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FISIATRIA

Prof. M. Vecchio
2018/19

Vietata la vendita

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1° lezione di fisiatria – ictus cerebrale

Non so chi di voi conosce la fisiatria, la medicina fisica e riabilitazione, la fisiatria è una materia
abbastanza recente soprattutto per il sud Italia, è una materia che è nata 10 15 20 anni fa, rispetto le
altre è più recente, la storia della fisiatria l’ha vista un po’ penalizzata, perché inizialmente la
fisiatria era fatta da ortopedici che si occupavano della riabilitazione, anziché della chirurgia,
ritenendo che la riabilitazione fosse solo una palestra, una ginnastica, un movimento per fare
riattivare l’articolarità di un segmento affetto da una patologia, nel corso di questi anni è cambiato
molto, la fisiatria è diventata una scienza a tutti gli effetti non è più legata all’esercizio fisico, è
legata a tutta la neurologia, a tutta l’ortopedia, la cardiologia, cioè ogni patologia che incontrate nel
vostro cammino ha quasi sempre bisogno di una fase di riabilitazione, però nell’immaginario
collettivo il medico è quello che salva la vita, come quello del pronto soccorso, della prima
emergenza, della respirazione bocca a bocca, del massaggio cardiaco. Chi fa riabilitazione sembra
quasi che venga dopo come importanza, cosi non è, cioè il “riabilitatore” il fisiatra seguito
nell’equipe dal fisioterapista dal logopedista è una figura fondamentale che serve a ottimizzare le
cose che si fanno in emergenza, cioè se voi in emergenza operate un anca, se voi lasciate l’anca a
letto e non la riabilitate il lavoro è perduto, una volta sentivo la teoria quando caldeggiavo l’idea di
fare un reparto con i posti letto in un nostro ospedale sentivo la teoria del paziente in orizzontale
cioè il paziente che entra orizzontale in pronto soccorso con l’anca rotta va orizzontale in reparto,
va in orizzontale in sala operatoria, se va male va anche in terapia intensiva sempre in orizzontale,
torna in reparto di ortopedia in orizzontale, non può tornare in casa orizzontale, deve tornare in
posizione verticale cioè qualcuno lo deve mettere in piedi. Chi lo deve mettere in piedi? I parenti?
Gli infermieri? Sono le figure dei fisioterapisti, dei fisiatri tutti quelli che si occupano della
riabilitazione a riabilitare le funzioni di questo paziente, è chiaro che questo paziente non è sempre
quello con la protesi d’anca semplice perfetto che bisogna fisicamente metterlo in piedi ma è anche
quello affetto da malattie neurologiche, che ha subito interventi di neurochirurgia e ha bisogno di
una riattivazione motoria, paziente che ha comorbidità, paziente che ha molte patologie messe
insieme, diabete, neuropatia diabetica, ictus, intervento chirurgico quindi non è solo una questione
fisica, di mettere in piedi un paziente è anche una questione di approcciare un paziente nella sua
globalità. Quindi la fisiatria fa questo riabilita il paziente dopo un evento acuto, dopo un fatto che
l’ha portato ha subire una patologia dalla quale ne è uscito più o meno bene o non ne è uscito perché
nella fisiatria c’è anche la cronicità che viene gestita. Quello che vorrei trasmettervi nelle lezioni
che faremo è vedere il paziente dal punto di vista, perché voi siete già al 5° anno siamo già vicini
alla professione, dovete avere l’ottica non solo anatomica fisiologica patologica ma anche clinica,
vedere le patologie dal punto di vista della funzionalità nel soggetto, cioè qual è e quant’è la
funzione che questo soggetto ha perso nel suo percorso di malattia quindi non guardare all’ictus
cerebrale come lesione ischemica cerebrale ma guardare l’ictus cerebrale dagli esiti che il paziente
ha e questa è la lezione di oggi. Dopo questa premessa la lezione di oggi è valutare gli effetti
dell’ictus cerebrale dal danno che il paziente subisce, per poi riabilitare quel danno funzionale.
Nell’immaginario collettivo ictus cerebrale cosa significa dal punto di vista fisico? Per voi?
Qualcuno ha detto emiparesi, nell’immaginario collettivo si ha l’emiparesi, se noi vediamo un
soggetto con emiparesi diciamo ha avuto un ictus. In realtà questo non è sempre vero perché l’ictus
in base al territorio in base alle dimensioni può dare diversi tipi di emiparesi ma anche può non dare
emiparesi, può dare altri sintomi, quindi lasciamo il concetto ictus uguale emiparesi all’uomo della
strada ma non al medico o allo studente che si approccia a diventare medico. Vediamo tutte le
possibili varianti di ictus cerebrale viste dal punto di vista fisiatrico, cioè dal punto di vista della
funzione persa. Nell’infarto cerebrale voi sapete che c’è una zona ischemica o emorragica, che nella
prima fase si vede a mala pena alle indagini che facciamo, quindi se portiamo un paziente a fare la
TAC o la risonanza soprattutto per l’ictus ischemico non si vede niente nelle prime ore, nelle ore

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successive poi la lesione si allarga si definisce meglio ci sono dei cambiamenti morfologici del
tessuto affetto dalla mancata perfusione. Andiamo a vedere nelle varie zone di irrorazione quali
sono i sintomi che dobbiamo aspettarci questo soprattutto per chi fa neurologia fisiatria medicina
interna medicina di base medicina legale è veramente importante sapere correlare o avere un idea di
che danno dobbiamo aspettarci da una lesione ischemica, voi pensate il paziente in fase acuta,
appena ricoverato quando dobbiamo dire ai parenti se il paziente camminerà o no e lui è in stato
confusionale dalla sede di lesione possiamo anche immaginare che questo paziente ha un emiparesi
dove l’arto inferiore non è affetto per la sede anatomica della lesione e quindi possiamo sbilanciarci
dicendo che probabilmente camminerà oppure quelle situazioni nelle quali il paziente ha avuto un
emiparesi dove il paziente ha avuto un ictus e lo vedete normale e dite che è guarito o è stato
fortunato o i medici che l’hanno trattato sono stati bravi in realtà questo paziente non ha mai avuto
un emiparesi perché la lesione ha interessato una zona che non è motoria, quindi andiamo a
correlare una lesione con la sede anatomica, l’infarto completo della cerebrale media, questo
infarto è dato spesso da embolismo cardiogeno o arterioso quindi una delle cause primarie
dell’infarto cerebrale sapete è l’embolia dai microtrombi arteriosi o da disturbi cardiaci, i sintomi
sono emi sindromi facio brachiale crurale sensitivo motoria il classico infarto, quello che
nell’immaginario collettivo è l’emiparesi sono pazienti che voi vedete hanno le dita bruciate dai
mozziconi di sigaretta perché non si accorgono che è arrivata la fine della sigaretta e si bruciano
perché hanno la perdita di sensibilità afasia completa o di Broca nelle lesioni di sinistra, neglect
visuospaziale anosoagnosia stato confusionale nelle lesioni a destra, emianopsia controlaterale
omonima deviazione forzata dello sguardo e del capo verso la lesione l’agnosia della parte colpita
dal punto di vista fisiatrico che nessun fisiatra vorrebbe avere perché riabilitare un arto che il
paziente non riconosce come suo diventa ostico, perché anche se la funzione motoria è discreta ma
il paziente non riconosce l’arto come suo, quindi se noi prendiamo un emiparesi di questo tipo e
chiediamo al paziente di chi è la mano, lui non sa che è sua lui possibilmente dirà che è tua, quindi
c’è l’agnosia non riconosce la parte del corpo, andiamo all’infarto del ramo anteriore superiore
della cerebrale media emisindrome facio brachiale sensitiva motoria, in questa manca la parte
crurale se abbiamo un infarto del ramo superiore o inferiore della cerebrale media che interessa
l’area cortico-sottocorticale del lobo temporale e parte del lobo frontale se questa zona
anatomicamente non riuscite a riscontrarla, comunque i referti delle risonanze aiutano se ben fatti,
perché a volte sono generici se avete una lesione in quella zona dovete aspettarvi che il paziente
abbia una lesione facio brachiale sensitivo motoria ma abbia l’arto inferiore risparmiato quindi è il
paziente che camminerà perché la gamba non è stata interessata anomia iniziale nelle lesioni a
sinistra sino ad afasia vari gradi di emi disattenzione neglect nelle lesioni a destra a volte quadri
confusionali acuti. Questo studio serve a sapere cosa dobbiamo riabilitare in questo paziente. Infarto
dell’arteria cerebrale inferiore o posteriore media questo è simile al precedente perché le aree sono
vicine quindi emi sindrome facio brachiale sensitivo motoria può avere emianopsia laterale
omonima quadrantopsia superiore afasia fluente di Wernike o di conduzione o globale nelle lesioni
a sinistra emi disattenzione aprassia costruttiva stato confusionale agitazione delirio nelle lesioni a
destra quindi anche lo stato cognitivo viene intaccato. Avete mai visto un paziente con afasia? Il
paziente con afasia non è solo un paziente che non riesce a parlare ma è un paziente che non riesce a
esprimere quello che sente che non vi riesce a dire che ha dolore che deve andare in bagno che ha
bruciore che vuole togliersi la vita perché non vuole vivere cosi, ed è una condizione più grave
dell’emiparesi motoria perché non comunicare nessun bisogno personale è una cosa grave quindi
quando diciamo che questo paziente è fortunato perché potrà camminare dobbiamo stare attenti
perché l’afasia è peggio di non camminare. Infarto dell’arteria prefrontale, ramo della cerebrale
media, area cortico sottocorticale del giro medio porzione opercolare anteriore triangolare superiore
orbitale queste zone le dovete conoscere, le dovete studiare le dovete conoscere, guardate che non è
facile ricordarsele tutte però è utile, sarà utile per il futuro, assenza di emi sindrome sensitivo

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motoria cioè se è il paziente che ha l’ictus in questa zona questo è l’ictus che non ha l’emiparesi il
paziente cosa ha? Sintomi neuropsichici, deficit cognitivi e comportamentali perdita di
programmazione motoria, apatia abulia sindrome prefrontale afasia motoria trans corticale neglect
motorio nelle lesioni a destra, non c’è ombra di emiparesi sembra un paziente psichiatrico, che
significa perdita di programmazione motoria? Significa che il paziente dalla posizione in
ortostatismo alla posizione seduta non riesce pur non avendo un’emiparesi non riesce a sedersi in
una sedia si siede di fianco, quasi cadendo, perché non ha una giusta programmazione motoria, poi
ha l’abulia l’apatia spesso confusa con la depressione, no, perché ha avuto un ictus in quella zona.
Infarto dell’arteria cerebrale precentrale area cortico sottocorticale del giro precentrale medio
porzione posteriore del giro frontale triangolo superiore orbitale qua torna l’emi sindrome facio
brachiale sensitivo motoria, ha la sindrome premotoria(?), difficoltà a passare da un atto motorio al
successivo planning motorio ridotto afasia motoria trans corticale a volte agrafia acalculia nelle
lesioni a sinistra neglect nelle lesioni a destra. Infarto del territorio del solco centrale area cortico
sottocorticale del giro precentrale posteriore porzione anteriore del giro postcentrale, deficit
sensitivo facio brachiale perdita di sensibilità cheirorale quando il paziente vi dirà che ha un
disturbo della sensibilità nella zona periorale che spesso è riferito come bruciore questo paziente ha
questo perché ha l’infarto nel solco precentrale spesso la perdita di sensibilità in alcuni tipi di infarti
il bruciore la parestesia può diventare dolore, dolore neuropatico di tipo centrale è un dolore
chiamato allodinià o iperalgesia, sapete la differenza? Iperalgesia è un dolore che viene percepito
più forte mentre l’allodinià è un dolore che viene percepito a seguito di stimoli che tipicamente non
portano a sensazione dolorifiche, come l’acqua della doccia, le lenzuola del letto. Infarto dell’arteria
parietale anteriore deficit sensitivo facio brachiale sintomi cheirorale afasia di conduzione aprassia
agrafia acalculia emineglect motorio. Infarto dell’area cortico sottocorticale del giro frontale …
deficit sensitivo di uno o più segmento facio brachio crurale perdita di posizione degli arti questi
pazienti hanno difficoltà a camminare a occhi chiusi perché avendo perso il senso di posizione degli
arti devo guardare dove mettono i piedi. Infarto del territorio dell’arteria parietale postero inferiore
temporale deficit sensitivo di uno o più segmenti facio brachio crurale perdita di senso di posizione
degli arti simile al precedente stato confusionale delirio emianopsia laterale, quadrantopsia
superiore, sordità, nel territorio profondo della cerebrale media abbiamo 3 tipi di infarti differenti:
lacunari quando è interessato una sola arteria perforante quando l’infarto è minore di 15mm, striato
capsulare quando sono più arterie e la dimensione è di 20mm poi ci sono gli infarti della capsula
interna dà emiparesi senza deficit sensitivi nella capsula interna alla corona radiata para ventricolare
emiparesi pure o associate a deficit sensitivi facio brachiali mentre nella capsula esterna nell’insula,
sono infarti rari, paralisi bilaterale dei muscoli facciali masticatori linguali e deficit emozionali
senza ombra di emiparesi. Un infarto della testa del nucleo caudato da disturbi del comportamento
agitazione abulia acinesia psichica deficit frontale afasia manifestazioni coreiche, quindi
manifestazioni con alterazione della coordinazione, nell’infarto della cerebrale anteriore abbiamo
disturbi prevalentemente crurale meno frequenti ma ci sono di questi casi, in più hanno
incontinenza urinaria e fecale non presente in altre lesioni, presenti anche abulia apatia euforia
agitazione iperattività mutismo poi ci sono infarti del ponte del bulbo la sindrome bulbare laterale
che da vertigini latero pulsioni paralisi faringeo laringea miosi anidrosi enoftalmo sindromi
mesencefaliche. Valutazione globale: nella classificazione globale abbiamo TACI PACI LOCI e
LACI in base al tipo di infarto. Il TACI è l’infarto della circolazione anteriore totale, PACI infarto
della circolazione anteriore parziale, POCI della circolazione posteriore il LACI è un infarto
lacunare. In caso di ictus emorragico avremo al posto della I la H negli acronimi delle sindromi, se
andiamo a vedere la prevalenza e la mortalità, il TACI dà il 40% di mortalità il 50% di disabilità e il
6% di recidive, anche perché il numero dei sopravvissuti è minore il PACI ha una prevalenza
maggiore il POCI e LACI vengono dopo.

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N.B. Nella prima parte della lezione, il prof commentava le slide, quindi, anziché creare una
sbobinatura troppo grande con 36 immagini, vi consiglio di guardare direttamente il power point
sull’ictus cerebrale che ci ha consegnato il professore se avete dubbi o volete integrare qualche
parte della sbobinatura.

APPROCCIO CLINICO PAZIENTE EMIPARETICO

Nel momento in cui andiamo a studiare il paziente con l’emiparesi, dal punto di vista fisiatrico
focalizzeremo nostra attenzione sulla parte motoria, mentre i disturbi di tipo cognitivo e
comportamentale rimarranno pertinenza psichiatrica e neurologica.
Nello specifico il fisiatra guarda la componente motoria con occhio critico studiando le alterazioni
motorie del paziente, pertanto verranno ricercati i muscoli diventati paretici
(totalmente/parzialmente) e i muscoli diventati spastici
EMIPARESI: è un termine che indica la paralisi di una parte del corpo , tuttavia non
necessariamente tutta la metà del corpo deve essere paralizzata, infatti a volte troviamo alcuni
muscoli paretici (m. estensore del carpo, m. flessore del carpo, m. estensore del carpo, m. flessore
delle dita, m. estensore delle dita, m. bicipite, m. tricipite, elevatore della spalla) e altri che non lo
sono.
SPASTICITA’: È un ipertono dato da una riorganizzazione del sistema nervoso, venendo operata
nel tentativo di recuperare la funzione persa. Pertanto avremo muscoli deficitari e muscoli troppo
forti che daranno luogo a ulteriore impeachment e difficoltà nel movimento. Quindi il fisiatra dovrà
trovare il giusto equilibrio nel potenziare i muscoli deboli ed inibire i muscoli ipertonici.
MISURAZIONE FORZA MUSCOLARE: si utilizzano delle scale banali che valutano la forza di
ogni singolo muscolo, fornendo un punteggio strettamente correlata alla forza del muscolo (Pmin:1,
Pmax: 4). Tuttavia la difficoltà del fisiatra sta nel selezionare i muscoli da valutare, richiedendone
una valutazione segmento per segmento al fine di stabilirne il grado di compromissione e di poter
monitorare la funzionalità dei muscoli paretici e muscoli ipertonici nel tempo. (Bicipite, tricipite,
estensore del carpo, estensore delle dita, flessore delle dita, flessore del carpo, flessore ulnare,
flessore radiale, estensori del piede, flessori del piede, quadricipite, bicipite femorale).
CARATTERISTICHE SPASTICITA’: La spasticità è un fenomeno velocità-dipendente, pertanto
quando si fa un movimento lentamente la spasticità non viene evocata, venendo evocata soltanto
quando il movimento viene fatto velocemente, rappresentando un iperattivazione muscolare
velocità-dipendente. In particolar modo nella spasticità si avrà una contrazione muscolare che viene
fatta in un momento inopportuno, in cui l’alternanza agonisti/antagonisti viene persa e i due gruppi
muscolari vengono reclutati contemporaneamente per un cortocircuito che si viene a creare,
conducendo ad una condizione definita co-contrazione spastica.
FORME DI SPASTICITA’: vengono distinte in 3 forme principali
- spasticità legata a iperattività muscolare fine a se stessa,
- co-contrazione spastica : movimento simultaneo di muscoli agonisti e antagonisti che ostacola il
movimento)
- distonia spastica: spasticità che può emergere anche indipendente dal movimento, presentando
caratteristiche cliniche simili alle distonie (Movimenti involontari legati a patologie a carico dei
gangli della base, responsabili della comparsa di spasticità a riposo).
Spasticità bicipitale post-ictus: stretchando il bicipite a velocità notiamo un blocco durante
l’escursione articolare a metà o a un quarto o verso la fine del movimento, evento legato
all’evocazione di un riflesso eccessivo definito spasticità. (Se il movimento avviene lentamente non
verrà evocata la spasticità, ma si avrà solo un movimento passivo). Occorre misurare l’angolo della
scala di tardieu, il quale si può fare in ogni articolazione, corrispondendo alla differenza di grado tra

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un movimento fatto lentamente e un movimento fatto velocemente. Pertanto se avete un paziente
che ha una spasticità del bicipite in esito a ictus e allungate il suo braccio lentamente voi avrete un
grado (In genere 180°), in seguito se allungate il suo braccio velocemente voi avrete un altro angolo
di blocco, che è quello evocato dalla spasticità (30°/50°/80°/90°/150°). Pertanto la differenza tra i 2
angoli (Angolo a lenta velocità – angolo a velocità sostenuta = angolo di spasticità), indicherà il
grado di spasticità del segmento valutato (Maggiore è l’angolo di spasticità, maggiore sarà il grado
di spasticità del segmento considerato). Tale angolo ci interessa perché dal punto di vista
riabilitativo è quello nel quale dobbiamo intervenire, potendo intervenire attraverso la fisioterapia e
le infiltrazioni di tossina botulinica(Utilizzata per finalità estetiche e per il trattamento della
spasticità), la quale avverrà a livello dei muscoli ipertonici per inibire la spasticità.

Caso clinico (Paziente affetto da Ictus):


-Questo è un paziente che ha avuto ictus: intanto vediamo l’emiparesi brachio-crurale, dove
notiamo una spasticità del muscolo bicipite e brachio-radiale (Ha il braccio flesso a causa della
spasticità, mano chiusa in flessione delle dita per la spasticità, spalla che non si eleva per la
spasticità), pertanto notiamo che la spasticità fa più danno della paresi. A livello dell’arto inferiore
si nota la presenza di un piede equino (Spasticità flessori plantari del piede e debolezza dei flessori
dorsali del piede), quindi tende ad avere uno steappage, ovvero il problema di poter inciampare
sulla punta del suo piede, strisciando la punta del piede a terra. Nello specifico si avrà la comparsa
di atteggiamenti posturali compensativi, dando luogo all’andatura falciante(Il paziente non potendo
sollevare la punta del piede, falcia in modo da poter fare il passo) oppure se ha una buona flessione
del ginocchio e riesce a sollevare le anche, perché non colpite dalla paralisi, riuscirà a non falciare
sollevando maggiormente il ginocchio). Inoltre si nota la spasticità del suo muscolo quadricipite,
presentando uno stiff knee (ginocchio rigido), legato alla spasticità del quadricipite che impedisce la
flessione completa del quadricipite. Alla luce di quanto detto occorre evidenziare che i pazienti con
ictus hanno l’ipotonia muscolare che gli dà debolezza e l’ipertonia dei muscoli antagonisti che gli
dà un eccessiva forza non utile, ma dannosa per la deambulazione.

Se vogliamo esaminare il paziente segmento per segmento, occorre fare un esame settoriale (spalla,
gomito, polso, mano e arto inferiore). Se in un settore l’angolo di spasticità è pari a 0, il grado di
spasticità sarà 0. Se l’angolo lento è 150° (anziché i 180° fisiologici) e anche l’angolo veloce è
150°(anziché i 180° fisiologici dobbiamo pensare ad un paziente con un vecchio ictus, pertanto si
parlerà di retrazione(non di spasticità),in quanto l’angolo di spasticità rimarrà 0 (150°-150°).Nello
specifico in tal caso non si fa la riabilitazione per la spasticità, infatti se inietto la tossina botulina e
faccio una terapia fisioterapica, il paziente non potrà avere alcun tipo di miglioramento terapeutico,
in quanto non c’è spasticità.
In seguito occorre valutare quanto fa il paziente fa da solo muovendo l’articolazione (Mobilità
attiva dell’articolazione). Nello specifico gli eventuali miglioramenti verranno valutati attraverso
misurazioni specifiche e la valutazione dell’andatura.
Ad un certo punto chiediamo al paziente di piegare il ginocchio, tuttavia il paziente estenderà il
ginocchio anziché estenderlo, in quanto lui pensa di contrarlo, ma subentra la co-contrazione
spastica dei muscoli antagonisti(Quadricipite femorale spastico), i quali sono più forti dei muscoli
agonisti semiparetici (Spasticità pura + co-contrazione spastica).

Dorsi-flessione della caviglia


Trattamento: iniezione di tossina botulinica a livello dei muscoli spastici identificati tramite le
procedure descritte(Eseguita dal Medico), la quale blocca irreversibilmente alcune proteine della
giunzione neuromuscolare, le quali sono fondamentali per il rilascio delle vescicole di acetilcolina.
In tal modo si avrà la paralisi chimica e temporanea del muscolo trattato, pertanto dopo 6 mesi il

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muscolo tornerà a funzionare come prima, ritornando alla spasticità iniziale e richiedendo una
nuova iniezione della tossina.
Procedura: L’infiltrazione viene effettuata attraverso un apparecchio di elettrostimolazione collegato
ad un filo e ad una siringa, ci garantisce che stiamo lavorando sul muscolo corretto non sono io a
muovere il muscolo ma sarà l’elettricità a muovere il muscolo si inocula il farmaco sul muscolo
spastico tra il bicipite e il brachiale se si deve trattare il flessore del gomito si preferisce trattare il
brachiale perché il tricipite è un muscolo supinatore e siccome questi pazienti hanno quasi tutti una
iperpronazione se noi andiamo sul supinatore la pronazione peggiora mentre il brachiale è un
muscolo solo flessore quindi inibisce la flessione senza incidere sulla prono supinazione. Vediamo
gli altri muscoli. Qui adesso stiamo trattando il flessore delle dita l’ago va sul muscolo con una
corrente elettrica idonea stimolando il muscolo si muove solo il muscolo che vogliamo infiltrare
sicuri di inibire selettivamente i muscoli che abbiamo deciso dobbiamo ridurre in potenza perché
spastici. La tossina botulinica viene usata per ridurre la sudorazione, le distonie dei musicisti ad
esempio, i musicisti professionisti vanno incontro a distonie con iperattività muscolare che
impedisce di suonare, musician dystonia o cramp ma non è un crampo è una distonia, sebbene viene
definito anche musician cramp. Il chitarrista non riesce più a controllare l’azione del flessore
profondo dell’indice quindi la falange distale appena tocca la corde della chitarra la falange distale
del secondo dito rientra dentro il palmo da non confondere dal crampo o stanchezza, questo insorge
non appena il musicista tocca la corda della chitarra, nel primo minuto, la tossina botulinica
infiltrata inibisce il muscolo e consente la normale attività o quasi. Quindi in tutte le patologie in cui
c’è una ipertonia muscolare anche l’ictus cerebrale può essere usato oltre all’ictus si può usare nella
sclerosi multipla, nel trauma cranico, nelle paraparesi spastiche. Cosa cambia tra ictus e sclerosi
multipla, la spasticità nell’ictus è sempre uguale mentre nella sclerosi multipla è diversa in quanto è
una malattia che può progredire nel tempo possiamo trovare un quadro diverso anche nella paralisi
cerebrale infantile c’è molta spasticità ma il danno è statico e non varia, per concludere l’ictus è
diverso in base a sede e grandezza della lesione, da sintomi diversi non sempre emiparesi e quindi
un corteo di sintomi, in danno funzionale da riabilitare è la paresi e spasticità con vari metodi.

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Lezione 18.10.2018

NEUROPATIE PERIFERICHE
Abbiamo una correlazione fra danno anatomico e sintomi dell’ictus.
Questa correlazione vale in tutte le lesioni centrali, anche trauma con motivo, trauma cranico che da
emorragia rispecchia e rispetta la correlazione tra sede anatomica e del danno e quadro clinico del
paziente.
Adesso per continuare il flore della riabilitazione della neurologia parliamo delle Neuropatie
Periferiche.
Vi voglio parlare di questo, che è anche nel programma, perché ci si concentra molto sulle
neuropatie centrali.
La neurologia e molte scienze, la medicina interna, si occupano molto di neurologia centrale,
cervello e un pò meno di quello che succede ai nervi periferici.
Per sistema nervoso periferico, voi l’avete fatto in anatomia, cosa intendiamo? Qual’è la
struttura? Da dove parte il secondo motoneurone? Qual’è l’inizio?
Dalle corna anteriori del midollo, radici nervose e quindi nervi spinali, plessi brachiale e lombare,
singoli tronchi nervosi, placca neuromuscolare e muscolo.
Quindi semplificando, il circuito del sistema nervoso periferico è questo: inizia dalle corna anteriori
e finisce al muscolo.
Il muscolo non può essere considerato sistema nervoso ma parte integrante del secondo
motoneurone.
Quando noi parliamo di malattie del secondo motoneurone noi intendiamo una malattia che investe
questa zona, corna anteriori, plesso, singoli tronchi, tronci, placa neuromuscolare e muscolo.
E’ un sistema a cascata e quindi più alta è la lesione più coinvolge i sistemi sotto.
Se ho una malattia muscolare, per esempio, il sistema nervoso periferico non è interessato perché
l’ultimo è il muscolo in questo circuito.
Se ho una malattia che coinvolge i nervi spinali tutto il circuito è compromesso perché siamo
all’origine.
Le malattie del secondo motoneurone sono di due tipi, cioè didatticamente li possiamo dividere in
-acquisite, sono quelle che si sviluppano durante il corso della vita;
-ereditarie, sono quelle genetiche, quelle con cui nasciamo.
Quindi è una suddivisione che va bene per tante malattie, per tante categorie anche in altri organi e
apparati.
Sembra quasi una stupidaggine ma il termine acquisito è un bel termine che indica che non c’è nel
nostro patrimonio genetico questa patologia e che viene acquisita nel corso della vita.
Tra le ereditarie riconosciamo fondamentalmente la Charcot-Marie-Tooth (che forse avete fatto già,
che conoscete) con tutte le varie forme, l’atrofia muscolospinale, la miastenia congenita e le
distrofie muscolari. Non ve le descrivo perché già le avete fatte.
Le acquisite : Neuropatie periferiche (le vedremo nel corso della lezione), la sclerosi laterale
amiotrofica, la poliomielite, la miastenia, la polimiosite e altre neuropatie infiammatorie.
Quando noi abbiamo davanti un paziente con sospetto di malattia del secondo motoneurone, cioè
del sistema nervoso periferico, dobbiamo vedere che cosa questo paziente dal punto di vista fisico
ha, quali sono i sintomi correlati alla sua malattia.
La prima cosa è vedere se ha debolezza.
La debolezza, quando noi descriviamo in cartella clinica il paziente ha debolezza, dobbiamo
scrivere che tipo di debolezza ha, cioè ha una debolezza segmentaria (il paziente vi racconta che
non riesce più a sollevare un arto) o generalizzata (è debole in tutti i muscoli).
Quindi questa è la prima cosa da vedere, la debolezza è localizzata o generalizzata.

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Non lo dobbiamo sapere tanto per scriverlo e fare una bella anamnesi, lo dobbiamo sapere perché
ogni segno ci condurrà verso un sospetto diagnostico piuttosto che ad un altro.
Il decorso: questa debolezza è venuta dall’oggi al domani, è cronica cioè c’è da molto tempo,
oppure è episodica cioè oggi mi sento debole, domani vado a correre alla cittadella poi dopodomani
sto tutto il giorno a letto e mi sento debole.
Capire il decorso ci conduce anche quello ad una diagnosi piuttosto che ad un’altra (ora facciamo
degli esempi).
Miglioramento o peggioramento nel tempo e la progressione, se c’è stata una ingravescienza si dice
in medicina, cioè se la debolezza è andata a peggiorare.
Facciamo il caso per esempio che noi abbiamo un paziente da riabilitare che ha una SLA, una
malattia del motoneurone. Ma nessuno gli ha diagnosticato che ha la SLA perché non è detto che
chi faccia il fisiatra abbia a che fare con patologie già diagnosticate da altri, e quindi noi vediamo
gli esiti, il paziente ha l’ictus vediamo ( minuto 8:20), il paziente ha la sclerosi multipla vediamo gli
esisti.
Ci può capitare, e capita spesso, il paziente che ha il sintomo ma nessuno gli ha fatto una diagnosi e
siccome il fisiatra non è un fisioterapista, il fisiatra è uno specialista, deve essere lui a diventare
neurologo, deve essere lui a diventare ortopedico, se poi non è di sua pertinenza magari poi lo
manderà allo specialista di competenza, però la diagnosi la deve saper fare.
Mettiamo il caso in cui il paziente vi dice che ha debolezza e voi sospettate, prima di metterlo in
riabilitazione, va fatta la diagnosi e la misura della sua disabilità.
Prima di metterlo in riabilitazione voi dovete fare la diagnosi.
E quindi mettiamo che questo paziente ha una SLA, una malattia del motoneurone o sindrome
laterale amiotrofica (sono 3 nomi di una stessa malattia), se noi lo interroghiamo ci possiamo
aspettare una debolezza segmentaria o generalizzata secondo voi? Ci aspettiamo una debolezza
segmentaria che però progredisce, cioè il paziente racconta che prima non muoveva una mano, poi
tutto il braccio e dopo una settimana o un mese l’altra mano, quindi dobbiamo aspettarci un tipo di
debolezza. Se il paziente vi dice ieri mi alzavo e camminavo, oggi non mi alzo e non cammino più
non penso ad una SLA, penso ad un altra categoria di patologie.
Quindi segmentaria generalizzata.
Il decorso, se una debolezza o questo deficit funzionale è riferito ad anni prima (io non riesco ad
alzare questa mano) se noi chiediamo al paziente nel secondo punto da quanto tempo? e il paziente
ci dice da 5 anni, sapendo che la SLA ha un tempo di sopravvivenza che va mediamente (poi ci
sono i casi da televisione ma ci crediamo poco) da due a cinque anni, se il paziente non solleva la
mano da cinque anni, non è successo nient altro, non ha avuto altra debolezza, non ha avuto una
progressione di malattia già escludiamo la patologia che stiamo sospettando perché il tempo non
coincide. Noi non stiamo facendo una lezione sulla SLA, stiamo facendo una lezione sul metodo di
valutazione, cioè il tempo ci indirizza verso le diagnosi.
L’obiettività segmentaria generalizzata ci indirizza verso una diagnosi.
Vedete in Italia l’anamnesi nelle cartelle cliniche ha uno spazio molto piccolo; se voi vedete una
cartella clinica, anamnesi quattro righe, esame obiettivo due pagine, diario clinico cento pagine.
Se voi andate in Francia l’anamnesi è enorme, cioè ci sono cinque pagine dedicate all’anamnesi. Mi
sembrava inizialmente una follia ma l’anamnesi è tutto, vi aiuta molto nella diagnosi. Non solo vi
aiuta nella diagnosi ma è protettiva per il medico perché nel momento in cui voi nell’anamnesi
scrivete che il paziente riferisce debolezza da sei anni e poi nelle vostre conclusioni diagnostiche
dite che il paziente è improbabile che abbia una sclerosi multipla, avete motivato perché avete
pensato questo.
Non solo se il paziente che è iperteso e voi gli date un farmaco per cui vi arriva poi ad una crisi
ipertensiva, se voi in anamnesi non avete scritto che il paziente non è iperteso siete colpevoli di aver

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dato un farmaco senza avere indagato, cioè aver dato un farmaco che può provocare ipertensione
come effetto collaterale senza aver indagato prima se il paziente ha o no un ipertensione.
Quindi l’anamnesi è fondamentale, deve essere stimolata, e sapete come si stimola l’anamnesi ad un
paziente ? Non si stimola solo chiedendo “Lei ha patologie?” , perché se voi chiedete ad un paziente
“Lei ha patologie?” spesso vi dice no! Se poi chiedete subito dopo “Mi dice che farmaci prende?”
risponderà “Prendo quello per la pressione, quello per il diabete, quello per la tiroide, quello per la
prostata” e allora lo scrivete, il paziente riferisce di essere iperteso, diabetico, ma un attimo primo
lui stesso vi aveva detto che non aveva patologie perché per il paziente, uomo della strada o che fa
un altro lavoro o che non è particolarmente istruito, quelle medicine sono parte della sua vita e
neanche ci pensa più alla patologia. Quindi per lui è sano perché cammina, mangia, fa tutto ed è
sano, però prende tutti questi farmaci perché ha queste patologie. Quindi l’anamnesi va stimolata,
va imboccata al paziente, non vi aspettate che vi dica tutto quello che ha, a volte non lo sa nemmeno
quello che ha. Ci sono casi in cui uno chiede al paziente prima di fare una manovra invasiva, “Lei
ha avuto epatite virale, lei ha avuto malattie?” No. Poi vedete le analisi e ha le transaminasi a 500 e
quindi sospettate sia patologico.
Miglioramento e peggioramento nel tempo. Anche qui, facendo sempre l’esempio della malattia del
motoneurone, se il paziente vi dice “Questa mano non riesco a sollevarla però è migliorata rispetto
al mese scorso” già avete escluso la patologia.
E poi vedere se insieme alla patologia del sistema nervoso periferico, ci sono dei segni centrali.
Quindi quando noi studiamo una patologia relativa al sistema nervoso periferico dobbiamo vedere
se il paziente ha anche dei segni centrali, perché ci sono patologie neurologiche che investono sia il
periferico che il centrale.
Quindi il paziente vi viene con una patologia del sistema nervoso periferico, la mano pendente da
deficit del nervo radiale, o da malattia del motoneurone o non lo sappiamo, però è pendente non ha
iper-riflessia non ha segni centrali, dobbiamo indagare se lui ha disfagia, se ha sintomi polmonari,
se ha sintomi bulbari, disturbi d’equilibrio, tremore, come cammina, cioè fare un esame neurologico
per capire se quell’aspetto di neuropatia periferica la dobbiamo inglobare in una patologia
neurologica più diffusa che prende periferia e centrale.
Quando noi parliamo di neuropatia periferica, dobbiamo parlare di
-mononeuropatia
-mononeurite multipla
-plesso patta
-polineuropatia
Questa è la differenziazione schematica.
La mononeuropatia si ha quando il paziente ha una sofferenza di un nervo periferico da solo, solo
un nervo. La classica neuropatia periferica è sindrome del tunnel carpale, che è un intrappolamento
del nervo mediano al carpo.
Le altre sono la sindrome del nervo ulnare al gomito, la sindrome del radiale al braccio, il nervo
femorale ecc cioè quando singoli nervi vengono interessanti definiamo la neuropatia periferica
mononeuropatia.
Se invece il paziente presenta lesioni di più nervi collocati in posti diversi, una mano, un piede, una
spalla che non può sollevare, e allora se è sparsa la neuropatia dobbiamo definire questa neuropatia
periferica come mononeuropatia multipla, cioè sono singoli nervi però in più posti (non è una
polineuropatia).
La mononeuropatia multipla si vede in corso di malattia autoimmuni come le vasculiti, la sarcoidosi
e le polineuropatie infiammatorie.
Poi abbiamo le plessopatie, quindi lesione di un plesso brachiale o lombare che coinvolgono un arto
superiore o inferiore, e le polineuropatie.

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Le polineuropatie, a differenza delle mononeuropatie multiple, l’interessamento è simmetrico cioè
tutte e due le mani, tutti e due i piedi soprattutto si vede prima agli arti inferiori poi si vede agli arti
superiori in un secondo tempo.
Qual’è la patologia classica che da la polineuropatia? il diabete. Ma ce ne sono tante altre, ora le
vediamo.
Vediamo le cause.
Questa diapositiva sintetizza le cause principali di neuropatie periferiche:
-metaboliche: diabete, lo conosciamo tutti, sappiamo tutti che è una condizione predisponente alle
neuropatie periferiche.
Nelle altre diapositive per ognuna di queste patologie vedremo perché, perché noi diamo per
scontato che il diabete porti la neuropatia periferica, ma lo sapete perché? risposta di un collega
(non si sente, minuto 18:30)
Danno dei vasa nervorum, i piccoli vasi sanguigni, un danno prevalentemente vascolare, però
siccome i nervi periferici sono nutriti dal sistema vascolare con i vasi nervorum, cioè piccoli vasi
che nutrono i nervi, allora c’è un ischemia del nervo.
Quindi nelle metaboliche, diabete, insufficienza renale cronica che è causa di neuropatia periferica,
ipotiroidismo, disturbi metabolici ereditari.
Poi abbiamo un grosso capitolo che è quello degli stati carenziali, cioè deficit di assorbimento
sopratutto di vitamina D. Quindi pazienti gastroresecati o pazienti che hanno fatto diete
particolarmente severe. Io ho visto delle neuropatie periferiche per esempio in pazienti obesi, grandi
obesi, che sono dimagriti molto, parliamo di quelli che perdono 30-40kg e hanno una facies tipica di
chi ha perso tanti chili ma ha una struttura dell’obeso.
Il paziente obeso che fa una dieta drastica può avere una minore assunzione di vitamine e quindi
una neuropatia periferica. Quindi consideriamola la neuropatia periferica da deficit di vitamine.
Se noi abbiamo un paziente con deficit di assorbimento di vitamina D, cosa gli diamo come terapia?
Gli diamo la vitamina D per via parenterale.
I farmaci che portano ad una neuropatia periferica in primis ci sono i chemioterapici, si chiama
neurotossicità da chemioterapia. La vediamo ogni giorno perché sapete che le malattie oncologiche
sono aumentate tantissimo e la parte di oncologia esplodono; la medicina oggi è oncologia,
ematologia e malattie infettive.
Quindi i farmaci sopratutto i chemioterapici.
Poi ce ne sono anche altri, farmaci cardiologici, l’amiodarone, farmaci antimicrobici però ne
vediamo pochi in pratica clinica, sono i chemioterapici che vanno tanto.
Poi c’è una neuropatia periferica che di vede in area critica, cioè si vede in rianimazione.
Il paziente è ricoverato in rianimazione, chiamano il fisiatra per la riabilitazione affinché mandi poi
il fisioterapista, il paziente è ricoverato perché ha avuto una emorragia cerebrale, no lasciamo stare
che ci confonde le idee, ha avuto un problema respiratorio.
Non riusciva a respirare, è stato intubato ed è in rianimazione.
Il fisiatra prima di prescrivergli la fisioterapia lo visita e vede che il paziente è totalmente flaccido,
cioè non muove braccia, non muove gambe, non riesce a sollevare le dita del piede, non riesce a
muovere le mani, questa si chiama critical illness polyneuropathy. E’ una neuropatia che viene
contratta nelle rianimazioni e negli ambienti di terapia intensiva. Che cosa succede? In pratica il
paziente, per meccanismi che vediamo nelle prossime diapositive, è ricoverato per un motivo ma
all’interno del ricovero ha una neurotossicità cosi forte da cambiare patologia, o comunque da
associare a due patologie, quella che aveva più la neuropatia periferica che diventa la patologia
quasi più importante. Critical illness polyneuropathy, ora ve la faccio vedere.
Poi ci sono le neuropatie legate alle malattie autoimmuni o immunomediate che sono la sindrome di
Guillain-Barre e la CIDP (polineuropatia demielinizzante cronica infiammatoria, è una sorta di
Guillain-Barre cronica che non è guarita, che continua da tempo).

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Poi ci sono le neuropatie infettive, sono legate sopratutto all’epatite C (che per il deposito di
criglobuline può dare la neuropatia periferica) e l’HIV, le neuropatie HIV correlate sono un capitolo
importante; il paziente con HIV positivo è un paziente che va incontro a neuropatie periferiche ma
anche a neuropatie centrali. Il virus si è visto ultimamente (più di 10 anni) che riesce a entrare e
superare la barriera ematoencefalica e sapete come fa a superarla? Entra con il sistema cavallo di
troia, cioè si intrufola dentro un linfocita arriva nel sistema nervoso centrale e fa un danno non
indifferente encefalico e ci sono tanti studi che dimostrano che questo danno è maggiore nei
pazienti che facevamo uso di sostanze stupefacenti, soprattutto eroina. Quindi il paziente che ha
l’encefalopatia è più grave se è un paziente che faceva uso di eroina.
Poi abbiamo le neuropatie periferiche paraneoplastiche, molti tumori danno luogo a neuropatie
periferiche. Quindi noi veniamo chiamati perché il paziente ha la solita mano cadente (faccio
l’esempio del paziente con la mano cadente perché quando vi arriva un paziente con la mano
cadente ci può essere un mondo dietro questo e non solo “ ieri sono andato in bici e dopo la bici mi
è venuta questa cosa”, questa è l’interpretazione del paziente; ma dietro una mano cadente ci può
essere un mondo).
Quindi vi dicevo vi arriva il paziente con la mano cadente, facciamo l’elettromiografia, ci rendiamo
conto che la neuropatia non è solo in quella mano ma c’è una polineuropatia, cioè tutti i nervi sono
coinvolti, dalle varie analisi che chiediamo vediamo dei markers, e poi con l’anamnesi che ci deve
aiutare (se il paziente è dimagrito, se il paziente ha avuto malattie oncologiche o non le ha avute, se
ha familiarità ecc), possiamo anche pensare ad una paraneoplastica.
E poi ci sono le neuropatie alcoliche, anche l’alcolismo porta ad una neuropatia periferica anche per
il deficit di assorbimento che da.
Vediamo le cause.
Non basta sapere che il diabete porta ad neuropatia periferica, ma dobbiamo
sapere di più. La microangiopatia e l’ipossia dei nervi, questa è la base perché
c’è danno ipossico ai nervi; mentre perché il deficit di vitamina B da la
neuropatia ? bisognerebbe abituarsi a chiedersi sempre perché. Lo sappiamo
che il deficit di vitamina B da neuropatia periferica ma perché? Bisogna saperlo
anche per cultura medica/generale. La TIAMINA svolge un ruolo mitocondriale
fondamentale nella decarbossilazione degli acidi alpha-cheto, il coenzima A,
per la formazione della mielina; quindi l’assenza di tiamina non porta alla
formazione di nuova mielina. Si parte dal concetto che tutte le strutture del
nostro corpo si rigenerano: le ossa in 2 anni, la pelle in 6 mesi,i capelli..tutto
cambia, anche i nervi devono rigenerarsi nella loro normalità o patologia che
sia si devono rigenerare, devono rifarsi. La tiamina serve a formare nuova
mielina. Le polineuropatie para-neoplastiche( prima abbiamo visto lo
specchietto generale ora le stiamo vedendo una per una per capire il perché);
anticorpi antinervo vengono sviluppati anticorpi antineurale e infiltrati
antiinfiammatori del SNP. Quindi se ho un paziente con neuropatia para-
neoplastica sospetta, devo chiedere come esami di laboratorio gli anticorpi
ANTINERVO per vedere se lui ha sviluppato questi anticorpi. I più comuni sono :
ANTI-HU- che sono legati al tumore della mammella,della prostata,del tratto
gastrointestinale e del timoma; ANTI-CV2-correlati al sarcoma e ai tumori
neuroendocrini; ANTI-GANGLIOSITE- correlati ai melanomi. Quindi se si
sviluppano questi autoanticorpi, infiltrano il SNP e creano la neuropatia
periferica. Questo è il perché. La neuropatia quella che si sviluppa in
rianimazione anche questa ha un suo perché. Si viene a creare un alterata
permeabilità di fattori neurotossici all’interno dei nervi, e questo è dovuto a tre
motivi.

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- SEPSI PROLUNGATA: cioè il nervo periferico in rianimazione non è che sempre diventa
malato, però se il paziente va incontro ad una sepsi prolungata, quindi è ricoverato per
esempio per un problema respiratorio ha una sepsi prolungata.
- l’utilizzo di forti dosi di CORTISONICI o comunque steroidi
- l’utilizzo di AGENTI BLOCCANTI NEUROMUSCOLARI in rianimazione.
Se ci sono queste tre condizioni è più probabile che il nervo va incontro ad una
iperpermeabilizzazione, cioè diventa permeabile ad agenti che normalmente non lo “toccano”.
DOMANDA COLLEGA: ma non è possibile che questo paziente in rianimazione è un paziente che
sta male ed è ipotonico perché allettato?per quanto tempo?
Prof: noi dobbiamo distinguere 2 situazioni completamente diverse:
L’ALLETTAMENTO provoca sempre un depaurimento della massa muscolare,piaghe da
decubito,l’anchilosi articolare quindi l’articolazione non si muove più anzi si muove rigida, i
muscoli sono stati sostituiti da un tessuto fibroso o grasso, la funzione respiratoria è depressa per
cui il paziente è coricato. Ci sono tutte una serie di meccanismi di danno da allettamento che sono
progressivi nel tempo quali: il paziente è da 1 giorno allettato ha una patologia, se è da 8 mesi che è
allettato ha un quadro devastante perché ,soprattutto se è anziano, è difficile rimetterlo in piedi.
Allora viene chiamato il fisiatra ma non deve semplicemente dire sindrome da allettamento e
mandare un fisioterapista, ma deve vedere se questo paziente ha una sindrome di allettamento o
sindrome di allettamento + qualcos’altro. La CLINICAL ILNESS NEUROPATHY insorge
dall’oggi al domani, quindi il decorso è importante sapere da quanto tempo è insorta; magari non
chiedendolo al paziente ma al medico che vi ha chiamato. Clinical ilness polineuropathy è un
paziente che viene ricoverato per insufficienza respiratoria grave in rianimazione, quindi è un
paziente immunodepresso e dopo 10 giorni diviene paralitico dalla testa ai piedi; quindi è diversa
dalla sindrome da allettamento che è una sindrome progressiva che peggiora con il tempo, è una
cosa terribile. Pensate all’anziano allettato per 6 mesi già senza muscoli di partenza con osteoporosi
è difficile metterlo in piedi e spesso diventa la causa di morte.
- NEUROPATIA IPOTIROIDEA: deposito di materiale mucinoso attorno al
nervo. Ipotiroidea ne ho visto pochissime quindi la dico perché esiste ma
in realtà sono rare. La frequenza ovviamente è diversa da patologia a
patologia. In tutte le malattie autoimmuni s. sjogren, LUPUS( ci può
essere non è infrequente). Il LUPUS è una malattia abbastanza complessa
che crea danni centrali,periferici e muscolari. Quando noi sospettiamo
una neuropatia periferica al nostro paziente cosa facciamo? Intanto
dobbiamo visitarlo, e visitandolo che cosa notiamo? Voi direte: ma tutto
questo con la riabilitazione cosa centra ?è neurologia! Ma invece centra.
Perché la riabilitazione oggi non è “ginnastica”, quello oggi ci pensa il
personal trainer in palestra. Noi dobbiamo fare un approccio scientifico al
problema per poi alla fine consigliare cosa bisogna fare se operare, usare
farmaci. Se poi sospettiamo una neuropatia periferica la prima cosa da
fare dopo l’anamnesi che ci da più o meno l’idea se il paziente è HIV+, se
è diabetico, se la neuropatia è generalizzata oppure locale solo di 1 nervo
abbiamo un’altra idea. Esempio del tunnel carpale, è una bestialità che
abbiamo tutti ma è sempre un’idea che ci facciamo. Allora dopo
l’anamnesi facciamo l’EO che ci serve a vedere se è generalizzata se è
segmentaria.. poi passiamo all’indagine strumentale che sono: esami di
laboratorio, analisi strumentali come l’elettromiografia, che serve a
studiare i nervi periferici sensitivi e motori. Vede i nervi sensitivi e motori
ma non vede le piccole fibre. Alcune neuropatie sono a carico solo delle
piccole fibre. Il paziente che ha fastidio da parestesia ma non ha lesioni

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delle grandi fibre. A quel punto si fa la biopsia della pelle. È una cosa che
si fa solo in alcuni casi come nei pazienti con HIV. Vedete qua a sinistra,
queste sono le piccole fibre. A sinistra densità normale di piccole fibre a
destra è molto ridotta. Quindi diminuisce il numero. È una biopsia molto
semplice, un pezzetto di pelle che ci permette di vedere la densità delle
fibre. Se noi abbiamo un paziente con neuropatia periferica quali sono i
disturbi che il paziente riferisce?fondamentalmente il DOLORE
NEUROPATICO, che è un dolore che sempre dobbiamo differenziare da un
dolore NOCICETTIVO. Il dolore nocicettivo è un dolore di un osso rotto, di
un pugno, di un trauma. Invece quello neuropatico è un dolore che
interessa un nervo, che si traduce in formicolio, bruciore,sensazione di
caldo e freddo,iperalgesia,allodinia; quindi all’EO chiediamo al paziente
se ha dolore, dobbiamo vedere che tipo di dolore ha, se è nocicettivo o
neuropatico perché anche questo ci indirizza verso la diagnosi. Se il
paziente non ha formicolio, parestesia, bruciore non siamo davanti ad
una neuropatia periferica,ma altro. Poi ci sono i casi misti dove abbiamo
entrambi i sintomi. Esempio classico ERNIA DEL DISCO con fuoriuscita del
materiale discale e compressione della radice nervosa, il paziente ha
dolore nocicettivo dato dalla pressione del disco contro il legamento
intraspinoso contro le strutture che sono ricche di nocicettori, quindi
dolore nocicettivo più ha dolore neuropatico perché il nervo ha
toccato,compresso,irritato il nervo periferico la radice e quindi c’è anche
dolore neuropatico con bruciore,sciatica,formicolio. In sintesi esistono
dolori misti. Quando noi sospettiamo una mononeuropatia,vale anche per
le polineuropatie, dobbiamo cominciare a ragionare sul livello cioè dov’è
la lesione? Mettiamo caso che si presenta il paziente che ha il 4°-5° dito
della mano abbassato sospettiamo una paralisi del nervo Ulnare. Il
ragionamento per ogni arto deve essere sempre quello di capire dove è il
livello della lesione. Il n. ulnare per esempio, perché potremmo farlo per
tutti i nervi; in tutto il suo decorso ogni nervo può avere una
compressione, il n. ulnare la può avere a livello dell’ascella, nel tunnel
cubitale che è il gomito, oppure nell’epitroclea dei flessori(??) che è
sempre un po’ più sotto del gomito nel canale di GUYON che è al polso. Il
quadro è un po’ più complesso di quanto non sembra. il n. ulnare al polso
ha 3 rami ed è un nervo misto ( sensitivo e motorio). Quando i nervi sono
misti decorrono all’interno della loro guaina in maniera separata cioè
fibre sensitive e motorie come 2 “famiglie che stanno nella stessa casa”.
In alcune circostanze questi nervi cominciano a separarsi; il ramo
sensitivo si stacca e se ne va ad innervare, dal punto di vista sensitivo, il
4°-5° dito della mano. I rami motori anche loro si dividono. Uno innerva il
5° interosseo dorsale e l’altro ramo innerva il 1° interosseo dorsale.
Questi meccanismi di divisione ci sono in tutti i nervi. Quando noi
parliamo di polineuropatia del n. ulnare al gomito, dobbiamo capire dov’è
la neuropatia cioè se interessa il nervo prima di questa separazione
abbiamo disturbi sensitivi al 4°-5° dito, disturbi motori al 1° interosseo
dorsale e anche disturbi motori al 5° interosseo dorsale. Ma non è
sempre così: ci può essere una lesione del nervo ulnare al polso, ci può
essere quella che prende il ramo profondo terminale prossimalmente alla

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branca periferica dei muscoli ipotenar cioè vuol dire che risparmia il
nervo sensitivo quindi si instaura dopo lo schiacciamento. A questo punto
il paziente non ha nessun disturbo sensitivo ma ha ipotrofia della mano. Il
medico che non si occupa di questo, vedendo questa mano ipotrofica e
non vedendo che il paziente ha sofferenza di parestesia del 4°-5° dito
penserà che non è interessato il n. ulnare non avendo formicolio. E invece
questo è un errore! Sarà interessato il n.ulnare ma dopo lo
schiacciamento della parte sensitiva. Ci può essere anche una neuropatia
che si instaura dopo che si è liberato il ramo del 5° interosseo dorsale
che interessa solo il 1° interosseo dorsale, quindi il paziente con il buco
“qua”(foto). Questo “buco” è ipotrofia del muscolo del 1° interosseo
dorsale, senza disturbi sensitivi. Questo è la neuropatia del nervo ulnare
al polso dopo lo schiacciamento delle altre fibre sensitive e motorie per il
5° interosseo dorsale. Quando noi vediamo un paziente cosi, con
l’ipotrofia del 1° interosseo dorsale senza disturbi sensitivi, dobbiamo
fare diagnosi differenziale con altre patologie. Qual’e quella patologia che
da l’ipotrofia della mano senza disturbi sensitivi,senza dolore? È la SLA!
Perché nella SLA le corna anteriori del midollo perdono neuroni;non ci
sono disturbi sensitivi ne dolore quindi SLA o neuropatia del n. ulnare
dopo lo schiacciamento dei rami, che non è una cosa che tutti riescono a
diagnosticare. C’è un'altra condizione che vediamo in questo paziente
con l’ipotrofia del 1° interosseo è la spondiloartrosi grave che ha
compresso il midollo, il paziente non ha più dolore però ha l’ipotrofia. Se il
soggetto è molto anziano e ha l’ipotrofia di questo tipo è difficile che noi
pensiamo ad una SL, perché a proposito dell’anamnesi quando noi
pensiamo ad una patologia dobbiamo collegarla all’età del paziente. Non
vedremo mai una SLA in un paziente 90enne. Certo ci sono le eccezioni.
Se c’è un paziente con ipotrofia del 1°interosseo che ha 90anni e non ha
la neuropatia selettiva di quel ramo, probabilmente è una
SPONDILOARTOSI CERVICALE molto grave che stringe il midollo spinale e
crea una patologia simile alla SLA ma una differenza fondamentale non è
progressiva neurologica ma da compressione meccanica. La neuropatia
che colpisce solo il ramo sensitivo si presenta con formicolio al 4°-5° dito
della mano. Neuropatia del nervo ulnare al carpo senza dei sintomi
motori perché è interessato solo quello sensitivo. La riabilitazione deve
riabilitare il paziente se ha un deficit motorio o sensitivo; mandarlo dal
chirurgo per fare la liberazione di questo nervo. La diagnosi è importante
prima della riabilitazione.

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25-10-2018 - Lezione 3
LOMBOSCIATALGIA E LOMBOCRURALGIA: diagnosi e riabilitazione
Oggi passiamo all’argomento Ortopedia, perché sapete che la riabilitazione prende neurologia,
ortopedia e poi cardiovascolare, malattie autoimmuni; si occupa degli esiti delle malattie di queste
quattro branche. Poi c’è qualcosa anche di uroginecologico ma le più importanti sono ortopedia e
neurologia.
Parliamo del Mal di schiena, del rachide lombare.
La prima cosa da dire è che quando parliamo di colonna vertebrale (in questo caso lombare) è
costituita da tante parti: la struttura ossea (le vertebre), i dischi, i legamenti interspinosi, le faccette
articolari che permettono le articolazioni tra un disco e l’altro, il legamento sopraspinato. Poi ci
sono i muscoli: muscoli paravertebrali, le inserzioni muscolari che vanno agli arti inferiori, ma
soprattutto i paravertebrali. Infine la struttura nervosa che è in stretto collegamento col rachide
lombare e sarebbero i nervi spinali che escono fuori dai forami di coniugazione e il plesso
lombosacrale. Ogni parte di questa struttura può generare dolore.
La lombalgia non è una diagnosi ma un sintomo.
Come facciamo a capire qual è la struttura da cui parte il dolore lombare?
La prima cosa da fare è capire se c’è o no il coinvolgimento del SNP, è lombalgia con
coinvolgimento del SNP o è solo meccanica (solo lì): lo capiamo dalla sintomatologia che il pz
riferisce.
Se il dolore è nocicettivo (mal di schiena), non c’è coinvolgimento del SNP; se invece è
neuropatico, (il pz riferisce anche parestesie , bruciore, dolore, sensazione di spilli, gambe
addormentate, debolezza nello stare sulla punta dei piedi o talloni) allora c’è coinvolgimento del
SNP. Quindi sapendo se c’è o no coinvolgimento del SNP, per il momento escludiamo solamente
questa terza ipotesi, cioè possiamo solamente dire se la parte nervosa c’entra o non c’entra nel
dolore lombare. Può essere coinvolta in quanto causa primaria o in quanto causa secondaria, perché
una sofferenza della struttura può coinvolgere il nervo che ci passa dentro.
Vediamo le principali cause di dolore:
 Artrosi lombare, la più frequente. Si chiama spondiloartrosi. L’artrosi si riconosce dai
margini sfrangiati della rx, la neoformazione di osso (gli osteofiti) e ponti ossei tra una
vertebra e l’altra.
 Ernia del disco. C’è il corpo vertebrale e il disco tra una vertebra e l’altra. Esso è fatto di
sostanza fibrosa nel suo cercine, nella parte che lo circonda, e di sostanza gelatinosa nel suo
interno; quest’ultima può per problemi traumatici, genetici o posturali, farsi strada
nell’anello fibroso e uscire fuori dalla sua sede e comprimere le strutture nervose che trova
subito davanti: il midollo e le radici. Normalmente le ernie cervicali prendono il midollo,
quelle lombari prendono le radici e danno la classica sciatica. Questo disco che esce fuori e
arriva in un posto dove non sta normalmente crea due problemi: uno meccanico, perché è un
disco che è voluminoso e comprime la radice nervosa, e un altro è il fatto che è considerato
un corpo estraneo, essendo poco vascolarizzato, e c’è una reazione immunitaria contro il
disco (in qualche lavoro scientifico questo ultimo punto è stato smentito, quindi non si è
certi di questo dato)
 Artropatia delle faccette articolari. Le faccette articolari, strutture che permettono
l’articolazione tra vertebre, sono delle piccole articolazioni in miniatura (immaginiamo
come se fossero un piccolo ginocchio, un piccolo gomito) sono delle micro-articolazioni con
tutte le caratteristiche dell’articolazione (la membrana sinoviale, il cuscinetto, ecc). Quando
c’è un artrosi di questa articolazione l’articolarità tra le vertebre viene alterata e parte il
dolore vertebrale, anche perché sono strutture ricche di nocicettori.

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 Spondilolistesi. Scivolamento di una vertebra in avanti dato dalla spondilolisi, interruzione
dell’istmo vertebrale, di solito congenito. La spondilolisi determina lo scivolamento in
avanti, anche se a volte non lo determina. Spesso assistiamo a piccoli scivolamenti
vertebrali, quindi la vertebra è poco spostata in avanti o indietro, ma una grande
sintomatologia algica, oppure grandi scivolamenti vertebrali con una relativamente piccola o
assente sintomatologia algica. Questo fenomeno è dovuto al fatto che non è tanto lo
scivolamento a dare il dolore ma l’instabilità. Generalmente l’ortopedico o il chirurgo
vertebrale che deve operare una spondilolistesi si basa non su quanto la vertebra è scivolata,
ma sulla sintomatologia, su come il paziente sta.

Nell’immagine si vede una cosa molto interessante: la vertebra che è scivolata è molto
vicina alla vertebra sotto , il sacro; questo determina un’artrodesi fisiologica, perché la
vertebra si fonde col sacro, non scivola più. È come se il paziente si fosse operato da solo: la
vertebra si blocca sotto e non scivola più.
 Scoliosi. Patologia degenerativa dell’età evolutiva, però bisogna stare attenti al fatto che
molti medici considerano la scoliosi come un fatto dell’adolescenza: il paziente arriva in
ambulatorio, vedete scoliosi e dite “ha avuto una scoliosi da ragazzo, adesso ha un’artrosi,
per me la scoliosi non è niente, è una cosa che aveva da ragazzo”; questa situazione
rispecchia molti anni fa. Adesso la scoliosi evolutiva dell’adulto è considerato un altro
capitolo: inizia da adulti e progredisce lentamente (mezzo, uno, due gradi l’anno) fino a dare
una curva importante. Queste scoliosi possono anche necessitare di intervento chirurgico di
stabilizzazione vertebrale. È chiaro che il blocco chirurgico di questo segmento è un
intervento importante perché si immobilizza completamente il rachide e il paziente sarà
rigido (due barre).
 Questa è una spondilodiscite: distruzione di un disco per cause infettive. Questa è una
discite brucellare. La brucellosi può dare discite, un fatto infettivo che va trattato in
infettive. C’è anche quella tubercolare.

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 Invece qui che cosa vedete? È un crollo vertebrale da osteoporosi. Potrebbe anche essere
da tumore osseo (da mieloma). La vertebra è crollata.

 Invece qui in basso vedete un’immagine inquietante: è una metastasi vertebrale.


Inquietante sia come diagnosi che come immagine pure.

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Quando parliamo di lombosciatalgia e di lombocruralgia? Sappiamo che nel rachide lombare
emergono delle radici nervose, che formano due grossi nervi: il nervo sciatico o ischiatico, e il
nervo femorale o crurale.
Il nervo sciatico emerge da L5-S1 innerva il gluteo, con un suo ramo (anche se forse il gluteo ha un
ramo che emerge prima dello sciatico), i muscoli posteriori della gamba, semimembranoso,
semitendinoso, bicipite femorale, tricipite della sura (soleo e gastrocnemio), mentre il nervo
femorale è anteriormente, emerge da L3-L4 e innerva i muscoli anteriori della coscia (ileopsoas e il
femorale). I muscoli sotto il ginocchio anche anteriori sono innervati dallo sciatico che a un certo
punto gira e innerva sia gli anteriori che i posteriori: gli anteriori li innerva dalle radici che
originano da L5, i posteriori col ramo che parte dalle radici di S1. Perché sono “separati in casa”
come i nervi misti, dove le fibre motorie e sensitive viaggiano nello stesso nervo circondati dalla
stessa guaina mielinica, ma poi si dividono; anche lo sciatico ha vite autonome: vanno assieme ma
ad un certo punto si dividono innervando muscoli diversi, ma sono stati sempre nello stesso nervo.
Quindi lo sciatico innerva i muscoli posteriori della coscia e i muscoli anteriori della gamba.
Sintomi: se il pz ha dolore anteriormente nella coscia o ha debolezza del quadricipite, parliamo di
lombocruralgia (L3-L4).
Quando il dolore è posteriore, parte dal gluteo e arriva al piede (sotto o sopra il piede), si parla di
lombosciatalgia (L5-S1).

Cause:
1) ernia del disco
2) spondilolistesi, ovviamente dipende dal livello in cui agisce la causa: tra L3-L4 o L5-S1.
3) non dobbiamo dimenticare che ci sono radicoliti senza cause meccaniche, come le radicoliti
post virali. L’herpes zoster può dare radicolite. Caso in cui paziente viene da voi con
sciatica, RM negativa, tutto negativo, poi si scopre che il paziente ha avuto l’herpes lungo il
decorso del nervo (molto spesso può manifestarsi come due vescicole che non si notano)
4) crolli vertebrali o da osteoporosi, o da trauma, o da metastasi
Tutte queste cause portano dolore lombare con coinvolgimento del SNP.
Una cosa importante sono il concetto di miotomo e dermatomero.

19
Il miotomo è costituito da tutti i muscoli innervati da una singola radice nervosa. Per esempio la
radice di C5 ha come miotomo alcuni muscoli della spalla (romboide, sopraspinato, bicipite,
brachiale). La radice di C7 ha come miotomo il tricipite, l’estensore del carpo.
Dermatomero sono i territori sensitivi di pertinenza di quella radice, che di solito coincidono col
territorio motorio, ma non sempre. Per esempio la mano è C8-T1 dal punto di vista sensitivo, C7-C8
dal punto di vista motorio.
Se volete sapere se un paziente ha avuto un’ernia del disco dovete fare RM, e si vede l’ernia che
tocca la radice nervosa (in trasversale).
L’ernia può essere:
 Ernia mediana (centrale)
 Ernia paramediana
 Ernia intraforaminale
 Ernia extraforaminale

Più laterale è, più dentro il forame è, più è grave e più è possibile che si debba operare. L’ernia
mediana, se è piccola, non toccando le radici, e se il paziente ha un canale spinale ampio, potrebbe
anche essere asintomatica.
Per riconoscere se un paziente ha spondilolisi che è la condizione predisponente la spondilolistesi,
una radiografia in obliquo ci fa vedere il cosiddetto “cagnolino con la testa mozzata”. Quando c’è
un’interruzione tra il corpo e la testa questa è la lisi dell’istmo, si riconosce da questo, e questa
interruzione permette lo scivolamento della vertebra.

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Come si fa diagnosi su questo paziente? Anamnesi, esame obiettivo, esami strumentali ed analisi di
laboratorio.
1. Anamnesi. Chiedere al paziente le morbilità pregresse come il diabete, malattie
oncologiche, traumi, o anche malattie del tratto gastroenterico (molte visceralgie possono
essere scambiate per lombalgie). Sapere cos’ha fatto nell’ultimo periodo, attività fisica
diversa, se ha cambiato macchina, se ha cambiato scarpe.
2. Esame obiettivo.

3 °-4 °
0 0

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(postura, Lasègue e Wasserman)
Ispezione: la postura, vedere se il pz assume delle posture antalgiche (se è storto, normalmente si
chiama scoliosi antalgica, posizione che il pz assume per sentire meno dolore possibile).
Manovre: la più importante è la manovra di Lasègue: si alza la gamba. Nel caso della lombalgia
cosa vediamo? Non se c’è un’irritazione meningea (quello va bene per la neurologia) ma se c’è uno
scivolamento normale della radice dello sciatico e non c’è un blocco meccanico, dato da un’ernia
che lo pressa o lo blocca. Se c’è un’ernia che lo pressa e lo blocca, il paziente non vi fa arrivare
neanche a 30 gradi, perché lo sciatico è arrivato contro un blocco meccanico. Se il dolore è a 90
gradi si chiama pseudo-Lasègue, che non è una manovra positiva per ernia, dovuto per esempio al
fatto che il paziente è un po’ retratto nei muscoli bicipite femorale, non fa sport ecc e quindi ha
dolore nel fare lo stretching. La manovra di Lasègue è positiva quando arriviamo a 30-40 gradi. Al
di sopra non è più Lasègue positiva, che studia il nervo sciatico.
Se invece vogliamo studiare il nervo crurale per la lombocruralgia si utilizza la manovra di
Wasserman. Si solleva la gamba e si flette un po’ il ginocchio. È una manovra molto utile: se il pz
ha la manovra positiva si può dire senza TC o RM che il pz ha un’ernia.
Vedere se c’è un deficit di forza muscolare, sia nei flessori dorsali che nei flessori plantari,
esaminandoli bilateralmente con paziente disteso, per vedere se questo blocco meccanico ha
comportato una paresi parziale di alcuni muscoli periferici.
Poi vanno valutati i riflessi, che per la lombalgia sono tre: rotuleo, medio plantare e l’achilleo. Si
colpisce con il martelletto rispettivamente il tendine rotuleo, sotto nella pianta nel piede e il tendine
achilleo. Possono essere normali (nel paziente normale), assenti (se c’è un danno nervoso
periferico) e ipereccitabili (in due condizioni: se c’è un danno a livello centrale oppure se c’è un
danno periferico durante la fase irritativa). Nel caso dell’ernia i riflessi saranno ridotti o assenti
(perché il nervo è schiacciato).
Poi c’è l’esame articolare che serve a vedere quanta articolarità il paziente ha perso, in flesso-
estensione e in laterale (destra e sinistra).

3. Indagini strumentali “TAILORED”


L’indagine che bisogna fare è un esame basato sul sospetto diagnostico: se abbiamo il sospetto di
una scoliosi, l’esame migliore è la radiografia (superiore rispetto alla RM perché la rx la facciamo
in piedi); la rx inoltre permette di vedere lo scivolamento (la spondilolistesi), l’avvicinamento e lo
schiacciamento tra vertebre, l’assenza di disco, anche le lesioni vertebrali che potrebbero essere da
tumore (aree osteolitiche), gli emispondili (condizione congenita).
La TC (CTI SCAN) si richiede nel sospetto di cisti sinoviali, di ernie, e in circostanze in cui si
vuole vedere la distribuzione del “cemento” (vertebroplastica).
Esiste la TC tridimensionale per vedere tridimensionalmente tutta la struttura.

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La RM (MRI) si usa soprattutto per vedere le parti molli, quindi il midollo o la cauda equina.
In alcuni ospedali esiste la trattografia che vede i singoli nervi; serve per il plesso brachiale, per le
singole radici nervose.
E poi l’elettromiografia serve a vedere che danno ha fatto sul SNP questa causa di lombalgia. Si
esegue quando c’è una sofferenza nervosa periferica, per capire intanto se c’è, quanto è grave e
dov’è il livello della lesione.
Che cosa indaga? Tutto il secondo motoneurone: corna anteriori del midollo, radici, plesso, tronchi
nervosi, placche neuromuscolari e muscolo. Ogni zona del SNP può essere indagata dall’EMG
(se un paziente ha un ictus e facciamo un’EMG, non serve, perché stiamo parlando del secondo
motoneurone, se il pz ha una SM non gli serve l’EMG).
L’EMG è fatta da due parti: elettromiografia ad ago ed elettroneurografia.
L’elettromiografia ad ago è l’esame che studia i muscoli con un elettrodo ad ago (l’ago entra
dentro il muscolo e registra l’attività muscolare). L’attività muscolare ci dice indirettamente qual è
lo stato di salute dei nervi e dei muscoli.

FIBRE
MUSCOLARI

ASSO
NI

Se inseriamo questo ago nel muscolo di un soggetto normale, dobbiamo trovare il silenzio elettrico
(è il contrario dell’elettroencefalogramma: se il pz sta immobile il segnale è presente). Qui è il
contrario: metto l’ago nel muscolo e il segnale normale è assente. Non da segnale elettrico perché il
nervo che innerva quel muscolo non ha solo una funzione di stimolare il movimento del muscolo
attraverso il rilascio dell’acetilecolina, ma ha anche il compito di inibire quel muscolo. Quindi il
muscolo normo innervato non deve dare alcun segno elettrico spontaneo, perché è innervato da un
nervo che in quel momento lo fa stare rilassato.
Se invece si rileva un movimento dell’elettrodo (come nell’immagine a dx) ma il paziente è
immobile, vuol dire che il muscolo si sta muovendo senza un comando volontario e questo è un
segno indiretto di lesione del nervo periferico (attività elettrica spontanea, che è patologica).
Quindi la prima cosa da vedere è se il muscolo ha attività elettrica spontanea.
Voi avete sicuramente studiato la SLA, malattia del motoneurone periferico. Le fascicolazioni cosa
sono? Sono movimenti involontari dei muscoli, lo fanno perché non hanno il controllo del nervo. Il
nervo non riesce a bloccare questa contrazione e il muscolo si contrae da solo. Quando la
fascicolazione è piccola si chiama fibrillazione e la vedete con l’EMG. La fascicolazione si può
vedere ad occhio nudo, perché è una contrazione massiva di tutto il muscolo, una fibrillazione
invece la vedete solo con l’elettrodo ad ago.
Poi chiediamo al paziente di muovere un po’ questo muscolo. Se muoviamo il muscolo vediamo dei
potenziali di unità motoria (PUM). Questi PUM hanno una loro morfologia: grandezza, ampiezza
(sappiamo che deve essere massimo di 4 fasi, 4 oscillazioni). Se vediamo dei PUM polifasici vuol
dire che il muscolo è andato incontro a reinnervazione, questi nuovi nervi si sono aggiunti a quelli

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presenti e i potenziali li vediamo più grandi e polifasici, cioè hanno più di 4 fasi. Questo è un segno
di lesione reinnervata.
Quindi finora abbiamo visto che l’elettrodo ad ago ci permette di vedere: denervazione e
reinnervazione.
L’elettromiografia di superfice, o elettroneurografia, è lo studio della velocità di conduzione dei
singoli nervi. Quindi abbiamo visto dal muscolo se il nervo c’è o non c’è, poi stimoliamo il nervo
elettricamente con un apparecchio. Mettiamo questo stimolo elettrico nei punti di passaggio più
importanti del nervo: stimoliamo il nervo lungo il suo decorso, e lo registriamo alla fine del suo
percorso.
Per esempio se vogliamo studiare il nervo mediano al braccio, con questo elettrodo lo stimoliamo al
cavo ascellare, mettiamo due elettrodi di superficie all’adduttore del pollice dove il nervo arriva, e
studiamo la velocità di conduzione di questo stimolo lungo il nervo. Non studiamo solo la velocità
di conduzione, ma anche l’ampiezza della risposta. L’ampiezza è l’espressione del numero di assoni
sani che sono dentro il nervo . Quindi se noi abbiamo un nervo dove c’è una lesione assonale, noi
vedremo una riduzione d’ampiezza del potenziale, perché l’ampiezza del potenziale che ricaviamo è
espressione del numero di assoni sopravvissuti, se invece abbiamo una velocità di conduzione
rallentata, il danno non è nell’assone ma nella guaina. Quindi se noi vogliamo vedere se il paziente
ha una lesione che coinvolge l’assone guardiamo l’ampiezza del potenziale, se invece vogliamo
vedere se ha una lesione che coinvolge la guaina mielinica guardiamo la velocità.
Se un nervo è stato compresso da un’ernia in maniera leggera, può darsi che abbia una riduzione
della velocità di conduzione nervosa dovuta al coinvolgimento della sola guaina mielinica, se
invece c’è una riduzione d’ampiezza del potenziale è anche l’assone ad essere coinvolto dalla
lesione.
Domanda collega: che differenza c’è tra elettromiografia e potenziali evocati? L’EMG studia, come
abbiamo detto, tutto il secondo motoneurone a partire dalle corna anteriori. I potenziali evocati,
invece, sono si due tipi: sensitivi e motori. i sensitivi studiano le corna posteriori del midollo (si dà
uno stimolo elettrico in un piede o in una mano e la registrazione invece sullo scalpo; si vede il
tempo di conduzione di tutto il midollo e l’ampiezza della risposta); i motori invece fanno
esattamente l’opposto (si da uno stimolo sulla testa, tramite stimolazione magnetica perchè quella
elettrica è molto dolorosa; la stimolazione magnetica si trasformerà in elettrica, e si registra la
risposta motoria lungo le corna anteriori del midollo in periferia, su un muscolo). Quindi i
potenziali evocati si usano più che altro per le mielopatie, per le sofferenze del midollo, l’EMG
invece per la periferia.
Quando abbiamo un paziente con una sintomatologia da sciatica, non dobbiamo pensare che l’unica
cosa che da una sciatica sia l’ernia del disco con la compressione del nervo sciatico, perché ci sono
tutta una serie di cause che possono investire il nervo lungo il suo decorso.
Quindi se noi abbiamo una lombosciatalgia di solito il problema è lombare, ma se abbiamo una
sciatalgia e non si capisce se c’è coinvolgimento della parte lombare (perché il paziente riferisce
dolore alla gamba, formicolio o addormentamento, ma la schiena non fa male) allora è chiaro. La
sciatalgia può essere dovuta anche ad altre cause e tra queste:
-la sindrome del piriforme, intrappolamento dello sciatico al di sotto del muscolo piriforme
-le neuropatie post erpetiche, che dicevo prima, che non hanno a che fare con una lesione lombare
-ci sono i tumori della pelvi o del bacino
Anche dal punto di vista del nervo femorale ci sono delle diagnosi differenziali da fare con lesioni
lungo il decorso del nervo: per esempio gli ascessi in sede iliaca, traumi da stiramento ecc.
Caso clinico 1.
Paziente con dolore alla caviglia, ipoestesia nella regione laterale del piede. Si fa diagnosi di
radicolopatia L5-S1, viene operato e non ha alcun beneficio. Si fa l’EMG purtroppo dopo e si vede
una riduzione d’ampiezza del nervo surale, che indica che la lesione non è a carico di tutto il nervo

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sciatico ma solo del nervo surale, che è un ramo sensitivo dello sciatico. Si fa l’ecografia del nervo
surale ed esce fuori questa formazione che poi è stata esportata, che era un neurinoma del nervo
surale. Quindi il pz con sintomatologia tipo sciatica, soprattutto nella parte sensitiva, viene
diagnosticato con l’EMG e l’ecografia del nervo.
Caso clinico 2.
Paziente che aveva un deficit della dorsiflessione del piede, sospetta radicolopatia L5-S1, si fa
l’EMG del nervo peroneo, si vede che c’è un blocco di conduzione del nervo al cavo popliteo, si fa
l’ecografia al cavo popliteo e si vede una cisti sinoviale che comprime selettivamente il nervo
peroneo comune.
Quindi vediamo che le cause di lombosciatalgia e cruralgia non sono sempre legate alla colonna ma
ci possono essere delle cause che colpiscono il nervo lungo il proprio decorso, non all’emergenza.
TRATTAMENTI UTILIZZATI (aggiunti dalle slides, il prof non li ha spiegati)
PROCEDURE CHIRURGICHE
 Chemonucleolisi. Tecnica percutanea di iniezione di un enzima proteolitico (chimopapaina o
collagenasi) nel nucleo polposo di un disco, con digestione chimica del materiale erniato.
 Coblazione.Intervento di ablazione fredda per trasmissione di energia ad alta frequenza
(radiofrequenza) in grado di vaporizzare una parte del nucleo polposo senza produrre calore,
attraverso l’inserimento di un ago, sotto controllo radiologico, nello spazio discale.
 Discectomia laser. Procedura che utilizza il raggio laser diretto sul nucleo del disco con
vaporizzazione del nucleo erniato, eseguibile sotto controllo radiologico, usualmente con
l’approccio mini-invasivo percutaneo.
 Discectomia percutanea (Automated percutaneous discetomy, APD). Frammentazione e
aspirazione dell’ernia senza dissezioni tissutali attraverso incisioni cutanee minime (<3-5
mm) che permettono l’inserimento di cannule e strumenti sotto controllo radioscopico.
 Intradiscal Electrothermal Therapy (IDET). Tecnica percutanea mini-invasiva con
introduzione nel disco intervertebrale, tramite un ago-catetere sotto guida radiologica e in
anestesia locale, di una spirale con elettrodo a radiofrequenza, che riscaldato a circa 90°C
distrugge i recettori del dolore sensibili al calore nel terzo esterno del disco, rimodellando
per contrazione il collagene discale. Manipolazione vertebrale.
 Microdiscectomia. Rimozione chirurgica, totale o parziale, del nucleo polposo eseguita con
ausilio del microscopio operatorio.
 Ossigeno-ozono terapia. Tecnica di discolisi, tramite iniezione intradiscale o iniezioni
paravertebrali, di una miscela di ossigeno e ozono ad azione antinfiammatoria e disidratante
che comporterebbe una riduzione delle dimensioni del nucleo polposo erniato. La miscela
viene applicata in anestesia locale sotto controllo radiologico.
TRATTAMENTI CONSERVATIVI
 Farmacologici (FANS,corticosteroidi,miorilassanti,antidepressivi)
 Fisioterapia strumentale (TENS, ELETTROSTIMOLAZIONE)
 Supporti lombari
 Massoterapia, trazioni, esercizi attivi, scuola di educazione posturale o back school/R.P.G.

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26
PREVENZIONE: Posture corrette +peso corporeo+attività lavorativa + attività fisica

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FISIATRIA LEZIONE 08-11-2018

Parliamo oggi della protesi d’anca e della protesi di ginocchio. Quando si fa una protesi? In linea di
massima quando l’articolazione è giunta ad un livello di danno irreparabile, cioè molto avanzato.
Irreparabile in realtà è un termine errato perché il danno è sempre riparabile, la cartilagine tuttavia
non si ricostruisce (come i neuroni). Ci possono essere varie cause che portano alla distruzione della
cartilagine: un tempo si leggeva o per fatti legati all’età, o per malattie autoimmuni, per fatti
infettivi, traumatici. Questa distruzione porta ad un certo punto alla necessità di sostituire tutta
l’articolazione. Le protesi che si fanno maggiormente sono: ginocchio e anca. Esistono anche le
protesi di spalla, caviglia, gomito, che si fanno più per fatti traumatici che degenerativi. Le protesi
di gomito si fanno in seguito ad incidenti automobilistici, fratture a scoppio irreparabili del gomito;
anca e ginocchio si fanno prevalentemente per fatti degenerativi, artrosici. Prima di arrivare alla
protesi, dal punto di vista della riabilitazione si prova a fare altri interventi, che sono di due tipi:
-Fisioterapici: cercare di ridurre il dolore, di migliorare l’articolarità dell’articolazione con un
trattamento incruento;
-Infiltrazioni intrarticolari: hanno vari scopi. I principali farmaci oggi sono tre: corticosteroidi,
acido ialuronico e PRP (Platelet Rich Plasma, ottenuto attraverso la centrifugazione del sangue
stesso del paziente da cui deriva la ‘’pappa piastrinica’’, parte di sangue con grande effetto
rigenerativo, considerate quasi cellule staminali proprie, che si mettono nelle articolazioni nel
tentativo di nutrire le cartilagini articolari). Le infiltrazioni di anca, ginocchio e di altre parti del
corpo si fanno alcune a mano libera, cioè non hanno bisogno di guida perché la via di accesso è
abbastanza semplice, specie nel ginocchio; in altri casi ci si serve della guida ecografica, che lo
stesso medico fa mentre infiltra, oppure si fa aiutare da un radiologo. Infiltrazione
all’anca: si mette l’ago sotto guida ecografica, si cerca di evitare i nervi, soprattutto il
femorocutaneo che passa anteriormente all’anca, ed il fascio vascolare, si mette l’acido ialuronico
all’interno dell’articolazione, che ha fondamentalmente due scopi:
 Discosupplementazione, cioè se aumenta la quantità di liquido intrarticolare, allora
aumenta la viscosità dell’articolazione e quindi l’articolarità;
 Discoinduzione, l’acido ialuronico dovrebbe indurre le cellule sinoviali a produrre liquido
sinoviale proprio e quindi a migliorare l’articolarità.
Nel soggetto giovane si usa la discoinduzione, cioè si fa acido ialuronico di basso peso molecolare
in modo che ci sia discoinduzione; nel soggetto anziano dove la sinovia e la cartilagine sono
distrutte si fa la discosupplementazione, cioè si mettono i prodotti ad alto peso molecolare che
attutiscono un po' il carico e si distribuiscono all’interno dell’articolazione (lo stesso prodotto usato
dalle donne per le rughe).
Infiltrazione al ginocchio: la via di accesso sovrarotulea è la più frequente in assoluto, la cosa più
importante in questa infiltrazione è la sterilità, come se fosse un campo operatorio, quindi tintura di
iodio sterile passata più volte, garza sterile, guanti sterili. La scelta del prodotto da iniettare dipende
dal quadro clinico: se noi abbiamo un ginocchio gonfio, con idrartro (pieno di liquido), non
mettiamo acido ialuronico che è altro liquido, mettiamo corticosteroidi perché ci servono come
antinfiammatorio locale; se abbiamo un ginocchio asciutto, senza liquido, allora mettiamo acido
ialuronico che ci serve a ‘’lubrificare’’ l’articolazione. L’infiltrazione si fa senza anestesia. Si
possono infiltrare tutte le articolazioni, per esempio la spalla ha varie vie di accesso: se noi
vogliamo infiltrare lo spazio sub-acromiale, si va qualche cm sotto.
Quale è lo scopo per cui noi facciamo una protesi? Prima di tutto alleviare il dolore, il paziente
arriva alla protesi quando il suo dolore è persistente; ridurre il deficit articolare, quindi
l’impotenza funzionale; migliorare la qualità di vita. Quando voi avete un paziente con un’artrosi
talmente avanzata da pensare a una protesi è chiaro che oltre che al dolore dobbiamo vedere quanta
limitazione articolare c’è in questa articolazione. Quindi se è un ginocchio vedremo la

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flessoestensione, se è un’anca vedremo tutti i movimenti dell’anca in extrarotazione, intrarotazione
e vediamo quanto è limitata questa articolazione.
Le cause più comuni per cui c’è un’indicazione a una protesi d’anca sono:
 Artrosi primaria o post-traumatica: dovuta o a un trauma ripetuto ma soprattutto quando
vi è una lesione, per esempio nel ginocchio, quando vi è una lesione del legamento e si ha
un’instabilità dell’articolazione, si ha un’artrosi precoce rispetto a quando sarebbe venuta
questa artrosi perché l’instabilità del ginocchio crea un’artrosi precoce. Anche sulla colonna
vertebrale succede questo, quando c’è un’instabilità vertebrale per un fatto traumatico o per
un fatto congenito, l’artrosi viene prima perché l’instabilità provoca una maggiore usura
delle articolazioni.
 Artrite reumatoide: quindi tutte le malattie autoimmuni che coinvolgono le articolazioni,
come l’artrite psoriasica.
 Necrosi: una ridotta vascolarizzazione della testa del femore, per cui quella parte di
articolazione va in necrosi, è poco irrorata. Quindi si deforma morfologicamente, va
incontro a un’involuzione.
Come facciamo a riconoscere un’artrosi? Attraverso una radiografia: ci sono gli osteofiti, che sono
neoformazioni di osso, e la rima articolare che si riduce fino a scomparire quando l’artrosi è molto
avanzata. Quando vedo un’artrosi d’anca non vuol dire che il paziente ha necessariamente bisogno
di una protesi, quello che conta è il dolore e quanta articolarità ha perso. Ci sono artrosi molto gravi,
per esempio l’artrosi causata da una displasia dell’anca, cioè c’è un danno displasico congenito
dell’anca e quindi l’artrosi subentra molto prima, perché l’anca ha lavorato senza la sua fisiologica
morfologia. Nella necrosi della testa del femore inizialmente il paziente vi riferisce dolore all’anca,
difficoltà a muoversi, ma non ci sono lesioni dal punto di vista radiografico, mentre se vedete la
radiografia dopo un anno, la testa del femore è ‘’strana’’, la morfologia è cambiata (non è la classica
artrosi, non ci sono osteofiti né riduzione dello spazio tra femore e acetabolo). La testa del femore è
una sfera liscia che scorre dentro l’acetabolo; la testa artrosica diventa deforme, scorre con difficoltà
e ogni movimento evoca dolore. Come riconosciamo un’artrosi del ginocchio? Come quella delle
altre parti: addensamento del segnale sulla rima articolare, osteofiti, riduzione della rima articolare.
Questi sono i segni principali per ogni articolazione. Anche il condilo femorale può andare incontro
a necrosi.

Quindi le indicazioni alla protesi d’anca e di ginocchio sono:


5) Presenza di dolore limitante le attività quotidiane;
6) Persistenza del dolore sia di giorno che di notte;
7) Presenza di rigidità articolare;
8) Scarsa efficacia degli antinfiammatori e dei condroprotettori;
9) Effetti collaterali o nocivi in seguito a terapia con farmaci;
10) Scarsa efficacia della fisioterapia.
Dobbiamo anche vedere la storia clinica del paziente: se ha delle comorbidità (non faremo una
protesi a un paziente che ha una miopatia per cui non riesce a stare in piedi), le aspettative di vita
del paziente (non faremo una protesi d’anca a un paziente oncologico). Noi possiamo avere la
sostituzione dell’acetabolo oppure la sostituzione della testa e parte del collo femorale. Se
l’acetabolo è in buone condizioni, per esempio nel caso di una protesi fatta per un evento traumatico
che ha fratturato la testa del femore, si fa una sostituzione solo della testa. Normalmente però la
sostituzione è sia della testa che dell’acetabolo. In Italia ci sono, al 2006, 90 mila protesi d’anca, 52
mila protesi di ginocchio.
I limiti di queste protesi sono:

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 Durata della protesi: la durata minima oggi è di 10 anni, ma ci sono protesi che durano
molto di più;
 Le limitazioni che il paziente può avere se portatore di una protesi, per esempio nell’attività
sportiva, ma anche movimenti della vita quotidiana come abbassarsi oltre un certo limite per
prendere un oggetto a terra, bisogna evitare la iperflessione dell’anca, evitare che il
ginocchio vada sopra l’anca: non abbassarsi per prendere oggetti a terra, non alzarsi dalla
sedia piegando il busto in avanti, non accavallare le gambe, non sedersi in sedie troppo
basse.
Una delle cause di distruzione dell'articolazione è l'artrite emofilica.
L'emofilia è una patologia data da carenza di fattore VIII e IX della coagulazione, con continue
emorragie che si manifestano soprattutto sottoposte a stress meccanico, come a livello dentario,
gastro-intestinale, muscolare, ma soprattutto, nel 90% dei casi, a livello articolare. Bisogna
assumere il fattore mancante e.v. più volte a settimana, in base alla gravità. Per diverse ragioni è
possibile che comunque i pazienti vadano incontro ad emorragie:
- non c'è massima aderenza alla terapia e.v più volte alla settimana;
- la terapia non è sufficiente;
- il pz va incontro a urti, traumatismi che facilitano l'insorgenza di emorragie;
- mancanza di terapia nei paesi in via di sviluppo.

Nell'articolazione, il sangue
fuoriuscito danneggia la
membrana sinoviale (per via di
ferro,citochine, prodotti di
degradazione; in tutte quelle
molecole ematiche che
normalmente sono estranee
all'articolazione) e inibisce la
componente di sintesi della
cartilagine. La membrana va in
ipertrofia e comincia a
"sanguinare", aggravando il
problema in un circolo vizioso
che porta alla distruzione
dell'articolazione. Abbiamo una
prima fase di Emartro, una
seconda fase di Sinovite
reattiva, infiammatoria, e una terza fase di distruzione della cartilagine. Una volta distrutta, la
cartilagine non si rigenera.

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Abbiamo 4 gradi in base alla riduzione di ampiezza dello spazio articolare (parametro principale)
e in base alla presenza di osteofiti, fino ad arrivare alla necessità di una protesi.
Per quanto riguarda
la fisioterapia in tali
pz, l'Evidence Based
Medicine ha messo
in evidenza 10
articoli, che
indicano come

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metodo l'esercizio a casa, poi gli esercizi isometrici (senza escursione
articolare), perché non ci sono né carico né movimento, poi i mezzi fisici
(laser terapia, tecar terapia, ionoforesi). Questi ultimi mezzi sono da usare con
criterio: per esempio, sapendo che il laser ha una profondità di pochi cm, non
lo andremo ad utilizzare per l'anca (uso in caso le onde d'urto). La
magnetoterapia ha un effetto acceleratore sul metabolismo osseo, ma,
secondo gli studi, è valida solo per un periodo di tempo prolungato (3/4 h al
giorno); però non ci sono molte evidenze scientifiche. Non c'è evidenza chiara
nemmeno sull'utilizzo di mezzi fisici in pz oncologici. La terapia si avvale,
inoltre, di infiltrazioni di acido ialuronico o corticosteroidi-

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Fisiatria lez 15/11/2018
Oggi prima di iniziare la lezione due vostri colleghi parleranno uno dei protocolli di riabilitazione
della protesi al ginocchio e uno della protesi d’anca, mentre dalla prossima lezione faremo i
protocolli per le altre articolazioni spalla, gomito, caviglia che sono dei protocolli che servono al
post-intervento, post-ingresso, protocolli riabilitativi (sono pane quotidiano per chi farà abilitazione
ma chi non la farà è bene che sappia che esistono).

Primo collega:

Protesi al ginocchio, mi focalizzerò molto sulla riabilitazione.


Diciamo i principali casi in cui si decide di fare una protesi del ginocchio è quasi sempre totale, si
possono fare anche le parziali.
I motivi principali sono artrite reumatoide, osteoartrosi importante e la emofilia, il professore
l’altra volta escludeva altro perché siccome ci possono essere delle emorragie intrarticolari il sangue
va a rovinare l’interno e fa rovinare l’articolazione, si può fare anche per alcuni tipi di traumi ma
siccome spesso abbiamo a che fare con popolazioni di giovani quando parliamo di traumi non
andiamo spesso a fare spesso protesi del ginocchio perché hanno una durata limitata, quelle totali
15-20 anni mentre quelle parziali tra i 10-15 anni quindi stiamo parlando di una popolazione
anziana.
L’intervento di sostituzione di protesi del ginocchio è molto più complicato che mettere una nuova
protesi. Una volta l’intervento veniva fatto facendo un’incisione longitudinale sulla rotula, poi
incidendo il tendine del muscolo quadricipite diciamo lussando la rotula esternamente, andando a
rompere la fascia soprarotulea e questo dava anche dei problemi alla riabilitazione invece con la
tecnica artroscopica si fa un’incisione molto più piccola ed è possibile mantenere la maggiorparte
di queste strutture.
Una volta eseguito l’intervento si va a raschiare la cartilagine articolare da tutti e due i cavi
articolari e si va a mettere questa protesi meccanica e abbiamo la faccia tibiale che è piatta mentre
la faccia femorale è curva è una specie di sfera, subito dopo l’intervento si hanno contratture in
flessione dovute all’irritazione, probabilmente anche per la questione emorragica che si forma
all'interno dell’articolazione quindi è importante nella riabilitazione già a fine intervento cercare di
ottenere l'estensione completa perchè se non si ottiene il recupero diventa più difficile.
Per quanto riguarda i primi giorni si può andare con il carico massimale tollerabile quando non ci
sono problemi ossei e quando non ci sono osteotomie mentre si tende a rinviare il livello massimale,
si fa solamente un carico a sfioramento con il deambulatore, se ci sono problemi ossei come
osteoporosi o appunta una osteotomia ( ovvero un intervento che va a cambiare l’asse di carico del
ginocchio, se fatto nella parte femorale da problemi per la protesizzazione del ginocchio, mentre
nella parte tibiale non dovrebbe precludere la possibilità di fare la protesi).
Per quanto riguarda la riabilitazione vera e propria successivamente all’intervento c’è una
macchina, Kinetec, che può dare la cosiddetta mobilitazione attivo-passiva e ci sono pareri
contrastanti su questa macchina perché non arriva a estendere completamente la gamba infatti a
volte può dare delle contratture in flessione, è quindi importante seguire il protocollo quando si usa
e spesso lasciare il paziente con un supporto sotto la caviglia per tenere la gamba un pò più estesa.

Prof: Questa macchina di cui parla il collega l’avete capito cos’è?

Altra collega: Questa è una macchina che serve soprattutto per la riabilitazione post operatoria che
ricrea i movimenti volontari del ginocchio con una mobilitazione passiva.

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Prof: Quindi è una specie di robottino che porta la gamba in flessione ed estensione, ma noi
regoliamo i gradi di estensione e flessione sulla base del tempo post- operatorio quindi nella prima
fase post-operatoria permetteremo che questa macchina faccia fare al ginocchio sforzi ideali man
mano che passano i giorni allarghiamo il grado di emissione e questo Kinetec che sta al letto del
paziente mobilizza l’arto fino alla completa estensione dell’arto quando passano tante settimane.

Collega: Professore ma è lo stesso che viene utilizzato per la riabilitazione i legamento crociato e la
ricostruzione dello stesso?

Prof: Sì, nell’immediato post-operatorio se c’è un deficit articolare.Se il ginocchio però è libero
non gli mettiamo il (?), il Kinetec fa arrivare l’articolazione fino al punto di dolore e poi due gradi
in più, questi due gradi sono in genere quelli che il paziente recupera con un po’ di dolore quando
arriva a quel grado. Poi il paziente ha anche un allarme in mano se il movimento in quei gradi
vietati diventa doloroso il paziente può bloccare la macchina ma normalmente si chiede di resistere
e di non fare movimenti compensatori che renderebbero il inutile questo kinetec perché mentre il
paziente è bloccato in massima flessione e il kinetec lo porta a uno, due gradi in più se il paziente
inizia a sollevarsi, spostarsi o alzarsi questo movimento del kinetec non fortifica il ginocchio ma si
perde, il ginocchio rimane piegato quanto era piegato prima e quei gradi in più vengono
ammortizzati dal fatto che alza il bacino, si muove indietro, quindi il paziente deve restare in
posizione corretta. Perché è come se avessimo un fisioterapista che tutto il giorno stesse a compiere
il movimento.

La parola torna al collega: Come ho detto si può utilizzare questa macchina ed è importante che
venga iniziata subito la riabilitazione perché si possono formare delle aderenze, soprattutto dopo
l’operazione chirurgica, nella tasca soprarotulea. Se viene trascurata la riabilitazione e dovessero
formarsi queste aderenze ci sono due opzioni:
 Riabilitazione tardiva (che tuttavia potrebbe essere pericolosa);
 Lisare le aderenze in artroscopia.
Per quanto riguarda i protocolli strettamente usati ce ne sono due:
1) Wish (più lungo 6 settimane in 4 fasi che ci sono degli obiettivi da raggiungere per passare
alla fase successiva, c’è questa macchina, lavoro isometrico ed esercizi di intensità
crescente)
2) Brotzman (?) (accelerato, 26 settimane, gli esercizi sono simili ovvero esercizi isometrici,
MCP, carico)
Riprendendo il discorso antecedente del carico dicevo che questa macchina porta oltre il limite di
sopportazione tramite questo movimento il paziente per raggiungere il target terapeutico che nel
caso di una protesi singola è 90° che consente di avere una vita normale dopo l’operazione, invece
in caso di protesi bilaterale deve arrivare almeno 105° se no compromette il funzionamento.

Prof: il protocollo di riabilitazione di un arto è relativo al tipo di intervento, per ogni intervento al
ginocchio c’è un protocollo diverso. Se facciamo il crociato anteriore ci sarà un protocollo, per il
posteriore un protocollo con una tempistica diversa, nel menisco se un’area viene irrorata il paziente
si alza e cammina il giorno dopo non ha bisogno di fare questa terapia quindi la riabilitazione
riguarda non solo l’articolazione ma anche il tipo di danno e il tipo di intervento.

“A Catania operava un chirurgo molto famoso che faceva spasticità ( i pz in sedia a rotelle che
avevano retrazione muscolare) quando veniva a visitare qua poi operava qua, ad un certo punto
iniziò a visitare qua ma operava a Milano e alla domanda sul perché lo facesse rispose “ Perché qui
mi rovinano il lavoro fatto”, l’associazione di riabilitazione a cui era affiliato secondo lui non

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rispettava i tempi dei protocolli post intervento rovinando tutto. Il protocollo riabilitativo è
importante, mi permetto di dire, quanto l’intervento, non deve essere sottovalutato.
Viene mobilitato troppo presto o troppo tardi e si creano aderenze e si rovina il lavoro fatto.”

Secondo collega: Parleremo del protocollo riabilitativo della protesi d’anca.


Cos’è una protesi d’anca?

La protesi d’anca è un intervento fatto in pazienti che ne hanno una necessità particolare soprattutto
in casi in cui il dolore è eccessivo, ma come vedremo tra un po’ ce ne sono diverse indicazioni per il
protocollo della protesi d’anca, ma innanzi tutto, cos’è una protesi?
La protesi è un’articolazione artificiale in cui attraverso una serie di meccanismi biocompatibili
innestati all’interno dell’osso si va a replicare quella che è l’articolazione in originale e si va a
sostituire l’osso con il metallo o materiali biosimili. Importantissima è la riabilitazione perché la
protesi d’anca può alleviare il dolore ma se poi il paziente non si muove più non abbiamo concluso
niente.
Quindi perché si ricorre alla protesi d’anca?

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Dal punto di vista ortopedico possiamo parlare di traumatismi nel paziente giovane o nel paziente
anziano, ce ne sono diverse indicazioni, però non ci dobbiamo concentrare solo sul traumatismo che
può essere una “protesi d’urgenza” quindi il protocollo riabilitativo perché l’intervento deve essere
programmabile e tramite questa programmazione si possono avere una certa serie di accorgimenti
che renderanno più semplice la riabilitazione. Perché si fanno le protesi d’anca abbiamo l’artrosi,
l’artrite reumatoide, le fratture e poi possiamo avere anche tumori o osteonecrosi.
L’intervento di protesi d’anca è un intervento che si fa routinariamente (tra virgolette) ma è
comunque un intervento chirurgico importante che può dare una serie di complicanze non da poco,
dove possibile sarebbe meglio evitarlo e dopo vedremo come si può prolungare il tempo di vita
biologica del paziente prima di arrivare alla protesi.

Tipiche complicazioni da intervento: embolie, infezioni (sono gravissime, un’infezione durante


l’intervento di protesi d’anca non solo rende inutile l’intervento ma rischia di rendere incompatibile

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un intervento di protesi successivo e ciò significa l’allettamento definitivo del paziente), fratture,
lussazioni, allentamento della protesi ecc.
La programmazione dell’intervento consta di una serie di accorgimenti fatti dal punto di vista di
riabilitazione vera e propria che miglioreranno la risoluzione dell’intervento.
Quindi cosa bisogna attenzionare nel protocollo riabilitativo?

I divieti assoluti.
Il periodo preoperatorio è importantissimo per un risultato positivo così come il periodo
postoperatorio diviso in degenza, post operatorio a casa, e postoperatorio con un fisioterapista.
Obbiettivi:

 evitare le lussazioni dell’impianto

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 ottenere un rinforzo (perché è il muscolo insieme alle articolazioni e i legamenti che tiene in
sede la protesi quindi più è tonico il muscolo, più il complesso funziona, meno rischio di
recidive e torna a camminare prima e torna a vivere prima.
Quindi torniamo ai divieti assoluti:

Non chinarsi eccessivamente in avanti (porta a lussazione, soprattutto in questo tipo di intervento di
protesi d’anca con accesso posteriore, quindi usare il bastoncino con pinze alla fine per prendere le
coperte e movimenti simili per evitare movimenti della coxo-femorale oltre i 30° perché può
provocare uno stiramento della capsula e quindi una lussazione).

Indicazioni preoperatorie

ad esempio come trasferirsi perché un paziente che viene operato di protesi d’anca è un paziente
soprattutto se molto grande che resterà a letto e più a lungo resterà a letto più grave sarà il suo

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outcome quindi lo dobbiamo abituare sin da subito , quindi pre intervento ad alzarsi, andare in
bagno da solo, sedere in macchina, alzarsi e sedersi a letto, stare seduto su una sedia, direte sembra
una stupidaggine però un paziente con protesi d’anca ha una posizione diversa da tutti noi, anche la
posizione per andare al bagno, se noi abbiamo la classica posizione con le ginocchia più in alto
flesse sul bacino al paziente fa male quindi bisogna prendere un rialzino da mettere sul water per
evitare questa posizione allo stesso modo la sedia (dopo lo vedremo nel protocollo riabilitativo).
Quindi rialzi o stampella che sarà di grande aiuto per il paziente con protesi d’anca.

Dunque facciamo l’operazione, il paziente si riprende, la prima giornata post operatoria ha già delle
indicazioni specifiche che possono essere:
11) Allenamento posturale a letto, l’esercizio va fatto anche controlaterale perché consideriamo
un paziente che probabilmente per le prossime 2 3 4 settimane non farà altro che stare a letto
quindi se non mobilita anche l’altro arto non solo avremo l’arto principale che andrà in
deficit muscolare ma anche l’arto “buono”.
12) Muovere la caviglia e massaggiare il piede per riattivare la pompa muscolare e anche a
pompa plantare per evitare ristagni di sangue per evitare trombosi venosa profonda.
13) Esercizi isometrici perché contraiamo il muscolo, ci muoviamo funziona l’apparato
muscolare anche senza muovere l’articolazione quindi stiamo facendo un’attività fisica
magari di minore intensità ma senza danneggiare l’articolazione operata.
Quali sono gli esercizi? Elevazione dell’arto inferiore con ginocchio esteso, comprimere il
ginocchio sul letto in modo da cercare una flessione massima del ginocchio, contrarre i
glutei, muovere su e giù la caviglia (accelerazione perché da patito di auto il movimento
accelera/frena fa bene).
14) E poi ci sono i 4 punti che fondamentalmente credo che sia un processo come quello del
kinect dove si solleva il ginocchio flesso, si estende, si flette e poi torna alla posizione di
partenza, questo va a stimolare tutti i muscoli della coscia sia superiori che inferiori.

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Siamo già in quarta giornata continuiamo gli esercizi che abbiamo detto prima e andiamo a fare
esercizi più complicati come abduzione dell’anca contro gravità (sembra una stupidaggine ma lo
stesso peso della gravità aumenta il lavoro compiuto dai muscoli della coscia).

Siamo in 6 giornata qui già dobbiamo sbrigarci dal punto di vista della riabilitazione a mettere in
piedi il paziente, meno tempo sta a letto il paziente più sarà veloce il suo recupero, viene spiegato
come assumere la posizione letto, quali sono gli accorgimenti già spiegati nel preoperatorio
utilizzando delle stampelle o il girello, insomma tornare a mettersi in piedi, se il paziente sta bene
probabilmente tornerà a casa ( se non ha infezioni, se non ha febbre ecc.).

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Il carico è importantissimo, un paziente appena operato di protesi d’anca non può caricare
immediatamente l’arto perchè tra il traumatismo dell’operazione, la rimozione delle ossa originali
ecc andiamo a fare danno, quindi ci deve essere un periodo di sfioramento dove mentre cammina
il piede deve toccare terra ma mai ricevere un carico.

Protesi: possono essere sia cementate che non cementate.


Cementate in un paziente con osteoporosi che impedisce la fissazione diretta della protesi
all’interno del femore attraverso questo processo di cementificazione, abbiamo entro 15 minuti la
massima presa di questo tessuto osseo che andrà ad abbracciare la protesi all’interno del femore.
Le non cementate che di solito vanno fatte in pazienti più giovani poiché va messa ad incastro
all’interno del canale femorale ma a differenza della protesi cementata che ha 6 settimane con
deambulatore e 4 6 mesi con la stampella le settimane da 6 diventano 10 quindi abbiamo un mese in
più in cui questo sfioramento deve durare o comunque il carico deve essere molto graduale.

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Poi si prosegue con gli esercizi muscolari, l’isometria, si comincia con lo stretching che deve
essere fatto sin dal primo giorno ma perché il paziente va incontro a delle contratture sia post
intervento che da immobilizzazione che bloccano quello che è il natural movement e saranno
difficilissime da risolvere post quindi si fa la Manovra di Thomas:
 Paziente sdraiato si prende l‘arto buono le lo si tira verso il petto e l’arto operato contro il
letto, tutto ciò stira i muscoli sia della porzione pubica che i legamenti dell’articolazione
andando a migliorare l’elasticità dell’articolazione.
Seconda cosa dopo 7 giorni soprattutto per coloro che si possono permettere di avere un protocollo
riabilitativo di eccellenza mettiamo il paziente sulla cyclette, mettiamo un leggero carico che facilita
il processo di flesso estensione continua dell’arto e comincerà a pedalare.

Potenziamento muscolare.

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Sono già esercizi che abbiamo visto e si vanno sempre più ad aumentare come difficoltà, quindi
abduzione dell’anca con una contrazione isometrica prima contro resistenza quindi il paziente si
avvicina alla barriera del lettino o al fisioterapista che terrà la gamba farà perno ferma
l’articolazione una spinta contro di lui, un elastico theraband che si utilizza per la palestra per
tonificare i glutei e poi contro gravità le abduzioni, in stazione eretta un paziente che già sta
tornando a camminare potrà fare questo esercizio di abduzione laterale prima con il piede libero e
poi utilizzando un sistema di carrucole e di pesetti che gli permetterà di potenziare il muscolo e poi
questo ultimo esercizio estensione dell’anca in posizione prona andando a migliorare la tonicità del
muscolo gluteo.
Quando il paziente salirà le scale post intervento con la gamba operata quando deve salire il primo
gradino salirà prima l’arto non operato, ciò gli darà la forza di salire caricando sull’arto non operato.
Quando scenderà l’arto operato scenderà per primo riducendo al minimo il rischio di caduta del
paziente.
Difetti della deambulazione.

Ovviamente il protocollo riabilitativo lo abbiamo ma questo non è detto che va sempre a buon punto
da un lato possiamo avere una buona compliance del pz e un cattivo lavoro da parte del personale
medico dall’altro il contrario o causalità, di fatto possiamo sviluppare dei difetti che possono essere
nella camminata:
 Passo lungo con arto operato e corto con l’arto non operato, il che da la possibilità al
paziente di non andare a spingere sui muscoli pubici perché se lui dovesse allungare il passo
anche con l’arto buono sentirà una tensione pubica;
 la seconda cosa, la camminata con il ginocchio che cede in fase l’appoggio, il ginocchio
dell’arto operato cederà ciò provoca sollevamento del tallone che riduce la tensione nell’area
pubica;
 terzo il paziente si tiene in avanti durante la camminata impedendo la flessione e
l’estensione totale dell’articolazione coxo-femorale;
 una cosa infine che è più psicologica che reale è la zoppia ovvero il paziente che finisce il
protocollo riabilitativo che non ha più alcun problema dal punto i vista biologico che
continua a zoppicare e se il fisiatra non se ne accorge diventa un problema lifelong nella vita
del paziente quindi risolvere con attenta osservazione e insegnamento con dedizione al
paziente quando ciò viene utilizzato dal fisiatra può essere che i risultati torneranno.

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Fine presentazione secondo collega.

Quando parliamo di disturbi del movimento ci riferiamo a una categoria specifica di patologie
neurologiche.
Non si deve mai classificare un paziente con zoppia come un paziente con “disturbo del
movimento”, è giusto lessicamente ma non come classificazione medica.
I disturbi del movimento sono disturbi neurologici di due tipi
 IPOMOVIMENTO
o IPOCINESIA si muove poco
o ACINESIA non si muove
o BRADICINESIA si muove lentamente
 IPERMOVIMENTO
o MIOCLONO
o COREA
o TIC
o DISTONIE
o TREMORI
La sindrome acinetica ha come origini più comuni:
3. il Parkinson,
4. i parkinsonismi
5. l’atrofia multi sistemica,
6. paralisi sovra nucleare progressiva (video: il paziente non segue i movimenti verticali di
una penna mossa dall’operatore)
7. degenerazione corticobasale (video: sindrome della mano aliena, il paziente non muove più
una mano, che resta chiusa, spesso confusa con patologie ortopediche)
Vediamo le patologie con iperattività muscolare:
Il mioclono può avere distribuzione
 focale
 segmentale
 multifocale

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 generalizzato
può essere
 spontaneo
 d’azione, esce fuori quando si compie un’azione
 evocato da un riflesso
ha varie origini e ha caratteristiche diverse in base alla localizzazione primaria
 corticale (estremità distale)
 talamico (asterix della mano)
 reticolare riflesso (scosse in flessione nella parte prossimale degli arti superiori e inferiori)
 parietale
 striatale
 spinale, (uno o più segmenti adiacenti al midollo cervicale)da scatti o movimenti di lunga
durata
Video: mioclono centrale, è monolaterale, prova indice naso normale a destra e alterata a sinistra

Poi ci sono i miocloni congeniti o meglio genetici, da mutazione del gene epsilon- sarcoglicano.
(Fa vedere i video di 4 miocloni diversi)
1. mioclono spinale viene dalla colonna vertebrale con una lesione midollare cervicale,
interessa solo l’articolazione scapolo omerale, focale, molto raro
2. mioclono spinale dovuto a glioma spinale, è segmentario, interessa tutto l’arto superiore
3. mioclono spinale che risponde a riflesso, è evocabile
4. A volte i miocloni possono essere di origine psicogena, un segno di distinzione si ha nel
momento in cui il paziente cambia decubito e scompare il mioclono.
Poi abbiamo la corea, malattia di Huntington, affezione ereditaria del sistema nervoso che
determina una vegetazione dei neuroni, dei gangli della base, della corteccia cerebrale. È
caratterizzata da movimenti involontari patologici, grave alterazione del comportamento e disturbi
emotivi e dell’umore, un progressivo deterioramento cognitivo. L’esordio è tra i 30 ai 50 anni, il
decorso è lentamente progressivo e fatale in 16-20 anni di malattia. C’è la possibilità di ereditare il
gene della corea da un genitore malato nel 50% dei casi e quindi la possibilità di avere più malati
nella stessa famiglia.
Un altro disturbo del movimento in ipercinesia classico è il ballismo, una sindrome neurologica
dovuta a lesione, infarto, del corpo di Luys. Si caratterizza per movimenti involontari rapidi, a volte
lenti, ma sempre violenti e irrefrenabili anche durante il sonno. Interessa gli arti, il tronco e a volte
anche la faccia e determina movimenti di flessione,torsione,inclinazione dei segmenti interessati.
Poi abbiamo la sindrome di Tourette con i suoi tic, l’avete studiata in neurologia, vi faccio vedere
solo il video.
C’è il tremore del nucleo rosso mesencefalico oggi chiamato Rubrale, è ad ampie scosse.
Quello che vediamo più frequentemente sono le distonie, disturbi del movimento caratterizzati da
contrazioni muscolari prolungate e producono torsione, movimenti afinalistici e posture abnormi.
Sono patologie dei gangli della base, all’inizio erano considerate malattie psichiatriche e i pazienti
finivano in manicomio. La vera causa non è certa al 100%, sono ancora di origine semichiara. Le
più frequenti sono:
 distonia cervicale, un movimento in rotazione del collo da entrambi i lati, può essere rota
collo, latero-collo quindi c’è la flessione verso il basso, può essere un antero-collo con il
paziente che cammina e sta con il collo in avanti, e retro-collo.
 Blefarospasmo, distonia dei muscoli oculari. Il paziente mentre parla, comincia ad avere uno
spasmo e chiude gli occhi
 Crampo dello scrivano e del musicista, sono distonie focali. I musicisti professionisti a causa
dell’eccessivo utilizzo della mano possono avere distonie per cui non riescono a controllare

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alcune dita della mano. Esordisce nel primo minuto di attività, quindi non si deve
confondere col crampo. Il paziente con distonia, soprattutto occupazionale, rimane distonico
nonostante le terapie, che sono due: una è la tossina botulinica se messa selettivamente nei
muscoli ipertonici o spastici o meglio dire distonici, che non va alla causa ma al sintomo, c’è
un netto miglioramento ma non si riacquistano i livelli precedenti; ci sono poi terapie di
riadattamento per cui non si fa utilizzare l’arto interessato per un periodo di tempo, c’è un
centro a Barcellona, ma non si vedono molti risultati. (fa vedere video sul miglioramento di
un musicista al quale è stata iniettata tossina botulinica nel flessore lungo delle dita)
Emispasmo facciale, non è una vera e propria distonia ma le somiglia. Avete presente lo spasmo di
mezza faccia? Quello ha solitamente due cause:
o post paralitica, quindi paralisi del facciale, sincinesie, anomalie da reinnervazione,
spasmo periferico e quindi non ha niente a che vedere con la distonia ma le somiglia
o conflitto neuro-vascolare fra nervo facciale e un vaso, non fa parte dei disturbi del
movimento

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Lezione del 22/11/2018
Valutazione del piede
In questa lezione valuteremo il piede da un punto di vista fisiatrico e ortopedico. Esame obiettivo,
valutazione funzionale, valutazione statica e dinamica, valutazione strumentale e valutazione
baropodometrica, queste sono le indagini che si fanno. Se vogliamo studiare il piede dobbiamo fare
un’indagine radiologica del piede, che quasi sempre conviene prescriverla “sotto carico”, perché è
importante vedere la conservazione della curva di carico del piede perché in appoggio cambiano i
rapporti articolari. Poi si fanno altri esami quali baropodometria, TC, RM, scintigrafia e termografia
(ormai in disuso).
Quando facciamo una radiografia del piede vediamo le ossa (metatarsi, falangi), con l’RM invece
vediamo le parti molli (legamenti, inserzioni tendinee). In linea generale radiografia e TC servono
per i tessuti solidi, mentre l’RM serve per i tessuti molli.
L’esame baropodometrico, qui non molto utilizzato, è stato ‘usurpato’ dalle officine ortopediche che
ne fanno un uso un po’ commerciale (poco utile secondo il prof); questo esame permette la
valutazione della morfologia del carico plantare e dà un’immagine sia statica (paziente fermo in
piedi) che dinamica (in movimento).

Patologie più frequenti a carico del piede.


- Patologie reumatiche del piede, quali artrite reumatoide, spondiloartriti siero-negative. Quando
vedete i piedi deformi delle signore, potete pensare che sia un’artrosi del piede, ma in realtà quella
deformità articolare può nascondere una patologia del tessuto connettivo, quindi una patologia
autoimmune.
- Patologie degenerative, come l’osteoartrosi (la più classica).
- Patologie da sovraccarico, come tendiniti, tendisinoviti e borsiti.

Patologie da sovraccarico funzionale


Queste patologie danno un quadro da microtraumatismo. Ci sono delle strutture che sono
maggiormente soggette al sovraccarico funzionale, queste sono le guaine tendinee e sinoviali, le
giunzioni osteotendinee e i tessuti molli periarticolari; si tratta di tre parti molto importanti del
piede, perché le guaine dei tendini sono quelle all’interno delle quali scorrono i tendini e vanno
incontro a fenomeni infiammatori cronici che si chiamano tenosinoviti (infiammazione della guaina
di rivestimento del tendine): classico caso della signora in sovrappeso con la caviglia gonfia (quindi
anche solo una), in cui questo dolore dura da mesi e non passa mai.
Le entesopatie, invece, sono delle tendiniti distali (una volta si chiamavano anche “distacco
tendineo”, anche se non è un vero distacco), ovvero una sofferenza della zona di contatto tra il
tendine e l’osso, che è una zona ad alto impatto meccanico.
Per quanto riguarda le borsiti, sapete che molte articolazioni hanno delle borse periarticolari (le più
famose sono la borsa pertrocanterica e la borsa subacromiale, ma ci sono delle borse anche a livello
del gomito e del piede).
Tendinopatie.
Quando vengono le tendinopatie? Vengono soprattutto nei casi di over-use dell’arto, infatti vengono
ai tennisti (gomito del tennista, ovvero una tendinopatia soprattutto a carico del muscolo estensore
radiale del carpo), vengono ai maratoneti (a livello dei tendini d’Achille), cioè quando c’è un
sovraccarico funzionale di un tendine, può venir fuori la cosiddetta tendinite. Alcuni studi hanno
rilevato che il 30% di atleti che praticano la corsa può presentare in un certo periodo una
tendinopatia, da sovraccarico meccanico.

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Tenosinoviti.
Le tenosinoviti sono diverse dalle tendinopatie: la tendinopatia è una lesione del tendine, la
tenosinovite è una lesione della guaina che avvolge il tendine. Sono frequenti negli sport di
resistenza e si localizzano al piede o al collo del piede, quindi tendine del tibiale anteriore e
posteriore, estensore comune delle dita, estensore proprio dell’alluce e peroneo lungo.
Le tenosinoviti interessano quasi sempre la zona che sta sotto il malleolo laterale (sinovite tibio-
talare), sul dorso della caviglia e lateralmente; questa zona si può osservare gonfia ed edematosa in
alcuni atleti che fanno sport di resistenza (anche se il prof la riscontra spesso in signore in
sovrappeso che stanno molto tempo in piedi).
Entesopatie.
Le entesopatie sono patologie da microtraumi di più frequente riscontro negli sportivi. L’entesopatia
“classica” (di maggiore riscontro) è quella che troviamo al livello del calcagno, nell’inserzione del
tendine d’Achille, dovuta a stress meccanico e a volte anche a calzature che sono troppo
traumatizzanti al livello della zona d’inserzione del tendine d’Achille all’osso.
Nelle entesopatie abbiamo quasi una neoformazione infiammatoria.
Patologie da sovraccarico del tallone.
[mostra una radiografia, in cui si vedono due osteofiti (anche detti speroni calcaneari, o più
volgarmente “spine calcaneari”)]
Lo sperone calcaneare è una patologia da sovraccarico del tallone associata spesso alla fascite
plantare.

Talalgie.
Talalgia significa dolore in regione calcaneare, che può essere dovuta a tendinopatia dell’achilleo, a
lesioni infiammatorie della fascia plantare, a borsiti retro-calcaneari superficiali, a periostosi
reattiva delle tuberosità calcaneari nella zona d’interesse del tendine d’Achille e della fascia
plantare.
- Periostosi reattiva: si verifica spesso quando le tendiniti sono croniche, ovvero quando non
vengono trattate in tempo, quindi interessano poi anche il periostio.
- Tendinopatia dell’achilleo: viene a chi fa attività sportiva intensiva. È dovuta a sollecitazioni e
sovraccarichi ripetuti secondo linee di forza anti-fisiologiche (una linea di forza è anti-fisiologica
quando si utilizzano calzature non corrette o quando si corre in terreni non corretti, non piani).
- Iperfrizioni microtraumatiche dell’inserzione calcaneare: possono essere la conseguenza di
calzature non adeguate (ad esempio l’utilizzo di scarpe con punte metalliche durante la corsa).
- Fascite plantare: la fascia plantare che ricopre tutte le strutture tendinee e muscolari può essere
soggetta ad episodi infiammatori. L’infiammazione della fascia plantare è una delle cause più
comuni di talalgia, ed è legata anche questa a microtraumatismi che agiscono sulla fascia plantare e
sulle inserzioni calcaneari e metatarsali.
- Borsite retro-calcaneare dell’achilleo: è un altro quadro clinico frequente dovuto a calzature
incongrue e ad anomalie morfologiche del calcagno (quindi si parte da un piede predisposto a
generare questo tipo di borsite).

[Riferendosi ad una slide, parla di “entesite calcifica”, caratterizzata da deposito e calcificazione nel
contesto di un tendine]
Sindrome dell’avampiede.
Per avampiede si intende la zona dei metatarsi. Patologie a questo livello sono più frequenti negli
sportivi che praticano calcio, corsa e salto. Il meccanismo di base è caratterizzato da un eccessivo
carico dell’avampiede, nella fase di impatto e propulsione. I fattori scatenanti sono scarpe

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inadeguate, la presenza dei tacchetti a livello metatarsale (creano un sovraccarico dell’avampiede) e
i terreni duri.
Patologie reumatiche.
In patologie reumatiche infiammatorie, come l’artrite reumatoide, il piede e la mano sono organi
bersaglio (si presentano deformi) e le piccole articolazioni in generale sono organi bersaglio; infatti
quando abbiamo il sospetto di malattia reumatica, se siero-negativa (priva di indici di flogosi),
facciamo la radiografia delle piccole articolazioni per vedere se riscontriamo segni tipici delle
malattie reumatiche. Il tasso di prevalenza delle lesioni podologiche (piede e caviglia), nel paziente
con artrite reumatoide, è del 91% nelle donne e dell’85% nell’uomo. Le lesioni sono direttamente
proporzionali alla durata della malattia.
Una comune alterazione del piede nell’artrite reumatoide è l’alluce valgo, ma possiamo riscontrare
altre alterazioni quali l’alluce rigido (ovvero un’artrosi con una anchilosi articolare dell’alluce),
alterazioni del mesopiede e del retropiede, cavismo ed in seguito piattismo da crollo della volta
plantare con pronazione e valgismo calcaneare e instabilità della tibio-tarsica.
La radiografia del piede e della mano, ci serve per vedere delle zone di erosione ossea, tipiche delle
malattie reumatiche (quindi possibilità di fare diagnosi con la radiografia grazie a queste erosioni).
L’artrite psoriasica può anche dare lesioni a mani e piedi, quindi le manifestazioni possono essere
simili a quelle dell’artrite reumatoide. Nell’ambito dell’artrite psoriasica si possono anche trovare
dattilite (dita a salsicciotto) e il cosiddetto giradito (ipertrofia del tessuto muscolare e connettivale
attorno al tessuto osseo).

Patologie dismetaboliche.
In quest’ambito troviamo anche delle forme “nodulari” a carico del piede, come nella sindrome di
Dupuytren (caratterizzata da retrazione tendinea nella mano e nel piede ed è una sindrome da fibrosi
idiopatica) e nella fascite plantare nodulosa.
Riabilitazione nelle patologie del piede.
La riabilitazione serve, in primo luogo, a ridurre il dolore, ma serve anche a recuperare la funzione
articolare, recuperare l’efficienza muscolare, recuperare la sensibilità propriocettiva e consentire al
paziente di poter tornare a svolgere l’attività lavorativa.
Si utilizzano FANS e analgesici, riposo articolare e le terapie fisiche, che sono: la TENS
(stimolazione elettrica nervosa transcutanea), la Diadinamica, il laser, la tecar, la magnetoterapia.
Queste terapie fisiche sono molto utilizzate nei centri di riabilitazione ed è una disciplina molto
discussa da chi fa fisiatria di ricerca, fisiatria universitaria, perché c’è troppa poca evidenza
scientifica sull’utilizzo di queste apparecchiature; tuttavia, queste apparecchiature sono molto
utilizzate, sono di grande vantaggio per chi le pratica (e non per il paziente) e oggi sono accettate
dalla comunità scientifica, ma a denti stretti.
[Secondo il prof alcune non funzionano, ma quelle più moderne come la tecar, la magnetoterapia,
l’elettrostimolazione, nella pratica clinica hanno qualche risultato, pur non essendoci una evidenza
scientifica “maturata”].
Le onde d’urto sono tra le ultime apparecchiature utilizzate, nascono per le tendiniti calcifiche, per i
ritardi di consolidazione; si vedono degli ottimi risultati con le onde d’urto, ma anche qui non c’è
una letteratura scientifica “matura”.
Cenno sui plantari ortopedici.
Servono o non servono? Anche qui, se ne sono occupate le officine ortopediche, che per quanto
possano essere oneste, hanno pur sempre un target di tipo commerciale.
Distinguiamo:
- Ortesi per il piede piatto: sono delle ortesi che tendono a sostenere, a sollevare, la volta
longitudinale. Nel piede piatto asintomatico può essere utile un plantare con un sostegno di

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ipocorrezione al mesopiede; quando invece il dolore diventa importante è necessario un sostegno
della volta longitudinale ed un cuneo supinatore che stabilizzi il tallone. In altre parole, con il
plantare di sostegno della volta longitudinale solleviamo medialmente il piede piatto (funge da
supporto), poi il piede piatto ha anche un retropiede valgo (il tallone è rivolto verso l’esterno) e
quindi si mette un cuneo supinatore mediale che stabilizza il tallone. Questa è una situazione che
vediamo spesso nei ragazzini, ai quali prescriviamo delle calzature che chiamiamo “conforti, alti e
rigidi”, cioè sono delle calzature un po’ alte, allacciate anche a livello della caviglia (per stabilizzare
la caviglia durante il movimento).
- Ortesi per il piede cavo: il piede cavo ha un problema legato al sovraccarico metatarsale (con
carico eccessivo in avanti), cioè in un piede cavo i metatarsi poggiano troppo sul pavimento, quindi
il paziente di una certa età va incontro ad una situazione cronica e dolorosa (non succede nel
giovane perché l’elasticità dei tessuti e i muscoli suppliscono), per cui si fanno dei plantari di
scarico dei metatarsi che permettono di cambiare il baricentro e si fa poggiare il peso del corpo più
sull’arco longitudinale.
- Ortesi nelle talalgie: nelle talalgie si usano spesso delle ortesi in lattice, di silicone, che
attutiscano il carico e creino meno stretching del tendine d’Achille in fase d’appoggio, perché
avendo un rialzo posteriore, il tendine d’Achille viene meno trazionato, sta più in accorciamento e
quindi si mette parzialmente a riposo.
- Ortesi interdigitali: sono in lattice e servono a distanziare le dita fra loro nei processi artrosici in
cui c’è un accavallamento, una sovrapposizione delle dita. Queste ortesi sono abbastanza scomode
da utilizzare e vengono prescritte specie la notte.
[Oltre alle protesi, anche le calzature devono essere adeguate: devono essere leggere e un po’ alte
per stabilizzare la caviglia]
Ipercheratosi.
Quando visitiamo un piede, dobbiamo anche guardare l’eventuale presenza di ipercheratosi, perché
queste ci danno idea del cattivo appoggio, cioè nel punto in cui il paziente sovraccarica, avrà
probabilmente ipercheratosi. Quindi al di là dell’esame baropodometrico, già l’esame clinico,
vedendo le ipercheratosi distribuite, ci dà idea su qual è la zona di sovraccarico e se dobbiamo
correggere il carico.
Cenni sull’alluce valgo. [In risposta ad una domanda]
L’alluce valgo è una patologia fondamentalmente artrosica di deformità dell’alluce, qualche volta
legata a patologie reumatologiche. Ci sono dei correttori che si usano nelle fasi iniziali, ma che non
hanno molto successo, infatti la patologia progredisce fino a che non si è costretti a fare l’intervento
(non ci sono altre terapie). Se l’intervento si fa in una fase troppo precoce, ad esempio per motivi
estetici, c’è il rischio che l’alluce valgo recidivi (infatti il prof sconsiglia di fare l’intervento
precocemente). Invece un alluce valgo che ha già fatto il suo corso recidiva più difficilmente dopo
l’intervento.
[Non aggiunge altro perché l’argomento è più ortopedico che fisiatrico]
(ho già detto, parlando del programma, che, non alla lettera ma in maniera globale, occorre avere
una buona idea degli argomenti che abbiamo fatto a lezione. Se poi c'è qualche argomento non
trattato mi chiederete materiale, se non lo trovate su altri testi oppure lo trovate facilmente su
internet. Per esempio sulla riabilitazione uro-ginecologica, oncologica, di cui ci si occupa poco, che
però sono argomenti del programma. Mi bastano dei cenni, sapere che cos'è)
Quando ci sono lesioni degli arti si pensa sempre ai legamenti, alle ossa, ai muscoli, ma nessuno
pensa mai ai nervi periferici, i nervi periferici, cioè quelli che attraversano tutto il nostro corpo dalle
corna anteriori del midollo in giù, ma soprattutto quelli degli arti superiori e inferiori sono coinvolti
come le altre strutture, ma è come se non esistessero. Nella nostra pratica clinica non si sente mai
dire che quel paziente ha avuto una lesione del nervo tibiale, una lesione del radiale perché è

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caduto, è più facile sentir dire il paziente ha avuto una distorsione di caviglia, ma nella distorsione
di caviglia c'è anche un nervo in mezzo che non è mai preso in considerazione.
Allora vediamo quali sono le lesioni che più frequentemente coinvolgono i nervi periferici, non
parlo delle lesioni traumatiche: c'è l'uomo che cade si rompe l'omero e insieme all'omero si taglia
anche il nervo radiale: parlo dei movimenti ripetitivi e giornalieri che si fanno nelle attività sportive
o nelle attività lavorative e che creano danni ai nervi periferici proprio per l’eccessivo uso. Per
esempio l'utilizzo della bicicletta a livello professionale o comunque in maniera importante, può
dare lesione al nervo ulnare perché il nervo ulnare passa proprio nella parte di appoggio tra mano e
manubrio. Abbiamo già visto, la scorsa volta, i vari rami del nervo ulnare e quindi non mi soffermo
su questo. Quali possono essere i rami coinvolti, vediamo una carrellata dei vari nervi:
NERVO SOPRASCAPOLARE - il nervo sovrascapolare è un nervo che viene spesso coinvolto
nelle patologie correlate a sport dove il paziente tiene la mano sopra la testa: sono soprattutto la
pallavolo e il sollevamento pesi. E’ un nervo un po' particolare perché ha un ramo che innerva il
muscolo sovraspinato e un ramo che innerva il muscolo sottospinato e poi passa all'interno del
legamento spino-glenoideo. Questo nervo, nei giocatori professionisti che utilizzano molto gli arti
superiori sopra la testa, può andare incontro a una pressione, a una compressione focale e quindi
dare la paralisi del muscolo sovraspinato o del sottospinato. Vedete che qui c'è una zona di ipotrofia
muscolare, in questa spalla c'è un affossamento, un avvallamento, infatti quando c’è una lesione
nervosa periferica c’è una ipotrofia muscolare da non confondere con l’ipotonia muscolare, perché
l'ipotonia muscolare la ho io che non faccio sport da un po' di tempo e quindi mi sento ipotonico
cioè ho meno forza. L'ipotrofia invece è il muscolo che ha perso la sua morfologia normale, è
diventato molto più piccolo, ha perso fibre muscolari perché è denervato, fino a trasformarsi in
tessuto fibroso, perché un muscolo che è denervato per molto tempo perde la sua capacità contrattile
e si trasforma in qualcos'altro, non è più capace di contrarsi.
Nei casi di ipotrofia per lesione nervosa noi vediamo la perdita della struttura del muscolo, quindi
troviamo le zone di ipotrofia che possono essere settoriali, piccole se è un singolo nervo a soffrire,
oppure possono essere generalizzate se sono più nervi a soffrire, per esempio nelle malattie tipo
spondiliti; nelle mielopatie cervicali abbiamo ipotrofia dei muscoli delle braccia, dei muscoli delle
gambe perché c’è una grande quantità di fibre nervose perse all’origine del midollo. Nella lesione
sovrascapolare invece essendo solo il nervo che innerva il muscolo sovraspinato o infraspinato la
ipotrofia la troveremo solo in quella zona.
Oggi ci si aiuta oltre che con l'elettromiografia, anche con l'ecografia dei nervi, io vi parlo di
ecografia dei nervi ma se voi parlate col vostro radiologo di ecografia dei nervi vi diranno che non
la conoscono, non perché non siano bravi ma perché l’ecografia dei nervi è una cosa abbastanza
nuova che si è sviluppata negli ultimi anni. Di questi nervi vediamo soprattutto il diametro e poi
vediamo se c'è una soluzione di continuità lungo il decorso. Vedete qui a sinistra c'è il diametro di
un nervo di una spalla dove c'è una lesione del sovrascapolare, mentre a destra vediamo la spalla
controlaterale e vedete che il diametro dei due è diverso. Andare con sonde a ultrafrequenza per
vedere il diametro dei nervi è una cosa che probabilmente quando voi sarete già specialisti si farà di
routine, ma adesso, soprattutto a Catania, ancora non è diffusa, lo facciamo e lo faccio anche io per
ricerca.
NERVO TORACICO LUNGO – Se noi facciamo sollevare le spalle a un paziente e vediamo che
non c’è stabilità della scapola, se vedete che ha una scapola alata monolaterale (si chiama scapola
alata perché ricorda un’ala) abbiamo la lesione del nervo toracico lungo che si vede spesso nei
soggetti che fanno culturismo, per l'eccessivo uso. Mi piace parlarvi di questi argomenti perché
raramente sentite parlare di traumi dei nervi, sentirete sempre parlare di ossa, articolazioni, muscoli
oppure di neurologia, di cervello ma i nervi periferici sono sempre molto trascurati e siccome è una
cosa di cui mi occupo prevalentemente io mi piace trasmettervi almeno il fatto che esiste una
patologia dei nervi periferici.

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Le NEUROPATIA DEI RAMI DIGITALI, cosa sono i rami digitali, voi sapete che nelle dita della
mano non arrivano rami motori, cioè i nervi delle dita sono solo sensitivi, perché i rami motori che
ci fanno muovere le dite sono nell’avambraccio e sono i flessori e gli estensori. Nelle dita però
arriva qualcosa, arrivano solo rami sensitivi, questi rami sensitivi possono essere coinvolti nelle
lesioni periferiche. Nello sport dei giocatori di bowling, c’è il cosiddetto pollice del giocatore di
bowling, neuropatia digitale del ramo digitale del pollice, infatti oggi si utilizzano molte protezioni
proprio per via delle neuropatie che si vedevano nei giocatori di bowling, ovviamente parliamo di
atleti professionisti.
NERVO ASCELLARE - Il nervo ascellare è un nervo che innerva il muscolo deltoide, invece il
bicipite è innervato dal nervo muscolo cutaneo. Quindi il nervo ascellare innerva il muscolo
deltoide e in alcuni sport è danneggiato. Quando voi avete avete un paziente con una spalla calata e
che fa alcuni sport come la pallavolo o soprattutto sport da contatto, è molto probabile che gli
venga fatta la diagnosi di lesione della cuffia dei rotatori, tendini della spalla, ma non si pensa mai
al fatto nervoso che invece va preso in considerazione. La lesione del nervo ascellare si osserva nei
giocatori di football americano, hockey su ghiaccio, senza traumi o anche senza lussazioni
associate.
NERVO MUSCOLO-CUTANEO - Il nervo muscolo cutaneo che innerva il bicipite, vediamo che
gli sport che causano traumi sono sempre gli stessi, sollevamento pesi, pallavolo, pallacanestro ,
football americano e ci sono vari lavori che hanno descritto questi casi, per esempio ‘neuropatia del
nervo muscolo cutaneo dopo estenuante attività fisica’ per esempio nel sollevamento pesi.
PLESSO BRACHIALE - Il plesso brachiale è un insieme di nervi, sapete benissimo dopo
l'emergenza dalle radici è interessato anche questo negli sport da contatto soprattutto quando c’è
iperflessione laterale del capo, specie nei giocatori di football americano e nei nuotatori
professionisti. Il plesso brachiale è interessato in questi casi per una sindrome che si chiama Outlet
Syndrome o sindrome degli scaleni o sindrome dello stretto toracico, sono tre sindromi molto
simili tra di loro. In inglese ‘outlet syndrome’ è la sindrome dello sbocco, dell’uscita di questo
plesso brachiale che può essere dovuta a molte cause tra cui anche l’ipertrofia dei muscoli scaleni,
è la compressione del plesso brachiale nella zona dei muscoli scaleni, per un’ipertrofia di tali
muscoli che può essere dovuta anche allo sport. Qual è la sintomatologia della sindrome dello
stretto toracico? Siccome viene coinvolto tutto il plesso brachiale ci aspettiamo un dolore
neuropatico, abbiamo spiegato tempo fa la sintomatologia del dolore neuropatico, del dolore
nocicettivo, il dolore neuropatico da sensazione di spilli, elettricità, formicolio, il dolore nocicettivo
invece da un dolore intenso, cupo. Quindi la sindrome dello stretto toracico comprimendo il plesso
brachiale da questo dolore neuropatico all’arto superiore viene spesso scambiato con un'altra
diagnosi viene fatta spesso un errore diagnostico con l’ernia del disco cervicale perché la
sintomatologia è uguale. Va fatta una diagnosi differenziale facendo un’elettromiografia che ti dice
se è la radice o se è il plesso, e poi anche il Doppler perché la sindrome dello stretto toracico può
essere neurogena o non neurogena. Neurogena quando interessa il plesso brachiale e i rami
arterovenosi che passano dalla stessa zona, può anche essere non neurogena cioè interessare solo la
parte vascolare e non interessare il plesso brachiale. La sintomatologia è più o meno uguale perché
una compressione ischemica vascolare ti da comunque una sensazione quasi neurologica di
formicolio anche se è vascolare.
NERVO ANTERO-BRACHIALE LATERALE - Dov’è questo nervo? Nell’avambraccio, laterale,
sono nervi sempre sensitivi. Da una sindrome in chi fa sport che sforza molto il braccio come per
esempio nel windsurf.
NERVO MEDIANO - Il nervo mediano, interessato nei ciclisti ma anche nei musicisti, in tutte le
attività in cui c’è una iperflessione del carpo, tra questi anche i parrucchieri, i barbieri, gli
ecografisti, tutte le professioni in cui c’è una iperflessione del carpo c’è una lesione del nervo
mediano, oppure di uno dei suoi rami che è il nervo interosseo anteriore, ramo motore del nervo

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mediano che innerva selettivamente il muscolo flessore profondo del pollice e dell’indice, quindi il
paziente non è in grado di fare la ‘O’ perché il flessore profondo dell'indice e del pollice è paretico
per la denervazione del ramo, del nervo interosseo anteriore.
IL NERVO RADIALE - il nervo radiale può essere compresso, non stiamo parlando di cause
traumatiche ma di cause da movimenti ripetitivi . Anche qua ci sono vari lavori che dimostrano che
il nervo radiale può essere coinvolto quando c'è una estenuante attività muscolare che vediamo per
esempio nei lavoratori manuali, i ‘manual worker’. Il nervo radiale è un nervo particolare perché
gira a spirale attorno all’omero e poi innerva tutti i muscoli dell'avambraccio, i muscoli estensori
del carpo oltre che il tricipite; quindi in questo percorso a spirale una sindrome compartimentale
può dare la lesione di questo nervo. Quando i muscoli pressano il nervo dà una overuse; si vede nel
motociclismo e si può vedere anche nel culturismo, succede un fenomeno strano cioè lo stesso
muscolo ipertrofico crea una pressione sul nervo.
NERVO PUDENDO - Nei ciclisti, sappiamo che il sellino della bicicletta può comportare fastidi
alla prostata, fastidio agli organi genitali ma non si parla mai del nervo. Il nervo pudendo che avete
fatto in anatomia, innerva buona parte del pavimento pelvico, il muscolo bulbo cavernoso e altre
regioni e può essere compresso e danneggiato da un utilizzo continuo della bicicletta.
NERVO PERONEO - Qui vediamo quello che vi dicevo all'inizio, cioè quando c'è una distorsione
di caviglia si pensa sempre all'osso, al legamento, al tendine ma non si parla mai del nervo, come se
in una distorsione di caviglia non ci fosse anche il nervo a essere stirato, quindi là il nervo peroneo
distalmente è coinvolto nei traumi distorsivi di caviglia e può comportare un danno nel 17% dei
casi. Ecco perché il paziente con trauma distorsivo riferisce anche la sintomatologia neurogena, cioè
formicolio, spilli, addormentamento alle dita del piede legate al fatto che oltre al legamento, oltre al
tendine, ha stirato anche il nervo. Anche prossimamente, alla testa della fibula, il nervo peroneo può
essere intrappolato tra il tendine del bicipite femorale e la testa laterale del muscolo gastrocnemio,
soprattutto in chi sta molto tempo inginocchiato, per esempio ci sono dei lavori, che descrivono i
raccoglitori di fragole, che hanno il nervo peroneo danneggiato, oppure in alcuni sport (kneeboard)
in cui infatti si usano i supporti proprio per evitare la iperpressione del nervo.
Poi ci sono delle lesioni da flessione prolungata, cioè quando un paziente sta molto tempo fermo in
una posizione può avere una neuropatia periferica, questo non viene a un soggetto normale e vigile,
avviene in due condizioni: o in un soggetto in stato di sonno profondo patologico, di coma o
anestesia, vediamo a volte dei pazienti svegliarsi dall’anestesia con la paralisi di un piede, o di una
mano, proprio per la pressione del nervo prolungata senza che il paziente abbia coscienza del
fastidio, quindi non si sposta perché è in anestesia. Lo vediamo anche nei soggetti alcolizzati che si
addormentano, non hanno sensazione del fastidio e quindi hanno la paralisi del radiale, questa
paralisi (paralisi del radiale con mano pendente) infatti è stata chiamata per molto tempo paralisi del
sabato sera, proprio perché si verificava in questi soggetti che si addormentavano in uno stato di
non lucidità per effetti di alcool o droghe e si svegliavano con questa paralisi. E’ stata anche
chiamata ‘paralisi dell’amante’ perché la testa poggiata sul braccio può dare la sintomatologia.
NERVO TIBIALE - La paralisi del nervo tibiale può dare tunnel tarsale, perché parliamo tutti di
tunnel carpale ma esiste anche il tunnel tarsale.
NERVO FEMORALE - Il nervo femorale, che innerva il muscolo femorale, si vede danneggiato
negli sport dove c'è un eccessivo stretching dell'arto.
NERVO FEMORO-CUTANEO - la patologia del nervo femoro-cutaneo è una neuropatia solo
sensitiva della faccia antero laterale della coscia, data da una compressione del nervo femoro-
cutaneo che è un ramo esclusivamente sensitivo del femorale, che da una patologia che si chiama
morbo di Roth o meralgia parestesica; è una Iperalgesia che procura fastidio, dolore nella zona
laterale della coscia data dalla compressione di questo nervo.
NERVO SURLE - Il nervo surale è un nervo che si trova alla caviglia e che spesso è descritto come
nervo danneggiato nel corso di interventi chirurgici alla caviglia, infatti ho scritto: ‘quando non lo

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fa lo sport ci pensiamo noi a fare danni al nervo’ perché ci sono degli studi che dimostrano che
dopo infiltrazione di corticosteroidi nella caviglia o dopo artroscopia della caviglia, si può
riscontrare un danno del nervo surale.
Cosa si fa con un nervo danneggiato? Innanzitutto bisogna vedere se c'è un’integrità della fibra
nervosa. E’ chiaro che se io ho un trauma da sport non mi aspetto che ci sia integrità del perinevio,
della guaina dei nervi, quindi non c'è un'indicazione chirurgica. L’indicazione chirurgica nelle zone
nervose c’è nella maggior parte dei casi quando c'è un danno traumatico e quindi sospettiamo la
lesione, il danno, il taglio del nervo; l'esempio classico è la frattura dell'omero con lo spuntone
osseo che trancia il nervo radiale. Il recupero della funzione dipende dal tipo di lesione, se è uno
stupor del nervo, una lesione neuroaprassica, cioè è solo la guaina mielinica ad essere coinvolta, il
recupero si ha molto velocemente, nell'arco di pochi giorni. Se invece è stata prolungata e oltre alla
mielina, è stato interessato l’assone, il recupero si può avere anche in settimane o mesi.
Dell’elettromiografia abbiamo già parlato.

FISIATRIA 27-11-18

SCOLIOSI

Parliamo oggi della scoliosi dal punto di vista fisiatrico.


Definizione della scoliosi: deviazione longitudinale del rachide con rotazione dei metameri
vertebrali. Che significa l’asse longitudinale del rachide? Io faccio girare il paziente di spalle, uso il
filo a piombo, che è un filo con un pesetto in piombo alla fine che pende in maniera perfetta, e vedo
se questo filo segue la colonna o viceversa come volete vederla voi, o se c’è una deviazione. Se c’è
una deviazione da un lato o dall’altro noi diciamo che la colonna ha una deviazione del suo asse
longitudinale.
Non bisogna confondere la scoliosi con la cifosi, come avete visto in anatomia, perché noi
sappiamo che esistono due proiezioni come nelle radiografie, una antero-posteriore e una antero-
laterale. In proiezione antero-laterale, cioè visto di profilo, sappiamo che ci sono delle curve
fisiologiche: c’è una lordosi cervicale, una cifosi toracica, una lordosi lombare e una cifosi sacro-
coccigea. Queste curve sono fisiologiche se rispettano i gradi della fisiologia, se invece vediamo
che queste curve sono eccessive, cioè c’è un aumento del grado rispetto a quanto noi normalmente
vediamo tra le persone della nostra stessa specie, parliamo di ipercifosi, iperlordosi. Quindi dire
“questo paziente ha una cifosi dorsale” non ha senso perché la cifosi dorsale è fisiologica, siamo
tutti con la cifosi dorsale, la curva cifotica è fisiologica, se invece c’è troppa curva allora lì siamo
nella patologia, così come l’iperlordosi sia lombare che cervicale. A volte ci può essere anche una
cifosi cervicale, cioè la curva cervicale anziché essere in avanti si piega indietro e si ha o una
rettilineizzazione della curva o una cifosi cervicale. Quindi quando si dice cifosi bisogna vedere se è
ipercifosi o no. Per sapere se un soggetto ha una ipercifosi rispetto a una cifosi normale la
misurazione in un primo momento si vede clinicamente, e poi ci sono dei test clinici e radiologici
che ci fanno capire se ha una ipercifosi o una iperlordosi ecc.
Per quanto riguarda invece la scoliosi noi vediamo se questo soggetto ha una curva scoliotica,
quindi se ha per esempio una deviazione della parte lombare con un compenso toracico, se ha una
asimmetria delle spalle, vediamo la differenza fra la cresta iliaca di un lato rispetto all’altro; questo
perché le curve si ripercuotono su questi punti che sono le spalle (articolazioni, clavicole, ecc.) e le
creste iliache. Bisogna differenziare quando noi guardiamo il paziente a parte vedere se c’è
asimmetria delle spalle dobbiamo vedere una cosa che si chiama triangoli della taglia. I triangoli
della taglia non sono altro che quel triangolo che si forma tra le braccia e il tronco. Quindi noi

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facciamo mettere il paziente dritto, di fronte a voi, e poi lo vedete anche posteriormente, e vedete se
questi triangoli che si formano tra braccio e busto sono simmetrici o asimmetrici, quindi se da una
parte il triangolo è diverso, più piccolo rispetto al controlaterale, questa asimmetria è un indice
indiretto, un segno clinico, che c’è una deviazione dell’asse longitudinale del rachide. Quando c’è
una deviazione dell’asse longitudinale del rachide non sempre possiamo parlare di scoliosi,
dobbiamo parlare di atteggiamento scoliotico. Se io per esempio ho un dolore lombare e cammino
storto perché mi fa male la schiena, non si può dire che è il soggetto ha una scoliosi, il soggetto ha
un atteggiamento posturale viziato, o un atteggiamento scoliotico, sarebbe meglio dire simil-
scoliotico. Questo atteggiamento noi lo vediamo fondamentalmente in due circostanze, o quando il
soggetto assume una scoliosi antalgica, che non è la vera scoliosi ma appunto un atteggiamento,
oppure nel ragazzino che cresce stando tutto il giorno sul libro buttato di fianco e poi cammina di
fianco perché ha un atteggiamento scoliotico, o atteggiamento posturale viziato. Questi sono tutti
quadri simil-scoliotici ma non sono scoliosi, la scoliosi è una patologia, tutto il resto sono situazioni
che ricordano questa patologia. Qual è l’elemento fondamentale per cui noi distinguiamo una
scoliosi da un atteggiamento scoliotico? Diciamo che l’intuito, il fatto che il paziente ha dolore, si
mette storto, tutte queste cose, ci arriviamo a naso, non c’è bisogno di essere scienziati, però se il
paziente è storto, non ha dolore, non sta sui libri storto e comunque ha un atteggiamento scoliotico e
vogliamo sapere se ha una scoliosi o un atteggiamento scoliotico, lo sappiamo fondamentalmente da
un dato. Intanto scrivetevi che l’atteggiamento scoliotico si chiama paramorfismo, e invece la
scoliosi si chiama dismorfismo. Se noi vogliamo sapere se questo paziente ha un atteggiamento
scoliotico, cioè uno che si secca a camminare dritto e cammina così perché è “spertu”, oppure ha
una scoliosi vera, l’elemento fondamentale è uno: la rotazione, cioè le vertebre sono ruotate. Quindi
dalla radiografia voi vedete la deviazione del rachide ma anche la rotazione delle vertebre. Quando
c’è la rotazione delle vertebre siamo sicuri che non è un atteggiamento scoliotico ma è una scoliosi.
La rotazione noi clinicamente la possiamo vedere. Qual è l’esempio classico della rotazione delle
vertebre? (Collega dice giustamente: durante la torsione del tronco le vertebre, essendo unite da
anelli fibrocartilaginei, ruotano di pochi gradi l’una sull’altra e quindi hanno l’effetto macroscopico
di una grande torsione). E quindi cosa vedi? Il gibbo, che noi conosciamo scherzosamente perché
porta fortuna, il gibbo che cos’è? Quando questa rotazione delle vertebre avviene nel tratto dorsale
si porta appresso tutta la gabbia toracica, e quindi abbiamo il gibbo che il sollevamento di mezza
gabbia toracica rispetto all’altra. Questa rotazione è sicuramente un segno di scoliosi (dismorfismo)
detta anche scoliosi strutturata, strutturata significa che non è correggibile. La scoliosi non
strutturata è diciamo lo studente che sta sul libro storto e poi si può raddrizzare, va in palestra e si
sente meglio e ha una scoliosi non strutturata correggibile. La scoliosi strutturata invece è lo
studente che sta per anni storto, gli viene veramente un dismorfismo e anche se va in palestra
rimane storto, perché ormai è strutturata. Non strutturato significa che il paziente è nelle condizioni
di mettersi dritto, strutturato significa che il paziente non è nelle condizioni di mettersi dritto, cioè è
strutturalmente in quella posizione.
Una distinzione che oggi va fatta, e su cui vi invito a fare attenzione, è la scoliosi evolutiva
dell’adulto, perché la scoliosi storicamente, se voi parlate coi medici più anziani o con quelli in
pensione, è probabile che vi dicano che la scoliosi è una malattia dell’età evolutiva che viene quindi
ai ragazzini e poi ti rimane per tutta la vita, questo è quello che si sapeva. Negli ultimi anni invece è
emersa una diagnosi che c’è sempre stata ma era misconosciuta, cioè la scoliosi evolutiva
dell’adulto, che spesso è genetica, insorge in età adulta e progredisce nel corso dell’età adulta e
porta ad avere una scoliosi dei soggetti adulti, a volte abbastanza grave. Quindi cosa succede
spesso? Che il paziente viene in ambulatorio, vi dice che ha mal di schiena, vi porta una radiografia,
voi vedete una scoliosi e il paziente vi dice “sì questa è una scoliosi, il mio medico mi ha detto che
però questa non c’entra”, che sarebbe come a dire che se uno di 50 anni ha una scoliosi questa non
c’entra perché è una cosa di quand’era ragazzino ed è finita là. Era vero quando non si conosceva la

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scoliosi dell’adulto. Se uno ha mal di schiena a 50 anni e non ha nessun altro motivo per avere mal
di schiena quella scoliosi può darsi che gli sia venuta adesso, ed è una scoliosi cosiddetta
dell’adulto, mentre la scoliosi dell’età adolescenziale, dell’età evolutiva, è una scoliosi che
normalmente, nella stragrande maggioranza dei casi interrompe la sua evoluzione con la crescita.
Infatti perché i bustini ortopedici si utilizzano fino a una certa età? Perché in genere dopo la fine
dell’accrescimento la curva si arresta. C’è una fase quando l’adolescente cresce velocemente
attorno ai 12-13 anni, in cui c’è la fase più pericolosa di evoluzione della curva, quando c’è la spinta
in alto veloce, perché sappiamo che le tappe dello sviluppo non sono sempre uguali, i ragazzini a 5-
6-7 anni hanno una crescita lenta, poi verso gli 11-12-13 anni c’è una crescita molto più veloce e lì
è la fase della pubertà, anzi immediatamente prepubertà. Se noi volessimo sapere quanto crescerà
ancora questo soggetto per decidere se mettere un busto o no secondo voi c’è un modo per saperlo?
La radiografia del carpo o del bacino.
Allora, andiamo alle noiose diapositive. La scoliosi è una deviazione permanente, ?? e rotatoria del
rachide. Rapporto maschio-femmina 1:20, tridimensionalità, spostamento laterale dei corpi
vertebrali, deformazioni in lordosi e cifosi, rotazione e torsione. Quando c’è una rotazione delle
vertebre c’è anche un coinvolgimento dal punto di vista laterale della cifosi e della cifosi, quindi
non si esaurisce con la deviazione dell’asse longitudinale.
Nel 70% dei casi è idiopatica, sapete tutti che significa, che non c’è una causa quantomeno
conosciuta. La scoliosi infantile le femmine ce l’hanno più o meno uguale come percentuale, mentre
nella giovanile-adolescenziale i maschi sono meno affetti delle femmine come abbiamo detto prima.
Vediamo le cause, nel 30% dei casi la causa è congenita, spesso familiare, e sono dovute a difetti
dei corpi vertebrali. Allora, diciamo che la scoliosi nella stragrande maggioranza dei casi è
idiopatica, cioè tu non hai un motivo per cui c’è, però ci sono dei casi in cui ha una patologia
sottostante. Questi casi sono molto più rari, cioè voi vedrete nella vostra vita professionale 100
scoliosi idiopatiche e 2 o 1 che non lo sono, sto dando dei numeri a caso perché non ho delle
statistiche vere, però per la mia esperienza incontrerete tantissime scoliosi idiopatiche e pochissime
scoliosi di altra natura. Quali sono le altre nature? Paralisi cerebrale infantile, quindi
prevalentemente neurologiche, poi qua c’è scritto anche poliomielite, ma ormai la poliomielite non
la vediamo più da quando c’è il vaccino, è da circa 55 anni che non ci sono casi di poliomielite, i
pazienti miei con la poliomelite hanno tutti almeno 55 anni, non ne ho più giovani, quindi vedere
una scoliosi da poliomelite è un dato storico, non si vede. Poi cause traumatiche, chirurgia, fratture,
sono cose teoriche, non si vedono mai, si vedono le scoliosi idiopatiche e quelle neurologiche ogni
tanto nei pazienti neurologici gravi, quindi pensate al bambino con la paralisi cerebrale infantile
sulla sedia a rotelle, molto probabilmente ha una scoliosi, sia per una questione posturale, ma anche
per una questione di ipotonia, di ipofunzionalità del tronco e questa scoliosi neurologica, che spesso
è grave, coinvolge un po’ anche gli atti respiratori di questi soggetti. Ci sono lesioni centrali a carico
del bulbo, del tronco, delle radici nervose, del sistema vestibolare e delle vie vestibolo-spinali che
possono determinare alterazioni della funzione vestibolare, attenzione a questo passaggio, cioè la
funzione vestibolare, quella dell’equilibrio, può essere coinvolta in una serie di lesioni centrali. Se
c’è un alterato controllo vestibolare c’è un’alterata postura, se c’è un’alterata postura c’è uno
squilibrio muscolare locale e quindi la deformazione articolare; questa è una possibile causa di
alcune scoliosi, cioè la causa riconducibile alle funzioni vestibolari. Un alterato controllo
vestibolare altera la postura, si alterano gli equilibri muscolari e quindi ci può essere la
deformazione articolare. Nelle scoliosi noi dobbiamo distinguere più curve: c’è una curva principale
e poi una curva secondaria, che è una curva di compenso. Quindi noi quando descriviamo la scoliosi
dobbiamo cercare di capire qual è la curva principale e qual è la curva di compenso; di solito la
curva principale è più marcata e più ampia, la curva di compenso è meno marcata e meno ampia; la
rotazione del tratto interessato, se ci sono deformità di singole vertebre, deformazione del torace e

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quindi gibbo, e modificazione degli organi toracici, quest’ultima fondamentalmente nelle scoliosi
molto gravi che danno anche una compromissione polmonare.
La rotazione solitamente interessa soltanto la curva principale. Vediamo le curve principali, sede
delle maggiori alterazioni strutturali delle vertebre, le curve invece secondarie sono nei tratti sovra e
sottostanti la curva principale. Quando noi guardiamo la radiografia di una colonna dovremmo
capire da dove parte la curva e dove finisce la curva. Questo vi serve se farete gli ortopedici, se
farete i radiologi, se farete i fisiatri, se farete i neurologi, se farete i pediatri, cioè cominciate a
capire che la curva non è una curva e basta, questa curva ha una parte principale e una parte di
compenso, che ha un suo inizio e una sua fine. Vi volevo fare vedere un attimo i gradi, ecco vedete,
noi dobbiamo misurare la vertebra in cui inizia e la vertebra in cui finisce la curva principale, vedete
che ci sono queste linee, queste linee che voi dite perché questa linea è tirata là quasi a caso, perché
la curva non è finita là, quella è la curva principale, e noi tracciamo una linea tangente il margine
superiore della prima vertebra e anche dell’ultima vertebra che formano la curva principale, queste
due linee delimitano l’angolo formato dall’intersezione delle perpendicolari e l’angolo di Cobb,
quindi io traccio una linea sulla vertebra da cui inizia la curva principale e una linea sulla vertebra
in cui finisce la curva principale, le perpendicolari di queste linee fanno un angolo, vedete questo è
63°, quest’angolo si chiama angolo di Cobb, in tutto il mondo quest’angolo è conosciuto così, è un
angolo che esiste da sempre, quando io studiavo medicina c’era l’angolo di Cobb e ancora si usa, ed
è un angolo che trasforma in numero, in gradi la curva, cioè anziché dire questa paziente ha una
scoliosi marcata leggera lieve modesta, marcatissima, diciamo questo paziente ha una scoliosi di
63° di angolo di Cobb, l’angolo è fondamentale per sapere che cosa è successo con i nostri
trattamenti, se è migliorato, se è peggiorato, se si deve operare, se si deve fare un bustino, perché
l’indicazione ai trattamenti è relativa all’angolo di Cobb, quindi l’angolo di Cobb non è una delle
mille cose che diciamo a lezione, l’angolo di Cobb è una cosa fondamentale così come la scoliosi,
scoliosi e angolo di Cobb sono due cose molto molto significative perché dire scoliosi senza sapere
l’angolo di Cobb non ha senso. L’angolo di Cobb fino a 30° si considera che la scoliosi è lieve, dai
30 ai 50° la scoliosi è media, e oltre i 50° la scoliosi è grave, la differenza tra scoliosi dà il
trattamento diverso, quindi fino a 30° si fa solo la fisioterapia, da 30 a 50° si fa kinesiterapia più
busto e oltre i 50° kinesiterapia, busto e l’eventuale chirurgia di stabilizzazione, salto se no vi
annoio.
Vi voglio fare vedere i busti. I busti che si mettono nella scoliosi sono dei busti ovviamente non
sempre uguali tra di loro, dipende dalla gravità della curva e dall’altezza della curva, questi che
vedete sono busti classici, negli ultimi anni sono nati anche dei busti nuovi che spesso sono diciamo
l’unione tra due busti diversi, poi ci sono le scuole, c’è una scuola molto importante per la scoliosi
che è a Milano e si chiama ISICO che ha fatto il suo busto, però i busti nel mondo, i principali e gli
storici sono questi. Il busto cosiddetto lionese perché nasce a Lione, si usa nelle curve dorso-
lombari basse. Ogni busto ha una zona di spinta della curva principale e una zona di spinta della
curva secondaria, quindi va spinta da due parti questa curva, è chiaro che il busto noi lo mettiamo
nella fase di accrescimento quando il ragazzino sta crescendo. Allora il busto si mette per
correggere questa scoliosi, si mette in età evolutiva quando il ragazzino sta crescendo, è come un
albero che cresce storto e ci si mette accanto il legno per farlo crescere dritto, il concetto è quello, è
semplice. I busti sono diversi in base alla gravità e anche all’altezza della curva, non sono tutti
uguali.
Poi a volte utilizziamo i busti anche nell’adulto, il busto nell’adulto ha un significato diverso dal
busto nel ragazzino, non mira a correggere la curva, perché non ce la farà mai a correggere la curva,
mira a non farla peggiorare nelle scoliosi evolutive gravi, quelle veloci, quelle che danno dolore,
quindi si tende a stabilizzare questa curva, a renderla rigida. Infatti uno degli errori principali che si
fanno nella scoliosi dell’adulto è chiedere al soggetto di fare ginnastica, di fare fisioterapia, e di
mobilizzare la colonna, e poi si chiede di potenziare i muscolo paravertebrali, cioè ci sono delle

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cose che io nel corso degli anni mi sono reso conto che non erano corrette. Per esempio potenziare i
muscoli addominali e paravertebrali in un soggetto che ha oltre 60 anni è veramente molto difficile,
perché si è perso talmente tanto muscolo che potenziare un muscolo a quell’età è difficile; e poi
anche mobilizzare una colonna con una scoliosi non è giusto, perché se l’obiettivo del busto è
stabilizzare questa curva, cioè renderla rigida per evitare che vada avanti l’obiettivo della
fisioterapia deve essere anche stabilizzare e non elasticizzare, quindi tutta questa ginnastica, pilates,
tutte queste cose che si fanno nelle scoliosi dell’adulto potrebbero non essere correttore perché è
sbagliato mobilizzare una colonna con una scoliosi dell’adulto, va stabilizzata, è sbagliato
elasticizzarla, cioè fare degli esercizi della fisioterapia. Non è che il pilates per esempio va bene per
tutto o la kinesiterapia va bene per tutto, bisogna vedere il paziente che patologia di base ha.
Veniamo ai busti che vi stavo descrivendo. Busto tipo Lionese l’abbiamo visto, poi c’è il busto
cosiddetto Boston, questi sono busti molto utilizzati, ovunque andiate nel mondo ci saranno il busto
Lionese, il busto Boston, poi qualcuno di questi magari vi diranno se chiedete “ma non si usa più da
10 anni”, possibile, io sto dando un’informazione di base, poi ovviamente nei centri in cui si fa
scoliosi magari hanno busti più recenti di questi.
E poi c’è il cosiddetto corsetto Lapadula, che è un corsetto molto alto che si usa nelle scoliosi a
doppia curva. Vedete che ha queste due braccia, questi due supporti in alto, questi servono ad
evitare che il soggetto si cifosizzi, si spinga in avanti; sono delle spinte a livello delle spalle, che
tendono a fare un esercizio di autoallungamento, cioè è un busto che mentre ti corregge ti fa
autoallungare perché queste spinte anteriori ti costringono a stare in autoallungamenteo, e
l’autoallungamento aiuta a mantenere a raddrizzare la colonna, diciamo così.
(Collega chiede: Il busto terapeutico per la scoliosi per esempio in un ragazzino che sta crescendo
quando deve essere fatto e per quanto tempo?) Allora queste cose io non le ho dette perché a volte
mi sembra di dire cose troppo specialistiche, le dico agli specializzandi di fisiatria perché magari a
voi non interessano, però se tu me lo chiedi io ovviamente rispondo: il busto va usato più tempo
possibile nell’arco della giornata, soprattutto nel primo periodo in cui si mette perché c’è il rischio
che appena si toglie il busto si torna nella posizione iniziale, quindi si parte da 24 ore al giorno per
poi passare a un minimo di 18 ore, 16 ore, insomma molte molte ore, il tempo parte dalla diagnosi
di scoliosi, quando il bambino ha fatto la diagnosi di scoliosi da busto fino alla fine
dell’accrescimento. La fine dell’accrescimento non è uguale per tutti, cioè un ragazzino di 14 anni
che si è fatto già 2 metri e che ha un Risser chiuso magari il busto glielo levi prima rispetto a un
ragazzino che ha un ritardo nell’accrescimento e che ha ancora possibilità di crescere; quindi non
c’è un’età, è come l’apparecchio ortodontico, non è che tutti lo levano a una certa età, in base
all’accrescimento; da ragazzini, poi da grandi il discorso è diverso, ovviamente.
Quando noi guardiamo un soggetto con la scoliosi lateralmente dobbiamo notare quattro condizioni,
cioè se c’è un’antiversione o retroversione del bacino, se c’è una prominenza dell’addome, se c’è
un’anteroposizione o retroposizione del tronco, se c’è un’anteroposizione del capo. Quindi se voi
guardate lateralmente un soggetto dovreste sapere quantomeno descrivere la sua postura, non dico
curarla, quello poi se farete gli specialisti nella materia sì, ma almeno descrivere la postura.
Antiversione del bacino figura 1, retroversione del bacino figura 2, prominenza dell’addome,
ipercifosi figura3, la figura 4 è un'anteroposizione del capo e la figura 5 invece è, diciamo, la
normalità, come dovrebbe essere la postura.
Qual è la postura ideale? Ci sono spesso conferenze sulla postura fatte da varie associazioni di
persone che si occupano di training, di attività fisica; la postura ideale non esiste, la postura ideale è
funzionale a quello che noi dobbiamo fare, la postura ideale di una ballerina non è quella di uno
scaricatore di porto, perché la postura ideale è quella funzionale, quella che ci serve a funzionare.
Ma è chiaro che un soggetto che non fa né la ballerina né lo scaricatore di porto dovrebbe avere una
postura senza curve, senza deviazioni dell’asse longitudinale e con delle curve in proiezione laterale
che siano armoniche e senza iper, ipercifosi, iperlordosi.

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Guardando un paziente con scoliosi cosa bisogna andare a vedere:
1. lo slivellamento di una scapola rispetto ad un’altra:
2. asimmetria dei triangoli della taglia (molto frequente , è spesso coinvolta nella scoliosi)
3. strapiombo del tronco rispetto al bacino . (tronco e bacino dovrebbero essere allineati ). si
usa il filo a piombo ,si mette nella nuca si fa scendere dritto e si vede se il centro della
schiena cade sul filo e se soprattutto la linea interglutea cade sul filo.
4. il gibbo che spesso non si vede a prima vista ma facendo chinare il paziente in avanti.
Quindi per vedere il gibbo bisogna far chinare il paziente in avanti.il gibbo è la rotazione
della vertebra che si porta con sé la gabbia toracica.
come si valuta con questo strumento , lo scoliometro che si poggia sulle scapole oppure si
usa il righello sopra le scapole e si misura la differenza di altezza fra righello(si usa un
righello lungo) e scapola mentre il soggetto deve stare fermo.
5. test di Adams: flessione anteriore del busto mantenendo il capo chino le braccia rilassate e le
mani unite.
6. quando la scoliosi è marcata c’è anche l’ipoespandibilità campi polmonari (da un lato
normalmente )
7. angolo di Cob: si prende la prima e l ultima vertebra ( difficili da individuare, sbagliare di
una vertebra non varia l angolo della curva) della curva scoliotica.
Questa è una scoliosi lombare , dorsolombare , dorsale , doppia scoliosi dorsale e lombare. Quello
che dovete vedere è la differenza fra la scoliosi combinata che ha due curve autonome ,60 gradi
sotto e 60 sopra e una scoliosi lombare che ha sopra una curva di compenso che è più piccola ,
meno grave. Mentre quella a destra (immagine)è una doppia curva dorsale e lombare. Poi c’è
quella solo dorsale senza compenso o poco visibile.
domanda :come si distinguono la curvatura di compenso da quella doppia ?quella di compenso è
più piccola e di grado minore, nella doppia le curve sono entrambe grandi.
in base a cosa si sceglie di operare? -1il grado (MAGGIORE DI 50 60 GRADI) e 2-quando c’è
dolore
l intervento è una cosa seria e si può fare fino ad una certa età , quelli anziani con la scoliosi
dell’adulto noN si operano più causa dell’osteoporosi che rende fragile l ‘impianto con viti e c’è
rischio anche di sanguinamento durante l ‘intervento.
-l’indice di Risser serve per le scoliosi in età di accrescimento , e ci dice quanto il soggetto crescerà
ancora. è lo spazio fra cresta iliaca e e la parte dii osso in accrescimento.
da zero a 5 si vede quanto il nucleo di ossificazione è completo.
il grado 5 è quando non si vedono più le diverse parti . in totale ci sono 5 diversi gradi. più il
soggetto deve crescere prima devo intervenire con i corsetti , più il soggetto è grande più la linea è
chiusa meno ho possibilità di successo e meno ho motivo di trattarlo. L’Angolo di Cob se supera i
50 gradi teoricamente c’è l indicazione chirurgica.
l’indicazione ortopedica con corsetto per le curve lombari ,dorsali dorsolombari, corsetto milwoki
per le curve cervici toraciche , di boston per le curve basse.
poi c’è il trattamento fisioterapico riabilitativo,
chinesiterapia sia preparatoria e nei casi in cui non si deve operare,
presa di coscienza tramite rilassamento e respirazione per imparare a usare i muscoli paravertebrali
e per sistemare la postura.
esercizi di autoallungamento e potenziamento muscoli paravertebrali e addominali che deve essere
fatta nei soggetti giovani con scoliosi .in quelli adulti và fatta non la fisioterapia ma stabilizzazione
della colonna con una terapia di supporto isometrica muscolare senza mobilizzazionedeil rachide.
esiste anche la fisioterapia in acqua .

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gli OBIETTIVI sono :
1. correggere la curva
2. attenuare il gibbo costale e il dorso cavo
3. tonificare la muscolatura del tronco
4. favorire una corretta postura
5. migliorare l’elasticità dei tessuti.
la postura flessa o ipercifosi è erroneamente identificata a scoliosi ma no lo è .
si tratta dell’aumento della cifosi dorsale generalmente accompagnata da un accentuata lordosi
lombare. debolezza dei flessori dell’anca e degli addominali bassi.
domanda di uno studente: come faccio a correggere la mia lieve cifosi dorsale —- riposta del prof
—> lavorando gli addominali. perché gli addominali ?per un effetto che hanno su diaframma
influiscono sullo sviluppo della cifosi. potenziamento anche con i pesi per i muscoli delle spalle.

LE IPERCIFOSI
Ha diverse cause:
• quella posturale cioè il bambino che sta curvo, facilmente correggibile.
• quella da morbo di Sheuermann è la forma più frequente (incidenza dall’1 all 8 % della
popolazione)
si tratta di una osteocondrosi dei piatti cartilaginei epifisi superiori e inferiori ,è un ipercifosi
strutturata patologica non da atteggiamento.
differenza fra paramorfismo e dismorfismo : il primo è quando il soggetto è curvo per ipostenia
muscolare chiamato anche dorsocurvo-astenico invece il secondo è la patologia vera e propria.
poi c’è
• la cifosi dorsolombare che è lunga ovvero dorsale fisiologica però scende nella parte
lombare includendo anche L1 E L2 .
questa osteocondrosi si manifesta nei maschi soprattutto, e all’età di 11 12 anni.

per la diagnosi di ipercifosi non basta vedere un ragazzino curvo ma bisogna richiedere una
radiografia e vedere la vertebra cuneizzata di 5 gradi o più. presenza di irregolarità dei piatti
terminali aumento del valore angolare della cifosi , oltre 40 45gradi. e restringimento apparente
dello spazio discale.
perché non è una sofferenza del disco , la vertebra è più bassa anteriormente , e le vertebre
sembrano avvicinarsi.
non ci sono prove scientifiche per un protocollo terapeutico.LEGGE LE SLIDES VELOCEMENTE

queste 2 sono le spinte toraciche che servono tenere il soggetto indietro.


la postura flessa si può avere anche in età adulta che può essere causata da fratture dei corpi
vertebrali oppure da forme asteniche(dorso curvo astenico)
si parla di ipercifosi o cifosi patologica quando l angolo della cifosi dorsale è maggiore di 37 gradi.
LEGGE TUTTI TRATTAMENTI VELOCEMENTE NELLE SLIDES.

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