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INDICE

CAPITOLO TITOLO PAG

PARTE 1: CONCETTI GENERALI


1 INTRODUZIONE ED EPIDEMIOLOGIA DEI TUMORI 2

2 EZIOLOGIA GENERALE DEI TUMORI 14

3 LO SCREENING 28

4 BASI BIOLOGICHE DELLA TERAPIA MEDICA 30

5 PRINCIPI DI CHEMIOTERAPIA 44

6 TERAPIA ADIUVANTE VS NEOADIUVANTE 66

7 PRINCIPI DI RADIOTERAPIA 68

8 PRINCIPI DI CHIRURGIA ONCOLOGICA 78

PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

9 TUMORI ORL 82

10 CANCRO DEL POLMONE 104

11 CANCRO DELLA MAMMELLA 117

12 TUMORI DELLO STOMACO E DELL’ESOFAGO 136

13 NEOPLASIE DEL COLON-RETTO E DELL’ANO 152

14 TUMORI DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI 178

15 TUMORI DEL PANCREAS 211

16 MELANOMA 233

17 SARCOMI 244

18 TUMORI DELRENE 254

19 TUMORI DELLA VESCICA 268

20 TUMORE DELLA PROSTATA 275

21 TUMORE DEL TESTICOLO 289

22 CARCINOMA DELLA TIROIDE 303

23 SINDROMI PARANEOPLASTICHE 317

24 MARCATORI TUMORALI 333

QUIZ DI BARONE 340

RINGRAZIAMENTI 361
PARTE 1: CONCETTI GENERALI

_________________________________________
PARTE 1: CONCETTI GENERALI
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Contiene:
• Epidemiologia e Mortalità
• Fattori di rischio
• Screening e diagnosi precoce
• Basi biologiche della terapia medica
• Farmaci antineoplastici; farmaco-resistenza
• Terapia adiuvante VS terapia neoadiuvante
• Principi di radioterapia
• Principi di chirurgia oncologica

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 1 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
CAPITOLO 1
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INTRODUZIONE ED EPIDEMIOLOGIA DEI TUMORI

INTRODUZIONE
Gli obiettivi del corso sono cose basilari per un medico generale e per qualunque
specialità voi decidiate di intraprendere, poiché avrete sempre a che fare per lo più
con patologie tumorali: l’età media sta aumentando e con essa aumenta l’incidenza
dei tumori. Ricordate che l’oncologia medica è medicina generale.

Gli obiettivi del corso sono:


- riconoscere le neoplasie
- conoscere le cause delle principali neoplasie
- applicare i principi di prevenzione
- conoscere i principi di trattamento
- risolvere i più comuni problemi oncologici
- comunicare con il paziente

Qualunque tipo di notizia si può sempre comunicare. Bisogna saperle comunicare,


cercare le parole adatte, mostrarsi empatici, saper cogliere i momenti adatti. Questo
si acquisisce soltanto con la pratica.
Qualunque tumore ha un suo rischio di recidiva e spesso i pz arrivano con la
convinzione di essere guariti perché il chirurgo di turno ma anche alcuni medici non
sono stati in grado di fronteggiare questo tipo di notizia dal punto di vista
comunicativo. È un grosso problema, e bisogna risolverlo acquisendo una cultura
della comunicazione, al contatto col paziente, non esistono psicologi o esperti di
alcun genere che possano darvi una ricetta.

Nell’attività professionalizzante, spero che facciate vostro il concetto di anamnesi,


che non è un racconto, come una chiacchierata tra amici al bar, e neppure una storia,
cioè una serie meccanica di eventi messi in ordine: essa è un processo clinico di
rielaborazione, in cui si mettono a confronto i sintomi riferiti dal paziente (e ben
focalizzati dal medico nel dialogo) con i piccoli moduli della patologia sistematica
che abbiamo nella nostra testa (le malattie con le loro caratteristiche principali).
Dobbiamo procedere fino a individuare il modulo che meglio si adatta a ciò che il
paziente vi dice. L’anamnesi è un processo dinamico, importante dal punto di vista
medico ma anche relazionale.

EPIDEMIOLOGIA DEI TUMORI


L’epidemiologia è utile, perché vi da una idea delle cause dei tumori e anche degli
strumenti terapeutici che abbiamo a disposizione.

Percentuali di decessi

Cardiopatie 31 BPCO 4,8 Suicidio 1,3
Tumori 23 Traumi e incidenti 4,2 Patologie nefrologiche 1,1
Malattie cerebrovascolari Polmonite e influenza 3,9 Cirrosi epatica 1,1
6,8 Diabete 2,8

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PARTE 1: CONCETTI GENERALI

Tra le principali cause di morte i tumori rappresentano ¼ delle cause di morte tra
tutti i tipi di patologie, secondi soltanto alle malattie cardiovascolari.
Il cancro del polmone è sicuramente il più importante, anche mettendo insieme
entrambi i sessi. Segue al
secondo posto il cancro dello
stomaco, cosa che soprattutto
nei paesi occidentali non ci si
aspetterebbe, è un tumore che
prevale nelle aree
sottosviluppate, ma anche in
Italia, nonostante ci sia stata
una drammatica riduzione
della incidenza: era molto più
frequente 30-40 anni fa.
Terzo posto per il cancro della
mammella: il cancro della
mammella è la terza causa,
per gli uomini e per le donne,
ma è quasi esclusivamente un tumore del sesso femminile; esso, inoltre, ha una
percentuale di guarigione che è superiore al 50%. Per il cancro del fegato, avremo
437.000 nuovi casi, forse anche di più perché questa è una stima fatta nei paesi
sviluppati, mentre le aree a maggior incidenza di epatocarcinoma sono le aree
sottosviluppate, l’Africa sub-sahariana in particolare.
Guardiamo invece la situazione in termini di mortalità: in percentuale, i tumori che
influiscono di più in termini di mortalità sono il cancro del polmone (17,8%),
seguito dal cancro dello stomaco (10,4%) e dall’epatocarcinoma (8,8%).

Ci sono alcune neoplasie che hanno prevalenza estremamente elevata, in primis


mammella e colon, ma anche il cancro dello stomaco, quello del colon-retto, quello
del polmone, della mammella. Quest’ultimo non è un dato negativo, perché significa
che ci sono molte pazienti che sono guarite dal tumore.
E poi una neoplasia che ha una prevalenza piuttosto importante è il cancro della
vescica. Anche qui, però, bisogna fare una riflessione, perché in queste casistiche
non si distingue tra il carcinoma della vescica in situ, e quindi suscettibile soltanto
di trattamento locale, e il carcinoma della vescica localmente avanzato o avanzato.
Quindi la grossa quota di questi tumori non sono metastatici, o perlomeno non
sono ancora diventati tali. Invece, sempre per quanto riguarda il cancro della vescica,
esso non è tra quelli più incidenti e tra quelli con più alta mortalità. Diventa
frequente quando si parla in termini di prevalenza.
Questi sono i 15 più diffusi tipi di tumore nel sesso maschile e ci sono alcune cose
che meritano di essere sottolineate.
Alcuni tumori sono ugualmente presenti
sia nei paesi sviluppati sia in quelli in via
di sviluppo (per esempio il cancro del
polmone), altri tumori invece sono più
frequenti nei paesi in via di sviluppo. Il
cancro della prostata è un tumore

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PARTE 1: CONCETTI GENERALI
associato, come il cancro del colon-retto,
a fattori eziologici e abitudini di vita più
comuni nel mondo occidentale.
Nel sesso femminile, il cancro della
mammella è un po’ meno presente nei
paesi in via di sviluppo, però ha
sicuramente un’incidenza assolutamente
rilevante. Importante è la cervice uterina
nei paesi poco sviluppati. E anche qui il
cancro del colon-retto è più associato allo
stile di vita occidentale.

Questi sono i nuovi casi di tumore in Italia in una valutazione del 2012, la cui stima
è del 2011. Poi compaiono le proiezioni per il 2020 e per il 2030. Consideriamo
l’insieme dei tumori, esclusi gli epiteliomi della cute, e nel 2011 ci sono stati oltre
400.000 nuovi casi di tumori in Italia, nel 2020 si stimano 50.000 casi in più, e
altrettanti in più nel 2030.

Curve del tasso di mortalità per cancro nei vari decenni del secolo scorso
Cominciamo dall’uomo: il primo trend degno di nota è l’incremento vertiginoso
della mortalità del cancro del polmone a partire dal 1930. Tutto ciò va di pari passo
con l’esposizione al fumo. E l’incremento dell’esposizione al fumo c’è stato proprio a
cavallo tra le due guerre, quindi nel 1930, e fino al 1980, l’incremento è stato
esponenziale.
Bisogna dire che attualmente questo trend, almeno per il sesso maschile, si è
appiattito e nei paesi occidentali c’è
anche una tendenza alla riduzione,
per la consapevolezza della
pericolosità del fumo di sigaretta.
Un’altra curva interessante è quella
del cancro gastrico, che sempre nella
stessa fascia di anni ha avuto una
netta riduzione di mortalità: come
per il cancro del polmone, la

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PARTE 1: CONCETTI GENERALI
riduzione di mortalità del cancro gastrico è legata alla prevenzione primaria, alla
riduzione dei presunti fattori eziologici, probabilmente la conservazione degli
alimenti. Quindi si tratta sostanzialmente della conservazione mediante
perfrigerazione piuttosto che mediante altre modalità (la salatura o le altre modalità
che non prevedono la refrigerazione). Nel caso della conservazione degli alimenti
non alla temperatura di 4°C c’è la possibilità che sulla superficie degli alimenti caldi
aumenti la popolazione batterica, quindi ci sia un overgrowth batterico, e questo
determina la formazione di nitrosamine che sono delle sostanze che derivano dal
metabolismo delle proteine contenute nella carne, che si aggiungono ai nitrati e
nitriti che in genere vengono utilizzati nella conservazione delle carni per
mantenerne il colore roseo. Mentre invece il meccanismo con cui la salatura può
determinare l’innesco della cancerogenesi è quello di provocare un danno epiteliale
diretto, un danno osmotico per le cellule di rivestimento gastrico e quindi questo
determina una perdita di cellule che producono HCl, una flogosi cronica e anche qui
una situazione di gastrite cronica.

Anche nel sesso femminile ci sono tre


curve che sono interessanti. Una è quella
dello stomaco, che ripercorre
l’andamento di quella del sesso maschile.
L’altra riguarda il cancro del polmone che
sale dopo gli anni ’60, anche questo è
correlato all’incremento dell’esposizione
al fumo.
I movimenti femministi, hanno
purtroppo portato le donne a ereditare
dall’uomo non solo i diritti ma anche le
cattive abitudini. La cosa che deve far riflettere è che la mortalità per cancro del
polmone nel sesso femminile ha superato la mortalità per cancro della mammella, il
quale in termini di incidenza è di gran lunga maggiore rispetto a quella del cancro
del polmone nel sesso femminile. Ma un’altra curva che si è nettamente ridotta a
partire dagli anni ’60 è quella relativa al cancro dell’utero e in particolare quello cui
ci si riferisce è il cancro della cervice uterina. Questa curva si è ridotta per la
diagnosi precoce sia delle lesioni cancerose precoci sia delle lesioni pre-cancerose
tramite le campagne di screening con Paptest e per la prevenzione con la
vaccinazione, che non copre tutti i ceppi, però dà una copertura che è quasi del 90%.
Queste misure dovrebbero portare all’azzeramento della mortalità per cancro della
cervice uterina.

M F

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PARTE 1: CONCETTI GENERALI

Queste tabelle danno delle importanti informazioni non tanto sull’incidenza globale
del tumore ma sulla variabilità della stessa considerando le varie classi di età.
Noteremo ad esempio come nella fascia di età giovanile, avremo una maggiore
incidenza delle leucemie, dei linfomi, dei tumori del sistema nervoso centrale e della
pelle. Spostandoci un po’ più avanti con l’età, troveremo invece il polmone e il colon
retto mentre nell’età avanzata la prostata. Questo schema è importante considerarlo
perché se voi avete un paziente di 30 anni che si presenta con una massa
mediastinica, siete molto legittimati a pensare che abbia un linfoma piuttosto che un
tumore del polmone.

In generale per le donne, la causa di morte più comune è il tumore del polmone cui
segue mammella e colon retto. Nelle donne possiamo considerare due aspetti
interessanti:
- Nelle fasce più giovanili, anche in questo caso hanno una maggiore incidenza
leucemie, linfomi e tumori del SNC. In questa fascia di età presenta un’alta
incidenza anche il tumore della mammella. L’incidenza del carcinoma della
mammella presenta due picchi: un primo picco intorno ai 35 anni, un altro
intorno ai 60 anni. Proprio nell’età giovanile, il tumore della mammella
rappresenta il primo tumore per mortalità
- Dopo i 55 anni presentano maggiore incidenza il tumore del polmone e il
tumore del colon retto. C’è da sottolineare come il tumore della mammella,
per quanto presenti una incidenza maggiore dopo i 60 anni, in questa fascia
di età risulta essere anche molto più guaribile e rappresenta una blanda causa
di morte.

M
F

Questo grafico serve per capire che differenza c'è tra sesso maschile e femminile
riguardo incidenza stimata e mortalità stimata. Vediamo come mentre l’incidenza
stimata per tumore della prostata è di circa il 32%, 16 % per il pomone, 12% colon
retto, la mortalità stimata per il tumore del polmone è di circa il 33 % con il tumore
alla prostata al secondo posto.

Analogamente per la donna, vediamo come le differenze tra incidenza e morte


stimata. L'incidenza è di circa il 32% per il tumore della mammella, 13% polmone,
15% colon retto mentre per quanto riguarda la mortalità avremo il tumore al
polmone al primo posto con il 33% e poi mammella 18% e colon retto 11%.

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PARTE 1: CONCETTI GENERALI

Incidenza e mortalità in Italia


In Italia le cose non cambiano molto:
Nel sesso maschile
- Per l’incidenza avremo un 30% per il tumore alla prostata (un po’ meno
rispetto all’incidenza globale vista prima) al secondo posto il polmone con il
14,5% e a seguire il tumore del colon retto con il 10%.
- Per la mortalità, primo posto per il tumore del polmone con il 31% mentre la
prostata al secondo posto.
Nel sesso femminile
- Per l’incidenza avremo quasi 30% per il tumore della mammella seguito da
polmone (13%)
- Per la mortalità tra i più importanti avremo 24,7% polmone e 16%
mammella.

Due importanti riflessioni possiamo elaborare in merito a questi dati:


- Il tumore al polmone è tuttora un tumore ad “elevata letalità”
- Due specifici tumori, quello della mammella nella donna e quello della
prostata nell’uomo, presentano una incidenza maggiore della mortalità.
Questi sono tumori definiti ormono-dipendenti verso i quali si è sviluppata
una terapia mirata detta “target therapy” (la terapia di tipo ormonale) la
quale ha ruolo importante nella riduzione della mortalità associata a queste
neoplasie.

La possibilità di usufruire di una terapia mirata verso uno specifico bersaglio, è una
condizione ideale che si ricerca in ogni tipo di tumore e spiega perché vi è un largo
interesse riguardo la possibilità di definire una classificazione molecolare per tumore
del polmone. Tale classificazione molecolare non è detto che riveli la presenza di veri
e propri “geni target” ma si pone come obiettivo quello di identificate geni che
potrebbero presentare comunque un ruolo nella cancerogenesi (d’altro canto
definire una interferenza con questi geni potrebbe significare sperare di ottenere
delle terapie per trattare in qualche modo questi pazienti). Sottolineiamo ad

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 7 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
esempio come sono stati identificati almeno 5 diversi sottotipi molecolari di
adenocarcinoma del polmone: ciò ci fa capire l’importanza della biologia sia in
ambito clinico che terapeutico.

Il dato che cogliamo da questi studi epidemiologici è che, col passare degli anni, l’
incidenza e la mortalità per cancro aumenta a scapito di quella che è una maggiore
probabilità di guarigione per quasi tutti i tipi tumori. Ciò è spiegato dal fatto che il
cancro è una malattia dell’età avanzata. Man mano che gli anni passano, l’organismo
accumula sempre più mutazioni e alcune di esse possono influenzare meccanismi
implicati nella funzione replicativa delle cellule (quale ad esempio i telomeri)

Secondo degli studi prospettici, la popolazione in Italia (come negli Stati Uniti e più
in generale in tutto il resto del mondo) tenderà entro il 2050 ad invecchiare. Questo
dato è molto importante perché ci fa capire come anche se migliorassimo il nostro
stile di vita, diminuissimo l’esposizione a fattori cancerogeni, l’incidenza del cancro
proprio per questo aumento dell’età media tenderà comunque ad aumentare così
come la mortalità ad esso associata.

I tumori che presentano un alto tasso di guarigione sono quelli che possono essere
guariti tramite l'intervento chirurgico (tra cui melanoma il linfoma di Hodgkin) o i
tumori che rispondono molto bene ai trattamenti medici chemioterapici come il
tumore del testicolo.

Avremo ad esempio:
- Tumore del testicolo con una percentuale di guarigione del 95%
- Linfoma di Hodgkin con una percentuale di guarigione intorno al 90%
- Tumori che presentano una buona prognosi come nel caso del tumore della
mammella e dell’ endometrio per i quali sono disponibili diverse tipologie di
terapie (anche integrate mediche chirurgiche).
- Tumore del colon, uno dei tumori più diffusi, presenta una sopravvivenza a 5
anni di circa il 50%.

In Italia, la sopravvivenza a 5 anni per tumore al colon risulta essere al di sopra della
media europea. Riguardo il tumore al polmone invece, l’incidenza risulta essere tra
le maggiori in Europa ma sempre inferiore rispetto a quei stati in cui vi è una forte
dipendenza dal fumo come i paesi dell’est europeo.

Carcinoma della mammella


Esso presenta una maggiore incidenza soprattutto all'interno di quei paesi che
presentano uno stile di vita più “occidentalizzato” quali Francia, Stati Uniti, Canada
e Australia. In Italia l'incidenza risulta essere inferiore rispetto al resto d’Europa
(meno del 70-75%) .

Cancro del colon


In questo caso l'Italia si colloca all'interno del gruppo dei Paesi a incidenza più
elevata. Il cancro al colon è correlato agli stili di vita e all’alimentazione irregolare
(soprattutto quella a stampo anglosassone che si sta diffondendo per tutta l’area
mediterranea)

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PARTE 1: CONCETTI GENERALI

Cancro dello stomaco


L'incidenza in Italia è piuttosto elevata. Dobbiamo considerare il nostro paese come
se fosse un'appendice dell'Europa nel Mediterraneo: essa, dal punto di vista
patologico, risulta essere un ibrido tra un paese occidentale sviluppato ed un paese
del terzo mondo. Tipicamente il cancro dello stomaco è un tumore dei paesi in via di
sviluppo.

Epatocarcinoma
Facciamo lo stesso discorso per quanto riguardava il cancro dello stomaco. In
Europa, sono l'Italia e la Grecia i paesi a maggiore incidenza.

Cancro della prostata


Con buona pace di chi ritiene che l'Italia sia un paese più attivo dal punto di vista
sessuale (teoricamente, la maggiore attività sessuale dovrebbe determinare una
maggiore produzione di ormoni e quindi maggiore incidenza del cancro). L’incidenza
in Italia di cancro alla prostata è tra le più basse in Europa.

Cancro della cervice uterina


Anche in questo caso, siamo all'interno della “parte buona” in quanto dotati di
efficaci campagne di screening e diagnosi precoce. molto più diffusa oppure l'Italia è
uno dei paesi in cui non ci sia anche la cervice.

In definitiva, vi è una tendenza percentuale in Europa alla diminuzione della


mortalità per cancro. Tuttavia quello che notiamo dalle indagini statistiche
aggiornate al 2002 è che mentre nell’uomo la mortalità per cancro del polmone si è
ridotta del 20%, nelle donne è aumentata quasi del 20%. A livello epatico inoltre
osserviamo un aumento percentuale dell’incidenza del + 35% circa in entrambi i
sessi. Questo dato è probabilmente correlato all’aumento delle infezione da parte di
HCV che non guarda in faccia il sesso. Possiamo inoltre identificare:
- Tumori con un trend non favorevole negli uomini: esofago, fegato, pancreas,
cute, vescica e mielomi
- Tumori con un trend non favorevole donne: tumori del cavo orale, esofago,
fegato, pancreas, polmone, ovaio, mieloma

Nuovi casi di tumore in Italia

L’incremento della sopravvivenza è


giustificato da:
• Progressi farmacologici

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 9 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
• Accuratezza diagnostica
• Chirurgia delle metastasi e terapie integrate
• Presidi meccanici
• Terapie palliative

- Riduzione dell’incidenza: carcinoma polmonare nell’uomo, carcinomi del


distretto CF, carcinoma della vescica, carcinoma del rene, carcinoma gastrico,
carcinoma della colecisti, tumori cutanei (?), carcinoma dell’ovaio (?)
- Screening/Diagnosi precoce: Carcinoma della mammella, carcinoma dell’utero,
tumori cutanei, carcinoma CR (?), carcinoma della prostata (?)
- Miglioramento dei trattamenti integrati: Carcinomi del distretto CF, carcinoma
della mammella, carcinoma CR, carcinoma della prostata,
- Miglioramento della terapia medica: Linfomi, Leucemie, Carcinoma della
mammella, carcinoma CR, carcinoma del testicolo, carcinoma della prostata
(?)

Finalità dell’oncologia clinica


- Riduzione dell’incidenza delle neoplasie: Prevenzione
- Riduzione della mortalità: Prevenzione, Diagnosi precoce, Terapia
- Riduzione della morbilità: Terapia oncologica, Terapia Palliativa

Nel miglioramento della prognosi, non riveste un ruolo importante soltanto il


miglioramento delle tecniche terapeutiche quanto anche una diagnosi accurata. Un
tempo molti tumori non venivano riconosciuti facilmente e le terapie , già di per sé
poco efficaci, diventano molto meno efficaci.

Un altro aspetto molto importante nel cancro del colon ma anche in altre forme di
tumore è la chirurgia delle metastasi. Un tempo era difficile convincere un chirurgo
a operare un tumore metastatico (ad esempio un tumore al colon con metastasi
epatiche): oggi la situazione risulta essere totalmente cambiata. Vi sono specifici
tumori che presentano un particolare tropismo verso determinati parenchimi: il
controllo di questi organi metastatici (se la malattia non è del tutto diffusa)
consente di migliorare la sopravvivenza del paziente. L'esempio tipico è il cancro del
colon di cui oggigiorno si operano frequentemente le metastasi epatiche, le
metastasi polmonari e anche le metastasi peritoneali non ottenendo di certo la
guarigione ma un miglioramento della sopravvivenza. Questo tipo di filosofia,
comincia a espandersi anche verso altre forme di tumori come il tumore della
mammella e il tumore del polmone le cui metastasi cerebrali (purchè singole)
possono essere operate.

Presidi meccanici
Un tempo, l’applicazione di presidi di sostegno era una pratica poco utilizzata (i
pazienti che avevano l'ittero ostruttivo ad esempio poche volte venivano sottoposti
ad una derivazione bilio-digestiva chirurgica e poichè le loro condizioni non erano
delle migliori morivano per ittero ostruttivo). Oggigiorno vi sono tutta una serie di
possibilità di trattamento relativamente poco invasive: basti pensare ad esempio alle
endoprotesi utilizzate nel cancro dell'esofago. Un paziente con cancro nella porzione

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 10 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
stomaco-esofago che ha posizionato una endoprotesi presenta una sopravvivenza di
diversi mesi anche senza chemioterapia.

Riduzione della mortalità


La riduzione della mortalità per cancro è correlata a diversi fattori:
- Riduzione delle cause
- Riduzione dell'incidenza (come nel tumore del polmone o del distretto cranio
facciale)
- Miglioramento della diagnosi precoce e dei presidi diagnostici nonché le
indagini di screening (come nel tumore della cervice)
- Miglioramento delle conoscenze scientifiche
- Miglioramento della terapia medica e dei trattamenti integrati (come nel
tumore della mammella, del colon retto, del distretto cerebro facciale e della
prostata)

Alcuni tipi di tumori traggono giovamento dai miglioramenti della terapia medica.
Di seguito alcuni esempi:
o Circa l' 80-90% dei linfomi guarisce grazie alla terapia medica
o Circa il 60-70% delle leucemie acute, in base all'età, guarisce grazie alla
terapia medica
o Circa il 15% dei pazienti sottoposti a chirurgia guarisce con terapia medica
questo per quanto riguarda il colon retto.
o Circa il 90% dei carcinomi al testicolo guarisce grazie alla terapia medica
anche quando sono metastatici

Le terapie palliative
Un ruolo sempre più importante è definito dalle terapie palliative. Dobbiamo
ricordarci sempre che il medico ha come obiettivo la diminuzione della sofferenza: il
ruolo del medico è quello di attenuare i sintomi e l’impatto degli stessi sulle
condizioni generali e sulla prognosi. La cura dei sintomi ha un ruolo fondamentale
in qualunque fase della malattia in cui ci troviamo non soltanto nella fase di malattia
avanzata, “incurabile”.

Sintomi principali sono:


- Dolore
- Difficoltà nutrizionali
- Sindromi costruttive
- Sindromi respiratorie
- Sindromi neurologiche
- Sindromi paraneoplastiche.

Ci sono tutta una serie di presidi che possono dare sollievo e venire in aiuto alla
terapia palliativa.
Tra i presidi palliativi che possono influenzare la prognosi ricordiamo:
• Supporto trasfusionale
• Risoluzione sindromi ostruttive
• Nutrizione
• Drenaggio pleurico/peritoneale

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 11 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
• Trattamento sindromi metaboliche
• Radioterapia palliativa

Sindromi critiche
Ca. Mamm. Ca.Colonretto Ca. Prostata Ca Polmone
Esaurimento midollare +++ + +

Metastasi ossee +++ +++ ++

Metastasi epatiche ++ +++ + ++

Metastasi cerebrali + +

Problemi nutrizionali + +++

Ostruzione intestinale +++

Ostruzione biliare +++

Problemi respiratori + +++

Esaurimento opzioni + ++ +++ +++


ter.
Sanguinamento + ++

Sindromi Metaboliche +

Sindromi spinali ++ + +++ +++

- Esaurimento midollare: rappresenta una delle sindromi critiche caratteristiche del


tumore alla mammella. Essendo il tumore alla mammella un tumore per il quale vi
sono più chance terapeutiche, questo comporta che quanto più farmaci facciamo più
il midollo si esaurisce.

- Metastasi ossee: sono comuni nel cancro della mammella, nel cancro della prostata
e nel cancro del polmone invece le metastasi epatiche sono la sindrome critica
caratteristica del cancro del colon-retto.

- Problemi nutrizionali: per quanto riguarda i carcinomi intestinali, quelli della


porzione biliare e del colon-retto.

- Problemi respiratori: sono comuni nel cancro del polmone.

- Esaurimento delle opzioni terapeutiche: comune nel cancro della prostata e del
polmone.

Vi sono delle sindromi che hanno una prognosi più sfavorevole come:

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 12 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
- Infiltrazione midollare che può essere affrontata tramite l'apporto
trasfusionale (anche se oggi non esiste apporto trasfusionale che riesce a
compensare bene una piastrinopenia)
- Problemi polmonari
- Sanguinamento
- Metastasi cerebrali ed epatiche
- Sindromi metaboliche

La prognosi meno sfavorevole ce l’hanno i problemi nutrizionali (poiché nella


peggiore delle ipotesi i pazienti possono essere gestiti tramite nutrizione
parenterale) e le metastasi ossee (che sono di “facile” gestione con la radioterapia,
con la terapia antalgica o con vari altri tipi di presidi ortesici.

BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________
- Sbobinature Prof Barone aa 2014/2015
- Sbobinature Prof Barone aa 2015/2016


ELEMENTI DI ONCOLOGIA 13 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
CAPITOLO 2
__________________________________________________________
EZIOLOGIA GENERALE DEI TUMORI
Nella maggioranza dei casi si dice che l’eziologia dei tumori è sconosciuta: questo è
vero in parte, poiché sono certamente noti i “trigger” di cancerogenesi; ciò che
rimane oscuro è quello che accade a seguito dell’esposizione all’agente iniziante,
quindi i meccanismi successivi all’esposizione al fattore che determina l’attivazione
della cancerogenesi.
Per quanto riguarda il tumore non si può ragionare sulla patogenesi come si ragiona
per la maggior parte delle patologie di altra natura: ad esempio, nelle infezioni tutti i
passaggi che avvengono dall’esposizione all’agente infettivo alla patologia infettiva
conclamata sono noti e descrivibili.
Lo stesso non si può dire per il tumore, soprattutto perché gli eventi si svolgono in
un arco temporale molto lungo e questo è confondente (anche perché è plausibile
supporre che in questo intervallo di tempo interverranno ulteriori fattori); ad
esempio, l’esposizione all’asbesto da mesotelioma pleurico anche 20 anni dopo e
capire cosa sia accaduto durante questo periodo è complesso.
Quindi non sono tanto ignote le cause, quanto piuttosto tutte le tappe successive
che portano alla cancerogenesi, tappe che sono numerose e variabili, e non una
sequenza ordinata e univoca. Il cancro infatti è una malattia genetica, intesa come
malattia in cui si susseguono una serie di mutazioni genetiche che possono
coesistere contemporaneamente; esse portano a tumori che apparentemente
possono avere un’istologia molto simile, ma dal punto di vista delle mutazioni e
delle caratteristiche molecolari sono completamente diversi tra loro, riflettendo la
variabilità delle tappe che hanno portato alla loro formazione.

Gli agenti inizianti la cancerogenesi sono molteplici e di diversa natura; ciò riflette la
molteplicità dei meccanismi che sussistono in seguito all’esposizione ed è proprio
questo ciò che noi non conosciamo; inoltre lo stesso agente iniziante può essere
riconosciuto come fattore favorente di molteplici tumori (ex. L’alcol) e cosa favorisca
l’insorgere di un tumore piuttosto che un altro in un individuo è ignoto.

Tra i più comuni agenti inizianti ricordiamo:


- Agenti infettivi
- Virus: HTLV-1, HTLV-II, HCV, HBV, HPV
- Batteri e Protozoi: HP, Schistosoma mansoni
- Fattori chimici
- Alcool
- Nitrosamine, ammine aromatiche eterocicliche, tricloroetilene, diossine,
arilammine
- Idrocarburi policiclici aromatici, derivati del petrolio e del benzene
- Micotossine: Aflatossina (Asp. Flavus), Fumonisina (Fusaium moniliforme),
Ocratossina (Asp. Ochraceus)
- Pesticidi
- Coloranti, solventi, trialometani
- Fenacetina, Farmaci citotossici
- Fattori fisici

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 14 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
- Radiazioni ionizzanti, Radon
- Luce ultravioletta (UV-B 290-320 nm)
- Asbesto
- Fattori genetici

Per tutti questi agenti è stata dimostrata una chiara correlazione con la genesi del
cancro.
Tra gli agenti biologici infettivi: è rilevante il ruolo dei virus, come HIV, HTLV1 e 2
che sono stati correlati alla genesi di tumori linfoproliferativi; i virus epatotropici
danno epatite, poi alcuni pazienti evolvono verso l’epatocarcinoma; stessa cosa vale
per HPV. Poi ci sono i batteri, tra cui troviamo H. Pylori (che agisce in sinergia con
altri elementi che provocano il cancro gastrico e quindi non è sufficiente da solo a
determinare il tumore). Tra i parassiti lo Schistosoma è in grado di provocare tumori
della vescica e del colon.
- Tra i fattori chimici: è opportuno ricordare le micotossine, perché spesso si tende a
dimenticare il ruolo dell’aflatossina (prodotta da A.Flavus) nell’epatocarcinoma.
Molti tra i coloranti e i solventi sono cancerogeni esposizionali, legati a particolari
attività professionali; è stata recentemente inclusa tra le categorie a rischio per la
comparsa di un tumore professionale la categoria dei parrucchieri, perché hanno
maggior esposizione a queste sostanze. La Comunità Europea ha fatto richiesta di
una normativa specifica, che ponga l’obbligo di specificare in tutti i prodotti
utilizzati la composizione chimica corretta (anche perché alcuni prodotti, come
spray o lacche per capelli, sono anche molto utilizzati a livello domestico).
Poi ci sono fattori fisici, come le radiazioni ionizzanti e il Radon, la luce ultravioletta
(in particolare quella con lunghezza d’onda tra 290- 320 nm.
Infine anche i fattori genetici incidono sull’eziologia dei tumori.

PRINCIPALI CAUSE DI TUMORE


Anni fa fu pubblicato uno studio svolto da due
celebri epidemiologi, secondo cui il 33% dei
tumori fosse dovuto al fumo, il 33%
dall’alimentazione, e dei restanti tumori almeno
la metà era dovuto a un errato stile di vita;
questa suddivisione percentuale così netta e
rigida in realtà non è appropriata, però
sicuramente tale studio mette in luce le cause
preponderati; se la prevenzione primaria
portasse all’eliminazione del fumo di tabacco e
corrette norme alimentari sicuramente ci sarebbe un impatto rilevante sull’incidenza
dei tumori. Altre cause importanti sono le infezioni, il comportamento sessuale e
riproduttivo inappropriato e l’occupazione lavorativa; in merito a quest’ultima
bisogna osservare la sua rilevanza in termini epidemiologici: essa infatti è causa di
cancerogenesi tre volte di più rispetto alle radiazioni ionizzanti.

Fattori che influenzano la cancerogenesi


• Ambiente
– Esposizione a fuliggine
– Radiazioni UVB (dimeri di pirimidina)

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 15 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
• Vita riproduttiva
– Estrogeni, Promiscuità sessuale
• Dieta
• Fumo
– Almeno 81 agenti cancerogeni
• Altro
– Sottoprodotti del metabolismo
– Errori di replicazione del DNA
– Radicali attivi di O2
– Sottoprodotti mutageni di mal. del metabolismo

CANCEROGENESI OCCUPAZIONALE

Nella tabella sono descritti i principali agenti di cancerogenesi occupazionale.

L’Asbesto è un cancerogeno ben noto, oltre al celebre mesotelioma può dare anche
tumori del tratto gastrointestinale; prima che fosse noto il suo potenziale nocivo era
ampiamente utilizzato in materiali isolanti, ignifughi o soggetti ad attrito per via
della sua alta resistenza al calore.
Il Benzene e i suoi derivati sono presenti in alcuni solventi e vernici (nonostante sia
ben nota la sua pericolosità) e nell’industria del petrolio; essi provocano leucemia e
malattia di Hodgkin. Dunque in un paziente con sospetta malattia linfoproliferativa
è importante all’anamnesi chiedere l’attività lavorativa, perché se egli ha a che fare
con tali ambienti lavorativi o fa il benzinaio, si può più facilmente inquadrare la
diagnosi. Berillio e composti colpiscono il polmone.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 16 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
Il Cadmio e i suoi composti sono più diffusi di quanto non si pensi, infatti vengono
adoperati per la produzione di coloranti gialli e sostanze fosforescenti (tra
fluorescenza e fosforescenza sussiste una differenza); quando si cominciò la
produzione di oggetti e materiali fosforescenti non se ne conosceva il potenziale
nocivo, per cui essi venivano manipolati senza alcuna precauzione; ciò risulta
preoccupante se si pensa che molti di questi materiali erano impiegati nei giocattoli
per bambini.
I composti del Cromo sono ampiamente diffusi, poichè contenuti in leghe metalliche,
vernici, coloranti e conservanti. Essi colpiscono il polmone.
L’Ossido di Etilene è utilizzato per il trattamento della frutta, come repellente per
microrganismi (sarebbe la pellicola “viscidina” sulla buccia delle mele).
I composti del Nichel danno tumori del naso e del polmone.

Il Radon è un prodotto di decadimento dell’uranio, contenuto in alcuni minerali. Il


famoso uranio impoverito, cui vennero esposti i militari durante una delle prime
missioni italiane in Serbia negli anni ’90, era contenuto in materiale bellico che
veniva manipolato senza alcuna precauzione. Una larga parte di questi militari
sviluppò tumori del polmone, leucemie e linfomi entro 3-4 anni dal ritorno in patria.
La vicenda ha avuto dei risvolti legali a dir poco ridicoli, in quanto la correlazione tra
la sostanza e i tumori era ben chiara, ma siccome in Italia l’intervallo di
cancerogenesi standard era superiore a dieci anni (e in tutti questi casi l’intervallo
era inferiore) si concluse, con la connivenza di un oncoematologo, che non v’era
alcuna correlazione.
Il Cloruro di Vinile è un refrigerante, le categorie esposte sono quelle dei meccanici,
o di coloro che si occupano della manutenzione di frigoriferi e elettrodomestici. È
responsabile di tumori del fegato e di angiosarcoma.

CANCEROGENESI DA AGENTI CHIMICI


Il cancro è una malattia genetica, cioè un’alterazione che coinvolge i geni (e non una
malattia trasmissibile); in questo senso si inquadrano i cancerogeni chimici, che
sono sostanze in grado di procurare un danno genotossico, seguendo un processo
multifasico, ovvero configurandosi come un accumulo progressivo di mutazioni.
Ognuna di queste sostanze ha una dose soglia necessaria a procurare il danno, al di
sotto di essa non si osserva alcun evento avverso; questo è importante a livello
occupazionale, in quanto esistono per legge delle concentrazioni nell’ambiente che
non devono essere superate (questo vale anche per i danni da agenti fisici, come le
radiazioni e il rumore). Gli agenti chimici possono agire anche come tossici di
sommazione: se avviene l’esposizione a più cancerogeni contemporaneamente,
l’effetto di sommazione che ne deriva può abbassare ciascuna delle dosi soglia (se ad
esempio avviene l’esposizione contemporanea a due cancerogeni che, presi
singolarmente, necessitano di alte dosi per danneggiare il DNA, la sommazione di
questi anche a piccole dosi produrrà ugualmente il danno).

La cancerogenesi chimica è un processo multifasico (somma di mutazioni successive).


Se si somministra all'animale/cellula una dose inferiore a quella soglia l'animale non
sviluppa tumore. Vi sono delle sostanze non cancerogene che, in presenza di un
cancerogeno, possono diventare co-cancerogeni, abbassando molto la soglia di
cancerogenesi di quella sostanza (come nella tossicità da sommazione).

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 17 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
Nella realtà dei fatti è difficile essere esposti a un singolo cancerogeno, piuttosto
l’azione cancerogena di un composto si somma a quella di altri in maniera sinergica,
dando sincancerogenesi.

A lato è presente lo schema generale degli


eventi che avvengono nella cancerogenesi
chimica, fasi che si articolano nei due momenti
dell’iniziazione e della promozione.
Nella fase di iniziazione la sostanza
cancerogena subisce un’attivazione metabolica
che porta alla produzione di intermedi
elettrofili, che sono i veri e propri attori del
danno genotossico. Questi intermedi (come
anche gli stessi cancerogeni) possono essere
detossificati e eliminati dalla cellula, ma se ciò
non avviene essi legano il DNA formando degli
addotti. La cellula può ulteriormente difendersi
da tale alterazione attraverso enzimi di
riparazione del DNA o attraverso la morte
cellulare; ma se anche qui i sistemi di difesa
falliscono il risultato è una lesione permanente
del DNA e una “cellula iniziatrice” (è chiaro
che le tappe sono molteplici e ognuna di esse
può risultare deficitaria).
Comincia così la fase di promozione, in cui tale cellula iniziatrice prolifera dando
origine a un clone preneoplastico, che continuerà a dividersi; essendo la cellula di
partenza una cellula mutata che va incontro a mitosi incontrollate, le mutazioni
tenderanno ad aumentare e ad accumularsi; il risultato finale sarà la neoplasia
maligna.

CANCRO EREDITARIO E CANCRO SPORADICO


Pur sempre tenendo a mente che il cancro è una malattia genetica, occorre
sottolineare le differenze che intercorrono tra quello propriamente ereditario e
quello sporadico.
Il cancro sporadico, nonostante sia così denominato, è molto più frequente di quello
ereditario, costituendo il 95% di tutte le neoplasie.
La differenza è che nell’ereditario l’alterazione riguarda un gene delle cellule germinali
e tale alterazione è trasmessa a tutte le cellule figlie, per cui è necessaria e sufficiente
una parallela mutazione sull’altro allele in una qualunque delle cellule figlie somatiche
per far sì che si manifesti il cancro; è un processo che richiede meno tappe; ciò spiega
perché i tumori genetici sono così precoci e per quale motivo laddove c’è
un’alterazione genetica che interessa la linea germinale è cosi frequente avere il
tumore; l’esempio del retinoblastoma è un classico, ma anche quello del BRCA 1 e
2, che determina un rischio aumentato di cancro alla mammella (rischio del 50%) e
anche dell’ovaio.
Nel cancro sporadico invece le mutazioni sono “random”, riguardano cellule della linea
somatica e quindi è molto più improbabile avere mutazioni su alleli corrispondenti;
però le cellule somatiche sono talmente tante che comunque alla fine la maggior parte

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 18 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
dei tumori sono sporadici. Dunque nell’ambito di cellule somatiche in cui si hanno
due alleli normali, in seguito all’esposizione a sostanze cancerogene, si verifica una
prima mutazione, successivamente si ha un’altra mutazione e quindi, coi due alleli
alterati, compare il tumore.

GENI E CANCRO
Il cancro è causato da alterazioni negli oncogèni, nei geni oncosoppressori e nei geni
microRNA. Queste alterazioni sono in genere eventi somatici, sebbene mutazioni
germinali possano predisporre un individuo a tumori ereditari o familiari.

MicroRNA e regolazione genica


I microRna sono molecole di piccole dimensioni (21-23 nucleotidi) che non vengono
traslati in proteine (ovvero non sono codificanti), ma hanno il solo scopo di regolare
l’espressione genica. In particolare essi svolgono un ruolo di regolazione epigenetica
interagendo con le molecole di mRNA (che sono, invece, codificanti). Tali microRna
possono essere di lunghezze diverse e possono essere complementari a qualunque
tipo e a qualunque segmento di mRna; è quindi facile intuire a quanti livelli può
potenzialmente agire questa regolazione epigenetica. Questo tipo di modulazione è
responsabile anche dell’ampia variabilità di individui, costituisce un livello superiore
e supplementare di regolazione genica che può agire sul numero relativamente
limitato di geni presenti nel genoma
umano (numero che non si discosta
molto da quello della drosophila; tra
l’essere umano e i primati sussiste una
differenza genetica inferiore al 2%); la
maggior parte delle caratteristiche
fisiche, somatiche, funzionali che
esistono non sono su base genetica,
bensì su base epigenetica.

Alterazioni nei geni per i microRNA


sono causa di tumore, esattamente
come le alterazioni che possono
verificarsi negli oncogèni e negli oncosoppressori.

Oncogeni
Tra i prodotti degli oncogèni meglio conosciuti e più studiati ci sono i fattori di
crescita e rispettivi recettori, trasduttori di segnale (come le tirosinchinasi) e i
regolatori dell’apoptosi; tra i prodotti meno conosciuti ci sono fattori di trascrizione
e rimodellatori della cromatina.

- Fattori di trascrizione: Fos, proteina di fusione EWS


- Rimodellatori della cromatina (interferenza con enzimi che spostano i nucleosomi
o modificano le code N-terminali degli istoni): parte delle proteine del complesso
ALL1
- Fattori di crescita: PDGF, mutazioni di APC
- Recettori per fattori di crescita: famiglia EGFR
- Trasduttori di segnale: tirosinchinasi non recettoriali (ABL, SRC, AKT, RAF1)

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 19 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
- Regolatori dell’apoptosi: BCL2

I proto-oncogèni attivati nei tumori quindi producono tutti questi tipi di proteine,
che svolgono funzioni diverse nella cellula:
- Fattori di crescita, Catena b del PDGF: sis, Osteosarcomi; Fattore di crescita
fibroblasti: int2, carc. Vescica, Mammella
- Recettori per i fattori di crescita, Recettore per EGF: erbB1, carc. Polmone;
ErbB2, carc. Mammella, Ovaio, Stomaco, Polmone; Recettore per GDNF: ret,
carc. Papillifero Tiroide; Men2A, MEN2B, carc. Midollare Tiroideo Familiare;
Recettore per CSF-1: fms, Leucemie
- Proteine trasduttrici di segnale; GTP binding monomeriche: ras, diversi carc.
(Colon, Vescica,Tiroide,Pancreas.); GTP binding eterotrimeriche: as, Adenomi
Ipofisari
- Fattori di trascrizione; c-myc, N-myc, L-myc, Linfomi, Neuroblastoma, carc.
Polmone
- Proteine del ciclo cellulare; Cicline D, PRAD-1, bcl-1; Adenoma Paratiroideo,
Linfomi, carc. Fegato, Mammella.

I fattori di crescita agiscono sul versante extracellulare, legando i rispettivi recettori:


l’interazione tra questi due elementi porta alla divisione mitotica; entrambi possono
essere prodotti in esubero, stimolando eccessivamente la proliferazione cellulare e
dando il tumore.
Tra i trasduttori del segnale è importante ricordare le GTP binding protein, tra cui la
più conosciuta è la via di RAS; i fattori trascrizionali sono fattori che condizionano la
produzione di mRNA , che dal nucleo passa nel citoplasma e viene tradotto; le
proteine coinvolte nel ciclo cellulare sono cicline, chinasi ciclino-dipendenti e
proteine che inibiscono le chinasi ciclino dipendenti.
Le mutazioni che trasformano i proto-oncogèni in oncogèni possono riguardare:
Mutazioni che trasformano i protooncogeni in oncogeni
- Modifiche nella struttura del gene: sintesi di un prodotto genico
qualitativamente anomalo (iperfunzionante o senza regolazione)
- Modifiche nella regolazione dell’espressione genica: aumentata sintesi di
proteina normale ma non più regolabile quantitativamente (in questo gruppo si
inquadrano i microRNA).

Oncosoppressori
Questo gruppo di geni controlla negativamente la proliferazione cellulare, ovvero
costituisce un freno alla proliferazione: esempi tipici sono p53 e Rb. Mutazioni che
inattivano questi geni sottraggono la cellula al controllo proliferativo e conducono a
una crescita incontrollata. Poiche ciò possa avvenire è necessario che ambedue gli
alleli di un gene oncosoppressore vengano inattivati; se viene mutato uno solo dei
due alleli può verificarsi una condizione di aploinsufficienza per quell’enzima.

NEOPLASIE EREDITARIE
Criteri di sospetto:
• Due (o tre) generazioni interessate dalla stessa neoplasia
• Comparsa in età giovanile
• Sedi multiple

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 20 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
• Comparsa nel sesso abitualmente meno interessato
• Assenza di fattori eziologici noti
(è ovvio che se in una famiglia si verificano moltissimi casi di tumore del polmone, ma tutti i
membri sono forti fumatori, il sospetto di neoplasia ereditaria non è legittimo; è legittimo pensare
che si tratta di famiglia con una predisposizione poligenica a sviluppare cancro polmonare).

Le più comuni neoplasie ereditarie sono dovute principalmente ad alterazioni in geni


oncosoppressori:
- Sindrome mammella-ovaio: BRCA1/ BRCA2
- Sindrome di Li-Fraumeni: p53
- Retinoblastoma ereditario: Rb
- FAP, Poliposi Adenomatose Familiari: APC, DCC etc.
- Sindrome di Lynch (o HNPCC, hereditary non poliposic colon cancer ): MMR

La più nota è sicuramente la Sindrome mammella-ovaio, data dalla mutazione di geni


BRCA, oncosoppressori che si occupano della riparazione del DNA; essa si configura
quasi come una malattia monogenica. Per avere la sindrome è necessario che siano
mutati BRCA 1 e 2; qualora fosse mutato solo BRCA 1 invece, la neoplasia
coinvolgerà unicamente la mammella (e non l’ovaio).

Nella Sindrome di Li- Fraumeni è inattivata la p53, ma trattandosi di una sindrome


complessa è plausibile supporre che questa non sia l’unica mutazione presente; è
comunque ben evidente il deficit di tale proteina, sebbene non si sappia come questo
da solo possa portare avanti una cancerogenesi che può coinvolgere così tanti
distretti. Proprio in ragione di questa molteplicità di sede la sindrome si chiama
anche SBLA, acronimo dei tumori tipicamente osservabili: Sarcoma, Breast (ma
anche Brain), Lung-Leukemia, Adrenal; nell’ambito della famiglia con la Li-
Fraumeni possono esserci tutte queste patologie. Ciò che è evidente è che questa
sindorme comprende sia neoplasie molto frequenti (lung, breast) sia neoplasie rare
(adrenal) e il sospetto si basa proprio sull’alta incidenza familiare di queste ultime
(le neoplasie di mammella e polmone sono troppo frequenti nella popolazione per
poter legittimare il sospetto diagnostico). Nei membri di una stessa famiglia questa
sindrome può provocare tumore in distretti diversi e questo è evidenza del fatto che,
pur essendo comune a tutti i familiari l’alterazione genetica trigger, sicuramente a
partire da questa si possono percorrere strade diverse, che possono portano alla genesi
di tumori a diversa localizzazione.

Le FAP (Poliposi Adenomatose Familiari) comprendono numerose sindromi (ex.


Sindrome di Gardner, Sindrome di Turcot…), la forma classica deriva dalla delezione
di APC, ma esiste anche una forma da delezione di DCC, che sta per “Deleted in
Colorectal Cancer”.

La Sindrome di Lynch è legata ad alterazioni che coinvolgono geni MMR, che


producono proteine del mismatch repair, ovvero deputate alla riparazione di errori
nel DNA; i geni coinvolti sono circa una decina. Esistono due forme di sindrome di
Lynch: la Lynch 1 è caratterizzata da tumori del colon ad alta incidenza familiare, la
Lynch 2 oltre che dal tumore del colon è caratterizzata anche da tumori nel restante
tratto gastrointestinale, nell’apparato urinario e nell’apparato riproduttivo

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 21 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
femminile. La caratteristica della Lynch (e di tutte la patologie ad essa correlate) è che
i tumori del colon riguardano il colon destro e sono tumori non poliposici; sono cioè
tumori piatti che non passano per la fase adenomatosa; questo ha delle implicazioni
sullo screening. Per identificare la sindrome una volta si utilizzavano i criteri di
Amsterdam, che successivamente sono stati modificati in criteri di Bethesda. Tali
criteri pongono un ragionevole sospetto di sindrome di Lynch (o di altre sindromi
legate sempre al MMR).

Criteri di Amsterdam 3-2-1-0 per la diagnosi di HNPCC


- 3 familiari con uno dei tumori tipici;
- 2 parenti di primo grado con uno dei tumori tipici;
- 2 generazioni successive affette;
- 1 caso in famiglia di adenocarcinoma colorettale prima dei 50 anni d’età;
- 0 FAP

MISURE GENERALI DI PREVENZIONE


Dodecalogo della prevenzione
1. Non fumare; se fumi, smetti. Se non riesci, non fumare in presenza di non
fumatori
2. Evita l’obesità
3. Fai ogni giorno attività fisica
4. Mangia ogni giorno frutta e verdura. Limita il consumo di grassi di origine
animale
5. Se bevi alcolici, modera il loro consumo
6. Presta attenzione all’eccessiva esposizione al sole (specialmente bambini e
adolescenti)
7. Osserva scrupolosamente le raccomandazioni per prevenire l’esposizione ad
agenti cancerogeni noti
8. Rivolgersi al medico in caso di: tumefazione, ferita che non guarisce,
sanguinamenti anomali, persistenza di sintomi tipo tosse, raucedine, dolore,
iperacidità, disfagia, perdita di peso, modifica della abitutdini urinarie o
intestinali
9. Per le donne ≥24 aa:screening per ca cervice
10. Per le donne ≥50 aa: screening per ca mammario
11. Per individui ≥50 aa: screening per ca colon-retto
12. Partecipare ai programmi per la vaccinazione contro l’epatite B e l’HPV

Prevenzione dell’esposizione al fumo


Per capirne l’importanza basta dare alcuni numeri, divulgati dall’OMS; nel fumo di
sigaretta sono presenti oltre 3500 sostanze chimiche, di cui più di 20 sono
cancerogeni riconosciuti. Nei tumori correlati al fumo inoltre è presente un maggior
numero di mutazioni; ciò è emerso negli ultimi due anni grazie a un tipo particolare
di trattamento utilizzato sui tumori squamosi.

Dieta ed alimentazione
– ↓Grassi (ca mammella, ca colecisti)
– ↓Proteine (ca colon)

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 22 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
– ↑Fibre (ca colon)
– ↑Polifenoli e antiossidanti
– Latte e calcio (effetti diversi su ca colon e prostata)
– Acidi grassi n-3 poli-insaturi di pesce (?)
Bisogna effettuare una riduzione di grassi e proteine (che sono molto presenti nelle
carni rosse) a favore di alimenti contenenti fibre, polifenoli (che favoriscono
l’apoptosi) e antiossidanti. Riguardo a latte e calcio ci sono opinioni divergenti, in
quanto ci sono effetti diversi su organi diversi: sembrerebbe che il calcio possa avere
un effetto contenitivo sul cancro del colon; al contrario nel corso di studi in vitro è
emerso che la caseina facilita la proliferazione cellulare e quindi la tumorigenesi;
difatti il consumo di latticini appare correlato a una maggiore incidenza di cancro
della prostata. Infine gli acidi grassi omega-3 hanno un effetto benefico.

Chemioprevenzione
E’ legittimo parlare di chemioprevenzione perché la cancerogenesi è un processo a
tappe multiple che avviene a livello distrettuale; ovvero in presenza di un tumore in
un particolare distretto si avrà una maggiore predisposizione a sviluppare altri
tumori nella stessa sede; in questo senso per alcune situazioni è possibile attuare
una chemioprevenzione secondaria (non tanto la primaria, che prevede l’evitamento
del cancerogeno), ovvero che prevenga lo sviluppo di ulteriori tumori nella sede
interessata in prima istanza, oppure blocchi gli stadi di precancerosi. I potenziali
agenti chimici identificati a tale scopo sono:
- Retinoidi e Carotenoidi. Fondamentalmente sono antiossidanti, sperimentalmente
hanno anche effetti antimutageni e immunostimolanti, effetti che sono correlati alla
loro capacità di estinguere gli O-singlet e i radicali liberi in generale. I retinoidi sono
molecole di origine animale che hanno avuto applicazione nei tumori del distretto
cervico-facciale, mentre i carotenoidi sono pigmenti di origine vegetale.
Nello specifico i retinoidi sono dei regolatori della crescita e della differenziazione,
sono sperimentalmente in grado di inibire la fase di promozione della cancerogenesI.
Possiedono recettori nucleari specifici attivi dopo dimerizzazione come fattori
trascrizionali leganti il DNA
I Carotenoidi sono pigmenti accessori nella fotosintesi che proteggono dalla
fotosensibilizzazione, sono fonte di vit. A; sperimentalmente possiedono un’azione
antiossidante, immunostimolante, antimutagena, anti promozione neoplastica

- FANS. E’ stato attestato un effetto di riduzione dell’incidenza di tumore. In


particolare nei soggetti con poliposi familiare è stato osservato che L’aspirina riduce
la formazione di polipi e riduce l’attività proliferativa all’interno dei polipi stessi;
essa quindi si è dimostrata efficace nelle FAP e nelle sindromi di Lynch, per cui è
possibile anche un effetto benefico nel tumore del colon sporadico. I farmaci anti-
COX 2 funzionano ugualmente, però non possono essere utilizzati a tale scopo
poiché hanno un eccesso di complicanze cardiovascolari (mentre l’aspirina a basso
dosaggio ha un effetto protettivo nei confronti del sistema cardiovascolare).

- Farmaci antiestrogeni. Questa classe, di cui un noto rappresentante è il Tamoxifene,


è l’unica che si è dimostrata efficace nella chemioprevenzione farmacologica. Questi
farmaci sono in grado di ridurre non soltanto le recidive dei tumori per cui vengono
assunti, ma prevengono anche la comparsa del tumore controlateralmente; sulla

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 23 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
base di questo quindi questa classe di farmaci è stata utilizzata in studi sulla
chemioprevenzione. Il Tamoxifene però è stato interrotto perchè ha un duplice
effetto: uno antagonista sulle cellule tumorali e uno agonista sulla proliferazione
dell’endometrio, quindi si ha una riduzione del rischio di cancro della mammella
accompagnato a un incremento del rischio di cancro dell’ utero; dunque non viene
utilizzato in chemioprevezione primaria, ma è comunque possibile l’uso in
prevenzione secondaria, per carcinomi della mammella già diagnosticati. Altri
antiestrogeni, come gli inibitori dell’aromatasi, sono tuttora in corso di valutazione.

Anticancerogeni dietetici
Tolti gli alimenti nocivi, come la carne e il latte e derivati, la varietà di cibi con un
effetto benefico e di inibizione sulla crescita tumorale è ancora ampia, e comprende
ortaggi, frutta, verdura, cereali, legumi e spezie.

Per quanto riguarda gli ortaggi: Le crucifere (cavoli, verze, broccoli, ravanelli etc.) e
la senape contengono delle sostanze con effetto specifico antitumorale, e sostanze
con effetto antiandrogeno, l’indolo 3 cardinolo e il di-indoilmetano; quest’ultimo in
particolare funziona come la bicalutamide (anche se quest’ultima, essendo di sintesi,
è più efficace) ovvero come inibitore periferico degli androgeni.
Gli antiossidanti sono contenuti in spinaci e biete, in tutti gli ortaggi di color rosso-
arancio (carotenoidi) e nei cetrioli (cucurbitacine).

Tra gli alimenti che favoriscono l’apoptosi ci sono l’aglio (allicina e polifenoli), i
carciofi, la cipolla, lo scalogno e il porro (che contengono flavonoidi).

Gli isoflavoni, contenuti nella borragine e nella soia, sono importanti perché in essi
sono compresi i fitoestrogeni; tali sostanze possono essere sia agonisti che
antagonisti estrogenici; in particolare in condizioni di carenza estrogenica (quale
quella che si realizza nella postmenopausa) i fitoestrogeni fungono da agonisti
estrogenici, favorendo la crescita di eventuali cellule neoplastiche presenti, quindi
l’assunzione singola è sconsigliata. Viceversa, in condizioni di estrogenicità (come
nella premenopausa o nel corso del trattamento estrogenico sostitutivo
postmenopausale) essi funzionano come antagonisti, contrastando l’azione
estrogenica di stimolo degli estrogeni su eventuali cellule neoplastiche mammarie ed
endometriali, perché i fitoestrogeni competono per i recettori, impedendo agli
estrogeni di agire. I fitoestrogeni sono utilizzati anche dagli uomini come steroidi
anabolizzanti per aumentare la massa muscolare, ma spesso questi uomini vanno
anche incontro a ginecomastia.
Per quanto riguarda la frutta: i frutti di bosco e, in generale, tutti i frutti rossi
contengono sostanze che favoriscono l’apoptosi (polifenoli) e bloccano
l’angiogenesi. Questi frutti in particolare hanno un ruolo protettivo nei confronti
dell’apparato urogenitale, soprattutto maschile: oltre che prevenire infezioni
urinarie, essi prevengono anche l’ipertrofia e il tumore alla prostata.
Favoriscono l’apoptosi anche sostanze contenute nelle mele (flavonoidi) e nei pinoli.
La “parte del leone” però la fanno le sostanze antiossidanti, contenute in mela, uva
rossa, melograno, albicocca, cocomero, melone, mango, papaia, avocado, cocco, noci,
nocciole e mandorle.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 24 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
Gli agrumi contengono, nella loro parte bianca, la pectina, che blocca l’angiogenesi
(ma di solito questa porzione si evita di mangiarla, soprattutto perché essa filtra gli
agenti tossici che sono usati per trattare la frutta e che contaminano la buccia).
Questa pectina ha un effetto di riduzione nel tumore del colon perché, in quanto
fibra, accelera il transito intestinale. Gli agrumi contengono anche oli essenziali,
come polifenoli e terpeni, che inibiscono la crescita cellulare.
Cereali e legumi aumentano il transito intestinale e hanno quindi un affetto
protettivo sul colon. La soia contiene i famosi fitoestrogeni.
Le spezie hanno effetti pro-apoptotici, anti-angiogenesi, anti-proliferativi, anti-
ossidanti.
Il the verde contiene l’epigallocatechina-3-gallato; tale sostanza inibisce il pathway
mTOR, che è un pathway che si attiva in senso proliferativo quando c’è abbondanza
di nutrienti, ed è molto coinvolto nella cancerogenesi. Questa sostanza non è
presente nel the nero, poiché viene inattivata durante il trattamento di quest’ultimo.
Per questi alimenti sono stati fatti degli studi sull’uomo.
Gli effetti del succo di melograno sul cancro prostatico è stato valutato in due studi,
uno osservazionale e uno randomizzato; ci sono stati dei risultati discordanti, ma in
uno dei due c’è stato un 30% di soggetti con riduzione del PSA.
L’isoramnetina è una sostanza contenuta negli asparagi che è stata testata su linee
cellulari di cancro alla mammella, al fegato e al colon.

Sostanza Effetto Alimento


Glucosinolati, trasformati in Riattivazione funzione p53 Crucifere (cavoli, verze,
Isotiocianati, Sulforafano, Surrogano funzione PTEN broccoli, crescione, rafano,
Indolo-3-cardinolo, Effetto anti-androgeno ravanello, ecc.)
Di-indolilmetano Arresto in G2-M, inib. Senape
chinasi
Beta-carotene e Luteina Anti-ossidante Spinaci e biete

Allina e Allicina Rallentamento crescita Aglio


Polifenoli Apoptosi
Flavonoidi (Quercetina) Apoptosi Cipolla, Scalogno, Porro

Carotenoidi vegetali (licopene) Anti-ossidante Peperoni, Cicoria, Scarola,


Falcarinolo Inibizione nitrosamine Indivia belga, Carote, Sedano,
Pomodori
Polifenoli Apoptosi Radicchio rosso
Apigenina Rallentamento crescita Finocchio
Isoflavoni (fitoestrogeni) Inibizione estrogeni Borragine
Cucurbitacine Anti-ossidanti Cetriolo
Pinoresinolo
Acido clorogenico, cinarizina Apoptosi Carciofi
C i n a r o p i c r i n a

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 25 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
Sostanza Effetto Alimento
Polifenoli (polidatina, acido ellagico) Anti-angiogenesi Frutti di bosco
Antocianidine Apoptosi
Procianidine, Polidatina Anti-ossidante Mele
F l a v o n o i d i ( Q u e r c e t i n a e Apoptosi
Apigenina), Pectina Inibizione crescita
Pectina Anti-angiogenesi Agrumi (parte bianca)
Polifenoli e Terpeni Inibizione crescita Agrumi (oli essenziali)
Polifenoli e Polidatina (precursore Anti-ossidante Uve rosse (bucce), Melograno
Resveratrolo)
Carotenoidi e licopene Anti-ossidante Albicocca, cocomero, melone
Acido oleico (avocado) (varietà cantalupo), mango,
papaia, avocado
Maltolo Anti-ossidante Cocco
Omega-3, alfa-tocoferolo, acido Anti-ossidante Noci, nocciole, mandorle, pinoli
ellagico Apoptosi

Sostanza Effetto Alimento


Pentachisfosfato Transito intestinale Cereali e legumi
Maltolo (malten e maltonis) Inibizione crescita Malto
Fibre Antiossidante
Isoflavoni o fitoestrogeni Inibitori competitivi estrogeni Soia
(genisteina, daidzeina, gliciteina) Anti-angiogenesi
Terpeni e carvacrolo (origano), timolo Apoptosi Rosmarino, timo, menta,
dragoncello, basilico,
origano
Apigenina e falcarinolo Inibizione crescita, Apoptosi Prezzemolo
Capsaicina Inibizione crescita Peperoncino rosso
Curcumima Apoptosi. Anti-angiogenesi Curcuma
Gingeroli e shogaoli Apoptosi, Anti-angiogenesi Zenzero
Polifenoli Apoptosi Chiodi di garofano
Carotenoidi (licopene), Transcrocina Anti-ossidante Zafferano
4, Safranoli

Flavonoidi, Timochinone Anti-angiogenesi, Apoptosi Cumino nero

Epigallocatechina-3-gallato Inibizione m-TOR The verde

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 26 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI

Sostanza Effetto Alimento

Bromalina Blocco chinasi ciclo cellulare Ananas


Potenziamento effetto CT
Triterpeni (cucurbitani) Apoptosi. Regolatore crescita ca Melone amaro
pancreas
Potenziamento DOX
Flavonoidi e Polifenoli (acido ellagico) Dati contrastanti nel ca prostata Melograno
Inulina, fibre Prevenzione ca pancreas? Topinambur
Fibre, Cinarizina, Polifenoli (acido Inibizione crescita, Apoptosi Carciofo
clorogenico), Flavonoidi (Apigenina e Prevenzione ca mamm, HCC,
luteina) mesotelioma
Inulina, Rutine e isoramnetina, Effetto antitumorale (mammella, Asparagi
Flavonoidi, Glucosinalati, Antocianine colon, pancreas, HCC, rene)

BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________
- Sbobinature Prof Barone aa 2014/2015
- Sbobinature Prof Barone aa 2015/2016


ELEMENTI DI ONCOLOGIA 27 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
CAPITOLO 3
___________________________________________________________
LO SCREENING
Lo screening prevede una serie di test da eseguire sulla popolazione sana e
asintomatica allo scopo di ridurre la morbidità e la mortalità di patologie ad elevata
incidenza. lo scopo dello screening non è di ridurre l’incidenza della patologia ma le
sue conseguenze tardive.
Condizioni da rispettare perché ciò possa avvenire sono:
- Il tumore deve poter essere riconosciuto dallo screening in una fase precoce, in cui
è ancora facilmente aggredibile, in genere in una fase clinicamente silente.
- La malattia deve essere rilevante in termini di frequenza.
- Deve essere noto il decorso di malattia, soprattutto la durata della fase preclinica.
In particolare deve essere un tumore a progressione lenta, poiché questo è
compatibile con l’esecuzione dello screening una volta all’anno (per i tumori a
crescita rapida, per essere efficace lo screening va eseguito più frequentemente).
- Deve essere dimostrato che la diagnosi precoce conduce a un miglior esito, ovvero
una riduzione della mortalità
- I test devono essere sensibili, specifici, riproducibili, accettabili, esenti da
complicanze e poco dispendiosi.
- La popolazione deve essere definita e identificabile.

Test di screening vs Test diagnostici

Test di screening Test diagnostici


• Pz. sintomatici • Pz sintomatici

• Basso costo • Costi più elevati, vari test

• Bassa resa • Alta resa

• Scarse conseguenze sfavorevoli di eventuali • L’errore può ritardare il trattamento e


errori peggiorare la prognosi
L’adesione allo screening in Italia ha una distribuzione geograficamente eterogenea,
in generale a Nord si ha una migliore partecipazione della popolazione. Lo
screening con la migliore adesione è quello della mammella.

In seguito sono riportate le raccomandazioni per lo screening:


- Mammella: 40 aa. Si esegue una Mammografia ogni 1-2 aa. nei soggetti a rischio.
Esame clinico ogni anno. 20-39aa esame clinico ogni 3 aa. Autoesame mensile: si
raccomanda di praticare l’autopalpazione del seno, il momento migliore è dopo la
doccia, poiché la sensibilità tattile è migliore.
- Cervice: PAP-test ed esame pelvico ogni anno nelle pz sessualmente attive o 18 aa.
Dopo 3 strisci negativi consecutivi il PAP-test può essere diradato. Stop dopo 65
aa. (?)
- Pelle: Esame clinico ogni 3 anni. Per la pelle non è previsto un vero e proprio
screening, ma essendo un organo faclimente esplorabile è consigliabile eseguire un
esame clinico ogni 3 anni, soprattutto in soggetti a rischio.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 28 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
- Colon-retto: Sangue occulto nelle feci ogni anno e sigmoidoscopia ogni 5 anni
oppure, Colonscopia ogni 10 anni, oppure Rx clisma opaco ogni 5-10 anni nei pz
>50 aa. Iniziare prima nei pazienti a maggior rischio. Il clisma opaco nello
screening del colon-retto non si usa più.
- Prostata: Esplorazione rettale + PSA ogni anno nei pz. > 50 aa. Iniziare più
precocemente nei pazienti a maggior rischio.
- Polmone: Screening non raccomandato: Manca evidenza di riduzione della
mortalità. Possibile individuazione di marcatori di suscettibilità. Per quanto il tumore
del polmone sia forse il più frequente lo screening non viene eseguito, poiché di fatto la
mortalità non viene da esso ridotta per due motivi: prima di tutto il 30% dei tumori
del polmone è un microcitoma, poi perché una buona parte di essi sono centrali, ovvero
si trovano dietro l’ombra cardiaca, quindi per trovarlo non sarebbe sufficiente l’Rx, ma
bisognerebbe fare una TC, che è un esame molto costoso, che quindi non soddisfa le
condizioni dello screening.

Nei soggetti con un rischio familiare lo screening comincia molto prima. Per quanto
riguarda sindromi ben identificate (come la Lynch e la FAP) esiste una prescrizione
precisa in termini di età di inizio dello screening; mentre, qualora fosse ben evidente
una familiarità per cancro del colon (le cui caratteristiche però non sono ascrivibili a
una sindrome ben precisa), lo screening va cominciato 10aa prima rispetto al caso
indice più giovane.

- CCR: screening in funzione del rischio


Inizio:
- Popolazione a rischio intermedio: 50 anni
- Familiarità semplice (1 solo parente di I grado diagnosticato >50 aa.) 40 anni
- Familiarità complessa: 10 aa. prima rispetto al caso indice più giovane
- Sindrome di Lynch: 20-25 anni
- Poliposi familiare: 10-12 anni
Tipo di test:
o Popolazione a rischio intermedio e Familiarità semplice
▪ SOF (sangue occulto) ogni 1-2 aa. e RSS (retto-sigmoidoscopia) ogni 5-7 aa.
▪ SOF ogni anno e colonscopia ogni 10 aa.
o Familiarità complessa
▪ Colonscopia ogni 3-5 aa.
o Sindrome di Lynch
▪ Colonsscopia ogni 1-2 aa.
o Poliposi familiare
▪ RSS ogni 2 aa. sino alla comparsa di polipi, poi colonscopia ogni 

anno sino all’intervento chirurgico

BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________
- Sbobinature Prof Barone aa 2014/2015
- Sbobinature Prof Barone aa 2015/2016


ELEMENTI DI ONCOLOGIA 29 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
CAPITOLO 4
___________________________________________________________
BASI BIOLOGICHE DELLA TERAPIA MEDICA

EQUILIBRIO OMEOSTATICO
L’equilibrio omeostatico è il bilanciamento dalla proliferazione cellulare e della
quantità di cellule che vengono perse per morte cellulare, per apoptosi (cellula che
muore perché ha finito il suo ciclo vitale ed è necessario che muoia per mantenere
un certo equilibrio omeostatico) e per necrosi (cellula che muore a seguito di un
insulto esterno).
Tutti i sistemi cellulari nell’organismo, con velocità più o meno rapida, vanno
incontro a rinnovamento; questa teoria è valida anche per i sistemi perenni (SNC e
sistema muscolare) e fu formulata da Bizzozero.

Proprietà caratteristiche del tumore


1. Autonomia dai segnali di crescita e sottrazione ai segnali inibitori. Mutazioni
acquisite. I segnali di crescita e i segnali inibitori sono quelli che determinano
l’equilibrio omeostatico. L’equilibrio si sposta a favore della proliferazione
perché le cellule diventano autonome rispetto ai segnali di crescita e, sempre
per mutazione, si sottraggono ai segnali inibitori.

2. Perdita dell’inibizione da contatto. L’incapacità di ridurre la propria rapidità o


il proprio potenziale replicativo quando non c’è sufficiente spazio per
espandersi.

3. Aumento di secrezione di fattori di crescita da parte delle cellule tumorali. Le


cellule tumorali sono dotate di attività di tipo endocrino , ma possono anche
essere prodotte dallo stoma in cui crescono le cellule tumorali.

4. Aumento e mancato co-ordinamento dell’espressione di oncogeni

5. Perdita di geni oncosoppressori

6. Evasione dall’apoptosi. Le cellule perdono il programma che le porta alla


morte predeterminata.

7. Potenziale replicativo illimitato. Il loro potenziale replicativo illimitato si basa


in gran parte sul mantenimento della lunghezza dei telomeri che
normalmente si accorciano ad ogni replicazione cellulare, nelle cellule tumori
non si accorciano o si accorciano con più lentezza.

8. Angiogenesi. L’angiogenesi è la capacità di dare ragione a metastasi

9. Invasione e metastasi. Mutazioni che alterano attività enzimatiche coinvolte


nel mantenimento della posizione delle cellule.

L’invasione e la metastatizzazione non avvengono perché la cellula tumorale


“sfonda” i vasi sanguigni o linfatici, ma perché le cellule tumorali subiscono delle
mutazioni che alterano la catena enzimatica coinvolta nel mantenimento in sito delle
cellule. Le attività enzimatiche alterate, quindi, consentono di superare, scindendo i
legami intercellulari, la barriera delle cellule endoteliali.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 30 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
CICLO CELLULARE

Growth factors (ras, myc, fos, jun)

G0 p16INK4A family (p15, p16, p18, p19)

cdk4

Rb E2F/DP1 Cyclin D p16INK4A family


cdk6
P21cip1 family P P
Rb Cyclin D
E2F/DP1
cdk1 P P
Cyclin B
P
Rb
M G1 P P P
P21cip1 family: p21, p27, p57

Rb cdk2
Cyclin E
E2F/DP1
cdk7
Cyclin H
G2 SP P P P
Rb
p53
E2F/DP1
P P
P
P21cip1 family
Rb
P21cip1 family
cdk1
cdk2
Cyclin A
Cyclin A
cdk7
Cyclin H

È importante sottolineare che ciclo subisce la proteina Rb durante il ciclo cellulare:


- Nella fase G1 del ciclo cellulare la proteina Rb viene gradualmente
fosforilata. La fosforilazione è ad opera delle chinasi ciclino-dipendenti (le
quali cedono un gruppo fosfato). Man mano che Rb viene fosforilato, si
inattiva e rilascia i fattori di trascrizione (E2F, esso indice la trascrizione dei
geni necessari per far entrare la cellula in fase S);

- Nella fase S si innesca il messaggio della replicazione perché l’Rb-fosforilato


ha perso il fattore trascrizionale e questo induce la trascrizione dei geni
necessari per entrare nella fase S.

Le chinasi ciclino dipendenti sono delle serina/treonina-chinasi e la loro attività è


regolata da una serie di proteine. Sfruttare questa regolazione è uno degli obiettivi
della terapia farmacologica, la quale favorisce l’inibizione delle ciclino chinasi per
rallentare la progressione del ciclo cellulare.

Determinanti del vantaggio proliferativo del “Sistema Tumore”


Il tumore cresce in maniera differente rispetto a tutti i sistemi cellulari di
rinnovamento (a differenza ad esempio del sistema di guarigione di una ferita che è
un sistema cellulare in rinnovamento, ma una volta cicatrizzata la ferita, si ferma).
Il sistema tumore cresce sempre, può crescere più o meno rapidamente e quindi può
avere una frazione di crescita, una frazione di replicazione più o meno elevata.
I motivi di questa crescita sono:
- Iperproduzione di fattori di crescita e i loro recettori

- Attivazione di oncogeni

- Inattivazione di antioncogeni

- Formazione di nuovi vasi

- Disgregazione della matrice extracellulare

- Evasione della sorveglianza immunitaria

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 31 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
- Riattivazione o mantenimento dell’attività dei telomeri.

Nota: I retrovirus contengono sequenze non coinvolte nella replicazione virale che
derivano da geni fisiologicamente espressi nelle cellule eucariote, ma prive della
sequenza regolatrice, a volte mutati, dotati di capacità trasformanti

Fattori di crescita peptidici e loro recettori


Fattori di crescita
Gli oncogeni sono delle sequenze genetiche che codificano per fattori di crescita.
Derivano da geni normali che vengono attivati da una mutazione e quindi diventano
prodotti in eccesso o diventano più attivi e determinano la produzione in eccesso di
fattori di crescita e/o di recettori dei fattori di crescita.
Ci sono due meccanismi attraverso i quali l’oncogene può svolgere la propria
attività:
- Meccanismo di stimolazione autocrina, dovuto sia alla produzione del fattore di
crescita che di recettori per fattori di crescita delle cellule tumorali;
- Meccanismo di stimolazione paracrina: i fattori di crescita vengono prodotti da
cellule circostanti e la cellula tumorale produce dei recettori.

Recettori per i fattori di crescita: Famiglia dei EGFR


La famiglia EGFR è composta da 4 tipi diversi di recettori:
1. Il recettore HER-1 si chiama anche EGFR o ErbB1

2. Il recettore ErbB-2 si chiama anche HER2/neu

3. Il recettore HER-3 si chiama anche ErbB3

4. Il recettore HER-4 si chiama anche ErbB4

I ligandi di questi recettori sono fattori di crescita, i quali interagendo con il


recettore determinano l’attivazione del recettore stesso. Per ogni tipo particolare di
recettore della famiglia EGFR ci sono ligandi specifici:
- Ligandi di HER1 sono EGF: TGFa, b-cellulina, HB-EGF, Epiregulina,
Amfiregulina.

- Ligandi di HER3 sono: la Heregulina;

- Ligandi di HER4 sono NRG2, NRG3, Heregulina, b-cellulina.

- ErbB2, invece, non ha ligandi. Questo è cruciale nel funzionamento del


sistema e nella crescita dei tumori

Quando un membro della famiglia riconosce un ligando (o viceversa un ligando


riconosce un membro della famiglia), avviene un processo di unione dei due
componenti della famiglia cioè un processo di dimerizzazione. Questa
dimerizzazione può essere una omodimerizzazione o una eterodimerizzazione; è
omo se i componenti che vengono uniti sono dello stesso membro nella famiglia (ad
es. EGFR e EGFR), é etero- se sono membri di diversa famiglia (ad es. EGFR e
HER2/neu). E’ il ligando che guida la dimerizzazione.
Se ErbB2 (che non ha il ligando) fa parte di un eterodimero, il ligando che guida
questa dimerizzazione sarà il ligando dell’altro membro della famiglia. Questo è
importante per quanto riguarda i meccanismi d’azione di farmaci che hanno come
bersaglio proprio gli eterodimeri di ErbB2.
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 32 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 1: CONCETTI GENERALI

Una volta avvenuta la dimerizzazione, il recettore viene internalizzato e fa partire un


processo di attivazione con meccanismo di tipo tirosin chinasico di membrana
correlato a EGFR. Si da inizio, cosi, alla cascata Ras, Raf, MAPk oppure
all’attivazione di Akt. Questa cascata porta poi all’attivazione della proliferazione
cellulare, all’inibizione dell’apoptosi e alla progressione nel ciclo cellulare.
Considerando soltanto il pathway EGFR, il numero di combinazioni che ci possono
essere è elevatissimo, poiché si deve considerare:
1. le combinazioni di eterodimeri tirosin chinasi di membrana

2. le tirosin-chinasi di membrana sono almeno 1500 famiglie note

3. ci cono anche serina- e treonina-chinasi, di membrana/non di membrana, che


hanno di base un meccanismo analogo

Molti di questi pathway sono legati tra loro in stretta relazione e parlano tra di loro
(cross-talking) in modo tale che uno di questi sistemi può essere attivato non
necessariamente da un determinato pathway di EGFR ma anche da un altro pathway
vicino.
Questo fa capire che se un determinato farmaco va ad inibire un solo pathway (ad
esempio Ras), c’è tutto un meccanismo di escape per cui la cellula tumorale
recupera la capacità di crescita; anche se si sottopone a radioterapia, la popolazione
di cellule tumorali che inizialmente è stata tolta quasi sempre ricresce. In più quanto
più è estesa e ampia la popolazione di cellule tumorali, tanto più è probabile che
questo meccanismo si verifichi perché tanto è maggiore la probabilità che ci siano
tante altre mutazioni che consentono di sfuggire al pathway che è stato inibito con
la terapia.
Ci vorranno anni di ricerca prima che si riesca a individuare (sempre se si riesca a
individuare) la cosiddetta mutazione driver, quella che è a monte di tutte le
mutazioni, che determina poi le mutazioni secondarie e la cui inibizione consente di
bloccare il tutto. Quando le mutazioni secondarie si sono verificate alcune di esse
diventano a loro volta “driver”. Per cui il progresso nella terapia dei tumori può
portare alla cronicizzazione del tumore metastatico.

La guarigione di un tumore metastatico è molto improbabile. La guarigione di un


tumore si può ottenere soltanto se è intercettato in fase molto precoce, in modo tale
che alla terapia medica si possa associare altri tipi di trattamento in modo da
consentire al paziente di sopravvivere e morire per altri motivi che non siano quelli
del tumore. Questo perché concettualmente di tumori non si potrebbe guarire mai
per i motivi suddetti, perché il meccanismo attraverso il quale il tumore sopravvive è
un meccanismo di selezione del clone più forte, più adatto alla sopravvivenza: è un
meccanismo darwiniano.
I più comuni meccanismi di attivazione del pathway di EGFR sono:
- Una mutazione che porta alla attivazione del segnale di trasduzione
- Iperespressione (cioè viene prodotto un numero molto elevato di una tirosin-
chinasi), L’iperespressione è dovuta in genere a una mutazione secondaria e non
driver.
- Iperstimolazione della produzione di fattori di crescita (EGF e TGF-α) e di recettori
mediante il pathway di stimolazione autocrina

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 33 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI

Tumor Type Overexpressing ErbB-1 Overexpressing ErbB-2


Bladder 31-48 % 7-36%
Breast 14-91% 10-37%
Colorectal 25-77% 7%
Esophageal 71% 13-73%
Glioma 40-50% -
Head and Neck 30-75% 32-62%
NSCLC 40-80% 3-56%
Ovary 30-75% 20-32%
Pancreatic 40-50% -
Renal 50-90% 24-40%
Stomach - 5-55%

ErbB2 è iperespresso in molti tumori (vedi tabella), ma i tumori in cui è più


interessante la iperstimolazione di ErbB2 sono:
- Tumore della mammella: l’iperespressione di ErbB2 è talmente importante da
costituire un sottogruppo a parte tra quelli presenti. (Per sottogruppi si intendono
categorie omogenee dal punto di vista biologico e comportamento clinico
omogeneo.)
- Tumore dello stomaco: è espresso intorno al 20-30% ed è presente una grande
variabilità geografica dell’espressione di ErbB2 nel campo dello stomaco.
Per quanto riguarda ErbB1 o EGFR i tre tumori in cui l’inibizione di questo pathway
ha dato risultati migliori sono:
1. il tumore del colon-retto (25-77%),
2. i tumori del sistema cervico-facciale (30-75%),
3. il tumore del polmone non a piccole cellule (40-80%).

mTOR
La mTOR (acronimo di mammalian target of rapamycin, bersaglio della rapamicina
nei mammiferi) si chiama così perché la rapamicina è un antibiotico che è prodotto
da alcuni funghi ed è stato isolato in particolare nell’isola di Pasqua (Rapa Nui) ed
ha un ruolo sia nella proliferazione cellulare che nella risposta immunologica; infatti
la prima utilizzazione (tuttora utilizzati) dei farmaci che agiscono su mTor è stata
come immunosoppressori nei soggetti trapiantati.
mTOR regola il traffico dei nutrienti (zuccheri, amminoacidi) e in base ad essi attiva
la crescita cellulare. mTOR controlla l’entrata del glucosio, questo viene
catabolizzato e forma ATP che si può utilizzare anche per l’entrata di amminoacidi e
ciò porta alla crescita cellulare.
L’attivazione del trasporto del glucosio e degli amminoacidi fa si che si producono
fattori angiogenetici che stimolano la produzione vascolare che a sua volta la cellula
può proliferare perché ha ossigeno a sufficienza e viene di ulteriormente attivato il
trasporto di glucosio e amminoacidi.
Note: Uno dei motivi per cui l’ape regina è diversa da tutte le altre api è perché
nell’ape regina mTOR funziona di più e quindi l’ape regina può prendere più miele e
crescere di più rispetto alle altre. Uno degli inibitori di mTor è l’epigallocatechina-3-

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 34 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
gallato (EGCG) ed è presente nel tè verde. Il tè verde, quindi, è un inibitore della
crescita cellulare. Si stanno studiando delle varianti del tè verde, infatti, allo scopo di
rallentare la crescita dei tumori ormono-dipendenti (tumori estrogeno-dipendenti).

Attivazione di Oncogeni ed Inattivazione di Antioncogeni


Gli oncogèni sono geni cellulari che codificano per proteine coinvolti nel regolare i
processi di proliferazione cellulare. Questi oncogeni vengono attivati da meccanismi
di alterazione diversi che trasformano il proto-oncogene in un oncogene, questi
meccanismi vengono definiti processo di attivazione. Il proto-oncogene è ancora una
sequenza normale fino a quando non subisce una mutazione e quando ciò avviene
allora diventa oncogeno.
L’oncogène è, quindi, una versione modificata di un gene cellulare che acquisisce
funzione dominante nel promuovere la proliferazione cellulare.
Questo può verificarsi non necessariamente all’interno della cellula, ma può anche
venire dall’esterno, infatti molti oncogeni sono di provenienza aviaria oppure
provenienza da animali, sono delle contaminazioni del patrimonio genetico
dell’uomo da parte di frammenti che derivano da altri animali.
Questo è un meccanismo analogo a quello dell’attivazione dell’HIV, un virus delle
scimmie che ad un certo punto si è reso infestante anche per l’uomo.

Gli oncosoppressori sono geni che controllano negativamente la proliferazione


cellulare. Mutazioni che inattivano i geni soppressori sottraggono la cellula al
controllo proliferativo e conducono a crescita non controllata e qui ambedue gli
alleli di un gene soppressore devono essere inattivati affinché la regolazione della
crescita venga alterata.

Pertanto la mutazione di un oncogene è


dominante, quindi è sufficiente la mutazione di
un solo allele per determinare la crescita
anomala (crescita senza regolazione). La
mutazione di un oncopressore è recessiva,
quindi è necessaria la mutazione di entrambi
gli alleli per generare la crescita anomala
(perdita dell’inibizione della crescita)
Ci può essere una crescita anomala anche
quando il gene oncosopressore è
aploinsufficente, cioè ha una mutazione solo a
carico di un allele e in questo caso la dose di
gene che è inattivato è minore rispetto alla inattivazione di entrambi gli alleli e
quindi ha delle conseguenze diverse e caratteristiche diverse.

Il proto-oncogene può essere attivato in vari modi:


- Delezione o mutazione puntiforme è la mutazione più comune di attivazione di un
oncogene perché le possibilità che avvenga la mutazione di un solo nucleotide è
elevata;
- Amplificazione genetica;
- Riarrangiamento cromosomico che può avvenire in due maniere: perché la sequenza
regolatrice provoca la sovraproduzione della proteina; oppure perché si forma un
gene di fusione che ha una capacità trascrizionale maggiore rispetto alla proteina

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 35 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
normale. Questo meccanismo è molto importante perché ultimamente sono stati
prodotti dei farmaci che hanno come bersaglio proprio della proteina di fusione che
provengono da riarrangiamenti genici. La trasformazione più nota è Brc-Abl che
sottostà alla leucemia mieloide cronica

I due principali oncosopressori sono la protina Rb e la p53:


La proteina Rb inibisce la progressione del ciclo cellulare in fase G1 (il cosiddetto
punto di restrizione). Funziona grazie alla fosforilazione di Rb da parte delle ciclino-
chinasi che porta alla inattivazione, al rilascio del fattore trascrizionale e quindi al
superamento del punto di resezione e alla replicazione cellulare.

p53 ha un’azione duplice:


- Regola l’ingresso della cellula in fase S attraverso la stimolazione di p21 (una delle
proteine regolatrici) che va a bloccare la chinasi ciclino-dipendente, di conseguenza
non consente la fosforilazione di Rb e determina l’arresto in G1 del ciclo cellulare e
quindi consente alla riparazione danno. La p53 è una proteina check-point e se fosse
inattivata non si verificherebbe tutto ciò e la cellula prolifererebbe.
- Attiva la trascrizione. In entrambi questi compiti la p53 interagisce strettamente
con Rb.

Formazione di nuovi vasi e disgregazione della matrice


Negli ultimi anni si è focalizzata l’attenzione,
Inflammation nell’ambito della malattia tumorale, non solo sulla
Mechanical stress
Metabolic stress proliferazione in sé delle cellule che compongono la
Triggers massa, quanto piuttosto sull’architettura che
✴ Oncogenes
Signals
circonda il tumore, e che rappresenta un sostegno
Immune response ✵ Suppressor Genes
fondamentale alla crescita tumorale. Si è passati
Angiogenesis Cascade
perciò a una visione più ampia, considerando tra
questi fattori di supporto ad esempio la
FGF-family
Angiopoietin Cytokines Chemokines neoangiogenesi.
VEGF

Switch on Angiogenesis L’importanza della vascolarizzazione tumorale è


abbastanza intuitiva: i capillari che si trovano nel
tessuto sono in numero e dimensione non più
sufficienti per sostenere la rapida proliferazione tumorale e le stesse cellule tumorali
producono delle sostanze che stimolano la proliferazione di nuove cellule
endoteliali. Se l’angiogenesi non si sviluppasse, il tumore rimarrebbe “in situ”, non
potrebbe accrescersi.
La cascata angiogenetica comprende numerosi fattori, innescati da segnali come lo
stress metabolico, l’infiammazione, lo stress meccanico e componenti genetiche, che
determinano lo switch angiogenetico. Su molti di questi fattori si sta cercando di
intervenire da un punto di vista chemioterapico.
Tra i diretti ricordiamo:
• VEGF
• Acidic fibroblast growth factor (aFGF)
• Basic fibroblast growth factor (bFGF)
• Epidermal growth factor (EGF)
• Transforming growth factor (TGF)-a

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 36 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
Tra quelli indiretti:
• Angiogenin
• TGF-β
• Tumor necrosis factor (TNF)-α
• Lipids
• Prostaglandin E2 (PGE-2)

Sia le cellule tumorali che le cellule stromali (sotto stimolo delle cellule tumorali)
sono in grado di produrre VEGF che, tramite meccanismo autocrini o paracrini
agisce sulle cellule endoteliali.

Il carcinoma in situ può restare tale anche per lungo tempo. In seguito
all’acquisizione di mutazioni ulteriori tuttavia, queste cellule acquisiscono la
capacità di produrre fattori angiogenetici, stimolando perciò la produzione di nuovi
vasi. La nuova rete capillare supporta la crescita delle cellule tumorali, accelerando la
replicazione cellulare e aumentando al contempo il tasso di mutazione all’interno
del tumore. Questo causa un meccanismo di crescita esponenziale e dunque il
passaggio da una forma localizzata una forma infiltrante, localmente o a distanza.

Il VEGF agisce sulle cellule tumorali determinando:


- Proliferazione, migrazione ed espressione delle proteasi da parte delle cellule
endoteliali;
- Adesione delle cellule endoteliali al tumore;
- Reclutamento di periciti, che contribuiscono alla maturazione delle cellule
endoteliali e alla formazione dell’architettura capillare;
- Maggiore permeabilità vascolare;
- Funzione immunitaria;
- Microangiogenesi.
- Agisce anche come:
- Fattore di sopravvivenza per i neovasi
- Fattore di permeabilità vascolare
- Promotore di linfoangiogenesi tramite VEGFR-3

VEGF è un fattore che si lega a un recettore specifico con meccanismo analogo a


quello dei recettori TK. I ligandi sono vari come anche i recettori (VEGFr-1/2/3) e
l’interazione può avvenire attraverso l’omo o eterodimerizzazione delle subunità.
L’attivazione stimola una serie di funzioni nelle cellule endoteliali (migrazione,
permeabilità, sintesi del DNA, sopravvivenza) che determinano infine l’angiogenesi
o, soprattutto il VEGFr-3, la linfangiogenesi. La maggior parte dell’interazione
avviene tra VEGF-A e VEGFr-2.

Importante è notare come la neoangiogenesi che si sviluppa nel contesto di un


tumore è assai diversa, anche a livello microscopico, da quella normale, infatti si
presenta irregolare con ampie fenestrature. Da ciò consegue una facilità alla
fuoriuscita di liquidi dal compartimento vascolare a quello interstiziale; l’accumulo di
liquidi fa sì che aumenti la pressione interstiziale e quindi che diventi difficile il passaggio di
molecole dal sangue all’esterno. Tra queste molecole ci interessano in particolare i chemioterapici,

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 37 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
i quali incontrano difficoltà nel superare la matrice e arrivare a contatto con le cellule tumorali,
determinando la formazione di una sorta di “santuario” farmacologico.

Elusione della sorveglianza immunitaria


I meccanismi principali dell’elusione della
sorveglianza immunitaria sono:
- “Mascheramento” di antigeni specifici
– Ag non raggiungibili dalle cellule
immunocompetenti
– Anomalie nella presentazione dell’Ag
– Inibizione della maturazione ed
attivazione delle cellule dendritiche
- Produzione di sostanze che inibiscono la risposta
immune
- Produzione di citochine che interferiscono con i
linfociti T-suppressor o con l’immunità naturale

Più nello specifico sono da ricordare:


• Diminuzione dell'espressione delle molecole
MHC di classe I e preclusione del
riconoscimento da parte dei CTL.
• Il ruolo di HLA-G (indotta da HIF-1, NF-κB
ed IL-10) e l’apoptosi dei CTL.
• Perdita degli antigeni in grado di evocare la
risposta immune.
• Mancata espressione di costimolatori o molecole MHC di classe II.
• Fattori prodotti dal “microambiente tumorale”, es. TGF-beta e
indolammina-2,3-diossigenasi (IDO).
• Induzione di una tolleranza immunologica specifica: il mascheramento
antigenico.

Nell’immagine, è rappresentato il panorama delle molecole immuno-inibitorie. A


sinistra c’è la cellula presentante
l’antigene, a destra il linfocita T.
Alcune di queste sostanze sono
prodotte anche dal tumore,
proprio con l’obiettivo di
sopprimere le difese
immunitarie. In una neoplasia
sono importanti in particolare
alcuni recettori: il CTLA4 (che
ha come ligando il B7) e il PD-1
(che ha come ligando il PD-L1).
Questi due recettori hanno un
ruolo rilevante nel mascheramento della risposta immunitaria, e il loro blocco
farmacologico ci interessa nello smascheramento della risposta immunitaria, nel
rendere cioè il tumore accessibile ai linfociti T.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 38 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
Riattivazione o ritenzione dell’attività telomerasica e processi epigenetici
I telomeri sono sequenze ripetute di DNA (TTAGGG), che si trovano all’estremità
dei cromosomi e che proteggono i cromosomi stessi dalla disintegrazione
enzimatica, garantendo l’integrità cellulare.
La telomerasi è la trascrittasi inversa che mantiene costante la lunghezza dei
telomeri, soprattutto nella cellula staminale che, così facendo, non esaurirà mai il
suo potenziale replicativo.

Nelle cellule avviene un fisiologico accorciamento della sequenza a ogni


replicazione, legato al fatto che la DNA polimerasi, agendo il direzione 5’-3’,
rimuove un piccolo frammento di telomero, detto primer. Questo frammento viene
ricostruito appunto dalla telomerasi.
Nelle cellule che fisiologicamente vanno incontro a maggiore attività replicativa
(cellule della pelle o dell’epitelio intestinale), la telomerasi è più sviluppata.

Un altro aspetto importante emerso negli ultimi anni è il ruolo dell’epigenetica. Con
il termine epigenetica si intendono tutte le modificazioni che non sono dipendenti
dal codice genetico ma che sono modulate e variabili, ciò consente a un gene di
essere espresso o meno, e in quantità variabile. Le modificazioni epigenetiche sono
coinvolte in tutta una serie di attività, tra cui il legame dei fattori trascrizionali, la
polimerizzazione della tubulina, la stabilizzazione del HIF-1 (fattore indotto da
ipossia) e l’angiogenesi.

I meccanismi con i quali agisce l’epigenetica sono relativamente semplici:


- Acetilazione / Deacetilazione degli istoni;
- Metilazione / Demetilazione degli istoni;
- Metilazione / Demetilazione del DNA;
- RNA non codificanti;
- Formazione di complessi Polycomb/Thritorax (“guardiani della
staminalità”): reprimono cioè la trascrizione di geni che determinano il
differenziamento; in questo modo, la cellula può rimanere staminale.

Micro RNA
Piccole molecole di RNA non codificante (22 nucleotidi) che regolano la trascrizione
Almeno 300 micro-RNA nel genoma umano. Ciascun micro-RNA è in grado di
reprimere dopo la trascrizione centinaia di geni bersaglio tramite 2 meccanismi:
- Ibridazione di sequenze codificanti di mRNA: “RNA interference”
- Legame con siti non perfettamente complementari nelle regioni 3’ non
tradotte degli RNA bersaglio: inibizione della traduzione

Ruolo delle modificazioni epigenetiche nel cancro

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 39 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
La cellula progenitrice produce cellule differenziate, alcune modificazioni
epigenetiche possono però determinare un’alterazione della proliferazione, con
conseguente espansione del pool di cellule progenitrici. Questa espansione può
portare alla formazione della prima e quindi a tutta una serie di cellule figlie con
mutazioni diverse. Ulteriori modificazioni epigenetiche, portano alla definitiva
comparsa del tumore. L’epigenetica irrompe in qualche maniera nella cancerogenesi,
assumendo dei ruoli che si riteneva fossero imputabili esclusivamente alle
modificazioni genetiche.

Il cancro è una malattia genetica a livello cellulare, anche quando non c’è una
trasmissione genetica. Le mutazioni genetiche sono prevalentemente di tipo
somatico, più rare quelle germinali (che vengono trasmesse alla progenie
dell’individuo portatore del tumore).
Le mutazioni rilevanti per la cancerogenesi sono quelle che riguardano i meccanismi
che regolano il numero globale di cellule (Proliferazione cellulare, Morte cellulare
programmata, Differenziamento cellulare)

Il cancro segue le leggi dell’evoluzione


L’accumulo di mutazioni è alla base della cancerogenesi (“ex-aptations”)
- La prevalenza del cancro aumenta con la durata della vita umana
- Solo i 5-10% delle mutazioni sono coinvolte
L’accumulo di mutazioni avviene solo dopo che sono stati evasi i meccanismi di
riparazione
- 3-4 mutazioni per le neoplasie ematologiche
- 7 o più mutazioni per i tumori solidi

La trasformazione neoplastica inizia con una mutazione a carico di una singola


cellula (cellula progenitrice), il tumore tuttavia è costituito da un mosaico di cellule
a vari stadi maturativi. E’ errato pensare che il tumore sia costituito soltanto da
elementi indifferenziati, in realtà contiene cellule differenziate e/o non differenziate,
ma la caratteristica fondamentale è che sono cellule anomali.

Le cellule che supportano la crescita tumorale sono le cosiddette cellule staminali


tumorali e sono caratterizzate, come tutte le cellule staminali, da:
- Replicazione asimmetrica: quando si riproducono fanno due cellule con due
destini diversi, una staminale e una che si differenzia;
- Capacità di ricapitolare il tumore “in-vitro”: per ricapitolare si intende
ripercorrere le stesse mutazioni;
- Capacità di riformare il tumore “in-vivo”: se viene estratto un gruppo di
cellule staminali dal tumore, queste sono in grado di riformarlo se
reimpiantate;
- Differenziazione aberrante: sono cellule più o meno differenziate;
- Proliferazione aberrante;
- Reclutamento multidirezionale: proliferano in varie direzioni, cioè singole
cellule o gruppi di cellule all’interno del tumore hanno caratteristiche
differenti, costituiscono popolazioni eterogenee. Da questo si evince ad
esempio che, il fatto che il tumore risponda a una determinata terapia, è dato
dalla presenza di una particolare popolazione all’interno della massa ma sono

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 40 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
presenti anche altre popolazioni, la presenza di cloni con caratteristiche
diverse spiega molte delle caratteristiche di resistenza del tumore.

Il cancro come malattia della differenziazione

Uno dei motivi per cui non si riesce a eradicare il tumore è che non riusciamo a
interferire con le cellule staminali tumorali, le quali si trovano in una nicchia, in
numero molto limitato. Questa nicchia dipende da vari fattori (EGF, VEGF, HIF…),
più o meno favorevoli per lo sviluppo tumorale.
La nicchia è un comparto anatomico che fornisce segnali alle cellule staminali,
controlla il tasso di proliferazione, il destino delle staminali figlie e garantisce
protezione delle cellule staminali dalla morte.
Il mantenimento e la sopravvivenza delle cellule staminali è regolato da fattori
prodotti del microambiente che le circondano, spesso definito come la 'nicchia delle
cellule staminali'.

Conosciamo tre pathway coinvolti nell’autorinnovamento delle cellule staminali.


WNT, pathway enzimatico altamente conservato nel corso dell’evoluzione (implicato
anche nello sviluppo delle ali delle farfalle, nella loro eterogeneità); SHH; NOTCH.
Sono coinvolti nell’autorinnovamento delle cellule staminali, e sono i pathway che,
deregolati nei tumori, ne consentono la crescita anormale.

Pathway Steam/progenitor cells Tumorigenesis

Wnt Haematopoietic, Epidermal, Gut Colon carcinoma, Epidermal


tumours

Shh Haematopoietic, Neural, Germ line Medulloblastoma, Basal cell


carcinoma

Notch Haematopoietic, Neural, Germ line Leukaemia, Mammary tumours

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 41 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
I due modelli di cancerogenesi ipotizzati sono:
1. Modello stocastico: la cancerogenesi può avvenire a qualsiasi livello (=casuale)
della differenziazione cellulare, purchè la cellula sia in grado di replicarsi; a
qualunque livello avviene la cancerogenesi, ci saranno sempre delle cellule che
riacquisiscono la capacità staminale (si de-differenziano);
2. Modello gerarchico: questo modello presuppone che la mutazione possa avvenire
solo nella cellula staminale e poi, man mano che avviene la proliferazione,
compaiono altre mutazioni che portano a generare degli elementi più o meno
differenziati, a seconda delle influenze subite all’interno della massa tumorale.

Progressione neoplastica
Nella progressione neoplastica intervengono fattori inizianti (che danneggiano in
maniera irreversibile il genoma della cellula
figlia) e promuoventi (che gradualmente
conferiscono alla cellula maggiore instabilità,
comportandone la degenerazione tumorale)
che hanno un ruolo differente, ed è
importante la successione cronologica in cui
intervengono.
Gli agenti promuoventi posso essere anche
sostante endogene, ad esempio la presenza di
elevati livelli di estrogeni, dovuti all’obesità,
alla terapia ormonale sostitutiva, o a gravidanze tardive possono essere rilevanti
nello sviluppo del K della mammella.

La crescita tumorale può essere


rappresentata tramite la cur va di
Gompertz: c’è una prima fase di crescita
lenta (da 0 a 10^9 cellule, circa 27
replicazioni per 1gr di massa), durante la
quale il tumore si accresce lentamente,
anche grazie all’assenza di fattori come
l’angiogenesi. Segue una fase di crescita
esponenziale, durante la quale il tumore
ha una dimensione maggiore di 1 cm e
può essere individuato tramite strumenti
diagnostici. In seguito si avrà un ulteriore
rallentamento (oltre 10^12 cellule, 1 kg
di tumore, ulteriori 4-6 replicazioni).
La cosa più rilevante è che il tempo che intercorre tra il limite di riconoscibilità
clinica e la morte del paziente (all’incirca a 10^12 cellule) è un tratto breve della
curva e quindi della storia naturale della malattia. Oltretutto le cellule durante la
fase di crescita esponenziale hanno accumulato numerosi mutazioni, e la malattia
sarà pertanto più difficile da sconfiggere, con un tasso elevato di recidive, rischio di
metastasi, etc.

Un ulteriore aspetto importante è che la probabilità di metastasi è inferiore rispetto


alla possibilità che ci siano cellule tumorali in circolo nel sangue. In altri termini

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 42 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
sono molti di più i pazienti con cellule tumorali in circolo, rispetto a quelli in cui si
manifesta recidiva a distanza. Infatti non tutte le cellule tumorali presenti in circolo
sono vive, vitali e clonogeniche (cioè in grado di riprodurre il tumore a distanza,
caratteristica tipica delle cellule staminali).

BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________
- Sbobinature Prof Barone aa 2014/2015
- Sbobinature Prof Barone aa 2015/2016


ELEMENTI DI ONCOLOGIA 43 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
CAPITOLO 5
___________________________________________________________
PRINCIPI DI CHEMIOTERAPIA

Di seguito sono indicati i principali bersagli della tp antitumorale, che possono


riguardare le cellule tumorali o anche le cellule endoteliali (quindi abbiamo bersagli
diretti, le cellule tumorali, o indiretti, coinvolti nell’angiogenesi):
- Growth factors, Growth factors receptors
- Adaptor proteins
- Docking proteins/binding proteins
- Guanine nucleotide exchange factors
- Phosphates and phopholipases
- Signaling kinases
- Ribosomes
- Transcription factors
- Histones
- DNA
- Microtubules

I farmaci che agiscono sul tumore, come quelli che agiscono sull’angiogenesi, ma in
particolare i primi, possono avere dei meccanismi che possono essere ricondotti a 3
tipi:
1. Farmaci citotossici
2. Modulatori di pathway ormonali
3. Farmaci a bersaglio molecolare

La differenza tra questi farmaci è piuttosto artificiosa, specialmente quella tra


citotossici e farmaci a bersaglio molecolare, per vari motivi: perché non tutti i
farmaci citotossici sono citotossici, alcuni sono semplicemente citostatici e viceversa
per quelli a bersaglio molecolare. Forse la differenza più importante è che i
citotossici prevalentemente hanno come bersaglio o direttamente gli acidi nucleici,
oppure degli enzimi coinvolti nella loro riparazione. Invece, i farmaci a bersaglio
molecolare hanno come bersaglio delle proteine coinvolte nella proliferazione
cellulare.

I farmaci possono essere:


1. Farmaci anti-molecole post-recettoriali. I farmaci che agiscono su un
recettore innescano una cascata di eventi che comprende varie molecole, per
esempio Ras, Raf. Questi farmaci agiscono su queste molecole.
2. Farmaci attivi su bersagli epigenetici
3. Inibitori del proteasoma
4. Anticorpi monoclonali attivi nelle neoplasie linfoproliferative
5. Farmaci immunomodulanti e citochine

Curva dose risposta


In queste due curve distinguiamo due aspetti:
1- Pendenza

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 44 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
2- Il fatto che queste due curve non sono
funzioni di primo ordine, perché ad un certo
punto la curva si arrotonda, quindi non c’è una
proporzionalità diretta.

Questa è una curva tra dose del farmaco e


probabilità di risposta. Esprime il rapporto fra
l’incremento della dose del farmaco e la massa
cellulare vitale residua (espressa in logaritmo).
Quanto più ripida è questa curva, tanto
maggiori sono le probabilità che ci sia una
risposta con incrementi modesti del farmaco.
Quanto meno ripida è la curva, tanto maggiori
devono essere gli incrementi di dose del farmaco per poter ottenere un determinato
effetto. Quindi, la curva esprime la relazione tra l’incremento di dose e la massa
cellulare vitale residua.
Tale relazione può essere:
• Lineare o non lineare: indica l’assenza o meno di cloni cellulari resistenti
• Più o meno ripida: indica maggiore o minore sensibilità al farmaco (maggiore
o minore frazione di cellule uccise)

FARMACI CITOTOSSICI
1. Agenti alchilanti
2. Derivati del platino, che dal punto di vista del meccanismo d’azione sono
abbastanza analoghi agli agenti alchilanti. Anche questi producono degli addotti
del DNA come gli agenti alchilanti.
3. Antimetaboliti
4. Inibitori delle topoisomerasi
5. Agenti attivi sulle tubuline
6. Altri

A seconda delle categorie, la fase del ciclo cellulare che è interessata è diversa.
Vi sono farmaci che agiscono su tutte le fasi del ciclo
cellulare e a volte anche sulle cellule in G0. E questi sono
i farmaci alchilanti, che agiscono qualunque sia la finalità
per cui avviene la trascrizione del messaggio genetico, sia
che avvenga per la sintesi proteica, sia che avvenga per la
replicazione. Poi ci sono farmaci che hanno fasi
specifiche più ristrette: inibitori della mitosi,
antimetaboliti (fase S) e altri ancora che coprono lo
spettro più ampio del ciclo cellulare.

• Gli antimetaboliti agiscono sulla sintesi del DNA.


• Gli agenti alchilanti agiscono sul DNA nella fase
di replicazione/ trascrizione.
• Gli agenti intercalanti, che comprendono anche agenti alchilanti, ma in
particolare sono le tetracicline, gli antibiotici tumorali, oppure gli inibitori
delle topoisomerasi, agiscono sulla trascrizione e duplicazione del DNA.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 45 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
• Gli antimitotici agiscono sulla mitosi.

Agenti alchilanti
Funzionano con un meccanismo di tipo chimico, provocando un addotto mediante
alchilazione della posizione N7 della guanina. Ci sono altri siti un po’ meno comuni.
Il sito elettivo è la posizione N7 della guanina (altri siti: O6 e N1 della guanina, N7,
N8, N1 dell’adenina, ecc)
Farmaci:
– Alcansulfonati
• Busulfano
– Mostarde azotate
• Melphalan, Clorambucile, Ciclofosfamide, Ifosfamide,
Estramustina
– Etilenimine/metilmelamine
• Altretamine, Thio-TEPA
– Nitrosoureee
• Carmustina (BCNU), Lomustina (CCNU), Streprozotocina,
Estramustina
– Triazeni
• Dacarbazina, Temozolamide

Dal punto di vista del meccanismo d’azione si distinguono in:


• Polifunzionali: si intercalano tra 2 eliche del DNA e ciò significa che
inibiscono sia la replicazione che la sintesi del DNA
• Monofunzionali: agiscono sulla singola elica e quindi interferiscono
prevalentemente con la sintesi proteica

Questo spiega perché gli agenti alchilanti possono agire su qualunque fase del ciclo
cellulare. Alcuni di questi farmaci si usano comunemente, altri non si usano più,
come il tio-TEPA e anche le nitroso-uree. Mentre, farmaci che hanno un uso
importante sono le mostarde azotate, in particolare il melphalan, il clorambucile si
usano prevalentemente nel trattamento dei tumori ematologici.
La ciclofosfamide si usa nel trattamento dei tumori ematologici, ma anche nei tumori
solidi. L’estramustina è un farmaco un po’ particolare. È una commistione di una
mostarda azotata e di un residuo che somiglia all’estradiolo e quindi agisce con il
meccanismo di una mostarda azotata, però era utilizzata per riconoscere dei
recettori per agenti ormonali tramite la parte estradiolica e poi svolge l’azione
citotossica tramite la nitroso-urea. È un farmaco che ora non si usa più. Anche le
nitroso-uree sono farmaci che, con l’eccezione della streptozotocina, che ha una
indicazione molto selettiva nei carcinomi neuroendocrini scarsamente differenziati
del pancreas, tutti gli altri non si usano quasi più

Derivati dal platino


Come gli agenti alchilanti, anche i farmaci derivati dal platino formano degli addotti
covalenti al DNA. Si differenziano fondamentalmente per lo spettro di azione e per
la tossicità.
Cisplatino e carboplatino hanno lo stesso spettro di azione, forse il cisplatino per
alcuni tumori funziona di più, come i tumori del testicolo, per i quali il carboplatino

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 46 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
deve essere somministrato a dosi molto più alte. Però hanno quasi lo stesso spettro
di azione. La differenza è la tossicità, la tossicità renale in particolare. Perché il
cisplatino precipita a livello renale e provoca una tubulopatia acuta, se non viene
somministrato con un’adeguata reidratazione. Il carboplatino non ha questo effetto
collaterale o lo ha in misura molto minore, però è meno attivo del primo.
Quello che è molto diverso in termini di bersaglio tumorale è l’oxaliplatino, il quale
ha un residuo, 1,2 diamminocicloesano, che consente di inibire alcuni meccanismi di
resistenza che fanno sì che cisplatino e carboplatino siano inefficaci nei tumori
dell’apparato gastrointestinale, proprio perchè ci sono meccanismi di resistenza che
vengono inibiti da questa parte della molecola dell’oxaliplatino.
Uno degli effetti collaterali del platino e in particolare dell’oxaliplatino, è la tossicità
neuropatica periferica. Ciò significa che questi farmaci danno parestesie, che possono
arrivare a gradi molto elevati, tanto da provocare impedimenti funzionali anche in
persone che non hanno bisogno di utilizzare mani e piedi per fare lavori sofisticati,
come il pianista o il violinista, in cui anche una tossicità blanda può essere
fastidiosa. L’altro tipo di tossicità caratteristica dei derivati del platino, che è
anch’essa una tossicità neurologica, è l’ototossicità. I pazienti che fanno il platino
hanno un danno dell’udito che è irreversibile ed è per questo che, se viene usato in
soggetti giovani, per esempio quelli con tumore del testicolo, questi pz vanno
monitorizzati attentamente dal punto di vista della perdita dell’udito.

Antimetaboliti
• Antifolati
• Metotrexate (=ametopterina): N10 metil-derivato dell’acido folico: Inibisce
la di-idro-folato reduttasi
• Pemetrexed (Analogo pirrol-pirimidinico del MTX): Inibisce 3 enzimi folato-
dipendenti (di-idro-folato reduttasi, timidilato sintetasi, glicinamide
ribonucleotide formil-trasferasi)
• Analoghi pirimidinici
• 5-fluorouracile: Inibisce la timidilato sintetasi, la RNA sintetasi (via 5-FUFT)
e la sintesi di DNA (via 5-FdUTP)
• Capecitabina e UFT
• Citarabina
• Gemcitabina (analogo della de-ossi-citidina)
• Analoghi delle purine
• Tiopurine (6-mercaptopurina e 6-tioguanina)
• Fludarabina (analogo dell’adenosina)
• Cladribina

Un altro gruppo molto interessante dal punto di vista dello sviluppo biochimico è
quello degli antimetaboliti. Il riconoscimento è stato tardivo. Con la scoperta del
methotrexate fu intuito un meccanismo di possibile interferenza con la
proliferazione cellulare.
Gli antimetaboliti sono sostanze che competono con i metaboliti naturali e, quindi,
si sostituiscono ad essi e bloccano il processo innescato da essi. I più importanti
sono gli antifolati e gli analoghi pirimidinici.
Abbiamo degli antifolati, farmaci che interferiscono con il metabolismo dell’acido
folico o il methotexate, il cui nome è ametopterina. la cui desinenza fa pensare che

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 47 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
abbia a che fare con le pterine. Dal punto di vista chimico è un derivato dell’acido
folico e inibisce la diidrofolato- reduttasi.
Poi c’è un antifolato più recente che ha un meccanismo più complesso, che inibisce
tre enzimi che sono folato dipendenti: la diidrofolato reduttasi (DHFR), la timidilato
sintetasi (TS) e la glicinamide-ribonucleotide- formiltransferasi (GARFT):
premetrexed.

Analoghi pirimidinici
Sono farmaci che interferiscono con il metabolismo delle pirimidine, quindi con i
nucleotidi che entrano nella sintesi del RNA:
• 5-fluorouracile: antagonista dell’uracile
• capecitabina
• Citarabina: inibitore della citidina
• Gemcitabina, fludarabina

Analoghi purinici
• 6-mercaptopurina
• azatioprina
• cladribina

La fludarabina non si usa più. La cladribina non si usa quasi per niente.

I due meccanismi d’azione principali del 5-FU sono:


1. Inibizione della sintesi di RNA. Il 5-FU forma la FU-TP invece dell’ UTP.
2. Indirettamente inibizione anche della sintesi del DNA, perché la formazione
di questo intermedio, il 5 fluoro-desossi-UMP determina l’inibizione della
timidilato sintetasi, quindi di quell’enzima che include la timidina nel DNA.

Inibitori delle topoisomerasi


Le topoisomerasi sono enzimi coinvolti nella riparazione del DNA. Hanno un
meccanismo d’azione piuttosto complesso, perché hanno a che fare con la rottura

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 48 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
delle spire del DNA e la correzione delle eventuali alterazioni che si formano nella
fase di stiramento delle eliche del DNA. Sono due gruppi.

La topoisomerasi I catalizza il rilassamento della super-elica di DNA generando una


rottura transitoria di un’elica di DNA attraverso processi di clivaggio e
riconsolidamento. La funzione è di mantenere la conformazione tridimensionale del
DNA. Deficienze nei checkpoint del ciclo cellulare e nei pathway di riparazione
determinano la maggiore sensibilità agli inibitori di Topo-I (Camptotecina
Irinotecano, Topotecano).

La topoisomerasi II media l’induzione di intaccature in entrambe le eliche di DNA,


che consentono il rilasciamento della super-elica di DNAdurante la replicazione e la
trascrizione. Farmaci inibitori di Topoisomerasi II:
• Antracicline (altri meccanismi: intercalazione, produzione di ROS) Doxorubicina,
Epirubicina, Daunorubicina, idarubicina, DOX liposomial
• Antracenedioni (Mitoxantrone)
• Epipodofillotossine, Etoposide, Teniposide
• Irinotecano: convertito da carbossilesterasi al metabolita attivo SN38 (7-etil-10-
idrocarbossicamptotecina)

Farmaci che agiscono sulla tubulina (fuso mitotico)


Sono tre gruppi:
1. Alcaloidi della Vinca: sono i farmaci più noti e tradizionali: vincristina,
vinblastina, che inibiscono l’assemblaggio dei microtubuli, quindi la
polimerizzazione. Vincristina, Vinblastina, Vinorelbina, Vinflunina
2. Taxani: impediscono la distruzione del tubulo (meccanismo inverso al
precedente), quindi la depolimerizzazione dei microtubuli: paclitaxel e
docetaxel. Ultimamente è uscita una formulazione con nanotecnologie del
paclitaxel: nab-paclitaxel, che arriva più specificamente sul bersaglio. Poi
abbiamo il cabazitaxel, indicato nei tumori della prostata, in cui si usa anche
il docetaxel.
3. Epotiloni: si legano alla subunità beta della tubulina. Tra questi quello più
usato è la eribulina, che è un farmaco molto recente che determina la
“coagulazione” della subunità beta della tubulina, cioè forma degli aggregati
di tubulina. Ixabepilone (Estramustina fosfato) Eribulina: sequestra la
tubulina in aggregati
4. Inibitori dei microtubuli di nuova generazione: inibiscono i movimenti delle
sostanze lungo i microtubuli. Infatti, i microtubuli non servono soltanto per
la mitosi, per la formazione del fuso mitotico, ma sono strutture che
supportano tutte le comunicazioni all’interno della cellula; attraverso questi
viaggiano le macromolecole. Quindi, questi inibitori della chinesina
inibiscono il trasporto delle sostanze nutritive all’interno della cellula, in
particolare della cellula in proliferazione.
Inibitori dell’aurora chinasi

Miscellanea
• Antibiotici
– Bleomicina, Mitomicina-C, Actinomicina-D

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 49 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
• L-asparaginasi, Anagrelide, Triossido d’argento
• Idrossi-urea, Procarbazina, Trabectidina
• Tretinoina (acido all-transretinoico) e Bexarotene
• Inibitori di PARP
– Olaparib, Iniparib, Veliparib, …
• Inibitori delle chinasi ciclina-dipendenti
– Palbociclib, LEE011

Il gruppo miscellaneo comprende antibiotici, mitoxantrone, doxorubicina, la L-


asparaginasi, enzima essenziale nel catabolismo dell’asparagina, amminoacido
tossico tutte le cellule possiedono l’enzima, tranne quelle della leucemia mieloide
cronica. Quindi la L-asparaginasi si usa solo nel trattamento di mantenimento della
LMC.
- Parp: enzima coinvolto nella riparazione del DNA. Le cellule tumorali sono
altamente suscettibili all’inibizione della riparazione del DNA e in particolare questo
parp è un enzima importante che ripara le alterazioni che si verificano nelle singole
eliche. L’inibizione di parp è particolarmente importante nei tumori della mammella
e dell’ovaio deficienti di BRCA, perché BRCA codifica per un meccanismo di
riparazione del DNA. Se noi abbiamo cellule tumorali già deficienti nel meccanismo
di riparazione del DNA, la somministrazione di un farmaco che inibisce parp,
secondo meccanismo di riparazione, è particolarmente efficace.

MODULATORI DI PATHWAY ORMONALI


I farmaci che fanno parte di questa categoria sono:
• Anti-estrogeni
– Modulatori selettivi dei recettori estrogenici (competono con gli
estrogeni)
• Tamoxifene, Fulvestrant (questi due si utilizzano),
Toremifene,
– Inibitori dell’aromatasi (inibitori della sintesi degli estrogeni)
• Anastrazolo, Letrozolo, Examestane
• Progestinici
– Megestrolo, Medrossiprogesterone acetato
i progestinici ormai si usano poco
• Anti-androgeni
– Ciproterone acetato
– Flutamide, Bicalutamide, Nilutamide
– Enzalutamide
– Abiraterone
• Agonisti-antagonisti LH-RH (determinano la deplezione delle vescicole
contenenti LHRH e , una volta che le vescicole sono deplete si comportano
da antagonisti):
– Buserelin, Goserelin, Lueprolide, Triptorelina
• Agenti corticosteroidei
• Inibitori dell’aromatasi
– Inattivatori: Formestane (Lentaron), Exemestane (Aromasin)

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 50 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
– Inibitori: Anastrozole (Arimidex), Letrozole (Femara), I gen:
Aminoglutetimide, II gen: Formestane Fadrozolo, III gen: Letrozolo,
Vorozolo, Exemestane

Nota: Farmaci antiandrogeni che appartengono a 2 categorie: ciproterone acetato e la


bicalutamide e due nuovi farmaci, l’enzalutamide e l’abiraterone, che funziona come
gli inibitori dell’aromatasi, cioè come inibitore di un enzima che serve alla sintesi
degli androgeni al livello surrenalico e testicolare.

Funzione degli estrogeni


L’estradiolo riconosce il recettore citoplasmatico. Il complesso estrogeno-recettore
subisce la modulazione da parte di sostanze che hanno effetti di coattivazione e
corepressione:
• se prevalgono i coattivatori, il complesso viene internalizzato nel nucleo, quindi si
forma l’unità trascrizionale
• se prevalgono i corepressori il complesso non viene internalizzato nel nucleo.
L’unità trascrizionale agisce sugli elementi di risposta agli estrogeni. L’unità
trascrizionale per poter funzionare ha bisogno di due fattori trascrizionali: AF1 e
AF2. L’estradiolo attiva entrambi i fattori trascrizionali e quindi l’attivazione
determina tutto il resto.
Gli effetti collaterali più comuni saranno il Flare-up, termine tecnico per indicare la
fase agonistica iniziale e vampate di calore, perdita della libido, impotenza

Il tamoxifene è un agonista-antagonista, perché quando si lega al recettore degli


estrogeni, al posto dell’estradiolo, è in grado di attivare AF1, ma non attiva AF2 e
quindi inattiva tutte quelle attività estrogenodipendenti che sono correlate a AF2.
Inattiva la crescita cellulare. Però attiva AF1 e quindi la proliferazione
dell’endometrio e la deposizione del calcio nelle ossa. Quindi il tamoxifene ha un
effetto positivo oncologico, poiché inibisce la crescita del tumore, ha un effetto
positivo sull’osso, non determina l’osteoporosi, ma ha un effetto negativo
sull’endometrio, che è l’effetto negativo principale. Quindi le pz che fanno
trattamento con tamoxifene devono fare una attenta sorveglianza sull’attività
proliferativa dell’endometrio che si esprime con lo spessore della mucosa
endometriale. Questo è il motivo per cui il tamoxifene, che ha la capacità di ridurre
il rischio di tumore nella mammella controlaterale a scopo preventivo, non può
essere utilizzato, se non nelle pz che sono state isterectomizzate, come prevenzione
farmacologica primaria del tumore della mammella, perché fa venire il cancro
dell’utero.

L’aromatasi è un enzima che trasforma dei precursori degli estrogeni, cioè gli
androgeni. Gli estrogeni derivano dall’aromatizzazione degli androgeni, sia l’estrone
che l’estradiolo. Questo enzima è poco espresso nell’ovaio normalmente, perché il
meccanismo di sintesi nell’ovaio è un meccanismo diretto, non avviene attraverso gli
androgeni. Invece, è molto espresso nel surrene ed è espresso in maniera molto
importante nel tessuto adiposo. Questo è uno dei motivi per cui l’obesità è un
fattore di rischio per la recidiva di cancro della mammella e per l’incidenza di cancro
della mammella.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 51 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
L’exemestane somiglia a un estrogeno, con un nucleo ciclopentanoperidrofenantrenico.
Anastrozolo e Letrozolo sono correlati a dei gruppi alchili. Questo fa capire perché ci
può essere una sensibilità all’exemestane che quindi agisce con un meccanismo
competitivo più evidente rispetto a questi. Ci può essere sensibilità all’exemestane
anche in soggetti che sono resistenti all’anastrazolo e al Letrozolo.
Dalla prima alla terza generazione aumenta la capacità di riduzione dei livelli di
estrogeni (dal 65% al 99%)

Antiandrogeni
- Antiandrogeni puri o non steroidei: agiscono con un meccanismo d’inibizione della
sintesi degli androgeni. Hanno un legame competitivo con i recettori intracellulari
degli androgeni, determinano un feedback positivo per LHRH, quindi non inibiscono
la secrezione di LH. L’organismo esposto a questi farmaci ha la sensazione di non
avere una quantità sufficiente di androgeni, quindi stimolano l’asse LHRH. C’è un
aumento del testosterone che viene convertito in estrogeni grazie all’aromatasi.
L’inibizione è al di sotto del diidrotestosterone. È inibito l’effetto terminale degli
androgeni.
- Antiandrogeni steroidei: hanno un’attività antiandrogena, attività progestinica,
attività antigonadotropinica (inibiscono l’LHRH), la secrezione di LH e la
produzione di testosterone, perchè non viene stimolato dall’LHRH.

I primi bloccano l’azione degli androgeni, i secondi inibiscono la produzione degli


androgeni, di conseguenza gli effetti collaterali sono diversi:
• I Puri daranno ginecomastia, disturbi dell’apparato GI (diarrea e alterata
funzionalità epatica). Però questi pz conservano parzialmente la libido e la
potenza, sempre che vengano somministrati da soli la bicalutamide o
l’enzalutamide. Spesso, però, è necessario somministrare anche un inibitore
dell’LHRH e quindi questi vantaggi vengono meno.
• Gli Steroidei: effetti cardiovascolari, soppressione della libido e impotenza. Però
possono essere usati da soli, perché non c’è la stimolazione dell’LHRH, quindi non
è necessario dare un inibitore dell’LHRH. Poi hanno un’azione progestinica:
questo può essere a volte un vantaggio e altre uno svantaggio, perché il
progesterone migliora la cinestesi e la sensazione di benessere.

Enzalutamide: rispetto alla bicalutamide, ha affinità maggiore per il recettore


androgenico, non promuove la traslocazione del recettore nel nucleo e quindi
previene il legame al RNA. Inibisce il legame del testosterone e blocca la
traslocazione sia nel citoplasma sia nel nucleo.

Abiraterone: inibitore selettivo irreversibile dell’enzima, che determina la biosintesi


degli androgeni in tutti i tessuti (CYP17-idrossilasi e C17,20-liasi). L’inibizione di
questi enzimi determina inibizione di sintesi degli androgeni e aumento di ACTH e
LH con incremento degli steroidi a monte. L’aumento dell’acth e del cortisolo ha
come effetto collaterale la sindrome da ritenzione mineralcorticoide: i pz possono
avere edemi. Per ridurre questo effetto è necessaria la castrazione chimica per evitare
l’incremento compensatorio dell’LH.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 52 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
FARMACI A BERSAGLIO MOLECOLARE
- Farmaci diretti contro recettori dei fattori di crescita
- Farmaci anti-angiogenetici
- Farmaci anti recettori cancro correlati
- Farmaci anti molecole post-recettoriali
- Farmaci attivi su bersagli epigenetici
- Farmaci inibitori del proteasoma
- Farmaci inibitori della telomerasi
- Ab monoclonali usati nelle malattie linfoproliferative
- Farmaci inibitori immunologici e immunomodulanti
- Farmaci contro le heat shock protein (hsp)

Farmaci diretti contro recettori dei fattori di crescita


Sono molto importanti i farmaci che interferiscono con i recettori delle famiglie dei
recettori di crescita o con i loro ligandi. Il recettore si lega al ligando, subisce quindi
un processo di dimerizzazione in
modo da creare un segnale che
Famiglie dei recettori tirosin chinasici
arriva fino al nucleo e che
_______________________________________________________________
Ligandi Recettore determina lo stimolo a
________________________________ determinate attività a partenza
Famiglia HER (erbB) TGFa, EGF EGFR nucleare. Inoltre si possono
Nessuno HER2
avere dei farmaci che agiscono a
Epiregulin, Heregulin HER3, HER4
_______________________________________________________________ livello intracellulare ovvero gli
Famiglia VEGFR VEGF A e B VEGFR1 inibitori delle chinasi. Essi
VEGF A, C, D VEGFR2 solitamente sono delle piccole
VEGF C, D VEGFR3
molecole che agiscono
_______________________________________________________________
Famiglia PDGFR FL Flt-3 competendo, il più delle volte
PDGF PDGFR con la tasca a cui si lega l’ATP e
SCF KIT quindi inibiscono l’attivazione
_______________________________________________________________
della CTP-CDP.
Farmaci anti-recettori per fattori di crescita
– Anticorpi monoclonali
Ci sono i farmaci inibitori
– Inibitori tirosin-chinasi e serina-treonina-chinasi
tirosin-chinasici che agiscono sul
versante interno della membrana,
mentre gli anticorpi monoclonali possono agire all’esterno della membrana o
interagendo e quindi bloccando il recettore o interagendo e quindi bloccando il
ligando.

Tra i più importanti ricordiamo:


- Inibitori EGFR. Gli anticorpi monoclonali diretti contro il recettore sono
essenzialmente due: cetuximab e panitumumab, poi esistono una serie di piccole
molecole che sono inibitori sempre dell’EGFR ma nello specifico della tirosin-
chinasi sul versante citoplasmatico del recettore (Gefitinib, Erlotinib, ZD6474)
- Inibitori HER2/neu: gli inibitori sono essenzialmente due trastuzumab e
pertuzumab. Poi esiste anche un farmaco che è una combinazione di trastuzumab
con l’emtansina, che è un farmaco citotossico talmente tossico che non può essere
somministrato da solo, ma se somministrato a dosaggio anche piccolo è trasportato
attraverso il trastuzumab all’interno della cellula.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 53 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
- Inibitori delle tirosin-chinasi: esiste più di un farmaco, quello più usato è il
lapatinib.

Nota: Trastuzumab si lega con il versante extracitoplasmatico del recettore, ma


mentre trastuzumab impedisce l’omodimerizzazione dello stesso, il pertuzumab
impedisce l’eterodimerizzazione, perciò l’effetto dei due farmaci è additivo,
complementare e addirittura sinergico. Vi sono una serie di altre tappe che possono
essere inibite da diverse piccole molecole (Lapatinib)

Farmaci ad azione antitirosin-chinasica


Composti anilino-chinazolinici
• Gefitinib (Iressa): EGFR
• Erlotinib (Tarceva): EGFR
• Lapatinib/Afatinib: EGFR/HER2
• Inibizione della crescita
• Riduzione VEGF/FGF
• Induzione apoptosi
• Sinergismo con citotossici

Il primo gruppo di inibitori tirosin-chinasici è composto dagli anilino-chinazolinici


che comprendono i più vecchi tra gli inibitori che sono il gefitinib, l’erlotinib; altri
degni di nota sono il lapatinib e il afatinib. I primi due sono inibitori dell’EGFR e si
utilizzano soprattutto per gli adenocarcinomi polmonari che hanno una mutazione
dell’EGFR e che rappresentano all’incirca il 10-15% di tutti gli adenocarcinomi, che a
loro volta sono circa il 30% dei tumori del polmone (quindi questi con mutazione
dell’EGFR rappresentano grossomodo il 5% del totale). Invece lapatinib e afatinib
sono due inibitori dell’EGFR ma inibiscono anche HER2.

Composti pirido-pirimidinici
• Imatinib (Gleevec)
• Inibizione Bcr-Abl TK (LMC)
• Inibizione Abl-TK
• Inibizione c-kit-TK (GIST)
• Inibizione PDGF-R (NSCLC, glioblastoma, ca. mammella e prostata)

C’è un altro gruppo di inibitori tirosin-chinasici diverso dal punto di vista chimico
che vedremo successivamente perchè si tratta di farmaci che hanno un effetto
prevalentemente anti-angiogenetico.
In sintesi questi di interesse dell’ EGFR sono farmaci antitumorali cioè diretti contro la
cellula tumorale mentre gli altri anti VEGF sono più anti-angiogenetici.

FARMACI ANTI-ANGIOGENETICI
Comprendono anticorpi monoclonali, inibitori tirosin-chinasici e un farmaco
particolare che è una specie di anticorpo chiamato VEGF-trap, cioè trappola per il
VEGF.
L’inibizione dell’ angiogenesi è importante perché dovrebbe ridurre il supporto di
sostanze nutritive e ossigeno per il tumore. L’uso di questi farmaci può determinare

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 54 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
una inibizione che si riteneva fosse associata a uno scarso sviluppo di resistenza. In
realtà la resistenza si sviluppa lo stesso ma con caratteristiche diverse.
Le strategie per bloccare il pathway del VEGFR sono riportate di seguito:
- inibizione del ligando del VEGFR tramite anticorpi o VEGF-trap,
- Inibizione del VEGFR2 che è quello più importante per l’angiogenesi
- inibizione della tirosin-chinasi intracitoplasmatica. L’avastin rende incapace il
ligando di interagire con il recettore.

L’anticorpo anti-VEGF per eccellenza è il bevacizumab.


Il VGEF-trap consiste in una proteina di fusione
creata in laboratorio per poter legare tutte le forme di
VGFA e PIGF (placental growth factor). Essa
sostanzialmente comprende dei frammenti del VEGF1 e del
VEGF2 e in circolo intrappola il VEGF, quindi previene la sua
interazione con il recettore, essendo bloccato con questo finto
recettore circolante.
Un anticorpo di recente introduzione è l’anti
VEGFR2, ramucirumab, il cui utilizzo è stato
approvato per primo per il carcinoma gastrico.

Axitinib e vandatenib hanno un effetto prevalentemente su pathways anti


angiogenetici. Altri invece, come il sorafenib, hanno come bersaglio sia EGFR
sull’endotelio sia B-Raf ed Erk.

Il miritedonil è uno dei farmaci più recenti e si è dimostrato molto attivo nei tumori
del polmone, anche in quelle forme resistenti
all’inibizione di EGFR. Circa il 5% dei Agent Targets
tumori del polmone o circa il 10-15% degli
adenocarcinomi hanno mutazioni dell’EGFR Cetuximab Chimeric IgG1 anti-EGFR
che rende questi tumori particolarmente Panitumumab Fully human IgG2 anti-EGFR
sensibili al trattamento con queste piccole
Nimotuzumab IgG1 anti-EGFR
molecole che inibiscono l’EGFR, ma uno dei
meccanismi di resistenza a queste è Trastuzumab Humanized IgG1 anti-HER2
l’attivazione di pathway angiogenetici. È in Pertuzumab Humanized IgG1 anti-HER2
questi casi in cui il miritedonil è efficace,
Bevacizumab Humanized IgG1 anti-VEGF
essendo un inibitore tirosin-chinasico
multichinasico che interferisce con Ramucirumab Fully human IgG1 anti-
l’angiogenesi. VEGFR2

Anticorpi monoclonali contro i recettori TK


n.b. i nomi sono un po’ difficili ma è importante che gli anticorpi monoclonali
abbiano la desinenza che identifichi che sono anticorpi, che sono monoclonali, se
sono ab umani o umanizzati.

FARMACI ANTI RECETTORI CANCRO CORRELATI


Farmaci anti-recettori cancro-correlati
– Bcr-Abl: Imatinib, Nilotinib, Dasatinib
– KIT

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 55 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
– MET
• Ac monoclonali: Onartuzumab
• Tivantinib, Crizotinib (MET/ALK), Ceritinib, Cabozantib

Questa categoria comprende diversi


Agent Targets tipi di farmaci. Alcuni interferiscono
Imatinib ckit, PDGF, BCR-Abl con la proteina di fusione Bcr-Abl
come l’imatinib, dasatinib, nilotinib,
Dasatinib BCR-Abl, src, c-kit, ephrin receptors
il primo è il farmaco principe ed è il
Erlotinib EGFR primo inibitore tirosin-chinasico,
Gefitinib EGFR poi inibitori c-kit e met e sono
importanti nel trattamento del
Lapatinib EGFR, c-ErbB2
tumore del polmone ma anche nel
Sunitinib ckit, PDGF, VEGFR1-3, Flt3, RET trattamento di altre neoplasie.
Sorafenib ckit, PDGF, VEGFR1-3, Raf, B-Raf, Erk L’Imatinib svolge diverse attività ma
quella più importante è l’inibizione
Pazopanib ckit, PDGF, VEGFR1-3
della proteina di fusione Bcr-Abl ed
Axitinib VEGFR1-3, PDGFR, ckit, è quindi utilizzato nella terapia
Vandatenib VEGFR, EGFR della Leucemia Mieloide Cronica. La
sua introduzione è stata una svolta
perché la sua attività nella LMC è
stata assolutamente imprevista. Ma è anche in grado di inibire la tirosin-chinasi del
c-kit e questo bersaglio è fondamentalmente una delle alterazioni molecolari che si
ha nei GIST e che anche se sono poco frequenti rispetto alla LMC, fino a pochi anni
fa non avevano alcun tipo di trattamento medico.

Un altro gruppo è composto dagli inibitori del PDGF-R. Questo è un pathway che
può essere attivo in diversi tumori ma in particolare in un tumore molto raro, che
era conosciuto solo da qualche dermatologo fino a quando non si è scoperto l’effetto
su di esso dell’imatinib. Si tratta del dermatofibrosarcoma protuberans.

Nota: meccanismo d’azione nella LMC dell’imatinib: la proteina di fusione Bcr-Abl è


in grado di svolgere un’attività fosforilante molto superiore a quella della proteina
normale e l’imatinib interferisce al livello del locus della proteina dove si lega l’ATP
interferendo con la fosforilazione.

Crizotinib
Ha una struttura aminopiridinica ed è un inibitore competitivo di protein-chinasi. È
un farmaco che agisce contro il riarrangiamento cromosomico EML4-ALK. Il gene di
fusione codifica per una proteina che ha un’attività chinasica costitutiva. Il crizotinib
inibisce l’attività di questa proteina chimerica la quale stimola il pathway di c-met,
che è il ligando che lega il recettore dell’hepatocyte growth factor (HGFR). Quindi il
crizotinib porta a una inibizione del pathway di RAS e di MEK.
Il 4% dei NSCLC hanno un riarrangiamento cromosomico che genera un gene di
fusione fra EML4 (“echinodermal microtubule-associated protein-like 4”) e ALK
(“anaplastic lymphoma kinase”)

FARMACI ANTI MOLECOLE POST-RECETTORIALI

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 56 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
– Pathway PI3K-AKT-mTOR
• Temsirolimus, Everolimus
– Pathway RAS-RAF-MEK-ERK
• Vemurafenib, Dabrafenib, Trametinib

Questo gruppo contiene farmaci che agiscono a valle del recettore. I più importanti
sono gli inibitori di PI3K-AKT, di mTOR e RAS-RAF-MEK-ERK. L’ everolimus
impedisce tutte le attività legate a mTOR, cioè l’angiogenesi, il trasporto di proteine
e inibisce il ciclo cellulare.
Il ruolo di MEK, è invece strettamente legato a B-RAF e RAS tanto è che
l’utilizzazione in terapia degli inibitori di MEK viene sfruttata per incrementare
l’attività dei farmaci che agiscono inibendo B-RAF. Quest’ultimo è un pathway a
valle del recettore, così come lo è MEK, ed è diventato importante da quando si è
scoperto che circa il 50% dei melanomi metastatici dipendono da pathway di B-RAF,
nel senso che se c’è una mutazione di B-RAF, solitamente la mutazione è v600 B-
RAF, i melanomi sono altamente sensibili alla terapia con inibitori di B-RAF che
sono dabrafenib e vemurafenib, inibitori chinasici. Però si è visto che la loro attività è
implementata se viene associato l’inibitore di MEK1/2 che si chiama trametinib.
Quindi nei pazienti con melanoma che presentano la mutazione di B-RAF questa
associazione è il trattamento di scelta.

FARMACI ATTIVI SU BERSAGLI EPIGENETICI


- Anti DNA-metiltrasferasi
- Nucleosidici: 5-Aza-citidina, 5-Aza-2-deoxicitidina
- Non nucleosidici:Preclinica
- Inibitori delle HDAC
- Ac grassi a catena breve: Vorinostat
- Acidi idrossamici: acido valproico
- Tetrapeptidi ciclici
- Benzamidi
Nota: HAT acetila le code degli istoni, aprendo la struttura cromatinica, HDAC
deacetila le code degli istoni, chiudendo la struttura cromatinica

I farmaci che sono attivi su bersagli epigenetici comprendono quelli che agiscono
contro la metilazione del DNA e farmaci che agiscono contro l’acetilazione degli
istoni quindi anti-metiltransferasici e anti-istone deacetilasi. L’unico farmaco tra
questi che ha avuto un certo uso clinico è il vorinostat, ma anche l’azacitidina che si
usa in neoplasie ematologiche.

Inibitori delle deacetilasi: aumentano l’acetilazione della cromatina ciò fa sì che la


struttura cromatinica resti aperta, permettendo l’accesso ai fattori di trascrizione e
ad altri geni coinvolti in controllo del ciclo cellulare, proliferazione, differenziazione.
Permette l’acetilazione dell’alfatubulina rendendo i microtubuli stabili,
promuovendo l’apoptosi e riducendo motilità cellulare e migrazione.

FARMACI INIBITORI DEL PROTEASOMA

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 57 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
Il Bortezomib è un farmaco ad altissimo costo che è stato introdotto negli ultimi 2-3
anni nella terapia del mieloma modificando significativamente la prognosi di questi
pazienti.
Il proteasoma è un meccanismo alternativo ai lisosomi per la proteolisi
intracellulare, riconosce determinate categorie di proteine, in particolare proteine
anormali, proteine a breve emivita e anche alcune proteine a lunga emivita (via
dell’ubiquitina-proteasoma), invece i lisosomi svolgono altri ruoli come quello di
metabolizzare le proteine di membrana e le proteine derivanti da sostanze esterne
che sono state fagocitate. Il pathway di degradazione attraverso il proteasoma e il
sistema dell’ubiquitina vengono inibiti in da farmaci che appartengono al gruppo dei
dipeptidi ed altri tuttavia l’unico usato è il bortezomib. L’inibizione del proteasoma
determina l’accumulo di numerose proteine intracellulari. L’inappropriato accumulo
di proteine altera l’omeostasi cellulare determinando un blocco del ciclo cellulare e
favorendo l’apoptosi. Le cellule tumorali sono estremamente sensibili all’azione
proapoptotica indotta dagli inibitori del proteasoma.

Meccanismo d’azione
- Stabilizzazione delle proteine coinvolte nella regolazione del ciclo cellulare
- Induzione dell’apoptosi
- Riduzione dei livelli di Bcl-2
- Azione anti-angiogenetica
- Down regulation del pathway di p44/p42 MAPK
- Deplezione delle riserve di ubiquitina nucleare
- Inibizione del pathway di NF-kB

FARMACI INIBITORI DELLA TELOMERASI


La telomerasi è l’enzima che serve a mantenere l’integrità dei telomeri; quanto più
lunghi sono i telomeri tanto più è tutelata la capacità replicante della cellula. Quindi
gli inibitori della telomerasi di fatto alterano questo equilibrio nella replicazione
cellulare, impedendo alla telomerasi di provvedere a mantenere l’integrità dei
telomeri e quindi l’incremento della capacità proliferante.

Imetelstat: è un agente complementare alla regione template del RNA telomerico


(hTR). Inibitore enzimatico competitivo che lega e blocca il sito attivo dell’enzima
(“antagonista del Template telomerasico»)

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 58 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI

AB MONOCLONALI USATI NELLE MALATTIE LINFOPROLIFERATIVE


• Anticorpi anti CD-20
– Rituximab
– Ofatumumab
– 90Y-Ibritumomab tiuxetano
• Anticorpi anti-CD52
– Alentuzumab
• Anticorpi anti-CD30
– Brentuximab
• Anticorpi anti-TNF
– Mapatumumab, Lexatumumab

Quello utilizzato comunemente è il rituximab (anti CD20); è utilizzato nei linfomi


non Hodgkin e anche in alcune malattie autoimmuni. Usati nel trattamento delle
leucemie anche l’alentuzumab (anti CD52) e il brentuximab (anti CD30) farmaco di
recente introduzione usato nei linfomi di Hodgkin refrattari.

FARMACI INIBITORI IMMUNOLOGICI E IMMUNOMODULANTI


Vi sono farmaci utilizzati collateralmente alla terapia oncologica in particolare il GSF
e l’EPO (eritropoietina), che servono a stimolare le colonie di neutrofili e di
eritrociti, e i modulatori della risposta immunologica (comprende anche la terapia
differenziante con acido all trans retinoico, utilizzato sostanzialmente solo nel
trattamento della leucemia promielocitica).

Quello che è emerso negli ultimi tempi è che si comincia a conoscere quali sono i motivi per cui la
risposta immunitaria per i tumori è così deficitaria. Il tumore da un lato e le cellule di supporto
del tumore dall’altro, producono delle sostanza che inibiscono l’attivazione dei linfociti T
citotossici oppure inibiscono la presentazione dell’antigene costituendo una sorta di
barriera intorno alle cellule tumorali che non è superabile dal sistema immunitario
normale. Questa barriera è sostenuta dall’inibizione di alcuni check-point immunologici, dalla
presenza di citochine soppressorie e dalla iperegolazione o alterata regolazione delle cellule
immunitarie.
Circa vent’anni fa, si è cominciato a capire che c’erano dei blocchi alla risposta immunitaria e in
particolare quelli che in questo momento sono più importanti dal punto di vista terapeutico sono
il CTLA-4, il PD1 (che è un recettore), il PD-L1 (che è il ligando del PD1).

Il CTLA-4, che è un antigene associato ai linfociti T citotossici, è una molecola di


superficie delle cellule T helper che ha un ruolo importante nella regolazione della
risposta immunitaria tumorale e si lega sulle cellule APC. L’assenza o la presenza di
CTLA4 può aumentare o sopprimere la risposta T. Svolge un ruolo opposto al CD28
(in particolare l’assenza di CTLA-4 aumenta la risposta T e sostanzialmente va di pari passo con
la presenza di CD28, mentre quando CTLA-4 è presente ed è soppressa la risposta T non c’è il
legame del CD28).
- Quando sul linfocita T non è espresso CTLA-4 ma CD28 c’è una completa
attivazione del linfocita T, la cellula APC interagisce con il CD28 attraverso la
molecola CD80 e questo è in grado di attivare la risposta linfocitaria

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 59 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
- Quando invece c’è il CTLA-4 in qualche maniera esso spiazza il CD28 e
quindi sopprime la risposta T linfocitaria.

Per cui la somministrazione di anticorpi anti-CTLA-4 lo blocca ed è in grado di


attivare il legame del CD28 con il suo ligando. Esistono due anticorpi, uno dei quali
è quello che è attualmente utilizzato ed è l’ipilimumab, farmaco che viene usato nel
melanoma. Negli ultimi 5 anni la prognosi del paziente con melanoma metastatico è
molto cambiata, prima era di pochi mesi; attualmente nei pazientiche hanno una
mutazione di b-raf (circa il 50%) si possono usare dabrafenib e vemurafenib, per tutti
gli altri si può utilizzare questo anticorpo anti CTLA-4, che non ha alte percentuali
di risposte ma può dare delle lunghe sopravvivenze.

Anche un altro check-point, il PD1-PD-L1 è un meccanismo di risposta


immunologica che è inibito in molti tumori e che può essere riattivato, in particolare
nei melanomi.
La cellula tumorale che produce PD-L1 si verifica un legame al PD1; questo legame
porta all’inibizione della risposta immunitaria, ma se si interrompe tale legame con
anticorpi o diretti contro PD1 o contro PD-L1 viene restaurata la risposta
immunologica. I farmaci più importanti di questo gruppo saranno:
• Anticorpi monoclonali anti-PD1
– Pembrolizumab
• Anticorpi monoclonali anti-PD1 e anti-B7
– Nivolumab
• Anticorpi monoclonali anti-PD-L1 (e PD-L2)
– Avelumab

Esistono anticorpi monoclonali anti PD1, che sono pembrolizumab e nivolumab. Entrambi questi
anticorpi sono attualmente in commercio per il trattamento del melanoma e si è visto che la
combinazione di nivolumab e di ipilimumab dà delle risposte e delle sopravvivenze straordinarie
(60-70%) a 10 anni cosa impensabile fino a qualche anno fa. Il problema è che sia il
pembrolizumab, sia il nivolumab, sia l’ipilimumab, costano tantissimo, un ciclo di terapia in
combinazione con l’ipilimumab (sono circa 4-6 somministrazioni) costa circa 70000€, il
nivolumab costa circa 5 volte di più. Non è sostenibile dal sistema sanitario; quindi bisogna
cercare di identificare quali sono i soggetti con il melanoma o con altre neoplasie che sicuramente
risponderanno a questi trattamenti, il problema è che ancora non riusciamo a selezionare bene la
popolazione che è sensibile ad esso, perché la modalità di identificazione del recettore del PD1 o
anche del ligando non è ancora validata ed è ancora piuttosto fumosa.

Esiste anche un altro anticorpo monoclonale che è sia anti PD-L1 sia anti PD-L2 che
si chiama avelumab e che è ancora in fase di sviluppo in particolare per il tumore del
polmone. Invece è stato approvato in Europa, non ancora in Italia, per il trattamento
del carcinoma a cellule di Merkel, una forma di tumore neuroendocrino scarsamente
differenziato molto raro e aggressivo.
Inoltre sono in corso di sviluppo per il tumore del polmone anche il pembrolizumab e
il nivolumab. Il fatto interessante è che gli studi preliminari per il tumore del
polmone hanno fatto vedere che entrambi questi due sono più attivi per il carcinoma
a cellule squamose perchè questo tumore ha un numero di mutazioni che è superiore a
quelle dell’adenocarcinoma e poichè l’attività di questi anticorpi dipende dal numero

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 60 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
di mutazioni, tante più mutazioni ha avuto quel tumore tanto è più probabile che il
sistema immunitario sia inibito con quel meccanismo di blocco delle citochine e
tanto più sono efficaci il pembrolizumab e il nivolumab.

La prossima autorizzazione che ci sarà, probabilmente quest’anno per il nivolumab,


sarà proprio per il carcinoma a cellule squamose del polmone, mentre lo stanno
sperimentando per l’adenocarcinoma. Ci sono dei dati interessanti con il
pembrolizumab con il quale è stato fatto uno studio di dimensioni mostruose,
migliaia di pazienti con carcinoma polmonare a vari stadi, dal III al IV stadio, e con
diversi istotipi, sia con carcinoma a cellule squamose sia con adenocarcinoma.
Lo studio nel complesso non ha avuto un risultato positivo perché c’è stato un
vantaggio per i pazienti che prendevano questo farmaco ma non è stato un vantaggio
statisticamente significativo, ma non lo era proprio perché erano stati messi insieme
vari stadi e vari istotipi di tumore.

Estrapolando soltanto i pazienti che erano a uno stadio IIIb e che quindi avevano fatto
radio-chemioterapia e questo trattamento con anticorpi successivamente, e che non
erano pochi pazienti ma circa 1500, il vantaggio di questo farmaco era inportante.

VACCINI
Le strategie vacciniche che si usano nei tumori sono le seguenti :
- Inserimento nelle linee cellulari tumorali degli Ag necessari per produrre una forte
risposta immunitaria;
- Vaccinazione con cellule dendritiche che espongono peptidi derivati da Ag
tumorali;
- Iniezione di plasmidi di DNA che codificano per un peptide di derivazione
tumorale e/o per citochine;
- Reinfusione di cellule tumorali modificate con apteni o con introduzione di geni che
codificano per citochine.
Esse di fatto non hanno portato a grandi risultati tanto che attualmente, salvo
l’ultima strategia, sono sostanzialmente state abbandonate.

FARMACI CONTRO LE HEAT SHOCK PROTEIN (HSP)


Le Hsp hanno una serie di attività nell’ambito neoplastico e sono numerose, quella
che più ci interessa dal punto di vista oncologico è che sono in grado di regolare la
crescita cellulare e l’attività immunitaria. Ci sono alcune Hsp in fase molto avanzata
di sviluppo proprio per la loro capacità di riattivare la risposta immunitaria.

Proteine clienti di HSP90


• FATTORI TRASCRIZIONALI (recettori degli ormoni steroidei, HIF1, P53)
• PROTEINCHINASI (CDK4/ciclinaD, RAF1, AKT, HER2)

Le HSP possono trovarsi nello spazio extracellulare o in seguito a necrosi o per


esocitosi; quest’ultimo meccanismo sembra avvenire grazie a delle proteine shuttle in
grado di oltrepassare il doppio strato lipidico. Poiché l’uptake del complesso HSP-
peptide è specifico, saturabile e concentrazione dipendente, è stata ipotizzata e
quindi dimostrata la presenza di recettori specifici. I complessi hsp-peptidi, derivati

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 61 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
dalle cellule neoplastiche, vengono internalizzati per endocitosi, processati e
presentati sugli MHC di classe I inducendo l’attivazione dei linfociti CD8.
HSP70, anche in assenza di antigene, può stimolare il rilascio di citochine
proinfiammatorie da parte delle APC inducendo NF-kB.

ALTRI FARMACI ANTINEOPLASTICI


- Inibitori della Farnesil-Trasferasi
Le modificazioni post-traslazionali necessarie per l’attivazione di Ras: Avvengono nel
citosol prima dell’ancoraggio alla membrana cellulare e prevedono la “prenilazione”
mediante l’intervento di farnesil-trasferasi. Pertanto è possibile usare:
• Composti strutturalmente analoghi al Farnesil-pirofosfato
• Composti analoghi al tetrapetide CAAX o peptidomimetici
• Inibitori bi-substrato con entrambe le caratteristiche

- Inibitori delle metallo proteinasi della matrice, Inibiscono le proteinasi che


disgregano la matrice extracellulare ne sono esempi: Marimastat, Batimastat.

- Terapia genica: Vettori adenovirali che trasportano il gene per p53 come Ribozimi:
catene di acidi nucleici in grado di legarsi ad un sito specifico del DNA e di
distruggerlo.

- Bcl-2 antisenso: Oligonucleotide lega l’mRNA prevenendo la traduzione della


proteina.

RESISTENZA AI FARMACI
In tutto l’ambito oncologico ci sono oltre 150 farmaci potenzialmente attivi.
Ma il tumore non si riesce mai a eradicare perché ogni dose di farmaco antitumorale
non uccide un numero costante di cellule, quindi non arriva a ucciderle tutte, ma
alla fine uccide solo una frazione di cellule. Quindi, anche nella migliore ipotesi in
cui il farmaco continua a funzionare, residua una quota minima di cellule che
sopravvive alla terapia. Per non parlare del fatto che ci possono essere dei cloni non
sensibili a quel farmaco. Quindi, dopo ogni dose di farmaco, c’è comunque una certa
ricrescita. Però, ad un certo punto, la curva complessiva tende a scendere, fino a
quando il clone sensibile non si esaurisce e il tumore ricresce fino a raggiungere le
dimensioni precedenti o a superarle.
La resistenza può essere determinata con diversi meccanismi:
• Santuari farmacologici
• Resistenza cinetica
• Resistenza a farmaci singoli: alterazione dei bersagli molecolari
• Resistenza a farmaci che hanno un meccanismo molecolare comune: aumentata
capacità di riparazione del danno
• Resstenza a farmaci che hanno meccanismi diversi: ridotta biodisponibilità

SANTUARI FARMACOLOGICI
I santuari farmacologici sono le sedi anatomiche in cui, per motivi anatomici o
iatrogeni (in genere di tipo chirurgico), il farmaco non raggiunge il bersaglio in
adeguata concentrazione. L’esempio tipico è la BEE, che può essere superata soltanto
da farmaci dotati di liposolubilità. Non viene superata dai farmaci idrosolubili.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 62 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
Un’altra barriera è presente a livello del testicolo (barriera emato-testicolare); molti
farmaci usati nel trattamento delle leucemie acute, non raggiungono in
concentrazione sufficiente il testicolo ciò spesso è causa di recidiva non ematologica.
Esempi, invece, di santuari iatrogeni sono per esempio le recidive di tumore della
mammella nel tessuto circostante ad una plica cutanea in cui spesso non si riesce a
ottenere un risultato terapeutico, anche se questo si ottiene in altri distretti, perché
la presenza della diversa irrorazione a questo livello impedisce l’adeguata perfusione
della regione circostante la cicatrice del lembo cutaneo. La stessa cosa si può dire nel
caso di interventi sull’apparato gastrointestinale, a livello dello stomaco per
esempio, dell’esofago e questo è uno dei motivi per cui, nonostante la terapia
medica non sia così efficace nel cancro dello stomaco e dell’esofago come per quello
della mammella, c’è una fase terapeutica prima dell’intervento chirurgico, perché l a
vascolarizzazione del tumore è integra.

RESISTENZA AI SINGOLI FARMACI


- MTX, Iperespressione di-idrofolato-reduttasi
- 5FU, Iperespressione
- TS; Deplezione “pool” di folati ridotti
- Tecani, Riduzione topoisomerasi I

Tipica è la resistenza al methotrexate. Il bersaglio del methotrexato è la diidrofolato-


reduttasi oppure il bersaglio del 5-FU è la timidilato sintetasi; allora il meccanismo
di resistenza della cellula è aumentare la produzione di diidrofolatoreduttasi. E
quindi, aumentando la produzione di diidrofolatoreduttasi, il metotrexato che viene
somministrato non riesce a inibirla del tutto.

Resistenza a farmaci con meccanismo comune (Alchilanti, Derivati del platino,


Antracicline)
• Attivazione della Glutatione-reduttasi —> inattivazione del farmaco
• Attivazione di enzimi di riparazione (alchil-guanina-DNA-alchiltrasferasi)
Per farmaci che agiscono sulla possibilità di riparare il DNA, pur essendo dal punto
di vista chimico molto diversi, possono esserci resistenze caratterizzate
dall’incremento del meccanismo di riparazione del DNA, per esempio dall’aumento
degli enzimi farmaco metabolizzanti.

RESISTENZA CINETICA
Si riferisce al meccanismo di azione dei farmaci. Ci sono dei farmaci che sono fase-
specifici, che agiscono su una fase del ciclo cellulare. Ci sono farmaci ciclo specifici
che agiscono su tutte le fasi del ciclo cellulare. E farmaci non ciclo specifici.

Farmaci Fase-specifici
Esprimono una curva dose-risposta che è lineare finchè nella neoplasia ci sono
cellule nella fase sensibile del ciclo cellulare e successivamente diventa piatta.
In caso di loro utilizzo il tumore non risponde più quando sono esaurite tutte le
cellule che si trovano in quella fase del ciclo cellulare.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 63 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
Farmaci Ciclo-specifici
Esprimono una curva dose-risposta lineare più o meno ripida a seconda del numero
di cellule in ciclo.

Farmaci non Ciclo-specifici


Sperimentalmente esprimono una curva dose-risposta lineare poiché l’uccisione
cellulare è indipendente dallo stato cinetico e dipende solo dalla sensibilità al
farmaco.

RESISTENZA A FARMACI CON MECCANISMI DIVERSI


Farmaci di origine naturale (Alcaloidi della vinca, Taxani, Antracicline,
Epipodofillotossine, ecc.) —> Iperespressione della glicoproteina p-170
Dal punto di vista evolutivo è il più interessante. Il meccanismo è legato
all’iperespressione della gp170, che, con un meccanismo ATP dipendente, serve a
estrudere i farmaci citotossici. È una proteina che si è altamente conservata nel corso
dell’evoluzione, perché la sua funzione originaria era quella di proteggere gli organismi
monocellulari dalle sostanze tossiche. Questa è una proteina espressa in quasi tutti i
tessuti dell’organismo, in misura diversa, e che ha anche il tumore. Molti tumori
iperesprimono costitutivamente questa glicoproteina, che riconosce tutte le sostanze
di origine naturale, potenzialmente tossiche e le estrude dalla cellula. Questo
meccanismo determina resistenza ai derivati degli alcaloidi della vinca, agli
antibiotici che sono derivati da funghi, a tutti i farmaci che hanno una somiglianza
con sostanze tossiche del mondo naturale.

La resistenza può essere superata utilizzando:


• Polichemioterapia;
• Terapia ad alte dosi con “rescue” biochimico (MTX ad alte dosi);
• Terapia ad alte dosi con fattori di crescita leucocitari;
• Terapia ad alte dosi con infusione di cellule staminali periferiche o midollari;
• Terapia combinata citotossica e diretta contro i bersagli molecolari.

Si possono usare terapie ad alte dosi con infusioni di cellule staminali periferiche
(questo è un procedimento utilizzato nelle leucemie e nei linfomi e nei tumori solidi
solo in casi molto selezionati, cioè nei tumori solidi altamente responsivi, il sarcoma
di Ewing, il tumore del testicolo, quando sono resistenti alla terapia standard), si
possono aumentare le dosi, aiutandosi con fattori di crescita leucocitari.

Per alcuni farmaci esistono meccanismi di prevenzione della tossicità che


consentono di utilizzare il farmaco a dosi molto elevate. Esempio tipico è quello del
metotrexate ad alte dosi, che determina tossicità a livello midollare, intestinale e
renale. La dose letale 50 è di 100 mg/m^2 di superficie corporea. Ma, con una serie
di artifici che prevengono la tossicità, siamo in grado di somministrare dosi che sono
200 volte superiori rispetto alla dose letale, come nel trattamento degli
osteosarcomi, cambiandone la prognosi, e nel trattamento dei linfomi con
localizzazioni cerebrali.
Sappiamo che il metotrexate è un antagonista dell’acido folico e l’acido folico è
quindi l’antidoto del metotrexate. Bisogna trovare la strategia per somministrare il
metotrexate ed evitare che dia l’effetto collaterale.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 64 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
Il secondo effetto collaterale, oltre a quello midollare e sull’epitelio intestinale, che è
antagonizzato dall’acido folico, è il danno renale perché il mtx ad alte dosi determina
una insufficienza renale irreversibile, una tubulopatia, una tubulonecrosi, nel giro di
una settimana. Questo perché il mtx forma dei cristalli che precipitano nei tubuli
renali. Per evitare la precipitazione dei cristalli nei tubuli renali sono necessarie due
cose:
1. Alcalinizzare le urine
2. Aumentare il flusso urinario

Si aumenta il flusso urinario aumentando l’apporto idroelettrolitico, fino anche a


5-6.000 ml al giorno, corretto con bicarbonato, in modo che le urine siano
abbondanti e alcaline. Il fatto che il mtx sia molto diluito e che trovi nel rene un
ambiente alcalino impedisce la precipitazione.
Poi dobbiamo trovare la finestra adeguata prima di somministrare l’antidoto per
evitare il danno midollare e all’epitelio. In genere 24 h dalla somministrazione sono
sufficienti perché il mtx esplichi il suo effetto dannoso a livello del tumore, ma non
esplichi l’effetto tossico irreversibile a livello dei leucociti e dell’epitelio intestinale.

I maggiori rischi di questo approccio saranno:


• Che non venga adeguatamente sorvegliato il flusso urinario e
l’alcalinizzazione delle urine. Basta che i liquidi non siano di 3000 ml per
metro quadro di superficie corporea ma di 1550 o che il ph scenda a 7 e il
rene viene comunque danneggiato
• Se il medico non è esperto in questo trattamento, parte subito con l’antidoto,
dopo 6 h, ed è come se non glielo avesse fatto il mtx.

BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________
- Sbobinature Prof Barone aa 2014/2015
- Sbobinature Prof Barone aa 2015/2016


ELEMENTI DI ONCOLOGIA 65 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
CAPITOLO 6
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TERAPIA ADIUVANTE VS NEOADIUVANTE
TERAPIA ADIUVANTE TERAPIA NEOADIUVANTE
Aumento della frazione di crescita dopo Trattamento sistemico prima dell’intervento; Si ha:
l’intervento: Possibile incremento di efficacia. Albero vascolare indenne, No deficit immunitari
Obiettivi: 
 post-operatori; Valutazione “in-vivo”.
- aumento ILM Obiettivi:
- aumento SG - aumento ILM e SG
Rischi:
 - intervento conservativo più radicale
- Tossicità per tutti i pazienti Rischi:
- Tossicità a lungo termine - tossicità per tutti i pazienti
- dilazione dell’ intervento

A volte i termini adiuvante e neoadiuvante sono usati in maniera scorretta anche dai
medici o dai chirurghi. Perché per il chirurgo la terapia adiuvante ha la radice di
adiuvare, quindi aiutare e la intende come una terapia che aiuta il paziente. Invece è
adiuvante nel senso che aiuta il chirurgo perché si fa dopo l’intervento chirurgico
quando esso ha tolto tutto il tumore, non serve a ridurre le dimensioni del tumore ed è
adiuvante nel senso che aiuta ad aumentare le percentuali di guarigione ottenibili con
l’intervento chirurgico. Quindi quando noi parliamo di terapia adiuvante parliamo di
una terapia che si fa dopo la chirurgia solo se è stata radicale altrimenti la terapia è
palliativa.

La terapia neoadiuvante è la terapia che si fa prima del trattamento locale, che in


genere è un trattamento chirurgico ma potrebbe essere anche la radioterapia e anche
in questo caso ci sono delle cose che vanno precisate. La terapia neoadiuvante è
diversa dalla cosiddetta terapia di conversione. Se io faccio terapia neoadiuvante si
tratta di un tumore che comunque è operabile radicalmente e gli faccio la terapia
neoadiuvante in primis per permettergli di fare un intervento conservativo invece che
demolitivo e in secundis per incrementare le probabilità di successo della terapia.
I due esempi tipici sono l’osteosarcoma o il tumore della mammella. Per quanto
riguarda l’osteosarcoma posso operarlo con un intervento demolitivo e poi fare la
terapia adiuvante dopo oppure fare la terapia neoadiuvante prima e poi operarlo e
continuare la terapia post-operatoria. Le percentuali di guarigione sono quasi uguali,
forse leggermente più alte nel secondo caso ma la cosa fondamentale è che se faccio
terapia neoadiuvante nell’80-90% dei casi il paziente mantiene l’arto. Stessa cosa nel
cancro della mammella. Per esempio se ho un tumore della mammella di 4 cm che è
operabile si fa la mastectomia radicale solitamente associata a linfoadenectomia,
altrimenti se faccio la terapia neoadiuvante, io riduco il tumore e sono in grado di
fare una quadrantectomia e la linfoadenectomia eventualmente. Quindi nel secondo
caso ho un intervento meno invasivo, più conservativo e esteticamente più
accettabile però sostanzialmente la sopravvivenza è uguale.

Presupposti biologici
La terapia adiuvante si basa sul fatto che dopo l’intervento chirurgico le
micrometastasi residue costituendo un volume tumorale relativamente ridotto
hanno una spinta proliferativa relativamente maggiore (si pensi alla curva sigmoidale che
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 66 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 1: CONCETTI GENERALI
rappresenta la crescita delle cellule tumorali) grazie alla quale è evidente che nella massa
tumorale c’è una frazione di crescita esponenziale correlata alle dimensioni del
tumore: se il tumore è piccolo cresce esponenzialmente, se ha dimensioni maggiori
no.
Quindi quando cresce esponenzialmente significa che la frazione di crescita è
maggiore e poichè i farmaci che noi usiamo in oncologia agiscono prevalentemente
su cellule che sono in ciclo, cioè che si stanno replicando, tanto maggiore è la
frazione di crescita tanto maggiore è la frazione di cellule che sono uccise.
Detto in termini moderni si potrebbe dire che sfrutta la fine dell’ibernazione delle cellule
dormienti perché molte cellule staminali tumorali sono dormienti, si risvegliano e ricominciano a
crescere quando si riduce la massa tumorale con l’intervento chirurgico. Di conseguenza agendo
in un tumore in cui la frazione di crescita è aumentata è possibile che l’efficacia sia aumentata.

Gli obiettivi della terapia adiuvante sono l’aumento della sopravvivenza globale e
dell’intervallo libero da malattia, mentre i rischi sono tossicità a lungo termine e
tossicità per tutti i pazienti. Infatti quando si esegue una terapia post-operatoria
essa è basata sul presupposto statistico che in quella determinata situazione
recidiveranno circa il 30-40% dei pazienti operati. Con la terapia adiuvante si riesce
a rendere radicale l’intervento anche microscopicamente o detto in altri termini vado
ad aggiungere alla sopravvivenza ottenuta con l’intervento chirurgico il 10%. In
sintesi per 100 pazienti trattati il vantaggio si verifica in 10 pazienti. Allo stato
attuale è una terapia alla cieca.
L’esempio tipico è il tumore della mammella con linfonodi positivi o quello triplo negativo, perché
in questi casi faccio la chemioterapia adiuvante, che funziona, nel senso che aumenta la
sopravvivenza intorno al 10-12%, ma ne devo trattare 100 per avere un tale vantaggio, quindi
contemporaneamente ho un’ottantina di pazienti che hanno solo effetti collaterali, il problema è
che non so quali saranno dei pazienti che tratto.

Per la terapia neoadiuvante il discorso è un po’ diverso. Con essa si sfrutta il


principio di rendere più precoce il trattamento sistemico e quindi, se ci sono dei cloni
cellulari che col tempo potrebbero diventare resistenti, prima inizio il trattamento
meno probabilità ho di avere questi cloni resistenti.
Utilizzo un albero vascolare indenne, non c’è il problema del deficit immunologico
post-operatorio, ma la cosa più importante è possibile valutare in vivo la sensibilità.
Gli obiettivi sono: aumento dell’intervallo libero da malattia e della sopravvivenza
ma fondamentalmente la possibilità di poter fare un intervento conservativo e con
margini di radicalità maggiori. Anche qui i rischi sono la tossicità per tutti i pazienti
e si aggiunge il dilazionare l’intervento e questo è un rischio che va valutato caso per
caso. La terapia neoadiuvante va presa in considerazione quando è presente
un’elevata probabilità di risposta, inoltre qualora si verificasse l’assenza di risposta
nei pz trattati si può sempre eseguire un intervento chirurgico di salvataggio. È utile
nel trattamento di tumore della mammella, osteosarcoma, tumore dello stomaco e
tumore del retto (in questo caso si tratta di radioterapia).

BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________
- Sbobinature Prof Barone aa 2014/2015
- Sbobinature Prof Barone aa 2015/2016


ELEMENTI DI ONCOLOGIA 67 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
CAPITOLO 7
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PRINCIPI DI RADIOTERAPIA

Lo scopo della radioterapia è quello di depositare una dose di radiazioni su una


neoplasia microscopicamente evidente o in una regione dove si presume possa
esserci la presenza di cellule neoplastiche, con il minimo interessamento dei tessuti
sani vicini, con l'intento di eradicarla conservando l'integrità organo e la sua
funzione.
Un secondo obiettivo, non meno importante, è quello di migliorare la qualità di vita
dei pz e di favorire la palliazione dei sintomi causati dalla patologia neoplastica,
come dolore, limitazioni funzionali con una morbidità minima.


Attualmente la radioterapia contribuisce al miglioramento dei risultati della terapia
oncologica grazie all'integrazione con la terapia chirurgica e la chmioterapia.

In base alle necessità terapeutiche la radioterapia può essere definita:

- Preoperatoria: quando ha lo scopo di ridurre la massa del tumore, consentendo un
miglior approccio chirurgico ed una maggiore possibilità di radicalità del tra amento.

- Intraoperatoria: quando è finalizzata ad ottenere una maggiore radicalità
chirurgica, si svolge depositando sulle o tumorale o sul residuo tumorale un'elevata
dose di radiazioni, tramite lo stesso accesso chirurgico ed avendo cura di dislocare i
tessuti sani circostanti.

- Postoperatoria: quando ha la funzione di consolidare il risultato dell'asportazione
chirurgica mediante l'irradiazione del le o tumorale o delle stazioni linfatiche drenati
il tumore.

La radioterapia inoltre si associa alla chemioterapia potenziando gli effetti della
stessa.

La radioterapia è definita:

- Concomitante: quando è somministrata contemporaneamente alla chemioterapia

- Sequenziale o alternata: quando le terapie si eseguono in successione

Inoltre la radioterapia può essere:

- Eradicante: quando mira ad eliminare completamente il tumore

- Adiuvante: quando mira a prevenire la recidiva della malattia dopo aver e effettuato
l'intervento principale

- Neoadiuvante: quando serve a ridurre la massa tumorale altrimenti non operabile

- Palliativa: quando serve ad alleviare i sintomi del pz


Tanto più l'approccio terapeutico è integrato e multidisciplinare tanto maggiore è la


probabilità di successo ma anche il rischio di tossicità del trattamento.

La radioterapia viene normalmente somministrata in molteplici sedute giornaliere
della durata di pochi minuti. Mentre nei trattamenti palliativi la durata non supera
1-2 settimane, nei trattamenti integrati si arriva a 5-6 settimane ed in quelli
esclusivi anche ad alcuni mesi.

Più è alta la dose di radiazione somministrata e più è alta la probabilità di controllo
della malattia ma anche la possibilità di produrre effetti collaterali negli organi vicini
alla neoplasia.


ELEMENTI DI ONCOLOGIA 68 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
La dose irradiata si misura in Gray (Gy) e viene riferita ad un punto posto all'interno
della neoplasia o della zona a rischio di ripresa della malattia.

MECCANISMO D'AZIONE
L'irradiazione di un sistema biologico deposita una quantità di energia nei tessuti,
essa è misurata in Gy. 1 Gy rappresenta l'energia di 1J rilasciata su una massa di
1Kg. L'irradiazione di un tessuto determina una successione di eventi che si
realizzano in tempi molto diversi tra loro. Riconosciamo:

- Fase fisica, nella quale avviene l'interazione tra la radiazione ed i singoli atomi del
tessuto in questione, essa dura tra i 10^-18 e i 10^-6 secondi. L'interazione
avviene principalmente a livello degli orbitali elettronici dove, gli elettroni, vengono
spesso eccitati, provocando la ionizzazione dell'atomo di appartenenza. La
ionizzazione di un atomo innesca una cascata di eventi che può coinvolgere anche gli
atomi circostanti. Si stima che 1 Gy possa indurre più di 10^5 ionizzazioni in una
singola cellula.

- Fase chimica, nella quale gli atomi e le molecole danneggiate interagiscono con le
altre strutture cellulari innescando la produzione di radicali liberi, specialmente
dalle molecole di acqua che sono molto rappresentate nei tessuti biologici. Nel
primo millisecondo dopo la radiazione, nell'organismo colpito, si instaura una
condizione di equilibrio tra le reazioni che consolidano il danno biologico e le
reazioni che tendono alla sua riparazione (scavenging, come glutatione, cisteina,
antiossidanti).
- Fase biologica, qualora il danno causato dalle radiazioni fosse irreparabile si
manifesteranno importanti conseguenze biologiche. I danni più importanti da
questo punto di vista sono quelli inflitti alle molecole di DNA, infatti un loro
danneggiamento irreparabile porta a morte cellulare nel giro di poco tempo. Se la
cellula danneggiata è una cellula progenitrice, il danno si manifesterà a distanza di
diverse settimane dall'irradiazione. Altri danni tardivi sono quelli che comportano la
distrofia dei tessuti irradiati o ancora la comparsa di un tumore secondario. Il
periodo d'insorgenza degli effetti biologici quindi può estendersi da un periodo
immediatamente successivo all'irradiazione no a diversi decenni.
Il danno al DNA può essere prodotto in maniera diretta (la radiazione colpisce
direttamente la molecola ionizzandola) o indiretta (grazie all'azione dei radicali
liberi). I danni più frequenti sono:
- modifica di una singola base

- SSB, single strand break, rottura di un singolo filamento

- DSB, double strand break,rottura del doppio filamento

- cross-link tra DNA e proteine


La dose di 1 Gy è capace di indurre in una cellula circa 2000 danni di una singola
base, 1000 SSB, 40 DSB e 200 cross-link. La quota di cellule che vanno in contro a
morte è correlata principalmente al numero di DSB che comportano processi mitotici
aberranti e l'attivazione dell'apoptosi. Un'altra quota di morte cellulare sembra
indotta dalla necrosi dovuta al massivo danno cellulare provocato dalle radiazioni, si
pensa inoltre che la maggior parte della morte cellulare dei tessuti irradiati sia
dovuta a questo meccanismo.

L'azione terapeutica della radioterapia risiede nella diversa capacità di sopravvivenza
alle radiazione che i tessuti sani hanno rispetto alle cellule tumorali e nella capacità

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 69 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
di indirizzare i raggi specialmente sul tumore, risparmiando il più possibile il
tessuto sano.


Il controllo del tumore con una dose crescente


di radioterapia viene in genere rappresentato
da una curva dose-risposta.

Analogamente si dispone di una curva per i
tessuti sani che indica la comparsa di effetti
tossici. La finestra terapeutica rappresenta la
possibilità di somministrare una dose
sufficiente a garantire il controllo della malattia
con un livello accettabile di effetti tossici acuti
e tardivi.
Minore è la distanza tra le due curve, minore è la possibilità di controllo, maggiore è
la distanza migliore è la possibilità di controllo senza importanti effetti collaterali.

Una crescente attenzione è stata posta dalla ricerca a tutte quelle condizioni che
permettono di allontanare tra di loro le due curve, come la sensibilizzazione
chemioterapiche delle cellule ipossiche (in genere meno responsive alla RT),
modalità di somministrazione della dose (frazionamento).

I principali fattori biologici che influenzano la risposta del tessuto sano alla
radioterapia vengono classicamente riassunti nelle 5R:

- Riparazione del danno a livello cellulare che segue le prime ore dopo l'irradiazione.
È caratteristica per i singoli tessuti sani e malati. Una dose di radiazioni può
determinare una certa percentuale di morte cellulare che diminuisce se la stessa
dose viene refratta. Se le cellule sane subiscono un danno sub-letale sono in grado di
ripararlo a differenza delle cellule tumorali. Inoltre le radiazioni agiscono più sulle
cellule in viva replicazione e meno su quelle in uno stato di quiete. Sfruttando
queste caratteristiche e frazionando le dosi di radiazioni si colpiscono
prevalentemente le cellule tumorali e si da il tempo ai tessuti sani di riparare i
danno. Le fasi più sensibili al danno di riparazione sono la G2 e la M mentre la più
resistente è la fase S.
- Redistribuzione delle cellule nelle varie fasi del ciclo cellulare, con una maggiore
durata del ciclo e una maggiore sincronizzazione con reclutamento delle cellule in
fase quiescente a quella attiva. Le cellule quiescenti che sopravvivono alla terapia
frazionata (anche quelle tumorali) possono proliferare attivamente e determinare un
aumento della componente cellulare che doveva essere eliminata.
- Ripopolamento: sembra avvenire a 2 settimane dall'inizio della radioterapia in cute
e mucose e a 3-4 settimane per i tumori della testa e del collo. Il controllo della
malattia è più probabile quanto è minore il frazionamento della dose. Dosi troppo
refratte possono portare ad un mancato controllo della malattia, specialmente per
lesioni di grosse dimensioni che presentano un solido core ipossico. Le lesioni di
piccole dimensioni sono in genere ben ossigenate e quindi molto sensibili alle
radiazioni. Man mano che la terapia va avanti la massa tumorale si riduce e le cellule
del core diventeranno meno ipossiche e più sensibili alla terapia radiante.
- Riossigenazione: varia a seconda del tipo neoplastico, come già detto la riduzione
della massa tumorale causa una decompressione dei vasi che la irrorano causando
un maggior afflusso di sangue e nutrienti. La morte delle cellule danneggiate inoltre

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 70 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
andrà a ridurre la competizione per l'approvvigionamento dell'ossigeno, aumentando
il suo utilizzo da parte delle cellule neoplastiche con un aumento della sensibilità
alla radioterapia.
La riparazione ed il ripopolamento tendono a determinare una resistenza del tessuto
alle radiazioni mentre la riossigenazione e la ridistribuzione lo rendono più
sensibile.

- Radiosensibilità complessiva del tessuto: dipende da quanto esposto sopra e dalle
caratteristiche intrinseche del tessuto. Alcuni tumori sono molto sensibili, come nel
caso di linfomi, mielomi e neuroblastomi, altri in maniera intermedia, come
medulloblastoma e microcitoma, altri addirittura resistenti, come l'osteosarcoma ed
il glioblastoma.

La radioterapia è considerata un'arma a doppio taglio perché, anche se molto efficace


ha come rovescio della medaglia una maggior incidenza di tumori radioindotti nei pz
irradiati. Da vari studi si è stabilito che per l'irradiazione total body di 1Gy il rischio
di sviluppare tumori aumenti dell'8% anche se si osserva un plateau dopo i 2,5Gy.
Nei trattamenti radioterapici il ricorso a dosi frazionate, l'esposizione di volumi
limitati dell'organismo e l'età avanzata dei pz determinano un'incidenza d'insorgenza
di nuovi tumori nei tessuti sani del'1-2% per Gy con plateau intorno ai 4Gy.

DOSE E FRAZIONAMENTO
Un fattore determinante per la risposta dei tessuti al tumore è la dose radioterapica.
La sua efficacia biologica dipende dalla complessa interazione tumore-pz. Diverse
teorie hanno cercato di individuare i paramentri per razionalizzare questo rapporto.
Attualmente il modello più in voga è quello lineare quadratico che prevede
molteplici meccanismi di danno cellulare e nello specifico:

- Il danno letale da origine ad una curva lineare (comporta la necrosi immediata delle
cellule interessate, più importante per basse dosi per frazione)

- Il danno subletale da origine ad una curva esponenziale, quindi quadratica
(comporta la morte per apoptosi in un periodo più lungo più evidente per alte dosi
per frazione).


Il punto d'incontro delle due curve permette di definire la dose per frazione per la
quale i due effetti hanno lo stesso impatto. Questo valore di dose è definito rapporto
alfa/beta ed indica la capacità delle cellule del tessuto in indagine di riparare il
danno. Un valore alto, tra i 7 e i 20 Gy indica un tessuto che esprime il danno in un
periodo di giorni o settimane (cute, mucose e tessuti ad alto indice di
proliferazione), un valore basso, < di 6 Gy indica un danno che può essere espresso
anni o mesi dopo l'irradiazione (SNC rene, polmone).

La D0 rappresenta la singola dose in grado di uccidere il 63% delle cellule irradiate,
in genere per cellule ossigenate umane è compresa tra 1-2 Gy.

La D10 è la dose necessaria a ridurre di un decimo o di un punto esponenziale in
scala logaritmica il numero di cellule clonogene irradiate. In genere è di circa 7 Gy.

Per definire correttamente la dose totale necessaria con un determinato
frazionamento, per controllare la singola neoplasia, assume notevole importanza la
quantità di tumore che si deve irradiare. Essendo la massa di una cellula tumorale di
circa 10^-9g, in 1g di tumore sono presenti circa 10^9 cellule tumorali, in 1Kg
circa 10^12. Quindi per controllare un tumore di un grammo con un tra amento

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 71 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
tradizionale (2Gy/die) dovrebbero essere suffcienti 45Gy, 84Gy per un tumore da 1
Kg. Dosi di 45-50 Gy sono in grado di controllare la maggior parte dei casi di
malattia subclinica, cioè agglomerati cellulari non evidenziabili neanche
microscopicamente. In caso di malattia macroscopica dosi di 60-70 Gy sono
necessarie per neoplasie di 1-2 cm di diametro e 80Gy per quelle oltre i 5 cm.

Per le malattie ematologiche le dosi richieste sono molto inferiori, intorno a 20-40
Gy, mentre per quelle gliali o mesenchimali le dosi richieste sono maggiori.

Negli ultimi anni si è posta sempre più attenzione alla modalità del frazionamento
della dose irradiata. Si intende come frazionamento tradizionale la somministrazione
di 1,8-2 Gy per 5 giorni alla settimana. I due giorni di pausa settimanale favoriscono
la riparazione del danno prodotto nei tessuti sani e quindi aumentano la tollerabilità
del trattamento, mentre le cellule tumorali hanno una velocità di riparazione molto
più lenta che non riesce ad essere portata a termine nei 2 giorni di pausa.

I frazionamenti accelerati sono quelli che prevedono un'erogazione di più di 10 Gy


alla settimana, mentre negli iperfrazionamenti la dose erogata è inferiore a 1,8 Gy ed
il numero delle sedute è > di 1 al giorno. Giostrare i vari frazionamenti consente al
radioterapista di ottenere delle finestre terapeutiche per le singole situazioni
cliniche.

Possiamo inoltre dire che:



- Le dosi giornaliere elevate (ipofrazionamento) causano effetti collaterali acuti e
tardivi maggiori rispetto alle dosi ottenute con il frazionamento classico.

- L'ipofrazionamento è utilizzato con maggiore frequenza nella terapia palliativa
dove l'insorgenza di effetti collaterali tardivi assume un'importanza secondaria
rispetto al miglioramento immediato della qualità di vita del pz che comunque è
destinato a morire.

- Aumentando la dose della singola seduta si riduce anche la tossicità tardiva nei
tessuti sani, questo permette, previo maggior recupero da parte dei tessuti sani, di
somministrare una dose complessiva maggiore di radiazioni. Si stima infatti che la
riparazione nei tessuti sani sia completata dopo 6 ore. Somministrando 2 dosi da 1,2
Gy a distanza di 6 ore nella stessa giornata si prevede un minore danno per i tessuti
sani ed una maggior effcacia sui tessuti tumorali.

- In questo modo può essere somministrata una dose totale maggiore rispetto a
quella somministrata con il frazionamento tradizionale, con effetti collaterali
sovrapponibili ma una maggiore efficacia nel controllo della malattia.

- I frazionamenti accelerati servono a ridurre il tempo della terapia con lo scopo di
ridurre la possibilità del ripopolamento tumorale che interviene dopo alcune
settimane dall'inizio della terapia.

TARGETING RADIOTERAPICO
La riuscita della radioterapia presuppone la capacità di riuscire ad indirizzare la
radiazione selettivamente sulla neoplasia. Il processo di targeting nella RT negli
ultimi anni ha fatto passi da gigante potendo avvalersi di nuove tecniche che
consentono di indirizzare la dose sul bersaglio con estrema precisione.
Uno dei maggiori problemi del targeting in radioterapia è quello che concerne il
riposizionamento del pz, dato che la RT si svolge in più sedute. Infatti è importante

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 72 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
che il pz sia posto nella medesima posizione per tutte le sedute, posizione per la
quale si è elaborato il piano terapeutico.

Inoltre la mobilità di alcuni organi, cuore, polmoni, visceri intestinali, e le modifiche
del pz come un importante dimagrimento, la riduzione del volume tumorale, hanno
comportato la necessità di elaborare nuove tecniche per irradiare bersagli in
movimento.

Pertanto, nella pianificazione terapeutica occorre definire diversi volumi che saranno
il bersaglio della terapia. Tra questi ricordiamo:

- GTV, Gross Tumour Volume, indica il tumore macroscopicamente visibile
all'imaging;

- CTV, Clinical Target Volume, comprende il volume corporeo nel quale si ritiene
possibile la presenza di cellule tumorali, anche se invisibili macroscopicamente, che
possono comportare la comparsa di recidive. Può comprendere il letto tumorale, i
linfonodi drenanti il distretto tumorale o addirittura l'intero compartimento nel
quale il tumore si è sviluppato.

- IM, Internal Margin, è un volume che si deve aggiungere al CTV per i movimenti
che il bersaglio può avere durante la seduta o tra una seduta e l'altra.

- EM, External Margin, è da aggiungere al precedente per comprendere le modifiche
di posizione che i pz possono assumere durante le singole sedute.

- PVT, Planning Treatment Volume, è la somma di IM ed EM. La dose somministrata
deve comprendere ciascun punto del PTV perché ciascun punto di questo volume
può essere sede di neoplasia.

- IV, Irradied Volume, rappresenta il volume dell'organismo realmente irradiato che
necessariamente è più grande del PTV per poter garantire un adeguato trattamento.

- BTV, Biological Target Volume, rappresentano all'interno del GTV le regioni
identificate come neoplasia resistente, questo volume ci lascia la possibilità di
irradiare in maniera disomogenea la lesione in modo da andare a colpire con più
potenza le aree ipossiche e meno sensibili della malattia.


MODALITA' DI ESECUZIONE
La RT viene somministrata mediante due modalità che si distinguono per la
posizione della sorgente rispetto al pz:
- la teleterapia prevede che la sorgente sia posta all'esterno del pz (acceleratore
lineare)

- la brachiterapia prevede che la sorgente sia interna al pz. Essa prevede che le
sorgenti siano a diretto contatto con il tumore. Esse sono aghi, spirali, sfere, di
piccole dimensioni tali da poter essere introdotte attraverso le cavità naturali, a
ridosso della neoplasia o nella neoplasia stessa. La dose rilasciata dalla brachiterapia
decresce molto rapidamente allontanandosi dalla regione sorgente risparmiando
moltissimo i tessuti limitrofi. Questo tipo di terapia non è indicato nelle lesioni
molto voluminose e nelle neoplasie che presentano metastasi a distanza, mentre è
l'approccio di scelta nelle neoplasie iniziali del cavo orale, cute, esofago, cervice
uterina. Il trattamento viene eseguito utilizzando sorgenti a diversa carica
radioattiva e può durare giorni in quelli a bassa dose o pochi minuti in quelli ad alta
dose. Un'ultima possibilità di brachiterapia è quella metabolica. L'applicazione più
comune è la terapia radiometabolica con I131 del cancro della tiroide.


ELEMENTI DI ONCOLOGIA 73 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
TECNICHE DI RADIOTERAPIA

- Radioterapia conformazionale o RT-3D : consente di somministrare la dose
basandosi sulla rappresentazione tridimensionale del bersaglio e della dose stessa
ricavata da immagini TC acquisite con il pz posto nella posizione di trattamento,
tramite appositi programmi di visualizzazione. Per eseguire una RT-3D occorre
acquisire una sequenza TC del volume corporeo che si vuole irradiare posizionando
il pz sul lettino con gli stessi immobilizzatori che si utilizzeranno durante il tra
amento. Si procede poi alla contornazione del bersaglio e degli OAR. Terminata la
contornazione si interagisce con il sistema indicando la disposizione dei singoli fasci
radianti e delle lamelle del sistema di collimazione dell'acceleratore lineare.

Con una RT-3D e adeguata nel migliore dei modi è possibile incrementare la dose
prescritta con maggior controllo locale della malattia, mantenendo invariato il
rischio di tossicità.
La superiorità della RT-3D rispetto alla radioterapia tradizionale è stata dimostrata
sotto molti punti di vista, e per molte sedi anatomiche, evidenziando un maggior
controllo della malattia ed una minore incidenza di tossicità.

- Radioterapia ad intensità modulata (IMRT): è una forma più avanzata di


radioterapia conformazionale che permette la somministrazione di dosi al bersaglio
complessivamente più elevate, rispetto alla RT-3D, permettendo allo stesso tempo di
irradiare meno gli OAR. Infatti con le tecniche IMRT è possibile realizzare
distribuzioni complesse di dose, anche con concavità al suo interno che si
conformano più strettamente ai volumi tumorali. È possibile inoltre sovradosare i
volumi che corrispondono alle regioni tumorali meno responsive, come quelle
ipossiche o ad alta proliferazione, in una singola somministrazione ( radioterapia
con boost concomitante SIB).
Uno dei più grandi risultati di questa metodica è la creazione di volumi concavi che
permettono di risparmiare dall'irradiazione strutture come il midollo spinale nel
trattamento dei tumori della prostata o delle gh salivare nei tumori
otorinolaringoiatrici. Rispetto ad un tra amento in RT-3D sono richiesti tempi di
pianificazione e di esecuzione molto più lunghi, che tendono ad aumentare
all'aumentare della complessità del tra amento. Gli impieghi maggiori sono:
- Tumori prostatici

- Tumori otorinolaringoiatrici

- Mesoteliomi

-Tumori nei quali la tecnica standard non riesce a salvaguardare
adeguatamente gli OAR

I principali effetti collaterali sono dovuti alla maggiore distribuzione di basse dosi di
radiazioni a livello degli OAR. Ad esempio nella terapia di masse addominali
l'intestino tenue (OAR) potrebbe ricevere radiazioni diffusamente e dare origine ad
effetti tossici. A livello polmonare inoltre l'interfaccia aria parenchima può rendere
difficile il calcolo delle dosi assorbite.


- Radioterapia 4D, RT-4D: comprende l'insieme eterogeneo e complesso di


tecnologie che hanno in comune la finalità di ottimizzare il trattamento del bersaglio
e degli organi a rischio tenendo conto della loro posizione, delle loro dimensioni e
forma che si vengono a determinare nel tempo.

In questo tipo di RT rivestono una particolare importanza tutte quelle metodiche

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 74 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
che cercano di ridurre la variabilità tra una seduta e l'altra, soprattutto nelle terapie
che prevedono un iperfrazionamento.

La disponibilità di TC che tengono conto del movimento degli organi consente una
definizione del volume di irradiazione più accurata. Inoltre si cerca di consigliare al
pz di non eseguire respiri troppo profondi, cosa poco attuabile in pz non collaboranti
e/o debilitati.

Il gating respiratorio permette l'acquisizione di una sequenza di immagini dell'atto
respiratorio e di identificare il bersaglio in relazione a dei reperi ben definiti. Questo
permette di irradiare l'obbiettivo solo quando la posizione dell'obbiettivo e dei reperi
sono ottimali.

- Radioterapia 5D, RT-5D, la comparsa dell'imaging molecolare e funzionale ha
comportato la comparsa di un nuovo target volumetrico, il BTV. Questo identifica,
all'interno della massa tumorale le regioni dotate di una maggiore radioresistenza o
di una maggiore capacità proliferativa. È possibile dunque adattare il trattamento ai
diversi comportamenti biologici della neoplasia. Un'altra applicazione della RT-5D è
il monitoraggio delle variazioni di risposta biologica al trattamento durante il
periodo di somministrazione. È possibile infatti, mediante l'esecuzione di PET-TC,
capire quali zone potrebbero avere un maggiore beneficio dall'aumento della dose
irradiata in base alla risposta ottenuta.

- Radiochemioterapia concomitante: nei primi tempi chemio e radioterapia avevano
scopi differenti. Mentre la chemioterapia si arrogava il compito di eradicare la
malattia, alla radioterapia era a dato il compito del controllo locale e le due terapie
venivano usate con un approccio sequenziale o alternato. Attualmente la terapia
concomitante prevede l'utilizzo simultaneo di radio e chemio terapia dato che,
diverse sperimentazioni hanno dimostrato che esse hanno tra di loro un effetto di
potenziamento. Oltre all'aumento dell'efficacia però si è spesso verificato un
aumento della tossicità, ciò significa che il pz in cui è effettuata una terapia
concomitante deve essere sottoposto ad uno più stretto follow up.


I principali farmaci utilizzati in terapia concomitante saranno:


- 5 Fluoro-uracile: Data la breve emivita del 5FU l'infusione continua sembra essere
la migliore modalità di somministrazione per sfruttare l'effetto radiazione-farmaco.
Il suo utilizzo ha solide evidenze nel trattamento dei tumori dell'apparato
gatrointestinale, tumori della testa e del collo nonché della cervice uterina.
- Cisplatino, somministrato insieme alla radioterapia ha mostrato un aumento della
sopravvivenza in diversi studi randomizzati nelle neoplasie della testa e del collo e
della cervice uterina. La principale controindicazione è rappresentata
dall'infiammazione eccessiva delle mucose intestinali e orali, nonché nausea e
vomito. Il carboplatino, un derivato del cisplatino, sembra avere minori effetti
collaterali. Il meccanismo dell'interazione tra farmaco e radioterapia sembra essere
indipendente dal timing della somministrazione del farmaco.
- Mitomicina C, è usata in combinazione con radioterapia e 5FU nella terapia delle
neoplasie del canale anale e da sola nelle neoplasie della testa e del collo
evidenziando un miglioramento della sopravvivenza. Essa viene attivata all'interno
della frazione ipossica del tumore compensando in questo modo la minore
sensibilità di questa frazione alle radiazioni.


ELEMENTI DI ONCOLOGIA 75 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
- Brachiterapia: le sorgenti radioattive sono poste all'interno del pz a ridosso della
neoplasia. Attualmente le sorgenti utilizzate sono rappresentate da Ir192, I131, e
sono predisposte dalle industrie aghi, sfere di piccole dimensioni tali da poter essere
introdotti attraverso le cavità naturali a ridosso della neoplasia. La brachiterapia può
essere:
- endoluminale
- endocavitaria
- interstiziale


La dose rilasciata dalla brachiterapia decresce rapidamente all'aumentare della


distanza dal punto di applicazione, pertanto risparmia moltissimo i tessuti limitrofi
alla regione irradiata.


- Radioterapia intraoperatoria IORT: consiste nella somministrazione di una singola
dose elevata di radiazioni al tumore residuo o alle aree ad elevato rischio di recidiva,
esposte tramite manovre chirurgiche. La IORT prevede una singola seduta, in genere
preceduta o seguita da una RT a fasci esterni. Essa consente in questo modo di
realizzare un boost selettivo sul volume tumorale.

I vantaggi tecnici della IORT consistono nel controllo visivo del distretto irradiato e
nella possibilità di proteggere gli OAR spostandoli dalla traiettoria del fascio.

La tossicità locale è in genere molto bassa, è correlata alla dose ed al tipo di
strutture anatomiche coinvolte nel volume trattato; essa è principalmente di tipo
tardivo. Le strutture principalmente danneggiate saranno i nervi periferici e
l'uretere.
Le neoplasie che più spesso traggono giovamento da questo tipo di terapia sono:
- neoplasie dello stomaco
- del colon-retto
- sarcomi

E' opinione comune che singole dosi eccedenti i 20-25 Gy siano significativamente
correlate con una più alta incidenza di tossicità tardiva.

- Radioterapia stereotassica: si fa riferimento ad un gruppo di tecniche di
irradiazione che consente di concentrare con grande precisione dosi molto elevate di
radiazioni su piccoli volumi bersaglio a prescindere dal tipo di macchina impiegata.
Queste tecniche sono particolarmente utilizzate per le neoplasie cerebrali nelle quali
occorre risparmiare il tessuto circostante la lesione ed è possibile avvalersi di
tecniche più e caci di immobilizzazione.

- Irradiazione corporea totale: è una metodica utilizzata principalmente nelle


neoplasie ematologiche per l'irradiazione dell'intero volume corporeo. La finalità di
questo trattamento è quella di eradicare le malattie ematologiche da quelle sedi
anatomiche non facilmente accessibili ai chemioterapici, di prevenire la GVHD nei
pz trapiantati di midollo, o di curare la patologia tumorale metastatica con dosi
ridotte ma in concomitanza ai chemioterapici.

Un'irradiazione total body di 3 Gy non seguita da tecniche di recupero ematologico è
potenzialmente letale. La tossicità della TBI è anche in funzione della quantità di
radiazione erogata in un minuto.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 76 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
- Irradiazione totale della Cute TSI: è una tecnica impiegata in alcune malattie
ematologiche come la micosi fungoide e più in generale i linfomi cutanei a cellule T.
Il pz viene irradiato prima sulla superficie cutanea ed in seguito, separatamente sul
palmo delle mani e dei piedi, al vertice del capo, a livello perineale che non riescono
ad essere raggiunti durante la prima irradiazione.

- Radioterapia palliativa: si considerano con questo nome i trattamenti che hanno la


finalità di risolvere un sintomo legato alla presenza di una malattia localmente
avanzata o metastatica. I sintomi maggiormente risolti sono il dolore e la functio-
laesa. La radioterapia palliativa rappresenta il 30-50% delle prestazioni e effettuate
dai centri italiani di radioterapia. Essa differisce da quella tradizionale per il largo
impiego degli ipofrazionamenti e dei volumi d'irradiazione limitati alla malattia
visualizzabile tramite gli esami clinico strumentali. L'aumento della dose
somministrata nella singola seduta ha il razionale clinico nel fa o che i pz sottoposti
a RT palliativa hanno una pessima prognosi e, poiché gli e e i tossici si esplicano a
distanza di tempo (il pz potrebbe essere già morto a quel tempo) il rapporto rischi/
benefici è favorevole. Con le nuove tecniche di contornazione e le nuove
apparecchiature per l'irradiazione è possibile ridurre il volume irradiato e con esso
gli effetti tossici.

BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________
- PRINCIPI DI RADIOLOGIA RADIOTERAPIA E MEDICINA NUCLEARE a cura di
Andrea Perna

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 77 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
CAPITOLO 8
___________________________________________________________

PRINCIPI DI CHIRURGIA ONCOLOGICA

Nel trattamento delle neoplasie è necessario un approccio multidisciplinare che vede


coinvolti diversi specialisti: oncologi, chirurghi, radiologi e radioterapisti,
gastroenterologi, anatomopatologi, psicologi.

RUOLO DELLA CHIRURGIA IN ONCOLOGIA


L’intervento chirurgico può essere:
1. A intento curativo: finalizzato all’asportazione dell’intera massa tumorale
2. Citoriduttivo (“debulking”): finalizzato a ridurre la massa tumorale
3. Palliativo
4. Diagnostico

Nel post intervento un ruolo importante è attribuito alla CLASSIFICAZIONE R


(Residual tumor classification) che ci permette di distinguere:
- R 0: assenza di residuo di malattia: Intervento chirurgico radicale
- R 1: permanenza microscopica di malattia.
- R 2: permanenza macroscopica di malattiaà Intervento chirurgico non radicale

Tale classificazione consente di definire la radicalità (R0) o meno (R1, R2)


dell’intervento, fondamentale per la pianificazione dei trattamenti successivi e
rappresenta così un fattore prognostico fondamentale.

La percentuale di interventi R0 diminuisce con l’aumento dello stadio del tumore


ossia quanto più il tumore è avanzato tanto maggiori sono le possibilità di ottenere
un intervento non radicale. In stadio I la possibilità di riscontrare un R1 /R2 è del
2% e sale rispettivamente a 7% 15% 80% negli stadi II III e IV.

Il margine di resezione è un ulteriore elemento che condiziona la prognosi. Un ampio


margine di resezione aumenta le possibilità di una resezione R0 (per la presenza di
micro metastasi o metastasi perineurali) e all’aumento della massa neoplastica si
riduce la possibilità di ottenere grandi margini di resezione.
Diversi studi inoltre confermano come l’entità del sanguinamento intraoperatorio
(stomaco a minore e fegato a maggior rischio) e il numero di trasfusioni influenzino
negativamente i risultati immediati e la sopravvivenza a distanza.
Il coinvolgimento linfonodale resta però uno dei fattori prognostici più significativi.
Caratteristica di molte neoplasie è la presenza di metastasi linfonodali precoci e
l’asportazione di uno o più gruppi di linfonodi regionali resta parte integrante
dell’intervento chirurgico. Si considerano:
- N° totale di linfonodi asportati
- LNR (Limphonode ratio) = rapporto tra no di linfonodi asportati e no di linfonodi
metastatici.
La linfoadenectomia ha ruolo fondamentalmente di stadiazione, più in discussione
quello curativo.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 78 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 1: CONCETTI GENERALI
Tipi di linfoadenectomia
o Sampling (campionamento) Linfonodale: asportazione casuale di alcuni linfonodi
peritumorali (nei T1 T2 mammella);
o Linfoadenectomia locoregionale: asportazione di linfonodi loco regionali (nel colon
consiste nell’asportazione di tutto il ventaglio mesenterico fino al peduncolo
vascolare);
o Linfoadenectomia radicale: asportazione di tutti i linfonodi di drenaggio del
tumore.

Con il melanoma è nato il concetto di linfonodo sentinella. Esso rappresenta il primo


linfonodo della rete di drenaggio della neoplasia quindi il suo status riflette le
caratteristiche dell’intero distretto. Per evidenziarlo si inietta in sede peritumorale
un colorante vitale come il blu di metilene o un tracciante radioattivo Tc 99m.
L’analisi del linfonodo sentinella permette una migliore accuratezza nello staging e
di evitare, se negativo, linfoadenectomie inutili. Bisogna considerare però in una
piccola % di casi (minore del 10 %) il fenomeno del “salto del linfonodo” con
negatività del linfonodo sentinella e positività di linfonodi più distali.

INTERVENTO CHIRURGICO DI CITORIDUZIONE


Asportazione della maggior quantità possibile di tessuto neoplastico in caso di
tumori non asportabili completamente con lo scopo di aumentare l’efficacia delle
altre terapie (CT e RT) riducendo al minimo le cellule neoplastiche. Indicato
soprattutto per neoplasie dell’ovaio, dell’utero, neoplasie neuroendocrine e anche
tumori dell’appendice e del peritoneo, casi in cui disponiamo di potenti armi post
operatorie che possono effettivamente portare a un controllo efficace del residuo
tumorale.
Parlando di neoplasie ovariche nel 70% dei casi la diagnosi avviene in stadio
avanzato perciò è indicato un intervento di debulking (o citoriduzione) pelvico e
addominale. La CT è efficace sui noduli neoplastici residui di dimensioni < 1 cm e
in casi selezionati possono esser indicati ripetuti interventi di debulking.

INTERVENTO CHIRURGICO PALLIATIVO


E’ eseguito al fine di risolvere la sintomatologia derivante dalla neoplasia; spesso,
ma non sempre, è effettuato in urgenza. Alcuni esempi:
- Tumore dell’antro gastrico occludente lo stomaco: il paziente vomita, non riesce ad
alimentarsi data l’estensione del tumore infiltrante anche la testa del pancreas: in tal
caso si procede con un by-pass gastrodigiunale (in gergo gastoentero anastomosi)
che consente al paziente di riprendere un’alimentazione pressoché normale;
- Tumore della testa del pancreas provoca ittero ostruttivo per dilatazione delle vie
biliari; nella maggior parte dei casi si inseriscono delle protesi nella parte
intrapancreatica delle vie biliari e si riesce ad ovviare all’ittero, ma a volte è
necessaria un’anastomosi epatico - digiunale come intervento palliativo: si collega
la via biliare con un’ansa intestinale che consente alla bile di tornare nel circolo
enterico per svolgere le sue funzioni;
- Tumore del colon destro infiltrante la parete e occludente il lume intestinale: by-pass
ileo-colico per consentire la ricanalizzazione; stanno divenendo più marginali gli
interventi di colostomia derivativa in cui si fa una derivazione all’esterno o più
frequentemente ileostomia in caso di carcinosi peritoneale da neoplasia dell’ovaio e
occlusione a più livelli;
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 79 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 1: CONCETTI GENERALI
- Occlusione intestinale da carcinosi peritoneale: abbiamo una situazione di
distensione gastrica chirurgicamente non aggredibile pertanto si attua una
gastrostomia decompressiva che consiste nell’aprire la parete, aprire il peritoneo,
poi lo stomaco, inserire la sonda e lasciare in sede il tubo. Sempre più
frequentemente si preferisce la via endoscopica, PEG (gastrostomia percutanea
endoscopica) quindi si inserisce l’endoscopio nel tratto digestivo, si individua il
punto di maggior vicinanza tra parete dello stomaco e parete addominale e si
posiziona per via percutanea una sonda apposita con dei sistemi che tengono adeso
lo stomaco alla parete addominale e realizzano ciò che prima si attuava
chirurgicamente. Attualmente si interviene con metodiche meno invasive e cruente
della chirurgia.

INTERVENTO CHIRURGICO DIAGNOSTICO


- Laparotomia esplorativa: si è ridotta enormemente grazie a tutti gli esami
preoperatori (TC, RMN, PET-TC, etc.) effettuati: pochi casi non arrivano alla
diagnosi e stadiazione definitiva a causa della sede e dimensione della
neoplasia;
- Laparoscopia diagnostica: è la metodica pre-operatoria di stadiazione più
utilizzata negli ultimi 10 anni quando non si giunge a diagnosi e/o
stadiazione con l’immaging: invece di avere un taglio addominale si hanno
piccoli buchi, di solito 2 incisioni con inserimento dei trocars che consentono
di riscontrare micrometastasi epatiche e carcinosi peritoneale biliare non
visibili con tutti gli altri esami e di fare biopsie. Per certi tumori la
laparoscopia diagnostica è un tempo fondamentale di stadiazione per la
pianificazione dell’intervento: per esempio nei tumori di stomaco, pancreas e
colecisti per i quali solo in questo modo si riescono a riscontrare
micrometastasi altrimenti non diagnosticabili. La laparoscopia consente di
effettuare la biopsia, ma anche di aggiungere altre metodiche come l’esame
citologico del liquido peritoneale per evitare di fare un intervento inutile.
- Ecografia intraoperatoria: siamo in grado di inserire una sonda ecografica che
permette di fare un’ecografia del fegato intraoperatoria. Essa consente di
aumentare l’accuratezza della metodica. Questo è fondamentale dato che con
nessuna metodica di imaging si riuscirebbe ad ottenere considerando il fatto
che per esempio la PET-TC non riesce ad evidenziare neoplasie < 0,8 cm di
diametro.

BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________
- Sbobinature Prof Giuliante aa 2014/2015

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 80 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

_________________________________________
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E
TERAPIA
_________________________________________
Contiene:
• Neoplasie del distretto cervico-facciale
• Cancro del polmone
• Cancro della mammella
• Tumori dell’apparato gastrointestinale ed epatobiliare
• Melanoma
• Sarcomi dell’osso e dei tessuti molli
• Tumori dell’apparato urinario
• Tumori della prostata
• Tumori del testicolo
• Cancro della tiroide
• Sindromi paraneoplastiche
• Marcatori tumorali

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 81 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

CAPITOLO 9
___________________________________________________
NEOPLASIE DEL DISTRETTO TESTA-COLLO
I tumori della testa e del collo non sono molto frequenti, ma quei pochi pazienti che
li hanno sono sfortunati, visto che si tratta di patologie molto aggressive, con un
grosso impatto sociale, economico e lavorativo.
Rispetto alle neoplasie maligne di altre sedi, esse costituiscono quasi delle malattie
rare. In realtà tanto rare non sono, specialmente per quelle del cavo orale, in cui
negli ultimi vent’anni sta aumentando l’incidenza di neoplasie, soprattutto nelle
fasce estreme di età: cioè tra i più giovani (under 30 e non solo under 40) e tra gli
over 80. 


Embriologicamente, anatomicamente, clinicamente e ontologicamente, il cavo orale
è delimitato da strutture ben precise che assumono un diverso significato nella
diagnosi perché sono, rispetto ad altre sedi anche vicine, come l’orofaringe e poi
l’ipofaringe, differenti. Sono differenti embriologicamente, quindi anatomicamente,
quindi clinicamente, funzionalmente e anche oncologicamente.
C’è un certo dissenso con i colleghi oncologi o radioterapisti,durante i rapporti
interdisciplinari che si usano per curare questi tumori. Il medico ORL parla di sedi
anatomiche ben precise, mentre in genere si parla di head e neck (di testa e collo nel
complesso), che sono due cose completamente diverse.
Sono tumori del tutto eterogenei, raggrupparli in testa e collo è una forzatura per
potere inglobare un gruppo di pazienti più ampio, ma sono dalle malattie con
potenziale evolutivo diverso, tali da alterare tutte le statistiche cliniche che vengono
effettuate relativamente al controllo della malattia o alla sopravvivenza dei pazienti.
Questi tumori rispondono in maniera molto differente alla chemioterapia e alla
radioterapia, rispetto invece alla chirurgia che cura i pazienti, per quanto essa stessa
possa dare dei risultati diversi. 

E’ importante sapere che i tumori del distretto testa-collo, pur essendo spesso
considerati nel loro complesso, quando devono essere trattati vanno trattati in base
alla sede specifica (che sia il cavo orale, o l’ipofaringe, o l’orofaringe). 


NEOPLASIE DEL CAVO ORALE
Il cavo orale comprende diverse strutture tra le quali ricordiamo: la parte mucosa
delle labbra (non la cute), la gengiva (la mucosa alveolare), la lingua mobile
(anteriore al “V” linguale), il pavimento bocca, il palato duro, il trigono retromolare,
la mucosa del cavo orale. Queste sono le sottosedi che costituiscono la sede
anatomica “cavo orale”. 


Le neoplasie maligne del cavo orale sono la malignità più frequente del distretto
testa-collo (300.000casi/anno nel mondo). Le sedi più colpite sono la lingua e il
pavimento della bocca. Nel 90-95% dei casi si tratta di carcinomi squamocellulari;
gli altri si trattano di adenocarcinomi o carcinomi adenoidocistici delle ghiandole
salivari e di altri tumori più rari (melanomi, linfomi, sarcomi). Storicamente è un
carcinoma più frequente nell’uomo ma l’aumento dell’abitudine al fumo femminile
sta portando a una maggior parità. Il fumo infatti, è, insieme all’alcol, il principale
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 82 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
fattore di rischio; i due hanno inoltre effetto sinergico; inoltre è stato ipotizzato il
ruolo eziopatogenico di papillomavirus.

I fattori di rischio comprendono:


- Fumo;
- Alcool;
- Età;
- Abitudini di vita (promiscuità sessuale, HPV): considerando che HPV
predispone soprattutto per il tumore della tonsilla (che è un tessuto di natura
linfatica) , mentre incide meno su quelli del cavo orale. Nell’ambito del distretto
testa collo le infezioni virali incidono soprattutto sui tumori del rinofaringe, dove è
presente il tessuto linfatico delle anenoidi residue o non residue (con un ruolo
importante svolto soprattutto dal virus Epstein-Barr); e
dell’orofaringe dove si trovano i tessuti linfatici della base
lingua, in particolare la tonsilla palatina (per cui HPV si
correla soprattutto ai tumori tonsillari, ma non certo ai
tumori del resto del cavo orale);
- Cattiva igiene orale.

Una delle sedi più frequentemente interessate è la lingua,
dove il tumore appare ben evidente oltre che risultare
maleodorante. Eppure le lesioni vengono frequentemente
diagnosticate in uno stadio avanzato: spesso anche in
presenza di due masse tumorali diverse, cioè di due tumori
primitivi, singoli completamente a sé stanti, che si
sviluppano in un’area avente le stesse proprietà
oncogenetiche. 


Lesioni precancerose sono la leucoplachia, lesione biancastra più o meno rilevata con
aspetti di iperplasia semplice con ipercheratosi o con associata displasia di grado
variabile fino al CIS, l’eritroplachia e il lichen planus.

Classificazione TNM ( valida anche per tumori della faringe)


- T:
- T1: <2cm
- T2: 2-4cm (per ipofaringe: senza fissità emilaringe)
- T3: >4cm (per ipofaringe: con fissità emilaringe)
- T4: tumore che invade strutture circostanti (a/b a seconda dell’estensione);
- cavità orale: corticale ossea, lingua, seno mascellare (a); spazio masticatorio,
base cranica, a. carotide interna (b)
- orofaringe: laringe, lingua, mm. pterigoidei mediali, palato duro, mandibola
(a); mm. pterigoidei laterali, lamine pterigoidee, parete laterale rinofaringe,
base cranica, a. carotide (b)
- ipofaringe: cartilagine tiroidea o cricoidea, osso ioide, tiroide, esofago, tess.
molli del collo (a); fascia prevertebrale, a. carotide, mediastino (b)

Per la rinofaringe la classificazione è diversa per tutti i T:


- T1, interessa il rinofaringe;
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 83 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
- T2, coinvolge i tessuti molli dell’orofaringe e/o fossa nasale (a/b se estensione
al di la della fascia faringobasilare o meno);
- T3, raggiunge le ossa/seni paranasali;
- T4, presenta un coinvolgimento intracranico, nn. cranici della fossa
infratemporale, ipofaringe, orbita, spazio masticatorio

- N
- N1: 1 linfonodo metastatico e lesione primitiva <3cm omolaterale
- N2:
- a. 1 linfonodo omolaterale (compresa linea mediana)3-6cm
- b.>1 linfonodo omolaterale
- c. linfonodi bilaterali o controlaterali <6cm
- N3:1 linfonodo >6cm

- M, 0/1, assenza o presenza di metastasi a distanza; Mx impossibile la


determinazione di metastasi a distanza,

In base alla stadiazione TNM è possibile ottenere la stadiazione clinica del tumore.
Essa suddivide i pz in diversi stadi:
- Stadio I: T1
- Stadio II: T2
- Stadio III: T1-3, N0-1
- Stadio IV:
- a. T4a, N1-2
- b. ogni T, N3, M0
- c. M1

Fattori prognostici negativi:


- sede posteriore
- aspetto endofitico e infiltrante
- metastasi linfonodali latero-cervicali
- grading cellulare >G1
- marker molecolari di aggressività

Sopravvivenza libera da malattia


- I-II: 80% (90-95% a 5aa.)
- III: 45-65%
- IV: 10-35%

Diagnosi
La diagnosi è apparentemente facile, eppure il 40 % di questi tumori viene
diagnosticato tardivamente, cioè in uno stadio localmente avanzato (III-IV stadio).
Evidentemente perché l’esame obiettivo non è fatto correttamente, in particolare
dalle possibili figure professionali che più frequentemente hanno a che fare con la
bocca delle persone: l’ otorinolaringoiatra (in particolare quello che si occupa della
parte più prettamente oncologica piuttosto che funzionale), il chirurgo maxillo-
facciale, l’odontoiatra, il dermatologo, e soprattutto il medico di famiglia che è il
primum movens della diagnostica di questi pazienti.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 84 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
La diagnosi di questi tumori è principalmente clinica: si basa su un’accurata
anamnesi (con particolare attenzione alle abitudini di vita, al fumo, al consumo di
alcool), sull’ispezione e la palpazione.
Dopodiché si procede al completamento dell’iter diagnostico con indagini che
interessino tutto il vocal tract (fosse nasali e rinofaringe in genere; orofaringe;
ipofaringe; laringe). Questo perché noi possiamo avere dei secondi tumori primitivi
ad origine non dalla stessa sede ma in sedi distanti.


Quella che si effettua per la valutazione globale del distretto è una panendoscopia.
Per il collo è preferibile fare una ecografia. Ovviamente sono di aiuto anche la TC e
qualche volta anche la TCdentascan per la corretta valutazione della mandibola, e la
RM con mdc.
La cosa più importante resta comunque la diagnosi clinica che è il pilastro della
diagnosi iniziale, sulla base della quale si sviluppa tutto il resto.
Bisogna indirizzare il radiologo sul punto in cui andare a cercare il tumore, e su cosa
vedere meglio indirizzandolo anche su quelle sedi apparentemente negative dove il
tumore può giungere.
Questo perche questi tumori hanno delle vie di diffusione principali e delle vie di
diffusione sistemica per cui sappiamo che il tumore che origina in quella data sede
può svilupparsi verso delle linee preformate che noi, in genere, conosciamo.

Il completamento dell’iter diagnostico prevede anche il ricorso alla RM che, rispetto


alla TC, è insostituibile per valutare il grado di infiltrazione profonda della lingua. 

Nonostante i progressi tecnologici, il 40% di questi tumori viene diagnosticato in
uno stadio 4.

Trattamento
- Stadio I/II: chirurgia/radioterapia esclusiva radicale (svuotamento linfonodi
laterocervicali di I, II e III livello).
- Stadio III/IV: chirurgia accompagnata da RT, CT adiuvanti solo in casi selezionati
(svuotamento linfonodi laterocervicali di I-V livello).
Nei casi in cui la chirurgia non sarà sicuramente radicale è indicato un trattamento
CT+RT neoadiuvante (rivalutando dopo i cicli necessari l’operabilità).

L’approccio chirurgico può essere:


- Transorale
- Transmandibolare conservativo (mandibulotomia paramediana, mandibulectomia
marginale).
- Demolitivo (mandibulectomia segmentale: anteriore, laterale o posteriore).
Secondo gradi decrescenti di conservatività.
La ricostruzione può essere immediata o in un secondo intervento.

NEOPLASIE DELL’OROFARINGE (palato molle, base della lingua, tonsille palatine,


parete faringea posteriore)
I tumori maligni a questo livello sono più rari ma hanno prognosi peggiore
essenzialmente per tre motivi:
- Sono più difficili da individuare
- Sono più difficili da aggredire chirurgicamente

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 85 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
- Hanno maggiore possibilità di dare delle metastasi per via linfatica ed ematica,
questo perchè l’orofaringe ha un’origine embriologica diversa dal cavo orale e
presenta una maggiore vascolarizzazione ed un maggior drenaggio linfatico. Il
fattore prognostico più sfavorevole è rappresentato dall’adenopatia laterocervicale.

Le sedi più colpite sono la base della lingua e la tonsilla palatina. Anche a questo
livello predomina l’istotipo squamocellulare anche se si osserva una maggior
incidenza di linfomi (a livello tonsillare) rispetto al cavo orale a causa della presenza
dell’anello del Waldeyer. I fattori di rischio sono gli stessi delle forme orali.

Clinica
Soprattutto i tumori della tonsilla palatina e della base linguale sono spesso
asintomatici in fase precoce e vengono per questo diagnosticati tardivamente (il 50%
dei casi palatini e il 60% dei casi basilinguali sono al III o IV stadio). La disfagia
inizia per i liquidi, spesso associata a reflusso oro-nasale e diviene poi anche per i
solidi.

I tumori della base della lingua danno inizialmente una vaga sensazione di corpo
estraneo o una modesta otalgia riflessa (causata dal coinvolgimento del vago e del
glossofaringeo che innervano anche l’orecchio medio), in seguito si manifesta una
disfagia progressiva che si può accompagnare a intensa scialorrea, odinofagia e
stomatolalia se si ha interessamento delle vallecole e della laringe sopraglottica.

I tumori della tonsilla palatina danno sintomi diversi a seconda della diffusione; se
essa è:
- Anteriore e superiore con successiva infiltrazione del palato molle e dell’ugola
avremo iper rinofonia, rinolalia, reflusso oronasale
- Profonda (parafaringe, loggia pterigo-mascellare) causa trisma, nevralgie ed
emorragie talvolta talmente importanti da richiedere una legatura della carotide
esterna
- Esofitica e anteriore provoca disfagia con dispnea talvolta importante
- Solco amigdalo-glosso, base della lingua, trigono retro-molare, parete faringea
posteriore, ipofaringe porta a disfagia importante, odinofagia, rinolalia, dispnea

Diagnosi
Per quanto riguarda la diagnosi, anche nell’orofaringe è importante la panendoscopia
che consenta di valutare anche le fosse nasali, l’orofaringe bassa, l’ipofaringe e la
laringe. La diagnosi è spesso secondaria alla rilevazione di linfoadenopatie cervicali
metastatiche e talvolta il tumore primitivo è occulto anche alla ricerca istologica.

Prognosi e terapia
La sopravvivenza a 5aa è dell’80% nello stadio I-II e del 60% gli stadi III-IV
operabili.
I fattori che condizionano la scelta del trattamento sono:
- Fattori legati al tumore:
- sede (orofaringe o cavo orale)
- stadio (T,N);
- trattamenti precedenti;
- caratteristiche istologiche (tipo, grado e profondità di invasione);
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 86 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
- pattern di crescita (endo- o esofitico);
- caratterizzazione molecolare (EGFR, p16);
- HPV 16-18 (DNA, mRNA).

- Fattori legati al paziente:


- età;
- condizioni generali;
- tolleranza;
- professione;
- compliance;
- stile di vita (fumo e alcool);
- condizioni socio-economiche.

- Competenza multidisciplinare:
- chirurgica,
- radioterapica;
- chemioterapica;
- servizi di riabilitazione odontoiatrica e fono-logopedica.

- Tumori della base della lingua:


- Stadio I-II: chirurgia (resezione previa mandibulotomia dell’emibase colpita
e svuotamento laterocervicale elettivo selettivo sopraomoioideo(livelli I, II e
III)) o radioterapia (sopravvivenza a 5aa. 80%)
- Stadio III-IV: se resecabili chirurgia demolitiva (con eventuale allargamento a
laringe e tonsilla palatina) con asportazione linfonodale radicale (livelli I-V) e
ricostruzione immediata e successiva RT adiuvante (sopravvivenza 60%). Se
non resecabili CT+RT ed eventuale chirurgia post-riduzione.
- Adenocarcinomi delle ghiandole salivari minori: chirurgia
- Carcinomi della tonsilla palatina:
- Stadio I-II: tonsillectomia semplice o allargata e svuotamento linfonodale I-V
(porzione superiore); se tumori di piccole dimensioni, esofitici la RT con
irradiazione anche del collo da risultati sovrapponibili (80% a 5aa.)
- Stadio III-IV: vedi sopra (sopravvivenza a 5aa. 40-50%)
- Linfomi: CT+RT

Oltre al trattamento locale è importante anche il trattamento chirurgico dei


linfonodi, perché questi tumori metastatizzano facilmente, e sempre in linfonodi
selezionati. Naturalmente in questi pazienti l’intervento va esteso al collo anche
quando i linfonodi non si palpano, cioè sono N0, perché alcuni linfonodi, pur
essendo macroscopicamente negativi, possono essere microscopicamente positivi, in
quanto interessati da metastasi.
La fase ricostruttiva è immediata, e può trattarsi di una ricostruzione primaria, di un
semplice innesto di cute, di lembi micro vascolari, oppure di lembi peduncolati.

NEOPLASIE MALIGNE DELLA RINOFARINGE


Le neoplasie della rinofaringe possono sostanzialmente avere:
- Origine epiteliale o salivare
- Origine linfatica

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 87 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
- Origine mesenchimale

Il Carcinoma del rinofaringe è il più comune. Si distingue in cheratinizzato, non


cheratinizzato o indifferenziato. Insorge per lo più nella regione peritubarica o sulla
volta del rinofaringe, accrescendosi lateralmente.
L’eziologia è multifattoriale, sembra svolgere un ruolo importante l’EBV che si
localizza nel genoma cellulare. Esso ha un andamento endemico ed è
particolarmente diffuso in Cina; in Europa si riscontra in alcune regioni rivierasche
(ad esempio, del Mediterraneo occidentale, delle Valli di Comacchio,..) Ha un
decorso in genere lento ed asintomatico; spesso la diagnosi di malattia viene
formulata sulle metastasi linfonodali laterocervicali (soprattutto in sede in sede
giugulo-carotidea superiore e spinale) che possono raggiungere dimensioni notevoli.
Nel 27% circa dei pazienti si possono sviluppare metastasi a distanza (polmonari od
ossee, prevalentemente); circa il 40% dei pazienti con metastasi linfonodali avanzate
(N3) ha già una diffusione metastatica ossea, documentabile con una biopsia ossea
midollare.

Se la neoplasia è peritubarica il paziente avrà ipoacusia ed acufeni. Se la neoplasia è
coanale ci sarà rinorrea striata di sangue e ostruzione nasale fino a rinolalia chiusa.
L’estensione endocranica può causare paralisi associate anteriori, per compressione
dei nervi cranici:
- Sindrome della parete laterale del seno cavernoso: paralisi monolaterale del III, IV
,1°branca del V e VI nervo cranico caratterizzata da oftalmoplegia, ptosi,
ipoestesia nei territori del V, specie naso, fronte e palpebra superiore.
- Sindrome dell’apice dell’orbita con sintomatologia simile a quella già descritta
unita al coinvolgimento del II nervo cranico.
- Sindrome petro sfenoidale completa con paralisi del II III IV VI + 2° 3° branca e
radice motoria del V. Il pz si presenta con nevralgia, ipoestesia estesa a tutto il
territorio del V con deficit dei masticatori).

Nell’evoluzione postero-laterale del tumore si sviluppano le paralisi associate


posteriori.

Diagnosi
Oltre all’attenta anamnesi ed esame obiettivo occorre eseguire una rinoscopia
posteriore, fibroscopia, videorinofaringoscopia. TC o RM. Per la conferma
diagnostica è fondamentale la biopsia o un agoaspirato ecoguidato. Può essere utile
dosare i marcatori virali di EBV.

Terapia
Si basa sull’utilizzo combinato di radio-chemio. Talvolta può essere utile l’eventuale
svuotamento del distretto linfonodale laterocervicale.

NEOPLASIE DELLE GHIANDOLE SALIVARI


Possono essere benigne e maligne, interessare le ghiandole salivari maggiori o
minori. Di queste:
- il 75% è a carico della parotide,
- il 9% della sottomandibolare,
- l’1% della sottolinguale

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 88 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
- il 10 % è a carico delle gh. salivari minori.
I tumori maligni delle ghiandole salivari rappresentano lo 0.7% di tutti i tumori
maligni, il 3-6 % di quelli della testa e del collo.
L’incidenza dei tumori maligni è maggiore nella parotide, mentre di quelli benigni è
maggiore nella sottomandibolare.

Gli istotipi benigni sono rappresentati da:


- Adenomi, che a loro volta si dividono in:
- Pleomorfo (il più frequente)
- Monomorfo (o cistoadenoma)
- Cistoadenolinfoma o t. d Warthin
- Linfoadenoma sebaceo
- Oncocitoma, Mioepitelioma, Emangioma, Linfangioma, Lipoma, Schwannoma

Adenoma pleomorfo
È l’istotipo più comune. Presenta una componente epiteliale che prolifera in uno
stroma fibroso, mucinoso o cartilagineo. Nel 90% colpisce il lobo superficiale. In
genere è capsulato ma nel 28% dei casi sono presenti aree di erniazione della capsula
(recidival). Nel 11% dei casi è multifocale e presenta nel 2-10% dei casi il rischio di
trasformazione maligna.

Tumore di Warthin
E’ un tumore molto comune, spesso è multicentrico (11%), quindi presenta molte
isole nel tessuto ghiandolare dove si localizza. Presenta spazi cistici rivestiti da
epitelio bistratificato con tessuto linfoide. Nel 6-10% dei casi è bilaterale.
Insorge più frequentemente nella porzione inferiore della ghiandola parotide, in
prossimità dell’angolo mandibolare.
Macroscopicamente si presenta come una massa solida, sferoidale, rivestita da una
capsula e di aspetto lobulato.
Si manifesta come tumefazione indolore della ghiandola parotide; è una neoplasia
benigna e non ha tendenza a trasformazione maligna, ma localmente è in grado di
creare una sintomatologia da compressione che può essere anche di rilevante
gravità.

Tra gli istotipi maligni avremo:


- tumore mucoepidermoide,(a basso, a alto grado),
- carcinoma a cellule aciniche,
- carcinoma adenoidocitico (cilidroma),
- tumore misto maligno(trasformazione maligna di adenoma pleomorfo),
- carcinomsquamocellulare.

Classificazione WHO
La WHO divide i tumori delle ghiandole salivari in:
- Tumori a basso grado di malignità, che raramente danno metastasi laterocervicali e
a distanza e presentano una progosi a 5 anni 76 %, relativamente buona
- Tumori ad alto grado di malignità che danno metastasi laterocervicali e a distanza
con una prognosi non buona, del 50 %; si accompagnano quasi sempre ad
infiltrazione con paralisi del facciale

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 89 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

Classificazione TNM peri tumori delle ghiandole salivari maggiori – Parotide,


Sottomandibolare, Sottolinguale (UICC, AJCC 2002)
- Tx Tumore primitivo non definibile
- T0  Tumore primitivo non evidenziabile
- T1  Tumore di 2 cm o meno senza estensione extraparenchimale
- T2 Tumore maggiore di 2 cm , ma inferiore a 4 cm senza estensione
extraparenchimale
- T3  Tumore maggiore di 4 cm e/o con estensione extraparenchimale
- T4a   Tumore che infiltra la cute, la mandibola, il condotto uditivo e/o il nervo
facciale
- T4b  Tumore che infiltra il basi-cranio e/o le lamine pterigoidee e/o la carotide 


Nota: L’ estensione extraparenchimale è l’ evidenza clinica o macroscopica di


invasione dei tessuti molli; l’estensione microscopica non viene considerata come
extra-parenchimale ai fini classificativi.

Diagnosi
I tumori Benigni appaiono come masse nodulari a superficie regolare, mobili sui
piani superficiali e profondi, solitamente a lento accrescimento, non interessano mai
il pavimento, ma sono localizzate in genere anteriormente e inferiormente al
padiglione auricolare.
I tumori Maligni sono in genere delle masse duro-lignee, irregolari, fisse, associate a
parestesie, anestesie e trisma quindi non si riesce ad aprire bene la bocca per
infiltrazione dei tessuti profondi. Nel 12-15% dei casi possono dare infiltrazione del
n. facciale.
Può esserci la presenza o meno di adenopatie latero-cervicali, ovviamente molto più
frequenti nei maligni.
Tra le indagini strumentali ricordiamo:
- Ecografia: ci da un’immagine primaria e consente di distinguere tra lesione solida
e cistica. Può dare alcune indicazioni sulla benignità/malignità della lesione (aree
di necrosi colliquativa, il grado di vascolarizzazione).
- TC: ci da informazione sui rapporti della lesione, le sue dimensioni, i rapporti con
le strutture dell’asse neurovascolare, erosioni delle strutture ossee ed eventuale
presenza di linfoadenopatie.
- RM con mdc: ci permette di avere un ottima definizione dell’anatomia della loggia
parotidea, dello spazio parafaringeo e della fossa pterigo-mascellare.
- Ago Aspirato: va sempre fatto, ha un’accuratezza dell’80% e una specificità tra
l’80 e il 100% e ci permette di distinguere tra infiammazione e processo
neoplastico.
- Scialografia: è in grado di definire solo indirettamente la sede e le dimensioni
della neoplasia. Si può sospettare una formazione sulla natura maligna solo in
presenza della caratteristica invasione duttale.
- Scialo-TC: informazioni di natura anatomica sull’albero duttale ghiandolare
nonché sulle caratteristiche delle neoformazioni in base a parametri
densitometrici.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 90 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Terapia
Le neoplasie benigne vanno trattate chirurgicamente, sono facili da asportare dato
che presentano una capsula che rende possibile la formazione di piani di clivaggio.
Le neoplasie maligne possono essere trattate solo chirurgicamente o con
l’accompagnamento della RT.

La terapia chirurgica si avvale dei seguenti interventi:


- Enucleazione, enucleo-resezione( in passato si faceva per i tumori benigni superficiali,
ma spesso si lasciavano delle cellule neoplastiche o il tumore risultava essere
multicentrico, quindi ora si fa raramente);
- L’intervento che si fa per neoplasie benigne di grosse dimensioni o maligne di
basso grado, invece, è la parotidectomia superficiale, si fa un taglio o 4 cm davanti il
trago che si prolunga in avanti oppure un taglio estetico dietro l’orecchio che
risale verso il cuoio capelluto la cui cicatrice poi sarà coperta dai capelli, è più
indaginoso, ma nei giovani si cerca di fare. La vera difficoltà sta nell’identificare il
faciale e seguirne i rami, in modo da scollare il lobo superficiale ed ad asportarlo
senza problemi. Poi si mette un piccolo drenaggio, si sutura la cute e in genere
non ci sono inconvenienti.
- Parotidectomia esofacciale totale (senza resezione Nervo facciale a meno di
infiltrazione) o scialectomia sottomascellare in caso di tumori maligno di alto grado.
- Se il tumore è metastatico ai linfonodi è necessaria la resezione del comparto
linfonodale del collo associato.

Quindi la resezione del facciale è indicata se c’è già un deficit preoperatorio e se si fa


un riscontro intraoperatorio di infiltrazione importante del nervo senza deficit
clinico.
L’indicazione allo svuotamento dei linfonodi latero-cervicali si ha in caso di linfonodi
positivi ed in caso di N0 è sempre indicato nei tumori di alto grado di malignità.

Radioterapia e chemioterapia
Poi sicuramente la radioterapia va fatta, sia su T, quindi sulla sede del tumore,
indipendentemente dall’istologia, che su N, ma sui linfonodi si fa solo se si ha una
risposta istologica di invasione, altrimenti no. La chemioterapia è indicata nei
linfomi della parotide.

Metastasi
Sono rare a livello parotideo, si tratta per lo più di neoplasia metastatizzate ai
linfonodi del collo che si estendono sino al tessuto ghiandolare. I tumori che più
facilmente metastatizzano in questa sede sono i tumori cutanei, più raramente quelli
ovarici, tiroidei e endocranici.

Gli interventi chirurgici menzionati non sono esenti da complicanze. Le più


frequenti saranno:
- Paralisi del facciale, che si può avere per errore del chirurgo oppure per evoluzione
della neoplasia,
- Fistola salivare, quando si fa la parotidectomia superficiale resta la metà di
ghiandola che produce saliva che se nel corso del post operatorio non mettete un

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 91 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
drenaggio sottocutaneo o s’infetta, può determinare questa fistola, ma con i
dovuti accorgimenti si riesce sempre a prevenire,
- Insensibilità del padiglione auricolare è molto frequente, perché quando si fa
l’incisione per accedere alla ghiandola ci troviamo il nervo auricolare che sta nel
campo e va tagliato, quindi il paziente va avvisato prima, anche se poi dopo mesi
molto spesso la sensibilità viene riacquistata grazie a meccanismi di
reinnervazione.
- Tendenza al cheloide, è molto frequente e il paziente va avvisato perché gli
interventi sul volto possono creare un danno estetico. Bisogna ricordare che
l’asportazione del tumore crea un avvallamento che in qualche modo deve essere
riempito.
- Sindrome di Frey, è una sindrome che si ha in alcuni pazienti che fanno la
parotidectomia totale o superficiale, ma non in tutti, e si manifesta con la
formazione di un perlage sulla cute in corrispondenza della ghiandola, una sorta
di sudorazione quando il paziente mangia, conseguente allo stimolo gustativo e
quindi quando viene stimolata la salivazione. Questo si ha perché si ha una sorta
di reinnervazione, il faciale, avendo tolto la ghiandola, viene a contatto con la cute
e quando arriva lo stimolo a secernere la saliva, questo si trasmette alla cute
stimolando le ghiandole sudoripare cutanee provocando una sorta di
arrossamento e un perlage (secondo il libro sono le fibre parasimpatiche parotidee
a reinnervare le ghiandole sudoripare). Si verifica nel 30 % dei casi ed è
abbastanza fastidiosa per il paziente, per prevenirla si è cercato di porre tra il
facciale e la cute qualcosa: le fibre muscolari dello sternocleidomastoideo o lo
smesch, quindi un piano, come quando si fa il lifting che si crea un piccolo strato
di fascia che va a coprire il nervo.
- Infezione della ferita.

Follow-up
In questa fase vengono impostati tutti i controlli con il loro timing come si fa in tutti
i pazienti oncologici, quindi nei primi 6 mesi una visita abbastanza ravvicinata, poi si
fanno controlli combinati con la radioterapia.
In un paziente con un tumore maligno, a seconda della stadiazione preoperatoria,
decidiamo quando fare la TC, la RM e la PET.
Si fa sempre una TC prima della RT, poi si fa la RM dopo 2 mesi e dopo 8 mesi una
PET. La PET-TC da molti falsi positivi quindi va usata con cautela.
Se invece è un tumore benigno che è stato operato, basta fare una visita nel primo
anno, una banale ecografia dopo un anno, un anno e mezzo e finisce così.

Ghiandole salivari minori


Rara la patologia infiammatoria, più frequente quella neoplastica benigna
(adenomi per lo più), con sintomatologia subdola(crescono molto).
Si localizzano preferenzialmente al palato molle piuttosto che a quello duro.
In genere si dimostrano come una tumefazione tondeggiante a superficie liscia, di
consistenza duro-fibrosa, ricoperta di mucosa, non dolente.
Le neoplasie maligne sono tipicamente di origine epiteliale e sono invasive.
Richiedono quindi degli interventi più demolitivi

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 92 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
NEOPLASIE MALIGNE DELLA LARINGE
Epidemiologia
Si tratta per lo più di forme epiteliali(carcinomi), quelli provenienti dal mesenchima
sono pochi(2% del totale) e sono: fibrosarcomi, linfosarcomi e angiosarcomi.
Il carcinoma squamocellulare rappresenta il 60% dei casi delle neoplasie in ORL.
Interessano prevalentemente la VI-VII decade di vita, principalmente nel sesso
maschile(93%) anche se è in aumento nel sesso femminile.
La laringe si divide in 3 parti:
- Sovraglottica: presenta il 35% delle neoplasie
- Glottica: presenta il 60% delle neoplasie
- Sottoglottica: 5% (origina da quello branchiale).

L’ipofaringe, invece, è rappresentata da:


- la giunzione faringo- esofagea che costituisce il punto di passaggio, che spesso
non riusciamo a “capire” molto bene in quanto profondo, dove è il faringe prima e
l’esofago poi;
- il seno piriforme, poco prima di questa giunzione, si definisce seno perché c’è una
sorta di infossamento, come se fosse una specie di cappuccio visto di lato;
- la parete faringea posteriore.

Sedi e sottosedi
- Laringe sopraglottica:
- laringe epiglottica
- pieghe ari epiglottiche
- false corde
- aritenoidi in realtà dovrebbero essere una regione glottica anatomicamente
parlando, ma oncologicamente la consideriamo sopra- glottica.
- Laringe glottica:
- corde vocali vere
- commessura anteriore, legata all’unione della due aritenoidi posteriori
- Laringe sotto- glottica (al di sotto delle corde vocali prima della trachea)

Carcinoma sopraglottico
E’ localizzato nella:
- Zona vestibolare 35-40% dei casi (sia anteriore che laterale);
- Zona ventricolare 10% (ventricolo di Morgagni);
- Zona marginale ( che è il bordo libero epiglottide).
Possiamo avere una lesione “all’interno”, lungo la faccia laringea, oppure nella parte
più esterna, che è il punto di confine tra la porzione endolaringea e quella
esofaringea (verso la regione faringea).

Carcinoma glottico
Ha una localizzazione:
- Cordale 25% (maggior parte dei casi)
- Commissura anteriore 1-2% (diffonde in tutte le direzioni). Può essere a partenza
dalla commissura anteriore o, molto più spesso, l’interessamento della
commissura anteriore è secondario ad una diffusione anteriore del tumore della
corda vocale, che interessa principalmente il terzo medio e il terzo anteriore. La

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 93 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
diffusione va verso l’avanti, verso la commissura anteriore , più raramente verso
quella posteriore.

Carcinoma Sottoglottico
Rappresenta il 2-3% dei casi.(fortunatamente è raro)

Carcinoma Ipofaringeo
Nel 95% dei casi interessa i seni piriformi, quindi, quando parliamo di carcinoma
ipofaringeo sono i seni piriformi, più che la parete posteriore, ad essere interessati.
In Italia, la sede più interessata da questi tumori è la laringe glottica. Se
consideriamo le macroregioni, a Nord- Est, nella zona di Bolzano- Trento, dove c’è
un grandissimo uso di grappa distillata a mano (che produce sostanze particolari
come nitriti, nitrati) la situazione si inverte, cioè è più frequente il tumore
sovraglottico rispetto al glottico.
In questo caso è l’alcol che rappresenta il fattore di rischio maggiore. Stessa cosa
succede nella zona francese in cui viene prodotto lo champagne, la zona portoghese
dove si produce il porto, in Irlanda dove c’è un grande abuso di whisky non filtrato e
cognac.
Quindi anche se c’è una prevalenza glottica, in realtà si può invertire per
determinate abitudini della popolazioni.

Fattori di rischio:
- Fumo(95% dei pz)
- Alcool(associazione col fumo effetto moltiplicativo)
- Inquinanti ambientali
- HPV(16,18,31,33)
- Tossici
- MRGE(effetto moltiplicativo con fumo e alcool).
Il fatto che la neoplasia abbia una bassissima incidenza nel sesso Femminile fa
sospettare un ruolo protettivo degli estrogeni.

Lesioni pre-neoplastiche:
- Processi flogistici infiammatori cronici (pachidermia leucoplachia)
- Flogosi specifiche (Lue, TBC)
- Neoplasie benigne(papillomi)

Anatomia patologica:
- Macroscopica: nel 43% dei casi risulta vegetante; il 38% dimostra una crescita
infiltrativa ed il 20% ulcerata.
- Microscopica: nel 90% trattasi di carcinoma squamocellulare (a vario grado di
differenziazione), raramente è basocellulare o indifferenziato, ancor meno
frequentemente è un adenocarcinoma.

Storia naturale
Dopo le fasi di iniziazione e promozione a carico dei diversi fattori cancerogeni e
cocancerogeni, segue la fase di crescita(“orizzontale”: intraepiteliale, per dispersione
delle cellule neoplastiche; “verticale”: infiltrativa, penetrazione delle propaggini
epiteliali verso lo stroma).

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 94 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
La diffusione linfatica (trama superficiale e profonda) del tumore rende ragione della
diffusione endolaringea(microemboli neoplastici). Segue l’invasione vascolare,
nervosa e per infiltrazione delle strutture vicine.

La diffusione loco-regionale ha carattere meccanico. Essa è impedita da alcune


strutture di contenimento come:
- Legamento io-epiglottico
- Cono elastico
- Cartilagini non ossificate con il loro pericondrio
La diffusione invece è favorita in alcuni punti di debolezza quali:
- Epiglottide
- Legamento tireo-epiglottico
- Cartilagini in metaplasia ossea
- Laringoceli
- Strutture ghiandolari

Le metastasi sono un’eventualità rara; interessano polmone, mediastino, scheletro,


cute, cervello, reni. E’ importante ricordare che le neoplasie rimangono spesso
localizzate senza disseminare; in questa affermazione risiede la giustificazione al
trattamento radicale precoce.

Classificazione
Si distinguono in base alla sede di insorgenza. Avremo:
- Cancro della laringe intrinseco: interessa il piano glottico, il bordo libero e faccia
superiore delle corde vocali, la regione sottoglottica e sopraglottica (ventricoli di
morgagni, false corde).
- Cancro marginale: porzione sopraioidea e il bordo libero dell’epiglottide, le pliche
ari-epiglottiche, le aritenoidi.

Nota: si parla di cancro faringo-laringeo nel caso in cui siano interessate le strutture
faringee limitrofe.

Clinica e sintomatologia
Varia a seconda di dimensioni e localizzazione.
Se intressa il piano glottico potremo avere disfonia, inizialmente capricciosa e
incostante progressivamente assume le caratteristiche della voce
legnosa(sclerofonia) sino alla voce doppia bitonale (diplofonia).
Una persona esperta può valutare le varie fasi della malattia: raucedine (tumore
iniziale della corda vocale, esofitico, come un polipo o un nodulo), sclerofonia
(interessamento e invasione della tonaca muscolare, delle fibre mediali del muscolo
tiroaritenoideo, quindi la corda diventa dura, legnosa), diplofonia (la corda si fissa
perché il tumore infiltra anche le porzioni profonde del muscolo tiroaritenoideo
verso la cartilagine).
La dispnea (inspiratoria) si verifica se la neoplasia ostruisce le vie aeree(soprattutto
masse con crescita esofitica). Nei casi più eclatanti si presenta tirage(abbassamento
dei muscolo del giugulo) e cornage(stridore respiratorio).
Possono essere presenti disfagia e tosse con sensazione di corpo estraneo.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 95 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
La corda vocale è fatta in modo tale che deve suonare, cioè vibrare, è elastica, non c’è
corion, non ha vasi linfatici e quindi non dà metastasi, a meno che il tumore non
interessi, spostandosi anche di mezzo cm, il ventricolo. Come va nel ventricolo, la
produzione metastatica aumenta perché nel ventricolo ci sono molti vasi linfatici.

Se la neoplasia interessa la regione sopra-glottica (50%) la sintomatologia sarà


decisamente più sfumata.
Potremo avere disfagia, prima meccanica poi dolorosa per fenomeni ulcerativi;
compare otalgia riflessa, perché il nervo vago e il glossofaringeo hanno una
connessione attraverso altre strutture nervose con l’orecchio medio, in particolare
con il ramo timpanico del Jacobson a livello del ganglio otico. Spesso è presente
tosse: alta, laringea, secca e stizzosa. Faremo comuqnue una RX. Non è infrequente
la sensazione di corpo estraneo: soprattutto se associata a muco e sangue.
La disfonia c’è di rado perché è un sintomo tipicamente glottico, cioè di una lesione
delle corde vocali. Più che una disfonia, possiamo avere un timbro differente, che noi
chiamiamo stomatolalìa o voce di porco, che è una voce che ha un timbro chiuso,
peggiorato rispetto ad una disfonia vera e propria, questo perché la massa chiude e
non ci sono casse di risonanza.
L’adenopatia laterocervicale non è infrequente perchè spesso le neoplasie della
regione sovraglottica diffonodno ai linfonodi, perché la rete linfatica è molto
rappresentata in questa sede. L’adenopatia può precedere la comparsa degli altri
sintomi.
La dispnea si sviluppa prevalentemente nei pz che presentano masse a sviluppo
esofitico; in genere è tardiva perché, prima che si possa avere un’ostruzione
respiratoria, il tumore deve raggiungere cospicue dimensioni.
La disfonia non è presente in quanto sintomo tipicamente glottico.

Per il carcinoma ipofaringo-laringeo i sintomi più frequenti saranno:


- Disfagia: primo sintomo, perché interessa la via di passaggio del cibo a livello del
seno piriforme (prima meccanica poi dolorosa per fenomeni ulcerativi, che può
essere associata ad una odinofagia e ad otalgia riflessa).
- Tosse e sensazione di corpo estraneo: perché c’è uno spasmo e c’è un’ostruzione.
La saliva può essere inalata: la saliva che deglutiamo non “protrude” nell’esofago,
rimane stagnante nel seno piriforme e quando respiriamo possiamo inalare la
saliva e tossire (tosse secca e stizzosa).
- Disfonia: allorquando c’è una fissità della laringe. Ci sono tumori faringo- laringei
che possono interessare anche dall’esterno la stessa corda vocale.
- Adenopatia laterocervicale: sono tumori che hanno un’altissima propensione
metastatica.
- Dispnea: quando la massa è così estesa che può arrivare a dare una
compromissione respiratoria.

Le lesioni sottoglottiche (rare) possono essere completamente asintomatiche sino


a quando non interessa la corda vocale soprastante o lo spazio glottico sottostante
causando rispettivamente:
- Disfonia
- Dispnea

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 96 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
- Adenopatia laterocervicale (spesso sovraclaveare e paratracheale): a livello
sottoglottico c’è un corion molto ricco, quindi c’è possibilità di metastasi.

Nelle forme avanzate si ha una combinazione varia (in termini di gravità) di 3


sintomi cardine: disfonia, disfagia e dispnea.

Diagnosi
Si serve di una valutazione della massa e della motilità laringea ottenuta tramite
laringoscopia indiretta e se necessario laringoscopia diretta o videolaringoscopia.
La conferma del sospetto si ottiene con un prelievo istologico e valutazione
anatomo-patologica. La valutazione pre-operatoria si effettua con l’HRTC con mdc e
RM(valutazione lesione primitiva); L’ Ecografia può essere utile per adenopatie
mediastiniche.
Per escludere tumori primitivi sincroni e metastasi linfonodali si usa a TC Torace
con mdc; questo è importante perchè il 10% dei pazienti che hanno un tumore
glottico possono avere un tumore del polmone. Il 10% dei pazienti che hanno un
tumore sovraglottico possono avere, invece, un tumore sincrono a livello
dell’esofago, del colon o dello stomaco- via digestiva e via respiratoria.
Se si esegue RT o CT all’inizio e nel follow up si usa la PET-TAC.

I markers biologici del tumore vanno dosati. L’EGFR è il più importante, ha valore
prognostico maggiore, tanto che, proprio perché è un parametro indipendente,
statisticamente significativo come marker predittivo di peggiore prognosi, esso viene
utilizzato anche per la moderna bioterapia, ovvero con anti-EGFR (Cetuximab, il cui
nome commerciale è Erbitux) che colpiscono le cellule malate senza intaccare quelle
sane. Tutto questo ha dato luogo allo studio sul rEGFR, Ciclina D1, p53 per
caratterizzare il tumore ed individualizzare la terapia.

Terapia
La terapia rimane comunque prettamente chirurgica. Il trattamento radioterapico si
può effettuare (con medesima efficacia rispetto all’intervento) per le lesioni del
margine libero delle corde vocali con motilità conservata o per i tumori agli stati più
porecoci. La terapia radiante garantisce una uguale sopravvivenza nei confronti della
chirurgia nelle lesioni iniziali con un maggiore beneficio in termini di qualità della
vita. (lesioni glottiche).
Per le masse inoperabili, per i pz in scadenti condizioni generali si procederà con
associazione di Radio e Chemioterapia. In caso di recidiva può essere effettuata una
chirurgia di salvataggio.
Le recenti tecniche radiologiche (come l’IMRT) risparmiano le ghiandole salivari,
hanno una minore tossicità sui tessuti, c’è meno dermatite e meno mucosite. Sono
quindi efficaci sui tumori glottici ed Inoltre preservo la voce. Ovviamente la
radioterapia non è ripetibile.
La chirurgia può anche essere mini invasiva, quando si effettua un intervento rapido
ma se il carcinoma è glottico devo necessariamnete togliere la corda vocale con
perdita della voce.
La chemio- radioterapia si fa o quando il tumore è così avanzato che non è
resecabile, nell’idea di riportare il tumore ad una situazione di resecabilità oppure,
per tumori della laringe resecabili nell’ambito di protocolli per la conservazione

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 97 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
dell’organo, invece di fare laringectomie che sono menomanti la voce e la
deglutizione, perché funzioni come la fonazione, la respirazione e la deglutizione
possono essere compromesse. In caso di fallimento della chemio-radioterapia,
abbiamo sempre la possibilità di una chirurgia di salvataggio. Importante
l’inquadramento della lesione con classificazione TNM.

Radioterapia
Può avere una valenza curativa nei tumori T1 e T2 glottico o sopraglottico con N0
campo solo su laringe, se è sopraglottico anche sul collo (proprio come in chirurgia
si fa lo svuotamento elettivo) perché la micro metastasi può essere sempre in
agguato, mentre i tumori glottici non sono sottoposti a trattamenti del collo né in
chirurgia né in radioterapia
Preserva maggiormente la funzione, e, se ben applicata, ha la stessa prognosi della
chirurgia.
Può ancora essere adiuvante,in genere post operatoria soprattutto sull’N ottimo
completamento terapeutico,1-2 mesi massimo dopo l’intervento.
Quando è pre operatoria si definisce neoadiuvante e si esegue in genere associata
alla CT e serve a riportare ei limiti dell’operabilità T3 e T4 per limitare l’esecuzione
di interventi menomanti.
La RT può avere valenza palliativa nei pz non operabili con M o con
controindicazioni all’intervento, con malattie diffuse.

Chemioterapia
Di fatto questa non è mai utile, se non associata alla radioterapia, nella terapia dei
carcinomi squamocellulari, poiché poco sensibili.
Si usa in lesioni che interessano la parete posteriore dell’ipofaringe e quelle non
operabili o che hanno superato i limiti dell’operabilità.

Drenaggio Linfatico
Il drenaggio linfatico è rappresentato soprattutto nella regione sopraglottica, più di
quella glottica. Questo condiziona il trattamento sul collo che dovrà essere sempre
effettuato nel caso di lesioni sopra- e sotto- glottiche, non in quelle glottiche per
evitare un over- treatment.

Il paziente va sempre trattato quando abbiamo linfonodi positivi (anche per sedi
come quella glottica, che sono rare). L’intervento più spesso eseguito è lo
svuotamento elettivo, cioè in assenza di adenopatie, che si fa sempre nei tumori
sopra- e sotto- glottici. Tanto più i tumori sono marginali nella regione sopraglottica,
tanto più tendono a dare metastasi perché si avvicinano di più al territorio della
faringe. Quindi va sempre fatto per linfonodi che interessano il II, III, IV livello o
svuotamento latero- cervicale.

Prognosi
Sopravvivenza a 5 anni nel Cancro Glottico
- Stadio I 95%
- Stadio II 70-80%
- Stadio III 50-60%
- Stadio IV 20-50%

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 98 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

Sopravvivenza a 5 anni nel Cancro Sopraglottico


- Stadio I 90%
- Stadio II 70%
- Stadio III 50%
- Stadio IV 0-30%
Sopravvivenza a 5 anni nel Cancro Sottoglottico
- < 5% dei tumori della laringe
- Generalmente sottoposti a:
- LT + svuotam laterocervicale bilaterale + tiroidectomia + RT postoperatoria
- 40% di sopravvivenza complessiva

Quanto più precocemente viene diagnosticato il tumore laringeo, tanto maggiore è


l’aspettativa di vita. Pertanto in pz, che persistano oltre 3 settimane, con o senza
terapia, necessitano sempre di un controllo ORL.
Quanto più precocemente viene diagnosticato il tumore laringeo, tanto maggiore è il
controllo oncologico e migliore è la qualità della vita. Un mese di attesa è consentita,
non di più, quando si è in presenza di questi sintomi che abbiamo presentato.
È uno degli organi con maggior espressione di EGFR. Abbiamo avuto ottimi risultati
con terapie biologiche come Erbitux, anticorpo monoclonale anti-EGFR, associate
alla radioterapia in alternativa alla chemio per ridurre la tossicità. Molti pazienti con
patologie cardiovascolari non possono essere trattate con cisplatino.. Riducendo
l’espressione dell’EGFR, aumenta la sensibilità sia alla chemio che alla radioterapia.

NEOPLASIE DELLE CAVITA’ NASALI


Benigne
- Papilloma invertito, localizzazione etmoido-mascellare. Evoluzione locale lenta
con capacità osteolitica. Presenta una tendenza alla recidiva e alla degenerazione
maligna. L’eziopatogenesi è probabilmente virale (HPV).
- Angiofibroma è un tumore istologicamente benigno, non ha atipie non
metastatizza e non recidiva. Se si asporta però è maligno clinicamente perché
sanguina talmente tanto che se non si fa in tempo la diagnosi si può perdere il
paziente a causa delle emorragie copiosissime e irrefrenabili. Spesso
l’angiofibroma viene classificato come un polipo perché ne ha le caratteristiche,
ma se lo si asporta senza fare un’embolizzazione, senza avere un approccio ampio,
l’emorragia può essere irrefrenabile.
- Osteoma, localizzazione nella regione del seno frontale e nella regione etmoidale,
lento accrescimento, di solito asintomatico.
La diagnosi si ottiene per via endoscopica e tramite TC.

Papilloma invertito nasosinusale


Fortunatamente è raro, è istologicamente benigno ma localmente destruente con
accrescimento dell’epitelio nello stroma sottostante e se non lo si asporta
radicalmente la situazione precipita.
La possibilità di recidiva aumenta con la chirurgia di salvataggio di una recidiva: su
un tumore che ha recidivato è molto più difficile poi effettuare una chirurgia
definitiva.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 99 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Bisogna quindi essere radicali sin dal primo approccio terapeutico e per esserlo
bisogna avere una diagnostica per immagini precisa e non trovarsi durante
l’intervento chirurgico difronte ad un papilloma inaspettato.
Va ricordato che la base d’impianto può coinvolgere anche l’osso. Quando si esegue
la chirurgia radicale va asportato anche l’osso per evitare la recidiva.
È definito invertito perché questo tumore tende a crescere verso la lamina basale in
modo digitiforme o espansivo ma la membrana non viene mai superata. Questa è
proprio la caratteristica che lo identifica e lo distingue da un carcinoma, che invece
supera la membrana basale ed è anche invasivo.
Le caratteristiche inoltre sono: una spiccata aggressività locale, tendenza ad essere
multifocale e tendenza a recidivare (più del 58%).
La degenerazione in senso carcinomatoso è rara però avviene in genere tanto più è
recidivato.
La diagnosi è endoscopica, in questo caso all’osservazione simula perfettamente un
polipo: la superficie è liscia, rosea, non c’è infiltrazione, non c’è sanguinamento, non
c’è ulcerazione. Però in realtà alcune caratteristiche di accrescimento, consistenza e
radiologiche pongono il sospetto di papilloma invertito. E’ generalmente un
“tumore-ponte” che cresce nel seno mascellare e si affaccia poi nel naso e simula un
polipo che si sviluppa dal seno antrale, va verso la parete mediale che è più sottile e
tende a dirigersi verso l’apertura che è il meato medio dove c’è il canale di questo
seno.
Quindi il tumore segue una via di minor resistenza e di maggior diffusione andando
nella fossa nasale. Infatti dovete sapere che tutti i tumori hanno una via
preferenziale che il chirurgo deve conoscere per trattare in modo corretto questi
tumori.
A differenza del carcinoma il papilloma invertito infiltra le pareti restanti e può
simulare un polipo: se è acquoso potrebbe essere un polipo vero e proprio, se invece
è disidratato questo già farebbe pensare più ad un papilloma invertito.
Purtroppo spesso questi tumori vengono diagnosticati quando il tumore ha ormai
invaso la fossa nasale e la occupa dando un ostruzione nasale monolaterale (mentre
nella poliposi spesso è bilaterale), a questo punto però è già tardi perché è già un
tumore avanzato e assume caratteristiche simili al carcinoma: è biancastro, più
grande, la superficie è meno liscia più irregolare, però le pareti sono tutte integre ad
eccezione dell’antro e del meato medio dove c’è il canale di apertura. Quindi occupa
tutta la fossa nasale nel rispetto del tetto e dell’orbita a differenza di un carcinoma.

Agiofibroma Rinofaringeo
E’ un tumore benigno che interessa maggiormente gli adolescenti di sesso maschile
e cresce nel rinofaringe o nel naso. È benigno ma è molto vascolarizzato e non
presenta sfinteri nelle anastomosi artero-venose, pertanto quando sanguina
l’emorragia non si ferma spontaneamente. Ha un comportamento aggressivo
biologicamente perché la sua crescita espansiva nel corso del tempo può erodere e
portarsi verso la base cranica diventando anche endocranico e destruente per le
pareti ossee delicate che incontra.
La caratteristica principale è il sanguinamento estremo: sono pazienti che possono
perdere anche 2 litri di sangue nell’arco di 4 minuti.
L’intervento chirurgico è per questo delicatissimo, tant’è che quando vengono
diagnosticati questi tumori, la cosa più prudente da fare è embolizzarli. Si fa come

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 100 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
prima cosa un’ angio-RM che ci fa capire che è un tumore vascolarizzato e qual è il
peduncolo arterioso che lo irrora, poi un’embolizzazione superselettiva e infine il
trattamento chirurgico. Nelle forme endocraniche che talvolta quando il tumore è
avanzato non si riescono ad asportare, si fa soltanto la radioterapia.
Per quanto riguarda la sintomatologia l’ostruzione nasale non è una causa frequente
di diagnosi poiché moltissimi ragazzi nell’adolescenza possono avere ad esempio un
setto nasale deviato, adenoidi o i turbinati ingrossati o un angiofibroma che non
consente all’aria di passare ed è chiaro quindi che i turbinati si gonfiano.
Il sintomo che fa pensare più di tutti a questo tipo di tumore sono le epistassi
monolaterali ricorrenti.
Altri sintomi frequenti sono: rinorrea purulenta, anosomia/iposomia, epifora,
cefalea, deformità facciali e rinolalia chiusa posteriore.
TC e RMN sono importanti per la diagnosi ma l’endoscopia oggi ci permette di
vedere bene questo tumore poiché anche per fare una laringoscopia bisogna passare
dal naso ed è raro non accorgersi di una lesione di questo tipo.
L’angiografia invece ci dà una mano notevolissima per la diagnosi differenziale con
altre lesioni e ci aiuta con l’embolizzazione che non è sempre possibile poiché
queste anastomosi artero-venose sono prive di sfinteri e per questo sanguinano.
Infatti normalmente le arterie hanno una muscolatura che tramite spasmi permette
loro di chiudersi anche spontaneamente, mentre qui no, continuano a sanguinare
per cui è anche pericoloso talvolta fare un’ embolizzazione perché ci possono essere
delle anastomosi tra le arterie tributarie della carotide esterna ed interna e andando
ad embolizzare questa lesione possiamo andare ad embolizzare il territorio delle
carotidi portando alla morte il paziente. Quindi l’embolizzazione va fatta ma in casi
molto selezionati.
L’ approccio chirurgico è ormai combinato con embolizzazione e radioterapia, quindi
chirurgia interventistica con radioterapia.

Maligne
Causano ostruzione nasale unilaterale, rinorrea siero-ematica, epistassi e algie
facciali. Tumori rari, prognosi infausta. Notevole eterogeneità istologica.
Sono più frequenti nel sesso maschile, nella fascia d’età 50-70 aa.
I più importanti fattori di rischio saranno: esposizione a cromo e nichel, vapori di
formaldeide ed altri inquinanti chimici.
I tumori maligni che più frequentemente si presentano clinicamente sono:
- Carcinoma squamocellullare cheratinizzante, è il più comune, ne esiste una
variante non cheratinizzante ed una indifferenziata; è un tumore “painful” che dà
dolore poiché diffonde nei nuclei nervosi. Se un paziente con emorragia in quel
settore, presenta dolore bisogna pensare anche a un carcinoma adenoideocistico
poiché appunto diffondendo nei nuclei nervosi è un tumore dolente.
- Adenocarcinoma, origina dalle ghiandole della mucosa naso-sinusale, ha
localizzazione nel seno etmoidale.
- Carcinoma adenoido-cistico, può originare da ghiandole salivari ectopiche presenti
nel seno mascellare e nell’etmoide. Ha una lenta la crescita locale, con tendenza
all’infiltrazione perineurale precoce e alla diffusione ossea e polmonare.
- Carcinoma mucoepidermoide, origina anche esso dalle ghiandole salivari ectopiche,
ha diversi gradi di malignità, maggiormente invasivo localmente con metastasi ai
linfonodi laterocervicali

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 101 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
- Neuroblastoma, è un carcinoma neuroendocrino che origina dalla mucosa
olfattiva della volta delle fosse nasali. E’ una neoplasia invasiva con tendenza
all’estensione intracranica e alla metastatizzazione laterocervicale. Ha la
caratteristica di essere un tumore che interessa l’epitelio olfattorio e quindi
l’anosmia è il sintomo più rilevante. È un “tumore tranello” perchè ha una
superficie liscia quasi polipoide, infatti spesso ci sono dei casi di estesi
neuroblastomi che vengono erroneamente trattati come polipi nella convinzione
che si tratti di poliposi.
- Linfomi nasali “di tipo T”, provocano una lenta e progressiva distruzione dei
tessuti nasali e paranasali con una necrosi ischemica, erosione dei tessuti molli,
cartilagine e osso. Tale quadro clinico è noto anche con il nome di granuloma
maligno medio-facciale
Esistono inoltre linfomi non Hodgink, plasmocitomi, melanomi e sarcomi nonché
neoplasia metastatiche (rene, bronchi,mammella, GIS)

Clinica in fase avanzata


- Diplopia, esoftalmo, riduzione del visus, edema palpebrale.
- Anosmia, bilaterale per ostacolo meccanico o per interessamento della mucosa
olfattiva.
- Alterazioni morfologiche del volto con comparsa di una tumefazione non dolente
alla radice del naso e/o all’angolo interno dell’orbita.
- Coinvolgimento della fossa cranica anteriore, con cefalea, ipertensione
endocranica e paralisi di nervi cranici.
- Interessamento dei tessuti molli della guancia, delle gengive, dell’arcata alveolare
superiore e del palato duro

Iter diagnostico
- Anamnesi ed esame obiettivo: serve a valutare la storia clinica del pz, le
condizioni fisiche, il performance status, la presenza di fattori di rischio, la
presenza di lesioni visibili.
- Rinoscopia anteriore e posteriore (se il tumore origina nella fossa nasale): spesso
è visibile una formazione vegetante, irregolare, carnosa e sanguinante che posso
biopticare.
- Endoscopia a fibre ottiche (se la neoplasia è endosinusale)
- TC/RM: si usano per valutare l’estensione e dil coinvolgimento dei tessuti
circostanti

Terapia
La terapia in genere è chirurgica e consiste nella maxillectomia parziale se la
neoplasia è contenuta nel mascellare, altrimenti totale.
In genere si rimuove il mascellare e l’etmoide (se interessa la sovrastruttura) o il
palato duro (se interessa l’infrastruttura). Segue lo svuotamento linfonodale e la
ricostruzione del volto.
La radio o chemio terapia sono utili se si verifica un’ invasione della cute,
dell’encefalo o della fossa pterigo-maxillo-palatina
Si ricorre ad un approccio chirurgico combinato cranio-facciale se il tumore lambisce
il tetto dell’etmoide o raggiunge la dura madre.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 102 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________
- CLINICA OTORINOLARINGOIATRICA Autore: MAURIZI , 01/2007
- Dispense di Otorinolaringoiatria di Marco e Francesca
- Sbobinatura di Otorinolaringoiatria del 14/04/2015 h14.30 – 17.0 Prof.
Almadori, Neoplasie del cavo orale e dell’orofaringe, A cura di Maria Chiara Marra
e Damiano Marrone
- Sbobinatura di Otorinolaringoiatria del 21/04/2015 h.16.00, Prof. Almadori,
Epistassi, tumori rinofaringei e naso sinusali, A cura di Francesco Mazzotta e
Federica Stella
- Percorsi diagnostici e terapeutici, A cura di Fausto Chiesa, Direttore, Divisione
di Oncologia Cervico-facciale Istituto Europeo di Oncologia

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 103 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

CAPITOLO 10
__________________________________________________________
CANCRO DEL POLMONE

EPIDEMIOLOGIA
Il tumore del polmone è la neoplasia più frequente nel sesso maschile, anche se
ultimamente, con l’aumento dell’abitudine al fumo comincia ad essere molto
frequente anche nel sesso femminile (sta raggiungendo i livelli di incidenza del
carcinoma della mammella ed ha già superato quelli dell’utero),
L’incidenza è più elevata nel Nord Europa, in USA, in Canada ed è più bassa in
Giappone, Israele e Svezia. essa è stimata intorno ai 60 casi per 100000 abitanti. La
mortalità è di 52 su 100000. La neoplasia al momento è in aumento di incidenza, sia
relativo, per l’aumento della durata della vita media, sia assoluto.

FATTORI DI RISCHIO
Nonostante fattori di rischio genetici possano predisporre al tumore del polmone, il
fattore eziologico principale è senza dubbio il fumo. Il rischio relativo dipende dal
tipo di fumo; infatti è stato osservato che l’incidenza è circa:
- dell’1% nei non fumatori
- del 2,2% nei fumatori di pipa
- del 10% nei fumatori di sigaretta, in questo caso l’incidenza varia in base al
numero di sigarette fumate, dalla durata dell’abitudine al fumo, dall’età di inizio
(ovviamente più è precoce, più il rischio è maggiore), dalla presenza o meno di
filtro, dalla quantità di nicotina e dal tipo di sigarette fumate.
Se un pz smette di fumare il suo rischio aggiuntivo si abbassa progressivamente, e
dopo 10 anni ritorna equiparabile a quello di un soggetto non fumatore (1%). Anche
il fumo passivo aumenta il rischio di sviluppare il cancro al polmone.
Altri fattori di rischio saranno:
- Fattori occupazionali: esposizione a sostanze radioattive, come uranio, plutonio,
radon, esposizione ad asbesto (aumenta il rischio di mesotelioma pleurico) o
rame, zinco, benzopirene, carbone e catrame.
- Fattori ambientali: si pensi all’inquinamento atmosferico, infatti il tumore del
polmone ha un’incidenza maggiore nelle aree urbane ed inquinate rispetto a
quelle rurali.
- Fattori dietetici: una dieta priva o povera di selenio, vitamina C, vitamina A,
carotenoidi, comporta un aumento del rischio, dato il loro potere antiossidante
che si esplica contro le ROS prodotte dal fumo.

I carcinomi ad insorgenza periferica spesso hanno sede in cicatrici; queste possono


essere l’esito di infarti, bronchiectasie e processi tubercolari. Nelle aree cicatriziali
l’epitelio bronchiale viene sostituito da cellule che possono somigliare agli elementi
dell’epitelio dei bronchioli terminali o dell’epitelio squamocellulare. Queste cellule
presentano forme atipiche dalle quali potrebbe originare il carcinoma.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 104 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

EZIOLOGIA
La causa principale di tumore polmonare è il tabagismo, in particolare il fumo di
sigaretta. Nelle cellule tumorali polmonari possono essere osservate 10 o più
anomalie genetiche acquisite, più comunemente:
- Mutazioni puntiformi negli oncogeni ras;
- Amplificazioni, riarrangiamento o iperespressione degli oncogeni della famiglia
myc
- Sovraespressione di bcl2, Her-2/Neu e telomerasi.
- Sono state identificate anche delezioni del gene Rb e della p53.
L’evento più precoce, osservato anche nell’epitelio bronchiale iperplastico è la
perdita del braccio corto del cromosoma 9 e del 3. Una piccola ma significante parte
di pz ha mutazioni attivanti nel gene per il recettore EGF o eventi di fusione
riguardanti i geni Alk o Ros.

Esistono diversi sottotipi molecolari di adenocarcinoma. Sono da ricordare:


- EGFR mutato, rappresentano il 10/15%, più frequenti nelle donne non fumatrici,
suscettibili a terapia con gefitinib,
- Resistenti a antiEFGR, tramite pathway angiogenetici, in questi casi si può usare
il miritendonil, un inibitore della tirosin chinasi che interferisce con l’angiogenesi
- EML4/ALk, 4% dei NSCLC, presente nei non fumatori < di 50 anni.

PREVENZIONE
Per il tumore del polmone è possibile solamente una prevenzione primaria articolata
come: lotta al tabagismo, bonifica degli ambienti di lavoro, identificazione delle
popolazioni a rischio, lotta all’inquinamento atmosferico. La prevenzione secondaria
intesa come identificazione precoce della malattia tramite screening di massa, non è
possibile, dato l’elevato costo delle indagini radiologiche e dell’esame citologico
dell’escreato e lo scarso beneficio (grande numero di falsi negativi). Più semplice
risulta tenere sotto controllo i soggetti a rischio (fumatori con BPCO, professionisti
a rischio) attraverso l’esecuzione di un Rx torace ed un esame citologico all’anno. In
caso sospetto si completa l’iter diagnostico con una broncoscopia.

ANATOMIA PATOLOGICA
Macroscopicamente i tumori del polmone possono essere divisi in:
- Tumori cenrali, che originano dai bronchi lobari o segmentali
- Tumori periferici che originano dai bronchi di piccolo calibro
- Tumori a crescita esobronchiale e Tumori a crescita endobronchiale.
Dal punto di vista microscopico una prima differenza può essere fatta tra quelli di
origine epiteliale e quelli di origine non epiteliale.

Tra i tumori di origine epiteliale vanno ricordati:


- Tumori non Microcitomi (carcinoma polmonare non a piccole celluele), tra i quali:
- Carcinoma epidermoidale o squamoso: rappresenta il 30% dei tumori polmonari.
E’ un tumore centrale che origina dall’epitelio dei grossi bronchi, caratteristica
che lo rende diagnosticabile precocemente tramite broncoscopia. E’ un tumore
a lenta crescita con una correlazione significativa al fumo.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 105 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
- Carcinoma anaplastico a grandi cellule: rappresenta il 10% dei tumori
polmonari. Non è correlato al fumo di sigaretta ma la prognosi è simile a quello
dell’adenocarcinoma.
- Adenocarcinoma: rappresenta il 30-35% dei tumori polmonari. E’ un tumore
periferico che origina dal tessuto ghiandolare. Le sue cellule sono positive per
le citocheratine e per il CEA. Non è significativamente correlato al fumo. Ha
prognosi peggiore rispetto al carcinoma squamoso.
- Tumori microcitomi (carcinoma polmonare a piccole cellule):
- Microcitoma: rappresenta il 25-30% dei tumori polmonari. E’ un tumore
centrale costituito da cellule particolari dette oat cells, cellule a chicco d’avena,
linfocito-simili, non di origine epiteliale ma neuroectodermica. Le cellule
presentano un elevato indice mitotico e da scarso stroma intercellulare,
caratteristiche che configurano la sua grande aggressività. E’ un tumore a
cattiva prognosi e che spesso tende a dare metastasi. L’80% di microcitomi
presenta metastasi alla diagnosi.

Il riscontro di questa neoplasia condiziona grandemente le successive scelte
terapeutiche, per cui alcuni Autori, a scopo pratico, preferiscono distinguere i
carcinomi a piccole cellule da tutti gli altri istotipi (carcinomi non a piccole cellule).
Questa forma deriverebbe da cellule di origine endodermica con differenziazione
neuroendocrina. Al microscopio elettronico si è osservata la presenza di granuli
neurosecretori; questi granuli, nel polmone sano, sono caratteristici di alcune cellule,
denominate del Kultschitsky, presenti nell’epitelio di bronchi e bronchioli
singolarmente (dove assumerebbero un ruolo non meglio precisato nella
modulazione lo- cale della respirazione) o in aggregati, i corpi neuroepiteliali, con
funzione di chemorecettori. Questi elementi possono produrre serotonina,
calcitonina ed altri ormoni polipeptidici. È opinione comune che i carcinomi
anaplastici a piccole cellule derivino da questi elementi; queste osservazioni hanno
spinto a studiare la relazione esistente tra il microcitoma e il carcinoide, che non
sarebbe altro che una forma più differenziata della stessa malattia. 


Tra i tumori non epiteliali sono degni di nota:


- Sarcomi
- Carcinoidi
- Linfomi
- Adenoidocistico

STORIA NATURALE
La storia naturale del tumore polmonare ha inizio con le atipie citologiche proprie
dell’evoluzione neoplastica a livello dell’epitelio di rivestimento bronchiale, e
prosegue con lo stadio di carcinoma in situ (in cui non c’è superamento della
membrana basale) fino all’invasione delle strutture contigue e di quelle distanti
attraverso la disseminazione metastatica. I sintomi e i segni legati a questa
evoluzione sono purtroppo tardivi nella maggior parte dei casi, particolarmente per
alcuni tipi istologici del cancro del polmone, che presentano elevato grado di
malignità e tendono ad accrescersi in modo silente.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 106 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Il tumore diffonde generalmente:
- Per contiguità, può invadere la pleura, la parete toracica, il diaframma, i grossi
vasi, il nervo frenico, il ricorrente, l’esofago, i corpi vertebrali, plesso brachiale,
simpatico cervicale e carotide (per gli ultimi tre si configura il quadro del tumore
di Pancoast).
- Per via linfatica, i lobi superiori drenano ai linfonodi peribronchiali, agli ilari, ai
paratracheali omolaterali; i lobi inferiori drenano ai peribronchiali, ilari,
sottocarenali e da qui ai paratracheali omolaterali. Frequentemente per il lobo
inferiore sx è possibile il fenomeno del crossover: dai linfonodi sottocarenali il
tumore può metastatizzare direttamente ai linfonodi paratracheali controlaterali.
- Per via ematogena, le sedi più frequenti di metastasi sono il surrene, il cervello, il
fegato e le ossa. Questo vale soprattutto per adenocarcinoma e microcitoma.

TNM (7a edizione)

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 107 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

QUADRO CLINICO
Inizialmente si presentano dei sintomi aspecifici che sono diversi a seconda della
sede del tumore. Infatti avremo:
- Per i carcinomi centrali:
- Tosse, stizzosa, secca, poco sensibile agli antitussigeni. In genere è sottovalutata
dal pz (specialmente se fumatore e con BPCO). Bisogna fare attenzione ad
eventuali modificazioni del timbro e dell’intensità. I soggetti con tosse
duratura, in caso di sospetto vanno sottoposti ad Rx torace. Bisogna fare
attenzione anche alla tosse comparsa ex novo nei soggetti sani.
- Emottisi
- Dispnea, tipicamente da ostruzione del bronco fino ad atelectasia in caso di
crescita endobronchiale. La sintomatologia ostruttiva può essere dovuta anche
ad una compressione che il tumore esercita in caso di crescita esobronchiale.
- Per i carcinomi periferici avremo tosse e dispnea con le caratteristiche già esposte.

Quando il tumore comincia a diffondersi avremo una sintomatologia diversa


caratterizzata da;
- Dolore, toracico, in genere per infiltrazione pleurica.
- Sindrome di Pancoast, dolore al torace, alla spalla e al braccio, parestesie dell’arto
superiore da infiltrazione del plesso brachiale.
- Sindrome di Bernard-Horner, ptosi, miosi ed enoftalmo, per infiltrazione del
simpatico cervicale.
- Disfonia, per infiltrazione del ricorrente, più frequentemente quello di sinistra
dato che la sua posizione nella finestra aorto-polmonare ne facilita
l’interessamento. Il ricorrente di destra origina più in alto, è infiltrato raramente.
- Disfagia, per infiltrazione dell’esofago.
- Paralisi diaframmatica, per infiltrazione del nervo frenico.
- Sindrome mediastinica, per compressione ed infiltrazione della vena cava
superiore, soprattutto nel tumore del lobo superiore destro.
- Aritmie cardiache per infiltrazione del muscolo cardiaco
- Versamento pleurico

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 108 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

Nel carcinoma centrale avremo una crescita intraluminale con l’espansione del tumore verso
l’ilo polmonare. Il microcitoma peresenta una caratteristica forma a manicotto. Sia quello
inifltrante in fase tardiva che quello occludente in fase avanzata possono dare una polmonite
atelectasica ed un enfisema a valvola. All’Rx la forma occludente è evidenziabile mediante segni
indiretti quali atelectasia e broncopolmonite che vanno sempre indagati con TC. La forma
infiltrante tende a deformare l’ilo polmonare.
Nel carcinoma periferico avremo la crescita diretta verso la pleura. Il quadro tipico è quello
pseudopneumonico. Molto spesso è adk positivo. All’Rx avremo un nodulo tondeggiante con
margini irregolari e strie radiali linfangitiche. In fase avanzata si presenta come massa
importante che coinvolge le strutture vicine.

Ancora più tardivi sono i sintomi relativi alle metastasi, come ittero, dolore
addominale, dolori ossei, fratture patologiche, deficit neurologici.
In fase avanzata avremo calo ponderale, astenia ed anoressia.
Le sindromi paraneoplastiche possono essere anche l’unica manifestazione del
tumore e sono particolarmente frequenti nel microcitoma. Tra esse ricordiamo:
- Sindromi disendocrine: Cushing, Ipercalcemia (nello squamoso), inappropriata
secrezione di ADH
- Sindromi neuromuscolari, s. miastenica, neuropatia vegetativa, retinopatia
- Sindromi osteoarticolari, S. di Pierre-Marie, clubbing ungueale
- Sindromi cardiovascolari, tromboflebiti, endocardite trombotica abatterica
- Sindromi ematologiche, eritrocitosi, leucocitosi.

DIAGNOSI
La diagnosi di carcinoma polmonare viene eseguita tramite:
- Anamnesi ed Esame clinico
- Rx torace, utile per i tumori centrali a crescita esobronchiale. Può evidenziare una
serie di segni indiretti per i tumori a crescita endobronchiale, come: iperdiafania
periferica dovuta alla vasocostrizione ipossica, atelettasie, spostamento dell’ilo,
iperdistensione respiratoria, se l’ostruzione bronchiale non è completa. Per i
tumori periferici rende possibile l’osservazione del nodulo con l’eventuale
valutazione dei margini, radiopacità, dimensioni, posizione e numero.
- Esame citologico dell’espettorato, utile per i tumori centrali
- Broncoscopia, va eseguita sempre nel caso di sospetto di tumori endobronchiali;
consente di eseguire un BAL (dal quale si può ricavare un citologico), un brushing
della zona sospetta, o addirittura un prelievo bioptico. La definizione istologica è
fondamentale per la diagnosi e la prognosi.
- TC torace, è il mezzo più affidabile per la diagnosi di carcinoma polmonare,
specialmente quando eseguita con mezzo di contrasto.
- PET-TC può dimostrare una certa utilità nella diagnosi del tumore polmonare,
soprattutto per quello che concerne i microcitomi, caratterizzati da un elevato
metabolismo. Ma dato che l’attuale risoluzione della metodica è intorno agli 1-2
cm non rende possibile la diagnosi precoce. E’ fondamentale nella ricerca delle
metastasi
- Agoaspirato e biopsia transtoracica, possono essere eco o TC guidati. Si eseguono
quando non è possibile raggiungere il tumore tramite broncoscopia. Permettono
la diagnosi definitiva.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 109 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

STADIAZIONE
- TC torace: permette di definire l’estensione loco-regionale e i rapporti con gli
organi contigui.
- Ecografia torace, permette di definire la mobilità della lesione durante i movimenti
respiratori, pertanto indirettamente stima l’infiltrazione parietale.
- RMN, informazioni simili alla TC ma è migliore nella definizione
dell’interessamento del miocardio, dei vasi, del plesso brachiale e del simpatico
cervicale.
- Possono essere utili ecografia epatica per individuare eventali metastasi epatiche,
TC addome, scintigrafia ossea, TC o RMN cranio e mediastinoscopia, solo se la
definizione linfonodale cambia lo stato di malattia.

TERAPIA
Non Microcitomi
La chirurgia con intento radicale rappresenta il tratta- mento di prima scelta per le
neoplasie in stadio I-II. Essa consiste generalmente in una lobectomia, bilobectomia
o pneumectomia a seconda dell’estensione della neoplasia. Una resezione radicale è
ritenuta tale quando si ottiene l’asportazione di tutta la malattia visibile, i margini di
resezione sono istologicamente negativi e viene eseguita una linfoadenectomia ilo
mediastinica o un campionamento delle stazioni linfatiche che drenano la neoplasia.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 110 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Gli interventi più limitati (segmentectomia, resezione a cuneo, nodulectomia)
possono essere attuati nei casi in cui le condizioni cardiopolmonari controindichino
la lobectomia.
La valutazione preoperatoria deve tener conto di alcune controindicazioni relative e/
o assolute. Vanno rispettati una serie di criteri di operabilità, ossia:
- Età del pz < di 70 anni
- Performance status, il pz deve essere in buono stato, con una buona funzione
polmonare e cardiocircolatoria
- Estensione del tumore primario, il tumere di Pancoast, l’interessamento della
parete toracica, della carena, dell’angolo tracheobronchiale, sono
controindicazioni relative all’intervento.
- Presenza o assenza di metastasi linfonodali, già con un N2 si ottengono scarsi
risultati, un N3 è controindicazione assoluta all’intervento.

La sopravvivenza dei pazienti operati è in funzione dello stadio: 60-70% per un


paziente con stadio I, 40- 60% per un tumore in stadio II.

Pertanto:
- Stadio I-II (T1-2, N0, M0), potenzialmente guaribile con chirurgia radicale,
prognosi buona nel 60-80% dei casi, la chirurgia può essere seguita da una
radioterapia adiuvante per ridurre la recidiva locale. L’intervento d’elezione è la
lobectomia.
- Stadio II (T1-2, N1 M0), chirurgia più radioterapia adiuvante (50 Gy con
frazionamento classico). Si associa chemioterapia solo nei casi a prognosi
favorevole. Si tratta di una polichemioterapia con etoposide e cisplatino.

Negli stadi I e II che non possono sostenere l’intervento e nello stadio IIIA si usa
radioterapia radicale con 5000-6000 cGy)

- Stadio IIIA, se T3 N0 l’intervento può essere radicale. Se il tumore infiltra


l’angolo tracheobronchiale si esegue una lobectomia con sleeve resection, cioè
una resezione segmentaria del bronco interessato. Se il bronco infiltra la parete
toracica si esegue una RT neoadiuvante poi una lobectomia con l’asportazione di
una o più coste, in seguito si posizionano delle reti che conferiscono resistenza
alla parete toracica privata del proprio sostegno, ciò evita alterazioni della
dinamica della ventilazione. Nel caso di N2 la radicalità chirurgica è messa in
dubbio, motivo per cui si eseguono una polichemioterapia + RT neoadiuvante che
spesso consente di aumentare l’indice di resecabilità. Possono essere prese in
considerazione RT e PCT adiuvanti.
- Stadio IIIB, è considerato inoperabile, anche se a volte si eseguono PCT e RT
neoadiuvanti.
- Stadio IV, inoperabile, sono indicati PCT e RT palliative.

La mortalità postoperatoria è del 2-9% ed è in rap- porto con l’entità della resezione,
l’età del paziente, le condizioni generali preoperatorie e l’eventuale tratta- mento
medico preoperatorio (chemioterapico e/o radio- terapico).

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 111 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Nota: come faccio a dire solo dall'anamnesi e dall'esame obiettivo che pz è inoperabile?
Versamento pleurico (T4), Linfonodi sovraclaveari (N3), segni/sintomi di
interessamento a distanza (dolore gambe schiena, singhiozzo, disfonia, toni parafonici
ecc)

La sopravvivenza a 5 anni è del:


- 60-70% nello stadio I
- 40-50% nello stadio II
- 15-40% nello stadio IIIA
- < 1% nello stadio IIIB
- < 1% nello stadio IV.

Esiste una categoria di pazienti che per età, condizioni generali, ridotta funzionalità
respiratoria e cardiaca non può essere candidabile a un intervento chirurgico
radicale. In questi casi il trattamento elettivo è rappresentato dalla radioterapia. Un
trattamento radiante con intento radicale richiede la somministrazione di dosi
elevate, non inferiori a 60 Gy, con i conseguenti problemi di tossicità acuta e cronica.
Anche se mancano confronti diretti tra chirurgia e radioterapia nel trattamento degli
stadi I-II, la sopravvivenza a lungo termine ottenuta con la radiopterapia è
apparentemente inferiore a quella ottenuta con la chirurgia, soprattutto a causa di
un inadeguato controllo locale.
I pazienti con stadio IIIB o IV vengono considerati non candidabili al trattamento
chirurgico per storia naturale di malattia. L’associazione di chemioterapia e
radioterapia ad intento radicale è considerata la principale scelta terapeutica per i
pazienti con stadio IIIB considerati non resecabili radicalmente. Per quanto riguarda
i pazienti con la malattia in fase avanzata (stadio IIIB con versamento pleurico) o
metastatica (IV stadio), le possibilità di guarigione sono solo aneddotiche. La
sopravvivenza mediana varia tra 6 e 10 mesi. I trattamenti chemioterapici vengono
effettuati ad intento palliativo con l’obiettivo di miglio- re la qualità della vita dei
pazienti.

In virtù delle caratteristiche biologiche della neoplasia, la chirurgia riveste un ruolo


piuttosto limitato nel trattamento del microcitoma, con interventi occasionali in
presenza di piccole lesioni periferiche o di resezione di masse residue dopo terapia
sistemica. La chemioterapia e la radioterapia sono gli strumenti terapeutici
fondamentali nel trattamento del microcitoma.
Per il microcitoma la terapia e la prognosi sono radicalmente cambiate con l’avvento
della PCT con un aumento della sopravvivenza a 5 anni fino al 10% dei pz. La
sopravvivenza mediana resta intorno a 5-7 mesi. La terapia prevede l’utilizzo di
cisplatino, etoposide, ifosfamide, metotrexate, ciclofosfamide, con associazione di
2-3 farmaci.
Spesso viene effettuata una RT profilattica del SNC e RT palliativa in caso di
metastasi. Se la risposta alla PCT è buona e non ci sono segni di metastasi a distanza
si può pensare all’associazione con un trattamento chirurgico. La RT a livello
toracico si associa a molti effetti collaterali quali: fibrosi pomonare e cardiaca,
pleurite, pericardite, esofagite, fibrosi delle coronarie.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 112 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Grazie allo sviluppo di nuove tecniche ha preso piede la IORT, a torace aperto è
possibile irradiare la regione tumorale spostando gli OAR e limitando gli effetti
collaterali della RT.

Nota: se EGFR mutato possono essere ustati nella terapia: gefitinib erlotinib afatinib
(piccola quota di adk, non fumatrici). Se sono presenti Eml4-alk (piccola quota di
adk, non fumatori) crizotinib

LINEE GUIDA NCCN 2016

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 113 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 114 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
TUMORI PLEURICI
I tumori pleurici sono complessivamente piuttosto rari, predominano nel sesso
femminile e incidono prevalentemente nel 6° decennio di vita. Si distinguono forme
benigne che traggono origine dalle strutture sottomesoteliali (lipomi, fibromi,
sarcomi, ecc.) e forme maligne che originano dal foglietto sieroso (mesoteliomi).

ANATOMIA PATOLOGICA
L’interessamento metastatico della pleura è molto più frequente di quello primitivo.
Le sedi da cui più spesso cellule neoplastiche colonizzano la pleura sono il polmone,
la mammella e l’ovaio; le metastasi causano un versamento sieroematico. L’esame
citologico del sedimento del versamento permette non solo di riconoscere le cellule
maligne, ma anche di precisare la natura primitiva o metastatica della neoplasia e, in
questo caso, di suggerire l’organo di origine.

Il mesotelioma maligno tende a occupare estesamente il cavo pleurico,


comprimendo ed anche invadendo il polmone e altre strutture toraciche; il suo
aspetto istologico esprime il duplice potenziale evolutivo delle cellule del
rivestimento mesoteliale, essendo riconoscibili aree di cellule fusate, di tipo
sarcoma, e aree tubulari e papillari, di tipo carcinoma.

CLINICA
Il quadro clinico è assai eterogeneo. A volte la prima manifestazione è quella di un
versamento pleurico ad insorgenza più o meno rapida con tendenza a recidivare
dopo la toracentesi. Spesso il versamento ha carattere emorragico.
Un sintomo precoce è il dolore, più o meno intenso. Gli altri sintomi sono quelli
comuni ad altre malattie respiratorie (tosse, dispnea) e alle altre forme neoplastiche
(dimagramento, anemia, astenia). In fase avanzata il tumore potrà interessare la
parete toracica, il pericardio e il peritoneo.

DIAGNOSI
La diagnosi si basa sull’indagine radiologica, sull’esame del liquido di versamento e
sulla biopsia della pleura.
L’esame radiologico potrà rilevare:
- un versamento pleurico con tendenza a retrazione dell’emitorace;
- un ispessimento pleurico a margini irregolari;
- la presenza di masse accollate alla parete e con angolo di attacco ottuso. 


Alla toracentesi è tipica la sensazione di dura cotenna da superare. Il liquido pleurico


è emorragico, comunque a carattere essudatizio (PS > 1018, proteine > 3 g/100 ml,
LDH superiore al 60% rispetto al tasso ematico), vischioso per la ricchezza di acido
jaluronico, riccamente cellulato. Le cellule tumorali sono invece presenti solo nel
65% dei casi perché il tumore è poco esfoliativo. 


La biopsia pleurica con ago o per via pleuroscopica è l’esame d’accertamento


fondamentale. La prognosi è naturalmente nefasta e il decorso abbastanza rapido (da
1 a 3 anni). La terapia chirurgica è raramente attuabile. La terapia medica prevede
introduzione di farmaci antitumorali in cavo pleurico e pratiche destinate ad
ottenere sinfisi pleurica (tetracicline ed aspirazione).

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 115 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
La pleura è infine interessata spesso in via riproduttiva da tumori polmonari (sia per
invasione che per via linfatica od ematica), da tumori mammari e da neoplasie di
altra origine. La diagnosi avviene con lo studio del liquido pleurico (spesso
emorragico) del suo contenuto in cellule tumorali e mediante la biopsia pleurica.

TERAPIA
È difficile giungere a conclusioni univoche sul trattamento di questa neoplasia per la
sua relativa rarità e per la disomogeneità delle casistiche.
La malattia è diagnosticata in stadio I (T1 o T2 N0 M0) in non più del 25% dei casi;
è una situazione in cui la terapia di elezione è rappresentata dalla chirurgia;
l’intervento chirurgico è però molto demolitivo (pleuro- pneumonectomia).
Esistono dunque frequenti controindicazioni mediche alla sua attuazione: si deve
inoltre tener conto dell’elevata mortalità (scesa comunque all’8-10%) e, soprattutto,
della frequente incidenza di complicanze, a conseguente discapito della qualità di
vita. Interventi più limitati (pleurectomia) non assicurano la radicalità oncologica e
hanno sostanzialmente un valore palliativo.
La sopravvivenza a 2 anni dall’inter- vento di pleuropneumonectomia è compresa tra
il 20% e il 30%, ma meno del 10% dei pazienti è vivo dopo 5 anni. Questo vuol dire
che l’intervento chirurgico assicura una sopravvivenza a lungo termine in meno del
2% dei pazienti affetti da mesotelioma pleurico.

La radioterapia ha un ruolo esclusivamente palliativo; le dosi efficaci sono però


dell’ordine di 40 Gy e possono quindi comportare notevoli effetti collaterali, anche
se il controllo del dolore è raggiunto nella grande maggioranza dei casi.

La terapia sistemica o intracavitaria è difficile da valutare.


La maggior parte dei farmaci chemioterapici, utilizzati come agenti singoli, ha
un’attività inferiore al 20% di risposte obiettive. Il farmaco più utilizzato, a scopo
palliativo, è l’adriamicina, somministrato a dosi di 60-75 mg/m2 ogni 3 settimane.

BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________
- Dispense Prof. Butti, reperibili presso la copisteria
- Linee guida AIOM 2013 sulle neoplasie polmonari
- Linee guida NCCN 2016
- Sbobinatura Prof Valentini aa 2015/2016
- Harrison - Manuale di Medicina interna - Edizione 2014 Autore: Fauci - Kasper -
Hauser - Longo - Jameson - Loscalzo - Harrison , Editore: Casa Editrice
Ambrosiana, Edizione: XVIII 1/2014 , Volume: Unico
- Medicina interna sistematica di Claudio Rugarli

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 116 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

CAPITOLO 11
__________________________________________________________
CARCINOMA DELLA MAMMELLA

EPIDEMIOLOGIA
Il tumore della mammella prevale nelle fasce d' età più avanzate, ma non è assente
tra le giovani donne. A 25 anni l'incidenza è di 5/100.000, a 50 anni 150/100.000 a
75 anni oltre 200/100.000. Rappresenta il 32% di tutte le nuove neoplasie e il 18%
delle morti per tumore nel sesso femminile. Una donna su 11/12, quindi l'8-9 %
delle donne nel corso della vita sviluppa una neoplasia della mammella.
Un'altra caratteristica è una curva di incidenza bimodale: ha un picco maggiore dopo
i 60 anni e uno più piccolo intorno ai 45. Quindi il cancro della mammella ha un
certo peso in tutte le fasce di età: è la più importante causa di morte nelle donne di
età compresa tra i 35 e i 55 anni e dopo i 55 anni è la seconda causa di morte, dopo
le malattie cardiovascolari.
In Giappone si nota un andamento caratteristico, infatti c’è un’incidenza più bassa
rispetto ai paesi occidentali, si raggiunge un picco intorno ai 50 anni e poi
l’incidenza resta costante (plateau).
Non è una neoplasia molto frequente nell'uomo, ma comunque esiste; in genere
nell'uomo ha un andamento un po' più aggressivo.
Anche se la malattia è la seconda neoplasia più guaribile (la prima è il tumore del
testicolo), data la frequenza così elevata, ha anche una mortalità piuttosto
importante (è la neoplasia letale più comune nella donna).

L'Italia è tra quei paesi che hanno un'incidenza elevata. Una volta c'era una
suddivisione geografica anche all'interno dell'Italia stessa: l'incidenza era maggiore
nelle regioni del Nord rispetto a quelle del Sud. Adesso questa differenza non si vede
più. È lo stile di vita occidentale che, per tanti motivi -non soltanto legati
all'alimentazione- rappresenta un fattore di rischio aggiuntivo rispetto ad altri È una
situazione ambientale composta che incide sulla prevalenza del tumore della
mammella.
Una donna di 30 anni dei paesi occidentali ha il 4% di probabilità di sviluppare un
tumore della mammella. Nelle fasce d’età in cui c’è maggiore incidenza di cancro
della mammella l’attesa di sviluppare un tumore della mammella in 30 anni è del 9
% , in 20 anni è del 6%.

FATTORI DI RISCHIO
- Età, è un fattore di rischio costituzionale, nelle pz con meno di 35 anni sono più
frequenti le patologie benigne, mentre in quelli con più di 35 anni quelle maligne.
FR a rischio elevato sono:
- regione geografica (occidente > oriente);
- anamnesi personale di ca. mammario
- familiarità di 1° grado; risulta circa il doppio nelle pazienti con madre affette da Ca
mammario.
- iperplasia con atipia (riscontrate in una precedente biopsia) aumenta di 5 volte il
rischio (precancerosi);
- nulliparità o gravidanza tardiva;

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 117 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
- Ca. lobulare in situ;
- S. di Klinefelter (uomo).
FR a rischio intermedio:
- Menopausa tardiva;
- Menarca precoce; ovviamente risultano protettivi un menarca tardivo, una
menopausa precoce, un numero di gravidanze consistente, tutte condizioni che
riducono il bombardamento estrogenico del tessuto mammario.
- Assunzione di estrogeni
- Storia personale o familiare di ca ovaio, utero, colon
- Alcool e grassi aumentano il rischio perchè a livello del tessuto adiposo sono
presenti le aromatasi che trasformano l’androstenedione in estrogeni che si
accumulano nel tessuto adiposo (principale fonte di estrogeni in post
menopausa).
- Fumo
- Diabete mellito(?)

Pertanto in tutte le pazienti vanno indagati:


- Età del Menarca
- Numero di gravidanze
- Allattamento
- Numero di aborti
- Età alla prima gravidanza
- Storia familiare
- Parenti di I grado con carcinoma mammario (Parenti di II e III grado non indicano
necessariamente una familiarità)
- Caratteristiche del carcinoma mammario nel parente affetto (età, mono o bilaterale)
- Familiarità neoplastica:
- Biopsie mammarie (significa che nella storia della paziente c’è stato un
nodulo sospetto che è stato sottoposto a biopsia)
- Fumo (la mammella ha secrezione esterna e quindi concentra eventuali
tossici che giungono nell’organismo attraverso qualunque strada)
- Fattori ambientali
- Fattori occupazionali
- Pazienti in Premenopausa:
- Data ultima mestruazione
- Caratteristiche dei cicli (lunghezza, regolarità)
- Uso di contraccettivi orali (che deve essere correttamente interpretato)
- Pazienti in Post menopausa
- Data della menopausa (per quanto tempo ha avuto produzione di estrogeni
endogeni)
- Uso di terapia ormonale sostitutiva

Nota: L’uso di contraccettivi orali se la diagnosi è tra i 45-54 anni non sembra avere
un grande peso. Il RR aumenta se l’età della diagnosi è inferiore ai 44 anni e sono
stati utilizzati contraccettivi prima della I gravidanza, cioè prima della completa
maturazione della ghiandola mammaria che appunto avviene con la prima
gravidanza. Anche la terapia ormonale sostitutiva dà un lieve incremento del RR.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 118 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Considerate che nei contraccettivi attuali la quantità di estrogeni è molto più bassa
rispetto ai precedenti.

Considerando il rischio relativo legato alla familiarità:


- Se il familiare di I grado ha avuto una diagnosi premenopausale il RR= 3.0
- Se ha avuto una malattia bilaterale il RR= 5.0 ,
- Se ha avuto una malattia bilaterale e diagnosi premenopausale il RR= 9.0
- Se la diagnosi è post menopausale il RR =1.5.

Sindromi con carcinoma mammario ereditario:


1. S.mammella ovaio mutaz. BRCA-1 (3-5%)
2. S. ca mammario ereditario BRCA-2 (1-2%) (La differenza tra 1 e 2, a parte il tipo
di mutazione del gene, è il fatto che nel 2 ci sono solo tumori della mammella, nell’1
ci sono tumori della mammella, dell’ovaio e a volte anche dell’utero).
3. S. di Li-Fraumeni (1%)
4. S. di Cowden (amartomi multipli)
5. S.di Muir (var. S di Lynch 2) associata a mutazione di geni del mismatch repair;
6. S. atassia teleangectasia, alterazione del mismatch repair.

Sommando queste sindromi si arriva al 10 % di tumori della mammella in cui è


riconoscibile un’ereditarietà. Ciò pone dei problemi dal punto di vista etico e medico
legale. Negli Stati Uniti una donna giovane con tumore della mammella che non fa
una valutazione genetica non viene assicurata. L’assicurazione non paga neanche se
una persona con cancro della mammella, in cui è dimostrata la mutazione del BRCA
1, non fa la mastectomia profilattica bilaterale.

SCREENING
La metodica di screening di elezione è la mammografia, perchè sensibile, specifica,
non pericolosa (servono circa 40 mammografie per aumentare il rischio dell’1%).
Attualmente si consiglia:
- Autopalpazione oltre i 20 anni.
- Esame clinico annuale oltre i 35 anni.
- Tra i 35 e i 40 anni esame radiologico di base
- Tra i 40 e i 49 anni una mammografia all’anno, in caso di sospetto ecografia,
esame clinico
- dai 50 anni in su una mammografia all’anno.

Note: Nelle donne giovani la mammografia deve essere associata a ecografia perché
c’è più componente ghiandolare e meno componente adiposa. RMN della mammella:
se la mammografia è dubbia o se c’è una discrepanza tra il reperto della
mammografia e il reperto palpatorio.

L'agoaspirato rappresenta una procedura abbastanza semplice e poco cruenta, il


tipico reperto è un aggregato di cellule neoplastiche con multipli nuclei ipercromici e
citoplasmi molto basofili.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 119 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Presentazione mammografica
Caratteristiche mammografiche del ca. mammario saranno:
• Massa
• Calcificazioni: calcificazione a spruzzo che non presentano una disposizione
lieneare come le calcificazioni fisiologiche (queste ultime presenti in tutte le donne
> 50 anni)
• Distorsione strutturale, le linee osservabili di norma convergono verso il
capezzolo, dando una linea armonica. Un cambiamento di tale struttura indica la
presenza di qualcosa che non va.
• Asimmetria
• Alterazioni della pelle o del capezzolo

Il nodulo della mammella può anche presentarsi in maniera atipica, come una
retrazione, una penetrazione che altera l'architettura della mammella o a volte può
avere una struttura tondeggiante ma non è sempre così: i più difficili da individuare
sono quelli che hanno un atteggiamento retraente, simil cicatriziale.

ANATOMIA PATOLOGICA

TUMORI EPITELIALI
ALTRI
BENIGNI MALIGNI
INVASIVI NON INVASIVI

Papilloma intraduttale Ca duttale invasivo (NOS) Ca intraduttale in situ M. di Paget del capezzolo

Adenoma del capezzolo Ca duttale invasivo con prevalente Ca lobulare in situ Tumori misti (epitelio e tessuto
componente intraduttale connettivo)

Adenoma Ca lobulare invasivo Fibroadenoma

Ca mucinoso Tumore filloide (cistosarcoma


filloide)

Ca papillare Carcinosarcoma

Ca tubulare Tumori miscellanei

Ca adenoide-cistico Tumori dei tessuti molli

Ca secernente (giovanile) Tumori della cute

Ca a cellule apocrine Tumori dei tessuti ematopoietici e


linfatici

Ca con metaplasia Tumori non classificabili

La gran parte delle lesioni benigne della mammella possono essere riunite nella
mastopatia fibrocistica che, secondo l’OMS, è un insieme di alterazioni proliferative
e regressive del tessuto mammario con anomalie sia della componente epiteliale che
connettivale.
Il Ca duttale in situ origina dall’epitelio dei dotti ghiandolari mammari di piccole
dimensioni. Il Ca lobulare origina dai dotti terminali intralobulari e tende ad essere
multicentrico e bilaterale (fattore prognostico negativo). Il Ca duttale invasivo è il
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 120 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
più frequente. Il Ca lobulare invasivo è spesso bilaterale e multicentrico. La malattia
di Paget del capezzolo in realtà è un carcinoma duttale invasivo, classificato
separatamente per sottolineare il fatto che di fronte ad uno pseudoeczema o un
eczema o un'erosione del capezzolo, che può essere scambiato per una lesione
cutanea, va sempre fatta la biopsia perché molto spesso il Paget non si associa a
noduli: si vede soltanto l'erosione superficiale del carcinoma duttale, che può anche
svilupparsi verso l'interno e quindi dare il nodulo, oppure può per molto tempo
avere una diffusione superficiale e quindi manifestarsi solo con questa alterazione
cutanea.

Ci sono alcune situazioni che sono prognosticamente peggiori ed altre migliori:


- Adenocarcinoma duttale: In genere unilaterale, con o senza componente scirrosa.
La forma non invasiva non ha componente scirrosa Sopravvivenza a 5 aa. del I
stadio: circa 80%
- Carcinoma lobulare: Circa la metà in situ. Aumentato rischio di bilateralità.
Prognosi migliore (escluse varianti solida ed a cellule ad anello con castone).
Sopravvivenza a 5 aa. del I stadio: 90%. Prognosticamente a parità di stadio è più
vantaggioso con una sopravvivenza del 90% però c'è un aspetto molto sfavorevole
del lobulare, ovvero nella gran parte dei casi è multifocale, tanto è che una volta
era una controindicazione assoluta alla mastectomia conservativa; oggi non è una
controindicazione assoluta tanto che si può fare una mastectomia conservativa
anche nel lobulare, però tenendo sempre presente che può essere anche
multifocale nella stessa mammella ed ovviamente in quella controlaterale.
- Istotipi a prognosi migliore: Ca papillare, mucinoso, midollare, adenocistico
- Carcinoma infiammatorio: Invasione dei linfatici della cute. Prognosi peggiore

Focus on: Carcinoma infiammatorio


Costituisce un capitolo a sé stante. Il ca infiammatorio è infiammatorio dall'inizio e
fin da subito, ha un andamento rapido, dunque il fatto di vedere una paziente con un
ca. infiammatorio significa non che lo ha trascurato, bensì che ha un tumore molto
aggressivo per via di caratteristiche biologiche diverse da un tumore normale ad
evoluzione relativamente più lenta. R appresenta un'entità rara a rapida
proliferazione, anche se l'incidenza è in aumento rispetto al ca. avanzato non
infiammatorio. La mammella è arrossata, turgida, diffusamente anche dolente
spesso, calore, buccia d’arancia.

Caratteristiche istopatologiche
Sono presenti degli emboli neoplastici linfatici e vascolari che interessano il plesso
vascolare linfatico dermico superficiale nel derma papillare e reticolare alto. Inoltre
avremo un’elevata espressione di:
- Her-2/EGFR
- P53/ E-cadherin/ CXCL-12/CXCR4
- Rho C GTpase

Inoltre avremo le caratteristiche di una malattia aggressiva, quali:
- Età più giovane
- ER negativi
- Fase-S elevata
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 121 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

STORIA NATURALE
Si ritiene che mediamente debbano trascorrere 8 anni affinchè un tumore mammario
diventi manifesto clinicamente (raggiunga le dimensioni di
almeno 1 cm). In realtà ogni tumore ha storia a se ed i tempi di
raddoppiamento variano da 25 a 200 giorni; nella fase avanzata il
tempo di raddoppiamento è 500 giorni, dunque tanto più grosso
è il tumore, più rallenta il tempo di raddoppiamento. Trascorrono
circa 2,5-3 anni dalla diagnosi alla morte.
Il tumore si diffonde dapprima per contiguità, infiltrando le
strutture circostanti, tessuto mammario, cute, parete toracica e
muscoli pettorali.
La seconda via di diffusione è quella linfatica. I linfonodi più
interessati sono quelli ascellari. Essi vengono distinti in 3 livelli
secondo Fisher:
- I livello: esterni al margine laterale del piccolo pettorale;
- II livello: posti posteriormente al piccolo pettorali;
- III livello: mediali al margine mediale del piccolo pettorale.

Le metastasi linfonodali sono presenti nel 55-70% dei casi alla diagnosi e la prognosi
è inversamente proporzionale al numero di N+. Il numero di linfonodi interessati
si correla con velocità di crescita e dimensioni del tumore. Quando positivi i
linfonodi sono predittivi di malattia sistemica con metastasi a distanza. Le regioni
più frequentemente sede di metastasi saranno: osso, polmone, fegato, cute, encefalo,
pleura, peritoneo.
L’ultima via di diffusione è quella ematica.

Non vi è prevalenza per le ultime due; può essere che alcuni istotipi, o alcuni tipi
molecolari possano avere una maggiore prevalenza per una delle due, ma allo stato
attuale non siamo in grado di dirlo e questo è il motivo per cui, anche con le
mastectomie radicali che si facevano una volta, le pazienti potevano avere delle
metastasi polmonari tre anni, dopo perché queste erano ematiche.

La stazione di primo drenaggio è quella della cute, quindi di norma, anche per i
quadranti interni, è quella dell'ascella, ci può essere anche un interessamento di
quelli della mammaria interna, però in linea di massima questi ultimi sono positivi
per i quadranti interni quando lo sono anche quelli ascellari, ed è difficile che siano
interessati solo quelli della mammaria interna senza gli ascellari.

QUADRO CLINICO
Le modalità con le quali in genere si arriva a scoprire un nodulo sospetto sono le
seguenti:
- Autoriscontro: è una situazione prevalente. Nei tumori della mammella in 2 casi
su 3 (70%) è la paziente che va dal medico e dice di essersi accorta del nodulo.
- Riscontro occasionale alla visita clinica: la probabilità che ci sia un riscontro
occasionale durante la visita clinica è sicuramente più bassa anche perché spesso i
medici che fanno le visite cliniche non valutano le mammelle.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 122 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
- Screening: una certa percentuale di tumori della mammella sono diagnosticati
nell’ambito dei processi di screening. Si spera che questo numero con il tempo
possa incrementare perché il riscontro nell’ambito dello screening significa il
riscontro in una fase più precoce dell’autopalpazione.
- Malattia localmente avanzata e sintomi da metastasi (10%): la paziente arriva dal
medico con una malattia localmente avanzata quindi con una malattia che si è
ulcerata o ha dato l’interessamento del piano muscolare o è estremamente estesa.
Si possono notare i sintomi dell’interessamento cutaneo quali retrazioni e
dimpling a livello del capezzolo. Nonostante le campagne informative fatte sul
tumore della mammella ancora nel 2014 non è infrequente trovare donne con
situazioni devastanti. Si tratta spesso di donne di livello culturale medio elevato
che vivono in città. Questo tumore ha una valenza psicologica importante essendo
la mammella in qualche modo la fonte della vita per quanto riguarda
l’allattamento. Si innestano nella donna dei meccanismi di scotomizzazione, di
rimozione che spesso lasciano esterrefatti. C’è spesso anche una tendenza
autolesiva a trascurare il tumore che è conseguente al basso livello di affettività
con il compagno o marito. Molte donne (quasi il 50%) con tumore della
mammella nel corso della malattia si separano.

La regione nella quale si rinvengono più frequentemente i noduli è il quadrante


supero esterno, anche detto prolungamento ascellare della mammella.
Un altro segno che può portare al sospetto è la presenza di secrezioni dal capezzolo.
Esse possono essere di diverso tipo:
- Secrezione lattescente: galattorrea, è fisiologica nel post partum, può essere dovuta
a problemi ormonali, come un’iperprolattinemia.
- Secrezione sierosa, problemi ormonali o presenza di una cisti che si è aperta nel
sistema duttale.
- Secrezione purulenta, è tipica dell’ectasia duttale.
- Secrezione sieroematica o francamente ematica, può essere indice di papilloma
intraduttale, cisti o carcinoma infiltrante.
Le secrezioni devono insospettire specialmente quando sono monolaterali e
spontanee (non associate al parto o al ciclo mestruale).

Sindromi paraneoplastiche
Il tumore della mammella si associa spesso a sindromi paraneoplastiche. E’più
frequente un'associazione con una sindrome paraneoplastica prevalentemente di tipo
immunologico ( e non causate dalla produzione di sostanze specifiche ). Esse
possono essere:
- A carico dell’apparato neuro-muscolare
- Dermatomiosite
- Malattie neuromuscolari con caratteristiche non tipiche
- A carico della cute
- Acanthosis nigricans: caratterizzata da una iperpigmentazione cutanea delle
pieghe delle ascelle ( e a volte del collo ) costituita da una serie diciamo di
papule, come se si ha la sensazione di palpare una sorta di velluto con degli
elementi più grandi.
- Sindromi endocrine
- Ipercalcemia
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 123 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
- S. di Cushing
- A carico del sistema emopoietico
- Alterazioni dell’emostasi (CID)
- Tromboflebiti

DIAGNOSI
La diagnosi si avvale di:
- Anamnesi: deve valutare le tempistiche di comparsa del nodulo ed eventuali eventi
concomitanti (ciclo mestruale, traumi, presenza di dolore). E’ importante anche
valutare la presenza dei fattori di rischio precedentemente elencati.
- Esame obiettivo della mammella: esso può essere eseguito in ortostatismo: braccia
lungo i fianchi, braccia sollevate, contrazione dei pettorali necessaria per capire se
il nodulo è adeso alla muscolatura sottostante. In ortostatismo si palpano dei
noduli dei quadranti superiori, più visibili per questioni di gravità; in
clinostatismo: braccia sulla testa. L’esame è volto ad identificare il profilo
mammario e la superficie cutanea dal quale possono essere notate infossature
(fibrosi peritumorale con retrazioni), prominenze, eritema, edema circoscritto o
diffuso (ostruzione linfatici sottodermici). Vanno valutate le alterazioni dell’
areola e del capezzolo come: eventuali deviazioni (nodulo parareolare può
determinare o la fibrosi della aponeurosi o dei tessuti mammari circostanti),
appiattimento, retrazione (DD da condizione fisiologica che si può verificare nelle
donne che non hanno avuto gravidanze generalmente bilaterale) ulcere, eczema.
Degli eventuali noduli presenti si valutano: dimensioni, consistenza, forma,
contorni, superficie, spostabilità (per escludere infiltrazione dei piani profondi),
dolore (un nodulo dolente è improbabile che sia tumore). La cisti è teso elastica,
non dura, liscia. La palpazione deve essere fatta in maniera sistematica dividendo
la mammella in quattro quadranti. La mano va posta a piatto e si palpa con i
polpastrelli per avere la massima sensibilità. Il nodulo risulta sospetto quando è
monolaterale, duro, non dolente e poco mobile nei piani superficiali e profondi.
- Esame obiettivo del cavo ascellare: si effettua una palpazione contro il piano costale
(Ascella dx con mano sx e viceversa). Il medico deve cercare di mantenere
sollevato il braccio della paziente per ridurre la contrazione dei muscoli del piano
ascellare. Vanno valutati numero, dimensioni, consistenza, confluenza dei
linfonodi. L’esame si completa con l’indagine delle regioni sovraclaveare e
laterocervicale.
- Valutazione dei sintomi generati da una possibile metastasi, come ittero, dolore
osseo, dispnea, lesioni cutanee.

Se il nodulo è sospetto si procede con la mammografia completata da un’ecografia


nella sede del sospetto radiologico, per definire la natura (solida o liquida) della
lesione.
La RMN può avere senso qualora ci sia discrepanza tra l’esame mammografico e
quello palpatorio.
Per definire con certezza la natura della lesione occorre eseguire un’agobiopsia sotto
guida ecografica.
Qualora l’agoaspirato non dia risultati soddisfacenti (risultato dubbio) si può
procedere con un secondo ago aspirato o con una biopsia escissionale (anche se in

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 124 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
genere si è molto restii ad usare questa tecnica). Si può effettuare una biopsia
escissionale anche nei casi di lesione che si è accresciuta molto rapidamente.
Se sono presenti secrezioni si può eseguire un esame citologico delle stesse.

Nota: I tumori della mammella locali si distinguono in due grosse categorie: un


tumore che d'emblée è suscettibile di un trattamento conservativo e un tumore che
invece non lo è. Nel primo caso è sufficiente eseguire l'ago aspirato perché si parte
dall'istologico per farlo operare, invece nel secondo caso sarebbe stato preferibile
fare una biopsia, notevolmente più invasiva ma che ci permette di avere le
caratteristiche molecolari che mi consentono di fare una terapia pre-operatoria
appropriata per poter ridurre il tumore o farlo scomparire del tutto ed
eventualmente eseguire successivamente un intervento conservativo.
In ogni caso con il passare degli anni vi è la tendenza, specialmente in alcuni
sottogruppi, a fare sempre in ogni caso la terapia pre-operatoria, perché si è visto che
nei sottotipi che non esprimono recettori estrogenici la risposta completa pre-
operatoria è il parametro che correla meglio con la sopravvivenza.
L'effettuazione della terapia pre-operatoria probabilmente, se tutto ciò verrà
confermato, sarà comunque obbligatoria nelle pazienti per esempio "triple negative"
o Her2 positive e in futuro se io devo sapere tutto questo anche in un tumore di
2cm dovrò fare una biopsia.

STADIAZIONE
Se si ottiene la diagnosi di nodulo neoplastico è necessario eseguire una corretta
stadiazione utile per definire una strategia terapeutica adeguata. Ciò è possibile
tramite l’esecuzione di alcuni esami quali:
- Ecografia epatica
- Rx torace (si può fare anche una TC ma è più costosa)
- Scintigrafia ossea globale
- CEA, Ca-15.3

I parametri più importanti nella stadiazione del tumore della mammella sono:
- Dimensioni: Fino a 2cm è un T1 (a,b,c a seconda sempre delle dimensioni ), tra 2
cm e 5 cm è un T2, superiore a 5 cm è un T3
- Interessamento delle strutture circostanti: parete toracica e cute ( T4a = solo parete
toracica; T4b = solo cute; T4c = entrambi; T4d = carcinoma infiammatorio )
- Interessamento linfonodale: clinicamente noi possiamo dire solamente se i
linfonodi ci sono o non ci sono e se sono mobili o fissi. Un nodulo fisso
corrisponde dal punto di vista istologico all'estensione extracapsulare della
lesione: per essere fisso tra un linfonodo e all'altro o fisso alla cute e alla parete,
significa che la proliferazione neoplastica ha superato la capsula.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 125 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
TNM (7 edizione)
T

Tx tumore non definibile

T0 nessuna evidenza del tumore primitivo

Tis carcinoma in situ, compresa m. di Paget senza evidenza di tumore

T1 tumore di dimensioni inferiori o uguali ai 2 cm

T1 mic < 0,1 cm

T1a tra 0,1 e 0,5 cm

T1b tra 0,5 e 1 cm

T1c tra 1 e 2 cm

T2 tumore delle dimensioni comprese tra 2 e 5 cm

T3 tumore delle dimensioni maggiori di 5 cm

T4 invasione della parete toracica o della cute

T4a parete toracica

T4b cute, buccia d’arancia, ulcere cutanee, noduli cutanei

T4c a+b

T4d carcinoma infiammatorio

cNx stato linfonodale non definibile

cN0 linfonodi regionali indenni

cN1 metastasi a linfonodi ascellari mobili

cN2 metastasi a linfonodi ascellari fissi

cN3 metastasi a linfonodi della mammaria interna

Mx metastasi non determinabile

M0 assenza di metastasi a distanza

M1a presenza di metastasi

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 126 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Se peggiora lo stadio peggiora chiaramente la sopravvivenza. Inoltre al primo stadio
non si avrà una sopravvivenza del 100% a 5-6 anni ed a 10 anni la sopravvivenza al
primo stadio è di circa 80%, quindi anche pazienti con neoplasie T1N0 corrono il
rischio ( 1 su 5 ) di recidivare a 10 anni.
Il carcinoma infiammatorio ha una sopravvivenza nettamente inferiore.

TERAPIA
L’approccio terapeutico tende ad essere multidisciplinare e varia a seconda dei fattori
prognostici che sono:
- Età: l’incidenza è alta nelle pz con più di 50 anni, ma di norma in queste pz la
prognosi è migliore
- Estensione e dimensione del tumore
- Numero di linfonodi coinvolti: il fattore prognostico più importante. E’ importante
sapere se i linfonodi sono sede di metastasi, pertanto va asportato un numero
importante di linfonodi (15/20) per una stima corretta. Se sono coinvolti meno di
3 linfonodi la prognosi è migliore. Ovviamente influenza la prognosi anche la sede
dei linfonodi; se sono coinvolti quelli della mammaria interna la prognosi è
peggiore.
- Invasione linfatica, diversa da quella linfonodale
- Tipo istologico
- Grado di malignità
- Espressione dei fattori di crescita
- Recettori ormonali: se sono positivi, sia quelli per estrogeni che quelli per
progesterone, rappresentano un fattore prognostico positivo. Se il tumore
presenta una sola positività la prognosi è intermedia. Se non presenta recettori
per gli ormoni la prognosi è negativa.
- Gli indici proliferativi (ki6ì7, L.I., Fase S) di cui il più utilizzato è il Ki67, un
oncogene la cui espressione si valuta con l’immunoistochimica che ha sostituito
metodiche più rozze e fondamentalmente più lunghe come il Labelling Index
oppure la valutazione della fase S in citofluorimetria
- L’espressione del gene c-ErbB2 (proteina HER2), perché HER2 è un fattore di
crescita ed è il secondo recettore della famiglia degli EGFR, quindi tanto più è
espresso tanto più è aggressivo il tumore; è un fattore prognostico sfavorevole ma
predittivo favorevole perché rende il tumore responsivo a tutta una serie di nuovi
farmaci oltre al Trastuzumab che interagiscono con questo recettore
- Presenza di mutazioni del p53 che teoricamente indica la presenza di un tumore
più aggressivo ma che non ha un significato dal punto di vista terapeutico
- Ploidia
- Caderina

Terapia chirurgica
L’approccio chirurgico svolge sempre un ruolo centrale. L’intervento è la mastectomia
radicale, di cui abbiamo tre tipi:
- Halsted, che prevede l'asportazione del grande e piccolo pettorale
- Patey, che prevede l'asportazione solo del piccolo pettorale
- Madden, che sostanzialmente è una "ghiandolectomia", cioè si asporta solamente la
componente ghiandolare e ci si ferma prima del pettorale.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 127 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Ovviamente tutte le Mastectomie radicali si associano a delle linfoadenectomie
ascellari perché non avrebbe molto senso fare prima la mastectomia radicale e poi il
linfonodo sentinella ( probabilmente questa strategia andrebbe bene solamente in
alcuni casi della Madden )

Le mastectomie conservative, sono delle mastectomie più circoscritte utilizzate negli


stadi precoci; tra le più importanti vi sono:
- Nodulectomia
- Lumpectomia (neologismo che deriva dall'inglese lumpectomy che non è altro che
una nodulectomia allargata )
- Quadrantectomia

Le indicazioni per poter eseguire una mastectomia conservativa saranno:


• Dimensioni del T (< 4 cm)
• Assenza di multifocalità
• Aspetti tecnici

Durante l'intervento il chirurgo può anche procedere ad asportare i linfonodi


dell'ascella. Per sapere se questi sono coinvolti si usa la tecnica del linfonodo
sentinella, cioè si identifica il primo linfonodo che drena la linfa dall'area dove è
situato il tumore. Se all'analisi al microscopio il linfonodo sentinella risulta privo di
cellule tumorali o ne presenta un piccolissimo aggregato (micro metastasi), non si
toccano gli altri, altrimenti si procede allo svuotamento del cavo ascellare, cioè alla
rimozione di tutti i linfonodi ascellari.
Il linfonodo sentinella è una metodica quasi equivalente alla linfoadenectomia
ascellare solamente nei T1. Al di sopra dei T1 non vi è questa evidenza perché non vi
sono studi avviati in questo senso.
Il linfonodo sentinella può essere proposto nelle T1 come scelta migliore perché è
equivalente e meno invasivo rispetto alla linfanedectomia.
Nelle pazienti con un T2 si può anche proporre il linfonodo sentinella, ma bisogna
informare la paziente che è una metodica che si effettua per analogia ai T1, perché a
differenza di questi ultimi non abbiamo degli studi a sostegno della equivalenza
delle due modalità di intervento. In questo caso sarà dunque la paziente a dover
scegliere tra queste due possibilità.

Infine ciò che rende equivalente la mastectomia conservativa alla mastectomia


radicale è senza ombra di dubbio la radioterapia sulla mammella residua, perché,
sebbene il rischio di micrometastasi vada decrescendo man mano che ci si allontana
dal tumore primario, anche nella periferia della mammella il rischio c'è per quanto
basso e quindi va fatta sempre la radioterapia, almeno allo stato attuale delle nostre
conoscenze.
La radioterapia quindi rappresenta il completamento di tutti gli interventi
conservativi. Si somministrano dosi di 50-60 Gy a tutta la ghiandola residua e sul
cavo sopraclaveare per eliminare eventuali cellule tumorali residue e ridurre al
minimo la recidiva locale. Si utilizzano tecniche che consentono di irradiare
preferibilmente la regione della cicatrice chirurgica e risparmiare i polmoni. La RT
adiuvante viene utilizzata anche nei casi di mastectomia radicale in cui il tumore era
particolarmente grande e quindi aumenta il rischio di malattia residua. L’irradiazione

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 128 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
del cavo ascellare è stata abbandonata, perchè già c’è stato lo svuotamento
linfonodale da parte del chirurgo e per l’effetto collaterale dell’elefantiasi del braccio.

La radioterapia può essere anche primaria nei seguenti casi:


- Mastite carcinomatosa (in combinazione con terapia citotossica)
- Radioterapia palliativa
- Ossa
- Encefalo
- Mediastino

Terapia adiuvante nelle pazienti ad alto rischio dopo l’intervento chirurgico


Tempo fa la decisione di fare o meno un trattamento chemioterapico per ridurre il
rischio di recidiva si basava esclusivamente sul TNM e quindi per le pazienti che
avevano un T superiore a 1 e linfonodi positivi si riteneva adeguato un trattamento
post-operatorio.
Oggi si è visto che la prognosi di queste pazienti non è codificata solo dal TMN ma
anche se non di più dall’effettuazione di una terapia basata su criteri biologici quindi
espressione o meno dei recettori per gli estrogeni e espressione o meno di HER2.

Le pazienti quindi possono essere suddivise in diverse categorie di rischio (St


Gallen):
- Basso rischio:
o Con linfonodi negativi
o Tumore inferiore ai 2 cm (T1)
o G1, quindi ben differenziato
o Senza invasione vascolare
o Che esprime i recettori per gli estrogeni e progesterone
o Che non esprime HER2
o Con età ≥35 anni
Una paziente di questo tipo è a basso rischio di recidiva, cioè il rischio a 10-15 anni
è inferiore al 15%.

- Rischio intermedio con linfonodi negativi e almeno una delle seguenti caratteristiche:
o T>2cm
o Grado 2-3
o Presenza di invasione vascolare
o Assenza dei recettori ER e PgR
o Espressione di HER2
o Età <35 anni
Questa comporta un rischio di recidiva tra il 15 e il 35 % a 10-15 anni.

- Rischio intermedio con da 1 a 3 linfonodi positivi e tutte le seguenti caratteristiche:


o Assenza di invasività vascolare
o Espressione dei recettori ER e PgR
o Non espressione di HER2
La presenza di linfonodi positivi in concomitanza di tutte gli altri fattori caratteristici
di un rischio basso conferisce comunque un rischio intermedio.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 129 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
- Alto rischio di recidiva dal 35 al 70%:
- Rischio elevato con da 1 a 3 linfonodi positivi e espressione di HER2
- Rischio elevato con più di 4 linfonodi interessati

Partendo dall’endocrino-sensibilità (certa,


incerta e assente) si può costruire una
tabella con il rischio (basso, intermedio,
elevato) in cui individuare le migliori terapie
post-operatorie; nel rischio intermedio e alto
in assenza di recettori si fa ovviamente la
chemioterapia, mentre per il rischio basso
con sensibilità alla terapia antiestrogenica
può bastare quest’ultima; nel rischio
intermedio e alto con sensibilità si fa la
chemioterapia seguita da endocrinoterapia e
per il rischio intermedio ma con alta
sensibilità si potrebbe pensare di fare anche
soltanto l’endocrinoterapia.

Le cose sono in realtà più complicate perché il tumore della mammella non è una
singola malattia dal punto di vista della classificazione istologica. L’istotipo ormai
non è più in grado di definire una malattia se per malattia non intendiamo una
condizione che raggruppa una stessa storia naturale per un certo numero di pazienti.
Nell’istotipo saranno inclusi diversi sottotipi, diversi sottogruppi con prognosi e
storia naturale completamente diverse.

Per caratterizzare i singoli sottotipi è necessario ricorrere al microarray che


permette di analizzare: l’espressione di HER2 cluster, basal cluster, keratins, luminal
cluster, proliferation cluster. Le diverse condizioni del tumore della mammella
clusterizzano in maniera diversa, i cluster principali sono:
- HER2,
- Basal-like,
- due cluster luminali e uno di proliferazione.

In base a questi cluster si possono indentificare diversi sottotipi:


- Luminal-A, verde per tutto salvo per il cluster dove ci sono gli RNA che
riguardano l’espressione dei recettori (luminal cluster)
- Luminal-B, che esprime molti oncogeni proliferativi (proliferation cluster)
- Basal-like: proliferation cluster e basal cluster
- HER2, che si potrebbe ancora suddividere in Claudin-low e Claudin-high

Quindi abbiamo un grosso gruppo caratterizzati dall’espressione di recettori per gli


estrogeni (Luminal-A e B), uno dall’iperespressione di HER2 e carcinomi cosiddetti
basaliomi, inoltre nell’ambito del Luminal-B c’è un sottogruppo che esprime HER2.

Considerando il normale sviluppo della ghiandola mammaria si parte da un


progenitore staminale bipotente che può differenziarsi in progenitori luminali e
quindi progenitori luminali tardivi e cellule luminali differenziate oppure può

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 130 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
differenziarsi in progenitori mioepiteliali che danno cellule mioepiteliali
differenziate; quindi per ogni stadio differenziativo abbiamo l’espressione dei diversi
cluster nei relativi tumori.
Ci può essere un overlap tra il tumore cosiddetto triplo negativo, che è il peggiore di
tutti, e che non esprime né i recettori per gli estrogeni né iperesprime HER2 con
altri sottotipi, una grossa quota è Basal-like ma c’è anche una quota di pazienti
Brca1 positive.

Guardando le curve di sopravvivenza si nota che i basal-like e gli HER2 positivi sono
abbastanza sfavorevoli, la sopravvivenza del luminal A è molto buona, invece la
curva del luminal B (simile a HER2) non è buona nonostante l’espressione dei
recettori per gli estrogeni.
Questi sottogruppi possono essere identificati con la metodica del microarray che però è
molto costosa e non si fa di routine ma ci dei markers per identificarli. Infatti:

- Il luminal A esprime fortemente i recettori per gli estrogeni e progesterone e le


due citocheratine 8 e 18, al microscopio si vedono ghiandole che se non fosse per
la particolare ricchezza cellulare sarebbero indistinguibili da un ghiandola
normale.
- Il luminal B è caratterizzato da una più modesta espressione dei recettori per gli
estrogeni e in genere quelli per il progesterone non sono espressi, le citocheratine
8 e 18 sono espresse in quanto marcatori delle cellule luminali differenziate. Nei
luminal B ci può essere un ulteriore sottogruppo che iperesprime HER2 con
prognosi meno favorevole, vicina a quella del gruppo HER2+. All’istologia la
struttura ghiandolare è poco visibile nonostante sia luminale.
- L’HER2 positivo, caratterizzato fondamentalmente dall’iperespressione di HER2
(anche quelli che esprimono i recettori per gli estrogeni sono comprese in questo
gruppo) si identifica al microscopio con la colorazione immunoistochimica per
HER2.
- Il basal-like non esprime più le citocheratine di differenziazione ghiandolare ma
altre citocheratine come la 5, la 6 e la 17, non esprime i recettori per gli estrogeni
e non esprime HER2, quindi non ha nessun bersaglio molecolare. L’unica opzione
terapeutica per queste pazienti sia in aidiuvante che in avanzata è quindi la terapia
citotossica.

Ci sono però anche delle caratteristiche cliniche che li differenziano:


- Luminal A: 40% dei tumori della mammella, in genere duttale, ha un basso
grading, si riconosce facilmente alla mammografia ed ha una prognosi eccellente
anche quando è metastatico perché risponde alle manipolazioni ormonali che
oggigiorno sono molto numerose. Ha una crescita lenta. E’ più frequente nel post-
menopausa.
- Luminal B: 20% dei tumori, può essere sia duttale che lobulare, G intermedio e
anche la prognosi è intermedia. Ha incidenze simili in pre e post menopausa.
- HER2 positivo: 15-20%, avrebbe la prognosi peggiore in assoluto qualora non ci
fossero i farmaci anti-HER2 che hanno modificato radicalmente la prognosi di
questo gruppo. Prevale in pre-menopausa.
- Basal-like: 20%, età giovane, G elevato, attualmente quello a prognosi peggiore.
Prevale in pre menopausa.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 131 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

Esistono dei sistemi privati come l’Oncotype DX™ che consentono, valutando un certo numero di
geni tramite microarray, di fare uno score di rischio di ricorrenza, ci sono delle agenzie italiane a
cui si possono mandare i reperti bioptici e per il “modico” costo di 1500€ ti dicono con precisione
qual è il rischio; in realtà si è visto che le valutazioni fatte con Oncotype o altri simili come
MammaPrint non sono molto diverse da quelle che si possono fare clinicamente.

Strategia terapeutica
Nelle pz con un tumore di dimensioni inferiori a 5 cm, dopo un intervento o di
chirurgia radicale o di chirurgia conservativa più radioterapia, si valuta lo stato
linfonodale.
- Se è positivo quasi sicuramente si prosegue con una terapia sistemica mentre se è
negativo si valuta lo stato dei recettori:
- Se questi sono positivi farà l’ormonoterapia
- se sono negativi farà una chemioterapia.
- Nel caso in cui i linfonodi sono positivi e:
- La paziente è in pre-menopausa deve fare la chemioterapia ed eventualmente
la terapia ormonale se i recettori sono positivi.
- La paziente è in post-menopausa probabilmente i recettori sono positivi
perciò farà l’ormonoterapia ed eventualmente la chemioterapia.

Per le pazienti con tumori superiori ai 5 cm la tendenza è fare prima una


chemioterapia neoadiuvante e poi l’intervento chirurgico.
Ciò viene esteso anche per i tumori da 2 a 5 cm o comunque con interessamento
linfonodale, infatti, la terapia neoadiuvante consente di constatare se e quanto la
chemioterapia funziona senza grossi rischi di progressione.
Inoltre si è visto che nelle pazienti non luminal A o B, non sensibili
all’ormonoterapia e cioè con forme triplo negative o HER2+, il raggiungimento di
una risposta completa patologica con una chemioterapia preoperatoria è il parametro
che correla meglio con la guarigione, cosa irrealizzabile facendo la chemioterapia
dopo l’operazione dato che il supporto ematico e tutta un’altra serie di fattori
vengono alterati.
Ciò spiega anche la necessità di fare diagnosi con agoaspirato in tumori sopra una
certa dimensione perché se si vuole fare una chemioterapia prima dell’intervento
bisogna fare un’agobiopsia per la biologia molecolare e non basta un agoaspirato,
mentre se il tumore è piccolo e si opera d’emblée basta un’agobiopsia.

Per quanto riguarda la combinazione chemio-radioterapia non viene quasi mai


utilizzata almeno che il tumore non sia un T4, perché nel T4 si parte sempre con la
chemioterapia e poi in base al risultato si procede alla chirurgia se si possono
ottenere margini di escissione netti o altrimenti si continua con la radioterapia.

Sono esempi di terapia citotossica sistemica:


- CMF (ciclofosfamide + metotrexate + fluorouracile), che non si utilizza quasi più
- FAC (fluorouracile + adriamicina + ciclofosfamide)
- TAC (taxano + doxorubicina + ciclofosfamide)
- AC ->T, cioè gli stessi farmaci precedenti ma usati in cicli sequenziali, 4 di AC
seguiti da 4 di T

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 132 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Le ultime due sono quelle più aggressive e quindi le più utilizzate.

Terapia ormonale
Antiestrogeni (TMX, Faslodex), Inibitori aromatasi, Antagonisti LH-RH

- Terapia adiuvante in pz RE+:


- Pre-menopausa: TMX+Antagonisti LH-RH
- Post-menopausa: Terapia sequenziale TMX→Inibitori Aromatasi

- Terapia malattia metastatica: risposta 60-80% in pz RE+

- Non cross-resistenza fra antiestrogeni e inibitori aromatasi in post-menopausa:


- Inibitori aromatasi
- Inibitori aromatasi + Everolimus
- Faslodex
- TMX+Antagonisti LH-RH in pre-menopausa

Terapia biologica
Anticorpo anti-HER-2 (trastuzumab), Inibitori TK HER-1/HER-2 (Lapatinib),
Anticorpo anti-VEGF (Bevacizumab)

- Terapia adiuvante con Trastuzumab in pz HER-2 positive:


- Concomitante o sequenziale con Taxani o Carboplatino
- Con antracicline solo sequenziale

- Terapia della malattia avanzata con Trastuzumab+Pertuzumab in pz HER-2


positive:
- Concomitante con taxani e/o carboplatino
- Mantenimento in monoterapia
- Bevacizumab

- Malattia avanzata (pz triplo-negative): sperimentale

- Terapia di seconda linea in paz HER-2 positive:


- Trastuzumab emtansina
- Lapatinib
- Trastuzumab + farmaci diversi da taxani

Nota: Gli ultimi studi hanno valutato l’attività del Trastuzumab (Herceptin, anti-
HER2 nella terapia adiuvante e hanno dimostrato che nelle pazienti HER2+, con
recettori probabilmente negativi, che l’aggiunta dell’Herceptin a una combinazione
di tre farmaci citotossici migliora drammaticamente del 20% la sopravvivenza,
cambiando radicalmente la prognosi di queste pazienti con una significatività
statistica estremamente elevata.
Alla luce di ciò non si può non comprendere il Trastuzumab nella nostra scelta
terapeutica e quindi oltre a valutare i linfonodi, i recettori ormonali, lo stato pre o
post-menopausale, va valutata anche l’espressione o meno di HER2, perché tutte le
volte che è iperespresso e la paziente deve fare una chemioterapia va associato
l’Herceptin.
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 133 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

Terapia citotossica
- Antracicline
- Taxani
- Ciclofosfamide
- Carboplatino/Cis-platino
- Vinorelbina
- Gemcitabina
- Fluoropirimidine

Le principali combinazioni nella Terapia adiuvante saranno:


- Fluorouracile + Antraciclina + Ciclofosfamide o Doxorubicina + Ciclofosfamide
- Antracicline + Taxani
- Docetaxel + Doxorubicina + Ciclofosfamide
- Ciclofosfamide + Doxorubicina seguiti da Taxano

Le principali combinazioni nella malattia fase avanzata saranno:


- Fluorouracile + Antraciclina + Ciclofosfamide o Doxorubicina + Ciclofosfamide
- Antracicline + Taxani
- Docetaxel + Doxorubicina + Ciclofosfamide
- Carboplatino + Gemcitabina
- Fluoropirimidine + Vinorelbina

SCHEMA RIASSUNTIVO TERAPIA


STADIO TERAPIA PROGNOSI

STADIO I Quadrantectomia + linfoadenectomia/ Sopravvivenza a 5 anni


linfonodo sentinella + RT adiuvante. CT dell’80%
se ci sono fattori prognostici sfavorevoli,
come recettori ormonali assenti.

STADIO II Chirurgia conservativa, se possibile + RT Sopravvivenza a 5 anni del


adiuvante. Si valuta di caso in caso se fare 60-70%
CT. Nelle pz a basso rischio si può non
fare niente o ormonoterapia se il tumore è
positivo ai recettori. Nelle pz N+ PCT +
ormono terapia se presenti i recettori.

STADIO III A CT neoadiuvante, se c’è risposta Sopravvivenza a 5 anni del


significativa si procede con intervento 35-50%
chirurgico+RT adiuvante+terapia
ormonale+PCT.

STADIO III B Di solito la chirurgia non è possibile; si Sopravvivenza a 5 anni del


esegue RT + PCT. Se dopo la PCT c’è una <30%
significativa risposta clinica si può
procedere con intervento chirurgico + RT
+PCT

STADIO IV PCT in caso di metastasi viscerali Infausta

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 134 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
CARCINOMI IN SITU
I carcinomi in situ si trovano sempre più frequentemente, soprattutto i duttali in
situ perché si vedono bene con la mammografia; invece il carcinoma lobulare in situ
è spesso reperto accidentale, per esempio si ritrovano dopo aver tolto un tumore
della mammella oppure in una biopsia per un nodulo che può essere anche una cisti
e lo si ritrova vicino, perché in genere il carcinoma lobulare in situ non si vede alla
mammografia.

Come possibili presentazioni cliniche ci può essere secrezione mammaria, può


essere obiettivabile un nodulo, possono essere presenti calcificazioni a spruzzo alla
mammografia fatta per screening e in genere si associano al carcinoma duttale in
situ.

CLASSIFICAZIONI CARCINOMI IN SITU

Lagios
Micropapillare/ cribriforme Cribriforme con anaplasia Comedo/cribriforme con necrosi

Nottingham
DCIS senza necrosi DCIS con necrosi Comedocarcinoma

EORTC
Ben differenziato Mediamente differrenziato Scarsamente differenziato

Per quanto riguarda il trattamento, il rischio che un carcinoma lobulare in situ


sviluppi un carcinoma infiltrante è basso, circa l’1% l’anno, perciò non è mandatorio
avere un atteggiamento aggressivo.
Una scelta appropriata può essere semplicemente il controllo, se la paziente non
vuole sottoporsi a controlli ripetuti si può pensare di fare una mastectomia ma deve
essere bilaterale dato che il carcinoma lobulare è multifocale e spesso bilaterale; la
radioterapia non ha nessun ruolo e non ci sono dati per l’ormonoterapia perché sono
a crescita lenta anche se possono esprimere i recettori ormonali, tuttavia
quest’ultima può essere utile per prevenire carcinomi controlaterali.

Il carcinoma duttale in situ ha un rischio di diventare infiltrante molto più elevato e


quindi il trattamento chirurgico o locale diventano ipotesi più importanti
Si può fare la mastectomia semplice che risolve il problema nel 100% dei casi
oppure una escissione semplice; quest’ultima è la scelta più appropriata per tumori
di dimensioni inferiori ai 2 cm.
Per dimensioni maggiori è necessario associare la radioterapia o praticare la
mastectomia semplice. Non è indicato fare la dissezione ascellare almeno che non ci
siano dei dubbi o il patologo abbia preso una cantonata dato che è una lesione in
situ. Non c’è indicazione per la terapia ormonale.

BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________
- Sbobinature Prof Barone aa 2014/2015 e aa 2015/2016.
- Dispense Prof Butti.
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 135 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

CAPITOLO 12
___________________________________________________________
TUMORI DELL’ESOFAGO E DELLO STOMACO

CANCRO DELL’ESOFAGO
EPIDEMIOLOGIA
Il cancro dell’esofago ha una peculiare distribuzione geografica: è poco frequente nei
paesi occidentali tra cui l’Italia in cui colpisce circa 5 abitanti su 100000. E’
estremamente frequente nei paesi asiatici come il Giappone, dove l’incidenza
raggiunge addirittura i 250 su 100000, questo sembra essere correlato al consumo di
cibi molto caldi.
E’ più frequente nei maschi di età avanzata, il picco d’incidenza è infatti tra i 50 e i
70 anni. In Giappone dove si fanno screening di massa il picco d’incidenza si verifica
ad un’età inferiore per la scoperta di early esophageal cancers, limitati a mucosa e
sottomucosa. E’ una malattia subdola perchè quando compare la sintomatologia
maggiore il tumore è già in fase avanzata, con una prognosi infausta.
Questi tumori prediligono come sede i restringimenti fisiologici dell’esofago; nella
donna è più frequente la localizzazione al III prossimale.

EZIOPATOGENESI
Come per ogni altra neoplasia, l’eziologia del carcinoma esofageo è sconosciuta;
esistono, però, alcune condizioni che sembrano giocare un ruolo favorente la sua
insorgenza fra queste:
- L’insulto flogistico cronico sulla mucosa esofagea esercitato da fattori diversi, quali
le lesioni irritative dovute a caustici, l’esofagite da reflusso (è documentata la
progressione: esofagite cronica > displasia lieve > displasia grave > Tis > cancro
invasivo) e l’ernia iatale.
- L’abuso di alcool o del fumo di sigarette è statisticamente correlato con
un’aumentata incidenza di questa malattia, al pari della presenza di alcune lesioni
precancerose come certi tumori benigni (per esempio i papillomi) o dell’acalasia
(nel 5% dei casi si sviluppa carcinoma dell’esofago).
- Fattori dietetici, quale il consumo di cibi o bevande particolarmente caldi (riso fra
i cinesi, tè fra gli anglosassoni), che può in parte giustificare la differente
incidenza nei diversi gruppi etnici.
- Va ricordata l’associazione di questa neoplasia con la sindrome di Plummer-
Vinson (correlata all’anemia sideropenica), specialmente nei paesi scandinavi,
dove questa patologia è particolarmente frequente.
- Tilosi, malattia a trasmissione autosomica dominante, caratterizzata da
ipercheratosi delle palme delle mani e delle piante dei piedi con comparsa di
carcinoma esofageo entro la settima decade di vita.
- Esofago di Barret, metaplasia colonnare del III inferiore dell’esofago a seguito di
esofagite da reflusso associata ad un rischio di sviluppo di carcinoma esofageo del
10%. E’ una vera e propria condizione preneoplastica per cui questi pz vanno
tenuti sotto controllo. Nei paesi in via di sviluppo si aggiungono fattori di rischio
di tipo alimentare come il consumo di vegetali sotto sale e di farine con muffa.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 136 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
ANATOMIA PATOLOGICA
Il carcinoma esofageo può essere distinto, dal punto di vista istologico, in due forme
principali: quella epidermoide, che è senza dubbio la più frequente e che prevale in
genere nel tratto superiore; l’adenocarcinoma, che predilige il tratto distale e che si
sviluppa da isolotti ectopici di mucosa gastrica o direttamente dalle ghiandole
cilindriche dell’esofago.
Dal punto di vista macroscopico possiamo distinguere:
- Forme vegetanti
- Forme ulcerate (aspetto a nicchia)
- Forme infiltranti (longitudinali o anulari)

Dal punto di vista microscopico possono essere:


- Carcinoma a cellule squamose (90%), colpisce soprattutto il 2/3 superiori
dell’esofago, nel tempo tende ad assumere forme vegetanti.
- Adenocarcinoma (10%), la localizzazione preferenziale è nell’esofago distale
perchè insorge più frequentemente su un esofago di Barret, o su mucosa ectopica
o da ghiandole sottomucose.
- Più rari sono i tumori di origine non epiteliale come il carcinoma basocellulare,
linfomi maligni, ca. indifferenziati e metastasi.
- Early esophageal cancer, tumori limitati alla mucosa e alla sottomucosa.
Rappresentano l’1-5% di tutti i tumori ed hanno una buona probabilità di
guarigione.

I tumori dell’esofago distale possono essere anche delle estensioni all’esofago di un


tumore gastrico.

STORIA NATURALE
- Fase iniziale precancerosa: si instaura l’esofagite cronica. Può durare anche anni.
- Fase locale: cancro precoce, può essere un carcinoma in situ intraepiteliale, se non
ci sono metastasi ai linfonodi regionali, con una buona prognosi ed una
sopravvivenza a 5 anni del 100%. Può essere un cancro limitato alla mucosa o alla
sottomucosa, in questa fase possono esserci già metastasi linfonodali e la
prognosi peggiora. E’ una malattia ancora in fase asintomatica e può essere
diagnosticata solo con screening su larga scala.
- Tumore localmente invasivo
- Tumore altamente invasivo. Diffonde per:
- Contiguità, grazie alla rete linfatica esofagea che si estende in senso
longitudinale; si può avere una diffusione longitudinale fino ad 8 cm dal
tumore primitivo, questo da ragione degli interventi ampiamente demolitivi
che si effettuano in questa sede. La neoplasia può invadere il grasso
mediastinico, la trachea (provocando la formazione di compressioni tracheali
o di fistole esofago-tracheali), la pleura (provocando versamenti pleurici), i
vasi, come la vena azygos, i nervi vaghi, intercostali, il ricorrente ed il
simpatico cervicale.
- Via linfatica, i linfonodi coinvolti saranno diversi a seconda della sede del
tumore primitivo. Per un tumore dell’esofago cervicale i linfonodi interessati
saranno: i sopraclaveari, i giugulari, i paratracheali. Per un tumore
dell’esofago toracico i linfonodi regionali saranno: gli intratracheobronchiali,

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 137 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
i paratracheali, paraortici, del legamento triangolare del polmone. Per un
tumore dell’esofago distale i linfonodi regionali saranno quelli paracardiali,
della piccola curvatura, del tripode celiaco e dell’arteria gastrica sx.
- Via ematica, al polmone, al fegato e alle ossa.

QUADRO CLINICO
Il quadro clinico si manifesta, di solito, inizialmente con disturbi di entità modesta
caratterizzati da disfagia intermittente, spesso solo in seguito all’ingestione di cibi
solidi o di boli voluminosi, pirosi che insorge subito dopo la deglutizione, bruciore
retrosternale dopo ingestione di liquidi caldi.
I disturbi del transito hanno andamento progressivo ed ingravescente: la disfagia
riguarda ad un certo punto anche i liquidi e si accompagna spesso ad eruttazioni,
scialorrea (per riflessi esofago-salivari), rigurgiti, vomito alimentare (quando la
stenosi esofagea è di grado rilevante).
Singhiozzi e paralisi diaframmatiche possono verificarsi in caso di interessamento
del diaframma e del nervo frenico.
La sindrome di Bernard-Horner (ptosi, miosi ed esoftalmo) può verificarsi per
interessamento del simpatico cervicale.
Il dolore non è molto frequente: può essere continuo o subcontinuo, a localizzazione
retrosternale, talvolta irradiato al dorso e, in genere, è correlato all’estendersi del
processo neoplastico nel mediastino alle strutture periesofagee.
Il quadro clinico può essere diverso in rapporto alle sedi della neoplasia: in quelle del
tratto prossimale prevalgono scialorrea, tosse “esofagea” (stizzosa), disfonia da
paralisi del ricorrente e disfagia; in quelle distali sono prevalenti i disturbi dispeptici,
singhiozzo molesto e, nelle fasi avanzate, disfagia.
Emorragie massive con ematemesi e, talora, anche melena, non sono frequenti (5%
dei casi), mentre è praticamente costante uno stillicidio cronico, in grado nel tempo
di provocare anemia sideropenica.
Nelle fasi avanzate possono essere presenti manifestazioni di carattere sistemico,
come in tutte le neoplasie maligne, caratterizzate da anoressia con sensazione di
inappetenza verso tutti i cibi, calo ponderale e progressivo deterioramento delle
condizioni generali, fino a vera e propria cachessia.
L’esame obiettivo è assai poco significativo, a parte la compromissione dello stato
generale che si instaura progressivamente nel tempo; è possibile, talvolta, la
palpazione di tumefazioni linfoghiandolari per interessamento metastatico,
soprattutto alle stazioni cervicali e sovraclaveari, talora solo sinistra con positività
del segno di Troisier, più comune nel carcinoma gastrico.

DIAGNOSI
Gli esami di laboratorio non sono di grande utilità per la diagnosi di questa malattia:
frequente è l’anemia sideropenica e quasi sempre positiva è la ricerca di sangue
occulto nelle feci.

La metodica diagnostica fondamentale è l’esame radiologico dell’esofago con solfato di


bario, che permette di evidenziare la riduzione del diametro del lume esofageo i cui
contorni sono caratterizzati di solito da irregolarità e rigidità, spesso associate
inizialmente a segni indiretti della neoplasia (spasmi esofagei più frequenti al di
sopra del tumore ed arresto dell’onda peristaltica); frequente è la presenza di
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 138 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
variabile dilatazione del tratto a monte. Nel caso di lesioni dell’esofago distale va
attentamente studiato il fondo gastrico per escludere un’eventuale infiltrazione. In
realtà questa è una tecnica desueta. La visualizzazione di bario nell’albero brochiale
consente la diagnosi di fistola tracheo-esofagea.

L’esofagoscopia permette di ottenere un’osservazione diretta della neoplasia ed


eventualmente, in caso di incertezza diagnostica all’esame macroscopico, di eseguire
prelievi bioptici. Inoltre è possibile eseguire il citobrushing.

Una volta fatta la diagnosi è necessaria una corretta stadiazione preoperatoria per
cui verranno eseguite:
- Ecoendoscopia, per valutare l’estensione parietale della neoplasia.
- TC e RMN, per valutare l’estensione della malattia nel mediastino e
l’interessamento linfonodale
- Valutazione dell’apparato respiratorio, per valutare l’interessamento e
l’infiltrazione delle vie aeree. Questo si fa se il pz presenta dei sintomi di
interessamento dell’apparato respiratorio, sia se non li presenta, perchè è
necessario in vista dell’intervento che prevede una toracotomia.
- Ecografia epatica, per la ricerca della metastasi epatica
- Valutazione della funzionalità epatica, perchè la cirrosi epatica è spesso associata
al cancro esofageo che è frequente nei bevitori.
- Scintigrafia ossea
- Valutazione del performance status.

STADIAZIONE
TNM (edizione 7)
T

Tis Carcinoma in situ / displasia di alto grado T 1 = lamina propria o sottomucosa

T1a Lamina propria o muscolaris mucosae

T1b Sottomucosa

T2 Muscolare propria Avventizia

T3 Avventizia

T4a Pleura, pericardio, diaframma

T4b Altre strutture adiacenti come aorta, corpi vertebrali, trachea

N0 N0 assenza di metastasi nei linfonodi regionali

N1 metastasi in 1-2 linfonodi regionali

N2 metastasi in 3-6 linfonodi regionali

M0 assenza di metastasi a distanza

M1 presenza di metastasi a distanza

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 139 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

TERAPIA
La chirurgia è l’unica modalità terapeutica attuabile con intenti curativi, anche se
negli ultimi anni si è assistito ad un grande sforzo per realizzare studi di terapia
combinata, integrante chemio- e radio- terapia, con l’obiettivo primario di migliorare
la prognosi. La radioterapia viene utilizzata ad intento curativo (dosi di 70-80 Gy)
nei casi di malattia limitata ma non operabile per le condizioni del pz, per la sede del
tumore e per la funzionalità respiratoria. Poichè la diagnosi è tardiva solo il 25-30%
dei carcinomi esofagei risulta operabile alla diagnosi.
Le EEC si trattano con una tumorectomia endoscopica.

Tumori dell’esofago cervicale


E’ un intervento altamente demolitivo che prevede l’asportazione dell’esofago
cervicale, fino allo stretto toracico superiore, una laringectomia, una faringectomia,
per cui il pz presenterà una tracheostomia a permanenza. In seguito si cerca di
ripristinare la continuità intestinale.

Tumori dell’esofago toracico


L’intervento chirurgico ottimale è l’ esofagectomia totale. Consiste nell’avulsione
dell’intero esofago, dal livello cardiale all’esofago cervicale. Si procede poi con una
ricanalizzazione. L’intervento prevede una cervicotomia, una toracotomia ed una
laparotomia che serve a reperire il segmento per la ricanalizzazione.
I segmenti disponibili saranno: ansa ileale, ansa colica o stomaco. Quest’ultimo è il
segmento migliore. Lo stomaco va disancorato dalla cavità addominale e trasportato
al torace fino all’esofago. Con la manovra di Cocker si libera lo stomaco dalla fissità
duodenale. In seguito si esegue una resezione a racchetta, per asportare la piccola
curvatura e i linfonodi di questa zona. Si seziona l’arteria gastrica sx, lasciando
integre la gastroepiploica destra e sinistra che irrorano la grande curvatura dando un
buon supporto vascolare allo stomaco residuo.

Tumori dell’esofago distale


Sono generalmente adenocarcinomi. Si fa una esofagectomia meno estesa ma si
affianca una gastrectomia. Poichè il sacrificio esofageo è più limitato si può usare
anche un ansa ileale.

La sopravvivenza a 5 anni dall’intervento, nei centri più avanzati, è in funzione dello


stadio; globalmente, si attesta intorno al 20%. Sono tuttavia possibili recidive anche
a diversi anni di distanza o recidive lentamente evolutive, che rendono la
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 140 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
sopravvivenza a 5 anni un parametro poco attendibile per la valutazione integrale dei
risultati. L’intervento chirurgico viene attuato anche nei pazienti con metastasi ai
linfonodi regionali, nonostante si tratti di un fattore prognostico molto negativo, in
quanto occasionali guarigioni sono state descritte anche in questo caso.

Radioterapia
Il carcinoma squamocellulare è una neoplasia radiosensibile. La radioterapia può
dunque rappresentare un momento importante del trattamento integrato di questi
tumori oppure, in pazienti non candidabili ad un intervento chirurgico radicale per
problemi medici intercorrenti, per la sede della neoplasia (esofago cervicale) o per la
sua estensione alle strutture adiacenti, può essere applicata con intenti curativi. In
questo caso i risultati migliori si ottengono nei pazienti con estensione longitudinale
della neoplasia inferiore a 10 cm; le dosi curative sono superiori a 60 Gy. In centri
specializzati, la sopravvivenza a 5 anni ottenuta con la radioterapia è risultata
sovrapponibile a quella ottenuta con la chirurgia (circa il 20%).

Chemioterapia
I risultati della chemioterapia nei pazienti con metastasi clinicamente rilevabili non
vanno oltre gli obiettivi palliativi. In linea di massima, nessun farmaco dimostra
livelli di attività superiori al 20-25% di risposte obiettive, quasi sempre parziali e di
breve durata. Il farmaco più attivo è considerato il cis-platino, che viene pertanto quasi
sempre incorporato nelle chemioterapie di combinazione. La polichemioterapia è più
efficace dei farmaci singoli, ma le percentuali di risposta obiettiva restano basse
(intorno al 40%) e la sopravvivenza dei pazienti è influenzata in modo del tutto
marginale, restando tra 7 e 9 mesi.

Sono interventi di chirurgia palliativa l’asportazione esofagea secondo la tecnica


dello stripping, la laserterapia per la ricanalizzazione dell’esogago.

La prognosi è molto severa con una sopravvivenza a 5 anni del 5-15%.

CANCRO DELLO STOMACO


Il carcinoma gastrico è una delle neoplasie maligne più frequenti: pur se la sua
incidenza è in progressiva diminuzione in tutti i paesi industrializzati. Rappresenta
il terzo tumore per incidenza nel maschio (dopo polmone e colon-retto) e nella
donna (dopo mammella e colon retto). Gli attuali valori di incidenza sono di
10/100.000 tra gli uomini e 5/100.000 tra le donne.
Nel Giappone il carcinoma dello stomaco rimane il più frequente tumore in
entrambi i sessi e rappresenta il 20-30% di tutte le neoplasie con una incidenza di
circa 70/100.000.
È piuttosto raro che vengano colpiti soggetti con meno di 40 anni (solo il 5% di tutti
i casi) e la frequenza della malattia aumenta nelle età successive raggiungendo
l’incidenza più alta nel settimo decennio; vengono colpiti gli uomini più che le
donne (2:1).
Il calo di frequenza riguarda in particolare le forme di carcinoma gastrico a
localizzazione distale (antro e corpo), mentre l’incidenza rimane abbastanza elevata
per quelle della giunzione gastroesofagea e della porzione più prossimale: il che

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 141 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
suggerisce l’ipotesi che queste ultime abbiano, verosimilmente, una patogenesi
comune che sia differente da quella delle neoplasie a localizzazione distale.
In Italia si verificano 18000 nuovi casi l’anno, con una mortalità di 14000 casi
l’anno. La sua incidenza è più bassa nei paesi dove c’è un elevato consumo di frutta
e verdura. La diagnosi è spesso tardiva, perchè i sintomi sono sottovalutai sia dal
medico che dal pz.

FATTORI DI RISCHIO
- Età, l’incidenza aumenta dai 35 anni in poi con un picco in soggetti con età > di
40 anni.
- Sesso, il cancro dello stomaco ha un’incidenza nei maschi 2,2 volte superiore
rispetto a quella nelle femmine.
- Razza, ha una maggiore incidenza nei soggetti di razza nera, anche al di fuori
dell’ambiente d’origine.
- Ha una maggiore incidenza nei soggetti di gruppo sanguigno A, il motivo non è
noto, forse per la secrezione di mucine particolari.
- Dieta, i fattori dietetici svolgono un ruolo fondamentale. Sono cancerogeni i
nitrati e nitriti. Essi sono presenti in verdure coltivate in regioni con ricca
presenza di nitrati dei terreni e nelle carni dato che i nitriti sono usati come
conservanti. I nitrati, grazie all’azione batterica (negli alimenti malamente
conservati) sono trasformati in nitrosammine, altamente cancerogene. Questo è
il motivo per il quale l’introduzione del frigorifero ha provocato una riduzione
dell’incidenza di cancro allo stomaco (migliore conservazione degli alimenti).
Sono cancerogeni anche gli idrocarburi policiclici prodotti con la cottura dei cibi
alla griglia, o nei cibi affumicati o fritti. Sono cancerogeni anche alcuni additivi
alimentari come alcuni coloranti, alcaloidi del senecio ed altri. I fattori dietetici
possono anche incidere alterando l’integrità della mucosa gastrica, come può
accadere per la frequente ingestione di alimenti secchi, vegetali a corteccia dura ed
alimenti ad alto contenuto di sale. Sembrano avere un ruolo protettivo le vitamine
A, C,E.
- Soggetti a rischio sono i lavoratori a contatto con asbesto e nichel.
- Fumo, aumenta il rischio di tumore dello stomaco di 1,5-3
volte così come è aumentato in questi casi il rischio di
displasia gastrica e di altre lesioni potenzialmente
precancerose.
- Helicobacter pylori. Studi epidemiologici hanno
chiaramente dimostrato l’esistenza di un’associazione tra
infezione da H. pylori e carcinoma gastrico (il rischio è più
alto di 3-6 volte). Il ruolo preciso dell’infezione da H.
pylori nella carcinogenesi gastrica non è chiaro per quanto si
ritenga che sia da mettere in relazione all’insorgenza di
gastri- te cronica atrofica indotta da tale microrganismo.
D’altra parte il carcinoma gastrico si sviluppa soltanto in
una piccola percentuale dei pazienti portatori di H. pylori
per cui si suppone che l’insorgenza della malattia
neoplastica richieda l’intervento di altri fattori, genetici o di
altra natura (tra l’altro l’effetto della prevenzione o del
trattamento dell’infezione da H. pylori sul rischio di
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 142 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
sviluppo di carcinoma dello stomaco non è conosciuto, a differenza di quanto
avviene per il linfoma gastrico H. pylori-correlato).
- Precancerosi, situazioni istopatologiche in cui il carcinoma si sviluppa più
frequentemente. La displasia (lieve, media o grave) rappresenta una condizione di
perdita di differenziazione strutturale e funzionale della mucosa con
modificazione della velocità e della qualità della divisone cellulare. La displasia
grave, da alcuni autori definita carcinoma in situ, è una lesione neoplastica a tutti
gli effetti. Il suo rinvenimento in 2 gastroscopie successive è indicazione alla
grastroresezione preventiva. Alcune malattie dello stomaco associate ad un rischio
neoplastico maggiore sono: polipi adenomatosi, sindrome di Peutz-jeghers,
poliposi giovanile, gastrite cronica atrofica, anemia perniciosa, metaplasia
intestinale e ulcera gastrica.
- Ulcera gastrica. La frequenza della degenerazione neoplastica di questa malattia è
assai variabile nelle differenti casistiche (in media 10% dei casi). Le ulcere di
piccole dimensioni sembrano degenerare meno frequentemente rispetto a quelle
di dimensioni maggiori; le ulcere situate in regione prepilorica e cardiale
degenerano più frequentemente rispetto a quelle localizzate altrove. In realtà la
degenerazione maligna di un’ulcera benigna è un evento estremamente raro e che
nella quasi totalità di questi casi si tratta già di neoplasie gastriche in stadio molto
precoce, con aspetto ulcerato, tanto da essere confuse con l’ulcera vera e propria.
È stato anche osservato che il rischio di carcinoma gastrico aumenta nel tempo
(10-20 anni) dopo intervento di resezione gastrica parziale secondo Billroth II per
ulcera peptica.
- Gastrite atrofica. L’importanza di questa malattia come lesione precancerosa è
correlata al fatto che dal punto di vista anatomopatologico essa è caratterizzata
dalla scomparsa della componente ghiandolare e dalla presenza, in oltre il 40% dei
casi, di metaplasia intestinale e di fenomeni rigenerativi aberranti della mucosa,
localizzati soprattutto nella regione antrale. Più della metà dei tumori maligni
dello stomaco insorgono in zona di metaplasia intestinale in corso di gastrite
atrofica e l’intestinalizzazione della mucosa gastrica è stata associata al 90% dei
casi di cancro gastrico; inoltre l’osservazione protratta (oltre 10 anni) di pazienti
con gastrite cronica atrofica ha dimostrato che, nell’8-10% dei casi, si sviluppa il
carcinoma gastrico.

Genetica molecolare
Il ruolo degli “oncogeni” e dei geni “antioncogeni” nella patogenesi del carcinoma
dello stomaco è stato recentemente considerato con attenzione.
Così come per il carcinoma del colon-retto, delezioni alleliche dei geni MCC, APC e
del gene della proteina oncosoppressiva p53 sono state descritte in una variabile
percentuale di pazienti con cancro gastrico; per contro, a differenza di quanto
avviene per il carcinoma del colon e del pancreas, in questo caso molto raramente si
riscontrano mutazioni a carico dell’oncogene K-RAS.
Fattori prognostici sfavorevoli saranno:
- Overespressione di EGF
- Concentrazione elevata di inibitori della C1 elastasi
- Presenza di cellule immunoreattive al pepsinogeno II
E’ un fattore prognostico favorevole la presenza della proteina S-100.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 143 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
ANATOMIA PATOLOGICA
Nel 90% dei casi si tratta di adenocarcinomi che originano dall’epitelio ghiandolare
non secernente acido, nel resto dei casi si tratta di linfomi e leiomiosarcomi.
Per quello che concerne l’aspetto macroscopico è possibile distinguere forme:
- Vegetanti (Tipo I), con crescita esuberante del tumore che
aggetta nel lume gastrico, con tipica protrusione a
cavolfiore, è una forma relativamente differenziata.
- Ulcerate (Tipo II), quando la massa tumorale va in necrosi
si stacca, ne residua una lesione ulcerata, va in dd con
l’ulcera gastrica.
- Ulcerato infiltrante (Tipo III)
- Diffusamente infiltranti (Tipo IV), quando la crescita
neoplastica coinvolge diffusamente le pareti dello
stomaco. Quando tutta la parete è coinvolta dal processo
neoplastico si parla di linite plastica.

Per l’aspetto microscopico è utilizzata la classificazione dell’OMS che divide i tumori


in:
- Adenocarcinoma, papillare, tubulare, muciparo, a cellule ad anello con castone
- Carcinoma (raro), adenosquamosi, a cellule squamose, indifferenziato.

La classificazione di Ming distingue un cancro a crescita espansiva, a prognosi


migliore, ed uno a crescita infiltrativa, a prognosi peggiore. La classificazione di
Lauren è basata sull’istotipo; individua un cancro di tipo intestinale, che origina da
foci di metaplasia intestinale ed un cancro di tipo diffuso che origina dalle cellule
della mucosa gastrica.
Il tipo intestinale è più frequente anche se in riduzione d’incidenza, è più diffuso
nelle femmine, colpisce più spesso soggetti di età avanzata, si associa alla gastrite e
alla metaplasia intestinale ed è caratterizzato da elementi ghiandolari ben distinti e
da una diffusione circoscritta. Di solito è vegetante, produce mucina. La prognosi a 5
anni è migliore.
Il tipo diffuso, invece, colpisce anche soggetti di giovane età, non è associato alla
metaplasia intestinale ed ha una spiccata tendenza alla diffusione ed all’infiltrazione.
Manca la produzione di mucina. Negli ultimi decenni ha mantenuto un’incidenza
costante.

Tutte le zone dello stomaco possono essere colpite; in ordine decrescente avremo:
- Regione pilorica e antrale (50% dei casi),
- Piccola curvatura (20%),
- Regione cardiale (9%),
- Grande curvatura (7%).

Quelli della regione antropilorica sono collegati all’infezione di HP che tipicamente


causa una gastrite atrofica antrale. In questa regione potrebbe avere un certo peso
anche la gastrite alcalina, causata dal reflusso di acidi biliari che possono espletare
un effetto cancerogeno sulla mucosa gastrica. Non a caso nei pz sottoposti a
ricostruzione gastro-duodenale si osserva con maggior frequenza un cancro del
moncone gastrico dovuto al reflusso biliare.
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 144 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
L’Early Gastric Cancer (EGC) è un’entità patologica distinta dall’adenocarcinoma. Si
pensa sia una forma di cancro a se e non una forma precoce di cancro gastrico. Per
definizione è una neoplasia gastrica estesa solamente alla mucosa o alla
sottomucoda, indipendentemente dal coinvolgimento dei linfonodi locoregionali. Ha
una prognosi migliore perchè i linfonodi sono interessati con un’incidenza minore
rispetto all’adenocarcinoma (5-10% nell’EGC mucoso e nel 20% in quello
sottomucoso).

Secondo la classificazione della Japanese Society of Gastroenterology and Endoscopy


l’EGC può essere diviso in:
- Tipo I, polipoide o protundente, è un polipo che non supera la sottomucosa.
Rappresenta il 14% degli EGC di tipo intestinale. Va in dd con gli amartomi
(tessuto normale che cresce in maniera disorganizzata), polipi rigenerativi,
leiomiomi, polipi adenomatosi, polipi congeniti giovanili. I polipi adenomatosi
presentano un certo grado di displasia. Poichè un polipo adenomatoso degenera
sempre in cancro va asportato come l’EGC di tipoI.
- Tipo II, superficiale o pineggiante; può a sua volta essere diviso in:
- a, rilevato
- b, piatto
- c, depresso.
- Tipo III, ulcerato, rappresenta il 40-50% degli EGC, si presenta moderatamente
differenziato o completamente indifferenziato. Può assumere l’aspetto di
un’ulcera peptica, pertanto,in presenza di un’escavazione bisogna sempre fare
un’indagine bioptica molto accurata con prelievi multipli (>10) lungo i margini.
In caso di risultati dubbi alla biopsia, dato che è impensabile sottoporre a
gastroresezione preventiva il pz, si propone una terapia per l’ulcera gastrica di
30-40 giorni. Se al termine di questa, tramite gastroscopia, si osserva che le ulcere
si sono ridotte e c’è stata una riepitelializzazione inviteremo il pz a stretto follow
up. Se le ulcere sono croniche, con margini callosi, > 3 cm di diametro, con
displasia grave senza stimolo flogistico, o ulcere resistenti alla terapia medica ha
senso proporre una gastroresezione.
Nota: per eliminare un polipo a livello gastrico si raccomanda l’asportazione
chirurgica, perchè, a differenza del colon dove la rete linfatica origina dalla
sottomucosa, nello stomaco la rete linfatica inizia già a livello della mucosa.
Dato che un’ulcera può nascondere un EGC il comportamento dei chirurghi è
cambiato nei confronti delle ulcere perforate o molto sanguinanti; mentre prima si
faceva solo la rafia dell’ulcera, oggi, dopo aver eseguito molteplici biopsie risultate
positive, si mira a fare un intervento di tipo ocologico (lo stesso che si esegue per un
cancro gastrico avanzato).

Macroscopicamente l’EGC non ha un aspetto tipico all’endoscopia per cui vanno


eseguite biopsie multiple (>8) che però non consentono di definire lo stato di
infiltrazione parietale. La diagnosi di EGC si può eseguire solo sul pezzo operatorio.

STORIA NATURALE
Il tumore può estendersi per:
- Contiguità, coinvolgendo strutture prospicienti come l’esofago, il duodeno.
Quando il tumore raggiunge la sierosa può continuare per contiguità

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 145 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
diffondendosi ai visceri vicini come il pancreas, il fegato, la milza, il diaframma, il
peritoneo parietale.
- Via transcelomatica, se non prende contatto con i visceri vicini ma c’è una caduta
nella cavità peritoneale ed un reimpianto. Questo causa una carcinosi peritoneale
e della retrocavità degli epiploon, un tumore di Krukenberg, tumore bilaterale
dell’ovaio (metastasi di ca. gastrico), tumore di Blumer, equivalente del
precedente nel maschio.
- Via linfatica, in genere questa diffusione è precoce perchè la rete linfatica dello
stomaco comincia dalla mucosa. Distinguiamo:
- Linfonodi del I livello, entro 1 cm dal tumore, in genere quelli della piccola o
della grande curvatura, i perigastrici, i sotto e sopra pilorici, paracardiali.
- Linfonodi di II livello, posti ad oltre 3 cm dal tumore ma asportabili in
blocco, quelli dell’a. gastrica sx, dell’a. coronaria dello stomaco, del
peduncolo epatico, dell’ilo splenico, del tripode celiaco.
- Linfonodi di III livello, posti ad oltre 3 cm dal tumore ma non asportabili in
blocco, come nel caso di quelli epatoduodoenali, paraortici, retropancreatici,
mesenterici.
- Non sono infrequenti metastasi a salti
- Per via ematica il tumore può diffondere al fegato, al polmone, alle ossa ed al
cervello. Attraverso la ricca rete venosa esofagea un tumore cardiale può dare
metastasi ai polmoni senza dare metastasi al fegato.

STADIAZIONE TNM 7a edizione

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 146 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
QUADRO CLINCO
Sintomi iniziali
Il carcinoma gastrico può decorrere
per lungo tempo asintomatico o con
sintomatologia lieve ed aspecifica,
così da ostacolare spesso la
possibilità di una diagnosi
tempestiva.
Nella maggior parte dei casi i primi
sintomi sono rappresentati da
generici disturbi digestivi: vago
senso di fastidio e di ripienezza in
epigastrio, rigurgiti, eruttazioni,
digestione prolungata; in circa il 25%
dei casi i sintomi inziali possono
simulare un’ulcera gastrica con tipico
dolore ritmato con i pasti.
Altre volte, in assenza di qualsiasi sintomatologia a carico dell’apparato digerente, i
sintomi iniziali sono di carattere generale: astenia, febbre, perdita di peso, anoressia
generica o più specifica per un determinato alimento (soprattutto la carne,
sarcofobia), perdita di desiderio del fumo.
È meno frequente, ma non eccezionale, che l’esordio sia rappresentato da un
episodio emorragico con ematemesi e/o melena; raramente nelle forme ulcerative
l’inizio può essere contrassegnato da un episodio di perforazione gastrica. Talvolta,
precedendo anche di molti mesi qualsiasi altro sintomo, l’esordio è rappresentato da
anemia, più spesso di tipo microcitico (sideropenica).
Nei tumori localizzati in prossimità dell’orifizio cardiale, la sintomatologia iniziale
predominante può essere di tipo disfagico, mentre in quelli prepilorici il quadro
clinico può esordire con sintomi di ostruzione pilorica.

Sintomi delle fasi avanzate


Con il progredire della malattia, le manifestazioni cliniche di carattere generale e
quelle gastriche divengono più marcate e frequenti: dispepsia, anoressia, nausea,
perdita di peso, astenia, anemizzazione, comparsa di edemi discrasici soprattutto ai
malleoli; può essere presente febbre e nei confronti di alcuni cibi, classicamente la
carne, il paziente può avere invincibile ripugnanza.
Non infrequente è il vomito, spesso di materiale brunastro (caffeano) da emorragia
intragastrica; emorragie massive possono provocare ematemesi e/o melena.
Quando il tumore è localizzato in sede cardiale, la sintomatologia è dominata da
disfagia e dolore retrosternale di tipo oppressivo; spesso nelle forme di tipo scirroso,
come la linite plastica, possono essere presenti diarrea e dolori ai quadranti
addominali inferiori; un addome acuto può conseguire alla perforazione.

Segni
In circa il 40% dei pazienti è possibile apprezzare una massa in sede epigastrica
soprattutto nelle fasi più avanzate in cui, inoltre, è frequente il riscontro di
epatomegalia metastatica e di tumefazioni linfonodali, specialmente in regione

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 147 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
sopraclaveare sinistra (segno di Troisier) o pettorale (segno di Irish) o prerettale (se-
gno di Blumer).
I pazienti appaiono pallidi per l’anemia, fortemente astenici e nelle forme più
avanzate possono presentare ascite, noduli cutanei e, nella donna, tumefazione
ovarica all’esplorazione ginecologica da metastasi bilaterale alle ovaie (tumori di
Krukenberg).
Inoltre possono essere osservate, per quanto in modo non frequente, varie sindromi
paraneoplastiche tra le quali ricordiamo: anemia emolitica microangiopatica,
glomerulopatia membranosa, rapida comparsa di cheratosi seborroica (segno di
Leser-Trelat), Achantosis nigricans, coagulopatia intravascolare disseminata con
possibile trombosi arteriosa e/o venosa (sindrome di Trousseau) e, assai di rado,
dermatomiosite.

DIAGNOSI
Anemia sideropenica per stillicidio occulto e per alterato assorbimento del ferro è
presente in circa il 50% dei pazienti; l’anemia può essere macrocitica in caso di
associazione con anemia perniciosa e gastrite atrofica.
La ricerca del sangue occulto nelle feci è positiva in circa il 50% dei casi. I livelli di
albumina sierica possono essere ridotti a causa della protidodispersione da parte
della mucosa gastrica coinvolta dalla neoplasia.
La radiologia costituisce ancora oggi una tecnica diagnostica molto efficace nello
studio delle lesioni dello stomaco; la sensibilità del metodo raggiunge anche il 95%
dei casi (se con la tecnica del doppio contrasto).
Gli aspetti più caratteristici delle neoplasie maligne sono rappresentati da:
- Forme vegetative: difetti di riempimento, dovuti alla presenza di vegetazioni
tumorali che sporgono nel lume;
- Forme ulcerative: immagini di nicchie con aspetti differenti: a fondo piatto o “en
plateau” con margini notevolmente rilevati; ad incastro, perdita di sostanza
nell’ambito della proliferazione neoplastica; a menisco, immagine di plus di forma
semicircolare circondata da ampio alone radiotrasparente dovuto alla presenza del
tumore;
- Forme infiltrative: rigidità e mancata distensione delle pareti gastriche, globale
(stomaco a borsa di cuoio) o segmentaria (stomaco a clessidra); queste forme
sono di solito meglio evidenziabili con l’esame radiologico che con l’endoscopia;
- Immagini di stenosi: frequenti soprattutto in caso di neoplasie in prossimità del
piloro.

La gastroscopia è, la tecnica fondamentale per la diagnostica delle neoplasie


gastriche. Malgrado la grande versatilità dei moderni endoscopi, l’aspetto
macroscopico da solo non è sempre sufficiente per distinguere un’ulcera benigna da
un’ulcera maligna e la sensibilità di questa metodica è dell’80-90%, ma, se ad essa si
aggiungono biopsie multiple e la citologia, sale al 96-98%.
La TC dell’addome (o “total-body”), infine, può mettere in evidenza l’estensione del
tumore primitivo così come la presenza di metastasi ai linfonodi loco-regionali o di
localizzazioni secondarie in altre sedi (lo stesso vale per l’ecografia), ciò è utile
soprattutto per la stadiazione.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 148 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
TERAPIA
Gli adenocarcinomi sono scarsamente responsivi alla radio e alla chemioterapia,
pertanto la terapia di scelta è rappresentata dalla chirurgia.
L’intervento chirurgico di scelta, per adeguatezza oncologica e bassa incidenza di
complicanze gravi, è la gastrectomia radicale subtotale, che prevede la rimozione di circa
l’80% dello stomaco (con margini di resezione ad almeno 5 cm dai limiti visibili
della neoplasia), dell’omento, della prima porzione del duodeno e del tessuto
linfatico contenuto nel legamento epatoduodenale, nel legamento gastroepatico e nel
legamento gastrocolico.
Per le neoplasie più prossimali, gli interventi di scelta sono invece la gastrectomia
totale o la resezione gastrica prossimale, che però è gravata da una maggiore
incidenza di disturbi postoperatori (anoressia, “dumping”, bruciore retrosternale).
La splenectomia dev’essere limitata ai casi con evidente interessamento della milza
o dei linfonodi dell’ilo splenico o ai casi in cui la neoplasia invade la metà prossimale
dello stomaco.
È ancora aperto un vivace dibattito tra i sostenitori dei diversi tipi di resezione
linfonodale. È stato infatti dimostrato che la prognosi del carcinoma gastrico è
funzione del livello dei linfonodi interessati ma soprattutto del numero dei linfonodi
interessati.
Nella resezione D1, utilizzata soprattutto negli USA, è necessaria la rimozione dei
linfonodi lungo la piccola e grande curvatura; l’intervento è considerato adeguato se
nel campione sono rinvenuti almeno 15 linfonodi. Nella resezione D2, lanciata dai
chirurghi giapponesi e negli ultimi anni sempre più utilizzata in Europa, è effettuata
la rimozione integrale della borsa omentale attraverso la dissezione dello strato
frontale del mesocolon traverso con isolamento completo dei peduncoli vascolari
dello stomaco.
È da porre l’accento sull’importanza di un’accurata stadiazione preoperatoria per
evitare interventi troppo estesi in pazienti con malattia limitata (“early gastric
cancer”) o già estesa oltre i limiti di curabilità chirurgica.
TECNICHE PER LA RICANALIZZAZIONE

Billroth 1, dopo la resezione gastrica si confeziona una


duodenogastroanastomosi abboccando il moncone gastrico
al duodeno, ma la bile refluisce nello stomaco.

Billroth 2, dopo la gastroresezione si confeziona una


gastroduodenoanastomosi abboccando il moncone gastrico
alla prima ansa digiunale con anastomosi termino-laterale.
In questo modo però non si ha l’acidificazione del duodeno
con riduzione della secrezione pancreatico biliare.

Roux, il moncone gastrico è anastomizzato con un’ansa ad


Y che a sua volta è anastomizzata con la prima ansa
digiunale di Treiz, si evita così il reflusso duodeno gastrico.
E’ la più utilizzata al giorno d’oggi.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 149 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
La gastrectomia totale è più indicata per le neoplasie del moncone residuo, per le
neoplasie cardiali, per le neoplasie multifocali, in caso di linite plastica data la
possibile presenza di reflusso gasto-esofageo che aumenta la possibilità di recidive
sul moncone.
Per la ricanalizzazione è possibile l’intervento ad Y di Roux, simile a quello illustrato
precedentemente, solo che l’anastomosi è termino-terminale con il moncone
esofageo, o l’intervento di Graham con anastomosi esofago-digiunale con ansa
digiunale confezionata come neostomaco di capacitanza.

Se ci sono metastasi, la malattia è in fase avanzata, si può fare una chirurgia


palliativa per permettere la ricanalizzazione impedita dal tumore (stenosi
importanti). In questo caso l’intervento di scelta è una gatro-entero anastomosi.

La chemioterapia primaria o neoadiuvante è in grado di produrre risposte cliniche tali da


rendere radicalmente asportabili il 40-60% delle neoplasie localmente avanzate che
si presentano non resecabili alla laparotomia di prima istanza. La possibilità di
effettuare in questi pazienti un intervento chirurgico radicale si traduce in un netto
vantaggio in termini di sopravvivenza mediana (24 mesi vs. 6 mesi).

Per la malattia metastatica la chemioterapia rappresenta l’unica scelta possibile. i


farmaci più efficaci saranno: 5-FU, acido folinico, antracicline, cisplatino. E’ possibile
una polichemioterapia con etoposide, antracicline e cisplatino. La polichemioterapia
da risultati migliori della monoterapia.
Il regime FAM (FU, adriamicina, mitomicina C) consente risposte dal 20 al 50% con
sopravvivenza mediana di 7-10 mesi.
Nei tumori avanzati con iperespressione di HER-2-Neu si aggiunge il trastuzumab alla
chemioterapia.

Riassumendo, nei Tis si usa la resezione endoscopica, nei T1 l’intervento


chirurgico, nei T2 RT+CT neoadiuvante con chirurgia, e negli M1 CT palliativa.

PROGNOSI
La gravità della prognosi è strettamente correlata alla notevole difficoltà di una
diagnosi precoce; infatti lo stadio patologico della neoplasia rappresenta il fattore
prognostico più importante.
Al di là dello stadio della malattia, il carcinoma gastrico di tipo intestinale è
associato ad una più alta percentuale di sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi, dopo
resezione chirurgica, rispetto al carcinoma di tipo diffuso (rispettivamente circa 25%
e 15%).
La prognosi è peggiore nelle forme poco differenziate ed in quelle in cui sono
presenti alterazioni di carattere genetico (delle quali s’è già parlato); inoltre è
importante, in questo senso, la localizzazione della neoplasia primitiva ricordando
che, per esempio, negli USA il 37% di questi tumori si sviluppa nel III prossimale
dello stomaco, il 20% nel III medio, il 30% nel III distale ed il 10% circa coinvolge
l’intero stomaco.
La percentuale di sopravvivenza a 5 anni dall’exeresi chirurgica è del 20-25% per i
pazienti con tumore distale, 10% per quelli con tumore prossimale e meno del 5%
per quelli in cui la malattia interessa tutto lo stomaco (la minore sopravvivenza dei

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 150 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
pazienti con neoplasia a localizzazione prossimale può essere espressione di
maggiore aggressività clinica o di più indifferenziate caratteristiche istologiche o
anche di maggiori difficoltà tecniche per un’exeresi radicale in cui, cioè, sia possibile
ottenere margini liberi da malattia sufficiente- mente ampi).

SINDROMI POST GASTRECTOMIA


DUMPING SYNDROME Complesso di disturbi postprandiali, soprattutto dopo un pasto ricco di
carboidrati, dovuti al rapido transito del bolo alimentare, osservabile
soprattutto nei casi di interventi di Billroth 2. Avremo 2 quadri clinici:
- Sindrome precoce, (da rapido svuotamento gastrico) con riduzione del
volume plasmatico, iperincrezione biliopancreatica, richiamo
endoluminale di liquidi, liberazione di sostanze vasoattive. La
sintomatologia è caratterizzata da palpitazioni, sudorazioni, calo
pressorio, vertigini, nausea, vomito, diarrea e distensione epigastrica.
- Sindrome tardiva, causata dall’ipoglicemia da iperincrezione insulinica
per passaggio rapido dei carboidrati e rapido assorbimento. E’
caratterizzata da astenia, sudorazione, fame, tendenza a polifagia ed
obesità.
La terapia consiste nella dieta solida povera di carboidrati con pasti
piccoli e frequenti, assunzione della posizione supina post prandiale per
rallentare il transito. Solo raramente è necessario il reintervento per il
ripristino del transito duodenale.

SINDROME DELL’ANSA Ostacolo allo svuotamento dell’ansa afferente per inginocchiamento


AFFERENTE craniale con ristagno di bile e succo pancreatico, oppure per reflusso di
tutto il contenuto del moncone gastrico nell’ansa afferente. La terapia è
chirurgica, si esegue il confezionamento di un’anastomosi tra ansa
afferente ed efferente secondo Braun o il passaggio da un Billroth 2 ad
una Roux.

SINDROME DELL'ANSA Ostacolo allo svuotamento dell'ansa efferente per presenza di una briglia
EFFERENTE aderenziale, di un’ernia interna, per eccessiva retrazione cicatriziale.
La terapia si avvale della costruzione di una nuova enteroanastomosi.

BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________
- Dispense Prof. Butti, reperibili presso la copisteria
- Harrison - Manuale di Medicina interna - Edizione 2014 Autore: Fauci - Kasper -
Hauser - Longo - Jameson - Loscalzo - Harrison , Editore: Casa Editrice
Ambrosiana, Edizione: XVIII 1/2014 , Volume: Unico
- Medicina interna sistematica di Claudio Rugarli

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 151 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

CAPITOLO 13
___________________________________________________________
NEOPLASIE DEL COLON RETTO E DELL’ANO

CANCRO DEL COLON-RETTO


EPIDEMIOLOGIA
Rappresenta la terza causa di morte per cancro nel sesso maschile e femminile; negli
ultimi 30 anni la mortalità è in riduzione per una serie di motivi: diagnosi precoce,
trattamento chirurgico radicale che rappresenta la principale terapia della neoplasia
del colon-retto, farmaci chemioterapici di ultima generazione molto efficaci rispetto
a quelli utilizzati precedentemente. In Italia ci sono 80 nuovi casi/100000 abitanti
l’anno. La massima incidenza c’è tra la V-VII decade. Viventi a 5 anni dopo
trattamento chirurgico: 55-75% (dato variabile). Sebbene spesso sia considerato
come un’unica entità clinica va ricordato che ciò non è corretto:
- tra colon e retto cambiano le modalità di diffusione
- cambiano le modalità di presentazione clinica
- cambiano le possibilità terapeutiche.
- quello che rimane in comune sono l’eziologia ed i fattori di rischio.

EZIOLOGIA E FATTORI DI RISCHIO


- Familiarità, non necessariamente è ereditarietà, ma il fatto di aver avuto nella
propria famiglia un tumore del colon aumenta il rischio;
- Età, l’incidenza è massima dopo i 50 anni. Se il cancro del colon-retto compare
prima bisogna pensare ad una forma familiare.
- Dieta povera di fibre e ricca di grassi; una dieta povera di grassi e protidi sembra
ridurre la quantità di clostridi intestinali e l’apporto di benzopireni; le fibre ed una
dieta ricca di scorie sembra avere un effetto protettivo.
- Razza, perché i caucasici hanno una maggiore incidenza;
- Pregressa irradiazione della pelvi;
- Pregressa patologia neoplastica, rischio di sviluppare tumori multipli in vari
organi;
- Alcool, fumo, asbesto, HPV, da dati sperimentali.
- Precancerosi
- Fattori protettivi sembrano essere l’alto introito di calcio perchè sembra
permettere la precipitazione degli acidi biliari e l’assunzione di aspirina.
Si può intervenire su alcuni fattori consigliando al paziente una colonscopia a
scadenza più ravvicinata.

PRECANCEROSI
- Polipi del colon (adenomatosi): sono i più frequenti, ricercati nella colonscopia,
sono asportati in fase poliposa ed è agendo su questi che si ottiene la riduzione
della mortalità;
- Poliposi familiare diffusa (FAP, 100%): si è adottata la strategia chirurgica di
asportazione di tutto il colon-retto altrimenti questi pazienti andrebbero incontro
a morte certa.
- Sindrome di Gardner;
- Sindrome di Lynch;
- Rettocolite ulcerosa (7-15%);
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 152 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
- Morbo di Crohn

Polipi del colon


Possono essere:
- Iperplastici (11% dei polipi colici); dimensioni inferiori ai 2 cm, non tendono in
genere alla cencerizzazione.
- Amartomatosi (esordio giovanile); come sopra.
- Adenomi (70%), a rischio di cancerizzazione, tramite istologico bisogna valutare
se il polipo è adenomatoso o meno.

Polipi adenomatosi
Morfologicamente sono distinti in:
- Polipi sessili, a larga base d’impianto, e ciò ha delle implicazioni dal punto di vista
pratico in quanto i polipi sessili sono più difficilmente asportabili
endoscopicamente, ma se sono di dimensioni contenute è possibile asportarli per
via endoscopica)
- Peduncolati.
Istologicamente i polipi sono:
- Tubulari, possono insorgere in
qualunque tratto del colon-
retto ma più frequentemente
nel retto-sigma. Hanno un
sottile peduncolo rivestito di
mucosa normale ed una testa
moriforme del diametro
inferiore ai 2,5 cm.
- Vi l l o s i ( c h e s o n o u n a
minoranza ma che hanno
maggior rischio di
cancerizzazione, 40%). I polipi villosi inoltre, specie se di una certa dimensione,
generalmente superiori a due cm, possono avere la capacità di produrre muco e
dare un sintomo molto caratteristico e specifico che è la mucorrea. Essi sono in
genere sessili e solitari con una larga base d’impianto ed una forma a cavolfiore.
- Tubulo-villosi

I polipi adenomatosi vanno incontro ad una trasformazione neoplastica ed


all’infiltrazione della muscularis mucosae e verso l’asse vascolare. Se infiltra l’asse
vascolare il rischio di diffusione sistemica è maggiore. In genere non più del 10% dei
polipi sono cancerizzati tra tutti i polipi asportati endoscopicamente. Questo può
essere un dato rassicurante, ma bisogna comunque asportare il polipo per
dimostrarne istologicamente la sua non malignità.

Polipo cancerizzato: c’è una storia naturale che porta da alterazioni della mucosa a
una cancerizzazione in situ, intramucoso, fino all’ adenoma cancerizzato che invade
muscolaris mucosae e arriva alla sottomucosa (3-9%); è curato con asportazione
endoscopica. Il polipo cancerizzato andando oltre la muscolaris mucosae pone il
rischio di diffusione attraverso il peduncolo vascolare con disseminazione delle
cellule neoplastiche. Se si interviene a questo livello con l’asportazione, il paziente è

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 153 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
guarito al 100%. La cosa importante è recuperare il polipo, analizzarlo in maniera
seriata perché ciò che cambia il discorso è l’interessamento o meno del peduncolo
vascolare dello stesso: se c’è un polipo adenomatoso con foci di carcinoma in situ e
quindi foci di cancerizzazione muscolare (muscolaris mucosae), il discorso finisce lì;
se invece è un polipo cancerizzato con sconfinamento nella sottomucosa, bisogna
intervenire chirurgicamente sul paziente con una resezione del colon.

La storia naturale del polipo adenomatoso consiste inizialmente nella presenza di un


polipo adenomatoso; successivamente si verifica trasformazione neoplastica maligna
con la formazione di una zona di carcinoma in situ o intramucoso nella mucosa del
polipo fino all’evoluzione in adenoma cancerizzato che indica il superamento della
muscularis mucosae. Il tempo di trasformazione stimato in linea teorica è di circa
10-15 aa.

Nota: quando si effettua l’asportazione di un polipo sessile si cerca di creare un


peduncolo tramite l’iniezione, al di sotto del tumore, di adrenalina e soluzione
fisiologica.

La mortalità per il cancro dal colon è diminuita a fronte di un aumento di incidenza.


Questo è dovuto ad un miglioramento dei programmi di screening il cui fine è la
scoperta precoce di polipi adenomatosi o con carcinoma in situ in cui l’approccio
endoscopico è la terapia principale. In genere la maggior parte dei programmi di
screening accetta che dopo i cinquanta anni ci si deve sottoporre ad una colonscopia
ogni 5 aa, dal momento che il picco di incidenza è in questa fascia di età. I
programmi di screening sono diversi in pz con fattori di rischio che impongono uno
screening anticipato, non a cinquant’anni ma prima. A tutt’oggi la colonscopia è
l’optimum nello screening.

Nelle popolazioni a rischio la colonscopia va ripetuta più frequentemente: nella


poliposi familiare la prima è eseguita a 15 anni d’età. C’è la possibilità che alla
colonscopia sia affiancata la videocapsula, per la valutazione del piccolo intestino.
Il programma di screening non prevede come metodica accurata la ricerca del sangue
occulto nelle feci perché è un esame gravato da un’alta percentuale di falsi negativi e
falsi positivi.

Poliposi familiare
Presenza di più di 100 adenomi lungo la mucosa del colon-retto, quindi rischio
elevatissimo di cancerizzazione. E’ una malattia autosomica dominante, abbastanza

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 154 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
rara. Richiede programmi di screening serrati e trattamenti molto aggressivi e
demolivi con asportazione di tutto il colon-retto.
Tra le precancerosi è quella a rischio più elevato è la poliposi familiare. La
definizione rigorosa impone la presenza di un centinaio di polipi: la mucosa risulta
come tappezzata di polipi. Questi polipi, che hanno una evoluzione indipendente
l’uno dall’altro, sono ad evoluzione cancerosa nel 100% dei casi. Essendo a
trasmissione autosomica dominante, da un lato c’è un rischio elevatissimo di
cancerizzazione ma dall’altro è una condizione non comune. In questo caso è ovvio
che un parente di un paziente affetto da questa patologia debba fare non una
colonscopia periodica a partire da cinquanta anni, ma a partire da 15-20 aa per
arrivare ad effettuare alla fine una proctocolectomia totale perché non c’è alternativa
a questa patologia.

Sindrome di Gardner
Malattia autosomica dominante caratterizzata da poliposi colica, spesso non c’è
enorme villosità. Può verificarsi la presenza di altre neoformazioni ossee o muscolari
(osteomi multipli di cranio e mandibola e tumori dei tessuti molli). Con minore
frequenza si associano tumori desmoidi, anomalie dentarie, neoplasie tiroidee e
neoplasie periampollari.

Sindrome di Linch
È la più frequente delle forme ereditarie. Autosomica dominante a esordio giovanile
<40 anni. Riguarda il 6% di tutte le neoplasie colonrettali. Importante effettuare lo
screening per questa sindrome nella famiglia di un paziente che abbia sviluppato una
neoplasia del colon-retto al di sotto dei 50 anni. Possiamo distinguere:
- Tipo 1: limitata al colon, generalmente esordisce con un cancro del colon
prossimale prima dei 40 anni.
- Tipo 2: associata ad altre neoplasie del tratto gastro-enterico , ginecologiche e
renali.
Dal punto di vista genetico sono stati individuati hMSH2 e hMLH1 rispettivamente
sui cromosomi 2 e 3. Essi codificano per enzimi coinvolti nella riparazione del DNA.
I criteri di Amsterdam per fare diagnosi di sindrome di Linch sono:
- Presenza di almeno un familiare con cancro del colon prima dei 50 aa
- Padre e fratello con ca. colon
- parente di primo grado del padre con ca. colon.

Rettocolite ulcerosa (RCU)


Circa il 5% dei pz con RCU svilupperanno un cancro del colon. È considerata una
pre-cancerosi di notevole importanza. Il rischio di sviluppare il carcinoma aumenta a
seconda della durata e dell’estensione della patologia: importante è l’età
d’insorgenza che può essere precoce (15-20 anni). Si è calcolato che dopo 8 anni
dall’insorgenza della malattia il rischio di sviluppare il carcinoma aumenta del 20%.
Importante è la localizzazione: se interessa solo il retto si parla di proctite ulcerosa o
rettocolite se è interessato anche il colon;
Dato che in genere la diagnosi avviene prima dei 50 aa in questi pazienti non si
effettua la prima colonscopia viene effettuata prima e per di più con una metodica
particolare infatti, dato che la patologia può interessare tutto il colon bisogna
effettuare delle biopsie ogni 10 cm in maniera sistematica.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 155 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Il grado di displasia nella RCU permette di quantificare il rischio di sviluppare il
carcinoma: basso grado 20% di rischio, alto grado > 40% di rischio. In funzione del
grado di attività della malattia si consiglia una pancolonscopia ogni aa o ogni due o
tre aa. Anche per questa patologia il trattamento di base è una colectomia totale .

FORME ISTOLOGICHE
- Adenocarcinoma: semplice, mucinoso, a cellule con castone
- Carcinoma Adeno-squamoso: interessamento anche dell’ano, quando si fa una
biopsia del basso retto bisogna fare attenzione al tipo di mucosa e che non sia un
tumore dell’ano che risale verso il retto: è una zona di passaggio tra due tipi di
mucosa e quindi si parla di neoplasie giunzionali. I carcinomi dell’ano sono molto
sensibili alla radioterapia (90% dei casi) associata a chemioterapia, mentre nel
retto la terapia è essenzialmente chirurgia + terapia adiuvante.
- Carcinoma indifferenziato

GRADING
Indica l’aggressività del tumore G1, G2, G3: questo cambierà quando avremo a
disposizione dei biomarcatori che daranno in maniera più accurata la misura
dell’aggressività del tumore.
EGFR, K-Ras sono importanti marcatori di neoplasia del colon-retto: la positività per
K-Ras consente l’utilizzo di anticorpi monoclonali che hanno aumentato la risposta
della neoplasia alla terapia. In caso di K-Ras wild type è possibile usare un farmaco
biologico detto cetuximab. Se invece il K-Ras è mutato è inutile usare il cetuximab
perché non c’è il target su cui questo farmaco agisce. Questo tipo di approccio è
fondamentale nell’ambito di una terapia oncologica quanto più personalizzata
possibile.

LOCALIZZAZIONE
- colon 64%
- retto 39%
- sigma 25%
- a seguire cieco

SINTOMATOLOGIA
I sintomi del tumore variano in base alla sede, alla grandezza ed al grado di
infiltrazione degli organi circostanti. Dal punto di vista macroscopico il tumore può
essere:
- Vegetante, a crescita esofitica; per scompenso della vascolarizzazione rispetto alla crescita del
tumore spesso esso va in necrosi. La parte necrotica può staccarsi e residuare con un ulcera. In
genere la crescita esofitica avviene nel colon dx.
- Infiltrante, infiltra mucosa e sottomucosa.
- Stenosante, il tumore si estende nella parete creando un’importante reazione cicatriziale fino
ad una vera e propria stenosi anulare con manifestazioni subocclusive. Si ricorda che anche un
grande tumore non stenosante può dare una stenosi.

Colon dx e cieco (in genere vegetante)


Tumore a crescita vegetante in viscere molto distensibile. La massa può accrescersi
notevolmente anche senza comportare occlusione. Se villoso può comportare la
comparsa di mucorrea. La crescita notevole del tumore comporta necrosi della parte
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 156 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
periferica, che è meno vascolarizzata, con conseguente tumore ulcerante.
Clinicamente si ha anemia sideropenica ipocromica microcitica da stillicidio cronico,
sangue nelle feci (sangue occulto nelle feci, possibile melena; si definisce
enterorraggia la presenza di feci frammiste a sangue non digerito, ematochezia
cilindro fecale verniciato di sangue e rettorragia presenza di sangue vivo, anche in
assenza di feci). Dolore addominale vago (fossa iliaca dx) dovuto a infiltrazione della
parete o occlusione. In genere è possibile apprezzare una massa palpabile in fossa
iliaca destra o fianco destro anche in assenza di disturbi di canalizzazione., Questa è
più comune per tumori a partenza dalla doccia parieto colica destra. L’occlusione è
poco comune e tardiva, risulta più comune per tumori vicini alla valvola ileocecale
La mucorrea va in dd con: RCU, Crohn, tumore vegetante mucosecernente
soprattutto del colon dx. L’anemia che insorge dopo i 50, non altrimenti spiegabile
con: tumore del colon, mieloma, polimialgia reumatica, arterite di Horton.

Colon sx (in genere stenosante)


Trattasi in genere di tumore stenosante in viscere poco distensibile. La
sintomatologia è caratterizzata da occlusione con conseguenti modificazioni dell’alvo
e della morfologia delle feci. Frequenti gli episodi subocclusivi. Presenti: dolore
peristaltico (iperperistaltismo, dolore colico, questo è un segno caratteristico),
meteorismo addome gonfio. L’occlusione completa si manifesta con: dolore,
distensione addominale alvo chiuso a feci e gas, all’Rx diretta addome si osserva una
dilatazione a monte dell’occlusione con livelli idroaerei. Può esordire con stipsi
ingravescente e altre modificazioni dell’alvo come: feci con caratteristiche
morfologiche diverse a seconda del livello e del grado di ostruzione: feci caprine,
nastriformi, a fettucce. Con il tempo si instaurano diarrea paradossa (feci liquide in
presenza di occlusione e alvo stitico, episodi di diarrea, soprattutto di mattina, che permettono
svuotamento dell’intestino) e psedodiarrea (scolo di materiale fluido senza possibilità di
svuotarsi. Feci liquide con componente mucosa, purulenta, ematica).

A monte dell’occlusione, batteri proliferano e producono muco. Il muco riesce a


superare la stenosi causando ripetute emissioni di materiale fluido (pseudodiarrea).
Quando le feci sono completamente colliquate riescono a superare l’ostacolo grazie
all’iperperistaltismo con conseguente svuotamento dell’alvo e cessazione del dolore
peristaltico (diarrea paradossa). Il ciclo ricomincia perché la stenosi resta.
L’alvo può essere alternante con un ciclo di stipsi ostinata con dolore e diarrea con
caduta del dolore.

Retto
In genere si tratta di un tumore vegetante ulcerato. E’ spesso presente una
sensazione dolorosa di incompleto svuotamento a fine defecazione dovuta alla massa
che occupa l’ampolla rettale. Tipico è il tenesmo (dolore dopo evacuazione dovuto alla
contrazione spastica dello sfintere anale, esso è presente anche in caso di tumore retto, RCU,
ragade anale) se interessato il plesso nervoso. Può essere presente rettorraggia:
sangue rosso rutilante emesso con le feci o indipendentemente dalla defecazione. Tra
le modificazioni dell’alvo, quella più frequente è la stipsi con feci caprine fino
all’occlusione intestinale
Va ricordato che il tumore del colon non dà dimagrimento a meno che non ci siano
metastasi epatiche. L’anoressia all’esordio deve portare a sospettarle.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 157 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

Nel 15% dei casi dei tumori del colon retto l’esordio si ha con delle complicanze,
ovvero con occlusione intestinale, evenienza più frequente 14%, o con perforazione
intestinale 2,5%. Nei pazienti in cui il primo sintomo della neoplasia è una
complicanza, la prognosi è peggiore per due motivi fondamentalmente: un tumore che
perfora la parete è infatti un tumore più avanzato ed inoltre con la perforazione è
maggiore il rischio di diffusione della malattia.

Importante è la distinzione tra tumori del retto e tumori dell’ano, quando si


presentano sintomi come tenesmo e dolore perianale. Istologicamente si
differenziano perché il primo è un adenocarcinoma, mentre il secondo è squamoso
pluristratificato. Questa non è una distinzione accademica, ma è utile da un punto di
vista terapeutico dato che la terapia per il carcinoma del retto è prevalentemente
chirurgica, mentre per il carcinoma dell’ano è chemio-radioterapica. Quindi la
biopsia delle masse basse in questi casi è dirimente e fondamentale. Tra l’altro la
prognosi è anche molto diversa, nettamente più favorevole per i tumori dell’ano.

DIAGNOSI CLINICA
- Anamnesi: deve indagare i segni relativi ad un’anemizzazione o alterazioni
dell’alvo; In caso di alvo stitico, importante è capire se è qualcosa di nuovo o di
vecchio e se ha cambiato caratteristiche.
- EO addominale: è importante la ricerca di una distensione addominale, se c’è una
situazione di occlusione o sub-occlusione.
- Esplorazione rettale: la sede più frequente è il retto e in 2/3 dei casi, una manovra
molto semplice che si può fare in ambulatorio, può indirizzare già da subito verso
l’iter diagnostico da seguire.
- Esami ematochimici: si effettua un emocromo per valutare il grado di
anemizzazione. Questo tipo di pz si rivolge al medico semplicemente perché si
sente stanco, astenico. Una delle più frequenti cause di anemizzazione è il cancro
del colon.

MARKERS NEOPLASTICI
- CEA ( valori normali : < 4.60 ng / ml ): E’ alterato nel 50 – 60 % nei pazienti
con K colon. E’ più sensibile nelle neoplasie ben differenziate, ma se non c’è
un CEA elevato, non vuol dire che non c’è il tumore; Più utile nel follow – up
che nella diagnosi.
- Ca 19-9

DIAGNOSTICA STRUMENTALE
- Pancolonscopia: deve comportare la visualizzazione endoscopica di tutto il colon,
dall’ano al cieco con eventuale biopsia. Ciò è importante perché esistono
neoplasie multiple. Neoplasie del retto o del sigma non autorizzano a terminare
l’esame endoscopico a questi livelli, ma impongono l’esplorazione di tutto il viscere
fino al cieco: sia per escludere l’esistenza di altri polipi, che è frequente, sia di altre
localizzazioni della neoplasia (questo è molto frequente, soprattutto in pz con
situazioni di pre-cancerosi importante come la RCU, dove deve esserci l’esplorazione
regolare di tutto il colon). L’esame endoscopico deve essere associato all’esame bioptico.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 158 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
- In caso di impossibilità di esecuzione di una pancolonscopia si può effettuare un
clisma opaco con mezzo di contrasto che però è un’alternativa, non è equivalente.
L’Rx clisma opaco a doppio contrasto può essere utile nei tumori del sigma
stenosanti, che non consentono il passaggio della sonda endoscopica, dolico
sigma, anatomia sfavorevole del colon. Non è l’esame da fare in prima battuta, ma
si fa quando la pancolonscopia non è risolutiva.

Per la stadiazione saranno utilizzati:

- TC addome – pelvi con mdc: per la stadiazione locale e la ricerca di metastasi a


distanza, dopo che è stata fatta la tipizzazione istologica. Ci consente di valutare
la situazione locale del colon, del retto, della pelvi, del ceco, del sistema
linfonodale e degli organi circostanti e poi ovviamente del fegato. Le metastasi
epatiche si possono presentare in modo sincrono, cioè contemporaneamente allo
sviluppo del tumore primitivo o metacrono, quando si sviluppano in tempistiche
diverse.
- TC torace è sempre più utilizzata anche se non c’è al momento una evidenza che
l’uso sistematico della TC torace aumenti i risultati relativi del trattamento.
Comunque gli organi da valutare in primis sono il colon innanzitutto, i linfonodi,
il fegato e poi il polmone.
- Ecografia trans – rettale / RM pelvi: esami fondamentali perché danno dei dettagli
riguardo l’infiltrazione della parete del retto da parte della neoplasia e
consentono, soprattutto la RM, la ricerca di linfonodi peri-tumorali. Questi aspetti
sono di fondamentale importanza nei K del retto basso dove si può eventualmente
indirizzare il pz ad trattamento chemio-radiante prima dell’intervento chirurgico,
proprio in base alla stadiazione, al grado d’infiltrazione della parete e alla presenza
di metastasi linfonodali. Anche perché, ci potrebbe essere l’indicazione a fare delle
escissioni transanali (tecniche di microchirurgia).
- PET-TC: sempre più diffusa l’utilità, ma non c’è l’evidenza che abbia un reale
vantaggio nella stadiazione di questi pz. Il reale vantaggio rispetto alla TC è che
con un unico esame si esplorano tutti i distretti, ma ha dei grossi limiti
dimensionali, non rileva localizzazioni secondarie <1cm e quindi una PET
negativa non implica che non ci siano metastasi a distanza.
- Colonscopia virtuale, può essere utile con le stesse indicazioni del clisma a doppio
contrasto.

FATTORI PROGNOSTICI
I fattori prognostici negativi sono molteplici. La percentuale di diffusione a distanza
varia nei differenti pz dal 55% al 75% a cinque anni e ci sono vari fattori che
determinano questa variabilità condizionando la sopravvivenza dei pz. Avremo:
- Infiltrazione profonda della parete T4
- Presenza di metastasi linfonodali è un concetto dipendente dalla radicalità della
linfadenectomia cioè dalla linfonod-ratio ovvero dal numero di linfonodi
metastatici sul numero totale di linfonodi asportati.
- La presenza di metastasi a distanza soprattutto epatiche e polmonari.
- Il grading G2, G3
- I marcatori CEA e CA19.9 con valori pre-operatori molto elevati. Alcuni pz non
esprimono questi marcatori, pertanto se sono negativi non si può escludere la

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 159 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
diagnosi di neoplasia; mentre se sono elevati pre-operatoriamente è un fattore
prognostico negativo. È utile nel follow up, dove un CEA molto elevato, in
assenza di localizzazioni secondarie o recidiva, indirizzerà a fare dei controlli
molto ravvicinati nel tempo, perché spia di una possibile recidiva della malattia.
- l’esordio con una complicanza o una complicanza durante la storia naturale della
malattia come perforazione o occlusione.

VIE DI DIFFUSIONE
La neoplasia si può propagare per via:
- Locale: si verifica lungo l’asse trasversale e longitudinale del viscere, con invasione
successiva dei diversi strati della parete intestinale, del grasso pericolico, degli
organi e delle strutture adiacenti; dopo aver superato la sierosa anche possibile,
per fenomeni di esfoliazione cellulare, la colonizzazione neoplastica del peritoneo
(carcinosi peritoneale).
- Per via linfatica: fenomeno ampiamente prevedibile; procede in maniera
progressiva e graduale, interessando, con distribuzione segmentaria, i linfonodi
peri e paracolici e soltanto successivamente i linfonodi più distali (stazioni
intermedie e principali); raro il riscontro di metastasi ai linfonodi principali senza
il contemporaneo interessamento di quelli più prossimali (salto del linfonodo).
- Per via ematica: nel corso del processo espansivo la neoplasia può infiltrare i
piccoli vasi venosi della parete intestinale o dei tessuti pericolici determinando
così il passaggio in circolo – quello portale soprattutto – di foci tumorali: il fegato
in primo luogo ed i polmoni rappresentano, infatti, le sedi più frequentemente
colpite dalla metastatizzazione a distanza. Si è osservato che, al momento della
diagnosi, il 20-25% dei pazienti ha già in atto metastasi epatiche e/o polmonari.
Nel cancro del retto, organo con duplice drenaggio venoso (attraverso le
emorroidarie superiori nel sistema portale e tramite le emorroidarie medie ed
inferiori in quello cavale), sono più frequenti, rispetto a quanto avviene per il
colon, le metastasi polmonari senza interessamento epatico. Sono state talora
riscontrate metastasi a livello osseo.
- Diffusione peritoneale: per via diretta, si può verificare una carcinosi peritoneale
- Diffusione perineurale: attraverso le terminazioni nervose, le cellule possono
giungere in questo modo al midollo osseo.
- Diffusione attraverso il plesso di Batson, un plesso venoso perivertebrale che
realizza anastomosi con le vene tributarie del sistema portale ed il sistema cavale.

STADIAZIONE (TNM 7 edizione)


T

Tis carcinoma in situ

T1 invasione sottomucosa

T2 invasione della muscolare prorpia

T3 invasione sottosierosa - tessuti pericolici - tessuti perirettali

T4a invasione del peritoneo viscerale

T4b invasione organi contigui, possibile perforazione

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 160 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

N1a 1 linfonodo pericolico o perirettale

N1b 2-3 linfonodi pericolici o perirettali

N1c Micro depositi tumorali nella sottosierosa

N2a 4-6 linfonodi pericolici o perirettali

N2b ≥ 7 linfonodi

N3 linfonodi dell’ arteria ileo-colica, colica destra, colica media, colica sinistra,
AMI, rettale superiore

M0 assenza di metastasi a distanza

M1a presenza di metastasi singole

M1b presenza di metastasi multiple

Nota: Si può definire N0 se ci sono almeno 12 linfonodi esaminati. Il numero dei


linfonodi sta ad indicare anche quant’è stata radicale la resezione: nelle resezioni
palliative si trovano spesso 2 o 3 linfonodi analizzati. Diventa N1 se sono positivi sia
1 su tutti i linfonodi esaminati, sia tutti i linfonodi esaminati; solo che un conto è se
è 1 linfonodo su 20, 1 conto è se è un linfonodo su 3.

Il TNM viene in qualche modo raggruppato nello stadio di malattia; questo è un


raggruppamento del TNM funzionale- prognostico:
- Stadio 0 = carcinoma in situ ( TsN0M0) destinati a una prognosi migliore;
- Stadio 1= tumori T1/T2 N0M0 che hanno una prognosi ancora molto buona, il
tumore diventa un tumore invasivo infiltrante, ma la prognosi ancora molto
buona.
- Stadio 2= forme T3/T4 ovvero le forme più avanzate ma ancora con N0M0;
potenzialmente non avendo studiato tutti i linfonodi, potrebbe essere uno stadio
3 e quindi c' è uno uno scarto di prognosi importante;
- Stadio 3 = si differenzia dagli stadi precedenti perchè è quello in cui compaiono
metastasi linfonodali e in cui la prognosi peggiora.
- Stadio 4= la prognosi peggiora ulteriormente perchè c'è la presenza di metastasi a
distanza;

TERAPIA
Terapia chirurgica
In linea generale la terapia del cancro del colon è chirurgica. Non si cura con la
chemioterapia, che però ha un ruolo complementare per migliorare i risultati e che
può essere neoadiuvante o adiuvante e la radioterapia che ha un ruolo ben preciso ed
importante nel cancro del retto.
Dal momento che la chirurgia è la terapia del cancro del colon-retto è opportuno
avere una panoramica dei tipi di interventi che vengono attuati. Gli interventi
saranno diversi a seconda della sede del tumore:

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 161 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
- Emicolectomia sinistra, in tumori della fessura splenica o del colon discendente:
consiste nell’asportazione di parte del colon trasverso, dell’angolo colico sinistro,
del colon discendente e del sigma.
- Emicolectomia destra, in tumori del cieco o del colon ascendente: asportazione di
tutto il colon di destra, della valvola ileo-cecale, di tutto il ventaglio mesenterico
nel contesto del quale sono presenti i linfonodi effettuando dunque una
linfadenectomia destra. Nel colon destro si hanno anche tipi di interventi più
particolari ma sostanzialmente di base si effettuano emicolectomie destre.
Obiettivo è di conservare la flessura colica sinistra.

Descrizione dell’emicolectomia dx: per prima cosa viene identificata l’ultima ansa ileale e il
cieco, quindi si procede alla dissezione lungo la doccia parieto-colica destra, partendo dal basso
verso l’alto. Questa manovra risulta notevolmente agevolata dall’impiego di strumenti quali il
dissettore a ultrasuoni che garantisce una maggiore sicurezza nell’emostasi, una minore quantità
di fumo e una mancanza di diffusione di calore alle strutture circostanti.
L’ampia mobilizzazione del colon ascendente ci permetterà la visualizzazione dell’uretere destro,
della fascia di Gerota e del duodeno. La dissezione andrà estesa sino a mobilizzare la flessura
epatica. Infine, si libera il colon traverso mediante la sezione del grande epiploon, stando al di
fuori dei vasi gastro-epiploici, sino al livello dell’arteria colica media.
Dopo aver terminato questa ampia mobilizzazione si pratica una minilaparotomia di servizio di
4-5 cm in corrispondenza del trocar ombelicale. Importante è inserire nell’endobag il tratto
resecato senza farlo toccare sulla parete addominale. Attraverso questa incisione, protetta da
appositi teli in plastica, viene estratta l’ultima ansa ileale, il cieco e il colon ascendente. Si
sezionano il colon discendente e l’ultima ansa ileale. Si completa l’intervento effettuando
un’anastomosi latero-laterale tra ileo e traverso, facendo attenzione a non chiudere il lume.
Al termine dell'intervento, l’intestino è riposto in addome. Si lascia, infine, un drenaggio
tubulare attraverso uno dei trocars. Il drenaggio viene rimosso 3-4 giorni dopo l’intervento.
L’intervento in laparoscopia deve seguire le stesse regole di quello” a cielo aperto”: resezione
adeguata secondo il rispetto dei margini e linfoadenectomia radicale. Il paziente in seconda
giornata post-operatoria è in piedi pertanto la degenza sarà notevolmente ridotta.
Se invece si ha il tumore del colon sinistro che è di tipo stenosante e il paziente è occluso, c’è la
possibilità di fare resezione del colon e subito l’anastomosi; se il paziente ha l’ansa a monte
dilatata e si è in urgenza con un caso di perforazione si fa una colostomia (il tratto interessato
dal tumore è resecato) e il colon viene abboccato sulla parete senza anastomosi (intervento di
Hartmann) e l’altro moncone è affondato, poi a distanza di un mese si procede con l’anastomosi e
il paziente viene ricanalizzato.

- Resezione del sigma


- Resezione anteriore del retto, per tutti i tumori che fanno parte della giunzione
retto-sigma e tumori del retto medio-alto. È importante portare via tutto il
mesoretto, altrimenti può essere localizzazione di recidiva e in quel caso il pz è
inoperabile. Negli anni, grazie ai progressi della chirurgia, le cose sono cambiate
con l’introduzione delle suturatrici meccaniche che permettono di fare delle
anastomosi,quindi il rabboccamento dei due monconi colici, senza andare
incontro ad un’alta percentuale di deiscenza. Tutto ciò, insieme alla radioterapia
che riduce le dimensioni del tumore, ha permesso la diminuzione degli interventi
demolitivi. Quindi si riesce a fare una resezione anteriore del retto con una
ileostomia di protezione, facendo in modo che l’anastomosi possa guarire e poi in

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 162 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
un secondo momento si chiude la stomia temporanea. Questi interventi
prevedono l’asportazione della parte del colon e successivamente la ricostituzione
della continuità del transito intestinale con
un’anastomosi colon-rettale o colon-colica. In altri
casi per via della sede particolare del tumore si
deve praticare un intervento più demolitivo (anche
se in questi ultimi aa l’attuazione di questo
intervento si è andata riducendo) detto
amputazione addomino-perineale.
- Amputazione addomino-perineale (secondo Miles):
comporta l’asportazione di tutto il retto, dell’ano,
degli sfinteri senza possibilità di effettuare
l’anastomosi e quindi con colostomia definitiva.
L’utilizzo di questo intervento si è andato
riducendo ed in questo ha un ruolo importante
sicuramente la radioterapia. Questo intervento
viene praticato se c’è un tumore del retto basso che
non può essere asportato opportunamente con un
intervento di resezione anteriore che consentirebbe
di confezionare un’anastomosi tra il colon ed il
retto a valle del tumore.
- Colectomia sub totale / totale, nei casi di poliposi
multiple o poliposi cancerizzate, RCU, tumori
multipli multifocali perché in questi casi è tutto il
colon ad essere ad elevato rischio di cancerizzazione.
- Escissione trans-anale con asportazione del tumore per via trans anale, in casi
selezionati T1 (tumore iniziale localizzato) a < 8 cm dall’ano. Ovviamente si
tratta di tumori molto iniziali che si vedono con lo screening grazie al quale si
possono vedere tumori piccoli. La possibilità di effettuare questo intervento viene
valutata con l’eco trans rettale e la RM della pelvi che valuta in modo accurato la
diffusione del cancro del retto attraverso la parete. È chiaro che non si può
effettuare una escissione trans anale di un tumore T4

A seconda della sede del tumore bisogna far riferimento ai vasi venosi e arteriosi che
si devono andare a legare, anche per portar via tutti i linfonodi che drenano il
territorio interessato dal tumore, poiché sono proprio questi le prime localizzazioni
di recidiva. Nel caso dell’emicolectomia destra si legano per esempio l’arteria colica
dx e la colica media. Nel caso del retto bisogna effettuare un’anastomosi a livello
pelvico per ricostituire la continuità intestinale. I due peduncoli vascolari arterioso e
venoso si devono asportare come tutte le strutture fibroadipose circostanti.

È molto importante per il chirurgo avere chiaro il drenaggio linfatico; avremo:


- linfonodi epicolici che seguono la superficie del viscere,
- linfonodi paracolici e intermedi che sono tra la cornice del colon e l’origine dei
vasi e poi linfonodi principali che seguono la vascolarizzazione delle due arterie
principali.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 163 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
- Per quanto riguarda il retto medio-basso il drenaggio linfatico è differente perché
fa capo ai linfonodi del mesoretto, e quindi ai linfonodi iliaci, mentre il retto alto
fa capo ai linfonodi lungo il decorso della mesenterica inferiore.

La linfadenectomia radicale seguendo le linee della vascolarizzazione arteriosa è


fondamentale per una dissezione sistematica linfonodale e per rimuovere tutti i
linfonodi potenzialmente metastatici.

Gli standard oncologici della chirurgia curativa del cancro colorettale si basano
teoricamente su 4 principi:
- Dissezione en-bloc,
- Tecnica no-touch di isolamento del segmento da resecare
- legatura centrale dei vasi
- linfadenectomia sistematica.

Per assicurare una linfadenectomia adeguata le resezioni colorettali per cancro


devono rispettare, quindi, il principio delle legature vascolari centrali e preliminari,
mentre la loro estensione dipende dalla localizzazione del tumore primitivo.

Nel cancro del ceco e del colon ascendente prossimale è necessaria la sezione dei vasi
ileocolici, colici destri all’origine e ramo destro della arteria colica media alla sua
origine.

Neoplasie dell’ascendente distale, flessura destra e tumori entro i 10 cm dalla flessura


epatica richiedono la legatura all’origine dei vasi ileocolici, colici destri e della colica
media, con esecuzione di una colectomia destra allargata.

Neoplasie maligne del colon discendente e sigma richiedono una colectomia sinistra
con linfadenectomia adeguata, assicurata dalla legatura di vena mesenterica inferiore
al di sotto del margine inferiore del pancreas, della arteria mesenterica inferiore alla
sua origine, in modo da asportare tutto il ventaglio di mesocolon sinistro e
mesosigma, con sezione distale del viscere al di sotto del promontorio per assicurare
una sufficiente irrorazione.

Tumori della flessura splenica o del trasverso distale (entro i 10 cm dalla flessura)
devono essere trattati mediante colectomia sinistra allargata con sezione all’origine
dei vasi colici sinistri e medi.

Tumori del terzo medio del traverso richiedono la resezione trasversaria completa con
legatura all’origine dei vasi colici medi.

Escissione del mesoretto


- Consente di ottenere una linfoadenectomia adeguata;
- Permette una radicalità anche sui margini laterali di resezione peritumorale;
- L’escissione completa del mesoretto è il fattore più importante per ridurre il
rischio di recidiva locale e/o pelvica (9% vs 16%).

Il margine di resezione deve essere di almeno 2 cm.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 164 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Per quanto riguarda il retto bisogna asportare il mesoretto completamente. Il retto è
diviso in un segmento intraperitoneale ed in un segmento extraperitoneale ed
inoltre è diviso in 3 segmenti di circa 5 cm ciascuno, retto alto, medio e basso. Nei
tumori del retto alto non è indicata la radio-chemioterapia preoperatoria, che invece
è indicata nei tumori del retto medio-basso. Nel retto basso inoltre bisogna
differenziare tra i tumori del retto ed i tumori dell’ano perché muta completamente
l’atteggiamento terapeutico: nei tumori dell’ano si fa radioterapia, nel retto si
effettua chirurgia.

Il mesoretto è la piega del peritoneo che connette la prima parte del retto alla parete
posteriore dell’addome, e rappresenta
la continuazione del mesocolon
discendente. Il mesocolon è un
tessuto adiposo linfatico, sito tra la
cavità pelvica e il retto, che contiene i
vasi emorroidari (arteriosi e venosi),
i linfonodi e i nervi propri del retto.
Il mesoretto è l’insieme delle strutture
adipose e linfatiche che circondano il
viscere, paragonabile a ciò che è il
mesentere per il resto dell’intestino, ed
è localizzato tra la parete del viscere
ed il sacro, da cui è separato dalla
fascia presacrale.
In caso di tumore del retto il mesoretto è da asportare completamente, così come nel
tumore del colon si effettua la linfadenectomia.
L’esame del mesoretto permette di valutare la prognosi del pz. Se c’è infiltrazione si
ha maggior incidenza delle recidive locale. L’escissione del mesoretto deve essere
completa cioè fino alla fascia presacrale e poi il mesoretto assieme al pezzo
operatorio va analizzato con l’esame istologico. Bisogna analizzare i margini laterali
della resezione per verificare la radicalità dell’intervento e l’escissione completa del
mesoretto ed i margini delle eventuali metastasi mesorettali che in caso di radicalità
permettono una riduzione molto significativa del rischio di recidiva locale.

L’asportazione del mesoretto fa da completamento alla radioterapia preoperatoria dei


tumori del retto. Associando radioterapia neoadiuvante per il tumore del retto e
chirurgia del retto con asportazione completa del mesoretto si sono ottenuti buoni
risultati per la sopravvivenza a lungo termine con basse recidive locali.

L’escissione completa del mesoretto è il fattore più importante per ridurre il rischio
di recidiva locale pelvica che dal 16-20% è passato a meno del 10%. Questa
percentuale è stata poi ridotta ulteriormente con la integrazione di radio e
chemioterapia sul retto.

Il margine di sezione longitudinale del retto varia a seconda del livello. In passato
per tumori che arrivavano a 2 cm dal margine anale si faceva la resezione addomino-
perineale secondo Miles. Oggi si è visto che fare radioterapia e chemioterapia riduce
le dimensioni del tumore e fa sì che il tumore risalga verso l’alto, allontanandosi dal

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 165 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
margine anale, facendo ricostruzione anatomica del transito colon-rettale e
consentendo quindi di mantenere la funzionalità dello sfintere.

Molti tumori del colon-retto oggi possono essere operati in laparoscopia: questa
metodica si è sviluppata soprattutto negli ultimi anni e costituisce circa il 30% degli
interventi sul retto-colon.

Esordio con complicanza


Opzioni chirurgiche:
- Resezione del colon e anastomosi;
- Resezione + colostomia senza anastomosi , in un secondo tempo si ristabilisce la
continuità intestinale (intervento di Hartmann);
- Colostomia e resezione differita;
- Decompressione endoscopica (stent metallici inseriti per via endoscopica) e resezione
differita.

FOLLOW UP DELLA NEOPLASIA COLO-RETTALE DOPO RESEZIONE


Per assicurare un corretto follow-up è necessario eseguire:
- Dosaggio del CEA ogni 3 mesi per i primi 2 anni, poi ogni 6 mesi;
- TC ogni anno per 3 – 5 anni se N+ o T4;
- Colonscopia 1 anno dopo la resezione, poi a 3 e a 5 anni;
- Nei pazienti con neoplasie in Stadio II e III sono consigliabili programmi di
follow-up più intensivi;
- L’80% delle recidive avviene entro i primi 3 anni dopo la resezione;

Nel caso siano presenti dei fattori prognostici negativi è necessario eseguire un
follow-up più serrato.

Il trattamento delle recidive locali (diagnosi precoce con possibilità di trattamento


precoce delle recidive) ha un ruolo molto positivo sulla sopravvivenza con possibilità
di intervento sia per quanto riguarda le recidive locali che per le metastasi epatiche
con implicazioni sulla sopravvivenza notevoli è ciò giustifica l’effettuazione del
follow-up.

Chemio e radio terapia


La chemioterapia può essere neoadiuvante o adiuvante nel tumore del colon retto. Il
trattamento medico più importante per il tumore del retto medio e basso secondo il
protocollo è la radio-chemioterapia prechirurgica.

Chemioterapia adiuvante
STADIO III (T1 - 4, N1 - 2): Per il tumore del colon il protocollo prevede la
chemioterapia post-operatoria dallo stadio 3 ed in stadio 2 a rischio, cioè
sicuramente nei pz con un tumore che all’analisi istopatologia post-operatoria hanno
presentato linfonodi positivi.
STADIO II (T3, N0, M0) a elevato rischio: Negli altri pazienti con linfonodi negativi
non si effettua chemioterapia a meno che non ci siano dei fattori prognostici negativi
di grosso rischio di ripresa di patologia, cioè infiltrazione linfo-vascolare
extratumorale;

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 166 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
La chemioterapia si avvale di:
• 5 FU - Ac. Folinico (De Gramont)
• Oxaliplatino + FA + FU (FOLFOX)
• Irinotecan + FA + FU (FOLFIRI)
• FOLFOXIRI
• Fluoropirimidine orali (Capecitabina, …)
• Anticorpi monoclonali: anti EGFR come Cetuximab (se K-Ras wyld Type) e anti
VEGF come il Bevacizumab

Chemioterapia neoadiuvante
E’ indicata nelle neoplasie in Stadio II e III. Comporta una diminuzione delle
recidive locali e una riduzione delle dimensioni del tumore con maggiore probabilità
di salvataggio dello sfintere e possibilità di risposta completa (8 %). Non provoca
aumento della sopravvivenza a distanza.

NEOPLASIA DEL COLO-RETTO: LINEE GUIDA NCCN 2011


• Approccio multidisciplinare;
• Intervento chirurgico:
- resezione colica con linfoadenectomia loco regionale;
- resezione del retto con escissione del mesoretto
• Nei carcinomi del colon Stadio III e II a rischio chemioterapia adiuvante
• Nel carcinoma del retto T3 o N+ chemio - rxt preoperatoria
• Metastasi epatiche / polmonari: valutazione specialistica per resezione con
chirurgo epatobiliare / toracico

All’interno di pz in stadio IV e cioè metastatici è indispensabile distinguere pz con:


- Metastasi epatiche resecabili
- Metastasi epatiche ed extraepatiche resecabili
- Metastasi epatiche non resecabili ma retrostadiabili
- Metastasi epatiche diffuse
- Metastasi diffuse

Questo è fondamentale in quanto passibili di opzioni terapeutiche differenti anche


con buona sopravvivenza a cinque anni fino al 50% in caso di pz operabili. La
prognosi cambia a seconda della resecabilità delle metastasi; infatti:
- Malattia metastatica resecabile: sopravvivenza a 5 anni 40%
- Malattia metastatica non resecabile: sopravvivenza a 5 anni <5%

Metastasi sincrone da neoplasia colo-rettale


Sono sincrone quelle metastasi presenti prima o durante l’intervento per il tumore
primitivo colo-rettale. Per metastasi sincrone intendiamo quelle che sono presenti al
momento della diagnosi del tumore del colon ma rientrano in questa categoria anche
quelle metastasi che compaiono entro 6 mesi dall’intervento del primitivo e che si
presume che, per una comparsa così rapida di metastasi, fossero presenti ma non
fossero state viste. Sono presenti nel 15 % - 20 % dei pazienti.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 167 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Fino a 20 anni fa un paziente con metastasi epatiche non arrivava dal chirurgo
perché era ritenuto inoperabile; oggi invece è resecabile grazie alla combinazione
chemioterapia+chirurgia e ha una sopravvivenza aumentata.

La strategia terapeutica dipende da:


- Caratteristiche delle neoplasia: sintomatica / non sintomatica, dove sintomatica
vuol dire: perforazione, anemizzazione (colon dx), subocclusione (colon sx)
- Caratteristiche delle metastasi: resecabili (a basso o alto rischio) / non resecabili
- Condizioni generali del paziente

Dall’intreccio di questi fattori deriva un algoritmo molto complesso e una serie di


possibilità molto complesse di trattamento. La strategia chirurgica ottimale è ancora
controversa:
- Timing di chirurgia e chemioterapia
- Timing di resezione colica e resezione epatica
- Resezione simultanea colon + fegato
- Resezione differita in due tempi
- Classica: prima colon poi fegato
- Reverse approach: prima fegato poi colon

Esiste un accordo generale su una resezione simultanea colon + fegato per


metastasi che richiedono resezioni epatiche minori.
Attualmente, la tendenza è verso una resezione simultanea, anche nel caso di
resezioni maggiori. Interventi in urgenza sono la sola controindicazione assoluta alla
resezione simultanea. In urgenza non si deve fare la resezione simultanea perché le complicanze
aumentano in maniera importante.

Resecabilità
Le metastasi epatiche del CCR sono resecabili se:
- È possibile ottenere la resezione completa R0
- Epatectomia lascia un volume di parenchima epatico sufficiente con supporto
vascolare e drenaggio biliare
- Il rischio chirurgico è accettabile

La strategia dipende da:


- Rilevamento sincrono o metacrono
- Malattia unilobare o bilobare
- Volume di fegato residuo

Tipologie di resezione:
- Resezione multipla limita con guida ecografica
- Embolizzazione della vena porta: Provocare l’ ipertrofia del futuro fegato residuo
per ridurre il rischio di insufficienza epatica postoperatoria
- Staged hepatectomy
- Resezione vascolare
- Associazione con tecniche ablative (RF, crio ecc)
- Epatectomia ripetuta

Metastasi epatiche resecabili

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 168 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Tumore primitivo asintomatico
CMT neoadiuvante --> Resezione contemporanea colica + epatica oppure resezione
colica e resezione epatica differita.
Quando si presenta un pz con tumore del colon e metastasi epatiche non sappiamo
in che fase siamo. Non sappiamo se siamo in curva molto alta replicativa o in una
fase quiescente. Allora la chemioterapia consente di limitare la crescita e la
progressione, vedere la chemiosensibilità sia nel primitivo che nelle metastasi e
modificare, in funzione di queste, il trattamento. In base al fatto che fosse
asintomatico si può scegliere di fare una chemioterapia neoadiuvante e una volta
fatta le possibilità sono due:
- frenata la progressione della malattia si può pensare di fare una resezione allo
stesso tempo del colon e del fegato; oppure si può decidere di fare in due tempi
(colon prima e fegato dopo)
- l’altra possibilità è vedere qual è l’organo che ha il più elevato carico di malattia.
C’è un fegato molto metastatico e un retto con piccolo tumore o un fegato poco
metastatico e un retto con un grosso tumore: in questo caso si parla di fegato primo
(reverse approach) L’approccio consiste in chemioterapia, resezione epatica più o
meno chemioterapia tra le due e poi resezione del colon.

Tumore primitivo sintomatico


Se il tumore primitivo è sintomatico non ci sono possibilità: il pz va operato sul
colon poiché è un pz occluso e una volta operato il tumore del colon fa la
chemioterapia e poi si valuterà per una resezione epatica. In questo caso la
situazione che impone la scelta terapeutica è la presenza o meno di sintomi del
colon.

Metastasi epatiche non resecabili


Tumore colico sintomatico
Resezione colica –> Chemioterapia –> Rivalutazione per resezione epatica

Tumore colico non sintomatico


Se il tumore colico non è sintomatico prevale ancora una volta l’indicazione a fare
una chemioterapia. Si parla, a differenza di prima, di pz che hanno metastasi non
resecabili. Quindi in pz che hanno un tumore non sintomatico e metastasi epatiche
non resecabili la chemioterapia potrebbe essere l’unico trattamento per il resto della
vita del pz. Se la chemioterapia ottiene però un cambiamento della situazione del
fegato che fa cambiare di categoria il pz passando dal non essere resecabile all’essere
resecabile si rientra in quello che abbiamo detto prima (retrostadiazione).
(Chemioterapia –> in caso di “retrostadiazione” delle metastasi epatiche resezione
colica ed epatica )

Mortalità e sopravvivenza globale simili nelle resezioni simultanee e differite. Ma è


importante cercare di fare l’intervento in simultanea perché il pz subisce un
intervento solo. Ci sono delle casistiche che riportano che il doppio intervento per
morbidità è superiore rispetto all’intervento fatto in prima battuta. Però
sostanzialmente la sopravvivenza a distanza non cambia così come non cambia
l’attuare la strategia classica (colon prima e fegato dopo) piuttosto che la reverse

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 169 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
(fegato prima e colon dopo). Sono quindi altri criteri che ci devono spingere a
scegliere l’una o l’altra strategia.

La resezione combinata (fegato e colon) può essere eseguita se c’è esperienza in


entrambe le chirurgie;
La resezione combinata non è raccomandata in caso di Intervento d’urgenza sul
colon e in caso di Neoplasia colo-rettale localmente avanzata:

Nessuno dei seguenti fattori controindica la resezione :


– dimensioni > 5 cm
– numero > 4
– sede bilobare
– margine di resezione < 1 cm
– metastasi sincrone
– infiltrazione vascolare o biliare
– metastasi extra-epatiche resecabili
Sono fattori prognostici negativi.

CARCINOMA EPIDERMOIDE DELL'ANO


Il carcinoma del canale anale è una neoplasia rara, anche se la sua incidenza è andata
progressivamente aumentando parallelamente alle infezioni virali trasmesse
sessualmente. 

Fino a 20-30 anni fa, il trattamento standard era la chirurgia demolitiva con
resezione per via addomino-perineale secondo Miles: la sopravvivenza a 5 anni
riportata nelle principali casistiche chirurgiche era di circa 50-70%.

La maggior parte delle recidive era loco-regionale, imputabile sia alla difficoltà
tecnica (dovuta alla sede anatomica) di operare una resezione con ampi margini in
tessuto sano, sia alla diffusione attraverso la ricca rete linfatica. 

Negli ultimi anni, l’approccio terapeutico a questa patologia è radicalmente
cambiato: da chirurgico demolitivo è divenuto conservativo radiochemioterapico,
rimanendo il ruolo della chirurgia confinato esclusivamente a supporto diagnostico
e/o come trattamento di salvataggio nei fallimenti loco-regionali dopo
radiochemioterapia.


ANATOMIA

Definizione di canale anale 

E’ la porzione terminale dell’intestino
lunga 3-4 cm, che si estende dall’anello
ano-rettale (ano-rectal ring) alla giunzione
con la cute perineale (anal verge). L’epitelio
che riveste questa parte del canale anale è
di tipo colonnare. 

La linea dentata o pettinata è la sede in cui
si aprono le ghiandole anali e rappresenta
la zona di transizione tra l’epitelio
colonnare del canale prossimale e l’epitelio
squamoso stratificato del canale distale.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 170 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
L’epitelio che riveste questo tratto di canale anale è globalmente detto di transizione
e contiene epitelio di tipo colonnare, cuboidale, squamoso e transizionale. 


Definizione di margine anale 

E’ la regione cutanea dove termina il canale anale che si sviluppa concentricamente
per un raggio di 5 cm a partire dall’anal verge (margine propriamente detto del
canale anale) ed è rivestita da epitelio squamoso cheratinizzato contenente follicoli
piliferi. 


Drenaggio linfatico 

Il canale anale presenta una ricca rete linfatica che drena in 3 principali gruppi
linfonodali: linfonodi mesorettali, linfonodi otturatori, linfonodi inguinali. 

I vasi linfatici del margine anale drenano nei linfonodi inguino-femorali, che a loro
volta drenano negli iliaci esterni e comuni; anche i vasi linfatici del canale anale, nel
tratto al di sotto della linea pettinata, drenano principalmente nei linfonodi
inguinali. Circa il 10% dei pazienti presenta localizzazioni inguinali. 


Istologia 

Circa l’80% dei tumori primitivi del canale anale presenta istologia squamosa.
Vengono identificati differenti sottotipi: a grandi cellule cheratinizzanti, a grandi
cellule non cheratinizzanti (transizionali) e basaloidi. Il termine "cloacogenico" viene
usato per questi ultimi due sottotipi. Circa il 15% delle neoplasie del canale anale
presenta istotipo adenocarcinomatoso. Il rimanente 5% si presenta con neoplasia a
piccole cellule, indifferenziata o melanoma.
Non tutti i tumori che colpiscono l'ano danno origine a un cancro: tra le forme
benigne si possono ricordare i polipi che insorgono a livello della mucosa del canale
anale o i condilomi che in genere si presentano appena al di fuori dell'apertura anale
o nella parte più bassa del canale anale e che sono anch'essi causati dal Papilloma
virus umano (HPV).
Come per altri tipi di tumore (cervice, vagina), anche per il tumore anale esistono
condizioni pre-cancerose: si tratta di modificazioni delle cellule chiamate displasie
che potenzialmente potrebbero diventare tumori e che devono quindi essere tenute
sotto controllo. Si parla in questi casi di neoplasia intraepiteliale anale (AIN, anal
intraepithelial neoplasia) e di lesione squamosa intraepiteliale anale (SIL, squamous
intraepithelial lesion).
AIN e SIL possono essere definite:
• di basso grado, con cellule simili per molti aspetti alle cellule normali e con
buone possibilità di scomparire senza lasciare traccia;
• di alto grado, con cellule dall'aspetto anomalo rispetto alle cellule normali e con
probabilità molto basse di regredire spontaneamente. Devono essere tenute sotto
stretta osservazione e in alcuni casi anche trattate.


Le neoplasie primitive del margine anale sono assimilabili alle neoplasie cutanee di
altri distretti, queste ultime hanno un comportamento differente da quelle del canale
anale e quando è possibile una escissione chirurgica completa (wide excision)
presentano una sopravvivenza a 5 anni dell’80%. 

I tumori della porzione distale del canale anale tendono ad essere più
frequentemente delle forme cheratinizzate, al contrario dei tumori della porzione
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 171 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
prossimale che si presentano come forme cloacogeniche o basaloidi da cui tuttavia
non differiscono per comportamento. Esiste una variante aggressiva della forma
basaloide, cosiddetta a piccole cellule, che ha una tendenza alla rapida diffusione. 

Gli adenocarcinomi a partenza dalle ghiandole o dai dotti ghiandolari hanno un
comportamento simile agli adenocarcinomi del retto. 


STORIA NATURALE

Le neoplasie del canale anale presentano una lenta evoluzione loco-regionale, con
invasione diretta delle strutture limitrofe. 

La via di diffusione più frequente è quella linfonodale, meno frequente quella
ematica. Le metastasi a distanza sono rare (10-17%) e sono prevalentemente a
carico di fegato e polmone. 

Circa il 60-70% dei pazienti all’esordio si presenta con malattia di diametro > 4 cm
a causa della genericità dei sintomi, che ne ritardano la diagnosi. Sono comuni il
sanguinamento rettale, spesso discontinuo e nei casi di malattia di Bowen (lesione
cutanea pre-maligna) è frequente il prurito anale che talvolta precede di vari mesi la
lesione sanguinante. Sintomi come il dolore durante la defecazione o una sostanziale
alterazione dell’alvo sono indicatori di uno stadio avanzato di malattia.

Il tumore del canale anale si presenta come una lesione ulcerata ed infiltrante a
margini rilevati e duri, talvolta accompagnata anche da una componente vegetante di
aspetto polipoide. L’estensione alla vagina, alla prostata ed allo spazio ischiorettale è
riscontrabile nel 15-20% dei casi e talvolta si accompagna a presenza di fistole e/o
ascessi. Adenopatie clinicamente evidenti sono presenti in circa il 20% dei casi
all’esordio, ma in serie sottoposte ad esplorazione chirurgica la percentuale varia dal
30-63% dei casi.


EPIDEMIOLOGIA

Le neoplasie del canale anale rappresentano il 4% di tutti i tumori del grosso
intestino e sono più frequenti nel sesso femminile (1.5-2 volte). L’incidenza annuale
è di 1/100.000 nella popolazione eterosessuale. Viene riportata un’incidenza più alta
(35/100.000) nei maschi omosessuali che svolgono pratiche sessuali passive, il
rischio raddoppia se il soggetto è HIV positivo. La promiscuità sessuale e le malattie
a trasmissione sessuale incrementano l’incidenza in entrambi i sessi. L’età mediana
alla diagnosi è di circa 60 anni, con un ampio range (30-80 anni).


EZIOLOGIA E FATTORI DI RISCHIO

I dati di seguito riportati, indirizzano verso l’ipotesi di una etiologia multifattoriale. 

A tutt’oggi, tuttavia, non ci sono dati a favore di un programma di screening. 


Infezioni

L’infezione da Papilloma virus (HPV) di tipo 13 e 16 (cosiddette forme ad alto
rischio) associata allo sviluppo di condilomi nei genitali esterni sembra svolgere un
ruolo promuovente l’insorgenza di neoplasie spinocellulari con un periodo di latenza
di più di 40 anni. L’HPV-DNA (di tipo 16) è stato riscontrato nell’80% delle biopsie
di tumori spinocellulari esaminati e nelle neoplasie intraepiteliali ad alto grado, in
particolare nei maschi omosessuali. Anche le infezioni da Herpes simplex di tipo 1,
da Chlamidia tracomatis e da Gonococco sono associate ad un incremento del
rischio relativo. 


ELEMENTI DI ONCOLOGIA 172 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
In soggetti HIV positivi è elevata l’incidenza di neoplasie intraepiteliali (ASIL). Da
recenti osservazioni, sembra che il virus HIV favorisca la replicazione dei tipi
oncogeni dell’HPV ed aumenti il rischio di ASIL.


Fumo 

Il fumo rappresenta un fattore di rischio solo per le donne in premenopausa ed è
stato ipotizzato che agisca come antiestrogenico nel promuovere la cancerogenesi.


Altri fattori 

In individui immunocompromessi, ad esempio dopo trapianto d’organo, il rischio di
sviluppare una neoplasia del canale aumenta di circa 100 volte, così come in soggetti
affetti da una pregressa neoplasia vulvo-vaginale o della cervice uterina. 


FATTORI PROGNOSTICI

Il più importante fattore prognostico è la sede di insorgenza. I tumori del canale sono
più aggressivi di quelli del margine. Nessuna sostanziale differenza è stata segnalata,
considerando i vari sottotipi istologici della forma squamocellulare. 

Il grading può essere considerato un fattore prognostico. 

Altrettanto importante è lo stadio di T, al cui aumento è correlato un peggioramento
della prognosi. 

L’interessamento linfonodale è un fattore prognosticamente sfavorevole ed è correlato
ad un più elevato tasso di ricadute locali. A causa delle implicazioni correlate alla
presenza di infezione misconosciuta da HIV, come infezioni opportunistiche durante
il trattamento radio-chemioterapico, è consigliabile l’esecuzione del test in tutti i
soggetti a rischio. 

Una prognosi sfavorevole sembra associata all’elevata presenza di p53 nell’istotipo
squamocellulare. La tolleranza ai trattamenti multimodali sembra essere un fattore
predittivo di successo. 


STADIAZIONE
Per eseguire una corretta stdiazione sono consigliati i seguenti accertamenti: 

- biopsia con esame istologico; 

- Rx torace; 

- test HIV; 

- esplorazione rettale ± visita ginecologica; 

- ano-retto-sigmoidoscopia, possibilmente con documentazione fotografica della
lesione; 

- ecografia od ecoendoscopia transanale per la definizione della estensione di T e del
livello di infiltrazione neoplastica in profondità; 

- TC addome e pelvi: è consigliabile estendere sistematicamente le scansioni almeno
5-6 cm, distalmente alle tuberosità ischiatiche; 

- ecografia inguinale in casi di linfonodi clinicamente dubbi; 

- agoaspirato o biopsia di linfonodi inguinali dubbi. 

Altre indagini, ritenute opzionali, divengono indispensabili su indicazione clinica:
TC torace, RM pelvi, ecografia epatica, scintigrafia ossea, TC-PET, ecc. 


ELEMENTI DI ONCOLOGIA 173 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

TNM (2007)

TX tumore non identificabile

T0 tumore non definibile

Tis carcinoma in situ

T1 invasione sottomucosa e < di 2 cm

T2 invasione della muscolare prorpia tra 2 e 5 cm

T3 > di 5 cm

T4 invasione organi contigui

N0 Linfonodi non valutabili

N1 Linfonodi perirettali

N2 Linfonodi iliaci esterni e/o inguinali monolaterali

N3 linfonodi peri-rettali e inguinali e/o iliaci interni e/o inguinali bilaterali

M0 assenza di metastasi a distanza

M1 presenza di metastasi

TRATTAMENTO

La radioterapia quale trattamento esclusivo è stata inizialmente impiegata nelle
forme molto avanzate e/o non trattabili chirurgicamente. 

Nel tentativo di migliorare le risposte e di ridurre l’incidenza di ricadute locali, sulla
scorta di dati preclinici che ne sostenevano l’effetto potenziante si associarono alcuni
farmaci chemioterapici al trattamento radiante. 


Attualmente, la strategia terapeutica generale si avvale prevalentemente di


trattamenti conservativi radiochemioterapici. 

La chirurgia mantiene un ruolo soltanto in alcuni casi, ad esempio piccoli tumori
T1-2 N0 del margine anale possono essere resecati con adeguato margine, cosi come
le forme in situ possono avvalersi di un escissione locale o mediante laser. 

Una temporanea colostomia può essere necessaria in pazienti con malattia avanzata,
per consentire loro di eseguire i trattamenti integrati radiochemioterapici oppure in
pazienti con fistola retto-vaginale. 

La chirurgia demolitiva può essere considerata una opzione come trattamento di
salvataggio in caso di recidiva/residuo dopo radiochemioterapia. 


Radioterapia

La radioterapia a fasci esterni impiega radiazioni di energia superiore a 6 MV. 

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 174 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Quando l’irradiazione è concomitante alla chemioterapia può essere presa in
considerazione una modulazione di dose e volumi, guidata dallo stadio iniziale di
malattia e dalla riduzione delle dimensioni della stessa neoplasia durante il corso
della radioterapia. 

Se il trattamento radiante non prevede l’associazione con la chemioterapia, la dose
consigliata al tumore primitivo ed ai linfonodi metastatici é di 65-70 Gy. La dose da
prescrivere ai linfonodi regionali clinicamente negativi è di 45-50 Gy. Il
frazionamento consigliato è quello convenzionale di 180-200 cGy al giorno. 


Controindicazioni al trattamento radiante 

1) Assolute 

- pregressa radioterapia pelvica

- paziente non collaborante

- gravidanza in atto


2) Relative 

- malattie autoimmuni

- malattie croniche intestinali

- diabete insulino-dipendente


SPLIT (pausa programmata) 

Nonostante la quasi totalità di pazienti sottoposti a radioterapia continuativa
necessiti di una interruzione durante il trattamento per tossicità G3 (specie
cutanea), la maggior parte dei radioterapisti continua ad essere perplessa
nell’introdurre una pausa "programmata" per il timore di favorire la ricrescita
tumorale durante lo split. Si ritiene consigliabile l’introduzione di una pausa
"programmata" (ridotta a 2 settimane) dopo 45 Gy, soprattutto se si impiega lo
schema FUMIR. 


Schemi di chemioterapia concomitante 

- FUMIR: Il 1° ciclo viene effettuato in concomitanza con l’inizio della radioterapia, il
2° ciclo in concomitanza della seconda fase di radioterapia dopo opportuna pausa
programmata, secondo lo schema seguente: 

- Mitomicina-C mg 10/m2 e.v. in bolo (die 1) 

- 5-Fluorouracile mg 1.000/m2/die in infusione venosa protratta di 4 giorni
(die 1-4) 


- PLAFUR Il 1° ciclo viene effettuato in concomitanza con l’inizio della radioterapia,
il 2° ciclo dopo quattro settimane dal primo, secondo lo schema seguente: 

- Cisplatino mg 100/m2 e.v. (die 1) 

- 5-Fluorouracile mg 1.000/m2/die in infusione venosa protratta di 4 giorni
(die 1-4) 


Durante il trattamento, è raccomandato un controllo settimanale del paziente al fine
di rilevare la presenza di tossicità locali, enteriche, vescicali, rettali ed ematologiche. 


Allo scopo di monitorare la tossicità locale, si consiglia una prima valutazione clinica
a tre-quattro settimane dalla fine della radiochemioterapia. 

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 175 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Vi sono molte controversie in merito al momento migliore di valutazione della
risposta ai trattamenti primari. 

Questa viene generalmente valutata in sesta-ottava settimana dal termine del
trattamento radiochemioterapico. 

Una malattia residua che tende progressivamente a ridursi può essere ancora
definita in risposta e non va sottoposta ad accertamento bioptico, per il potenziale
rischio di complicanze locali dovute alla manovra. In quest’ambito, appare di buon
ausilio il recente impiego dell’imaging biologico mediante PET che, insieme alla
tradizionale anoscopia, può meglio evidenziare i veri casi di fallimento. 


Brachiterapia (BRT) 

La brachiterapia nel trattamento del canale anale viene impiegata con lo scopo di
somministrare una dose supplementare sul letto tumorale al termine del tempo
radiochemioterapico, per incrementare il controllo locale, preservando la
funzionalità sfinterica. 

Sono consigliate tecniche che impiegano 192Ir. La dose consigliata è di 15-25 Gy (a
seconda della dose precedentemente somministrata e delle dimensioni
dell’impianto). Saranno controindicazioni alla BRT 

- infiltrazione anulare all’esordio > 2/3 della circonferenza del canale anale; 

- infiltrazione longitudinale residua > 5 cm; 

- spessore dell’infiltrazione residua > 1.5 cm; 

- diffusione alla cute perianale all’esordio, che non permette una adeguata copertura
da parte dell’impianto. 


Principali indicazioni di trattamento 

- Stadio 0: è rappresentato dalla forma in situ, che non oltrepassa la membrana
basale. Per questo stadio è indicata un’ escissione chirurgica limitatamente all’area
interessata per via tradizionale o mediante laser.

- Stadio I e II: per questi stadi è indicata radiochemioterapia concomitante con


finalità curativa. Esistono due opzioni chemioterapiche: 

- associazione di 5-Fluorouracile + Mitomicina C (FUMIR) 

- associazione di 5-Fluorouracile + Cis-platino (PLAFUR).

In casi selezionati si può eseguire una brachiterapia esclusiva.

Stadio III A: per questo stadio è indicata una radiochemioterapia concomitante
con finalità curativa come descritto per lo stadio I e II.

Stadio III B: Per questo stadio è indicata radiochemioterapia come descritto per lo
stadio II seguito da resezione chirurgica dell’eventuale residuo del tumore primitivo
(escissione locale o resezione addominoperineale) e/o dell’eventuale residuo
linfonodale mono o bilaterale.

Stadio IV: per questo stadio non può essere indicato un trattamento standard. È
consigliata la palliazione dei sintomi mediante varie opzioni terapeutiche:

chirurgia palliativa

radioterapia palliativa

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 176 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
- radiochemioterapia palliativa


Residuo di malattia

In caso di risposta non completa al primo trattamento curativo, lo standard è
rappresentato dalla chirurgia demolitiva.

Qualora le dimensioni del residuo di malattia lo consentano, può essere effettuato
un tentativo con sovradose di brachiterapia.


Recidiva locale

In caso di recidiva locale è indicata una chirurgia radicale demolitiva. In alternativa,
una chemioterapia con schema differente da quello effettuato concomitante ad un
ritrattamento radiante (anche con brachiterapia se indicata) può essere effettuata in
casi selezionati, al fine di evitare una colostomia definitiva.


BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________
- Sbob Prof. Giuliante aa 2014/2015
- Linee guida AIOM 2013 sulle neoplasie del conon-retto
- www.iss.it, CARCINOMA DELL’ANO
- Linee guida AIOM 2013 sulle neoplasie dell’ano
- www.airc.it CARCINOMA DELL’ANO

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 177 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

CAPITOLO 14
__________________________________________________________
TUMORI DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI

CLASSIFICAZIONE TUMORI DEL FEGATO (TUMORI PRIMITIVI)


EITELIALI MESENCHIMALI
BENIGNI MALIGNI BENIGNI MALIGNI
Iperplasia nodulare focale Epatoblastoma Emangioma Sarcoma misto

Adenoma Carcinoma epatocellulare Emangioendotelioma (I e II) Tumori mesenchimali

Residui surrenalici Carcinoma colangiocellulare Amartoma mesenchimale Angiosarcoma e leiomiosarcoma

Iperplasia nodulare Cistoadenocarcinoma biliare Fibroma Neuroblastoma

Cistoadenoma biliare Carcinoma anaplastico Mixoma T. a cellule germinali

T. del seno endodermico

Carcinosarc. e melanoma biliare

Linfomi e Mielomi

Con l’avvento delle nuove tecniche diagnostiche come l’ecografia prima, la TC e la


RMN dopo, è aumentato il numero di rinvenimenti di tumori benigni del fegato. Questo è
un aspetto che va tenuto presente in quanto il riscontro di un nodulo epatico in un paziente che
non ha condizione predisponente all’epatocarcinoma non sempre è necessariamente considerato
una patologia maligna.
Oltre ai tumori primitivi maligni a partenza da strutture epiteliali del fegato, come
l’epatoblastoma, l’epatocellulare, il colangiocarcinoma, il cistoadenocarcinoma biliare, carcinoma
neoplastico, esiste una serie di tumori maligni che partono da strutture mesenchimali all’interno
del fegato e che, messi tutti insieme, sono non così rari. Inoltre il fegato è una delle sedi più
frequenti di localizzazioni di metastasi data la sua doppia vascolarizzazione.
E’ estremamente importante fare una valutazione diagnostica precisa delle
neoformazioni che vengono individuate in qualunque maniera a livello del fegato.

Un nodulo isolato epatico, in presenza di epatopatia, ma anche senza, presenta un


problema di diagnosi differenziale che va posta con le seguenti condizioni:
- Adenomi, possono presentare una capsula, hanno una certa correlazione con
l’utilizzo di contraccettivi orali, non presentano cellule di von Kupffer, a
proliferare sono solo gli epatociti. Spesso sono sintomatici e nel 25% dei casi si
presenta un emoperitoneo. presentano un potenziale malignio, specialmente se
sottocapsulari o vicini all’ilo epatico e associati a emoperitoneo. Istologicamente
si tratta di epatociti normali che proliferano non seguendo la struttura epatica.
Mancano gli spazi portali.
- Iperplasia nodulare focale, non sono altrettanto correlati con l’utilizzo di
contraccettivi, non presentano capsula, sono presenti cellule di von Kupffer e non

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 178 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
hanno un reale potenziale maligno. L’emoperitoneo raro. L’età è tra i 20 e i 40
anni con rapporto M/F 2:1 (infatti c’è dubbia correlazione con i contraccettivi).
- HCC, può essere Massivo, Nodulare, Diffuso, Trabecolare, solido, tubulare. In rari
casi si presenta con la variante fibrolamellare o con quella sclerosante. Presenta
noduli satellite.

EPATOCARCINOMA (HCC)
EPIDEMIOLOGIA
Il cancro del fegato è una delle malattie neoplastiche più diffuse, si colloca al 6°
posto come incidenza. Non è soltanto un tumore ad alta incidenza globale ma è
anche un tumore ad altissima mortalità, è la 3° causa di mortalità neoplastica. La
letalità di questa neoplasia è estremamente elevata ed è quasi del 90%.
Le regioni a maggiore incidenza sono l’Asia, l’Africa sub-Sahariana, ma anche ad
ovest del Sahara, e le regioni dell’America centrale.
Nel bacino del Mediterraneo l’incidenza non è bassa, in particolare in Italia abbiamo
un’importanza dell’epatocarcinoma significativa.

Va notato che l’incidenza dell’HCC è correlata alla presenza dell’ HBV. A seconda di
come questo venga trasmesso cambia la storia naturale della malattia. Infatti:
- Quando c’è una trasmissione di tipo verticale, essa determina l’insorgenza
dell’infezione da HBV connatale che a sua volta causa l’HCC in epoca molto
precoce, quando le difese immunitarie sono ancora poco efficaci. Ciò si traduce
con una rapidità di evoluzione molto maggiore.
- Quando c’è una trasmissione di tipo orizzontale l’infezione da epatite B è più
tardiva, quando il sistema immunitario è preparato a fronteggiare l’infezione.
Pertanto in queste condizioni si tende a cronicizzare l’infezione con eventuale
sviluppo tardivo dell’HCC.

Differenziando le aree a bassa incidenza rispetto a quelle ad elevata incidenza, come


n° casi per 100.000 abitanti all’anno, si può notare che:
- Nei Paesi a bassa incidenza, cioè i paesi nordici, l’HCC rappresenta il 3-5% di tutti
i tumori, con le dovute eccezioni, come nel caso di alcuni paesi dell’area
mediterranea (Grecia e Italia) dove la frequenza è maggiore. Ma l’aspetto
caratteristico è che la trasmissione dell’HBV è prevalentemente orizzontale con
una leggera prevalenza del sesso maschile e l’associazione con la cirrosi epatica è
molto elevata, l’80%, quindi è la neoplasia si sviluppa su una malattia
cronicizzata. Questo fa sì che il picco sia tra 5-6° decade di vita.
- Nei paesi ad alta incidenza dove essa è 4-5 volte maggiore [ad esempio lo Zimbabwe
raggiunge una frequenza di 65/100.000 abitanti, Singapore 34/100.000, Mozambico e
Taiwan 100/100.000, quindi una frequenza estremamente elevata] la trasmissione
dell’HBV è di tipo verticale, perinatale, e con predilezione del sesso maschile con
un rapporto M/F 8:1, con un picco incidenza di HCC tra 3-4° decade, in
particolare 20-30 anni. Quanto più diffusa è l’infezione da epatite B tanto più
precoce è l’epoca di incidenza, perché tanto più probabile è la trasmissione per via
verticale materno-fetale nel corso del passaggio attraverso il canale del parto.
Questo fa sì che l’associazione con la cirrosi sia più bassa, l’evoluzione è più rapida
con una maggiore aggressività e sintomaticità.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 179 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Africa sub-sahariana e Sud-est asiatico, sono aree a maggiore incidenza. L’Europa
Occidentale e Orientale sono più o meno interessate con la stessa incidenza e poi ci
sono paesi ad incidenza molto più bassa come l’Australia, Nuova Zelanda, il Sud
America, il Nord Europa.
Anche nei paesi a bassa incidenza, cioè nei paesi economicamente più sviluppati, c’è
un trend in aumento dell’incidenza di HCC. L’incremento è dovuto a due fattori:
- il primo è di tipo diagnostico, mediante ecografia, TC, RMN, aumenta la
possibilità di diagnosi anche in caso di malattia ancora silente.
- il secondo è la quota d’incidenza maggiore legata all’aumento dei fattori di rischio.

In Italia l’HCC è all’8°posto come causa di tumore nei maschi, cioè 3.4%, e il 16°
nelle femmine; l’incidenza è 26.8 casi/100.000 abitanti maschi e 12.1 nelle donne,
per un totale d’incidenza stimata che arriva quasi a 12.000 casi all’anno e con
mortalità stimata che è superiore a 10.000 casi all’anno.
Se consideriamo questi numeri in termini di rischio cumulativo di sviluppare un
HCC avremo 1/59 nei maschi e fortunatamente 1/200 nelle femmine. Il rischio
morte nei maschi è 4 volte maggiore rispetto alle femmine.
In Italia, sia per il sesso maschile che per il femminile, la provincia con maggiore
incidenza è la zona di Napoli, però anche la provincia di Parma, il Veneto (qua la
causa principale è l’alcool), mentre invece i paesi a minor incidenza sono la
Romagna, Firenze, Prato, Macerata.

FATTORI DI RISCHIO
I principali fattori di rischio per lo sviluppo dell’ epatocarcinoma saranno:
- Infezione da HBV;
- Infezione da HCV;
- Epatite alcoolica;
- Steatoepatite: Flogosi cronica epatocitaria che è legata a malattie che
sostanzialmente rientrano nello spettro della sindrome metabolica (obesità,
diabete) che spesso si complicano con la steatosi epatica, la quale a sua volta in
alcuni pz determina uno stimolo infiammatorio legato all’aumento del volume
degli epatociti. La steatoepatite diventa una causa di epatocarcinoma sempre più
rilevante.
- Malattie rare, legate a difetti enzimatici, alcuni noti: emocromatosi, deficit di
alfa1antitripsina, cirrosi criptogenetica, cirrosi biliare primitiva.
- Esposizione a cancerogeni chimici, caratteristica è l’aflatossina ma poi anche
steroidi anabolizzanti, contraccettivi e pesticidi; rappresentano una quota
minoritaria ma hanno una loro importanza;
- Il fattore di rischio più importante è la cirrosi epatica, perché tra le prime 4 cause
più importanti (infezione HBV, HCV, alcool, steatoepatite) il trait d’union tra
HCC e danno epatico è sempre la cirrosi epatica.

I fattori di rischio sono diversamente rappresentati in funzione dell’area geografica;


sono a maggiore rischio Giappone, Asia, Africa, a minor rischio Nord America ed
Europa. La cirrosi epatica HBV correlata è importante in Asia e Africa, cioè nei paesi
ad incidenza più alta, mentre nei paesi ad incidenza più bassa prevale la cirrosi HCV
correlata. Per la cirrosi alcoolica c’è un trend a maggiore rilevanza laddove c’è
maggior consumo d’alcool come Europa e Nord America. La vaccinazione per

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 180 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
l’epatite B ha un impatto importante, un peso in termini di riduzione laddove c’è
una maggiore incidenza di infezione HBV, cioè centro-sud-est-asiatico e parte
centrale e meridionale dell’Africa.

Rischio HCC correlato all’infezione HBV


Si stima che nel mondo oltre 250 milioni di individui siano affetti da HBV. L’HCC è
prevalente nelle stesse aree in cui è prevalente l’infezione da HBV. L’incidenza di
HCC è molto più elevata nei soggetti HBsAg+ che nei soggetti HBsAg-.
Il rischio di HCC è superiore anche nei soggetti con pregressa infezione rispetto agli
individui senza marcatori virali. L’80% degli HCC nel mondo insorgono in individui
infettati da HBV. L’associazione HCC-HBV esiste sia nelle
aree ad alta che a bassa incidenza

PATOGENESI
Si verifica una catena di eventi, dal danno cronico
dell’epatocita alla rigenerazione epatocitaria, sviluppo
della cirrosi e contestualmente allo sviluppo della
cirrosi alla comparsa di alterazioni genetiche che
riguardano dei pathway di trasmissione del segnale
come:
- PI3K/AKT/mTOR,
- segnali angiogenici
- pathway di trasduzione del segnale
- pathway WNT/β-catenina il quale è uno dei pathway di
staminalità, per mantenere l’equilibrio delle cellule staminali; nel momento in cui
esso viene alterato, determina un indirizzo verso la maggiore proliferazione.

Nota: Il pathway WNT (wnt è un acronimo che sta per “ali di farfalla” perchè viene
coinvolto nella definizione dei colori e dell’orientamento dei pigmenti delle ali delle
farfalle) nel genere umano ha un ruolo importante come guardiano della staminalità.

L’epatite determina la sostituzione degli epatociti con cellule stellate, determina


l’attivazione dei miofibroblasti che cominciano a produrre collagene e quindi
l’insieme di tutto ciò porta alla fibrosi.
La fibrosi determina modifiche del microambiente e quindi un’alterata espressione
delle molecole che sono coinvolte nei meccanismi di trasduzione, come Raf e Mek, e
anche un’alterata espressione delle molecole di superficie, tra cui il TNFα il quale è
correlato con l’infiltrato infiammatorio.

Una volta che si instaura la fibrosi, nel momento in cui c’è un’attivazione alla
proliferazione conseguente alla flogosi, si manifestano dei noduli macro-rigenerativi
atipici, in cui c’è una maggiore attività proliferativa, aumenta la frequenza di
mutazione.
A ciò segue tutta una serie di eventi che portano, attraverso mutazioni e delezioni, a:
- riduzione dell’apoptosi
- aumento della replicazione cellulare,
- aumento della velocità di replicazione cellulare

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 181 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
- transizione dalla fase G0 a G1, per la modulazione positiva di alcuni oncogeni e
quindi a sua volta alla disregolazione delle cicline e delle chinasi-ciclina-
dipendenti.

A questo punto si passa all’epatite cronica di vario grado, la quale può evolvere nella
cirrosi; tra 3-10% di tutti i soggetti con infezione, e che sviluppano l’epatite cronica,
svilupperà la cirrosi; il 2-3% dei soggetti con la cirrosi muore per epatocarcinoma, a
cui si aggiunge anche qualche altra piccola percentuale che deriva dall’epatite (che
giunge direttamente all’ HCC). Ma di quel 2-3% dobbiamo capire che la maggior
parte è data dalla quota che contrae l’infezione da epatite in età perinatale o in età
infantile.

Focus on: HBV


Il 70% degli HCC HBV-correlati contengono DNA virale difettivo integrato nel
genoma. Il virus dell’epatite B è un virus a
DNA, contiene una trascrittasi inversa, che
consente l’integrazione nel genoma
dell’ospite.
La cellula mette in atto un meccanismo
protettivo perché il virus si replica al di
fuori del genoma (replicazione
ex t r a c r o m o s o m i c a ) , p e r e v i t a r e l a
replicazione la cellula lo integra nel
genoma. Incorporandolo fa sì che il virus
non si replichi ma ciò può interferire nel
funzionamento del genoma dell’ospite.
L’integrazione determina un vantaggio
proliferativo della cellula, non del virus che
in realtà è svantaggianto in quanto questo
evento non consente l’espressione di geni virali strutturali e la replicazione virale.
L’integrazione è casuale e multipla e inizia durante la fase di cronicizzazione
dell’infezione.

L’integrazione si esplica con un meccanismo non del tutto chiaro perché il virus non
viene integrato sempre nello stesso sito del genoma. Non è possibile individuare un
rapporto di causalità diretta
Probabilmente dipende da un riarrangiamento del DNA virale e dell’ospite e quindi
da effetti secondari legati all’attività del gene X. Il virus integrato è instabile e sono
possibili riarrangiamenti post-integrazione. Nel DNA virale sono presenti:
- Il gene X, codifica per una proteina regolatrice con funzione di trans-attivatore
trascrizionale del proprio e di altri promotori, può interferire con p53.
- Il Gene P, codifica per una polimerasi virale che possiede anche attività di
trascrittasi inversa.
- Il Gene S: Codifica per HBsAg
- Il Gene C: Codifica per HBcAg

L’integrazione determina l’attivazione del pathway proliferativo; ciò accade a causa di


due diversi possibili meccanismi, cis- o trans- attivazione.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 182 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Tramite la transattivazione il gene X può funzionare come regolatore e attivatore
trascrizionale. La proteina X mediante interazioni proteina-proteina può
transattivare la trascrizione di:
- Enhancer 1 dell’HBV
- Fattore trascrizionale NF-kB (Ig, IFN, HIV1, SV40, ecc.)
- Promoter di c-myc e c-jun
- Fattore trascrizionale AP1/AP2

A volte anche la cis-attivazione (mutagenesi inserzionale) può essere importante


soprattutto quando l’integrazione avviene in punti critici, in prossimità di un gene
che codifica per proteine in grado di attivare la replicazione, oppure quando viene
integrato nei minisatelliti coinvolti nella trascrizione.
L’HCC insorge in foci adenomatosi all’interno di noduli di rigenerazione in
espansione clonale. Questo può succedere sia se c’è un’infezione attiva, sia quando
c’è stata una precedente infezione. La cirrosi di qualunque origine incrementa di
circa 10 volte il rischio di HCC (M>F). Il 60% dei pazienti con HCC hanno anche la
cirrosi.

L’esposizione all’aflatossina aumenta significativamente il rischio di HCC. L’effetto


cancerogeno dell’AF è sinergico con HBV nelle aree a rischio. La suscettibilità
all’HCC può essere correlata con una variazione genetica nella detossificazione
enzimatica dell’AFB1.

Focus on: HCV


Nei pz con HCC non HBV-correlato vengono spesso riscontrati Ab anti-HCV ed
RNA virale. Il 60-70% dei pazienti con HCC e
cirrosi ha una infezione da HCV.
L’infezione da HCV è la seconda causa di
sviluppo di epatocarcinoma, conferisce un
rischio di epatocarcinoma che è 17 volte più
alto rispetto a chi non la ha. Dall’1 al 5 % dei
pazienti con infezione ha HCV svilupperà
epatocarcinoma.
L’incidenza annuale di HCC è 1-4%
– 0.5% nei pz con fibrosi epatica di grado lieve
– 7-8% nei pz con fibrosi avanzata

Le tappe principali dell’epatocarcinogenesi da


HCV saranno: infiammazione cronica, fibrosi e
rigenerazione.
Il virus HCV non si integra perché è un virus ad RNA. Può avere un ruolo l’impatto
sulla trascrizione ma fondamentalmente il meccanismo è la spinta proliferativa data
dall’infezione cronica, quindi all’aumento delle mutazioni autonome legate alla
formazione dei noduli iperplastici di rigenerazione.
Anche per l’infezione da HCV è possibile che ci sia una trasformazione neoplastica
anche senza passare per la cirrosi come avviene per l’HBV e questo è
particolarmente importante nel genotipo 1b. In questo caso il ruolo cancerogenetico

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 183 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
del virus dell’epatite C dipende da una deregolazione post-trascrizionale, quindi da
una interazione dell’RNA virale sulla trascrizione del DNA ospite.

L’HCV provoca un’alterazione della risposta immunitaria (per questo aspetto il virus
HCV si comporta come il virus dell’HIV) tanto è vero che i linfomi addominali
hanno una correlazione con HCV e non con HBV. Ciò comporta un aumento della
proliferazione cellulare mediante l’elusione dei vari meccanismi di controllo del
sistema immunitario stesso.
Il virus HCV contiene proteine strutturali e non strutturali ed entrambi hanno effetti
sull’incremento della proliferazione, sull’effetto mutageno, sulla trasformazione di
cellule normali in cellule neoplastiche attraverso la down-regolazione di p53 e l’up-
regolazione di fattori trascrizionali come E2F-1.
Le proteine che costituiscono l’HCV saranno:
- Strutturali (E1, E2, P7)
- Non strutturali (NS2, NS3, NS4 e NS5).
Sia le une che le altre possono avere un impatto sulla riduzione dell’apoptosi, in
particolare le non strutturali.

Focus on: Alcool ed Aflatossina


Per quanto riguarda l’alcool il danno dipende dalla produzione di acetaldeide e
radicali dell’ossigeno con danno epatico e perossidazione proteica e del DNA e un
effetto mutageno complessivo.
L’aflatossina b1 determina alterazioni funzionali di p53 che il più delle volte
consistono in una trasversione sul codone 12, fondamentalmente un tipo di
trasversione da guanina a tirosina (AGGC vs AGTA) che causa anch’essa un effetto
mutageno.

Alterazioni genetiche tipiche


Le alterazioni genetiche tipiche dell’epatocarcinoma sono:
- Trasversione del p53 G a C nel codone 249 (AFB1)
- Perdita di eterozigosi
- Mutazioni della WNT- β catenina
- Metilazione del promoter p16 (proteina coinvolta nella via delle chinasi ciclina-
dipendenti)
- Perdita dell’espressione di p16
- Metilazione del promoter della E-caderina
- Ridotta espressione di p27
Nell’HCC le alterazioni di p-53 sono comuni: Delezioni, riarrangiamenti, alterata
espressione. perdita di 1 allele (30-60% HCC). L’alterazione di p-53 caratteristica
dell’HCC è la mutazione puntiforme a carico del 3° nucleotide del codone 249. La
trasversione G —> T può essere provocata anche dall’aflatossina B1 o da ossidanti.
Non ci sono differenze fra HCC HBV-correlati e non per quanto riguarda p-53

PREVENZIONE
Dal punto di vista di inquadramento generale l’impatto principale sulla mortalità
dell’epatocarcinoma risiede nella possibilità di una adeguata prevenzione.
Attualmente gli interventi più efficaci sono quelli di prevezione primaria:

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 184 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
- Riduzione dell’assunzione dell’alcool (soprattutto l’abuso occasionale, vi ricordo
infatti che chi ne abusa anche raramente può causare danni epatici);
- Prevenzione di infezione di epatite C e la sua cura;
- Vaccinazione contro l’epatite B.

Nella prevenzione secondaria vanno citate la terapia sia per epatite B che C e
soprattutto va evitata la progressione verso la cirrosi.
La prevenzione terziaria (chemioprevenzione) è rappresentata dalla riduzione del
rischio di epatocarcinoma in soggetti cirrotici, con un ruolo meno importante perché
molto complesso; al momento attuale l’unico intervento possibile sono le norme
dietetiche ma nulla di validato. In realtà c’è uno studio che non si è ancora concluso
con un farmaco che è un inibitore del b-FGF (Fattore di crescita Fibroblastico
basico), che ha l’obiettivo di ridurre l’insorgenza di epatocarcinoma in soggetti
cirrotici, inibendo l’attività fibroblastica.

ANATOMIA PATOLOGICA
Aspetto macroscopico, le più comuni manifestazioni saranno:
- Massivo: nodulo con un andamento espansivo, più o meno grosso, che cresce in
maniera espansiva infiltrativa in tutte le direzioni.
- Nodulare: vi è semplicemente un nodulo che rimane relativamente non modificato
per molto tempo.
- Diffuso: spesso parte dall’ilo epatico e si diffonde lungo le trabecole epatocitarie.
- Noduli satelliti.

Aspetto istologico:
- Trabecolare
- Solido
- Tubulare (simil-ghiandolare)

Nell’ambito di queste architetture ci possono essere delle forme più differenziate, le


indifferenziate, le forme a cellule chiare, o con componente prevalentemente
mucinosa, però la citoarchitettura dell’epatocarcinoma in genere è riferibile a questi
3 tipi. L’epatocarcinoma è un tumore epiteliale e lo stroma è scarso, senza canalicoli
biliari, qualche volta ci può essere una componente di tipo fibroso, la quale può
caratterizzare un istotipo particolare.
- Nell’ Epatocarcinoma ben differenziato gli epatociti sono poco diversi dal normale,
e risultano aggregati in cordoni o tubuli
- Nell’Epatocarcinoma poco differenziato gli epatociti sono anaplastici, aggregati in
masse prive di struttura.

Esiste una variante che nei paesi europei ed asiatici è relativamente poco frequente,
ma che negli Stati Uniti rappresenta la metà di tutte le forme giovanili, ed è la
variante di Carcinoma fibrolamellare, che proprio per la caratteristica componente
fibrosa che circoscrive e limita l’accrescimento di tipo espansivo, è associato a una
prognosi migliore. Negli Stati Uniti rappresenta quasi la metà delle forme giovanili
con un rapporto M:F=1:1.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 185 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
STORIA NATURALE
L’epatocarcinoma è una patologia che rimane localizzata al fegato nel 20% dei casi e
nel 80% da interessamento locale o a distanza. Locale se riguarda la vena porta e le
vene sovra-epatiche e a distanza invece se interessa i linfonodi addominali,
mediastinici, polmone; sono possibili anche localizzazioni ossee (tipica quella
endocranica del clivus, che si manifesta con disturbi neurologici).

LOCALIZZAZIONE METASTASI
Metastasi locali Metastasi a distanza
Vena porta 35% Polmone 35%

Vena epatica 15% Lfn addominali 20%

Organi addoominali contigui 15% Lfn mediastinici/cervicali 5%

Vena cava 5% Vertebre 5%

Reni/Surreni 5%

La causa di morte più frequente è per insufficienza epatica dovuta o ad un


peggioramento della cirrosi, o ad un incremento dell’invasione epatica in un fegato
cirrotico e quindi per lo scatenamento dell’insufficienza epatica da sostituzione.

PRESENTAZIONE CLINICA
La presentazione clinica è differente se parliamo di paesi ad alta e a bassa incidenza.

Paesi ad alta incidenza


L’insorgenza è più precoce, giovanile, con M:F=8:1. L’ esordio è in genere acuto con
evoluzione spesso rapida. I sintomi più frequentemente presenti saranno:
- Dolore;
- Massa;
- Calo ponderale.
- Può esserci meno frequentemente la cirrosi.
L’ evoluzione rapida porta ad avere più frequentemente sintomi specifici
dell’epatocarcinoma, la massa che cresce rapidamente all’interno del parenchima
epatico può causare: emoperitoneo, dolore, insufficienza epatica acuta, interessamento
delle vene sovraepatiche (Sindrome di Budd-Chiari).

Paesi a bassa incidenza


L’insorgenza è in genere più tardiva, V-VI decade, con rapporto M:F=3:2. Una
buona quota di pazienti sono asintomatici o al massimo hanno dei sintomi legati alla
cirrosi epatica sottostante ma non sono sintomi eclatanti. Se in un soggetto cirrotico
compensato compaiono segni di scompenso della cirrosi (ascite, edemi, aumento
della bilirubina o degli enzimi epatici, peggioramento sintomi dispeptici) è legittimo
pensare ad una evoluzione in epatocarcinoma. In tempi in cui l’ecografia è molto
utilizzata, la modalità con cui si presenta il paziente è di solito il riscontro ecografico
di un nodulo associato o meno all’aumento dell’alfa-fetoproteina.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 186 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Possono essere sintomi all’esordio: S. di Budd-Chiari, Trombosi portale, Sindromi
paraneoplastiche (febbre, eritrocitosi,ginecomastia, ipoglicemia, iperglicemia,
ipercalcemia, virilizzazione)

DIAGNOSI
Prevede una diagnosi di natura, che si fa con l’alfa-fetoproteina e la biopsia epatica
eco-guidata, ed una diagnosi di estensione con accertamenti che riguardano
l’estensione di malattia a livello di addome, ossa e polmoni.

Gli esami utilizzati per la diagnosi saranno;


– Esami biochimici e sierologici
– Ecografia epatica
– Alfa-Fetoproteina
– Biopsia epatica ecoguidata
– Stadiazione
– TC addome < RMN addome
– Angiografia selettiva
– Scintigrafia con Tecnezio o con indicatore positivo
– TC torace

Se è sintomatico ovviamente la diagnosi è più facile. Se è asintomatico, la diagnosi


può essere effettuata nel corso degli esami di controllo che si effettuano nei pazienti
affetti da epatite cronica associata o meno a cirrosi epatica.
In questo caso è frequente la presenza di un nodulo epatico evidenziato con una
ecografia.

Criteri diagnostici (conferenza EASL, Barcellona 2001)


• Criteri cito-istologici
• Criteri non invasivi (nei pz. cirrotici)
– Radiologici
• Lesione focale ≥ 2 cm con ipervascolarizzazione
• Coincidenza di 2 tecniche di immagine
– Combinati
• Una tecnica di immagine + α-FP ≥ 400 ng/ml

I nuovi criteri contemplano l’enhancing in fase arteriosa con ritardato wash out e
delle dimensioni maggiori o uguali ai 2 cm.
E’ necessaria una RMN o TC a 3 fasi per osservare il precoce enhancement e il
ritardato wash out venoso, si ricordi che l’HCC è vascolarizzato prevalentemente dal
vasi arteriosi mentre il resto del fegato ha una importante vascolarizzazione venosa.
Esistono dei criteri combinati (imaging e laboratorio) che comprendono
sostanzialmente la diagnosi radiologica e la presenza di livelli di alfa-fetoproteina
superiore a 400 ng/ml.
In realtà il criterio combinato viene ritenuto superato, comunque valido, ma si
ritiene che per diagnosticare un epatocarcinoma in un soggetto con nodulo di
dimensioni pari o superiori a 2 cm è sufficiente effettuare un unico esame di imaging
con possibilità di valutare enhancement arterioso (precoce vascolarizzazione

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 187 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
arteriosa e il ritardato wash out sono i segni tipici dell’epatocarcinoma); quindi
effettuiamo una TC o RM con mezzo di contrasto.

Laddove ci siano ancora dubbi diagnostici può essere necessario effettuare una
biopsia epatica.

In caso di riscontro ecografico di un nodulo:


- Se il nodulo è < 1 cm: ripetere ecografia ogni 3-6 mesi.
- Se il nodulo è di 1-2 cm: RM o TC dinamica e avere 2 test correlati tra loro. Se il
risultato dei due test è coerente tra di loro si fa diagnosi di epatocarcinoma, se i
test sono incoerenti si deve ricorrere alla biopsia epatica.
- Se il nodulo è >2cm: si effettua un test dinamico. Se il comportamento della
lesione è tipico per quel test, si pone diagnosi di epatocarcinoma, in caso
contrario si effettua una biopsia.

All’atto pratico la biopsia viene fatta più spesso perché nei grandi centri la maggior
parte di questi soggetti vengono indirizzati verso trattamenti sperimentali dove
l’istologia è importante. I criteri diagnostici sono ormai codificati nelle linee guida
NCCN del 2012, le più recenti per quanto riguarda la diagnostica di questa neoplasia.

Diagnosi differenziale tra epatocarcinoma e adenocarcinoma


L’ Epatocarcinoma è spesso correlato a cirrosi epatica, presenta una diffusione
venosa. E’ caratterizzato da un aspetto friabile ed emorragico, con scarso stroma
fibroso . E’ frequente una d isplasia
FATTORI PROGNOSTICI PER LA epatocitaria con presenza di inclusioni
SOPRAVVIVENZA A 5 ANNI
nucleari e di nucleoli tipici, abbondante
CARATTERISTICHE DEI NODULI citoplasma (occasionalmente con corpi ialini,
NODULO SOLITARIO 40% corpi di Mallory, bile). La mucina di norma è
assente. L’ i mmunoistochimica risulta
NODULI MULTIPLI 15%
positiva per:
NODULI DI 2-5 CM 45% -Alfa-fetoproteina;
NODULI > DI 5 CM 10% -CEA policlonale e canalicolare, deriva da quei
pochi dotti biliari che sono rimasti
ESTENSIONE/TIPO DI RESEZIONE
intrappolati dall’epatocarcinoma;
CHIRURGIA CURATIVA 55% -citocheratine caratteristiche;
IMPOSSIBILITA’ DI CHIRURGIA 5%
-eritropiesi;
-proteine leganti il rame.
SUBSEGMENTECTOMIA 50%

RESEZIONE CUNEIFORME 20% L’Adenocarcinoma si verifica in un quadro in


COINVOLGIMENTO VENOSO cui manca la cirrosi. E’ denso e biancastro,
con abbondante stroma fibroso, inclusioni
TROMBOSI VENOSA A 3 AA 0%
nucleari rare, nucleoli comuni, citoplasma
ASSENZA DI TROMBSI VENOSA 30% variabile (rari o assenti corpi ialini, corpi di
Mallory, bile). La mucina spesso è presente.
Non si evidenzia displasia epatocitaria. Ha una diffusione prevalentemente linfatica.
L’immunoistochimica risulta positiva per:
- CEA ma è un CEA monocolonale e citoplasmatico, proprio dell’adenocarcinoma

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 188 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
FATTORI PROGNOSTICI
Non tutti gli epatocarcinomi sono uguali. Ci sono degli aspetti che impattano
prognosticamente di più e altri di meno. Tra i fattori importanti ricordiamo la
dimensione ed il numero dei noduli, la possibilità di effettuare un intervento
chirurgico (e l’estensione dell’intervento stesso (quindi se esso sia radicale o meno).
Il Coinvolgimento venoso è uno dei fattori che influisce maggiormente perché la
trombosi venosi, a parità delle altre condizioni, da 0% di sopravvivenza a 3 anni
mentre in assenza di trombosi abbiamo una sopravvivenza del 30% a 5 anni.

Ci sono poi dei fattori biochimici che indicano un maggior interessamento epatico;
questi sono fondamentalmente l’aumento della bilirubina, la riduzione
dell’albumina, l’aumento dell’LDH, e la riduzione della riserva epatica che va sempre
studiata soprattutto in previsione di un intervento chirurgico.

STADIAZIONE
Per stadiare il paziente bisogna tenere conto della patologia tumorale e della
possibile presenza di cirrosi epatica. Bisogna valutare il peso della componente
neoplastica (stadiazione TNM) e di quella cirrotica (Child-Pugh).

Child-Pugh

Prevede uno score in base ai valori di:


- Bilirubina,
- Albumina,
- INR,
- Presenza o meno di ascite
- Encefalopatia epatica.
Ognuno di questi determina un punteggio in funzione dell’entità della variazione
rispetto al normale e in base alla somma di questi punteggi si dividono i pazienti in
tre classi (A-B-C). Quando si calcola la classe, è importante indicare anche il numero
(cioè la somma dei punteggi dei vari parametri) per i possibili risvolti terapeutici.

Stadiazione anatomica (TNM 7a edizione) Stadi secondo il TNM


Gli elementi che indicano il peggioramento
prognostico sono legati alle dimensioni del
tumore, all’interessamento vascolare e al
numero di noduli. Anche l’interessamento
linfonodale ovviamente peggiora la prognosi.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 189 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

Tx tumore non definibile

T0 nessuna evidenza del tumore primitivo

T1 tumore solitario di dimensioni inferiori o uguali ai 2 cm senza invasione vascolare

T2 tumore solitario di dimensioni inferiori o uguali ai 2 cm con invasione vascolare

T2 tumori multipli in un lobo, nessuno > di 2 cm senza invasione vascolare

T2 tumore solitario di dimensioni maggiori ai 2 cm senza invasione vascolare

T3 tumore solitario di dimensioni maggiori ai 2 cm con invasione vascolare

T3 tumori multipli in un lobo, nessuno > di 2 cm con invasione vascolare

T3 tumori multipli in un lobo, > di 2 cm con o senza invasione vascolare

T4 tumori multipli in più di un lobo

T4 coinvolgimento di un ramo principale della porta o della vena epatica

Nx stato linfonodale non definibile

N0 linfonodi regionali indenni

N1 metastasi a linfonodi regionali

M0 assenza di metastasi a distanza

M1 presenza di metastasi

CLIP
Il sistema CLIP unisce valutazioni funzionali (Child-Pugh), alcuni aspetti legati al
tumore (biologia, alfafeto e trombosi portale), che abbiamo visto essere i fattori che
vanno a peggiorare la classificazione TNM e la prognosi. Questo consente di
elaborare uno score che correla molto bene con la sopravvivenza. La prognosi
diventa gestibile fino a un CLIP score di 2, mentre diventa veramente sfavorevole a
partire da un CLIP 3.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 190 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

TRATTAMENTO
La terapia dell’epatocarcinoma prevede diversi possibili trattamenti:
- Chirurgia
- Resezione epatica
- Trapianto di fegato

- Terapie interstiziali: Induzione di necrosi tumorale attraverso varie tecniche, che


possono essere effettuate per via percutanea Eco/TC–guidata o per via
intraoperatoria (laparotomica o laparoscopica):
- Radiofrequenza (RFA-Radiofrequency Ablation)
- Alcolizzazione (PEI- Percutaneous Ethanol Injection)
- Microonde
- Crioterapia

- Chemioembolizzazione (TACE-Transarterial Chemoembolization), Chemioinfusione:


La chemioembolizzazione è una procedura intra-arteriosa (è importante
differenziarla dall’embolizzazione portale, che ha altre finalità): incannulando
l’arteria femorale si raggiunge l’arteria epatica dove si inietta un materiale che
possiede un duplice scopo, embolizzare e immettere farmaci chemioterapici nei rami
afferenti al tumore, sia esso primitivo o metastatico. Dalla precedente tecnica di
embolizzazione dell’arteria epatica destra/sinistra (in base alla localizzazione della
lesione) si è passati ad una chemioembolizzazione superselettiva, con evidenti
vantaggi in termini di riduzione degli effetti collaterali, riduzione delle
complicanze ed aumento dell’efficacia terapeutica. La chemioinfusione è una
procedura più blanda che attualmente ha perso di valore ed è utilizzata quando la
chemioembolizzazione risulti troppo pesante per il paziente.

- Radioembolizzazione con microsfere (Y90), evoluzione della


chemioembolizzazione. Attraverso un accesso radiologico intra-arterioso, oltre
all’embolizzante, al posto del chemioterapico si usa un agente con attività
radioterapica molto localizzata, nella maggior parte dei casi l’ittrio 90. Questa
terapia sta acquistando negli ultimi anni un ruolo sempre più importante.

- Chemioterapia sistemica, che applicata all’epatocarcinoma ha un ruolo


estremamente modesto ed è limitata ad un solo farmaco, il Sorafenib. Uno studio
comparativo ha dimostrato un vantaggio di 3 mesi di sopravvivenza per pazienti
trattati con chemioterapia rispetto ad un gruppo di pazienti non in chemioterapia,
in tumori primitivi a parità di stadio. Al contrario, si dispone di diversi farmaci di
comprovata efficacia per quanto riguarda il trattamento di metastasi epatiche (da
colon-retto, ad esempio).

- Recentemente sta crescendo l’utilizzo di terapie combinate, come la TACE e le


terapie interstiziali (alcolizzazione o radiofrequenze), al fine di ottenere un
risultato migliore in termini di induzione di necrosi tumorale.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 191 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

Trapianto di fegato
Criteri di Milano Tra i due trattamenti possibili, resezione e trapianto,
l’ideale sarebbe il trapianto. Nell’85-90% dei casi
Età < di 65 anni l’epatocarcinoma si sviluppa su un fegato cirrotico,
per cui il trapianto rappresenta teoricamente il
Nodulo singolo inferiore a 5 cm nel
miglior trattamento possibile, perché, sostituendo il
diametro maggiore
fegato, si ha eliminazione del tumore e della
Fino a tre noduli di diametro inferiore o precancerosi sottostante, la cirrosi epatica.
uguale a 3 cm nel diametro maggiore
Oggi questa soglia dei 65 anni si sta spostando verso
SOPRAVVIVENZA 70%
A 5 ANNI i 70 per miglioramento delle condizioni di vita
generali. Attualmente, nella stragrande maggioranza
RECIDIVA LOCALE < 15% dei centri per il trapianto di fegato del mondo si
applicano i criteri di Milano.

Comparando i risultati di pazienti resecati e di pazienti trapiantati, a parità di


caratteristiche tumorali, in termini di overall survival si ha un risultato migliore per
il trapianto, e ancora più ampia è la differenza in termini di disease-free survival,
cioè di rischio di recidiva dopo il trattamento.

Tuttavia la disponibilità degli organi per il trapianto è limitata, e non è affatto


proporzionata alla richiesta di organi necessari, nonostante il tentativo di ampliare
l’offerta attraverso il trapianto da donatore vivo, oppure l’utilizzo del fegato di un
solo donatore per due riceventi. Ciò si traduce in lunghe liste d’attesa, che in Italia
coprono un periodo di tempo di 2 anni in media.

Tra la decisione del trapianto e l’intervento vero e proprio c’è un tempo di crescita
tumorale e c’è la possibilità che un paziente in attesa venga escluso dalla lista in
quanto non rientra più nei i criteri di Milano, e non può essere più trapiantato
(invasione vascolare)
Il tempo che intercorre tra la decisione di una resezione e l’esecuzione della stessa,
invece, è di circa 2-3 settimane, a seconda dei tempi di attesa dei singoli centri. In
uno studio definito Intention-to-treat analysis si nota come le curve si invertono in
maniera significativa a favore della resezione, proprio per via del dropout, ovvero
della perdita dei pazienti in attesa di trapianto.

Perciò il trapianto rimane il migliore trattamento teorico, ma esso presenta dei limiti
legati a:
- disponibilità dell’organo;
- lunghe liste d’attesa;
- rischio operatorio dell’intervento (mortalità e morbilità).

Le opzioni chirurgiche vanno quindi valutate in maniera opportuna.

Resezione epatica
L’epatocarcinoma è un tumore la cui indicazione chirurgica non può essere basata
sul TNM, ma su una serie di fattori differenti.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 192 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
La resezione è indicata nelle seguenti condizioni:
- Funzione epatica conservata (eclusione dei pazienti con encefalopatia);
- Resecabilità completa di tutti i noduli tumorali con margini negativi (radicalità
oncologica dell’intervento);
- Volume residuo post-resezione sufficiente, per evitare insufficienza epatica anche
mortale nel post-operatorio.

La popolazione a rischio è fondamentalmente costituita dai pazienti cirrotici, la cui


patologia presenta eziologie differenti. Tuttavia, in passato la diagnosi avveniva
tardivamente, quando il tumore di grandi dimensioni determinava la comparsa di
ittero e massa addominale palpabile, rendendo impossibile l’ipotesi di un
trattamento chirurgico.

Da quando i pazienti cirrotici ed epatitici sono entrati in programmi di controllo


periodici con l’ecografia, nell’80% dei casi si riscontrano tumori di piccole
dimensioni, che rendono possibili diverse opzioni terapeutiche.
Paradossalmente, gli unici pazienti che presentano tumori di grandi dimensioni sono
attualmente quelli con fegato sano, per i quali la diagnosi avviene quando la massa è
sintomatica (epatocarcinoma su fegato sano, < 10% dei casi).

L’ epatocarcinoma, alle nostre latitudini, è essenzialmente ASINTOMATICO.


Quando si presenta con ittero o scompenso della funzionalità epatica è già in fase
avanzatissima. La modalità di diagnosi più frequente è in fase asintomatica con
l’ecografia. Ciò non avviene, per esempio, nel caso del colangiocarcinoma: si
continua a riscontrare il tumore in fase molto avanzata perché non si è identificata
una popolazione a rischio su cui effettuare dei controlli seriati.

La scelta del trattamento dipende primariamente dalla funzionalità epatica.

All’interno della popolazione dei cirrotici si avrà una percentuale con una buona
riserva funzionale epatica e una percentuale con funzionalità epatica compromessa,
per cui le opzioni terapeutiche oscillano dalla resezione al trapianto, per il quale
l’indicazione più frequente è proprio la cirrosi con insufficienza epatica, non
l’epatocarcinoma.

Valutazione delle caratteristiche del pz per la scelta del trattamento


Condizioni generali del pz
Eventuali comorbidità cardiache e respiratorie possono costituire una
controindicazione alla chirurgia. Per questo, occorre valutare attentamente la
funzionalità cardiaca, respiratoria, circolatoria e renale prima della programmazione
dell’intervento.

Grado di insufficienza epatica


Non esiste un singolo fattore che indichi se un paziente abbia o meno
un’insufficienza epatica. Si ricorre dunque allo score di Child-Pugh, descritto molti
anni fa ma ancora utilizzato in clinica (vedi sopra). Tuttavia questo score è stato
ideato dai gastroenterologi circa 30 anni fa per valutare pazienti cirrotici, poi è stato
adottato per valutare pazienti chirurgici: non c’è coincidenza al 100%. Infatti, per

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 193 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
esempio, pazienti con encefalopatie, ascite o rialzo della bilirubina al di sopra di 2-3
mg/dL saranno automaticamente esclusi dalla chirurgia, anche con un Child A. Una
evoluzione di questo score è stata elaborata da un team giapponese.

Nota: Un nuovo fattore introdotto nella valutazione della funzionalità epatica è stato
il test di ritenzione al verde di indocianina (ICG R15 test). Il test valuta la ritenzione
a 15 minuti di un colorante, il verde di indocianina, che viene somministrato
endovena, si lega all’albumina, passa nel parenchima epatico sparendo dal plasma, e
viene eliminato con la bile. Facendo un prelievo dopo 15 minuti, si valuta la
percentuale di verde di indocianina riscontrabile nel plasma: maggiore è la
percentuale di verde di indocianina peggiore sarà la funzionalità epatica. Ad un’alta
concentrazione di verde di indocianina (> o = 15%) corrisponde quindi una
peggiore funzionalità epatica, mentre se la percentuale è <10%la funzionalità
epatica non è ancora compromessa.
Nello schema giapponese, questo test di funzionalità dinamica del fegato è entrato
nello score modificato di Child-Pugh, sostituendo l’encefalopatia, che di per sé è un
fattore che esclude l’operabilità del paziente.

Il gruppo di lavoro giapponese ha elaborato un algoritmo decisionale con i criteri di


operabilità dei pazienti con epatocarcinoma.
- ASCITE: Innanzitutto, non deve essere presente ascite, se presente, deve essere controllabile
con terapia medica.
- BILIRUBINA un paziente itterico non può essere operato. In questo algoritmo il paziente viene
classificato in base al valore della bilirubina, cui corrispondono possibilità terapeutiche
differenti:
- 1,1-1,5 mg/dL= piccola resezione
- 1,5-1,9 mg/dL= enucleazione
- ≥ 2 mg/dL= epatectomia sconsigliata.
- ICG R15: Se la bilirubina è normale entra in gioco il test di ritenzione del verde di
indocianina: a seconda del valore che riscontriamo clinicamente nel plasma del paziente
possiamo optare per un intervento più o meno esteso (si passa dall’epatectomia, con bilirubina
normale e un ICG test normale, all’enucleazione, per valori di verde di indocianina >40%).

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 194 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

Seguendo tale valutazione, la mortalità post-operatoria (dovuta alla chirurgia epatica


e all’evoluzione cirrotica) è significativamente diminuita

Un altro score utilizzato per scegliere il tipo di terapia è il MELD (Model for End-
Stage Liver Disease), un punteggio utilizzato per valutare l’inserimento dei pazienti
in lista trapianti in base alla gravità della compromissione della funzione epatica.
La formula, molto complessa, comprende i valori di bilirubina, creatinina e INR, e
viene utilizzato oggi come criterio di allocazione degli organi: un paziente cirrotico
con MELD molto alto ha una priorità più alta e quindi arriva prima al trapianto
rispetto al paziente cirrotico con MELD più basso. Tale score aiuta a stabilire se un
paziente è candidabile alla resezione o al trapianto:
- Per MELD < 9-10 è indicata la resezione (migliore funzionalità)
- Per MELD >10 è indicato il trapianto (peggiore funzionalità epatica)

Un altro criterio di scelta è il grado di citolisi, espresso dal valore delle transaminasi,
indice di attività dell’epatite. L’ipertransaminasemia equivale ad epatite attiva: è stato
dimostrato che la resezione in paziente con epatite attiva determina un aumento
della mortalità inaccettabile, superiore al 30%.
Mortalità post operatoria in funzione di GTP pre operatoria (attività epatite)
• > 4 volte la norma: la mortalità è assolutamente proibitiva (37.5%) per cui il paziente
verrà indirizzato verso altre opzioni terapeutiche.
• 2-4 volte la norma: mortalità 13%
• < 2 volte la norma: mortalità 3.9%

Dal momento che l’attività citolitica dell’epatite varia, è ciclica, è preferibile indicare
l’intervento chirurgico in una fase di bassa citolisi, e quindi quando il valore di
transaminasi è inferiore a 2 volte la norma.

Andranno valutati anche la presenza di varici esofagee, la presenza di splenomegalia


e di piastrinopenia (<100.000)
Questi sono i tre criteri che ci fanno fare diagnosi di ipertensione portale. A questi si
aggiungono altri criteri che comprtano delle procedure invasive di misurazione della
pressione.
[Attraverso la giugulare interna si entra con un cateterino che va in Cava superiore, poi in cava
inferiore si entra nelle sovra epatiche (si valuta la pressione delle vene sovra epatiche) e si valuta
il gradiente pressorio all’interno delle sovra epatiche. C’è un valore soglia, sopra 10
mmHg e sotto 10 mmHg, che ci dice se l’ipertensione portale e più o meno elevata.
È un test invasivo che si usa poco, anche perché è entrato in uso un tipo particolare di ecografia: il
fibroscan, cioè un’elastografia, lo studio della durezza del parenchima epatico, che ci descrive
un evoluzione verso la fibrosi di quel fegato, ci descrive la durezza del fegato e questo valore di
durezza del fegato correla molto bene con il valore della pressione venosa epatica.]

Volume del fegato residuo dopo resezione


Sono stati definiti dei cut off di volumi minimi sotto i quali non si può resecare il
fegato del paziente, ma bisogna prima indurre un’ipertrofia del fegato.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 195 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Se il volume del fegato residuo del paziente è superiore al 40% del volume di fegato
funzionante totale noi possiamo fare la resezione. Il Cut Off è almeno al 40%.

Se il volume del fegato residuo è minore del 40% possiamo fare qualcosa che induca
l’ipertrofia del fegato ed è l’embolizzazione portale, che è una procedura
completamente diversa dalla chemioembolizzazione. Non ha una finalità di
trattamento, ma ha la sola finalità di indurre l’ipertrofia del fegato non embolizzato
provocando l’atrofia della parte di fegato embolizzato, tutto ciò per ridurre il
rischio di insufficienza epatica postoperatoria

È una procedura che si fa a livello interventistico, per via percutanea si raggiunge il


sistema portale e si manda il materiale embolizzante, che va nel sistema portale
solamente da un lato (opposto a quello dove è localizzato il tumore). Il sangue verrà
così deviato verso il lato opposto. Il fegato è un organo così favoloso che in breve
tempo, se nutrito e se ha capacità di crescita residue, cresce.
Se dopo 4 settimane questo fegato non cresce, significa che questo paziente non può
subire una resezione perché andrebbe incontro ad insufficienza epatica.

Nota: In presenza di epatiti, diabete, sindrome metabolica, pz in sovrappeso, il


volume di fegato funzionante residuo, pur se superiore al 40% non sempre è
sufficiente a scongiurare l’insufficienza epatica post resezione (funzione epatica
ridotta), pertanto può essere indicato eseguire l’embolizzazione portale prima della
procedura.

Embolizzazione portale nel pz epatopatico


Indicazione a embolizzazione portale in tutte le epatectomie destre in fegati
“patologici”. Se l’incremento volumetrico post embolizzazione è minore del 10% c’è la
controindicazione alla resezione.


L’embolizzazione non ha finalità terapeutiche tanto è vero che c’è il rischio che il
tumore possa anche crescere durante l’embolizzazione portale. Però l’ipertrofia
controlaterale è prevalente e ci porta a poter operare un paziente che altrimenti non
potremmo operare.
C’è la possibilità di fare un trattamento sequenziale prima della resezione: fare una
chemioembolizzazione arteriosa, che è sul tumore, per mettere in necrosi il tumore e
poi fare l’embolizzazione se il fegato controlaterale non è sufficiente.


Caratteristiche del tumore


Il criterio è fare delle resezioni piccole limitate sotto guida ecografica intraoperatoria
in modo da comprendere il tumore e i margini circostanti ed è un intervento
radicale.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 196 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

RESEZIONI EPATICHE LAPAROSCOPICHE


Indicazioni
- Piccoli noduli periferici ( Ø < 5 cm )
- Bisegmentectomia 2-3
- 1a opzione terapeutica in pazienti candidati al trapianto

Vantaggi
• Ridotto rischio di ascite p.o.
• Ridotto rischio di insufficienza epatica p.o.
• Facilita l’eventuale trapianto in un pz che deve essere resecato prima (minori aderenze p.o. )

Nell'ecografia, come nella TC e nella RM è possibile


riscontrare la classica divisione secondo Couinaud,
utile per stimare la corretta posizione delle lesioni
- esternamente alla vena epatica dx, nel lobo dx avremo
VI e VII segmento

- tra la vena epatica dx e la media si trovano i segmenti
V e VIII
- tra la vena epatica sx e la media si trova in V
segmento

- esternamente alla vena epatica sx si trovano I, II e III
segmento.
Il I segmento corrisponde al lobo caudato. Guardando
il fegato dalla porzione inferiore, i segmenti sono
disposti in senso antiorario.

La laparoscopia ha acquisito un ruolo di preparazione, brige (ponte) al trapianto.


Immaginiamo di avere un paziente che può essere sottoposto a trapianto, che ha un
epatocarcinoma piccolo, ma che in lista d’attesa al trapianto rischia di crescere lo si
può operare per via laparoscopica, si elimina il tumore e il paziente rimane in lista
trapianto.
La laparoscopia può avere anche un ruolo di Down Staging: se un paziente ha 4/5
noduli e dunque non è trapiantabile se possono essere tolti due noduli per via
laparoscopica, si può far rientrare il paziente nei criteri della lista trapianto.

Quello che si sta vedendo adesso è che si possono operare anche pazienti con Child
peggiori, Child B o Child C, che aperti vanno malissimo perché si scompensano
mentre in laparoscopia per la minor invasività possono superare l’intervento.

L’ecografia intraoperatoria è fondamentale per la chirurgia del fegato soprattutto per


l’epatocarcinoma, perché diventano individuabili tumori piccolissimi (7-8 mm).

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 197 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Sistema Barcellona (BCLC staging)
In questo sistema di stadiazione integrato si considerano alcune caratteristiche del
tumore (numero dei noduli e dimensioni degli stessi, invasione vascolare) e la
funzionalità epatica (ipertensione portale, bilirubina, Child-Pugh). Anche qui si
riesce a fare una gradazione che tiene conto di tutti i fattori.

E’l’algoritmo decisionale di riferimento per l’epatocarcinoma.

Nello schema è considerata la strategia di staging e trattamento di Barcellona. I pz


sono divisi nelle seguenti sottocategorie:
- Stadio 0 (Molto precoce), pz che presenta un singolo nodulo di epatocarcinoma
con una pressione portale normale e valori di bilirubina nella norma. La terapia di
elezione è la resezione. Tuttavia in questi pazienti anche l’ablazione con
radiofrequenza ha una sopravvivenza a 5 anni che è intorno al 50%. Quindi può
essere un’alternativa valida alla resezione epatica.
- Stadio A (precoce), pz con un singolo nodulo con pressione portale e/o valori di
bilirubina aumentati, oppure 3 noduli ognuno minore o uguale a 3 cm. Il
trattamento ideale sarebbe il trapianto di fegato. Se ci sono delle malattie
associate che impediscono il trapianto di fegato, sono indicati dei trattamenti
loco-regionali (alcolizzazione percutanea epatica o radiofrequenze). C’è una
differenza in termini di regressione completa, in tutti gli studi, con trattamento

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 198 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
tra radiofrequenze e con alcolizzazione (etanolo) e nella maggior parte dei casi
anche con la sopravvivenza. Il trattamento loco-regionale di scelta non è quindi
l’alcolizzazione con etanolo ma è l’ablazione con radiofrequenze.
- Stadio B (intermedio), si effettuano trattamenti loco-regionali come la
chemioembolizzazione.
- Stadio C (avanzato), bisogna valutare la presenza o meno di patologie extra-
epatiche. Se queste sono assenti candidabili a chemioembolizzazione oppure a
trattamenti sistemici con farmaci anche sperimentali. Quando il paziente non è
suscettibile di alcun trattamento locoregionale, compresa la
chemioembolizzazione, da qualche anno si utilizza il sorafenib (inibitore delle
chinasi, che agisce inibendo sia VEGFR che PDGFR andando ad agire dunque sia
sul lato vascolare che su quello piastrinico). È la prima volta che un farmaco ha
dimostrato di aumentare la sopravvivenza. Il vantaggio che dà il sorafenib in
termini di sopravvivenza è un incremento da 8 mesi a 11 mesi circa. Il farmaco
non grandi risposte sulla riduzione dei sintomi, rallenta di 3 mesi la progressione
dell’epatocarcinoma ma non arresta la patologia.
- Stadio D (terminale), nel caso in cui ci sia una situazione totalmente
compromessa e deteriorata non sono fattibili neanche i trattamenti oncologici
sistemici.

Nota: Un paziente con tumore del colon e metastasi epatiche, può essere sottoposto a trapianto
di fegato? NO! Ci sono tuttavia dei sottogruppi molto selezionati di pazienti in cui questo è
possibile (abbiamo avuto da poco un incontro con vari esperti sull’argomento per determinare
quali siano questi pazienti, visto anche l’aumentare di farmaci che possono sempre più curare
patologie non oncologiche come l’epatite C e quindi considerando il possibile aumento di organi
disponibili in un futuro per essere trapiantati in pazienti con patologie oncologiche).

Secondo lo stato di BCLC la sopravvivenza si stratifica molto bene in base alla


appartenenza della classe di BCLC; ma se viene valutata l’esperienza chirurgica c’è
una quota di pazienti (quasi i 2/3) che secondo il BCLC non dovrebbe essere
resecrato, e che invece ha delle sopravvivenze a cinque anni che nessun altra terapia
ottiene se sottoposto a resezione.

Quindi nonostante linee guida, dal punto di vista chirurgico, la resezione è indicata
ogniqualvolta tutti i noduli possono essere resecati e il volume residuo è sufficiente.

[Al di là dell’assoluta accettazione mondiale di questo algoritmo decisionale, è bene sapere,


perché ci sono interessi mondiali di case farmaceutiche sponsorizzano e spingono verso certi
comportamenti piuttosto che altri. Il Sorafenib per esempio è stato ed è un grandissimo affare
economicamente parlando per le case produttrici e quindi hanno sponsorizzato in tutte le maniere
quel tipo di trattamento]

Valutazione dell’estensione del tumore


Attualmente le indicazioni alla resezione sono state allargate e includomo HCC
grandi, multinodulari e bilobari e HCC con infiltrazione portale o delle vene
sovraepatiche. La resezione è indicata se tutti i noduli possono essere resecati
con margini negativi e se il volume del fegato residuo è sufficiente. Essa può
essere eseguita in pazienti:

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 199 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
- In buone condizioni generali (child pugh A)
- Con resezioni limitate, risparmiando al massimo il fegato funzionante non
neoplastico

PROGNOSI
La prognosi di questi pazienti dipende sostanzialmente da:
- Caratteristiche del tumore:
- Numero, dimensioni, capsula peritumorale
- Invasione vascolare, micrometastasi
- Valori elevati di AFP
- Funzionalità epatica
- Trattamento attuato

Le caratteristiche del tumore giocano un ruolo fondamentale perché il numero dei


tumori, la presenza di una capsula, la presenza di infiltrazione vascolare sono tutti
criteri prognostici.
Se in un paziente c’è un’infiltrazione vascolare anche di soli 3 cm il paziente esce
dalla lista trapianto.
I valori dell’alfafetoproteina sopra le migliaia rappresentano un fattore prognostico
molto negativo.
Il tipo di epatite influisce sulla prognosi, HCV+ ha una prognosi peggiore rispetto
ad HBV+.
Tutto questo cambierà con i nuovi farmaci antivirali, da qui a 5 anni sarà tutto
completamente trasformato e ciò non sarà più vero. Probabilmente l’epatocarcinoma
su HCV+ scomparirà, aumenterà forse l’epatocarcinoma su fegato sano.
Questo è molto importante perché se l’HCV viene debellato avremo una quantità di
fegati a disposizione per il trapianto che attualmente non sono pensabili, avremo meno
pazienti con cirrosi e HCV. Ci si sposterà su altre patologie.

Attualmente comunque HCV ha una prognosi peggiore di HBV.


Purtroppo nei 5 anni il 70-90% dei pazienti con HCC che viene resecato recidiva con
un altro epatocarcinoma. Il sito più comune di recidiva è il fegato. Pertanto è
fondamentale che in pazienti resecati per epatocarcinoma vengano seguiti in
maniera strettisima con:
- un’ecografia ogni 4 mesi, che possono diventare anche 3 o 6 a seconda della
presenza o meno di fattori prognostici più o meno aggressivi (alfafetoproteina
altissima, micrometastasi e infiltrazione della capsula).
- Dosaggio di alfa feto proteina

L’indicazione ad una nuova resezione è basata sugli stessi identici criterigià trattati
per la prima resezione.
Il messaggio finale è che se il paziente viene trattato contemporaneamente da più
specialisti i risultati sono migliori.

L’epatocarcinoma è una di quelle malattie che non si può curare singolarmente,


perifericamente, ma si deve curare in un centro che abbia a disposizione tutte le
competenze: il chirurgo fa la resezione, il chirurgo che fa il trapianto, l’epatologo fa
la radiofrequenza e l’embolizzazione.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 200 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

Take home message


- La resezione epatica è un trattamento sicuro ed efficace quando c’è una funzionalità
epatica conservata e quando c’è un volume sufficiente.
- L’indicazione può essere estesa se c’è un’accurata selezione dei pazienti
- C’è la possibilità di associare alla resezione altri trattamenti
- È fondamentale seguire questi pazienti dopo l’intervento per ritrattare le recidive
- Molto spesso questi pazienti non muoiono per epatocarcinoma, ma per evoluzione
della cirrosi.
- C’è bisogno di altri trattamenti adiuvanti perché oggi la terapia di cui si parla è
assolutamente insufficiente.
- HCC è causa di 500.000 decessi l’anno nel mondo, con incidenza in aumento. È
fondamentale lo screening (ecografia epatobiliare, dosaggio AFP) per evidenziare
tumori in stadio precoce, suscettibili di trattamento radicale.

CARATTERISTICHE RADIOLOGICHE DEI VARI QUADRI

Iperplasia nodulare Spesso indistinguibile da tessuto sano in US, TC in fase venosa e RMN senza mdc.
focale All’US è isoecogena con un flebile bordo ipoecogeno per la compressione dei tessuti
circostanti. Alla TC trifasica avremo una rapida impregnazione arteriosa (tranne
nella cicatrice centrale). Rapido wash out in fase portale. Alla RMN come TC ma
captazione di mdc RES ed epato specifici

Adenoma Simile ad iperplasia nodulare focale, ma manca di cicatrice centrale. Non capta mdc
RES specifici alla RMN ma solo epatospecifici.

Noduli rigenerativi / All’US possono essere ipo/iperecogeni. Alla TC trifasica l’impregnazione nella fase
displastici arteriosa è assente nei noduli rigenerativi, presente (debole e completo) in quelli
displastici. L’enhancement venoso è simile a quello parenchimale. Alla RMN capta
mdc epatospecifico come parenchima sano.

HCC ben differenziato All'US appare come un nodulo ipo/iperecogeno, i margini possono essere netti o
sfumati. A volte è presente una capsula. TC trifasica mostra una rapida ed intensa
impregnazione in fase arteriosa, rapido wash out in fase portale, ipointensità dopo
wash out in fase portale tardiva. Alla RMN appare iperintenso in T2, scarsa
captazione del mdc epatospecifico

HCC poco differenziato All'US appare ipoecogeno, Alla TC/RMN trifasica scarso contrast enhancement. Non
capta mdc epatospecifico.

COLANGIOCARCINOMA
Il colangiocarcinoma è una neoplasia che origina dalle cellule di dotti e duttuli biliari
intraepatici o extraepatici.

Le vie biliari extraepatiche sono costituite da:


- Dotto epatico di destra, dotto epatico di sinistra e dotto epatico comune
- Dotto cistico
- Dotto coledoco (che chirurgicamente viene definito via biliare principale o CBD)
La convergenza biliare principale, cioè tra dotto epatico destro e sinistro, è in sede
extraepatica. All’interno delle vie epatiche settoriali e segmentali ci sono le vie biliari
di grande e piccolo calibro, cioè i duttili e questi sono la sede del colangiocarcinoma
intraepatico o periferico.

EPIDEMIOLOGIA

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 201 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Dal punto di vista epidemiologico l’intraepatico è più frequente dell’extraepatico, e
la frequenza generale è in aumento.
E’ il secondo tumore primitivo per incidenza nel fegato dopo l’epatocarcinoma
(10-25% delle neoplasie maligne epatiche).
L’incidenza negli USA è di 0.88 casi/100000 abitanti/anno, in Asia invece è di 113
casi/100000 abitanti/anno. L’Europa si colloca in una fascia intermedia tra questi
due estremi.
I maschi sono leggermente più soggetti delle femmine (1,5:1). E’ raro prima dei 40
anni, il picco di incidenza è a 70 anni.
Stando a dati raccolti nel 2004 il colangiocarcinoma non rientra tra i tumori più
frequenti nella popolazione generale, ma è tra i più aggressivi e mortali.

FATTORI DI RISCHIO
Possono essere:
- Generali:
- Età > 65,
- diabete,
- Obesità.
- Legati a malattie delle vie biliari:
- colangite sclerosante primitiva (CPS),
- litiasi intraepatica,
- dilatazioni cistiche delle vie biliari come cisti del coledoco, malattia di Caroli,
- cirrosi,
- anastomosi bilio-enterica.
- Infezioni (parassitarie come da opisthorchis viverrini, clonorchis sinensis, virali da
HBV, HCV, HIV) le infezioni parassitarie sono rilevanti soprattutto nei paesi
dell’estremo oriente, mentre da noi questa associazione è praticamente
inesistente.
- Sostanze tossiche e farmaci (Alcool, fumo, thorotrast, diossina, asbesto,
contraccettivi orali, isoniazide)
La maggior parte dei pazienti però non ha fattori di rischio identificati.

Da uno studio effettuato si è visto che in un pool di 2743 pazienti solo l’1% degli
affetti ha la CSP, il 3% presenta litiasi intraepatica, <1% ha malformazioni biliari e
l’8% ha la cirrosi su base virale.
Non c’è una vera popolazione a rischio e per questo non sono attuabili programmi di
screening, a differenza ad esempio dell’epatocarcinoma in cui è possibile una
diagnosi precoce.

ANATOMIA PATOLOGICA
Dal punto di vista macroscopico li possiamo distinguere in:
1) Mass forming, cioè un tumore che forma una massa intraepatica identificabile
che può essere confuso con il liver tumor

2) Periduttale, cioè un tumore che nasce nello spessore della parete duttale.
Determina una stenosi a livello della via biliare principale senza una massa
chiaramente visibile. La caratteristica di questo tumore è che infiltra lungo la parete
le vie biliari con una estensione prevalentemente longitudinale. Questo è importante

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 202 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
da un punto di vista chirurgico soprattutto per quanto riguarda gli interventi di
rimozione radicale del tumore. Proprio per questa sua tendenza ad infiltrare
longitudinalmente la via biliare non è possibile rimuovere solo il segmento
stenotico.

3) Intraduttale, che aggetta nel lume con componente spesso papillare e riversa
materiale neoplastico all’interno del lume. I dotti appaiono dilatati e riempiti di
materiale. È la forma più rara ma è anche quella che dà la prognosi migliore.

Macroscopicamente si presentano con aspetto bianco, lardaceo, duro, sclerotico.


Non sono tumori che si rompono. In questo si differenziano dall’epatocarcinoma
che è un tumore molle che tende a rompersi durante l’intervento. Inoltre sono
spesso multinodulari a causa della tardività della diagnosi.

Per quanto riguarda l’aspetto microscopico ci sono forme:


- colangiocellulari (adenocarcinoma)
- miste epatocolangiocellulari

Secondo alcune teorie attuali (“Multiple cells of origin in cc underlie biological,


epidemiological and clinical heterogeneity (WJ60)” Cardinale, Carpino, Reid) le
cellule staminali presenti nel parenchima epatico si possono differenziare sia in
epatociti sia in colangiociti e questo spiegherebbe come certi tipi di tumori del
fegato possano dare origine a cloni cellulari con entrambi i fenotipi.

CLINICA
Il colangiocarcinoma presenta due fenotipi clinici:
- Intraepatico: si presenta come una massa intraepatica, il cui aspetto radiologico è
identico a quello delle metastasi, es da carcinoma del colon. Per questo motivo in
molti lavori si parlava di metastasi da carcinoma primitivo non identificato e una
parte di questi sono sicuramente colangiocarcinomi. In epoca più recente sono state
identificate delle caratteristiche molecolari che sono molto ben definite e che
consentono di fare diagnosi differenziale.
- Extraepatico: può essere in sede ilare, in tal caso si evidenzia come un’assenza di
segnale a livello della convergenza dei dotti epatici di sinistra e di destra in una
risonanza magnetica, o distale. Esistono tumori del terzo medio della via biliare
principale che fanno parte dei colangiocarcinomi extraepatici.

Una ulteriore confusione deriva dai tumori del terzo medio che possono essere
confusi con i tumori della colecisti. Sono due malattie diverse con storie cliniche
diverse che richiedono approcci terapeutici diversi e che hanno prognosi diverse.
La sede più frequente è la sede ilare (2/3 dei colangiocarcinomi ).
- Per tumore ilare si intende una neoplasia che insorge dall’ epitelio della
convergenza biliare e crea un restringimento neoplastico del lume biliare.
- Per tumore perilare si intende invece un tumore anche di dimensioni minori che
infiltra la convergenza biliare.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 203 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Il quadro clinico è molto diverso a seconda del tipo di neoplasia. Se prendiamo un
colangiocarcinoma extraepatico che si manifesta con una stenosi dell’ilo o del terzo
medio il primo sintomo presentato dal paziente è l’ittero ostruttivo.
Per questo in un paziente che si presenta con ittero la prima cosa che va chiesta è se
avuto dolore perché in tal caso possiamo pensare a dei calcoli.
L’intraepatico essendo una massa periferica resta a lungo silente e nella maggior
parte dei casi viene diagnosticato come una massa di grandi dimensioni.

Altri sintomi sono:


- Prurito, manifestazione di colestasi. Può essere presente anche in assenza di ittero
(colestasi anitterica) quando il problema è intraepatico
- Calo ponderale
- Astenia e anoressia
- Anemia sideropenica
- Aumento CA 19-9 e CEA. Non si fa diagnosi con i marcatori. Il Ca 19-9 può
addirittura essere considerato come un indice di colestasi prima di essere un marker
neoplastico. Il CEA è molto più sensibile e attendibile.

DIAGNOSTICA PER IMMAGINI


- Ecografia. Questo tipo di esame consente di valutare se è presente dilatazione
delle vie biliari o se ci sono calcoli nella colecisti. Inoltre può evidenziare una
massa.
- TC e RMN sono indispensabili in quanto ci permettono di evidenziare la
topografia della via biliare, la presenza di una massa e i rapporti vascolari. La
risonanza consente di ricostruire la morfologia dell’albero biliare e di evidenziare
noduli periferici.
- La CPRE non va fatta per fare diagnosi perché è sufficiente la risonanza. È però
una metodica importante in quei pazienti che necessitano di un drenaggio.
Bisogna comunque ricordare che l’ittero in assenza di febbre non è un’urgenza,
per cui non va drenato immediatamente. Il drenaggio infatti è una manovra
invasiva che presenta diverse complicanze come sanguinamenti, infezioni o
pancreatiti e altera la morfologia delle vie biliari. La CPRE può essere utile anche
per fare diagnosi citologica o istologica.
- La PET è utile nella stadiazione per individuare metastasi a distanza.

TRATTAMENTO
Il trattamento può essere variabile, però è fondamentalmente chirurgico. Si va dal
trattamento chirurgico di resezione epatica o di duodenocefalopancreasectomia al
trapianto (in una popolazione estremamente selezionata) alla radioembolizzazione,
alla radioterapia e alla chemioterapia sistemica.
C’è uno studio che ha messo a confronto i risultati delle resezioni epatiche alle
diverse latitudini e si è visto che grosso modo i risultati si equivalgono: la
sopravvivenza a 5 anni è di circa il 30%.
Per l’intraduttale la sopravvivenza a 10 anni è del 60%, mentre per gli altri è molto
più bassa.

PROGNOSI

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 204 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
La prognosi del colangiocarcinoma non è cambiata sostanzialmente negli ultimi 10
anni, a differenza dell’epatocarcinoma in cui la sopravvivenza è passata dal 20 al
50-60% grazie alla possibilità di individuare le categorie a rischio e di fare diagnosi
precoce. Il problema risiede nel fatto che, oltre all’impossibilità di fare diagnosi
precoce, non sono disponibili terapie adiuvanti efficaci e che le recidive, quando
presenti, sono difficilmente trattabili.

TUMORE DI KLATSKIN
Il tumore di Klatskin un colangiosarcoma extraepatico che insorge nella giunzione
dei principali dotti epatici, destro o sinistro, che formano il dotto epatico comune.

EPIDEMIOLOGIA
La prevalenza non nota. I tumori di Klatskin insorgono a livello della biforcazione
dei dotti epatici, di solito tra la 5° e la 7° decade di vita, e sono leggermente più
frequenti nei maschi (rapporto maschio-femmina 1,3:1).


FATTORI DI RISCHIO
Nel 90% dei casi, i tumori di Klatskin sono sporadici, anche se sono stati associati
alla malattia alcuni fattori di rischio, compresa la colangite sclerosante primitiva, la
colangite sclerosante secondaria, i portatori cronici del tifo, le infezioni parassitarie (
Opisthochis viverrini e Clonorchis sinensis ), l'esposizione al thorotrast (un mezzo
di contrasto per i raggi X) e le cisti del coledoco, che causano in ammazione biliare
cronica.

CLINICA
I pazienti sono di solito asintomatici fintanto che la malattia non raggiunge uno
stadio avanzato. L’ittero è il sintomo principale. Alcuni pazienti sviluppano altri
segni, come il dolore addominale, la perdita di peso e il malessere.

Sono frequenti le metastasi nei linfonodi regionali. Il tumore può espandersi dai
nodi pericoledocici del legamento epatoduodenale fino all'area postero-superiore
intorno alla testa del pancreas, l'arteria epatica comune e la vena porta.

DIAGNOSI
La diagnosi si sospetta in base ai segni clinici e di laboratorio. L'antigene sierico
carboidratico (CA) 19-9 una glicoproteina, utilizzata come marker tumorale, è
aumentata nella maggior parte dei tumori di Klatskin. Inoltre è presente un aumento
dei livelli della fosfatasi alcalina, della bilirubina coniugata e della gamma-glutamil
transpeptidasi. Per effettuare la diagnosi sono necessari l'imaging addominale, la
visualizzazione dell'albero biliare e le biopsie della lesione.

L'aspirazione con ago sottile (FNA) guidata dall'endosonografia (EUS) dei linfonodi
ilari è lo strumento più utile per la diagnosi e la stadiazione dei tumori di Klatskin. Il
brush citologico e le biopsie percutanee non sono abbastanza sensibili per
permettere la diagnosi. L'ecografia e la TC spirale potenziata con mezzo di contrasto
possono essere utilizzate per valutare la disseminazione della malattia.
Le diagnosi differenziali dei tumori di Klatskin si pongono con la colangite
autoimmune e il linfoma non-Hodgkin biliare primitivo.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 205 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
ANATOMIA
In base alla sede di origine i tumori di Klatskin si classificano secondo Bismuth in:

- tipo 1 (al disotto della confluenza dei dotti
epatici), si esegue una resezione della via
biliare principale + colecistectomia +
linfadenectomia; la ricostruzione prevede una
epatico-digiunostomia su ansa alla Roux
- tipo 2 (raggiunge la confluenza ma non
coinvolge i dotti epatici), si aggiunge la
resezione del I segmento epatico, per la
ricostruzione si confeziona una bidutto-
digiunostomia su ansa alla Roux
- tipo 3 (coinvolge il dotto epatico comune e il
dotto epatico destro [3a] o sinistro [3b]), si
aggiunge al precedente una epatectomia
destra (nel tipo 3a) o sinistra (nel tipo 3b),
per la ricostruzione si utilizza una epatico (dx
o sx) -digiunostomia su ansa alla Roux
- tipo 4 (coinvolge la confluenza ed entrambi i
dotti epatici), non operabile

TRATTAMENTO
I principali obiettivi del trattamento sono la risoluzione del blocco della bile e la
resezione della malattia. Dato che i tumori di Klatskin sono tipicamente resistenti
alla chemioterapia e alla radioterapia, la resezione chirurgica del tumore l'unica
opzione curativa, anche se non sempre possibile nei pazienti che presentano
metastasi diffuse.


La resezione chirurgica consiste in una resezione epatica associata alla lobectomia


del caudato, con l'obiettivo di aumentare la possibilità di avere margini negativi della
resezione.
Il trattamento palliativo prevede il posizionamento di stent biliari metallici e di
plastica. I cateteri transepatici percutanei permettono di migliorare l'accesso alle
cure palliative nei tumori di Klatskin inoperabili.


I tumori di Klatskin non resecabili sono trattati con la radioterapia e/o la


chemioterapia. La gemcitabina combinata alla terapia con cisplatino considerata la
terapia standard per i tumori non resecabili delle vie biliari, compresi i tumori di
Klatskin.

Dato che i tumori di Klatskin vengono identificati spesso in uno stadio avanzato, la
prognosi abbastanza sfavorevole, con un tasso di sopravvivenza a cinque anni dopo
la chirurgia del 25-30% e dello 0% per i tumori non resecabili.

CARCINOMA DELLA COLECISTI


EPIDEMIOLOGIA

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 206 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
In Occidente il cancro della colecisti non è un tumore frequente, negli Stati Uniti
l’incidenza è di 1/100000 abitanti. In America Latina, nello specifico in Cile
l’incidenza è di 10 nuovi casi / 100000.
Dalla colecisti origina il dotto cistico che si congiunge al dotto epatico formando la
via biliare principale (coledoco). La porzione distale del coledoco prima di aprirsi nel
duodeno all’altezza dell’ampolla di Vater scava una doccia all’interno della testa del
pancreas dove si congiunge al dotto del Wirsung. Nella maggioranza dei soggetti i
due dotti si uniscono prima di gettarsi nel duodeno ma le varianti anatomiche sono
numerose.
La colecisti è vicina, quindi, sia al parenchima epatico essendo quasi interamente
rivestita dal peritoneo della faccia viscerale del fegato, sia al peduncolo epatico;
proprio questo stretto rapporto ha una grande importanza nella diffusione della
patologia.

FATTORI DI RISCHIO
- Calcolosi : i cui Fattori di Rischio sono le 5 F: Female, Fat, Forty, Fertile, Fair. La
presenza di calcoli è stata riportata tra il 70 e il 98% dei casi di carcinoma della
colecisti. Probabilmente i calcoli causano all'interno della colecisti una flogosi
cronica, su base traumatica, che determina a lungo andare la comparsa di
fenomeni di displasia. La displasia può a sua volta evolvere fino alla neoplasia. Il
rischio aumenterebbe quanto più frequenti sono gli episodi di colecistite.

Tuttavia questi dati non giustificano, al momento, la necessità di colecistectomia nei


pazienti con colelitiasi asintomatica, il rischio di sviluppare il cancro è infatti molto
basso: circa lo 0.5-2%. L’indicazione alla colecistectomia è per calcoli di dimensioni >3
cm, anche se asintomatici, in quanto un calcolo di grosse dimensioni predispone più
facilmente allo sviluppare un cancro rispetto a calcoli di dimensioni inferiori.

- Sesso Femminile, la maggiore incidenza può discendere semplicemente dalla


maggiore incidenza di calcolosi nel sesso femminile.
- Età avanzata (>70 anni)
- Obesità
- Etnia, il rischio è maggiore per: Indiani, Sud Americani, Pellerossa)
- Familiarità, in un pz con calcolosi anche se asintomatica la familiarità di I grado
diventa indicazione alla colecistectomia preventiva profilattica.

PRECANCEROSI
• Colecistite Cronica Calcifica (fino ad arrivare alla colecisti a “porcellana”) –
nella colecisti a porcellana si rileva un grossolano processo di calcificazione,

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 207 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
parziale o completo, delle pareti colecistiche richiede colecistectomia.
Intenso sbarramento acustico posteriore all'ecografia e difficoltosa
valutazione del contenuto luminale del viscere. Trattandosi di una
precancerosi viene spesso posta come indicazione alla colecistectomia anche
se asintomatica.
• Anomalie Congenite dei Dotti Biliari, Come le dilatazioni delle vie biliari,
classificate da Todani. Le più frequenti saranno:
o TIPO I – cisti del coledoco che richiede un trattamento chirurgico. Nel 50%
dei casi non succede nulla, però in una % importante si formano i calcoli,
perché si determina un rallentamento del transito della bile. In passato si
faceva un’anastomosi bilio-digestiva tra la cisti e l’intestino, ma si
aumentava il rischio di sviluppare colangiocarcinoma. Dobbiamo asportare la
cisti del coledoco e la colecisti e fare un’anastomosi epatico-digiunale su
un’ansa a Y (modalità ricostruttiva dell’apparato digerente in cui
defunzionalizziamo un’ansa intestinale per fare diversi tipi di derivazioni)
o TIPO V o Malattia di Caroli – resezione epatica se interessa solo parte di
fegato, se lo interessa tutto occorre il trapianto.
o TIPO IVa – alla cisti del coledoco si associa la Malattia di Caroli, almeno di
un emifegato

Queste anomalie dipendono dal fatto che esiste il long common channel, uno
sfintere comune >15 mm di lunghezza.

CLINICA
I sintomi sono spesso aspecifici e compaiono tardivamente. In un 10% dei casi la
diagnosi è solo occasionale, all’esame istologico definitivo della colecisti asportata
per i calcoli. Sono questi i casi che hanno la prognosi migliore. Il dolore è un dolore
continuo/subcontinuo, non colico.
Quando il tumore è avanzato compaiono astenia e anoressia. Nei casi in cui ci sia
l’infiltrazione della via biliare principale, si associa spesso la comparsa di ittero: in
circa il 60-70% dei casi con ittero non è più possibile eseguire l'asportazione del
tumore.

DIAGNOSI
• Ecografia, evidenzia irregolarità parete colecistica, infiltrazione del parenchima,
eventuali linfoadenomegalie.
• TC
• RMN (se presente ittero)

Grazie all' aumento delle colecistectomie in chirurgia laparoscopica, negli ultimi anni
si è vista un'inversione di tendenza, il cancro della colecisti oggi viene diagnosticato
molto più frequentemente negli stadi early rispetto al 1990 quando la diagnosi già in
stadio cancro avanzato era 5-6 volte più frequente della diagnosi preoce.
- Early Carcinoma – Neoplasia limitata alla mucosa (T1a) e alla muscolare (T1b)
- Advanced Carcinoma – Neoplasia estesa alla sottosierosa (T2) ed oltre (T3-T4)

CLASSIFICAZIONE
Kondo classifica il cancro avanzato della colecisti in due sottotipi in base al pattern
di diffusione :
1. Hepatic hilum type (tumore che ha infiltrato l'ilo epatico)
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 208 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
2. Hepatic bed type (tumore che penetra nel
fegato) chirurgicamente più facilmente
operabile.

Cancro accidentale della colecisti


E' un cancro non sospettato prima
dell'intervento, scoperto all'esame istologico
di una colecisti operata per presunta
patologia benigna.
L'avvento della laparoscopia ha aumentato il numero di colecistectomie per patologia
biliare benigna, facendo aumentare di conseguenza anche il numero di tumori della
colecisti riscontrati occasionalmente. Il 50% dei tumori della colecisti vengono
diagnosticati in maniera accidentale in seguito ad un intervento di colecistectomia. In
circa l'1% delle colecistectomie facciamo diagnosi di tumore della colecisti. (l'1% è il
risultato della media tra lo 0.4-0.5% dei paesi occidentali e il 2-3% dei paesi a
rischio). È chiaro che non potrà essere un pT3 avanzato, in genere sono un pT1-2 o
qualche pT3 molto precoce. A quel punto devo decidere che cosa fare, quando re-
intervenire.

- Se è un carcinoma in situ o un pT1a non devo re-intervenire, perché se la


colecistectomia è stata corretta, è sufficiente. Se invece la diagnosi è di pT1b o
pT2 devo re-intervenire e fare un’exeresi. Ancor prima è bene fare una TC per
capire se si tratta di una forma più avanzata, per cui l’intervento sarebbe inutile.
Nel pT3 è bene anche fare una laparoscopia preliminare per controllare che non ci
sia già una disseminazione.
- Se c’è un sospetto preoperatorio di carcinoma della colecisti non bisogna
intervenire in laparoscopia, perché può causare una disseminazione della malattia
in tutto il cavo peritoneale carcinosi peritoneale o metastasi parietali nei tramiti
dei trocar anche per tumori in stadio precoce, favorendone la diffusione.

Gli interventi che si possono eseguire in seconda battuta per fare un’exeresi
adeguata saranno:
- resezione epatica del parenchima limitrofo al letto della colecisti,
- linfoadenectomia, linfonodo del cistico, se non già presente nel pezzo della
colecistectomia, i linfonodi del peduncolo epatico, coledocici, quelli lungo l’arteria
epatica, i retroportali, i porto-cavali, retroduodenopancreatici superiori;
- qualora il tumore avesse già infiltrato il dotto cistico, andrà asportata anche la via
biliare .
- Asportazione dei siti dei trocar, perché rappresentano frequentemente una sede di
impianto neoplastico.

Pertanto prima di eseguire il reintervento occorre:


1. Rivedere la descrizione dell’intervento
2. Rivedere l’esame istologico dettagliato
3. Valutare il rischio e decidere per un reintervento
4. TC/RM preoperatoria

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 209 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
5. Laparoscopia di staging (nei pT3)
6. Reintervento (resezione IVb – V, linfadenectomia, escissione tramite trocars)

STADIAZIONE E PROGNOSI
TNM post-intervento Overall survival
- pTis: ca in situ - 1 anno: 79.8%
- pT1a: limitato alla mucosa - 3 anni: 59.2%
- pT1b: strato muscolare - 5 anni: 51.8%
- pT2: esteso al connettivo perimuscolare
- pT3: invade la sierosa ed oltre

Fattori che influenzano la sopravvivenza saranno:


- pT iniziale:
- pT1b ha una sopravvivenza del 100% → chirurghi cileni, sostengono che il
pT1b non vada operato, ma la cosa rimane dubbia, noi preferiamo re-
intervenire.
- pT2 ha una sopravvivenza a 5aa del 72,7%
- pT3 scarsa sopravvivenza
- Presenza di metastasi nei linfonodi asportati (pN)
- Presenza di residuo di malattia: quando vado a fare il secondo intervento sul pezzo
operatorio che asporto avrò una risposta anatomopatologica, che dirà se su quel
tessuto asportato c’erano o non c’erano ulteriori cellule neoplastiche. Nel caso
siano presenti, il paziente non sopravviverà; qualora non siano presenti ha invece
un’alta probabilità di sopravvivenza.
- Timing, intervento in urgenza vs intervento in elezione.

Il carcinoma papillare della colecisti rappresenta una forma particolare. Ha una


crescita prevalentemente endoluminale, vegetante all’interno della colecisti e gode di
una prognosi migliore degli altri, per cui merita un trattamento a parte. Tende a
crescere nel lume, senza infiltrare la muscolare, o a interessarla comunque solo
marginalmente.
Il carcinoma papillare della colecisti rappresenta il 5% dei cancri in occidente e il 10%
in oriente. Ha una crescita lenta con sviluppo endoluminale con una scarsa tendenza
infiltrativa, la minore incidenza di metastasi linfonodali, quindi ha un’alta
resecabilità e una migliore prognosi.

BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________
- Sbobinature Prof Barone aa 2014/2015 e aa 2015/2016
- Sbobinature Prof Giuliante aa 2014/2015 e aa 2015/2016
- Sbobinature Prof Clemente aa 2015/2016
- LEZIONI DI CHIRURGIA GENERALE A cura di Andrea Perna
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 210 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

CAPITOLO 15
__________________________________________________________
TUMORI DEL PANCREAS

ITTERO NEOPLASTICO
Nell’ambito degli itteri possiamo parlare di ittero ostruttivo e non ostruttivo e tra gli
itteri ostruttivi distinguiamo due categorie:
- Ittero non neoplastico, che nella stragrande maggioranza dei casi è conseguente a
litiasi biliare e si manifesta successivamente o contestualmente ad una colica
biliare.
- Ittero neoplastico, chiamato anche ittero nudo, poiché compare solitamente senza
sintomatologia dolorosa associata. E’ tipico di tutte le condizioni neoplastiche,
intrinseche od estrinseche, che occludono le vie biliari
- Ricordiamo anche l’ittero neoplastico non ostruttivo, tipico del paziente con
metastasi epatiche diffuse, che però è di tipo parenchimale, dovuto ad
insufficienza epatica.

CLASSIFICAZIONE MORFOLOGICA
In senso prossimo-distale le cause di ittero neoplastico sono:
- Tumori dell’ilo epatico (tumore di Klatskin), sono solitamente piccoli ed
interessano il dotto epatico comune o la confluenza biliare principale. L’ilo
epatico, che deriva dalla convergenza tra dotto epatico dx e dotto epatico sn, è una
struttura extraepatica e questi tumori rientrano pertanto nell’ambito delle
neoplasie delle vie biliari. I tumori delle vie biliari intraepatiche, invece, danno
origine al colangiocarcinoma intraepatico. Se tuttavia quest’ultimo è di
dimensioni cospicue ed infiltra l’ilo può manifestarsi come un Klatskin. Dal punto
di vista istologico i tumori dell’ilo epatico, della colecisti, della via biliare distale
sono tutti colangiocarcinomi (esistono tuttavia forme più rare, ad es. tumori
papillari).
- Tumori della colecisti che invadono la via biliare. I tumori della colecisti possono
interessare il corpo/fondo (in tal caso tendono ad infiltrare fegato o duodeno ed
hanno margini di resecabilità maggiori) oppure l’infundibolo o il cistico (questi
ultimi si sviluppano in direzione della via biliare ed hanno un outcome peggiore,
essendo resecabili solo sporadicamente.
- Linfonodi ilari metastatici, solitamente da altre neoplasie del tratto
gastrointestinale, che comprimono in maniera estrinseca la via biliare.
- Tumori della via biliare distale
- Tumori del pancreas, causa più frequente (50%)
- Tumori dell’ampolla di Vater, nell’ambito dei quali bisogna distinguere
colangiocarcinomi e carcinomi duttali del dotto pancreatico.
- Tumori del duodeno

Tutte queste condizioni hanno le stesse manifestazioni cliniche.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 211 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
MANIFESTAZIONI CLINICHE
Il sintomo principale è l’ittero nudo, indolore, ingravescente, con feci acoliche ed
urine ipercromiche. L’ittero può avere andamento diverso a seconda della sede
interessata (es. nell’ampulloma è ondulante, non ingravescente).
Tuttavia, se un paziente asintomatico facesse degli esami ematochimici, prima di
avere un rialzo della bilirubina potremmo notare un’alterazione degli indici di
colestasi (fosfatasi alcalina e gammaGT), la cosiddetta “colestasi anitterica”. Il
riscontro casuale di alterazioni della fosfatasi alcalina e delle gammaGT deve
imporre un supplemento d’indagine diagnostica (eco epatica e vie biliari).
Altri sintomi sono:
- Prurito (Attenzione! Talvolta è primo ed unico sintomo!)
- Dimagrimento
- Astenia
- Anoressia
- Dispepsia
- Colecisti palpabile (nel tumore del pancreas si chiama segno di Courvasier Terrier:
non palpo la massa, ma la colecisti distesa senza segni di colecistite)
- Epatomegalia
- Massa addominale

Il cancro del pancreas e dell’ampolla sono la causa più frequente di ittero


neoplastico. Il cancro dell’ampolla comporta un ittero dal carattere “ondulante”.
L’ampolla di Vater è la sede di sbocco del dotto pancreatico principale e del dotto
biliare. Il carattere ondulante è dovuto sia alla sede, sia alla fragilità della neoplasia
che può andare inizialmente in necrosi con ricanalizzazione al passaggio della bile,
successivamente rigenerarsi con nuova ostruzione. Non c’è ittero dovuto ad ostruzione ab
estrinseco del dotto biliare: la neoplasia nasce allo sbocco di quest’ultimo.
La diagnosi si avvale principalmente della duodenoscopia, che evidenza una tipica
formazione “a cavolfiore”.
Il tumore dell’ampolla può essere della porzione pancreatica, della porzione
duodenale, della porzione biliare. In questa regione abbiamo la mucosa duodenale,
la muscolare del duodeno, gli acini pancreatici, il dotto biliare, il dotto pancreatico, il
canale comune (porzione comune in cui il succo pancreatico e la bile si mescolano).

Essendo l’ampolla lo sbocco di due dotti, comporta la presenza di due epiteli diversi;
e quindi, la classificazione di neoplasie con diverso istotipo e diversa prognosi:
- Carcinoma periampullare biliare: prognosi migliore con sopravvivenza media di 18
mesi. Maggiore differenziazione, minor incidenza di neovascolarizzazione, minor
coinvolgimento linfonodale, margini di resezione negativi.
- Carcinoma periampullare pancreatico: maggiori dimensioni, margini di resezione
positivi, maggior coinvolgimento vascolare e nervoso, maggior coinvolgimento
linfonodale.

È molto importante quando facciamo un intervento di DCP, che è lo stesso per un


colangiocarcinoma distale e un tumore della testa del pancreas, distinguere dal
punto di vista anatomo-patologico i due tumori perché la prognosi cambia
sostanzialmente, ed è la stessa cosa di quello che succede nel tumore dell’ampolla.
Ci sono delle caratteristiche immuno-istochimiche dell’uno e dell’altro che

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 212 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
permettono di differenziarli. Il fattore prognostico principale anche nel tumore
ampollare sono i linfonodi.

TUMORI CISTICI DEL PANCREAS


Con le possibilità che oggi ci sono offerte dalle più moderne tecniche di imaging
(pensiamo alla TC e alla RM), sempre più frequentemente andiamo ad evidenziare
occasionalmente le cosiddette lesioni cistiche pancreatiche. Ciò accade nel 3% delle
TC, nel 20% delle RM, fino al 45% delle CPRM e nel 25% delle autopsie.

Va subito detto che non tutte le lesioni cistiche sono dei tumori, anzi la difficoltà è
proprio quella di distinguere le lesioni benigne da quelle maligne, caratterizzate
oltretutto da esiti prognostici di gran lunga differenti.

In ordine crescente di incidenza osserveremo:


- Cistoadenoma sieroso, mostra una predilezione per il sesso femminile, picco
d'incidenza nella settima decade di vita, rappresenta circa un terzo delle neoplasie
totali. Colpisce di più il corpo-coda del pancreas, è benigno e non è una pre-
cancerosi. Non vi è, ad oggi, indicazione alla resezione chirurgica perchè, in
quanto lesione benigna, tale neoplasia sarà sottoposta al solo follow-up, con una
prima RM a 6 mesi, poi ad 1 anno e poi ogni 2 anni. Tale adenoma non cancerizza
mai e che casi di sospetta cancerizzazione erano legati alla coesistenza, all'interno
della massa, di formazioni duttali maligne,

- Cistoadenoma mucinoso: viene ritenuto un "parente" dell'IPMN. Colpisce


prevalentemente il sesso femminile, con picco d'incidenza nella quinta decade,
rappresenta fra il 10-45% delle neolplasie cistiche pancreatiche. Occupa
maggiormente la testa del pancreas. Come l'IPMN tende ad andare incontro a
cancerizzazione, passando da una forma benigna ad una borderline fino ad una
forma francamente maligna; quando questo avviene, la prognosi, nonché il
comportamento terapeutico, sarà sovrapponibile a quello di un classico tumore
maligno del pancreas, che sappiamo essere caratterizzato spesso da esiti infausti.
Tende inevitabilmente a trasformarsi in un cistoadenocarcinoma. Il problema è fare
la diagnosi differenziale tra questi due istotipi e distinguerle da una pseudocisti
pancreatica da pregressa pancreatite. Il paziente va operato senza aspettare
l’evoluzione logicamente, la prognosi del cistoadenoma mucinoso è buona: se
asportato il paziente è guarito. Nella diagnosi differenziale tra cistoadenoma
mucinoso e cistoadenoma sieroso sono fondamentali esami come l’ecoendoscopia
ed eventualmente la CPRE (per vedere dalla papilla il muco che viene fuori).

- Pseudo cisti pancreatiche: non sono neoplastiche possono essere scambiate in fase
pre-operatoria con un cistoadenoma mucinoso.

- IPMN (Intraductal Papillary Mucinous Neoplasm): Tumore mucinoso papillare


intraduttale (IPMT o IPMN), caratterizzato da una dilatazione del Wirsung , è un
tumore papillare dei dotti pancreatici che produce muco. Producendo muco forma
tappi con ostacolo al passaggio di succo pancreatico. Può essere motivo di
sofferenza del pancreas con pancreatiti ricorrenti. In termini di evoluzione è
assimilabile al cistoadenoma mucinoso, ha potenzialità maligne. ‘’Tumore

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 213 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
caratterizzato dalla crescita intra-duttale di papille costituite da cellule epiteliali che
producono muco e che crescono nell’epitelio che riveste i dotti pancreatici e
progressivamente si estendono al sistema duttale’’. Rappresentano il 2% di tutte le
neoplasie pancreatiche. È più frequente nei maschi, è possibile fare DD con i tumori
cistici del pancreas. Istologicamente si passa dalla iperplasia all’adenoma alla
displasia borderline fino al carcinoma in situ o invasivo, che non si distingue per
nulla dall’adenocarcinoma della testa del pancreas. Esistono delle forme che
possono interessare i dotti periferici secondari (forma segmentaria o branch-type) e
forme che possono interessare i dotti principali (forma diffusa o main type). Il primo
tipo avrà una grossa capacità di cancerizzazione a differenza del secondo tipo, che
può dare delle formazioni per le quali ci si può limitare al follow-up. Nella forma
diffusa l’indicazione è assolutamente chirurgica, nella forma segmentaria
l’indicazione c’è in certe condizioni ma non in maniera assoluta. La
sintomatologia: è precoce. Per la formazioni di tappi di muco si realizzano
pancreatiti ricorrenti acute. I pazienti vengono spesso inquadrati come
pancreatitici cronici. Si ha un modesto incremento della lipasi e delle amilasi.
Nelle forme avanzate ci può essere una insufficienza pancreatica esocrina o
endocrina. Nonostante la sintomatologia sia precoce la diagnosi si fa
tardivamente. In caso di trasformazione carcinomatosa il quadro è identico a
quello di carcinosi duttale ( ittero, dolore). La cosa più importante da fare per fare
diagnosi è la colangioRM con stimolo secretinico: somministrando secretina in
corso di risonanza magnetica si aumenta la secrezione di succo pancreatico, il
sistema duttale si distende e diventa tutto meglio visibile. In questa maniera
abbiamo uno studio morfologico del pancreas, possiamo vedere se ci sono dilatazioni
del Wirsung, se ci sono dilatazioni periferiche, se all’interno di queste ci sono
formazioni papillari, non permette di vedere direttamente il muco o i calcoli
pancreatici veri e propri come in CPRE.

- Neoplasia solida pseudopapillare: Colpisce le donne, intorno alla quarta decade (in
realtà anche molto prima, fino alla seconda decade), è indolente, non
particolarmente aggressivo ed ha una progrosi eccellente quando viene
identificato per tempo; presenta una rappresentazione fra le neoplasie cistiche
pancreatiche inferiore al 10%, così come le tipologie sotto riportate.

- Neoplasia endocrina cistica: Qualche volta anche il tumore endocrino del pancreas
può avere un'architettura cistica.

- Adenocarcinoma duttale con degenerazione cistica: Neoplasia maligna con necrosi


centrale che simula il tumore cistico benigno.

- Cistadenocarcinoma a cellule acinari: La maggior parte delle forme di


adenocarcinoma del pancreas ha origine da cellule dei dotti pancreatici, mentre
questo tipo ha origine dalle cellule degli acini e ha una prognosi migliore rispetto
alle forme duttali.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 214 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
CLASSIFICAZIONI DELLE CISTI PANCREATICHE

MALIGNE BENIGNE

SIEROSE MUCINOSE VARIANTI CISTICHE DI CISTI LINFOEPITELIALE


NEOPLASIE SOLIDE *

CISTOADENOMA CISTOADENOMA ADENOCARCINOMA PSEUDOCISTI


SIEROSO MUCINOSO (IPMN) CISTICO DUTTALE INFIAMMATORIE

TUMORE SOLIDO TUMORE CISTICO CISTI POST-INFETTIVE


PSEUDOPAPILLARE NEUROENDOCRINO

ADENOCARCINOMA CISTI CONGENITE


CISTICO A CELLULE
ACINARI

* Cisti linfoepiteliale: (sotto l'epitelio vi è un consistente accumulo di cellule


epiteliali; è una formazione benigna, per cui non andrebbe operata, ma è d i ffi c i l e
avere una diagnosi preoperatoria di certezza, pertanto, nel dubbio, spesso queste
lesioni vengono asportate e identificate con sicurezza dall'anatomopatologo)

Il motivo per cui dobbiamo porci tutti questi problemi nel distiguere le forme
benigne dalle forme maligne o potenzialmente tali, è che la chirurgia del pancreas è
una chirurgia davvero seria con una mortalità operatoria del 2-5% (1 su 20 muore).
In Italia la mortalità complessiva oscilla fra il 2% dei centri più adeguati e il 18% di
quelli meno performanti.

Tra gli elementi anamnestici che possono guidare nella distinzione fra pseudocisti e
tumore cistico pancreatico vi è il fatto di aver avuto una pancreatite acuta, che
depone per una pseudocisti; di aiuto può essere la localizzazione: mentre le
pseudocisti possono localizzarsi dovunque, i cistadenomi sierosi tendono a privilegiare
il corpo e la coda, mentre gli IPMN privilegiano la testa del pancreas.
La valutazione del contenuto cistico può essere effettuata con l'ecoendoscopia che ci
permette di vedere da vicino una lesione da cui si può prelevare del liquido con un
ago ed esaminarlo.

Di notevole importanza sono alcuni segni di malignità delle lesioni cistiche:


- Diametro > 3 cm: Se il paziente è asintomatico, la lesione è piccola ( < 3 cm) o
sicuramente benigna (cisti da ritenzione, pseudocisti, cistoadenoma sieroso) è
giustificato un atteggiamento di attesa e follow-up;
- Componenti solide: La presenza di una componente solida in un soggetto giovane
rappresenta invece una chiara indicazione all’exeresi
- Pareti cistiche ispessite o irregolari;
- Segni di invasione;
- Centro ipodenso in una massa solida (necrosi centrale);
- Massa ipervascolarizzata (spesso con aumentata captazione del contrasto);
- Linfoadenopatie.

Nessuno di questi segni singolarmente è sicuramente patognomonico.


Nell’anziano, anche in caso di lesioni tipo IPMN, senza sicuri aspetti di malignità, si
può aspettare e ricontrollare la lesione a distanza.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 215 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Fra gli elementi che invece non fanno pensare ad un tumore cistico vi sono le
calcificazioni, che sono tipiche della pancreatite cronica, che può dare delle pseudocisti
infiammatorie circondate da calcificazioni.

Il cistadenoma sieroso, ha un tipico aspetto in vivo "a nido d'ape", a cellette, ripiene
di liquido, a volte attorno ad una cicatrice centrale (la RM spesso fa vedere molto
chiaramente questo aspetto), mentre alla TC lo vedremo ipodenso (contiene del
liquido); eseguendo una CPRM, potremmo identificare una formazione di
cistadenoma sieroso localizzato lungo il decorso del Wirsung: tipico è il fatto che la
componente duttale a monte non risulta essere dilatata; al contrario, nel caso in cui
vedessimo un Wirsung interrotto e il tratto a monte particolarmente dilatato,
potremmo pensare che sia una formazione maligna.

DIAGNOSI
Gli esami utili da effettuare per fare una corretta diagnosi differenziale saranno:
- Ecografia
- TC
- RM
- CPRM
- Ecoendoscopia (approfondimento di II livello)

Gli esami più affidabili (non solo per i tumori cistici) sono: la RMN con stimolo
secretinico e l’econdoscopia.

La CPRE può essere indicata ad esempio quando il paziente ha una pancreatite acuta
e c’è una dilatazione del Wirsung, con la sua possibilità curativa è in grado di
sbloccare la situazione, si possono mettere degli stent per detendere le via biliari, si
possono mettere dei sondini naso-pancreatici per detendere il sistema duttale
pancreatico, è possibile favorire così la fuoriuscita di muco.

L’ecoendoscopia permette l’aspirazione del liquido interno della cisti ed effettuare


un’analisi qualitativa che può differenziare il sieroso dal mucinoso ed inoltre
permette il dosaggio del CEA, oltre ad un’ottima risoluzione dell’interno cistico,
comprese le eventuali formazioni solide della parete che la differenziano da una
pseudocisti. L’ecoendoscopia ci permette di studiare da vicino i dotti pancreatici
dilatati, ci può dire se sono presenti gettoni parietali, ispessimenti delle pareti, può
fare delle biopsie dei gettoni, può fare una aspirazione del liquido intracistico,
dosare in questo il CEA e fare un esame citologico: tutti elementi che possono
indirizzare una diagnosi di IPMT.
L'insieme di queste informazioni può aiutare ad orientarci nei casi dubbi (che sono
molto frequenti).

Si ricordi che i cistoadenomi sierosi e le pseudocisti hanno viscosità uguale al siero


i cistoadenomi mucinosi anche fino a 30 volte quella del siero..

Dosaggio delle amilasi: è alto nelle pseudocisti, dove prevale l'isoforma P2; è
variabile nei tumori cistici sierosi, dove in genere è assente o basso; è alto invece nei
tumori mucinosi, dove prevale l'isoenzima P1 misto alle amilasi salivari.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 216 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

Markers tumorali:
- CEA in genere basso o assente nelle cisti sierose e nelle pseudocisti, in genere alto
nei cistadenomi mucinosi (>200 ng/mL, ma con molti falsi positivi; il CEA può
essere elevatissimo anche in forme francamente benigne)
- Ca 19-9 non affidabile
- Altri markers promettenti in corso di studio: Ca 72-4, Ca 15-3 ed MCA (mucin-
like carcinoma-associated antigen): specifico dei mucinosi

Esame citologico, evidenzia cellule infiammatorie, come gli istiociti, nelle


pseudocisti, nei cistoadenomi sierosi troveremo cellule cuboidali ricche di glicogeno,
nei cistadenomi mucinosi troveremo cellule epiteliali con mucina.

Al 95%:
- L’assenza di amilasi esclude la pseudocisti
- Il CEA alto esclude il cistoadenoma sieroso
- Alti valori di MCA indicano un tumore mucinoso
- L’evidenza di cellule epiteliali e mucina indica un cistoadenoma/carcinoma
mucinoso

Nelle forme diffuse la DD è posta principalmente con la pancreatite cronica: atrofia,


calcificazioni, dilatazione dei dotti sono aspetti condivisi, però non c’è il muco, nei
pancreatitici cronici spesso c’è abuso di alcol. Le forme segmentarie vanno invece
distinte dalle neoplasie cistiche: possono raggiungere delle dimensioni che possono far
pensare a un cistoadenoma mucinoso.

IPMT
Per quanto riguarda le IPMT, distinguiamo:
- Forme centrali in cui i papillomi interessano il dotto pancreatico principale
- Forme periferiche in cui sono interessate le diramazioni periferiche del dotto, più
spesso nel corpo del pancreas).
Colpiscono maggiormente i maschi. E’ importante differenziarle dalle forme cistiche.
E’ presente una dilatazione del Wirsung con papillomi intraduttali a cellule
colonnari a partenza dall’epitelio e secernenti muco. La produzione di muco provoca
tappi che bloccano il dotto, comportando pancreatiti acute ricorrenti in assenza di
calcolosi della colecisti. Ha un’evoluzione maligna verso il cistoadenocarcinoma come
il cistoadenoma mucinoso.
A differenza di quest’ultimo (che è un’unica formazione papillare), le IPMT
comportano lesioni multiple e diffuse. Esiste la stessa lesione anche per le vie biliari
(tumori papillari mucosecernenti delle vie biliari) anche se più rara.

Esiste una classificazione istologica che esprime l’evolutività della lesione. Il Grading
è possibile grazie a biopsie in corso di ecoendoscopia attraverso l’analisi del liquido.
Le forme diffuse colpiscono tutto il pancreas e l’indicazione chirurgica è di
asportazione completa della ghiandola. Nelle forme segmentarie viene eseguita una
resezione parziale della ghiandola.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 217 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
La produzione di muco è propria delle papille, indipendentemente dalla benignità o
malignità della lesione e comporta pancreatiti ricorrenti, in genere lievi, con
modesto aumento delle amilasi e delle lipasi. La sintomatologia è precoce e così
permette la diagnosi altrettanto precoce, previa conoscenza della malattia. Per
questo in genere la diagnosi è tardiva.

Quando l’IPMT diventa francamente neoplastica ha la stessa storia naturale


dell’adenocarcinoma duttale.
La guarigione è possibile solo con l’asportazione della lesione in fase precancerosa.
La presenza di muco può essere visualizzata attraverso l’ecoendoscopia o tramite
CPRE laddove sia coinvolto il dotto pancreatico principale.

La diagnosi differenziale delle IPMT diffuse va fatta con la pancreatite cronica.


La diagnosi differenziale delle IPMT segmentarie va fatta, invece, con le neoplasie
cistiche mucinose, con l’adenocarcinoma (quando la forma papillare diventa solida), e
con le pseudocisti.

Il trattamento può essere palliativo( drenaggio endoscopico), o curativo: resezioni


limitate nelle forme limitate e pancreasectomia totale nelle forme diffuse. Queste
ultime sono forme più gravi, ad elevato rischio di cancerizzazione che portano
all’intervento di pancresectomia totale con le problematiche precedentemente
discusse.

Non tutte le IPMT vanno operate:


- per le IPMN periferiche <3cm è giustificato fare un follow up con la colangioRM
alla ricerca di incremento di dimensioni, alla comparsa di gettoni intracistici,
all’aumento del CEA che giustifichino, per l’aumentato rischio di cancerizzazione,
l’intervento che ha comunque delle implicazioni importanti;
- quando la neoplasia coinvolge i dotti principali oppure i periferici ma superiori ai
3 cm o con presenza di nodi parietali (noduli all’interno della cavità cistica) e
nelle forme sintomatiche con dolore continuo è indicato l’intervento chirurgico.

Con la sfinterotomia endoscopica si permette il drenaggio del muco con effetto


palliativo sulla ricorrenza della pancreatite.

L’approccio curativo consiste nella resezione parziale delle segmentarie e nella


resezione totale della ghiandola nelle forme diffuse.

In sede operatoria è importante effettuare l’esame istologico estemporaneo per


definire il Grading della displasia e stabilire così i margini di resezione, evitando il
più possibile che il paziente abbia un diabete post resezione che, come è noto, è di
difficile gestione.

La prognosi dipende dal fatto che all’IPMT si associ o meno l’adenocarcinoma e sia
presente un adenocarcinoma in situ o invasivo che supera il dotto pancreatico. Se si
opera su un’ IPMT con un basso grado di displasia, l’intervento è curativo. Se invece la
displasia ha raggiunto già le caratteristiche del carcinoma in situ, la prognosi è quella
dell’adenocarcinoma del pancreas.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 218 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

TUMORE DEL PANCREAS


Il tumore del pancreas è un tumore abbastanza aggressivo. Ha infatti un rapporto tra
incidenza e mortalità molto basso, nonostante gli sforzi. E’ importante non ritardare
la diagnosi. Quando si parla di cancro del pancreas, si intende che il paziente ha un
carcinoma duttale del pancreas.

EPIDEMIOLOGIA
E’ al 10° posto per incidenza nell’uomo (nella donna non è tra i primi 10), mentre
per la mortalità il cancro del pancreas è al 4° posto, sia negli uomini che nelle donne,
dopo il tumore al polmone, al colon retto e mammella nella donna e prostata
nell’uomo. Non c’è molta differenza nei morti per anno tra maschi e femmine.
Ogni anno negli USA ci sono 34.000 morti per il tumore del pancreas e dal momento
in cui si fa la diagnosi sono vivi a 5 anni circa 1-4% dei pazienti.

Nei pazienti in cui si fa diagnosi, solitamente solo il 9% può essere operato.
In pazienti non operabili la sopravvivenza dalla diagnosi è di circa 9 mesi. Anche tra i
pazienti che possono essere operati la prognosi è comunque infausta: la sopravvivenza
è doppia (circa 18 mesi) ma comunque a 5 anni la sopravvivenza è del 15-20%.

Per quanto riguarda l’incidenza, c’è un leggero aumento dell’incidenza negli USA, in
Giappone, in Italia dal 1930 ad oggi, ma non ci sono state delle variazioni importanti
dell’epidemiologia.

Il tumore del pancreas insorge solitamente tra i 65 e gli 80 anni, è quasi impossibile
vedere un paziente giovane con un tumore al pancreas, anche se può succedere.
Il rapporto M/F è leggermente in favore dei maschi.

FATTORI DI RISCHIO
- Fumo di sigaretta
- Familiarità per tumore del pancreas: un parente di 1° grado di un soggetto che ha
avuto un cancro del pancreas ha una probabilità 5-10 volte maggiore rispetto alla
popolazione normale di avere la stessa neoplasia e deve pertanto essere
sottoposto a stretta sorveglianza.
- Sesso maschile
- Diabete mellito
- Obesità
- Dieta: carne, grassi, basso consumo di frutta e verdura. Non si conosce la
correlazione con alcol e caffè
- Pancreatite cronica (++ pancreatite cronica calcifica) è un fattore di rischio
indiscusso (la frequenza del cancro del pancreas nei pancreatitici cronici è più
elevata rispetto alla popolazione normale).
- Esposizione professionale a nichel/idrocarburi
- Ormoni: l’aumento della concentrazione della CKK, sembra indurre un’iperplasia
acinare ed aumenta il numero dei carcinomi. Fattori che aumentano la CKK sono
gli inibitori della tripsina e le derivazioni biliari. La gastrina potrebbe svolgere lo
stesso ruolo.
- Biologia molecolare, alterazioni del K-Ras e di p53, espressione di recettori per
fattori di crescita come EGF e TGF ed altre sostanze bioattive come endotelina 1,
recettori per l’integrina 1 e molecole di adesione CD44.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 219 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

PRECANCEROSI
Precursori neoplastici del tumore al pancreas sono le PanIN (neoplasie pancreatiche
intraepiteliali) che corrispondono a dei carcinomi in situ, come i polipi per il colon,
che si ritrovano spesso nei pancreas resecati per cancro del pancreas.
Il problema è che al momento non esistono esami diagnostici validi in grado di
diagnosticare queste lesioni precocemente.

Da un punto di vista istologico/citologico le lesioni preneoplastiche possono essere


classificate in classificate in
- PanIN 1,
- PanIN 2 ,
- PanIN 3.

Sono < 5 mm, invisibili all’imaging e pertanto non diagnosticabili. Hanno però
notevole importanza nell’ambito della ricerca: si mira a trovare markers molecolari,
al cui aumento corrisponda con sicurezza la presenza di una di queste forme iniziali
di malattia, la cui asportazione eviterebbe la comparsa di un carcinoma intraduttale
invasivo.
Maggior rilevanza clinica hanno invece le cosiddette IPMT (o IPMN), neoplasie
papillari mucose intraduttali, e le neoplasie cistiche mucinose.

LOCALIZZAZIONE
- Testa 60-65%: è una zona anatomicamente delicata e complessa, per i rapporti che
contrae con il duodeno, con la via biliare (che passa all’interno della sua porzione
distale) e le strutture vascolari: vena mesenterica, che sbocca nel tronco portale (e
che solitamente è interessata per prima dalla malattia) ed arteria mesenterica
superiore, situata subito a sinistra). Questo crea una serie di problemi
ricostruttivi in corso di duodenocefalopancreasectomia.
- Corpo-coda 15-20% (corpo 10%, coda 5%): I carcinomi del corpo-coda, invece,
raggiungono dimensioni maggiori prima di essere diagnosticati, poiché
l’ostruzione biliare sarà estremamente tardiva, a meno che il tumore non nasca in
prossimità della via biliare. 2/3 dei pazienti al momento della diagnosi hanno un
tumore del pancreas avanzato.
- Processo uncinato, va dietro i vasi, la diagnosi sarà tardiva.
- Coinvolgimento diffuso: 15%

ANATOMIA PATOLOGICA
Macroscopicamente possiamo distinguere tumori
- Tumori solidi: sempre maligni, più invasivi
- Tumori cistici: benigni, border-line,maligni

Tra i tumori solidi i più frequenti saranno:


- Adenocarcinoma duttale, (70-90% dei casi), la localizzazione principale è a livello
della testa del pancreas (60%).
- Adenocarcinoma acinare
- Tumori a cellule endocrine
- Adenocarcinoma mucinoso
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 220 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
- Carcinoma con cellule ad anello con castone
- Carcinoma anaplastico
- Carcinoma oncocitico
- Carcinoma a cellule giganti.

Tra i tumori non epiteliali possiamo trovare: linfomi, liposarcomi e leiomiosarcomi.


Le metastasi sono 4 volte più presenti dei tumori primitivi e sono dovute a
disseminazione per via ematogena o per contiguità dal plesso celiaco da partedi ca.
polmonare, ca. della mammella, melanoma e LH.

STORIA NATURALE
Il tumore dissemina principalmente per contiguità agli organi e alle strutture
adiacenti. Saranno interessati: duodeno, VBP, stomaco, peduncolo epatico, colon,
mesentere, vena splenica, vena porta, vasi retropancreatici, plesso celiaco.
Dissemina per via linfatica ai:
- Linfonodi di I livello: pre-, sotto- retropancreatici, dell’arteria e dell’ilo splenico
- Linfonodi di II livello, mesenterici, mesocolici, dell’arteria e dell’ilo epatico
- Linfonodi di III livello, celiaci, interaortocavali, pararenali.
Può diffondere per via ematogena al polmone, al fegato e allo scheletro.

QUADRO CLINICO
Il pz può presentarsi con ittero ingravescente dal subittero all’ ittero nudo (senza
dolore). Non bisogna aspettare l’ittero per fare diagnosi perché quando compare non
è sempre una fase iniziale del cancro: l’epoca di comparsa dell’ittero dipende dalla
distanza del tumore dal coledoco (più è vicino, più sarà precoce l’ittero), quindi è
segno principalmente di tumore della testa del pancreas.
- Nei tumori della testa l’ ittero è precoce, anche per un tumore di piccole
dimensioni.
- Nei tumori del corpo-coda l’ittero è tardivo e indica una neoplasia già avanzata.
Una neoplasia che origina dal corpo può, aumentando di dimensioni, interessare
le vie biliari: prima di dare l’ittero darà altri sintomi quali dimagramento, astenia,
anoressia e dolore. Questo è un sintomo estremamente importante: è l’evidenza
clinica di una infiltrazione dei plessi nervosi retro- pancreatici. La neoplasia
quindi ha già superato l’organo a livello posteriore ed è inoperabile. Un paziente
che si presenta con subittero e dolore alla schiena è già clinicamente considerato
con prognosi negativa

- Feci acoliche , urine color marsala (segno più precoce dell’ittero), prurito, ipotensione,
bradicardia per l’aumento dei sali biliari in circolo.

- Dispepsia, disturbi digestivi aspecifici, il paziente sente di non stare bene dopo
mangiato (è il vero sintomo iniziale, spesso inizia alcuni mesi prima)
- Dolore: sordo, continuo, profondo, in sede epimesogastrica con andamento a
barra, irradiato al dorso. Esacerbato da posizione supina. Alleviato da posizione
eretta o accovacciata. E’ più precoce nei tumori del corpo-coda del pancreas, viene
indicato principalmente come un dolore artrosico. Il paziente avverte un dolore
posteriore, riferito alla regione lombare, come un mal di schiena, che viene
esacerbato dalla posizione distesa inizialmente. In seguito, per infiltrazione del

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 221 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
plesso celiaco, diventa un dolore fisso, continuo, che non cambia con la posizione
(in questo caso il paziente non potrà essere operato). Quando compare in decubito
supino è dovuto alla compressione del plesso celiaco per distensione della capsula da
parte del tumore. Quando è sempre presente, esacerbato da decubito supino è per
l’infiltrazione del plesso celiaco. Contribuiscono a interessamento del plesso
celiaco pancreatite, infiltrazione pleurica, infiltrazione splenica,
linfoadenomegalie

- Sintomi generici: anoressia, astenia e dimagrimento. L’anoressia è molto


importante e caratteristica. È legata non solo all’insufficienza pancreatica esocrina,
ma anche all’ostruzione del dotto pancreatico: il paziente non digerisce ed assorbe
meno i nutrimenti.

- Sintomi specifici di insufficienza pancreatica esocrina (malassorbimento) ed


endocrina (diabete). Nei diabetici c’è un leggero aumento di incidenza di cancro
del pancreas, ma non è sostanziale. La comparsa di diabete porta al sospetto di
neoplasia del pancreas se si ha in pazienti che non hanno familiarità o in pazienti
già diabetici che hanno un rapido peggioramento non altrimenti giustificato
(improvviso bisogno di terapia insulinica ad esempio). 

Altro sintomo importante è una tromboflebite migrante agli arti inferiori,
manifestazione paraneoplastica tipica e frequente di carcinoma pancreatico.
- Iperglicemia
- Ipercalcemia o come sindrome paraneoplastica o per la presenza di metastasi
ossee.

- Anemia: non è molto frequente, si riscontra soprattutto nelle situazioni più


avanzate, soprattutto se il tumore del corpo infiltra lo stomaco o altre stazioni del
tubo digerente.

- Sindromi paraneoplastiche:, panniculite (rilascio di lipasi nei tessuti molli


peripancreatici), tromboflebiti migranti e recidivanti. artrite, eosinofilia,
dermatomiosite, polimiosite, Cushing.

DIAGNOSI
Dopo un’accurata anamnesi volta ad indagare l’insorgenza della sintomatologia ed
ad escludere i fattori di rischio si procede con l’lesame obiettivo.

L’E.O. evidenzia una colecisti palpabile, con positività del segno di Courvoisier Terrier
(ittero + colecisti palpabile). Questo è un segno patognomonico di ostruzione
neoplastica della via biliare distale, a valle dell’impianto del cistico. La colecisti in tal
caso è distesa, si riempie di bile, comunica con l’albero biliare ma c’è un’ostruzione
a livello del coledoco che non permette la fuoriuscita della bile a livello intestinale.
E’ importante andare a differenziare il segno di Courvoisier Terrier dall’idrope della
colecisti: questa è una complicanza della calcolosi, che si verifica quando un calcolo
si incunea nel dotto cistico ed esclude la colecisti dalla vie biliare principale. In tal
caso la secrezione mucosa della colecisti continua, la colecisti diventa più grande e
palpabile e presenta all’interno del liquido chiaro e filante. Questa condizione non si
accompagna ad ittero o, se è dovuta alla presenza di un calcolo a livello della via

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 222 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
biliare principale, che poi si incunea nel dotto cistico ed è preceduta da una colica
(mentre la neoplasia alla testa del pancreas va a determinare un ittero nudo, senza
dolore).
Esiste anche l’empiema della colecisti, che è una raccolta di pus nella colecisti,
spesso complicanza dell’idrope.

E’ possibile evidenziare la presenza di ascite con epatomegalia. Alla palpazione


spesso è presente una massa addominale.

Può essere presente una colangite, da sospettare in presenza della Triade di Charcot:
ittero, dolore, febbre o di Pentade di Reynolds: triade di Charcot + confusione
mentale e shock

Esami di laboratorio
- Aumento degli indici di colestasi
- Bilirubina tot e indiretta, gammaGT, PA
- Transaminasi: possono essere secondariamente mosse ma non a livelli elevati
- Altro: anemia, iperglicemia, ipercalcemia
- Marcatori: Aumenti di CEA e Ca19.9 devono far sospettare qualcosa, ma non
sono molto affidabili. Un aumento lo si può ritrovare anche in caso di colestasi
senza che vi sia un cancro (soprattutto il Ca19.9 5è più aspecifico e può essere
considerato quasi un indice di colestasi).

Diagnostica strumentale
Ecografia
Molto dipendente dal soma del paziente: bastano o uno spessore maggiore dell’adipe
o del meteorismo a rendere non valutabili la testa od il corpo del pancreas. Dato
molto utile nella diagnosi differenziale tra ittero neoplastico e non neoplastico è la
presenza di calcoli.
L’ecografia non è l’esame ideale per studiare il pancreas che è un organo retro
peritoneale. Più raramente vede una massa pancreatica, in più può vedere delle
metastasi epatiche o se vi è un versamento ascitico anche se questi sono stadi più
avanzati.
I reperti tipici di una neoplasia pancreatica saranno:
- Dilatazione delle vie biliari intra epatiche.
- Dilatazione delle vie biliari extra epatiche fino al tratto sovra pancreatico.
- Distensione della colecisti: si distende solo se sana (cioè senza precedenti di
colecistiti altrimenti sarebbe di consistenza più dura).
- In condizioni favorevoli del paziente: massa pancreatica.
- Nelle forme molto avanzate: presenza di liquido intra - addominale che fa pensare
ad una ascite o a metastasi epatiche.
- Col doppler possiamo valutare l’interessamento vascolare.

TC
Risulta necessaria per la stadiazione. Permette di valutare sede, dimensioni,
interessamento dei vasi. Fornisce gli stessi reperti dell’ecografia ma in una visione
topografica definendo i rapporti della massa soprattutto con il tronco mesenterico-
portale e col duodeno. Permette di studiare bene il pancreas e la massa dal punto di

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 223 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
vista morfologico, mette in relazione la massa con le strutture circostanti (in
particolare i vasi perché se c’è infiltrazione vascolare c’è sicuramente un tumore più
avanzato) fa vedere eventuali dilatazioni. Riusciamo a capire la consistenza della
massa (solida, liquida) e l’enhancement. Una massa ipervascolarizzata a livello del
corpo -coda, di piccole dimensioni è molto probabilmente un tumore
neuroendocrino.

RM
In alternativa alla CPRE. Fornisce tutti i reperti dell’ecografia e della TC, ma in più
da due elementi fondamentali: se e quanto le vie biliari sono dilatate; se e quanto il
dotto pancreatico è dilatato mediante una colangiografia ed una wirsung-grafia.
Ci da le informazioni in più tramite la colangioRM con cui otteniamo un’accurata
visione delle vie biliari con un esame non invasivo. In passato questo poteva essere
fatto solo con la CPRE con tutte le conseguenze e rischi che questo esame
comportava (mezzo di contrasto nelle vie biliari, sfinterotomia, rischio infezioni…).

CPRE
Non deve essere fatta a scopo diagnostico, perché è invasivo e ha molte complicanze
soprattutto di tipo infettivo: provoca una contaminazione della via biliare poiché la
sfinterotomia mette in comunicazione l’intestino con le vie biliari contaminando
queste ultime. La colangite in un paziente che deve essere operato diventa un
problema importante, perché complica il postoperatorio e il paziente può morire per
queste infezioni. Quindi bisogna valutare il rapporto rischio-beneficio.
Però ha dei vantaggi: fa vedere meglio l’infiltrazione duodenale e la presenza di
eventuali stenosi. Può essere utile per dilatazione duttale in assenza di massa
dimostrabile.
La CPRE comunque è ancora una metodica utilizzata perché permette di fare delle
biopsie o brushing (che hanno minore sensibilità) e poi ha una funzione terapeutica
mediante l’uso di stent che permetteno di superare l’ostruzione e liberare il transito
di bile. Si possono dosare in sede: CEA, AFP, antigene oncofetale pancreatico.

Prima della grande diffusione delle RM, è stato definito alla CPRE il segno “del doppio
dotto” (doppia stenosi, sia a livello della via biliare che del Wirsung, che appaiono
quindi molto dilatati) quasi patognomonico di tumore della testa del pancreas.

La CPRE va fatta quando il paziente deve essere drenato.


L’ittero non deve essere considerato di per sé un’emergenza. Diventa emergenza
solo se è colangitico: il paziente è itterico, ha febbre e 15 di bilirubina per cui
bisogna drenarlo con la CPRE. Se il paziente è itterico ed ha una prospettiva
chirurgica, non va opacizzato assolutamente perché poi vi è una importante possibilità
di complicanze.

Eco-endoscopia
Valutazione preoperatoria di neoplasie di piccole dimensioni per valutarne
l'estensione locale e la presenza di piccole linfoadenomegalie.
L'ecoendoscopia da informazioni molto accurate sulla massa e sul rapporto coi vasi.
Consente anche di fare delle biopsie della massa senza opacizzare. Soprattutto sul
versante oncologico e nei pazienti che non sono indirizzabili alla chirurgia è

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 224 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
necessario un riscontro istologico perché altrimenti nessun oncologo inizia la
terapia. L’eco-endoscopia è un’alternativa alla CPRE.
A volte si fanno biopsie dei linfonodi o non della massa, soprattutto quando questa è
più lontana (corpo o coda) e quindi più difficile da raggiungere con la sonda.

Biopsia
Riscontro istologico necessario soprattutto per pz non chirurgici per poter
indirizzare la terapia medica. Si fa tramite ecoendoscopia o CPRE o laparoscopia.

L’iter ideale quindi potrebbe essere:


- ecografia,
- RM
- Eco-endoscopia/CPRE.

Per effettuare un adeguato quadro diagnostico l’eco endoscopia non basta, ma è


necessario effettuare TC e RM. La RM valuta la potenziale resecabilità.
La scelta dell’esame dipende molto dalla prognosi del paziente e dal tipo di
trattamento scelto.
Il paziente che non è candidato alla chirurgia (perché molto anziano o con neoplasia
troppo avanzata) può effettuare la CPRE per eliminare la sintomatologia, ma un
paziente candidato alla chirurgia è preferibile operarlo itterico piuttosto che drenato
colangitico, pertanto in questi casi è preferibile fare nel preoperatorio una
ecoendoscopia.

Bisogna sottolineare che dopo aver definito l’operabilità mediante le tecniche di


imaging , vi è sempre un 15-20% di pazienti che una volta portati al tavolo
operatorio ed aperti, risulta poi non operabile a causa di carcinosi peritoneale,
metastasi epatiche, linfonodi sospetti. Per cui l’intervento si ferma alla laparoscopia,
che consente il prelievo bioptico, il lavaggio peritoneale, l’esame citologico ed
istologico. Si può inoltre integrare con la eco laparoscopia che ci fa vedere lo
spessore del fegato e le varie metastasi.

La PET e la valutazione funzionale non sono ancora entrate ufficialmente nelle linee
guida.

Laparoscopia
E’ un esame molto prezioso e sempre più usato. Ci permette di vedere cose che gli
altri esami non vedono, ad esempio la carcinosi peritoneale. TC e PET vedono
lesioni nel peritoneo solo quando sono di grosse dimensioni. Almeno nel 10-15%
dei casi le metastasi peritoneali o epatiche vengono scoperte al tavolo operatorio. Per
evitare questo, nei pazienti potenzialmente resecabili, la laparoscopia è
fondamentale perché nel cancro del pancreas c’è una percentuale elevata di pazienti
con metastasi peritoneali. Questo esame ci consente di ridurre i margini di
resezione, di completare l’inquadramento diagnostico, di effettuare un prelievo
bioptico tramite trocar e di effettuare un lavaggio peritoneale per citologia perché
per esempio il sospetto di tumore del pancreas può comparire in un paziente con
ascite, nel quale poi la probabilità di metastasi peritoneale è altissima. Infine,

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 225 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
sempre tramite laparoscopia, si può aggiungere un’ecografia epatica con elevata
risoluzione.

STADIAZIONE

La stadiazione viene effettuata secondo la classificazione TNM.

TRATTAMENTO
IL Gold standard è LA chirurgia seguita da radiochemioterapia.

Terapia chirurgica
I criteri di non resecabilità saranno:
- Presenza di metastasi a distanza
- Presenza di metastasi in linofnodi distanti dal campo operatorio
- Infiltrazione dei visceri extraepatici ad eccezione di duodeno e VBP
- infiltrazione dei vasi mesenterici superiori, del tripode celiaco, aorta
- infiltrazione della vena porta, con trombosi portale o della VCI
- infiltrazione dei plessi venosi retropancreatici

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 226 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

NOTA ANATOMICA
Il pancreas è posto profondamente nella cavità addominale, dinanzi al tratto superiore della colonna vertebrale lombare, dietro allo
stomaco. Nell’adulto la sua lunghezza è in media di 15 cm, l’altezza di 4 cm (in corrispondenza del corpo) e lo spessore di 1,5-2 cm. Ha
un peso medio di 80 g.
Il pancreas, che ha una forma simile a quella di un martello, presenta una parte verticale rigonfiata, testa, che ne rappresenta l’estremità
destra ed una parte traversale, allungata, corpo, la quale si continua con la piccola estremità sinistra, coda. Dalla testa si diparte in basso
e a sinistra un prolungamento, processo uncinato che, incurvandosi su se stesso, si colloca al di sotto del corpo e risale più o meno
posteriormente a questo.
Il pancreas riceve molte piccole arterie, arterie pancreatiche, da diverse sorgenti. Alla testa del pancreas provvedono principalmente due
arcate arteriose pancreatico-duodenali, dorsale e ventrale, che si costituiscono per l’unione a pieno canale fra i rami di divisione dell’a.
pancreatico- duodenale superiore (dalla gastro-duodenale) e i rami di divisione dell’a. pancreatico-duodenale inferiore (dalla mesenterica
superiore). Le arcate pancreatico-duodenali danno sangue anche al duodeno. Il corpo del pancreas riceve sangue da rami che discendono
dall’a. splenica, e inoltre dall’a. pancreatica superiore, che è da considerare come l’arteria propria del pancreas. Questa può nascere anche
direttamente dal tronco celiaco, oppure dalla mesenterica superiore; qualunque ne sia l’origine, decorre dietro al corpo del pancreas,
diretta verso la faccia inferiore di esso
Le vene pancreatiche sboccano prevalentemente nella v. splenica e nelle due v. mesenteriche.
Capillari linfatici sono dimostrabili prevalentemente alla superficie dei lobuli; i tronchi ai quali danno origine fanno capo ai gruppi
linfonodali pancreatico-lienali, pancreaticoduodenali, retropilorici e celiaci.
I nervi arrivano al pancreas dal plesso celiaco; pochi direttamente, la maggior parte provenendo dai plessi che circondano i vasi arteriosi
contraenti rapporti con il pancreas. Contengono fibre del simpatico toraco-lombare e fibre parasimpatiche del nervo vago.

Anatomia chirurgica
Il pancreas, per la sua posizione profonda e retroperitoneale non è di facile accesso chirurgico; per una sua accurata ispezione e
palpazione sono necessarie tre fondamentali manovre chirurgiche.
- Mobilizzazione della flessura epatica del colon verso il basso e medialmente, sezionando la lamina peritoneale che la fissa al duodeno e
alla faccia anteriore del pancreas. Sezione del peritoneo lateralmente alla seconda porzione del duodeno e dissociazione del duodeno e
della testa pancreatica dalle strutture posteriori (manovra di Kocher o kocherizzazione). In tal modo con una mano si riesce a sollevare il
blocco della testa pancreatica e del duodeno e si espone il rene di destra, la vena renale destra, la vena cava inferiore e l’origine della vena
renale sinistra. Al termine di questa prima manovra è possibile palpare accuratamente tra il pollice e le quattro dita, con manovra di
pressione, la testa del pancreas, il duodeno e la porzione retroduodenale e intrapancreatica del coledoco.
- Sezione della parte avascolare del piccolo omento e retrazione verso il basso la piccola curvatura gastrica. In tal modo è possibile
esaminare anche il tronco celiaco.
- Una più completa esposizione del corpo pancreatico può realizzarsi solo con l’ampia apertura del legamento gastro- colico, retraendo
quindi colon e mesocolon trasverso verso il basso e la grande curvatura gastrica verso l’alto. Estendendo questa apertura verso destra, in
regione pilorica, i vasi gastro-epiploici di destra possono essere sezionati alla loro origine, consentendo una buona esposizione della
faccia anteriore dell’istmo pancrea-tico.

Tutte queste manovre devono essere eseguite con meticolosità e delicatezza, facendo attenzione a non ledere i vasi colici medi. L’apertura
del legamento gastro- colico può anche essere estesa a sinistra sino a sezionare il legamento gastrosplenico ed i vasi brevi; così si può
esporre la superficie anteriore della coda pancreatica.

Per accedere alla testa del pancreas, si seziona il legamento gastrocolico, si ribalta lo
stomaco, si acceda alla retrocavità degli epiploon. L’ A. gastroduodenale è sezionata
all’origine. Si procede all’ asportazione chirurgica del tumore. Se la neoplasia è della
testa del pancreas si effettua una DCP, se è della regione corpo-caudale si effettua
una resezione corpo caudale e quando questo comprende la milza si parla di spleno-
pancreasectomia distale. In realtà esistono resezioni più conservative (per esempio
resezioni centrali), ma ancora oggi sono poco usate.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 227 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Duodenocefalopancreasectomia (DCP)
La duodenocefalopancreasectomia è forse l’intervento più complesso di chirurgia
addominale. Consiste nell’asportazione della testa del pancreas, del duodeno, della
via biliare e poi, a seconda della ricostruzione si porta via l’antro gastrico o si lascia
intatto lo stomaco, conservando il piloro.
Si deve ricostruire la continuità della via biliare, la continuità del pancreas con lo
stomaco o con il duodeno se è conservato il piloro,e la continuità del duodeno con il
digiuno.
Abbiamo almeno tre anastomosi: gastro- entero o duodeno-digiunale , pancreatico-
digiunale e bilio-digestiva ed eventualmente una anastomosi al piede dell’ansa
( serve a far passare il succo biliare direttamente in digiuno senza fargli fare il giro
intorno allo stomaco).
L’anastomosi pancreatico-digiunale è quella più a rischio di complicanze gravi e più
difficile da eseguire. La deiscenza di una sutura a questo livello determina la
liberazione di succo pancreatico altamente corrosivo: si magia tutto anche le arterie e
le vene, metà di questi pazienti hanno complicanze emorragiche improvvise e
catastrofiche.

L’intervento più demolitivo è chiamato di Whipple. Questo a volte non è necessario a


meno che la neoplasia non sia particolarmente grave, ma in generale oggi nel 90 %
dei casi si tende a fare il Traverso Longmire.
L’asportazione va associata all’asportazione dei linfonodi regionali: del peduncolo
epatico, arteria epatica, peripancreatici, sovrapancreatici e tripode se ci sono.

La linfoadenectomia fa parte di questo intervento e il pancreas è uno degli organi più


ricco di vasi e stazioni linfonodali. La classificazione dei linfonodi giapponese è
molto complessa, ma da una idea delle stazioni che vanno prese in considerazione.

Vanno tolti tutti i linfonodi fino al lato destro della mesenterica superiore senza andare
al di là ( altrimenti si va incontro ad ulteriori complicanze: i pazienti hanno delle
diarree mortali e non si aggiunge nulla alla radicalità dell’intervento o alla
sopravvivenza).

Una cosa importante è asportare anche la lamina retro portale, che come per il
mesoretto, è un sottile cuscinetto di grasso che sta dietro il pancreas e dietro e a
destra dei vasi principali (vena porta e arteria mesenterica) che contiene una grossa
quota di linfonodi.
Per ridurre le recidive locali importante usare la radioterapia, che, dopo aver fatto
l’intervento demolitivo, brucia le cellule neoplastiche rimaste in un eventuale
residuo della lamina retro peritoneale che non è di facile asportazione. La
radioterapia ha migliori risultati locali (riduce il numero di recidive), ma non ha
risultati sistemici.

Fino agli anni ’50 l’esito positivo della DCP arrivava fino al 20-25%: fino ai ¾ dei
pazienti morivano durante o a ridosso dell’intervento; con una sopravvivenza
trascurabile a 5 anni.
Attualmente si può dire che la mortalità è inferiore al 5% in centri specializzati ( per
l’esperienza chirurgica e per la possibilità di affrontare tutte le possibili complicanze,

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 228 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
alcune delle quali a rischio di vita del paziente) e la sopravvivenza a 5 anni a circa il
20%. C’è attualmente un incremento del numero dei resecati, in quanto c’è stato un
aumento delle indicazioni all’intervento interessando pazienti anche con
infiltrazione dell’ asse venoso.

Esistono più di 50 tipi di anastomosi tra pancreas e digiuno per cercare di ridurre le
complicanze. Di fatto gli aspetti che influenzano di più la durata e la funzionalità
dell’anastomosi sono:
- Consistenza del pancreas: duro o molle
- Dimensioni del Wirsung: sottile o dilatato
Un tumore al pancreas che ha dato una progressiva dilatazione delle vie biliari
provoca una durezza dell’organo. Nel tumore dell’ampolla invece l’organo è molto
morbido, quindi durante l’anastomosi il chirurgo, andando a stringere i punti sega e
se tenta di stringere ulteriormente i punti non tengono. Non a caso i pazienti che
hanno i migliori risultati dopo questi interventi di chirurgia pancreatica sono i Nord
Europei che, essendo forti bevitori e portatori di pancreatite cronica, hanno un
pancreas molto più duro. Tanto che i tedeschi hanno inventato interventi di
ricostruzione con conservazione di tutto il duodeno che da noi sono impensabili.

Ricostruzione secondo Child


Dopo la DCP abbiamo tre anastomosi: gastrica,
biliare, pancreatica e a volte anche una intestino-
intestinale. Tutte possono dare complicanze, ma in
p a r t i col a r e è comp l es s a l a r i cos t r u z i on e
pancreatica, perché il pancreas rilascia
nell’intestino un liquido che sarebbe capace di
macerare il marmo

Ricostruzione Trasverso-Longmire
In questo caso l’anastomosi è tra duodeno e
digiuno con conservazione del piloro. Il vantaggio
è che si riduce l’incidenza del ritardato
svuotamento gastrico, che è invece molto
frequente nell’intervento precedente e lo stomaco
rimane paralizzato per molto tempo portando il
paziente a frequenti episodi di vomito o a portare il
sondino naso-gastrico a lungo.

Se il tumore è infiltrato, avanzato o c’è un’IPMT con lesioni diffuse che necessitano
di un intervento radicale. Fattori prognostici dopo l’intervento saranno:
1) Margini di sezione (retroportale, biliare e pancreatico ): devono essere indenni
2) Coinvolgimento linfonodale: con linfonodi metastatici la prognosi peggiora
3) Dimensioni della neoplasia: La dimensione maggiore di 2 cm comporta una
riduzione della sopravvivenza a distanza.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 229 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Dopo resezione, in oltre l’80% dei pazienti ci sono recidive loco regionali perchè si
effettua un intervento incompleto non togliendo tutti i linfonodi interessati. In
questo caso alla chirurgia si associa la radioterapia loco regionale e la chemioterapia.
Se c’è un’infiltrazione vascolare posso scegliere di resecare anche la vena e
ricostruirla o effettuare il trattamento radioterapico e poi eventualmente resecare
anche la vena.

Non esiste una terapia adiuvante standard del pancreas, stanno emergendo
protocolli aggressivi con cui si cerca di migliorare i risultati della chirurgia: già dal
2003 si registrava comunque una differenza nella sopravvivenza nei pazienti sottoposti
a terapia adiuvante.

I risultati migliori sembrano venire dalla sola CT con la chirurgia e non dalla RT-CT
+chirurgia. Resta il fatto che non è una neoplasia in cui la terapia CT sia rilevante.
Nell’85% dei casi la malattia si ripresenta. Si devono dunque individuare ancora
delle strategie complementari alla chirurgia che migliorino l’outcome del
trattamento a distanza.

Nell’80% dei casi alla diagnosi il cancro del pancreas è già avanzato con carcinosi
peritoneale o con metastasi epatiche o con infiltrazione delle strutture venose.
Anche quando resecata la malattia ha una altissima percentuale di ripresa. Non c’è
una realtà assimilabile al tumore del colon o della colecisti o ad altre malattie per cui
esista una CT efficace che ha portato a un miglioramento dei risultati.

Nei primi tempi il pz perde dal 10 al 20% del peso. Bisogna dargli enzimi
pancreatici.

Altre terapie
I nuovi protocolli prevedono l’utilizzo di RT neoadiuvante per consentire una
maggiore scelta chirurgica. Si eseguono RT e CT con acido folinico e FU come
terapia adiuvante in pz operati radicalmente
Si può eseguire IORT se ci si accorge di inoperabilità sul letto operatorio.
Si può eseguire brachiterapia con semi di iridio + RT con fasci esterni per linfonodi
ed i tessuti peripancreatici in neoplasia inoperabile

PROGNOSI
Pessima prognosi: t. pancreas diffonde rapidamente per via retroperitoneale, ai
linfonodi peripancreatici, paraaortici, paraaortocavali, da rapidamente metastasi al
fegato.
Il carcinoma pancreatico ha una pessima prognosi che, nella maggior parte dei casi
risulta essere infausta. Negli ultimi anni ci sono stati dei miglioramenti. Nell’85’ la
sopravvivenza globale, dopo duodenocefalopancreasectomia, era del 3% a cinque
anni, mentre attualmente si arriva al 20%. È comunque una percentuale molto
piccola di pazienti perché sono molto pochi i pazienti che possono essere resecati.
Questo per molti motivi: una diminuzione del rischio operatorio per

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 230 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
duodenocefalopancreasectomia (DCP), la presenza di centri più specializzati.
Comunque rimane elevata la morbilità (il rischio di complicanze).
FATTORI PROGNOSTICI

I fattori prognostici correlati alla Fattori legati al pz saranno: Fattori correlati al trattamento:
neoplasia sono: - Modalità di insorgenza - Operabilità
- istotipo - Performance status - Radicalità della chirurgia
- grading - Ittero - Residuo di malattia
- estensione - Anoressia
- localizzazione - Calo pnderale
- ploidia e fase s
- marcatori proliferativi, recettori per
fattori di crescita

Chirurgia palliativa
La chirurgia può avere anche un ruolo palliativo dove non si riesca a fare una
resezione del tumore. In generale la palliazione è prevalentemente di carattere
endoscopico, ma ci possono essere delle condizioni in cui la chirurgia può avere un
ruolo palliativo.
Il sintomo principale è l’ittero: può essere ridotto con una epatico-digiunostomia.
Oggi la maggior parte delle palliazioni si fa con protesi endoscopiche metalliche (che
rimangono in sede, in modo definitivo) o plastiche.
Se il tumore ostruisce il duodeno si fa generalmente una anastomosi chirurgica
gastro-digiunale che consente al paziente un’ alimentazione orale pressoché normale
(esiste anche una possibilità endoscopica con degli stent duodenali).
La qualità di vita di un paziente che ha effettuato una palliazione chirurgica è
migliore di quello che ha uno stent, questo però non giustifica l’utilizzo della
palliazione chirurgica perché è comunque un intervento e se i pazienti hanno
complicanze possono morire nel tavolo operatorio o avere lunghe degenze non
giustificabili quando la sopravvivenza non è superiore a sei mesi.

La terapia antalgica composta da RT + FU si usa per diminuire l’edema, quindi il


dolore. Si può usare morfina a lungo rilascio o altri oppioidi. Si può fare
l’alcolizzazione del plesso celiaco.

Il carcinoma pancreatico rimane uno dei maggiori problemi della chirurgia


oncologica per le difficoltà della diagnosi, l’aggressività della malattia, i
problemi tecnici e la mancanza di terapie complementari efficaci. La chirurgia,
associata a radio-chemioterapia, rimane l’unico trattamento potenzialmente
curativo. I migliori risultati si ottengono nei centri specialistici.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 231 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

BIBLIOGRAFIA
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- Sbob prof Giuliante aa 2014/2015
- Sbob Prof Clemente aa 2015/2016
- Sbob Prof Persiani, del corso integrato di Medicina interna e Chirurgia generale 1
aa 2014/2015
- Dispense Prof Butti.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 232 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

CAPITOLO 16
___________________________________________________________
MELANOMA

EPIDEMIOLOGIA
Il melanoma rappresenta il 4-5% di tutti i tumori maligni; non è una frequenza
bassissima, ma fortunatamente è una malattia da cui si guarisce. Soltanto una
piccola parte di tumori va incontro a recidiva oppure viene diagnosticata in fase
metastatica. E’ una percentuale in aumento, soprattutto nella razza bianca a causa
della maggiore esposizione al sole o ai raggi UV a scopo cosmetico. Ma comunque,
in questa razza, viene principalmente diagnosticata la fase localizzata della neoplasia
Il rischio di sviluppare il tumore è oggi di 1:90. La mortalità in riduzione è correlata
alla precocità della diagnosi: è per questo che oggi si insiste sulle campagne di
prevenzione e sull’attenzione della popolazione anche alle più semplici lesioni
pigmentate. L’incidenza è di 13:100000.
La frequenza è uguale nei maschi e nelle femmine; nelle femmine la sede più frequente è
agli arti inferiori, nei maschi è il tronco.
Un aumento dell’incidenza si ha in Australia e in Nuova Zelanda e questo è stato
messo in relazione ai fenomeni migratori: popolazioni anglosassoni che si sono
spostate in Australia, dove l’esposizione al sole è sicuramente diversa rispetto al loro
paese d’origine. Il picco d’incidenza è 35-50 anni, però circa il 4% dei pazienti al di
sotto dei 20 anni può sviluppare il melanoma.

EZIOLOGIA E FATTORI DI RISCHIO


Il principale ruolo patogenetico viene attribuito ai raggi UV di media intensità con
onde superiori a 320 nm, soprattutto quando l’esposizione avviene in età infantile
(scottature solari in età pediatrica), poiché a quest’età i melanociti si trovano in una
importante fase di proliferazione e quindi più suscettibili all’effetto dei raggi.
Non essendoci, però, una totale concordanza tra incidenza di melanoma e
esposizione a raggi UV (considerando anche che nei maschi la sede più frequente è il
tronco e questa non è sicuramente la zona più esposta ai raggi UV), anche altri
fattori sembrano essere implicati nella patogenesi. Elementi discordanti sono:
- Non correlazione con aree geografiche a diversa intensità dei raggi solari
- Prevalenza nei soggetti relativamente giovani, non nei vecchi
- Più frequente in soggetti che lavorano in ambienti chiusi
- Incongruenza fra regioni cutanee più esposte e regioni maggiormente colpite

Altri fattori di rischio saranno:


- Suscettibilità genetica (s. del nevo displastico e xeroderma pigmentoso): 10% dei
casi;
- Presenza di nevi congeniti oppure da due sindromi particolari: Melanomi Multipli
(3%) e Melanoma Maligno Familiare (5-10%).
- Caratteristiche anatomo-razziali: pelle chiara, occhi chiari, capelli rossi o biondi
- Ormoni steroidei, soprattutto nel sesso femminile; si è visto che melanomi
diagnosticati in fase pre-gravidica si accrescono molto velocemente durante la
gravidanza. D’altra parte una certa quota di melanomi esprime anche i recettori
per gli estrogeni. In concordanza con quanto detto la prognosi peggiore si verifica
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 233 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
nelle donne ancor peggio se in gravidanza; melanomi sottili sono stati rinvenuti
anche in pz che assumono contraccettivi

PATOGENESI
La cellula da cui si sviluppa il melanoma è il melanocita, una cellula di origine
neuroectodermica, che parte dalla cresta neurale e migra alla giunzione dermo-
epidermica della cute e qui raggi UV, fattori angiogenetici, fattori genetici e altri
fattori sconosciuti ne determinano l’accrescimento.
I principali fattori genetici implicati sono: mutazioni di WNT, delezioni del braccio
corto del cromosoma 1, mutazioni di BRAF (7q34), disregolazione delle cicline p16/
INK4 e p14ARF. Non è detto che queste alterazioni genetiche riescano da sole a
portare allo sviluppo del melanoma; l’unica per la quale è stata dimostrata una forte
associazione è quella di BRAF sul cromosoma 7, tant’è vero che il farmaco che
inibisce l’attivazione di BRAF mutato è un farmaco molto efficace nel trattamento
del melanoma.
ALTERAZIONI TIPICHE MELANOMA

Wnt Pathway di segnale

7q34 BRAF

MITF Fattore trascrizionale associato alla microftalmia

1p gene sconosciuto, MM familiare,

p16/INK4 e Attività oncosoppressoria Rb- e p53-correlata. Lesione: delezione/mutazione-


p14ARF (9p21-p22) 50% dei MM familiari

CDK4 (12q4) Chinasi ciclino dipendente (fase G1)


Lesione: mutazione dominio di legame con p16

Biologia molecolare Riarrangiamenti cromosomici: 1, 6, 7, 9


Altre anomalie cromosomiche:9, 11, 12, 19

A s p e t t i d e l l a Nevo acquisito comune > Nevo displastico > Melanoma “in-situ”> (Enzimi
P r o g r e s s i o n e proteolitici) >Melanoma invasivo >(Elusione dei linf. T citotox)
polifasica >Metastasi a distanza

Il melanoma, cosi come il carcinoma renale, sono tra i tumori più immunogenici che
si conoscano. Le caratteristiche antigeniche da ricordare saranno:
- Proteine di differenziazione della linea melanocitica: biosintesi melanina, condivisisi
con altre cellule:
- Melan-A/MART-1
- Tirosinasi
- Gp-100 (Pmell 17)
- Gp-65 (TRP-1, tyrosin related protein)
- Ag ristretti alle cellule neoplastiche:
- Famiglia MAGE (MAGE-1 riconosciuto da linfociti citotossici, il Gene MAGE-1
comporta una risposta T-mediata ristretta all’aplotipo HLA-A1 (25-30% dei
pazienti)
- Famiglie BAGE e GAGE
- Ag individuali
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 234 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

Melanoma familiare
Ne fanno parte circa il 10% di tutti i melanomi. Per parlare di Melanoma Familiare è
necessario che la patologia sia presente in almeno 2 familiari di primo grado, che
insorga in età precoce e che si ritrovino multipli melanomi nel soggetto.
La mutazione implicata sembra essere quella del gene CDKN2A localizzato sul
braccio corto del cromosoma 9 e che è stata riscontrata nel 50% dei familiari.
Un test genetico utile è l’analisi mutazionale p16/CDK4. Le sindromi distintive
associate al MM familiare saranno: S. nevo-displastica (presenza di nevi displastici
multipli)

PREVENZIONE
La prevenzione si basa su due aspetti:
- Controllo periodico delle lesioni a rischio
- Protezione dall’esposizione ai raggi solari (soprattutto nei bambini)

La diagnosi precoce, invece, viene affidata all’epiluminescenza o all’escissione


bioptica di lesioni a rischio, ma senza arrivare a questi metodi, una diagnosi precoce
può essere effettuata anche visivamente.

Caratteri che devono far sospettare malignità sono ABCD:


- Asimmetria della lesione: diversità delle 2 metà idealmente ottenute da una linea
che attraversa il diametro maggiore della lesione. La lesione cresce di più dal lato
in cui è più pigmentata.
- Bordi della lesione: irregolari, frastagliati, indentati (“a carta geografica”)
- Colore della lesione: non uniforme, variegato, sfumature rosse, depigmentazione
- Dimensioni della lesione: > 6 mm.
Nell’ immagine è possibile osservare l’Illustrazione delle
regole ABCD: a sinistra dall'alto in basso: melanomi che
mostrano (A) asimmetria, (B) un bordo irregolare cencioso
o dentellato, (C) colorazione nelle diverse tonalità di
marrone, nero o marrone chiaro e (D) diametro che ha
cambiato dimensioni. I nei sul lato destro non hanno
caratteristiche anomale (assenza di asimmetria, di confine,
di colore, nessun cambiamento di diametro).

Le condizioni precancerose che devono essere individuate saranno:


- Melanosi circoscritta (se >10 cm può associarsi a nevi congeniti);
- Nevi melanocitici congeniti > 2 cm con spot di maggiore pigmentazione;
- Nevo giunzionale, nevo displastico e nevo composto (necessaria l’istologia);

Dopo l’identificazione, lesioni sospette per modalità di accrescimento, modificazioni


e traumatismi (soprattutto nevi del tronco), andranno escisse e biopsiate.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 235 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
STORIA NATURALE
Si parte dal melanocita normale, per passare dal nevo comune al nevo atipico.
Questo può crescere radialmente non superando l’epidermide (crescita radiale in
cerchi concentrici confinata all’epidermide: melanoma in situ); beneficia di un
trattamento conservativo.
Dalla crescita radiale può passare alla crescita verticale tramite infiltrazione focale
del derma papillare, arrivare al derma reticolare o al sottocute ed assumere carattere
invasivo. I melanomi nodulari presentano una crescita verticale “ab initio”.

Alcuni melanomi possono regredire spontaneamente, così come vanno incontro a


regressione spontanea anche i nevi: spesso in alcuni soggetti si riscontrano chiazze
biancastre, spie di nevi regrediti oppure chiazze di vitiligo perinevica e aspetti “ad
anello”.
Molti melanomi maligni recidivano localmente. Le regioni più interessate dalla
prima recidiva saranno:
- 50% linfonodi regionali
- 25% siti distanti
- 25% entrambi
Dal punto di vista terapeutico la migliore alternativa sia l’asportazione chirurgica,
anche ripetuta.

I possibili precursori del melanoma saranno:


• Nevo displastico
• Nevo melanocitico gigante congenito
• Piccolo nevo melanocitico congenito

FATTORI PROGNOSTICI
Saranno fattori prognostici importanti:
- Spessore e livello d’invasione (> 2 mm)
- Ulcerazione
- Infiltrato linfocitario peritumorale nella componente verticale
- Brisk (vivace)
- non-Brisk
- Absent (prognosi peggiore?)
- Indice mitotico
- Attività proliferativa (Ki67, PCNA, FCM)
- Neoangiogenesi (MM con spessore intermedio)
- Invasione vascolare e/o linfatica
- Interessamento dei lfn regionali
- Microsatellitosi e metastasi in transit: Metastasi satellite e in-transit sono tipiche
del melanoma e si sviluppano tra la sede del melanoma primitivo e i linfonodi
regionali nei vasi linfatici della cute e del tessuto sottocutaneo. Metastasi satellite:
entro 3 cm da tumore primitivo Metastasi in transit: oltre 3 cm da tumore
primitivo]
- Sede; quelle a prognosi peggiore saranno: tronco posteriore, testa-collo, regione
posteriore braccia.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 236 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Nota: Quelli del tronco hanno prognosi peggiore rispetto a quelli degli arti inferiori per
2 motivi: perché mentre quelli degli arti inferiori possono metastatizzare solo ai
linfatici della coscia superiore, quelli del tronco possono invadere linfonodi superficiali
ma anche profondi (mediastinici, retroperitoneali). Quelli della parte posteriore del
tronco, possono essere diagnosticati più tardivamente.

STADIAZIONE DELLA LESIONE PRIMITIVA


In base al livello di infiltrazione nei tessuti sottocutanei, abbiamo 2 classificazioni:
1. Breslow: infiltrazione calcolata in mm con oculare micrometrico
2. Clark: misura gli strati anatomici
Vanno sempre utilizzate entrambe per evitare che la misurazione in mm (Breslow)
sovrastimi l’invasione.

Microstadiazione secondo Microstadiazione secondo Breslow


Clark/Livelli di Clark
1 intraepidermico Profondità di penetrazione Raggio di escissione dal margine
della lesione

2 derma papillare 1mm 1cm

3 interfaccia derma reticol. 1 - 1,5 mm 1,5 cm

4 derma reticolare 1,5-4mm 3cm

5 tessuto adiposo sottocutaneo E’ presente una proporzionalità tra mm di infiltrazione e diametro


della lesione chirurgica.

DEL MELANOMA (AJCC 2009)


Questa classificazione si basa sulla TNM ma tiene conto anche dei seguenti
parametri:
- Malattia localizzata
- Spessore della lesione (Breslow) primitiva
- con diffusione regionale (linfonodi)
- Numero dei linfonodi interessati
- Interessamento microscopico o macroscopico dei linfonodi
- Satellitosi
- Metastasi in-transit
- Ulcerazione della lesione primitiva
- Malattia metastatica
- Localizzazione metastatica

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 237 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Nello stadio IA (melanoma in situ, generalmente non ulcerato) la sopravvivenza è
nettamente migliore rispetto agli stadi successivi in cui oltre alla comparsa di
ulcerazioni possiamo avere infiltrazione linfonodale e/o ematica.

QUADRO CLINICO
Presentazione clinica:
- Modificazione di una presunta lesione nevica in: volume, colore, ulcerazione, margini,
sanguinamento, secrezione, traumi e microtraumi;
- Recidiva linfonodale: linfonodi prossimali;
- Metastasi da sede non evidente: apparato digerente, occhio, apparato genitale;
- Metastasi di melanoma noto asportato o coesistente;
- Metastasi da sede ignota autoregressione (5-10%);
- Sedi più frequenti: aa. inf., cuoio cap., volto, collo, tronco;

Forme cliniche
Melanoma a diffusione superficiale SSM
La forma più frequente è il Melanoma a diffusione superficiale (55-75%), che
insorge un po’ più tardivamente ed è probabile che abbia come fattore eziologico
principale l’esposizione ai raggi UV. Il picco d’insorgenza è tra i 40-50 aa. In genere
compare sul dorso o sugli arti inferiore. E’ poco rilevato, con margini netti e
irregolari; all’interno possiamo trovare dei fenomeni di autoregressione, responsabili
del colore variabile. Ha una crescita verticale tardiva ed una lenta evoluzione.
L’80% dei MM associato a:
- nevo preesistente
- sindrome nevica
- esposizione solare

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 238 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Melanomi nodulari
Rappresentano il 15% dei casi. Sono più frequenti nei maschi (M:F=2:1) con un
picco di insorgenza a 50 anni (minore correlazione con i raggi UV), hanno fin
dall’inizio crescita verticale. Più frequentemente compaiono su capo, collo, dorso, su
cute sana o su lesione pigmentata. Appaiono come nodulo scuro, rilevato, convesso,
apigmentato nel 3-5% dei casi. Può presentare una fine desquamazione, secrezione,
sanguinamento, ulcerazione. Possibile satellitosi. Aggressivo. E’caratterizzato da:
- crescita verticale
- ulcerazione frequente
- crescita rapida
- neoangiogenesi

Melanoma tipo lentigo maligna (cosiddetto melanoma in situ)


Il picco è intorno ai 70 aa, principalmente nelle zone fotoesposte. Le chiazze non
rilevate sono spesso ampie. Il colorito può essere uniforme o variegato. I margini
irregolari. La crescita è verticale tardiva (parcellare o massiva) a volte con
ulcerazione. Lenta l’evoluzione. La lentigo Maligna caratterizzata da:
- lesione intraepiteliale
- grandi dimensioni
- insorgenza tardiva
- aree esposte al sole

Melanoma lentigginoso acrale


Età: 10-70 aa. Insorge in regioni palmari, plantari, subungueali (dd con ecchimosi
subungueali) come una macchia brunoscura o nerastra, non rilevata con limiti netti,
contorni irregolari e crescita iniziale lenta; poi diventa un nodulo roseo o nerastro e
accelera la sua crescita. Il Melanoma lentigginoso acrale caratterizzato da:
- insorgenza distale (piedi,mani) e mucosa
- frequente negli asiatici e negri
- crescita radiale e poi verticale

Melanoma mucocutaneo
Può insorgere a livello della mucosa orale come macchia nerastra, unica o multipla,
prima piana poi rilevata. A livello gengivale è spesso acromico. A livello della vulva
(piccole labbra) rappresenta il 4-7% dei melanomi femminili; può essere superficiale
o nodulare associato a satellitosi e metastasi in transito. A volte a tipo lentigo.

Melanoma del tratto digerente


Soprattutto giunzione ano-rettale, quindi facilmente accessibili all’esplorazione

Melanoma dell’occhio
Scoperti occasionalmente durante visite di controllo. Più frequentemente localizzati
alla coroide: piano, diffuso o globoso e localizzato. Si possono manifestare con
glaucoma, disturbi visivi, dolore, emorragie, diffusione locale e metastasi epatiche.
Se compaiono a livello del corpo ciliare avremo disturbi del visus, interessamentro
cristallino. La prognosi sfavorevole. A livello dell’iride è raro, i disturbi visivi scarsi.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 239 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Forme più rare sono:
Melanoma Polipoide
Lesione spessa ed ulcerata, spesso aggressiva

DIAGNOSI DIFFERENZIALE
Dobbiamo differenziarlo da lesioni maligne come il Basalioma Pigmentato, oppure
da lesioni benigne come l’Istiocitoma Benigno, la Malattia di Bowen, lesioni
neurofibromatose, Cheratosi seborroica senile, Angioma Sclerosante oppure ancora
da una lesione molto frequente nel sesso femminile, del tutto benigna che è il
cosiddetto Nevo Blu.

DIAGNOSI
La diagnosi prevede le seguenti 3 tappe:
1. Diagnosi di natura, si basa sull’osservazione di:
- Aspetto macroscopico
- Microscopia in epiluminescenza
- Esame citologico
- Biopsia incisionale o escissionale: meglio escissionale

2. Stadiazione I
- Rx torace
- Ecografia epatica
- Lnf sentinella: l’analisi del linfonodo sentinella è indicata per melanoma in
fase avanzata e non per lesione in situ.
- TC/RM encefalo

3. Stadiazione II
- Scintigrafia ossea
- TC o RMN collo/torace/addome/pelvi/estremità

PROGNOSI
Pazienti operati Sopravvivenza per Stadio Sopravvivenza e Linfonodi
Sopravvivenza a 5 aa. 55% Stadio 1 80% Micrometastasi 1 lfn 65%

Sopravvivenza a 10 aa.45% Stadio 2 60% Macrometastasi 1 lfn 43%

Stadio 3 25% Mts lfn extracapsulari 33%

Stadio 4 0-10% Metastasi >3 lfn 26%

Prognosi del melanoma metastatico

Localizzazione Sopravvivenza media Sopravvivenza a 5 anni %


Cute, lnf, gastrointestinale 12.5 mesi 13.5

Polmone 8.3 mesi 3.6

Fegato, SNC, osso 4.4 mesi 2.5

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 240 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Considerando tutti i melanomi, globalmente la sopravvivenza a 5 anni è del 55% e
quella a 10 anni del 45%. La prognosi è migliore negli stadi precoci piuttosto che in
quelli tardivi: nello stadio I la sopravvivenza si aggira sull’80-90%, nello stadio II sul
60-70% e nello stadio III sul 25%. Nel melanoma metastatico, la prognosi varia
anche in funzione delle sedi delle metastasi: le localizzazioni cutanee, linfonodali e
gastrointestinali sono associate ad una sopravvivenza mediana più lunga (che si
aggira intorno a 1 anno), anche perché spesso sono localizzazioni secondarie che
sono asportabili chirurgicamente; la prognosi è invece peggiore in caso di metastasi
epatiche, del sistema nervoso centrale e ossee.

TERAPIA PRIMARIA
La prima terapia che si effettua è l’escissione chirurgica con margine adeguato:
- Spessore <2 mm: margine 1 cm
- Spessore >2 mm: margine 3 cm
- Spessore maggiore: escissione anche sino al piano fasciale

Vi è un razionale per cui si deve eseguire la Linfoadenectomia :


- Vi è un’ordinata progressione linfonodale;
- Micrometastasi ematogene non prevedibili;
- Le metastasi linfonodali regionali sono asportabili;

La linfoadenectomia profilattica per melanomi di spessore >1.5 mm non ha vantaggi


statisticamente significativi, pertanto non viene eseguita.

Tecnica del linfonodo sentinella:


- Reperimento del lfn: 70-100% (soprattutto se viene utilizzata la linfoscintigrafia,
quindi un radio marker e non un colorante vitale)
- Positività lfn sentinella: 15-25%
- Metastasi in altri lfn con lfn sentinella neg.1-3%

Per eseguire questa tecnica la lesione primitiva deve essere almeno al II livello di
Clark ovvero > 0,75mm. Il radio-colloide o in alternativa il blu di metilene va
iniettato in zona perilesionale (che in genere è ai bordi della precedente cicatrice);
individuato il primo linfonodo drenante con la scintigrafia, viene asportato e viene
fatta l’immunoistochimica. Se questa è positiva si effettua la linfoadenectomia, se
invece è negativa soltanto osservazione.

Le Linee Guida dell’ASCO e NCCN dicono che per melanomi di spessore


intermedio, la tecnica del linfonodo sentinella va applicata sempre, per qualunque
sito anatomico.
Nel caso dei melanomi spessi (pz con melanomi cutanei T4 o > 4 mm secondo
Breslow)il linfonodo sentinella può essere utile per la stadiazione e per facilitare il
controllo locale di malattia.
Per i melanomi sottili (pz con melanoma T1 o <1 mm secondo Breslow) non c’è
evidenza dell’utilità del linfonodo sentinella in tuttavia potrebbe essere preso in
considerazione per pz ad alto rischio.

TERAPIA POST PRIMARIA


ELEMENTI DI ONCOLOGIA 241 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Terapia adiuvante
Nell’ambito dell’adiuvante, esiste un’opzione anche sul versante della terapia
medica. Si tratta della terapia adiuvante con interferone ad alte dosi, che però è un
trattamento molto fastidioso e molto mal tollerato per il paziente perché va protratto
per 6 mesi con dosi estremamente elevate (di ben 30 milioni di UI di interferone)
somministrate per tre volte a settimana. Inoltre vi è un certo disaccordo sul fatto che
questa terapia sia realmente vantaggiosa (sono stati compiuti pochi studi a riguardo,
che hanno tra l’altro fornito risultati contrastanti). Il presunto effetto antimelanoma
dell’interferone sarebbe giustificato dalle sua capacità di modulare la risposta
immunitaria, ostacolare la proliferazione cellulare, inibire la neoangiogenesi e
indurre l’apoptosi. Al momento non vi sono altre opzioni per la terapia adiuvante di
tipo medico, ma si ipotizza che presto alcuni dei farmaci impiegati per il trattamento
del melanoma metastatico potranno essere utilizzati anche per il trattamento.

Recidive locali e metastasi in transito


Possono essere usati una chirurgia più o meno demolitiva o la perfusione di
antiblastici in ipertemia (Anche se gli studi randomizzati sono risultati non
conclusivi per l’ultima).

Chirurgia delle Metastasi a distanza


Se singole vanno asportate chirurgicamente

Radioterapia
La radioterapia è di scarse utilità ed efficacia e vi si ricorre praticamente in due sole
occasioni: la prima è il trattamento ad alte dosi delle metastasi, soprattutto quelle
ossee e talvolta quelle cerebrali (si tratta comunque di una circostanza in cui anche i
radioterapisti si mostrano scettici sulla reale efficacia del trattamento radiante nei
pazienti con melanoma); la seconda è la terapia adiuvante nei soggetti con melanomi
di stadio T4, in cui -nonostante l’asportazione radicale del tumore- esiste comunque
un elevato rischio di recidiva.

Chemioterapia
Relativamente alla terapia medica delle metastasi, si può fare affidamento su vari
approcci:
- Terapia citotossica: può impiegare farmaci singoli o in combinazione, anche se
ormai è dimostrato che la politerapia è lievemente superiore rispetto alla
monoterapia. I più attivi sono la dacarbazina, la fotemustina e il platino. Tuttavia i
risultati sono abbastanza scarsi, in quanto solo il 20% circa dei pazienti risponde.
- Recentemente sono stati resi disponibili due nuovi farmaci denominati
vemurafenib e dabrafenib. Entrambi sono inibitori di B-Raf ed agiscono sulle
cellule tumorali che mostrano la mutazione V600E del gene BRAF, mutazione
presente nel 40-50% dei melanomi. I pazienti sensibili al trattamento con
vemurafenib manifestano, nel giro di 2 settimane dall’inizio della terapia, un
miglioramento eclatante e quasi immediato della sintomatologia; purtroppo si è
osservato che la responsività dura appena 6-8 mesi, in seguito allo sviluppo di
alcuni meccanismi di resistenza.
- Immunoterapia: utilizza l’interferone oppure l’interleuchina.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 242 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
- A questi farmaci tradizionali si è aggiunto l’ipilimumab, un anticorpo monoclonale
anti-CTLA-4 che di fatto consente di ripristinare l’immunocompetenza delle
cellule T: legando il recettore CTLA-4 dei linfociti T citotossici (recettore degli
antigeni B7-1 e B7-2, che vengono presentati da specifiche cellule immunitarie
allo scopo di inibire la risposta immunitaria), ne impedisce l’interazione con i suoi
ligandi naturali e così disinibisce le cellule T. E’ interessante notare che questo
farmaco agisce in modo estremamente simile ad un vaccino, benché i tempi di
risposta siano in tal caso molto più lunghi (spesso la risposta si osserva dopo che
è stato completato il ciclo di terapia, per la precisione a distanza di 3-6 mesi dalla
quarta ed ultima somministrazione). Un altro farmaco della stessa famiglia, il
tremelimumab, non ha dato gli stessi risultati dell’ipilimumab, ma ciò
sembrerebbe imputabile principalmente al fatto che lo studio clinico non sarebbe
stato condotto in modo corretto.
- Vaccinoterapia: il melanoma è uno dei tumori per i quali si prospetta
maggiormente realizzabile l’introduzione di terapie vacciniche, che però non
hanno ancora trovato un concreto utilizzo. La strategia consisterebbe nell’usare
farmaci che interagiscano in vario modo con la risposta immunitaria contro le
cellule melanomatose, magari riuscendo a stimolare la produzione di interferone
e/o citochine oppure rimuovendo l’inibizione della risposta T-cellulare nei
confronti del tumore.

L’ipilimumab è l’unico farmaco attualmente disponibile che si è dimostrato capace di


attivare la risposta immunitaria contro le cellule melanomatose in una maniera
assolutamente simile a un vaccino, pur non essendo però un vaccino.

Grazie alla loro enorme efficacia nella terapia delle metastasi (in quanto sono capaci
letteralmente di liquefare le masse tumorali metastatiche), il vemurafenib e il
dabrafenib da una parte e l’ipilimumab dall’altra costituiscono al giorno d’oggi i due
approcci più promettenti per il trattamento non chirurgico del melanoma.

Quindi, in caso di:


- Metastasi singola:
- SNC: Asportazione –> Radioterapia –> IFN, IL2, immunoterapia, CT?
- Cute, Lnf, Intestino: Asportazione –> IFN, IL2, immunoterapia, CT?

- Metastasi multiple:
- SNC: Radioterapia –> BRAFi/MEKi, Ab anti PD1, Ab anti CTLA4, CT
- Altri: BRAFi/MEKi, Ab anti PD1, Ab anti CTLA4, CT

BIBLIOGRAFIA
_____________________________________________________________________
- Sbobinature Prof Barone aa 2014/2015 e aa 2015/2016;
- AJCC Atlante per la stadiazione dei tumori maligni;
- Linee guida AJCC 2009 per il melanoma;
- Wikipedia per alcune immagini;
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 243 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

CAPITOLO 17
___________________________________________________________
SARCOMI

Rappresentano un gruppo estremamente ampio ed eterogeneo di tumori che


derivano o comprendono tessuto connettivo. Originano da tessuti di derivazione
mesodermica. Ne esistono oltre 100 istotipi diversi. Molti sono sporadici senza
causa riconosciuta.

SARCOMI DEI TESSUTI MOLLI


Classificazione istologica delle forme maligne ed intermedie:
• Neoplasie a differenziazione adipocitaria
• Neoplasie a differenziazione fibroblastica/miofibroblastica
• Neoplasie a differenziazione “fibroistiocitaria”
• Neoplasie a differenziazione muscolare liscia
• Neoplasie a differenziazione muscolare striata
• Neoplasie a differenziazione vascolare
• Neoplasie a differenziazione condro-ossea
• Neoplasie a differenziazione neuroectodermica
• Neoplasie a differenziazione incerta

Nel 40% i sarcomi (comprendendo tessuti molli e osso) riguardano le estremità,


15% il tronco, 10-12% le estremità superiori, Per quanto riguarda la classificazione
dei tumori primari dell’osso, l’osteosarcoma nelle sue varianti (fibroblastico,
condroblastico, osteoblastico, mixoide) è presente nel 20-30%, nel 20% il sarcoma
di Ewing, nel 10% dal condrosarcoma, 5% dal fibrosarcoma, ma la quota più
importante sono i mielomi e i linfomi.

TUMORI PRIMITIVI DELL’OSSO


Benigni Maligni

- Osteoma - Osteosarcoma (20-30%):


- Osteoma osteoide - Fibroblastico
- Osteocondroma - Condroblastico

- Osteoblastoma - Osteoblastico

- Encondroma - Mixoide
- Fibroma condromixoide - Sarcoma di Ewing (20%)
- Condroblastoma - Condrosarcoma (10-15%
- Fibroma non ossificante - Fibrosarcoma (5%)
- Istiocitoma fibroso - Istiocitoma fibroso maligno
- Osteoclastoma - Angiosarcoma
- Emangioma - Liposarcoma
- Cisti aneurismatica - Cordoma
- T. giganto-cellulare
- Adamantinoma
- Mieloma, Linfomi (40%)

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 244 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

EZIOLOGIA GENERALE
I fattori eziologici sono molteplici, ma, tra i più importanti possiamo ricordare::
- Radiazioni ionizzanti, soprattutto per Osteosarcoma, angio- e fibrosarcoma
- Sostanze chimiche: come Diossina, cloruro di vinile e arsenico
- Infezioni virali: HSV 8, KSHV: tumore di kaposi; L’ EBV sembra essere associato ai
tumori del tessuto muscolare liscio
- Traumi e cicatrici sembrano predisporre a Fibro e osteosarcoma
- Anomalie dell’osso come Malattia di Paget, necrosi dell’osso possono essere causa
di sviluppo di osteosarcoma; L’Osteocondroma / displasia fibrosa dell’osso può
condurre a osteosarcoma, condrosarcoma
- Stasi linfatica cronica: Sindrome di Stewart-Treves associato all’angiosarcoma.

Alcune sindromi genetiche sembrano favorire la formazione di questi tumori. Tra


esse vale la pena di ricordare:
- Retinoblastoma ereditario (delezione 13q): rischio 1000 volte superiore di
sviluppare osteosarcoma rispetto alla popolazione generale
- Neurofibromatosi (delezione 17q): aumentato rischio di sviluppare schwannomi
- Sindrome di Gardner (delezione 5q): assocato a tumori desmoidi intraaddominali
- Sindrome di Li-Fraumeni: caratterizzata dall’acronimo SBLA dove B sta per bone,
quindi aumentato rischio di osteosarcoma
- Mutazioni di MDM2 che comportano anomalie nella funzione p53 sono correlate
con maggior frequenza all’osteosarcoma.

Le anomalie citogenetiche ricorrenti saranno:


- Traslocazioni: tumore di Ewing; condrosarcoma t(9;22)
- Delezioni: osteosarcoma.

INCIDENZA DEI SARCOMI DELL’OSSO


L’Incidenza dei sarcomi dell’osso ha un range abbastanza ampio dai 5 anni fino
anche ad oltre 40 anni, ma se consideriamo l’osteosarcoma e lo Ewing la fascia è
ristretta, al massimo va a 25 anni con un picco un po’ prima dei 20 anni, quindi
questi tumori sono legati all’accrescimento osseo.

CARATTERISTICHE DI ALCUNI TUMORI MALIGNI DELL’OSSO


Condrosarcoma
Rappresenta il 10-15% dei tumori maligni primitivi dell’osso. Il condrosarcoma può
essere primitivo o secondario a forme ossee benigne (esostosi e condromi). È
caratteristico di qualsiasi età (30-60) anni, ma prevalente nell’adulto.
Esiste una variante periferica che colpisce femore e omero e una variante centrale che
riguarda bacino e coste. Il condrosarcoma è caratterizzato da un ispessimento
corticale ossea e un aspetto variegato all’interno dell’osso. La terapia di elezione è
rappresentata dalla chirurgia.

Fibrosarcoma
Rappresenta il 5% dei tumori primitivi dell’osso. Può derivare da forme primitive e
secondarie. Ha un range di età piuttosto ampio compreso tra i 30 e i 70 aa.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 245 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Colpisce preferenzialmente le metafisi delle ossa lunghe. Non presenta una reazione
periostea e raramente provoca metastasi linfonodali. Anche in questo caso la terapia
di elezione è la chirurgia.

Istiocitoma fibroso maligno


Attualmente viene considerato una variante dell’osteosarcoma. Compare
preferibilmente tra i 30 e i 50 aa. colpendo principalmente le estremità ossa lunghe.
Il trattamento è chirurgico, la terapia medica è scarsamente efficace come la
radioterapia.

OSTEOSARCOMA
L’osteosarcoma è la neoplasia ossea più frequente nelle prime 2 decadi di età (60%)
nonostante possa manifestarsi tra i 5 e i 50 aa. Il picco d’incidenza è nel secondo
decennio. Riguarda principalmente la metafisi delle ossa in rapido accrescimento
nell’adolescenza, quindi: metafisi prossimale di tibia e radio-ulna e distali di omero e
femore; pertanto le regioni anatomiche coinvolte sono il gomito e il ginocchio. Ciò
ha fatto presupporre che ci sia una correlazione tra la comparsa del tumore ed il
rapido accrescimento osseo. È importante ragionare sul dolore di queste
articolazioni anche quando può essere attribuito a traumi.

EZIOLOGIA
I soggetti esposti a radiazioni ionizzanti hanno una probabilità 2000 volte superiore
di presentare questo tumore. Sembrano coinvolti anche dei fattori genetici come le
mutazioni del gene Rb sul cromosoma 13, mutazioni di MDM2. E’ presente anche
una rara forma familiare.
Nell’eziologia è importante il ruolo dei virus (EBV/HSV) perché sono stati
identificati nell’osteosarcoma umano delle particelle virali e degli antigeni tumore
specifici indotti dalla presenza del virus sia nei pazienti che nei loro familiari.

Biologia molecolare
Tra le alterazione di protooncogeni vanno ricordate:
- Amplificazione di MDM2 con iperespressione di p90: inattivazione di p53 e di Rb
- Amplificazione di CDK4 con aumento dei livelli di ciclina D1 che coopera
nell’accelerare il ciclo cellulare con l’inattivazione di Rb
Tra quelle degli oncosoppressori:
- Rb e p53
- p15, p16 disregolano il ciclo cellulare
- Overespressione di gp170: Minore capacità metastatizzante
e aumento della chemioresistenza.

ANATOMIA PATOLOGICA
Il tumore è caratterizzato da una matrice osteoide che invade
il tessuto osseo sano. L’osteosarcoma deriva da una cellula
staminale mesenchimale pluripotente e a seconda della
matrice osteoide che produce può essere chiamato
osteoblastico (quello classico), condroblastico o fibroblastico.
Può essere ad alto o a basso grado.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 246 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
STORIA NATURALE
Una caratteristica particolare è che l’osteosarcoma origina dalla cavità midollare e la
metastatizzazione avviene attraverso i canali di Havers. Ciò spiega il fenomeno delle
skip metastases, cioè metastasi lungo l’osso anche a distanza notevole dal tumore
primario. Perciò nella valutazione della malattia è necessaria la RM che dà una visione
longitudinale di tutto l’osso.
Le metastasi possono arrivare fino ai polmoni (80%) oppure rimanere nei canali di
Havers ed invadere la corticale dando un versamento nei tessuti molli circostanti.
L’interessamento linfonodale (raro) è dato solamente dall’interessamento dei tessuti
molli.
Le metastasi per via ematogena possono verificarsi anche dopo che le skip
metastases hanno raggiunto i polmoni andando all’osso per omologia di tessuto.

Tra le forme rare e più aggressive si ricordano:


- Osteosarcoma teleangectasico: comportamento aggressivo, risponde alla terapia.
Può essere sospettato in una Rx per la presenza di lacune ipodense perché invase
dal sangue, in realtà più visibili alla risonanza come cisti con livelli di sangue/
siero.
- Osteosarcoma multicentrico: più segmenti ossei; evoluzione fatale

Tra le forme rare e più benigne:


- Osteosarcoma paraosteale: più superficiale, arriva dopo nel canale di Havers.
Evoluzione lenta; scarsa tendenza a mts.
- Osteosarcoma periostale con prognosi peggiore del precedente.

QUADRO CLINICO
Le sedi più comunemente interessate sono le metafisi delle ossa lunghe degli arti
(ginocchio e gomito). Ci sono forme secondarie alla radioterapia e al Paget.
Il sintomo più rilevante è il dolore persistente ad un’articolazione che si presenta prima
della tumefazione. La tumefazione si verifica quando il tumore è uscito almeno
parzialmente dall’osso.
È importante porre molta attenzione al dolore persistente, infatti si ritiene necessario
almeno un controllo radiologico per un dolore che duri almeno da tre settimane.
Inoltre ci può essere deficit funzionale, flogosi articolare, frattura patologica (rara
all’esordio). La linfoadenopatia si verifica se c’è interessamento dei tessuti molli.
Possono verificarsi sintomi da metastasi polmonari. I sintomi generali sono rari.
La tipica modalità di esordio è una gonalgia, accompagnata  spesso da tumefazione
al ginocchio. Il dolore  inizialmente è  intermittente, poi diventa continuo, molto
intenso, con aggravamento di   notte   e risulta   non responsivo ai comuni
analgesici. A volte l’esordio coincide con una frattura da fragilità del segmento
interessato.

DIAGNOSI DI NATURA
La diagnosi è fatta con l’Rx: in caso di lesioni sospette è seguita da TC e anche da
RM perché la TC tende a sovrastimare il tumore per l’edema peritumorale, non studia
bene la cartilagine articolare e i tessuti molli e le immagini longitudinali sono
ricostruite da tante immagini trasversali, a differenza della risonanza. Lesioni

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 247 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
sospette alla Rx sono quelle a pettine e a sole radiante con
calcificazioni che si proiettano nei tessuti molli circostanti.
All’ Rx è possibile osservare:
- Osteolisi a tarlatura
- Osteolisi infiltrativa
- Osteolisi lacunare a margini sfumati
- Apposizione periostea non omogenea (lamelle interrotte,
spicule)
- Assenza di orlo sclerotico
- Estensione extra-ossea

La RM presenta una maggiore sensibilità rispetto alla TC per


quanto detto sopra. Permette lo studio delle caratteristiche tumorali, come la
valutazione dell’estensione intraossea (comprese “skip metastases”) e l’estensione
extraossea.
La biopsia ossea incisionale o mediante ago permette la diagnosi definitiva. Il tramite
bioptico deve essere asportato chirurgicamente per il rischio di disseminazione del
tumore. L’angiografia è opzionale.
Sierologia: VES, FA, LDH.

STADIAZIONE
Si ottiene tramite TC (o Rx) del torace per individuare le eventuali metastasi
polmonari, la scintigrafia ossea con tecnezio si fa solo occasionalmente.
Non è necessaria la TC dell’addome a meno che non si sospetti un’evoluzione per
via linfatica.
Lo scopo della stadiazione è quello d'ipotizzare una prognosi per il paziente e dare
una guida al trattamento. Esistono
due sistemi di stadiazione per i
sarcomi ossei: il sistema
dell'American Joint Committee on
Cancer (AJCC) ed il Surgical Staging
System (SSS), secondo il quale
vengono stadiati anche i tumori
benigni. Quest'ultimo sistema è il
più utilizzato e si basa sui seguenti
fattori:
a) il grado (G) di malignità istologico del tumore;
b) la sede e l'estensione (T) della neoplasia;
c) la presenza o meno di metastasi, regionali o a distanza (M).

Le neoplasie maligne sono pertanto suddivise in lesioni a basso grado (stadio I) e ad


alto grado (stadio II) in base ai criteri istologici. I tumori sono ulteriormente
suddivisi in intracompartimentali (A) ed extracompartimentali (B) in base
all'estensione anatomica locale. I pazienti allo stadio III sono quelli con lesioni
metastatiche

DIAGNOSI DIFFERENZIALE

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 248 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
La comparsa del tumore deve essere distinta da traumi e processi flogistici. Infatti
condizioni benigne come gli ematomi periostei, i calli ossei ipertrofici, miosite
ossificante, spesso sono fuorvianti. In questi casi il paziente va tenuto sempre sotto
controllo per il rischio che queste patologie possano evolvere.
L’osteosarcoma inoltre va distinto da altri tumori primitivi o secondari dell’osso.

FATTORI PROGNOSTICI
- Età: minore tolleranza al trattamento nei bambini e forme più avanzate nei pz. più
anziani
- Fattori sierici: fosfatasi alcalina e LDH
- Fattori del tumore: Presenza di metastasi, Dimensioni della neoplasia, Tipo
istologico, Sede (prognosi peggiore al tronco), Iperespressione di gp170
- Risposta alla terapia
- Intensità di dose dei farmaci
- Risposta istologica alla terapia neoadiuvante
- Necrosi 100%
- Necrosi > 90%
- Necrosi > 50%
- Scarso o nessun effetto terapeutico
- Sede e tempo di ricaduta,
- n° lesioni

L’obiettivo della terapia neoadiuvante è di ottenere il 100% di necrosi: questi


pazienti hanno una prognosi migliore rispetto a chi ha una risposta superiore al
90% o a chi l’ha superiore al 50%. La percentuale di necrosi è correlata con la
sopravvivenza libera da eventi.

TERAPIA
L’obiettivo della terapia dell’osteosarcoma è da un lato la guarigione e dall’altro la
preservazione dell’arto.

Terapia chirurgica
La chirurgia può essere:
- Demolitiva quando comporta l’amputazione al di sopra della articolazione vicina,
disarticolazione o in caso di Amputazione trans-midollare. E’ indicata nei tumori
avanzati nei quali non è possibile ottenere un margine pulito.
- Conservativa, in questo caso si pone il problema dei margini, la selezione dei
pazienti: età, sede, dimensioni, infiltrazione dei tessuti molli
- Metastasectomia: Resezione anche reiterata delle metastasi polmonari

Terapia medica
- Adiuvante: consente di ottenere una riduzione delle recidive al 50-60%. Consente
di capire il destino prognostico del paziente a seconda della quantità di necrosi nel
tumore e permette una maggiore preservazione dell’arto.
Quando è primaria consente una sopravvivenza a 5 anni del 50% con conservazione
dell’arto. Può essere palliativa. I farmaci principali utilizzati saranno:
- MTX ad alte dosi + “rescue”
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 249 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
- CDDP e Doxorubicina
- Ifosfamide, Bleomicina, Actinomicina D
- Farmaci sperimentali: Vaccini, Radioimmunoterapia, Terapia genica

Radioterapia
Obsoleta ed inefficace si fa solo in caso di metastasi ossee sintomatiche o metastasi
cerebrali.
Una possibilità della radioterapia è con il samario radioattivo nei rari casi di
osteosarcoma con metastasi ossee multiple, però dà delle aplasie midollari
importanti.

SARCOMA DI EWING
Il sarcoma di Ewing rappresenta il 20% delle neoplasie dell’osso e l’1% di tutte le
neoplasie infantili. Il picco è lievemente più tardivo dell’osteosarcoma ma sempre
nel secondo decennio di vita. La fascia di età nella quale si sviluppa solitamente il
tumore è quella tra i 5 e i 30 aa. Ha una lieve prevalenza nel sesso maschile.

EZIOLOGIA
Sono state descritte forme familiari. Le mutazioni più frequenti in questi casi saranno:
- Traslocazione reciproca t(11:22)(q24;q12);
- Trascritto di fusione tra gene EWS (22) e gene FLI1 (11) in grado di sviluppare
maggiormente la crescita e la proliferazione cellulare (questa traslocazione è
l’aberrazione molecolare più caratteristica);
- Iperespressione c-myc, c-myb;

ANATOMIA PATOLOGICA E STORIA NATURALE


La caratteristica del tumore di Ewing è l’origine neurale da cellule
colinergiche post-gangliari del SNA parasimpatico. Ha degli
aspetti morfologici e citogenetici comuni con PNET (tumore
neuroectodermico ad insorgenza periferica) più differenziato
rispetto al sarcoma di Ewing. Una forma particolare della famiglia
Ewing è il tumore a cellule rotonde della parete toracica o t. di
Askin: tumore dell’età infantile.
L’aspetto macroscopico dello Ewing è puruloide. Le cellule sono
piccole e rotonde, scarso stroma. Immunoistochimica positiva per
vimentina e negativa per altri marcatori neurali.

Lo Ewing può insorgere in tutti i segmenti ossei ma


prevalentemente dove c’è il sistema parasimpatico quindi tronco e
r a d i c e d e l l e e s t re m i t à . N e l l e o s s a l u n g h e è c o l p i t o
prevalentemente il canale midollare al passaggio diafiso-
metafisario, da qui interessa la corticale e coinvolge i tessuti molli
circostanti. Può originare anche dalla corticale e da qui portarsi ai
tessuti molli. La diffusione delle metastasi è identica a quella dell’osteosarcoma.

Ha metastasi a distanza alla diagnosi nel 25% dei casi. I pazienti che vengono
sottoposti solo ad intervento chirurgico diventano metastatici nel 70% dei casi entro
6 mesi dall’intervento e nell’80% dei casi entro 2 anni, questo significa che
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 250 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
l’intervento chirurgico da solo è inutile. La sopravvivenza a 5 anni con il solo
trattamento locale è del 5-10%.
Le sedi metastatiche più frequenti saranno: polmoni (38%), scheletro (31%), m.
osseo (11%), lfn, fegato, SNC

Fortunatamente lo Ewing è un tumore radiosensibile, per questo motivo la


radioterapia viene fatta dopo l’intervento chirurgico.

QUADRO CLINICO
Spesso i pz si presentano con dolore anche di vecchia data o intermittente
(localizzazioni allo scheletro assiale). Possono essere presenti tumefazione e/o
flogosi locale con segni di compressione delle strutture circostanti, tipicamente
sciatalgia, paraparesi.
Può essere presente versamento pleurico in caso di metastasi polmonari. Le
metastasi possono essere anche scheletriche e linfonodali. Spesso sono presenti
sintomi e segni di malattia sistemica. Le fratture patologiche sono rare.
Anche nello Ewing il dolore è l’elemento più indicativo, insieme a flogosi e
tumefazione, e compaiono dei sintomi che erano meno rappresentati
nell’osteosarcoma come dolore alle vertebre, metastasi alla pleura e manifestazioni
paraneoplastiche.
L’esordio clinico abituale è quello di una patologia sistemica con febbre, anemia,
leucocitosi, dimagrimento e VES molto elevata. Di fronte a un simile quadro clinico
si potrebbe pensare ad un processo infettivo (osteomielite acuta), ma si deve sempre
tener conto della possibilità di un sarcoma di Ewing.

DIAGNOSI DI NATURA
Il percorso diagnostico è lo stesso dell’osteosarcoma, ma si dà maggior importanza
alla biopsia ossea.
La biopsia ossea incisionale o mediante ago va fatta in un osso lungo
longitudinalmente per asportare all’intervento tutto il tessuto cutaneo e
sottocutaneo possibilmente contaminato dalla biopsia. Il tramite bioptico deve
essere asportato chirurgicamente.

All’Rx la lesione si presenta con aree di osteolisi multiple e di


piccole dimensioni  non confluenti. Nelle fasi più avanzate la
struttura ossea viene completamente cancellata (“osso
fantasma”). Tipica è la reazione periostale è a ” sfoglie di cipolla ”
che si accompagna alla formazione di spicule ossee con aspetto
“raggiato”. L’invasione dei tessuti molli adiacenti è costante .
Tipiche sono:
-Osteolisi con interruzione corticale
-Reazione periostale a lamelle sovrapposte (“a buccia di cipolla”)
-Sollevamento del periostio (Triangolo periosteo di Codman)

La sierologia, TC, RM come in osteosacroma.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 251 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
STADIAZIONE
Per la stadiazione valgono gli stessi principi dell’osteosarcoma:
- Rx e TC torace
- Scintigrafia ossea
- Biopsia osteomidollare

DIAGNOSI DIFFERENZIALE
Le principali condizioni che vanno in diagnosi differenziale con il sarcoma di Ewing
saranno:
- Tumore di Askin nel bambino e neuroepitelioma periferico: suscettibili di
intervento chirurgico.
- Osteomielite
- Cisti aneurismatica
- Granuloma eosinofilo
- Neuroepitelioma periferico (p-PNET) e Neuroblastoma
- Linfoma
- Altri tumori primitivi o secondari dell’osso

FATTORI PROGNOSTICI
- Età: decorso più favorevole nei bambini < 10 anni
- Livelli sierici di LDH
- Fattori del tumore come:
- Sede: bacino prognosi sfavorevole, arti favorevole, altre prognosi intermedia
- Diffusione della neoplasia
- Massa neoplastica
- Grado di differenziazione neurale
- Risposta alla terapia
- Risposta al trattamento sistemico
- Possibilità di terapia combinata
- Possibilità di intervento chirurgico, oltre al trattamento radiante

Trattamento combinato: chemioterapia-intervento-radioterapia, in maniera diversa a


seconda della sede. Ad esempio un tumore delle coste sarà trattato prima con la
chemioterapia per ridurlo e poi con la terapia loco regionale, diversamente si può
fare con un tumore che coinvolge un osso lungo.

TERAPIA
Il tumore di Ewing è radio e chemio sensibile, il trattamento è combinato e permette
di avere una sopravvivenza a 5 anni del 50%

Terapia chirurgica
La chirurgia è stata abbandonata negli aa. 70 a favore della RT. Attualmente però è
stata rivalutata. Il suo ruolo infatti è in continua evoluzione. Essa consente di
ottenere minori recidive locali rispetto alla radioterapia. Può essere demolitiva in
caso di fratture patologiche, dimensioni cospicue, non controllabili con RT o
chemioresistenti. o ancora nelle lesioni distali agli aa. inf. in pz < 10 aa. (rischio di
II tumore o di deficit funzionali).

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 252 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
La chirurgia conservativa può essere applicata se il tumore è localizzato a livello
della Fibula prossimale senza interessamento delle parti molli, Coste, scapola, ala
iliaca, metatarso, margine della clavicola

Radioterapia
Si effettua ad alte energie (40-45 Gy + 10-15 Gy). Il campo irradiato comprende la
neoplasia con adeguato margine ed i tessuti molli. Può essere concomitante alla
terapia medica quando è necessaria una rapida risposta.

Terapia medica
- Integrata con RT e CH: DFS a 5 aa. 50%
- Adiuvante post-chirurgia o post-RT
- Palliativa: RR sino al 75%

Farmaci principali:
- CTX (o IFX),
- DOX,
- VCR,
- ACT-D,
- VP-16

BIBLIOGRAFIA
____________________________________________________________________
- Sbobinature Prof Barone,aa 2014/2015 e aa 2015/2016
- www.ior.it, sito dell’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna
- Ortopedia di Netter Copertina rigida– 30 nov 2007 di Walter Greene (Autore)

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 253 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

CAPITOLO 18
___________________________________________________________
TUMORI DEL RENE

Tumori del parenchima renale Adenoma Cisti Solitaria unilaterale


maturo
Aenocarcinoma Multiple

Tumori del parenchima renale Nefroblastoma Caliceale


immaturo
Carcinoma embrionario Piogena

Sarcoma Calcifica

Tumori epiteliali della pelvi Papilloma a cellule transizionali Cistoadenoma


renale
Carcinoma a cellule transizionali Cistoadenoma papillare

Carcinoma a cellule squamose Dermoide

Adenocarcinoma Cisti pararenali/perirenali

T u m o r i Emangioma
vascolari
Linfangioma

Amartoma


I tumori più frequenti a livello renale sono gli adenocarcinomi o tumori di Grawitz,
tra i quali il più rappresentato è il carcinoma a cellule chiare che è il più frequente;
poi ci sono tumori a cellule chiare con varianti di vario tipo.

Il nefroblastoma (tumore di Wilms) è il tumore più frequente nei pz pediatreici.
Esso ha un buon indice di guarigione poiché viene curato con la chirurgia ed è
sensibile alla chemioterapia e alla radioterapia.

E’ importante tenere presente che un tumore del rene, una lesione solida del rene, è
un tumore maligno fino a prova contraria.
Solo raramente abbiamo tumori benigni: oncocitoma, angiomiolipoma. 

L’angiomiolipoma è facile da diagnosticare per la presenza di tessuto adiposo: sia il
radiologo che fa l’Eco sia il radiologo che fa la TC o la RM riferiscono la presenza di
tanto tessuto adiposo.

Nel caso dell’oncocitoma invece è difficile fare la diagnosi prima dell’intervento
chirurgico; perciò qualunque massa solida che vediamo a livello del rene dobbiamo
considerarla maligna fino a prova contraria. Al tempo stesso difficilmente le biopsie
sono in grado di darci quelle informazioni che permettono ai patologi di definire la
massa come oncocitoma: i patologi vedono delle cellule oncocitarie ma non
prendono mai una posizione che permette dire che quello è tumore benigno. 

Esistono anche le cisti renali che sono delle palle piene d’acqua. Chi ha più di
cinquanta anni ha probabilmente nel 70-80% dei casi delle cisti renali semplici.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 254 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
A livello renale ci possono essere anche linfomi, tumori neurogeni, tumori
germinali e tumori secondari. 

PRINCIPALI QUADRI RADIOLOGICI

Oncocitoma Appare agli US come una massa rotondeggiante, margini netti, ecogenicità omogenea
simile al parenchima renale; LaTC o RM è necessaria per distinguerlo da carcinomi
renali (stesso aspetto ecografico). Presenta una caratteristica cicatrice centrale stellata
non captante mdc.

Angiomiolipoma Agli US appare rotondeggiante, ben delimitato, intensamente iperecogeno

Adenocarcinoma All’US avremo una massa circoscritta, ecogenicità simile a quella del parenchima
renale. Tipicamente a localizzazione periferica con deformazione del profilo renale.
Spesso impronta gli echi pielici. Alla RM o TC osserveremo una massa solida con
minore captazione del mdc rispetto al parenchima circostante, Soprattutto nei tumori
di maggiori dimensioni sono presenti ampie aree necrotiche endolesionali e frequenti
calcificazioni. All'imaging possiamo vedere anche adenopatie dell'ilo renale o
lomboaortiche, trombosi della vena renale, trombosi della vena cava inferiore.

Carcinoma Agli US si presenta come massa ipoecogena,.Tipicamente localizzazione centrale con


deformazione o interruzione degli echi pielici, spesso associata a idronefrosi a monte.
uroteliale
Alla TC o RM presenta con minore frequenza necrosi e calcificazioni.

ADENOCARCINOMA
Epidemiologia
In Italia l’incidenza del carcinoma del rene è in linea con la media degli altri paesi
occidentali. I tumori del rene costituiscono il 2-3% di tutti i tumori dell’adulto. Ogni
anno ci sono 15 nuovi casi ogni 100.000 abitanti, ovvero poco più di 5.000 nuovi
casi all’anno con mortalità all’incirca di 2.000 persone all’anno (rapporto a sfavore
del sesso maschile M:F = 2:1 – 3:1) con un picco di massima incidenza attorno ai
60-70 anni, con una maggior prevalenza del cancro del rene nelle aree urbane
piuttosto che in quelle rurali.
La prevalenza maggiore è tra i 65 e 75 anni, e rimane una patologia con una
incidenza rilevante anche nel grande anziano (85+) anche se si riduce leggermente.
Esistono forme sporadiche e forme ereditarie.
Il picco massimo di insorgenza delle forme sporadiche (monocentriche e
monolaterali) si osserva intorno ai 60 anni rispetto ai 45 delle forme ereditarie.
Mentre per quanto riguarda la frequenza e la localizzazione le forme genetiche sono
solamente il 4% del totale dei carcinomi del rene, ma sono multicentriche e
bilaterali. Mentre le sporadiche sono il 96% e monolaterali.

Fattori di rischio
Tra i fattori di rischio dell’adenocarcinoma del rene, il principale è il fumo. Il fumo
non è una problematica che ha a che fare soltanto con la cancerogenesi delle vie
respiratorie, del cavo orale o delle mucose che vengono a contatto con i prodotti
cancerogeni del fumo, ma è anche un fattore di rischio prevalente in tutte quelle
neoplasie che hanno a che fare con l’escrezione: le vie urinarie sicuramente, la
ghiandola mammaria per certi versi, e anche le vie biliari.

La vita nei centri urbani è un fattore di rischio proprio per l’esposizione a


policancerogeni ambientali dispersi nell’aria.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 255 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Un altro fattore importante è la malattia di von Hippel-Lindau che è una condizione
piuttosto rara, la chiamiamo anche angiomatosi cerebello retinica. Una delle
stimmate che portano a sospettare la malattia di VHL è incontrare proprio persone
che hanno grossolani angiomi dell’emi-faccia. In genere infatti gli angiomi cutanei
specialmente se di grosse di dimensioni e monolaterali si associano ad angiomatosi
cerebello retinica. Il gene principalmente coinvolto, tra l’altro, nella cancerogenesi
del cancro del rene si chiama proprio VHL.

Poi ci sono altri elementi che sono importanti: la familiarità, l’esposizione a farmaci
(la fenacetina è un classico del tumore del rene, tant’è che non è approvata negli
USA, ma comunque utilizzata poiché ci si può procurare la fenacetina in Italia);
l’esposizione a metalli pesanti come il Cadmio e altre condizioni che favoriscono la
flogosi cronica renale che sono il rene policistico (non quello congenito, ma quelli in
trattamento dialitico cronico con delle alterazioni dell’epitelio delle cisti che sono
delle precancerosi per il tumore del rene).

Fattori di rischio importanti sono associati anche all’esposizione professionale oltre


che ambientale, in particolare l’esposizione prolungata ai solventi industriali come il
tricloroetilene, i derivati del petrolio e del benzene e anche sostanze che vengono
utilizzate nella conciatura delle pelli, sono quindi a rischio i lavoratori delle industrie
di pellami e di calzature.
Anche i parrucchieri sono a rischio di sviluppare cancro del rene, non si sa bene con
precisione quale delle sostanze con cui vengono a contatto più frequentemente
rispetto altri lavoratori, ma probabilmente alcuni fissatori o decoloranti che
contengono cancerogeni (i parrucchieri sono stati inseriti dalla WHO nelle liste delle
categorie professionali a rischio di sviluppare patologie neoplastiche).
Altre condizioni che possono aumentare il rischio sono: Rene policistico e Diabete
mellito.

Forme ereditarie di tumore del rene


- Forma associata alla S. di von-Hippel-Lindau
- Mutazione del gene VHL nella linea germinale
- Ruolo anche nei tumori sporadici
- T. a cellule chiare
- Carcinoma renale papillare ereditario
- Carattere autosomico dominante
- Protooncogene responsabile: c-Met
- T. a cellule papillari tipo I
- Oncocitoma Familiare Renale e S. di Birt-Hogg-Dubè (fibrofolliculomatosi
ereditaria)
- Gene BHD
- T. a cellule cromofobe/oncocitoma
- Leiomiomatosi - Carcinoma renale ereditario a cellule chiare
- Gene fumarato idratasi (FH)
- T. a cellule papillari tipo 2

I tumori genetici del rene sono il 4-5% del totale, il 95% sono tumori sporadici però le
alterazioni genetiche sono identiche, la differenza è che nelle forme ereditarie

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 256 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
l’alterazione di un allele si verifica nella via germinale e poi il secondo allele muta nella
linea somatica; nelle forme sporadiche (non genetiche) le alterazioni genetiche
riguardano entrambe la linea cellulare somatica.

La prima forma ereditaria che consideriamo è quella associata alla sindrome di von
Hippel-Lindau in cui c’è una mutazione del gene VHL nella linea germinale e che si
manifesta con un tumore a cellule chiare, il classico tumore del rene. All’interno dei
tumori a cellule chiare oggi si riconoscono almeno 4-5 sottotipi.

Il secondo gruppo è legato a c-Met che si trasmette come carattere autosomico


dominante, un proto-oncogene che dà origine ad un carcinoma ereditario papillare
di tipo I.

Il terzo gruppo è quello dell’oncocitoma familiare renale o sindrome di Birt-Hogg-


Dubè (gene BHD)che è una fibrofolliculomatosi ereditaria che comprende nell’ambito
della stessa famiglia e più raramente anche dello stesso individuo altre tipologie di
alterazioni che sono molto caratteristiche come le fibrofolliculomatosi che
riguardano sia la cute, ma nel sesso femminile riguardano soprattutto i dotti
galattofori (queste donne vanno incontro a mastiti recidivanti che a volte diventano
anche intrattabili e richiedono interventi importanti per risolvere il problema).
Questi soggetti o i parenti geneticamente correlati vanno incontro inoltre
caratteristicamente a pneumotoraci spontanei plurimi. È una sindrome rara, infatti
solo l’1% dei tumori del rene rientrano nell’ambito di questa sindrome. Il tumore
renale che affligge questi soggetti è un tumore maligno ad istotipo cromofobo oppure,
possono avere solo un oncocitoma (benigno o al massimo borderline).

L’ultimo gruppo è quello dei soggetti con mutazione della fumarato idratasi (FH), un
enzima coinvolto nel metabolismo glucidico, che si associa a un’altra condizione
benigna che è la leiomiomatosi che però si può associare a tumore renale a cellule
chiare, anche se l’istotipo non è tanto quello a cellule chiare, ma il tumore a cellule
papillari di tipo 2. La forma tipo 2 si differenzia dalla tipo 1 perché le cellule della
papillare di tipo 2 sono semplicemente cellule più chiare istologicamente.

Biologia molecolare
I geni soppressori associati con il carcinoma renale sono:
- 3p13-14.3 e 21.3 (delezione e traslocazione), Coinvolto nello sviluppo del ca.
renale, queste regioni sono delete anche nel ca. polmonare
- 5q21, Associato alla progressione, corrisponde a MCC e APC
- 6q27: Associato alla progressione
- 10q21-23: Associato alla progressione

I tumori ereditari sono caratterizzati da due alterazioni genetiche parallele, secondo la


teoria del doppio colpo di Knudson. Tutte le cellule comprese quelle somatiche hanno
una prima mutazione germinale ed alcune possono sviluppare la mutazione somatica
sull’allele corrispondente.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 257 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Meccanismo HIF
Quando ci sono condizioni di normossia la proteina VHL si complessa con un’altra
proteina (elongina III) formando il complesso proteico che lega l’HIF, il fattore
correlato all’ipossia, rendendo questa proteina HIF degradabile attraverso la via
dell’ubiquitina-proteasoma. La degradazione di HIF avviene se non vi è ipossia.
L’accumulo in condizioni di ipossia invece determina la produzione di VEGF
(angiogenesi), Glut1 (trasporto glucosio), PDGF (stimolazione autocrina) ed
eritropoietina (fattore caratterizzante molte delle sindromi paraneoplastiche del rene,
eritrocitosi paraneoplastica), che sono fattori successivi di risposta all’ipossia.
Una mutazione a carico di VHL ostacola la formazione del complesso proteico e HIF
si accumula come se le cellule fossero in condizioni di ipossia.
A seguito della mancata degradazione dell’HIF si verificano tutta una serie di eventi
tra cui anche la stimolazione di fattori di crescita e di recettori, tra cui ad esempio:
• TGF-like e TGFalfaR;
• EGF e il suo recettore;
• PTH-like e il TGFbetaR

Da un lato questi attivano la crescita cellulare dall’altro attivano anche il


riassorbimento osseo che a sua volta fa si che ci sia un’iperproduzione del TGFbeta,
fattore che riveste un ruolo importante nella regolazione della risposta immunitaria.
I due bracci della regolazione del sistema immunitario sono da un lato l’inibizione
della stimolazione linfochino-mediata dei linfociti periferici e dall’altro l’inibizione
dell’attività litica delle cellule NK attivate dalle linfochine.
L’ alterazione del pattern che coinvolge il VHL ha delle ripercussioni non soltanto in
termini di angiogenesi o di disponibilità di sostanze nutritive cellulari, ma anche
eventi che portano alla crescita cellulare e all’inibizione della risposta immune. Non
è causale il fatto che, assieme al melanoma, il carcinoma renale, è proprio uno dei
tumori che meglio ha riposto alla terapia immunostimolante tradizionale
(Interferone, IL-2).

Gene Cromosoma Funzione Classificazione


_____________________________________________________________________


VHL 3 Regola HIF Oncosoppressore


MET 7 Crescita cellulare Oncogene
FH 1 Ciclo energetico Oncosoppressore
BHD 17 ? Oncosoppressore

Manifestazioni cliniche
I sintomi più frequenti sono l’ematuria (micro e macro ematuria), il dolore al fianco
e la massa palpabile. La triade sintomatologica è però rara come presentazione
sincrona. Quello che deve quindi guidare verso il sospetto di carcinoma del rene è
l’ematuria oppure il dolore al fianco come sintomi singoli, molto più raramente
anche una possibile massa palpabile.
Poi ci sono anche altri sintomi correlati alla produzione di sostanze (citochine e
affini) che sono stimolate dall’accumulo di HIF. Questi saranno: il calo di peso,
l’ipertensione, la febbre, la poliglobulia, l’ipercalcemia e il varicocele sinistro. Il

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 258 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
varicocele è molto frequente come malattia in senso proprio, ma estremamente rara
come segno associato al tumore del rene.. Nessun sintomo nel 20%. Manifestazioni
paraneoplastiche <20%

Sindromi paraneoplastiche associate al tumore del rene


La mutazione di HIF ci fa capire perché molte sindromi paraneoplastiche specifiche
sono associate proprio al cancro del rene. Le sindromi paraneoplastiche si verificano
o per uno squilibrio del sistema immunitario a livello sistemico oppure perché dal
tumore vengono prodotte alcune molecole con attività ormone simile.
Nel tumore del rene è importante sottolineare la possibile presenza di febbre (per
increzione dell’IL6 e dell’IL2), cachessia, ipercalcemia (PTH-like), policitemia
(EPO), amiloidosi (rara sindrome di Staufner che consiste in una patologia epatica
non metastatica con colestasi intraepatica anitterica, aumento della fosfatasi alcalina e
della gamma-GT, ma non delle transaminasi e della bilirubina) con anomalie della
funzione epatica ed alcune neuromiopatie.

A volte i pz presentano una trombosi cavale. Una caratteristica della trombosi


associata al cancro del rene è che la trombosi può risalire dalla vena renale fino alla
vena cava inferiore e, a volte, può raggiungere anche l’atrio di destra.

Diagnosi
Nel momento in cui c’ è il sospetto di un tumore del rene una volta si ricorreva all’
urografia, ora questo è un esame a cui si ricorre solo in situazioni particolari. Infatti
nel momento in cui vi sia il sospetto di tumore renale l’esame di primo livello è
l’ecografia renale (Spesso però bisogna decidere che ecografia eseguire perché se il paziente
lamenta un dolore lombare l’ecografia è renale e sonda l’addome superiore, ma se il paziente
manifesta ematuria non conosciamo esattamente la sua origine e quindi il distretto da indagare
risulta incerto in quanto gli eritrociti possono provenire dal rene, dalla vescica o se il pz è maschio
l’ematuria può essere legata all’ ipertrofia prostatica. È vero che si può fare la distinzione tra
ematuria terminale ed ematuria lombare però rimane un esame orientativo).

Nel caso del pz con ematuria dobbiamo eseguire sia un’ecografia renale sia
un’ecografia della vescica ed i due esami hanno delle metodiche diverse: l’ecografia
della vescica si esegue a vescica vuota, quella renale a vescica piena.
- Se l’ecografia renale determina che la lesione presunta è una cisti, questa va
tenuta sotto controllo specialmente se non possiedi caratteristiche chiare e
definite.
- Se è una massa solida bisogna ricorrere ad ulteriori esami quali la TC, la RM o
l’uro-risonanza, e raramente l’arteriografia in quanto non si esegue per soli fini
diagnostici ma anche per fini interventistici ad esempio nel caso in cui ci sia una
massa che sanguini l’arteriografia consente l’embolizzazione ed una maggior
tranquillità nell’ eseguire un intervento chirurgico.

Le biopsie sono sempre gravate da un rischio più o meno elevato di contaminazione del
tragitto. Nel caso del cancro del rene la contaminazione del tragitto altera le vie di
diffusione linfonodali poiché il tumore del rene fisiologicamente invade i linfonodi
dell’ilo o quelli associati alla vena renale, ma se eseguendo una biopsia si contamina
la regione lombare allora la disseminazione prenderà una strada completamente

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 259 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
diversa creando delle possibili complicanze per quanto concerne la diffusione del
tumore.
La biopsia nel tumore del rene si esegue solo nei casi in cui io sono certo di non operare
il pz, escludendo sia un intervento radicale che un intervento parziale o palliativo.
Il cancro del rene si opera quando è metastatico, si evita l’operazione solo quando è
multi-metastatico.

L’ecografia è dunque l’esame di prima istanza. A questo esame saranno caratteri di


benignità (cisti): parete liscia senza aggetti verso il lume, liquido senza depositi a
differente ecogenicità. È possibile che sia anche una neoplasia. Se aspirassimo il
liquido, in caso di neoplasia troveremmo LDH aumentato e glucosio diminuito. La
cisti va tenuta sotto controllo, soprattutto se presenta caratteristiche dubbie.
In caso di formazione solida la dd può essere tra: Tumore, Trauma chiuso del rene (pz
ha in anamnesi trauma lombare e microematuria, in tal caso la RMN distingue tra
sangue vecchio e fresco), Pielonefrite xantogranulomatosa (infezione cronica con
granulomi giallastri e massa dura aderente ai piani circostanti).

Una massa > 3 cm riscontrata occasionalmente nel rene è neoplastica nell’83% dei
casi.
La TC è l’esame di seconda istanza, serve per la stadiazione.
E’ necessario estendere l'esame di seconda istanza a tutto il sistema escretore. E’
utile eseguire uno studio della funzionalità renale in previsione dell’intervento.

Anatomia patologica
L’aspetto è rotondeggiante, le dimensioni sono molto variabili (da
pochi cm a tutto l’addome), spesso si riscontra la presenza di
pseudocapsula. Dal punto di vista anatomopatologico ha un colore
giallo arancione con aree necrotico-emorragiche. A volte alcuni
tumori del rene hanno l’aspetto di una cisti “sporca” (contenuto
non perfettamente limpido dal punto di vista ecografico) ed hanno
delle imponenti zone necrotico-emorragiche con la presenza di
trombi neoplastici.

Dal punto di vista istopatologico l’adenocarcinoma include:


-Forme a cellule chiare (25%);
-Forme a cellule non chiare:
-papillare (15%);
- cromofobo / oncocitoma (10%);
- dei dotti collettori (5%).
- Forme scarsamente differenziate che si presentano con morfologie a cellule fusate o
sarcomatoidi (sono sinonimi) che sono le forme con prognosi peggiore;
- Forme miste.

L’aspetto sarcomatoide può interessare interamente il tumore ma si può verificare


anche che altri istotipi presentino in minima parte quest’aspetto. Ad esempio un
tumore a cellule chiare può avere delle aree a cellule sarcomatoidi (fusate) e la
presenza di queste aree conferisce al tumore una maggiore aggressività.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 260 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Esiste una correlazione tra gene alterato e istotipo che si riscontra nei tumori ad
origine genetica (a cellule chiare, papillare, cromofobo od oncocitoide).
Questa correlazione gene-istotipo è rispettata anche nei tumori renali sporadici che
costituiscono il 95% dei tumori totali.

Questa correlazione rimarca l’importanza dello studio delle sindromi genetiche


correlate ai tumori perché pur avendo incidenza bassa (5%) consentono più
facilmente rispetto a quelle sporadiche di individuare delle alterazioni morfologiche
di una determinata neoplasia.

Dal punto di vista istopatologico:


- Dal nefrone prossimale deriva il carcinoma a cellule chiare ed il carcinoma
papillare sia di tipo I che di tipo II.
- Dal nefrone distale deriva l’oncocitoma, il carcinoma cromofobo ed il carcinoma
del dotto di Bellini e le forme indifferenziate.

Storia naturale
In genere si presenta come una lesione occupante spazio separata dal parenchima
sano da una pseudocapsula costituita da tessuto connettivo renale addensato. La
neoplasia si può estendere al sistema caliceale dando come sintomo l’ematuria. La
caratteristica ipervascolarità della malattia spiega la precoce invasione venosa.
Il carcinoma renale si diffonde per via:
- Diretta, agli organi circostanti;
- Linfatica, prima verso ilinfonodi ilari, poi verso quelli lomboaortici; possibile la
diffusione retrograda.
- Linfoematogena; le cellule tumorali possono diffondere al dotto toracico ed
invadere la vena cava superiore
- Ematogena. tramite la vena renale si propagano attraverso trombi giganti che
possono raggiungere la vena cava inferiore o addirittura l’atrio dx.

Il carcinoma del rene non predilige la via linfatica ma la diffusione ematogena o
linfoematogena, oltre alla naturale possibilità di diffusione per contiguità.

La via di diffusione principale è quella che interessa la vena renale, la vena cava
inferiore e il polmone. In secondo luogo la diffusione può avvenire per via linfo-
ematica.
L’interessamento linfonodale è poco importante come testimonia anche la poca
attenzione verso linfoadenectomia e lo scarso prelievo di linfonodi (3) da parte dei
chirurghi in seguito ad esportazione totale o parziale del rene o di parti di esso.
Le metastasi nel cancro del rene possono interessare tutti i distretti. La sede
principale di metastasi è il polmone (55%), seguito dal fegato (33%), dalle ossa
(32%), surrene (19%), rene e surrene controlaterali. Cervello 6%, Milza 5%, Intestino
crasso 4%, Cute 3%.

Prognosi

Siamo in grado di fare una valutazione prognostica del carcinoma del rene esaminando varie
caratteristiche sia che si tratti di malattia limitata, sia che si parli di malattia estesa.

Nel caso di malattia limitata è importante che la lesione sia localizzata infatti
peggiore è il T peggiore è la prognosi; inoltre maggiore è l’interessamento linfonodale

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 261 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
peggiore è la prognosi; anche le dimensioni, il grado di malignità, espresso attraverso
la classificazione di Fuhrman, l’età e l’istotipo costituiscono fattori di prognosi.

Per le forme metastatiche è invece importante l’intervallo libero da malattia.

Se la malattia è estesa i fattori prognostici sfavorevoli sono:


- Sesso femminile;
- Istotipo
- Numero ed estensioni delle metastasi;
- Interessamento sia ematico che osseo (espresso da aumento della fosfatasi alcalina)
- Ematocrito quando è basso indica la prognosi peggiore.

Classificazione TNM


T1 Tumore confinato al parenchima renale di dimensioni < ai 7 cm

T2 Tumore confinato al parenchima renale di dimensioni > ai 7 cm

T3 Tumore ha invaso il grasso perirenale o invasione della vena renale e della vena cava.

T3a Invade surrene o tessuto perirenale, ma non supera fascia di Gerota

T3b Invade le strutture venose

T4 Tumore ha invaso degli organi circostanti, superando la fascia di Gerota.

N1 un linfonodo max 2 cm

N2 un linfonodo > 2 cm ma < 5 cm oppure linfonodi multipli non superiori a 5 cm

N3 un linfonodo > 5 cm nel diametro maggiore

M0 assenza di metastasi a distanza

M1 presenza di metastasi

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 262 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Le diagnosi in T1 rappresentano la metà delle diagnosi del tumore del rene e questo
giustifica il buon rapporto mortalità vs incidenza, rispettivamente 2000 e 5000 in
Italia, che corrisponde al 40% di mortalità. Diagnosi in T2, T3, T4 in meno del 25%.
Diagnosi in N+M+ nel 25%.
I pazienti operati con diagnosi di T1 N0 hanno quasi il 100% di sopravvivenza a 5
anni dalla diagnosi, che non coincide con la guarigione ma con buone probabilità di
guarigione. Naturalmente la sopravvivenza si riduce all’aumentare della gravità del
tumore: T2 (70-80%) , T3 (65%), T4 che è appena del 15% a due anni dalla
diagnosi.
Un tumore del rene (T4) che ha superato la fascia di Gerota, ed ha interessato gli
organi circostanti ha una sopravvivenza del 15% a 2 anni.
Anche l’interessamento linfonodale influenza negativamente la prognosi

Terapia
Il principale intervento terapeutico è rappresentato dalla chirurgia. Fino a pochi anni
fa l’unica alternativa ritenuta valida per il cancro del rene era la nefrectomia radicale
eventualmente preceduta da una chemio-embolizzazione per ridurre al minimo il
sanguinamento.

In epoca più moderna invece si è visto che nei casi in cui è attuabile la nefrectomia
semplice o addirittura la resezione parziale del rene questi interventi sono ugualmente
efficaci.

Nei tumori T1 la resezione parziale conferisce una sopravvivenza a 10 anni che è


superiore a quella della nefrectomia radicale, e questo non è dovuto al fatto che la
resezione parziale sia tecnicamente superiore in termini di radicalità rispetto alla
nefrectomia radicale o totale ma poiché l’ intervento conservativo (resezione
parziale) non comporta il rischio di insufficienza renale nel caso in cui il rene non
interessato da tumore inizi a mal funzionare. La radioterapia è scarsamente utile,
salvo nel trattamento delle metastasi ossee.

L’ intervento chirurgico ha anche un grande peso nei casi di metastasi in cui esso è auspicabile a
meno che non ci siano delle controindicazioni legate all’estensione.
L’intervento si può eseguire sia nel caso in cui ci sia un’unica metastasi primaria, sia nel caso di
multi-metastasi; se ci sono le metastasi si procede prima con una terapia medica per controllare le
metastasi a distanza e poi con una nefrectomia con intento citoriduttivo.

L’unica condizione in cui il tumore metastatico non è candidabile all’intervento


chirurgico è quando le metastasi sono molto estese e non c’ è una risposta importante
alla terapia medica.

Anche la nefrectomia eseguita soltanto per ridurre la massa neoplastica (debulking


nephrectomy) si è comunque dimostrata in grado di migliorare la sopravvivenza
anche nei pazienti metastatici.
In conclusione al paziente con il tumore al rene non è precluso di principio
l’intervento chirurgico sia che abbia una singola metastasi sia che ne abbia multiple.
Un intervento particolare che non è ancora stato validato è la termoablazione percutanea che
consiste in un intervento laparoscopico con l’impiego di radiofrequenze o crio-ablazione.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 263 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

In realtà ormai non ci sono più limiti per conservare o meno il rene, ma il limite è dato
dall’esperienza del chirurgo: se il chirurgo è in grado di asportare una neoplasia anche di 10 cm
salvando il rene e contrastando quelli che sono i problemi vascolari, nulla vieta di attuare la
chirurgia conservativa. Naturalmente man mano che queste neoplasie diventano grandi, perdono
la tipica connotazione a palla capsulata e cominciano a infiltarare all’interno del rene.
Le neoplasie pseudocapsulate hanno una buona prognosi (questo spiega perché la mortalità del
tumore del rene non è così elevata); invece le neoplasie che ormai hanno perso la pseudocapsula
sono quelle che vanno incontro a malattia metastatica.


Nefrectomia radicale: è un intervento serio nel senso che prevede non solo
l’asportazione del rene ma anche quella del grasso circostante e dei linfonodi
regionali (dal diaframma alla biforcazione aortica, per permettere una stadiazione
adeguata e consentire una riduzione della recidiva locale), del surrene omolaterale. 


Farmacoterapia
La terapia di alcuni anni fa prevedeva l’impiego di interferone ed interleuchina o di
una loro combinazione (IL-2 + IFN alfa). È possibile ancora oggi utilizzare questi
farmaci ma non sono da tralasciare i numerosi effetti collaterali attribuibili anche
alle elevate dose di IL-2 e INF pari a 9 mln di unità per m2, con dosi che possono
arrivare a 15 mln.

Negli ultimi anni (2002-2009) sono entrati in commercio numerosi farmaci:


• Sunitinib con capacità anti-angiogenetiche;
• Sorafenib anti-angiogenetico e con capacità anti B-RAF epiteliale;
• Bevacizumab da solo o anche in associazione con IFN ed anche i suoi effetti
collaterali;
• Temsirolimus inibitore di m-TOR.

Di recentissima approvazione sono invece:


• Pazopanib con la stessa efficacia di sunitinib ma con minori effetti collaterali;
• Everolimus farmaco di elezione per i tumori del rene a rischio basso;
• Axitinib riconosciuto come farmaco di seconda linea nei pazienti che hanno
fallito il trattamento con sunitinib o pazopanib ( I linea).
Per concludere e riassumere: un tumore al rene di stadio IV viene trattato con
nefrectomia e se necessario con metastatectomia. Prima linea pazopanib o sunitinib
o in quelle a basso rischio temsirolimus.
Nel caso di un metastasi non suscettibili ad intervento chirurgico il sunitinib ha
offerto un miglioramento della qualità di vita.
L’algoritmo valido nei soggetti non
pretrattati consiste in sunitinib o
pazopanib o bevacizumab + IFN
(prima linea) se sono in alto o medio
rischio, in axitinib o everolimus in
seconda linea.
In soggetti precedentemente trattati

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 264 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
sorafenib, axitimib o everolimus.

La semplice chemipterapia non è attiva nei confronti di questo tumore. tale


chemioresistenza potrebbe essere spiegata dall’iperespressione della glicoproteina p170
codificata dal gene MDR. Questa proteina è in grado di espellere dalla cellula gran
parte delle sostanze tossiche naturali, tra le quali la maggior parte dei farmaci usati in
chemioterapia.

Sopravvivenza
Negli ultimi dieci anni la terapia per il tumore al rene ha subito notevoli
cambiamenti. Il primo passo per avviare una terapia medica in questi casi è stabilire
quale sia la prognosi del paziente che può essere buona, intermedia o cattiva.
Gli elementi che consentono di valutare la prognosi di un tumore metastatico sono:
- Il tempo dalla diagnosi al momento in cui è stato trattato;
- Valore di 60-70 nella scala di Karnosfky (pari a un ECOG 2 sono entrambe scale di
valutazione del paziente con tumore maligno)
- 2 o più siti d’organo interessati da metastasi;
- LDH > 1,5 volte il limite massimo superiore;
- Hb < 11 gr/dL;
- Ca2+ corretto > 10 mg/dL.

Ogni parametro vale 1 punto e la prognosi si definisce buona (per valori pari a 0-1)
intermedia (2) o cattiva (3 o +). Naturalmente la
sopravvivenza anche in assenza di trattamento è
strettamente correlata con la prognosi come si
evidenzia dalla tabella.

Nello stadio I la sopravvivenza a 5 anni è del 67%, nello stadio II del 59%, nello
stadio III del 30% e nello stadio VI del 7%.

NEFROBLASTOMA O TUMORE DI WILMS


Il nefroblastoma è il più comune tumore maligno del rene del bambino e si associa a
un'anomala proliferazione di cellule simili a quelle embrionali del rene
(metanefroma). Ciò giustifica il termine di ``tumore embrionale''.

Epidemiolgia
L'incidenza annuale è circa 1/10.000 nati e la malattia colpisce in maniera analoga i
due sessi. Il nefroblastoma interessa soprattutto i bambini di 1-5 anni, ma il 15% di
questi tumori viene diagnosticato nei bambini di età inferiore a un anno e nel 2% in
quelli con più di 8 anni. I pazienti adulti sono molto rari.

Eziopatogenesi
Il nefroblastoma è sporadico nel 99% dei casi e il 10% di essi si associa a difetti
congeniti (aniridia, emi-ipertrofia, anomalie urogenitali) o a sindromi specifiche
(Beckwith-Wiedemann, Denys-Drash, WAGR, Perlman, si vedano questi termini).
Nei tumori sono state descritte varie anomalie a carico di diverse regioni
cromosomiche: 11p13 (contenente il gene WT1), 11p15 (contenente il gene H19),

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 265 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
16q, 1p, 1q e 17p. Le forme familiari sono molto rare (1% dei casi) e si trasmettono
con il modello autosomico dominante.

Anatomia patologica
Il tumore è tipicamente di grosse dimensioni, può arrivare a pesare 2 kg. E’
biancastro, con aree cistiche/emorragiche, comprime il rene facendone ridurre le
dimensioni. Microscopicamente è costituito da una componente epiteliale che
origina dal blastema primitivo e da una componente mesenchimale la cui anaplasia
influenza la prognosi.

Storia naturale
Il tumore di Wilms metastatizza per via linfatica ai linfonodi retroperitoneali, per via
ematica al polmone, al fegato ed al diaframma. Ha una spiccata capacità di invasione
vascolare.

Stadiazione
- Stadio I, limitato al rene, e completamente rimosso chirurgicamente;
- Stadio II, oltre la capsula renale ma completamente rimosso chirurgicamente;
- Stadio III, tumore residuo confinato all’addome
- Stadio IV, coinvolgimento bilaterale al momento della diagnosi.

Presentazione clinica
Spesso è presente una massa nell'addome (monolaterale nella maggior parte dei
casi). I pazienti lamentano frequentemente un dolore addominale (nel 10% dei casi),
ipertensione, febbre (nel 20% dei casi), ematuria e anemia. L'evoluzione della
malattia è molto rapida, con disseminazione nello spazio retroperitoneale, ai
linfonodi, ai vasi (vena renale e vena cava inferiore) e nella cavità peritoneale, con
possibilità di metastasi al polmone e al fegato.

Diagnosi
La diagnosi si basa sulle immagini, in particolare la TC e la risonanza magnetica. La
concentrazione urinaria dei metaboliti delle catecolamine è normale. La diffusione
del tumore viene studiata con indagini strumentali (ecografie e TC addominale,
analizzando in particolare il fegato e il rene controlaterale), che sono anche utili per
orientare il protocollo della chemioterapia post-operatoria.
La diagnosi di nefroblastoma viene posta con la microscopia, che permette di
effettuare la stadiazione del tumore e di orientare la scelta della chemioterapia post-
operatoria. La diagnosi differenziale si pone con gli altri tumori del rene, compreso il
nefroma meroblastico (soprattutto nella prima infanzia), il sarcoma a cellule chiare,
il neuroblastoma (estremamente raro nel rene, ma che può invaderlo per
contiguità), i rabdomiomi (si vedano questi termini) e i tumori stromali metanefrici.

Terapia
La gestione della malattia è multidisciplinare e può richiedere la chemioterapia e la
chirurgia, con o senza la radioterapia.
La chemioterapia consente di ridurre la massa tumorale prima dell'intervento e di
eliminare le metastasi.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 266 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
La chirurgia è raccomandata prima della disseminazione del tumore e, di solito,
consiste nella nefrectomia totale.
La radioterapia viene riservata ai casi che presentano dimensioni più ampie e a quelli
che mostrano un'istologia meno favorevole.

Prognosi
Nella maggior parte dei casi la prognosi è favorevole, con un tasso di sopravvivenza
superiore al 90%. Le forme dell'adulto hanno la stessa prognosi e dovrebbero essere
trattate con gli stessi protocolli, anche quando il paziente adulto tollera la
chemioterapia meno bene rispetto ai bambini (situazione che può comportare una
riduzione del trattamento e, di conseguenza, una prognosi peggiore).

BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________
- Sbobinature del Prof Barone, aa 2014/2015 e aa 2015/2016
- Dispense Prof Butti
- Urologia, Autore Bassi P.F., 2010, 129 p., ill., brossura, Editore Cortina (Padova),
(collana Cosa sapere di…)
- Sbobinature del Prof. Bassi, aa 2014/2015
- www.Orpha.net
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 267 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

CAPITOLO 19
___________________________________________________________
TUMORI DELLA VESCICA

EPIDEMIOLOGIA
Il cancro della vescica rappresenta il secondo tumore genitourinario per frequenza
con 54.000 nuovi casi diagnosticati e 25.000 decessi. Il picco d’incidenza è tra i 55 e
i 70 anni con un rapporto maschio femmina di 4:1. Alla diagnosi circa l’85% dei
tumori della vescica è localizzato e non invasivo, solo il 15% si presenta già con
metastasi. E’ comunque da ricordare che tutti i tumori della vescica sono maligni.
Circa il 70% di essi recidiva dopo asportazione, data la frequente multicentricità.
L’origine della neoplasia è rappresentato da una sola cellula, ma, poichè tutto
l’urotelio è esposto agli stessi cancerogeni è possibile che ci siano diversi foci di
trasformazione asincroni tra di loro.

EZIOPATOGENESI
I fattori che contribuiscono alla cancerogenesi vescicale saranno:
- Cancerogeni industriali: il contatto con coloranti anilinici, benzidina usate nelle
industrie per la fabbricazione delle vernici e sostanze per la lavorazione del cuoio
e del pellame possono indurre la trasformazione tumorale.
- Fumo di sigaretta: più del 60% dei pz con cancro della vescica sono fumatori. Il
fumo provoca una riduzione di vitamina B6 necessaria per metabolizzare gli
ortoamminofenoli, metaboliti del triptofano. Non è più valida la correlazione con
il numero di sigarette fumate. L’importante è che il fattore di rischio sia presente.
- Schistosomiasi, più dell’80% dei casi riscontrati nel terzo mondo. L’infezione con
Schistosoma Haematobium provoca flogosi cronica dell’epitelio vescicale.
- Iperconsumo di agenti dietetici, quali caffeina, dolcificanti artificiali.
- Irradiazione pelvica
- Fattori irritativi, come la cistite cstica (precancerosi), calcolosi vescicale, cateteri a
permanenza
- Altri, come chemioterapia con ciclofosfamide, agenti alchilanti, fenacetina.
Lo schema di trasformazione è tipicamente multi step, con iniziazione, promozione
e proliferazione. Spesso alla base vi sono mutazioni di oncogèni come ras o
l’inattivazione di oncosoppressori come p53.

SCREENING
Lo screening può essere effettuato con indagini non invasive come la ricerca di
ematuria e la citologia urinaria. Programmi di diagnosi precoce sono stati suggeriti
per popolazioni ad alto rischio come i forti fumatori o lavoratori con rischio
occupazionale. Al momento non ci sono dati conclusivi sulla riduzione di mortalità
per carcinoma vescicale in seguito a programmi di screening. In conclusione il fumo
attivo e passivo continuano a essere i maggiori fattori di rischio conosciuti e la più
importante prevenzione primaria è la cessazione del fumo attivo e passivo.
Le metodiche maggiormente utilizzate sono rappresentate da:
- Esame urine, ma ha scarso valore predittivo
- Citologia urinaria eseguita sulla raccolta delle 24 ore, può identificare
precocemente neoplasie vescicali di basso grado.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 268 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
- Citometria a flusso, è un esame accurato nelle lesioni ad alto grado di malignità,
ma presenta difficoltà nell’attuazione dello screening per l’alto costo.

ANATOMIA PATOLOGICA
I tumori della vescica vengono distinti in due grandi gruppi:
- infiltranti, che sono quelli che interessano la parete della vescica, sono tumori
maligni che possono metastatizzare e che hanno il tipico andamento dei tumori
solidi.
- non muscolo invasivi o superficiali che non interessano la parete della vescica e
dunque hanno una limitata capacità di fare danni. Sono quelli che volgarmente sono
chiamati polipi o papillomi.
Questa distinzione fa si che siccome il 75% dei tumori vescicali è superficiale la
mortalità di questa malattia è ridotta perché non metastatizza; tuttavia è una
patologia che tende a recidivare nel tempo e questo spiega sia l’aspetto della
mortalità sia il fatto che richiede trattamenti costosi, ricoveri e continui esami.

Nel 90% dei casi si tratta di un carcinoma a cellule transizionali (uroteliale).


L’urotelio è il peculiare epitelio di rivestimento della vescica. Normalmente le
neoplasie a cellule transizionali assumono l’aspetto di carcinoma papillare, di forma
polipoide, sessile o peduncolato. Il carcinoma a cellule transizionali è diviso in:
- Tumore papillare, a crescita esofitica nel lume vescicale, di dimensione e numero
variabile. E’ la forma più frequente di neoplasia vescicale. Rientra tra i tumori
superficiali (non muscolo-invasivo) (85% dei casi).
- Tumore sessile, lesione solida e larga base d’impianto, spesso ulcerata. E’ un
tumore infiltrante che rappresenta il 15% delle neoplasie vescicali.
- Carcinoma in situ, lesione piatta, arrossata ed edematosa, estesa a tutta la vescica
a macchia di leopardo.
- Carcinoma squamoso, 7-8% dei casi, associato a flogosi cronica
- Adenocarcinoma, 1-2% dei casi, spesso associato ad anomalie dell’uraco ed estrofia
vescicale, simile al carcinoma del colon per la stessa origine embriologica, in
questo caso è localizzato preferibilmente sulla cupola vescicale. Può originare da
metaplasia dell’epitelio vescicale o ancora dalle ghiandole periuretrali.

In base al grado di differenziazione e di crescente anaplasia (aumento strati cellulari,


mitosi asimmetriche, pleiomorfismo cellulare, addensamento nucleare) è possibile
dividere questi tumori in 3 gradi:
- G1, tumore ben differenziato, progressione verso la malignità nel 10-20% dei casi.
- G2, tumore moderatamente differenziato, progressione verso la malignità nel
19-37% dei casi.
- G3, tumore scarsamente differenziato, spesso ulcerato, progressione verso la
malignità nel 33-64% dei casi.
Nota: quando sono presenti al massimo 6 strati di cellule con un sottile asse
vascolare, si può parlare di papilloma, anche se occorre usare con cautela questo
termine in quanto il papilloma è per definizione benigno. E’ preferibile usare il
termine carcinoma papillare non invasivo.
Il carcinoma in situ è una lesione piatta, altamente indifferenziata con cellule che
ricordano quelle del G3. Alla diagnosi non supera la membrana basale. Può essere

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 269 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
localizzato o multifocale; presenta un’elevata percentuale di localizzazioni
linfonodali (30%) alla diagnosi.
Esistono anche dei tumori di origine non epiteliale, rari, di origine connettivali che
formano grosse masse aggettanti nel lume.
I tumori vescicali sono localizzati principalmente a livello delle pareti laterali (47%),
al trigono (21%), parete posteriore (20%), parete anteriore (10%), cupola (5%).

STORIA NATURALE
Gran parte dei tumori papillari diventa invasivo. Il tumore si estende alla parete e poi
diffonde:
- Per contiguità, a seconda della posizione del tumore primitivo possono essere
interessati: il tessuto cellulare lasso dello scavo pelvico, il peritoneo retrovescicale,
la prostata, le vescicole seminali, i corpi cavernosi nell’uomo, l’utero e la vagina
nella donna.
- Per via linfatica, ai linfonodi regionali e pelvici; quelli più interessati sono gli iliaci
esterni, gli otturatori, gli ileo-ipogastrici. Il tumore può poi diffondere a livello dei
linfonodi iuxtaregionali come quelli inguinali, iliaci comuni e paraortici.
- Per via ematica, le sedi preferenziali sono polmoni, fegato, scheletro e cervello.

STADIAZIONE
Il tumore vescicale viene stadiato secondo la classificazione TNM dell’UICC. E’
fondamentale distinguere i tumori superficiali (fino a T1) dai tumori infiltranti (da
T2 a T4), perchè i primi sono suscettibili di asportazione endoscopica mentre i
secondi devono essere asportati chirurgicamente. La stadiazione si esegue con TC/
RM, cistoscopia con biopsia, e Rx e scintigrafia ossea per le metastasi.

Tis carcinoma in situ, non supera la membrana basale

Ta carcinoma papillare non invasivo

T1 tumore che invade la lamina propria

T2 tumore che invade la metà interna della muscolare propria

T3a tumore che invade lo strato muscolare profondo

T3b tumore che invade il grasso perivescicale

T4 tumore infiltra gli organi contigui

N0 assenza di metastasi linfonodali

N1 un linfonodo max 2 cm

N2 un linfonodo > 2 cm ma < 5 cm oppure linfonodi multipli non superiori a 5 cm

N3 un linfonodo > 5 cm nel diametro maggiore

M0 assenza di metastasi a distanza

M1 presenza di metastasi

Angioinvasività
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 270 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
L1-V1 interessamento delle arterie superficiali

L2-V2 interessamento delle arterie profonde


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
QUADRO CLINICO
L’unico segno direttamente correlato al tumore è l’ematuria. Può essere
macroematuria o microematuria, totale con sangue rosso vivo fluido o misto a
coaguli, spesso ricorrente. È il principale e spesso unico segno osservato nei pazienti
con neoplasia vescicale. In genere è indolore e di tipo terminale (il sangue si
raccoglie nel fondo verticale e viene espulso nella fase terminale della mnizione). Se
persiste a lungo tempo, può portare ad anemia normocromica o ipocromica. E’ un
segno che non va mai sottovalutato. E’ necessario escludere il tumore prima di pensare
ad altre cause.

Con il sovrapporsi delle infezioni compaiono i segni di irritabilità vescicale come:


pollachiuria, nicturia, stranguria, tenesmo, urgenza minzionale. Molto spesso le
neoplasie papillari danno ematuria “a ciel sereno” cioè in assenza di altri sintomi.
Raramente i disturbi di tipo irritativo sono sintomo di tumori Ta-T1, sono invece
frequenti con carcinoma in situ diffuso o con tumori infiltranti la parete.
Possono verificarsi ancora:
- Ritenzione acuta d’urina: disuria e stranguria. Dovuto a neoplasie insorte in
prossimità del collo vescicale o coinvolgenti l'uretra.
- Segni di ostruzione o infiltrazione ureterale: dolore al fianco di tipo colico,
idroureteronefrosi. Raramente il paziente si presenta all’osservazione con il
quadro clinico dell’uremia dovuta ad ostruzione ureterale bilaterale o
monolaterale con rene controlaterale non funzionante.
- Le algie pelviche e la presenza di idroureteronefrosi sono tipici di malattia
localmente avanzata.
- Si può avere anche: dolore sciatalgico e linfedema degli arti inferiori, legato a
metastasi linfoghiandolari retroperitoneali; occlusione intestinale da infiltrazione
del retto.
Solo tardivamente compaiono i segni dovuti a metastasi scheletriche, epatiche,
polmonari.
Il 25% dei pazienti con CIS può essere asintomatico.

La sintomatologia può essere erroneamente attribuita a IPB in pz affetti da questa


patologia e con un carcinoma vescicale infiltrante la parete del viscere non evidenziabile
all'ecografia. Non si vede all'ecografia per es. in caso di vescica da sforzo che limita le
possibilità diagnostiche dell’indagine o in caso di crescita neoplastica in aree di
difficile rilevamento.

Cause urologiche di ematuria: Cause non urologiche di ematuria: Cause di falsa ematuria:
- Cistite emorragica. - Ematuria da antiinfiammatori FANS. - Farmaci che modificano il colore delle urine, come la
- Calcoli renali, ureterali, o vescicali - Disfunzioni dell’aggregazione piastrinica o rifampicina.
- Tumore uroteliale in vescica, uretere o pelvi della coagulazione, acquisite o congenite. - Alimenti che modificano il colore delle urine.
renale. - Glomerulonefriti. - Emoglobinuria: urine marsala causata da intensa
- Sanguinamento da IPB (plessi venosi fra - Ematuria da esercizio fisico emolisi, ad esempio nelle crisi emolitiche di
adenoma e lume vescicale). talassemia, favismo, malaria, e altre affezioni
- Tumore prostatico. ematologiche.
- Traumi renali o dell’apparato urinario. - Mioglobinuria: dovuta alla eliminazione di
- Rottura di cisti (più frequente in rene mioglobina, causata da un danno muscolare.
policistico). - Porfiria: in cui la colorazione rossa delle urine è data
- atrogena postchirurgica (dopo adenomectomie, dalla porfobilina.
resezioni endoscopiche, nefrectomie parziali, e
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 271 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
altri interventi).
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
In caso di ematuria, la prima causa da escludere è quella neoplastica e poi possiamo
considerare le altre cause. Cause molto comuni sono cistite emorragica e calcolosi.

DIAGNOSI
L’ecografia va considerata l’esame di prima istanza nel sospetto di neoplasia vescicale
in quanto è una metodica di elevata sensibilità e specificità. Nelle mani di operatori
esperti essa consente, in una elevata percentuale di casi, il rilievo di lesione ed è in
grado di fornire utili informazioni sulla stadiazione della forma neoplastica.

Lo studio ecografico della vescica può essere eseguito per via sovrapubica o
mediante sonde endocavitarie (transrettale, endovaginale, transuretrale).
L’ecografia sovra pubica richiede un buon riempimento vescicale che solitamente si
ottiene facendo assumere al paziente adeguata quantità di liquidi prima dell’esame.
La vescica vuota è pressoché invisibile all’ecografia, e anche da semipiena la potenza
diagnostica della metodica si riduce in modo impressionante.
Le sonde endocavitarie trovano prevalente indicazione nella stadiazione di forme già
accertate per via sovrapubica; talora possono tuttavia risultare utili per il rilievo di
lesione nelle neoplasie del collo e della regione trigonale non ben esplorabili per via
sovrapubica.

Il tumore all'ecografia appare come:


- Massa vegetante ipoecogena, aderente alla parete vescicale (visibile se di diametro
> 5 mm)
- Placche di irregolare ispessimento della parete in caso di tumori particolarmente
invasivi (più difficili da vedere)
- Alcune immagini aggettanti nel lume possono essere scambiate all’ecografia per
papillomi: piega della mucosa di una vescica non riempita completamente,
ipertrofia colonnare (frequente nel maschio anziano), coaguli adesi alle pareti,
concrezioni calcifiche o di fibrina adese alle pareti.

L’urografia, dopo l’avvento dell’ecografia, è diventata indagine di secondo livello da


utilizzare pressoché esclusivamente per la valutazione morfologica e funzionale delle
alte vie escretrici (pelvi renale ed uretere).

La conferma diagnostica della presenza della neoplasia e la valutazione del grado di


malignità richiedono cistoscopia e esame citologico.
La citologia urinaria è un’indagine semplice e non invasiva che ricerca cellule
tumorali nelle urine del paziente. Devono essere raccolte le prime urine della
mattina perché sono le più ricche di cellule esfoliate dall’epitelio durante la notte.
 
La cistoscopia  consiste nell’introdurre una fibra ottica rivestita da un contenitore
rigido o flessibile attraverso l’uretra fino ad arrivare in vescica. Essa è indicata se uno
dei due esami non invasivi (ecografia e citologia) viene positivo o dubbio, o anche se
l’ematuria si ripete e il clinico o il paziente vogliono una maggiore sicurezza. La
cistoscopia permette di esplorare accuratamente la mucosa vescicale dall’interno del
lume e identificare ogni papilloma o altra lesione sospetta. L’accuratezza diagnostica
della cistoscopia supera quella di ecografia e TC per la caratterizzazione di lesioni

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 272 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
della parete vescicale.  La cistoscopia può risultare fastidiosa per alcuni pazienti di
sesso maschile.

Resezione endoscopica di lesione vescicale (TURBT: trans uretral resection of bladder


tumor): TURBT permette di concludere l'iter diagnostico grazie alla biopsia e allo
stesso tempo costituisce la terapia delle lesioni superficiali. La lesione viene resecata
con un ansa diatermica, la sua base di impianto viene resecata.

TC o RM: indagini di 2° livello. TC e RM equivalenti come metodica di secondo


livello per lo studio delle neoplasie avanzate. Nelle malattie risultate avanzate
all’endoscopia servono a definire il grado di invasione parietale, l’infiltrazione degli
organi viciniori e l’eventuale presenza di metastasi a linfonodi e altri visceri.

Negli stadi iniziali, TC e RM non riescono a definire bene qual è lo strato più
esterno invaso dal tumore e quindi il grado di infiltrazione della parete vescicale.
Questo è definibile con la biopsia. L'infiltrazione della tonaca muscolare può
apparire come rigidità della parete in corrispondenza della base di impianto del
tumore. Si ricordi che serve mdc endovenoso per opacizzare la vescica alla TC.

La scintigrafia ossea è usata per indagare per indagare la presenza di metastasi ossee.

TERAPIA
Il trattamento del cancro alla vescica si basa sulla distinzione tra neoplasie
superficiali e neoplasie invasive:
- Neoplasie superficiali: l’asportazione endoscopica mediante resettore delle
neoplasie vescicali superficiali può giovarsi di un successivo trattamento
endovescicale mediante istillazione con catetere di sostanze chemioterapiche,
come mitomicina, doxorubicina, interferone. Possono essere usate anche tecniche
immunoterapiche, come l’induzione di una reazione infiammatoria con funzione
antitumorale innescata dall’istillazione di BCG. Ciò sembra ridurre la recidiva e la
progressione della malattia.
- Neoplasie vescicali infiltranti: il trattamento di scelta è la cistectomia radicale
associata a linfoadenectomia pelvica bilaterale (linfonodi iliaci ed ipogastrici).
Essa comporta l’asportazione della vescica, della prostata, delle vescichette
seminali e dell’uretra membranosa nel maschio, dell’uretra e della parete
anteriore della vagina nella donna (se all’esame estemporaneo dei linfonodi essi
risultano positivi non si porta a termine l’intervento a causa dell’assenza di
modifica dell’aspettativa a fronte di un intervento altamente demolitivo).
Dopo l’asportazione della vescica gli ureteri possono essere abboccati alla cute
(ormai procedura rara, urostomia), o portati all’esterno mediante l’abboccamento
ad un segmento intestinale che funge da reservoir (derivazione urinaria esterna).;
le tecniche più usate erano la ureterosigmoidostomia secondo Coffey (gli ureteri
sono anastomizzati al sigma ed il retto diventa una cloaca, l’ano garantisce la
continenza; a lungo termine può sfiancarsi e diventare incontinente; altra
complicanza può essere il riassorbimento di elettroliti presenti nelle urine con
comparsa di squilibri idroelettrolitici), ureterocutaneostomia transileale, dove l’ileo
viene utilizzato come reservoir che viene abboccato alla cute. Più modernamente
la vescica viene ricostruita utilizzando segmenti intestinali (colon, ileo)

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 273 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
appositamente riconfigurati ed anastomizzati
agli ureteri ed all’uretra (derivazioni urinarie
ortotopiche), secondo la tecnica di Alicini. Si
disconnette il tratto ileocecale dall’apparato
GI per sfruttare la continenza della valvola.
Gli ureteri si anastomizzano all’ileo che funge
da reservoir e l’uretra al cieco; si ottiene una
buona continenza diurna (urinazione ogni
3/4 ore) ma scarsa continenza notturna. Nella
femmina la neovescica si abbocca alla parete
addominale e si svuota periodicmente tramite
un catetere. La neovescica deve essere a bassa tensione, pertanto le anse
intestinali verranno incise a livello delle tenie e defunzionalizzate. Ovviamente va
conservato il peduncolo mesenterico per la vascolarizzazione dell’ansa.

La radioterapia preoperatoria (1500-5000 Gy) sembra ridurre l’incidenza delle


recidive pelviche ma non incide significativamente sulla sopravvivenza globale.

La polichemioterapia adiuvante non sembra incidere sulla sopravvivenza globale.

Terapia della neoplasia vescicale metastatica, Si utilizza una polichemioterapia


palliativa. Il tumore transizionale è sensibile alla doxorubicina, alla vinblastina, al
metotrexate, al taxolo ed alla gemcitabina. Le associazioni di tali farmaci potenziano
l’effetto citotossico (schema M-VAC)

PROGNOSI
I più importanti fattori prognostici saranno:
- Lo stadio di malattia,
- Il grading,
- La multicentricità,
- L’angioinvasività,
- L’espressione di recettori per i fattori di crescita,
- Le alterazioni del patrimonio genetico (alterata espressione di oncogeni ed
oncosoppressori),
- L’incidenza di recidive.
Le neoplasie Ta-1, G1-2 hanno una buona prognosi a 5 anni, sopravvivenza
dell’80-100%. Le neoplasie invasive T2-3 e T4 sono a prognosi peggiore. La
sopravvivenza a 5 anni è del 40-50% per T2-3 e 10-17% per il T4.
In caso di metastasi a distanza la sopravvivenza a 5 anni è dello 0%.

BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________
- Sbobinature del Prof Barone, aa 2014/2015 e aa 2015/2016
- Dispense Prof Butti
- Urologia, Autore Bassi P.F., 2010, 129 p., ill., brossura, Editore Cortina (Padova),
(collana Cosa sapere di…)
- Sbobinature del Prof. Bassi, aa 2014/2015
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 274 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

CAPITOLO 20
__________________________________________________________
TUMORE DELLA PROSTATA

EPIDEMIOLOGIA
Il tumore della prostata è la prima neoplasia per incidenza nei paesi sviluppati(33%
delle nuove diagnosi) ed è la seconda causa di morte nel sesso maschile dopo il
tumore ai polmoni. Su 100 pazienti che muoiono a causa di un tumore 10 sono
appunto dovuti al tumore della prostata (dati USA). Come per tutti i tumori più
tardiva è la diagnosi più difficile è la cura.
In Italia la mortalità è sostanzialmente uguale ma l'incidenza è minore, ciò è dovuto
al fatto che sono presenti determinate razze che hanno una probabilità maggiore di
ammalarsi di tumore prostatico.
L’incidenza media è di 100 su 100000. Esiste una discrepanza tra incidenza e casi
realmente diagnosticati perchè è un tumore subdolo, paucisintomatico, nel 50% dei
casi la diagnosi è tardiva ed il tumore ha già dato metastasi.
L’incidenza è legata in modo direttamente proporzionale con l’età del pz. In reperti
autoptici di pz con più di 90 anni la presenza di un tumore della prostata è reperibile
nella quasi totalità dei casi (carcinoma latente). Ciò vuol dire che è un tumore con
alta incidenza e mortalità relativamente bassa.
Raro è il carcinoma clinico, cioè che presenta una sintomatologia ad esso riferibile.
Più spesso si tratta di un carcinoma occulto, quando i sintomi sono correlati alle
metastasi, o ancora di carcinoma accidentale, quando è scoperto per caso.

EZIOPATOGENESI E FATTORI DI RISCHIO


I fattori di rischio sono principalmente:
- Età, soggetto > di 50 anni.
- Endogeni, cioè dipendono dall’individuo, quindi fattori razziali (la razza afro-
americana è più colpita), genetici ed ormonali (bassa incidenza negli eunuchi), gli
androgeni sembrano avere un ruolo permissivo nell’insorgenza della malattia,
infatti spesso le cellule del carcinoma prostatico sono ormono sensibili.
- Fattori ambientali, geografici, occupazionali (il cadmio sembra essere implicato
nell’eziopatogenesi), sociodemografici, dietetici, sembra essere infatti coinvolta
nella patogenesi una dieta ricca di acidi grassi monoinsaturi e di colesterolo.
Sembra avere un certo ruolo l’esposizione a nitrati, cadmio, cromo e zinco.
- Infezioni croniche (è uno dei fattori principali), vasectomia.
- Familiarità ed ereditarietà: (tumori ereditari meno del 5%, esordiscono prima dei
55 anni) che ci dicono che c'è un maggiore rischio di tumore alla prostata quando
in famiglia ce ne sono altri e questo rischio aumenta con l'aumentare del numero
di familiari con tumore prostatico.

ANATOMIA PATOLOGICA
I tipi di tumore più frequentemente riscontrati saranno:
- Adenocarcinoma (95% dei casi), si sviluppa nella ghiandola periferica. Ciò
giustifica la scarsa sintomatologia clinica, data la distanza dall’uretra. Gli
adenocarcinomi possono essere a piccoli o a grandi acini (ben differenziati),
cribriformi (moderatamente differenziati), solidi o trabecolari (indifferenziati).

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 275 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
- Squamoso, raro
- Transizionale, o uroteliale, raro.
A livello macroscopico il tumore appare come una zona biancastra a consistenza
duro-lignea. A livello microscopico il tumore presenta aree con diversa
differenziazione. Questa caratteristica è quella che ha portato alla nascita del
Gleason Score. I tumori vengono classificati in 5 gradi in base alla differenziazione.
Lo score tiene conto dell'aspetto più rappresentato (pattern primario) e quello meno
rappresentato (pattern secondario). Questo significa che all'interno della neoplasia ci
sono dei punti dove è più aggressiva e altri dove lo è meno. Questa coesistenza
rende più difficile la classificazione del grading.
Lo Score di Gleason (in figura) è ottenuto dalla somma di due numeri, il grado del
pattern più rappresentato e il grado del pattern meno rappresentato; più il risultato
è alto più il tumore sarà aggressivo.
GRADO DI GLEASON
Il punteggio va da un minimo di 2 ad
1, pattern molto ben una massimo di 10, il punteggio più
differenziato
elevato è quello più indifferenziato.
2, pattern ben differenziato Re s t a c o m u n q u e u n m e t o d o d i
valutazione soggettivo.
3, pattern moderatamente Frequentemente è possibile ritrovare
differenziato
HGPIN (High grade Prostate
4, pattern poco differenziato Intraepithelial Neoplasia) è considerata
come una lesione non tumorale ma si
5, molto poco differenziato associa a neoplasia nel 40% dei casi, e
A S A P ( At y p i c a l S m a l l Ac i n a r
Proliferation) è un quadro dubbio che
non permette al patologo la possibilità di escludere la neoplasia.
Un metodo quantitativo può essere la citometria a flusso in cui si valuta il contenuto
di DNA cellullare, determinando l’aggressività. I valori di PSA non sono correlati al
grado di differenziamento.

Tre zone di McNeal


- zona periferica: regione posterolaterale a contatto con il retto ed esplorabile con il
dito.80% dei carcinomi
- zona di transizione: intorno all'uretra prostatica, 20% dei carcinomi
- zona centrale: dotti che vanno dalle vesciche seminali all’uretra, IPB

STORIA NATURALE
La neoplasia prostatica si sviluppa localmente invadendo per contiguità le vescichette
seminali, il collo vescicale, le strutture sfinteriche. Se il tumore si estende verso
l’uretra avremo una sintomatologia paragonabile a quella dell’IPB mentre se si
estende verso l’esterno rimarrà silente. La velocità di progressione è estremamente
variabile.
La neoplasia può estendersi per via linfatica. I linfonodi principali sono quelli
otturatori, iliaci esterni ed iliaci comuni.
La neoplasia può metastatizzare per via ematogena, le metastasi più frequenti sono
quelle a livello della colonna vertebrale per via del plesso venoso periprostatico. Le

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 276 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
lesioni ossee sono tipicamente osteoaddensanti. Le metastasi possono ancora
localizzarsi a livello epatico, polmonare, cerebrale, surrenale e renale.
Il fatto che il tumore sia localizzato spesso nella prostata periferica fa si che il pz
riferisca problemi prostatici quando la malattia è in fase avanzata tanto da
comprimere l’uretra, a differenza dell’IPB che interessa la prostata centrale e quindi
da subito segno di se. Il tumore della prostata può eventualmente coesistere con
l’IPB.

CLINICA
Il quadro clinico è solitamente aspecifico. La maggior parte delle neoplasie sono
diagnosticate incidentalmente a seguito di alterazioni del PSA.
Spesso la sintomatologia è quella riferita alle localizzazioni secondarie, pertanto
potremo avere dolore alla colonna vertebrale, al bacino.
In caso si presenti con un quadro sintomatico il tumore della prostata causa disturbi
ostruttivi ed irritativi del basso apparato urinario del tutto sovrapponibili a quelli
dell’IPB (disuria, mitto intermittente, nicturia, pollachiuria, minzione incompleta).
Durante il suo sviluppo la patologia va ad interessare il trigono ed il collo vescicale,
causando, per il coinvolgimento degli osti ureterali, idroureteronefrosi ed IR.
L’ematuria può verificarsi in caso di coinvolgimento della mucosa uretrale. Si tratta
di un’ematuria iniziale, perchè il sangue si accumula nell’uretra e quindi viene
espulso con il primo mitto. Possono ancora comparire modificazioni dell’alvo, per
compressione sul retto e proctorragia per infiltrazione della parete rettale.

DIAGNOSI
Nel caso si presenti un pz > di 50 anni con sintomatologia riferibile alla prostata la
prima cosa da fare è un dosaggio del PSA dato che le manipolazioni sulla prostata ne
innalzano i livelli.
- PSA, è l’antigene prostata specifico, rappresenta il marcatore del tumore. E’ una
glicoproteina prodotta dalle cellule ghiandolari; è altamente sensibile ma poco
specifica in quanto può elevarsi anche in caso di IPB, prostatiti e manipolazione
della prostata a seguito di esplorazione rettale, o a seguito di un’eiaculazione
precedente all’esame. Valori compresi tra 0 e 4 ng/ml sono considerati normali,
anche se in realtà il valore del PSA varia con l’età e con il volume della prostata. Il
PSA è un marcatore organo specifico e non tumore specifico. La zona grigia è per
valori tra 4 e 10 ng/ml, per valori > di 10 ng/ml la presenza del tumore è molto
probabile. In ogni caso uno screening con il PSA non si effettua prima dei 50 anni,
a meno che non siamo nei casi di familiarità, in tal caso si può eseguire dai 40
anni. Per aumentare la specificià si possono valutare:
- la PSA velocity nel tumore della prostata il PSA incrementa più velocemente
- la PSA density, il rapporto tra il volume della ghiandola e la quantità di PSA,
è minore in caso di neoplasia.
- Age-specific PSA, un lieve e continuo aumento del PSA si verifica con
l’aumento dell’età.
- Rapporto PSA libero/PSA totale. la frazione libera è ridotta in caso di
neoplasia. Un rapporto inferiore a 10 è suggestivo di neoplasia. Nessuna di
queste tecniche però fornisce diagnosi di certezza.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 277 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
- Esplorazione rettale: Questa tecnica consiste nel ritrovamento di zone dure o
nodulari alla palpazione prostatica. Questo non significa però che ci troviamo
dinanzi un tumore dal momento che potrebbe trattarsi anche di esiti di infezioni
asintomatiche passate. Nel 50% dei casi quello che all'esplorazione potrà
sembrare un tumore in realtà non lo è.

- Ecografia prostatica transrettale (TRUS), identifica dei noduli ipoecogeni o


iperecogeni, ma solamente il 50% dei noduli identificati è di natura neoplastica;
quindi possiamo dire che ha una specificità paragonabile ad un’esplorazione
rettale, l’accuratezza però è elevata. Pertanto eseguire questo esame da solo non
ha alcun senso, se non quello di provocare fastidi inutili al pz. Ha senso eseguirlo
quando deve farci da guida per eseguire la biopsia che ci darà la diagnosi di
certezza.

- TC e RM studiano i linfonodi locoregionali e sono utili nella stadiazione della


malattia. La RM con bobina endorettale riesce a caratterizzare i noduli prostatici
ma la diagnosi di certezza si esegue sempre con la biopsia.

- Scintigrafia ossea, permette di individuare le metastasi ossee che appaiono


tipicamente osteoaddensanti. La frequenza di metastasi a distanza in pazienti
sintomatici o con stadio clinico T3-T4 o PSA > 20 ng/ml o Gleason ≥ 8 giustifica
l’utilizzo della scintigrafia ossea prima di eseguire procedure chirurgiche o
radioterapiche aggressive. Una conferma di uno stadio avanzato controindica
trattamenti aggressivi locali e consente la possibilità di trattamenti adeguati per la
riduzione del dolore e delle complicazioni ossee, soprattutto in pazienti
sintomatici o con modifiche dei marker biochimici.

In caso di sospetto clinico di metastasi a distanza, la stadiazione dovrebbe essere


completata attraverso l’uso della TC, RM o di altre tecniche appropriate per indagare
le sedi interessate

- PET con FDG è poco utile: ha scarsa sensibilità per l'eliminazione vescicale e
perché i tumori della prostata sono a lenta crescita. PET con colina: sensibilità
molto maggiore ma comunque poco specifica
La PET è utile per la ristadiazione del pz già trattato

- Biopsia prostatica (diagnosi di certezza), è una procedura ecoguidata che si esegue


per via transrettale o trans perineale. I campioni ottenuti consentono la diagnosi
di certezza sul grado di differenziazione e di coinvolgimento locale. Si ritengono
necessari 12 prelievi. Nel caso in cui le biopsie fossero negative ma il PSA
continua a salire andiamo ad effettuarne altre 24(saturation biopsy). Su 36 biopsie
la possibilità che il tumore ci sfugga è inferiore all'1%. Altre situazioni in cui
vanno effettuate nuove biopsie sono il ritrovamento di ASAP o HGPIN.

Può essere utile eseguire un’Rx torce per evidenziare l’eventuale presenza di
metastasi polmonari e il dosaggio di altri markers, come la fosfatasi acida prostatica
che aumenta in caso di infiammazione della prostata (questo è però presente anche
in altri organi, può essere un fattore di confondimento).

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 278 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Possono esserci ipocalcemia, ipercreatininemia e iperazotemia per l’ostruzione
uretrale.

STADIAZIONE
La classificazione più usata in Italia è la TNM della UICC. La malattia è considerata
clinicamente localizzata fino ad uno stadio T2 e localmente avanzata negli stadi T3 e
T4.

T STADIO

TX il tumore non può essere definito

T0 non segni di tumore primitivo

T1a tumore scoperto incidentalmente, occupa meno del 5% del


tessuto asportato

T1b tumore scoperto incidentalmente, occupa più del 5% del tessuto


asportato

T1c tumore diagnosticato mediante agobiopsia

T2a tumore coinvolge metà lobo o meno

T2b tumore coinvolge più di metà lobo

T2c tumore coinvolge entrambe i lobi

T3a tumore oltrepassa la capsula monolateralmente

T3b tumore oltrepassa la capsula bilateralmente

T3c tumore infiltra le vescichette seminali

T4 tumore infiltra il collo della vescica, retto (a) o i muscoli della


parete pelvica (b)

N0 assenza di metastasi linfonodali

N1 un linfonodo max 2 cm

N2 un linfonodo > 2 cm ma < 5 cm oppure linfonodi multipli non


superiori a 5 cm

N3 un linfonodo > 5 cm nel diametro maggiore

M0 assenza di metastasi a distanza

M1 presenza di metastasi

Molto importante è la presenza di metastasi che come già detto possono essere per
via ematogena (principalmente) o per via linfatica.
Oggi utilizziamo un esame specifico per il tumore prostatico che è la PET- TC con
colina (radiofarmaco): in un unico esame otteniamo informazioni su dove ci sono
zone di tessuto prostatico attivo. Se effettuata dopo la radioterapia o la chirurgia,
quando c’è una ripresa di malattia anche locale, ci fornisce indicazioni di stadiazione
per formulare il piano terapeutico.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 279 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

GRADING istologico

GX Il grado di differenziazione non può essere definito

G1 Ben differenziato con lieve anaplasia

G2 Moderatamente differenziato con moderata anaplasia

G3-G4 Poco differenziato-indifferenziato con marcata anaplasia

Nomogramma
Ci sono dei diagrammi detti nomogrammi che predicono l’estensione della malattia
in base ai valori di Gleason Score e PSA (per es. un 40 di PSA e 8 di Gleason fa 60%
di possibilità di avere linfonodi coinvolti).
Algoritmi di calcolo del rischio di estensione capsulare, di infiltrazione delle
vescicole seminali e di interessamento linfonodale: considerano PSA e GS
STADIO COMBINAZIONI

I T1a N0 M0 G1

II T1a N0 M0 G2, T1b N0 M0 Ogni G T1c N0 M0 Ogni G T2 N0 M0 Ogni G


G3-4

III T3 N0 M0 Ogni G

IV T4 N0 M0 Ogni G Ogni T N1 M0 Ogni G Ogni T Ogni N M1 Ogni G

Nei tumori urologici a differenza di altri distretti, un linfonodo positivo fa si che il


tumore venga considerato già di stadio 4! (stadio 4a linfonodi positivi,stadio 4b
metastasi). L’N va valutato tenendo conto del parametro dimensionale non essendo
palpabili come in altri distretti. La PET-TC con Colina ci viene in aiuto
nell’identificazione dei linfonodi sospetti.
Un altro fattore molto importante da valutare è la positività dei prelievi bioptici,se
sono tutti positivi o no. Un tumore che presenta positività in tutti i prelievi è un
tumore grande che o sta lì da molto tempo o cresce velocemente. Entrambi questi
fattori (tempo di insorgenza e velocità di crescita) espongono il paziente a un
maggiore rischio di micro metastasi. Quindi più il tumore è grande, peggiore è la
prognosi.

TERAPIA
Le possibilità terapeutiche per il carcinoma prostatico sono:
- la sorveglianza attiva e la vigile attesa
- la prostatectomia radicale
- la radioterapia esterna o intraprostatica (brachiterapia)
- l’ormonoterapia OT (deprivazione androgenica).

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 280 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Nell’ambito del piano terapeutico è stato coniato il termine di “Vigile attesa” una
forma di atteggiamento terapeutico che prevede di monitorare quei pz per cui ci è
fatti un’idea che vi sia una neoplasia non clinicamente rilevante, non destinata a
creare problemi e con cui si pensa il pz possa convivere indipendentemente dalla
presenza di altre neoplasie.
Il termine vigile presuppone un controllo innanzitutto tramite il PSA, anche se
questo da solo non è sufficiente.
Spesso il PSA ha un andamento “a scala” nella neoplasia, resta costante per molto
tempo, improvvisamente si alza in ritardo e a scatti con un andamento a scaletta e
non a curva. E’ bene sottolineare il concetto che in un pz con tumore della prostata
accertato il PSA è un vero e proprio marcatore di malattia (lo abbiamo definito in
precedenza come marcatore d’organo i cui valori si elevano per una prostatite,
un’ipertrofia, una neoplasia della prostata), soprattutto se vi è rimozione della
prostata riscontrare valori di PSA che si elevano al di sopra dello 0 è indice di vera e
propria ripresa della malattia.

Il monitoraggio del PSA da solo è però insufficiente, ragion per cui in un pz in vigile
attesa è necessario ogni anno ripetere le biopsie della prostata: siamo pronti a
cambiare idea se cambia il numero di focolai del tumore o l’aggressività del tumore
(che si esprime col Gleason score).
Se proietto i pz a vigile attesa a 5 anni la possibilità di evoluzione ad una neoplasia
clinicamente rilevante e che richiede trattamento è attesa al 50%.

Prostatectomia radicale
La prostatectomia radicale è una terapia chirugica ad intento radicale e la
linfoadenectomia che la accompagna permette anche la stadiazione patologica dei
linfonodi. E’ un intervento a cielo aperto con rimozione della prostata e vescichette
seminali per poi anastomizzare la vescica con l’uretra. E’ effettuata per via
retropubica.
Oggi le tecniche chirurgiche sono migliorate, è migliorata la strumentazione in sé e
c’è stata l’introduzione della chirurgia robotica che permette di avere un maggior
dettaglio anatomico in sala operatoria e quindi la possibilità di rimuovere il tumore
risparmiando le strutture; l’incontinenza urinaria è stata ridotta a tassi decisamente
più bassi e questo tipo di chirurgia ci ha permesso di salvaguardare i nervi erigendi
che abbracciano la prostata e che se lesi conducono a impotenza . L’incontinenza
urinaria dopo prostatectomia radicale è in un range che va dal 4 al 50%. Per quanto
riguarda la disfunzione erettile l’incidenza va dal 29- 100% e scongiurarla è legato al
risparmio dei nervi erigendi. Il tasso di sanguinamenti maggiori va da 1-11 %
Nonostante ciò la terapia chirurgica resta il gold standard per i tumori localmente
confinati in pz con aspettativa di vita superiore a 10 anni.

Indicata in:
- Pazienti a basso rischio (T1-T2a e Gleason score 6 e PSA 20 ng/mL)
- Pazienti a rischio intermedio (T2b-T2c o Gleason score = 7 o PSA 10-20 ng/mL) e
un’aspettativa di vita di almeno 10 anni. In questi pz andrebbe eseguita anche
linfoadenectomia pelvica estesa.
- Pazienti ad alto rischio (T3 o Gleason score 8-10 o PSA > 20 ng/mL): ruolo
controverso, meglio RT.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 281 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

Fattori prognostici di progressione dopo prostatectomia radicale


Il Gleason Score, lo stadio patologico, l’interessamento delle vescicole seminali, lo stato dei
margini di resezione chirurgici (indipendentemente dallo stadio), rappresentano fattori predittivi
del rischio di ripresa locale e/o sistemica di malattia.

La presenza di superamento capsulare, la positività dei margini chirurgici ed il


Gleason Score sono tutti fattori prognostici indipendenti di sopravvivenza libera da
recidiva biochimica.

In assenza di RT post-operatoria lo stato dei margini chirurgici è predittivo del


rischio di recidiva locale e di fallimento biochimico.
Il coinvolgimento dei linfonodi pelvici è espressione del rischio di evoluzione
metastatica della malattia.

La combinazione delle variabili post-Prostatectomia e pre-Radioterapia determinano


differenti classi di rischio prognostico e concorrono a proporre strategie terapeutiche
diverse. le indicazioni sono le seguenti:
- pT3a, margini negativi, PSA non dosabile, Follow-up clinico e biochimico
- pT3a, margini positivi, PSA non dosabile, Follow-up clinico e biochimico, RT
Adiuvante (GS>4), RT di Salvataggio per PSA > 0.5 ng/mL.
- pT3 con vescichette seminali positive, PSA non dosabile, RT Adiuvante (+ OT se
GS>7?)
- pT3, pN1, Ormonoterapia vs Ormonoterapia + RT di Salvataggio
- Recidiva biochimica, PSA pre-RT < 2 ng/mL, GS<7, RT di Salvataggio
- Recidiva biochimica, PSA pre RT > 2, GS ³ 7; Recidiva clinica; PSA dosabile dopo
PR, Ormonoterapia + RT di Salvataggio
- pT3, pN1, Ormonoterapia vs Ormonoterapia + RT di Salvataggio

Terapia radiante
Brachiterapia
Può essere considerata come possibile terapia esclusiva del carcinoma prostatico
localizzato nei pazienti a basso rischio: T1b –T2a, N0, M0, PSA ≤10, Gleason <7,
volume prostatico ≤50 ml e assenza di precedenti TURP.

RT esterna a intento radicale (al posto della chirurgia)

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 282 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
In caso di malattia limitata i risultati sono sovrapponibili alla chirurgia. C’è una
correlazione diretta tra dose e controllo locale nel Ca Prostata; l’aumento della dose
da un beneficio statisticamente significativo in termini di sopravvivenza libera da
recidiva biochimica.
La dose totale somministrata condiziona il controllo biochimico di malattia. La
correlazione dose-risposta si evidenzia indipendentemente dalla classe di rischio.

A parità di dose somministrata, il trattamento radiante Conformazionale causa


minore tossicità acuta e cronica rispetto al trattamento convenzionale. A parità di
tossicità attesa è quindi possibile incrementare la dose totale radiante.
La Radioterapia a modulazione di intensità rispetto alla Radioterapia
Conformazionale, a parità di dose, riduce significativamente la tossicità tardiva
rettale.

Le tossicità tardive gravi conseguenti a Radioterapia radicale sono eventi


estremamente rari, ad eccezione della disfunzione erettile.
Con dosi >75.6 Gy, le tossicità rettali/vescicali sono limitate (15-16% a 5 anni) e, di
queste, due terzi guariscono spontaneamente entro circa 1 anno.
Le tossicità rettali si evidenziano entro 36 mesi dalla conclusione del trattamento
radiante.

I risultati relativi al grado di soddisfazione e alla Qualità di Vita del paziente,


conseguenti ai due diversi approcci terapeutici del Ca Prostatico, chirurgico e
radioterapico, sono sostanzialmente simili.

Il nomogramma pre-trattamento per la Radioterapia conformazionale prodotto dal


gruppo del Memorial Sloan Kattering Cancer Center è il sistema di predizione di
esito più accurato attualmente disponibile. Si usa per predire, con un errore del
+10%, la possibilità del trattamento radiante conformazionale di controllare il PSA
a 5 anni. Si considerano:
- PSA pretrattamento
- GS
- Dose
- Ormoni
e si assegna un punteggio a ciascun parametro. Il punteggio finale ci dice la
probabilità di assenza di ricorrenza per 60 mesi (5 anni).

RT radicale vs chirurgia
Una cosa molto importante da valutare per stabilire se fare o meno la radioterapia è
il coinvolgimento dell’apice della prostata perché se è coinvolto l’apice so che la
chirurgia ha altissime possibilità di lasciare un residuo di malattia. Infatti la prostata
ha una forma di castagna rovesciata appoggiata su una “coppa muscolare” costituita
dai muscoli detrusori; quindi il chirurgo quando deve portare via la prostata deve
evitare al paziente l’incontinenza che potrebbe derivare dal danneggiamento dei
detrusori e per questo di solito lascia un po’ di apice.

Un paziente che non ha un tumore molto grande (quindi un T basso), con un


Gleason di 6 e PSA di 7 e la lesione lontana dall’apice ha tre criteri che lo indirizzano

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 283 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
verso la chirurgia, perché fatta bene la chirurgia è più veloce rispetto alla
radioterapia e i risultati sono equivalenti. Se il paziente ha delle comorbidità però è
preferibile la radioterapia.

Un paziente che ha fatto la prostatectomia senza avere l’apice coinvolto ma con due
fattori di rischio come un Gleason di 8 e infiltrazione perineurale fa la RT adiuvante,
perché la probabilità di avere una recidiva locale è molto alta.

Si discute se farla subito la RT o aspettare che la recidiva compaia, perché alta


probabilità non vuol dire 100% di probabilità, quindi in pratica irradiandolo subito
posso anche “irradiarlo inutilmente”; quindi è maturata l’idea di valutare il PSA:
- fino a 0,2 ng/ml i pazienti possono essere solo controllati.
- se supera 0,2 ng/ml vanno irradiati.

Dopo fallimento di radioterapia non si può operare il paziente poiché il rischio


chirurgico è elevatissimo. Quindi la scelta della radioterapia in prima istanza riduce le
possibilità terapeutiche per il paziente. Se dopo chirurgia ci sono delle recidive
locali si può utilizzare la radioterapia e ormonoterapia come seconda battuta.

RT adiuvante (dopo la chirurgia)


La finalità è quella di sterilizzare le cellule clonogeniche residue nel letto operatorio
che possono promuovere recidiva locale e disseminazione secondaria promossa dalla
recidiva con l’intento di migliorare la sopravvivenza libera da malattia.

Le modalità di impiego sono le seguenti:


- Adiuvante: immediata, entro 6 mesi e con PSA azzerato, In caso di alto rischio di
fallimento locale
- Di salvataggio: ritardata, In caso di recidiva biochimica o di documentata recidiva
locale

La Radioterapia post-operatoria è efficace nel controllo locale della malattia e


comporta accettabili tossicità acute e croniche, necessità di dosi non elevate e di
campi di irradiazione limitati.

La Radioterapia sul letto prostatico riduce la probabilità di recidiva locale (< 10%).

Recidiva locale non infrequente nella malattia pT3, soprattutto quando i margini
sono positivi (30-40% a 10 anni).
La presenza di interessamento linfonodale o di infiltrazione delle vescicole seminali
si accompagna ad un alto rischio di ripresa locale e sistemica.
Molti pazienti con recidiva biochimica hanno malattia nella pelvi (25-35%).

RT adiuvante e di Salvataggio
La sopravvivenza libera da ripresa biochimica di malattia (bNED) è strettamente
correlata con il valore di PSA pre-RT. Il valore “critico” di PSA pre-RT sembra
situarsi nel range 1-2 ng/mL. PSA >2.0 ng/mL, bNED a 3 e 5 anni è solo dell’8% e
4%, rispettivamente.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 284 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
La bNED nei pazienti sottoposti a RT Adiuvante è eccellente: 81% a 5 anni. Risultati
non soddisfacenti sono conseguiti con RT di Salvataggio, cioè quando la radioterapia
è somministrata in caso di fallimento locale o biochimico. Questo significa che lo
stadio clinico / biochimico pre-RT influenza la risposta alla RT.

Nonostante l’utilizzo della Radioterapia post-operatoria, una elevata aggressività di


malattia (GS>7) influenza negativamente la sopravvivenza libera da ripresa
biochimica.

Valori di PSA pre-RT >2.0 ng/mL e/o GS>7 suggeriscono di utilizzare


l’Ormonoterapia adiuvante.

La RT post-operatoria è in grado di guarire una percentuale significativa di pazienti


falliti all’intervento di PR, sia nel caso di terapia di Salvataggio con PSA post-
operatorio non azzerato o in crescita <2.0 ng/mL, sia in caso di trattamento
Adiuvante con fattori di rischio istopatologico elevato.

Terapia ormonale
E’ un aspetto importante nella terapia del tumore della prostata la cui crescita è
sensibile al testosterone. Il rischio maggiore è quello per cui un tumore della
prostata sensibile alla terapia ormonale per un certo numero di anni,
improvvisamente diventi ormono-resistente.
Nell’odierno approccio la terapia chirurgica precede anche nelle forme avanzate la
terapia ormonale, in modo da demolire almeno il 95% della neoplasia poiché si sa
che altri tipi di trattamento a lungo termine possono fallire.
I farmaci che bloccano l’azione del testosterone recano una serie di effetti collaterali:
riduzione della libido, depressione, astenia, anemia, stanchezza muscolare,
ginecomastia, vampate di calore, demineralizzazione ossea, aumentato rischio
cardiovascolare.
Fin che è possibile si cerca di rimuovere il tumore con l’intervento chirurgico
lasciando radioterapia ed ormono-terapia solo in quei casi in cui non è possibile
operare il paziente.

La terapia ormonale (OT) nel carcinoma prostatico è stata usata come neoadiuvante
per ridurre il volume della ghiandola prima della chirurgia o radioterapia,
concomitante alla radioterapia o adiuvante alle diverse terapie.
La RT + OT è Indicata per pz con neoplasia localmente avanzata (T3-T4, N0) o
extraprostatica (T3-T4, N1)

Il razionale radiobiologico si esplica nel fatto che si verifica un:


- Effetto additivo: OT riduce i clonogeni cellulari per via apoptotica lasciando meno
cellule da eliminare con RT.
- Effetto sopra-additivo: OT associata a RT stimola e incrementa anche il processo
apoptotico promosso da RT

Il razionale clinico è che:


- OT riduce il deposito tumorale (locale, regionale, sistemico)

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 285 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
- OT riduce le dimensioni della prostata e del tumore (~ 40-50%), riduce le
dimensioni del campo di irradiazione, riduce la quota di tessuti sani irradiati ,
riduce le tossicità da RT, incrementa il guadagno terapeutico.
- Incrementa il flusso ematico tumorale, riduce l’ipossia cellulare, incrementa la
radiosensibilizzazione.
- Promuove la cooperazione spaziale.

L’associazione RT+OT riduce il tasso di positività bioptiche a due anni dal


trattamento radiante. L'associazione è più efficace della sola radioterapia. Si ipotizza
che il trattamento combinato possa sterilizzare la malattia subclinica dalle regioni
linfonodali pelviche.

La combinazione Ormonoterapia-Radioterapia non sembra aumentare il rischio di


tossicità tardive. Nonostante l’associazione Ormonoterapia-Radioterapia non sembri
determinare un incremento rilevante del rischio di tossicità tardive, tuttavia va
ricordato che l’Ormonoterapia neoadiuvante e l’entità della dose radiante
somministrata, condizionano negativamente la funzione erettile.
Il blocco ormonale periferico comporta minimi effetti collaterali rispetto alla
soppressione androgenica completa, considerando qualità di vita in generale,
funzione erettile, interesse sessuale, benessere psicologico, astenia, trofismo
muscolare, ginecomastia e mastodinia, metabolismo osseo, livello di Hb, vampate di
calore, funzionalità epatica, alterazioni gastrointestinali.

I farmaci ormonali più utilizzati saranno:


- Analoghi sintetici superagonisti dell’LHRH,inibiscono l’asse ipotalamo, ipofisi,
testicolo. Gli analoghi più utilizzati saranno: buserelina e goserelina
- Estrogeni, riducono la sintesi di testosterone, ma sono stati soppiantati dagli
antagonisti dell’LHRH.
- Antiantrogeni, bloccano il recettore per il testosterone ed il diidrotestosterone.
Sono molto utilizzate le combinazioni tra inibitori dell’LHRH e antiandrogeni che,
causando un blocco androgenico totale, sembrano migliorare il controllo della
neoplasia avanzata.
All’inizio della terapia ormonale si verifica una riduzione della massa tumorale per
necrosi della componente ormonosensibile. I cloni non ormono sensibili, superata
questa fase cominceranno a riprodursi facendo riprendere al tumore le dimensioni
iniziali; pertanto l’OT va sempre affiancata alla PR o alla RT.
Trattamento delle recidive
La ricaduta di malattia può essere esclusivamente biochimica o clinicamente
evidenziabile. La definizione di recidiva biochimica varia a seconda del trattamento
loco regionale effettuato (chirurgia vs radioterapia).

Variabili cliniche, biochimiche, strumentali e generali che condizionano la scelta


della chirurgia di salvataggio.
- PSA pre-RT e pre-chirurgia preferibilmente < 20 ng/mL
- Valori di PSA al nadir < 1.0 ng/mL
- Tempo di dimezzamento del PSA > 6 mesi; scintigrafia ossea negativa
- Positività bioptica ³ 18-24 mesi dopo RT
- Stadio clinico iniziale e preoperatorio T3 N0 M0

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 286 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
- Assenza di segni persistenti di proctite o cistite
- Pazienti in buone condizione generali, aspettativa di vita > 10 anni

La Prostatectomia di salvataggio è in grado di garantire un eccellente controllo locale


delle neoplasie radioresistenti e può sterilizzare la malattia in un’alta percentuale di
pazienti nel caso il tumore sia confinato alla prostata o nei tessuiti periprostatici.
Come per la Prostatectomia standard, la selezione dei pazienti è di fondamentale
importanza. La chirurgia di salvataggio è gravata da sequele in grado di condizionare
la qualità di vita del paziente. Va pertanto riservata a pazienti molto selezionati.

In una malattia in progressione con metastasi diffuse laddove la battaglia di


prolungare la quantità di vita è del tutto persa, si ricorre alle terapie palliative
indirizzate a migliorare la qualità di vita.

Riassumendo
La PR va effettuata nei pz con T1, T2 senza l’interessamento dell’apice prostatico, e
nei pz con T3 che hanno risposto bene all’OT neoadiuvante.
La RT può essere usata in tutti gli stadi con risultati sovrapponibili alla chirurgia.
In caso di malattia molto avanzata si eseguono terapie palliative.

PROGNOSI
L’analisi delle variabili prognostiche, l’utilizzo di algoritmi, l’impiego di
nomogrammi per il calcolo del rischio di VS+ e N+, l’assegnazione ad una classe
prognostica sono essenziali per la scelta dei volumi da irradiare, della dose totale da
somministrare, dell’eventuale associazione con la terapia ormonale

Fattori che influenzano la prognosi:


PSA +++
Gleason score GS +++
Stadio clinico ++
% biopsie positive ++
Invasione perineurale +

PSA, Gleason e Volume di malattia sono i parametri più importanti per stimare il
rischio di ciasun paziente. Ci sono dei diagrammi detti nomogrammi che predicono
l’estensione della malattia in base proprio ai valori di Gleason e PSA (per es. un 40
di PSA e 8 di Gleason fa 60% di possibilità di avere linfonodi coinvolti).

Gruppi prognostici
- Basso rischio: PSA < 10 ng/mL + Gleason ≤ 6 & cT1- T2a + < 3 biopsie positive
- Rischio intermedio: PSA 10-20 ng/mL o Gleason 7 o cT2b - cT2c o ≥ 3 biopsie
positive
- Alto rischio: PSA > 20 ng/mL o Gleason 8-10 o cT3a-cT4

Sono elementi da sottolineare quando si interpretano gli esami:


• Età del paziente ( cambia le strategie terapeutiche e la prognosi)
• Tempo che intercorre tra gli esami
• Sequenza con cui vengono effettuati

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 287 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

PSA dopo prostatectomia radicale
Dopo chirurgia radicale, il PSA misurato con metodi standard (non ultrasensibili)
deve scendere a valori indosabili. L’emivita del PSA (circa 3 giorni) suggerisce che
una valutazione della radicalità dell’atto chirurgico sia già possibile a 30 giorni
dall’intervento, anche se un periodo di 6-8 settimane è probabilmente piú affidabile,
considerate le possibili variazioni individuali del metabolismo del marcatore. Il
minimo livello di PSA misurabile dipende dal metodo di misura e dal criterio
decisionale adottato.
Qualora si riscontrino livelli dosabili di PSA dopo prostatectomia radicale, è
raccomandabile considerare le variazioni nel tempo del biomarcatore in prelievi
seriati; se livelli minimi dosabili rimangono stabili, è possibile che non si tratti di
malattia residua, ma di un rilascio da parte di tessuto prostatico residuo o di tessuti
extraprostatici. Per contro, se i livelli mostrano una tendenza verso l’incremento è
ipotizzabile la presenza di malattia residua. E’ comunque necessario un livello di
PSA >0,2/ >0,4 ng/ml confermato a un successivo prelievo eseguito a 4 settimane
dal precedente controllo per definire la ripresa biochimica di malattia.
Il monitoraggio nel tempo può aiutare a discriminare fra incrementi spuri e
incrementi legati alla ripresa di malattia. L’analisi dei dati seriati ed il calcolo del
tempo di raddoppiamento è un criterio che permette di prevedere con ragionevole
probabilità il rischio di ricaduta clinica; tuttavia, l’affidabilità del tempo di
raddoppiamento è elevata per valori estremi (molto rapido o molto lento), mentre
rimane controversa per valori intermedi, che sfortunatamente sono di più frequente
riscontro.

BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________

- Urologia, Autore Bassi P.F., 2010, 129 p., ill., brossura, Editore Cortina (Padova),
(collana Cosa sapere di…)
- Sbobinature del Prof. Bassi, aa 2014-2015
- Dispense prof Butti
- Sbobinature del Prof Valentini aa 2015/2016.
- Linee guida AIOM

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 288 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

CAPITOLO 21
__________________________________________________________
TUMORI DEL TESTICOLO

CLASSIFICAZIONE

TUMORI A TUMORI TUMORI MISTI, TUMORI


CELLULE STROMALI GERMINALI E ANNESSIALI E
GERMINALI (TCG) GONADICI STROMALI PARATESTICOLARI
SEMINOMA (40%): T. A CELLULE DI LEYDIG GONADOBLASTOMA MESOTELIOMA
CLASSICO O
SPERMATOCITICO

CARCINOMA T. A CELLULE DEL SARCOMA


EMBRIONARIO (25%) SERTOLI

CORIOCARCINOMA/T. T. A CELLULE DELLA TUMORI ANNESSIALI


SACCO VITELLINO (3%) GRANULOSA DELLA RETE TESTIS
(ADC)

TERATOMA (5-10%) NEOPLASIE MISCELLANEE

FORME MISTE (25-30%) CARCINOIDE LINFOMI CISTI

Sicuramente quelli che sono più caratteristici e globalmente più frequenti


nell'ambito del testicolo sono i tumori a cellule germinali che comprendono il
seminoma e poi un gruppo di tumori non seminomatosi: il carcinoma embrionario,
il coriocarcinoma puro, il tumore del sacco vitellino, il teratoma e una gran fetta
sono tumori misti, che comprendono quote diverse di forme seminomatose e non
oppure istotipi diversi tutti non seminomatosi.
I tumori della linea germinale possono essere anche extragonadici, ci sono tumori
della linea germinale retroperitoneali e mediastinici.

EPIDEMIOLOGIA
Il tumore del testicolo rappresenta la neoplasia solida più comune nei maschi di età
compresa fra 15 e 35 anni. In Italia sono presenti circa 900 nuovi casi l’anno.
Rappresentano l’1% di tutti i tumori maligni dell’uomo e il 4% dei tumori
dell’apparato genitale maschile. la neoplasia è bilaterale nel 2-3% dei casi, con
sviluppo sincrono o metacrono.
L’incidenza maggiore nella prole maschile di madri che fanno uso di contraccettivi
orali. I tumori germinali testicolari (TGT) hanno un’incidenza relativamente molto
bassa, rappresentano solo il 2% dei tumori presenti.

Negli USA l'incidenza è quella attesa, circa 2/100000 , mentre in Nord Europa e in
particolare nei Paesi scandinavi (Danimarca in particolare), l'incidenza è molto più
elevata, circa 6/100000. Si pensa sia determinato dalla presenza in quelle altitudini
di fattori di rischio (l’alto consumo di formaggi). La Danimarca, la Norvegia, sono
quelli con incidenza maggiore, addirittura la proiezione dopo il 2000 dice oltre
10/100000 per i paesi scandinavi mentre 3-4/100000 negli altri paesi europei.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 289 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Fino a poco tempo fa la mortalità era molto elevata e quindi costituivano ma
costituiscono anche ora un problema molto importante anche in termini di recupero,
di anni di vita. Il picco di incidenza dei seminomi è poco dopo i 30 anni, mentre il
picco dei non seminomi è poco dopo i 20 anni.

EZIOLOGIA E FATTORI DI RISCHIO


- Età, l’incidenza aumenta dai 15 anni in poi, raggiungendo un picco di 11 casi su
100000 tra i 15 e i 29 anni.
- Razza, i soggetti di razza bianca hanno un rischio 4.4 volte maggiore rispetto ai
soggetti di razza nera.
- Criptorchidismo, è una condizione che si verifica nello 0,25% della popolazione
generale. il rischio di sviluppare tumori al testicolo aumenta dall’1.3 al 5 % nei pz
con storia di criptorchidismo. Nel 12% dei tumori del testicolo si sviluppa in pz
criptorchidi. L’associazione criptorchidismo/tumore testicolare non è prevenibile
neanche con il riposizionamento del testicolo nello scroto. Il criptorchidismo
stimolerebbe la cancerogenesi per: aumento della temperatura testicolare,
presenza di cellule germinali anomale, alterazioni dell’equilibrio ormonale,
alterazione della genesi spermatica, alterazioni dell’apporto vascolare. Il rischio di
sviluppare il tumore è incrementato di 5-10 volte nel testicolo controlaterale.
L’orchipessia eseguita dopo il 5° anno di età non corregge dal rischio di
cancerizzazione
- Atrofia testicolare
- Traumi scrotali, soprattutto se ripetuti
- Precedenti neoplasie testicolari, aumenta la possibilità di sviluppare una neoplasia
controlaterale.
- Fattori genetici
- Sterilità, Molto spesso i pazienti con tumori del testicolo sono sterili o comunque
hanno una ipospermia e questa condizione va di pari passo con ciò che determina
il criptorchidismo. Quindi diciamo la sterilità e i fattori genetici sono in realtà
altre manifestazioni delle problematiche che determinano il criptorchidismo.
- Ormoni, È stato messo in luce che elevati livelli di estrogeni somministrati
durante la gravidanza, o la produzione di elevati livelli di estrogeni endogeni
sarebbe responsabile di disgenesie testicolari e gonadiche con un aumentato
rischio di avere un tumore testicolare.
- Infezioni a parte la parotite e alcune infezioni batteriche retrograde (provenienti
da prostatiti o da infezioni delle vie urinarie) che anche se rare, hanno un ruolo
accertato.Non vi sono infezioni prettamente testicolari o se sono presenti, sono di
origine microsconosciuta o asintomatica, tuttavia l'esito delle infezioni di
qualunque natura sia determina la formazione di micro calcificazioni, considerate
queste delle lesioni pre cancerose con un rischio di cancerogenesi;

In realtà l'unico dimostrato è il criptorchidismo mentre la sterilità e i fattori genetici


di altro genere in realtà sono probabilmente correlati al criptorchidismo: sono i
fattori genetici che condizionano il criptorchidismo e la presenza della sterilità.

L’unica condizione precancerosa che è riconosciuta, anche solo ecograficamente, è la


microlitiasi testicolare. L’associazione tra microlitiasi testicolare e tumori del
testicolo varia dallo 0,05% al 2,9%. Questo non significa che si deve procedere

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 290 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
all’intervento profilattico, però è opportuno monitorare il quadro clinico e qualora
sia necessario valutare se fare o no un’orchiectomia bilaterale.
In questi pazienti è consigliato un controllo clinico annuale e l’autopalpazione
periodica. Il riscontro ecografico di microlitiasi nel testicolo controlaterale ad un
tumore ne aumenta il rischio di TIN (Carcinoma in situ).
Il TIN o CIS (carcinoma in situ del testicolo) è un precursore di tutte le neoplasie a
cellule germinali. Viene osservato in tutti i gruppi a rischio per neoplasia del
testicolo. Circa il 50% dei pazienti con TIN sviluppa tumore del testicolo in 5 anni.
Per identificarlo è necessaria la biopsia e quindi per fare la biopsia è necessario che la
lesione del testicolo ci sia, però sicuramente la microlitiasi e il ca in situ sono le
condizioni di rischio più note.

Altre condizioni degne di nota saranno:


- Pazienti HIV + presentano rischio relativo di tumore del testicolo
significativamente aumentato (5,4%). I soggetti HIV + spesso sono giovani ed è
chiaro che ci sia un incremento del rischio di questi tumori che sono
caratteristicamente dell'età giovanile.
- Somministrazione di ormoni (dietilstilbestrolo) alla madre in gravidanza:
disgenesia testicolare. La somministrazione di ormoni una volta veniva fatta per
proteggere ad es. dalle minacce di aborto, di distacco di placenta, il
dietilstilbestrolo in gravidanza è stato correlato con un aumentata incidenza (è più
un’associazione epidemiologica che un dato causale accertato)
- Disordini della differenziazione sessuale (s. di Down, s. di Marfan)
- Oligospermia
- Elevato consumo di prodotti caseari (in particolare l’abuso dei formaggi) e dieta
ricca di grassi.

Biologia molecolare
L’ overespressione delle cicline D2 è un evento precoce della tumorigenesi, Sembra
essere conseguente ad aumentato numero di copie di 12 p (oncogene candidato
CCND2 mappato su 12p13). Essa provoca un’alterazione della regolazione della
fosforilazione di pRB e del check-point G1/S.
La perdita di regolatori della totipotenzialità delle cellule germinali, dello sviluppo
embrionario e dell’imprinting genomico portano ad un’ abnorme divisione cellulare
dei gonociti mediata da un “loop” paracrino correlato a kit-R/SCF.
Il pathway apoptotico p53-dipendente è legato più alla sensibilità e resistenza
(mutazioni) alla chemioterapia che alla stessa cancerogenesi.

PREVENZIONE
E’ necessario insegnare l’autopalpazione del testicolo agli studenti di scuola media e
superiore. Inoltre soggetti con storia pregressa di criptorchidismo, aplasia testicolare
o precedente neoplasia del testicolo devono accompagnare all’autopalpazione
un’ecografia testicolare annuale.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 291 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
ANATOMIA PATOLOGICA
WHO BRITANNICA
Seminoma Seminoma
- Tipico - Classico
- Spermatocitico - Spermatocitico
- Anaplastico
Non seminoma Teratoma
- Carcinoma embrionale - T. maligno indifferenziato
- Teratocarcinoma - T. maligno intermedio
- Teratoma immaturo - T. differenziato
- Teratoma maturo - T. maligno trofoblastico
- Coriocarcinoma - T. del sacco vitellino
- Tumore del seno endodermico

Tumori a più componenti Tumori misti


- Specificare tutti gli istotipi presenti - Seminoma + Teratoma

Le classificazioni a cui si fa riferimento per i tumori della linea germinale del


testicolo sono sostanzialmente due: la classificazione britannica che è molto
semplificata e quella WHO. La classificazione WHO è chiaramente più didattica
mentre quella britannica è a volte un po’ confondente.
In realtà l'istotipo del tumore del testicolo dipende dalla cellula trasformata, in quale
fase della differenziazione origina. A seconda della cellula coinvolta avremo:
- Cellula zigotica primitiva: carcinoma embrionario
- Cellula germinale indifferenziata: seminoma
- Cell. Differenziata somatica: teratoma
- Cell. Differenziata extraembrionaria: coriocarcinoma, ca. del sacco vitellino

C'è una relazione tra il grado il sviluppo, di differenziazione, di commissionamento


cellulare e istotipo.

I TCG rappresentano il 90% dei tumori del testicolo.


- Il seminoma può insorgere da una cellula della linea germinale in un qualsiasi
momento della maturazione. Si presenta come tessuto lobulato, grigiastro al
taglio che determina un aumento del tessuto testicolare.
- I non seminomi sembrano derivare dal cellule totipotenti che possono evolvere sia
verso la linea somatica sia verso quella germinale.
- Il carcinoma embrionale è una neoplasia estremamente indifferenziata, di piccole
dimensioni; quando compare in età infantile è detta tumore del sacco vitellino.
Produce alfa-fetoproteina. E’ di colore giallastro al taglio e le sue cellule
all’osservazione microscopica contengono i corpi di Schiller-Duval.
- Il teratoma è un tumore complesso formato dall’associazione di diversi tipi di
tessuto, come: peli, denti, tessuto muscolare, tessuto adiposo. Possono essere
maturi , a basso grado di malignità, o immaturi, ad alto grado di malignità.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 292 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

CARATTERISTICHE

SEMINOMA - Tempo di raddoppiamento: 1-3 mesi


- Attività cinetica: 10-20%
- Metastasi: prevalentemente linfatiche, rare ma
ubiquitarie quelle ematiche
- Radio responsività: elevata
- Chemio responsività: elevata
- Markes beta HGC 30% con bassi titoli; AFP
rara con bassi titoli (non possiamo
monitorizzarlo e capire se presenta micro
metastasi.)

CARCINOMA EMBRIONALE - Tempo di raddoppiamento: 20 giorni


- Attività cinetica: 40.50%
- Metastasi: linfatiche ed ematiche (polmonari)
- Radio responsività: modesta
- Chemio responsività: elevata
- Markes betaHGC 70 % dei casi; AFP 70 % dei
casi. (usati nel follow up)

TERATOMA MATURO - Tempo di raddoppiamento: lento


- Attività cinetica: 0-2%
- Metastasi: rare ma possibili
- Radio responsività: nulla
- Chemio responsività: nulla
- Markes beta HGC eccezionale; AFP possibile
(inutilizzabili)

Gli aspetti importanti sono:


- Il teratoma è un tumore poco chemiosensibile e poco sensibile alla radioterapia
perchè ha un'attività cinetica lenta mentre gli altri 2 possono essere sensibili alla
terapia medica ma non è detto che siano ugualmente sensibili alla radioterapia.
- Il seminoma da metastasi prevalentemente per via linfatica e solo raramente e in
fase avanzata per via ematica, per cui nel caso vengano riscontrate cellule
neoplastiche a questo livello, la prognosi risulterà pessima. Il carcinoma
embrionario dà metastasi sia per via linfatica che per via ematica. Nel c.
embrionario la prima sede di metastasi è il polmone, quindi la strategia terapeutica
sarà la chemioterapia, mentre nel seminoma si fa sia la chemioterapia sia la
radioterapia. Il teratoma maturo raramente dà metastasi, quindi dando raramente
metastasi i trattamenti locoregionali sono i trattamenti di elezione.
- Il ca. embrionario e quelli non seminomatosi, che non siano teratomi, esprimono
frequentemente fino all'incirca 2/3 di casi come marcatori tumorali, sia la
betaHCG che alfafetoproteina. Mentre il seminoma non li esprime quasi mai, può
esprimere qualche volta la betaHCG ma in quantità modeste.

STORIA NATURALE
La frequenza di tumori sembra più elevata a dx, presumibilmente per la più alta
incidenza di criptorchidismo a dx.
I tumori del testicolo metastatizzano preferibilmente per via linfatica, e, al momento
della diagnosi, i linfonodi regionali sono interessati nel 50% dei casi dei pz con
seminomi e nel 75/80% dei casi di non seminomi.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 293 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
I linfonodi locoregionali sono: i lomboaortici, para-aortici, renali, paracavali.
Possono essere coinvolti anche i sovraclaveari e quelli mediastinici. Se il testicolo è
criptorchide possono essere interessati gli iliaci interni.
La sequenza con la quale vengono interessati i linfonodi cambia tra testicolo dx e sx.
Avremo infatti per:
- Testicolo destro, iliaci comuni, paracavali, intercavoaortici, sovradiaframmatici
- Testicolo sinistro, iliaciesterni, iliaci comuni, preaortici, paraortici.

Le metastasi per via ematica possono verificarsi in caso di invasione venosa. La


diffusione interessa principalmente il polmone. Nel tumore del criptorchide si può
avere l’infiltrazione del peritoneo. I seminomi prediligono la via linfatica,i non
seminomi possono diffondere in entrambe le vie.

Nota: i linfonodi di drenaggio primario sono i linfonodi lomboaortici perchè il


testicolo è un organo intraperitoneale quindi conserva il drenaggio linfatico della
sede da cui è nato che corrisponde alla regione retroperitoneale come per l ovaio.
Questo non significa che non possano essere interessati i linfonodi inguinali ma tale
interessamento è prima di tutto raro e poi quando c'è può essere dovuto a una
diffusione retrograda dopo che c'è stato un interessamento dei linfonodi
lomboaortici oppure dovuto a manovre chirurgiche oppure in presenza di varicocele.

QUADRO CLINICO
Il tumore del testicolo può insorgere come tumefazione non dolente. Questa è la
presentazione più comune sia dei seminomi che dei non seminomi. Il nodulo può
essere riscontrato occasionalmente durante l’autopalpazione o durante una visita
clinica.
La presentazione come tumefazione dolente è molto meno frequente ma non
rarissima, e in genere più caratteristica delle forme non seminomatose.
La presentazione con solo dolore è molto rara.
Il dolore può essere associato al tumore stesso, all'insorgenza di microtraumi o a
entrambi i fattori (spesso è proprio insorgenza di microtraumi con la presenza del
tumore in sede asintomatico che richiama l’attenzione nel testicolo con riscontro di un
nodulo). Il dolore è sordo, con un senso di peso svrapubico nel 20-30% dei casi
mentre risulta acuto solamente in un 10% dei casi.

Non è infrequente che la presentazione avvenga con sintomi riferibili a metastasi


(10% dei casi). Tra i più comuni ricordiamo:
- Massa cervicale (adenopatie sopraclaveari)
- Adenopatie inguinali
- Sintomi respiratori: tosse, dispnea (metastasi polmonari)
- Disturbi gastrointestinali e deperimento (metastasi retroduodenale)
- Dolori lombari (massa retroperitoneale coinvolgente lo psoas o radici nervose)
- Dolori ossei (metastasi scheletriche)
- Sintomi neurologici (metastasi cerebrali, midollari
- Linfedema arti inferiori (ostruzione o trombosi vene iliache e/o vena cava)

Più frequentemente nelle forme non seminomatose si ha un esordio come massa


addominale palpabile o come una massa che comprime la vena cava con

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 294 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
sintomatologia a carico del circolo venoso periferico. Non è una presentazione
inusuale ed è anche complessa dal punto di vista gestionale.

In una piccola percentuale di casi l'esordio può essere una ginecomastia (5%).

ANATOMIA DEL TESTICOLO

I testicoli sono sospesi nello scroto, al cui interno giacciono in posizione obliqua, con il polo
superiore inclinato in avanti e lateralmente, ed il polo inferiore situato medialmente e all'indietro.
All'interno della sacca scrotale i due testicoli sono parzialmente separati da un setto mediano di
tessuto fibroso (il setto scrotale). La posizione esterna dello scroto, quindi la distanza dei testicoli
dalla sinfisi pubica, è regolata dal muscolo dartos e dalla sua capacità di contrarsi e rilassarsi in
funzione della temperatura.

Oltre ai testicoli, lo scroto accoglie anche i relativi epididimi ed il tratto inferiore del funicolo
spermatico:
- l’epididimo si trova addossato al margine posteriore del testicolo; L'epididimo costituisce il primo
tratto delle vie spermatiche e in corrispondenza della sua coda troviamo l'inizio del relativo dotto
deferente
- Il funicolo spermatico è un cordone che connette il testicolo al resto dell'organismo, raccogliendo
al suo interno un insieme di strutture (arterie, vene, sistema linfatico, nervi, dotto deferente,
muscolo cremastere ecc.) tenute insieme da connettivo lasso.

Il testicolo è avvolto da tre tonache, le quali - dall'esterno verso l'interno - prendo rispettivamente il
nome di:
- tonaca vaginale: membrana sierosa a doppia parete che avvolge e stabilizza il testicolo; è costituita
da due foglietti: parietale (periorchio) e viscerale (epiorchio)
- tonaca albuginea: situata sotto la tonaca vaginale, è uno strato di tessuto connettivo fibroso di
colore bianco-bluastro, che funge da scheletro ed impalcatura del testicolo
- tonaca vascolare: accoglie un plesso di vasi sanguigni e delicato tessuto connettivo lasso

Dalla tonaca albuginea originano setti fibrosi che


percorrono radialmente il testicolo, formando circa
250-300 logge testicolari (o lobuli piramidali) separate da
setti. Questi lobuli presentano la forma di una piramide
con base allargata rivolta verso la tonaca albuginea ed il
vertice situato verso il mediastino (o corpo di Highmoro),
dove si riuniscono a formare un corpo fibroso, che
corrisponde all'ilo dell'organo, che dà passaggio a
condottini efferenti, vasi sanguigni e linfatici, e nervi.
Ogni lobulo contiene da uno a tre-cinque sottili tubuli
seminiferi contorti, che grazie al loro decorso tortuoso
riescono ad occupare poco spazio pur essendo lunghi dai
30 ai 180 cm.

L’esame obiettivo del testicolo va eseguito tramite attenta palpazione del testicolo tra
le prime tre dita della mano. Il testicolo normale ha consistenza omogenea, è mobile
e separabile dell’epididimo. Nella parte superiore del testicolo è facilmente
riconoscibile la presenza dell'epididimo.
Qualsiasi area solida, dura o fissa all’interno del contenuto della tunica albuginea
dovrebbe essere considerata sospetta fino a prova contraria di tumore.
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 295 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Esame del funicolo, del canale inguinale, delle tuniche scrotali e dello scroto va
effettuato per escludere un coinvolgimento (10.15% dei pz)

Di fronte a una tumefazione sospetta la prima cosa da fare a parte l'ecografia che
consente di discriminare il solido dal liquido, è l'inguinotomia esplorativa (se si riesce
ad eseguire una TC tanto di guadagnato).

Avvertenze:
• Il sintomo dolore non esclude la diagnosi di tumore del testicolo
• Un ritardo diagnostico favorisce l’evoluzione della malattia e ne compromette la
prognosi, soprattutto nei non seminomi.
• Le ricerche diagnostiche (eco, marker, ecc) causano ritardo.
• Tutte le volte che una tumefazione intrascrotale è di incerta natura, bisogna ricorrere alla
inguinotomia esplorativa”.

DIAGNOSI
L’autopalpazione ha un ruolo essenziale.
Si ricordi di non effettuare MAI la biopsia transcrotale per il rischio di
insemenzamento di strutture con drenaggio inguinale cambiando cosi la storia
naturale della malattia: si altera la via di drenaggio che da introperitoneale diventa
extraperitoneale.
La pinzettatura dell’albuginea consente di capire se il tumore ha infiltrato la stessa.
Normalmente pinzettandola si sente uno scatto (manovra ormai desueta).

Diagnosi differenziale
- Torsione del funicolo spermatico, si associa a tumefazione di tutto il testicolo e
congestione del plesso venoso; è osservebile con eco-color doppler.
- Orchiepididimite, quella tubercolare presenta granulomi a livello dell’epididimo a
catena di rosario. I noduli sono duri però è interessato l’epididimo e non il
testicolo; questo crea problemi di carattere differenziale perchè in questi casi non
sempre epididimo è distinguibile dal testicolo, anche l’ecografia è poco chiara nel
distinguermi questo quadro clinico.
- Idrocele, positivo alla transilluminazione, questo esame non esclude però la
neoplasia, dato che in alcuni tumori possono venirsi a creare delle raccolte liquide
a lavatura di carne positive alla transilluminazione.
- Varicocele, evidenziabile con eco-color-doppler.
- Ernia inguinoscrotale
- Ematoma scrotale
- Spermatocele
- Gomma sifilitica

Di fronte a una tumefazione del testicolo, sospetto di tumore, va prima di tutto fatta
una eco per verificare che il nodulo sia solido, perchè questa è la condizione
principale.
La tappa successiva è l'inguinotomia esplorativa quindi si incide il canale inguinale,
si procede alla lussazione del testicolo e poi si fa una biopsia diretta del testicolo. Se
la biopsia è negativa il testicolo viene ri-immesso nella borsa scrotale, se invece viene
confermata la presenza di un tumore si procede alla orchifunelectomia cioè

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 296 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
all'asportazione del testicolo col funicolo spermatico perchè anche quest'ultimo può
essere una via di diffusione.
Prima dell’intervento vanno eseguiti un’Rx torace (meglio una TC) per
documentare la presenza di lesioni secondarie polmonari, ed una TC addomino
pelvica per lo studio dei linfonodi.

FDG-PET dopo trattamento di tumori non seminomatosi in caso di dubbio di


residuo microscopico di malattia o piccoli linfonodi lomboaortici non definibili
chiaramente alla tc. Fa distinguere tumore metabolicamente attivo da fibrosi,
teratoma o necrosi.

BIOMARCATORI
Biomarcatori
- L’alfa-fetoproteina è una glicoproteina prodotta • Alfa-fetoproteina
dal sacco vitellino, dal fegato e dal tratto – Carcinoma embrionario
– Teratocarcinoma
gastrointestinale. Valori anomali di tale proteina
– Tumori del sacco vitellino
possono essere imputabili anche ad altre • Beta-gonadotropina corionica
patologia. Il tempo di dimezzamento dell’alfa- – Coriocarcinoma
fetoproteina è di 5 giorni per cui elevati valori – Carcinoma embrionario
– Seminoma puro
sierici dopo 4 settimane
• Lattico deidrogenasi
dall’orchifunicolectomia sono espressione di – Bassa specificità
malattia metastatca. • Fosfatasi alcalina placentare
- La beta-gonadotropina corionica umana è una – Bassa specificità
glicoproteina prodotta dal sinciziotrofoblasto ed VALORI PATOLOGICI SARANNO:
è aumentata nel 100% dei pz con - Alfa-FETOPROTEINA > 15 ng/ml
coriocarcinoma. Il tempo di dimezzamento è di - Beta-HCG > 5 mUL/ml
36 ore. Valori elevati dopo 7 giorni dalla Il 70% dei pz con TCGNS ha valori aumenttati
orchifunicolectomia sono indice di metastasi. di Alfa-fetoproteina ed il 50% di Beta-HCG
- LDH è un marker aspecifico che può aumentare
nel caso di malattie seminomatose e non. E’
utile per il monitoraggio dopo terapia.

STADIAZIONE
Il tumore del testicolo viene abitualmente stadiato in base all’estensione della
neoplasia (scrotale, addominale, toracica) ed al volume delle lesioni linfonodali
secondo lo schema TNM della UICC. La stadiazione clinica richiede markers
testicolari, orchifunicolectomia, esame istologico, TC/RM toraco-addominale.

TNM
pT

pT0 / pTis tumore limitato al solo testicolo

pT1 invasione dell’albuginea, ma senza invasione della vaginale o vascolare/linfatica

pT2 invasione della vaginale o vascolare/linfatica

pT3 invasione della corda spermatica (funicolo)

pT4 invasione dello scroto

pN

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PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

pN0

pN1 mts in 1 o più lfn max 2 cm

pN2 mts in 1 o più lfn 2-5 cm

pN3 mts > 5 cm

M0 assenza di metastasi a distanza

M1 presenza di metastasi a distanza

Alla presentazione clinica i seminomi sono nel 70% dei casi al primo stadio mentre

Stadio Marcatori

Stadio I: no evidenza di - LDH < 1.5 x N


metastasi linfonodale - HCG < 5000
- AFP < 1000

Stadio II: metastasi solo ai - LDH 1.5-10 x N


linfonodi retroperitoneali - HCG 5000-50,000
(anche inguinali dopo - AFP 1000-10,000
chirurgia inguinoscrotale)

Stadio III: metastasi ai - LDH> 10 x N


linfonodi mediastinici, - HCG > 50,000
sopraclaveari, metastasi - AFP > 10,000
ematogene.
non è così per i non seminomi, abbiamo un 40% al primo stadio, un 40% al secondo
stadio ed un 20% al terzo.

C’è una “s” aggiunta al sistema TNM per l'interessamento più o meno elevato dei
marcatori. Questa è una valutazione clinica molto importante in quanto maggiore è
la concentrazione di biomarcatori, maggiore è la massa neoplastica, maggiore sarà la
probabilità di metastatizzazione.

Classificazione clinica pre-trattamento


Rappresenta un punto cruciale della gestione terapeutica.Clinicamente
distinguiamo:
- Malattia loco regionale:
- Stadio I clinico: non ci sono metastasi
- Stadio II A e B clinico: metastasi ai soli linfonodi retro peritoneali max 5 cm
- A<2cm,
- B tra i 3cm e i 5 cm, anche inguinali dopo chirurgia inguinoscrotale
- Malattia avanzata:
- Stadio II C e D clinico: metastasi regionali >5 cm

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 298 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
- Stadio III: malattia disseminata con metastasi ai linfonodi mediastinici e
sopraclaveari, metastasi ematogene.

TRATTAMENTO
Il trattamento in elezione di sospetto di tumore è l’ orchifunicolectomia ed eventuale
biopsia a cielo aperto. Se la biopsia conferma il tumore si procede con
l’orchifunicolectomia; si clampa l’arteria spermatica e si asporta il testicolo con
tutto il funicolo. Se la biopsia è negativa riporto tutto dentro e chiudo.

Dopo l’intervento va fatta la TC, la PET, e la valutazione dei marcatori specialmente


se ci troviamo difronte a un non seminoma, i quali esprimono in più dei 2/3 dei casi
dei marcatori.

Dopo l'intervento nelle forme che esprimono i marcatori, soprattutto nelle forme
non seminomatose è importante valutare i tempi di dimezzamento dei marcatori
rispetto ai valori pre operatori:
• Beta HCG : tempo di dimezzamento 24 ORE
• Alfa FP: tempo di dimezzamento 5 GIORNI

Rischio di recidiva dopo orchifunicolectomia


Le differenziazioni sono per quanto riguarda lo stadio e l’istotipo. Avremo:
- Seminoma:19 %
- Non seminoma T1N0: 15%
- Non seminoma T2N0: 50 %

Strategie terapeutiche dopo orchifunicolectomia


La terapia dipende dall’istotipo e dallo stadio clinico.

Seminomi
Malattia locoregionale: (stadio 1, 2A e 2B)
L'indicazione terapeutica standard è la radioterapia perché sono tumori radio e
chemiosensibili. Il campo di radioterapia nei seminomi è lo stesso per i diversi stadi,
però nello stadio I si fanno dai 3000 ai 3500 cGray in 4 settimane, nello stadio IIa e
IIb come terapia adiuvante si fanno 4000 cgray in 4-5 settimane.
La radioterapia va fatta sui linfonodi potenzialmente interessati che sono quelli
lomboaortici; la gurigione è stimata nel 65-90% dei casi. Le ricadute si hanno
soprattutto nei primi 3 anni con coinvolgimento dei linfonodi iuxtaregionali o a
distanza. Nello stadio I la radioterapia è precauzionale, nello stadio 2 radicale. Se c’è
recidiva si procede con chemioterapia.
C'è più di qualche evidenza che al posto della radioterapia che dura 2-3 settimane, si
possa fare la somministrazione di una terapia citotossica “one shot” ad alte dosi di
carboplatino.

Malattia avanzata: (stadio IIc, III)


Polichemioterapia secondo schemi comuni sia ai seminomi che ai non seminomi,
radioterapia o cheioterapia delle masse residue. Gli schemi di polifarmacoterapia più
utilizzati saranno: PVB (cisplatino, vinblastina bleomicina), PEB (cisplatino,
etoposide, bleomicina) TIP (paclitaxel + isofosfamide + cisplatino + Mesna).

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 299 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
L’etoposide ha sostituito la vinblastina avendo meno effetti collaterali. I pz vengono
divisi in a buona prognosi (sono efficaci le chemioterapie abituali, andranno in
contro a 3 cicli di PCT) e a cattiva prognosi (4 cicli di PCT aggressiva con PEB ad
alte dosi, ciò è reso possibile grazie all’utilizzo di fattori di crescita granulocitari e
del trapianto di cellule staminali che sopperiscono ai danni dei farmaci.
Il trattamento di salvataggio di I linea nei pazienti pretrattati con PEB è rappresentato
da CIV (ifosfamide + vinblastina + cisplatino + Mesna )

Il tumore al testicolo risulta essere uno dei pochissimi tumori in cui il trapianto di
cellule staminali può essere efficace nei pazienti che “sembrano” resistenti ai farmaci
chemioterapici.
In realtà questi pazienti “sono parzialmente resistenti”, nel senso che se tu aumenti
la dose del chemioterapico la malattia risponde, aumentando allo stesso tempo la
tossicità e spazzando via anche il midollo del paziente, questo permette da una parte
l’eliminazione delle cellule tumorali dall’altro permette di re infondere cellule
staminali che hanno meno probabilità di andarsi a differenziare in cellule tumorali
dato che questo tumore è extraematologico.

Non seminomi
Malattia locoregionale Stadio 1 e 2
L'indicazione standard è la linfadenectomia retroperitoneale cioè l’asportazione di
tutti i linfonodi compresi tra i pilastri diaframmatici e la biforcazione dei grossi vasi,
nonchè i linfonodi pertinenti ai vasi iliaci omolaterali alla neoplasia,
indipendentemente dall’esito della TC.
La possibilità di guarigione è del 90% nello Stadio I e del 65% negli Stadi IIA e IIB.

Nello stadio IIA e IIB il rischio di recidiva è circa del 50% senza linfadenectomia
retroperitoneale: questo significa che la linfadenectomia in questi pazienti aggiunge
un 15% in più di guarigione.
Le recidive possono arrivare fino al 50% dopo orchifunicolectomia, per cui vi sono
sicuramente micro metastasi che noi non vediamo, ecco perche viene eseguita la:
- Linfadenectomia retro peritoneale
- Chemioterapia (PEB 2 cicli);
- Sorveglianza

I vantaggi della linfoadenectomia retroperitoneale sono i buoni risultati terapeutici


in stadio I e II e la possibilità di stadiazione patologica. Gli svantaggi sono la perdita
dell’eiaculazione (30-70%) e l’ impotenza (20-30%); in un giovane sono dei rischi
importanti. Per ovviare a questi svantaggi è stata introdotta la tecnica nerve sparing
che comunque comporta un rischio del 30-40% di sterilità.

Alternative alla linfoadenectomia retroperitoneale in pz N0 saranno:


- Sorveglianza (metodiche diagnostiche) nei pazienti con rapida diminuzione dei
marcatori:
- Monitoraggio TC/PET: pet consente di vedere se un piccolo linfonodo è
metastatico o meno.
- Monitoraggio marcatori:
• Tempo di dimezzamento HCG 24-48 ore

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 300 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
• Tempo di dimezzamento α-FP: 5 gg.
In caso di recidiva si elevano subito e intervenendo in un secondo momento la
sopravvivenza rimane tuttavia alta, essendo pazienti che hanno un’elevata chemio
sensibilità.

- Terapie alternative:
- Terapia citotossica adiuvante
- Radioterapia retroperitoneale in pazienti selezionati (rifiuto opzioni
precedenti), però questi pz sono poco radiosensibili e quindi la dose di
radioterpia è più elevata della dose dei 4000 cGy che si fanno nei seminomi.

Un’altra alternativa oggi giorno c’è, anche in quei pazienti che devono essere sottoposti a una
linfadenectomia, possiamo fare 2 cicli di chemioterapia e verificare successivamente se la PET si
negativizza.

Nei pz in stadio II A e B a seconda dello stadio dei linofnodi possiamo utilizzare, dopo
la linfoadenectomia retroperitoneale, wait and see, se c’è l’interessamento di meno di 6
linfonodi e comunque più piccoli di 2 cm di diametro, PCT se questi criteri non sono
soddisfatti.
In caso di recidiva dopo chemioterapia si prevedono altri 4 cicli di PCT e
l’asportazione delle masse residue.

Malattia avanzata (stadio 2C e D, 3)


Nel caso di malattia avanzata con grosse masse linfonodali mediastiniche, metastasi
linfonodali polmonari, sia che sia seminoma sia non seminoma si fa un trattamento
citotossico con 3 cicli di PEB. In caso di completa remissione si tiene sotto
sorveglianza il pz. Se non abbiamo una completa remissione si esegue anche una
linfadenectomia retroperitoneale. Se il tumore continua a progredire si esegue
chemioterapia di salvataggio con nuovi cicli e l’asportazione delle masse residue.

La chemioterapia nei tumori del testicolo (seminomi e non seminomi) in fase


avanzata permette la completa remissione nel 60-70% dei casi e la remissione
parziale nel 30%. Le risposte dipendono principalmente dall’estensione della
malattia, dall’istotipo e dal titolo dei marker tumorali.
Il massimo dell’efficacia si verifica dopo i primi 2-3 cicli di chemioterapia.
Non sembra ci sia alcun vantaggio a somministrare più di 4 cicli della stessa
chemioterapia d’induzione, nei pazienti che hanno ottenuto una recidiva con la sola
chemioterapia. La terapia di mantenimento non è necessaria.

Migliora la prognosi l’asportazione delle metastasi polmonari ed epatiche.

Terapia delle forme recidivanti o resistenti


Il 20-30% dei pz con GCT non risponde completamente alla chemio di prima linea: la
chemioterapia di seconda linea rimane un’opzione. Come terapia di seconda linea, il
33-69% dei pz ottengono una risposta completa con regimi a base di ifosfamide e
questo garantisce durabilità della risposta nel 50% dei pz.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 301 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Il 25-50% dei pz che recidivano dopo chemioterapia ottengono una risposta
completa ad alte dosi di carboplatino ed etoposide con o senza oxazophosphorina
(cyclophosphamide, ifosfamide) ed ABMT.

PROGNOSI
Per quanto riguarda i seminomi abbiamo condizione di prognosi buona e prognosi a
rischio intermedio; per i non seminomi abbiamo rischio basso, intermedio ed
elevato.

- Seminomi a prognosi buona, Sopravvivenza a 5 aa del 90%. In assenza di metastasi


viscerali non polmonari, qualunque sia la sede primaria, il rischio è basso,
indipendentemente dai valori dei marcatori (raramente aumentati o aumentati in
maniera molto modesta).
- Seminomi a rischio intermedio, Sopravvivenza a 5 aa del 75% Il rischio è
intermedio quando ci sono metastasi viscerali non polmonari (es. generalmente al
fegato ma anche alle ossa o anche metastasi cerebrali)

Il discorso è diverso nei non seminomi: infatti nei non seminomi contano anche i
livelli dei marcatori e la sede del primitivo.

- Non seminomi a prognosi buona: sopravvivenza a cinque anni 90 %


- AFP < 1000 ng/ml
- HCG < 5000 mIU/ml
- LDH < 1.5 x N
- Assenza di metastasi viscerali. non polmonari.
- Tumore primitivo gonadico o Retro peritoneale.
- Non seminomi a prognosi intermedia: sopravvivenza a 5 anni 75%
- Assenza di metastasi viscerali. non polmonari.
- AFP 1000-10,000
- HCG 5000-50,000
- LDH 1.5-10 x N
- Primitività gonadica o Retro peritoneale
- Non seminomi a prognosi cattiva: sopravvivenza a 5 anni 50%
- Primitività mediastinica
- Presenza di metastasi viscerali (epatiche) non polmonari.
- AFP ≥ 10,000
- HCG ≥ 50,000
- LDH ≥ 10 x N

BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________

- Urologia, Autore Bassi P.F., 2010, 129 p., ill., brossura, Editore Cortina (Padova),
(collana Cosa sapere di…)
- Sbobinature del Prof. Bassi, aa 2014-2015
- Sbobinature Prof Barone aa 2014/2015 e aa 2015/2016
- Dispense Prof Butti
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 302 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

CAPITOLO 22
___________________________________________________________
TUMORI DELLA TIROIDE

NODULO SOLITARIO TIROIDEO


Viene definito come la presenza di un nodulo tiroideo clinicamente palpabile. E’
un’evenienza assai frequente (4-5% della popolazione adulta). I pazienti che si
presentano con un nodulo tiroideo possono essere suddivisi in 2 gruppi:
- Pazienti che presentano una sintomatologia correlata alla presenza del nodulo;
- Pazienti che non hanno disturbi locali ed il rilievo della tumefazione da parte del
paziente o del medico è occasionale.

I noduli sintomatici sono più frequenti in pazienti affetti da malattie tiroidee di tipo
diffuso quali: ipertiroidismo, gozzo multinodulare, tiroidite acuta e cronica,
carcinoma midollare della tiroide o altre forme neoplastiche tiroidee.
Il gruppo dei pazienti con noduli asintomatici presenta una tumefazione circoscritta,
che è sempre indicativa per una forma neoplastica benigna o maligna, e che pertanto
impone una rapida e precisa diagnosi.

Un’accurata indagine anamnestica è di notevole importanza nella diagnosi


differenziale tra forme neoplastiche e lesioni tiroidee di altro tipo.
La modalità di variazione delle dimensioni di un nodulo tiroideo ha un importante
valore diagnostico. Molti tumori maligni possono rimanere di minime dimensioni
per anni e poi, improvvisamente e apparentemente senza alcun ovvio motivo,
iniziano a crescere. Un nodulo solitario non dolente, presente da qualche tempo e
che solo recentemente è aumentato di dimensioni, è quasi sempre neoplastico.

L’improvvisa comparsa di un nodulo che aumenta le proprie dimensioni


rapidamente, anche in pochi giorni, è solitamente indicativa di emorragia all’interno
di una cisti tiroidea solitaria. In questi casi la tumefazione può anche regredire
spontaneamente senza richiedere ulteriori indagini o trattamenti.

Un’anamnesi positiva per preesistente malattia tiroidea è assai importante. Il rilievo


anamnestico di terapia radiante al collo, sia per malattie infiammatorie della tiroide
sia per iperplasia timica del neonato, è pure assai importante, poichè tale terapia
comporta una più elevata incidenza di neoplasie maligne tiroidee nel II-III decennio
di vita (35-50% dei pazienti con noduli tiroidei).

Sintomi soggettivi di alterata funzionalità tiroidea non sono solitamente da porsi in


relazione alla presenza di neoplasia tiroidea. Il rilievo anamnestico di eretismo,
perdita di peso, intolleranza al caldo, facile faticabilit. e tremori alle dita, può essere
presente nel morbo di Flajani-Graves-Basedow, nel gozzo tossico nodulare o
nell’adenoma iperfunzionante.
Al contrario, intolleranza al freddo, eloquio rallentato, voce rauca, amenorrea,
sonnolenza e pallore cutaneo possono essere i segni di uno stato di ipotiroidismo
secondario a tiroidite cronica.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 303 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Il dolore è un altro segno di rilievo nella valutazione di un nodulo tiroideo. Le
neoplasie maligne della tiroide, ad eccezione del carcinoma midollare, raramente sono
dolenti.
Il dolore è invece presente quando una tumefazione compare improvvisamente,
come nei casi di emorragia intracistica.
Il dolore vivo associato a sensazione di tensione di tutta la ghiandola è invece
sempre presente nei casi di tiroidite acuta e subacuta, mentre nei casi di carcinoma
midollare il dolore e la sensazione di tensione sono lievi.

La voce rauca è un segno di rilievo, perchè spesso indica infiltrazione o


compressione del nervo ricorrente da parte di tessuto neoplastico. In questi pazienti
è necessario eseguire l’esame laringoscopico per escludere la paralisi della corda
vocale.
I pazienti con neoplasia tiroidea che presentano voce rauca da invasione del
ricorrente hanno certamente una prognosi peggiore di altri.
La disfagia è un segno di difficile valutazione; nei pazienti con neoplasia tiroidea è
un segno tardivo, poichè sta ad indicare una tenace adesione e fissità della ghiandola
alle strutture adiacenti.
E’comunque più frequente in alcune forme di tiroidite cronica che nelle neoplasie.

L’associazione del nodulo tiroideo con altre endocrinopatie del paziente o dei suoi
familiari deve far porre il sospetto di un carcinoma midollare della tiroide, poichè
una discreta percentuale di questi pazienti può essere affetta anche da
feocromocitoma,iperparatiroidismo, malattia di Cushing, carcinoidi e diabete.

VALUTAZIONE CLINICA E FUNZIONALE

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 304 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
L’esame fisico del paziente è determinante per definire tutte le caratteristiche
cliniche del nodulo e l’eventuale presenza di linfoadenopatia latero-cervicale. Scopo
della palpazione è rilevare se il nodulo è unico o se l’intera ghiandola è
multinodulare. E’ più probabile che sia maligno un nodulo solitario che non un gozzo
plurinodulare.

Nella maggior parte dei casi la diagnosi di certezza può essere ottenuta esclusivamente
con l’esame istologico della ghiandola.

L’agobiopsia percutanea ecoguidata è di grandissima utilità, I risultati dell’indagine


citologica vengono solitamente classificati in base alla presenza di: cellule maligne,
benigne, sospette o di difficile classificazione, materiale inadeguato o insufficiente;
in quest’ultimo caso è opportuno ripetere l’indagine.

L’incidenza di falsi positivi è rara, ma il 20% circa delle risposte riporta la presenza
di cellule sospette o di difficile classificazione e il 5% di quelle definite benigne
risultano essere maligne all’indagine istologica definitiva. L’agobiopsia percutanea
non dovrebbe essere eseguita nei pazienti precedentemente irradiati al collo, poichè
i tumori indotti da radiazioni pregresse sono nella maggior parte dei casi multifocali
e pertanto una biopsia negativa non escluderebbe la presenza di una neoplasia.

L’indagine scintigrafica consentirà di determinare se il nodulo è solitario o se vi sono


noduli multipli; inoltre essa definir. se il nodulo è funzionante (“caldo”) o non
funzionante (“freddo”).

I noduli solitari caldi possono essere causa di ipertiroidismo, ma raramente sono di


natura neoplastica maligna, mentre i noduli freddi possono, nel 20% dei casi circa,
essere costituiti da tessuto neoplastico maligno e devono essere asportati
chirurgicamente.

I carcinomi tiroidei sono relativamente rari nei gozzi multinodulari (1%).


L’indagine ecografica è in grado di differenziare le lesioni cistiche da quelle solide;
circa il 10-20% dei noduli solitari freddi è di natura cistica. Le lesioni sicuramente
cistiche con diametro inferiore ai 4 cm non sono quasi mai maligne. E’sempre
opportuno eseguire una radiografia diretta comprendente collo e torace per mettere
in evidenza eventuali spostamenti o compressioni tracheali, la presenza di
calcificazioni nel contesto del nodulo e l’eventuale presenza di lesioni metastatiche
polmonari.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 305 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
TERAPIA
Le indicazioni all’exeresi chirurgica dei noduli tiroidei sono le seguenti:
- sospetto di neoplasia;
- sintomi da compressione;
- ipertiroidismo;
- immersione retrosternale;
- alterazioni estetiche del collo.

I noduli solitari freddi alla scintigrafia, solidi all’ecografia e sospetti all’indagine


citologica devono essere asportati.

ADENOMA A CELLULE DI HURTLE


Questo adenoma è relativamente raro ed è costituito da cellule di grosse dimensioni
ricche di citoplasma dall’aspetto granulare, dovuto, come dimostrato dalla
microscopia elettronica, ad una particolare abbondanza di mitocondri. I nuclei sono
voluminosi con nucleoli molto evidenti. Le atipie sono più frequenti che
nell’adenoma follicolare, senza peraltro essere necessariamente indicative di
trasformazione maligna.

Le cellule si ammassano tra di loro talora costituendo una struttura colonnare. La


maggior parte degli autori ritiene che gli adenomi a cellule di Hürthle debbano
essere considerati come potenzialmente malign poichè caratterizzati da frequenti
recidive dopo l’exeresi chirurgica.

TERAPIA
L’emitiroidectomia rappresenta la terapia più efficace per i noduli caldi solitari della
tiroide; E’un intervento a bassa morbilità e consente, dopo accurata indagine
istologica, di escludere il rischio, solitamente remoto, di carcinoma. Se l’adenoma è
associato a segni clinici d’ipertiroidismo, è opportuno preparare il paziente
all’intervento con farmaci antitiroidei.

Essendo più elevato il rischio di carcinoma nei noduli solitari freddi, la strategia
terapeutica sarà in questi casi diversa.
L’esplorazione chirurgica deve sempre prevedere l’indagine istologica estemporanea al
congelatore; anche nel caso di adenoma si eseguirà una emitiroidectomia; se invece
sarà identificata una lesione carcinomatosa, allora bisognerà procedere all’intervento
più esteso di tiroidectomia totale.

TUMORI MALIGNI
EPIDEMIOLOGIA
I dati epidemiologici disponibili sui tumori maligni della tiroide sono di difficile
interpretazione per la variabilità del comportamento biologico di queste neoplasie.
L’incidenza, all’esame autoptico, in una popolazione non selezionata è dell’1,79%;
quest’incidenza è molto più elevata nella popolazione delle Hawaii, tra le donne
cinesi ed in Giappone, ove è stata descritta un’incidenza del 20% all’indagine
autoptica di pazienti deceduti negli anni Settanta nell’area di Hiroshima e Nagasaki.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 306 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Negli Stati Uniti il numero di nuovi casi/anno di tumori tiroidei è in costante
aumento, essendo raddoppiato negli ultimi 2 decenni.

I tumori tiroidei sono rari nei bambini ed aumentano di frequenza con l’aumentare
dell’età. I carcinomi sono 3 volte pi. frequenti nelle donne che nell’uomo. Si ritiene
che possano essere più frequenti nelle aree di endemia gozzigena ed esistono
effettivamente dati epidemiologici che dimostrano una maggior frequenza in
Colombia e Austria.

La mortalità annua per carcinoma tiroideo negli Stati Uniti è di 4/milione/anno per
gli uomini e 5/milione/anno per le donne. La discrepanza esistente tra i dati di
incidenza e di mortalità è presumibilmente da porre in relazione con il potenziale di
malignità non molto elevato dei carcinomi differenziati della tiroide.

EZIOLOGIA E FATTORI DI RISCHIO


Nell’uomo i fattori causali sono poco chiari e, sebbene ogni tipo di patologia tiroidea
associata o preesistente sia stata indagata sotto questo aspetto, informazioni precise
non sono attualmente disponibili.

L’esposizione della tiroide a radiazioni ionizzanti durante l’infanzia o l’adolescenza è


un fattore causale certo e ben documentato.
I dati indicano che l’80% di giovani con carcinoma tiroideo hanno un’anamnesi
positiva per trattamento radiante e che l’incidenza è in relazione diretta con la dose
di raggi somministrata.

BIOLOGIA MOLECOLARE
Le alterazioni genetiche, alla base delle mutazioni in senso oncogenetico, delle
neoplasie maligne delle cellule follicolari della tiroide sono concentrate attorno a
due vie molecolari: la via della protein chinasi mitogeno attivata (MAP) e la via della
fosfatidil-inositolo-3-chinasi (PI-3K)/AKT.
Nella loro normale attivazione, queste vie sono utilizzate temporaneamente
attraverso il legame tra il fattore di crescita e le tirosin-chinasi recettoriali (mediato
attraverso il dominio extracellulare), che comporta l'autofosforilazione del dominio
citoplasmatico, consentendo la traduzione del messaggio.
Nei carcinomi della tiroide, così come in altri tumori solidi, le mutazioni che
comportano un'acquisizione di funzione, lungo le componenti di queste vie, portano
ad un'attivazione costitutiva anche in assenza di ligando, promuovendo in tal modo
la cancerogenesi.
Nei carcinomi papillari, l'attivazione della via delle MAP-chinasi è pressoché
costante, e avviene in seguito a due meccanismi di seguito descritti:
- Il primo comporta riarrangiamenti di RET o NTRK1 (Neurotrophic Tyrosine
Kinase Receptor 1), entrambi codificanti per tirosin-chinasi transmembrana.
- Il secondo meccanismo implica invece mutazioni puntiformi del gene BRAF, il cui
prodotto è una componente intermedia della via delle MAP-chinasi.

La trasformazione neoplastica, inoltre e più in generale, può dipendere da vari


meccanismi genetici ed epigenetici che includono: attivazione ed inattivazione di

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 307 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
mutazioni somatiche, alterazioni nei pattern di espressione genica, disregolazione
dei microRNA e metilazione aberrante dei geni.
La mutazione BRAFV600E è stata associata quasi dieci anni fa, attraverso uno studio
multicentrico, ad una maggiore aggressività clinico-patologica, con un maggiore
tasso di recidiva, di resistenza alla terapia con radioiodio, fallimento terapeutico, e in
generale una maggiore aggressività.
A destare l'attenzione e l'interesse per questa mutazione, è stata la recente scoperta,
in alcuni PTC umani, di un'eterogeneità intra-tumorale nel genotipo di BRAF: in una
minoranza di casi si è rinvenuta la mutazione BRAFV600E, e in una maggioranza il
BRAF-wilde type. Questo ha dato vita a una dibattito, ancora acceso, su cosa venga
prima (“chicken and eggs puzzle”): se la mutazione del BRAF dia l'avvio alla
tumorigenesi, o se invece segua l'evoluzione verso la malignità. Da ciò, comunque, si
possono trarre due conclusioni: che la mutazione del BRAF sia un evento genetico
secondario nella tumorigenesi; oppure che una volta che la mutazione del BRAF ha
attivato la trasformazione neoplastica in PTC, ulteriori alterazioni oncogeniche
possono subentrare, guidando la tumorigenesi e scalzando il ruolo di BRAF.
L'evidenza che la mutazione è presente nel 20-40% dei carcinomi scarsamente
differenziati, e nel 30-40% degli anaplastici, fa ritenere che la proteina di fusione
giochi un ruolo importante nella de-differenziazione dei tireociti e quindi, più in
generale, per una maggiore aggressività della neoplasia.

STADIAZIONE - Classificazione TNM


- T1 : sotto al centimetro;
- T1A (micro carcinomi);
- T2 tra 2-4 cm; T3 >4 cm o con infiltrazione minima della capsula;
- T4 estendono oltre la capsula e anche i tumori poco differenziati.

L’interessamento linfonodale è frequente soprattutto nel ca. papillare e nel ca.


midollare per cui è importante stabilire lo status linfonodale (N). N1A coinvolti
linfonodi compartimento centrale (pre laringei, pre-tracheali, peri-ricorrenziali in
uno spazio che va dall’osso ioide al tronco arterioso anonimo delimitato
lateralmente dalle due carotidi comuni); N1B sono coinvolti anche i latero-cervicali

Secondo i criteri standard di stadiazione i pazienti con un tumore papillare di età


inferiore ai 45 anni sono al massimo in STADIO 2 ciò vuol dire che, se anche hanno
metastasi a distanza, sono pazienti in cui la prognosi è buona; solitamente sono
pazienti ad un primo stadio di malattia con una prognosi eccellente, per cui pazienti
con meno di 45 anni con un carcinoma differenziato vengono definiti pazienti a
basso rischio.

Abbiamo due concetti:


- criterio età (< 45 anni = andamento indolente),
- criterio istotipo (differenziazione).
Tutti i pazienti con ca. anaplastico sono in stadio 4, quindi la prognosi di questo
paziente è assolutamente infausta perchè tutti i tumori anaplastici vengono classificati
come T4.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 308 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
ADENOCARCNOMA PAPILLIFERO
Epidemiologia
E’il tumore maligno più frequente, rappresentando l’85% di tutti i carcinomi
tiroidei. Colpisce prevalentemente giovani adulti tra i 30 e i 40 anni di età. Il tumore
ha la tendenza a rimanere localizzato nella ghiandola tiroidea e, quando
metastatizza, si diffonde localmente alle stazioni linfoghiandolari del mediastino
superiore ed a quelle cervicali. L’80% dei bambini ed il 20% degli adulti presentano,
all’esame clinico, linfonodi palpabili da localizzazione secondaria.

Anatomia patologica
L’adenocarcinoma papillifero può presentarsi come nodulo solitario, oppure, più
frequentemente nei bambini, essere di tipo multicentrico. Il nodulo è piccolo, talora
piccolissimo (4-5 mm), di colorito bianco-grigiastro, dalla superficie irregolare, di
consistenza solida o cistica.
La superficie di taglio è ruvida per la frequente presenza di numerosi piccoli depositi
di calcio; se esistono formazioni cistiche nel suo contesto, il loro contenuto è
rappresentato da un fluido acquoso di colorito bruno.
Al microscopio si osservano strati singoli o multipli di elementi cellulari di tipo
cuboidale o colonnare, con nuclei chiari particolarmente voluminosi, spesso con
modeste atipie e scarse mitosi.
Queste cellule rivestono formazioni arboriformi di tipo fibrovascolare, che
protrudono all’interno di cavità cistiche o anche in tessuto apparentemente normale.
Nel 40% dei casi, nel contesto dello stroma delle ramificazioni papillari si trovano
delle formazioni rotondeggianti dette “corpi psammomatosi”, costituite da lamelle
concentriche di tessuto che vanno incontro a processi di calcificazione che le
rendono visibili all’esame radiologico.
La loro presenza è quasi patognomonica per carcinoma e starebbe anche ad indicare
che il tumore è di vecchia data.

Esistono molte varianti istologiche del carcinoma papillifero. La presenza, nel


contesto di un adenocarcinoma papillifero, di formazioni follicolari consente di
identificare una forma di carcinoma misto o variante follicolare del carcinoma
papillifero.

Storia naturale
L’adenocarcinoma papillifero è un tumore che cresce assai lentamente, è certamente
uno dei carcinomi a prognosi più favorevole (sopravvivenza a 5 anni superiore al
90% ed a 10 anni di circa l’80%); ciò nonostante non può essere trascurata la
potenzialità di questo tumore di trasformarsi nel tempo in una forma neoplastica a
malignità più elevata. La maggior parte dei tumori papilliferi non modifica le proprie
caratteristiche strutturali per un lungo periodo di tempo; ma alcuni, dopo una
latenza di 20-30 anni, improvvisamente entrano in fase di anaplasia, aumentano la
loro invasività sia locale sia a distanza e possono provocare morte per
metastatizzazione loco-regionale e diffusa.
Spesso i linfonodi sede di metastasi sono di dimensioni molto superiori rispetto al
tumore primitivo, che talora può non essere rilevato alla palpazione.
Da un punto di vista prognostico, ancora più grave della diffusione linfatica è il
superamento della capsula tiroidea, che, seppur raramente, può giungere sino

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 309 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
all’invasione di importanti strutture adiacenti (esofago, trachea, nervo laringeo
ricorrente).

Per via ematogena il tumore può metastatizzare a polmoni ed ossa.

ADENOCARCINOMA FOLLICOLARE
Epidemiologia e storia naturale
Il carcinoma follicolare rappresenta circa il 10% di tutte le neoplasie maligne della
tiroide.
Predilige la fascia di età compresa tra i 30 e i 50 anni.Anch’esso può essere definito
come un tumore a lenta crescita e con prognosi relativamente favorevole; comunque
è più aggressivo e pericoloso del carcinoma papillifero. E’ più frequente nelle donne
che negli uomini (3:1).

Metastatizza prevalentemente per via ematogena ai polmoni e alle ossa, provocando


lesioni di tipo osteolitico soprattutto a carico del cingolo scapolo-omerale, dello
sterno e del cranio.
Sia il tumore sia le metastasi spesso mantengono la capacità di captare e trattenere
iodio radioattivo, consentendo talora di utilizzare questa metodica a scopo
terapeutico.
Le metastasi ossee possono comparire anche dopo 10-20 anni dall’exeresi chirurgica
della lesione primitiva.

Anatomia patologica
I carcinomi follicolari possono presentarsi ben capsulati, oppure essere di tipo
invasivo,sconfinando anche nelle strutture adiacenti la ghiandola. Quando il tumore
è circoscritto e capsulato, esso ha caratteristiche macroscopiche simili a quelle di un
nodulo adenomatoso ed al suo interno possono pure verificarsi processi
degenerativi, come: emorragie, infarti, formazioni cistiche, fibrosi e calcificazioni.

Anche l’istologia del carcinoma follicolare ha caratteristiche strutturali simili a


quelle degli adenomi follicolari (micro- e macrofollicolari).
Il reperto microscopico che consente di porre diagnosi di carcinoma è l’invasione della
capsula, del parenchima ghiandolare adiacente, della microcircolazione linfatica ed
ematica.

Poichè molti dei carcinomi follicolari sono ben differenziati e possono talora essere
costituiti, almeno nella loro componente centrale, da tessuto tiroideo
apparentemente normale, è assai importante che l’indagine sia rivolta alla periferia
della lesione; è in questa zona, infatti, che possono essere rilevati i segni
d’invasività.

Il tumore a cellule di Hürthle è considerato una variante del carcinoma follicolare, di


cui ripete le caratteristiche cliniche.

Prognosi
La prognosi è in relazione al grado d’invasione rilevato al momento dell’ablazione
del tumore. Quando l’invasione è minima, la prognosi è favorevole; quando il

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 310 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
tumore mostra segni di maggiore aggressività, la sopravvivenza oltre i 5 anni è
inferiore al 50%.
La maggior aggressività di questo tumore, e quindi la prognosi peggiore, giustificano
un atteggiamento chirurgico più radicale. E’ consigliabile infatti l’esecuzione di una
tiroidectomia totale, con conservazione delle paratiroidi e svuotamento linfonodale.

Se non si procede ad una tiroidectomia totale, non sarà possibile l’esecuzione di una
scintigrafia corporea totale con iodio radioattivo per l’identificazione e il successivo
trattamento di eventuali metastasi scheletriche: il tessuto tiroideo residuo capterà
infatti lo iodio radioattivo. In questi casi si rende necessaria una revisione chirurgica
per l’ablazione completa della ghiandola.

ADENOCARCINOMA MIDOLLARE
Epidemiologia
E’ il carcinoma della tiroide di più recente identificazione. Colpisce in genere
pazienti sopra i 50 anni di età e rappresenta circa il 5-10% dei tumori tiroidei.
Si sviluppa dalle cellule C o parafollicolari della tiroide secernenti calcitonina. In
effetti, i livelli sierici di calcitonina nei pazienti con carcinoma midollare sono elevati.

Le cellule C neoplastiche, ovvero solo quelle che costituiscono il tumore, possono


secernere anche altri fattori ad attivit. endocrina (5- idrossitriptamina,ACTH, MSH,
prostaglandine, somatostatina) o antigeni oncofetali, quali il CEA.

Il tumore non capta lo iodio radioattivo, ma è in grado di concentrare elettivamente


la metaiodobenzilguanidina (MIBG), un tracciante che si fissa elettivamente al
tessuto cromaffine del feocromocitoma e ad altri tumori di derivazione
neuroectodermica.

Il carcinoma midollare può presentarsi come unica entità nosologica, oppure, in


circa la metà dei pazienti, essere associato ad altri tumori endocrini ed assumere
caratteristiche di familiarità, con ereditarietà di tipo autosomico dominante.

In questi ultimi casi si configura la MEN II (Multiple Endocrine Neoplasia – Type II):
carcinoma midollare + feocromocitoma bilaterale + adenoma paratiroideo. Quando
il carcinoma midollare fa parte di una MEN II, si ritiene che esso sia meno
aggressivo della forma sporadica.

Anatomia patologica
L’aspetto macroscopico del tumore è quello di un nodulo duro, bianco-grigiastro,
solitamente ben demarcato. Nella maggior parte dei casi è localizzato nella parte
superiore della ghiandola, probabilmente per il maggior numero di cellule C presenti
in questa parte della ghiandola stessa.
Il tumore è costituito da raggruppamenti di cellule rotonde o poligonali, con nuclei
piccoli ed uniformi, disposti in modo eccentrico, quasi a dare alle cellule un aspetto
plasmocitoide.

L’aspetto istologico nel suo complesso è assai simile a quello del carcinoide.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 311 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
L’aumento dei livelli basali di calcitonina nel plasma, e soprattutto un’eccessiva
risposta dopo infusione di calcio, rappresentano un importante elemento
diagnostico.

Storia naturale
E’ un tumore che cresce abbastanza lentamente e metastatizza prevalentemente ai
linfonodi locoregionali.
Al momento dell’intervento chirurgico, il 75% dei pazienti presenta metastasi
linfonodali. Successivamente si possono osservare metastasi ai polmoni, al fegato e
alle ossa.
Prognosi
La prognosi, che è certamente peggiore rispetto al carcinoma papillifero,ma migliore
di quello anaplastico, è in relazione alla presenza o all’assenza di metastasi
linfonodali al momento dell’intervento.
Il trattamento del carcinoma midollare, quando si presenta come entità nosologica
unica, consiste nella tiroidectomia totale con conservazione delle paratiroidi e
svuotamento linfonodale preventivo.
La terapia medica sostitutiva consiste nella somministrazione di T3. Alcuni
chirurghi propongono un trattamento più conservativo (lobectomia totale
omolaterale e subtotale contro-laterale) nelle forme in cui il carcinoma midollare fa
parte di una MEN II.

CARCINOMA ANAPLASTICO
E’ il tumore tiroideo a pi. elevata malignità, caratterizzato da crescita rapida (la metà
dei pazienti muore in poche settimane o mesi), invasività locale e metastasi diffuse.
E’ definito anaplastico o indifferenziato perchè in esso non sono osservabili strutture
differenziate quali papille o follicoli.
Gli elementi cellulari che lo compongono possono essere piccoli o giganti; il
carcinoma gigantocellulare è ancor più maligno degli altri.
L’occasionale presenza di abbozzi follicolari o papillari fa presumere che talora il
carcinoma anaplastico sia l’espressione di un improvviso mutamento del potenziale
di malignità di un carcinoma papillifero o follicolare preesistente.

Un’accurata indagine anamnestica, in questi casi, rivela infatti la preesistenza di un


piccolo nodulo da tempo trascurato.

Sia dal punto di vista macroscopico,sia all’indagine istologica è difficile differenziare


il carcinoma anaplastico dal sarcoma. L’invasività locale del tumore è impressionante
e precoci sono i segni di compressione tracheale ed esofagea, invasione nervosa ed
anche vascolare.
Nella maggior parte dei casi si tratta di tumori non operabili radicalmente ed il ruolo
della chirurgia è di tipo palliativo, avendo il solo scopo di ridurre i gravi disturbi di
tipo compressivo.

VALUTAZIONE CLINICA E FUNZIONALE


L’indagine clinica è rivolta alla ricerca di una tumefazione palpabile e di eventuali
linfoadenopatie metastatiche nelle stazioni cervicali. Nella maggior parte dei casi la

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 312 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
tumefazione sarà singola, mentre nel 20% dei casi il tumore potrà presentarsi in
forma di noduli multipli o nel contesto di una ghiandola ingrandita in toto.

La diagnosi è volta a distinguere essenzialmente il tumore maligno dagli assai più


frequenti adenomi. Essa si avvale dei criteri clinici e delle indagini strumentali e
funzionali di cui già si è detto precedentemente a proposito del nodulo solitario
tiroideo: esame scintigrafico, ecografia, agobiopsia percutanea.

Il semplice esame clinico nella maggior parte dei casi non consente una diagnosi
differenziale tra adenoma e carcinoma in fase iniziale.
Approssimativamente il 3% dei noduli tiroidei con caratteristiche cliniche di
benignità risulta essere maligno all’indagine istologica; in questi casi si tratta
solitamente di carcinomi differenziati o midollari.

L’esame clinico può ovviamente essere più significativo nelle fasi più avanzate della
malattia neoplastica o nei tumori indifferenziati, allorchè sono presenti i segni di
compressione e di invasione delle strutture adiacenti (disfonia, disfagia, crisi
dispnoiche).
E’ opportuno, in caso di sospetto di un carcinoma midollare, ricercare anche i segni
che possono essere presenti nel caso in cui il tumore sia associato ad una MEN II,
oppure contenga nel suo contesto elementi cellulari a secrezione endocrina
(ACTH,serotonina,prostaglandine).
In questi casi i pazienti potrebbero presentare nefrolitiasi, episodi di rossore cutaneo
(flushing), diarrea.

Tra le indagini strumentali la biopsia percutanea mediante aspirazione con ago sottile
rappresenta la metodica che in questi ultimi anni ha acquistato importanza sempre
maggiore.
Questa tecnica può essere considerata poco rischiosa ed è ormai accertato che con
essa non avviene alcuna disseminazione di cellule neoplastiche lungo il tragitto
percorso dall’ago.

La valutazione della concentrazione sierica degli ormoni tiroidei non offre alcun
aiuto nella differenziazione dei noduli benigni e maligni. Sebbene i livelli di
tireoglobulina siano costantemente elevati nei pazienti con carcinomi differenziati
della tiroide (non negli anaplastici), questa determinazione non ha grande
significato diagnostico, poichè l’aumento di tireoglobulina si verifica anche in altre
tireopatie benigne (adenomi, gozzo semplice, malattia di Flajani-Graves- Basedow).

Il dosaggio di tireoglobulina, così come quello di altri ormoni (calcitonina per il


carcinoma midollare) o di antigeni oncofetali (CEA), assume un significato
certamente superiore nel monitoraggio postoperatorio immediato ed a lungo
termine nei pazienti affetti da neoplasie maligne tiroidee ed operati di tiroidectomia.

Un aumento dei dosaggi di questi marker, dopo un periodo più o meno lungo di
determinazioni nell’ambito della normalità, potrebbe essere indicativo della
presenza di metastasi. Analogamente il mancato loro ritorno nell’ambito della
normalità, nei giorni successivi l’intervento chirurgico, può indicare

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 313 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
metastatizzazione già in atto o presenza di tessuto tumorale residuo in sede di
intervento.

TRATTAMENTO
Il trattamento delle neoplasie differenziate della tiroide consiste nella rimozione
chirurgica.
La tiroidectomia totale è generalmente considerata l’intervento chirurgico elettivo.
Tuttavia, in relazione alla relativa malignità dei carcinomi differenziati, in particolare
nei casi di piccoli carcinomi papilliferi, esistono opinioni discordi sulla necessità di
eseguire sempre la tiroidectomia totale.

Gli interventi proposti ed accettati per il carcinoma papillifero sono: la lobectomia


totale con istmectomia, la tiroidectomia subtotale e la tiroidectomia totale.
Tutti questi interventi sono efficaci e consentono una sopravvivenza, oltre i 10 anni,
dell’80% dei casi.
La lobectomia subtotale o parziale non può più essere accettata perchè l’incidenza di
recidive è elevata e la sopravvivenza risulta più breve.

La tiroidectomia totale deve essere comunque considerata l’intervento d’elezione nei


casi di carcinoma follicolare, midollare e nei papilliferi con dimensioni superiori a
1,5 cm.
L’intervento, che deve comunque essere eseguito con massima meticolosit.à,
conservando le paratiroidi e rispettando i nervi ricorrenti, E’ giustificato dalla
frequenza di tumori multifocali e dalla incidenza del 7% di recidive nel lobo contro-
laterale quando esso viene risparmiato.

La tiroidectomia totale consente, inoltre, una più precisa valutazione della


scintigrafia corporea totale con radioiodio nel successivo monitoraggio dei pazienti
operati.

Quando i linfonodi della catena laterocervicale sono macroscopicamente coinvolti o


presentano la caratteristica colorazione (bleu nero) del linfonodo metastatico,si
procede anche allo svuotamento delle stazioni linfatiche.
La frequente adesione dei linfonodi alla vena giugulare e la loro fissià ad altre
strutture adiacenti possono talora imporre la necessità di interventi demolitivi più
radicali, con ablazione bilaterale del muscolo sternocleidomastoideo.

Se nei casi di carcinoma papillifero lo svuotamento delle stazioni linfonodali


cervicali può essere occasionale, esso deve sempre essere eseguito nei pazienti con
carcinoma midollare, poichè in essi il coinvolgimento linfonodale è assai frequente.

Lo svuotamento linfonodale preventivo non viene quasi mai eseguito nei pazienti
con carcinoma follicolare, poichè la metastatizzazione ai linfonodi loco-regionali è
particolarmente rara.

Nei pazienti tiroidectomizzati, una scintigrafia corporea totale con radioiodio viene
eseguita alcune settimane dopo l’intervento, per mettere in evidenza l’eventuale
presenza di residui di tessuto tiroideo o di metastasi.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 314 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

Se sono presenti residui tiroidei o metastasi iodiocaptanti, si somministra 131I in


dosi terapeutiche e si inizia successivamente la terapia ormonale sostitutiva.

A tutti i pazienti tiroidectomizzati è necessario somministrare ormoni tiroidei;


scopo della terapia è non solo di mantenere uno stato di eutiroidismo, ma anche di
prevenire la comparsa di recidive neoplastiche.
Molte evidenze cliniche e sperimentali suggeriscono che alcuni carcinomi papilliferi
e midollari possono dipendere da un’elevata concentrazione in circolo di TSH.

L’elevata concentrazione in circolo di TSH, provocata dalla tiroidectomia, può


rappresentare un pericoloso stimolo all’accrescimento di eventuali piccoli focolai
metastatici. E’ pertanto necessario somministrare ormoni tiroidei in dosi sufficienti
a sopprimere completamente la secrezione di TSH da parte dell’ipofisi (0,2-0,3 mg/
die di L-tiroxina).

I carcinomi midollari, non sviluppandosi dai follicoli tiroidei, non rispondono,


ovviamente, alla soppressione del TSH. Pertanto dopo tiroidectomia totale per
carcinomi midollari, i pazienti devono ricevere solo dosi di mantenimento di ormone
tiroideo (0,15-0,2 mg/die di L-tiroxina).

Indicazioni alla radioterapia metabolica

PROGNOSI
Lo staging della neoplasia è considerato essere, sicuramente, uno dei fattori
prognostici più importanti, esattamente come negli altri modelli di cancro umano.
La classificazione proposta dalla UICC/AJCC attualmente è quella che riscuote
maggiore successo ai fini stadiativi, basandosi sul sistema internazionale TNM.
Questa classificazione, inoltre, ha dimostrato di riuscire a prevedere il rischio di
morte dei pazienti affetti da carcinoma differenziato, ma non il rischio di recidiva.
L’età alla diagnosi si conferma, negli studi più recenti, un importante elemento di
valutazione: infatti, l’effetto avverso dell’età nella prognosi aumenta gradualmente
ogni dieci anni di vita, soprattutto dopo i 40-45 anni. Da un punto di vista pratico, i
pazienti con diagnosi prima dei 45 anni hanno una prognosi migliore rispetto a
quelli più anziani. Questo cut-off fissato a 45 anni è uno dei parametri più

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 315 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
importanti utilizzati nella stadiazione proposta dalla UICC/AJCC staging system.
Questa relazione è stata osservata grazie a studi condotti su bambini, i quali hanno
mostrato un tasso di mortalità più basso, anche se nelle età più giovani è più
frequente la presentazione della malattia sotto forma di neoplasia estesa e
metastatica. I pazienti più anziani sono affetti da una maggiore incidenza di varianti
istologiche aggressive, malattia estesa e metastasi a distanza alla diagnosi. I tumori
tendono ad essere meno differenziati nell'anziano, con un uptake dello iodio-131
minore se comparati con soggetti giovani[46], e nel primo si assiste ad una maggiore
e più rapida incidenza di ricorrenza di malattia dopo il trattamento iniziale.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 316 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

CAPITOLO 23
___________________________________________________________
SINDROMI PARANEOPLASTICHE

Le sindromi paraneoplastiche rappresentano un insieme di segni, sintomi e situazioni


cliniche conseguenti ad una compromissione organo-funzionale espressione delle azioni
a distanza provocate dalla presenza di una neoplasia, ma non direttamente correlati
con le proprietà invasive e/o ostruttive del tumore stesso o delle sue metastasi.

Sono l’espressione della pluralità di eventi correlati all’insorgenza ed allo sviluppo di


una neoplasia. Rappresentano le conseguenze delle interazioni bio-metaboliche fra
tumore ed ospite, che condizionano la crescita dell’uno e la morte dell’altro
Indicano una perturbazione dell’omeostasi determinata della presenza di un sistema
cellulare vivente anomalo, ma non del tutto autonomo rispetto all’ospite
Si verificano nel 30-50% dei pazienti affetti da neoplasie nel corso della malattia.

I pricipali meccanismi coinvolti saranno:


- Sintesi e liberazione di fattori che direttamente o indirettamente causano i
sintomi
- Deplezione di fattori normali la cui mancanza porta alla sindrome paraneoplastica
- Risposta dell’ospite

PATOGENESI
- Teoria degli abbozzi embrionari comuni, si pensi agli apudomi.
- Teoria della riattivazione dell’informazione: deregolazione cellulare, come nel caso
di SCLC, Ca utero, Ca ovaio
- Teoria autoimmunitaria, Liberazione di enzimi o di altre sostanze da parte del
tumore e Invasione della membrana basale o della BEE, quindi contatto con
cellule mesenchimali che porta ad attivazione immunitaria, si pensi alle: S.
neurologiche, S. nefrologiche, S. dermatologiche.

CLASSIFICAZIONE
- Sindromi di tipo generale
- Sindromi ematologiche e coagulative
- Sindromi endocrino-metaboliche
- Sindromi neurologiche e muscolari
- Sindromi dermatologiche
- Sindromi reumatologiche e osteoarticolari
- Sindromi nefrologiche

SINDROMI PARANEOPLASTICHE GENERALIZZATE


Febbre
Non causata da infezioni note o misconosciute. la causa è insita nella produzione di
citochine pirogene (TNF-α. IL-1, IL-6). La terapia si basa sull’utilizzo di FANSe
steroidi. Tipicamente nei Linfomi avremo la febbre di Pel-Ebstein (La caratteristica di
questo tipo di febbre è di avere periodi relativamente lunghi, circa due settimane, di
febbre alta, seguiti da altrettanti giorni di remissione. Questo andamento può

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 317 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
proseguire ciclicamente per mesi), nel Cancro rene avremo una f. capricciosa e
nell’HCC una f. serotina.

Cachessia
Sindrome caratterizzata da anoressia, perdita del peso corporeo, perdita del tessuto
adiposo e muscoloscheletrico. Può anche essere definita come perdita di riserve
energetiche anche in assenza di una significativa perdita di peso corporeo. E’
responsabile di circa il 20% delle morti nei pazienti neoplastici. Interessa circa il
50% dei pz neoplastici. Prevale nelle neoplasie del tratto gastro-intestinale e del
polmone. Evento non solo tardivo, spesso presente già precocemente.
La cachessia sembra essere causata da una riduzione introito alimentare
concomitante all’anoressia. Può essere una conseguenza di un’ostruzione
malassorbimento, maldigestione causate da un cancro dell’apparato GI.
Può essere scatenata da dolore e depressione ed è caratterizzata da un’aumentata
spesa energetica a riposo.
A livello biomolecolare si verifica uno squilibrio fra fattori pro-infiammatori (TNF-α,
IL-1, IL-6, IFN-γ) e citochine anti-infiammatorie (IL-4, IL-12, IL-14) le cui
conseguenze saranno:
- Alterazione del metabolismo del tessuto muscolare ed adiposo
- Ridotta tolleranza al glucoso e insulino-resistenza
- Aumento gluconeogenesi
- Aumento lipolisi (Lipid Mobilization Factor) e ossidaz. ac. gr.
- Aumento proteolisi muscolare (Proteolysis Induction Factor) e turn-over proteico
totali e riduzione amminoacidi plasmatici totali

L’approccio terapeutico deve comprendere interventi sull’anoressia, Interventi


nutrizionali, Interventi sulla perdita muscolare.

Interventi sull’anoressia

Farmaco Meccanismo Effetti collaterali


d’azione

Megestrolo Aumento appetito Tromboemolia, Iperglicemia, Ipertensione, Edemi,


Alopecia,
Insuff. Surren., Non influenza massa magra

Gluco-corticoidi Inibizione citochine pro- Immunosoppressione, emorragie gastriche, delirio,


infiammatorie, controllo osteoporosi, miopatia
dolore, riduzione
astenia e nausea

Cannabinoidi Aumento appetito Sonnolenza, confusione, perdita coordinazione,


ritenzione liquidi, vomito, impotenza

Fa r m a c i a n t i Aumento appetito e del Gastrolesività, Cardiolesività, nefrotossicità


metabolismo energetico
COX-2
a riposo

M o d u l a t o r i A u m e n t o a p p e t i t o , Nessun effetto sul peso corporeo


riduzione nausea e
della serotonina
vomito

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 318 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Interventi nutrizionali
Opportuni, nonostante non siano in grado di correggere la cachessia. La nutrizione
deve essere enterale, se possibile, ma in genere parenterale. Sono preferibili cibi
normali e “regolari”, anche se in quantità ridotta, piuttosto che supplementi di
“proteine e calorie”.

Interventi sulla perdita muscolare

Farmaci Meccanismo Risultati


P e n t o s s i fi l l i n a , T a l i d o m i d e , Inibizione della sintesi e/o del rilascio delle Scarsi
Melatonina, Statine, anti-COX-2, Ace- citochine
inibitori

Ac anti-citochine, suramina, citochine Interferenza con le funzioni delle citochine Scarsi


ant-infiammatorie

Ac. eicosapentaenoico Inibizione proteasoma Incostanti

IGF-1 Inibizione dell’espressione di atrogina-1 e di Sperimentale


MURF-1

Nandrolone, Oxandrolone Sintesi proteine muscolari Sperimentali

SINDROMI PARANEOPLASTICHE EMATOLOGICHE E COAGULATIVE

Sindromi prodotte da fattori umorali


- Eritrocitosi è prodotta da tumori in grado di secernere eritropoietina: primo fra
tutti il carcinoma del rene, ma anche altri tipi di tumore, come l’emangioblastoma
cerebellare che è un tumore piuttosto raro, ma sicuramente può dare questo tipo
di sindrome paraneoplastica, HCC, seminomi. Se non c’è una causa respiratoria
per la poliglobulia pensare ad un tumore del rene è una cosa sicuramente
legittima. Il mediatore in genere coinvolto è eritropoietina, essa è correlata con:
- Carcinomi renali (50%)
- Emangioblastomi cerebellari (20%)
- Carcinoma epatocellulare (15%)
- Adenomi e cisti renali (15%)

- Granulocitosi, prodotta da sostanze in grado di stimolare la proliferazione


granulocitaria G-CSF, GM-CSF, IL-6. La granulocitosi spesso, viene chiamata
sindrome leucemoide(proliferazione di globuli bianchi dovuti all’azione di un fattore
prodotto dal tumore). Associata a Ca polmone, Ca g.i., Ca ovaio, Ca genitourinari.

- Eosinofilia: in passato, quando c’erano meno possibilità diagnostiche era


l’eosinofilia la spia di molti tumori. Dovuta a IL-5, associata a Linfomi, Leucemie,
Ca polmone.

- Trombocitosi: dovuta a IL-6, associata a Ca polmone, Ca g.i., Ca mammella, Ca


ovaio, Linfomi, Ca. rene

- Tromboflebiti e CID: sono tra le più frequenti. Vengono considerate insieme


perché condividono lo stesso meccanismo patogenetico. Sono dovute alla
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 319 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
produzione di tromboplastina tissutale con riduzione della trombomodulina. La
combinazione delle turbe dell’emostasi e della stasi che frequentemente c’è (spesso
pazienti allettati o comunque con scarsa capacità di mobilizzazione) e dell’alterazione
della parete vasale facilita l’evento trombotico. Un aspetto caratteristico è che
questo tipo di sindrome paraneoplastica in genere si presenta in tumori che hanno
una produzione di mucine e quindi i tumori del tratto gastrointestinale, del
pancreas, dell’ovaio, ma anche gli adenocarcinomi del polmone. Sicuramente tra i
tumori che producono mucina, quelli dell’ovaio sono quelli che più spesso danno
questa sindrome caratteristica con attivazione dei processi di coagulazione.
La CID può avere caratteristiche cliniche diverse. Ci sono alcune forme che danno
un evento più cronico ed altre che danno un evento più acuto. Ci sono delle forme
che sono prevalentemente di tipo emorragico e delle forme che sono
prevalentemente di tipo trombotico. In tabella sono riportati i diversi tipi di CID.
Neoplasia S. emorragica Tipo di CID S. trombotica Tipo di CID

Colon *** Cronica * Acuta

Ovaio *** Cronica * Acuta

Pancreas *** Cronica * Acuta

Polmone *** Cronica * Acuta

Stomaco *** Cronica * Acuta

Prostata *** Acuta

Linfomi ** Acuta

Leuc. Acute *** Acuta

Leuc. Promiel. *** Acuta

Mieloma ** Cronica

Policitemia vera Cronica *** Acuta

Trombocitemia ** Cronica *** Acuta

LMC ** Cronica ** Acuta

Nota: Tutti i tumori possono produrre qualunque tipo di sindrome paraneoplastica,


ci sono però delle associazioni un po’ più comuni. Ad esempio in caso di produzione
ectopica di ACTH o di una Sindrome di Lambert-Eaton (difetto presinaptico
autoimmune della trasmissione neuromuscolare, caratterizzato da debolezza
muscolare fluttuante e disfunzione del sistema nervoso autonomo ) i tumori più
coinvolti sono quelli del polmone. I tumori che sono più coinvolti nelle sindromi di
tipo emocoagulativo sono i tumori che producono mucina, in particolare quelli del
tratto gastrointestinale e dell’ovaio.

Sindromi da autoanticorpi
Le sindromi da anticorpi caldi sono prevalentemente tipiche dei tumori
ematopoietici, mentre quelle da anticorpi freddi sono più rare e sono prodotte anche

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 320 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
da tumori di tipo epiteliale. Possono determinare la neutropenia autoimmune e la
trombocitopenia autoimmune.
- L’anemia emolitica può essere provocata da Ab caldi, come nel caso di: LLC,
Linfomi B, Mieloma, Ca ovaio e cervice, Ca g.i., Ca mammella, Ca polmone, Ca
rene, Seminoma;o da Ab freddi come nel caso di: come sopra + Ca laringe, Ca
surrene, Ca parotide
- L’eritroblastopenia pura è causata da Auto-immunità cellulo-mediata in corso di
Timoma, Linfomi, Leucemie acute, Ca polmone, Ca biliare, Ca mammella.
- La neutropenia autoimmune è da Auto-immunità cellulo-mediata, si riscontra nel
Timoma.
- La trombocitopenia autoimmune è causata da Auto-immunità cellulo-mediata in
corso di Linfomi, Ca. pancreas.

Anemia paraneoplastica
Ci sono diverse cause che concorrono a determinare anemia nel corso di una malattia
neoplastica. Tra le più importanti ricordiamo:
- Anemia delle malattie croniche: normocitica normocromica, con sideremia normale
o diminuita, ferritina normale o diminuita. Deve essere differenziata dalla aplasia
della serie rossa (esame del midollo) e dall’anemia da sostituzione midollare o da
autoanticorpi: tutte queste anemie sono in genere normocromiche e normocitiche
e in genere si associano a ferritina e sideremia normale. I fattori umorali coinvolti
sono l’ IL-1,il TNFalfa.
- Eritroblastopenia pura
- Anemia emolitica microangiopatica
- Anemia emolitica da autoanticorpi
- anticorpi “caldi” (IgG), soprattutto in caso di linfomi a cellule B e leucemie.
L’emolisi è extravascolare, cioè consiste nella fagocitosi a livello della milza;
- anticorpi “freddi”, responsabili di emolisi intravascolare. Questi anticorpi sono
IgM che attaccano la membrana eritrocitraria a basse temperature.
Le manifestazioni cliniche sono correlate all’occlusione dei piccoli vasi: acrocianosi a
orecchie, punta del naso, dita delle mani e dei piedi.

Endocardite trombotica non infettiva


Si manifesta specialmente negli adenocarcinomi mucinosi di polmone, stomaco e
ovaio. E’ caratterizzata dalla presenza di vegetazioni di fibrina sulle valvole cardiache.
Le manifestazioni cliniche comprendono segni di occlusione arteriosa periferica
acuta, deficit neurologici focali ed encefalopatia multi-infartuale.
L’endocardite trombotica non infettiva è prevalentemente correlata ad una
condizione cronica invalidante, come un tumore, nonostante possa essere correlata
ad altre malattie infiammatorie croniche come il LES.

Tromboflebite migrante
E’ caratteristica la comparsa in soggetti che non hanno rischio trombofilico, cioè
sono pz in cui il rischio è dato solo dalla presenza del tumore, con interessamento di
distretti non usuali. Un’altra caratteristica della tromboflebite neoplastica è la
resistenza ai dicumarolici. Infatti questi pz in oncologia raramente vengono trattati
con dicumarolici, prevalentemente fanno l’eparina. La patogenesi è dovuta a:

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 321 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
- Attivazione del fattore X da parte dell' acido sialico ciò spiega perché questo tipo
di sindrome paraneoplastica è correlata a tumori in grado di produrre mucina.
- Aumento della fibrinogenemia e della trombina
- Trombocitosi
- Riduzione dell’AT III e della prot. C

SINDROMI PARANEOPLASTICHE DI TIPO ORMONALE


Dipendono dalla produzione di ormoni che possono essere ormoni iper- o ipo-
funzionanti. Questi ormoni possono derivare da cellule che normalmente sono deputate
alla produzione di quell’ormone (deregolazione del controllo) oppure da cellule che
normalmente non hanno una funzione endocrina cioè si tratta di una produzione
ormonale ectopica (deregolazione della differenziazione).

Sindromi ipercalcemiche
Sono spesso legate al cancro della mammella o del polmone (soprattutto i
microcitomi), tumori del rene, tumori del distretto cervico-facciale, mieloma.
Queste sono neoplasie che di per sé possono dare localizzazioni ossee e quindi
l’ipercalcemia paraneoplastica va differenziata dall’ipercalcemia dovuta alla presenza
delle metastasi.
Tra i mediatori coinvolti, quello principale è il PTHrP, altri saranno: la vit.D, alcune
citochine (IL-6, TGFα, TGF, TNFα) e il PTH stesso (raro).
La PTH-rP è prodotta a bassissima concentrazione in molti tessuti normali (osso,
cute, placenta, stomaco, cervello). Svolge delle funzioni locali paracrine o autocrine.
In circolo aumenta il riassorbimento osseo e diminuisce l’escrezione renale di calcio.
I tumori dei tessuti che normalmente producono questa proteina, possono produrla
in quantità più elevata e quindi causare le sindromi ipercalcemiche. Ne sono un
esempio, i tumori dello stomaco e della mammella.
Se il valore di calcemia è superiore a 10,5mg/dl è un’ipercalcemia vera (il calcio è in
parte legato all’albumina quindi la calcemia corretta si calcola con la seguente calcemia totale
corretta=calcemia misurata+[(4.0-albuminemia g/dl)*0.8])

I sintomi dell’ipercalcemia possono essere di tipo muscolare, di tipo gastro-


intestinale e poi a livello nervoso evolvono in letargia, confusione e coma.
- Sintomi Iniziali
- Malessere, affaticamento, debolezza muscolare, confusione
- Stipsi, nausea, vomito, anoressia
- Dolore osseo, poliuria, polidipsia
- Sintomi di ipercalcemia grave
- Confusione, letargia, coma
- Diagnosi differenziale
- Cause iatrogena (diuretici, vit. D, litio)
- Ipertiroidismo, sarcoidosi

Per quel che riguarda il trattamento, la prima cosa per limitare la calcemia è
aumentare l’eliminazione renale: quindi aumentare l’idratazione; si può associare
idratazione e furosemide. Se i valori non scendono con questi provvedimenti si
associano i difosfonati. Il difosfonato serve a bloccare la liberazione di calcio da parte

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 322 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
dell’osso ed è un trattamento che si fa solo in caso di ipercalcemia refrattaria ai
trattamenti abituali.
- Per l’Ipercalcemia lieve-moderata: idratazione o furosemide o difosfonati di I II gen
- Per l’Ipercalcemia moderato-grave: idratazione + furosemide, acido zolendronico,
gallio nitrato

Ipocalcemia
Caratteristica è l’ipocalcemia da iperincrezione di calcitonina nel carcinoma
midollare della tiroide. È caratteristica dei carcinomi midollari della tiroide o
comunque di tutti i tumori in grado di produrre calcitonina. E’più frequente
dell’ipercalcemia. La patogenesi è insita nell’inibizione del riassorbimento osseo,
Aumento dell’escrezione renale del calcio. Possono esserne sintomi:
- Tetania, fascicolazione, iperreflessività
- In genere l’ipocalcemia è modesta e asintomatica

Sindrome di Cushing
Il 15% delle sindromi di Cushing è paraneoplastico e ciò non è poco se si considera
che la sindrome di Cushing non è una malattia frequentissima. Il mediatore è
l’ACTH derivato dall’elaborazione della propiomelanocrtina da parte delle cellule
tumorali. Le neoplasie che più frequentemente producono questa sindrome sono: i
tumori del polmone sia quelli a piccole cellule (50%) che i carcinomi bronchiali
(10%), ma anche il ca ovaio, il timoma, il feocromocitoma e alcuni APUDomi.
Le manifestazioni cliniche dipendono dalla durata della malattia sottostante. Se la
malattia sottostante è di lunga durata si tende ad assumere gradualmente tutte le
caratteristiche della sindrome di Cushing.
I sintomi principali sono: l’astenia, l’aumento di peso, l’irsutismo, ipertensione
arteriosa. A livello laboratoristico è possibile osservare: aumento cortisoluria,
aumento ACTH plasmatico, no risposta a DXM.

Acromegalia
E’ utile guardare la fotografia della patente perché di solito insorgono in età non
giovanile e quindi quando uno ha 18 anni e prende la patente ha la faccia diversa. E’
caratterizzata dalla produzione ectopica di GH-RH, raramente di GH. Sono
prevalentemente APUDomi a determinarla, ma anche qui i microcitomi, poi
mammella, colon, surrene, carcinoidi

SIADH
L’ADH aumenta il riassorbimento nei tubuli renali in caso di ipovolemia e
disidratazione. Nel caso ci sia una dieta ricca di sale, l’ acqua viene assorbita e cala il
suo contenuto nel sangue e questo stimola dei recettori che portano alla produzione
di ADH. Nella sindrome paraneoplastica la produzione di ADH avviene, però, in un
paziente normovolemico e che non ha un eccesso assoluto o relativo di Sali.
Questa sindrome paraneoplastica nell’ 80% dei casi indica la presenza di un tumore
del polmone a piccole cellule e non a piccole cellule. Ci sono anche Carcinomi
cervicofacciali, melanoma, sarcomi, neoplasie cerebrali
La diagnosi differenziale va fatta con la polidipsia psicogena, con alcuni farmaci in
particolare gli ACE-inibitori e alcuni farmaci citotossici (es. ifosfamide,

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 323 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
ciclofosfamide). Nei tumori della mammella in cui la ciclofosfamide si fa molto
frequentemente spesso la diagnosi differenziale è complicata.

Manifestazioni cliniche Iponatriemia lieve (>120 Iponatriemia grave (<120


mmol/L) mmol/L)

Ipo-osmolarità plasmatica Anoressia, nausea, vomito Confusione

Iponatriemia (<130 mmol/L) Affaticamento, Ipostenia Convulsioni

Iperstenuria (>300 mosm/kg) Deficit concentrazione Letargia

Ipernatriuria (>20 mEq/L) Cefalea Coma

La terapia si basa sulla restrizione di liquidi (max 500 ml/die) e sull’utilizzo di


Demeclociclina (600-1200 mg/die, non in commercio in Italia); è un derivato della
tetraciclina, blocca gli effetti dell’ADH sul tubulo renale molto efficace; Litio (1-1.5
g/die): blocca gli effetti dell’ADH sul tubulo renale Il litio non si usa molto.
Si possono usare NaCl isotonica (0.9%) o ipertonica, associata a furosemide per
impedire l’ipervolemia. Quello che normalmente si usa è NaCl isotonico o
ipertonico associato a diuresi forzata per impedire ipervolemia.
Tolvaptan (Samsca): inibitore del recettore 2 della vasopressina. Rischio di aumento
troppo rapido dei livelli sierici di sodio.

Ipoglicemia
Il mediatore dell’ipoglicemia nell’insulinoma è l’insulina, in altre neoplasie è l’IGF.
L’IGF determina inibizione della gluconeogenesi epatica, soppressione della lipolisi e
la presenza del tumore determina un’aumentata utilizzazione periferica del glucosio
E’ associata a Insulinomi, sarcomi, tumori vascolari (emangiopericitome epatico).
L’ipoglicemia nei sarcomi è molto comune perché di solito i sarcomi raggiungono
dimensioni molto cospicue e quindi hanno bisogno di un’elevata quantità di
substrati energetici (soprattutto i sarcomi retro peritoneali che raggiungono dimensioni di 2-3
kg e quindi consumano molto glucosio, si tratta perciò di un’ipoglicemia da consumo).

SINDROMI PARANEOPLASTICHE NEUROLOGICHE


Meccanismi patogenetici
- Anticorpi onconeurali cross reagenti. Le cellule tumorali presentano epitopi uguali
a quelli presenti normalmente nel sistema nervoso centrale. Gli anticorpi che si
possono trovare sono di vario tipo:
- Anticorpi onconeurali cross-reagenti
- Auto-Ac anticostituenti citoplasmatici e nucleari
- Ac anti-cellule di Purkinje di tipo 1 (anti-Yo o PCA 1)
- Ac anti-nucleo neuronale di tipo 1 (anti-Hu o ANNA 1) e di tipo 2 (anti-Ri o
ANNA 2)
- Auto-Ac non organo-specifici (associati a timoma, HCC, melanoma)
- Ac antinucleo, anti-muscolo liscio, antimitocondrio

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 324 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
- Espansione clonale di cellule T citotossiche che reagiscono verso antigeni condivisi
dal tumore e dai neuroni. Per es. degenerazione cerebellare
- Gammapatia monoclonale: associata alla secrezione di un Ac da parte della
neoplasia
- Secrezione di citochine che determinano cachessia e debolezza muscolare
- Competizione fra tumore e SN per un substrato essenziale, glucosio nei sarcomi,
triptofano nei carcinoidi.
- Infezioni virali opportunistiche, leucoencefalopatia multifocale progressiva e
PAPOVA virus.

Clinica
Hanno un esordio subacuto, evoluzione rapida. Non sempre c’è un’univoca
correlazione temporale con la neoplasia responsabile, né una diretta correlazione tra
andamento del tumore e andamento della sindrome paraneoplastica: il tumore può
migliorare, ma la sindrome paraneoplastica può rimanere; a volte la sindrome
paraneoplastica migliora e il tumore
peggiora.
Il grado di associazione con il
tumore è variabile: alcune sindromi
associate a particolari tipi di
tumore (neuropatia periferica nei
mielomi), mentre alcuni tumori si
associano a più sindromi
paraneoplastiche.
Malattie clinicamente identiche alle
s. paraneoplastiche possono
manifestarsi in assenza di neoplasia.

Ci sono sindromi neurologiche paraneoplastiche che riguardano il SNC, altre il SNP,


oppure neuropatie con vasculite, oppure delle forme che riguardano la giunzione
neuro-muscolare come la Miastenia Gravis e la sindrome miasteniforme di Lambert-
Eaton. Una abbastanza frequente che si trova nei timomi, nei microcitomi o nei
linfomi di Hodgkin è la neuromiotonia acquisita, legata ad alterazione dei canali del
K+ Ca2+ dipendenti, perché ci sono autoanticorpi diretti proprio verso questi
canali.
A seconda della parte di SN colpita, queste sindromi danno sintomi diversi.

Sistema Nervoso Centrale

Encefalomielite* Sindromi oculari

Encefalite limbica* - Retinopatia cancro-correlata

Encefalite cerebrale - Retino patia assoc. a melanoma

Degenerazione cerebell. subacuta* - Neuropatia ottica

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 325 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

Opsoclono-mioclono* Sindromi del motoneurone

Sindrome “stiff-person” - Neuronopatia motoria subacuta

Sistema Nervoso Periferico

Neuronopatia sensitiva subacuta Vasculite del nervo periferico

Neuropatia sensitivo-motoria acuta Neuropatia sensitivo-motoria cron.

Neuropatia autonomica subacuta - Neuropatia da proteina M

Giunzione neuromuscolalre e muscolo

Sindrome di Lambert-Eaton* Dermatomiosite*

Miastenia grave Miopatia necrotizzante acuta

Neuromiotonia Miopatia cachettica

*Forme classiche

Sindrome di Lambert Eaton


Disordine della componente presinaptica della trasmissione neuromuscolare. E’
caratterizzata da debolezza dei muscoli prossimali soprattutto del cingolo pelvico,
che migliora con l’esercizio e peggiora con l’immobilità. Nell’elettromiografia i
potenziali aumentano con l’esercizio. Associata a neoplasia nel 50% dei casi, in
particolare al microcitoma polmonare.
Nel 90% dei pazienti (nel 100% in caso di associazione con neoplasia) si trovano Ac
IgG contro i canali del calcio P/Q voltaggio-dipendenti nella terminazione del
motoneurone, la cui presenza inibisce il rilascio di acetilcolina dalle vescicole in cui
sono immagazzinate.
Le caratteristiche cliniche sono che è simmetrica, prossimale, peggiora con
l’immobilità. Raramente da sintomi oculari frequenti. Da sintomi di tipo bulbare:
disfagia e disartria. Meno frequentemente da parestesie, mialgie e impotenza.
Raramente da deficit dei muscoli respiratori che, prima delle moderne terapie era la
causa della morte di molti pz affetti da miastenia.

Per la diagnosi differenziale con la Miastenia Gravis è importante l’interessamento dei muscoli
prossimali prevalente, il non coinvolgimento dei muscoli extra-oculari e quindi l’assenza di ptosi e
diplopia, la forza muscolare che migliora con l’esercizio e quindi l’aumento dell’ampiezza dei
potenziali all’elettromiografia con l’esercizio; la risposta alla neostigmina è scarsa.

La terapia si avvale del trattamento del tumore primario, potenziamento del rilascio
di acetilcolina, modulazione della risposta immune con cortisone e plasmaferesi.

Miastenia Gravis
Si sviluppa in circa il 40% dei casi di timoma e, frequentemente, anche nel cancro
polmonare. Si riscontrano Ab contro i recettori post-sinaptici dell’aceticolina con

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 326 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
conseguente blocco della trasmissione neuromuscolare. La debolezza muscolare
interessa i muscoli oculari, facciali, bulbari e/o degli arti

Encefalopatia paraneoplastica
Caratterizzata dal coinvolgimento di diverse aree del SNC, inclusi
- i lobi temporali e il sistema limbico (encefalite limbica)
- il tronco dell’encefalo (encefalite del tronco dell’encefalo)
- il cervelletto (encefalite cerebellare subacuta) e il midollo spinale (mielite)
- i gangli della radice dorsale (neuropatia subacuta sensitiva)
- il sistema nervoso autonomo (neuropatia autonomica)

Encefalopatia Limbica
E’ presente in pazienti di sesso femminile di età matura (età mediana 62 aa.) con
anticorpi anti-Hu (ANNA-1) e tumore del polmone o in pazienti giovani (età
mediana 34 aa.) di sesso maschile con anticorpi anticorpi anti-Ma2 e tumore del
testicolo. Può essere ancora presente in pazienti di età mediana di 57 aa. con tumore
polmonare e senza anticorpi antineuroni.
Tra i sintomi limbici vanno ricordati:
- Perdita della memoria a breve termine e confusione
- Convulsioni
- Sintomi psichiatrici
- Sintomi ipotalamici, Sonnolenza, Ipertermia, Anomalie endocrine

Encefalite del tronco cerebrale: caratterizzata da nausea, nistagmo, vertigine, atassia,


diplopia, tipica del Microcitoma polmonare, causata da Ab anti-Hu e anti Ma2.

Degenerazione cerebellare: si manifesta con nistagmo, atassia, disartria, letargia,


anomalie cognitive, è tipica del Ca mammella e ovaio. E’ causata da Ab anti-Yo e anti
mGluR1.

Opsomioclono: Movimenti oculari continui aritmici e involontari, cecità, mioclono,


tipica nel Ca polmone, mammella, ovaio, utero, timo; linfomi, neuroblastoma, è
causata da Ac anti-Hu e anti-Ri.

Rretinopatia: Riduzione dell’acuità visiva sino alla cecità, caratteristica di


Microcitoma, melanoma, neoplasie ginecologiche, ca stomaco, è causata da Ab anti-
recoverina.

Neuropatie motorie
- Perdita delle cellule anteriori del midollo spinale:
- Microcitomi polmonari
- Anticorpo ANNA-1
- Vasculite del nervo periferico:
- Ac non organo-specifici
- Immunocomplessi
- Linfomi e tumori solidi
- Associazione con proteine M:
- Malattie linfoproliferative (lLinfomi, mielomi) con componente monoclonale

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 327 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Neuropatie sensitive
Sono causate dalla degenerazione e perdita dei neuroni delle radici dorsali e
posteriori. Sono tipicamente asimmetriche e multifocali con coinvolgimento sia
prossimale che distale. Si presentano con perdita della funzione sensoria, della
propriocezione e del senso vibratorio. L’esordio tipico è con torpore e dolore,
evoluzione sino all’atassia sensoriale con atetosi da deafferentazione. Gli anticorpi
anti-Hu sono caratteristici, ma non hanno un chiaro ruolo patogenetico. Si associano
spesso a microcitoma polmonare, che – in presenza di Ac anti-Hu – sembra avere un
più basso grado di malignità.

Neuropatie autonomiche
Si manifestano come sindromi subacute, spesso gravi. Interessano soprattutto il
sistema cardiocircolatorio e l’apparato gastrointestinale. Sono caratterizzate da
tachicardia posturale e dismotilità intestinale. La pseudo-ostruzione intestinale è di
solito osservata nei microcitomi polmonari. Tipici sono gli Ac anti-recettori
dell’acetilcolina gangliari.

SINDROMI PARANEOPLASTICHE DERMATOLOGICHE


Il meccanismo generale è la produzione da parte delle cellule tumorali di sostanze in grado di
determinare lesioni dermatologiche, oppure il consumo da parte del tumore di sostanze trofiche
per la pelle, oppure risposta autoimmune (forse il meccanismo più comune).

Pemfigo
Tra le sindromi dermatologiche di tipo paraneoplastico la più comune è il pemfigo.
E’ caratterizzato da lesioni bollose emorragiche che possono interessare cute e
mucose, quindi: la cavità orale, l’esofago, la trachea, i
bronchi. Molto spesso lesioni pemfigoidi di tipo
paraneoplastico vengono scambiate per herpes.
Le lesioni bollose cutanee sono dovute alla perdita della
normale capacità di adesione intercellulare a livello
dell’epidermide. Tipiche le erosioni mucosali.
Sono conseguenza dell’azione di autoanticorpi diretti contro la
desmoplakina I, una proteina contenuta nei desmosomi
(strutture di adesione intercellulare) delle cellule epiteliali.

LESIONI TIPICHE

Cute Cavità orale ed esofago


Eritema Superficie palmo-plantare Lesioni bolloso-emorragiche

Eruzioni simili a lichen planus Eritema diffuso Trachea, bronchi


Eritema multiforme Desquamazione Bronchiolite obliterante

Lesioni bollose Paraonichia fino alla caduta


delle unghie

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 328 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

CRITERI DIAGNOSTICI

Criteri maggiori Criteri minori


Eruzione mucocutanea polimorfa. Evidenza di acantolisi su almeno un campione
bioptico.

Immunoprecipitazione sierica di complessi Immunofluorescenza diretta positiva per depositi


formati da Ag anti-epidermici di 250, 230, 210 e intracellulari e a livello della membrana basale
190 kDa. (e/o IF diretta positiva sull’epitelio di vescica di
ratto.

Neoplasia concomitante.

Per la diagnosi servono 3 criteri maggiori o 2 criteri maggiori o 2 minori.

Acantosis nigricans
Si caratterizza per iperpigmentazione e aspetto
vellutato o rugoso di colore nero o scuro, di solito
nelle pieghe cutanee: collo, ascella, solco
sottomammario, pieghe inguinali, a volte ci sono
anche sulla lingua o sulla mucosa orale, ma
normalmente sono nelle pieghe. Le sostanze
responsabili non sono note. È abbastanza
frequente l’associazione con i linfomi e con alcuni
tumori addominali soprattutto cancro gastrico. Per
quel che riguarda i tumori addominali, non ci si
riferisce solo al tumore gastrico, ma anche il carcinoma esofageo.

Malattia di Bowen, Carcinoma squamocellulare intraepiteliale (in situ), che appare


come una placca eczematosa di colore rosso-scuro. Si manifesta alle mani e molto
frequentemente in regione glutea. Si associa a diversi tipi di tumori. E’ un carcinoma
in una sindrome paraneoplastica che si associa ad altri tipi di tumori, in genere
dermatologici ma anche altri tumori solidi.

Sindrome di Lesser-Trelat, Rapida comparsa o aumento di numero e dimensioni di


cheratosi seborroiche pigmentata. Si associa a tumori del tratto gastrointestinale,
soprattutto colon

Malattia di Paget
Placca eritematosa desquamante, somigliante ad un eczema,
che si può sviluppare a livello dell’areola mammaria, della
vulva, di altre aree cutanee. La m. di Paget mammaria è quasi
sempre associata ad un carcinoma duttale della mammella. La
m. di Paget extramammaria si associa ad un tumore viscerale
o degli organi genitali nel 50% dei casi. Il meccanismo
patogenetico è verosimilmente immunitario.

Ittiosi, E’ caratterizzata da placche cutanee a scaglie sottili, simili a scaglie di pesce.


Si associa in genere al LH.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 329 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Ipercheratosi palmare, Ispessimento della cute palmare con fissurazioni dolenti lungo
le pieghe. Si associa in genere al linfoma cutaneo a cellule T.

Sindrome di Sweet
E’ chiamata anche Dermatosi neutrofila febbrile. E’ caratterizzata da febbre,
leucocitosi neutrofila, placche o noduli eritematosi, di solito in corrispondenza della
testa e del collo e degli arti superiori. Nei noduli si trova un infiltrato di cellule
mieloidi con reazione flogistica circostante, verosimilmente da produzione locale di
citochine. Si associa il più delle volte a Leucemia mieloide acuta, Sindromi
mielodisplastiche, Malattie mieloproliferative.

Acrocheratosi o Sindrome di Bazex


Eczema o placche psoriasiformi alle estremità in associazione a una neoplasia. Le
regioni coinvolte saranno: mani, piedi, orecchie, punta del naso, scalpo; possibile
coinvolgiamnto anche delle ginocchia, dei gomiti e della regione malare del volto. Le
lesioni sono simmetriche, desquamti, violacee e tendono a formare bolle.
L’acrocheratosi spesso si associa a dermatomiosite, acanthosis nigricans e s. di Leser-
Trélat. E’ quasi sempre la spia di una neoplasia, le più comuni saranno: Ca squamo
cellulari del distretto cervico facciale e del polmone, ADC colon, ca mammella, LH

Eritema Giratum Repens


Lesioni circinate ad anelli concentrici, intensamente eritematose e squamose, piatte
o lievemente rilevate. Gli anelli si diffondono rapidamente verso l’esterno con
pattern serpiginoso. Interessano tronco e radice degli arti. E’ quasi sempre indice di
neoplasia: Ca rene, polmone, mammella, esofago. Regredisce con l’asportazione
della neoplasia

Altre sindromi dermatologiche: Eritrodermia, Eritema necrolitico migrante (Glucagonoma)

SINDROMI PARANEOPLASTICHE REUMATOLOGICHE ED OSTEOARTICOLARI

Meccanismi generali
- Disregolazione del sistema immunitario
- Iperproduzione di fattori di crescita (osteoartropatia ipertrofica) o di altre sostanze
biologicamente attive (osteomalacia)

Artropatie
• Interessamento articolare locale • Fascite palmare e artrite

• Artrite simil-reumatoide • Morbo di Still dell’adulto

• Poliartrite cancerosa • Policondrite recidivante

• Osteoartropatia ipertrofica • Polisinovite edematosa benigna

• Polimialgia reumatica • Sacroileite

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 330 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

Malattie muscolari
• Dermatomiosite/polimiosite • Miopatia necrotizzante

• Miosite nodulare localizzata • S. Miastenica di Lambert-Eaton

• Scleroderma, Pannicolite e Fascite

• Sclerosi sistemica • Eritema nodoso

• Fascite eosinofila • Pannicolite-artrite

Vasculiti

Varie
• Distrofia simpatica riflessa • Iperostosi scheletrica

• Sindrome di Sjogren • S. Da anticorpi anti-fosfolipidi

• Osteomalacia • Crioglobulinemia

Osteopatia ipertrofica
Può essere idiopatica o secondaria a neoplasie, pneumopatie croniche, RCU. E’
caratterizzata da ippocratismo digitale, dolori articolari di tipo artritico, aspetto
acromegalico, ispessimento periostale distale delle ossa lunghe delle estremità,
edema dei tessuti molli.
I meccanismi non sono del tutto chiariti. Sembra avere una certa rilevanza il ruolo di
ipossia e HIF. Spesso si sviluppa un danno endoteliale provocato da fattori di
crescita, citochine e ormoni (somatotropo). Le neoplasie più frequentemente
associatesaranno: Ca polmone (epidermoide), Ca stomaco e rene, Adenocarcinomi

Osteomalacia oncogenica o Osteomalacia /Rachitismo vit. D – resistente


La Fosfatonina è un fattore circolante prodotto dalla neoplasia implicato nella
perdita renale di fosfato. La malattia si manifesta con: iperfosfaturia ed
ipofosfatemia, inibizione del metabilita attivo della vit. D, fosfatasi alcalina
aumentata con PTH normale, debolezza muscolare e dolore agli arti inferiori ed al
rachide, osteomalacia. E’ associata a sarcomi dell’osso e dei tessuti molli.
La terapia è eziologica (asportazione del tumore), Vitamina D + Octreotide

Dermatomiosite
Miopatia infiammatoria associata alla presenza di un rash cutaneo violaceo più
evidente nelle aree esposte. Caratteristici l’edema e l’eritema periorbitale e le
placche eritematose a livello delle articolazioni metacarpo-falangee ed interfalangee
prossimali e periungueali.

Porpora di Schonlein-Henoch
E’ una vasculite da immunocomplessi con antigeni tumorali, vasculite da produzione
anomala di IgA. Le neoplasie più associate saranno: Ca polmone, mammella,
prostata; meno frequentemente rene e stomaco, Linfomi.

Altre Vasculiti
- Polimialgia reumatica atipica
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 331 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
- Eritema nodoso cronico
- Poliarterite nodosa
Il meccanismo patogenetico è relativo alla compromissione della funzione
reticoloendoteliale con conseguente ridotta clearance degli Ag e degli ICC. Le
neoplasie associate saranno: Ca colon, rene, polmone, Linfomi, mieloma

SINDROMI PARANEOPLASTICHE NEFROLOGICHE


- Glomerulonefrite membranosa
- Nefropatia ad IgA (tipo m. di Berger)

In associazione con tumore del rene, riscontrata negli IC la proteina VHL:


- Glomerulosclerosi focale, stadio finale di un processo degenerativo renale
determinato da una varietà di insulti.

In associazione con linfomi, malattie linfoproliferative, mieloma, microcitoma:


- Glomerulonefrite a lesioni minime
- Amiloidosi, da precipitazione di IC a livello dei tubuli renali
- Necrosi renale corticale da Ac anti-fosfolipidi, tipica del Ca polmone

BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________
- Sbobinature Prof Barone aa 2014/2015 e aa 2015/2016
- www.orpha.net
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 332 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

CAPITOLO 24
___________________________________________________________
MARCATORI TUMORALI

Si definisce marcatore tumorale ogni segnale biologico, misurabile nei liquidi


corporei, correlato alla presenza di una neoplasia
I marcatori cosiddetti “tumorali” nel siero danno informazioni che sono la somma di
numerose variabili fra le quali è compreso anche il tumore.

Condizioni non neoplastiche responsabili di incrementi dei biomarcatori.


Eventi fisiologici e abitudini voluttuarie Marcatori interessati
GRAVIDANZA AFP, HCG, MCA, CA125, TPA, TG

CICLO METRUALE CA125

FUMO CEA, TPA, TG, SCC

ALCOOL CEA, TPA, SCC, Ferritina

ATTIVITA’ SESSUALE, SPORTIVA PESANTE PSA

Patologie non tumorali Marcatori interessati


Patologie prostatiche, Ritenzione urinaria PSA, PAP

Endometriosi, Flogosi peritoneale, Polmonite, CA125


Pleurite, Scompenso cardiaco

Cirrosi epatica CEA, TPA, TPS, Cyfra, CA19.9, CA50, CA15.3,


CA125, MCA

Ittero CEA, TPA, Ferritina, Cyfra, CA19.9,


CA50,CA15.3, MCA

Epatite acuta CA19.9, CA50, CA15.3, CA125

Pancreatite acuta CA19.9

Pancreatite cronica CA19.9, CA50, CA125

Malattie tiroidee TG

Patologie cerebrali NSE, S100

Psoriasi SCC

Malattie resp. croniche CEA, TPA, Cyfra

IRC CEA, TPA, TG, NSE, CA50, CA125, SCC

Diabete CA19.9, CA50

Malattie reumatiche CA19.9

Cause iatrogene Marcatori interessati


Cateterismo vescicale, Agobiopsia prostatica PSA, PAP

Circolazione extracorporea, Finasteride PSA

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 333 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA

Agobiopsia tiroidea TG

Traumatismo chirurgico TPA

Traumatismo chirurgico su peritoneo CA125

Utilizzo di G-CSF CA15.3

CLASSIFICAZIONE BIOLOGICO CLINICA


I marcatori tumorali sono indicatori prodotti in modo quantitativamente prevalente
dal tumore Molecole a struttura chimica nota (marcatori classici, es. CEA, AFP,
citocheratine, ormoni), Glicoproteine immunologicamente identificabili (epitopi
noti, CA125, CA15.3, CA19.9, …), Componenti della cellula tumorale (mRNA,
DNA). I biomarcatori possono essere divisi in:
- Biomarcatori di interazione tumore/ospite
- Biomarcatori di presenza e/o estensione
- Biomarcatori di funzione
- Biomarcatori di rischio

Biomarcatori di interazione tumore-ospite


Sono indicatori di danno di organo o sistema. Comprendono numerosi parametri
ematochimici (es. emocromocitometrico, enzimi, marcatori di metabolismo osseo).
Sono in genere espressione di danno (meccanico o biochimico) dei tessuti normali
indotto dal tumore. Possono essere efficaci biomarcatori di estensione nella malattia
avanzata.
In questa classe rientrano anche le risposte immunologiche dell’ospite al fenotipo
tumorale, stimate grazie al dosaggio di:
- Anticorpi anti p53
- Anticorpi anti p185/neu
- Anticorpi anti antigene MUC-1
- Immunocomplessi circolanti

Biomarcatori di presenza e/o estensione


Forniscono indicazioni su presenza, estensione o attività della neoplasia in fase
iniziale, durante il monitoraggio dopo la terapia primaria e durante il monitoraggio
della terapia per la malattia metastatica.

Biomarcatori di funzione
Sono associati a variazioni del fenotipo tumorale correlate a comportamenti
biologico-clinici (es.: aggressività, sensibilità ai farmaci). Sono uno strumento
essenziale per le personalizzazione della terapia. I più importanti saranno: VEGF,
VCAM-1, FGF, p53 , p105/NEU, uPA/PAI.

Biomarcatori di rischio
Indicano un maggior rischio genetico o metabolico di sviluppare un tumore.
Idealmente, possono permettere di selezionare gruppi di persone da sottoporre a
screening intensivi. Hanno caratteristiche diverse nei tumori ereditari, in quelli
familiari e in quelli sporadici. Nei tumori familiari hanno lo scopo di individuare le

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 334 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
mutazioni dei geni bersaglio. Nei tumori sporadici individuano: Polimorfismi di geni
diversi, Mutazioni di geni diversi. Inoltre si utilizzano: Biomarcatori metabolici
(IGFs, IGFBPs), Biomarcatori ormonali
MARCATORE FUNZIONE TUMORE

CEA Molecola adesione Ca colon-retto

Ca 195 Mucina Ca colon-retto

Ca 19-9 Mucina Ca pancreas

Ca 72-4 Mucina Ca gastrico

Ca 50 Mucina Ca gastrico

Ca 15-3 Mucina Ca mammella

Ca 27.29 Mucina Ca mammella

MCA Mucina Ca mammella

Ca 125 Mucina Ca ovaio

TPA Citocheratine 8, 18, 19 Ca polmone

Cyfra 21.1 Citocheratina 19 Ca polmone

TPS Citocheratina 18 Ca polmone

aFP Proteina embrionale HCC e ca germinali

TG Proteina di deposito Ca tiroide

B2microglobulina Polipeptide Linfomi e mielomi

SCC Enzima Tumori squamosi

PAP Enzima Ca prostata

PSA Enzima Ca prostata

NSE Enzima Tumori neuroendocrini

Cromogranina A Pro-ormone Tumori neuroendocrini

HCG Ormone Tumori germinali

Calcitonina Ormone Ca midollare tiroide

5-OH indolacetico Ormone Carcinoidi

Catecolamine Ormone Feocromocitomi

METODI DI MISURA
La rivelazione delle sostanze biologicamente rilevanti si ottiene mediante
misurazioni analitiche (i valori sono indipendenti dal sistema di misurazione), o
mediante misurazione comparative (i valori dipendono dal metodo utilizzato).
Il confronto fra risultati seriati nello stesso paziente è accurato solo se il dosaggio
viene eseguito con lo stesso metodo. E’ compito del medico curante spiegare al
paziente l’importanza di eseguire il dosaggio di un marcatore sempre nello stesso

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 335 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
laboratorio. E’ compito del laboratorio informare l’utenza (medico, paziente) in caso
di variazione di metodi.
Le caratteristiche di un marcatore sono: sensibilità, specificità, VPP, VPN,
Accuratezza. E’ importante saper distinguere fra sensibilità e VPP, tenendo in
considerazione la prevalenza di malattia.

Sensibilità
Indica la probabilità che un paziente con tumore abbia il marker positivo; dipende
dalle performances diagnostiche del marker.

Valore Predittivo Positivo


Indica la probabilità che una persona con marker positivo abbia effettivamente un
tumore; dipende dalle performances diagnostiche del marker e dalle caratteristiche
della popolazione esaminata.

Indicazioni all’uso clinico


L’utilizzo dei marcatori è lecito nelle seguenti condizioni:
- Screening, l’obiettivo è la diagnosi precoce in soggetti asintomatici. I marcatori
non devono essere usati di routine per lo screening di neoplasia nella popolazione
generale asintomatica. I marcatori possono essere usati in programmi di screening
SOLO nell’ambito di studi clinici controllati. Attualmente le patologie in
valutazione per lo screening sono quelle prostatiche (PSA in associazione con
altre indagine) e quelle ovariche(CA125 variazione fra campioni seriati).
- Diagnosi: Diagnosi differenziale fra tumore e malattia benigna in un paziente con
sintomi. In generale, i markers non sono di aiuto nella diagnosi per la limitata
sensibilità e specificità. Fanno eccezione alcune neoplasie che esprimono markers
con alta specificità di istotipo. Al momento hanno un alto consenso: Ca. a piccole
cellule del polmone (NSE), Ca. Midollare tiroide (hCT), Ca. del testicolo (hCG,
AFP), Coriocarcinoma (hCG), Tumori neuroendocrini ed endocrini (specifici
ormoni), Carcinoide (amine e metaboliti, cromogranina A). Hanno un consenso
medio: Ca. a piccole cellule del polmone (cromogranina A), Ca. della prostata
(PSA).
- Bilancio in stadiazione, nel caso di metastasi a partenza ignota hanno lo scopo di
identificare la sede del tumore primitivo. Le metastasi multiple (in particolare
quelle epatiche) sono spesso causa di elevazione dei livelli ematici di numerosi
marcatori (mucine, CEA, citocheratine). L’uso dei marcatori può essere utile solo
nei tumori secernenti marcatori organo specifici. Al momento il consenso è alto
per: Ca. testicolo (hCG), Ca. prostatico (PSA), Ca. tiroide differenziato (hTG),
Carcinoide (cromogranina A, amine e metaboliti). Il consenso è medio per: Ca.
tiroide (hCT), Ca. a piccole cellule del polmone (NSE). Ancora i marcatori
tumorali possono essere usati per il bilancio iniziale prima del trattamento
valutandone il valore basale prima del trattamento. Questo ci permette di ricavare
indicazioni sulla estensione della malattia (indicatori di stadio, indicatori generici
di estensione) ed indicazioni prognostiche (indipendenti dallo stadio) e predittive.
Attualmente il consenso è alto per: Ca. a cellule germinali (hCG, AFP), Ca. ovarico
(CA125), Ca. prostatico (PSA), Ca. mammario (ER). Il consenso è medio per: Ca.
colon retto (CEA). Il consenso è basso per il Ca. mammario (MUC1, CA15.3).

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 336 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
- Dopo la terapia primaria, in questo caso gli obiettivi sono: il monitoraggio a breve
termine dopo la terapia primariae la valutazione della radicalità della chirurgia. La
specificità tissutale assoluta con informazione affidabile e precoce sulla radicalità:
è presente per: hCG, (AFP), PSA, hTG
- Monitoraggio a lungo termine dopo la terapia primaria (follow-up), tra gli obiettivi
avremo il riconoscimento precoce della ricaduta e l’eventuale trattamento precoce
della ricaduta. Nel follow-up i marcatori sono efficaci. L’incremento dei livelli del
marcatore è associato alla presenza e/o estensione del tumore (associazione del
marcatore con il processo biologico). Attualmente il consenso è alto per:
Coriocarcinoma, Ca. testicolo (hCG, AFP), Ca. colon retto (CEA). Il consenso è
medio per: Ca. mammario (CA15.3), Ca. ovarico (CA125), Ca. prostatico (PSA).
- Malattia disseminata, l’obiettivo è il monitoraggio l’ aggiustamento tempestivo
della strategia terapeutica. Il consenso è alto per: Ca. a cell. germinali (hCG, AFP).
Il consenso è medio per: Ca. colon retto(CEA), Ca. prostatico (PSA), Ca. ovarico
(CA125). Il consenso è basso per Ca. mammario (CA15.3, CEA).

CEA
E’ una glicoproteina complessa prodotta dal 90% dei tumori colorettali. E’ dosato
nel siero in maniera quantitativa. Presenta una scarsa sensibilità negli stadi precoci.
Nel Carcinoma del colon-retto il CEA è la prima scelta, il CA19.9 la seconda.
Nessun marcatore è utile per la diagnosi differenziale. Il CEA è usato nel bilancio di
base prima della chirurgia: si guarda il valore soglia. Dopo la chirurgia (1 mese
dopo) si valuta la variazione dello stesso. Nel Follow up ogni 2-3 mesi si valuta la
variazione. Monitoraggio in terapia M+ prima di ogni ciclo di CHT si guarda la
variazione.
Il CEA è elevato in circa 1/3 dei pz che presentano un cancro gastrico. La sensibilità
però è bassa. Le sue quantità in circolo sono correlate allo stadio. La combinazione
del CEA con il Ca 19-9 o Ca 50 può aumentare la sensibilità rispetto al CEA da solo.

Alfa-fetoproteina - 1
E’ una proteina sierica sintetizzata dalle cellule epatiche fetali, dalle cellule del sacco
vitellino, ed in tracce dal tratto gastrointestinale fetale. Aumenta durante il II-III
trimestre di gravidanza per ridursi gradualmente dopo la nascita. Aumenta in corso
di necrosi e/o flogosi epatica. Nei tumori epatici il rialzo correla con l’aumento di
dimensione e con la riduzione del grado di differenziazione. Uno dei problemi è la
sovrapponibilità di valori tra cirrosi ed HCC. Il Cut-off è > 400 ng/ml. Ha un’
elevata specificità. Consente la diagnosi di HCC per valori superiori a 400 ng/ml in
presenza di lesione focale epatica.
Nel Cancro del testicolo l’aFP è correlata con lo stadio. Nello Stadio I è presente
nel 10-20% dei casi. Nello Stadio II nel 20-40% dei casi e negli Stadi III-IV nel
40-60% dei casi. Non aumenta mai nel seminoma puro.

PSA
E’ una proteina di 28 kD appartenente alla famiglia delle callicreine. L’attività
enzimatica consiste nel fluidificare il liquido seminale e nel mobilizzare gli
spermatozoi. E’ sintetizzato nell’epitelio duttale e acinare. Il PSA è una marcatore
organo- non cancro-specifico. Ritenzione urinaria acuta e biopsia prostatica
aumetano il PSA. L’esplorazione rettale non aumenta il PSA (anche se secondo gli

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 337 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
urologi aumenta, infatti una delle controindicazioni al dosaggio è una pregressa visita
urologica con esplorazione rettale poco tempo prima).

PSA > 4 ng/mL Sensibilità 80% Specificità 1-5 uomini sono senza
20% cancro (ma con PSA )
PSA 2,5-4 ng/mL 20% cancro P S A 2 - 3 Rischio 5,5x cancro a 5
vs 1 ng/mL anni
PSA 4-10 ng/mL 25% cancro
(75% confinato)
PSA > 10 ng/mL 60% cancro
(40-50% confinato)

TG
La tireoglobulina (TG) è un importante marker nel cancro della tiroide. E’ una
proteina che costituisce la matrice dell’ormone tiroideo. La persistenza di TG dopo
tiroidectomia indica persistenza di tessuto tiroideo funzionante. Il test è
influenzabile dalla tiroxina. Va effettuato in condizione di ipotiroidismo.

Carcinoma mammario e Ca 15-3 e Ca 27.29


Marcatori appartenti alla categoria delle mucine. Non dimostrato impatto
dell’anticipazione del trattamento su DFS, OS, QOL

Stadio Sensibilità Ca 15-3


Stadio Ca 15-3 Ca 27.29
I 10%
I 15% 29%
II 15-20%
II 23% 36%
III 30%
III 54,5% 59%
IV 80%

CA 125 e cancro ovarico


E’associato all’istotipo sieroso. Le concentrazioni sieriche e la % di positività sono
influenzate dall’estensione di malattia. Il tasso di falsi negativi elevato. La
predittività è bassa(15%). Falsi positivi si verificano in caso di: irritazione sierosa
pleuroperitoneale, IR, cause cardiache, cause epatiche.
Stadio Ca 125
I-II 50%
III-IV 80%

I Biomarcatori rappresentano un area diagnostica in espansione. Sono lo strumento


chiave per ottimizzare il rapporto costo/efficacia dei processi diagnostici, nonchè
strumento chiave per i nuovi approcci terapeutici. Il problema è che sono utilizzati
ancora in modo parzialmente inappropriato.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 338 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Si rende pertanto necessaria la definizione di linee guida per il disegno di studi
clinici per la valutazione dei biomarcatori e l’attivazione di organismi deputati
all’aggiornamento, alla disseminazione ed alla verifica dell’impatto di linee guida.

ELEMENTI DI ONCOLOGIA 339 A cura di: BOCCACCINO - PERNA


_________________________________________
QUIZ DI BARONE
_________________________________________
Quale delle seguenti neoplasie non è In quale neoplasia si è avuta la maggiore
compresa fra le 10 più frequenti nel mondo? riduzione di mortalità?

1.Cancro della cervice uterina


1.Cancro della mammella 2.Cancro del polmone nell’uomo
2.Epatocarcinoma 3.Cancro dello stomaco
3.Cancro della vescica 4.Cancro della mammella
4.Cancro del pancreas 5.Cancro del colon
5.Cancro dell’esofago

1 2

Quale delle seguenti neoplasie ha la maggiore Quale di queste stime si avvicina di più alla
prevalenza? riduzione della mortalità per cancro in
Europa?
1.Cancro del polmone
2.Cancro della mammella
1.5%
3.Cancro del colon-retto
4.Cancro della prostata 2.10%
3.15%
5.Epatocarcinoma
4.20%
5.Non c’è riduzione di mortalità per cancro

3 4

Quale dei seguenti tumori è più frequente nei Quale di questi fattori influenza
paesi in via di sviluppo? maggiormente la mortalità per cancro del
polmone?

1.Cavo orale
2.Cancro del polmone
3.Cancro del pancreas 1.Prevenzione primaria
4.Cancro del colon 2.Prevenzione secondaria
5.Carcinoma della vescica nell’uomo 3.Screening
4.Terapie integrate
5.Progressi diagnostici

5 6
Quale delle seguenti sindromi critiche ha una Quale delle seguenti sindromi critiche ha una
prognosi più sfavorevole? prognosi meno sfavorevole?

1.Occlusione intestinale 1.Metastasi ossee


2.Ostruzione biliare 2.Metastasi cerebrali
3.Compressione midollare 3.Metastasi epatiche
4.Metastasi ossee 4.Infiltrazione midollare
5.Infiltrazione midollare 5.Sindromi metaboliche

7 8

L’esaurimento midollare è una sindrome Quale delle seguenti neoplasie ha avuto un


critica più comune nel paziente terminale più marcato incremento della sopravvivenza in
affetto da: Italia negli ultimi anni?

1.Cancro della mammella


1.Cancro della mammella
2.Cancro del colon
2.Cancro del polmone
3.Melanoma
3.Cancro della prostata
4.Cancro della prostata
4.Cancro del colon
5.Cancro dell’ovaio
5.Cancro della cervice uterina

9 10

Tutti questi tumori hanno un “trend” di


sopravvivenza sfavorevole negli ultimi 10 anni Quale delle seguenti è una sindrome genetica
in Europa, salvo uno: familiare neoplastica?

1.Carcinoma dell’esofago
2.Mieloma 1.S. di Albright
3.Cancro del pancreas 2.S. di Blackfan-Diamond
4.Cancro del polmone nel sesso femminile 3.S. di Churg-Strauss
5.Leucemie 4.S. di Fanconi
5.S. di Li-Fraumeni

11 12
Quale dei seguenti agenti chimici non è
Cosa sono i micro RNA?
coinvolto nella genesi del cancro?

1.Trialometani 1. Piccoli frammenti di RNA messaggero


2.Fumosine 2. Molecole di RNA contenute nei microsatelliti
3.Fenacetina 3. Molecole di RNA contenute nei nucleoli
4.Acido gamma-idrossibutirrico 4. Molecole di RNA non codificante
5.Tricloroetilene 5. Molecole di RNA specie-specifiche

13 14

Quale è l’obiettivo principale


Quale dei seguenti farmaci non è associato alla dello “screening” dei tumori?
prevenzione dei tumori?

1.Acido acetilsalicilico 1. Ridurre la mortalità e la morbilità specifica


2.Acido All-transretinoico 2. Aumentare il numero di neoplasie diagnosticate
precocemente
3.Acido folinico
3. Escludere i falsi-positivi
4.Tamoxifene 4. Riconoscere precocemente i sintomi della neoplasia
5.Celecoxib 5. Individuare il test diagnostico più idoneo

15 16

Per quale delle seguenti neoplasie lo screening è Quale dei seguenti elementi non è cruciale per lo
meno efficiente? “screening”?

1.Carcinoma del polmone


1. Durata della storia naturale preclinica
2.Carcinoma della cervice uterina
2. Disponibilità di strumenti diagnostici economici
3.Carcinoma della mammella
3. Valore predittivo positivo
4.Carcinoma del colon 4. Precocità dei sintomi
5.Melanoma 5. Prevalenza della neoplasia

17 18
Quale è l’età consigliata per l’inizio dello Quale delle seguenti affermazioni sulle chinasi
“screening” nella sindrome di Lynch? ciclino-dipendenti è sbagliata?

1.La loro attività è regolata dalle cicline


1.10-15 aa. 2.Sono deputate alla fosforilazione di Rb
3.L’ipofosforilazione di Rb induce la
2.20-25 aa.
trascrizione dei geni necessari per
3.30-35 aa. l’ingresso delle cellule in fase S
4.40-45 aa. 4.Una volta inattivata, Rb rilascia un
5.10 aa. prima del caso indice più giovane fattore trascrizionale
5.Sono regolate negativamente da p16
19 20

Quale dei seguenti fattori non è rilevante nel


Quanti sono i membri della famiglia di EGFR?
vantaggio proliferativo dei sistemi neoplastici?

1.Attivazione di oncogeni 1.Due


2.Inattivazione di geni soppressori 2.Tre
3.Formazione di nuovi vasi 3.Quattro
4.Inibizione dell’attività telomerasica 4.Cinque
5.Inibizione dell’apoptosi 5.Otto

21 22

Quale dei seguenti non è un meccanismo di


Quale è il ligando dell’omodimero di HER-2?
attivazione di ErbB nei tumori?

1.TGF-alfa 1.Mutazione
2.Amphiregulina 2.Iperespressione
3.EGF 3.Delezione
4.Epiregulina 4.Produzione di TNF
5.Nessuno dei precedenti 5.Cross-talking

23 24
In quale neoplasia è meno frequente l’over- Quale affermazione relativa a p-53 non è
espressione di HER-2? corretta?

1.Consente la riparazione dei danni del


1.Carcinoma della mammella DNA
2.Tumori del distretto cervico-facciale 2.Attiva le chinasi ciclino-dipendenti
3.Carcinoma dell’esofago 3.Regola positivamente p21
4.Carcinoma del colon 4.Regola l’ingresso delle cellule in
5.Carcinoma del rene fase S
5.Attiva l’apoptosi
25 26

Quale affermazione relativa al VEGF non è


mTOR regola tutti questi aspetti, tranne uno:
corretta?

1.E’ prodotto sia dalle cellule tumorali


1.Fabbisogno energetico che stromali
2.Angiogenesi 2.Determina la formazione di vasi
anomali
3.Apoptosi 3.Ostacola la diffusione dei farmaci
4.Secrezione di fattori di crescita nel tumore
5.Ciclo cellulare 4.E’ presente in 4 isoforme
5.Riduce la pressione interstiziale
27 28

Quale dei seguenti fattori non è coinvolto nella


attivazione della famiglia di recettori per il Quale affermazione relativa ai telomeri è errata?
fattore di crescita epidermico?

1.La dimerizzazione 1. Sono una trascrittasi inversa


2. Proteggono le estremità dei cromosomi
2.Il TGF dalla digestione enzimatica
3.L’attivazione di una TK 3. Impediscono l’induzione dei meccanismi
4.L’internalizzazione del complesso di riparazione del DNA
5.La delezione di una parte del 4. Si accorsiano in seguito alla
rimozione del primer
dominio extracellulare
5. Hanno a che fare con sequenze
TTAGGG
29 30
Quale dei seguenti eventi non è regolato Quale delle seguenti categorie di farmaci
epigeneticamente? comprende farmaci antineoplastici?

1.L’accesso dei fattori trascrizionali


ai geni bersaglio 1.Macrolidi
2.La polimerizzazione della tubulina 2.Antibiotici
3.La risposta all’ipossia 3.Chelanti
4.L’espressione di mTOR 4.Inibitori di pompa
5.Il legame di HSP-90 alle proteine 5.Bechici
clienti
31 32

Quale dei seguenti farmaci non appartiene al


Quale dei seguenti farmaci inibisce la mitosi?
gruppo dei farmaci anti-ormonali?

1.Methotrexate 1.Anastrazolo
2.Temozolomide 2.Letrozolo
3.Doxorubicina 3.Taxolo
4.Paclitaxel 4.Bicalutamide
5.Irinotecano 5.Faslodex

33 34

In quale delle seguenti neoplasie si utilizza il


Cos’è Gp-170?
Trastuzumab?

1. Una proteina transmembrana


responsabile di MDR
2. Una proteina codificata da un gene
oncosoppressore
1.Cancro del colon
2.Linfoma diffuso B CD20+
3. Una proteina deputata al trasporto
all’interno della cellula 3.Cancro della mammella
4. Un fattore di trascrizione 4.Cancro del polmone
5. Una linea cellulare usata per testare 5.Tumori del distretto cervicofacciale
i farmaci antineoplastici

35 36
In quale delle seguenti neoplasie si utilizza il Quale dei seguenti farmaci può essere associato ad
Panitumumab? iperplasia dell’endometrio?

1.Cancro del colon 1.Bicalutamide


2.Linfoma diffuso B CD20+ 2.Anastrozolo
3.Cancro della mammella 3.Letrozolo
4.Cancro del polmone 4.Exemestano
5.Tumori del distretto cervicofacciale 5.Tamoxifene

37 38

Quale dei seguenti farmaci non è un inibitore della


Cosa si intende per proteasoma?
mitosi?

1.L’insieme delle macromolecole


1.Procarbazide proteiche con attività enzimatica
2.Colchicina 2.La componente proteica nei geni
3.Un sistema di degradazione proteica
3.Vincristina
4.L’insieme di tutte le proteine
4.Vinorelbina cellulari
5.Paclitaxel 5.L’insieme delle tirosin-chinasi
recettoriali
39 40

Quale dei seguenti farmaci non è un inibitore


La Bicalutamide può provocare tutti questi
della mitosi? effetti tranne uno

A. Ginecomastia
B. Diarrea
1.Taxani
C. Alterazione della funzionalità epatica
2.Vinorelbina
D. Incremento della produzione di
3.Inibitori di Aurora chinasi
estrogeni
4.Inibitori della chinesina
E. Azione progestinica
5.Vorinostat

41 42
Quale dei seguenti non è un inibitore
Ipilimumab è un :
multichinasico

A. Gefitinib
1.Anticorpo monoclonale anti-EGFR
B. Sorafenib
2.Anticorpo monoclonale anti-VEGFR
C. Sunitinib
3.Anticorpo monoclonale anti CD-20
D. Pazopanib
4.Anticorpo monoclonale anti-CTLA-4
E. Axitinib
5.Anticorpo monoclonale anti-HER2

43 44

L’antigene CTLA-4 è:
PARP-1 è:

A. Un recettore di una famiglia di A. Un inibitore dei linfociti T helper


polipeptidi B. Un attivatore dei linfociti T helper
B. Un enzima deficitario nel ca. C. Un inibitore dei linfociti T
mammario con delezione di BRCA1 suppressor
C. Un enzima di riparazione del DNA D. Un attivatore dei linfociti T
D. Una proteina istonica suppressor
E. Un enzima ridondante nel ca. E. Un attivatore delle cellule
mammario con delezione di BRCA1 dendritiche

45 46

In Italia la sopravvivenza per carcinoma della Nella donna quale è il rischio medio di sviluppare un
mammella: cancro della mammella nel corso della vita?

1.E’ la migliore in Europa 1.3%


2.E’ la peggiore in Europa 2.5%
3.Si colloca nella media europea esatta 3.9%
4.E’ fra le 5 migliori in Europa 4.12%
5.E’ fra le 5 peggiori in Europa 5.15%

47 48
Quale è il picco massimo di età di incidenza dei
Quale dei seguenti è un fattore di rischio più forte
carcinomi T1-3 e del carcinoma infiammatorio
per carcinoma della mammella
(T4d) rispettivamente?

1.50 e 69 aa.
1.Menarca precoce 2.55 e 45 aa.
2.Menopausa tardiva 3.61 e 70 aa.
3.Assunzione di estrogeni 4.75 e 65 aa.
4.Nulliparità o I gravidanza tardiva 5.69 e 50 aa.
5.Assunzione di alcool e grassi

49 50

Quale dei seguenti istotipi ha una prognosi Quale dei seguenti esami è sempre necessario per
peggiore? la stadiazione del carcinoma della mammella?

1.Carcinoma papillare 1.Ecografia epatica


2.Carcinoma mucinoso 2.Scintigrafia ossea
3.Carcinoma duttale 3.TC torace
4.Carcinoma lobulare 4.Marcatori tumorali
5.Carcinoma midollare 5.TC cranio

51 52

Quale dei seguenti non è considerato di per se un Quale dei seguenti è un fattore prognostico
fattore prognostico? favorevole e predittivo favorevole?

1.Interessamento linfonodale 1.Iperespressione di c-Erb-B2


2.Età della paziente 2.Espressione di RE
3.Dimensioni del tumore 3.Frazione proliferativa (Ki-67)
4.Grado di differenziazione 4.Età
5.Recettori ormonali 5.Terapia neoadiuvante

53 54
Quale dei seguenti interventi non si riferisce al Quale dei seguenti fattori non è coinvolto nella
cancro della mammella? valutazione del rischio di recidiva?

1.Intervento di Hartman 1.Stato linfonodale


2.Intervento di Halsted 2.Angioinvasività
3.Intervento di Madden 3.HER2+
4.Intervento di Patey 4.Stato recettoriale
5.Lumpectomia 5.Mutazione di p-53

55 56

Quale dei seguenti sottotipi ha la prognosi Quale dei seguenti provvedimenti non è appropriato
migliore? nel trattamento del carcinoma lobulare “in-situ”?

1.Basaloide 1.Terapia con tamoxifene


2.Luminal A 2.Terapia con inibitori dell’aromatasi
3.Luminal B 3.Mastectomia profilattica
4.HER2+ 4.Controllo periodico
5.Triplo negativo 5.Radioterapia

57 58

Quale delle seguenti ipotesi patogenetiche delle sindromi Quale dei seguenti meccanismi non interviene nella
paraneoplastiche non è esatta? genesi della cachessia neoplastica?

1. Teoria del progenitore comune 1. Ridotta tolleranza al glucoso e insulino-


2. Teoria degli abbozzi embrionari comuni resistenza
3. Teoria autoimmunitaria 2. Aumento gluconeogenesi
4. Teoria della deregolazione genetica 3. Riduzione amminoacidi plasmatici
5. Teoria della riattivazione dell’informazione totali
4. Aumento ossidazione acidi grassi
5. Riduzione gluconeogenesi
59 60
A proposito della tromboflebite paraneoplastica, Quale dei seguenti fattori non interviene nella
quale dei seguenti elementi non è congruente? cachessia neoplastica?

1. Tromboplastina tissutale 1. TNF-α


2. Trombomodulina 2. HIF
3. Proteina S 3. IFN-γ
4. Triade di Virchow 4. LMF
5. Fibrinogeno 5. PIF

61 62

Quale dei seguenti fattori non è correlato ad una Quale delle seguenti forme di anemia potrebbe essere
sindrome paraneoplastica ematologica riferibile ad una sindrome paraneoplastica?

1. GM-CSF 1. Anemia sideroblastica


2. IL-6 2. Anemia di von Jaksch
3. EPO 3. Anemia perniciosa
4. IGF 4. Anemia aplastica
5. IL-3 5. Anemia microangiopatica

63 64

Quale dei seguenti fattori non interviene nella Quale delle seguenti sindromi endocrino-metaboliche può
patogenesi della tromboflebite migrante? avere come meccanismo patogenetico la deregolazione del
controllo (teoria degli abbozzi embrionali comuni)?

1. Aumento del fattore VIII


2. Attivazione del fattore X 1. Ipercalcemia
3. Aumento della trombina 2. Ipersecrezione di ACTH
4. Riduzione della proteina C 3. SIADH
5. Riduzione dell’AT III 4. Ipocalcemia
5. Ginecomastia

65 66
Quale è il più frequente mediatore dell’ipercalcemia Quale dei seguenti segni e sintomi in genere non è
paraneoplastica? presente nella s. di Cushing paraneoplastica?

1. 1,25-diidrossivitamina D 1. Strie “rubrae”


2. TGF-α 2. Irsutismo
3. TNF-α 3. Ipertensione arteriosa
4. PTH 4. Perdita di peso
5. PTH-rP 5. Debolezza muscolare

67 68

Perché l’ipersecrezione paraneoplastica di ADH si Quale dei seguenti non è un meccanismo responsabile
definisce inappropriata? di s. paraneoplastica neurologica?

1. Perché l’ADH è prodotto dal tumore 1. Produzione di anticorpi onconeurali


2. Perché l’ipersecrezione avviene in un paziente
normovolemico 2. Espansione clonale di linfociti T citotossici
3. Perché viene secreto un ADH inadeguato a svolgere 3. Attivazione dell’immunità naturale
le sue funzioni fisiologiche
4. Presenza di gammapatia monoclonale
4. Perché l’ADH è anomalo e questo determina un
mancato controllo della secrezione 5. Presenza di infezioni virali opportunistiche
5. Perché l’ADH non determina la riduzione
dell’aldosterone

69 70

Nella d.d. fra s. miasteniforme di Lambert-Eaton e Quale definizione di marcatore tumorale è


miastenia quale dei seguenti elementi non più appropriata?
caratterizza la prima?
1. Un segnale biologico di presenza di
1. Interessamento dei muscoli prossimali neoplasia
2. Mancato coinvolgimento dei muscoli oculari 2. Una sostanza prodotta da un tumore
estrinseci
3. Una sostanza prodotta da un tumore e,
3. La forza muscolare aumenta con l’esercizio in parte, anche dai tessuti sani
4. La risposta alla neostigmina è scarsa
4. Una sostanza prodotta da un tumore
5. L’ampiezza del potenziale non aumenta con la e, in minor misura, in malattie non
stimolazione ripetitiva. neoplastiche
5. Nessuna delle precedenti
71 72
Quale condizione non induce un incremento di
Quale delle seguenti correlazioni è errata?
marcatori tumorali?

1.Ciclo mestruale 1.CEA Molec.di ades. Ca colorett.


2.Attività sessuale 2.PSA Enzima ADC prostata
3.Infarto cerebrale 3.Ca-125 Mucina Ca ovaio
4.IBD 4.Cyfra 21.1 Polipeptide Ca polmone
5.Diabete mellito tipo II 5.CGA Pro-ormone Tumori NE

73 74

Quale affermazione non è apprpriata per i Quale è la definizione più corretta di


biomarcatori di rischio? sensibilità di un test?

1. Indicano un maggior rischio genetico e 1. Probabilità che una persona con marcatore
metabolico di sviluppare un tumore positivo abbia effettivamente un tumore
2. Sono associati a variazioni del fenotipo 2. Probabilità che una persona con marcatore
tumorale negativo non abbia un tumore
3. Hanno caratteristiche diverse nei tumori 3. Probabilità che una persona con marcatore
ereditari, familiari e sporadici negativo non abbia un tumore
4. Nei tumori ereditari sono rappresentati da 4. Probabilità che una persona con tumore
mutazioni di geni bersaglio abbia il marcatore positivo
5. Nei tumori familiari possono essere 5. Probabilità che una persona sana non abbia
rappresentati da biomarcatori ormonali un marcatore positivo.

75 76

Quale delle seguenti condizioni caratterizza Quale tra le seguenti aree geografiche ha la
l’iperplasia nodulare focale? maggiore incidenza di HCC?

1.Assenza di cellule di v. Kupffer 1.Bacino mediterraneo


2.Potenziale maligno 2.Africa sub-sahariana
3.Assenza di capsula 3.Paesi con maggior consumo di alcool
4.Emoperitoneo nel 25% dei casi 4.Grecia
5.Frequente presenza di sintomi 5.Singapore e Sud-Est asiatico

77 78
Quale dei sguenti è il principale fattore di Quale dei seguenti componenti del genoma dell’HBV
rischio per HCC? è maggiormente coinvolto nella cancerogenesi?

1.HBV
1.Gene X
2.HCV
2.Gene S
3.Alcool
3.Gene P
4.Aflatossina
4.Gene C
5.Cirrosi
5.In egual misura tutti i precedenti

79 80

Quale è il più probabile meccanismo Quale delle seguenti è una caratteristica


cancerogenetico dell’HBV? dell’HCC?

1.Mutagnesi inserzionale 1.Diffusione per via venosa


2.Attivazione oncogenica 2.Presenza di mucina
3.Inibizione di oncosoppressori 3.Diffusione per via linfatica
4.Transattivazione 4.Assenza di corpi di Mallory
5.Proprietà cancerogene proprie del virus 5.Immunoistochimica positiva per CEA
monoclonale citoplasmatico

81 82

Quali strumenti diagnostici sono essenziali per il Quale delle seguenti alterazioni non è compresa fra
riconoscimento precoce dell’HCC nei pazienti con le alterazioni molecolari dell’epatocarcinoma indotto
epatite cronica virus-correlata? da HCV?

1. Alfa-fetoproteina ed ecografia epatica


2. Alfa-fetoproteina, ecografia epatica e albuminemia
3. Alfa-fetoproteina, ecografia epatica e coagulazione 1. Inibizione dell’apoptosi
4. Alfa-fetoproteina, ecografia epatica e HCV-RNA 2. Mutazioni puntiformi di p-53
polimerasi o HBV-DNA polimerasi
5. Albuminemia, Coagulazione, HCV-RNA 3. Delezioni nel cromosoma 13
polimerasi e HBV-DNA polimerasi 4. Trasversione G→T
5. Mutazioni della β-catenina

83 84
Quale l’incidenza annuale di epatocarcinoma Quale delle seguenti condizioni ha il maggior
nei pazienti HCV-positivi impatto prognostico nell’HCC?

1. Età
1. 0.5-1%
2. Trombosi venosa
2. 1-4%
3. Sesso
3. 5-7%
4. Dimensioni del nodulo
4. 7-10%
5. Cirrosi
5. >10%

85 86

Quali dei seguenti tumori della linea germinale del


Quali dei seguenti tumori della linea germinale del
testicolo esprime meno frequentemente marcatori
testicolo ha la minore velocità di crescita?
tumorali?

1. Coriocarcinoma 1. Coriocarcinoma
2. Tumore del sacco vitellino 2. Tumore del sacco vitellino
3. Tumore del seno endodermico 3. Tumore del seno endodermico
4. Teratoma 4. Teratoma
5. Seminoma 5. Seminoma

87 88

Quali dei seguenti è il più importante fattore


Quale è la stazione linfatica di primo livello
eziologico nei tumori della linea germinale del
testicolo?
nei tumori della linea germinale del testicolo?

1. Sterilità 1. Linfonodi inguinali


2. Criptorchidismo 2. Linfonodi pelvici
3. Microtraumi ripetuti 3. Linfonodi lomboaortici
4. Iperandrogenismo relativo 4. Linfonodi iliaci
5. Infezioni croniche 5. Nessuno dei precedenti

89 90
Quali è la principale modalità di diffusione del Quali è la principale modalità di diffusione del
seminoma? coriocarcinoma?

1. Via linfatica 1. Via linfatica


2. Via ematica 2. Via ematica
3. Via linfatica ed ematica 3. Via linfatica ed ematica
4. Contiguità 4. Contiguità
5. Attraverso il funicolo spermatico 5. Attraverso il funicolo spermatico

91 92

Nel sospetto di tumore del testicolo, quale dei


Nel sospetto di tumore del testicolo, quale
seguenti esami o manovre può essere superfluo
dei seguenti esami o manovre è da evitare? prima dell’intevento chirurgico?

1. Ecografia scrotale 1. Ecografia scrotale


2. TC torace, addome e pelvi 2. TC torace, addome e pelvi
3. Valutazione dei marcatori tumorali 3. Valutazione dei marcatori tumorali
4. Inguinotomia 4. Inguinotomia
5. Agoaspirato trans-scrotale 5. Nessuno dei precedenti

93 94

Quale aspetto biologico influenza maggiormente le


Quale è la sede metastatica prevalente dei
scelte cliniche nei tumori della linea germinale del
testicolo?
tumori della linea germinale del testicolo?

1. L’androgenodipendenza 1. Fegato
2. L’ontogenesi 2. Sistema scheletrico
3. Le alterazioni cromosomiche 3. Encefalo
4. I livello di marcatori ormonali 4. Polmone
5. L’angiogenesi 5. Tutte le precedenti

95 96
Quanto è il tempo di dimezzamento della alfa-FP
Quale delle seguenti affermazioni sulla prognosi dei
nei tumori non seminomatosi della linea germinale
tumori germinali del testicolo è sbagliata?
del testicolo?

1. Nei non seminomi a buona prognosi la sopravvivenza è il


90%
1. 48 ore 2. Nei seminomi a prognosi intermedia la sopravvivenza è il
75%
2. 5 gg. 3. Nei non seminomi a prognosi intermedia la sopravvivenza è
il 75%
3. 7 gg. 4. Nei seminomi a cattiva prognosi la sopravvivenza è il 60%
5. Nei non seminomi a cattiva prognosi la sopravvivenza è il
4. 10 gg. 50%

5. 15 gg.

97 98

Quale delle seguenti sindromi genetiche è


Quale è il più importante fattore eziologico?
correlata al cancro del rene?

1. Vita urbana 1. Sindrome di Birt-Hogg-Dubè


2. Esposizione a derivati del petrolio 2. Sindrome di Lynch
3. Addetti all’industria del pellame e del cuoio 3. Sindrome di Li-Fraumeni
4. Rene policistico 4. Sindrome di Gardner
5. Fumo 5. Tutte le precedenti

99 100

Quale dei seguenti istotipi non è riferibile al Quale è il più comune sintomo del carcinoma
carcinoma renale? renale?

1. Carcinoma a cellule rotonde 1. Febbre


2. Carcinoma a cellule fusate 2. Anemia
3. Carcinoma a cellule chiare 3. Calo ponderale
4. Carcinoma papillare 4. Dolore lombare
5. Carcinoma a cellule granulose 5. Varicocele sinistro

101 102
Quale delle seguenti non è una sindrome Quale dei seguenti geni non è associato ad una
paraneoplastica associata al renale? sindrome genetica correlata al cancro del rene?

1. Febbre
2. Sindrome da inappropriata secrezione di ADH 1. VHL
3. Ipercalcemia 2. MET
4. Amiloidosi 3. BHD
5. Policitemia 4. FH
5. MYC

103 104

Quale dei seguenti non è un fattore di rischio Quale dei seguenti farmaci non è attivo nel
sfavorevole? carcinoma a cellule renali

1. Tempo dalla diagnosi al primo trattamento 1. Erlotinib


< 1 anno 2. Sunitinib
2. Karnofsky Index 60-70 3. Sorafenib
3. LDH > 1.5 v,n. 4. Temsirolimus
4. Calcemia corretta < 10 mg/dl 5. Everolimus
5. Istotipo sarcomatoide

105 106

Quale dei seguenti fattori non contribuisce alla


Quale dei seguenti elementi è il principale
definizione del rischio di morte nel carcinoma a
fattore prognostico nel melanoma?
cellule renali metastatico?

1. Larghezza
2. Profondità
1. Tempo intercorso dalla diagnosi al primo trattamento
3. Irregolarità
2. LDH elevata
4. Colore
3. Creatininemia aumentata
5. Asimmetria
4. Anemia
5. Ipercalcemia

107 108
Quale è la localizzazione più comune del Quale delle seguenti forme cliniche di
melanoma nel sesso femminile? melanoma è più aggressiva?

1. Tronco 1. Lentigo maligna


2. Volto 2. Melanoma a crescita superficiale
3. Apparato genitale 3. Melanoma lentigginoso acrale
4. Arti inferiori 4. Melanoma gengivale
5. Sedi viscerali 5. Melanoma nodulare

109 110

Rispetto a tutte le neoplasie quale è la


Quale è la forma clinica più frequente?
prevalenza stimata di melanoma?

1. 1% 1. Melanoma a diffusione superficiale


2. 5% 2. Melanoma nodulare
3. 10% 3. Lentigo maligna
4. 15% 4. Melanoma del tratto gastrointestinale
5. 20% 5. Melanoma acrale

111 112

Quale di queste percentuali meglio esprime


Quale dei seguenti è il tumore maligno
la mortalità dell’osteosarcoma con il solo
primitivo più comune dell’osso?
intervento chirurgico?

1. Osteosarcoma
2. Sarcoma di Ewing 1. 60% a 5 aa.
3. Tumore giganto cellulare 2. 80% a 2 anni
4. Istiocitoma fibroso maligno 3. 40% a 3 aa.
5. Neoplasie linfoproliferative 4. 40% a 5 aa.
5. 50% a 2 aa.

113 114
Quale dei seguenti è l’indizio clinico di
Da quale cellula deriva l’osteosarcoma? sospetto più idoneo per la diagnosi precoce
di osteosarcoma del femore o della tibia?

1. Tumefazione del ginocchio con o senza trauma


1. Osteoblasta immaturo 2. Dolore del ginocchio con o senza trauma
2. Osteocita 3. Tumefazione e dolore del ginocchio
3. Cellula mesenchimale con o senza trauma
4. Cellula colinergica post-gangliare 4. Dolore al ginocchio persistente con o senza
5. Osteoclasta Trauma
5. Frattura patologica
115 116

Quale dei seguenti tumori fa parte della


Da quale cellula deriva il sarcoma di Ewing?
famiglia del sarcoma di Ewing?

1. Osteoblasta immaturo 1. Tumore a cellule giganti


2. Osteocita 2. Tumore delle cellule di Shwann
3. Cellula mesenchimale 3. Tumore di Askin
4. Cellula colinergica post-gangliare 4. Condrosarcoma
5. Osteoclasta 5. Tumore di Codman (condroblastoma)

117
118
RINGRAZIAMENTI
_______________________________________
Andrea
Un sentito ringraziamento va a tutte le persone che mi hanno sopportato, che mi
sopportano e che mi sopporteranno. 

Ringrazio Agnese, che in ogni momento mi è vicina, pur non sapendo cosa faccio. 

Ringrazio Valeria,a cui dedico una frase di Albert Camus, “Non camminare dietro a
me, potrei non condurti. Non camminarmi davanti, potrei non seguirti. Cammina
soltanto accanto a me e sii mia amica”.
Ringrazio Granato che non studierà mai ciò che è scritto qui sopra perché è uno
stronzo e non da merito ai miei lavori. 

Ringrazio l’incommensurabile Angelo Dipasquale per gli indispensabili consigli e le
preziose dritte.
Ringrazio tutti i NERD del Marello che come sempre vanno pazzi per questa roba.
E per ultimi, ma non per questo meno importanti, ringrazio i miei amici e colleghi
sbobinatori, perché senza di loro questo volume non sarebbe nato.

Alessandra
"Signore Iddio, abbiamo pagato noi per tutta questa roba, perciò grazie di niente"
Bart Simpson

Nota degli autori



Ci siamo impegnati a schematizzare, riassumere e rielaborare il tutto, mantenendo
come struttura portante quella delle sbob del Prof. Barone, sono state integrate le
dispense del Prof Butti, reperibili in copisteria. Sono stati fatti degli approfondimenti
utilizando libri di testo come Harrison, Rugarli e Dionigi.
Abbiamo cercato di creare un volumetto scorrevole e leggero che possa guidare lo
studente nello studio di questa materia.

Sicuramente il testo è carente in qualche sua parte, ma ho cercato di inserire quasi tutti
gli argomenti riportati sui programmi. 

Il presente non è assolutamente sostitutivo dei libri di testo.
Qualunque consiglio o critica atta a migliorare il lavoro per gli studenti futuri è ben
accetta. Posseggo tutti i diritti dell'opera, se qualcuno dovesse appropriarsene
indebitamente, accetterebbe automaticamente di cedermi una cosa di sua proprietà a
mia scelta.... Di solito scelgo i denti. Spero vi sia stato utile, sapete dove trovarmi.
Roma, 11/02/2016

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