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PATOLOGIA DELLA MAMMELLA

La MAMMELLA è un organo che si ammala tantissimo e che è sede di cancro, considerato la prima causa di
morte nel sesso femminile, la sua incidenza è in aumento ma la mortalità si è fortemente abbassata grazie
ad una serie di programmi di screening che consentono di riconoscere lesioni sempre più piccole quindi
grazie alla prevenzione. La mammella, nel momento in cui si ammala, può andare incontro ad una serie di
lesioni alcune delle quali progrediscono in carcinoma, altre restano tali. Bisogna diagnosticarle e
riconoscerle perché da un punto di vista strumentale, ecografico e mammografico le lesioni anche benigne,
che non evolveranno mai in carcinoma, possono presentarsi con caratteristiche radiologiche e morfologiche
simili se non addirittura identiche al cancro. Quindi è un organo che viene attenzionato per questo rischio di
progressione di alcune lesioni verso il cancro e lesioni che sono benigne ma mimano una lesione maligna.
La tecnologia è fortemente avanzata e migliorata nel corso degli anni tanto che ci sono macchine che
vedono lesioni sempre più piccole che necessitano ancora di più del prelievo bioptico anche se sono lesioni
benigne. Però macchine come la tomosintesiche mette in evidenza la ghiandola mammaria con
un’immagine radiologica in 3d, mette in risalto lesioni piccolissime, fino a che non sarà fatta esperienza da
parte dei radiologi, obbligheranno al prelievo bioptico.

Per poter parlare della patologia mammaria dobbiamo vedere la situazione normale cioè com’è fatto
normalmente quest’organo e qual è la struttura che va incontro alle alterazioni morfologiche e determina la
patologia mammaria ovvero DELL’UNITÀ TERMINALE DUTTULO-LOBULARE, che si modifica durante la
nostra vita ogni giorno e che, sotto lo stimolo ormonale cioè l’estrogeno, va incontro ad alterazioni
patologiche.

La mammella è l’organo della vita perché permette al nascituro di vivere dato che produce il latte.
Sappiamo che quest’organo è pari, esistono due mammelle, situate davanti al muscolo pettorale. Questa
ghiandola da un punto di vista embrionale deriva dalla CRESTA MAMMARIA cioè linea del latte. È una
struttura che durante la gravidanza inizia a formarsi già a partire dalla 5a settimana di gestazione. La linea
del latte va dall’ascella alla coscia/inguine.

Durante la quindicesima settimana di gestazione, infatti, si forma la FOSSETTA EPIDERMICA. Questo


abbozzo toracico della cresta del latte, sotto stimolo di ormoni prodotti durante la gravidanza come
estrogeno, progesterone ma anche androgeni, si addensa e dà origine a CORDONI EPITELIALI SOLIDI, in
numero di 15-20, che vanno incontro ad apoptosi e quindi a canalizzazione e danno origine ai DOTTI
GALATTOFORI. Ciò lo osserviamo tra la 20esima e la 32esima settimana di gestazione, quasi alla fine della
gravidanza. Questi cordoni solidi, grazie sempre all’apoptosi, si canalizzano e si aprono in una struttura che
non è altro che una estroflessione dell’epidermide, dell’abbozzo toracico, che è appunto il CAPEZZOLO.
Questa struttura va incontro a modificazioni perché la mammella è un organo dinamico, che si modifica
durante lo sviluppo, durante la vita e la vecchiaia.

Dal dotto galattoforo, dal dotto principale che si apre sul capezzolo, cominciano a partire una serie di
ramificazioni, di dotti sempre più piccoli fino ad arrivare a DUTTULI e poi a duttuli ancora più piccoli che
cessano di proliferare grazie al contattoe all’interazione con lo stroma e il cellulare adiposo, che fa parte del
connettivo interstiziale della ghiandola. I duttuli terminano nelle strutture acinari (acino) o strutture
lobulari. Abbiamo detto che i dotti sono in media 15-20 in una mammella normale. L’insieme di dotti
principali, dotti galattofori e duttuli via via più piccoli costituisce il LOBO MAMMARIO. Quindi il lobo
mammario è un insieme di acini e duttuli che convergono nel dotto galattoforo principale che si apre sul
capezzolo.

Nella mammella matura l’unità terminale duttulo-lobulare va incontro a ripetute modificazioni che si
realizzano ogni mese. Durante ogni ciclo mestruale, l’unità terminale duttulo-lobulare si modifica come se si
dovesse preparare ad un’ipotetica gravidanza per produrre latte. Nella ghiandola mammaria è proprio
questa unità terminale duttulo-lobulare, cioè le strutture duttali più piccole che fanno capo all’acino o al
lobulo mammario, ad andare incontro ad alterazioni patologiche e a lesioni. Questa struttura, sotto stimolo
ormonale, va incontro a stress proliferativo e funzionale, tanto da potersi ammalare. Nella donna in
menopausa questa unità terminale duttulo-lobulare e l’intera ghiandola vanno incontro ad atrofia, non
essendoci più lo stimolo ormonale e l’unità terminale va incontro a quiescenza, ma non è così perché nella
menopausa e nella perimenopausa gli squilibri ormonali e in particolare l’estrogeno (se la donna è obesa
produce più estrogeni) questa unità può continuare ad essere stressata e può portare allo sviluppo del
cancro.

Quando noi parliamo di quest’organo dinamico dobbiamo fare riferimento anche alla sua topografia perché
c’è la convenienza di dividere la ghiandola mammaria in quattro QUADRANTI, attraverso due linee
perpendicolari che si incrociano in corrispondenza del capezzolo. Questa suddivisione aiuta i clinici, i
patologi, i radiologi e i chirurghi. Dove sono particolarmente rappresentati i dotti mammari? Nel
QUADRANTE SUPERO-ESTERNO. Infatti, la ghiandola è maggiormente rappresentata, concentrata
sottoforma di dotti galattofori, duttuli e unità terminali duttulo-lobulari nel quadrante supero-esterno.
Quindi la patologia mammaria la troviamo in genere rappresentata proprio nel quadrante supero-esterno
per un dato statistico.

Il DRENAGGIO LINFATICO della ghiandola è verso i linfonodi ascellari, la ghiandola drena ai linfonodi
ascellari perché i linfonodi intramammari sono pressoché inesistenti. Il drenaggio linfatico ha aiutato a
capire che un tumore maligno della mammella drena e metastatizza per via linfatica prevalentemente ai
linfonodi ascellari. Grazie a questa struttura ghiandolare possiamo evitare gli svuotamenti ascellari in caso
di carcinoma, studiando il linfonodo sentinella, cioè il primo linfonodo che drena da un tumore maligno. In
questo modo si può evitare la demolizione di tutti i linfonodi ascellari e inoltre questi linfonodi sono molto
vicini all’arteria e alla vena ascellare, quindi se facessimo queste demolizioni rischieremmo di creare come
complicanza post-chirurgica i cosiddetti linfedemi cioè braccia voluminose perché il drenaggio linfatico
viene alterato e ci sono problemi a carico della vena ascellare o dell’arteria. I linfonodi hanno la funzione di
bloccare la progressione delle cellule maligne in circolo ma essi stessi, colonizzati dalla cellula maligna,
diventano sede di diffusione di altre cellule neoplastiche ad altri linfonodi ed eventualmente ai vasi ematici.

I linfonodi ascellari vengono topograficamente divisi in livelli. Dal punto di vista chirurgico, la suddivisione
viene fatta tenendo conto della presenza di una maggiore concentrazione dei linfonodi in corrispondenza
di:

- LINFONODI DEL PRIMO LIVELLO cioè la catena linfonodale situata al di là del margine laterale del
muscolo piccolo pettorale.
- LINFONODI DEL SECONDO LIVELLO, che sono in numero inferiore, localizzati tra il margine laterale
e il margine mediale del muscolo piccolo pettorale,
- LINFONODI DEL TERZO LIVELLO, rarissimi, nella parte interna del margine mediale del muscolo
piccolo pettorale;

Oltre a questi sono da considerare il linfonodo di ROTTER, o interpettorale, e i LINFONODI DELLA CATENA
MAMMARIA INTERNA, situati in prossimità delle inserzioni delle cartilagini costali.
ANOMALIE DI SVILUPPO DELLA GHIANDOLA MAMMARIA

Per fortuna sono poche ma dobbiamo ricordarle perché possono essere sede di sviluppo di cancro o vanno
in diagnosi differenziale per il cancro. Le malformazioni più importanti della ghiandola sono:

1. L’AGENESIA: è rara, monolaterale o bilaterale. La ghiandola non si sviluppa per niente, resta
anche alla pubertà costituita soltanto da capezzolo, dotti galattofori, tessuto adiposo e fibroso,
come la mammella maschile. Non possono dar luogo a adattamento ma con il posizionamento
di protesi (non al silicone) si può migliorare l’estetica.
2. POLIMASTIA e POLITELIA, rispettivamente ghiandola mammaria sovrannumeraria e presenza di
capezzoli sovrannumerari. La ghiandola mammaria sovrannumeraria (POLIMASTIA) è in genere
posizionata sempre lungo la linea del latte e in corrispondenza dell’ascella. Quei gonfiori sono
un accumulo di ghiandola che si modifica durante il ciclo mestruale e che dà un dolore più
accentuato in quella sede. Questa componente ghiandolare può essere sede di cancro, che non
troviamo nella mammella ma in sede ascellare, su una ghiandola sovrannumeraria che dà una
metastatizzazione più rapida. Si può ricorrere al chirurgo plastico che elimina questa
componente ghiandolare in eccesso. Possiamo trovare anche capezzoli sovrannumerari
(POLITELIA), sempre collocati lungo la linea del latte, frequenti in sede toracica ma anche
inguinale. Il chirurgo plastico li riconosce con facilità per rimuoverli. Possono essere sede di
tumori quindi vanno eliminati.

3. CAPEZZOLO INVERTITO O INTROFLESSO: si osserva in molte ragazze. Con la gravidanza ritorna


normale perché la suzione ne favorisce la fuoriuscita quindi in genere scompare con
l’allattamento. Sono tipici di suore o donne che non hanno mai avuto rapporti sessuali. Il
capezzolo invertito va in diagnosi differenziale con il capezzolo retratto: possiamo avere un
carcinoma alla mammella che infiltra i dotti galattofori tanto da stirarli verso il basso e il
capezzolo diventa invertito. Nella donna che ha sempre avuto un capezzolo normale,
l’introflessione del capezzolo va considerata con molta attenzione perché potrebbe essere la
spia di una neoplasia maligna. Quindi prestare attenzione al cambiamento di forma del
capezzolo.

PATOLOGIA MAMMARIA

Come sappiamo, il dotto mammario principale (galattoforo) si apre


sul capezzolo. In questo punto di sbocco l’epitelio di rivestimento
del dotto galattoforo è PLURISTRATIFICATO e si continua con
l’epidermide del capezzolo. In questo punto noi troviamo presenza
di MELANOCITI e CELLULE DI TOKER, che hanno un citoplasma
chiaro e sono cellule CITOCHERATINA 7 +. Queste cellule di toker
sono importanti perché assomigliano alla cellula del melanoma:
hanno ampio citoplasma, nucleo voluminoso ma, contrariamente
alla cellula del melanoma in situ, queste cellule sono positive,
esprimono la citocheratina e l’oncogene her2/neu. Questa cellula
di toker, negativa all’S-100, al Melan-a e all’HMB-45, cioè negativa
ai marcatori del melanoma, è una cellula da cui probabilmente
prenderà origine il tumore del capezzolo cioè il carcinoma Nella donna giovane la mammella ha una
intraepidermico della cute del capezzolo e dell’aoreola, che noi predominanza di stroma fibroso interlobulare e
scarsità di tessuto adiposo
chiamiamo MALATTIA DI PAGET MAMMARIA. Quest’ultima si associa molto spesso a un carcinoma del
dotto galattoforo o dell’unità terminale duttulo-lobulare.

Man mano che il dotto galattoforo si approfonda nel sottostante derma si divide in strutture piccole per
terminare nell’acino o lobulo. L’epitelio di rivestimento diventa CUBICO MONOFILARE e poggia su cellule
piatte MIOEPITELIALI che hanno un ruolo nella spremitura della cellula quando deve svuotare: i primi sono
cellule luminali, guardano nel lume del dotto o del duttulo o dell’acino che poggiano su cellule mioepiteliali
che a loro volta posizionano su una membrana basale. Questi elementi cellulari esprimono marcatori
immunoistochimici differenti che noi utilizziamo quando ci arrivano diagnosi di carcinomi oppure di lesioni
proliferanti della mammella che potrebbero evolvere in cancro. In modo particolare le cellule luminali,
cellule secretorie del dotto, del duttulo e degli acini, esprimono UNA CITOCHERATINA 19 che è quella che
utilizziamo quando studiamo il linfonodo sentinella con il metodo molecolare OSNA cioè quando andiamo a
vedere, andando a digerire un linfonodo, se questo linfonodo presenta alterazioni. La citocheratina 19 ci
dice che è un linfonodo sede di metastasi della mammella che ha preso origine dal dotto principale o dal
duttulo o dall’unità terminale duttulo-lobulare. Può esprimere anche la citocheratina 7 o altre citocheratine
a elevato peso molecolare.

Le cellule mioepiteliali, cellule basali di sostegno alle cellule luminali, esprimono la calponina, l’S-100, la
34βE12 che si ritrovano anche nel cancro prostatico, p63 e l’actina muscolo liscio.

Le lesioni mammarie sono tante ma sono semplici.

Nella mammella possiamo avere malattie infiammatorie (mastiti), lesioni epiteliali benigne e lesioni
sclerosanti (interessano l’unità terminale duttulo-lobulare), tumori benigni (prendono origine dall’epitelio
di rivestimento del dotto o del duttulo o da una interazione tra epitelio e stroma, tumori misti, così come
succede nella ghiandola salivare), tumori maligni (il 98% prendono origine dall’epitelio luminale), tumori
dello stroma mammario (rari, uno dei più frequenti è l’angiosarcoma che prende origine dai vasi dello
stroma. In genere è una complicanza di radioterapie fatte sulla mammella per curare neoplasie epiteliali
maligne) e tumore misto(nasce dall’interazione epitelio-stroma).

MALATTIE INFIAMMATORIE

MASTITI: sono rare, possono essere distinte in:

o ACUTE: possiamo trovarle nelle donne che allattano, sono una complicanza
dell’allattamento, si osservano nel primo mese di gravidanza perché la donna ha un
capezzolo piccolo o invertito e il neonato si attacca con tutta la forza per cercare di
succhiare. In queste circostanze, sulla cute del capezzolo e sulla aureola si creano delle
ragadi, delle ulcerazioni, attraverso le quali spesso batteri della cute e in particolare gli
stafilococchi aurei e gli streptococchi possono localizzarsi all’interno del dotto galattoforo e
creare una reazione infiammatoria importante. Per cui la mammella risulta turgida, gonfia e
dolente, con cute violacea. La prima cosa da fare è bloccare l’allattamento, il latte viene
tirato con la tiralatte e la donna viene sottoposta ad antibiotico terapia con uso di
antibiotici ad ampio spettro, si drena il latte che inizialmente si butta, terminata la terapia
antibiotica, può essere utilizzato per nutrire il neonato. Troveremo infiltrato
INFIAMMATORIO POLIMORFO RICCO DI GRANULOCITI polimorfonucleati ed eosinofili che
erodono i dotti e creano ascessi. In alcuni casi il dotto galattoforo è dilatato e contiene
all'interno materiale necrotico, circondato da cellule infiammatorie.
o PERIDUTTALI: è una reazione infiammatoria intorno ai dotti galattofori. È caratterizzata da
un infiltrato infiammatorio cronico e GRANULOMATOSO CON CELLULE GIGANTI. Questo
infiltrato infiammatorio si organizza intorno al dotto e in zona retro-areolare. Non c’è
correlazione né con la gravidanza né con l’allattamento ma la causa è identica: infezione da
stafilococco o streptococco e capezzoli piatti o invertiti. La caratteristica istologica di questa
mastite è la presenza di METAPLASIA SQUAMOSA del dotto galattoforo cioè l’epitelio
luminale va incontro a metaplasia squamosa. Si è visto che ad essere colpite sono spesso
anche donne fumatrici, la ragione non si capisce. La terapia è antibiotica ma il problema
non si risolve perché è un fatto flogistico cronico quindi il problema si risolve con la
chirurgia. Nei preparati si vede la presenza di un epitelio pavimentoso quasi epidermoidale
che lo riveste con la presenza di un tratto infiammatorio intorno, infiltrato di plasmacellule
in questo caso possiamo parlare di mastite plasmacellulare cronica.

o CRONICA GRANULOMATOSA: in corso di tubercolosi, da parassiti e funghi, da rottura di


protesi al silicone, è estremamente associata ai lobuli. Le vecchie protesi ripiene di silicone,
spesso, a causa di traumi o invecchiamento, andavano incontro a rottura. Rottura significa
spandimento del silicone nel parenchima circostante che crea una reazione granulomatosa
flogistica CISTICA NEUTROFILA. Bisogna rimuovere la protesi rotta, bonificare la capsula
peri-protesica e il parenchima mammario circostante perché il silicone può andare in
circolo, coinvolgere i linfonodi e, attraverso i vasi linfatici della parete toracica, può portarsi
nel polmone, nell’interstizio del polmone, e creare delle reazioni granulomatose severe. Poi
le protesi furono cambiate con quelle ad acqua però le donne non le gradivano perché
durante i movimenti sentivano lo spostamento del liquido. Alcune pazienti presentano una
flogosi da reazione da ipersensibilità agli antigeni durante l’allattamento (MASTITE
CRONICA GRANULOMATOSA IDIOPATICA).

Le mastiti più comuni sono quelle legate all'allattamento, mentre le forme meno frequenti sono quelle
legate ad un capezzolo piatto o invertito e poi abbiamo le forme
granulomatose tra cui spicca quella da protesi al silicone, tant'è che oggi
c'è l’obbligo di rimuoverle per evitare il rischio di sviluppare LINFOMI
PERIPROTESICI.

La MASTITE O NODULITE LINFOCITARIA SCLEROSANTE(detta anche


ECTASIA DUTTALE MAMMARIA) rappresenta un problema, perché mima
radiologicamente un carcinoma.

Quest’ultima è spesso associata al diabete di tipo 1 insulino-dipende e a


malattie autoimmuni come la tiroidite di Hashimoto, quindi è una
malattia che colpisce le donne anziane e che viene caratterizzata da un
addensamento parenchimale linfoide, quindi abbiamo un infiltrato
linfoide che con il passare del tempo viene ad essere spento e sostituito
da una reazione fibrosa tanto da dare quella immagine radiologia di un
Abbiamo infiammazione cronica e fibrosi che
nodulo stellato, come nel caso di un carcinoma. circondano un dotto ectasico riempito da
detriti. La risposta fibrotica può produrre una
Per fare diagnosi di mastiti dobbiamo necessariamente capire la causa massa dura irrregolare
che le ha determinate perché cambia l'approccio terapeutico, se solo
antibiotico, se solo chirurgico e farmacologico oppure cortisonico e ci
sono altre cause eziologiche. La terapia dunque diciamo che la terapia cambia a seconda della causa che le
ha determinate ed escludere sempre nel caso delle mastiti, un carcinoma ed in particolare anche un
eventuale carcinoma infiammatorio in quanto ci sono delle forme di cancro dove la componente flogistica è
particolarmente spiccata e quindi di conseguenza la diagnosi di esclusione di un cancro.

LESIONI EPIELIALI BENIGNE

Le lesioni epiteliali benigne della mammella sono quelle che coinvolgono l'unità terminale duttulo-lobulare,
che abbiamo detto essere particolarmente plastica e che va incontro a meccanismi rigenerativi e
degenerativi durante la vita fertile della donna. Secondo l’OMS, attenendoci alle linee guide del 2012,
vengono distinte in base al differente rischio di sviluppare il cancro:

1. LESIONI NON PROLIFERATIVE DELL’EPITELIO DUTTULO-LOBULARE:


Sono quelle che non hanno assolutamente rischio
perché non c’è una proliferazione delle cellule
dell’epitelio duttulo-lobulare, ma soltanto FIBROSI E
DILATAZIONE CISTICA DEI DOTTI. Quindi i dotti
mammari sono dilatati cisticamente con cisti in
numero abbondante. Queste cisti possono avere dei
cambiamenti dell’epitelio di rivestimento e quindi
l’epitelio di rivestimento luminale diventa
APOCRINO, ovvero il citoplasma diventa
particolarmente ROSEO e acquisisce un’abbondante
COMPONENTE MITOCONDRIALE. Perché questa
metaplasia apocrina si realizza nella mammella non
è ancora stato chiarito in senso stretto.
Però, molto spesso queste lesioni cistiche sono
associate ad ADENOSI, ovvero ad aumento del numero dei Le cisti sono rivestite da cellule apocrine con
nuclei rotondi e abbondante citoplasma
dotti. granulare. Si notano le calcificazioni luminali che
In quasi tutte le donne tra i 30 e i 45 anni noi osserviamo si formano sui residui di secreto
queste lesioni e aumentano particolarmente dopo la
menopausa. Inoltre, essendo queste delle lesioni cistiche vanno spesso in tensione e quindi creano
DOLORE. A volte si riescono a sentire sulle mammelle come una micronodulia e le cisti si possono anche
rompere e dare luogo ad una risposta infiammatoria.
Se le trovassimo in donne giovani che allattano, in questo caso entrerebbero in diagnosi differenziale con le
mastiti. Ma in realtà difficilmente una donna con una mastite durante l’allattamento va a farsi un prelievo
bioptico.
La cisti viene vista molto bene ecograficamente, alla mammografia perciò spesso il senologo le punge e le
drena, e nel momento in cui le punge e le drena collassano. Perciò si può già intervenire sotto guida
ecografica.
La malattia fibrocistica della malattia (fibrosi e cisti), è raro che si trovi in solitario,ma si associa a lesioni
proliferanti senza atipie o con atipie. Cioè sono queste le lesioni che hanno un ipotetico rischio di sviluppare
il cancro da 1,5 a 2 volte se sono senza atipie, da 4 a 5 volte in più se hanno atipie.
2. LESIONI PROLIFERANTI DELL’UNITA’ TERMINALE DUTTULO-LOBULARE SENZA ATIPIE:
Le osserviamo nelle donne di età ancora più
avanzata (dopo i 45 anni). Quindi sono donne già
probabilmente in menopausa o in peri-
menopausa. Spesso sono un reperto bioptico
incidentale perché sono sede molto spesso
(queste lesioni proliferanti dell’unità terminale
dottulo-lobulare) di CALCIFICAZIONE. La
calcificazione all’interno del dotto è vista
benissimo alla radiografia, risonanza, alla
mammografia, alla stessa ecografia della
mammella. Queste lesioni proliferanti senza
atipie le vediamo accidentalmente. Se vede
calcificazioni il senologo deve fare la biopsia
perché le microcalcificazioni sono molto
frequenti nel cancro e quindi si toglie il dubbio.
In queste lesioni proliferanti senza atipie abbiamo IPERPLASIA DELL’EPITELIO DI RIVESTIMENTO dell’unità
terminale duttulo-lubulare. Ma è un’iperplasia che noi chiamiamo di tipo usuale (cioè solita). È PRIVA DI
ATIPIE. Infatti, se noi la vediamo nelle immagini al microscopio le cellule epiteliali proliferanti sono tutte
uguali, sono monotone, e sciamano all’interno del lobulo riducendosi via via di dimensioni, come se
maturassero.
Ovviamente questo epitelio si associa alla malattia fibrocistica dove abbiamo le cisti, la fibrosi, la
proliferazione dei dotti, l’aumento del numero dei dotti, l’adenosi: la chiameremo malattia fibrocistica
proliferante senza atipie, e daremo un codice di identificazione che è BIOPSIA B2.
Il codice 1 è tessuto non patologico. Il codice 2 è tessuto benigno, cioè presenza di lesioni benigne usuali.

3.LESIONI EPITELIALI DELL’UNITA’ TERMINALE DUTTULO-LOBULARE CON ATIPIE

È vero che queste sono lesioni che possono evolvere ma spesso sono associate ad un carcinoma non
invasivo. Allora il clinico deve decidere se monitorare quella paziente con la mammografia a sei mesi
(decide un tempo) oppure decide di mandare il paziente dal chirurgo per “allargare” l’area dove ha fatto il
prelievo e quindi dove è venuta fuori la lesione B3.
Quest’ultima si evidenzia per la presenza di MICROCALCIFICAZIONI e per la presenza di DISTORSIONE DEL
PARENCHIMA MAMMARIO.
Queste lesioni con atipie che interessano l’unità
terminale dottulo-lobulare vengono chiamate ADH
(IPERPLASIA DUTTALE ATIPICA). Spesso essa nelle
immediate vicinanze può avere un carcinoma non-
invasivo.
Gli aspetti morfologici sono quelli che costringono noi
patologi, e me per prima, a confrontarmi sempre con
l’altro collega, che fa parte come patologo della
“Breast Unit”, per capire se è realmente un’iperplasia
atipica oppure se è già un carcinoma in situ.
Un’iperplasia duttale atipica è quella lesione che
presenta alcune, ma non tutte, le caratteristiche
morfologiche di un carcinoma duttale in situ (cioè non
invasivo).
Queste lesioni atipiche hanno aspetti citologici ed architetturali che mimano un cancro ma che non hanno
tutte le sue caratteristiche. Ovvero, tra gli aspetti citologici, ovvero le cellule:

- sono monotone;
- sono uniformi;
- hanno un nucleo rotondo;
- hanno un rapporto nucleo/citoplasma aumentato;
- Spesso compaiono delle figure che noi chiamiamo “ROSETTONI”, cioè dei buchi circondati da cellule
intorno;
- IPERCROMASIA NUCLEARE;
- mitosi molto rare;
- NECROSI CENTRALE È ASSENTE;
- Possiamo trovare la calcificazione;

Da un punto di vista architetturale queste lesioni proliferanti duttali atipiche mimano un carcinoma duttale
in situ che noi oggi chiamiamo “carcinoma duttale in situ di basso grado”, cioè presenza di rosette, aspetto
fibriforme, solido ecc.

Però, è importante il CRITERIO DIMENSIONALE. (OMS)


Allora, l’iperplasia epiteliale con atipia, che si presenta con ponticelli, aspetto fibrato, con nuclei tutti uguali
e rotondi, con qualche mitosi ma mai necrosi, hanno un DIAMETRO INFERIORE A 2 MM.
Se invece la lesione atipica che ha gli aspetti morfologici, ma non tutti, del carcinoma in situ ha un diametro
superiore ai 2 millimetri allora vuol dire che ci troviamo di fronte ad una lesione maligna.
L’iperplasia duttale atipica, inferiore a quella dimensione, in genere coinvolge pochi dotti. Il carcinoma
duttale in situ che supera i 2 millimetri (anche di più, 2-3 millimetri) è una lesione che coinvolge più dotti.
Quindi l’OMS ci dice che noi dobbiamo riservare la diagnosi di iperplasia duttale atipica ai casi in cui la
diagnosi di “carcinoma in situ di basso grado” è probabile ma gli aspetti morfologici NON SONO
SUFFICIENTI a suffragarne la diagnosi.
La PRESENZA DELLE CELLULE MIOEPITELIALI (cioè delle cellule di supporto alle luminali) non influenza
assolutamente la diagnosi perché queste cellule mioepiteliali le possiamo trovare espresse sia nel
carcinoma in situ sia nell’iperplasia atipica. Ma SE SONO ASSENTI (quindi se è assente la famosa p63 che ci
serve ad evidenziare i nuclei delle cellule mioepiteliali), l’OMS ci spinge verso la diagnosi di carcinoma
duttale in situ anziché l’iperplasia atipica.
L’attività mitotica non ci aiuta. La necrosi sì. La necrosi all’interno del dotto, più che le calcificazioni (che
invece possiamo trovare nell’iperplasia duttale usuale, atipica o nel cancro), spinge verso la diagnosi di
“carcinoma duttale in situ”.
Quindi noi patologi ci confrontiamo perché una diagnosi esageratamente spinta verso il carcinoma significa
eccesso di trattamento sulla paziente mentre una diagnosi sottostimata può significare domani carcinoma
invasivo, quindi bisogna fare molta attenzione e
bisogna confrontarsi.

La cosìddetta FEA cioè L’IPERPLASIA EPITELIALE


PIATTA è caratterizzata in genere da una
CONFIGURAZIONE MONOFILARE dell’epitelio luminale
quindi un monostrato di cellule luminali però
comunque spesso e soprattutto con la TENDENZA A
FORMARE SECRETO LUMINALE. Se non la si identifica, l’iperplasia epiteliale piatta può essere sottostimata,
se non la si conosce si rischia di non diagnosticarla e poiché la lesione piatta anch’essa atipica si associa a
rischio di carcinoma, se non diagnosticata può comportare seri problemi alla paziente.

Ma la lesione epiteliale atipica la possiamo trovare anche NELL’ACINO, quindi può interessare sia il duttulo,
sia l’acino. Quando l’iperplasia coinvolge l’acino questo si riempie di cellule all’interno e si dilata creando la
così detta IPERPLASIA LOBULARE. Questa iperplasia lobulare è quella che purtroppo si identifica
incidentalmente: sono lesioni che NON si vedono alla mammografia e in base al tipo di lesioni l’iperplasia
lobulare atipica viene divisa in iperplasia lobulare di basso grado e di alto grado e quest’ultimo
CORRISPONDE AL CARCINOMA LOBULARE, quella variante di carcinoma che prende origine dall’acino,
quindi dal lobulo quindi il carcinoma lobulare in situ.

Altre lesioni della mammella che sono le così dette LESIONI SCLEROSANTI che nascono dalla proliferazione
in genere dell’unità terminale duttulo-lobulare e CHE PRESENTANO LA SCLEROSI cioè la fibrosi.

Queste lesioni sclerosanti nascono in genere da


una proliferazione dell’unità duttulo-lobulare
che noi chiamiamo ADENOSI. Quindi l’adenosi è
una proliferazione dell’unità terminale duttulo-
lobulare, cioè aumentano di numero, sia le
cellule che i dotti, quindi sono sia iperplasia che
ipertrofia insieme, ma soprattutto iperplasia.

L’ADENOSI può essere di vario tipo un’adenosi


FLORIDA, quindi un nodulo adenosico florido,
oppure per la presenza di fibrosi, sclerosante,
quindi un NODULO SCLEROSANTE. Il nodulo
adenosico può essere di piccolissima dimensione
tant’è che anche alla mammografia non viene
data importanza, oppure può essere di grande
dimensione tanto da essere palpabile, quindi
un’adenosi che la donna avverte anche L’unità terminale coinvolta è dilatata, gli acini
palpandosi la mammella e che si vede come addensamento sono compressi, e deformati dallo stroma
nodulare anche alla mammografia. Ma la cosa più denso. A differenza dei carcinomi, gli acini sono
disposti in vortici e i bordi esterni sono ben
preoccupante ce la dà la fibrosi cioè accanto ad un aumento
circoscritti
del numero dei dotti, delle unità terminali duttulo-lobulari si
osserva una FIBROSI DELLO STROMA INTER E PERI-DUTTALE
per cui si crea una specie di lesione sclerosante, adenosica sclerosante.

Pertanto, le unità terminali duttulo-lobulari hanno proliferato tanto da creare questo aggregato nodulare.

Anche queste possono essere sedi di MICROCALCIFICAZIONI, andandole e biopsizzare, a rimuoverle. Ma


quest’adenosi florida può diventare sclerosante, cioè la fibrosi schiaccia le strutture terminali duttulo-
lobulari proliferanti, tanto da dare delle immagini radiologiche deformate che possono insospettire il
radiologo, a maggior ragione se sono sede di microcalcificazioni.

Questa adenosi noi la osserviamo con molto affetto ma anche con molta paura, perché abbiamo scoperto
che purtroppo ci può creare dei falsi positivi. Queste proliferazioni adenosiche, proprio perché sono
proliferazioni casuali, possono, a volte, CRESCERE INTORNO AD UNA STRUTTURA NERVOSA. Ci possono
essere, infatti, fascetti nervosi che possono mimare tubuli o duttuli che filtrano il nervo, quindi mimare un
cancro che sta infiltrando le strutture nervose. Perciò l’adenosi è una lesione che, a maggior ragione, il
radiologo va a pungere per toglierla alla biopsia e noi patologi la dobbiamo osservare con molta attenzione
perché, se inesperti, e se l’adenosi presenta questo trabocchetto, ci può far fare diagnosi alla biopsia di
cancro che ha infiltrato un nervo e le strutture nervose ma in realtà questo non è.

Esiste una forma di adenosi con fibrosi che è la cosiddetta RADIAL SCAR. La radial scar non è altro che una
CICATRICE RADIALE, cioè un’adenosi CON UNA SPICCATA FIBROSI CENTRALE tanto da dare un immagine
radiologica stellata. La radial scar viene vista dal radiologo come nodulo stellato, lo deve pungere, ha
l’obbligo di fare la biopsia su questa lesione stellata e ha l’obbligo anche di descriverci la dimensione di
questo nodulo stellato che è una dimensione CHE NON È MAI SUPERIORE AD 1 CM.

Nasce sicuramente da una fibrosi centrale che schiaccia e chiude i dotti i quali poi cominciano a proliferare
alla periferia. SI è visto che questa radial scar, che non supera il centimetro, può associarsi in periferia,
proprio perché c’è una proliferazione adenosica periferica, si associa anche a proliferazione atipica e
addirittura ad un carcinoma non di tipo invasivo inizialmente. Infatti molti anatomi patologi dicono che
quando si vede alla biopsia una radial scar si fa DIAGNOSI DI LESIONE B3 (lesione con atipie). Radial scar B3
perché non è sufficiente la biopsia ma va tolta tutta la lesione perché molto spesso alla periferia di una
radial scar trovi atipie o carcinoma.

Un’altra problematica della radial scar può essere questa. Se il clinico fa una biopsia e prende il frustolo, e il
frustolo mi cade nel cuore centrale della radial scar dove ci sono questi tubuli angolati, io vado in crisi.
Cerco perciò di capire con l’immunoistochimica se questi sono tubuli di un carcinoma duttale variante
tubulare o sono tubuli normali. Allora facciamo l’immunoistochimica che ci mette in evidenza nel tubulo
della radial scar le cellule mioepiteliali e ovviamente la membrana basale qui presente. Nel carcinoma
tubulare, invece, le cellule mioepiteliali NON LE TROVIAMO e la stessa membrana basale è discontinua.

Vediamo quindi solo tubuli intrappolati, non avendo il quadro completo del nodulo, e lo definiamo cicatrice
radiale e diciamo al chirurgo comunque di togliere tutta la lesione. Poi sarà necessario gestire il futuro iter
diagnostico della paziente: togliere la mammella, fare il linfonodo sentinella, poi la chemioterapia, la
radioterapia, ecc.

Quindi la radial scar va in diagnosi differenziale con il carcinoma della mammella VARIANTE TUBULARE,
definito anche CARCINOMA DI TIPO SPECIALE. Per la diagnosi differenziale ci aiutano la p63 e la calponina
che sono sempre espressi nei tubuli dell’adenosi sclerosante radial scar e mancano nel carcinoma tubulare.

Nella mammella ci sono altri tumori benigni più frequenti, che nascono dalla proliferazione
CONTEMPORANEA di cellule mesenchimali e di cellule epiteliali, quindi il connettivo di sostegno in
prossimità dell’unità terminale duttulo lobulare non è un connettivo indifferente, ma RISPONDE ALLA
STIMOLAZIONE ESTROGENICA e può contribuire insieme all’epitelio di rivestimento della stessa unità alla
creazione di tumori benigni, come il fibroadenoma.

Ci possono essere altri tumori benigni della mammella, che riguardano il connettivo, come il LIPOMA o
L’ANGIOMA (che sono i più comuni), oppure possiamo avere tumori che riguardano il connettivo di
sostegno maligni, e tra questi l’ANGIOSARCOMA della mammella, quest’ultimo lo osserviamo spesso in
donne che hanno già fatto radioterapia per carcinoma in situ della mammella, (se hanno fatto
quadrantectomia e poi radio possono sviluppare sul resto della mammella l’angiosarcoma), oppure la
donna da bambina ha fatto la radio per un linfoma mediastinico o per qualsiasi altra regione; quindi la
radioterapia può essere la causa scatenante dello sviluppo di un angiosarcoma. Perciò sono scarsi, pochi e
rari i tumori mesenchimali, benigni o maligni.

Sia nello stroma che nell’epitelio è presente la positività per recettori estrogenici nella subunità alfa e beta,
quindi è l’estrogeno che scatena la patologia.

1. IL FIBROADENOMA è un tumore benigno, nodul p ben demarcato che può colpire donne giovani
tra i 20 e 35 anni, la massima rappresentatività è in donne giovani perché in pieno benessere
ormonale, donne fertili, con una condizione estrogenica elevata e stimolante. Questo tumore non è
dotato di capsula ma di una PSEUDOCAPSULA, cioè di un piano di clivaggio che rende il nodulo
sfuggente alla palpazione, non fissa ai piani cutanei, ai piani profondi fasciali e al parenchima
circostante, ma è mobile e sfugge. (quando all’epoca facevamo lezione col paziente, il dottore ci
parlava del segno della coda del topolino che fugge, è il segno caratteristico del fatto che il nodulo
sfugge alle dita quando si prova ad afferrarlo)

Questo nodulo può comparire nel giro di pochi


mesi e può raggiungere fino ai 3 cm e anche un
po’ di più a volte, e scompare e compare
improvvisamente e potendo raggiungere
dimensioni importanti (la paziente se ne
accorge). Ha una consistenza definita “TESO
ELASTICA”: è molliccio, lo schiacciamo tra le mani
e ritorna poi alla forma normale; ma non è
sempre così, a volte sono molto duri, e sono in
questo caso fibroadenomi che possono andare
incontro a METAPLASIA CALCIFICA dello stroma
diventando molto duri. Può essere bilaterale e
istologicamente è facile da diagnosticare perché
si presenta con pattern di crescita o:

- INTRACANALICOLARE, cioè l’estrogeno ha stimolato in modo esuberante il connettivo di sostegno


tanto da schiacciare l’unità terminale duttulo lobulare e creare immagini in cui l’unità è collassata,
quindi c’è una maggiore risposta alla stimolazione ormonale da parte del connettivo che quindi
crescerà in maniera focale, non concentrica attorno al dotto;
- PERICANALICOLARE: c’è una condizione bilanciata in cui connettivo e epitelio rispondono
equamente all’estrogeno e quindi si hanno una serie di duttuli circondati da connettivo, cioè si vede
l’unità terminale duttulo lobulare quasi normale con una serie di tubulini circondati da connettivo,
che quindi crescerà in maniera concentrica attorno al dotto. Il significato dal pdv prognostico
terapeutico non cambia, è solo una descrizione di pattern da parte dei patologi
- VARIANTE MISTA peri e intra canalicolare.

Abbiamo detto non ci sono atipie ma ci sono cambiamenti di consistenza del connettivo tanto da avere
IALINIZZAZIONE O OSSIFICAZIONE del connettivo di sostegno, quindi i fibroadenomi di vecchia data che
diventano scleroialini duri e calcifici, e non devono spaventare la paziente perché all’esame clinico vale
sempre la descrizione del topolino che fugge, è vero si indurisce ma è sempre mobile quando viene

stretta tra le dita.

In alcuni casi, soprattutto in donne che hanno una particolare stimolazione estrogenica o hanno avuto
questa stimolazione, o donne con fibroadenoma presente da anni mai tolto, in alcuni casi eccezionali si può
trovare IPERPLASIA DEI DOTTI con atipie e qualche volta anche un carcinoma in situ (quindi non infiltrante).
La variante istologica che più comunemente si può riscontrare in un fibroadenoma è la variante acinare la
variante lobulare, quindi un carcinoma lobulare in situ, ma sono spesso reperti accidentali.

Quindi il fibroadenoma è il PIÙ FREQUENTE del sesso femminile come tumore misto, ci sono varianti di
fibroadenoma come tutte le lesioni neoplastiche, e tra questi ricordiamo semplicemente il
FIBROADENOMA GIOVANILE , detto così perché colpisce le ragazzine in fase ormonale esplosiva, tra 16 e
18 anni, e nel giro di poco tempo possono arrivare anche fino a 4-5 cm, e spaventano molto perchè la
mammella si ingrandisce in modo particolare ma si tolgono per fatti estetici e pratici, ma non creano
problemi.

2. IL TUMORE FILLOIDE: Veniva chiamato CISTOSARCOMA FILLOIDE ma in realtà aveva questo


comportamento più benigno, è un fibroadenoma con componente connettivale esuberante tanto
da spingersi nella unità terminale duttulo-lobulare creando una specie di proliferazione quasi a
foglia, UN’ESTROFLESSIONE ARBORESCENTE. Esso è un tumore bizzarro perché contrariamente al
fibroadenoma può degenerare, ma
mentre nel fibroadenoma la
degenerazione maligna se dovesse
accadere riguarda la componente
epiteliale, nel filloide la
trasformazione maligna riguarda il
connettivo di sostegno, quindi la
trasformazione maligna è IN SENSO
SARCOMATOIDE, quindi diventa un
vero cistosarcoma filloide. Ma la cosa
particolare di questo tumore filloide
è che, rispetto al fibroadenoma,
colpisce le donne anziane soprattutto
in peri-menopausa intorno a 50 anni
e può raggiungere grosse dimensioni,
tanto da descrivere forme giganti di
tumore filloide

Il tumore può esistere o in forma BENIGNA o in forma a MALIGNITÀ INTERMEDIA DEFINITA ‘BORDERLINE’
(come per i tumori ovarici, cioè forme con alcune ma non tutte le caratteristiche di malignità) oppure forme
MALIGNE.

Come si fa la diagnosi tra le tre forme? La diagnosi si basa sulla presenza di CELLULARITÀ della componente
stromale, la quale è: scarsa e rara di elementi cellulari nella forma benigna, mentre la cellularità comincia
ad aumentare nella forma a malignità intermedia, vedete ci possono essere mitosi che sono in genere
assenti nel benigno, nel borderline le mitosi in genere non superano le 5 su 10 HPF (al microscopio a forte
ingrandimento.

Le ATIPIE CITOLOGICHE sono in genere assenti ma in genere queste forme di tumori possono recidivare
localmente (le borderline ). La forma francamente maligna invece ha ipercellularità stromale, atipie
citologiche, mitosi che possono raggiungere un numero elevato e possono recidivare e metastatizzare.

La diagnosi corretta che differenzia un benigno da un borderline, secondo il criterio WHO 2012, sta nella
corretta chirurgia, cioè il nodulo deve essere tolto per intero e ovviamente oltre a contare le mitosi, che
sono l’elemento importante tra benigno e borderline, bisogna vedere i MARGINI DEL NODULO che sono
sempre ben demarcati a crescita espansiva nella forma benigna e restano tali nella borderline ma
diventano infiltranti nella maligna, quindi la grossa difficoltà sta proprio nel definire il tumore borderline
perché il benigno non recidiva , il borderline ha rischio di recidiva e il maligno recidiva e può dare metastasi.
Pertanto, quando ci troviamo davanti ad un tumore filloide bisogna campionare estesamente il nodulo per
valutarlo, bisogna andare a vedere se ci sono aree stromali con maggiore cellularità (rispetto ad una forma
benigna che invece è scarsamente cellulata nello stroma) e soprattutto si vanno a contare le mitosi, se oltre
5, andremo a vedere i margini vedendo se in qualche punto è infiltrativo e lo definiremo maligno.

TRATTAMENTO: Una paziente con tumore filloide maligno non va in chemioterapia perché esso è un
sarcoma, è una forma di tumore che pur avendo rischio di recidiva e metastasi non va in chemio, ma il
trattamento è una escissione chirurgica con margini ampiamente puliti. Eventualmte solo per le forme
giganti si fa la mastectomia. Quindi la chirurgia è conservativa per le forme piccole, si arriva alla
mastectomia per le forme grandi e non si fa chemio né radio, la quale ha senso per le forme epiteliali non
per le forme sarcomatose, perché le radiazioni STIMOLANO LA PROLIFERAZIONE SARCOMATOIDE, perciò il
trattamento è chirurgico e follow up stretto della paziente. Per le forme benigne basta una buona
nodulectomia, con resenzione dei margini chirurgici

3. I PAPILLOMI nascono dalla proliferazione DELL’EPITELIO DI RIVESTIMENTO o del dotto galattoforo


che si apre sul capezzolo, oppure dai duttuli terminali cioè dalle unità terminali duttulo lobulari,
tant’è che questa neoplasia papillare della mammella è definita come una lesione benigna che si
associa a rischio di carcinoma, rischio che aumenta se la lesione papillare la troviamo in periferia,
cioè nell’unità terminale duttulo lobulare, che è quella maggiormente stimolata e stressata dai
fenomeni di distruzione e rigenerazione. In più, le forme periferiche sono forme più insidiose
perché, essendo lontane dal dotto principale hanno la possibilità di modificarsi in senso atipico fino
al carcinoma, senza dare segni della loro presenza, perché il segno principale di una lesione che
prolifera nel dotto, a parte il dolore, è il SANGUINAMENTO: una lesione che riguarda il dotto
principale o dotti di più grandi dimensioni si mette subito in evidenza con il sanguinamento dal
capezzolo, legato anche a banali movimenti della mammella stessa o a manipolazioni sulla
mammella.

Quando vediamo queste lesioni, quelle periferiche, all’ agobiopsia mammaria la classifichiamo come una
lesione bioptica DI NUMERO 3 cioè una lesione a rischio, da mandare al chirurgo che deve ampliare la zona
in cui ha fatto la biopsia, perché il papilloma ha rischio di sviluppare carcinoma anche nelle immediate
vicinanze (1- tessuto normale. 2- lesione benigna. 3-lesione dubbia, destinata a resezione chirurgica).

Questo papilloma, che può essere CENTRALE O PERIFERICO. Il primo lo descriviamo come lesione epiteliale
papillare dei grandi dotti in genere centrali sottoareolari che danno segno di sé con il sanguinamento e con
asse connettivo vascolare su cui prolifera l’epitelio di rivestimento del dotto. In genere non hanno atipia
citologica ma tutto può essere, quindi possiamo trovare atipie citologiche fino al carcinoma non invasivo
all’interno sempre di questa proliferazione papillare.

Le forme periferiche invece sono MULTIPLE spesso si associano ad atipie e ad evoluzione carcinomatosa.

Il papilloma può essere messo in evidenza con la DUTTOGALATTOGRAFIA, esame strumentale che mette in
evidenza l’area dilatata del dotto con la proliferazione arborescente all’interno. È importante togliere tutta
la lesione per esaminare bene com’è la componente epiteliale di rivestimento: non crea problemi se è un
epitelio monofilare che poggia su cellule mioepiteliali che poggiano sulla membrana basale, e c’è l’asse
connettivo vascolare. Quando sanguina il papilloma possiamo spesso trovare modificazione dell’epitelio,
come ad esempio una trasformazione dell’epitelio di rivestimento IN EPITELIO APOCRINO ricco di
mitocondri, oppure vedete queste sono PERLE CORNEE, cioè una metaplasia squamosa (lo dobbiamo
sapere noi patologi per non far diagnosi sbagliata di carcinoma squamoso in una lesione che invece tutto è
tranne che maligna), ma parliamo di metaplasia quindi trasformazione benigna. Tuttavia, ci possono essere
cambiamenti dell’epitelio con atipie citologiche, nuclei voluminosi, ipercromatici, ci sono mitosi, quindi
possiamo avere atipie in questo epitelio di rivestimento, fino al carcinoma non invasivo.

Ma poiché è possibile che il papilloma si trasformi in carcinoma non infiltrante, bisogna vedere qual è la
percentuale di area trasformata in senso maligno. Perché se quest’area è inferiore a 3 mm il papilloma non
lo chiamiamo più ‘papilloma con carcinoma ben differenziato non invasivo’ o ‘carcinoma duttale ben
differenziato non invasivo su papilloma’, ma lo chiameremo ‘PAPILLOMA ATIPICO’, così spaventando meno
la donna che sa di non avere un cancro ma un papilloma che stava degenerando. La cosa importante è che
la lesione sia tolta per intero, dopo di che la donna farà i suoi follow up strumentali. Ma se lo chiamo
‘carcinoma duttale su papilloma’ la donna necessiterà forse di terapia ormonale e bisognerà vedere se
quell’area che si è trasformata in carcinoma esprime il recettore nucleare per estrogeni, che condizionerà la
terapia nel carcinoma della mammella (terapia con tamoxifene che blocca il recettore per gli estrogeni e la
donna va in menopausa farmacologica che può durare alcuni anni ma risolverà il suo problema).

Esiste poi una variante di carcinoma della mammella che chiamiamo CARCINOMA PAPILLARE
INTRACISTICO, che mima in pratica il papilloma. Allora c’è da fare attenzione, perché bisogna distinguere il
papilloma , sia pure con atipie, o il carcinoma sul papilloma con una diagnosi netta di carcinoma papillare
intracistico, perché il carcinoma papillare intracistico deve seguire un iter diagnostico e terapeutico di un
cancro. Per fare ciò il pezzo chirurgico deve essere esaminato per intero, dobbiamo vedere che la lesione è
tutta all’interno di una cavità cistica, quindi il carcinoma deve essere tutto all’interno di una cavità cistica e
deve avere le caratteristiche morfologiche del carcinoma. Andremo a vedere quindi che le cellule
mioepiteliali, che sono l’elemento che aiuta la diagnosi differenziale tra carcinoma e papilloma, non ci
saranno e la membrana basale non sarà evidente. Accanto a questo vedremo ovviamente le atipie, le mitosi
e così via. In ogni caso si va incontro a una notevole difficoltà diagnostica.

MORBO DI PAGET o neoplasia o malattia di Paget della mammella, esattamente come la possiamo
osservare anche nella vulva, in sede perianale. Questa neoplasia o malattia di Paget in realtà è un
CARCINOMA INTRAEPIDERMICO che riguarda l’epidermide della cute areolare o del capezzolo e che
coinvolge ovviamente il dotto galattoforo sottostante. La malattia di Paget del capezzolo della mammella
viene messa in evidenza perché la donna, soprattutto quelle in menopausa, le donne anziane, cominciano a
vedere che il capezzolo ha delle SECREZIONI SIERO-EMATICHE e soprattutto delle erosioni eczematose tipo
pruriginose in sede capezzolo e areola. La presenza di lesioni eczematose, pruriginose, sanguinanti,
crostose a carico dell’areola e del capezzolo, specialmente in una donna anziana o in menopausa, devono
essere attentamente valutate da senologo e dal chirurgo. Tant’è che si fa la biopsia prima di procedere all’
asportazione del capezzolo o del complesso areola-capezzolo. Prima di procedere all’asportazione del
complesso areola-capezzolo si va a fare una mammografia per vedere le condizioni della ghiandola
sottostante, se è normale o ci sono lesioni sospette alla mammografia. Questo perché la malattia di Paget
,che è un carcinoma intraepidermico che si associa molto spesso a un SOTTOSTANTE CARCINOMA
DUTTALE della mammella, carcinoma che riguarda i grossi dotti galattofori e via via l’unità terminale
duttulo-lobulare. La malattia di Paget svela la presenza di un carcinoma in situ, cioè di un carcinoma non
invasivo dei dotti mammari sottostanti. Proprio per questa associazione c’è la diatriba su quali elementi
cellulari diano origine al carcinoma di Paget. L’ipotesi iniziale era quella della CELLULA DI TOKER, che ha un
ampio citoplasma e un nucleo un po’ voluminoso, vescicoloso. Questa cellula di Paget, che si trova in
corrispondenza dello strato basale dell’epidermide, si differenzia dai melanociti perché non esprime le
colorazioni immunoistochimiche dei melanociti come l’S100 o il MelanA, ma stranamente nella mammella
questa cellula di Paget o cellula di Toker esprime le Citocheratine, che non sono positive nei melanomi, ed
esprime anche in particolare la citocheratina7 e il recettore per Her2-neu, che è un oncogene. Quindi da qui
il senso della diatriba: è una cellula di Toker reale quella che osserviamo nella malattia di Paget, oppure
sono cellule di carcinoma della mammella richiamate dai cheratinociti verso l’epidermide della cute o del
capezzolo? Oggi si pensa che probabilmente sono i cheratinociti che producono un fattore chemiotattico
(heregulin-alfa), che a seguito del legame con il recettore nucleare per Her2-neu,che è un oncogene che
controlla la proliferazione cellulare espresso nei tumori cutanei della mammella, spiegherebbe la presenza
nell’epidermide di cellule neoplastiche che dai dotti risalgono verso la cute, la così detta DIFFUSIONE
PAGETOIDE di una cellula di carcinoma duttale nell’ epidermide del capezzolo.

In realtà la diatriba è ancora aperta perché non sempre la malattia di Paget si associa a carcinoma duttale in
profondità e nella vulva non esiste in carcinoma duttale pur essendo sempre un Paget della cute vulvare.

Le cellule presentano ampio citoplasma chiaro, PAS+ ma che sono positive alla citocheratina7 (esattamente
come lo sono i tumori duttali) e soprattutto esprimo l’Her2-neu; sono negativi all’S100, al MelanA, all’
HMB45 e a tutti i marcatori immunoistochimici del melanoma. Non sempre la malattia di Paget si associa al
carcinoma duttale in profondità e prima di togliere un complesso areola-capezzolo in cui c’è un carcinoma,
facciamo la mammografia, escludiamo che sotto non ci sia nulla, e quindi facciamo una chirurgia
conservativa, cioè togliamo soltanto areola e capezzolo che può essere poi ricostruito con il tatuaggio nella
donna.

TUMORI MALIGNI DELLA MAMMELLA


Il tumore più frequente in assoluto della mammella è il carcinoma, quindi la neoplasia epiteliale. Esso è la
prima causa di morte per la donna nel mondo Occidentale.

L’esame diagnostico parte dall’esame clinico, quindi dalla palpazione dell’organo, che viene già insegnata
alle donne come autopalpazione.

L’esame clinico della mammella e l’autopalpazione deve essere eseguita secondo un preciso criterio:

- deve essere massaggiata in senso circolare per percepire la ghiandola nella sua consistenza
(palpazione in senso rotatorio concentrica al capezzolo);
- la ghiandola viene schiacciata in senso radiale, a partire dal capezzolo verso la superficie toracica
- valutazione schiacciando l’organo in senso verticale;
- spremitura del capezzolo, da cui si può vedere se fuoriesce secreto e il tipo di secreto.

L’esame clinico è efficace e va sempre eseguito, ma mette in evidenza lesioni superiori al cm, ovvero le
lesioni PALPABILI.

Per evidenziare lesioni più piccole si passa dall’ esame clinico all’esame ECOGRAFICO, eseguito prima in
posizione supina e poi di fianco con la mano dietro la testa perché viene valutato bene il prolungamento
ascellare della ghiandola, andando quindi a vedere se ci sono lesioni nodulari o lesioni sospette.

Se senologa capisce che c’è qualcosa che non va, dall’ ecografia si passa alla MAMMOGRAFIA. Se la
senologa non vede niente di anomalo all’ecografia, comunque si fa alla mammografia se la donna è in Pre-
menopausa, peri-menopausa o in menopausa, cioè se ha superato i 50 anni. In questi casi, infatti, la
mammografia diventa obbligatoria per i programmi di screening.

Se alla mammografia non si vede nulla, ma la senologa ha visto qualcosa in quella donna che non la
convinceva ecograficamente ( quindi esame clinico negativo, all’ecografia emerge una distorsione
parenchimale corposa che non convince, mammografia negativa) si procede con una RMN della mammella.

La RMN della mammella è particolarmente indicata perché c’è una variante di carcinoma della mammella
che non si configura sotto forma di noduli ma come dispersione della popolazione neoplastica, che è la
variante speciale che chiamiamo carcinoma nodulare.
Se c’è una lesione dubbia vista all’ecografia o alla RMN, il radiologo interventista procede effettuando dei
prelievi attraverso l’esame bioptico. L’esame bioptico può essere effettuato con varie tecniche:

- AGOBIOPSIA (core biopsy);

- MAMMOTOME, che sotto guida ecografica, posizionando la donna su lettini particolari e posizionando la
mammella in una certa maniera, va a prelevare esattamente le aree mammografiche sospette, prelevando
tessuto particolarmente abbondante per la diagnosi;

Prima era particolarmente indicato l’esame citologico : cioè anziché fare la biopsia si poteva pungere con
un ago e aspirare le cellule eventualmente presenti in quella lesione. Ormai è indicazione internazionale
che l’esame citologico sui noduli o sulle lesioni non palpabili della mammella NON è più indicato perché può
dare tanti falsi positivi e tanti falsi negativi. Quindi l’agoaspirato su lesioni mammarie sta andando in
abbandono, ma si usa direttamente l’esame bioptico. La biopsia, soprattutto quella sotto guida
mammografica ( oggi abbiamo anche strumentazione in 3D che permette di evidenziare tutto), è
particolarmente importante sulle lesioni mammarie di piccolissime dimensioni (lesioni di 3-5mm),
evidenziate grazie alla mammografia. In questo modo sono stati messi in evidenza carcinomi di piccole
dimensioni e, ancora, carcinomi non invasivi.

Oggi quindi ci troviamo davanti a un aumento del numero di casi di cancro della mammella, che sono però
di piccole dimensioni ( con circa 100% di guarigione nella donna) o cancri non invasivi.

La biopsia viene refertata dal patologo che usa la sigla:

B1 = tessuto mammario normale;

B2 = lesione benigna come può essere il fibroadenoma o la malattia fibrocistica non proliferativa);

B3 = lesione a potenziale incerto di malignità come può essere il papilloma (i papillomi diventano tutti B3) o
il tumore filloide o lesioni della mastopatia fibrocistica proliferante con l’iperplasia epiteliale dei dotti
atipica. Le lesioni B3 vanno automaticamente alla chirurgia, alla escissione locale chirurgica;

B4 = lesione fortemente sospetta ma non conclusiva di malignità ( ad esempio se il radiologo è andato


vicino ad una lesione, non l’ha presa, e il patologo non è in grado di definirla totalmente maligna o meno. In
questo caso si chiede al radiologo di far togliere completamente quella lesione per stabilire se è maligna o
se è un’iperplasia atipica)

B5 = lesione francamente maligna, cioè il carcinoma.

Questa numerazione veniva usata anche per la citologia ( C1; C2; C3; C4; C5), con lo stesso significato della
classificazione precedente ( cambia soltanto tra B1= normale e C1= inadeguato, cioè non abbiamo pescato
cellule).

Il cancro della mammella è la neoplasia più frequente nella donna e anche la causa più frequente anche di
morte nel sesso femminile, la cui incidenza aumenta drasticamente dopo i 40 anni. In realtà però si stanno
osservando cancri della mammella in donne più giovani, quindi evidentemente ci sono dei fattori di rischio
che devono essere presi in considerazione, che non siano soltanto l’estrogeno in senso stretto.

Il cancro della mammella nei maschi è molto raro, rappresenta soltanto l’1% di tutti i tumori del sesso
maschile ( in cui sono più frequenti oltre al cancro al polmone, prostata, intestino anche i tumori germinali
del testicolo).

PATOGENESI:
Nell’eziopatogenesi di questo cancro L’ESTROGENO è la causa determinante che va a stimolare l’unità
terminale duttulo-lobulare. Ma oggi si è visto che esistono anche dei cancri a trasmissione ereditaria, cioè la
donna eredita un’alterazione genetica che potrebbe portarla allo sviluppo del cancro. Cioè la donna può
ereditare dalla propria madre un’alterazione del gene BRCA1 o BRCA2, ma perché sviluppi il cancro, per la
teoria del doppio colpo, devo avere anche una mutazione dello stesso gene sull’altro allele cromosomico,
diversamente questo non accadrebbe. Quindi non tutte le donne affette da mutazione genetica ereditata
sviluppano il cancro, quindi la mastectomia profilattica nelle donne che hanno una la mutazione genetica
ereditaria ha senso.

Oggi è particolarmente ritornata in auge l’ipotesi virale del cancro della mammella grazie agli studi sul virus
della mammella del topo che induce lo sviluppo del carcinoma nel topo. Questo virus è similare al virus
mammario umano, detto virus mammaliano. Infatti, questo virus del topo avrebbe come vettore
intermedio il gatto, che a sua volta infetterebbe la donna attraverso la saliva. Queste sono tutte ipotesi di
valore scientifico, un po’ come il virus simiano per il mesotelioma, perché sono tutti virus a potenziale
potere oncogeno.

Il carcinoma sporadico è quello estrogeno-correlato, colpisce tutte le donne che vivono in ambienti
industrializzati, occidentalizzati, quindi probabilmente ci sono alcuni FATTORI AMBIENTALI, come le
abitudini voluttuarie al fumo di sigaretta o l’abitudine ad alcuni alimenti, ad esempio verdure e frutta
trattate con pesticidi. Inoltre, poiché sono gli estrogeni la causa determinante, sono a rischio tutte le donne
che hanno un menarca precoce (che normalmente si sviluppa intorno ai 12 anni, ma ci sono bambine che
possono avere la mestruazione anche a 9-10 anni) o una menopausa tardiva (ad esempio donne che a 60
anni sono ancora mestruate). Questo perché il menarca precoce e la menopausa tardiva stimolano l’unità
terminale duttulo-lobulare per un tempo prolungato quindi è un fattore di rischio.

Altre donne a rischio sono quelle che non allattano, le nullipare perché probabilmente la messa a riposo
della mammella durante la gravidanza, durante la quale l’estrogeno si riduce e aumenta la produzione di
progesterone, rappresenterebbe un fattore protettivo.

Inoltre, c’è tutto il problema dei CONTRACCETTIVI ORALI: oggi i contraccettivi orali sono tutti a basso
dosaggio ormonale quindi non creano assolutamente problemi, ma prima si usavano pillole ad elevata
concentrazione di estrogeni che rappresentavano un importante fattore di rischio. Diventa un fattore di
rischio la contraccezione orale fatta con determinati contraccettivi ad elevata concentrazione di estrogeni
che servono per mettere a riposo l’ovaio policistico. Quindi la contraccezione nelle giovani donne con ovaio
policistico deve essere fatta con particolare attenzione da parte del ginecologo, perché un tempo troppo
prolungato di contraccezione per messa a riposo dell’ovaio policistico può essere un fattore di rischio,
soprattutto se nella giovane donna c’è una familiarità (che NON vuol dire ereditarietà) per cancro
mammario. Familiare vuol dire che c’è un fattore di rischio nella famiglia, cioè la mamma o una sorella della
donna possono aver avuto il cancro, ma non è il cancro ereditario, cioè non c’è un’alterazione genetica.
Questo è il rischio familiare che rientra nel tumore sporadico.

La terapia ormonale ad alto dosaggio veniva data anche per la cura dell’acne o per la donna che va in
menopausa precocemente che ha tutta una serie di alterazioni ormonali (cala il desiderio sessuale, c’è
secchezza delle mucose quindi una impossibilità nei rapporti sessuali, c’è rischio di osteoporosi, ci sono
vampate di calore che provocano sudorazioni improvvise, si diventa particolarmente irascibili e ipertesi) per
cui la donna può essere trattata in questa fase della sua vita con terapia ormonale a base di estrogeni per
ridurre tutta questa sintomatologia.

Quindi la terapia ormonale nelle donne in menopausa va fatta, ma il ginecologo ha l’obbligo di chiedere alla
donna, prima di cominciare la terapia, di fare una valutazione senologica, cioè una mammografia: se la
mammella è normale può far fare alla paziente una terapia ormonale sostitutiva durante la fase della
premenopausa ma per un periodo limitato, non a lungo termine, perché oggi assistiamo alla comparsa di
cancro alla mammella in donne che hanno fatto la terapia ormonale sostitutiva per un tempo prolungato
senza aver fatto l’esame strumentale, che è obbligatorio (ogni anno devono fare la mammografia, se no la
prescrizione non viene fatta). Si sta cercando di ridurre tutta questa sintomatologia particolare
fastidiosissima della donna, soprattutto la distrofia vulvo-vaginale, che è una conseguenza della
menopausa, anche con laser terapia che ridà tono alle mucose, proprio per ridurre la necessità di ricorrere
a somministrazioni farmacologiche.

Altri fattori di rischio sono:

-L’OBESITÀ , che è una condizione in cui gli estrogeni aumentano, perché dal grasso addominale una via di
degradazione del grasso porta alla produzione di estrogeni. Anche a questo è legato il problema di
combattere l’obesità scolastica nelle bambine, che ha rilievo anche nel futuro della vita della giovane
donna;

I geni BRCA1 e BRCA2, sono situati sui così detti “cromosomi della sfiga” cioè i cromosomi 17 e 13. Il
carcinoma eredo-familiare, rispetto ai carcinomi sporadici, insorge in età precoce, in donne al di sotto dei
30 anni (18-24 anni), che sono età insolite per lo sviluppo del cancro. Infatti, in donne così giovani con
cancro alla mammella chiediamo sempre, nel team multidisciplinare, la consulenza genetica, per vedere se
quel cancro che ha colpito la giovane donna ha la mutazione nel gene BRCA1 e BRCA2. Se dovesse esserci la
mutazione ereditata, anche le sorelle dovrebbero essere studiate perché possono essere portatrici della
stessa malattia e quindi devono essere monitorate con l’ esame periodico clinico e mammografico annuale,
anche se magari hanno meno di 25 anni (normalmente a 25 anni non si fa la mammografia, perché è un
esame che viene fatto a partire dall’età di massima incidenza, non prima, in cui carcinoma della mammella
è raro).

Spesso il carcinoma ereditario è BILATERALE e, se invece colpisce una sola mammella, sono spesso
multifocali, perciò sono forme molto aggressive di carcinoma, che sfuggono ai programmi di screening
perché la mammografia non viene fatta come screening prima dei 50 anni. Ci sono alti geni incriminati,
oltre al BRCA1 e BRCA2, ad esempio quelli che determinano la SINDROME DI LI FRAUMENI con
mutazione del gene p53 (questa sindrome è molto più rara della mutazione di BRCA1 e BRCA2), oppure la
SINDROME DI LYNCH (dove ci sono donne che hanno avuto familiari con cancro del colon, cancro
ovarico, quindi altre neoplasie in altre sedi, e che hanno una alterazione delle basi del DNA). Quindi c’è la
possibilità di avere cancro associato ad altre neoplasie in donne che hanno mutazioni di p53 o di questi geni
che controllano l’accoppiamento delle basi del DNA.

Il cancro si localizza nella PORZIONE SUPERO-ESTERNA della mammella, perché la ghiandola mammaria
viene divisa topograficamente in 4 quadranti attraverso due linee perpendicolari passanti per il capezzolo.

La lesione che può precedere lo sviluppo del cancro della mammella può essere un’iperplasia dell’unità
terminale duttulo-lobulare, iperplasia che da usuale si trasforma in atipica, poi si trasforma in carcinoma in
situ e poi si trasforma in carcinoma invasivo. Tutta questa progressione, però, non è standardizzata, perché
noi possiamo avere il passaggio da un’iperplasia semplice al carcinoma in situ o al carcinoma invasivo,
quindi non è detto che questa progressione sia sempre osservata nella mammella, dipende dal tipo di
alterazioni molecolari che compaiono e che portano alla proliferazione in senso neoplastico dal non
invasivo all’invasivo, fino all’infiltrante.
I radiologi interventisti sono facilitati nella diagnostica e nel prelevare tessuto mammario grazie al fatto che
spesso il cancro alla mammella si presenta con la comparsa di MICROCALCIFICAZIONI, quindi spesso le
microcalcificazioni sono un elemento importante che aiuta nella diagnosi precoce anche del cancro alla
mammella.
Secondo la classificazione 2012, dividiamo il cancro della mammella in
- carcinoma più comune, il cosiddetto ''TIPO NON SPECIALE''
- FORME SPECIALI che sono le forme che hanno una morfologia e quindi un istotipo particolare ed
esistono una serie di tipi speciali perchè hanno correlazioni differenti con la prognosi e anche con la
terapia. Molti o alcuni di questi tipi speciali saranno cancellati perchè si è visto che non danno
differenze (da un punto di vista prognostico e quindi terapeutico) con il tipo comune. 
La struttura da cui prende origine il cancro della mammella è L'UNITÀ TERMINALE DUTTULO-LOBULARE e
allora le due forme morfologiche comuni di cancro alla mammella sono:
- quelle che prendono origine dal dotto;
- quelle che prendono origine dal lobulo quindi proprio dall'unità terminale, dall'acino.
Tra queste due forme, la più diffusa è quella che prende origine dal dotto; la forma invece che prende
origine dall'acino è una variante meno comune, più rara, e oggi viene considerato per questo un tipo
speciale, meno comune e, insieme a questa variante, esistono altre varianti morfologiche di cancro della
mammella che vengono messi insieme al tipo speciale, cioè a quello meno comune.
In ogni caso, obbiamo distinguere la forma in situ cioè la forma non invasiva e la forma invasiva. La forma
non invasiva è quella che oggi noi stiamo vedendo sempre di più e con molta frequenza perché abbiamo i
programmi di screening, che mettono in evidenza queste lesioni grazie alla distorsione parenchimale, ma
soprattutto grazie alla presenza delle microcalcificazioni.
Quando parliamo di CARCINOMA IN SITU, parliamo di due tipi fondamentali:
- il carcinoma in situ duttale;
- il carcinoma in situ lobulare;
La OMS 2012 si era divertita a dire che questi carcinomi in situ, del dotto o del lobulo, nascono da lesioni
precancerose come l'iperplasia duttale atipica e l'iperplasia lobulare atipica, tant'è che si parlava di
chiamare il carcinoma duttale e lobulare in situ neoplasia cioè neoplasia in situ duttale (DIN) e neoplasia in
situ lobulare (LIN), queste vengono divise in DIN 1, DIN 2, DIN 3 e LIN 1, LIN 2, LIN 3, con dei sottogruppi a,
b, c, quindi una situazione abbastanza complicata.
Noi oggi preferiamo chiamarla anche da un punto di vista pratico e anche da accordo con in nostri chirurgi,
senologi, la chiamiamo NEOPLASIA LOBULARE O DUTTALE IN SITU o carcinoma se ci sono determinati
requisiti. Se queste due forme istologiche sono le più comuni: si presentano alla mammografia con delle
immagini di distorsione parenchimale, ma ci sono una serie di punteggiature che ci dicono che in questa
zona c'è qualcosa di strano, ci sono delle aree sospette per la presenza di queste microcalcificazioni, di
questi addensamenti. Quindi, il radiologo dice di no vedere dei noduli alla mammografia, ma concrezioni di
calcio, che si vanno a prelevare perchè devo capire se quelle microcalcificazioni sono intrinseche ad una
lesione, per esempio ad una iperplasia duttale semplice o usuale oppure ad una iperplasia con atipie
oppure ad un carcinoma'' (non sto nominando la neoplasia lobulare perchè la neoplasia lobulare non
presenta la microcalcificazione, ed è più rara da vedere). Quindi il radiologo vede queste lesioni, soprattutto
lesioni calcifiche, addensate, in una determinata area ed è obbligato a fare la biopsia. 
1. L'aspetto morfologico del carcinoma duttale in
situ può essere di vario tipo, si può presentare
sottoforma di una lesione del duttulo o del
dotto, dove la proliferazione neoplastica crea
questa specie di tubuli, buchi, rosette, sembra
quasi un formaggio svizzero; quindi da un pdv
morfologico il carcinoma duttale in situ si può
presentare, visto grazie alle microcalcificazioni,
sottoforma di ASPETTO CRIBROSO, sottoforma
di papille che creano questa specie di
ponti,''ponti romani'' o sottoforma di un dotto
con la necrosi centrale e sono soprattutto questi
che presentano la calcificazione perchè la
necrosi va incontro poi a calcificazione, quindi
architettura cribrata, papillare, con necrosi
centrale tant'è che lo chiamiamo
COMEDOCARCINOMA, oppure solida anche cioè
duttulo completamente tappato dalla
proliferazione neoplastica.
Prima della 2012 si pensava che questi aspetti morfologici dl carcinoma duttale in situ, a questi aspetti
corrispondeva una prognosi differente, nel senso che la forma cribrosa era considerata la prognosi buona,
anzi eccellente, così come anche la forma papillare, mentre la forma con necrosi centrale cioè l'architettura
di comedocarcinoma era quella prognosi sfavorevole. Studi hanno portato a dimostrare che non sempre
era così perchè molti tumori in situ che avevano l’aspetto cribriforme o l'aspetto papillare recidivavano
oppure avevano già associato aspetto invasivo o microinvasivo.
Pertanto, oggi nel carcinoma in situ della mammella dobbiamo stabilire il GRADING, che deve essere un
grading nucleare, cioè noi possiamo trovarci davanti ad un carcinoma in situ che per esempio ha una forma
buona dal pdv architetturale cioè forma cribrosa, ma se andiamo a vedere i nuclei, possiamo trovare forme
cribriformi con nuclei mostruosi.
Quindi, l'OMS 2012 mi dice che devo necessariamente graduare il carcinoma duttale in situ in carcinoma
duttale in situ di basso grado nucleare, di grado intermedio e di alto grado nucleare, quello che
crea problemi a noi patologi è il G2, il grado intermedio, tant'è che le forme di grado intermedio finiscono
nel grado alto.
Si tiene conto di:
- DIMENSIONE DEL NUCLEO;
- DEL POLIMORFISMO NUCLEARE;
- MITOSI perché le forme di alto grado nucleare presentano un numero elevato di mitosi e spesso
sono mitosi atipiche;
Quindi quello che si diceva prima cioè che il comedocarcinoma (duttale in situ che aveva la necrosi centrale)
era la prognosi peggiore perchè si correlava con alto rischio di metastasi, invece si può trovare anche in un
carcinoma di basso grado o di grado intermedio perchè quello è un carcinoma di basso grado, ha poche
energie, poche mitosi, ma ha la necrosi centrale, ma il grado nucleare è scomparso, mentre le forme di alto
grado nucleare che hanno grosse atipie, mitosi, necrosi centrale sono un'altra storia, hanno alto rischio di
avere recidive.
In questo caso il chirurgo deve allargare l'area delle microcalcificazioni e di conseguenza posso scegliere di
fare l'esame del linfonodo sentinella, perché c'è un rischio possibile che quel tumore sia un microinvasivo,
quindi toglie il primo linfonodo mammario che viene identificato con il metodo radioattivo e quindi toglie il
primo linfonodo drenante, quindi il primo linfonodo ascellare. La donna viene inviata al radioterapista per
fare radioterapia sul resto della mammella, perchè essendo questa una malattia spesso multifocale e
multicentrica, bisogna "bonificare" con la radioterapia tutto il resto della mammella che è rimasta nella
donna. Si può fare un'altra aggiunta: il chirurgo, quindi l'oncologo chiede anche al patologo se questo
tumore in situ esprime il famoso RECETTORE NUCLEARE PER L'ESTROGENO, perchè gli estrogeni sono la
causa di questo cancro, quindi se il tumore esprime il recettore per gli estrogeni può associare alla
radioterapia una ormonoterapia che va a bloccare la sensibilità della cellula allo stimolo estrogenico. Quindi
la donna giovane, magari di 40 anni, viene messa in menopausa farmacologica per un periodo che deciderà
l'oncologo.
Se invece di un carcinoma duttale in situ di alto grado ci troviamo di fronte a un carcinoma duttale in situ di
basso grado, abbiamo soltanto dei piccoli focolai, la situazione può addirittura non andare oltre, cioè da un
punto di vista di trattamento il linfonodo sentinella non è assolutamente necessario, perchè il rischio di
trovare l'invasività è molto basso e poi ancora si può decidere di fare un po' di terapia ormonale, ma forse
neanche e soltanto un po' di radio per bonificare il resto della mammella. 
In genere le forme in situ di basso grado vogliono dire 100% di guarigione, le forme di alto grado ci dicono
follow up della donna. Quindi allora bisogna attenersi a quelle che sono le linee guida, cioè dobbiamo dare
tutte le info necessarie e possibili in mano al clinico.
2. Per quanto riguarda il LOBULARE, spesso è una sorpresa, cioè lo identifichiamo perché il radiologo
fa una biopsia perchè ha visto una distorsione
parenchimale ma non perchè l'ha visto
radiologicamente, quindi è una diagnosi spesso
incidentale.
Il lobulare in situ viene distinto in 3 forme:
- BASSO GRADO;
- GRADO INTERMEDIO;
- ALTO GRADO;
Oppure ci siamo tutti abituati a chiamarla "neoplasia
lobulare in situ" cioè la LIN distinta il LIN1, LIN2, LIN3.
-La LIN 1 corrisponde alla iperplasia lobulare usuale, non
si fa nulla nelle donne. Non ha atipie.
-La LIN 2 corrisponderebbe al vero carcinoma lobulare in
situ definito "classico", cioè laddove l'acino si imbottisce di elementi cellulari e questi elementi cellulari
sono tutti uguali, hanno nuclei tutti uguali, però l'acino è dilatato, è imbottito, questo è il classico carcinoma
lobulare in situ di basso grado cioè la LIN 2.
-La LIN 3 è un carcinoma lobulare in situ dove c'è polimorfismo nucleare ed è quella che crea più problemi,
perchè anche lì bisogna allargare l'area dove è presente la lesione e soprattutto anche lì si possono trovare
focolai invasivi.  
La neoplasia lobulare in situ ha un'altra caratteristica, cioè l'acino, la cellula lobulare perde le molecole di
adesione, la CADERINA E, che mantiene le cellule vicine le une alle altre. La CADERINA E, è normalmente
espressa nelle forme duttali, invece è persa nelle forme lobulari, ecco perché l'immagine radiologica è
diversa: queste cellule neoplastiche lobulari perdono le molecole di adesione, per cui non hanno la
caratteristica di fare gruppo, contrariamente al carcinoma duttale dove le cellule fanno gruppo. Quindi il
carcinoma lobulare proprio per questa caratteristica tende a disperdersi e la dispersione la vediamo
soprattutto nella variante invasiva, quindi il carcinoma invasivo infiltrerà a filiere, ad elementi sparsi e
quindi il povero radiologo è disperato perchè non riesce ad individuarlo come lesione nodulare.

FORME INFILTRANTI
Abbiamo detto che la forma più comune è il duttale, tanto che la chiamiamo anche "non speciale", proprio
perché non ha niente di strano e quindi equivale al DUTTALE INFILTRANTE.
Poi abbiamo lo “SPECIAL TYPE" dice l'OMS 2012: è
- il LOBULARE INVASIVO che rappresenta per fortuna solo l'1, 15% rispetto al duttale. Lo
distinguiamo in variante CLASSICA o PLEOMORFA. Riguardo la variante pleomorfa il chirurgo sa che
deve stare attento e soprattutto l'oncologo nel follow-up perchè c'è un rischio maggiore di recidiva;
- TUBULARE: è quello che tutte le donne vorrebbero avere perchè è con la prognosi migliore, è un
G1, ben differenziato, con un rischio di metastasi pari a 0. Perché fa a tubuli questo tumore ed è un
tumore in genere piccolo, non superano il centimetro di diametro e sono tutti costituiti da tubuli
ben differenziati; sono forme poco aggressive, raramente metastatizzano, 100% di guarigione;
- MUCINOSO: nodulo ben dimarcato, laghi di muco. Quando prevalgono i laghi di muco, in genere
questi tumori sono tripli negativi cioè sono tumori che non esprimono recettori, non prevedono
amplificazione dell'oncogene, cioè sono tumori che creano problemi dal punto di vista terapeutico,
di scelta terapeutica. E' anche vero che sono piuttosto rari e sono comunque osservati nelle donne
anziane;
- MIDOLLARE: Abbiamo brutte mitosi ovvero questa forma speciale è caratterizzata dall'avere un
aspetto morfologico che ricorda il tipo non-speciale, ma è caratterizzato da atipie citologiche e
nucleari terribili con numero altissimo di mitosi, mitosi atipiche tripolari, mitosi a scoppio, delle
mitosi che fanno veramente paura e balzano in maniera evidente all'osservazione al microscopio,
ma c'è un denso infiltrato linfocitario peritumorale e intratumorale. Questo infiltrato linfocitario
giustificherebbe una prognosi migliore, se vogliamo, del midollare (anche se sembra così brutto dal
punto di vista istologico) rispetto al duttale, cioè rispetto al tipo non-speciale, magari anche di
grado 3 ovvero poco differenziato, proprio perchè probabilmente la componente linfoide(come nei
tumori del testicolo), potrebbe significare un tentativo dell'organismo di arginare la neoplasia;
- MICROPAPILLARE, diffonde, metastatizza rapidamente
- CRIBRIFORME, "formaggio svizzero", prognosi intermedia;
- ADENOIDOCISTICO
- METAPLASTICO
- SQUAMOSO che non esprime nulla dal punto di vista di marcatori;
- APOCRINO, fatto di cellule apocrine: questo probabilmente sarà definito carcinoma CASSATO nella
WHO 2019.
- NEUROENDOCRINO;
- SECRETORIO, forse anche questo scomparirà;
-
Da un punto di vista radiologico è un NODULO, perchè il più frequente è il non special type e quindi esprime
le molecole di adesione, quindi le cellule neoplastiche fanno gruppo e quindi si presenta come un nodulo
che ha normalmente o frequentemente un ASPETTO STELLATO, ecco perchè lo chiamiamo "carcinoma,
cancro", ma può avere anche un aspetto nodulare ben demarcato tanto da mimare un fibroadenoma e ci
sono alcune varianti special type che hanno questa caratteristica di nodulo ben demarcato, come il
mucinoso o il midollare. Quindi normalmente è un nodulo a contorni irregolari, in alcune forme ben definiti.
Ma ci sono delle mammelle che non presentano noduli, presentano delle AREE DI ADDENSAMENTO,
addensamento fibroso ma noduli non ne troviamo e se non presentano noduli, nell'ipotesi di un carcinoma,
quello non può essere che un lobulare. Per cui macroscopicamente c'è corrispondenza se il nodulo è
stellato, ma in alcuni casi il nodulo può addirittura infiltrare per esempio i piani profondi o la cute o può
presentare aree centrali di emorragia, ma comunque è un nodulo, è una distorsione evidente, sotto le mani
noi lo sentiamo duro, perché c'è sempre una reazione desmoplastica dello stroma di sostegno. In altri casi
invece il nodulo può essere di consistenza anzichè dura, molle e questo ci deve far pensare ad una variante
mucinosa che in genere è tipico delle donne anziane già abbondantemente in menopausa; la prognosi tutto
sommato è anche buona. 
Ma abbiamo detto che macroscopicamente il tumore può non avere contorni definiti, alla mammografia
non si presenta come nodulo e allora su questo pezzo operatorio il chirurgo ci chiede "mi sai dare immagini
su questo quadrante dove ho punto e mi avete fatto diagnosi di carcinoma speciale lobulare?" Bene, io do i
margini però c'è un rischio di trovare ancora neoplasia sui bordi, tant'è che diciamo "guarda forse è meglio
se ti allarghi ancora". E quindi se non abbiamo immagini nodulari siamo anche noi macroscopicamente in
difficoltà e siamo in difficoltà perchè quando infiltra il tumore, infiltra ad elementi dispersi, a filiere,
addirittura si parla di variante "lobulare INFILTRANTE DI TIPO CLASSICO A FILA INDIANA" o "con immagini
A BERSAGLIO INTORNO AL DOTTO" oppure variante solida, PLEOMORFA, che corrisponde poi al
carcinoma lobulare special type più aggressivo da un punto di vista prognostico; il primo (classico a fila
indiana) metastatizza molto più raramente rispetto al secondo (pleomorfo) che crea delle masse atipiche
infiltranti di neoplasia e che ha un rischio maggiore di recidiva ma soprattutto di metastasi. 
Abbiamo poi delle FORME MISTE perchè la vita non è mai semplice: possiamo avere delle forme duttali e
lobulari insieme e quindi di fronte a tumori che presentano caratteristiche del duttale (non sempre duttali
però) e caratteristiche del lobulare e allora dobbiamo dire al chirurgo e quindi all'oncologo quali
caratteristiche ha l'aspetto duttale e quali sono le caratteristiche del lobulare poichè la prognosi,
evidentemente, sarà indicata dall'aspetto morfologico più aggressivo.
La WHO 2019, quella che esce adesso, ci dirà sicuramente che nei cancri della mammella dobbiamo oggi,
per la possibilità dell'immunoterapia (soprattutto in alcuni sottotipi molecolari che vediamo adesso di
cancro della mammella), specificare la presenza di infiltrato linfomonocitario indipendentemente dal tipo
istologico perchè alcuni cancri che non esprimono nulla, cioè non esprimono recettori, non esprimono
amplificazioni del gene ER2, possono avvalersi dell'immunoterapia.
Ma da un punto di vista prognostico, una volta che abbiamo diagnosticato un cancro della mammella, cosa
fare da un punto di vista della TERAPIA.
Ci servono una serie di altri fattori perchè deve elaborare la sua terapia. Allora tra i fattori prognostici nel
cancro della mammella si ricorre sempre al TNM: TUMOR, NODE and METASTASIS quindi caratteristica del
tumore, caratteristica dei linfonodi e caratteristica delle metastasi, se queste sono presenti. 
Nella mammella, che è un organo parenchimatoso, T STA PER DIAMETRO. Nell'organo cavo, abbiamo
detto, T sta per infiltrazione della parete. Quindi il T nella mammella, la dimensione tumorale, condiziona la
prognosi perchè un tumore piccolo, inferiore al centimetro, è sicuramente un tumore a prognosi migliore al
T2, che è un tumore compreso tra 1-2 cm, e rispetto a un T3 e a un T4. Quindi il T condiziona sicuramente la
prognosi.
N (sta per) ovvero lo stato dei linfonodi, in particolare si va dal linfonodo sentinella: se è negativo, non si fa
più nulla nella donna ovvero non si tolgono altri linfonodi ma se il linfonodo sentinella è positivo per
MACROMETASTASI si tolgono gli altri linfonodi. Se il linfonodo sentinella è positivo per MICROMETASTASI,
diversamente dal melanoma, si può decidere di non fare più nulla ovvero di non togliere altri linfonodi
perchè si è visto che a fronte della micrometastasi del linfonodo sentinella, tutti gli altri linfonodi tolti sono
negativi. Quindi non ha senso e la micrometastasi nel carcinoma della mammella non è indicativa di
svuotamento ascellare, diversamente dal melanoma.
Quindi micrometastasi si può non fare più nulla, mentre macrometastasi si va a vedere svuotamento
ascellare e si contano anche (da N0 (zero) si passa a N1 quando ci sono macrometastasi linfonodali) i
linfonodi metastatici.   
M se sono presenti metastasi anche, per esempio, nelle ossa, nel polmone, nella pleura, nel fegato e così
via.
Oltre a TNM che noi facciamo, diamo al clinico l'informazione dicendo quale GRADO DI
DIFFERENZIAZIONE ha il tumore. A parte in situ che non segue questo schema, il carcinoma infiltrante deve
essere graduato, soprattutto il tipo non-speciale. Questa volta il grading è architetturale e anche nucleare,
in più tiene conto anche del NUMERO DELLE MITOSI. 
Allora per ogni cancro, in questo campo, dobbiamo dire che grado di differenziazione c'è in questo tumore,
il GRADING SECONDO ELSTON-ELLIS, questi due autori che lo hanno proposto nel congresso di Nottingham.
Se i TUBULI sono presenti in misura superiore al 75 % daremo un punto, se sono compresi tra il 10 e il 75%
daremo 2 punti e se sono minori del 10 % daremo 3 punti. Per il PLEOMORFISMO, daremo 1 punto se è
lieve, 2 punti se è moderato, 3 se è severo. Per le MITOSI, se sono minori di 12 daremo 1 punto se sono tra
12 e 22 daremo 2 punti, se sono superiori a 22 daremo 3 punti.
Quindi di grading ci serve per stabilire se quel tumore è bene, moderatamente o scarsamente differenziato:
il tumore ben differenziato è quel tumore che ha una somma dei parametri (formazione tubuli,
pleomorfismo e numero di mitosi) pari a 3-5 (che è la somma 1+1+1=3 oppure 2+1+1=4 oppure 2+2+1=5).
Quindi in base a formazione tubuli, pleomorfismo e mitosi si definisce il grading: bene, moderato o
scarsamente differenziato.
Sappiamo già dare una diagnosi veloce: G1, G2, G3. Quando si fa diagnosi di un carcinoma della mammella,
bisogna stabilire il grading, bisogna stabilire lo stato dei linfonodi e soprattutto dobbiamo ancora tornare
sul nodulo e vedere se intorno al nodulo o nel parenchima mammario a distanza c'è L'INFILTRAZIONE
VASCOLARE. Questo perchè l'infiltrazione vascolare, anche a parità di linfonodo negativo, è un fattore
prognostico negativo perchè quel tumore può avere non preso la via linfatica, per esempio, quindi non ha
raggiunto ancora il linfonodo sentinella che magari è negativo all' esame morfologico, ma attraverso la via
ematica sta andando in giro in altri organi, come le ossa, a livello pleurico, a livello epatico e di altri visceri.
Quindi l'infiltrazione vascolare è un elemento prognostico che dobbiamo puntualizzare nei nostri referti. E
quindi condiziona la chemioterapia.
Quali sono gli altri fattori prognostici?
Si vuole sapere se devo fare chemio in questa donna. La devo fare solo fidandomi della dimensione, solo
fidandomi dello stato dei linfonodi o della vascolarizzazione, della permeazione dei vasi? Non mi basta,
voglio sapere anche che tipo di chemio devo fare e quindi mi devi dire se quel tumore esprime POSITIVITÀ
PER RECETTORE ESTROGENICO." In genere si usa sia estrogeno che progesterone, ma quello determinante
è l'estrogeno. Quindi si va a vedere con immunoistochimica se il nucleo di quel tumore esprime la positività
per l'anticorpo anti-estrogeno e dobbiamo esprimere in % il valore: 10%, 20%, 30%, 50% e ci rompono le
scatole ancora. 
Inoltre anche il Ki67, cioè qual è realmente l'attività proliferativa di quel tumore, che magari
morfologicamente è un G2 ma che mi esprime un alto indice mitotico perchè il Ki67 becca la cellula nella
tua transizione tra G0 e G1." Quindi noi facciamo l'immunoistochimica per l'anticorpo anti-Ki67 e dobbiamo
dire 10%, 12%, 5%, 20%, 30% perchè in base alla percentuale l'oncologo stabilisce che tipo di chemio fare.
Quindi ancora questo.

Per ultimo, vogliono conoscere lo stato di HER-2, quel famoso oncogene che è amplificato in alcuni tumori
della mammella perchè l'oncologo vuole l'arma di scorta: affianco ad una chemioterapia classica, ad
un'ormonoterapia classica, lui può sparare l'ultima cartuccia su quella donna perchè ha nelle mani un
farmaco che blocca l'attività proliferante di questo oncogene. Quindi in caso di metastasi nella donna che
ha proliferazione di questo oncogene, l'oncologo farà la sua terapia con il TRANSTUZUMAB cioè ha il
farmaco specifico.
Per ultimo, vi è anche una CLASSIFICAZIONE MOLECOLARE, finalmente, del cancro della mammella:
Quindi diciamo che:
- i cancri della mammella che esprimono recettore per estrogeno ed eventualmente per il progesterone,
che sono negativi ad amplificazione dell'oncogene HER-2 e che hanno un basso Ki67, una bassa attività
proliferativa, sono i tumori LUMINAL A ovvero i cosiddetti tumori luminali che hanno prognosi eccellente e
quindi l'oncologo farà solo terapia ormonale, potrebbe non fare chemioterapia. Ovviamente non fa
chemioterapia, a maggior ragione, se i linfonodi sono negativi mentre decide di fare un po’ di chemio se i
linfonodi sono positivi, pur avendo questo tipo di assetto (estrogeno, progesterone positivi ed HER-2
negativi)
- possiamo avere dei tumori che sono positivi ad estrogeni, ma negativi ad HER-2, ma hanno un Ki67
elevato e sono questi i casi in cui l'oncologo decide di fare chemioterapia, oltre a terapia ormonale, perchè
sono a rischio recidive e metastasi. 
Quando diciamo Ki67 elevato intendiamo un Ki67 del 20%, del 25% quindi valori nemmeno tanto alti.
- possiamo avere cancri, i cosiddetti LUMINAL B, sono soggetti che hanno qualsiasi valore di Ki67, anche
molto basso, ma sono estrogeno-positivo ed HER-2 positivi con amplificazione del gene, questi vanno a
terapia ormonale cui eventualmente si associa l'immunoterapia (la terapia con il Trastuzumab, anti HER-2)
in caso di metastasi o recidiva.
- abbiamo dei casi particolari, i cosiddetti tumori basali o triplinegativi, cioè quelli che non esprimono nulla,
nè l'estrogeno, nè il progesterone, nè l'HER-2 neu, che sono una piaga per l'oncologo perchè non ha
nessuna arma in mano; quindi farà una chemio classica, palliativa se vogliamo, quindi utilizzerà dei farmaci
particolarmente aggressivi; non fa l'ormonoterapia perchè non serve, non risponde; non fa il Trastuzumab
perchè non c'è l'amplificazione del gene e quindi quella donna ha una sopravvivenza o avrà una
sopravvivenza particolarmente ridotta. 
Ecco quindi il ruolo della valutazione dell'infiltrato linfoide che potrebbe avere un senso per un eventuale
altro tipo di immunoterapia.

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