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A.A.

2018-2019
SBOBINE CORSO
DI DIAGNOSTICA
PER IMMAGINI
DPI – Lezione 01 – Introduzione alla diagnostica per immagini, RX, TC
Nella diagnostica per immagini includiamo diverse metodiche che vediamo qui elencate:

• Radiologia;
• TC, l’acronimo ha perso la A che aveva all’inizio e che stava per Assiale;
• Metodiche di medicina Nucleare
• Ecografia;
• Risonanza Magnetica
Tutte queste, ad esclusione della ecografia, sono ad esclusiva pertinenza del radiologo. L’ecografia
invece può essere utilizzata da qualsiasi medico. Ciascuna di queste metodiche utilizza mezzi fisici
per ottenere immagini, e in particolare la radiologia, la TC e le metodiche di medicina nucleare
utilizzano radiazioni ionizzanti. L’ecografia invece usa gli ultrasuoni e la risonanza magnetica usa
campi magnetici molto potenti.
Nella prima parte del corso guarderemo soprattutto come si costruiscono le immagini, come sono
le metodiche e quali esse siano, successivamente faremo una parte sulla radioterapia e sulla
radioprotezione e infine la radiologia speciale che riguarda ogni organo.

Radiologia Tradizionale
I macchinari sono presenti in tutti i reparti di radiodiagnostica, possono essere fissi, possono
essere anche portati a letto del paziente in caso esso non possa essere spostato di reparto ed
esistono anche degli apparecchi portatili per le radiografie a domicilio.
L’apparecchiatura tradizionale deve produrre raggi X, essi si formano a partire da un fascio di
elettroni che viene accelerato e vanno a sbattere su una lastra di metallo. Una parte di questa
energia viene convertita in raggi X. Questo urto degli elettroni contro il materiale prende il nome
di frenamento.
Cos’è il tubo radiogeno? Il tubo radiogeno è un’ampolla di vetro sottovuoto con due elettrodi, uno
positivo (catodo) e uno negativo (anodo), di cui uno (catodo) è quello in cui camminano gli
elettroni sotto forma di corrente elettrica ed è formato da un filo di tungsteno, e l’altro (anodo) è
invece la superficie contro cui sbattono gli elettroni ed è formato da un metallo pesante
(fondamentale che sia così perché solo i metalli pesanti generano radiazione X). I tubi moderni
sono dotati di un dispositivo rotante che cambia costantemente la posizione della lastra, in modo
che gli elettroni non colpiscano sempre lo stesso punto determinando un surriscaldamento.
Noi possiamo variare l’emissione di elettroni modulando:

• l’emissione di elettroni, si può modificare in base alla differenza di potenziale che sussiste
tra i due elettrodi, infatti maggiore sarà l’energia presente, più facilmente gli elettroni
verranno strappati dal filo elettrico, più elevata sarà l’energia cinetica degli elettroni
strappati e maggiore sarà l’energia delle radiazioni X generate.
• l’intensità del fascio, intesa come il numero di fotoni emessi. Il numero di fotoni emessi è
proporzionale al numero di elettroni che passano sotto forma di corrente, quindi variando
la corrente elettrica vario anche i fotoni.
Queste sono modulate dal tecnico radiologo, che per legge è l’esecutore dell’esame sotto la
supervisione del medico radiologo, che varia quindi i kV (chiloVolt, per quanto riguarda la
differenza di potenziale) e i mA (milliAmpere, per quanto riguarda la corrente). Questo processo
viene eseguito in base al distretto che esaminiamo, se si tratta di un distretto molto denso come il
bacino avrò bisogno di una grande energia radiante, mentre se è un distretto molle come
l’addome, avrò bisogno di una scarsa quantità di radiazione.
L’immagine radiologica è un’immagine che si viene a formare per attenuazione. Noi andiamo ad
interporre davanti ad un tubo radiologico un corpo che attenua il fascio di raggi X che è diretto
verso una lastra. Quello che succede è che le strutture dense fermano i fotoni, mentre le strutture
molli li attenuano con intensità variabili in base alla densità del tessuto. Questo determina la
proiezione di vere e proprie ombre sulla lastra. Trattandosi di ombre è anche molto importante la
posizione del corpo nello spazio, infatti posso modificare l’immagine risultante spostando il corpo
rispetto alla lastra. Più sarà lontano dalla lastra più sarà ingrandita e distorta l’ombra, mentre più è
vicina alla lastra più risulta simile all’originale. Con lo stesso principio, più è inclinato il fascio
rispetto al corpo più l’ombra apparirà deformata.
Abbiamo due metodiche fondamentali nella radiologia tradizionale:

• la Radiografia, dal greco γράφω (grafo) inteso come scrivere, si ottiene un’immagine fissa;
• la Radioscopia, dal greco σκοπός (skopos) inteso come osservare, si ottiene un’immagine in
dinamica.
Nell’esame radiografico classico la macchina è costituita da un tubo radiologico, da una lastra per
la creazione di immagini e un lettino per il paziente costituito da un materiale resistente ma
radiotrasparente. L’immagine che si formerà ci mostrerà in nero le strutture che si fanno
attraversare liberamente, in bianco le strutture molto dense e in grigio i parenchimi.

In questa immagine tipica del torace vediamo chiaramente in nero i polmoni, in bianco le ossa e in
grigio il cuore (aia cardiaca) e possiamo anche notare le arcate del diaframma. L’immagine si
forma nera perché dobbiamo immaginare che i raggi che passano attraverso i polmoni bruciassero
la pellicola. I diversi gradi di attenuazione dei raggi ci possono dare indicazioni per esempio sul
grado di ossificazione di una mano di un bambino.
Questa è una diretta addome, qui le ossa si vedono bene, ma tutte le strutture intestinali, i reni e i
muscoli appaiono tutte con la stessa intensità. Questo succede perché l’attenuazione non dipende
solo dalla densità del tessuto, ma anche da suo spessore. I tessuti molli del nostro organismo
hanno bene o male una densità molto simile, quindi li vediamo tutti uguali alla radiografia, il
motivo per cui riusciamo a distinguere un muscolo come l’ileopsoas o il rene sta proprio nel loro
spessore.
La terminologia è importante, quando vediamo un’immagine radiografica, il termine radiopacità e
radiotrasparenza non si riferiscono mai alla sola densità del tessuto, ma anche al loro spessore,
altrimenti avremmo parlato di radiodensità.
Quando eseguiamo un esame radiografico dobbiamo sempre indicare:

• posizione, la postura del paziente nello spazio (ortostatismo, clinostatismo, espirazione,


inspirazione, supino, prono…);
• proiezione, direzione dei raggi nei confronti del paziente (antero-posteriore, latero-
laterale).
La metodica più utilizzata è la
teleradiografia, in cui la sorgente
è a 2 metri in modo da eliminare
l’effetto di ingrandimento ed è
utilizzato soprattutto per lo
studio del torace, l’unico esame
che non ha subito variazioni nel
corso degli anni insieme alla
mammografia. Ma esistono
anche altre tecniche.
Nell’esame radioscopico invece presenta delle immagini che si aggiornano in tempo reale ed,
invece di presentare la pellicola per l’impressione dei raggi, presenta uno schermo fluorescente e
un intensificatore di brillanza.

I fotoni che vengono generati attraversano il corpo e urtano contro il mezzo fluorescente
generando radiazione luminosa, questa viene captata
dall’amplificatore di brillanza che digitalizza
l’immagine proiettandola sullo schermo. In questo
modo possiamo seguire i movimenti durante un
esame radiologico. L’immagine che si genera sarà
l’esatto opposto della radiografia, i bianchi diventano
neri e i neri diventano bianchi, questo perché, dove
arrivano più fotoni, perché meno attenuati, più si ha
fluorescenza, mentre più sono attenuati meno
fluorescenza si ha.
È vero che possiamo ottenere più radiogrammi per unità di tempo grazie alle nuove radiografie,
per esempio con l’urografia e poi con la uro-TC, ma non è mai una vera e propria immagine real-
time, e richiede sempre un determinato tempo di elaborazione.
In passato la radioscopia veniva utilizzata per studiare i movimenti, mentre attualmente
l’immagine radioscopica è utilizzata principalmente per

• gli interventi endovascolari;


• le coronarografie;
• il posizionamento del paziente prima di eseguire una radiografia;
• per alcuni interventi ortopedici.
Ad oggi la radiologia è convertita dall’analogico (lastra) al digitale, e tutte le immagini ottenute
tramite raggi vengono digitalizzate per fornire una comunicazione più veloce intra e inter-
ospedaliera. Ciò riduce anche i costi di produzione e riduce alcune complicanze dovute alla
maggiore esposizione in caso di errore. Per ottenere l’immagine i raggi incidono su uno schermo
che è suddiviso in una matrice. Questa matrice è composta da piccole aree (pixel) che generano un
numero. Questo numero è calcolato in base alla differenza tra i fotoni generati e quelli che arrivati,
dopo di ché il computer assegna un colore al numero andando a formare l’immagine. Maggiore
sarà la quantità di pixel presenti (aumento delle righe e delle colonne con consequenziale
riduzione dell’area di ogni pixel) maggiore sarà la risoluzione dell’immagine, andando a diminuire
l’effetto di pixelamento che vediamo in questa immagine.

Grazie alla digitalizzazione delle immagini, oggi tutte le immagini ottenute (RX, TC, RMN…)
possono essere inserite in un database informatico chiamato PACS, permettendo a tutti i medici di
risalire alle immagini diagnostiche di un determinato paziente dopo una determinata richiesta.

Domanda: tra il digitale e l’analogico quale immagine ha più alta risoluzione?


Risposta: nel teorico è sempre meglio l’analogico, perché la risoluzione tende ad essere
infinitesimale, ma nella pratica clinica non c’è alcuna differenza. Questo perché la risoluzione reale
di una immagine analogica è intorno al millimetro, ed esiste una correlazione tra il numero di pixel
e la risoluzione reale (campionare ad almeno la metà della risoluzione massima) che si può
tranquillamente raggiungere con le attuali metodiche diagnostiche.

TC (Tomografia Computerizzata)
La storia della TC inizia intorno agli anni ’60 e si basa su tecniche matematiche già scoperte agli
inizi del XX secolo per scopi di astrofisica. Hounsfield si basa sulla tecnologia dei radar per costruire
una delle prime TC. Il grande vantaggio della TC rispetto alle metodiche radiologiche classiche è
che riesce a valutare la causa dell’attenuazione dei raggi, quindi discrimina se l’attenuazione dei
raggi è determinata dalla densità del tessuto o dallo spessore di quest’ultimo. Inoltre fornisce
un’immagine tridimensionale, che ci permette di localizzare precisamente la posizione di una
lesione. Nelle immagini radiologiche classiche possiamo cercare di determinare la posizione di
un’area densa facendo varie proiezioni, ma la posizione rimane sempre indeterminata. Quando
parliamo di esami tomografici si pensa sempre e solo alla TC, ma anche i raggi X, l’ecografia, la PET
e la RMN lo sono.

L’esame viene sempre eseguito in clinostatismo e l’immagine si ottiene facendo ruotare il tubo
radiogeno intorno al paziente e determinando così una sezione (slice) che viene osservata sullo
schermo come se guardassimo il paziente dal basso verso l’alto. La macchina è molto simile a
quella della risonanza magnetica come forma, ma ciò che cambia è proprio il meccanismo di
funzionamento. L’anello contiene un tubo radiogeno e una lastra di acquisizione delle immagini
digitale (chiamata detettore) posizionata esattamente all’opposto. Il detettore riceve i raggi e li
trasforma in un segnale elettrico che viene successivamente elaborato dal computer. Le TC più
vecchie montavano un solo detettore, mentre quelle più moderne possono montarne di più.
Le TC più antiche venivano definite TAC (Tomografia Assiale Computerizzata), e prendevano
questo nome proprio dal fatto che i macchinari possedevano numerosi cavi che andavano sia al
tubo radiogeno, sia al detettore. Quando la macchina girava, dopo una rotazione completa doveva
fermarsi per ricominciare il giro nell’altro senso altrimenti i cavi si sarebbero attorcigliati intorno al
paziente. Nel lasso di tempo in cui la macchina si fermava, si approfittava della pausa per spostare
di pochi millimetri il lettino del paziente avanti, generando un movimento assiale che avrebbe
permesso alla macchina di esaminare la “slice” successiva.

Con le moderne tecniche di trasmissione dati wireless si è venuta a creare la TC spirale, che può
ruotare all’infinito e permette al lettino del paziente di muoversi ad una velocità costante
eliminando quindi il termine assiale. Inoltre viene aumentata anche la definizione aumentando il
numero di detettori e acquisendo più immagini contemporaneamente, nelle TC di tutti i reparti i
detettori sono 64, ma in quelle da ricerca possono esserci a 256 o a 360 detettori. Il tempo di
rotazione può essere molto veloce, anche inferiore al secondo e consente di acquisire volumi di un
distretto o del corpo intero molto velocemente. La riduzione del tempo riduce anche gli artefatti
da movimento e possiamo chiedere al paziente anche di rimanere in inspirazione per qualche
secondo.
Ricordate che se dobbiamo eseguire un esame del tronco, facciamo alzare le braccia sopra la testa
al paziente in modo da ridurre le interferenze. Mentre se dobbiamo visualizzare il collo e la testa le
abbassiamo.

L’immagine viene ottenuta facendo ruotare il tubo radiogeno intorno al paziente, ma come accade
questo processo? In questa slide possiamo vedere un fantoccio composto da un cilindro più
grande che racchiude al suo interno due cilindri più piccoli più densi. Se tagliassi esattamente in
senso coronale il fantoccio otterrei questa immagine. Dobbiamo immaginare di eseguire
tantissime radiografie ad ogni singola rotazione. Ogni radiografia proietta un fascio di ombra sul
detettore che genera un’immagine ben precisa. La radiografia successiva verrà fatta in una
posizione diversa e anche questa genera un’immagine precisa. Se già sommiamo queste due
immagini possiamo cominciare ad avere un’idea di come sono posizionati i corpi. Se continuo ad
eseguire radiografie, queste si andranno a sommare alle precedenti, dandomi un’immagine
sempre più nitida e precisa. Questo processo ha un nome e si chiama retroproiezione. Il processo
non è così banale, perché le immagini vengono trattate da filtri e algoritmi.

Le immagini vengono quindi processate e colorate secondo una scala di grigi che ha come estremi
il bianco e il nero. Si fa un topogramma che in sostanza è un esame radiografico su cui poi si
imposta la TC. In seguito si regola kV e mAmp come in una radiografia normale.
L’immagine che ne risulta è un’immagine digitale e a ciascun pixel è assegnato un valore numerico
detto numero TC o unità Hounsfield. Tale valore rappresenta l’attenuazione media del
corrispondente volume di tessuto esaminato (voxel). L’unità Hounsfield è collegata alla densità.

Molti tessuti molli hanno valori di densità Hounsfield abbastanza vicini, quindi difficili da
distinguere, per questo si fa uso del mezzo di contrasto.
La scala di valori va da -1000 (aria) a +1000 (osso), il valore 0 corrisponde alla densità dell’acqua.

L’immagine è digitale quindi c’è un numero definito di “grigi”, circa 256, che possono essere
rappresentati.
Rappresentare con 256 grigi, i valori compresi tra -1000 e +1000 è problematico, quindi si utilizza
una “finestra”, cioè si sceglie di rappresentare solo una porzione dell’intero spettro elementare. Si
decide, ad esempio, di rappresentare solo i valori da -100 a +100 usando tutti i livelli di grigi a
disposizione sullo schermo. Ciò che ha valori al di sopra della finestra di riferimento sarà
rappresentato in bianco, ciò che ha valori inferiori in nero; i valori intermedi verranno distribuiti in
maniera lineare all’interno della finestra.
Questo ci fa perdere delle informazioni? Si e no. Fa perdere informazioni perché io guardo solo
quella scala, ma l’informazione è tutta contenuta nella scala di grigi, quindi si può eventualmente
modificare la finestra spostando il livello intermedio di grigio utilizzato sulla densità che si intende
studiare.

Nella sezione sono rappresentate la


biforcazione dell’arteria polmonare di
destra e l’aorta ascendente. Nella prima
immagine è stata utilizzata una “finestra
mediastino” che permette di vedere
molto bene le strutture mediastiniche,
ma i polmoni appaiono tutti neri e ciò
non consente di sapere se c’è qualche
alterazione nel parenchima polmonare.
Usando la “finestra parenchima”, che sfrutta al massimo la scala di grigi per osservare le zone al di
sotto dello 0, si vedono le diramazioni bronchiali ed un nodulo, che si poteva intravedere anche
nell’immagine precedente. Il buon radiologo guarda tutte le finestre, che variano a seconda del
distretto che si deve esaminare (es. finestra per osso, per addome…)
La TC ha dei limiti intrinseci, come l’effetto volume parziale, legato alla risoluzione:
se una lesione ha dimensioni inferiori o al limite della capacità di risoluzione del sistema o allo
spessore della fetta impostato, si corre il rischio di non vederla o di vederla male. Quindi per
guardare lesioni piccole, si devono usare fette molto piccole.
Se lo strumento ha una risoluzione di ½ mm, quindi taglia delle fette di ½ mm e la lesione è presa
tra due fette, quindi la fetta non centra la lesione, metà della lesione sarà in una fetta e metà
nell’altra. Dato che uno dei limiti del Voxel è dato dallo spessore della fetta, in quel dato Voxel
avrò sia il contributo della lesione che del parenchima epatico normale. Per questo la lesione
appare meno ipodensa e più piccola rispetto al reale.
Se la stessa lesione è tutta compresa nella fetta, si vede chiaramente.
L’effetto volume parziale è quindi causa di imprecisione dei numeri TC quando nel Voxel sono
presenti strutture a densità differente, delle quali viene rappresentata una media.
Si può cercare di avvicinarsi alla fetta giusta, facendo le fette il più sottile possibile, limitatamente
alla capacità di risoluzione dello strumento.
Il radiologo dovrebbe almeno ripetere la scansione per far entrare la lesione esattamente al centro
della fetta, anche se normalmente non si fa per evitare troppe radiazioni al paziente.
La TC si può fare con diverse dinamiche perché essendo una TC multistrato ci si può concentrare in
determinate regioni e fare una scansione dinamica utilizzando m.d.c.
In radiologia si usano i termini Radiopacità e Radiotrasparenza. In TC si considera la Densità, quindi
le lesioni in TC saranno IPODENSE (appare nera), ISODENSE, IPERDENSE (appare bianca), sia in
termini relativi che assoluti perché si può calcolare il numero di Housfield.
Si può posizionare il cursore dove si vuole e farsi dire dal computer il numero di Housfield che è
presente in quel preciso Voxel.
Si possono fare delle misure dimensionali per rilevare una lesione bianca e fare un rapporto tra
bianchi, che è importante per una valutazione in oncologia. Ciò ci consente di vedere come le
lesioni rispondono ad un eventuale mezzo di contrasto.
Molte strutture hanno densità simili, quindi anche in TC bisogna ricorrere al mezzo di contrasto:
sostanza in grado di variare la densità delle strutture anatomiche in cui si localizza.
I m.d.c. possono essere:

• RADIOPACHI (o positivi):
sostanze ad elevata densità e ad elevato numero atomico (Iodio, Bario), che aumentano la
densità del tessuto. Il bario si somministra solo per via orale e si utilizza prevalentemente
per gli esami del tubo digerente, non deve essere usato se c’è sospetto di occlusione o
perforazione intestinale perché è tossico e può provocare una peritonite chimica. I mezzi di
contrasto iodati sono oggi per lo più idrosolubili e vengono somministrati per via
endovenosa o per via orale.
• RADIOTRASPARENTI (o negativi)
sostanze che riducono la densità del tessuto (aria e acqua).
L’acqua si utilizza per fare uno studio delle endocavità, quindi tratto digerente alto; dilata
l’esofago, e fa anche un buon contrasto tra il contenuto dello stomaco e le pareti.
L’aria si può insufflare, per esempio nel colon; questo è alla base di un esame che oggi non
si fa più tanto, il clisma con contrasto, ma è anche alla base di un esame con la TC che
prende il nome di colongrafia TC o colonTC, in cui si insuffla aria per dilatare il colon e poi si
da anche del mezzo di contrasto, in genere iodato, e si ottengono delle immagini
I mezzi di contrasto positivi o radiopachi, si dividono a loro volta in:

• IDROSOLUBILI  somministrati e.v. e classificati in


1. ionici
2. non ionici (questi ultimi hanno una bassa osmolarità e possono essere maneggiati
meglio)
• Non IDROSOLUBILI  non possono essere somministrati e.v.
Il più classico è il Bario, una sospensione adoperata per lo studio del canale alimentare.
Può essere utilizzato in quasi tutte le situazioni ma non quando si sospetta una
perforazione intestinale, in quanto andando in peritoneo può causare una peritonite
chimica
Il solfato di bario messo in acqua non viene assorbito, opacizza il tubo digerente per o.s o
per clisma, ma è controindicato in occlusioni e perforazioni, a meno di qualche visione
oscurata di un segmento intestinale.
I mezzi di contrasto iodati sono oggi per lo più idrosolubili e vengono somministrati per via
endovenosa o per via orale.
Sono molto utili il bario ed i mdc iodati che si assumono per via orale per studiare l’addome. In
questi studi è buona norma opacizzare il digerente, per os e non necessariamente con clisma (a
meno che non si debba fare uno studio accurato della regione di qualche segmento intestinale).

Il mdc ci può evidenziare un linfoma intestinale differenziando i linfonodi dal pacchetto intestinale
ed aiutare nel caso di uno Fnab TC guidato.
I mdc radiopachi possono essere somministrati

• per via endovenosa: si distribuiscono nel compartimento vascolare ed extra-cellulare. Sono


assorbibili e per lo più escreti per via renale
• per os o per clisma: per uso digerente
Nonostante non abbiano controindicazioni assolute, ci sono delle controindicazioni relative
importanti all’uso del m.d.c. Bisogna fare attenzione all’allergia allo iodio, perché la quantità
molare di iodio contenuta nel m.d.c. è rilevante e potrebbe creare dei problemi. Quindi in
pazienti con storia di allergia non andrebbe fatto il m.d.c. iodato e se è necessario si consiglia
prima una profilassi farmacologica con cortisonici ed antistaminici nei giorni precedenti e
successivi alla somministrazione del m.d.c., riducendo quantomeno i rischi.
Altre controindicazioni relative sono la grave disfunzione renale e quella epatica. La
proteinuria di Bence-Jones non viene più considerata una controindicazione. Quando ci sono
livelli di creatinina superiori a 1.8 o 2 non va fatta, al di sotto di questi valori si può fare,
avendo l’accortezza di idratare molto il paziente con un carico idrico per o.s o con una flebo,
guardando alla patologia di partenza. Se non si curano questi aspetti si può avere una
tossicità, fino ad arrivare ad una sindrome nefrosica. I valori di GFR di riferimento importanti
da ricordare per l’utilizzo del mdc si aggirano intorno ai 45-50. Al di sotto di questi bisogna
prestare elevata attenzione.
Nell’immagine sottostante ci si trova a livello dell’arco aortico.

Le frecce indicano una zona ipodensa, che è il flap intimale. È un esame salva vita: in un paziente
in cui c’è il sospetto di dissecazione dell’aorta, si fa questo esame rapido, in tutti i pronto soccorso.

Nell’immagine sottostante è rappresentata invece un’embolia polmonare:

Si vedono l’aorta, i rami della polmonare ma c’è una zona con meno contrasto (detta minus)
dovuta ad emboli. I pz a rischio di embolia polmonare sono quelli con trombosi venosa profonda.
La TC polmonare fa fare diagnosi di certezza. Il primo esame da fare al pz con sospetto di embolia
polmonare è la misurazione del d-dimero (se è positivo si fa l’angio-TC) e un doppler degli arti
inferiori.

Valutando l’impregnazione della massa si valuta la sua vascolarizzazione.

Molto importante è l’uso dei mdc nella valutazione oncologica, perché ci consente di vedere bene
anche il rapporto con i vasi.

Rapppresentazione di un ca ilare.
La sezione consente inoltre di vedere linfonodi e metastasi.
I mdc radiotrasparenti riducono la densità delle strutture in cui si localizzano. Possono essere usati
per ottenere un doppio contrasto.
L’acqua è utile per lo studio dello stomaco e del duodeno, con o senza utilizzo di miorilassanti.
L’aria è utile per lo studio dello stomaco; principalmente utilizzata per clisma nello studio del colon
previa ipotonizzazione delle pareti con Buscopan.
Il tubo digerente viene spesso esplorato con un doppio contrasto: uno gassoso (aria) per
distendere e uno che vernicia la parete consentendo di vedere le varie strutture della mucosa.
Oggi si fa per lo più riferimento alla colonscopia a fibre ottiche, ma ci sono delle situazioni nelle
quali non basta. Ad esempio se c’è una stenosi il colonscopio non passa dall’altra parte e se
dovesse essere una stenosi di natura neoplastica devo a maggior ragione sapere cos’ha il paziente.
Non ci basta sapere se la massa stenosante è vegetante o aggettante, ma può essere anche
contenuta nella sottomucosa o essere esterna. E quindi necessario eseguire una TC. Ci sono inoltre
dei pazienti ampiamente defedati, per i quali la colonscopia può essere un problema, in quanto
non possono essere sottoposti ad un’anestesia, della quale si può fare a meno nella TC doppio
contrasto.

Avendo a che fare con una modalità di acquisizione che consente di ottenere queste sezioni
continue e di ridottissimo spessore, si possono ottenere delle immagini di endoscopia virtuale.
Nelle immagini in alto è rappresentata una colonscopia virtuale.(Oggi si usa la TC- colonografia, si
fa la TC al pz in decubito prono insufflando aria nel retto con m.d.c. a dosaggio molto basso. E’
usata, per esempio, in pz nei quali non si può fare una colonoscopia standard per la presenza di
una stenosi). Naturalmente, rispetto alla colonscopia reale, ha dei limiti perché non si può
effettuare un piccolo intervento di rimozione di un polipo o una biopsia; ci sono delle zone
nascoste perché si sta viaggaindo attraverso delle immagini acquisite. Il vantaggio è rappresentato
dal fatto che se per esempio il paziente è in condizioni per le quali non tollera l’esame
endoscopico, può effettuare questo esame.
I dati ottenuti si guardano fetta per fetta con le finestre più appropriate, ma il radiologo può
ricorrere anche a sistemi di ricostruzione, quindi visualizzare alcuni aspetti anziché altri
(determinate superfici, regioni di maggiore intensità o specifici volumi).
La TC spirale consente di vedere sezioni sottili in cui le dimensioni del Voxel sono uguali sui 3 assi:
ISOTROPISMO. Questo permette di ricostruire le immagini ottenendo sezioni secondo qualsiasi
asse (assiale, coronale, sagittale, assi obliqui). Se si pensa ad organi che hanno una distribuzione
particolare ( TC cuore) le sezioni e poi le ricostruzioni devono essere ortogonali agli assi del cuore,
non del corpo.

Si possono ottenere delle ricostruzioni particolari:


MPR: riformazioni su multipli piani
MIP: proiezioni a massima intensità
SSD: ricostruzioni di superficie
VR: ricostruzioni di volume
VE: endoscopia virtuale
In alcuni casi sono l’essenza stessa dell’esame (VE), in altri casi consentono di studiare meglio i
rapporti anatomici.
Seguendo un vaso per rilevare un aneurisma o un infoma o si guardano in seguenza le fette e si
ricostruisce nella mente il percorso o si usa l’ MPR che consente di seguire virtualmente
l’andamento del vaso.
Nella M.P.R. i vari piani sono formattati in un unico piano, in modo da seguire il decorso di qualche
struttura, ad esempio un vaso tortuoso.
Si possono anche guardare solo le superfici degli organi, modificando sempre le finestre.
Una tecnica molto adoperata è la M.I.P., in cui di una serie di fette si visualizza solanto il pixel che
ha il massimo valore. È molto adoperata per studi vascolari.

Questa è la biforcazione aortica nelle arterie iliache con una TC multi slice; c’è il mezzo di
contrasto, ma ci sono anche delle estese calcificazioni.
La tecnica migliore è la V.R. (Volume Rendering), in cui si vedono i volumi e si può decidere di
selezionarne una parte, molto utile ad esempio nella chirurgia ricostruttiva e nella chirurgia
plastica. Si può orientare l’immagine 3D a piacimento.
Nell’immagine sottostante si osserva una protesi di spalla che permette di valutare tutte le
possibili problematiche, come ad esempio un allentamento.

[Integrazione]
TC- MultiDetectore

È uno svantaggio per il radiologo,si ha la possibilità di fare con un singolo giro 256 fette, questo
comporta che le faccio molto sottili e ho una mole di dati da valutare; oggi in una TC total body si
esegue in 2-3 minuti , il tempo per elaborarlo è zero; considerando il tempo di posizionamento del
pz e la somministrazione del m.d.c. si fa la TC in 10-15 minuti.

La dose è la quantità di energia rilasciata dalle radiazioni nella loro interazione con la materia
vivente.
Maggiore è il numero di fette, più alta è la dose ricevuta dal pz e quindi il rischio di causare un
danno. La quantità di energia ceduta per unità di massa si può misurare. L’unità di misura è il
Sievert (Sv) che corrisponde ad un’energia depositata di circa 1J/Kg (1J è l’energia necessaria per
far salire di ¼ di grado la temperatura dell’acqua in ebollizione).
I fenomeni più importanti sono la ionizzazione e l’eccitazione, cioè i fotoni sono in grado di
espellere gli elettroni e di creare coppie di ioni, e dall’altra parte sono in grado di lasciare una certa
quantità di energia a un atomo che non è sufficiente a espellere un elettrone, ma che in qualche
maniera lo rende un po’instabile.
Eventi del genere, se accadono per esempio sull’acqua, che rappresenta la gran parte del nostro
corpo e delle nostre cellule, provocano un fenomeno che prende il nome di radiolisi, e in particolare
di formazione di radicali liberi,con tutto ciò che ne consegue.
Quanta più dose, cioè quanti più radiazioni diamo, tanto più probabili sono questi fenomeni.
Non è che chi si sottopone a una TC avrà un tumore; sono favole. Ma la filosofia che c’è
nell’ambiente radiologico a livello internazionale è quella di tenere la dose più bassa possibile.

L’evoluzione tecnica della TC multistrato è andata nella direzione di migliorare la qualità, ma di


ridurre l’esposizione.
Siamo circondati da radiazioni, radiazioni cosmiche e radiazioni che provengono dal background
che sono dovute alle sorgenti radioattive di elementi naturali, questo livello naturale cambia a
seconda della nostra posizione. In altitudine le radiazioni cosmiche sono maggiori rispetto al livello
del mare, c’è meno atmosfera, meno attenuazione. In una zona di origine vulcanica ci sarà un
fondo di radiazioni più elevato, perché ci sono radioisotopi come il radon, l’uranio ecc. La media
annua delle radiazioni di base a cui siamo sottoposti è 2,5 milliSievert. Il limite di dose annua alla
quale dovremmo sottoporci è di 1mSv. Una rx del torace dà una radiazione di 0,02 mSv, un esame
mammografico dà circa 0.4 mSv, una TC del torace dà una dose di circa 7 mSv, una TC
dell’addome dà 8 mSv, della pelvi 6 mSv; se faccio una TC total body si sommano. Non bisogna
esagerare. Ci sono studi recenti che dicono che aumentando la dose al colon, aumenta la
probabilità di cancro del colon. Quindi si sta cercando di ridurre il più possibile la dose
incrementando la qualità dell’immagine, ciò si può fare con dei sistemi che controllano
l’esposizione.
Si può agire sul tubo radiogeno modulando i fasci che emettono sia in termini di intensità (numero
di fotoni) sia in termini di energia, in rapporto alla diversa conformazione del corpo. Non tutte le
parti del corpo hanno bisogno dello stesso livello di radiazioni. L’attenuazione cambia a seconda
della regione. I nuovi sistemi consentono di modulare la dose in base alla posizione, si riduce la
dose a ¼ dei valori precedenti.
Ci sono varie metodiche per fare questo, attraverso un controllo automatico dell’esposizione (cioè
quante radiazioni vanno al paziente) e un sistema di modulazione della corrente a tubo. La corrente
a tubo corrisponde ai milliampere al secondo, cioè il numero di elettroni, quindi il numero di fotoni;
più fotoni=più dose.

Secondo la legge, nessuno può essere esposto senza motivo a una dose superiore a 1mSv.
In una zona vulcanica, assorbite annualmente tra i 2 e i 3 milliSievert. Con una macchina attuale
una TC viene eseguita con una dose tra 2 e 5 milliSievert, quindi abbiamo una riduzione maggiore
del 50%.

Eseguendo una TC total body, l’attenuazione del fascio è diversa a seconda delle regioni
attraversate quindi in base alla densità delle strutture in esse contenute. Non si fa una total body
con la stessa intensità di radiazione nelle varie parti (torace, addome, pelvi.) ma si effettua una
modulazione secondo l’asse Z. Girando intorno al pz i raggi non incontrano sempre le stesse
densità, quindi si può effettuare anche una modulazione angolare. Classicamente, nell’eseguire la
scansione, il fascio di radiazioni è costante ma se l’attenuazione è diversa nei vari distretti
anatomici non è necessario quindi si può fare una riduzione della dose al paziente di un fattore 2 o
anche 3. Non più un tot di 21mSV ma di 7mSv. Se chiedo una TC con e senza mcd devo fare due TC
(7mSv+7mSv).
Si può ridurre la dose ed aumentare la risoluzione usando dei sistemi di ricostruzione migliori.
Oggi si usano, per la ricostruzione, dei sistemi di tipo iterativo che consentono di ottenere
immagini di qualità anche superiore con meno informazioni di partenza. L’informazione ci è data
dal numero di fotoni (più fotoni arrivano più info ho). Aumentando il milliAmperaggio si ottengono
immagini migliori ma aumenta la dose al pz. Si può agire sul software senza aumentare il
milliAmperaggio ma migliora la ricostruzione. Con la stessa dose ho immagini migliori o riducendo
la dose ho la stessa informazione in termini di qualità.

Alessandro Troisi
Angelica Gozza
DPI - LEZIONE 02 - Continuazione metodiche ed ecografia - (08-10-18) - PROF. PACE

Sbobinatore: Luigi Ciliberto


Controllore: Evelina Flammia

METODICHE DI MEDICINA NUCLEARE


Le metodiche che fanno uso di elettroni ionizzanti sono radiografia, TC; quelle che non ne fanno uso
sono ecografia, risonanza magnetica. Le prime si dividono in due grandi categorie: di tipo diagnostico
e di tipo terapeutico. Entrambe si avvalgono dell’uso di sostanze radioattive somministrate
prevalentemente per via endovenosa (in qualche raro caso per via orale) e, soprattutto nella
medicina nucleare di tipo diagnostico, permettono di acquisire dei grafici collegati a processi
fisiologici e metabolici.
Per quanto riguarda l’approccio terapeutico, le sostanze radioattive somministrate si localizzano a
livello della neoplasia (es. si possono adoperare anticorpi monoclonali marcati (anti-CD20) nella
radioimmunoterapia [il professore ne accenna i vantaggi ma dice che ne parlerà in seguito, oggi si
occuperà della parte diagnostica].
La medicina nucleare è considerata il prototipo dell’imaging molecolare, ovvero quell’insieme di
metodiche diagnostiche in cui la visualizzazione della patologia avviene attraverso la possibilità di
evidenziare alterazioni funzionali e metaboliche → Si cerca di arrivare a livello molecolare, con il
limite rappresentato dalla risoluzione spaziale (ricordate che nella TC la risoluzione spaziale arriva
alla misura del mm o addirittura del mezzo mm) che nel caso della medicina nucleare può arrivare
al massimo alla misura di 3-4 mm. Per cui, è sia possibile studiare le funzioni biologiche le cui
informazioni vengono tradotte in immagini (chiamate immagini scintigrafiche) che misurarle.
Esempio → è possibile visualizzare il cervello dopo aver somministrato fluorodesossiribosio e vedere
che le zone più scure, blu e nere, sono le zone che concentrano meno la sostanza e quelle più
colorate, verso il rosso e il bianco, ne concentrano di più. Se invece invitiamo il paziente a pensare,
a concentrarsi, avremo una situazione diversa in determinate regioni, in questo caso nella corteccia
frontale e prefrontale e questa variazione si manifesta con l’aumento del consumo di glucosio.

Nella medicina nucleare diagnostica abbiamo tre passaggi:

• somministrazione del tracciante, chiamato così perché la sostanza iniettata in quantità


infinitesimali traccia un processo biologico ma non è in grado di modificarlo;
• acquisizione delle immagini;
• elaborazione dei dati.
Il tracciante radioattivo può essere un radionuclide (atomo radioattivo) oppure una molecola
marcata, ovvero legata, ad un atomo radioattivo. In entrambi i casi si parla di radio-traccianti o,
meglio ancora, di radio-farmaco, dove la parola “farmaco” però non sta ad indicare un’azione
farmacologica ma indica semplicemente che una sostanza, essendo iniettata, è soggetta alle leggi
della (farmacocinetica??) e classicamente è composta da un vettore (molecola specifica) e da un
indicatore (radionuclide).
Un nuclide è caratterizzato da un certo numero di protoni che identifica la specie chimica e da un
numero di neutroni che ci dà l’indice di massa, il quale può variare e darci gli isotopi. Per quanto
riguarda i simboli, quello che può variare è l’“alfa” (Es. lo iodio nativo è 127, quelli radioattivi sono
il 123, 125, 131).
Abbiamo un altro tipo di nuclidi che hanno tutti numeri uguali ma uno stato energetico diverso e
sono perciò detti isomeri.
Esistono poi i cosiddetti nuclidi instabili, nei quali c’è una differenza tra il numero di protoni e di
neutroni che genera un eccesso di energia, liberata nel processo di decadimento radioattivo.
Il decadimento radioattivo è la trasformazione di un nuclide radioattivo verso una forma stabile con
emissione di particelle (beta, ovvero elettroni, alfa, come nuclei di elio, gamma e fotoni x). In genere
i nuclidi usati nella medicina nucleare classica hanno un’energia di 140 kV. La cosa importante del
processo di decadimento è che non è influenzato dal legame chimico né da altre caratteristiche
come temperatura, pressione ecc. In questo processo di decadimento per ogni unità di tempo una
frazione decade, cioè si trasforma e questo può essere espresso con una semplice equazione.
Bisogna però ricordare che ogni nuclide decade con una velocità diversa dagli altri (tenendo conto
della costante “lambda”). Un altro concetto importante è quello di emivita, ovvero il tempo
necessario affinché la quantità di sostanza radioattiva si dimezzi. La radioattività viene attualmente
misurata in becquerel (Bq), ovvero un decadimento al secondo. Bisogna inoltre considerare
l’emivita biologica, poiché ogni sostanza immessa viene allontanata dall’organismo con una certa
velocità.
È chiaro che nel caso in cui effettuo un esame radiologico il tempo di esposizione è il tempo in cui
mantengo acceso il tubo radiogeno, quindi per la radiografia si parla di frazione di secondo, per la
TC un po' di più (4-5 min) perché il tubo gira. Nella medicina nucleare invece il tempo di esposizione
equivale al tempo di permanenza della sostanza radioattiva nell’organismo. Così dall’emivita
biologica e da quella fisica si ricava l’emivita effettiva.
Esistono dei radionuclidi naturali, ma quelli utilizzati sono artificiali. Nel decadimento vediamo la
trasformazione di un radionuclide genitore in figlio mediante la cessione di energia sotto forma di
particelle o di fotoni (transizione alfa, isobariche con cessione di particelle beta o isomeriche con
cessione di particelle gamma). Il fatto che vi sia una massa rende ragione del concetto di
penetrazione: le particelle molto grandi come le alfa vengono fermate anche da un foglio di carta,
le beta dalla plastica, le particelle ionizzanti invece teoricamente non le riusciamo mai a fermare del
tutto e per questo avremo bisogno di elementi ad elevato “Z” o elementi ad elevato spessore (in
genere il piombo o calcestruzzo). Una serie molto importante è quella che va dal molibdeno 99 al
tecnezio 99 passando attraverso una forma isomerica o metastatica. Proprio il tecnezio 99M è il
radionuclide più usato nella medicina nucleare sia da solo che in combinazione con altre sostanze
particolari. L’altro decadimento importante è quello positronico (PET) che sfrutta quindi l’emissione
di positroni. Il Fluoro 18, ad esempio è un emettitore di positroni: i positroni emessi vengono
rilasciati con una certa energia, viaggiano nell’ordine di qualche millimetro e, incontrando nello
spazio degli elettroni, si fondono con essi ed esplodono trasformando completamente la loro massa
in energia. La cosa che ci interessa è l’emissione di due fotoni gamma di uguale energia a 180 gradi.
I radionuclidi utilizzati sono prodotti artificialmente: inizialmente venivano utilizzati sottoprodotti
della fissione nucleare oppure si possono produrre tramite l’acceleratore di particelle (ciclotroni,
come quelli usati nella PET). Il tecnezio 99M aveva origine dal decadimento del molibdeno nel
generatore, chiamato colonna, sulla quale è assorbito il molibdeno; da una parte possiamo caricare
la soluzione fisiologica, questa passa attraverso la colonna, avviene una separazione e viene
recuperato solo il tecnezio. Nel reparto di medicina nucleare questa operazione si effettua una volta
al giorno e si fa un approvigionamento settimanale di questi generatori. L’altra metodica di
produzione è come detto il ciclotrone: all’interno abbiamo un sistema che accelera le particelle su
orbite circolari e ad ogni giro aumenta la forza, vengono fatte sbattere su un bersaglio (un nuclide
stabile) trasformandolo in radionuclide (in questo modo il fluoro 18 viene prodotto dall’ossigeno 18,
che possiamo contenere nella cosiddetta “acqua arricchita”).
I traccianti sono:
• soprattutto di tipo positivo, cioè si vanno a localizzare laddove c’è la patologia;
• meno frequentemente, sono di tipo negativo e quindi non si localizzano dove c’è la patologia;
• in altri casi sono di tipo misto.
Per esempio, nella scintigrafia della tiroide si usa il sale di tecnezio, ovvero il tecnezio 99M
pertecnetato, che, avendo un raggio ionico simile allo iodio, penetra nelle cellule tramite
simporto. Una volta entrato rimane intrappolato e in caso di iperfunzione tiroidea si
concentrerà lo iodio più tecnezio, che quindi avrà la funzione di tracciante positivo. In caso
di ipofunzione tiroidea invece funzionerà da tracciante negativo.

I radionuclidi emittenti fotoni gamma utilizzati nella medicina nucleare convenzionale sono:
- Tecnezio 99M (il più usato, con emivita di 6 ore ed energia appropriata)
- Iodio 123
- Iodio 121 (in campo terapeutico)
- Tallio
Tra i positroni emittenti abbiamo molti radionuclidi e alcuni di questi sono isotopi di sostanze
importanti (carbonio, azoto e ossigeno), utilizzati per sostituire l’isotopo stabile. L’unico problema
è che hanno un’emivita molto breve e quindi possono essere adoperati solo in un centro PET che
disponga di un ciclotrone. Ad oggi i radionuclidi più utilizzati sono il Fluoro 18 e il Gallio 68. Il
Fluoro 18 è prodotto col ciclotrone ma ha un’emivita abbastanza lunga (quindi viene prodotto da
delle ditte che poi lo spediscono ai vari centri). Il Gallio 68, con un’emivita leggermente inferiore, si
produce con un generatore.

Le vie di somministrazione sono molteplici ma la più adoperata è l’endovenosa, poi vi è quella


orale e talvolta la sottocutanea, utilizzata per lo studio del linfonodo sentinella. Il tracciante ideale
deve essere sensibile, facile da maneggiare, economico e difficilmente alterabile.

La medicina nucleare si divide in “convenzionale”, che adopera i gamma emittenti, e in medicina


nucleare PET, che utilizza i positroni.
In medicina nucleare convenzionale abbiamo la possibilità di eseguire studi planari (come nella
radiologia) o tomografici (SPECT). Lo strumento principale è la gamma-camera (detta anche Anger
camera): essa deve trasformare l’invisibile (fotoni gamma) in visibile. L’efficienza non è elevata
perché non tutti i fotoni vengono trasformati; la risoluzione spaziale non è elevata perché si basa su
un processo quasi di tipo ottico (collimazione) che fa in modo tale da trasformare solo i fotoni che
cadono perpendicolare allo strumento. Alla fine, quello che abbiamo è un insieme di dati che
rappresentano il numero di fotoni per ogni unità di superficie dello strumento. Così si ha
un’immagine digitale in cui in ogni pixel vi è il numero di fotoni che la macchina è riuscita a
immagazzinare. Distinguiamo così degli studi planari (di tipo statico o dinamico), la tomografia di
fotone singolo e la tomografia PET.
Esempi di studi planari:

1. Nella scintigrafia planare statica della tiroide si somministra per via endovenosa il tecnezio
pertecnetato; si attende una trentina di minuti e si esegue l’esame posizionando il paziente
davanti allo strumento. Ciò che si vede è ciò che vede lo strumento: il lobo dx sarà quindi alla
vostra sinistra.
2. Nella scintigrafia ossea si procede con somministrazione di un radiocomposto formato da un
bifosfonato legato al Tecnezio 99 M. Per cui, dire “scintigrafia ossea al tecnezio” è sbagliato
poiché il tecnezio da solo va nella tiroide, nelle ghiandole salivari, nello stomaco ma non nelle
ossa: per questo si usano anche i bifosfonati.
L’esame si esegue dopo somministrazione endovenosa; si attende un periodo di 2-3 ore per
permettere non solo l’assorbimento della sostanza a livello osseo ma anche l’espulsione
dell’eccesso. In questo caso specifico (del bifosfonato) la concentrazione è determinata dal
flusso e dall’attività osteoblastica.

Esempio di esame funzionale dinamico:

3. tecnezio 99M legato al DTPA (acido dietilene-triamino-pentacetico), che si comporta in maniera


analoga all’inulina e ci permette quindi di studiare il rene.
In questo tipo di esame la registrazione delle immagini avviene contestualmente alla
somministrazione del radiofarmaco, poi si acquisiscono le immagini per una certa durata di tempo
(in questo caso una ventina di minuti) con paziente in genere in posizione supina e lo strumento al
di sotto. Si va a delineare le zone di interesse intorno ai reni e si va a vedere la variazione della
concentrazione radioattiva nel rene destro e nel sinistro in funzione del tempo: questo prende il
nome di tracciato nefrografico. Possiamo vedere all’inizio uno “spike” vascolare e poi c’è la fase vera
e propria di filtrazione. Allo stato attuale questa è l’unica metodica che ci permette di calcolare il
GFR nei due reni separatamente.

4. La metodica tomografica si basa sull’uso di due gamma-camere che ruotano intorno al paziente.
Quindi se noi abbiamo nella TC sorgente e rilevatore che ruotano intorno al paziente, nella SPECT
la sorgente è fissa all’interno del paziente, ma se faccio ruotare il rilevatore intorno al paziente,
potrò comunque ottenere le proiezioni. Una delle principali occupazioni della SPECT è lo studio
di perfusione miocardica. L’esame viene eseguito somministrando dopo test da sforzo e poi a
riposo un tracciante radioattivo che si localizza a livello delle cellule miocardiche in funzione della
perfusione. Le sezioni tomografiche
vengono fatte secondo gli assi del
cuore: quindi avremo delle sezioni
dette “asse corto” e “asse lungo
orizzontale e verticale”. Tutte queste
informazioni vengono utilizzate poi
per ottenere dei report. Nella fase di
sforzo vediamo una riduzione della
concentrazione nella regione del
setto e una normale concentrazione
a riposo. Si possono fare anche delle
valutazioni di tipo funzionale e una
curva volume-tempo con cui si può
ottenere la frazione di eiezione.
Possiamo fare anche delle immagini
sincronizzate con l’ECG.
L’altra grande branca della medicina diagnostica è la PET. Dei vari radionuclidi quello più usato è il
Fluoro 18. La metodica si basa sull’avere intorno al paziente anelli di rilevatori in grado di vedere i
fotoni a 180 gradi. Ci sono molti radiofarmaci per la PET ma non tutti hanno l’AIC (autorizzazione
all’immissione in commercio).

Il principale radiofarmaco usato è l’FDG (fluorodesossiglucosio), ovvero desossiglucosio con un un


gruppo -OH sostituito con un fluoruro. Analogamente al glucosio l’FDG entra nelle cellule attraverso
i trasportatori (GLUT) e lì avviene la fosforilazione ma il glucosio-6fosfato non può andare avanti. In
questo modo noi abbiamo un marcatore del consumo di glucosio. La principale applicazione è in
campo oncologico poiché nelle neoplasie è aumentata la via glicolitica e anaerobica con aumento
dei trasportatori e dell’attività esochinasica. Questo può essere tracciato dall’FDG. Non tutti i tumori
concentrano l’FDG alla stessa maniera per cui in genere tumori più aggressivi hanno una maggiore
concentrazione. Un altro aspetto importante è la valutazione della vitalità di un tessuto e la
possibilità di recidive.

Un centro PET deve disporre per forza di un apparecchio PET-TC: è un apparecchio di imaging
integrato cioè che prevede in successione la TC e la PET. Quelli più moderni dispongono di TC a 16-
64-128 strati. Il paziente esegue l’esame dopo la somministrazione, ad esempio di FDG, si attende
un tempo tra i 60 e i 90 minuti col paziente sul lettino e poi si effettua TC e PET. Rispetto alla TC con
mezzo di contrasto avremo delle variazioni della stadiazione ma soprattutto del piano terapeutico
del paziente con una riduzione del numero di procedure diagnostiche necessarie a stabilire una
stadiazione. Ultimamente sta prendendo piede lo studio del tumore ovarico poiché si può calcolare
quanta massa (in cc) neoplastica c’è nel paziente. È una metodica che si evolve sia dal punto di vista
delle apparecchiature sia dei radiofarmaci e ciò comporta un costante riesame delle indicazioni. Le
applicazioni non sono solo in campo oncologico ma anche cardiologico.

L’ultima arrivata è la PET-MRI: imaging ibrido che prevede la PET e la risonanza magnetica prima
applicata a livello cerebrale e poi anche total body. Ciò consente di sfruttare al meglio le due
metodiche.
ECOGRAFIA
L’ecografia si basa principalmente sulle caratteristiche degli ultrasuoni, sulla generazione degli echi
sui tessuti e sulla generazione delle immagini. Ma gli ultrasuoni sono onde di tipo meccanico quindi
una propagazione dello stato fisico ma non c’è trasporto di materia e naturalmente ha un suo
andamento ciclico che ci determina la frequenza, i suoni (tra 20 e 20.000 hertz) e tutto ciò che supera
i 20000 hertz rientra negli ultrasuoni. Va detto che per ottenere immagini ecografiche utilizziamo
suoni di frequenza molto più elevata e iniziamo a parlare di ultrasuoni di uso medico a 3-3.5 MHz.
Un’onda è quindi caratterizzata da lunghezza, frequenza, velocità, periodo e ampiezza. Quando
un’onda ultrasonora attraversa un mezzo, il mezzo oppone resistenza detta “impedenza acustica”,
diversa tra i vari tessuti. Quando l’onda passa da un tessuto con una certa impedenza acustica ad un
altro con un’altra impedenza acustica incontra un’interfaccia, detta “interfaccia acustica”, ed è lì che
si generano gli echi, è lì che avviene l’interazione.
Università degli Studi di Salerno - Diagnostica per Immagini e Radioterapia Università degli Studi di Salerno - Diagnostica per Immagini e Radioterapia Dipartimento di Medicina,Chirurgia e Odontoiatria
Dipartimento di Medicina,Chirurgia e Odontoiatria

Alta ecogenicità = molti echi

Bassa ecogenicità = nero

Come scegliamo la frequenza? Dobbiamo ricordare che frequenze maggiori hanno maggiore potere
di risoluzione ma penetrano meno, frequenze minori hanno minore potere di risoluzione ma va più
in profondità.

Come si generano le onde ultrasonore? Si usa una sonda che è in grado di generare e ricevere. La
sonda è composta in vetro-ceramica che emette e riceve e poi c’è il sistema elettronico che genera
l’impulso, riceve l’eco, lo tratta e ci consente di visualizzarlo. Le sonde sono di diverso tipo e abbiamo
anche sonde molto piccole (es in campo pediatrico).
Università degli Studi di Salerno - Diagnostica per Immagini e RadioterapiaDipartimento di Medicina,Chirurgia e Odontoiatria
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Ci sono questi dipoli che quando passa la corrente si allineano, si espandono e generano l’onda.
Quindi l’energia elettrica viene trasformata in energia meccanica. Cosa accade agli ultrasuoni
quando attraversano il mezzo in cui si propaga? Possono avvenire la riflessione, la rifrazione, la
diffusione e l’assorbimento. Se l’oggetto incontrato è grande rispetto alla lunghezza d’onda il
fenomeno prevalente è la riflessione di tipo speculare. Perciò una parte sarà riflessa e una trasmessa
a seconda dell’impedenza. Se invece l’oggetto è molto più piccolo rispetto alla lunghezza d’onda non
si generano echi, cioè non si ha riflessione ma diffusione e questo è il limite dell’ecografia (la
risoluzione). La riflessione è l’eco: dove c’è una variazione di impedenza acustica e, quindi
all’interfaccia acustica, la parte del fascio sonoro riflesso dà l’eco. Ora naturalmente ci sono strutture
che non possono essere studiate con l’ecografia, come quelle ad altissima impedenza acustica come
l’osso, e altre a bassissima come l’aria. Quindi quando gli ultrasuoni attraversano il corpo umano
trovano diverse interfacce, le quali generano gli echi, una parte trasmessa si attenua con la
profondità e si possono avere i fenomeni della riflessione (eco), dell’assorbimento, della diffusione
(scattering) che alcune tecniche valutano. Il trasduttore alterna la funzione di trasmissione e
ricezione e il posizionamento è attualmente manuale (operatore dipendente). Noi ovviamente
dobbiamo sapere questo eco da dove viene e da che profondità è stato generato. L’informazione di
profondità è data dal tecnico ed è definita come il tempo intercorso tra l’emissione e la ricezione
dell’onda. La posizione è data dalla linea sulla quale mi ritorna l’eco. La risoluzione spaziale dipende
sostanzialmente dalla capacità di distinguere temporalmente l’arrivo dell’onda, per la risoluzione di
profondità, e la laterale sostanzialmente dalla frequenza e dalla focalizzazione del fascio
ultrasonoro. Esistono varie tipologie di acquisizione e rappresentazione del segnale ecografico, da
quella più antica, la A-mod, a quelle più recenti, che sono quelle di movimento che potremmo
definire quadrimensionali (la quarta è il tempo). Nella A-mod si vedevano i picchi di formazione degli
echi e si vedeva ad esempio lo spessore del setto interventricolare. Questa modalità è stata superata
dalle modalità B (Brightness) [A (Ampiezza)] e in questa abbiamo la luminosità che è in funzione
dell’intensità del segnale ecografico. Poi a queste si aggiungono altre possibilità come l’effetto
Doppler.

[il professore specifica che se all’esame gli si dice che l’eco non è una metodica invasiva e la TC sì
boccia all’istante poiché il concetto di invasività è legato al fatto che si introduce qualcosa nel corpo
(catetere ecc)].
Tornando all’ecografia, potremmo pensare agli effetti termici delle onde ultrasonore e ad un
possibile aumento della temperatura corporea, ma in realtà l’intensità dei fasci ultrasonori in campo
biomedico sono basse e non sono in grado di avere effetti termici. Si possono avere effetti di
gravitazione e sono stati usati anche a scopo terapeutico: ad esempio introducendo un mezzo di
contrasto con delle bolle di gas e poi con gli ultrasuoni le facciamo scoppiare (le bolle possono
contenere anche un medicinale). Ci sono però alcuni indici da tenere in considerazione (da parte
delle ditte) tra cui l’indice termico del macchinario che deve essere inferiore al grado centigrado.
Inoltre, in genere si evita di effettuare l’esame con effetto doppler nel primo trimestre di gravidanza.
I sistemi di scansione possono essere di tipo lineare, in cui l’immagine ha un formato rettangolare e
i trasduttori sono detti “lineari”, oppure di tipo settoriale, in cui l’immagine viene vista solo per
settori, o ancora di tipo convex, con immagini di tipo tronco-conica. Quali sono le immagini
ecografiche elementari? Possiamo vedere immagini di parenchima, di parete e di vuoto. Quindi nella
semeiotica ecografica noi ci basiamo sulla ecogenicità e abbiamo

• le strutture “anecogene”, in cui non c’è formazione di eco;


• le “iperecogene”, in cui vi è una grande formazione di echi;
• le “ipoecogene” (in realtà esistono anche le isoecogene, come nelle lesioni del parenchima).

Esempi:
- lesione anecogena: una
cisti mammaria;
- lesione iperecogena:
angioma epatico;
- lesione ipoecogena:
adenoma epatica;
- lesione iperecogena:
calcoli biliari.

Nel caso della visualizzazione di una struttura


anecogena vediamo un’intensa iperecogenicità
posteriormente: il rinforzo di parete posteriore, ed
è un segno utile per rafforzare l’interpretazione di
questa come una struttura anecogena. Esso è
dovuto ad un iperafflusso di onde nella parete
posteriore con la generazione di più echi (è un
artefatto).
Per quanto riguarda il cono d’ombra, esso si genere
quando una struttura è così densa che tutti gli
ultrasuoni vengono riflessi intensamente e dall’altra
parte non ne passano.

Come appaiono i parenchimi? Naturalmente noi vedremo le


differenze di impedenza acustica evidenziate dall’interfaccia
acustica e in genere vedremo un insieme di fini echi all’interno
del parenchima.

Vena porta → Vedremo le pareti iperecogene e l’interno ipo-


anecogeno. Anecogeno perché il sangue è un liquido ma
abbiamo anche la componente corpuscolare. Con l’effetto
doppler si mette la sonda in condizione di valutare la
differenza di frequenza tra il segnale in uscita e quello in
ingresso.
Il doppler permette di ottenere informazioni sulla presenza di
flusso, sulla direzione del flusso, sulla velocità (sia in termini
quantitativi che qualitativi) e sulle caratteristiche del flusso
(normale o turbolento). Sostanzialmente abbiamo due modalità: l’eco-doppler e il power-doppler,
in cui vedo l’integrale del segnale doppler perdendo l’informazione sulla direzione ma amplificando
la capacità di vedere anche i flussi minimi. Ricordate che la classica colorazione blu e rosso non vuol
dire sangue venoso e arterioso ma in allontanamento e in avvicinamento. Inoltre, con il doppler
possiamo anche studiare la vascolarizzazione di lesioni. Quali sono le applicazioni? Per il sistema
nervoso centrale solo nei neonati per lo studio attraverso le fontanelle, possiamo studiare i vasi del
collo per avere un’indicazione indiretta del sistema nervoso. A livello del collo possiamo studiare la
tiroide, nel torace si studiano la cavità pleurica per vedere i versamenti e le coste (oltre ovviamente
al cuore), nell’addome in pratica tutto, a livello muscolo scheletrico si vedono le strutture tendinee.
Uno dei nuovi sviluppi è l’imaging armonico in cui si studia la trasformata di Fourier, per cui qualsiasi
funzione che ha un andamento periodico può essere considerata come composta da più funzioni
dette armoniche di cui la prima ha la stessa ampiezza e frequenza della principale, la seconda
armonica ha frequenza doppia e ampiezza la metà e via di seguito. Questo vuol dire trasformare un
segnale dal campo reale al campo delle frequenze.
Di particolare importanza sono poi le acquisizioni di immagini in 3D in cui si registra un volume di
tessuto con una digitalizzazione in frazione di secondo, quindi vediamo le variazioni temporalmente
di un movimento e interessanti applicazioni sono a livello cardiaco (studio delle valvole e volumi di
eiezione).
DPI – Lezione 03 – Risonanza Magnetica – 15/10/18 – Prof Pace

RISONANZA MAGNETICA

La risonanza magnetica è tra le più recenti tra le metodiche di imaging.


Per molto tempo è stata chiamata risonanza magnetica nucleare, per sottolineare l’importanza del
segnale è nel nucleo, ma ciò generava confusione e timore, in quanto faceva pensare alla medicina
nucleare, quindi all’uso di sostanze radioattive; ragion per cui ‘nucleare’ non si utilizza più. In
qualche libro inglese è indicata come MRI (Magnetic Resonance Imaging).

Verranno analizzati:
-Principi tecnici
-Principali costituenti dell’apparecchiatura

-Cenni sulle applicazioni cliniche

1924 Magnetismo Nucleare: Pauli


1946 TEORIA: Bloch per i liquidi e Purcell per i solidi
1951 TEORIA: Gabillard note sulla localizzazione spaziale
1973 Lauterbur: su Nature codifica spaziale e back projection
1975 Primo prototipo commerciale

Tra le tante definizioni


questa è quella che la
definisce meglio.
Multiparametrica perché
di base viene definita da
3 parametri; a differenza
delle altre metodiche,
che utilizzano un
parametro (radiologia-
opacità/trasparenza; TC-
densità; ecografia-
ecogenicità; medicina
nucleare-captazione).
Multiplanare: il piano di
scansione è determinato
di volta in volta,
utilizzando i campi

magnetici (in qualche modo somiglia all’ecografia, dove il piano dipende da come posizioniamo la
sonda) (al contrario la TC dà volumi che poi possiamo tagliare a nostro piacimento).

L’apparecchio della risonanza magnetica si compone di un canale dove posizioniamo il paziente, e


quindi non tutti i pazienti possono entrarci.

Caratteristiche e vantaggi:
• Non utilizza radiazioni Ionizzanti
• Multiplanare


1
• Multiparametrica

• Alta risoluzione di contrasto (capacità di vedere varie strutture con caratteristiche tissutali
differenti)
Svantaggi:
• Elevati costi di gestione (simili ai valori di una PET, circa 2milioni di euro)
• Meno veloce della TC (per una TC encefalica bastano 5/6min, per una risonanza encefalica
dai 30 ai 45min)
• Minore risoluzione spaziale della TC

Su cosa si basa?
I nuclei di alcuni elementi con numero dispari di protoni e/o neutroni (es. H) sono dotati di spin
intrinseco, cioè ruotano intorno a sé stessi.
Dato che ogni carica elettrica in movimento produce un campo magnetico, anche questi
nuclei, carichi elettricamente e dotati di spin, sono associati ad un campo magnetico
microscopico detto momento magnetico nucleare o dipolo magnetico.

questo è un elenco dei nuclei con queste caratteristiche. Utilizziamo l’idrogeno perché è il più
abbondante ed è il più sensibile.

L’unità di misura del campo magnetico è il Gauss.


1 Tesla = 10.000 Gauss
L’intensità del campo magnetico terrestre è di 0.5 Gauss (0.00005 Tesla) e non è sufficiente a
determinare orientamento dei dipoli magnetici
Il campo magnetico di un’apparecchiatura RM va da 0,2 Tesla fino a 3T e oltre.
1 Tesla vale 10000 Gauss, quindi un valore 20000 volte superiore a quello del campo magnetico
terrestre.
Gli apparecchi diffusi attualmente in Italia sono 1,5 Tesla.

Nuclei dotati di momento magnetico si orientano in un campo magnetico esterno

2
Un nucleo con spin I=1/2 in un campo magnetico costante B0 può assumere due direzioni:
parallela ed antiparallela al campo stesso

Quindi, in situazioni normali, i nuclei dell’idrogeno sono disposti in modo casuale, dato che il
campo magnetico terrestre non è sufficiente per direzionarli.
Se facciamo la somma vettoriale di tutti i campi magnetici microscopici dei protoni, il vettore
risultante avrà valore 0.

In assenza di un campo magnetico esterno i momenti magnetici dei nuclei di idrogeno sono
orientati casualmente: la loro somma è nulla

Viceversa, in presenza di un forte campo magnetico esterno stazionario (B ), i protoni tendono ad


0
orientarsi parallelamente alla direzione del campo magnetico esterno.
Si produce così una magnetizzazione risultante M, orientata parallelamente a B
0.
Inoltre sempre per effetto di B , il momento magnetico di ciascun protone comincia a ruotare,
0
cioè a precedere attorno alla direzione di B nello stesso modo in cui l’asse di una trottola ruota
0
intorno alla direzione della forza di gravità.

Rispetto a B0, per i protoni esistono solo due possibili orientamenti, parallelo
(basso livello energetico) ed opposto o antiparallelo (alto livello energetico).
In condizioni di equilibrio, il numero di protoni paralleli è lievemente superiore
rispetto al numero di protoni antiparalleli.

3
Non tutti sono orientati in maniera parallela, c’è una lieve preponderanza di quella disposti in
maniera parallela!
Facendo la somma vettoriale, ora non sarà 0.

Questa piccola prevalenza di protoni paralleli produce una magnetizzazione risultante (M),
misurabile, che ha la stessa direzione e verso del campo magnetico esterno B0 e ha un valore
molto piccolo pari a circa un milionesimo di B0.

Comportamento dei protoni in un campo magnetico esterno (B0)

La frequenza con cui i protoni ruotano attorno alla direzione di B0 è detta frequenza di
precessione o di Larmor (ω0) e dipende da due fattori:
-la costante giromagnetica (γ ) , valore numerico caratteristico di ogni specie nucleare,
-la forza del campo magnetico principale B0.

ω0 = γ B0

Quindi ω0, la frequenza di precessione, (o di rotazione, anche se imprecisamente, oppure la


frequenza alla quale girano intorno all’asse B0) è dovuta al nucleo stesso, cioè alle sue
caratteristiche, e all’intensità del campo magnetico. Quindi se io cambiassi B0, siccome γ è una
costante, cambia ω0 dello stesso nucleo. Quindi la frequenza di precessione determinata dalla
costante giromagnetica tipica del nucleo e dall’intensità del campo magnetico B0, seppur lo stesso
nucleo, può precedere una diversa frequenza se si cambia B0, anche di poco.
A questo punto avremo un nostro vettore (m), ovvero un momento magnetico dovuto all’azione
del campo magnetico Bo esterno sui nostri nuclei che stanno ruotando.

Questi nuclei ruotavano anche prima dell’applicazione del campo magnetico esterno, ruotavano
con la stessa frequenza ma si trovavamo in fasi diverse. Mettendoli in un campo magnetico
esterno, la fase non cambia.

Così come abbiamo ottenuto un unico vettore, facendo la somma di tutti i vettori, questo vettore
possiamo anche scomporlo (con la regola del rombo) in un vettore longitudinale ed uno
trasversale.
In questa situazione la componente trasversale è pari a 0. Siamo passati da una condizione di
equilibrio disordinato ad una condizione di equilibrio ordinato; questo non genera segnale.

In condizioni di equilibrio, in presenza di un campo magnetico uniforme, tutti i protoni hanno la


stessa frequenza, ma non la stessa fase di processione.

4
Quindi per ogni protone possiamo considerare due
componenti vettoriali:
- magnetizzazione longitudinale, somma dei
singoli momenti
- magnetizzazione trasversale che, in
condizioni stazionarie, non c'è perché hanno
una diversa fase di precessione.

Per ottenere un segnale dobbiamo perturbare questo equilibrio con onde di radiofrequenza
dall’esterno (rumori pulsanti). Questi impulsi devono avere la loro stessa frequenza di precessione,
in modo da far entrare i nuclei in risonanza, ovvero in modo che ci sia un trasferimento di energia
dalle radiofrequenze ai protoni (da qui il nome di risonanza magnetica).
L'ordine di grandezza di queste frequenze è 1-500 MHz.

Attraverso questo processo avvengono due


fenomeni:
- la sincronizzazione dei protoni nella stessa fase di
precessione, quelli che stanno dietro ricevono questa
spinta e si compattano con quelli davanti e
continuano a ruotare con la stessa frequenza ma
adesso sono anche nella stessa fase;
-avendo dato questa energia, alcuni protoni hanno
un’energia sufficiente per opporsi alla direzione del
campo magnetico, al polo sud, andranno in direzione
antiparallela; quindi avremo protoni ad un livello
energetico più basso (che ruotano in senso parallelo)
e protoni ad un livello energetico più alto (che
ruotano in senso antiparallelo).

5
Per cui il nostro vettore somma (M) non sarà più lungo l’asse del campo magnetico ma si
allontanerà dall'asse z di un angolo proporzionale all’intensità(forza) e alla durata dell’impulso RF.

Quindi un impulso doppio, o per durata o per


intensità, determinerà uno spostamento di 180°
rispetto il 90°.

Possiamo dare impulsi tali da far spostare il


nostro vettore dall’asse di 90°, e quindi facendo sì
che la componente verticale del campo
magnetico principale si azzeri e ci sia soltanto
quella orizzontale, oppure dare impulsi tali da far
spostare il vettore di 180°. Questi sono i
cosiddetti impulsi che combinati formano le sequenze. In risonanza magnetica si usano, per
ottenere le immagini, delle sequenze che non sono nient’altro che la combinazione di questi
impulsi.
Il prof specifica che sono concetti molto tecnici che a noi interessano poco, l’importante è che
ricordiamo il concetto che quando si parla di sequenze di risonanza magnetica si intende una
combinazione di impulsi tali da perturbare il sistema di equilibrio in cui abbiamo messo il corpo da
studiare.

6
L’impulso ha una durata. Quando non viene più
fornita energia i nuclei si disincronizzano, ovvero
perdono la loro componente trasversale
[rilassamento trasversale], e i nuclei che
abbiamo portato a 180° non hanno più l’energia
per opporsi e quindi ci sarà una
demagnetizzazione o rilassamento
longitudinale. Questi sono tempi,
rispettivamente T2 e T1. Quindi noi valutiamo il
tempo che ci impiega a recuperare la
magnetizzazione longitudinale, e a perdere
quella traversale.

DA QUESTI VALORI OTTENIAMO LE IMMAGINI!

Il T1 è il tempo di rilassamento
longitudinale, ovvero il tempo necessario
affinché i protoni recuperino la loro
magnetizzazione longitudinale, cedendo
energia al microambiente circostante;
questo processo è descritto da una funzione
di tipo esponenziale e indica il tempo
necessario per recuperare il 63% della
magnetizzazione longitudinale.

Durante il tempo di rilassamento T1 si ha il


progressivo recupero della magnetizzazione
longitudinale.

Dipartimento di Medicina, Chirurgia ed Odontoiatria


La velocità del T1 dipende da numerosi fattori, tra cui l’intensità del campo Bo e la dimensione
della molecola stessa.
Il DNA ha un T1 Lungo, i Lipidi Breve.

Considerando le immagini in scala di grigi: T1 lungo, ovvero un valore elevato di T1, si presenta con
un’immagine chiara (bianco), mentre un T1 breve si presenta con un’immagine scura (grigio/nero).

7
Il T2(tempo di rilassamento trasversale) invece
rappresenta il tempo nel quale avviene la perdita
della magnetizzazione trasversale, nella quale i
protoni si desincronizzano. Man mano che si
disincronizzano, il vettore si riduce, e questo è
descritto da una curva esponenziale negativa.

Durante il tempo di rilassamento T2 si ha la


desincronizzazione dei protoni ed il conseguente
decremento progressivo della magnetizzazione
trasversale

Il T2 è un processo descritto da una funzione di tipo esponenziale ed indica il tempo richiesto alla
magnetizzazione trasversale per decadere al 37% del valore iniziale.
T2 dipende da vari fattori come ad esempio dalla dimensione delle molecole.
Grosse molecole hanno T2 più brevi. L’acqua ha, quindi, un T2 lungo.
Nei tessuti biologici il T2 è compreso tra 50 e 150 millisecondi.
A differenza del T1, il T2 è poco influenzato dalla variazione di B
0
Quindi in un’immagine T2 pesata, l’acqua, e i liquidi in generale, ha un segnale T2 intenso
(molecole IPERINTENSE) e quindi si presenta con un colore bianco, mentre invece le molecole più
grandi hanno un segnale T2 breve (sono IPOINTENSE) e si presentano con un colore grigio/nero.

[slide non commentate:


Il campo magnetico principale B0 non è perfettamente uniforme e presenta una certa
disomogeneità, che produce una desincronizzazione dei protoni accelerata rispetto a quanto
avverrebbe in un campo magnetico perfettamente omogeneo.
In queste condizioni il tempo di decadimento del segnale è definito T2*.
Esso dipende sia dalle interazioni reciproche tra i protoni (spin-spin) sia dalle inevitabili
disomogeneità di B0. E’ possibile ricavare T2 da T2* in quanto le disomogeneità di B0 sono
reversibili, mentre le interazioni “spin-spin” sono irreversibili.

Il valore di T1 per un dato tessuto dipende dall’intensità del campo magnetico principale B0 e
cresce all'aumentare di questo. Nei tessuti biologici i valori di T1, per intensità di B0 comprese tra
0,1 e 0,5 TESLA, oscillano tra 300 e 700 millisecondi.
Il valore di T2 è poco influenzato dalle variazioni di B0 e può essere uguale o inferiore a T1. Nei
tessuti biologici i valori di T2 sono compresi tra 50 e 150 millisecondi.]

8
MAGNETI

La componente principale di un apparecchio di risonanza magnetica è il magnete.


Produciamo un campo magnetico stazionario con dei magneti I primissimi erano dei magneti
permanenti, che non sono più adoperati perché pur essendo poco costosi avevano un peso
notevole e bassa potenza. [Possiamo usare il materiale ferroso, che hanno il vantaggio di essere
poco costoso ma consentono campi di bassa intensità (0,2T) e hanno grande peso]
Attualmente utilizziamo i magneti resistivi.

PERMANENTI
• Poco costosi
• Ridotta dispersione del campo magnetico nello spazio
• Peso elevato
• Bassa potenza (fino a 0,5 T)

RESISTIVI
• Ridotta dispersione del campo magnetico nello spazio
• Peso elevato
Bassa potenza (fino a 0,5T) Resistivi
• Sono costituiti da bobine attraversate da corrente elettrica
• Generano calore in proporzione alla corrente che li attraversa
• Poco potenti (0,2-0,3 T) Economici

Attualmente si utilizzano i SUPERCONDUTTIVI


• Si basano sulla capacità di alcune sostanze di non opporre resistenza alla corrente elettrica,
se tenuti ad una temperatura prossima allo 0 assoluto (-273° C)
• Possibilità di ottenere campi magnetici potenti (4 T)
• Costosi
• Utilizzano azoto liquidi o elio per il raffreddamento
• Grossa componente dispersa

Tutte le risonanze magnetiche che necessitano di un campo magnetico da 1,5 T a salire vengono
fatte tramite questi materiali superconduttivi.
Esistono poi altre componenti molto tecniche, sulle quali il Prof. non entra nel dettaglio.
Le componenti essenziali utili per effettuare la RM sono quindi un magnete, bobine di Shimming,
che servono per rendere uniforme il campo magnetico, e le antenne per la radiofrequenza, che
possono essere singole o doppie (un'antenna per la trasmissione delle radiofrequenze e una per la
ricezione).
Le antenne o bobine possono essere di forma e
dimensioni diverse, in base al distretto che
vogliamo analizzare, e questa una grande
differenza con la TC. Le onde radio possono essere
trasmesse e ricevute solo in questa zona!
Ma ne esistono anche per distretti più ampi, con
bobine che ricoprono torace/addome del pz.

9
L’IMMAGINE

La risonanza è un esame multiparametrico, noi otteniamo i tre principali parametri:

- la densità protonica,
legata alla quantità di
protoni che sono entrati in
risonanza in una
determinata struttura
(relativamente simile alla
densità della TC)
- immagine T1pesata
- immagine T2 pesata
T1 e T2 non contemporaneamente,
e sono soprattutto queste due che
ci danno il contrasto, quindi
l’immagine. Il contrasto
dell'immagine dipende
principalmente dalle differenze di T1 e T2 (quindi differenze di tempo di rilassamento) nel tessuto
che stiamo esaminando.

Considerando il cervello, il contrasto tra sostanza


bianca e grigia è ben evidente:
- Nelle immagini T1 pesate la sostanza grigia
appare grigia, la sostanza bianca appare
bianca, il liquor appare nero (nei ventricoli);
- Nelle immagini T2 pesate si ha l’opposto:
inversione tra sostanza bianca e grigia e il
liquor appare bianco (iperintenso).
Un trucco per riconoscere se l’immagine è in T1 o in
T2 è guardare una struttura a contenuto liquido: se
appaiono iperintense è sicuramente un’immagine
pesata in T2, a meno che non abbiamo usato mezzo
di contrasto, e viceversa.

Sfruttando gli impulsi delle varie frequenze


si genera il segnale di risonanza. La
frequenza è quella di Larmor per far
risuonare, ed essa dipende dalle
caratteristiche del nucleo di H e dal campo
magnetico B0. E io come faccio a fare i
piani? Si utilizzano i gradienti magnetici,
ovvero devo far variare il campo magnetico
Bo nei 3 assi x, y, z, in modo da far risonare
di volta in volta sezioni diverse.

10
Se si hanno due provette e il campo
magnetico che si utilizza è costante, e non
c'è gradiente, quello che avremo è un
singolo segnale; se si introduce un
gradiente, quindi una variazione del campo
magnetico lungo l'asse X, in questo caso il
segnale varia e avremo due segnali.
ω0 = γ B0 : dato che gamma è una costante
posso far variare solo B0.

Questo discorso, fatto per le provette,


nella risonanza si applica ad un organo,
quindi con il gradiente si ottiene un
segnale che varia in funzione del gradiente
stesso e così si ottiene una
rappresentazione grafica.
In questo modo posso ottenere
un’informazione di provenienza.

Per poter massimizzare le differenze in T1 e T2, si combinano in


modo diverso i segnali a 90° e 180°.

Gli impulsi vengono combinati tra loro ottenendo varie sequenze


codificate con dei nomi. Ce ne sono diverse ed ognuna di esse ha
un’applicazione principale.
Il prof. ribadisce che non è necessario saperle.

Spin-Echo: una a 90° +


una o più a 180°
Inversion-Recovery
(T1): una a 180° + una
a 90°
Gradient-Echo:
variante di Spin Echo

11
Sono set programmati di vari impulsi di radiofrequenza, e dipendono da vari parametri:
TEà time-echo, tempo tra l’applicazione della radiofrequenza e il picco del segnale;
TRà tempo di ripetizione, di intervallo tra i due impulsi.
Esempi:

Un tessuto che contiene molyto liquido avrà: un


T1 e un T2 lungo, e apparirà ipo-intenso in T1 e
iper-intenso in T2. Il contrario avvieneper un
tessuto ricco di grasso.

Tra il liquor e il parenchima cerebrale (curve in


T2), la differenza è tanto maggiore quanto più
tempo è passato dall’impulso di radiofrequenza
e il tempo di registrazione.
Agendo su questi parametri possiamo ottenere immagini più o meno pesate in T2. In genere le
sequenze sono codificate.

12
PIANI DI ACQUISIZIONE

I piani sui quali si possono ottenere le immagini


dipendono dai gradienti (acquisiti di volta in volta)
quindi non si è vincolati ai tre piani ortogonali ma si
possono ottenere anche immagini su piani diversi.

La risonanza è indicata per i tessuti molli


(parenchimi, muscoli, legamenti, midollo osseo) e le
componenti vascolari.

[Nella slide sovrastante: immagine T2 pesata del ginocchio con soppressione del grasso]

13
immagine dell’addome T1 pesata. I vasi
appaiono ipo-intensi, il sottocute appare iper-
intenso, milza iper- intensa poiché è ricca di
sangue.

Immagine T2 pesata in cui si è riusciti a sopprimere


la presenza del grasso (vedi cuore).

A differenza della TC, nella risonanza magnetica bisogna scegliere prima il piano di acquisizione
desiderato e ottenibile tramite uno specifico gradiente.

MEZZI DI CONTRASTO

La maggior parte delle applicazioni, in risonanza magnetica,


possono far a meno del mezzo di contrasto.
Ci sono casi in cui il mezzo di contrasto ha la sua importanza:
-studio dei noduli mammari.
Il mezzo di contrasto, in questo caso, agisce interagisce
interagendo con i nuclei di idrogeno che abbiamo utilizzato,
alterandone il rilassamento (quindi noi non vediamo il
mezzo di contrasto, a differenza di altre tecniche).

I mezzi di contrasto sono raggruppati in due grandi


categorie:
1. Paramagnetici: composti legati al gadolinio (o al
magnesio), sono quelli maggiormente utilizzati e
il più usato tra questi è il gadolinio DTPA (acido
dietilen - triamino - pentacetico). Utilizzando
mezzi di contrasto paramagnetici si agisce su T1
(aumentano l’intensità del segnale T1) e quindi
bisogna fare immagini T1 pesate per vedere
l’effetto del mezzo di contrasto. Il DTPA che
determina la distribuzione del gadolinio, ha una
distribuzione inizialmente intravascolare poi
extracellulare e poi viene eliminato per via
renale. = POSITIVI
2. Superparamagnetici: molecole di ossido di ferro che agiscono sul T2 e ne riducono l’intensità
del segnale. Sono stati utilizzati soprattutto per le lesioni epatiche occupanti spazio perché
queste molecole vengono captate dalle cellule del Kupffer. = NEGATIVI

Invece in TC e radiologia chiamavamo positivi quelli che aumentavano la densità (elevato numero
atomico, e negativi quelle che riducevano l’intensità (a basso numero atomico).

14
I mezzi di contrasto possono essere:
• Intravascolari-extracellulari
• Intracellulari epato-specifici
• Reticoloendoteliali
• Intravascolari

Possiamo adoperare un mezzo di contrasto a


seconda di quello che vogliamo studiare.
Per quanto riguarda i paramagnetici, possiamo
andare a vedere l’enhancement, variazioni del
segnale T1 indotto dall’arrivo e dall’espulsione
del mezzo di contrasto.

EFFETTI COLLATERALI mdc

Si possono avere effetti collaterali legati all’uso


dei mdc in risonanza magnetica. In genere
sono lievi e rari. L’unica preoccupazione
descritta negli ultimi anni riguarda i pazienti
con deficit della funzione renale, ovvero
pazienti con insufficienza renale cronica nei
quali si è riscontrata la possibilità di sviluppare
una patologia nota come Fibrosi Sistemica Nefrogenica, provoca danni renali (i quali peggiorano
l’insufficienza renale cronica) e si associa anche ad una dermatite.

ESECUZIONE DELL’ESAME RM: LA SEQUENZA DI EVENTI

Il pz viene posizionato con l’apposita bobina. Vengono


utilizzati i segnali più appropriati e si registrano i segnali in
uscita, fino ad arrivare all’acquisizione delle immagini, che
sarà T1 o T2 pesata a seconda delle sequenze che
abbiamo adoperato.
CONTROINDICAZIONI ASSOLUTEàpazienti portatori di
pacemaker e pazienti che hanno protesi in metallo
ferromagnetico (oggi sono prodotte in materiali compatibili amagnetici) o in alcuni casi anche
proiettili o frammenti.

Il paziente e naturalmente gli operatori devono


lasciare fuori dalla stanza tutto ciò che è suscettibile
al campo magnetico, il paziente in genere viene
fatto svestire e rivestire con un camice ospedaliero.
CONTROINDICAZIONI RELATIVEà pz in terapia
intensiva (non è possibile fare una risonanza se il pz
è costretto a rimanere a letto; Insufficienza renale
(per il mdc) e gravidanza.

15
COSA SI VEDE NELLE IMMAGINI CONVENZIONALI
Le immagini di densità protonica non vengono quasi mai utilizzate. Sono invece utilizzate le
immagini in T1 e in T2. Si va a guardare la forma e l’aspetto, le dimensioni, la struttura e il segnale
ricordando che una struttura può essere ipo-intensa, iper-intensa iso-intensa rispetto alle altre.
Nella RM il tutto dipende dal tipo di immagine, se è una T1 o una T2.

Nella slide a destra si vede la stessa lesione prima e


dopo la somministrazione del mdc in T1. Si capisce
che è la stessa immagine dal fatto che non si vede il
liquor nel canale midollare.

16
Ci sono delle cose che bisogna notare subito
nel momento in cui si osserva l’immagine:
se è in campo il canale midollare; se è
apprezzabile il liquor o meno e nel caso in cui
lo si vede bianco è una T2, perché c’è contrasto
lì dentro.
Immagine a sa pre-contrasto, a dx post-
contrasto.

Le immagini pesate in T2 (dette anche immagini dell’acqua, poiché l’acqua appare iper-intensa in
T2) sono quelle che ci servono per guardare la
presenza di patologie.

Oltre T1 e T2 possiamo utilizzare anche altri


parametri. Oggi stanno prendendo importanza,
oltre che in campo neurologico anche in campo
oncologico, le cosiddette immagini di
diffusione(DWI), immagini che rappresentano
le caratteristiche di maggiore o minore libertà
dell’acqua, la diffusibilità dell’acqua.
Il movimento browniano delle molecole
d’acqua è ridotto dalla presenza di membrane.
In linea generale, l’acqua extracellulare si
muove di più, ha una maggiore diffusività di quella intracellulare.
Questo movimento dell’acqua è tanto minore quanto maggiore è intracellulare, quindi in tutte
quelle patologie in cui aumenta il numero di cellule in una determinata regione, in quanto le
membrane limitano la diffusione dell’acqua.
Si tratta di un immagine pesata in T2, ottenute sui 3 assi, e vedere rispetto ai 3 assi come l’acqua si
è mossa.

L’immagine di risonanza in diffusione riflette lo spostamento delle molecole d’acqua


all’interno dell’unita dell’immagine (valido sia per la TC che per la RM ) che è il voxel.

17
18
DWI
Se bisogna fare immagini DWI (Diffusion Weighted Image), cioè le immagini pesate in diffusione,
bisogna elaborare un set di immagini pesate in T2 e poi si va a guardare nei tre assi come l’acqua si
muove.
Dalle immagini DWI si può calcolare il coefficiente apparente di diffusione o ADC che è un valore
numerico che si può calcolare e ha alcune applicazione.
Tanto più è elevato, tanto più l’acqua è libera di
diffondere. È rappresentato dall’iperintensità.

Quindi l’acqua nei ventricoli apparirà:


-iperintensa in DWI,
-ipointensa in ADC.

19
A destra è possibile osservare una valutazione di infarto cerebrale che dalle immagini classiche non
si vede molto. Nelle DWI e nelle ADC è possibile invece osservare precocemente l’area di infarto e
le immagini si presentano come l’una l’opposto dell’altra.

SPETTROSCOPIA DEL PROTONE


Si va a valutare come il segnale cambia, in un campione
ristretto, in funzioni di quali molecole contengono
l’idrogeno.

La spettroscopia del
protone, valuta, quel
fenomeno chiamato “Chemical Shift” secondo il quale un protone
dà segnali diversi a seconda della nube elettronica dalla quale è
circondato. La nube elettronica che lo circonda, però, dipende
dalla molecola in cui è inserito il protone.
Gli elettroni stessi subiscono l’effetto del campo magnetico e
schermano il protone dagli effetti del campo magnetico e quindi
sulle radiofrequenze. Il segnale viene maggiormente attenuato
quanto più è densa la nube elettronica. L’idrogeno è legato a una
molecola anziché un'altra e darà un segnale diverso, e questo è alla base della spettroscopia in RM.

Quello che si
valuta sono
diverse
molecole in
diversi
distretti.

20
Oggi ha poche applicazioni, si fa in relazione alla prostata, per studiare come cambia la
composizione del tessuto, soprattutto
rispetto la colina.

Questo è un imaging spettroscopico di una


lesione della prostata: immagine in T1 alla
quale è sovrapposta l’intensità del segnale
della colina. L’aumento del segnale della
colina in quella regione indica che ci sono
più membrane e quindi un’elevata
cellularità. (quindi in realtà non ci dice
molto)

APPLICAZIONI CLINICHE
• Addome Angio RM
• Pelvi
 Uro RM
• Articolazioni Colangio RM
• Cuore

• Colonna vertebrale (soprattutto il midollo spinale, oltre che il midollo osseo)
• Cervello

21
Questa è una Colangio-RM, in cui si vedono le
vie biliari senza mdc, semplicemente con le
sequenze appropriate (in T2 con soppressione
di grasso). È utilizzata per valutare l’albero
biliare e la colecisti.
A destra, un’Angio-RM senza mdc.

Questa è un Angio-RM senza mdc in cui si


possono valutare i vasi.
(in T2, che permette di vedere il sangue molto
bianco)

A livello cardiaco, una delle applicazioni più


interessanti col mdc è:
-la perfusione delle pareti
-la contrazione
-il flusso
Può essere eseguita dopo uno stress
farmacologico per vedere se lo stress induce
un’ischemia della parete. Questo è l’esame
migliore attualmente disponibile per valutare la
massa miocardica, l’ispessimento parietale e i
volumi. Forse non il più semplice ma è il più accurato.

22
Qui si vedono una serie di immagini T1 pesate, prima e dopo mdc, di
una lesione epatica VII segmento, in DWI la lesione appare
iperintensa e questo è un segno di malignità, il valore di ADC ha un
segnale basso, quindi è una lesione ad alta cellularità.

prostata

Ci sono vari studi in corso per capire se è possibile distinguere lesioni benigne da quelle maligne.

LIMITI
-parenchima polmonare: povero di H quindi non ci dà
segnale,
-oggetti metallici, seppur non magnetici, può portare
artefatti (così come per la TC),
-protesi.

EFFETTI BIOLOGICI

-i campi magnetici stazionari, fino a 4 Tesla, non danno


effetti (tranne per gli oggetti metallicià effetto missile
o proiettile);
-i gradienti, biologici o indotti;
-gli impulsi di radiofrequenza, possono portare a
riscaldamento dei tessuti

Per quanto riguarda il cuore, si usano elettrodi per


l’ECG non ferromagnetici (nemmeno diamagnetici), costruiti apposta per la risonanza magnetica
(che possiamo fare se è passato un tempo adeguato).
Stesso discorso per la chirurgia: si devono usare clips (introdotte ne 1995, verificarne sempre le
caratteristiche) che non interagiscono con la risonanza. Stesso discorso per le protesi. Attenzione

23
ai corpi estranei, schegge metalliche post-incidente, frammenti di proiettile, fare sempre un
accurata anamnesi.
Secondo l’ACR (American College of Radiology) bisogna fare un doppio screening:
-accurata anamnesi;
-esame radiologico in caso di sospetto di frammenti metallici.
L’uso dei metal detector è inutile: non distingue il
ferromagnetico dal diamagnetico.

Poi naturalmente in gravidanza, anche se non ci sono evidenze di


danno, si usa con una certa cautela, e sicuramente non si deve
adoperare il mdc; la claustrofobia, invece, può essere un grosso
limite.

RM Fetale
-attualmente le linee guida dell’FDA chiedono ai costruttori di indicare sugli apparecchi RM che la
sicurezza per il feto non è stata dimostrata
-L’uso del mdc è controindicato in gravidanza

Le modalità di interazione per cui la RM può nuocere ai portatori di PM ed ICD rientra in 3 tipologie:
Il campo magnetico statico determina effetto meccanico sugli oggetti metallici
1- Una variazione del campo magnetico può produrre corrente elettrica in un circuito elettrico
situato al suo interno (PM o ICD) ed essere in grado di produrre artefatti elettrici e portare al
malfunzionamento PM/ICD
2- Un difetto di ricezione del device, dovuta ad inappropriata stimolazione poiché il dispositivo
non registra correttamente l’attività elettrica spontanea.

Dal 2008 sono stati messi sul commercio PM RM-compatibile, vari devive “MR conditional”, il cui
utilizzo in RM diventa sicuro se si rispettano tutte le indicazioni fornite dal costruttore.
Esiste una flow-chat che valuta alcune caratteristiche, soprattutto quelle fornite dai costruttori.

SAR – Specific Absorption Rate


Pe le radiofrequenze parliamo del “rate di assorbimento specifico”, e valuta il potenziale di
riscaldamento (J/s*Kg, W*Kg). Questo non ci interessa se la stanza non è riscaldata (generalmente
va mantenuta a 20-22°), e se il pz non sia in ipertermia.
1J= aumento di 0,25° di 0,25 g di acqua

La risonanza attrae a sé lettini, bombola di ossigeno, sedie… e l’unico modo è spegnere il magnete,
e spegnere il magnete ha un costo. Dove c’è la risonanza deve essere tutto diamagnetico.

Le muratura della stanza dove c’è la risonanza, all’interno prevede la cosiddetta gabbia di Faraday,
evita che il campo magnetico vada all’esterno, o quanto meno lo ridice. All’esterno della stanza c’è
un segnale che raffigura una calamita. Questo riguarda solo il campo magnetico B0, ma non le
radiofrequenze.

L’inchiostro di tatuaggi, o residui di trucco, che possono causare una piccola ustione. Per il
tatuaggio bisogna assicurarsi che siano passate 6-7 settimane.

24
Per i più curiosi il professore ha allegato dei siti:
SITI:
www.cis.rit.edu/htbooks/mri
www.radiopaedia.org

Conclusioni
Gli elementi basilari del ragionamento e questioni su cui riflettere:
A - I Principi della Risonanza Magnetica
B - La formazione dell’Immagine in Risonanza Magnetica
C - I mezzi di contrasto in Risonanza Magnetica

Sbobinatore : Francesca Fierro


Controllore: Antonio Veldorale

25
DPI - LEZIONE 04 - RADIOBIOLOGIA E RADIOPROTEZIONE - (22/10/18) - PROF. PACE
Sbobinatore: Chiara Maci
Controllore: Gerardina Avallone
Pacchetto slides di riferimento radiobiologia.pdf
[Calibri Light in parentesi quadra → integrazioni]
RADIOBIOLOGIA
La radiobiologia studia l'interazione delle radiazioni con la materia vivente, gli effetti che ne
derivano e le loro conseguenze.
L'interazione iniziale tra radiazione e materiale biologico avviene a livello atomico (più
precisamente, a livello subatomico dato che le interazioni interessano principalmente gli elettroni)
ma gli effetti si manifestano attraverso il danno molecolare, che a sua volta influenza la funzione e
la vita delle cellule. A tale insulto può seguire o meno un processo di riparazione.
Gli effetti radiobiologici consistono in radiolesioni cellulari che possono evolvere verso la
distruzione, una restaurazione parziale o totale della struttura e delle funzioni della cellula.
La prima differenza da considerare nell’ambito della
radiobiologia è quella esistente tra radiazioni ionizzanti e
non. Differenza fatta in base ad un valore soglia: le
radiazioni ionizzanti sono ad elevata frequenza o energia.
Analizzando lo spettro delle radiazioni elettromagnetiche
(che va dalle onde radio fino ai raggi cosmici), in
corrispondenza del versante delle radiazioni ionizzanti si
trovano quelle ad elevata frequenza che vuol dire ad
elevata energia e sono rispettivamente: raggi X, raggi
gamma e parte degli UV.
Tutte le altre radiazioni sono definite non ionizzanti.
La linea di separazione è posta a quel livello di
energia che corrisponde all’energia di legame di un
elettrone orbitale, infatti per la ionizzazione è
necessario che un elettrone venga strappato e che
l’energia trasportata sia superiore a questa soglia.
Esistono, inoltre, delle radiazioni corpuscolate cioè
delle particelle che viaggiano (perché hanno una
certa energia cinetica) e durante questo viaggio vanno incontro a delle interazioni che possono
provocare ionizzazione. Da tali particelle, nel processo di ionizzazione indotto dalle radiazioni
elettromagnetiche, si ha l’espulsione di un elettrone orbitale che è una particella (perché ha una
massa e un’energia cinetica).
Le radiazioni corpuscolate sono importanti per le loro applicazioni terapeutiche: è possibile
adoperare elettroni, prodotti con una macchina (acceleratore lineare), per ottenere un effetto
terapeutico. Oppure esistono delle procedure di terapia definite adroterapia (da adroni: particelle
pesanti) che sono utilizzate per il trattamento di tumori superficiali.
(Il termine radiazioni corpuscolare è “ambiguo” perché le radiazioni, per definizione, sono trasporto
di energia senza materia quindi sembra quasi un ossimoro).
Le radiazioni ionizzanti possiedono un’energia sufficiente (>33 eV) a provocare la ionizzazione della
materia irradiata, in genere attraverso l’allontanamento di un elettrone orbitale.
[Una radiazione si definisce ionizzante quando ha un’energia pari o superiore a quella di legame degli
elettroni (33eV)].
Abbiamo:
• Radiazioni corpuscolate: elettroni, protone, neutroni, ioni → elettroni usati in terapia,
adroterapia.
• Radiazioni elettromagnetiche o fotoniche: raggi gamma e raggi X.

Le radiazioni sono emesse da sorgenti:


➢ le sorgenti radioattive naturali sono
rappresentate da: isotopi radioattivi presenti in
natura come l’uranio e il torio (presenti
soprattutto nelle zone vulcaniche) che sono
atomi pesanti; atomi radioattivi di basso peso
come il potassio 40 e il carbone 14, che fanno
parte delle molecole di interesse biologico;
➢ quelle artificiali sono prodotte dall’uomo e sono
la classe dei radionuclidi;
➢ tra quelle modificate dall’uomo si ricordi il
radon → composto radioattivo la cui presenza ed abbondanza può essere modificata dal
nostro comportamento.
Esempio. Se vivo in una casa costruita con tufo (zone vulcaniche) e la sigillo aumento la
presenza del gas radon.
➢ Apparecchiature radiogene: tubi radiogeni.
Precisamente, cosa succede con l’emissione di una radiazione?
Una radiazione elettromagnetica (un fotone) interagendo con la materia può ionizzare o eccitare
(significa che deposita energia ma non in maniera sufficiente a determinale l’espulsione
dell’elettrone). Alla ionizzazione (che ci interessa maggiormente per il suo ruolo biologico) consegue
la formazione di una coppia di ioni (elettrone carico negativamente + ione positivo). L’elettrone
viaggia con un’energia cinetica e, a sua volta, potrà provocare successive ionizzazioni.
La coppia di ioni formatasi è costituita, nella maggior parte dei casi, da radicali liberi e questi hanno,
per stessa natura, un’elevata reattività chimica quindi sono essi stessi fonte di ulteriori danni, sia
interagendo tra di loro che con le altre molecole circolanti.

[Slides riassuntive] Quando una particella ionizzante


interagisce con le molecole di un tessuto organico, essa perde
energia attraverso interazioni di tipo elettrico con gli elettroni
degli atomi. Anche per le radiazioni non direttamente
ionizzanti, come fotoni o neutroni, si ha interazione con la
materia attraverso cessione di energia agli elettroni degli
atomi. Quando un elettrone viene strappato ad un atomo, lo
ionizza. Inoltre, a causa della energia cinetica acquistata, lungo
il suo percorso interagisce e ionizza altri atomi del tessuto.
Questi ioni, estremamente instabili, si combinano con gli altri atomi e molecole del tessuto dando
luogo ad una vera e propria reazione a catena.
A seguito di questo fenomeno vengono create nuove molecole, differenti da quelle originarie di cui
è composto il tessuto e vengono prodotti radicali liberi.
I radicali liberi possono interagire tra loro o con altre molecole: attraverso processi che tutt’oggi non
sono ben noti, possono indurre cambiamenti biologicamente significativi nelle molecole stesse che
possono essere causa di un loro malfunzionamento.

Un aspetto da valutare è il potere di penetrazione delle radiazioni ionizzanti nella materia che
cambia a seconda se si tratta di:
1. particelle → in termini di massa ed entità;
2. fotoni → in termini di energia.
Da una parte, abbiamo particelle molto pesanti
(particelle alfa con carica positiva 2+) che vengono
fermate da un foglio di carta:
- hanno vantaggi terapeutici nelle lesioni
superficiali;
- da un punto di vista protezionistico, avere a che
fare con tali radiazioni mette al riparo da
qualsiasi rischio (la plastica di una provetta è
sufficiente a contenerle ed isolarle).

Tale discorso vale anche per gli elettroni (che


possono essere prodotti dall’uomo o in seguito a
ionizzazione proprio come effetto secondario alla
ionizzazione) perché sono fermati da uno strato
sottile di plastica.
Nel caso dei fotoni, invece, un totale assorbimento
di flusso fotonico non si ha quasi mai perché il
processo di attenuazione o meglio, la legge che lo
descrive [la legge del decadimento → l’intensità
del fascio che emerge è uguale all’intensità del
fascio che incide per e-µx dove µ è il coefficiente di
attenuazione che dipende dalle caratteristiche del
mezzo; x è il mezzo], è una funzione esponenziale
negativa che non arriva mai a zero. I fattori che
consentono di attenuare un fascio di radiazioni
fotoniche sono rappresentati dal numero atomico
del materiale e dallo spessore → Per poter avere
una schermatura dai fotoni abbiamo bisogno di
materiale ad elevato Z (piombo perché è
economico e modellabile) o materiale a metà dello
spessore con Z non molto alto (calcestruzzo → nei
reparti di radioterapia sono allocati nei bunker di
calcestruzzo ad elevato spessore).
(La penetrazione delle particelle alfa e beta non è importante ricordarla).
A differenza delle particelle alfa e beta, la radiazione fotonica non ionizza direttamente la materia.
I raggi gamma o X, interando con gli atomi del mezzo, mettono in moto degli elettroni secondari che
sono i responsabili della ionizzazione del mezzo. Proprio perché non sono direttamente ionizzanti, i
raggi gamma o X sono molto più penetranti delle particelle alfa e beta. La legge che determina
l’assorbimento dei fotoni in un mezzo è di tipo statistico:

Lo spessore che riduce il flusso di fotoni al 50% è chiamato spessore emivalente (SEV). In linea di
principio ogni materiale, scelto con lo spessore opportuno, è idoneo a schermare i fotoni. In pratica
sono ragioni quali l’ingombro e il costo dello schermo a determinare il tipo di materiale.
Normalmente si preferisce il piombo per le basse energie (tubi a raggi X per la diagnostica) ed il
cemento per le alte energie (acceleratori).

Il primo risultato dell’interazione dei fotoni con la materia si ha a livello atomico o subatomico e per
il tipo di radiazioni che si adoperano in medicina - raggi X e gamma di una certa classe energetica - i
due effetti principali sono:
1. Effetto fotoelettrico. Il fotone incidente interagisce con l’elettrone dell’orbitale più interno;
avendo un’energia superiore all’energia di legame, lo espelle con un’energia cinetica che è
pari alla differenza di energia tra quella di legame e del fotone incidente. A questo punto, gli
elettroni dell’orbitale più esterno scendono negli orbitali rimasti vuoti e, siccome c’è una
differenza di energia di legame tra i vari orbitali (stato energetico), tale differenza ad ogni
passaggio viene ceduta sotto forma di raggi X.
Risultato finale → Coppia di ioni (elettrone e ione positivo) con emissione di fotoni X.
2. Effetto Compton. Il fotone incidente interagisce con l’elettrone di un orbitale esterno e cede
solo una parte dell’energia; l’elettrone viene espulso ma non si ha l’emissione di raggi X
perché non c’è alcuna cascata di elettroni bensì un fotone secondario (che sarebbe il fotone
incidente) ridotto di energia e in parte deviato.
Risultato finale → Coppia di ioni: elettrone che viaggia e fotone che si ritrova di energia
ridotta.
Nel caso delle radiazioni corpuscolate, le interazioni sono governate dal fatto che le particelle
corpuscolate hanno una certa massa e carica e dunque ci sono vere e proprie collisioni (attrazioni e
repulsioni). L’effetto finale è sempre una coppia di ioni.
In cosa si misura l’energia delle radiazioni?
ElettronVolt → equivale all’energia che ha un
elettrone posto in un campo di potenziale di 1 Volt.
Nella produzione dei fasci di raggi X per ottenere le
radiografiche ci sono due parametri che vanno
considerati: l’intensità del flusso di fotoni che
governiamo con un’intensità di corrente che viaggia
attraverso il filamento di tungsteno, e l’energia che governiamo attraverso il voltaggio applicato
(energia espressa in kV).
È preferibile adoperare, per una sottigliezza terminologica, l’unità di misura dei Kilovolt per i raggi X
prodotti con tubo radiogeno e l’unità di misura ElettronVolt per fotoni prodotti dal materiale
radioattivo ma sono la stessa cosa!
[Per un esame radiologico (TC) l’energia varia da un minimo di 40kV ad un massimo di 140-180kV.
In medicina nucleare l’energia dipende dall’energia liberata nel processo di decadimento variabile,
il tecnezio99m ha un’energia di 140keV (kilo-elettronVolt). Nel caso della PET si formano due
fotoni gamma di 511keV.
Altro concetto importante è che maggiore è l’energia di un fotone, maggiore è la capacità di
penetrazione].
Bisogna ricordare che i fotoni sono trasporto di energia senza materia. Le radiazioni corpuscolate
invece sono dotate di un’energia cinetica che misuriamo in eV.
Dal punto di vista radiobiologico, è interessante capire come questa energia è stata ceduta dalla
materia vivente = qual è la distribuzione spaziale dell’energia ceduta. Per apprendere ciò si ricorre
al parametro LET che sta per linear energy transfer ovvero trasferimento lineare di energia, la cui
unità di misura è il keV/micron: quanta energia è ceduta per micron della materia (keV/µm). Per
cui, il LET (linear energy transfer) è il parametro della distribuzione spaziale. Il pattern di
distribuzione di quest’energia è funzione della radiazione; del fatto se è corpuscolata o meno (se ha
o meno massa) e dell’energia dei fotoni.
Come si vede dall’immagine:
• Una particella alpha segue un percorso
tortuoso (perché ha massa e carica) e
breve (perché cede rapidamente la sua
energia) = ALTO LET → Alta cessione di
energia per unità di distanza percorsa.
Una radiazione ad alto LET ha un
effetto maggiore localmente.
• Raggi beta (elettroni): il percorso è
meno tortuoso ma subisce ugualmente
delle deviazioni perché ha comunque
una massa (seppur molto più piccola)
ed una carica (negativa).
Gli elettroni possono essere a basso o alto LET: ciò dipende dall’energia che posseggono →
Elettroni ad elevata energia hanno in genere un LET maggiore.
• Fotoni (raggi x e gamma): hanno un percorso rettilineo; viaggiano molto di più perché hanno
una grande energia senza massa e il loro LET è più basso.
La separazione tra basso e alto LET è a 10 KeV/µm: tutto ciò
che è al di sopra è definito ad alto LET; ciò che si trova al di
sotto è a basso LET.

Ricapitolando:
❖ Basso LET (tutti i fotoni e gli elettroni): penetrano di
più.
❖ Alto LET (protoni, neutroni, ioni): a livello
microscopico hanno degli effetti maggiori.
Le particelle alfa o i protoni hanno un effetto localizzato (lì dove vengono applicate) ma hanno un
basso potere di penetrazione per cui, a livello terapeutico, affinché siano efficaci, si devono portare
in corrispondenza della sede della lesione da trattare.
I vari tipi di radiazioni, pur producendo effetti analoghi sulla materia vivente, differiscono per
efficacia in quanto l’effetto radiobiologico non dipende soltanto dalla dose assorbita, ma anche dalla
microdistribuzione spaziale dei processi di ionizzazione lungo il percorso delle particelle ionizzanti
primarie e secondarie.
Nell’immagine, i puntini neri intorno alla doppia elica di DNA rappresentano
le interazioni dovute alle radiazioni, in particolare a quelle ad alto LET che
hanno effetti maggiori localmente (in termini di rottura della singola
catena). Ma l’effetto diretto su molecole di interesse biologico (es. DNA),
secondario all’interazione con le radiazioni, avviene molto raramente,
soprattutto coi fotoni che sono a basso LET. Molto più probabile è invece
un’interazione con l’acqua, che è la molecola più abbondante, causa di un:
effetto indiretto perché non è dovuto all’azione diretta sulla molecola di
interesse biologico → In seguito a radiolisi, l’effetto dannoso è esplicato dai
radicali liberi (secondari all’evento) e non dalla radiazione in sé.
Il risultato è una cascata di eventi che va dall’interazione fisica, passa
attraverso il danno chimico e molecolare, per arrivare al danno biologico.
Il danno fisico è immediato; il danno biologico richiede
molto più tempo prima di risultare evidente.

Gli effetti vanno misurati mediante unità di misura:


1. Dose assorbita
Gli effetti delle radiazioni ionizzanti si manifestano soltanto se si verifica una cessione di
energia al mezzo attraversato.
La quantità misurata in dosimetria è la “dose assorbita”
(D), definita come il quoziente tra l’energia media
ceduta dalle radiazioni ionizzanti alla materia in un certo
elemento di volume e la massa di materia ceduta in tale
elemento di volume.
L’unità di misura della dose assorbita nel Sistema
Internazionale è il gray (Gy). Un gray corrisponde
all’assorbimento di un joule in un kg di materia (1 Gy =
1J/kg).
Fattori che la influenzano: tempo (raddoppiando la durate dell’esposizione, raddoppia
anche la dose), distanza (raddoppiando la distanza, la dose si riduce ad 1/4) e la presenza o
meno di schermature (pannelli di Pb su pareti, vetri con Pb, paratie mobili in PD, camici in
Pb, ecc.).

Quando andiamo a considerare gli effetti dell’energia ceduta alle cellule dobbiamo tener conto del
fatto che le radiazioni non sono tutte uguali (alto-basso LET) per cui può tornare utile misurare la:

2. Dose equivalente
Oltre a considerare l’energia depositata, la dose equivalente
(H) tiene conto anche della diversa radiotossicità delle
radiazioni. Si ottiene moltiplicando la dose assorbita per un
fattore di ponderazione wR che dipende dal tipo di
radiazione: H = wR x D.
L’unità di misura è il sievert (Sv) e 1 Sv = 1 Gy per il fattore di
ponderazione o conversione.

Però bisogna anche tener conto che non tutti i tessuti sono sensibili in maniera uguale alle radiazioni
e ciò dipende dalle capacità di riparazione. Per cui bisogna tener conto anche di questo altro fattore
che viene chiamato efficacia biologica relativa e quindi abbiamo la:
3. Dose efficace
Tiene conto della diversa radiosensibilità dei tessuti.
Si ottiene moltiplicando la dose equivalente per un fattore
di ponderazione wT che dipende dalla radiosensibilità
dell’organo o tessuto. L’unità di misura è il sievert (Sv).
L’efficacia biologica relativa (EBR):
- esprime l’entità dell’effetto biologico di un tipo
di radiazione a parità di dose fisica. È in funzione
diretta col LET e le caratteristiche delle cellule.
- La EBR delle radiazioni a basso LET è posta
uguale ad 1. Per le altre è il rapporto fra la dose
di radiazioni standard che ottiene lo stesso
effetto biologico e la dose erogata con la
radiazione in esame.
- Per le radiazioni ad alto LET la EBR è maggiore:
circa 3 per i neutroni, oltre 8 per le particelle
alfa.
Nell’immagine, le due linee continue
rappresentano gli effetti collegati alla dose
per radiazioni ad alto e basso LET. Quelle ad
alto LET hanno effetti molto maggiori a parità
di dose (intende la dose assorbita quindi la
quantità di energia ceduta: Gy). Questa
quantità di energia ceduta avrà effetti diversi
a seconda delle qualità delle radiazioni e del
tipo cellulare con cui si ha a che fare.

Riepilogando abbiamo:
- una sorgente di radiazioni (esterna o interna) che
cede E per unità di massa: Gy (dose assorbita);
- per stimare gli effetti sulla materia vivente
bisogna tener conto della dose efficace perché
tiene conto delle radiazioni e delle cellule
interessate.

Tornando alla cascata di eventi:


- eventi fisici: produzione di elettroni ad alta
energia;
- eventi chimici: produzione di radicali liberi;
- eventi biochimici e biologici con conseguenti
alterazioni delle molecole ad interesse
biologico. Questi a loro volta danno
- effetti sui tessuti e sugli organi (alterazioni
funzionali) fino ad arrivare agli
- effetti generali sull’organismo che possono
essere tipo acuto o tardivo.

Possono seguire dei meccanismi di riparazione


che vanno dalla ricombinazione dei radicali
liberi o delle molecole “rotte” fino agli eventi a
livello tissutale con la ripopolazione.
(Il prof scorre rapidamente le slides dalla 43 alla 50, specificando che sono un riassunto di quanto
detto fino ad ora. Non le abbiamo allegate per non appesantire ulteriormente il file).

In base alle capacità di riparazione delle cellule e dei tessuti, il danno è distinguibile in:
- danno non riparabile e quindi letale, che porta a morte della cellula;
- danno riparabile che a sua volta può essere:
o potenzialmente letale → se non intervengono i processi di riparazione porta a
morte;
o subletale che porta a morte cellulare se si accumula più di un danno.
In genere, la morte cellulare si ha solo per dosi molto elevate.
Esponendo a dosi crescenti di radiazioni delle popolazioni
cellulari, la frazione sopravvivente decresce in maniera lineare
al crescere della dose (è una curva di tipo esponenziale
semplice). Questa curva però cambia a seconda del tipo
cellulare.
Nell’immagine a dx si nota che:
- D. radiodurans resiste a tutti i tipi di radiazione.
(La scala è riportata in 1000 Gy → per fare una
radioterapia la dose erogata è di 40-50 Gy in dosi
frazionate quindi 1000 Gy è tantissimo).
- Nei batteri la pendenza cresce.
- Nelle cellule di mammifero si osserva un fenomeno
tipico detto spalla → la curva è quasi praticamente rettilinea ma a dosi molto basse si ha
una minore mortalità di quella che si potrebbe prevedere guardando la sola parte rettilinea
della curva. L’ampiezza della spalla è diversa per tessuti e a seconda se si tratta o meno di
cellule neoplastiche.
[La spalla rappresenta la parte iniziale a basse dosi in cui la frazione sopravvivente non decresce in
maniera lineare con la dose, in quanto i danni sono prevalentemente subletali e perciò dipende anche
dalla capacità di riparazione del danno. Con questa, misuriamo solo la frazione di cellule che muore.
Maggiore è la spalla, meno è radiosensibile il tipo cellulare; se la spalla è corta avremo una precoce
mortalità cellulare (minore capacità di riparazione all’inizio)].
La spalla è correlata alle capacità di riparazione della cellula quindi una spalla ampia indica una
capacità di recupero notevole; una spalla stretta indica scarse o nulle capacità di recupero.
Ricapitolando, in merito agli effetti delle radiazioni su popolazioni cellulari:
• dopo una dose unica di RI il numero delle cellule vive (frazione sopravvivente) si riduce con
il crescere della dose. L’espressione grafica di questo fenomeno è la curva di
sopravvivenza cellulare.
• Quando si irradiano cellule eucariotiche con RI ad alto LET o cellule
procariotiche ogni incremento di dose uccide una frazione costante di cellule; si
ha una curva esponenziale semplice, con andamento negativo; su scala
semilogaritmica è una retta (figura).
• Quando si irradiano cellule eucariotiche con RI a basso LET la mortalità cellulare
è espressa da una curva esponenziale con spalla; il tratto iniziale presenta una
curvatura caratteristica (la “spalla”) con minore pendenza, seguita da una parte rettilinea,
esponenziale.
In questa condizione si ha mortalità prevalente da “colpi multipli”; la spalla rappresenta una
minor mortalità per le basse dosi (necessità di sommare un numero adeguato di danni sub-
letali).
L’entità della spalla è inoltre correlata con la capacità di riparazione del danno sub-letale.

È stata stilata una scala di radiosensibilità in base alla


velocità di replicazione dei tessuti.

Anche se tutti i tipi di radiazione interagiscono con la materia vivente in maniera analoga, a dosi
uguali di assorbimento non corrisponde lo stesso effetto biologico (radiosensibilità) che viene
modificato da fattori:
- fisici: intensità della radiazione, volume
irradiato, frazionamento, LET (l’effetto
biologico delle radiazioni è in funzione
del loro LET. Le radiazioni ad alto LET
hanno elevata densità di ionizzazione ed
è prevalente il danno diretto non
riparabile. La spalla della curva di
sopravvivenza è ridotta o abolita ed il
tratto rettilineo spesso più ripido), EBR;
- chimici e biologici: effetto ossigeno, età,
agenti chimici (radioprotettori,
radiosensibilizzanti).
Per quanto riguarda l’effetto ossigeno:
l’ossigeno rende le cellule più radiosensibili per
la maggior presenza ed efficacia di radicali liberi.
Nelle cellule ipossiche (es. la parte centrale di un tumore) la mortalità cellulare aumenta con la
tensione di ossigeno, per poi stabilizzarsi in presenza di una normale pO2. In carenza di ossigeno, la
radiolisi dell’acqua produce meno radicali liberi. Per le RI ad alto LET la influenza della pO2 è minima.
La diversità di radiosensibilità presente tra i tipi cellulari
si manifesta anche per diversi tipi di neoplasie: alcune
neoplasie sono più radiosensibili di altre e questo
comporta una diversa scelta del tipo di trattamento.
Infatti, alcune neoplasie non trovano alcun’indicazione
per la radioterapia. Quest’ultima, nella maggior parte
dei casi, viene somministrata in dose di 40-50 Gy in
maniera frazionata. Perché dosi frazionate? Nella
maggior parte dei casi, la radioterapia viene erogata
tramite fasci esterni quindi lo strumento eroga un fascio
di radiazioni che deve superare numerosi strati prima di
raggiungere il target. Bisogna per cui preservare i tessuti
sani, a cominciare dalla cute, e ciò si può fare in due
modi:
- utilizzando più porte di accesso: se devo
somministrare 5 Gy utilizzo 5 diverse vie per
raggiungere la lesione target;
- somministrando dosi graduali per ricreare la
spalla.
Questo comporta una differenza di mortalità che
permette di separare le cellule radiosensibili da quelle
non, ottenendo un effetto di maggiore efficacia sulla
neoplasia rispetto ad un tessuto sano.
Con il frazionamento della dose ottengo 4 fenomeni che vengono detti le 4 R: riparazione,
ripopolamento, ridistribuzione, riossigenazione.
1. Riparazione dei danni molecolari
• la ricomparsa della spalla con trattamento frazionato dipende dall’esistenza di danni
del DNA (sub-letali e potenzialmente letali).
• La capacità di recupero del danno sub-letale è in funzione del tipo cellulare ed
influenza l’ampiezza della spalla; nei tessuti sani è molto variabile (emivita 1-3 ore).
• La capacità di recupero del danno sub-letale è variabile anche nei tumori, ma in
genere è minore rispetto ai tessuti sani di origine.
• La riparazione del danno potenzialmente letale avviene in tempi analoghi; la sua
importanza è condizionata dalla cinetica proliferativa dei tessuti.
2. Ripopolazione cellulare
• Una popolazione cellulare irradiata può rispondere al danno radioindotto
aumentando la proliferazione cellulare.
• Il ripopolamento è evidente nei tessuti sani a rapida cinetica e riduce l’entità del
danno, è scarso nei tessuti a lenta proliferazione.
• Nei tumori ad elevata cinetica proliferativa può ridurre l’efficacia del trattamento.
• Il ripopolamento tumorale è più evidente verso la fine del trattamento radiante
frazionato; quindi un eccessivo protrarsi del trattamento o l’esistenza di interruzioni
possono ridurre l’efficacia della terapia.
3. Ridistribuzione
• La sensibilità delle cellule al danno da
RT viaria col ciclo cellulare; è massima
in G2 e M, intermedia in G1 e minima
in fase S.
• Questo provoca una parziale
sincronizzazione che può aumentare
l’effetto delle successive frazioni di
dose sulle cellule in rapida cinetica.
• Si può inoltre avere un reclutamento
delle cellule in G0 verso fasi del ciclo
più sensibili.
4. Riossigenazione
• Nei tumori la percentuale di cellule ipossiche è elevata (10-20%); è dovuta
all’eccessiva distanza dai vasi sanguigni o da alterazioni del flusso ematico.
• Il frazionamento della dose tende a ridurre l’ipossia nel tumore, riducendo la
popolazione sopravvivente (e quindi la massa tumorale) e migliorando il flusso
ematico, con conseguente aumento della radiosensibilità delle cellule tumorali.
I processi di recupero e ripopolazione rendono i tessuti più radioresistenti ad una seconda dose di
radiazione. La ridistribuzione e la riossigenazione li rendono più radiosensibili.

(Queste 3 slides sono state saltate dal docente).


In seguito all’irradiazione delle cellule si può verificare:
1. Nessun effetto
2. Ritardo di divisione
3. Apoptosi → descrive il distacco dei frammenti citoplasmatici dal corpo cellulare e viene
utilizzato per definire la modalità di eliminazione selettiva di cellule o gruppi di cellule,
spesso innescata da stimoli ambientali o endogeni di varia natura.
4. Fallimento riproduttivo
5. Instabilità genomica
6. Mutazione
7. Trasformazione
8. Effetto Bystander
9. Risposta adattativa

(Il prof salta le slides sull’apoptosi [dalla 77 alla 88] perché conosciamo l’argomento e precisa
solamente che tra gli effetti induttori dell’apoptosi ci sono le radiazioni ionizzanti e le ultraviolette).

8. Effetto Bystander
È il fenomeno per il quale una cellula non direttamente irradiata manifesta degli effetti.
Ne esistono due tipi:
- Bystander radiologico → Cross Fire. Viene adoperato in alcuni tipi di terapia (terapia con
radionuclidi o con sostanze radioattive). Abbiamo la possibilità di marcare un anticorpo
monoclonale (anticorpo anti-CD20: rituximab) con una sostanza radioattiva per trattare i
linfomi follicolari. Quando viene somministrato, il rituximab esplica un’azione citotossica
diretta mediante l’interazione con il recettore. Però CD20 non è equamente distribuito sulle
cellule e questo fa sì che gli effetti non siano omogenei. Se lego al rituximab un atomo
radioattivo (particella beta), ci sarà sia un’azione citotossica diretta che un effetto radiante
che si esplica, non solo sulla cellula che ha legato l’anticorpo, ma anche sulle cellule
circostanti (perché, nel nostro caso, la distanza che le particelle beta percorrono è di 2-3
mm), ottenendo un fuoco incrociato.
- Bystander biologico → Bystander. Non si conosce molto a riguardo. Sappiamo che se
prendiamo una coltura di cellule e la irradiamo, cessando l’irradiazione ed aggiungendo delle
cellule non irradiate anche queste inizieranno a morire. Muoiono con una velocità minore
ma gli effetti sono gli stessi. Questo effetto è legato o alla liberazione di sostanze citotossiche
da parte delle cellule colpite o alla trasmissione di segnale attraverso le giunzioni.

Classificazione del danno da radiazioni


I danni delle radiazioni possono essere o letali, subletali o potenzialmente letali. Ma a noi
interessano soprattutto gli effetti che poi si verificano. E questi effetti sono classificati in due grandi
categorie:
• Danni deterministici: la severità del danno è funzione della dose
• Danni stocastici: in cui è la probabilità del danno che è funzione della dose.
Modelli radiobiologici che spiegano cosa avviene
Il modello radiobiologico classico si basa sull’interazione diretta tra la radiazione e il DNA, con
conseguente danno riparabile o meno e con la possibilità che l’ambiente (la presenza o meno di
ossigeno) possa influenzare il danno.
Prevede:
- il sito di interazione fondamentale tra radiazioni ionizzanti e cellule è a livello del DNA;
- gli enzimi sono in grado di riparare alcuni danni;
- l’ambiente extracellulare fornisce agenti in grado di potenziare l’effetto lesivo (es. effetto
ossigeno) o di ridurlo.
Oggi molte evidenze hanno dimostrato (modello
radiobiologico “riformulato”) che: il danno diretto,
responsabile della morte cellulare, c’è ma accanto a questo
c’è anche un danno legato a possibili rotture della singola o
doppia catena che possono determinare un’alterazione dei
pathway del segnale. Con interazioni molto complesse,
possono innescare l’apoptosi e il risultato finale cambia a
seconda se p53 si trova in forma wild o mutata →
l’irradiazione di cellule con p53 mutato o wild ha degli effetti
finali diversi perché questi non sono legati alla radiazione in
sé ma al gene.
Ogni volta che irradiamo non è detto che si
abbiano degli effetti: il meccanismo è molto
più complesso e tale complessità si riflette
sulle curve di sopravvivenza. Si è visto che per
dosi con basso Gy ed erogate con una bassa
intensità per unità di tempo si ha un fenomeno
particolare: HR (sta per radiosensibilità
aumentata) - IR (è il contrario, ovvero
aumentata radioresistenza) → A dosi basse (da
0 a 1 Gy) la curva ha prima un aumento della
pendenza (= aumentata radiosensibilità),
segue una fase di plateau prima di riprendere
a scendere. [Con dosi decisamente maggiori si
ha il modello Lineare Quadratico, cioè un
modello che ci dice che all’aumentare della dose il danno cellulare è direttamente proporzionale].
Si pensa che ciò avvenga perché, con la prima irradiazione, solo una prima quota di cellule muore;
quelle che sopravvivono, quando ricevono un ulteriore dose, hanno i meccanismi di riparazione
attivati e quindi un’aumentata radioresistenza. Aumentando ancora la dose, le capacità di
sopravvivenza e di riparazione sopravanzano (continuano a migliorare) e si riduce la mortalità
cellulare. Questo ci porta al concetto di ormesi: adattamento, che un po’ assomiglia a Mitridate →
l’esposizione a basse dosi dell’effetto tossico fa sì che si abbia un adattamento.
Definizione completa di ormesi: meccanismo fisiologico che è presente a basse dosi di agenti tossici
e che non può essere estrapolato dagli effetti tossici evidenti ad alti dosaggi.
Sperimentalmente gli effetti dell’ormesi sono stati dimostrati a livello: molecolare (riparazione del
DNA, detossificazione dei radicali liberi), cellulare (immunostimolazione, fertilità), dell’organismo
(incremento della vita media).
Le radiazioni ionizzanti hanno un effetto significativo sul controllo del danno al DNA. Alte dosi e/o
alto dose-rate ne sopprimono l’attività; basse dosi invece ne stimolano l’attività. L’efficienza del
sistema riparativo è aumentata dalla risposta adattativa omeostatica. Un incremento preventivo
dell’attività anti-ossidativa si associa ad aumento della durata di vita.

Per le radiazioni si è visto che si ha un aumento dell’attività anti-ossidativa come conseguenza


dell’esposizione a basse dosi e si è visto che un incremento di 10 volte del livello della radioattività
di fondo (quella che ci circonda, dovuta ai raggi cosmici e alla presenza di sostanze radioattive
naturali) stimola il sistema di controllo dei danni al DNA del 20% = aumentano i sistemi di controllo
del danno. Ciò è stato dimostrato con studi epidemiologici valutando la mortalità del cancro in
popolazioni che risiedono in zone ad elevata radioattività di fondo: nessuno studio epidemiologico
di popolazioni in aree ad alto fondo radioattivo negli USA, in Cina, India ed Iran ha mostrato
significativo aumento della mortalità per cancro. La NCPR nel 2001 ha osservato, anzi, che in molti
casi in popolazioni esposte a basse dosi di radiazioni la mortalità era inferiore.
Esempio. In seguito a continue esposizioni a radiazioni
a basso LET, nel caso del rischio relativo al Ca
polmonare, dovremmo aspettarci che all’aumentare
della dose il rischio aumenti. Quello che si è visto,
invece, è che con un’esposizione a basso LET il rischio
di insorgenza del cancro inizialmente si riduce per poi
aumentare (curva bifasica: prima scende e poi sale =
risposta bifasica alle radiazioni del sistema
antimutageno).
Per quanto riguarda invece un altro studio sulla
mortalità per il Ca alla mammella fatto su un gruppo
di donne sottoposte a fluoroscopia (radioscopia per lo screening, o quasi, per valutare la presenza
del complesso primario nella TBC) addirittura si è vista una lieve riduzione della mortalità in quelle
esposte rispetto a quelle non esposte.
Un altro studio è stato condotto sulla mortalità per cancro dei lavoratori dell’industria nucleare e
lavoratori impiegati in altre industrie; sono stati presi in considerazione circa 800 mila lavoratori ed
anche qui si è visto che i dati sono essenzialmente sovrapponibili → il rischio di mortalità per cancro
nei primi non è superiore.
Infine, ancora uno studio ha valutato, nell’arco di 100 anni, la mortalità per cancro di radiologi
britannici e popolazione di confronto (altri medici, tutti maschi e della stessa classe sociale). Questo
studio ha valutato lo SMR (rating di mortalità standardizzata) suddividendo la popolazione in 4
gruppi: il gruppo dei pionieri che hanno iniziato ad usare la radiologia per primi (1897-1920. La data
di scoperta dei raggi X è 1895) fino ad arrivare al 1979, passando per il miglioramento delle norme
legislative e di riparazione dalle radiazioni.
Dunque, si è visto che nel gruppo di pionieri la mortalità per cancro era più alta; con il passare degli
anni si riduce l’esposizione e la mortalità del cancro scende al di sotto di quella dei medici non
radiologi (popolazione di controllo). Ci sono evidenze che le basse dosi quasi certamente non
provocano effetti per quanto riguarda i tumori.
Gli effetti delle radiazioni sono suddivisi in:
1. danni somatici deterministici;
2. danni somatici stocastici;
3. danni genetici stocastici.
1. Danni somatici deterministici: frequenza e gravità
aumentano con la dose. C’è una dose soglia da
superare → I soggetti irradiati sono tutti colpiti se
la dose soglia è superata. I danni che insorgono
hanno una latenza breve e gli effetti sono sterilità
temporanea o permanente; danni al cristallino
(opacità o cataratta); danni al midollo osseo fino ad
arrivare all’aplasia mortale (N. B. Si parla di sievert
Sv perché si tratta di effetti biologici!).
Sempre nell’ambito degli effetti somatici
deterministici, abbiamo le sindromi da pan-irradiazione che si verificano in seguito ad incidenti
nucleari in cui tutto il corpo viene esposto ad alte dosi di radiazioni. Tali sindromi vengono
classificate in base alla dose d’esposizione e alla gravità in:
• 1 Gy < dose < 10 Gy: Sindrome ematologica → Sintomi: brividi, febbre,
affaticamento, petecchie emorragiche, ulcere della mucosa orale, depilazione.
• 10 Gy < dose < 100 Gy: Sindrome gastroenterica → Sintomi: nausea, vomito e
diarrea profusa.
• Dose > 100 Gy: Sindrome del SNC → Sintomi: nausea, vomito, perdita di
coordinamento motorio, coma.
La sindrome ematologica insorge quando si supera 1 Gy di dose assorbita (da tutto il corpo); la
sindrome gastroenterica quando si superano i 10 Gy e la sindrome del SNC quando si superano i 100
Gy (quest’ultima sempre mortale). Ovviamente, se ho ricevuto una dose superiore ai 10 Gy ho sia la
sindrome ematologica che quella gastroenterica.
Quello che si può verificare con frequenza maggiore è il danno
causato da irradiazione locale: la cute è colpita nel 90% dei casi.
Nel complesso, le parti più colpite sono cute e mani.
Si possono verificare effetti acuti precoci o tardivi a seconda
della dose in Gy → questi sono effetti deterministici.
Un tempo questo tipo di danni erano più frequenti nei radiologi
(effetto “cute del radiologo”) che arrivavano addirittura a
presentare una necrosi della cute che poteva condurre
all’amputazione delle dita.
2. Gli effetti somatici stocastici sono le leucemie e i
tumori soldi:
- probabilità e non severità in funzione della dose;
- distribuzione casuale nella popolazione;
- non c’è una dose soglia (modello conservativo);
- lunga latenza;
- la neoplasia che si sviluppa è indistinguibili dalle
forme non radioindotte.
I dati di cui disponiamo discendono dallo studio dei
sopravvissuti alle bombe atomiche.
Qual è la probabilità che l’esposizione di un corpo a basse
dosi sviluppi una neoplasia? Secondo ICRP il rischio di
cancro mortale radioindotto con esposizione dell’intero corpo per
basse dosi è 5 x 10-2 Sv-1. Se eseguo un esame che mi eroga un po’
meno di 1 mSv, applicando questa formula, la probabilità che sviluppi
una neoplasia è di circa 50/1 mln → se faccio 1 milione di radiografie
ho 50 casi probabili. Si basa su un modello detto LNT (modello
lineare senza threshold) quindi al crescere della dose cresce il rischio
in maniera lineare; l’unica
diversità sta nella
pendenza che cambia a
seconda se si tratta di
bassa o alta dose LET.

Altri modelli sono stati proposti ma non accettati dalla


ICRP. Forse la verità sta nel modello in figura perché c’è
l’ormesi.

3. Effetti genetici stocastici


Gli effetti genetici sono difficili da studiare perché le mutazioni spontanee sono abbastanza
frequenti. Quello di cui si parla è la dose di raddoppio (Doubling Dose, DD): è la dose di irradiazione
che raddoppia la frequenza di mutazioni spontanee. Nei sopravvissuti alla bomba atomica la DD è
stata calcolata di 1.56 Gy. Riportando i dati da studi animali, la DD nell’uomo è tra 0.5 Gy e 2.5 Gy.

L’irradiazione fetale può provocare danno a seconda


della fase in cui la gestante riceve l’irradiazione, per lo
più accidentale perché una donna incinta non viene
sottoposta esami radiologici. Per dosi al feto superiori a
10 cGy dovrebbe essere considerato l’aborto
terapeutico.
I bambini sono più radiosensibili perché:
➢ sono soggetti in rapido accrescimento con le
cellule che si dividono più rapidamente;
➢ maggiore distribuzione di tessuti radiosensibili in accrescimento: mammella, tiroide, gonadi,
midollo rosso [nei bambini per il 40% si trova nelle ossa lunghe e nel cranio];
➢ hanno maggiore aspettativa di vita: più tempo per sviluppare una neoplasia.

La popolazione (tutti gli individui esistenti) può essere esposta per:


• esposizione esterna: irradiazione
• irradiazione interna: sorgenti sigillate, ad esempio un tipo di radioterapia che prevedeva
infissione per via perineale di aghi radioattivi all’interno della prostata → questi aghi sono
esempi di sorgenti radioattive sigillate.
• contaminazione: sorgenti non sigillate e sono le sostanze radioattive
L’esposizione ambientale è un elemento fondamentale da tenere in considerazione: varia da
regione a regione ed è dovuta alle radiazioni cosmiche, ai radionuclidi presenti, al radon (52%), alle
varie componenti radioattive della crosta terrestre. L’esposizione ambientale viene stimata intorno
ai 2.4 mSv per anno e questa contribuisce in una certa percentuale all’esposizione della
popolazione. A questa si aggiunge l’esposizione per motivi medici che, mentre all’inizio degli anni
’80 era intorno al 15%, oggi è arrivata a dati che sfiorano il 50% (48%), dato legato all’aumento delle
procedure mediche che fanno uso di radiazioni (aumento in parte giustificato, in parte no).
Per quanto concerne invece il danno professionale degli operatori sanitari esposti a radiazioni
sappiamo che questo non esiste, come sopra dimostrato.
La tabella sx riporta la dose efficace di alcune procedure di diagnostiche per immagini; quella di sx i
giorni di vita persi in base all’esposizione a dosi di radiazioni naturali di fondo.
Ciò che è importante ricordare riguarda
questa slide. Le procedure diagnostica
per immagine sono a rischio 0 (non
fanno uso di radiazioni ionizzanti:
risonanza e radiografia); hanno rischio
trascurabile con bassa dose efficace Rx
torace e Rx dei distretti ossei. Rischio
minimo per le Rx cranio. Nel complesso
il rischio è basso!
I danni da radiazioni da esposizioni
mediche oggi non esistono più.
Esiste allo stato attuale una buona
conoscenza degli effetti causati da
un’esposizione acuta (ossia limitata nel
tempo) ad alte dosi venuta da incidenti
nucleari e sopravvissuti da bomba
atomica, mentre esiste una limitata
conoscenza per gli effetti di dosi basse o bassissime siano esse acute o croniche:
• dosi acute non troppo elevate e non ripetute;
• basse dosi acute occasionalmente ripetute;
• bassissime dosi croniche.

Per quanto riguarda i rischi delle radiazioni ionizzanti bisogna ricordare che:
• Il danno biologico è dovuto all’interazione delle radiazioni con le molecole dei tessuti.
• Le radiazioni depositano energia lungo il percorso: rompono i legami chimici delle molecole
dei tessuti e creano radicali liberi H+ e OH- che poi reagiscono chimicamente con le cellule.
• L’effetto biologico delle radiazioni non è sostanzialmente diverso da un qualsiasi altro effetto
chimico.
• Il “danno biologico” è proporzionale alla “dose assorbita”, ossia all’energia depositata dalla
radiazione per unità di massa.
• La dose assorbita si misura con strumenti fisici che rilevano il campo di radiazioni esistente
in un dato punto dello spazio.
Vengono comunque fatte delle assunzioni conservative:
• Esiste una relazione lineare dose-effetto per qualsiasi esposizione, da quelle acute a quelle
croniche, indipendentemente dall’intensità della dose ricevuta: il danno è proporzionale alla
dose integrale assorbita.
• Non vi è alcuna soglia sulla dose da radiazione, al di sopra della quale l’effetto si manifesta,
ma al di sotto no.
• Tutte le dosi assorbite da un organo sono completamente additive, indipendentemente dal
ritmo di assunzione e dagli intervalli temporali tra un’assunzione e le successive.
• Non vi è alcun meccanismo di recupero o riparo biologico alla radiazione.
Come sappiamo collegare il “danno” alla dose?
Conoscenze sui danni generati dalla radiazione
sull’uomo:
• studi sui sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki
• studi sulle popolazioni esposte ai test nucleari
• conseguenze di terapie mediche
• conseguenze di incidenti nucleari
• esperimenti su animali.
L’uso pacifico dell’energia nucleare è senza dubbio
l’attività con il maggiore e più severo controllo sui rischi
dei lavoratori e della popolazione. Esiste un organo
mondiale: l’ICRP (International Commission on
Radiation Protection) le cui “raccomandazioni” in merito a radiazioni sono recepite da tutti i paesi:
1. principio di giustificazione: nessuna attività umana deve essere accolta a meno
che la sua introduzione produca un beneficio netto e dimostrabile
2. principio di ottimizzazione: ogni esposizione alle radiazioni deve essere tenuta
tanto bassa quanto è ragionevolmente ottenibile in base a Considerazioni sociali
ed economiche: principio “ALARA” (As Low As Reasonably Achievable)
3. principio di limitazione: l’equivalente di dose ai singoli individui non deve
superare i limiti raccomandati.
I tre principi devono essere applicati in sequenza: si passa cioè al secondo quando si sia verificato il
primo, e al terzo quando si sia verificato anche il secondo.
Esempio. Viene proposta una nuova metodica TC; per poterla introdurre devo prima di tutto
dimostrare che sia migliore di quelle già in atto → deve avere un vantaggio superiore. Devo poi
giustificare l’utilizzo della procedura in quel dato paziente X (che la storia clinica e l‘anamnesi
giustificano l’utilizzo della metodica). Applicata la TC devo fare di tutto per ridurre la dose e
mantenerla al di sotto di determinati limiti e questi limiti sono importanti per due categorie di
persone, distinte e riconosciute dall’ICRP:
a. gli individui esposti per motivi professionali
b. la popolazione nel suo insieme
Il limite per i lavoratori professionalmente esposti è di 100 mSv in 5 anni (cioè in media 20
mSV/anno). Supponendo un periodo lavorativo di 50 anni, il lavoratore alla fine dell’attività potrà
al massimo aver assorbito 1 Sv. Poiché l’indice di rischio è = 1.65 x 10-2 eventi gravi per Sv ricevuto,
per questo lavoratore esisterà una probabilità dello 1.65% di contrarre una malattia grave
dipendente dalla sua intera attività lavorativa (50 anni). [Stiamo parlando di probabilità e non di
certezza].
L’altro grande gruppo è la popolazione nel suo insieme e il limite di dose posto è di 1 mSv/anno
solare → quando progetto e poi costruisco un laboratorio di radiodiagnostica devo agire sulle
schermature per fare in modo che la quantità di radiazioni che arriva all’esterno non provochi
esposizioni superiori a questo livello. Questo valore coincide con quello dovuto alla radioattività
naturale (raggi cosmici, potassio 40, ecc.) → esiste una probabilità su 100.000 di contrarre durante
l’intera vita una grave malattia per esposizione naturale a dosi di 1 mSv/anno.
Il personale esposto per motivi professionali e gli ambienti devono essere periodicamente
controllati e questo lo si fa con dei sistemi di dosimetria: misura dell’esposizione individuale alle
radiazioni ionizzanti. Si utilizzano:
- film-badge
- dosimetri termo-luminescenti (DTL)
- camera di ionizzazione tascabile (penna)
- dosimetri personali elettrici.
Questi riportati sopra sono sistemi di misurazione individuale (del singolo individuo), a cui si
aggiungono poi sistemi di sorveglianza ambientale (camera di ionizzazione portatile, Geiger-Mueller
GM) per valutare la radioattività in un ambiente e sono dei rilevatori a gas: tubi con degli elettrodi
all’interno dei quali c’è un gas e quando passano le radiazioni ionizzanti si formano le coppie di ioni;
andando verso i due poli producono una corrente elettrica. L’intensità di questa corrente generata
è funzione dell’intensità del flusso di radiazione. Attraverso una scala è possibile misurare i livelli di
radioattività.
Un tipo particolare di rilevatore a gas è la penna dosimetrica, un condensatore caricato che una
volta rimosso dalla sua sorgente di carica si scarica in misura proporzionale alla quantità di radiazioni
che arrivano. Questo è un sistema di dosimetria con rilevatore a gas individuale che viene dato agli
operatori in visita presso i centri di medicina preventiva.
Ma il sistema maggiormente adoperato per il personale esposto è il film-badge: ha l’aspetto di una
piastrina di materiale plastico rigido, all’interno del quale c’è una pellicola, come una pellicola
fotografica, avvolto in un involucro di plastica che serve ad evitare che la luce solare l‘annerisca; dal
grado di annerimento di questa si risale alla quantità di radiazione ricevute. Ogni mese queste
pellicole vengono cambiate e valutate.
Esistono anche dosimetri a termoluminescenza (TLD) il cui principio fisico di funzionamento è la
termoluminescenza: emissione di luce, a seguito di riscaldamento da parte di alcuni materiali isolati
(BeO, LiF, CaF2, ecc.).

N.B. Oggi l’esposizione di personale medico a dosi significative di radiazioni avviene solo in caso di
radiologia interventistica (coronarografia) e medicina nucleare, ma rispettando le procedure non si
supera il limite.
Questi dispositivi vanno indossati sul camice di lavoro e nel caso si indossi un camice di piombo
protettivo al di sotto di questo perché dobbiamo conoscere la dose ricevuta dalla persona.
Il personale si protegge sfruttando anche i seguenti fattori:
- tempo di esposizione;
- distanza dalla sorgente;
- schermatura della sorgente.

RADIOPROTEZIONE
Pacchetto slides di riferimento radioprotezione.pdf
Il genere umano è da sempre esposto a varie forme di radiazioni naturali costituite dai raggi cosmici
e da tutti gli elementi radioattivi naturali (potassio 40, gas Radon, Uranio, Torio, Radio, ecc.).
Comunque, i livelli di radiazione naturarli sono troppo deboli per mettere in luce gli effetti dannosi
delle radiazioni.
Gli effetti dannosi delle radiazioni divennero evidenti solo alla fine dell’800 quando, in seguito alla
scoperta dei raggi X (Roentgen) e della radioattività (Bequerel) furono disponibili intense sorgenti
di radiazione. A un mese dall’annuncio della scoperta dei raggi X da parte di Roentgen, un
costruttore e sperimentatore di tubi sottovuoto mostrò lesioni alla cute e alle mani che oggi
indichiamo come dermatite subacuta da raggi X.
Nel 1901 Bequerel mostrò eritema della cute in corrispondenza della tasca del vestito nella quale
aveva tenuto per qualche tempo una fiala di vetro contenente sali di Radio. Poco dopo, Pierre Curie
si provocò intenzionalmente un eritema da Radio sulla cute del braccio ed ebbe l’idea che le
radiazioni potessero avere proprietà terapeutiche.
Molti malcapitati ricevettero come ricostituente iniezioni di materiali contenenti Radio e Torio e
furono successivamente colpiti da tumore.
Nel 1903 fu scoperto che l’esposizione ai raggi X poteva indurre sterilità negli animali da laboratorio;
pochi anni dopo fu annunciato che gli embrioni di uova di rospo fertilizzate con sperma irradiato
con raggi X presentavano anormalità.
Nel 1902 si constatò che un carcinoma cutaneo si era sviluppato su precedente dermatite da raggi
e nel 1904 furono segnalate le prime anemie e le prime leucemie indotte da raggi X.
Nel 1911 furono messi in evidenza 94 casi di tumori indotti da raggi X, 50 dei quali in radiologi.
Nel 1922 fu stimato che almeno 100 radiologi morirono come risultato di cancro indotto da
radiazioni. Entro circa 20 anni dalla scoperta di Roentgen e Bequerl, una grande parte delle patologie
da dosi elevate ed intense di esposizione a radiazioni ionizzanti era stata riconosciuta e
sommariamente descritta. Le lesioni da incorporazione di sostanze radioattive furono scoperte più
tardi, attorno agli anni ’20, quando si manifestarono necrosi e tumori ossei al mascellare di operaie
che durante la prima guerra mondiale erano state addette a dipingere le lancette ed il quadrante di
orologi luminescenti con vernici contenenti Sali di Radio: esse avevano ingerito le vernici facendo la
punta ai piccoli pennelli inumidendoli con le labbra, festo frequentemente ripetuto durante il
lavoro.
Inoltre si notò che i minatori che lavoravano nelle miniere di cobalto della Sassonia e nelle miniere
di pecblenda in Cecoslovacchia, entrambe contenenti grosse percentuali di uranio, soffrivano di
cancro ai polmoni con una percentuale trenta volte più elevata che il resto della popolazione: oggi
è noto che questi lavoratori erano vittime di esposizione interna al gas Radono ed ai suoi figli,
prodotti di decadimento dell’uranio: la concentrazione di Radon emesso dalle pareti dei tunnel
nell’aria respirata, soprattutto a causa della scarsa ventilazione, è estremamente elevata in miniera.
Oggi per legge è imposta una ventilazione forzata delle miniere e turni di lavoro limitati per i
minatori.
Un altro genere di effetti cominciò ad essere noto verso la fine degli anni ’20: durante i suoi studi di
generica Muller mostrò che raggi X e raggi gamma producono mutazioni genetiche e cromosomiche
nel moscerino dell’aceto, mutazioni che vengono trasmesse ai discendenti secondo le leggi
dell’ereditarietà biologica.
La radioprotezione si occupò in maniera rilevante degli effetti genetici solo dopo la seconda guerra
mondiale, quando questi furono considerati come i più gravi ed insidiosi dell’esposizione alle
radiazioni.
In questi anni viene approfondito anche il capitolo dei cosiddetti “effetti tardivi” (costituiti in gran
parte da tumori maligni) che compaiono in una piccola frazione delle persone di una popolazione
sottoposta a dosi anche non elevate di radiazioni.
Alla International Conference on Pacific Uses of Atomic energy (Ginevra, 1955) Tzuzuki riportò la
notizia che tra i sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki erano stati osservati circa 200 casi di leucemia,
un numero enormemente più alto di quello atteso in base alle caratteristiche endemiche della
malattia.
Tutto ciò portò alla creazione della ICRP che è la normativa radioprotezionistica che serve a tutelare
sia le persone esposte a radiazioni per motivi professionali, sia la popolazione che sottoponendosi
a prestazioni mediche, diagnostiche o terapeutiche, sono esposte a radiazioni. Ad oggi:
• diminuzione, fino a scomparsa, delle lesioni deterministiche e cancerogenetiche;
• soltanto a causa di incidenti vi sono, oggi, lesioni professionali sicuramente riconducibili a
causa radiante;
• al di fuori della radiazione naturale, la maggior esposizione della popolazione nel suo
complesso è di gran lunga dovuto all’attività medica (0.4 mSv annui di dose efficace, 0.02
mSv al fallout radioattivo e 0.001 per l’impiego dell’energia nucleare).
Gli effetti dannosi delle radiazioni ionizzanti sono noti fin dai primi anni della loro scoperta e del loro
utilizzo. Nel 1928 fu istituita, dal Secondo Congresso Internazionale di Radiobiologia, la
Commissione Internazionale per le Protezioni Radiologiche. La commissione non ha carattere
governativo ma è un organo scientifico riconosciuto dall’Organizzazione delle Nazioni Unite ed è
presa come guida dalla Comunità Europea nel fissare le direttive di protezione sanitaria contro le
radiazioni ionizzanti.
In Italia la normativa si basa su 2 capisaldi:
- Decreto legislativo (D. Lvo) 230/95
- D. Lvo 187/2000 che riprende delle normative dell’EURATOM.
La cosa che spaventa è il tempo passato tra la direttiva dell’EURATOM e il ricevimento da parte della
legislazione italiana, che dovrebbe essere ulteriormente aggiornata entro Febbraio 2018 (non è
avvenuto).
I principi legislativi attuali si basano sui 3 principati nominati prima:
- principio di giustificazione: nessuna attività umana comportante esposizione alle radiazioni
deve essere accolta a meno che la sua introduzione produca un beneficio netto e
dimostrabile agli individui esposti o alla società
- principio di ottimizzazione: ogni esposizione alle radiazioni deve essere tenuta tanto bassa
quanto è ragionevolmente ottenibile, facendo luogo a considerazioni economiche e sociali
- principio di limitazione delle dosi individuali: la dose ai singoli individui (con esclusione delle
esposizioni mediche) non deve superare determinati limiti appropriatamente sicuri.
Tali principi si occupano e riguardano:
1. esposizioni occupazionali
2. esposizioni mediche (incluse quelle accidentali)
3. esposizioni al pubblico
4. formazione

1. Esposizioni occupazionali. È giustificato esporre una


persona a radiazioni senza che ne tragga un beneficio
diretto? Teoricamente no, tuttavia è necessario che
qualcuno lo faccia questo lavoro, dato che le radiazioni
servono.
Per le persone esposte a rischio radiazioni è presente un incentivo economico e un riposo
biologico (prima si parlava di indennità da rischio radiologico e ferie da rischio radiologico).
Bisogna comunque ridurre la dose al minimo (ottimizzare).
Sono considerati lavoratori esposti i soggetti che, in ragione della loro attività lavorativa svolta per
conto di un datore di lavoro, sono suscettibili di superare in un anno solare 1mSv di dose efficace.
Questi lavoratori sono suddivisi in 2 categorie:
➢ Categoria A i soggetti che, in ragione della attività lavorativa svolta per conto del datore di
lavoro, e sulla base degli accertamenti dell’Esperto Qualificato, sono suscettibili di
un'esposizione superiore, in un anno solare, a 6 mSv di dose efficace;
➢ tutti gli altri lavoratori professionalmente esposti non suscettibili di superare tali dosi sono
classificati di Categoria B.
La differenza tra le 2 categorie sta nella cadenza con cui vengono effettuati i controlli medici.
Esistono comunque per questi lavoratori dei limiti di dose 20 mSv per anno, mediati su 5 anni, con
l'ulteriore condizione che essa non sia superiore a 50 mSv su un singolo anno.
In ogni caso la legge prescrive che avvenga la sorveglianza fisica dei lavoratori e questo spetta al
datore di lavoro (direttore generale), che si avvale di un esperto qualificato, generalmente un
laureato in fisica con specializzazione in fisica medica (iscritto all’albo), che:
- classifica, individua e regolamenta ambienti di
lavoro
- classifica i lavoratori
- predispone norme di radioprotezione e sicurezza
- fornisce mezzi di radioprotezione e sorveglianza
- appone la segnaletica.
Gli ambienti di lavoro vengono classificati in:
- zone controllate: un ambiente di lavoro,
sottoposto a regolamentazione per motivi di
protezione a regolamentazione per motivi di
protezione dalle radiazioni ionizzanti, in cui può
essere superato in un anno solare uno dei pertinenti limiti fissati per i lavoratori di categoria
A, ed in cui l’accesso è segnalato e regolamentato. Possono superare i 6 mSv.
- zone sorvegliate: un ambiente di lavoro in cui può essere superato in un anno solare uno dei
pertinenti limiti fissati per le persone del pubblico. Possono superare il limite di 1 mSv.
In una sala di diagnostica radiologica l’esposizione alle radiazioni è presente solo quando lo
strumento è acceso (Rx o TC). Il pz che ha eseguito l’esame non è radioattivo. Diversamente per la
medicina nucleare, dove viene somministrata una sostanza radioattiva, il pz è radioattivo per un
certo periodo di tempo quindi accedere alla sala di medicina nucleare vuol dire accedere ad una
zona con radiazioni quando c’è il pz.

Il datore di lavoro, i dirigenti ed i preposti devono assicurare la sorveglianza medica dei lavoratori
mediante un medico autorizzato (medico del lavoro, igiene):
- visita medica preventiva: se l’impiego dovesse andare a peggiorare patologie pregresse;
- visita medica periodica (12 mesi cat. B, 6 mesi cat.A);
- visita finale: in caso di trasferimento del lavoratore va traferita anche la sua cartella clinica
(in cui va riportato tutto);
- allontanamento: nel caso in cui il lavoratore superi la soglia va allontanato dall’impiego.
La visita è un diritto e un dovere del lavoratore.

Il controllo dell’esposizione degli individui della popolazione deve essere effettuato, per quanto
riguarda le normali situazioni, a livello della singola sorgente di rischio, piuttosto che a livello
ambientale. Devono essere cioè poste restrizioni pratiche alle fonti di esposizione. In pratica
l’esposizione degli individui del pubblico è tenuta sotto controllo utilizzando il principio
dell’ottimizzazione con la scelta di opportuni vincoli di dose.
Spesso è utile considerare gruppi omogenei di individui esposti a causa di una data fonte di rischio.
Tra i gruppi più esposti può essere scelto un gruppo di riferimento che viene detto “gruppo critico”.
Il vincolo di dose deve essere applicato alla dose media assorbita dal gruppo critico a causa della
fonte per la quale si procede all’ottimizzazione della radioprotezione.
Ovviamente il vincolo di dose fissato dovrà tener conto di eventuali altri contributi significativi della
dose assorbita dagli individui del gruppo critico.
I limiti di dose si riferiscono alle attività umane che comportano un aumento dell’esposizione alle
radiazioni ionizzanti, non a situazioni preesistenti di esposizione alle radiazioni.
Limiti di dose ICRP ripresi dalla legislazione italiana:
• 1 mSv per anno
• 15 mSv per anno al cristallino
• 50 mSv per anno per la pelle, inteso come valore medio su 1 cm2, indipendentemente dalla
superficie esposta.

La maggior parte delle procedure per diagnostica superano i mSv per cui il discorso cambia nel
momento in cui un membro della popolazione diventa anche pz. In tal caso si applica il discorso se
la procedura comporta un beneficio netto o meno.
Un’altra eccezione è rappresentata dai volontari che
assistono i pz, i quali devono essere a conoscenza del
rischio e per loro non è previsto il limite di 1 mSv → se
un genitore accompagna il figlio ad eseguire una TC e
non può allontanarsi è compito del personale spiegare
alla persona dei rischi (pari a zero).
I limiti invece valgono per i volontari nella ricerca biomedica.
Per cui, per le esposizioni mediche ci avvaliamo del principio di giustificazione:
• Individuo esposto ricava un beneficio dall’esposizione stessa
• Appropriatezza, medicina basata sui fatti (evidence based medicine)
• Evidenza scientifica pesata in relazione al suo costo (cost-effectiveness), sia in senso
economico sia come rischio o sacrificio individuale.
La legge italiana sul principio di giustificazione dice che (Articolo 3 - D. Lvo 187):
➢ È vietata l’esposizione non giustificata.
➢ Dimostrazione di efficacia delle esposizioni mediche: vantaggi diagnostici o terapeutici, per
la salute della persona e della collettività, rispetto al danno alla persona che l’esposizione
potrebbe causare.
➢ Tener conto di tecniche alternative disponibili che non comportano un’esposizione o
comportano una minore esposizione alle radiazioni. In particolare:
o le metodiche di nuova introduzione devono essere giustificate preliminarmente
prima di essere generalmente adottate;
o le metodiche esistenti possono essere rivedute se ci sono nuove prove rilevanti circa
la loro efficacia o le loro conseguenze;
o entrambi i processi devono tener conto dei risultati della ricerca scientifica.
➢ Il Ministero della Sanità può vietare, sentito il Consiglio Superiore di Sanità, tipi di esposizioni
mediche non giustificati.
➢ Un tipo di pratica che comporta un’esposizione medica giustificata in generale, può essere
giustificata invece per il singolo individuo in circostanze da valutare caso per caso.
➢ Esposizioni mediche per la ricerca clinica e biomedica sono valutate dal comitato etico
istituito ai sensi delle norme vigenti.

Il principio dell’ottimizzazione della radioprotezione in campo medico è applicato a due livelli: la


progettazione e la costruzione delle apparecchiature e delle installazioni, i metodi di lavoro di tutti
i giorni. In questo campo particolare enfasi deve essere data all’ottimizzazione radioprotezionistica
delle procedure operative.
La legge italiana in merito a tale principio dice (Articolo 4 – D. Lvo 187):
➢ Mantenere le dosi al livello più basso ragionevolmente ottenibile e compatibile con il
raggiungimento dell’informazione diagnostica richiesta: scelta delle attrezzatture e delle
procedure, controlli di qualità.
➢ Per la radioterapia: programmazione individuale dell’esposizione dei volumi bersaglio
mantenendo le dosi a volumi e tessuti non bersaglio devono essere le più basse
ragionevolmente perseguito con l’esposizione.
➢ Tener conto dei livelli diagnostici di riferimento (LDR) secondo le linee guida indicate
nell’allegato II.
➢ Particolare attenzione alla dose derivante da esposizione medico-legale.
➢ Nel caso di un pz sottoposto ad un trattamento o ad una diagnosi con radionuclidi: fornire
istruzioni scritte volte a ridurre le dosi per le persone in diretto contatto con il pz, nonché le
informazioni sui rischi delle radiazioni ionizzanti. Tali istruzioni sono impartite prima di
lasciare la struttura sanitaria.
Il decreto legislativo 187 riporta anche l’articolo 10 in merito alla protezione particolare durante la
gravidanza e l’allattamento:
➢ Il prescrivente e lo specialista devono verificare l’eventuale stato di gravidanza e nel caso di
somministrazione di radiofarmaci dell’allattamento al seno.
➢ Lo specialista valuta la dose all’utero nei casi in cui la gravidanza non possa essere esclusa.
Se la dose è superiore a 1 mSV:
o Particolare attenzione alla giustificazione, alla necessità o all’urgenza, ed
eventualmente procrastinare l’indagine o il trattamento.
o Nel caso in cui non si possa rimandare l’esposizione è necessario informare la donna
dei rischi derivanti all’eventuale nascituro e in ogni caso porre particolare attenzione
al processo di ottimizzazione.
➢ l’esercente deve assicurarsi che vengano esposti avvisi atti a segnalare il potenziale pericolo
per l’embrione, il feto o per il lattante, nel caso di somministrazione di radiofarmaci; tali
avvisi devono esplicitamente invitare il pz a comunicare allo specialista lo stato di gravidanza,
certa o presunta, o l’eventuale situazione di allattamento.
Chi esegue gli esami?
L’esercizio della professione è consentito ai
medici muniti di diplomi di specializzazione,
fatta eccezione per i medici per cui l’attività
radiodiagnostica è complementare e serve per
la diagnosi, ma non può refertare (odontoiatri
→ non hanno la specializzazione ma la legge
glielo consente. Una radiografia orale eroga
una dose di radiazioni pari a 0.01-0.03 mSv).

Prima del medico specialista, è il medico


prescrivente a indirizzare il paziente verso una
visita specialistica (una procedura
diagnostica). Esso rivolge una richiesta al medico specialista (medico radiodiagnostico o medico
nucleare). Il medico specialista non deve eseguire passivamente ciò che riferisce il clinico ma deve
(secondo l’Art. 111 del D. Lvo 230):
o valutare preliminarmente la possibilità di utilizzare tecniche sostitutive altrettanto
efficaci dal punto di vista diagnostico e terapeutico e comportino un rischio minore;
o scegliere le metodologie idonee ad ottenere il massimo beneficio clinico con il
minimo costo (sanitario ed economico);
o osservare particolare cautela nell’attività nei soggetti in età pediatrica o donne in
età fertile;
o si assicura, al fine di evitare esami radiologici superflui, di non essere in grado di
procurarsi le informazioni necessarie in base ai risultati di esami precedenti. Ciò vale
in particolare per le procedure con fini medico-legali o di assicurazione.

Il rischio nelle donne è valutato dal medico referente e dallo specialista.


Ci sono normali rischi di gravidanza diversi a seconda della fase di gestazione:
➢ Nelle donne in gravidanza non è consentito l’impiego di radiazioni ionizzanti che comporti
l’esposizione dell’embrione o del feto salvo situazioni di urgenza (esempio: embolia
polmonare) oppure casi di necessità accertata da parte del medico curante. In tal caso è
opportuna una valutazione dosimestria da parte del fisico specialista.
➢ Nelle donne in allattamento sottoposte ad esami di Medicina Nucleare può essere può
essere necessaria la sospensione dell’allattamento per periodi di tempo in relazione al
radiofarmaco adoperato.
➢ Gli esami radiologici individuali o collettivi effettuati a titolo preventivo devono essere
effettuati soltanto se sono giustificati dal punto di vista sanitario e sono disposti solo
dall’autorità sanitaria competente per territorio che ne dà adeguata informazione ai gruppi
di popolazione interessati.
➢ Particolare attenzione nel caso di indagini radiodiagnostiche effettuate con fini medico-legali
o di assicurazione, in cui è sempre vietato l’impiego della radioscopia diretta.
➢ Sono sempre vietati gli esami radioscopici diretti senza intensificazione di brillanza, nonché
le indagini schermografiche comunque utilizzate.
➢ Negli impianti complessi di radioterapia e di medicina nucleare i medici specialisti si devono
avvalere, ai fini della radioprotezione del pz, della collaborazione del fisico specialista.
Quando prendere in considerazione l’interruzione di gravidanza?
Un’interruzione di gravidanza per dosi al feto < 100 mSv NON è giustificata per il rischio da RI.
Con dosi al feto > 500 mSv l’interruzione è giustificata perché c’è un significativo rischio di danno
fetale, la cui entità e tipologia dipende dalla dose e dallo stadio della gestazione.
Con dosi al feto comprese fra 100 e 500 mSv la decisione deve essere basata su motivazioni
individuali.
L’esposizione di una donna gravida a radiazioni che esporrebbero il feto a dosi superiori a 10cGy è
pericoloso ed andrebbe considerato l’aborto terapeutico.

Per quanto riguarda le esposizioni mediche:


“le esposizioni mediche sono effettuate dallo specialista su richiesta motivata del prescrivente. La
scelta delle metodologie e tecniche idonee ad ottenere il maggior beneficio clinico con il minimo
detrimento individuale e la valutazione sulla
possibilità di utilizzare tecniche sostitutive non
basate su radiazioni ionizzanti compete allo
specialista” (D.Lvo 187).
Nel caso di somministrazione di radionuclidi a scopo
diagnostico il rischio da radiazioni per i familiari del
pz si può considerare trascurabile dato che l’emivita
effettiva della quasi totalità dei radiofarmaci utilizzati
è breve e che il loro impiego è sporadico.
Teniamo conto della protezione del personale del
reparto di provenienza e dei soggetti a contatto con il
pz. Prendiamo ad esempio due procedure: scintigrafia
ossea e miocardica. In questi casi il ratei di dose
espresso in µGy per h subito dopo la somministrazione
è tale per cui, nella peggiore delle ipotesi, la dose
assorbita per chi viene a contatto con il pz è di 27 µGy
se ci resta a contatto per 1h e non è diversa se la cosa
avviene a 2 h. Un viaggio aereo quando superiamo i
10mila metri comporta un esposizione; se vivo in alta
montagna ricevo una dose pari a 3.6 mSv per anno che ci vivo e un Rx del torace, a confronto, dà
una dose di 0.08 anche meno mSv.

(Seguono diapositive di riepilogo dalla 56 alla 89 che


il prof salta e non abbiamo riportato per non
appesantire ulteriormente il file).

I dispositivi di protezione individuale sono: camice,


collarino piombato per proteggere tiroide e timo.
Occhiali con vetro piombato, guanti piombati usati
prettamente nelle industrie nucleari con le pinze.
DPI - LEZIONE 05 – TORACE – 29/10/2018 - PROF. PACE
TORACE
Nello studio del torace, inteso prevalentemente come studio del polmone, le due metodiche che
la fanno da padrone sono l’RX e la TC. La RM in realtà per lo studio specifico del polmone trova la
sua applicazione solamente nella valutazione dei tumori dell’apice polmonare soprattutto nella
valutazione dell’eventuale infiltrazione dei tessuti vicini e dei plessi nervosi. La medicina nucleare
ha un ruolo in oncologia con la pet.
Anche l’ecografia può essere utilizzata per valutare in modo particolare o quasi esclusivo la
presenza di versamenti pleurici soprattutto basali, che con questa metodica si possono analizzare
con facilità e rapidità al letto del paziente.
Dal punto di vista metodologico l’RX del torace che è sicuramente l’esame radiologico ancora più
diffuso. È un esame che va eseguito in almeno due proiezioni: la Postero-Anteriore e Latero-
Laterale sx. Si ricordi che postero-anteriore sta ad indicare la direzione del fascio di radiazioni e
con sx si indica il lato del pz posizionato vicino al rilevatore.

Dovrebbe essere eseguita, a meno che il pz non sia allettato, in posizione ortostatica, ad una
distanza di almeno 2m di distanza dal tubo radiogeno; le mani devono essere posizionate sui
fianchi, con una piccola spinta in avanti dei gomiti per cercare di proiettare le scapole dal campo
polmonare vero e proprio; si esegue in apnea inspiratoria, cosa che non rappresenta un problema
dato che l’esame è praticamente istantaneo; in base alla diversa radio opacità o radio trasparenza
andiamo poi a riconoscere le diverse strutture.

In figura si visualizza la proiezione latero-laterale sx: si esegue con il pz che solleva un po’ la testa
in posizione eretta e le braccia sollevate, con il lato sx appoggiato alla cassetta.
[La latero-laterale sinistra viene utilizzata un po’ per la triangolazione per meglio definire la
posizione delle alterazioni rilevabili].
La cosa centrale della valutazione radiologica è valutare sia la simmetria dei due emitoraci sia che
l’inspirazione sia stata adeguata, altrimenti abbiamo una scarsa visualizzazione soprattutto delle
basi polmonari. [nella proiezione latero laterale vede anche la distanza tra le scapole e la distanza
dei margini costali posteriori, che deve essere al di sotto di 1 cm].
Ci sono altre possibili proiezioni aggiuntive ma che in realtà non vengono quasi mai eseguite, ad
eccezione del cosiddetto torace a letto.
Le due più importanti sono le due oblique anteriori destra (OAD=ortogonale anteriore dx) e
sinistra (OAS) che vengono utilizzate soprattutto per la valutazione dei profili cardiaci.
Altre possibili proiezioni aggiuntive sono oad e oas, proiezione AP in decubito supino, proiezione AP
in decubito laterale, torace a letto, proiezioni decentrate per gli apici. proiezioni decentrate per il
lobo medio, proiezioni per le pleure, radiogramma in espirio: servono per sproiettare zone
“nascoste” come gli apici polmonari, per studiare le coste, o per meglio valutare la presenza di
PNX, per valutare la mobilità di versamenti fluidi.
Con il radiogramma del torace alla mano, si analizza con uno schema di valutazione cosiddetto
inside-out: si parte dall’esterno verso l’interno e si valuta
in base ad alterazioni della opacità e trasparenza. Sulla
base del pattern di queste alterazioni si ipotizza poi una
diagnosi differenziale: per fare questo ovviamente il
radiologo deve conoscere l’anatomia
radiologica del torace.
Nella latero-laterale sx le sezioni sx del
cuore sono viste in basso, mentre le
sezioni destre sono viste in alto.

Nel RX del torace la


struttura lobare segmentale
del polmone non sono quasi
mai riconoscibili, per cui i campi
polmonari vengono divisi o in 4
zone (apice, campo superiore,
medio, inferiore) oppure a
volte più semplicemente in 3
(superiore, che
va dall’apice
fino all’arco
anteriore della
3 costa, medio,
fino all’arco
della 5 costa, inferiore che va dai campi medi fino al diaframma).
In figura è ciò che si visualizza alla latero-laterale sx. Il lobo medio di dx è in larga parte
sovrapposto al cuore e quindi non lo riusciamo a valutare bene.
Ci sono delle zone che non si valutano bene,e non si visualizzano con chiarezza le eventuali
alterazioni: ad esempio gli apici. Questo è dovuto alla sovrapposizionedi varie strutture ossee
quali la clavicola, la prima costa ecc…, l’area retro cardiaca, e la regione diaframmatica e retro
diaframmatica, poiché c’è la sovrapposizione del diaframma stesso ed eventualmente le strutture
addominali. Per esempio : nella prima Rx del torace sotto non si vede nulla di patologico perché la
lesione è nascosta dalla
costa, alla TC invece si
visualizza chiaramente il
nodulo.
Inoltre è poco sensibile
per alcuni tipi di lesione
(nonostante il torace
offra di per se un
contrasto radiologico
elevato fra le sue
strutture, per l’elevata
differenza di densità tra
aria e osso): l’Rx riesce a
discriminare due
strutture adiacenti che
abbiano una differenza
di contrasto almeno del
5% (in parole povere solo se la loro opacità o trasparenza differisce almeno del 5%). Invece la TC
ha una risoluzione spaziale maggiore e non presenta i problemi di sovrapposizione perché la figura
si costruisce in base alla rappresentazione della stessa nelle varie proiezioni.
La Tc inoltre riesce a rilevare i contrasti tra strutture anche con una differenza del 0,5%. Con la TC
si visualizza questo nodulo, presente bene o male al livello superiore e più o meno all’altezza
dell’aorta ascendente e discendente(vedi frecce).L’Rx ha quindi molti limiti, ma nonostante tutto
rimane l’esame di prima scelta per la gran parte delle patologie polmonari.
Che cosa si valuta quindi nell’Rx? Oltre alle strutture anatomiche, al livello polmonare si valutano
due alterazioni fondamentali che sono le opacità e le ipertrasparenze. In condizioni normali la
trasparenza del polmone è interrotta dal solo disegno vascolare che per gravità ha un gradiente
apico-basale.L’addensamento parenchimale è definito come la sostituzione del gas contenuto negli
spazi aerei con liquido, cellule o entrambi, con poca o nessuna perdita di volume.
Opacità:
 Aspetto (omogenea, disomogenea, reticolare)
 Morfologia (rotonda, ovalare, discoide, etc.)
 Sede (ilare, para-ilare, mantellare, etc.)
 Distribuzione (unilaterale, bilaterale, random, simmetrica, etc.)
 Estensione (segmentaria, lobare, acinare, etc.)
 Margini (netti, spiculari, irregolari, dendritici, etc.)
 Densità (tenue, calcifica, etc.)
 Dimensioni (centimetriche, sub-centimetriche)
 Numero (uniche, multiple)
Le opacità dal punto di vista radiologico si dividono in queste grandi 4 categorie:
1. Consolidazioni
2. Atelettasia
3. Noduli e massa
4. Opacità interstiziali
La differenza fra queste qualcuno la trova un po’ scolastica, nel senso che a volte si
sovrappongono. Ma sono presenti differenze: la
consolidazione è una aumento dell’opacità dovuta
alla sostituzione dell’aria con altro. Spesso si vede
questo reperto, che prende il nome di broncogramma
aereo: siccome i bronchi non sono riempiti da questo
materiale, sul fondo del parenchima polmonare denso
e opaco si stagliano nettamente i bronchi.

Nell’atelettasia si ha una riduzione di aria dovuta il


più delle volte ad una ostruzione del bronco, dovuta
da muco, compressione ab estrinseco, crescita
all’interno di un carcinoma che ostruisce il flusso di
aria. In genere l’atelettasia si accompagna ad una
riduzione del volume, del settore o intero polmone, cosa che non accade nella consolidazione.

Noduli e massa sono delle opacità circoscritte, di diversa forma. La differenza fra noduli e massa è
dimensionale: noduli, se sono al di sotto di 3 cm, massa se al di sopra di 3cm
Le opacità interstiziale infine sono rappresentate dalle alterazioni dei setti e tralci fibrosi,
caratteristiche di patologie polmonari fibrotiche come FIP (fibrosi polmonare idiopatica). Queste
qui vengono studiate molto meglio con la TC che non con l’Rx

Nella prima Rx la freccia rossa indica una


opacità, dai margini irregolari, mal definiti, ed è
presente il broncogramma aereo: la definiamo
quindi consolidazione.

Questo è un addensamento ad ali di


pipistrello, caratteristico dell’edema
polmonare.

Qui si visualizza una opacità diffuso al lobo inferiore e


medio dx, sono in grado di dire che cos’è da questo?
Non è una atelettasia, perché mi aspetto che qualcosa
si muova se il volume di quella zona sia ridotto, qui
invece è tutto in asse.
La risposta arriva dalla Tc, che fa vedere questa iperintensità da consolidazione, con il relativo
broncogramma aereo: ha un
andamento che coinvolge il
lobo (forse una polmonite).
Ovviamente tutto questo
contestualizziamo anche alla
storia clinica del pz.

Queste sono due immagini


dello stesso pz prima e
dopo qualcosa. È un pz che
ha il tubo di ventilazione.
Questa situazione di
opacamento che si risolve
in pochissimo tempo è
dovuta al mal
posizionamento del tubo di
ventilazione che aveva
ostruito il bronco e che
aveva provocato di
conseguenza l’atelettasia.
Riposizionato il tubo di
ventilazione
correttamente, il polmone
si riespande.

Di seguito una serie di slides esplicative che il prof ha soltanto visualizzato.


Nell’edema si osserva un
segno detto “batwing”,
ad ali di pipistrello. Si
osserva più
frequentemente
nell’edema idrostatico,
da scompenso acuto.
In questa rx il lato patologico è a destra, dove
vediamo un addensamento ilare che si espande in
parte anche superiormente con spostamento
dell’asse. Tale opacità corrisponde a un’atelettasia
da cancro polmonare. I tumori solitamente si
associano ad atelettasia piuttosto che a
consolidamento perché ostruiscono o
comprimono il bronco.

L’altro gruppo di alterazioni è rappresentato dalle ipertrasparenze, che può essere dovuto a varie
cause: sovradistensione ostruttiva senza distruzione del parenchima (es. asma) , aumento d’aria
associato a riduzione di sangue e tessuti (es. enfisema) , riduzione della quantità di sangue e
tessuti in assenza di sovradistensione polmonare (es. sindrome di SwyerJames e TEP). [Una
caratteristica particolare è il comportamento respiratorio, cioè una variazione del quadro a
seconda se eseguo il radiogramma in espirazione o inspirazione].
Si distinguono principalmente due forme di ipertrasparenza:

 GENERALIZZATA: enfisema, asma, iperdistensione compensatoria (da atelettasia )


 LOCALIZZATA: bolle, vescicole, pneumatocele.
Anche in questo caso dobbiamo andare a guardare i vari aspetti:

 Aspetto: omogenee o strutturato


 Forma: rotondeggianti, a stria, a binario, alveolari
 Grandezza: totali o parziali del polmone
 Contorno: delimitate o diffuse
 Densità: tenui, spiccate
 Tensione: ipertensive o non ipertensive
 Numero: uniche, multiple
 Distribuzione: unilaterali, bilaterali, segmentali, lobari
 Durata: persistenti, fugaci
 Comportamento respiratorio: mobili o fisse
 Comportamento broncografico: in continuità a meno con l’albero bronchiale
Questo quadro non è tanto dissimile a quello di opacità interstiziale, anche se qui sono risparmiati
i campi superiori bilateralmente. Per cui può essere difficile definire se questa è una patologia di
tipo cistico, oppure di tipo reticolare.
Quello che aiuta è la Tc ad alta
risoluzione, che permette di vedere
l’aspetto cistico o il più caratteristico
Honeycoming.

Esempio istiocitosi: l’ispessimento dei


setti è accompagnato anche da una
componente cistico
bollosa.
Mentre invece nella FIP è
molto meno presente
l’aspetto cistico bolloso.
Questo introduce un
altro argomento, quale la
TC ad alta risoluzione:
oggi come oggi non c’è
tanta distinzione fra Tc e
Tc ed alta risoluzione per
il tipo di apparecchiatura
che si adopera. La TC ad
alta risoluzione si può
eseguire come una Tc
normale multistrato utilizzando però sezioni molto sottili, possibilmente sub millimetriche, con poi
modalità di ricostruzione che spingono molto sul lato della risoluzione. La Tc ad alta risoluzione(o
HCRT) inoltre non può assolutamente essere usata per valutare noduli e masse, ma nello studio
delle patologie interstiziali. Viene fatta sempre senza mdc e si possono guardare immagini con
una risoluzione migliore: l’unico svantaggio è che si aumenta naturalmente la dose di radiazioni
perché bisogna eseguire sezioni molto sottili, quindi per coprire l’intero campo polmonare si fanno
più scansioni quindi più radiazioni. Per aumentare la risoluzione è inoltre necessario aumentare
l’intensità della radiazione.

L’enfisema classico è
caratterizzato da un
aumento della trasparenza,
da una diminuzione della
curvature degli
emidiaframmi e
dall’aumento dello spazio
intercostale.
Una patologia molto frequente nella popolazione è la BPCO: l’Rx riesce a distinguere due
parametri principali della BPCO ovvero la diminuzione o l’accentuazione del disegno vascolare.
Certo si può andare a guardare una serie di segni ma l’Rx standard del torace soprattutto nelle
forme iniziali o di gravità lieve/moderata non ha molto senso dal punto di vista diagnostico o
valutativo in pz con BPCO. Nelle forme più avanzate invece i segni più evidenti e importanti e in
questi casi si può anche ricorrere alla Tc ad alta risoluzione per valutare l’estensione dell’enfisema
e la gravità del danno.La HRCT è piu precisa nella diagnosi dell’enfisema “anatomico”,con una
correlazione molto precisa tra estensione dell’enfisema in HRCT e gravità del danno enfisematoso
anche nelle forme più lievi, pur non ottenendosi una correlazione altrettanto stretta con l’entità del
deficit funzionale ostruttivo valutato con le
prove di funzionalità respiratoria.
Progressione della BPCO nell’anziano:
soggetto sano - Progressivo declino del
volume espiratorio massimo nel 1° secondo -
Ostruzione vie aeree - Alterazione scambi
gassosi - Insufficienza respiratoria - Stato
ipertensivo polmonare - Cuore polmonare
cronico - Ritenzione idrosalina –Exitus
Due principali pattern radiologico-clinici che
correlano con la diagnosi di
enfisema/bronchite cronica:
1. arterialdeficiency: rarefazione del
disegno vascolare e dovrebbe
corrispondere anatomicamente alla
prevalenza dell’enfisema
2. increasedmarkings: accentuazione dei
reperi vascolari (cosiddetto “polmone
sporco”) esprimerebbe la prevalenza
della bronchite cronica con
ipertensione arteriosa polmonare
secondaria

(non letta)
Nell’asma l’Rx è quasi sempre normale, a meno che non ci sia una sovrapposizione di una
patologia di tipo infiammatorio o infettivo.Nelle forme non complicate Rx torace spesso del tutto
normale; Nel 40-60% dei casi aspecifico ispessimento delle pareti bronchiali e raramente un lieve
incremento diffuso dei volumi polmonari Rx torace utile nei casi accompagnati da rialzo febbrile,
per evidenziare la possibile presenza di focolai broncopneumonici e per riconoscere le possibili
complicanze acute dell’attacco asmatico: pneumotorace, pneumomediastino e zone di atelettasie.
Nelle forme di asma cronica severa la HRCT:

 può dimostrare e quantificare l’ispessimento delle pareti bronchiali dovuto al


rimodellamento strutturale delle pareti e l’evoluzione verso la fibrosi
 può rilevare la frequente presenza di bronchiettasie, che sono piu spesso periferiche ma,
nei casi complicati da aspergillosi broncopolmonare allergica, sono caratteristicamente
centrali, associandosi a piu marcato ispessimento delle pareti bronchiali e a ristagno
endobronchiale di secreti (impatto mucoide).
Bronchioliti: il radiogramma è del tutto negativo o aspecifico, con segni di iperinsufflazione
polmonare, mentre la HRCT evidenzia segni diretti (opacita ramificate da impegno del lume
bronchiolare, ispessimento parietale dei bronchioli con bronchiolettasie) o indiretti (air trapping
espiratorio) di alterazione anatomofunzionale delle piccole vie aeree, risultando determinante per
il corretto inquadramento della malattia
Bronchiectasie: il radiogramma standard è in grado di dimostrare in maniera affidabile solo la
presenza di dilatazioni bronchiali evidenti, di tipo cistico, in cui e frequente la presenza di livelli
idroaerei da ristagno di secrezioni,mentre sottostima nettamente la presenza di bronchiettasie
cilindriche o varicose, che possono essere solo sospettate per la presenza di opacità tubulari o a
binario associate ad affastellamento delle strutture bronchiali.La HRCT è metodica di elezione nella
dimostrazione delle bronchiettasie: studio ad alta risoluzione dell’intero volume polmonare con TC
multidetettore consente ricostruzioni multiplanari e rappresentazione estremamente accurata
dell’albero bronchialeLa presenza di bronchiettasie in soggetti con BPCO è frequente specie a livello
dei lobi inferiori, e si associa a cronica colonizzazione batterica delle vie aeree e al rischio di un
andamento più severo degli episodi di riacutizzazione

Come vedete il polmone appare più nero, gli spazi intercostali allargati. Ci sono delle immagini
bollose che suggeriscono le
presenze di bronchiectasie.
Questi bronchi poi sono
più radioopachi molto
probabilmente per
l’ispessimento delle pareti.
Nella fase di remissione
l’ipertrasparenza e
l’ampiamento degli spazi
intercostali rimane in quanto è
la componente enfisematosa
fissa, ma migliora la trasparenza
alle basi.

Ruolo della radiologia nella diagnosi di BPCO: due scenari clinici


1. paziente che giunge alla prima osservazione con dispnea acuta da causa da determinare
2. paziente clinicamente stabile, con ridotta funzionalita respiratoria.
In fase acuta, in particolare nei pazienti anziani, l’esame radiologico del torace può individuare la
causa principale dello scompenso funzionale respiratorio: cause cardiache o polmonari di dispnea.
In presenza di alterazioni sia polmonari che cardiocircolatorie necessario confronto con Rx
precedenti TC, con iniezione endovenosa di mezzo di contrasto, indispensabile solo nel sospetto di
una patologia tromboembolica polmonare.
Nella BPCO in fase stabile, la RX torace ha notevoli limiti di sensibilità e specificità.
Il ruolo principale consiste nell’escludere patologie diverse che possano simulare il quadro della
BPCO (es. neoplasie), e nell’individuare possibili complicanze o associazioni patologiche: flogosi
croniche, tumori, bronchiettasie, segni di ipertensione polmonare. La HRCT ha maggiore sensibilità
e specificità.
Nei pazienti anziani risulta invece del tutto superfluo il ricorso alla HRCT per una migliore
definizione morfologica e per un accurato bilancio di estensione dell’enfisema, che non avrebbero
alcun impatto terapeutico.

A seconda di se lo vediamo in decubiti


diversi, il versamento pleurico assume
diverse posizioni.
In alcune situazioni, soprattutto quelli basali,
possono essere studiati anche all’ecografia.
È un quadro visibile al radiogramma come
un’opacità non parenchimale dal momento
che il liquido, che si accumula tra i due
foglietti pleurici, aumenta la densità in
quella regione. In genere è un’opacità
visibile alla base che è rappresentata da una
curva con concavità che si porta verso l’alto.
I versamenti si posizionano a livello dei seni,
costofrenici e cardiofrenici, con seguente
ipomobilità della base polmonare
interessata. Vi sono poi versamenti delle
scissure.
Per quanto riguarda la TC, è obbligatorio che
questa venga guardata in due finestre in base
all’ampiezza della scala Hounsfield: finestra per
il parenchima, il cui valore centrale HU ha un
valore negativo (-500/600) e un ampiezza
attorno a 1500, e la finestra mediastino che ha
un centro più alto. Ricordate che -1000 è l’aria,
0 acqua, +1000 è l’osso compatto. La maggior
parte dei parenchimi compatti ha un valore HU
attorno a +40/60/80. È chiaro quindi che se
devo andare a studiare il parenchima
polmonare devo andare a vedere il contrasto
con l’aria, quindi mi setto il valore negativo.

Nel passato le due tecniche


venivano svolte con metodiche
completamente diverse, oggi
anche l’HRTC viene eseguita con
tecnica volumetrica.
È opportuno molto spesso fare ricorso alle metodiche post-processing in particolare queste. Le
multi planar vengono utilizzate per cercare di seguire alcune strutture anatomiche nel loro
decorso. Le tecniche MIP[prevede
che per ciascuna riga delle nostre
matrici vengano rappresentati
solo i pixel con i valori più alti di
intensità] evidenzia le strutture
molto dense contro uno sfondo
poco denso, come i vasi, e MinIP
[sono l’esatto contrario, per cui
per ogni riga e colonna vengono
rappresentati solo i pixel con i
valori più bassi, per esplorare
strutture ipodense contro sfondo
iperdenso] ci fanno vedere bene i
vasi con il mdc, i bronchi e le vie
aeree.
Siccome il torace è certamente la regione con il maggior contrasto naturale, in molti casi la tc
viene eseguita senza mdc. A differenza di altri distretti in cui si possono fare esami radiologici
classici con mdc(per esempio il clisma del tenue) ed esami Tc con mdc, per lo studio del torace non
si fa, eccetto che per quanto riguarda l’ambito cardiologico. La Tc può ed è fatta senza mezzo di
contrasto nel caso di HRCT. Una tc senza mdc da diverse informazioni, ma ci sono altre condizioni
in cui l’utilizzo del mdc è indispensabile. È obbligatorio infatti quando si sospettano patologie
vascolari del torace, o quando si ha il sospetto di una lesione nodulare/massa e si deve studiare le
caratteristiche di “enhancment”, impregnazione.
Il torace ha il più alto contrasto intrinseco di qualsiasi altro distretto corporeo. Le arterie, le vene
polmonari, le coste hanno densità notevolmente diverse da quelle del parenchima polmonare
adiacente. In gran parte dei soggetti i vasi mediastinici e i linfonodi sono avvolti da una quantità
sufficiente di tessuto adiposo che permette di
distinguerli facilmente.
La somministrazione ev di mdc diventa
necessaria nei seguenti casi:
- Tessuto adiposo mediastinico scarso;
- Valutazione di una struttura vascolare
(aneurismi, embolie polmonari, dissezione
aortica, stenosi coronarica) - Necessità di
valutare le caratteristiche di enhancement di
una particolare struttura
Questo è un addensamento di tipo
nodulare, opacità all’RX. Ne vediamo una
sola, questo è un classico esempio di
NODULO SOLITARIO POLMONARE.
È una formazione opaca che viene
osservata in genere in maniera
occasionale ad una RX del torace
eseguita per un qualsiasi motivo. Si
definisce nodulo perché le sue
dimensioni sono inferiori ai 3cm.
Naturalmente il rilievo di formazioni di
questo tipo pone il problema della
diagnosi differenziale. È vero che la causa
più come è una causa benigna, il
granuloma. Tuttavia possono essere
possibili anche origini neoplastiche, o
come tumore primitivo o come metastasi
a partenza sconosciuta addirittura.

Si deve quindi fare un iter per indagare


su questo nodulo polmonare che sicuramente parte da una TC dopo la Rxper valutare alcune cose:
una delle prime è la presenza di calcificazioni.
La presenza di calcificazioni è in genere
sinonimo di benignità, ad eccezione delle
metastasi da osteosarcomaì. Tuttavia non è
che se vedo le calcificazioni escludo che sia un
nodulo maligno, ma aumenta la probabilità
che sia benigno. È chiaro se al nodulo si
associano altri segni quali ad esempio
linfoadenopatie oppure una atelettasia, allora
la probabilità che sia maligno tende ad aumentare. Anche la forma: se la lesione tende ad essere
piatta aumenta la probabilità di benignità. Margini: più sono lisci ed omogenei, più c’è la
probabilità che sia benigno. Margini: - Corona radiata: rischio alto -Lobulati: rischio intermedio -
Lisci: rischio basso. L’ impregnazione o enhancment: maggiore è l’impregnazione ovvero
l’intensità del contrasto della lesione dopo aver somministrato il mdc endovena, maggiore è la
probabilità di malignità. La stessa densità del nodulo può dare delle informazioni: in genere i
noduli misti sono spesso maligni, un nodulo cosiddetto a vetro smerigliato sono benigni.
Evidente è che la diagnosi
definitiva si può ottenere solo
con l’aspirato, ma bisognerebbe
ridurre al minimo il numero di
pz che fanno un aspirato senza
motivo o in cui non sia
necessario, e quindi ci sono dei
protocolli.
Se il nodulo è >8mm è
opportuno eseguire una PET
con l’FDG, perché ha un elevato
valore predittivo negativo: se è
negativa escludiamo la
malignità. Ma se le dimensioni sono inferiori a 8mm, c’è un problema in quanto la sensibilità della
PET non è così buona, e ci si avvale quindi del monitoraggio(wait and watch). Si valuta se c’è
l’accrescimento della lesione nel tempo.
Altre informazioni sull HRCT. Ovviamente
utilizza una dose di radiazioni maggiori.

RM TORACE
La bassa densità protonica del polmone ne prevede poco l’utilizzo, ma è importantissima per le
patologie mediastiniche e per quelle vascolari. Per queste ultime applicazioni si possono usare
sequenze diverse, le cosiddette Black Blood ovvero a sangue nero, in cui si visualizzano bene le
pareti del vaso ma si azzera il segnale del contenuto vascolare. Al contrario si possono effettuare
delle vere e proprie sequenze angiografiche che ci permettono di valutare anche le alterazioni del
flusso.
Non utilizza radiazioni ionizzanti. Indagine multiparametrica e multiplanare .La maggiore
risoluzione di contrasto (rispetto a.la TC) consente una ottimale rappresentazione dei tessuti molli
della parete toracica. E’ inoltre superiore alla TC nella valutazione dell’ invasione delle strutture
vascolari che si caratterizzano per l’assenza di segnale dovuta al flusso ematico (Flow void). E’
indicata nello studio della patologia mediastinica.Limiti: Movimenti cardiaci e respiratori
(necessarie tecniche di “gating”) ; bassa densità protonica dei polmoni(non è indicata per lo studio
del parenchima polmonare).
La RM presenta tuttora grossi limiti nella valutazione del parenchima polmonare, ma si sta via via
affermando come metodica di scelta nella valutazione del torace pediatrico in pazienti con fibrosi
cistica.

LA MEDICINA NUCLEARE ED IL POLMONE


La scintigrafia è una delle metodiche per valutare la
ventilazione e la perfusione polmonare. Per la
perfusione si utilizzavano queste sostanze, aggregati di
albumina che una volta somministrati per via
endovenosa. Esse raggiungono i capillari, si fermano e
consentono di ottenere le immagini. Perfusione: 99m-Tc
macro-aggregati di albumina (MAA). Particelle sono
distribuite uniformemente nel letto capillare polmonare
dove una frazione di capillari può essere
temporaneamente ostruita . Il letto capillare vascolare
più periferico all’ostruzione non riceverà le particelle,
rendendo l’area “fredda” alle immagini scintigrafiche
.Ventilazione: 99m-Tc particelle di carbone marcate
(Technegas). Invece per quella di ventilazione si
utilizzavano o degli aerosol oppure delle particelle
particolari che venivano poi veicolate per via aerea.
Si acquisiscono immagini statiche in otto proiezioni (anteriore, posteriore, oblique posteriori,
oblique anteriori,laterali). L’ esame tomografico (SPECT), soprattutto per difetti sub-segmentari,
consente maggiore accuratezza.Valutazione scintigrafica in rapporto alla divisione semeiologica
segmentaria.
La principale indicazione è data
dall’embolia polmonare. Si va a
guardare la distribuzione per segmenti
della perfusione polmonare nel
tentativo di individuare regioni
ipoperfuse. Prima abbiamo vista una
angio-tc di un pz con embolia
polmonare che ci mostrava gli emboli
perché era la parte del vaso in cui il
contrasto non passava.
L’immagine è una scintigrafia
polmonare normale. Nella prima
immagine ovvero la proiezione
anteriore si nota quella zona
centrale non rappresentata, che
corrisponde all’area cardiaca. In
medicina nucleare si visualizza
l’organo marcato dal radio
farmaco, mentre gli altri organi
non si visualizzano. Quello che si
fa classicamente nella
valutazione della presenza o
meno di embolia polmonare è la
ricerca di zone ipoperfuse,
perché naturalmente dove c’è
l’embolo a valle non arriva sangue,
tracciante e quindi nulla ci fornisce il
segnale che contribuisce alla
formazione dell’immagine. È chiaro
che questo è un segno aspecifico,
nel senso che se vediamo una cosa
del genere, questo può essere anche
dovuto ad un’ostruzione del vaso ab
estrinseco non per forza da embolia
polmonare. Quindi abbiamo bisogno
della valutazione dello stato del
polmone che può essere fatta anche
da una RX torace.

[Nell’embolia polmonare vi è in genere un mismatch tra ventilazione e perfusione, nel senso che la
perfusione è bloccata dalla presenza dell’embolo ma il bronco è pervio e funzionante, solo
successivamente si può avere anche uno spasmo del bronco. Per questo si deve fare
contestualmente una valutazione dello stato ventilatorio anche attraverso semplice rx.]
Ecco il confronto diretto fra immagine scintigrafica e angio TC.
L’iter dell’embolia polmonare prevede la valutazione del d-dimero, perché ha un valore predittivo
così elevato che se è negativo si esclude l’embolia polmonare. Se è positivo invece si potrebbe fare
un eco-doppler dei vasi della gamba dato che uno dei punti di partenza più frequente degli emboli
sono i vasi pronfodi venosi dell’arto inferiore. L’accoppiata eco positiva e d-dimero positivo
permette già di iniziare la terapia.
Altrimenti ricorriamo alla angio TC (CTPA) che ha diversi vantaggi ma ha dei punti che sono
svantaggiosi rispetto all’esame medico nucleare: due in particolare sono la eventuale allergia al
mdc e la dose di radiazioni che è lievemente più alta, con particolare riferimento alla possibilità di
irradiazione del feto nel caso di una donna in gravidanza. Successivo all’eco doppler quindi è
preferibile adoperare la
medicina nucleare perché la
radioattività è tutta
concentrata al distretto
polmonare. E poi i pz che
hanno una embolia
polmonare cronica molto
spesso la TC è negativa
perché non vediamo più
l’embolo, vediamo però
ancora l’effetto. In sostanza
abbiamo che la CTPA è
l’esame sicuramente da
scegliere in prima istanza dopo d-dimero e eco doppler, soprattutto in pz con RX patologico in cui
la scintigrafia ci da poche indicazioni. Inoltre l’angio tc polmonare ci permette di valutare anche
altri aspetti, le patologie parenchimali ad esempio; possiamo vedere che la sintomatologia
dolorosa che si accompagna all’embolia polmonare, che di fatto è aspecifica, non sia dovuta ad
esmepio ad una dissezione aortica. Già un po’ più complicato è se dobbiamo fare la diagnosi
differenziale con la SCA(sindrome coronarica acuta). Infatti SCA, dissezione aortica, embolia
polmonare sono le tre patologie con quel tipo di dolore di cui dobbiamo fare diagnosi differenziale
in quanto pericolose per la vita . E’ chiaro che se dobbiamo fare una valutazione anche delle
coronarie, la metodica tc cambia un po’, non è proprio la stessa.
Nella diagnostica dell’embolia polmonare sono
disponibili due tecnichedi diagnostica per
immagini:

 angioTC (CTPA), che rappresenta il gold


standard;
 medicina nucleare per indagare sulla
vascolarizzazione (v/q spect), usata per donne
gravide, pazienti allergici ai mezzi di contrasto
(iodio), embolia polmonare cronica.

L’ approccio medico nucleare è da preferire nei pz che hanno funzione renale severe, in cui il mdc
non si può dare, allergia nota, gravidanza.
Alcuni chirurghi toracici prima di resezioni polmonari vogliono sapere che funzione polmonare
residuerà e questa informazione lo si ha mediante lo studio della funzione respiratoria: questa
però ci da delle informazioni globali, dovrei invece in qualche maniera risalire al settore specifico
che voglio rimuovere e quanto questo contribuisce alla funzione globale. Si fa la scintigrafia e si
assume che la distribuzione della perfusione sia sovrapponibile a quello della funzione
respiratoria. Vediamo poi la quantità di radiofarmaco che è arrivato nei due polmoni. Poi
dividiamo ad esempio il polmone di 3 regioni, vediamo i conteggi del radiofarmaco trovato in un
settore e lo esprimiamo come percentuale del globale, e questo è proporzionale al contributo
funzionale di quella parte del polmone alla funzione respiratoria.

Naturalmente dobbiamo parlare della PET-TC con fdg perché è un caposaldo nella oncologia e ci
serve per:

 Caratterizzazione (diagnosi differenziale tra lesione maligna e benigna)


 Staging iniziale
 Identificazione di recidive ( diagnosi differenziale tra fibrosi e malattia attiva ) con
attenzione a non esagerare con le metodiche di imaging nei follow up (vedi esempio
mammella, dove l’unico esame che è previsto nelle linee guida è la mammografia ma
spesso vengono invece aggiunte altre procedure spesso inutili e nemmeno sensibili).
Inoltre queste stesse metodiche hanno un certo valore di sensibilità e specificità, e quando
queste le applichiamo ad una popolazione che ha una bassa prevalenza di malattia
aumenta il numero dei falsi positivi.
 Predire e monitorare la risposta al trattamento
 Precisa definizione del “volume–bersaglio” per la elaborazione dei piani di trattamento
radioterapico
 Studio della bio-cinetica di farmaci anti-neoplastici impiegando loro analoghi marcati.
Serve per la differenziazione fra benignità e malignità ad esempio nel nodulo solitario polmonare,
opacità polmonare inferiore ai 3cm senza atelettasie ne linfoadenopatie mediastiniche in quanto
se abbiamo queste due componenti aumenta le probabilità di malignità. La TC aiuta molto perché
va a guardare alcuni aspetti particolari, ma si parla comunque di probabilità e quindi l’uso della
Pet/tc serve per questo: un nodulo solitario polmonare che non capta l’fdg è sicuramente un
nodulo benigno.

Il contrario dovrebbe invece essere vero nel caso di positività all’fdg, ma non sempre è così: infatti
ci sono alcuni casi, come ad esempio nel granuloma, che nelle loro fasi attive captano l’fdg, perché
questo è un grande tracciante però è un indicatore di metabolismo glicidico, non un indicatore di
malignità. Tutto ciò si basa sull’ipotesi di Warburg per cui nelle neoplasie c’è un aumento della
glicolisi tanto maggiore quanto è maggiore la sdifferenziazione e quindi sostanzialmente
l’aggressività della neoplasia.

La diagnosi differenziale tra nodulo benigno e maligno non può prescindere dall ’accertamento
cito e/o istologico nei casi di aumentata captazione del tracciante. L’assente fissazione da parte
del nodulo polmonare è predittiva di benignità in quasi il 99% dei casi. L’assenza di captazione di
FDG nel nodulo polmonare consente di evitare l ’ intervento chirurgico, suggerendo il
monitoraggio dimensionale della lesione.L’uso della PET/CT FDG nei NSP è ben definito nei
pazienti che hanno risultati CT e probabilità clinica pretest di malignità discordanti.
FN (falsi negativi) in noduli < 8 mm Tuttavia in noduli <5 mm rischio di malignità < 0.1%.
FP (falsi positivi) in patologie benigne ad alto metabolismo (es. granulomi infettivi).
La strategia CT + PET/CT è la più efficace nei pazienti con rischio di malignità > 6%.Mentre nei
pazienti con rischio minore la strategia migliore è “wait and watch”.
Alcuni studi hanno tentato un po’ di migliorare questa metodica nei termini della specificità
andando a fare delle applicazioni particolari quali ad esempio la “dual time”, ovvero andando a
vedere non solo il metabolismo ma anche la sua dinamica. Quindi somministrare il radiofarmaco,
acquisire con la pet al tempo stabilito e poi acquisire una seconda pet a distanza di un paio d’ore,
circa 3 ore dalla somministrazione. Si è visto che le lesioni maligne tendono ad avere una
concentrazione stabile o che aumenta nel tempo, mentre quelle benigne fanno il contario.
Tuttavia non è tale da farci avere valori da poter fare escludere sicuramente la necessità di fare la
biopsia. In sostanza nel nodulo polmonare io devo sapere a chi devo andare la FNAC: può essere
fatta TC guidata quando il nodulo è periferico, oppure in corso di broncoscopia se è centrale.
1. Alla RX torace standard la presenza di calcificazioni caratteristiche di benignità interrompe il
workup. 2. Un nodulo di dimensioni invariate per un periodo di almeno 2 anni è considerato
benigno. L’accrescimento è sospetto. 3. La CT pu stabilire se un nodulo è realmente solitario e pu
spesso caratterizzare i noduli come quasi certamente benigni o indeterminati. 4. Per i noduli
indeterminati si procede differentemente in base alle dimensioni. NPS >1cm sono valutati con FDG-
PET. Elevato accumulo è sospetto e obbliga alla CT-guided biopsy or video-assisted thoracoscopic
surgery. 5. Nel caso di basso accumulo è indicato il follow-up. 6. Per noduli PET-negativi Rx del
torace è accettabile per il follow-up, e 2 anni di stabilità pone termine al work-up. 7. Per noduli < 1
cm si adopera la CT, con un follow-up di almeno 3 anni a intervalli più frequenti per i fumatori

NSCLC
Nel caso del carcinoma polmonare non a piccole cellule nella fase di diagnosi già certa, il
completamento della stadiazione dovrebbe essere fatto con una pet tc, in quanto uno dei punti
cardini è la discrminazione fra stadio 3A e 3B o 4. Fra 3A e 3B dobbiamo guardare se le dimensioni
(T) ma dobbiamo guardare anche l’N, i linfonodi. L’N si guarda prevalentemente dal punto di vista
dimensionale alla TC, ovvero le dimensioni del diametro minore del linfonodo: 10mm si intende
linfonodo interessato, al di sotto non interessato. Ma
non è sempre così, in molte situazioni è vero il
contrario.
Ancora una volta quindi possiamo utilizzare il
tracciante per verificare quindi se il linfonodo è
interessato o meno. La pet ancora una volta ci da un
valore predittivo negativo. L’identificazione di Stadio I
sulla base dei dati clinici e di risultati negativi alla
PET/CT è sufficiente per escludere malattia
mediastinica. L’identificazione di Stadio II o III è più
controversa Questo per la presenza di Falsi Negativi in
lesioni < 1cm. Nella differenziazione tra Stadio IIIA e
Stadio IIIB la PET/CT consente di variare la stadiazione
nel 48% -63% dei pazienti.L’aggiunta
del dato metabolico (PET/PT) al
work-up convenzionale consente
di:variare lo stadio nel 27% ,evitare
procedure chirurgiche nel
20%.PET/CT superiore a CT e a PET.
Distingue tra tumore e
atelettasia.Cambia l’ approccio
radioterapico in 40%.

La tc difficilmente ci fa distinguere se
un’opacità è tumore o atelettasia, con la
PET TC invece discriminiamo bene quale
parte dell’opacità è tumore e quale
atelettasia.

Oppure in questo caso alla Tc è difficile


capire se c’è l’interessamento della parete
toracica (diverso quindi sarà lo stadio), ma
quando facciamo la pet tc vediamo che la parete toracica è indenne.
Il passaggio ottimale quindi dopo aver fatto il citologico prevede la pet tc direttamente per la
stadiazione, ma spesso non si fa. In molti casi possiamo fare anche a meno del mdc, anche perché
il pz ha già fatto un mdc precedentemente nella fase diagnostica con la Tc. Nel nodulo solitario
polmonare infatti bisogna fare una tc per valutare tutti quei parametri (margini, forma ecc) ma
bisogna somministrare anche il mdc per valutare l’impregnazione. A completamento dopo che è
stata definita la situazione dall’anatomo patologo con il citologico dobbiamo decidere che cosa
fare, e per farlo c’è bisogno della stadiazione.
Per la M invece ancora una volta quello che ci interessa è il valore predittivo negativo(Valore
Predittivo Negativo del 99%): naturalmente ci sono dei problemi, come la possibilità di linfonodi
reattivi o processi infiammatori che riducano la capacità, dando spesso fp o fn. La PET/CT ha
consentito di evidenziare M1 inaspettati nel 20% di pazienti con conseguente variazioni
nell’approccio terapeutico.
Oltre che a contribuire alla definizione dello stadio TNM, il fatto che le informazioni ottenute dalla
pet sono collegate alla
“aggressività della neoplasia”
ci consente di fare anche
delle valutazioni sulla
prognosi.
Questo è uno studio con un
NSCLC di pz con alta e bassa
captazione trattati alla stessa
maniera. C’è una diversità
statisticamente significativa nella OS (overall survival). Anche quando consideriamo i pz senza
senza N (seconda immagine) , anche qui la diversa attività metabolica del tumore ci da indicazioni
su una maggiore o minore
aggressività.
In questo studio con più di
200 pz in stadio 3 viene
riportata la Hazard ratio,
ovvero di quanto
aumenta la mortalità per
ogni aumento unitario del
parametro. La hazard
ratio cambia a seconda
dei parametri, esempio
essere donne da un aumento di mortalità 1,07, non è significativa questa cosa.
Al contrario l’MTV (volume metabolicamente attivo tumorale) per ogni variazione di 10cc, quindi
poco, si ha un incremento di mortalità che è pari a 1,04, quindi questa cosa pesa. A seconda dell’
MTV abbiamo una diversa sopravvivenza.Questa è una metanalisi che dice quanto sia importante
sapere quanto tumore avido di glucosio c’è, per avere informazioni sulla prognosi. Questi autori
infatti qualche anno fa hanno lanciato la proposta di combinare il parametro MTV con quello del
TNM.
La stessa cosa si evidenzia nei tumori a piccoli
cellule (remind: la stadiazione si basa sulla
differenziazione principalmente fra malattia
limitata ed estesa). [In pz con carcinoma
polmonare a piccole cellule hanno creato un
indice che associa lo stadio clinico con questo
volume metabolico tumorale: PVP (prognostic
volume predict) e a seconda della percentuale di questo indice hanno operato una stratificazione
in tutti e due i gruppi per la prognosi].

Recidive: da notare l’aspetto del VPN ( valore predittivo


negativo) che è abbastanza elevato. La Pet viene quindi
sempre utilizzata per lo più per escludere la presenza di
recidive con il suo elevato VPN.
Il fatto che con la Pet tc si vada a guardare l’aspetto metabolico della neoplasia, consente di
valutare l’efficacia di una terapia stessa. Questa si può valutare in vari momenti esempio:

 dopo una terapia neoadiuvante, ovvero per valutare se abbiamo ridotto lo stadio del pz
per poterlo portare in sala operatoria e fare l’intervento.
 A termine della nostra terapia
 Valutazioni precoce ( dopo 3 cicli), questo si fa
molto nella terapia dei linfomi (il cosiddetto interim),
ovvero la valutazione dopo qualche ciclo per vedere come
la neoplasia risponde al trattamento. Se risponde bene
allora il trattamento si continua, se risponde male vuol dire
che c’è sicuramente la necessità di aumentare
l’aggressività della mia terapia.
Nel caso del carcinoma del polmone , il SUV è un
parametro per esprimere quantitativamente la captazione,
maggiore è la riduzione del SUV migliore è la
sopravvivenza.

Questa è una valutazione precoce dopo 3 cicli, e a


seconda di se si negativizza o rimane positva la pet, il
tempo di sopravvivenza globale è nettamente
differente.

La PET-FDG ha quindi un Valore Predittivo e Prognostico nella diagnosi, nella malattia avanzata,
dopo terapia di induzione, nelle recidive, dopo terapia di induzione e nelle recidive.
Anche nei pazienti in stadio precoce l’entità

dell’attività metabolica determina una diversa


prognosi, cos’ come in pz in stadio avanzato.
Ma anche andando a guardare al termine della terapia questa diversità di captazione ci permette
di fare una differenziazione.

Infine una cosa che interessa molto i radioterapisti, il cui scopo è dare una dosa elevata di
radiazioni al tumore con risparmio dei tessuti sani, è la valutazione dei piani radioterapici.
Si avvalgono dell’imaging TC e RM perché su queste immagini il fisico di concerto con il
radioterapista delinea il tumore e definisce i piani di dose, ovvero quanta dose deve arrivare al
tumore. In linea generale il modo principale per cui si ottiene la dose massima al tumore con
minima dose ai tessuti sani è quella di utilizzare più porte di accesso, ovvero far arrivare i fasci da
più parte (esempio nella mammella da piani tangenziali sovrapposti, oppure in tumori addominali
utilizzando almeno 4 porte di accesso). Oggi c’è addirittura la RT intensity modulated, ovvero la
modulazione dell’intesità della radiazione in base al tessuto da irradiare; la tomatherapy, in cui il
sistema di radiazioni gira intorno al pz e da molteplici porte di accesso.
Una volta delineato il volume bersaglio con la TC, viene definito il cosiddetto CTV ovvero il volume
tumorale e il volume di trattamento.
Quello che vorrebbero fare i radioterapisti è delinare questo piano di trattamento e poi
aggiungere un plus, una sovradose, che si da alla regione più aggressiva del tumore che
sicuramente è quella metabolicamente più attiva. E quindi si passa al Biological Target Volume che
porta ad una variazione del trattamento in più della metà dei pz.
Pianificazione dei piani di trattamento radioterapico: migliore accuratezza delle registrazioni delle
due modalità, eliminazione delle inaccuratezze legate alle procedure di coregistrazione necessarie
per correggere gli errori dovuti al setup del paziente nelle acquisizioni separate CT e PET (tempi
diversi), affidabile definizione del volume bersaglio, necessario approfondire lo studio dei
movimenti respiratori che possono contribuire, a causa dei diversi tempi di acquisizione tra CT e
PET, a diversificare il volume di trattamento.
Permette l’individuazione di lesioni aggiuntive rispetto a quelle segnalate dall ’ imaging
convenzionale o la corretta localizzazione della componente fibrosa o necrotica nell’ambito delle
lesioni. Queste informazioni consentono in una percentuale elevata dei casi di modificare
opportunamente il piano di trattamento ampliando o riducendo opportunamente i campi di
irradiazione o modificando l’entità della dose somministrata.
Di seguito sono riportati quelli che sono gli iter diagnostici in alcune delle patologie che abbiamo
trattato oggi ( non le ha lette).
K polmone
- RX:Indicata (può essere negativa). Molto utile il confronto con radiogrammi precedenti.
- TC Indicata. Identifica sede e caratteristiche densitometriche e di enhancement di una
lesione. Necessaria per lo staging
- RM Speciale. Per la valutazione dei rapporti lesionali con la parete toracica. Indicata per il
tumore di Pancoast.
- Sc.ossea Valutazione metastasi ossee.
- PET-TC Indicata nello staging e nel restaging post trattamento. Indicata nella valutazione
del NPS
Embolia Polmonare
- RX: Frequentemente negativa. Segni in fase tardiva
- TC :Gold standard. Mostra difetti di opacizzazione endolume, indicata
- RM:Speciale. Pazienti che non possono essere sottoposti alla TC.
- Sc V/Q: Indicata. Valutazione match/ mismatch. Alta sensibilità per difetti di perfusione
Linfoma
- RX: Mostra slargamento mediastinico ed infiltrazione parenchimale, ma frequentemente
negativa.
- TC: Indicata. Valutazione delle stazioni linfoghiandolari coinvolte. Diagnosi di estensione
- RM Indicata nella valutazione della massa mediastinica residua.
- PET-TC Indicata. Gold standard nello staging e nel restaging
Polmoniti
- RX: Indicata. Diagnosi e follow-up
- TC: Speciale. Casi dubbi, persistenti e/o ricorrenti
Patologia interstiziale
- RX: Limitata. Evidenzia segni tardivi
- HRCT: Indicata. Valutazione diretta dell’interstizio polmonare
Traumi
- RX: Indicata. Evidenzia o esclude lesioni parnchimali, pleuriche o vascolari
- TC: Indicata. Precisa o evidenzia patologie non evidenti all’Rx
- RM: Integrativa. pazienti stabili, idonea per i traumi dell’aorta
- Angiografia: Integrativa. Nel sospetto di rottura aortica
CASI CLINICI
Il professore procede mostrando le immagini e poi ponendo il quesito.
Quali di queste affermazione è vera?

 nessuna evidenza di malignità?


 Evidenza di neoplasia polmonare,
versamento pleurico e coinvolgimento
linfonodale
 Evidenza di neoplasia polmonare,
versamento pleurico e coinvolgimento
linfonodale + metastasi osteolitica. (E’ la
risposta vera ma non indica precisamente
quale è, dice al livello del torace)

caso 2 , pz che all’Rx del torace ha una massa ilare dx:

 Nessuna evidenza di neoplasia


 Neoplasia polmonare e coinvolgimento linfonodale
 Neoplasia polmonare, coinvolgimento linfonodale e metastasi osse (risposta essata, ma
non la commenta)

caso 3, nodulo solitario polmonare:

 Nessuna evidenza di malignità


 Evidenza di neoplasia, no
coinvolgimento linfonodale (esatta)
 Evidenza di neoplasia con
coinvolgimento linfonodale
Caso 4 , pz con diagnosi già fatta bisogna fare la
stadiazione:
 Coinvolgimento ilo dx
 Ilo dx e adenopatia mediastino
omolaterale (vera)
 Ilo dx e adenopatia mediastino bilaterale
Lo definiamo quindi stadio 3a

Caso clinico:
donna, 53 anni, all’anamnesi patologica remota ha una ipertensione arteriosa trattata e fumatrice
(20sigarette/die), storia familiare di carcinoma alla mammella.
Esegue un FNAC ecoguidato nel 28/03/2017 su una lesione nodulare della mammella al QIE della
mammella sx e l’esame citologico è positivo per cellule maligne-> il reperto orienta per carcinoma
duttale grado2 secondo Guilford.
05/04/2007: le fanno una mastectomia radicale modificata. Istologico: lesione nodulare stellata di
8mm di diametro contenente microscopici focolai di Carcinoma duttale in situ e microcalcificazioni
al QIE della mammella sx. Linfonodi ascellari negativi. Mastopatia micro-macrocistica sugli altri
quadranti.
Pratica radioterapia e terapia ormonale. Scintigrafia ossea 2 settimane dopo negativa per lesioni
secondarie.
Giugno 2011 in corso di esame ecografico della regione mammaria sx si rileva una millimetrica
area ipoecogena lungo la cicatrice del pregresso intervento chirurgico. Sospetto recidica Ca
mammella sx.
FNAC: cellule duttali di aspetto e caratteri normali. Biopsia escissionale di un area di consistenza
aumentata di 7mm. 27/07/2011: Ca duttale infiltrante di grado istologico intermedio di malignità =
ER 90%, PR 90%, ki 67 < 10%.
Viene fatta una TC torace e addome con e
senza mdc e si vede un nodulo solido 1,2 cm
localizzato al polmone di sx in corrispondenza
del corno ilare superiore. Sub centrimentiche
nodulazioni linfonodali in FAP. Esiti di
mastectomia sx con aspetto disomogeneo del
cellulare adiposo sottocutaneo in corrispondenza della cicatrice chirurgica.
Utile rivalutazione a breve distanza di tempo
(3mesi). La risonanza magnetica conferma questo
nodulo polmonare e il reperto alla cicatrice. Si
consiglia una PET.
Fa la pet, e la pet capta, il noduletto è piccolino ma
capta, con un’intensità di grado moderato.
È una lesione secondaria al tumore primario alla
mammella? O è un nodulo primitivo polmonare?

La captazione si prolunga anche a livello ascellare, probabilmente dovuta agli esiti della
radioterapia che la signora aveva
fatto.

Consulenza oncologica: nodulo


polmonare non tipizzabile per
difficoltà tecniche dovute alla
sede e alle piccole dimensioni.

Si consiglia di :

 completare la stadiazione con una


TC cerebrale .
 ripetere TC torace con e senza mdc
e PET dopo 2 mesi
 continuare la terapia ormonale
 praticare la Radioterapia sulla
parete toracica (a discrezione del radioterapista)
Definisce tutto come recidiva di K mammella su
cicatrice + nodulo polmonare di ndd.
Consulenza radioterapica: si decide di fare la
radioterapia solo dopo migliore definizione dello
stadio effettivo della malattia.
Per il prof ripetere dopo 2 mesi non ha tanto senso. E infatti in realtà le cose sono
invariate: c’è il nodulo che capta con una intensità immodificata.
L’oncologo aveva anche chiesto di estendere
con Tc cranio torace e addome, ma ancora
una volta non è cambiato niente.
Si consiglia una consulenza di Chirurgia
Toracica con approfondimento diagnostico
con esame fibrobroncoscopico e eventuali
biopsie/broncoaspirato.
Ad un certo punto la pz ha un episodio acuto,
un emoftoe, e siccome c’è un ricovero di
emergenza le fanno un’altra TC che conferma
la formazione ma vede anche che il lobo
superiore di sx ha una formazione a
manicotto e quindi consigliano una
valutazione diretta, ma non la vogliono fare TC guidata, e lo fanno con la broncoscopia.
La broncoscopia dice: in entrambi gli emisistemi pervietà bronchiale conservata in assenza di
processi infettivo vegetativi in atto -> fanno la fnac : sfondo ematico, neutrofili, linfociti, campione
per il resto acellulato -> INCONCLUSIVA.

Conclusione: questo è quello che avevamo. Viene effettuata la tumorectomia polmonare.


Lesione primaria o secondaria? (Slide)
caratteristiche morfo-densitometriche:
- nodulo polmonare solitario al LSS
- sede centrale
- ovale, a contorni lievemente irregolari
- a manicotto peribronchiale
metastasi: solitamente noduli multipli, più numerosi alle basi polmonari dove la gravità agisce sul
flusso sanguigno. Il riscontro di metastasi solitaria in K mammella è più frequente che in altre
neoplasie.
Segno clinico: Emoftoe
Storia di tabagismo.
L’istologico dimostra un adenocarcinoma moderatamente differenziato del polmone, quindi un
nodulo polmonare solitario.
Queste ultimi sono delle percentuali autoptiche: ci fanno capire che quando troviamo una
situazione del genere, molto spesso ci troviamo di fronte ad un tumore primitivo.
Tumerectomia polomnare LSS (12x7 mm) (Slide)
Esame istologico: Adenocarcinoma moderatamente differenziato primitivo del polmone.
Nodulo polmonare solitario in paziente con K mammella:
Metastasi 37%
Tumore polmonare primitivo 55%
Lesione benigna 8%
Sbobinatore Mario Belmonte

Controllore Raffaele Ragone


DPI – LEZIONE 06 – RUOLO DELL’IMAGING NELLA DIAGNOSI DEL TUMORE ALLA MAMMELLA,
VECCHIE E NUOVE METODICHE - 12.11.18 - PROF. PACE
Oggi parleremo in maniera estesa del ruolo della diagnostica per immagini nel campo della
senologia, non solo per quanto riguarda gli aspetti “iniziali” (il professore si riferisce agli screening
primari e in generale alla prevenzione primaria), ma anche per il follow up e le modifiche alla
terapia in base agli esiti degli esami.
Uno degli esami più utilizzati ed estremamente diffusi è la mammografia. Questa è un esame di I
livello. Nelle vecchie lezioni si faceva la distinzione tra “tradizionale” e “digitale”, in realtà oggi la
prima è andata completamente in disuso ed è solo digitale quella utilizzata per la diagnostica.
Quelle di II livello sono l’Ecografia e l’ECD (EcoColor Doppler) (cosa non del tutto vera perché
l’ecografia, come vedremo, può diventare un esame di primo livello nella mammella giovane); i
prelievi istologici e microistologici, eseguiti sotto guida ecografica o stereotassica; la RM; la
Tomosintesi, una “radioinnovazione” nel campo della senologia; la MN (Medicina Nucleare).

MAMMOGRAFIA (MX)
E’ l’indagine radiologica di più comune impiego nella diagnostica senologica che dà informazioni
sulla struttura e sulla morfologia della ghiandola. Ha una elevata sensibilità nell’individuazione di
lesioni mammarie anche di dimensioni millimetriche ancora non palpabili (come ad esempio le
calcificazioni o ancora meglio le microcalcificazioni) né documentabili con altri esami diagnostici.

Questo è un mammografo, e già la sua peculiare forma ci fa capire


che la mammografia non si può effettuare con un macchinario di
radiologia convenzionale. È dotato di supporto per la mammella, di
un piano sensibile e di un tubo radiogeno orientabile nello spazio.

Proiezioni standard dell’esame mammografico

• Proiezione cranio caudale


• Proiezione obliqua medio-laterale
• Proiezione latero laterale

In genere le prime due proiezioni risultano sufficienti (e soprattutto


queste sono le obbligatorie) e si ricorre alla terza per dirimere dubbi
insorti nelle prime due proiezioni.
Proiezione obliqua medio-laterale
Proiezione cranio-caudale

La compressione della mammella è necessaria per ottenere un buon contrasto di immagine. Ciò
consente infatti di migliorare il contrasto dell’immagine. L’esame è sempre bilaterale e
comparativo, ciò significa che va sempre effettuato ad entrambe le mammelle durante la stessa
seduta.

<- Questo è un esempio di una proiezione cranio-caudale della


mammella destra e di quella sinistra.

La proiezione cranio-caudale
permette la suddivisione della
mammella in due porzioni, Esterna
e Interna.
La proiezione obliqua medio-laterale permette di poter visualizzare il prolungamento ascellare
(triangolo radio-opaco e, a differenza della proiezione precedente, divide la mammella in una
porzione superiore e una inferiore. La mammella viene così divisa (grazie alle due proiezioni) in 4
quadranti.

Esistono poi le cosiddette proiezioni mirate:

1. Proiezione con compressione mirata o spot


➢ Si esegue con appositi compressori che consentono di esercitare una pressione su
un’area limitata della mammella che corrisponde alla zona di interesse diagnostico
➢ La compressione mirata aumenta il contrasto di immagine e permette di migliorare i
dettagli dell’immagine
➢ Riduce i fenomeni di sovrapposizione strutturale
2. Ingrandimento diretto
➢ Permette una migliore analisi e percettibilita’ ottica dei piccoli dettagli
➢ E’ eseguito mediante appositi accessori distanziatori (in figura in alto a sx) che
permettono di allontanare la mammella dal piano sensibile e avvicinarla al fuoco
➢ E’ indicato ogni qualvolta si vogliano cogliere piccoli dettagli di masse sia palpabili che
occulte o per meglio evidenziare microcalcificazioni e apprezzarne morfologia numero
e densità

L’ingrandimento diretto è figlio delle tecniche di base della radiologia convenzionale, perché sfrutta
la stessa tecnica che si usa anche nel torace: maggiore è la distanza tra fuoco (sorgente radiogena)
e oggetto, minore è l’ingrandimento, e viceversa. Perciò si pone un distanziatore tra mammella e
rilevatore per avvicinarla al fuoco e allontanarla dal piano sensibile. Questo permette di ottenere
degli ingrandimenti geometrici e serve per aumentare il dettaglio, vedere meglio piccole lesioni e
microcalcificazioni.

Nella Mammella normale in età fertile, grazie alla mammografia, possono essere visualizzati e
studiati 3 elementi strutturali:

1. Tessuto adiposo
2. Parenchima ghiandolare
3. Tessuto connettivo mammario
Ci sono delle differenze legate all’età della paziente, la densita’ radiologica della ghiandola
mammaria si riduce in maniera significativa con l’avanzare dell’età: per cui una mammella giovane
è una mammella densa, mentre una mammella senile appare meno densa, a causa della
sostituzione della componente stromale del tessuto mammario con componente adiposa.
La relativa abbondanza delle tre componenti strutturali determina la densità della mammella.
Mammella Giovane

Mammella Senile

Variazioni di densità possono apprezzarsi nella stessa donna in relazione all’età.


L’aumentata densità della mammella può creare problemi di interpretazione dell’esame e
oscurare la presenza di una lesione.
Anche se i radiologi senologi esperti riescono comunque a visualizzare anomalie morfologiche
anche in una mammella giovane, in quest’ultima la capacità diagnostica sarà sempre inferiore
rispetto alla capacità diagnostica di una mammella senile.

Classificazione della densità mammografica e definizione di mammella densa


Breast imaging Reporting and Data System
Categorie BIRADS

1. Mammella interamente adiposa


2. Mammella con aree di densità
fibroghiandolare che possono oscurare una
lesione
3. Mammella con densità eterogenea che può
abbassare la sensibilità della mammografia
4. Mammella estremamente densa che
abbassa la sensibilità della mammografia
Sono mammelle dense le Categorie 3 e 4.
Il sistema di classificazione IRADS (Imaging Reporting and Data System) si trova anche in altri
organi ed apparati, come il PIRADS per la Prostata e il TIRADS per la Tiroide, in modo da codificare
la modalità di refertazione e quindi produrre dei report che siano consistenti attraverso le varie
diagnostiche.
Dopo aver definito la mammella per la sua composizione andiamo adesso ad analizzare i rilievi
morfologici apprezzabili durante l’esame diagnostico.
NB: non confondere questo sistema di classificazione in quattro categorie, che riguarda la
DENSITA’ della mammella, con l’altro sistema di classificazione BIRADS, che riguarda il carcinoma
mammario e si divide comunque in quattro categorie.

Rilievi morfologici
• Addensamenti (margini sfumati) La differenza tra nodulo e addensamento è
• Noduli molto semplice: l’addensamento ha dei
o margini regolari margini sfumati (attenzione a non
o margini spiculati confondere margini sfumati con margini
• Distorsioni parenchimali irregolari! I margini irregolari sono margini
definiti ma che non seguono una forma
• Microcalcificazioni
tondeggiante come i margini regolari).
o chiazze
o cluster
Qui il senologo ha evidenziato la distorsione
parenchimale contornandola con puntini neri
per delimitarne l’estensione.
In genere le micro
calcificazioni a chiazze sono
indice di benignità

MAMMOGRAFIA DIGITALE
In mammografia digitale la pellicola radiografica è sostituita da un detettore.
Il detettore interagisce con i raggi x trasmessi attraverso la mammella e converte la loro energia in
segnali elettronici che vengono digitalizzati e registrati dal computer.
L’elaborazione dei dati produce un’immagine digitale che viene mostrata su di un monitor ad alta
definizione.
Confronti di risoluzione tra Tradizionale e Digitale

LIMITI DELLA MAMMOGRAFIA


5 – 15% dei Ca non sono visti (Falsi Negativi)
Una mammografia negativa non deve arrestare il work-up in caso di sospetto clinico.
Falsi Negativi

• Carcinoma occulto alla mammografia (es. Ka lobulare che per la sua modalità di
accrescimento non dà effetto massa)
• Carcinoma oscurato da tessuto denso
• Errore Tecnico
• Errore di interpretazione
L’errore tecnico e quello di interpretazione possono essere ampiamente prevenuti da un
personale specializzato. Questo è il motivo per cui sono nati dei veri e propri centri specializzati
per lo screening e per la prevenzione secondaria.

BI-RADS Breast Imaging Reporting and Data System® (BI-RADS®) Atlas


Per quanto riguarda il Sistema di refertazione, il
sistema di BIRADS prevede di scendere per una
cascata di valutazioni che parte dalle indicazioni,
poi la composizione della mammella (le 4
categorie BIRADS precedentemente descritte),
poi analizzare le eventuali lesioni riscontrate al
momento della mammografia, confrontarle con
precedenti referti e alla fine dare una
valutazione e indirizzare la paziente verso le
appropriate procedure mediche da attuare. La
tabella sottostante, tratta da BIRADS Atlas,
riassume con buona approssimazione tutti gli steps in cui inquadrare la paziente.
ECOGRAFIA ED ECO-COLOR DOPPLER
Inizialmente utilizzata principalmente nella diagnosi differenziale tra lesioni cistiche e solide
Indagine complementare a quella clinica nello studio del seno denso giovanile
Indagine complementare alla mammografia per la corretta interpretazione del seno denso
dell’adulto
Consente una ulteriore definizione diagnostica di masse riconosciute alla mammografia
Metodo di “reperaggio” per la cito-agoaspirazione
Sensibilita’: 50-78%
Assorbimento acustico = ecogenicità. L’alone che circonda il nodulo è un segno negativo.

La procedura mammografica può essere eseguita per 2 motivi: come procedura di screening o
come procedura diagnostica. Nella prima l’esame viene eseguito dal personale tecnico nelle due
proiezioni per ciascuna mammella; la paziente va via, il radiologo successivamente guarda gli
esami e se nota qualcosa di sospetto, effettua il cosiddetto recall, ovvero richiama la paziente per
farle eseguire altri esami ed accertamenti come un esame mammografico di lato, un
approfondimento ecografico o addirittura una citologia. Nella mammografia come procedura
diagnostica invece la paziente è spesso sintomatica (termine non proprio corretto per indicare una
paziente che presenta dei segni clinici come un nodulo alla palpazione) o con un forte sospetto
per familiarità. In questo caso la paziente viene seguita dal senologo già durante l’esame
mammografico e, se la paziente è giovane e presenta una mammella densa, l’esame di primo
livello è rappresentato non più dalla mammografia ma dall’ecografia. In alcuni casi limite viene
addirittura effettuato in prima istanza la risonanza magnetica.

La sensibilità dell’ecografia è medio-bassa come esame eseguito da solo, per questo va


accompagnato da esami complementari.

ASPETTI SEMEIOLOGICI ECOGRAFICI DEI NODULI MAMMARI

• FORMA
• MARGINI
• ECOSTRUTTURA
• ASSORBIMENTO ACUSTICO
• STRUTTURE CIRCOSTANTI e ALONE
• VASCOLARIZZAZIONE
Qui possiamo vedere due strutture Questa invece (anche se la scarsa
anaecogene. Il segno del rinforzo di qualità dell’immagine potrebbe
parete posteriore ci conferma che accomunarlo alle cisti a sx) è una
questa lesione si tratta di una cisti struttura iso/ipoecogena.

La forma dell’ipotetico nodulo ci


può indirizzare verso la diagnosi
differenziale. È chiaro che il grado di
malignità della lesione aumenta
all’aumentare dell’irregolarità dei
bordi della lesione.
I margini ancora una volta sono
un indice diagnostico
fondamentale, in quanto
aumenta la probabilità che sia
maligno all’aumentare della
complessità dei margini della
lesione.

a differenza delle due


precedenti, l’ecostruttura non
ci dice molto. Un po’ come
con i noduli ritrovati in altre
localizzazioni (come il fegato o
la tiroide), anche con i noduli
della mammella non si può
dire con precisione se
l’iperecogenicità sia segno di
malignità, anzi, spesso una
lesione maligna assume
caratteristiche ipoecogene,
mentre un nodulo
iperecogeno è più facile che
sia un adenoma o un angioma.

ASPETTI SEMEIOLOGICI AL COLOR DOPPLER


• PRESENZA DI SEGNALI
• NUMERO DEI POLI VASCOLARI
• RAPPORTO VASCOLARIZZAZIONE / MASSA
• DISPOSIZIONE DEL FLUSSO
o Periferico
o Centrale
o Anarchico
Presenza di vascolarizzazione
BENIGNI ~ 50 % dei casi
MALIGNI > 90 % dei casi
La presenza di vascolarizzazione è più frequente nelle lesioni maligne che in quelle benigne.
N° di poli vascolari
BENIGNI ~ 1.5
MALIGNI ~ 3
Disposizione del flusso vascolare
PERIFERICA > 90 % dei BENIGNI
ANARCHICA > 80 % dei MALIGNI
La maggior parte dei benigni presenta una vascolarizzazione Periferica, nella maggior parte dei
maligni è invece anarchica.

In questo caso non interessa sapere se è flusso venoso o arterioso, ricordiamo che blu e rosso
sono delle convenzioni che indicano l’allontanamento dalla sonda o l’avvicinamento ad essa
rispettivamente.
Presenza di gettoni neoplastici all’interno di cisti.

ELASTOGRAFIA
Elaborazione del segnale proveniente dalle strutture esaminate: elastosonogramma, in cui si
riproduce l’usuale immagine ecografica con sovrapposta la corrispondente rappresentazione
cromatica
blu rappresenta i tessuti rigidi: più frequente nelle lesioni maligne
verde i tessuti elastici: più frequente nelle lesioni benigne
rosso quelli a elasticità intermedia
Punteggio elastosonografico: indica il grado di deformabilità della lesione mammaria, secondo
uno score (score di Ueno rivisitato dal Gruppo di Studio Multicentrico Italiano)
L’elastografia è idealizzabile come un esame più preciso e quantificabile della palpazione
dell’esame obbiettivo. Essa determina l’elasticità del tessuto sospetto tramite una rielaborazione
dei segnali che ritornano dalla lesione, ricavandone così in maniera indiretta la consistenza.
INDICE ELASTOSONOGRAFICO
lo score 1 è mediamente elastico,
mentre il 2 è estremamente
elastico. Dal 2 al 4 l’elasticità si
riduce fino ad arrivare allo score 5
che corrisponde ad un nodulo
estremamente rigido (e ciò trova
riscontro anche nel cono d’ombra
che si forma dietro alla parete
posteriore).

Questo score è stato poi


ridefinito, perché le lesioni
possono essere non omogenee
(non per forza sono tutte blu, o
tutte rosse), quindi i segnali
possono combinarsi in vario
modo.

È bene ricordare che questo esame svolto da solo serve a poco, può invece aumentare la
sensibilità diagnostica se svolto assieme ad eco od eco-color doppler.

IMAGING ARMONICO
Dall’interazione del fascio US con tessuti e/o microbolle di mdc si generano componenti lineari
(frequenza fondamentale) e non lineari dell’eco riflessa, in particolare queste ultime sono multiple
di fattori 2, 3 o più della frequenza di trasmissione (II, III armonica).
L’imaging armonico si basa sulle componenti non lineari dell’eco riflessa, eliminando i segnali della
frequenza fondamentale.
È una vera e propria innovazione nel mondo della diagnostica per immagini ed è utilizzato non solo
nella mammella ma anche in altre sedi. Anche in questo caso il macchinario fa una analisi basata
sull’eco riflessa e va a vedere la componente tissutale o quella vascolare e migliorare la qualità
dell’immagine aumentando il contrasto.

Esistono poi una serie di metodiche legate alla medicina nucleare.

MEDICINA NUCLEARE
- Mammoscintigrafia
- Linfonodo Sentinella
- Scintigrafia Ossea
- PET/CT
- PET/MRI
Linfonodo Sentinella
La maggior parte della clinica dei carcinomi della mammella inizia con il coinvolgimento dei
linfonodi ascellari. Quelli dei quadranti interni coinvolgono spesso i linfonodi della catena
mammaria interna, i carcinomi dei quadranti esterni invece coinvolgono molto spesso i linfonodi
del cavo ascellare. In entrambi i casi la valutazione clinica non è semplice: nel caso del cavo
ascellare le uniche due metodiche non invasive utilizzabili per la loro diagnosi sono la palpazione e
l’ecografia, le altre metodiche di imaging servono a poco; nel caso della catena mammaria interna
è sostanzialmente l’opposto, ovvero eco e palpazione inutili mentre TC e RM sono le metodiche
più utilizzate. Veronesi introdusse la QUART, secondo la quale per una stadiazione completa di un
carcinoma mammario occorreva sapere quanti e quali linfonodi erano coinvolti. In passato al 100
% delle donne con ka mammario veniva svuotato tutto o parte del cavo ascellare a scopo
stadiativo e profilattico. Ciò comportò però delle complicanze in termini di mobilità dell’arto
lesionato.
Per questo motivo sempre il gruppo di Veronesi introdusse la metodica del linfonodo sentinella,
ovvero individuare in sede operatoria il primo linfonodo drenante il flusso linfatico proveniente
dall’area tumorale, si fa un’estemporanea, si valuta se è interessato o meno: se positivo, si
procedeva con lo svuotamento del cavo ascellare, se negativo no. Il linfonodo sentinella prelevato
si analizzava ulteriormente con metodiche più precise e ben diverse dall’ematossilina eosina che
era stata utilizzata per l’estemporanea.
La biopsia radioguidata del LS è una metodica che può essere utilizzata per indirizzare il
trattamento chirurgico e per stadiare il carcinoma mammario in fase iniziale permettendo di
evitare la dissezione linfonodale ascellare e l’incidenza di complicanze ad essa associate.

INDICAZIONI APPROPRIATE INDICAZIONI NON APPROPRIATE


• Ca mammario allo stadio T1 o T2 • Ca mammario allo stadio T3 o T4
• Tumori multicentrici • Ca mammario infiammatorio
• DCIS seguito da mastectomia • DCIS non seguito da mastectomia
• Pazienti anziane • Linfonodi ascellari palpabili o
• Pazienti obese clinicamente sospetti
• Pazienti maschi • Gravidanza
• Valutazione dei linfonodi della • Precedenti interventi chirurgici
catena mammaria interna sull’ascella
• Precedente biopsia mammaria • Precedenti interventi chirurgici sulla
diagnostica o escissionale mammella di natura non oncologica
• Prima della chemioterapia • Dopo chemioterapia neoadiuvante *
neoadiuvante
* Nuove raccomandazioni: appropriata post-NAC se cN0 pre-NAC (dove c sta per CLINICA)
Il prof non legge le indicazioni ma si sofferma sul “*”

Scintigrafia Ossea

• Molto sensibile (88%-90%) ma non altrettanto specifica.


• Visualizza la reazione osteoblastica
• Lesioni prevalentemente osteolitiche possono non essere viste
• Integrazione
In pazienti con stadio I (dimensioni < 2 cm) è molto improbabile che la scintigrafia ossea sia
positiva. Pertanto in questo caso la scintigrafia ossea non è eseguita di routine, anche perché
causerebbe un numero relativamente elevato di falsi positivi.
La scintigrafia ossea è utile in stadio II, III e IV.
Si è visto che la prevalenza di
metastasi ossee cambia in base
al coinvolgimento linfonodale
da parte del tumore in fase
iniziale. Il follow up deve quindi
essere in qualche maniera
individualizzato.

Diagnosi di natura della lesione


Tutto ciò di cui abbiamo parlato fino ad ora fa parte dell’imaging, attraverso il quale il medico
valuta (in maniera certamente meno invasiva della biopsia) se la paziente presenta o no una
lesione e com’è fatta questa lesione. La diagnosi di certezza viene però fatta
dall’anatomopatologo. Egli si avvale delle seguenti metodiche:

• Prelievi citologici con ago sottile (FNAC)


• Core biopsy (esecuzione con ago tranciante a scatto tipo “tru cut” sotto guida
stereotassica, ecografica, a mano libera)
• Prelievi microistologici con mammotome (vacuum assisted breast biopsy-vabb)
• Biopsia escissionale
I Vantaggi dell’esame citologico sono:
Consente a bassi costi e con elevata specificita’ la conferma pre-operatoria di malignita’
Consente in molti casi di evitare la biopsia chirurgica per lesioni di incerta diagnosi clinico-
strumentale
Facile esecuzione; tempi ridotti; costi contenuti; prelievo multidirezionale; bassa sensibilita’ per
l’elevato numero di falsi negativi.

Metodologie impiegate: stereotassica ed eco-guidata


1. La citologia stereotassica si esegue con apparecchi dedicati per stereotassi.
E’ la metodica ideale per lesioni di dimensioni piccole anche al di sotto di 5 mm, specie in
cluster di microcalcificazioni non visibili all’ecografia
2. La citologia eco-guidata e’ sicuramente la tecnica di prima scelta nei casi in cui la lesione
sia visibile all’esame mammografico/ecografico
Sistema mammografico per stereotassi, con
l’ago per biopsia integrato.

Questo invece è ciò che si vede, ovvero una


“lastra” mammografica. In alcuni casi, quando
si tratta di una lesione di piccole dimensioni, il
chirurgo senologo richiede che venga lasciato
in situ un filamento, che lui poi userà come
punto di repere per individuare durante
l’intervento la regione da asportare. Pratica
molto frequente nel caso di chirurgia
conservativa, dove non il tessuto neoplastico
non è sufficientemente grande da costituire
una massa

PRELIEVO MICROBIOPTICO
• mira a caratterizzare in maniera definitiva una lesione mammaria “dubbia”
• metodica che conclude l’iter diagnostico senologico

SISTEMA MAMMOTOME
• Biopsia con aspirazione forzata
(Vacuum Biopsy-VB) con Mammotome
(Ethicon Endo- Surgery).
• Possibilità di ottenere maggiori
quantità di tessuto con un solo
ingresso dell’ago
• Utilizzo di un tavolo prono
stereotassico
• Possibilità di differenti approcci alla
lesione secondo diverse angolazioni
La paziente si dispone in posizione prona con la
mammella da bioptizzare pendula e collocata in quel
foro all’estremità del lettino.

RISONANZA MAGNETICA
Nel caso della risonanza magnetica non abbiamo bisogno di un intero macchinario dedicato allo
studio della mammella, ma invece la bobina deve essere quella apposita per questo tipo di esame.
La RM dinamica dopo somministrazione endovena di mdc paramagnetico consente di distinguere
le lesioni benigne da quelle maligne in base al diverso grado di vascolarizzazione.
Attualmente è forse l’unico esame di RM in cui è ancora considerato obbligatorio il mdc. Il mdc
utilizzato nella RM è il Gadolinio DTPA, un mdc cosiddetto paramagnetico, ovvero che agisce sulle
immagini T1.
L’impregnazione apprezzabile dopo la somministrazione del mdc e’ influenzata da vari fattori:
numero e dimensioni dei vasi nei tessuti neoplastici o perilesionali; dimensione dello spazio
interstiziale; fattori angiogenetici; permeabilità vascolare.
qui abbiamo il caso clinico di una
donna giovane con mutazione già
diagnosticata di BRCA 2 e con
mammografia che non presenta
sostanziali alterazioni. Alla RM si
vede invece chiaramente una
massa irregolare.
Criteri diagnostici generali
Lesioni maligne: rapido e marcato incremento dell’intensita’ di segnale (> 90%) dopo il primo min
dalla somministrazione del contrasto
Lesioni benigne: lieve incremento dell’intensita’ di segnale (< 40%) durante il primo min dalla
somministrazione del contrasto
Eccezioni: tumori scarsamente vascolarizzati (carcinomi lobulari, in situ e carcinomi tubulari);
lesioni benigne ipervascolarizzate.

Pattern morfologici alla RM


La Curva di tipo III è francamente
maligna, quella di tipo I è
considerata benigna mentre quella
tipo II è borderline.
Nell’immagine sottostante abbiamo
invece i grafici che mettono in
relazione il tempo T nell’intervallo di
tempo diagnostico e la percentuale
di intensità con cui si evidenziano le
lesioni. Questi pattern caratteristici
di densità/tempo sono influenzati
certamente dalla vascolarizzazione
tumorale.
Indicazioni
• Casi mammograficamente/ecograficamente dubbi
• Valutazione Multifocalita’/Multicentricita’ di malattia/tumori sincroni controlaterali
• Segni di infiltrazione dei piani profondi (grazie all’uso del mdc)
• nei controlli post terapia per differenziare una Recidiva da una fibrosi
• Cup Syndrome (Carcinoma with Unknown Primary tumor)
• Valutazione della risposta alla chemio-neoadiuvante
• Protesi
La RM ha elevati livelli di sensibilità, una specificità però inferiore e un’accuratezza tutto sommato
sufficiente.

Estensione loco-regionale
Valutazione pre-operatoria di lesioni eteroplasiche evidenziate ad un precedente esame
mammografico e/o ecografico.
Anche in questo caso secondo BIRADS è
necessario effettuare una valutazione
della composizione della mammella
(adiposa, fibroghiandolare,
disomogenea o densa).

Qui si apprezza invece l’Enhancement,


anche se abbiamo già detto come sia più
utile osservare la curva di enhancement
(T/D).
Alla fine i vari dati estrapolati vengono
sempre categorizzati nelle 6 categorie di
BIRADS.
Alcuni esempi dell’utilità della RM:
Questa è una mammografia categorizzata
come BIRADS 1, ma che alla RM mostra
una lesione ad elevato enhancement e
che quindi ha fatto alzare la categoria
fino a BIRADS 5. L’anatomia patologica dà
conferma all’RM con una diagnosi di
Carcinoma Duttale Invasivo.
In questo caso, nonostante la
mammografia sia stata negativa, è stata
comunque effettuata l’RM per via di un
sospetto clinico.

Multicentralità/Multifocalità
La Malattia sincrona bilaterale si
riscontra raramente, nel 3-6% dei casi.
(NB: multicentricità = più lesioni in
diversi quadranti, multifocalità = più
lesioni nello stesso quadrante)

La percentuale di pz in cui dei focolai neoplastici


sono risultati occulti alla MX e successivamente
identificati con RM è del 3-24%, una frazione
non proprio piccola
La RM appare quindi la metodica con maggiore accuratezza per diagnosticare multicentricità e
multifocalità
Inoltre il valore predittivo delle RM è talmente alto rispetto alle altre metodiche che se una RM
risulta negativo, nel 98% corrisponde ad una reale assenza di tessuto neoplastico.
Nel 20% dei casi la RM cambia
l’approccio terapeutico

CUP Syndrome e RM
Incidenza di metastasi ascellari da carcinoma primitivo occulto della mammella: 0.3%-0.8%
Accuratezza diagnostica della MX: 45% - 56%
Accuratezza diagnostica della RM: 75% - 86%
Nella identificazione del focolaio primitivo, cosa non proprio di facile individuazione, l’accuratezza
della risonanza è quasi 2 volte superiore di quella della mammografia.
Questi sono gli esami
effettuati da una pz
sintomatica (con
linfonodo ascellare
palpabile) e la
mammografia negativa.
All’ecografia la lesione
era invece abbastanza
evidenziabile e alla RM
vediamo la presenza di
multiple lesioni.
Sfortunatamente però anche nel caso della RM esiste un istotipo di ka mammario che alcune volte
può sfuggire alla diagnostica: il Carcinoma Lobulare Invasivo.
Piccole cellule incolonnate che infiltrano il tessuto mammario in assenza di noduli o masse:
Falsi negativi alla MX : 21% - 43%
Falsi negativi alla ECO: 14%

Valutazione della risposta alla Chemio-neoadiuvante

Recidiva vs Fibrosi
5-10% di recidive a 5 anni dall’intervento chirurgico, 10-15% di recidive a 15 anni dall’intervento
chirurgico, nella sede dell’intervento.
Lo studio RM è utile nella valutazione della cicatrice chirurgica quando le metodiche tradizionali
(MX ed ECO) mostrano alterazioni sospette per recidiva nel contesto o perifericamente alla
cicatrice.
Nel follow up delle pazienti (TUTTE, sia Early Breast Cancer che più gravi) è previsto il follow up
con Mammografia ed Ecografia. Quando questi esami presentano un dato dubbio entra in gioco la
RM.
in questo caso la paziente presenta un
sospetto diagnostico alla mammografia
focale, confutato però dall’esame RM, la
quale non mostra nessun enhancement,
permettendoci di fare diagnosi di fibrosi.

in questo caso invece, il dubbio


posto dalla Mammografia viene
confermato dalla palese
impregnazione alla RM,
permettendo di fare diagnosi di
Recidiva su QUART.

Caso Clinico: Donna di 63 anni, Portatrice di mutazione BRCA1


Chirurgia conservativa 8 anni prima per Ca mammella sx.
La mammografia risulta spesso difficile da esaminare nella mammella operata, e fortunatamente
in questi casi ci viene incontro la RM.

Valutazione Protesi Mammarie


In una paziente con protesi mammaria
bilaterale, lo studio della mammella con ECO o
con MX è praticamente impossibile. L’unica
procedura da attuare è la RM, che oltre alla
ricerca di lesioni, è utile anche a valutare
l’integrità della protesi stessa.

la rottura della protesi è visualizzabile in RM col “segno


della linguina”.

Raccomandazioni attuali per l’uso della RM

Utilizzare la RM come screening annuale per pazienti con note mutazioni BRCA o con parenti di
primo grado con mutazioni BRCA o ancora con elevata suscettibilità in base all’anamnesi familiare
di sviluppare ka mammario. In alcuni casi non è obbligatoria ma consigliata la RM Annuale nelle
donne che hanno avuto irradiazioni toraciche in età giovanile per esempio per curare un linfoma.
Ci sono degli studi di screening RM annuale come prima linea con una meta analisi e in molti casi i
risultati sono interessanti.

Tripletta diagnostica in senologia


Contesti clinici
• Programma di Screening
• Diagnosi delle lesioni palpabili e non
palpabili
• Microcalcificazioni
• Stadiazione
• Follow up

Più precocemente si riesce a fare diagnosi, migliore è poi il follow-up e la sopravvivenza a 5 anno
dalla patologia.
45 anni fa uno studio pubblicato sull’AJCC da parte di uno studio svedese ha dimostrato
l’importanza dello screening mammario. i risultati furono sconvolgenti, con una riduzione della
mortalità:
50-69 anni: riduzione mortalità: 16-35%
40-49 anni: riduzione mortalità: 15-20%
La mammografia nella fascia di età >50 anni presenta una sensibilità elevatissima (98%) nelle
mammelle con prevalenza adiposa, un po’ più bassa ma comunque estremamente valida (84%)
nella mammella densa.
La specificità varia a seconda degli studi ma non scende mai al di sotto dell’80%.
Nel caso invece di pazienti giovani, <50 anni, la sensibilità dell’esame scende considerevolmente
arrivando al 48%, motivo per cui è estremamente consigliato adoperare altre tecniche di imaging
come l’ecografia.

RISCHI della MAMMOGRAFIA


La dose da una mammografia di screening è bassa.
Comparable risks are:

• Traveling 4000 miles by air


• Traveling 600 miles by car
• 15 minutes of mountain climbing
• Smoking 8 cigarettes

Mammografia di screening
• Donne asintomatiche
• Esame mammografico eseguito in due proiezioni: cranio-caudale ed obliqua medio-laterale
• Il fine della mammografia di screening non è la diagnosi definitiva, ma la selezione di un
gruppo limitato di soggetti con anormalita’ meritevoli di ulteriore approfondimento
diagnostico

Donne asintomatiche età inferiore ai 40 anni


• Nessuna raccomandazione al controllo preventivo salvo che si tratti di donna ad alto rischio
inserita in uno specifico programma di sorveglianza diagnostica.
• Il primo test consigliato è comunque la visita senologica
• In presenza di segni obiettivi che meritino un ulteriore accertamento diagnostico si potrà
ricorrere all’esame ecografico e, se è presente un dubbio diagnostico, anche alla
mammografia e all’esame citologico per agoaspirazione
• L’esame ecografico, in assenza di segni obiettivi non è indicato

Donne asintomatiche età 40-49 anni


• Studi recenti indicano una efficacia della mammografia nello screening di donne con età
superiore ai 40 anni
• Si consiglia mammografia ogni 12-24 mesi, ma a tutti gli effetti non c’è un programma di
screening a riguardo
• Consigliata l’integrazione con esame clinico e disponibilità ad eseguire una ecografia

Donne asintomatiche età > 50 anni


• Mammografia eventualmente integrata da esame clinico ed ecografia ogni 2 anni
• In alcuni centri si preferisce un controllo intensificato su base annuale specialmente nelle
donne con mammelle dense e/o in terapia sostitutiva. Ipotizzata una minore durata della
fase pre-clinica diagnosticabile dovuta alla stimolazione estrogenica
Questi programmi di screening subiscono delle più o meno lievi variazioni in base alla regione
italiana. Ci sono regioni che chiamano le pazienti, altre invece che mettono sempre a disposizione
dei centri specializzati ma è a discrezione del paziente andare o no, sotto suggerimento del medico
di famiglia o del ginecologo.
Come per tutte le procedure di diagnostica i valori predittivi cambiano a seconda della prevalenza
della malattia.
Per 100.000 donne che si sottopongono
ai test di screening nell’arco di 20 anni, il
numero di donne letteralmente salvate
dallo screening sono pari ad 800.

Ogni 1000 donne che eseguono mammografia biennale dai 50 ai 59 anni fino a 79 anni nell’arco di
30 anni avremo:
• 75 donne con diagnosi di tumore trattate e sopravvissute
• 4 donne trattate per tumore che non avrebbe dato problemi (sovradiagnosi)
• 12 donne decedute per tumore
• 30 donne che hanno eseguito agobiopsia per reperti benigni
• 160 donne che hanno eseguito approfondimenti radiologici non invasivi per reperti benigni
• 719 donne mai richiamate per approfondimenti e rassicurate sull’assenza di tumore
Un libro scritto da un importante biostatistico toscano affermava che, solo in base ad un calcolo
puramente statistico, lo screening mammografico ha una scarsa utilità. Il professore non è
d’accordo con questa affermazione, poiché la realtà dei fatti ci mostra come lo screening
mammografico sia importante per prevenire lo sviluppo e l’avanzamento di neoplasie ben più
serie.

Donne asintomatiche con rischio genetico di cancro della mammella


• Riferire la paziente a centri specializzati
• Limiti della mammografia in donne molto giovani
• RM come indagine di prima linea integrata da esame clinico, mammografia ed ecografia
• Consigliato l’inizio dei controlli a 30 anni o 5 anni prima dell’età del familiare più giovane
risultato affetto
• In corso di valutazione percorsi diversificati in base all’entità del rischio
È chiaro e scontato ricordare che il rischio genetico è ricavato dall’anamnesi familiare.
Le varie comunità scientifiche hanno pareri diversi riguardo l’età di inizio dello screening MX
annuo: l’American Cancer Society ritiene che le pazienti debbano iniziare a sottoporsi allo
screening a 40 anni con intervallo a 1 anno, la US Preventive Service Task Force invece a 50 con
intervallo a 2 anni.
75 anni è ritenuta l’età in cui è possibile sospendere lo screening mammografico. In Italia e in
Francia non c’è una età massima, e questo è dovuto al fatto che in questi stati la sanità è ancora
pubblica. Quando il prof ha vissuto negli stati uniti non ha mai visto ad un numero così elevato di
cancri mammari avanzati, proprio perchè negli USA la sanità è privata e gli screening vengono
effettuati a pagamento, e non sempre sono economicamente accessibili da tutte le pz.
Secondo le curve ROC, la
RM presenta da sola una
sensibilità e una
specificità tali da rendere
superflue le combinazioni
della RM con altri esami.
Approfondimento sulle curve ROC
La curva ROC (Receiver Operating Characteristic curve) viene
adoperata quando si ha una situazione in cui è necessario
confrontare i casi con malattia e quelli senza malattia in base
ad un parametro. Utilizzeremo quindi un grafico e ci
aspettiamo una distribuzione di tipo Gaussiano e il treshold
(soglia). Costruiamo quindi una tabella in cui abbiamo il
numero dei Veri Positivi, il numero dei Falsi Positivi, quello dei
Veri Negativi e quello dei Falsi Negativi. Da questi valori
ricaviamo i valori di specificità, sensibilità e accuratezza a cui
possiamo aggiungere anche i valori predittivi.

𝑽𝒂𝒍𝒐𝒓𝒊 𝑷𝒓𝒆𝒅𝒊𝒕𝒕𝒊𝒗𝒊 𝑷𝒐𝒔𝒊𝒕𝒊𝒗𝒊


𝑉𝑒𝑟𝑖 𝑃𝑜𝑠𝑖𝑡𝑖𝑣𝑖
=
(𝑉𝑒𝑟𝑖 𝑃𝑜𝑠𝑖𝑡𝑖𝑣𝑖 + 𝐹𝑎𝑙𝑠𝑖 𝑃𝑜𝑠𝑖𝑡𝑖𝑣𝑖)
𝑽𝒂𝒍𝒐𝒓𝒊 𝑷𝒓𝒆𝒅𝒊𝒕𝒕𝒊𝒗𝒊 𝑵𝒆𝒈𝒂𝒕𝒊𝒗𝒊
𝑉𝑒𝑟𝑖 𝑁𝑒𝑔𝑎𝑡𝑖𝑣𝑖
=
(𝑉𝑒𝑟𝑖 𝑁𝑒𝑔𝑎𝑡𝑖𝑣𝑖 + 𝐹𝑎𝑙𝑠𝑖 𝑁𝑒𝑔𝑎𝑡𝑖𝑣𝑖)
Si costruisci quindi una curva in cui si pone su un’asse la frazione dei Veri Positivi e sull’altra la
frazione dei Falsi Positivi. Pongo il treshold ad un determinato punto e ricavo un punto definito da
coordinate. Sposto il treshold, calcolo le nuove coordinate e ottengo un altro punto. E così
proseguo. Si può dimostrare che questi punti vengono uniti da una funzione matematica che
prenderà il nome di Curva ROC.
La curva della casualità è invece quella curva in cui il numero di Veri Positivi corrisponde allo
stesso numero di Falsi Positivi.
A cosa serve?
1. Identificare il migliore Treshold
Valutazione del Treshold: il miglior treshold è quello che massimizza il valore di veri positivi
al minor valore di falsi positivi, ovvero massimizza l’accuratezza.
2. Valutare la capacità diagnostica complessiva a prescindere dal Treshold
Valutazione con due metodi diversi e per ognuno dei due metodi abbiamo costruito la
rispettiva curva ROC. La migliore curva ROC è quella che sottende un’area approssimabile
alla totalità dell’area del nostro grafico. L’esame con la capacità diagnostica ottimale è
quello che raggiunge il 100% di Veri Positivi con lo 0% dei Falsi Positivi. Calcolando l’area
sottesa dalla curva ROC di vari metodi diagnostici, risalgo al metodo con capacità
diagnostica maggiore, ovvero quello che sottende un’area maggiore.
Data la fretta con cui è stato spiegato l’argomento, consiglio fortemente di integrare questo argomento con la pagina
Wikipedia Receiver Operating Characteristic

https://it.wikipedia.org/wiki/Receiver_operating_characteristic
Flow chart dell’approfondimento diagnostico delle lesioni positive allo screening mammografico

• Mammografia con particolari mirati (quindi compressione mirata) ed ingrandimento


diretto
• Esame clinico (dato che al momento dello screening è presente solo il tecnico, non il
medico)
• Ecografia
• Esame Cito-istologico
Scopo dell’accertamento diagnostico è quello di selezionare le lesioni benigne che non richiedono
la biopsia rispetto a quelle che raggiungono un grado di sospetto da giustificare la chirurgia.

Diagnostica delle Lesioni Palpabili


• Esame clinico
• Mammografia
• Ecografia
• Esame citologico
• RM
• Esame Scintigrafico
Praticamente la stessa flowchart di prima ma in questo caso il sospetto diagnostico non parte da
una lesione mammografica di screening asintomatica ma da un segno clinico successivamente
approfondito da altri metodi diagnostici.

Lesione palpabile età < 30 anni


Esame di prima istanza ECOGRAFIA
Se permangono dubbi si prosegue con mammografia e prelievo cito-istologico.

Lesione palpabile età > 30 anni


Esame di prima istanza: MAMMOGRAFIA con compressione mirata ed ingrandimento diretto
Obbligatoria l’ecografia sia in caso di non ottimale esplorabilità radiologica della mammella sia in
caso di riscontro mammografico o clinico di noduli di non chiara natura
Eventuale esame cito-istologico

Lesioni non palpabili della mammella (es distorsioni, calcificazioni)


Vengono in genere evidenziate ad una mammografia di screening
L’esame successivo è una mammografia diagnostica con tutte le necessarie proiezioni aggiuntive e
di dettaglio
Ecografia ad integrazione della mammografia
FNAC o core biopsy
Mammotome o Biopsia escissionale
Tabelle Riassuntive e schemi Flow Chart

Imaging of triple-negative breast cancer


Triple-negative breast cancer (TNBC) è un particolare sottogruppo di Ca che non esprimono
estrogen receptors (ER), progesterone receptors (PR) e human epidermal growth factor receptor 2
(HER2). Questo fenotipo ha cattiva prognosi a causa della aggressiva biologia del tumore,
mutazioni del gene TP53 gene e una alto grado di correlazione con una funzione soppressa di
BRCA1.
(11%–20% di tutti i tipi di Ca, ma 23%–28% dei localmenti avanzati)
Esistono alcuni tipi biomolecolari di Ka mammario che presentano delle forti problematica
all’imaging. Uno di questi è il TNBC (Triple Negative Breast Cancer) in questo caso la ECO e la MX
hanno molta meno validità mentre la PET-FDC e la RM possono aiutare il medico nella diagnosi.

Imaging del Ca Mammella triple-negative


• TNBC non ha le caratteristiche tipiche alla MMx: forma irregolare, margini spiculati e
calcificazioni sospette.
• US ha maggiore sensibilità, anche se nel 21%–41%delle lesioni TNBC ci possono essere
caratteristiche US benigne.
• MRI dimostra con elevata accuratezza la presenza di TNBC, e fornisce una base utile per gli studi
successivi (post NAC o FU).
• 18F-FDG–PET/CT ha elevata sensibilità per TNBC.

STADIAZIONE: Indicazioni e Approccio Standard


Una stadiazione sistemica di routine non è raccomandata prima della chirurgia in pazienti in early-
stage breast cancer a causa della bassa prevalenza e dei costi, incluso il distress della paziente
associato all’elevato numero di falsi positivi.
In pazienti con stadio più avanzato (LABC o infiammatorio) invece ci sono evidenze che indicano
l’uso di “systemic imaging staging” alla diagnosi per escludere uno Stadio IV.
Una stadiazione sistemica tramite imaging permette di vedere complessivamente quali possono
essere i distretti che contengono metastasi. Uno “Baseline systemic imaging staging” deve
guardare a: torace, addome - pelvi – ossa. E quindi prevede: Rx o CT per il torace, US o CT per
l’addome e scintigrafia ossea per le ossa
L’applicazione dei vari esami dipende dalla stadiazione iniziale del tumore:
Nello Stadio I solo Rx torace è raccomandato.
In Stadio II si può aggiungere la scintigrafia ossea. CT e US/CT del fegato si può includere nello
Stadio II con linfonodi positivi o alto sospetto clinico.
Una combinazione delle modalità standard di imaging (US addome, scintigrafia ossea, CT torace e
pelvi) è indicata negli Stadi > III.
FDG-PET/CT è raccomandata in pazienti in Stadio IV o con recidive.
Sensibilità e Specificità della FDG-PET/CT per le metastasi a distanza sono superiori a quelle
dell’imaging convenzionale
La FDG-PET/CT è molto utile per le metastasi occulte (fino al 50% delle pazienti) che quasi mai
sono viste con l’imaging convenzionale
Questa elevata sensibilità della FDG-PET/CT è particolarmente importante nella stadiazione dei
LABC
LABC: tumori>5 cm, con coinvolgimento della cute e/o della parete toracica, LN ascellari fissi, LN
infraclaveari o sovraclaveari o mammari interni positivi
Questo tipo di uso della PET si è dimostrato utile anche in donne giovani, dove il suo uso ha portato
a una corretta sovrastadiazione in circa ¼ dei casi.
Cattiva prognosi per alta incidenza di metastasi a distanza.

Follow-up
• Mammografia bilaterale
• Ecografia
• Scintigrafia Ossea
• PET-FDG
Sulla base delle evidenze disponibili si raccomanda di NON avere un follow-up intensivo, con
l’eccezione della mammografia, nelle pazienti con Ca in stadio precoce (early-stage BC).
Per il follow-up di pz che hanno avuto come prima diagnosi un EBC, varie società sono d’accordo
nell’affermare che l’unico immaging che deve essere eseguito sempre e su base annuale è la MX, a
cui eventualmente possono essere aggiunti altri esami come la BMD (Bone Mineral Density,
Densità Minerale Ossea) particolarmente importante in pz che seguono terapia con AI (il prof non
lo specifica ma credo sia inibitore di Aromatasi).
Lo scopo del follow up è diverso a seconda di se ci troviamo dinanzi un early breast cancer (non
metastatico) o un tumore metastatico: nel primo caso dobbiamo fare una valutazione correlata ai
sintomi e ad una eventuale terapia adiuvante, mentre nel secondo caso dobbiamo guardare alla
terapia curativa che stiamo facendo e valutarne gli effetti.
Queste sono le linee guida ma non sempre vengono applicate, incorrendo in 3 problematiche
principali:
1. di tipo economico, più esami richiedono più costi
2. di tipo logistico; se occupo più slot a disposizione per eseguire gli esami, non ne avrò subito
a disposizione per le pazienti che davvero ne hanno bisogno
3. di tipo psicologico per la donna che deve eseguire questo esame, anche se quest’ultima è
relativa all’approccio psicologico della paziente nei confronti del problema. Ci sono pazienti
che si sentono rassicurate nell’eseguire il test mentre altre che vanno in ansia in attesa del
risultato.
In Italia, secondo il Registro Tumori AIRC (AIRTUM), female BC survivors nel 2015 ci sono state
693000 donne sopravvissute a Ca, cioè il 2.2 % della popolazione femminile pari a una prevalenza
di cancro del 42 %.
Nelle pazienti con Ca metastatico la risposta alla terapia dovrebbe essere valutata 2/3 mesi dopo
l’inizio e poi ogni 2/4 mesi in caso di terapie ormonali e ogni 2/4 cicli in caso di chemioterapia, per
valutare se la paziente sta rispondendo o meno alla terapia e se è il caso di modificare la terapia o
no. In caso di sospetta progressione vanno fatti test aggiuntivi.
Tabella che il prof ha detto di leggere velocemente ma su cui non si è soffermato

Response Assessment of Breast Cancer


È essenziale adoperare una misura efficace per valutare accuratamente la risposta alla terapia e
massimizzare i benefici clinici Trials clinici hanno dimostrato una forte correlazione tra il grado di
risposta alla terapia e la sopravvivenza.
La valutazione delle variazioni dimensionali con esame clinico –MMx –US è stata la modalità più
comunemente adoperata per valutare la risposta alla terapia
Più recentemente la ceMRI ha mostrato accuratezza nel valutare la presenza di malattia residua
Le variazioni metaboliche evidenziate alla FDG-PET/CT durante terapia precedono le variazioni
morfologiche, quindi hanno un valore predittivo molto valido, applicabile sia nella NAC e nella
terapia della malattia metastatica. Nessuna modalità di imaging ha ruolo nella valutazione della
terapia adiuvante.

Valutazione della risposta nella Malattia Metastatica


L’approcio attualmente adoperato si basa RECIST (Responce Evaluation Criteria In Solid Tumors)
Valutazione dimensionale, ovvero si valutano le variazioni di una sola dimensione, si considera il
diametro maggiore della lesione e in base alla percentuale di aumento da un controllo a un altro si
determina indirettamente se la malattia è in progressione, è malattia stabile, è in remissione
parziale o remissione completa. Detta in questi termini è semplice, nella realtà dei fatti lo è un po’
meno: basti pensare ad una paziente con multifocalità delle lesioni o con malattia metastatica, in
cui vanno scelte e individuate le cosiddette “lesioni target”, ovvero le lesioni che verranno prese
come metro di paragone per la RECIST; inoltre va valutato sempre il diametro maggiore, ma non
sempre è lo stesso diametro.
Ci sono crescenti evidenze che FDG-PET/CT (valutazione metabolica) è la più accurata procedura di
imaging.
Pazienti con PET post-terapia negativa hanno migliore sopravvivenza.
La stratificazione del rischio per i vari sottotipi potrebbe influenzare anche l’imaging che potrebbe
essere (prospettiva futura) eseguito. Si possono ipotizzare degli studi per identificare le metastasi a
rischio a seconda del sottotipo.
, nelle pazienti ER+ il tempo medio di sviluppo delle metastasi è maggiore di 5 anni e il rischio si
mantiene costante. Nelle ER-, invece, il tempo medio è minore di 5 anni, mentre il rischio è
aumentato proprio nello stesso periodo di tempo. Questo è ovviamente valido per le pazienti che
seguono un percorso terapeutico corretto.
Discorsi concettualmente simili valgono anche per altre sedi. Ad esempio, i tumori HER2+ sono
quelli che più frequentemente metastatizzano a livello epatico.
Il coinvolgimento del SNC, che è possibile ma non molto frequente nel carcinoma mammario, è più
frequente nelle donne giovani con tumori tripli negativi o HER2+, anche se trattate con
trastuzumab.
La valutazione dell’espressione recettoriale, quindi, ha importanza nel definire le procedure di
stadiazione, tenendo sempre a mente che possono esserci differenze di stato recettoriale tra il
tumore primitivo e le metastasi.
Per questo, alcuni radiologi consigliano di rivalutare lo stato recettoriale della neoplasia se
all’imaging le metastasi appaiono con un pattern diverso da quello atteso.

Valutazione della risposta alla Terapia Ormonale


Il prof premette che non bisogna sapere in modo approfondito questa parte sulla “prognosi in base al
fenotipo molecolare” ai fini dell’esame

I migliori parametri per definire le raccomandazioni terapeutiche nell’ early breast cancer sono
“ER, PR, e HER2 status”.
Le strategie di trattamento basate sull’espressione dei recettori sono aree crescenti di interesse
così come la predizione della risposta.
Il fenotipo molecolare nel carcinoma della mammella è fondamentale per il setting della terapia
ormonale, ma ha dei risvolti anche nell’imaging. Ricordandoci sempre che purtroppo le metstasi
possono presentare un profilo recettoriale diverso dalla lesione primitiva.
In confronto a luminal A e B le pazienti TNBC anno prognosi peggiore: relapse-free survival e
overall survival
Le maggiori differenze si hanno entro i 2 anni dalla diagnosi
Una meta-analisi di studi su “breast cancer subtype and locoregional recurrence following breast-
conservation therapy and mastectomy” ha evidenziato lower rates of local recurrence in luminal
groups versus TNBC and HER2- positive breast cancers
La “risk stratification by subtype” può indirizzare verso cure più personalizzate- individualized, e
focalizzare il follow-up per le pazienti con più alto rischio.

BEYOND MAMMOGRAPHY: New Frontiers in Breast Cancer Screening


Queste nuove tecnologie coinvolgono sia la mammografia, sia l’ecografia, sia l’imaging molecolare
PET e RM.

Contrast-enhanced Mammography
Studi recenti mostrano che la “contrast-enhanced digital mammography” può valutare il flusso
con l’iniezione di mdc iodato e sottrazione di immagini.
La sensibilità è 78%- 92%.
L’aggiunta del mdc migliora la sensibilità rispetto a MMx/US da sole
Per quanto riguarda la
Mammografia, è stata
valutata la possibilità di
eseguire una mammografia
con mdc, quindi si fa la
mammografia classica, si
somministra il mdc e lo si
segue nella perfusione ai
tessuti. Da un punto di vista
pratico non è proprio
semplice perché gli scatti
vengono effettuati dopo la
somministrazione del
farmaco, per questo richiede
un’attenzione e una
reattività del tecnico tali da
poter “scattare” nel momento in cui il mdc effettivamente raggiunge il punto desiderato.
Nell’immagine a lato vediamo come le lesioni si impregnino con il mezzo di contrato.

Digital breast tomosynthesis (DBT)


È un’apparecchiatura simile a quella mammografica, prevede quindi un piano sensibile e un tubo
radiogeno, in cui però il tubo radiogeno può ottenere immagini cambiando la riduzione.
Elimina le sovrapposizioni nell’immagine
Abbassa richiami nello screening
Riduce i FN dovuti a mammelle dense
La Tomosintesi produce fette tomografiche dell’intero volume con una singola acquisizione e una
esposizione di 1.5-4 mGy
L’uso combinato di Tomosintesi e MMx digitale è associato ad una riduzione significativa dei
richiami del 30% rispetto alla sola MMx digitale (p < 0.0001)
In verità la DBT è più assimilabile
ad una metodica che è ormai in
disuso, la Stratigrafia. Non fa il
giro completo come la TC ma
rimane tra -25 e +25 gradi. In
questo arco scatta delle proiezioni
ricostruite digitalmente in modo
da ottenere delle immagini
tomografiche, con il vantaggio di
un’esposizione abbastanza
contenuta.

La “Digital Breast Tomosynthesis –DBT” (o 3D MMx) è uno sviluppo della FFDM (full field digital
mammography) che permette di avere sezioni sottili e fornisce maggiore dettaglio evitando la
sovrapposizione delle strutture e dei tessuti. Per questo motivo al momento della sua introduzione
sono stati eseguiti vari studi comparativi tra la sola FFDM e la combinata DBT+FFDM.
Come è possible vedere dal
grafico, la combinata riduce il
numero di Falsi Positivi, di Recall
dallo screening, a parità di
Capacità diagnostica, quindi
senza cambiare l’individuazione
di forme neoplastiche e di forme
neoplastiche invesive.
se però si deve fare la Tomosintesi in aggiunta alla Mammografia digitale incremento la dose di
radiazioni. Alcuni autori hanno provato ad ottenere delle immagini bidimensionali ricostruite dalla
sola acquisizione in Tomosintesi, che prende il nome di s2D.

allo stato attuale delle cose, la Tomosintesi non è ancora entrata nella Flow-chart del processo
diagnostico del tumore alla mammella, ma è ancora un esame secondario da effettuare
successivamente. Oggi nella fase di recall la cosa migliore, più che ripetere la mammografia, viene
fatta la tomosintesi. Con questa accoppiata, oltre ai benefici DBT+FFDM già analizzati prima,
vengono ridotte anche le biopsie necessarie.

Automated Whole-Breast Ultrasound System (AWBUS)


La 2D AWBUS è una tecnica promettente rivolta e standardizzare le procedure di screening
fornendo una metodologia di consistente alta qualità avvalendosi di una guida robotica e di una
sonda US standard per coprire interamente entrambe le mammelle.
In conclusione, nelle pazienti che richiedono uno screening, utilizziamo procedure di imaging:
mammografia, ecografia, RM nelle indicazioni che sono state dette, in futuro tomosintesi. A questo
punto, valutiamo lo score BIRADS dell’esame effettuato.
• BIRADS 0: Risultato indefinito. E’ richiesto ulteriore imaging.
• BIRADS 1-2: Risultato negativo o quasi certamente negativo. Rientro nei programmi di
follow-up di routine.
• BIRADS 3: Approccio wait-and-watch, con ripetizione dell’imaging a breve termine.
• BIRADS 4-5: Biopsia.
Se la biopsia risulta positiva per cancro, bisogna decidere se fare o meno la stadiazione prima
dell’intervento. A guidare in questa decisione è lo stato di avanzamento loco-regionale della
malattia.
Un cancro in stadio precoce a livello locale in teoria non richiede stadiazione preoperatoria, anche
se non esiste centro in cui non vengano almeno effettuati una RX torace e un’ecografia epatica
prima della chirurgia. Un carcinoma localmente avanzato o con linfonodi positivi, invece, richiede
una stadiazione intensiva, con valutazione di torace, addome, pelvi e osso.
Nel caso in cui si debba utilizzare una chemioterapia neoadiuvante, è bene effettuare un controllo
con imaging, preferibilmente con RM o PET, in modo da valutare precocemente se il tumore stia
rispondendo e se quindi se stia diventando operabile o suscettibile di chirurgia conservativa.

Sbobinatore: Ercole Antonio De Maio


Controllore: Maria Luisa Giannattasio
DPI – Lezione 07 – Imaging cardiologico – 19-11-18- Prof. Pace

L’esame del cuore può essere effettuato con diverse metodiche di imaging tra cui: Rx torace,
coronarografia, coroTc, coroRM, SPET e PET.

Rx Torace
La Rx del torace dà già la possibilità di studiare il cuore, valutando:

• dimensioni
• stato del piccolo circolo (influenzato dalla funzione cardiaca)

Cardiologi e radiologi esperti sanno valutare i differenti aspetti delle ombre cardiache riconducibili
alle diverse patologie.

Si effettuano 2 proiezioni: postero-anteriore e latero-laterale.

Nella proiezione postero-anteriore (P.A) l’atrio dx costituisce l’arco inferiore destro ed il VS il


sinistro, essendo tali camere marginali; gli atri si proiettano nel contesto dell’ombra cardiaca e
l’aorta determina gran parte dell’ombra del peduncolo vascolare.

Nella proiezione latero-laterale (L.L.) gli atri sono posteriori ed il ventricolo destro costituisce la
marginale anteriore, generalmente in stretto rapporto di contiguità, se non a contatto, con la
parete toracica.

Coronarografia
Classicamente per la valutazione del circolo delle coronarie si usa la coronarografia che è una
tecnica “ luminale” perché consente di vedere il lume della parete e non il vaso (questo può
rappresentare un limite in alcune condizioni).

Dobbiamo stabilire l’entità della stenosi che consideriamo significativa. Classicamente si considera
significativa una stenosi del 75%, però diversi studi dimostrano che una stenosi del 40-45% può già
essere rilevante.

La coronarografia è un esame che presenta un certo grado di invasività perché viene inserito un
catetere, che solitamente viene introdotto dalla femorale o dalla brachiale sotto guida
radioscopica; quindi ci sono dei rischi legati alla lesione delle coronarie.
Esiste una metodica non invasiva, che è rappresentata dalla coroTC.

CoroTC
La coroTc può essere eseguita con la somministrazione del mdc (mezzo di contrasto) per via
venosa periferica e ci si può avvalere di una TC multi strato oppure della dual-source.

Tecnica multistrato a singola sorgente può arrivare anche a 640 strati ma di norma è tra i 128 ed i
256. Le principali differenze tra le 2 tecniche sono che con la dual source si possono studiare
pazienti anche con frequenze superiori ai 65-70 battiti per minuto (bpm), considerati fuori limite
per la tecnica multistrato, ed anche i pazienti con BMI > 30. Nella maggior parte degli ospedali una
rete dual source non è a disposizione. Ce ne sono alcune in centri dedicati per lo studio del cuore.
Per eseguire una TC delle coronarie è necessario disporre di almeno 64 strati perché tale numero
di strati consente di studiare anche le coronarie più piccole ed il numero di vasi non visualizzati
scende intorno al 2-3 %, il valore predittivo negativo è molto elevato 99%. In linea generale,
quando una CoroTC è negativa si può escludere la presenza di una cardiomiopatia ischemica.

La frequenza per la multistrato non dovrebbe superare i 65- 70 bpm, altrimenti bisogna ricorrere
a terapia farmacologica (beta-bloccanti). Si prende un accesso venoso ed è necessario posizionare
gli elettrodi perché l’esame deve essere eseguito in maniera sincronizzata all’ECG in modo tale da
poter fermare l’immagine e vedere meglio le coronarie in un certo periodo del ciclo cardiaco e
ridurre la sovrapposizione dei movimenti respiratori. Per la visualizzazione delle coronarie è
importante la ricostruzione post processing perché le coronarie hanno un decorso tortuoso e se
eseguiamo delle sezioni secondo i piani ortogonali classici non riusciamo a vedere bene il decorso.
Tra queste tecniche di ricostruzione la multi planar è la più utilizzata.

Con una TC a 4-16 strati la risoluzione spaziale è di 1 cm, mentre con la Tc a 64 strati sarà di 0,5
mm, riuscendo così a vedere vasi coronarici anche più piccoli.
La CoroTC studia le coronarie, mentre la CardioTC valuta le camere cardiache.

Se mettiamo a confronto la dose efficace delle varie metodiche bisogna ricordare che:

• una rx torace standard equivale a circa 1 mSv (millisievert)


• la radiazione di fondo naturale e di circa 2-5 mSv
• la coronarografia diagnostica è di circa 4-10 mSv
• la scintigrafia miocardica è di circa 7-10 mSv
• la MSCT 64 slices è di circa 10-12 mSv
• Dual-source Tc è di circa 7-9 mSv

Nella TC multislices nuove tecniche stanno consentendo la riduzione della dose e la modulazione
del fascio è in grado di portare persino ad una riduzione del 50%, arrivando a dosi di 5-7 mSv.
Quali sono le indicazioni della TC?

• Valutazione dell’anatomia coronarica e di anomalie cardiache congenite


• Valutazione della presenza della cardiopatia ischemica e della caratterizzazione della
placca (se è calcifica, mista ecc.)
• Valutare il pre- ed il post- di procedure di rivascolarizzazione: CABGs (Coronary Artery
Bypass Grafting), stenting.
• Valutare il calcium score.

Sia nella preparazione dell’angioplastica con stent che nel bypass l’uso della CoroTC è preferibile
rispetto alla coronarografia, anche perché non richiede ospedalizzazione.

Nel caso dello stent è possibile valutarne la sede e l’iperplasia intimale che si può accompagnare.
Si va a valutare una sezione assiale del vaso per vedere se c’è iperplasia o meno.
Ancora meglio si può fare con la dual-source che permette un’ottima visualizzazione intra-stent.

La Cardio-TCMD viene utilizzata anche per controllare la pervietà del bypass. Si hanno indicazioni
al controllo in caso di:
-angina
-evidenza di ischemia
-in territori non precedentemente vascolarizzati
- in territori precedentemente vascolarizzati
La sintomatologia ischemica ricorre nel 4-8% dei pz./anno
-progressione malattia vaso coronarico nativo (5%/anno)
-occlusione del graft

Misura della quantità di calcio nelle coronarie

Per calcium score si intende una metodica TC che non fa uso di mezzo di contrasto con cui si
studia ogni focolaio di calcificazione che abbia valore superiore alla soglia, ovvero >130 HU
(HU=unità hounsfield), e si fa il prodotto dell'area di ciascun focolaio per il massimo valore di
hounsfield presente in quel focolaio stesso. La somma di tutte le lesioni è l'agatston score, che è
appunto un modo per calcolare il cosiddetto calcium score. La macchina individua tutte le regioni
con valore >130 e, escludendo i tessuti ossei, fa il calcolo in maniera automatica.
I numeri HU sono:

1= 131-199 HU

2= 200-299 HU

3= 300- 399 HU

4 > 400 HU

La sommatoria di tutte le
lesioni dà lo score totale.

Più è elevato l’agatston score


(quantità di calcio) peggiore è
la prognosi del pz.

In questo studio i pazienti sono stati divisi in varie classi: per sopravvivenza e rischio relativo alla
classe di agatston score cui appartenevano. L’agatston score è correlato con la prognosi; in questo
studio sono presi in considerazione agatston score in pazienti diabetici e non diabetici. E' intuitivo
pensare che maggiore è il calcium score, maggiore è il rischio. Quindi è stato proposto di utilizzare
la valutazione del calcium score nei pazienti in modo da poterli catalogare in classi di rischio ed
indirizzarli verso la scelta diagnostico-terapeutica più appropriata.

Per quelli a basso rischio:

-CAC 0 Valutazione per un’eziologia non cardiaca


-CAC 1-100 Coronary TC, angiografia
-CAC 101-400 Coronary TC, angiografia o imaging funzionale per l’ischemia
-CAC > 400 Imaging funzionale per l’ischemia o angiografia coronarica invasiva.

Per quelli con rischio intermedio si utilizza una imaging funzionale per l’ischemia es. ecocardio da
stress
Per quelli con alto rischio si fa l’imaging funzionale per l’ischemia o l’angiografia coronarica
invasiva. Per questo tipo di pz è particolarmente indicato un approccio invasivo (coronarografia).

Caratterizzazione della placca.

Le placche non calcifiche sono più soggette a rottura, quindi sono le più pericolose. Le varie
componenti della placca (calcio, componente fibrosa, core lipidico) possono essere valutate con
una procedura invasiva o una procedura non invasiva. Ad esempio, una procedura invasiva è
l’ecografia intravascolare (intravascular US): la sonda ecografica viene inserita tramite catetere e
portata nelle coronarie. Un esempio di forma non invasiva è la TC multi slices: si individua il vaso,
si fa una sezione dello stesso e si valuta se vi sono placche calcifiche o meno. Sia la TC multi slices
che l’ecografia intravascolare non possono valutare l’infiltrazione macrofagica. Per quanto
riguarda l’infiltrazione macrofagica, recenti studi hanno dimostrato che può essere valutata con
l’uso della risonanza magnetica e di mezzi di contrasto super paramagnetici (ferro) che alterano il
t2 e in genere sono a concentrazione macrofagica (ad esempio nel fegato si usano per lesioni
occupanti spazio epatiche nelle quali il ferro si concentra nelle cellule del Kupffer e causa
un'assenza di segnale in t2).
La CoroTC può sostituire la coronarografia?

No, non può sostituire la coronarografia, soprattutto per i risvolti terapeutici che ha quest’ultima,
ma può aiutare a ridurre il numero delle coronarografie inutili o che probabilmente risulteranno
negative. Quindi la CoroTC viene utilizzata prettamente per fini diagnostici.
In quali pz è preferibile utilizzare la CoroTC?
✓ Nei pz con dolori atipici e con probabilità bassa o intermedia di malattia coronarica
✓ Nei pazienti sintomatici con test ambigui
✓ Nel follow up di Stent e CABG
In prospettiva futura: nei pazienti ad alto rischio, nella stratificazione del rischio e nell’imaging
della placca … con un occhio di riguardo alla riduzione della dose al paziente!
Nei pz sottoposti a procedure di rivascolarizzazione per la valutazione anatomica della
rivascolarizzazione è preferibile un test non invasivo a quello invasivo.

Questa metanalisi dimostra che il valore predittivo negativo della CoroTC è molto elevato, sia se
analizziamo in base ai pz, che in base ai vasi, che in base ai segmenti.
Curve roc (reciever operating characteristic):
Supponiamo di avere un test che può essere espresso in 5 livelli (negativo / probabilmente negativo
/ dubbio/ probabilmente positivo/ positivo) e lo valutiamo in una popolazione in cui noi sappiamo
quanti sono i malati e quanti sono i sani. Per costituire una curva roc io devo individuare le soglie
per cui stabilisco una prima soglia al di sotto della quale tutti i pazienti vengono considerati
negativi e al di sopra tutti vengono considerati positivi.

A questo punto vado a valutare quanti sono i veri positivi, quanti sono i veri negativi e quanti sono
i falsi positivi de i falsi negativi, da queste 4 classi calcolo SPECIFICITA' E SENSIBILITA' (specificità
= veri negativi diviso veri negativi + falsi positivi; sensibilità = veri positivi diviso veri positivi + falsi
negativi). Adesso per questa soglia ho i valori di specificità e sensibilità che su un grafico mi
rappresentano un punto.

A questo punto SPOSTO la soglia dal livello 1 precedentemente utilizzato al livello 2 in base al quale
troverò nuovamente (secondo lo stesso processo precedentemente utilizzato) altri 2 valori di
SPECIFICITA' E SENSIBILITA' e quindi un nuovo punto sul grafico. SI
PROCEDE COSI PER LE ALTRE 3 SOGLIE RIMANENTI.

RIPORTIAMO i 5 punti (le 5 coppie specificità-sensibilità) trovati sul grafico e rappresentano una
CURVA ROC che serve a classificare un test senza utilizzare un’unica soglia arbitraria.

Detto questo più la curva è alta e schiacciata verso la sensibilità meglio è, perché cresce la
sensibilità ma la specificità non decresce. Un’ altra caratteristica della curva HSROC è che siccome
gli assi sono da 0 a 1 e da 0 a 1, l’area totale sarà 1x1=1. Se il test ha capacità nulla, l’area sarà
1x1/2=0.5. Questo può dire che se io calcolo l’area sottesa alla curva HSROC, tanto più questo
valore si avvicina a 1, tanto migliore è il test. Quindi posso valutare la potenza diagnostica del test,
confrontare test diversi, e individuare la migliore soglia; quindi è uno strumento molto potente,
molto utile in diagnostica, soprattutto quando noi abbiamo a che fare con un nuovo test e
vogliamo sapere come si comporta e qual è la soglia migliore. E poi anche quando utilizziamo
diversi test e vogliamo confrontare fra di loro senza fare valutazioni arbitrarie (ogni volta che io
dico “questo è negativo, questo è positivo” faccio una valutazione arbitraria). Questo grafico è una
meta analisi, mostra le coppie di sensibilità e specificità ritrovate con i vari lavori di pubblicazioni. È
un “summed stroke”. Poi esiste un test statistico che si fa per valutare se l’area sottesa alla curva
HSROC è significativamente diversa dall’area 0.5 per dire se questo test è diagnostico oppure no.
Vista la capacità della CoroTC di individuare i vasi stenosanti, essa assume anche un valore
prognostico. In situazione acuta (in emergenza) si può utilizzare la CoroTC in associazione con le
altre indagini tradizionali per valutare meglio come procedere. Nel caso ci sia assenza di stenosi o
lieve stenosi, si può pensare ad una dimissione oppure ad una dimissione controllata (con
controllo cardiologico). Con stenosi moderata si dovrebbe ricorrere ad un test intermedio oppure
si può fare cateterismo. Con stenosi marcata il cateterismo è obbligatorio.

La CoroTC permette anche di fare diagnosi differenziale tra: embolia polmonare, dissezione aortica
ed ACS. . Questa metodica si chiama Triple Rule Out (TRO) è può essere salvavita dato che tutte e
tre le patologie si possono manifestare con segni sovrapponibili e che possono portare
rapidamente a morte. Ha un Valore Predittivo Negativo del 99%.

La prevalenza di cardiopatia ischemica, riscontrata utilizzando la CoroTC, è più bassa rispetto a


quella aspettata adoperando gli algoritmi di valutazione clinica. Nei pz che presentano calcium
score basso, il numero di coloro che hanno dimostrato di avere dei vasi con stenosi significativa è
consistente. Questo ha portato a combinare il calcium score con la CoroTC: quando vi sono
calcium score basso e stenosi significativa alla coroTc la prognosi tende a peggiorare.

Uno studio multicentrico recente ha valutato più di 1127 pazienti con sospetta cardiopatia
ischemica (follow-up dopo 15 mesi) ed ha stilato vari predittori di morte cardiaca, quali: stenosi,
numero di vasi interessati da stenosi significative e caratteristiche di distribuzione della placca.
Una Cardio-TC negativa è associata a un rischio molto basso (0,17% per anno per eventi cardiaci
avversi maggiori) – 0,15% per morte o IM.
Pazienti con normale CoroTC non richiedono ulteriori test per 2-5 anni senza correre il rischio di
I.M. o morte cardiaca. Un altro studio, detto CONFIRM, ha valutato la presenza di cardiopatia
ischemica sulla base del rischio clinico. Lo studio CONFIRM ha mostrato che, utilizzando una
probabilità pre-test di cardiopatia ischemica sulla base di parametri clinici (età, sesso, dolore
toracico anginoso), la prevalenza di patologia prevista era del 51%, mentre è del 18% quando si fa
una coro-tc; una differenza notevole. Questo vuol dire che il modello clinico sovrastima
enormemente la probabilità che sia presente una patologia. È necessario che ci sia qualcosa in
questi pazienti prima di arrivare alle procedure più invasive. È possibile poi associare i parametri
che sono stati ricavati dalla cardio-tc, quali il calcium score e la entità della stenosi, individuando
delle classi di rischio diverse con capacità di predizione sostanzialmente diverse.

Usando la Cardio-TC il tempo della diagnosi si riduce della metà ed i costi di un terzo (rispetto
all’approccio standard).

Per la valutazione della funzione cardiaca, la RMN e l’ecocardiografia sono da preferire alla
CoroTC.
Per lo studio dell’aorta bisognerebbe utilizzare l’angioRM o l’angioTc.

Un altro aspetto che si può valutare è lo studio della funzione cardiaca. Gli aspetti valutabili sono:

- funzione globale
- funzione diastolica
- funzione sistolica
- cinesi
- ispessimento di parete

La metodica di valutazione più semplice è l’ecocardiografia, che però è la meno accurata a meno
che non si ricorra all’eco 3D (non è ancora molto diffusa e presenta anch’essa dei problemi). Il
Gold standard per lo studio della funzione ventricolare sinistra e destra è la CardioRM. Se, per
esempio, vogliamo studiare la funzione globale del ventricolo sx con l’ecocardio ed ottenere la
frazione d’eiezione, dobbiamo calcolare volume telediastolico e volume telesistolico
approssimando con la formula dell’ellissoide; mancando all’ecocardio 2d una dimensione. In pz
con patologia cardiaca, in cui il ventricolo sx non è più un ellissoide, ma si rimodella assumendo
una forma diversa, ricavare la formula giusta comporta dei problemi.

Eseguendo una RM o una TC, si ha la possibilità di sommare tutte sezioni che sono state acquisite.
Nel caso specifico della Cadio-TC si può, avendo utilizzato anche l’ECG, ricavare i volumi nelle varie
fasi del ciclo cardiaco determinando la curva volume-tempo. Questa operazione si può fare anche
regionalmente e calcolarci quindi il movimento e l’ispessimento. Tutti i segmenti cardiaci vengono
rappresentati in un piano attraverso delle mappe polari. La possibilità di calcolare i volumi cardiaci
suggerisce l’utilizzo della Cardio-TC anche per lo scompenso cardiaco.

Si può utilizzare la Cardio-TC anche per valutare la presenza di masse cardiache dove però è
preferibile la risonanza magnetica perché ha una migliore risoluzione di contrasto.

CoroRM

La RM è stata definita la scatola magica o “one-stop-shopping”, ma non è proprio così perché per
- morfologia
- vitalità
- quantizzazione del flusso
- funzione
- perfusione
- grossi vasi
- imaging coronarico
si devono fare sequenze diverse, quindi non basta una sola acquisizione. Per ottenere dei piani,
dobbiamo sistemare i gradienti che ci individuano i piani che noi faremo. Nel caso della RM, a
differenza della Cardio-TC, non acquisiamo il volume tutto insieme ma acquisiamo il volume
tramite l’acquisizione di più piani. Si fanno delle prime sezioni in cui si dividono gli assi e
successivamente rispetto a questi, si posizionano i gradienti che ci consentiranno di ottenere delle
sezioni lungo i piani ortogonali all’asse maggiore del cuore.
Queste sono delle immagini che sono comparabili alle bicamerali dell’ecocardio che noi
chiamiamo short axis; questo delimitato in rosso è la cavità del ventricolo sx. queste immagini
sono state ottenute senza mezzo di contrasto con delle sequenze particolari che fanno vedere il
sangue in bianco-grigio; in verde la superficie epicardica.

Si valuta con la Cardio-RM:


- possibilità di cardiopatia ischemica
- perfusione a riposo e dopo stress farmacologico
- capacità contrattile miocardica
- miocardio vitale
- studio dei pazienti con cardiomiopatia ipertrofica
- tumori
- malattie d’accumulo (Amiloidosi)
- sarcoidosi
- malattia di Fabry
- cardiopatia ipertrofica

Perché adoperare la Cardio-RM nella valutazione della cardiopatia ischemica?


Per la possibilità di misurare deficit perfusivi a livello sub-endocardico o sub-epicardico grazie
alla elevata risoluzione spaziale della metodica. Quindi la RM ci consente di fare diagnosi precoce
di cardiopatia ischemica. Inoltre vi è la possibilità di studi combinati di perfusione e di
funzione (one-stop-shopping). E’un metodo non invasivo e ripetibile (radiazioni non ionizzanti).

Per valutare un difetto di perfusione del sub endocardio, si utilizzano mdc e farmaco (adenosina) e
si valuta il grado di assorbimento del mdc: se una zona ha meno mdc = zona ischemica. Il mdc è il
gadolinio-DTPA (Gd-DTPA).
Di grande importanza è la valutazione del miocardio vitale, delle aree miocardiche ipossiche che si
contraggono parzialmente o che non si contraggono e che se rivascolarizzate portano ad un
recupero di parte della contrattilità. Bisogna individuare le zone di miocardio vitale prima della
rivascolarizzazione ed esistono vari modi per farlo. Uno dei metodi più utilizzati è l’ecocardiografia
con test alla dobutamina con due fasi: una a bassa dose, seguita da una ad alta dose. La
dobutamina è un farmaco che ha effetto ionotropo positivo, quindi in presenza di cardiomiociti in
uno stato di rallentamento metabolico-funzionale (perché gravemente ipoperfusi) la bassa dose è
in grado di reclutarli con miglioramento della contrattilità; con un aumento della dose le cellule,
dato che dispongono di poco sangue, peggiorano la loro capacità contrattile e quindi ci si ferma
alle basse dosi.
Nella cadioRM si utilizza il metodo della late enhance per la valutazione della vitalità. Che cos’è il
late enhance? In questo caso si usa mdc con immagini che non vengono prese contestualmente
alla somministrazione del mdc ma vengono prese dopo circa 5-10 min dopo la somministrazione
del mdc. Perciò late enchance – impregnazione. Nel caso precedente, quindi, le zone ipoperfuse
erano meno marcate, perché le immagini sono state prese poco dopo la somministrazione del
mdc, mentre in questo caso (RM) le zone ipoperfuse sono più marcate perché il mdc ha avuto il
tempo di diffondersi in circolo (10 min) ed il gadolinio che rimane va nello spazio extravascolare
che nello spazio necrotico-fibrotico è di maggiori dimensioni. Per cui è stato considerata la tecnica
late enhance il gold standard perché è una tecnica affidabile, ripetibile e di facile interpretazione.

Un’altra indicazione della Cardio-RM è lo studio del ventricolo destro. Il ventricolo dx è difficile da
studiare dal punto di vista della funzione, perché la sua forma non è approssimabile ad una figura
geometrica (quindi l’ecocardio non può esserci di aiuto) e l’unico modo per studiare la sua
funzione è avere tutte le sezioni che ricoprono l’intero volume in modo che si possano individuare
i voxel di ogni singola sezione e, noto il volume del singolo voxel, poi sommare tutti i volumi per
ottenere il volume totale del ventricolo destro.
La Cadio-RM si usa anche per lo studio della cardiomiopatia ipertrofica per la valutazione della
morfologia, della dinamica ventricolare sinistra, quantizzazione del volume, della massa
ventricolare sinistra e valutazione dell’ostruzione all’efflusso ventricolare sinistro. E’ una metodica
più sensibile dell’eco nel riconoscere la malattia.
Con il late enhace si può valutare anche la presenza di fibrosi.
Un'altra applicazione importante è quella delle miocarditi, caratterizzate da una triade dal punto
di vista anatomo-patologico:
- aumento della permeabilità vascolare
- edema
- fibrosi/necrosi
Queste 3 cose possono essere studiate molto bene con la RM perché le immagini T2 pesate sono
iperintense in presenza di H2O. E’ chiaro che se vi è iperintensità a livello della parete vasale,
quella parete è edematosa. La presenza di iperemia si può studiare con le immagini dinamiche T1
pesate, ottenute contestualmente alla somministrazione del mdc (early enhancement). La
presenza di fibrosi si può studiare in T1 dopo 10 min dalla somministrazione con la late enhance.
Con la presenza di almeno due di questi criteri (Lake Luis Consensus Criteria) si hanno valori
predittivi negativi e positivi molto elevati. Si è visto con uno studio che è sufficiente utilizzare
anche solo la RM T2 pesata con un metodo semiquantitativo.
La Cardio-RM consente di studiare anche la cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro,
nella quale è possibile vedere un diffusa iperintensità nella parete ventricolare destra che indica
una sostituzione adiposa.

Imaging radionuclidico
Nell’imaging radionuclidico abbiamo 2 tecniche:
- SPET (scintigrafia miocardica perfusionale)
- PET (tomografia ad emissione di positroni)

SPET
La SPET valuta la distribuzione spaziale del flusso coronarico a livello delle fibrocellule
miocardiche. Si esegue utilizzando dei traccianti diffusibili che, somministrati per via endovenosa
periferica, si concentrano nel tessuto miocardico. La captazione miocardica dei traccianti di
perfusione avviene a seconda:
1) del flusso coronarico regionale
2) dell’integrità della membrana cellulare
Storicamente è stato a lungo adoperato il Tallio-201, ma oggi non si utilizza più.
Oggi quest’esame si fa con i cosiddetti “tecneziali” che sono sostanze marcate con tecnezio-99 e
sono:
• Sestamibi
• Tetrofosmina
L’esame va eseguito, se è possibile, con il test da sforzo perché vogliamo slatentizzare la presenza
di ischemia. Se non si può eseguire il test da sforzo si utilizzano i farmaci, in particolare la
dobutamina o il diripidamolo.
I traccianti che si adoperano entrano nella cellula miocardica, il tallio viene considerato un analogo
del K e passa tramite la pompa Na/K.

L’esame viene eseguito con 2 somministazioni del radio farmaco, una volta all’apice dello sforzo,
con l’esecuzione dell’immagine a distanza di 15-20min, ed un’altra a riposo e le immagini vengono
eseguite dopo circa 30 min. Si può eseguire in 2 giornate o in una singola giornata. Si può anche
fare una immagine da sforzo e se questa è negativa non si prosegue (il vantaggio è la riduzione
della dose di radiazione).
Nel caso della SPET, come nella Cardio-TC, acquisiamo un volume e indaghiamo le fette
successivamente. Gli assi che si adottano in tutte le tecniche di diagnostica cardiologica (coroTC,
cardioRM, medicina nucleare, ecocardio) sono gli stessi:
-l’asse corto
-l’asse lungo orizzontale
-l’asse lungo verticale
Per ogni asse possiamo ricavarci delle sezioni tagliate parallelamente.
Il miocardio viene diviso (sulle sezioni asse corto) in un numero di segmenti che in genere è
compreso tra 17 e 19: tre fette del cuore (apicale, media, basale) più apice. Successivamente, viene
assegnato un punteggio a ciascuna regione: punteggio di movimento (come nel caso
dell’ecocardio) o di perfusione (come in questo caso): i punteggi sono sommati e ci danno degli
score che forniscono informazioni semi-quantitative circa l’entità del difetto, in questo caso, ad
esempio, di perfusione (deficit settale che, a riposo, migliora).

La colorazione al rosso brillante-bianco indica una maggiore vascolarizzazione. In queste immagini


non vediamo il ventricolo destro perché lo spessore del miocardio è troppo piccolo rispetto alla
risoluzione della metodica. Facendo il confronto tra situazione a riposo e situazione da sforzo
possiamo avere tre quadri:
- una normale distribuzione del farmaco in entrambe le situazioni (quadro normale)
- un difetto di captazione da sforzo e normalità a riposo (questo indica ischemia miocardica- deficit
reversibile).
- la presenza di un difetto di captazione sia durante lo sforzo che a riposo (questo è indice di
infarto miocardico pregresso- deficit irreversibile).
In questa metodica si possono ottenere delle immagini gated per ottenere anche l’informazione
della funzione ma danno una valutazione meno accurata di quella che si può fare con un
ecocardio.

Possiamo adoperare questa metodica anche per valutare gli effetti della terapia, ad esempio nel
caso di un pz che ha fatto terapia medica per un anno. Con questa metodica possiamo valutare la
quantità di miocardio interessato dalla patologia e la mortalità cresce al crescere del miocardio
interessato. Esiste una soglia superata la quale conviene passare da un approccio farmacologico
(non invasivo) ad un approccio invasivo. Uno studio sugli eventi cardiaci maggiori (es. infarto) ha
dimostrato che:
- I pz con un SPECT negativa (normale) hanno una probabilità di avere eventi cardiaci maggiori <
1% per anno e quindi si procede con strategie di prevenzione.
- I pz con anomalie lievi/ moderate devono fare terapia medica e follow-up
- I pz con anomalie severe devono essere sottoposti a strategie invasive (rivascolarizzazione).

Ss

ss

Oltre alla SPECT possiamo utilizzare anche la PET che ci consente di avere delle precise
informazioni quantitative e non invasive del flusso coronarico regionale e del metabolismo
cardiaco. Per la determinazione del flusso coronarico si usa il tracciante Rubidio-82, l’ideale
sarebbe l’O-15 H2O ma ci vorrebbe un ciclotrone, mentre il Rubidio lo si può reperire più
facilmente. Per la valutazione del metabolismo cardiaco si usa il 18- fluorodeossiglucosio.
Gli studi PET hanno definito il fenomeno del miocardio vitale e come in situazioni di severa
riduzione globale della funzione.
La presenza di flusso relativamente conservato e di un metabolismo alterato viene definita di
miocardio stordito ed è dovuta a frequenti episodi ischemici.
La presenza di flusso ridotto, con metabolismo conservato o aumentato è il classico miocardio
ibernato.
La situazione di una marcata riduzione di flusso e di un alterato metabolismo si ha in caso di
necrosi.

Oggi esistono apparecchiature integrate che consentono di fare contemporaneamente la PET-TC,


la SPET-TC, PET-RMI.
L’uso del tracciante MIBG (meta-iodobenzylguanidine), che viene marcato con
iodio123radioattivo, è un analogo inattivo della noradrenalina, con simili proprietà di uptake.
La scintigrafia cardiaca con MIBG misura l’attività dell’innervazione simpatica tramite la
visualizzazione dell’uptake della noradrenalina.
È stato evidenziato che l’uptake di MIBG è ridotto nello scompenso cardiaco.
MIBG è quindi un marker della riduzione della funzione simpatica che è una possibile causa di
predisposizione ad aritmie anche fatali.
Uno degli organi che concentra il MIBG è il cuore, ed è una misura della sua innervazione
simpatica. La captazione può essere semi-quantitativamente valutata calcolando il rapporto
cuore/mediastino (H/M), impostando le regioni di interesse e si è visto che in alcune condizioni
patologiche vi è una riduzione di questo rapporto.
Hanno fatto uno studio nel quale viene sostenuto che minore è il rapporto H/M e maggiore è il
rischio di mortalità cardiaca. La probabilità di morte cardiaca a due anni è stata superiore nei
pazienti con un rapporto H/M <1,6 rispetto a quelli con un rapporto H/M ≥ 1,6.

Quindi si è visto che la possibilità di avere eventi cardiaci maggiori, nei pz che hanno una minore
innervazione simpatica, era maggiore rispetto agli altri pz dotati di una normale innervazione .
Questo si verifica anche per la progressione dello scompenso e per l’incidenza delle aritmie.
Questo tracciante (MIBG) è stato utilizzato anche per la diagnosi di alcune malattie neurologiche,
come ad esempio, l’Alzheimer , il Parkinson ,per il quale viene in genere adoperato un tracciante
dopaminergico che valuti la captazione a livello dei nuclei della base.

Si è visto che c’è una differenza nella captazione del tracciante dopaminergico nei nuclei della
base, ma anche nel cuore (interazione cuore-cervello legata all’innervazione simpatica): l’uso
combinato di questo metodo e del precedente migliora di molto la capacità di differenziazione.

E’ stato ipotizzato, ma non confermato, che nel normale decorso del Parkinson l’alterazione
dell’innervazione simpatica cardiaca preceda l’alterazione a livello dei recettori dopaminergici (o
meglio, dei suoi trasportatori) a livello dei nuclei della base

Mentre un’unità complessa di radiodiagnostica è presente in tutti gli ospedali ed in tutti i pronto
soccorso ospedalieri e quindi la TC multi slices è presente, la medicina nucleare, invece, è più
difficile che ci sia.
Vi è una differenza tra le due metodiche a vantaggio della Cardio-TC, che però si inverte quando si
va a vedere solo imaging da sforzo (SPET); per quanto riguarda la capacità di prevedere eventi
cardiaci maggiori la SPET (funzionale) è meglio della coroTc (anatomica).
Per le situazioni acute è meglio eseguire la Cardio-TC.
Per quanto riguarda la risonanza magnetica, uno studio ha confrontato la valutazione perfusiva
con RM con la valutazione perfusiva con medicina nucleare e lo studio con RM ha mostrato una
maggiore sensibilità a parità di specificità.
Un confronto tra tutte le metodiche mostra che la Cadio-RM ha sensibilità maggiore mentre per
quanto riguarda la specificità forse questa va a favore della PET.
Quale metodica scegliere? Questo dipende dalla situazione in cui vi trovate e dai mezzi che avete a
diposizione: se vi trovate in una situazione ambulatoriale (es. cardiologo) è quasi certo che abbiate
a disposizione l’ecografo: l’ecocardio è la tecnica principale per le valvulopatie e le cardiomiopatie
dilatative. Bisogna stare attenti ad eseguire un test radiologico solo quando serve (i quali vanno
eseguiti in centri dotati del necessario).
Se siete in una situazione ospedaliera, ancora una volta sarà l’ecocardio il vostro primo strumento,
il secondo strumento dipende dalla patologia. Tutto sta nel capire se è necessario un secondo
strumento (Es. ecocardio con dobutamina bifasica prima e conferma con cardioRM con late
enhance dopo)
Se siete in pronto soccorso, cardioTc.
Se da una situazione ambulatoriale bisogna richiedere una seconda procedura la cosa più semplice
da fare è chiedere una procedura di medicina nucleare.

Cardio-oncologia
Per cardio oncologia non intendiamo la ricerca di tumori cardiaci ma intendiamo la valutazione
della cardiotossicità legata alle terapie antitumorali. È una disciplina relativamente recente.
Questa disfunzione vale anche per i farmaci della target terapy.
In realtà esistono vari parametri che sono stati presi in considerazione per definire il fenomeno:
- Riduzione della frazione di eiezione del ventricolo sinistro di almeno il 10% fino ad un valore
minore del 53%. (ASE-EACVI)
- Riduzione della frazione di eiezione del ventricolo sinistro di almeno il 5% fino al 55%,
accompagnato da segni e sintomi di HF (Heart failure) o di un declino asintomatico
accompagnato da una riduzione della frazione di eiezione del ventricolo sinistro di almeno il 10%
fino al 55%. (CREC)
Vi è una integrazione tra cardiologia, oncologia e diagnostica per immagini.
Ci sono 2 forme di disfunzione cardiaca legata ai farmaci:
• La disfunzione di tipo 1 dà un danno miocardico, è di solito dovuta alla Doxorubicina. Vi è
un effetto cumulativo, legato alla dose. È molto probabile che vi siano delle sequele.
• La disfunzione di Tipo 2 è una disfunzione miocardica ed è dovuta a transtuzumab,
anticorpo monoclonale, ma può essere dovuta anche ad altri farmaci. Non è legata alla
dose. Le sequele sono meno probabili.
Il danno può essere reversibile, irreversibile o parzialmente reversibile a seconda dell’entità della
riduzione della frazione di eiezione.

Anche la radioterapia che coinvolge il torace può dare effetti cardiologici, quando le radiazioni
coinvolgono il cuore, rappresentati da danni che somigliano a quelli mediati dai farmaci citotossici.
Le radiazioni ionizzanti provocano danni strutturali, i quali riguardano principalmente il pericardio
rispetto all’endocardio.

Varie metodiche sono state adoperate nel corso del tempo, l’eco 2d ha dei limiti e sono stati
parzialmente superati dall’eco 3d. L’optimum è la cardioRm, LA CARDIO RM è una procedura
pesante perché non è facile da eseguire, si cerca di non farla. Eviterei la cardio tc; la medicina
nuclerare è stata abbandonata.
Nella disfunzione di tipo1 si fanno delle valutazioni di base, preferibilmente con la 3d o con la 2d;
se la frazione di eiezione è ridotta, prima di iniziare la terapia bisogna fare una valutazione
cardiologica. Se invece la frazione di eiezione è conservata, si fa prima la terapia e poi si controlla
periodicamente a seconda della dose di farmaco somministrato. Nel caso della 2d il discorso è
simile.
TABELLE RIASSUNTIVE
Sbobinatore: Domenico Roncoroni

Controllore: Marianna di Filippo


DPI - LEZIONE 08 – Tiroide, Paratiroidi, Surreni – (26.11.2018) – PROF. PACE

TIROIDE

ANATOMIA

• Sviluppo dalla IV e V tasca branchiale, dotto tireoglosso(faringe)


• Tessuto tiroideo può trovarsi nel tragitto tra base lingua e mediastino anteriore
• 2 lobi ellissoidali (spessore 1.5 cm, lunghezza 4-6 cm) uniti da istmo (spessore 0.5 cm, larghezza 2
cm, altezza 2 cm); nel 10 -40% dei casi lobo piramidale; peso medio 15-25 g
• Sede: livello della cartilagine cricoide. Fissata alla trachea da connettivo lasso
• Irrorazione: arteria tiroidea superiore (ramo della carotide esterna)

FISIOLOGIA

• Richiesta quotidiana di Iodio: 0.1 - 0.15 mg


• Concentrazione di Iodio (1/3 dello iodio assorbito)
• Sintesi ormoni tiroidei
• Asse ipotalamo-ipofisario (TRH-TSH)
• Fattori esogeni che influenzano: malattie sistemiche, stato nutrizionale, farmaci (ionamidi,
steroidi, iodio, litio, amiodarone, interferone, beta-bloccanti)
(Su questa parte introduttiva trattante l’anatomia e la fisiologia della tiroide il prof non si è
soffermato)

Quali sono le TECNICHE STRUMENTALI applicate ai fini diagnostici per la tiroide?

• Ecografia ed Eco- Doppler


• Citologia Aspirativa Ecoguidata (FNAB)
• Scintigrafia
• Radiografia: oggi ha perso di importanza, sebbene possa dare riscontro per quanto concerne gli
incidentalomi
• Tomografia Computerizzata: utilità in ambito oncologico
• Risonanza magnetica: stessa indicazione della TC.
L’ecografia insieme all’eco-doppler, la citologia aspirativa eco-guidata e la scintigrafia continuano
ad essere esami diagnostici fondamentali per le patologie tiroidee.

ECOGRAFIA

L’ecografia ci dà informazioni sulla morfologia sia della ghiandola sia di eventuale tessuto di
granulazione (sede, dimensioni, margini), sulla struttura: analisi del segnale ecografico (ipo-, iper-,
anecogeno) e sulla vascolarizzazione (color-doppler, power-doppler). Essa viene usata come guida
per eseguire: Citologia per Agoaspirazione (FNAB) e per alcune terapie interventistiche (Adenoma
Tossico e l’alcolizzazione delle cisti).

Le modalità di applicazione dell’ecografia sono le seguenti:


• Sonde lineari ad alta frequenza (7,5-15 MHz)
• Posizione supina con capo iperesteso
• Collo corto → posizionare un cuscino sotto le spalle
• Troppo magro → distanziatore
• Tiroide retrosternale →deglutizioni
• Scansioni →assiali, sagittali e oblique

Durante l’esame ecografico le varie strutture che si incontrano hanno una diversa ecogenicità.
Andando dall’esterno verso l’interno ci sarà una:
1. Linea iperecogena →tess. Sottocutaneo
2. Immagine lineare ipoecogena e sottile → m. platisma
3. Linea iperecogena → fascia cervicale superficiale
4. Piano muscolare formato lateralmente → sternocleidomastoideo e omoioideo medial. →
sterno-ioideo
5. Linea iperecogena → fascia cervicale media +capsula tiroidea

Le dimensioni dei lobi tiroidei variano in rapporto ad età e costituzione:


Nell’adulto:
» Diam. Long. :4-6 cm
» Diam. Ant-post. : 1,3-1,8 cm
» Diam.trasv.: 2-2,5 cm
» Istmo dap: 4-6 mm

Per calcolare il volume della tiroide, ai fini di valutare se si è in presenza o meno di iperplasia
tiroidea, si può procedere in due modi:

1. Si applica la formula dell’elissoide.


Consiste nel considerare ogni lobo
come un elissoide in rotazione.

Oppure

2. Si utilizza il diametro antero-


posteriore (dap) che viene misurato
nella scansione longitudinale parallela
all’asse maggiore del lobo. Se questo
è superiore a 2,5 cm o pari a 2-2,5 cm
(nei longitipi) si ha un aumento di
volume.
L’ecostruttura ghiandolare è caratterizzata da echi fini ed omogenei. Tale omogeneità è interrotta
a livello dei poli dalle
strutture vascolari:

 Art. e vena
tiroidea superiore

 Art. e vena
tiroidea inferiore

A lato una Scansione


assiale

COLOR-DOPPLER

L’ecografia spesso è utilizzata in associazione al Color-


Doppler, presentandosi come un’integrazione dell’esame
ecografico tradizionale. Queste due tecniche insieme danno
informazioni sulla velocità dei flussi intravascolari, sul grado
e sulle caratteristiche di vascolarizzazione del parenchima
ghiandolare e delle lesioni nodulari.

Questa è l’immagine di una tiroide con l’uso del Color-


doppler:

Superiormente c’è l’immagine di una tiroide con l’uso del


Color-doppler, dove si evince:
 Assenza di segnale colore
 Presenza di multipli spot cromatici variamente
disposti all’interno del parenchima
 Più frequenti in corrispondenza dei poli lobari e dei
sottili setti fibrosi intraparenchimali
In caso di pubertà, gravidanza e allattamento la vascolarizzazione è più ricca ed evidente.
I pattern ecografici con eco-doppler sono i seguenti ed è importante conoscerli:

 PATTERN I: Assenza di apprezzabile segnale colore


 PATTERN II: Presenza di segnale colore alla periferia della lesione nodulare. Segnale peri-
lesionale.
 PATTERN III: Presenza di segnale colore all’interno della lesione nodulare (IIIa), il più delle
volte coesistente con flusso marginale (IIIb).
 PATTERN IV: Segnale colore presente e diffuso in tutta la ghiandola. E’ tipico di
un’iperplasia iper-funzionante.

POWER-DOPPLER

In un esame ecografico si può sfruttare anche il power-doppler. Esso è l’integrale del segnale
doppler, che non ci dà informazioni sulla direzione del flusso, ma fornisce la stima dell’energia
relativa al segnale di flusso rilevato. È circa 3 volte più sensibile ai flussi lenti in vasi di piccolo
calibro (anche con costante rumore di fondo), impiegato in pazienti che presentano scarsa
vascolarizzazione al color doppler. Nel corso del power-doppler non c’è alternanza dei colori blu,
rossi... in funzione dell’allontanamento o avvicinamento del segnale, ma dà informazioni
sull’intensità del flusso su un’unica scala dei colori.

In conclusione, l’ecografia tiroidea (operatore-dipendente, atraumatica e ripetibile) serve alla:

• caratterizzazione strutturale delle lesioni nodulari

• valutazione globale del parenchima ghiandolare e delle strutture cervicali (in particolar
modo delle strutture linfonodali, per orientarci verso una diagnosi di benignità o malignità,
laddove dovessero esserci noduli tiroidei)

RADIOLOGIA TRADIZIONALE

Oggi non ha alcuna applicazione sebbene in qualche


caso, come in quest’immagine di sotto, può individuare
un nodulo calcifico. In definitiva non è un esame che si
esegue di routine.

In un contesto occasionale la radiografia può


evidenziare:
 Calcificazioni
 Coinvolgimento Tracheale
 Coinvolgimento esofageo
 Sviluppo mediastinico
TOMOGRAFIA COMPUTERIZZATA

Sebbene sia stata soppiantata dalla RM, la TC trova un po’ di applicazione nella valutazione di:
 Gozzi retrosternali
 infiltrazioni alle strutture
adiacenti (trachea, esofago,
vasi, muscoli) in casi di
neoplasie tiroidee
 Stazioni Linfoghiandolari
 Lesioni a sviluppo intra-
toracico
 Recidive

Lo svantaggio di questa tecnica è


correlato all’uso di radiazioni
ionizzanti e mezzo di contrasto
iodato.

RISONANZA MAGNETICA

Per l’applicazione della RM valgono le


stesse indicazioni della TC. La differenza
delle due sta nel vantaggio della RM di non
far uso né di mezzo di contrasto iodato e
né di radiazioni ionizzanti. Essa ci
permette di caratterizzare meglio
l’immagini data la possibilità di valutazione
in T1 e T2.

SCINTIGRAFIA

Per lungo tempo è stato l’unico metodo di valutazione adeguato della tiroide. Si esegue tramite la
somministrazione di radiofarmaci:
 99m-Tc: intrappolato
 123-I: intrappolato ed organificato. E’ usato per l’imaging.
 131-I: intrappolato ed organificato. Rappresenta il fondamento dell’uso di sostanze
radioattive nel trattamento dei carcinomi tiroidei differenziati.

Quello che viene principalmente usato è il tecnezio 99m pertecnetato (in forma libera), il quale è
molto simile allo iodio per quanto riguarda il meccanismo del “simporter (NIS)” ossia entra nelle
cellule tiroidee sotto l’azione del TSH, ma non a far parte della tireoglobulina, come accade per lo
iodio, e di conseguenza non è organificato.

La scintigrafia permette di avere informazioni sulla caratterizzazione funzionale del parenchima in


toto o della lesione nodulare sospetta. Per esempio, se il tessuto analizzato è iperfunzionante si
presenterà con ipercaptazione.

Tale tecnica, non invasiva, è ripetibile ed operatore dipendente. Può essere eseguita in proiezioni:
anteriore, obliqua anteriore destra e sinistra.

CARATTERISTICHE TECNICHE DELLA SCINTIGRAFIA

Somministrazione: iniezione e.v.


Attività: 37-74 MBq (1-2 mCi)
Tempo di scansione: 20’ dalla e.v.
Strumento: Gamma camera

Quando si esegue una scintigrafia c’è il rischio che ci siano delle interferenze, date da sostanze
contenenti iodio che vanno a competere con la captazione tiroidea dello iodio marcato. Tra queste
si ricordano:

Fattore Sospensione
 Lugol 1-3 settimane
 M.d.C. (iodati) 1-4 settimane
 Antitiroidei 1 settimana
 T4 4-6 settimane
 T3 2 settimane
 Amiodarone e tutta la sua classe di farmaci

Prima di eseguire l’esame scintigrafico è necessario che queste sostanze, qualora assunte, siano
sospese nei tempi sopra indicati.

Data la peculiarità di valutare la funzionalità tiroidea, la scintigrafia viene sfruttata anche per
eseguire i seguenti tests:

 Test di soppressione (T3): noduli autonomi (per capire se c’è un’indipendenza dal TSH)
• 25 mg 3/giorno per 7 giorni
 Test al perclorato (washout): difetti di organificazione
• captazione o imaging con Iodio
• 1 g di perclorato di potassio
• captazione o imaging ogni 15’ per 90’
• Positivo: riduzione di almeno il 15%
Il risultato di una scintigrafia normale è il seguente:
• Lobi ellissoidali con occasionale ipercaptazione centrale
• L’ istmo spesso non si vede (per via delle sue dimensioni e spessore ridotti)
• Captazione omogenea
• Varianti comuni (dx > sn, piramidale)
• Margini laterali retti o convessi

Questa è l’immagine di un quadro fisiologico:

La scintigrafia trova indicazioni in caso di:


1. Anomalie (SEDE: non di facile studio con
l’ecografia, mentre con lo Iodio 123 si può
individuare una tiroide ectopica o assente;
POSIZIONE e NUMERO)
2. Noduli
3. Gozzo
4. Tiroiditi
5. Graves
6. Plummer

Nell’immagine di dx c’è un nodulo caldo, ipercaptante con relativa soppressione del restante
parenchima, perché c’è elevata produzione di ormoni tiroidei e riduzione del TSH.
Nell’immagine a sx c’è una iperplasia iperfunzionante di ambo i lobi.

In caso di ANOMALIE CONGENITE di formazione, migrazione, da incompleta chiusura del dotto


della tiroide si procede in quest’ordine:

1. US (ecografia)
2. Scintigrafia
3. TC/RM
Se l’ecografia non ci permette di dimostrare un’anomalia si procede con la scintigrafia. Se anche
questa non dovesse essere esaustiva si esegue una TC/RM.

PRICIPALI PATOLOGIE TIROIDEE


 Gozzo
 Noduli benigni e maligni
 Tiroiditi
Per tutte queste patologie la prima metodica strumentale utilizzata è l’ecografia, che può essere
sufficiente ai fini diagnostici o indirizzare verso altre tecniche.

GOZZI TIROIDEI ED ECOGRAFIA

All’ecografia i gozzi semplici appaiono con ecostruttura a trama allargata, isoecogena.


In caso di gozzi nodulari si andrà a valutare l’aspetto ecografico nodulare.
Se un nodulo si presenta isoecogeno con orletto periferico ipoecogeno è di natura benigna
(compressione, edemi, vasi). E’ provato che, mano a mano che un nodulo aumenti di dimensioni,
diventi iperecogeno, a causa dell’incremento delle interfacce tra cellule e colloide. Non esistono
noduli anaecogeni, in questi casi si tratta di cisti. Tuttavia, nella maggioranza dei casi i noduli sono
IPOECOGENI, quindi non è sulla ecogencità che si può far diagnosi tra la natura benigna o
maligna di un nodulo.

A sinistra c’è un nodulo ipoecogeno. A dx il nodulo è iperecogeno.


GOZZI E SCINTIGRAFIA

La scintigrafia nei gozzi ha un ruolo molto


limitato. In casi di gozzi multi nodulari può
essere presa in considerazione, altrimenti
l’ecografia è sufficiente.

IPERPLASIA IPERFUNZIONANTE ED ECOGRAFIA

All’ecografia si evidenzia disomogeneità


strutturale in termini di ecogenicità. Con
l’aggiunta del color power-doppler avremo il
seguente quadro:

Si evince un PATTERN IV, tipico delle


iperplasie, con vascolarizzazione ricca e
disordinata → INFERNO TIROIDEO. Non
infrequente è anche il riscontro di flussi
turbolenti con shunt artero-venosi.

IPERPLASIA IPERFUNZIONANTE E SCINTIGRAFIA

In tale contesto patologico, la scintigrafia ha un ruolo se si pensa di sottoporre il paziente ad una


terapia con iodio radioattivo. Generalmente la prima scelta terapeutica cade sui farmaci anti-
tiroidei. Negli Stati Uniti invece, si intraprende direttamente il trattamento con iodio radioattivi
poiché più economici ed indicati, trattandosi di una patologia al alto rischio di recidiva che
necessiterebbe di una terapia cronica anti-tiroidea.

Con la scintigrafia si va a valutare:

 La misura di captazione sia in termini qualitativi, facendo riferimento a tessuti circostanti


come le ghiandole salivari e sia in termini quantitativi, esprimendo la quantità di iodio
radioattivo presente nella tiroide, come percentuale di quello che è stato somministrato.
In conclusione si possono osservare la vascolarizzazione con l’ecografia e l’entità della captazione
con la scintigrafia.

N.B: E’ importante ricordare che se dovesse essere necessario un trattamento con I-131
bisognerebbe ricorrere alla scintigrafia.

NODULO TIROIDEO

Si tratta di una lesione focale della tiroide rilevata alla palpazione e all’esame ecografico. Un
nodulo può anche presentarsi come un incidentaloma, qualora venisse indentificato durante
ecografia o altre tecniche di imaging (CT, MRI o PET-FDG), eseguite per altri accertamenti
diagnostici.

La definizione radiologica di un nodulo tiroideo è la seguente: Lesione tiroidea ben definita,


radiologicamente distinta rispetto al parenchima tiroideo circostante.

Il primo problema da risolvere è capire la natura del nodulo riscontrato. Dalla palpazione non è
possibile fare la differenza tra una forma benigna e maligna, così come se si ha a che fare con un
nodulo singolo o multinodulare. Queste sono le seguenti cause di noduli tiroidei:

BENIGNI MALIGNI

 Gozzo Multinodulare Carcinoma papillare


 Tirodite di Hashimoto Carcinoma Follicolare
 Cisti Carcinoma a c. di Hurtle
 Adenoma Follicolare Carcinoma Midollare
 Tiroidite Subacuta Carcinoma Anaplastico
Linfoma Tiroideo Primitivo
Metastasi
Nell’ambito dei noduli tiroidei si può fare uso di:
 B-mode
 Ecocolor Doppler
 Power Doppler
 Mezzi di contrasto ecografici: non hanno trovato grande riscontro
 Elastografia

ECOGRAFIA E NODULO TIROIDEO

Con l’esame ecografico è possibile analizzare:


 Numero (singoli o multipli)
 Sede
 Calcificazioni
 Struttura: -segnale anecogeno
-segnale ipoecogeno
-segnale isoecogeno
-segnale iperecogeno
 Pattern vascolare
 Linfoadenopatie latero-cervicali

Tipico aspetto ecografico di un nodulo


benigno: isoecogeno con alone ipoecogneo

Scansione longitudinale di uno stroma


multinodulare con componente colloido-cistica
Nella prima immagine: Nodulo solido
con componente periferica colliquata
(emorragia). Nella seconda un nodulo
con probabile componente
emorragica.

COLOR-DOPPLER

Questi sono i quattro pattern possibili:


• assenza di segnale
• segnale in sede peri-nodulare
• segnale in sede peri-e intra-nodulare: si può trovare sia negli adenomi funzionanti sia nelle
lesioni maligne
• segnale diffuso
(Da questo momento in poi il prof ha mostrato una carrellata di immagini sui noduli tiroidei.
Chiunque fosse interessato può trovare le altre nel pacchetto slide corrispettivo.)

Queste sono tipiche immagini di un nodulo con vascolarizzazione evidente peri-lesionale.


NODULO BENIGNO ALL’ECOGRAFIA

Sarà caratterizzato da:


• segnale anecogeno o iperecogeno, anche ipoecogeno: se è anecocogeno si tratta di cisti
• margini regolari
• calcificazioni a guscio d’uovo
• assenza del segnale eco-doppler: più il segnale è assente, più è probabile la malignità
• assenza di linfoadenopatie latero-cervicale

NODULO MALIGNO ALL’ECOGRAFIA

• Dimensioni > 1-1,5 cm


• Ecostruttura ipoecogena (o mista)
• Presenza di microcalcificazioni interne
• Margini irregolari o lobulati
• Assenza dell’alone periferico: è detto anche “segno dell’aura”, tipico aspetto dei noduli
benigni
• Vascolarizzazione intralesionale al Color e Power Doppler
• Presenza di linfoadenopatie satelliti
Le caratteristiche ecografiche dei noduli tiroidei sono le seguenti:

 L’uso di sonde lineari con alta frequenza (10-14 MHz) consente l’identificazione di noduli
delle dimensioni di 2 mm. Ricorda che noduli al di sotto dei 5 mm non sono candidabili
all’esame citologico, perché non viene prelevato sufficiente materiale cellulare con risultati
dubbi
 Sono suggestivi di malignità noduli di dimensioni > 1-1,5 cm
 Le caratteristiche ecografiche del nodulo integrate con il parametro dimensionale
influiscono sull’iter diagnostico
 La crescita del 20% delle dimensioni di un nodulo con un incremento > 2 mm in almeno 2
diametri è indicativo di malignità

Diametro longitudinale superiore allo spessore: probabilità di benignità del nodulo


Ecostruttura ipoecogena

Ridotta rispetto al parenchima tiroideo circostante e sovrapponibile a quella dei muscoli anteriori
del collo. Non è un dato fortemente affidabile sulla natura del nodulo, però più esso è ipoecogeno,
più è probabile la natura di benignità.

Bisogna sempre valutare la presenza di componenti fluide e solide. Nelle immagini sopraindicate ci
sono noduli misti a contenuto solido ed anecogeno o anecogeno con componente murale solida.

Il rischio di malignità incrementa con componente solida


eccentrica e > 50%.

Non dimenticare di osservare i margini. In tal caso sono


irregolari e lobulati.
Osservare anche l’alone è di fondamentale importanza. Se è assente o discontinuo c’è un
incremento del rischio di malignità.

Microcalcificazioni intranodulari. Spot iperecogeni senza artefatto a coda di cometa.

Presenza di segnale colore all’interno della lesione nodulare ed in particolare nella porzione
centrale del nodulo. Più il segnale è centrale, maggiore è la maturità del nodulo.
Circa 3 volte più sensibile dell’eco-color
doppler ai flussi lenti dei vasi di piccolo
calibro

Questa è un’immagine rappresentativa di un


microcarcinoma papillifero che ha una elevata
componente fibrotica ed una bassa
vascolarizzazione.

In presenza di noduli tiroidei è opportuno andare ad osservare anche i linfonodi laterocervicali


all’ecografia. Ponendo attenzione alla:

 Morfologia
(rapporto tra il diametro maggiore ed il minore, Se>2 aumenta il rischio di malignità)
 Dimensioni
(spessore < 5mm)
 Ecostruttura
(ipoecogena con ilo centrale iperecogeno)
 Rappresentazione delle strutture ilari
 Pattern Vascolare

NODULO TIROIDEO E SCINTIGRAFIA

In base alla captazione si può distinguere un nodulo:

• Freddo: assenza totale di captazione. Non è indicativo di malignità. Solo il 10-20% dei noduli
freddi è maligno.

• Ipocaptante: lieve captazione. Esso può essere qualsiasi cosa.

• Caldo: la sua natura ipercaptante esclude che sia un ca tiroideo con una certezza del 99%.
Nodulo tiroideo “freddo”

Il rischio di insorgenza di un nodulo freddo è pari al 2.7% in zone senza carenza ionica, mentre sale a 5.3 %
laddove c’è carenza di iodio.

Un nodulo tiroideo “caldo” esclude Ca

In aree geografiche senza carenza iodica


 US + TSH
– FNAB se TSH normale
– Scintigrafia se TSH ridotto
In aree geografiche con carenza iodica: SCINTIGRAFIA

In alto a sinistra si evince un nodulo freddo. In basso a destra un nodulo caldo.

(Per quanto riguarda i markers e l’esame citologico il prof non si è soffermato molto)

ESAME CITOLOGICO ECO-GUIDATO

 10% - 20% inadeguato campionamento


 Noduli di dimensioni < 8mm presentano una bassa percentuale di successo del FNA
 L’uso di guida ecografica per l’esame citologico ha ridotto gli esami non diagnostici del 20%
- 10%
 L’uso di guida ecografica per l’esame citologico, nei confronti del FNA senza guida
ecografica, ha consentito il risparmio di 138 € per ogni diagnosi accurata in più di nodulo
benigno versus maligno

LABORATORIO:Markers

• Tireoglobulina: Ca Papillifero e Follicolare


• Calcitonina: Ca Midollare
• Carcinoembryonic Antigen(CEA):Ca Midollare
• Tissue Peptide Antigen (TPA): Ca Anaplastico

Oggigiorno il nodulo tiroideo si presenta come un’entità molto comune.


 Il 3% - 7% è rilevato alla palpazione
 Il 50% si identifica come rilievo autoptico (> 1cm)
 Il 67% è un rilievo US (qualsiasi dimensioni)
Anche il ca tiroideo ha subito un incremento di 2-3 volte negli ultimi 30 anni fino a rappresentare il
15% dei noduli.
Si tratta di un incremento reale o è legato all’elevata sensibilità delle tecniche di imaging? E’
dovuto ad entrambi.

Come bisogna agire in casi di ca tiroidei nodulari differenziati?

Ci sono ancora studi in corso. In linee generali è consigliato eseguire una tiroidectomia totale,
seguita da una terapia adiuvante ablativa con iodio 131 (sostanza ablativa) nei casi più complessi
(una buona percentuale). Per lesioni tiroidee maligne di diametro inferiore ad 1 cm è consigliato
procedere con una lobectomia. Quest’approccio presenta un piccolo problema nel follow-up. Il
paziente con tiroidectomia totale viene seguito tramite il dosaggio della tireoglobulina (in tal caso
dovrebbe essere assente o al di sotto 0,2 ng/ml) e l’esame ecografico del collo, ai fini di
identificare una possibile recidiva o metastasi. Non può essere usato il dosaggio della
tireoglobulina nel follow up di un paziente lobotomizzato: ciò pone il problema di come
controllarlo con la semplice ecografia. Bisogna ricordare che la tireoglobulina non è un marker
neoplastico della tiroide; in una persona sana essa è dosabile nel siero.

RICAPITOLANDO:

In caso di nodulo tiroideo la prima indagine da eseguire è US. Tale può indirizzarci verso una forma
nodulare benigna/maligna, così come può guidarci all’esecuzione di una FNAB. La citologia infatti,
non è da eseguire in tutti i casi di patologie nodulari tiroidee.

Ai fini della valutazione diagnostica nodulare è essenziale prendere in considerazione:


• Pazienti con rischio anamnestico
• Noduli > 1 cm
• Incidentalomi sospetti
E’ essenziale determinare quali lesioni nodulari hanno un alto potenziale di malignità. Ai fini di ciò
si ricorre alla ricerca dei seguenti fattori suggestivi malignità:
 Storia Familiare
 Precedente Irradiazione
 Età <14 o >70 anni
 Uomini
 Nodulo in accrescimento
 Consistenza
 Linfoadenopatie Cervicali
 Nodulo Fisso
 Persistente disfonia, disfagia, o dispnea
Il rischio di malignità non è maggiore per i noduli solitari palpabili rispetto a patologia multi
nodulare.

LINEE GUIDA

Tra le società che sono nate ai fini di dare indicazioni su come agire in presenza di patologie
tiroidee c’è:
• AACE/AME/ETA: europea
• ATA: americana
• BTA: britannica
• NCI: statunitense
Queste consigliano di tener conto di esami di laboratorio (biochimici e molecolari), di imaging e
della citologia.

Tale è l’ordine da seguire:


In tutti i pazienti con nodulo/i l’US permetterà di confermarne la presenza, esplorare la ghiandola,
valutare il rischio di malignità. Nel 50% dei casi con nodulo solitario alla palpazione, l’US riscontra
altri noduli.

Tutte le seguenti immagini ricapitolano le caratteristiche ecografiche indicative di malignità.

CARATTERISTICA BASSO RISCHIO ALTO RISCHIO


MARGINI Ben definiti Poco definiti, estensione
extracapsulare
FORMA Regolare Irregolare
MICROCALCIFICAZIONI Assenti Presenti
ECOGENICITA’ Iso-iper Ipo
STRUTTURA Cistica, spongiforme o mista Solida
FLUSSO DOPPLER Periferico Intranodulare, caotico
LN PATOLOGICI Assenti Presenti

Questa è una tabella in cui sono riportati tutti i criteri ecografici che possono essere utili ai fini
diagnostici.

Come riportato nel grafico, nessuna delle caratteristiche ecografiche, presa singolarmente,
possiede una specificità e sensibilità adeguate, non tanto ai fini diagnostici, ma per decidere se
eseguire un agoaspirato. Invece, l’uso di più di due caratteristiche ecografiche aumenta la capacità
di discriminare tra condizioni di benignità e malignità.
Criteri che vengono presi in considerazione per eseguire un FNA sono:
 Sempre se il nodulo è >1cm
 Se è <1cm: in pazienti ad alto rischio, con caratteristiche sospette all’US

Per la tiroide esiste il TIRADS (Thyroid Imaging Reporting And Data System), nato con l’obiettivo di
unificare la diagnosi di malignità nodulare, avvalendosi di criteri ecografici e di pattern vascolari.
In funzione di questi criteri vengono individuati 6 TIRADS.
Dal TIRADS 1 al TIRADS 3 il rischio di malignità è molto basso. Nel TIRADS 5 il rischio è molto
elevato.

CATEGORIA DEFINIZIONE RISCHIO


TIRADS 1 Negativo 0
TIRADS 2 Benigno 0
TIRADS 3 Probabilmente benigno 2%
TIRADS 4a Rischio basso 3%
(1 caratteristica US)
TIRADS 4b Rischio intermedio 9%
(2 caratteristiche US)
TIRADS 4c Rischio moderato 44%
(3-4 caratteristiche US) 72%
TIRADS 5 Rischio alto 88%
(5caratteristiche US)
TIRADS 6 Positivo 100%
Essendo molto ampio, per il TIRADS 4 c’è stata un’ulteriore suddivisione in tre sottogruppi (4a,4b,
4c) in base al numero di caratteristiche ecografiche suggestive di malignità.
In questo modo è possibile indirizzarci verso quale classe di rischio appartiene il paziente e capire
quando è necessario eseguire una citologia.

ELASTOGRAFIA

Questa tecnica viene usata per valutare la rigidità del nodulo tiroideo. Non ci sono però, studi che
hanno dimostrato una sua utilità. È tra gli esami presi meno in considerazione in ambito tiroideo.

Le caratteristiche dell’elastografia sono le seguenti:


 La consistenza del nodulo è associata al rischio di malignità
 Ha mostrato elevata sensibilità e specificità indipendentemente dalle dimensioni ed anche
nelle citologie indeterminate o non diagnostiche
 Non è indicata nei noduli con guscio calcifico, nelle situazioni di multinodularità confluente
e nei noduli predominantemente cistici
 Sono necessari ampi studi prospettici

Questo è uno schema che sintetizza l’iter da seguire in casi di nodulo/i tiroidei.

MRI-DWI

Come detto in precedenza la TC e la RMN hanno un ruolo limitato. Con l’aggiunta del DWI
(immagini che guardano alla diffusione dell’acqua) c’è stato un miglioramento della sensibilità
della RMN nell’identificare la natura del nodulo. In caso di nodulo benigno il coefficiente di
diffusione è più alto di quello dei noduli maligni, dato che quest’ultimi sono ricchi di cellule e
membrane, agenti come ostacoli allo spostamento dell’acqua.
Questo è un altro studio effettuato con la MRI dinamica (dopo somministrazione di mezzo di
contrasto). Come per la mammella anche per la tiroide ci sono dei pattern tipici per i noduli
benigni ed altri per quelli maligni. Per esempio, il nodulo maligno si associa ad una rapida
impregnazione e dismissione. Invece, i noduli benigni hanno un andamento lento nell’accumulo e
nella dismissione.

PET/TC con FDG

• Non ha nessun ruolo attualmente


• Potrebbe essere utile nei casi dubbi (citologia indeterminata), per gli incidentalomi, per i noduli
subcentimetrici

INCIDENTALOMI E CT/MRI

No caratteristiche definite predittive di malignità


• 16% - 20% (frequenza)
• Ulteriori indagini: >1 cm, calcificazioni, invasività
• rate di malignità 4% - 11%
• < 1 cm ??
INCIDENTALOMI ALLA PET-FDG

Un incidentaloma, rappresentato da una captazione bilaterale magari anche estesa a tutta la


tiroide, è una situazione di benignità: il rischio di malignità è <1,5%. Se si ha un riscontro di una
captazione di FDG focale il rate di malignità aumenta. In caso di Uptake focale si può associare una
TC: se l’indice di hounsfield è basso, il rischio di malignità sale fino al 50%.

CITOLOGIA INDETERMINATA

Ci sono percentuali variabili in cui la citologia


di un nodulo tiroideo è dubbia. In questi casi
si può ricorrere ad un’emitiroidectomia che
diviene diagnostica, ma solo il 20-30% dei casi
è risultato essere maligno. E’ stato così
seguito un intervento inutilmente. Ai fini di
evitare ciò, ci sono dei markers promettenti
(perossidasi, telomerasi, RET,p53, …) oppure
si può fare imaging.

Come riportato nel grafico, utilizzando la US-


TIRADS in noduli con citologia indeterminata
si ha un elevato valore predittivo negativo.
Applicando la PET/TC in casi di citologia indeterminata si va ad eseguono delle indagini eccessive,
anche se si associa al minor ricorso dell’emitiroidectomia diagnostica.

Il valore predittivo in quest’altro


studio è stato trovato più elevato,
intorno al 96%.

NODULI SUBCENTRIMETRICI

Le linee guida consigliano:


 FNA in noduli < 5 mm solo in presenza di metastasi LN (ATA )
 FNA in noduli < 10 mm solo se criteri US sospetti (AACE )
 No FNA in noduli < 5 mm senza fattori di rischio clinico (alto rate di FP a US e incrementato
rate di citologia inadeguata)
-FNA se incremento dimensioni > 50% nell’arco di 6-12 mesi

AUTONOMIA FUNZIONALE

Con questo termine si fa riferimento al campo dei NODULI AUTONOMI TIROIDEI. La loro
prevalenza e rilevanza funzionale aumentano con età, volume e nodularità. Si tratta sempre di un
processo graduale.

Gli aspetti ecografici di questi tipi di noduli sono i seguenti:


 Nodularità circoscritta: caratteristica di benignità
 Ipoecogenicità in 80% dei casi
 Ipervascolarizzazione al Doppler

Al color doppler gli adenomi (esempio di noduli autonomi funzionanti) presentano:


 Nell’80-90% dei casi un PATTERN IIIB: peri-lesionale ed intra-lesionale
 Nel 10-20% PATTERN IIIa: solo intra-lesionale
Alla scintigrafia un nodulo autonomo appare ipercaptante rispetto al rimanente parenchima.
Nel caso in cui il risultato scintigrafico non dovesse essere esaustivo, si procede con il test di
soppressione: somministrando T3 per alcuni giorni e poi facendo la scintigrafia possiamo vedere
se il nodulo è autonomo, perché il resto del parenchima si sopprime.

TIROIDITI

Si distinguono i seguenti tipi:


 Acute
 Subacute
 Croniche
 Autoimmuni
 Altre

ASPETTI ECOGRAFICI DELLE TIROIDITI

TIROIDITE ACUTA TIROIDITE CRONICA


 aspetto pseudonodulare,  aspetto disomogeneo
 ecostruttura ipoecogena con aree  diffusa ipoecogenicità
anecogene
 assente vascolarizzazione intranodulare.
TIROIDITE SUBACUTA (DE QUERVAIN) TIROIDITI AUTOIMMUNI
 aspetto disomogeneo e pseudonodulare  volume aumentato
 diffusa ipoecogenicità  struttura disomogenea
 scarsa vascolarizzazione  ipoecogenicità
 non sono differenziabili all’ecografia

La DIAGNOSI delle TIROIDITI consta di ecografia ed anticorpi.

In genere eutiroidismo o ipotiroidismo con pattern ecografico tipico anche in assenza di anticorpi
indica TIROIDITE. In alternativa ci si può trovare dinanzi ad un quadro ormonale di ipertiroidismo
(anche sbubclinico: con assenza di sintomi, ma elevati valori di frazioni libere di T3 e T4 e basso
TSH) con pattern ecografico tipico e presenza di anticorpi anti-recettori del TSH, questo quadro fa
pensare sia ad una tiroidite che al Graves. La diagnosi differenziale si può fare con la scintigrafia.
Laddove si riscontra un’ELEVATA captazione si tratterà di GRAVES, altrimenti sarà una tiroidite.
Questo però non vuol dire che bisogna eseguire una scintigrafia nei casi di tiroiditi certe
all’ecografia.

RICAPITOLANDO…

Quali sono gli esami diagnostici usati per la tiroide?

ESAMI DI I° LIVELLO
 ECOGRAFIA: Morfologia
 LABORATORIO: Funzione “in vitro”
 SCINTIGRAFIA: Funzione “in vivo”

ESAMI DI II° LIVELLO


 CITOLOGIA ECOGUIDATA
 TOMOGRAFIA COMPUTERIZZATA e/o
 RISONANZA MAGNETICA (dettaglio anatomico)
PARATIROIDI

ANATOMIA

• In genere 4 (ai lati dei poli superiori ed inferiori della tiroide)


• Dimensioni 5x3x1 mm, peso10-70 mg (media 35 mg)
• Istologia: Cellule Principali (PTH), Ossifile (?), Chiare (?)
• Varianti Normali: Numero: 3-5% in meno, 10% in più
• Sede: mediastino (15% delle ectopie)

FISIOLOGIA

• PTH: polipeptide di 84 aa, controllo feed-back del Ca


• Differenti forme molecolari:
- intatto e frammento aminoterminale (forme attive)
-frammento carbossilico (inattivo)
 PTH: l’omeostasi del Ca extracellulare mediante il cAMP
• Azioni: Mobilizzazione Ca osseo, aumento riassorbimento del Ca a livello tubulare renale,
conversione della Vit D in forma attiva (assorbimento intestinale)

PATOLOGIA PARATIROIDEA

Può essere:

 Ectopica: retro-esofagea, sotto-sternale, mediastinica

 Iperplasia

 Adenoma: singolo o multipli

 Carcinoma: raro

IPERPARATODISMO

Ha un’incidenza bassa, pari allo 0,1%. Si presenta con elevati livelli di PTH e spesso di Ca. Nel 90%
la diagnosi si fa nell’ipercalcemia asintomatica. Esso si distingue in base all’eziologia in:

 Primitivo: – lesioni ghiandolari (iperplasia, adenoma, carcinoma)


– osteodistrofia fibrosa sistemica o malattia di Recklinghausen
– tumori a cellule brune (osteoclastomi)

 Secondario
– insufficienza renale cronica (nefropatia glomerulo-tubulare)
– carenza di Calcio
– iperplasia delle paratiroidi
 Pseudo iperparatiroidismo (ectopico)
– peptide PTH-simile
– tumori polmonari (epidermoide) e renali

IPERPARATIROIDISMO PRIMITIVO

Per quanto riguarda l’iperparatiroidismo primitivo è dato nella maggioranza dei casi da un
adenoma paratiroideo (85%), che può essere anche multiplo. Nel 15% dei casi è dato da
un’iperplasia paratiroidea (anche bilaterale) e da carcinoma delle paratiroidi (1-3%). Nel 5-20% si
riscontrano alla base dell’iperparatiroidismo lesioni ectopiche: intra-tiroidee, mediastino
posteriore (più frequenti), para-esofagee, para-tracheali, para-carotidee, intra-timiche. Esso è la
terza patologia endocrina dopo diabete ed ipertiroidismo. Ha una prevalenza nelle donne > 50
anni: 2%. Si associa ad elevati livelli di Ca e di PTH. Talvolta PTH è normale ma inappropriato alla
ipercalcemia.

Segni e Sintomi
 Scheletro: fratture osteoporotiche, dolore, lesioni ossee, condrocalcinosi
 Reni: nefrolitiasi, nefrocalcinosi, insufficienza renale
 GE (raro): ulcere peptiche, pancreatiti, stipsi
 Ipertensione
 Talvolta sintomi neuropsichiatrici
 Crisi Ipercalcemiche rare ma gravi (emergenza)

La chirurgia è l’unica terapia curativa.


Le indicazioni attuali alla chirurgia sono:
 età < 50
 calcio > 0.25 0.25 mmol/L al di sopra dei v.n.
 clearance creatinina < 60 mL/min
 livelli di calcio urinario nelle 24 h >10 mmol
 aumentato rischio di calcoli o nefrocalcinosi all’imaging
 osteoporosi
 frattura vertebrale all’imaging

Per poter eseguire un intervento chirurgico di escissione bisogna conoscere la sede ed è qui entra
in azione la diagnostica per immagini. Ha una notevole importanza soprattutto quando si va ad
eseguire una chirurgia mininvasiva, dove si può far ricorso a delle sostanze radioattive che
permetteranno di individuare le masse iperfunzionanti in intraoperatorio. Bisogna ricordare che
anche se alla base di un iperparatiroidismo c’è un adenoma nel 80% casi, è possibile trovarsi
davanti ad una patologia multi-ghiandolare (adenomi o iperplasia) nel 15-20% dei casi.
In sintesi l’IMAGING PREOPERATORIO:
 Riduce l’estensione della dissezione anatomica
 Riduce il tempo operatorio
 Riduce la morbilità
 Evidenzia eventuali sedi ectopiche

DIAGNOSTICA PER IMMAGINI E PARATIROIDI

La DPI applicata in un contesto di patologie paratiroidee permette:


 La localizzazione pre-operatoria della lesione
 L’individuazione di recidive: queste sono molto minori se si fa una chirurgia guidata
dall’imaging

Questa è una tabella dov’è riportata l’accuratezza delle metodiche di imaging nell’ambito delle
patologie paratiroidee. Si presenta molto alta nella fase preoperatoria, mentre cala
nell’identificare le recidive.

LOCALIZZAZIONE DELLA LESIONE IPERSERCENENTE PTH

- Diagnosi Clinica Iniziale:


• l’identificazione pre-chirurgica della lesione mediante la diagnostica per immagini
consente un intervento più rapido e mini-invasivo

- un singolo esame diagnostico (ecografia e/o scintigrafia) è sufficiente in caso di lesione “tipica”
o scintigrafia in caso di lesione “ectopica”
• TC e/o RM sono indicate in caso di lesioni “ectopiche” non identificate dalla scintigrafia

-Follow-up post-chirurgico:
 la diagnostica per immagini è indispensabile (tessuto cicatriziale, recidiva, incremento
dell’incidenza delle lesioni multi-focali o ectopiche)
 un doppio esame diagnostico (scintigrafia e RM/TC) è indicato per offrire un’imaging
integrato anatomico (RM/TC) e funzionale (scintigrafia). ESSENZIALE QUANDO SI SOSPETTA
UNA RECIDIVA.

SCINTIGRAFIA e PARATIROIDI

Da studi è stato dimostrato che la scintigrafia è SUPERIORE alla US in circa la metà dei casi, con
eccellenti valori di accuratezza.

Questi sono i radiofarmaci che possono essere utilizzati:


 75-Se-metionina
 75-Se-metionina / 99mTc
 67-Ga
 131-Cs
 201-Tl / 99mTc
 99mTc-MIBI / 99mTc (123-I): più usato oggi

In effetti è in fase di studio


anche la scintigrafia con
FLUOROCOLINA.

La scintigrafia con 99mTc-


MIBI è in grado di
permettere un Washout
differenziale tra tiroide e
paratiroidi forse per
presenza di cellule ossifile
(ricche di mitocondri).

Questo nell’immagine è un primo metodo con il MIBI dove ci si basa sull’acquisizione di immagini
precoce e tardiva.

Questo è l’altro metodo di applicazione della


scintigrafia con MIBI. Qui, in aggiunta viene
usato anche un tracciante radioattivo tiroideo
(I123). Il sestamibi si concentra sia nella tiroide
che paratiroidi, a distanza di 10 minuti dalla
somministrazione.

Acquisendo anche l’immagine della tiroide che


ha captato lo I123, questa la si può sottrarre
all’imaging con MIBI, visualizzando soltanto la
concentrazione paratiroidea della sostanza.
Tale è un ulteriore approfondimento di imaging. Si può ottenere con l’uso di macchine ibride come
la SPET-TC. Nelle immagini D e E si vedono noduli che captano il MIBI, mentre in quelle F e G si
evidenzia captazione di I123 e quindi si può classificarli come noduli tiroidei.

Questa è una classica sede ectopica di paratiroidi. Si tratta di un pzt con lobectomia dx per una
patologia benigna. Nella immagine a sinistra (precoce) si vede anche la tiroide, in quella a dx
(tardiva) è visualizzata solo la paratiroide. In tal caso si è in presenza di un adenoma paratiroideo
ectopico.

Le INDICAZIONI della scintigrafia delle paratiroidi:

 Iperparatiroidismo Primitivo: Localizzazioni Preoperatorie, aiuto della chirurgia


radioguidata, recidive.

 Iperparatiroidismo secondario: localizzazioni ectopiche, forme terziarie (in autonomia


funzionale captano).

N.B l’ecografia non è adatta alla ricerca di localizzazioni ectopiche.

TC e PARATIROIDI

La TC si presenta come una tecnica spirale multi-strato


“volumetrica”. Fa uso di scansioni assiali sottili
(collimazione = tra 1 e 5 mm) e di mdc iodato endovena
con conseguente intensa impregnazione della lesione.
Permette ricostruzioni MPR su piani sagittali e coronali.

Questa è un’immagine alla TC di un adenoma di grandi


dimensioni.

Con la combinazione MIBI-TC si avrà una sensibilità del 100%, mentre la TC-MIBI in forma di
SPET/CT presenta una sensibilità del 93% ed una specificità del 100%.

Gli SVANTAGGI della TC sono:


 radiazioni ionizzanti
 effetti indesiderati da mdc
 artefatti da clips chirurgiche
 sensibilità diagnostica (46-88%): non brillante

RM E PARATIROIDI

Si presenta come:
 tecnica multi- planare (assiale, coronale e sagittale): “elevata risoluzione spaziale”
 con scansioni sottili (< 5 mm)
 studio del collo e del mediastino
 con uso di mdc paramagnetico endovena: quelli “paramagnetici” sono a base di
GADOLINIO che si evidenziano sulle immagini T1, perché alterano il segnale.
 tecnica multi-parametrica (T1, T2, T1 fat-sat, T2 fat-sat, T1 mdc): “elevata risoluzione di
contrasto”
Queste sono immagini alla RMN di un
adenoma paratiroideo. Il segnale si
presenta: in T1 iso-ipo-intenso; in T2 iper-
intenso; in T1 dopo mdc è ancora più
intenso.

La tiroide della paziente non mostra un quadro chiaro all’ecografia. Si è proceduto con la
scintigrafia con MIBI (immagine precoce e tardiva) ed il quadro continua ad essere dubbio. In tal
caso è opportuno eseguire una RM.

PROTOCOLLO DIAGNOSTICO: PARATIROIDI


 Anamnesi, esame clinico
 Valutazione di laboratorio
 Ecografia-Doppler
 Scintigrafia
 TC e RM (ectopie mediastiniche)
SURRENI

Anatomia e Fisiologia
• perirenale retroperitoenale
• circondati da tessuto adiposo
• forma: sn lineare, dx a Y invertita
• dimensioni: lunghezza 2-3.5 cm,
larghezza 2-2.5 cm, spessore 1 cm

Sezioni Anatomiche dei Surreni. La loro


forma ad “Y” ed a “V” la si riscontra
anche all’imaging.

Ogni surrene consta di due parti:

• Corticale: glomerulare (esterna, produce aldosterone)


fascicolata (centrale, produce cortisolo)
reticolare (interna, produce o. sessuali)
• Midollare: produce epinefrina

IMAGING e SURRENE

L’imaging può essere applicato in ciascuna delle seguenti indicazioni cliniche:


 Ipertensione Arteriosa: questa può essere correlato ad un Cushing o ad un feocromocitoma
 Sindrome di Cushing (Fascicolata)
 Sindrome di Conn (Glomerulosa)
 Sindrome Adreno-Genitale (Reticolata)
 Feocromocitoma (Midollare)
 Incidentalomi

Le tecniche di immagine adoperate sono le seguenti:


• Rx Tradizionale
• Angiografia: non si adopera sostanzialmente
• Flebografia: non si adopera in generale
• Ecotomografia
• Tomografia Computerizzata
• Risonanza Magnetica
• Scintigrafia

L’US ha lo svantaggio di essere molto limitata per il surrene.

La più adoperata è la TC, anche la RMN non è da sottovalutare soprattutto in alcune situazioni.
RX TRADIZIONALE e SURRENE

In passato veniva utilizzata per prelievi selettivi in flebografia. Oggi invece, il suo ruolo è molto
selettivo.

Può essere adoperata per:


 Diretta Addome + Stratigrafia: dimensioni e
calcificazioni (m. di Addison)
 Urografia + Stratigrafia: rapporti rispetto ai poli
renali
 Angiografia: vascolarizzazione
 Flebografia: prelievi selettivi
La sua utilità la si ritrova nei casi di incidentalomi:
identificazione di una calcificazione surrenalica dx, come
nella seguente immagine.

(Le slide sull’arteriografia e flebografia non sono state


prese in considerazione dal prof a lezione. Ve le riporto
qui sotto, ugualmente).

Angiografia: Surrene
 Globale o selettiva
 Aortografia addominale preliminare
 Cateterismo selettivo delle a. surrenaliche
(superiore, media ed inferiore)

Flebografia: Surrene
 Cateterismo delle vene surrenaliche
 Prelievi selettivo per dosaggi ormonali

US e SURRENE
 Ultrasuoni, non invasiva
 Scansioni longitudinali, assiali, coronali e oblique
Limiti:
a) surreni normali o iperplasici
b) dimensioni della lesione ( <3cm)
c) meteorismo intestinale: non permette di studiare bene i surreni
Grossa massa surrenalica a struttura disomogenea con componenti ipo-anecogene ed aree
iperecogene.

Nonostante il suo potere limitato, l’US può essere utilizzata in prima istanza in caso di lesioni di
grandi dimensioni ed in pediatria.

TC e SURRENE

Si tratta di una TC spirale con uso di radiazioni ionizzanti. Sono eseguite scansioni assiali: “a strato
sottile” (<5 mm), ricostruzioni sagittali o coronali ad alta risoluzione spaziale: <1cm (5 mm).

Limiti:

a) meteorismo intestinale
b) scarso tessuto adiposo retroperitoneale: perché riduce la capacità di contrastare il
surrene dal tessuto circostante
c) movimenti respiratori
d) “clips” chirurgiche
La TC permette di valutare:
 Surreni normali o iperplasici
 Piccole lesioni nodulari
 Vascolarizzazione (angio-TC): con uso di mdc
 Rapporti loco-regionali: dislocazione o infiltrazione (indice di malignità)
 Biopsia con ago sottile
In queste immagini si osservano due
surreni normali, indicati dalla frecce.
Quello di dx ha una forma di una V, il Sn è
simile ad Y.

Con l’uso del mdc si valuta la velocità di impregnazione, ma anche quella di dismissione.

In genere, le lesioni benigne hanno un rapido washout, rispetto a quelle maligne.

Nel caso dei surreni non preoccupa molto la distinzione tra benigno e maligno, dato che
l’approccio sarà sempre chirurgico.

RM e SURRENE

Con la RM è possibile eseguire uno studio multi-parametrico senza la necessità di usare un mdc.

Limiti:
a) Movimenti respiratori
b) “clips” chirurgiche metalliche

Le sue indicazioni sono simili a quelle della TC, con l’aggiunta di caratterizzare la lesione in T1 e T2.
Queste sono tutte le indicazioni elencate:
 Surreni normali o iperplasici
 Distinzione tra corticale (iperintensa) e midollare (ipointensa)
 Lesioni espansive
 Vascolarizzazione (Gadolinio)
 Rapporti loco-regionali

 Caratterizzazione tissutale (T1/T2): il surrene normale ha un’intensità medio-bassa in T1 e


T2.
SCINTIGRAFIA e SURRENE

La scintigrafia viene presa in considerazione solo per alcuni sospetti patologici surrenalici. Affinché
essa si utilizzi è necessario già avere un orientamento sulla patologia del surrene.

I radiofarmaci applicati sono differenti a seconda della zona surrenalica analizzata:


 Corticale: norcolesterolo
 Midollare: MetaIodioBenzilGuanidina
 Metabolismo del glucosio:FDG (PET)
 Recettori della somatostatina: Octreotide
Quali sono le metodiche utilizzate nelle patologie surrenaliche?

CORTICOSURRENE

Diagnosi della S. Cushing

• Screening: Test al desametazone basse dosi (no riduzione del cortisolo), Cortisolo Libero
Urinario
• Conferma: Ritmo circadiano del cortisolo
• Diagnosi differenziale ACTH dipendenti ed indipendenti: Test al desametazone alte dosi
(riduzione del cortisolo >50% nelle dipendenti)
Imaging permetterà di valutare PRESENZA, SEDE ED ESTENSIONE DELLA LESIONE. Nei casi di
lesione situata nel cranio (ipofisi) si usa la RM, se è al surrene si richiede una TC/RMN ed
eventualmente coadiuvate da una scintigrafia.
La sindrome di Cushing può essere data da IPERPLASIA SURRENALICA. Questa si evidenzia con la
TC dove si presenta come un’iperplasia diffusa o nodulare. Si può ricorrere anche alla RM, la quale
farà visualizzare iperplasia con segnale isointenso al fegato (normale).

In caso di Cushing da ADENOMA SURRENALICO. Alla TC ci sarà formazione ipodensa senza


enhancement dopo m.d.c., talora atrofia controlaterale per via della riduzione di ACTH. Alla RM ci
sarà formazione con segnale isointenso al fegato (normale).

Si fa ricorso alla scintigrafia con il norcolesterolo, laddove si ha il sospetto di Cushing da adenoma.


Valutando la captazione si avranno le seguenti diagnosi:

I casi in cui si ricorre alla scintigrafia surrenalica sono davvero pochi. In genere, si realizza laddove
c’è discordanza tra TC e biochimica e in presenza di quadri dubbi.

Diagnosi di iperaldosteronismo primitivo (M. di CONN)

La sua forma tipica è data da un ADENOMA del SURRENE, altre volte si associa ad iperplasia
bilaterale (idiopatico) e raramente a carcinomi. Si ha produzione autonoma di aldosterone che
sopprime il sistema renina-angiotensina con conseguente ipokaliemia ipertensiva.

IMAGING: per valutare la SEDE. IN PRIMA ISTANZA TC O RMN. IN SECONDA ISTANZA SCINTIGRAFIA
con test al desametazone, altrimenti quello che si vede non è la zona interessante.
Diagnosi delle sindromi da ipofunzione
• Insufficienza acuta: nessun ruolo per l’imaging
• Insufficienza cronica (Addison): Rx: calcificazioni; TC: atrofia

MIDOLLARE

Diagnosi di feocromocitoma
Il feocromocitoma è la causa dell’ipertensione nello 0.1% di questi pazienti, ma non è così raro.
Il suo sospetto si basa su:
• Sintomi: palpitazioni, sudorazione, mal di testa
• Ipertensione difficile da controllare o labile
• Fattori predisponenti o storia familiare: MEN, von Hippel-Lindau, Neurofibromatosi

Il sospetto clinico deve essere poi confermato a livello biochimico tramite:


• catecolamine plasmatiche e urinarie
• metaboliti urinari delle catecolamine

Nei pazienti con conferma biochimica del sospetto di feocromocitoma ed in quelli ad alto rischio
(forme familiari di feocromocitoma), anche in assenza di chiari dati biochimici, è necessario
procedere alla diagnosi di sede con la diagnostica per immagini. Tale tende ad essere un po’
complicata data la regola del 10 nella localizzazione.
La regola afferma che:
• 10% dei feoc. siano multipli
• 10% siano extrasurrenalici
• 10% siano familiari
• 10% siano maligni
C’è ovviamente sovrapposizione nella realtà.

TC e FEOCROMOCITOMA
Alla TC il quadro è molto chiaro. Il tumore si
presenta come:
• Massa solida, tondeggiante o ovalare
• Isointensa al muscolo
• Masse piccole omogenee
• Masse grandi disomogenee
SENSIBILITA’ della TC: 95% negli intrasurrenalici

RMN e FEOCROMOCITOMA
 Intensità bassa in T1
 Intensità intermedia o alta in T2
 Potenziamento dopo m.d.c.
paramagnetico

SCINTIGRAFIA e FEOCROMOCITOMA

Il radiofarmaco adoperato è la
metaiodobenzilguanidina (MIBG), un analogo
della guanetidina che si concentra sfruttando il
meccanismo di uptake-1. Viene escreta con le urine, per lo più in forma integra, ma una piccola
quota è degradata con formazione di radioiodio libero.

La scintigrafia ha un’elevatissima sensibilità e specificità per il feocromocitoma,


indipendentemente dalla sua sede, poiché una volta somministrata la sostanza si esegue un esame
del corpo in toto e si vedono tutte le sedi.
Queste sono tutte sedi normali di captazione, tra cui le ghiandole salivari. Il miocardio ha
anch’esso un’intensa captazione fisiologica, mentre tende a decrescere nei soggetti con
cardiomiopatie, Parkinson.

PET

Nell’ambito delle patologie surrenaliche è meglio non chiederla. Essa mette in evidenza captazione
sia in caso di carcinomi surrenalici che di adenomi iperfunzionanti.

INCIDENTALOMI SURRENALICI

Sebbene la principale sede di incidentalomi sia la tiroide, non di rado essi si riscontrano anche nei
surreni con una frequenza intorno al 4-5%.

L’incidentaloma si presenta come rilievo occasionale di massa surrenalica ad un esame di


diagnostica per immagini (TC, RMN o US) eseguito per altri motivi.

Nella maggioranza dei casi, gli incidentalomi del


surrene sono degli adenomi, ma possono essere
anche dei feocromocitomi così come delle
metastasi date dall’adenocarcinoma polmonare,
prevalentemente.

In presenza di incidentalomi la prima cosa da fare è differenziare:

• lesioni benigne non iperfunzionanti (terapia conservativa)

• lesioni iperfunzionanti e lesioni maligne (terapia chirurgica)

Nei pazienti con incidentaloma è necessario un accurato studio della funzione endocrina, per
valutare se è funzionante o meno.
Incidentalomi clinicamente silenti devono essere sottoposti a:
• Caratterizzazione con TC o RMN
• Follow-up TC e chirurgia se si accresce
• Biopsia TC guidata
• Chirurgia in base a dimensioni (cut-off a 4 cm).

Si opera al di sotto dei 4 cm solo si tratta di una lesione funzionante.

Si può integrare il tutto con la scintigrafia corticosurrenalica ai fini della distinzione tra
incidentalomi adenomatosi o no.

Quadro concordante: ipercaptazione nella massa, nel 92% degli adenomi, rari i FN, 0% i FP

Quadro discordante: ridotta o assente captazione nella massa, indica una neoplasia maligna o una
patologia occupante spazio (cisti, granulomi, ecc.).

Quadro indeterminato: regolare e simmetrica captazione bilaterale, spesso in lesioni di piccole


dimensioni (< 2cm).

NOTE: il prof consiglia di dare uno sguardo al file sulla terapia dello iodio per le patologie tiroidee
dato che non sa se avrà modo di trattarla, ma di cui potremmo trovare delle domande in seduta
d’esame.

Sbobinatore: Giovanna Carpentiero

Controllore: Raffaele Ragone


DPI - LEZIONE 09 – La diagnostica per immagini nelle metastasi ossee e in oncologia - (03-12-18) - PROF. PACE

LA DIAGNOSTICA PER IMMAGINI NELLE METASTASI OSSEE


Le metastasi ossee sono 25 volte più frequenti dei tumori ossei primitivi e sono la terza sede di
localizzazione dopo polmone e fegato. Più frequentemente originano da tumori solidi, mentre
invece nei linfomi non si parla di metastasi perché è la malattia primitiva che si localizza a livello
osseo.
Il rilievo autoptico è maggiore di quello radiologico e scintigrafico.
La distribuzione delle metastasi ossee può avvenire:
- Per contiguità (raramente);
- Per via linfatica;
- Per via ematogena (sono quelle più frequenti).
Per quanto riguarda l’incidenza nella distribuzione, si localizzano a livello di:
- Scheletro assiale (80%);
- Femori (40%);
- Cranio e pelvi (20%).
La classificazione delle metastasi ossee si basa ancora oggi su quella che è la classificazione
radiologica:
1) OSTEOLITICHE (50%);
2) OSTEOBLASTICHE (35%) (prostata);
3) MISTE (15%);
Le metodiche di indagine sono:
- Radiologia tradizionale;
- Medicina nucleare: scintigrafia ossea, PET;
- TC;
- RMN;
RADIOLOGIA TRADIZIONALE
È fondamentale per la classificazione del tipo di metastasi. Si basa sulle variazioni del contenuto
minerale che devono essere di una certa entità cioè di almeno il 30-50%.
MDTC
L’alternativa è la TC multistrato che consente un’ottima delineazione dell’osso corticale e dello
stato generale dell’osso. Può dare informazioni dettagliate sul rischio di frattura ossea e inoltre
consente di effettuare anche delle biopsie (TC guidate).
Si pone però il problema della dosimetria, che si può risolvere in parte utilizzando dei parametri di
impostazione del fascio di radiazioni in modo tale da avere una bassa intensità del flusso fotonico.
Quindi con la MDCT a Bassa Dose (4.1 mSv) abbiamo un breve tempo di acquisizione (28 sec.),
un’eccellente risoluzione spaziale e un’eccellente concordanza (k= 0.95) con MDCT.
Il tubo radiogeno ha due caratteristiche: milliamperaggio, che determina il numero dei fotoni, e il
chilo-voltaggio che determina l’energia. Sul chilo-voltaggio non possiamo agire perché è collegato
alla densità del materiale che vogliamo esaminare e non lo possiamo ridurre. Possiamo però
ridurre il milliamperaggio, cioè riduciamo il numero di fotoni e quindi il carico dosimetrico al
paziente.

MEDICINA NUCLEARE
- Scintigrafia ossea (99mTc-MDP);
- Scintigrafia con 99mTc-MIBI;
- PET con traccianti specifici (18F, 18FDG) o altri traccianti.
La scintigrafia ossea è adoperata per la stadiazione ed il follow-up.
Viene eseguita con un radiofarmaco, un bifosfonato (MDP) che fa da vettore, mentre il 99t è
l’indicatore radioattivo. Il bifosfonato va nell’osso, e ci va in funzione dell’attività osteoblastica e
del flusso ematico. Poiché in caso di metastasi l’osso risponde al danno causato dalla metastasi
aumentando l’attività osteoblastica e il flusso ematico regionale, vedremo un aumento del
deposito di tracciante (ipercaptazione).
Anche se lo sviluppo di nuove metodiche di diagnostica per immagini (MRI, spiral CT, e 18-FDG) e
di specifici marcatori tumorali ne sta cambiando il ruolo, rimane comunque l’indagine più
importante. La combinazione di RX e scintigrafia ossea è soddisfacente in più del 90% dei casi.

Vediamo una scintigrafia total body normale nell’adulto (a sx) e nel bambino (a dx). Nel bambino
notiamo un maggior accumulo del radiotracciante nelle zone di accrescimento, cioè dove c’è più
attività osteoblastica. Quindi quello che si vede maggiormente è il metabolismo dell’osso rispetto
ai dettagli anatomici.
La scintigrafia è una metodica estremamente sensibile, ma poco specifica nel definire il tipo di
patologia. Vediamo l’aumentata captazione nei punti di aumentato metabolismo osteoblastico,
ma ciò non vuol dire che queste zone siano necessariamente delle metastasi. L’interpretazione che
dà lo specialista si basa sulla distribuzione delle lesioni e sul fatto che conosce la malattia di base
del paziente.
Le lesioni metastatiche possono mostrare sia captazione incrementata (più frequentemente) che
diminuita. Questo è importante per alcune patologie come il mieloma multiplo in cui la
caratteristica predominante è la lisi ossea, quindi alla scintigrafia non vengono viste.
La SPET può aiutare a determinare l’esatta distribuzione del tracciante.
Nel caso di una patologia neoplastica primitiva (es. osteosarcoma) si può adoperare la scintigrafia
ossea, non certo per fare la diagnosi ma per cercare eventuali lesioni metastatiche.
Sicuramente la scintigrafia ha un ruolo fondamentale nella ricerca di metastasi ossee in fase di
stadiazione. Nel caso del carcinoma della prostata sappiamo che molto facilmente avremo delle
metastasi ossee e in questa immagine in particolare (in basso) si nota un incremento della
captazione un po’ a tutto lo scheletro. Se guardiamo il quadro normale si intravede un po’ di
radiofarmaco presente nei tessuti molli tra cui i reni. Nel caso del carcinoma della prostata, invece,
non c’è nessuna presenza extraossea e non si vedono i reni. Questo è un quadro molto particolare
ed è legato ad una diffusione metastatica a tutto lo scheletro con una prognosi sicuramente non
favorevole.
Nella ricerca di patologie neoplastiche metastatiche l’aggiunta della metodica tomografica (SPET)
migliora l’accuratezza, la sensibilità e la specificità della scintigrafia ossea.

SPET vs Planare nelle Lesioni Vertebrali Singole


Sensibilità Specificità Accuratezza VPP

SPET 87% 91% 84% 94%

Planare 74% 81% 64% 88%

La RM ha un’elevatissima sensibilità e questa può essere quasi raggiunta utilizzando le tecniche


tomografiche:
Il problema che ci si pone è capire se eseguire una scintigrafia ossea in tutti i pazienti con una
malattia neoplastica in fase di stadiazione, indipendentemente dal tipo di neoplasia e dal tipo di
stadiazione fatta fino a quel punto. In realtà l’uso routinario della scintigrafia ossea in tutti i
pazienti con neoplasia non è più appropriato, ma dovrebbe essere impiegata selettivamente
perché la prevalenza delle metastasi ossee varia in rapporto allo stadio del tumore e in rapporto al
tipo di neoplasia. Inoltre la scintigrafia è un esame molto sensibile ma la bassa specificità può
causare dei falsi positivi e costi non necessari, ad esempio ulteriori indagini. Quindi è importante
modularne l’utilizzo.
Una appropriata selezione dei pazienti da sottoporre a scintigrafia ossea deve tenere in
considerazione:
- Paziente (in che stato si trova);
- Fisiopatologia della malattia;
- Effetti del trattamento;
- Valore di altri parametri diagnostici ;
- Valore di altre modalità di imaging.
Esempi: nella stadiazione di un carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC) secondo la
ASCO (American Society of Clinical Oncology) né la scintigrafia ossea né la TC del cranio
andrebbero eseguite di routine, ma solo quando ci sono segni e sintomi che ci fanno sospettare la
presenza di una malattia metastatica.
Nella stadiazione del carcinoma della mammella in pazienti con stadio I (dimensioni < 2 cm) è
molto improbabile che la scintigrafia ossea sia positiva (in questo stadio è improbabile che il
carcinoma abbia dato metastasi), pertanto in questo caso la scintigrafia ossea non è eseguita di
ruotine. La scintigrafia ossea è utile in stadio II, III e IV.
In altre malattie neoplastiche invece la scintigrafia ossea assolutamente non è indicata, come nel
mieloma multiplo in cui le lesioni ossee mostrano ridotta captazione perché c’è una minima
attività osteoblastica, quasi nulla. Alternative in questo caso sono: 99mTc-MIBI, PET e MRI. Il MIBI
è un radiofarmaco utilizzato per valutare la perfusione miocardica: è un catione lipofilico che si
concentra selettivamente nei mitocondri, quindi è stato utilizzato molto nelle patologie
neoplastiche.
Altro grande campo di applicazione della scintigrafia è rappresentato dal follow-up. Qui il
problema nasce invece sulla periodicità del follow-up: se eseguirlo più frequentemente o meno.
Quindi se essere intensivi o minimalisti.
Ad esempio nel caso della mammella si è deciso che nella fase del follow-up l’imaging non deve
andare al di là della mammografia. Anche se è vero che con la scintigrafia si ha un’elevata
accuratezza nel valutare la presenza di metastasi ossee, è anche vero che le metastasi ossee sono
più frequenti in quei pz N+ rispetto agli N-. Quindi bisogna fare una scelta individualizzata a
seconda del rischio.
Un'altra applicazione della scintigrafia ossea è nella valutazione degli effetti del trattamento: è
indicata per valutare gli effetti della terapia in pazienti con malattia metastatica nota mostrando
progressione, non variazione o regressione.

In questo caso di un pz con carcinoma della prostata vediamo che nell’immagine a sx abbiamo
molte aree focali rispetto a dx, quindi si potrebbe pensare che si è avuta una regressione della
malattia confrontando le due immagini. Ma non è così perché la differenza è che a sx non si
vedono più i reni ciò deve mettere in sospetto il radiologo perché vuol dire che tutto il tracciante si
accumula nelle ossa e non è disponibile per gli altri tessuti. Questo è un quadro molto particolare
definito super scan, ovvero una scintigrafia con enorme captazione di tutte le ossa quindi il pz non
è andato incontro a una regressione, bensì a una progressione.
Flare phenomenon = incremento del numero delle lesioni e dell’intensità di captazione rispetto
allo studio pre-terapia per rimodellamento osseo da riparazione della metastasi.
In alcune patologie ci possiamo farci guidare dai marcatori, ad esempio nel ca prostata un PSA pre-
operatorio basso (< 10 ug/ml) è predittivo per una scintigrafia ossea negativa. Quindi in questo
caso si potrebbe evitare di farla direttamente. Un PSA dopo terapia al di sotto di 20 ug/ml ha un
valore predittivo negativo di 99,7% per una scintigrafia ossea positiva.
La scintigrafia ossea è sempre lo studio di scelta nei pazienti con neoplasia per la sua ampia
diffusione, la facilità di esecuzione (Total Body) e i costi contenuti. Altre metodiche di imaging
sono MRI e 18-FDG PET che sono più specifiche per la ricerca di metastasi.
Principali Indicazioni alla Scintigrafia Ossea:
1. Stadiazione:
- Tumori ad alto rischio di metastasi ossea;
- Tumori a basso rischio con incremento dei valori dei markers specifici o con dolore osseo
quando non esistono markers specifici (es. carcinoma renale);
2. Follow-up:
- Valutazione dell’efficacia della terapia (progressione, regressione, non variazione).
3. Restadiazione:
- Se un marker tumorale specifico si incrementa o se compare sintomatologia (dolore
osseo).

Vediamo adesso qual è il ruolo della PET nella ricerca delle metastasi ossee.
Possiamo utilizzare:
• 18-F
• 18-FDG
• Altri traccianti
Per quanto riguarda il 18-F, questo viene captato quando c’è un aumento del flusso ematico locale
o dell’attività osteoblastica, in quanto il fluoruro segue il destino del calcio. A differenza della
scintigrafia, vedremo un aumento della captazione anche nelle metastasi litiche.
Un incremento di captazione del 18-F è presente sia in metastasi litiche che sclerotiche.
Il principale vantaggio è rappresentato dalla eccellente risoluzione spaziale, che si traduce in valori
elevati di sensibilità e specificità, quindi vedremo un maggior numero di sedi metastatiche.
Ciò ovviamente si ripercuote sul management del pz e sulla scelta terapeutica.
Questo è uno studio fatto all’Università di Napoli in cui si confrontarono i risultati di pz con ca
prostata sottoposti a scintigrafia ossea e PET con fluoruro. Si vede chiaramente che il numero di
lesioni evidenziate con la PET è nettamente maggiore.
L’altro tracciante che si adopera nella PET è il 18-FDG. È un marcatore della glicolisi trasportato
attraverso un trasportatore di membrana (GLUT-1). Consente di valutare:
• Metastasi Extraossee;
• Risposta Terapeutica
Con dei buoni valori di sensibilità e specificità rispetto alla classica scintigrafia ossea.

99mTc- 18-F
MDP
Numero 8 + 2 116 + 3
lesioni
In questo
Regioni 5/12 12/12 esempio
abbiamo a sx
la classica
scintigrafia e
a dx la PET con 18-FDG.
In genere con questo marcatore le metastasi litiche sono meglio evidenziate di quelle
osteoblastiche.
Questa differenza può essere dovuta a:
• Maggiore aggressività nelle lesioni litiche;
• Ridotta cellularità nelle lesioni sclerotiche.
Mentre nelle osteoblastiche abbiamo un aumento della produzione di osso.
Un approccio potenzialmente interessante è rappresentato dall’uso combinato (con iniezione
simultanea) dei due traccianti.
Questo è uno studio che andava a valutare in quanti casi la PET con fluoruro era superiore alla
scintigrafia ossea e in quanti era vero il contrario. In teoria è stato dimostrato che sarebbe
preferibile utilizzare la PET con fluoruro al posto della TC con scintigrafia ossea.

Si è visto anche che nel caso della PET con F, l’intensità della captazione correla con la
progressione.
Altri traccianti che possono essere adoperati sono:
- 18-F-DOPA
- 68-Ga-Dotatoc (analogo della somatostatina marcato con Ga68 per i tumori
neuroendocrini)
- 18-F-Colina (per i carcinomi della prostata)
Per quanto riguarda i pz con ca prostata PET e FDG non si fanno per due motivi: i tumori della
prostata sono a bassa attività metabolica (si corre il rischio di non vederli); inoltre l’FDG è escreto
per via renale quindi possiamo avere la presenza dell’FDG nelle urine e in vescica a mascherare la
presenza del ca. Utilizzando la colina invece avremo un vantaggio in quanto va a mercare le
membrane cellulari (evidenzia l’ipercellularità del tumore) e inoltre viene scarsamente eliminata
per via renale.
Con l’esame combinato PET/TC andiamo a considerare anche l’aspetto strutturale, quindi ci
fornisce informazioni complessive sulla situazione. Naturalmente la possibilità di vedere il
metabolismo della struttura ci consente anche di definire se la captazione è in una sede rispetto a
un’altra, come in questo caso in cui vediamo sicuramente l’interessamento della costa e
posteriormente abbiamo anche l’interessamento della pleura. Lo stesso succede in basso dove la
lesione potrebbe essere scambiata per una lesione costale, invece è interessato il parenchima
epatico.
Quando adoperiamo il 18-FDG ci sono delle diversità per quanto riguarda la sensibilità a seconda
se il pz abbia ricevuto un trattamento terapeutico o meno. Infatti l’FDG sarà positivo
maggiormente nelle condizioni in cui non è stato ancora eseguito un trattamento nel pz.

Ad esempio per un ca mammella, in pre terapia la PET apparirà positiva e la TC negativa:


Mentre in post-terapia avremo il contrario, la PET sarà negativa e la TC positiva dovuta al fatto che
si sono attivati dei processi di riparazione dell’osso:

Quindi la PET con FDG è molto più sensibile nelle metastasi litiche rispetto a quelle blastiche,
esattamente l’opposto avviene per la scintigrafia ossea.

Sensibilità
Scintigrafia PET-
Ossea FDG
Blastiche 100 % 56 %
Litiche 70 % 100 %
Miste 84 % 95 %
Nakai et al, EJNMMI 32: 1253, 2005
Sensibilità
TC PET-FDG
Non 92 95 %
Trattate %
Trattate 98 30 %
%
Israel et al,
EJNMMI 33:
1280, 2006

RISONANZA MAGNETICA
Valuta la presenza di metastasi direttamente nel midollo osseo. Ci basiamo sul confronto delle
immagini T1 pesate e T2 pesate, che dovrebbero essere eseguite con soppressione del grasso per
evitare che ci siano errori di interpretazione con patologie infettive.

Pattern T1 T2*

Normale Intermedio Normale


Alto Intermedio
Focale Basso Alto
Diffuso Basso Alto

Quindi avremo una ipointensità in T1 e una iperintensità in T2, mentre alla scintigrafia ossea
vedremo una debole captazione ossea.

Possiamo distinguere molto facilmente T1 e T2 andando a guardare il liquor, che sarà bianco in T2
e nero in T1.
Ovviamente al di là delle metastasi con questa metodica possiamo andare a valutare molto
facilmente le ernie discali che alterano il profilo del midollo spinale.
In uno studio di confronto tra RM, PET-FDG e scintigrafia ossea riguardante il riscontro di
metastasi ossee nel ca mammella, è stato dimostrato che la RM è nettamente superiore alla PET e
sicuramente superiore alla scintigrafia.
Quindi possiamo dire che la RM è più sensibile e specifica della scintigrafia, probabilmente è anche
migliore della PET-FDG nonostante i dati non siano definitivi. Per lungo tempo il limite della RM è
stato quello di avere un campo di vista limitato, ma oggi è possibile anche effettuare una Whole
Body MRI e anche immagini DWI (fornisce informazioni sulla base del movimento dell’acqua e
quindi in maniera indiretta sull’aumento della cellularità).
La durata dell’esame Whole Body è di circa 45 minuti.
Esempio: donna di 45 anni con ca mammella sottoposta a RM. Le immagini a e b sono in T1,
l’immagine c è in STIR ovvero in T2 con soppressione del grasso e l’immagine d con PET/TC.
Mentre la PET sottostima un po’ l’estensione della malattia a livello vertebrale (non le evidenzia
tutte), la RM ci fa vedere anche un’intensa captazione a livello dello sterno:

Secondo uno studio di confronto su pz con ca mammella e prostata, è stato dimostrato che la
massima accuratezza si ha effettuando RM. Questo studio mette a confronto scintigrafia ossea,
SPET-TC, PET-F e DWI. Sostanzialmente queste ultime tre sono quasi alla pari per quanto riguarda
sensibilità e specificità.
Se è vero che la RM fornisce la massima accuratezza, perché nella pratica clinica non è molto
utilizzata? Per i costi. Per effettuare una RM invece di una scintigrafia ossea dovremmo disporre di
molte più apparecchiature. Inoltre tenendo conto che un esame Whole Body di RM dura 45-60
minuti, e lavorando in turni da circa 6 ore al giorno, possiamo eseguire solo una decina di esami al
giorno.
L’American College of Radiology suggerisce:

• Scintigrafia Ossea (esame di prima scelta);


• Radiografia (meno sensibile della scintigrafia);
• Total Body (permette di visualizzare il 13% delle metastasi in scheletro appendicolare, ma
non è utile in osteolitiche pure ad es. Mieloma);
• RM o CT (ideale per diagnosi differenziale delle lesioni solitarie).
In quale paziente cercare le metastasi ossee? In paziente con dolore osseo.
In ogni caso dobbiamo sempre ricordare che non esiste una metodica migliore in assoluto, ma
dobbiamo considerare la patologia da indagare. Quindi a seconda della patologia, dello stadio e
delle condizioni del pz scegliamo la metodica di indagine più adatta.

DIAGNOSTICA PER IMMAGINI IN ONCOLOGIA


La diagnostica per immagini tuttora gioca un ruolo fondamentale in oncologia:

• Diagnosi: più che diagnosi vera e propria, perché la conferma della diagnosi avviene solo
con l’esame anatomopatologico, la diagnostica per immagini è sicuramente lo strumento
che più le si avvicina;
• Stadiazione;
• Valutazione pre-chirurgica;
• Valutazione dell’efficacia della terapia;
• Follow-up.
Ci focalizzeremo sulla fase di stadiazione e sulla valutazione dell’efficacia della terapia.
Prima di tutto dobbiamo ricordarci delle diverse modalità di diffusione che variano anche in base
alle caratteristiche del tumore:
- Invasione locale;
- Diffusione linfatica;
- Diffusione ematica.
La stadiazione è fondamentale per la valutazione dell'estensione della malattia con assegnazione
ad uno stadio. Ogni stadio ha una prognosi diversa dagli altri. In genere più è alto lo stadio più la
prognosi è sfavorevole. Dalla definizione dello stadio dipende il tipo di terapia.
Sappiamo che la stadiazione è differente per quanto riguarda i tumori solidi rispetto alle neoplasie
linfoproliferative.
TUMORI SOLIDI: estensione anatomica della neoplasia.
NEOPLASIE LINFOPROLIFERATIVE: identificazione delle sedi di malattia con definizione di categorie
omogenee per prognosi.
STADIAZIONE TUMORI SOLIDI: Sistema TNM
T: dimensione del tumore primitivo
N: presenza e caratteristiche del coinvolgimento linfonodale
M: presenza o estensione delle metastasi
Il TNM anche se è un sistema collaudato e definito a livello internazionale, è comunque una stima
rozza dell’estensione anatomica del tumore. Quello che non riusciamo a sapere con questo
sistema è la massa neoplastica globale ovvero, quanto tumore c’è.
È chiaro che se vogliamo andare a misurare la compromissione della parete toracica, invasione del
mediastino, ecc. abbiamo bisogno di procedure diagnostiche di elevata risoluzione spaziale e
possibilmente anche con mdc. Non possiamo fare una distinzione di T con RX del torace, ma
abbiamo bisogno di una TC con mdc o meglio ancora una PET/TC.
La valutazione dell’interessamento di N si basa esclusivamente sull’aspetto dimensionale e in
parte sull’aspetto morfologico, quindi se cambia forma e soprattutto se supera certe dimensioni.
Per quanto riguarda le neoplasie polmonari, le metodiche che possiamo utilizzare per la
stadiazione sono:

• Rx torace (in genere già eseguito nella fase di diagnosi);


• TC con mdc encefalo, torace, addome;
• Scintigrafia ossea;
• PET/TC;
• RM.
Per definire il T ci avvaliamo:
Rx torace: dimensioni e localizzazione della lesione, versamento pleurico, atelettasia, osteolisi
dello scheletro costale, sollevamento emidiaframma.
TC torace: dimensioni e localizzazione della lesione, infiltrazione locale e del mediastino, invasione
carena, rapporto con grossi vasi ed esofago.
RM: solo in casi selezionati come nei tumori di Pancoast per definire invasione del plesso
brachiale, canale midollare, parete toracica. Grossi vasi.
FDG-PET: distingue la lesione neoplastica dall’ atelettasia.

Per definire N:
TC con mdc: dimensione e sede di linfonodi. Patologici linfonodi con diametro >10 mm.
FDG-PET: alto valore predittivo negativo per linfonodi anche se aumentati di dimensioni alla TC.
Necessità di conferma patologica per linfonodi risultati positivi alla FDG-PET.
Biopsia: per via endoscopica, mediastinoscopia o toracoscopia videoassistita.
Per definire M:
TC con mdc torace: polmone controlaterale.
TC con mdc addome: metastasi epatiche e surrenali.
TC con mdc encefalo: metastasi cerebrali.
FDG-PET: metastasi surrenali e ossee. È utile in tutte le sedi tranne che a livello epatico, a meno
che la lesione epatica non sia molto attiva da un punto di vista metabolico, perché il glucosio viene
metabolizzato a livello epatico.
Scintigrafia ossea: metastasi ossee.
RM: metastasi cerebrali o midollari della colonna vertebrale.
Qui vediamo delle metastasi a livello cerebrale da ca polmonare viste alla RM.
La sede tipica di metastasi per ca polmonare non a piccole cellule è il surrene.

Stadiazione linfomi
Viene fatta principalmente con PET-FDG come dicono le linee guida ematologiche. Prevede 4 stadi
ai quali si affiancano 3 suffissi.
Per quanto riguarda la valutazione della risposta alla terapia classicamente viene valutata sulla
base della variazioni volumetriche delle lesioni mediante TC o RM, quindi attraverso un confronto
delle lesioni pre e post-terapia.
In questo caso vediamo metastasi epatiche da ca mammella e notiamo che si sviluppa in modo
fibroso, mentre la lesione tende a diventare più isodensa.
Il criterio oggi adoperato per valutare la risposta alla terapia è il RECIST che è di tipo
monodimensionale, cioè la valutazione di una sola dimensione per una lesione.

In base alla riduzione morfovolumetrica delle lesioni sono definite 4 classi di risposta alla terapia:
1. RISPOSTA COMPLETA
2. RISPOSTA PARZIALE
3. MALATTIA STABILE
4. PROGRESSIONE

Le lesioni che vengono evidenziate con una TC total body o RM vengono classificate in misurabili e
non misurabili. Le misurabili sono quelle che hanno una dimensione predefinita minima con soglia
a 10mm per le lesioni parenchimali. Per i linfonodi si considera la dimensione minima dell’asse
corto di 15 mm.
Recentemente è stata fatta una revisione del sistema RECIST. Infatti oggi si adopera il RECIST 1.1 in
cui si vanno a valutare 2 lesioni per organo, per un massimo di 5 lesioni.
Per le patologie con prevalente coinvolgimento linfonodale si misura l’asse corto dei linfonodi (>15
mm misurabili; < 10 mm non patologici) oltre l’asse lungo delle altre lesioni solide nella
valutazione della massa tumorale.
Una malattia in progressione è definita dall’incremento dimensionale del 20% del carico tumorale
a cui deve corrispondere una variazione di diametro complessiva di almeno 5 mm.
Una risposta completa è una risposta in cui il trattamento comporta da un punto di vista
dell’imaging la scomparsa di tutte le lesioni viste precedentemente e, naturalmente, nessun’altra
nuova lesione.
Una risposta parziale prevede una riduzione di almeno il 30% della somma dei diametri della
lesione, e senza comparsa di nuove lesioni.
Per aderire al sistema RECIST però bisogna andare a valutare quali sono le lesioni misurabili e
quelle non misurabili, quali sono quelle target e non target. Quindi possiamo dire che i criteri
RECIST sono “semplici” da capire, ma non è semplice applicarli. Infatti nella pratica clinica
routinaria i radiologi tendono a non applicarla, a meno che non c’è una specifica richiesta.
L’utilizzo di questi criteri è limitato anche per una fattore pratico di tempo, in quanto la
misurazione dei vari diametri richiede sicuramente tempo. Bisogna inoltre capire qual è l’asse da
misurare in una lesione, ad esempio nell’immagine sottostante si potrebbe trattare di due lesioni
differenti o di un’unica lesione bilobata.

In generale per quanto riguarda i diametri il RECIST ci dice di guardare l’asse maggiore della
lesione.
Un altro metodo per la valutazione della risposta alla terapia è il cosiddetto imaging metabolico,
che al momento è rappresentato dalla PET. Probabilmente in un futuro non troppo lontano anche
la risonanza sarà in grado di darci questo tipo di informazioni. Ciò si basa sul concetto che la
terapia ha degli effetti sull’attività metabolica della neoplasia.
Alterazioni strutturali possono persistere dopo terapia senza essere associate a malattia residua
vitale (es.masse residue nei linfomi; lesioni osteolitiche nei mielomi).
Molti farmaci a bersaglio molecolare non sono citotossici ma sono citostatici quindi non
producono riduzione morfovolumetrica ma possono ridurre il metabolismo.
Nelle immagini seguenti vediamo che mentre con la TC non c’è una grossa differenza nel pre e
post terapia, con la PET vediamo una grossa differenza di captazione.
Ciò che interessa agli oncologi è sicuramente fare una valutazione alla fine del trattamento, ma
soprattutto fare una valutazione durante il trattamento per capire se il pz sta o meno rispondendo
alla terapia e quindi eventualmente modularla. Nel caso specifico della PET-FDG si fa ciò andando
a valutare la densità della captazione attraverso diversi metodi:

• Qualitativo: si basa sull’interpretazione visiva, quindi presenza/assenza di uptake oppure


presenza di malattia residua e/o di nuove lesioni;
• Semiquantitativa: si basa sulla determinazione del SUV (Standardised Uptake Value)
purché non ci siano variazioni dei livelli ematici di glucosio o drastica riduzione del peso
corporeo;
• Quantitativo: analisi cinetica con determinazione del consumo di glucosio in
micromol/min/ml.
Nella pratica clinica quotidiana per orientare le scelte cliniche nel singolo paziente oncologico si
utilizza il metodo QUALITATIVO. Si adoperano degli score, ad esempio per i linfomi in cui la
captazione del FDG nelle varie sedi è espressa da uno score da 1 a 5 ottenuta confrontando la
captazione delle regioni sane e quelle neoplastiche. A seconda del punteggio ottenuto possiamo
dire che c’è una risposta metabolica completa, parziale o assente.
Nella valutazione della risposta sub-clinica dopo 1-2 cicli si utilizza invece il metodo
SEMIQUANTITATIVO perché valuta sottili e precoci cambiamenti metabolici del tumore indotti
dalla terapia, prima che essa sia terminata. La misurazione del SUV è la metodica più utilizzata per
valutare l’uptake del tracciante nei tessuti. In base a come varia la captazione possiamo definire
delle categorie:
- Progressione metabolica: aumento uptake FDG >25%; comparsa uptake di FDG in nuove
lesioni; incremento visibile dell’estensione.
- Malattia metabolicamente stabile: riduzione uptake <15% o aumento uptake <25%; non
visibile alcun aumento della lesione.
- Risposta metabolicamente parziale: dopo 1° ciclo riduzione uptake 15-25%; dopo più cicli
riduzione >25% uptake.
- Risposta metabolicamente completa: completa risoluzione dell’uptake.
Quando effettuare la PET con F-18-FDG?
Dopo chemioterapia si raccomanda di aspettare un minimo di 10 giorni per evitare fenomeni di
stunning o flare dell’uptake tumorale. Dopo un primo ciclo di chemio, subito prima del ciclo
successivo, potrebbe essere un tempo ragionevole per il monitoraggio della risposta e
determinare se il tumore mostra una primaria resistenza al trattamento.
Dopo radioterapia a fasci esterni sono raccomandate 8-12 settimane.
Sulla base di nuovi studi sono stati proposti nuovi criteri per la valutazione della risposta
metabolica detti criteri PERCIST 1.0. Essi si basano sui cambiamenti percentuali del SUV misurato
nella PET post-trattamento rispetto alla PET pre-terapia. Avremo:
- RISPOSTA METABOLICA COMPLETA: risoluzione completa dell’uptake di F-18-FDG entro la
lesione target misurabile, per cui la lesione appare indistinguibile dai livelli di background
del blood-pool circostante. La scomparsa di tutte le altre lesioni ai livelli del background del
blood-pool. Assenza di nuove lesioni avide di F-18-FDG.
- RISPOSTA METABOLICA PARZIALE: riduzione di almeno del 30% del SUL peak tra la lesione
più captante prima della terapia e la lesione più captante dopo terapia, anche se non si
tratta necessariamente della stessa lesione. Nessun incremento > del 30% nel SUL o nelle
dimensioni delle lesioni target o non-target, in assenza di nuove lesioni.
Il passaggio successivo è stato quello di valutare la progressione metabolica, quindi la massa
neoplastica metabolicamente attiva. È possibile individuare queste lesioni, calcolare il volume di
ciascuna, sommarli e quindi ottenere il volume neoplastico globale di quella neoplasia. Come è
intuitivo pensare, maggiore è il volume neoplastico metabolicamente attivo peggiore sarà la
prognosi. Questo è valido non solo per i tumori solidi, ma anche per i linfomi H e NH.
Sappiamo che i tumori sono estremamente variabili, ad esempio nello stesso paziente e all’interno
della stessa massa, possiamo avere cellule tumorali che esprimono antigeni differenti o che
esprimono gli stessi antigeni ma con un’intensità diversa. Questa eterogeneità si può riflettere
anche nel rapporto tra tumore primitivo e metastasi, ad esempio nel ca mammella il tumore
primitivo può essere ER+ ma non è detto che lo siano anche le metastasi. L’imaging in questo
senso potrebbe darci delle indicazioni total body, quindi più utili ad esempio di una biopsia in
alcuni casi.
La captazione tumorale di FDG è frequentemente disomogenea. Questa eterogeneità può essere
attribuita alla distribuzione dei differenti componenti tissutali all’interno della regione neoplastica.
Tutto ciò ha portato allo sviluppo della RADIOMICA che si basa sull’estrazione, analisi e
interpretazione di un gran numero di caratteristiche dalle immagini. Mette in relazione il
fenotipo/genotipo molecolare del tumore.
Queste informazioni addizionali possono essere usate da sole o in combinazione con altre “omics”.
Tutto ciò con il fine di superare i limiti di invasività, errori e limiti di campionamento della
valutazione bioptica.
Questo è uno studio considerato “la pietra miliare della radiomica” in cui hanno estratto da più di
1000 pz con ca polmone e testa-collo, 440 caratteristiche di imaging e hanno verificato che c’è
un’associazione di alcune di queste caratteristiche con i pattern di espressione genica.
Sbobinatore: Alessandra Nocilla
Controllore: Angelica Gozza
DPI- LEZIONE 10-terapia con radionuclidi-10/12/2018- prof L. Pace

TERAPIA CON RADIONUCLIDI

La terapia con radionuclidi è una forma di radioterapia in cui la sostanza è introdotta direttamente
nel corpo del paziente; è un approccio terapeutico in cui viene somministrata una sostanza
radioattiva che, per le sue caratteristiche, si localizza nella sede della patologia. Ne consegue che
dobbiamo scegliere con attenzione la sostanza da somministrare, una sostanza non sigillata che
somministriamo per una via non metabolica.

Prima di iniziare a trattare l’argomento in questione, riassume dei concetti di radioterapia.

(slide saltata)

La radioterapia classica viene eseguita con delle macchine cosiddette “acceleratrici”. In realtà,
oggigiorno, si fa tutto con tali acceleratrici che prevedono l’accelerazione di particelle; in modo
particolare si accelerano elettroni in modo tale da ottenere, alla fine, o fasci di elettroni ad elevata
energia, oppure (con un meccanismo simile al tubo radiologico) questi elettroni vengono fatti
urtare contro un bersaglio per ottenere raggi X ad elevata energia come avviene nei normali
reparti di radioterapia tra cui anche al Ruggi.

Si possono ottenere due tipologie di trattamento:

1) Trattamenti per lesioni superficiali


2) Radioterapia intraoperatoria (IORT)

La IORT si può effettuare nel carcinoma della mammella con trattamento di tipo conservativo al
posto della radioterapia post operatoria. Lo strumento che produce tali fasci di elettroni si trova
direttamente in sala operatoria, in modo tale che durante l’intervento,dopo aver rimosso la parte
tumorale, si faccia un irraggiamento dei margini, in modo da “sterilizzarli”.

Questo tipo di approccio non è presente in tutti i distretti ospedalieri.

L’obiettivo della radioterapia per fasci esterni è quello di concentrare il fascio di radiazioni nella
regione neoplastica con un risparmio delle regioni circostanti sane  si parte dall’esterno con il
fasci di radiazioni e bisogna andare a colpire la zona interessata dal tumore. La dose di radiazione
che attraversa gli strati cutanei fino al bersaglio, si distribuirà anche ai tessuti accanto con
conseguenti danni collaterali.

La prima modalità che è stata applicata per ottenere una riduzione della dose al tessuto sano e
quindi un risparmio degli effetti collaterali, è stato il cosiddetto “accesso multiporta”: se devo dare
una dose che sia sotto un’ora di 100 (?), invece di farla arrivare tutta da un lato, la faccio arrivare
in 2-4 parti in modo tale che, per esempio, se sono 4 accessi (25 per ciascuna di loro), all’incrocio
dei fasci avrò 100 ma i tessuti circostanti ne avranno sicuramente di meno. Attualmente la
procedura migliore è la tomoterapia in cui il sistema di erogazione, che ruota intorno al pz un po’
come l’APC, può erogare da vari punti d’accesso la dose di radiazione.

Una procedura di radioterapia prevede vari passaggi:

1) Imaging, che contiene immagini tomografiche del distretto da considerare; si fa con l’APC.
Eventualmente, all’APC si può affiancare, in casi particolari, la risonanza magnetica o anche
la PET.
2) Il fisico sanitario, con il radioterapista che determina il tipo di trattamento che andrà fatto,
delinea i campi di trattamento  determina, con una procedura matematica, il volume da
trattare e su questo viene disegnato il piano di trattamento. Il medico, inoltre, decide come
devono essere erogate le radiazioni per raggiungere il massimo sul bersaglio e il minimo sui
tessuti circostanti.
3) Questa operazione va di conserva con la centratura
4) Il modello di trattamento viene portato su di un acceleratore lineare, di tipo tomografico

Normalmente, un trattamento radioterapico prevede l’erogazione di una dose di radiazioni al


tumore che può andare dai 60 agli 80 Gray (Gy); è una dose massiva, di fatti se disegniamo una
APC diagnostica, quello che otteniamo è tra i 2-7 millisievert. Possiamo fare una completa
assimilazione tra millisievert e Gray; riporto ciò che ho trovato su internet:

La dose non è erogata in un’unica soluzione, ma viene frazionata (vi sono varie modalità di
frazionamento); per ogni seduta radioterapica si erogano dai 2 ai 5 Gray.

Il trattamento si effettua 5 giorni alla settimana cosicché si massimizzi la dose del tumore e
minimizzi la dose ai tessuti circostanti ma si ottiene anche un effetto di sincronizzazione delle
cellule, che vanno quasi tutte nella stessa fase del ciclo cellulare e divengono così tutte più o meno
radiosensibili a seconda della situazione.
Terapia con radionuclidi:

Non possiamo adoperare radionuclidi che emettono fotoni gamma perché viaggiano, quindi non
depositano molta energia nelle vicinanze. Il fluoro 18, utilizzato nella PET, non ha alcun valore
come agente terapeutico perché il 18F emette positroni, con raggi piccolissimi, che subito si
trasformano in fotoni gamma.

Quindi bisogna utilizzare radionuclidi che decadono emettendo particelle:

 O particelle beta, che sono elettroni


 Oppure le particelle alfa
Le principali applicazioni:

• Terapia delle Patologie Tiroidee


• La Terapia con Radionuclidi delle Metastasi Ossee
• La Terapia con Analoghi Marcati della Somatostatina
• La Terapia con Anticorpi Monoclonali Radiomarcati

La più importante applicazione è nelle patologie tiroidee, ipertiroidismo e carcinoma


indifferenziato della tiroide.

È una terapia molto antica: i primi approcci son stati effettuati a cavallo della prima guerra
mondiale e nel 1931 è stato ideato il prototipo di quello che noi ora chiamiamo teranostica,
ovvero l’unione tra terapia e diagnostica in cui abbiamo una sostanza che ci permette di fare
imaging e può essere adoperata anche a scopo terapeutico con opportune modifiche.

Lo 131I è il prototipo di questa per le sue caratteristiche che sono indistinguibili dallo iodio
naturale  lo iodio è usato sia per scopo diagnostico che terapeutico.

Nelle scintigrafie tiroidee, invece, non si adopera più lo iodio bensì il tecnezio 99.

Lo 131I ha caratteristiche ottimali:

 attivamente captato dalle cellule follicolari


 particelle β con percorso medio di 0.8 mm
 fotoni γ per imaging
 emivita di 8 giorni
 efficacia e sicurezza: validate
 Danno al DNA
 Disfunzione cellulare
 Morte cellulare
 Le particelle β non penetrano profondamente nei tessuti e non fuoriescono dalle sedi di
captazione
 Dosi elevate di 131I possono essere somministrate senza danno per i tessuti circostanti
Nei pz con ipertiroidismo l’obiettivo è quello di riportare il pz in uno stato di eutiroidismo che può
essere con o senza terapia sostitutiva; quindi è considerato un successo anche se il pz è andato
incontro ad ipotiroidismo:

• remissione permanente dall’ipertiroidismo

• rimuovere l’autonomia funzionale della ghiandola tiroidea

• ridurre il volume della ghiandola tiroidea

L’ipertiroidismo è trattato con farmaci quali gli ormoni tiroidei, la tiroxina ecc e sostanzialmente
non hanno effetti collaterali gravi a differenza degli antitiroidei quindi non si può pensare di fare
una terapia farmacologica cronica per l’ipertiroidismo. In genere, si inizia con gli antitiroidei, poi
verificano se possono farne a meno (se la terapia è stata risolutiva) altrimenti si avvalgono della
chirurgia o, nella maggior parte dei casi, di terapia con iodio 131. Negli Stati Uniti, invece, il primo
approccio è con lo iodio 131.

Indicazioni:

• Morbo di Basedow
• Gozzo tossico multinodulare
• Adenoma tossico
• Gozzo non tossico multinodulare/diffuso rhTSH (0.1 mg)

L’80% - 90% risponde ad una singola dose di 131I

Nel morbo di Basedow lo iodio 131 risulta essere una valida opzione terapeutica; spesso è il
trattamento di prima scelta (anche in età pediatrica, Krassas GE Eur J Endocrinol 2004)
Indicato nei pazienti:

 Con ipertiroidismo recidivante, non più “responders” ai farmaci antitiroidei


 Scarsa compliance al trattamento farmacologico e/o chirurgico
 Elevati TRAb e concomitante oftalmopatia
 prevenzione con concomitante terapia steroidea (prednisone 0.5 mg/kg con posologia
“decrementale” in 2 mesi) e con rimozione di fattori di rischio (fumo)

Controindicazioni:

Assolute

• fondato sospetto di malignità

• gravidanza in atto:

131I distrugge la ghiandola tiroidea

dosi superiori al limite di dose efficace di 1 mSv (ERCP 100)

• allattamento:

il lattante riceverebbe dosi efficaci superiori ad 1 mSv (Mountford, 1997)

Relative (non lette)

• incontinenza urinaria non gestibile

• “ipertiroidismo incontrollabile”

• orbitopatia in fase attiva

Riporto tra virgolette ciò che ha saltato:

“Condizioni in cui il radioiodio non è indicato

• ipertiroidismo con gozzo di grosse dimensioni

• condizioni di tireotossicosi senza ipertiroidismo (tireotossicosi fittizia e medicamentosa, fase di


tireotossicosi della tiroidite subacuta).

• ipertiroidismo con bassa captazione (ipertiroidismo indotto da amiodarone o da iodio)

• ipertiroidismo subclinico della tiroidite di Hashimoto (tireotossicosi da distruzione follicolare


senza iperfunzione tiroidea, o transitorio e seguito da ipotiroidismo)

• presenza di noduli dominanti, non-funzionanti, con sospetto di malignità all’esame citologico”


Preparazione del paziente

• visita preliminare: storia clinica ed esame fisico

• Diagnostica di laboratorio e Imaging (Scintigrafia e US)

• Curva di captazione del radioiodio

• Consenso Informato

• modulistica al paziente su come ridurre l’esposizione all’irradiazione ed eventuale


contaminazione dei familiari e del pubblico in genere

• sospensione dell’assunzione per un congruo periodo, prima della terapia, di alcuni prodotti
contenenti iodio

Vanno eliminate tutte quelle sostanze che possono interferire con lo iodio come alcuni farmaci,
integratori e mezzi di contrasto, come riportato in tabella:

Farmaco o prodotto Tempo di sospensione consigliato


Multivitaminici (conteneti iodio) 7 gg
Espettoranti, soluzioni di Lugol, prodotti a base 2-3 sett, in base al contenuto di iodio
di alghe marine, prodotti per dimagrire
contenenti iodio, disinfettanti, lavande vaginali,
dentifrici iodati, tinture per capelli, creme
anticellulite a base di iodio o prodotti iodati
Tintura di iodio 2-3 sett
Mezzi di contrasto radiografici idrosolubili 3-4 sett (in caso di funzionalità renale normale)
Mezzi di contrasto radiografici liposolubili (oggi Alcuni mesi
usati raramente)
Amiodarone 3-6 mesi

Bisogna considerare che il pz al quale somministriamo il farmaco, radioattivo, sarà a sua volta
radioattivo, per cui vanno ricordate le procedure di somministrazione:

• Il trattamento può essere eseguito in regime ambulatoriale Attività somministrata < 600 MBq

• La somministrazione di radioiodio deve essere effettuata sotto la responsabilità del medico


nucleare

• Per os (capsule o soluzione liquida)

• Per via endovenosa (nei pazienti con vomito o non collaboranti)

Ovviamente, a seconda della quantità di iodio che darò al pz, questo sarà più o meno radioattivo;
secondo le normative italiane, il pz deve rispettare alcune regole di trattamento e poi tornare a
casa.
Viceversa, nei pazienti con adenoma tossico è opportuno effettuare il trattamento nella fase di
inibizione del restante parenchima.

Effetti indesiderati Precoci e tardivi:

• Lieve e transitoria tumefazione del collo

• Lieve scialoadenite

• Lieve o severa recrudescenza delle aritmie ipercinetiche

• Ipotiroidismo (maggiore incidenza nelle forme diffuse)

• Incidenza di ipotiroidismo inferiore nel gozzo nodulare tossico

• Graves’-like disease nei pazienti trattati per GNT (Custro N. J Endocrinol Invest 2003)

• Effetto carcinogeno modesto

• Trascurabile rischio genetico

I risultati sono eccellenti, però vedete che nel Basedow la maggior parte dei pz va in ipotiroidismo
perché tutta la tiroide è iperfunzionante, quindi concentra lo iodio radioattivo e di conseguenza si
avrà una distruzione di una buona parte del tessuto tiroideo. Quando ci troviamo di fronte ad un
gozzo multi nodulare (G.M.T), la maggioranza dei pz va in eutiroidismo perché è solo la regione
iperfunzionante che concentra lo iodio e soltanto in quella si verificherà una morte cellulare.
Questa esperienza è del professore quando si trovava all’ospedale di Napoli:

Follow-up

• Eventuale trattamento tireostatico di supporto nell’ipertiroidismo resistente prima di eventuale


II dose

• Controllo del profilo ematico tiroideo già a 45 giorni post RTM

• Monitoraggio stretto del paziente

• Controllo clinico-laboratoristico a 3 mesi post RTM

• Successivi controlli seriati nel tempo (ogni 6 mesi)

Per esempio, questo è un nodulo autonomo, con TSH bassissimo, a distanza di circa un anno il TSH
è tornato nella norma e vediamo tutta la tiroide:
Un altro caso simile:

Un’altra possibilità di utilizzo dello iodio è quello dei gozzi di grosse dimensioni; in questi casi sono
stati suggeriti trattamenti con rhTSH (TSH ricombinante) perché somministrando TSH
ricombinante si aumenta la concentrazione dello ione nella ghiandola e quindi si aumenta la
concentrazione di iodio radioattivo cosicché questo porta portare alla distruzione della ghiandola:

 Nel trattamento del gozzo nodulare benigno eutiroideo la terapia con 131I porta ad una
riduzione di volume del 35–50% in1–2 anni
 Tuttavia, questo trattamento ha efficacia limitata in caso di bassa captazione dello 131I o di
gozzo di grandi dimensioni
 La terapia con 131I e rhTSH migliora notevolmente la riduzione del gozzo con scarsi effetti
collaterali con dosi di rhTSH < 0.1 mg
 La terapia con 131I e rhTSH riduce la necessità di ulteriori terapie addizionali per ridurre il
gozzo, ma aumenta l’incidenza di ipotiroidismo
La terapia con radionuclidi nei Carcinomi Tiroidei Differenziati (CDT):

 1% dei tumori maligni umani


 incidenza 0.5 - 10 su 100.000 per anno
 CTD è la più frequente neoplasia endocrina
 impatto socio-sanitario significativo
 prevalenza ≥ di quella del mieloma, del LH e dei Ca dell’esofago o della laringe
 50% incremento di incidenza negli ultimi 30 anni, in parte dovuta, probabilmente, al
miglioramento delle tecniche diagnostiche
 Sopravvivenza a 10 anni:
o 93 % papillare
o 85 % follicolare
 Rate di recidive: 35 %

Nei pz al di sotto dei 45 anni, si parla


soltanto di primo e secondo stadio
perché l’età è un fattore prognostico,
mentre dopo i 45 anni ci sono i classici
quattro stadi definiti dal TNM.

La mortalità, ovviamente, è correlata


allo stadio.

L’uso dello iodio 131 si basa sugli stessi principi visti nell’ipertiroidismo con la differenza che si
basa sulla dose somministrata: DOSIMETRIA

 Nessuna sequela per l’irradiazione del midollo osseo (la dose al sangue ed al midollo è < 2
Gy dopo singolo trattamento)
 Non vi è evidenza di fibrosi polmonare in pazienti con metastasi parenchimali diffuse che
presentino 2.95 GBq (80 mCi) di attività totale corporea a 48 h dopo la somministrazione
 È possibile una stima della “lesion dosimetry”

Effetti indesiderati della Terapia con 131I

Effetti Precoci: minimi e transitori (non letti)

 Dolorabilità alla loggia tiroidea (residuo: prednisone 25 mg/die x 7)


 Anomalie o perdite temporanee del gusto (25 -50%)
 Nausea e vomito (< 1%)
 Scialoadenite (stimolo salivazione a 1-2 ore da 131I)
 Altri rari (xeroftalmia, crisi tireotossica,…)

Effetti Tardivi

 Rischio di secondo carcinoma o leucemia molto limitato (rischio relativo stimato: 1.2 con
CI:1.0-1.4)
o intervallo tra somministrazioni 1 anno
o dose totale < 30 GBq (800 mCi)
 Nessun incremento di malformazioni nella progenie (concepimento > 6 mesi)
 La fertilità femminile non è compromessa
 Riduzione della funzione testicolare < 10% dei pazienti idratazione

Se una donna in gravidanza è stata comunque sottoposta a terapia con 131I o se il concepimento
avviene dopo la terapia ma prima del termine di 6 mesi, il fisico ed il medico specialista dovranno
valutare la dose ; per dosi < 100 mSv l’aborto non è da prendere in considerazione.
Indicazioni

 ablazione del residuo tiroideo post-chirurgico (fino a qualche anno fa, la regola era:
tiroidectomia totale; in realtà ci sono alcuni studi secondo i quali per il T1a T1b potrebbe
essere eseguita una lobectomia. Addirittura in Giappone, nei microcarcinomi, non fanno
alcuna terapia, solo monitoraggi essenzialmente ecografico).
 terapia delle recidive loco-regionali
 terapia delle metastasi a distanza
 terapia palliativa di metastasi
 Tg elevata e WBS con Iodio negativo

Quando si effettua una tracheoctomia totale, anche il miglior chirurgo può lasciare dei residui
tiroidei perché deve risparmiare delle strutture del collo importanti quali le paratiroidi, il nervo
laringeo ricorrente,..

Siccome il CDT è un tumore multicentrico, dobbiamo rimuovere completamente il tessuto


tiroideo: trattamento di ablazione del residuo, effettuata con iodio 131. Con l’ablazione del
tessuto tiroideo, un approccio molto importante che si ottiene è quello di utilizzare la
tireoglobulina (Tg) come indicatore nel follow up. Di fatti, se abbiamo effettuato l’ablazione del
tessuto tiroideo, non si produce più tireoglobulina e quindi possiamo utilizzarla come indicatore.

La Tg non è un marcatore neoplastico in quanto è aspecifica perché si può innalzare ad es in corso


di uno stato infiammatorio qualsiasi, una tiroidite ecc; se abbiamo rimosso la tiroide,invece,
diventa un marcatore molto sensibile nel follow up!

Questo studio di alcuni anni fa dimostra come il trattamento completo (ablazione totale con
terapia sostitutiva successiva e con terapia con radio-iodio) dia minori recidive.
Le indicazioni attuali (SIE-AIMN-AIFM ), invece, sono di non applicare un trattamento ablativo nei
pz con basso rischio (che non hanno linfonodi interessati, non hanno metastasi, tipo T1a):

 NO: soggetti a basso rischio: Carcinomi papillari monofocali senza metastasi linfonodali o a
distanza (pT1aN0M0)
 SI: soggetti a medio-alto rischio: tutti i CTD con stadiazione superiore al pT1aN0M0, i
carcinomi follicolari, le varianti aggressive del carcinoma papillare e le neoplasie
scarsamente differenziate in tutti gli stadi.

“ATA guidelines (2009) to assess the risk of DTC

 Low-risk patient:
A. no local or distant metastases;
B. All macroscopic tumor resected;
C. no locoregional tumor invasion;
D. tumor lacks aggressive histology (e.g. tall cell, insular, and columnar cell carcinoma) or
vascular invasion; E. no 131I uptake outside the thyroid bed on initial post-treatment
whole-body RAI scan (RxWBS), if performed

 Intermediate-risk patient:
A. microscopic tumor invasion into the peri-thyroidal soft tissues at initial surgery;
B. cervical lymph node metastases or 131I uptake outside the thyroid bed on initial RxWBS;
C. aggressive histology or vascular invasion.

 High-risk patient:
A. macroscopic tumor invasion;
B. incomplete tumor resection;
C. distant metastases;
D. possibly thyroglobulinemia out of proportion to RxWBS findings.”

Scelta della Dose:

Dipende sostanzialmente dall’entità del residuo

 attività elevate (≥ 3.7 GBq [≥ 100 mCi] ) aumentano la probabilità di successo del
trattamento - in particolare nei casi con residui tiroidei di volume relativamente elevato - e
potrebbe consentire una maggiore efficacia della terapia a livello di micrometastasi
occulte.
 attività basse (1.1 – 2.2 GBq [30-60 mCi]) sono efficaci nella maggior parte dei pazienti e
presenta il vantaggio di ridurre l’incidenza degli effetti indesiderati e di limitare la durata
del ricovero.
Quando viene deciso di fare una terapia ablativa, in un modo ideale, dopo l’intervento chirurgico,
bisognerebbe aspettare che il TSH salga,senza dare terapia sostitutiva, e solo in quel momento si
può dare la terapia con iodio. Questo non è possibile perché i centri che eseguono questa terapia
non sono molti dal momento in cui non si può effettuare né in regime ambulatoriale né in day
hospital perché la quantità di iodio radioattivo che si somministra supera i limiti di legge  si
rende necessario il ricovero in regime protetto (stanze particolari, schermate verso l’esterno con
determinati scarichi). In Campania si può effettuare soltanto a Napoli.

In alternativa alla sospensione della terapia sostitutiva, si può somministrare per via
intramuscolare il TSH ricombinante, ed è quello che molto spesso si effettua; ci sono evidenze di
una efficacia “ablativa” simile tra rhTSH e sospensione della L-Tiroxina.
VERIFICA DELL’EFFICACIA DEL TRATTAMENTO ABLATIVO :

 A 8 - 12 mesi dalla terapia con 131I TSH stimolato (TSH stimolato ottenuto sia con TSH
ricombinante, sia sospendendo la terapia sostitutiva)
 Ablazione completa del tessuto tiroideo: valore indosabile Tg negatività di WBS 131I
 Minime aree di captazione cervicale residua (tessuto tiroideo normale) non hanno
rilevanza clinica

Ad esempio, questo è un total body iodio, ovvero un esame scintigrafico eseguito dopo la
somministrazione di iodio a scopo terapeutico. Tutto quello che si vede nella figura al cento è il
residuo tiroideo lasciato dal chirurgo; a 7 mesi è stato effettuato il controllo che ha evidenziato la
scomparsa del tessuto tiroideo residuo.

“Questi fattori che seguono sono stati saltati:


L’uso routinario dell’ablazione si associa con una riduzione del rischio di mortalità specifica solo

 in pazienti anziani con tumori grandi (>45 anni, >4 cm)


 e in pazienti con grossa estensione extratiroidea o metastasi.

In tutti gli altri, non c’è evidenza di un beneficio di sopravvivenza, anche se ci sono dati conflittuali
in pazienti N1 anziani (>45 anni). L’influenza della ablazione di routine sul rischio di recidive è più
difficile da valutare. L’ablazione non è indicata per i pazienti con metastasi linfonodali.”

Tuttavia, esiste una certa percentuale di rates di recidive che varia nel tempo:
FOLLOW UP con lo scopo di:

 mantenere terapia sostitutiva/soppressiva adeguata alle caratteristiche del paziente


 identificare precocemente la comparsa di recidive e/o metastasi della malattia
 rilevare gli eventuali effetti indesiderati tardivi della terapia radiometabolica.

Viene effettuato mediante:

1. Scintigrafia “total body” con 131I (WBS) 1) e 2) le più importanti


2. U.S. (ecografia) del collo
3. Dosaggio della tireoglobulina sierica (AbTg); facendo attenzione all’eventuale presenza di
anticorpi anti tireoglobulina che potrebbero mascherare un innalzamento della
tireoglobulina. Il dosaggio può essere effettuato soltanto se abbiamo rimosso tutto il
tessuto tiroideo.

E’ fondamentale eseguire una stadiazione subito dopo il processo diagnostico per qualsiasi
tipologia di neoplasia perché su questo si basa l’approccio terapeutico successivo; però, nei CDT la
stadiazione viene effettuata soltanto a livello loco-regionale, quindi si fa un’eco del collo e ci si
ferma e, sulla base dei risultati dell’istologico, si decide cosa fare. Se facciamo terapia con iodio
131 ablativa, l’esame scintigrafico è componente del processo di stadiazione ed in quel momento
possiamo vedere qualche cosa.

Nel follow up andiamo a vedere se sono presenti variazioni della tireoglobulina ( 3) ):

 Tg > cut-off istituzionale (comunque > 2 ng/ml) potenzialmente non guarito iter
diagnostico completo
 Tg indosabile (AbTg) e nessuna evidenza di malattia residua in remissione

Se la tireoglobulina si mantiene bassa, abbiamo un rischio di recidive molto basso, questo vuol dire
che possiamo limitarci ad un controllo periodico con tireoglobulina ed eco del collo; può essere
effettuato con una certa dilatazione dei tempi, non è necessario farlo ogni 6 mesi, si può fare
anche ogni anno o 3 perché è un pz a basso rischio. Quindi:

 Pazienti con Tg < 1 ng/ml


o Rischio di recidiva < 2%
o Annualmente: Tg e US collo
o Dose di L-T4 da soppressiva a semi-soppressiva (livelli di TSH mantenuti a 0.2 – 0.5 mU/l) e
poi sostitutiva
o Una seconda valutazione della Tg dopo test di stimolo con rhTSH può essere programmata
dopo 2-3 anni per maggior sicurezza

 Pazienti a medio/alto rischio di recidiva


o Tg ogni 6 mesi
o US collo, dosaggio della Tg sierica e WBS (TSH stimolato)
o 2 volte nei primi 5 anni del follow-up

 Pazienti con Tg dosabile (di base o con TSH stimolato)


o Imaging e WBS
o Terapia con 131I senza un WBS preliminare
o Pazienti con Tg-Ab sierici devono essere seguiti con metodiche di imaging incluso il WBS

Se troviamo un innalzamento della tireoglobulina come si procede?

1. Innanzitutto, bisogna capire se è un innalzamento reale o meno  eseguire dosaggi a


distanza di tempo e vedere se ciò è confermato.
2. Possiamo effettuare procedure di imaging per capire dove sono queste recidive. In realtà,
l’unica procedura di imaging che si effettua è, ancora una volta, l’ ecografia del collo,
perché se “sgonfiamo” un linfonodo patologico, possiamo pensare ad un intervento;
3. In alternativa, si effettua un trattamento con iodio 131 un po’ alla cieca, ovvero solo sulla
base dei valori incrementali di tireoglobulina e si vede cosa accade.

DILEMMA CLINICO:
Questo può essere dovuto sia a problemi tecnici ma anche alla variazione della biologia del
tumore.

Lo iodio 131 entra nelle cellule utilizzando il simporto che è presente fintantoché le cellule tiroidee
sono differenziate; quando le cellule perdono questa caratteristica di differenziazione, una delle
prime cosa che perdono è proprio il simporto e si possono avere metastasi nelle sedi che
producono tireoglobulina ma non hanno più in quantità sufficiente il simporto e quindi la capacità
di concentrare per fare energia  questi pz possono essere evidenziati più correttamente con
altre procedure di imaging, come quelli scintigrafici ma anche una risonanza total body ed,
ovviamente, sono pz che non possono più essere trattati con iodio radioattivo. Oggi si stanno
testando vari farmaci come gli inibitori delle tirosin chinasi.

 131I nella terapia delle recidive loco-regionali (15%-20% dei casi):


 LA TERAPIA DI SCELTA È LA CHIRURGIA
 seguita da 131I (3.7 GBq)
 NEI CASI CHIRURGICAMENTE NON TRATTABILI 131I (3.7 - 5.5 GBq)

 131I nella terapia delle metastasi a distanza (raro)


È raro il prelievo di metastasi a distanza durante la diagnosi
Siti più comuni di metastasi a distanza
 Polmoni
 Colonna vertebrale
 Scheletro appendicolare
 Attività: 3.7 - 11.1 GBq (100 - 300 mCi)  quantità di iodio decisamente elevato
 studi dosimetrici

(in qualche modo il tessuto osseo impedisce allo iodio di poter esplicare la sua funzione)

Questo caso del professore riguarda un pz trattato la prima volta con iodio 131, una seconda volta
sono state riscontrate metastasi polmonari ed, infine, dopo 4, 5 cicli di terapia, è sopravvissuto.
Non è facile avere “successo” in questi casi; la cosa importante è stabilizzare la malattia, tenerla
sotto controllo.
Risultati nella terapia delle metastasi a distanza con 131I:

 Risposta completa nel 46%


o Fattori predittivi : giovane età e volume piccolo ( Schlumberger et al. J Nucl Med 37:
598, 1996)
 Risposta ad 1 anno
o Metastasi polmonari: 35%
o Metastasi ossee: 7% ( Robbins et al. J Thyroid 13: 702, 2003)
 Mortalità a 10 anni del 75%
o Fattori predittivi: età avanzata e sedi multiple

 131I sulla base della sola Tg elevata

Tg elevata nel corso del Follow-Up

 TSH stimolato: Tg + STB 131I


o 131I Stunning
o 131I Falsi Negativi (fino a 50%):
 Perdita della capacità iodocaptante
 Bassa attività di 131I

 Terapia con 3700 MBq 131I

Riguardo a questo studio eseguito qualche anno fa, vengono evidenziate le risposte parziali (PR) e
quelle complete (CR) che non arrivano complessivamente al 50%; però abbiamo un certo grado di
stabilizzazione.
In questi soggetti si può fare una PET, che ha un significato prognostico; si è visto che in pz che
hanno sospette metastasi, la normalizzazione della tireoglobulina dopo trattamento con iodio131
è diverso in percentuale in quelli che erano negativi rispetto ai positivi nella PET. È un po’ un
discorso opposto: se i pz sono positivi alla PET, non rispondono alla terapia con lo iodio, perché in
linea generale, anche dal punto di vista prognostico, vanno male.

Le due slides sono state saltate:


CONCLUSIONI:

 La terapia con131I ha grande impatto nei CDT


 L’ablazione con 131I riduce il rate di recidive
 Utile nel trattamento di metastasi iodocaptanti
 Dubbia utilità in pazienti anziani con “ grosse ” metastasi

Futuri sviluppi:

o Selezione dei pazienti con CDT metastatici da trattare


o Dosimetria
o Captazione e ritenzione dello 131I
o Nuovi Radiofarmaci ?

Un altro grande campo di applicazione delle sostanze radioattive a scopo terapeutico è il


trattamento delle metastasi ossee dove il primo obiettivo è quello di ridurre il dolore del pz.
“LA TERAPIA CON RADIONUCLIDI (del Dolore) DELLE METASTASI OSSEE”

 Quasi tutte le neoplasie primitive possono dare luogo a metastasi ossee


 Le metastasi ossee sono comuni in pazienti con carcinoma della prostata, mammella e
polmone
 Circa 55 nuovi pazienti con cancro prostatico e 114 con cancro della mammella su 100000
soggetti sono individuati nel mondo per anno
 Nell’ 80% di questi pazienti vengono rinvenute metastasi ossee all’autopsia
 L’osso può essere l’unica sede di metastasi
 Abitualmente multiple e diffuse
 Più del 50% sono rinvenute nello scheletro assile
 Il più importante sintomo è il dolore
 NOTA: Molti di questi pazienti vivono per molti anni anche dopo la scoperta delle metastasi
ossee

Effetti locali delle metastasi ossee:

 Aumentata distruzione ossea (Osteolitica)


 Aumentata formazione ossea (Osteosclerotica)
 Microscopicamente non ci sono differenze qualitative
 Nella grande parte dei casi la formazione di osso avviene sul versante della distruzione
 L’evidenza radiologica/scintigrafica riflette meramente il processo che predomina

Cause di dolore osseo (50-60% dei pazienti con tumore osseo):

 Infiltrazione tumorale
 Espansione delle membrane periostali (riccamente innervate con nocicettori)
 Stimolo delle terminazioni nervose endoteliali da parte di prostaglandine, Tumor
Necrotizing Factors (TNF) e bradichine rilasciate dal processo osteolitico
 Instabilità meccanica (rimaneggiamento osseo)
 Invasione del tumore dall’osso nelle strutture neurologiche

Management del dolore osseo:

 Gli obiettivi chiave sono:


o Alleviare o rimuovere il dolore
o Migliorare la qualità di vita
 La totalità dei trattamenti adottati per ciascun tipo di neoplasia primitiva è sempre il primo
passo nel management del dolore da metastasi ossee.”
Cure Palliative:

 CHIRURGIA
 CHEMIOTERAPIA
 ANALGESICI
 RADIOTERAPIA ESTERNA
 TERAPIA SISTEMICA CON RADIONUCLIDI

Obiettivo di tali terapie:

 Riduzione della massa tumorale


 Rimozione del “carico” tumorale
 Sollievo del dolore
 Migliore qualità della vita
 Migliore performance status

Molteplici strategie:

 Terapia antiblastica
 Analgesici narcotici e non-narcotici
 Farmaci infiammatori non steroidei
 Terapia ormonale
 Bifosfonati
 Radioterapia esterna
 Uso sistemico di radiofarmaci “osteotropi”

Per quanto riguarda i radionuclidi, molti sono quelli adoperati, come il fosforo 32; il più recente di
tutti (pochi anni fa) è il radiodicloruro, ed ha avuto grandi risultati:
“Caratteristiche ideali di un radiofarmaco “osteotropo” per la terapia palliativa delle metastasi
ossee:

 produzione e trasporto semplici


 stabilità in vitro e in vivo
 emissione β con E max > 0.8 MeV e < 2.0 MeV
 captazione elettiva di tutte le metastasi ossee rispetto al tessuto osseo normale
 biodistribuzione prevedibile dalla sc. ossea
 rapida eliminazione della quota non fissata
 t 1/2 fisico > t 1/2 biologico
 t 1/2 adeguato, per erogare una dose utile al bersaglio, limitando la mielotossicità
 alta percentuale di risposte efficaci
 inizio precoce degli effetti terapeutici e prolungata risposta
 somministrazione semplice (non invasiva)
 trattamento ripetibile
 assenza di limitazioni radioprotezionistiche

Gli effetti radianti si traducono in:

 riduzione dell’edema
 riduzione delle reazioni infiammatorie
 decremento della pressione interstiziale
 riduzione nella produzione di sostanze algogene”

Indicazioni alla Terapia:

 dolore polistazionale o dolore monostazionale -sc. ossea pluripositiva


 in terapia con analgesici maggiori
 aspettativa di vita di almeno 6 mesi
 condizioni ematologiche e renali permissive
 terapie pregresse potenzialmente mielotossiche non costituiscono fattore di esclusione,
purché sufficientemente distanziate e con crasi ematica reintegrata

I pz che hanno una funzione ematologica compromessa, non dovrebbero essere trattati con
queste sostanze che, localizzandosi nel tessuto osseo, arrivano al midollo e possono peggiorare il
quadro. Anche i pz con elevato rischio di fratture o compressione midollare perché i farmaci,
agendo in quelle sedi, riducono ulteriormente la resistenza dell’osso e promuovono il rischio di
sviluppare fratture.

“CRITERI DI ESCLUSIONE:

 piastrine < 100.000 / ml (escl. relativa);


 < 60.000 / ml (escl. assoluta )
 leucociti < 2.500 / ml
 crasi ematica in rapido deterioramento
 funzionalità renale compromessa
 rischio di frattura patologica o di compressione midollare
 aspettativa di vita < 3 mesi
 indice di Karnofsky < 50 (esc.relativa)

Effetti collaterali precoci:

“Pain-flair phenomenon”: in circa 5-15% dei casi aumento transitorio del dolore 24-48 ore dopo l’
iniezione. Tale sintomo è temporaneo, rappresenterebbe una reazione “infiammatoria” causata
dall’ irradiazione, ed è considerato un’ indicatore di risposta “positiva” al trattamento.

Effetti tardivi – Mielotossicità:

 Modesta mielotossicità transitoria, a carico delle piastrine e poi dei leucociti


 I tempi d’inizio, durata e ritorno alla normalità della crasi ematica sono correlati alle
condizioni dell’individuo ed all’attività radiobiologica del radiofarmaco
 La depressione midollare ha inizio dopo 2 settimane, nadir a 4-6 settimane, con lento
recupero a 3-6 mesi
 La soppressione midollare è dose-dipendente e risulta cumulativa per ripetute
somministrazioni o combinazioni con altri trattamenti mielotossici
 La depressione midollare radioindotta può essere aggravata dalla “sostituzione midollare”,
per progressione della malattia.”

Sono adoperati per il trattamento lo stronzio-cloruro (che è un beta inibitore), il samario:

Radiofarmaco % riduzione + % scomparsa Durata (mesi) Inizio Mielotossicità


scomparsa dolore
dolore
89-Sr cloruro 70-75% 20-25% 3-6 <2 s Moderata
186 – Re – 65-75% 18-20% 2-3 1-2s Lieve
HEDP
153-Sm- 65-75% 30% 2-3 1-2 s Lieve
EDTMP
117m-Sn- 75% 12% ? >1s Minima
DTPA

Tutti questi radiofarmaci sono dotati di AIC, ovvero di autorizzazione all’immissione in commercio,
quindi tutti i centri dotati di autorizzazione possono effettuare tali trattamenti con radiofarmaci.

Le metastasi ossee radiologicamente litiche hanno dimostrato una risposta peggiore rispetto a
quelle osteoblastiche o miste:

 osteolitiche: 42.86%
 osteoaddensanti: 62.50%
 miste: 61.64%
La risposta è, ovviamente, migliore nel caso delle metastasi osteoaddensanti (sostanzialmente le
blastiche) perché tutte queste sostanze, incluso il radio (vedi dopo), si localizzano nel tessuto
osseo (non nella neoplasia) in funzione dell’attività osteoblastica del flusso  questo consente di
trattare meglio le metastasi osteoblastiche rispetto alle altre.

“IL TRATTAMENTO CON RADIONUCLIDI DELLE METASTASI OSSEE : 89Sr (costo-efficacia)

 Costo di una Dose: euro 2000


 Risparmio : euro 5000; quindi un risparmio notevole!

Va notato che, essendo un trattamento sistemico, può trattare una situazione monostotica, la
quale può essere trattata anche con una terapia per fasci esterni con buoni risultati.

Linee guida:

 Valutazione ematologica (settimanale)


 Evitare effetti cumulativi con altre terapie (>12 settimane)
 Captazione ridotta in radioterapia esterna
 Discontinuare difosfonati 24-48 ore prima (riducono captazione)
 e.v. lenta (>30 sec) 1.5-2 MBq/kg (150 MBq)”

La terapia per la palliazione del dolore da metastasi ossee si puo’ effettuare ambulatorialmente
(perché queste sostanze non emettono raggi gamma o raggi x; le particelle beta ed alfa hanno un
percorso così breve che in realtà non fuoriescono dal corpo del pz), salvo nei casi in cui i pazienti
siano non autonomi o incontinenti e purché seguano delle prescrizioni precise.

Quando al pz viene consentito di tornare a casa, deve essere adottato un regime di isolamento
(mentre nei CDT ci sono alcuni giorni di ricovero e poi può tornare a casa e condurre la sua vita
normalmente). A seconda di quanto iodio abbia ricevuto il pz, per alcuni giorni deve evitare il
contatto con le persone  distanza superiore ai 3 metri, cosa che non è possibile da adottare ed è
per questo che non viene consentito al pz di tornare a casa durante questo periodo.

FUTURE DIREZIONI:

 Dose Escalation
 Diffusione Metastatica
 Enhancement della captazione
 Chemosensibilizzazione
 Metastasi subcliniche
 Somministrazioni Ripetute
 Altri Radionuclidi

RADIO-223 (α emettitore) nel trattamento delle metastasi osteoblastiche (terapia efficace):

Il 223Ra, che emette particelle α (molto pesanti, come dei nuclei di elio; hanno un range di azione
piccolissimo, ecco perché hanno un rapporto costo/benefici favorevole), mima il Ca nel formare
complessi con l’idrossiapatite e si lega preferezialmente all’osso neoformato che circonda la
metastasi senza evidenti effetti a distanza.

Nel 2014 è stato pubblicato il risultato di questo trail internazionale che è stato addirittura
fermato durante il reclutamento per manifesta efficacia: il rischio di malattia era inferiore al ramo
trattato; di fatti si è ottenuto un aumento della sopravvivenza.

Dopo di questo si sono succeduti vari studi, come quello che valutava la sopravvivenza globale
della malattia e gli effetti al midollo e si è visto che il prolungamento della sopravvivenza globale
si evince nei pz trattati rispetto a quelli che decidevano un trattamento inferiore al radio.

Radium-223: Phase 3 Clinical Study

A 921-patient prospective, randomized, placebocontrolled, international trial (the “ALSYMPCA”


trial) required bone-metastatic symptomatic CRPC patients in combination with no known visceral
disease and no lymph nodes larger than 3 cm. Adequate hematopoietic function was required. The
trial was halted for efficacy HR was 0.695, 95%, and p < 0.005.
Using only routine contamination protection barriers – such as latex gloves - produces low
exposure rates to both the personnel involved in the patient’s therapy and the patient’s family. As
a result, these therapies can safely be performed as outpatient procedures.

Factors affecting 223Ra therapy: clinical experience after 532 cycles from a single institution:

110 patients with metastatic castration-resistant prostate End points were overall survival (OS),
progression-free survival (PFS), bone event-free survival (BeFS), and bone marrow failure (BMF)
Prior to the first 223Ra cycle: serum levels of hemoglobin (Hb), prostate-specific antigen (PSA),
alkaline phosphatase (ALP), Eastern Cooperative Oncology Group (ECOG) status, pain score, use of
chemotherapy, and external beam radiation therapy (EBRT) During/after 223Ra : total number of
radium cycles (RaTot), the PSA doubling time (PSADT), and the use of chemotherapy, EBRT,
abiraterone, and enzalutamide.

RaTot, ALP, initial ECOG status, initial pain score, and use of abiraterone were associated with OS
(p≤0.008), PFS (p≤0.003), and BeFS (p≤0.020) RaTot, ALP, initial ECOG status, and initial pain score
were significantly associated with BMF (p≤0.001) as well as Hb (p<0.001) and EBRT (p=0,009).

On multivariable analysis, only RaTot and abiraterone remained significantly associated with OS
(p<0.001; p=0,033, respectively), PFS (p<0,001; p=0,041, respectively), and BeFS (p<0,001, p0
0,019, respectively). Additionally, RaTot (p=0.027) and EBRT (p=0.013) remained significantly
associated with BMF.

Patients who completed the planned sixcycle 223Ra therapy had a reduced risk of death (−44 %),
progression (−33 %), skeletal-related event (−38 %), and development of BMF (−30 %) compared
to patients who did not receive all six doses. The median OS was significantly longer than the first
group (15.7 months vs 7.2 months; p<0,0001).
Although definitive protocols for combined therapy are still lacking, since the introduction of
223Ra there has been a clear trend towards the use of radionuclide metabolic therapy in early
stages of bone metastatic disease with curative intent, rather than in late stages only for pain
palliation and after the failure of other therapeutic measures. Moreover, studies are ongoing on
combined therapy.
Attualmente sono in corso diversi traials di associazione nel carcinoma prostatico castrazione
resistente con metastasi ossee senza metastasi viscerali. L’associazione con prednisone può essere
deleteria.

LA TERAPIA CON ANALOGHI RADIOMARCATI DELLA SOMATOSTATINA:

 “Ormone peptidico di 14 amino acidi presente nel SNC, nel tratto GE e in molte cellule di
origine neuroendorcrina ma anche in altre cellule (linfociti)
 La somatostatina ha effetti inibitori sulla secrezione di diversi ormoni (ormone della
crescita, insulina, glucagone e gastrina)
 I recettori della somatostatina (5 tipi) sono glicoproteine di membrana
 Alte concentrazioni di sst2 sono espresse in vari tumori:
o neuroendocrini,
o SNC,
o mammella,
o linfomi
 Presenti anche nei vasi peritumorali possibile risposta anti-angiogenica
 Emivita plasmatica circa 3 min. dopo e.v.
 Veloce degradazione enzimatica “
 Gli Analoghi sono più resistenti agli enzimi:
o Octreotide (Sandostatin or SMS 201-995 )
o Lanreotide (BIM23014)
o Vapreotide (RC-160)

Gli analoghi della somatostatina sono marcati e legati con sostanze radioattive che emettono
particelle beta.

 Effetti benefici sulle caratteristiche sintomatiche dei tumori neuroendocrini

INDICAZIONI:

Masse primitive e metastatiche con alta concentrazione di SSTR2 localizzate alla scintigrafia con
111In-octretide scintigraphy (non candidati alla chirurgia – non responders alla chemioterapia)

Trials Clinici:

o Tumori Neuroendocrini
o Carcinoma Mammario
o Carcinoma Polmonare a Piccole Cellule
o Tumori SNC (brachitherapia)
o Timoma

Prospettive:
o Tiroide (non iodio captanti)
o Fegato
o Melanoma
La percentuale di successo con tale trattamento non è elevatissima, ma questi pz non possono
essere trattati chirurgicamente e quindi, anche ottenere la stabilizzazione della malattia, va
considerato un successo.

Protocollo terapeutico:

 Pazienti con malattia diffusa o localizzata con scintigrafia positiva e senza altre opzioni
terapeutiche
 Scintigrafia con 111Indio-DTPA-Octretide
 Terapia con 90Y-DOTA-Octreotate
 Controllo della tossicità renale ed ematologica
 Consenso Informato

Criteri di inclusione:

 Malattia metastatica o primitiva non suscettibile di chirurgia


 Non più responders alla Chemio convenzionale
 Compenso insufficiente delle sindromi dolorose e/o metaboliche
 Performance status: grado 0-2 (WHO)
 Aspettativa di vita > 3 mesi
 Età >18 anni
 β-HCG negativa nelle donne
 funzione renale preservata : creatinine < 1.3*limiti normali
 funzione epatica preservata :
o Senza metastasi epatiche; valori < 2* limiti normali alti
o Con metastasi epatiche; valori < 5* limiti normali alti
 Nessuna malattia allergica
Poiché la somatostatina si lega ai recettori, dobbiamo valutare l’espressione dei recettori; se sono
sufficienti a garantire un’efficacia terapeutica.

Si utilizzano delle scale particolari riguardo alla captazione di questo farmaco marcato con un
gamma emittente; oppure si può fare anche in PET, laddove sia possibile, utilizzando sempre
l’analogo della somatostatina marcato con un emettitore di positroni come il Ga68:

Il radiofarmaco più comunemente adoperato per l’imaging dei recettori della somatostatina è
111In-DTPA-octreotide. Più recentemente e con maggiore accuratezza: 68Ga-DOTA-peptide per
PET/CT.

Complessivamente abbiamo una risposta al 33%:


Nonostante siano stati riportati buoni risultati con 177Lu-DOTA, 177LuDOTATATE e90Y-DOTATOC,
le Risposte Complete sono ancora rare.

L’efficacia è tanto maggiore quanto più la captazione iniziale era intensa. Questa è una curva di
sopravvivenza in cu i pz che erano stati portati in remissione, hanno una sopravvivenza simile ai pz
che erano andati in stabilizzazione della malattia.

Quindi remissione (completa o parziale) e stabilizzazione portano ad un miglioramento della


prognosi in termini di efficacia ed effetti.

L’ultimo trattamento con radionuclidi è la radioimmunoterapia (RIT), ovvero una modalità


terapeutica in cui le radiazioni citotossiche sono rilasciate da un radionuclide al tumore per mezzo
di una anticorpo specifico per un antigene tumore-associato.

Quando furono scoperti gli anticorpi monoclonali da Cesar Milstain e collaboratori, ci fu un


entusiasmo particolare perché subito si pensò che si avrebbe avuto un anticorpo monoclonale
contro un antigene specifico di una determinata patologia; il problema è individuare tale antigene
specifico! Non esistono, quasi, antigeni specifici neoplastici ma esistono quelli che sono
overespressi nelle neoplasie che per lo più delle volte sono espressi in altre patologie. Un esempiio
particolare è rappresentato dal linfoma non Hodgkin dove si utilizza il rituximab.

“Il trattamento del linfoma non Hodgkin indolente è il seguente:

 Radioterapia esterna
 Polichemioterapia
 Chemioterapia ad alte dosi e trapianto
 Analoghi delle purine: FLUDARABINA FOSFATO.”
 Anticorpi monoclonali: RITUXIMAB (CD20)
 Radio immunoterapia: ZEVALIN
1) Ibritumomab: anticorpo murino anti-CD20 che si lega alle cellule B maligne
2) Tiuxetano: chelante ad alta affinità che assicura un legame stabile tra MAb ed ittrio-90
3) Itrio-90 : emette radiazioni beta che raggiungono le cell B maligne; il 90% delle radiazioni
viene assorbito entro 5 mm (lunghezza di percorso massimo 11mm)

L’idea di una decina di anni fa è stata la seguente: se prendiamo l’anticorpo monoclonale che è
stato già alterato e lo uniamo ad una sostanza radioattiva, possiamo potenziarne l’efficacia, perché
mentre il rituximab agisce soltanto sulle cellule alle quali si lega tramite effetto citotossico, la
presenza della sostanza radioattiva fa si che si abbia un effetto anche sulle cellule che esprimono
meno CD20 o non lo esprimono affatto.

VANTAGGI DELLA RADIOIMMUNOTERAPIA (RIT)

 Le cellule del linofma sono radiosensibili


 La RIT veicola radiazioni continue a basse dosi alle cellule tumorali
 Le radiazioni veicolate alle cellule nella RIT distruggono anche le cellule tumorali vicine
(cross fire effect)
 È efficace nei tumori “bulky” o poco vascolarizzati
Criteri per il trattamento con Zevalin:

Inclusione:

 Infiltrazione midollare < 25%


 Valore assoluto dei neutrofili (ANC) >1500/µl
 Valore delle piastrine >150.000/ µl (ridurre la dose di Zevalin a 11 MBq/Kg in pz con
piastrine comprese fra 1 e 1,5 x 10alla5/ µl

Esclusione:

 Precedente terapia mieloablativa


 Precedente radioterapia su oltre il 25% del midollo osseo attivo
 Gravidanza ed allattamento
 Conta delle piastrine <100.000/ µl o con numero di neutrofili < 15000/ µl
 Bambini o adolescenti di età inferiore a 18 anni
Le reazioni avverse sono poche e di bassa entità; sono principalmente di tipo ematologico:

 Il tempo mediano per raggiungere il nadir dopo somministrazione di Zevalin è di 7-9


settimane (più tardivo rispetto alla chemioterapia).

Le reazioni avverse non ematologiche sono principalmente di grado 1 o 2:

 Non sono associate alle comuni reazioni avverse da chemioterapici es perdita di capelli,
mucositi gravi, nausea persistente e vomito

Zevalin non sembra associato ad un aumento del rischio di insorgenza di tumori secondari:

 In 5 pz su 211 trattati con Zevalin è stata riportata una mielodisplasia/leucemia acuta


mieloide (AML).

Non ci sono problemi per quanto riguarda l’esposizione alle radiazioni per le altre persone perché
l’anticorpo monoclonale Zevalin utilizza come radionuclide un emettitore di particelle beta, quindi:

 non escono all’esterno del corpo


 il ricovero in regime protetto e l’isolamento non sarebbero necessari
 sono sufficienti adeguate istruzioni.

La dose ai familiari è minima e si mantiene nel range del background europeo di radiazioni.
L’escrezione urinaria globale in una settimana è minima; non vi è significativa escrezione
intestinale. Infine, piccole quantità di sangue non contengono significative quantità di
radioattività.

Il primo studio che mostrava il successo di questo farmaco:


La risposta globale con lo Zevalin in questo tipo di linfoma era dell’80% contro il56% del solo
rituximab; anche nella risposta completa vi è una differenza di quasi il doppio:

Tanto più precoce è il trattamento, migliore sarà il risultato; è sicuro anche nei pz anziani.
Dopo il trattamento di prima linea, si può fare il trattamento con lo Zevalin.
Si può utilizzare anche come terapia di consolidamento, quindi dopo successo terapeutico si può
consolidare con lo Zevalin.
CRITERI/LINEE GUIDA

TRATTAMENTO DI:

1. relapsed or refractory low grade NHL


2. follicular lymphoma:
a) relapsed or refractory follicular NHL
b) for previously untreated follicular NHL in patients who achieve a partial or complete
response to first – line chemotherapy
c) as first – line radioimmunotherapy alone in elderly or infirm patients with the
indications for treatment in the setting of comorbidities where tolerability od
combination chemotherapy is a concern
d) following induction chemotherapy
e) chemoimmuno therapy as first line consolidation therapy
f) as second – line radioimmunotherapy for refractory or progressive disease in
patients with the indications for treatment

3. Gastric and nongastric MALT lymphoma


a) As first – line radioimmunotherapy alone in elderly or infirm patients with the
indications for treatment in the setting of comorbities where tolerability of
combination chemotherapy is a concern
b) Following induction chemotherapy
c) Chemoimmunotheraapy as first – line consolidation therapy stage IIIE-IV disease; or
d) As second – line radioimmunotherapy for recurrent or progressive disease in
patients with the indications for treatment.
4. Primary cutaneous B cell lymphoma
a) Radioimmunotherapy alone, including in elderly or infirm patients with the
indications for treatment in the setting of comorbities where tolerability of
combination chemotherapy is a concern
b) Following induction chemotherapy
c) Chemoimmunotherapy as first line consolidation therapy for refractory generalized
cutaneous marginal zone follicle center lymphoma
d) As second line radioimmunotherapy for refractory generalized cutaneous disease or
relapsed generalized extracutaneous disease in patients with indications for
treatment

5. Splenic marginal zone lymphoma – for progressive disease following initial treatment for
splenomegaly in patinets with the indications for the treatment as:
a) As first line radioimmunotherapy alone in elderly or infirm patients with the
indications for treatment in the setting of comorbities where tolerability of
combination chemotherapy is a concern
b) Following induction chemotherapy
c) Chemoimmunotherapy as first line consolidation therapy
d) Second line radioimmunotherapy

For the indications listed above, the following criteria must be met:

1. lymphoma involvement of the bone is less than 25 percent


2. platelet count is greater than or equal to 100.000 cells/cubic millimeter
3. neutrophil count is greater than or equal to 1,500 cells/cubic millimeter
4. prior external beam radiation therapy not to exceed 25 percent of the bone marrow
5. no prior history of myeloablative therapy/autologous bone marrow transplant

Relapsed is defined as the reappearance of disease in the region of prior disease (recurrence)
and/or in new regions (extensions) after initial therapy and attainment of complete responde,
refractory is defined as no longer responding to therapy.

Sbobinatore: Chiara Santoro

Controllore: Ilaria Liambo


9- DPI: Diagnostica per immagini dell’Apparato Digerente 05/12/2016

Addome acuto

Cominciamo la lezione sul Gastroenterico parlando dell’addome acuto, che è una patologia frequente dei pazienti
che si presentano al pronto soccorso.

È una condizione patologica in cui il pz riferisce forti dolori addominali, l’addome si presenta ligneo, quindi duro,
poco trattabile alla palpazione, il dolore può essere di tipo diffuso o riferito ai vari quadranti addominali.

Le cause possono essere sia patologie che mettono a rischio la vita del paziente (con necessità di diagnosi
precoce, tempestiva) che, invece, autolimitanti.
Le prime sono, ad esempio: rottura di aneurisma aortico addominale, pancreatite acuta in fase avanzata,
perforazioni intestinali, perforazioni dei diverticoli.
Le seconde invece sono: linfoadenite, gastroenterite, appendiciti epiploiche.

Al centro vedete che ci sono delle patologie –appendicite, colecistite e diverticolite- che sono, invece, le cause più
comuni che portano all’Addome Acuto.

Cosa è importante nell’approccio iniziale di diagnosi al paziente?

• Esami di laboratorio, quindi: leucociti, VES e PCR, anche se non sono patognomoniche o specifiche (anche
in corso di appendicite i GB possono essere normali);
• Informazioni dettagliate sull’anamnesi del paziente
• Sede in cui il paziente riferisce il dolore addominale
• Inadigini di diagnostica per immagin: ecografia, diretta addome e TC

Estremamente importante è la valutazione di indirizzamento alla chirurgia (bisogna decidere tempestivamente se


i pazienti vanno sottoposti ad intervento chirurgico o a terapia conservativa medica).
Vediamo come si localizza il dolore addominale in base alla patologia: di solito l’Appendicite si localizza come
dolore acuto in fossa iliaca dx; la Colecistite acuta all’ipocondrio dx e si irradia alla scapola; la Diverticolite invece
alla fossa iliaca sx, prevalentemente al sigma.
Per l’APPENDICITE si considera l’Ecografia come primo step
diagnostico in pronto soccorso (da praticarsi, quindi, al
paziente con dolore in fossa iliaca dx).
Questo è l’esame ecografico dell’appendice di un soggetto
normale.
Cosa si valuta?
Innanzitutto lo spessore della parete, che deve essere
inferiore al cut-off di 6mm (in linea di massima spessori
superiori indicano ispessimento della parete dell’appendice);
un ulteriore indice che ci indirizza alla diagnosi di
infiammazione acuta è l’addensamento del grasso
periappendicolare, come vedete in questo esame TC.
In questo caso coesiste una sovradistensione dell’appendice a contenuto fluido.

Per la DIVERTICOLITE abbiamo invece parlato di dolore acuto


in fossa iliaca sx: è un’infiammazione del

diverticolo che può condurre ad addensamento del tessuto


adiposo peridiverticolare, perforazione, ascesso. La
perforazione può essere contenuta (“perforazione coperta”),
per cui si può temporeggiare ed attuare terapia medica, o
invece essere una “perforazione diffusa” che dev’essere
operata d’urgenza.

Questa è un’ecografia in cui apprezziamo il lume intestinale, il


diverticolo (estroflessione della parete), ed intorno (dove
vedete le frecce) l’addensamento del grasso peridiverticolare.
Questo invece è un esame TC in cui si visualizzano essenzialmente le stesse cose, e cioè addensamento del grasso
peridiverticolare.
Qui, invece, oltre al grasso addensato, vediamo dell’aria al di fuori del lume: è ciò di cui si parlava prima, un
diverticolo perforato, e lo vediamo coperto, quindi si può optare per la terapia medica.

La COLECISTITE acuta, l’infiammazione della colecisti, può


essere enfisematosa perforata o gangrenosa e deve essere
operata, oppure se il calcolo è incuneato nell’infundibolo o
nella via escretrice principale deve essere rimosso; se invece
ha portato solo un ispessimento parietale con fluido intorno si
può provare la terapia medica (differenziazione dell’approccio
terapeutico sulla base della gravità, come per la perforazione
di diverticolite).

Questa è un’ecografia in cui vedete a sx una scansione


longitudinale e a dx una assiale: in entrambi i casi vediamo
ispessimento parietale ed interno del lume disomogeneo, che
indica fango biliare o calcolosi della colecisti (in questo caso coesistono microcalcoli e fango bliare).

Anche in questa TC vediamo ispessimento e fluido che indica edema e infiammazione. Qua il calcolo non si vede,
ma è la scansione TC.

Cosa è importante? Quando si presenta un pz con dolore in fossa iliaca dx o sx o ipocondrio bisogna valutare la
diagnosi differenziale.
Per esempio, sono cause di dolore in fossa iliaca dx: Appendicite, morbo di Crohn, in una donna una Salpingite o
una Cisti ovarica endometriosica o scoppiata.
In fossa iliaca sx: diverticoli o patologia annessiale nella donna.
In ipocondrio: Colecistite o Colite, che spesso sono confuse tra loro.
Vi ho inserito queste immagini appunto per parlare delle malattie infiammatorie croniche intestinali, quindi
malattia di Crohn e Rettocolite Ulcerosa.

Malattie infiammatorie croniche intestinali (IBS)

Per la MALATTIA DI CROHN si effettuava (ora sostituiti da TC e


Risonanza) il “clisma del tenue a doppio

contrasto” o il “tenue seriato per os”: si faceva bere del bario


al pz e venivano scattati radiogrammi a tempi determinati
finché il bario raggiungeva almeno l’ultima ansa ileale ed il
cieco.
Il clisma del tenue presenta molti vantaggi rispetto al “tenue
per os” perché ha il doppio contrasto: si posiziona il sondino di
Bilbao Dotter (per naso o per bocca) e si posiziona l’estremo
distale all’angolo del Treitz, viene iniettato attraverso il
sondino del mezzo di contrasto baritato, che serve per
verniciare le pareti dell’intestino, e il doppio contrasto
rappresentato dalla Metilcellulosa, che è una soluzione, un
mezzo di contrasto negativo, e serve sia a spingere il Bario
che a dare il doppio contrasto per la valutazione della parete e delle valvole.

La malattia di Crohn è una malattia infiammatoria intestinale cronica caratterizzata da lesioni inizialmente
ulcerative e prevalentemente localizzate ad ileo terminale e colon: le ulcere conferiscono all’intestino un aspetto
“ad acciottolato romano”, che è un segno rinvenibile al clisma del tenue, e rappresenta una semeiotica per i
clismi. Abbiamo anche lesioni a salto, cioè asincrone, non continue, con tratti di intestino stenotico alternati a
tratti dilatati e cioè sani; interessa la parete a tutto spessore (a differenza della Rettocolite Ulcerosa, che interessa
solo mucosa e sottomucosa).

Questo è un esempio di clisma del tenue a doppio contrasto: vedete un restringimento, cioè una stenosi, di una
delle ultime anse ileali, che si vede meglio nella successiva.
Questa è un’ecografia di ansa ileale a pareti ispessite: vedete un forte restringimento di calibro del lume
iperecogeno. Attualmente, comunque, si utilizzano più spesso TC e Risonanza Magnetica anche per lo studio del
morbo di Crohn, e la visualizzazione dell’estensione di malattia è più precisa con TC che con Risonanza, le
complicanze (in particolare fistole e perforazioni) possono essere valutate meglio, e poi l’addensamento intorno
all’ansa colpita del grasso circostante si vede meglio con TC e RM (anzi in realtà col clisma non si riusciva proprio a
valutare questo addensamento con iperemia).

Questa è una TC con mdc endovenoso: sia RM che TC vanno eseguite con mdc endovenosi, ed in più deve essere
somministrato al paziente PEG, una soluzione iperosmolare che attrae liquido all’interno dell’ansa e serve a
distendere le anse intestinali per migliore valutazione della parete (qua si vede bene l’ispessimento dell’ansa,
l’iperemia, la stenosi del lume, e si vede come ci sia un inizio di dilatazione a monte della stenosi).

Questa è una sequenza di RM in T2 ed i liquidi risultano iperintensi, quindi si può fare molto bene la valutazione
della distensione del lume intestinale grazie al PEG, del calibro, dello spessore.

Le complicanze più comuni della malattia di Crohn sono le fistole (proprio perché interessa la parete a tutto
spessore), la stenosi (in particolare è temibile e grave la stenosi serrata, perché sfocia in occlusione intestinale,
che è una delle cause di addome acuto). L’ispessimento della parete si può controllare fino ad un certo stadio con
terapia medica, quando invece inizia ad esserci fibrosi (a causa, quindi, di processi infiammatori di vecchio stadio
più che quadri infiammatori acuti) è più difficile disinfiammare l’intestino ed anche in questo caso il paziente deve
essere sottoposto a terapia chirurgica. Per le fistole
enteroenteriche si ha indicazione chirurgica, anche se
in realtà ultimamente si sta rivalutando il ruolo della
terapia medica in questi casi: le fistole per cui invece
sicuramente non si può temporeggiare in questo modo
sono le enterocutanee, enterovaginali ed
enterovescicali.

Questo è un clisma del tenue a doppio contrasto. Cosa


vedete qui? Stenosi, dilatazione a monte del tratto
stenotico, e delle fistole enteroenteriche [indicate dalle
frecce]. Alla TC si vede molto meglio.
Questa è una fistola tra cieco ed ansa ileale.

La RCU, a differenza del morbo di Crohn non interessa tutta la parete


ma solo mucosa e sottomucosa, anche qui prima veniva usato il
clisma del colon a doppio contrasto, invece ora si preferiscono TC e
RM perché molto più accurate.
Quali sono le sue complicanze?
Le acute sono il Megacolon tossico e la perforazione, come cronica
la cancerizzazione (che invece non abbiamo nella malattia di Crohn
[dissento, NdS]).

Questo è un clisma del colon a doppio contrasto e si evidenzia


un’infiammazione di tutto il colon (basti pensare che ad un certo
punto, nei casi più gravi, si deve sottoporre il paziente a colectomia
totale).

Abbiamo diverse fasi:


1) fase iniziale preulcerativa -> aspetto “a buccia d’arancia”
della mucosa;
2) aspetto “a zucchero a velo” della mucosa per scomparsa
delle haustrature;
3) fase ulcerosa conclamata -> con ulcere “a bottone di
camicia” e “segno del doppio contorno”;
4) fase cronica avanzata -> con tentativi di riparazione della
mucosa e formazione di pseudopolipi.

Questa è, invece, una colite in fase ancora più avanzata, di


Pancolite, in cui osserviamo: perdita delle haustre, ulcere
diffuse, restringimento di tutto il colon con aspetto
tubuliforme del colon.

Come veniva eseguito il clisma del colon a doppio contrasto?


Inserimento di sonda per via rettale, immissione di Bario per via rettale,
somministrazione di Buscopan [Scopolamina, NdS] come ipotonizzante
per dilatare le anse, si lasciava evacuare il pz e poi si somministrava aria
per via rettale come secondo contrasto (quindi il doppio contrasto era
dato da: Bario + aria). In realtà TC e RM vengono utilizzate molto di più
al giorno d’oggi, quasi esclusivamente.
Il vantaggio della TC è che può essere eseguita
-per la valutazione del colon in generale, non solo per la
RCU- una TC-colongrafia (la vecchia “colonscopia
virtuale”): tramite l’esame TC si fa posizionare il
paziente in posizione prima prona e poi supina, si
insuffla aria nel colon e si eseguono scansioni TC prima e
dopo il mdc endovenoso; con ricostruzioni particolari in
volume rendering si riesce a visualizzare e a navigare
all’interno del colon, proprio come in una colonscopia. È
chiaro che questa metodica presenta delle limitazioni
rispetto alla colonscopia vera e propria, che sono:
peggiore visualizzazione del lume colico, impossibilità di
esecuzione di una biopsia contestuale. Le vere
indicazioni alla TC-colongrafia sono la non tolleranza del paziente all’esame colonscopico e le stenosi invalicabili
dall’endoscopio.

Questo è un esempio di colonscopia virtuale e


vediamo un polipo (questa è la transizione retto-
sigma), questa è la ricostruzione e questo è il
corrispettivo in vivo con la colonscopia.

Questo è un paziente che ha invece eseguito un clisma del colon a


doppio contrasto, e si vedono queste multiple immagini che sono
tutti polipetti (questa è la ricostruzione della colonscopia
virtuale): si tratta di un paziente con la Poliposi Familiare.
Fegato

Le metodiche di studio sono ecografia, TC e RM.


L’ecografia è la metodica di prima scelta, che ha un’ottima risoluzione per la
valutazione del fegato e viene eseguita in prima istanza per tutti i pazienti.
Sono impiegate sonde convex da 3.5 a 5 MHz.

Vengono eseguite scansioni longitudinali ed assiali. La


longitudinale è importante per la misurazione del diametro
longitudinale del fegato (verifica che il fegato sia normale o
di dimensioni aumentate).

La TC del fegato è esclusivamente con mdc, sempre, quella senza


mdc sarebbe assolutamente inutile. Il protocollo di studio è: prima
la fase pre-contrastografica, seguita da una fase arteriosa, poi da
una fase venosa o portale ed infine da una fase tardiva a 3’ o 5’
(meglio a 5 minuti).

Questa è la fase arteriosa (si ha buona impregnazione delle


strutture arteriose e parenchima epatico non ancora ben
vascolarizzato ed impregnato, così come nella fase venosa), fase
venosa, ed infine fase tardiva o all’equilibrio. È importante seguire
le varie fasi perché le diverse lesioni epatiche hanno peculiari
specifici comportamenti nelle differenti fasi
contrastografiche (impregnazione, dismissione di
contrasto, etc…).

Il mdc utilizzato in TC per lo studio del fegato è il solito mezzo iodato idrosolubile che si inietta per via ev. Le
controindicazioni sono: allergia al mdc e insufficienza renale severa (in realtà non è una controindicazione
assoluta, perché dipende dai valori di creatininemia; con buona idratazione prima dell’esame si accettano anche
valori di 2-2.5). I pazienti, invece, in IRC e che dializzano possono comunque eseguire l’esame con mdc, basta che
la dialisi venga effettuata in giornata, subito dopo la TC.
La RM viene eseguita nel dubbio diagnostico, per caratterizzare
lesioni dubbie alla TC, ed i relativi mdc hanno particolari
caratteristiche di specificità per il fegato: ne esistono due tipi,
Paramagnetici e Superparamagnetici.

I mdc Paramagnetici sono chelati di Gadolinio (non “a base di Gd” perché


è di per sé tossico) che intervengono sul tempo di rilassamento T1, sono
mdc intravascolari ed extracellulari (quello classico si chiama Gd-DTPA,
leggi “gadolinio-dtpa”), ad escrezione quasi esclusivamente renale (e quindi non
epatospecifici).

Tra i mdc paramagnetici vi sono anche particolari


chelati di gadolinio (Gd-BOPTA, NdS) che hanno
legami proteici molto forti, per cui vengono escreti
preferenzialmente (almeno il 50% del mdc) per via
epatobiliare, e vengono detti organospecifici, in
questo caso epatospecifici.

Tra i paramagnetici ci sono anche mdc che hanno


come ione il Manganese in luogo del Gd, con
escrezione epatobiliare >70%, quindi fortemente
epatospecifico: il limite di questo ione è il tempo di
escrezione epatica di 1h, con lo svantaggio che il
paziente deve attendere un’ora prima di eseguire
l’esame di studio del fegato. Resta comunque un
ottimo mdc epatospecifico.

I mdc Superparamagnetici (“che oggi vengono utilizzati quasi più” [min 29:54], può voler dire che sono quelli più utilizzati? NdS) sono invece a
base di ioni di Ferro, captati dagli organi provvisti di sistema reticoloendoteliale (quindi fegato, milza, midollo
osseo). Questi ioni di ferro si accumulano all’interno del tessuto sano in cui è integro il SRE; nelle lesioni vi è,
invece, uno scompaginamento con distruzione di queste strutture e non vi è più accumulo del mdc. Dal momento
che questi mdc agiscono sul tempo di rilassamento T2 (ed il ferro in T2 ha un’intensità di segnale bassa), il fegato
avrà in T2 un’intensità bassa, sarà ipointenso, e le lesioni rimarranno iperintense rispetto al fegato sano. In altre
parole, il parenchima sano avrà un normale accumulo di mdc, evidenziato dalla ipointensità in T2, e le lesioni (in
cui il SRE, in cui gli ioni di ferro si accumulano, è distrutto) resteranno invece iperintense relativamente al
circostante fegato sano.

La patologia epatica può suddividersi in lesioni diffuse (Steatosi epatica,


Cirrosi, Emocromatosi, epatopatie acute, …) e LESIONI FOCALI benigne o
maligne. Le lesioni focali possono inoltre essere avascolarizzate,
ipervascolarizzate, ipovascolarizzate: in base a questa classificazione
importante studiamo al meglio la fase contrastografica di interesse.
Lesioni benigne ipervascolarizzate sono: Angioma, Adenoma, Iperplasia
nodulare focale. Lesioni maligne ipervascolarizzate sono: metastasi
ipervascolarizzate ed Epatocarcinoma.

Lesioni benigne ipovascolarizzate sono principalmente le metastasi, mentre


le avascolarizzate sono le cisti, come le idatidee, prevalentemente quelle di
Echinococco, o anche le cisti semplici.

[Il prof.re aggiunge che attribuisce molta


importanza a questa classificazione,
soprattutto alle forme più frequenti di
lesioni, sia ai fini della cultura professionale
degli studenti che a quelli dell’esame.
“Molto spesso sono domanda d’esame”.
Nds]

Per le lesioni avascolari parliamo della cisti


semplice:
-all’ecografia apparirà come una formazione
a margini netti e regolari, completamente
anecogena
-alla TC si vedrà come formazione ipodensa
che non impregna assolutamente dopo mdc
(mantiene la stessa densità).
Per le lesioni ipervascolarizzate, quelle benigne,
parliamo dell’Angioma classico (capillare):
-all’ecografia apparirà come formazione
iperecogena (e non ipoecogena), con
disposizione abitualmente subglissoniana
(questo in figura è abbastanza grande, inusuale)
-alla TC sarà ipodenso in fase pre-
contrastografica, con precocissima
impregnazione in fase arteriosa (perché è una
lesione fortemente vascolarizzata) che imita
temporalmente quella delle strutture vascolari
normali (forte impregnazione arteriosa, uguale
a quella venosa in fase venosa, uguale a quella
dei vasi in fase tardiva): il tutto è già
diagnostico di angioma.

[Gli angiomi invece atipici o cavernosi hanno un


altro tipo di impregnazione, detta “globulare
centripeta”, che procede dall’esterno verso
l’interno, con crescente riempimento vascolare
della lesione fino alla fase tardiva, che avrà
totale riempimento della lesione.]
Domanda di uno studente: “Come si presenta
invece all’ecografia l’angioma atipico?”
Risposta: “Come sfumatamente ipoecogeno,
anche perché sono generalmente grossi e non
hanno la stessa ‘riflettività’ di quelli più piccoli”

Per quanto riguarda l’Adenoma epatico, è un tumore


benigno solitamente riscontrato in giovani donne
sottoposte a terapia estroprogestinica:
-all’ecografia può essere di tutti i generi, cioè avere
varie presentazioni: isoecogeno, iperecogeno o
ipoecogeno (quella illustrata è iperecogena)
-in TC, essendo una lesione ipervascolarizzata, avrà
un’impregnazione in fase precoce arteriosa e poi un
leggero washout nelle altre fasi, ma non diventerà mai
un’ipodensità in fase tardiva, tornerà ad essere
isodenso al parenchima epatico.
L’Iperplasia nodulare focale è un tumore benigno
ipervascolarizzato, solitamente singolo, che può essere
anche multiplo:
-all’ecografia apparirà come una lesione iso-/iper-
ecogena a margini netti, con caratteristica cicatrice
centrale, ben capsulato;
-alla TC vi è impregnazione arteriosa netta ed
abbondante (iperdensità), con ipodensità della cicatrice
centrale in fase arteriosa;

nelle successive fasi, invece, la cicatrice centrale


impregnerà in fase tardiva e diverrà iperdensa, ed il
restante tumore apparirà iso- o ipodenso rispetto al
circostante parenchima, a causa del leggero washout.

Per le lesioni ipervascolarizzate maligne parliamo


dell’Epatocarcinoma, neoplasia più comune del fegato, maligna, di
solito legata a cirrosi epatica su base alcolica o virale. Il fegato
cerca di riparare e forma, dopo insulto virale o alcolico, noduli
micro- o macrorigenerativi, i noduli di rigenerazione epatica, che
possono nel tempo divenire noduli displastici, ed avere ulteriore
trasformazione in Early HCC (<2cm) o HCC conclamato (>2cm).

La diagnosi differenziale tra Early HCC e nodulo displastico è quasi


impossibile al di fuori dell’uso della biopsia, perché hanno eguale
comportamento contrastografico sia in TC che in RM (entrambi di piccole
dimensioni):
-alla TC si avrà un particolare comportamento di precoce impregnazione
contrastografica in fase arteriosa e precoce washout nelle fasi successive (sia
venosa che tardiva), quindi in fase tardiva si avrà una marcata ipodensità
rispetto al parenchima epatico circostante.

Per questo è molto facile distinguere


un HCC da un angioma.
Può essere di tipo infiltrante (che conduce molto spesso a
trombosi portale) e di tipo capsulato.
Questo è il tipo infiltrante, in cui non si ha una
pseudocapsula che circonda la formazione e si ha
interessamento dei vasi (spesso della vena porta), questa
ipodensità che vedete è proprio trombosi dei rami portali.

La TC è anche importante per la valutazione della terapia


locoregionale (chemioembolizzazione per via arteriosa,
termoablazione e alcolizzazione percutanee): ad esempio,
in un nodulo trattato con termoablazione dovremmo avere
una totale ipodensità della lesione (segno di avvenuta
colliquazione e necrosi del nodulo), in tutte le fasi (dalla
pre-contrasto alla tardiva);
invece, in caso di recidiva o inadeguatezza del trattamento,
si avrà che una parte del nodulo si comporterà come l’HCC
(impregnerà in fase arteriosa ed avrà washout in fase
tardiva).

Per le lesioni ipovascolarizzate tratteremo le


metastasi ipovascolarizzate (chiaramente, le
metastasi possono essere ipervascolarizzate o
ipovascolarizzate, in base al tipo di metastasi che dà il
tumore primitivo): la distinzione verte sempre sulla
presenza o meno dell’impregnazione precoce in fase
arteriosa.
In questo caso, in cui c’è una non impregnazione in
fase precoce arteriosa ma vi è una impregnazione ben
evidente in fase venosa, la metastasi è
ipovascolarizzata (per esempio, quelle del colon, con
classico aspetto “a bersaglio”).
I tumori che danno metastasi ipervascolarizzate sono:
tumori neuroendocrini, melanoma, carcinoma
mammario (sia ipo- che ipervascolarizzate), carcinoma
della tiroide, adenocarcinoma renale, sarcomi.
Tutti gli altri danno metastasi ipovascolarizzate.
Questa è una fase arteriosa; chiaramente, quando le
metastasi sono molto molto grandi si vede una
ipodensità, ma in realtà sono metastasi
ipervascolarizzate.

Domanda di uno studente: “Cos’è quella macchia


nera?” [riferendosi alla figura stellata in alto a dx dell’immagine,
oscurata da quella che le si sovrappone. NdS]
Risposta: “No, quella è l’aria contenuta nello
stomaco”
Pancreas

Le metodiche sono sempre TC, RM ed Ecografia.


In realtà l’utilità dell’ecografia è estremamente limitata a causa
di: posizione molto profonda dell’organo, obesità del paziente,
meteorismo addominale; talora la porzione cefalica può essere
meglio visualizzata del resto del pancreas. La sonda si pone al
centro dell’addome in posizione assiale con lieve inclinazione
obliqua dal basso verso l’alto, in modo che segua la
conformazione dell’organo.
Questo sarebbe il pancreas all’ecografia, ma vederlo così ben
rappresentato è un’utopia.

TC e RM vanno molto meglio: anche qui abbiamo 3 fasi


contrastografiche (fase preconstrastografica, fase
arteriosa, fase venosa), anche se in effetti esiste
un’ulteriore fase detta “fase pancreatica”, che è una via
di mezzo tra la fase arteriosa e quella venosa, in cui il
parenchima pancreatico ha un’impregnazione ottimale.
Alla TC e alla RM si valutano la ghiandola in toto
(dimensioni, struttura del parenchima) ed eventuale
dilatazione dei dotti pancreatici (Wirsung e dotti
accessori).

La RM ha un’indicazione particolare, rispetto alla TC,


perché grazie alle sequenze T1 e T2 riesce a
discriminare il contenuto delle formazioni cistiche
neoplastiche (cistoadenoma sieroso e mucinoso) e a
differenziarle dalle pseudocisti esito di pancreatite, in
base all’intensità del segnale.
Il principale tumore che colpisce il pancreas esocrino è
l’Adenocarcinoma pancreatico, prevalentemente localizzato alla
tesa e corredato da sintomatologia importante; i tumori del
pancreas endocrino, invece, sono i TUMORI NEUROENDOCRINI
(tra cui: gastrinoma, insulinoma, etc…), che si localizzano
indistintamente in testa, corpo e coda, ed hanno la peculiarità di
poter essere secernenti (che giungono precocemente alla
osservazione per sintomatologie specifiche) o non secernenti
(possibili reperti occasionali in corso di altre indagini). Questi
ultimi sono di piccole dimensioni, a margini netti e regolari, ed
hanno la caratteristica di impregnare in fase arteriosa (come
dicevamo prima per il fegato), quindi è importante eseguire
questa fase arteriosa precoce.
Quando i tumori neuroendocrini sono di grandi dimensioni e non
si riesce a fare una agevole diagnosi differenziale tra
adenocarcinoma e questi (perché possono esserci focolai
necrotici nel core centrale e l’impregnazione può diventare
disomogenea), bisogna ricorrere alla RM o alla biopsia per
dirimere il dubbio diagnostico.

Per esempio, questo è un tumore neuroendocrino, ma è


praticamente indistinguibile dall’Adenocarcinoma (forse può
aiutare solo la localizzazione, perché non è in corrispondenza
della testa, ma non è un criterio di certezza).
La PANCREATITE è l’infiammazione del parenchima epatico, e può
essere acuta o cronica.
Di solito l’eziologia è dovuta all’incuneamento di calcoli, su base
alcolica, o iatrogena post-procedurale. Può anche essere lieve,
soltanto edematosa, o severa, necrotico-emorragica.

Esiste la classificazione di Balthazar, che abbina i reperti clinici sintomatici alla TC, è soltanto uno score di gravità
della pancreatite per la TC: si assegna un punteggio al pancreas, si sommano questi vari punteggi e si ottiene un
totale con severità che va da bassa ad alta.
Per esempio, possiamo avere inizialmente solo un pancreas di volume aumentato alla TC (punteggio 1), o una
seconda fase con aumento delle dimensioni del pancreas, edematoso, ed addensamento del grasso
peripancreatico (punteggio 2); poi si somma e si avrà lo score finale di gravità. Il punteggio massimo corrisponde
alla severità Balthazar-E, con multiple grosse raccolte peripancreatiche che si dispongono nei quadranti sopra- e
sotto-mesocolici.
Questi sono esempi di pancreatiti in vari stadi:
B- nella prima immagine abbiamo solo un incremento delle dimensioni della ghiandola, che sarà un po’ ipodensa
rispetto al parenchima pancreatico normale, segno di inizio di edema (quindi presenza d’acqua all’interno), ed è
una fase precoce;
C- fase di pancreatite di grado 2 con inizio di addensamento del grasso peripancreatico; netto addensamento del
grasso con iniziale ‘raccoltina’;
D/E- fase avanzata in cui si ha addensamento del grasso peripancreatico, versamenti, raccolte (pancreatite
severa).

Le evoluzioni della pancreatite possono essere: regressione spontanea,


formazione di pseudocisti, evoluzione necrotico-emorragica (se
subentra l’infezione la terapia vira da un approccio medico a quello
chirurgico).
Queste sono pseudocisti; qui c’è proprio un ascesso
pancreatico, vedete la parete e poi gas, aria.

La PANCREATITE CRONICA è invece caratterizzata da riduzione


del volume della ghiandola e presenza di calcificazioni e
microcalcificazioni diffuse, quindi tutt’altra cosa rispetto alla
forma acuta.

Segue la presentazione di alcuni casi clinici.

CASO CLINICO 1: donna di 50 anni sottoposta a colecicistectomia 10 anni fa. Si presenta al pronto soccorso con
dolore addominale diffuso. Esegue un’ecografia che mostra un fegato con angioma (reperto accessorio), via
biliare principale dilatata (in un pz con pregressa colecistectomia in realtà si ha una lieve dilatazione vicariante
della via biliare principale, quindi è un reperto fisiologico). A volte si ha addirittura la formazione di una
neocolecisti. Si indagano altre cause di dolore addominale acuto, per cui si valuta il rene (che risulta in questo
caso nella norma). All’eco addome si valuta la via biliare, la colecisti (in questo caso non è presente), il rene per
vedere se si tratta di una colica renale. Dal momento che la signora continuava a lamentare dolore ma
all’ecografia non si rilevava nulla di particolare, si esegue una RM. Viene confermata la lieve dilatazione della via
biliare principale. In indagini successive emerge la presenza di un calcolo che risulta ipointenso, in sequenza T2,
rispetto al fluido che è all’interno della via biliare principale. Il dolore quindi era dovuto a questo calcolo. Si
esegue sempre con la risonanza magnetica, una colangio RM che si usa per la valutazione di vie biliari e colecisti e
sono sequenze che si eseguono senza mezzo di contrasto endovenoso, ma sono molto pesate in T2, per cui verrà
messo in risalto il liquido all’interno della colecisti e delle vie biliari; i calcoli verranno visti come delle formazioni
ipointense all’interno del lume iperintenso. La colangio RM nella signora dà la conferma del calcolo in via biliare.
Per lo studio dell’angioma, si esegue una RM che conferma la diagnosi.

Per togliere il calcolo la signora è stata sottoposta ad una ERCP; dopo una settimana continua ad avere dolore
forte per cui viene sottoposta a TC, prima senza mezzo di contrasto e poi con mezzo di contrasto. Dall’esame
emerge un ascesso in pancreas, per cui la signora ha avuto una pancreatite grave (l’ascesso è una fase avanzata).
[ricostruzione coronale] [raccolta ascessualizzata con area contestuale].

CASO CLINICO 2: TAC senza mdc, in fossa iliaca dx mostra un addensamento periappendicolare indicativo di
probabile appendicite acuta. In Ricostruzione in coronale è possibile vedere una struttura tubuliforme
sovradistesa da fluido, un addensamento del grasso periappendicolare, che a causa delle grandi dimensioni deve
essere rimossa.

Si vede l’Ispessimento delle pareti della colecisti, presenza di cono d’ombra da calcoli all’interno della colecisti (la
sabbia biliare non dà cono d’ombra). TAC con mdc mostra ispessimento delle pareti, stratificazione, edema della
parete, calcoli all’interno: la signora ha una colecistite acuta.

TAC Senza mdc mostra un calcolo in colecisti. La colecisti non si vede bene perché in questo caso la bile è molto
densa e quindi appare così. Di solito è più ipodensa.

A livello dei reni, si vede addensamento di grasso che indica sempre uno stato infiammatorio (qualsiasi esso sia).
Addensamento di grasso anche a livello perirenale, dilatazone pelvica; All’ecografia viene confermata la
dilatazione del bacinetto, per cui la diagnosi è di Calcolo in uretere: la signora aveva dolore addominale fortissimo
ai quadranti di destra perché ha la colecistite acuta ed una colica renale insieme.

Viene mostrata una Diretta Addome: l’RX addome va eseguita sempre in ortostatismo (quindi con pz in piedi) ed
in clinostatismo. L’ortostatismo serve per valutare i livelli idroaerei e l’aria libera sottodiaframmatica; il
clinostatismo serve per valutare la disposizione dell’aria nell’intestino.

Immagine di Diretta addome in ortostatismo: è possibile vedere livelli idroaerei, la cornice colica non si vede,
l’ampolla rettale è disabitata a feci e gas completamente, quindi il signore è occluso. L’occlusione intestinale è
dovuta a stenosi dell’ultima ansa ileale in paziente con morbo di Chron.

Fegato: bisogna sempre indicare prima la metodica d’immagine nella descrizione della stessa: ecografia epatica: è
possibile vedere una formazione ipoecogena che al colordoppler è ipervascolarizzata per cui può essere sia
benigna che maligna. Viene eseguita una TAC senza mdc ed emerge che è isodensa rispetto al fegato. Viene
eseguita una RM, dove risulta una lesione iperdensa
per l’impregnazione in fase arteriosa, quindi è
ipervascolarizzata. La presenza di una cicatrice centrale
differenzia la lesione da un epatocarcinoma: questa
cicatrice in fase arteriosa è ipodensa, mentre in fase
tardiva diventa iperdensa (in questo caso lievemente).

DIAGNOSTICA MEDICO-NUCLEARE

Il prof spiega che si soffermerà un po’ di più sui tumori


neuroendocrini e sulle applicazioni della PET in
oncologia. Ci sono una serie di studi anche funzionali,
che vengono adoperati sempre meno, quali per
esempio lo studio delle ghiandole salivari che veniva
eseguito per la diagnosi di sclerodermia per valutare la
funzione delle ghiandole salivari. Viene eseguito con queste

caratteristiche tecniche, utilizzando come radiofarmaco il tecnezio


pertecnetato.

Questo è il tipo di studio che si vede, in cui con l’aiuto di un test


provocativo (somministrazione in genere, di succo di limone) si
vede come
le
ghiandole
salivari
normali,

dismettono rapidamente la sostanza radioattiva. In caso


di patologia, a seconda dell’entità della patologia, si ha
una ridotta concentrazione del radiofarmaco nelle
ghiandole salivari e naturalmente anche una mancata
risposta allo stimolo con il succo di limone.

Un altro studio funzionale è quello del transito


esofageo, che può essere valutato con un pasto
solido o pasto liquido per alcuni tipi di patologie
(acalasia, spasmi, disfagia, sclerodermia, CREST).
Normalmente si dovrebbe vedere che il passaggio
per arrivare allo stomaco deve avere una certa
velocità e delle indicazioni di normale e patologico. Il
prof specifica che è importante sapere che esistono
questi test, sia ai fini di cultura medica che ai fini
dell’esame, ma non sono necessari molti dettagli.
slide non trattate

Particolare è la ricerca del diverticolo di Meckel, che si può


visualizzare con un esame molto semplice che utilizza
sempre il tecnezio pertecnecato. Se somministrato per via
endovenosa, Si concentra normalmente nella tiroide,
poiché ha un comportamento analogo allo iodio, ma va
anche nelle ghiandole salivari e nella mucosa gastrica. Si
esegue questo esame per verificare se nella sede probabile
di diverticolo di Meckel c’è un accumulo, quindi presenza
di mucosa gastrica ectopica, ovvero diverticolo di Meckel.
Il prof ribadische che non è importante la conoscenza
delle notizie tecniche ai fini dell’esame.

In Pazienti con sospetti sanguinamenti,


prima di eseguire indagini invasive, si può
eseguire un esame con emazie marcate: si
tratta di una procedura in cui viene fatto un
prelievo di sangue al paziente, si fa una
separazione della parte corpuscolata e della
parte non corpuscolata e la prima si mette
ad incubare con un agente riducente a base
di stagno, si aggiunge il tecnezio e questo fa
sì che avvenga un legame tra tecnezio e
globuli rossi. Si risomministra al paziente e
si va a vedere la distribuzione, prima nei
vasi ed in seguito si verifica se ci sono sedi
di accumulo extravasali che sono collegati a
sanguinamento. Il vantaggio di questa
metodica è che fa vedere sanguinamenti sia
di piccola entità che cronici, quindi prolungati nel
tempo, lo svantaggio è rappresentato dall’uso di
radiazioni (presente anche nell’arteriografia), e dallo
scarso potere di risoluzione spaziale, quindi le cose
molto piccole non si vedono. Inoltre, dovendo
manipolare sangue, bisogna lavorare in ambiente sotto
cappa, sterile, con differenze di pressione ecc, cosa che
non c’è in tutti i reparti di medicina nucleare; si può fare
perciò, una procedura alternativa che è più semplice
della marcatura dei globuli rossi, non prevede il prelievo
di sangue e la separazione, ma prevede due step: si
somministra in via endovenosa l’agente stannoso ossido riducente, si aspetta un po’ di tempo e si somministra il
tecnezio. Tuttavia, la resa di marcatura è inferiore: ciò significa che ci sarà del tecnezio libero, non tutto il tecnezio
si lega ai globuli rossi, quindi quello che si vede nelle immagini potrebbe non essere sangue ma un accumulo di
tecnezio aspecifico.

In epoca pre-colangio RM, per la valutazione delle vie


biliari si usava molto questo esame: la scintigrafia
epatobiliare. Si somministrava un tracciante chiamato
acido iminodiacetico che dava quadri diversi: in caso di
colecistite non si visualizzava la colecisti, oppure si
potevano avere ritardi di comparsa delle vie biliari,
quindi in bambini con sospetto di atresia delle vie biliari,
dove l’ecografia a volte può essere fallace, è un esame
che ancora potrebbe avere un senso.
Questo è un classico caso di atresia biliare, il
tracciante, che dovrebbe penetrare prima gli epatociti
e poi il polo biliare per essere escreto; in caso di
atresia biliare, resta negli epatociti.

Nelle MICI, le metodiche di prima scelta sono l’ecografia, la TC e la RM.


Esistono degli approcci anche per quanto riguarda la medicina nucleare, in
particolare lo studio con granulociti marcati. Anche questa procedura
viene tuttora eseguita con una certa importanza, perché mostra la
malattia in fase attiva. È una proceduta però che, come per le emazie
marcate, prevede il prelievo, la separazione dei globuli bianchi, si mette
ad incubare con un agente chiamato PAO? E poi con il tecnezio. In seguito
si valuta dove si
accumulano i
granulociti a livello
intestinale in fase
precoce e tardiva.
Quello che è importante è che quando correttamente
eseguita con granulociti veri, marcati (ci sono anche
metodiche in cui è possibile utilizzare anticorpi marcati,
anziché granulociti, ma non è specifica) ha un’eccellente

accuratezza in termini di sensibilità e specificità,


soprattutto per quanto riguarda le patologie di tipo
attivo. È stato anche proposto l’uso della PET con FDG,
che spesso è un fattore di falsa positività, si può
concentrare anche in patologie infiammatorie in fase
attiva, quindi è stato proposto l’uso del FDG per valutare
gli accumuli intestinali (situazioni normali senza
accumuli, in caso di Chron ci sono accumuli asincroni in
varie sedi). Una metanalisi su circa 220 pazienti mostra una buona sensibilità e specificità, ma in realtà non è
entrata nell’uso clinico.

Diverso e più interessante è il


discorso che riguarda i tumori
neuroendocrini. Il 70% ha una
localizzazione gastro-entero-
pancreatica, il 40% si trova a livello
pancreatico, possono essere
funzionanti e non funzionanti, ci
sono alcuni markers che possono
essere adoperati e c’è l’imaging.
L’imaging è rappresentato da TC e
RM per la morfologica, mentre
l’imaging funzionale si avvale di
due grandi presidi: medicina
nucleare convenzionale e PET.
Entrambi utilizzano l’octreotide,
analogo della somatostatina. Nel
caso della medicina nucleare
convenzionale, questo analogo è
radiomarcato con Indio-111, nel
caso della PET è radiomarcato con
Gallio-68. Funzionano in maniera
simile, si basano sul fatto che c’è un aumento dei recettori della somatostatina. Ci sono diversi recettori che
hanno diverso grado di internalizzazione e ci sono vari analoghi che hanno affinità diversa per i vari sottotipi
recettoriali. Quelli che vengono adoperati in medicina nucleare sono l’octreotide e l’octreotade bisogna usare un
chelante per legare indio e gallio alle molecole amminoacidiche. Dal punto di vista diagnostico non fa tantissima
differenza.
Tabella riepilogativa Lancet. La sensibilità
delle varie metodiche per tumori
neuroendocrini primitivi o metastatici è
crescente con la pet con gallio68 legato ad
octreotide o octreotade. Interessante è che
la sensibilità è elevata, e se si confronta la
positività e la negatività con imaging con
recettore della somatostatina e la pet con
fdg, c’è una correlazione inversa con il ki67,
ovvero la proliferazione. Quelli a bassa
proliferazione sono maggiormente positivi
con l’imaging recettoriale e il contrario vale
per quelli ad alta proliferazione. Questa cosa
è stata adoperata per una stratificazione
diagnostica, come se fosse un marcatore in vivo dello stato di proliferazione. Questa procedura viene fatta in
centri d’eccellenza, dove bisogna indirizzare i pazienti con tumori neuroendocrini. Il tumore neuroendocrino,
infatti, non è una patologia frequente, ma ha le sue particolarità per quanto riguarda l’approccio ai sintomi e alla

terapia.
Mentre con gli esami classici si fa un approccio diagnostico
valutando la sede, il numero, le dimensioni, i rapporti
anatomici e si riesce a fare una stadiazione, con l’imaging
recettoriale, ad esempio nel tumore neuroendocrino non
secernente della testa del pancreas, (dove sono le crocette) in
total body,
si dà un’occhiata generale e si vede chiaramente
l’intensa captazione a livello della testa del pancreas;
nelle immagini topografiche si evidenzia meglio la sua
posizione. Si tratta di un sospetto gastrinoma che nel
total body si vede chiaramente al centro. Immagini

tomografiche all’ecoendoscopia per un nodulo alla seconda


parte del duodeno di meno di 1 cm, indicano un Sospetto
insulinoma, gli esami morfologici sono negativi; il paziente
aveva crisi ipoglicemiche e si vede una certa presenza di
captazione. L’intensità della captazione, che è diversa nelle varie immagini, si è vista essere legata al grado di
espressione dei recettori. È stato proposto anche uno score di captazione (basso, intermedio, alto) rispetto al
fegato per indicare il livello di espressione dei recettori. Sapere se l’espressione dei recettori è più o meno elevata
può indirizzare anche nell’approccio terapeutico, dal momento che la terapia si basa sull’uso di altri analoghi della
somatostatina (lanreotide ecc), ma anche si possono utilizzare analoghi marcati con radionuclidi beta emettitori,
per una radioterapia recettoriale, che ha grande successo nei centri d’eccellenza.
In Un tumore neuroendocrino del polmone, Utilizzando una PET TC con gallio 68, si migliora la sensibilità, la
risoluzione spaziale ed è possibile anche quantizzare. Il discorso dei centri d’eccellenza appropriati, è molto valido
per questo motivo: il gallio68 si produce a partire da un generatore, ovvero una colonna; quindi la procedura di
gestione della colonna e l’operazione di legame del gallio68 con l’analogo
della somatostatina deve essere effettuata da un centro competente.
Questa è una cosa che attualmente, in Campania, non è molto presente,
mentre nel Nord Italia è molto presente. Al Sud i centri d’eccellenza sono
a Potenza ed a Rionero, dove si può fare anche terapia. Nell’immagine
con gallio le lesioni epatiche si vedono molto meglio rispetto a qielle con
l’Indio.

È necessario un imaging multimodale: non è sufficiente l’indagine


morfologica con TC o RM, ma bisogna avere delle certezze che sono
fornite dall’imaging recettoriale, il quale, caratterizzando
lo status recettoriale, guida ad un trattamento
personalizzato. Oggi c’è una indicazione certa all’uso delle
terapie con sostanze radioattive legate agli analoghi della
somatostatina nelle forme di tumori neuroendocrini
recidivanti e non rispondenti alle terapie convenzionali.

USO della PET con FDG in caso di patologie oncologiche


gastroenteriche: CARCINOMA DEL PANCREAS: indicazioni:
valutazione soprattutto per quanto riguarda l’infiltrazione
dei tessuti adiacenti, metastasi linfonodali e a distanza.
L’infiltrazione è importante perché suggerisce la
resecabilità o meno del tumore. Nel caso di diagnosi
differenziale con pancreatite cronica, questa metodica si
comporta bene, con elevato valore predittivo negativo,
nella pancreatite acuta no. ADENOCA della testa del
Pancreas (slide): c’è una possibilità di falsi positivi e
negativi, legati all’iperglicemia, ma la PET TC viene eseguita solo quando i livelli di glicemia sono al di sotto di
valori soglia (150)
Valutazione di recidive (indicazione), follow up:
paziente trattato, che nel follow up ha un
incremento del CA19-9 ed ha una metastasi epatica.
Si usa per esplorazione loco regionale e per
metastasi a distanza, per cui è chiaro che con la PET
TC possiamo fare variazioni di stadio in percentuale
intorno al 30% per i pazienti. Altra neoplasia che
interessa è quella del colon retto. Studio fatto dal
prof in cui si effettua una valutazione combinata
della PET e TC per valutare N1 e N2, due tumori, e si
verificò che c’era un’eccellente capacità di valutare
questa situazione; guardando l’accuratezza globale,
la valutazione combinata di PET e TC è equivalente ad una TC
con mdc; si ottiene perciò una stadiazione linfonodale
abbastanza accurata. La stessa cosa succede per quanto
riguarda lo stadio T (bisogna ricordare che con la TC lo stadio
T1 e T2 non sono differenziabili tra loro mentre T3 e T4 sì).
Ancora una volta è sovrapponibile fare una PET TC con FDG o
una TC con mdc: la scelta dipende dalla disponibilità degli
strumenti. Esempio: T3 N0; presenza di linfonodi locoregionali:
immagine MIP ovvero Maximum intensity projection, che si fa
molto per la PET, o con altre metodiche. Si vede la
localizzazione del tumore primitivo e la stazione linfonodale.
Un altro studio condotto dal prof, le cui slide sono presenti
nelle pagine successive, prevede l’esecuzione di PET TC con
colongrafia, per cui il paziente faceva una PET TC con studio colongrafico e si verificò che c’era un valore del T
positivo del 100% per individuare lesioni maligne con questa tecnica di non semplice esecuzione.

Anche altri hanno effettuato questa metodica


valutando la stadiazione TNM ottenendo come
risultato un confronto alla TC. È Evidente che
quello che interessa maggiormente nell’uso del
tracciante FDG è la valutazione di metastasi a
distanza. In uno studio mostrato nelle slides che
seguono, si confronta la TC multistrato con la RM
con classico mdc [ovvero il gadolinio-DTPA (il
gadolinio di per sé è tossico, non si può dare);
all’epoca dello studio si faceva uso dei
paramagnetici però risultati simili si possono
ottenere anche con ioni specifici epatobiliari;] con
l’ecografia con mezzo di contrasto e con la PET TC
per valutare l’accuratezza nell’identificazione di metastasi
epatiche da carcinoma del colon retto. Venne fuori che la tecnica
più accurata è la risonanza magnetica. Non era statisticamente
diverso dalla PET TC ma naturalmente in risonanza non si fa uso di
radiazioni ionizzanti, quindi potrebbe essere preferibile;
l’ecografia anche con mdc non è così accurata nell’evidenziare le
metastasi epatiche

Valutazione delle recidive: ancora una volta la RM


si comporta bene, la PET tc meglio della sola TC.
Quando scegliere RM o PET nel valutare le
recidive? Cosa si sceglie e perché? CI si accorge
delle recidive del paziente o perché si sono mossi i
marcatori, o perché era ad alto rischio in partenza;
di fatto non sappiamo dove sono le recidive o se ci
sono. In caso di aumento di marcatori, per prima
cosa bisogna chiedere di guardare il total body, per
cui TC o RM (anche se non tutte lo fanno dal
momento che per fare un esame total body si ha
bisogno di bobine apposite). Un esame total body
impiega in RM una trentina di minuti. Per cui se si
cercano metastasi, l’esame di risonanza più efficace è
la RM con diffusione. Gli ultimi studi dimostrano che
PET TC con FDG e RM sono equivalenti, per cui la
scelta dell’una o dell’altra metodica deve basarsi sul
tempo di occupazione della macchina, che con una PET
moderna total body è di circa 10-15 minuti (con una PET
antica 30 minuti) per cui è preferibile alla RM. La PET TC fa
uso di radiazioni ionizzanti, cosa che la RM non fa, ma la
RM ha altre controindicazioni: ci sono pazienti che anche
solo per un fatto psicologico (claustrofobia) non
sopportano la RM. L’altro aspetto da pesare nel tempo
macchina è che una RM in un ospedale non è per uso solo
oncologico, ma serve molto nel neurologico, ha
importanti applicazioni anche cardiologiche, per cui molte
volte si dovrebbe preferire lasciarla per altre applicazioni
al di fuori dell’oncologico. In linea generale, quindi, a
meno che non si hanno a disposizione due o tre
risonanze per ogni campo della medicina, è preferibile la
PET TC.

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