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NEUROCHIRURGIA

POLO A
A.A. 2019-2020

Prof. Barbagallo
SINDROME DA IPERTENSIONE ENDOCRANICA
Sindrome causata dall’aumento di pressione all’interno della scatola cranica, che si verifica in presenza di un
processo occupante spazio (tumore, emorragia, ascesso …) non solo per la massa stessa ma per le
modificazioni che essa produce sulla circolazione liquorale ed ematica. È presente nella maggioranza dei
pazienti con lesioni espansive, soprattutto nelle fasi finali della patologia in questione. Una lesione
espansiva può provocare l’insorgenza di idrocefalo (secondaria all’alterata circolazione del liquor
cerebrospinale) o indurre reazioni sul settore vascolare o interstiziale che conducono alla comparsa di
edema cerebrale (in conseguenza ad esempio ad un trauma cranico). La sindrome da ipertensione
endocranica esprime una sofferenza diffusa di tutto l’encefalo.
L’encefalo presenta l’unicità di essere racchiuso in una scatola rigida e chiusa, qual è il cranio. Quest’ultimo
è un concetto molto importante che sottolinea la differenza tra l’encefalo e gli altri visceri: ad esempio, in
seguito ad un processo di mal digestione, che definisce una sensazione di gonfiore, la parete addominale si
distende e si dilata definendo una compensazione dei volumi e della pressione a livello intestinale, dunque
della cavità addominale. È chiaro che questo processo non può verificarsi a carico dell’encefalo contenuto
all’interno della scatola cranica, la quale è inestensibile. Per cui se vi è la presenza di una lesione espansiva
che determina un aumento di volume, in assenza della capacità di distensione delle ossa della scatola
cranica, l’unica componente che potrà andare incontro ad un incremento è la pressione a livello encefalico:
dunque, l’unico esito finale possibile è la sindrome da ipertensione endocranica.
La massa intracranica pesa circa 1300-1500 g, ed è costituita da:
o LCR (10%): 150 ml→ questa corrisponde alla quantità di liquor contenuta all’interno della scatola
cranica, a livello dei ventricoli cerebrali o delle cisterne subaracnoidee, e non quella che un soggetto
adulto riesce a produrre nelle 24h, la quale quantità invece oscilla tra 450-500 ml. Dunque se all’interno
della scatola cranica sono presenti solo 150 ml, la restante parte circola all’interno del canale
perimidollare, quindi nello spazio subaracnoideo del canale vertebrale.
o Volume tissutale (80%): massa encefalica pari a 1300 ± 500 ml; H2O intracellulare (5%),
H2O intercellulare (55%); solidi (20%).
o Sangue (10%): 150 ml.
La Pressione Intracranica (PIC) può essere definita come lo stato di equilibrio tra la somma dei valori
pressori dipendenti dalle tre componenti presenti all’interno della scatola cranica: parenchima cerebrale,
sangue e liquor. In condizioni fisiologiche vi è un equilibrio dinamico tra questi tre compartimenti, in
relazione alle normali variazioni del flusso ematico cerebrale e del liquido cefalorachidiano. Di fatto,
sebbene il cervello non possa aumentare come massa, il sangue ed il liquor possono aumentare o anche
ridursi a livello quantitativo, concetto sul quale si basano i meccanismi di compenso che entrano in gioco
per mantenere entro limiti fisiologici la PIC:
 Il sangue può essere sequestrato dai seni venosi cerebrali al comparto toracico;
 Il LCR può essere viene spostato dai ventricoli cerebrali e dagli spazi subaracnoidei cerebrali allo
spazio subaracnoideo spinale.
Tale fisiologico adattamento, alle variazioni repentine dei valori di pressione intracranica, si realizza quando
vengono compiuti normali atti comuni quali il tossire, l’evacuazione, un rapporto sessuale, la manovra di
Valsalva o di ponzamento; motivo per cui non si va incontro a coma durante il verificarsi di questi processi
fisiologici. Di fatto, se durante un colpo di tosse vi è un aumento di pressione venosa, all’interno dei seni
venosi della dura madre o delle vene dell’encefalo, in automatico ci sarà una quota di liquor che si sposterà
nello spazio subaracnoideo perimidollare; per cui ad un aumento ematico all’interno della scatola cranica,
si ridurrà la componente liquorale determinando alla fine un mantenimento del volume totale.
La PIC (Pressione Intracranica) rappresenta la pressione all’interno del cranio, a livello del parenchima
cerebrale, degli spazi liquorali e degli involucri meningei: le sue variazioni si ripercuotono in maniera uguale
a livello dei diversi compartimenti. I valori di PIC normale corrispondono a 5-20 mmHg; per cui una PIC
viene definita patologica se raggiunge i valori di 20-25 mmHg.
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La compliance del sistema, di fronte ad ogni aumento di pressione intracranica, è correlata all’intervallo di
tempo in cui l’aumento pressorio si verifica. Un aumento pressorio che si verifichi progressivamente nel
tempo consente infatti l’instaurarsi di quei meccanismi compensatori che comportano modificazioni del
volume ematico cerebrale regionale e del liquor cefalorachidiano, consentendo in tale lasso di tempo
prolungato un adattamento del sistema. Tali meccanismi compensatori, il cui instaurarsi richiede giorni
o settimane, non sono invece in grado di compensare bruschi e repentini aumenti pressori, o per meglio
dire, dinanzi ad un brusco e repentino aumento della PIC il sistema avrà una compliance molto limitata,
poiché se fosse del tutto assente in seguito a questi traumi bruschi l’esito verso il coma sarebbe inevitabile.
Dunque se un soggetto va incontro ad un’emorragia intracranica post-traumatica repentinamente come nel
caso di un incidente stradale, o a edema cerebrale post-traumatico il sistema encefalo-liquor-sangue avrà
una compliance minore a questo brusco aumento del volume, dato proprio dalla presenza dell’ematoma
che si sta formando o dell’edema cerebrale (quest’ultima condizione molto spesso porta i soggetti
direttamente in coma ed in rianimazione, senza esser stati sottoposti ad un intervento neurochirurgico).
Invece se è presente un tumore cerebrale, il quale si instaura nel corso di mesi o anni, determina un
graduale, progressivo e, costante nel tempo, aumento di volume all’interno della scatola cranica che
consente al sistema di avere una compliance maggiore; e dunque dato che l’aumento di volume avviene in
maniera graduale in un intervallo di tempo maggiore il sistema potrà adattarsi a questo processo.
Tuttavia, nel momento in cui l’aumento di volume all’interno della scatola cranica sarà tale per cui
l’aumento della pressione che ne consegue non sarà più gestibile o tamponabile dai sistemi di compensi
fisiologici, si esaurirà la compliance del sistema, per cui verrà determinato lo sviluppo della Sindrome da
ipertensione endocranica.
La legge di Monro-Kellie afferma che il volume
all’interno della scatola cranica (encefalo, sangue e
liquor) deve rimanere costante. Qualsiasi aumento di
uno di essi deve essere compensato dalla diminuzione
del volume di uno degli altri componenti.
Dal grafico si può evincere come per incrementi progressivi del volume all’interno della scatola cranica, la
pressione inizialmente si mantiene sempre costante per la presenza di un’ottima compliance, ovvero della
capacità di attuare quei meccanismi di compenso che permettono di mantenere la pressione costante
spostando il volume in altri distretti. Quando tuttavia i meccanismi di compenso non saranno più sufficienti,
per brevi incrementi di volume corrisponderanno enormi incrementi di PIC. Viene dunque definita la zona
della curva in cui la compliance sarà ridotta, per cui il sistema non sarà in grado di compensare neanche
ulteriori piccoli incrementi volumetrici senza andare incontro ad enormi incrementi di pressione. Questa
corrisponde dunque alla fase in cui è presente un aumento della PIC. Il cut-off è di 5 ml, sebbene sia legato
ad una variabilità individuale, di fatto in un anziano (maggiore atrofia e dunque compliance) il cut-off può
raggiungere anche i 7 ml. Ciò che può determinare un aumento della pressione è dovuto ad un amento di:
- Liquor: idrocefalo (ostruttivo, connatale, post-emorragico), ESA (unica forma di emorragia che può
determinare un idrocefalo).
- Volume Ematico: vasodilatazione cerebrale (da traumi cranici, da ipossia), ostacolo al deflusso venoso
(trombosi dei seni venosi della dura madre, come ad esempio nel seno sagittale superiore o del seno
trasverso, che si può verificare nel caso delle donne che assumono contracettivi orali; oppure nel caso
della trombofilia in età pediatrica).
- Volume Parenchimale: processi occupanti spazio (tumori, emorragie, cisti, edema cerebrale) che
determinando un swelling o rigonfiamento parenchimale in seguito a tali insulti traumatici.
Il cervello ha un color crema. L’aracnoide è una delle meningi che passa a ponte tra una circonvoluzione (solco cerebrale) e l’altra,
ed assomiglia al velo della cipolla; all’interno dei solchi sono presenti i vasi sanguigni arteriosi e venosi che galleggiano in una quota
di liquor. Dunque in seguito ad un grave ESAt, il sangue circolando insieme al liquor, si fa strada a livello di tutti i solchi cerebrali e la
convessità cerebrale apparirà di colore rosso e sarà inoltre associato ad uno swelling cerebrale.
Il circolo di Willis mantiene l’omeostasi cerebrale per ovviare alle variazioni pressioni. Il 70/80% dei 150 ml è sangue venoso (seni
venosi durali, sagittale superiore, trasverso, spinoide, scarico verso le giugulari).
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 Traumi cranici;
 Emorragie subaracnoidee;
 Emorragie intracerebrali;
 Tumori;
 Trombosi dei seni venosi intracranici.
Queste sono cause che non determinano né aumentata produzione di liquor, né un ridotto riassorbimento,
ma cause di alterata circolazione del liquor che porteranno all’instaurarsi di un quadro di idrocefalo.
 Idrocefalo: secondario a tumore, emorragia intracerebrale, patologia malformativa dell’acquedotto di
Silvio o ad un trauma cranico, ma anche dovute o ad una aumentata produzione di liquor o ad un
mancato riassorbimento.
 Meningoencefaliti;
 Ascessi cerebrali.
Queste ultime due cause sono dovute alle infezioni; ad oggi data la preponderanza di cittadini
extracomunitari è incrementata l’incidenza degli ascessi cerebrali dovuti anche a microrganismi che per
molti anni sembravano essere scomparsi.
Ad ogni modo, tutte queste condizioni patologiche determinano un aumento di volume all’interno della
scatola cranica non solo per la lesione in sé, ma anche perché inducono la comparsa di edema cerebrale.
SEGNI SUBIETTIVI ED OBIETTIVI
Segni Subiettivi
o Cefalea: spesso sintomo iniziale, intermittente o continua, generalmente resistente agli analgesici, a
sede frontale o occipito-nucale ma in molti casi diffusa a tutto il capo.
Se un soggetto adulto non ha mai sofferto di cefalea e ad un certo punto della sua vita inizia ad avere
una cefalea importante, e si presenta quotidianamente o quasi quotidianamente, che non passa con i
normali analgesici ma diminuisce solo in parte, ancora peggio se insorge durante le ore notturne e
sveglia il paziente non è dovuto alla sinusite, all’indigestione o allo stress, ma è secondario ad una
sindrome da ipertensione endocranica.
o Vomito cerebrale: meno costante della cefalea, presente soprattutto nelle fasi avanzate e compare
generalmente come vomito a getto, al mattino e a digiuno, non si accompagna a nausea (fatta
eccezione per alcuni rari casi laddove è presente un quid di nausea, ma intesa come malessere
generale) e ad altri disturbi vegetativi, a differenza del vomito di origine gastrointestinale. In PE in fcp,
segno di irritazione bulbare: dunque quando la PIC aumenta in modo cospicuo tale da determinare
un’irritazione bulbare determina emesi, espletandosi dunque come segno di peggioramento clinico.
Questi più che pazienti neurologici sono pazienti neurochirurgici che hanno processi occupanti spazio e
hanno tale sindrome, dal momento in cui sono distesi a letto scatta qualcosa di repentino, per cui
alzano le spalle dal letto quasi a sedersi si girano di lato e vomitano.
o Diplopia: corrisponde alla visione doppio la quale è incostante, transitoria o persistente (soprattutto
nelle forme avanzate). È da attribuire a deficit del n. abducente (VI), il quale fuoriesce dal solco bulbo-
pontino, passando attraverso il seno cavernoso, duplicazione della dura madre localizzato vicino il
bordo libero del tentorio. Dunque è un nervo caratterizzato da un lungo decorso prima di poter
giungere in corrispondenza dell'orbita, e dunque del muscolo retto laterale dell'occhio che innerva. In
particolare però, essendo oltretutto un nervo molto piccolo (qualche mm), quando aumenta la PIC può
essere irritato essendo vulnerabile lungo il bordo del tentorio.
o Vertigini: poco frequenti e aspecifiche, sono segno della stasi dei labirinti, non sempre presenti.
Questi sintomi a volte possono non presentarsi in maniera consequenziale: un soggetto può presentare
cefalea borderline ed emesi; oppure in seguito ad un ematoma extradurale molto spesso non vi è cefalea
ma presentare comunque vomito.

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Segni Obiettivi
o Alterazioni del fondo oculare: l’esame del fondo oculare, mediante oftalmoscopio è molto importante,
in quanto la papilla del nervo ottico è una diretta estroflessione del parenchima cerebrale. Tale
alterazione determinerà edema e stasi papillare, secondarie a ostacolo venoso nella circolazione
retinica e/o a blocco della circolazione liquorale nelle guaine dei nervi ottici. L’edema papillare compare
generalmente 2-3 settimane dopo l’instaurarsi dell’ipertensione endocranica, dunque non in acuto. Se
non viene riconosciuta la problematica, e dunque non trattata, l’edema può evolvere in atrofia ottica
(papilla appiattita, decolorata, pallida); evolvendo dunque verso un quadro di cecità.
o Turbe psichiche: di comparsa tardiva e non caratteristiche (in quanto possono essere attribuite,
soprattutto nei pazienti con tumori cerebrali, alla massa tumorale in un lobo cerebrale come in quello
frontale), consistono in lentezza dell’ideazione, turbe della memoria e dell’attenzione;
disorientamento temporo-spaziale.
o Alterazioni radiologiche: decalcificazioni della corticale del pavimento e del dorsum della sella turcica.
Raro in quanto si richiede più spesso una TAC, se non addirittura una RMN, rispetto ad una radiografia.
o Nei bambini la mineralizzazione della diploe ossea è ridotta fino al 2° anno di vita, e la presenza delle
fontanelle garantisce l’accrescimento cerebrale in età evolutiva (una loro saldatura precoce,
craniosinostosi, potrebbe danneggiare il cervello in una fase di estrema plasticità). Dunque le suture
ancora aperte, potrebbero intercorrere in una condizione di diastasi delle suture con assottigliamento
delle pareti della volta. Di fatto, inizialmente l’ipertensione si instaura più difficilmente data la maggiore
compensazione che determina un allargamento del cranio e del volume intracranico.
Triade di Cushing
- Ipertensione arteriosa: non migliora con i farmaci in modo significativo (Lasix, catapresan), in quanto
non corrisponde alla normale variazione di pressione arteriosa ma ad una variazione correlata ad una
sofferenza encefalica. Dunque potrebbe essere responsivo solamente ad un diuretico osmotico.
- Bradicardia: inizialmente il paziente è tachicardico, tuttavia successivamente si scompensa diventando
bradicardico; il che sottolinea l’anomalia e la gravità del quadro clinico, dato che nel più dei casi la
bradicardia si accompagna ad ipotensione.
- Alterazioni del respiro.
La triade di cushing è espressione di un grave aumento della PIC che caratterizza una sindrome da
ipertensione endocranica conclamata, e di una grave sofferenza dell’encefalo che definiscono una
condizione di pre-mortalità; di fatto l’evoluzione è verso il coma, in quanto questi pazienti sono fortemente
soporosi, quasi non responsivi agli stimoli. Per comprendere qual è la causa di mortalità associata a tale
sindrome, è necessario capire quali siano le complicanze e le conseguenze che tale sindrome comporta.
L’aumento anche cospicuo della pressione endocranica non determina di per sé la comparsa di una
sintomatologia specifica, che è invece correlata in maniera diretta ai fenomeni secondari di dislocazione ed
ernia cerebrale, conseguenza dunque dell’aumento della pressione endocranica.
COMPLICANZE
ERNIE CEREBRALI
L’ernia cerebrale consiste nella dislocazione di alcune componenti parenchimali encefaliche dal loro
compartimento anatomico proprio ad uno adiacente, attraverso il bordo libero di un’incisura durale
(tentorio, falce cerebrale) o attraverso il forame magno. Le strutture coinvolte più frequentemente sono
dunque quelle collocate in prossimità della linea mediana, e corrispondono all’uncus (porzione più mesiale
del lobo temporale), alla circumvoluzione del cingolo (definita subfalcinea, sulla superficie mesiale
dell’emisfero cerebrale, più vicina alla falce cerebrale, erniando al di sotto di quest’ultima) o alle tonsille
cerebellari (le quali erniando all’interno del forame magno possono rimanervi intrappolate, e comprimere
in senso postero-anteriore il tronco cerebrale e quindi portare a morte per arresto cardiorespiratorio).
Dunque l’ernia cerebrale è l’espressione patologica di un meccanismo di compensazione volumetrica,
conseguente ad un aumento della pressione intracranica al di sopra di una determinata soglia.

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Le ernie cerebrali sono secondarie all’instaurarsi, in seguito al progressivo aumento della pressione
intracranica, di gradienti pressori tra i vari compartimenti intracranici (da una zona a pressione maggiore ad
una a pressione minore), in particolare tra il compartimento sopra e sotto-tentoriale e tra il compartimento
sotto-tentoriale e quello spinale. Al di sopra del tentorio vi sono i due emisferi separati dalla falce cerebrale,
mentre del al di sotto cervelletto e tronco encefalico. Tra il compartimento sopra e sotto-tentoriale
potrebbe erniare una parte di tronco cerebrale attraverso il bordo libero del tentorio verso l’alto o verso il
basso; oppure la parte più mesiale del lobo temporale o occipitale può scivolare in basso attraverso il bordo
libero del tentorio in fossa cranica posteriore. Tra il compartimento sotto-tentoriale e quello spinale, le
tonsille cerebellari possono scivolare giù all’interno del canale vertebrale cervicale, incastrandosi nel
forame magno.
Le ernie possono indurre un danno ischemico secondario, conseguente a fenomeni di compressione o
occlusione vascolare (arteriosa e venosa), con conseguente edema citotossico ed ulteriore
danno cellulare e parenchimale.

Queste regioni corrispondono a forme


diverse di ernie cerebrali, tra le quali le più
frequenti sono l’ernia uncale transtentoriale,
quella tonsillare foraminale, l’ernia frontale
subfalciale corrisponde al giro del cingolo
che ernia al di sotto della falce e va a
comprimere il parenchima controlaterale.

Sindrome uncale
Una delle ernie più frequenti e più gravi è l’ernia dell’uncus dell’ippocampo, spesso secondaria ad un
ematoma extradurale. Nel caso di un trauma cranico grave in sede temporo-parietale (la regione che più
frequentemente può essere urtata in seguito ad una caduta) si sviluppa una raccolta di sangue extradurale
in forma acuta, la quale andrà a determinare un aumento di pressione per cui l’uncus, a causa di
quest’aumento di pressione laterale potrebbe essere spinto verso la linea mediana, laddove la pressione
non è elevata in maniera analoga.
Le conseguenze dell’ernia uncale transtentoriale unilaterale, corrispondono all’anisocoria, emiparesi degli
arti controlaterali e decerebrazione anche in seguito a stimolo algico. L’uncus, di fatto, comprime per prima
l’arteria cerebrale posteriore determinandone l’occlusione, successivamente il nervo oculomotore, ed
infine i 3/5 mediali del piede del mesencefalo laddove decorre il fascio piramidale o cortico-spinale.
Soprattutto l’arteria cerebrale posteriore, ma anche la comunicante, determineranno l’ischemia temporo-
occipitale, per cui giungerà meno sangue nei territori cerebrali normalmente irrorati, ed edema citotossico;
il nervo oculomotore, il quale detiene fibre simpatiche e parasimpatiche, andrà a determinare midriasi
omolaterale e miosi controlaterale; invece la compressione del piede mesencefalico determina un deficit
motorio controlaterale (in quanto la decussazione si verifica a livello del bulbo).
In definitiva, essendo tale sindrome caratterizzata da un quadro evolutivo, verrà definita da:
o Fase iniziale: Anisocoria con midriasi pupillare ipsilaterale alla massa, sensorio e attività respiratoria
normali o solo lievemente depressi.
o Fase progressiva: Ottundimento del sensorio fino a stato di coma, marcata anisocoria, postura
decerebrata controlaterale (per cui viene meno l’attività corticale e diencefalica) e tachipnea.
Evoluzione verso un coinvolgimento ponto-bulbare se non trattata prontamente (mediante un
diuretico osmotico come il mannitolo), in quanto non riconosciuta, e dunque sarà inevitabile
l’evoluzione verso il coma. La postura decerebrata concerne in un’iperestensione dell’arto superiore
con un’intrarotazione, quasi sempre con il pugno chiuso; mentre agli arti inferiori è presente
un’iperestensione associata ad un’iperflessione plantare.

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MONITORAGGIO E MISURAZIONE
La misurazione viene effettuata con dei cateteri, muniti di sensore elettromagnetico capace di rilevare la
PIC. Queste sono procedure di emergenza per cui, nei casi di condizioni gravi in cui il malato non è
trasportabile in sala operatoria, può essere effettuata anche dai rianimatori a letto del malato, sia in corsia
che in terapia intensiva. Ciò viene svolto mediante un piccolo taglietto del cuoio capelluto, e un piccolo foro
di trapano (anche mediante dei piccoli trapani monouso), per cui è possibile impiantare una sorta di
bullone all’interno della scatola cranica, all’interno del quale passerà un cavo elettrico (sonda) che contiene
un filo, inserito all’interno del parenchima cerebrale. Il cavo, sulla sua punta, ha un trasduttore il quale
rileva la pressione presente all’interno della scatola cranica. Il sensore può essere impiantabile, a seconda
delle esigenze in sede intraparenchimale, subdurale o intraventricolare. In quest’ultimo caso sarà presente
un sensore localizzato all’interno di un catetere ventricolare, che detiene tutta una serie di fori, il quale
viene posizionato all’interno dei ventricoli cerebrali. Quest’ultimo caso risulta essere più diffuso, in quanto,
può svolgere una doppia funzione: non solo permette di misurare la PIC, ma può anche consentire al
chirurgo di drenare il liquor all’esterno della scatola cranica. Di fatto se il fine è ridurre la PIC è necessario
ridurre uno dei tre parametri variabili: o la massa (ciò è molto complicato in acuto), o il sangue
(chiaramente ciò non è possibile), o il liquor, che è esattamente l’unico parametro che può essere drenato
all’esterno della scatola cranica. È presente inoltre una connessione del catetere, tramite un’apposita
interfaccia, ad un monitor che consente la registrazione continua della PIC e dei valori di picco. Il catetere
viene introdotto seguendo dei reperi anatomici, mentre successivamente viene controllato mediante un
TAC encefalo, talvolta viene eseguita direttamente una TAC di controllo intraoperatoria.
PROTOCOLLO DI TRATTAMENTO MEDICO-CHIRURGICO
- Controllo della pervietà delle vie aeree (l’ipoventilazione e l’ipossia aumentano l’edema c. e la PIC);
- Somministrazione di diuretici osmotici (mannitolo, furosemide);
- In paziente ospedalizzato per le gravi condizioni neurologiche:
 Intubazione e ventilazione assistita: al fine di migliorare la ventilazione del paziente e quindi
ridurre la pCO₂, e dunque impedirne un aumento con conseguente vasodilatazione cerebrale;
 Neuroprotezione barbiturica: il coma farmacologico ha la funzione di ridurre l'attività cerebrale,
per ridurre il consumo di ossigeno e ridurne la condizione di sofferenza.
 Iperventilazione: determinando vasocostrizione cerebrale, è possibile in questo modo regolare
l'afflusso ematico encefalico, potendo dunque agire nei confronti del parametro sangue.
Successivamente sarà necessario agire su quelle condizioni specifiche, dunque sarà svolto un trattamento
chirurgico della patologia intracranica che determina la sindrome clinica da ipertensione endocranica.
o Trauma cranico: evacuazione ematomi o focolai contusivi encefalici mediante craniotomia
decompressiva.
o Tumori: asportazione del tumore se è asportabile.
o Idrocefalo: derivazione liquorale esterna o ventricolo-peritoneale. La derivazione liquorale esterna è un
drenaggio, in cui viene fatto un foro a livello del cranio laddove è possibile introdurre il catetere
intraventricolare per cui il liquor viene raccolto all'esterno. Il sistema di raccolta è un sistema chiuso,
poiché altrimenti incrementa il rischio di infezione e dunque di meningoencefalite. Dato che non può
essere dimesso il paziente, finché non si ripristina la circolazione liquorale normale, è necessaria la
derivazione liquorale ventricolo-peritoneale. Questa concerne nell’inserimento di un tubicino dentro un
ventricolo cerebrale, che scivolando giù sotto la pelle, passa dietro l'orecchio, nel collo, nel torace ed
infine all'addome. Viene poi effettuata un’altra incisione, a livello peritoneale, per poter posizionare
l’altra estremità al suo interno. Tale tubicino presenterà una valvola che, in relazione alla pressione
liquorale, regola la pressione di apertura e di chiusura dell'intero meccanismo, controllando così la
quantità di liquor che dovrà passare dal cervello al peritoneo.
o Emorragie intracerebrali: evacuazione dell’ematoma o dei focolai contusivi encefalici;
o Ascessi cerebrali: asportazione dell’ascesso.

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L’unica TAC presente è quella al centro in alto, la quale può essere riconosciuta in quanto la struttura ossea
della scatola cranica, dunque la periferia dell’immagine, si presenta iperdensa (bianca). Mentre nelle altre
quattro immagini la periferia si presenta di colore grigio chiaro in quanto corrisponde alla cute ed al
sottocute (tessuti molli), mentre la struttura ossea corrisponde alla regione nera, definita ipointensa.
- TAC: densità;
- RMN: intensità.
Il punto di riferimento è rappresentato dall’intensità del parenchima cerebrale, dunque una struttura che
presenta un segnale più elevato rispetto a quello del cervello si definisce iperintenso (iperdenso), se invece
sarà inferiore verrà definito come ipointenso (ipodenso). È possibile inoltre ottenere sezioni assiali, sagittali
(laterali) o sezioni coronali.
Le prime due immagini rappresentano un tumore cerebrale e le strutture peritumorali, dunque l’edema
cerebrale. Nell’immagine più a sinistra la lesione nodulare, rotondeggiante rappresenta il tumore
circondato dall’area iperintensa, ovvero all’edema cerebrale, che rappresenta un rigonfiamento cerebrale
in reazione alla presenza del tumore. Alla TAC la regione isodensa corrisponde alla massa tumorale, mentre
quella ipodensa (nerastra) corrisponde all’edema cerebrale. Le regioni fortemente ipodense corrispondono
ai ventricoli cerebrali (cella media) e soprattutto al liquor contenuto all’interno; in questa immagine si
possono visualizzare le ridotte dimensioni del ventricolo laterale di sinistra, data la compressione di
quest’ultimo da parte del tumore e dell’edema cerebrale, definendo dunque un processo di spostamento di
liquor dal ventricolo nei ventricoli adiacenti, per poter dunque compensare il volume intracranico.
A destra è presente una lesione iperintensa posizionata al centro del cervello, la quale corrisponde ad una
cisti colloide, tumore disembriogenetico che ha origine dalla tela corioidea, ovvero dal tetto del terzo
ventricolo, al quale risulta connesso attraverso un peduncolo. Tale cisti si sposta, come un pendolo, a
sinistra e a destra occludendo in modo intermittente una volta il forame di Monro si sinistra e una volta
quello di destra, dunque occludendo il passaggio a partire dai ventricoli laterali laddove viene definita una
condizione di accumulo liquorale. Ciò si verifica fino a quando l’accumulo di liquor non raggiunge
dimensioni e quantità tali da determinare la comparsa di un idrocefalo acuto.
In basso sono presenti due grandi lesioni cistiche tumorali localizzati nella fossa cranica posteriore, che
determina la compressione del quarto ventricolo definendo una ostruzione o chiusura del quarto
ventricolo. In questo caso il liquor non potrà passare nel quarto ventricolo, accumulandosi dunque presso il
terzo ed i due ventricoli laterali, rischiando dunque di portare ad una sindrome da ipertensione
endocranica. Quest’ultima è comunque dovuta ad un duplice effetto, ovvero dalla presenza del tumore che
ha aumentato le dimensioni del cervelletto, ma anche dall’accumulo di liquor, ovvero all’idrocefalo
secondario all’ostruzione di passaggio di liquor attraverso il sistema ventricolare.

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TRAUMATOLOGIA CRANICA
Il trauma cranico (Traumatic Brain Injury - TBI) è un insulto cranio-encefalico determinato da una forza
meccanica esterna con possibili conseguenze molto complesse e quadri clinici variabili.
EPIDEMIOLOGIA
È la prima causa di morte tra i 15 e i 35 anni in Italia.
- L’Incidenza corrisponde a 200-350/100.000 abitanti ogni anno;
- 20-25/100.000 abitanti ogni anno vanno in coma dopo TBI;
- Circa 30.000 casi all’anno in tutta Italia: 12.000 morti e 18.000 con esiti invalidanti;
- Ogni anno 38.200 nuove diagnosi di tumore al polmone in Italia, dunque i TBI possono essere
paragonate ad altre patologie che dal punto di vista epidemiologico vengono considerate
estremamente importanti.
Una delle cause principali di TBI sono gli incidenti automobilistici (67% dei traumi cranici), soprattutto nella
fascia tra i 15-19 anni. Dopo l’introduzione della legge 472/99 sull’uso del casco, netto decremento dei
ricoveri per TBI in Neurochirurgia.
Solo il 5-15% dei traumi cranici richiede un trattamento chirurgico.
- Nella fascia di età compresa tra 0 e 14 anni, 1 soggetto su 10 riporta ogni anno un trauma cranico che
richiede osservazione ospedaliera.
- Il 55-60% dei soggetti con trauma cranico grave presenta co-interessamento traumatico di almeno un
altro organo (rottura della milza, del fegato, pneumotorace, emotorace, versamento pericardico)
definendo un quadro politraumatico.
- Il 5% dei soggetti con trauma cranico grave presenta concomitanti traumi vertebro-midollari: nei casi
dei traumi cranici è necessario richiedere, dunque, oltre ad una TAC-encefalo, anche una TAC
quantomeno del rachide cervicale e delle giunzioni vertebrali [cranio-cervicale (C0-C1), cervico-toracica,
toraco-lombare e lombo-sacrale]. Di fatto non è infrequente una frattura o una lussazione vertebrale.
CLASSIFICAZIONE
o Traumi diretti: quando un corpo contundente urta il capo o quando il capo in movimento urta un
ostacolo fisso. Il trauma cranico può essere determinato da innumerevoli eventi: un oggetto potrebbe
colpire la scatola cranica in una precisa area della stessa (al vertice, nella regione frontale, occipitale),
determinando la frattura della teca cranica e la formazione di una raccolta ematica tra la stessa teca
cranica e la superficie cerebrale. Si potrebbe verificare un urto di impatto contro un oggetto fisso
(muro, parabrezza); oppure ancora una lesione inerziale da accelerazione/decelerazione, come per
esempio nel caso di un tamponamento stradale, laddove sebbene il soggetto venga tenuto fermo dalla
cintura di sicurezza il capo può essere soggetto ad un movimento di accelerazione e decelerazione, a
causa del brusco movimento in flessione prima ed in estensione dopo del rachide cervicale. Dunque
con il brusco movimento in flessione la massa encefalica si sposterà in avanti, mentre con la lesione da
contraccolpo, ovvero con la brusca decelerazione, la massa encefalica tenderà a portarsi indietro verso
la parte occipitale della scatola cranica. Ciò determina una lesione in quanto la scatola cranica, e ancora
di più la base, non è perfettamente liscia, ma saranno presenti una serie di creste ossee (piccola e
grande ala dello sfenoide, tetto dell’orbita, la lamina cribrosa dell’etmoide …), e nel momento in cui la
massa encefalica va prima in avanti e poi indietro potrà essere causata una lesione della superficie
fronto-basale o fronto-orbitaria. Posteriormente, invece, in corrispondenza della fossa cranica
posteriore, analoghe lesioni della porzione basale dell’encefalo, in corrispondenza dei lobi temporali e
occipitali, possono essere determinate dalla presenza delle rocche petrose e dunque dalla piramide
dell’osso temporale, oppure le creste occipitali interne. Tali forze inerziali, inoltre, possono determinare
la lesione di numerose strutture vascolari (capillari, piccoli vasi sanguigni), oppure a carico della mielina
che riveste gli assoni. Inoltre vi sono le onde d’urto le quali si sviluppano all’interno della scatola
cranica, attraversano il tessuto cerebrale, potendo a loro volta determinare dei danni encefalici.

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o Traumi indiretti: quando le forze traumatiche vengono trasmesse al cranio attraverso altre strutture.
Ad esempio, la caduta sui talloni o sui glutei induce una forza traumatica trasmessa al cranio
attraverso la colonna vertebrale.
o Traumi aperti: quando la dura madre è lacerata e vi è comunicazione tra spazio endocranico ed
esterno, attraverso lesioni delle parti molli (cute e sottocute) e fratture della volta e/o della base
cranica (traumi da forze perforanti e da corpi contundenti).
La più grave complicanza di un trauma aperto, oltre all’ematoma, concerne il rischio di infezione.
o Traumi chiusi: la dura madre è intatta e la superficie di impatto è generalmente più ampia,
indipendentemente dalla presenza di fratture.
o Trauma non commotivo: trauma cranico senza perdita di coscienza (pdc) e senza sintomi neurologici, i
quali sono i più frequenti.
o Trauma commotivo: perdita temporanea di una o più funzioni cerebrali (segni neurologici focali e/o
pdc) al momento del trauma senza lesioni strutturali; può però essere seguito da amnesia retrograda,
astenia, cefalea, vertigine e sindrome ansiosa-depressiva reattiva post-traumatica.
o La Concussione è un trauma cranico senza perdita di coscienza, ma con un’alterazione, anche fugace,
dello stato di coscienza (amnesia, cefalea, turbe dell’umore, sonnolenza, irritabilità, difficoltà a
mantenere la concentrazione).
 Spesso legata agli sport da contatto (boxe, football americano, formula uno) ;
 Quando c’è una commozione, c’è sempre una concussione ma la concussione può avvenire anche
senza commozione.
Second Impact theory: il trauma concussivo causa uno stato di «vulnerabilità metabolica» per un periodo
variabile e non prevedibile; un secondo trauma durante questo periodo può causare danni gravi, anche con
conseguenze fatali.
AMNESIE POST-TRAUMATICHE
o Amnesia retrograda: associata al trauma cranico commotivo; il paziente non ricorda il momento del
trauma e alcuni minuti/ore precedenti all’evento.
o Amnesia anterograda: presente a volte nei traumi cranici più gravi; il paziente non riesce a fissare i
ricordi dal momento del trauma ai minuti/ore successivi all’evento.
FISIOPATOLOGIA
Gravi ferite cutanee si possono verificare senza coinvolgimento osseo/encefalico e viceversa, e necessitano
di una sutura cutanea. Al contrario alcuni traumi apparentemente banali, in quanto non presenta lesione
dei tegumenti superficiali, ma presentare fratture craniche che si possono complicare con gravi lesioni
endocraniche (ematomi extradurali, subdurali, intraparenchimali, focolai lacero-contusivi); anche a distanza
di ore/giorni specialmente in soggetti con alterazioni della coagulazione pre-esistenti (nel caso di un
paziente in terapia con cardioaspirina, clopidogrel ovvero farmaci antiaggreganti o anticoagulanti).
Vi possono essere anche le Complicanze settiche (meningiti, meningoencefaliti) si possono verificare in
seguito a trauma aperto con lacerazione durale anche senza evidenti lesioni cutanee (es. fratture della base
cranica).
DANNO PRIMARIO
Danno dovuto all’azione meccanica delle forze traumatiche sui tessuti molli, cranio, encefalo ed annessi
(meningi, vasi, nervi). Include:
1. Lesioni delle parti molli;
2. Fratture della volta cranica e della base cranica: rappresentano la conseguenza primaria dell’azione di
forze di impatto sulla teca cranica, e risultano essere associate nel 30-40% dei casi a concomitanti
lesioni durali e parenchimali;
3. Raccolte ematiche extracerebrali (ematoma epidurale, ematoma sottodurale, ESAt);
4. Lesioni encefaliche (contusioni, lacerazioni, DIA, ematoma intraparenchimale post-traumatico).

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LESIONI DELLE PARTI MOLLI
 Ferite cutanee;
 Tumefazioni (bernoccoli): generalmente si riassorbono. Se questi, tuttavia, risultano essere molto ampi
e caratterizzati da uno stravaso importante prendono il nome di cefaloematomi, lesioni rare che
possono diventare pericolose. Il cefaloematoma, infatti, può andare incontro a calcificazione, valutabile
come una sorta di palla calcifica al di sotto della pelle che ricopre il cranio.
 Ematomi sottocutanei;
 Ematomi sottogaleali: tra galea e periostio, non gravi;
 Scotennamento: distacco di una vasta porzione di galea dal pericranio spesso dovuto a trazione dei
capelli, con un’importantissima emorragia e stato di shock, in quanto il cuoio capelluto e i tessuti molli
pericranici sono tessuti estremamente vascolarizzati.
FRATTURE DELLA VOLTA CRANICA
 Lineari: più spesso si verificano negli adulti che
battono la testa, che difficilmente possono invece
essere soggetti ad una frattura avvallata.
 Frammentate;
 Esposte: l’osso è visibile esternamente per lesione
dei tegumenti soprastanti, ciò non implica
necessariamente la presenza di un trauma cranico;
 Aperte: è presente una lacerazione durale, oltre all’esposizione della teca cranica;
 Affondate (avvallate): i frammenti ossei sono dislocati all’interno del cranio (colpo ad alta energia su
una superficie piccola da parte di un corpo contundente (colpo di martello). Queste sono più frequenti
nei bambini, in cui i frammenti di teca cranica avvallandosi verso l’interno, oltre a spingere sul cervello,
lacerano la dura madre creando una comunicazione tra ambiente intra ed extracranico. L’indicazione a
trattamento chirurgico se la depressione > 1 cm: toilette del focolaio traumatico, seguito dal
sollevamento della zona avvallata mediante l’inserimento di un patch artificiale (plastica durale), ed
infine viene chiusa la cute.
 Sollevate: i frammenti ossei sono dislocati esternamente alla superficie cranica.
L’immagine in alto a sinistra mostra la teca cranica rotta e avvallata con
frammenti di osso, staccati gli uni dagli altra; confermato anche dal confronto
con la teca cranica controlaterale.
A destra, una frattura del tavolato osseo che costituisce la parete anteriore
della zona frontale: la regione iperdensa corrisponde alla scatola cranica,
mentre l’ipodensità corrisponde all’aria contenuta all’interno del seno frontale.
Questo è dunque il caso di un paziente il quale ha urtato il capo contro il
parabrezza, e urtando il capo si è procurato una frattura della parete ossea
esterna del seno frontale.
Al di sopra delle bozze sopraccigliari dell’osso frontale, si può avvertire la
presenza di una protuberanza che rappresenta il seno frontale; verso l’alto
l’osso si appiattisce in corrispondenza della squama. Il seno frontale, attraverso
il foro nasolacrimale (che si trova sulla linea lateromediana del pavimento)
comunica con le cavità nasali. Quindi, se si rompe un seno frontale, in particolare la parete interna, creando
una comunicazione tra l’interno della scatola cranica e il naso, da sotto verso sopra, viene incrementato
enormemente il rischio di infezione da parte di batteri che possono determinare meningiti o encefaliti.
In basso a sinistra, sotto l’iperdensità periferica della scatola cranica, sono presenti tante macchie
iperdense che corrispondono alle contusioni cerebrali.
A destra, un’immagine radiologica in proiezione laterale, è possibile riconoscere una rima di frattura o
frattura lineare che va dalla zona frontale alla zona parietale.

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FRATTURE DELLA BASE CRANICA
Le fratture della base cranica sono quelle da attenzionare in misura maggiore. Dalla superficie convessa
della scatola cranica, esistono dei vettori di scarico di forze che tendono a portarsi verso la base cranica,
ovvero linee di forza maggiori interconnesse da linee di resistenza minori (zone che sono più facilmente
soggette a rottura). Inoltre, una frattura della piramide temporale, del tetto dell’orbita o della lamina
cribrosa dell’etmoide determinando una comunicazione tra lo spazio intracranico e quello extracranico (la
comunicazione con l’esterno avverrà per mezzo di orecchio, occhio, naso o rinofaringe) definisce una
comunicazione con un ambiente non sterile che è causa di contaminazione (nel caso di frattura del tetto
dell’orbita un po’ meno perché l’occhio è sterile internamente). La comunicazione del basicranio con il
rinofaringe avviene mediante la sella turcica, essendo questa localizzata al di sopra del seno sfenoidale che
a sua volta comunica con il rinofaringe. Per cui la contaminazione a partire dal rinofaringe potrebbe essere
causata da una frattura del rostro del seno sfenoidale, a causa di lesioni da parte di corpi estranei
penetranti (spesso a causa di tentativi di suicidio o incidenti importanti sul lavoro sono causa di ferite
penetranti che da dentro sfondano la base cranica). Quindi le fratture del basicranio, al pari delle fratture
avvallate tipiche nei bambini, sono delle fratture particolarmente delicate e pericolose poiché espongono il
paziente non solo a rischio di emorragia (comune a tutte le fratture) ma anche al rischio di infezione
(meningite, encefalite) per contaminazione da parte di microorganismi che giungono dall’orecchio, dal naso
o tramite rinofaringe. Le fratture del basicranio, inoltre, sono particolarmente insidiose in quanto possono
determinare complicanze tardive, di difficile diagnosi, quali rino e otoliquorrea.
La carotide lungo il suo decorso, dall’arco aortico fino al poligono di Willis, passa attraverso delle strutture
ossee, rappresentate anche dalla rocca petrosa (segmento petroso della carotide), dal seno cavernoso
(segmento cavernoso della carotide). Nel caso in cui un paziente dovesse presentare una frattura della
rocca petrosa, sarebbe a rischio di sviluppare uno pseudoaneurisma della carotide oppure una dissecazione
della parete carotidea. Quindi nei casi di rottura di una porzione della base cranica è necessario un
successivo iter diagnostico con angioTAC o angiografia cerebrale 48-72 h dopo. Lo stesso criterio viene
utilizzato in casi di gravi traumi toracoaddominali in seguito ai quali si può sviluppare uno pseudoaneurisma
della porzione toracoaddominale dell’aorta.
Fossa cranica anteriore
Queste coinvolgono i seni frontali (sia la parete anteriore che quella antero-basale), la regione etmoidale, le
ali sfenoidali e forami ottici. Queste si presenteranno mediante:
- Ecchimosi alla regione orbitaria, alle palpebre e anche alla regione frontale inferiore definita a
mascherina o a maschera di procione;
- Epistassi: per interessamento delle fosse nasali;
- Rinoliquorrea: la fuoriuscita di liquor potrebbe verificarsi per mezzo delle fratture della fossa cranica
anteriore, nel caso in cui venga lacerata anche l’aracnoide. Facile da diagnosticare soprattutto se il
paziente tiene la testa in giù, e può essere evidenziata la fuoriuscita dell’acqua o di liquido chiaro dalle
fosse nasali, come se fosse raffreddato; tuttavia vi sono dei casi in cui non si assiste a fuoriuscita visibile
di liquor, in quanto quest’ultimo si dirige verso il rinofaringe. Dunque il paziente ha la sensazione di
qualcosa di liquido che cola in gola, con un sapore amaro o salato.
- Ipo-anosmia: per interessamento del nervo olfattivo. il nervo olfattivo presenta il bulbo olfattivo dal
quale hanno origine i filuzzi nervosi, che corrispondo ai recettori, che vanno verso il basso dall’interno
della fossa cranica anteriore verso la lamina cribrosa dell’etmoide. La frattura in fossa cranica anteriore
coinvolge la lamina cribrosa dell’etmoide ed il paziente potrebbe riportare la lacerazione di queste
strutture nervose, rappresentando la forma più comune di lesione del nervo olfattivo. In questo caso
ciò si verifica anche nei pazienti che presentano gravi traumatismi complessi cranici e maxillo-facciali, o
solo maxillo-facciali.
- Esoftalmo: se vengono interessati i forami ottici nella fossa cranica anteriore.
- Disturbi della vista: per coinvolgimento del nervo ottico, se è presente una frattura del forame ottico.

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FRATTURE DELLA BASE CRANICA→ Fossa cranica media
Queste coinvolgono la rocca petrosa, l’orecchio medio e il meato acustico interno, il seno cavernoso o il
canale carotideo. Se si verifica soprattutto la frattura della rocca petrosa o dell’orecchio medio, condizioni
molto più frequenti, si presenteranno:
- Emotimpano: raccolta ematica all’interno della cavità timpanica;
- Otorragia/otoliquorrea: spesso il paziente accompagnato al P.S. ha una garza appoggiata all’orecchio
per contenere una fuoriuscita ematica. A volte sollevando la garza intrisa di sangue vi sarà la presenza,
sul bordo della macchia di sangue stessa, di un alone rosato molto più sbiadito, corrispondente alla
concomitante presenza di liquor. In altre situazioni sangue e liquor potrebbero non essere emessi
all’esterno e permanere all’interno della cavità timpanica o all’interno dell’orecchio medio per
lacerazione della dura madre.
- Deficit del V, VII e VIII n.c.: la frattura della rocca petrosa potrebbe estendersi verso la regione del cavo
Meckel, del forame rotondo o del forame ovale (V), oppure verso il meato acustico interno (VII e VIII).
- Ecchimosi retroauricolare;
- Dissecazione della carotide interna: se viene lacerata il rischio di morte è elevatissimo;
- Trombosi dei seni venosi;
- Panipopituitarismo: lesione che coinvolge anche la sella turcica.
FRATTURE DELLA BASE CRANICA→Fossa cranica posteriore
- Ecchimosi nucali;
- Deficit del IX, X, XI e XII: tutti i n.c. che fuoriescono attraverso i forami della fossa cranica posteriore.
RACCOLTE EMATICHE EXTRACEREBRALI
Ematoma extradurale/epidurale
Incidenza dell’1% in tutti i traumi cranici osservati in ambiente ospedaliero, che è caratterizzato da una
raccolta ematica tra la dura madre e la teca cranica. Si verifica perlopiù in acuto, ed è dovuto ad un grave
trauma cranico diretto e associato nel 90-95% dei casi a frattura con lesione di rami arteriosi meningei:
nell’85% dei casi l’emorragia è determinata dalla rottura dell’arteria meningea media (caratterizzata da un
ramo frontale ed un ramo temporo-parietale), più raramente origina da rottura di un seno venoso
encefalico. In quest’ultimo caso vengono più spesso coinvolti il seno venoso durale, quello tasverso o quello
sigmoideo nella regione della fossa cranica posteriore. Nella maggior parte dei casi, dunque, è interessata la
convessità temporo-parietale o zona di Marchant (spazio scollabile del Marchant) che coincide con il
decorso sulla dura madre dell’arteria meninegea media. Questa regione è così definita in quanto la dura
madre è più facilmente scollabile dalla superficie interna della scatola cranica, in particolare nel giovane
poiché nell’anziano mostra un’adesione maggiore; dunque è più facile che si crei uno spazio che può essere
invaso da una raccolta ematica. Clinicamente risulta essere caratterizzato da:
 Perdita di coscienza di alcuni minuti o qualche ora;
 Miglioramento (intervallo libero) che può durare da pochi minuti a molte ore→ il paziente con un grave
trauma cranico può avere una concussione, ma soprattutto una commozione cerebrale che determina
una perdita della coscienza. In concomitanza al trauma cranico questo paziente potrà aver portato una
fratture della teca cranica e una lacerazione di un’arteria meningea, la quale causa la comparsa di un
versamento ematico all’interno della scatola cranica, e dunque la formazione di un’ematoma
intracranico extracerebrale. A quel punto l’iniziale perdita di coscienza del paziente dovuto ad un
trauma cranico commotivo, verrà meno, per cui il paziente riacquisterà conoscenza; di fatto l’intervallo
libero viene definito tale in quanto è un lasso di tempo variabile in cui il paziente riprende conoscenza.
Tuttavia se l’ematoma extradurale continua ad ingrandirsi, raggiungerà dimensioni tali da indurre la
comparsa di una sindrome di ipertensione endocranica; la cui complicanza più grave è l’induzione di
un’ernia cerebrale, nello specifico uncale, se l’ematoma è localizzato nella zona di Marchant.
 Rapido peggioramento con ottundimento del sensorio, anisocoria con pupilla midriatica ipsilaterale ed
emiparesi controlaterale, coma ed exitus (se non viene effettuato l'intervento di evacuazione in urg.).

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La diagnosi viene effettuata mediante TC cranio-encefalica, vertebrale e delle giunzioni vertebrali; quella
cranio-encefalica mostrerà la presenza di una raccolta ematica iperdensa con forma a lente biconvessa.
Tale morfologia è dovuta la fatto che l’ematoma extradurale per farsi spazio dovrà determinare lo
scollamento graduale, ma progressivo della dura madre dalla superficie interna della teca cranica: man
mano che il sangue viene pompato fuori dall’arteria meningea rotta, in relazione ai valori di pressione
arteriosa sistolica, l’accumularsi di quel sangue determinerà un progressivo scollamento della dura madre
che assumerà la morfologia di una lesione a lente biconvessa. Vi è indicazione al trattamento chirurgico per
gli ematomi sintomatici e nei soggetti asintomatici se lo spessore misurato alla TC è > 1 cm ed il volume > 30
cc. Ciò in quanto, se l’ematoma continua ad accrescersi o inizia ad avere un volume di una certa entità, il
paziente da asintomatico può evolvere verso una condizione sintomatica. Gli ematomi extradurali sono
molto importanti, in quanto, sebbene abbiano un’incidenza molto bassa, hanno una mortalità globale del
20-50 %; invece nei casi con diagnosi e trattamento precoce, la mortalità scende al 10%. Taluni casi, invece,
determinano mortalità nonostante la diagnosi precoce, come quelli che si possono complicare mediante
l’insorgenza di un’ernia cerebrale interna la quale non viene riconosciuta o trattata tempestivamente.
L’evoluzione morfologica nel tempo si correla all’evoluzione clinica e consente
di comprendere i meccanismi del determinismo dell’ipertensione endocranica
. A sinistra è visibile, al di sotto della teca cranica, una piccola lenta biconvessa
iperdensa; mentre dopo alcune ore la lesione si sarà ingrandita in modo molto
significativo, andando a comprimere il lobo temporale (ernia uncale).
Ematoma sottodurale acuto e subacuto
L’ematoma subdurale è una raccolta ematica che si estende tra la dura madre e l’aracnoide (sulla
convessità cerebrale al di sotto della dura madre), la cui incidenza è pari al 2% tra tutti i traumi cranici
osservati in ambiente ospedaliero. La sua eziologia corrisponde ad un trauma cranico lieve, moderato o
grave associato ad una accelerazione del capo e ad una lacerazione di vene a ponte nello spazio subdurale.
Le vene a ponte dalla corteccia cerebrale si portano verso i seni venosi della dura madre: in seguito ad un
trauma cranica dovuto a fenomeni di accelerazione/decelerazione del capo è possibile che queste vene si
lacerino dando inizio alla formazione di un ematoma subdurale. Inoltre questo evento può anche essere
innescato, in seguito sempre a movimenti di accelerazione e decelerazione, per rottura di arterie corticali.
o Acuto: entro 3 giorni dal trauma;
o Subacuto: tra i 3 e i 21 giorni dal trauma.
Può essere associato ad uno Stato di coma immediato o graduale, con un progressivo disturbo di coscienza
che sarà accompagnato da segni neurologici focali che possono evolvere rapidamente fino al coma. La
diagnosi viene effettuata con una TC, laddove viene evidenziata mediante una falda ematica iperdensa
disomogenea a falce alla convessità (semiluna), che si localizza lungo tutta la superficie della convessità
cerebrale. L’ematoma subdurale acuto, non determinerà uno scollamento della dura madre dal tavolato
cranico, in quanto il sangue troverà una strada da occupare molto più agevole, quella compresa tra la
superficie della convessità della corteccia cerebrale e la superficie interna della dura madre. Dunque il
sangue si depositerà dalla regione frontale al quella occipitale (o per una superficie più limitata, come solo
in regione temporale, parieto-occipitale). Lo spessore può essere variabile, ma in questi casi, per valutare la
gravità non va calcolato solamente lo spessore della falda ma anche l’estensione; ciò in quanto a fronte di
uno spessore minore, se aumenta l’estensione della falda aumenta anche il volume complessivo contenuto
all’interno della scatola cranica. La TC in acuto mostra un’iperdensità, in cronico invece una ipodensità. Vi è
indicazione al trattamento chirurgico in emergenza negli ematomi sintomatici con uno spessore misurato
alla TC > 1 cm (> 0,5 cm in età pediatrica), o midline shift > 5 mm. La mortalità globale corrisponde al 40-
70%; invece nei casi diagnosticati e trattati chirurgicamente entro 4 ore dall’evento traumatico la mortalità
scende al 30%. La mortalità è massima negli ematomi conseguenti ad incidenti motociclistici, con valore
prossimo al 100% nei soggetti senza casco e pari al 30% nei pazienti che utilizzavano il casco.
L’outcome peggiore si rileva nei pazienti in età avanzata (> 65 anni).

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Lo spostamento controlaterale alla lesione interna alla scatola cranica determina uno spostamento delle
strutture contenute in corrispondenza della linea mediana o shift delle strutture della linea mediana, che
corrisponde alla falce cerebrale. Quest’ultima dalla zona frontale si porta alla zona occipitale, dividendo la
scatola cranica in due metà uguali, in ognuna delle quali è contenuto un emisfero cerebrale comunicanti
mediante il corpo calloso, collocato al di sotto della falce stessa. Questo processo patologico è molto
importante in quanto sulla linea mediana, oltre al corpo calloso, è presente il tronco cerebrale il quale
contiene i centri cardiorespiratori, la sostanza reticolare ascendete (…) e tutte quelle strutture implicate nel
mantenimento dello stato di vigilanza. Per cui, se queste ultime non funzionano, o perché sono compresse
e dislocate, o per un’alterata irrorazione delle strutture (come ulteriore conseguenza della compressione
dei vasi sanguigni secondario alla dislocazione), l’evoluzione sarà verso il coma e l’exitus.
A sinistra nell’emilato dx è presente un’iperdensità a
semiluna, e le aree ipodense (ventricoli cerebrali)
dell’emilato destro sono completamente dislocate verso la
metà sinistra della scatola cranica. Il paziente è stato
rapidamente operato: al centro si nota l’assenza
dell’iperdensità a falce, ma la presenza di zolle ipodense
corrispondenti ad aria; per cui dove prima era locato il
sangue è presente aria in quanto è rimasto uno spazio vuoto.
A destra non è presente sangue, e i ventricoli hanno riassunto la loro posizione originaria rispetto alla falce
cerebrale.
Ematoma sottodurale cronico
Raccolta ematica che si estende tra la dura madre e l’aracnoide, spesso conseguenza di trauma cranico di
lieve entità per cui può essere gestito con molta più facilità. Spesso sono pazienti anziani che sviluppano
tale trauma in seguito ad una caduta o battono la testa scendendo o salendo dalla macchina, dal letto, dalla
poltrona, sebbene in taluni casi possa coinvolgere anche i soggetti giovani. Più frequente nell'anziano (> 65
anni) dove lo spazio subdurale è più ampio per l’atrofia corticale (dovuto ad atrofia cerebrale fisiologica età-
dipendente); la maggiore atrofia cerebrale determina un aumento dello spazio subdurale e anche una
maggiore tensione delle vene a ponte. Le strutture venose hanno una bassa pressione per cui anche il
sanguinamento sarà a bassa pressione; definendo una condizione di stillicidio continuo, piuttosto che una
diretta evoluzione verso uno stato di coma, con conseguente processo coagulativo. L’aumento di volume
della falda avviene lentamente per lisi degli eritrociti, aumento delle proteine e aumento della
pressione oncotica con conseguente richiamo di acqua negli spazi subdurali con piccole ripetute emorragie.
In pratica, i coaguli vanno lentamente incontro a lisi (24-48h), richiamando fluidi dai compartimenti
circostanti, dunque liquor o fluidi interstiziali, determinando un aumento di volume. Questo è il motivo per
cui il piccolo volume dell’ematoma che si è formato inizialmente, comincia progressivamente ad aumentare
diventando in questo modo clinicamente manifesto. Dato che il cervello ha avuto un lasso di tempo per
potersi adattare a questo aumento progressivo di volume è difficile che vi sia un’evoluzione verso il coma.
I sintomi posso comparire dopo settimane (circa 3) o mesi dal trauma; spesso la sintomatologia è
aspecifica con segni neurologici focali, segni di ipertensione endocranica (nei casi più avanzati) o crisi
comiziali. La diagnosi viene effettuata con una TC, in cui viene evidenziata una falda ipo-isodensa “a
falce” con possibili componenti iperdense ematiche da sanguinamenti più recenti; per cui a livello del
sangue liquefatto può essere presente anche dei coaguli ematici. La lenta evoluzione nel tempo
dell’ematoma e la distanza dall’evento traumatico possono indurre a insidiosi errori diagnostici (tra i quali
ad esempio demenza multinfartuale, m. di Alzheimer ...) ; spesso i pazienti o i familiari, proprio poiché i
disturbi compaiono a distanza dal trauma, non sempre ricordano il trauma che per lo più sono lievi, per cui
sono misconosciuti. Indicazione chirurgica valutata in base alla sintomatologia e all’effetto massa: si esegue
un foro mediante un trapano ed un successivo drenaggio.

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a sinistra viene evidenziata
In alto una semiluna
a sinistra viene evidenziatoipodensa
una
semiluna
ra) corrisponde ad unipodensa
ematoma (nerastra) che corrisponde
sottodurale cronico,
tituisce unaad un ematoma
falda con un suo sottodurale
spessorecronico, che
all’interno
costituisce
atola cranica, la qualeuna faldailcon
spinge un suo spessore
parenchima
ale nell’emilato opposto rispetto alla linearesponsabile
all’interno della scatola cranica, mediana
elle strutturedello
dellashift delle
linea strutture della
mediana). linea mediana.
Quest’ultima
Nelle
onde alla falce due immagini
cerebrale a destra
che dalla zonasono presenti
frontale si
numerose aree nodulari iperdense
lla zona occipitale, dividendo la scatola cranica in
tà uguali edcorrispondenti
in ognuna delle ad un’emorragia
quali è contenutocerebrale
un
o cerebrale, i quali comunicano attraverso ilalla
recente, e dunque ad una ESA, oltre corpo
collocato alpresenza
di sottodidella
un’emorragia intracerebrale.
falce cerebrale. Questo
so patologico è molto importante in quanto sulla linea(ESAt)
Emorragia subaracnoidea post-traumatica mediana, oltre al corpo calloso, è presente il
L’ESAt corrisponde
cerebrale il quale ad unocardiorespiratori,
contiene i centri Spandimento ematico tra aracnoide
la sostanza e pia madre,
reticolare dovuto a(…),
ascendente traumi cranici gravi,
ovvero
spesso conseguenza
strutture implicate nel mantenimento di contusioni
dellocorticali
stessoanche lievi conPer
di vigilanza. rottura di piccoli
cui se questevasi. L’elemento
ultime non più importante
ano, o perchéè poter
sonosvolgere
compresse una diagnosi differenziale
e dislocate, tra ESAa ed irrorazione
o per un’alterata ESAt: delle strutture come
 TC:
e conseguenza della compressione dei vai sanguigni secondario allo spostamento verso il lato
- ESAt:èiperdensità
o; dunque l’evoluzione verso il coma lungoe ipoi
solchi corticali, più frequentemente alla convessità (regioni iperdense
l’exitus.
digitiformi, serpiginose che corrispondo ai solchi corticali intrisi di sangue).
ue immagini a destra sono presenti numerose aree nodulari iperdense corrispondenti ad
- ESAa: iperdensità più tipicamente nelle cisterne della base cranica. Queste ultime corrispondono
orragia cerebrale recente, e dunque un’emorragia subaracnoidea, oltre alla presenza dell’emorragia
alle cisterne aracnoidali, costituite da spandimenti o dilatazioni degli spazi subaracnoidei pieni di
rebrale.
liquor, all’interno dei quali decorrono le arterie del poligono di Willis. Di fatto gli aneurismi
cerebrali, il più delle volte, si localizzano in corrispondenza delle biforcazioni del poligono di Willis,
caratterizzando un ESAa in seguito alla loro rottura e al loro sanguinamento, che dunque sarà
localizzato in corrispondenza delle cisterne della base cranica.
 Timing:
- ESAt: tende alla risoluzione, già dopo 48-72 ore;
- ESAa: può essere riconoscibile anche per 10-15 giorni.
La presenza di sangue negli spazi subaracnoidei o nei solchi della convessità, oltre che della base cranica,
può portare anche a delle lesioni di tipo cicatriziale o aderenziale. Dunque viene determinata un’alterazione
della dinamica liquorale, e dunque ad un idrocefalo post-traumatico.

In basso a sinistra sono


presente delle aeree iperdense che
indicano la presenza di un ematoma
sottodurale acuto associato a contusione
cerebrale.

Le membrane delimitano la formazione di più


concamerazioni all’interno dello spazio occupato
dall’ematoma sottodurale cronico.

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LESIONI ENCEFALICHE
Contusioni e lacerazioni cerebrali
La contusione cerebrale è un danno diretto sul cervello (lividi del cervello), la cui eziologia è dovuto al danno
di piccoli vasi sanguigni (capillari venosi o arteriosi) e altri componenti tissutali (cellule gliali, nervose, ecc.)
che nell’insieme costituiscono del parenchima neuronale. Principali conseguenze delle forze inerziali; sono
dovute ad un impatto diretto o indiretto del parenchima cerebrale sulle asperità ossee, o osteo-meningee
della base e della volta cranica. Il danno parenchimale diretto conseguente alla necrosi emorragica del
tessuto nervoso è aggravato dall’edema perilesionale secondario, dunque attorno alla lacero-contusione
cerebrale→ il cervello risponde sempre ad una lesione o ad un insulto con lo sviluppo di edema cerebrale.
La sintomatologia è variabile sulla base della localizzazione e dell’estensione delle lesioni:
- Cefalea, associata o meno a deterioramento cognitivo con possibile evoluzione del quadro clinico;
- Lesioni più gravi ed estese con deficit neurologici focali e una rapida progressione verso lo stato
comatoso; di fatto, se la contusione cerebrale interessa l’aria motoria o l’aria visiva possono evolvere in
emiparesi o in un disturbo della vista.
- Crisi comiziali o epilettiche sia precoci che tardive: ad un paziente che ha avuto un grave trauma cranico
è necessario prescrivere una valutazione neuropsicologica, ma anche un EEG. Ciò in quanto vi possono
essere delle forme di epilessia non manifeste clinicamente anche tardive, dunque a distanze di tempo.
Alla TAC è possibili visualizzare diversi punti iperdensi, che definiscono una condizione di perdita di sangue
non omogena, circondate da regioni isodense, rappresentando dunque dei focolai contusivi. Vi è
indicazione al trattamento chirurgico in presenza di effetto massa con dislocazione delle strutture
encefaliche adiacenti e in presenza di evoluzione clinica e neuroradiologica; di fatto un trauma lacero-
contusivo non viene operato molto spesso in quanto viene determinato comunque lo sviluppo di edema
attorno, con conseguente ipertensione endocranica e coma. Per questo motivo è importante fare la terapia
medica con uso di diuretici osmotici e non con il cortisone (antiaggregante esente da effetti protettivi).
Nella craniotomia decompressiva viene rimossa una parte della teca cranica ed eseguita una plastica
durale, allargando lo spazio a disposizione del cervello, ampliando la superficie durale, il cervello si è
espanso permettendo un recupero neurologico.
Danno assonale diffuso (DAI)
Causa primaria di stato di coma post-traumatico immediato in soggetti con esame TC negativo per lesioni
intracraniche, causato da un trauma cranico moderato o grave; in particolare dalle forze di inerzia durante il
movimento di flesso-estensione e accelerazione del capo ad alta velocità. Ciò determina uno stiramento
degli assoni in maniera diffusa (a livello encefalico, cerebrale o comunque per un tratto esteso),
specialmente dove c’è densità differente (giunzione sostanza bianca-sostanza grigia), o dove i fasci di
sostanza bianca sono più compatti (corpo calloso, capsula interna). Nei casi più gravi, anche a livello della
porzione superiore del ponte e dorso-laterale del mesencefalo. A livello clinico è presente una discrepanza
tra l’assenza o la scarsità delle lesioni evidenti in TC in fase acuta e la gravità dell’alterazione dello stato
di coscienza fino al coma con possibile esito in stato vegetativo persistente. TC iniziale: spesso negativa o
solo minimamente alterata (piccole lesioni emorragiche
sottocorticali di morfologia tondeggiante o ovoidale), mentre
il danno assonale può essere già molto grave;
- Fasi successive: focolai emorragici di maggiori dimensioni
a livello di sostanza bianca sottocorticale e profonda
(con risparmio della corteccia), corpo calloso, giunzione
ponto-mesencefalica e formazione reticolare ascendente.
La prognosi è direttamente proporzionale al danno e la
percentuale di recupero sfiora il 90% per il danno assonale
diffuso in assenza di lesioni del tronco dell’encefalo; la terapia
è mirata alla risoluzione dell’edema citotossico associato.

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Danno vascolare diffuso (DVI)
Numerosi e diffusi focolai emorragici negli spazi perivascolari della sostanza bianca e dei gangli della base,
causati da traumi cranici gravi, in particolare per incidenti stradali ad alta velocità che possono determinare
lacerazione di piccoli vasi causato da forze estreme di accelerazione/rotazione. A livello clinico il paziente è
in stato di coma dal momento dell’impatto e il decesso generalmente avviene entro poche ore dal trauma.
Emorragia intraventricolare
Il trauma grave potrebbe provocare una improvvisa dislocazione cranio-caudale o laterale del mesencefalo
contro l’incisura tentoriale con conseguente focolaio contusivo-emorragico ed emorragia intraventricolare.
Ematoma intracerebrale
Raccolta ematica nella sostanza bianca, più frequentemente in sede temporale, di solito a distanza dalla
sede di impatto (maggiore di 2 cm). Il Timing può essere:
- Molte ore o giorni dopo il trauma;
- Nel 25% dei casi dopo il trattamento chirurgico di un ematoma extradurale o subdurale acuto.
Vi è cefalea e segni neurologici focali ingravescenti; può essere necessario l'intervento chir. di evacuazione.
DANNO SECONDARIO
Si verifica successivamente al trauma per complesse reazioni fisiopatologiche (disturbi circolatori, ipossia,
ipercapnia e ipoglicemia), che provocano lesioni encefaliche ancora più gravi di quelle provocate dal trauma
stesso e dal danno primario. Causato da fattori extracerebrali che si combinano e potenziano le lesioni
endocraniche:
- Stati di ipotensione arteriosa protratta e di shock;
- Insufficienza respiratoria di origine centrale e periferica;
- Grave anemia per emorragia;
- Ipoglicemia.
Nel caso del trauma encefalico grave vi è una progressiva alterazione dei meccanismi di autoregolazione
del flusso ematico cerebrale, fino alla perdita completa di questi ultimi, con conseguente ulteriore danno
da ipoperfusione. In presenza di una crisi ipotensiva, rimangono comunque presenti quei meccanismi
fisiologici che permettono l’adattamento e l’omeostasi cerebrale a pressioni troppo alte o troppo basse, in
grado di arginare repentinamente l’alterazione pressoria e non determinare l’immediato stato di coma.
Tuttavia, in seguito alla provocazione di traumi, viene persa la capacità di autoregolazione cerebrale,
facilitando lo sviluppo di lesioni ischemiche e l’insorgenza della triade di Cushing.
EDEMA CEREBRALE POST-TRAUMATICO
Edema vasogenico
Le forze traumatiche causano uno stiramento delle strutture vascolari, macro e microvascolari, che
inducono delle modificazioni morfo-funzionali della barriera ematoencefalica, con conseguente aumento
della permeabilità vascolare con fuoriuscita d’acqua e macromolecole dal compartimento vascolare e
conseguente imbibizione interstiziale. Interessa gli spazi intercellulari della sostanza bianca risparmiando la
grigia e può essere perilesionale (in generale intorno a focolai lacero-contusivi) o diffuso.
Edema citotossico
Fenomeni di occlusione vascolare, arteriosa o venosa, spesso correlata all’insorgenza di ernia cerebrale
interna, determinano disturbi ischemici o ipossici caratterizzati da accumulo idrico endocellulare (astrociti).
Nel caso dell’ernia uncale, viene determinata la compressione dell’arteria cerebrale posteriore con
conseguente riduzione del flusso sanguigno nel territorio irrorato e danno ischemico. Le cellule nervose
ricevendo meno sangue, sviluppano edema citotossico, alterando tutti quei meccanismi di scambio
cellulare a seguito dell’alterazione dei meccanismi deputati alla produzione di energia a livello cellulare, a
causa del mancato afflusso di sangue. Viene dunque evidenziata una doppia genesi di edema cerebrale.
ERNIE CEREBRALI
Aumento pressorio compartimentalizzato provoca il gradiente endocranico tra i vari comparti responsabile
delle erniazioni cerebrali.
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IPERTENSIONE ENDOCRANICA
La PIC normale ha un valore di 10-15 mmHg; se PIC > 20 mm Hg→ si iniziano a perdere i meccanismi di
autoregolazione cerebrale invece se PIC > 22-25 mm Hg→ ipertensione endocranica manifesta.
Secondo la legge di Monroe-Kellie:
 Fase A→ parziale svuotamento dei seni venosi durali e aumentato riassorbimento liquorale ed aumento
di volume, senza aumento di pressione;
 Fase B→ comparsa dei sintomi di ipertensione endocranica;
 Fase C→ scompenso ed esito fatale se non vengono messi in atto provvedimenti adeguati.
COMPLICANZE
PNEUMOCEFALO
Definisce una condizione di presenza di aria all’interno del cranio in sede extracerebrale (ventricoli
cerebrali); il quale Risulta essere causato da una lesione, oltre che ossea, anche durale. L’ingresso dell’aria
di solito è compensato dalla fuoriuscita di liquor e dunque non si accompagna ad un aumento della
pressione endocranica. Il pneumocefalo iperteso definisce, invece, una condizione di ingresso di aria con un
meccanismo a valvola che consente il suo ingresso, ma non la sua fuoriuscita. Si può associare a fistola
liquorale (in questo caso deve esserci anche una lesione dell’aracnoide) e quindi a una possibile
complicazione settica.
FISTOLA LIQUORALE
La fistola liquorale corrisponde ad una fuoriuscita del liquor cefalo-rachidiano all’esterno, determinata da
una soluzione di continuità tra lo spazio intracranico (lacerazione della dura madre e della aracnoide) e
l’ambiente esterno, associata a fratture della fossa cranica anteriore, media o posteriore. È determinata da:
o Frattura aperta con lacerazione delle meningi;
o Frattura con lacerazione meningea coinvolgente aree pneumatizzate del basicranio (mastoide, orecchio
medio, seno frontale, seni paranasali/nasali) causando rinoliquorrea/otoliquorrea.
Può manifestarsi subito dopo il trauma o a distanza anche di giorni e può essere spontanea o verificarsi in
seguito a flessione del capo. Clinicamente saranno presenti:
- Cefalea (sia dovuta al trauma che all’ipotensione liquorale);
- Complicanze meningitiche;
La diagnosi è innanzitutto clinica, evidenziata dalla fuoriuscita di liquor dall’area di frattura aperta, di
rinoliquorrea e/o di otoliquorrea, e dalla sintomatologia neurologica correlata (es. frattura del basicranio
anteriore che determina anosmia e cefalea). La diagnosi di certezza invece valuta:
- β2-transferrina (nel liquido che fuoriesce);
- β-trace protein (nelle secrezioni nasali)→ βTP > 1.5 mg/L = liquor.
La TC e RM permettono invece la localizzazione della frattura, e forniscono informazioni sul parenchima
cerebrale soprastante. Vi potrebbe essere anche la Presenza di meningocele o meningoencefalocele da
erniazione attraverso la breccia ossea.
IDROCEFALO POST-TRAUMATICO (PTH)
Il PTH è una complicanza abbastanza frequente del trauma cranico moderato-grave, in media presente in
circa il 20% dei pazienti affetti da trauma cranico severo, causato da uno squilibrio che si verifica tra
produzione e assorbimento di liquor. A livello clinico si manifesta di solito nel primo mese post-operatorio,
e la diagnosi può essere ritardata in quanto la sintomatologia è lentamente ingravescente e viene
sospettata solo quando si assiste al rallentamento o alla cessazione dell’eventuale recupero neurologico. La
diagnosi inizialmente è clinica, in quanto valuta la regressione del paziente traumatizzato ad uno stato più
deteriorato, iporeattivo e iporesponsivo, ed è necessaria una diagnosi differenziale con l’atrofia
ventricolare post-traumatica. Il PTH è rappresentato da una dilatazione con evidente morfologia simmetrica
delle pareti dei ventricoli distesi, trasudazione transependimale e segni di edema della corteccia
periventricolare. Il trattamento consiste in uno shunt liquorale con un tasso di successo che tuttavia varia
dal 45% all’80% dei casi.
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EPILESSIA POST-TRAUMATICA
L’epilessia post-traumatica è secondaria al danno corticale encefalico indotto dal trauma e dai successivi
fenomeni “cicatriziali” corticali, e può essere distinta in:
o Epilessia post-traumatica precoce (< 7 giorni)→ L’incidenza è più elevata in età pediatrica (il 3% dei
bambini con un trauma cranico anche lieve presenta un episodio comiziale post-traumatico);
o Epilessia post-traumatica tardiva (> 7 giorni)→ L’incidenza è invece significativamente più elevata nei
soggetti in età adulta (10-15% nei soggetti che hanno subito un trauma cranico grave).
Il trattamento farmacologico profilattico è indicato nelle seguenti condizioni:
- GCS < 10;
- Presenza di ematoma intracranico;
- Presenza di frattura avvallata con lesione parenchimale sottostante;
- Presenza di focolai contusivi encefalici;
- Trauma in alcolisti.
COMPLICANZE EXTRACRANICHE
Un grave trauma cranico determina lo sviluppo di edema cerebrale, che non corrisponde all’unica causa di
mortalità in quanto potrebbe essere agevolmente risolta mediante una craniotomia decompressiva; invece,
vanno ad agire tutta una serie di concause che riguardano altri organi e altri apparati.
o Aumento dei livelli di catecolamine circolanti con conseguente:
 Ipertensione arteriosa;
 Tachicardia;
 Ipertermia;
 Gravi tachiaritmie fino a IMA.
o Manifestazioni polmonari:
 Edema polmonare acuto neurogeno entro pochi minuti dal trauma;
 Alterazioni delle funzioni di scambio a livello alveolare, broncopolmoniti ab ingestis.
o Manifestazioni sistemiche:
 Coagulazione intravasale disseminata (CID) conseguente a liberazione nel circolo sistemico di
tromboplastina tissutale da parte del tessuto cerebrale contuso.

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DIAGNOSI CLINICA
Deve essere rapida e consentire di formulare il sospetto di lesioni intracraniche che richiedano trattamento
medico-chirurgico urgente (stabilire le priorità). Deve essere effettuata una scelta per un corretto iter
diagnostico strumentale successivo. Infine, deve consentire la valutazione dell’eventuale evoluzione del
quadro clinico del paziente.
Glasgow Coma Scale
La GCS è una scala di valutazione, ideata dal neurochirurgo Graham Teasdale dell’università di Glasgow, in
seguito alla necessità di detenere dei criteri oggettivi e molto rapidi, la quale mediante la valutazione di tre
parametri permette di definire la gravità del quadro clinico.
 Trauma lieve→GCS 14-15;
 Trauma moderato→(GCS 9-13);
 Trauma grave→(GCS 3-8).
RIASPOSTA OCULARE RISPOSTA MOTORIA RISPOSTA VERBALE
4 punti: spontanea 6 punti: obbedisce ai comandi 5 punti: orientata e critica
3 punti: stimolo verbale 5 punti: localizza lo stimolo algico 4 punti: confusa
2 punti: stimolo doloroso 4 punti: risposta motoria di fuga 3 punti: parole inappropriate
allo stimolo algico
1 punto: in nessun caso 3 punti: flessione afinalistica 2 punti: suoni non comprensibili
2 punti: risposta motoria 1 punto: nessun suono
estensoria
1 punto: risposta motoria
assente
Uno stimolo doloroso può essere un pizzico a livello del cucullare o l’applicazione di una pressione a livello
dell’emergenza del nervo sopraorbitario (punto algogeno che determina l’apertura degli occhi). La risposta
motoria rappresenta il parametro più importante. L’iperestensione e l’intrarotazione degli arti superiori, in
seguito ad uno stimolo doloroso, è segno di decerebrazione (più grave); se invece il paziente intende
effettuare un movimento ma non riesce a localizzarlo è presente un segno di decorticazione.
Criteri clinici di previsione del rischio di lesione intracranica post-traumatica
Rischio basso:
 Soggetto asintomatico o con lieve cefalea e vertigini, senza perdita di coscienza;
 Presenza di ferite lacero-contuse del cuoio capelluto e di ematomi sottogaleatici.
- Osservazione in ambiente domiciliare con scheda di istruzioni cliniche;
- L’esame TC non trova in genere indicazione;
- La radiografia non trova significato, negativa in più del 90% dei casi.
Rischio moderato:
 Episodio di perdita di coscienza (< 15 min) con cefalea progressiva, epilessia post-traumatica e vomito,
trauma cranio-facciale serio, politrauma;
 Età < 2 anni: il bambino non è in grado di spiegare la sintomatologia, per cui si deve porre particolare
attenzione, dato soprattutto il rischio maggiore di un rapido peggioramento rispetto all’adulto.
- Esame TC, il 10-40% dei casi presenta contusioni encefaliche;
- Osservazione clinica in ambiente ospedaliero o domiciliare con scheda di istruzioni cliniche se TC
negativa e paziente stabile. Importante ripetere l’esame TAC a distanza di 6-8 h dopo, per rilevare
l’eventuale presenza di un piccolo ematoma in formazione, una lacerazione di un vaso corticale che
sanguina lentamente o la rottura iniziale dell’arteria meningea media.
- La radiografia non trova alcun ruolo.
Rischio elevato:
 Episodio di perdita di coscienza prolungato;
 Progressivo ottundimento del sensorio;
 Presenza di deficit neurologici focali (emiparesi, deficit di un nervo cranico);
 Ferite craniche penetranti.
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È sufficiente solo uno di questi criteri per affermare che il rischio è elevato, tuttavia è più frequente che
siano presenti in associazione.
- Esame TC e immediata ospedalizzazione; in presenza di positività TC per lesioni emorragiche
intracraniche preallarme dell’equipe chirurgica;
- La radiografia può avere un ruolo per la identificazione di eventuali corpi penetranti intracranici.
Il paziente che ha avuto una perdita di coscienza, un deficit neurologico o una crisi epilettica anche in
presenza di una prima TAC negativa non deve assolutamente essere dimesso.
Fattori TC prognostici/decisionali
 Stato delle cisterne della base (obliterazione);
 Shift della linea mediana (> 5 mm);
 Presenza di ESAt;
 Volume della lesione ematica.

DEFICIT NEUROPSICOLOGOCI POST-TRAUMATICI


Sono presenti quasi invariabilmente in ogni soggetto che sia stato vittima di un trauma cranico, con una
espressività clinica estremamente varia: da lievi turbe mnesiche, attenzionali o comportamentali a veri e
propri disturbi psichiatrici strutturati). Dunque è necessario prescrivere una valutazione neuropsicologica
ad almeno un mese o due mesi dalla data delle dimissioni; ed è pertanto indispensabile, nella fase di
recupero del paziente un accurato studio neuropsicologico con l’obiettivo di classificare l’entità del danno
cognitivo che condizionerà il reinserimento del paziente nell’ambiente familiare e sociale.
PREVENZIONE
È indispensabile attuare una capillare attività di prevenzione che raggiunga tutti i target (studenti, genitori,
insegnanti, lavoratori, forze dell’ordine, ecc.) attraverso tutti gli strumenti di comunicazione oggi
disponibili. Studi epidemiologici condotti nella regione Emilia-Romagna, che da anni è leader nella gestione
dei programmi di prevenzione del trauma cranico, dimostrano una significativa riduzione dell’incidenza e
della gravità dei traumi cranici dopo l’attuazione di tali programmi.

21
EMORRAGGIE INTRACRANICHE

Le emorragie intracerebrali propriamente


dette corrispondono alle emorragie
spontanee, non traumatiche, che riconoscono
una causa diversa tra loro. L’ESA è una forma
diversa di emorragia, che sebbene sia
anch’essa spontanea, risulta essere
particolarmente grave a causa del maggiore
rischio di mortalità.

EMORRAGGIE INTRACEREBRALI
Le cause di emorragie spontanea sono:
o Ipertensione arteriosa (40%): in taluni casi, al risveglio al mattino può essere scatenata una crisi
ipertensiva con conseguente emorragia cerebrale per via del picco del Cortisolo.
o Rottura di malformazioni vascolari: aneurisma 20%, MAV 20%, angioma cavernoso.
o Alterazioni della coagulazione: emopatie, leucemie, piastrinopatie, terapie anticoagulanti o
antiaggreganti (5%).
o Malattie vascolari: arterite nodosa, angiopatie amiloide (nei soggetti anziani giunti in pronto soccorso
con un’emorragia cerebrale localizzata in un lobo cerebrale, frontale o occipitali, questa è una delle
cause più frequenti), flebotrombosi o trombosi dei seni venosi durali;
o Tumori cerebrali: gliomi, metastasi, metastasi del melanoma o ipernefroma renale (tali metastasi
possono sanguinare con più facilità e si possono manifestare clinicamente proprio grazie ad
un’emorragia cerebrale). Spesso, tale causa viene trascurata data la difficile diagnosi per via
dell’iperdensità ematica alla TC che maschera il tumore sottostante. La presenza di edema cerebrale
finger-like (forma di dito) e la quantità di spostamento delle strutture dalla linea mediana vicino
all’emorragia sono i segni che devono indurre a ripetere TC o RM dopo 8-10 gg dall’evento emorragico,
lasso di tempo in cui il sangue potrà riassorbirsi e dunque permettere la visibilità del tumore.
o Sine cause (15%).
Il cervello si differenzia dagli altri organi, in quanto non presenta strutture mesenchimali che limitano
l’espandersi dell’emorragia: a differenza del fegato o del rene che detengono dei setti mesenchimali che
possono limitare l’espandersi dell’emorragia, a livello cerebrale l’emorragia si arresta spontaneamente o al
contrario, in funzione anche della PA con cui fuoriuscirà il sangue dall’arteria rotta, il sangue tenderà a farsi
strada all’interno del cervello e quindi ad invadere una zona sempre più ampia. L’autolimitazione
dell’espansione ematica viene determinata dallo stesso volume creato dall’emorragia: man mano che
l’emorragia si forma il sangue coagula, e questo coagulo diventerà una massa occupante spazio, che
insieme alla pressione esercitata dalle strutture cerebrali dovrà andare ad opporsi a quella del flusso
ematico. Per cui queste variazioni pressorie, innescate in automatico in seguito alla rottura vasale, bloccano
l’emorragia. Inoltre, in assenza di tessuto mesenchimale a seguito di un’emorragia il parenchima cerebrale
sarà lacerato e completamente distrutto: altra caratteristica fondamentale che permette di distinguere il
cervello dagli altri organi, per via della consistenza del parenchima cerebrale, ed anche dell’assenza di setti
mesenchimali che possano limitare l’espansione ematica all’interno del cervello. Ecco perché in seguito ad
un’emiplegia o un’emiparesi a seguito di una emorragia cerebrale non sempre il pz recupera.
[La consistenza del cervello è quella della ricotta fresca: la ricotta fresca all’interno del recipiente prende la forma di quest’ultimo,
che rimane anche quando viene estratta dal contenitore. Prendendo un tubo dell’acqua e schizzando l’acqua sulla ricotta fresca, nel
punto in cui arriva l’acqua si formerà un buco dentro la ricotta. Ciò è quello che in maniera empirica si forma quando si rompe un
vaso arterioso, e per effetto della PA sistolica fuoriesce sangue dal vaso rotto che lacera e distrugge il parenchima cerebrale].
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Nelle zone in cui sono presenti delle arterie
all’interno del cervello, se si rompe una di queste
arterie, si può presentare un’emorragia nella stessa
sede (arterie della regione nucleo-capsulare, o che
raggiungono la corteccia cerebrale o il ponte,
oppure che raggiungono il cervelletto). Quindi è
possibile presentare emorragia corticale, o nella
sostanza bianca sottocorticale (A); oppure
un’emorragia profonda come nei nuclei della
sostanza grigia della bianca (B), oppure all’interno
del tronco cerebrale (D) o nel cervelletto (E).
Se l’emorragia si verifica nelle strutture grigie profonde il sangue si infiltra diffusamente, essendo raro un
focolaio circoscritto; dunque se il sangue si infiltra diffusamente nella sostanza grigia provocherà una
lesione delle strutture grigie, e ciò spiega perché gravi deficit neurologici a livello delle strutture nucleo-
capsulari. Invece nella sostanza bianca si forma una raccolta delimitata, non da strutture mesenchimali ma
dallo stesso ematoma che coagula, e che comprime e disloca il parenchima circostante, con scarsa
infiltrazione, per cui si forma un ematoma o nodulo caratterizzato da un grande coagulo di sangue.
Inoltre si potrebbero verificare anche alcuni casi in cui l’Emorragia si verifica per diapedesi, senza rottura di
un vaso (nuclei della base, tronco).
Le emorragie cerebrali sono localizzate nella regione:
o Sopratentoriale (70-80%, nel caso delle emorragie ipertensive) : capsula interna, putamen e capsula
esterna;
o Sottotentoriale (20%): cervelletto e tronco.
 Nuclei della base e capsula esterna (54%);
 Talamo (11%);
 Sostanza bianca (13%);
 Tronco cerebrale (10%);
 Cervelletto (12%).
Un’emorragia cerebrale si può verificare in qualunque sede cerebrale in cui sia presenti i vasi. La carotide
biforcandosi dà origine all’arteria cerebrale anteriore e media, che si dirama in rami corticali, i quali
corrispondo alla sede più frequente di angiopatia amiloide. Si può verificare l’emorragia dalle arterie
pontine, rami della arteria basilare localizzati nel tronco cerebrale; emorragie della arteria del nucleo
dentato a livello cerebellare (tale rottura in seguito a crisi ipertensive, analogamente alle arterie lenticolo-
striate, determinerà un’emorragia sottotentoriale, nel territorio del nucleo dentato, che causerà deficit
neurologici importanti).
EMORRAGIE CEREBRALI A SEDE TIPICA.
L’emorragia a sede tipica coinvolge e distrugge il putamen, il pallido, la capsula interna (soprattutto braccio
anteriore e ginocchio) ed esterna. Queste, secondarie a crisi di ipertensione arteriosa, sono perlopiù dovuti:
 Aneurismi miliari di Charcot-Bouchart: piccole dilatazioni aneurismatiche (ᴓ 0.05-2 mm); questi si
formano il più delle volte nelle arterie lenticolo-striate che irrorano il parenchima cerebrale soprattutto
nell’area nucleo-capsulare determinando un’emorragia intraparenchimale. Questa è una condizione
clinica molto diversa dall’ESA spontanea dovuta alla rottura di un aneurisma cerebrale (sacculare).
 Degenerazione ialina in pz aterosclerotici: può coinvolgere le carotidi, l’aorta toracica o addominale, le
arterie renali e cerebrale.
 Stenosi del vaso, indurimento della parte vasale e degenerazione ialina possono indurre la rottura della
parete vasale con emorragia.
Dato il coinvolgimento non solo dei nuclei della base, ma anche la capsula interna, possono portare ad un
deficit motorio e sensitivo nella regione controlaterale, determinando dunque un’emiparesi o un’emiplegia.

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Tale emorragia può farsi strada anche medialmente, verso il terzo ventricolo o
verso i ventricoli laterali, caratterizzando una condizione nota come
emoventricolo. Atteso che il sangue abbia una densità maggiore rispetto al
liquor, per cui quando si forma un coagulo all’interno del ventricolo, soprattutto
se detiene delle dimensioni importanti, caratterizzerà un’ostruzione della
circolazione liquorale, per cui verrà sviluppato un idrocefalo ostruttivo.
Da un punto di vista clinico, tali pazienti avranno:
- Cefalea intensa;
- Vertigini, malessere, vomito;
- Afasia (se localizzata emisfero dominante): sensitiva o motoria;
- Crisi epilettiche (e. lobari).
Emorragia del Putamen.
Questa è l’emorragia su base ipertensiva che più spesso si verifica.
1) Emiparesi-Emiplegia controlaterale: dato dal passaggio ematico attraverso la capsula interna;
2) Babinski bilaterale;
3) Coma: soprattutto a causa di idrocefalo ipertensivo;
4) Risposta in decerebrazione allo stimolo doloroso;
5) Disturbi vegetativi gravi (ipertermia, alterazioni del respiro e del circolo).
Rappresenta un quadro di emorragia non sempre caratterizzato da un’evoluzione ingravescente, se non nei
pazienti che presentano condizioni gravi o in quelli che peggiorano durante la loro degenza ospedaliera.
La prognosi è infausta determinando mortalità nel 70% dei casi, o gravi deficit neurologici.
Emorragia Talamica.
Anche in questo caso è presente un’emorragia intracerebrale su base ipertensiva in sede profonda
all’interno del cervello. Il braccio posteriore della capsula interna è localizzato tra il talamo ed il nucleo
lenticolare; per cui l’eventuale presenza di un’emorragia che dovesse danneggiare sia il talamo, sia il
braccio posteriore della capsula interna e i nuclei profondi, a livello clinico presenta:
 Emiparesi-Emiplegia controlaterale;
 Ipoestesia-Anestesia controlaterale;
 Afasia (se l’emisfero è dominante);
 Emi-inattenzione controlaterale (se non dominante);
 Emianopsia laterale omonima: nel lobo parietale passano le radiazioni ottiche, per cui un’emorragia
talamico potrebbe anche determinare questa lesione.
 Deficit del III nervo cranico omolaterale (anisocoria, fotomotore).
EMORRAGIE CEREBRALI A SEDE ATIPICA.
Le emorragie possono essere anche a sede atipica, localizzate soprattutto nella sostanza bianca
dell’encefalo e dunque a livello lobare (frontale, parietale, occipitale, temporale); secondarie alla rottura di
angiomi cavernosi o di MAV, ma soprattutto associati ad ESA oppure a EIV (emorragie intraventricolare).
 Paziente con età < 60 anni non iperteso, in alcuni casi potrebbe anche essere un ragazzo;
 Segni TC evocatori di lesione causa dell’emorragia: una zona di edema ben rappresentata e
sproporzionato attorno all’ematoma, può far intuire la presenza di una massa tumorale mascherata
dalla presenza del sangue.
 Edema “sproporzionato” al volume dell’ematoma;
 Massa contigua all’ematoma.
EMATOMI INTRACEREBRALI NECESSITANTI DI APPROFONDIMENTO DIAGNOSTICO
- TC con m.d.c.;
- RM con gadolinio;
- Angiografia cerebrale.
Permettono di rilevare tumori, MAV, aneurismi, cavernomi, o disordini coagulazione, vasculiti o angiopatia.

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Emorragia cerebellare.
- Cefalea, vomito e vertigini;
- Miosi e nistagmo;
- Disartria e disfagia;
- Disturbi della deambulazione ed atassia.
Emorragia pontina.
Le emorragie del tronco cerebrale, sebbene potrebbero essere operabili, il risultato clinico sarebbe
scadente, in quanto a livello del tronco cerebrale decorrono, in uno spazio volumetrico molto contenuto, le
principali strutture nervose (principali fasci nervosi ascendenti e discendenti ed i nuclei dei nervi cranici).
Più frequentemente le emorragie del tronco sono pontine, ancor più che bulbari o mesencefaliche.
- Emiparesi o emiplegia, emianestesia e deficit nervi cranici;
- Miosi ed alterazioni della motilità oculare;
- Coma e Rigidità decerebrata;
- Ipertermia e turbe respiratorie.
DIAGNOSI DI EMORRAGIA INTRACEREBRALE.
La TAC è l’esame di primo livello, che permette di riconoscere la iperdensità del coagulo di sangue.
 Iperdensità per I-II settimane;
 Isodensità dalla III-IV settimana: densità simile a quella del parenchima cerebrale;
 Ipodensità successivamente: assume dunque un colorito più scuro, rispetto ad una densità minore
rispetto a quella del parenchima cerebrale.
Se si somministra M.D.C. nella fase acuta si avrà enhancement (spandimento del m.d.c.) dovuto alla rottura
della B.E.E.; dunque l’utilizzo di questo non aiuterebbe nel porre una d.d.
TRATTAMENTO.
La terapia medica, utilizzata nella maggior parte dei casi, prevede un trattamento conservativo, soprattutto
nelle emorragie a sede tipica:
- Monitoraggio PIC, non in tutti i casi, soprattutto nei casi di sopore o sonnolenza;
- Terapia anti-ipertensiva;
- Sospensione antiaggreganti.
Il Trattamento chirurgico, invece, viene applicato quando è presente:
- Progressione dei sintomi neurologici;
- Presente effetto massa (MAV, cavernoma, tumore).
- In una piccola percentuale di emorragie a sede tipica su base ipertensiva, in cui gli ematomi
raggiungono un volume tale da determinare un effetto massa, con uno shift della linea mediana.
Trattamento chirurgico emorragia intracerebrale ipertensiva.
INDICAZIONI CONTROINDICAZIONI
Volume >10ml Gravi condizioni all’esordio (GCS< 5)
Deterioramento progressivo causato da Gravi patologie sistemiche
ematoma voluminoso
Ematoma cerebellare con Ø> 4 cm oppure Parametri di coagulazione alterati (INR>3)
con Ø < 4 cm e determinante GCS < 13
(peggioramento del quadro clinico)
Ematomi del tronco encefalico
- Assicurare la pervietà delle vie aeree;
- Trattamento dell’ipertensione endocranica;
- Trattamento dell’ipertensione arteriosa:
 Farmaci antiipertensivi (a breve emivita, a somministrazione parenterale: furosemide, clonidina);
 Trattare ansia, cefalea, nausea e vomito.
- Profilassi anticomiziale (controversa);
- Trattamento di febbre, aritmie cardiache.
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EMORRAGGIE SUBARACNOIDEE
L’emorragia subaracnoidea (SAH) si definisce come uno spandimento ematico negli spazi subaracnoidei.
 Incidenza generale: 3,5 - 6%;
 Regola del terzo:
- 1/3 muore prima del trattamento;
- 1/3 muore o ha esiti invalidanti dopo il trattamento;
- 1/3 riprende una vita normale dopo il trattamento.
 Mortalità a 30 giorni: 45%;
 Morbilità nei sopravvissuti: 50% (deficit neurologici);
 Cause più importanti di mortalità/morbilità dopo il primo episodio di ESA:
ischemia e risanguinamento.
La classificazione fisiopatologica formulata dalla International Classification of
Disease della WHO suddivide le emorragie subaracnoidee in due grandi gruppi:
o ESAa: spontanea per sanguinamento di una malformazione vascolare soprattutto in seguito a rottura di
aneurisma cerebrale, più grave e più difficile da trattare→ Può verificarsi in corrispondenza delle
cisterne subaracnoidee della base (laddove decorrono le arterie del poligono di Willis). La cisterna
coinvolta può essere quella localizzata tra il lobo frontale e quello temporale, in corrispondenza della
scissura del Silvio, dove decorre l’arteria cerebrale media; da qui il sangue, attraverso il liquor, si potrà
diffondere nelle altre cisterne basali e negli spazi subaracnoidei della convessità.
o ESAt: emorragia post-traumatica, che sebbene sia la forma più frequente è molto meno grave e meno
pericolosa→ Può verificarsi in corrispondenza degli spazi subaracnoidei della volta cranica.
EPIDEMIOLOGIA
L’incidenza dell’emorragia subaracnoidea spontanea in Italia è di circa 6-8/100.000 abitanti all’anno,
sostenuta nell’80% dei casi dalla rottura di un aneurisma intracranico sacculare. L’incidenza dell’ESA è
variabile nelle diverse parti del mondo. In Medio Oriente l’incidenza è bassa con meno di 1/100.000
abitanti all’anno, in Giappone e Finlandia invece è elevata con circa 25/100.000 abitanti all’anno.
L’ESA da rottura di aneurisma cerebrale è più frequente nel sesso femminile (2:1) e nella popolazione
caucasica. L’incidenza aumenta con l’età e nella popolazione pediatrica è molto rara (meno di 1/100.000
bambini all’anno), essendo invece molto più frequente a partite da 40-50 anni.
L’ESA da rottura di MAV colpisce invece una popolazione più giovane, intorno ai 20-30 anni.
FATTORI DI RISCHIO
I fattori di rischio di emorragia subaracnoidea sono gli stessi che incidono sulla rottura degli aneurismi
cerebrali endocranici, cioè:
- Fumo di sigaretta;
- Ipertensione arteriosa;
Vi sono alcune malattie congenite legate alla presenza di aneurismi cerebrali e quindi alla possibilità di ESA:
- Coartazione aortica;
- Rene policistico;
- Displasia fibrosa;
- Collagenopatie.
La rottura di un aneurisma cerebrale può essere favorita da attività che determinano rapide oscillazioni
della pressione arteriosa (sforzo fisico, colpo di tosse, manovra di ponzamento attività sportiva, coito,
defecazione). Anche la gravidanza e il parto costituiscono fattori favorenti (periodi a rischio: 3° trimestre di
gravidanza, post-partum periodo in cui sono più frequenti le crisi eclamptiche o ipertensive, per cui una
donna portatrice di un aneurisma sacculare può presentare un ESA).

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Per quanto concerne più specificatamente le ESA spontanee, queste possono essere determinate da:
 Nell’80% dei casi sono determinate da un sanguinamento di un aneurisma endocranico: nel 99% dei
casi sarà un aneurisma sacculare, mentre nell’1% sarà fusiforme.
 MAV (7%);
 Causa sconosciuta (10%): ESA perimesencefalica con angiografia
negativa (70%); ESA diffusa con angiografia negativa (30%)
 Altre cause (3%):
- Vasculiti (aneurismi micotici);
- Fistole arterovenose durali;
- Neoplasie endocraniche cerebrali;
- Disordini della coagulazione (anche iatrogene);
- Adenomi ipofisari: apoplessia pituitarica;
- Trombosi dei seni durali: a seguito della trombosi, si crea
un’ipertensione venosa con conseguente ipertensione
endocranica e rottura della parete venosa;
- Malformazioni artero-venose spinali;
- Dissecazione di arterie cerebrali;
- Anemia falciforme.
CLASSIFICAZIONE
o Clinica→ scala di Hunt-Hess e scala WFNS (world federation of neurosurgical society). Le due
scale identificano entrambe 5 gruppi di pazienti in base alla gravità clinica; dal grado 1 in buone
condizioni cliniche al grado 5 in condizioni cliniche molto severe.
o Radiologica→ scala di Fischer. Valuta, sull’esame TC, la quantità di sangue presente nelle cisterne
subaracnoidee della base cranica.
Tale classificazione permette di far comprendere come un
paziente con ESA può presentarsi in ospedale con una condizione
clinica paucisintomatica, quindi con una minima cefalea, o con un
minimo rigor nucalis; oppure si può presentare con un quadro
clinico neurologico estremamente grave o addirittura in coma.

In questo caso la classificazione viene effettuata in relazione


alla Glosgow Coma Scale e alla presenza o assenza di deficit
neurologici.

La scale di Fischer è importante in quanto la TAC è il primo esame


che viene richiesto e che può essere valutato. Se il sangue non è
riconoscibile alla TAC il paziente sarà un paziente Fischer 1,
oppure se è una ESA diffusa con uno spessore molto sottile sarà
di grado 2. Se invece la raccolta di sangue è intraventricolare o
addirittura intraparenchimale, ancor prima del ventricolo, il
paziente Fischer 4 si trova in condizioni estremamente gravi.
Dunque la quantità di sangue nelle cisterne della base è statisticamente legata alla comparsa di una delle
complicanze dell’ESA, ovvero il vasospasmo cerebrale, a sua volta causa di ischemia. Maggiore è la quantità
di sangue nelle cisterne della base, come ad esempio nel grado di Fischer 3, maggiore sarà la probabilità di
comparsa di vasospasmo. Ciò in quanto saranno i prodotti di degradazione dell’Hb, nella cisterne
subaracnoidea dove ha sede l’ematoma e dove decorre anche la grande arteria del poligono di Willis, a
determinare una vasocostrizione.
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OUTCOME
Per la valutazione dell’outcome dell’ESA vengono comunemente utilizzate due scale di valutazione:
o Glasgow Outcome Scale (GOS): consente di valutare non la condizione clinica, ma l’outcome che
detiene il paziente dopo un trattamento medico o chirurgico.
o Ranking Scale

SINTOMATOLOGIA
- La caratteristica che contraddistingue l’ESA è la comparsa in pieno benessere di cefalea acuta ed
improvvisa. Spesso la cefalea viene definita dal paziente come “la peggiore mai provata nella vita”,
anche chi è normalmente cefalalgico riesce a distinguere questa cefalea come diversa dalle altre. La
sede della cefalea non è indicativa della sede dell’aneurisma. Spesso la cefalea è frontale o frontale
irradiata alla nuca sede occipito-nucale, raramente è unilaterale, descritta come a colpo di pugnale o
trafittiva.
- Segni di irritazione meningea: rigor nucalis, Brudzinski, Kerning, Laségue; fotofobia o fonofobia (il
paziente ha fastidio dalla presenza di luce nell’ambiente, fastidio nei confronti dei rumori, si tiene la
testa o la nuca per la cefalea).
- Febbre;
- Nausea e vomito;
- Crisi epilettiche: da irritazione corteccia o degli spazi subaracnoidei della convessità cerebrale;
- Sindrome di Terson: emorragia nel corpo vitreo conseguenza dell’ESA; questa è una patologia che può
determinare cecità, ma è sicuramente una patologia trattabile dall’oculista.
Possono essere associati disturbi vegetativi:
- Pallore;
- Sudorazione;
- Vertigini;
- Tachi- o bradicardia con extrasistolie.
Se l’emorragia subaracnoidea è associata a sanguinamento intraparenchimale, per cui il sangue dagli spazi
subaracnoidei si fa spazio verso il parenchima cerebrale, e dunque si parlerà di emorragia cerebro-
meningea. Questa è caratterizzata, in associazione con la cefalea, da deficit neurologici focali come disturbi
della stenia o del linguaggio e, molto più frequentemente, da perdita di coscienza fino al coma.

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ESA SINE MATERIA
Nel 10% dei casi l’ESA spontanea non è sostenuta da una malformazione vascolare, dunque lo studio
angiografico sarà negativo (esente da causa apparente). L’ESA è prevalentemente presente nelle cisterne
che circondano il ponte e il mesencefalo, cisterne perimesencefaliche; ed inoltre l’esordio clinico sarà
identico a quello da rottura da aneurisma sacculare, anche se raramente alla cefalea sono associati deficit
neurologici focali o disturbi della coscienza. In tutti i casi è consigliabile la ripetizione di un’angiografia
cerebrale a distanza di 10-15 gg dalla prima, per escludere la presenza di un aneurisma sacculare,
eventualmente non visibile al primo studio angiografico. È possibile, di fatto, che l’ESA abbia determinato
un vasospasmo dell’arteria su cui è impiantato l’aneurisma sacculare, il quale non consente durante
l’esecuzione dell’angiografia una adeguata visualizzazione della malformazione vascolare: la presenza del
vasospasmo dunque potrà determinare la presenza di un falso negativo. La prognosi è in genere migliore.
COMPLICANZE
Risanguinamento
Questa è una delle cause che determina mortalità o deficit neurologici residui estremamente gravi.
Il risanguinamento è stimato in circa il 6-25% dei casi nelle prime settimane, ed è massimo nelle prime 72
ore; vi è inoltre un secondo picco di incidenza (minore) tra la 10° e la 14° giornata. È per questo motivo che
la diagnosi e il trattamento dell’eventuale aneurisma causa dell’ESA è da considerarsi urgenza.
Dopo la diagnosi di ESA il paziente deve essere trasferito al più presto in un centro attrezzato che tratterà
precocemente la causa del sanguinamento. Durante il trasferimento, deve essere accompagnato da un
medico addestrato all’intubazione ed alla rianimazione del paziente nell’eventualità di un risanguinamento.
Al centro vi sono i ventricoli cerebrali (virgole nere ipodense), tra i quali vi è un
pallino iperdenso biancastro che probabilmente corrisponde ad un coagulo di
sangue al di sopra di un aneurisma dell’arteria comunicante anteriore, o di una
pericallosa che si è rotta, determinando sanguinamento. Dopo 3h è presente
un risanguinamento sulla linea mediana e dentro il parenchima cerebrale.
Vasospasmo
Il vasospasmo post-ESA è una riduzione di calibro delle arterie cerebrali che non si manifesta
immediatamente, ma dalla 3° alla 10° giornata e si risolve spontaneamente dopo la 21° giornata. Ciò è
necessario per valutare la finestra temporale del trattamento, a prevalentemente chirurgico piuttosto che
endovascolare; per cui se la finestra temporale definisce un rischio di vasospasmo più elevato la
manipolazione chirurgica può danneggiare ulteriormente il cervello del paziente ed essere causa di deficit
neurologici permanenti post trattamento chirurgico. Lo spasmo può interessare l’arteria dell’aneurisma
responsabile del sanguinamento o anche altre arterie del poligono di Willis. Maggiore è la quantità di
sangue negli spazi subaracnoidei, maggiore sarà la probabilità di comparsa di vasospasmo. In alcuni
soggetti il vasospasmo è tale da creare un grave ipoafflusso nel distretto dell’arteria colpita dallo spasmo ed
un’ischemia cerebrale: se il restringimento del vaso sanguigno è tale da determinare una riduzione del
volume ematico che viene trasferito al cervello è inevitabile la presenza di un’ischemia cerebrale,
condizione che si verifica in circa il 10% dei soggetti con ESA. Clinicamente, si manifesta con aumento della
temperatura corporea, deficit neurologici focali (permanenti nel caso in cui il vasospasmo esiti in ischemie
cerebrali da ipoafflusso distrettuale) o disturbi della coscienza. Il doppler transcranico permette di valutare
la presenza e l’entità del vasospasmo, monitorando la velocità di flusso nelle arterie cerebrali nel corso dei
giorni successivi all’ESA (dal terzo giorno sarà presente un aumento delle resistenze vascolari, il quale è
proprio secondario al vasospasmo). Questo strumento, riguardando una metodica non invasiva, pone il
sospetto di vasospasmo che dovrà poi essere accertato attraverso un’angiografia cerebrale che visualizzerà
in maniera precisa il calibro delle arterie. Il vasospasmo è molto temibile perché attualmente non ci sono
terapie farmacologiche in grado di contrastarlo; viene svolta unicamente una prevenzione alla sua
comparsa con calcio-antagonisti (nimodipina), ma una volta che si instaura l’unica terapia effettuabile è un
trattamento intra-arterioso durante una angiografia cerebrale con vasodilatatori o con angioplastica.

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Idrocefalo
Patologia che consiste in un aumento patologico di LCR all’interno dei ventricoli cerebrali (idrocefalo
interno) o meno frequentemente negli spazi subaracnoidei (idrocefalo esterno), derivante da uno squilibrio
dei processi di produzione e di riassorbimento liquorale (500 ml) e particolarmente frequente nei bambini e
negli anziani. Il LCR è un liquido chiaro (con aspetto di acqua di roccia), caratterizzato da una bassa
pressione di 16-20 mmHg. Le caratteristiche chimico-fisiche sono le seguenti:
 Piccola quantità di proteine: 10-20 mg/dl;
 0-8 leucociti/mmc;
 Glucosio.
Il filtro è rappresentato dalla barriera ematoencefalica; ed in particolare il liquor deve detenere un
quantitativo di proteine e glucosio pari alla metà rispetto al versante ematico. La produzione è di circa 20
cc/h, prevalentemente da parte dei plessi corioidei (localizzati nei ventricoli laterali, nel IV ventricolo e in
parte nel tetto del III ventricolo) e in misura minore da parte dell’ependima e delle meningi (pia madre). Il
riassorbimento avviene a livello dei villi corioidei che si trovano sulla convessità cerebrale grazie al
gradiente pressorio idrostatico tra il LCR (150 mmH 2O) ed il SSS o seno sagittale superiore (90 mmH2O). In
particolare, a partire dai plessi corioidei dei ventricoli cerebrali il liquor passa attraverso il forame di Monro
per giungere nel terzo ventricolo, e attraverso l’acquedotto di Silvio per giungere nel quarto ventricolo;
infine, attraverso i forami di Luschka e di Magendie raggiunge le cisterne subaracnoidee della base cranica.
Inoltre, una quota di liquor scende anche a livello del canale perimidollare attraverso gli spazi subaracnoidei
anteriori, per poi risalire attraverso quelli posteriori nella cisterna magna e giungere ai villi aracnoidei e alla
granulazione del Pacchioni (sulla convessità cerebrale), dove il liquor viene riassorbito. Questo è un sistema
passivo caratterizzato da scambi idrodinamici, non definito dalla presenza di valvole: la circolazione è
determinata dalla produzione di nuovo LCR, in quanto più liquor viene prodotto più viene favorita la
circolazione, anche grazie al movimento delle ciglia ependimali; ma anche da un effetto pompa dovuto alle
onde peristaltiche trasmesse al parenchima cerebrale e alle strutture ventricolari dalle pulsazioni dei vasi
arteriosi del poligono e dalle distensioni elastiche dei seni venosi. Le funzioni del liquor concernono:
protezione del cervello e del MS (potrebbe essere paragonato ad un cuscinetto idraulico, e dunque come
una sorta di ammortizzatore); veicolo per sostanze nutrienti e di scarto, e protezione immunologica.
L’idrocefalo è una condizione che può essere classificata in base a:
o Epoca di insorgenza:
 Congenito: anomalie dello sviluppo fetale o anomalie genetiche;
 Acquisito: secondario ad un tumore che ostruisce la normale circolazione del LCR);
o Fisiopatologia:
 Da iperproduzione: nel caso, ad esempio, di un bambino con papilloma dei plessi corioidei che
determina una iperproduzione di liquor a causa della presenza di più cellule;
 Da ridotto riassorbimento: per ostruzione intra o extraventricolare, o per una ridotta capacità di
riassorbimento da parte dei villi aracnoidei.
o Sede:
 Non comunicante: da ostruzione intraventricolare, per cui i vari ventricoli non hanno la possibilità
di comunicare tra di loro.
 Comunicante: per ostacolo al riassorbimento a livello dei villi aracnoidei e o per ostruzione
extraventricolare; le cavità ventricolari comunicano tra di loro ma il liquor non viene riassorbito.
o Manifestazioni cliniche:
 Acuto: frequentemente complicanza dell’emorragia cerebrale ipertensiva, che si verifica a livello
dei nuclei della base capsulari (nel terzo ventricolo e nel corno frontale del ventricolo laterale), se
questa ha un’entità tale da raggiungere un ventricolo determinando una ostruzione;
 Cronico: solitamente in pazienti normotesi, e dunque più frequentemente negli anziani.
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Idrocefalo Congenito
L’idrocefalo congenito è ridotto per incidenza grazie alla diagnosi precoce si presenta in quei neonati che
presentano le fontanelle aperte, determinando una possibile evoluzione verso un macrocefalo:
- Macrocranio con suture craniche allargate: la dimensione del cranio è molto superiore rispetto a quella
del volto a causa delle fontanelle ancora aperte e della mancata cura dell’idrocefalo.
- Fontanella anteriore tesa;
- Vene epicraniche estremamente evidenti;
- Cute della testa sottile e tesa;
- Sguardo verso l’alto e pupille tese (difetto dell’ammiccamento);
- Ritardo della deambulazione autonoma.
Il liquor si accumula maggiormente nei ventricoli cerebrali, a livello degli emisferi cerebrali, per cui la parte
di teca cranica che si allarga di più è quella laterale, mentre al centro in corrispondenza del tronco e del
cervelletto va a restringersi. Maggiore sarà la presenza di liquor, minore la possibilità di sviluppo del
parenchima cerebrale con conseguente sviluppo di deficit intellettivi gravissimi per deficitario sviluppo del
cervello. Le possibili cause sono:
 Stenosi congenita dell’acquedotto di Silvio;
 Difetti genetici: proteina di adesione cellulare L1CAM, gene su cromosoma Xq28;
 Chiari II (90% idrocefalo): parte del cervelletto e del IV ventricolo si estendono attraverso il forame
magno, bloccando il flusso liquorale e determinando idrocefalo triventricolare. Le tonsille cerebellari, a
causa di un difetto della fossa cranica posteriore, si trovano più in basso determinando un’occlusione
del forame magno.
 Malformazione di Dandy-Walker: anomalia dello sviluppo del cervelletto che si accompagna ad
anomalia della genesi dell’acquedotto di Silvio; per cui data l’indipendenza del sistema sottotentoriale
rispetto a quello sopratentoriale, quest’ultimo (ventricoli laterali e III ventricolo) tendono a dilatarsi.
 Cisti aracnoidee della fossa cranica posteriore: determinano un’occlusione dell’acquedotto di Silvio e
del IV ventricolo, per cui il liquor entra a livello della cisti e non ne fuoriesce, determinando una
compressione a livello cerebellare e quindi un idrocefalo ostruttivo.
Idrocefalo Ostruttivo
L’idrocefalo dovuto ad ostruzione congenita o acquisita del deflusso di liquor, determina un accumulo
all’interno dei ventricoli cerebrali con aumento della PIC e può essere distinto in intraventricolare o
extraventricolare (meningite o ESA). Le cause più frequenti sono:
o Ostruzione del forame di Monro (cisti colloidi, astrocitoma subependimale, altri tumori);
o Ostruzione dell’acquedotto di Silvio (stenosi congenita; diaframmi; tumori della gh pineale, gliomi della
lamina quadrigemina);
o Ostruzione del IV ventricolo (medulloblastoma soprattutto a livello del verme cerebellare,ependimoma,
astrocitoma, papilloma dei plessi corioidei, malformazioni congenite Dandy-Walker o Chiari);
o Ostruzioni ad ogni livello (sinechie dovute ad emorragie o infezioni, ematomi, cisti aracnoidee,
meningiomi, cisticercosi, effetto massa).
L’idrocefalo monoventricolare si verifica per la presenza di membrane in corrispondenza di un forame di
Monro, correlato al ventricolo laterale del foro ostruito. Invece un’ostruzione a livello del III ventricolo o
dell'acquedotto di Silvio (mediante la presenza di membrane), determina comunque una fuoriuscita del
liquor attraverso i forami di Luschka e di Magendie; si interviene dilatando l'acquedotto per ripristinare la
circolazione. Se l'ostruzione è a valle del IV ventricolo nei forami di Luschka e di Magendie, ed anche a
monte nell'acquedotto di Silvio, i plessi coroidei del IV ventricolo continuano a produrre liquor
determinandone una dilatazione; verrà dunque definita la sindrome del IV ventricolo escluso o idrocefalo
ostruttivo triventricolare. Bisogna dunque eseguire un intervento o in microchirurgia mettendo un catetere
nel IV ventricolo (procedura più rischiosa), o in endoscopia per riaprire l'acquedotto bucando il III ventricolo
(il by-pass liquorale riapre la circolazione fisiologica e presenta la stomia, che potrebbe essere richiusa).

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Le membrane possono formarsi come conseguenza di un’aracnoidite reattiva, di un processo infettivo
un’emorragia pregressa che possono scatenare localmente una reazione aracnoidale con funzione
cicatrizzante, e dunque formazioni di tali membrane ostruttive.
Idrocefalo cronico dell’adulto (NPH)
Descritto per la prima volta nel 1965 da Adams e definito come idrocefalo normoteso, successivamente
definito invece nel 1990 come idrocefalo cronico dell’adulto. In pazienti con 60-65 anni, corrisponde al
2-10% di tutte le forme di demenza e le cause sono tuttora controverse (aumentata resistenza al
riassorbimento del LCR, riduzione del normale CBF, ridotta compliance delle vene superficiali). La triade
sintomatologica prevede disturbi della marcia, disturbi urinari e demenza, spesso non presenti
contemporaneamente con diversi gradi di severità. Tutti i disturbi legati alla triade sintomatologica sono
probabilmente correlati ad una sofferenza dei lobi frontali che sono quelli maggiormente compressi dai
ventricoli laterali (i più dilatati nell’idrocefalo normoteso).
o Il deficit cognitivo compare generalmente dopo il disturbo motorio ed esordisce come deficit di
memoria a breve termine; comporta disturbi del comportamento (abulia, apatia, disinteresse,
isolamento, indifferenza, inerzia, rallentamento ideativo, depressione) e corrisponde all’unica demenza
potenzialmente reversibile dopo trattamento.
o I disturbi della deambulazione vengono determinati o per insufficiente input della corteccia sensitivo-
motoria alla formazione reticolare, o per interessamento del tratto cortico-spinale che decorre in
prossimità dei ventricoli laterali dilatati. Sono i primi sintomi a comparire e i primi a risolversi dopo
trattamento, ed il primo disturbo principale corrisponde all’aprassia motoria (postura eretta instabile
con tendenza alla retropulsione, marcia caratterizzata da passi piccoli e strascicanti, definita come
marcia magnetica).
o Il disturbo urinario esordisce con disturbi incompleti come pollachiuria, nicturia, urgenza minzionale
che precedono per lungo tempo l’instaurarsi di una incontinenza vera e propria (dd ipertrofia
prostatica); nelle fasi avanzate è presente incontinenza urinaria e fecale e si assiste ad un
miglioramento significativo dopo derivazione liquorale.
Sono presenti crisi cefalalgiche abbastanza importanti nei giorni antecedenti all’esordio acuto, dato per
esempio da un’ostruzione temporanea di un forame di Monro, la quale crisi regredisce nel giro di qualche
ora; successivamente una cefalea più acuta può accompagnarsi a vomito, alterazioni del visus che possono
regredire ma che possono determinare anche l’evoluzione verso il coma.
Gli aspetti TC indicano una dilatazione delle camere ventricolari con un indice di Evans (diametro corni
frontali/diametro intracranico misurato allo stesso livello)>0,3. È presente ipodensità periventricolare nella
forma acuta dovuto alla presenza di trasudazione liquorale, che non è presente in quella cronica dato che
l’ependima non consente il passaggio di liquor in quanto si adatta pian piano determinando un’evoluzione
di tipo sclerotico. Spesso data la presenza di una sindrome di ipertensione endocranica, i solchi saranno
compressi e obliterati. Chirurgicamente è possibile effettuare una derivazione liquorale ventricolare
esterna, utilizzata soprattutto nelle forme di idrocefalo acuto, mediante un foro sulla corteccia frontale
dell’emisfero non dominante, inserendo un catetere nel corno frontale del ventricolo laterale destro per
drenare il liquor verso l’esterno (risulta essere temporaneo, essendo presente un rischio di infezione per via
del collegamento con l’esterno). Inoltre è possibile effettuare una Terzo-ventricolo-cisternostomia
endoscopica (utilizzata soprattutto nelle forme congenite e nelle forme cistico-emorragiche), che
corrisponde ad una derivazione ventricolo-peritoneale che permette la comunicazione tra il III ventricolo e
la cisterna subaracnoidea della base cranica o cisterna interpeduncolare; (nella cisterna subaracnoidea
galleggia l'arteria cerebrale posteriore, e superiormente all’arteria cerebrale posteriore e quella cerebellare
superiore decorre il nervo oculomotore). È un trattamento standard, sia nei bambini sia negli anziani; viene,
di fatto, effettuata soprattutto nei casi di idrocefalo cronico, il quale, essendo una condizione di lunga
durata i sistemi di riassorbimento dei villi aracnoidei non funzionano, per cui è necessario trasferire una
certa quantità di liquor dai ventricoli al peritoneo, a livello del quale il liquor poi verrà riassorbito.

32
Successivamente il cranio, nel caso in cui dovesse avere le fontanelle ancora aperte, comincerà a ridursi di
volume, sebbene non ritornerà mai alle sue dimensioni normali. È possibile effettuare anche una
derivazione ventricolo-atriale o ventricolo-peritoneale, per quei pazienti che sono stati già operati a livello
addominale o hanno una carcinosi peritoneale, cicatrici, tumori dell'intestino (…). In generale, si fa un foro
con un trapano in regione prefrontale per raggiungere un ventricolo laterale, si passa attraverso il forame
di Monro e si scende nel III ventricolo, per effettuare un buco nel pavimento del III ventricolo mediante un
palloncino (in modo tale che il liquor possa seguire lo stesso decorso che in assenza di ostruzione).
Idrocefalo Acuto
L’idrocefalo acuto è una condizione caratterizzata dalla presenza di sangue all’interno del sistema
ventricolare, dopo poche ore o dopo pochi giorni in seguito all’evento che ne ha determinato la
formazione. Oltre l'85% degli aneurismi sono localizzati nei vasi del poligono di Willis, quindi alla base del
cervello, negli spazi subaracnoidei basali, per cui un’ESA determinerà un'ostruzione alla circolazione del
liquor che si accumulerà all'interno della scatola cranica. Nella fase acuta dell’ESA il sangue dalle cisterne
della base diffonde in tutti i solchi corticali sino alle granulazioni del Pacchioni, e dalla cisterna cerebello-
midollare all’interno del quarto, del terzo e dei ventricoli laterali (emorragia intraventricolare); il sangue
coagulandosi può determinare ostruzione alla normale circolazione liquorale determinando un idrocefalo
ostruttivo. Inoltre, meno frequentemente, anche in acuto vi potrebbe essere una ostacolata funzione delle
granulazioni del Pacchioni. Il paziente che, nelle prime ore può avere soltanto cefalea e segni di irritazione
meningea, inizia ad avere disturbi della coscienza, fino al coma se l’idrocefalo non viene risolto
chirurgicamente. La diagnosi si esegue con uno studio TC del cranio senza contrasto. Il trattamento
chirurgico consiste nell’esecuzione di una derivazione ventricolare esterna: dopo aver fatto un foro di
trapano in regione frontale, viene posizionato un catetere all’interno del corno frontale di uno dei ventricoli
laterali, mentre l’altro lato del catetere sarà connesso con un sistema di raccolta liquorale esterno.
Idrocefalo Cronico
È dovuto alla presenza di sangue negli spazi subaracnoidei o ad eventuale alterazione delle strutture che
assorbimento del liquor, granulazioni aracnoidali o del Pacchioni, ed insorge circa 30 gg dopo l’evento.
Risoltasi la fase acuta dell’ESA, la circolazione liquorale può aver subito comunque una grave alterazione.
Dopo diversi giorni dall’ESA può comparire una progressiva dilatazione dei ventricoli cerebrali che di solito
inizia dai corni temporali dei ventricoli laterali, in quanto sebbene venga definito come idrocefalo
tetraventricolare, e non ostruttivo come nella forma acuta, non sempre è presente un coinvolgimento in
toto del sistema ventricolare.

Nella prima immagine i ventricoli laterali sono


leggermente dilatati, successivamente sono
francamente dilatati, ed infine nel momento
in cui i corni temporali sono francamenti
dilatati anche il resto delle camere
ventricolari saranno ampiamente dilatati.

Fino al 70% di pazienti al momento del sanguinamento e nelle ore successive possono evidenziare
alterazioni elettrocardiografiche, dunque complicanze sistemiche contrapposte a quelle propriamente
neurologiche. Tra queste le più frequenti sono accorciamento del segmento ST, alterazioni dell’intervallo
QT ed onda T negativa. L’aumento della pressione sistemica che si registra al momento dell’emorragia
subaracnoidea, è in parte conseguenza dell’ipertensione endocranica, in parte dovuta all’aumento delle
catecolamine.

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DIAGNOSI
Nelle prime ore la TC ha elevatissima sensibilità nel rilevare la presenza di sangue negli spazi subaracnoidei
o nelle cisterne subaracnoidee (superiore al 95%). Nei rari casi in cui lo studio TC non mostra l’ESA, è
indispensabile effettuare una rachicentesi che mostrerà liquor emorragico, anche dopo il drenaggio di
alcuni cc (prova delle tre provette), e non solo all’inizio della puntura lombare. Nella prova delle tre
provette viene posto il liquor in tre provette, e se questo si mantiene emorragico, non solo nella prima
(laddove è più probabile che l’ago spinale penetrando abbia punto un’arteria o una vena), ma anche nella
terza, indicando dunque che il sangue non deriva dalla regione superficiale bensì che è contenuto già nel
liquor. Se sono trascorsi alcuni giorni dall’esordio di ESA, la TC sarà meno sensibile nel rilevare la presenza
di sangue nelle cisterne della base, in quanto non rileva l’iperdensità del sangue fresco; mentre la
rachicentesi darà esito di liquor xantocromico (lievemente giallo) e la sua analisi rivelerà la presenza di
metaemoglobina, segno certo di pregresso sanguinamento. Dunque anche in presenza di una TAC negativa
una rachicentesi positiva è dirimente per una ESA.
Se alla TAC, in PS, viene evidenziata un’ESA viene svolta in automatico anche un’Angio-TAC, per valutare le
sequenze angiografiche dei vasi del Poligono di Willis per rilevare la presenza e la morfologia
dell’aneurisma. Il gold standard per l’identificazione delle malformazioni vascolari cerebrali rimane
l’arteriografia cerebrale con iniezione di mdc nei 4 vasi cerebrali (arterie carotidi e vertebrali), in quanto
spesso possono essere presenti aneurismi multipli in regioni differenti. L’angiografia cerebrale permette
spesso anche il trattamento dell’aneurisma causa del sanguinamento, mediante tecnica di coiling
(endovascolare). Dunque in presenza di quadro clinico suggestivo di ESA, al PS, in seguito all’esecuzione di
una TAC, se questa è negativa e vi è un quadro clinico in miglioramento è sufficiente l’osservazione del
paziente, in quanto potrebbe essere il caso di un’ESA sine materia; in caso contrario potrebbe essere
necessario dirimere il dubbio diagnostico attraverso l’esecuzione di una puntura lombare. Se anche questa
è negativa è possibile escludere che si sia trattato di un’ESA, per cui ancora una volta vi è l’osservazione del
paziente; ma se è risultata positiva dovrà essere svolta una Panangiografia cerebrale. Se invece, in
partenza, la TAC inziale presenta un esito positivo per ESA, viene eseguita un’Angio-TAC ed una
Panangiografia per il trattamento endovascolare o chirurgico. Se la Panangiografia è negativa, non
permettendo la visualizzazione di aneurismi, potrebbe essere presente un’ESA sine materia e dunque sarà
necessario un trattamento conservativo; se invece l’esame è negativo anche per ESA perimesencefalica, ma
è presente il sospetto clinico, sarà necessario ripetere la panangiografia dopo 2 settimane per valutare se
risolvendosi il vasospasmo è possibile visualizzare agiograficamente l’aneurisma rotto. Qualora, invece,
dovesse essere positiva l’angiografia cerebrale, e quindi permettere la visualizzazione dell’aneurisma
cerebrale, allora il paziente deve essere avviato verso il trattamento endovascolare o chirurgico.

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MALFORMAZIONI VASCOLARI
ANEURISMI CEREBRALI
È una malformazione vascolare che prende origine dalle arterie cerebrali, e che corrisponde a una
dilatazione circoscritta delle arterie intracraniche, formati per progressivo sfiancamento di un tratto della
parete arteriosa, la cui resistenza alla pressione sanguigna è ridotta per cause diverse. A differenza degli
altri aneurismi della circolazione sistemica, di solito fusiformi, ha aspetto sacculare costituito da una
porzione ristretta in collegamento con l’arteria, colletto, ed una porzione più dilatata o sacca. Gli aneurismi
si verificano generalmente nei punti di biforcazioni delle arterie, laddove la parete è più debole.
L’incidenza annua è di 10/100000 abitanti. I fattori di rischio per la rottura di un aneurisma sono il sesso
femminile, l’età (50-60 anni), fumo di sigaretta, l’ipertensione e l’anamnesi positiva per ESA (la cosiddetta
cefalea sentinella, data da un minor bleeding o sanguinamento minimo, non dà una rottura aneurismatica
ma è segno di un indebolimento della parete che si potrebbe rompere alla prima crisi ipertensiva).
L’anamnesi familiare valutare la patologia renale con di rene policistico, ed inoltre viene indicato uno studio
delle arterie cerebrali (angio-CT o angio-RM) nelle famiglie in cui due o più parenti di primo grado abbiamo
un aneurisma cerebrale.
o Sacculari: qualunque arteria intracranica; sono connessi al vaso mediante un
sottile colletto o una larga base d’impianto;
o Fusiformi: più rari, interessano l’intera circonferenza del vaso; più frequenti nelle
arterie carotidee, vertebrali e basilare;
o Dissecanti: rari; formati per scollamento dell’intima dalla tunica media, e
successiva dilatazione vasale.
Dal punto di vista eziologico, gli aneurismi si distinguono in:
 “Congeniti” (90%): assenza della lamina elastica interna e degli strati muscolari della media di una delle
arterie del poligono di Willis o nei punti di biforcazione tra due arterie maggiori dello stesso poligono,
laddove gradualmente, per effetto delle turbolenze del flusso sanguigno, viene determinata la
formazione di un aneurisma.
 “Acquisiti”: legati a un processo infiammatorio-degenerativo che coinvolge la parete del vaso,
determinando uno sfiancamento con l’avanzare del tempo.
 Aterosclerotici: degenerazione ialina e fibrosi della membrana elastica, deposizione di colesterolo ed
emorragia subintimale; questo è il caso degli aneurismi di Charcot-Bouchart.
 Traumatici: o dopo traumi aperti o per lesioni vasali in corso di interventi chirurgici o trattamento
endovascolare; spesso è questo il caso degli aneurismi dissecanti o fusiformi.
 Infiammatori (micotici): per localizzazione sulla parete vasale di emboli settici provenienti da focolai
infiammatori a distanza; da endocarditi streptococciche e setticemie o candidosi, aspergillosi.
 Affezioni del vaso: displasia fibromuscolare; sindrome di Marfan; arterite a cellule giganti; LES.
Da studi autoptici emerge che un’alta percentuale della popolazione (circa il 4%) è portatrice di aneurismi
cerebrali, molti dei quali quindi non sanguinano per tutta la vita dell’individuo. La probabilità di rottura è in
relazione con le dimensioni dell’aneurisma (aneurismi di maggior volume hanno maggior probabilità di
sanguinamento), con la sede (aneurismi del circolo posteriore hanno maggior probabilità di
sanguinamento) e con fattori di rischio ambientali quali soprattutto il fumo e l’ipertensione arteriosa.
- Il 90% degli aneurismi cerebrali si trovano su arterie del circolo di Willis;
- Nell’85% dei casi gli aneurismi colpiscono il circolo anteriore;
- Nel 15% dei casi gli aneurismi colpiscono il circolo posteriore;
- Il 15% dei pazienti può avere aneurismi multipli.

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È sempre necessario uno studio completo del circolo cerebrale. L’aneurisma non dà segno di sé fino alla sua
rottura, per cui non è possibile sapere quali sono i soggetti portatori di un aneurisma. Il volume corrisponde
generalmente da 3-4 mm fino a 1 cm, con diametro critico tra 7 e 12 mm.
Si rompe più facilmente un aneurisma più piccolo, con pressione e turbolenza maggiori, a differenza di
quello più grande in cui si formano quasi sempre all’interno dei trombi che ne causano un’occlusione,
manifestandosi con crisi epilettiche o con deficit neurologici secondari alla compressione. Di fatto, nei rari
in cui il diametro sia superiore a 2.5 cm determinano un effetto massa sul parenchima circostante con una
sintomatologia pseudotumorale. Inoltre, localizzandosi in particolari sedi vicino a nervi cranici, come accade
nel caso di alcuni aneurismi della giunzione arteria carotide-arteria comunicante posteriore, vicini al III n.c.,
si può manifestare una sintomatologia neuro-paralitica con un deficit del nervo che si può instaurare anche
in un tempo relativamente rapido (giorni o ore). La compressione del III n.c. può causare una disfunzione
delle fibre parasimpatiche che vanno al muscolo dilatatore della pupilla, determinando così midriasi.
- La compressione del I nervo cranico o del chiasma ottico determina un deficit del campo visivo;
- Gli aneurismi intracavernosi possono comprimere il III, IV e VI nervo cranico, prima della divisione
trigeminale e gangliare determinando oftalmoplegia e dolore al viso;
- Un aneurisma dell’arteria comunicante posteriore potrebbe produrre una paralisi del III nervo. Questo
indica una rapida espansione ed un trattamento urgente; spesso associato a ESA.
- L’aneurisma dell’arteria basilare potrebbe comprimere il mesencefalo o il III nervo cranico,
determinando debolezza degli arti o alterati movimenti oculari;
- La compressione dell’ipofisi o dell’ipotalamo causano ipopituitarismo.
La rottura aneurismatica in rari casi, oltre all’ESA isolata, potrebbe anche determinare:
 Emorragie cerebromeningee o intracerebrali o ESA isolata: l’aneurisma può determinare o un’ESA
isolata o un’emorragia intracerebrale o entrambe le evenienze;
 Emorragia ventricolare;
 Ematoma subdurale: è raro, ma gli aneurismi del primo tratto dell’arteria cerebrale media a volte si
diffondono per via retrograda insinuandosi nello spazio subdurale.
Alla TC è possibile visualizzare l’iperdensità ematica a livello delle cisterne della base. Inoltre, il pattern di
sanguinamento può indirizzare verso la sede della malformazione vascolare: se c’è sangue solo a livello
della scissura di Silvio, probabilmente vi sarà un aneurisma dell’arteria cerebrale media; se invece è
presente soltanto in regione interemisferica probabilmente è localizzato nell’arteria comunicante anteriore.
La TC evidenzia altre alterazioni associate quali idrocefalo, edema cerebrale o ematoma intraparenchimale.
Le complicanze correlate sono:
 Ischemia, vasospasmo e risanguinamento;
 Idrocefalo: ostruttivo se dovuto a ostruzione degli spazi subaracnoidei della base, o a mancato
riassorbimento da parte dei villi aracnoidei;
 Epilessia: per irritazione corticale;
 Ipertensione endocranica, IMA, Aritmie cardiache ed Edema polmonare.
TERAPIA
La terapia medica in caso di ESA da rottura di aneurisma consiste in:
 Controllo della PA sistema e della PPC (triple H: hypertension, hypervolemia, hemodilution):
quest’ultima viene utilizzata in seguito al trattamento dell’aneurisma o con tecnica endovascolare o
chirurgica per prevenire il vasospasmo.
- Mantenere PA sistolica fra 150 e 120 mmHg per contrastare gli effetti del vasospasmo e ridurre i
rischi di risanguinamento;
- Infusione di nimodipina (calcio-antagonista) per il ridurre gli effetti correlati al vasospasmo;
- Modica emodiluizione ed iperidratazione; somministrazione di Mg.
 Analgesia e modica sedazione: antecedente al trattamento dell’aneurisma, in quanto il mal di testa
potrebbe determinare un incremento pressorio, che a sua volta aumenta il rischio da risanguinamento.

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 Terapia antiedemigena cerebrale;
 Trattamento di nausea e vomito (lo sforzo congesto del vomito potrebbe determinare anch’esso un
aumento di pressione arteriosa) e profilassi anticomiziale (?)
Il trattamento degli aneurismi cerebrali presenta una tecnica endovascolare, in cui si effettua un
inserimento di microspirali che riempiono completamente la sacca +/- stent. Ciò può essere effettuato
mediante l’inserimento di un catetere in un’arteria femorale, grazie al quale è possibile risalire fino
all’arteria cerebrale, sede dell’aneurisma, e rilasciare all’interno della sacca aneurismatica delle coils o
spirali, che avranno il compito di favorire un processo di trombosi della sacca aneurismatica. Per effettuare
tale trattamento è necessario un certo rapporto di dimensioni tra la sacca ed il colletto dell’aneurisma: se il
colletto è stretto e la sacca è grande è un caso ideale per il trattamento endovascolare. Oggi, anche nei casi
in cui il colletto è ampio quasi quanto la sacca, è possibile trattare questi aneurismi con tecnica
endovascolare, aggiungendo però oltre alle coils anche uno stent a livello del vaso principale, in modo tale
da sigillare e chiudere il passaggio del colletto; altrimenti con un colletto troppo ampio il rischio sarebbe
quello che parti delle spirali con il flusso sanguigno potrebbero uscire e spostarsi in corrispondenza
dell’arteria principale, innescando dei fenomeni di trombosi vasale, e dunque ischemie cerebrali gravissime.
Il trattamento chirurgico che consiste in un posizionamento di clip metallica attorno al colletto o
posizionamento di stent, la quale consente di escludere l’aneurisma.
TRATTAMENTO PRECOCE IN ASSENZA DI CONTROINDICAZIONI: grado H-H 3-5 (senza ematoma), grave
patologia sistemica, età > 75 anni.
Rischio di risanguinamento dopo ESA da rottura di un aneurisma:
 Maggior rischio di risanguinamento nelle prime 24 h (4%);
 Aumenta di 1.5% ogni giorno fino alla 14a giornata, quando raggiunge il 15-20%;
 A 6 mesi 50%;
 3,5 % annuo;
 L’intervento chirurgico precoce (entro 48 h) ha, rispetto all’intervento tardivo (entro 10-14 gg), una
mortalità operatoria maggiore, ma una mortalità totale minore;
 Maggior incidenza di vasospasmo fra la 3a e la 10a giornata dal sanguinamento (mortalità
7%; morbilità 15%).
Non è necessario sapere queste percentuali, ma fanno comprendere quanto è grave la patologia.
Indicazioni alla chirurgia
- Se il trattamento endovascolare non è praticabile;
- Se si devono trattare complicanze da sanguinamento spontanea dell’aneurisma (ematoma, idrocefalo,
ipertensione endocranica non controllabile);
- Se si verificano complicanze del trattamento endovascolare (rottura dell’aneurisma durante
embolizzazione, fuoriuscita delle spirali dall’aneurisma con rischio di trombosi del vaso portante);
- Se vi è occlusione parziale dell’aneurisma dopo embolizzazione;
- Se vi è ripermeabilizzazione dell’aneurisma dopo embolizzazione;
- Se vi sono controindicazioni al trattamento endovascolare: aneurisma sacciforme piccolo o “large” con
colletto>4 mm o con rapporto sacco/colletto=1; se s/c è >1,5 l’aneurisma può essere totalmente
occluso solo parzialmente poiché se le spirali tenderanno a protrudere nel vaso portante.
CHIRURGIA PRECOCE
VANTAGGI SVANTAGGI
Elimina i rischi di risanguinamento Maggiori difficoltà tecniche (retrazione del
cervello più difficile, potenzialmente più
dannosa, coaguli ematici ostacolano la dissezione
chirurgica)
Facilita il trattamento del vasospasmo Maggior rischio di rottura intraoperatoria
dell’aneurisma
Permette di rimuovere il sangue dalle cisterne Maggiore incidenza di vasospasmo
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MAV
La malformazione artero-venosa (MAV) è un’alterata comunicazione tra arterie e vene cerebrali senza un
letto capillare interposto; per cui le arterie si continuano direttamente con le vene in modo tale che venga
meno quel distretto fisiologico fondamentale per la riduzione dei valori pressori arteriosi (letto capillare).
Multiple arterie possono essere coinvolte nella malformazione
e le vene possono dilatarsi e rompersi, in quanto riceveranno
sangue direttamente dalle arterie con valori pressori propri
delle arterie. Se tra arterie e vene è presente un groviglio di vasi
(nidus), si parla di malformazione artero-venosa; se invece
un’arteria riversa direttamente il suo sangue in una vena
cerebrale si parla di fistola artero-venosa.
A differenza degli aneurismi cerebrali che danno segno di sé solo dopo la rottura, se non in casi rari, le MAV
possono manifestarsi con crisi epilettiche e con sanguinamento che può essere subaracnoideo, cerebro-
meningeo, oppure manifestarsi mediante un’emorragia endoventricolare. Il sanguinamento della MAV
avviene solitamente in età più giovane rispetto a quello degli aneurismi cioè intorno ai 20-30 anni. Il rischio
di sanguinamento di una MAV è 2% all’anno, molto superiore a quello di un aneurisma non rotto, ma la
mortalità conseguente al sanguinamento è di circa il 10%, inferiore quindi a quella dovuta alla rottura di un
aneurisma che è di circa il 50%. La diagnosi viene effettuata con la TAC o l’angio-TAC, sebbene il gold
standard sia l’angiografia cerebrale che permette di visualizzare correttamente le arterie che nutrono
la malformazione e le vene di drenaggio. Esistono tre opzioni terapeutiche:
1. Chirurgia: con asportazione della malformazione;
2. Trattamento endovascolare: con embolizzazione dei rami arteriosi. Ciò riduce il flusso sanguigno alla
componente venosa; a volte l’embolizzazione viene eseguito prima che il neurochirurgo asporti
chirurgicamente la MAV, in quanto chiudendo le arterie, è presente la possibilità di asportare la MAV
con un rischio di risanguinamento di gran lunga minore.
3. Trattamento radiochirurgico: con Gamma Knife.
FAVD
Se le MAV sono la comunicazione tra arterie e vene cerebrali, le fistole arterovenose durali sono una
comunicazione tra un’arteria durale ed una vena cerebrale. Sono malformazioni non congenite ma
acquisite. La sintomatologia delle fistole artero-venose durali è legata al sanguinamento che determina
sempre un’emorragia cerebro-meningea. Meno frequentemente i pazienti possono lamentare sintomi
di ipertensione endocranica legata all’ipertensione nel sistema venoso cerebrale o crisi epilettiche. Talvolta
se la fistola coinvolge un seno venoso adiacente ad esempio alla rocca petrosa (seno petroso superiore,
seno sigmoideo) il paziente può avvertire un acufene pulsante determinato proprio dalla fistola. La diagnosi
viene effettuata mediante angiografia cerebrale con visualizzazione delle arterie meningee che nutrono
la malformazione AV e delle vene di scarico. Il trattamento può essere chirurgico o endovascolare.
Tale classificazione è importante in quanto indica il rischio di sanguinamento delle fistole:
1) Il rischio è basso in quanto non è
presente un’alterazione di flusso
venoso nelle vene cerebrali;
2) La pressione all’interno del seno
venoso è aumentata, in quanto
l’arteria pompa sangue

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direttamente nel senso venoso, per cui se viene pompato molto sangue il flusso sanguigno si inverte e
diventa retrogrado;
3) Viene determinato un notevole aumento di pressione della vena cerebrale, con un’inversione del flusso
sanguigno, determinando dunque un rischio di sanguinamento altissimo.
CAVERNOMI O MALFORMAZIONI CAVERNOSE CEREBRALI
La lesione è caratterizzata da dilatazione di capillari raccolti in gomitoli e privi di parenchima nervoso
interposto (a differenza delle MAV, laddove è presente tessuto cerebrale interposto tra arterie e vene
patologico). I cavernomi sono lesioni dinamiche che possono formarsi o regredire nel corso degli anni.
La loro prevalenza nella popolazione generale è stimata, a seguito di studi autoptici e di risonanza
magnetica, in circa lo 0,1-0,5%, di fatto spesso non vengono neanche diagnosticate; queste possono
presentarsi in forma sporadica o familiare. Quest’ultima è trasmessa come carattere autosomico
dominante a penetranza incompleta. Le forme sporadiche si manifestano, di solito, con lesioni singole,
mentre quelle familiari presentano lesioni multiple. Ad oggi sono noti tre geni responsabili della malattia
familiare, chiamati CCM1(7q 21.2), CCM2(7p 13) e CCM3(3q 25.2); il locus CCM1 è responsabile del 40%
circa delle forme familiari, mentre il locus CCM2 e il locus CCM3 sono responsabili rispettivamente del
restante 20% e 40%. Il sistema nervoso centrale (SNC) è l’area più frequentemente colpita dalla malattia
(70-90% dei casi). La maggior parte delle lesioni cerebrali sono corticali o sottocorticali.
La maggior parte di queste lesioni sono asintomatiche o hanno un decorso relativamente benigno,
presentando a volte delle piccole emorragie anche in modo apparentemente asintomatico. Questi tuttavia
possono diventare una lesione patologica importante in quanto clinicamente possono dare crisi epilettiche,
dovute al deposito di emosiderina che determina un’irritazione del parenchima cerebrale laddove è situato;
o se si rompono (in una piccola minoranza) e dunque sanguinano possono dare episodi ricorrenti di
emorragia cerebrale, in cui si può avere la presenza di deficit neurologici di varia entità o vario tipo oltre
alla cefalea. Dunque possono causare crisi comiziali focali o secondariamente generalizzate, emorragie
cerebrali, deficit neurologici focali o cefalea ricorrente. Le manifestazioni cliniche neurologiche iniziano
tipicamente tra la II e V decade di vita, sebbene le lesioni anatomiche siano osservabili in tutte le età.
La diagnosi, soprattutto utile a comprendere se un
cavernoma ha già dati precedenti eventi emorragici, viene
fatta con RM utilizzando la sequenza gradient echo, in
grado di evidenziare la presenza di emosiderina (che
riconducono a sanguinamenti pregressi) all’interno del
cavernoma. L’angiografia non è indicata, in quanto la RMN
permette di porre una diagnosi di certezza e precisione.
La resezione chirurgica è la principale modalità di trattamento per le malformazioni cavernose cerebrali nei
pazienti che presentano un’emorragia sintomatica, in maniera tale da effettuare un’asportazione. Ciò
quando la terapia farmacologica antiepilettiche non è sufficiente a determinare le crisi epilettiche, o
quando il cavernoma ha dato un’emorragia cerebrale di dimensioni cospicue o ripetute, determinando un
rischio di risanguinamento importante e dunque dei deficit neurologici.
MALFORMAZIONI VASCOLARI SPINALI
Le Malformazioni artero-venose spinali sono lesioni rare il cui sanguinamento determina un’ematomielia
(presenza di un ematoma all’interno del MS) oltre che un’emorragia subaracnoidea spinale perimidollare. Il
quadro clinico sarà para- o tetraparesi in rapporto al livello della lesione, con disturbi sensitivi e autonomici.
La diagnosi potrà essere effettuata con risonanza magnetica ed angiografia vertebrale.
Nelle Fistole artero-venose durali spinali, a differenza delle fistole durali craniche, il sanguinamento è un
evento rarissimo e la sintomatologia è determinata dall’aumento di pressione venosa data dalla fistola.
La diagnosi potrà essere sospettata con RMN che mostrerà le vene midollari dilatate.

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In tali pz è necessari una d. d. con l’ernia discale, con una condizione di stenosi del canale vertebrale
lombare o spondilolistesi: laddove vengono riconosciuti i vuoti di flusso, o alterazioni del segnale che
indicano la presenza di gavociolli venosi o alterazione delle vene perimidollari. Questo corrisponde dunque
al segno diretto di FAVD spinale che determina un’alterazione dei valori di pressione arteriosa a livello
spinale, motivo per cui il paziente presenta dei deficit neurologici.

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ERNIE DISCALI E SPOINDILODISCOARTROSI
Le ernie discali e le spondilodiscoartrosi sono molto frequenti dal punto di vista epidemiologico, per cui vi è
una grande richiesta e di conseguenza una grande offerta di trattamenti sanitari per tali patologie, molti dei
quali non sono supportati da alcuna evidenza scientifica.
L’unità motoria a livello vertebrale è costituita da due vertebre e dal disco vertebrale interposto; il disco
intervertebrale è costituito da una porzione esterna, l’anulus fibroso, e una porzione interna, il nucleo
polposo, ricco di proteoglicani e di mucopolisaccaridi. Come mezzi di stabilità biomeccanica fondamentali,
anteriormente saranno presenti i corpi vertebrali; posteriormente vi saranno invece le articolazioni
vertebrali, le faccette articolari e le zigapofisi. Il canale vertebrale è una struttura che può avere una forma
molto diversa in un uomo o in una donna rispetto anche ad altri individui dello stesso sesso.
Le ernie del disco o le alterazioni degenerative di tipo artrosico della colonna e hanno alla base dei
meccanismi della cascata degenerativa della colonna vertebrale:
1) Degenerazione disco intervertebrale: un fenomeno di invecchiamento o di degenerazione del disco
intervertebrale determina processi di disidratazione, fissurazione dell’anulus ed estrusione
nucleo polposo, al di fuori dalla sua sede anatomica naturale, ovvero il disco intervertebrale, causando
dunque un’ernia discale; anche alla RMN è possibile valutare tali alterazioni.
2) Instabilità biomeccanica: la rottura del disco intervertebrale o una sua alterazione strutturale
determina un’instabilità biomeccanica, con conseguente incremento della motilità segmentale; ciò
potrebbe essere dovuto, ad esempio, a spondilolistesi, processo di scivolamento vertebrale.
3) Fase reattiva: determina una serie di fenomeni e meccanismi compensativi per rendere nuovamente
stabile la colonna vertebrale. Dunque viene determinato un inspessimento delle strutture legamentose
ed osteoarticolari con riduzione diametri canalari, in conseguenza all’ispessimento di queste stesse
strutture (spondilodiscoartrosi, stenosi del canale vertebrale), con compressione delle strutture nervose
e loro infiammazione. La stenosi del canale vertebrale può colpire qualsiasi segmento del rachide,
maggiormente interessati i segmenti lombare e cervicale, ma anche dorsali che sono le più rare e le più
difficili da trattare chirurgicamente.
La spondilodiscoartrosi, processo patologico di tipo artrosico a carico degli spondili, è caratterizzata da una
serie di alterazioni anatomiche, restringimento dei diametri del canale vertebrale con incongruenza tra
strutture contenenti e le strutture contenute, e di conseguenza funzionali. Il diametro della colonna
vertebrale non avrà un diametro tale da potersi adattare adeguatamente alle strutture quali il midollo
spinale a livello cervicale, o il sacco durale con le radici nervose della cauda equina a livello lombosacrale;
per cui, nonostante il canale vertebrale conterrà in ogni caso tali strutture, essendo ridotto lo spazio a
disposizione delle stesse in modo significativo, verrà determinata una compressione delle strutture nervose
che dunque si infiammeranno e presenteranno deficit funzionali, con conseguente dolore e/o deficit
neurologici.
Le alterazioni artrosiche a livello della colonna vertebrale, favoriranno la
formazione di osteofiti, che sono come dei piccoli becchi di osso, che determinano
un restringimento o del canale vertebrale nella sua porzione mediana o nei forami
di coniugazione; oppure potrebbero favorire l’inspessimento dei legamenti gialli, o
potrebbe esservi la presenza di una eventuale ernia del disco che contribuisce
ulteriormente a determinare il restringimento del canale.
La stenosi foraminale corrisponde al restringimento dei forami di coniugazione, attraverso i quali passano
le radici nervose. Le pareti del forame di coniugazione sono costituite da osso, per cui se una radice
nervosa, viene schiacciata in questa sede il paziente avrà una sintomatologia importante, per cui la radice
nervosa verrà intrappolata. Questa è causata da:
- Sublussazione delle faccette articolari;
- Osteofiti;
- Ernia del disco.

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Le ernie del disco vere e proprie vengono anche definite come ernie molli, e sono le ernie più frequenti nei
soggetti giovani, in taluni casi presenti anche nei soggetti anziani. Le ernie dure sono spesso costituite da
osteofiti, secondarie a spondilodiscoartrosi, sono presenti più spesso in soggetti anziani, dai 60 anni in poi,
in entrambi i sessi, ma presenti anche in soggetti più giovani.
In alto viene rappresentata la radice nervosa, la quale, in questo forame di coniugazione è
libero, può fuoriuscire dall’interno del canale vertebrale e portarsi nell’arto superiore o
inferiore in modo libero; più in basso la radice nervosa è più piccola in quanto il forame di
coniugazione è più piccolo o per processi ipertrofici, per la sublussazione delle faccette
articolari, per la presenza eventuale di osteofiti in aggiunta oppure ancora di presenza di ernia
del disco, determinando un restringimento del forame di coniugazione; In basso, non soltanto
è schiacciata da una faccetta articolare ipertrofica e parzialmente sublussata, ma addirittura è
presente una condizione chiara di infiammazione.
ERNIA DEL DISCO LOMBARE
CLASSIFICAZIONE
• In base al livello del disco (es: L4-L5);
• In base alla posizione nel canale vertebrale:
- Centrale o Mediana: causa la stenosi del canale vertebrale→
comprime un numero maggiore di radici nervose per cui conferisce
una sintomatologia e una semiologia più complesse.
- Paramediana (al centro ma maggiormente spostate verso un lato):
causa la stenosi dei recessi laterali del canale vertebrale→ vi è il
coinvolgimento di una o due radici nervose.
- Intraforaminale: comprimono la radice nervosa all’interno del
forame di coniugazione;
- Extraforaminale: determina una compressione a livello del ganglio
(porzione di radice nervosa extraforaminale), per cui spesso i
pazienti hanno una sintomatologia dolorosa molto importante.
• In base al loro comportamento rispetto al legamento longitudinale posteriore (legamento che passa a
ponte lungo la superficie posteriore dei corpi vertebrali e dei dischi intervertebrali): se tale legamento
non è rotto l’ernia sarà contenuta, se dovesse determinare la rottura si potrebbe avere un’ernia espulsa
all’interno del canale vertebrale.
• In base alla migrazione: caudale (più frequente) o craniale.
I processi a cui potrebbe andare incontro un disco intervertebrale consistono in:
- Degenerazione discale;
- Prolasso;
- Estrusione;
- Sequestro: non soltanto l’espulsione dell’ernia, ma anche la sua migrazione in senso caudale, tanto da
restare intrappolata all’interno del canale vertebrale e dare una compressione delle radici nervose.
EPIDEMILOGIA
• Maggior incidenza tra i 30-40 e anni (ciò in quanto i soggetti giovani detengono il nucleo polposo molto
ben idratato), e le donne sono colpite più tardivamente in quanto gli uomini sotto il profilo lavorativo
svolgono generalmente lavori più pesanti in termini di sforzi fisici, o in generale anche negli sportivi;
• Prevalenza lifetime 1-3%;
• In Italia circa 15.000.000 di persone affette: tante figure professionali dunque intervengono nel
trattamento di questi pazienti, il cui trattamento può detenere o meno un’evidenza scientifica;
• Ogni anno in Italia 50.000 interventi per ernia del disco lombare: la chirurgia non è la prima scelta
terapeutica ma è necessario comprendere quando consultare l’ortopedico spinale o il neurochirurgo.
• Segmenti più colpiti L4-L5, L5-S1 (95% degli int. chirurgici), meno frequente L3-L4, raro L2-L3 ed L1-L2;

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• Fattori di rischio: sedentarietà, sovrappeso, lavori pesanti (carichi manuali), gravidanze.

FISIOPATOLOGIA
L’invecchiamento determina la riduzione dei proteoglicani nel nucleo polposo, e una disorganizzazione
strutturale dell’anulus con fissurazione; a ciò consegue un’alterazione della biomeccanica con modificazioni
delle limitanti somatiche e delle articolazioni. Inoltre, sovraccarichi funzionali o traumi ripetuti possono
accelerare il processo. Tali processi in concomitanza determineranno una fuoriuscita del nucleo polposo in
sede di minor resistenza, che più generalmente corrisponde alla sede paramediana (più frequentemente in
sede postero-laterale perché il legamento longitudinale posteriore si assottiglia e in direzione medio
laterale).
SINTOMATOLOGIA
La sintomatologia è dovuta alla compressione delle strutture nervose con conseguente reazione
infiammatoria.
o Danno primario: dovuto alla compressione della radice nervosa o del midollo spinale nei tratti toracico
e cervicale (in quanto il MS finisce in corrispondenza di L1-L2, al di sotto delle quali sono presenti le
radici nervose della cauda equina) e a infiammazione locale. Prevalgono sintomi irritativi quali il dolore
radicolare;
o In una fase successiva con il persistere della compressione si altera la
funzione della radice nervosa, per cui prevalgono sintomi deficitari sensitivi
e motori.
Dolore
Dal punto di vista clinico, un paziente affetto da ernia del disco lombare ha
quasi sempre dolore; sebbene esistano dei casi nei quali i pazienti possono
anche avere un’importante ernia del disco con deficit motori di tipo
neurologici/sensitivi ma in assenza di dolore. La lombalgia corrisponde al mal di
schiena, mentre la sciatalgia corrisponde al dolore e all’infiammazione in
corrispondenza del decorso del nervo sciatico che potrebbe anche non
accompagnarsi a mal di schiena.
o Lombosciatalgia (EDL L4-L5 ed L5-S1) o lombocruralgia (EDL L2-L3 ed L3-L4):
• Sciatalgia: si intende un dolore irradiato all’arto inferiore lungo il
decorso del nervo sciatico composto dalle radici di L4 (in parte), L5 e S1;
• Cruralgia: si intende un dolore irradiato alla coscia in regione anteriore
o anteromediale fino al ginocchio (L2, L3, parte di L4).
Generalmente monolaterale, rara l’evenienza di sintomatologia bilaterale.
- A volte viene riferita solo lombalgia (ad esempio nelle ernie contenute
sottolegamentose mediane che non interessano la radice lombare).
Altre volte può essere presente sciatalgia o cruralgia.
- La lombalgia può essere il sintomo d’esordio e, solo successivamente,
compare il dolore radicolare.
- Il dolore è generalmente accentuato da colpi di tosse, manovra di
Valsalva e dai movimenti del rachide. In passato si raccomandava ai
pazienti riposo assoluto, mentre ad oggi, sebbene nelle prime fasi di
malattia quando l’infiammazione è più intensa può essere
consigliabile rimanere a riposo, non è più una raccomandazione
obbligatoria nelle fasi successive.
- Nel caso di voluminose ernie del disco, il sintomo d’esordio può essere la sindrome della cauda equina
(CES): un coinvolgimento multiradicolare associato a gravi compromissioni neurologiche, sfinteriche e
anestesia a sella.

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DEFICIT RADICOLARI
La radice nervosa che viene preferenzialmente compromessa ed alterata è quella che passa in
corrispondenza di quel livello vertebrale, per uscire dal forame di coniugazione sottostante.
È possibile individuare i diversi tipi di alterazione motoria, sensitiva anche in termini del territorio di
distribuzione ed irradiazione del dolore soprattutto tra L4-L5 e L5-S1, i due livelli vertebrali a livello lombare
in assoluto più coinvolti con frequenza maggiore dalla presenza di ernia del disco.
EDL L5-S1 (radice nervosa EDL L4-L5 (radice nervosa coinvolta EDL L3-L4 (radice nervosa
coinvolta S1) L5) coinvolta L4)
Riduzione flessione plantare Riduzione flessione dorsale piede; Riduzione flessione della
Alterazione piede; per cui il paziente non per cui il paziente non sarà in grado coscia sul bacino e estensione
Motoria sarà in grado di camminare di deambulare sui talloni, dunque della gamba.
sulle punte dei piedi. avranno il piede cadente con
conseguente difficoltà a salire le
scale.
Il dolore partirà dal gluteo, per Il dolore partirà dal gluteo, e Faccia laterale del gluteo,
manifestarsi in corrispondenza scenderà in corrispondenza della regione anteriore e
della superficie posteriore, superficie anterolaterale
Alterazione quasi mediana, sia della coscia postero-laterale della coscia, fino a della coscia, regione inguinale,
Sensitiva che della gamba, scendendo giungere in regione tibiale laterale faccia interna
nella porzione posteriore e malleolare esterna, portandosi del ginocchio.
del tallone, della pianta del anteriormente fino al II, III e IV
piede e della faccia dito, anche in parte al I.
laterale del piede.
Achilleo. Aspecifico. Rotuleo.
ROT In questo caso dovrebbe essere Se è presente una
evocato il riflesso tibiale anteriore, compressione periferica, del II
il quale è difficile da evocare. motoneurone, i ROT degli arti
inferiori saranno ipoelicitabili.
La compressione a livello cervicale o dorsale del MS sulla linea mediana determina una condizione per cui i
riflessi rotulei ed in parte gli achillei sono invece iperelicitabili.
• L4: l’esame motorio consiste nel chiedere al paziente di effettuare una dorsiflessione della caviglia, che
sarebbe deficitaria e le alterazioni sensitive si presenterebbero in corrispondenza del malleolo mediale;
• L5: l’esame motorio consiste nella dorsiflessione dell’alluce, e le alterazioni sensitive si presenterebbero
in corrispondenza della III articolazione metatarsofalangea dorsale malleolo mediale.
• S1: l’esame motorio consiste nel chiedere al paziente di effettuare una flessione plantare della caviglia,
e le alterazioni sensitive si presenterebbero in corrispondenza del malleolo laterale. Presenterà una
condizione atrofica soprattutto in corrispondenza del muscolo gastrocnemio e soleo.
DIAGNOSI
o Esame neurologico;
o Esami strumentali:
• Rx del rachide lombosacrale in due proiezioni (antero-posteriore e latero-laterale) e dinamica
(prima in flessione e successivamente in estensione);
• TC del rachide: sensibile e specifico, meno utilizzato rispetto al passato;
• RMN del rachide: esame di scelta→ ottima visualizzazione delle strutture non ossee, come dischi e
legamenti (ad esempio la visualizzazione di un ernia potrebbe determinare il sollevamento del
legamento longitudinale posteriore).
o EMG (elettromiografia): è un esame neurofisiologico operatore-dipendente, in cui la registrazione dei
potenziali deve essere interpretato dal neurofisiologo o dal neurologo; questo esame permette di

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valutare la funzione delle radici nervose coinvolte, se è presente compressione ed inoltre deve dire se è
acuta o cronica.

La TC e la RMN vengono effettuate con il paziente in posizione supina o orizzontale, per cui manca sia la
gravità che il peso del corpo. Nella Rx, invece, il paziente è in posizione ortostatica, quindi sotto gravità e
con il peso del corpo in fase attiva. Dunque le Rx non sono una sostituzione della TC e viceversa, ma le Rx
forniranno una serie di informazioni importanti non solo correlati alla struttura dell’osso (poiché ancor
meglio visualizzabile alla TAC), ma permettono anche di vedere il profilo della colonna sottocarico, quindi il
mantenimento o la perdita delle fisiologiche curve vertebrali, delle lordosi cervicali e lombari e delle cifosi
dorsali. Inoltre, consente di vedere segni indiretti di una probabile sofferenza di un’ernia del disco, come
nel caso della riduzione dell’altezza di uno spazio intervertebrale; di fatto, non consente di effettuare
diagnosi di certezza circa la presenza di un’ernia discale in quanto si può visualizzare solo lo spazio
intervertebrale occupato dal disco ma non il disco stesso, per cui è necessario richiedere una RMN. Inoltre la
radiografia permettere di vedere fenomeni di instabilità vertebrale, ovvero fenomeni di accentuati
movimenti tra una vertebra e l’altra come nel caso di uno scivolamento di una vertebra in avanti, o indietro
o di lato rispetto alla vertebra soprastante o sottostante (spondilolistesi). Per valutare l’instabilità
vertebrale non sufficiente effettuare le Rx normali in ortostatismo con la doppia proiezione ma anche le
proiezioni dinamiche in flessione ed estensione, per cui piegato in avanti e indietro, poiché ciò è necessario
a visualizzare meglio il movimento vertebrale.
Vi sono delle manovre che permettono di ottenere delle informazioni importanti sulla eventuale
compressione delle radici nervose, le quali corrispondo a:
o Manovra di Lasègue (L4-L5-S1): il paziente è supino su un piano rigido orizzontale, l’operatore solleva
passivamente l’arto inferiore del paziente che viene mantenuto in estensione, se il paziente raggiunta
una certa gradazione (da 0° fino a 70° se non 90°) blocca il medico in quanto avverte molto dolore, la
manovra risulterà positiva.
o Test di Wasserman-Boschi (L2-L3-L4): la manovra è più specifica per le compressioni delle radici
nervose più alte (L2-L3-L4). Il paziente è in posizione prona e l’operatore flette la gamba sulla coscia e
solleva la coscia, per cui il paziente potrebbe presentare un’accentuazione della radicolopatia e dunque
una accentuazione della sintomatologia.
TRATTAMENTO
Conservativo
- Riposo, FANS (Voltaren, dicloreum, toradol, OKI, Aulin) e miorilassanti per circa 4-5 settimane anche in
modo scalare: benefici clinici che vengono imputati all’azione precoce di specifiche terapie (osteopatia,
fisioterapia) in realtà con molta probabilità, si sarebbero verificati in ogni caso anche se non ci fosse
stata l’azione di queste determinate figure professionali o non ci fossero state determinate terapie.
- Steroidi per 7-10 gg a scalare;
- Infiltrazioni epidurali steroidee (se persistenza del dolore nonostante la terapia medica);
- Con tali protocolli farmacologici vi può essere una risoluzione dei sintomi in 6-8 settimane nella
maggior parte dei casi;
- Ginnastica posturale alla regressione della sintomatologia acuta, dunque alla regressione
dell’infiammazione (fisioterapia, osteopatia, piscina).
Chirurgico
L’intervento chirurgico viene eseguito in elezione se presente dolore refrattario a terapia medica da più di 6
mesi. Tuttavia viene eseguito in urgenza nei casi di: sindrome cauda equina; per il determinarsi di
importanti deficit neurologico (deficit di forza, della deambulazione o disturbi alvo/minzione); oppure
anche per presenza di EMG con segni di denervazione, che indicano una grave sofferenza della radice
nervose fino a morte della stessa.
A. Incisione chirurgica da L3 all’osso sacro;
B. Si effettua una emilaminectomia e faccectomia parziale a L5-S1 per accedere al disco;

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C. Si rimuove il disco per togliere la pressione sul nervo;
D. Si inserisce il gel antiaderenziale per prevenire la fibrosi.

SINDROME DELLA CAUDA EQUINA


L’incidenza di CES da ernia lombare è di 1/2000 pazienti con low-back pain (lombalgia); è un disturbo
neurologico causato da una compressione acuta e massiva di più radici della cauda equina. Necessita di
inquadramento clinico e trattamento immediato, dunque si tratta di un’urgenza chirurgica a prescindere da
quale sia la causa scatenante, poiché potrebbe determinare gravi deficit neurologici motori, sensitivi e
sfinterici.
CLINICA
• Abbastanza variabile, il che può rendere difficile la diagnosi;
• Disturbi sensibilità dei dermatomeri interessati tipo anestesia (AAAII e sella o anestesia diffusa in più
dermatomeri degli arti inferiori).
• Deficit di motilità sottostanti livello L1; possono essere anche molto gravi (piede cadente, paresi,
plegia), generalmente bilaterali (nel caso di ernie molto voluminose che determinano una
compressione sia a destra che a sinistra) ma asimmetrici.
• Lombalgia, lombosciatalgia e debolezza degli arti.
• Deficit vegetativi, come disturbi funzione sfinteriale e sessuale.
▪ Disturbi urinari:
- Minzione differente da quella normale;
- Perdita della sensazione della vescica piena ed incontinenza urinaria;
- Ritenzione urinaria presente nel 90% dei casi: spesso il paziente viene distratto dal dolore
rispetto alla necessità di dover urinare, per cui in seguito ecografia o una RMN sarà presente
una vescica enormemente estesa, dilatata, piena di urina.
▪ Anestesia a sella nel 75% dei casi:
- Anestesia diffusa agli arti inferiori;
- Alterazione della sensibilità perineale e genitale: fenomeni di imponenza e algie vaginali.
▪ Alterazioni intestinali:
- Costipazione;
- Riduzione tono sfintere anale nel 50-75% dei pazienti;
- Possono esserci dei disturbi che sono quasi riconducibili ad un quadro simile a quello indotto
dalla presenza di emorroidi (proprio perché le radici nervose che vanno alla regione genitale
saranno massivamente compresse).
DIAGNOSI
Esame obiettivo neurologico, a cui si associano gli esami neuroradiologici (Rx, TC, RMN come gold standard
e l’EMG).
ERNIA DEL DISCO CERVICALE
Simile all’ernia discale lombare, ma si verifica a livello cervicale. All’interno del canale vertebrale è presente
il midollo spinale che occupa in gran parte il canale vertebrale, per cui i sintomi potranno essere dovuti alla
compressione della radice nervosa se l’ernia dovesse essere lateralizzata maggiormente da un lato
causando radicolopatia; e/o a compressione del midollo spinale cervicale, con coinvolgimento delle vie
lunghe sensitive e motorie causando mielopatia.
EPIDEMIOLOGIA
• 3,5 % della popolazione ha sintomi da radicolopatia cervicale;
• Picco incidenza 40-50 aa. di età;
• Può essere l’evento iniziale della cascata degenerativa (di solito sopra i 40 aa.) che potrebbe portare
anche ad un quadro di spondilodiscoartrosi, dunque formazione di osteofiti; oppure conseguenza di
trauma (pazienti più giovani). Nelle nostre zone nel periodo della raccolta delle olive o della frutta,
pazienti di 60-70 aa. giungono in P.S. con gravissimi deficit neurologici ai quattro arti, compreso paralisi,

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in quanto sono caduti mentre era sopra dei muretti, ed oltre alle alterazioni di tipo artrosico si sono
procurati un’ernia nel disco molle.

La maggior parte delle EDC è nel tratto compreso tra C4 e C7 (60% C6-C7, seguito da C5-C6): tuttavia, dal
punto di vista biomeccanico i due punti maggiormente mobili e che possono essere soggetti con maggiore
frequenza ad una rottura del disco intervertebrale e alla formazione di un’ernia del disco sono C4-C5 e C5-
C6, per cui è necessario immaginare anche questi livelli quando si visita un paziente dal punto di vista della
valutazione della sensibilità, della forza e dei riflessi.
CLINICA
- Cervicalgia e dolore irradiato radicolare;
- Se viene coinvolto il midollo spinale: ipertonia AAII fino a paraparesi e spasticità ai quattro arti.
Se è presente una compressione del midollo spinale in sede mediana a livello cervicale sarà presente
una compressione delle vie piramidali lunghe, per cui potrebbe essere determinata una paraparesi,
un’ipertonia agli arti inferiori e dunque una spasticità; i ROT potranno essere iperelicitabili, mentre i
riflessi superficiali potrebbero essere assenti. In definitiva, tali alterazioni non potrebbero verificarsi se
la lesione fosse localizzata a livello lombare, perché in questa sede sono presenti soltanto le radici
nervose, ma dovrà essere localizzato in corrispondenza del midollo spinale dorsale o cervicale.
- Ipoestesia e/o parestesie agli arti superiori e alle mani (tattile, termico o dolorifico);
- Disturbi sfinterici: dovuti al malfunzionamento del MS.
Ernia C3-C4 Ernia C4-C5 Ernia C5-C6 Ernia C6-C7 Ernia C7-T1
(radice C4) (radice C5) (radice C6) (radice C7) (radice C8)
Deficit Aspecifico Ipostenia del deltoide Ipostenia Ipostenia Aspecifico
motorio bicipite tricipite
Riflesso Aspecifico Aspecifico Bicipitale Tricipitale Stiloradiale
Faccia Superficie anteriore e Faccia anteriore Superficie faccia dorsale e
laterale del superiore della spalla del muscolo posteriore volare delle
Irradiazione braccio sino all’inserzione bicipite, del tricipite, ultime due dita
del deltoide sul dell’avambraccio faccia dorsale
braccio, superficie e faccia volare di del III dito
posteriore del trapezio I e II dito

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ESAMI STRUMENTALI
• Rx rachide cervicale: viene svolto in due proiezioni ed anche dinamica.
- Spesso è il primo esame che esegue il paziente con cervicalgia;
- Dati diretti: rettilineizzazione se vi è una perdita della lordosi cervicale, disallineamenti per
spondilolistesi;
- Dati indiretti di degenerazione discale: riduzione in altezza dello spazio intersomatico, alterazione
margini ossei vertebrali soprattutto nella regione posteriore, formazione di osteofiti e calcificazioni
legamentose.
• TC rachide cervicale:
- Sovrapponibile ad RMN per accuratezza, sensibilità e specificità diagnostica;
- Ottima visualizzazione delle strutture osteocartilaginee e di componenti calcifiche dell’ernia o dei
legamenti; di fatto essendo le TC ad oggi multiplanari consentono di studiare l’osso sul piano
assiale, frontale o coronale e laterale o sagittale.
- Minor sensibilità per lesioni tessuti molli.
• RM del rachide cervicale:
- Esame di prima scelta;
- Accuratezza 85-95% per diagnosi ernia, 95% per mielopatia: la RMN consente di visualizzare se
all’interno del midollo spinale sono già presenti delle alterazioni di segnale, dunque dei colori
diversi, patognomonici della sofferenza del midollo spinale;
- In grado di identificare patologie intradurali che entrano in dd.
• EMG ed ENG
- Consentono di indagare la funzionalità delle radici eventualmente coinvolte.
• PESS e PEM (Potenziali evocati somatosensiorali e motori)
- Indagano la funzionalità midollare (sia a livello cervicale che dorsale), utili per distinguere un
coinvolgimento radicolare e midollare. La valutazione dei potenziali evocati alterati, anche di fronte
ad una compressione di entità modesta del MS, permette di comprendere se sta già entrando in
sofferenza, permettendo dunque di comprendere quando è necessario o imperativo intervenire.

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Bisogna sottolineare che durante l’indagine strumentale il paziente sul lettino della RMN è fermo, e
addirittura, il tecnico invita all’immobilità poiché in caso contrario le immagini verrebbero mosse; invece
durante la giornata, essendo un tratto molto mobile, saranno presenti dei movimenti del segmento
corporeo (a causa dell’eloquio, cammino, lavoro), per cui un’ernia anche piccola causerà fenomeni ripetuti
di compressione del MS, determinando delle importanti alterazioni funzionali o un’importante sofferenza.
TERAPIA
Più del 60% dei pz con radicolopatia cervicale migliora con trattamento conservativo.
o Riposo, come terapia di prima linea per 1-2 settimane, che può ridurre la sintomatologia durante la
prima fase infiammatoria, ma non modifica il decorso della malattia; per cui se l’ernia comprime il
midollo spinale o la radice nervosa la variazione della malattia non potrà essere modificato.
o Antinfiammatori e fisioterapia: può essere associata alla precedente, garantisce la regressione
sintomatologia entro 8 settimane. La fisioterapia va iniziata in assenza di dolore e mira a correggere
atteggiamenti posturali viziati; tuttavia in alcuni casi può funzionare, in altri no. MAI iniziare un
trattamento fisiatrico se non c’è l’assoluta certezza dell’assenza di compressioni midollari severe.
o Iniezioni di analgesici, FANS o steroidi: iniezioni epidurali o foraminali dunque perineurali (in
corrispondenza delle radici nervose) sotto guida radiologica; vi è un basso tasso di complicanze (1-2%)
ma, quando presenti, possono essere anche gravi (midollari, vascolari, del tronco). Spesso garantiscono
solo un beneficio temporaneo.

Circa 1/3 dei pazienti con radicolopatia cervicale non trae beneficio dal trattamento conservativo, dunque
viene operato il trattamento chirurgico. Ciò vale anche nei casi di mancata regressione dei sintomi dopo 6
settimane, oppure nei casi di compressione delle radici nervose o del midollo spinale, comparsa ex novo di
deficit neurologici radicolari, di segni mielopatia o segni instabilità vertebrale.
o Approcci anteriori al rachide cervicale: discectomia cervicale, con fusione intersomatica (artrodesi);
artroplastica cervicale;
o Approcci posteriori al rachide cervicale: laminectomia cervicale, laminoplastica o foraminotomia
cervicale posteriore. Meno utilizzati rispetto all’approccio anteriore: utilizzato soprattutto in pazienti
particolarmente anziani e defedati, nei casi patologia osteodiscoartrosica a più livelli della colonna
vertebrale ed in pazienti che sebbene abbiano una buona lordosi detengono un MS molto ristretto
all’interno del canale vertebrale.
La tecnica chirurgica riguarda una discectomia per via anteriore con approccio presternocleidomastoideo
precarotideo (tecnica di Cloward o Smith-Robinson) con fusione intersomatica (ACDF- anterior discectomy
cervical and fusion).
- Approccio più utilizzato;
- Tecnica sicura che consente la rimozione di disco ed osteofiti con ottima decompressione delle strutture
nervose;
- Dopo la rimozione del disco si impianta una cage intersomatica (protesi) per ripristinare lo spazio
discale e mantenere la distanza tra le vertebre e quindi ripristinare l’altezza dello spazio
intervertebrale, incrementare lo spazio foraminale e favorire la fusione dei segmenti vertebrali
adiacenti (tali cage contengono al loro interno una matrice ossea, la quale ha la funzione di far creare
un ponte osseo tra la vertebra sovrastante e quella sottostante).
Oggi non si utilizzano più i tasselli di osso secondo la tecnica del Tric Lauer, ma si utilizzano i mezzi di sintesi
come le cage (con o senza placchette, con o senza viti).
A livello lombare è possibile una recidiva dell’ernia del disco, ovvero il riverificarsi di un’ernia in
corrispondenza dello stesso spazio discale in cui si è verificato la prima volta: è possibile in quanto la tecnica
chirurgica consiste nel non togliere mai tutto il disco intervertebrale; invece nel caso dell’ernia del disco

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cervicale il chirurgo toglie completamente il disco intervertebrale, sostituendolo con una protesi, per cui è
impossibile una recidiva.
Le complicanze più frequenti sono la lesione del n. laringeo ricorrente (transitoria 11% o permanente 4%),
la lesione simpatico e del ganglio stellato (con S. di Horner), la lesione dell’arteria carotide e della vena
giugulare interna; più rara la perforazione della trachea, dell’esofago e della faringe (durante chirurgia o in
seguito a mobilizzazione dei mezzi di sintesi). La disfagia nel 60% dei casi è precoce, solo nel 5 % a 6 mesi;
ciò in quanto sia la manipolazione chirurgica che la divaricazione delle strutture dell’esofago o della
trachea, può indurre un’irritazione esofagea.
STENOSI DEL CANALE CERVICALE E LOMBARE
La manifestazione clinica dell’osteodiscoartrosi corrisponde alla stenosi, ovvero al restringimento del canale
spinale a livello cervicale o lombare. Ciò può essere causato da una ipertrofia delle strutture legamentose
(legamenti gialli), o delle faccette articolari e dalla formazione di osteofiti; questi processi in concomitanza
determinano dunque una riduzione dei diametri del canale vertebrale con una conseguente compressione
delle strutture nervose contenute al suo interno. Il chirurgo non può guarire, ma solo arrestare il processo
evolutivo: è chiaro che non è possibile arrestare il processo degenerativo artrosico, quanto invece è
possibile arrestare la progressione dei deficit neurologici o della sintomatologia decomprimendo le
strutture nervose.
1) Degenerazione disco intervertebrale;
2) Instabilità biomeccanica;
3) Fase reattiva: inspessimento delle strutture legamentose ed osteoarticolari con riduzione del diametro
del canale spinale e compressione delle strutture nervose.

STENOSI CENTRALE O STENOSI DEL CANALE VERTEBRALE


o Primitiva: dovuta a malformazioni, ad anomalo sviluppo vertebrale o ad alterazioni congenita dei
peduncoli cerebrali;
o Secondaria: alterazioni spondilosiche dei corpi vertebrali oppure delle faccette articolari con
conseguente ipertrofia.
STENOSI DEL CANALE RADICOLARE
o Primitive: anomalie malformative (es brevità peduncoli, anomalie orientamento/forma faccette
articolari);
o Secondarie: deformità articolare, osteofitosi, esiti di fratture, spondilolistesi primitive
o Combinate: associazione di fattori primitivi e secondari, è l’evenienza più frequente.
STENOSI FORAMINALE
o Isolate;
o Associate ad una delle altre due forme di stenosi del canale vertebrale.
STENOSI CERVICALE
- Dolore locale: cervicalgia;
- Dolore radicolare: irradiato ai vari territori di competenza della radice nervosa;
- Mielopatia cervicale o dorsale (meno frequentemente): tetraipereflessia, debolezza muscolare ai
quattro arti e rigidità muscolare agli arti inferiori (spasticità);
- Parestesie e/o disturbi della sensibilità ai quattro arti;
- Disturbi sfinterici e/o sessuali;
- Disturbi della deambulazione a causa della rigidità muscolare.
Questo quadro clinico è molto simile alla mielopatia cervicale secondaria all’ernia del disco, in quanto
sebbene cambi la fisiopatologia e la patogenesi, il quadro clinico viene determinato sempre da un processo
compressivo delle radici nervose o del midollo spinale.
STENOSI LOMBARE
- Dolore locale: lombalgia;
- Dolore radicolare: irradiato ai vari territori di competenza della radice nervosa;

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- Claudicatio Neurogena: aumento del dolore irradiato agli arti inferiori durante la deambulazione, tale
da costringere il soggetto ad arrestarsi per trovare sollievo (deve essere distinta dalla claudicatio
vascolare). Tali pazienti tendono a rallentare la loro attività, così da avere qualche minuto per
migliorare l’irrorazione sanguigna delle radici nervose della cauda equina; spesso è un processo legato
ad una stasi venosa in corrispondenza del restringimento del canale vertebrale o in corrispondenza
della compressione della radice nervosa della cauda equina.
- Intorpidimento e/o parestesie agli arti inferiori e ai piedi.
DIAGNOSI
• Prevalentemente clinica sia cervicale che lombare, ma richiede conferma strumentale;
• RX: solo segni indiretti, vengono svolte anche le proiezioni dinamiche per evidenziare una eventuale
instabilità;
• RM: ottima visualizzazione dell’ipertrofia delle strutture molli discali e legamentose, ma soprattutto
della compressione delle strutture nervose, dunque del MS o delle radici nervose, ma anche di
un’alterazione di segnale all’interno delle strutture nervose, quindi del MS.
• TC: evidenzia le strutture ossee sui tre piani, per valutare il restringimento del canale vertebrale
secondario all’ipertrofia delle articolazioni posteriori con riduzioni dei diametri del canale vertebrale.
• Esami elettrofisiologici (elettromiografia e potenziali evocati): mostrano sofferenza delle radici nervose.

TERAPIA
Conservativa
• Antinfiammatori/Oppioidi/Miorilassanti
• Fisioterapia
• Ozonoterapia: può dare un beneficio clinico nei pazienti che abbiano solo dolori di tipo cervicale o
lombare, ma non nel caso di mielopatia o radicolopatia. Di fatto se la stenosi del canale vertebrale è
secondaria ad un’alterazione delle strutture ossee, quindi alla presenza di osteofiti, l’ozono non sarà in
grado di far sciogliere l’osteofita per fare riallargare il canale vertebrale.
• Infiltrazioni articolari: utili a ridurre la sintomatologia dolorosa.
Chirurgico:
• Dopo fallimento dei trattamenti conservativi
• Mirato a decomprimere le strutture nervose

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TUMORI EXTRA-ASSIALI
I tumori extra-assiali sono neoplasie che originano da cellule diverse da quelle nervose che
costituiscono il nevrasse (neuroni e glia) e coinvolgono secondariamente il SNC.
Si ripercuotono, quindi, sul SNC determinandone compressione o infiltrazione.

Possono originare da:

• Meningi
• Adenoipofisi
• Guaine nervose
• Metastasi cerebrali, midollari o cerebellari, vale a dire tumori che si originano in altre sedi
andando a metastatizzare, poi, a livello del SN.
• Residui embrionali del dotto cranio- faringeo (craniofaringiomi), residui della notocorda
(cordomi) , cellule della ghiandola pineale, localizzazioni ectopiche (a seguito di disembriogenesi)
di altri tessuti nella scatola cranica o nel canale vertebrale

Sulla base di quanto riportato sopra vediamo come in termini di incidenza quelli più frequenti siano
rappresentati dalle metastasi ( fino al 40%). Queste sono molto spesso frutto di tumori misconosciuti
(polmone, mammella..) ed evidenziati a causa di eventi clinici, quali ad esempio crisi epilettiche o
problematiche di pertinenza oculistica, che indirizzano verso un iter diagnostico che, alla fine, permette il
rilievo del tumore primitivo. Talvolta si possono avere disturbi endocrinologici, quali amenorrea e infertilità,
che in realtà sono riconducibili all’adenoipofisi che risulta ipo- o iperfunzionzionante, il che implica carenza
o eccesso di alcuni ormoni.

Dopo le metastasi avremo meningiomi, adenomi ipofisari e poi neurinomi (o schwannomi). Questi ultimi
riguardano più frequentemente nervi cranici o meno frequentemente quelli spinali.

MENINGIOMI
Si tratta di tumori che originano dalle meningi e la cui incidenza è del 30-35%. Il rapporto F:M è di 2:1, in
funzione di quella che è la loro natura ormono-dipendente , cioè la caratteristica di dipendere dall’influsso
ormonale (estrogeni e progesterone). Si registra, inoltre, un picco tra i 50-60 anni.

Le sedi sono molteplici in virtù del fatto che le meningi avvolgono tutto il nevrasse, dunque encefalo e MS.
Relativamente alla localizzazione, quindi, parliamo di meningioma pterionale che nasce dallo pterion (
punto di incontro, nella scatola cranica, tra osso frontale, parietale e sfenoidale); meningioma della grande
ala dello sfenoide, clinoidale (o della clinoide), della falce cerebrale, intraventricolare (poiché le cap cell
possono rimanere incluse nei plessi corioidei o in alcune aree delle pareti ventricolari), petroclivale ( nella
fossa cranica post a livello della sutura tra piramide dell’osso temporale e il clivus, originandosi dalla dura
madre che riveste queste aree), della doccia olfattoria che si presentano con quelli del planum etmoide-
sfenoidale ( vale a dire quelli del basicranio posteriori, che possono avere dimensioni considerevoli,
essendo neoplasie che si originano dalla dura madre che avvolge la convessità cerebrale ma anche la teca
cranica a livello della base cerebrale oppure organizzarsi in sepimenti quali falce cerebrale o cerebellare),
infine possiamo parlare di quelli midollari che si sviluppano all’interno del canale vertebrale, determinando
compressione e dislocazione del MS.

Originano dalle cap cells dei villi aracnoidei e si sviluppano con un impianto durale (dural tail: in italiano coda
durale) e questo perché quando si sottopone il pz a una RM con mdc si può constatare come il meningioma
acquisisca il mdc in maniera omogenea e anche una sorta di coda di impregnazione di mdc lateralmente alla
neoplasia che segue per qualche mm o, raramente, cm la dura madre.
Le cap cells sono presenti anche nell’aracnoide dei plessi corioidei e degli spazi cisternali: saltuaria
localizzazione in sede intraventricolare o cisternale (silviana) senza impianto durale.
Comunemente distinguiamo tali tumori in:
• Meningiomi della volta cranica
• Meningiomi della base cranica
• Meningiomi delle meningi spinali
Si è soliti parlare dei meningiomi in termini di benignità, tuttavia, sebbene ciò sia vero nella stragrande
maggioranza dei casi (90%), esistono anche meningiomi atipici e maligni. Per la classificazione WHO del 2016
i meningiomi benigni, atipici e maligni sono indicati,rispettivamente, come grado I (10 istotipi), grado II (3
istotipi), grado III (3 istotipi).
EZIOLOGIA
Possono essere:
1. Sporadici: frutto dell’esposizione a radiazioni ionizzanti in età pediatrica(cause iatrogene
riconducibili alla radioterapia), traumi cranici, obesità e sono dei tumori che presentano recettori
per estrogeni e progesterone.
• Secondari sono associati ad altre patologie quali: NF-2 (aumento di rischio del 50%, anche
meningiomi multipli), sindrome di Gorlin, Sindrome di Cowden, MEN 1.
CLINICA
• CRISI EPILETTICHE: il meningioma si sviluppa, come già detto, al di fuori del nevrasse ma ha un
effetto compressivo sul medesimo, o ancora determina infiltrazione corticale o reazione edemigena
per compressione venosa. Talvolta proprio la crisi epilettica può essere il sintomo di esordio e
addirittura l’unico riferito dal pz.
• DEFICIT NEUROLOGICI: frutto della compressione o, più raramente, infiltrazione di una determinata
area, quale quella motoria, visiva o della parola.
• IPERTENSIONE ENDOCRANICA con cefalea, nausea, vomito e alterazioni dello stato di coscienza (
non di rado il pz potrebbe sottovalutare disturbi atipici frutto del meningioma, tale che non si
sottoponga agli accertamenti necessari).

TRATTAMENTO

Per i meningiomi cranici di piccole dimensioni (1-2 cm) asintomatici e il cui rilievo risulti totalmente
accidentale, non necessariamente si interviene chirurgicamente, piuttosto si sottopone il pz a follow-up. Per
le lesioni neoplastiche più voluminose e sintomatiche si predilige l’intervento chirurgico. La radioterapia è
relativa a quelle condizioni in cui permangano residui tumorali o vi siano recidive o qualora si abbia a che fare
con un tumore maligno di III grado. Per quelli anaplastici è, invece, ancora oggi oggetto di discussione
l’efficacia di tale strategia terapeutica. Attualmente è disponibile anche una particolare forma di RT a base
di particelle pesanti (adroterapia) che ha mostrato risultati promettenti nelle forme aggressive, talvolta in
associazione a chemioterapici quali l‘idrossiurea.
Il chirurgo Simpson studiò la correlazione tra
rischio di recidiva di un meningioma e il tipo di
asportazione del medesimo. Se parliamo di
asportazione con un tipo di resezione Simpson 1
significa che non è stato rimosso soltanto il
meningioma ma anche il suo impianto durale,
ovvero quella quota di dura madre da cui il tumore
si era originato e a cui era adeso. Quindi per ogni
grado evidenzieremo quella che è la probabilità di
recidiva.

Esiste, inoltre, il cosiddetto meningioma ‘’en plaque’’, per cui alla TC encefalo sarà possibile evidenziare
l’alterazione della teca cranica indotta dal tumore.

Un tempo si eseguiva più frequentemente l’angiografia cerebrale per evidenziare la vascolarizzazione di un


meningioma fornita principalmente dall’a. carotide esterna e quindi dalle arterie delle meningi, essendo
esso un tumore a partenza dalle cap cells delle medesime.
I meningiomi spinali sono quelli che si sviluppano all’interno del canale vertebrale. Costituiscono i 2/3 dei
tumori spinali e il 3% di quelli del SNC. La distribuzione topografica prevede coinvolgimento di: rachide
toracico (67-84%), cervicale (14-27%), lombare (2-14%).

SINTOMATOLOGIA

• DOLORE: soprattutto quando il pz è in decubito supino.


• TETRA-/PARAPARESI: la prima si ha per una localizzazione nel MS al di sotto del rigonfiamento
cervicale, la seconda per una localizzazione lombare (segmenti L1-L2, massimo L2-L3)
• LIVELLO SENSITIVO
• SINDROME DI BROWN-SEQUARD: per una localizzazione postero-laterale del meningioma
• SINTOMATOLOGIA POLIRADICOLARE CON DISTURBI SFINTERICI: in relazione a una localizzazione
lombare, sotto il cono midollare.

Esiste una scala volta a valutare lo stato neurologico del pz con meningioma spinale nota come SCALA DI
MCCORMICK

DIAGNOSI

• RM: i meningiomi sono isointensi (ovvero aventi stessa intensità del parenchima cerebrale) in T1 e
ipo-/iperintensi in T2. Evidenzia nel 60% dei casi la dural tail (patognomonica di meningioma).
• TC: utile per visualizzare meglio, rispetto alla precedente, calcificazioni (30%) o iperostosi della teca
cranica nella zona adiacente al tumore, aree di erosione ossee derivanti dalla compressione
prolungata da parte del meningioma.

TRATTAMENTO

A differenza di quanto accade per quelli cranici, nel caso dei meningiomi spinali è sempre bene ricorrere al
trattamento chirurgico, che è, dunque, la strategia terapeutica di prima scelta. Ciò è riferibile al fatto che il
canale vertebrale ha un’estensione nettamente inferiore rispetto alla cavità cranica, per cui anche
meningiomi di piccole dimensioni possono determinare compressione significativa delle strutture nervose
con insorgenza di segni e sintomi correlati (per questo è sempre bene ricorrere anche a un monitoraggio
neurofisiologico).
Il tasso di recidiva è abbastanza basso (1,3-6,4%) e in genere essa è correlata alla mancata escissione della
dura madre d’impianto.

Schwannomi o Neurinomi
Originano dalle cellule di Schwann che formano la guaina mielinica dei nervi (mielina periferica). Possono
originare potenzialmente da tutti i nervi cranici (eccetto che dal primo paio la cui mielina è formata da
oligodendrociti come la mielina del SNC) e da tutte le radici spinali.
La classificazione istomorfologica prevede la suddivisione dei neurinomi in tre tipologie: convenzionale,
cellulare, melanotico. La forma convenzionale è la più frequente e si è soliti suddividerla a sua volta, in base
alla densità cellulare, è divisa in: tipo compatto (Antoni A) e tipo lasso (Antoni B).
In oltre il 99% dei casi si tratta di tumori benigni e raramente acquisiscono caratteristiche di malignità.
Sono i più frequenti dopo i meningiomi e rappresentano l’8% delle neoplasie intracraniche.
EZIOLOGIA
Eziologicamente possiamo distinguerli in:

1. SPORADICI
2. ASSOCIATI A SINDROMI EREDITARIE, quali sindromi multiendocrine e NF2.

L’origine più frequente degli Schwannomi intracranici è dall’ VIII nervo cranico (branca vestibolare) con
sviluppo nella cisterna dell’angolo ponto-cerebellare. Il V nervo cranico rappresenta la seconda sede per
frequenza.

SINTOMATOLOGIA

I neurinomi del VIII nervo cranico determinano:

• Ipoacusia omolaterale (95%)


• Tinnito (60%)
• Sintomi vestibolari cioè vertigini e alterazioni dell’equilibrio (20-40%)

Spesso sono sottovalutati dal paziente per molti anni e la scoperta è, spesso, tardiva per sintomi legati alla
sofferenza del nervo faciale o per sintomi legati alla compressione bulbo-pontina (disturbi della
deglutizione, disfonia ed emiparesi), si tratta cioè di condizioni in cui il neurinoma del n. statoacustico ha
raggiunto dimensioni tali da comprimere emisfero cerebellare e altri nervi cranici dell’angolo ponto-
cerebellare.

I neurinomi del V nervo cranico determinano:

• Nevralgia a carico di una delle branche trigeminali


• Ipoestesia facciale omolaterale
• Comparsa di sintomi da compressione dei nervi oculomotori all’interno del seno cavernoso o del
ponte (infatti la triforcazione del Ganglio di Gasser si trova vicino al seno cavernoso e talora le
branche nervose contraggono stretti rapporti con le strutture del medesimo).
Esistono, poi, neurinomi dei nervi misti cioè di IX,X,XI. Essi possono anche raggiungere dimensioni
considerevoli fino a dare importanti alterazioni e sintomi neurologici.

Talvolta possiamo anche evidenziare microneurinomi, cioè piccoli tumori che nascono e crescono all’interno
del meato acustico interno determinando slargamento delle pareti ossee del medesimo.

Gli shwannomi o neurinomi spinali appresentano il 30% dei tumori extramidollari; sono localizzati con
maggiore frequenza a livello cervicale e lombare, ma possono ritrovarsi in qualsiasi livello, incluso in quello
dorsale.

SINTOMATOLOGIA

● Dolore
● Disturbi della sensibilità a distribuzione radicolare, poiché vi sono tumori che hanno origine dalle
radici sensitive dei nervi.
● Sintomi da compressione midollare, se i neurinomi sono localizzati nel tratto cervicale e dorsale
della colonna vertebrale.
● Sindromi radicolari sensitivo-motorie multiple (origine dalle radici nervose della cauda equina. Al
livello della cauda equina esiste, infatti, un agglomerato di radici nervose e di conseguenza la
presenza di un tumore in quella sede determinerà la compressione e l’alterazione funzionale di
diverse radici nervose).

DIAGNOSI

L’esame cardine è la RM.


La TC consente al chirurgo di ottenere delle informazioni importanti, poiché permette di capire se a livello
del tumore esistono delle aree calcifiche e per valutare l’eventuale erosione o slargamenti di strutture
ossee, per esempio dei forami di coniugazione, attraverso i quali passa il neurinoma per fuoriuscire dal
canale vertebrale o dalla teca cranica.

TRATTAMENTO

Sono dei tumori a lenta crescita, per questi molti pazienti non vengono operati, ma possono essere tenuti
sotto controllo a condizione che non abbiamo segni o sintomi. Se, invece, il paziente è sintomatico o al
follow-up si evidenzia una progressione radiologica della malattia, va presa in considerazione la possibilità
di eseguire l’intervento chirurgico. Ciò vale non solo nel caso di neurinomi o schwannomi dell’angolo ponto-
cerebellare, del V e dell’VIII nervo cranico, ma anche nel caso di neurinomi o schwannomi spinali. Nei casi di
schwannoma del nervo acustico in fase molto precoce, cioè quando ancora il tumore è cresciuto soltanto
all’interno del meato acustico interno e non si è fatto strada nella cisterna dell’angolo ponto-cerebellare,
non ha compresso altre strutture nervose o il tronco cerebrale, determinando ad esempio l’insorgenza di
un’emiparesi, è possibile fare l’intervento chirurgico, ma spesso si preferisce valutare il ruolo della
radiochirurgia stereotassica o gamma knife. Quest’ultima è una forma di radiochirurgia, che a differenza
della radioterapia tradizionale, viene effettuata in un’unica seduta, utilizzando un fascio di radiazioni ad alta
intensità indirizzate in un punto preciso, in modo da cercare di interrompere le mitosi cellulari e interferire
con il ciclo cellulare delle cellule tumorali, arrestandone la crescita. Tale metodica comporta dei rischi,
come la disfunzione dei nervi cranici, vicini a quello che viene irradiato, o del tronco cerebrale o la
possibilità di insorgenza di un idrocefalo, per delle aderenze che si sviluppano secondariamente alla
radioterapia.

Si può osservare:

A e B: Schwannoma dell’VIII nervo cranico destro


con compressione omolaterale sul tronco
dell’encefalo.

C e D: Macroadenoma della ipofisi con estensione


soprasellare e dislocazione verso l’alto del
chiasma ottico, che viene compresso, con
conseguenti disturbi visivi.

E e F: Craniofaringioma cistico, derivante da


residui del dotto cranio-faringeo, che si è
accresciuto all’interno del III ventricolo con
compressione del chiasma ottico.

ADENOMI IPOFISARI
Sono delle neoplasie generalmente benigne, che originano da cellule epiteliali neuroendocrine
dell’adenoipofisi. Si tratta della più frequente tra le patologie intrasellari e rappresenta il 10-15%
di tutti i tumori del SNC. La prevalenza nella popolazione generale è di circa il 10%. Spesso gli
adenomi ipofisari possono essere piccoli e non secernenti.

Classificazione:

In base alle dimensioni:


● Microadenomi (<10 mm), nella 50% dei casi
● Macroadenomi (≥10 mm)
● Adenomi giganti (≥40 mm)

Al grado di malignità:
● Benigni 65%
● Adenomi invasivi 35%
● Carcinomi <1%
All’attività secretoria:
● Secernenti (circa 2/3): si tratta di tumori che secernono uno o più ormoni normalmente
prodotti dalle cellule dell’adenoipofisi. Ricordiamo: i prolattinomi, i più frequenti, gli
adenomi somatotropi, gli adrenocorticotropi e i tireotropi.
● Non secernenti: non producono ormoni, ma possono raggiungere dimensioni importanti,
farsi strada al di fuori della sella turcica e comprimere dal basso verso l’alto il chiasma
ottico, ma anche i nervi e i tratti ottici, determinando così disturbi del visus, quali ad
esempio un’emianopsia bitemporale, dove il soggetto non vede nelle due metà temporali
del campo visivo, o disturbi visivi di altra entità.

EZIOLOGIA
● Sporadici
● Associati a sindromi ereditarie, quali MEN-1 o Familial Isolated Pituitary Adenoma (FIPA),
ovvero l’adenoma pituitario isolato in forma familiare.

SINTOMATOLOGIA da crescita locale (ovvero l’area della della turcica), intrasellare o extrasellare:

● Vari gradi di ipopituitarismo fino al panipopituitarismo (ipotiroidismo e iposurrenalismo,


alterazioni metaboliche e disfunzioni della sfera sessuale). Ciò avviene perché l’adenoma
secernente produce una maggiore quantità di ormone, inibendo o rallentando la
secrezione degli altri ormoni, oppure per compressione da parte dell’adenoma non
secernente delle cellule ipofisarie sane con alterazione della funzione delle stesse.
● Incrementi del valore di prolattina per compressione delle fibre dopaminergiche inibitorie
sulla secrezione di PRL (effetto peduncolo), sia per un adenoma prolattino- secernente sia
per uno non secernente. Nelle forme non secernenti, sebbene aumentino i valori di
prolattina, questi rimangono comunque più̀ bassi (150-250 ng/ml) rispetto a quelli
raggiunti nei veri prolattinomi.
● Cefalea
● Emianopsia bitemporale da compressione chiasmatica
● Diplopia e oftalmoplegia per invasione e per compressione delle strutture nervose e
vascolari che decorrono nel seno cavernoso, localizzato lateralmente alla sella turcica.
● Idrocefalo, se l’adenoma cresce dal basso verso l’alto, comprimendo la base del III
ventricolo.
All’interno del nervo ottico decorrono fibre della
metà nasale e fibre della metà temporale, che
percepiscono gli stimoli luminosi provenienti
dalla metà opposta del campo visivo. Le fibre del
nervo ottico poi si incrociano e decussano al
livello del chiasma ottico, per cui vi è una quota
di fibre che andrà controlateralmente e una
quota di fibre che resterà omolateralmente.
Poi si formerà il tratto ottico, il corpo genicolato
laterale e le radiazioni ottiche fino alla corteccia
calcarina.
Se un paziente sviluppa una lesione del nervo
ottico, al davanti del chiasmo ottico prima che si
decussino le fibre, avrà una amaurosi, cioè non
vede completamente poiché vengono interrotte
tutte le fibre, che trasportano gli impulsi visivi
dalla retina alla corteccia visiva. Se, invece, il paziente sviluppa una lesione del tratto ottico o
posteriormente, in corrispondenza delle radiazioni ottiche, avrà in questo caso un’emianopsia
laterale omonima controlaterale. Se il paziente dovesse sviluppare una compressione del chiasma
ottico, svilupperà un’emianopsia bitemporale, cioè non vedrà nelle due metà temporali del
campo visivo.

SINTOMATOLOGIA in relazione all’ormone che produce l’adenoma ipofisario:

DIAGNOSI
● TC: ci permette di capire se ci sono calcificazioni all’interno del tumore o erosioni della sella
turcica.
● RM: è sempre l’esame di prima scelta.
● Visita oculista per l’esame del fondo oculare e per uno studio del campo visivo, in modo
da valutare l’entità della compressione del chiasma ottico.
● Dosaggio ormonale di tutto l’asse ipotalamo-ipofisario.

TRATTAMENTO
● Farmacologico:
✔ Dopaminoagonisti (Bromocriptina e Carbegolina) possono essere utili nei
prolattinomi.
✔ Analoghi della somatostatina (Octreotide) possono essere utilizzati nel trattamento
dei GHomi.
● Chirurgico con tecniche endoscopiche attraverso la via trans-naso-sfenoidale o
microchirurgica con craniotomia, soltanto se l’adenoma ha raggiunto dimensioni tali da
contrarre rapporti di contiguità con importanti strutture del cervello e arterie o vene.
● Radioterapico: nelle forme più aggressive o negli adenomi infiltranti le strutture parasellari,
non aggredibili chirurgicamente.

CRANIOFARINGIOMI
Si tratta di forme tumorali frequenti nei bambini e in età giovanile; talvolta, si può osservare
anche negli adulti. Originano da residui embrionali del dotto cranio-faringeo o della tasca
di Rathke e interessano la regione ottico-chiasmatica. Possono localizzarsi ovunque lungo il
percorso che va dal recesso infundibolare, localizzato nel pavimento del III ventricolo
(anteriormente), fino alla sella turcica. Dunque, il tumore può crescere dentro il III ventricolo, in
sede intra-sellare o sopra-latero-sellare.
Classificazione:
● Istopatologica: distinguiamo una forma adamantinomatosa, soprattutto nei
pazienti pediatrici, con masse solide e calcifiche miste a cisti e una forma papillare, nei
pazienti adulti, solida senza calcificazioni.
● Topografica: prechiasmatici, retrochiasmatici e subchiasmatici, in relazione ai rapporti con
il chiasma ottico.

Rappresentano il 10% dei tumori intracranici pediatrici. Hanno un picco di incidenza bifasico, cioè
sono più frequenti entro le prime due decadi di vita e dai 40 ai 60 anni.
Generalmente sono dei tumori epiteliali benigni (Grado I WHO), ma con elevata capacità di
aderenza alle strutture neurovascolari della cisterna ottico-chiasmatica. Se il chirurgo non è in
grado di asportarlo in modo completo, le probabilità che si possa verificare una recidiva sono
abbastanza elevate.
SINTOMATOLOGIA
Nei bambini, osserviamo:
● Alterazioni del visus o disturbo campimetrico
● Cefalea
● Ipopituitarismo con alterazioni spesso puberali
● Diabete insipido
● Disturbi comportamentali
Negli adulti:
● Alterazioni del visus o disturbo campimetrico
DIAGNOSI
La TC aggiunge alla RM la possibilità di visualizzare meglio eventuali calcificazione ed eventuali
cavità cistiche. La RM mette in evidenza un aspetto lobulato ed encasement vascolare. Si
osservano multiple loculazioni cistiche, che in T1 appaiono iperintense nella
forma adamantinomatosa e ipointense nella forma papillare, per il differente contenuto di lipidi
e proteine).

TRATTAMENTO

● Intervento chirurgico, trattamento di prima scelta, con l’obiettivo di asportare nel modo
più ampio possibile la neoplasia. Il coinvolgimento delle strutture vascolo-nervose può
rendere infattibile un’asportazione completa.
● Radioterapia e radiochirurgia sono opzioni di seconda scelta, nel trattare residui tumorali.
● Chemioterapia intracistica o intratumorale: in passato, nei pazienti con craniofaringiomi
cistici, dopo aver eseguito una prima asportazione, veniva posizionato un catetere e
attraverso questo venivano somministrati dei farmaci. In realtà, non si è mai avuta una
risposta scientifica certa sull’efficacia di tale trattamento.

CORDOMI
Sono tumori extradurali (solo raramente intradurali), poco frequenti, che originano da residui
embrionali mesodermici della notocorda. Presentano una bassa aggressività biologica, ma una
spiccata capacità infiltrativa ed erosiva ossea locale, e raramente vanno incontro a localizzazioni
secondarie (nelle forme più aggressive).

Classificazione istologica: classico, condroide, dedifferenziato.

Sono neoplasie rare, infatti rappresentano l’1-2% delle neoplasie primitive della colonna
vertebrale. Le sedi più frequenti sono: tratto sacro-coccige (fino al 50%), clivus (30-
40%), più̀ raramente a livello delle vertebre cervicali, lombari e dorsali.
Il picco di incidenza è tra i 40 e 60 anni, con un rapporto F/M di 1:2.

SINTOMATOLOGIA
Si manifestano con segni e sintomi secondari alle strutture, che invadono o comprimono.

Se vi è un coinvolgimento della base cranica avremo:


● Paralisi nervi cranici (specialmente a carico degli oculomotori)
● Ipopituitarismo
● Ipertensione endocranica
● Perdita della vista

Se vi un coinvolgimento del sacro-coccige:


● Dolore loco-regionale
● Compressione delle radici nervose sacrali (alterazioni dell’alvo, tenesmo, incontinenza
sfinterica, anestesia a sella, impotenza)
● Rettorragia
DIAGNOSI
Si utilizza la TC, che mi permette di studiare in questo caso i fenomeni osteolitici e le calcificazioni,
indotte dal tumore e la RM, che mostra bolle per presenza di cellule con grossi vacuoli citoplasmatici.

TRATTAMENTO
Il trattamento chirurgico radicale è la terapia di scelta. Se i cordomi si localizzano in
corrispondenza di strutture vertebrali, un’asportazione parziale determinerebbe una recidiva
sicura con il rischio di un impossibilitato trattamento di quel paziente. Dopo una prima recidiva,
infatti, si può avere uno spreading, cioè una diffusione importante del tumore nelle strutture
vicine: più si diffonde il tumore, meno è controllabile. Si tratta di tumori con una scarsa sensibilità
alla chemioterapia ed alla radioterapia. L’adroterapia rappresenta una possibile alternativa nei
casi non operabili o può essere utilizzata come terapia adiuvante post-chirurgica.

A. Cordoma del clivus


B. Cordoma sacrale
C. Germinoma della regione pineale
D. Carcinomatosi meningea
E. Metastasi singola solido-cistica
sopratentoriale
F. Metastasi singola sotto-tentoriale

TUMORI A CELLULE GERMINALI


Originano da cellule germinali totipotenti, analogamente ai seminomi testicolari e ai disgerminomi
ovarici. Si tratta di tumori che possono presentare al loro interno componenti sebaceo-lipidiche,
fluide e solide. Sono tutti considerati maligni, ad eccezione dei teratomi maturi, spesso associati
ad una difficoltà nell’asportazione completa per la sede in cui si formano. Possono presentarsi
come neoplasie intra- o extra-assiali e coinvolgono più spesso le regioni sovrasellare e pineale.
Classificazione istopatologica: germinomi, teratomi, tumori del sacco vitellino, carcinomi
embrionali, coriocarcinomi. I germinomi rappresentano circa il 70% di tutti i tumori germinali del
SNC e sono solitamente localizzati nella regione pineale.

Rappresentano meno del 3% di tutti i tumori intracranici con un’incidenza di 0,1 per 100.000
persone all’anno. Sono più frequenti nei bambini e nei giovani adulti (con un picco di incidenza
nella seconda decade). Si presentano abitualmente sulla linea mediana. Si effettua spesso la
ricerca di cellule tumorali sul liquor, poiché sono tumori che possono dare disseminazione
leptomeningea (nel 10%), e la ricerca di gonadotropine corioniche, secrete dal tumore stesso, sia
nel plasma che nel liquor (50%).
SINTOMATOLOGIA
Varia in base alla localizzazione.
Se sono localizzati nella regione pineale, avremo:
● Compressione mesencefalo dorsale, con una sindrome di Parinaud, caratterizzata da
paralisi dello sguardo verso l’alto.
● Diplopia
● Nistagmo
● Cefalea
● Idrocefalo da compressione ab estrinseco posteriormente del III ventricolo e
dell’acquedotto di Silvio
Se si localizzano nella regione soprasellare:
● Diabete insipido
● Alterazione del campo visivo e del fundus, da compressione di uno dei nervi ottici
● Ipopituitarismo da compressione e alterazione funzionale del peduncolo ipofisario

DIAGNOSI
La radiologia è eterogenea: in base al tipo cellulare che compone il tumore, potremmo avere delle
immagini radiologiche differenti. Le forme non-teratomatose sono spesso iso-ipointense sia nelle
sequenze T1 che T2, mentre i germinomi sono tipicamente ipercellulati e mostrano pertanto una
caratteristica diffusione ristretta. La presenza di calcificazioni può occasionalmente essere
evidenziata in TC.
La rachicentesi per la ricerca di cellule neoplastiche, di gonadotropina corionica e alfafetoproteina
rappresenta la metodica mininvasiva più rapida per conferma del sospetto neuroradiologico.

TRATTAMENTO
I germinomi sono tumori altamente radio- e chemio sensibili e pertanto la radioterapia, con o
senza chemioterapia, rappresenta un trattamento di prima linea con un tasso di sopravvivenza
>70% a 5 anni. Il trattamento chirurgico diventa necessario o utile nelle forme più invasive o
resistenti alla radioterapia.
La prognosi rimane sfavorevole nelle forme più maligne come i coriocarcinomi, i tumori del sacco
vitellino ed i carcinomi embrionali.

METASTASI
Rappresentano la forma più comune di tumore extra-assiale e non sono altre che localizzazioni
ripetitive di tumori, che originano in altri organi o tessuti. Le metastasi cerebrali, ma anche quelle
del midollo spinale, possono essere singole o multiple. Si classificano in base alla topografica in:
spinali e intra-craniche (sovratentoriali o sottotentoriali).

La classificazione topografica ha un ruolo diagnostico e prognostico, infatti:


● Le sottotentoriali e spinali hanno un esordio sintomatologico precoce e una prognosi più
sfavorevole se non sono trattate, poiché gli spazi sia della fossa cranica posteriore che del
canale vertebrale, sono più piccoli ed è più facile che le metastasi comprimano in modo
significativo il tessuto nervoso (cervelletto, nervo cranico dell’angolo ponto-cerebellare,
tronco cerebrale), con comparsa di segni e sintomi.
● sopratentoriali si manifestano spesso più tardivamente per la comparsa di effetti
secondari, come l’edema perilesionale e la comparsa di crisi epilettiche.

Sono i tumori cerebrali più comuni negli adulti con un’incidenza 4 volte maggiore rispetto ai
tumori primitivi, quali i gliomi.
Le metastasi cerebrali si manifestano nel 20-40% dei pazienti affetti da neoplasie maligne
sistemiche; nel 75-80% dei casi sono localizzate a livello sopratentoriale, nel 15-20% a livello
sottotentoriale e nell’ 1-3% a livello del tronco, molto raramente a livello pineale, dei plessi
corioidei o sellare/parasellare. In 2/3 dei casi possono essere presenti metastasi multiple: non
è mai possibile fare una diagnosi di metastasi intracraniche, soltanto sulla base di una TAC
encefalo, in quanto è molto meno sensibile di una RM, che è in grado di evidenziare più
metasasi.
I tumori primitivi più frequentemente responsabili di metastasi si localizzano a livello di:
polmone, mammella, melanoma, rene e colon-retto, prostata, ovaio e tiroide.
In età infantile, la presenza di metastasi cerebrali è inferiore al 5%; queste originano
prevalentemente dal neuroblastoma, dal tumore di Wilms o dai sarcomi.
TUMORI CEREBRALI
Epidemiologia:
Il sesso maschile risulta più colpito di quello femminile, sebbene vi siano alcune differenze in
alcuni tipi istologici (ad esempio, i meningiomi sono più frequenti nelle donne). Sono in aumento i
casi di tumore cerebrale primitivo nell’anziano. L’incidenza annuale dei gliomi è di 8-10 ogni
100.000 abitanti, mentre quella dei meningiomi è di 3-4:100.000.
I tumori cerebrali costituiscono il tipo più comune di neoplasie in pazienti pediatrici

Sintomatologia:
Generica, attribuibile alla sindrome di ipertensione endocranica:

• Cefalea
• Vomito
• Diplopia
• Papilla da stasi
Focale, come conseguenza dei fenomeni compressivi e/o distruttivi sul parenchima cerebrale:

• Sindrome frontale
• Sindrome parietale
• Sindrome temporale
• Sindrome occipitale
• Sindrome diencefalica
• Sindrome cerebellare
• Sindrome alterna

In presenza di un tumore localizzato a livello del lobo frontale, il paziente potrebbe presentare una
Sindrome frontale con:

• Epilessia parziale motoria per la presenza di un tumore primitivo o estrinseco, che


interessa, infiltra o che comprime la parte posteriore del lobo frontale contente l’area
motoria primaria, al davanti della quale si localizza l’area motoria supplementare.
• Atassia
• Moria, cioè un’alterazione del carattere e della personalità.
• Deficit motorio
• Afasia espressiva, in caso di coinvolgimento dell’emisfero dominante.
• Incontinenza urinaria, poiché le superfici orbitali dei lobi frontali sono inserite nei circuiti
neuronali che controllano anche gli sfinteri.
• Disturbi visivi (base cranica) per coinvolgimento dei nervi ottici e del chiasma ottico.
• Anosmia (base cranica) per coinvolgimento del nervo olfattorio.
Sindrome parietale: prevalgono i disturbi della sensibilità.

• Epilessia parziale sensitiva


• Deficit delle sensibilità profonde
• Agrafestesia
• Stereoagnosia
• Somatoagnosia
• Afasia sensoriale (emisfero dominante)

Sindrome occipitale:

• Allucinazioni visive
• Scotomi scintillanti
• Emianopsia laterale omonima
I disturbi visivi variano in relazione alla sede e al punto in cui è localizzato il tumore; se il
tumore interessa:
✓ il nervo ottico → amaurosi, cioè il paziente non vede completamente poiché vengono
interrotte tutte le fibre, che trasportano gli impulsi visivi dalla retina alla corteccia
visiva.
✓ il chiasma ottico, a livello della linea mediana → emianopsia bitemporale
✓ il tratto ottico o le radiazioni ottiche → emianopsia laterale omonima controlaterale.

Sindrome temporale:

• Epilessia temporale, che il lobo temporale è più soggetto a sviluppare rispetto agli altri, in
presenza di tumore.
• Emianopsia laterale omonima
• Afasia sensoriale, se il tumore è localizzato nell’emisfero dominante.

Sindrome diencefalica: se il tumore si localizza, ad esempio, a livello dell’ipotalamo.

• Diabete insipido
• Panipopituitarismo
• Iperfagia
• Sonnolenza
• Deficit campimetrici, secondari ad una compressione dei nervi ottici, del chiasma ottico e
dei tratti ottici.
• Diminuzione dell’acuità visiva per compressione dei nervi ottici, del chiasma ottico e dei
tratti ottici.
Sindrome alterna: se il tumore si colloca a livello del tronco cerebrale, sede dei nuclei dei nervi
cranici, dei lemnischi e dei fasci di fibre nervose, che sono ascendenti e discendenti. È
caratterizzata dall’associazione fra paralisi dei nervi cranici e deficit dei fasci piramidale e
spino-talamico.

Sindrome cerebellare:
✓ Se la lesione interessa le strutture della linea mediana o primitivamente il verme
cerebellare, il paziente presenta:
• Atassia
• Retropulsione
• Instabilità nella marcia

✓ Se la lesione interessa un emisfero cerebellare, si evidenziano:


• Tremore intenzionale
• Dismetria
• Incoordinazione motoria
Dall’esame neurologico possiamo risalire alla sede della lesione.

Dandy era un famoso neurologo-neurochirurgo che nel 1928 si chiese come asportare una parte di
cervello, sede di malattia, senza creare deficit neurologici aggiuntivi. Egli affermò che era possibile
asportare il lobo temporale dx, il lobo frontale dx, l’occipitale dx senza un’alterazione
apparentemente importante delle funzioni cognitive, basandosi su conoscenze diverse da quelle
attuali. Oggi, tale affermazione non è più valida, poiché oggi si valutano una serie di funzioni
cognitive superiori, che ai tempi di Dandy neanche si conoscevano.
Tutti noi siamo abituati a ragionare in base all’anatomia topografica del cervello.
Sappiamo, infatti, che si possono osservare nel cervello diverse circonvoluzioni, corrispondenti ad
aree cerebrali diverse. Questo tipo di approccio è ormai superato, poiché oggi si punta sullo
studio delle vie nervose sottocorticali, ovvero fasci di sostanza bianca di fondamentale importanza
per le funzioni neurologiche e cognitive.

Classificazione topografica:

• Tumori intrinseci (gliomi, medulloblastomi)


• Tumori estrinseci (meningiomi, neurinomi)
• Tumori della base cranica (meningiomi, cordomi)
• Tumori degli emisferi cerebrali
I tumori intrinseci cerebrali, ovvero i tumori intra-assiali, prendono origine all’interno del
parenchima cerebrale e si dividono in:

• PRIMITIVI: prendono origine da cellule del parenchima cerebrale, ovvero da neuroni o dalle
cellule di supporto dei neuroni, rappresentate dalle cellule gliali, dagli astrociti e dagli
oligodendrociti. Nella maggior parte dei casi sono di origini gliali, dunque, parleremo di
gliomi.
Incidenza: 8-10/100.000 abitanti/anno.

• SECONDARI: sono le metastasi. Sono tumori che crescono dentro il cervello, ma secondari
ad un tumore primitivamente localizzato in un’altra area dell’organismo.
Incidenza: dieci volte superiore rispetto ai primitivi.

Possiamo osservare una RM, in cui


vi è una zona del cervello che
presenta un segnale alterato
rispetto al cervello circostante. Si
tratta di un tumore intra-assiale,
che sta alterando la struttura
interna del cervello.

L’ultima classificazione dei tumori del SNC è quella del WHO 2016. Oggi, un importante ruolo è
ricoperto dai markers molecolari, che hanno apportato un significativo cambiamento alla
precedente pratica clinica.
La nuova classificazione si basa sull’integrazione tra aspetto dei tumori all’analisi microscopica e
anatomopatologica ed espressione di alcuni marker molecolari.
Nella stragrande maggioranza dei casi, i tumori intrinseci sono maligni e vengono distinti in tumori
di II, III e IV grado di malignità sulla base della presenza/assenza di:

• Atipie cellulari/nucleari
• Segni di proliferazione endoteliale (strutture glomerulari con intensa proliferazione
endoteliale) → angiogenesi.
• Necrosi tissutale

Classificazione in base ai fattori molecolari:


1. IDH1
2. Codelezione 1p19q
3. ATRX
Questi sono espressi in vari tipi di tumori e consentono di identificare vari gruppi e sottogruppi.
Hanno potere sia prognostico, in relazione al comportamento biologico, che predittivo, in base alla
risposta al trattamento e alla sensibilità a vari trattamenti (soprattutto chemioterapico).

1. IDH1: Isocitrate dehydrogenase 1 (NADP+).


È un enzima solubile presente nel citoplasma e nei perossisomi, codificato dal gene IDH1 presente
sul cromosoma 2. Tale enzima catalizza la decarbossilazione ossidativa dell’isocitrato a 2-
ossiglutarato.
Nei tumori cerebrali, IDH1 è presente sia nella forma non mutata (wildtype) che in quella mutata.
La mutazione comporta la perdita della funzione enzimatica e l’anomala produzione di 2-idrossi-
glutarato. Tale attività è stata messa in relazione con la capacità della cellula di resistere agli stress
ossidativi (attraverso l’inibizione di varie alfa-chetogluratato diossigenasi), che si osservano in
condizioni di crescita cellulare e ipossia, risultando in un vantaggio in termini di proliferazione
cellulare.

2. Codelezione 1p19q
La perdita parziale di alcune regioni del cromosoma 1 e 19 si evidenzia in vari tumori cerebrali.
La perdita completa (non parziale) e combinata dei bracci 1p e 19q si associa al fenotipo
oligodendrogliale (e non astrocitario) e, in genere, ad una prognosi migliore e ad una maggiore
risposta alla chemioterapia. In passato, invece, si effettuava la diagnosi differenziale tra i due
fenotipi, valutando la TAC: la presenza di microcalcificazioni era indice di oligodendroglioma, ma si
poteva trattare di un falso positivo e, dunque, poteva trattarsi di un tumore di tipo astrocitario. La
codelezione 1p19q si associa alla mutazione IDH1, alla metilazione del promoter del MGMT ed è
mutualmente esclusiva alla mutazione p53 e all’amplificazione EGFR che, invece, si trova nei
tumori IDH1 wildtype e tipicamente nei glioblastomi.

3. ATRX: Alpha thalassemia/mental retardation syndrome X-linked protein.


È un fattore di rimodellamento della cromatina, che svolge un ruolo cruciale del mantenimento
dell’eterocromatina, soprattutto a livello telomerasico. La sua disfunzione è stata collegata a
un’instabilità del genoma e ad un allungamento anomalo dei telomeri.
La perdita di espressione di ATRX si trova nella maggior parte dei tumori astrocitari, che
presentano mutazione IDH1 ed è mutualmente esclusiva con la codelezione 1p19q.
La presenza di mutazione ATRX (ATRX loss) consente di distinguere gli astrocitomi IDH1 mutati
dagli oligodendrogliomi IDH1 mutati, che presentano sia espressione di ATRX che codelezione
1p19q.
La presenza di mutazioni ATRX non conferisce di per sé un vantaggio proliferativo alle cellule che la
presentano, ma predispone alcuni subcloni cellulari ad eventi trasformativi, attraverso
destabilizzazione genomica, favorendo l’alterazione del numero delle copie di DNA.

L’integrazione tra dati istologici e molecolari porta alla definizione di due grandi gruppi di tumori
intrinseci:
• IDH1 wildtype
• IDH1 mutati
Si differenziano per: comportamento biologico, caratteristiche epidemiologiche, modalità di
trattamento e prognosi.

GLIOMI IDH 1 MUTATI


Si manifestano nel giovane adulto (18-50 anni); nei soggetti di età maggiore prevalgono le forme
IDH1 wildtype. Sono tumori rari: circa 1000 casi/anno in un paese come la Francia). La loro
incidenza nella popolazione globale europea è in aumento.
La loro principale caratteristica è quella di localizzarsi in corrispondenza di varie regioni degli
emisferi cerebrali a maggiore attività funzionale: area motoria, del linguaggio, visiva, dette aree
eloquenti. Si manifestano nella maggior parte dei casi con crisi epilettiche: si tratta di pazienti che
non soffrono di epilessia, ma che manifestano episodi singoli; per questo è necessario effettuare
un approfondimento diagnostico per evitare una diagnosi tardiva, con conseguente crescita
eccessiva del tumore. La crescita è lenta e possono provocare spesso la comparsa di epilessia
farmaco resistente, poiché non rispondono a molti trattamenti.
In RM, le lesioni sono visibili nelle sequenze T2 o FLAIR, che diffondono lungo i fasci di sostanza
bianca. Vanno incontro a trasformazione maligna (forme astrocitarie più rapide di
oligodendrogliomi); maggiore è il grado di malignità più rapida sarà la proliferazione.
Alla RM si può osservare che tali tumori interessano spesso una zona della corteccia cerebrale, i
solchi o le circonvoluzioni, che, sebbene riconoscibili nella loro struttura, appaiono deformati,
ispessiti, aumentati di volume. Dalle circonvoluzioni cerebrali, il tumore tende poi a farsi strada
attraverso i fasci di sostanza bianca.
La trasformazione maligna si associa alla comparsa di angiogenesi attiva (proliferazione
endoteliale, che spesso si associa alla presa di contrasto in RM) e ad un’aumentata attività
proliferativa e infiltrativa della neoplasia.
La perdita della mutazione ATRX caratterizza il fenotipo astrocitario, mentre in presenza di un
mantenimento della ATRX con codelezione 1p19q si avrà il fenotipo oligodendrogliale.
L’acquisizione di ulteriori mutazioni, ad esempio della p53, caratterizza l’evoluzione verso forme a
maggiore grado di malignità.

Questa è una sequenza FLAIR di una RM dell’encefalo,


che mostra la presenza di una lesione, ovvero una zona di
aumentato segnale, localizzata a livello del lobo frontale
di destra con coinvolgimento della corteccia motoria
prefrontale e infiltrazione della sostanza bianca
sottocorticale. Le circonvoluzioni sono moderatamente
allargate, ma la morfologia della regione è conservata.
Per la precisione, si tratta di un astrocitoma di basso
grado (II grado), IDH1 mutato, non co-deleto con ATRX
perso.

Tale sequenza FLAIR mostra, invece, la presenza di una


lesione localizzata a livello della porzione mesiale del
lobo frontale di destra. La lesione è stata sottoposta ad
asportazione chirurgica. Si tratta, in questo caso, di un
oligodendroglioma di basso grado (II grado) IDH1
mutato, co-deleto e con ATRX intatto.
Parlare di astrocitoma in un soggetto giovane, non vuol dire parlare necessariamente di un tumore
maligno o inoperabile. Si può trattare di tumori potenzialmente asportabili in maniera completa,
portando il paziente a guarigione definitiva.

Nella scansione frontale (immagine in


basso), si può osservare una macchia
nera nel cervelletto, che rappresenta la
porzione cistica, quindi liquida, mentre
il tumore vero e proprio è il piccolo
nodulo nel lato superiore della cisti,
che assume mezzo di contrasto e che
appare bianco. Si tratta di un
astrocitoma cistico pirocitico; se il
chirurgo asporta completamente il
nodulo tumorale, svuotando la cisti, il
paziente va incontro a guarigione.

Sintomatologia:
All’esordio sono frequenti crisi epilettiche, inizialmente parziali e, successivamente,
secondariamente generalizzate. Questi tumori possono però anche essere asintomatici poiché,
essendo a basso grado di malignità, crescono lentamente, ma anche per l’insorgenza della
cosiddetta plasticità cerebrale. Quest’ultima rappresenta la capacità del cervello di modificare e
spostare le funzioni, presenti in una determinata regione, in altre vicine o anche nell’emisfero
controlaterale. I fenomeni di plasticità neuronale si verificano spesso in giovani adulti, che hanno
dei tumori a basso grado di malignità, presenti da mesi o anni, che hanno dato al cervello
circostante il tumore la possibilità di adattarsi alla presenza del tumore stesso.

Si tratta spesso di tumori operabili, senza conseguenti deficit neurologici per il paziente.
Nel periodo preoperatorio, il paziente deve essere sottoposto a una valutazione neuropsicologica,
attraverso la quale è possibile evidenziare:
• Lo stato di riorganizzazione funzionale raggiunta dal paziente, ovvero la plasticità
cerebrale.
• Eventuali criticità nelle sue performance, non evidenziabili con il solo tradizionale esame
neurologico.

Trattamento:
È basato sulla chirurgia, associata a chemioterapia. Più precoce è il trattamento e più piccolo sarà
il volume della neoplasia da trattare. Minore è la durata dell’eventuale storia epilettica e maggiore
sono le probabilità di modificare la storia naturale e sintomatologica della neoplasia. Dunque, il
mancato trattamento chirurgico può determinare un peggioramento nella condizione clinica del
pz, sia perché il tumore può aumentare le sue dimensioni sia perché il tumore di basso grado o
IDH mutato acquisisce un più alto grado di malignità.
La chirurgia si avvale di metodiche quali:
• Brain mapping, ovvero neurofisiologia intraoperatoria, chirurgia da sveglio.
• Tecniche di imaging intraoperatorie, come la neuronavigazione, basata sull’utilizzo di uno
strumento noto, per l’appunto il neuronavigatore, che permette di guidare l’intervento da
una struttura all’altra del SN, evitando di danneggiare componenti vascolari e fasci di fibre
nervose e lo fa basandosi su immagini di RM pre-operatoria o intra-operatoria); ecografia,
TC o RM intraoperatorie.

Con queste modalità di trattamento, allo stato attuale, la percentuale di deficit permanenti
(motori, linguistici, cognitivi) si attesta intorno al 1-2%.
Il 30% dei tumori, che appaiono come di basso grado agli studi radiologici preoperatori, hanno
caratteristiche inquadrabili come tumori ad alto grado alla diagnosi istologica. Un’importante
riduzione volumetrica (volume residuo tra 10 e 15 ml):
✓ Si associa a un controllo della sintomatologia critica postoperatoria, cioè della
sintomatologia epilettica.
✓ Pospone il tempo di trasformazione maligna.
✓ Allunga il tempo di recidiva; in questi casi il tumore alla recidiva può ancora presentare
caratteristiche di tumore a basso grado di malignità.
✓ Allunga il tempo di sopravvivenza.

La sola chirurgia, però, perderebbe la sua utilità se il pz non venisse sottoposto a regimi
chemioterapici. Oggi la chemioterapia per i gliomi cerebrali, sia con IDH mutato che con IDH
wildtype, si basa sulla somministrazione di nitrosouree, come la temozolomide (da meno effetti
collaterali rispetto ad altri chemioterapici, è somministrato per 5 gg al mese a cicli di 28 gg per os),
oppure schemi combinati come il PCV (procarbazina, CCNU e vincristina).
Si tratta di farmaci assunti per via orale che hanno dimostrato la capacità di mantenere stabile il
volume della neoplasia oppure di ottenere una sua modesta riduzione di dimensione (minor
response), soprattutto nei fenotipi oligodendrogliali (presenza di codelezione 1p19q).
Si può, poi, ricorrere alla radioterapia quando ci sono residui chirurgici di grosse dimensioni
(magari per tumori altamente infiltranti, che ne hanno ostacolato l’asportazione completa),
quando è stata eseguita soltanto la biopsia (basti pensare a tumori particolarmente estesi a livello
cerebrale, che si sono fatti strada lungo i fasci nervosi di sostanza bianca e che non possono essere
asportati in modo radicale), quando abbiamo a che fare con pz di età avanzata o scarsa
responsività alla chemioterapia e ancora persistenza di crisi epilettiche poco controllate.

Tutti i gliomi intrinseci, quindi sia quelli anaplastici di III grado che quelli francamente maligni di IV
grado (detti glioblastomi) e quelli a basso grado di malignità (low grade glioma) di II grado (che
possono evolvere verso III e IV grado) hanno una certa tendenza a recidivare. La recidiva può
essere evidenziata in corso di follow-up, cioè i controlli periodici cui si sottopongono i pz operati
(RM ogni 4-6 mesi), oppure si evidenziano clinicamente con la comparsa di una crisi epilettica
dopo un lungo periodo libero da crisi e, spesso, nonostante l’assunzione di farmaci antiepilettici →
la comparsa di una crisi epilettica deve porre il sospetto di recidiva e consigliare l’esecuzione di
una RM. In genere, la recidiva si verifica dopo circa 4-5 anni nei casi di tumore a fenotipo
astrocitario e dopo circa 5-6 anni nei casi di tumore a fenotipo oligodendrogliale.
I fattori determinanti per la comparsa di recidiva sono:
• Età alla diagnosi: maggiore età → maggiore probabilità.
• Volume del tumore e la sua estensione, soprattutto quando vi è interessamento alla
diagnosi del corpo calloso.
• Istologia: è più probabile nel fenotipo astrocitario.
• Dimensione del residuo dopo chirurgia.

La maggior parte delle recidive compaiono nella stessa area del tumore iniziale; esistono, tuttavia,
casi in cui la recidiva può comparire anche a distanza.
In caso di comparsa di recidiva, il paziente può essere sottoposto a nuovo intervento chirurgico, a
chemioterapia, a radio-chemioterapia.
Il grado di anaplasia tende ad aumentare con il numero delle recidive. L’evoluzione di queste
forme tumorali è la comparsa di glioblastomi secondari; infatti esistono gliomi di IV grado che
insorgono primariamente come glioblastomi e poi ci sono glioblastomi secondari che si sviluppano
per trasformazione di gliomi di II e III grado.
Gli intervalli liberi da recidiva o trattamenti tendono a ridursi con il passare del tempo, quindi, nel
tempo il numero di recidive aumenta. Nella storia di malattia è tipico osservare la comparsa di 3-4
recidive in un intervallo di tempo variabile tra 7 e 18 anni, a seconda del livello di aggressività
biologica della malattia.
In caso di fenotipo astrocitario ed in caso di comparsa di anaplasia, la chemioterapia può essere
combinata con la radioterapia, seguita da chemioterapia adiuvante.

GLIOMI WILD-TYPE

A differenza dei precedenti, si presentano più frequentemente negli adulti e negli anziani.
Si presentano alla diagnosi come forme con caratteristiche di anaplasia, quindi, come gliomi
anaplastici (III grado) o come glioblastomi (IV grado). Il 10% sono a basso grado di malignità.

Quello che sappiamo è che derivano dalla proliferazione di cellule staminali mutate (cancer stem
cells), che rappresentano l’elemento costitutivo proliferante della neoplasia; da queste si
generano e si differenziano le altre cellule di cui è costituito il tumore. Le cancer stem cells
possono essere isolate dal tessuto tumorale, quando coltivato in assenza di siero. Le cellule isolate
formano sferoidi, che presentano vari marker di staminalità: il più conosciuto, ma non esclusivo, è
il CD133. Se impiantate nel cervello di animali da laboratorio, sono in grado di generare tumori con
caratteristiche morfologiche e antigeniche del tutto simili a quello di partenza.
Ad ogni modo, non si conoscono allo stato attuale le cause certe per cui si generano le glioma
cancer stem cells.
Nel caso di glioma di basso grado è ancora
possibile evidenziare le circonvoluzioni
cerebrali. In questa RM, il glioma si
presenta come una sorta di nodulo
intracerebrale che determina una
importante e completa alterazione morfo-
strutturale della zona cerebrale in cui si è
sviluppato.

Un glioma multiforme è un glioma che si


sviluppa contemporaneamente in diverse
aree cerebrali.

Lo studio angiografico dei gliomi è


importante, essendo il grado di malignità
correlato anche ai fenomeni di
neoangiogenesi. L’angiografia, quindi,
consente la visualizzazione della
vascolarizzazione tumorale.
La PET eseguita con metionina,
marcatore specifico dei tumori
cerebrali, più fluoro-desossiglucosio,
ci consente di ottenere informazioni
in merito all’attività metabolica dei
tumori, sia quelli primari sia le
recidive.

I gliomi cerebrali wildtype possono avere una crescita di tipo diffusivo o di tipo proliferativo. Il
livello di infiltrazione di un tumore di questo tipo è molto importante, poiché già al momento della
diagnosi le cellule possono trovarsi a diversi centimetri di distanza rispetto alla massa che si
evidenzia con gli studi di imaging → le cellule potrebbero aver infiltrato i fasci di fibre nervose
della sostanza bianca sottocorticale non visualizzabili, perciò, con gli attuali metodi di diagnosi
radiologica e con i poteri di risoluzione dei medesimi).
Questa proprietà caratterizza e differenzia in modo sostanziale i tumori IDH 1 wildtype rispetto a
quelli mutati, che invece si sviluppano in aree circostanziate del parenchima cerebrale e da esse
diffondono lentamente lungo i fasci di fibre.
Molti hanno definito il glioma una malattia sistemica dell’encefalo, nel senso che anche se la RM
mostra una localizzazione in una specifica sede encefalica, quasi sempre vi sono cellule tumorali in
altre aree cerebrali (in corrispondenza di lobi dello stesso emisfero o in quello controlaterale,
come accade nel glioma multicentrico).
La rapidità di crescita del glioma wildtype comporta l’impossibilità per i processi di plasticità
cerebrale di instaurarsi.

Sintomatologia:
Si manifestano nella maggior parte dei casi con crisi epilettiche (circa il 60% dei casi). Possono
presentarsi anche deficit neurologici focali (difficoltà motorie, di coordinamento) o cognitivi
(difficoltà di memoria, concentrazione), legati all’effetto massa ed all’imponente edema che li
circonda. Questo dato è importante poiché se una funzione neurologica è alterata o persa, perché
il tessuto cerebrale deputato allo svolgimento della medesima è distrutto dal tumore, la
possibilità, in assenza di plasticità cerebrale, che il chirurgo possa ripristinare tale funzione è quasi
nulla, ma se il deficit funzionale dipende dall’edema, trattando il medesimo con una terapia
antiedemigena (ad esempio mannitolo) è possibile il ripristino della specifica funzione.
A differenza delle forme IDH 1 mutate, a parità di volume tumorale, la maggior parte dei pazienti
con tumori IDH 1 wildtype presenta sintomi e segni neurologici al momento della diagnosi.
Nel 90% dei casi di gliomi IDH wildtype si riscontra la presenza di aree di anaplasia: tumore
anaplastico di III grado o di IV grado quando è coesistente necrosi tissutale, oltre a presentare
atipie cellulari e nucleari e ancora angiogenesi.
Nel 10% dei casi si riscontrano caratteristiche istologiche riconducibili a glioma di basso grado.
Non esiste una sostanziale differenza di andamento biologico tra glioma IDH 1 wildtype di III o IV
grado.

I fattori clinici che influenzano la prognosi di questo tumore sono:


• L’entità della resezione chirurgica, importante poiché è ampiamente documentato in
letteratura scientifica che la sopravvivenza del pz, intesa come Overall Survival (OS), e la
sopravvivenza libera da malattia e da progressione della malattia, vale a dire il Progression
Free Survival (PFS), sono correlati con essa. Ciò significa che maggiore è la quota di tumore
asportato, maggiore è la probabilità di sopravvivenza del pz e di sopravvivenza libera da
malattia.
• Lo stato neurologico del paziente.

Il performance status post-operatorio è uno dei fattori prognostici più importanti nell’evoluzione
della malattia.

I determinanti molecolari di maggiore interesse nei glioblastomi, fondamentali nella prognosi,


sono:
1. Lo stato di metilazione del promoter dell’enzima MGMT (metil-guanina-metil-transferasi).
2. La determinazione della mutazione EGFRvIII.

Il gene per il O- (6) -methylguanine-DNA methyltransferase (MGMT) è localizzato a livello del


cromosoma 10q26 e codifica per un enzima che ripara il DNA e che è in grado di abrogare gli
effetti esercitati dalla chemioterapia sul DNA delle cellule tumorali. L’attività di tale enzima è
posta sotto il controllo di un promoter che non è attivo se metilato (se non metilato è attivo);
dunque, se il promoter non è metilato, i danni esercitati dalla chemioterapia sono rapidamente
riparati.
Nei gliomi IDH 1 wildtype il promoter è:
• metilato nel 60% dei casi → tumori più sensibili al danno esercitato dalla chemioterapia.
• non metilato nel 40% dei casi → tumori meno sensibili alla chemioterapia.

E’ importante porre l’accento sull’esistenza di diverse forme di glioblastoma; in particolare ne


esistono 4 sottotipi: Classico, Mesenchimale, Proneurale e Neurale.

Trattamento:
La terapia chirurgica è volta a garantire una asportazione quanto più precisa, ma il trattamento si
fonda anche sulla chemioterapia. Il trattamento chemioterapico si basa su un protocollo classico
proposto dall’oncologo svizzero Stoop, che prevede nel post-operatorio l’uso di temozolomide in
associazione a radioterapia combinata (trattamento concomitante), seguita da chemioterapia
adiuvante (cioè la sola chemio) a distanza di circa un mese dalla fine del trattamento
concomitante. La radioterapia, in genere, ha una durata di 30 gg e consiste nella somministrazione
di 60 Gy (grey) di radiazioni.
La chemioterapia in regime adiuvante con temozolomide prevede l’assunzione di più alte dosi di
farmaco: 5 giorni consecutivi ogni 28 giorni, sotto controllo della tossicità ematologica. Il
trattamento viene generalmente proseguito per 6 cicli (6 mesi), anche se in alcuni casi può essere
effettuato per un tempo più lungo, talvolta a vita (a patto che i controlli ematologici non
evidenzino piatrinopenia o leucopenia). Ad ogni modo, si tratta di una chemioterapia ben tollerata
dal pz e non determina effetti avversi riconducibili ad altri farmaci chemioterapici.
Può capitare che l’asportazione chirurgica massimale non sia possibile (per sede o estensione del
tumore, caratteristiche generali del pz, ecc..), per cui in tali casi si ricorre a biopsia ad ago o a cielo
aperto per confermare la diagnosi istologica e molecolare (MGMT), seguita da immediato
trattamento radiante e/o radioterapico (a seconda dell’età, delle condizioni generali del paziente
e del profilo molecolare).

In passato, soprattutto nel mondo anglosassone, i chirurghi erano restii ad operare pz anziani
presentanti sospetto glioma cerebrale di alto grado, poiché ritenevano che il pz fosse
inevitabilmente destinato al decesso, ma anche perché il rapporto costi/benefici non giustificava il
trattamento di simili pz, e ritenevano che la biopsia associata a chemio e radioterapia equivalesse
all’asportazione del tumore.
Tuttavia, uno studio scientifico sottolineò la fine di un’era chirurgica incentrata sulla scelta di
intervento in funzione dell’età. Questo studio dimostrò una differenza significativa in termini di
sopravvivenza tra i pz trattati con biopsia e quelli sottoposti ad asportazione chirurgica e tale
differenza andava da 3 a 7 mesi. Quindi lo studio ha sancito la fine di quello che viene definito
‘’ageism’’ e dimostrò l’importanza della chirurgia anche nei pz anziani.

Per i pz che vanno incontro a recidiva è


fondamentale sapere che essa si presenta, in
funzione di malignità del tumore, in un
intervallo di tempo variabile che va da 7 a 13
mesi. Oggi esistono, poi, schemi differenti di
chemioterapia (di seconda e terza linea).
Quando l’intervallo di tempo tra la comparsa
della recidiva e la sospensione della
chemioterapia con temozolomide è consistente
(parecchi mesi), la stessa temozolomide può
essere risomministrata (rechallenge). Qualora
anche la chemioterapia di seconda linea perda la propria efficacia e ci si ritrovi di fronte a una
nuova ricrescita di malattia, possono essere usate terze linee (chemioterapia metronomica) o si
possono usare farmaci ad azione anti-angiogenica (come il bevacizumab), che si sono dimostrati
efficaci, tuttavia, in gruppi molto selezionati di pazienti.
Per un pz con glioblastoma wildtype è necessaria l’esecuzione di controlli periodici, basati su RM e
PET eseguiti ogni 3 mesi, così da valutare l’evoluzione della malattia. Tanto più è lunga la malattia,
tanto maggiore è il numero di recidive e quindi più è ristretto l’intervallo di tempo che intercorre
tra queste. Si tenga, poi, conto della vulnerabilità di questi pz, per cui non di rado si possono avere
effetti collaterali della chemioterapia.
La sopravvivenza è di circa 1,5 anni, ma può andare da 6 mesi a 2-3 anni. Non esistono
chiaramente regole fisse, poiché vi sono diversi sottotipi e diversi profili molecolari.
Il 30% dei pz con glioma di alto grado riesce a sopravvivere oltre i 3 anni e questo è un dato
importante da tenere in considerazione.
TUMORI INTRINSECI CEREBRALI
Diagnosi dei tumori intrinseci cerebrali:
• TAC con mezzo di contrasto: una delle principali tecniche di diagnosi che permette la ricostruzione
delle immagini in coronale e sagittale oltre che assiale.
• Risonanza magnetica: è l’esame di prima scelta nello studio delle masse occupanti spazio
intracraniche, in quanto consente una migliore ricostruzioni delle immagini sui tre piani dello
spazio, uno studio migliore dei dettagli che riguardano le differenze tra il parenchima cerebrale e il
tessuto tumorale e perché consente di ottenere delle sequenze specifiche che raccolte insieme
forniscono la base per la diagnosi.
• RM Funzionali: possono individuare le aree del linguaggio, visive, è possibile farlo con delle
sequenze specifiche
• RM Spettroscopica: volta allo studio delle componenti molecolari delle membrane cellulari. È
possibile individuare, infatti, una ROI( region of interess),cioè una regione da studiare più
approfonditamente con software specifici ,in modo da ottenere le percentuali di alcuni componenti
delle membrane, come la colina, e vedere se il tessuto patologico ha le caratteristiche di un tumore.
• Diffusion weighted MRI,including DTI: il DTI è l’imaging con il tensore di diffusione, è un tipo di
sequenza di risonanza magnetica che consente di studiare il decorso di alcune fibre nervose
importanti, come le fibre del sistema piramidale. Sono importanti soprattutto perché permettono
di localizzare del tumore, di studiarne i rapporti con le aeree eloquenti del cervello, non soltanto
per mostrare la presenza del tumore, informazioni importati soprattutto ai fini terapeutici.
• Perfusion MRI
• PET
• Stimolazione elettrica corticale e sottocorticale: gold standard per il capire il funzionamento delle
aree cerebrali; permette di capire ad esempio dove è l’area motoria o l’area del linguaggio.
Questa è una TC.Nelle due immagini a sinistra riconosciamo che la teca cranica(bianca) è iperdensa, mente
il cervello è isodenso. In questa tac vediamo che nel lobo temporale di dx (ciò che è a sinistra si vede a
destra e viceversa) è presente un’area estesa di tumore. Se guardiamo le immagini a destra, dopo
infusione di mezzo di contrasto, notiamo che il tessuto tumorale si è impregnato di tale mezzo,è un tessuto
con vasi sanguigni malformati. Questo permette di definire i margini della neoplasia. A destra abbiamo sia
una ricostruzione coronale che una sagittale, quindi sono tc multiplanari, studiano quindi un’ immagine in
3 piani.

Questa è un RM,la quale consente di studiare il parenchima cerebrale, le strutture intracraniche, il tumore
cerebrale e i suoi rapporti con il parenchima, in modo più definito. Nelle tre immagini in basso o in alto a
destra oltre a visualizzare il tumore ,vediamo una zona ipointensa attorno al tumore( scura) che è l’edema
cerebrale che nell’immagine in alto a destra appare bianca iperintensa.Vanno eseguite tutte le sequenze,
perché la loro integrazione permette una diagnosi più accurata.
MR SPECTROSCOPY-MRS

La risonanza magnetica con spettroscopia è una sequenza che produce uno spettro di segnale che misura
la presenza e la quantità di alcune sostanze, come la colina. Saranno i picchi (spikes)che se presenti entro
determinati range di valori, indicano il dosaggio quantitativo di alcune sostanze che danno informazioni
indirette della presenza di determinati tipi di tumori. Se ho ad esempio un glioma di alto grado, esso è
dotato di attività proliferativa intensa ,quindi presenta cellule proliferanti e molte membrane cellulari in
via di formazione. Questo determina un picco di colina, costituente di tali membrane ,maggiore rispetto
,ad esempio,ad un meningioma .

PET

La pet è un altro esame utilizzato nello studio dei tumori cerebrali.ormai è in disuso la Pet con
fluorodesossiglucosio, ma viene sempre più usata la pet con la metionina.
DTI: tensore di diffusione utile in neuroscienze, in quanto consente ,mediante principi fisici consente di
ricostruire la presenza e la direzione di alcune fibre nervose. Allora per convenzione si da un colore diverso
a seconda della direzione delle fibre:
✓ da destra verso sinistra ,le fibre che vanno da un emisfero all’altro, sono rosse (immagine
al centrale: ginocchio e splenio del corpo calloso);
✓ Le fibre che vanno dal davanti verso dietro e quindi dal polo frontale al polo occipitale
sono verdi;
✓ le fibre che vanno dalla convessità cerebrale fino al midollo spinale sono blu(Prima e terza
immagine: fibre piramidali che sono blu).
DTI è detto anche trattografia: se il tumore è localizzato apparentemente nell’area motoria bisogna sapere
quali sono i rapporti tra il tumore il fascio piramidale(che questa immagine si trova lateramente al tumore).
Significa che se il chirurgo opera il paziente con strategie e metodiche intraoperaratorie come la
stimolazione elettrica corticale e sottocorticale potrà individuare il rapporto e la distanza tra tumore e
fascio piramidale .

RM FUNZIONALE

In queste ricostruzioni 3D ci sono delle aree arancioni. Si tratta di una RM funzionale, volta allo studio di
aree cerebrali funzionalmente eloquenti come quella del linguaggio, della vista e del movimento. A sinistra
vediamo nel lobo occipitale le aree arancione che indicano le aree visive; in corrispondenza invece del
piede della terza circonvoluzione frontale indica l’area di Broca, del linguaggio.
Su cosa si basa la chirurgia dei tumori intrinseci? Su tutta una serie di tecnologie di cui si avvale il
neurochirurgo per svolgere degli interventi con maggiore precisione:
✓ Neuronavigazione: usa il neuronavigatore, indica la via migliore da seguire durante l’intervento
all’interno del cervello;
✓ Fluorescenza: usa un farmaco ,l’acido 5-aminolevulinico, precursore della protoporfirina 9, che si
fissa in modo selettivo al tumore, soprattutto al glioma, che può essere somministrato al paziente il
giorno dell’intervento chirurgico viene metabolizzato e si fissa alle cellule tumorali carenti di un
enzima che invece è presente nelle altre cellule. Consente al neurochirurgo che usa un microscopio
con filtro ottico di distinguere il tumore cerebrale perché assume un colore diverso, infatti mentre il
colore normale del tessuto cerebrale è a crema di pasticcini (giallo-rosa),il tumore si osserva alla
fluorescenza di colore fuxia.
✓ Stimolazione elettrica corticale e sottocorticale: valuta l’integrità di queste strutture.
✓ Aspiratore a ultrasuoni: emettere ultrasuoni che frantumano il tumore,mentre con l’aspiratore lo
aspira via.
✓ iCT / i MR
✓ Ecografia navigata

Nell’immagine a sinistra è come appare il


cervello dopo l’uso della luce bianca,
mentre a destra dopo somministrazione
del farmaco e dopo aver posizionato il
filtro ottico.
Già nel 2006 il professore tedesco
Stummer(?) ha appurato l’efficienza della
fluorescenza nella diagnosi di tumori
cerebrali. Dimostrò che c’era una
differenza in termini percentuali, a
proposito dell’estensione di resezione del
tumore cerebrale, che variava dl 36% al 65
%. Nei pazienti nei quali si utilizzavano
metodiche tradizionali come il
microscopio, veniva asportato solo il 36% del tumore, mentre nei pazienti nei quali era stato usato il 5-ala,
la percentuale era salita 65 %, che oggi è molto maggiore ,con tassi di resezione del 98-99%.
STIMOLAZIONE CORTICALE E SOTTOCORTICALE
Esistono dei parametri tecnici che devono essere applicati.

Nell’immagine in alto a sinistra troviamo dei numeri, che sono il risultato ottenuto dalla stimolazione della
corteccia cerebrale di aree che svolgono funzioni quali quella del linguaggio o del movimento. Le
identifichiamo perché grazie ad esse il neurochirurgo può capire come entrare dentro il cervello durante
l’operazione;con una sonda bipolare stimola elettricamente più volte queste zone per capire se sono zone
che può o non può toccare durante l’operazione, perché causerebbero un danno neurologico( Sia in sede
corticale o sottocorticale).

Prendiamo l’esempio di un soggetto di 44 anni con tumore in area motoria che ha un edema cerebrale
peritumorale. Se vogliamo asportare il tumore senza renderlo emiplegico, dobbiamo usare ad esempio un
neuronavigatore, in seguito una sonda che stimola ,con ampiezza e intensità crescenti ,le aree corticali. il
cervello sembra pulsare anche perché la stimolazione elettrica può variare la conduzione elettrica fino a
causare delle crisi epilettiche, quindi si interviene con l’Irrigazione fredda che interrompe la conduzione
elettrica per evitare questa complicanza. Poi il neurochirurgo entra nel cervello cercando un clivaggio, una
separazione tra tessuto sano e tessuto tumorale ,inserendo dei cotonini all’interno del tumore,che
separano le circonvoluzioni sane da quelle malate.
Il tumore che viene asportato a piccoli frammenti per evitare danni da trazione chirurgica nei tessuti
circostanti. Con l’aspiratore a ultrasuoni alla fine dell’asportazione controlla che ci sia una normale
conduzione dello stimolo nervoso sia corticale che della sostanza bianca sottocorticale.
Infine occorre fare una RM postoperatoria di controllo entro 48h dall’intervento,per dimostrare di aver
asportato tutto il tumore o per visualizzare il residuo tumorale(esame di certezza). Si fa entro 48 ore
perché il danno della barriera ematoencefalica che si può instaurare potrebbe causare ,dopo 72 h, la
formazione di aree di impregnazione del parenchima cerebrale in aree circostanti il tumore, non
consentendo più di capire se la comparsa di tale zona sia dovuta alla persistenza del tumore o a un
danneggiamento della barriera ematoencefalica.
Facciamo anche una tac intraoperatoria, in cui la testa ha una disposizione opposta al normale, perche il
paziente era prono. Nell’immagine di dx si vede il lembo cutaneo aperto e la craniotomia cioè la mancanza
del lembo osseo con accesso al parenchima cerebrale; studia la radicalità dell’operazione .
La documentazione finale si ha solo con RM!!

Questa è una TAC testa chiusa;ai lati della testa sono i supporti
della testiera.

Neurochirurgia vascolare
Il professore Yasargil mostra come questi tumori siano riccamente vascolarizzati, seppur con vasi
malformati,che danno nutrimento al tumore. Non semore finiscono all’interno del tumore ma possono
ache passare accanto dando dei rami arteriosi,per poi passare avanti. Sono causa,durante gli interventi
chrurgici,di possibili danni ischemici. Per questo è importante preservare le strutture vascolari durante
l’asportazione del tumore cerebrale.

Donna di 62 anni con glioblastoma fronto-temporo-


insulare. Non possiamo sacrificare importanti vasi come
la vena cerebrale media superficiale nella scissura di
silvio,ma anche l’arteria cerebrale media nella profondità
della stessa scissura. Con la fluorescenza possiamo
osservare il tumore,vediamo anche i vasi malformati.
Non si possono recidere i vasi sanguigni per passare da
destra a sinistra perché non possiamo tagliare i vasi.
L’asportazione del tumore è sempre vincolata al rispetto
delle vascolarizzazione del cervello!

La risonanza magnetica di controllo post operatoria sia con


che senza mezzo di contrasto. I punti iperintensi sono
l’arteria cerebrale media che si riempie di mezzo di
contrasto.
Le frecce rosse indicano il decorso dei vasi sanguigni.

APPROCCIO TRANSULCALE
Sempre Yasergil ha descritto questo approccio che avviene attraverso uno dei solchi cerebrali, che non
sempre riusciamo a visualizzare bene perche le circonvoluzioni lo possono coprire e perche al di sopra del
solco è presente l’aracnoide che passa a ponte da una circonvoluzione all’altra( l’aracnoide è come una
pellicola trasparente,come un velo).

Analizziamo un paziente che ha un voluminoso


tumore cerebrale costituito da parte iterna
scura,necrotico cistica, e da una parte periferica
che assume mezzo di contrasto, in cui è presente
un nodulo tumorale parietale. Possiamo
osservare (indicato con una freccia rossa) un
puntino nero sopra ,che è un solco cerebrale
pieno di liquor. Per cui dobbiamo studiare come
entrare all’interno del cervello senza ledere la
corteccia cerbrale.
All’inizio, esposta la regione di interesse, il
chirurgo usa la stimolazione elttrica per capire se
le circonvoluzioi sono eloquenti; procede poi
all’apertura del solco fenestrando l’aracnoide
(essendo come una pellicola che viene aperta )si
avra un accesso diretto all’interno del solco, nel
quale sono contenuti arteriole venule capillari. Il chirugo ,arrivando sul fondo del solco ,può approcciare
così il tumore cerbrlae ( si aiuta con il neuronavigatore) . In questo caso sotto è presente un cancro
ascesso purulento,una metastasi di un tumore polmorare. Alla fine dell’intervento si vede la sostanza
bianca sottocorticale,e si fa la stimolazione elettrica sia sottocorticale che corticale per vedere se si è in
presenza di una normale trasmissione di impulsi nervosi. Si usano delle reticelle per completare
l’intervento. Alla fine si fa sempre la RM di controllo.

ALTRI TUMORI GLIALI


Il trattamento degli altri tipi di tumore gliale, come ependimoni e tumori glioneuronali:
✓ Dipende dalla sede e dai sintomi
✓ Prevede generalmente l’intervento chirurgico, finalizzato alla rimozione il più possibile
sicura alla massa neoplastica e alla definizione istologica e molecolare.
EPENDIMOMA: origina dalle cellule ependimali o subependimali dei ventricoli cerebrali o del canale
midollare, o da isole ependimali del filum terminale:
✓ La sua incidenza è di circa il 2,5% dei tumori primitivi intracranici;
✓ È frequente nell’adolescente o nel giovane adulto;
✓ Le caratteristiche istologiche sono tipiche, con la formazione di cellule ependimali neoplastiche
perifericamente ai vasi (pseudorosette);
✓ L’accrescimento è lento e solo nel 10% dei casi assume un aspetto istologico anaplastico;
✓ La rimozione della neoplasia deve essere associata all’asportazione delle alterazioni del parenchima
circostante (area irritativa) per raggiungere il controllo efficace della sintomatologia epilettica che li
caratterizza. Se lasciata potrebbe portare ad altre crisi epilttiche.

TUMORI DELLA SERIE NEURALE:


✓ A differenza dei tumori gliali, i tumori della serie neuronale sono tumori intrinseci primitivi molto
più rari;
✓ Caratterizzati da una componente neoplastica neurale quasi sempre associata ad una componente
gliale reattiva;
✓ Sono tumori che colpiscono prevalentemente l’età pediatrica o soggetti giovani adulti;
✓ Tra questi va ricordato il neuroblastoma, che può colpire l’olfattorio, con diffusione entra ed extra
cranica.

TUMORI EMBRIONALI : MEDULLOBLASTOMA


✓ Il medulloblastoma è un tumore maligno a localizzazione cerebellare;
✓ È il ‘più comune in età pediatrica,con picco di età tra i 3 e i 6 anni;
✓ Un quarto dei pazienti ha invece un’età compresa tra i 15 e i 44 anni;
✓ L’incidenza annuale è stimata 1/900.000 in Europa e i maschi sono più colpiti rispetto alle femmine;
✓ È comune la diffusione del tumore per via liquorale,come anhe il glioblastoma: “drop metastasis”(a
caduta);
✓ Il 30% presenta metastasi midollari o diffusione nel liquor al momento della diagnosi;
✓ Si presenta clinicamente con segni di ipertensione endocranica e segni cerebellari (disloca il IV
ventricolo);
✓ Meno frequenti sono i deficit dei nervi cranici;
✓ L’idrocefalo è invece frequentemente associato;
✓ La localizzazione è più frequentemente vermina nell’infanzia ed emisferica cerebellare nel giovane
adulto.
Esistono diversi tipi di medullo blastoma. Sono presenti quattro distinte varianti molecolari e cliniche
denominate:
✓ WNT/β-catenina
✓ Sonic Hedgehog
✓ Gruppo 3
✓ Gruppo 4
Di questi sottogruppi, i pazienti con WNT hanno una prognosi migliore e i pazienti del Gruppo 3 hanno una
prognosi infausta.
Il trattamento prevede la rimozione chirurgica del tumore.
La radioterapia e la chemioterapia possono aumentare la sopravvivenza libera da malattia. Questa
combinazione consente una sopravvivenza a 5 anni oltre l’80% dei casi.

TUMORI DEL SISTEMA LINFOIDE


✓ I linfomi primitivi del sistema nervoso centrale sono tumori rari;
✓ Costituiscono lo 0.5-1% di tutti i tumori cerebrali e non più dell’1% di tutti i linfomi non Hodgkin;
✓ Si sviluppano generalmente in pazienti adulti (sopra i 50-60 anni) o in pazienti anziani;
✓ Nei pazienti giovai si associano a immunodeficienza;
✓ Derivano da una proliferazione anomala di linfociti (generalmente di tipo B) nel sistema nervoso
centrale;
✓ Nella maggior parte dei casi si tratta di linfomi diffusi a grandi cellule di tipo B;
✓ Esistono però anche casi di linfomi immunoblastici, linfoblastici, di Burkitt e a cellule T.
Diagnosi, prognosi e trattamento:
✓ RM con mezzo di contrasto aree che prendono il contrasto in modo intenso e omogeneo;
✓ Esame del liquor cerebrospinale per l’identificazione delle cellule di linfoma (positivo tuttavia in
meno del 20% dei casi);
✓ Il trattamento consiste in chemioterapia ad alte dosi, eventualmente associata a radioterapia
encefalica;
✓ I pazienti anziani possono essere trattati anche con solo radioterapia o solo chemioterapia;
✓ Prognosi variabile da 3 a 6 anni.
TUMORI SPINALI
I tumori del rachide possono essere classificati come:
✓ Intra-assiali (tumori gliali,ependimomi)
✓ Extra-assiali (metastasi, meningiomi, shwannomi)
I tumori intra-assiali intra-midollari rappresentano circa il 2% di tutti i tumori intra-assiali del sistema
nervoso centrale. (Il 98% dei tumori intrassiali sono cerebrali)
I tumori del midollo spinale possono essere anche classificati in base alla loro posizione anatomica in:
✓ Intramidollari: la maggior parte dei quali sono ependimoni o astrocitomi;
✓ Intradurali-extramidollari(all’interno della dura madre, ma al di fuori del midollo spinale): i tumori
più comuni sono i meningiomi e gli shwannomi delle radici spinali;
✓ Extradurali: certamente i più frequenti, di solito metastatici, molto spesso si presentano nei corpi
vertebrali nell’80%, dei casi, ma nel 20% dei casi può interessare anche i peduncoli vertebrali.
Possono anche trovarsi all’interno del canale vertebrale all’interno del sacco durale,come sotto
forma di un manicotto tumorale. Le lesioni metastatiche possono causare la compressione del
midollo spinale con conseguente sintomatologia motoria, sensitiva e neurovegetativa.
I tumori intra-assiali più comuni a livello cervicale (ependimoma, astrocitoma) possono determinare una
progressiva paraparesi associata a disturbi della sensibilità e deficit sfinterici.
Nelle lesioni extra-assiali, oltre ai disturbi determinati dalla compressione estrinseca del midollo, è comune
il dolore che può essere :
✓ Localizzato nella sede della lesione, come avviene nelle metastasi
✓ Radicolare
✓ Cordonale
Trattamento:
✓ In genere chirurgico, con l’ausilio di monitoraggio intraoperatorio;
✓ Decompressione chirurgica semplice se il fine è solamente palliativo, soprattutto quando le
metastasi sono molto estese a più vertebre e coesiste un tessuto tumorale metastatico all’interno
del canale vertebrale. Per evitare che rimanga paraplegico o paraparetico.
IDROCEFALO

Dal greco “acqua nel cranio”, esso è un aumento patologico del liquor cefalorachidiano
(LCR) all’interno dei ventricoli cerebrali o, meno frequentemente, degli spazi subaracnoidei (una
volta veniva definito idrocefalo esterno). Essa deriva da uno squilibrio tra la quantità di LCR
prodotto e di quello riassorbito.

Caratteristiche del LCR


Il LCR è un liquido chiaro, “ad acqua di roccia”, a bassa pressione (da 16 a 20 mmHg) che
contiene piccolissime quantità di proteine (10-20 mg/dL) e pochissimi elementi cellulari (0-8/mm3,
in genere sono leucociti). Abbiamo una produzione di liquor di circa 20 cc/ora prevalentemente da
parte dei plessi corioidei (80%), ma può essere prodotto in misura minore anche dall’ependima e
dalle meningi, soprattutto dalla pia madre; il riassorbimento è invece ad opera dei villi aracnoidei e
avviene grazie al gradiente pressorio idrostatico tra il LCR (150 mmH2O) e il seno sagittale superiore
(SSS) (90 mmH2O): grazie a questo gradiente il liquor passa dallo spazio subaracnoideo all’interno
del SSS attraverso i villi aracnoidei.
Il LCR si muove perché soggetto al movimento delle ciglia ependimali e soprattutto è collegato alle
pulsazioni e all’effetto pompa conseguenti alla pulsazione di sistole e diastole che si trasmettono a
livello dei plessi coroidei, degli emisferi cerebrali e dei vasi sanguigni della base cranica: il continuo
effetto pompa consente la genesi di un’onda pulsatile di trasmissione che fa muovere il LCR da un
punto ad un altro all’interno della scatola cranica. Il LQR è importante perché funge da cuscinetto
idraulico, ossia da protezione, nonché a veicolare sostanze nutritive e di scarto per il cervello e per
il midollo spinale.

Immagine presa dal Netter che mostra la circolazione del LQR

Per quanto riguarda l’idrocefalo:


• incidenza nei nuovi nati: 0,3-4 casi per 1000 nati vivi
• prevalenza di 1-1,5%
• 1/3 delle malformazioni congenite del SN è associato a idrocefalo
CLASSIFICAZIONE in relazione a
• Epoca di insorgenza: congenito (che si sviluppa in genere in seguito ad anomalie nello sviluppo
fetale o anomalie genetiche) o acquisito (dopo la nascita)
• Fisiopatologia: da iperproduzione o ridotto riassorbimento del LCR per ostruzione di varia natura
all’interno o all’esterno dei ventricoli cerebrali
• Sede: non comunicante, ossia secondario ad una mancata comunicazione tra i vari compartimenti
ventricolari, quindi secondario a ostruzione intraventricolare, oppure comunicante, nel caso in cui
si abbia un ostacolo al riassorbimento a livello dei villi aracnoidei oppure per ostruzione
extraventricolare (degli spazi subaracnoidei della base cranica, come avviene per ESA)
• L’idrocefalo ostruttivo in base alla sede può essere distinto in: intraventricolare o extraventricolare
(al di fuori dei ventricoli, negli spazi liquorali subaracnoidei della base cranica, per esempio in pz
con meningite o ESA)
• Clinica: idrocefalo acuto o cronico

IDROCEFALO CONGENITO
Ciò che oggi si vede sempre con minore frequenza è la macrocrania, ossia importante
sproporzione tra le misure dello splancnocranio (volto) e del neurocranio (testa), che può essere
associata, nei bambini con fontanelle non saldate, a fontanella pregmatica tesa; a volte per la
notevole crescita del neurocranio la cute può apparire tesa e sottile e ci saranno vene epicraniche
estremamente evidenti.

CAUSE
• Stenosi congenita dell’acquedotto, perché alcuni osti non si sono aperti in modo
completo e il passaggio tra terzo ventricolo e acquedotto di Silvio avrà degli ostacoli
che lo ostruiscono, oppure dei setti, dei sepimenti, delle membrane sia longitudinali
che orizzontali nell’acquedotto del Silvio per cui esso non è pervio
• Difetti genetici (per esempio proteina di adesione cellulare L1CAM, gene su
cromosoma Xq28)
• Malformazione di Chiari di tipo II (da leggere nel capitolo sulle principali
malformazioni cranio-encefaliche) in cui coesiste una erniazione verso il basso del
cervelletto e del quarto ventricolo attraverso il forame magno e questo
scivolamento determinerà una ostruzione alla circolazione del liquor con
l’instaurarsi di un idrocefalo triventricolare
• Malformazione di Dandy Walker, ossia agenesia del verme cerebellare e la presenza
di una megacisterna magna, condizioni che possono indurre alterata circolazione di
LCR
• Cisti aracnoidee della fossa cranica posteriore (meno frequente)

Frequenza con cui le varie cause possono determinare idrocefalo congenito.


IDROCEFALO DA POST EMORRAGGIA NEI NATI PREMATURI
Un’altra forma di idrocefalo è il post emorragico dei nati prematuri, il quale avviene nel 40- 50 % dei casi
prematuri con peso alla nascita < 1500 gr proprio a causa di emorragia a livello della matrice germinativa o
germinale. Essa è un’importantissima struttura cerebrale che nelle prime 20 settimane di gestazione è sede
di produzione di tante linee cellulari, in particolare dei neuroni che migrano a formare la corteccia
cerebrale. La matrice germinativa è composta anche da tanti piccoli vasi, estremamente fragili, che possono
facilmente rompersi e determinare l’origine del sanguinamento. Nella maggior parte dei casi si manifesta
nei primi giorni di vita.

IDROCEFALO DA SPINA BIFIDA


Idrocefalo congenito secondario a malformazioni di altra natura che oggi si manifesta meno poiché le
donne in gravidanza assumono acido folico, ossia la spina bifida (disrafismo spinale aperto). Ne esistono
diversi tipi: s. b. occulta, meningocele, mielomeningocele. In alcuni casi può coesistere l’idrocefalo (85-90%
dei casi). Nella maggior parte dei casi si presenta come complesso malformativo di Chiari II, caratterizzato
da:
- Ipoplasia della fossa cranica posteriore
- Erniazione delle tonsille cerebellari
- Idrocefalo ostruttivo
In questi pazienti l’intervento chirurgico consiste sia nella correzione di disrafismo spinale che di idrocefalo.

MALFORMAZIONE DI DANDY-WALKER
Si ha una grande cisti nella fossa cranica posteriore che occupa liquor. In assiale ci accorgiamo che manca il
verme del cervelletto. Quindi è caratterizzata da:
- Agenesia del verme cerebellare con dilatazione cistica del quarto ventricolo
- Allargamento fossa cranica posteriore
- Nel 75% dei casi si associa a idrocefalo

STENOSI DELL’ACQUEDOTTO DI SILVIO


Esso è il punto più stretto e quindi anche quello che con più facilità si potrebbe restringere, a qualsiasi età,
con insorgenza di idrocefalo triventricolare. Esso può essere intrinseco o idiopatico oppure secondario. Il
primo rappresenta il 50% di idrocefalo congenito e il 20% di tutti gli idrocefali in generale, con presenza a
livvello dell’acquedotto di Silvio di una membrana, di un diaframma, che spesso è misconosciuta perché la
RM viene eseguita con uno spessore tra un immagine e l’altra tale da non consentire una visione della
malformazione dell’acquedotto di Silvio, quindi non sarà possibile diagnosticarla. Nel caso della stenosi
acquisita invece può essere dovuta ad un tumore che comprime l’acquedotto, oppure ad una emorragia
che lo ostruisce. Queste sono le lesioni più frequenti.

IDROCEFALO SECONDARIO A IPERPRODUZIONE


La causa più frequente è il papiplloma o il carcinoma dei plessi corioidei (il p. è ovviamnete benigno,
mentre il secondo è maligno). In entrambi i casi si assiste ad iperproduzione di liquor con insorgenza di
idrocefalo. C’è chi sostiene che la causa sia non l’iperproduzione ma l’ostruzione dei forami di Monro o la
presenza di emorragia all’interno dei tumori che causa iperproduzione di liquor.

IDROCEFALO OSTRUTTIVO
Dovuto a ostruzione congenita o acquisita del deflusso di liquor che si accumula all’interno dei ventricoli
cerebrali con aumento della pressione intracranica. L’idrocefalo ostruttivo intraventricolare può essere
secondario ad un tumore o a stenosi dell’acquedotto del Silvio, mentre l’extraventricolare a ESA o
meningite.
Riferimenti alla slide precedente
1) Spesso la causa da ostruzione del IV ventricolo non è spesso riconosciuta: per esempio in pz con
dilatazione di tutti e quattro i ventricoli cerebrali e non si capisce il perché dell’ostruzione, quindi si
deve verificare con i radiologi l’ostruzione dei formai di Luschka e Magendie che in qualche misura
hanno determinato la dilatazione del quarto ventricolo.

2) Espansione ad ogni livello: processo espansivo nella fossa cranica posteriore che comprime e
chiude quasi del tutto il quarto ventricolo (freccia rossa in alto a sx). Se il quarto ventricolo è
compresso, ostruito, il liquor resta intrappolato negli altri tre e il soggetto va inconto a idrocefalo
ostruttivo triventricolare.
3) Paziente con stenosi completa dell’acquedotto per presenza di un tumore in fossa cranica
posteriore: in questi casi si asporta il tumore e può essere anche utile effettuare un trattamento
diretto dell’idrocefalo mediante l’inserimento di un catetere nell’acquedotto stesso per ripristinare
il flusso di liquor attraverso l’acquedotto.

IDROCEFALO OSTRUTTIVO EXTRAVENTRICOLARE


L’ostruzione è localizzata in sede extraventricolare le cui cause possono essere:
- ESA
- Meningite
- NPH (idrocefalo cronico dell’adulto, detto normoteso normal pressure hydrocephalus)
Nel terzo caso in realtà non sempre la pressione, misurata per 72 ore attraverso il drenaggio liquorale
spinale collegato ad un computer, non è mai del tutto normale ma presenta degli spikes, delle oscillazioni
sparse durante la giornata.

IDROCEFALO ACQUISITO
- Per un tumore, con aumento della PIC
- Secondario a ESA, a meningite, a trauma, in cui per diversi mesi o anni non si ha nulla e poi si
sviluppa idrocefalo; o ancora idiopatico: in tutti questi la PIC è normale (Idrocefalo normoteso)
- Da stenosi dell’acquedotto di Silvio: PIC aumentata o, più raro, normale

POST EMORRAGICO (ESA)


Nel 10-15% dei pzz con ESA si sviluppa idrocefalo, il quale ne rappresenta una complicanza tardiva (ricorda
quindi che non abbiamo solo complicanze a livello neurologico, ma anche l’ESA). È più frequente nei pzz che
sviluppano inondazione ventricolare (Fisher 4, il grado più severo della scala di Fisher, con inondazione
ventricolare). Si manifesta con deterioramento cognitivo e dilatazione ventricolare progressiva. È causato
dai prodotti di degradazione dell’emoglobina che ostacolano il riassorbimento liquorale: anche se il liquor
viene assorbito è fondamentale ricordare che ci possono essere delle cause che lo ostacolano, come questa
dell’hb. Questo tipo di idrocefalo è trattato con DVP (derivazione ventricolo-peritoneale).

IDROCEFALO NORMOTESO (NPH)


È descritto anche come una forma curabile di demenza.
Si tratta di un idrocefalo descritto per la prima volta nel 1965 da Adams e Hakim come idrocefalo
normoteso. Nel 1990 Bret e Chazal hanno proposto di sostituire il termine con idrocefalo cronico
dell’adulto, poiché si era capito che esso non è sempre normoteso (infatti viene anche detto idrocefalo
cosiddetto normoteso). È invece una forma di idrocefalo cronico dell’adulto e rappresenta dal 2 al 10% di
tutte le forme di demenza, spesso non riconosciuta da neurologi e neurochirurghi. Nell’anziano si ha
atrofia cerebrale con sintomi e segni spesso riconducibili a demenza o pseudodemenza: se lo specialista
non conosce però questa causa (NPH) non potrà fare diagnosi differenziale perché non farà le giuste
indagini e lo etichetterà come demenza multinfartuale da vasculopatia oppure per una fase di pre
Alzheimer oppure per l’atrofia cerebrale. Alcuni di questi pzz invece potrebbero avere idrocefalo cronico
dell’adulto che se trattato può portare a guarigione il pz per almeno alcuni anni.
Non si conoscono ancora bene le cause del NPH, ci sono teorie controverse: aumentata resistenza al
riassorbimento del LCR; riduzione normale flusso ematico cerebrale con aumento di liquor per diminuzione
dell’effetto pompa che aiuta il nomale movimento del liquor; ridotta compliance delle vene superficiali.
Quando venne descritto venne diagnosticato attraverso una triade sintomatologica, la triade di Hakim:
disturbi della marcia, disturbi urinari e demenza ( in inglese wet, wobbly and wonky). Spesso non tutti e tre
sono contemporaneamente presenti, con diversi gradi di severità, a volte ne sono presenti due, raramente
uno o tre. Il più presente è il disturbo della marcia.
CLINICA IDROCEFALO
Neonati e lattanti: letargia, macrocrania, segno di Parinaud (impossibilità di elevare lo sguardo quando
l’esaminatore pone in alto un oggetto: il pz non riesce a ruotare il globo oculare verso l’alto, secondario
anche a malfunzionamento del tetto del mesencefalo), riflessi osteotendinei iperelicitabili, crisi epilettiche.
Età pediatrica: cefalea, vomito, papilledema, diplopia (tutti riconducibili a sindrome da ipertensione
endocranica), disturbi della deambulazione e calo della vista perché l’aumentata pressione liquorale può
danneggiare i nervi ottici e quindi dare edema della papilla del nervo ottico associato a calo del visus.
Negli adulti, con PIC aumentata: cefalea, vomito, diplopia, calo del visus (sindrome da ipertensione
endocranica)
Negli adulti, con PIC nella norma (NPH): triade di Hakim completa o parziale: disturbi della deambulazione,
incontinenza urinaria, demenza.

DIAGNOSI
Diagnosi strumentale:
Nel neonato: se abbiamo fontanelle pervie -> eco trans-fontanellare, esame di prima scelta nei neonati,
poiché esso è ripetibile, rapido, non necessita di sedazione né di mdc; è però operatore-dipendente.
Nell’adulto invece faremo TC encefalo e calcoleremo l’indice di Evans, ossia il rapporto tra il diametro
(ampiezza massima) bifrontale (diametro dei corni frontali) e il diametro biparietale. Se esso è > 0,3 allora il
pz ha ventricolomegalia. Quindi è precisa, senza artefatti, utilizzabile in emergenza. Unico svantaggio è la
somministrazione di radiazione ionizzanti.
Il gold standard è però la RM dell’encefalo, sia in adulti che in bambini, sia per la diagnosi che per la ricerca
delle cause sottostanti. Essa permette di visualizzare bene le camere ventricolari, eventuali ostruzioni o
stenosi delle camere, consente di eseguire la flussimetria liquorale, ossia una sequenza di RM che permette
al radiologo e al clinico di studiare il movimento del liquor sia all’interno che all’esterno dei ventricoli per
comprendere se la circolazione avviene in modo normale, se è sincrona con la sistole e con la diastole, se è
ostruita e a quale livello.

TERAPIA
La terapia classica è sempre stata la derivazione ventricolo-peritoneale, ossia quell’intervento chirurgico
che consiste nell’inserire un catetere ventricolare, un tubicino, nella teca cranica mediante un foro con un
trapano, nel corno frontale del ventricolo laterale di dx, tubicino collegato ad una valvola che regola la
quantità di liquor che passerà dal sistema ventricolare al peritoneo dove viene inserito l’altro estremo del
tubo. Quindi abbiamo tre componenti: catetere intraventricolare, valvola e catetere intraperitoneale che
scivolando sotto la pelle del collo e del torace arriva in addome e nel peritoneo attraverso un’apertura,
dove il liquor in eccesso verrà assorbito.
Ci sono delle complicanze ma è l’intervento più semplice e comune in neurochirurgia.
Complicanze precoci: emorragia cerebrale, se si prende un’arteriola o dei capillari attraverso il catetere
oppure un malposizionamento del catetere nei ventricoli ma è comunque raro oggigiorno grazie all’uso del
neuronavigatore che guiderà il posizionamento del catetere ventricolare.
Complicanze tardive: malfunzionamento meccanico (ostruzione dei cateteri anche per cellule, residui
ematici che migrano a livello valvolare e la ostruiscono; disconnessione della valvola, migrazione nel
sottocute del catetere peritoneale), infezioni, iperdrenaggio (con formazione di igromi/ematomi
sottodurali), epilessia (rara).

Nei pzz in cui non si può utilizzare il peritoneo (a casua dichirurgia addominale pregressa per più volte
oppure per processi infiammatori o infettivi a livello addominale) si posizionerà il catetere distale non in
peritoneo ma nell’atrio: derivazione ventricolo- atriale.

Il trattamento più moderno è però quello endoscopico: si forma una “scorciatoia” alla derivazione del LCR,
di un bypass naturale che consiste nel creare un foro nella base del pavimento del terzo ventricolo così che
il liquor esce e va dai ventricoli cerebrali alle cisterne subaracnoidee della base cranica dove verrà
riassorbito. Questa forma di trattamento è più specifica per l’idrocefalo ostruttivo soprattutto se
l’ostruzione è a livello dell’acquedotto di Silvio. Si ha una visione dall’interno del cervello, è molto efficace.
Procedura: entrando con l’endoscopio all’interno del corno frontale del ventricolo laterale si arriva al terzo
ventricolo attraverso il forame di Monro, che mette in comunicazione il corno frontale dei ventricoli laterali
con il terzo ventricolo: l’accesso al forame di Monro è indicato dal plesso coroideo, dalla vena settale, vena
che sta sul setto pellucido e il terzo elemento è il bordo superiore del forame costituito dalla colonna del
fornice. Per andare invece dal terzo ventricolo verso il pavimento i punti di repere sono i due corpi
mammillari al davanti delle quali troviamo il tuber cinereum, triangolino grigio-ceruleo che può essere
fenestrato per aprire il pavimento del terzo ventricolo e creare il bypass, la fenestrazione naturale
attraverso un palloncino inserito e gonfiato da un catetere che si immette con l’endoscopio. Al davanti del
pavimento si vedrà lo spazio subaracnoideo della cisterna interpeduncolare localizzata tra i due peduncoli
cerebrali del mesencefalo e lì vedremo l’arteria basilare e la sua biforcazione a volte. Altro repere è la vena
talamostriata che insieme alla vena settale costituisce un “incrocio stradale”.

Indicazioni, controindicazioni, complicanze, tasso di successo della terzoventricolociternostomia

Nelle sbobine vecchie c’è solo questa opzione di trattamento in più:


DERIVAZIONE LIQUORALE VENTRICOLARE ESTERNA: utilizzato nelle forme di idrocefalo
acuto, viene effettuato un foro sulla corteccia frontale dell’emisfero destro (emisfero non
dominante) e si inserisce un cateterino nel corno frontale del ventricolo laterale destro per drenare
il liquor vero l’esterno. È un trattamento temporaneo perché c’è rischio di infezione poiché è
collegato con l’esterno.

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