.
D’altra
parte
la
gravidanza
viene
segna-‐
lata
come
completamente
normale
al
di
là
della
storia
dell’ipertensione.
Ritornando
all’area
giallastra:
essa
appare
come
un’area
pallida
con
alla
periferia
aree
rossastre,
ed
è
morfologica-‐
mente
simile
all’infarto
del
miocardio.
Se
si
osserva
bene
questo
infarto
interessa
la
superficie
materna
della
placen-‐
ta,
la
superficie
fetale
è
indenne.
E’
inoltre
molto
esteso
pertanto
si
può
con
una
certa
sicurezza
attribuire
a
questo
la
causa
di
morte
fetale.
Pertanto
la
diagnosi
finale
è
di
morte
endouterina
da
esteso
infarto
placentare.
Venendo
a
mancare
una
buona
par-‐
te
dello
spazio
intervilloso
a
causa
di
questo
infarto,
si
è
verificato
uno
stato
di
ipossia,
un
mal
funzionamento
dello
scambio
di
ossigeno
con
incapacità
di
fornire
vascolarizzazione
e
nutrienti
al
feto
da
parte
della
placenta.
Inoltre
le
emorragie
petecchiali
subpleuriche
sono
tipiche
e
diagnostiche
dell’anossia.
Quindi
la
diagnosi
è
fatta,
non
bisogna
neanche
effettuare
l’esame
microscopico.
Questa
donna
ha
avuto
un
infarto
esteso
della
placenta,
perché
l’infarto
placentare
è
una
delle
complicanze
dell’ipertensione
gravidica,
cioè
le
pazienti
con
questa
patologia
hanno
una
maggiore
tendenza
a
sviluppare
infarti
della
placenta
e,
se
estesi
come
in
questo
caso,
sono
una
delle
possibili
cause
di
morte
fetale.
Ricordiamo
che
in
gravidanza
l’ipertensione
può
far
parte
di
una
tipica
sindrome,
la
gestosi
gravidica
nella
sua
forma
grave
o
preeclampsia,
dove
l’ipertensione
si
associa
a
un’insufficienza
renale
con
aumento
dell’albuminuria
e
edemi
diffusi;
se
a
questo
si
aggiunge
l’epilessia
come
complicanza
cerebrale
si
parla
di
eclampsia
conclamata.
In
assenza
di
questi
sintomi
si
può
comunque
avere
un’ipertensione
gestazionale
che
non
è
essenziale
e
cronica,
ma
viene
con
la
gravidanza
e
regredisce
quando
questa
termina.
Comunque
anche
una
paziente
con
ipertensione
cronica
idiopatica
che
ha
una
gravidanza
è
a
rischio.
Le
donne
con
la
preeclampsia
hanno
delle
alterazioni
importanti
ai
vasi
della
sede
di
impianto
placentare
poiché
que-‐
sti
si
possono
chiudere,
si
possono
trombizzare,
si
può
verificare
la
necrosi
fibrinoide,
con
possibile
ischemia
e
infarto
conseguenti.
Quindi
controllare
l’ipertensione
è
molto
importante
alla
luce
di
questo
rischio.
Nella
storia
di
questa
donna
l’ipertensione
però
era
controllata
e
l’unica
cosa
che
può
essersi
verificata
è
che
abbiano
fatto
un
cambiamento
del
farmaco
per
la
terapia,
però
questo
non
si
sa.
Questo
è
stato
un
esempio
di
come
l’esame
del
disco
placentare
abbia
fornito
la
risposta
diagnostica.
Se
arriva
all’esame
una
placenta
in
cui
non
c’è
un
esito
cosi
drammatico
ma
magari
un
ritardo
di
crescita
del
feto
e
ci
sono
problematiche
di
ipertensione
allora
la
placenta
verrà
studiata
per
queste
alterazioni.
CASO
CLINICO
2
Signora
del
1976
che
ha
subito
un
taglio
cesareo
demolitore
(con
isterectomia)
per
placenta
accreta
previa
alla
34esima
settimana
gestazionale.
In
una
sezione
dell’utero
si
possono
subito
notare
delle
aree
emorragiche
massive
e,
già
a
queste
dimensioni,
si
apprezzano
degli
enormi
vasi
dilatati
che
interessano
tutto
lo
spesso-‐
re
della
parete
del
miometrio.
Se
non
si
fosse
fatta
l’isterectomia,
la
paziente
sarebbe
mor-‐
ta
dissanguata
in
seguito
ad
un’emorragia
non
controllabile.
Dalla
sezione
si
vede
inoltre
che
la
placenta
è
inserita
nel
miometrio
a
tutto
spessore.
Nor-‐
malmente
l’impianto
placentare
avviene
nell’endometrio,
poi
in
un
secondo
momento
si
verifica
il
coinvolgimento
solo
del
miometrio
superficiale
e
quando
ormai
i
vasi
della
pla-‐
centa
si
sono
già
organizzati.
In
questo
caso
invece
la
placenta
si
è
impiantata
a
tutto
spes-‐
sore
nel
miometrio,
il
che
vuol
dire
che
non
c’è
la
deviazione
dell’endometrio
e
non
c’è
la
formazione
di
quelle
arteriole
spirali
che
garantiscono
poi,
finita
gravidanza,
l’emostasi
al
momento
del
distacco
della
placenta.
Quindi
questa
è
una
situazione
in
cui
la
problematica
si
vede
già
macroscopicamente.
Il
miometrio
si
riconosce
perché
ci
sono
tutti
fasci
organiz-‐
zati
e
la
placenta
è
proprio
qui
che
si
è
impiantata
e
si
dice
pertanto
accreta.
MALATTIA
GESTAZIONALE
DEL
TROFOBLASTO
Con
il
termine
malattia
gestazionale
del
trofoblasto
si
indica
quello
spettro
di
proliferazioni,
rare
ma
pro-‐
blematiche,
che
prendono
origine
dal
trofoblasto
villoso,
rappresentate
da:
a. mola
idatiforme,
è
una
proliferazione,
b. mola
invasiva,
è
una
variante
della
precedente,
c. coriocarcinoma,
è
un
vero
e
proprio
tumore.
Oltre
a
queste
forme
di
malattie
del
trofoblasto
dette
gestazionali
o
intragravidiche,
quindi
che
si
verifica-‐
no
in
gravidanza
nel
trofoblasto
intrauterino
e
che
rispondono
benissimo
alla
chemioterapia,
ci
sono
forme
extragravidica,
cioè
tumori
somatici
ad
esempio
ovarici
germinali
o
testicolari
che
simulano
quelli
che
av-‐
vengono
nel
trofoblasto
placentare
e
che
generalmente
rispondono
molto
meno
alla
chemioterapia.
a.
MOLA
IDATIFORME
La
mola
idatiforme
è
una
proliferazione
non
neoplastica
del
trofoblasto
villoso
associata
a
un
rischio
au-‐
mentato
di
sviluppare
neoplasie
maligne,
quindi
va
vista
con
sospetto:
la
paziente
va
messa
in
follow-‐up
con
dosaggio
dell’hCG,
poiché
in
questa
patologia
i
livelli
di
questo
ormone
sono
più
elevati
di
quelli
in
gra-‐
vidanza.
Origina
a
causa
di
un’alterazione
nella
fecondazione:
è
una
forma
anomala
di
gravidanza
in
cui
un
ovulo
non
vitale
(privo
di
corredo
cromosomico)
viene
fecondato
e
si
impianta
nell'utero,
dando
inizio
a
una
gra-‐
vidanza
anormale
(che
non
riuscirà
ad
essere
portata
a
termine).
Nel
dettaglio,
una
gravidanza
molare
può
svilupparsi
quando
un
ovulo
privo
di
nucleo
viene
fecondato
da
uno
o
raramente
due
spermatozoi:
poiché
sono
i
gameti
maschili
con
il
loro
set
genico
a
determinare
lo
sviluppo
della
placenta,
dall’ovulo
anomalo
fecondato
non
si
svilupperà
un
embrione,
ma
originerà
co-‐
munque
il
trofoblasto,
la
cui
crescita
abnorme
porterà
allo
sviluppo
di
una
mas-‐
sa
uterina.
Il
termine
mola,
per
come
viene
usato
in
questo
contesto,
indica
semplicemente
una
"crescita"
di
tessuto.
Da
un
punto
di
vista
macroscopico
questa
massa
è
caratterizzata
dalla
prolife-‐
razione
del
trofoblasto,
dal
rigonfiamento
dei
villi,
che
si
accrescono
e
diven-‐
gono
idropici
(come
se
lo
stroma
diventasse
edematoso)
e
si
possono
osservare
già
ad
occhio
nudo
dopo
raschiamento
(assomigliano
a
grappoli
d’uva).
Le
gravidanze
molari
sono
quindi
gravidanze
anormali
caratterizzate
da
vari
gradi
di
proliferazione
trofo-‐
blastica
(sia
del
CTF
sia
del
STF)
con
rigonfiamento
vescicolare
dei
villi;
distinguiamo:
• la
mola
idatiforme
completa,
in
cui
l’embrione
o
il
feto
è
assente.
E’
una
gravidanza
non
embriona-‐
ria
che
può
originare:
o nel
90%
dei
casi
dalla
fecondazione
di
un
ovocita
che
ha
perso
il
suo
corredo
cromo-‐
somico.
Il
materiale
genetico
dello
zigote
è
quindi
tutto
di
derivazione
paterno:
si
forma
un
corredo
omozigote
(46XX
diploi-‐
de)
derivante
dalla
duplicazione
cromoso-‐
mica
dello
spermatozoo
(fenomeno
defini-‐
to
androgenesi),
o nel
10%
dalla
fecondazione
di
un
ovocita
vuoto
da
parte
di
due
spermatozoi.
In
que-‐
sto
caso
il
set
genico
potrà
essere
46XX
o
46XY
ed
è
eterozigote.
Si
hanno
valori
elevati
di
hCG
in
genere
superiori
alle
100.000
mUI/mL.
Da
un
punto
di
vista
morfo-‐
logico
tutti
i
villi
sono
interessati
dal
rigonfiamento
e
si
possono
presentare
festonati
con
una
cavi-‐
tazione
centrale.
Il
trofoblasto
presenta
un’estesa
iperproliferazione
che
interessa
tutta
la
circonfe-‐
renza
dei
villi.
L’embrione
è
assente;
• la
mola
idatiforme
incompleta
o
parziale,
in
cui
il
feto
può
essere
presente
e
la
circolazione
villosa
è
funzionante.
In
questo
caso
la
mola
è
formata
dalla
fecondazione
di
un
ovulo
normale,
da
parte
di
due
spermatozoi.
Il
cariotipo
varia
a
seconda
degli
spermatozoi
fecondanti:
può
essere
triploide
oppure,
raramente,
tetraploide.
L’hCG
è
elevata
ma
inferiore
ai
100.000
mUI/mL.
Da
un
punto
di
vista
morfologico
i
villi
sono
di
forma
e
dimensioni
diverse,
solo
una
parte
di
essi
idropica,
la
proliferazione
trofoblastica
è
meno
marcata
e
l’embrione
può
essere
presente,
Dal
solo
studio
del
cariotipo
si
può
già
capire
se
si
tratta
di
una
forma
completa
o
incompleta.
Questo
studio
è
utile
in
quanto
le
forme
incomplete
sono
meno
associate
a
coriocarcinoma;
questo
test
viene
però
ese-‐
guito
quasi
esclusivamente
dal
ginecologo.
b.
MOLA
INVASIVA
Una
mola
invasiva
è
una
mola
idatiforme
che
infiltra
il
miometrio
e
la
parete
uterina
fino
addirittura
a
per-‐
forarla;
invade
per
estensione
diretta
attraverso
gli
spazi
vascolari
dell’endometrio.
Questa
tipologia
di
mola
è
uno
stadio
successivo
della
mola
idatiforme,
che
come
il
trofoblasto,
conserva
la
capacità
di
impiantarsi
e
infiltrare
l’endometrio.
E’
una
le-‐
sione
ancora
benigna
ma
che
può
avere
localizzazioni
a
distanza
senza
che
vi
sia
necessariamente
un
carcinoma:
sono
descritte
anche
metastasi
polmonari.
Questa
caratteristica
è
in
discordanza
con
la
definizione
di
iperproliferazione
benigna
del
trofoblasto.
I
valori
di
hCG
ematici
sono
elevati.
Dal
punto
di
vista
istologico,
è
caratterizzata
dall'iperplasia
del
trofoblasto,
dalla
degenerazione
cistica
generalizzata
dei
villi
co-‐
riali
e
dalla
presenza
di
villi
molari
nel
miometro.
c.
CORIOCARCINOMA
Il
coriocarcinoma
è
un
tumore
maligno
del
trofoblasto
(identico
a
quello
del
testicolo),
caratterizzato
da
iperplasia
ed
anaplasia
del
trofoblasto,
assenza
dei
villi
coriali
(caratteristica
distintiva
dalla
mola),
emorra-‐
gie
e
necrosi
estese.
Origina:
• nel
50%
dei
casi
origina
da
mole
idatiformi
complete,
pertanto
se
si
identifica
una
mola
è
necessa-‐
rio
un
follow-‐up;
in
questo
caso
si
osserva
un’importante
e
ulteriore
elevazione
dell’hCG,
• negli
altri
casi
origina
durante
la
gravidanza
indipendentemente
dalla
mola;
anche
in
questo
caso
le
hCG
sono
elevate.
E’
un
tumore
particolarmente
aggressivo
ma
sensibile
alla
chemioterapia(100%).
Frequentemente
e
pre-‐
cocemente
dà
metastasi
a
distanza
(aggressive),
anche
esse
caratterizzate
da
emorragie
e
necrosi;
possono
essere
fatali
le
emorragie
da
metastasi
cerebrali.
Da
un
punto
di
vista
microsopico,
il
coriocarcinoma
è
un
tumore
estremamente
atipico
e
anaplastico:
si
caratterizza
dall’assenza
di
villi
normali
ma
tuttavia
tende
comunque
a
riprodurre
la
struttura
del
villo,
con
citotrofoblasto
all’interno
e
sinciziotrofoblasto
alla
periferia.
Inoltre
si
osservano
numerose
lacune
ematiche
delimitate
proprio
dal
STF,
come
nella
fa-‐
se
iniziale
dell’impianto,
in
cui
il
sincizio
forma
le
prime
trabecole
che
serviranno
per
andare
a
colo-‐
nizzare
l’endometrio.
Vi
sono
dei
casi
in
cui
il
coriocarcinoma
è
extragravidico,
cioè
insorge
come
differenziazione
divergente
di
un
altro
tumore
molto
dedifferenziato
o
come
tumore
singolo
(ovaio
o
testicolo).
Anche
in
questi
casi,
le
hCG
sono
elevate
(meno
rispetto
alle
mole
ed
al
coriocarcinoma
intrauterino):
questo
dosaggio
è
utilissimo
per
la
diagnosi,
in
quanto
esclusa
la
gravidanza
(test
negativo
in
donne
in
età
fertile,
menopausa,
sesso
ma-‐
schile)
e
quindi
una
patologia
del
trofoblasto,
si
può
sospettare
solo
un
tumore
extragravidico.
Infatti
la
produzione
di
hCG
può
avvenire:
• potenzialmente
in
tutti
i
tumori
somatici
che
di
solito
sono
scarsamente
differenziati
(vescica,
sto-‐
maco,
polmone),
che
rispondono
poco
alla
terapia,
a
differenza
del
coriocarcinoma,
• nei
tumori
gonadici.
Anche
questi
rispondono
di
meno
alla
chemioterapia
dei
coriocarcinomi
intra-‐
gravidici.
30.
CARCINOMA
DEL
CAVO
ORALE
CLASSIFICAZIONE
DEI
TUMORI
DEL
CAVO
ORALE
E
LABBRO
WHO
2017
Non
ci
sono
differenze
significative
da
un
punto
di
vista
istologico
rispetto
alla
precedente
classificazione.
Distinguiamo:
• carcinoma
squamocellulare:
o convenzionale
o varianti
(importanti
da
un
punto
di
vista
prognostico,
diagnostico
differenziale
o
dei
fattori
di
rischio)
§ verrucoso
§ basaloide
§ papillare
§ a
cellule
fusate
§ acantolitico
§ adenosquamoso
§ cuniculatum
§ linfoepiteliale
• displasia
epiteliale
orale
(basso
e
alto
grado)
• leucoplachia
proliferativa
verrucosa.
E’
lesione
diagnosticata
con
la
clinica
alla
quale
possono
cor-‐
rispondere
diversi
aspetti
morfologici.
Può
esordire
come
leucocheratosi
e
può
evolvere
in
un
car-‐
cinoma
squamocellulare
convenzionale
o
verrucoso.
Studiamo
nel
dettaglio
il
carcinoma
squamocellulare
EPIDEMIOLOGIA
E
FATTORI
DI
RISCHIO
Il
carcinoma
orale
squamocellulare
è
una
neoplasia
che
origina
dall’epitelio
squamoso
del
cavo
orale.
Rap-‐
presenta
il
5-‐6%
di
tutte
le
neoplasie
in
Occidente
e
in
alcune
aree
geografiche
(Sud-‐Est
Asiatico)
è
il
primo
tumore.
Rappresenta
il
30-‐%
delle
neoplasie
del
testa
collo
e
il
90-‐95%
delle
neoplasie
orali.
Era
frequente
dopo
i
60
anni,
con
un
picco
attorno
ai
70
anni
e
prevalenza
nel
sesso
maschile.
Attualmente
l’incidenza
è
in
aumento,
anche
nel
sesso
femminile
e
nelle
fasce
di
età
più
giovane:
ora
l’età
media
di
inci-‐
denza
è
scesa
alla
V
decade.
La
mortalità
globale
è
di
2/100mila/anno
(con
circa
13mila
decessi
all’anno).
Ci
sono
diversi
fattori
di
rischio:
• età,
sopra
i
50
anni,
anche
se
sta
aumentando
nei
soggetti
giovani,
• fumo
di
sigaretta,
fattore
di
rischio
indipendente
e
dose-‐dipendente.
L’80%
dei
pazienti
è
fumatore
e
si
associa
a
neoplasie
polmonari
e
laringee,
• alcool,
soprattutto
associato
al
fumo,
• abitudini
viziate,
come
la
masticazione
del
tabacco,
• deficit
specifici
che
facilitano
il
danno
cellulare
(carenza
di
ferro,
B12,
malassorbimento),
• deficit
immunitari
(HIV,
iatrogena
post-‐CHT,
post-‐TR),
• alimentazione
ricca
di
grassi,
associata
a
fumo
e
alcool,
• traumatismo
cronico,
che
da
solo
non
ha
valenza
oncologica:
sicuramente
associato
ad
altri
fattori
(e
scarsa
igiene
orale)
interviene
nel
modificare
i
meccanismi
di
controllo
del
danno
cellulare,
• scarsa
igiene
orale,
non
valutabile
di
per
sé
ma
associata
ad
alcool
e
tabacco,
• infezioni:
la
classificazione
dei
della
base
della
lingua
e
dell’orofaringe
(v.
dopo)
distingue
addirittu-‐
ra
tra
tumori
HPV-‐correlati
e
non
HPV-‐non
correlati;
ci
sono
agenti
infettivi
che
aumentano
il
rischio
quali
l’EBV
(linfoma
di
Burkitt
e
ca.
nasofaringeo),
l’HPV,
la
candida.
Non
conosciamo
i
meccanismi
con
cui
l’HPV
favorisce
la
progressione
(a
differenza
della
portio
uterina):
l’HPV16
è
maggiormente
correlato.
L’HSV
viene
considerato
un
cofattore;
• disordini
potenzialmente
maligni;
prima
si
parlava
di
lesioni
e
condizioni
precancerose:
una
lesione
precancerosa
è
una
displasia
epiteliale
di
vario
grado
(atipia
cito-‐architettonica),
una
condizione
precancerosa
è
solo
associata
a
un
maggior
rischio.
Oggi
si
parla
di
disordini
potenzialmente
mali-‐
gni,
che
comprendono
per
esempio:
o la
leucoplachia,
formata
da
una
placca
bianca
nodulare
singola
o
multipla
del
cavo
vorale
cor-‐
relata
a
traumatismi
e/o
fumo:
la
progressione
(in
assenza
di
displasia)
si
ha
nel
6%,
o la
eritroplachia,
lesione
rossa
non
infettiva
che
progredisce
nel
50%
dei
casi
(in
una
percentua-‐
le
di
casi
è
già
presente
il
carcinoma
infiltrante),
o patologie
infiammatorie,
• carcinoma
del
cavo
orale
in
anamnesi:
la
presenza
del
cancro
aumenta
il
rischio
per
la
mucosa
sa-‐
na
adiacente
(perché
i
fattori
di
rischio
agiscono
su
tutta
la
mucosa).
Nel
15-‐20%
dei
pazienti
in
fol-‐
low-‐up
insorge
un
carcinoma
in
un'altra
sede.
Si
parla
a
tal
proposito
di
cancerizzazione
a
campo.
Bisogna
distinguere
due
condizioni:
o recidiva
locoregionale:
è
una
lesione
posta
in
profondità
rispetto
alla
prima
localizzazione
e
priva
di
associazione
con
il
rivestimento
epiteliale
sovrastante;
può
essere
spiegata
da
alcuni
fattori
come
infiltrazione
a
cellule
singole,
infiltrazione
perineurale,
o secondo
tumore
primitivo:
può
essere
una
lesione
sincrona
o
metacrona
(e
può
essere
spiega-‐
ta
con
il
modello
di
cancerogenesi
a
campo.
ITER
DIAGNOSTICO
• Anamnesi
• EO
intra-‐
ed
extraorale
che
comprenda
la
palpazione
dei
linfonodi
laterocervicali.
1
Nel
cavo
orale
si
osservano
lesioni
di
diverso
tipo :
o nodulare:
10-‐15%,
nodulo
di
consistenza
aumentata
a
contorni
poco
netti
infiltrante
le
strutture
sotto-‐
stanti
con
eventuale
ombelicatura
centrale,
o vegetante
:
10-‐15%,
lesione
con
crescita
esofitica
e
successiva
infiltrazione,
di
colore
dal
bianco
al
rosso
(D.D
eritroleucoplachia),
o ulcerata:
20-‐25%,
ulcerazione
irregolare
a
bordi
duri
e
rilevati
ricoperta
da
materiale
emorragico,
fibri-‐
noso
o
necrotico.
Fondo
irregolare,
granuleggiante
e
sanguinane,
o mista:
50%,
aree
ulcerate
non
uniformi
alterante
ad
aree
rilevate,
nodulari,
vegetanti.
• Biopsia
incisionale
o
escissionale
(senza
la
diagnosi
su
biopsia
non
si
fa
l’intervento
chirurgico).
o La
biopsia
incisionale
è
maggiormente
utilizzata,
ed
è
indicata
per
lesioni
superiori
a
1
cm.
Non
si
fa
nell’area
centrale
(necrotica):
vanno
eseguite
più
biopsie
nella
zona
periferica,
dove
si
deve
vedere
la
zona
di
passaggio
tra
la
mucosa
sana
e
la
lesione
neoplastica.
o La
biopsia
escissionale
(asportazione
della
lesione
in
toto)
è
indicata
per
lesioni
sospette
di
li-‐
mitata
estensione
(<
1
cm)
a
invasione
superficiale.
Il
campione
prelevato
deve
essere
di
4-‐5
mm
e
il
prelievo
va
effettuato
con
una
incisione
perpendi-‐
colare
alla
superficie,
bisogna
includere
tessuto
sano.
1
Attenzione
alla
presenza
di
ulcere
a
bordi
duri
e
rilevati
che
non
regrediscono
in
7-‐10
giorni.
L’indurimento
peri-‐
lesionale
è
indice
di
infiammazione
peri-‐tumorale.
Fare
D.D.
con
ulcere
traumatiche
di
lunga
durata,
sialometaplasia
necrotizzante,
ulcere
da
TBC.
C’è
indicazione
a
una
biopsia
se
si
osservano
lesioni:
o ulcero-‐vegetanti,
le
principali
lesioni
sospette
per
neoplasia
maligna;
solo
l’esame
istologico
permette
di
distinguere
un’ulcera
traumatica
da
una
neoplastica.
La
sialometaplasia
necrotiz-‐
zante
si
presenta
come
una
piccola
ulcera
del
palato
associata
a
metaplasia
squamosa
dei
lo-‐
buli
ghiandolari
ed
è
secondaria
a
eventi
traumatici
e
lesioni
ischemiche,
o nodulari,
o pigmentate,
frequenti
(sono
soprattutto
tatuaggi
da
amalgama
e
raramente
lesioni
melanoci-‐
tarie),
o dei
tessuti
molli
profonde
(es.
lipoma).
Oltre
alle
lesioni
epiteliali
e
mesenchimali,
possono
esserci
anche
lesioni
odontogene
(i
tumori
odontogeni
sono
rari
e
sono
quasi
tutti
benigni),
che
possono
essere
cistiche
o
solide,
intraossee
o
sottomucose:
alcune
possono
presentarsi
clinicamente
come
lesioni
maligne
epiteliali
(es.
un
mela-‐
noblastoma
del
trigono
può
presentarsi
come
una
massa
ulcerante
e
vegetante).
• Valutazione
dell’estensione
di
malattia
con
ecografia,
TC,
RM
(diffusione
linfatica).
• PET
e
scintigrafia
ossea
per
la
valutazione
di
metastasi
a
distanza
se
la
malattia
è
avanzata.
• Intervento
chirurgico
con
esame
estemporaneo
intraoperatorio,
volto
a
valutare
lo
stato
dei
mar-‐
gini
chirurgici.
Si
effettua
una
linfoadenectomia
più
o
meno
estesa
a
seconda
del
tipo
e
delle
di-‐
mensioni
del
tumore
(di
solito
si
prelevano
40-‐50
linfonodi).
DIAGNOSI
E
REFERTAZIONE
Il
campione
va
processato
con
macrosezioni.
Il
referto
deve
includere
alcuni
aspetti
fondamentali.
1.
Sede
e
sottosede
Le
sedi
più
frequenti
sono
il
corpo
linguale
(in
passato
15-‐20%,
oggi
anche
50%),
soprattutto
il
terzo
medio
del
bordo
laterale,
il
pavimento
orale
(in
aumento),
la
mucosa
labiale
(soprattutto
labbro
inferiore,
sempre
più
raro),
le
aree
alveolari,
la
mucosa
geniena,
il
palato
duro
(5%;
in
questa
sede
è
molto
più
frequente
una
neoplasia
delle
ghiandole
salivari),
il
trigono.
In
sintesi,
nel
cavo
orale
ci
sono
sedi
preferenziali
in
cui
insorgono
neoplasie
squamose
(corpo
linguale
e
pavi-‐
mento
orale)
e
altre
in
cui
insorgono
neoplasie
delle
ghiandole
salivari
minori
(soprattutto
nel
palato);
bisogna
considerare
entrambe
queste
neoplasie
nella
diagnosi
dif-‐
ferenziale.
Le
neoplasie
del
pavimento
possono
dare
metastasi
bila-‐
terali.
2.
Altri
aspetti
macroscopici
Il
referto
deve
includere
la
descrizione
del:
tipo
di
rese-‐
zione,
diametro
massimo
del
campione
e
della
lesione,
ca-‐
ratteristiche
macroscopiche
della
lesione,
orientamento
e
reperi
(che
possono
essere
messi
dal
chirurgo
in
sedi
par-‐
ticolari
dubbie,
sospette
per
interessamento
da
neopla-‐
sia),
infiltrazione
del
tessuto
osseo,
interessamento
ma-‐
croscopico
dei
margini.
3.
Istotipo
Distinguiamo
diversi
istotipi
del
carcinoma
squamocellulare
del
cavo
orale.
• Convenzionale.
• Verrucoso,
abbastanza
frequente
(anche
in
altre
mucose,
come
quelle
genitali).
La
neoplasia
è
eso-‐
fitica,
ben
differenziata.
Cresce
in
maniera
compressiva
verso
il
basso
(verso
i
tessuti
molli
circostanti)
senza
superare
la
membrana
basale;
la
presenza
di
microinvasione
non
è
compatibile
con
al
diagnosi
di
questo
istoti-‐
po
(si
parla
di
carcinoma
squamocellulare
microinvasivo
con
componente
verrucosa).
Quindi
se
è
interamente
verrucoso
non
dà
metastasi
ai
linfonodi
locoregionali.
Il
paziente
completamente
dopo
l’intervento
chirurgico
(che
a
volte
può
comprendere,
nei
casi
dubbi
o
se
il
campionamento
non
è
stato
adeguato,
la
linfoadenectomia
del
I
livello).
• Basaloide:
è
una
neoplasia
di
alto
grado.
Interessa
la
base
della
lingua
e
le
tonsille
(sedi
atipiche).
Frequentemente
dà
metastasi:
c’è
linfoadenomegalia
metastatica
latero-‐cervicale
già
all’esame
obiettivo
al
momento
della
diagnosi;
clinicamente
si
possono
rilevare
prima
le
metastasi
del
carci-‐
noma
primitivo.
La
prognosi
è
sfavorevole.
• Papillare,
frequente
nel
cavo
orale
e
nella
laringe.
Ha
una
prognosi
favorevole
ed
è
per
definizione
HPV-‐correlato.
• Adenosquamoso,
presente
anche
nel
polmone
e
nella
laringe.
E’
formano
da
una
componente
squamosa
(squamo)
e
da
una
ghiandolare
(adeno);
è
raro,
molto
aggressivo,
di
alto
grado
è
dà
fre-‐
quentemente
metastasi.
Va
in
diagnosi
differenziale
con
un
carcinoma
muco-‐epidermoidale
delle
ghiandole
salivarie
minori
(che
presenta
espresse
in
maniera
variabile
una
componente
squamosa
e
una
mucipara).
La
presenza
di
displasia
epiteliale
e
CIS
nella
mucosa
è
indicativa
dell’origine
dall’epitelio
del
cavo
orale
e
non
delle
ghiandole
salivari.
• A
cellule
fusate,
simile
a
un
sarcoma
(sarcomatoide).
Si
presenta
con
lesioni
polipoidi
che
possono
essere
di
dimensioni
variabili.
A
volte
può
insorgere
post-‐radioterapia.
All’EE
ci
sono
fasci
di
cellule
fusate,
non
c’è
polimorfismo
spiccato,
è
positivo
alla
CK.
• Cuniculatum
• Acantolitico.
E’
una
variante
rara
tipica
della
commissura
labiale,
lingua
e
laringe;
è
simile
all’adenosquamoso,
e
tende
a
formare
pseudolumi
a
causa
dell’acantolisi
delle
cellule
neoplastiche.
4.
Grading
istologico
prevalente
Esistono
dei
criteri
di
grading,
che
hanno
una
valenza
importante
ma
non
fondamentale
e
che
sono
pret-‐
tamente
morfologici;
essi
valutano
quanto
la
neoplasia
differisca
dal
tessuto
normale
da
un
punto
di
vista
cito-‐architetturale
e
sono:
• la
cheratinizzazione,
• il
polimorfismo
nucleare,
• il
numero
delle
mitosi,
• il
pattern
di
invasione
(da
“a
bordi
ben
delimitati”
a
“a
singole
cellule”;
sembra
correlato
con
la
bio-‐
logia
della
malattia),
• la
risposta
infiammatoria
(da
“marcata”
ad
“assente”),
• il
rapporto
nucleo/citoplasma,
• l’atipia
citologica.
Score
1
2
3
4
Aspetti
morfologici
Polimorfismo
nucleare
Minimo
(>
75%)
Moderato
(50-‐75%)
Discreto
(25-‐50%)
Marcato
(<25%)
(cellule
mature)
Pattern
invasione
Bordi
ben
delimi-‐ Cordoni
e
nidi
solidi
Piccoli
gruppi
cel-‐ Piccoli
nidi
o
cellule
tati
lulari
singole
2
DOI:
infiltrazione
neoplastica
misurata
indipendentemente
dalla
componente
macroscopica
del
tumore.
Si
misura
iniziando
dalla
membrana
basale
della
mucosa
sana
adiacente
al
tumore,
per
una
linea
perpendicolare
che
giunge
fino
al
punto
di
massima
infiltrazione
neoplastica.
Non
corrisponde
allo
spessore
tumorale,
ma
allo
spessore
d’infiltrazione
neoplastica.
In
caso
di
dubbio
attribuire
lo
spessore
minimo
per
evitare
cambiamenti
di
stadio.
Infatti,
nello
studio
dei
linfonodi
bisogna
dire
se
il
diametro
è
maggiore
o
superiore
ai
3
cm,
se
è
in-‐
filtrata
la
capsula
nodale
e
se
c’è
estensione
extranodale
ENE
(infiltrazione
del
tessuto
adiposo
pe-‐
rinodale,
con
o
senza
reazione
stromale
associata).
L’ENE
può
essere
assente
(n),
microscopica
(mi;
≤
2
mm),
macroscopica
(ma;
>
2
mm
o
visibile
a
oc-‐
chio
nudo:
il
linfonodo
appare
bianco
perché
ricco
di
cheratina,
per
la
presenza
delle
cellule
squa-‐
mose
metastatiche).
Solo
l’ENE
macroscopica
è
stadiante.
Possono
essere
presenti
micrometastasi
linfonodali
(<
1
mm):
sono
considerate
alla
stregua
delle
metastasi.
Di
solito
sono
asportati
i
livelli
I-‐IV.
In
passato
si
studiava
il
linfonodo
sentinella,
adesso
non
si
utiliz-‐
za
questa
tecnica
perché
il
I
livello
viene
spesso
bypassato
dal
tumore:
la
sede
più
frequente
di
me-‐
tastasi
è
il
II
livello
(i
livelli
maggiormente
interessati
sono
I,
II,
III,
soprattutto
IIA
e
IIB).
Infatti,
in
altre
parole,
possono
verificarsi
metastasi
“a
salto”,
specie
nei
tumori
del
dorso
laterale
della
lingua
e
del
pavimento
orale
(le
metastasi
non
seguono
l’ordine
sequenziale
dei
livello
linfo-‐
nodali).
Lo
svuotamento
può
essere
omolaterale
o
bilaterale:
infatti
i
tumori
della
base
della
lingua
(por-‐
zione
anterolaterale)
e
del
pavimento
orale
(porzione
laterale),
perché
ci
sono
shunt
a
livello
della
linea
mediana
del
pavimento,
possono
andare
incontro
a
diffusione
bilaterale
e
non
è
raro
trovare
metastasi
linfonodali
controlaterali.
In
generale,
la
diffusione
bilaterale
è
tipica
dei
tumori
anteriori
e/o
della
linea
mediana.
Si
valutano
anche
40-‐50
linfonodi.
Stadiazione
della
N:
• NX:
linfonodi
regionali
non
valutabili
• N0:
assenza
di
metastasi
linfonodali
regionali
• N1:
metastasi
in
un
singolo
linfonodo
ipsilaterale,
con
dimensione
massima
≤
di
3
cm
ed
ENE
(-‐)
• N2:
metastasi
come
specificato
in
N2a,
N2b
o
N2c
• N2a:
metastasi
in
un
singolo
linfonodo
ipsi
/
contro
-‐
laterale
con
dimensione
massima
≤
di
3
cm
e
ENE
(+)
oppure
metastasi
in
un
singolo
linfonodo
ipsilaterale
con
dimensione
massima
>
di
3
cm
ma
≤
di
6
cm
ed
ENE
(-‐)
• N2b:
metastasi
in
multipli
linfonodi
ipsilaterali,
tutti
con
dimensione
massima
≤
di
6
cm
ed
ENE
(-‐)
• N2c:
metastasi
in
linfonodi
bi
/
contro
-‐
laterali,
tutti
con
dimensione
massima
≤
di
6
cm
ed
ENE
(-‐)
• N3:
metastasi
come
specificato
in
N3a
o
N3b
• N3a:
metastasi
in
un
linfonodo
con
dimensione
massima
>
di
6
cm
ed
ENE(-‐)
• N3b:
metastasi
in
un
singolo
linfonodo
ipsilaterale
con
dimensioni
massime
>
di
3
cm
ed
ENE
(+)
oppure
multiple
metastasi
ipsi/contro/bi
-‐
laterali
con
ENE
(+)
Oltre
alla
stadiazione
della
N
il
referto
deve
contenere:
tipologia
di
dissezione
linfonodale,
livelli
lin-‐
fonodali
asportati,
n°
di
linfonodi
totali
e
per
livello,
n°
di
linfonodi
metastatici
totali
e
per
livello,
diametro
massimo
della
metastasi
di
maggior
dimensione,
ENE
(ma)
negativo/positivo
per
ciascun
livello,
ENE
(ma)
positivo
totale,
ENE
(mi);
• metastasi
a
distanza
(M),
che
possono
essere
assenti
(M0)
o
presenti
(M1).
Nel
20%
dei
casi
sono
tipiche
al
polmone,
ossa,
fegato
ed
encefalo.
In
sintesi,
DOI
ed
ENE
sono
integrati
nel
TNM
e
modificano
lo
stato
di
malattia.
Il
WPOI
rappresenta
un
fat-‐
tore
prognostico
predittivo
ma
non
è
stadiante.
TERAPIA
• Chirurgia:
terapia
di
elezione
con
/
senza
dissezione
linfonodale
latero-‐cervicale
(selettiva
o
radicale)
• Chemioterapia:
terapia
adiuvante
senza
effetto
significativo
sul
controllo
locoregionale
e
sulla
soprav-‐
vivenza
• Radioterapia:
terapia
adiuvante,
pre-‐operatoria
(riduzione
delle
dimensioni
tumorali)
e/o
post-‐
operatoria
(eliminazione
di
residui
tumorali)
Fondamentale
counselling
antifumo
In
alcuni
centri
si
continua
a
fare
chemio-‐radioterapia
neoadiuvante.
In
sintesi…
Principali
fattori
prognostici
1. Recidive
locoregionali:
rischio
determinato
dallo
stato
dei
margini,
DOI
e
WPOI-‐5
2. Metastasi
linfonodali
Sopravvivenza
media
a
breve
termine
(5
aa)
pari
al
50%
• Stadio
I
90-‐95%
• Stadio
III-‐IV
15-‐20%
con
drastica
riduzione
della
qualità
di
vita
• Curve
di
mortalità
invariate:
non
si
riesce
a
fare
la
diagnosi
precoce
• Ritardo
diagnostico
di
circa
3
/
6
mesi
TUMORI
BASE
LINGUA
E
OROFARINGE
I
tumori
della
base
della
lingua,
dell’ipofaringe
e
dell’orofaringe3
si
dividono
secondo
un’altra
classificazio-‐
ne
in:
• non
HPV-‐correlati.
• HPV-‐correlati.
C’è
un
costante
incremento
dei
casi;
insorge
tra
i
40
e
60
anni.
Le
sedi
del
cavo
orale
sono:
base
della
lingua
e
regione
tonsillare
(raramente
ci
sono
HPV-‐correlate
nella
mucosa
gengivale
e
geniena).
In
oltre
il
90%
dei
casi
l’infezione
è
sostenuta
da
HPV16
e
non
c’è
una
correlazione
né
col
fumo
né
con
l’alcool.
Questa
neoplasia
è
biologicamente
meno
aggressiva.
La
prognosi
è
diversa
rispetto
al
carcinoma
squamoso
convenzionale
e
alle
forme
non
HPV-‐correlate:
la
mortalità
è
molto
bassa
(è
ridotta
del
60%);
ci
si
sta
chiedendo
quale
sia
il
trattamento
ideale
(RT
e
CHT
o
solo
RT).
E’
una
neoplasia
di
tipo
basaloide:
la
morfologia
è
caratterizzata
da
nidi
epiteliali
con
una
crescita
periferica
basaloide
(come
nel
carcinoma
intraduttale
di
alto
grado
della
mammella);
al
centro
di
queste
isole
neoplastiche
può
esserci
necrosi.
Lo
studio
immunoistochimico
dell’espressione
della
p16
permette
di
mettere
in
evidenza
le
cellule
infette
dall’HPV;
questa
ricerca
andrebbe
integrata
con
la
ricerca
dell’HPV.
T-‐Tumore
primario
• T0:
nessuna
evidenza
di
tumore
primario
• T1:
tumore
≤
di
2
cm
di
dimensioni
massime
• T2:
tumore
2
cm
<
d
≤
4
cm
di
dimensioni
massime
• T3:
tumore
>
di
4
cm
di
dimensioni
massime
oppure
esteso
alla
superfice
linguale
dell’epiglottide
• T4
(malattia
locale
moderatamente
avanzata):
tumore
che
invade
la
laringe,
muscoli
estrinseci
della
lingua,
pterigoideo
mediale,
palato
duro
mandibola
od
oltre
pN-‐
Linfonodi
locoregionali
• NX:
linfonodi
regionali
non
valutabili
• N0:
assenza
di
metastasi
linfonodali
regionali
• N1:
metastasi
in
meno
o
in
4
linfonodi
• N2:
metastasi
in
più
di
4
linfonodi
M-‐
Metastasi
a
distanza
• M0:
assenza
di
metastasi
a
distanza
• M1:
presenza
di
metastasi
a
distanza
In
queste
sede
c’è
fisiologicamente
un
aumento
dei
linfociti
nel
connettivo
sottoepiteliale.
3
31.
NEOPLASIE
DELLE
GHIANDOLE
SALIVARI
ANATOMIA
NORMALE
Le
ghiandole
salivari
sono
ghiandole
esocrine
tubulo-‐acinose
composte.
Si
distinguono
in
ghiandole
saliva-‐
ri
maggiori
(parotide,
sottolinguale
e
sottomandibolare)
e
minori
(labiali,
linguali,
malari,
palatine).
Da
un
punto
di
vista
microscopico
esse
sono
formata
da:
• un’unità
secretoria,
formata
da
un
adenomero
che
può
essere
sferico
(acino)
o
allungato
(tubulo);
l’epitelio
di
un
adenomero
è
formato
da
due
citotipi
(distinguibili
all’immunoistochimica):
o cellule
luminali:
sono
acinari
ad
attività
secernente
(sierosa
o
mucosa),
positive
alle
CK
a
basso
PM
e
contenenti
amilasi
e
lisozima,
o cellule
non
luminali:
sono
prevalentemente
cellule
mioepiteliali
positive
alle
CK
ad
alto
PM,
alla
SMA
(actina
muscolare
liscia),
alla
p63.
Tra
le
altre
cellule
non
luminali
ricordiamo
le
cellule
basaloidi,
che
fan-‐
no
parte
del
pool
staminale;
• un
sistema
duttale,
formato
da
dotti
intercalati,
dotti
strati,
dotti
interlobulari,
dotti
escretori.
An-‐
che
le
cellule
del
sistema
duttale
hanno
attività
secernente
e
modificano
il
secreto.
TUMORI
DELLE
GHIANDOLE
SALIVARI
Da
un
punto
di
vista
epidemiologico
i
tumori
delle
ghiandole
salivari
sono
neoplasie
rare
(0,2-‐1%
delle
neoplasie)
e
rappresentano
il
3-‐6%
delle
neoplasie
testa-‐collo.
Sono
soprattutto
benigne
(75%).
Presentano
una
distribuzione
per
età:
ci
sono
patologie
tipiche
dei
giovani,
altre
degli
adulti
e
degli
anziani;
poi
c’è
una
rarissima
lesione
neonatale
a
basso
grado
di
malignità.
Il
picco
è
nella
V
decade
per
le
lesioni
benigne
e
nella
VI-‐VII
decade
nelle
lesioni
maligne.
Non
ci
sono
differenze
tra
i
due
sessi
a
eccezione
del
tumore
di
Warthin
che
presenta
auna
prevalenza
nel
genere
maschile.
Si
localizzano:
• soprattutto
(80%)
nella
parotide,
di
cui
l’80%
sono
lesioni
benigne,
poi
nella
sottomandibolare
(10%,
anche
in
questo
caso
sono
soprattutto
benigne)
e
poi
nella
sottolinguale
(5%,
e
sono
soprat-‐
tutto
maligne),
• in
una
piccola
parte
(meno
del
5%)
nelle
ghiandole
salivari
minori:
queste
neoplasie
sono
soprat-‐
tutto
maligne
(75%)
e
vanno
in
diagnosi
differenziale
con
le
neoplasie
del
cavo
orale.
I
fattori
di
rischio
principali
sono:
il
tabagismo,
le
radiazioni
ionizzanti,
l’infezione
da
EBV
(associata
a
lin-‐
fomi
non
Hodgkin
e
al
tumore
di
Warthin),
alcune
aberrazioni
cromosomiche.
Da
un
punto
di
vista
clinico:
• le
lesioni
benigne
si
presentano
all’esordio
come
noduli
capsulati
di
dimensioni
variabili
(1-‐3
cm),
di
consistenza
elastica
(raramente
sono
duri
e
duro-‐lignei),
con
cute
sovrastante
integra
e
mobili
rispetto
ai
piani
profondi,
più
o
meno
sintomatici
a
seconda
della
sede,
• le
lesioni
maligne
sono
fisse
rispetto
ai
piani
profondi
(a
volte
i
campioni
chirurgici
contengono
il
piano
cutaneo
superficiale
ulcerato),
duro-‐lignee,
e
associate
a
volte
all’ulcerazione
cutanea.
Poi
ci
sono
sintomi
che
dipendono
dalla
sede:
per
esempio
i
tumori
della
parotide
possono
manifestarsi
con
la
paralisi
del
facciale
(che
si
divide
all’interno
della
ghiandola)
o
infezioni
dell’orecchio).
L’itero
diagnostico
prevede:
• anamnesi,
• esame
obiettivo,
• ecografia.
Questo
esame
rapido,
non
invasivo
e
comparativo
(bilaterale),
permette
di
comprendere
la
lesione
appartiene
o
meno
alla
ghiandola
(nel
100%
dei
casi)
e
di
distinguere
tra
una
formazione
cistica
e
una
solida.
Per
esempio
l’adenoma
pleomorfo,
il
tumore
benigno
più
frequente,
si
presen-‐
ta
come
una
lesione
omogenea
a
contorni
netti;
• citologia
agoaspirativa
(FNAB).
La
biopsia
diagnostica
non
viene
eseguita:
viene
effettuata
un’indagine
citologica,
che
permette,
insieme
all’esame
clinico
e
all’ecografia,
di
comprendere
se
il
quadro
è
benigno,
sospetto
o
maligno
(non
si
arriva
alla
diagnosi
nel
100%
dei
casi).
La
biopsia
non
fornisce
molte
informazioni
in
più
rispetto
alla
citologia
e
non
è
utile
per
la
diagnosi
di
istotipo,
perché
per
essa
occorre
il
pezzo
chirurgico
nella
sua
interezza
(la
diagnosi
di
certezza
su
materiale
bioptico
è
difficile);
vista
questa
comparabilità
tra
le
procedure
ai
fini
diagnostici,
si
pre-‐
ferisce
la
citologia
agoaspirativa
perché
meno
associata
al
rischio
di
seeding
della
neoplasia
duran-‐
te
il
prelievo;
• TC/RMN,
indispensabile
per
la
chirurgia,
fornisce
una
migliore
definizione
spaziale
della
lesione,
• trattamento
chirurgico
(con
eventuale
linfoadenectomia
nel
caso
in
cui
la
neoplasia
sia
maligna),
• esame
istologico
del
pezzo
chirurgico
e
diagnosi
definitiva.
Nella
gran
parte
dei
casi
si
fa
diagnosi
con
l’EE.
La
valutazione
anatomo-‐patologica
è
molto
complessa
a
causa
della
straordinaria
eterogeneità
morfologica
delle
neoplasie
delle
ghiandole
salivari
e
delle
insidie
nella
diagnosi
differenziale.
Da
un
punto
di
vista
macroscopico
bisogna
valutare:
o se
la
lesione
è
omogenea
o
disomogenea,
dal
punto
di
vista
cromatico:
il
colore
è
indicativo
della
componente
stromale;
per
esempio
se
il
colore
è
bianco-‐traslucido
può
essere
un
ade-‐
noma
pleomorfo
mixoide,
se
bruno
un
oncocitoma
o
mioepitelioma,
o se
la
lesione
è
solida,
cistica
(macro-‐
o
microcistica)
o
presenta
aspetti
misti,
e
osservare
il
contenuto
delle
cisti
(colore
e
consistenza),
o se
è
presente
una
capsula
(caratteristica
delle
lesioni
benigne)
e
se
essa
è
integra
o
infiltrata,
o se
sono
presenti
aree
di
necrosi
o
emorragiche.
Depongono
a
favore
della
malignità
la
disomogeneità
morfologica,
l’assenza
della
capsula
e
la
cre-‐
scita
solida.
Da
un
punto
di
vista
microscopico
bisogna:
o caratterizzare
le
cellule,
che
possono
essere
estremamente
variabili
(chiare,
fusate,
basaloidi,
ialine,
etc.),
monomorfe
o
polimorfe,
o caratterizzare
lo
stroma,
che
in
alcune
lesioni
è
prevalente
in
altre
minimo
o
assente;
si
carat-‐
terizza
con
metodiche
istochimiche:
può
essere
ricco
di
glicogeno
(PAS-‐positivo),
mucopolisac-‐
caridi
(Alcian-‐positivi),
collagene
(che
è
blu
alla
Picory-‐Mallory),
o vedere
se
è
presente
o
assente
la
necrosi,
o applicare
metodiche
immunoistochimiche,
importanti
non
tanto
per
distinguere
i
vari
istotipi,
quanto
per
valutare
l’attività
proliferativa
(con
il
Mib1),
che
aiuta
a
differenziare
una
lesione
maligna
da
una
benigna
di
basso
grado:
se
il
Mib1
è
superiore
al
5%
è
probabile
che
siamo
da-‐
vanti
a
una
forma
maligna.
Altri
marcatori
utili
ai
fini
diagnostici
o
prognostici
sono:
le
CK
(posi-‐
tive
sia
nei
tumori
benigni
dia
maligni),
p63,
p53,
CD117
(presente
nei
GIST),
DOG1
(marcatore
dei
GIST),
mammaglobina
(positivo
nei
carcinomi
della
mammella
e
delle
ghiandole
salivari).
Gli
unici
marcatori
diagnostici
sono
la
sinaptofisina
e
la
cromogranina,
indicativi
di
tumori
neuroendocrini.
CLASSIFICAZIONE
WHO
2017
La
classificazione
WHO
2017
include:
1. tumori
benigni,
i
cui
istotipi
più
frequenti
sono
l’adenoma
pleomorfo,
il
mioepitelioma,
l’adenoma
a
cellule
basali,
il
tumore
di
Warthin,
2. tumori
maligni,
i
cui
istotipi
più
frequenti
sono
il
carcinoma
mucoepidermoide,
il
carcinoma
ade-‐
noideo
cistico,
il
carcinoma
a
cellule
aciniche,
l’adenocarcinoma
polimorfo,
3. lesioni
epiteliali
non
neoplastiche,
sono
rare
(adenosi
sclerosante
policistica,
iperplasia
nodulare
oncocitica,
sialoadenite
linfoepiteliale,
iperplasia
duttale
intercalata),
4. lesioni
benigne
dei
tessuti
molli
(emangioma,
lipoma,
fascite
nodulare),
5. tumori
emato-‐linfoidi
(linfoma
MALT).
1.
TUMORI
BENIGNI
a. Adenoma
pleomorfo.
E’
il
tumore
più
frequente
in
assoluto.
E’
capsulato;
la
controparte
maligna
è
il
carcinoma
ex-‐adenoma
pleomorfo.
b. Mioepitelioma.
E’
capsulato.
c. Adenoma
a
cellule
basali
(o
basaloide).
E’
capsulato;
la
controparte
maligna
è
l’adenocarcinoma
a
cellule
basali.
d. Tumore
di
Warthin.
E’
in
parte
capsulato.
• Oncocitoma.
Come
tutti
gli
oncocitomi,
è
formato
da
cellule
oncocitaria,
con
citoplasma
ampio,
granulare,
eosinofilo,
che
crescono
con
pattern
variabili
(es.
trabecolare).
E’
frequente
nella
paroti-‐
de
e
associato
all’esposizione
a
terapia
radiante.
Si
presenta
con
un
nodulo
circoscritto
e
capsulato.
Va
in
diagnosi
differenziale
con
altre
lesioni.
Sono
rare
le
recidive.
• Linfoadenoma.
E’
una
neoplasia
benigna
rara
composta
da
proliferazioni
bifasiche
ben
circoscritte
di
cellule
epiteliali
e
tessuto
linfoide
reattivo.
Distinguiamo
due
varianti:
sebacea
e
non
sebaca.
• Cistoadenoma.
E’
una
neoplasia
benigna
caratterizzata
da
pattern
di
crescita
prevalentemente
multicistico,
con
cisti
circondate
da
epitelio
proliferativo,
tendenzialmente
papillare,
che
spesso
mostra
differenziazione
oncocitaria.
Può
essere
sieroso
o
mucinoso,
come
quello
dell’ovaio.
• Sialoadenoma
papillifero.
Simile
ai
papillomi
squamosi
endorali
e
vescicali,
è
una
lesione
esofitica
costituita
da
proliferazioni
papillari
interne,
della
mucosa
e
dell’epitelio
dei
dotti
salivari.
Colpisce
il
palato
duro.
• Papilloma
duttale.
Proliferazioni
epiteliali
che
insorgono
nel
sistema
dei
dotti
salivari.
Possono
associarsi
a
traumi
masticatori
e
ad
infezione
da
HPV.
Tipici
delle
ghiandole
salivari
minori
del
labbro
inferiore
e
della
mu-‐
cosa
geniena.
Può
essere
intraduttale
(insorge
nei
dotti
escretori)
o
duttale
invertito
(come
nella
vescica).
• Adenoma
sebaceo.
E’
una
neoplasia
composta
da
nidi
irregolari
di
cellule
sebacee
senza
atipie
citologiche,
spesso
con
aree
di
differenziazione
squamosa
e
cambiamenti
cistici.
• Adenoma
canalicolare
e
altri
adenomi
duttali.
E’
una
neoplasia
composta
da
cellule
epiteliali
duttali
mono-‐
morfe
organizzate
in
cordoni
anastomotici
all’interno
di
stroma
scarsamente
vascolarizzato.
E’
localizzato
al
labbro
inferiore
degli
anziani.
2.
TUMORI
MALIGNI
I
tumori
maligni
sono
tutti
non
capsulati,
tranne
il
carcinoma
ex
adenoma
pleomorfo;
possono
avere
un
pattern
di
crescita
invasivo
o
a
margini
ben
definiti.
Nell’ambito
dei
tumori
maligni,
le
novità
della
nuova
classificazione
WHO
2017,
rispetto
alla
vecchia
classi-‐
ficazione,
sono
le
seguenti:
• l’adenocarcinoma
polimorfo
non
è
più
per
definizione
“di
basso
grado”,
• sono
state
introdotte
le
categorie:
carcinoma
intraduttale,
carcinoma
ex-‐adenoma
pleomorfo,
carcinoma
secretorio.
Alle
neoplasie
maligne
occorre
attribuire
il
grading
e,
per
i
tumori
maligni
delle
ghiandole
salivari,
si
parla
di
neoplasia
“a
basso/intermedio/alto
grado
di
malignità”
e
non
di
tumore
“ben/mediamente/scarsamente
differenziato”.
Elenchiamo
i
tumori
maligni.
e. Carcinoma
mucoepidermoide.
Il
tumore
maligno
più
frequente,
anche
nei
bambini.
f. Carcinoma
adenoideo
cistico.
Abbastanza
frequente
sia
nelle
salivari
maggiori
sia
nelle
minori,
può
dare
problemi
di
diagnosi
differenziale
con
altre
lesioni
benigne.
g. Carcinoma
a
cellule
aciniche.
In
passato
era
chiamato
tumore
a
cellule
aciniche.
h. Adenocarcinoma
polimorfo.
Le
vecchia
classificazione
lo
considerava
“di
basso
grado”,
ora
questa
dizione
è
stata
tolta,
perché
esistono
entità
anche
di
grado
intermedio.
• Carcinoma
a
cellule
chiare.
E’
un
carcinoma
di
basso
grado
con
cellule
dal
citoplasma
chiaro.
Va
in
diagnosi
differenziale
con
le
metastasi
per
esempio
di
carcinoma
renale
a
cellule
chiare
(asportato
anche
anni
prima),
che
va
sempre
esclusa;
non
ci
sono
marcatori
immunoistochimici
patognomonici
per
dirimere
la
diagnosi
dif-‐
ferenziale:
solo
la
CK7
è
positiva
nel
primitivo
e
negativo
nella
metastasi
di
CCR.
• Adenocarcinoma
a
cellule
basali.
Cresce
con
cellule
basali
a
palizzata,
la
citologia
è
blanda:
va
quindi
in
dia-‐
gnosi
differenziale
con
l’adenoma
a
cellule
basali,
dal
quale
differisce
per
la
crescita
rapida
e
il
potenziale
metastatico
e
infiltrativo
(la
principale
differenza
è
la
presenza
di
infiltrazione
dei
tessuti
circostanti).
• Carcinoma
intraduttale.
Raro.
E’
una
nuova
entità,
morfologicamente
simile
al
carcinoma
intraduttale
della
mammella
(con
proliferazioni
intracistiche
e
intraduttali
di
cellule
neoplastiche).
E’
una
forma
preinvasiva.
• Adenocarcinoma
NOS.
Si
usa
questa
categoria
quando
non
ci
sono
i
criteri
morfologici,
citologici
e
architet-‐
turali
per
inserire
il
quadro
in
una
categoria
diagnostica
ben
definita.
La
diagnosi
è
di
esclusione.
• Carcinoma
dei
dotti
salivari.
E’
una
neoplasia
per
definizione
di
alto
grado
da
un
punto
di
vista
citoarchitet-‐
turale.
Al
momento
della
diagnosi
sono
presenti
metastasi
linfonodali:
è
fra
le
forme
più
aggressive;
cresce
in
maniera
rapida
causando
paralisi
e
dolore
e
presenta
necrosi
centrale.
Esprime
i
recettori
androgenici
ed
HER2
• Carcinoma
mioepiteliale.
E’
formato
da
cellule
chiare,
epiteliomorfe,
fusate
(la
citologia
non
è
dirimente).
• Carcinoma
epiteliale-‐mioepiteliale.
E’
una
lesione
che
presenta
nidi
o
strutture
duttali
con
una
componente
periferica
di
cellule
mioepiteliali
e
una
intraduttale
di
cellule
epiteliali.
C’è
un’unica
cellula
di
origine
e
sono
presenti
due
fenotipi.
• Carcinoma
ex-‐adenoma
pleomorfo.
Non
esisteva
nella
vecchia
classificazione.
Un
adenoma
pleiomorfo
ha
un
rischio
di
trasformazione
maligna
del
10-‐15%.
Insorge
in
un
adulto-‐anziano
con
nodulo
presente
da
tem-‐
po
all’anamnesi,
che
inizia
a
crescere
infiltrando
la
cute;
deve
essere
reperta
una
componente
benigna
per
la
diagnosi.
Ci
sono
tre
sottotipi,
come
nel
carcinoma
follicolare
della
tiroide:
c’è
la
variante
intracapsulare
(con
aree
maligne
intracapsulari),
minimamente
invasiva
(che
infiltra
la
capsula)
ed
estesamente
invasiva.
• Carcinoma
secretorio.
Assente
nella
vecchia
classificazione;
è
simile
al
carcinoma
secretorio
della
mammel-‐
la.
E’
di
basso
grado.
• Adenocarcinoma
sebaceo.
Rarissimo.
• Carcinosarcoma.
Rarissimo.
• Carcinoma
poco
differenziato
(indifferenziato,
neuroendocrino
a
piccole
cellule,
neuroendocrino
a
grandi
cellule).
Raro.
• Carcinoma
linfoepiteliale.
• Carcinoma
squamocellulare.
E’
un’entità
rara:
è
una
diagnosi
di
esclusione
(è
più
facile
che
sia
una
metastasi
o
un
carcinoma
squamoso
del
cavo
orale
o
dell’orofaringe:
bisogna
aver
escluso
per
la
diagnosi
una
patolo-‐
gia
neoplastica
squamosa
del
distretto
testa-‐collo).
• Carcinoma
oncocitico.
Esiste
anche
l’adenoma
oncocitario,
dal
quale
differisce
per
la
presenza
di
infiltrazio-‐
ne
dei
tessuti
circostante;
la
citologia
può
essere
la
stessa
nella
forma
benigna
e
maligna.
• Sialoblastoma
(a
potenziale
maligno
incerto).
E’
neonatale
e
di
basso
grado.
a.
ADENOMA
PLEOMORFO
• L’adenoma
pleomorfo
è
un
tumore
benigno.
E’
il
tumore
più
frequente
in
assoluto
delle
ghiandole
sa-‐
livari
(tra
i
benigni
e
tra
tutti
i
tumori
delle
ghiandole
salivari,
60%).
Ci
sono
due
picchi
di
incidenza:
colpisce
i
giovani
(III
decade),
e
in
questo
caso
è
maggiormente
correlato
ad
alcune
mutazioni,
e
i
sog-‐
getti
più
anziani
(V-‐VI
decade).
Infatti
nel
70%
dei
casi
si
osservano
alterazioni
citogenetiche.
• Insorge
nell’80%
dei
casi
nella
parotide.
E’
correlato
all’esposizione
a
radiazioni
ionizzanti.
• Appare
con
una
tumefazione
di
piccole
dimensioni
a
crescita
molto
lenta,
teso-‐elastica,
non
dolente.
In
rapporto
alla
sede
può
determi-‐
nare
una
sintomatologia
diversa.
• E’
un
nodulo
singolo,
ovoidale,
solido,
ben
circoscritto,
capsulato,
bianco
traslucido
al
taglio.
Può
essere
polilobato
o
monolobato;
le
forme
polilobate
hanno
un
abbondante
stroma
mixoide
o
mixocon-‐
droide
e
possono
avere
tassi
di
recidiva
molto
elevati:
possono
es-‐
serci
recidive
multifocali
difficili
da
asportare.
• Da
un
punto
di
vista
microscopico
si
osservano:
o un
epitelio
che
presenta
una
elevata
variabilità
cellulare,
l’atipia
citologica
è
blanda,
le
mitosi
sono
poche
o
assenti;
l’identificazione
dei
due
citotipi,
epiteliali
e
mioepiteliali,
è
indispensabi-‐
le
per
la
diagnosi;
o lo
stroma
che
può
essere
anche
esso
variabile
(mucoide,
mixoide,
ialinizzato).
L’aspetto
mixoi-‐
de,
indicativo
di
benignità,
è
responsabile
del
co-‐
lore
chiaro
della
lesione
e
della
consistenza
te-‐
sto-‐elastica
alla
palpazione,
o una
capsula
fibrosa,
che
può
essere
spessa,
sottile,
interrotta
(in
quest’ultimo
caso
la
tendenza
al-‐
la
recidiva
locoregionale
è
maggiore),
• L’immunoistochimica
conferma
la
presenza
di
cellule
duttali
e
mioepiteliali.
• Il
rischio
di
recidiva
a
5
anni
del
10-‐15%
se
l’enucleazione
è
incompleta;
quando
recidiva
è
spesso
mul-‐
tifocale.
Se
la
capsula
è
spessa
e
continua
l’intervento
è
stato
radicale
e
il
rischio
di
recidiva
è
nullo.
Il
rischio
di
evoluzione
maligna
nel
carcinoma
ex-‐adenoma
pleomorfo
è
del
5-‐10%,
ma
non
ci
sono
fat-‐
tori
prognostici
e
predittivi
genetici.
b.
MIOEPITELIOMA
• Il
mioepitelioma
è
una
neoplasia
benigna
delle
ghiandole
salivari
for-‐
mata
da
nidi
solidi
di
cellule
con
differenziazione
mioepiteliale.
• E’
un
tumore
che
insorge
in
tutte
le
età
(attorno
ai
40-‐50
come
età
media;
M=F)
e
interessa
la
parotide
(60%)
e
le
ghiandole
salivari
mino-‐
ri
del
palato
duro
(40%).
• Da
un
punto
di
vista
macroscopico
appare
come
un
nodulo
scuro,
ben
delimitato
da
una
capsula,
non
cistico
(non
ci
sono
aspetti
cistico-‐
regressici).
• All’esame
istologico
è
formato
da
nidi
di
cellule
fusate
o
plasmocitoidi
(simili
a
plasmacellule
con
citoplasma
ampio
e
nucleo
periferico),
e
da
uno
stroma
quasi
sempre
assente
(non
ci
sono
estese
aree
stromali
come
nel
pleomorfo).
Ci
sono
diversi
pattern
istologici
(so-‐
lido,
reticolare,
mixoide);
le
strutture
simil-‐duttali
sono
assenti
o
poco
presenti,
altrimenti
è
un
adenoma
pleomorfo.
• L’immunoistochimica
mette
in
evidenza
la
presenza
di
cellule
epi-‐
teliali
e
mioepiteliali;
Mib-‐1
è
estremamente
basso.
• Da
un
punto
di
vista
prognostico
è
benigno;
recidiva
con
una
frequenza
minore
rispetto
al
pleomorfo
e
la
trasformazione
maligna
è
rara
(non
è
la
forma
incipiente
del
carcinoma
mioepitelale,
che
già
all’esordio
è
un
carcinoma).
• Va
in
diagnosi
differenziale
con
l’adenoma
pleomorfo
(che
presenta
una
componete
duttale)
e
con
le
neoplasie
a
cellule
chiare
(mucoepidermoidale,
a
cellule
aciniche,
epiteliale-‐mioepiteliale,
metastasi
di
carcinoma
a
cellule
chiare
del
rene:
in
questo
caso
è
assente
la
capsula).
c.
ADENOMA
A
CELLULE
BASALI
(BASALOIDE)
• L’adenoma
a
cellule
basali
è
una
neoplasia
benigna
delle
ghiandole
salivari
composta
da
cellule
con
aspetto
basaloide.
E’
più
frequente
negli
anziani
(VI-‐VII
decade),
e
si
localizza
soprattutto
(80%)
nella
parotide;
è
molto
raro
nelle
salivarie
minori
(in
sede
endorale).
• Da
un
punto
di
vista
macroscopico
appare
come
un
nodulo
solido,
capsulato,
ben
circoscritto.
• Da
un
punto
di
vista
microscopico
è
una
neoplasia
prevalente-‐
mente
cellulata,
formata
da
cellule
basaloidi
con
scarso
citopla-‐
sma
che
crescono
in
nidi,
con
struttura
a
palizzata,
come
nel
carci-‐
noma
basocellulare
della
cute.
E’
priva
di
stroma
mixocondoide
ed
è
positiva
a
CK,
p63
e
marker
mioepiteliali.
• Sono
molto
rare
recidive
locali
e
la
trasformazione
maligna.
• Va
in
diagnosi
differenziale
con
il
carcinoma
a
cellule
basali,
in
cui
è
presente
infiltrazione
della
capsula,
e
con
l’adenoma
pleomor-‐
fo,
che
presenta
abbondante
stroma.
d.
TUMORE
DI
WARTHIN
• Il
tumore
di
Warthin
(in
passato
cistoadenolinfoma)
è
una
neoplasia
benigna
delle
ghiandole
salivari
abbastanza
frequente
(5-‐15%
delle
neoplasie
delle
ghiandole
salivari
e
5-‐30%
dei
tumori
della
paroti-‐
de)
che
insorge
esclusivamente
nella
parotide
(polo
inferiore)
e
in
una
percentuale
molto
bassa
nei
tessuti
periparotidei.
• E’
un
tumore
che
origina
dalle
inclusioni
duttali
salivari
dei
linfonodi
intraparotidei
(solo
la
parotide
presenta
i
linfonodi
intraghiandolare);
è
multifocale,
perché
i
linfonodi
sono
molteplici
(nell’adenoma
pleomorfo
la
multifocalità
si
ha
nella
recidiva),
e
bilaterale
nel
10%
dei
casi.
• Il
principale
fattori
di
rischio
è
l’esposizione
a
radiazioni
(non
è
ben
de-‐
finito
il
rischio
associato
a
fumo,
EBV,
patologie
autoimmuni).
• E’
subclinico
nel
50%
dei
casi
(se
è
di
piccole
dimensioni);
infatti
è
un
tumore
a
crescita
lenta,
benigno,
ben
circoscritto,
di
consistenza
ela-‐
stica,
può
avere
aree
solide
e
cistiche,
che
contengono
muco
bianca-‐
stro
o
brunastro
(la
presenza
di
muco
al
taglio
è
caratteristica
di
questo
tumore).
E’
formato
da
una
capsula
sottile
e
spesso
discontinua,
corrispondente
a
quella
del
linfonodo
di
origine,
che
può
inspes-‐
sirsi
durante
l’espansione
tumorale
su
base
reattiva
(pseudocapsula).
• Da
un
punto
di
vista
microscopico
è
una
neoplasia
costitui-‐
ta
da
cellule
epiteliali
oncocitarie
(con
citologia
blanda),
che
rivestono
strutture
duttali,
papillari
e
cistiche,
e
da
uno
stroma
linfoide,
con
centri
germinativi
che
presentano
un
infiltrato
policlonale.
La
proliferazione
linfoide
è
reattiva
al-‐
la
proliferazione
monoclonale
delle
cellule
duttali.
• L’immunoistochimica
conferma
che
la
proliferazione
linfoi-‐
de
è
policlonale
e
mette
in
evidenza
cellule
epiteliali
e
mioepiteliali;
il
Mib-‐1
è
bassissimo
(vicino
allo
0;
è
positiva
la
componente
linfoide
di
accompagnamento).
• Il
rischio
di
recidiva
è
del
5-‐10%
ed
è
correlato
alla
multifocalità,
e
allo
spessore/continuità
della
capsu-‐
la;
il
rischio
di
trasformazione
maligna
è
dell’1%.
e.
CARCINOMA
MUCOEPIDERMOIDALE
• Il
carcinoma
mucoepidermoidale
è
la
neoplasia
maligna
delle
ghiandole
salivari
più
frequente;
insorge
a
qualsiasi
età:
nel
bambino
e
negli
adulti
(picco
di
incidenza
nella
II
decade).
• In
più
della
metà
dei
casi
insorge
nella
parotide,
a
livello
endorale
si
localizza
nella
mucosa
palatale;
è
correlato
alla
esposizione
alle
radiazioni
ionizzanti
(post-‐radioterapia,
anche
dopo
8
anni).
• Le
forme
di
basso
grado
sono
cistiche
e
unicistiche,
a
crescita
lenta
e,
in
quanto
sono
ricche
di
muco,
possono
simulare
un
mucocele
(lesione
benigna)
o
un
ascesso
parodontale.
Le
forme
di
alto
grado
so-‐
no
prevalentemente
solide,
crescono
rapidamente,
e
sono
coperte
da
mucosa
ulcerata.
Si
può
manife-‐
stare
con
paralisi
del
facciale,
fistole
auricolari,
dolore.
• Da
un
punto
di
vista
macroscopico
appare
come
una
lesione
solida
e
multicistica
(con
cisti
mucose),
più
spesso
infiltrativa,
che
aderisce
ai
piani
profondi.
La
capsula
non
è
ben
rappresentata.
• Da
un
punto
di
vista
microscopico
è
una
neoplasia
composta
da
tre
citotipi:
o cellule
mucipare
(PAS
positive,
che
formano
nidi
solidi
o
cisti
piene
di
muco),
o cellule
squamose
(epidermoidi;
sono
grandi
e
cheratinizzanti),
o cellule
intermedie
(o
intermediate,
sono
più
piccole
e
più
chiare).
Potrebbero
esserci
anche
cellule
on-‐
cocitarie
(variante
oncocitica).
Cresce
con
un
pattern
cistico
(meno
aggressivo,
in
cui
prevalgono
le
cellu-‐
le
mucipare)
e/o
solido
(più
aggres-‐
sivo
con
meno
cellule
mucipare);
le
lesioni
a
basso
grado
di
malignità
dei
bambini
sono
prevalentemente
cisti-‐
che.
La
crescita
è
di
tipo
infiltrativa:
è
più
circoscritta
se
prevale
la
com-‐
ponente
cistica.
• Per
l’attribuzione
del
grading
istologico
si
osservano
i
seguenti
criteri
citoarchitetturali
(indicativi
di
malignità):
atipia
citologica,
necrosi,
mitosi
(più
di
4/10HPF),
invasione
neurale,
aree
cistiche
inferiori
al
20%,
anaplasia.
Il
tumore
può
essere
a
basso/intermedio/alto
grado
di
malignità1.
• All’immunoistochimica
si
osservano
cellule
epidermoidali
(positive
a
CK,
p40,
p63)
e
cellule
mucose
(PAS-‐positive).
Il
Mib
è
superiore
al
10%
nelle
neoplasie
di
alto
grado.
• La
prognosi
è
peggiore
nella
sottomandibolare.
La
sopravvivenza
a
10
anni
a
seconda
dei
gradi
è
del
90%,
70%
e
del
25%.
• Le
forme
di
alto
grado
sono
formate
soprattutto
da
cellule
squamose
e
vanno
in
diagnosi
differenziale
con
il
carcinoma
squamocellulare.
Quando
infiltra
l’osso
va
in
diagnosi
differenziale
con
il
carcinoma
muco-‐epidermoidale
primitivo
intraosseo
(che
deriva
da
residui
di
ghiandole
rimaste
durante
i
processi
ontogenetici).
f.
CARCINOMA
ADENOIDEO
CISTICO
• Il
carcinoma
adenoideo
cistico
è
una
neoplasia
maligna
delle
ghiandole
salivari
(10%
delle
neoplasie).
In
1/3
dei
casi
insorge
nelle
ghiandole
salivari
minori
(soprattutto
palatine)
e
nel
tratto
sinonasale,
nel
restante
2/3
nelle
ghiandole
salivari
maggiori
(sottomandibolare
e
parotide).
• Si
presenta
come
una
tumefazione
a
crescita
più
o
meno
lenta,
ma
precocemente
infiltrante
le
strut-‐
ture
nervose
(ha
uno
spiccato
neurotropismo
e
segue
il
decorso
dei
nervi
per
diffondersi
anche
verso
la
base
cranica).
Da
un
punto
di
vista
macroscopico
si
osserva
una
neoplasia
solida
con
caratteri
infil-‐
trativi,
circoscritta
ma
non
capsulata,
bianco-‐grigiastra.
A
volte
non
forma
una
massa.
• All’esame
microscopico
si
osservano
cellule
mioepiteliali
(positive
a
SMA
e
p63),
duttali
(positive
a
CD117)
e
indistin-‐
te,
che
crescono
con
diversi
pattern
istologici
(tubulare,
cribriforme,
solido)
che
vanno
in
diagnosi
differenziale
con
lesioni
benigne.
• L’attribuzione
del
grado
istologico
dipende
dall’estensione
delle
aree
solide,
che
correla
con
l’aggressività:
i
pattern
tubulare
e
cirbriforme
sono
quindi
più
benigni.
• La
prognosi
dipende
dal
grado,
dallo
stadio
(estensione,
metastasi
linfonodali,
metastasi
a
distanza),
dall’invasione
perineurale
dei
grandi
nervi,
dalla
sede.
La
sopravvivenza
a
5
anni
è
del
35%.
Sono
fre-‐
quenti
le
recidive.
• Va
in
diagnosi
differenziale
con
l’adenoma
pleomorfo,
l’adenocarcinoma
polimorfo,
l’adenoma
a
cellu-‐
le
basali
(quando
il
tumore
è
solido).
g.
CARCINOMA
A
CELLULE
ACINICHE
• Il
carcinoma
a
cellule
aciniche
è
una
neoplasia
a
basso
grado
di
malignità,
che
colpisce
tutte
le
età,
an-‐
che
quella
pediatrica.
Si
localizza
prevalentemente
a
livello
della
parotide.
• In
passato
era
chiamato
tumore
a
cellule
aciniche
perché
non
si
sapeva
se
fosse
benigno
o
maligno
(sono
rarissimi
i
casi
metastatici):
attualmente
si
sa
che
c’è
un
rischio
minimo
di
metastasi
linfonodali.
1
BASSO:
prevalenza
di
cellule
mucose.
Neoplasie
circoscritte
ma
non
capsulate;
MEDIO:
prevalenza
di
cellule
inter-‐
medie.
Neoplasie
più
solide
e
meno
circoscritte
con
possibile
stravaso
mucinoso;
ALTO:
prevalenza
di
cellule
squamo-‐
se
con
poche
strutture
ghiandolari.
Neoplasie
caratterizzate
da
anaplasia
nucleare,
necrosi,
mitosi
aumentate,
inva-‐
sione
ossea/
linfovascolare/
perineurale.
• Da
un
punto
di
vista
clinico
si
manifesta
con
una
tumefazione
a
crescita
lenta,
talvolta
associata
a
do-‐
lore
per
compressione
delle
strutture
limitrofe.
Da
un
punto
di
vista
strumentale
si
presenta
come
un
nodulo
abbastanza
circoscritto
(senza
infiltrazione),
e,
quando
la
citologia
non
è
dirimente
(a
causa
delle
molteplici
varianti),
si
propone
una
chirurgia
non
demolitiva
e
poi
si
fa
la
diagnosi
di
carcinoma.
• Da
un
punto
di
vista
macroscopico
la
neoplasia
appare
con
noduli
circoscritti
malgrado
l’assenza
di
una
capsula,
singoli
o
multipli
con
margini
ben
o
mal
definiti;
può
essere
cistica
(basso
grado)
o
solida
(alto
grado).
• Da
un
punto
di
vista
microscopico
presenta
una
differenziazione
acinare
sierosa
ed
è
caratteriz-‐
zata
da
cellule
aciniche
con
granuli
secretori
di
zimogeno,
che
crescono
con
pattern
simile
agli
acini
sierosi
delle
ghiandole
salivari.
Sono
presenti
contestualmente
altri
citotipi
(cellule
duttali,
va-‐
cuolizzate,
chiare,
non
specifiche);
e
può
crescere
con
diversi
pattern
istologici
(solido,
microcistico,
cistico-‐papillare,
follicolare).
• Le
cellule
duttali
all’immunoistochimica
presentano
positività
a
CK,
estrogeno,
progesterone,
alfa-‐1-‐
antitripsina.
L’attività
proliferativa
(mib-‐1)
è
inferiore
al
5%.
• La
sopravvivenza
a
5
anni
è
dell’82%,
il
rischio
di
recidiva
del
10-‐30%.
Sono
fattori
prognostici
negativi
le
dimensioni,
la
resezione
incompleta,
il
coinvolgimento
del
lobo
profondo
della
parotide,
la
N
e
la
M.
h.
ADENOCARCINOMA
POLIMORFO
• L’adenocarcinoma
polimorfo
è
la
seconda
neoplasia
maligna
più
frequente
delle
ghiandole
salivari
(1/4
di
tutti
i
carcinomi).
Predilige
le
ghiandole
salivari
minori,
soprattutto
palatine
(60%):
è
raro
l’interessamento
delle
ghiandole
salivari
maggiori.
• Nella
vecchia
classificazione
era
per
definizione
“di
basso
grado”;
ora
questa
dizione
è
stata
omessa
perché
sono
state
descritte
anche
entità
di
grado
intermedio
e
alto.
• Si
presenta
come
una
massa
asintomatica
raramente
coperta
da
mucosa
ulcerata.
Da
un
punto
di
vista
macroscopico
appare
come
una
massa
solida
ben
circoscritta,
non
capsulata
con
caratteri
infiltrativi
(aderisce
ai
piani
sottostanti).
• Da
un
punto
di
vista
microscopico
è
una
neoplasia
ca-‐
ratterizzata
da
uniformità
citologica,
variabilità
istolo-‐
gica
ed
un
pattern
di
crescita
infiltrativo.
E’
formata
da
cellule
duttali
e
mioepiteliali
con
una
citologia
blanda,
rare
mitosi,
assenza
di
necrosi
(tranne
nelle
forme
di
al-‐
to
grado);
è
comune
il
coinvolgimento
perineurale.
Può
crescere
secondo
diversi
pattern
istologici.
• All’immunoistochimica
presenta
positività
a
CK,
p63.
• I
tumori
palatali
possono
coinvolgere
l’osso;
il
rischio
di
recidive
è
inferiore
al
30%,
quello
di
metastasi
linfonodali
inferiore
al
15%,
quello
di
metastasi
a
distanza
è
bassissimo.
CONCLUSIONI
(fare)
• La
classificazione
delle
neoplasie
della
ghiandole
salivari
è
complessa
e
variegata.
Sono
incluse
entità
molto
di-‐
verse
per
morfologia
e
comportamento
clinico.
La
diagnosi
può
essere
più
o
meno
complessa.
• L’iter
diagnostico
gravita
attorno
all’esame
clinico,
all’imaging
e
alla
citologia
agoaspirativa.
L’intervento
chirurgi-‐
co
è
più
o
meno
demolitivo
(enucleazione
o
resezione
totale
con
linfoadenectomia)
in
base
al
sospetto.
• L’esame
istologico
è
post-‐operatorio
sul
pezzo
chirurgico;
può
capitare
che
una
sospetta
lesione
benigna
si
riveli
maligna
all’esame
istologico:
in
tal
caso
è
indicato
un
nuovo
intervento
più
radicale.
Infatti
la
concordanza
tra
esami
strumentali,
citologici
e
istologici
non
è
del
100%.
• Le
lesioni
benigne
sono
capsulate,
quelle
maligne
non
sono
capsulate
ma
possono
essere
circoscritte.
Non
neces-‐
sariamente
le
cisti
sono
indicative
di
lesione
benigna:
sono
presenti
anche
nelle
lesioni
maligne.
• Le
cellule
delle
forme
maligne
e
benigne
esprimono
quasi
tutte
le
CK
e
i
marcatori
mioepiteliali;
gli
unici
marcato-‐
ri
diagnostici
sono
quelli
neuroendocrini.
Il
principale
criterio
per
la
distinzione
degli
istotipi
è
quello
morfologico.
• Il
grading
per
le
forme
maligne
si
basa
su
criteri
non
solo
citologici
ma
anche
architetturali.
STADIAZIONE
DELLE
NEOPLASIE
MALIGNE
DELLE
GHIANDOLE
SALIVARI
MAGGIORI
La
stadiazione
riportata
di
seguito
ha
validità
esclusiva
per
le
neoplasie
maligne
delle
ghiandole
salivari
maggiori,
mentre
le
neoplasie
maligne
delle
gh.
salivari
minori
sono
stadiate
mediante
TNM
del
labbro
e
della
cavità
orale.
T-‐
Tumore
primario
• TX:
il
tumore
primario
non
può
essere
valutato;
• T0:
nessuna
evidenza
di
tumore
primario;
• Tis:
carcinoma
in
situ;
• T1:
tumore
≤
di
2
cm
di
dimensioni
massime,
senza
estensione
extraparenchimale;
• T2:
tumore
>
2
cm
ma
≤
4
cm
di
dimensioni
massime,
senza
estensione
extraparenchimale;
• T3:
tumore
>
di
4
cm
e/o
con
estensione
extraparenchimale;
• T4a:
malattia
moderatamente
avanzataà
tumore
che
invade
la
pelle,
la
mandibola,
il
canale
uditivo
e/o
il
VII;
• T4b:
malattia
altamente
avanzataà
tumore
che
invade
la
base
cranica,
i
pilastri
pterigoidei
e/o
ingloba
la
ar-‐
teria
carotide.
L’estensione
extraparenchimale
è
intesa
come
evidenza
macroscopica
o
clinica
di
invasione
dei
tessuti
molli
o
nervi,
con
eccezione
di
quelli
indicati
in
T4a
e
T4b.
L’evidenza
microscopica
da
sola
non
definisce
l’estensione
extraparenchimale
ai
fini
della
classificazione.
pN-‐linfonodi
regionali
• NX:
linfonodi
regionali
non
valutabili;
• N0:
assenza
di
metastasi
linfonodali
regionali;
• N1:
metastasi
in
un
singolo
linfonodo
ipsilaterale,
con
dimensione
massima
≤
di
3
cm
ed
ENE
(-‐);
• N2:
metastasi
come
specificato
in
N2a,
N2b
o
N2c;
• N2a:
metastasi
in
un
singolo
linfonodo
ipsi-‐
o
contro/laterale
con
dimensione
massima
<
di
3
cm
e
ENE
(+)
op-‐
pure
metastasi
in
un
singolo
linfonodo
ipsilaterale
con
dimensione
massima
>
di
3
cm
ma
≤
di
6
cm
ed
ENE
(-‐);
• N2b:
metastasi
in
multipli
linfonodi
ipsilaterali,
tutti
con
dimensione
massima
≤
di
6
cm
ed
ENE
(-‐);
• N2c:
metastasi
in
linfonodi
bi-‐
o
contro/laterali,
tutti
con
dimensione
massima
≤
di
6
cm
ed
ENE
(-‐);
• N3:
metastasi
come
specificato
in
N3a
o
N3b;
• N3a:
metastasi
in
un
linfonodo
con
dimensione
massima
>
di
6
cm
ed
ENE(-‐);
• N3b:
metastasi
in
un
singolo
linfonodo
ipsilaterale
con
dimensioni
massime
>
di
3
cm
ed
ENE
(+)
oppure
multi-‐
ple
metastasi
ipsi-‐contro-‐bi/laterali
con
ENE
(+).
I
linfonodi
della
linea
mediana
sono
considerati
ipsilaterali.
ENE:
«extranodal
extension»
rappresenta
l’estensione
ed
il
successivo
superamento
del
tumore
metastatico,
attra-‐
verso
la
capsula
linfonodale,
nel
connettivo
circostante,
indipendentemente
dalla
reazione
stromale.
Solo
ENE
ma-‐
croscopico
è
un
parametro
stadiante.
L’ENE(ma)
è
definito
come
qualsiasi
estensione
extranodale
evidente
ad
occhio
nudo
al
momento
della
dissezione,
o
come
estensione
oltre
la
capsula
linfonodale
>
di
2
mm,
microscopicamente.
M-‐metastasi
a
distanza:
M0:
assenza
di
metastasi
a
distanza,
M1:
metastasi
a
distanza.