Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Mastoplastica
A proposito delle mastoplastiche additive, questa è la tecnica chirurgica: di solito si preferisce
l’incisione periareolare, e si può utilizzare una protesi gonfiabile, che si inserisce sgonfia attraverso
la piccola incisione e poi si riempie di soluzione fisiologica.
La mastopessi è l’intervento per risollevare il seno a seguito di ptosi.
Vi sono tantissime tecniche per trattare la ptosi, una di queste è quella di ?: si fa un settore
circolare attorno all’areola (che si rimpicciolisce), e il seno viene ricompattato. Resteranno solo
una cicatrice verticale e una periareolare (se la ptosi è piccola si può fare anche soltanto l’incisione
periareolare).
Un’altra anomalia di sviluppo è l’asimmetria, che non è una patologia entro certi limiti è normale
(es. di patologia: sindrome di Poland, mancato sviluppo di una delle due mammelle).
La ginecomastia è lo sviluppo della ghiandola mammaria nell’uomo per eccesso di estrogeni (es:
intersessi, per alterazioni genetiche, idiopatica), anche se questa rappresenta la causa più rara.
La forma in assoluto più frequente è quella peripuberale, ed è di solito transitoria. Può essere
monolaterale o bilaterale, ed è causa di disagio notevole; il ragazzo comincia a sentire lo stesso
dolore associato allo sviluppo del bottone mammario nella ragazzina.
Non vi è una causa accertabile, ma possibilmente si associa ad una maggiore sensibilità del tessuto
mammario al normale tasso estrogenico.
L’intervento che si fa naturalmente è l’asportazione della ghiandola (a meno che non sia un
intersesso).
Non va detto al ragazzino che la sua situazione sia anormale, ma che di solito è transitoria e in caso
contrario può comunque essere risolta; tutto ciò per evitare di causare delle problematiche di
genere importanti.
L’altra causa più frequente è negli anziani, che a causa di un carcinoma della prostata fanno uso di
farmaci che causano ginecomastia iatrogena (anche molto importante).
Altre forme possono essere associate alla sindrome cushingoide.
L’intervento è abbastanza banale: si fa in anestesia locale, di solito per via periareolare, si asporta
tutto e si mette un drenaggio.
Oltre alla ginecomastia, l’uomo può avere altre patologie mammarie, come il carcinoma.
Ovviamente non è comune nei giovani, ma negli uomini intorno ai 50 anni, con noduli mammari.
Solitamente se è bilaterale si pensa ad una ginecomastia, se monolaterale al carcinoma.
Anche le metastasi epatiche, l’insufficienza epatica e la cirrosi possono causare un alterato
metabolismo degli estrogeni (forme secondarie).
Le mastiti sono flogosi delle mammelle, più comuni durante l’allattamento. Anche se
l’allattamento può non avvenire, si ha sempre la montata lattea. Se il bambino non si attacca o la
mamma preferisce il latte artificiale si inibisce il circuito della prolattina e va in regressione (o si
usano anti-prolattinemici). Durante questa fase all’interno dei dotti galattofori troviamo il latte,
che è un mezzo in cui i germi attecchiscono facilmente, trovando nutrienti.
Questi germi provengono dall’esterno, di solito per cattiva igiene, e possono per via retrograda
salire l’albero galattoforico e colonizzare tutta la mammella.
Si chiama mastite puerperale.
Vi solo anche altre mastiti per via ematica, linfatica, altre sine causa, altre delle ragazze
giovanissime.
Si manifestano con due quadri clinici: una è la mastite generalizzata (la mammella è rossa, gonfia,
edematosa e pesante), l’altro è l’ascesso (una raccolta di batteri, neutrofili e detriti cellulari, quindi
pus, all’interno di una cavità neoformata).
L’ascesso di solito parte dai dotti galattofori, preceduto da una fase pre-ascessuale che si chiama
flemmone (è una flogosi senza raccolta necrotica, ma con infiltrato di batteri e leucociti senza
pus).
Come distinguiamo il flemmone dall’ascesso all’esame clinico?
Quando dal flemmone si passa all’ascesso passiamo da una fase diffusamente iperemica ad una
fase in cui l’ascesso, contenendo necrosi, tende a migrare verso un locus minoris resistentiae (nel
caso della mammella verso la cute). Quindi in caso di ascesso, sulla mammella troviamo un
bernoccolo, prima della fistolizzazione. A ciò si aggiunge una manovra semeiotica che si effettua
per verificare che vi sia liquido, ed è il ballottamento (poggiando due dita sulla superficie,
premendo con un dito l’altro si solleva e viceversa).
Questa distinzione è importante per il risvolto terapeutico: se è flemmone si usa un antibiotico, se
è ascesso si drena (l’antibiotico non entra nell’ascesso).
Se l’ascesso non viene drenato non può guarire da solo, a meno che non fistolizzi.
La fistola si forma perché l’ascesso, muovendosi verso la parte libera, assottiglia la parete fino ad
aprirsi. Può anche fistolizzare all’interno di cavità naturale, come l’empiema della colecisti verso il
duodeno (ileo biliare, con passaggio di un grosso calcolo nell’intestino fino alla valvola ileo colica
con ileo meccanico).
L’ileo meccanico si differenzia dall’ileo dinamico (assenza di peristalsi) perché nel primo abbiamo il
dolore colico, parossistico, mentre nell’ileo paralitico non vi è dolore, con assenza di peristalsi.
La cute al di sopra dell’ascesso si presenta traslucida, tesa, gonfia, finché non si incide per far
fuoriuscire il pus.
Le displasie sono numerosissime. Sono delle alterazioni dell’architettura del tessuto, in cui le
cellule che le costituiscono mantengono una unicità, sono tipiche o presentano delle atipie
limitate (altrimenti si passa al concetto di neoplasia).
Spesso sono inglobate nel termine improprio di mastopatia.
La mastodinia, il dolore alla mammella, può essere fisiologica o patologica, e indica ovviamente
una certa sensibilità della ghiandola.
Si può manifestare con ciclicità ormonale, per cui in fase pre-mestruale, essendo più gonfia, sarà
più dolente (in un contesto del tutto fisiologico).
Se la dolenzia è continua, invece, sarà anormale (es: non permette alla donna di indossare il
reggiseno), e spesso si confonde con la mastopatia.
La mastopatia esiste, ed è la mastopatia fibrocistica, con micro o macro-cisti e con un quadro
anatomo patologico ben preciso.
La mastopatia vera, di solito a grosse cisti, è una patologia che si manifesta con noduli.
Un nodulo è una struttura pressoché rotondeggiante che si riesce a individuare nel contesto di un
parenchima mammario normale, con una certa superficie, dei margini, possibile dolorabilità
Individuare un nodulo non vuol dire fare diagnosi di benignità o malignità, ma semplicemente che
c’è qualcosa di diverso dal contesto ghiandolare; è un reperto obiettivo rilevabile dal medico o
dalla paziente stessa, che può averlo palpato o visto sulla cute.
La cisti è una lesione a contenuto liquido rivestita da una parete epiteliale, solitamente
rotondeggiante, con o senza setti. L’apprezziamo come un nodulo a superficie liscia, margini
delimitati, più o meno dolente, mobile, senza aderenze con piani superficiali o profondi, e con
ballottamento positivo se abbastanza grosse.
L’esame principe per le cisti è l’ecografia mammaria, che permette di vedere la cisti come un’area
anecogena (completamente attraversato dagli echi), con un rinforzo posteriore di echi, e con due
coni d’ombra laterali. I coni d’ombra corrispondono alle pareti della cisti.
La diagnosi è facile, ma se all’interno della cisti anziché liquido trasparente troviamo cellule,
queste conferiranno alla cisti un aspetto ipo-anecogeno, lo stesso risultato che si trova in un
fibroademona (superficie liscia e massa ipo-anecogena).
La cisti si può infiamma, si può infettare, può diventare ascesso, e quindi causare dolore, febbre,
arrossamento tipici dell’ascesso.
La diagnosi di certezza su una cisti si fa con l’aspirazione, in sigla FNA (fine needle aspiration), con
una siringa calibrata in base al tipo di contenuto che ci aspettiamo.
Il contenuto si analizza all’esame citologico, perché all’interno della cisti potrebbe esserci un
papilloma, un fibroma, ecc.
Patologie benigne
La neoplasia della mammella può essere epiteliale o stromale; sarà epiteliale se interessa il
tessuto ghiandolare (adenocarcinoma), sarà stromale se interessa il connettivo (sarcomi).
Un esempio di tumore stromale benigno è il lipoma.
Fra i tumori epiteliali benigni, il primo è il fibroadenoma, che è un tumore misto sia stromale che
epiteliale.
Ha una crescita lenta, è tipico dell’età giovanile (15-30 anni).
La settimana scorsa si presenta una ragazza con diagnosi di fibroadenoma alla visita; all’ecografia
sembrava abbastanza netto con qualche sbavatura. Proseguendo con un true-cut (biopsia con ago
tagliente) siamo arrivato alla diagnosi di carcinoma, che a 21 anni non è molto frequente ma è
possibile. La frequenza per età va considerata, ma non può essere l’unico criterio diagnostico.
Un altro tumore epiteliale benigno è il papilloma intraduttale. Il papilloma è una proliferazione
epiteliale con numerose papille, ognuna delle quali sarà digitiforme e con un proprio asse
connettivo-vascolare.
Il polipo, a differenza del papilloma, è una protrusione della mucosa di rivestimento e può essere di
origine infiammatoria (es:rinite allergica), neoplastica o amartomatosa, da disorganizzazione
afinalistica di un tessuto tipico. Lo pseudopolipo, invece, è un rilevamento della mucosa perché
attorno è presente un vallo, un’erosione o un’ulcerazione.
Il polipo può essere sessile o peduncolato: il primo non ha peduncolo, mentre il secondo ha una
connessione fra la mucosa normale e la testa del polipo.
I polipi adenomatosi del colon sono di 3 tipi: tubulari, tubulo-villosi o villosi. La differenziazione
permette di fare una differente prognosi in associazione alla differenza di estensione della lesione.
La differenza fra un papilloma e un polipo adenomatoso dal punto di vista sintomatologico è data
dal sanguinamento, poiché ogni papilla con il proprio asse può essere lesa a livello apicale.
Un sintomo sarà il pallore associato all’anemia (sarà facilmente affaticabile, debole, ecc).
Nella mammella, il papilloma intraduttale porterà a sanguinamento attraverso il capezzolo, anche
alla minima pressione.
Il quadro clinico del fibroadenoma è: nodulo palpabile, forma rotondo-ovale, superficie regolare e
liscia, margini netti, mobilità superficiale e profonda.
Nel papilloma invece avremo secrezione ematica o siero-ematica dal capezzolo, da un unico dotto.
Durante l’asportazione del papilloma si utilizza il blu di metilene: si inietta nel dotto con un
ago-cannula sottile, in modo tale da trovare il papilloma. A volte è apprezzabile a livello areolare
come nodulo piccolo e non dolente.
Il tumore filloide è un tumore misto, a componente epiteliale e stromale, con caratteristiche
strane, “a foglie”, con aspetto di verza (a cappuccio) con lacune in mezzo.
È un nodulo a margini netti ma bernoccoluto, e alla sezione si osservano dei foglietti.
La componente più pericolosa è quella stromale, per cui qualcuno lo chiama sarcoma filloide; ciò è
importante per determinare il comportamento della neoplasia: mentre l’epitelioma metastatizza
per via linfatica (ai linfatici loco-regionali), il sarcoma metastatizza principalmente per via ematica.
Il fibroma, quindi, è un tumore “benigno-maligno”, poiché a seconda delle mitosi per vetrino e
delle atipie possiamo definirlo “benigno” se è a bassa riproduzione con cellule tipiche, “maligno”
se è ad alta riproduzione con cellule atipiche.
Se troviamo un filloide maligno, le metastasi che cercheremo saranno ematiche e quindi ovunque
(non faremo linfoadenectomia ascellare).
Lezione di Senologia di giorno 02-12-2016
Con il termine mastectomia si intende una procedura andata ormai in disuso, sostituita dalla
quadrantectomia-adenectomia-radioterapia, che è stata a sua volta sostituita dalla tumorectomia, più o
meno allargata con margini sani di almeno 1 cm associata ad adenectomia in caso di positività del
linfonodo sentinella (o comunque se clinicamente si osserva coinvolgimento metastatico), associata a
radioterapia; questo iter terapeutico viene definito conservativo, accanto alla quale si trova un altro
trattamento che da un lato può essere inteso come demolitivo, dall’altro conservativo. In che senso?
Quando noi oggi parliamo di mastectomia, difficilmente viene intesa della stessa procedura di 15 anni fa,
tramite la quale si toglieva la mammella, lasciando la paziente praticamente “piatta”. Nel corso del tempo si
osservavano delle modifiche alla procedura di Halsted, dove si eliminavano i piani muscolari sottostanti e
buona parte della cute, tanto da avere difficolta nella chiusura della ferita chirurgica! Oggi raramente la si fa
in questo modo, come quando la paziente è anziana, o non richiede ricostruzione (opzione che è doveroso
offrire alle donne, dal momento che è facilmente attuabile!). Accanto a questa, le nuove tendenze portano
alcune pazienti a rifiutare la ricostruzione sia per motivi economici che per incapacità nel sopportare,
fisicamente e psicologicamente, un ulteriore stress “chirurgico”.
La terapia chirurgica della mammella, oltre l’eliminazione della patologia tumorale, si prepone la funzione
di preservarne la funzione, la quale, nella società moderna, altro non è che una funzione estetica e
psicologica! La prima cosa che il trans vuole costruita non è la vagina, bensì il seno! Una donna senza
mammella spesso si sente inadeguata, ma ciò non rispecchia, ovviamente, il pensiero di tutto il genere
femminile nel mondo.
L’oncoplastica è una branca che associa un tempo demolitivo ad un tempo ricostruttivo, svolti dal chirurgo
generale, per quel che concerne il primo, e dal chirurgo plastico o dal cosiddetto chirurgo verticale, che
pensa da solo ad i due tempi, chi ha affinato entrambe le parti. Si parla di un concetto abbastanza
ossimorico quando si parla di mastectomia conservativa, concetto che vede il mantenimento di una parte
della struttura con l’asportazione selettiva del tumore e dei margini, di fatti sarebbe meglio parlare di
adenomammectomia, vale a dire asportazione della ghiandola mammaria.
Quando noi parliamo di mastectomia ci troviamo di fronte ad un’operazione nella quale viene lasciata la
cute, l’areola ed il tessuto ghiandolare sano, che in termini anglosassoni viene definita come Skin Sparing
Mastectomy o Skin and Nipple Sparing Mastectomy (che altro non sono che delle adenectomie). Nella
prima noi togliamo la ghiandola ed il capezzolo nella seconda il capezzolo viene preservato. Esiste poi
un’altra modalità di approccio chirurgico, la Skin Reducing, che si usa per pazienti che hanno delle
mammelle grosse nelle quali è impossibile andare a riempire la cute di una decima/dodicesima misura,
quindi si riduce l’eccesso di cute.
Quali sono le indicazioni? Nel caso di un tumore di grosse dimensioni, che supera le dimensioni stesse della
mammella e dei margini di tessuto sano, si va verso la radicale, svuotandola completamente, altrimenti si
va verso una tumorectomia. Quindi se il rapporto volume mammella / volume tumore non è vantaggioso,
allora si va verso la mastectomia.
E se il tumore è multicentrico/multifocale? Multifocale indica la presenza di almeno due tumori nello stesso
lobo o quadrante, multicentrico indica invece la presenza di più centri tumorali in lobi o quadranti diversi.
Queste caratteristiche ci fanno supporre il fatto che vi sia la possibilità di altri centri che non vediamo,
quindi in quel caso è preferibile asportare tutta la mammella, in accordo a studi recenti che hanno
riscontrato un miglioramento nella sopravvivenza e nell’ovvia assenza di recidive, evitando anche la
radioterapia, che si effettua per diminuire la percentuale di recidive, le quali (nella tumorectomia) sono
frequenti per vari motivi:
● Per un residuo tumorale di cui non ci siamo accorti;
● Perché non siamo stati attenti durante l’intervento ad impedire la disseminazione intraoperatoria
delle cellule tumorali;
● Per lo sviluppo di un tumore in senso metacrono, a distanza anche di molti anni, che spesso è di
difficile differenza da un tumore sincrono non riconosciuto.
La radioterapia ci mette al riparo da questo, visto che la maggior parte delle recidive si hanno sulla cicatrice,
perché è stato un errore del chirurgo o per un tumore sincrono multifocale, che a distanza di anno possono
recidivare. Infatti i radiologi sono soliti fare un sovradosaggio in sede cicatriziale, che rappresenta il luogo di
più frequente recidiva. Così quando noi facciamo la mastectomia, in teoria non abbiamo bisogno di fare
radioterapia per l’assenza di tessuto ghiandolare, ma vedremo che in realtà non è così!
● Il carcinoma lobulare; spesso multifocale, multicentrico ed anche bilaterale, caratteristica che
apporrà l’indicazione ad effettuare lo stesso intervento alla mammella controlaterale (alto rischio di
recidive alla mammella non operata)
Anche un quadro di “mammella controlaterale difficile” è frequenti in pazienti con carcinomi lobulari, che
definiscono un quadro di displasia, vale a dire, proliferazioni ed alterazioni benigne di difficile
interpretazione che possono facilmente predisporre alle neoplasie (cisti, cicatrici, etc.).
Dobbiamo sapere che c’è un limite allo “sparing”: se noi lasciamo il capezzolo, dobbiamo essere sicuri che
questa parte di ghiandola non possa determinare recidive. È stato osservato come anche nelle mastectomie
radicali, un 5% di ghiandola rimane, solitamente nel sottocute o nel quadrante supero-esterno, dal
momento che la mammella cresce verso l’ascella ed ha, molto spesso, degli isolotti di ghiandola dentro
l’ascella, di difficile individuazione. Oppure dentro il capezzolo, il quale contiene dotti che sono in diretta
connessione con le ghiandole; di fatti è stato proposto di fare una radioterapia specifica, diretta sul
capezzolo, ma non andava bene perché, nella maggior parte dei casi si bruciava. L’indicazione al
mantenimento del capezzolo è una distanza di almeno 2 cm dal focolaio di origine della neoplasia,
altrimenti, se inferiore, si può pensare ad una possibile infiltrazione anche di quest’ultimo.
Un capitolo a parte è la mastectomia profilattica, in mammelle sane, che permettano la prevenzione
dall’insorgenza di tumori. Tra le indicazioni principali annoveriamo la mutazione del gene BRCA 1 e 2 (come
Angelina Jolie), oppure anche se non ha la mutazione, pazienti con familiarità ad alto rischio (con anamnesi
positiva per parenti di primo grado (madre, sorella, zia), sia per tumori alla mammella, ma anche per tumori
all’ovaio. Anche le “mammelle difficili”, che presentano displasie importanti, possono essere sottoposte a
questo tipo di interventi, i quali sono anche previsti per alcuni quadri psichiatrici di ipocondria, ma solo in
ultima istanza, dopo un meticoloso e controllato iter, che coinvolge figure come gli psicologi, chirurghi,
oncologi e radioterapisti. Questi ultimi sono comunque dei casi meno frequenti ma che vengono trattati
con cura ed attenzioni anche per motivi che sfociano nell’etica e nella medicina legale.
Negli anni ’60 - ’70 la ricostruzione è stata resa possibile ed accessibile anche per patologie benigne.
[Caso clinico] Paziente sulla trentina, operata di mastectomia a dx, areola e capezzolo con i controlaterali,
perché di grandi dimensioni, dove è stata applicata un trattamento riduttivo e con la cute capezzolare
prelavata è stato confezionato il nuovo capezzolo di dx, dove è stata inserita una protesi con una tecnica
chiamata “Simmetrizzazione controlaterale”.
È stato inoltre visto come il rischio di un tumore nella mammella trattata con mastectomia si riduce del
95%, collegato per l’appunto a quel 5% di ghiandola che statisticamente rimane.
Tra le incisioni più utilizzate per le mastectomie, ricordiamo quella di Wise (credo abbia detto così, nds),
caratterizzata da una forma ad H coricata, formata da:
● Solco sottomammario;
● Solco sottoareolare;
● Linea verticale di congiunzione tra i due solchi.
Quando si fa la mastectomia è molto importante identificare il piano ghiandolare (solitamente di colore
biancastro), sollevando cute e sottocute, si sezionano i ligamenti di Cooper, che normalmente tengono la
mammella sospesa solidificano ed uniscono la ghiandola con la cute. Dopo aver individuato questo piano,
sarà importante seguirlo, per completare la mastectomia, per non lasciare tessuto ghiandolare e per non
devascolarizzare la cute (la quale può andare incontro a necrosi impedendo la cicatrizzazione), con l’aiuto
che solleva la cute ed il primo operatore che stacca la ghiandola dal sottocute. Il problema principale sta al
dietro dell’areola, dove il sottocute si assottiglia ed i vasi suoi sono abbastanza superficiali da poter essere
danneggiati, ma lasciando un disco ghiandolare dietro stiamo lasciando una possibile sede di insorgenza
tumorale.
La ricostruzione può essere immediata o differita, o durante la stessa seduta operatoria demolitiva, oppure
effettuata in un secondo momento. La ricostruzione differita stessa può avvenire in più tempi, spesso
perché si tratta di pazienti alle quali sono state eliminate una quantità eccessiva di cute, che dovrà essere
“allungata” con degli espansori, soprattutto se la protesi va apposta dietro il muscolo (dove non c’è un
grande spazio). Questi espansori sono solitamente inseriti posteriormente al muscolo pettorale, sono
gonfiabili e vanno a deformare le strutture anteriori durante il gonfiaggio, il quale viene associato all’utilizzo
dell’ADM (Matrice Dermica Acellulata, di origine porcina, equina, bovina o da cadavere) quando il tessuto
non è sufficiente, permettendo così la colonizzazione, da parte delle cellule, di questo tessuto connettivo
acellulare. In alternativa all’ADM, che costa tanto e non ha dei risultati poi così soddisfacenti, io preferisco
utilizzare una protesi in Vicryl, materiale sintetico riassorbibile, che costa poco, con una struttura a rete più
ergonomica.
La ricostruzione può avvenire sia con protesi che con tessuti autologhi, ma come ogni operazione ci sono
dei fattori di rischio:
Solitamente, durante le mastectomie “skin reduced” la pelle in eccesso viene d isepidermizzata ed utilizzata
per ricoprire la protesi prima del suo inserimento, soprattutto quando essa va inserita più
superficialmente, per evitare complicanze infettive.
Un’altra possibilità di ricostruzione può essere con lembi mio-cutanei, che presentano una
vascolarizzazione attraverso il muscolo, quindi si trasferisce la cute ed il muscolo che funge da peduncolo e
da volume! Il muscolo più utilizzato è il TRAM (Muscolo Retto Trasverso Addominale), perché spesso
prelevato durante gli interventi di addominoplastica. Si ricostruisce la mammella controlaterale rispetto al
muscolo prelevato, il quale viene solitamente vascolarizzato dall’arteria epigastrica che si divide in inferiore
e superiore, formando una sorta di peduncolo vascolare per la nuova struttura. Essendo una struttura
prelevata dalla stessa paziente, non si osserverà mai rigetto, ovviamente! Ma soprattutto viene fuori una
mammella meno giovane, più cadente, cosa che rappresenta un trauma per le pazienti più in là con gli
anni.
Un’altra tecnica è il Lipofilling, caratterizzata dal prelievo di tessuto adiposo da una zona donatrice, che
viene prelevato tramite aspirazione, fatto decantare o centrifugato per separare la porzione liquida dalla
corpuscolo-solida, che contiene adipociti e cellule staminali, che crescendo vanno ad occupare le logge che
altrimenti verrebbero occupate dalle protesi. Solitamente il Lipofilling viene effettuato in più sedute, con
una dose che può andare da 150 a 250/300 cc di grasso, del quale il 30% viene solitamente riassorbito. Il
Lipofilling viene anche utilizzato per ritoccare un risultato non del tutto soddisfacente per la paziente,
caratterizzato dalla iniezione di grasso nei punti richiesti.
Quindi potremmo dedurre il fatto che la sostituzione del tessuto ghiandolare con delle protesi sia una
soluzione ottimale da tutti i punti di vista, sia profilattico che estetico, ma in realtà non è del tutto così
perché la mammella perde la sua naturalezza, è una mammella ferma, statica, sebbene si possano
raggiungere dei risultati superiori rispetto alla mammella originale. Questo nella migliore delle ipotesi,
perché possiamo avere tante complicanze legate all’apposizione delle protesi: rotture, asimmetrie, protesi
visibili, dolore, etc.
Domanda: “Dopo l’intervento, come ci si comporta con quel 5% di ghiandola che rimane?”
Risposta: “Io continuo a fare il follow up normale, partendo dalla visita, perché, quando tu metti una
protesi, quello che può succedere ad esempio è che un tumore possa comparire posteriormente alla
protesi, che viene riscontrata solo tramite RMN, dal momento che Mx ed Eco danno solo una visione
superficiale ed incompleta della possibile neoplasia”
Quindi, in ultima istanza, è importante mediare tra le indicazioni all’operazione e le controindicazioni,
facendo in modo di fare una terapia ragionata, “cucita” su misura su ogni paziente, con la un’importanza
primaria per l’acquisizione di consapevolezza sui rischi e conseguenze psicologiche nel post-intervento.