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INTEGRAZIONI ONCOLOGIA

2021-2022

Krizia Cannizzo
CRITERI RECIST
I Criteri RECIST (Responsive Evaluation Criteria In Solid Tumors) sono dei criteri di risposta alla
terapia. Pur basandosi sulla misurazione delle LESIONI TARGET, dovranno anche essere
considerate le lesioni non target per valutare la risposta della neoplasia. Le lesioni target sono
MASSIMO 5, con MASSIMO 2 PER OGNI ORGANO e devono essere:
 LESIONE MISURABILE:
- Dimensioni > 20 mm in RX;
- Dimensione > 10 mm in una immagine TC o RM;
Tali indagini diagnostiche permettono di ottenere delle VALUTAZIONI UNIDIMENSIONALI,
chiare e riproducibili. La PET può essere utilizzata come dato integrato alle indagini TC o RM
per valutare la comparsa di nuove lesioni. [La PET viene eseguita con FDG nel caso dei GIST,
nell’encefalo, con la colina nel caso dei tumori della prostata; invece per il rene non si
utilizza un radiofarmaco]. Non sono misurabili le lesioni ossee, masse addominali di natura
incerta, cistiche e leptomeningee.
 FACILMENTE MISURABILE E CONTROLLABILE NEL TEMPO: non devono avere dimensioni
eccessive o particolarmente irregolari perché queste più frequentemente presenteranno
aree di necrosi che ne potrebbero alterare la forma.
La misurazione della lesione target viene effettuata tenendo conto dell’asse maggiore del nodulo,
se il nodulo è singolo; se è presente come noduli multipli la massa tumorale complessiva assume il
valore della somma degli assi maggiori di ogni singolo nodulo.
o Risposta completa comparsa completa di tutte le lesioni bersaglio e non bersaglio e di tutti i
linfonodi patologici. Quindi, sebbene le lesioni non target non devono essere misurate, devono
essere confrontate con le lesioni precedentemente presenti, e qualora permanesse una sola di
queste la malattia NON può essere definita in remissione completa.
o Risposta parziale Riduzione di almeno il >30% della somma dei diametri massimi delle lesioni
target;
o Malattia stabile quando dimensionale che non ricade in nessuna delle altre condizioni
o Progressione di malattia  incremento di almeno il 20% della somma dei diametri massimi
delle lesioni target. Nonostante tale criterio possa essere rispettato, se, in corso di trattamento
compare anche UNA SINGOLA NUOVA LESIONE, la malattia neoplastica viene comunque
definita in progressione.
Per valutare la risposta al trattamento vengono considerati anche i Noduli linfonodali, che vengono
misurati in base al loro asse minore: viene considerato lesione target quando l’asse minore è
maggiore o uguale a 15 mm; se tra 10-15 mm non è lesione target; se inferiore a 10 non è
patologica. Viene considerato l’asse minore in quanto un linfonodo neoplastico ha una crescita di
tipo rotondeggiante, mentre un linfonodo reattivo in corso di flogosi ha un accrescimento ovoidale;
di conseguenza se venisse considerato l’asse lungo qualsiasi linfonodo coinvolto in processi
flogistici verrebbe considerato come neoplastico.

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Esami inappropriati a misurare le lesioni target sono:
 Ecografia: non riproducibile e operatore dipendente;
 Misurazione di marcatori tumorali;
 Scintigrafia ossea total body: questo non è un esame standardizzato, in quanto valuta le
alterazioni della captazione del radiofarmaco dalle mst ossee, permettendo di visualizzare lo
scheletro (anche se il radiofarmaco si accumula anche in rene e vescica in quanto organi
emuntori). Il radiofarmaco è caratterizzato da una specifica emivita, per cui, andando a
selezionare una specifica esposizione al radiofarmaco espressa in ms, non si potrà mai ottenere
la stessa immagine (l’esposizione può essere variabile in relazione alla diluzione del
radiofarmaco, corporatura del pz, tempo di utilizzo dello stesso rispetto a quando arriva …).
Inoltre, si devono valutare gli eventuali falsi negativi dati dalla osteoartrosi, fratture in
riparazione, malattia di Paget o dalla stessa sede di iniezione del farmaco stesso.
CRITERI CHOI
In alcuni tipi di tumori la valutazione delle dimensioni della neoplasia non è strettamente
correlabile alla regressione o progressione del tumore; questo vale soprattutto per i GIST o
Gastrointestinal Stromal tumor motivo per il quale si utilizzano tali criteri.
Secondo questi criteri la risposta al trattamento viene effettuata secondo la captazione della
neoplasia all’esame PET con FDG, la dimensione del tumore o la sua densità media in HU (valutata
durante la fase portale della TC con mdc).

Il Gist sono tumori che dopo il trattamento vanno facilmente incontro ad emorragia, necrosi o
degenerazione mixoide, ossia tutti processi che fanno aumentare il volume della neoplasia, il quale
volume incrementa in relazione alla presenza della capsula fibroelastica. Quindi è questa una
neoplasia che nonostante possa andare incontro a regressione, si associa ad un incremento
dimensionale che non permette l’utilizzo dei criteri Recist. Questo è lo stesso motivo per cui NON
SI DEVE MAI BIOPTIZZARE un sospetto GIST in quando si procederà solamente con un’ampia
diffusione metastatica piuttosto che con una risoluzione della patologia; per cui qualora vi fossero
indicazioni al trattamento chirurgico deve essere ASPORTATO IN TOTO. Queste, inoltre, sono
neoplasie riccamente vascolarizzate.

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Il GIST viene definito come dipendente dall’alterazione oncogenica, in quanto:
 70% ha una mutazione di C-Kit o CD117 che lega SCF o stem cell factor;
 15% ha una mutazione del PDGF
 5% ha una mutazione della succinato-deidrogenasi non perseguibile terapeuticamente.
L’imatinib è un TKi il quale ha come bersaglio terapeutico il C-Kit, il PDGFR e ABL. Di conseguenza,
una percentuale inferiore rispetto all’85% dei GIST può essere trattato con imatinib (ciò in quanto
c’è una singola mutazione del c-kit che, nonostante l’attivazione costitutiva, conferisce resistenza
all’imatinib stesso).
Dunque, si somministra il farmaco e si attendono 24-48 h per valutare la risposta alla PET; in
questo caso, le cellule, se responsive, vanno tumultuosamente incontro a morte cellulare, in
maniera tale che non vadano in apoptosi, bensì in necrosi. Ciò, dunque, incrementa il contenuto
intracapsulare, che associa ad una regressione di patologia neoplastica un incremento
dimensionale. Spesso, inoltre sono soggette a spandimento ematico intracapsulare che costituisce
un’indicazione al trattamento chirurgico.
In particolare, per valutare la risposta si utilizza il parametro SUV o standardized uptake value, che
corrisponde al valore di captazione standardizzato, in quanto comparato alla captazione basale che
si rileva in sede epatica (metabolismo prettamente glicidico).

L’imatinib agisce dunque contro il C-kit; contro il PDGF-R (leucemia eosinofila cronica) e contro
l’ABL (LMC). Alcuni effetti collaterali sono nausea, vomito, diarrea, cefalea, rash cutanei, dolori
muscolo-scheletrici ed emorragie.

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TUMORI DEL POLMONE
Prima neoplasia per mortalità e terza per incidenza; quest’ultima, incrementa con l’età,
insorgendo generalmente tra le sesta e l’ottava decade. Inoltre, in relazione all’abitudine tabagica,
si è assistito ad un progressivo decremento delle neoplasie polmonari nella popolazione maschile e
ad un progressivo incremento, invece, in quella femminile.
Il fumo di sigaretta è il principale fattore di rischio per lo sviluppo del tumore polmonare:
 Il fumo passivo aumenta il rischio di circa il 20-50%, a seconda delle casistiche;
 I fumatori hanno un rischio 14 volte maggiore di superiore un k polmonare rispetto ai non
fumatori di pari età;
 I forti fumatori (> 30 pacchetti-anno) hanno un rischio circa 20 volte maggiore rispetto ai non
fumatori.
Fino ad un paio di anni fa si riteneva che dopo 10-15 anni di astensione dal fumo di sigaretta il
rischio di sviluppare un tumore polmonare diventasse sovrapponibile a quello della popolazione
normale; recenti dati invece sembrerebbero smentire ciò, per cui il rischio potrebbe rimanere
comunque incrementato nei fumatori e soprattutto nei forti fumatori, anche a distanza di 20 anni
dalla cessazione del fumo. Il rischio fumo-correlato è direttamente proporzionale al numero di
sigarette fumate e alla durata in anni dell’esposizione e può essere quantificato mediante la misura
dei pacchetti anno. Un pacchetto anno corrisponde ad un pacchetto al giorno (20 sigarette/die)
per un anno, per un totale di 7.300 sigarette (20x365). Quindi un pz che fuma un pacchetto al
giorno per 20 anni ha una storia di 20 anni di fumo.
Uno studio su più di 53.000 soggetti forti fumatori ha portato all’approvazione, negli USA, di una
metodica di screening per il carcinoma polmonare → nello studio si sono messi a confronto la
capacità di diagnosticare tumori polmonari in stadio precoce degli esami TC e RX, con la messa in
evidenza di una netta migliore capacità della TC spirale senza mdc rispetto all’Rx. Soltanto per lo
Stadio I, la diagnosi precoce data dalla TC rispetto alla Rx corrisponde a 158 vs 70, con una
differenza significativa; mentre a partire dal II stadio i numeri ottenuti sono equiparabili. Ciò che
cambia è dunque la sopravvivenza, motivo per il quale si approva uno screening, in quanto la
sensibilità diagnostica è maggiore negli stadi precoci, i quali sono proprio gli stadi che traggano
maggiore beneficio da una diagnosi precoce data la maggiore possibilità di guarigione. Di
conseguenza, segue l’approvazione di uno screening TC solo in pz forti fumatori.
Altri fattori di rischio sono l’esposizione a radiazioni ionizzanti, a inquinanti ambientali ed
esposizione professionali a polveri, come arsenico e asbesto.
ISTOLOGIA
o NSCL o Non small cells lung cancer (80%): originano da cellule epiteliali dell’albero bronchiale.
 NON SQUAMOSI:
 Adenocarcinoma (60%): localizzazione più frequentemente PERIFERICA (aree
sublpleuriche).
 Carcinoma a grandi cellule (10%): è un tumore scarsamente differenziato o anaplastico,
caratterizzato da cellule atipiche e bizzarre alla cui diagnosi si arriva spesso per
esclusione. Aggressività biologica importante con spiccata tendenza a metastatizzare
precocemente sia per via linfatica che per via ematica.
 SQUAMOSO (30%): nei 2/3 dei casi a localizzazione CENTRALE (area ilare/perilare a livello
dei bronchi di grosse dimensioni). Origina da cellule squamose pluristratificate (carcinoma
tipico dell’epidermide o della cervice uterina).
La sopravvivenza a 5 anni non è molto elevata, in quanto sono tumori letali dotati di elevata
capacità metastatica linfonodale e a distanza (cervello, ossa, fegato…).

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o SLCL o Microcitoma (20%): origina dalle cellule neuroendocrine disposte lungo l’albero
bronchiale, esprime cromogranina A e sinaptofisina, ed è più frequentemente a localizzazione
CENTRALE.
 Variante classica;
 Carcinoidi.
La prognosi di questo è peggiore, di fatto si definisce una sopravvivenza a 2 anni, e nel più dei casi
il pz muore dopo 6-12 mesi.
Fino agli anni ’50 le due varianti erano caratterizzate dalla medesima incidenza, finché con la
riduzione drastica del fumo si è assistito ad un incremento dell’incidenza del NSCLC e un
decremento del SCLC. Quest’ultimo e l’istotipo squamoso sono quelli maggiormente correlati al
fumo di sigaretta.
In base alla sede d’insorgenza è possibile definire, secondo studi clinico-patologici, di quale tumore
si tratta con maggiore probabilità, sebbene la diagnosi di certezza è sempre istologica: un tumore
periferico più probabilmente sarà un adenocarcinoma, sebbene anche i carcinoidi abbiano tale
sede; se la localizzazione è centrale sarà più probabilmente un carcinoma squamoso che origina
spesso da una metaplasia che determina una displasia dell’epitelio dei grossi bronchi, mentre
meno frequentemente sarà un microcitoma.
CLINICA
L’80% dei pz con tumore polmonare presenta sintomi al momento della diagnosi; solo gli stadi
precoci, associati anche ad una prognosi migliore, sono più frequentemente asintomatici.
 CENTRALE tosse, dispnea per atelettasia nella zona a valle della neoplasia, emoftoe e
febbre;
 PERIFERICA tosse irritativa, dispnea, dolore toracico persistente, profondo o costrittivo da
infiltrazione pleurica.
Altri sintomi possono corrispondere alle algie toraciche, alle spalle o al dorso; disfonia per
infiltrazione del nervo ricorrente o disfagia. Possono essere presenti anche versamenti pleurici e
infezioni ricorrenti delle vie aeree superiori, sebbene difficile da associare ad una neoplasia in forti
fumatori (sono spesso pz che vanno incontro ad episodi di bronchite 3-4 vv/anno). Negli stadi più
avanzati possono comparire dita a bacchetta di tamburo e unghie a vetrino d’orologio.
Molto più frequentemente nei microcitomi sono le sindromi paraneoplastiche come la sindrome
di Cushing o SIADH; inoltre, sindromi e condizioni cliniche specifiche che possono associarsi sono:
 Sindrome di Bernard-Horner: miosi, enoftalmo, ptosi palpebrale e anidrosi dell’emivolto;
dovuta ad infiltrazione del ganglio stellato (tronco del sistema nervoso simpatico cervicale).
 Sindrome di Pancoast: associata a tumore del solco superiore o tumore di Pancoast, si
caratterizza per infiltrazione del plesso brachiale, coste e vertebre adiacenti → si presenta con
dolore nevritico spesso intollerabile, parestesie, deficit funzionali e atrofia dei m. dell’arto
superiore omolaterale. Può associarsi, inoltre, a sindrome di Bernard-Horner e ad un
rigonfiamento dell’arto superiore per ostacolo allo scarico venoso. Può essere compresso
anche il n. laringeo ricorrente, con voce rauca e tosse.
 Sindrome della vena cava superiore.

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DIAGNOSI
 Visita pneumologica;
 Rx torace: diagnostica se il nodulo è almeno di 2 cm, anche se ad oggi non più utilizzata;
 TC con mdc;
 PET (18-FDG) Permette di visualizzare le metastasi a distanza e di definire la STADIAZIONE. È
una delle poche neoplasie che ha indicazione ad utilizzare la PET in maniera routinaria
nonostante sia un esame costoso, in quanto corrisponde ad un elemento vicariante di un
campionamento linfonodale accurato delle diverse stazioni sospette. Permette dunque di
stadiare i linfonodi, soprattutto mediastinici (invece alla TC i linfonodi si valutano in base alla
morfologia e al diametro). Il limite più importante della PET consiste tuttora nella mancanza di
specificità nella differenziazione di lesioni benigne infiammatorie da lesioni maligne. Pertanto,
la biopsia di lesioni critiche ai fini della stadiazione resta tuttora obbligatoria.
 TC ENCEFALO: nonostante la PET sia total-body è necessario eseguire una TC encefalo in
quanto la PET è eseguita mediante il 18-FDG, ed essendo il metabolismo cerebrale
principalmente a base di glucosio non consentirebbe di analizzare alterazione alcuna. Stessa
condizione che si verificherebbe per i reni che ne determinano il catabolismo, e per la vescica,
sede di accumulo del radiofarmaco prima della minzione.
 BRONCOSCOPIA: localizzazione centrale o nelle vie aeree superiori;
 BIOPSIA TRANS-TORACICA TC-GUIDATA: localizzazione periferica. Questo approccio è
gravato da un maggiore rischio di pneumotorace e quindi nei pz con severa
compromissione della funzionalità respiratoria si preferisce non eseguire quest'ultima.
 TORACOSCOPIA VIDEO-ASSISTITA: in presenza di lesioni molto piccole, periferiche o
apicali che non sono facilmente accessibili né per via trans-toracica, né per via
broncoscopica.
È necessaria una biopsia tru-cut (la citologia non è utile) per eseguire le analisi molecolari e
l’immunoistochimica. Le stazioni linfonodali mediastiniche da campionare sono:
1. Zona sovraclaveare (quando vengono interessati N3): cervicali bassi, Sovraclaveari e
dell’incisura giugulare;
2. Zona superiore mediastino (mediastinici superiori): paratracheali superiori e inferiori,
retrotracheali e prevascolari;
3. Stazioni aortiche (nei pressi dell’aorta toracica): subaortici, paraortici;
4. Stazioni del tratto inferiore (mediastinici inferiori): sottocarenali, paraesofagei (sotto carenali)
e del legamento polmonare.
5. Stazioni regionali (N1):ilari, interlobari, lobari, segmentali, subsegmentali.
EBUS e EUS vengono utilizzate quando bisogna stadiare tramite campionamento linfonodale
perché c’è una captazione di difficile interpretazione alla PET e alla TC.
 EBUS o ENDOBRONCHIAL ULTRASOUND: indicata per i linfonodi anteriori, ma non per quelli
posteriori (stazione 3 retrotracheali, 5 sottoaortici, 6 paraaortici, 8 paraesofagei, 9
legamento polmonare inferiore). Attraverso la trachea si valuta il linfonodo sospetto e si
utilizza l’ago per campionarlo sotto guida ecografica.
 EUS o ENDOSCOPIC ULTRASOUND: per i linfonodi posteriori ( in particolare i paraesofagei) e
si effettua entrando non dalla trachea ma dall’esofago.
 MEDIASTINOSCOPIA: solamente nel caso di linfonodi peri/ para-esofageo. Una negatività per
la PET non esclude la presenza di linfonodi anatomicamente positivi che erano PET negativi,
quindi, si potrebbe ricorrere allora alla mediastinoscopia per verificare la presenza di
linfonodi mediastinici metastatici.

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NSCLC
STADIAZIONET
1. Neoplasia di diametro <3 cm;
2. Neoplasia di diametro >3 cm <5 cm;
3. Neoplasia di diametro >5 cm <7 cm;
4. Neoplasia si estende a mediastino, cuore, grandi vasi, esofago, trachea, n.ricorrente,
biforcazione trachea, lesione in altro lobo omolaterale.
STADIAZIONEN
1. invasione linfonodi intrapolmonari omolaterali, ilari e peri-bronchiali;
2. Mediastinici e sottocarenali omolaterali;
3. Ilari controlaterali, mediastinici controlaterali, scaleni o sovraclaveari omolaterali o
controlaterali.
TRATTAMENTO
Il trattamento chirurgico può prevedere: resezione cuneiforme (piccole neoplasie), lobectomia o
pneumonectomia (se è presente sconfinamento trans-scissurale) + linfadenectomia mandatoria.
Per poter procedere con la chirurgia bisogna che siano rispettati i criteri di operabilità anatomia,
biologica e soprattutto funzionale, in quanto deve essere valutato nel post-operatorio la capacità
funzionale polmonare residua. Di conseguenza, la chirurgia deve essere preceduta da scintigrafia
ventilo-perfusoria. Il trattamento viene definito in relazione alla classificazione in quattro stadi.
I. La sopravvivenza va dal 75-90% a 5 anni.
Chirurgia sempre
A. Follow-up oncologico
B. SQUAMOSO: Follow-up oncologico
NON SQUAMOSO:
1. Ricercare mutazioni EGFR (10-15%). Se presente procedere con TRATTAMENTO
ADIUVANTE con Osimertinib (inibitore tirosin-chinasico), una compressa 1 vv/die.
2. Se assente la mutazione procedere con follow-up oncologico.
Mediante la curva di Kaplan-meier che studia la sopravvivenza (libera da recidiva, da
malattia, da progressione; quindi, non necessariamente una sopravvivenza globale), dal
punto 0 fino a 4 anni, quelli che hanno fatto placebo hanno avuto una recidiva nel 60% dei
casi; quelli che hanno fatto Osimertinib invece nel 25% dei casi.
II. La sopravvivenza va dal 55-60% a 5 anni.
Chirurgia sempre
SQUAMOSO: CT ADIUVANTE;
NON SQUAMOSO:
1. Ricercare mutazioni EGFR e se presente trattare con Osimertinib.
2. Se assente procedere con CT ADIUVANTE.
III. La sopravvivenza va dal 10-40% a 5 anni.
A. Chirurgia
SQUAMOSO: CT+/- RT
NON SQUAMOSO:
1. Ricercare mutazioni EGFR e se presenti trattare con Osimertinib.
2. Se assenti procedere con CT+/- RT.
 T3 e T4 con N1 (linfonodi loco-regionali);
 T1 e T2 con N2 (singolo linfonodo mediastinico omolaterale coinvolto);
 N2 (molteplici linfonodi mediastinici omolaterali coinvolti) NON OPERABILE

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B. NON OPERABILE: non può essere resecata in maniera oncologicamente radicale. NON SI
OPERANO I TUMORI DAI QUALI NON È POSSIBILE OTTENERE UNA RESEZIONE
ONCOLOGICAMENTE RADICALE.
NON SQUAMOSI:
1. Ricercare mutazione EGFR/ALK/ROS (pannelli mediante tecnica EGS): se presente una
mutazione terapeuticamente perseguibile è possibile procedere con la terapia a
bersaglio molecolare. Osimertinib nel caso di mutazione EGFR, Alectinib o Crizotinib
nella mutazione ALK, Crizotinib nella mutazione ROS.
La curva di Kaplan-meier dimostra che il 50% dei pz trattati con Osimertinib hanno
avuto una progressione dopo 19 mesi, mentre quelli trattati con erlotinib/gefitinib
dopo 10 mesi.
Anche nella Ca SQUAMOSO:
2. In assenza di alterazioni molecolari si procede con Immunoterapia, si ricerca la
mutazione PD-L1 che deve essere almeno 1%  CT CITORIDUTTIVA (+RT?), per 3 cicli,
se dopo questi non è andato in progressione + Durvalumab.
3. Se PD-L1 è negativo si procede solo con CT+RT concomitante.
Nella curva di Kaplan-meier la CT+RT concomitante + placebo mostra l’exitus del 50% pz a
29 mesi; mentre se si associa all’immunoterapia il 50% muore a 47 mesi.
C. Analogo al precedente
IV. La sopravvivenza va dal 0-10% a 5 anniMalattia metastatica alla diagnosi o Malattia
recidivante.
NON SQUAMOSI:
1. Ricercare mutazioni EGFR/ALK/ROS: se presente una mutazione terapeuticamente
perseguibile è possibile procedere con la terapia a bersaglio molecolare. Osimertinib nel
caso di mutazione EGFR, Alectinib o Crizotinib nella mutazione ALK, Crizotinib nella
mutazione ROS.
Anche nella Ca SQUAMOSO:
2. In assenza di alterazioni molecolari si procede con Immunoterapia, si ricerca la mutazione
PD-L1 che deve essere almeno 50%  Pembrolizumab
3. Se PD-L1<50% CT+ Pembrolizumab
Per quanto riguarda dunque i tumori non operabili, se in seguito a tale trattamento la neoplasia
regredisce, si può valutare un eventuale opzione chirurgica successiva. Di fatto, la CT viene definita
citoriduttiva e non neoadiuvante in quanto in questi ultimi due stadi non è possibile ottenere una
resezione oncologicamente radicale.

Ad oggi si definisce in concetto per cui non è


importante la sede originaria di malattia, quanto la o le
alterazioni genetiche responsabili della determinazione
della malattia. Di fatto, vengono trattate le alterazioni
genetiche delle cellule tumorali che le hanno
trasformate in neoplasia e non i tumori del
polmone/mammella/colon in quanto tali.

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K-RAS: 20-30% carcinoma non squamoso
EGFR: 10-15% carcinoma non squamoso
ALK: 5% carcinoma non squamoso
ROS1: <2% carcinoma non squamoso
TALI MUTAZIONI SONO ESCLUSIVE APPANNAGGIO DEI CARCINOMI NON SQUAMOSI.
o L’alterazione K-RAS non è terapeuticamente perseguibile.
o L’alterazione più frequente terapeuticamente perseguibile è la mutazione di EGFR → provoca
una mutazione del dominio catalico intracitoplasmatico con conseguente attivazione
costituzionale del recettore, ligando-indipendente, di HER1/EGFR. La mutazione trasforma il
protooncogene EGFR nell’oncogene mEGFR che trasduce dei segnali all’interno della cellula
volti ad aumentare la proliferazione, la migrazione e l’angiogenesi.
o L’inversione/fusione ALK (ALK = anaplastic lymphoma kinase, perché il gene che codifica per
questa proteina è stata inizialmente identificato nel linfoma anaplastico, non espresso dalle
cellule epiteliali del polmone) è la seconda alterazione in ordine di frequenza
terapeuticamente perseguibile. Si verifica per un’inversione sullo stesso cromosoma
(Cromosoma 2) tra il gene ALK e il gene EML4, con formazione di un gene di fusione EML4/ALK,
oncogene chimerico caratterizzato dal promotore di EML4 (espresso dal polmone e
costitutivamente attivo) che, a valle, attiva il dominio catalitico tirosin-chinasico di ALK.
La CT citoriduttiva prevede invece la doppietta platinoide mediante l’utilizzo di un composto del
platino (cisplatino o carboplatino) in possibile associazione a vari altri tipi di farmaci: gemcitabina,
etoposide, vinorelbina o pemetrexed.
La RT può essere a fasci esterni o stereotassica (singole lesioni polmonari in pz anziani). Si irradia il
polmone, la parete toracica e anche il mediastino, quando necessario.
SCLC
STADIO LD o MALATTIA LIMITATA (30%)
Malattia che interessa un solo polmone, con eventuale interessamento linfonodale; sopravvivenza
a 2 anni del 30%. È possibile, in assenza di metastasi encefaliche con TC/RM encefalo negativa,
proporre ai pz una RT profilattica encefalica (PCI), in quanto la possibilità di metastasi è tale da
dover prendere in considerazione questo trattamento, se questo pz può avere una sopravvivenza
relativamente lunga. Tale trattamento profilattico si aggiunge alla CT Cisplatino+ etoposide
STADIO ED o MALATTIA ESTESA (70%)
Malattia estesa ad entrambi i polmoni o con metastasi a distanza; sopravvivenza a 2 anni del 10%.
Mai la chirurgia. CT+ Immunoterapia Cisplatino+ etoposide+ Atezolizumab (MAB: monoclonal
antibody i quali sono specifici in quanto si legano allo specifico epitopo).
In una curva di Kaplan-meier l’utilizzo dell’atezolizumab in associazione a cisplatino ed etoposide
mostra un vantaggio di sopravvivenza è di 1-2 mesi, ma nonostante questo, l’atezolizumab è stato
approvato. Ciò in quanto la sopravvivenza è così scadente che anche due mesi vengono considerati
come vantaggiosi, in quanto sono pz con una sopravvivenza che più frequentemente raggiunge 1
anno. In presenza di una risposta eccellente considerare la PCI.

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CARCINOMA DEL COLON
II tumore maligno per incidenza e mortalità in Italia. Nel 2019 si è registrato una prevalenza di
49.000 e una mortalità di 19.971. Raro prima dei 40 anni, più frequente dopo i 60 anni, con un
picco intorno ai 70- 80 anni; colpisce in egual misura entrambi i sessi; ad oggi però sembra sempre
più frequente il riscontro anche in soggetti giovani, sotto i 40 anni d’età. Negli ultimi anni si è
osservato un aumento dell’incidenza, ma associato ad una riduzione della mortalità grazie alla
diagnosi precoce e ai miglioramenti terapeutici: ad oggi l’età non è più un fattore d’esclusione per
l’intervento chirurgico.
Gli ADENOCARCINOMI del colon sono neoplasie originate prevalentemente da cellule epiteliali che
rivestono il colon; mentre quelli del retto sono neoplasie originate prevalentemente da cellule
epiteliali che rivestono il retto. Il colon destro è tale fino al colon trasverso, in quanto la
demarcazione tra colon destro e sinistro si localizza in corrispondenza della flessura colica sn. Il
retto corrisponde a quel segmento localizzato a 10-12 cm dal margine anale, definendo anche la
presenza di una zona grigia compresa tra 12-15 cm. In particolare, il confine tra regione colica e
regione rettale viene definita dalla riflessione del peritoneo (in quanto il retto è extraperitoneale)
che viene visualizzata in misura migliore a livello endoscopico. La distinzione tra queste due forme
è critica nel caso di un pz che deve fare un trattamento adiuvante, mentre diventa irrilevante se il
pz è metastatico o se c’è una recidiva a distanza di tempo.
 Nel 80-90% dei casi sono sporadici: nella sua patogenesi hanno un ruolo decisamente
maggiore l’influenza dei fattori ambientali, quali dieta ricca di grassi e povera di fibre (le fibre
promuovendo un più rapido svuotamento intestinale e legando le sostanze potenzialmente
cancerogene, ridurrebbero la durata del contatto tra queste e la mucosa), obesità, mancata
attività fisica, alcol, fumo e malattie predisponenti (colelitiasi e diabete).
 5-10% è familiare→ fattori ambientali predisponenti, mutazioni di singoli geni (APC, MSH2,
MLH1, PMS1-2) ed eredità poligenica hanno un’uguale importanza patogenetica.
 1-5% HNPCC e FAP → le mutazioni di singoli geni hanno un ruolo maggiore nella carcinogenesi
o Poliposi familiare: malattia AD in cui ≥ 100 polipi adenomatosi tappezzano il colon e il retto
durante l’adolescenza con evoluzione cancerosa verso i 40 aa; causata dalla mutazione del
gene APC (oncosoppressore), la cui proteina agisce nella via di segnalazione di WNT
(fattore di crescita) e sulla regolazione della β-catenina.
Il trattamento consiste in una proctocolectomia profilattica laparoscopica [altri casi in cui si
opta per chirurgia profilattica è il BRCA1 nella mammella, ed il K midollare della tiroide
familiare]. I pazienti possono sviluppare anche diverse manifestazioni extracoliche:
sindrome di Garden se associata a lipomi, osteomi, fibromi, tumori desmoidi del
mesentere e della parete addominale; sindrome di Turcot se associata a tumori cerebrali
(medulloblastomi e glioblastomi).
o HNPCC o sindrome di Lynch: mutazione dei geni di mismatch repair che porta ad un
aumentato rischio di CCR ed endometriale, oltre che di altre neoplasie come mammella,
ovaio, stomaco, pelle, tratto urinario, SNC, piccolo intestino e fegato (Lynch II)
o Sindrome di Peutz-Jeghers: rara sindrome AD associata alla mutazione di STK11
caratterizzata dalla presenza di multipli polipi amartomatosi che possono interessare tutto
il tratto grastrointestinale, ma prevalentemente colon e retto, e iperpigmentazione della
cute e mucosa del cavo orale.
o MICI: la degenerazione neoplastica della RCU avviene nel 7-9% dei casi, soprattutto se la
malattia è precoce, grave, estesa e di lunga durata. Il lasso di tempo prima che insorga un
tumore dall’insorgenza della MICI è di circa 10 anni → va anticipato l’intervallo di
screening. Anche il morbo di Chron può predisporre alla neoplasia quando a localizzazione
colica.
1
Altro fattore di rischio è ovviamente la presenza di polipi tubulari o tubulo-villosi di diametro > 2
cm → i polipi adenomatosi sono lesioni precancerose. Possono essere:
o Tubulari;
o Villosi: solitamente più grossi;
o Tubulo-villosi.
I polipi peduncolati sono associati ad una più facile escissione endoscopica in maniera
oncologicamente radicale, rispetto ai polipi sessili che hanno una base di impianto molto più
grande e non ben visibile (di conseguenza, bisogna assicurarsi che sia stato asportato del tutto).
SCREENING
Lo screening per il carcinoma colon-retto è consigliato a tutti i soggetti di età maggiore di 50 anni:
 Sangue occulto delle feci ogni 2 anni → se il test è positivo deve essere indagato
 Retto-sigmoidoscopia ogni 5 anni;
 Pancolonscopia ogni 10 anni.
Soggetti con familiarità, polipectomia e FAP devono essere monitorati più frequentemente.
CLINICA
o COLON DESTRO: calibro maggiore e feci liquide, di conseguenza la sintomatologia è aspecifica
con conseguente diagnosi tardiva. Le lesioni sono tipicamente vegetanti, spesso di grosse
dimensioni e talora ulcerate e facilmente sanguinanti.
 Anemia: secondaria alla cronica e costante perdita ematica dalla superficie neoplastica, con
rara evidenza macroscopica del sangue nelle feci (< 20%) in quanto esso, mescolandosi con
il contenuto intestinale non risulta obiettivabile (sangue occulto).
 Astenia: riconducibile all’anemizzazione;
 Anoressia e dimagrimento: espressioni di un tumore per troppo tempo sconosciuto;
 Dolore di tipo gravativo subcontinuo: localizzato nei quadranti addominali di destra.
La maggior parte dei pz sono ANZIANI (presentano comorbidità e minore tolleranza
terapeutica); sono neoplasie di tipo mucinoso, con PROGNOSI PEGGIORE per la scarsa risposta
alla chemioterapia, in quanto la quantità di chemioterapico che raggiunge la sede neoplastica
si disperde nella mucina. Inoltre, sono molto più frequenti le mutazioni di BRAF e l’instabilità
microsatellitare. I microsatelliti sono delle sequenze di ripetizione del DNA, la cui instabilità si
associa ad una ridotta capacità di riparare il DNA, con conseguenti alterazioni a livello di RNA e
proteine; di conseguenza questo rappresenta un ottimo bersaglio per l’immunoterapia, in
quanto maggiori sono le alterazioni, maggiore è la probabilità che l’attivazione del SI riconosca
tali cellule con non self con una conseguente aggressività maggiore (sindrome di Lynch).
o COLON SINISTRO e RETTO: calibro ristretto e feci più formate, per cui la sintomatologia e
diagnosi risultano essere più precoci con quadro subocclusivo. I tumori sono spesso di tipo
infiltranti.
 Modificazione dell’alvo caratterizzate da stipsi o diarrea, spesso dall’alternanza dei due
(alvo alterno). Il materiale evacuato è più o meno abbondante ed è misto a muco e sangue;
 Presenza di sangue nelle feci talora anche in quantità abbondanti (rettorragia) ed eventuale
progressiva anemizzazione e calo ponderale;
 Dolore addominale, spesso intermittente di intensità variabile e localizzato ai quadranti sn,
correlabile alle contrazioni vivaci del colon a monte di una stenosi volte a far procedere il
materiale gassoso e fecale. Nausea.
 Tenesmo: spiacevole sensazione, persistente, di incompleto svuotamento rettale, con senso
di peso e di corpo estraneo, talora con dolore gravativo (principalmente presente nei casi di
K retto),

2
Più frequenti nei pz GIOVANI e hanno PROGNOSI MIGLIORE; inoltre, sono più frequenti le
mutazioni di KRAS e NRAS.
Anche in questo caso è fondamentale indagare sulla biologia molecolare del carcinoma:
 K-RAS: mutato nel 45%;
 N-RAS: mutato in < 10%;
 B-RAF: mutato nel 10%;
 EGFR o HER1: <1%  è una proteina importante per la cancerogenesi del colon-retto, ma non
è oggetto di mutazione.
Queste mutazioni sono mutualmente esclusive e si verificano nel 55-60% dei pz.
Diagnosi differenziale con le emorroidi sanguinanti che possono tuttavia coesistere con il
carcinoma → il riscontro di sangue nelle feci o la vera e propria rettorragia non va mai
sottovalutata.
A volte il CCR può esordire con sintomi di una complicanza:
- Ileo meccanico: frequente nelle localizzazioni di sn e principalmente nella flessura splenica;
- Perforazione: a livello della neoplasia per fenomeni necrotici o nell’ansa a monte per
sovradistensione e successiva fissurazione (colon dx e cieco) con peritonite locale o diffusa
DIAGNOSI
 Esplorazione digito-anorettale: tumefazione di consistenza dura, superficie irregolare, limiti
indistinti. (30-40% è localizzato al retto);
 Rettosigmoidoscopia;
 Pancolonscopia: esame gold standard, si associa a biopsia dell’eventuale lesione riscontrata;
 Ecografia e TC addome: per documentare eventuali MTS, spesso epatiche;
 RX e TC toracica: nel colon sn non sono mai presenti metastasi polmonari in assenza di
metastasi epatiche, di conseguenza se un’eco addome è negativa per metastasi epatiche è
sufficiente utilizzare una Rx per la stadiazione del polmone. Nel caso invece della localizzazione
in sede rettale si dovrà procedere con Tc toracica, per la maggiore probabilità di trovare
metastasi polmonari, dato il drenaggio delle vene emorroidarie inferiori direttamente in VCI.

 Ecografia endorettale: determinare l’estensione della malattia, dunque il T (valuta il livello di


infiltrazione della parete essendo un organo cavo). Di fatto, nessun esame studia meglio il
parametro se non l’ecoendoscopia.
 RM: fondamentale per valutare infiltrazione del mesoretto, ma soprattutto l’invasione
linfonodale e il fegato.

 CEA e CA 19.9: marker tumorali utili nel follow-up postoperatorio → il CEA ha un ruolo
importante per valutare la gravità della malattia, nel monitoraggio della risposta alla
chemioterapia o per verificare la ripresa della malattia. Valori di riferimento normali sono 0-
2,5/3 ng/ml (fumatori valori più elevati)
 PET: non si utilizza MAI la PET, se nel caso in cui si sospetti una malattia metastatica per fare
diagnosi di carcinoma al IV stadio.

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TERAPIA
Nel carcinoma del colon non metastatico (I, II e III stadio) si deve SEMPRE procedere
chirurgicamente, purché via sia un’exeresi oncologicamente radicale:
 Resezione colica segmentaria;
 Emicolectomia destra o sinistra  gestione monconi operatori, per cui il tumore deve essere
integro con una sezione di almeno 2 cm dai margini macroscopici prossimali e distali del
tumore;
 Sigmoidectomia;
 Colectomia totale;
 Linfadenectomia > 12 linfonodi  MAI RIMUOVERE MENO DI 12 LINFONODI (ciò in quanto
potrebbe verificarsi che in alcune condizioni del II stadio, T3N0, in cui potrebbe essere evitata
la CT, si deve comunque svolgere per campionamento linfonodale insufficiente).

I. Sopravvivenza a 5 anni del 75%.


A. T1N0 follow-up
B. T2N0follow-up
II. Sopravvivenza a 5 anni del 54%.
a) T3 N0  CT ADIUVANTE solo se presente almeno 1 FR:
- G3 o Malattia scarsamente differenziata;
- Occlusione o subocclusione intestinale;
- Invasione angiolinfatica;
- Campionamento linfonodale insufficiente per un numero di linfonodi <12.
b) T4 N0  CT ADIUVANTE.
III. Sopravvivenza a 5 anni del 49%.
anyT N1 CT ADIUVANTE.
IV. Sopravvivenza a 5 anni del 6% M1
La CT si avvale dell’utilizzo di farmaci come 5-FU, Capecitabina (derivato del 5-FU formulazione per
os), oxaliplatino o Irinotecan.
Nel tumore del colon NON SI UTILIZZA LA RT.

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Nel caso del retto si procedere chirurgicamente solo quando la malattia è al primo stadio (T1-T2
N0, anche se più tendenzialmente si opta per la chirurgia solo nel caso del T1). Soltanto nel caso di
lesione in sede sfinteriale che sia T1N0 non si procede con trattamento chirurgico, perché anche
se è possibile ottenere una resezione radicale, il pz sarebbe costretto a vivere con la stomia 
CT+RT con una chirurgia eventualmente non demolitiva successiva
 Total mesorectal excision con preservazione della funzionalità sfinteriale;
 Linfadenectomia > 12 linfonodi.

I. Chirurgia
II. CT a basse dosi+ RT a fasci esterni concomitante NEOADIUVANTE
III. CT a basse dosi+ RT a fasci esterni concomitante NEOADIUVANTE
IV. M1

Nella malattia metastatica viene eseguita la CT (5-FU o Capecitabina) + 1 farmaco biologico


o CETUXIMAB: inibisce la formazione di omo ed etero-dimeri contro il EGFR, e trasmette un
segnale che favorisce la proliferazione delle cellule del carcinoma del colon retto, la loro
migrazione e la angiogenesi. Questo AB viene utilizzato in associazione alla CT, purché non via
una mutazione di RAS o BRAF. Questo in quanto tali mutazioni sono a valle rispetto a quella
dell’EGFR, di conseguenza l’eventuale blocco recettoriale non comporta un blocco della
proliferazione neoplastica, in quanto RAS o BRAF rimarrebbero comunque nella condizione di
attivazione: è inutile bloccare l’alterazione a monte in quanto a valle continua ad essere
presente l’attivazione.
o PANITUMUMAB: EGFR;
o BEVACIZUMAB: diretto contro il VEGF-A. NEL COLON DX SI UTILIZZA SOLO IL BEVACIZUMAB, in
quanto nel K colon dx metastatico anche in assenza delle alterazioni molecolari (predittive di
risposta), la terapia con Cetuximab non dà beneficio, anzi secondo alcuni studi peggiora
l’andamento della malattia. Ciò a ragion del fatto che le vie di trasduzione del segnale che le
cellule tumorali del colon dx utilizzano per proliferare sono molto meno dipendenti dall’EGFR
(origine embrionale differente e vie di trasduzione differente).
Nel caso di malattia metastatica al fegato, per una risposta rapida, è meglio utilizzare il cetuximab;
mentre nel caso di una malattia molto estesa è meglio utilizzare il bevacizumab.
Nella malattia metastatica si procede chirurgicamente sono in caso di occlusione intestinale, che
costituisce un’emergenza chirurgica; per cui si procede con il posizionamento di una stomia e con
la successiva terapia sistemica. Di fatto, il migliore trattamento, che migliori la sopravvivenza e la
qualità di vita, di una malattia metastatica è la terapia sistemica, dunque, l’utilizzo del trattamento
chirurgico di routine non farebbe altro che ritardare l’utilizzo della terapia più adatta, in quanto si
dovrebbe attendere almeno 5 settimane dall’intervento chirurgico sino all’inizio della terapia
sistemica.

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NEOPLASIE MAMMARIE
Il carcinoma mammario è la neoplasia più frequentemente diagnosticata nelle donne, in cui si
stima che un tumore maligno ogni tre (30%) è un tumore mammario circa una donna su 10 nel
corso della propria vita sviluppa un tumore della mammella. Colpisce con più frequenza le donne
nel periodo peri-menopausale con due grandi picchi di incidenza tra i 45-50 anni e tra i 60-65anni,
anche se possono essere colpite tutte le fasce d’età. Nonostante l’incidenza elevata, la mortalità
ad oggi è bassa con un tasso di sopravvivenza a 5 anni dell’85% in Italia.
Neoplasie originate prevalentemente nelle CELLULE EPITELIALI della ghiandola mammaria. La
ghiandola mammaria è costituita da 15-20 lobi di parenchima ghiandolare tubulo-acinoso e da
stroma fibroso e adiposo. Dal punto di vista microscopico l’unità duttulo-lobulare è l’UNITÀ
ANATOMICO-FUNZIONALE DELLA MAMMELLA, nonché l’origine di più del 95% della patologia
mammaria. L’unità duttulo-lobulare è formata dagli acini, dalle strutture duttali che da questi si
originano e che confluiscono tra loro fino ad arrivare ai dotti galattofori che sboccano sull’epitelio
del capezzolo; e dallo stroma connettivale intralobulare deposto dai fibroblasti. Sotto l’epitelio
luminale, l’intero sistema duttale è circondato da una MEMBRANA MIOEPITELIALE (cellule
mioepiteliali) che hanno proprietà contrattili e serve per convogliare la secrezione del latte verso il
capezzolo. Esternamente agli strati epiteliali e mioepiteliali, i dotti sono circondati da una
MEMBRANA BASALE CONTINUA, estremamente importante perché una sua infiltrazione
differenzia il carcinoma in situ da quello invasivo.
FATTORI DI RISCHIO
- Sesso  primo fattore di rischio;
- Età  questa correlazione potrebbe essere correlata al continuo e progressivo stimolo
proliferativo endocrino che subisce degli anni, unito al progressivo danneggiamento del DNA e
all’accumularsi di alterazioni epigenetiche, con alterazione dell’equilibrio di espressione tra
oncogeni e oncosoppressori. Per lo stesso principio, sono FR menarca precoce, menopausa
tardiva, nulliparità, prima gravidanza dopo i 30 aa, mancato allettamento al seno; nonché
anche la terapia ormonale sostitutiva.
- Familiarità→ soprattutto k. Mammario in parenti di 1° grado;
- Pregressa neoplasia maligna di mammella, ovaio o endometrio (o pregressa RT);
- Fattori genetici → mutazione di BRCA1 (57% di rischio di sviluppare il carcinoma mammario e il
40% per il carcinoma ovarico) e BRCA2 (49% e 18%). Le forme ereditarie sono caratterizzate da
insorgenza in età giovanile e frequente BILATERALITÀ e MULTIFOCALITÀ.
- Fattori dietetici e metabolici l’elevato consumo di alcol e di grassi animali o l’obesità sono
probabilmente legati all’eccesso di tessuto adiposo che in post-menopausa rappresenta la
principale fonte di estrogeni circolanti.
FIBROADENOMA
Tumore benigno della mammella più frequente: il 35% delle donne in Italia ha almeno un
fibroadenoma, ed il picco è a 20-30 anni. Insorge più frequentemente nel quadrante supero-
esterno e nel 15% può essere BILATERALE e MULTIPLO; È un tumore misto, presentando infatti
una duplice componente: una epiteliale (COMPONENTE GHIANDOLARE) e una stromale
(MEMBRANA FIBROELASTICA ESTERNA). La componente ghiandolare è ormono-responsiva, per
cui può essere presente un’evoluzione dal punto di vista dimensionale da parte della componente
ghiandolare; ma, soprattutto il motivo per il quale si espande è dato anche dalla presenza di tale
membrana fibroelastica esterna la quale va incontro a dilatazione man mano che la componente
ghiandolare stessa continua a crescere. Per tali motivi la crescita è più frequente nelle donne con
ciclo irregolare, per i più alti e irregolari picchi ormonali, mentre è raro riscontrare un
fibroadenoma di nuova insorgenza in una donna in menopausa.

1
Se le dimensioni diventano > 4 cm si tratta di FIBROADENOMA GIGANTE.
All’ecografia si presenta come un’area ovalare di aspetto ipoecogeno (il riscontro di una lesione a
margini pensare ad un fibroadenoma nel 95% dei casi); e la diagnosi viene eventualmente
confermata mediante una biopsia o un agoaspirato.
 Il rischio di TRASFORMAZIONE MALIGNA è irrilevante, quasi pari a 0;
 Il rischio di RECIDIVA dopo asportazione è del 50%.
 La terapia chirurgica (enucleoresezione) è indicata nel caso in cui abbia una dimensione > 3-4
cm oppure quando sia stata documentata ecograficamente una rapida crescita del nodulo nel
tempo → in generale, bisogna sempre essere cauti con l’asportazione chirurgica perché in
seguito a tale procedura rimane una regione cicatriziale, che causa una distorsione in quella
zona, tale per cui studiare una cicatrizzazione risulta essere comunque difficoltosa. Tuttavia, la
necessità di una terapia chirurgica correlata al parametro dimensionale non è associata al
probabile rischio di evoluzione maligna (il quale rischio è molto basso), ma è da ritrovarsi nel
contesto in cui una massa benigna di importanti dimensioni può celare la possibilità di valutare
un eventuale nodulo maligno a crescita posteriore rispetto al fibroadenoma (dunque non
valutabile mediante l’imaging e non campionabile mediante la biopsia). Dunque, la situazione
è diversa rispetto all’eventuale presenza di un fibroadenoma di 3-4 cm in un seno piccolo (che
dunque occupa quasi tutto il parenchima) o in un seno voluminoso.
IPERPLASIA DUTTALE ATIPICA
Cellule epiteliali proliferanti, sopra la membrana basale in sede intraduttale, con la presenza di
atipie cellulari di vario grado. Sono delle lesioni pre-maligne, con un rischio di trasformazione
maligna rilevante, per cui è opportuna la rimozione chirurgica. Si opta per il follow-up invece in
casi di età avanza, performance basso o richiesta dalla pz.

o Carcinoma duttale: le cellule tendono a stare organizzate tra di loro, formando delle strutture
simil-ghiandolari (a nidi, a trabecole). È il più frequente.
o Carcinoma duttale: caratterizzate da una mutazione della E-caderina, per cui le cellule
perdono coesione e tendono a distaccarsi tra loro; quando infiltrano, lo fanno singolarmente e
si dispongono spesso a filiera.
CARCINOMA IN SITU
Un carcinoma in situ si sviluppa all’interno dei dotti mammari e non supera la membrana basale
dei dotti; di conseguenza non dà metastasi (se si riscontra positività di un linfonodo sentinella in
presenza di una diagnosi di carcinoma in situ è quasi sicuramente presente un’infiltrazione che
non è stata riconosciuta e individuata alla biopsia).
o DIN o Ductal intraepithelial neoplasia: proliferazione delle cellule intraduttali in presenza di
integrità della membrana basale. Questo ha un indice di trasformazione nettamente superiore
rispetto al LIN.
o LIN o Lobular intraepithelial neoplasia: secondo l’ultima edizione del WHO 2019, con questo
termine si fa riferimento all’intero spettro delle lesioni epiteliali atipiche originate dall’unità
lobulare del dotto terminale e caratterizzate da una proliferazione monomorfa di cellule non
coese. Ha una maggiore tendenza alla MULTIFOCALITÀ e alla BILATERALITÀ . Dunque, non è più
considerata come una neoplasia in situ, bensì come un’alterazione benigna o come un
marcatore di rischio rispetto ad una possibile evoluzione maligna (85%).
I carcinomi in situ vanno gradati in base alle atipie nucleari, alla presenza di necrosi tumorale:
 G1 o basso grado → generalmente correla con l’espressione di recettori estrogenici;
 G2 o grado intermedio;
 G3 o di alto grado → possono presentare necrosi comedonica e sono più frequentemente
HER2+

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Queste neoplasie spesso non hanno un corrispettivo macroscopico possono però essere
individuati, in una buona percentuale dei casi, con l’effettuazione di una mammografia che mette
in evidenza la presenza di microcalcificazioni. Questo è valido soprattutto per i carcinomi duttali in
situ, che presentano nell’80-85% dei casi microcalcificazioni. Di fatto, tale proliferazione determina
un’infiltrazione del dotto e di conseguenza un’obliterazione del lume; quindi, le piccole quantità di
secreto mammario prodotte fisiologicamente incontrano un ostacolo, ristagnano e attirano calcio
dentro il dotto, il quale precipita (sono microcalcificazioni serpiginose, le cui dimensioni sono
correlate alle dimensioni del dotto stesso). Differente la situazione del carcinoma lobulare in situ
che presenta microcalcificazioni solo nel 15-20% e viene più frequentemente diagnosticato come
reperto accidentale; ciò in quanto, non infiltra i dotti e non ne ostruisce il lume.
Le macrocalcificazioni sono invece poco significative perché potrebbero anche essere indicative di
un linfoma.

Se le calcificazioni sono sospette si effettua l’agobiopsia → solitamente effettuata eco-guidata, nel


caso di lesioni non identificabili agli ultrasuoni (focolai di microcalcificazioni, piccole distorsioni
architetturali, asimmetrie del parenchima) il prelievo bioptico viene eseguito sotto guida
mammografica.
 DIN  si procede con escissione chirurgica, seguita da RT (non necessariamente eseguita nel
caso di un G1) + terapia ormonale (nel caso di positività all’espressione dei recettori
estrogenici). NON si esegue la biopsia del linfonodo sentinella, in quanto per definizione è una
neoplasia che non dà metastasi a distanza.
In questo caso, si procede con l’utilizzo del tamoxifene sia nella donna pre/post-menopausa in
quanto gli inibitori dell’aromatasi non sono mai stati accettati per il carcinoma in situ.
 LIN si procede con follow-up (esame clinico ogni 6-12 mesi, e mammografia o RM annuale)
escissione chirurgica o mastectomia bilaterale (se ad alto rischio o desiderio della pz). Atteso
che il carcinoma lobulare è spesso multifocale e bilaterale (almeno nel 20% dei casi),
l’escissione chirurgica di un singolo focolaio non è risolutiva, perché con elevata probabilità ne
saranno presenti molti altri. NON si associa a terapia ormonale.
CARCINOMA INFILTRANTE
I carcinomi infiltranti vengono così definiti al superamento della membrana basale.
o Carcinoma duttale infiltrante: lesione unica di dimensioni variabili, di consistenza aumentata
rispetto al parenchima mammario circostante, a superficie irregolare, con tendenza alla
retrazione dei tessuti circostanti. Per definizione, le cellule neoplastiche invadono la
membrana basale, per cui lo stroma reagisce cercando di arginare questa invasione, tale per
cui i fibroblasti proliferano producendo collagene, determinando una reazione desmoplastica;
tuttavia, le cellule neoplastiche riescono ad invadere anche questo stroma neotrasformato.
Dunque, il carcinoma duttale è facilmente riconoscibile alla mammografia come una massa
iperdensa con aspetto “finger-like”.

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o Carcinoma lobulare infiltrante spesso è multifocale e/o multicentrico e si presenta
frequentemente in forma bilaterale, con lesioni che possono essere sincrone o metacrone, con
un conseguente alto rischio di recidive in mammella non operata.
Dato che istologicamente è rappresentato da cellule atipiche che si dispongono in “fila
indiana” all’interno del parenchima ghiandolare sano, la reazione desmoplastica è meno
rappresentata. Può essere dunque di più difficile individuazione e può presentarsi con una
semplice distorsione dell’architettura ghiandolare, senza formare massa.
MALATTIA DI PAGET
Carcinoma duttale che interessa i dotti maggiori, in genere un dotto galattoforo, e che si diffonde
da questa sede alla cute del capezzolo. Dal punto di vista clinico il primo segno è tipicamente una
lesione cutanea del capezzolo, che è per lo più un’erosione o eventualmente un’ulcerazione.
Talora, nei casi più gravi si può anche verificare un distacco spontaneo del capezzolo. L’esame
citologico del secreto che proviene da tale lesone o l’esame istologico di un’area eczematosa
consente la diagnosi.
CLINICA
 Asintomatica;
 Noduli dolenti o indolenti (più preoccupanti), fissi o mobili rispetto al piano sottostante;
 Retrazione cutanea del capezzolo, cute a buccia d’arancia  mastite carcinomatosa;
 Eritema eczematoso del capezzolo con secrezione sierosa o ematica malattia di Paget;
 Dolori ossei, fratture patologiche, dispnea, tosse  malattia metastatica.
Le 12 possibili manifestazioni di un
carcinoma alla mammella:
1. Indurimento
2. Indentazione
3. Erosione cutanea
4. Arrossamento
5. Secrezione dal capezzolo
6. Fossette mammarie
7. Lesione che protrude
8. Vene evidenti in prossimità
9. Retrazione del capezzolo
10. Comparsa di asimmetria
11. Cute a buccia d’arancia
12. Nodulo invisibile
SCREENING
Data l’elevata frequenza del tumore sono attivi dei programmi di screening che permettono una
diagnosi precoce con conseguente maggiore sopravvivenza delle pazienti. In Italia i programmi di
screening prevedono l’esecuzione di una mammografia ogni 2 anni nelle donne tra i 45 e i 69 anni
(in alcune regioni fino ai 74 anni). Tra i 40 e i 44 è controverso eseguirla, mentre sopra i 70 anni
non ci sono dati in proposito. L’autopalpazione è consigliata (soprattutto sotto la doccia) ma non è
una metodica di screening, come non lo sono l’ecografia (operatore-dipendente) o la RM.
Nelle donne ad alto rischio per importante storia familiare di carcinoma mammario o perché
portatrici di mutazione dei geni BRCA1 e/o BRCA2 i controlli strumentali (eco con cadenza
semestrale e RM con mdc o mammografia, dopo i 30 aa, con cadenza annuale) vengono iniziati
intorno ai 20-25 anni o 5 anni prima dell’età di insorgenza del tumore nel familiare più giovane.
Inoltre, ogni 6 mesi vengono eseguite valutazione ginecologica con Pap-test ed ecografia (il Pap-
test è sufficiente 1 vv l’anno). Nel caso di mutazione di tali gene si procede spesso con
mastectomia bilaterale profilattica.

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DIAGNOSI
 Esame clinico senologico: ispezione e palpazione della ghiandola e del cavo ascellare;
 Mammografia: esame di I livello. Maggiore attendibilità nelle donne in età avanzata, per
involuzione ghiandolare e prevalente componente adiposa, permettendo di valutare la
neoplasia come una lesione iperintensa.
In seguito all’esecuzione di una mammografia, il sistema che consente di classificare il sospetto
di queste malattie è la valutazione BI-RADS:
- Categoria 0 – Necessità di valutazione ulteriori immagini. Nella maggior parte i risultati
dimostrano benignità dopo il completamento con ulteriori immagini.
- Categoria 1 – Negativa;
- Categoria 2 – Benigna;
- Categoria 3 – Probabilmente benigna, a breve intervallo di follow-up suggerito;
- Categoria 4 – Sospetto, anomalia, la biopsia va considerata;
- Categoria 5 – Altamente suggestivo di malignità, azioni appropriate necessarie.
Ogni livello ha una gestione appropriata o un piano di follow-up (ad esempio una categoria 3
ha la raccomandazione di eseguire un follow-up a 6 mesi).
 Ecografia: molto più sensibile per lo studio della mammella di giovani donne, per la prevalenza
della componente ghiandolare (zona ipoecogena a margini irregolari, spesso raggiati e in un
contesto di disorganizzazione strutturale del parenchima).
 RM: da utilizzare in caso di mammelle difficili da studiare con mammografia o ecografia →
indicata per la stadiazione locoregionale della patologia neoplastica, per il follow-up delle
lesioni in corso di chemioterapia adiuvante, in donne ad alto rischio genetico e CUP syndrome
(definita come un tumore confermato istologicamente e clinicamente per cui alla diagnosi è
possibile identificare solo le metastasi, ma non il tumore primario).
 Biopsia stereotassica (mammotome o VABB-vacuum assisted breast biopsy): effettuato
sempre con ago tranciante (l’ago sottile è solo citologico e non ci dà informazioni adeguate) si
prelevano 3-4 cilindri in maniera eco-guidata. Si utilizzano inoltre le clip per la CT primaria.
 Marker tumorali: CEA, CA 15.3
STADIAZIONE
 NEOPLASIE LUMINALI Rx torace, eco addome e SOTB (Scintigrafia ossea);
- Valutazione cavo ascellare: se vi sono evidenze radiologiche di coinvolgimento delle
strutture linfonodali  TC torace-addome;
 NEOPLASIE HER-2 ENRICHED o TRIPLO NEGATIVE Sempre TC torace-addome;
- HER-2 AMPLIFICATE  TC encefalo;

o T1  >2 cm;
o T2 <2 cm e >5 cm;
o T3 5 cm;
o T4 estensione diretta alla parete toracica o alla cute (ulcerazione o noduli cutanei).
Le strutture linfonodali coinvolte sono i linfonodi della catena mammaria interna (sono difficili da
apprezzare mediante la palpazione del cavo ascellare), quelli claveari (sovraclaveari e
infraclaveari), i quali se palpabili sono indici di neoplasia avanzata, e i linfonodi ascellari sono
suddivisi in livelli:
I. Laterali al margine piccolo pettorale;
II. Sotto il muscolo piccolo pettorale;
III. Medialmente al margine mediale piccolo pettorale.

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Dunque, i vari stadi:
I. Sopravvivenza a 5 aa del 100%;
II. Sopravvivenza a 5 aa dal 80-92%;
III. Sopravvivenza a 5 aa del 50-70%;
IV. Sopravvivenza a 5 aa del 20%.
Il rischio di recidiva è correlato a due parametri:
 VARIANTE INTRINSECA O MOLECOLARE:
- HER2 o Basal like il rischio di recidiva è altissimo dopo 3 anni mentre si riduce
drasticamente dopo 5; di conseguenza, in assenza di recidiva nei primi 5 anni si associa ad
una guarigione probabile della malattia.
 STADIAZIONE:
- T1N0 14% a 20 aa;
- T1N2 40% a 20 aa.
In generale, se in relazione ai fattori prognostici possiamo considerare un Ca colon-retto guarito
per esempio a 8 anni, questo non si può mai dire per un Ca mammario.
PROFILO DI ESPRESSIONE GENICA
Il profilo di espressione genica viene valutato mediante i Microarray, indagini di 1000-2000 euro
che nessuno esegue. Di conseguenza, vengono utilizzati dei marcatori surrogati che non
corrispondono al profilo di espressione genica, ma una possibile associazione ad una VARIANTE
INTRINSECO-MOLECOLARE della neoplasia mammaria stessa. Nel 25% dei casi, quindi 1/4 dei casi,
è presente la possibilità che le varianti instrinseco-molecolari determinino una classificazione
errata. Di conseguenza, si stanno attuando delle valutazioni microarray standard da poter eseguire
non a tutte le donne che ricevono una diagnosi di carcinoma mammario, ma in specifiche
condizioni. Come, ad esempio, nel caso in cui una neoplasia sia negativa rispetto alla presenza di
recettori ormonali, ma in realtà esprime i recettori per gli androgeni che non vengono ricercati
mediante i marcatori surrogati.
o LUMINALI: derivano dalla trasformazione neoplastica delle cellule ghiandolari che delimitano il
dotto o il lobulo, di conseguenza è una cellula ghiandolare che delimita un lume. Queste sono
tutte (o quasi) ormono-responsive.
 A: positività ai recettori estrogenici o progestinici o entrambi (predittivi di risposta
ormonale). Hanno la prognosi migliore.
 B/HER-2 Negativi: positività ai recettori estrogenici o progestinici o entrambi; Ki-
67>20% (indice di proliferazione). Questo è il profilo a cui si associa un BRCA2 mutato.
 B/HER-2 Positivi: positività ai recettori estrogenici o progestinici o entrambi; HER-2
positivo (parametro di predittività rispetto alla risposta al trastumab); Ki-67
indifferente. Se Ki-67 >20%  Triplo positivi (6-10%)
o HER2-ENRICHED: viene così definito in quanto è sufficiente UN’IPERATTIVAZIONE DELLA VIA DI
TRASDUZIONE DEL SEGNALE di HER2, e non deve necessariamente essere AMPLIFICATO o
IPERESPRESSO. Ki-67 >20%.
Le neoplasie che esprimono HER2 rappresentano il 20%.
o TRIPLO NEGATIVI o BASAL-LIKE: vengono così definiti in quanto derivano dalle cellule
mioepiteliali localizzati in corrispondenza della membrana basale. Hanno prognosi peggiore.
Questo è il profilo a cui si associa un BRCA1 mutato.
 LAR o LUMINAL ANDROGEN RECEPTOR POSITIVE: il 10% dei triplo negativi
corrispondono a delle neoplasie apocrine responsive agli ormoni androgeni. In questo
caso risulta essere necessaria la valutazione del profilo molecolare.
Deve inoltre essere valutata l’invasione angio-linfatica.

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TERAPIA ORMONALE
LA TERAPIA ORMONALE VIENE ESEGUITA DOPO CHIR STADIO I-II e DOPO CHIR+CT.
SERMS
I modulatori selettivi dei recettori per gli estrogeni vengono così definiti in quanto tali farmaci
possono avere un ruolo diametralmente opposto sullo stesso recettore estrogenico, in relazione
alle relative localizzazioni differenti (agonisti: osso, fegato, sistema cardiovascolare o antagonisti:
gh mammaria e cervello e agonisti/antagonisti nell’utero).
o Tamoxifene: compete con gli estrogeni per il sito di legame sui recettori specifici, per i quali
presenta un’elevata affinità. Dunque, stimola la formazione di un complesso ER-tamoxifene
con blocco dell’attività trascrizionale AF-2. Invece, l’attività agonista sembra essere correlata
all’interazione con il dominio AF-1. Dunque, è un antagonista dei recettori estrogenici
mammari, mentre su quelli endometriali determina un’azione agonista, con conseguente
evoluzione verso l’iperplasia della linea endometriale e successivamente verso la neoplasia
dell’endometrio. Avendo inoltre un ruolo da agonista nel sistema cardiovascolare, un ulteriore
effetto collaterale di questi farmaci è la TVP (controindicazione assoluta). Altri effetti
collaterali: vampate di calore, nausea, vomito, irregolarità mestruali.
Per tali motivi, le donne che ricevono un SERM per un trattamento ormonale per il Ca della
mammella devono fare una visita ginecologica una volta l’anno (ecografia endovaginale o
transvaginale, il quale è l’esame più accurato per studiare la linea endometriale, e quando tale
linea endometriale raggiunge o supera i 7 mm c’è indicazione a fare un’isteroscopia).
o Toremifene: paragonabile al tamoxifene in termini di efficacia e tossicità.
o Raloxifene: meno cancerogene e privo di effetti sull’utero, viene utilizzato nel trattamento e
nella prevenzione dell’osteoporosi post-menopausale.
QUESTI FARMACI VENGONO SOMMINISTRATI IN PREMENOPAUSA. IL TAMOXIFENE PUÒ ESSERE
ASSOCIATO AD UN ANALOGO DEL LH-RH (GOSERELINA, LEUPROLIDE), SOPRATTUTTO NEI
LUMINALI B, IN QUANTO LA FONTE PRINCIPALI DI ESTROGENI IN PREMENOPAUSA SONO LE OVAIE.
INIBITORI DELL’AROMATASI
Gli inibitori dell’aromatasi bloccano la conversione degli androgeni in estrogeni non solo a livello
delle cellule della granulosa, ma soprattutto nel grasso sottocutaneo e nella corticale del surrene
(sebbene vi siano innumerevoli altre sedi). In particolare, nelle donne in post-menopausa gli
estrogeni sono soprattutto sintetizzati da tali enzimi che sono soprattutto nel tessuto adiposo
sottocutaneo, potendo definire una correlazione con l’indice di massa corporea.
I. Aminoglutetimide: a struttura steroidea, legano l’enzima sul sito di legame
dell’androstenedione, bloccandolo in maniera irreversibile;
II. Formestano, fadrozolo: a struttura non steroidea, legano l’eme dell’enzima in maniera
reversibile (sopprimono contemporaneamente anche l’aldosterone);
III. Exemestano, Anastrozolo, Letrozolo: composti triazolici, molto più selettivi e specifici.
I principali effetti collaterali sono l’osteoporosi (tale per cui vengono spesso associati ai
bifosfonati) e l’ipercolesterolemia (monitoraggio con MOC ed emocromo ogni 18 mesi): Altri
effetti collaterali sono la cefalea e dolori muscoloscheletrici. QUESTI FARMACI VENGONO
SOMMINISTRATI IN POST-MENOPAUSA. Tuttavia, in casi di controindicazione assoluta alla
somministrazione dei SERMS vengono somministrati anche nel CASO DELLA DONNA IN
PREMENOPAUSA, condizione in cui tuttavia, associandosi ad una riduzione dei livelli ormonali
circolanti, determinano un effetto feedback e di conseguenza un ulteriore stimolazione ovarica a
produrre ancora più estrogeni, con un finale effetto paradosso. Di conseguenza, gli inibitori
dell’aromatasi in questo contesto devono essere associati ad un agonista LH-RH (goserelina,
leuprolide), bloccando anche l’asse, in maniera tale da ottenere una situazione sovrapponibile a
quella del post-menopausa.

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CHEMIOTERPIA
Ha indicazione adiuvante, neoadiuvante (come nella ma. carcinomatosa) o malattia metastatica.
I. Antracicline e Taxani  UNICO CASO IN CUI VIENE ASSOCIATA L’ANTRACICLINA AL
TRASTUZUMAB È LA MASTITE CARCINOMATOSA
II. Ciclofosfamide, Fluoropirimidine e Platinoidi.
Il Lapatinib viene utilizzato come terapia di III linea.
TRATTAMENTO CHIRUGICO
o Tumorectomia sovrapponibile, o forse leggermente superiore alla mastectomia, tenendo in
considerazione che deve essere seguita dalla RT (Whole Breast irradiation). Una tumorectomia
non seguita dalla RT ha un rischio di recidiva incrementato, quasi doppio rispetto alla
mastectomia. Quindi qualsiasi tipologia di tumore, in quanto non dipende dalla biologia del
tumore ma dipende dal tipo di intervento chirurgico, deve essere seguita dalla RT.
o Mastectomia +/- RT  la mastectomia di Halsted (anni 80) prevedeva un’asportazione sia del
grande che del piccolo pettorale, secondo il concetto che associava ad una chirurgia
demolitiva una maggiore probabilità di guarigione. Oggi invece è noto che tutto dipende dalla
biologia tumorale, per cui un intervento demolitivo reca solo una tossicità importante e un
aspetto estetico che non si dovrebbe mai proporre se non in casi esclusivamente necessari.
Dunque, l’intervento di Hasteld è stato sostituito da quello di Madden, che prevede la
conservazione dei muscoli pettorali. MANDATORIA SE T3/T4 O M+.
o Ricostruzione  IORT
o Linfonodo sentinella  quasi sempre mandatorio. Il linfonodo sentinella non è mai 1 ma sono
sempre 3, in quanto si tratta sia del linfonodo sentinella che dei linfonodi parasentinella.
La RT, inoltre, viene considerata mandatoria nei casi di N2 (4-9 linfonodi positivi) e N3 (>10);
bisogna irradiare anche il cavo ascellare, la parete toracica e la fossa sovraclaveare omolaterale,
con eventuale boost su cicatrice chirurgica.

o LUMINALE A non necessita di CT in quanto non ha un indice di replicazione elevato, ma di


ormonoterapia per 5 aa;
I. Se metastatico o recidivante somministrare in I linea i CICLIBs+ ormonoterapia.
o LOCALMENTE AVANZATI: CT PRIMARIA.
 LUMINALE B:
 LUMINALE B HER- polichemioterapia + tamoxifene + analogo LH-RH (in base al
rischio di ripresa della malattia della singola pz, quindi in relazione ai fattori
prognostici) o inibitore dell’aromatasi.
 LUMINALE B HER2+ polichemioterapia+ tamoxifene + inibitore dell’aromatasi;
 HER2 ENRICHED polichemioterapia + trastuzumab.
Il trastuzumab ha cambiato la sopravvivenza delle donne con carcinoma HER2 amplificato;
oggi ha la prognosi migliore, secondo solo al luminale A, grazie al marcatore molecolare e
alla terapia a bersaglio molecolare.
- Il pertuzumab, in associazione al trastuzumab e al docetaxel permette di amplificare la
sopravvivenza (curva di Kaplan-Meier). QUESTA È LA TERAPIA DI PRIMA LINEA PER UN
CARCINOMA METASTATICO HER2 APLIFICATO per 3-6 mesi; SUCCESSIVAMENTE SI
TOGLIE IL TAXANO E SI PROSEGUE CON I DUE MONOCLONALI, FIN QUANDO LA
MALATTIA NON VA IN PROGRESSIONE.
- Il farmaco di II scelta è il trastuzumab emtansina. Si ritiene che il tumore, pur non
essendo dipendente dal segnale indotto da HER2, continua ad esprimere il recettore.
- Il farmaco di III scelta è il Lapatinib.
 BASAL LIKE polichemioterapia.

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Inoltre, il trastuzumab è cardiotossico (4%) come nel caso delle antracicline; i primi hanno una
Cardiotossicità reversibile a differenza dei secondi. Di conseguenza è necessario un ECO che attesti
una FE di almeno il 50% per poterli somministrare.

Per quanto riguarda la CT del K ovarico prevede invece la combinazione di platino+ taxano
(taxolo) a cui può essere aggiunto un anticorpo anti-VEGF (nel K ovarico vi può essere
un’iperespressione del VEGF).
Possono essere somministrati inoltre gli inibitori dei PARP qualora presente una mutazione BRCA,
nella malattia metastatica, in associazione alla CT.

CARCINOMA CERVICE UTERINA


Il carcinoma della cervice uterina è HPV-correlato.
o I ceppi a basso rischio, 6-11, sono correlate ad una lesione pre-maligna corrispondente ai
condilomi (estremamente fastidiosi e del tutto anestetici).
o I ceppi ad alto rischio come il 16-18, che determina delle lesioni precancerose altamente
displasiche, seguite eventualmente dalla determinazione di una displasia di alto grado, per
avere successivamente una lesione maligna.
In particolare, l’HPV integra parte del suo genoma in maniera tale che le proteine E6 ed E7
leghino rispettivamente p53 (causandone la degradazione) e RB, impedendone la trascrizione
nucleo-citoplasma, sede in cui sono necessarie per garantire l’integrità del genoma.
Dal decennio scorso vi è inoltre la vaccinazione (prevenzione primaria) per la fascia di età che va
dai 9 ai 12 aa, e quando è stata consigliata, solo il 60% in Sicilia hanno aderito alla vaccinazione.

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TERAPIA ORMONALE DEL K PROSTATA
Il farmaco di prima linea corrisponde o ad un analogo del LH-RH o la Bicalutamide, antirecettore
dell’androgeno. In passato si utilizzavano entrambe nel determinare il blocco androgenico totale
(BAT); ad oggi è noto che questa tipologia di trattamento non aggiunge nessun beneficio, ma solo
tossicità additiva rispetto alla monoterapia ormonale.
1. BAT analogo del LH-RH+ Bicalutamide solo per 28 gg; L’analogo, da solo, agirebbe in
maniera tale che, dopo una prima stimolazione, per meccanismi di feedback inibitorio,
determina una riduzione della secrezione delle gonadotropine ipofisarie; tuttavia, proprio per
tale stimolazione iniziale, i livelli di androgeni circolanti saranno incrementati, di conseguenza
vi è la necessità della somministrazione dell’antiandrogeno recettoriale che agisce a livello
periferico, per evitare dunque il fenomeno del flare-up.
2. Analogo LH-RH nel momento in cui si innesca il feedback negativo.
L’effetto collaterale principale della Bicalutamide è la ginecomastia che è francamente dolorosa e
anestetica, tale per cui viene adottato tale schema terapeutico invece che somministrare solo la
bicalutamide stessa; di fatto l’analogo non ha questo effetto collaterale, per cui una volta
instauratosi il feedback negativo può essere somministrato in monoterapia.
Altri antiandrogeni sono l’enzalutamide, che ha una maggiore affinità per il recettore
dell’androgeno, e abiraterone acetato che è un inibitore del CYP17A, di conseguenza è un inibitore
della sintesi degli androgeni.
Altri effetti collaterali degli antiandrogeni sono astenia, riduzione della libido, riduzione importante
della massa muscolare, cefalea, diarrea, ipertensione, edemi declivi e vampate di calore.
Nella malattia metastatica si aggiunge la CT, spesso eseguita con docetaxel.

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