Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
3 LO SCREENING 28
5 PRINCIPI DI CHEMIOTERAPIA 44
7 PRINCIPI DI RADIOTERAPIA 68
9 TUMORI ORL 82
16 MELANOMA 233
17 SARCOMI 244
RINGRAZIAMENTI 361
PARTE 1: CONCETTI GENERALI
_________________________________________
PARTE 1: CONCETTI GENERALI
_________________________________________
Contiene:
• Epidemiologia e Mortalità
• Fattori di rischio
• Screening e diagnosi precoce
• Basi biologiche della terapia medica
• Farmaci antineoplastici; farmaco-resistenza
• Terapia adiuvante VS terapia neoadiuvante
• Principi di radioterapia
• Principi di chirurgia oncologica
INTRODUZIONE
Gli obiettivi del corso sono cose basilari per un medico generale e per qualunque
specialità voi decidiate di intraprendere, poiché avrete sempre a che fare per lo più
con patologie tumorali: l’età media sta aumentando e con essa aumenta l’incidenza
dei tumori. Ricordate che l’oncologia medica è medicina generale.
Percentuali di decessi
Cardiopatie 31 BPCO 4,8 Suicidio 1,3
Tumori 23 Traumi e incidenti 4,2 Patologie nefrologiche 1,1
Malattie cerebrovascolari Polmonite e influenza 3,9 Cirrosi epatica 1,1
6,8 Diabete 2,8
Tra le principali cause di morte i tumori rappresentano ¼ delle cause di morte tra
tutti i tipi di patologie, secondi soltanto alle malattie cardiovascolari.
Il cancro del polmone è sicuramente il più importante, anche mettendo insieme
entrambi i sessi. Segue al
secondo posto il cancro dello
stomaco, cosa che soprattutto
nei paesi occidentali non ci si
aspetterebbe, è un tumore che
prevale nelle aree
sottosviluppate, ma anche in
Italia, nonostante ci sia stata
una drammatica riduzione
della incidenza: era molto più
frequente 30-40 anni fa.
Terzo posto per il cancro della
mammella: il cancro della
mammella è la terza causa,
per gli uomini e per le donne,
ma è quasi esclusivamente un tumore del sesso femminile; esso, inoltre, ha una
percentuale di guarigione che è superiore al 50%. Per il cancro del fegato, avremo
437.000 nuovi casi, forse anche di più perché questa è una stima fatta nei paesi
sviluppati, mentre le aree a maggior incidenza di epatocarcinoma sono le aree
sottosviluppate, l’Africa sub-sahariana in particolare.
Guardiamo invece la situazione in termini di mortalità: in percentuale, i tumori che
influiscono di più in termini di mortalità sono il cancro del polmone (17,8%),
seguito dal cancro dello stomaco (10,4%) e dall’epatocarcinoma (8,8%).
Questi sono i nuovi casi di tumore in Italia in una valutazione del 2012, la cui stima
è del 2011. Poi compaiono le proiezioni per il 2020 e per il 2030. Consideriamo
l’insieme dei tumori, esclusi gli epiteliomi della cute, e nel 2011 ci sono stati oltre
400.000 nuovi casi di tumori in Italia, nel 2020 si stimano 50.000 casi in più, e
altrettanti in più nel 2030.
Curve del tasso di mortalità per cancro nei vari decenni del secolo scorso
Cominciamo dall’uomo: il primo trend degno di nota è l’incremento vertiginoso
della mortalità del cancro del polmone a partire dal 1930. Tutto ciò va di pari passo
con l’esposizione al fumo. E l’incremento dell’esposizione al fumo c’è stato proprio a
cavallo tra le due guerre, quindi nel 1930, e fino al 1980, l’incremento è stato
esponenziale.
Bisogna dire che attualmente questo trend, almeno per il sesso maschile, si è
appiattito e nei paesi occidentali c’è
anche una tendenza alla riduzione,
per la consapevolezza della
pericolosità del fumo di sigaretta.
Un’altra curva interessante è quella
del cancro gastrico, che sempre nella
stessa fascia di anni ha avuto una
netta riduzione di mortalità: come
per il cancro del polmone, la
M F
Queste tabelle danno delle importanti informazioni non tanto sull’incidenza globale
del tumore ma sulla variabilità della stessa considerando le varie classi di età.
Noteremo ad esempio come nella fascia di età giovanile, avremo una maggiore
incidenza delle leucemie, dei linfomi, dei tumori del sistema nervoso centrale e della
pelle. Spostandoci un po’ più avanti con l’età, troveremo invece il polmone e il colon
retto mentre nell’età avanzata la prostata. Questo schema è importante considerarlo
perché se voi avete un paziente di 30 anni che si presenta con una massa
mediastinica, siete molto legittimati a pensare che abbia un linfoma piuttosto che un
tumore del polmone.
In generale per le donne, la causa di morte più comune è il tumore del polmone cui
segue mammella e colon retto. Nelle donne possiamo considerare due aspetti
interessanti:
- Nelle fasce più giovanili, anche in questo caso hanno una maggiore incidenza
leucemie, linfomi e tumori del SNC. In questa fascia di età presenta un’alta
incidenza anche il tumore della mammella. L’incidenza del carcinoma della
mammella presenta due picchi: un primo picco intorno ai 35 anni, un altro
intorno ai 60 anni. Proprio nell’età giovanile, il tumore della mammella
rappresenta il primo tumore per mortalità
- Dopo i 55 anni presentano maggiore incidenza il tumore del polmone e il
tumore del colon retto. C’è da sottolineare come il tumore della mammella,
per quanto presenti una incidenza maggiore dopo i 60 anni, in questa fascia
di età risulta essere anche molto più guaribile e rappresenta una blanda causa
di morte.
M
F
Questo grafico serve per capire che differenza c'è tra sesso maschile e femminile
riguardo incidenza stimata e mortalità stimata. Vediamo come mentre l’incidenza
stimata per tumore della prostata è di circa il 32%, 16 % per il pomone, 12% colon
retto, la mortalità stimata per il tumore del polmone è di circa il 33 % con il tumore
alla prostata al secondo posto.
La possibilità di usufruire di una terapia mirata verso uno specifico bersaglio, è una
condizione ideale che si ricerca in ogni tipo di tumore e spiega perché vi è un largo
interesse riguardo la possibilità di definire una classificazione molecolare per tumore
del polmone. Tale classificazione molecolare non è detto che riveli la presenza di veri
e propri “geni target” ma si pone come obiettivo quello di identificate geni che
potrebbero presentare comunque un ruolo nella cancerogenesi (d’altro canto
definire una interferenza con questi geni potrebbe significare sperare di ottenere
delle terapie per trattare in qualche modo questi pazienti). Sottolineiamo ad
Il dato che cogliamo da questi studi epidemiologici è che, col passare degli anni, l’
incidenza e la mortalità per cancro aumenta a scapito di quella che è una maggiore
probabilità di guarigione per quasi tutti i tipi tumori. Ciò è spiegato dal fatto che il
cancro è una malattia dell’età avanzata. Man mano che gli anni passano, l’organismo
accumula sempre più mutazioni e alcune di esse possono influenzare meccanismi
implicati nella funzione replicativa delle cellule (quale ad esempio i telomeri)
Secondo degli studi prospettici, la popolazione in Italia (come negli Stati Uniti e più
in generale in tutto il resto del mondo) tenderà entro il 2050 ad invecchiare. Questo
dato è molto importante perché ci fa capire come anche se migliorassimo il nostro
stile di vita, diminuissimo l’esposizione a fattori cancerogeni, l’incidenza del cancro
proprio per questo aumento dell’età media tenderà comunque ad aumentare così
come la mortalità ad esso associata.
I tumori che presentano un alto tasso di guarigione sono quelli che possono essere
guariti tramite l'intervento chirurgico (tra cui melanoma il linfoma di Hodgkin) o i
tumori che rispondono molto bene ai trattamenti medici chemioterapici come il
tumore del testicolo.
Avremo ad esempio:
- Tumore del testicolo con una percentuale di guarigione del 95%
- Linfoma di Hodgkin con una percentuale di guarigione intorno al 90%
- Tumori che presentano una buona prognosi come nel caso del tumore della
mammella e dell’ endometrio per i quali sono disponibili diverse tipologie di
terapie (anche integrate mediche chirurgiche).
- Tumore del colon, uno dei tumori più diffusi, presenta una sopravvivenza a 5
anni di circa il 50%.
In Italia, la sopravvivenza a 5 anni per tumore al colon risulta essere al di sopra della
media europea. Riguardo il tumore al polmone invece, l’incidenza risulta essere tra
le maggiori in Europa ma sempre inferiore rispetto a quei stati in cui vi è una forte
dipendenza dal fumo come i paesi dell’est europeo.
Epatocarcinoma
Facciamo lo stesso discorso per quanto riguardava il cancro dello stomaco. In
Europa, sono l'Italia e la Grecia i paesi a maggiore incidenza.
Un altro aspetto molto importante nel cancro del colon ma anche in altre forme di
tumore è la chirurgia delle metastasi. Un tempo era difficile convincere un chirurgo
a operare un tumore metastatico (ad esempio un tumore al colon con metastasi
epatiche): oggi la situazione risulta essere totalmente cambiata. Vi sono specifici
tumori che presentano un particolare tropismo verso determinati parenchimi: il
controllo di questi organi metastatici (se la malattia non è del tutto diffusa)
consente di migliorare la sopravvivenza del paziente. L'esempio tipico è il cancro del
colon di cui oggigiorno si operano frequentemente le metastasi epatiche, le
metastasi polmonari e anche le metastasi peritoneali non ottenendo di certo la
guarigione ma un miglioramento della sopravvivenza. Questo tipo di filosofia,
comincia a espandersi anche verso altre forme di tumori come il tumore della
mammella e il tumore del polmone le cui metastasi cerebrali (purchè singole)
possono essere operate.
Presidi meccanici
Un tempo, l’applicazione di presidi di sostegno era una pratica poco utilizzata (i
pazienti che avevano l'ittero ostruttivo ad esempio poche volte venivano sottoposti
ad una derivazione bilio-digestiva chirurgica e poichè le loro condizioni non erano
delle migliori morivano per ittero ostruttivo). Oggigiorno vi sono tutta una serie di
possibilità di trattamento relativamente poco invasive: basti pensare ad esempio alle
endoprotesi utilizzate nel cancro dell'esofago. Un paziente con cancro nella porzione
Alcuni tipi di tumori traggono giovamento dai miglioramenti della terapia medica.
Di seguito alcuni esempi:
o Circa l' 80-90% dei linfomi guarisce grazie alla terapia medica
o Circa il 60-70% delle leucemie acute, in base all'età, guarisce grazie alla
terapia medica
o Circa il 15% dei pazienti sottoposti a chirurgia guarisce con terapia medica
questo per quanto riguarda il colon retto.
o Circa il 90% dei carcinomi al testicolo guarisce grazie alla terapia medica
anche quando sono metastatici
Le terapie palliative
Un ruolo sempre più importante è definito dalle terapie palliative. Dobbiamo
ricordarci sempre che il medico ha come obiettivo la diminuzione della sofferenza: il
ruolo del medico è quello di attenuare i sintomi e l’impatto degli stessi sulle
condizioni generali e sulla prognosi. La cura dei sintomi ha un ruolo fondamentale
in qualunque fase della malattia in cui ci troviamo non soltanto nella fase di malattia
avanzata, “incurabile”.
Ci sono tutta una serie di presidi che possono dare sollievo e venire in aiuto alla
terapia palliativa.
Tra i presidi palliativi che possono influenzare la prognosi ricordiamo:
• Supporto trasfusionale
• Risoluzione sindromi ostruttive
• Nutrizione
• Drenaggio pleurico/peritoneale
Sindromi critiche
Ca. Mamm. Ca.Colonretto Ca. Prostata Ca Polmone
Esaurimento midollare +++ + +
Metastasi cerebrali + +
Sindromi Metaboliche +
- Metastasi ossee: sono comuni nel cancro della mammella, nel cancro della prostata
e nel cancro del polmone invece le metastasi epatiche sono la sindrome critica
caratteristica del cancro del colon-retto.
- Esaurimento delle opzioni terapeutiche: comune nel cancro della prostata e del
polmone.
Vi sono delle sindromi che hanno una prognosi più sfavorevole come:
BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________
- Sbobinature Prof Barone aa 2014/2015
- Sbobinature Prof Barone aa 2015/2016
Gli agenti inizianti la cancerogenesi sono molteplici e di diversa natura; ciò riflette la
molteplicità dei meccanismi che sussistono in seguito all’esposizione ed è proprio
questo ciò che noi non conosciamo; inoltre lo stesso agente iniziante può essere
riconosciuto come fattore favorente di molteplici tumori (ex. L’alcol) e cosa favorisca
l’insorgere di un tumore piuttosto che un altro in un individuo è ignoto.
Per tutti questi agenti è stata dimostrata una chiara correlazione con la genesi del
cancro.
Tra gli agenti biologici infettivi: è rilevante il ruolo dei virus, come HIV, HTLV1 e 2
che sono stati correlati alla genesi di tumori linfoproliferativi; i virus epatotropici
danno epatite, poi alcuni pazienti evolvono verso l’epatocarcinoma; stessa cosa vale
per HPV. Poi ci sono i batteri, tra cui troviamo H. Pylori (che agisce in sinergia con
altri elementi che provocano il cancro gastrico e quindi non è sufficiente da solo a
determinare il tumore). Tra i parassiti lo Schistosoma è in grado di provocare tumori
della vescica e del colon.
- Tra i fattori chimici: è opportuno ricordare le micotossine, perché spesso si tende a
dimenticare il ruolo dell’aflatossina (prodotta da A.Flavus) nell’epatocarcinoma.
Molti tra i coloranti e i solventi sono cancerogeni esposizionali, legati a particolari
attività professionali; è stata recentemente inclusa tra le categorie a rischio per la
comparsa di un tumore professionale la categoria dei parrucchieri, perché hanno
maggior esposizione a queste sostanze. La Comunità Europea ha fatto richiesta di
una normativa specifica, che ponga l’obbligo di specificare in tutti i prodotti
utilizzati la composizione chimica corretta (anche perché alcuni prodotti, come
spray o lacche per capelli, sono anche molto utilizzati a livello domestico).
Poi ci sono fattori fisici, come le radiazioni ionizzanti e il Radon, la luce ultravioletta
(in particolare quella con lunghezza d’onda tra 290- 320 nm.
Infine anche i fattori genetici incidono sull’eziologia dei tumori.
CANCEROGENESI OCCUPAZIONALE
L’Asbesto è un cancerogeno ben noto, oltre al celebre mesotelioma può dare anche
tumori del tratto gastrointestinale; prima che fosse noto il suo potenziale nocivo era
ampiamente utilizzato in materiali isolanti, ignifughi o soggetti ad attrito per via
della sua alta resistenza al calore.
Il Benzene e i suoi derivati sono presenti in alcuni solventi e vernici (nonostante sia
ben nota la sua pericolosità) e nell’industria del petrolio; essi provocano leucemia e
malattia di Hodgkin. Dunque in un paziente con sospetta malattia linfoproliferativa
è importante all’anamnesi chiedere l’attività lavorativa, perché se egli ha a che fare
con tali ambienti lavorativi o fa il benzinaio, si può più facilmente inquadrare la
diagnosi. Berillio e composti colpiscono il polmone.
GENI E CANCRO
Il cancro è causato da alterazioni negli oncogèni, nei geni oncosoppressori e nei geni
microRNA. Queste alterazioni sono in genere eventi somatici, sebbene mutazioni
germinali possano predisporre un individuo a tumori ereditari o familiari.
Oncogeni
Tra i prodotti degli oncogèni meglio conosciuti e più studiati ci sono i fattori di
crescita e rispettivi recettori, trasduttori di segnale (come le tirosinchinasi) e i
regolatori dell’apoptosi; tra i prodotti meno conosciuti ci sono fattori di trascrizione
e rimodellatori della cromatina.
I proto-oncogèni attivati nei tumori quindi producono tutti questi tipi di proteine,
che svolgono funzioni diverse nella cellula:
- Fattori di crescita, Catena b del PDGF: sis, Osteosarcomi; Fattore di crescita
fibroblasti: int2, carc. Vescica, Mammella
- Recettori per i fattori di crescita, Recettore per EGF: erbB1, carc. Polmone;
ErbB2, carc. Mammella, Ovaio, Stomaco, Polmone; Recettore per GDNF: ret,
carc. Papillifero Tiroide; Men2A, MEN2B, carc. Midollare Tiroideo Familiare;
Recettore per CSF-1: fms, Leucemie
- Proteine trasduttrici di segnale; GTP binding monomeriche: ras, diversi carc.
(Colon, Vescica,Tiroide,Pancreas.); GTP binding eterotrimeriche: as, Adenomi
Ipofisari
- Fattori di trascrizione; c-myc, N-myc, L-myc, Linfomi, Neuroblastoma, carc.
Polmone
- Proteine del ciclo cellulare; Cicline D, PRAD-1, bcl-1; Adenoma Paratiroideo,
Linfomi, carc. Fegato, Mammella.
Oncosoppressori
Questo gruppo di geni controlla negativamente la proliferazione cellulare, ovvero
costituisce un freno alla proliferazione: esempi tipici sono p53 e Rb. Mutazioni che
inattivano questi geni sottraggono la cellula al controllo proliferativo e conducono a
una crescita incontrollata. Poiche ciò possa avvenire è necessario che ambedue gli
alleli di un gene oncosoppressore vengano inattivati; se viene mutato uno solo dei
due alleli può verificarsi una condizione di aploinsufficienza per quell’enzima.
NEOPLASIE EREDITARIE
Criteri di sospetto:
• Due (o tre) generazioni interessate dalla stessa neoplasia
• Comparsa in età giovanile
• Sedi multiple
Dieta ed alimentazione
– ↓Grassi (ca mammella, ca colecisti)
– ↓Proteine (ca colon)
Chemioprevenzione
E’ legittimo parlare di chemioprevenzione perché la cancerogenesi è un processo a
tappe multiple che avviene a livello distrettuale; ovvero in presenza di un tumore in
un particolare distretto si avrà una maggiore predisposizione a sviluppare altri
tumori nella stessa sede; in questo senso per alcune situazioni è possibile attuare
una chemioprevenzione secondaria (non tanto la primaria, che prevede l’evitamento
del cancerogeno), ovvero che prevenga lo sviluppo di ulteriori tumori nella sede
interessata in prima istanza, oppure blocchi gli stadi di precancerosi. I potenziali
agenti chimici identificati a tale scopo sono:
- Retinoidi e Carotenoidi. Fondamentalmente sono antiossidanti, sperimentalmente
hanno anche effetti antimutageni e immunostimolanti, effetti che sono correlati alla
loro capacità di estinguere gli O-singlet e i radicali liberi in generale. I retinoidi sono
molecole di origine animale che hanno avuto applicazione nei tumori del distretto
cervico-facciale, mentre i carotenoidi sono pigmenti di origine vegetale.
Nello specifico i retinoidi sono dei regolatori della crescita e della differenziazione,
sono sperimentalmente in grado di inibire la fase di promozione della cancerogenesI.
Possiedono recettori nucleari specifici attivi dopo dimerizzazione come fattori
trascrizionali leganti il DNA
I Carotenoidi sono pigmenti accessori nella fotosintesi che proteggono dalla
fotosensibilizzazione, sono fonte di vit. A; sperimentalmente possiedono un’azione
antiossidante, immunostimolante, antimutagena, anti promozione neoplastica
Anticancerogeni dietetici
Tolti gli alimenti nocivi, come la carne e il latte e derivati, la varietà di cibi con un
effetto benefico e di inibizione sulla crescita tumorale è ancora ampia, e comprende
ortaggi, frutta, verdura, cereali, legumi e spezie.
Per quanto riguarda gli ortaggi: Le crucifere (cavoli, verze, broccoli, ravanelli etc.) e
la senape contengono delle sostanze con effetto specifico antitumorale, e sostanze
con effetto antiandrogeno, l’indolo 3 cardinolo e il di-indoilmetano; quest’ultimo in
particolare funziona come la bicalutamide (anche se quest’ultima, essendo di sintesi,
è più efficace) ovvero come inibitore periferico degli androgeni.
Gli antiossidanti sono contenuti in spinaci e biete, in tutti gli ortaggi di color rosso-
arancio (carotenoidi) e nei cetrioli (cucurbitacine).
Tra gli alimenti che favoriscono l’apoptosi ci sono l’aglio (allicina e polifenoli), i
carciofi, la cipolla, lo scalogno e il porro (che contengono flavonoidi).
Gli isoflavoni, contenuti nella borragine e nella soia, sono importanti perché in essi
sono compresi i fitoestrogeni; tali sostanze possono essere sia agonisti che
antagonisti estrogenici; in particolare in condizioni di carenza estrogenica (quale
quella che si realizza nella postmenopausa) i fitoestrogeni fungono da agonisti
estrogenici, favorendo la crescita di eventuali cellule neoplastiche presenti, quindi
l’assunzione singola è sconsigliata. Viceversa, in condizioni di estrogenicità (come
nella premenopausa o nel corso del trattamento estrogenico sostitutivo
postmenopausale) essi funzionano come antagonisti, contrastando l’azione
estrogenica di stimolo degli estrogeni su eventuali cellule neoplastiche mammarie ed
endometriali, perché i fitoestrogeni competono per i recettori, impedendo agli
estrogeni di agire. I fitoestrogeni sono utilizzati anche dagli uomini come steroidi
anabolizzanti per aumentare la massa muscolare, ma spesso questi uomini vanno
anche incontro a ginecomastia.
Per quanto riguarda la frutta: i frutti di bosco e, in generale, tutti i frutti rossi
contengono sostanze che favoriscono l’apoptosi (polifenoli) e bloccano
l’angiogenesi. Questi frutti in particolare hanno un ruolo protettivo nei confronti
dell’apparato urogenitale, soprattutto maschile: oltre che prevenire infezioni
urinarie, essi prevengono anche l’ipertrofia e il tumore alla prostata.
Favoriscono l’apoptosi anche sostanze contenute nelle mele (flavonoidi) e nei pinoli.
La “parte del leone” però la fanno le sostanze antiossidanti, contenute in mela, uva
rossa, melograno, albicocca, cocomero, melone, mango, papaia, avocado, cocco, noci,
nocciole e mandorle.
BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________
- Sbobinature Prof Barone aa 2014/2015
- Sbobinature Prof Barone aa 2015/2016
Nei soggetti con un rischio familiare lo screening comincia molto prima. Per quanto
riguarda sindromi ben identificate (come la Lynch e la FAP) esiste una prescrizione
precisa in termini di età di inizio dello screening; mentre, qualora fosse ben evidente
una familiarità per cancro del colon (le cui caratteristiche però non sono ascrivibili a
una sindrome ben precisa), lo screening va cominciato 10aa prima rispetto al caso
indice più giovane.
BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________
- Sbobinature Prof Barone aa 2014/2015
- Sbobinature Prof Barone aa 2015/2016
EQUILIBRIO OMEOSTATICO
L’equilibrio omeostatico è il bilanciamento dalla proliferazione cellulare e della
quantità di cellule che vengono perse per morte cellulare, per apoptosi (cellula che
muore perché ha finito il suo ciclo vitale ed è necessario che muoia per mantenere
un certo equilibrio omeostatico) e per necrosi (cellula che muore a seguito di un
insulto esterno).
Tutti i sistemi cellulari nell’organismo, con velocità più o meno rapida, vanno
incontro a rinnovamento; questa teoria è valida anche per i sistemi perenni (SNC e
sistema muscolare) e fu formulata da Bizzozero.
cdk4
Rb cdk2
Cyclin E
E2F/DP1
cdk7
Cyclin H
G2 SP P P P
Rb
p53
E2F/DP1
P P
P
P21cip1 family
Rb
P21cip1 family
cdk1
cdk2
Cyclin A
Cyclin A
cdk7
Cyclin H
- Attivazione di oncogeni
- Inattivazione di antioncogeni
Nota: I retrovirus contengono sequenze non coinvolte nella replicazione virale che
derivano da geni fisiologicamente espressi nelle cellule eucariote, ma prive della
sequenza regolatrice, a volte mutati, dotati di capacità trasformanti
Molti di questi pathway sono legati tra loro in stretta relazione e parlano tra di loro
(cross-talking) in modo tale che uno di questi sistemi può essere attivato non
necessariamente da un determinato pathway di EGFR ma anche da un altro pathway
vicino.
Questo fa capire che se un determinato farmaco va ad inibire un solo pathway (ad
esempio Ras), c’è tutto un meccanismo di escape per cui la cellula tumorale
recupera la capacità di crescita; anche se si sottopone a radioterapia, la popolazione
di cellule tumorali che inizialmente è stata tolta quasi sempre ricresce. In più quanto
più è estesa e ampia la popolazione di cellule tumorali, tanto più è probabile che
questo meccanismo si verifichi perché tanto è maggiore la probabilità che ci siano
tante altre mutazioni che consentono di sfuggire al pathway che è stato inibito con
la terapia.
Ci vorranno anni di ricerca prima che si riesca a individuare (sempre se si riesca a
individuare) la cosiddetta mutazione driver, quella che è a monte di tutte le
mutazioni, che determina poi le mutazioni secondarie e la cui inibizione consente di
bloccare il tutto. Quando le mutazioni secondarie si sono verificate alcune di esse
diventano a loro volta “driver”. Per cui il progresso nella terapia dei tumori può
portare alla cronicizzazione del tumore metastatico.
mTOR
La mTOR (acronimo di mammalian target of rapamycin, bersaglio della rapamicina
nei mammiferi) si chiama così perché la rapamicina è un antibiotico che è prodotto
da alcuni funghi ed è stato isolato in particolare nell’isola di Pasqua (Rapa Nui) ed
ha un ruolo sia nella proliferazione cellulare che nella risposta immunologica; infatti
la prima utilizzazione (tuttora utilizzati) dei farmaci che agiscono su mTor è stata
come immunosoppressori nei soggetti trapiantati.
mTOR regola il traffico dei nutrienti (zuccheri, amminoacidi) e in base ad essi attiva
la crescita cellulare. mTOR controlla l’entrata del glucosio, questo viene
catabolizzato e forma ATP che si può utilizzare anche per l’entrata di amminoacidi e
ciò porta alla crescita cellulare.
L’attivazione del trasporto del glucosio e degli amminoacidi fa si che si producono
fattori angiogenetici che stimolano la produzione vascolare che a sua volta la cellula
può proliferare perché ha ossigeno a sufficienza e viene di ulteriormente attivato il
trasporto di glucosio e amminoacidi.
Note: Uno dei motivi per cui l’ape regina è diversa da tutte le altre api è perché
nell’ape regina mTOR funziona di più e quindi l’ape regina può prendere più miele e
crescere di più rispetto alle altre. Uno degli inibitori di mTor è l’epigallocatechina-3-
Sia le cellule tumorali che le cellule stromali (sotto stimolo delle cellule tumorali)
sono in grado di produrre VEGF che, tramite meccanismo autocrini o paracrini
agisce sulle cellule endoteliali.
Il carcinoma in situ può restare tale anche per lungo tempo. In seguito
all’acquisizione di mutazioni ulteriori tuttavia, queste cellule acquisiscono la
capacità di produrre fattori angiogenetici, stimolando perciò la produzione di nuovi
vasi. La nuova rete capillare supporta la crescita delle cellule tumorali, accelerando la
replicazione cellulare e aumentando al contempo il tasso di mutazione all’interno
del tumore. Questo causa un meccanismo di crescita esponenziale e dunque il
passaggio da una forma localizzata una forma infiltrante, localmente o a distanza.
Un altro aspetto importante emerso negli ultimi anni è il ruolo dell’epigenetica. Con
il termine epigenetica si intendono tutte le modificazioni che non sono dipendenti
dal codice genetico ma che sono modulate e variabili, ciò consente a un gene di
essere espresso o meno, e in quantità variabile. Le modificazioni epigenetiche sono
coinvolte in tutta una serie di attività, tra cui il legame dei fattori trascrizionali, la
polimerizzazione della tubulina, la stabilizzazione del HIF-1 (fattore indotto da
ipossia) e l’angiogenesi.
Micro RNA
Piccole molecole di RNA non codificante (22 nucleotidi) che regolano la trascrizione
Almeno 300 micro-RNA nel genoma umano. Ciascun micro-RNA è in grado di
reprimere dopo la trascrizione centinaia di geni bersaglio tramite 2 meccanismi:
- Ibridazione di sequenze codificanti di mRNA: “RNA interference”
- Legame con siti non perfettamente complementari nelle regioni 3’ non
tradotte degli RNA bersaglio: inibizione della traduzione
Il cancro è una malattia genetica a livello cellulare, anche quando non c’è una
trasmissione genetica. Le mutazioni genetiche sono prevalentemente di tipo
somatico, più rare quelle germinali (che vengono trasmesse alla progenie
dell’individuo portatore del tumore).
Le mutazioni rilevanti per la cancerogenesi sono quelle che riguardano i meccanismi
che regolano il numero globale di cellule (Proliferazione cellulare, Morte cellulare
programmata, Differenziamento cellulare)
Uno dei motivi per cui non si riesce a eradicare il tumore è che non riusciamo a
interferire con le cellule staminali tumorali, le quali si trovano in una nicchia, in
numero molto limitato. Questa nicchia dipende da vari fattori (EGF, VEGF, HIF…),
più o meno favorevoli per lo sviluppo tumorale.
La nicchia è un comparto anatomico che fornisce segnali alle cellule staminali,
controlla il tasso di proliferazione, il destino delle staminali figlie e garantisce
protezione delle cellule staminali dalla morte.
Il mantenimento e la sopravvivenza delle cellule staminali è regolato da fattori
prodotti del microambiente che le circondano, spesso definito come la 'nicchia delle
cellule staminali'.
Progressione neoplastica
Nella progressione neoplastica intervengono fattori inizianti (che danneggiano in
maniera irreversibile il genoma della cellula
figlia) e promuoventi (che gradualmente
conferiscono alla cellula maggiore instabilità,
comportandone la degenerazione tumorale)
che hanno un ruolo differente, ed è
importante la successione cronologica in cui
intervengono.
Gli agenti promuoventi posso essere anche
sostante endogene, ad esempio la presenza di
elevati livelli di estrogeni, dovuti all’obesità,
alla terapia ormonale sostitutiva, o a gravidanze tardive possono essere rilevanti
nello sviluppo del K della mammella.
BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________
- Sbobinature Prof Barone aa 2014/2015
- Sbobinature Prof Barone aa 2015/2016
I farmaci che agiscono sul tumore, come quelli che agiscono sull’angiogenesi, ma in
particolare i primi, possono avere dei meccanismi che possono essere ricondotti a 3
tipi:
1. Farmaci citotossici
2. Modulatori di pathway ormonali
3. Farmaci a bersaglio molecolare
FARMACI CITOTOSSICI
1. Agenti alchilanti
2. Derivati del platino, che dal punto di vista del meccanismo d’azione sono
abbastanza analoghi agli agenti alchilanti. Anche questi producono degli addotti
del DNA come gli agenti alchilanti.
3. Antimetaboliti
4. Inibitori delle topoisomerasi
5. Agenti attivi sulle tubuline
6. Altri
A seconda delle categorie, la fase del ciclo cellulare che è interessata è diversa.
Vi sono farmaci che agiscono su tutte le fasi del ciclo
cellulare e a volte anche sulle cellule in G0. E questi sono
i farmaci alchilanti, che agiscono qualunque sia la finalità
per cui avviene la trascrizione del messaggio genetico, sia
che avvenga per la sintesi proteica, sia che avvenga per la
replicazione. Poi ci sono farmaci che hanno fasi
specifiche più ristrette: inibitori della mitosi,
antimetaboliti (fase S) e altri ancora che coprono lo
spettro più ampio del ciclo cellulare.
Agenti alchilanti
Funzionano con un meccanismo di tipo chimico, provocando un addotto mediante
alchilazione della posizione N7 della guanina. Ci sono altri siti un po’ meno comuni.
Il sito elettivo è la posizione N7 della guanina (altri siti: O6 e N1 della guanina, N7,
N8, N1 dell’adenina, ecc)
Farmaci:
– Alcansulfonati
• Busulfano
– Mostarde azotate
• Melphalan, Clorambucile, Ciclofosfamide, Ifosfamide,
Estramustina
– Etilenimine/metilmelamine
• Altretamine, Thio-TEPA
– Nitrosoureee
• Carmustina (BCNU), Lomustina (CCNU), Streprozotocina,
Estramustina
– Triazeni
• Dacarbazina, Temozolamide
Questo spiega perché gli agenti alchilanti possono agire su qualunque fase del ciclo
cellulare. Alcuni di questi farmaci si usano comunemente, altri non si usano più,
come il tio-TEPA e anche le nitroso-uree. Mentre, farmaci che hanno un uso
importante sono le mostarde azotate, in particolare il melphalan, il clorambucile si
usano prevalentemente nel trattamento dei tumori ematologici.
La ciclofosfamide si usa nel trattamento dei tumori ematologici, ma anche nei tumori
solidi. L’estramustina è un farmaco un po’ particolare. È una commistione di una
mostarda azotata e di un residuo che somiglia all’estradiolo e quindi agisce con il
meccanismo di una mostarda azotata, però era utilizzata per riconoscere dei
recettori per agenti ormonali tramite la parte estradiolica e poi svolge l’azione
citotossica tramite la nitroso-urea. È un farmaco che ora non si usa più. Anche le
nitroso-uree sono farmaci che, con l’eccezione della streptozotocina, che ha una
indicazione molto selettiva nei carcinomi neuroendocrini scarsamente differenziati
del pancreas, tutti gli altri non si usano quasi più
Antimetaboliti
• Antifolati
• Metotrexate (=ametopterina): N10 metil-derivato dell’acido folico: Inibisce
la di-idro-folato reduttasi
• Pemetrexed (Analogo pirrol-pirimidinico del MTX): Inibisce 3 enzimi folato-
dipendenti (di-idro-folato reduttasi, timidilato sintetasi, glicinamide
ribonucleotide formil-trasferasi)
• Analoghi pirimidinici
• 5-fluorouracile: Inibisce la timidilato sintetasi, la RNA sintetasi (via 5-FUFT)
e la sintesi di DNA (via 5-FdUTP)
• Capecitabina e UFT
• Citarabina
• Gemcitabina (analogo della de-ossi-citidina)
• Analoghi delle purine
• Tiopurine (6-mercaptopurina e 6-tioguanina)
• Fludarabina (analogo dell’adenosina)
• Cladribina
Un altro gruppo molto interessante dal punto di vista dello sviluppo biochimico è
quello degli antimetaboliti. Il riconoscimento è stato tardivo. Con la scoperta del
methotrexate fu intuito un meccanismo di possibile interferenza con la
proliferazione cellulare.
Gli antimetaboliti sono sostanze che competono con i metaboliti naturali e, quindi,
si sostituiscono ad essi e bloccano il processo innescato da essi. I più importanti
sono gli antifolati e gli analoghi pirimidinici.
Abbiamo degli antifolati, farmaci che interferiscono con il metabolismo dell’acido
folico o il methotexate, il cui nome è ametopterina. la cui desinenza fa pensare che
Analoghi pirimidinici
Sono farmaci che interferiscono con il metabolismo delle pirimidine, quindi con i
nucleotidi che entrano nella sintesi del RNA:
• 5-fluorouracile: antagonista dell’uracile
• capecitabina
• Citarabina: inibitore della citidina
• Gemcitabina, fludarabina
Analoghi purinici
• 6-mercaptopurina
• azatioprina
• cladribina
La fludarabina non si usa più. La cladribina non si usa quasi per niente.
Miscellanea
• Antibiotici
– Bleomicina, Mitomicina-C, Actinomicina-D
L’aromatasi è un enzima che trasforma dei precursori degli estrogeni, cioè gli
androgeni. Gli estrogeni derivano dall’aromatizzazione degli androgeni, sia l’estrone
che l’estradiolo. Questo enzima è poco espresso nell’ovaio normalmente, perché il
meccanismo di sintesi nell’ovaio è un meccanismo diretto, non avviene attraverso gli
androgeni. Invece, è molto espresso nel surrene ed è espresso in maniera molto
importante nel tessuto adiposo. Questo è uno dei motivi per cui l’obesità è un
fattore di rischio per la recidiva di cancro della mammella e per l’incidenza di cancro
della mammella.
Antiandrogeni
- Antiandrogeni puri o non steroidei: agiscono con un meccanismo d’inibizione della
sintesi degli androgeni. Hanno un legame competitivo con i recettori intracellulari
degli androgeni, determinano un feedback positivo per LHRH, quindi non inibiscono
la secrezione di LH. L’organismo esposto a questi farmaci ha la sensazione di non
avere una quantità sufficiente di androgeni, quindi stimolano l’asse LHRH. C’è un
aumento del testosterone che viene convertito in estrogeni grazie all’aromatasi.
L’inibizione è al di sotto del diidrotestosterone. È inibito l’effetto terminale degli
androgeni.
- Antiandrogeni steroidei: hanno un’attività antiandrogena, attività progestinica,
attività antigonadotropinica (inibiscono l’LHRH), la secrezione di LH e la
produzione di testosterone, perchè non viene stimolato dall’LHRH.
Composti pirido-pirimidinici
• Imatinib (Gleevec)
• Inibizione Bcr-Abl TK (LMC)
• Inibizione Abl-TK
• Inibizione c-kit-TK (GIST)
• Inibizione PDGF-R (NSCLC, glioblastoma, ca. mammella e prostata)
C’è un altro gruppo di inibitori tirosin-chinasici diverso dal punto di vista chimico
che vedremo successivamente perchè si tratta di farmaci che hanno un effetto
prevalentemente anti-angiogenetico.
In sintesi questi di interesse dell’ EGFR sono farmaci antitumorali cioè diretti contro la
cellula tumorale mentre gli altri anti VEGF sono più anti-angiogenetici.
FARMACI ANTI-ANGIOGENETICI
Comprendono anticorpi monoclonali, inibitori tirosin-chinasici e un farmaco
particolare che è una specie di anticorpo chiamato VEGF-trap, cioè trappola per il
VEGF.
L’inibizione dell’ angiogenesi è importante perché dovrebbe ridurre il supporto di
sostanze nutritive e ossigeno per il tumore. L’uso di questi farmaci può determinare
Il miritedonil è uno dei farmaci più recenti e si è dimostrato molto attivo nei tumori
del polmone, anche in quelle forme resistenti
all’inibizione di EGFR. Circa il 5% dei Agent Targets
tumori del polmone o circa il 10-15% degli
adenocarcinomi hanno mutazioni dell’EGFR Cetuximab Chimeric IgG1 anti-EGFR
che rende questi tumori particolarmente Panitumumab Fully human IgG2 anti-EGFR
sensibili al trattamento con queste piccole
Nimotuzumab IgG1 anti-EGFR
molecole che inibiscono l’EGFR, ma uno dei
meccanismi di resistenza a queste è Trastuzumab Humanized IgG1 anti-HER2
l’attivazione di pathway angiogenetici. È in Pertuzumab Humanized IgG1 anti-HER2
questi casi in cui il miritedonil è efficace,
Bevacizumab Humanized IgG1 anti-VEGF
essendo un inibitore tirosin-chinasico
multichinasico che interferisce con Ramucirumab Fully human IgG1 anti-
l’angiogenesi. VEGFR2
Un altro gruppo è composto dagli inibitori del PDGF-R. Questo è un pathway che
può essere attivo in diversi tumori ma in particolare in un tumore molto raro, che
era conosciuto solo da qualche dermatologo fino a quando non si è scoperto l’effetto
su di esso dell’imatinib. Si tratta del dermatofibrosarcoma protuberans.
Crizotinib
Ha una struttura aminopiridinica ed è un inibitore competitivo di protein-chinasi. È
un farmaco che agisce contro il riarrangiamento cromosomico EML4-ALK. Il gene di
fusione codifica per una proteina che ha un’attività chinasica costitutiva. Il crizotinib
inibisce l’attività di questa proteina chimerica la quale stimola il pathway di c-met,
che è il ligando che lega il recettore dell’hepatocyte growth factor (HGFR). Quindi il
crizotinib porta a una inibizione del pathway di RAS e di MEK.
Il 4% dei NSCLC hanno un riarrangiamento cromosomico che genera un gene di
fusione fra EML4 (“echinodermal microtubule-associated protein-like 4”) e ALK
(“anaplastic lymphoma kinase”)
Questo gruppo contiene farmaci che agiscono a valle del recettore. I più importanti
sono gli inibitori di PI3K-AKT, di mTOR e RAS-RAF-MEK-ERK. L’ everolimus
impedisce tutte le attività legate a mTOR, cioè l’angiogenesi, il trasporto di proteine
e inibisce il ciclo cellulare.
Il ruolo di MEK, è invece strettamente legato a B-RAF e RAS tanto è che
l’utilizzazione in terapia degli inibitori di MEK viene sfruttata per incrementare
l’attività dei farmaci che agiscono inibendo B-RAF. Quest’ultimo è un pathway a
valle del recettore, così come lo è MEK, ed è diventato importante da quando si è
scoperto che circa il 50% dei melanomi metastatici dipendono da pathway di B-RAF,
nel senso che se c’è una mutazione di B-RAF, solitamente la mutazione è v600 B-
RAF, i melanomi sono altamente sensibili alla terapia con inibitori di B-RAF che
sono dabrafenib e vemurafenib, inibitori chinasici. Però si è visto che la loro attività è
implementata se viene associato l’inibitore di MEK1/2 che si chiama trametinib.
Quindi nei pazienti con melanoma che presentano la mutazione di B-RAF questa
associazione è il trattamento di scelta.
I farmaci che sono attivi su bersagli epigenetici comprendono quelli che agiscono
contro la metilazione del DNA e farmaci che agiscono contro l’acetilazione degli
istoni quindi anti-metiltransferasici e anti-istone deacetilasi. L’unico farmaco tra
questi che ha avuto un certo uso clinico è il vorinostat, ma anche l’azacitidina che si
usa in neoplasie ematologiche.
Meccanismo d’azione
- Stabilizzazione delle proteine coinvolte nella regolazione del ciclo cellulare
- Induzione dell’apoptosi
- Riduzione dei livelli di Bcl-2
- Azione anti-angiogenetica
- Down regulation del pathway di p44/p42 MAPK
- Deplezione delle riserve di ubiquitina nucleare
- Inibizione del pathway di NF-kB
Quello che è emerso negli ultimi tempi è che si comincia a conoscere quali sono i motivi per cui la
risposta immunitaria per i tumori è così deficitaria. Il tumore da un lato e le cellule di supporto
del tumore dall’altro, producono delle sostanza che inibiscono l’attivazione dei linfociti T
citotossici oppure inibiscono la presentazione dell’antigene costituendo una sorta di
barriera intorno alle cellule tumorali che non è superabile dal sistema immunitario
normale. Questa barriera è sostenuta dall’inibizione di alcuni check-point immunologici, dalla
presenza di citochine soppressorie e dalla iperegolazione o alterata regolazione delle cellule
immunitarie.
Circa vent’anni fa, si è cominciato a capire che c’erano dei blocchi alla risposta immunitaria e in
particolare quelli che in questo momento sono più importanti dal punto di vista terapeutico sono
il CTLA-4, il PD1 (che è un recettore), il PD-L1 (che è il ligando del PD1).
Esistono anticorpi monoclonali anti PD1, che sono pembrolizumab e nivolumab. Entrambi questi
anticorpi sono attualmente in commercio per il trattamento del melanoma e si è visto che la
combinazione di nivolumab e di ipilimumab dà delle risposte e delle sopravvivenze straordinarie
(60-70%) a 10 anni cosa impensabile fino a qualche anno fa. Il problema è che sia il
pembrolizumab, sia il nivolumab, sia l’ipilimumab, costano tantissimo, un ciclo di terapia in
combinazione con l’ipilimumab (sono circa 4-6 somministrazioni) costa circa 70000, il
nivolumab costa circa 5 volte di più. Non è sostenibile dal sistema sanitario; quindi bisogna
cercare di identificare quali sono i soggetti con il melanoma o con altre neoplasie che sicuramente
risponderanno a questi trattamenti, il problema è che ancora non riusciamo a selezionare bene la
popolazione che è sensibile ad esso, perché la modalità di identificazione del recettore del PD1 o
anche del ligando non è ancora validata ed è ancora piuttosto fumosa.
Esiste anche un altro anticorpo monoclonale che è sia anti PD-L1 sia anti PD-L2 che
si chiama avelumab e che è ancora in fase di sviluppo in particolare per il tumore del
polmone. Invece è stato approvato in Europa, non ancora in Italia, per il trattamento
del carcinoma a cellule di Merkel, una forma di tumore neuroendocrino scarsamente
differenziato molto raro e aggressivo.
Inoltre sono in corso di sviluppo per il tumore del polmone anche il pembrolizumab e
il nivolumab. Il fatto interessante è che gli studi preliminari per il tumore del
polmone hanno fatto vedere che entrambi questi due sono più attivi per il carcinoma
a cellule squamose perchè questo tumore ha un numero di mutazioni che è superiore a
quelle dell’adenocarcinoma e poichè l’attività di questi anticorpi dipende dal numero
Estrapolando soltanto i pazienti che erano a uno stadio IIIb e che quindi avevano fatto
radio-chemioterapia e questo trattamento con anticorpi successivamente, e che non
erano pochi pazienti ma circa 1500, il vantaggio di questo farmaco era inportante.
VACCINI
Le strategie vacciniche che si usano nei tumori sono le seguenti :
- Inserimento nelle linee cellulari tumorali degli Ag necessari per produrre una forte
risposta immunitaria;
- Vaccinazione con cellule dendritiche che espongono peptidi derivati da Ag
tumorali;
- Iniezione di plasmidi di DNA che codificano per un peptide di derivazione
tumorale e/o per citochine;
- Reinfusione di cellule tumorali modificate con apteni o con introduzione di geni che
codificano per citochine.
Esse di fatto non hanno portato a grandi risultati tanto che attualmente, salvo
l’ultima strategia, sono sostanzialmente state abbandonate.
- Terapia genica: Vettori adenovirali che trasportano il gene per p53 come Ribozimi:
catene di acidi nucleici in grado di legarsi ad un sito specifico del DNA e di
distruggerlo.
RESISTENZA AI FARMACI
In tutto l’ambito oncologico ci sono oltre 150 farmaci potenzialmente attivi.
Ma il tumore non si riesce mai a eradicare perché ogni dose di farmaco antitumorale
non uccide un numero costante di cellule, quindi non arriva a ucciderle tutte, ma
alla fine uccide solo una frazione di cellule. Quindi, anche nella migliore ipotesi in
cui il farmaco continua a funzionare, residua una quota minima di cellule che
sopravvive alla terapia. Per non parlare del fatto che ci possono essere dei cloni non
sensibili a quel farmaco. Quindi, dopo ogni dose di farmaco, c’è comunque una certa
ricrescita. Però, ad un certo punto, la curva complessiva tende a scendere, fino a
quando il clone sensibile non si esaurisce e il tumore ricresce fino a raggiungere le
dimensioni precedenti o a superarle.
La resistenza può essere determinata con diversi meccanismi:
• Santuari farmacologici
• Resistenza cinetica
• Resistenza a farmaci singoli: alterazione dei bersagli molecolari
• Resistenza a farmaci che hanno un meccanismo molecolare comune: aumentata
capacità di riparazione del danno
• Resstenza a farmaci che hanno meccanismi diversi: ridotta biodisponibilità
SANTUARI FARMACOLOGICI
I santuari farmacologici sono le sedi anatomiche in cui, per motivi anatomici o
iatrogeni (in genere di tipo chirurgico), il farmaco non raggiunge il bersaglio in
adeguata concentrazione. L’esempio tipico è la BEE, che può essere superata soltanto
da farmaci dotati di liposolubilità. Non viene superata dai farmaci idrosolubili.
RESISTENZA CINETICA
Si riferisce al meccanismo di azione dei farmaci. Ci sono dei farmaci che sono fase-
specifici, che agiscono su una fase del ciclo cellulare. Ci sono farmaci ciclo specifici
che agiscono su tutte le fasi del ciclo cellulare. E farmaci non ciclo specifici.
Farmaci Fase-specifici
Esprimono una curva dose-risposta che è lineare finchè nella neoplasia ci sono
cellule nella fase sensibile del ciclo cellulare e successivamente diventa piatta.
In caso di loro utilizzo il tumore non risponde più quando sono esaurite tutte le
cellule che si trovano in quella fase del ciclo cellulare.
Si possono usare terapie ad alte dosi con infusioni di cellule staminali periferiche
(questo è un procedimento utilizzato nelle leucemie e nei linfomi e nei tumori solidi
solo in casi molto selezionati, cioè nei tumori solidi altamente responsivi, il sarcoma
di Ewing, il tumore del testicolo, quando sono resistenti alla terapia standard), si
possono aumentare le dosi, aiutandosi con fattori di crescita leucocitari.
BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________
- Sbobinature Prof Barone aa 2014/2015
- Sbobinature Prof Barone aa 2015/2016
A volte i termini adiuvante e neoadiuvante sono usati in maniera scorretta anche dai
medici o dai chirurghi. Perché per il chirurgo la terapia adiuvante ha la radice di
adiuvare, quindi aiutare e la intende come una terapia che aiuta il paziente. Invece è
adiuvante nel senso che aiuta il chirurgo perché si fa dopo l’intervento chirurgico
quando esso ha tolto tutto il tumore, non serve a ridurre le dimensioni del tumore ed è
adiuvante nel senso che aiuta ad aumentare le percentuali di guarigione ottenibili con
l’intervento chirurgico. Quindi quando noi parliamo di terapia adiuvante parliamo di
una terapia che si fa dopo la chirurgia solo se è stata radicale altrimenti la terapia è
palliativa.
Presupposti biologici
La terapia adiuvante si basa sul fatto che dopo l’intervento chirurgico le
micrometastasi residue costituendo un volume tumorale relativamente ridotto
hanno una spinta proliferativa relativamente maggiore (si pensi alla curva sigmoidale che
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 66 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 1: CONCETTI GENERALI
rappresenta la crescita delle cellule tumorali) grazie alla quale è evidente che nella massa
tumorale c’è una frazione di crescita esponenziale correlata alle dimensioni del
tumore: se il tumore è piccolo cresce esponenzialmente, se ha dimensioni maggiori
no.
Quindi quando cresce esponenzialmente significa che la frazione di crescita è
maggiore e poichè i farmaci che noi usiamo in oncologia agiscono prevalentemente
su cellule che sono in ciclo, cioè che si stanno replicando, tanto maggiore è la
frazione di crescita tanto maggiore è la frazione di cellule che sono uccise.
Detto in termini moderni si potrebbe dire che sfrutta la fine dell’ibernazione delle cellule
dormienti perché molte cellule staminali tumorali sono dormienti, si risvegliano e ricominciano a
crescere quando si riduce la massa tumorale con l’intervento chirurgico. Di conseguenza agendo
in un tumore in cui la frazione di crescita è aumentata è possibile che l’efficacia sia aumentata.
Gli obiettivi della terapia adiuvante sono l’aumento della sopravvivenza globale e
dell’intervallo libero da malattia, mentre i rischi sono tossicità a lungo termine e
tossicità per tutti i pazienti. Infatti quando si esegue una terapia post-operatoria
essa è basata sul presupposto statistico che in quella determinata situazione
recidiveranno circa il 30-40% dei pazienti operati. Con la terapia adiuvante si riesce
a rendere radicale l’intervento anche microscopicamente o detto in altri termini vado
ad aggiungere alla sopravvivenza ottenuta con l’intervento chirurgico il 10%. In
sintesi per 100 pazienti trattati il vantaggio si verifica in 10 pazienti. Allo stato
attuale è una terapia alla cieca.
L’esempio tipico è il tumore della mammella con linfonodi positivi o quello triplo negativo, perché
in questi casi faccio la chemioterapia adiuvante, che funziona, nel senso che aumenta la
sopravvivenza intorno al 10-12%, ma ne devo trattare 100 per avere un tale vantaggio, quindi
contemporaneamente ho un’ottantina di pazienti che hanno solo effetti collaterali, il problema è
che non so quali saranno dei pazienti che tratto.
BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________
- Sbobinature Prof Barone aa 2014/2015
- Sbobinature Prof Barone aa 2015/2016
La radioterapia è definita:
- Concomitante: quando è somministrata contemporaneamente alla chemioterapia
- Sequenziale o alternata: quando le terapie si eseguono in successione
Inoltre la radioterapia può essere:
- Eradicante: quando mira ad eliminare completamente il tumore
- Adiuvante: quando mira a prevenire la recidiva della malattia dopo aver e effettuato
l'intervento principale
- Neoadiuvante: quando serve a ridurre la massa tumorale altrimenti non operabile
- Palliativa: quando serve ad alleviare i sintomi del pz
MECCANISMO D'AZIONE
L'irradiazione di un sistema biologico deposita una quantità di energia nei tessuti,
essa è misurata in Gy. 1 Gy rappresenta l'energia di 1J rilasciata su una massa di
1Kg. L'irradiazione di un tessuto determina una successione di eventi che si
realizzano in tempi molto diversi tra loro. Riconosciamo:
- Fase fisica, nella quale avviene l'interazione tra la radiazione ed i singoli atomi del
tessuto in questione, essa dura tra i 10^-18 e i 10^-6 secondi. L'interazione
avviene principalmente a livello degli orbitali elettronici dove, gli elettroni, vengono
spesso eccitati, provocando la ionizzazione dell'atomo di appartenenza. La
ionizzazione di un atomo innesca una cascata di eventi che può coinvolgere anche gli
atomi circostanti. Si stima che 1 Gy possa indurre più di 10^5 ionizzazioni in una
singola cellula.
- Fase chimica, nella quale gli atomi e le molecole danneggiate interagiscono con le
altre strutture cellulari innescando la produzione di radicali liberi, specialmente
dalle molecole di acqua che sono molto rappresentate nei tessuti biologici. Nel
primo millisecondo dopo la radiazione, nell'organismo colpito, si instaura una
condizione di equilibrio tra le reazioni che consolidano il danno biologico e le
reazioni che tendono alla sua riparazione (scavenging, come glutatione, cisteina,
antiossidanti).
- Fase biologica, qualora il danno causato dalle radiazioni fosse irreparabile si
manifesteranno importanti conseguenze biologiche. I danni più importanti da
questo punto di vista sono quelli inflitti alle molecole di DNA, infatti un loro
danneggiamento irreparabile porta a morte cellulare nel giro di poco tempo. Se la
cellula danneggiata è una cellula progenitrice, il danno si manifesterà a distanza di
diverse settimane dall'irradiazione. Altri danni tardivi sono quelli che comportano la
distrofia dei tessuti irradiati o ancora la comparsa di un tumore secondario. Il
periodo d'insorgenza degli effetti biologici quindi può estendersi da un periodo
immediatamente successivo all'irradiazione no a diversi decenni.
Il danno al DNA può essere prodotto in maniera diretta (la radiazione colpisce
direttamente la molecola ionizzandola) o indiretta (grazie all'azione dei radicali
liberi). I danni più frequenti sono:
- modifica di una singola base
- SSB, single strand break, rottura di un singolo filamento
- DSB, double strand break,rottura del doppio filamento
- cross-link tra DNA e proteine
La dose di 1 Gy è capace di indurre in una cellula circa 2000 danni di una singola
base, 1000 SSB, 40 DSB e 200 cross-link. La quota di cellule che vanno in contro a
morte è correlata principalmente al numero di DSB che comportano processi mitotici
aberranti e l'attivazione dell'apoptosi. Un'altra quota di morte cellulare sembra
indotta dalla necrosi dovuta al massivo danno cellulare provocato dalle radiazioni, si
pensa inoltre che la maggior parte della morte cellulare dei tessuti irradiati sia
dovuta a questo meccanismo.
L'azione terapeutica della radioterapia risiede nella diversa capacità di sopravvivenza
alle radiazione che i tessuti sani hanno rispetto alle cellule tumorali e nella capacità
Una crescente attenzione è stata posta dalla ricerca a tutte quelle condizioni che
permettono di allontanare tra di loro le due curve, come la sensibilizzazione
chemioterapiche delle cellule ipossiche (in genere meno responsive alla RT),
modalità di somministrazione della dose (frazionamento).
I principali fattori biologici che influenzano la risposta del tessuto sano alla
radioterapia vengono classicamente riassunti nelle 5R:
- Riparazione del danno a livello cellulare che segue le prime ore dopo l'irradiazione.
È caratteristica per i singoli tessuti sani e malati. Una dose di radiazioni può
determinare una certa percentuale di morte cellulare che diminuisce se la stessa
dose viene refratta. Se le cellule sane subiscono un danno sub-letale sono in grado di
ripararlo a differenza delle cellule tumorali. Inoltre le radiazioni agiscono più sulle
cellule in viva replicazione e meno su quelle in uno stato di quiete. Sfruttando
queste caratteristiche e frazionando le dosi di radiazioni si colpiscono
prevalentemente le cellule tumorali e si da il tempo ai tessuti sani di riparare i
danno. Le fasi più sensibili al danno di riparazione sono la G2 e la M mentre la più
resistente è la fase S.
- Redistribuzione delle cellule nelle varie fasi del ciclo cellulare, con una maggiore
durata del ciclo e una maggiore sincronizzazione con reclutamento delle cellule in
fase quiescente a quella attiva. Le cellule quiescenti che sopravvivono alla terapia
frazionata (anche quelle tumorali) possono proliferare attivamente e determinare un
aumento della componente cellulare che doveva essere eliminata.
- Ripopolamento: sembra avvenire a 2 settimane dall'inizio della radioterapia in cute
e mucose e a 3-4 settimane per i tumori della testa e del collo. Il controllo della
malattia è più probabile quanto è minore il frazionamento della dose. Dosi troppo
refratte possono portare ad un mancato controllo della malattia, specialmente per
lesioni di grosse dimensioni che presentano un solido core ipossico. Le lesioni di
piccole dimensioni sono in genere ben ossigenate e quindi molto sensibili alle
radiazioni. Man mano che la terapia va avanti la massa tumorale si riduce e le cellule
del core diventeranno meno ipossiche e più sensibili alla terapia radiante.
- Riossigenazione: varia a seconda del tipo neoplastico, come già detto la riduzione
della massa tumorale causa una decompressione dei vasi che la irrorano causando
un maggior afflusso di sangue e nutrienti. La morte delle cellule danneggiate inoltre
DOSE E FRAZIONAMENTO
Un fattore determinante per la risposta dei tessuti al tumore è la dose radioterapica.
La sua efficacia biologica dipende dalla complessa interazione tumore-pz. Diverse
teorie hanno cercato di individuare i paramentri per razionalizzare questo rapporto.
Attualmente il modello più in voga è quello lineare quadratico che prevede
molteplici meccanismi di danno cellulare e nello specifico:
- Il danno letale da origine ad una curva lineare (comporta la necrosi immediata delle
cellule interessate, più importante per basse dosi per frazione)
- Il danno subletale da origine ad una curva esponenziale, quindi quadratica
(comporta la morte per apoptosi in un periodo più lungo più evidente per alte dosi
per frazione).
Il punto d'incontro delle due curve permette di definire la dose per frazione per la
quale i due effetti hanno lo stesso impatto. Questo valore di dose è definito rapporto
alfa/beta ed indica la capacità delle cellule del tessuto in indagine di riparare il
danno. Un valore alto, tra i 7 e i 20 Gy indica un tessuto che esprime il danno in un
periodo di giorni o settimane (cute, mucose e tessuti ad alto indice di
proliferazione), un valore basso, < di 6 Gy indica un danno che può essere espresso
anni o mesi dopo l'irradiazione (SNC rene, polmone).
La D0 rappresenta la singola dose in grado di uccidere il 63% delle cellule irradiate,
in genere per cellule ossigenate umane è compresa tra 1-2 Gy.
La D10 è la dose necessaria a ridurre di un decimo o di un punto esponenziale in
scala logaritmica il numero di cellule clonogene irradiate. In genere è di circa 7 Gy.
Per definire correttamente la dose totale necessaria con un determinato
frazionamento, per controllare la singola neoplasia, assume notevole importanza la
quantità di tumore che si deve irradiare. Essendo la massa di una cellula tumorale di
circa 10^-9g, in 1g di tumore sono presenti circa 10^9 cellule tumorali, in 1Kg
circa 10^12. Quindi per controllare un tumore di un grammo con un tra amento
Negli ultimi anni si è posta sempre più attenzione alla modalità del frazionamento
della dose irradiata. Si intende come frazionamento tradizionale la somministrazione
di 1,8-2 Gy per 5 giorni alla settimana. I due giorni di pausa settimanale favoriscono
la riparazione del danno prodotto nei tessuti sani e quindi aumentano la tollerabilità
del trattamento, mentre le cellule tumorali hanno una velocità di riparazione molto
più lenta che non riesce ad essere portata a termine nei 2 giorni di pausa.
TARGETING RADIOTERAPICO
La riuscita della radioterapia presuppone la capacità di riuscire ad indirizzare la
radiazione selettivamente sulla neoplasia. Il processo di targeting nella RT negli
ultimi anni ha fatto passi da gigante potendo avvalersi di nuove tecniche che
consentono di indirizzare la dose sul bersaglio con estrema precisione.
Uno dei maggiori problemi del targeting in radioterapia è quello che concerne il
riposizionamento del pz, dato che la RT si svolge in più sedute. Infatti è importante
MODALITA' DI ESECUZIONE
La RT viene somministrata mediante due modalità che si distinguono per la
posizione della sorgente rispetto al pz:
- la teleterapia prevede che la sorgente sia posta all'esterno del pz (acceleratore
lineare)
- la brachiterapia prevede che la sorgente sia interna al pz. Essa prevede che le
sorgenti siano a diretto contatto con il tumore. Esse sono aghi, spirali, sfere, di
piccole dimensioni tali da poter essere introdotte attraverso le cavità naturali, a
ridosso della neoplasia o nella neoplasia stessa. La dose rilasciata dalla brachiterapia
decresce molto rapidamente allontanandosi dalla regione sorgente risparmiando
moltissimo i tessuti limitrofi. Questo tipo di terapia non è indicato nelle lesioni
molto voluminose e nelle neoplasie che presentano metastasi a distanza, mentre è
l'approccio di scelta nelle neoplasie iniziali del cavo orale, cute, esofago, cervice
uterina. Il trattamento viene eseguito utilizzando sorgenti a diversa carica
radioattiva e può durare giorni in quelli a bassa dose o pochi minuti in quelli ad alta
dose. Un'ultima possibilità di brachiterapia è quella metabolica. L'applicazione più
comune è la terapia radiometabolica con I131 del cancro della tiroide.
BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________
- PRINCIPI DI RADIOLOGIA RADIOTERAPIA E MEDICINA NUCLEARE a cura di
Andrea Perna
BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________
- Sbobinature Prof Giuliante aa 2014/2015
_________________________________________
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E
TERAPIA
_________________________________________
Contiene:
• Neoplasie del distretto cervico-facciale
• Cancro del polmone
• Cancro della mammella
• Tumori dell’apparato gastrointestinale ed epatobiliare
• Melanoma
• Sarcomi dell’osso e dei tessuti molli
• Tumori dell’apparato urinario
• Tumori della prostata
• Tumori del testicolo
• Cancro della tiroide
• Sindromi paraneoplastiche
• Marcatori tumorali
CAPITOLO 9
___________________________________________________
NEOPLASIE DEL DISTRETTO TESTA-COLLO
I tumori della testa e del collo non sono molto frequenti, ma quei pochi pazienti che
li hanno sono sfortunati, visto che si tratta di patologie molto aggressive, con un
grosso impatto sociale, economico e lavorativo.
Rispetto alle neoplasie maligne di altre sedi, esse costituiscono quasi delle malattie
rare. In realtà tanto rare non sono, specialmente per quelle del cavo orale, in cui
negli ultimi vent’anni sta aumentando l’incidenza di neoplasie, soprattutto nelle
fasce estreme di età: cioè tra i più giovani (under 30 e non solo under 40) e tra gli
over 80.
Embriologicamente, anatomicamente, clinicamente e ontologicamente, il cavo orale
è delimitato da strutture ben precise che assumono un diverso significato nella
diagnosi perché sono, rispetto ad altre sedi anche vicine, come l’orofaringe e poi
l’ipofaringe, differenti. Sono differenti embriologicamente, quindi anatomicamente,
quindi clinicamente, funzionalmente e anche oncologicamente.
C’è un certo dissenso con i colleghi oncologi o radioterapisti,durante i rapporti
interdisciplinari che si usano per curare questi tumori. Il medico ORL parla di sedi
anatomiche ben precise, mentre in genere si parla di head e neck (di testa e collo nel
complesso), che sono due cose completamente diverse.
Sono tumori del tutto eterogenei, raggrupparli in testa e collo è una forzatura per
potere inglobare un gruppo di pazienti più ampio, ma sono dalle malattie con
potenziale evolutivo diverso, tali da alterare tutte le statistiche cliniche che vengono
effettuate relativamente al controllo della malattia o alla sopravvivenza dei pazienti.
Questi tumori rispondono in maniera molto differente alla chemioterapia e alla
radioterapia, rispetto invece alla chirurgia che cura i pazienti, per quanto essa stessa
possa dare dei risultati diversi.
E’ importante sapere che i tumori del distretto testa-collo, pur essendo spesso
considerati nel loro complesso, quando devono essere trattati vanno trattati in base
alla sede specifica (che sia il cavo orale, o l’ipofaringe, o l’orofaringe).
NEOPLASIE DEL CAVO ORALE
Il cavo orale comprende diverse strutture tra le quali ricordiamo: la parte mucosa
delle labbra (non la cute), la gengiva (la mucosa alveolare), la lingua mobile
(anteriore al “V” linguale), il pavimento bocca, il palato duro, il trigono retromolare,
la mucosa del cavo orale. Queste sono le sottosedi che costituiscono la sede
anatomica “cavo orale”.
Le neoplasie maligne del cavo orale sono la malignità più frequente del distretto
testa-collo (300.000casi/anno nel mondo). Le sedi più colpite sono la lingua e il
pavimento della bocca. Nel 90-95% dei casi si tratta di carcinomi squamocellulari;
gli altri si trattano di adenocarcinomi o carcinomi adenoidocistici delle ghiandole
salivari e di altri tumori più rari (melanomi, linfomi, sarcomi). Storicamente è un
carcinoma più frequente nell’uomo ma l’aumento dell’abitudine al fumo femminile
sta portando a una maggior parità. Il fumo infatti, è, insieme all’alcol, il principale
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 82 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
fattore di rischio; i due hanno inoltre effetto sinergico; inoltre è stato ipotizzato il
ruolo eziopatogenico di papillomavirus.
Lesioni precancerose sono la leucoplachia, lesione biancastra più o meno rilevata con
aspetti di iperplasia semplice con ipercheratosi o con associata displasia di grado
variabile fino al CIS, l’eritroplachia e il lichen planus.
- N
- N1: 1 linfonodo metastatico e lesione primitiva <3cm omolaterale
- N2:
- a. 1 linfonodo omolaterale (compresa linea mediana)3-6cm
- b.>1 linfonodo omolaterale
- c. linfonodi bilaterali o controlaterali <6cm
- N3:1 linfonodo >6cm
In base alla stadiazione TNM è possibile ottenere la stadiazione clinica del tumore.
Essa suddivide i pz in diversi stadi:
- Stadio I: T1
- Stadio II: T2
- Stadio III: T1-3, N0-1
- Stadio IV:
- a. T4a, N1-2
- b. ogni T, N3, M0
- c. M1
Diagnosi
La diagnosi è apparentemente facile, eppure il 40 % di questi tumori viene
diagnosticato tardivamente, cioè in uno stadio localmente avanzato (III-IV stadio).
Evidentemente perché l’esame obiettivo non è fatto correttamente, in particolare
dalle possibili figure professionali che più frequentemente hanno a che fare con la
bocca delle persone: l’ otorinolaringoiatra (in particolare quello che si occupa della
parte più prettamente oncologica piuttosto che funzionale), il chirurgo maxillo-
facciale, l’odontoiatra, il dermatologo, e soprattutto il medico di famiglia che è il
primum movens della diagnostica di questi pazienti.
Trattamento
- Stadio I/II: chirurgia/radioterapia esclusiva radicale (svuotamento linfonodi
laterocervicali di I, II e III livello).
- Stadio III/IV: chirurgia accompagnata da RT, CT adiuvanti solo in casi selezionati
(svuotamento linfonodi laterocervicali di I-V livello).
Nei casi in cui la chirurgia non sarà sicuramente radicale è indicato un trattamento
CT+RT neoadiuvante (rivalutando dopo i cicli necessari l’operabilità).
Le sedi più colpite sono la base della lingua e la tonsilla palatina. Anche a questo
livello predomina l’istotipo squamocellulare anche se si osserva una maggior
incidenza di linfomi (a livello tonsillare) rispetto al cavo orale a causa della presenza
dell’anello del Waldeyer. I fattori di rischio sono gli stessi delle forme orali.
Clinica
Soprattutto i tumori della tonsilla palatina e della base linguale sono spesso
asintomatici in fase precoce e vengono per questo diagnosticati tardivamente (il 50%
dei casi palatini e il 60% dei casi basilinguali sono al III o IV stadio). La disfagia
inizia per i liquidi, spesso associata a reflusso oro-nasale e diviene poi anche per i
solidi.
I tumori della base della lingua danno inizialmente una vaga sensazione di corpo
estraneo o una modesta otalgia riflessa (causata dal coinvolgimento del vago e del
glossofaringeo che innervano anche l’orecchio medio), in seguito si manifesta una
disfagia progressiva che si può accompagnare a intensa scialorrea, odinofagia e
stomatolalia se si ha interessamento delle vallecole e della laringe sopraglottica.
I tumori della tonsilla palatina danno sintomi diversi a seconda della diffusione; se
essa è:
- Anteriore e superiore con successiva infiltrazione del palato molle e dell’ugola
avremo iper rinofonia, rinolalia, reflusso oronasale
- Profonda (parafaringe, loggia pterigo-mascellare) causa trisma, nevralgie ed
emorragie talvolta talmente importanti da richiedere una legatura della carotide
esterna
- Esofitica e anteriore provoca disfagia con dispnea talvolta importante
- Solco amigdalo-glosso, base della lingua, trigono retro-molare, parete faringea
posteriore, ipofaringe porta a disfagia importante, odinofagia, rinolalia, dispnea
Diagnosi
Per quanto riguarda la diagnosi, anche nell’orofaringe è importante la panendoscopia
che consenta di valutare anche le fosse nasali, l’orofaringe bassa, l’ipofaringe e la
laringe. La diagnosi è spesso secondaria alla rilevazione di linfoadenopatie cervicali
metastatiche e talvolta il tumore primitivo è occulto anche alla ricerca istologica.
Prognosi e terapia
La sopravvivenza a 5aa è dell’80% nello stadio I-II e del 60% gli stadi III-IV
operabili.
I fattori che condizionano la scelta del trattamento sono:
- Fattori legati al tumore:
- sede (orofaringe o cavo orale)
- stadio (T,N);
- trattamenti precedenti;
- caratteristiche istologiche (tipo, grado e profondità di invasione);
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 86 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
- pattern di crescita (endo- o esofitico);
- caratterizzazione molecolare (EGFR, p16);
- HPV 16-18 (DNA, mRNA).
- Competenza multidisciplinare:
- chirurgica,
- radioterapica;
- chemioterapica;
- servizi di riabilitazione odontoiatrica e fono-logopedica.
Diagnosi
Oltre all’attenta anamnesi ed esame obiettivo occorre eseguire una rinoscopia
posteriore, fibroscopia, videorinofaringoscopia. TC o RM. Per la conferma
diagnostica è fondamentale la biopsia o un agoaspirato ecoguidato. Può essere utile
dosare i marcatori virali di EBV.
Terapia
Si basa sull’utilizzo combinato di radio-chemio. Talvolta può essere utile l’eventuale
svuotamento del distretto linfonodale laterocervicale.
Adenoma pleomorfo
È l’istotipo più comune. Presenta una componente epiteliale che prolifera in uno
stroma fibroso, mucinoso o cartilagineo. Nel 90% colpisce il lobo superficiale. In
genere è capsulato ma nel 28% dei casi sono presenti aree di erniazione della capsula
(recidival). Nel 11% dei casi è multifocale e presenta nel 2-10% dei casi il rischio di
trasformazione maligna.
Tumore di Warthin
E’ un tumore molto comune, spesso è multicentrico (11%), quindi presenta molte
isole nel tessuto ghiandolare dove si localizza. Presenta spazi cistici rivestiti da
epitelio bistratificato con tessuto linfoide. Nel 6-10% dei casi è bilaterale.
Insorge più frequentemente nella porzione inferiore della ghiandola parotide, in
prossimità dell’angolo mandibolare.
Macroscopicamente si presenta come una massa solida, sferoidale, rivestita da una
capsula e di aspetto lobulato.
Si manifesta come tumefazione indolore della ghiandola parotide; è una neoplasia
benigna e non ha tendenza a trasformazione maligna, ma localmente è in grado di
creare una sintomatologia da compressione che può essere anche di rilevante
gravità.
Classificazione WHO
La WHO divide i tumori delle ghiandole salivari in:
- Tumori a basso grado di malignità, che raramente danno metastasi laterocervicali e
a distanza e presentano una progosi a 5 anni 76 %, relativamente buona
- Tumori ad alto grado di malignità che danno metastasi laterocervicali e a distanza
con una prognosi non buona, del 50 %; si accompagnano quasi sempre ad
infiltrazione con paralisi del facciale
Diagnosi
I tumori Benigni appaiono come masse nodulari a superficie regolare, mobili sui
piani superficiali e profondi, solitamente a lento accrescimento, non interessano mai
il pavimento, ma sono localizzate in genere anteriormente e inferiormente al
padiglione auricolare.
I tumori Maligni sono in genere delle masse duro-lignee, irregolari, fisse, associate a
parestesie, anestesie e trisma quindi non si riesce ad aprire bene la bocca per
infiltrazione dei tessuti profondi. Nel 12-15% dei casi possono dare infiltrazione del
n. facciale.
Può esserci la presenza o meno di adenopatie latero-cervicali, ovviamente molto più
frequenti nei maligni.
Tra le indagini strumentali ricordiamo:
- Ecografia: ci da un’immagine primaria e consente di distinguere tra lesione solida
e cistica. Può dare alcune indicazioni sulla benignità/malignità della lesione (aree
di necrosi colliquativa, il grado di vascolarizzazione).
- TC: ci da informazione sui rapporti della lesione, le sue dimensioni, i rapporti con
le strutture dell’asse neurovascolare, erosioni delle strutture ossee ed eventuale
presenza di linfoadenopatie.
- RM con mdc: ci permette di avere un ottima definizione dell’anatomia della loggia
parotidea, dello spazio parafaringeo e della fossa pterigo-mascellare.
- Ago Aspirato: va sempre fatto, ha un’accuratezza dell’80% e una specificità tra
l’80 e il 100% e ci permette di distinguere tra infiammazione e processo
neoplastico.
- Scialografia: è in grado di definire solo indirettamente la sede e le dimensioni
della neoplasia. Si può sospettare una formazione sulla natura maligna solo in
presenza della caratteristica invasione duttale.
- Scialo-TC: informazioni di natura anatomica sull’albero duttale ghiandolare
nonché sulle caratteristiche delle neoformazioni in base a parametri
densitometrici.
Radioterapia e chemioterapia
Poi sicuramente la radioterapia va fatta, sia su T, quindi sulla sede del tumore,
indipendentemente dall’istologia, che su N, ma sui linfonodi si fa solo se si ha una
risposta istologica di invasione, altrimenti no. La chemioterapia è indicata nei
linfomi della parotide.
Metastasi
Sono rare a livello parotideo, si tratta per lo più di neoplasia metastatizzate ai
linfonodi del collo che si estendono sino al tessuto ghiandolare. I tumori che più
facilmente metastatizzano in questa sede sono i tumori cutanei, più raramente quelli
ovarici, tiroidei e endocranici.
Follow-up
In questa fase vengono impostati tutti i controlli con il loro timing come si fa in tutti
i pazienti oncologici, quindi nei primi 6 mesi una visita abbastanza ravvicinata, poi si
fanno controlli combinati con la radioterapia.
In un paziente con un tumore maligno, a seconda della stadiazione preoperatoria,
decidiamo quando fare la TC, la RM e la PET.
Si fa sempre una TC prima della RT, poi si fa la RM dopo 2 mesi e dopo 8 mesi una
PET. La PET-TC da molti falsi positivi quindi va usata con cautela.
Se invece è un tumore benigno che è stato operato, basta fare una visita nel primo
anno, una banale ecografia dopo un anno, un anno e mezzo e finisce così.
Sedi e sottosedi
- Laringe sopraglottica:
- laringe epiglottica
- pieghe ari epiglottiche
- false corde
- aritenoidi in realtà dovrebbero essere una regione glottica anatomicamente
parlando, ma oncologicamente la consideriamo sopra- glottica.
- Laringe glottica:
- corde vocali vere
- commessura anteriore, legata all’unione della due aritenoidi posteriori
- Laringe sotto- glottica (al di sotto delle corde vocali prima della trachea)
Carcinoma sopraglottico
E’ localizzato nella:
- Zona vestibolare 35-40% dei casi (sia anteriore che laterale);
- Zona ventricolare 10% (ventricolo di Morgagni);
- Zona marginale ( che è il bordo libero epiglottide).
Possiamo avere una lesione “all’interno”, lungo la faccia laringea, oppure nella parte
più esterna, che è il punto di confine tra la porzione endolaringea e quella
esofaringea (verso la regione faringea).
Carcinoma glottico
Ha una localizzazione:
- Cordale 25% (maggior parte dei casi)
- Commissura anteriore 1-2% (diffonde in tutte le direzioni). Può essere a partenza
dalla commissura anteriore o, molto più spesso, l’interessamento della
commissura anteriore è secondario ad una diffusione anteriore del tumore della
corda vocale, che interessa principalmente il terzo medio e il terzo anteriore. La
Carcinoma Sottoglottico
Rappresenta il 2-3% dei casi.(fortunatamente è raro)
Carcinoma Ipofaringeo
Nel 95% dei casi interessa i seni piriformi, quindi, quando parliamo di carcinoma
ipofaringeo sono i seni piriformi, più che la parete posteriore, ad essere interessati.
In Italia, la sede più interessata da questi tumori è la laringe glottica. Se
consideriamo le macroregioni, a Nord- Est, nella zona di Bolzano- Trento, dove c’è
un grandissimo uso di grappa distillata a mano (che produce sostanze particolari
come nitriti, nitrati) la situazione si inverte, cioè è più frequente il tumore
sovraglottico rispetto al glottico.
In questo caso è l’alcol che rappresenta il fattore di rischio maggiore. Stessa cosa
succede nella zona francese in cui viene prodotto lo champagne, la zona portoghese
dove si produce il porto, in Irlanda dove c’è un grande abuso di whisky non filtrato e
cognac.
Quindi anche se c’è una prevalenza glottica, in realtà si può invertire per
determinate abitudini della popolazioni.
Fattori di rischio:
- Fumo(95% dei pz)
- Alcool(associazione col fumo effetto moltiplicativo)
- Inquinanti ambientali
- HPV(16,18,31,33)
- Tossici
- MRGE(effetto moltiplicativo con fumo e alcool).
Il fatto che la neoplasia abbia una bassissima incidenza nel sesso Femminile fa
sospettare un ruolo protettivo degli estrogeni.
Lesioni pre-neoplastiche:
- Processi flogistici infiammatori cronici (pachidermia leucoplachia)
- Flogosi specifiche (Lue, TBC)
- Neoplasie benigne(papillomi)
Anatomia patologica:
- Macroscopica: nel 43% dei casi risulta vegetante; il 38% dimostra una crescita
infiltrativa ed il 20% ulcerata.
- Microscopica: nel 90% trattasi di carcinoma squamocellulare (a vario grado di
differenziazione), raramente è basocellulare o indifferenziato, ancor meno
frequentemente è un adenocarcinoma.
Storia naturale
Dopo le fasi di iniziazione e promozione a carico dei diversi fattori cancerogeni e
cocancerogeni, segue la fase di crescita(“orizzontale”: intraepiteliale, per dispersione
delle cellule neoplastiche; “verticale”: infiltrativa, penetrazione delle propaggini
epiteliali verso lo stroma).
Classificazione
Si distinguono in base alla sede di insorgenza. Avremo:
- Cancro della laringe intrinseco: interessa il piano glottico, il bordo libero e faccia
superiore delle corde vocali, la regione sottoglottica e sopraglottica (ventricoli di
morgagni, false corde).
- Cancro marginale: porzione sopraioidea e il bordo libero dell’epiglottide, le pliche
ari-epiglottiche, le aritenoidi.
Nota: si parla di cancro faringo-laringeo nel caso in cui siano interessate le strutture
faringee limitrofe.
Clinica e sintomatologia
Varia a seconda di dimensioni e localizzazione.
Se intressa il piano glottico potremo avere disfonia, inizialmente capricciosa e
incostante progressivamente assume le caratteristiche della voce
legnosa(sclerofonia) sino alla voce doppia bitonale (diplofonia).
Una persona esperta può valutare le varie fasi della malattia: raucedine (tumore
iniziale della corda vocale, esofitico, come un polipo o un nodulo), sclerofonia
(interessamento e invasione della tonaca muscolare, delle fibre mediali del muscolo
tiroaritenoideo, quindi la corda diventa dura, legnosa), diplofonia (la corda si fissa
perché il tumore infiltra anche le porzioni profonde del muscolo tiroaritenoideo
verso la cartilagine).
La dispnea (inspiratoria) si verifica se la neoplasia ostruisce le vie aeree(soprattutto
masse con crescita esofitica). Nei casi più eclatanti si presenta tirage(abbassamento
dei muscolo del giugulo) e cornage(stridore respiratorio).
Possono essere presenti disfagia e tosse con sensazione di corpo estraneo.
Diagnosi
Si serve di una valutazione della massa e della motilità laringea ottenuta tramite
laringoscopia indiretta e se necessario laringoscopia diretta o videolaringoscopia.
La conferma del sospetto si ottiene con un prelievo istologico e valutazione
anatomo-patologica. La valutazione pre-operatoria si effettua con l’HRTC con mdc e
RM(valutazione lesione primitiva); L’ Ecografia può essere utile per adenopatie
mediastiniche.
Per escludere tumori primitivi sincroni e metastasi linfonodali si usa a TC Torace
con mdc; questo è importante perchè il 10% dei pazienti che hanno un tumore
glottico possono avere un tumore del polmone. Il 10% dei pazienti che hanno un
tumore sovraglottico possono avere, invece, un tumore sincrono a livello
dell’esofago, del colon o dello stomaco- via digestiva e via respiratoria.
Se si esegue RT o CT all’inizio e nel follow up si usa la PET-TAC.
I markers biologici del tumore vanno dosati. L’EGFR è il più importante, ha valore
prognostico maggiore, tanto che, proprio perché è un parametro indipendente,
statisticamente significativo come marker predittivo di peggiore prognosi, esso viene
utilizzato anche per la moderna bioterapia, ovvero con anti-EGFR (Cetuximab, il cui
nome commerciale è Erbitux) che colpiscono le cellule malate senza intaccare quelle
sane. Tutto questo ha dato luogo allo studio sul rEGFR, Ciclina D1, p53 per
caratterizzare il tumore ed individualizzare la terapia.
Terapia
La terapia rimane comunque prettamente chirurgica. Il trattamento radioterapico si
può effettuare (con medesima efficacia rispetto all’intervento) per le lesioni del
margine libero delle corde vocali con motilità conservata o per i tumori agli stati più
porecoci. La terapia radiante garantisce una uguale sopravvivenza nei confronti della
chirurgia nelle lesioni iniziali con un maggiore beneficio in termini di qualità della
vita. (lesioni glottiche).
Per le masse inoperabili, per i pz in scadenti condizioni generali si procederà con
associazione di Radio e Chemioterapia. In caso di recidiva può essere effettuata una
chirurgia di salvataggio.
Le recenti tecniche radiologiche (come l’IMRT) risparmiano le ghiandole salivari,
hanno una minore tossicità sui tessuti, c’è meno dermatite e meno mucosite. Sono
quindi efficaci sui tumori glottici ed Inoltre preservo la voce. Ovviamente la
radioterapia non è ripetibile.
La chirurgia può anche essere mini invasiva, quando si effettua un intervento rapido
ma se il carcinoma è glottico devo necessariamnete togliere la corda vocale con
perdita della voce.
La chemio- radioterapia si fa o quando il tumore è così avanzato che non è
resecabile, nell’idea di riportare il tumore ad una situazione di resecabilità oppure,
per tumori della laringe resecabili nell’ambito di protocolli per la conservazione
Radioterapia
Può avere una valenza curativa nei tumori T1 e T2 glottico o sopraglottico con N0
campo solo su laringe, se è sopraglottico anche sul collo (proprio come in chirurgia
si fa lo svuotamento elettivo) perché la micro metastasi può essere sempre in
agguato, mentre i tumori glottici non sono sottoposti a trattamenti del collo né in
chirurgia né in radioterapia
Preserva maggiormente la funzione, e, se ben applicata, ha la stessa prognosi della
chirurgia.
Può ancora essere adiuvante,in genere post operatoria soprattutto sull’N ottimo
completamento terapeutico,1-2 mesi massimo dopo l’intervento.
Quando è pre operatoria si definisce neoadiuvante e si esegue in genere associata
alla CT e serve a riportare ei limiti dell’operabilità T3 e T4 per limitare l’esecuzione
di interventi menomanti.
La RT può avere valenza palliativa nei pz non operabili con M o con
controindicazioni all’intervento, con malattie diffuse.
Chemioterapia
Di fatto questa non è mai utile, se non associata alla radioterapia, nella terapia dei
carcinomi squamocellulari, poiché poco sensibili.
Si usa in lesioni che interessano la parete posteriore dell’ipofaringe e quelle non
operabili o che hanno superato i limiti dell’operabilità.
Drenaggio Linfatico
Il drenaggio linfatico è rappresentato soprattutto nella regione sopraglottica, più di
quella glottica. Questo condiziona il trattamento sul collo che dovrà essere sempre
effettuato nel caso di lesioni sopra- e sotto- glottiche, non in quelle glottiche per
evitare un over- treatment.
Il paziente va sempre trattato quando abbiamo linfonodi positivi (anche per sedi
come quella glottica, che sono rare). L’intervento più spesso eseguito è lo
svuotamento elettivo, cioè in assenza di adenopatie, che si fa sempre nei tumori
sopra- e sotto- glottici. Tanto più i tumori sono marginali nella regione sopraglottica,
tanto più tendono a dare metastasi perché si avvicinano di più al territorio della
faringe. Quindi va sempre fatto per linfonodi che interessano il II, III, IV livello o
svuotamento latero- cervicale.
Prognosi
Sopravvivenza a 5 anni nel Cancro Glottico
- Stadio I 95%
- Stadio II 70-80%
- Stadio III 50-60%
- Stadio IV 20-50%
Agiofibroma Rinofaringeo
E’ un tumore benigno che interessa maggiormente gli adolescenti di sesso maschile
e cresce nel rinofaringe o nel naso. È benigno ma è molto vascolarizzato e non
presenta sfinteri nelle anastomosi artero-venose, pertanto quando sanguina
l’emorragia non si ferma spontaneamente. Ha un comportamento aggressivo
biologicamente perché la sua crescita espansiva nel corso del tempo può erodere e
portarsi verso la base cranica diventando anche endocranico e destruente per le
pareti ossee delicate che incontra.
La caratteristica principale è il sanguinamento estremo: sono pazienti che possono
perdere anche 2 litri di sangue nell’arco di 4 minuti.
L’intervento chirurgico è per questo delicatissimo, tant’è che quando vengono
diagnosticati questi tumori, la cosa più prudente da fare è embolizzarli. Si fa come
Maligne
Causano ostruzione nasale unilaterale, rinorrea siero-ematica, epistassi e algie
facciali. Tumori rari, prognosi infausta. Notevole eterogeneità istologica.
Sono più frequenti nel sesso maschile, nella fascia d’età 50-70 aa.
I più importanti fattori di rischio saranno: esposizione a cromo e nichel, vapori di
formaldeide ed altri inquinanti chimici.
I tumori maligni che più frequentemente si presentano clinicamente sono:
- Carcinoma squamocellullare cheratinizzante, è il più comune, ne esiste una
variante non cheratinizzante ed una indifferenziata; è un tumore “painful” che dà
dolore poiché diffonde nei nuclei nervosi. Se un paziente con emorragia in quel
settore, presenta dolore bisogna pensare anche a un carcinoma adenoideocistico
poiché appunto diffondendo nei nuclei nervosi è un tumore dolente.
- Adenocarcinoma, origina dalle ghiandole della mucosa naso-sinusale, ha
localizzazione nel seno etmoidale.
- Carcinoma adenoido-cistico, può originare da ghiandole salivari ectopiche presenti
nel seno mascellare e nell’etmoide. Ha una lenta la crescita locale, con tendenza
all’infiltrazione perineurale precoce e alla diffusione ossea e polmonare.
- Carcinoma mucoepidermoide, origina anche esso dalle ghiandole salivari ectopiche,
ha diversi gradi di malignità, maggiormente invasivo localmente con metastasi ai
linfonodi laterocervicali
Iter diagnostico
- Anamnesi ed esame obiettivo: serve a valutare la storia clinica del pz, le
condizioni fisiche, il performance status, la presenza di fattori di rischio, la
presenza di lesioni visibili.
- Rinoscopia anteriore e posteriore (se il tumore origina nella fossa nasale): spesso
è visibile una formazione vegetante, irregolare, carnosa e sanguinante che posso
biopticare.
- Endoscopia a fibre ottiche (se la neoplasia è endosinusale)
- TC/RM: si usano per valutare l’estensione e dil coinvolgimento dei tessuti
circostanti
Terapia
La terapia in genere è chirurgica e consiste nella maxillectomia parziale se la
neoplasia è contenuta nel mascellare, altrimenti totale.
In genere si rimuove il mascellare e l’etmoide (se interessa la sovrastruttura) o il
palato duro (se interessa l’infrastruttura). Segue lo svuotamento linfonodale e la
ricostruzione del volto.
La radio o chemio terapia sono utili se si verifica un’ invasione della cute,
dell’encefalo o della fossa pterigo-maxillo-palatina
Si ricorre ad un approccio chirurgico combinato cranio-facciale se il tumore lambisce
il tetto dell’etmoide o raggiunge la dura madre.
CAPITOLO 10
__________________________________________________________
CANCRO DEL POLMONE
EPIDEMIOLOGIA
Il tumore del polmone è la neoplasia più frequente nel sesso maschile, anche se
ultimamente, con l’aumento dell’abitudine al fumo comincia ad essere molto
frequente anche nel sesso femminile (sta raggiungendo i livelli di incidenza del
carcinoma della mammella ed ha già superato quelli dell’utero),
L’incidenza è più elevata nel Nord Europa, in USA, in Canada ed è più bassa in
Giappone, Israele e Svezia. essa è stimata intorno ai 60 casi per 100000 abitanti. La
mortalità è di 52 su 100000. La neoplasia al momento è in aumento di incidenza, sia
relativo, per l’aumento della durata della vita media, sia assoluto.
FATTORI DI RISCHIO
Nonostante fattori di rischio genetici possano predisporre al tumore del polmone, il
fattore eziologico principale è senza dubbio il fumo. Il rischio relativo dipende dal
tipo di fumo; infatti è stato osservato che l’incidenza è circa:
- dell’1% nei non fumatori
- del 2,2% nei fumatori di pipa
- del 10% nei fumatori di sigaretta, in questo caso l’incidenza varia in base al
numero di sigarette fumate, dalla durata dell’abitudine al fumo, dall’età di inizio
(ovviamente più è precoce, più il rischio è maggiore), dalla presenza o meno di
filtro, dalla quantità di nicotina e dal tipo di sigarette fumate.
Se un pz smette di fumare il suo rischio aggiuntivo si abbassa progressivamente, e
dopo 10 anni ritorna equiparabile a quello di un soggetto non fumatore (1%). Anche
il fumo passivo aumenta il rischio di sviluppare il cancro al polmone.
Altri fattori di rischio saranno:
- Fattori occupazionali: esposizione a sostanze radioattive, come uranio, plutonio,
radon, esposizione ad asbesto (aumenta il rischio di mesotelioma pleurico) o
rame, zinco, benzopirene, carbone e catrame.
- Fattori ambientali: si pensi all’inquinamento atmosferico, infatti il tumore del
polmone ha un’incidenza maggiore nelle aree urbane ed inquinate rispetto a
quelle rurali.
- Fattori dietetici: una dieta priva o povera di selenio, vitamina C, vitamina A,
carotenoidi, comporta un aumento del rischio, dato il loro potere antiossidante
che si esplica contro le ROS prodotte dal fumo.
EZIOLOGIA
La causa principale di tumore polmonare è il tabagismo, in particolare il fumo di
sigaretta. Nelle cellule tumorali polmonari possono essere osservate 10 o più
anomalie genetiche acquisite, più comunemente:
- Mutazioni puntiformi negli oncogeni ras;
- Amplificazioni, riarrangiamento o iperespressione degli oncogeni della famiglia
myc
- Sovraespressione di bcl2, Her-2/Neu e telomerasi.
- Sono state identificate anche delezioni del gene Rb e della p53.
L’evento più precoce, osservato anche nell’epitelio bronchiale iperplastico è la
perdita del braccio corto del cromosoma 9 e del 3. Una piccola ma significante parte
di pz ha mutazioni attivanti nel gene per il recettore EGF o eventi di fusione
riguardanti i geni Alk o Ros.
PREVENZIONE
Per il tumore del polmone è possibile solamente una prevenzione primaria articolata
come: lotta al tabagismo, bonifica degli ambienti di lavoro, identificazione delle
popolazioni a rischio, lotta all’inquinamento atmosferico. La prevenzione secondaria
intesa come identificazione precoce della malattia tramite screening di massa, non è
possibile, dato l’elevato costo delle indagini radiologiche e dell’esame citologico
dell’escreato e lo scarso beneficio (grande numero di falsi negativi). Più semplice
risulta tenere sotto controllo i soggetti a rischio (fumatori con BPCO, professionisti
a rischio) attraverso l’esecuzione di un Rx torace ed un esame citologico all’anno. In
caso sospetto si completa l’iter diagnostico con una broncoscopia.
ANATOMIA PATOLOGICA
Macroscopicamente i tumori del polmone possono essere divisi in:
- Tumori cenrali, che originano dai bronchi lobari o segmentali
- Tumori periferici che originano dai bronchi di piccolo calibro
- Tumori a crescita esobronchiale e Tumori a crescita endobronchiale.
Dal punto di vista microscopico una prima differenza può essere fatta tra quelli di
origine epiteliale e quelli di origine non epiteliale.
STORIA NATURALE
La storia naturale del tumore polmonare ha inizio con le atipie citologiche proprie
dell’evoluzione neoplastica a livello dell’epitelio di rivestimento bronchiale, e
prosegue con lo stadio di carcinoma in situ (in cui non c’è superamento della
membrana basale) fino all’invasione delle strutture contigue e di quelle distanti
attraverso la disseminazione metastatica. I sintomi e i segni legati a questa
evoluzione sono purtroppo tardivi nella maggior parte dei casi, particolarmente per
alcuni tipi istologici del cancro del polmone, che presentano elevato grado di
malignità e tendono ad accrescersi in modo silente.
QUADRO CLINICO
Inizialmente si presentano dei sintomi aspecifici che sono diversi a seconda della
sede del tumore. Infatti avremo:
- Per i carcinomi centrali:
- Tosse, stizzosa, secca, poco sensibile agli antitussigeni. In genere è sottovalutata
dal pz (specialmente se fumatore e con BPCO). Bisogna fare attenzione ad
eventuali modificazioni del timbro e dell’intensità. I soggetti con tosse
duratura, in caso di sospetto vanno sottoposti ad Rx torace. Bisogna fare
attenzione anche alla tosse comparsa ex novo nei soggetti sani.
- Emottisi
- Dispnea, tipicamente da ostruzione del bronco fino ad atelectasia in caso di
crescita endobronchiale. La sintomatologia ostruttiva può essere dovuta anche
ad una compressione che il tumore esercita in caso di crescita esobronchiale.
- Per i carcinomi periferici avremo tosse e dispnea con le caratteristiche già esposte.
Nel carcinoma centrale avremo una crescita intraluminale con l’espansione del tumore verso
l’ilo polmonare. Il microcitoma peresenta una caratteristica forma a manicotto. Sia quello
inifltrante in fase tardiva che quello occludente in fase avanzata possono dare una polmonite
atelectasica ed un enfisema a valvola. All’Rx la forma occludente è evidenziabile mediante segni
indiretti quali atelectasia e broncopolmonite che vanno sempre indagati con TC. La forma
infiltrante tende a deformare l’ilo polmonare.
Nel carcinoma periferico avremo la crescita diretta verso la pleura. Il quadro tipico è quello
pseudopneumonico. Molto spesso è adk positivo. All’Rx avremo un nodulo tondeggiante con
margini irregolari e strie radiali linfangitiche. In fase avanzata si presenta come massa
importante che coinvolge le strutture vicine.
Ancora più tardivi sono i sintomi relativi alle metastasi, come ittero, dolore
addominale, dolori ossei, fratture patologiche, deficit neurologici.
In fase avanzata avremo calo ponderale, astenia ed anoressia.
Le sindromi paraneoplastiche possono essere anche l’unica manifestazione del
tumore e sono particolarmente frequenti nel microcitoma. Tra esse ricordiamo:
- Sindromi disendocrine: Cushing, Ipercalcemia (nello squamoso), inappropriata
secrezione di ADH
- Sindromi neuromuscolari, s. miastenica, neuropatia vegetativa, retinopatia
- Sindromi osteoarticolari, S. di Pierre-Marie, clubbing ungueale
- Sindromi cardiovascolari, tromboflebiti, endocardite trombotica abatterica
- Sindromi ematologiche, eritrocitosi, leucocitosi.
DIAGNOSI
La diagnosi di carcinoma polmonare viene eseguita tramite:
- Anamnesi ed Esame clinico
- Rx torace, utile per i tumori centrali a crescita esobronchiale. Può evidenziare una
serie di segni indiretti per i tumori a crescita endobronchiale, come: iperdiafania
periferica dovuta alla vasocostrizione ipossica, atelettasie, spostamento dell’ilo,
iperdistensione respiratoria, se l’ostruzione bronchiale non è completa. Per i
tumori periferici rende possibile l’osservazione del nodulo con l’eventuale
valutazione dei margini, radiopacità, dimensioni, posizione e numero.
- Esame citologico dell’espettorato, utile per i tumori centrali
- Broncoscopia, va eseguita sempre nel caso di sospetto di tumori endobronchiali;
consente di eseguire un BAL (dal quale si può ricavare un citologico), un brushing
della zona sospetta, o addirittura un prelievo bioptico. La definizione istologica è
fondamentale per la diagnosi e la prognosi.
- TC torace, è il mezzo più affidabile per la diagnosi di carcinoma polmonare,
specialmente quando eseguita con mezzo di contrasto.
- PET-TC può dimostrare una certa utilità nella diagnosi del tumore polmonare,
soprattutto per quello che concerne i microcitomi, caratterizzati da un elevato
metabolismo. Ma dato che l’attuale risoluzione della metodica è intorno agli 1-2
cm non rende possibile la diagnosi precoce. E’ fondamentale nella ricerca delle
metastasi
- Agoaspirato e biopsia transtoracica, possono essere eco o TC guidati. Si eseguono
quando non è possibile raggiungere il tumore tramite broncoscopia. Permettono
la diagnosi definitiva.
STADIAZIONE
- TC torace: permette di definire l’estensione loco-regionale e i rapporti con gli
organi contigui.
- Ecografia torace, permette di definire la mobilità della lesione durante i movimenti
respiratori, pertanto indirettamente stima l’infiltrazione parietale.
- RMN, informazioni simili alla TC ma è migliore nella definizione
dell’interessamento del miocardio, dei vasi, del plesso brachiale e del simpatico
cervicale.
- Possono essere utili ecografia epatica per individuare eventali metastasi epatiche,
TC addome, scintigrafia ossea, TC o RMN cranio e mediastinoscopia, solo se la
definizione linfonodale cambia lo stato di malattia.
TERAPIA
Non Microcitomi
La chirurgia con intento radicale rappresenta il tratta- mento di prima scelta per le
neoplasie in stadio I-II. Essa consiste generalmente in una lobectomia, bilobectomia
o pneumectomia a seconda dell’estensione della neoplasia. Una resezione radicale è
ritenuta tale quando si ottiene l’asportazione di tutta la malattia visibile, i margini di
resezione sono istologicamente negativi e viene eseguita una linfoadenectomia ilo
mediastinica o un campionamento delle stazioni linfatiche che drenano la neoplasia.
Pertanto:
- Stadio I-II (T1-2, N0, M0), potenzialmente guaribile con chirurgia radicale,
prognosi buona nel 60-80% dei casi, la chirurgia può essere seguita da una
radioterapia adiuvante per ridurre la recidiva locale. L’intervento d’elezione è la
lobectomia.
- Stadio II (T1-2, N1 M0), chirurgia più radioterapia adiuvante (50 Gy con
frazionamento classico). Si associa chemioterapia solo nei casi a prognosi
favorevole. Si tratta di una polichemioterapia con etoposide e cisplatino.
Negli stadi I e II che non possono sostenere l’intervento e nello stadio IIIA si usa
radioterapia radicale con 5000-6000 cGy)
La mortalità postoperatoria è del 2-9% ed è in rap- porto con l’entità della resezione,
l’età del paziente, le condizioni generali preoperatorie e l’eventuale tratta- mento
medico preoperatorio (chemioterapico e/o radio- terapico).
Esiste una categoria di pazienti che per età, condizioni generali, ridotta funzionalità
respiratoria e cardiaca non può essere candidabile a un intervento chirurgico
radicale. In questi casi il trattamento elettivo è rappresentato dalla radioterapia. Un
trattamento radiante con intento radicale richiede la somministrazione di dosi
elevate, non inferiori a 60 Gy, con i conseguenti problemi di tossicità acuta e cronica.
Anche se mancano confronti diretti tra chirurgia e radioterapia nel trattamento degli
stadi I-II, la sopravvivenza a lungo termine ottenuta con la radiopterapia è
apparentemente inferiore a quella ottenuta con la chirurgia, soprattutto a causa di
un inadeguato controllo locale.
I pazienti con stadio IIIB o IV vengono considerati non candidabili al trattamento
chirurgico per storia naturale di malattia. L’associazione di chemioterapia e
radioterapia ad intento radicale è considerata la principale scelta terapeutica per i
pazienti con stadio IIIB considerati non resecabili radicalmente. Per quanto riguarda
i pazienti con la malattia in fase avanzata (stadio IIIB con versamento pleurico) o
metastatica (IV stadio), le possibilità di guarigione sono solo aneddotiche. La
sopravvivenza mediana varia tra 6 e 10 mesi. I trattamenti chemioterapici vengono
effettuati ad intento palliativo con l’obiettivo di miglio- re la qualità della vita dei
pazienti.
Nota: se EGFR mutato possono essere ustati nella terapia: gefitinib erlotinib afatinib
(piccola quota di adk, non fumatrici). Se sono presenti Eml4-alk (piccola quota di
adk, non fumatori) crizotinib
ANATOMIA PATOLOGICA
L’interessamento metastatico della pleura è molto più frequente di quello primitivo.
Le sedi da cui più spesso cellule neoplastiche colonizzano la pleura sono il polmone,
la mammella e l’ovaio; le metastasi causano un versamento sieroematico. L’esame
citologico del sedimento del versamento permette non solo di riconoscere le cellule
maligne, ma anche di precisare la natura primitiva o metastatica della neoplasia e, in
questo caso, di suggerire l’organo di origine.
CLINICA
Il quadro clinico è assai eterogeneo. A volte la prima manifestazione è quella di un
versamento pleurico ad insorgenza più o meno rapida con tendenza a recidivare
dopo la toracentesi. Spesso il versamento ha carattere emorragico.
Un sintomo precoce è il dolore, più o meno intenso. Gli altri sintomi sono quelli
comuni ad altre malattie respiratorie (tosse, dispnea) e alle altre forme neoplastiche
(dimagramento, anemia, astenia). In fase avanzata il tumore potrà interessare la
parete toracica, il pericardio e il peritoneo.
DIAGNOSI
La diagnosi si basa sull’indagine radiologica, sull’esame del liquido di versamento e
sulla biopsia della pleura.
L’esame radiologico potrà rilevare:
- un versamento pleurico con tendenza a retrazione dell’emitorace;
- un ispessimento pleurico a margini irregolari;
- la presenza di masse accollate alla parete e con angolo di attacco ottuso.
TERAPIA
È difficile giungere a conclusioni univoche sul trattamento di questa neoplasia per la
sua relativa rarità e per la disomogeneità delle casistiche.
La malattia è diagnosticata in stadio I (T1 o T2 N0 M0) in non più del 25% dei casi;
è una situazione in cui la terapia di elezione è rappresentata dalla chirurgia;
l’intervento chirurgico è però molto demolitivo (pleuro- pneumonectomia).
Esistono dunque frequenti controindicazioni mediche alla sua attuazione: si deve
inoltre tener conto dell’elevata mortalità (scesa comunque all’8-10%) e, soprattutto,
della frequente incidenza di complicanze, a conseguente discapito della qualità di
vita. Interventi più limitati (pleurectomia) non assicurano la radicalità oncologica e
hanno sostanzialmente un valore palliativo.
La sopravvivenza a 2 anni dall’inter- vento di pleuropneumonectomia è compresa tra
il 20% e il 30%, ma meno del 10% dei pazienti è vivo dopo 5 anni. Questo vuol dire
che l’intervento chirurgico assicura una sopravvivenza a lungo termine in meno del
2% dei pazienti affetti da mesotelioma pleurico.
BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________
- Dispense Prof. Butti, reperibili presso la copisteria
- Linee guida AIOM 2013 sulle neoplasie polmonari
- Linee guida NCCN 2016
- Sbobinatura Prof Valentini aa 2015/2016
- Harrison - Manuale di Medicina interna - Edizione 2014 Autore: Fauci - Kasper -
Hauser - Longo - Jameson - Loscalzo - Harrison , Editore: Casa Editrice
Ambrosiana, Edizione: XVIII 1/2014 , Volume: Unico
- Medicina interna sistematica di Claudio Rugarli
CAPITOLO 11
__________________________________________________________
CARCINOMA DELLA MAMMELLA
EPIDEMIOLOGIA
Il tumore della mammella prevale nelle fasce d' età più avanzate, ma non è assente
tra le giovani donne. A 25 anni l'incidenza è di 5/100.000, a 50 anni 150/100.000 a
75 anni oltre 200/100.000. Rappresenta il 32% di tutte le nuove neoplasie e il 18%
delle morti per tumore nel sesso femminile. Una donna su 11/12, quindi l'8-9 %
delle donne nel corso della vita sviluppa una neoplasia della mammella.
Un'altra caratteristica è una curva di incidenza bimodale: ha un picco maggiore dopo
i 60 anni e uno più piccolo intorno ai 45. Quindi il cancro della mammella ha un
certo peso in tutte le fasce di età: è la più importante causa di morte nelle donne di
età compresa tra i 35 e i 55 anni e dopo i 55 anni è la seconda causa di morte, dopo
le malattie cardiovascolari.
In Giappone si nota un andamento caratteristico, infatti c’è un’incidenza più bassa
rispetto ai paesi occidentali, si raggiunge un picco intorno ai 50 anni e poi
l’incidenza resta costante (plateau).
Non è una neoplasia molto frequente nell'uomo, ma comunque esiste; in genere
nell'uomo ha un andamento un po' più aggressivo.
Anche se la malattia è la seconda neoplasia più guaribile (la prima è il tumore del
testicolo), data la frequenza così elevata, ha anche una mortalità piuttosto
importante (è la neoplasia letale più comune nella donna).
L'Italia è tra quei paesi che hanno un'incidenza elevata. Una volta c'era una
suddivisione geografica anche all'interno dell'Italia stessa: l'incidenza era maggiore
nelle regioni del Nord rispetto a quelle del Sud. Adesso questa differenza non si vede
più. È lo stile di vita occidentale che, per tanti motivi -non soltanto legati
all'alimentazione- rappresenta un fattore di rischio aggiuntivo rispetto ad altri È una
situazione ambientale composta che incide sulla prevalenza del tumore della
mammella.
Una donna di 30 anni dei paesi occidentali ha il 4% di probabilità di sviluppare un
tumore della mammella. Nelle fasce d’età in cui c’è maggiore incidenza di cancro
della mammella l’attesa di sviluppare un tumore della mammella in 30 anni è del 9
% , in 20 anni è del 6%.
FATTORI DI RISCHIO
- Età, è un fattore di rischio costituzionale, nelle pz con meno di 35 anni sono più
frequenti le patologie benigne, mentre in quelli con più di 35 anni quelle maligne.
FR a rischio elevato sono:
- regione geografica (occidente > oriente);
- anamnesi personale di ca. mammario
- familiarità di 1° grado; risulta circa il doppio nelle pazienti con madre affette da Ca
mammario.
- iperplasia con atipia (riscontrate in una precedente biopsia) aumenta di 5 volte il
rischio (precancerosi);
- nulliparità o gravidanza tardiva;
Nota: L’uso di contraccettivi orali se la diagnosi è tra i 45-54 anni non sembra avere
un grande peso. Il RR aumenta se l’età della diagnosi è inferiore ai 44 anni e sono
stati utilizzati contraccettivi prima della I gravidanza, cioè prima della completa
maturazione della ghiandola mammaria che appunto avviene con la prima
gravidanza. Anche la terapia ormonale sostitutiva dà un lieve incremento del RR.
SCREENING
La metodica di screening di elezione è la mammografia, perchè sensibile, specifica,
non pericolosa (servono circa 40 mammografie per aumentare il rischio dell’1%).
Attualmente si consiglia:
- Autopalpazione oltre i 20 anni.
- Esame clinico annuale oltre i 35 anni.
- Tra i 35 e i 40 anni esame radiologico di base
- Tra i 40 e i 49 anni una mammografia all’anno, in caso di sospetto ecografia,
esame clinico
- dai 50 anni in su una mammografia all’anno.
Note: Nelle donne giovani la mammografia deve essere associata a ecografia perché
c’è più componente ghiandolare e meno componente adiposa. RMN della mammella:
se la mammografia è dubbia o se c’è una discrepanza tra il reperto della
mammografia e il reperto palpatorio.
Il nodulo della mammella può anche presentarsi in maniera atipica, come una
retrazione, una penetrazione che altera l'architettura della mammella o a volte può
avere una struttura tondeggiante ma non è sempre così: i più difficili da individuare
sono quelli che hanno un atteggiamento retraente, simil cicatriziale.
ANATOMIA PATOLOGICA
TUMORI EPITELIALI
ALTRI
BENIGNI MALIGNI
INVASIVI NON INVASIVI
Papilloma intraduttale Ca duttale invasivo (NOS) Ca intraduttale in situ M. di Paget del capezzolo
Adenoma del capezzolo Ca duttale invasivo con prevalente Ca lobulare in situ Tumori misti (epitelio e tessuto
componente intraduttale connettivo)
Ca papillare Carcinosarcoma
La gran parte delle lesioni benigne della mammella possono essere riunite nella
mastopatia fibrocistica che, secondo l’OMS, è un insieme di alterazioni proliferative
e regressive del tessuto mammario con anomalie sia della componente epiteliale che
connettivale.
Il Ca duttale in situ origina dall’epitelio dei dotti ghiandolari mammari di piccole
dimensioni. Il Ca lobulare origina dai dotti terminali intralobulari e tende ad essere
multicentrico e bilaterale (fattore prognostico negativo). Il Ca duttale invasivo è il
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 120 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
più frequente. Il Ca lobulare invasivo è spesso bilaterale e multicentrico. La malattia
di Paget del capezzolo in realtà è un carcinoma duttale invasivo, classificato
separatamente per sottolineare il fatto che di fronte ad uno pseudoeczema o un
eczema o un'erosione del capezzolo, che può essere scambiato per una lesione
cutanea, va sempre fatta la biopsia perché molto spesso il Paget non si associa a
noduli: si vede soltanto l'erosione superficiale del carcinoma duttale, che può anche
svilupparsi verso l'interno e quindi dare il nodulo, oppure può per molto tempo
avere una diffusione superficiale e quindi manifestarsi solo con questa alterazione
cutanea.
Caratteristiche istopatologiche
Sono presenti degli emboli neoplastici linfatici e vascolari che interessano il plesso
vascolare linfatico dermico superficiale nel derma papillare e reticolare alto. Inoltre
avremo un’elevata espressione di:
- Her-2/EGFR
- P53/ E-cadherin/ CXCL-12/CXCR4
- Rho C GTpase
Inoltre avremo le caratteristiche di una malattia aggressiva, quali:
- Età più giovane
- ER negativi
- Fase-S elevata
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 121 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
STORIA NATURALE
Si ritiene che mediamente debbano trascorrere 8 anni affinchè un tumore mammario
diventi manifesto clinicamente (raggiunga le dimensioni di
almeno 1 cm). In realtà ogni tumore ha storia a se ed i tempi di
raddoppiamento variano da 25 a 200 giorni; nella fase avanzata il
tempo di raddoppiamento è 500 giorni, dunque tanto più grosso
è il tumore, più rallenta il tempo di raddoppiamento. Trascorrono
circa 2,5-3 anni dalla diagnosi alla morte.
Il tumore si diffonde dapprima per contiguità, infiltrando le
strutture circostanti, tessuto mammario, cute, parete toracica e
muscoli pettorali.
La seconda via di diffusione è quella linfatica. I linfonodi più
interessati sono quelli ascellari. Essi vengono distinti in 3 livelli
secondo Fisher:
- I livello: esterni al margine laterale del piccolo pettorale;
- II livello: posti posteriormente al piccolo pettorali;
- III livello: mediali al margine mediale del piccolo pettorale.
Le metastasi linfonodali sono presenti nel 55-70% dei casi alla diagnosi e la prognosi
è inversamente proporzionale al numero di N+. Il numero di linfonodi interessati
si correla con velocità di crescita e dimensioni del tumore. Quando positivi i
linfonodi sono predittivi di malattia sistemica con metastasi a distanza. Le regioni
più frequentemente sede di metastasi saranno: osso, polmone, fegato, cute, encefalo,
pleura, peritoneo.
L’ultima via di diffusione è quella ematica.
Non vi è prevalenza per le ultime due; può essere che alcuni istotipi, o alcuni tipi
molecolari possano avere una maggiore prevalenza per una delle due, ma allo stato
attuale non siamo in grado di dirlo e questo è il motivo per cui, anche con le
mastectomie radicali che si facevano una volta, le pazienti potevano avere delle
metastasi polmonari tre anni, dopo perché queste erano ematiche.
La stazione di primo drenaggio è quella della cute, quindi di norma, anche per i
quadranti interni, è quella dell'ascella, ci può essere anche un interessamento di
quelli della mammaria interna, però in linea di massima questi ultimi sono positivi
per i quadranti interni quando lo sono anche quelli ascellari, ed è difficile che siano
interessati solo quelli della mammaria interna senza gli ascellari.
QUADRO CLINICO
Le modalità con le quali in genere si arriva a scoprire un nodulo sospetto sono le
seguenti:
- Autoriscontro: è una situazione prevalente. Nei tumori della mammella in 2 casi
su 3 (70%) è la paziente che va dal medico e dice di essersi accorta del nodulo.
- Riscontro occasionale alla visita clinica: la probabilità che ci sia un riscontro
occasionale durante la visita clinica è sicuramente più bassa anche perché spesso i
medici che fanno le visite cliniche non valutano le mammelle.
Sindromi paraneoplastiche
Il tumore della mammella si associa spesso a sindromi paraneoplastiche. E’più
frequente un'associazione con una sindrome paraneoplastica prevalentemente di tipo
immunologico ( e non causate dalla produzione di sostanze specifiche ). Esse
possono essere:
- A carico dell’apparato neuro-muscolare
- Dermatomiosite
- Malattie neuromuscolari con caratteristiche non tipiche
- A carico della cute
- Acanthosis nigricans: caratterizzata da una iperpigmentazione cutanea delle
pieghe delle ascelle ( e a volte del collo ) costituita da una serie diciamo di
papule, come se si ha la sensazione di palpare una sorta di velluto con degli
elementi più grandi.
- Sindromi endocrine
- Ipercalcemia
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 123 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
- S. di Cushing
- A carico del sistema emopoietico
- Alterazioni dell’emostasi (CID)
- Tromboflebiti
DIAGNOSI
La diagnosi si avvale di:
- Anamnesi: deve valutare le tempistiche di comparsa del nodulo ed eventuali eventi
concomitanti (ciclo mestruale, traumi, presenza di dolore). E’ importante anche
valutare la presenza dei fattori di rischio precedentemente elencati.
- Esame obiettivo della mammella: esso può essere eseguito in ortostatismo: braccia
lungo i fianchi, braccia sollevate, contrazione dei pettorali necessaria per capire se
il nodulo è adeso alla muscolatura sottostante. In ortostatismo si palpano dei
noduli dei quadranti superiori, più visibili per questioni di gravità; in
clinostatismo: braccia sulla testa. L’esame è volto ad identificare il profilo
mammario e la superficie cutanea dal quale possono essere notate infossature
(fibrosi peritumorale con retrazioni), prominenze, eritema, edema circoscritto o
diffuso (ostruzione linfatici sottodermici). Vanno valutate le alterazioni dell’
areola e del capezzolo come: eventuali deviazioni (nodulo parareolare può
determinare o la fibrosi della aponeurosi o dei tessuti mammari circostanti),
appiattimento, retrazione (DD da condizione fisiologica che si può verificare nelle
donne che non hanno avuto gravidanze generalmente bilaterale) ulcere, eczema.
Degli eventuali noduli presenti si valutano: dimensioni, consistenza, forma,
contorni, superficie, spostabilità (per escludere infiltrazione dei piani profondi),
dolore (un nodulo dolente è improbabile che sia tumore). La cisti è teso elastica,
non dura, liscia. La palpazione deve essere fatta in maniera sistematica dividendo
la mammella in quattro quadranti. La mano va posta a piatto e si palpa con i
polpastrelli per avere la massima sensibilità. Il nodulo risulta sospetto quando è
monolaterale, duro, non dolente e poco mobile nei piani superficiali e profondi.
- Esame obiettivo del cavo ascellare: si effettua una palpazione contro il piano costale
(Ascella dx con mano sx e viceversa). Il medico deve cercare di mantenere
sollevato il braccio della paziente per ridurre la contrazione dei muscoli del piano
ascellare. Vanno valutati numero, dimensioni, consistenza, confluenza dei
linfonodi. L’esame si completa con l’indagine delle regioni sovraclaveare e
laterocervicale.
- Valutazione dei sintomi generati da una possibile metastasi, come ittero, dolore
osseo, dispnea, lesioni cutanee.
STADIAZIONE
Se si ottiene la diagnosi di nodulo neoplastico è necessario eseguire una corretta
stadiazione utile per definire una strategia terapeutica adeguata. Ciò è possibile
tramite l’esecuzione di alcuni esami quali:
- Ecografia epatica
- Rx torace (si può fare anche una TC ma è più costosa)
- Scintigrafia ossea globale
- CEA, Ca-15.3
I parametri più importanti nella stadiazione del tumore della mammella sono:
- Dimensioni: Fino a 2cm è un T1 (a,b,c a seconda sempre delle dimensioni ), tra 2
cm e 5 cm è un T2, superiore a 5 cm è un T3
- Interessamento delle strutture circostanti: parete toracica e cute ( T4a = solo parete
toracica; T4b = solo cute; T4c = entrambi; T4d = carcinoma infiammatorio )
- Interessamento linfonodale: clinicamente noi possiamo dire solamente se i
linfonodi ci sono o non ci sono e se sono mobili o fissi. Un nodulo fisso
corrisponde dal punto di vista istologico all'estensione extracapsulare della
lesione: per essere fisso tra un linfonodo e all'altro o fisso alla cute e alla parete,
significa che la proliferazione neoplastica ha superato la capsula.
T1c tra 1 e 2 cm
T4c a+b
TERAPIA
L’approccio terapeutico tende ad essere multidisciplinare e varia a seconda dei fattori
prognostici che sono:
- Età: l’incidenza è alta nelle pz con più di 50 anni, ma di norma in queste pz la
prognosi è migliore
- Estensione e dimensione del tumore
- Numero di linfonodi coinvolti: il fattore prognostico più importante. E’ importante
sapere se i linfonodi sono sede di metastasi, pertanto va asportato un numero
importante di linfonodi (15/20) per una stima corretta. Se sono coinvolti meno di
3 linfonodi la prognosi è migliore. Ovviamente influenza la prognosi anche la sede
dei linfonodi; se sono coinvolti quelli della mammaria interna la prognosi è
peggiore.
- Invasione linfatica, diversa da quella linfonodale
- Tipo istologico
- Grado di malignità
- Espressione dei fattori di crescita
- Recettori ormonali: se sono positivi, sia quelli per estrogeni che quelli per
progesterone, rappresentano un fattore prognostico positivo. Se il tumore
presenta una sola positività la prognosi è intermedia. Se non presenta recettori
per gli ormoni la prognosi è negativa.
- Gli indici proliferativi (ki6ì7, L.I., Fase S) di cui il più utilizzato è il Ki67, un
oncogene la cui espressione si valuta con l’immunoistochimica che ha sostituito
metodiche più rozze e fondamentalmente più lunghe come il Labelling Index
oppure la valutazione della fase S in citofluorimetria
- L’espressione del gene c-ErbB2 (proteina HER2), perché HER2 è un fattore di
crescita ed è il secondo recettore della famiglia degli EGFR, quindi tanto più è
espresso tanto più è aggressivo il tumore; è un fattore prognostico sfavorevole ma
predittivo favorevole perché rende il tumore responsivo a tutta una serie di nuovi
farmaci oltre al Trastuzumab che interagiscono con questo recettore
- Presenza di mutazioni del p53 che teoricamente indica la presenza di un tumore
più aggressivo ma che non ha un significato dal punto di vista terapeutico
- Ploidia
- Caderina
Terapia chirurgica
L’approccio chirurgico svolge sempre un ruolo centrale. L’intervento è la mastectomia
radicale, di cui abbiamo tre tipi:
- Halsted, che prevede l'asportazione del grande e piccolo pettorale
- Patey, che prevede l'asportazione solo del piccolo pettorale
- Madden, che sostanzialmente è una "ghiandolectomia", cioè si asporta solamente la
componente ghiandolare e ci si ferma prima del pettorale.
- Rischio intermedio con linfonodi negativi e almeno una delle seguenti caratteristiche:
o T>2cm
o Grado 2-3
o Presenza di invasione vascolare
o Assenza dei recettori ER e PgR
o Espressione di HER2
o Età <35 anni
Questa comporta un rischio di recidiva tra il 15 e il 35 % a 10-15 anni.
Le cose sono in realtà più complicate perché il tumore della mammella non è una
singola malattia dal punto di vista della classificazione istologica. L’istotipo ormai
non è più in grado di definire una malattia se per malattia non intendiamo una
condizione che raggruppa una stessa storia naturale per un certo numero di pazienti.
Nell’istotipo saranno inclusi diversi sottotipi, diversi sottogruppi con prognosi e
storia naturale completamente diverse.
Guardando le curve di sopravvivenza si nota che i basal-like e gli HER2 positivi sono
abbastanza sfavorevoli, la sopravvivenza del luminal A è molto buona, invece la
curva del luminal B (simile a HER2) non è buona nonostante l’espressione dei
recettori per gli estrogeni.
Questi sottogruppi possono essere identificati con la metodica del microarray che però è
molto costosa e non si fa di routine ma ci dei markers per identificarli. Infatti:
Esistono dei sistemi privati come l’Oncotype DX™ che consentono, valutando un certo numero di
geni tramite microarray, di fare uno score di rischio di ricorrenza, ci sono delle agenzie italiane a
cui si possono mandare i reperti bioptici e per il “modico” costo di 1500 ti dicono con precisione
qual è il rischio; in realtà si è visto che le valutazioni fatte con Oncotype o altri simili come
MammaPrint non sono molto diverse da quelle che si possono fare clinicamente.
Strategia terapeutica
Nelle pz con un tumore di dimensioni inferiori a 5 cm, dopo un intervento o di
chirurgia radicale o di chirurgia conservativa più radioterapia, si valuta lo stato
linfonodale.
- Se è positivo quasi sicuramente si prosegue con una terapia sistemica mentre se è
negativo si valuta lo stato dei recettori:
- Se questi sono positivi farà l’ormonoterapia
- se sono negativi farà una chemioterapia.
- Nel caso in cui i linfonodi sono positivi e:
- La paziente è in pre-menopausa deve fare la chemioterapia ed eventualmente
la terapia ormonale se i recettori sono positivi.
- La paziente è in post-menopausa probabilmente i recettori sono positivi
perciò farà l’ormonoterapia ed eventualmente la chemioterapia.
Terapia ormonale
Antiestrogeni (TMX, Faslodex), Inibitori aromatasi, Antagonisti LH-RH
Terapia biologica
Anticorpo anti-HER-2 (trastuzumab), Inibitori TK HER-1/HER-2 (Lapatinib),
Anticorpo anti-VEGF (Bevacizumab)
Nota: Gli ultimi studi hanno valutato l’attività del Trastuzumab (Herceptin, anti-
HER2 nella terapia adiuvante e hanno dimostrato che nelle pazienti HER2+, con
recettori probabilmente negativi, che l’aggiunta dell’Herceptin a una combinazione
di tre farmaci citotossici migliora drammaticamente del 20% la sopravvivenza,
cambiando radicalmente la prognosi di queste pazienti con una significatività
statistica estremamente elevata.
Alla luce di ciò non si può non comprendere il Trastuzumab nella nostra scelta
terapeutica e quindi oltre a valutare i linfonodi, i recettori ormonali, lo stato pre o
post-menopausale, va valutata anche l’espressione o meno di HER2, perché tutte le
volte che è iperespresso e la paziente deve fare una chemioterapia va associato
l’Herceptin.
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 133 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Terapia citotossica
- Antracicline
- Taxani
- Ciclofosfamide
- Carboplatino/Cis-platino
- Vinorelbina
- Gemcitabina
- Fluoropirimidine
Lagios
Micropapillare/ cribriforme Cribriforme con anaplasia Comedo/cribriforme con necrosi
Nottingham
DCIS senza necrosi DCIS con necrosi Comedocarcinoma
EORTC
Ben differenziato Mediamente differrenziato Scarsamente differenziato
BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________
- Sbobinature Prof Barone aa 2014/2015 e aa 2015/2016.
- Dispense Prof Butti.
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 135 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
CAPITOLO 12
___________________________________________________________
TUMORI DELL’ESOFAGO E DELLO STOMACO
CANCRO DELL’ESOFAGO
EPIDEMIOLOGIA
Il cancro dell’esofago ha una peculiare distribuzione geografica: è poco frequente nei
paesi occidentali tra cui l’Italia in cui colpisce circa 5 abitanti su 100000. E’
estremamente frequente nei paesi asiatici come il Giappone, dove l’incidenza
raggiunge addirittura i 250 su 100000, questo sembra essere correlato al consumo di
cibi molto caldi.
E’ più frequente nei maschi di età avanzata, il picco d’incidenza è infatti tra i 50 e i
70 anni. In Giappone dove si fanno screening di massa il picco d’incidenza si verifica
ad un’età inferiore per la scoperta di early esophageal cancers, limitati a mucosa e
sottomucosa. E’ una malattia subdola perchè quando compare la sintomatologia
maggiore il tumore è già in fase avanzata, con una prognosi infausta.
Questi tumori prediligono come sede i restringimenti fisiologici dell’esofago; nella
donna è più frequente la localizzazione al III prossimale.
EZIOPATOGENESI
Come per ogni altra neoplasia, l’eziologia del carcinoma esofageo è sconosciuta;
esistono, però, alcune condizioni che sembrano giocare un ruolo favorente la sua
insorgenza fra queste:
- L’insulto flogistico cronico sulla mucosa esofagea esercitato da fattori diversi, quali
le lesioni irritative dovute a caustici, l’esofagite da reflusso (è documentata la
progressione: esofagite cronica > displasia lieve > displasia grave > Tis > cancro
invasivo) e l’ernia iatale.
- L’abuso di alcool o del fumo di sigarette è statisticamente correlato con
un’aumentata incidenza di questa malattia, al pari della presenza di alcune lesioni
precancerose come certi tumori benigni (per esempio i papillomi) o dell’acalasia
(nel 5% dei casi si sviluppa carcinoma dell’esofago).
- Fattori dietetici, quale il consumo di cibi o bevande particolarmente caldi (riso fra
i cinesi, tè fra gli anglosassoni), che può in parte giustificare la differente
incidenza nei diversi gruppi etnici.
- Va ricordata l’associazione di questa neoplasia con la sindrome di Plummer-
Vinson (correlata all’anemia sideropenica), specialmente nei paesi scandinavi,
dove questa patologia è particolarmente frequente.
- Tilosi, malattia a trasmissione autosomica dominante, caratterizzata da
ipercheratosi delle palme delle mani e delle piante dei piedi con comparsa di
carcinoma esofageo entro la settima decade di vita.
- Esofago di Barret, metaplasia colonnare del III inferiore dell’esofago a seguito di
esofagite da reflusso associata ad un rischio di sviluppo di carcinoma esofageo del
10%. E’ una vera e propria condizione preneoplastica per cui questi pz vanno
tenuti sotto controllo. Nei paesi in via di sviluppo si aggiungono fattori di rischio
di tipo alimentare come il consumo di vegetali sotto sale e di farine con muffa.
STORIA NATURALE
- Fase iniziale precancerosa: si instaura l’esofagite cronica. Può durare anche anni.
- Fase locale: cancro precoce, può essere un carcinoma in situ intraepiteliale, se non
ci sono metastasi ai linfonodi regionali, con una buona prognosi ed una
sopravvivenza a 5 anni del 100%. Può essere un cancro limitato alla mucosa o alla
sottomucosa, in questa fase possono esserci già metastasi linfonodali e la
prognosi peggiora. E’ una malattia ancora in fase asintomatica e può essere
diagnosticata solo con screening su larga scala.
- Tumore localmente invasivo
- Tumore altamente invasivo. Diffonde per:
- Contiguità, grazie alla rete linfatica esofagea che si estende in senso
longitudinale; si può avere una diffusione longitudinale fino ad 8 cm dal
tumore primitivo, questo da ragione degli interventi ampiamente demolitivi
che si effettuano in questa sede. La neoplasia può invadere il grasso
mediastinico, la trachea (provocando la formazione di compressioni tracheali
o di fistole esofago-tracheali), la pleura (provocando versamenti pleurici), i
vasi, come la vena azygos, i nervi vaghi, intercostali, il ricorrente ed il
simpatico cervicale.
- Via linfatica, i linfonodi coinvolti saranno diversi a seconda della sede del
tumore primitivo. Per un tumore dell’esofago cervicale i linfonodi interessati
saranno: i sopraclaveari, i giugulari, i paratracheali. Per un tumore
dell’esofago toracico i linfonodi regionali saranno: gli intratracheobronchiali,
QUADRO CLINICO
Il quadro clinico si manifesta, di solito, inizialmente con disturbi di entità modesta
caratterizzati da disfagia intermittente, spesso solo in seguito all’ingestione di cibi
solidi o di boli voluminosi, pirosi che insorge subito dopo la deglutizione, bruciore
retrosternale dopo ingestione di liquidi caldi.
I disturbi del transito hanno andamento progressivo ed ingravescente: la disfagia
riguarda ad un certo punto anche i liquidi e si accompagna spesso ad eruttazioni,
scialorrea (per riflessi esofago-salivari), rigurgiti, vomito alimentare (quando la
stenosi esofagea è di grado rilevante).
Singhiozzi e paralisi diaframmatiche possono verificarsi in caso di interessamento
del diaframma e del nervo frenico.
La sindrome di Bernard-Horner (ptosi, miosi ed esoftalmo) può verificarsi per
interessamento del simpatico cervicale.
Il dolore non è molto frequente: può essere continuo o subcontinuo, a localizzazione
retrosternale, talvolta irradiato al dorso e, in genere, è correlato all’estendersi del
processo neoplastico nel mediastino alle strutture periesofagee.
Il quadro clinico può essere diverso in rapporto alle sedi della neoplasia: in quelle del
tratto prossimale prevalgono scialorrea, tosse “esofagea” (stizzosa), disfonia da
paralisi del ricorrente e disfagia; in quelle distali sono prevalenti i disturbi dispeptici,
singhiozzo molesto e, nelle fasi avanzate, disfagia.
Emorragie massive con ematemesi e, talora, anche melena, non sono frequenti (5%
dei casi), mentre è praticamente costante uno stillicidio cronico, in grado nel tempo
di provocare anemia sideropenica.
Nelle fasi avanzate possono essere presenti manifestazioni di carattere sistemico,
come in tutte le neoplasie maligne, caratterizzate da anoressia con sensazione di
inappetenza verso tutti i cibi, calo ponderale e progressivo deterioramento delle
condizioni generali, fino a vera e propria cachessia.
L’esame obiettivo è assai poco significativo, a parte la compromissione dello stato
generale che si instaura progressivamente nel tempo; è possibile, talvolta, la
palpazione di tumefazioni linfoghiandolari per interessamento metastatico,
soprattutto alle stazioni cervicali e sovraclaveari, talora solo sinistra con positività
del segno di Troisier, più comune nel carcinoma gastrico.
DIAGNOSI
Gli esami di laboratorio non sono di grande utilità per la diagnosi di questa malattia:
frequente è l’anemia sideropenica e quasi sempre positiva è la ricerca di sangue
occulto nelle feci.
Una volta fatta la diagnosi è necessaria una corretta stadiazione preoperatoria per
cui verranno eseguite:
- Ecoendoscopia, per valutare l’estensione parietale della neoplasia.
- TC e RMN, per valutare l’estensione della malattia nel mediastino e
l’interessamento linfonodale
- Valutazione dell’apparato respiratorio, per valutare l’interessamento e
l’infiltrazione delle vie aeree. Questo si fa se il pz presenta dei sintomi di
interessamento dell’apparato respiratorio, sia se non li presenta, perchè è
necessario in vista dell’intervento che prevede una toracotomia.
- Ecografia epatica, per la ricerca della metastasi epatica
- Valutazione della funzionalità epatica, perchè la cirrosi epatica è spesso associata
al cancro esofageo che è frequente nei bevitori.
- Scintigrafia ossea
- Valutazione del performance status.
STADIAZIONE
TNM (edizione 7)
T
T1b Sottomucosa
T3 Avventizia
TERAPIA
La chirurgia è l’unica modalità terapeutica attuabile con intenti curativi, anche se
negli ultimi anni si è assistito ad un grande sforzo per realizzare studi di terapia
combinata, integrante chemio- e radio- terapia, con l’obiettivo primario di migliorare
la prognosi. La radioterapia viene utilizzata ad intento curativo (dosi di 70-80 Gy)
nei casi di malattia limitata ma non operabile per le condizioni del pz, per la sede del
tumore e per la funzionalità respiratoria. Poichè la diagnosi è tardiva solo il 25-30%
dei carcinomi esofagei risulta operabile alla diagnosi.
Le EEC si trattano con una tumorectomia endoscopica.
Radioterapia
Il carcinoma squamocellulare è una neoplasia radiosensibile. La radioterapia può
dunque rappresentare un momento importante del trattamento integrato di questi
tumori oppure, in pazienti non candidabili ad un intervento chirurgico radicale per
problemi medici intercorrenti, per la sede della neoplasia (esofago cervicale) o per la
sua estensione alle strutture adiacenti, può essere applicata con intenti curativi. In
questo caso i risultati migliori si ottengono nei pazienti con estensione longitudinale
della neoplasia inferiore a 10 cm; le dosi curative sono superiori a 60 Gy. In centri
specializzati, la sopravvivenza a 5 anni ottenuta con la radioterapia è risultata
sovrapponibile a quella ottenuta con la chirurgia (circa il 20%).
Chemioterapia
I risultati della chemioterapia nei pazienti con metastasi clinicamente rilevabili non
vanno oltre gli obiettivi palliativi. In linea di massima, nessun farmaco dimostra
livelli di attività superiori al 20-25% di risposte obiettive, quasi sempre parziali e di
breve durata. Il farmaco più attivo è considerato il cis-platino, che viene pertanto quasi
sempre incorporato nelle chemioterapie di combinazione. La polichemioterapia è più
efficace dei farmaci singoli, ma le percentuali di risposta obiettiva restano basse
(intorno al 40%) e la sopravvivenza dei pazienti è influenzata in modo del tutto
marginale, restando tra 7 e 9 mesi.
FATTORI DI RISCHIO
- Età, l’incidenza aumenta dai 35 anni in poi con un picco in soggetti con età > di
40 anni.
- Sesso, il cancro dello stomaco ha un’incidenza nei maschi 2,2 volte superiore
rispetto a quella nelle femmine.
- Razza, ha una maggiore incidenza nei soggetti di razza nera, anche al di fuori
dell’ambiente d’origine.
- Ha una maggiore incidenza nei soggetti di gruppo sanguigno A, il motivo non è
noto, forse per la secrezione di mucine particolari.
- Dieta, i fattori dietetici svolgono un ruolo fondamentale. Sono cancerogeni i
nitrati e nitriti. Essi sono presenti in verdure coltivate in regioni con ricca
presenza di nitrati dei terreni e nelle carni dato che i nitriti sono usati come
conservanti. I nitrati, grazie all’azione batterica (negli alimenti malamente
conservati) sono trasformati in nitrosammine, altamente cancerogene. Questo è
il motivo per il quale l’introduzione del frigorifero ha provocato una riduzione
dell’incidenza di cancro allo stomaco (migliore conservazione degli alimenti).
Sono cancerogeni anche gli idrocarburi policiclici prodotti con la cottura dei cibi
alla griglia, o nei cibi affumicati o fritti. Sono cancerogeni anche alcuni additivi
alimentari come alcuni coloranti, alcaloidi del senecio ed altri. I fattori dietetici
possono anche incidere alterando l’integrità della mucosa gastrica, come può
accadere per la frequente ingestione di alimenti secchi, vegetali a corteccia dura ed
alimenti ad alto contenuto di sale. Sembrano avere un ruolo protettivo le vitamine
A, C,E.
- Soggetti a rischio sono i lavoratori a contatto con asbesto e nichel.
- Fumo, aumenta il rischio di tumore dello stomaco di 1,5-3
volte così come è aumentato in questi casi il rischio di
displasia gastrica e di altre lesioni potenzialmente
precancerose.
- Helicobacter pylori. Studi epidemiologici hanno
chiaramente dimostrato l’esistenza di un’associazione tra
infezione da H. pylori e carcinoma gastrico (il rischio è più
alto di 3-6 volte). Il ruolo preciso dell’infezione da H.
pylori nella carcinogenesi gastrica non è chiaro per quanto si
ritenga che sia da mettere in relazione all’insorgenza di
gastri- te cronica atrofica indotta da tale microrganismo.
D’altra parte il carcinoma gastrico si sviluppa soltanto in
una piccola percentuale dei pazienti portatori di H. pylori
per cui si suppone che l’insorgenza della malattia
neoplastica richieda l’intervento di altri fattori, genetici o di
altra natura (tra l’altro l’effetto della prevenzione o del
trattamento dell’infezione da H. pylori sul rischio di
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 142 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
sviluppo di carcinoma dello stomaco non è conosciuto, a differenza di quanto
avviene per il linfoma gastrico H. pylori-correlato).
- Precancerosi, situazioni istopatologiche in cui il carcinoma si sviluppa più
frequentemente. La displasia (lieve, media o grave) rappresenta una condizione di
perdita di differenziazione strutturale e funzionale della mucosa con
modificazione della velocità e della qualità della divisone cellulare. La displasia
grave, da alcuni autori definita carcinoma in situ, è una lesione neoplastica a tutti
gli effetti. Il suo rinvenimento in 2 gastroscopie successive è indicazione alla
grastroresezione preventiva. Alcune malattie dello stomaco associate ad un rischio
neoplastico maggiore sono: polipi adenomatosi, sindrome di Peutz-jeghers,
poliposi giovanile, gastrite cronica atrofica, anemia perniciosa, metaplasia
intestinale e ulcera gastrica.
- Ulcera gastrica. La frequenza della degenerazione neoplastica di questa malattia è
assai variabile nelle differenti casistiche (in media 10% dei casi). Le ulcere di
piccole dimensioni sembrano degenerare meno frequentemente rispetto a quelle
di dimensioni maggiori; le ulcere situate in regione prepilorica e cardiale
degenerano più frequentemente rispetto a quelle localizzate altrove. In realtà la
degenerazione maligna di un’ulcera benigna è un evento estremamente raro e che
nella quasi totalità di questi casi si tratta già di neoplasie gastriche in stadio molto
precoce, con aspetto ulcerato, tanto da essere confuse con l’ulcera vera e propria.
È stato anche osservato che il rischio di carcinoma gastrico aumenta nel tempo
(10-20 anni) dopo intervento di resezione gastrica parziale secondo Billroth II per
ulcera peptica.
- Gastrite atrofica. L’importanza di questa malattia come lesione precancerosa è
correlata al fatto che dal punto di vista anatomopatologico essa è caratterizzata
dalla scomparsa della componente ghiandolare e dalla presenza, in oltre il 40% dei
casi, di metaplasia intestinale e di fenomeni rigenerativi aberranti della mucosa,
localizzati soprattutto nella regione antrale. Più della metà dei tumori maligni
dello stomaco insorgono in zona di metaplasia intestinale in corso di gastrite
atrofica e l’intestinalizzazione della mucosa gastrica è stata associata al 90% dei
casi di cancro gastrico; inoltre l’osservazione protratta (oltre 10 anni) di pazienti
con gastrite cronica atrofica ha dimostrato che, nell’8-10% dei casi, si sviluppa il
carcinoma gastrico.
Genetica molecolare
Il ruolo degli “oncogeni” e dei geni “antioncogeni” nella patogenesi del carcinoma
dello stomaco è stato recentemente considerato con attenzione.
Così come per il carcinoma del colon-retto, delezioni alleliche dei geni MCC, APC e
del gene della proteina oncosoppressiva p53 sono state descritte in una variabile
percentuale di pazienti con cancro gastrico; per contro, a differenza di quanto
avviene per il carcinoma del colon e del pancreas, in questo caso molto raramente si
riscontrano mutazioni a carico dell’oncogene K-RAS.
Fattori prognostici sfavorevoli saranno:
- Overespressione di EGF
- Concentrazione elevata di inibitori della C1 elastasi
- Presenza di cellule immunoreattive al pepsinogeno II
E’ un fattore prognostico favorevole la presenza della proteina S-100.
Tutte le zone dello stomaco possono essere colpite; in ordine decrescente avremo:
- Regione pilorica e antrale (50% dei casi),
- Piccola curvatura (20%),
- Regione cardiale (9%),
- Grande curvatura (7%).
STORIA NATURALE
Il tumore può estendersi per:
- Contiguità, coinvolgendo strutture prospicienti come l’esofago, il duodeno.
Quando il tumore raggiunge la sierosa può continuare per contiguità
Segni
In circa il 40% dei pazienti è possibile apprezzare una massa in sede epigastrica
soprattutto nelle fasi più avanzate in cui, inoltre, è frequente il riscontro di
epatomegalia metastatica e di tumefazioni linfonodali, specialmente in regione
DIAGNOSI
Anemia sideropenica per stillicidio occulto e per alterato assorbimento del ferro è
presente in circa il 50% dei pazienti; l’anemia può essere macrocitica in caso di
associazione con anemia perniciosa e gastrite atrofica.
La ricerca del sangue occulto nelle feci è positiva in circa il 50% dei casi. I livelli di
albumina sierica possono essere ridotti a causa della protidodispersione da parte
della mucosa gastrica coinvolta dalla neoplasia.
La radiologia costituisce ancora oggi una tecnica diagnostica molto efficace nello
studio delle lesioni dello stomaco; la sensibilità del metodo raggiunge anche il 95%
dei casi (se con la tecnica del doppio contrasto).
Gli aspetti più caratteristici delle neoplasie maligne sono rappresentati da:
- Forme vegetative: difetti di riempimento, dovuti alla presenza di vegetazioni
tumorali che sporgono nel lume;
- Forme ulcerative: immagini di nicchie con aspetti differenti: a fondo piatto o “en
plateau” con margini notevolmente rilevati; ad incastro, perdita di sostanza
nell’ambito della proliferazione neoplastica; a menisco, immagine di plus di forma
semicircolare circondata da ampio alone radiotrasparente dovuto alla presenza del
tumore;
- Forme infiltrative: rigidità e mancata distensione delle pareti gastriche, globale
(stomaco a borsa di cuoio) o segmentaria (stomaco a clessidra); queste forme
sono di solito meglio evidenziabili con l’esame radiologico che con l’endoscopia;
- Immagini di stenosi: frequenti soprattutto in caso di neoplasie in prossimità del
piloro.
PROGNOSI
La gravità della prognosi è strettamente correlata alla notevole difficoltà di una
diagnosi precoce; infatti lo stadio patologico della neoplasia rappresenta il fattore
prognostico più importante.
Al di là dello stadio della malattia, il carcinoma gastrico di tipo intestinale è
associato ad una più alta percentuale di sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi, dopo
resezione chirurgica, rispetto al carcinoma di tipo diffuso (rispettivamente circa 25%
e 15%).
La prognosi è peggiore nelle forme poco differenziate ed in quelle in cui sono
presenti alterazioni di carattere genetico (delle quali s’è già parlato); inoltre è
importante, in questo senso, la localizzazione della neoplasia primitiva ricordando
che, per esempio, negli USA il 37% di questi tumori si sviluppa nel III prossimale
dello stomaco, il 20% nel III medio, il 30% nel III distale ed il 10% circa coinvolge
l’intero stomaco.
La percentuale di sopravvivenza a 5 anni dall’exeresi chirurgica è del 20-25% per i
pazienti con tumore distale, 10% per quelli con tumore prossimale e meno del 5%
per quelli in cui la malattia interessa tutto lo stomaco (la minore sopravvivenza dei
SINDROME DELL'ANSA Ostacolo allo svuotamento dell'ansa efferente per presenza di una briglia
EFFERENTE aderenziale, di un’ernia interna, per eccessiva retrazione cicatriziale.
La terapia si avvale della costruzione di una nuova enteroanastomosi.
BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________
- Dispense Prof. Butti, reperibili presso la copisteria
- Harrison - Manuale di Medicina interna - Edizione 2014 Autore: Fauci - Kasper -
Hauser - Longo - Jameson - Loscalzo - Harrison , Editore: Casa Editrice
Ambrosiana, Edizione: XVIII 1/2014 , Volume: Unico
- Medicina interna sistematica di Claudio Rugarli
CAPITOLO 13
___________________________________________________________
NEOPLASIE DEL COLON RETTO E DELL’ANO
PRECANCEROSI
- Polipi del colon (adenomatosi): sono i più frequenti, ricercati nella colonscopia,
sono asportati in fase poliposa ed è agendo su questi che si ottiene la riduzione
della mortalità;
- Poliposi familiare diffusa (FAP, 100%): si è adottata la strategia chirurgica di
asportazione di tutto il colon-retto altrimenti questi pazienti andrebbero incontro
a morte certa.
- Sindrome di Gardner;
- Sindrome di Lynch;
- Rettocolite ulcerosa (7-15%);
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 152 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
- Morbo di Crohn
Polipi adenomatosi
Morfologicamente sono distinti in:
- Polipi sessili, a larga base d’impianto, e ciò ha delle implicazioni dal punto di vista
pratico in quanto i polipi sessili sono più difficilmente asportabili
endoscopicamente, ma se sono di dimensioni contenute è possibile asportarli per
via endoscopica)
- Peduncolati.
Istologicamente i polipi sono:
- Tubulari, possono insorgere in
qualunque tratto del colon-
retto ma più frequentemente
nel retto-sigma. Hanno un
sottile peduncolo rivestito di
mucosa normale ed una testa
moriforme del diametro
inferiore ai 2,5 cm.
- Vi l l o s i ( c h e s o n o u n a
minoranza ma che hanno
maggior rischio di
cancerizzazione, 40%). I polipi villosi inoltre, specie se di una certa dimensione,
generalmente superiori a due cm, possono avere la capacità di produrre muco e
dare un sintomo molto caratteristico e specifico che è la mucorrea. Essi sono in
genere sessili e solitari con una larga base d’impianto ed una forma a cavolfiore.
- Tubulo-villosi
Polipo cancerizzato: c’è una storia naturale che porta da alterazioni della mucosa a
una cancerizzazione in situ, intramucoso, fino all’ adenoma cancerizzato che invade
muscolaris mucosae e arriva alla sottomucosa (3-9%); è curato con asportazione
endoscopica. Il polipo cancerizzato andando oltre la muscolaris mucosae pone il
rischio di diffusione attraverso il peduncolo vascolare con disseminazione delle
cellule neoplastiche. Se si interviene a questo livello con l’asportazione, il paziente è
Poliposi familiare
Presenza di più di 100 adenomi lungo la mucosa del colon-retto, quindi rischio
elevatissimo di cancerizzazione. E’ una malattia autosomica dominante, abbastanza
Sindrome di Gardner
Malattia autosomica dominante caratterizzata da poliposi colica, spesso non c’è
enorme villosità. Può verificarsi la presenza di altre neoformazioni ossee o muscolari
(osteomi multipli di cranio e mandibola e tumori dei tessuti molli). Con minore
frequenza si associano tumori desmoidi, anomalie dentarie, neoplasie tiroidee e
neoplasie periampollari.
Sindrome di Linch
È la più frequente delle forme ereditarie. Autosomica dominante a esordio giovanile
<40 anni. Riguarda il 6% di tutte le neoplasie colonrettali. Importante effettuare lo
screening per questa sindrome nella famiglia di un paziente che abbia sviluppato una
neoplasia del colon-retto al di sotto dei 50 anni. Possiamo distinguere:
- Tipo 1: limitata al colon, generalmente esordisce con un cancro del colon
prossimale prima dei 40 anni.
- Tipo 2: associata ad altre neoplasie del tratto gastro-enterico , ginecologiche e
renali.
Dal punto di vista genetico sono stati individuati hMSH2 e hMLH1 rispettivamente
sui cromosomi 2 e 3. Essi codificano per enzimi coinvolti nella riparazione del DNA.
I criteri di Amsterdam per fare diagnosi di sindrome di Linch sono:
- Presenza di almeno un familiare con cancro del colon prima dei 50 aa
- Padre e fratello con ca. colon
- parente di primo grado del padre con ca. colon.
FORME ISTOLOGICHE
- Adenocarcinoma: semplice, mucinoso, a cellule con castone
- Carcinoma Adeno-squamoso: interessamento anche dell’ano, quando si fa una
biopsia del basso retto bisogna fare attenzione al tipo di mucosa e che non sia un
tumore dell’ano che risale verso il retto: è una zona di passaggio tra due tipi di
mucosa e quindi si parla di neoplasie giunzionali. I carcinomi dell’ano sono molto
sensibili alla radioterapia (90% dei casi) associata a chemioterapia, mentre nel
retto la terapia è essenzialmente chirurgia + terapia adiuvante.
- Carcinoma indifferenziato
GRADING
Indica l’aggressività del tumore G1, G2, G3: questo cambierà quando avremo a
disposizione dei biomarcatori che daranno in maniera più accurata la misura
dell’aggressività del tumore.
EGFR, K-Ras sono importanti marcatori di neoplasia del colon-retto: la positività per
K-Ras consente l’utilizzo di anticorpi monoclonali che hanno aumentato la risposta
della neoplasia alla terapia. In caso di K-Ras wild type è possibile usare un farmaco
biologico detto cetuximab. Se invece il K-Ras è mutato è inutile usare il cetuximab
perché non c’è il target su cui questo farmaco agisce. Questo tipo di approccio è
fondamentale nell’ambito di una terapia oncologica quanto più personalizzata
possibile.
LOCALIZZAZIONE
- colon 64%
- retto 39%
- sigma 25%
- a seguire cieco
SINTOMATOLOGIA
I sintomi del tumore variano in base alla sede, alla grandezza ed al grado di
infiltrazione degli organi circostanti. Dal punto di vista macroscopico il tumore può
essere:
- Vegetante, a crescita esofitica; per scompenso della vascolarizzazione rispetto alla crescita del
tumore spesso esso va in necrosi. La parte necrotica può staccarsi e residuare con un ulcera. In
genere la crescita esofitica avviene nel colon dx.
- Infiltrante, infiltra mucosa e sottomucosa.
- Stenosante, il tumore si estende nella parete creando un’importante reazione cicatriziale fino
ad una vera e propria stenosi anulare con manifestazioni subocclusive. Si ricorda che anche un
grande tumore non stenosante può dare una stenosi.
Retto
In genere si tratta di un tumore vegetante ulcerato. E’ spesso presente una
sensazione dolorosa di incompleto svuotamento a fine defecazione dovuta alla massa
che occupa l’ampolla rettale. Tipico è il tenesmo (dolore dopo evacuazione dovuto alla
contrazione spastica dello sfintere anale, esso è presente anche in caso di tumore retto, RCU,
ragade anale) se interessato il plesso nervoso. Può essere presente rettorraggia:
sangue rosso rutilante emesso con le feci o indipendentemente dalla defecazione. Tra
le modificazioni dell’alvo, quella più frequente è la stipsi con feci caprine fino
all’occlusione intestinale
Va ricordato che il tumore del colon non dà dimagrimento a meno che non ci siano
metastasi epatiche. L’anoressia all’esordio deve portare a sospettarle.
Nel 15% dei casi dei tumori del colon retto l’esordio si ha con delle complicanze,
ovvero con occlusione intestinale, evenienza più frequente 14%, o con perforazione
intestinale 2,5%. Nei pazienti in cui il primo sintomo della neoplasia è una
complicanza, la prognosi è peggiore per due motivi fondamentalmente: un tumore che
perfora la parete è infatti un tumore più avanzato ed inoltre con la perforazione è
maggiore il rischio di diffusione della malattia.
DIAGNOSI CLINICA
- Anamnesi: deve indagare i segni relativi ad un’anemizzazione o alterazioni
dell’alvo; In caso di alvo stitico, importante è capire se è qualcosa di nuovo o di
vecchio e se ha cambiato caratteristiche.
- EO addominale: è importante la ricerca di una distensione addominale, se c’è una
situazione di occlusione o sub-occlusione.
- Esplorazione rettale: la sede più frequente è il retto e in 2/3 dei casi, una manovra
molto semplice che si può fare in ambulatorio, può indirizzare già da subito verso
l’iter diagnostico da seguire.
- Esami ematochimici: si effettua un emocromo per valutare il grado di
anemizzazione. Questo tipo di pz si rivolge al medico semplicemente perché si
sente stanco, astenico. Una delle più frequenti cause di anemizzazione è il cancro
del colon.
MARKERS NEOPLASTICI
- CEA ( valori normali : < 4.60 ng / ml ): E’ alterato nel 50 – 60 % nei pazienti
con K colon. E’ più sensibile nelle neoplasie ben differenziate, ma se non c’è
un CEA elevato, non vuol dire che non c’è il tumore; Più utile nel follow – up
che nella diagnosi.
- Ca 19-9
DIAGNOSTICA STRUMENTALE
- Pancolonscopia: deve comportare la visualizzazione endoscopica di tutto il colon,
dall’ano al cieco con eventuale biopsia. Ciò è importante perché esistono
neoplasie multiple. Neoplasie del retto o del sigma non autorizzano a terminare
l’esame endoscopico a questi livelli, ma impongono l’esplorazione di tutto il viscere
fino al cieco: sia per escludere l’esistenza di altri polipi, che è frequente, sia di altre
localizzazioni della neoplasia (questo è molto frequente, soprattutto in pz con
situazioni di pre-cancerosi importante come la RCU, dove deve esserci l’esplorazione
regolare di tutto il colon). L’esame endoscopico deve essere associato all’esame bioptico.
FATTORI PROGNOSTICI
I fattori prognostici negativi sono molteplici. La percentuale di diffusione a distanza
varia nei differenti pz dal 55% al 75% a cinque anni e ci sono vari fattori che
determinano questa variabilità condizionando la sopravvivenza dei pz. Avremo:
- Infiltrazione profonda della parete T4
- Presenza di metastasi linfonodali è un concetto dipendente dalla radicalità della
linfadenectomia cioè dalla linfonod-ratio ovvero dal numero di linfonodi
metastatici sul numero totale di linfonodi asportati.
- La presenza di metastasi a distanza soprattutto epatiche e polmonari.
- Il grading G2, G3
- I marcatori CEA e CA19.9 con valori pre-operatori molto elevati. Alcuni pz non
esprimono questi marcatori, pertanto se sono negativi non si può escludere la
VIE DI DIFFUSIONE
La neoplasia si può propagare per via:
- Locale: si verifica lungo l’asse trasversale e longitudinale del viscere, con invasione
successiva dei diversi strati della parete intestinale, del grasso pericolico, degli
organi e delle strutture adiacenti; dopo aver superato la sierosa anche possibile,
per fenomeni di esfoliazione cellulare, la colonizzazione neoplastica del peritoneo
(carcinosi peritoneale).
- Per via linfatica: fenomeno ampiamente prevedibile; procede in maniera
progressiva e graduale, interessando, con distribuzione segmentaria, i linfonodi
peri e paracolici e soltanto successivamente i linfonodi più distali (stazioni
intermedie e principali); raro il riscontro di metastasi ai linfonodi principali senza
il contemporaneo interessamento di quelli più prossimali (salto del linfonodo).
- Per via ematica: nel corso del processo espansivo la neoplasia può infiltrare i
piccoli vasi venosi della parete intestinale o dei tessuti pericolici determinando
così il passaggio in circolo – quello portale soprattutto – di foci tumorali: il fegato
in primo luogo ed i polmoni rappresentano, infatti, le sedi più frequentemente
colpite dalla metastatizzazione a distanza. Si è osservato che, al momento della
diagnosi, il 20-25% dei pazienti ha già in atto metastasi epatiche e/o polmonari.
Nel cancro del retto, organo con duplice drenaggio venoso (attraverso le
emorroidarie superiori nel sistema portale e tramite le emorroidarie medie ed
inferiori in quello cavale), sono più frequenti, rispetto a quanto avviene per il
colon, le metastasi polmonari senza interessamento epatico. Sono state talora
riscontrate metastasi a livello osseo.
- Diffusione peritoneale: per via diretta, si può verificare una carcinosi peritoneale
- Diffusione perineurale: attraverso le terminazioni nervose, le cellule possono
giungere in questo modo al midollo osseo.
- Diffusione attraverso il plesso di Batson, un plesso venoso perivertebrale che
realizza anastomosi con le vene tributarie del sistema portale ed il sistema cavale.
T1 invasione sottomucosa
N2b ≥ 7 linfonodi
N3 linfonodi dell’ arteria ileo-colica, colica destra, colica media, colica sinistra,
AMI, rettale superiore
TERAPIA
Terapia chirurgica
In linea generale la terapia del cancro del colon è chirurgica. Non si cura con la
chemioterapia, che però ha un ruolo complementare per migliorare i risultati e che
può essere neoadiuvante o adiuvante e la radioterapia che ha un ruolo ben preciso ed
importante nel cancro del retto.
Dal momento che la chirurgia è la terapia del cancro del colon-retto è opportuno
avere una panoramica dei tipi di interventi che vengono attuati. Gli interventi
saranno diversi a seconda della sede del tumore:
Descrizione dell’emicolectomia dx: per prima cosa viene identificata l’ultima ansa ileale e il
cieco, quindi si procede alla dissezione lungo la doccia parieto-colica destra, partendo dal basso
verso l’alto. Questa manovra risulta notevolmente agevolata dall’impiego di strumenti quali il
dissettore a ultrasuoni che garantisce una maggiore sicurezza nell’emostasi, una minore quantità
di fumo e una mancanza di diffusione di calore alle strutture circostanti.
L’ampia mobilizzazione del colon ascendente ci permetterà la visualizzazione dell’uretere destro,
della fascia di Gerota e del duodeno. La dissezione andrà estesa sino a mobilizzare la flessura
epatica. Infine, si libera il colon traverso mediante la sezione del grande epiploon, stando al di
fuori dei vasi gastro-epiploici, sino al livello dell’arteria colica media.
Dopo aver terminato questa ampia mobilizzazione si pratica una minilaparotomia di servizio di
4-5 cm in corrispondenza del trocar ombelicale. Importante è inserire nell’endobag il tratto
resecato senza farlo toccare sulla parete addominale. Attraverso questa incisione, protetta da
appositi teli in plastica, viene estratta l’ultima ansa ileale, il cieco e il colon ascendente. Si
sezionano il colon discendente e l’ultima ansa ileale. Si completa l’intervento effettuando
un’anastomosi latero-laterale tra ileo e traverso, facendo attenzione a non chiudere il lume.
Al termine dell'intervento, l’intestino è riposto in addome. Si lascia, infine, un drenaggio
tubulare attraverso uno dei trocars. Il drenaggio viene rimosso 3-4 giorni dopo l’intervento.
L’intervento in laparoscopia deve seguire le stesse regole di quello” a cielo aperto”: resezione
adeguata secondo il rispetto dei margini e linfoadenectomia radicale. Il paziente in seconda
giornata post-operatoria è in piedi pertanto la degenza sarà notevolmente ridotta.
Se invece si ha il tumore del colon sinistro che è di tipo stenosante e il paziente è occluso, c’è la
possibilità di fare resezione del colon e subito l’anastomosi; se il paziente ha l’ansa a monte
dilatata e si è in urgenza con un caso di perforazione si fa una colostomia (il tratto interessato
dal tumore è resecato) e il colon viene abboccato sulla parete senza anastomosi (intervento di
Hartmann) e l’altro moncone è affondato, poi a distanza di un mese si procede con l’anastomosi e
il paziente viene ricanalizzato.
A seconda della sede del tumore bisogna far riferimento ai vasi venosi e arteriosi che
si devono andare a legare, anche per portar via tutti i linfonodi che drenano il
territorio interessato dal tumore, poiché sono proprio questi le prime localizzazioni
di recidiva. Nel caso dell’emicolectomia destra si legano per esempio l’arteria colica
dx e la colica media. Nel caso del retto bisogna effettuare un’anastomosi a livello
pelvico per ricostituire la continuità intestinale. I due peduncoli vascolari arterioso e
venoso si devono asportare come tutte le strutture fibroadipose circostanti.
Gli standard oncologici della chirurgia curativa del cancro colorettale si basano
teoricamente su 4 principi:
- Dissezione en-bloc,
- Tecnica no-touch di isolamento del segmento da resecare
- legatura centrale dei vasi
- linfadenectomia sistematica.
Nel cancro del ceco e del colon ascendente prossimale è necessaria la sezione dei vasi
ileocolici, colici destri all’origine e ramo destro della arteria colica media alla sua
origine.
Neoplasie maligne del colon discendente e sigma richiedono una colectomia sinistra
con linfadenectomia adeguata, assicurata dalla legatura di vena mesenterica inferiore
al di sotto del margine inferiore del pancreas, della arteria mesenterica inferiore alla
sua origine, in modo da asportare tutto il ventaglio di mesocolon sinistro e
mesosigma, con sezione distale del viscere al di sotto del promontorio per assicurare
una sufficiente irrorazione.
Tumori della flessura splenica o del trasverso distale (entro i 10 cm dalla flessura)
devono essere trattati mediante colectomia sinistra allargata con sezione all’origine
dei vasi colici sinistri e medi.
Tumori del terzo medio del traverso richiedono la resezione trasversaria completa con
legatura all’origine dei vasi colici medi.
Il mesoretto è la piega del peritoneo che connette la prima parte del retto alla parete
posteriore dell’addome, e rappresenta
la continuazione del mesocolon
discendente. Il mesocolon è un
tessuto adiposo linfatico, sito tra la
cavità pelvica e il retto, che contiene i
vasi emorroidari (arteriosi e venosi),
i linfonodi e i nervi propri del retto.
Il mesoretto è l’insieme delle strutture
adipose e linfatiche che circondano il
viscere, paragonabile a ciò che è il
mesentere per il resto dell’intestino, ed
è localizzato tra la parete del viscere
ed il sacro, da cui è separato dalla
fascia presacrale.
In caso di tumore del retto il mesoretto è da asportare completamente, così come nel
tumore del colon si effettua la linfadenectomia.
L’esame del mesoretto permette di valutare la prognosi del pz. Se c’è infiltrazione si
ha maggior incidenza delle recidive locale. L’escissione del mesoretto deve essere
completa cioè fino alla fascia presacrale e poi il mesoretto assieme al pezzo
operatorio va analizzato con l’esame istologico. Bisogna analizzare i margini laterali
della resezione per verificare la radicalità dell’intervento e l’escissione completa del
mesoretto ed i margini delle eventuali metastasi mesorettali che in caso di radicalità
permettono una riduzione molto significativa del rischio di recidiva locale.
L’escissione completa del mesoretto è il fattore più importante per ridurre il rischio
di recidiva locale pelvica che dal 16-20% è passato a meno del 10%. Questa
percentuale è stata poi ridotta ulteriormente con la integrazione di radio e
chemioterapia sul retto.
Il margine di sezione longitudinale del retto varia a seconda del livello. In passato
per tumori che arrivavano a 2 cm dal margine anale si faceva la resezione addomino-
perineale secondo Miles. Oggi si è visto che fare radioterapia e chemioterapia riduce
le dimensioni del tumore e fa sì che il tumore risalga verso l’alto, allontanandosi dal
Molti tumori del colon-retto oggi possono essere operati in laparoscopia: questa
metodica si è sviluppata soprattutto negli ultimi anni e costituisce circa il 30% degli
interventi sul retto-colon.
Nel caso siano presenti dei fattori prognostici negativi è necessario eseguire un
follow-up più serrato.
Chemioterapia adiuvante
STADIO III (T1 - 4, N1 - 2): Per il tumore del colon il protocollo prevede la
chemioterapia post-operatoria dallo stadio 3 ed in stadio 2 a rischio, cioè
sicuramente nei pz con un tumore che all’analisi istopatologia post-operatoria hanno
presentato linfonodi positivi.
STADIO II (T3, N0, M0) a elevato rischio: Negli altri pazienti con linfonodi negativi
non si effettua chemioterapia a meno che non ci siano dei fattori prognostici negativi
di grosso rischio di ripresa di patologia, cioè infiltrazione linfo-vascolare
extratumorale;
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 166 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
La chemioterapia si avvale di:
• 5 FU - Ac. Folinico (De Gramont)
• Oxaliplatino + FA + FU (FOLFOX)
• Irinotecan + FA + FU (FOLFIRI)
• FOLFOXIRI
• Fluoropirimidine orali (Capecitabina, …)
• Anticorpi monoclonali: anti EGFR come Cetuximab (se K-Ras wyld Type) e anti
VEGF come il Bevacizumab
Chemioterapia neoadiuvante
E’ indicata nelle neoplasie in Stadio II e III. Comporta una diminuzione delle
recidive locali e una riduzione delle dimensioni del tumore con maggiore probabilità
di salvataggio dello sfintere e possibilità di risposta completa (8 %). Non provoca
aumento della sopravvivenza a distanza.
Resecabilità
Le metastasi epatiche del CCR sono resecabili se:
- È possibile ottenere la resezione completa R0
- Epatectomia lascia un volume di parenchima epatico sufficiente con supporto
vascolare e drenaggio biliare
- Il rischio chirurgico è accettabile
Tipologie di resezione:
- Resezione multipla limita con guida ecografica
- Embolizzazione della vena porta: Provocare l’ ipertrofia del futuro fegato residuo
per ridurre il rischio di insufficienza epatica postoperatoria
- Staged hepatectomy
- Resezione vascolare
- Associazione con tecniche ablative (RF, crio ecc)
- Epatectomia ripetuta
ANATOMIA
Definizione di canale anale
E’ la porzione terminale dell’intestino
lunga 3-4 cm, che si estende dall’anello
ano-rettale (ano-rectal ring) alla giunzione
con la cute perineale (anal verge). L’epitelio
che riveste questa parte del canale anale è
di tipo colonnare.
La linea dentata o pettinata è la sede in cui
si aprono le ghiandole anali e rappresenta
la zona di transizione tra l’epitelio
colonnare del canale prossimale e l’epitelio
squamoso stratificato del canale distale.
Le neoplasie primitive del margine anale sono assimilabili alle neoplasie cutanee di
altri distretti, queste ultime hanno un comportamento differente da quelle del canale
anale e quando è possibile una escissione chirurgica completa (wide excision)
presentano una sopravvivenza a 5 anni dell’80%.
I tumori della porzione distale del canale anale tendono ad essere più
frequentemente delle forme cheratinizzate, al contrario dei tumori della porzione
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 171 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
prossimale che si presentano come forme cloacogeniche o basaloidi da cui tuttavia
non differiscono per comportamento. Esiste una variante aggressiva della forma
basaloide, cosiddetta a piccole cellule, che ha una tendenza alla rapida diffusione.
Gli adenocarcinomi a partenza dalle ghiandole o dai dotti ghiandolari hanno un
comportamento simile agli adenocarcinomi del retto.
STORIA NATURALE
Le neoplasie del canale anale presentano una lenta evoluzione loco-regionale, con
invasione diretta delle strutture limitrofe.
La via di diffusione più frequente è quella linfonodale, meno frequente quella
ematica. Le metastasi a distanza sono rare (10-17%) e sono prevalentemente a
carico di fegato e polmone.
Circa il 60-70% dei pazienti all’esordio si presenta con malattia di diametro > 4 cm
a causa della genericità dei sintomi, che ne ritardano la diagnosi. Sono comuni il
sanguinamento rettale, spesso discontinuo e nei casi di malattia di Bowen (lesione
cutanea pre-maligna) è frequente il prurito anale che talvolta precede di vari mesi la
lesione sanguinante. Sintomi come il dolore durante la defecazione o una sostanziale
alterazione dell’alvo sono indicatori di uno stadio avanzato di malattia.
Il tumore del canale anale si presenta come una lesione ulcerata ed infiltrante a
margini rilevati e duri, talvolta accompagnata anche da una componente vegetante di
aspetto polipoide. L’estensione alla vagina, alla prostata ed allo spazio ischiorettale è
riscontrabile nel 15-20% dei casi e talvolta si accompagna a presenza di fistole e/o
ascessi. Adenopatie clinicamente evidenti sono presenti in circa il 20% dei casi
all’esordio, ma in serie sottoposte ad esplorazione chirurgica la percentuale varia dal
30-63% dei casi.
EPIDEMIOLOGIA
Le neoplasie del canale anale rappresentano il 4% di tutti i tumori del grosso
intestino e sono più frequenti nel sesso femminile (1.5-2 volte). L’incidenza annuale
è di 1/100.000 nella popolazione eterosessuale. Viene riportata un’incidenza più alta
(35/100.000) nei maschi omosessuali che svolgono pratiche sessuali passive, il
rischio raddoppia se il soggetto è HIV positivo. La promiscuità sessuale e le malattie
a trasmissione sessuale incrementano l’incidenza in entrambi i sessi. L’età mediana
alla diagnosi è di circa 60 anni, con un ampio range (30-80 anni).
EZIOLOGIA E FATTORI DI RISCHIO
I dati di seguito riportati, indirizzano verso l’ipotesi di una etiologia multifattoriale.
A tutt’oggi, tuttavia, non ci sono dati a favore di un programma di screening.
Infezioni
L’infezione da Papilloma virus (HPV) di tipo 13 e 16 (cosiddette forme ad alto
rischio) associata allo sviluppo di condilomi nei genitali esterni sembra svolgere un
ruolo promuovente l’insorgenza di neoplasie spinocellulari con un periodo di latenza
di più di 40 anni. L’HPV-DNA (di tipo 16) è stato riscontrato nell’80% delle biopsie
di tumori spinocellulari esaminati e nelle neoplasie intraepiteliali ad alto grado, in
particolare nei maschi omosessuali. Anche le infezioni da Herpes simplex di tipo 1,
da Chlamidia tracomatis e da Gonococco sono associate ad un incremento del
rischio relativo.
Fumo
Il fumo rappresenta un fattore di rischio solo per le donne in premenopausa ed è
stato ipotizzato che agisca come antiestrogenico nel promuovere la cancerogenesi.
Altri fattori
In individui immunocompromessi, ad esempio dopo trapianto d’organo, il rischio di
sviluppare una neoplasia del canale aumenta di circa 100 volte, così come in soggetti
affetti da una pregressa neoplasia vulvo-vaginale o della cervice uterina.
FATTORI PROGNOSTICI
Il più importante fattore prognostico è la sede di insorgenza. I tumori del canale sono
più aggressivi di quelli del margine. Nessuna sostanziale differenza è stata segnalata,
considerando i vari sottotipi istologici della forma squamocellulare.
Il grading può essere considerato un fattore prognostico.
Altrettanto importante è lo stadio di T, al cui aumento è correlato un peggioramento
della prognosi.
L’interessamento linfonodale è un fattore prognosticamente sfavorevole ed è correlato
ad un più elevato tasso di ricadute locali. A causa delle implicazioni correlate alla
presenza di infezione misconosciuta da HIV, come infezioni opportunistiche durante
il trattamento radio-chemioterapico, è consigliabile l’esecuzione del test in tutti i
soggetti a rischio.
Una prognosi sfavorevole sembra associata all’elevata presenza di p53 nell’istotipo
squamocellulare. La tolleranza ai trattamenti multimodali sembra essere un fattore
predittivo di successo.
STADIAZIONE
Per eseguire una corretta stdiazione sono consigliati i seguenti accertamenti:
- biopsia con esame istologico;
- Rx torace;
- test HIV;
- esplorazione rettale ± visita ginecologica;
- ano-retto-sigmoidoscopia, possibilmente con documentazione fotografica della
lesione;
- ecografia od ecoendoscopia transanale per la definizione della estensione di T e del
livello di infiltrazione neoplastica in profondità;
- TC addome e pelvi: è consigliabile estendere sistematicamente le scansioni almeno
5-6 cm, distalmente alle tuberosità ischiatiche;
- ecografia inguinale in casi di linfonodi clinicamente dubbi;
- agoaspirato o biopsia di linfonodi inguinali dubbi.
Altre indagini, ritenute opzionali, divengono indispensabili su indicazione clinica:
TC torace, RM pelvi, ecografia epatica, scintigrafia ossea, TC-PET, ecc.
TNM (2007)
T3 > di 5 cm
N1 Linfonodi perirettali
M1 presenza di metastasi
TRATTAMENTO
La radioterapia quale trattamento esclusivo è stata inizialmente impiegata nelle
forme molto avanzate e/o non trattabili chirurgicamente.
Nel tentativo di migliorare le risposte e di ridurre l’incidenza di ricadute locali, sulla
scorta di dati preclinici che ne sostenevano l’effetto potenziante si associarono alcuni
farmaci chemioterapici al trattamento radiante.
BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________
- Sbob Prof. Giuliante aa 2014/2015
- Linee guida AIOM 2013 sulle neoplasie del conon-retto
- www.iss.it, CARCINOMA DELL’ANO
- Linee guida AIOM 2013 sulle neoplasie dell’ano
- www.airc.it CARCINOMA DELL’ANO
CAPITOLO 14
__________________________________________________________
TUMORI DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI
Linfomi e Mielomi
EPATOCARCINOMA (HCC)
EPIDEMIOLOGIA
Il cancro del fegato è una delle malattie neoplastiche più diffuse, si colloca al 6°
posto come incidenza. Non è soltanto un tumore ad alta incidenza globale ma è
anche un tumore ad altissima mortalità, è la 3° causa di mortalità neoplastica. La
letalità di questa neoplasia è estremamente elevata ed è quasi del 90%.
Le regioni a maggiore incidenza sono l’Asia, l’Africa sub-Sahariana, ma anche ad
ovest del Sahara, e le regioni dell’America centrale.
Nel bacino del Mediterraneo l’incidenza non è bassa, in particolare in Italia abbiamo
un’importanza dell’epatocarcinoma significativa.
Va notato che l’incidenza dell’HCC è correlata alla presenza dell’ HBV. A seconda di
come questo venga trasmesso cambia la storia naturale della malattia. Infatti:
- Quando c’è una trasmissione di tipo verticale, essa determina l’insorgenza
dell’infezione da HBV connatale che a sua volta causa l’HCC in epoca molto
precoce, quando le difese immunitarie sono ancora poco efficaci. Ciò si traduce
con una rapidità di evoluzione molto maggiore.
- Quando c’è una trasmissione di tipo orizzontale l’infezione da epatite B è più
tardiva, quando il sistema immunitario è preparato a fronteggiare l’infezione.
Pertanto in queste condizioni si tende a cronicizzare l’infezione con eventuale
sviluppo tardivo dell’HCC.
In Italia l’HCC è all’8°posto come causa di tumore nei maschi, cioè 3.4%, e il 16°
nelle femmine; l’incidenza è 26.8 casi/100.000 abitanti maschi e 12.1 nelle donne,
per un totale d’incidenza stimata che arriva quasi a 12.000 casi all’anno e con
mortalità stimata che è superiore a 10.000 casi all’anno.
Se consideriamo questi numeri in termini di rischio cumulativo di sviluppare un
HCC avremo 1/59 nei maschi e fortunatamente 1/200 nelle femmine. Il rischio
morte nei maschi è 4 volte maggiore rispetto alle femmine.
In Italia, sia per il sesso maschile che per il femminile, la provincia con maggiore
incidenza è la zona di Napoli, però anche la provincia di Parma, il Veneto (qua la
causa principale è l’alcool), mentre invece i paesi a minor incidenza sono la
Romagna, Firenze, Prato, Macerata.
FATTORI DI RISCHIO
I principali fattori di rischio per lo sviluppo dell’ epatocarcinoma saranno:
- Infezione da HBV;
- Infezione da HCV;
- Epatite alcoolica;
- Steatoepatite: Flogosi cronica epatocitaria che è legata a malattie che
sostanzialmente rientrano nello spettro della sindrome metabolica (obesità,
diabete) che spesso si complicano con la steatosi epatica, la quale a sua volta in
alcuni pz determina uno stimolo infiammatorio legato all’aumento del volume
degli epatociti. La steatoepatite diventa una causa di epatocarcinoma sempre più
rilevante.
- Malattie rare, legate a difetti enzimatici, alcuni noti: emocromatosi, deficit di
alfa1antitripsina, cirrosi criptogenetica, cirrosi biliare primitiva.
- Esposizione a cancerogeni chimici, caratteristica è l’aflatossina ma poi anche
steroidi anabolizzanti, contraccettivi e pesticidi; rappresentano una quota
minoritaria ma hanno una loro importanza;
- Il fattore di rischio più importante è la cirrosi epatica, perché tra le prime 4 cause
più importanti (infezione HBV, HCV, alcool, steatoepatite) il trait d’union tra
HCC e danno epatico è sempre la cirrosi epatica.
PATOGENESI
Si verifica una catena di eventi, dal danno cronico
dell’epatocita alla rigenerazione epatocitaria, sviluppo
della cirrosi e contestualmente allo sviluppo della
cirrosi alla comparsa di alterazioni genetiche che
riguardano dei pathway di trasmissione del segnale
come:
- PI3K/AKT/mTOR,
- segnali angiogenici
- pathway di trasduzione del segnale
- pathway WNT/β-catenina il quale è uno dei pathway di
staminalità, per mantenere l’equilibrio delle cellule staminali; nel momento in cui
esso viene alterato, determina un indirizzo verso la maggiore proliferazione.
Nota: Il pathway WNT (wnt è un acronimo che sta per “ali di farfalla” perchè viene
coinvolto nella definizione dei colori e dell’orientamento dei pigmenti delle ali delle
farfalle) nel genere umano ha un ruolo importante come guardiano della staminalità.
Una volta che si instaura la fibrosi, nel momento in cui c’è un’attivazione alla
proliferazione conseguente alla flogosi, si manifestano dei noduli macro-rigenerativi
atipici, in cui c’è una maggiore attività proliferativa, aumenta la frequenza di
mutazione.
A ciò segue tutta una serie di eventi che portano, attraverso mutazioni e delezioni, a:
- riduzione dell’apoptosi
- aumento della replicazione cellulare,
- aumento della velocità di replicazione cellulare
A questo punto si passa all’epatite cronica di vario grado, la quale può evolvere nella
cirrosi; tra 3-10% di tutti i soggetti con infezione, e che sviluppano l’epatite cronica,
svilupperà la cirrosi; il 2-3% dei soggetti con la cirrosi muore per epatocarcinoma, a
cui si aggiunge anche qualche altra piccola percentuale che deriva dall’epatite (che
giunge direttamente all’ HCC). Ma di quel 2-3% dobbiamo capire che la maggior
parte è data dalla quota che contrae l’infezione da epatite in età perinatale o in età
infantile.
L’integrazione si esplica con un meccanismo non del tutto chiaro perché il virus non
viene integrato sempre nello stesso sito del genoma. Non è possibile individuare un
rapporto di causalità diretta
Probabilmente dipende da un riarrangiamento del DNA virale e dell’ospite e quindi
da effetti secondari legati all’attività del gene X. Il virus integrato è instabile e sono
possibili riarrangiamenti post-integrazione. Nel DNA virale sono presenti:
- Il gene X, codifica per una proteina regolatrice con funzione di trans-attivatore
trascrizionale del proprio e di altri promotori, può interferire con p53.
- Il Gene P, codifica per una polimerasi virale che possiede anche attività di
trascrittasi inversa.
- Il Gene S: Codifica per HBsAg
- Il Gene C: Codifica per HBcAg
L’HCV provoca un’alterazione della risposta immunitaria (per questo aspetto il virus
HCV si comporta come il virus dell’HIV) tanto è vero che i linfomi addominali
hanno una correlazione con HCV e non con HBV. Ciò comporta un aumento della
proliferazione cellulare mediante l’elusione dei vari meccanismi di controllo del
sistema immunitario stesso.
Il virus HCV contiene proteine strutturali e non strutturali ed entrambi hanno effetti
sull’incremento della proliferazione, sull’effetto mutageno, sulla trasformazione di
cellule normali in cellule neoplastiche attraverso la down-regolazione di p53 e l’up-
regolazione di fattori trascrizionali come E2F-1.
Le proteine che costituiscono l’HCV saranno:
- Strutturali (E1, E2, P7)
- Non strutturali (NS2, NS3, NS4 e NS5).
Sia le une che le altre possono avere un impatto sulla riduzione dell’apoptosi, in
particolare le non strutturali.
PREVENZIONE
Dal punto di vista di inquadramento generale l’impatto principale sulla mortalità
dell’epatocarcinoma risiede nella possibilità di una adeguata prevenzione.
Attualmente gli interventi più efficaci sono quelli di prevezione primaria:
Nella prevenzione secondaria vanno citate la terapia sia per epatite B che C e
soprattutto va evitata la progressione verso la cirrosi.
La prevenzione terziaria (chemioprevenzione) è rappresentata dalla riduzione del
rischio di epatocarcinoma in soggetti cirrotici, con un ruolo meno importante perché
molto complesso; al momento attuale l’unico intervento possibile sono le norme
dietetiche ma nulla di validato. In realtà c’è uno studio che non si è ancora concluso
con un farmaco che è un inibitore del b-FGF (Fattore di crescita Fibroblastico
basico), che ha l’obiettivo di ridurre l’insorgenza di epatocarcinoma in soggetti
cirrotici, inibendo l’attività fibroblastica.
ANATOMIA PATOLOGICA
Aspetto macroscopico, le più comuni manifestazioni saranno:
- Massivo: nodulo con un andamento espansivo, più o meno grosso, che cresce in
maniera espansiva infiltrativa in tutte le direzioni.
- Nodulare: vi è semplicemente un nodulo che rimane relativamente non modificato
per molto tempo.
- Diffuso: spesso parte dall’ilo epatico e si diffonde lungo le trabecole epatocitarie.
- Noduli satelliti.
Aspetto istologico:
- Trabecolare
- Solido
- Tubulare (simil-ghiandolare)
Esiste una variante che nei paesi europei ed asiatici è relativamente poco frequente,
ma che negli Stati Uniti rappresenta la metà di tutte le forme giovanili, ed è la
variante di Carcinoma fibrolamellare, che proprio per la caratteristica componente
fibrosa che circoscrive e limita l’accrescimento di tipo espansivo, è associato a una
prognosi migliore. Negli Stati Uniti rappresenta quasi la metà delle forme giovanili
con un rapporto M:F=1:1.
LOCALIZZAZIONE METASTASI
Metastasi locali Metastasi a distanza
Vena porta 35% Polmone 35%
Reni/Surreni 5%
PRESENTAZIONE CLINICA
La presentazione clinica è differente se parliamo di paesi ad alta e a bassa incidenza.
DIAGNOSI
Prevede una diagnosi di natura, che si fa con l’alfa-fetoproteina e la biopsia epatica
eco-guidata, ed una diagnosi di estensione con accertamenti che riguardano
l’estensione di malattia a livello di addome, ossa e polmoni.
I nuovi criteri contemplano l’enhancing in fase arteriosa con ritardato wash out e
delle dimensioni maggiori o uguali ai 2 cm.
E’ necessaria una RMN o TC a 3 fasi per osservare il precoce enhancement e il
ritardato wash out venoso, si ricordi che l’HCC è vascolarizzato prevalentemente dal
vasi arteriosi mentre il resto del fegato ha una importante vascolarizzazione venosa.
Esistono dei criteri combinati (imaging e laboratorio) che comprendono
sostanzialmente la diagnosi radiologica e la presenza di livelli di alfa-fetoproteina
superiore a 400 ng/ml.
In realtà il criterio combinato viene ritenuto superato, comunque valido, ma si
ritiene che per diagnosticare un epatocarcinoma in un soggetto con nodulo di
dimensioni pari o superiori a 2 cm è sufficiente effettuare un unico esame di imaging
con possibilità di valutare enhancement arterioso (precoce vascolarizzazione
Laddove ci siano ancora dubbi diagnostici può essere necessario effettuare una
biopsia epatica.
All’atto pratico la biopsia viene fatta più spesso perché nei grandi centri la maggior
parte di questi soggetti vengono indirizzati verso trattamenti sperimentali dove
l’istologia è importante. I criteri diagnostici sono ormai codificati nelle linee guida
NCCN del 2012, le più recenti per quanto riguarda la diagnostica di questa neoplasia.
Ci sono poi dei fattori biochimici che indicano un maggior interessamento epatico;
questi sono fondamentalmente l’aumento della bilirubina, la riduzione
dell’albumina, l’aumento dell’LDH, e la riduzione della riserva epatica che va sempre
studiata soprattutto in previsione di un intervento chirurgico.
STADIAZIONE
Per stadiare il paziente bisogna tenere conto della patologia tumorale e della
possibile presenza di cirrosi epatica. Bisogna valutare il peso della componente
neoplastica (stadiazione TNM) e di quella cirrotica (Child-Pugh).
Child-Pugh
M1 presenza di metastasi
CLIP
Il sistema CLIP unisce valutazioni funzionali (Child-Pugh), alcuni aspetti legati al
tumore (biologia, alfafeto e trombosi portale), che abbiamo visto essere i fattori che
vanno a peggiorare la classificazione TNM e la prognosi. Questo consente di
elaborare uno score che correla molto bene con la sopravvivenza. La prognosi
diventa gestibile fino a un CLIP score di 2, mentre diventa veramente sfavorevole a
partire da un CLIP 3.
TRATTAMENTO
La terapia dell’epatocarcinoma prevede diversi possibili trattamenti:
- Chirurgia
- Resezione epatica
- Trapianto di fegato
Trapianto di fegato
Criteri di Milano Tra i due trattamenti possibili, resezione e trapianto,
l’ideale sarebbe il trapianto. Nell’85-90% dei casi
Età < di 65 anni l’epatocarcinoma si sviluppa su un fegato cirrotico,
per cui il trapianto rappresenta teoricamente il
Nodulo singolo inferiore a 5 cm nel
miglior trattamento possibile, perché, sostituendo il
diametro maggiore
fegato, si ha eliminazione del tumore e della
Fino a tre noduli di diametro inferiore o precancerosi sottostante, la cirrosi epatica.
uguale a 3 cm nel diametro maggiore
Oggi questa soglia dei 65 anni si sta spostando verso
SOPRAVVIVENZA 70%
A 5 ANNI i 70 per miglioramento delle condizioni di vita
generali. Attualmente, nella stragrande maggioranza
RECIDIVA LOCALE < 15% dei centri per il trapianto di fegato del mondo si
applicano i criteri di Milano.
Tra la decisione del trapianto e l’intervento vero e proprio c’è un tempo di crescita
tumorale e c’è la possibilità che un paziente in attesa venga escluso dalla lista in
quanto non rientra più nei i criteri di Milano, e non può essere più trapiantato
(invasione vascolare)
Il tempo che intercorre tra la decisione di una resezione e l’esecuzione della stessa,
invece, è di circa 2-3 settimane, a seconda dei tempi di attesa dei singoli centri. In
uno studio definito Intention-to-treat analysis si nota come le curve si invertono in
maniera significativa a favore della resezione, proprio per via del dropout, ovvero
della perdita dei pazienti in attesa di trapianto.
Perciò il trapianto rimane il migliore trattamento teorico, ma esso presenta dei limiti
legati a:
- disponibilità dell’organo;
- lunghe liste d’attesa;
- rischio operatorio dell’intervento (mortalità e morbilità).
Resezione epatica
L’epatocarcinoma è un tumore la cui indicazione chirurgica non può essere basata
sul TNM, ma su una serie di fattori differenti.
All’interno della popolazione dei cirrotici si avrà una percentuale con una buona
riserva funzionale epatica e una percentuale con funzionalità epatica compromessa,
per cui le opzioni terapeutiche oscillano dalla resezione al trapianto, per il quale
l’indicazione più frequente è proprio la cirrosi con insufficienza epatica, non
l’epatocarcinoma.
Nota: Un nuovo fattore introdotto nella valutazione della funzionalità epatica è stato
il test di ritenzione al verde di indocianina (ICG R15 test). Il test valuta la ritenzione
a 15 minuti di un colorante, il verde di indocianina, che viene somministrato
endovena, si lega all’albumina, passa nel parenchima epatico sparendo dal plasma, e
viene eliminato con la bile. Facendo un prelievo dopo 15 minuti, si valuta la
percentuale di verde di indocianina riscontrabile nel plasma: maggiore è la
percentuale di verde di indocianina peggiore sarà la funzionalità epatica. Ad un’alta
concentrazione di verde di indocianina (> o = 15%) corrisponde quindi una
peggiore funzionalità epatica, mentre se la percentuale è <10%la funzionalità
epatica non è ancora compromessa.
Nello schema giapponese, questo test di funzionalità dinamica del fegato è entrato
nello score modificato di Child-Pugh, sostituendo l’encefalopatia, che di per sé è un
fattore che esclude l’operabilità del paziente.
Un altro score utilizzato per scegliere il tipo di terapia è il MELD (Model for End-
Stage Liver Disease), un punteggio utilizzato per valutare l’inserimento dei pazienti
in lista trapianti in base alla gravità della compromissione della funzione epatica.
La formula, molto complessa, comprende i valori di bilirubina, creatinina e INR, e
viene utilizzato oggi come criterio di allocazione degli organi: un paziente cirrotico
con MELD molto alto ha una priorità più alta e quindi arriva prima al trapianto
rispetto al paziente cirrotico con MELD più basso. Tale score aiuta a stabilire se un
paziente è candidabile alla resezione o al trapianto:
- Per MELD < 9-10 è indicata la resezione (migliore funzionalità)
- Per MELD >10 è indicato il trapianto (peggiore funzionalità epatica)
Un altro criterio di scelta è il grado di citolisi, espresso dal valore delle transaminasi,
indice di attività dell’epatite. L’ipertransaminasemia equivale ad epatite attiva: è stato
dimostrato che la resezione in paziente con epatite attiva determina un aumento
della mortalità inaccettabile, superiore al 30%.
Mortalità post operatoria in funzione di GTP pre operatoria (attività epatite)
• > 4 volte la norma: la mortalità è assolutamente proibitiva (37.5%) per cui il paziente
verrà indirizzato verso altre opzioni terapeutiche.
• 2-4 volte la norma: mortalità 13%
• < 2 volte la norma: mortalità 3.9%
Dal momento che l’attività citolitica dell’epatite varia, è ciclica, è preferibile indicare
l’intervento chirurgico in una fase di bassa citolisi, e quindi quando il valore di
transaminasi è inferiore a 2 volte la norma.
Se il volume del fegato residuo è minore del 40% possiamo fare qualcosa che induca
l’ipertrofia del fegato ed è l’embolizzazione portale, che è una procedura
completamente diversa dalla chemioembolizzazione. Non ha una finalità di
trattamento, ma ha la sola finalità di indurre l’ipertrofia del fegato non embolizzato
provocando l’atrofia della parte di fegato embolizzato, tutto ciò per ridurre il
rischio di insufficienza epatica postoperatoria
L’embolizzazione non ha finalità terapeutiche tanto è vero che c’è il rischio che il
tumore possa anche crescere durante l’embolizzazione portale. Però l’ipertrofia
controlaterale è prevalente e ci porta a poter operare un paziente che altrimenti non
potremmo operare.
C’è la possibilità di fare un trattamento sequenziale prima della resezione: fare una
chemioembolizzazione arteriosa, che è sul tumore, per mettere in necrosi il tumore e
poi fare l’embolizzazione se il fegato controlaterale non è sufficiente.
Vantaggi
• Ridotto rischio di ascite p.o.
• Ridotto rischio di insufficienza epatica p.o.
• Facilita l’eventuale trapianto in un pz che deve essere resecato prima (minori aderenze p.o. )
Quello che si sta vedendo adesso è che si possono operare anche pazienti con Child
peggiori, Child B o Child C, che aperti vanno malissimo perché si scompensano
mentre in laparoscopia per la minor invasività possono superare l’intervento.
Nota: Un paziente con tumore del colon e metastasi epatiche, può essere sottoposto a trapianto
di fegato? NO! Ci sono tuttavia dei sottogruppi molto selezionati di pazienti in cui questo è
possibile (abbiamo avuto da poco un incontro con vari esperti sull’argomento per determinare
quali siano questi pazienti, visto anche l’aumentare di farmaci che possono sempre più curare
patologie non oncologiche come l’epatite C e quindi considerando il possibile aumento di organi
disponibili in un futuro per essere trapiantati in pazienti con patologie oncologiche).
Quindi nonostante linee guida, dal punto di vista chirurgico, la resezione è indicata
ogniqualvolta tutti i noduli possono essere resecati e il volume residuo è sufficiente.
PROGNOSI
La prognosi di questi pazienti dipende sostanzialmente da:
- Caratteristiche del tumore:
- Numero, dimensioni, capsula peritumorale
- Invasione vascolare, micrometastasi
- Valori elevati di AFP
- Funzionalità epatica
- Trattamento attuato
L’indicazione ad una nuova resezione è basata sugli stessi identici criterigià trattati
per la prima resezione.
Il messaggio finale è che se il paziente viene trattato contemporaneamente da più
specialisti i risultati sono migliori.
Iperplasia nodulare Spesso indistinguibile da tessuto sano in US, TC in fase venosa e RMN senza mdc.
focale All’US è isoecogena con un flebile bordo ipoecogeno per la compressione dei tessuti
circostanti. Alla TC trifasica avremo una rapida impregnazione arteriosa (tranne
nella cicatrice centrale). Rapido wash out in fase portale. Alla RMN come TC ma
captazione di mdc RES ed epato specifici
Adenoma Simile ad iperplasia nodulare focale, ma manca di cicatrice centrale. Non capta mdc
RES specifici alla RMN ma solo epatospecifici.
Noduli rigenerativi / All’US possono essere ipo/iperecogeni. Alla TC trifasica l’impregnazione nella fase
displastici arteriosa è assente nei noduli rigenerativi, presente (debole e completo) in quelli
displastici. L’enhancement venoso è simile a quello parenchimale. Alla RMN capta
mdc epatospecifico come parenchima sano.
HCC ben differenziato All'US appare come un nodulo ipo/iperecogeno, i margini possono essere netti o
sfumati. A volte è presente una capsula. TC trifasica mostra una rapida ed intensa
impregnazione in fase arteriosa, rapido wash out in fase portale, ipointensità dopo
wash out in fase portale tardiva. Alla RMN appare iperintenso in T2, scarsa
captazione del mdc epatospecifico
HCC poco differenziato All'US appare ipoecogeno, Alla TC/RMN trifasica scarso contrast enhancement. Non
capta mdc epatospecifico.
COLANGIOCARCINOMA
Il colangiocarcinoma è una neoplasia che origina dalle cellule di dotti e duttuli biliari
intraepatici o extraepatici.
EPIDEMIOLOGIA
FATTORI DI RISCHIO
Possono essere:
- Generali:
- Età > 65,
- diabete,
- Obesità.
- Legati a malattie delle vie biliari:
- colangite sclerosante primitiva (CPS),
- litiasi intraepatica,
- dilatazioni cistiche delle vie biliari come cisti del coledoco, malattia di Caroli,
- cirrosi,
- anastomosi bilio-enterica.
- Infezioni (parassitarie come da opisthorchis viverrini, clonorchis sinensis, virali da
HBV, HCV, HIV) le infezioni parassitarie sono rilevanti soprattutto nei paesi
dell’estremo oriente, mentre da noi questa associazione è praticamente
inesistente.
- Sostanze tossiche e farmaci (Alcool, fumo, thorotrast, diossina, asbesto,
contraccettivi orali, isoniazide)
La maggior parte dei pazienti però non ha fattori di rischio identificati.
Da uno studio effettuato si è visto che in un pool di 2743 pazienti solo l’1% degli
affetti ha la CSP, il 3% presenta litiasi intraepatica, <1% ha malformazioni biliari e
l’8% ha la cirrosi su base virale.
Non c’è una vera popolazione a rischio e per questo non sono attuabili programmi di
screening, a differenza ad esempio dell’epatocarcinoma in cui è possibile una
diagnosi precoce.
ANATOMIA PATOLOGICA
Dal punto di vista macroscopico li possiamo distinguere in:
1) Mass forming, cioè un tumore che forma una massa intraepatica identificabile
che può essere confuso con il liver tumor
2) Periduttale, cioè un tumore che nasce nello spessore della parete duttale.
Determina una stenosi a livello della via biliare principale senza una massa
chiaramente visibile. La caratteristica di questo tumore è che infiltra lungo la parete
le vie biliari con una estensione prevalentemente longitudinale. Questo è importante
3) Intraduttale, che aggetta nel lume con componente spesso papillare e riversa
materiale neoplastico all’interno del lume. I dotti appaiono dilatati e riempiti di
materiale. È la forma più rara ma è anche quella che dà la prognosi migliore.
CLINICA
Il colangiocarcinoma presenta due fenotipi clinici:
- Intraepatico: si presenta come una massa intraepatica, il cui aspetto radiologico è
identico a quello delle metastasi, es da carcinoma del colon. Per questo motivo in
molti lavori si parlava di metastasi da carcinoma primitivo non identificato e una
parte di questi sono sicuramente colangiocarcinomi. In epoca più recente sono state
identificate delle caratteristiche molecolari che sono molto ben definite e che
consentono di fare diagnosi differenziale.
- Extraepatico: può essere in sede ilare, in tal caso si evidenzia come un’assenza di
segnale a livello della convergenza dei dotti epatici di sinistra e di destra in una
risonanza magnetica, o distale. Esistono tumori del terzo medio della via biliare
principale che fanno parte dei colangiocarcinomi extraepatici.
Una ulteriore confusione deriva dai tumori del terzo medio che possono essere
confusi con i tumori della colecisti. Sono due malattie diverse con storie cliniche
diverse che richiedono approcci terapeutici diversi e che hanno prognosi diverse.
La sede più frequente è la sede ilare (2/3 dei colangiocarcinomi ).
- Per tumore ilare si intende una neoplasia che insorge dall’ epitelio della
convergenza biliare e crea un restringimento neoplastico del lume biliare.
- Per tumore perilare si intende invece un tumore anche di dimensioni minori che
infiltra la convergenza biliare.
TRATTAMENTO
Il trattamento può essere variabile, però è fondamentalmente chirurgico. Si va dal
trattamento chirurgico di resezione epatica o di duodenocefalopancreasectomia al
trapianto (in una popolazione estremamente selezionata) alla radioembolizzazione,
alla radioterapia e alla chemioterapia sistemica.
C’è uno studio che ha messo a confronto i risultati delle resezioni epatiche alle
diverse latitudini e si è visto che grosso modo i risultati si equivalgono: la
sopravvivenza a 5 anni è di circa il 30%.
Per l’intraduttale la sopravvivenza a 10 anni è del 60%, mentre per gli altri è molto
più bassa.
PROGNOSI
TUMORE DI KLATSKIN
Il tumore di Klatskin un colangiosarcoma extraepatico che insorge nella giunzione
dei principali dotti epatici, destro o sinistro, che formano il dotto epatico comune.
EPIDEMIOLOGIA
La prevalenza non nota. I tumori di Klatskin insorgono a livello della biforcazione
dei dotti epatici, di solito tra la 5° e la 7° decade di vita, e sono leggermente più
frequenti nei maschi (rapporto maschio-femmina 1,3:1).
FATTORI DI RISCHIO
Nel 90% dei casi, i tumori di Klatskin sono sporadici, anche se sono stati associati
alla malattia alcuni fattori di rischio, compresa la colangite sclerosante primitiva, la
colangite sclerosante secondaria, i portatori cronici del tifo, le infezioni parassitarie (
Opisthochis viverrini e Clonorchis sinensis ), l'esposizione al thorotrast (un mezzo
di contrasto per i raggi X) e le cisti del coledoco, che causano in ammazione biliare
cronica.
CLINICA
I pazienti sono di solito asintomatici fintanto che la malattia non raggiunge uno
stadio avanzato. L’ittero è il sintomo principale. Alcuni pazienti sviluppano altri
segni, come il dolore addominale, la perdita di peso e il malessere.
Sono frequenti le metastasi nei linfonodi regionali. Il tumore può espandersi dai
nodi pericoledocici del legamento epatoduodenale fino all'area postero-superiore
intorno alla testa del pancreas, l'arteria epatica comune e la vena porta.
DIAGNOSI
La diagnosi si sospetta in base ai segni clinici e di laboratorio. L'antigene sierico
carboidratico (CA) 19-9 una glicoproteina, utilizzata come marker tumorale, è
aumentata nella maggior parte dei tumori di Klatskin. Inoltre è presente un aumento
dei livelli della fosfatasi alcalina, della bilirubina coniugata e della gamma-glutamil
transpeptidasi. Per effettuare la diagnosi sono necessari l'imaging addominale, la
visualizzazione dell'albero biliare e le biopsie della lesione.
L'aspirazione con ago sottile (FNA) guidata dall'endosonografia (EUS) dei linfonodi
ilari è lo strumento più utile per la diagnosi e la stadiazione dei tumori di Klatskin. Il
brush citologico e le biopsie percutanee non sono abbastanza sensibili per
permettere la diagnosi. L'ecografia e la TC spirale potenziata con mezzo di contrasto
possono essere utilizzate per valutare la disseminazione della malattia.
Le diagnosi differenziali dei tumori di Klatskin si pongono con la colangite
autoimmune e il linfoma non-Hodgkin biliare primitivo.
TRATTAMENTO
I principali obiettivi del trattamento sono la risoluzione del blocco della bile e la
resezione della malattia. Dato che i tumori di Klatskin sono tipicamente resistenti
alla chemioterapia e alla radioterapia, la resezione chirurgica del tumore l'unica
opzione curativa, anche se non sempre possibile nei pazienti che presentano
metastasi diffuse.
Dato che i tumori di Klatskin vengono identificati spesso in uno stadio avanzato, la
prognosi abbastanza sfavorevole, con un tasso di sopravvivenza a cinque anni dopo
la chirurgia del 25-30% e dello 0% per i tumori non resecabili.
FATTORI DI RISCHIO
- Calcolosi : i cui Fattori di Rischio sono le 5 F: Female, Fat, Forty, Fertile, Fair. La
presenza di calcoli è stata riportata tra il 70 e il 98% dei casi di carcinoma della
colecisti. Probabilmente i calcoli causano all'interno della colecisti una flogosi
cronica, su base traumatica, che determina a lungo andare la comparsa di
fenomeni di displasia. La displasia può a sua volta evolvere fino alla neoplasia. Il
rischio aumenterebbe quanto più frequenti sono gli episodi di colecistite.
PRECANCEROSI
• Colecistite Cronica Calcifica (fino ad arrivare alla colecisti a “porcellana”) –
nella colecisti a porcellana si rileva un grossolano processo di calcificazione,
Queste anomalie dipendono dal fatto che esiste il long common channel, uno
sfintere comune >15 mm di lunghezza.
CLINICA
I sintomi sono spesso aspecifici e compaiono tardivamente. In un 10% dei casi la
diagnosi è solo occasionale, all’esame istologico definitivo della colecisti asportata
per i calcoli. Sono questi i casi che hanno la prognosi migliore. Il dolore è un dolore
continuo/subcontinuo, non colico.
Quando il tumore è avanzato compaiono astenia e anoressia. Nei casi in cui ci sia
l’infiltrazione della via biliare principale, si associa spesso la comparsa di ittero: in
circa il 60-70% dei casi con ittero non è più possibile eseguire l'asportazione del
tumore.
DIAGNOSI
• Ecografia, evidenzia irregolarità parete colecistica, infiltrazione del parenchima,
eventuali linfoadenomegalie.
• TC
• RMN (se presente ittero)
Grazie all' aumento delle colecistectomie in chirurgia laparoscopica, negli ultimi anni
si è vista un'inversione di tendenza, il cancro della colecisti oggi viene diagnosticato
molto più frequentemente negli stadi early rispetto al 1990 quando la diagnosi già in
stadio cancro avanzato era 5-6 volte più frequente della diagnosi preoce.
- Early Carcinoma – Neoplasia limitata alla mucosa (T1a) e alla muscolare (T1b)
- Advanced Carcinoma – Neoplasia estesa alla sottosierosa (T2) ed oltre (T3-T4)
CLASSIFICAZIONE
Kondo classifica il cancro avanzato della colecisti in due sottotipi in base al pattern
di diffusione :
1. Hepatic hilum type (tumore che ha infiltrato l'ilo epatico)
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 208 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
2. Hepatic bed type (tumore che penetra nel
fegato) chirurgicamente più facilmente
operabile.
Gli interventi che si possono eseguire in seconda battuta per fare un’exeresi
adeguata saranno:
- resezione epatica del parenchima limitrofo al letto della colecisti,
- linfoadenectomia, linfonodo del cistico, se non già presente nel pezzo della
colecistectomia, i linfonodi del peduncolo epatico, coledocici, quelli lungo l’arteria
epatica, i retroportali, i porto-cavali, retroduodenopancreatici superiori;
- qualora il tumore avesse già infiltrato il dotto cistico, andrà asportata anche la via
biliare .
- Asportazione dei siti dei trocar, perché rappresentano frequentemente una sede di
impianto neoplastico.
STADIAZIONE E PROGNOSI
TNM post-intervento Overall survival
- pTis: ca in situ - 1 anno: 79.8%
- pT1a: limitato alla mucosa - 3 anni: 59.2%
- pT1b: strato muscolare - 5 anni: 51.8%
- pT2: esteso al connettivo perimuscolare
- pT3: invade la sierosa ed oltre
BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________
- Sbobinature Prof Barone aa 2014/2015 e aa 2015/2016
- Sbobinature Prof Giuliante aa 2014/2015 e aa 2015/2016
- Sbobinature Prof Clemente aa 2015/2016
- LEZIONI DI CHIRURGIA GENERALE A cura di Andrea Perna
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 210 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
CAPITOLO 15
__________________________________________________________
TUMORI DEL PANCREAS
ITTERO NEOPLASTICO
Nell’ambito degli itteri possiamo parlare di ittero ostruttivo e non ostruttivo e tra gli
itteri ostruttivi distinguiamo due categorie:
- Ittero non neoplastico, che nella stragrande maggioranza dei casi è conseguente a
litiasi biliare e si manifesta successivamente o contestualmente ad una colica
biliare.
- Ittero neoplastico, chiamato anche ittero nudo, poiché compare solitamente senza
sintomatologia dolorosa associata. E’ tipico di tutte le condizioni neoplastiche,
intrinseche od estrinseche, che occludono le vie biliari
- Ricordiamo anche l’ittero neoplastico non ostruttivo, tipico del paziente con
metastasi epatiche diffuse, che però è di tipo parenchimale, dovuto ad
insufficienza epatica.
CLASSIFICAZIONE MORFOLOGICA
In senso prossimo-distale le cause di ittero neoplastico sono:
- Tumori dell’ilo epatico (tumore di Klatskin), sono solitamente piccoli ed
interessano il dotto epatico comune o la confluenza biliare principale. L’ilo
epatico, che deriva dalla convergenza tra dotto epatico dx e dotto epatico sn, è una
struttura extraepatica e questi tumori rientrano pertanto nell’ambito delle
neoplasie delle vie biliari. I tumori delle vie biliari intraepatiche, invece, danno
origine al colangiocarcinoma intraepatico. Se tuttavia quest’ultimo è di
dimensioni cospicue ed infiltra l’ilo può manifestarsi come un Klatskin. Dal punto
di vista istologico i tumori dell’ilo epatico, della colecisti, della via biliare distale
sono tutti colangiocarcinomi (esistono tuttavia forme più rare, ad es. tumori
papillari).
- Tumori della colecisti che invadono la via biliare. I tumori della colecisti possono
interessare il corpo/fondo (in tal caso tendono ad infiltrare fegato o duodeno ed
hanno margini di resecabilità maggiori) oppure l’infundibolo o il cistico (questi
ultimi si sviluppano in direzione della via biliare ed hanno un outcome peggiore,
essendo resecabili solo sporadicamente.
- Linfonodi ilari metastatici, solitamente da altre neoplasie del tratto
gastrointestinale, che comprimono in maniera estrinseca la via biliare.
- Tumori della via biliare distale
- Tumori del pancreas, causa più frequente (50%)
- Tumori dell’ampolla di Vater, nell’ambito dei quali bisogna distinguere
colangiocarcinomi e carcinomi duttali del dotto pancreatico.
- Tumori del duodeno
Essendo l’ampolla lo sbocco di due dotti, comporta la presenza di due epiteli diversi;
e quindi, la classificazione di neoplasie con diverso istotipo e diversa prognosi:
- Carcinoma periampullare biliare: prognosi migliore con sopravvivenza media di 18
mesi. Maggiore differenziazione, minor incidenza di neovascolarizzazione, minor
coinvolgimento linfonodale, margini di resezione negativi.
- Carcinoma periampullare pancreatico: maggiori dimensioni, margini di resezione
positivi, maggior coinvolgimento vascolare e nervoso, maggior coinvolgimento
linfonodale.
Va subito detto che non tutte le lesioni cistiche sono dei tumori, anzi la difficoltà è
proprio quella di distinguere le lesioni benigne da quelle maligne, caratterizzate
oltretutto da esiti prognostici di gran lunga differenti.
- Pseudo cisti pancreatiche: non sono neoplastiche possono essere scambiate in fase
pre-operatoria con un cistoadenoma mucinoso.
- Neoplasia solida pseudopapillare: Colpisce le donne, intorno alla quarta decade (in
realtà anche molto prima, fino alla seconda decade), è indolente, non
particolarmente aggressivo ed ha una progrosi eccellente quando viene
identificato per tempo; presenta una rappresentazione fra le neoplasie cistiche
pancreatiche inferiore al 10%, così come le tipologie sotto riportate.
- Neoplasia endocrina cistica: Qualche volta anche il tumore endocrino del pancreas
può avere un'architettura cistica.
MALIGNE BENIGNE
Il motivo per cui dobbiamo porci tutti questi problemi nel distiguere le forme
benigne dalle forme maligne o potenzialmente tali, è che la chirurgia del pancreas è
una chirurgia davvero seria con una mortalità operatoria del 2-5% (1 su 20 muore).
In Italia la mortalità complessiva oscilla fra il 2% dei centri più adeguati e il 18% di
quelli meno performanti.
Tra gli elementi anamnestici che possono guidare nella distinzione fra pseudocisti e
tumore cistico pancreatico vi è il fatto di aver avuto una pancreatite acuta, che
depone per una pseudocisti; di aiuto può essere la localizzazione: mentre le
pseudocisti possono localizzarsi dovunque, i cistadenomi sierosi tendono a privilegiare
il corpo e la coda, mentre gli IPMN privilegiano la testa del pancreas.
La valutazione del contenuto cistico può essere effettuata con l'ecoendoscopia che ci
permette di vedere da vicino una lesione da cui si può prelevare del liquido con un
ago ed esaminarlo.
Il cistadenoma sieroso, ha un tipico aspetto in vivo "a nido d'ape", a cellette, ripiene
di liquido, a volte attorno ad una cicatrice centrale (la RM spesso fa vedere molto
chiaramente questo aspetto), mentre alla TC lo vedremo ipodenso (contiene del
liquido); eseguendo una CPRM, potremmo identificare una formazione di
cistadenoma sieroso localizzato lungo il decorso del Wirsung: tipico è il fatto che la
componente duttale a monte non risulta essere dilatata; al contrario, nel caso in cui
vedessimo un Wirsung interrotto e il tratto a monte particolarmente dilatato,
potremmo pensare che sia una formazione maligna.
DIAGNOSI
Gli esami utili da effettuare per fare una corretta diagnosi differenziale saranno:
- Ecografia
- TC
- RM
- CPRM
- Ecoendoscopia (approfondimento di II livello)
Gli esami più affidabili (non solo per i tumori cistici) sono: la RMN con stimolo
secretinico e l’econdoscopia.
La CPRE può essere indicata ad esempio quando il paziente ha una pancreatite acuta
e c’è una dilatazione del Wirsung, con la sua possibilità curativa è in grado di
sbloccare la situazione, si possono mettere degli stent per detendere le via biliari, si
possono mettere dei sondini naso-pancreatici per detendere il sistema duttale
pancreatico, è possibile favorire così la fuoriuscita di muco.
Dosaggio delle amilasi: è alto nelle pseudocisti, dove prevale l'isoforma P2; è
variabile nei tumori cistici sierosi, dove in genere è assente o basso; è alto invece nei
tumori mucinosi, dove prevale l'isoenzima P1 misto alle amilasi salivari.
Markers tumorali:
- CEA in genere basso o assente nelle cisti sierose e nelle pseudocisti, in genere alto
nei cistadenomi mucinosi (>200 ng/mL, ma con molti falsi positivi; il CEA può
essere elevatissimo anche in forme francamente benigne)
- Ca 19-9 non affidabile
- Altri markers promettenti in corso di studio: Ca 72-4, Ca 15-3 ed MCA (mucin-
like carcinoma-associated antigen): specifico dei mucinosi
Al 95%:
- L’assenza di amilasi esclude la pseudocisti
- Il CEA alto esclude il cistoadenoma sieroso
- Alti valori di MCA indicano un tumore mucinoso
- L’evidenza di cellule epiteliali e mucina indica un cistoadenoma/carcinoma
mucinoso
IPMT
Per quanto riguarda le IPMT, distinguiamo:
- Forme centrali in cui i papillomi interessano il dotto pancreatico principale
- Forme periferiche in cui sono interessate le diramazioni periferiche del dotto, più
spesso nel corpo del pancreas).
Colpiscono maggiormente i maschi. E’ importante differenziarle dalle forme cistiche.
E’ presente una dilatazione del Wirsung con papillomi intraduttali a cellule
colonnari a partenza dall’epitelio e secernenti muco. La produzione di muco provoca
tappi che bloccano il dotto, comportando pancreatiti acute ricorrenti in assenza di
calcolosi della colecisti. Ha un’evoluzione maligna verso il cistoadenocarcinoma come
il cistoadenoma mucinoso.
A differenza di quest’ultimo (che è un’unica formazione papillare), le IPMT
comportano lesioni multiple e diffuse. Esiste la stessa lesione anche per le vie biliari
(tumori papillari mucosecernenti delle vie biliari) anche se più rara.
Esiste una classificazione istologica che esprime l’evolutività della lesione. Il Grading
è possibile grazie a biopsie in corso di ecoendoscopia attraverso l’analisi del liquido.
Le forme diffuse colpiscono tutto il pancreas e l’indicazione chirurgica è di
asportazione completa della ghiandola. Nelle forme segmentarie viene eseguita una
resezione parziale della ghiandola.
La prognosi dipende dal fatto che all’IPMT si associ o meno l’adenocarcinoma e sia
presente un adenocarcinoma in situ o invasivo che supera il dotto pancreatico. Se si
opera su un’ IPMT con un basso grado di displasia, l’intervento è curativo. Se invece la
displasia ha raggiunto già le caratteristiche del carcinoma in situ, la prognosi è quella
dell’adenocarcinoma del pancreas.
EPIDEMIOLOGIA
E’ al 10° posto per incidenza nell’uomo (nella donna non è tra i primi 10), mentre
per la mortalità il cancro del pancreas è al 4° posto, sia negli uomini che nelle donne,
dopo il tumore al polmone, al colon retto e mammella nella donna e prostata
nell’uomo. Non c’è molta differenza nei morti per anno tra maschi e femmine.
Ogni anno negli USA ci sono 34.000 morti per il tumore del pancreas e dal momento
in cui si fa la diagnosi sono vivi a 5 anni circa 1-4% dei pazienti.
Nei pazienti in cui si fa diagnosi, solitamente solo il 9% può essere operato.
In pazienti non operabili la sopravvivenza dalla diagnosi è di circa 9 mesi. Anche tra i
pazienti che possono essere operati la prognosi è comunque infausta: la sopravvivenza
è doppia (circa 18 mesi) ma comunque a 5 anni la sopravvivenza è del 15-20%.
Per quanto riguarda l’incidenza, c’è un leggero aumento dell’incidenza negli USA, in
Giappone, in Italia dal 1930 ad oggi, ma non ci sono state delle variazioni importanti
dell’epidemiologia.
Il tumore del pancreas insorge solitamente tra i 65 e gli 80 anni, è quasi impossibile
vedere un paziente giovane con un tumore al pancreas, anche se può succedere.
Il rapporto M/F è leggermente in favore dei maschi.
FATTORI DI RISCHIO
- Fumo di sigaretta
- Familiarità per tumore del pancreas: un parente di 1° grado di un soggetto che ha
avuto un cancro del pancreas ha una probabilità 5-10 volte maggiore rispetto alla
popolazione normale di avere la stessa neoplasia e deve pertanto essere
sottoposto a stretta sorveglianza.
- Sesso maschile
- Diabete mellito
- Obesità
- Dieta: carne, grassi, basso consumo di frutta e verdura. Non si conosce la
correlazione con alcol e caffè
- Pancreatite cronica (++ pancreatite cronica calcifica) è un fattore di rischio
indiscusso (la frequenza del cancro del pancreas nei pancreatitici cronici è più
elevata rispetto alla popolazione normale).
- Esposizione professionale a nichel/idrocarburi
- Ormoni: l’aumento della concentrazione della CKK, sembra indurre un’iperplasia
acinare ed aumenta il numero dei carcinomi. Fattori che aumentano la CKK sono
gli inibitori della tripsina e le derivazioni biliari. La gastrina potrebbe svolgere lo
stesso ruolo.
- Biologia molecolare, alterazioni del K-Ras e di p53, espressione di recettori per
fattori di crescita come EGF e TGF ed altre sostanze bioattive come endotelina 1,
recettori per l’integrina 1 e molecole di adesione CD44.
PRECANCEROSI
Precursori neoplastici del tumore al pancreas sono le PanIN (neoplasie pancreatiche
intraepiteliali) che corrispondono a dei carcinomi in situ, come i polipi per il colon,
che si ritrovano spesso nei pancreas resecati per cancro del pancreas.
Il problema è che al momento non esistono esami diagnostici validi in grado di
diagnosticare queste lesioni precocemente.
Sono < 5 mm, invisibili all’imaging e pertanto non diagnosticabili. Hanno però
notevole importanza nell’ambito della ricerca: si mira a trovare markers molecolari,
al cui aumento corrisponda con sicurezza la presenza di una di queste forme iniziali
di malattia, la cui asportazione eviterebbe la comparsa di un carcinoma intraduttale
invasivo.
Maggior rilevanza clinica hanno invece le cosiddette IPMT (o IPMN), neoplasie
papillari mucose intraduttali, e le neoplasie cistiche mucinose.
LOCALIZZAZIONE
- Testa 60-65%: è una zona anatomicamente delicata e complessa, per i rapporti che
contrae con il duodeno, con la via biliare (che passa all’interno della sua porzione
distale) e le strutture vascolari: vena mesenterica, che sbocca nel tronco portale (e
che solitamente è interessata per prima dalla malattia) ed arteria mesenterica
superiore, situata subito a sinistra). Questo crea una serie di problemi
ricostruttivi in corso di duodenocefalopancreasectomia.
- Corpo-coda 15-20% (corpo 10%, coda 5%): I carcinomi del corpo-coda, invece,
raggiungono dimensioni maggiori prima di essere diagnosticati, poiché
l’ostruzione biliare sarà estremamente tardiva, a meno che il tumore non nasca in
prossimità della via biliare. 2/3 dei pazienti al momento della diagnosi hanno un
tumore del pancreas avanzato.
- Processo uncinato, va dietro i vasi, la diagnosi sarà tardiva.
- Coinvolgimento diffuso: 15%
ANATOMIA PATOLOGICA
Macroscopicamente possiamo distinguere tumori
- Tumori solidi: sempre maligni, più invasivi
- Tumori cistici: benigni, border-line,maligni
STORIA NATURALE
Il tumore dissemina principalmente per contiguità agli organi e alle strutture
adiacenti. Saranno interessati: duodeno, VBP, stomaco, peduncolo epatico, colon,
mesentere, vena splenica, vena porta, vasi retropancreatici, plesso celiaco.
Dissemina per via linfatica ai:
- Linfonodi di I livello: pre-, sotto- retropancreatici, dell’arteria e dell’ilo splenico
- Linfonodi di II livello, mesenterici, mesocolici, dell’arteria e dell’ilo epatico
- Linfonodi di III livello, celiaci, interaortocavali, pararenali.
Può diffondere per via ematogena al polmone, al fegato e allo scheletro.
QUADRO CLINICO
Il pz può presentarsi con ittero ingravescente dal subittero all’ ittero nudo (senza
dolore). Non bisogna aspettare l’ittero per fare diagnosi perché quando compare non
è sempre una fase iniziale del cancro: l’epoca di comparsa dell’ittero dipende dalla
distanza del tumore dal coledoco (più è vicino, più sarà precoce l’ittero), quindi è
segno principalmente di tumore della testa del pancreas.
- Nei tumori della testa l’ ittero è precoce, anche per un tumore di piccole
dimensioni.
- Nei tumori del corpo-coda l’ittero è tardivo e indica una neoplasia già avanzata.
Una neoplasia che origina dal corpo può, aumentando di dimensioni, interessare
le vie biliari: prima di dare l’ittero darà altri sintomi quali dimagramento, astenia,
anoressia e dolore. Questo è un sintomo estremamente importante: è l’evidenza
clinica di una infiltrazione dei plessi nervosi retro- pancreatici. La neoplasia
quindi ha già superato l’organo a livello posteriore ed è inoperabile. Un paziente
che si presenta con subittero e dolore alla schiena è già clinicamente considerato
con prognosi negativa
- Feci acoliche , urine color marsala (segno più precoce dell’ittero), prurito, ipotensione,
bradicardia per l’aumento dei sali biliari in circolo.
- Dispepsia, disturbi digestivi aspecifici, il paziente sente di non stare bene dopo
mangiato (è il vero sintomo iniziale, spesso inizia alcuni mesi prima)
- Dolore: sordo, continuo, profondo, in sede epimesogastrica con andamento a
barra, irradiato al dorso. Esacerbato da posizione supina. Alleviato da posizione
eretta o accovacciata. E’ più precoce nei tumori del corpo-coda del pancreas, viene
indicato principalmente come un dolore artrosico. Il paziente avverte un dolore
posteriore, riferito alla regione lombare, come un mal di schiena, che viene
esacerbato dalla posizione distesa inizialmente. In seguito, per infiltrazione del
DIAGNOSI
Dopo un’accurata anamnesi volta ad indagare l’insorgenza della sintomatologia ed
ad escludere i fattori di rischio si procede con l’lesame obiettivo.
L’E.O. evidenzia una colecisti palpabile, con positività del segno di Courvoisier Terrier
(ittero + colecisti palpabile). Questo è un segno patognomonico di ostruzione
neoplastica della via biliare distale, a valle dell’impianto del cistico. La colecisti in tal
caso è distesa, si riempie di bile, comunica con l’albero biliare ma c’è un’ostruzione
a livello del coledoco che non permette la fuoriuscita della bile a livello intestinale.
E’ importante andare a differenziare il segno di Courvoisier Terrier dall’idrope della
colecisti: questa è una complicanza della calcolosi, che si verifica quando un calcolo
si incunea nel dotto cistico ed esclude la colecisti dalla vie biliare principale. In tal
caso la secrezione mucosa della colecisti continua, la colecisti diventa più grande e
palpabile e presenta all’interno del liquido chiaro e filante. Questa condizione non si
accompagna ad ittero o, se è dovuta alla presenza di un calcolo a livello della via
Può essere presente una colangite, da sospettare in presenza della Triade di Charcot:
ittero, dolore, febbre o di Pentade di Reynolds: triade di Charcot + confusione
mentale e shock
Esami di laboratorio
- Aumento degli indici di colestasi
- Bilirubina tot e indiretta, gammaGT, PA
- Transaminasi: possono essere secondariamente mosse ma non a livelli elevati
- Altro: anemia, iperglicemia, ipercalcemia
- Marcatori: Aumenti di CEA e Ca19.9 devono far sospettare qualcosa, ma non
sono molto affidabili. Un aumento lo si può ritrovare anche in caso di colestasi
senza che vi sia un cancro (soprattutto il Ca19.9 5è più aspecifico e può essere
considerato quasi un indice di colestasi).
Diagnostica strumentale
Ecografia
Molto dipendente dal soma del paziente: bastano o uno spessore maggiore dell’adipe
o del meteorismo a rendere non valutabili la testa od il corpo del pancreas. Dato
molto utile nella diagnosi differenziale tra ittero neoplastico e non neoplastico è la
presenza di calcoli.
L’ecografia non è l’esame ideale per studiare il pancreas che è un organo retro
peritoneale. Più raramente vede una massa pancreatica, in più può vedere delle
metastasi epatiche o se vi è un versamento ascitico anche se questi sono stadi più
avanzati.
I reperti tipici di una neoplasia pancreatica saranno:
- Dilatazione delle vie biliari intra epatiche.
- Dilatazione delle vie biliari extra epatiche fino al tratto sovra pancreatico.
- Distensione della colecisti: si distende solo se sana (cioè senza precedenti di
colecistiti altrimenti sarebbe di consistenza più dura).
- In condizioni favorevoli del paziente: massa pancreatica.
- Nelle forme molto avanzate: presenza di liquido intra - addominale che fa pensare
ad una ascite o a metastasi epatiche.
- Col doppler possiamo valutare l’interessamento vascolare.
TC
Risulta necessaria per la stadiazione. Permette di valutare sede, dimensioni,
interessamento dei vasi. Fornisce gli stessi reperti dell’ecografia ma in una visione
topografica definendo i rapporti della massa soprattutto con il tronco mesenterico-
portale e col duodeno. Permette di studiare bene il pancreas e la massa dal punto di
RM
In alternativa alla CPRE. Fornisce tutti i reperti dell’ecografia e della TC, ma in più
da due elementi fondamentali: se e quanto le vie biliari sono dilatate; se e quanto il
dotto pancreatico è dilatato mediante una colangiografia ed una wirsung-grafia.
Ci da le informazioni in più tramite la colangioRM con cui otteniamo un’accurata
visione delle vie biliari con un esame non invasivo. In passato questo poteva essere
fatto solo con la CPRE con tutte le conseguenze e rischi che questo esame
comportava (mezzo di contrasto nelle vie biliari, sfinterotomia, rischio infezioni…).
CPRE
Non deve essere fatta a scopo diagnostico, perché è invasivo e ha molte complicanze
soprattutto di tipo infettivo: provoca una contaminazione della via biliare poiché la
sfinterotomia mette in comunicazione l’intestino con le vie biliari contaminando
queste ultime. La colangite in un paziente che deve essere operato diventa un
problema importante, perché complica il postoperatorio e il paziente può morire per
queste infezioni. Quindi bisogna valutare il rapporto rischio-beneficio.
Però ha dei vantaggi: fa vedere meglio l’infiltrazione duodenale e la presenza di
eventuali stenosi. Può essere utile per dilatazione duttale in assenza di massa
dimostrabile.
La CPRE comunque è ancora una metodica utilizzata perché permette di fare delle
biopsie o brushing (che hanno minore sensibilità) e poi ha una funzione terapeutica
mediante l’uso di stent che permetteno di superare l’ostruzione e liberare il transito
di bile. Si possono dosare in sede: CEA, AFP, antigene oncofetale pancreatico.
Prima della grande diffusione delle RM, è stato definito alla CPRE il segno “del doppio
dotto” (doppia stenosi, sia a livello della via biliare che del Wirsung, che appaiono
quindi molto dilatati) quasi patognomonico di tumore della testa del pancreas.
Eco-endoscopia
Valutazione preoperatoria di neoplasie di piccole dimensioni per valutarne
l'estensione locale e la presenza di piccole linfoadenomegalie.
L'ecoendoscopia da informazioni molto accurate sulla massa e sul rapporto coi vasi.
Consente anche di fare delle biopsie della massa senza opacizzare. Soprattutto sul
versante oncologico e nei pazienti che non sono indirizzabili alla chirurgia è
Biopsia
Riscontro istologico necessario soprattutto per pz non chirurgici per poter
indirizzare la terapia medica. Si fa tramite ecoendoscopia o CPRE o laparoscopia.
La PET e la valutazione funzionale non sono ancora entrate ufficialmente nelle linee
guida.
Laparoscopia
E’ un esame molto prezioso e sempre più usato. Ci permette di vedere cose che gli
altri esami non vedono, ad esempio la carcinosi peritoneale. TC e PET vedono
lesioni nel peritoneo solo quando sono di grosse dimensioni. Almeno nel 10-15%
dei casi le metastasi peritoneali o epatiche vengono scoperte al tavolo operatorio. Per
evitare questo, nei pazienti potenzialmente resecabili, la laparoscopia è
fondamentale perché nel cancro del pancreas c’è una percentuale elevata di pazienti
con metastasi peritoneali. Questo esame ci consente di ridurre i margini di
resezione, di completare l’inquadramento diagnostico, di effettuare un prelievo
bioptico tramite trocar e di effettuare un lavaggio peritoneale per citologia perché
per esempio il sospetto di tumore del pancreas può comparire in un paziente con
ascite, nel quale poi la probabilità di metastasi peritoneale è altissima. Infine,
STADIAZIONE
TRATTAMENTO
IL Gold standard è LA chirurgia seguita da radiochemioterapia.
Terapia chirurgica
I criteri di non resecabilità saranno:
- Presenza di metastasi a distanza
- Presenza di metastasi in linofnodi distanti dal campo operatorio
- Infiltrazione dei visceri extraepatici ad eccezione di duodeno e VBP
- infiltrazione dei vasi mesenterici superiori, del tripode celiaco, aorta
- infiltrazione della vena porta, con trombosi portale o della VCI
- infiltrazione dei plessi venosi retropancreatici
NOTA ANATOMICA
Il pancreas è posto profondamente nella cavità addominale, dinanzi al tratto superiore della colonna vertebrale lombare, dietro allo
stomaco. Nell’adulto la sua lunghezza è in media di 15 cm, l’altezza di 4 cm (in corrispondenza del corpo) e lo spessore di 1,5-2 cm. Ha
un peso medio di 80 g.
Il pancreas, che ha una forma simile a quella di un martello, presenta una parte verticale rigonfiata, testa, che ne rappresenta l’estremità
destra ed una parte traversale, allungata, corpo, la quale si continua con la piccola estremità sinistra, coda. Dalla testa si diparte in basso
e a sinistra un prolungamento, processo uncinato che, incurvandosi su se stesso, si colloca al di sotto del corpo e risale più o meno
posteriormente a questo.
Il pancreas riceve molte piccole arterie, arterie pancreatiche, da diverse sorgenti. Alla testa del pancreas provvedono principalmente due
arcate arteriose pancreatico-duodenali, dorsale e ventrale, che si costituiscono per l’unione a pieno canale fra i rami di divisione dell’a.
pancreatico- duodenale superiore (dalla gastro-duodenale) e i rami di divisione dell’a. pancreatico-duodenale inferiore (dalla mesenterica
superiore). Le arcate pancreatico-duodenali danno sangue anche al duodeno. Il corpo del pancreas riceve sangue da rami che discendono
dall’a. splenica, e inoltre dall’a. pancreatica superiore, che è da considerare come l’arteria propria del pancreas. Questa può nascere anche
direttamente dal tronco celiaco, oppure dalla mesenterica superiore; qualunque ne sia l’origine, decorre dietro al corpo del pancreas,
diretta verso la faccia inferiore di esso
Le vene pancreatiche sboccano prevalentemente nella v. splenica e nelle due v. mesenteriche.
Capillari linfatici sono dimostrabili prevalentemente alla superficie dei lobuli; i tronchi ai quali danno origine fanno capo ai gruppi
linfonodali pancreatico-lienali, pancreaticoduodenali, retropilorici e celiaci.
I nervi arrivano al pancreas dal plesso celiaco; pochi direttamente, la maggior parte provenendo dai plessi che circondano i vasi arteriosi
contraenti rapporti con il pancreas. Contengono fibre del simpatico toraco-lombare e fibre parasimpatiche del nervo vago.
Anatomia chirurgica
Il pancreas, per la sua posizione profonda e retroperitoneale non è di facile accesso chirurgico; per una sua accurata ispezione e
palpazione sono necessarie tre fondamentali manovre chirurgiche.
- Mobilizzazione della flessura epatica del colon verso il basso e medialmente, sezionando la lamina peritoneale che la fissa al duodeno e
alla faccia anteriore del pancreas. Sezione del peritoneo lateralmente alla seconda porzione del duodeno e dissociazione del duodeno e
della testa pancreatica dalle strutture posteriori (manovra di Kocher o kocherizzazione). In tal modo con una mano si riesce a sollevare il
blocco della testa pancreatica e del duodeno e si espone il rene di destra, la vena renale destra, la vena cava inferiore e l’origine della vena
renale sinistra. Al termine di questa prima manovra è possibile palpare accuratamente tra il pollice e le quattro dita, con manovra di
pressione, la testa del pancreas, il duodeno e la porzione retroduodenale e intrapancreatica del coledoco.
- Sezione della parte avascolare del piccolo omento e retrazione verso il basso la piccola curvatura gastrica. In tal modo è possibile
esaminare anche il tronco celiaco.
- Una più completa esposizione del corpo pancreatico può realizzarsi solo con l’ampia apertura del legamento gastro- colico, retraendo
quindi colon e mesocolon trasverso verso il basso e la grande curvatura gastrica verso l’alto. Estendendo questa apertura verso destra, in
regione pilorica, i vasi gastro-epiploici di destra possono essere sezionati alla loro origine, consentendo una buona esposizione della
faccia anteriore dell’istmo pancrea-tico.
Tutte queste manovre devono essere eseguite con meticolosità e delicatezza, facendo attenzione a non ledere i vasi colici medi. L’apertura
del legamento gastro- colico può anche essere estesa a sinistra sino a sezionare il legamento gastrosplenico ed i vasi brevi; così si può
esporre la superficie anteriore della coda pancreatica.
Per accedere alla testa del pancreas, si seziona il legamento gastrocolico, si ribalta lo
stomaco, si acceda alla retrocavità degli epiploon. L’ A. gastroduodenale è sezionata
all’origine. Si procede all’ asportazione chirurgica del tumore. Se la neoplasia è della
testa del pancreas si effettua una DCP, se è della regione corpo-caudale si effettua
una resezione corpo caudale e quando questo comprende la milza si parla di spleno-
pancreasectomia distale. In realtà esistono resezioni più conservative (per esempio
resezioni centrali), ma ancora oggi sono poco usate.
Vanno tolti tutti i linfonodi fino al lato destro della mesenterica superiore senza andare
al di là ( altrimenti si va incontro ad ulteriori complicanze: i pazienti hanno delle
diarree mortali e non si aggiunge nulla alla radicalità dell’intervento o alla
sopravvivenza).
Una cosa importante è asportare anche la lamina retro portale, che come per il
mesoretto, è un sottile cuscinetto di grasso che sta dietro il pancreas e dietro e a
destra dei vasi principali (vena porta e arteria mesenterica) che contiene una grossa
quota di linfonodi.
Per ridurre le recidive locali importante usare la radioterapia, che, dopo aver fatto
l’intervento demolitivo, brucia le cellule neoplastiche rimaste in un eventuale
residuo della lamina retro peritoneale che non è di facile asportazione. La
radioterapia ha migliori risultati locali (riduce il numero di recidive), ma non ha
risultati sistemici.
Fino agli anni ’50 l’esito positivo della DCP arrivava fino al 20-25%: fino ai ¾ dei
pazienti morivano durante o a ridosso dell’intervento; con una sopravvivenza
trascurabile a 5 anni.
Attualmente si può dire che la mortalità è inferiore al 5% in centri specializzati ( per
l’esperienza chirurgica e per la possibilità di affrontare tutte le possibili complicanze,
Esistono più di 50 tipi di anastomosi tra pancreas e digiuno per cercare di ridurre le
complicanze. Di fatto gli aspetti che influenzano di più la durata e la funzionalità
dell’anastomosi sono:
- Consistenza del pancreas: duro o molle
- Dimensioni del Wirsung: sottile o dilatato
Un tumore al pancreas che ha dato una progressiva dilatazione delle vie biliari
provoca una durezza dell’organo. Nel tumore dell’ampolla invece l’organo è molto
morbido, quindi durante l’anastomosi il chirurgo, andando a stringere i punti sega e
se tenta di stringere ulteriormente i punti non tengono. Non a caso i pazienti che
hanno i migliori risultati dopo questi interventi di chirurgia pancreatica sono i Nord
Europei che, essendo forti bevitori e portatori di pancreatite cronica, hanno un
pancreas molto più duro. Tanto che i tedeschi hanno inventato interventi di
ricostruzione con conservazione di tutto il duodeno che da noi sono impensabili.
Ricostruzione Trasverso-Longmire
In questo caso l’anastomosi è tra duodeno e
digiuno con conservazione del piloro. Il vantaggio
è che si riduce l’incidenza del ritardato
svuotamento gastrico, che è invece molto
frequente nell’intervento precedente e lo stomaco
rimane paralizzato per molto tempo portando il
paziente a frequenti episodi di vomito o a portare il
sondino naso-gastrico a lungo.
Se il tumore è infiltrato, avanzato o c’è un’IPMT con lesioni diffuse che necessitano
di un intervento radicale. Fattori prognostici dopo l’intervento saranno:
1) Margini di sezione (retroportale, biliare e pancreatico ): devono essere indenni
2) Coinvolgimento linfonodale: con linfonodi metastatici la prognosi peggiora
3) Dimensioni della neoplasia: La dimensione maggiore di 2 cm comporta una
riduzione della sopravvivenza a distanza.
Non esiste una terapia adiuvante standard del pancreas, stanno emergendo
protocolli aggressivi con cui si cerca di migliorare i risultati della chirurgia: già dal
2003 si registrava comunque una differenza nella sopravvivenza nei pazienti sottoposti
a terapia adiuvante.
I risultati migliori sembrano venire dalla sola CT con la chirurgia e non dalla RT-CT
+chirurgia. Resta il fatto che non è una neoplasia in cui la terapia CT sia rilevante.
Nell’85% dei casi la malattia si ripresenta. Si devono dunque individuare ancora
delle strategie complementari alla chirurgia che migliorino l’outcome del
trattamento a distanza.
Nell’80% dei casi alla diagnosi il cancro del pancreas è già avanzato con carcinosi
peritoneale o con metastasi epatiche o con infiltrazione delle strutture venose.
Anche quando resecata la malattia ha una altissima percentuale di ripresa. Non c’è
una realtà assimilabile al tumore del colon o della colecisti o ad altre malattie per cui
esista una CT efficace che ha portato a un miglioramento dei risultati.
Nei primi tempi il pz perde dal 10 al 20% del peso. Bisogna dargli enzimi
pancreatici.
Altre terapie
I nuovi protocolli prevedono l’utilizzo di RT neoadiuvante per consentire una
maggiore scelta chirurgica. Si eseguono RT e CT con acido folinico e FU come
terapia adiuvante in pz operati radicalmente
Si può eseguire IORT se ci si accorge di inoperabilità sul letto operatorio.
Si può eseguire brachiterapia con semi di iridio + RT con fasci esterni per linfonodi
ed i tessuti peripancreatici in neoplasia inoperabile
PROGNOSI
Pessima prognosi: t. pancreas diffonde rapidamente per via retroperitoneale, ai
linfonodi peripancreatici, paraaortici, paraaortocavali, da rapidamente metastasi al
fegato.
Il carcinoma pancreatico ha una pessima prognosi che, nella maggior parte dei casi
risulta essere infausta. Negli ultimi anni ci sono stati dei miglioramenti. Nell’85’ la
sopravvivenza globale, dopo duodenocefalopancreasectomia, era del 3% a cinque
anni, mentre attualmente si arriva al 20%. È comunque una percentuale molto
piccola di pazienti perché sono molto pochi i pazienti che possono essere resecati.
Questo per molti motivi: una diminuzione del rischio operatorio per
I fattori prognostici correlati alla Fattori legati al pz saranno: Fattori correlati al trattamento:
neoplasia sono: - Modalità di insorgenza - Operabilità
- istotipo - Performance status - Radicalità della chirurgia
- grading - Ittero - Residuo di malattia
- estensione - Anoressia
- localizzazione - Calo pnderale
- ploidia e fase s
- marcatori proliferativi, recettori per
fattori di crescita
Chirurgia palliativa
La chirurgia può avere anche un ruolo palliativo dove non si riesca a fare una
resezione del tumore. In generale la palliazione è prevalentemente di carattere
endoscopico, ma ci possono essere delle condizioni in cui la chirurgia può avere un
ruolo palliativo.
Il sintomo principale è l’ittero: può essere ridotto con una epatico-digiunostomia.
Oggi la maggior parte delle palliazioni si fa con protesi endoscopiche metalliche (che
rimangono in sede, in modo definitivo) o plastiche.
Se il tumore ostruisce il duodeno si fa generalmente una anastomosi chirurgica
gastro-digiunale che consente al paziente un’ alimentazione orale pressoché normale
(esiste anche una possibilità endoscopica con degli stent duodenali).
La qualità di vita di un paziente che ha effettuato una palliazione chirurgica è
migliore di quello che ha uno stent, questo però non giustifica l’utilizzo della
palliazione chirurgica perché è comunque un intervento e se i pazienti hanno
complicanze possono morire nel tavolo operatorio o avere lunghe degenze non
giustificabili quando la sopravvivenza non è superiore a sei mesi.
BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________
- Sbob prof Giuliante aa 2014/2015
- Sbob Prof Clemente aa 2015/2016
- Sbob Prof Persiani, del corso integrato di Medicina interna e Chirurgia generale 1
aa 2014/2015
- Dispense Prof Butti.
CAPITOLO 16
___________________________________________________________
MELANOMA
EPIDEMIOLOGIA
Il melanoma rappresenta il 4-5% di tutti i tumori maligni; non è una frequenza
bassissima, ma fortunatamente è una malattia da cui si guarisce. Soltanto una
piccola parte di tumori va incontro a recidiva oppure viene diagnosticata in fase
metastatica. E’ una percentuale in aumento, soprattutto nella razza bianca a causa
della maggiore esposizione al sole o ai raggi UV a scopo cosmetico. Ma comunque,
in questa razza, viene principalmente diagnosticata la fase localizzata della neoplasia
Il rischio di sviluppare il tumore è oggi di 1:90. La mortalità in riduzione è correlata
alla precocità della diagnosi: è per questo che oggi si insiste sulle campagne di
prevenzione e sull’attenzione della popolazione anche alle più semplici lesioni
pigmentate. L’incidenza è di 13:100000.
La frequenza è uguale nei maschi e nelle femmine; nelle femmine la sede più frequente è
agli arti inferiori, nei maschi è il tronco.
Un aumento dell’incidenza si ha in Australia e in Nuova Zelanda e questo è stato
messo in relazione ai fenomeni migratori: popolazioni anglosassoni che si sono
spostate in Australia, dove l’esposizione al sole è sicuramente diversa rispetto al loro
paese d’origine. Il picco d’incidenza è 35-50 anni, però circa il 4% dei pazienti al di
sotto dei 20 anni può sviluppare il melanoma.
PATOGENESI
La cellula da cui si sviluppa il melanoma è il melanocita, una cellula di origine
neuroectodermica, che parte dalla cresta neurale e migra alla giunzione dermo-
epidermica della cute e qui raggi UV, fattori angiogenetici, fattori genetici e altri
fattori sconosciuti ne determinano l’accrescimento.
I principali fattori genetici implicati sono: mutazioni di WNT, delezioni del braccio
corto del cromosoma 1, mutazioni di BRAF (7q34), disregolazione delle cicline p16/
INK4 e p14ARF. Non è detto che queste alterazioni genetiche riescano da sole a
portare allo sviluppo del melanoma; l’unica per la quale è stata dimostrata una forte
associazione è quella di BRAF sul cromosoma 7, tant’è vero che il farmaco che
inibisce l’attivazione di BRAF mutato è un farmaco molto efficace nel trattamento
del melanoma.
ALTERAZIONI TIPICHE MELANOMA
7q34 BRAF
A s p e t t i d e l l a Nevo acquisito comune > Nevo displastico > Melanoma “in-situ”> (Enzimi
P r o g r e s s i o n e proteolitici) >Melanoma invasivo >(Elusione dei linf. T citotox)
polifasica >Metastasi a distanza
Il melanoma, cosi come il carcinoma renale, sono tra i tumori più immunogenici che
si conoscano. Le caratteristiche antigeniche da ricordare saranno:
- Proteine di differenziazione della linea melanocitica: biosintesi melanina, condivisisi
con altre cellule:
- Melan-A/MART-1
- Tirosinasi
- Gp-100 (Pmell 17)
- Gp-65 (TRP-1, tyrosin related protein)
- Ag ristretti alle cellule neoplastiche:
- Famiglia MAGE (MAGE-1 riconosciuto da linfociti citotossici, il Gene MAGE-1
comporta una risposta T-mediata ristretta all’aplotipo HLA-A1 (25-30% dei
pazienti)
- Famiglie BAGE e GAGE
- Ag individuali
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 234 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Melanoma familiare
Ne fanno parte circa il 10% di tutti i melanomi. Per parlare di Melanoma Familiare è
necessario che la patologia sia presente in almeno 2 familiari di primo grado, che
insorga in età precoce e che si ritrovino multipli melanomi nel soggetto.
La mutazione implicata sembra essere quella del gene CDKN2A localizzato sul
braccio corto del cromosoma 9 e che è stata riscontrata nel 50% dei familiari.
Un test genetico utile è l’analisi mutazionale p16/CDK4. Le sindromi distintive
associate al MM familiare saranno: S. nevo-displastica (presenza di nevi displastici
multipli)
PREVENZIONE
La prevenzione si basa su due aspetti:
- Controllo periodico delle lesioni a rischio
- Protezione dall’esposizione ai raggi solari (soprattutto nei bambini)
FATTORI PROGNOSTICI
Saranno fattori prognostici importanti:
- Spessore e livello d’invasione (> 2 mm)
- Ulcerazione
- Infiltrato linfocitario peritumorale nella componente verticale
- Brisk (vivace)
- non-Brisk
- Absent (prognosi peggiore?)
- Indice mitotico
- Attività proliferativa (Ki67, PCNA, FCM)
- Neoangiogenesi (MM con spessore intermedio)
- Invasione vascolare e/o linfatica
- Interessamento dei lfn regionali
- Microsatellitosi e metastasi in transit: Metastasi satellite e in-transit sono tipiche
del melanoma e si sviluppano tra la sede del melanoma primitivo e i linfonodi
regionali nei vasi linfatici della cute e del tessuto sottocutaneo. Metastasi satellite:
entro 3 cm da tumore primitivo Metastasi in transit: oltre 3 cm da tumore
primitivo]
- Sede; quelle a prognosi peggiore saranno: tronco posteriore, testa-collo, regione
posteriore braccia.
QUADRO CLINICO
Presentazione clinica:
- Modificazione di una presunta lesione nevica in: volume, colore, ulcerazione, margini,
sanguinamento, secrezione, traumi e microtraumi;
- Recidiva linfonodale: linfonodi prossimali;
- Metastasi da sede non evidente: apparato digerente, occhio, apparato genitale;
- Metastasi di melanoma noto asportato o coesistente;
- Metastasi da sede ignota autoregressione (5-10%);
- Sedi più frequenti: aa. inf., cuoio cap., volto, collo, tronco;
Forme cliniche
Melanoma a diffusione superficiale SSM
La forma più frequente è il Melanoma a diffusione superficiale (55-75%), che
insorge un po’ più tardivamente ed è probabile che abbia come fattore eziologico
principale l’esposizione ai raggi UV. Il picco d’insorgenza è tra i 40-50 aa. In genere
compare sul dorso o sugli arti inferiore. E’ poco rilevato, con margini netti e
irregolari; all’interno possiamo trovare dei fenomeni di autoregressione, responsabili
del colore variabile. Ha una crescita verticale tardiva ed una lenta evoluzione.
L’80% dei MM associato a:
- nevo preesistente
- sindrome nevica
- esposizione solare
Melanoma mucocutaneo
Può insorgere a livello della mucosa orale come macchia nerastra, unica o multipla,
prima piana poi rilevata. A livello gengivale è spesso acromico. A livello della vulva
(piccole labbra) rappresenta il 4-7% dei melanomi femminili; può essere superficiale
o nodulare associato a satellitosi e metastasi in transito. A volte a tipo lentigo.
Melanoma dell’occhio
Scoperti occasionalmente durante visite di controllo. Più frequentemente localizzati
alla coroide: piano, diffuso o globoso e localizzato. Si possono manifestare con
glaucoma, disturbi visivi, dolore, emorragie, diffusione locale e metastasi epatiche.
Se compaiono a livello del corpo ciliare avremo disturbi del visus, interessamentro
cristallino. La prognosi sfavorevole. A livello dell’iride è raro, i disturbi visivi scarsi.
DIAGNOSI DIFFERENZIALE
Dobbiamo differenziarlo da lesioni maligne come il Basalioma Pigmentato, oppure
da lesioni benigne come l’Istiocitoma Benigno, la Malattia di Bowen, lesioni
neurofibromatose, Cheratosi seborroica senile, Angioma Sclerosante oppure ancora
da una lesione molto frequente nel sesso femminile, del tutto benigna che è il
cosiddetto Nevo Blu.
DIAGNOSI
La diagnosi prevede le seguenti 3 tappe:
1. Diagnosi di natura, si basa sull’osservazione di:
- Aspetto macroscopico
- Microscopia in epiluminescenza
- Esame citologico
- Biopsia incisionale o escissionale: meglio escissionale
2. Stadiazione I
- Rx torace
- Ecografia epatica
- Lnf sentinella: l’analisi del linfonodo sentinella è indicata per melanoma in
fase avanzata e non per lesione in situ.
- TC/RM encefalo
3. Stadiazione II
- Scintigrafia ossea
- TC o RMN collo/torace/addome/pelvi/estremità
PROGNOSI
Pazienti operati Sopravvivenza per Stadio Sopravvivenza e Linfonodi
Sopravvivenza a 5 aa. 55% Stadio 1 80% Micrometastasi 1 lfn 65%
TERAPIA PRIMARIA
La prima terapia che si effettua è l’escissione chirurgica con margine adeguato:
- Spessore <2 mm: margine 1 cm
- Spessore >2 mm: margine 3 cm
- Spessore maggiore: escissione anche sino al piano fasciale
Per eseguire questa tecnica la lesione primitiva deve essere almeno al II livello di
Clark ovvero > 0,75mm. Il radio-colloide o in alternativa il blu di metilene va
iniettato in zona perilesionale (che in genere è ai bordi della precedente cicatrice);
individuato il primo linfonodo drenante con la scintigrafia, viene asportato e viene
fatta l’immunoistochimica. Se questa è positiva si effettua la linfoadenectomia, se
invece è negativa soltanto osservazione.
Radioterapia
La radioterapia è di scarse utilità ed efficacia e vi si ricorre praticamente in due sole
occasioni: la prima è il trattamento ad alte dosi delle metastasi, soprattutto quelle
ossee e talvolta quelle cerebrali (si tratta comunque di una circostanza in cui anche i
radioterapisti si mostrano scettici sulla reale efficacia del trattamento radiante nei
pazienti con melanoma); la seconda è la terapia adiuvante nei soggetti con melanomi
di stadio T4, in cui -nonostante l’asportazione radicale del tumore- esiste comunque
un elevato rischio di recidiva.
Chemioterapia
Relativamente alla terapia medica delle metastasi, si può fare affidamento su vari
approcci:
- Terapia citotossica: può impiegare farmaci singoli o in combinazione, anche se
ormai è dimostrato che la politerapia è lievemente superiore rispetto alla
monoterapia. I più attivi sono la dacarbazina, la fotemustina e il platino. Tuttavia i
risultati sono abbastanza scarsi, in quanto solo il 20% circa dei pazienti risponde.
- Recentemente sono stati resi disponibili due nuovi farmaci denominati
vemurafenib e dabrafenib. Entrambi sono inibitori di B-Raf ed agiscono sulle
cellule tumorali che mostrano la mutazione V600E del gene BRAF, mutazione
presente nel 40-50% dei melanomi. I pazienti sensibili al trattamento con
vemurafenib manifestano, nel giro di 2 settimane dall’inizio della terapia, un
miglioramento eclatante e quasi immediato della sintomatologia; purtroppo si è
osservato che la responsività dura appena 6-8 mesi, in seguito allo sviluppo di
alcuni meccanismi di resistenza.
- Immunoterapia: utilizza l’interferone oppure l’interleuchina.
Grazie alla loro enorme efficacia nella terapia delle metastasi (in quanto sono capaci
letteralmente di liquefare le masse tumorali metastatiche), il vemurafenib e il
dabrafenib da una parte e l’ipilimumab dall’altra costituiscono al giorno d’oggi i due
approcci più promettenti per il trattamento non chirurgico del melanoma.
- Metastasi multiple:
- SNC: Radioterapia –> BRAFi/MEKi, Ab anti PD1, Ab anti CTLA4, CT
- Altri: BRAFi/MEKi, Ab anti PD1, Ab anti CTLA4, CT
BIBLIOGRAFIA
_____________________________________________________________________
- Sbobinature Prof Barone aa 2014/2015 e aa 2015/2016;
- AJCC Atlante per la stadiazione dei tumori maligni;
- Linee guida AJCC 2009 per il melanoma;
- Wikipedia per alcune immagini;
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 243 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
CAPITOLO 17
___________________________________________________________
SARCOMI
EZIOLOGIA GENERALE
I fattori eziologici sono molteplici, ma, tra i più importanti possiamo ricordare::
- Radiazioni ionizzanti, soprattutto per Osteosarcoma, angio- e fibrosarcoma
- Sostanze chimiche: come Diossina, cloruro di vinile e arsenico
- Infezioni virali: HSV 8, KSHV: tumore di kaposi; L’ EBV sembra essere associato ai
tumori del tessuto muscolare liscio
- Traumi e cicatrici sembrano predisporre a Fibro e osteosarcoma
- Anomalie dell’osso come Malattia di Paget, necrosi dell’osso possono essere causa
di sviluppo di osteosarcoma; L’Osteocondroma / displasia fibrosa dell’osso può
condurre a osteosarcoma, condrosarcoma
- Stasi linfatica cronica: Sindrome di Stewart-Treves associato all’angiosarcoma.
Fibrosarcoma
Rappresenta il 5% dei tumori primitivi dell’osso. Può derivare da forme primitive e
secondarie. Ha un range di età piuttosto ampio compreso tra i 30 e i 70 aa.
OSTEOSARCOMA
L’osteosarcoma è la neoplasia ossea più frequente nelle prime 2 decadi di età (60%)
nonostante possa manifestarsi tra i 5 e i 50 aa. Il picco d’incidenza è nel secondo
decennio. Riguarda principalmente la metafisi delle ossa in rapido accrescimento
nell’adolescenza, quindi: metafisi prossimale di tibia e radio-ulna e distali di omero e
femore; pertanto le regioni anatomiche coinvolte sono il gomito e il ginocchio. Ciò
ha fatto presupporre che ci sia una correlazione tra la comparsa del tumore ed il
rapido accrescimento osseo. È importante ragionare sul dolore di queste
articolazioni anche quando può essere attribuito a traumi.
EZIOLOGIA
I soggetti esposti a radiazioni ionizzanti hanno una probabilità 2000 volte superiore
di presentare questo tumore. Sembrano coinvolti anche dei fattori genetici come le
mutazioni del gene Rb sul cromosoma 13, mutazioni di MDM2. E’ presente anche
una rara forma familiare.
Nell’eziologia è importante il ruolo dei virus (EBV/HSV) perché sono stati
identificati nell’osteosarcoma umano delle particelle virali e degli antigeni tumore
specifici indotti dalla presenza del virus sia nei pazienti che nei loro familiari.
Biologia molecolare
Tra le alterazione di protooncogeni vanno ricordate:
- Amplificazione di MDM2 con iperespressione di p90: inattivazione di p53 e di Rb
- Amplificazione di CDK4 con aumento dei livelli di ciclina D1 che coopera
nell’accelerare il ciclo cellulare con l’inattivazione di Rb
Tra quelle degli oncosoppressori:
- Rb e p53
- p15, p16 disregolano il ciclo cellulare
- Overespressione di gp170: Minore capacità metastatizzante
e aumento della chemioresistenza.
ANATOMIA PATOLOGICA
Il tumore è caratterizzato da una matrice osteoide che invade
il tessuto osseo sano. L’osteosarcoma deriva da una cellula
staminale mesenchimale pluripotente e a seconda della
matrice osteoide che produce può essere chiamato
osteoblastico (quello classico), condroblastico o fibroblastico.
Può essere ad alto o a basso grado.
QUADRO CLINICO
Le sedi più comunemente interessate sono le metafisi delle ossa lunghe degli arti
(ginocchio e gomito). Ci sono forme secondarie alla radioterapia e al Paget.
Il sintomo più rilevante è il dolore persistente ad un’articolazione che si presenta prima
della tumefazione. La tumefazione si verifica quando il tumore è uscito almeno
parzialmente dall’osso.
È importante porre molta attenzione al dolore persistente, infatti si ritiene necessario
almeno un controllo radiologico per un dolore che duri almeno da tre settimane.
Inoltre ci può essere deficit funzionale, flogosi articolare, frattura patologica (rara
all’esordio). La linfoadenopatia si verifica se c’è interessamento dei tessuti molli.
Possono verificarsi sintomi da metastasi polmonari. I sintomi generali sono rari.
La tipica modalità di esordio è una gonalgia, accompagnata spesso da tumefazione
al ginocchio. Il dolore inizialmente è intermittente, poi diventa continuo, molto
intenso, con aggravamento di notte e risulta non responsivo ai comuni
analgesici. A volte l’esordio coincide con una frattura da fragilità del segmento
interessato.
DIAGNOSI DI NATURA
La diagnosi è fatta con l’Rx: in caso di lesioni sospette è seguita da TC e anche da
RM perché la TC tende a sovrastimare il tumore per l’edema peritumorale, non studia
bene la cartilagine articolare e i tessuti molli e le immagini longitudinali sono
ricostruite da tante immagini trasversali, a differenza della risonanza. Lesioni
STADIAZIONE
Si ottiene tramite TC (o Rx) del torace per individuare le eventuali metastasi
polmonari, la scintigrafia ossea con tecnezio si fa solo occasionalmente.
Non è necessaria la TC dell’addome a meno che non si sospetti un’evoluzione per
via linfatica.
Lo scopo della stadiazione è quello d'ipotizzare una prognosi per il paziente e dare
una guida al trattamento. Esistono
due sistemi di stadiazione per i
sarcomi ossei: il sistema
dell'American Joint Committee on
Cancer (AJCC) ed il Surgical Staging
System (SSS), secondo il quale
vengono stadiati anche i tumori
benigni. Quest'ultimo sistema è il
più utilizzato e si basa sui seguenti
fattori:
a) il grado (G) di malignità istologico del tumore;
b) la sede e l'estensione (T) della neoplasia;
c) la presenza o meno di metastasi, regionali o a distanza (M).
DIAGNOSI DIFFERENZIALE
FATTORI PROGNOSTICI
- Età: minore tolleranza al trattamento nei bambini e forme più avanzate nei pz. più
anziani
- Fattori sierici: fosfatasi alcalina e LDH
- Fattori del tumore: Presenza di metastasi, Dimensioni della neoplasia, Tipo
istologico, Sede (prognosi peggiore al tronco), Iperespressione di gp170
- Risposta alla terapia
- Intensità di dose dei farmaci
- Risposta istologica alla terapia neoadiuvante
- Necrosi 100%
- Necrosi > 90%
- Necrosi > 50%
- Scarso o nessun effetto terapeutico
- Sede e tempo di ricaduta,
- n° lesioni
TERAPIA
L’obiettivo della terapia dell’osteosarcoma è da un lato la guarigione e dall’altro la
preservazione dell’arto.
Terapia chirurgica
La chirurgia può essere:
- Demolitiva quando comporta l’amputazione al di sopra della articolazione vicina,
disarticolazione o in caso di Amputazione trans-midollare. E’ indicata nei tumori
avanzati nei quali non è possibile ottenere un margine pulito.
- Conservativa, in questo caso si pone il problema dei margini, la selezione dei
pazienti: età, sede, dimensioni, infiltrazione dei tessuti molli
- Metastasectomia: Resezione anche reiterata delle metastasi polmonari
Terapia medica
- Adiuvante: consente di ottenere una riduzione delle recidive al 50-60%. Consente
di capire il destino prognostico del paziente a seconda della quantità di necrosi nel
tumore e permette una maggiore preservazione dell’arto.
Quando è primaria consente una sopravvivenza a 5 anni del 50% con conservazione
dell’arto. Può essere palliativa. I farmaci principali utilizzati saranno:
- MTX ad alte dosi + “rescue”
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 249 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
- CDDP e Doxorubicina
- Ifosfamide, Bleomicina, Actinomicina D
- Farmaci sperimentali: Vaccini, Radioimmunoterapia, Terapia genica
Radioterapia
Obsoleta ed inefficace si fa solo in caso di metastasi ossee sintomatiche o metastasi
cerebrali.
Una possibilità della radioterapia è con il samario radioattivo nei rari casi di
osteosarcoma con metastasi ossee multiple, però dà delle aplasie midollari
importanti.
SARCOMA DI EWING
Il sarcoma di Ewing rappresenta il 20% delle neoplasie dell’osso e l’1% di tutte le
neoplasie infantili. Il picco è lievemente più tardivo dell’osteosarcoma ma sempre
nel secondo decennio di vita. La fascia di età nella quale si sviluppa solitamente il
tumore è quella tra i 5 e i 30 aa. Ha una lieve prevalenza nel sesso maschile.
EZIOLOGIA
Sono state descritte forme familiari. Le mutazioni più frequenti in questi casi saranno:
- Traslocazione reciproca t(11:22)(q24;q12);
- Trascritto di fusione tra gene EWS (22) e gene FLI1 (11) in grado di sviluppare
maggiormente la crescita e la proliferazione cellulare (questa traslocazione è
l’aberrazione molecolare più caratteristica);
- Iperespressione c-myc, c-myb;
Ha metastasi a distanza alla diagnosi nel 25% dei casi. I pazienti che vengono
sottoposti solo ad intervento chirurgico diventano metastatici nel 70% dei casi entro
6 mesi dall’intervento e nell’80% dei casi entro 2 anni, questo significa che
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 250 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
l’intervento chirurgico da solo è inutile. La sopravvivenza a 5 anni con il solo
trattamento locale è del 5-10%.
Le sedi metastatiche più frequenti saranno: polmoni (38%), scheletro (31%), m.
osseo (11%), lfn, fegato, SNC
QUADRO CLINICO
Spesso i pz si presentano con dolore anche di vecchia data o intermittente
(localizzazioni allo scheletro assiale). Possono essere presenti tumefazione e/o
flogosi locale con segni di compressione delle strutture circostanti, tipicamente
sciatalgia, paraparesi.
Può essere presente versamento pleurico in caso di metastasi polmonari. Le
metastasi possono essere anche scheletriche e linfonodali. Spesso sono presenti
sintomi e segni di malattia sistemica. Le fratture patologiche sono rare.
Anche nello Ewing il dolore è l’elemento più indicativo, insieme a flogosi e
tumefazione, e compaiono dei sintomi che erano meno rappresentati
nell’osteosarcoma come dolore alle vertebre, metastasi alla pleura e manifestazioni
paraneoplastiche.
L’esordio clinico abituale è quello di una patologia sistemica con febbre, anemia,
leucocitosi, dimagrimento e VES molto elevata. Di fronte a un simile quadro clinico
si potrebbe pensare ad un processo infettivo (osteomielite acuta), ma si deve sempre
tener conto della possibilità di un sarcoma di Ewing.
DIAGNOSI DI NATURA
Il percorso diagnostico è lo stesso dell’osteosarcoma, ma si dà maggior importanza
alla biopsia ossea.
La biopsia ossea incisionale o mediante ago va fatta in un osso lungo
longitudinalmente per asportare all’intervento tutto il tessuto cutaneo e
sottocutaneo possibilmente contaminato dalla biopsia. Il tramite bioptico deve
essere asportato chirurgicamente.
DIAGNOSI DIFFERENZIALE
Le principali condizioni che vanno in diagnosi differenziale con il sarcoma di Ewing
saranno:
- Tumore di Askin nel bambino e neuroepitelioma periferico: suscettibili di
intervento chirurgico.
- Osteomielite
- Cisti aneurismatica
- Granuloma eosinofilo
- Neuroepitelioma periferico (p-PNET) e Neuroblastoma
- Linfoma
- Altri tumori primitivi o secondari dell’osso
FATTORI PROGNOSTICI
- Età: decorso più favorevole nei bambini < 10 anni
- Livelli sierici di LDH
- Fattori del tumore come:
- Sede: bacino prognosi sfavorevole, arti favorevole, altre prognosi intermedia
- Diffusione della neoplasia
- Massa neoplastica
- Grado di differenziazione neurale
- Risposta alla terapia
- Risposta al trattamento sistemico
- Possibilità di terapia combinata
- Possibilità di intervento chirurgico, oltre al trattamento radiante
TERAPIA
Il tumore di Ewing è radio e chemio sensibile, il trattamento è combinato e permette
di avere una sopravvivenza a 5 anni del 50%
Terapia chirurgica
La chirurgia è stata abbandonata negli aa. 70 a favore della RT. Attualmente però è
stata rivalutata. Il suo ruolo infatti è in continua evoluzione. Essa consente di
ottenere minori recidive locali rispetto alla radioterapia. Può essere demolitiva in
caso di fratture patologiche, dimensioni cospicue, non controllabili con RT o
chemioresistenti. o ancora nelle lesioni distali agli aa. inf. in pz < 10 aa. (rischio di
II tumore o di deficit funzionali).
Radioterapia
Si effettua ad alte energie (40-45 Gy + 10-15 Gy). Il campo irradiato comprende la
neoplasia con adeguato margine ed i tessuti molli. Può essere concomitante alla
terapia medica quando è necessaria una rapida risposta.
Terapia medica
- Integrata con RT e CH: DFS a 5 aa. 50%
- Adiuvante post-chirurgia o post-RT
- Palliativa: RR sino al 75%
Farmaci principali:
- CTX (o IFX),
- DOX,
- VCR,
- ACT-D,
- VP-16
BIBLIOGRAFIA
____________________________________________________________________
- Sbobinature Prof Barone,aa 2014/2015 e aa 2015/2016
- www.ior.it, sito dell’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna
- Ortopedia di Netter Copertina rigida– 30 nov 2007 di Walter Greene (Autore)
CAPITOLO 18
___________________________________________________________
TUMORI DEL RENE
Sarcoma Calcifica
T u m o r i Emangioma
vascolari
Linfangioma
Amartoma
I tumori più frequenti a livello renale sono gli adenocarcinomi o tumori di Grawitz,
tra i quali il più rappresentato è il carcinoma a cellule chiare che è il più frequente;
poi ci sono tumori a cellule chiare con varianti di vario tipo.
Il nefroblastoma (tumore di Wilms) è il tumore più frequente nei pz pediatreici.
Esso ha un buon indice di guarigione poiché viene curato con la chirurgia ed è
sensibile alla chemioterapia e alla radioterapia.
E’ importante tenere presente che un tumore del rene, una lesione solida del rene, è
un tumore maligno fino a prova contraria.
Solo raramente abbiamo tumori benigni: oncocitoma, angiomiolipoma.
L’angiomiolipoma è facile da diagnosticare per la presenza di tessuto adiposo: sia il
radiologo che fa l’Eco sia il radiologo che fa la TC o la RM riferiscono la presenza di
tanto tessuto adiposo.
Nel caso dell’oncocitoma invece è difficile fare la diagnosi prima dell’intervento
chirurgico; perciò qualunque massa solida che vediamo a livello del rene dobbiamo
considerarla maligna fino a prova contraria. Al tempo stesso difficilmente le biopsie
sono in grado di darci quelle informazioni che permettono ai patologi di definire la
massa come oncocitoma: i patologi vedono delle cellule oncocitarie ma non
prendono mai una posizione che permette dire che quello è tumore benigno.
Esistono anche le cisti renali che sono delle palle piene d’acqua. Chi ha più di
cinquanta anni ha probabilmente nel 70-80% dei casi delle cisti renali semplici.
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 254 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
A livello renale ci possono essere anche linfomi, tumori neurogeni, tumori
germinali e tumori secondari.
PRINCIPALI QUADRI RADIOLOGICI
Oncocitoma Appare agli US come una massa rotondeggiante, margini netti, ecogenicità omogenea
simile al parenchima renale; LaTC o RM è necessaria per distinguerlo da carcinomi
renali (stesso aspetto ecografico). Presenta una caratteristica cicatrice centrale stellata
non captante mdc.
Adenocarcinoma All’US avremo una massa circoscritta, ecogenicità simile a quella del parenchima
renale. Tipicamente a localizzazione periferica con deformazione del profilo renale.
Spesso impronta gli echi pielici. Alla RM o TC osserveremo una massa solida con
minore captazione del mdc rispetto al parenchima circostante, Soprattutto nei tumori
di maggiori dimensioni sono presenti ampie aree necrotiche endolesionali e frequenti
calcificazioni. All'imaging possiamo vedere anche adenopatie dell'ilo renale o
lomboaortiche, trombosi della vena renale, trombosi della vena cava inferiore.
ADENOCARCINOMA
Epidemiologia
In Italia l’incidenza del carcinoma del rene è in linea con la media degli altri paesi
occidentali. I tumori del rene costituiscono il 2-3% di tutti i tumori dell’adulto. Ogni
anno ci sono 15 nuovi casi ogni 100.000 abitanti, ovvero poco più di 5.000 nuovi
casi all’anno con mortalità all’incirca di 2.000 persone all’anno (rapporto a sfavore
del sesso maschile M:F = 2:1 – 3:1) con un picco di massima incidenza attorno ai
60-70 anni, con una maggior prevalenza del cancro del rene nelle aree urbane
piuttosto che in quelle rurali.
La prevalenza maggiore è tra i 65 e 75 anni, e rimane una patologia con una
incidenza rilevante anche nel grande anziano (85+) anche se si riduce leggermente.
Esistono forme sporadiche e forme ereditarie.
Il picco massimo di insorgenza delle forme sporadiche (monocentriche e
monolaterali) si osserva intorno ai 60 anni rispetto ai 45 delle forme ereditarie.
Mentre per quanto riguarda la frequenza e la localizzazione le forme genetiche sono
solamente il 4% del totale dei carcinomi del rene, ma sono multicentriche e
bilaterali. Mentre le sporadiche sono il 96% e monolaterali.
Fattori di rischio
Tra i fattori di rischio dell’adenocarcinoma del rene, il principale è il fumo. Il fumo
non è una problematica che ha a che fare soltanto con la cancerogenesi delle vie
respiratorie, del cavo orale o delle mucose che vengono a contatto con i prodotti
cancerogeni del fumo, ma è anche un fattore di rischio prevalente in tutte quelle
neoplasie che hanno a che fare con l’escrezione: le vie urinarie sicuramente, la
ghiandola mammaria per certi versi, e anche le vie biliari.
Poi ci sono altri elementi che sono importanti: la familiarità, l’esposizione a farmaci
(la fenacetina è un classico del tumore del rene, tant’è che non è approvata negli
USA, ma comunque utilizzata poiché ci si può procurare la fenacetina in Italia);
l’esposizione a metalli pesanti come il Cadmio e altre condizioni che favoriscono la
flogosi cronica renale che sono il rene policistico (non quello congenito, ma quelli in
trattamento dialitico cronico con delle alterazioni dell’epitelio delle cisti che sono
delle precancerosi per il tumore del rene).
I tumori genetici del rene sono il 4-5% del totale, il 95% sono tumori sporadici però le
alterazioni genetiche sono identiche, la differenza è che nelle forme ereditarie
La prima forma ereditaria che consideriamo è quella associata alla sindrome di von
Hippel-Lindau in cui c’è una mutazione del gene VHL nella linea germinale e che si
manifesta con un tumore a cellule chiare, il classico tumore del rene. All’interno dei
tumori a cellule chiare oggi si riconoscono almeno 4-5 sottotipi.
L’ultimo gruppo è quello dei soggetti con mutazione della fumarato idratasi (FH), un
enzima coinvolto nel metabolismo glucidico, che si associa a un’altra condizione
benigna che è la leiomiomatosi che però si può associare a tumore renale a cellule
chiare, anche se l’istotipo non è tanto quello a cellule chiare, ma il tumore a cellule
papillari di tipo 2. La forma tipo 2 si differenzia dalla tipo 1 perché le cellule della
papillare di tipo 2 sono semplicemente cellule più chiare istologicamente.
Biologia molecolare
I geni soppressori associati con il carcinoma renale sono:
- 3p13-14.3 e 21.3 (delezione e traslocazione), Coinvolto nello sviluppo del ca.
renale, queste regioni sono delete anche nel ca. polmonare
- 5q21, Associato alla progressione, corrisponde a MCC e APC
- 6q27: Associato alla progressione
- 10q21-23: Associato alla progressione
Manifestazioni cliniche
I sintomi più frequenti sono l’ematuria (micro e macro ematuria), il dolore al fianco
e la massa palpabile. La triade sintomatologica è però rara come presentazione
sincrona. Quello che deve quindi guidare verso il sospetto di carcinoma del rene è
l’ematuria oppure il dolore al fianco come sintomi singoli, molto più raramente
anche una possibile massa palpabile.
Poi ci sono anche altri sintomi correlati alla produzione di sostanze (citochine e
affini) che sono stimolate dall’accumulo di HIF. Questi saranno: il calo di peso,
l’ipertensione, la febbre, la poliglobulia, l’ipercalcemia e il varicocele sinistro. Il
Diagnosi
Nel momento in cui c’ è il sospetto di un tumore del rene una volta si ricorreva all’
urografia, ora questo è un esame a cui si ricorre solo in situazioni particolari. Infatti
nel momento in cui vi sia il sospetto di tumore renale l’esame di primo livello è
l’ecografia renale (Spesso però bisogna decidere che ecografia eseguire perché se il paziente
lamenta un dolore lombare l’ecografia è renale e sonda l’addome superiore, ma se il paziente
manifesta ematuria non conosciamo esattamente la sua origine e quindi il distretto da indagare
risulta incerto in quanto gli eritrociti possono provenire dal rene, dalla vescica o se il pz è maschio
l’ematuria può essere legata all’ ipertrofia prostatica. È vero che si può fare la distinzione tra
ematuria terminale ed ematuria lombare però rimane un esame orientativo).
Nel caso del pz con ematuria dobbiamo eseguire sia un’ecografia renale sia
un’ecografia della vescica ed i due esami hanno delle metodiche diverse: l’ecografia
della vescica si esegue a vescica vuota, quella renale a vescica piena.
- Se l’ecografia renale determina che la lesione presunta è una cisti, questa va
tenuta sotto controllo specialmente se non possiedi caratteristiche chiare e
definite.
- Se è una massa solida bisogna ricorrere ad ulteriori esami quali la TC, la RM o
l’uro-risonanza, e raramente l’arteriografia in quanto non si esegue per soli fini
diagnostici ma anche per fini interventistici ad esempio nel caso in cui ci sia una
massa che sanguini l’arteriografia consente l’embolizzazione ed una maggior
tranquillità nell’ eseguire un intervento chirurgico.
Le biopsie sono sempre gravate da un rischio più o meno elevato di contaminazione del
tragitto. Nel caso del cancro del rene la contaminazione del tragitto altera le vie di
diffusione linfonodali poiché il tumore del rene fisiologicamente invade i linfonodi
dell’ilo o quelli associati alla vena renale, ma se eseguendo una biopsia si contamina
la regione lombare allora la disseminazione prenderà una strada completamente
Una massa > 3 cm riscontrata occasionalmente nel rene è neoplastica nell’83% dei
casi.
La TC è l’esame di seconda istanza, serve per la stadiazione.
E’ necessario estendere l'esame di seconda istanza a tutto il sistema escretore. E’
utile eseguire uno studio della funzionalità renale in previsione dell’intervento.
Anatomia patologica
L’aspetto è rotondeggiante, le dimensioni sono molto variabili (da
pochi cm a tutto l’addome), spesso si riscontra la presenza di
pseudocapsula. Dal punto di vista anatomopatologico ha un colore
giallo arancione con aree necrotico-emorragiche. A volte alcuni
tumori del rene hanno l’aspetto di una cisti “sporca” (contenuto
non perfettamente limpido dal punto di vista ecografico) ed hanno
delle imponenti zone necrotico-emorragiche con la presenza di
trombi neoplastici.
Classificazione TNM
T3 Tumore ha invaso il grasso perirenale o invasione della vena renale e della vena cava.
N1 un linfonodo max 2 cm
M1 presenza di metastasi
In epoca più moderna invece si è visto che nei casi in cui è attuabile la nefrectomia
semplice o addirittura la resezione parziale del rene questi interventi sono ugualmente
efficaci.
L’ intervento chirurgico ha anche un grande peso nei casi di metastasi in cui esso è auspicabile a
meno che non ci siano delle controindicazioni legate all’estensione.
L’intervento si può eseguire sia nel caso in cui ci sia un’unica metastasi primaria, sia nel caso di
multi-metastasi; se ci sono le metastasi si procede prima con una terapia medica per controllare le
metastasi a distanza e poi con una nefrectomia con intento citoriduttivo.
In realtà ormai non ci sono più limiti per conservare o meno il rene, ma il limite è dato
dall’esperienza del chirurgo: se il chirurgo è in grado di asportare una neoplasia anche di 10 cm
salvando il rene e contrastando quelli che sono i problemi vascolari, nulla vieta di attuare la
chirurgia conservativa. Naturalmente man mano che queste neoplasie diventano grandi, perdono
la tipica connotazione a palla capsulata e cominciano a infiltarare all’interno del rene.
Le neoplasie pseudocapsulate hanno una buona prognosi (questo spiega perché la mortalità del
tumore del rene non è così elevata); invece le neoplasie che ormai hanno perso la pseudocapsula
sono quelle che vanno incontro a malattia metastatica.
Nefrectomia radicale: è un intervento serio nel senso che prevede non solo
l’asportazione del rene ma anche quella del grasso circostante e dei linfonodi
regionali (dal diaframma alla biforcazione aortica, per permettere una stadiazione
adeguata e consentire una riduzione della recidiva locale), del surrene omolaterale.
Farmacoterapia
La terapia di alcuni anni fa prevedeva l’impiego di interferone ed interleuchina o di
una loro combinazione (IL-2 + IFN alfa). È possibile ancora oggi utilizzare questi
farmaci ma non sono da tralasciare i numerosi effetti collaterali attribuibili anche
alle elevate dose di IL-2 e INF pari a 9 mln di unità per m2, con dosi che possono
arrivare a 15 mln.
Sopravvivenza
Negli ultimi dieci anni la terapia per il tumore al rene ha subito notevoli
cambiamenti. Il primo passo per avviare una terapia medica in questi casi è stabilire
quale sia la prognosi del paziente che può essere buona, intermedia o cattiva.
Gli elementi che consentono di valutare la prognosi di un tumore metastatico sono:
- Il tempo dalla diagnosi al momento in cui è stato trattato;
- Valore di 60-70 nella scala di Karnosfky (pari a un ECOG 2 sono entrambe scale di
valutazione del paziente con tumore maligno)
- 2 o più siti d’organo interessati da metastasi;
- LDH > 1,5 volte il limite massimo superiore;
- Hb < 11 gr/dL;
- Ca2+ corretto > 10 mg/dL.
Ogni parametro vale 1 punto e la prognosi si definisce buona (per valori pari a 0-1)
intermedia (2) o cattiva (3 o +). Naturalmente la
sopravvivenza anche in assenza di trattamento è
strettamente correlata con la prognosi come si
evidenzia dalla tabella.
Nello stadio I la sopravvivenza a 5 anni è del 67%, nello stadio II del 59%, nello
stadio III del 30% e nello stadio VI del 7%.
Epidemiolgia
L'incidenza annuale è circa 1/10.000 nati e la malattia colpisce in maniera analoga i
due sessi. Il nefroblastoma interessa soprattutto i bambini di 1-5 anni, ma il 15% di
questi tumori viene diagnosticato nei bambini di età inferiore a un anno e nel 2% in
quelli con più di 8 anni. I pazienti adulti sono molto rari.
Eziopatogenesi
Il nefroblastoma è sporadico nel 99% dei casi e il 10% di essi si associa a difetti
congeniti (aniridia, emi-ipertrofia, anomalie urogenitali) o a sindromi specifiche
(Beckwith-Wiedemann, Denys-Drash, WAGR, Perlman, si vedano questi termini).
Nei tumori sono state descritte varie anomalie a carico di diverse regioni
cromosomiche: 11p13 (contenente il gene WT1), 11p15 (contenente il gene H19),
Anatomia patologica
Il tumore è tipicamente di grosse dimensioni, può arrivare a pesare 2 kg. E’
biancastro, con aree cistiche/emorragiche, comprime il rene facendone ridurre le
dimensioni. Microscopicamente è costituito da una componente epiteliale che
origina dal blastema primitivo e da una componente mesenchimale la cui anaplasia
influenza la prognosi.
Storia naturale
Il tumore di Wilms metastatizza per via linfatica ai linfonodi retroperitoneali, per via
ematica al polmone, al fegato ed al diaframma. Ha una spiccata capacità di invasione
vascolare.
Stadiazione
- Stadio I, limitato al rene, e completamente rimosso chirurgicamente;
- Stadio II, oltre la capsula renale ma completamente rimosso chirurgicamente;
- Stadio III, tumore residuo confinato all’addome
- Stadio IV, coinvolgimento bilaterale al momento della diagnosi.
Presentazione clinica
Spesso è presente una massa nell'addome (monolaterale nella maggior parte dei
casi). I pazienti lamentano frequentemente un dolore addominale (nel 10% dei casi),
ipertensione, febbre (nel 20% dei casi), ematuria e anemia. L'evoluzione della
malattia è molto rapida, con disseminazione nello spazio retroperitoneale, ai
linfonodi, ai vasi (vena renale e vena cava inferiore) e nella cavità peritoneale, con
possibilità di metastasi al polmone e al fegato.
Diagnosi
La diagnosi si basa sulle immagini, in particolare la TC e la risonanza magnetica. La
concentrazione urinaria dei metaboliti delle catecolamine è normale. La diffusione
del tumore viene studiata con indagini strumentali (ecografie e TC addominale,
analizzando in particolare il fegato e il rene controlaterale), che sono anche utili per
orientare il protocollo della chemioterapia post-operatoria.
La diagnosi di nefroblastoma viene posta con la microscopia, che permette di
effettuare la stadiazione del tumore e di orientare la scelta della chemioterapia post-
operatoria. La diagnosi differenziale si pone con gli altri tumori del rene, compreso il
nefroma meroblastico (soprattutto nella prima infanzia), il sarcoma a cellule chiare,
il neuroblastoma (estremamente raro nel rene, ma che può invaderlo per
contiguità), i rabdomiomi (si vedano questi termini) e i tumori stromali metanefrici.
Terapia
La gestione della malattia è multidisciplinare e può richiedere la chemioterapia e la
chirurgia, con o senza la radioterapia.
La chemioterapia consente di ridurre la massa tumorale prima dell'intervento e di
eliminare le metastasi.
Prognosi
Nella maggior parte dei casi la prognosi è favorevole, con un tasso di sopravvivenza
superiore al 90%. Le forme dell'adulto hanno la stessa prognosi e dovrebbero essere
trattate con gli stessi protocolli, anche quando il paziente adulto tollera la
chemioterapia meno bene rispetto ai bambini (situazione che può comportare una
riduzione del trattamento e, di conseguenza, una prognosi peggiore).
BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________
- Sbobinature del Prof Barone, aa 2014/2015 e aa 2015/2016
- Dispense Prof Butti
- Urologia, Autore Bassi P.F., 2010, 129 p., ill., brossura, Editore Cortina (Padova),
(collana Cosa sapere di…)
- Sbobinature del Prof. Bassi, aa 2014/2015
- www.Orpha.net
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 267 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
CAPITOLO 19
___________________________________________________________
TUMORI DELLA VESCICA
EPIDEMIOLOGIA
Il cancro della vescica rappresenta il secondo tumore genitourinario per frequenza
con 54.000 nuovi casi diagnosticati e 25.000 decessi. Il picco d’incidenza è tra i 55 e
i 70 anni con un rapporto maschio femmina di 4:1. Alla diagnosi circa l’85% dei
tumori della vescica è localizzato e non invasivo, solo il 15% si presenta già con
metastasi. E’ comunque da ricordare che tutti i tumori della vescica sono maligni.
Circa il 70% di essi recidiva dopo asportazione, data la frequente multicentricità.
L’origine della neoplasia è rappresentato da una sola cellula, ma, poichè tutto
l’urotelio è esposto agli stessi cancerogeni è possibile che ci siano diversi foci di
trasformazione asincroni tra di loro.
EZIOPATOGENESI
I fattori che contribuiscono alla cancerogenesi vescicale saranno:
- Cancerogeni industriali: il contatto con coloranti anilinici, benzidina usate nelle
industrie per la fabbricazione delle vernici e sostanze per la lavorazione del cuoio
e del pellame possono indurre la trasformazione tumorale.
- Fumo di sigaretta: più del 60% dei pz con cancro della vescica sono fumatori. Il
fumo provoca una riduzione di vitamina B6 necessaria per metabolizzare gli
ortoamminofenoli, metaboliti del triptofano. Non è più valida la correlazione con
il numero di sigarette fumate. L’importante è che il fattore di rischio sia presente.
- Schistosomiasi, più dell’80% dei casi riscontrati nel terzo mondo. L’infezione con
Schistosoma Haematobium provoca flogosi cronica dell’epitelio vescicale.
- Iperconsumo di agenti dietetici, quali caffeina, dolcificanti artificiali.
- Irradiazione pelvica
- Fattori irritativi, come la cistite cstica (precancerosi), calcolosi vescicale, cateteri a
permanenza
- Altri, come chemioterapia con ciclofosfamide, agenti alchilanti, fenacetina.
Lo schema di trasformazione è tipicamente multi step, con iniziazione, promozione
e proliferazione. Spesso alla base vi sono mutazioni di oncogèni come ras o
l’inattivazione di oncosoppressori come p53.
SCREENING
Lo screening può essere effettuato con indagini non invasive come la ricerca di
ematuria e la citologia urinaria. Programmi di diagnosi precoce sono stati suggeriti
per popolazioni ad alto rischio come i forti fumatori o lavoratori con rischio
occupazionale. Al momento non ci sono dati conclusivi sulla riduzione di mortalità
per carcinoma vescicale in seguito a programmi di screening. In conclusione il fumo
attivo e passivo continuano a essere i maggiori fattori di rischio conosciuti e la più
importante prevenzione primaria è la cessazione del fumo attivo e passivo.
Le metodiche maggiormente utilizzate sono rappresentate da:
- Esame urine, ma ha scarso valore predittivo
- Citologia urinaria eseguita sulla raccolta delle 24 ore, può identificare
precocemente neoplasie vescicali di basso grado.
ANATOMIA PATOLOGICA
I tumori della vescica vengono distinti in due grandi gruppi:
- infiltranti, che sono quelli che interessano la parete della vescica, sono tumori
maligni che possono metastatizzare e che hanno il tipico andamento dei tumori
solidi.
- non muscolo invasivi o superficiali che non interessano la parete della vescica e
dunque hanno una limitata capacità di fare danni. Sono quelli che volgarmente sono
chiamati polipi o papillomi.
Questa distinzione fa si che siccome il 75% dei tumori vescicali è superficiale la
mortalità di questa malattia è ridotta perché non metastatizza; tuttavia è una
patologia che tende a recidivare nel tempo e questo spiega sia l’aspetto della
mortalità sia il fatto che richiede trattamenti costosi, ricoveri e continui esami.
STORIA NATURALE
Gran parte dei tumori papillari diventa invasivo. Il tumore si estende alla parete e poi
diffonde:
- Per contiguità, a seconda della posizione del tumore primitivo possono essere
interessati: il tessuto cellulare lasso dello scavo pelvico, il peritoneo retrovescicale,
la prostata, le vescicole seminali, i corpi cavernosi nell’uomo, l’utero e la vagina
nella donna.
- Per via linfatica, ai linfonodi regionali e pelvici; quelli più interessati sono gli iliaci
esterni, gli otturatori, gli ileo-ipogastrici. Il tumore può poi diffondere a livello dei
linfonodi iuxtaregionali come quelli inguinali, iliaci comuni e paraortici.
- Per via ematica, le sedi preferenziali sono polmoni, fegato, scheletro e cervello.
STADIAZIONE
Il tumore vescicale viene stadiato secondo la classificazione TNM dell’UICC. E’
fondamentale distinguere i tumori superficiali (fino a T1) dai tumori infiltranti (da
T2 a T4), perchè i primi sono suscettibili di asportazione endoscopica mentre i
secondi devono essere asportati chirurgicamente. La stadiazione si esegue con TC/
RM, cistoscopia con biopsia, e Rx e scintigrafia ossea per le metastasi.
N1 un linfonodo max 2 cm
M1 presenza di metastasi
Angioinvasività
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 270 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
L1-V1 interessamento delle arterie superficiali
Cause urologiche di ematuria: Cause non urologiche di ematuria: Cause di falsa ematuria:
- Cistite emorragica. - Ematuria da antiinfiammatori FANS. - Farmaci che modificano il colore delle urine, come la
- Calcoli renali, ureterali, o vescicali - Disfunzioni dell’aggregazione piastrinica o rifampicina.
- Tumore uroteliale in vescica, uretere o pelvi della coagulazione, acquisite o congenite. - Alimenti che modificano il colore delle urine.
renale. - Glomerulonefriti. - Emoglobinuria: urine marsala causata da intensa
- Sanguinamento da IPB (plessi venosi fra - Ematuria da esercizio fisico emolisi, ad esempio nelle crisi emolitiche di
adenoma e lume vescicale). talassemia, favismo, malaria, e altre affezioni
- Tumore prostatico. ematologiche.
- Traumi renali o dell’apparato urinario. - Mioglobinuria: dovuta alla eliminazione di
- Rottura di cisti (più frequente in rene mioglobina, causata da un danno muscolare.
policistico). - Porfiria: in cui la colorazione rossa delle urine è data
- atrogena postchirurgica (dopo adenomectomie, dalla porfobilina.
resezioni endoscopiche, nefrectomie parziali, e
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 271 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
altri interventi).
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
In caso di ematuria, la prima causa da escludere è quella neoplastica e poi possiamo
considerare le altre cause. Cause molto comuni sono cistite emorragica e calcolosi.
DIAGNOSI
L’ecografia va considerata l’esame di prima istanza nel sospetto di neoplasia vescicale
in quanto è una metodica di elevata sensibilità e specificità. Nelle mani di operatori
esperti essa consente, in una elevata percentuale di casi, il rilievo di lesione ed è in
grado di fornire utili informazioni sulla stadiazione della forma neoplastica.
Lo studio ecografico della vescica può essere eseguito per via sovrapubica o
mediante sonde endocavitarie (transrettale, endovaginale, transuretrale).
L’ecografia sovra pubica richiede un buon riempimento vescicale che solitamente si
ottiene facendo assumere al paziente adeguata quantità di liquidi prima dell’esame.
La vescica vuota è pressoché invisibile all’ecografia, e anche da semipiena la potenza
diagnostica della metodica si riduce in modo impressionante.
Le sonde endocavitarie trovano prevalente indicazione nella stadiazione di forme già
accertate per via sovrapubica; talora possono tuttavia risultare utili per il rilievo di
lesione nelle neoplasie del collo e della regione trigonale non ben esplorabili per via
sovrapubica.
Negli stadi iniziali, TC e RM non riescono a definire bene qual è lo strato più
esterno invaso dal tumore e quindi il grado di infiltrazione della parete vescicale.
Questo è definibile con la biopsia. L'infiltrazione della tonaca muscolare può
apparire come rigidità della parete in corrispondenza della base di impianto del
tumore. Si ricordi che serve mdc endovenoso per opacizzare la vescica alla TC.
La scintigrafia ossea è usata per indagare per indagare la presenza di metastasi ossee.
TERAPIA
Il trattamento del cancro alla vescica si basa sulla distinzione tra neoplasie
superficiali e neoplasie invasive:
- Neoplasie superficiali: l’asportazione endoscopica mediante resettore delle
neoplasie vescicali superficiali può giovarsi di un successivo trattamento
endovescicale mediante istillazione con catetere di sostanze chemioterapiche,
come mitomicina, doxorubicina, interferone. Possono essere usate anche tecniche
immunoterapiche, come l’induzione di una reazione infiammatoria con funzione
antitumorale innescata dall’istillazione di BCG. Ciò sembra ridurre la recidiva e la
progressione della malattia.
- Neoplasie vescicali infiltranti: il trattamento di scelta è la cistectomia radicale
associata a linfoadenectomia pelvica bilaterale (linfonodi iliaci ed ipogastrici).
Essa comporta l’asportazione della vescica, della prostata, delle vescichette
seminali e dell’uretra membranosa nel maschio, dell’uretra e della parete
anteriore della vagina nella donna (se all’esame estemporaneo dei linfonodi essi
risultano positivi non si porta a termine l’intervento a causa dell’assenza di
modifica dell’aspettativa a fronte di un intervento altamente demolitivo).
Dopo l’asportazione della vescica gli ureteri possono essere abboccati alla cute
(ormai procedura rara, urostomia), o portati all’esterno mediante l’abboccamento
ad un segmento intestinale che funge da reservoir (derivazione urinaria esterna).;
le tecniche più usate erano la ureterosigmoidostomia secondo Coffey (gli ureteri
sono anastomizzati al sigma ed il retto diventa una cloaca, l’ano garantisce la
continenza; a lungo termine può sfiancarsi e diventare incontinente; altra
complicanza può essere il riassorbimento di elettroliti presenti nelle urine con
comparsa di squilibri idroelettrolitici), ureterocutaneostomia transileale, dove l’ileo
viene utilizzato come reservoir che viene abboccato alla cute. Più modernamente
la vescica viene ricostruita utilizzando segmenti intestinali (colon, ileo)
PROGNOSI
I più importanti fattori prognostici saranno:
- Lo stadio di malattia,
- Il grading,
- La multicentricità,
- L’angioinvasività,
- L’espressione di recettori per i fattori di crescita,
- Le alterazioni del patrimonio genetico (alterata espressione di oncogeni ed
oncosoppressori),
- L’incidenza di recidive.
Le neoplasie Ta-1, G1-2 hanno una buona prognosi a 5 anni, sopravvivenza
dell’80-100%. Le neoplasie invasive T2-3 e T4 sono a prognosi peggiore. La
sopravvivenza a 5 anni è del 40-50% per T2-3 e 10-17% per il T4.
In caso di metastasi a distanza la sopravvivenza a 5 anni è dello 0%.
BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________
- Sbobinature del Prof Barone, aa 2014/2015 e aa 2015/2016
- Dispense Prof Butti
- Urologia, Autore Bassi P.F., 2010, 129 p., ill., brossura, Editore Cortina (Padova),
(collana Cosa sapere di…)
- Sbobinature del Prof. Bassi, aa 2014/2015
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 274 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
CAPITOLO 20
__________________________________________________________
TUMORE DELLA PROSTATA
EPIDEMIOLOGIA
Il tumore della prostata è la prima neoplasia per incidenza nei paesi sviluppati(33%
delle nuove diagnosi) ed è la seconda causa di morte nel sesso maschile dopo il
tumore ai polmoni. Su 100 pazienti che muoiono a causa di un tumore 10 sono
appunto dovuti al tumore della prostata (dati USA). Come per tutti i tumori più
tardiva è la diagnosi più difficile è la cura.
In Italia la mortalità è sostanzialmente uguale ma l'incidenza è minore, ciò è dovuto
al fatto che sono presenti determinate razze che hanno una probabilità maggiore di
ammalarsi di tumore prostatico.
L’incidenza media è di 100 su 100000. Esiste una discrepanza tra incidenza e casi
realmente diagnosticati perchè è un tumore subdolo, paucisintomatico, nel 50% dei
casi la diagnosi è tardiva ed il tumore ha già dato metastasi.
L’incidenza è legata in modo direttamente proporzionale con l’età del pz. In reperti
autoptici di pz con più di 90 anni la presenza di un tumore della prostata è reperibile
nella quasi totalità dei casi (carcinoma latente). Ciò vuol dire che è un tumore con
alta incidenza e mortalità relativamente bassa.
Raro è il carcinoma clinico, cioè che presenta una sintomatologia ad esso riferibile.
Più spesso si tratta di un carcinoma occulto, quando i sintomi sono correlati alle
metastasi, o ancora di carcinoma accidentale, quando è scoperto per caso.
ANATOMIA PATOLOGICA
I tipi di tumore più frequentemente riscontrati saranno:
- Adenocarcinoma (95% dei casi), si sviluppa nella ghiandola periferica. Ciò
giustifica la scarsa sintomatologia clinica, data la distanza dall’uretra. Gli
adenocarcinomi possono essere a piccoli o a grandi acini (ben differenziati),
cribriformi (moderatamente differenziati), solidi o trabecolari (indifferenziati).
STORIA NATURALE
La neoplasia prostatica si sviluppa localmente invadendo per contiguità le vescichette
seminali, il collo vescicale, le strutture sfinteriche. Se il tumore si estende verso
l’uretra avremo una sintomatologia paragonabile a quella dell’IPB mentre se si
estende verso l’esterno rimarrà silente. La velocità di progressione è estremamente
variabile.
La neoplasia può estendersi per via linfatica. I linfonodi principali sono quelli
otturatori, iliaci esterni ed iliaci comuni.
La neoplasia può metastatizzare per via ematogena, le metastasi più frequenti sono
quelle a livello della colonna vertebrale per via del plesso venoso periprostatico. Le
CLINICA
Il quadro clinico è solitamente aspecifico. La maggior parte delle neoplasie sono
diagnosticate incidentalmente a seguito di alterazioni del PSA.
Spesso la sintomatologia è quella riferita alle localizzazioni secondarie, pertanto
potremo avere dolore alla colonna vertebrale, al bacino.
In caso si presenti con un quadro sintomatico il tumore della prostata causa disturbi
ostruttivi ed irritativi del basso apparato urinario del tutto sovrapponibili a quelli
dell’IPB (disuria, mitto intermittente, nicturia, pollachiuria, minzione incompleta).
Durante il suo sviluppo la patologia va ad interessare il trigono ed il collo vescicale,
causando, per il coinvolgimento degli osti ureterali, idroureteronefrosi ed IR.
L’ematuria può verificarsi in caso di coinvolgimento della mucosa uretrale. Si tratta
di un’ematuria iniziale, perchè il sangue si accumula nell’uretra e quindi viene
espulso con il primo mitto. Possono ancora comparire modificazioni dell’alvo, per
compressione sul retto e proctorragia per infiltrazione della parete rettale.
DIAGNOSI
Nel caso si presenti un pz > di 50 anni con sintomatologia riferibile alla prostata la
prima cosa da fare è un dosaggio del PSA dato che le manipolazioni sulla prostata ne
innalzano i livelli.
- PSA, è l’antigene prostata specifico, rappresenta il marcatore del tumore. E’ una
glicoproteina prodotta dalle cellule ghiandolari; è altamente sensibile ma poco
specifica in quanto può elevarsi anche in caso di IPB, prostatiti e manipolazione
della prostata a seguito di esplorazione rettale, o a seguito di un’eiaculazione
precedente all’esame. Valori compresi tra 0 e 4 ng/ml sono considerati normali,
anche se in realtà il valore del PSA varia con l’età e con il volume della prostata. Il
PSA è un marcatore organo specifico e non tumore specifico. La zona grigia è per
valori tra 4 e 10 ng/ml, per valori > di 10 ng/ml la presenza del tumore è molto
probabile. In ogni caso uno screening con il PSA non si effettua prima dei 50 anni,
a meno che non siamo nei casi di familiarità, in tal caso si può eseguire dai 40
anni. Per aumentare la specificià si possono valutare:
- la PSA velocity nel tumore della prostata il PSA incrementa più velocemente
- la PSA density, il rapporto tra il volume della ghiandola e la quantità di PSA,
è minore in caso di neoplasia.
- Age-specific PSA, un lieve e continuo aumento del PSA si verifica con
l’aumento dell’età.
- Rapporto PSA libero/PSA totale. la frazione libera è ridotta in caso di
neoplasia. Un rapporto inferiore a 10 è suggestivo di neoplasia. Nessuna di
queste tecniche però fornisce diagnosi di certezza.
- PET con FDG è poco utile: ha scarsa sensibilità per l'eliminazione vescicale e
perché i tumori della prostata sono a lenta crescita. PET con colina: sensibilità
molto maggiore ma comunque poco specifica
La PET è utile per la ristadiazione del pz già trattato
Può essere utile eseguire un’Rx torce per evidenziare l’eventuale presenza di
metastasi polmonari e il dosaggio di altri markers, come la fosfatasi acida prostatica
che aumenta in caso di infiammazione della prostata (questo è però presente anche
in altri organi, può essere un fattore di confondimento).
STADIAZIONE
La classificazione più usata in Italia è la TNM della UICC. La malattia è considerata
clinicamente localizzata fino ad uno stadio T2 e localmente avanzata negli stadi T3 e
T4.
T STADIO
N1 un linfonodo max 2 cm
M1 presenza di metastasi
Molto importante è la presenza di metastasi che come già detto possono essere per
via ematogena (principalmente) o per via linfatica.
Oggi utilizziamo un esame specifico per il tumore prostatico che è la PET- TC con
colina (radiofarmaco): in un unico esame otteniamo informazioni su dove ci sono
zone di tessuto prostatico attivo. Se effettuata dopo la radioterapia o la chirurgia,
quando c’è una ripresa di malattia anche locale, ci fornisce indicazioni di stadiazione
per formulare il piano terapeutico.
GRADING istologico
Nomogramma
Ci sono dei diagrammi detti nomogrammi che predicono l’estensione della malattia
in base ai valori di Gleason Score e PSA (per es. un 40 di PSA e 8 di Gleason fa 60%
di possibilità di avere linfonodi coinvolti).
Algoritmi di calcolo del rischio di estensione capsulare, di infiltrazione delle
vescicole seminali e di interessamento linfonodale: considerano PSA e GS
STADIO COMBINAZIONI
I T1a N0 M0 G1
III T3 N0 M0 Ogni G
TERAPIA
Le possibilità terapeutiche per il carcinoma prostatico sono:
- la sorveglianza attiva e la vigile attesa
- la prostatectomia radicale
- la radioterapia esterna o intraprostatica (brachiterapia)
- l’ormonoterapia OT (deprivazione androgenica).
Il monitoraggio del PSA da solo è però insufficiente, ragion per cui in un pz in vigile
attesa è necessario ogni anno ripetere le biopsie della prostata: siamo pronti a
cambiare idea se cambia il numero di focolai del tumore o l’aggressività del tumore
(che si esprime col Gleason score).
Se proietto i pz a vigile attesa a 5 anni la possibilità di evoluzione ad una neoplasia
clinicamente rilevante e che richiede trattamento è attesa al 50%.
Prostatectomia radicale
La prostatectomia radicale è una terapia chirugica ad intento radicale e la
linfoadenectomia che la accompagna permette anche la stadiazione patologica dei
linfonodi. E’ un intervento a cielo aperto con rimozione della prostata e vescichette
seminali per poi anastomizzare la vescica con l’uretra. E’ effettuata per via
retropubica.
Oggi le tecniche chirurgiche sono migliorate, è migliorata la strumentazione in sé e
c’è stata l’introduzione della chirurgia robotica che permette di avere un maggior
dettaglio anatomico in sala operatoria e quindi la possibilità di rimuovere il tumore
risparmiando le strutture; l’incontinenza urinaria è stata ridotta a tassi decisamente
più bassi e questo tipo di chirurgia ci ha permesso di salvaguardare i nervi erigendi
che abbracciano la prostata e che se lesi conducono a impotenza . L’incontinenza
urinaria dopo prostatectomia radicale è in un range che va dal 4 al 50%. Per quanto
riguarda la disfunzione erettile l’incidenza va dal 29- 100% e scongiurarla è legato al
risparmio dei nervi erigendi. Il tasso di sanguinamenti maggiori va da 1-11 %
Nonostante ciò la terapia chirurgica resta il gold standard per i tumori localmente
confinati in pz con aspettativa di vita superiore a 10 anni.
Indicata in:
- Pazienti a basso rischio (T1-T2a e Gleason score 6 e PSA 20 ng/mL)
- Pazienti a rischio intermedio (T2b-T2c o Gleason score = 7 o PSA 10-20 ng/mL) e
un’aspettativa di vita di almeno 10 anni. In questi pz andrebbe eseguita anche
linfoadenectomia pelvica estesa.
- Pazienti ad alto rischio (T3 o Gleason score 8-10 o PSA > 20 ng/mL): ruolo
controverso, meglio RT.
Terapia radiante
Brachiterapia
Può essere considerata come possibile terapia esclusiva del carcinoma prostatico
localizzato nei pazienti a basso rischio: T1b –T2a, N0, M0, PSA ≤10, Gleason <7,
volume prostatico ≤50 ml e assenza di precedenti TURP.
RT radicale vs chirurgia
Una cosa molto importante da valutare per stabilire se fare o meno la radioterapia è
il coinvolgimento dell’apice della prostata perché se è coinvolto l’apice so che la
chirurgia ha altissime possibilità di lasciare un residuo di malattia. Infatti la prostata
ha una forma di castagna rovesciata appoggiata su una “coppa muscolare” costituita
dai muscoli detrusori; quindi il chirurgo quando deve portare via la prostata deve
evitare al paziente l’incontinenza che potrebbe derivare dal danneggiamento dei
detrusori e per questo di solito lascia un po’ di apice.
Un paziente che ha fatto la prostatectomia senza avere l’apice coinvolto ma con due
fattori di rischio come un Gleason di 8 e infiltrazione perineurale fa la RT adiuvante,
perché la probabilità di avere una recidiva locale è molto alta.
La Radioterapia sul letto prostatico riduce la probabilità di recidiva locale (< 10%).
Recidiva locale non infrequente nella malattia pT3, soprattutto quando i margini
sono positivi (30-40% a 10 anni).
La presenza di interessamento linfonodale o di infiltrazione delle vescicole seminali
si accompagna ad un alto rischio di ripresa locale e sistemica.
Molti pazienti con recidiva biochimica hanno malattia nella pelvi (25-35%).
RT adiuvante e di Salvataggio
La sopravvivenza libera da ripresa biochimica di malattia (bNED) è strettamente
correlata con il valore di PSA pre-RT. Il valore “critico” di PSA pre-RT sembra
situarsi nel range 1-2 ng/mL. PSA >2.0 ng/mL, bNED a 3 e 5 anni è solo dell’8% e
4%, rispettivamente.
Terapia ormonale
E’ un aspetto importante nella terapia del tumore della prostata la cui crescita è
sensibile al testosterone. Il rischio maggiore è quello per cui un tumore della
prostata sensibile alla terapia ormonale per un certo numero di anni,
improvvisamente diventi ormono-resistente.
Nell’odierno approccio la terapia chirurgica precede anche nelle forme avanzate la
terapia ormonale, in modo da demolire almeno il 95% della neoplasia poiché si sa
che altri tipi di trattamento a lungo termine possono fallire.
I farmaci che bloccano l’azione del testosterone recano una serie di effetti collaterali:
riduzione della libido, depressione, astenia, anemia, stanchezza muscolare,
ginecomastia, vampate di calore, demineralizzazione ossea, aumentato rischio
cardiovascolare.
Fin che è possibile si cerca di rimuovere il tumore con l’intervento chirurgico
lasciando radioterapia ed ormono-terapia solo in quei casi in cui non è possibile
operare il paziente.
La terapia ormonale (OT) nel carcinoma prostatico è stata usata come neoadiuvante
per ridurre il volume della ghiandola prima della chirurgia o radioterapia,
concomitante alla radioterapia o adiuvante alle diverse terapie.
La RT + OT è Indicata per pz con neoplasia localmente avanzata (T3-T4, N0) o
extraprostatica (T3-T4, N1)
Riassumendo
La PR va effettuata nei pz con T1, T2 senza l’interessamento dell’apice prostatico, e
nei pz con T3 che hanno risposto bene all’OT neoadiuvante.
La RT può essere usata in tutti gli stadi con risultati sovrapponibili alla chirurgia.
In caso di malattia molto avanzata si eseguono terapie palliative.
PROGNOSI
L’analisi delle variabili prognostiche, l’utilizzo di algoritmi, l’impiego di
nomogrammi per il calcolo del rischio di VS+ e N+, l’assegnazione ad una classe
prognostica sono essenziali per la scelta dei volumi da irradiare, della dose totale da
somministrare, dell’eventuale associazione con la terapia ormonale
PSA, Gleason e Volume di malattia sono i parametri più importanti per stimare il
rischio di ciasun paziente. Ci sono dei diagrammi detti nomogrammi che predicono
l’estensione della malattia in base proprio ai valori di Gleason e PSA (per es. un 40
di PSA e 8 di Gleason fa 60% di possibilità di avere linfonodi coinvolti).
Gruppi prognostici
- Basso rischio: PSA < 10 ng/mL + Gleason ≤ 6 & cT1- T2a + < 3 biopsie positive
- Rischio intermedio: PSA 10-20 ng/mL o Gleason 7 o cT2b - cT2c o ≥ 3 biopsie
positive
- Alto rischio: PSA > 20 ng/mL o Gleason 8-10 o cT3a-cT4
PSA dopo prostatectomia radicale
Dopo chirurgia radicale, il PSA misurato con metodi standard (non ultrasensibili)
deve scendere a valori indosabili. L’emivita del PSA (circa 3 giorni) suggerisce che
una valutazione della radicalità dell’atto chirurgico sia già possibile a 30 giorni
dall’intervento, anche se un periodo di 6-8 settimane è probabilmente piú affidabile,
considerate le possibili variazioni individuali del metabolismo del marcatore. Il
minimo livello di PSA misurabile dipende dal metodo di misura e dal criterio
decisionale adottato.
Qualora si riscontrino livelli dosabili di PSA dopo prostatectomia radicale, è
raccomandabile considerare le variazioni nel tempo del biomarcatore in prelievi
seriati; se livelli minimi dosabili rimangono stabili, è possibile che non si tratti di
malattia residua, ma di un rilascio da parte di tessuto prostatico residuo o di tessuti
extraprostatici. Per contro, se i livelli mostrano una tendenza verso l’incremento è
ipotizzabile la presenza di malattia residua. E’ comunque necessario un livello di
PSA >0,2/ >0,4 ng/ml confermato a un successivo prelievo eseguito a 4 settimane
dal precedente controllo per definire la ripresa biochimica di malattia.
Il monitoraggio nel tempo può aiutare a discriminare fra incrementi spuri e
incrementi legati alla ripresa di malattia. L’analisi dei dati seriati ed il calcolo del
tempo di raddoppiamento è un criterio che permette di prevedere con ragionevole
probabilità il rischio di ricaduta clinica; tuttavia, l’affidabilità del tempo di
raddoppiamento è elevata per valori estremi (molto rapido o molto lento), mentre
rimane controversa per valori intermedi, che sfortunatamente sono di più frequente
riscontro.
BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________
- Urologia, Autore Bassi P.F., 2010, 129 p., ill., brossura, Editore Cortina (Padova),
(collana Cosa sapere di…)
- Sbobinature del Prof. Bassi, aa 2014-2015
- Dispense prof Butti
- Sbobinature del Prof Valentini aa 2015/2016.
- Linee guida AIOM
CAPITOLO 21
__________________________________________________________
TUMORI DEL TESTICOLO
CLASSIFICAZIONE
EPIDEMIOLOGIA
Il tumore del testicolo rappresenta la neoplasia solida più comune nei maschi di età
compresa fra 15 e 35 anni. In Italia sono presenti circa 900 nuovi casi l’anno.
Rappresentano l’1% di tutti i tumori maligni dell’uomo e il 4% dei tumori
dell’apparato genitale maschile. la neoplasia è bilaterale nel 2-3% dei casi, con
sviluppo sincrono o metacrono.
L’incidenza maggiore nella prole maschile di madri che fanno uso di contraccettivi
orali. I tumori germinali testicolari (TGT) hanno un’incidenza relativamente molto
bassa, rappresentano solo il 2% dei tumori presenti.
Negli USA l'incidenza è quella attesa, circa 2/100000 , mentre in Nord Europa e in
particolare nei Paesi scandinavi (Danimarca in particolare), l'incidenza è molto più
elevata, circa 6/100000. Si pensa sia determinato dalla presenza in quelle altitudini
di fattori di rischio (l’alto consumo di formaggi). La Danimarca, la Norvegia, sono
quelli con incidenza maggiore, addirittura la proiezione dopo il 2000 dice oltre
10/100000 per i paesi scandinavi mentre 3-4/100000 negli altri paesi europei.
Biologia molecolare
L’ overespressione delle cicline D2 è un evento precoce della tumorigenesi, Sembra
essere conseguente ad aumentato numero di copie di 12 p (oncogene candidato
CCND2 mappato su 12p13). Essa provoca un’alterazione della regolazione della
fosforilazione di pRB e del check-point G1/S.
La perdita di regolatori della totipotenzialità delle cellule germinali, dello sviluppo
embrionario e dell’imprinting genomico portano ad un’ abnorme divisione cellulare
dei gonociti mediata da un “loop” paracrino correlato a kit-R/SCF.
Il pathway apoptotico p53-dipendente è legato più alla sensibilità e resistenza
(mutazioni) alla chemioterapia che alla stessa cancerogenesi.
PREVENZIONE
E’ necessario insegnare l’autopalpazione del testicolo agli studenti di scuola media e
superiore. Inoltre soggetti con storia pregressa di criptorchidismo, aplasia testicolare
o precedente neoplasia del testicolo devono accompagnare all’autopalpazione
un’ecografia testicolare annuale.
CARATTERISTICHE
STORIA NATURALE
La frequenza di tumori sembra più elevata a dx, presumibilmente per la più alta
incidenza di criptorchidismo a dx.
I tumori del testicolo metastatizzano preferibilmente per via linfatica, e, al momento
della diagnosi, i linfonodi regionali sono interessati nel 50% dei casi dei pz con
seminomi e nel 75/80% dei casi di non seminomi.
QUADRO CLINICO
Il tumore del testicolo può insorgere come tumefazione non dolente. Questa è la
presentazione più comune sia dei seminomi che dei non seminomi. Il nodulo può
essere riscontrato occasionalmente durante l’autopalpazione o durante una visita
clinica.
La presentazione come tumefazione dolente è molto meno frequente ma non
rarissima, e in genere più caratteristica delle forme non seminomatose.
La presentazione con solo dolore è molto rara.
Il dolore può essere associato al tumore stesso, all'insorgenza di microtraumi o a
entrambi i fattori (spesso è proprio insorgenza di microtraumi con la presenza del
tumore in sede asintomatico che richiama l’attenzione nel testicolo con riscontro di un
nodulo). Il dolore è sordo, con un senso di peso svrapubico nel 20-30% dei casi
mentre risulta acuto solamente in un 10% dei casi.
In una piccola percentuale di casi l'esordio può essere una ginecomastia (5%).
I testicoli sono sospesi nello scroto, al cui interno giacciono in posizione obliqua, con il polo
superiore inclinato in avanti e lateralmente, ed il polo inferiore situato medialmente e all'indietro.
All'interno della sacca scrotale i due testicoli sono parzialmente separati da un setto mediano di
tessuto fibroso (il setto scrotale). La posizione esterna dello scroto, quindi la distanza dei testicoli
dalla sinfisi pubica, è regolata dal muscolo dartos e dalla sua capacità di contrarsi e rilassarsi in
funzione della temperatura.
Oltre ai testicoli, lo scroto accoglie anche i relativi epididimi ed il tratto inferiore del funicolo
spermatico:
- l’epididimo si trova addossato al margine posteriore del testicolo; L'epididimo costituisce il primo
tratto delle vie spermatiche e in corrispondenza della sua coda troviamo l'inizio del relativo dotto
deferente
- Il funicolo spermatico è un cordone che connette il testicolo al resto dell'organismo, raccogliendo
al suo interno un insieme di strutture (arterie, vene, sistema linfatico, nervi, dotto deferente,
muscolo cremastere ecc.) tenute insieme da connettivo lasso.
Il testicolo è avvolto da tre tonache, le quali - dall'esterno verso l'interno - prendo rispettivamente il
nome di:
- tonaca vaginale: membrana sierosa a doppia parete che avvolge e stabilizza il testicolo; è costituita
da due foglietti: parietale (periorchio) e viscerale (epiorchio)
- tonaca albuginea: situata sotto la tonaca vaginale, è uno strato di tessuto connettivo fibroso di
colore bianco-bluastro, che funge da scheletro ed impalcatura del testicolo
- tonaca vascolare: accoglie un plesso di vasi sanguigni e delicato tessuto connettivo lasso
L’esame obiettivo del testicolo va eseguito tramite attenta palpazione del testicolo tra
le prime tre dita della mano. Il testicolo normale ha consistenza omogenea, è mobile
e separabile dell’epididimo. Nella parte superiore del testicolo è facilmente
riconoscibile la presenza dell'epididimo.
Qualsiasi area solida, dura o fissa all’interno del contenuto della tunica albuginea
dovrebbe essere considerata sospetta fino a prova contraria di tumore.
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 295 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
Esame del funicolo, del canale inguinale, delle tuniche scrotali e dello scroto va
effettuato per escludere un coinvolgimento (10.15% dei pz)
Di fronte a una tumefazione sospetta la prima cosa da fare a parte l'ecografia che
consente di discriminare il solido dal liquido, è l'inguinotomia esplorativa (se si riesce
ad eseguire una TC tanto di guadagnato).
Avvertenze:
• Il sintomo dolore non esclude la diagnosi di tumore del testicolo
• Un ritardo diagnostico favorisce l’evoluzione della malattia e ne compromette la
prognosi, soprattutto nei non seminomi.
• Le ricerche diagnostiche (eco, marker, ecc) causano ritardo.
• Tutte le volte che una tumefazione intrascrotale è di incerta natura, bisogna ricorrere alla
inguinotomia esplorativa”.
DIAGNOSI
L’autopalpazione ha un ruolo essenziale.
Si ricordi di non effettuare MAI la biopsia transcrotale per il rischio di
insemenzamento di strutture con drenaggio inguinale cambiando cosi la storia
naturale della malattia: si altera la via di drenaggio che da introperitoneale diventa
extraperitoneale.
La pinzettatura dell’albuginea consente di capire se il tumore ha infiltrato la stessa.
Normalmente pinzettandola si sente uno scatto (manovra ormai desueta).
Diagnosi differenziale
- Torsione del funicolo spermatico, si associa a tumefazione di tutto il testicolo e
congestione del plesso venoso; è osservebile con eco-color doppler.
- Orchiepididimite, quella tubercolare presenta granulomi a livello dell’epididimo a
catena di rosario. I noduli sono duri però è interessato l’epididimo e non il
testicolo; questo crea problemi di carattere differenziale perchè in questi casi non
sempre epididimo è distinguibile dal testicolo, anche l’ecografia è poco chiara nel
distinguermi questo quadro clinico.
- Idrocele, positivo alla transilluminazione, questo esame non esclude però la
neoplasia, dato che in alcuni tumori possono venirsi a creare delle raccolte liquide
a lavatura di carne positive alla transilluminazione.
- Varicocele, evidenziabile con eco-color-doppler.
- Ernia inguinoscrotale
- Ematoma scrotale
- Spermatocele
- Gomma sifilitica
Di fronte a una tumefazione del testicolo, sospetto di tumore, va prima di tutto fatta
una eco per verificare che il nodulo sia solido, perchè questa è la condizione
principale.
La tappa successiva è l'inguinotomia esplorativa quindi si incide il canale inguinale,
si procede alla lussazione del testicolo e poi si fa una biopsia diretta del testicolo. Se
la biopsia è negativa il testicolo viene ri-immesso nella borsa scrotale, se invece viene
confermata la presenza di un tumore si procede alla orchifunelectomia cioè
BIOMARCATORI
Biomarcatori
- L’alfa-fetoproteina è una glicoproteina prodotta • Alfa-fetoproteina
dal sacco vitellino, dal fegato e dal tratto – Carcinoma embrionario
– Teratocarcinoma
gastrointestinale. Valori anomali di tale proteina
– Tumori del sacco vitellino
possono essere imputabili anche ad altre • Beta-gonadotropina corionica
patologia. Il tempo di dimezzamento dell’alfa- – Coriocarcinoma
fetoproteina è di 5 giorni per cui elevati valori – Carcinoma embrionario
– Seminoma puro
sierici dopo 4 settimane
• Lattico deidrogenasi
dall’orchifunicolectomia sono espressione di – Bassa specificità
malattia metastatca. • Fosfatasi alcalina placentare
- La beta-gonadotropina corionica umana è una – Bassa specificità
glicoproteina prodotta dal sinciziotrofoblasto ed VALORI PATOLOGICI SARANNO:
è aumentata nel 100% dei pz con - Alfa-FETOPROTEINA > 15 ng/ml
coriocarcinoma. Il tempo di dimezzamento è di - Beta-HCG > 5 mUL/ml
36 ore. Valori elevati dopo 7 giorni dalla Il 70% dei pz con TCGNS ha valori aumenttati
orchifunicolectomia sono indice di metastasi. di Alfa-fetoproteina ed il 50% di Beta-HCG
- LDH è un marker aspecifico che può aumentare
nel caso di malattie seminomatose e non. E’
utile per il monitoraggio dopo terapia.
STADIAZIONE
Il tumore del testicolo viene abitualmente stadiato in base all’estensione della
neoplasia (scrotale, addominale, toracica) ed al volume delle lesioni linfonodali
secondo lo schema TNM della UICC. La stadiazione clinica richiede markers
testicolari, orchifunicolectomia, esame istologico, TC/RM toraco-addominale.
TNM
pT
pN
pN0
Alla presentazione clinica i seminomi sono nel 70% dei casi al primo stadio mentre
Stadio Marcatori
C’è una “s” aggiunta al sistema TNM per l'interessamento più o meno elevato dei
marcatori. Questa è una valutazione clinica molto importante in quanto maggiore è
la concentrazione di biomarcatori, maggiore è la massa neoplastica, maggiore sarà la
probabilità di metastatizzazione.
TRATTAMENTO
Il trattamento in elezione di sospetto di tumore è l’ orchifunicolectomia ed eventuale
biopsia a cielo aperto. Se la biopsia conferma il tumore si procede con
l’orchifunicolectomia; si clampa l’arteria spermatica e si asporta il testicolo con
tutto il funicolo. Se la biopsia è negativa riporto tutto dentro e chiudo.
Dopo l'intervento nelle forme che esprimono i marcatori, soprattutto nelle forme
non seminomatose è importante valutare i tempi di dimezzamento dei marcatori
rispetto ai valori pre operatori:
• Beta HCG : tempo di dimezzamento 24 ORE
• Alfa FP: tempo di dimezzamento 5 GIORNI
Seminomi
Malattia locoregionale: (stadio 1, 2A e 2B)
L'indicazione terapeutica standard è la radioterapia perché sono tumori radio e
chemiosensibili. Il campo di radioterapia nei seminomi è lo stesso per i diversi stadi,
però nello stadio I si fanno dai 3000 ai 3500 cGray in 4 settimane, nello stadio IIa e
IIb come terapia adiuvante si fanno 4000 cgray in 4-5 settimane.
La radioterapia va fatta sui linfonodi potenzialmente interessati che sono quelli
lomboaortici; la gurigione è stimata nel 65-90% dei casi. Le ricadute si hanno
soprattutto nei primi 3 anni con coinvolgimento dei linfonodi iuxtaregionali o a
distanza. Nello stadio I la radioterapia è precauzionale, nello stadio 2 radicale. Se c’è
recidiva si procede con chemioterapia.
C'è più di qualche evidenza che al posto della radioterapia che dura 2-3 settimane, si
possa fare la somministrazione di una terapia citotossica “one shot” ad alte dosi di
carboplatino.
Il tumore al testicolo risulta essere uno dei pochissimi tumori in cui il trapianto di
cellule staminali può essere efficace nei pazienti che “sembrano” resistenti ai farmaci
chemioterapici.
In realtà questi pazienti “sono parzialmente resistenti”, nel senso che se tu aumenti
la dose del chemioterapico la malattia risponde, aumentando allo stesso tempo la
tossicità e spazzando via anche il midollo del paziente, questo permette da una parte
l’eliminazione delle cellule tumorali dall’altro permette di re infondere cellule
staminali che hanno meno probabilità di andarsi a differenziare in cellule tumorali
dato che questo tumore è extraematologico.
Non seminomi
Malattia locoregionale Stadio 1 e 2
L'indicazione standard è la linfadenectomia retroperitoneale cioè l’asportazione di
tutti i linfonodi compresi tra i pilastri diaframmatici e la biforcazione dei grossi vasi,
nonchè i linfonodi pertinenti ai vasi iliaci omolaterali alla neoplasia,
indipendentemente dall’esito della TC.
La possibilità di guarigione è del 90% nello Stadio I e del 65% negli Stadi IIA e IIB.
Nello stadio IIA e IIB il rischio di recidiva è circa del 50% senza linfadenectomia
retroperitoneale: questo significa che la linfadenectomia in questi pazienti aggiunge
un 15% in più di guarigione.
Le recidive possono arrivare fino al 50% dopo orchifunicolectomia, per cui vi sono
sicuramente micro metastasi che noi non vediamo, ecco perche viene eseguita la:
- Linfadenectomia retro peritoneale
- Chemioterapia (PEB 2 cicli);
- Sorveglianza
- Terapie alternative:
- Terapia citotossica adiuvante
- Radioterapia retroperitoneale in pazienti selezionati (rifiuto opzioni
precedenti), però questi pz sono poco radiosensibili e quindi la dose di
radioterpia è più elevata della dose dei 4000 cGy che si fanno nei seminomi.
Un’altra alternativa oggi giorno c’è, anche in quei pazienti che devono essere sottoposti a una
linfadenectomia, possiamo fare 2 cicli di chemioterapia e verificare successivamente se la PET si
negativizza.
Nei pz in stadio II A e B a seconda dello stadio dei linofnodi possiamo utilizzare, dopo
la linfoadenectomia retroperitoneale, wait and see, se c’è l’interessamento di meno di 6
linfonodi e comunque più piccoli di 2 cm di diametro, PCT se questi criteri non sono
soddisfatti.
In caso di recidiva dopo chemioterapia si prevedono altri 4 cicli di PCT e
l’asportazione delle masse residue.
PROGNOSI
Per quanto riguarda i seminomi abbiamo condizione di prognosi buona e prognosi a
rischio intermedio; per i non seminomi abbiamo rischio basso, intermedio ed
elevato.
Il discorso è diverso nei non seminomi: infatti nei non seminomi contano anche i
livelli dei marcatori e la sede del primitivo.
BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________
- Urologia, Autore Bassi P.F., 2010, 129 p., ill., brossura, Editore Cortina (Padova),
(collana Cosa sapere di…)
- Sbobinature del Prof. Bassi, aa 2014-2015
- Sbobinature Prof Barone aa 2014/2015 e aa 2015/2016
- Dispense Prof Butti
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 302 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
CAPITOLO 22
___________________________________________________________
TUMORI DELLA TIROIDE
I noduli sintomatici sono più frequenti in pazienti affetti da malattie tiroidee di tipo
diffuso quali: ipertiroidismo, gozzo multinodulare, tiroidite acuta e cronica,
carcinoma midollare della tiroide o altre forme neoplastiche tiroidee.
Il gruppo dei pazienti con noduli asintomatici presenta una tumefazione circoscritta,
che è sempre indicativa per una forma neoplastica benigna o maligna, e che pertanto
impone una rapida e precisa diagnosi.
L’associazione del nodulo tiroideo con altre endocrinopatie del paziente o dei suoi
familiari deve far porre il sospetto di un carcinoma midollare della tiroide, poichè
una discreta percentuale di questi pazienti può essere affetta anche da
feocromocitoma,iperparatiroidismo, malattia di Cushing, carcinoidi e diabete.
Nella maggior parte dei casi la diagnosi di certezza può essere ottenuta esclusivamente
con l’esame istologico della ghiandola.
L’incidenza di falsi positivi è rara, ma il 20% circa delle risposte riporta la presenza
di cellule sospette o di difficile classificazione e il 5% di quelle definite benigne
risultano essere maligne all’indagine istologica definitiva. L’agobiopsia percutanea
non dovrebbe essere eseguita nei pazienti precedentemente irradiati al collo, poichè
i tumori indotti da radiazioni pregresse sono nella maggior parte dei casi multifocali
e pertanto una biopsia negativa non escluderebbe la presenza di una neoplasia.
TERAPIA
L’emitiroidectomia rappresenta la terapia più efficace per i noduli caldi solitari della
tiroide; E’un intervento a bassa morbilità e consente, dopo accurata indagine
istologica, di escludere il rischio, solitamente remoto, di carcinoma. Se l’adenoma è
associato a segni clinici d’ipertiroidismo, è opportuno preparare il paziente
all’intervento con farmaci antitiroidei.
Essendo più elevato il rischio di carcinoma nei noduli solitari freddi, la strategia
terapeutica sarà in questi casi diversa.
L’esplorazione chirurgica deve sempre prevedere l’indagine istologica estemporanea al
congelatore; anche nel caso di adenoma si eseguirà una emitiroidectomia; se invece
sarà identificata una lesione carcinomatosa, allora bisognerà procedere all’intervento
più esteso di tiroidectomia totale.
TUMORI MALIGNI
EPIDEMIOLOGIA
I dati epidemiologici disponibili sui tumori maligni della tiroide sono di difficile
interpretazione per la variabilità del comportamento biologico di queste neoplasie.
L’incidenza, all’esame autoptico, in una popolazione non selezionata è dell’1,79%;
quest’incidenza è molto più elevata nella popolazione delle Hawaii, tra le donne
cinesi ed in Giappone, ove è stata descritta un’incidenza del 20% all’indagine
autoptica di pazienti deceduti negli anni Settanta nell’area di Hiroshima e Nagasaki.
I tumori tiroidei sono rari nei bambini ed aumentano di frequenza con l’aumentare
dell’età. I carcinomi sono 3 volte pi. frequenti nelle donne che nell’uomo. Si ritiene
che possano essere più frequenti nelle aree di endemia gozzigena ed esistono
effettivamente dati epidemiologici che dimostrano una maggior frequenza in
Colombia e Austria.
La mortalità annua per carcinoma tiroideo negli Stati Uniti è di 4/milione/anno per
gli uomini e 5/milione/anno per le donne. La discrepanza esistente tra i dati di
incidenza e di mortalità è presumibilmente da porre in relazione con il potenziale di
malignità non molto elevato dei carcinomi differenziati della tiroide.
BIOLOGIA MOLECOLARE
Le alterazioni genetiche, alla base delle mutazioni in senso oncogenetico, delle
neoplasie maligne delle cellule follicolari della tiroide sono concentrate attorno a
due vie molecolari: la via della protein chinasi mitogeno attivata (MAP) e la via della
fosfatidil-inositolo-3-chinasi (PI-3K)/AKT.
Nella loro normale attivazione, queste vie sono utilizzate temporaneamente
attraverso il legame tra il fattore di crescita e le tirosin-chinasi recettoriali (mediato
attraverso il dominio extracellulare), che comporta l'autofosforilazione del dominio
citoplasmatico, consentendo la traduzione del messaggio.
Nei carcinomi della tiroide, così come in altri tumori solidi, le mutazioni che
comportano un'acquisizione di funzione, lungo le componenti di queste vie, portano
ad un'attivazione costitutiva anche in assenza di ligando, promuovendo in tal modo
la cancerogenesi.
Nei carcinomi papillari, l'attivazione della via delle MAP-chinasi è pressoché
costante, e avviene in seguito a due meccanismi di seguito descritti:
- Il primo comporta riarrangiamenti di RET o NTRK1 (Neurotrophic Tyrosine
Kinase Receptor 1), entrambi codificanti per tirosin-chinasi transmembrana.
- Il secondo meccanismo implica invece mutazioni puntiformi del gene BRAF, il cui
prodotto è una componente intermedia della via delle MAP-chinasi.
Anatomia patologica
L’adenocarcinoma papillifero può presentarsi come nodulo solitario, oppure, più
frequentemente nei bambini, essere di tipo multicentrico. Il nodulo è piccolo, talora
piccolissimo (4-5 mm), di colorito bianco-grigiastro, dalla superficie irregolare, di
consistenza solida o cistica.
La superficie di taglio è ruvida per la frequente presenza di numerosi piccoli depositi
di calcio; se esistono formazioni cistiche nel suo contesto, il loro contenuto è
rappresentato da un fluido acquoso di colorito bruno.
Al microscopio si osservano strati singoli o multipli di elementi cellulari di tipo
cuboidale o colonnare, con nuclei chiari particolarmente voluminosi, spesso con
modeste atipie e scarse mitosi.
Queste cellule rivestono formazioni arboriformi di tipo fibrovascolare, che
protrudono all’interno di cavità cistiche o anche in tessuto apparentemente normale.
Nel 40% dei casi, nel contesto dello stroma delle ramificazioni papillari si trovano
delle formazioni rotondeggianti dette “corpi psammomatosi”, costituite da lamelle
concentriche di tessuto che vanno incontro a processi di calcificazione che le
rendono visibili all’esame radiologico.
La loro presenza è quasi patognomonica per carcinoma e starebbe anche ad indicare
che il tumore è di vecchia data.
Storia naturale
L’adenocarcinoma papillifero è un tumore che cresce assai lentamente, è certamente
uno dei carcinomi a prognosi più favorevole (sopravvivenza a 5 anni superiore al
90% ed a 10 anni di circa l’80%); ciò nonostante non può essere trascurata la
potenzialità di questo tumore di trasformarsi nel tempo in una forma neoplastica a
malignità più elevata. La maggior parte dei tumori papilliferi non modifica le proprie
caratteristiche strutturali per un lungo periodo di tempo; ma alcuni, dopo una
latenza di 20-30 anni, improvvisamente entrano in fase di anaplasia, aumentano la
loro invasività sia locale sia a distanza e possono provocare morte per
metastatizzazione loco-regionale e diffusa.
Spesso i linfonodi sede di metastasi sono di dimensioni molto superiori rispetto al
tumore primitivo, che talora può non essere rilevato alla palpazione.
Da un punto di vista prognostico, ancora più grave della diffusione linfatica è il
superamento della capsula tiroidea, che, seppur raramente, può giungere sino
ADENOCARCINOMA FOLLICOLARE
Epidemiologia e storia naturale
Il carcinoma follicolare rappresenta circa il 10% di tutte le neoplasie maligne della
tiroide.
Predilige la fascia di età compresa tra i 30 e i 50 anni.Anch’esso può essere definito
come un tumore a lenta crescita e con prognosi relativamente favorevole; comunque
è più aggressivo e pericoloso del carcinoma papillifero. E’ più frequente nelle donne
che negli uomini (3:1).
Anatomia patologica
I carcinomi follicolari possono presentarsi ben capsulati, oppure essere di tipo
invasivo,sconfinando anche nelle strutture adiacenti la ghiandola. Quando il tumore
è circoscritto e capsulato, esso ha caratteristiche macroscopiche simili a quelle di un
nodulo adenomatoso ed al suo interno possono pure verificarsi processi
degenerativi, come: emorragie, infarti, formazioni cistiche, fibrosi e calcificazioni.
Poichè molti dei carcinomi follicolari sono ben differenziati e possono talora essere
costituiti, almeno nella loro componente centrale, da tessuto tiroideo
apparentemente normale, è assai importante che l’indagine sia rivolta alla periferia
della lesione; è in questa zona, infatti, che possono essere rilevati i segni
d’invasività.
Prognosi
La prognosi è in relazione al grado d’invasione rilevato al momento dell’ablazione
del tumore. Quando l’invasione è minima, la prognosi è favorevole; quando il
Se non si procede ad una tiroidectomia totale, non sarà possibile l’esecuzione di una
scintigrafia corporea totale con iodio radioattivo per l’identificazione e il successivo
trattamento di eventuali metastasi scheletriche: il tessuto tiroideo residuo capterà
infatti lo iodio radioattivo. In questi casi si rende necessaria una revisione chirurgica
per l’ablazione completa della ghiandola.
ADENOCARCINOMA MIDOLLARE
Epidemiologia
E’ il carcinoma della tiroide di più recente identificazione. Colpisce in genere
pazienti sopra i 50 anni di età e rappresenta circa il 5-10% dei tumori tiroidei.
Si sviluppa dalle cellule C o parafollicolari della tiroide secernenti calcitonina. In
effetti, i livelli sierici di calcitonina nei pazienti con carcinoma midollare sono elevati.
In questi ultimi casi si configura la MEN II (Multiple Endocrine Neoplasia – Type II):
carcinoma midollare + feocromocitoma bilaterale + adenoma paratiroideo. Quando
il carcinoma midollare fa parte di una MEN II, si ritiene che esso sia meno
aggressivo della forma sporadica.
Anatomia patologica
L’aspetto macroscopico del tumore è quello di un nodulo duro, bianco-grigiastro,
solitamente ben demarcato. Nella maggior parte dei casi è localizzato nella parte
superiore della ghiandola, probabilmente per il maggior numero di cellule C presenti
in questa parte della ghiandola stessa.
Il tumore è costituito da raggruppamenti di cellule rotonde o poligonali, con nuclei
piccoli ed uniformi, disposti in modo eccentrico, quasi a dare alle cellule un aspetto
plasmocitoide.
L’aspetto istologico nel suo complesso è assai simile a quello del carcinoide.
Storia naturale
E’ un tumore che cresce abbastanza lentamente e metastatizza prevalentemente ai
linfonodi locoregionali.
Al momento dell’intervento chirurgico, il 75% dei pazienti presenta metastasi
linfonodali. Successivamente si possono osservare metastasi ai polmoni, al fegato e
alle ossa.
Prognosi
La prognosi, che è certamente peggiore rispetto al carcinoma papillifero,ma migliore
di quello anaplastico, è in relazione alla presenza o all’assenza di metastasi
linfonodali al momento dell’intervento.
Il trattamento del carcinoma midollare, quando si presenta come entità nosologica
unica, consiste nella tiroidectomia totale con conservazione delle paratiroidi e
svuotamento linfonodale preventivo.
La terapia medica sostitutiva consiste nella somministrazione di T3. Alcuni
chirurghi propongono un trattamento più conservativo (lobectomia totale
omolaterale e subtotale contro-laterale) nelle forme in cui il carcinoma midollare fa
parte di una MEN II.
CARCINOMA ANAPLASTICO
E’ il tumore tiroideo a pi. elevata malignità, caratterizzato da crescita rapida (la metà
dei pazienti muore in poche settimane o mesi), invasività locale e metastasi diffuse.
E’ definito anaplastico o indifferenziato perchè in esso non sono osservabili strutture
differenziate quali papille o follicoli.
Gli elementi cellulari che lo compongono possono essere piccoli o giganti; il
carcinoma gigantocellulare è ancor più maligno degli altri.
L’occasionale presenza di abbozzi follicolari o papillari fa presumere che talora il
carcinoma anaplastico sia l’espressione di un improvviso mutamento del potenziale
di malignità di un carcinoma papillifero o follicolare preesistente.
Il semplice esame clinico nella maggior parte dei casi non consente una diagnosi
differenziale tra adenoma e carcinoma in fase iniziale.
Approssimativamente il 3% dei noduli tiroidei con caratteristiche cliniche di
benignità risulta essere maligno all’indagine istologica; in questi casi si tratta
solitamente di carcinomi differenziati o midollari.
L’esame clinico può ovviamente essere più significativo nelle fasi più avanzate della
malattia neoplastica o nei tumori indifferenziati, allorchè sono presenti i segni di
compressione e di invasione delle strutture adiacenti (disfonia, disfagia, crisi
dispnoiche).
E’ opportuno, in caso di sospetto di un carcinoma midollare, ricercare anche i segni
che possono essere presenti nel caso in cui il tumore sia associato ad una MEN II,
oppure contenga nel suo contesto elementi cellulari a secrezione endocrina
(ACTH,serotonina,prostaglandine).
In questi casi i pazienti potrebbero presentare nefrolitiasi, episodi di rossore cutaneo
(flushing), diarrea.
Tra le indagini strumentali la biopsia percutanea mediante aspirazione con ago sottile
rappresenta la metodica che in questi ultimi anni ha acquistato importanza sempre
maggiore.
Questa tecnica può essere considerata poco rischiosa ed è ormai accertato che con
essa non avviene alcuna disseminazione di cellule neoplastiche lungo il tragitto
percorso dall’ago.
La valutazione della concentrazione sierica degli ormoni tiroidei non offre alcun
aiuto nella differenziazione dei noduli benigni e maligni. Sebbene i livelli di
tireoglobulina siano costantemente elevati nei pazienti con carcinomi differenziati
della tiroide (non negli anaplastici), questa determinazione non ha grande
significato diagnostico, poichè l’aumento di tireoglobulina si verifica anche in altre
tireopatie benigne (adenomi, gozzo semplice, malattia di Flajani-Graves- Basedow).
Un aumento dei dosaggi di questi marker, dopo un periodo più o meno lungo di
determinazioni nell’ambito della normalità, potrebbe essere indicativo della
presenza di metastasi. Analogamente il mancato loro ritorno nell’ambito della
normalità, nei giorni successivi l’intervento chirurgico, può indicare
TRATTAMENTO
Il trattamento delle neoplasie differenziate della tiroide consiste nella rimozione
chirurgica.
La tiroidectomia totale è generalmente considerata l’intervento chirurgico elettivo.
Tuttavia, in relazione alla relativa malignità dei carcinomi differenziati, in particolare
nei casi di piccoli carcinomi papilliferi, esistono opinioni discordi sulla necessità di
eseguire sempre la tiroidectomia totale.
Lo svuotamento linfonodale preventivo non viene quasi mai eseguito nei pazienti
con carcinoma follicolare, poichè la metastatizzazione ai linfonodi loco-regionali è
particolarmente rara.
Nei pazienti tiroidectomizzati, una scintigrafia corporea totale con radioiodio viene
eseguita alcune settimane dopo l’intervento, per mettere in evidenza l’eventuale
presenza di residui di tessuto tiroideo o di metastasi.
PROGNOSI
Lo staging della neoplasia è considerato essere, sicuramente, uno dei fattori
prognostici più importanti, esattamente come negli altri modelli di cancro umano.
La classificazione proposta dalla UICC/AJCC attualmente è quella che riscuote
maggiore successo ai fini stadiativi, basandosi sul sistema internazionale TNM.
Questa classificazione, inoltre, ha dimostrato di riuscire a prevedere il rischio di
morte dei pazienti affetti da carcinoma differenziato, ma non il rischio di recidiva.
L’età alla diagnosi si conferma, negli studi più recenti, un importante elemento di
valutazione: infatti, l’effetto avverso dell’età nella prognosi aumenta gradualmente
ogni dieci anni di vita, soprattutto dopo i 40-45 anni. Da un punto di vista pratico, i
pazienti con diagnosi prima dei 45 anni hanno una prognosi migliore rispetto a
quelli più anziani. Questo cut-off fissato a 45 anni è uno dei parametri più
CAPITOLO 23
___________________________________________________________
SINDROMI PARANEOPLASTICHE
PATOGENESI
- Teoria degli abbozzi embrionari comuni, si pensi agli apudomi.
- Teoria della riattivazione dell’informazione: deregolazione cellulare, come nel caso
di SCLC, Ca utero, Ca ovaio
- Teoria autoimmunitaria, Liberazione di enzimi o di altre sostanze da parte del
tumore e Invasione della membrana basale o della BEE, quindi contatto con
cellule mesenchimali che porta ad attivazione immunitaria, si pensi alle: S.
neurologiche, S. nefrologiche, S. dermatologiche.
CLASSIFICAZIONE
- Sindromi di tipo generale
- Sindromi ematologiche e coagulative
- Sindromi endocrino-metaboliche
- Sindromi neurologiche e muscolari
- Sindromi dermatologiche
- Sindromi reumatologiche e osteoarticolari
- Sindromi nefrologiche
Cachessia
Sindrome caratterizzata da anoressia, perdita del peso corporeo, perdita del tessuto
adiposo e muscoloscheletrico. Può anche essere definita come perdita di riserve
energetiche anche in assenza di una significativa perdita di peso corporeo. E’
responsabile di circa il 20% delle morti nei pazienti neoplastici. Interessa circa il
50% dei pz neoplastici. Prevale nelle neoplasie del tratto gastro-intestinale e del
polmone. Evento non solo tardivo, spesso presente già precocemente.
La cachessia sembra essere causata da una riduzione introito alimentare
concomitante all’anoressia. Può essere una conseguenza di un’ostruzione
malassorbimento, maldigestione causate da un cancro dell’apparato GI.
Può essere scatenata da dolore e depressione ed è caratterizzata da un’aumentata
spesa energetica a riposo.
A livello biomolecolare si verifica uno squilibrio fra fattori pro-infiammatori (TNF-α,
IL-1, IL-6, IFN-γ) e citochine anti-infiammatorie (IL-4, IL-12, IL-14) le cui
conseguenze saranno:
- Alterazione del metabolismo del tessuto muscolare ed adiposo
- Ridotta tolleranza al glucoso e insulino-resistenza
- Aumento gluconeogenesi
- Aumento lipolisi (Lipid Mobilization Factor) e ossidaz. ac. gr.
- Aumento proteolisi muscolare (Proteolysis Induction Factor) e turn-over proteico
totali e riduzione amminoacidi plasmatici totali
Interventi sull’anoressia
Linfomi ** Acuta
Mieloma ** Cronica
Sindromi da autoanticorpi
Le sindromi da anticorpi caldi sono prevalentemente tipiche dei tumori
ematopoietici, mentre quelle da anticorpi freddi sono più rare e sono prodotte anche
Anemia paraneoplastica
Ci sono diverse cause che concorrono a determinare anemia nel corso di una malattia
neoplastica. Tra le più importanti ricordiamo:
- Anemia delle malattie croniche: normocitica normocromica, con sideremia normale
o diminuita, ferritina normale o diminuita. Deve essere differenziata dalla aplasia
della serie rossa (esame del midollo) e dall’anemia da sostituzione midollare o da
autoanticorpi: tutte queste anemie sono in genere normocromiche e normocitiche
e in genere si associano a ferritina e sideremia normale. I fattori umorali coinvolti
sono l’ IL-1,il TNFalfa.
- Eritroblastopenia pura
- Anemia emolitica microangiopatica
- Anemia emolitica da autoanticorpi
- anticorpi “caldi” (IgG), soprattutto in caso di linfomi a cellule B e leucemie.
L’emolisi è extravascolare, cioè consiste nella fagocitosi a livello della milza;
- anticorpi “freddi”, responsabili di emolisi intravascolare. Questi anticorpi sono
IgM che attaccano la membrana eritrocitraria a basse temperature.
Le manifestazioni cliniche sono correlate all’occlusione dei piccoli vasi: acrocianosi a
orecchie, punta del naso, dita delle mani e dei piedi.
Tromboflebite migrante
E’ caratteristica la comparsa in soggetti che non hanno rischio trombofilico, cioè
sono pz in cui il rischio è dato solo dalla presenza del tumore, con interessamento di
distretti non usuali. Un’altra caratteristica della tromboflebite neoplastica è la
resistenza ai dicumarolici. Infatti questi pz in oncologia raramente vengono trattati
con dicumarolici, prevalentemente fanno l’eparina. La patogenesi è dovuta a:
Sindromi ipercalcemiche
Sono spesso legate al cancro della mammella o del polmone (soprattutto i
microcitomi), tumori del rene, tumori del distretto cervico-facciale, mieloma.
Queste sono neoplasie che di per sé possono dare localizzazioni ossee e quindi
l’ipercalcemia paraneoplastica va differenziata dall’ipercalcemia dovuta alla presenza
delle metastasi.
Tra i mediatori coinvolti, quello principale è il PTHrP, altri saranno: la vit.D, alcune
citochine (IL-6, TGFα, TGF, TNFα) e il PTH stesso (raro).
La PTH-rP è prodotta a bassissima concentrazione in molti tessuti normali (osso,
cute, placenta, stomaco, cervello). Svolge delle funzioni locali paracrine o autocrine.
In circolo aumenta il riassorbimento osseo e diminuisce l’escrezione renale di calcio.
I tumori dei tessuti che normalmente producono questa proteina, possono produrla
in quantità più elevata e quindi causare le sindromi ipercalcemiche. Ne sono un
esempio, i tumori dello stomaco e della mammella.
Se il valore di calcemia è superiore a 10,5mg/dl è un’ipercalcemia vera (il calcio è in
parte legato all’albumina quindi la calcemia corretta si calcola con la seguente calcemia totale
corretta=calcemia misurata+[(4.0-albuminemia g/dl)*0.8])
Per quel che riguarda il trattamento, la prima cosa per limitare la calcemia è
aumentare l’eliminazione renale: quindi aumentare l’idratazione; si può associare
idratazione e furosemide. Se i valori non scendono con questi provvedimenti si
associano i difosfonati. Il difosfonato serve a bloccare la liberazione di calcio da parte
Ipocalcemia
Caratteristica è l’ipocalcemia da iperincrezione di calcitonina nel carcinoma
midollare della tiroide. È caratteristica dei carcinomi midollari della tiroide o
comunque di tutti i tumori in grado di produrre calcitonina. E’più frequente
dell’ipercalcemia. La patogenesi è insita nell’inibizione del riassorbimento osseo,
Aumento dell’escrezione renale del calcio. Possono esserne sintomi:
- Tetania, fascicolazione, iperreflessività
- In genere l’ipocalcemia è modesta e asintomatica
Sindrome di Cushing
Il 15% delle sindromi di Cushing è paraneoplastico e ciò non è poco se si considera
che la sindrome di Cushing non è una malattia frequentissima. Il mediatore è
l’ACTH derivato dall’elaborazione della propiomelanocrtina da parte delle cellule
tumorali. Le neoplasie che più frequentemente producono questa sindrome sono: i
tumori del polmone sia quelli a piccole cellule (50%) che i carcinomi bronchiali
(10%), ma anche il ca ovaio, il timoma, il feocromocitoma e alcuni APUDomi.
Le manifestazioni cliniche dipendono dalla durata della malattia sottostante. Se la
malattia sottostante è di lunga durata si tende ad assumere gradualmente tutte le
caratteristiche della sindrome di Cushing.
I sintomi principali sono: l’astenia, l’aumento di peso, l’irsutismo, ipertensione
arteriosa. A livello laboratoristico è possibile osservare: aumento cortisoluria,
aumento ACTH plasmatico, no risposta a DXM.
Acromegalia
E’ utile guardare la fotografia della patente perché di solito insorgono in età non
giovanile e quindi quando uno ha 18 anni e prende la patente ha la faccia diversa. E’
caratterizzata dalla produzione ectopica di GH-RH, raramente di GH. Sono
prevalentemente APUDomi a determinarla, ma anche qui i microcitomi, poi
mammella, colon, surrene, carcinoidi
SIADH
L’ADH aumenta il riassorbimento nei tubuli renali in caso di ipovolemia e
disidratazione. Nel caso ci sia una dieta ricca di sale, l’ acqua viene assorbita e cala il
suo contenuto nel sangue e questo stimola dei recettori che portano alla produzione
di ADH. Nella sindrome paraneoplastica la produzione di ADH avviene, però, in un
paziente normovolemico e che non ha un eccesso assoluto o relativo di Sali.
Questa sindrome paraneoplastica nell’ 80% dei casi indica la presenza di un tumore
del polmone a piccole cellule e non a piccole cellule. Ci sono anche Carcinomi
cervicofacciali, melanoma, sarcomi, neoplasie cerebrali
La diagnosi differenziale va fatta con la polidipsia psicogena, con alcuni farmaci in
particolare gli ACE-inibitori e alcuni farmaci citotossici (es. ifosfamide,
Ipoglicemia
Il mediatore dell’ipoglicemia nell’insulinoma è l’insulina, in altre neoplasie è l’IGF.
L’IGF determina inibizione della gluconeogenesi epatica, soppressione della lipolisi e
la presenza del tumore determina un’aumentata utilizzazione periferica del glucosio
E’ associata a Insulinomi, sarcomi, tumori vascolari (emangiopericitome epatico).
L’ipoglicemia nei sarcomi è molto comune perché di solito i sarcomi raggiungono
dimensioni molto cospicue e quindi hanno bisogno di un’elevata quantità di
substrati energetici (soprattutto i sarcomi retro peritoneali che raggiungono dimensioni di 2-3
kg e quindi consumano molto glucosio, si tratta perciò di un’ipoglicemia da consumo).
Clinica
Hanno un esordio subacuto, evoluzione rapida. Non sempre c’è un’univoca
correlazione temporale con la neoplasia responsabile, né una diretta correlazione tra
andamento del tumore e andamento della sindrome paraneoplastica: il tumore può
migliorare, ma la sindrome paraneoplastica può rimanere; a volte la sindrome
paraneoplastica migliora e il tumore
peggiora.
Il grado di associazione con il
tumore è variabile: alcune sindromi
associate a particolari tipi di
tumore (neuropatia periferica nei
mielomi), mentre alcuni tumori si
associano a più sindromi
paraneoplastiche.
Malattie clinicamente identiche alle
s. paraneoplastiche possono
manifestarsi in assenza di neoplasia.
*Forme classiche
Per la diagnosi differenziale con la Miastenia Gravis è importante l’interessamento dei muscoli
prossimali prevalente, il non coinvolgimento dei muscoli extra-oculari e quindi l’assenza di ptosi e
diplopia, la forza muscolare che migliora con l’esercizio e quindi l’aumento dell’ampiezza dei
potenziali all’elettromiografia con l’esercizio; la risposta alla neostigmina è scarsa.
La terapia si avvale del trattamento del tumore primario, potenziamento del rilascio
di acetilcolina, modulazione della risposta immune con cortisone e plasmaferesi.
Miastenia Gravis
Si sviluppa in circa il 40% dei casi di timoma e, frequentemente, anche nel cancro
polmonare. Si riscontrano Ab contro i recettori post-sinaptici dell’aceticolina con
Encefalopatia paraneoplastica
Caratterizzata dal coinvolgimento di diverse aree del SNC, inclusi
- i lobi temporali e il sistema limbico (encefalite limbica)
- il tronco dell’encefalo (encefalite del tronco dell’encefalo)
- il cervelletto (encefalite cerebellare subacuta) e il midollo spinale (mielite)
- i gangli della radice dorsale (neuropatia subacuta sensitiva)
- il sistema nervoso autonomo (neuropatia autonomica)
Encefalopatia Limbica
E’ presente in pazienti di sesso femminile di età matura (età mediana 62 aa.) con
anticorpi anti-Hu (ANNA-1) e tumore del polmone o in pazienti giovani (età
mediana 34 aa.) di sesso maschile con anticorpi anticorpi anti-Ma2 e tumore del
testicolo. Può essere ancora presente in pazienti di età mediana di 57 aa. con tumore
polmonare e senza anticorpi antineuroni.
Tra i sintomi limbici vanno ricordati:
- Perdita della memoria a breve termine e confusione
- Convulsioni
- Sintomi psichiatrici
- Sintomi ipotalamici, Sonnolenza, Ipertermia, Anomalie endocrine
Neuropatie motorie
- Perdita delle cellule anteriori del midollo spinale:
- Microcitomi polmonari
- Anticorpo ANNA-1
- Vasculite del nervo periferico:
- Ac non organo-specifici
- Immunocomplessi
- Linfomi e tumori solidi
- Associazione con proteine M:
- Malattie linfoproliferative (lLinfomi, mielomi) con componente monoclonale
Neuropatie autonomiche
Si manifestano come sindromi subacute, spesso gravi. Interessano soprattutto il
sistema cardiocircolatorio e l’apparato gastrointestinale. Sono caratterizzate da
tachicardia posturale e dismotilità intestinale. La pseudo-ostruzione intestinale è di
solito osservata nei microcitomi polmonari. Tipici sono gli Ac anti-recettori
dell’acetilcolina gangliari.
Pemfigo
Tra le sindromi dermatologiche di tipo paraneoplastico la più comune è il pemfigo.
E’ caratterizzato da lesioni bollose emorragiche che possono interessare cute e
mucose, quindi: la cavità orale, l’esofago, la trachea, i
bronchi. Molto spesso lesioni pemfigoidi di tipo
paraneoplastico vengono scambiate per herpes.
Le lesioni bollose cutanee sono dovute alla perdita della
normale capacità di adesione intercellulare a livello
dell’epidermide. Tipiche le erosioni mucosali.
Sono conseguenza dell’azione di autoanticorpi diretti contro la
desmoplakina I, una proteina contenuta nei desmosomi
(strutture di adesione intercellulare) delle cellule epiteliali.
LESIONI TIPICHE
CRITERI DIAGNOSTICI
Neoplasia concomitante.
Acantosis nigricans
Si caratterizza per iperpigmentazione e aspetto
vellutato o rugoso di colore nero o scuro, di solito
nelle pieghe cutanee: collo, ascella, solco
sottomammario, pieghe inguinali, a volte ci sono
anche sulla lingua o sulla mucosa orale, ma
normalmente sono nelle pieghe. Le sostanze
responsabili non sono note. È abbastanza
frequente l’associazione con i linfomi e con alcuni
tumori addominali soprattutto cancro gastrico. Per
quel che riguarda i tumori addominali, non ci si
riferisce solo al tumore gastrico, ma anche il carcinoma esofageo.
Malattia di Paget
Placca eritematosa desquamante, somigliante ad un eczema,
che si può sviluppare a livello dell’areola mammaria, della
vulva, di altre aree cutanee. La m. di Paget mammaria è quasi
sempre associata ad un carcinoma duttale della mammella. La
m. di Paget extramammaria si associa ad un tumore viscerale
o degli organi genitali nel 50% dei casi. Il meccanismo
patogenetico è verosimilmente immunitario.
Sindrome di Sweet
E’ chiamata anche Dermatosi neutrofila febbrile. E’ caratterizzata da febbre,
leucocitosi neutrofila, placche o noduli eritematosi, di solito in corrispondenza della
testa e del collo e degli arti superiori. Nei noduli si trova un infiltrato di cellule
mieloidi con reazione flogistica circostante, verosimilmente da produzione locale di
citochine. Si associa il più delle volte a Leucemia mieloide acuta, Sindromi
mielodisplastiche, Malattie mieloproliferative.
Meccanismi generali
- Disregolazione del sistema immunitario
- Iperproduzione di fattori di crescita (osteoartropatia ipertrofica) o di altre sostanze
biologicamente attive (osteomalacia)
Artropatie
• Interessamento articolare locale • Fascite palmare e artrite
Malattie muscolari
• Dermatomiosite/polimiosite • Miopatia necrotizzante
Vasculiti
Varie
• Distrofia simpatica riflessa • Iperostosi scheletrica
• Osteomalacia • Crioglobulinemia
Osteopatia ipertrofica
Può essere idiopatica o secondaria a neoplasie, pneumopatie croniche, RCU. E’
caratterizzata da ippocratismo digitale, dolori articolari di tipo artritico, aspetto
acromegalico, ispessimento periostale distale delle ossa lunghe delle estremità,
edema dei tessuti molli.
I meccanismi non sono del tutto chiariti. Sembra avere una certa rilevanza il ruolo di
ipossia e HIF. Spesso si sviluppa un danno endoteliale provocato da fattori di
crescita, citochine e ormoni (somatotropo). Le neoplasie più frequentemente
associatesaranno: Ca polmone (epidermoide), Ca stomaco e rene, Adenocarcinomi
Dermatomiosite
Miopatia infiammatoria associata alla presenza di un rash cutaneo violaceo più
evidente nelle aree esposte. Caratteristici l’edema e l’eritema periorbitale e le
placche eritematose a livello delle articolazioni metacarpo-falangee ed interfalangee
prossimali e periungueali.
Porpora di Schonlein-Henoch
E’ una vasculite da immunocomplessi con antigeni tumorali, vasculite da produzione
anomala di IgA. Le neoplasie più associate saranno: Ca polmone, mammella,
prostata; meno frequentemente rene e stomaco, Linfomi.
Altre Vasculiti
- Polimialgia reumatica atipica
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 331 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
- Eritema nodoso cronico
- Poliarterite nodosa
Il meccanismo patogenetico è relativo alla compromissione della funzione
reticoloendoteliale con conseguente ridotta clearance degli Ag e degli ICC. Le
neoplasie associate saranno: Ca colon, rene, polmone, Linfomi, mieloma
BIBLIOGRAFIA
___________________________________________________________________________
- Sbobinature Prof Barone aa 2014/2015 e aa 2015/2016
- www.orpha.net
ELEMENTI DI ONCOLOGIA 332 A cura di: BOCCACCINO - PERNA
PARTE 2: CLINICA, DIAGNOSI E TERAPIA
CAPITOLO 24
___________________________________________________________
MARCATORI TUMORALI
Malattie tiroidee TG
Psoriasi SCC
Agobiopsia tiroidea TG
Biomarcatori di funzione
Sono associati a variazioni del fenotipo tumorale correlate a comportamenti
biologico-clinici (es.: aggressività, sensibilità ai farmaci). Sono uno strumento
essenziale per le personalizzazione della terapia. I più importanti saranno: VEGF,
VCAM-1, FGF, p53 , p105/NEU, uPA/PAI.
Biomarcatori di rischio
Indicano un maggior rischio genetico o metabolico di sviluppare un tumore.
Idealmente, possono permettere di selezionare gruppi di persone da sottoporre a
screening intensivi. Hanno caratteristiche diverse nei tumori ereditari, in quelli
familiari e in quelli sporadici. Nei tumori familiari hanno lo scopo di individuare le
Ca 50 Mucina Ca gastrico
METODI DI MISURA
La rivelazione delle sostanze biologicamente rilevanti si ottiene mediante
misurazioni analitiche (i valori sono indipendenti dal sistema di misurazione), o
mediante misurazione comparative (i valori dipendono dal metodo utilizzato).
Il confronto fra risultati seriati nello stesso paziente è accurato solo se il dosaggio
viene eseguito con lo stesso metodo. E’ compito del medico curante spiegare al
paziente l’importanza di eseguire il dosaggio di un marcatore sempre nello stesso
Sensibilità
Indica la probabilità che un paziente con tumore abbia il marker positivo; dipende
dalle performances diagnostiche del marker.
CEA
E’ una glicoproteina complessa prodotta dal 90% dei tumori colorettali. E’ dosato
nel siero in maniera quantitativa. Presenta una scarsa sensibilità negli stadi precoci.
Nel Carcinoma del colon-retto il CEA è la prima scelta, il CA19.9 la seconda.
Nessun marcatore è utile per la diagnosi differenziale. Il CEA è usato nel bilancio di
base prima della chirurgia: si guarda il valore soglia. Dopo la chirurgia (1 mese
dopo) si valuta la variazione dello stesso. Nel Follow up ogni 2-3 mesi si valuta la
variazione. Monitoraggio in terapia M+ prima di ogni ciclo di CHT si guarda la
variazione.
Il CEA è elevato in circa 1/3 dei pz che presentano un cancro gastrico. La sensibilità
però è bassa. Le sue quantità in circolo sono correlate allo stadio. La combinazione
del CEA con il Ca 19-9 o Ca 50 può aumentare la sensibilità rispetto al CEA da solo.
Alfa-fetoproteina - 1
E’ una proteina sierica sintetizzata dalle cellule epatiche fetali, dalle cellule del sacco
vitellino, ed in tracce dal tratto gastrointestinale fetale. Aumenta durante il II-III
trimestre di gravidanza per ridursi gradualmente dopo la nascita. Aumenta in corso
di necrosi e/o flogosi epatica. Nei tumori epatici il rialzo correla con l’aumento di
dimensione e con la riduzione del grado di differenziazione. Uno dei problemi è la
sovrapponibilità di valori tra cirrosi ed HCC. Il Cut-off è > 400 ng/ml. Ha un’
elevata specificità. Consente la diagnosi di HCC per valori superiori a 400 ng/ml in
presenza di lesione focale epatica.
Nel Cancro del testicolo l’aFP è correlata con lo stadio. Nello Stadio I è presente
nel 10-20% dei casi. Nello Stadio II nel 20-40% dei casi e negli Stadi III-IV nel
40-60% dei casi. Non aumenta mai nel seminoma puro.
PSA
E’ una proteina di 28 kD appartenente alla famiglia delle callicreine. L’attività
enzimatica consiste nel fluidificare il liquido seminale e nel mobilizzare gli
spermatozoi. E’ sintetizzato nell’epitelio duttale e acinare. Il PSA è una marcatore
organo- non cancro-specifico. Ritenzione urinaria acuta e biopsia prostatica
aumetano il PSA. L’esplorazione rettale non aumenta il PSA (anche se secondo gli
PSA > 4 ng/mL Sensibilità 80% Specificità 1-5 uomini sono senza
20% cancro (ma con PSA )
PSA 2,5-4 ng/mL 20% cancro P S A 2 - 3 Rischio 5,5x cancro a 5
vs 1 ng/mL anni
PSA 4-10 ng/mL 25% cancro
(75% confinato)
PSA > 10 ng/mL 60% cancro
(40-50% confinato)
TG
La tireoglobulina (TG) è un importante marker nel cancro della tiroide. E’ una
proteina che costituisce la matrice dell’ormone tiroideo. La persistenza di TG dopo
tiroidectomia indica persistenza di tessuto tiroideo funzionante. Il test è
influenzabile dalla tiroxina. Va effettuato in condizione di ipotiroidismo.
1 2
Quale delle seguenti neoplasie ha la maggiore Quale di queste stime si avvicina di più alla
prevalenza? riduzione della mortalità per cancro in
Europa?
1.Cancro del polmone
2.Cancro della mammella
1.5%
3.Cancro del colon-retto
4.Cancro della prostata 2.10%
3.15%
5.Epatocarcinoma
4.20%
5.Non c’è riduzione di mortalità per cancro
3 4
Quale dei seguenti tumori è più frequente nei Quale di questi fattori influenza
paesi in via di sviluppo? maggiormente la mortalità per cancro del
polmone?
1.Cavo orale
2.Cancro del polmone
3.Cancro del pancreas 1.Prevenzione primaria
4.Cancro del colon 2.Prevenzione secondaria
5.Carcinoma della vescica nell’uomo 3.Screening
4.Terapie integrate
5.Progressi diagnostici
5 6
Quale delle seguenti sindromi critiche ha una Quale delle seguenti sindromi critiche ha una
prognosi più sfavorevole? prognosi meno sfavorevole?
7 8
9 10
1.Carcinoma dell’esofago
2.Mieloma 1.S. di Albright
3.Cancro del pancreas 2.S. di Blackfan-Diamond
4.Cancro del polmone nel sesso femminile 3.S. di Churg-Strauss
5.Leucemie 4.S. di Fanconi
5.S. di Li-Fraumeni
11 12
Quale dei seguenti agenti chimici non è
Cosa sono i micro RNA?
coinvolto nella genesi del cancro?
13 14
15 16
Per quale delle seguenti neoplasie lo screening è Quale dei seguenti elementi non è cruciale per lo
meno efficiente? “screening”?
17 18
Quale è l’età consigliata per l’inizio dello Quale delle seguenti affermazioni sulle chinasi
“screening” nella sindrome di Lynch? ciclino-dipendenti è sbagliata?
21 22
1.TGF-alfa 1.Mutazione
2.Amphiregulina 2.Iperespressione
3.EGF 3.Delezione
4.Epiregulina 4.Produzione di TNF
5.Nessuno dei precedenti 5.Cross-talking
23 24
In quale neoplasia è meno frequente l’over- Quale affermazione relativa a p-53 non è
espressione di HER-2? corretta?
1.Methotrexate 1.Anastrazolo
2.Temozolomide 2.Letrozolo
3.Doxorubicina 3.Taxolo
4.Paclitaxel 4.Bicalutamide
5.Irinotecano 5.Faslodex
33 34
35 36
In quale delle seguenti neoplasie si utilizza il Quale dei seguenti farmaci può essere associato ad
Panitumumab? iperplasia dell’endometrio?
37 38
A. Ginecomastia
B. Diarrea
1.Taxani
C. Alterazione della funzionalità epatica
2.Vinorelbina
D. Incremento della produzione di
3.Inibitori di Aurora chinasi
estrogeni
4.Inibitori della chinesina
E. Azione progestinica
5.Vorinostat
41 42
Quale dei seguenti non è un inibitore
Ipilimumab è un :
multichinasico
A. Gefitinib
1.Anticorpo monoclonale anti-EGFR
B. Sorafenib
2.Anticorpo monoclonale anti-VEGFR
C. Sunitinib
3.Anticorpo monoclonale anti CD-20
D. Pazopanib
4.Anticorpo monoclonale anti-CTLA-4
E. Axitinib
5.Anticorpo monoclonale anti-HER2
43 44
L’antigene CTLA-4 è:
PARP-1 è:
45 46
In Italia la sopravvivenza per carcinoma della Nella donna quale è il rischio medio di sviluppare un
mammella: cancro della mammella nel corso della vita?
47 48
Quale è il picco massimo di età di incidenza dei
Quale dei seguenti è un fattore di rischio più forte
carcinomi T1-3 e del carcinoma infiammatorio
per carcinoma della mammella
(T4d) rispettivamente?
1.50 e 69 aa.
1.Menarca precoce 2.55 e 45 aa.
2.Menopausa tardiva 3.61 e 70 aa.
3.Assunzione di estrogeni 4.75 e 65 aa.
4.Nulliparità o I gravidanza tardiva 5.69 e 50 aa.
5.Assunzione di alcool e grassi
49 50
Quale dei seguenti istotipi ha una prognosi Quale dei seguenti esami è sempre necessario per
peggiore? la stadiazione del carcinoma della mammella?
51 52
Quale dei seguenti non è considerato di per se un Quale dei seguenti è un fattore prognostico
fattore prognostico? favorevole e predittivo favorevole?
53 54
Quale dei seguenti interventi non si riferisce al Quale dei seguenti fattori non è coinvolto nella
cancro della mammella? valutazione del rischio di recidiva?
55 56
Quale dei seguenti sottotipi ha la prognosi Quale dei seguenti provvedimenti non è appropriato
migliore? nel trattamento del carcinoma lobulare “in-situ”?
57 58
Quale delle seguenti ipotesi patogenetiche delle sindromi Quale dei seguenti meccanismi non interviene nella
paraneoplastiche non è esatta? genesi della cachessia neoplastica?
61 62
Quale dei seguenti fattori non è correlato ad una Quale delle seguenti forme di anemia potrebbe essere
sindrome paraneoplastica ematologica riferibile ad una sindrome paraneoplastica?
63 64
Quale dei seguenti fattori non interviene nella Quale delle seguenti sindromi endocrino-metaboliche può
patogenesi della tromboflebite migrante? avere come meccanismo patogenetico la deregolazione del
controllo (teoria degli abbozzi embrionali comuni)?
65 66
Quale è il più frequente mediatore dell’ipercalcemia Quale dei seguenti segni e sintomi in genere non è
paraneoplastica? presente nella s. di Cushing paraneoplastica?
67 68
Perché l’ipersecrezione paraneoplastica di ADH si Quale dei seguenti non è un meccanismo responsabile
definisce inappropriata? di s. paraneoplastica neurologica?
69 70
73 74
1. Indicano un maggior rischio genetico e 1. Probabilità che una persona con marcatore
metabolico di sviluppare un tumore positivo abbia effettivamente un tumore
2. Sono associati a variazioni del fenotipo 2. Probabilità che una persona con marcatore
tumorale negativo non abbia un tumore
3. Hanno caratteristiche diverse nei tumori 3. Probabilità che una persona con marcatore
ereditari, familiari e sporadici negativo non abbia un tumore
4. Nei tumori ereditari sono rappresentati da 4. Probabilità che una persona con tumore
mutazioni di geni bersaglio abbia il marcatore positivo
5. Nei tumori familiari possono essere 5. Probabilità che una persona sana non abbia
rappresentati da biomarcatori ormonali un marcatore positivo.
75 76
Quale delle seguenti condizioni caratterizza Quale tra le seguenti aree geografiche ha la
l’iperplasia nodulare focale? maggiore incidenza di HCC?
77 78
Quale dei sguenti è il principale fattore di Quale dei seguenti componenti del genoma dell’HBV
rischio per HCC? è maggiormente coinvolto nella cancerogenesi?
1.HBV
1.Gene X
2.HCV
2.Gene S
3.Alcool
3.Gene P
4.Aflatossina
4.Gene C
5.Cirrosi
5.In egual misura tutti i precedenti
79 80
81 82
Quali strumenti diagnostici sono essenziali per il Quale delle seguenti alterazioni non è compresa fra
riconoscimento precoce dell’HCC nei pazienti con le alterazioni molecolari dell’epatocarcinoma indotto
epatite cronica virus-correlata? da HCV?
83 84
Quale l’incidenza annuale di epatocarcinoma Quale delle seguenti condizioni ha il maggior
nei pazienti HCV-positivi impatto prognostico nell’HCC?
1. Età
1. 0.5-1%
2. Trombosi venosa
2. 1-4%
3. Sesso
3. 5-7%
4. Dimensioni del nodulo
4. 7-10%
5. Cirrosi
5. >10%
85 86
1. Coriocarcinoma 1. Coriocarcinoma
2. Tumore del sacco vitellino 2. Tumore del sacco vitellino
3. Tumore del seno endodermico 3. Tumore del seno endodermico
4. Teratoma 4. Teratoma
5. Seminoma 5. Seminoma
87 88
89 90
Quali è la principale modalità di diffusione del Quali è la principale modalità di diffusione del
seminoma? coriocarcinoma?
91 92
93 94
1. L’androgenodipendenza 1. Fegato
2. L’ontogenesi 2. Sistema scheletrico
3. Le alterazioni cromosomiche 3. Encefalo
4. I livello di marcatori ormonali 4. Polmone
5. L’angiogenesi 5. Tutte le precedenti
95 96
Quanto è il tempo di dimezzamento della alfa-FP
Quale delle seguenti affermazioni sulla prognosi dei
nei tumori non seminomatosi della linea germinale
tumori germinali del testicolo è sbagliata?
del testicolo?
5. 15 gg.
97 98
99 100
Quale dei seguenti istotipi non è riferibile al Quale è il più comune sintomo del carcinoma
carcinoma renale? renale?
101 102
Quale delle seguenti non è una sindrome Quale dei seguenti geni non è associato ad una
paraneoplastica associata al renale? sindrome genetica correlata al cancro del rene?
1. Febbre
2. Sindrome da inappropriata secrezione di ADH 1. VHL
3. Ipercalcemia 2. MET
4. Amiloidosi 3. BHD
5. Policitemia 4. FH
5. MYC
103 104
Quale dei seguenti non è un fattore di rischio Quale dei seguenti farmaci non è attivo nel
sfavorevole? carcinoma a cellule renali
105 106
1. Larghezza
2. Profondità
1. Tempo intercorso dalla diagnosi al primo trattamento
3. Irregolarità
2. LDH elevata
4. Colore
3. Creatininemia aumentata
5. Asimmetria
4. Anemia
5. Ipercalcemia
107 108
Quale è la localizzazione più comune del Quale delle seguenti forme cliniche di
melanoma nel sesso femminile? melanoma è più aggressiva?
109 110
111 112
1. Osteosarcoma
2. Sarcoma di Ewing 1. 60% a 5 aa.
3. Tumore giganto cellulare 2. 80% a 2 anni
4. Istiocitoma fibroso maligno 3. 40% a 3 aa.
5. Neoplasie linfoproliferative 4. 40% a 5 aa.
5. 50% a 2 aa.
113 114
Quale dei seguenti è l’indizio clinico di
Da quale cellula deriva l’osteosarcoma? sospetto più idoneo per la diagnosi precoce
di osteosarcoma del femore o della tibia?
117
118
RINGRAZIAMENTI
_______________________________________
Andrea
Un sentito ringraziamento va a tutte le persone che mi hanno sopportato, che mi
sopportano e che mi sopporteranno.
Ringrazio Agnese, che in ogni momento mi è vicina, pur non sapendo cosa faccio.
Ringrazio Valeria,a cui dedico una frase di Albert Camus, “Non camminare dietro a
me, potrei non condurti. Non camminarmi davanti, potrei non seguirti. Cammina
soltanto accanto a me e sii mia amica”.
Ringrazio Granato che non studierà mai ciò che è scritto qui sopra perché è uno
stronzo e non da merito ai miei lavori.
Ringrazio l’incommensurabile Angelo Dipasquale per gli indispensabili consigli e le
preziose dritte.
Ringrazio tutti i NERD del Marello che come sempre vanno pazzi per questa roba.
E per ultimi, ma non per questo meno importanti, ringrazio i miei amici e colleghi
sbobinatori, perché senza di loro questo volume non sarebbe nato.
Alessandra
"Signore Iddio, abbiamo pagato noi per tutta questa roba, perciò grazie di niente"
Bart Simpson
Sicuramente il testo è carente in qualche sua parte, ma ho cercato di inserire quasi tutti
gli argomenti riportati sui programmi.
Il presente non è assolutamente sostitutivo dei libri di testo.
Qualunque consiglio o critica atta a migliorare il lavoro per gli studenti futuri è ben
accetta. Posseggo tutti i diritti dell'opera, se qualcuno dovesse appropriarsene
indebitamente, accetterebbe automaticamente di cedermi una cosa di sua proprietà a
mia scelta.... Di solito scelgo i denti. Spero vi sia stato utile, sapete dove trovarmi.
Roma, 11/02/2016