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Che cos’è la psicopatologia? La psicopatologia è la scienza che studia i disturbi della psiche. Non si parla di
malattia ma di disturbo in quanto la parola disturbo è molto più generica rispetto alla malattia. Di malattia si
parla in tutte le altre branche della medicina. In psichiatria si parla di disturbo in quanto appunto è più
generico. Si procede in questo modo perché in psichiatria i disturbi hanno una etiopatogenesi pressoché
sconosciuta. Si parla di etiologia multifattoriale, di cause molteplici alla base di questi disturbi. In medicina per
alcuni disturbi si conosce bene l’etiologia, la causa di questi disturbi. Psicopatologia è sostanzialmente lo studio
di quella che è la patologia delle principali funzioni psichiche. Lo studio delle alterazioni delle principali funzioni
psichiche.
COMPORTAMENTO PSICOMOTORIO
Il comportamento psicomotorio è una funzione psichica rilevante tanti dei disturbi psichiatrici che noi
conosciamo si rendono visibili proprio a causa delle alterazioni comportamentali che inducono. Se andiamo a
vedere cos’è accaduto nella storia della psichiatria e della psicopatologia nei secoli scorsi si sa che i soggetti
che avevano alterazioni del comportamento erano quelli che venivano segregati, che dovevano essere tenuti
da parte, ecco le origini dello stigma e della segregazione. Quando volgarmente nell’immaginario comune si
faceva riferimento a pazienti psichiatrici si intendevano dei disturbi del comportamento, che erano sottesi al
loro modo di agire. Il comportamento psicomotorio è un elemento importante da valutare all’esame psichico.
I clinici, come molto spesso si può valutare in cartella clinica, tendono a far riferimento alla presenza o
all’assenza di disturbi del comportamento psicomotorio. Quali sono i disturbi del comportamento?
Principalmente eccitamento e rallentamento, cioè il comportamento psicomotorio può essere alterato dal
punto di vista quantitativo: il livello di attività psicomotoria può essere aumentato negli stati di eccitamento
oppure ridotto patologicamente negli stati di rallentamento. L’aumento abnorme dell’attività psicomotoria
connota delle sindromi come l’eccitamento maniacale, quindi l’episodio maniacale o anche alcune sindromi
confusionali organiche. Il rallentamento abnorme dell’attività psicomotoria è invece caratteristica di alcune
sindromi depressive. Si può giungere fino allo stupor o alla catatonia.
STUPOR
Per stupor si intende l’arresto completo sul piano psicomotorio, l’assenza di qualsiasi movimento volontario.
Il paziente è vigile, lucido ma è inaccessibile, mutacico, giace immobile nella sua posizione stuporosa.
Ovviamente se il paziente è stuporoso ne può derivare un intorpidimento delle funzioni psichiche, una
particolare lentezza nei movimenti e una insensibilità. Il 30% dei pazienti che sono reduci da stupor riporta
esperienze allucinatorie o dei veri e propri deliri. Di solito di natura frammentaria. È una situazione
psicopatologica grave.
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CATATONIA
Catatonia è un termine che si sente usare a volte in riferimento al malato. La catatonia non è sinonimo di
stupor, si tratta di uno stato di arresto psicomotorio, il paziente non è cosciente, si ha un’ipertonia muscolare
che solitamente interessa più arti ed è persistente nel tempo. Il soggetto può addirittura presentare una serie
di posture inappropriate e mantenerle molto a lungo. Uno dei sintomi più caratteristici della catatonia è la
flessibilità cerea. La possibilità di andare a manipolare gli arti superiori del paziente con una flessibilità molto
simile a quella della cera. Il fenomeno della flessibilità cerea spesso corrisponde con quello della catalessia. La
catalessia è la possibilità di far assumere al paziente in maniera passiva delle posizioni anche scomode che
vengono poi mantenute a lungo. Queste posture possono essere modellate come la cera. La catatonia
comprende la catalessia e la flessibilità cerea. Questo è un po’ il riassunto della catatonia. La catatonia è una
sindrome complessa, ad oggi nel DSM-V viene descritta da ben 12 sintomi:
- arresto psicomotorio
- catalessia
- flessibilità cerea
- manierismi
- smorfie facciali
- ecolalia
- ecoprassia
- immobilismo assoluto
Il malato catatonico è un malato grave che va immediatamente trattato in pronto soccorso. Si deve
innanzitutto fare una diagnosi che spesso non è facile in quanto spesso il malato è taciturno, non interagisce
con l’interlocutore, giace immobile, non si alimenta, non assume liquidi. Uno dei rischi più importanti della
catatonia è la disidratazione. Il paziente non viene reidratato andrà incontro a delle alterazioni dell’equilibrio
idro-elettrolitico che lo espongono a morte.
All’interno dei disturbi del comportamento psicomotorio possiamo individuare anche il negativismo e
l’automatismo al comando.
Il negativismo è una vera e propria opposizione motoria e psichica a quelli che sono gli stimoli ambientali. Il
negativismo può essere sia passivo che attivo. Passivo è un negativismo per il quale il paziente resiste, si
oppone anche con forza alla mobilizzazione, negativismo attivo prevede che il paziente esegua una azione
contraria all’ordine che viene dato dall’interlocutore o dal clinico.
Con automatismo al comando si intende l’esecuzione di ordini o di comandi senza però che ne venga
considerato o compreso il significato. Esiste addirittura un automatismo da imitazione che si configura come:
Tutti queste caratteristiche di negativismo e automatismo al comando fanno parte della grande sindrome
catatonica che ad oggi nel DSM-V mette insieme ben 12 sintomi.
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DISTONIE E DISCINESIE
Sono anche queste condizioni tipiche dei disturbi del comportamento psicomotorio. Abbiamo la crisi
neurodislettica anche nota come distonia acuta. Con questo termine si intende la contrazione involontaria di
alcuni gruppi muscolari come quelli della lingua e della bocca o anche quelli dell’apparato oculare, in modo
tale che possano configurare delle crisi oculo-gire. Queste crisi sono spesso associati all’utilizzo di farmaci
neurolettici, che si chiamano così in quanto inducono neurolessi, cioè blocco motorio. Questi farmaci
neurolettici che inizialmente venivano somministrati in modelli animali, erano in grado di provocare un blocco
motorio negli animali. Quando si iniziò a somministrarli nell’uomo si vide che potevano causare delle sindromi
neurodislettiche. Cioè queste crisi oculogire. Si possono ancora osservare in malati trattati con alte dosi di
questi neurolettici. Questi tipi di crisi si associano a movimenti di torsione, contorsione del tronco o reazioni
di tipo parkinsoniano. Si parla di reazioni parkinsoniane, non di morbo. La triade Parkinsoniana (tremore, iper-
rigidità, ipertonia muscolare, bradicinesia) si possono osservare anche in queste sindromi simil parkinsoniane.
Questo avviene nei malati che sono ancora trattati con neurolettici classici. Sono di solito disturbi del
comportamento psicomotorio di tipo acuto.
Esistono poi anche dei disturbi tardivi, la cosiddette discinesie tardive. Cosa si intende per discinesie tardive?
Sono dei movimenti di protrusione della lingua e delle labbra, dei muscoli masticatori, dei movimenti di suzione
e sono spesso legati all’utilizzo di farmaci neurolettici per lunga data. Si ha un movimento della lingua
involontario che viene sviluppato a causa del trattamento cronico con farmaci neurolettici. Questo è anche
quello che per molto tempo ha spinto a fare della discriminazione, perché se questi farmaci erano in grado di
produrre questi effetti collaterali, non dovevano essere usati. Oggi noi non dobbiamo ragionare in questi
termini i vecchi neurolettici sono stati in grado di risolvere molti problemi legati alla psicosi. Anche oggi
vengono ancora utilizzati. Il termine farmaco suggerisce dall’etimologia della parola che noi possiamo utilizzare
anche un veleno, è la dose del veleno a fare la differenza. Se la dose del veleno è ridotta abbiamo un rimedio
utile che serve a contrastare problemi disabilitanti e invalidanti come quelli delle psicosi. Se il farmaco viene
usato in eccesso può causare questi disturbi.
Acatisia
Con acatisia si intende l’irrequietezza motoria. Impossibilità a rimanere seduti. C’è una vera e propria
irrequietezza motoria. Esiste una acatisia motoria e una psichica. Pensate quanto penoso possa essere un
senso di acatisia psichica, dobbiamo traslare l’alterazione del movimento in una alterazione di tipo psichico.
L’acatisia psichica è l’irrequietezza psichica, l’impossibilità di fermare i propri pensieri che spesso vanno a
rimuginare tutta una serie di situazioni sulle quali si può fare ben poco. Fanno stare decisamente male il
paziente, complicano la sua qualità di vita e causano una compromissione del funzionamento psicosociale.
Spasmi
Possono essere degli spasmi linguali, dei muscoli del collo, può estendersi anche ai muscoli della schiena e
delle gambe, andando a causare delle posture innaturali. Esiste una sindrome cosiddetta “a torre di Pisa” che
induce nel paziente l’acquisizione di posture totalmente storte dei muscoli della schiena, innaturali. Deve
essere monitorata.
Scialorrea
Per scialorrea si intende la salivazione aumentata. Ad esempio la clozapina, un antipsicotico atipico di seconda
generazione può indurre tra gli effetti collaterali la scialorrea. È un sintomo assai fastidioso e rientra nei disturbi
del comportamento psicomotorio
Stereotipia
È un disturbo del comportamento psicomotorio che prevede una ripetizione meccanica continua e
indipendente dalla volontà di certi tipi di comportamento verbale, grafici, di movimento, di atteggiamento,
palilalia (ripetizione monotona di alcune parole), poligrafia (riproduzione di frasi scritte)
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Manierismi e bizzarie
Erano sempre descritti storicamente all’interno della sindrome catatonica. I manierismi sono delle espressioni
della mimica, verbali, gestuali artificiose, non naturali, quasi caricaturali che si esprimono e compiono in modo
goffo. Non sembrano esprimere particolari sentimenti, possono diventare dei veri e propri movimenti
stereotipati. La bizzarie sono dei comportamenti strani, stravaganti che suscitano incertezza nell’osservatore.
Possono avere dei significati allusivi.
Solitamente tutti questi sintomi si possono osservare all’interno di sintomi di tipo schizofrenico. Fino a poco
tempo fa esisteva un sottotipo della schizofrenia che era il sottotipo catatonico. In questo sottotipo catatonico
esistevano tutte queste alterazioni psicopatologiche e disturbi psicopatologici che abbiamo visto.
Attenzione
Possono esistere anomalie per difetto o per eccesso dell’attenzione. Nel caso del difetto si parla di ipopressia
o disattenzione, nel caso di eccesso si parla di iperprosessia.
In queste fasi del dormiveglia si possono avere delle disattenzioni fino anche delle vere e proprie
allucinazioni, delle percezioni senza oggetto. Sono allucinazioni fisiologiche assolutamente transitorie.
- Anche nella depressione melanconica noi possiamo avere la disattenzione o anche addirittura in
alcune patologie che riguardano l’intelligenza, nei cosiddetti ritardi mentali o insufficienze mentali.
- Ci può essere anche la situazione di apopressia, con questo termine si indica la mancanza completa
dell’attenzione. Questo accade ad esempio negli stati confusionali, quelli che oggi si chiamano
delirium. Quelli che un tempo si chiamavano stati onirici. Cosa significa stato onirico? Significa stato
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sognante. Quando c’è uno stato di confusione mentale il soggetto effettivamente si trova in una sorta
di stato sognante.
MEMORIA
Abbiamo parlato di attenzione e concentrazione, non possiamo non parlare della memoria. La memoria è una
straordinaria attività che, insieme all’intelligenza, fa da sfondo all’attività di pensiero. Il sistema mnesico è
quell’insieme di meccanismi che sottendono i processi mnemonici. Vi sono alcuni contenuti specifici
dell’esperienza che sono depositati nel sistema mnesico e vi sono vere e proprie prestazioni mnesiche,
caratterizzate dalla capacità di ricordare. Come funziona la memoria? Attraverso un processo di fissazione che
permette di registrare alcuni contenuti della coscienza, conservare alcune tracce di questi contenuti e di
aggiungerli ai contenuti di memoria già esistenti. Quindi la memoria di fissazione registra, conserva e aggiunge
i cosiddetti engrammi che sono delle tracce stabili di quello che è stato appreso dall’ambiente esterno. Ci sono
teorie molto interessanti: c’è chi sostiene che noi abbiamo bisogno di dormire proprio affinché vengano
consolidati e fissati stabilmente questi engrammi che abbiamo appreso nello stato di veglia diurna. Questa è
la teoria della neuroplasticità che oggi come oggi riesce a spiegare il motivo essenziale per il quale noi abbiamo
bisogno di dormire: consolidare tutte queste tracce che noi abbiamo acquisito tramite l’apprendimento.
La memoria non è soltanto di fissazione ma anche di rievocazione. La memoria di rievocazione permette di
trarre dal materiale mnesico qualche traccia che sia già stata acquisita, per poi ricondurre alla coscienza i
contenuti. Viene rievocato alla coscienza ciò che è stato già vissuto. Ciò che caratterizza la memoria è la
capacità di riprodurre un certo tipo di esperienza, riconoscerla e localizzarla nel tempo e nello spazio, quindi
rivivere una sorta di passato. Questa è una capacità umana fondamentale che ci permette di apprendere dalla
nostra esperienza. Tutto questo avviene grazie alla memoria.
La struttura cerebrale nella quale accadono la maggior parte di questi processi si chiama ippocampo. È una
struttura cerebrale fondamentale per i processi della memoria.
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si può sviluppare in determinate condizioni, come ad esempio in stati ansiosi, episodi ipomaniacali,
deliranti o stati particolari della coscienza. A volte si poteva apprezzare anche nell’epilessia e
nell’isteria questa ipermnesia transitoria. L’isteria è una nevrosi che oggi è stata smembrata in tanti
altri disturbi all’interno del DSM-V, l’epilessia è una malattia che viene studiata prevalentemente dai
neurologi.
- L’amnesia è l’abolizione della memoria, un deficit mnemonico per lo più circoscritto a un breve
periodo del passato. Esiste un’amnesia lacunare che riguarda alcuni avvenimenti, che ad esempio
hanno seguito un certo tipo di accadimento patologico, in questo caso la si definisce come amnesia
anterograda. Se invece l’amnesia riguarda avvenimenti precedenti lo stesso accadimento si parla di
amnesia retrograda.
Esempi di accadimenti che possono causare amnesia:
o Trauma cranico
o Grave disturbo cardiocircolatorio
o Intossicazione
- Allomnesie delle deformazioni di alcune tracce mnemoniche che abbiamo realmente fissato nella
nostra memoria. Sono dei ricordi incompleti, inadeguati, falsati. Sono delle vere e proprie illusioni della
memoria può essere una situazione tipica della depressione. Nella depressione l’io vive nell’eterno
presente, ci sono pochi contenuti mentali, solitamente con tematiche negative, si ha la rievocazione
in chiave autoaccusatoria e pessimistica del passato. Le allomnesie possono essere presenti anche
nella schizofrenia, in cui viene falsato retrospettivamente il passato. Ad esempio nel paranoico, quello
che nel DSM-V si chiama disturbo delirante, la vecchia paranoia, accade sostanzialmente questo.
Quindi le allomnesie sono delle distorsioni delle tracce mnemoniche e dei ricordi.
- Pseudomnesie sono delle vere e proprie allucinazioni della memoria. Normalmente un’allucinazione
è una percezione senza un oggetto. In questo caso si ha una traccia mnemonica di qualcosa che non
esiste.
Per esempio un falso riconoscimento. Un soggetto ha la percezione di aver già vissuto una situazione
“Dejà vu”, esiste anche un film famoso con questo titolo, oppure la sensazione di aver già agito in un
certo modo “Dejà vecu”. Sono dei veri e propri falsi riconoscimenti, quindi degli errori presente-
passato. Il soggetto sembra rivivere delle situazioni che però non ha mai vissuto. Ogni tanto può
capitare anche in maniera fisiologica di avere queste pseudomnesie, in particolare in condizioni di
stanchezza o turbamento emotivo. Può accadere anche nelle lesioni del lobo temporale (→ patologie
organiche) o addirittura nelle intossicazioni.
- Non ci sono solo i falsi riconoscimenti ma anche i falsi ricordi. Sono disturbi sorretti da un certo tipo di
attività fantastica nella quale esistono difficoltà nel fissare gli engrammi. L’esempio più caratteristico
sono le confabulazioni ma anche quella che si chiama pseudologia fantastica. Con questo termine si
intende una storia epica, gloriosa, messa in piedi da soggetti malati che non corrisponde per niente al
vero. Il soggetto trasforma la propria vita in un artefatto che non corrisponde alla realtà. Questo ad
esempio si apprezza nella sindrome di Korsakov, che è una complicazione della dipendenza da alcool,
in alcune sindromi post traumatiche, in alcuni disturbi deliranti o anche nella stessa depressione. Il
disturbo è trasversale ad altri tipi di disturbi psicopatologici.
INTELLIGENZA
Intelligenza→ l’intelligenza, dal latino intelligentia è composta dalla radice “Lego, Is, Ere” che significa
scegliere, raccogliere. Noi abbiamo una certa capacità o disposizione per la quale siamo più o meno intelligenti
dalla nascita. E abbiamo una certa tendenza a riconoscere o risolvere certi tipi di problemi. È quello che la
moderna neurobiologia definisce come capacità di problem solving. Se io riesco a risolvere certi tipi di problemi
posso agire con la mia capacità di decision making, quindi prendere decisioni, capire quali siano le priorità e
procedere di conseguenza. Questa è una capacità che si sviluppa dalla nascita.
Memoria, linguaggio (riflesso del pensiero) e integrità di alcune funzioni sensoriali come ad esempio vista ed
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udito sono premesse all’intelligenza. Non a caso chi diventa sordo ha un fattore di rischio di sviluppo di
demenza.
Il patrimonio intellettuale è una certa riserva di conoscenze logiche o etiche acquisite e accumulate attraverso
l’esperienza. Vi è una funzione centrale dell’intelligenza che è una sorta di guida selezionatrice che indirizza
l’io verso una funzione di scopo preciso. Quindi quando una persona è più o meno intelligente significa che è
più o meno in grado di stabilire ciò che sia importante e prioritario nella vita di tutti i giorni. Esiste
un’intelligenza pratica e una teorica. L’intelligenza pratica è finalizzata al dominio di quelli che sono gli impulsi
della sfera volitiva e istintuale. Esiste poi un’intelligenza teorica, detta anche astratta che si fonda sulla capacità
di riflessione del soggetto. Si sviluppa con il linguaggio che è lo specchio del pensiero. Ancora oggi noi non
sappiamo se l’intelligenza abbia una dignità di autonomia, cioè se sia una funzione a sé stante o se possa
esistere grazie anche all’esistenza di altre funzioni. Si sa che ognuno di noi usa un certo tipo di intelligenza in
base a quelle che sono le proprie caratteristiche emotive, istintive, morali, ecc.
È difficile incastrare bene le cose, è come se nella mente umana che è assai complessa, queste caratteristiche
si armonizzassero in qualche modo in una maniera sui generis in ognuno di noi, e l’intelligenza si sviluppasse
su questo “incastro” che è avvenuto.
DISTURBI DELL’INTELLIGENZA
I disturbi dell’intelligenza sono: oligofrenie, demenze e regressioni mentali.
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rilevante questo tipo di patologia. Si iniziò a studiarla proprio in quel periodo riprendendo quelli che erano
stati gli insegnamenti dei vecchi clinici, tra cui Galeno.
Dopo le intuizioni del passato arrivarono anche i secoli dell’oscurantismo medievale. Ci furono dei periodi bui
nel medioevo, in cui l’isteria veniva interpretata molto spesso come stregoneria. Esisteva questo libro di
riferimento, che si chiamava il malleus maleficarum in cui venivano descritti i metodi mediante i quali si poteva
rimuovere la fattura di una strega. Ce ne sono alcuni legittimi, altri meno. sono periodi bui nei quali spesso la
malattia mentale, allora definita come pazzia, veniva accostata molto spesso alla diversità e, in quanto tale,
andava estirpata dalla popolazione dei cosiddetti sani. Ci sono dei dipinti di quel periodo che oggi sono
conservati ad esempio al Louvre di Parigi che fanno vedere come esistessero le cosiddette navi dei folli. Le Navi
dei folli erano delle imbarcazioni concepite per portare il più lontano possibile dai sani i cosiddetti folli, i malati,
che andavano posti lontano proprio affinché non riuscissero a contagiare i sani.
Nel 1692 ci potevano essere addirittura in una città come quella di Salem delle cacce alle streghe, molto
sommarie, al seguito delle quali potevano essere accusate, processate e poi impiccate molte decine di
persone.
Si trattò di un periodo di grande oscurantismo, durante il quale per superstizione la patologia mentale aveva
a che fare con la stregoneria, dovendo quindi essere combattuta ed estirpata. In altri casi, come viene sempre
raffigurato molto bene dai quadri di Bosch, nel 1400 si doveva estrarre la pietra della follia dal cervello dei
malati. Questo perché si riteneva ci fosse qualcosa di patologico all’interno e, come tale andasse estirpato.
L’immaginario comune era di grande discriminazione nei confronti dei malati.
C’è un libro di Michelle Foucault che si intitola “storia della follia nell’età classica”, che ripercorre esattamente
i momenti più significativi della psichiatria moderna attraverso il pensiero occidentale.
Durante il medioevo per estirpare la malattia mentale dalla popolazione venivano istituiti i cosiddetti istituti di
segregazione, che non erano altro che lebbrosari, quelli che poi diventarono i lebbrosari in cui confluivano i
malati di lebbra. Il principio era lo stesso: come la lebbra poteva essere contagiosa, quindi si dovevano separare
i lebbrosi dai sani, così si doveva fare con i malati di mente. In seguito questi istituti si evolvono in manicomi,
si arriva quindi ai secoli più recenti. I manicomi in Italia sono esistiti fino al 1978. Erano eredi della stessa tipica
concezione secondo cui bisognava prendere la folta cerchia di persone ritenuta affetta da disturbi mentali e
segregarli, metterli in disparte, cercando di far in modo che non potessero nuocere agli altri.
Dopo i secoli dell’oscurantismo medievale si arrivò in qualche modo al Rinascimento, nel 1600, durante il quale
personaggi come Keplero e Galileo Galilei inaugurarono una nuova epoca, che sarà poi chiamata in seguito
“Età della Ragione”.
Nel tardo 1700 Anton Mesmer sperimentò la terapia magnetica. Era una terapia fondata per lo più su teorie
di tipo astrologico. Al tempo si indagavano molto gli astri per rilevare quali fossero gli auspici più appropriati
dal cielo. Non esistevano i mezzi di intrattenimento che oggi conosciamo, quindi si doveva osservare il cielo. Si
elaboravano anche teorie di tipo astrologico. Una serie di termini traggono la propria origine proprio dagli
astri. Ad esempio la parola “considerare” significa “trarre i migliori auspici osservando gli astri”, “desiderare”
significa “proiettarsi verso le stelle”. Per quanto riguarda Mesmer e le sue teorie si racconta di una “paziente”,
una musicista cieca che riacquistava la vista solo in presenza di Mesmer, questa paziente avvertiva un fluido
misterioso e benefico nelle proprie vene. La tecnica consisteva nel far ingerire alla paziente una soluzione con
polvere di ferro che “circolava nelle sue vene” e qui era quello che noi ad oggi chiameremmo effetto placebo
a svolgere la sua funzione. Questo effetto è stato studiato e compreso solo in epoca più moderna anche grazie
agli studi che vennero fatti da Mesmer stesso. Questa musicista cieca riusciva a riacquistare la vista a causa di
un vantaggio secondario: probabilmente in seguito a suggestionabilità vedeva come suo curante lo stesso
Mesmer.
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Nello stesso periodo alcuni eminenti clinici come Janet concepirono al centro di alcune patologie come ad
esempio l’isteria alcune cosiddette idee fisse. Con idea fissa si intendono dei veri e propri automatismi
psicologici caratterizzati da vissuti parossistici che emergono per una sorta di debolezza della coscienza e
dell’io. Queste furono intuizioni straordinarie che portarono ben presto Janet a essere ampliamente
conosciuto e accrebbero enormemente la conoscenza dell’isteria.
Questo è il secolo degli illuministi francesi, Foucault lo definisce come il secolo dei lumi. Questo perché durante
la Rivoluzione francese si è avuta la straordinaria intuizione di dover ripartire dalla ragione. Studiosi come
Voltaire e Manesche si rifacevano agli insegnamenti di Locke, di Bacon, di Jung e di tutta quella filosofia inglese,
poterono dare vita a un nuovo movimento ideologico-culturale che prese il nome di illuminismo. Sulla scorta
dell’illuminismo, a Parigi emersero clinici come Falret o Baillarger che studiarono la follia circolare, quello che
noi oggi chiamiamo disturbo bipolare. La studiarono a fondo dandoci degli ottimi esempi di quanto potessero
essere malati i soggetti che ne soffrivano e di quanto, nel caso de disturbo bipolare, le malattie potessero
essere interessanti ed efficaci.
Si fa risalire la nascita della psichiatria alla fine del 1700. La si fa coincidere a quando Filippe Pinelle libera i
malati dalle catene. Cioè libera i malati mentali dalle catene nelle quali era legato. Spesso a quei tempi il malato
mentale veniva accostato al delinquente, a colui che in qualche modo si poteva macchiare di qualche tipo di
peccato o delitto per il quale andava rinchiuso. Questa è un’immagine molto emblematica rappresentata
anche iconograficamente in quel periodo e che sancisce la nascita della psichiatria. Il termine psichiatria viene
dal greco e significa cura della mente. Cura dell’anima.
Ci si inizia a interessare ai disturbi psichiatrici. Questi possono essere semplicisticamente suddivisi in nevrosi e
psicosi. Le nevrosi sono le malattie dei nervi. Questo termine venne introdotto da un medico scozzese che si
chiamava Cullen che parlava di queste malattie di nervi che decorrevano senza febbre. Senza febbre perché la
febbre era il classico segno della alterazione organica, le nevrosi non erano da considerarsi patologie
organiche. Le nevrosi sono meno gravi delle psicosi, sono quelle che noi ad oggi definiamo come disturbi
d’ansia. Soprattutto nelle nevrosi non si ha alterazione dell’esame di realtà, nelle psicosi si ha una profonda
alterazione dell’esame di realtà. Cosa si intende per esame di realtà? È la capacità di critica e di giudizio, è la
capacità degli esseri umani di fornire un giudizio critico sulla realtà. Questa capacità viene spesso totalmente
persa nelle psicosi. Esempi nella filmografia come “A Beautiful Mind” o come “Shutter Island” o “Spider”, si
capisce chiaramente che i protagonisti soffrono di una perdita dell’esame di realtà. Il delirio che è un sintomo
che si ritrova spesso nella schizofrenia altera completamente l’esame di realtà.
All’inizio della psichiatria si iniziano a studiare nevrosi e psicosi, si accentua l’interesse per queste patologie.
Gli studiosi più importanti in questo senso sono:
- William Griesinger→ studiò quella che a suo tempo era definita come psicosi unica. Secondo lui tutti
i disturbi mentali discendevano da un unicum, una psicosi che era definita psicosi unica
- Karl Ludwig Kahlbaum→ studiò a fondo la catatonia, fu forse l’autore che la studiò meglio
- Emil Krepelin→ grande padre della psicopatologia moderna, distinse per primo la psicosi maniaco-
depressiva dalla demenza precoce. La demenza precoce è quella che noi oggi chiameremmo
schizofrenia, la psicosi maniaco depressiva è quella che noi oggi chiameremmo disturbo bipolare.
Krepelin distinse le caratteristiche delle due patologie
- Eugen Bleuer→ coniò il termine di schizofrenia nel 1913, parlò di schizofrenia come una parola
derivante dal verbo greco “schizein”, parola che significa scindere, dividere, frammentare il “frenos”,
cioè il cervello. Schizofrenia significa letteralmente mente scissa, mente dissociata.
- Morelle nel 1860 parlò per primo di demenza precoce
- Sander→ nel 1868 parla di sottotipo paranoide della schizofrenia
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- Kahlbaum→ 1868 catatonia
- Hecker→ 1871 definisce ebefrenia
È molto interessante come questi studiosi del tempo rivoluzionino completamente gli insegnamenti a
proposito delle nevrosi e delle psicosi.
Tornando a Mesmer vediamo cosa riusciva a fare questo straordinario clinico a quel tempo: sfruttava la
suggestionabilità della paziente e, dopo aver usato dei magneti, riusciva a far recuperare la vista a questa
paziente che aveva ingerito una polvere di ferro e che avvertiva un fluido benefico scorrere nelle sue vene. Il
metodo si chiamava mesmerizzazione e aveva molto a che fare con una tecnica simile all’odierna ipnosi.
Nel frattempo nelle stanze dei manicomi si consumavano quelle che erano le grandi crisi di agitazione
psicomotoria, non esistevano ancora farmaci per trattare la follia, quindi si avevano dei reparti per grandi
agitati. Nell’arte vengono rappresentati più volte. Ad esempio Signorini rappresenta in un dipinto il reparto del
manicomio di Venezia. Altro esempio è il manicomio spagnolo rappresentato da Goya. Non vi erano dei veri e
propri rimedi alla follia, si cercava solo di contenere il più possibile l’agitazione psicomotoria.
Paradigma psicogenetico
Questo finché arriva la Rivoluzione francese, che spazza via le convinzioni del passato e porta un’epoca della
ragione. Nel 1882 a Parigi, nell’istituto “La Salpetrière” , un istituto nosocomiale che ancora oggi esiste, dove
venivano curati la maggior parte dei malati affetti da isteria. Questa era la più grande struttura del tempo,
ospitava circa 20 mila malati, specialmente malati di isteria. L’iconografia di questo periodo è molto ricca di
rappresentazioni di rimedi per tentare di curare il disturbo. Jean Martin Charcot insegnava e lavorava alla
Salpetrière. Tra gli studenti di Charcot c’erano Freud, La Tourette, clinici molto importanti del periodo, che
tentano di apprendere la tecnica ipnotica dal maestro Charcot. Alla Salpetrière si curava l’isteria grazie
all’ipnosi. L’ipnosi si basava sull’idea che, abolendo un certo stato di coscienza dell’individuo si potevano
andare a individuare alcune memorie del suo passato, memorie che riferivano prevalentemente al suo periodo
infantile, il periodo più delicato della vita, in cui poteva essersi manifestato il trauma. Il trauma per la sua
valenza particolarmente negativa poteva essere stato rimosso all’interno dell’inconscio. Quella che sarà poi la
psicanalisi e che allora era solo l’ipnosi, cercava di andare a recuperare quello che era il materiale rimosso dai
soggetti nell’inconscio. Andandolo a recuperare ne assicuravano una sorta di funzione catartica. Il semplice
recuperare e verbalizzare questi traumi aveva una valenza terapeutica. È così che nasce la psicanalisi, è così
che in quel periodo nasce il paradigma psicogenetico alla base della psichiatria. Cosa si intende per paradigma
psicogenetico? Se la causa alla base della malattia mentale non può essere organica, deve essere per forza
psicogena. Deve derivare dal di fuori del soggetto, deve essere legata al trauma. Sulla scorta del paradigma
psicogenetico nasce la psicanalisi stessa.
Paradigma organogenetico
Il paradigma organogenetico (quello precedente) aveva fallito. Prima che si affermasse il paradigma
psicogenetico, alcuni studiosi sostenevano che alla base delle patologie ci fosse un’alterazione organica.
Questo derivava da alcune evidenze: si era osservato che la sifilide patologia molto diffusa al tempo, provocava
specialmente nelle fasi terminali, un interessamento del sistema nervoso centrale. I malati attraversavano
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diversi tipi di disturbo psicopatologico per poi arrivare a quello che era un decadimento delle funzioni
psichiche, quella che oggi definiremmo come demenza. Se si era scoperto che nella maggior parte dei casi, alla
base vi era l’agente etiologico della sifilide, il treponema pallidum, potevo immaginare che il treponema
pallidum fosse alla base anche di altri disturbi psichiatrici. Non fu un ragionamento che portò grandi risultati,
questo perché esistevano dei malati che non avevano la sifilide ma sviluppavano comunque disturbi
psichiatrici. Non tutti i malati che soffrivano di sifilide attraversavano le fasi prima descritte: alcuni diventavano
subito dementi, altri passavano una fase complessa di disturbi per poi arrivare alla demenza e così via. Il
paradigma organo genetico si rivelò fallimentare, quindi sorse il paradigma psicogenetico. Anche con
quest’altro tipo di paradigma le cose non andarono alla perfezione. Questo perché il paradigma psicogenetico
postulava la presenza del trauma sempre e comunque. Il trauma però non era sufficiente a spiegare l’enorme
eterogeneità dei disturbi psichiatrici. Innanzitutto non spiegava perché alcuni soggetti sviluppassero il disturbo
mentre altri no. Questo è anche uno dei problemi riguardanti la etiopatogenesi che noi oggi ci poniamo per
quanto riguarda i disturbi psichiatrici. Tutto questo era poco chiaro e non si riusciva a capire quale fosse il
livello di predisposizione per il quale certi soggetti in seguito al trauma sviluppavano la malattia mentre altri
no. Quindi anche il paradigma psicogenetico venne presto abbandonato, alcuni continuarono a sostenerlo e
andando avanti la fazione degli psicogenetisti si contrappose sempre di più a quella degli psicoorganisti.
A questo punto siamo agli inizi del 900. È nata la psicanalisi, il paradigma psicogenetico continua ad essere
sostenuto da alcuni ma ancora non abbiamo un’effettiva cura per quanto riguarda questi disturbi. Nella prima
decade del 1900 iniziano a uscire studi su quelle che sono le terapie fisiche:
- Malarioterapia
- Insulinoterapia
- Lobotomia
Metodi un po’ grossolani di trattamento dei disturbi psichiatrici: si introducevano delle tossine o il plasmodio
falciparum (agente etiologico della malaria) nei soggetti con disturbo psichiatrico. Questo affinché la febbre
che ne derivava potesse spegnere il disturbo stesso. Questo principio fu adottato per un po’ di tempo. Si passò
poi agli shock insulinici. Nel film “A Beautiful Mind” il protagonista viene curato mediante shock insulinici: si
inducevano delle ipoglicemie così massive nel paziente da poter annullare la sintomatologia psicopatologica.
Si arrivò a intervenire chirurgicamente in alcune forme di malattia assai difficili da gestire con la cosiddetta
lobotomia. Nel film “Qualcuno Volò Sul nido del cuculo” si fa vedere bene come nelle forme di follia estrema
si ricorresse a questa tecnica di terapia chirurgica per la quale si avevano anche degli importanti residuati nel
senso delle alterazioni cognitive indotte. Si avevano tutta una serie di metodi grossolani. Nei manicomi si
faceva ancora riferimento alle docce di acqua gelata, le camicie di forza, tutta una serie di mezzi fisici per
contenere la follia. Esistevano solo queste tecniche per aiutare i pazienti psichiatrici e arginare i loro livelli di
follia.
È in questo periodo che alcuni studiosi (Bini, Bazzi e Cerletti) si mettono a studiare l’elettroshock, terapia che
consiste nell’indurre della corrente elettrica all’interno di specifiche aree cerebrali così da ridurre la
sintomatologia dei disturbi psichiatrici. In questo modo si cerca di curare alcuni disturbi come le forme gravi
di schizofrenia, catatonia, gravi forme di depressione inibita. In alcuni malati si nota effettivamente un margine
di miglioramento. L’elettroshock esiste ancora oggi, è poco praticato in Italia ma è una terapia ancora
riconosciuta ufficialmente. Terminata l’era delle terapie fisiche aggressive nei confronti dei disturbi psichiatrici
emerge la grande rivoluzione che porta al di fuori dei manicomi i pazienti psichiatrici. Questo è possibile grazie
alla rivoluzione farmacologica. Nel 1952 viene scoperto il primo farmaco in psichiatria: la clorpromazina. La
scoperta avviene involontariamente nella ricerca di un farmaco anestetico. All’improvviso si scoprì che aveva
incredibili capacità di tipo sedativo. I reparti dei grandi agitati si trasformarono in reparti in cui si poteva parlare
con i pazienti per la prima volta dopo decenni. Pazienti che erano mutacici da decenni cominciarono ad
esprimere la volontà di essere dimessi dall’ospedale. Di lì a poco sarebbero stati messi in commercio i primi
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antipsicotici neurolettici, sarebbero nati i primi antidepressivi della storia (depressori delle MAO), sarebbero
state messe in commercio le benzodiazepine ecc. I farmaci rappresentarono una modalità unica di approccio
alla follia, un rimedio importante per gestire le gravissime fasi di agitazione psicomotoria e la possibilità di
un’ottica per la prima volta non solo repressiva ma anche riabilitativa nei confronti della psichiatria.
Siamo però ancora negli anni ’60, all’interno dei manicomi. Negli anni ’70 inizia l’opera del grande studioso
Franco Basaglia che con le sue prime opere di lotta nei confronti delle alienazioni che vengono condotte
nell’ospedale manicomiale di Trieste. Pian piano i principi dettati da Basaglia vengono sposati ideologicamente
anche in ambito sociale, il movimento ideologico e rivoluzionario di quel periodo culmina nella legge 180
Basaglia del 1978, si iscrive all’interno della legge che istituisce il SSN che è la 833. Si ha un passaggio storico
che porta ad abolire in Italia i manicomi. La follia inizia ad essere gestita al di fuori dei manicomi, all’interno
dei dipartimenti di salute mentale, che sono sparsi ancora oggi nel territorio. Esiste il centro di salute mentale
che è il cuore del dipartimento, dove oggi ancora vengono visitati i pazienti psichiatrici nel territorio. Esiste il
luogo del ricovero che viene istituito nel SPDC, servizio di diagnosi e cura, ne abbiamo uno al San Martino ad
esempio, dove vengono ricoverati i malati gravi, ingestibili sul territorio. Ci sono sparsi sul territorio i reparti
psichiatrici e una serie di strutture come i centri diurni, le comunità terapeutiche, le case-famiglia che
diventano parte integrante del dipartimento di salute mentale.
È proprio in questi anni che va ad affermarsi una rivoluzione nell’ambito della psichiatria: è quella legata alle
tecniche di neuro-imaging. Queste tecniche consentono per la prima volta di visualizzare il cervello in vivo. In
passato si potevano fare solo studi anatomici post-morte. Soggetti che avevano sofferto di disturbi psichiatrici
venivano sottoposti ad autopsia dopo la loro morte e venivano rilevate alterazioni anatomo patologiche.
Esistono ancora oggi questi studi, ma sono stati fortemente arricchiti dagli studi di neuro imaging. È proprio il
neuro imaging che inizia a mostrare la presenza di aree cerebrali disfunzionali nei nostri studi. Ancora oggi
queste tecniche stanno accrescendo le nostre conoscenze e ci stanno mostrando come vi siano delle
alterazioni in ambito neuroscientifico che riguardano l’espressione dei disturbi psichiatrici. Questa è l’altra
grande rivoluzione che permette di stabilire quanto sia stato importante l’avvento del neuroimaging anche
per la psichiatria e quanto questo abbia effettivamente contribuito alla delucidazione riguardo le cause
sottostanti la malattia. Ovviamente le cose non sono facili e non sono del tutto risolte. Ancora oggi alla base
di queste patologie esiste una multifattorialità.
All’origine delle malattie mentali si può individuare un modello stress-diatesi. Per diatesi si intende la
predisposizione, la vulnerabilità alla malattia. Questa viene ereditata mediante la genetica e in parte viene
acquisita attraverso l’epigenetica. Questa vulnerabilità non può esplicarsi da sola, va esacerbata dai fattori
stressanti. Ovviamente con un certo livello di predisposizione lo stress attiverà la vulnerabilità, se non lo si ha
la malattia non si svilupperà mei. Il problema attuale sta nel quantificare la vulnerabilità. Sappiamo che esiste
perché esiste in tutte le branche della medicina, il problema è che noi non siamo in grado di quantificarlo. Se
fossimo più bravi da questo punto di vista saremmo in grado di identificare meglio le forme morbose che
costituiscono i nostri disturbi e anche la loro causa, quindi impostare delle linee di intervento più specifiche.
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Psichiatria e psicopatologia
La psicopatologia è la descrizione di quello che è il funzionamento abnorme delle attività psichiche. Mentre la
psichiatria studia l’uomo con determinati abnormi comportamenti patologici, la psicopatologia si occupa
dell’abnorme psicopatologico. Mentre la psichiatria considera l’uomo nella sua interezza affetto da vari tipi di
disturbi, la psicopatologia è lo studio della patologia delle principali funzioni psichiche. Ne discendono diversi
tipi di disturbi psicopatologici.
Un’antica definizione data dal Sarteschi e Maggini, uno dei più importanti libri di psicopatologia del 1982, in
cui si sottolinea che il rapporto che si pone tra psicopatologia e psichiatria è lo stesso che si pone tra patologia
generale e clinica medica. Mentre la psichiatria si occupa dell’uomo psichicamente abnorme la psicopatologia
si occupa dell’abnorme psichico.
Tutto questo avviene attraverso una tecnica che si chiama semeiotica. La semeiotica in psichiatria è la stessa
semeiotica della medicina, va alla ricerca del cosiddetto Semeion, il segno, il suffisso iche significa “relativo a”.
Quindi la semeiotica è letteralmente tutto ciò che è relativo al segno. Noi potremmo dire tutto ciò che è
relativo al segno e al sintomo, perciò l’insieme dei segni e dei sintomi costituisce la sindrome. In psichiatria
attraverso l’esame clinico riusciamo, sfruttando quello che è il contatto verbale e quello non verbale del
soggetto, a venire in contatto con la sindrome e a riconoscere la sindrome in base al nostro background, la
nostra esperienza clinica. Questo è il processo che nell’ambito clinico identifica la sindrome. Ci sono due tipi
di strumenti di rilevazione. Mentre in medicina lo strumento di rilevazione principe è quello obiettivo che va
alla ricerca dei segni, in psichiatria ci sono 2 strumenti di rilevazione che sono quello oggettivo e quello
soggettivo. Quello oggettivo va alla ricerca dei segni, quello soggettivo ha a che fare con un immedesimarsi,
un mettersi nei panni dell’altro, un sentire-patire insieme all’altro e che consente di trarre delle ottime e delle
valide conclusioni, soprattutto nel caso delle nostre malattie.
Cosa si rileva al colloquio? Noi abbiamo dei dati che sono rilevabili dalla semplice osservazione, che sono quelli
relativi a:
- Aspetto→ ad esempio nel soggetto depresso può essere molto trascurato, che ha una scarsa cura di
sé e del proprio aspetto personale. Può essere altrettanto trasandato nello psicotico. All’opposto può
essere molto curato nel soggetto ipomaniacale o maniacale. In questi casi è eccessivamente legato al
dettaglio.
- Espressione→ può essere atteggiata alla perplessità se si parla di stati d’animo predeliranti. Può essere
decisamente atteggiata alla tristezza nel soggetto depresso. Può essere un’espressione del volto
sostanzialmente molto mobile tipica del maniacale.
- Atteggiamento→ può essere più o meno sintonico nei confronti dell’interlocutore, quindi più o meno
aperto, oppure un atteggiamento sospettoso e diffidente nella vecchia paranoia (disturbo delirante
nel DSM-V).
- Comportamento e attività psicomotoria→ può essere di vario tipo: completamente inibito in alcune
forme di depressione endogena oppure può essere accelerato nel maniacale.
Dati rilevabili dal colloquio, hanno a che fare con le funzioni psichiche:
- Eloquio
- Coscienza e orientamento
- Percezione
- Affettività
- Ideazione
- Attenzione
- Memoria e intelligenza
- Volontà
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- Capacità di critica e di giudizio
Tutte queste funzioni compongono il cosiddetto campo di coscienza. Possiamo renderci conto di alcune
alterazioni. Parlando con il depresso ci sarà un eloquio rallentato, accelerato nel maniacale. Ci potremo
rendere conto del soggetto più o meno confuso se c’è una alterazione quantitativa dello stato di coscienza,
alterazioni della senso percezione di natura assai diversa, quelle più importanti sono da falsamento delle senso
percezioni. Abbiamo l’affettività, diversi tipi di disturbi. La capacità di critica e di giudizio è fondamentale in
quanto rappresenta una delle capacità che costituiscono il cosiddetto esame di realtà che viene ad alterarsi
nelle psicosi.
Cosa fa il clinico? Innanzitutto rileva il segno e il sintomo in superficie collegandoli poi ad altri sintomi,
stabilendo quindi delle connessioni tra questi tipi di sintomi. Tutto questo può essere fatto sia in superficie che
in profondità. In profondità possiamo in qualche modo avere diverse implicazioni di tipo patogenetico e
interpretativo. Colui che ha importato il metodo principe della medicina applicandolo anche alla psichiatria è
Emil Krepelin, nato nel 1856 e deceduto nel 1926, si tratta di un clinico straordinario che riprese l’antico
aspetto della concatenazione dei sintomi puntando l’attenzione su quella che era l’evoluzione della patologia.
Krepelin suggerì che si dovessero studiare le modalità di esordio, di evoluzione, di decorso del disturbo.
Andando così a prescindere da quella che fosse la rilevazione anatomopatologica e neurofisiologica del
disturbo. Lo stesso Krepelin sosteneva che fossero insufficienti (allora come oggi) per classificare i disturbi
mentali. Riprese questi principi dalla medicina e li riapplicò alla psichiatria.
Questo è molto importante, vediamo le differenze fondamentali tra diagnosi psichiatrica e diagnosi medica:
mentre in medicina abbiamo una prima rilevazione di segni e sintomi e, come in psichiatria, possiamo arrivare
a una prima ipotesi diagnostica, poi però in medicina abbiamo una verifica che è legata a un esame strumentale
di laboratorio che di solito va a convalidare l’ipotesi che abbiamo fatto, in psichiatria si ha la valutazione del
comportamento del soggetto. È una valutazione decisamente più empirica. Mentre in medicina si ha la
conferma della diagnosi, in psichiatria di solito la verifica della diagnosi è molto dubbia perché si basa sulla
valutazione del comportamento e non su un esame oggettivo come un esame strumentale o di laboratorio.
Ne discende che mentre in medicina si stabilirà una linea di intervento abbastanza specifica, verificabile nella
sua efficacia, in psichiatria si metterà in atto un tipo di intervento sufficientemente specifico e poco verificabile
in termini di efficacia. Ci si rende immediatamente conto che le diagnosi in psichiatria saranno
immediatamente descrittive, che usano la descrizione, anche se molto accurata, di segni e sintomi. Le diagnosi
in medicina invece si fondano su altri principi.
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si può utilizzare la metafora del grande palcoscenico in cui sono inclusi tutti gli attori del palcoscenico, quindi
non solo l’attore principale che è l’io, ma anche gli attori secondari come la senso percezione, il pensiero,
l’affettività, il comportamento psicomotorio, la memoria, l’attenzione, l’intelligenza. In parte abbiamo
affrontato i disturbi di queste funzioni psichiche, invece in psicopatologia dobbiamo affrontare gli altri disturbi
psicopatologici importanti. La prima attività, la prima funzione psichica che può risentire di questi disturbi è la
coscienza.
COSCIENZA
“L’organizzazione della vita psichica e il senso più o meno coeso del sé si fondano sull’esperienza vissuta in un
dato momento (Erlebnis)”.
La vita psichica si fonda su tutto quell’insieme di fenomeni psichici (percezione, fantasia, pensiero, impulsi,
umore) che contribuiscono a formare il campo di coscienza attuale.
In ogni momento ciò che pensiamo, immaginiamo, ciò su cui riflettiamo, corrisponde a una data esperienza
vissuta, che è più o meno ordinata, organizzata, chiara, in relazione allo stato e alla chiarezza della coscienza.
Lo strumento con cui l’Io cosciente si mette in comunicazione con il mondo esterno è rappresentato dal
processo percettivo; l’atto percettivo ci mette in contatto con la realtà, ordinata dall’orientamento attuale
della coscienza e dall’ampiezza del suo campo.
La coscienza rappresenta lo stato di autoconsapevolezza e di percezione dei propri sentimenti e del proprio
pensiero; basato sulla lucidità del sensorio (stato di coscienza).
➔ Dal punto di vista neurofisiologico, la coscienza si struttura come il risultato di attività neuronali
complesse, che sfruttano circuiti di trasmissione centro-periferia, con riconoscimento progressivo
delle percezioni, conservazione delle tracce di eventi, consapevolezza attraverso l’Io, di ciò che avviene
e integrazione degli eventi in schemi ideo-verbali.
La coscienza dischiude l’Io alle seguenti fondamentali operazioni di rapporto con il reale:
3. Situa nel presente il soggetto, tra il ricordo del passato e il desiderio del futuro.
Il processo che consente di svincolarsi dalla coscienza attuale e riflettere su sé stessi, sui propri sentimenti,
pensieri e di prendere posizione nei loro confronti viene definito autocoscienza (o coscienza obiettivata) ed è
il fondamento della continuità esistenziale della persona che opera, giudica, sceglie, diviene artefice del
proprio mondo.
➢ Campo di coscienza: l’insieme degli elementi contenuti in un dato momento nella coscienza.
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➢ Vigilanza: funzione fisiologica (stato di coscienza ottimale) che induce aumento o restringimento del
campo di coscienza. Oscilla in base a diversi elementi es: fatica.
➢ Stato di coscienza: continuum degli stati di attivazione (legata alla vigilanza) regolata da sistemi
modulatori di facilitazione o soppressione. Si riferisce al livello di coscienza presentato da un pz in una
certa condizione. Dal punto di vista neurologico è caratterizzata da: vigilanza e consapevolezza (di sé
e dell’ambiente esterno). Es: in assenza di consapevolezza ma presenza di vigilanza il soggetto segue
normalmente il ciclo sonno-veglia, ma quando è sveglio risulta essere alienato dal mondo esterno (NO
contatti). La vigilanza manca per esempio in caso di coma.
Per Jaspers, grande psicopatologo degli inizi del 1900, la coscienza è l’esperienza vissuta in un determinato
momento. La vita psichica intera fa riferimento a questo. Tutte le funzioni che noi abbiamo osservato
compongono il campo della coscienza. In ogni momento quello che pensiamo, quello che immaginiamo, quello
su cui riflettiamo, corrisponde a un’esperienza che viene vissuta all’interno del campo di coscienza. Il processo
percettivo, la senso-percezione, è ciò che ci consente di venire in contatto con il mondo esterno, che
rappresenta lo strumento che viene in contatto con la realtà. La realtà che viene ordinata all’interno della
coscienza secondo una certa ampiezza del campo di coscienza. Dal punto di vista neurofisiologico la coscienza
è difficilmente definibile. Ci hanno provato in molti, la coscienza si è cercato di definirla sul piano storico,
filosofico, anche matematico e fisico. La neurofisiologia si approccia secondo un’ottica neurobiologica alla
coscienza. Secondo la neurofisiologia la coscienza è un insieme di attività neuronali complesse. Quello che
possiamo vedere è una definizione sul piano neuro fisiologico da questo punto di vista. Sul piano fenomenico,
come afferma Gaetano Benedetti, grande psicopatologo di inizio 900, la coscienza si fonda su 3 principi:
La coscienza è una funzione integrativa complessa che può ordinare l’esperienza sensibile nel tempo e nello
spazio. Uno degli attributi fondamentali della coscienza è lo stato di veglia. la cosiddetta condizione necessaria
e sufficiente affinché si manifesti la coscienza. L’attenzione è quella che consente di selezionare uno specifico
contenuto del campo di coscienza che permette di selezionare che emerge su tutti gli altri e assume un certo
particolare grado di nitidezza. Il campo della coscienza si identifica come uno sfondo generale in qui sono
presenti in maniera più o meno chiara i contenuti del campo di coscienza.
La coscienza si articola con tutti i suoi diversi fenomeni psichici e li organizza, li attiva, conferisce loro forma e
struttura unitaria. Il processo che permette di svincolarsi dalla coscienza attuale per poi riflettere su sé stessi
è l’auto coscienza. L’autocoscienza può considerarsi lo stato di auto consapevolezza. Per dirlo con le parole di
Cartesio Cogito ergo sum, penso quindi esisto. Qui il concetto è che l’io, cioè l’attore principale di questo
palcoscenico, riesce a pensare, ad essere cosciente di sé stesso e questo non è altro di tutto ciò che garantisce
la continuità esistenziale della persona, che quindi diventa artefice del proprio destino. Quando si parla di
coscienza spesso ci si riferisce anche a quello che i vecchi clinici identificavano come il sensorio. Il sensorio è
la coscienza che si distingueva per i classici attributi di lucidità e vigilanza. Una delle prime cose che si trovano
in cartella è se il soggetto appare vigile e lucido, orientato. Sono gli attributi fondamentali della coscienza.
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Un’interessante rappresentazione schematica di ciò
che è appena stato spiegato: in A vediamo dei
mattoncini che sono ben legati tra di loro e
rappresentano gli elementi dell’attività psichica in B
si ha la cosiddetta funzione di controllo. Quello che
accade fisiologicamente è un’attività regolatrice da
B verso A. Sono le linee gialle. Le linee blu sono
attività di riconoscimento di quelli che sono gli
elementi dell’attività psichica: le linee blu sono
quelle che consentono di distinguere tra realtà e
fantasia.
Quando la coscienza è integra e funzionante distingue l’esperienza in soggettiva e oggettiva, distingue il mondo
immaginario da quello reale, situa il soggetto nel presente a cavallo tra il ricordo del passato e il desiderio del
futuro.
La vigilanza è una funzione fisiologica fondamentale del campo di coscienza. Può oscillare in varie situazioni. Il
campo di coscienza è l’insieme degli elementi della coscienza. I contenuti di coscienza sono gli elementi
coglibili attraverso introspezione. Lo stato d coscienza è un continuum di stati di attivazione di facilitazione o
di soppressione.
Tutto quello che noi sappiamo della psicopatologia noi lo dobbiamo come già detto a Karl Jaspers, medico e
filosofo esistenzialista tedesco, dopo aver intrapreso gli studi di diritto capisce che la sua strada è un’altra, si
laurea in medicina con una tesi dal titolo ”Nostalgia e crimine” . Diventa docente in psicologia, subito dopo
ottiene la cattedra di filosofia già nel 1921. La cosa straordinaria di Jaspers è che scrive nel 1913 il libro “La
Psicopatologia Generale” che rappresenta la pietra miliare della psicopatologia e nella quale sono contenuti
buona parte degli scritti che ancora oggi.
Non esiste solo il campo della coscienza ma anche la coscienza dell’io, cioè la coscienza dell’attore principale
del grande palcoscenico che abbiamo delineato. La coscienza dell’io è il modo tramite i quale l’io è consapevole
di sé stesso che sono quelli che consentono di distinguere la realtà dalla fantasia, l’io dal non io. Esistono poi
gli attributi fondamentali dall’io che sono:
- attività→ è quell’esperienza che connota come propri eventi psichici, è anche definita
personalizzazione. È quel livello che permette di personalizzare i miei vissuti, si identifica con il
dinamismo. Non può esistere l’io se c’è stasi.
- unità→ è la percezione dell’io come uno
- identità→ qualità dell’io di percepire sé stesso sempre uguale
- contrapposizione al mondo esterno→ se funzionano tutti e 3 i primi attributi l’io si può contrapporre
al mondo esterno
depersonalizzazione
Può capitare che gli elementi dell’io si possano destrutturare. L’elemento più caratteristico che connota queste
alterazioni è il senso dell’estraneità. Questi disturbi caratterizzati dall’estraneità possono riguardare l’io
psichico, l’io somatico e l’io con il suo rapporto con la realtà. Questo tipo di disturbo veniva chiamato da Jaspers
depersonalizzazione, da Schneider esperienza di estraniamento. La depersonalizzazione si distingue in:
- auto-psichica→ è un senso di estraneità riferito a sé stessi e alla propria interiorità. Il soggetto riferisce
di sentirsi come se stesse recitando una parte, non fosse veramente sé stesso. Il “come se” iniziale ci
orienta verso l’individuazione di un disturbo della coscienza dell’io. Autos, dal greco verso sé stesso.
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Al soggetto sembra di vivere automaticamente. Questo tipo di depersonalizzazione si può apprezzare
durante le fasi iniziali della schizofrenia, le cosiddette fasi prodromiche della schizofrenia. Può
coesistere con quella che è la Wastimmung che, per gli autori tedeschi, è lo stato d’animo atteggiato
alla perplessità
- somato-psichica→ è un senso di estraneità riferita al proprio corpo o a parti di esso. Il paziente
riferisce che “è come se il corpo non mi appartenesse/ questa non fosse la mia faccia”. Questo disturbo
si può osservare in alcune intossicazioni da sostanze o anche in alcuni disturbi alimentari. Ad esempio
nel disturbo da dismorfismo corporeo risulta estranea una parte del proprio corpo. Questo solo per
fare esempi di come questi disturbi si presentino in ambito psicopatologico a vario livello.
- allo-psichica (derealizzazione)→ si caratterizza per un sentimento di estraneità nei confronti della
realtà esterna:” tutto mi sembra strano, come se fosse diverso dal solito” addirittura “come se tutto
ciò che ho intorno fosse finto”. Questo tipo di disturbo si apprezza come criterio diagnostico specifico
all’interno di quello che è noto come disturbo da attacchi di panico. Quindi una nevrosi, nevrosi di
panico, che è ciò che nel DSM-V è stato ribattezzato come disturbo d’ansia.
Tolstoj in Anna Karenina ha descritto molto bene, ancora prima della psicopatologia, la sindrome da
depersonalizzazione auto psichica. Il dramma di Anna Karenina, così come quello di Madame Bovari che viene
descritto nell’800 nasce dall’interrogativo riguardo a cosa accade quando ci si innamora, appartenendo all’alta
borghesia o essendo già magari sposati, di qualcun altro, nascono questi drammi che spesso si concludono in
maniera drammatica come mostrano questi due romanzi.
- Quantitative→ riguardano una quantità specifica del campo di coscienza. Sono anche definite ipnoidi
e sono
o Obnubilamento
o Torpore
o Sopore
o Pre coma
o Coma
- Qualitative
o Stato crepuscolare
o Stato onirico
o Stato oniroide
Alterazioni qualitative
Abbiamo lo stato crepuscolare, lo stato onirico e lo stato oniroide.
Stato crepuscolare
In natura al crepuscolo viene meno la luce. Nella metafora del palcoscenico, se viene meno la luce cosa
succede? Che sarà visibile solo una parte del palcoscenico. Quindi si avrà un restringimento del campo di
coscienza. Alcuni contenuti saranno visibili, altri no. L’io riesce ad accedere soltanto a un numero limitato di
contenuti. Ci sono in queste situazioni patologiche delle funzioni psichiche che sono conservate, come ad
esempio il pensiero o la fantasia (anche insieme ma poi ne viene alterata un’altra). L’io che è l’attore principale
di questo grande palcoscenico può accedere solo a un numero limitato di questi contenuti. Queste alterazioni
solitamente insorgono in maniera improvvisa e si risolvono in qualche modo. Si apprezzano e venivano
storicamente descritte nell’epilessia e nell’isteria. Ma anche nei gravi eventi a impatto emotivo come catastrofi
naturali, bombardamenti, alluvioni, terremoti, ecc. Tutto quello che è il disturbo post traumatico da stress trae
origine da questo tipo di reazione patologica crepuscolare della coscienza. Dostoevskij descrive molto bene
nel principe Miskin, il protagonista de “l’Idiota”. Dipinge molto bene queste alterazioni. Alterazioni di cui
probabilmente Dostoevskij stesso soffriva in adolescenza ed età adulta in quanto malato di epilessia.
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STATO ONIRICO
Con stato onirico si intende uno stato sognante. In questo
caso l’esperienza psichica è fortemente frammentata,
cangiante, fortemente polimorfa. C’è totale confusione tra
realtà interna e realtà esterna. Compare una
destrutturazione del campo di coscienza, disorientamento
sempre e comunque, spesso rispetto alle persone. Disturbi
importanti della memoria con amnesie o para amnesie. Le
para amnesie sono falsificazioni del ricordo presente e
passato o immaginario. Si può solitamente avere un disturbo
dell’attenzione. Lo stato onirico può essere così grave da
sfociare nella cosiddetta amensa. Con questo termine si intende lo stato confusionale completo, quello che
noi ad oggi definiamo come delirium, un disorientamento completo nel tempo e nello spazio rispetto alle
persone, il pensiero è incoerente, frammentato, il soggetto può essere fortemente agitato sul piano
psicomotorio. Questa è la classica alterazione del comportamento che si presenta in presenza non tanto di
disturbi psichiatrici quanto più disturbi organici che vanno ad alterare la coscienza sia qualitativamente che
quantitativamente. Esempi possono essere alterazioni dell’equilibrio idro-elettrolitico o tumori cerebrali, gravi
stati dismetabolici. Nello stato onirico i mattoncini sono fortemente disordinati, il controllo da B verso A è
fortemente rilasciato, anche addirittura inesistente il controllo da A verso B. c’è una vera e propria incapacità
di funzione conoscitiva e di discriminazione tra realtà e fantasia.
STATO ONIROIDE
Infine abbiamo lo stato oniroide. La differenza principale tra stato
onirico e stato oniroide è che l’oniroide è meno grave dell’onirico,
la coscienza è frammentata a un livello minore. Si ha una forte
attivtà di tipo delirante fantastica. Si ha un fenomeno che si
chiama doppio binario. Con questo si intende un passare
immediatamente e improvvisamente dal binario della realtà a
quello della fantasia senza particolari segnali premonitori.
Abbaimo un pesante disturbo della coscienza dell’io, un certo tipo
di disorientamento nel tempo e nello spazio e un disturbo
dell’attenzione che però è meno grave di quello dello stato
onirico. Lo stato di alterazione oniroide si può osservare in una
psicosi che in passato veniva definita come parafrenia ed oggi è sparita dai manuali. Psicosi secondarie a
intossicazioni o parafrenia sono situazioni in cui si può apprezzare il fenomeno del doppio binario. Nello stato
oniroide si ha una ricca produzione delirante fantastica e cangiante allucinatorio visivo che rendono difficile la
capacità di distinguere tra mondo reale e mondo fantastico. Lo stato oniroide è rappresentabile dal punto di
vista schematico come uno stato in cui si ha un’attività mentale con nessi di logica normali ma con uno stato
di controllo coscienza alterato, non si ha più la capacità di distinguere tra fantastico e reale,tra realtà e non
realtà, tra esperienza oggettiva ed esperienza soggettiva. Anche questa è un’alterazione di coscienza
abbastanza grave della realtà ma non grave come quella onirica.
COSCIENZA
DISTURBI DELIRANTI ACUTI E CRONICI
Il delirio è il sintomo principale delle psicosi, in particolare della schizofrenia.
• Disturbi deliranti acuti → schizofrenia.
• Disturbi deliranti cronici → paranoia e parafrenia.
Oggi non si parla più di paranoia ma di disturbo delirante.
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La caratteristica principale dei disturbi della coscienza dell’Io è la perdita del senso di appartenenza.
Si verifica un’incrinatura dell’Io verso 3 poli distinti:
• Depersonalizzazione auto-psichica→ L’Io vive un sentimento di distacco ed estraneità riferito a sé
stesso e alla propria interiorità psichica (”mi sembra di vivere meccanicamente”).
• Depersonalizzazione somato-psichica→ L’Io vive un sentimento di estraneità rispetto al proprio corpo
o parti del corpo (“è come se il corpo non mi appartenesse”).
• Depersonalizzazione allo-psichica (derealizzazione)→ L’Io vive un sentimento di estraneità rispetto alla
realtà esterna (“tutto mi sembra strano, come se fosse diverso dal solito”).
Tutti e tre si verificano nella fase iniziale, quella pre-delirante, della schizofrenia.
SCHIZOFRENIA
Schizofrenia: un tempo era definita demenza precoce.
Demenza → distruzione delle funzioni psichiche, quindi perdita di alcune facoltà. Nei casi gravi può condurre
alla destrutturazione delle funzioni psichiche.
Il termine deriva dal greco: mente divisa → la dissociazione è emblema della schizofrenia.
La prima visione unitaria delle sindromi psicopatologiche oggi denominate schizofrenie si deve a Kraepelin
(1896) il quale incluse in un’unica entità nosologica la “dementia praecox”, sintomi e complessi sindromici
estremamente disparati e dissimili sul piano clinico, ma che potevano essere riuniti per il loro avvicendarsi
nello stesso soggetto e per Ineluttabilità del decorso verso un quadro di destrutturazione della personalità e
di deterioramento mentale. Nella demenza precoce rientravano:
Krepelin era convinto che la dementia praecox, nelle sue forme catatonica, ebefrenica e paranoide, fosse
una malattia endogena (come la psicosi maniaco-depressiva), una malattia cioè non causata da fattori
esogeni, ma da ricondurre ad una qualche patologia organica, o più verosimilmente ad una alterazione di
natura metabolica.
Nel 1911 Bleuer pensava che la perturbazione fondamentale (che costituisce il comune denominatore dei
diversi aspetti clinici della demenza precoce e che ne giustifica l’unitarietà nosografica) fosse la perdita di
coesione strutturale della personalità e la frattura e dissociazione delle varie funzioni psichiche. Rigettando
l’impostazione Kraepliana fondata sul criterio evolutivo egli sostituì al termine “dementia praecox” quello di
schizofrenia o malattia dissociativa (dal greco schizein: rompere, frammentare) e descrisse un nuovo quadro
sindromico che denominò varietà simplex. Per Bleuler la schizofrenia è una “malattia cerebrale”. Condizioni e
circostanze esterne possono tuttavia contribuire ad aggravarla ed a precipitarla.
Alcuni ritenevano che alla base ci fossero i deliri e le allucinazioni, che sono sintomi positivi o produttivi;
aggiungono una visione diversa del mondo. Essi dipendono dalla presenza di un eccesso di dopamina nel
sistema limbico.
Successivamente si capì che c’erano anche sintomi negativi, così definiti perché tolgono qualcosa al soggetto.
Essi dipendono dalla presenza di un deficit di dopamina nelle aree frontali e pre-frontali. Ne fanno parte:
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• Apatia, ovvero incapacità di immedesimarsi negli altri.
• Abulia, ovvero perdita della volontà.
• Autismo, ritiro sociale patologico, perdita del contatto con la realtà.
• Ambivalenza.
• Allentamento dei nessi associativi.
• Autismo;
• Abulia;
• Ambivalenza;
• Appiattimento affettivo;
• Deficit dell’attenzione;
• Dissociazione.
• Sintomi di primo rango: eco del pensiero; inserzione, diffusione e furto del pensiero; voci
narranti (discorsi) e voci che commentano gli atti, percezione delirante (la percezione è
corretta ma è sbagliata l’interpretazione che ne viene data), passività somatica e percezione
di controllo della volontà. Questi riflettevano una perdita di autonomia o di controllo
dell’autonomia dell’Io.
• Sintomi di secondo rango (di contorno): perplessità (stato iniziale, prelude alla psicosi, così
come la depersonalizzazione; il soggetto è spaesato); intuizioni deliranti.
Nota: è richiesto un solo sintomo se i deliri sono bizzarri o se le allucinazioni consistono di una voce che
continua a commentare i comportamenti o i pensieri del soggetto.
- Disfunzione sociale/lavorativa: una o più aree di funzionamento (lavoro, relazioni interpersonali, cura
di sé) sono molto al di sotto del livello raggiunto prima della malattia.
- Durata: almeno 6 mesi (1 mese di sintomi attivi)
- Diagnosi differenziale con:
o Disturbo schizo-affettivo e dell’umore;
o Disturbo da abuso di sostanze.
- Condizione medica generale
- Relazione con un disturbo pervasivo dello sviluppo (se sussiste un disturbo autistico la diagnosi
addizionale di schizofrenia si fa soltanto se sono presenti deliri e allucinazioni rilevanti per almeno 1
mese).
TERAPIA
Farmaci antipsicotici. Il primo fu scoperto casualmente da Henri Laborit che stava sperimentando un farmaco
anestetico, la clorpromazina (1952).
Gli antipsicotici agiscono come agonisti parziali → fungono da antagonisti nelle porzioni in cui la dopamina è
in eccesso e da agonisti dove la dopamina è in difetto, agendo sul recettore D2.
È una malattia neuro-progressiva. Parte dai settori posteriori e si porta in avanti, sino al coinvolgere tutto il
cervello (dopo 5 anni). Più tardi si interviene e peggiore sarà l’evoluzione. Ad oggi la diagnosi viene fatta
quasi sempre con un ritardo di 2 o 3 anni (le malattie mentali sono oggi ancora fortemente discriminate e
caratterizzate dalla vergogna).
Sembra che la schizofrenia possa essere messa in evidenza, nelle prime fasi, già durante l’infanzia (soggetti
schizoidi, solitari, poco aperti verso il contatto interpersonale → possono assomigliare a soggetti autistici). Il
problema della diagnosi precoce sono i falsi positivi → potrebbero essere interpretati male alcuni
atteggiamenti dei soggetti.
Figura della madre schizofrenogena spesso questi soggetti hanno uno stretto legame, quasi patologico, con
la figura materna.
Tipi di schizofrenia
- Tipo paranoide. È la forma più frequente di schizofrenia. Caratterizzato da un delirio persecutorio. È
associato per lo più ad associazioni uditive. Possono essere presenti (ma non sono criteri rilevanti)
eloquio disorganizzato, comportamento disorganizzato o catatonico, affettività appiattita o
inadeguata.
- Tipo disorganizzato (un tempo definita ebbefrenico). Conduce al deterioramento cognitivo
(demenza). La dissociazione è tale da determinare disorganizzazione concettuale. Sono rilevanti tutti
i seguenti sintomi: eloquio disorganizzato, comportamento disorganizzato, affettività appiattita o
inadeguata. Non sono soddisfatti i criteri per il tipo catatonico.
- Tipo catatonico. Caratterizzato da molti sintomi tra cui la flessibilità cerea (se viene manipolato l’arto
superiore, si percepisce una flessibilità simile alla cera), ecolalia (ripetizione delle parole
dell’interlocutore in modo stereotipato), ecoprassia (ripetizione dei movimenti), ecografia
(ripetizione della scrittura). La catatonia è un sottotipo molto complesso della schizofrenia ma può
essere presente anche in altre patologie, come la depressione (è indice di gravità). Altri possibili
sintomi sono il negativismo estremo o il mutacismo.
- Tipo indifferenziato. Non soddisfa i criteri degli altri tipi.
- Tipo residuo. La malattia è stata in qualche modo gestita ma è residuato qualcosa di difficile
eliminazione; solitamente si tratta dei sintomi negativi, sui quali è più difficile agire.
2. Apofania: ricerca e scoperta di nuovi significati; il termine deriva dal greco “rivelarsi”; inizia a rivelarsi
qualcosa di nuovo per il paziente; nella mente si instaurano nuovi contenuti.
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4. Consolidamento: formazione di un nuovo mondo.
Nella fase acuta è difficile stabilire un’alleanza terapeutica → spesso si deve giungere al TSO (lo stato
delirante è una condizione che permette di eseguire una proposta di TSO, in associazione all’assenza della
consapevolezza della malattia e all’impossibilità di agire al di fuori di strutture ospedaliere). Successivamente
si cerca di procedere in altro modo, provando a convincere, almeno in parte, il paziente a sottoporsi alle
cure. È importante mantenere la giusta distanza (deve essere mantenuto uno spazio terapeutico).
→ La patologia è ego-sintonica → il soggetto non si sente malato e ritiene assurdo prendere le terapie. È
importante creare una rete sociale intorno al paziente. Oggi si procede con farmaci a lunga durata
(formulazioni long-acting, a rilascio prolungato) → si tratta di formulazioni che agiscono anche per mesi (la
somministrazione avviene solo poche volte l’anno) → questo permette di sviluppare dei livelli di accettabili di
consapevolezza.
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PARAFRENIA
Con questa denominazione si indica un gruppo di psicosi a decorso cronico, caratterizzato da una rigogliosa e
più o meno sistematizzata produzione delirante a carattere fantastico ed immaginativo, da rilevanti
modificazioni dell’umore e da polimorfi fenomeni allucinatori.
Tali psicosi sono caratterizzate dal fenomeno del doppio binario, cioè la capacità di vivere in modo quasi
sovrapposto sia le esperienze del mondo reale, sia le esperienze del mondo delirante fantastico-
allucinatorio. Spesso si assiste ad uno scivolamento improvviso (non graduale) dal binario della realtà a
quello della fantasia.
Insorge tardivamente in età senile (rispetto a schizofrenia che insorge in età adolescenziale e paranoia che
insorge in età adulta).
È più facilmente distinguibile rispetto alla paranoia.
In genere evolve verso una disgregazione della personalità → differenza rispetto alla paranoia in cui non si
osserva tale disgregazione.
Forme cliniche:
➢ Parafrenia sistematica: si sviluppa un delirio di persecuzione, che progredisce lentamente e a cui si
associano in seguito idee di grandezza, senza disgregazione della personalità.
➢ Parafrenia confabulatoria: si sviluppa un delirio, in genere persecutorio o megalomanico, basato su
falsi ricordi (in genere risalenti alla fanciullezza o all’adolescenza) che vengono elaborati e
deformati.
➢ Parafrenia fantastica: produzione rigogliosa di rappresentazioni deliranti particolarmente
stravaganti, sconnesse e mutevoli.
➢ Parafrenia espansiva: sviluppo florido di un delirio di grandezza con umore prevalentemente
esaltato e lieve agitazione.
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Psicopatologia della senso percezione
La senso percezione è lo strumento che ci mette in contatto con il mondo esterno. Noi sappiamo che dal punto
di vista neurofisiologico si tratta di una funzione complessa che mette insieme stimoli ed eccitamenti
provenienti dalla stimolazione degli organi periferici di senso. Queste sensazioni vengono poi integrate in
modo tale da consentire il discernimento tra realtà interna e realtà esterna. La percezione è il frutto di processi
mentali molto complessi. Qui bisogna definire subito le caratteristiche delle sensopercezioni. Inanzitutto la
sensopercezione deve essere concreta, si situa nello spazio-tempo, ha contorni precisi, è costante nel tempo
e non dipende dalla propria volontà. Questo significa che se vedo un oggetto esterno rispetto a me, questo ha
dei caratteri di concretezza, si situa in uno spazio e in un tempo precisi, ha un contorno preciso ed è costante,
cioè sta lì a prescindere da me e in qualche modo non sparisce. Queste sono le caratteristiche della senso
percezione, che sono esattamente l’opposto delle caratteristiche delle rappresentazioni. Questo perché le
rappresentazioni hanno un carattere soggettivo, si collocano solo nello spazio interno del soggetto, hanno dei
contorni imprecisi, msono fugaci e transitorie, inoltre dipendono dalla volontà del soggetto. Le
rappresentazioni popolano il mio mondo interno, le senso percezioni sono più oggettive e si apprezzano con
un carattere di estesia ben definita nella realtà esterna.
Disturbi quantitativi della percezione riguardano sostanzialmente la modalità di percepire l’intensità di certi
stimoli sensoriali. Possiamo avere:
I disturbi qualitativi riguardano il colore e le dimensioni dell’oggetto: l’oggetto esiste veramente e viene
percepito come tale ma ne vengono alterati i colori, rispettivamente in rosso (eritropsia) o in giallo (xantopsia),
oppure ne vengono alterate le dimensioni (micropsia e macropsia): l’oggetto viene percepito più grande o più
piccolo rispetto al reale. Sono alterazioni che si possono apprezzare soprattutto in patologie tossiche, cioè da
intossicazione con sostanze esogene, o con disturbi organici, come ad esempio lesioni di alcune cortecce
cerebrali. Sono disturbi di natura prevalentemente neurologica, soprattutto l’eritropsia e la xantopsia. La
macropsia e la micropsia si possono osservare anche in patologie psichiatriche, ad esempio nelle intossicazioni
da cannabis in cui possiamo avere alterazioni delle dimensioni dell’oggetto.
Illusione
Percezione errata di un oggetto esistente
Esempio clinico: sto tornando a casa la sera, sono in uno stato di particolare turbamento emotivo, non sono
ancora giunto a casa mia, è notte, sono particolarmente suggestionabile e in quelle che sono delle foglie di un
albero scorgo un volto minaccioso. È un esempio di illusione: ho deformato un oggetto esistente, ho percepito
in maniera inadeguata un oggetto che realmente esiste.
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Esistono dei corrispettivi fisiologici dell’illusione che sono le paraidolie. Paraidolia è un termine che deriva dal
greco: pas tutto, eidolon immagine. Ad esempio sono sdraiato su un prato, guardo le nuvole in cielo e
conferisco delle forme diverse a quello che vedo. È una cosa che capita un po’ a tutti.
Allucinazione
I sintomi delle allucinazioni sono probabilmente i più comuni tra gli episodi di falsamento in psicopatologia.
Consistono in delle percezioni senza oggetto, l’oggetto percepito non esiste. Hanno uno specifico carattere di
concretezza, obiettività, estesia. Si localizzano nello spazio esterno del soggetto e possono caratterizzare
qualsiasi canale sensoriale del soggetto.
- Semplici→ ad esempio il rumore del rubinetto aperto tutto il giorno che lo schizofrenico sente nel suo
appartamento
- Complesse→ sono vere e proprie visioni, parole, oggetti solidi dotate di movimento. Il soggetto
percepisce la visione di qualcuno che si muove e articola i propri movimenti.
- Combinate → allucinazioni che coinvolgono più canali sensoriali, ad esempio alla vista di un leone io
ne percepisco il ruggito. L’allucinazione quindi coinvolge più canali sensoriali.
- Allucinazione funzionali: ad esempio allucinazioni che insorgono quando il soggetto ha gli occhi aperti
e spariscono quando li chiude
- allucinazione riflessa: da un’alterazione visiva se ne evoca uno uditivo
Pseudo allucinazione
Si tratta di un disturbo che assomiglia a una allucinazione ma non lo è, non è allucinazione in quanto si situa
nello spazio interno, soggettivo, non all’esterno. Il paziente riferisce che la sensazione alterata proviene da
dentro la sua testa o dento il suo petto. Si tratta di un fenomeno intermedio rispetto all’allucinazione. La
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differenza con la rappresentazione è che le pseudo allucinazioni sono indipendenti dalla volontà. Insorgono a
prescindere dal soggetto. È una caratteristica che definisce la patologia, che arriva improvvisamente e non è
sotto la volontà del soggetto. La pseudo allucinazione quindi è interna ed è di solito meno grave
dell’allucinazione
Allucinosi
Sono dei disturbi nei quali il soggetto è in grado di riconoscere almeno parzialmente la natura patologica.
Anche qui sono disturbi meno gravi delle allucinazioni. Nel film “A Beautiful Mind” il protagonista, il geniale
matematico John Nash che giunge anche al Nobel, a un certo punto capisce che le sue percezioni sono
allucinazioni perché la bambina che accompagna il suo compagno di stanza al college non cresce in statura.
Questo è un esempio cinematografico straordinario di allucinosi. Non è un’allucinazione perché il soggetto si
rende conto della natura patologica della sua dispercezione. Ci sono tutta una serie di disturbi organici di vario
tipo che possono alterare la senso percezione andando a provocare in vario modo le allucinosi.
Nel processo di astrazione noi prendiamo degli elementi comuni a diverse rappresentazioni, li isoliamo e gli
facciamo assumere dei valori di autonomia di concetto. Nell’associazione a partire da una rappresentazione,
da un certo tipo di ricordo, da un’idea, richiamiamo nella nostra mente altri tipi di rappresentazioni o idee che
hanno qualcosa in comune. L’ideazione è l’insieme delle idee che fonda il ragionamento e la critica.
Si sa che molti filosofi in antichità si sono interessati di logica. Il primo grande filosofo ad occuparsene fu
Aristotele. Esistono personaggi così incredibili quali Aristotele che fu in grado di rilevare ben 256 sillogismi e
considerarne poi validi solamente 24. Oggi noi abbiamo a disposizione i sistemi di calcolo, però bisogna
pensare che allora Aristotele costruì da solo un tale sistema di ragionamenti. Stiamo parlando di grandi menti
della storia. Ci sono stati molti studiosi che si sono interessati al pensiero, più in generale al logos, fino ad
arrivare ai giorni nostri dove abbiamo personaggi eminenti da questo punto di vista.
Quando parliamo di disturbi del pensiero dobbiamo parlare di disturbi egosintonici ed egodistonici. Cosa
cambia tra i due tipi di pensiero?
- Egosintonico è tutto ciò che si trova in sintonia con l’ego, con l’io. Se un disturbo è egosintonico il
soggetto non ha percezione di malattia. Nelle psicosi il disturbo è sempre egosintonico, non si ha mai
percezione di malattia. L’egosintonia è in sintonia rispetto all’io.
- Nelle nevrosi il disturbo è egodistonico. Con le parole di Freud questo significa che “L’io non è più
padrone a casa propria”, cioè tutto quello che avviene è in dissonanza con l’io, che se ne rende conto.
Il problema è che l’io non riesce a trarre un rimedio a tutto questo ma se ne rende perfettamente
conto.
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Si distinguono disturbi di forma e di contenuto del pensiero. I disturbi di forma sono quelli che riguardano
proprio i principi che presiedono la strutturazione del pensiero. Cioè quello che uno dice, lo dice secondo una
certa forma, le frasi sono associate, legate fra di loro in modo specifico. conta anche quello che si dice, i
contenuti, le singole idee. Ma il come lo si dice è la forma. Il principale disturbo della forma del pensiero è la
dissociazione del pensiero. Viene dalla parola reca schizofrenia che significa letteralmente rompere,
dissociare, scindere il frenos che è il cervello. Quindi la schizofrenia è la mente scissa, la mente dissociata. La
dissociazione è il principale disturbo logico formale del pensiero. La dissociazione mentale si può dimostrare
in diverso modo. Spesso la dissociazione si può manifestare con un allentamento dei nessi associativi nel corso
delle idee. In altri casi si possono avere incongruenze tra quelli che sono i contenuti intellettuali e l’affettività,
in altri casi si possono avere vere e proprie bizzarrie associate a disarmonia comportamentale. In tutti questi
casi si hanno diverse modalità di espressione della dissociazione mentale. Il pensiero dissociato è un pensiero
che si fa labile, scucito, sconnesso, privo di accostamenti logici alla realtà. Si può associare anche l’umore pre
delirante, la perplessità (Wastimmung). A volte il pensiero può diventare bruscamente interrotto, andare
incontro a dei barrage, il malato può presentare una vera e propria espressione smarrita, perplessa. I disturbi
della forma possono essere molteplici:
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Idea ossessiva
Veniva definita dai vecchi clinici come psichismo parassita perché parassita la mente, è un tarlo che il soggetto
non riesce ad eliminare dalla propria mente. Si dice incoercibile. L’incoercibilità è la prima caratteristica
dell’ossessione. Assedia la mente e non lascia alcun respiro al soggetto. Oltre ad essere incoercibile e
parassitare la mente è anche ripetitiva. È fortemente egodistonica. Il paziente si rende perfettamente conto
dell’abnormità di questa idea. Il problema è che non riesce a scacciarla. Mette in atto la compulsione, cioè un
tentativo per allontanare la stessa ossessione. Questa compulsione va a buon fine soltanto inizialmente. Poi
pian piano perde di efficacia. L’idea ossessiva presenta 5 caratteristiche
Idea delirante
Jaspers la definisce come “un’idea patologicamente falsata”, con una assenza completa della critica e del
giudizio, perdita completa dell’esame di realtà.
Delirio
La parola delirio viene dal latino De Liram che significa al di fuori del solco comune. È il fondamento, il cardine
della psicopatologia. Il delirio è il principale disturbo del contenuto del pensiero. È un vero e proprio difetto
del giudizio della coscienza di realtà. Per Jaspers si tratta di un giudizio patologicamente falsato. Le
caratteristiche del delirio sono 4:
1) Assurdità delle tematiche (ci sono i marziani che influenzano le mie idee tramite le onde
elettromagnetiche→ tipico delirio dello schizofrenico)
2) Idea che viene sostenuta con incomparabile certezza al di là di ogni limite
3) L’idea è incorreggibile da parte della critica e del giudizio altrui→ il soggetto non può essere convinto
almeno all’inizio dell’evidenza del contrario.
4) Autoreferenzialità→ il protagonista del delirio è il soggetto stesso
I deliri nascono in maniera casuale da quelle che sono percezioni, da quello che è un ricordo, un’atmosfera
vera e propria che abbia a che fare con uno stato emotivo. Possono essere generalmente autoctoni, insorgere
cioè in maniera spontanea. Nell’atmosfera delirante il soggetto percepisce qualcosa che si sta modificando in
maniera molto sottile, sinistra, portentosa, sconosciuta. Dal punto di vista letterario si può individuare
l’immagine relativa a Mefistofele ne “il Fausto” di Goethe, che si impadronisce del Dr. Faust e lo induce a quella
che è un’esistenza organica. È proprio quello che accade nell’atmosfera delirante: si ha un sentimento di
premonizione del sinistro, di tutto ciò che è indefinibile. Spesso è il primo sintomo della schizofrenia. L’umore
diventa delirante e il paziente si sente profondamente a disagio. Qui si può fare riferimento a Shakespeare o a
Kafka che sono abili interpreti della sofferenza. In particolar modo Kafka è stato colui che ha raffigurato molto
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bene questa condizione: quella dell’uomo che ha perso tutto, è stato spogliato di qualsiasi cosa e possiede
ormai soltanto la propria astratta umanità. La conoscenza del male esiste in Kafka senza la conoscenza dell’io
nella sua salvezza e nella sua validità. Kafka fa riferimento alla condizione dell’individuo che non è stato in
grado di modulare la realtà, l’autonomia, l’identità. Qui ci si affaccia verso una prospettiva più ontologica del
delirio. Questi autori sono stati straordinari nel descrivere prima degli psicopatologi l’esperienza
psicopatologica stessa.
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▪ Genealogico→ il soggetto si ritiene discendente di un illustre casato dell’alta
aristocrazia.
o Mistici→ il soggetto crede di essere stato investito da grandissimi poteri da parte di una
divinità, sulla scorta di questa convinzione il soggetto crede di dover salvare l’umanità
dall’estinzione
o Di gelosia→ assoluta convinzione di essere traditi dal proprio partner. Il paziente mette in atto
tutti i propri mezzi per cercare le prove dell’inganno: spia, pedina, talora cerca di estorcere la
confessione dell’infedeltà. Molte volte si correlano a pagine di cronaca nera attorno a questa
sindrome delirante di gelosia, che è una sindrome molto resistente ai trattamenti che
alimenta dei fenomeni di violenza e di aggressività eterodiretta
o Ipocondriaci
▪ Sindrome di Koro
▪ Sindromi di riferimento olfattive
- Sindrome di De Clarembault
- Sindrome dei falsi riconoscimenti
- Sindrome di Doppelganger→ doppi soggettivi. Si ha la convinzione che un’altra persona si sia
trasformata fisicamente nel proprio sé.
- Sindrome di Capgras
- Sindrome di Fregoli
- Sindrome da intermetamorfosi
Affettività
L’affettività è un grande campo psicologico che comprende sentimenti, umore, sensazioni, emozioni,
sentimenti. È la caratteristica fondante dell’essere umano, è tutto ciò che riesce a dare colore al mondo. Se
noi non avessimo l’affettività non riusciremmo a dare colore alle cose che ci circondano.
Poi abbiamo le emozioni, che sono stati affettivi intensi che insorgono bruscamente e declinano rapidamente.
Influenzano profondamente i nostri processi psichici e il comportamento. Secondo Jaspers hanno:
Ad esempio: si ha un qualcosa che provoca paura, la paura è una delle emozioni primordiali degli esseri umani,
è una delle funzioni fondamentali, è forse ciò che ha salvaguardato la specie umana nel corso dei secoli. Chi
riusciva ad anticipare il pericolo salvaguardava la propria specie. In una visione neuro-evolutiva dell’umanità.
La paura può essere provocata da un oggetto scatenante con una correlazione causa-effetto comprensibile.
Cessa la stessa paura con il venir meno dell’oggetto che provoca la paura. Questo è quello che intende Jaspers
parlando di emozioni.
Il tono dell’umore è la tonalità di base dell’affettività, si tratta di una sorta di predisposizione affettiva del
soggetto.
Sentimenti sono delle qualità, stati soggettivi dell’io, caratterizzati nel caso dei sentimenti da una qualità di
stato soggettivo molto pronunciato e, come diceva Kant, dalle proprietà del piacevole e dello spiacevole.
Sensazioni sono stati dell’io con una qualità di stato soggettivo meno pronunciato rispetto ai sentimenti.
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La psicopatologia dell’affettività:
- Umore depressivo/ Depressione→caratterizzato da tristezza, abbattimento, sentimento di helpness-
less, quindi il sentimento di non poter essere aiutati. Molto spesso dal senso di oppressione,
affaticabilità, sofferenza. Dostoevskij sosteneva che la sofferenza è alla base della vita. La sofferenza
depressiva è una sofferenza esasperata, accentuata, una vera e propria povertà ideativa.
- Stato ipertimico/Mania→ elevazione patologica del tono dell’umore, fino all’euforia e all’esaltazione
del soggetto. Accelerazione ideativa fino alla logorrea. La logorrea è l’accelerazione delle parole. Si
arriva fino all’ira, quello che nel mondo antico si descriveva come furor. Era lo stato di eccitamento
patologico associato al soggetto in preda alla mania.
- Disforia→ caratteristica dell’umore irritabile, scarsa tolleranza alle frustrazioni, abnorme risonanza
affettiva per quelli che sono stimoli di scarsa entità. “avere i nervi a fior di pelle”. Si ha uno stato misto,
in cui coesistono elementi depressivi ed elementi maniacali.
- Labilità affettiva/ stato misto→ instabilità del tono dell’umore, che passa dalla gioia alla tristezza con
episodi plurimi nello stato della giornata, crisi di riso e di pianto nel corso della giornata.
- Paralisi acuta del sentimento in seguito a un evento traumatico o a forte impatto emotivo
- Ci può essere quello che Schneider definiva come “sentimento di mancanza del sentimento”. Cioè si
ha una sensazione di assoluta insensibilità rispetto alla possibilità di provare qualcosa, e mi rammarico
di ciò. Esiste anche la paralisi acuta del sentimento che è quella che si verifica quando il soggetto è in
preda a un vero e proprio vuoto in seguito a traumi di natura molto intensa ad esempio.
- C’è il sentimento di dissociazione affettiva, quindi una discordanza affettiva nei confronti di ciò che
accade al di fuori rispetto al contesto
- paratimia cioè una reazione opposta alla portata dell’evento che è accaduto. Ad esempio una persona
che scoppia a ridere di fronte a un lutto.
- Esiste poi l’apatia, cioè la mancanza di patos, quindi la mancanza della capacità di immedesimarsi nel
vissuto degli altri.
- L’anedonia è la mancanza di capacità di provare piacere,
- alessitimia, cioè la sensazione di assoluta indifferenza e insensibilità rispetto a tutto ciò che accade,
qualsiasi tipo di stimolo mi vede abulico, cioè assenza di volontà.
- Il torpore, il congelamento dei sentimenti. Si arriva fino alla amoralità in un ambito di sintomatologia
negativa che caratterizza il polo della affettività che stiamo considerando.
- C’è poi un’ambivalenza affettiva, caratterizzata da una serie di sentimenti opposti coesistenti o alterni
nei confronti di una persona o situazione.
La psicopatologia dell’affettività è molto vasta e include anche l’ansia. Dobbiamo differenziare l’ansia
fisiologica da quella patologica. L’ansia patologica è una penosa sensazione di aspettativa e di allarme di fronte
ad un senso di pericolo, che sia reale o fantasmatico (potenziale, aspecifico). Di solito si associa sempre a
sintomi fisici, come il panico, e a un comportamento di evitamento.
Ciascuno di noi ha un determinato livello di ansia fisiologica che si caratterizzano per un determinata intensità
e durata che sono appropriate allo stimolo. Nell’ansia patologica la durata è persistente e l’intensità
inappropriata rispetto allo stimolo. Mentre l’ansia fisiologica non sottopone il soggetto a un particolare stress,
l’ansia patologica è una condizione di penosa aspettativa e stato di allarme di fronte a un pericolo reale o
potenziale che si associa anche a certi sintomi fisici e comporta una reazione da evitamento. L’ansia diventa
patologica quando mette insieme tutte queste caratteristiche.
Quando l’ansia è fisiologica i livelli sono adeguati, aumenta la capacità di formare dei nessi associativi, aumenta
la velocità di apprendimento, migliora la capacità di formare giudizi validi di realtà, migliora anche l’efficienza
fisica. Gli atleti prima delle grandi prestazioni agonistiche hanno elevati livelli di ansia. Questo perché diventa
funzionale alla prestazione stessa. Si riduce anche il tempo di reazione allo stimolo, migliora la performance.
Nell’ansia patologica succede il contrario. Con livelli di ansia abnormi e spropositati livelli di ansia si va incontro
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a un rallentamento di velocità associativa, un rallentamento o impossibilità dell’apprendimento, in alcuni casi
un vero e proprio restringimento del campo di coscienza, che si chiama alterazione crepuscolare dello stato di
coscienza, fino addirittura a un vero e proprio blocco.
Esempio tipico: all’esame viene fatta una domanda a cui non si sa rispondere, ci sono persone che sviluppano
un vero e proprio restringimento del proprio campo di coscienza, quindi non riescono a smettere di pensare
alla loro incapacità nel rispondere. Questo può portare al blocco.
FOBIA
All’interno della psicopatologia dell’affettività esiste anche la fobia. Si deve distinguere tra paura e fobia. La
paura è una delle emozioni primordiali degli esseri umani, è di solito sempre reattiva a un oggetto. Viene
sempre evocata in presenza di un certo tipo di oggetto. Ad esempio nel film storico “Uccelli” di Hitchcock,
abbiamo che questo animale nel film genera un’intensa reazione di paura. Esiste un oggetto specifico a cui si
associa la paura. Nella fobia non è così: nella fobia accade il contrario, molto spesso nella fobia non vi è più
l’oggetto ma si ha una proiezione di questo timore nel futuro. Il tempo dell’ansia è il futuro, quello della paura
è il presente. La paura si vive nel presente, ha un oggetto di riferimento. Il tempo della fobia e dell’ansia è
futuro, il soggetto fobico-ansioso vive un’anticipazione del senso del pericolo. Quando la fobia diventa timore,
paura morbosa e irragionevole o eccessiva può diventare ripugnanza, senso di disgusto, può provocare un
senso dell’evitamento patologico. Nella fobia c’è una vera e propria egodistonia, quindi il soggetto si rende
conto ed è consapevole dell’abnormità dei propri vissuti.
Per primi sul piano filosofico e letterario furono proprio eminenti artisti, filosofi e scrittori che definirono l’ansia
e l’angoscia ancor prima degli psicopatologi. Kierkegaard fu uno dei primi a definire l’angoscia come differente
dall’ansia e dall’irrequietezza, descrivendola come un senso di smarrimento che si impadronisce dell’individuo
di fronte al senso di finitudine delle cose. Se si legge ad esempio Becket si individua molto bene la descrizione
di questo senso di angoscia: i vagabondi che aspettano Godot fanno uno strano dialogo fra loro, sono
condannati a vivere, condannati a quello che è “la prigione del mondo” come direbbe Pascal. Estragono e
Vladimiro(sempre waiting for Godot) mettono in atto questo dialoghetto tra di loro che ha a che fare con lo
squallore dell’esistenza. Si raffigura molto bene il senso della disperazione che può subentrare molto bene
nell’ambito di questi disturbi dell’affettività.
Dobbiamo partire molto da lontano. La prima volta che fu usato il termine di nevrosi si era alla fine del 1700.
Venne introdotto dal medico scozzese William Cullen, che considerava le nevrosi come delle malattie con una
specifica referenza organica (il sistema nervoso) che si manifestavano però senza la febbre, senza i segni locali
delle infiammazioni, avevano andamento cronico e andavano ad alterare la sensazione e il movimento. Quindi
una sorta di complesso strutturale di sintomi per i quali non si riesce a trovare un rimando di natura somatica.
Ancora oggi la definizione che diamo alle nevrosi, che nei nostri moderni manuali noi definiamo come disturbi
d’ansia, è un po’ questa: un complesso di segni e sintomi per i quali non si può trovare un rimando di natura
somatica. Cullen diceva che le patologie decorrevano senza febbre. La febbre è un po’ il segno classico di
alterazione organica. Identificare delle sindromi che decorrevano senza febbre significava identificare delle
patologie dall’etiologia psicogena. Ad oggi è ancora quello che noi sosteniamo riguardo le nevrosi.
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Le sindromi nevrotiche comprendono:
- Sofferenza nevrotica→ non è la classica sofferenza che si ha nella vita di tutti i giorni (Dostoevskij
diceva che la sofferenza è connaturata all’essere umano), qua parliamo di una sofferenza spesso
penosa, drammatica per la quale i soggetti spesso perdono la propria serenità, si sentono insoddisfatti,
tormentati dal dubbio come nel vecchio disturbo ossessivo compulsivo o nella nevrosi compulsiva,
oppure si sentono tormentati dal dolore, dalla paura come nella vecchia nevrosi fobica, attuale fobia
specifica e sociale, indecisi e impacciati nei confronti delle decisioni da prendere
- Senso della malattia→ gli esseri umani devono senz’altro attribuire un senso alla propria vita, lo stare
male deve avere altrettanto senso. Nei nevrotici accade questo: il nevrotico è assalito dal senso di
malattia che in realtà è inesistente, questo viene avvertito come generico senso del pericolo, come
costante preoccupazione della propria nevrosi, malattia il cui decorso viene interpretato in chiave
pessimistica.
- Intensa elaborazione dei sintomi nevrotici primari→ a volte è una vera e propria proliferazione
mentale sotto forma di rimuginazione per la quale i pazienti cercano ed escogitano diversi tipi di difese
Il soffrire nevrotico è un soffrire diverso rispetto a quello di una persona normale. Questo perché il soggetto
normale può reagire in vario modo:
- Con rassegnazione→ il soggetto sano si rassegna al proprio male. Il male di vivere è stato descritto da
tanti letterati, in questo caso succede che, al quesito “quale è il senso?” il soggetto reagisce con
rassegnazione, senza speranza. L’agire per liberarsi dalla sofferenza non è più ritenuto possibile.
Questa è la prima difesa dell’uomo di fronte a sofferenza e dolore
- Fuga dal mondo→ sarebbe meglio che l’esistenza non fosse, si sviluppa un’apatica indifferenza, il
senso del nulla, il mondo e la sofferenza sono congiunti e il soggetto cerca di sfuggire dalle proprie
sofferenze anche a prescindere dalle proprie forze morali
- Senso dell’eroismo→ il soggetto fa perno su sé stesso, potenzia sé stesso e in qualche modo si
perviene a un senso molto elevato della propria coscienza e di sé stessi. In questo caso il soggetto
insiste caparbiamente sulle proprie capacità, con eroismo
- Atteggiamento metafisico religioso→ l’indifferenza universale di colui che tende al nulla, ci si trova
riuniti in un atteggiamento che, facendo leva sull’aspetto metafisico e religioso, si oppone fermamente
alla morte con la vita, la vitalità dell’individuo, facendo sì che si possa far leva su questo senso
dell’assoluto
Nella sofferenza nevrotica è lontana da tutto questo. Il soggetto che ne è vittima non è in grado di assumere
atteggiamenti di rassegnazione, eroismo, è incapace di mettersi su un piano religioso e non è in grado di fuggire
dal mondo. Quindi non ha a che fare con una reazione “normale” dell’individuo la sofferenza nevrotica, è
qualcosa di fortemente patologico.
È patologico anche come il soggetto giudica i propri disturbi. Quello che si osserva nel paziente ansioso, fobico
o ossessivo è l’andare continuamente alla ricerca di una causa. Questa sorta di bisogno della causalità. Il
sistema causale deve essere rigidamente ricercato, alcune persone lo identificano in elementi di natura fisica,
altri in elementi di natura più psicogenetica (traumi→se sto male è colpa del trauma che ho subito 20-30 anni
prima). Il soggetto cerca di andare a ricercare il persecutore, l’oggetto della colpa dei suoi mali. Nel nevrotico
è assolutamente peculiare come egli stesso vive i propri disturbi, quindi le modalità mediante cui il disturbo
viene vissuto. Viene vissuto come appartenente all’io. In questo caso il disagio entra a pieno titolo e non si
riesce a disgiungere dalla personalità. Il nevrotico cerca di difendersi mediante atteggiamenti che oscillano tra
la passività e l’attività. Il modo di fare è eccessivamente passivo o eccessivamente attivo. Sono tutti
atteggiamenti orientati a difendersi dalla sofferenza nevrotica, penosa e angosciosa. A volte esistono dei
meccanismi a circolo vizioso che si verificano nel nevrotico. Nell’ossessivo ad esempio abbiamo questi inutili
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sforzi per liberarsi da quello che parassita la mente. Nel fobico abbiamo il rifugiarsi in casa lontano dagli stimoli
fobici e così via. Meccanismi di tipo a circolo vizioso.
Seneca per primo, sposando quella che era la filosofia degli stoici faceva riferimento all’importanza di fare una
vita virtuosa, lontana da qualsiasi eccesso. Quello che sosteneva Seneca, per la capacità di anticipare il pericolo
che, forse, dal punto di vista evolutivo ha salvaguardato la specie, finiscono per rovinarsi ed esagerare qualsiasi
momento della vita. Abbiamo l’abitudine di esagerare, immaginare, anticipare il dolore, arrivando a fasciarci
la testa quando ancora nulla è avvenuto. Quindi in qualche modo spinge a cercare di non ingigantire i problemi
che ancora problemi non sono.
Nella storia della filosofia è stato centrale anche Kierkegaard che parla del senso di smarrimento dell’individuo
di fronte al senso di finitudine delle cose. Secondo Kierkegaard l’ansia e l’angoscia emergono nel momento in
cui l’uomo si accorge di essere di fronte al senso di finitudine delle cose. È una sorta di mancato allineamento
tra l’io e il mondo.
Heidegger, altro famoso filosofo esistenzialista, parlava di un senso di spaesamento di fronte all’ansia e
all’angoscia, che considera profondamente diversa dalla paura in quanto “rivela il senso del niente che
abbiamo davanti”, il nulla vero e proprio
Ancora Jaspers parlava di due tipi di angoscia diversi: la cosiddetta angoscia dell’esserci e l’angoscia
dell’esistenza. L’angoscia dell’esserci alimenta la disperazione ma anche la rimozione, con conseguente
banalizzazione della vita. L’angoscia dell’esistenza è una sorta di angoscia dell’uomo che si rende conto che
effettivamente non ci può più essere un’apertura verso un orizzonte di senso. Si ha una vera e propria
implosione di senso in occasione della morte stessa.
Nonostante il contributo di tutti questi grandi studiosi e filosofi alla nostra disciplina, appare ad oggi ancora
assai complesso distinguere il normale dal patologico, quindi quello che è normale da quello che è abnorme,
fuori dalla norma. L’ansia ancora oggi viene molto spessa ad essere delimitata in maniera molto rigida, almeno
nella sua accezione fisiologica e patologica. Una mancanza assoluta di reattività ansiosa è da ritenersi
patologica, lo è altrettanto anche un suo eccesso. Gli individui che vivono continuamente in uno stato di
allarme, così come quelli che non si pongono minimo problema e preoccupazione sono da ritenersi ai due
estremi, mentre al centro, nell’ambito della normalità ci sarebbe proprio una posizione intermedia che è quella
più accettata nell’ambito della normalità. L’ansia è quella che poi va a imprimere una sorta di impronta
patologica a quello che è il vivere quotidiano.
ISTERIA
La prima grande nevrosi della quale parliamo, malattia nervosa che ad oggi si chiamerebbe disturbo d’ansia di
cui parliamo è la regina di tutte le nevrosi cioè l’isteria o nevrosi isterica.
La nevrosi isterica è caratterizzata da molteplici aspetti, non c’è però un sintomo unificatore alla base di questa
sindrome, che è molto variopinta, variegata nella sua sintomatologia. Una delle caratteristiche principali è il
livello di sofferenza soggettiva da parte del paziente: è molto scarso. Addirittura assente. Questo ha portato a
definire l’atteggiamento di questi pazienti come un atteggiamento addirittura di indifferenza completa. Era
quello che Charcot aveva definito come la “Bella indifferenza”, un atteggiamento di assoluta indifferenza
rispetto al proprio stare male. Le caratteristiche generali di questo atteggiamento di indifferenza nell’isteria
sono anche la falsità, la tendenza a simulare, la teatralità dei pazienti, la drammatizzazione del proprio star
male, con un modo di fare del tutto artificioso. Colpisce molto vedere un nevrotico che è preda delle fobie,
ansie e ossessioni preoccuparsi proprio per l’oggetto del proprio stare male, mentre il soggetto isterico ha un
atteggiamento di assoluta calma o indifferenza al proprio stare male. È assolutamente peculiare anche la
reazione che gli isterici inducono negli altri, cioè quella di una totale scarsa rispondenza dal punto di vista
emotivo- affettivo. Questa malattia è stata studiata per molto tempo e da molti è stata identificata come una
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malattia del corpo. Questo perché l’espressività di questa malattia è polarizzata sul corpo. Sydenham aveva
identificato questa come una malattia cronica, senza uniformità, irregolare nella sua espressione. Baglivi
(grande clinico del 1600) aveva parlato di una malattia caratterizzata da un’occulta passione dell’animo. Più si
andò avanti, più si cercò di sganciare questa malattia dalla classica etiologia che si riteneva essere quello
dell’utero che si spostava nel corpo della donna. Tanto è vero che questa patologia rimase per lungo tempo
ad appannaggio esclusivo del solo sesso femminile. La parola isteron significa utero. Si riconosceva un’etiologia
che potesse avvenire soltanto all’interno del corpo femminile. Questo portò al pregiudizio che per molto
tempo solo le donne potessero soffrire di questa malattia. Pian piano si cercò di sganciare questo rapporto
causale con l’utero finché si arrivò a definire una complessa malattia così come la conosciamo noi oggi.
Presentazione clinica dell’isteria: questa malattia si presenta con le cosiddette crisi parossistiche, le crisi del
grande attacco isterico sono caratterizzate da una fase prodromica iniziale, caratterizzata dalla cosiddetta aura
isterica. La fase prodromica produce le palpitazioni, la crisi ansiosa, una sorta di fenomeni che tendono a
presagire l’insorgenza della patologia. Alla fase prodromica segue la fase epilettoide così definita in quanto
caratterizzata dalle contrazioni toniche e muscolari, ma anche da vere e proprie crisi dispnoiche, crisi
convulsive generalizzate. Ci possono poi essere delle crisi dette contorsionistiche, caratterizzate da
espressione grossolana e disordinata di contorsioni, quindi di movimenti muscolari spasmodici. Poi possiamo
avere uno stato di Trance che è un’ alterazione dello stato di coscienza, con imitazione di scene violente o
erotiche, successivamente la verbalizzazione delle tematiche dello stato di trance. Ci sono forme minori di
questa patologia. Soprattutto ciò su cui bisogna soffermarsi è la manifestazione persistente associata a questa
patologia, cioè le paralisi e le anestesie isteriche. Le paralisi sono definite a calza o a guanto, questo significa
che colpiscono da un certo punto in giù rispetto alla delimitazione. Mentre la tipica paralisi dovuta a una causa
neurologica specifica, quindi l’alterazione della specifica radice nervosa, segue il territorio di distribuzione della
radice nervosa, la paralisi è a calza, perché colpisce tutto quello che si trova da un certo punto in poi, mentre
da quel punto in su non si ha paralisi. Lo stesso vale per l’anestesia. In alcuni casi vi può essere un’alterazione
sensoriale importante che si esprime sotto forma di cecità, sordità o anosmia. Poi possiamo avere disturbi
viscerali di vario tipo. Una delle caratteristiche più importanti è che la crisi isterica può durare dai 15 minuti
fino a diverse ore ma, in tutti i sintomi descritti, non si ha mai una base di tipo organico.
Come si distingue l’isteria dall’epilessia? Oggi abbiamo gli esami diagnostici che ci permettono di farlo ma, un
tempo, non era assolutamente così facile. Un tempo i vecchi clinici dovevano basarsi sulle caratteristiche
cliniche della malattia. Ad esempio la durata di una crisi epilettica è inferiore a 1 minuto, la durata dell’attacco
isterico è solitamente maggiore di 10 minuti. I gesti che compiono i pazienti isterici ha un significato emotivo-
affettivo, mentre invece la mimica e la gestualità de paziente epilettico non sono assolutamente significative
dal punto di vista affettivo. C’è poi un aspetto di amnesia: il paziente isterico conserva il ricordo di ciò che è
avvenuto, il paziente isterico può recuperarlo tramite tecniche quali l’ipnosi, nell’epilessia il paziente ha
un’epilessia conseguente all’evento. Ci sono anche sottili differenze dal punto di vista della riflessività ma sono
differenze più da specialista. C’è poi un diverso tipo di atteggiamento: l’isterico di fronte al proprio star male
ha un atteggiamento di indifferenza, l’atteggiamento dell’epilettico invece è preoccupato di ciò che sta
succedendo. Ci sono differenze per quanto riguarda le paralisi che possono essere a calza o a guanto nell’isteria
o paralisi e anestesie che seguono la distribuzione nervosa nel caso dell’epilettico. Dal punto di vista della
coscienza in entrambe queste patologie si ha una alterazione crepuscolare dello stato di coscienza. Il
crepuscolo è una delle caratteristiche più importanti sia dal punto di vista dell’isteria che dell’epilessia e veniva
ben descritta in alcuni personaggi epici nei libri di Dostoevskij, come ad esempio il principe Miskin,
protagonista de “l’idiota” che soffriva di queste crisi epilettiche. Crisi di cui soffriva probabilmente anche
Dostoevskij stesso in età adolescenziale e adulta. Quindi l’isterico ha queste alterazioni dello stato di coscienza.
- È suggestionabile
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- Meccanismo della conversione→ traslazione di una forma di disagio psichico in disagio somatico-
funzionale
- Associata alla mitomania→ si ha una sorta di confusione tra mondo reale e mondo immaginario. Il
mitomane è un termine ancora oggi usato per indicare colui che falsifica i propri rapporti con gli altri,
che si dà sempre come spettacolo nei confronti degli altri. Il dramma assoluto di questa patologia è il
non poter essere come si è realmente. Mentre in tutti noi c’è una differenza tra ciò che siamo e ciò
che vorremmo essere nell’isteria questa differenza è molto marcata ed è portata al suo estremo
- Disturbi della sessualità che sono molto tipici di queste patologie. Nell’isteria si ha una teatralità
estrema, una sorta di disinibizione dal punto di vista seduttivo, seducente di queste persone, che poi
contrasta con un atteggiamento di completo blocco che hanno queste persone.
- Inconsistenza della persona. L’io narrante compare quasi completamente eclissato, oscurato da una
maschera.
- Aspetti confabulatori
- Principio di realtà che si sostituisce dal piacere alla fantasia
- Tendenza all’isolamento
- Complessi ideo-affettivi→ il soggetto isterico a partire da una situazione più o meno traumatica si
rimuovesse l’effetto traumatico attraverso la rimozione e il materiale rimosso venisse a formare un
complesso nell’inconscio. Questo ha a che fare con la classica definizione psicodinamica di ciò che
avviene nella mente di questi pazienti.
- Significato simbolico di ogni gesto dell’isterico. Simbolico perché richiama l’idea del trauma vissuto in
epoca precedente della vita del soggetto
- Modalità reattive che si liberano da parte del soggetto su uno sfondo istintivo: il soggetto mette in
atto una serie di istinti, pulsioni, che caratterizzerebbero la parte più inconscia del proprio io e a
mettere in atto questi istinti.
Il tipico beneficio secondario dell’agire in questo modo può essere ad esempio l’apparire, il mostrarsi, il fascino
dell’esporsi. L’isterico deve essere sempre al centro dell’attenzione per attirare l’attenzione su di sé.
L’isteria è una patologia che storicamente deriva da molto lontano. Addirittura da papiri ginecologici dell’antico
Egitto si trovano le prime descrizioni dell’isteria, si parlava del globus istericus, di alcuni movimenti convulsivi
legati all’isteria. Il primo grande medico a parlare di isteria è Ippocrate che identifica molto bene la differenza
tra movimenti convulsivi dell’epilessia e dell’isteria. Ci sono poi diversi studiosi che si sono dedicati nella storia
all’isteria. Primo tra tutti Aulo Cornelio, il primo a sfatare la credenza dell’utero che si sposta nel corpo
femminile. Abbiamo poi Sorano di Efeso che nel primo secolo dopo Cristo studia la correlazione tra isteria,
disturbi sessuali e astinenza. Abbiamo poi Galeno di Pergamo che attribuisce l’isteria a eventi a forte impatto
psicologico, per cui più in generale l’isteria sarebbe una patologia direttamente legata al trauma. Così Galeno
di Pergamo anticipa di molti secoli le visioni poi del 1700 nella Francia illuminista dell’isteria. A tutto questo
seguono i secoli dell’oscurantismo medievale in cui una visione religiosa va a soppiantare quella scientifica. Si
ha il Malleus Maleficarum, che è il libro nel quale si cerca di indicare i metodi con cui cercare di liberarsi di tutti
coloro che possano essere associati alla stregoneria e anche gli stessi isterici sono considerati alla stessa
stregua di streghe. Ad esempio nel 1692 a Salem vennero accusate di stregoneria 19 persone sulla base di
testimonianze di alcune bambine con sintomi isteriformi vennero processate e impiccate. In quei secoli anche
il manifestare il proprio stare male poteva essere pericoloso. Il trattamento di quanto fosse minimamente
mentale era nelle mani della Chiesa, del tribunale dell’inquisizione, che in quel periodo si rende
particolarmente rigido nell’imporre delle regole. Sono noti i processi che subirono personaggi come Giordano
Bruno che venne condannato al rogo, o Galileo Galilei che fu costretto ad abiurare dopo aver sostenuto la
teoria eliocentrica che Copernico aveva cercato di suggerire qualche anno prima. In quel periodo c’è un grande
oscurantismo. Si ha poi un rinascere della cultura e dell’interesse medico scientifico già nel Rinascimento in
Italia e in Europa e sicuramente molto di più nell’illuminismo con la Rivoluzione francese in Francia. Personaggi
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come Charcot, Janet, Freud studiano l’isteria. È una malattia molto più somatica rispetto ad esempio
dell’ipocondria. È una patologia nella quale il corpo si da nella mimesi, nell’imitazione, la rappresentazione
deformata di quello che è un modello quasi inafferrabile di malattia. Questo perché l’espressività del malato
di isteria cambia in continuazione. È continuamente falsata e insoddisfatta. L’isteria sembra prevedere sempre
il palcoscenico nel quale ci si espone agli altri in una sorta di pantomima, con un utilizzo anche ambiguo di
quella che è la parola. Un utilizzo perfezionato della commedia. Nell’isteria si ha una proteiforme espressività
dei sintomi, che assume dei connotati diversi. Qualche autore ha fatto riferimento alla lotta incessante tra
logos ed eros per descrivere l’isteria. L’eros si presenta come una figura disinibita, che aspetta la ri-unione con
il logos. Ri-unione che non avviene mai perché nel soggetto affetto da isteria si tenta in continuazione la
dissimulazione. Briquet è stato uno degli autori centrali in questo periodo, ha descritto l’isteria come nevrosi
cerebrale, come risultato di stimoli spiacevoli in quella che è la zona più anteriore del cervello. C’è uno sforzo
nel 1800 per localizzare la patologia al cervello, riappropriarsi di quella che è una tipica etiologia psicogena
della malattia.
La Salpetrière era una struttura in cui si trattavano le malattie mentali. All’interno di questa struttura venivano
curati con l’ipnosi principalmente i malati di isteria. L’ipnosi venne scoperta per caso nelle campagne parigine.
Un allievo di Mesmer applicando la tecnica del magnetismo animale ipnotizza per caso un contadino e gli
risolve dei problemi somatici come dolori e difficoltà respiratorie. L’ipnosi fu molto efficace nel curarlo quindi
di lì a poco si inizio ad applicarla a tutti i casi di isteria. L’iconografia di questo periodo rappresenta la cura di
diversi malati di isteria mediante ipnosi da parte dello stesso Charcot. Una delle pazienti preferite di Charcot
era la signora Witman che riferiva durante i suoi stati ipnotici il nome della sorella. Alla Salpetrière studiarono
anche personaggi importanti come Freud e La Tourette. Charcot descriveva una grande e una piccola isteria.
Per lui gli isterici derivavano da famiglie neuropatiche nelle quali addirittura si poteva far riferimento a un
fattore provocante legato alla sindrome di natura non ereditaria. Nella grande isteria secondo Charcot si
potevano avere addirittura dei deliri e delle allucinazioni. Questo per definire quanto potesse essere grave la
malattia. Oggi noi sappiamo che nelle nevrosi non ci possono essere deliri e allucinazioni. In passato però
veniva descritta una psicosi isterica, che può sembrare una contraddizione, in quanto questa è una nevrosi
ma, in alcuni casi, è talmente grave da presentarsi come una psicosi. Si individuava poi una piccola isteria nella
quale si individuavano dei sintomi più attenuati. Il merito indiscusso di Charcot fu comunque quello di mettere
in diretta correlazione il disturbo isterico con il trauma. Quindi il soggetto soffre di isteria a causa di un trauma.
Questo trauma è stato in qualche modo rimosso perché troppo intenso ed è finito nell’inconscio del soggetto.
Dall’inconscio per qualche motivo riemerge nelle fasi successive della vita e provoca la sintomatologia di natura
isterica. Dopo Charcot La Tourette portò avanti i disturbi del suo maestro e distinse gli isterici normali da quelli
patologici o parossistici. Gli isterici normali secondo La Tourette non soffrivano di quello che era un disturbo
dei nutrienti naturali che invece esisteva solo nei patologici. Freud, almeno nella sua fase iniziale di carriera, è
stato il maggior studioso dell’isteria. Freud è considerato il padre della psicanalisi, anche se all’inizio non ebbe
molto successo perché le sue teorie non erano ben viste. Fu solo in una fase successiva quando andò con Jung
negli stati uniti che il suo lavoro venne apprezzato e rivalutato. Il primo libro di Freud si chiama “Studi
sull’Isteria”. In questo libro si presentano casi clinici molto famosi come quello di Anna O. che è il caso di Berthe
Puppenheim, che venne ad essere curato inizialmente da Joseph Breuer, medico di medicina generale che
operava a Vienna dove operava Freud e che chiese la collaborazione di Freud per curare la paziente. Freud
diede un enorme contributo non solo allo studio dell’isteria ma anche quella che fu la prima sistematizzazione
delle nevrosi. Mentre Freud inizialmente pensò alla rimozione nell’inconscio di un trauma in seguito elaborò
delle sue teorie fino ad arrivare a una fissazione delle fasi della vita come ad esempio la fase genitale, per
quanto riguarda la spiegazione alla base dell’isteria. Arrivò poi Janet che fu il primo a parlare delle idee fisse,
dei disturbi parossistici che si identificano nel soggetto malato di isteria. Le idee fisse, decritti anche come
automatismi psicologici, derivano da delle vere e proprie debolezze dell’io. Questo porta a realizzare nel
soggetto isterico dei veri e propri stati dissociativi.
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Oggi l’isteria non esiste più sotto forma di isteria, esiste sotto forma di altri disturbi. Buona parte della vecchia
isteria è stata ereditata, raccolta, nei disturbi somatoformi cioè quelli che oggi il DSM-V chiama disturbo da
sintomi somatici e correlati. Un’altra parte è stata raccolta dal disturbo istrionico di personalità e un’alta parte
dai disturbi dissociativi. La ricollocazione dell’isteria è da intendersi come una modificazione terminologica,
l’essenza, il nucleo della patologia rimane quello che abbiamo già descritto. Quello che noi ritroviamo nei
disturbi somatoformi, dissociativo, nel disturbo istrionico di personalità, altro non è che la vecchia essenza
della malattia.
Disturbi somatoformi
- Disturbo da somatizzazione
- Disturbo da conversione
- Disturbo algico
- Ipocondria
- Disturbo algico
- Disturbo da dismorfismo corporeo
- Disturbo somatoforme N.A.S.
La caratteristica di questi disturbi è la manifestazione somatica del disagio, che non può essere vissuto dal
punto di vista psichico e deve essere tradotto sul corpo. Tutto questo però non ha una base organica. Questi
disturbi differiscono dai disturbi fittizi e da simulazione nei quali il sintomo viene messo in atto a scopo
intenzionale da parte del soggetto per ottenere dei vantaggi.
Disturbo di conversione→ disturbo specifico che riguarda le funzioni motorie e sensitive. Erano le vecchie
paralisi e anestesie isteriche per le quali non si trova in rimando di natura organica
Disturbo algico→ il dolore è parte essenziale della sintomatologia e può essere spiegato da un fattore
psicologico legato al disturbo stesso. Non esiste spiegazione organica alla base del disturbo algico.
Ipocondria→ era definita come nevrosi ipocondriaca, è oggi contraddistinta come la preoccupazione di avere
una grave malattia nonostante l’evidenza del contrario a cui molto spesso il paziente ipocondriaco non
crede. Un paziente ipocondriaco continua a spostare l’oggetto del proprio stare male senza trovare mai una
valida spiegazione di tutto questo. Nell’ipocondria si ha un giudizio errato sostenuto con convinzione
immodificabile, può arrivare ad essere delirante. Prende spunto da una psichestesia. Con psichestesia si
intende una manifestazione somatica del dolore di nature psichica che si traduce sul piano corporeo.
Sostanzialmente questa sistematizzazione, questo tipo di spiegazione che si ha dell’ipocondria può trarre
spunto da una somatizzazione, da una manifestazione traumatica del disagio. L’interpretazione interessa più
spesso determinate malattie, questo accade in ogni buon nevrotico che può avere queste convinzioni. Le
errate rappresentazioni di malattia vengono sempre e comunque vissute con il significato del dubbio.
Nell’ipocondriaco rimane fedele la valutazione pessimistica confermata dal ripresentarsi della stessa
psichestesia.
Disturbo da dismorfismo corporeo→ preoccupazione riguardo un difetto presunto dell’affetto fisico. Questo
è assai peculiare, si verifica nel paziente affetto da disturbo alimentare. Nella storia di pazienti anoressiche,
bulimiche (i disturbi alimentari colpiscono per lo più il sesso femminile), si trova all’inizio della malattia
questo dismorfismo corporeo.
Disturbo somatoforme NAS (non altrimenti specificato)→ non soddisfa i criteri per la diagnosi di disturbi
somatoformi
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Nel DSM-V p cambiata la terminologia. Si parla di disturbi con sintomi somatici e disturbi correlati. È
cambiata la definizione di ipocondria che non si chiama più ipocondria ma si chiama ansia di malattia. Per il
resto i disturbi rimangono grossomodo gli stessi. Si è andati verso una revisione di questi criteri. Viene
specificato che questi sintomi fisici devono comportare un significativo disagio e una compromissione dello
stile di vita del soggetto. La diagnosi di questo disturbo non deve essere spiegabile dal punto di vista medico.
Il DSM-V, a differenza del DSM-IV, dice anche che se vi fosse una patologia organica questo non farebbe
differenza: la patologia organica vi può essere o non essere, il problema è la modalità con la quale viene
vissuto il disagio. Quindi può esistere anche un disturbo somatoforme anche se è presente una causa
organica. Questo cambia completamente la visione rispetto a quella del DSM-IV. Dice comunque sempre il
DSM-V che non è possibile individuare una causa medica e quindi tutti i casi in cui ci si potesse trovare in
inganno sarà importante avere esperienza e diverrà dirimente il giudizio clinico.
Disturbi dissociativi
Nei disturbi dissociativi noi abbiamo una vera e propria sconnessione tra diversi tipi di funzione solitamente
collegate che sono la coscienza, la memoria, il senso dell’identità, il senso della percezione. Queste
alterazioni possono essere improvvise o graduali, transitorie o croniche. Si possono distinguere diversi tipi di
questi disturbi: dall’amnesia dissociativa alla fuga dissociativa, il disturbo dissociativo dell’identità e quello di
depersonalizzazione.
- Amnesia dissociativa→ come dice il nome stesso si ha un’incapacità di rievocare importanti notizie
personali, in seguito a un evento di natura traumatica o stressogeno.
- Fuga dissociativa→ il soggetto si allontana dal proprio domicilio o proprio luogo di lavoro. È
caratterizzata da un’incapacità di rievocare il proprio passato, con una vera e propria confusione
rispetto alla propria identità.
- Disturbo dissociativo dell’identità→ anche noto come disturbo da identità multipla. È caratterizzato
dalla presenza di due o più personalità che possono prendere il sopravvento sulla personalità del
soggetto in maniera autonoma e ricorrente. Ad esempio come succede nel romanzo di Stevenson
“Dr Jekyll e Mr. Hyde”. Ci sono varie interpretazioni di questo disturbo che nella pratica clinica
fortunatamente non è così frequente. Ci sono vari rifacimenti cinematografici.
- Disturbo da depersonalizzazione→ è caratterizzato da un sentimento persistente e ricorrente di
essere distaccato dal proprio corpo e dai propri processi mentali. Questo è tipico della
depersonalizzazione, che abbiamo già descritto a suo tempo come disturbo della coscienza dell’io. I
sintomi dissociativi possono essere presenti anche in altri disturbi come il post-traumatico e
traumatico da stress. In questo caso non si procede alla diagnosi di una comorbidità. Non è che il
disturbo sia presente in maniera comorbida con un altro, vengono semplicemente descritti i sintomi
dissociativi inerenti questo tipo di disturbo. Il PTSD verrà descritto con sintomi dissociativi o meno,
non si arriva alla diagnosi di doppio disturbo. La visione dei disturbi dissociativi dovrebbe sempre
essere in una visione di tipo trans-culturale, questo perché in certi tipi di stati dissociativi si possono
avere in automatico degli stati ritenuti normali in una certa cultura di appartenenza. In questo caso
la diagnosi deve essere fatta anche in base al contesto.
Sindromi ansiose
Ansia generalizzata
La si può descrivere come un senso spiacevole, penoso, spasmodico di attesa. Questo senso di attesa molto
penoso è legato a una sensazione di pericolo imminente, ma anche di pericolo indefinito e proiettato in un
futuro più o meno vicino. Questa è una definizione abbastanza calzante di quella che è l’ansia patologica
generalizzata. Viene descritta molto bene nel celebre dipinto de “L’Urlo” di Munch, dove in maniera
indistinta il personaggio centrale della scena viene dilaniato dalle sue angosce. La lingua italiana descrive
l’ansia da diverse angolazioni: tensione, apprensione, allarme, arousal, paura ma anche angoscia, angustia,
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agitazione sono tutti termini che descrivono l’ansia sotto una particolare angolazione. È importante parlare
di ansia in quanto è una dimensione assolutamente diffusa, in particolar modo al giorno d’oggi. Si ha una
prevalenza life-time del 25%. Questo significa che un individuo su quattro nel corso della propria vita soffrirà
di questa patologia. È assai significativo che una percentuale consistente di questi soggetti non riceva il
trattamento appropriato. Questo fa ancora più riflettere. L’ansia generalizzata, insieme alla depressione,
hanno un impatto nei vari aspetti della vita paragonabili a malattie organiche quali diabete e malattie
cardiovascolari. Questo sottolinea quanto l’impatto in termini di qualità di vita sia presente. Si può parlare sia
di attacchi ansiosi acuti, caratterizzati da primarietà e inderivabilità. Oppure si può parlare di episodi ansiosi,
che sono di minore intensità e sono secondari a quella che è una situazione nevrotico conflittuale. Il termine
nevrosi fu inventato da Cullen. Generalmente questo tipo di sofferenza soggettiva nasce da quella che è una
visione psicodinamica, quella suggerita nella seconda topica freudiana. Aveva a che fare con la
concettualizzazione delle 3 grandi stanze psichiche che sono:
- Es
- Io
- Super io
Secondo questa descrizione data da Freud delle tre grandi stanze intrapsichiche esiste la sfera emotivo-
pulsionale di ciascuno di noi (Es) che si trova in una continua e perenne lotta con il Super Io. Al centro di
questo conflitto si trova l’Io. Si deve a questa sistematizzazione la prima definizione dell’ansia. Freud sostiene
che quando i meccanismi di difesa vanno a buon fine la lotta incessante tra es e super io viene tenuta a bada,
quindi l’io attraverso i suoi meccanismi di difesa può controbilanciare questa lotta. Quando i meccanismi di
difesa falliscono si ha l’ansia. L’ansia non è altro che il simbolo del conflitto tra es e super io. È anche il
segnale del fatto che questo equilibrio che l’io riusciva a tenere in vita grazie ai meccanismi di difesa si sia
rotto.
Fu proprio Freud che sistematizzò per primo le nevrosi in nevrosi di trasfert e nevrosi attuali. Le nevrosi di
trasfert avevano a che fare appunto con il trasfert, cioè traevano origine da tutta una serie di conflitti insorti
in età infantile. Questi conflitti si ri-attualizzano proprio mediante il trasfert. Questi conflitti hanno anche a
che fare con la manifestazione, il rivivere il conflitto sulla figura del terapeuta. Questo in psicoanalisi prende
esattamente il nome di trasfert. Esiste poi anche il movimento del terapeuta nei confronti del paziente che si
chiama contro- trasfert. Le nevrosi attuali sono invece dei problemi attuali della vita del paziente che Freud
riteneva essere legate al mancato soddisfacimento degli impulsi.
- Nevrosi d’angoscia
- Nevrosi ipocondriaca
- Nevrosi neuro astenica
- Nevrosi isterica
- Nevrosi ossessiva
- Nevrosi di trasfert
Il libro di Freud “Frammento di un’analisi di isteria” contiene casi clinici molto importanti che hanno anche a
che fare con queste nevrosi.
Come abbiamo già detto in precedenza, l’ansia può essere sia fisiologica che patologica. L’ansia fisiologica è
indirizzata a un miglioramento delle capacità e del rendimento dell’individuo, quindi aumenta la velocità dei
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nessi associativi, la capacità di apprendere, la capacità di dare giudizi validi di realtà, migliora l’efficienza
fisica, riduce i tempi di reazione agli stimoli. L’ansia patologica accade che vi sia un vero e proprio blocco dei
nessi associativi, un blocco dell’apprendimento che diviene difficoltoso o impossibile, fino a una sorta di
monoideismo. Per fare un esempio si potrebbe citare lo studente all’esame: quando viene rivolta una
domanda a cui non si sa rispondere si può andare in una sorta di blocco, perché non si riesce a smettere di
pensare all’idea di non riuscire a rispondere alla domanda. Si tratta di una condizione di monoideismo che a
volte può sfociare addirittura in uno stato confusionale. In questo caso l’ansia diventa patologica, in quanto
non è più finalizzata all’ottenimento di un vantaggio. In questo caso si ha uno scadimento della performance.
L’attivazione è alla base di molti disturbi d’ansia, alcuni autori parlano di Hyper-Arousal. Può essere quanto
mai maggiore più è elevato il livello della minaccia. Tanto maggiore quindi è il senso del pericolo avvertito dal
soggetto. Quando si ha un ritardo nello spegnersi di questo meccanismo, nel soggetto aumenta fortemente il
rischio di sviluppare un’ansia di natura persistente. Questa ansia persistente, oltre a distruggere la qualità di
vita del paziente genera uno stato logorante di angoscia. Genera quella che può residuare in una sorta di
depressione. Non a caso si dice che nella vita reale ansia e depressione vadano a braccetto tra di loro.
- la preoccupazione è pervasiva
- il sentimento è penoso di apprensione, non è concentrato su un particolare oggetto o situazione,
non è più un livello di apprensione commisurato all’oggetto ma diventa aspecifico
- Il soggetto avverte una ineffabile difficoltà nel controllare le proprie preoccupazioni. Il non essere in
grado di controllare le proprie preoccupazioni è un elemento serio di patologia.
- Quando si ha un livello di compromissione psicosociale marcata
- Con un criterio temporale specifico→ il disturbo si identifica nell’arco dei 6 mesi. Il criterio mediante
il quale si arriva alla definizione del patologico.
Il DSM per definire la patologia si concentra su due fattori: la gravità dei sintomi e l’arco di tempo in cui il
disturbo sorge e si mantiene.
Così come esiste la nevrosi esiste anche la pseudonevrosi. Cioè un tipo di patologia in cui si ha una
sintomatologia nevrotica che fa però riferimento a un etiologia organica specifica. Ad esempio
nell’ipertiroidismo, patologia in cui c’è un eccesso di attività della tiroide, succede che si produce una
sintomatologia nevrotica, ansiosa, che però può essere riconducibile a questa patologia organica. Non
abbiamo quindi una nevrosi ma una pseudonevrosi.
DISTURBI D’ANSIA
Ci sono quelli che oggi chiamiamo disturbi d’ansia che hanno raccolto l’eredità delle vecchie nevrosi:
Munch dipingeva 3 quadri nel 1800, tutti e 3 con lo stesso titolo ma realizzati con 3 tecniche totalmente
diverse. Il titolo dei 3 quadri è “Ansia”. In tutti e tre si delinea bene cosa sia l’ansia.
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DISTURBI D’ANSIA GENERALIZZATA
I criteri del DSM-IV per il GAD. Questi 5 criteri sono esattamente gli stessi che abbiamo visto quando
abbiamo parlato di ansia patologica. L’ansia patologica si esprime con
sono esattamente i criteri che abbiamo nominato prima e servono a porre la diagnosi di disturbo d’ansia. Ci
sono poi altri sintomi che si associano all’ansia come:
- senso di paura
- senso di nervosismo
- senso di irrequietezza motoria
- acatisia→ impossibilità a rimanere seduti
- acatisia psichica→ una vera e propria impossibilità dei pensieri
- umore disforico-→ perdita della pazienza, abbassamento della soglia di tolleranza alle frustrazioni, il
senso dell’irritabilità che si associa spesso all’ansia
L’ansia può colpire sia sul piano somatico che su quello psichico. Per capire bene come l’ansia si manifesti sul
piano somatico si può guardare quelle che nelle vecchie definizioni di nevrosi venivano definite come
psichestesie: le psichestesie di allarme sono delle vere e proprie alterazioni del sentimento somatico come
diceva Bini nel descrivere questi tipi di patologie. In questi tipi di psichestesie si possono avere dei sentimenti
prevalenti di natura spiacevole, sfiducia, timore, con un significato del dubbio rivolto verso le proprie
capacità. Si tratta a volte di un senso di stanchezza estremo, di astenia, o quello che un tempo veniva
chiamata nevrastenia. Si sente ancora oggi parlare del nevrastenico, nel senso della nevrosi vissuta come
stanchezza muscolare o facile stancabilità dell’attenzione, della concentrazione o della memoria. Tutto
questo ha a che fare con la nevrastenia. Alcune psichestesie hanno una tipica localizzazione somatica
facilmente delimitabile. Altre hanno una sensorialità difficilmente esprimibile. Accanto a queste psichestesie
si descrivono anche delle sensazioni più moleste, meno obiettivabili sul piano somatico. Si descrivono dei
dolori eri e propri senza un rimando organico che finiscono per essere invasive di tutta la vita del paziente. il
paziente ha una vita affettiva totalmente sconvolta dalla presenza di queste psichestesie. Questo perché
arrivano a rasentare una sorta di dolore spirituale. In queste psicoestesie il dolore ha un carattere di
prevalenza, si caratterizza per un senso dell’attesa spasmodica, ineluttabile, che investe tutta la personalità
del soggetto. Possono essere dei semplici borborigmi intestinali, aerofagia, scricchiolio articolare. Variano in
maniera espressiva questi tipi di sensazione moleste o dolorose ma arrivano a sconvolgere la vita delle
persone. Il nevrotico spesso è vittima di queste psichestesie, di queste che ad oggi verrebbero chiamate
somatizzazioni. Sul piano somatico possiamo avere una espressività assolutamente varia.
alla base di questo disturbo d’ansia vi è spesso il senso della paura che può essere reale, anticipata dalla
previsione, evocata dal ricordo, prodotta dalla fantasia. Può nascere in contesti diversi. La paura è una
reazione primordiale dell’individuo che ha un significato di difesa da un certo determinato pericolo. È
probabile che gli individui abbiano salvaguardato nel tempo la propria specie attraverso questa emozione. La
paura può però essere spesso accompagnata a una reazione eccessiva organica che mette in gioco tutta
un’altra serie di caratteristiche.
EZIOPATOGENESI ANSIA
Sul piano eziopatogenetico si può fare riferimento a diversi tipi di teorie: esistono fattori predisponenti e
fattori precipitanti. Alla base rimane ferma l’dea che ci sia una diatesi, cioè una predisposizione alla malattia
di alcuni soggetti. Alcune persone sono più predisposte di altre a essere malati. Questo per lo stress: in certe
persone non predisposte lo stress non genera la malattia, in altre persone lo stesso stress con una pari
intensità e durata produrrà malattia perché andrà a slatentizzare quella che è una vulnerabilità, una
predisposizione alla malattia stessa. Esistono dei fattori genetici che noi ad oggi non siamo in grado di
individuare, esiste una famigliarità perché chi ha famigliari affetti da disturbi d’ansia ha una certa probabilità
di sviluppare disturbi d’ansia, ma anche chi ha in famiglia qualcuno che soffra di disturbo psichiatrico può
manifestare ansia. Esistono fattori di tipo traumatico che possono essere alla base del disturbo ansioso.
Esistono difetti del meccanismo di coping in alcuni di questi soggetti, cioè i vecchi meccanismi di difesa:
quando falliscono i meccanismi di difesa esce fuori l’ansia. Il modello viene usato anche per quanto riguarda
attualmente le ipotesi patogenetiche alla base dell’ansia. Il fallimento di quelle che sono oggi le strategie di
coping a base dell’ansia. Anche tutta una serie di pensieri e credenze inappropriate, errate da parte di questi
soggetti. Possiamo avere anche diversi tipi di fattori precipitanti che sono fattori di natura stressante. Questi
possono andare a slatentizzare quella predisposizione di cui abbiamo parlato prima. Ad oggi sono state
sviluppate anche delle scale psicometriche che permettono di rilevare la sintomatologia ansiosa. Queste
scale, come la Hamilton-Anxiety Rating Scale è una scala psicometrica che identifica delle specifiche
alterazioni nell’ambito delle valutazioni psicometriche. Ad esempio esistono determinati tipi di Item che
vengono analizzati da questa valutazione. Questi item possono risentire dell’ansia del paziente. il
comportamento del soggetto potrà essere teso, irrequieto, inquieto, più o meno tremante. Ci possono
essere diversi tipi di caratteristiche da punto di vista del comportamento che delineano il paziente ansioso e
angosciato. I pazienti che soffrono d’ansia spesso non riescono a stare seduti, quindi devono alzarsi per tutta
la durata del colloquio, hanno un aumento del tono muscolare, esprimono spesso una facies da sforzo, un
volto pallido e così via. Quindi esistono delle scale di valutazione che prendono in considerazione tutta una
serie di item specifici per la valutazione dal punto di vista comportamentale. Questo è molto prezioso per il
clinico.
L’ansia può essere presente sia come disturbo d’ansia, ma il sintomo ansioso può essere presente anche in
tanti altri disturbi. In questo caso ne facciamo una descrizione diversa, cioè sul piano dimensionale. Deve
sempre essere fatta una diagnosi differenziale con l’ansia. Esistono diverse patologie organiche che riescono
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a produrre un quadro ansioso o nevrotico, le cosiddette pseudonevrosi, abbiamo visto disturbi tiroidei, il
feocromocitoma, l’ipoglicemia, l’ipocalcemia, i disturbi cardiovascolari. In questo caso la diagnosi non è di
GAD ma del disturbo di base da cui la sintomatologia dipende. Lo stato d’ansia può essere anche continuo. In
alcuni tumori, nella sclerosi multipla e in alcune demenze possiamo avere sempre una causa organica alla
base della nevrosi, quindi una pseudonevrosi che si presenta con un quadro clinico tipicamente ansioso o
nevrotico.
- palpitazioni
- sudorazione
- tremori
- senso di asfissia
- dolore al petto
- sintomi totalmente invalidanti
- sensazione di sbandamento
- instabilità
- testa vuota
- testa leggera
- derealizzazione→ senso di irrealtà che si caratterizza con l’estraneità assoluta rispetto al contesto.
La stessa cosa nei disturbi della coscienza dell’io dove veniva descritta la depersonalizzazione
allopsichica. Qui entra come criterio diagnostico specifico del panico
- triade sintomatologica sul piano psichico:
o paura di morire
o paura di perdere il controllo
o paura di impazzire
- parestesie→ sensazioni di torpore e formicolio al corpo
- brividi o vampate di calore
Normalmente accade che uno degli attacchi venga seguito per almeno un mese da:
Il DSM riporta anche che il panico non debba essere legato agli effetti fisiologici diretti di una sostanza o a
una condizione medica generale. Nel DSM-V è cambiato molto poco, se non dal punto di vista terminologico:
invece dei termini “inaspettato” si fa riferimento ad “attacchi aspettati e inaspettati”. Il DSM-V ha introdotto
il concetto di specificatore di malattia. Laddove è presente il panico, un disturbo di qualsiasi genere a cui sia
associato lo specificatore panico è un disturbo più grave. Non è semplicemente solo il disturbo da attacchi di
panico come categoria ma esiste anche lo specificatore di malattia panico come sintomo che specifica una
maggior gravità del quadro clinico. Abbiamo che il giudizio del clinico deve essere molto molto importante a
riguardo: in precedenza si faceva riferimento a disturbi da attacchi di panico con o senza agorafobia nel
DSM-V si parla di disturbo da attacchi di panico E agorafobia.
il sintomo cardine di questi casi è proprio la fobia, cioè un timore morboso, irragionevole e riconosciuto
come tale dal paziente di cose, persone, situazioni che non sono o sono solo potenzialmente pericolosi.
L’atteggiamento del paziente nei confronti delle sindromi fobiche può essere duplice: si può cercare di
evitare l’oggetto fobico, in questo caso si ha un evitamento patologico, oppure il paziente può andare
incontro a una reazione contro-fobica. Cioè un atteggiamento per il quale il paziente combatte il senso di
abnormità ed estraneità della fobia stessa. La fobia si configura come un’intensa, specifica paura che si
suppone essere proiettata su oggetti esterni proprio per difendersi da quella che è un’angoscia interna.
Questo ci viene dal contributo della psicanalisi.
così come esistono le fobie il paziente può applicare delle tecniche contro fobiche:
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- presenza di un sostegno- un compagno che possa aiutare ad affrontare la fobia
- possibilità di muoversi in prossimità di presidi ospedalieri
- portare con sé farmaci ansiolitici
- coltivare amicizie con medici
- sedersi vicino a uscite di sicurezza
queste sono tutte tecniche contro fobiche, alcune sono più bizzarre di altre, ma tutte hanno a che fare con il
cercare di controbattere il senso di agorafobia con un senso di contro fobia, combattendo il senso di pericolo
associato alla fobia.
nel DSM-V è cambiato molto poco, c’è sempre l’aspetto di specificatore, quindi se è presente lo specificatore
fobia il disturbo al quale si associa è più grave. Per tutte le età è stato riconosciuto l’arco temporale dei sei
mesi o più per la diagnosi.
FOBIA SOCIALE
La fobia può essere anche una fobia di tip sociale: la fobia sociale rende impossibile compiere azioni in
pubblico, parlare in pubblico, lavorare o scrivere quando si è osservati, parlare a un convegno, sostenere un
esame, esprimere un senso di disaccordo. In tutte queste situazioni noi possiamo accusare un senso di
disagio oppressivo. Può diventare impossibile conoscere qualcuno, parlare a persone autorevoli, andare a
una festa, avvicinarsi a persone dell’altro sesso. Se si soffre di fobia sociale si è invalidati in moltissime attività
quotidiane. I criteri diagnostici sono gli stessi della fobia specifica, la differenza è che la fobia è indirizzata a
situazioni e momenti sociali, non verso oggetti o persone specifiche. Nel DSM-V si ha un cambiamento della
terminologia, si parla infatti di disturbo d’ansia sociale, abbiamo una serie di situazioni per cui l’ansia viene
innescata socialmente (non cambia dal DSM-IV) inoltre si hanno cambiamenti sulle tempistiche per i
bambini. Si fa riferimento della capacità clinica di valutare le alterazioni specifiche. Soprattutto sarà
importante il giudizio del clinico per valutare quanto sarà disadattativa e quanto sia invalidante la reazione
fobica.
FOBIE OSSESSIVE
Esistono anche delle fobie ossessive→ sono un esempio interessante di come la fobia possa diventare anche
ossessione. L’ossessione è un’idea patologica che parassita la mente del soggetto mediante caratteristiche
di:
1) incoercibilità
2) egodistonia
3) ripetitiva, l’idea assedia la mente.
Secondo quello che veniva detto dai vecchi clinici si parlava di psichismo parassita. Si tratta di un sentimento
fobico complesso in cui prevale la paura più o meno intensa, il segno della ripugnanza, del disgusto e
dell’orrore. A tutto questo si associa l’elemento coatto, dell’incoercibilità.
Una fobia ossessiva può essere la rupofobia, cioè la paura dello sporco. In risposta a questa paura il soggetto
metterà in atto dei rituali come lavarsi compulsivamente le mani nell’arco della giornata. In questo caso il
disturbo si caratterizza come un disturbo di tipo sia ossessivo che compulsivo questo perché abbiamo un
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elemento ossessivo (rupofobia) e uno compulsivo (il lavaggio delle mani). Nelle cosiddette fobie ossessive si
hanno delle fobie che nascono come tali ma che si tramutano in ossessione che va a caratterizzare la mente
del soggetto. Nel film “the aviator” il protagonista soffre di ossessioni e a un certo punto del film si rinchiude
in una stanza e allinea tutta una serie di bottiglie lungo il perimetro della stanza in maniera compulsiva a una
determinata distanza dalle pareti e tra di loro. Sono dei rituali che tentano di allontanare un certo tipo di
ossessione. A volte l’industria cinematografica ha scolpito nell’immaginario comune con queste immagini
delle fobie ossessive. Quindi nelle fobie ossessive l’idea coatta viene vissuta come fobia di coazione, cioè
fobia che porta a dover ripetere un certo determinato comportamento che è la compulsione che tenta di
allontanare la compulsione. Purtroppo dà buoni frutti solo inizialmente ma poi, più si va avanti, meno questa
è efficace, fino a diventare totalmente infruttuosa.
L’ossessione non nasce necessariamente come fobia, è un fenomeno assolutamente variegato. Può essere
un’idea ma può essere anche un impulso, una tendenza, un’immagine mentale.
La reazione di tipo acuto allo stress, in questi casi si manifesta a distanza di ore o giorni dallo stress. La
sindrome può essere anche post-traumatica, cioè insorge a distanza di giorni, settimane mesi dal trauma e
durare per più di un mese.
- Riesperire il trauma
- Senso dell’evitamento
- Cognizioni e umore negativi
- Arousal
Sono tutti cluster significativi del disturbo. Si sottolinea come nel soggetto si instauri una situazione di lotta
incessante con la riattualizzazione del trauma. È stata poi eliminata la distinzione tra disturbo post
traumatico acuto e cronico. Sono stati aboliti i sottotipi, se non il sottotipo di insorgenza in bambini con età
inferiore ai 6 anni e un sottotipo che riguarda i prominenti sintomi dissociativi. In questa variante emergono
dei sintomi di natura dissociativa.
Psicopatologia dell’affettività
Gli antichi clinici pensavano che il disturbo bipolare del tono dell’umore avesse a che fare con le aree più
anteriori del cervello. Avevano intuito un aspetto che poi è stato ampiamente confermato dalla neurobiologia
attuale. Studiosi che si sono soffermati in maniera più analitica, specifica sui diversi disturbi dell’umore:
Ippocrate e Areteo di Cappadocia sono due grandi clinici del passato che già avevano parlato dei disturbi
dell’umore. Dovranno trascorrere poi molti secoli, arrivando poi ai grandi alienisti francesi che sono Falret,
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Baillarger, Griesinger, Kahlbaum, Krepelin, Bleuer. Sono tutti personaggi importanti che hanno lasciato un
segno importante nella psicopatologia nei disturbi dell’affettività. I clinici più moderni che si sono soffermati
sulla concettualizzazione del disturbo dell’umore sono stati Goodwin, deceduto a settembre 2020, insieme
alla Jamison, altra studiosa, ha scritto il trattato della psicosi maniaco depressiva che ancora noi oggi usiamo
nella clinica come fonte assoluta d’insegnamento. Studiosi molto più recenti sono ancora in vita e si sono
dedicati allo studio di questo disturbo. Se noi dobbiamo parlare di un disturbo dobbiamo partire dalla sua
epidemiologia. Il disturbo bipolare tendenzialmente oggi è più rappresentato rispetto al passato. Oggi siamo
attorno al 5-6% per le patologie dello spettro bipolare. Si parla di spettro bipolare in quanto è un concetto
molto più allargato rispetto al passato, durante cui i disturbi non venivano adeguatamente riconosciuti. C’è un
dato fondamentale: il ritardo diagnostico medio nel disturbo bipolare è di circa 10 anni. C’è da chiedersi perché
si arrivi con un ritardo diagnostico tale alla diagnosi di disturbo bipolare. Questo avviene perché il disturbo
bipolare viene scambiato per altro. Viene trattato come se fosse molto spesso come una depressione di tipo
unipolare. Dobbiamo capire la differenza di disturbi unipolari e bipolari nell’ambito della patologia
dell’affettività.
Dal punto di vista neurobiologico, alla base della cosiddetta depressione noi abbiamo la teoria
monoaminergica. Questo postula che, alla base della depressione vi sia un deficit di un neurotrasmettitore o
di alcuni di essi, noti come monoamine come la noradrenalina o la serotonina. Il problema fondamentale nella
depressione sembra essere un deficit di tipo neurotrasmettitoriale. Essenzialmente un deficit di monoamine.
Gli antidepressivi vanno a ristabilire le concentrazioni di neurotrasmettitore serotoninergico e di noradrenalina
all’interno dei cosiddetti spazi intersinaptici. All’interno di questi spazi esistono un neurone presinaptico e un
neurone postsinaptico che si scambiano dei segnali attraverso il rilascio di questi neurotrasmettitori. sarebbe
troppo lungo e andrebbe sicuramente oltre gli obiettivi di questo corso parlare in maniera troppo specifica di
questo, va però saputo che i tre neurotrasmettitori essenziali che si pensano siano coinvolti nella depressione:
noradrenalina, dopamina, serotonina abbiano a che fare con tre aree specifiche nell’ambito delle funzioni
psichiche. Ad esempio la serotonina gestisce gli aspetti più tipicamente ossessivi. Ci sono delle depressioni con
aspetti di tipo più ossessivo. La dopamina ha a che fare per lo più con piacere e appagamento. Un certo tipo
di depressione con caratteristiche anedoniche risponderà molto meglio a dei farmaci che vanno ad agire sulla
dopamina. Infine la noradrenalina ha più a che fare con aspetti dell’energia, della concentrazione e
dell’attenzione. Ci sono poi aspetti che si situano in aree che hanno a che fare con tutti e tre questi
trasmettitori: ad esempio umore, interesse, ansia sono tutta una serie di dimensioni che hanno a che fare con
tutti e tre questi neurotrasmettitori.
Grazie alla neurobiologia ad oggi sappiamo che ci sono delle aree tipicamente implicate nella depressione. Ad
esempio la corteccia dell’insula, la corteccia prefrontale (quella più anteriore del cervello), la corteccia del
cingolato anteriore, il nucleo accumbes, l’amigdala e soprattutto l’ippocampo. Una delle prime evidenze in
senso neurobiologico legata alla depressione è stata proprio la riduzione del volume dell’ippocampo. È
veramente una delle caratteristiche più specifiche della depressione: andando a vedere le strutture cerebrali
dei soggetti depressi si trova subito e in maniera evidente la riduzione di volume dell’ippocampo.
DEPRESSIONE
Quando si parla di depressione si fa generalmente riferimento all’episodio depressivo maggiore. È un termine
assolutamente utilizzato nella società attuale. Esistono tutta una serie di criteri per i quali io posso porre
diagnosi di depressione. I sintomi devono essere 5 o più e perdurare per un periodo di almeno 2 settimane
per fare la diagnosi di episodio depressivo. Per fare la diagnosi di disturbo i 5 o più sintomi si devono avere per
un periodo di 6 mesi. I sintomi possono essere
- Umore depresso
- Riduzione degli interessi
- Perdita di peso
- Alterazione del sonno. Tipicamente insonnia. Un depresso è quello che dorme poco, specialmente
quello che si risveglia precocemente nell’arco della notte e non riesce a riaddormentarsi. Se invece si
ha un’insonnia di tipo più iniziale si tratta più facilmente di un disturbo d’ansia. In base al disturbo del
sonno che si ha si può fare una diagnosi differenziale tra ansia e depressione.
- Mancanza di energie
- Rallentamento psicomotorio. Ci sono anche delle forme di depressione agitata, sono forme più
complicate da trattare e che hanno una maggiore probabilità di suicidio
- Idee di morte. Sono spesso presenti nel soggetto depresso. Questo non significa che tutti i soggetti
depressi siano da considerarsi a rischio di suicidio ma, sicuramente, la dimensione suicidaria e quella
depressiva possono andare a braccetto fra di loro.
Le tipiche domande da porre al depresso sono? Come si sente? → il depresso inizierà a parlare del proprio
vissuto di mancanza di speranza, della difficoltà ad essere aiutato, dell’impossibilità a riconoscere qualsiasi
fattore consolatorio all’interno del suo mondo. Come trascorre le proprie giornate. Si ha riduzione di interesse,
di piacere, di spirito di iniziativa nelle cose.
Molto spesso la depressione si associa anche a malattie di tipo organico, si ha una correlazione bidirezionale
dalla depressione alle malattie mediche internistiche e viceversa.
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- Depressione con caratteristiche catatoniche laddove sia particolarmente soggetta al blocco
catatonico, al rallentamento psicomotorio esasperato e a tutta una serie di caratteristiche complesse
che ad oggi si esprimono in ben 12 differenziazioni cliniche nell’ambito della cosiddetta catatonia.
2) Stupor→ mancanza di attività psicomotoria
3) Ecoprassia→ ripetizione dei movimenti altrui
4) Ecolalia→ ripetizione delle parole altrui
5) Smorfie
6) Stato di agitazione non causato da stimoli esterni
7) Stereotipia
8) Manierismi
9) Assunzione e mantenimento di una postura non consona- antigravitaria
10) Negazione→ opposizione o mancanza di risposta a istruzioni o stimoli esterni
11) Mutacismo
12) Flessibilità cerea
13) Catalessia→ mantenimento passivo di una posizione imposta dall’esterno
- Ad esordio nel peripartum. È una depressione che si manifesta sia in gravidanza che nel periodo post-
partum. Da questo punto di vista il periodo post- parto è caratterizzato da un’elevata vulnerabilità. In
questo periodo i soggetti possono manifestare della sintomatologia di tipo depressivo
- Specificatore ansioso che si associa a certi tipi di depressione che vengono detti di tipo ansioso-
depressive proprio perché vanno a caratterizzarsi per la presenza di ansia.
DISTURBI BIPOLARI
Seguono poi le depressioni bipolari. Il disturbo bipolare è un disturbo nel quale si alternano delle fasi che
saranno depressive con delle fasi di tipo maniacale. Queste fasi depressive e maniacali si alternano tra di loro
in certi tipi di intervalli. Nel disturbo bipolare di tipo 1 si ha l’alternanza di fasi maniacali con le fasi depressive.
Nel disturbo bipolare di tipo 2 si ha alternanza tra episodi o fasi ipomaniacali con episodi depressivi. C’è poi un
altro tipo di episodio di alterazione dell’umore: gli stati misti. Con stati misti si intende degli stati in cui si associa
la sintomatologia depressiva con quella maniacale. Si connotano da un punto di vista clinico per caratteristiche
di irritabilità, ridotta tolleranza alle frustrazioni, nervi a fior di pelle, stato di tensione interna, oltre al sentirsi
particolarmente irascibili. Quando il soggetto si presenta con questo tipo di caratteristiche soddisfa i criteri di
uno stato misto, uno stato in cui siano compresenti degli elementi sia depressivi che maniacali che non uno
solo dei due.
Quando questi sintomi durano per almeno 4 giorni si parlerà di episodio ipomaniacale. Non varia
assolutamente niente se non una modifica temporale.
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Alternanza di episodi depressivi e maniacali indica il disturbo bipolare di tipo 1, l’alternanza con episodi
ipomaniacale indica il disturbo bipolare di tipo 2.
Esistono anche altre forme di stati misti. La cosa che va ricordata è che il paziente che ha una depressione di
tipo misto manifesta una sintomatologia equiparabile all’irritabilità, alla scarsa tolleranza delle frustrazioni e
degli impulsi. Avrà quindi una tendenza notevole ad essere accelerato sul piano motorio anche se poi è
depresso sul piano ideativo.
DISTURBO CILCOTIMICO
È la continua alternanza di numerosi episodi ipomaniacali e depressivi che devono però essere presenti per
almeno 2 anni. La differenza con il disturbo bipolare di tipo 2 secondo i manuali è una differenza fondata sui
sistemi temporali. Mentre per fare diagnosi di disturbo bipolare di tipo 2 è necessario un solo episodio
ipomaniacale che nella pratica clinica si andrà a alternare a diversi episodi di tipo depressivo, qui ho bisogno
di numerosi episodi ipomaniacali e diversi episodi depressivi che devono andare avanti per almeno 2 anni. I
criteri per fare diagnosi di episodio ipomaniacale e depressivo sono quelli che abbiamo già visto.
- Ipomaniacali:
o Scarso appetito o iperfagia
o Insonnia o ipersonnia
o Sentimento di disperazione
o Scarsa energia o astenia
o Difficoltà di concentrazione
o Bassa autostima
- Depressivi
o Umore depresso
o Insonnia o ipersonnia
o Ricorrenti pensieri di morte o ideazione suicidaria
o Faticabilità o mancanza di energia
o Ridotta capacità di pensare o concentrarsi
o Significativa perdita di peso
o Agitazione o rallentamento psicomotorio
o Marcata diminuzione di interesse per le attività
Si deve considerare che il ritardo diagnostico medio nei disturbi bipolari è 10 anni. Molte di queste forme di
depressione vengono inizialmente scambiate per disturbi unipolari.
TEMPERAMENTI
I temperamenti non hanno a che fare con i disturbi dell’affettività. Sono qualcosa di biologico. Sono una
componente fisiologica dell’organismo dell’individuo. Ciascuno di noi ha un temperamento. Il temperamento
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è il livello di reattività dell’individuo rispetto all’ambiente. Quindi il livello di reattività agli stimoli. Reagiamo
tutti in maniera diversa rispetto a questi stimoli.
- Ci sono persone più tristi, prive di Humor, pessimisti, passivi, indecisi, a volte ipercritici, lamentosi,
coscienziosi, molto disciplinati che si preoccupano molto spesso per la propria eventuale
inadeguatezza. Questi soggetti non sono malati da un punto di vista psichiatrico. Presentano
semplicemente quello che è noto come temperamento depressivo. Un buon esempio in letteratura di
tutto questo poteva essere Giacomo Leopardi, che ha scritto dei versi assolutamente memorabili ma
dalla sua poesia si apprezza bene quanto potesse avere questo tipo di temperamento. Non è
patologico ma è qualcosa che mi può più facilmente predisporre rispetto ad altri soggetti verso un
disturbo depressivo del tono dell’umore. Con questo tipo di temperamento nella vita dovrò stare più
attento rispetto agli altri perché potrò con maggior probabilità andare incontro a un disturbo di tipo
depressivo.
- Ci sono poi persone con temperamenti ipertimici, che sono quelli più “naturalmente protetti” nei
confronti delle patologie dell’umore. Questo perché manifestano un certo tipo di esuberanza, allegria,
superficialità, pienezza nei progetti, impulsività, imprudenza che li rendono in qualche modo più
protetti. Soggetti con questo tipo di temperamento sono anche più protetti rispetto al rischio di
suicidio. I comportamenti suicidari possono essere assolutamente molto presenti nei disturbi
dell’umore. Quindi avere un elemento protettivo non è male. Va sempre valutato attentamente nei
nostri pazienti.
- Temperamento ciclotimico→ non esiste solo un disturbo ciclotimico con un continuo alternarsi di
episodi di tipo maniacale con episodi di tipo depressivo ma anche un vero e proprio temperamento
ciclotimico. È rappresentato dall’alternarsi di una serie di manifestazioni sia soggettive che
comportamentali nell’ambito dello stesso soggetto. Si hanno periodi di apatia di anche alcuni mesi o
settimane che si alternano a settimane di euforia di altrettante settimane. Periodi di pessimismo
alternati a periodi di ottimismo, sensazioni di testa confusa alternata a ideazione creativa. Autostima
variabile tra scarsa e spropositata fiducia in sé stessi. Sono una serie di manifestazioni che identificano
un’alternanza continua. Non si tratta di malattia, è un livello particolare di reattività dell’individuo.
Bisogna stare particolarmente attenti in quanto soggetti che presentano questo tipo di temperamento
svilupperanno molto più probabilmente nella propria vita un disturbo di tipo bipolare. Particolare
attenzione a questo sottogruppo di soggetti che nel tempo potrà sviluppare molto più
frequentemente degli altri un disturbo bipolare.
- Temperamento irritabile→ un umore abitualmente irritabile è caratterizzato da una tendenza a
rimuginare, lamentosità, tendenza a scherzare in maniera inappropriata, talvolta all’essere invadente,
irrequietezza disforica, impulsività. Soggetti che hanno queste caratteristiche non sono malati di loro,
manifestano aumentata tendenza nel tempo a sviluppare un disturbo di tipo bipolare caratterizzati
dai cosiddetti stati misti. Sono delle alterazioni del tono dell’umore che si caratterizzano per questi
elementi. Quindi avere di base questi elementi espone di più nel tempo questa malattia.
Ovviamente non tutti i soggetti con un determinato temperamento andranno incontro allo sviluppo di malattia
mentale. Vale sempre il modello stress-diatesi. Cioè la vulnerabilità biologica (diatesi) deve essere slatentizzata
dall’esposizione a fattori di rischio di tipo stressante nella vita. Se io sono predisposto a sviluppare una certa
patologia, l’esposizione anche precoce ad un certo tipo di stress, come l’abuso di sostanze, potrò manifestare
precocemente un disturbo. Il temperamento aumenta solo la probabilità che questo avvenga.
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Disturbi di personalità
Una delle prime che si deve andare a fare è tra carattere, temperamento e personalità. Spesso si sente dire in
gergo che una persona “ha un certo tipo di carattere”. In realtà il carattere è tutto ciò che una persona riesce
a realizzare sulla spinta degli stimoli ambientali. Nel bambino c’è un certo tipo di carattere che ancora non si
distingue dal temperamento e dalla personalità, noi dovremmo sempre parlare solo di carattere fino ai 18
anni. Il concetto di personalità, che è un concetto più maturo, si può caratterizzare solo a partire dalla maggiore
età. Il temperamento lo abbiamo appena visto: è il livello biologico di reattività dell’individuo. È un po’ quella
che sarà la risposta che il soggetto metterà in atto nell’ambiente in base a quello che è il corredo organico
ereditario che viene fornito da un punto di vista genetico. Da una parte ho il temperamento che è
geneticamente determinato, dall’altra il carattere che viene determinato dall’ambiente. L’insieme degli aspetti
più biologici del temperamento con quelli più psichici del carattere costituiscono la personalità.
Qui ci sarebbe un lungo percorso storico da fare che ci possiamo risparmiare, nel senso che i primi a
interessarsi di personalità furono i pitagorici. Pitagora di Siracusa è considerato uno dei 3 più grandi scienziati
della storia dell’umanità, insieme a Newton e Einstein. I pitagorici si interessarono per primi di personalità. Per
loro esistevano 4 principi del cosmo, 4 umori, 4 temperamenti, 4 stagioni atmosferiche e 4 stagioni della vita.
Come è ben intuibile per i pitagorici 4 è il numero perfetto. Furono loro per primi a definire lo stato di salute.
Fu molto chiaro parlare di costituzioni. Questo perché gli uomini antichi erano soliti guardare in cielo per
osservare gli astri. Molti dei termini che noi conosciamo, ad esempio desiderare, considerare, assiderare,
hanno a che fare con gli astri. Hanno dei significati etimologici peculiari legati agli astri. Una locuzione latina
molto famosa era “Per Aspera ad Astra” cioè attraverso sentieri tortuosi giungiamo agli astri. Gli astri erano
visti come un punto di riferimento. Fu facile accostare agli astri i temperamenti e le costituzioni. Si cominciò a
dire guardando a Giove che c’erano soggetti con un temperamento, una costituzione gioviale. Così come
pensando alla luna c’erano i cosiddetti lunatici o ancora a Saturno si trovavano i soggetti con una costituzione
saturnina, e così via con costituzioni Marziali o veneree. Fu facile nel mondo arabo accostare gli astri alle
costituzioni. La personalità venne definita anche da Aristotele.
La personalità venne definita da alcuni eminenti personaggi clinici che hanno fatto la storia della psichiatria.
Pinel nel 1801 parla di quello che noi oggi potremmo identificare come un disturbo di personalità. In quel
periodo si era anche soliti indicare il disturbo di personalità come un vizio di mente, come un difetto della
cosiddetta capacità della volontà del soggetto. Allo stesso modo era comune parlare di un cosiddetto stato di
temperamento nervoso, uno stato di sofferenza che durava per tutta la vita senza superare la demarcazione
tra ragione e follia. Molti parlavano a quel tempo di follia morale. Mosley a cui si deve il famoso istituto che
ancora oggi esiste a Londra, parlava di imbecillità morale per far riferimento al concetto di personalità.
Come è possibile identificare la personalità? Il termine personalità deriva da persona. La persona era la
maschera che gli attori della tragedia e della commedia greca indossavano sul palcoscenico. Il termine
personalità mette insieme una serie di caratteristiche diverse. Per dare una definizione di personalità si può
far riferimento alla definizione data da Jervis nel 1993: si tratta di un’impronta personale che si articola in certi
determinati tratti e non è valutabile se non all’interno del rapporto inter individuale e si rende stabile nel corso
della vita.
Per definire quanto a volte siano strane le cose si può far riferimento alla storica frase di James che sostiene
che ogni volta che due persone si incontrano ce ne possono essere presenti addirittura 6: per ogni uomo ce
n’è uno per come egli stesso si vede, per come vede l’altro e per come egli è realmente.
Esistono diverse teorie alla base della personalità. Esistono teorie di tipo psicodinamiche e di tipo cognitivo. Ci
sono poi teorie di tipo interpersonali. I modelli metacognitivi e interpersonali descrivono molto bene i disturbi
di personalità. Li definiscono bene perché parlano di un insieme di stati mentali problematici a proposito dei
disturbi di personalità. Questo insieme di stati mentali problematici tendono a caratterizzare l’esperienza
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interna dei pazienti con disturbo di personalità. Questi malati sono anche caratterizzati da una difficoltà ad
avere abilità in senso metacognitivo, cioè da scarse capacità di riflettere su quelli che sono i propri processi
mentali. In generale chi soffre di disturbo di personalità ha anche una difficoltà ad assumere una distanza da
quelle che sono le proprie convinzioni disfunzionali, così come ha anche una difficoltà a leggere la mente degli
altri. Questo accade nella vita di tutti i giorni senza che noi ce ne rendiamo conto. Quando si incontra qualcuno
che conosciamo sufficientemente bene siamo in grado di leggere quelle che potrebbero essere le sue azioni.
Il paziente che soffre di disturbo di personalità perde completamente questa capacità, così come perde
completamente la capacità di adottare una visione di insieme a partire da quella che è la rappresentazione di
sé stesso fino alla rappresentazione dell’altro. Soprattutto chi soffre di disturbo di personalità soffre di questa
caratteristica, cioè dell’avere dei cosiddetti cicli interpersonali patogeni: il soggetto parte da un assunto
sbagliato “non posso essere amato”. Questo assunto di tipo sbagliato subito dopo si traduce nell’assunto
“nessuno mi amerà”. “non posso essere amato” significa di base che il soggetto in qualche modo si convince
patologicamente di un qualcosa che non corrisponde al vero e ben presto interagisce con gli altri avendo in
testa tutta una serie di aspettative negative che lo porteranno a manifestare affermazioni completamente
negative. Questo è molto frequente in chi soffre di un disturbo di personalità. Ci sono anche dei fattori genetici
e ambientali alla base di questi disturbi.
Disturbo di personalità secondo il DSM-IV→ sono disturbi tipici di soggetti che rifiutano l’aiuto psichiatrico,
sono disturbi di tipo alloplastico ed egosintonico. Alloplastico significa che tendono ad adattarsi molto bene
all’ambiente esterno nel quale si identificano. Alloplasticità è proprio questo, un’elevata adattabilità
all’ambiente esterno. L’egosintonia è l’assenza di consapevolezza di malattia. Molto spesso questi soggetti non
richiedono l’aiuto degli altri, non si fanno aiutare, proprio perché manifestano una serie di assenza di
consapevolezza di malattia. Ovviamente i disturbi di personalità vanno ad interessare diverse caratteristiche
che sono quelle della cognitività, dell’affettività, del funzionamento interpersonale, del controllo degli impulsi,
e della particolare persuasività di un particolare modello disfunzionale che è quello che si ritrova alla base degli
stessi disturbi. Tendenzialmente sono codificati, nel DSM-IV secondo la classificazione TR che vedeva la
suddivisione dei disturbi di personalità in 3 cluster:
- Cluster A
o Paranoide
o Schizoide
o schizotipico
- Cluster B
o Borderline
o Antisociale
o Istrionico
o Narcisistico
- Cluster C
o Evitante
o Dipendente
o Ossessivo compulsivo
- NAS
CLUSTER A
Disturbo paranoide di personalità
Il soggetto mostra un modello pervasivo di sospettosità e diffidenza nei confronti degli altri. Non significa che
chiunque sia sospettoso e diffidente può soddisfare i criteri di diagnosi per disturbo di personalità. Le persone
che manifestano 4 o più dei seguenti punti per un periodo di tempo sufficientemente lungo da caratterizzare
un modello abbastanza duraturo nella vita soddisfano i criteri del disturbo:
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1) Sospettare senza una base sufficiente che gli altri ti stiano danneggiando o ingannando
2) Dubitare sempre e comunque della lealtà di persone a te vicine come amici e colleghi
3) Riluttanza a confidarsi con gli altri per il timore di poter essere in qualche modo sfruttato
4) Scorgere significati umilianti e nascosti, a volte minacciosi, in semplici rimproveri o critiche che ti
vengono mosse
5) Portare rancore per torti o offese subite
6) Percepire sempre attacchi al proprio ruolo o reputazione e reagire con forte rabbia
7) Sospettare in maniera ricorrente della fedeltà del tuo partner
Se sono presenti 4 o più di queste caratteristiche per un periodo di tempo molto lungo a partire dalla prima
età adulta, allora si può soddisfare la diagnosi di disturbo paranoide della personalità
Il disturbo paranoide di personalità è stato ampiamente narrato all’interno di quella che è l’industria
cinematografica. Se ne sono fatti dei film che facevano riferimento a questo. Uno di questi film è ad esempio
“1408”, film dalla connotazione Horror in cui si ritrae molto da vicino che cosa accade in un disturbo paranoide
di personalità. In questo tipo di disturbo la persona è portata a sospettare in maniera ingiustificata e sospettosa
del prossimo. La differenza rispetto alla paranoia o alla schizofrenia è nella durata. Questo è un modello che
va ad interessare l’inizio dell’età adulta, si presenta in una varietà di contesti e, di solito, non è invasivo di tutta
la personalità del soggetto. Se il soggetto viene preso al di fuori della porzione disfunzionale della sua vita vive
abbastanza bene. Nel soggetto schizofrenico o con un disturbo delirante il disturbo va decisamente più ad
alterare la vita del soggetto, determina un’alterazione di vita e psicosociale decisamente più importante. La
differenza quindi è il livello di disfunzionalità e, soprattutto nell’invasività nei confronti degli aspetti della sua
personalità. Se ci si pensa bene anche chi delira in senso persecutorio è portato a pensare sempre e comunque
male di chi ha attorno.
In questo ritratto, in questo specifico disturbo di personalità si possono rivedere in parte i soggetti autistici. Ci
sono tutta una serie di elementi di sovrapposizione tra questi soggetti e quelli che poi vengono definiti
realmente autistici. Il problema può essere quello di fare una diagnosi differenziale. Cosa che a volte può
risultare piuttosto difficoltosa. Per distinguere i due ci deve essere una certa sensibilità clinica. Una delle
caratteristiche che aiutano è che in questo caso devono essere presenti quattro o più degli elementi possibili,
che non sono necessariamente quelli che si ritrovano nel soggetto autistico. Il soggetto autistico ha tutta una
serie di disfunzionalità più profonde. Anche qui l’elemento di alterazione psicosociale è un elemento
caratteristico di diagnosi differenziale. Questo perché nel disturbo schizoide è presente un’alterazione del
funzionamento che però non è così grave come nell’autismo. È anche vero che esistono le cosiddette forme
di autismo ad alto funzionamento in cui è ancora più difficile distinguere. Non è assolutamente facile. Ci vuole
una grande esperienza clinica. Molto spesso nell’età infantile è molto difficile distinguere il disturbo schizoide
da quello autistico
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Disturbo schizotipico di personalità
È un disturbo bizzarro.
1) Idee di riferimento
2) È tipico di quei soggetti che presentano il cosiddetto “pensiero magico”, sono coloro che possono
credere nella superstizione, nella chiaroveggenza, nella telepatia, nel sesto senso che hanno tutta una
serie di fantasie e pensieri bizzarri.
3) Hanno delle esperienze senso-percettive insolite
4) linguaggio e un pensiero strani
5) affettività inappropriata
6) comportamento eccentrico
7) pochi amici o nessun confidente,
8) eccessiva ansia sociale che non diminuisce con l’aumento della famigliarità e che tende ad andare su
aspetti paranoidi.
Il modello che descrive bene questi disturbi è quello di una modalità pervasiva di deficit sociali e interpersonali
che deve caratterizzarsi per la presenza di 5 o più dei sintomi di cui abbiamo parlato.
CLUSTER B
Disturbo antisociale
Un tempo veniva definita come sociopatia o psicopatia. Ancora oggi si sente utilizzare il termine “psicopatico”.
Con questo termine si intende l’antisociale di oggi. Gli antisociali sono:
si tratta di una modalità pervasiva che può insorgere fino alla tarda fase adolescenziale e manifestarsi se si
mettono insieme 3 o più dei punti prima citati. Dal punto di vista cinematografico viene subito da pensare ad
“Arancia Meccanica” . Il protagonista Alex è un ragazzo che manifesta molte di queste caratteristiche. Per
citare una delle scene del film che si avvicinano a questo , quando lui guida nel mezzo della strada divertendosi
a mandare fuori strada gli altri. In quel film si mostra molto bene quale possa essere il ritratto dell’antisociale.
Disturbo borderline
È forse il disturbo più noto tra quelli del cluster B. i soggetti borderline sono coloro che mettono in atto una
modalità pervasiva di instabilità nelle relazioni interpersonali, nell’immagine di sé e della propria affettività.
Per poter essere descritti come soggetti borderline devono essere presenti almeno 5 o più dei seguenti punti
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5) ricorrenti minacce o gesti di tipo suicidario→ sono pazienti che finiscono spesso in pronto soccorso
perché autolesionisti. Essi stessi dichiarano di infliggersi dolore proprio perché lo considerano l’unica
modalità di sentirsi. Spesso molti di questi soggetti riferiscono una vera e propria anestesia emotiva.
6) Instabilità affettiva legata alla mancata reattività dell’umore.
7) Sentimenti cronici di noia e vuoto
8) Rabbia immotivata
9) Ideazione di tipo paranoide
Il soggetto deve mostrare alterazioni in 5 o più di questi punti nell’ambito di quella che è una modalità
pervasiva di emotività eccessiva e di ricerca dell’attenzione.
se sono presenti 5 o più di queste caratteristiche si può fare diagnosi di disturbo narcisistico di personalità.
Anche qui ci sono eloquenti esempi nell’industria cinematografica come nel film “The aviator” che è un film in
cui il protagonista fa riferimento a questo tipo di disturbo.
CLUSTER C
Disturbo evitante di personalità
Modalità pervasiva di inibizione sociale e di inadeguatezza con ipersensibilità al giudizio negativo. Tutte queste
caratteristiche descritte hanno a che fare con
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5) inibizione in situazioni interpersonali nuove
6) sensazione di inettitudine sociale
7) insolita riluttanza ad assumere rischi personali o lasciarsi coinvolgere in nuove attività.
sono caratteristiche di questo disturbo che è caratterizzato da una modalità pervasiva dell’ordine, del
perfezionismo, del controllo mentale interpersonale.
Sono classificazioni che aiutano in ambito diagnostico. Non sono sempre perfette, non calzano sempre a
pennello dei pazienti. Nella pratica clinica ci si trova spesso di fronte a situazioni che si avvicinano all’essere
diagnosticate con queste caratteristiche che abbiamo espresso ma anche situazioni completamente diverse.
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FATTORI CHE INTERVENGONO NELLO
Sommario SVILUPPO DELLA SCHIZOFRENIA.....................22
COMPORTAMENTO PSICOMOTORIO ................... 1 TERAPIA...........................................................23
STUPOR ............................................................. 1 Tipi di schizofrenia ..........................................23
CATATONIA ....................................................... 2 FASI DELLA SCHIZOFRENIA..............................23
DISTONIE E DISCINESIE .................................... 3 Evoluzione della malattia ................................24
Acatisia ......................................................... 3 PARANOIA Oggi definito disturbo delirante. ....24
Spasmi .......................................................... 3 CRITERI DIAGNOSTICI per il disturbo
Scialorrea...................................................... 3 delirante .....................................................25
DISTURBI DELLE FUNZIONI COGNITIVE ............... 4 Psicopatologia della senso percezione ..............27
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