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MALATTIE INFETTIVE

IV POLO A-C – a.a. 2020/2021


Introduzione
Le malattie infettive sono le uniche malattie ad avere un agente causale noto, dunque, le uniche da cui si può
guarire. Bisogna fare un distinguo tra i fattori etiologici che causano quella data malattia, e fattori di rischio i quali
non sono legati da un nesso di causa effetto sempre costante, ma semplicemente predispongono all’insorgenza di
quella data malattia (es. cancro al polmone) in sinergia con molti altri fattori ambientali e genetici.

Questo principio è uno dei postulati di Koch, che afferma che: “l’agente etiologico delle malattie infettive è
ripetibile nel quadro clinico che determina”. Per esempio, il bacillo di Koch, ovvero il bacillo della tubercolosi,
provoca delle manifestazioni cliniche che hanno un carattere di ripetibilità. Ovviamente il quadro clinico può
avere una variabilità individuale sul quadro patomorfico (tbc miliare, infiltrato leggero, infezione tubercolare
latente), ma pur esprimendosi diversamente, avrà delle caratteristiche sempre uguali e se viene trasferita questa
infezione ad altri individui ripeterà le stesse manifestazioni.

La variabilità individuale dipende:


• Condizione individuale
• Predisposizione
• Genetica
• Difese immunitarie
• Comorbidità

Gli agenti etiologici delle malattie infettive sono


• BATTERI
• VIRUS
• MICETI
• PROTOZOI
• ELMINTI

TRASMISSIONE
I microbi possono determinare malattie distrettuali a carico di un dato organo (ad es epatiti virali) o sistemiche
qualora diano malattie disseminate che coinvolgono più organi per via dello spreading ematico. La trasmissione
può avvenire in modo diretto (droplets, via area, trasmissione salivare, fecaleorale) o in modo indiretto attraverso
vettori o veicoli (i primi animati come zanzare, flebotomi ecc, i secondi inanimati). La trasmissione per droplets o
la fecaleorale sono dirette ma possono essere anche indirette.

La trasmissione può dunque avvenire:

• Da persona a persona
• Dall’ambiente alla persona
• Dall’animale alla persona (zoonosi)

Importante conoscere la differenza tra vettore (zanzara) e serbatoio (suino), e la distinzione tra la diffusione aerea,
salivare e tramite droplets che non fanno tutte parte della diffusione aerea.

VIA AEREA
Questa avviene tramite le goccioline di Flugge, un aerosolizzato di particelle di varie dimensioni contenenti i
microorganismi. Più piccole le particelle (ad es. droplets nuclei, <5 µm), maggiore il tempo che trascorrono
sospese in aria. La trasmissione può avvenire tramite i colpi di tosse, gli starnuti, il parlare e l’inalazione di tali
droplets (virus influenzale, il bacillo di Koch).
Fa distinzione tra diffusione tramite droplets e via aerea: la via aerea prevede la persistenza in sospensione delle
goccioline che possono persistere in area a lungo e raggiugere distanze maggiori (droplets nucleati es per la
tubercolosi), mentre i droplets non vanno oltre il metro di distanza (tipica dei virus), però potrebbero arrivare su
qualche oggetto nell’arco di un metro e quindi possono trasmettere per via indiretta.

La trasmissione salivare è diversa da quella aerea, tipica ad esempio dell’EBV, perché è necessaria una maggiore
concentrazione di virus nella saliva, che non sarebbe trasmissibile con le poche gocce di saliva che emettiamo
parlando o starntutendo.

Per fronteggiare i microbi, la natura ci ha dotati di sistemi di difesa quali la clearance delle vibrisse e delle ciglia
(alterata nella S. di Kartagener), il BALT (tessuto linfatico associato ai Bronchi), il muco, ricco di IgA secretorie,
fondamentali per l’opsonizzazione. Deficit di tali sistemi predispongono all’insorgenza di infezioni, come il
deficit di enzimi per il killing intracellulare (malattia granulomatosa cronica), o deficit di opsonizzazione (IRC,
splenectomia, diabete, etilisti cronici, agammaglobulinemia, linfomi)

Affinché una trasmissione possa essere definita aerea è fondamentale che vi sia il passaggio albero respiratorio
del malato à tosse à nebulizzato à inalazione da un altro individuo à albero respiratorio individuo. Anche i
microbi che si fermano alle vie superiori possono comunque migrare.
L’ebola invece, ha un modello di trasmissione che sembra quello aereo, ma non lo è: viene eliminato con le
goccioline di Flugge, le quali non vengono inalate, ma si poggiano sulla cute dell’individuo il quale può infettarsi
se le porta agli occhi, alla bocca e così via

VIA FECALEORALE
Si verifica quando un qualsiasi microrganismo viene eliminato con le feci e viene ingerito da un altro individuo
con questo modello vengono trasmessi Epatite A (si trasmette principalmente tramite mitili), Salmonella (sia
tiphy che non tifoide), Shigella, Rotavirus, Coronavirus. La trasmissione fecale può essere:
• Fecale diretta: se chi manipola alimenti ha le mani contaminate
• Vettori: mosche
• Veicoli: se gli alimenti vengono contaminati da feci o acque contaminate. Frequentemente le fragole, mitili
(frutta che cresce in basso), ortaggi, molluschi, mitili (cozze, ricci). Normalmente le reti idriche e quelle di
scolo non si incontrano, ma nei paesi in via di sviluppo spesso i due sistemi non sono isolati aumentando le
possibilità di contagio.
Molti di questi agenti infettanti non sopravvive alla cottura, come il virus dell’Epatite A che non sopravvive a
60° (non aprire le cozze chiuse perche non hanno raggiunto la tempreatura adeguata ad aprirsi).

ZOONOSI
Quando la trasmissione avviene da un animale, spesso l’animale è il SERBATOIO di questa infezione, non è
detto che l’animale abbia la malattia, come ce l’ha l’uomo, esso può essere asintomatico o presentare una
presentazione di malattia differente. Ad es. nel caso della Brucella, questa dà una mastite ad ovini/bovini,
infettando il latte, il quale una volta ingerito dall’uomo determina una malattia sistemica la Brucellosi o Febbre
di Malta caratterizzata da febbre, epatosplenomegalia e localizzazioni osteo-articolari.

Altro esempio è la Leishmaniosi, in questo caso il serbatoio è il cane domestico e anche qui il cane può essere
asintomatico o no. La malattia viene trasmessa da un vettore, il Flebotomus Pappatacis (solo le femmine
mordono), l’uomo è un ospite occasionale.

VIA PARENTERALE
Va distinta in:
- Parenterale attraverso sangue e derivati (HBV, HIV)
- Sessuale
- Transplacentare - Perinatale

Parenterale Apparente: quando il sangue viene trasmesso in maniera manifesta. Per esempio, la trasfusione di
sangue. 30 anni fa era più frequente tra i tossici lo sharing di siringhe, oggi caduto in declino (le droghe endovena
sono rare oggigiorno). L’AIDS, quindi, non è più una malattia che viene trasmessa principalmente per via
endovenosa, ma oggi è principalmente trasmesso per via sessuale. Un altro esempio è la puntura accidentale del
medico da aghi infetti, può capitare che questa puntura provochi un’infezione da HIV (raro, dato che il virus è
termolabile, muore se il sangue essicca o se scaldato a 50°C), da epatite B (resistente fino a 120°, nemmeno la
bollitura lo elimina, occorre l’autoclavaggio), epatite C.

Parenterale Inapparente: si verifica spesso tra interconviventi, quando, per esempio, all’interno di una famiglia
vi è un malato di epatite B o C e si scambiano fomiti come lamette, forbicine, spazzolino, asciugamano etc.
contaminati da microscopiche quantità di sangue.

Si parla di trasmissione parenterale per modalità iatrogenica quando la trasmissione avviene tramite
strumentazione medica infetta.

Per quanto riguarda la via sessuale, bisogna fare distinzione tra la trasmissione sessuale della Candida che rimane
localizzata poi al distretto genitale, e l’HIV che invece viene trasmessa sessualmente ma dà una malattia sistemica.

La modalità perinatale riguarda la possibilità di trasmissione tra madre e prodotto di concepimento, va distinta
in:

- Transplacentare (HBV può attraversare la placenta, HCV no, che invece può infettare durante il passaggio
dal canale del parto, per evitare questo contatto con sangue infetto si ricorre al cesario)

- Attraverso il passaggio dal canale del parto (HCV)

- Latte materno (HBV, al latte materno ci arriva attraverso il sangue)

Il principale ambiente responsabile di trasmissione di infezioni è l’ambiente OSPEDALIERO. Dentro


l’ospedale circolano numerosi microrganismi, di solito sono microrganismi multiresistenti, come
l’Acinetobacter, che vive sui ferri chirurgici, sui lettini. Microrganismi XDR, ESBL (β-lattamasi ad ampio
spettro) KPC (carbapenemasi).

CONTATTO, INFEZIONE, MALATTIA INFETTIVA


Sebbene il contatto sia condicio sine qua non per il verificarsi dell’infezione (intesa come colonizzazione), il
contatto NON si traduce sempre con l’impianto del microrganismo. Affinché vi sia infezione il microrganismo
deve trovare un habitat favorevole. Allo stesso modo la presenza di infezione non implica necessariamente il
manifestarsi di una malattia infettiva: affinché ad una infezione (intesa come colonizzazione) faccia seguito la
malattia infettiva, il microrganismo deve superare le difese immunitarie del soggetto.
La caretteristica delle aree colonizzate (bocca, naso, retto, uretra) è che sono tutte a contatto con l’esterno.
Prima condizione perché un microbo, che colonizza normalmente un distretto, diventi patogeno, è che venga
trasferito e la seconda condizione si ha se viene persa la condivisione del distretto occupato. La caratteristica dei
commensali è che sono in molti, e condividono questo spazio senza prevalere, se uno di questi prevale sugli altri
diventa invadente, tipico esempio della Candida, che normalmente colonizza l’ambiente vaginale, ma che se
prevale sugli altri può causare una vaginosi.
In linea di massima le variabili che determinano la buona riuscita, per il microrganismo, di fare infezione
dipendono da:

- Virulenza del Microrganismo: ad es la maggior parte degli altri streptococchi ha una scarsa virulenza, ma
S. pyogenes è particolarmente virulento perché dotato di una serie di enzimi (come la collagenasi) che gli
consentono una notevole invasività. Se uno S. pyogenes si impianta a livello faringeo è in grado di spostarsi
da un punto all’altro, di raggiunge i vasi e dare batteriemia. Altro esempio, solo alcune salmonelle contengono
dei fattori di virulenza come il Vi.
- Sistema Immunitario dell’ospite: per deficit dell’immunità innata, ad es. alcuni individui producono meno
chemochine, il diabetico ha alterazioni della chemiotassi e della fagocitosi, per motivi legati all’osmolarità
plasmatica, i PMN si spostano peggio e i sistemi sensoriali che regolano questi spostamenti (come l’attrazione
da parte delle chemochine, la recezione delle chemochine sui recettori dei PMN) non funzionano bene.
Esistono deficit di opsonizzazione, di fagocitosi o di killing l’insufficienza renale o la splenectomia, la cirrosi
epatica l’agammaglobulinemia congenita, il mieloma multiplo, la leucemia.
- Dismicrobismo: molti dei germi commensali sono tali finché confinati negli ambiti anatomici di loro
pertinenza, ma diventano patogeni qualora si abbia la loro disseminazione in altri siti, dove normalmente non
sono presenti. Lo stesso avviene qualora avvenga una alterata distribuzione percentuale dei vari microbi
commensali: le specie commensali sono numerose e si autolimitano vicendevolmente, competendo su di uno
stesso habitat, ma se ad es. un antibiotico porta a dismicrobismo, i germi immuni o resistenti proliferano
indisturbati, potendo essere causa di danni: ad es. C. Difficile, da normale commensale, può causare una
Colite Pseudomembranosa, soprattutto negli anziani ed in ambiente nosocomiale.
DIAREE INFETTIVE
Definizione dell'OMS: “la diarrea è un’aumentata frequenza nelle missioni di feci non-formate o liquide
nelle 24 ore”. L’OMS quantifica questa aumentata frequenza in almeno 3 evacuazioni o più frequentemente.
Inoltre “la frequente emissione di feci formate non si può considerare diarrea”, quindi devono coesistere due
fattori: feci non formate e la frequenza.

La diarrea è il segnale il campanello che c'è qualcosa che non va a livello del tratto gastro intestinale: potrebbe
interessare l’intestino tenue e in caso parleremo di enterite, potrebbe interessare l’intestino crasso e parleremo
di colite, potrebbe interessare entrambi e parleremo di enterocolite.

Classificheremo inoltre la diarrea in:


• acuta se si autorisolve in <14 gg
• persistente se dura più di 14 gg
• cronica se dura più di un mese
Quella che maggiormente si associa ad una malattia infettiva è quella acuta. Più tempo dura una diarrea meno
probabile è la sua correlazione con un’infezione, fatte naturalmente le dovute eccezioni, e soprattutto questo
per quanto riguarda i paesi industrializzati.

FISIOPATOGENESI
Dal punto di vista della fisiopatogenesi distinguiamo la diarrea in: secretoria e infiammatoria.
• Diarrea secretoria: nella stragrande maggioranza dei casi la diarrea secretoria vede come noxa un
danno a carico dell'intestino tenue, nel quale abbiamo uno squilibrio tra riassorbimento e secrezione
di liquidi, quindi abbiamo un aumentata secrezione o un ridotto riassorbimento di liquido a livello del
tenue e il crasso non riesce a riassorbire tutti questi liquidi che arrivano dal tenue e insorge la diarrea.
Questa è una diarrea caratterizzata quindi dall'emissione di feci liquide, acquose.
Spesso c'è una sintomatologia sistemica sfumata in corso di diarrea secretoria: non c'è febbre o c’è
solo febbricola, non ci sono dei veri e propri crampi addominali ma ci può essere un po' di tenesmo
(stimolo a evacuare ma senza emissione di materiale. Esiste anche il tenesmo vescicale per esempio
quello in corso di prostatiti). La diarrea secretoria è spesso mediata da tossine, quella più famosa ma
più rara nelle nostre zone e la tossina colerica.
• Diarrea infiammatoria: qui il danno è a livello dell'intestino crasso. Il meccanismo nella stragrande
maggioranza dei casi è l'invasione vera e propria del tratto del tubo digerente. Abbiamo una
sintomatologia sistemica spiccata: spesso c’è febbre, crampi addominali, malessere, tenesmo e la
diarrea è caratterizzata dalla presenza di granulociti neutrofili, sangue e muco.

EPIDEMIOLOGIA
Dal punto di vista epidemiologico i numeri sono altissimi: oltre 2000 bambini ogni giorno muoiono di diarrea,
soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Quindi è come perdere circa 32 pulmini pieni di bambini ogni giorno.
In età pediatrica, sempre nei paesi in via di sviluppo, 1 decesso su 9 è causato dalla diarrea. Questi numeri
sono 11 volte più alti se la diarrea coesiste con un immunodeficit, primo fra tutti l’infezione da HIV.
L’infezione da HIV nei bimbi è più frequente in quei paesi in cui è più frequente ed è più alta la mortalità per
patologie diarroiche. La mortalità è elevatissima. Sembra infatti che, non soltanto investire soldi nelle patologie
diarroiche sia efficace dal punto di vista clinico, ma che sia anche costo-efficace poiché ogni dollaro investito
per prevenire ne fa risparmiare 25 per curare la diarrea.

Non esistono soltanto diarree infettive, ma esistono anche diarree di origine non infettiva, come le malattie
infiammatorie croniche intestinali, neoplasie, disordini della motilità, eccessivo utilizzo di farmaci etc. Noi
però ci occuperemo soltanto di quelle infettive. Quando vi troverete di fronte ad un qualunque tipo di diarrea
nella vostra carriera, vi ricordo che la cosa importante da attenzionare è da quanto tempo dura la diarrea, che
tipo di diarrea e l'età del paziente. Ad esempio, se io ho una diarrea che dura 60 giorni in un paziente di 80
anni non vado a pensare per prima cosa a un’infezione, mentre se ho un ragazzino di 15 anni con diarrea da
due giorni qui molto probabilmente sarà un’infezione.
CLASSIFICAZIONE DIARREE INFETTIVE
In base alla fisiopatogenesi e alla modalità di trasmissione di contagio distinguiamo:
• Intossicazioni alimentari → tossine assunte col cibo. Un esempio è quella da Clostridium botulinum
(Gram+) o quella da tossina stafilococcica (prodotta da alcuni ceppi di S.aureus che ricordo essere un
Gram+, coagulasi+). Quest’ultima è una tossina emetizzante centrale, cioè una tossina che stimola il
centro del vomito a livello centrale ed inoltre aumenta la motilità gastrointestinale provocando anche
diarrea. È tipica di quei casi in cui, per esempio, ci sono quei cannoli ripieni con crema e ricotta lasciati
al sole nei banchetti e poi viene la diarrea a più persone, diarrea che dura 24-48 ore e si autolimita,
non c'è niente da fare se non una terapia reidratante.
• Tossinfezioni alimentari → tossine e batteri assunti col cibo. Un esempio è quella da Bacillus cereus
• Infezioni intestinali → solo batteri assunti col cibo. Un esempio è quella data da alcuni patotipi di
Escherichia coli

Ogni patogeno può essere causa di diarrea sia virus, sia batteri, sia protozoi, sia elminti, sia funghi.

TRASMISSIONE
TRASMISSIONE FECALE-ORALE (non dire orale o oro-fecale), per ingestione di:
• acqua contaminata
• alimenti contaminati da:
o rifiuti umani
o feci di animali domestici e selvatici
o superfici di lavorazione
In ogni caso è l'acqua che rappresenta il veicolo perfetto perché riesce a concentrare e riesce a possedere una
elevata carica patogena.

TRASMISSIONE INTERUMANA
• contaminazione di mani o superfici di lavorazione, basti pensare ad un individuo affetto da una
patologia diarroica che va in bagno e dopo la scarica diarroica non si lava le mani e poi tocca la
maniglia, tocca il lavandino o stringe la mano di un altro soggetto che poi si porta la mano alla bocca
perché magari si mordicchia le unghie e si ha questa trasmissione interumana.
• pratiche sessuali, come le pratiche oro anali.

PATOGENESI
Come per tutte le malattie infettive, serve l’incontro tra le caratteristiche del micro con una condizione
favorente e le caratteristiche del macro. Sicuramente faranno da giocoforza del patogeno la carica batterica,
la capacità di aderire all’epitelio gastrointestinale, l’eventuale produzione di tossine e la capacità di
invadere. Per quanto riguarda la carica batterica ricordate che mentre per contrarre il colera servono circa 107-
108 vibrioni, quindi una quantità elevatissima ed è l’acqua praticamente che riesce a concentrare tutti questi
batteri, per contrarre una Shigellosi bastano 10 Shigelle di quelle buone per dare patologia. Naturalmente però
il tutto si deve scontrare con delle condizioni favorenti dell’ospite quali:
• alterazioni a carico della flora batterica per esempio in chi ha praticato terapia antibiotica o perché
fatta male o perché di eccessiva o troppo lunga durata.
• squilibrio a carico dell’acidità gastrica (che ricordiamo essere fisiologicamente tra 1 e 2 di pH, e a
questo pH sono pochi i batteri che riescono a passare lo stomaco) come in chi prende degli
antistaminici o degli inibitori di pompa protonica come l’omeprazolo
• alterazione della motilità intestinale per esempio nei soggetti con problematiche neurologiche
• immunità, quindi negli immuno-deficit che possono essere acquisiti (e quindi anche in questo caso
spesso farmacologici) o congeniti.

Questa parte della patogenesi vale praticamente per tutti i germi e quindi non la ripeteremo.

[← Legge il grafico delle slide] Le


Shigelle riescono a superare anche
un’acidità gastrica di 2 altri invece come
il V.cholerae o come le E.coli vengono
bloccati.

Possiamo quindi avere una diarrea


acquosa o una diarrea infiammatoria
quindi muco-sanguinolenta
caratterizzata da feci con leucociti, muco
e sangue.
Naturalmente, questa suddivisione non è
così netta: spesso batteri che elaborano
tossine possono invadere o batteri che
invadono possono produrre tossine, però
nella stragrande maggioranza dei casi è
così come è riportato su questa
dispositiva.

ESAMI DI LABORATORIO
In che percentuale noi riusciamo a fare diagnosi eziologica in corso di diarrea? Bassa, molto bassa, anche
perché nel caso di una diarrea autolimitante come per esempio l'intossicazione stafilococcica che abbiamo
detto che si autolimita in 24-48 ore, lì l’eziologia può essere soltanto ipotizzata, è un’ipotesi clinica. Ma anche
una diarrea da Rotavirus o anche una diarrea da E.coli enterotossico può essere spesso solo ipotizzata poiché
si autolimita in 72h o 4 giorni se proprio va male. Inoltre, le metodiche diagnostiche convenzionali per le
patologie diarroiche, fatta eccezione per alcuni patogeni, hanno una bassa resa diagnostica o quelle ad alta resa
sono molto costose, quindi non tutti gli ospedali possono averle a disposizione.
Quindi cosa possiamo fare noi:
• Esame microscopico a fresco delle feci che è la cosa più semplice. Ma è importante anche un esame
macroscopico per differenziare una diarrea acquosa da una infiammatoria se c’è rispettivamente solo
acqua, oppure se c’è sangue, pus, muco. In microscopia questo si vedrà meglio ancora. Vedremo se ci
sono fibre o reperti indigeriti.
• Coprocoltura con successivo antibiogramma
• Antibiogramma
• Ricerca anticorpi nel siero (questo soltanto a scopo epidemiologico)
• PCR → ultimamente sempre più in voga c'è la biologia molecolare, quindi ci sono dei pannelli che
testano, che vanno a cercare con delle specifiche sonde quei patogeni più frequentemente causa di
diarrea. Esiste il cosiddetto “pannello per patogeni su feci” che cerca una ventina di patogeni, questa
è una metodica rapidissima e in due ore dà un primo risultato, però è anche abbastanza costosa.

ROTAVIRUS
Per quanto riguarda le diarree da virus noi tratteremo quella da Rotavirus, ma vi dico subito che la causa
principale di diarrea, almeno nei paesi industrializzati, non è più il Rotavirus ma sono i Norovirus. Anche altri
virus possono dare diarrea, per esempio i Sapovirus o gli Adenovirus.

Curiosità sugli Adenovirus: spesso oltre alle manifestazioni diarroiche danno anche delle manifestazioni
respiratorie, quindi in chi ha una sintomatologia diarroica e anche una sintomatologia respiratoria, quindi
tosse o faringite, si può pensare ad un'infezione da Adenovirus.

Famiglia: Reoviridae
- Capside icosaedrico con pericapside
- RNA a doppia elica con genoma multisegmentato
- 7 sierotipi (A-B-C)
- Resistenza ambientale
- Alta infettività

Il fatto che abbiano questo RNA a doppia elica con 7 sierotipi non è una notizia fondamentale dal punto di
vista clinico ma deve far riflettere sul fatto che sono dei virus che mutano spesso: hanno una RNA-polimerasi
che non ha attività proofreading quindi non correggere le bozze e quindi possiamo infettarci in momenti diversi
dell'anno con Rotavirus diversi.

Epidemiologia
• Distribuzione ubiquitaria
• Causa più frequente di diarrea con disidratazione
• Stagionalità invernale → questo, se ci pensate, non è comune per una patologia diarroica che spesso
invece ha una stagionalità estiva, quando si va al mare e poi si sente dire “sono andato a mare e
nell'acqua ho preso la diarrea” ma in realtà non l’hai presa in acqua ma l’hai presa stringendo la mano
del vicino d'ombrellone che non se l’era lavata dopo essere andato in bagno.
• Trasmissione feco-orale
Le fasce d'età che vanno più rapidamente e più facilmente incontro alle complicanze di una patologia diarroica
sono le fasce estreme della vita, quindi i bimbi e gli anziani.

Patogenesi
Distruzione delle cellule mature dei villi (a livello dell'intestino tenue) con conseguente incapacità di
assorbire sostanze nutritive, in particolare i carboidrati. Sembra che in corso di diarrea da Rotavirus ci sia
una riduzione (per distruzione) di tutti quegli enzimi presenti a livello dell'orletto a spazzola. Inoltre, una
proteina del Rotavirus (NSP4) agisce con un meccanismo simil-tossinico aumentando la concentrazione di
calcio all'interno degli enterociti e questo determina una riduzione nella produzione di enzimi a livello
dell’orletto a spazzola e un aumentata secrezione di liquidi. Il tutto porta ad una diarrea osmotica da
malassorbimento.

Incubazione breve: 12-72 ore.

Sintomatologia
La sintomatologia è quella di una diarrea acquosa:
• Nausea e vomito
• Diarrea acquosa con muco
• Febbre < 39°C (35% dei casi)
• Sintomatologia respiratoria (più Adenovirus)
• Durata 2-6 giorni (eliminazione fecale per 10 gg)
È una diarrea che dura poco, se sei fortunato dura solo 48h ma vi faccio notare che l'eliminazione fecale di
Rotavirus avviene per 10 giorni, quindi se a me per esempio la diarrea durasse 4 giorni, io sarei guarito ma per
altri 6 giorni continuerei ad eliminare il virus e quindi rappresenterei un’importante fonte di trasmissione e di
contagio.

Diagnosi
La diagnostica in questo caso serve a molto molto poco sia perché non c'è terapia sia perché la diarrea dura
pochissimo. Per studi epidemiologici o se ci dovesse essere un’epidemia in una scuola, in asilo o in una città,
si potrebbe fare la ricerca degli antigeni virali nelle feci.

Profilassi
Esistono dei vaccini vivi attenuati (Rotarix e RotaTeq, quest’ultimo è il tetravalente) che tempo fa erano stati
posti sotto i riflettori perché dicevano che come effetto collaterale provocava l’invaginazione intestinale del
bimbo, in realtà poi tutto è stato smentito.

COLERA
Malattia infettiva acuta altamente contagiosa provocata dalla enterotossina elaborata dal Vibrio cholerae, a
seguito di colonizzazione dell'intestino tenue, caratterizzata da profusa diarrea acquosa e da una
sintomatologia conseguente ad eccessiva perdita di liquidi e sali.

Vibrio cholerae
• Bacillo Gram-, asporigeno, mobile, con flagello polare
• Sviluppo in acqua peponata alcalina
• Antigeni: flagellari H e somatici O (il secondo sarebbe l’antigene della parete. In tutti i bacilli Gram-
e intestinali possiamo distinguere queste due tipologie di antigene)
• 200 sierogruppi (determinati da questi 2 antigeni)
• Enterotossina 85 KD: monomero A e pentamero B
o Inattivata a 56°C x 30 min
o Resiste alla tripsina

Fra i 200 sierogruppi, sono tre quelli patogeni per l'uomo:


• O1 Classico → 6 pandemie (fino al 1923)
• O1 El Tor → 7° pandemia (1970 in Europa)
• O139 Bengala → epidemia nel 1992
Si chiamano così “in onore” delle epidemie che hanno provocato.

Epidemiologia
Caratteristicamente il colera è tipico di quelle zone a basso tenore socio-sanitario o igienico-sanitario. Dopo
ogni grande catastrofe, per esempio l’uragano Katrina o il terremoto ad Haiti, si sono verificate delle epidemie
di colera perché calano gli standard igienici.

Zone endemiche:
• India (Delta del Gange)
• Asia sud-orientale (Bangladesh, Indonesia,
Pakistan, Filippine)

Ecco le zone in cui è endemico: Africa, Asia sud-orientale


ma anche America Latina. →

Habitat naturale
- Acque marine costiere
- Acque salmastre degli estuari
Trasmissione fecale-orale.

Alimenti contaminati: acqua, pesci, crostacei, molluschi, verdure.


Per il colera abbiamo detto che serve una carica infettante elevata, quindi l'acqua rappresenta il veicolo
perfetto. Naturalmente, se io prendo un alimento e lo lavo sotto acqua corrente contaminata anche l’alimento
potrà trasmettere il colera.
Meno frequente è il contagio interumano perché servono tanti vibrioni.

Serbatoio: l’uomo
• Malato che elimina circa 107-109 vibrioni per ml di feci
• Portatore che elimina 100.000 vibrioni per grammo di feci. Il portatore può essere:
o In incubazione (se ancora lo deve sviluppare)
o Convalescente (se è guarito)
o Sano (cioè ce l’ha ma non sviluppa malattia)

Patogenesi
1. Ingestione (1011 x acqua – 102-104 x solidi)
2. Superamento dell’acidità gastrica in condizioni favorenti perché altrimenti il pH di 2 riesce bene a
distruggere tutti i vibrioni che tentano l’ingresso
3. Si localizza a livello del tratto prossimale dell'intestino tenue
4. Qui, tramite alcune emoagglutinina-proteasi, scinde il muco che protegge gli enterociti, il muco che
sta sopra il nostro orletto a spazzola
5. Aderisce, attraverso il famoso flagello polare, all’enterocita
6. Produzione della tossina colerica
(enterotossina). Il cholerae non invade
ma provoca diarrea a causa della
produzione di questa tossina che è
formata da due subunità, A e B.
7. Legame subunità B con ganglioside
GM1 (cellule epiteliali digiuno) che crea
un canale per permettere la
penetrazione intracellulare della
subunità A
8. Stimola adenilato-ciclasi
9. Accumulo intracellulare di AMP
ciclico
10. Inibizione del sistema di
riassorbimento di Cl e Na+
11. Attivazione sistema escrezione cloruri
12. Liberazione VIP (peptide vasoattivo
intestinale che stimola la motilità)
13. Stimolazione goblet cells (che aumentano la produzione di muco)

Il tutto naturalmente esita nella diarrea. L'acqua non può fare a meno di seguire i soluti.
Soltanto il cotrasportatore sodio-glucosio rimane integro ma naturalmente non riesce a sopperire a tutto quel
sodio presente nel lume intestinale.

Sintomatologia
Nel 75% dei soggetti il colera non si manifesta con la classica sintomatologia ma rimane subclinico quindi ho
un paio di scariche al giorno fino alla guarigione.
Nel restante 25% invece si verifica quello che noi definiamo colera vero e proprio:
• Incubazione di 1-5 giorni
• Diarrea acquosa profusissima, parliamo di 50-100 scariche al giorno
• Feci incolori e inodori, cosiddette “feci ad acqua di riso”. Possiamo perdere fino a 1L ogni ora
(orientativamente l'acqua libera, cioè l'acqua che noi possiamo perdere, è intorno a 6-7 litri). Se noi
perdiamo un litro d'acqua ogni ora è facile immaginare che in 4-5 ore si può morire.
• Algidismo (sudorazione fredda ed assenza di febbre)
• Assenza di dolori addominali e di tenesmo
• Ipovolemia
• Perdita di elettroliti (ipokalemia con crampi muscolari)
• Acidosi metabolica (vomito) sete intensa

Il colera, come tutte quelle di diarree secretorie, non dà febbre. Non c'è e una sintomatologia sistemica dovuta
alla diarrea ma la sintomatologia è dovuta alla disidratazione e all’ipovolemia. Gli organi che maggiormente
risentiranno di questo saranno sicuramente i reni, fino all’oligoanuria, e il cuore, fino allo shock ipovolemico.
Senza acqua non possiamo funzionare. Il cuore, oltre a essere scioccato perché non riesce a pompare bene,
sarà anche scioccato in quanto abbiamo perdita di potassio, abbiamo perdita di sodio, quindi abbiamo
ipokaliemia con crampi muscolari nelle prime fasi e arresto cardiaco nelle ultime fasi. Acidosi metabolica per
perdita di bicarbonati che porta a vomito fino al coma.

Esame obiettivo
Il paziente presenterà tutti i segni tipici di una disidratazione:
• Facies a mummia, che è una facies secca con gli zigomi
sporgenti, le labbra adese ai denti, il naso affilato
• Addome a barca per perdita ingente di liquidi
• Purtroppo, il sensorio rimane integro
• Exitus sopraggiunge da poche ore a pochi giorni. Per i più
fortunati, quelli che riescono ad essere reidratati, in 7-8 giorni
avviene la guarigione.
Ovviamente, se noi abbiamo un paziente che
viene da una zona a rischio, ad esempio dal
Bangladesh, e che ha 50 scariche al giorno,
la diagnosi differenziale prevede ben poche
scelte.
Queste vaschette dove troviamo le tipiche
feci ad acqua di riso servono per conteggiare
quanti liquidi vengono persi in modo da poterli reinfondere.

Diagnosi
Per prima cosa va fatta dal punto di vista clinico, quindi se abbiamo un’epidemiologia compatibile e una
sintomatologia compatibile, la diagnosi è semplice.
Possiamo fare una coprocoltura in acqua peptonata, che sarebbe il terreno in cui crescono i vibrioni, oppure
un esame microscopico diretto in campo oscuro delle feci in cui vediamo il vibrione.

Terapia
Per di tutte le patologie diarroiche la prima cosa che
dobbiamo fare è reidratare il paziente. Questo
naturalmente ha la sua massima espressione nella
diarrea colerica.
Dopo la reidratazione rapida endovena (in breve
tempo cioè in meno di 24h) si può passare a quella
per o.s. Attraverso una soluzione reidratante orale
che si può preparare anche a casa.
Perché tutte le soluzioni reidratanti
sono ricche di zuccheri? Perché il
cotrasporto sodio-glucosio è l'unico
a non essere intaccato, quindi se io
assumo tanto sodio e tanto glucosio
forzo quel cotrasporto.
Si è visto, inoltre, che la
somministrazione di una singola
dose di un antibiotico (doxiciclina)
aiuta ad accelerare la guarigione.

Abbiamo un paziente che è ipoteso e avrà una pressione sotto le scarpe perché non c'è più acqua, quindi anche
se tu stimoli con un inotropo, quindi se gli fai tutta la noradrenalina che vuoi, se non c'è cosa pompare il cuore
non può fare niente, quindi lo devi riempire, lo metti a goccia rapida e lo riempi, tanto non può succedere nulla
perché quello che entra peraltro, soprattutto nelle prime fasi, esce, quindi lo idrati. Poi naturalmente i liquidi
vanno calcolati in base alle perdite, in base alle uscite. Nel bambino e nel giovane potete “osare di più”, cioè i
liquidi si possono infondere più rapidamente rispetto che ad un anziano, col quale dovete stare un po’ più
attenti perché tendono a conservarli nel terzo spazio, per esempio nel polmone.

Profilassi
[legge la slide e aggiunge:] Se andate in Bangladesh o
nelle Filippine o in Africa evitate di bere acqua dalle
pozzanghere.
Esistono due vaccini: un vaccino vivo attenuato e un
vaccino ucciso, che sono consigliati per coloro i quali si
recano in zone ad elevata endemia.
Non è una patologia così distante da noi, infatti, nel 2018
a Napoli ci sono stati due casi di due pazienti del
Bangladesh affetti da colera. Per fortuna i colleghi delle
malattie infettive lo hanno riconosciuto e trattato e i
pazienti si sono salvati.

ESCHERICHIA COLI
Ricorderete che ci sono un sacco di patotipi, ma noi li divideremo semplicemente in patotipi che danno una
diarrea di tipo secretorio e quelli che danno una diarrea di tipo infiammatorio.

Diarrea di tipo secretorio – E. Coli enterotossico (ETEC)


È la causa principale di diarrea del viaggiatore.

Patogenesi (ETEC)
• Tossina termolabile (LT) similcolerica:
o Attivazione dell’adenilato ciclasi e accumulo di AMPc → diarrea
Questa tossina per fortuna dà una sintomatologia più sfumata rispetto al colera perché diffonde
molto meno ed è molto meno efficiente rispetto a quella colerica
• Tossina termostabile (ST)
o Stimolazione guanilato ciclasi (anti-assorbimento)
• Fattori di colonizzazione o adesività:
o Fimbrie aderenti all’epitelio intestinale

La si prende mangiando cibi poco cotti, in particolare frutta e verdura e soprattutto con l'acqua.

Sintomatologia
Incubazione → anche qua è brevissima, 24-72 ore. Però ha una sintomatologia molto più sfumata:
• Diarrea acquosa (4-8 scariche / 24 ore)
• Crampi addominali
• Febbricola (occasionale)
• Vomito <50% dei casi
• Durata → si autolimita in 24-36 ore

Diagnosi
Non serve quasi mai. Al solito, possiamo fare coprocoltura o biologia molecolare (PCR) ma serve a poco.

Terapia
• Reintegrazione equilibrio idro-elettrolitico
• Antibiotici no! Soprattutto quando il danno è dovuto ad una tossina, perché l’antibiotico uccide il
germe ma la tossina è già in circolo. Inoltre, utilizzando l’antibiotico non facciamo altro che creare
ulteriore dismicrobismo e rendere resistente quel germe che altrimenti se ne sarebbe andato già per i
fatti suo, perché queste sono diaree autolimitanti. Facendo sempre terapie antibiotiche siamo riusciti a
renderlo resistente a quelle classi di antibiotici come i fluorchinoloni o il bactrim (cotrimossazolo) e
oggi è un problema da trattare. Nelle patologie diarroiche l’antibiotico si fa soltanto in casi molto
particolari, cioè gli anziani con gli immunodeficit oppure i bimbi particolarmente defedati.

Profilassi
Norme di igiene alimentare

Diarrea di tipo infiammatorio – E. Coli enteroemorragico (EHEC)

L’enteroemorragico insieme all'enteroinvasivo provocano diarrea infiammatoria, mentre tutti gli altri invece
provocano diarrea di tipo secretorio (enteroaggregativo, enteropatogeno ecc).
Nei paesi industrializzati il ceppo maggiormente chiamato in causa, quello più virulento, O157-H7.
Si contrae per contaminazione di carne cruda, per esempio con l'hamburger cotto al sangue.

Patogenesi
• Produzione di verocitotossine o tossine Shiga
• Effetto citopatico sulle cellule epiteliali
Agisce distruggendo l’epitelio intestinale sia direttamente che attraverso la produzione di una tossina, il cui
meccanismo è praticamente sovrapponibile alla tossina prodotta dalla shigella, pertanto è stata chiamata
tossina shiga-like.
Provoca, quindi, una diarrea di tipo infiammatorio con presenza di leucociti, sangue, muco e dolori addominali,
febbre, spesso nausea e vomito.
La tossina di Shiga-like, in una percentuale variabile fino al 10% dei casi, può determinare una sindrome letale
(anziani e bambini – mortalità 3-5%) che si chiama sindrome emolitico-uremica che è caratterizzata da
anemia emolitica, piastrinopenia, insufficienza renale e segni di compromissione del sistema nervoso centrale,
epatico e pancreatico.

Terapia
È una terapia di tipo sintomatico. Sono addirittura controindicati gli antibiotici, non solo sconsigliati. perché
si è visto che l’utilizzo gli antibiotici nel corso di infezione da EHEC determina una massiva lisi dell’ E.coli
con massivo rilascio in circolo di tossina shiga-like e quindi una più alta probabilità di andare incontro alla
sindrome emolitica-uremica. Quindi, se ci troviamo di fronte ad una diarrea di tipo muco sanguinolento, per
prima cosa reidratiamo dopodiché facciamo un po' il punto: se si tratta di una Shigella l’antibiotico trova la
sua indicazione ma è anche vero che non è una terapia salvavita, se la ritardiamo di qualche giorno non succede
nulla, l'importante è che reidratiamo il paziente.

SHIGHELLA
Si chiama così perché è stata scoperta da un tale Kiyoshi Shiga.
Anche questo batterio fa parte delle Enterobatteriacee, quindi è un bacillo Gram-, immobile, privo di capsula,
asporigeno, aerobio o anaerobio facoltativo. In base all’antigene somatico (O) possiamo distinguere 4 specie
diverse con differenti localizzazioni dal punto di vista epidemiologico:
• S. dysenteriae (gruppo A) – 13 sierotipi
• S. flexneri (gruppo B) – 15 sierotipi (è quella più frequente da noi insieme a quella del gruppo C)
• S. boydii (gruppo C) – >15 sierotipi
• S. sonnei (gruppo D) – 2 sierotipi

o Endotossina termostabile (ant.O)


o Esotossina termolabile (Shiga)
- Azione citotossica
- Azione enterotossica
- Azione neurotossica
La famosa tossina di Shiga, quella che causa la dissenteria bacillare, è prodotta quasi soltanto dalla S.
dysenteriae sierotipo 1, le altre no.

Epidemiologia
• Distribuzione ubiquitaria. I numeri sono alti, anche se non sembra, ogni anno ci sono 100.000 morti
con 90 milioni di casi l’anno.
• Il serbatoio è soltanto l’uomo, per contaminazioni di mani e oggetti o, al solito, per consumo di
alimenti e bevande contaminate.
• Trasmissione sempre fecale-orale o per via sessuale per pratiche omosessuali
• Bassi livelli di igiene personale, il sovraffollamento o le mosche ne facilitano la trasmissione, poiché
per quanto riguarda le Shighelle basta una carica infettante bassa.
• Carica infettante inferiore a 100 batteri ma spesso bastano anche solo 10 Shigelle per dare una
shigellosi.

Patogenesi
1. Ingestione
2. Sopravvivenza nonostante l’acidità gastrica
3. Colonizzazione dell’ultima parte dell'ileo (prima) e del colon-retto (dopo). Questo si rispecchierà poi
nella clinica, perché daranno una prima sintomatologia simil-secretoria e una seconda sintomatologia
simil-infiammatoria.
4. La Shigella invade, penetra quindi nelle cellule epiteliali della mucosa
5. Necrosi cellulare
6. Ulcerazioni superficiali della mucosa fino a formazione di veri e propri ascessi (flogosi), fino alla
perforazione del tratto gastrointestinale.
7. La Shigella di tipo 1 produce anche la tossina di Shiga che ha un’attività citotossica e può dare la
sindrome emolitica-uremica.

Sintomatologia
L’incubazione stavolta è un po' più ampia, da 6 ore fino a 4-5 giorni.
Il primo stadio è quello di una diarrea secretoria:
• feci acquose
• non c'è febbre (o è bassa)
• brividi, cefalea, rachialgie, mialgie
• ci può essere nausea e vomito e dolori addominali
Nel secondo stadio si ha una diarrea infiammatoria dovuta all’enterotossina citotossica:
• stato generale compromesso
• feci mucosanguinolente (scariche piccole e frequenti)
• crampi addominali
• tenesmo
• disidratazione
• febbre

Complicanze
La shigellosi è una patologia grave e può dare anche delle complicanze importanti:
• Enterorragia → abbiamo detto che invade, scava, penetra forma dei microascessi e appena raggiunge
dei vasi sanguigni può dare enterorragia.
• Può dare nei bimbi piccoli invaginazione intestinale e quindi ostruzione che se non trattata
chirurgicamente porta a morte in breve tempo
• Megacolon tossico → distensione del colon dovuta a lesione dei plessi mioenterici. È una
sovradistensione con perdita completa sia della motilità che delle funzioni fisiologiche del colon.
Naturalmente questa è una complicanza mortale se non trattata immediatamente con una colectomia.
• Sindrome uremico-emolitica (S.dysenteriae tipo1 con tossina Shiga)
• Sindrome di Reiter → la Shigella flexneri in presenza di determinate condizioni genetiche per
esempio l'espressione di un particolare aplotipo di HLA, se non sbaglio è HLA D27, può dare la
sindrome di Reiter che è una sindrome caratterizzata da congiuntivite, uretrite e artrite.
• Inoltre, la tossina di shiga dà compromissione anche a carico del SNC, quindi può dare coma,
convulsioni e meningismo. La differenza tra meningite e meningismo: nella meningite abbiamo una
sintomatologia caratterizzata da quella triade di febbre, cefalea e rigidità nucale, poiché abbiamo una
colonizzazione del liquor ad opera di agenti patogeni, nel meningismo invece abbiamo la
sintomatologia della meningite ma senza colonizzazione del liquor.

Diagnosi
In questo caso la diagnosi serve.
• Coprocoltura (in fase acuta è molto sensibile). La Shigella è un germe che cresce bene in coltura.
• Esame delle feci → sono delle feci da diarrea infiammatoria, quindi con muco, sangue, granulociti
neutrofili.

Terapia
• Correzione squilibrio idro-elettrolitico
• Antibiotici potrebbero accelerare la guarigione. C'è indicazione di utilizzare antibiotici in corso di
shigellosi ma solo dopo aver fatto diagnosi eziologica. Non c’è fretta di utilizzare l'antibiotico nelle
patologie diarroiche. Fluorochinoloni (adulti), cotrimoxazolo (bambini).
• Controindicati gli antidiarroici. C’è la diatriba antidiarroici sì e antidiarroici no: qualcuno dice che
inibendo l'evacuazione concentri più patogeni all'interno del tratto gastro-intestinale e quindi permette
loro di fare più danno, altri invece dicono che, fatta eccezione per le prime scariche, gli antidiarroici
servono per evitare l’eccessiva disidratazione perché trattieni liquidi a livello del colon dandogli modo
di riassorbire seppur lentamente i liquidi che altrimenti andrebbero persi.
La shigellosi è una di quelle patologie sottoposta a notifica obbligatoria.

SALMONELLA
SALMONELLOSI MINORI

Si chiamano salmonellosi “minori” perché non provocano la febbre tifoide o “tifo”, a differenza delle
salmonelle maggiori, che sono la Salmonella typhi e la paratyphi.
Differenze fondamentali tra le salmonellosi maggiori e quelle minori:
o Le salmonellosi maggiori provocano prevalentemente una patologia sistemica che può dare anche un
coinvolgimento gastrointestinale, mentre le salmonellosi minori sono a prevalente localizzazione e
sintomatologia gastrointestinale ma possono provocare una malattia sistemica.
o La salmonella maggiore vede come unico serbatoio l’uomo, le salmonellosi minori no, le troviamo
anche nell’ambiente in particolare il pollame con tutti i suoi prodotti: uova, carne di polli, ecc. sono
quelli maggiormente chiamati in causa.
Le salmonellosi minori sono, quindi, delle zoonosi acute di origine alimentare causate da batteri del genere
Salmonella (bacilli Gram-).

Le più frequenti salmonelle minori sono la S. typhimurium, S. enteridis e S. choleraesuis, ma ce ne sono


tantissime.

Provocano diarrea di tipo infiammatorio: diarrea, dolori addominali, febbre e vomito.

Epidemiologia
• Frequenza in aumento
• Epidemie familiari
• Ceppi resistenti, perché trattando oggi trattando domani siamo riusciti a rendere resistenti agli
antibiotici di scelta che sono fioriti i fluorchinoloni.
o Fonti: carne (mattatoi), uova, latte, verdure crude, oggetti personali, vettori: mosche.
o Serbatoio: animali domestici (canale digerente): pollame, bovini, ovini, maiali, cani, gatti, tartarughe,
portatori fecali umani → le salmonelle, sia le minori che le maggiori, sono particolarmente attratto
dalle vie biliari, tant'è che spesso le colonizzano e ci sono dei portatori (che possono essere in
incubazione, in convalescenza o sani) che però eliminano a cadenze diverse le salmonelle perché
hanno la colecisti colonizzata. L'utilizzo di antibiotici in corso di patologia da salmonella aumenta il
tasso di colonizzazione delle vie biliari.

Sintomatologia
Periodo di incubazione breve: 12-48 ore
La diarrea di tipo infiammatorio si autolimita in 3-7 giorni.
Nei soggetti defedati quindi anziani, bambini, immunodepressi può dare disidratazione fino all’exitus per gravi
alterazioni elettrolitiche.

Diagnosi
• Diagnosi epidemiologica-clinica:
o Dati anamnestici
o Tempo di incubazione
o Caratteristiche delle feci. È una diarrea che va in diagnosi differenziale con tutti i patogeni che
danno una diarrea di tipo infiammatorio, quindi con l’EHEC e con la Shigella.
• Diagnosi diretta:
o Coprocoltura (anche in questo caso ha una resa buona, proprio come per la Shigella.
o Isolamento da alimento inquinato
o Tecniche di biologia molecolare che riescono a dirci se è una salmonella minore o una salmonella
maggiore.

Terapia
Correzione squilibri elettrolitici.
Se isoliamo una salmonella minore non c'è indicazione a effettuare una terapia antibiotica, se non in
popolazioni particolari di pazienti o quando la salmonella dà una compromissione sistemica.
Controindicati gli antidiarroici.

Infezioni extraintestinali
La salmonella non è un batterio che si accontenta di rimanere confinato nel tratto gastro-intestinale ma una
volta raggiunti i vasi sanguigni, una volta raggiunta la colecisti, passa in circolo e, oltre a dare delle batteriemie,
può dare delle localizzazioni d'organo praticamente in qualunque organo: può dare una pielonefrite, una
endocardite, un ascesso epatico. In quel caso verrà isolata dal sangue con una emocoltura. In quale periodo
della malattia si fa un’emocoltura? Quando c'è la febbre o meglio quando insorgono i brividi che precedono il
picco febbrile è il momento migliore in cui l’emocoltura ha la massima resa per la stragrande maggioranza
delle patologie (abbiamo più batteri nel sangue). Si fanno sempre due emocolture, quindi due prelievi, uno nel
braccio destro e uno nel braccio sinistro per massimizzare la resa e per evitare i falsi positivi, perché se io trovo
positiva solo una delle due potrebbe essere una contaminazione della cute, perché non è stata ben disinfettata
o perché il prelievo è stato fatto male. 10 ml di sangue in una boccettina per emocoltura e se trovate il batterio
nel sangue, che per definizione dovrebbe essere sterile, qui dovete fare terapia antibiotica assolutamente.

CLOSTRIDIUM DIFFICILE
Rappresenta una problematica crescente negli ospedali, in pazienti in terapia antibiotica, in pazienti soprattutto
anziani, pazienti che fanno terapie antibiotiche lunghe o anche chemioterapia o terapia immunosoppressiva
sono a rischio di fare una diarrea da Clostridium difficile.
Come gli altri clostridi è Gram+, anaerobio obbligato ed è sporigeno, con spore che sono ubiquitarie. Rimane
comunque un batterio “babbo” perché è un batterio la cui crescita viene inibita dalla nostra normale flora
intestinale. Però, in determinate condizioni che sono l’ospedalizzazione, una alterazione a carico della flora
intestinale, una modifica carico del pH gastrico, l’età avanzata, dà una patologia grave e anche mortale.
Immaginate di avere un paziente ricoverato per endocardite, la cui durata media di una terapia è intorno alle 4
settimane: sono pazienti di solito ultrasettantenni con endocardite e immaginiamo che faccia terapia antibiotica
già da tre settimane, sicuramente fa cardioaspirina e quindi sicuramente prende l’inibitore di pompa protonica,
quindi ha tutte le caratteristiche affinché si sviluppi una diarrea da C. difficile.
I numeri sono molti alti: 500.000 casi ogni anno e 1 paziente over sessantacinquenne su 11 morirà di diarrea
da C. difficile. Se a questo poi aggiungiamo che le norme di igiene anche di noi operatori sanitari non vengono
sempre messe in atto e quindi siamo noi a portarlo da una stanza all'altra perché non ci disinfettiamo o laviamo
le mani tra un paziente e l'altro (non con tutti quei gel ma con acqua e sapone anche perché le spore del
Clostridium ad esempio sono resistenti ai comuni disinfettanti ma vengono distrutte da acqua e sapone.
14.000 morti l'anno secondo un dato di qualche anno fa.

Patogenesi
È una patogenesi “a tre eventi”: deve avvenire
• l'alterazione della flora intestinale,
• la colonizzazione ad opera del Clostridium,
considerando anche che molti di noi sono dei
portatori di C. difficile,
• e poi il terzo passo, quello forse più importante,
produzione della tossina che è quella su cui si
basa la patogenesi della malattia da
Clostridium. Se avvengono i primi due eventi
ma il Clostridium non produce la tossina io non
avrò diarrea.

Il ceppo NAP1/B1027 è quello maggiormente virulento, maggiormente responsabile delle epidemie in


ambiente ospedaliero, associato a una maggiore produzione di tossine. Sono due le tossine principali:
• Tossina A (enterotossina):
o Determina un’aumentata permeabilità dell’epitelio intestinale, in quanto
o distrugge le tight-junction, quindi aumenta lo spazio cellula-cellula
o Secrezione di liquidi
o Reclutamento neutrofili → formazione delle pseudomembrane (quadro anatomopatologico
tipico → colite pseudomembranosa)
• Tossina B (citotossica): distrugge concretamente la cellula provocando danno cellulare.
Se noi facessimo una colonscopia ad un paziente affetto da C.difficile vedremo un colon pieno di queste
membrane biancastre, naturalmente non si fa la colonscopia ai pz affetti da Clostridium perché è una procedura
molto dolorosa e anche inutile.
• Tossina CDT (o tossina “binaria”) a cui non si sa se fornire un ruolo patogenetico. Alcuni dicono che
i ceppi che hanno questa tossina sono maggiormente virulenti, altri dicono che sono già di suo così e
non è la tossina a renderli maggiormente virulenti.

Questo è un reperto di colonscopia in corso di colite pseudomembranosa →


Tutte quelle sono delle pseudomembrane.

Antibiotici maggiormente coinvolti: tutti! Una volta erano quelli più attivi
sui anaerobi come la clindamicina, oggi invece una terapia antibiotica
protratta da sola con qualunque antibiotico è in grado di provocare un
aumento del rischio di andare incontro ad una diarrea da C.difficile.

Slide → Antibiotici maggiormente coinvolti: Cefalosporine III generazione (ceftriaxone, cefotaxime,


ceftazidime) soprattutto se a maggiore escrezione biliare, ampicillina, clindamicina, fluorochinoloni.
Antibiotici meno coinvolti: aminoglicosidi, piperacillina/tazobactam.

Non sono coinvolti soltanto gli antibiotici ma anche gli inibitori di pompa protonica, gli antineoplastici e
gli immunosoppressori.

Diagnostica
Cosa serve per pensare a un'infezione da C.difficile?
• Diarrea di consistenza variabile. Fino a 20 scariche al giorno, ma non pensate che debba esserci per
forza questa frequenza elevata! Possono essere anche solo 2-3 scariche al giorno. Le feci
caratteristicamente sono molto molto molto maleodoranti.
Spesso ci sono sintomi sistemici:
• Febbre (28%)
• Algie addominali (22%)
• Leucocitosi (50%)

Alcuni testi sostengono che in un paziente in terapia antibiotica per una patologia che sta trattando e gli indici
di flogosi sono migliorati, i leucociti sono scesi e le condizioni generali sono migliorate ma c'è una ricaduta
con aumento degli indici di flogosi, aumento dei leucociti e risalita della febbre da non imputare però alla
patologia di base, possiamo sospettare un C.difficile anche in assenza di diarrea.
È una patologia grave e mortale se non trattata. Provoca come complicanze:
o Ileo paralitico (20%)
o Megacolon tossico
o Shock settico

Diagnosi
Sospetto clinico + serve la diarrea, perché gli esami per la ricerca del Clostridium vanno fatti sulle feci.
• Ricercare l'antigene del Clostridium
• Ricercare la tossina A o B (metodo immunoenzimatico).
• Dimostrazione del clostridium (PCR)
Se io ho un paziente con diarrea, faccio l’esame sulle feci e trovo l’antigene, non posso fare diagnosi di diarrea
da C.difficile, perché è un commensale, quindi serve trovare la tossina. Quindi il test molecolare non ti cerca
il clostridium ma ricerca direttamente la tossina.

Terapia
• Se possibile, è caldamente raccomandato di sospendere la terapia antibiotica in atto che il paziente
sta facendo
• Naturalmente idratare perché il paziente avrà perso liquidi
• Dopodiché effettuare una terapia antibiotica con antibiotici a scarso assorbimento che agiscono a
livello locale, per esempio la vancomicina (per os 125mg x 4, 10-14 G) o la fidaxomicina (200mg x
2, 10G). La vancomicina è un antibiotico che di solito si utilizza in vena, però utilizzato per os non
viene assorbito ma agisce lì dove serve. Qualche anno fa come prima linea c’era il metronidazolo, ma
siamo riusciti a renderlo resistente anche al metronidazolo, che ha lasciato il posto alla seconda linea,
vacomicina e fidaxomicina che sono degli anti-Gram+. La fidaxomicina inoltre inibisce anche la
sporulazione, quindi la formazione di spore del clostridium.
La problematica delle coliti da clostridium è la recidiva: 1 su 5 manifesterà una seconda infezione da
C.difficile. Per questo è stato stilato tutto un protocollo che prevede cicli di terapia più lunga, cicli di terapia
profilattica, fino all'utilizzo di
immunoglobuline, ci sono gli
anticorpi monoclonali oggi, per
esempio il bezlotoxumab diretto
contro una tossina C. difficile e
proprio per prevenire le recidive,
fino ahimè a cose un po' più intense,
come la colectomia e il trapianto
fecale.

[Di seguito riporto gli argomenti


che il prof non ha trattato a lezione]

INTOSSICAZIONE DA STAFILOCOCCO
Quadro acuto, molto rapido, definito appunto avvelenamento di tipo alimentare.

Il 50% degli stafilococchi produce tossine enterotossiche termoresistenti (30 min a 100 gradi). Noi spesso non
cuociamo i cibi per più di 30 min a 100 gradi e questo spiega perché la crema sia facilmente contaminabile,
grazie all'operatore che lavora l'alimento. Mentre botulino provoca delle alterazioni organolettiche perché
produce gas nel sottovuoto, questi invece non producono nessuna alterazione organolettica.

L'azione della tossina stafilococcica può essere anche a livello nervoso.

Esordio molto brusco: da 1 a 10 ore, classico caso del banchetto di nozze in cui mangiano tutti insieme il
pranzo e il pomeriggio invece tutti al prontosoccorso.

Diagnosi
Sintomatologia chiara, non si può cercare lo stafilococco nelle feci, sarebbe una ricerca incongrua e non si può
tipizzare una tossina

Terapia
Fortunatamente è autolimitantesi nel soggetto sano immunocompetente.
Nell'anziano e nel bambino piccolo si può rapidamente andare incontro a disidratazione.
È inutile l'antibiotico, c'è solo la tossina, per questo si reidrata solamente.

GIARDIASI
La giardiasi è causata dal protozoo flagellato Giardia intestinalis (lamblia).
L'infezione può essere asintomatica o determinare sintomi che vanno dalla flatulenza intermittente al
malassorbimento cronico.

La diagnosi di basa sull'identificazione del microrganismo nelle feci fresche o nel succo duodenale o sulla
determinazione degli Ag di Giardia nelle feci.
Il trattamento prevede metronidazolo, tinidazolo, nitazoxanide, o, durante la gravidanza, la paromomicina.
Epidemiologia
I trofozoiti di Giardia si attaccano in modo deciso alla mucosa duodenale e prossimale del digiuno e si
moltiplicano per scissione binaria.
Alcuni microrganismi si trasformano rapidamente in cisti resistenti nell'ambiente che vengono eliminate con
le feci e trasmesse per via oro-fecale.
La trasmissione tramite l'acqua è la più importante fonte di giardiasi. La trasmissione può anche verificarsi per
ingestione di cibo contaminato e contatto diretto interpersonale, specialmente negli istituti psichiatrici e nei
centri diurni o tra partner sessuali.
Le cisti di Giardia rimangono vitali sulla superficie dell'acqua e sono resistenti ai livelli usuali di clorazione.
Gli animali selvatici possono costituire dei serbatoi. Per questo motivo, ruscelli di montagna così come
acquedotti municipali clorati ma poco filtrati, sono stati implicati in epidemie.

Ci sono 7 gruppi genetici (assemblaggi) di G. intestinalis. Due di queste specie infettano gli esseri umani e gli
animali; le altre sono ospite-specifiche. Le manifestazioni cliniche sembrano variare in base al genotipo.

Sintomatologia
Molti casi sono asintomatici. Tuttavia, anche i soggetti asintomatici possono trasmettere cisti infettive.
I sintomi della giardiasi acuta generalmente compaiono 1-14 die (in media 7 die) dopo l'infezione. I sintomi
sono di solito moderati e comprendono diarrea acquosa maleodorante, crampi addominali, distensione
addominale, flatulenza, eruttazione, nausea intermittente, dolore epigastrico e a volte, lieve malessere e
anoressia. La malattia acuta di solito si protrae per 1-3 settimane. Nei casi più gravi il malassorbimento dei
grassi e degli zuccheri può portare a una significativa perdita di peso. Nelle feci non sono presenti né sangue
né GB. Alcuni pazienti possono sviluppare diarrea cronica con feci maleodoranti, distensione addominale e
flatulenza. Può verificarsi una sostanziale perdita di peso. La giardiasi cronica occasionalmente causa mancato
accrescimento nei bambini.

Diagnosi
• Test immunoenzimatico per l'Ag fecale
• Esame microscopico delle feci
Il test immunoenzimatico per rilevare l'Ag del parassita nelle feci è più sensibile dell'esame microscopico. Il
riscontro di caratteristici trofozoiti o cisti nelle feci è diagnostico, ma l'eliminazione del parassita è
intermittente e a bassi livelli nell'infezione cronica. Così, la diagnosi microscopica può richiedere ripetuti esami
delle feci. Anche prelievi bioptici delle prime vie intestinali possono contenere trofozoiti ma sono raramente
necessari. È disponibile la PCR. I test sono disponibili presso i Centers for Disease Control and Prevention
(CDC) e sono destinati a diventare sempre più ampiamente disponibili presso i laboratori diagnostici per il
futuro.

Trattamento
Tinidazolo, metronidazolo o nitazoxanide
Per le infezioni sintomatiche può essere utilizzato il metronidazolo 250 mg PO tid negli adulti (5 mg/kg PO
tid nei bambini) per 5-7 die. Gli effetti avversi comprendono nausea, cefalea, e un effetto disulfiram simile se
viene assunto insieme all'alcol. Anche il tinidazolo 2 g PO 1 volta/die negli adulti (50 mg/kg [massimo 2 g]
PO nei bambini) è efficace, ed è meno tossico del metronidazolo. Nessuno di questi farmaci deve essere assunto
con alcol.
La nitazoxanide è somministrata per via orale per 3 giorni come qui indicato: 1 a 3 anni di età, 100 mg bid; 4
anni a 11 anni, 200 mg bid; ed età > 12 anni (compresi gli adulti), 500 mg bid. È disponibile in forma liquida
per bambini.
Anche la furazolidone e la quinacrina sono efficaci, ma oggi sono poco utilizzati a causa della loro potenziale
tossicità.
Il metronidazolo e il tinidazolo non devono essere somministrati alle donne in gravidanza. La nitazoxanide è
in categoria B per il rischio teratogeno. Se la terapia non può essere ritardata a causa di gravi sintomi, può
essere usato un aminoglicoside non assorbibile come la paromomicina (8-11 mg/kg PO tid per 5-10 die).
Prevenzione
La prevenzione richiede un adeguato trattamento dell'acqua pubblica, preparazione igienica del cibo, e idonea
igiene oro-fecale. L'acqua può essere decontaminata tramite la bollitura. Le cisti di Giardia resistono agli
ordinari livelli di clorazione dell'acqua. La disinfezione con composti a base di iodio è variamente efficace a
seconda della torbidità e della temperatura dell'acqua e della durata del trattamento. Alcuni dispositivi portatili
di filtraggio possono rimuovere le cisti di Giardia dalle acque contaminate, ma l'efficacia dei vari sistemi non
è stata pienamente valutata. Il trattamento dei portatori asintomatici di cisti può teoricamente ridurre la
diffusione dell'infezione, ma non è chiaro se ciò abbia un buon rapporto costo-beneficio.

ENDOCARDITI INFETTIVE
L’aggettivo “infettive” ha soppiantato quello di endocarditi “batteriche”.
Per endocardite noi intendiamo l'invasione e il conseguente danno dell’endotelio ad opera di popolazioni
microbiche. Nella stragrande maggioranza dei casi è rappresentato dall’endocardio delle valvole cardiache ma
anche l’endotelio murale e dei setti.
Sempre più frequentemente oggi si parla di endocarditi su dispositivi intracardiaci, che siano essi delle valvole
protesiche, che siano dei pacemaker o che siano degli ombrellini per esempio per chiudere il difetto interatriale.
Le strutture maggiormente interessate sono comunque le valvole cardiache, tra le valvole sono quelle di
sinistra ad essere maggiormente interessate, in particolare al primo posto troviamo la valvola mitralica nel 40%
dei casi, poi troviamo la valvola aortica, poi troviamo la tricuspide, rare ma possibili sono le endocarditi su
valvola polmonare.

Dal punto di vista della rapidità di insorgenza, le classifichiamo in:


• Acute → sono quelle che insorgono e si esplicano nell’arco di giorni, quindi determina una rapida
distruzione a carico della valvola che porta rapidamente a scompenso cardiaco.
• Subacute → insorgono nell'arco di settimane-mesi e sono quelle che noi vediamo più spesso oggi per
fortuna.
Quelle acute per fortuna sono sempre più rare e non sono appannaggio dell’infettivologo ma del
cardiologo e del cardiochirurgo, perché è un paziente con scompenso cardiaco acuto.

Le differenziamo anche in endocarditi del cuore di dx e quelle del cuore di sx.

Le differenziamo anche in endocarditi su valvola nativa ed endocarditi su valvola protesica, queste ultime le
differenziamo in:
• precoci se la valvola è stata impiantata da meno di un anno
• tardive se la valvola è stata impiantata da più di un anno
Quest'ultima è una delle classificazioni più utili perché ci permette di farci un'idea dei più probabili agenti
eziologici: infatti un’endocardite che insorge tardivamente ha un’eziologia per la stragrande maggioranza
sovrapponibile alle endocarditi su valvola nativa, mentre un’endocardite che insorge precocemente su valvola
protesica è dovuto più probabilmente a una contaminazione intraoperatoria.

Epidemiologia
Incidenza: 3-7/100.000 persone per anno, anche se alcuni dicono anche 20/100.000 persone l’anno. Questo
perché in realtà è una di quelle patologie che spesso passa misconosciuta fino alla fine.

Terza causa di infezione potenzialmente letale, dopo le polmoniti e gli ascessi intraddominali.

Il germe maggiormente responsabile lo Stafilococco aureus, soprattutto nei paesi industrializzati.

Patogenesi
È una patogenesi e in tre step:
1. Il primo step è un danno a carico dell’endocardio. La quasi totalità dei germi che causano endocardite
la causano su di un endocardio già danneggiato.

Considerate che l'epidemiologia dell’endocardite è cambiata: fino a 10-15 anni fa le endocarditi erano
una patologia frequente nel giovane a causa della febbre reumatica causata da un’infezione da
stafilococco non ben curata che determinava una cardite reumatica che era la condizione predisponente
per lo sviluppo di un'endocardite. Oggi invece è più una patologia ad appannaggio dell'anziano ed il
principale fattore di rischio è la aterosclerosi.

Danno a livello dell'endocardio con esposizione del fattore tissutale, attivazione della cascata della
coagulazione che porta anche all’aggregazione delle piastrine e formazione di una vegetazione non
batterica o “vegetazione asettica”.
La principale causa di danno endocardico e l’aterosclerosi ma può essere anche una valvola
meccanica o un difetto congenito come per esempio una valvola aortica bicuspide o un prolasso della
valvola mitrale. Tutti questi sono fattori predisponenti. I principali fattori predisponenti sono tre:
o avere già avuto un'endocardite
o avere un dispositivo intracardiaco
o avere un difetto congenito cardiaco
2. Batteriemia. I batteri devono raggiungere il circolo sanguigno e andare a colonizzare questa
vegetazione e provocare un’endocardite infettiva. Cosa può aver causato la batteriemia in un soggetto
ad esempio di 65 anni? Anche semplicemente la lesione sulla mucosa gengivale causata dallo
spazzolino (quando noi vediamo sangue) fa guadagnare l’accesso ai capillari ai germi che si trovano
sullo spazzolino. La porta di ingresso del germe può essere cutanea, genito-urinaria, tratto respiratorio,
cavo orale, tonsille in seguito a pratiche:
• Odontostomatologiche
• Gastroenterologiche
• Urologiche
• Ostetrico-ginecologiche
• Respiratorie
Un libro dice che il corpo umano in realtà è continuamente soggetto a batteriemie di brevissima durata
ma un giovane con sistema immunitario sano riesce a curare la batteriemia in meno di 10 minuti.
Queste batteriemie però in un individuo con endocardio già danneggiato e con difese immunitarie non
ottimali, riescono a persistere per un tempo sufficiente per colonizzare un endocardio già danneggiato,
dove c'è già una vegetazione.
3. A questo punto avviene la colonizzazione. La vegetazione, formata da fibrina, leucociti, piastrine e
globuli rossi, rappresenta il nido perfetto per la crescita batterica, perché è un posto in cui non arrivano
i bianchi, un posto i cui gli antibiotici arrivano poco o arrivano male, il batterio può crescere in
tranquillità in pace a dismisura.

L’endocardite del cuore di destra si verifica in seguito a determinati comportamenti: soggetti che fanno uso di
sostanze per via endovenosa o in chi ha cateteri vascolari fissi a permanenza. Nei soggetti che fanno uso di
sostanze per via endovenosa questa teoria dei tre colpi avviene quasi in un unico colpo perché si fanno spesso
con siringhe sporche, usate, già contaminate con sostanze che ledono l’endocardio. Quindi
contemporaneamente ledono l’endocardio e sparano batteri in circolo.

Clinica
Dal punto di vista clinico è una patologia febbrile,
rientra nell’ampia diagnostica differenziale delle
patologie febbrili.

Un paziente ideale (legge la slide)→


Insufficienza mitralica, quindi c'è il fattore
predisponente.
Gli esami del sangue mostrano un pattern
infiammatorio cronico, quindi un’anemia
normocitica-normocromica tipica delle patologie infiammatorie croniche.

I globuli bianchi sono aumentati (valore normale nel range 4.000-10.000). Abbiamo aumento degli indici di
flogosi (VES e proteina C reattiva), quindi una leucocitosi neutrofila tipica delle infezioni batteriche.
Procalcitonina negatica. Cosa è la procalcitonina? È un indice indiretto di tante cose, fra cui la replicazione
batterica o infezione batterica, tant'è che correla con uno stato settico.
E.O.: Se ha una valvola nativa ci potrebbe essere un soffio cardiaco che il paziente non sapeva di avere in
corrispondenza della valvola interessata. Naturalmente, se ci troviamo davanti una valvola protesica, il soffio
c’è già di suo quindi questo non ci aiuta.

Diagnosi
Ci viene inviato in malattie infettive per febbre. Quindi abbiamo questo paziente febbrile con febbre da tanto
tempo, che ha i fattori di rischio per endocardite, quindi ci scatta il campanello endocardite.
Cosa facciamo? Ecocardiografia. È la metodica di scelta che per le linee guida va fatto immediatamente al
primo sospetto clinico di endocardite. Per prima cosa, ovviamente, non facciamo un’ecocardiografia trans-
esofagea ma facciamo un’ecocardiografia trans-toracica perché è più veloce e meno invasivo e il paziente
vi ringrazia perché non gli infilate un tubo in bocca e non tutti gli ospedali sono dotati di un cardiologo che
sappia fare ecocardio transesofagea e inoltre necessita il digiuno del paziente. Prima sempre la metodica meno
invasiva, più rapida, meno costosa. Tuttavia, le linee guida spingono sul ecocardio transesofageo dicendo
che:
• se l'ecocardio transtoracico è negativo ma il tuo sospetto rimane alto, allora fai ugualmente un
transesofageo
• se l'ecocardio transtoracico è positivo fai ugualmente un transesofageo in elezione, quindi te lo
programmi con calma, perché valuta meglio le dimensioni di una vegetazione.
• se l'ecocardio transtoracico e transesofageo sono entrambi negativi ma il sospetto clinico rimane alto,
a 5-7 giorni ripeti il transesofageo sempre in elezione perché per questa volta potresti vedere una
vegetazione.
Cosa cerchiamo all’ecocardiografia? Cerchiamo una vegetazione o cerchiamo un leak perivalvolare, un
distacco della valvola del cuore, un ascesso, una fistola, un aneurisma, qualcosa che ci dica che c'è un danno a
livello dell’endocardio.
Vedo la vegetazione ma prima di cominciare la mia terapia mi serve sapere chi è il patogeno in questione
quindi facciamo emocolture (non un set ma almeno 3 set di emocolture, aerobi, anaerobi e funghi). Aspettiamo
che cresca il batterio in coltura e cominciamo la nostra terapia antibiotica in empirico. L’emocoltura si
positivizzerà e uscirà fuori un germe e faremo un antibiogramma, vedremo a quali antibiotici sensibile o
resistente e modificheremo la nostra terapia e creeremo una terapia antibiotica mirata al germe.
La stragrande maggioranza delle emocolture vanno fatte al picco febbrile perché è il momento di massima
resa, fanno eccezione proprio le endocarditi perché sono caratterizzate da una batteriemia continua, abbiamo
batteri a livello cardiaco che vengono sparati nel sangue sempre. Quindi, non c'è motivo in corso di endocardite
di ritardare l'effettuazione delle emocolture aspettando il picco febbrile, vanno fatte subito e vanno ripetute
una volta che comincia la terapia per vedere se siamo riusciti ad azzeccare la terapia, perche se continuo a
trovare batteri nel sangue evidentemente la mia terapia non sta funzionando.

Tra le metodiche e di imaging, oltre all'ecocardio oggi abbiamo anche altre cose:
• possiamo fare la TC con mezzo di contrasto, la cardio-TC, molto utile nei pazienti con valvole
protesiche e nei pazienti con compromissioni a carico della valvola aortica
• possiamo fare la PET o la scintigrafia con leucociti marcati, anche questa molto utile nei soggetti
con valvola protesica. Cosa è la PET? Io inietto un tracciante in vena del paziente, che per la PET nella
stragrande maggioranza dei casi è il fluorodesossiglucosio, un tracciante zuccherato. Lo zucchero si
va a localizzare nelle aree ad elevato metabolismo, quindi io poi vado a vedere quelle aree che si
illuminano di più, che saranno le aree a più elevato metabolismo che di solito sono anche le aree dove
c'è infiammazione. Quindi, se io ho una valvola impiantata da almeno 4-5 mesi in cui l’infiammazione
si deve essere spenta ma alla PET la trovo scintillante è perché tutto il mio tracciante si è localizzato
lì ed evidentemente c'è qualcosa che non va a quel livello. La stessa cosa coi leucociti marcati: prendo
dei globuli bianchi del paziente, li marco, li risparo al paziente e questi si vanno a localizzare lì dove
c'è bisogno, dove c'è infezione e infiammazione, e io poi vedo queste zone luminose. Molto utili queste
metodiche in chi ha una valvola protesica. Stessa cosa per la risonanza magnetica.
[ - emocromo: si ritroverà una leucocitosi neutrofila (modesta) ,anemia (70-90%) trombocitopenia (15%)
- indici di flogosi: VES e PCR alti
- esame delle urine: (si deve fare sempre!) per diagnosticare glomerulonefrite rintracciando microematuria
(30-60%), leucocituria e proteinuria (50%)] questi altri esami sono presi dal file

Complicanze
• Un paziente che ha endocardite potrebbe andare incontro a insufficienza cardiaca perché si può
rompere la valvola, si possono rompere le corde tendinee, i muscolari papillari si possono danneggiare,
quindi insufficienza cardiaca acuta, una problematica in questo caso cardiologica-rianimatoria.
• Embolia perché si frammenta la vegetazione. La vegetazione è un tessuto che non è vascolarizzato,
più diventa grande più aumenta il rischio di rottura, si frammenta. Questi emboli fanno due cose dove
arrivano: per prima cosa occludono, quindi un problema di tipo ischemico, secondariamente non sono
emboli normali ma sono emboli settici, batterici, quindi dove arrivano occludono e colonizzano, quindi
possono determinare formazione di ascessi. Una vegetazione della tricuspide darà problematiche a
livello polmonare. Una vegetazione a livello della valvola mitralica darà problematiche dappertutto,
gli organi maggiormente interessati sono la milza, il fegato, i reni e al cervello.

Criteri di Duke
Per la diagnostica delle endocarditi sono stati stilati dei criteri che si chiamano criteri di Duke che sono stati
rivisti in più puntate con l'ultima revisione nel 2015. Questi criteri stadiano la possibilità di fare diagnosi di
endocardite in definita, possibile, probabile e improbabile. Si differenziano in criteri maggiori e criteri minori.
• CRITERI MAGGIORI
o Evidenza radiologica di una vegetazione, che sia l’ecocardio, che sia la TC, che sia la PET,
che sia la SPECT, che sia la risonanza
o Criterio microbiologico, quindi emocolture positive.
§ Ne bastano 2 per i germi tipici di endocardite → S. aureus, Streptococchi viridanti,
Enterococcus, Streptococcus bovis (oggi si chiama galloliticus. L’isolamento
emocolturale di questo germe suggerisce l'esecuzione di una colonscopia perché
spesso si associa al carcinoma del colon).
§ Oppure 2 emocolture, distanziate di almeno 12 ore, di germi che possono causare
endocardite ma non sono tipici.
§ Oppue 3 su 4 emocolture positive di germi che non sono causa frequente di
endocardite → un Gram- come una Klebsiella, una Brucella
§ Oppure una sierologia per Coxiella burnetii (agente eziologico della febbre Q) con
IgG > 1:800

• CRITERI MINORI
o Presenza di fattori di rischio predisponenti
o Febbre >38°C
o Fenomeni vascolari (embolie o infarti polmonari, emorragia cerebrale, emorragie
congiuntivali)
o Fenomeni immunologici (glomerulonefrite, macchie di Roth a livello della retina, aumento
del fattore reumatoide, noduli di Osler) → perché vi è una reazione infiammatoria sistemica
elevatissima che se non trattata porta allo sviluppo di fenomeni immunologici ormai solo
storici
o Tutte quelle evidenze microbiologiche che non rientrano tra i criteri maggiori:
§ 1 sola emocoltura positiva per Klebsiella
§ Titolo più basso per Coxiella
§ 1 sola emocoltura positiva per lo Stafilococco

Per fare diagnosi di endocardite definita attraverso questa classificazione servono:


• 2 criteri maggiori
• 1 maggiore e 3 minori
• 5 minori
La resa delle emocolture non è così alta, fino al 30% dei casi possono risultare negative, nella stragrande
maggioranza dei casi perché il paziente assume antibiotici prima (quindi riescono a sterilizzare male il circolo
sistemico ma non curano l’endocardite) o perché sono germi fastidiosi difficili da coltivare, per esempio i
funghi, vi ricordo che l’endocardite da Candida per esempio è una patologia gravissima elevatissima mortalità,
oppure batteri intracellulari, per esempio il micoplasma o la brucella, oppure i germi del cosiddetto gruppo
HACEK (Haemophilus, Aggregatibacter, Cardiobacterium, Eikenella e Kingella). In questi casi ci viene in
aiuto la sierologia e la biologia molecolare.
Non è detto comunque che riusciremo a trovare la causa. In quel caso dobbiamo procedere con una terapia
antibiotica empirica e seguiamo il paziente dal punto di vista clinico con la sintomatologia, lo seguiamo con
gli indici di flogosi, con gli esami del sangue, se gli indici di flogosi calano sta funzionando, se salgono
evidentemente no, c'è qualcosa che non va.

Predittori di scarso outcome


• Età avanzata
• Comorbidità
• Insufficienza cardiaca
• Insufficienza renale
• Complicanze neurologiche
• Shock settico
• Alcuni germi come Stafilococco aureus, funghi come la Candida, Gram- (non HACEK)

Terapia
La terapia antibiotica nelle endocarditi è una terapia lunga che dura da 4 settimane in poi a 6-9 settimane anche
di più in base al germe, in base alle condizioni del paziente, in base alla valvola se è nativa o se protesica (serve
più tempo naturalmente per sterilizzare una valvola protesica). È spesso una terapia di combinazione con
antibiotici parenterali, una terapia particolarmente impegnativa per il paziente.

[Si deve sempre scegliere un antibiotico battericida (penicillina e acido clavulanico), preferendo i sinergismi
cioè classi di antibiotici i cui poteri battericidi si integrano a vicenda (tipo betalattamine e aminoglucosidi).
Se possibile, fare una terapia mirata cioè sulla base del germe isolato con l'antibiogramma.
Terapia endovena (via di somministrazione parenterale) quindi è necessario il ricovero in regime ospedaliero.
Vista l'urgenza del quadro clinico e l'importanza della prognosi, spesso occorre utilizzare una terapia empirica
in quanto, anche se le emocolture spesso sono positive, richiedono almeno 48 ore e molte volte non ci si può
permettere di aspettare i risultati perché il paziente è già ricoverato in reparto.

La terapia empirica prevede:


• valvole native: ampicillina/sulbactam oppure vanco/teico +gentamicina+ciprofloxa
• valvole protesiche: vanco/teico + rifampicina ( 6 settimane) + gentamicina (2 settimane)
• TD (tossicodipendenti): vancomicina/teicoplanina oppure Oxacillina + gentamicina oppure Daptomicina +
gentamicina

Recentemente si stanno riscontrando sempre più spesso infezioni delle tasche dei pacemaker o dei
defibrillatori impiantabili: questi apparecchi hanno dei cateteri che poggiano sull’endocardio in modo tale
da risultare a contatto con il tessuto di conduzione e per questo, se si infetta la tasca, è facile che l'infezione
risalga per via retrograda fino all' endocardio; in questi casi occorre eliminare l'apparecchio contaminato perché
nessun antibiotico lo sterilizzerà e successivamente procedere con la terapia con varie classi di antibiotici (se
si ha solo l'infezione dei tegumenti dalla tasca, dopo 10-14 giorni questa passerà; se invece si ha endocardite
si prolunga la terapia per 4-6 settimane)] questa parte fra parentesi quadra lui non l’ha trattata, l’ho presa dal file

Naturalmente l’antibiotico non riesce a fare miracoli e spesso bisogna intervenire con la chirurgia, quando?
• se ci sono vegetazioni troppo grandi, perché l’antibiotico mica toglie la vegetazione, l’antibiotico serve
a sterilizzare la vegetazione e ad evitare che la vegetazione cresca, ma se c'è una vegetazione superiore
a 3 cm rimane elevatissimo il rischio di eventi embolici.
• se il paziente è costantemente sottoposto ad eventi embolici, va tolta la vegetazione.
• se c'è insufficienza valvolare ingente
• se ci sono ascessi o patologie che interessano il cuore in modo intenso serve la chirurgia.

Per le linee guida addirittura si parla di “endocarditis team” che è un team formato da un’infettivologo, un
cardiologo, un cardiochirurgo, un microbiologo e un radiologo, perché l’endocardite non è una patologia di
pura pertinenza infettivologica, ma necessita di più specialisti in base agli organi coinvolti.
HIV
L’infezione da HIV è:

• un’infezione cronica in quanto non si risolve spontaneamente dopo trattamento


• un’infezione progressiva in quanto causa danni all’organismo che peggiorano nel tempo
• un’infezione mortale a causa delle comorbilità AIDS correlate, dell’immunodeficienza e
dell’insufficienza d’organo

Si tratta di un’infezione cronica perché il virus riesce ad entrare nell’organismo, lega i recettori CD4 presenti
sugli omonimi linfociti e i corecettori CCR5 e CXCR4 (più precocemente il CCR5, più avanti nell’infezione
il CXCR4), determinando quello che viene detto tropismo del virus. Una volta legate queste strutture,
l’envelope del virus si fonde con la membrana della cellula e rilascia il genoma virale all’interno di questa.
L’HIV, che è un virus a RNA, non è dotato di una RNA polimerasi RNA dipendente, per cui il genoma
necessita di essere trascritto in DNA per poter riprodursi in RNA. Una volta formatosi il DNA questo si integra
nel genoma cellulare mediante l’integrasi virale. Questa integrazione è il motivo per cui ancora non si ha una
cura che riesca ad eliminare definitivamente l’infezione.
Il virus può determinare un’infezione produttiva, con viremia, attivazione del sistema immunitario e attacco
delle cellule CD4 da parte dei CD8 citotossici. Le cellule infettate vengono quindi distrutte dal sistema
dell’ospite.
L’HIV può determinare in alternativa un’infezione latente, nel momento in cui, dopo l’integrazione, i geni del
virus non vengono più prodotti, non ci sarà viremia. Il CD4 non produce proteine virali e resta invisibile al
sistema immunitario. Questo è il secondo motivo per cui ancora non si ha una cura definitiva per l’infezione.

L’HIV è un virus a ssRNA+, della famiglia Retroviridae, genere Lentivirus, specie Human
immunodeficiency virus 1 and 2. Ha un diametro molto piccolo, 70-120 nm. Le due specie hanno
caratteristiche strutturali e cliniche differenti.
L’HIV 1 è il più diffuso nel mondo e di esso ne esistono tre gruppi N, M, O. Il gruppo N è il più diffuso; nel
gruppo M troviamo 10 tipi diversi (A, B, C, D, F, G, H, J, K e CRF). In Europa occidentale e Nord America
prevale il sottogruppo B. In Africa c’è una prevalenza del sottogruppo C; in Africa è anche molto diffuso l’HIV
2.
È definito un retrovirus dal genoma complesso. È formato da 9 kb (9 mila basi) contenenti numerosi geni
espressi con un meccanismo di splicing alternativo. Le proteine fondamentali per la sopravvivenza e virulenza
sono essenzialmente tre: GAG, POL ed ENV. Da queste tre, mediante lo splicing alternativo possono essere
espresse altre proteine quali Vip, Vpr, Vpu, Nef, Tat e Rev che determinano la virulenza.
GAG codifica per il capside e per la matrice, determinando l’assemblaggio del virione.
POL codifica per gli enzimi che consentono l’integrazione e la riproduzione virale: trascrittasi inversa
(trascrizione da RNA a DNA), integrasi (integrazione del DNA provirale nel DNA cellulare) e proteasi
(clivaggio del precursore di GAG nelle sue forme mature).
ENV codifica per la glicoproteina di superficie gp120, che si lega al recettore CD4, e per la proteina
transmembrana gp41, che consente la fusione della membrana virale che quella cellulare.

Gene Proteina Funzione


gag Capside (p55, p24), matrice (p17), p6 Assemblaggio del virione
pol Trascrittasi inversa (p66/p51) Trascrizione RNA→DNA
pol Integrasi (p32) Integrazione del DNA provirale nel DNA cellulare
pol Proteasi (p12) Clivaggio del precursore gag (p55) nelle sue forme mature
env Glicoproteina di superficie (gp120) Legame del recettore CD4
env Proteina di transmembrana (gp41) Fusione della membrana virale con quelle cellulare
(dal Krupen)
Molti sono i geni fondamentali per l’attività di HIV (gag, pol, env etc) tra i tanti vi è TAT
che è un attivatore della trascrittasi inversa. Abbiamo altre proteine accessorie che inibiscono o disregolano
il SI in varie maniere come NEF. Il virus passa dal citoplasma al nucleo, tramite i pori nucleari e delle
proteine che ne facilitano il trasporto. Una volta nel nucleo il DNA ospite viene tagliato e si inserisce un
moncone del DNA provirale. Attraverso la proliferazione omeostatica dei CD4 avremo il perpetuarsi
della malattia perché da una cellula figlia se ne formeranno due, una volta integrato all’interno del linfocita
CD4+, il virus può restare per molto tempo latente, fin quando diversi stimoli quali il TNFα, TAT non
inducono la riattivazione del virus integrato. Dal DNA integrato vengono prodotte nuove copie di RNA e
trascritte le proteine del virus, dal cui assemblaggio si formeranno fino a 50 particelle virali/cellula che
evaderanno per gemmazione ed infetterà grazie alle sinapsi virali, un’altra cellula senza passare per il
torrente circolatorio. Le sinapsi virali sono delle piccole vie attraverso le quali il virus riesce a passare da
cellula a cellula senza esporsi. Nel corso della malattia si assiste spesso ad un cambiamento di tropismo del
virus da CCR5 a CXCR4 che caratterizza una forma più aggressiva del virus, un effetto citopatico più acuto
e quindi una progressione più rapida verso la malattia conclamata. Mentre esistono farmaci che
impediscono l’interazione di HIV con ilCCR5 (Vicriviroc), non abbiamo ad oggi farmaci che possano fare
lo stesso per CXCR4.

MUTAZIONE Δ32, IMMUNTÀ-TIMOTHY BROWN IL PAZIENTE DI BERLINO


Timothy era positivo per HIV, gli venne in seguito diagnosticata una leucemia, fu quindi sottoposto a
terapia radiante e a trapianto di midollo di un donatore con la mutazione Δ32 del recettore CCR5. Molte
forme del virus HIV utilizzano nelle fasi iniziali questo recettore per entrare nelle cellule da infettare. I
soggetti con la mutazione del recettore CCR5 risultano resistenti ai ceppi di HIV.

BERSAGLI CELLULARI DI HIV


Il principale bersaglio sono i linfociti CD4+, ma anche i monociti-macrofagi, le cellule della microglia,
SNC, è stato trovato in moltissimi organi e tessuti. Ma il fatto che le infetti non implica necessariamente
integrazione. Il virus non ha effetto citopatico diretto, in quanto esce all’esterno per gemmazione, sono le
cellule immunocompetenti a bersagliare le cellule infette, che espongono sull superficie gli Ag virali. HIV
inoltre, induce il rilascio di citochine proflogogene che mantengono un clima di flogosi cronica, tale
processo flogistico cronico porta all’invecchiamento precoce, inflamaging. Anche nel pz sottoterapia una
viremia residua o la tossicità da farmaci contribuiscono al fenomeno dell’inflamaging. Inoltre, nei soggetti
HIV+ altri virus come CMV, HSV, HBV replicano cronicamente a bassi livelli, contribuendo ad una
serie di insulti che mantengono uno status flogistico cronico. Troveremo anche più elevati livelli di LPS
(Gram−), per via del danno mucosale del tratto gastro-intestinale con continuo passaggio di batteri in
circolo. LPS lega il TLR4 ed induce i monociti-macrofagi alla produzione di TNFα e IL-6.
L’inflamaging nel soggetto HIV+ comporta un’anticipazione di 10 anni del processo di invecchiamento,
con conseguente insorgenza più precoce delle comorbilità dell’età avanzata (insulino-Resistenza,
dislipidemia, disfunzione endoteliale, ipertensione, steatosi epatica, glomerulosclerosi, danni al SNC etc).

SANTUARI IMMUNITARI E COMPARTIMENTALIZZAZIONE


Qualsiasi organo può ospitare HIV, ma in alcuni distretti noti come santuari immunologici il virus
permane, poiché né i farmaci né la risposta immunitaria raggiungono adeguati livelli per eradicarlo. Per
tale motivo potremmo avere in un pz in trattamento, assenza di replicazione nel plasma, ma attiva
replicazione e danno nel SNC poiché ivi il farmaco non raggiunge adeguate concentrazioni (Barriera
ematoencefalica).

ORIGINE E CEPPI
HIV 1 e 2 condividono il 40% del genoma, a sua volta HIV 2 è strettamente correlato a SIV. Alcuni
suggeriscono che a partire da SIV si sia sviluppato HIV2 e da questo HIV1. Le ipotesi sull’origine del virus
sono molte, alcune più verosimili di altre.
Teoria del cacciatore: attraverso lotte con primati infetti da SIV o per antropofagia (consumo di carne di
scimmia), è avvenuta l’infezione di un ceppo di SIV che ha trovato nell’uomo un ospite valido, da cui poi
sarebbe partita l’infezione.
Teoria degli aghi contaminati: in paesi in via di sviluppo come l’Africa, il riuso di aghi normalmente usa
e getta, non sterilizzabili (a 56° HIV muore), avremme potenziato lo spread dell’infezione.
Teoria colonialista: operai e camionisti avendo rapporto con prostitute hanno avuto modo di essere
contagiati e di contagiare portando il virus a grandi distanze dalla sede di contagio, favorendone lo spread.
Epidemiologia
Ad oggi ancora è impossibile determinare con esattezza il numero di infettati nel mondo.
La WHO nel 2019 stima che nel mondo 38 milioni di persone vivano attualmente con l’infezione. Rispetto al
2010 la percentuale è cresciuta del 24%.
Solo nel 2019 si stima ci siano state circa 2 milioni di infezioni nel mondo e circa 700 mila morti HIV-
correlati. Rispetto al 2010 le morti sono diminuite del 40%, dato importante e determinato dalle nuove terapie
introdotte con inibitori delle integrasi. Questo spiega anche l’aumento del 24 % delle persone che convivono
con l’infezione (ci convivono, senza soccombergli).
Secondo le stime dell’OMS c’è stato tra il 2018 e il 2019 un miglioramento nelle percentuali di positivi che
sanno di essere positivi (+ 2%) quindi è migliorata la capacità di intercettarli.
Sono aumentati anche i pazienti in trattamento (+ 5%)
I pazienti in trattamento che riescono a sopprimere il virus sono aumentati (+ 6%)
Questi dati vengono analizzati nell’ottica di obiettivi che vengono posti ogni decennio. Nel periodo 2010-2020
l’obiettivo era ottenere che il 90% degli infetti fosse consapevole, il 90% dei consapevoli fosse in
trattamento e che il 90% dei trattati divenisse viro-soppresso. A livello mondiale questo obiettivo ad oggi
(novembre 2020) non è stato ancora raggiunto. In Italia ci si è avvicinati molto.
Raggiungere l’obiettivo della viro-soppressione è importantissimo in quanto la non rilevabilità nel sangue
(limiti variabili da laboratorio in laboratorio) corrisponde a una non trasmissibilità dell’infezione.
Fondamentale risultano quindi la diagnosi idealmente di tutti gli infettati, il loro trattamento e l’efficacia di
questo.
In Italia l’incidenza nel 2018 era 4,7/100.000 ab l’anno. La prima modalità di diffusione è il rapporto
omosessuale maschile (MSM “maschi che fanno sesso con maschi”), la seconda è tramite un rapporto sessuale
etero. Più del 60% dei casi sono soggetti di sesso maschile che hanno contratto l’infezione per via sessuale.
In Italia più del 50% dei casi viene diagnosticato con un numero di CD4 inferiore a 350 cell/microlitro, in uno
stato di immunodepressione severa e che probabilmente ha già determinato la diffusione in altri soggetti.
Questo dato è determinato probabilmente dalla mancata capacità finora di cambiare la percezione dello stigma
associata alla malattia e all’infezione.
La Sicilia nel 2018 è al quinto posto per nuove diagnosi e al tredicesimo posto per incidenza in Italia.
L’incidenza stimata è 4,3/100.000 ab l’anno.
In Italia si stima che l’88% dei positivi ne sia consapevole. Dei consapevoli, l’87% è in terapia. Dei trattati,
l’87% ha ottenuto la viro-soppressione. (dati del 2018)

Cosa spinge il soggetto a fare il test HIV?


Il motivo per cui i pazienti si recano a fare un test per l’HIV è nella maggior parte dei casi una sospetta
patologia HIV-correlata o un sintomo da HIV (33%). Seguono poi comportamenti a rischio (15%),
rapporti sessuali non protetti (9.7%), iniziative di screening e campagne informative (9.8%). Solo il 3% si
reca per controllo routinario (spesso si tratta di soggetti omosessuali MSM, che rispetto alla popolazione
generale sono maggiormente sensibilizzati).
Dal 2000 al 2018 tutte le persone che non hanno effettuato terapia antiretrovirale pre-AIDS e si sono presentate
alla diagnosi già in stadio AIDS (quindi tardivamente) sono aumentate tra gli MSM e le eterosessuali femmine,
mentre per gli eterosessuali maschi il trend è rimasto invariato. I soggetti che meno frequentemente si
presentano alla diagnosi in questo stadio sono invece gli injective drug users, che frequentemente vengono
controllati dai SERT e altri enti.

Modalità di trasmissione
La trasmissione avviene essenzialmente tramite lo scambio di liquidi biologici quali sangue, secrezioni
vaginali e liquido seminale. Il virus NON si trasmette tramite la saliva e le urine. Nei liquidi biologici vengono
incluse anche siringe infette scambiate tra tossicodipendenti. La trasmissione tramite secrezione vaginale e
liquido seminale avviene in caso di concomitante lesione per altre patologie, sifilide o papilloma virus.
(dal Krupen)
VIA SESSUALE: i virioni vengono depositati a livello rettale o a livello vaginale, ivi le cellule
immunocompetenti non riescono a contenere il virus, il quale elude la risposta immunitaria nascondendosi
nei dendriti o nei vacuoli. A questo punto la cellula dendritica trasporterà il virus a livello linfonodale e lì
riuscirà a infettare i linfociti CD4+. Da qui facilmente si distribuisce a tutto l’organismo. Nei rapporti sessuali
è chiaro che lì dove vi sono delle lesioni è più facile contrarre la malattia, inoltre il passivo sarà a più alto
rischio di infezione, per via dei recettori di mucosa che il virus può sfruttare, in chi pratica rapporti anali le
placche linfatiche del Peyer sono spesso la prima sede di localizzazione del virus. Più è alto il numero di
rapporti sessuali, maggiore sarà il rischio di contrarre la malattia. Se un soggetto HIV positivo in terapia ha
una carica virale non rilevabile, il più delle volte vuol dire che avrà 0 anche nello sperma o nelle secrezioni
vaginali. Ma se a livello genitale è presente un’infezione la flogosi richiama cellule del SI, se queste sono
infette avranno la riattivazione del virus, che verrà prodotto SOLO in questa zona, quindi il rischio di contagio
è aumentato. Anche se non quantizzabile, il rapporto orale espone ad un rischio di poter acquisire la malattia.

La trasmissione verticale (mother-to-child) avviene durante la gravidanza, al parto e durante


l’allattamento perché il virus viene secreto nel latte materno. È pertanto sconsigliato in Italia e in
Europa l’allattamento al seno alle donne positive.
Durante il parto e l’allattamento la trasmissione è pressochè nulla se la madre è viro-soppressa.
In gravidanza dipende: se la madre era già in terapia prima della gravidanza la possibilità di infezione
è pari a zero. Se la madre non sapeva di essere positiva durante la gravidanza dipende dal momento
della diagnosi. La placenta infatti è più resistente durante la prima fase di gravidanza e meno durante
la fase finale; allo stesso tempo comunque l’infezione è tanto più grave quanto più è precoce.
La trasmissione iatrogena oggi in Italia è pari a zero. Su tutte le sacche di sangue viene fatto il test
HIV, HBV, HCV.
Trasmissione per rischio professionale: puntura accidentale dell’operatore sanitario che viene in
contatto con materiale sporco di sangue infetto che causa lesioni profonde. In alcuni ospedali viene
fatto sempre un test HIV al paziente prima di un intervento ma non si tratta di una procedura
regolarmente attuata per legge.

FATTORI DI RISCHIO DI INFEZIONE (dal Krupen)


• Infezione genitale: la probabilità di contagio di HIV aumenta perché queste infezioni richiamano
localmente cellule del SI
• Circoncisione: riduce il rischio di contagio (cheratinizzazione del glande)
• Ulcera: aumenta il rischio di infezione
In caso di contatto con sangue infetto non utilizzare tintura di iodio e candeggina, non strofinare, non creare
ulteriore danno, ma lavare abbondantemente con sapone. La profilassi deve essere fatta entro le 48-72h.
NON occorre fare profilassi se:
• Vi è esposizione, ma la cute è integra
• Rapporto sessuale protetto con preservativo
• Contatto con saliva, feci urine, sudore di HIV+ (non trasmettono)

Prevenzione
La principale modalità di prevenzione è l’utilizzo di “mezzi barriera”, il profilattico. Esistono altre modalità
per via farmacologica.
TasP (Treatment as Prevention): un soggetto positivo viene messo in trattamento; se risulta efficace e la
viremia diventa non rilevabile si ottiene la non trasmissibilità e quindi prevenzione.
PrEP (Profilassi pre Esposizione): ne esistono due modalità. La PrEP on demand si mette in atto assumendo
farmaco nelle 12 ore precedenti il rapporto a rischio fino alle 48 ore successive all’ultimo rapporto a rischio.
La PrEP continua è un trattamento continuo con farmaci antiretrovirali, per cui si comincia l’assunzione e
non si termina mai. I pro della on demand si basano sul fatto che il soggetto non fa una terapia continua che,
per quanto sia a basso rischio, ha sempre degli effetti collaterali. Il contro della on demand è che non sempre
si sa in anticipo quando si avranno dei rapporti a rischio. Viceversa, il contro della PrEP continua è l’assunzione
periodica di un farmaco; risulta utile invece nel soggetto che si espone spesso a rapporti a rischio. Il farmaco
utilizzato è l’emfricitabina tenofovir, combinazione di due farmaci inibitori della trascrittasi inversa
nucleosidici.
In ogni caso con queste modalità non si è protetti dall’eventuale contagio di altre patologie sessualmente
trasmissibili, cosa che invece viene garantita dal profilattico.
PEP (Profilassi Post Esposizione): può essere fatta negli operatori sanitari o nei soggetti che si sono esposti a
un rapporto a rischio. Viene fatto un test HIV al tempo t0 e si inizia una terapia vera e propria per 28 giorni al
termine della quale si rifà il test. La PEP va messa in atto entro le 48 ore dopo l’esposizione. Entro 72 ore può
essere ancora efficace. Oltre le 72 ore non c’è evidenza che sia efficace.

PATOLOGIE INDICATRICI PER FARE SCREENING


• Displasia anale o cervicale
• Malattie Sessualmente trasmesse
• Zoster <65 anni
• HBV, HCV
• S. Mononucleosiche
• Piastrinopenia e Leucopenia
• Linfonodi Sentinella

Test diagnostici
Tutti i test si fanno su sangue. Oggi ci sono dei test di quarta generazione che valutano la presenza di anticorpi
e di antigene p24. Il test ELISA è utilizzato per screening. Il Western Blot è usato come test di conferma.
Dopo aver avuto conferma diagnostica si procede al dosaggio dell’HIV RNA, positivo anche nella fase acuta.
Il test ELISA attualmente in uso è di quarta generazione, rileva la presenza di Ab e Ag p24. Sono necessarie
per la conferma due determinazioni. Si può fare un ELISA diretto quando su una piastra sono presenti gli
antigeni, si mette il siero del pz trattato, viene esposto a delle frequenze luminose e la positività si evince in
caso di fluorescenza. L’ELISA sandwich invece si attua mettendo sulla piastra l’anticorpo, si mette il siero
del pz e, se presente l’antigene questo viene legato; l’antigene si trova tra due anticorpi, uno sulla piastra e uno
aggiunto. Si espone il tutto a frequenze luminose e in caso di fluorescenza è positivo.
Viene fatta una prima determinazione su campione su siero, che viene dato sempre come indeterminato; solo
al secondo dosaggio viene eventualmente dato come positivo.
Il Western Blotting è utilizzato come conferma per la diagnosi. Si tratta di una elettroforesi. Vengono messi
su una piastra i sieri, con elettroforesi su gel di agarosio vengono separate le proteine che vengono trasferite
su un foglio di nitrocellulosa ed esposte ad anticorpi marcati. Si fa quindi una auto-radiografia che mostrerà le
bande dalle quali si potrà fare diagnosi.
Le bande evidenziano gli anticorpi per proteine e glicoproteine virali: gp160 (precursore di gp120 e gp41,
codificato da Env), gp120, p66, p51, gp41, p31, p24, p17, p15.
Per dare positività al WB bisogna avere almeno due bande tra p24, gp41 e gp160/gp120.
Una debole positività per la p24 e la p55 in assenza di tutte le altre può indicare un’infezione precoce (le prime
3-4 settimane)

Se l’infezione è molto recente il WB consente di fare una datazione dell’infezione. Tale datazione si basa sul
Fiebig’s staging. Fiebig studiando i sieri dei pazienti esposti all’infezione da HIV elaborò una suddivisione in
sei stadi. I primi cinque caratterizzano l’infezione nelle prime 12 settimane.
Nello stadio 1 di Fiebig (fase latente) l’unica cosa che permette di fare diagnosi sarebbe un test dell’HIV RNA,
già positivo dopo 12 gg.
Nello stadio 2 di Fiebig (dopo circa 20 gg dall’infezione) si osserva la positività dell’Ag p24 codificato da
GAG.
Nello stadio 3 si ritrovano l’Ag p24, gli acidi nucleici (positivi durante tutta la storia clinica) e gli Ab.
Soltanto nello stadio 6 (infezione cronica, 6 mesi dopo l’infezione) diventa positivo l’Ag p31.

Dopo la diagnosi si procede con identificazione quantitativa dell’HIV RNA con RT-qPCR. Può essere fatta
a due step o a uno step. In entrambi i casi si mette un campione, la trascrittasi, la polimerasi, il buffer e i primer
specifici. La differenza è che nella due step si ha una prima fase in cui l’RNA viene trascritto in cDNA e solo
successivamente si procede alla qPCR.

Altri esami da fare sono:


Esame emocromocitometrico con conta leucocitaria e determinazione delle sottopopolazioni linfocitarie. È
importante per lo staging di malattia alla diagnosi.
Esami ematochimici: creatinina, azotemia, esame urine, transaminasi e gamma-gt, vit D, paratormone, beta-
2-microglobulina, LDH, PCR, CPK, glicemia…. Determinano quale terapia sia più adatta al paziente.
Esami microbiologici: sierologia per HBV, HCV, HAV, CMV, EBV, VZV, Toxoplasma, test non-
treponemici (VDRL) e treponemici (TPHA), Quantiferon TB-Gold per la tubercolosi. Questi tipicamente sono
le infezioni opportunistiche che si presentano nel soggetto HIV positivo

Esami stumentali
Variabili in base alla sintomatologia: EGDS, Pap-test, Rx torace, altri esami secondo necessità.

Segni e sintomi durante l’infezione acuta (basato su uno studio condotto su 209 pz)
Febbre espressa dal 96% dei pazienti in fase acuta
Adenopatia (74%) le cosiddette “palline al collo”; si tratta di una linfoadenopatia diffusa che rientra nelle
sindromi simil-mononucleosiche.
Rush che colpisce anche le piante dei piedi e i palmi delle mani
Faringite, mialgie, artralgie, trombocitopenia, leucopenia, diarrea, nausea, vomito, mal di testa, candidosi
orale, epatosplenomegalia, neuropatia ed encefalopatia (queste ultime due solo nel 6%).

Criteri CDC Atalanta del 1993.


Vengono suddivise 3 categorie della malattia A, B, C, rapportate al numero di linfociti CD4 e alle
condizioni cliniche.
Categoria A: pz con infezione acuta
da HIV, infezione asintomatica,
linfoadenopatia generalizzata
persistente.
Categoria B: infezione sintomatica,
condizioni non-A e non-C.
Categoria C: pz con AIDS.

Sotto-classificazione in base ai livelli di CD4, se >di 500/mmc, tra 200 e 499/mmc, <200/mmc.
Le infezioni acute sono più verosimili in stadio A1-A2.

Stadio A
Infezione Asintomatica: soggetto sieropositivo clinicamente asintomatico, con possibili modifiche
dell’ematocrito (linfopenia- trombocitopenia) e/o immunologiche (riduzione del rapporto CD4/CD8 oppure
una deplezione dei CD4/die del 5%).
Normalmente il rapporto CD4/CD8 è uguale a 1, in questi soggetti può scendere sotto i 0.5. Anche in caso di
infezione asintomatica scende sotto 0.5 perché i CD4 diminuiscono mentre i CD8 aumentano.
Infezione acuta con sintomi associati
Linfoadenopatia generalizzata persistente: condizione caratterizzata da linfoadenomegalia superficiale ad
eziogenesi sconosciuta, con linfonodi di diametro > 1cm in due o più stazioni escluse le inguinali, persistente
per più di 3 mesi.

Stadio B
Malattia costituzionale con febbre persistente superiore a 38 °C da più di un mese, perdita di peso superiore
a 7 kg (o maggiore del 10% del peso corporeo) e diarrea persistente da oltre un mese.
Condizioni non-A e non-C includono: herpes zoster in più di un dermatomero o ricorrente, candidosi
orofaringea, sintomi costituzionali, leucoplachia orale villosa, porpora trombocitopenica, angiomatosi
bacillare, neuropatia periferica, candidosi vaginale, displasia cervicale o carcinoma in situ della cervice,
malattia infiammatoria pelvica, isteriosi.

Stadio C
Criteri per la notifica di AIDS i più importanti sono: candidosi esofagea, carcinoma invasivo della cervice,
retinite da CMV, sarcoma di Kaposi, Micobacterium avium complex o Micobacterium disseminati ed
extrapolmonari, tubercolosi in qualsiasi localizzazione, polmonite da Pneumocystis carinii, Toxoplasmosi
cerebrale, encefalopatia multilocale progressiva, encefalopatia HIV-correlata.

AIDS Sindrome da Immunodeficienza Acquisita


Complesso di segni e sintomi alla base dei quali sta un danno del sistema immunitario, incapace di difendersi
dalle infezioni, conseguente all’infezione da HIV.
Nella storia naturale dell’HIV bisogna valutare la
viremia (curva rossa) e i livelli dei CD4 helper (curva
blu). Al tempo t0 si ha l’infezione. Nell’arco delle
prime tre-sei settimane si raggiunge un picco di
viremia che corrisponde a una brusca discesa dei
CD4 sotto i 500 cell/mmc (v.n. 1000 cell/mmc). In
questa fase può verificarsi, ma non in tutti i soggetti,
una sindrome acuta da HIV con ampia diffusione del
virus in tutto l’organismo e diffusione negli organi
linfoidi. Successivamente nell’arco delle prime 12 settimane la viremia torna a scendere e i CD4 a salire,
senza però ritornare mai ai livelli inziali. Comincia quindi una fase di latenza clinica e virologica in cui, in 10
anni circa, l’infezione non dà segni di sé ma provoca danni cronici con lenta e progressiva discesa dei CD4
che non riescono più a tenere sotto controllo l’infezione. Al termine di questa fase si presentano dei sintomi
costituzionali e una discesa dei CD4 fino allo zero. La viremia non è più controllabile e si presentano i
sintomi da AIDS, che può provocare anche il decesso.

Nella classificazione CDC il paziente affetto da AIDS rientra nella categoria C (C1, C2, C3).

Infezioni opportunistiche nell’AIDS


Si definisce uno stadio di rischio per infezioni opportunistiche quando i livelli di CD4 scendono sotto i 200
cell/mmc.
Sotto i 200 cell/mmc: aumento del rischio per polmonite da Pneumocystis carinii, candidiasi esofagea, episodi
ricorrenti di herpes muco-cutaneo
Sotto i 100 cell/mmc: rischio per Toxoplasmosi, pneumococcosi, coccidioidomicosi, CMV con retinite,
Micobacterium avium complex disseminato o polmonare.
Sotto i 50 cell/mmc: rischio per Criptosporidiosi e leucoencefalopatia multifocale progressiva.

Candidosi esofagea. Caratterizzata dalla presenza di placche biancastre tipiche; anche nelle aree limitrofe si
ha una forte iperemia con infiammazione che determina fastidio, odinofagia e disfagia.

Sarcoma di Kaposi. Causato dal HHV8 con tropismo per le cellule linfocitiche di tipo B, porta allo sviluppo
di una neoplasia su cute e mucose con proliferazione delle cellule endoteliali e cellule vascolari. Si determinano
delle placche violacee alla cute diffuse su più distretti. Ancora più pericolose sono le placche viscerali nella
mucosa gastrica, tracheale, bronchiale e polmonare. Le lesioni cutanee verosimilmente regrediscono con la
sola terapia antiretrovirale con aumento dei CD4. Le lesioni viscerali necessitano di una chemioterapia.

Polmonite da P. Jerovecii. Si tratta di un fungo che causa polmonite interstiziale tipica degli stati
immudeficienti. Non colpisce solo un lobo polmonare ma tutti i lobi anche in entrambi i polmoni. Determina
incapacità di respirare. Necessita di terapia antibiotica con cotremossazolo e anche di ventilazione non invasiva
o invasiva con tracheotomia/intubazione.

Toxoplasmosi cerebrale. Patologia parassitaria caratterizzata da lesioni simil-circolari ipodense internamente


alla TC con lesioni ad anello circostante iperdense. La sintomatologia è determinata dalla compressione del
tessuto cerebrale circostante con sviluppo di edema. Può manifestarsi con sintomi di meningite,
meningoencefalite, encefalite e encefalomielite.

HAND (HIV-associated Neurocognitive Disorders). Si tratta di disordini neurocognitivi direttamente


determinati da un danno causato dal virus. I sintomi tipici sono tremore, atassia, iper-reflessia, paraparesi
spastica (paralisi rigida degli arti inferiori o superiori con muscolo persistentemente contratto), incontinenza
degli sfinteri.
HIV può infatti replicarsi anche nelle cellule del sistema immunitario presenti nel SNC con immuno-
attivazione intratecale, disfunzione neuronale e danno cerebrale. Il quadro viene definito AIDS Dementia
Complex e alla risonanza magnetica si caratterizza per un allargamento delle circonvoluzioni, ampliamento
dei ventricoli cerebrali, riduzione della sostanza bianca e grigia, cioè una atrofia cerebrale.

Retinite da CMV. Caratterizzata da necrosi granulare della retina a diffusione centrifuga, emorragie,
proliferazione vasale e edema retinico. Può portare alla cecità.

Malattia da CMV disseminata. Coinvolgimento sistemico con retinite, polmonite, ulcere con sanguinamento
e perforazione (esofagee, gastriche, tenue, colon), meningoencefalite con demenza, deficit dei nervi cranici
(nistagmo, disorientamento, letargia).

PML Leucoencefalite multifocale progressiva. Causata dal JC virus, presente in forma latente nel 70% degli
individui, si riacutizza nelle forme gravi di immunodepressione. Causa distruzione degli oligodendrociti
provocando una progressione rapida verso la morte dopo qualche mese.

Terapia HIV
La terapia dell’HIV è la HAART (Highly Active Anti Retroviral Therapy).
Prima del 1995 invariabilmente in circa 10 anni tutti i pazienti morivano. Non si era ancora trovata una corretta
formulazione terapeutica sia perché il virus, a causa di mutazioni, tende a selezionare ceppi resistenti, sia per
gli effetti collaterali pesanti e numerosi.
Nel 1996 si ha una svolta con la HAART con la quale i casi di AIDS e la mortalità si sono ridotti
progressivamente. L’aspettativa di vita è fortemente migliorata; oggi la sopravvivenza a 70 anni dei soggetti
HIV-positivi non si discosta molto da quella della popolazione generale.

Il primo farmaco è stato la Zidovudina del 1986. Fa parte della famiglia degli inibitori nucleosidici della
trascrittasi inversa (NRTI), analogo della timidina dotato di un gruppo azidico al posto del gruppo 3’-
ossidrilico. Inibisce l’enzima trascrittasi inversa virale in quanto viene incorporato nella catena nascente di
DNA e la interrompe perché non vengono più legati altri nucleotidi a valle.
Veniva dato in monoterapia. All’inizio della terapia l’RNA virale diminuiva in circolo per poi a un tratto subire
un rebound.
Stessa cosa succedeva nel 1994 con l’introduzione di altri analoghi nucleosidici.

Altre categorie di farmaci sono dirette contro enzimi virali quali integrasi, retrotrascrittasi inversa e proteasi.
Si tratta di Inibitori della fusione (anti CCR5), Inibitori delle integrasi, Inibitori delle proteasi e Inibitori
della trascrittasi inversa (nucleosidici e non).
Questi farmaci, introdotti dal 1998 in triplici combinazioni a più bersagli, determinano una stabile riduzione
della viremia che si mantiene non rilevabile.

Oggi il numero di farmaci disponibili e di combinazioni è molto elevato. La cosa più importante è che tutto
questo viene garantito con una sola pillola al giorno, il che consente una compliance alla terapia molto più
elevata rispetto al passato, quando erano necessarie numerose pillole diverse volte al giorno.
Il futuro saranno le formulazioni long-acting.

Parametri da valutare durante la terapia.


RNA virale: deve essere mantenuto sotto i limiti di rilevabilità (fissato a 50 copie/mL).
Il numero di CD4 deve essere in aumento.
Nel 2000 uno studio di Paterson valuta la percentuale di aderenza alla terapia per mantenere la viremia sotto
le 400 copie/mL.
Chi aveva un’aderenza <70% aveva una viremia >400copie/mL, mentre con un’aderenza al 95% la viremia si
attestava sotto le 400 copie.
Oggi con le nuove terapie con un’aderenza al 90-95% si ha una forgiveness del 98% (anche se il pz dimentica
3 pillole al mese si ha una buona copertura terapeutica).

Complicanze di una cattiva aderenza.


Prendendo la terapia solo saltuariamente si determina una riduzione della concentrazione farmacologica in
circolo ed emergono ceppi resistenti che si duplicano e prevalgono. I livelli di farmaco devono essere sempre
superiori alle concentrazioni minima inibente per inibire la replicazione virale.

Linee guida per iniziare la terapia antiretrovirale.


In tutti i casi fino ad oggi la terapia di base è costituita da due inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa
più un terzo farmaco (inibitore delle proteasi, inibitore non nucleosidico della trascrittasi inversa o inibitore
delle integrasi).
Si utilizzano terapie di triplice combinazione: due inibitori della trascrittasi inversa e spesso un inibitore della
integrasi.
La ricerca sta ancora lavorando su metodi per debellare definitivamente il virus dalle cellule (vaccini, terapie
geniche…) finora senza successo.
Si riportano di seguito le linee guida Italiane del 2017 e le Europee del 2019 (non è necessario saperle, solo
per chi volesse approfondire a titolo informativo)

Nelle linee guida del 2019 si introducono (in soggetti negativi a HBV e HCV, viremia<500.000 copie e CD4
>200 copie) terapie duplici con inibitori delle integrasi e inibitore nucleosidico della trascrittasi inversa
(Lamivudina).
Novità delle linee guida del 2019 è l’introduzione di un inibitore non nucleosidico della trascrittasi inversa
come terzo farmaco di prima linea, la Toravirina.
EPATITI
GENERALITÀ
L’epatite è un’infezione del fegato caratterizzata da infiammazione e necrosi dell’epatocita. I virus epatotropi
maggiori sono i virus dell’epatite HAV, HBV, HCV, HDV, HEV. Essi interessano primariamente il fegato.
Tuttavia quasi tutti i patogeni possono avere un interessamento epatico secondario come il virus di Epstein-
Barr che causa mononucleosi infettiva, brucella, endocardite, polmonite da legionella, tbc, leishamaniosi.

• HAV, HEV: solo infezione acuta, che si autolimita nel tempo (sono virus a RNA, a trasmissione oro
fecale)
• HBV, HCV, HDV: danno un’infezione acuta che può cronicizzare (HBV è un virus a DNA, HCV e
HDV sono virus a RNA). Si trasmettono prevalentemente per via parenterale ma ad oggi il virus
dell’epatite B si trasmette soprattutto per via sessuale.
Incubazione variabile:

• breve per i virus che danno infezione acuta: HAV (15-45 gg) e HEV (14-60 gg)
• lunga per i virus che danno infezione cronica: HBV (30-180 gg) e HCV (15-160gg), fino cioè a 6 mesi.
Ciò è importante perchè se per esempio mi pungo con un ago di un paziente infetto da HBV o HCV
devo fare controlli fino a 6 mesi.

Tutti i virus dell’epatite possono dare una forma acuta caratterizzata da 3 fasi:
• fase prodromica con malessere generale, discomfort addominale, febbricola, stanchezza
• fase itterica
• convalescenza con restitutio ad integrum
Solo HBV e HCV possono dare la forma cronica. Per parlare di epatite cronica l’infezione deve persistere per
oltre 6 mesi.
Tutte le epatiti possono dare come complicanza queste tre forme:

• Epatite a decorso protratto, come un HAV o HEV che dura oltre 2-3 mesi
• Epatite colestatica: interessa prevalentemente la sintesi di birilubina. Si manifesta con aumento modico
o nullo di transaminasi (enzimi di citolisi) e spiccato aumento di birilubina e gamma GT
• Epatite fulminante, caratterizzata da rapida e massiva distruzione del parenchima epatico.
Come monitoriamo un paziente con epatite? Valutare:

• Transaminasi ALT e AST, (cut-off 40 U/L)


• Birilubina totale, diretta e indiretta
• Albumina
• Fattori della coagulazione
In un’epatite fulminante tra albumina e fattori della coagulazione è più utile monitorare i fattori della
coagulazione (l’attività protrombinica scende al di sotto del 70-80% mentre l’INR sale) dal momento che
l’albumina ha un’emivita troppo lunga. L’unica trattamento dell’epatite fulminante è il trapianto di fegato.

VIRUS DELL’EPATITE A
• RNA Picornavirus (27 nm, uno dei virus più piccoli, da cui il nome)
• Unico sierotipo nel mondo
• Malattia acuta ed infezione asintomatica
• No infezione cronica
• Anticorpi protettivi che si sviluppano in risposta ad infezione conferiscono immunità permanente.
• Via di contagio oro fecale.
• Presente nelle regioni a basso tenore igienico-sanitario (Africa, America del Sud, India)
Esiste un vaccino.
Lo troviamo nelle feci soprattutto, ma anche nel sangue e nella saliva.

Epidemiologia
• Area ad elevata endemia (Africa, Medio Oriente, India): infezione acquisita abitualmente nella prima
infanzia (contatto diretto) e decorre per lo più in modo asintomatico. Rari i casi tra gli adulti e le
epidemie.
Nota: nei bambini decorre in modo asintomatico perché l’immunità cellulo-mediata e umorale è meno
sviluppata. Il danno provocato da epatite infatti non è un danno diretto (il virus non ha cioè effetto
citopatico) ma è un danno immuno -mediato. Dunque se il sistema immunitario è meno sviluppato o
l’infezione decorre in modo asintomatico oppure cronicizza.
• Area a bassa endemia (paesi industrializzati): possibili focolai epidemici (ridotta % di soggetti
giovani/adulti immuni).

Nel 2017 si sono verificati oltre 3000 nuovi casi in tutta Italia, soprattutto al Nord.

Trasmissione
• Cibo o acqua contaminati (alimenti crudi, molluschi crudi): eliminazione fecale da 1-2 settimane prima
a qualche giorno dopo l’inizio dei sintomi. Quindi un individuo infetto che non sa di avere l’infezione
perché non ha ancora manifestato i sintomi inizia già ad infettare altri individui.
• Contatti personali (familiari, sessuali(MSM), asili)
Il virus colpisce prevalentemente il sesso maschile e la trasmissione per via sessuale ha superato quella per via
alimentare.

Patogenesi
• Si replica nel sito di ingresso (orofaringe)
• Raggiunge il fegato
• Replica negli epatociti/ cellule di Kupffer
• Viene escreto con la bile nell’intestino
• Eliminazione fecale

Quadro clinico
• Incubazione: media 30 giorni, ma si può estendere fino a due mesi.
• Complicanze: epatite fulminante, colestatica, protratta
• La probabilità che insorga l’ittero aumenta all’aumentare dell’età
• Sequele croniche: nessuna
Il picco viremico coincide con il picco di transaminasi, con il picco di IgM e di eliminazione del virus nelle
feci.

Diagnosi (sierologica)
• ricerca anti HAV IgM nel siero
• dosaggio HAV RNA (poco utile)
Se vogliamo sapere se un paziente ha avuto HAV o ha risposto al vaccino cerchiamo le IgG

Profilassi specifica
• vaccino (virus inattivato): 2 dosi (a 0 e 6 mesi). È consigliato a viaggiatori provenienti da zone a bassa
endemia, personale sanitario, MSM, epatopatici.
• Profilassi post esposizione: unica somministrazione di vaccino entro due settimane dall’esposizione.

VIRUS DELL’EPATITE E
• Virus a RNA
• Famiglia Hepeviridae
• 8 genotipi
• Malattia acuta ed infezione asintomatica
• Trasmissione oro fecale
• No infezione cronica
• Anticorpi protettivi che si sviluppano in risposta ad infezione non conferiscono immunità
permanente perché potrei infettarmi con genotipi diversi.

Epidemiologia
• Trasmissione interumana trascurabile
• Zone endemiche in Asia Medio Oriente, Africa, America Centrale
• In Italia dal 2007 al 2010 solo 60 casi
• Oltre 3 milioni di casi l’anno
• Elevata letalità nelle gravide sia per il feto che per la madre
• Distribuzione geografica sovrapponibile ad HAV
HEV è presente nel sangue e nelle feci dei soggetti con infezione acuta da pochi gg prima a 5-6 settimane dopo
l’insorgenza dei sintomi (permane di più rispetto ad HAV).
Ha una carica infettante minore dell’HAV.

Clinica
• Periodo di incubazione: media 40 gg, range 15-60gg
• Mortalità 1-3%, gravide: 15-25%
• Gravità dei sintomi: aumenta con l’età
• Non cronicizza
Il picco della viremia coincide con il picco di transaminasi e IgM anti HEV.

Diagnosi:
• IgM e IgG anti HEV
• HEV RNA
In corso di epatite acuta le linee guida raccomando di fare la diagnostica anche per l’epatite E (poco utilizzata),
soprattutto quando le altre epatiti risultano negative.
VIRUS DELL’EPATITE B (HBV) (spesso domanda d’esame)
• Unico virus epatotropo maggiore a DNA
• Famiglia Hepadnaviridae
• 100 volte più infettivo dell’HIV
• Presente nel sangue e fluidi biologici dove sopravvive per più di una settimana

Concentrazione di HBV nei liquidi biologici:


Ø Alta: sangue, siero, essudati
Ø Moderata: liquido seminale, secrezioni vaginali, saliva
Ø Bassa/non identificabile: urine, feci, sudore, lacrime, latte materno
La concentrazione dipende dalla carica virale (stessa cosa vale per HIV). Per una carica virale di 20 milioni
non si può dire che la concentrazione nel liquido seminale sia moderata; posso dirlo per una carica di 20 mila.

Epidemiologia
HBV è maggiormente diffuso nelle zone a basso tenore igienico sanitario (da noi è poco diffuso)
Vaccinazione obbligatoria dal 1991, è semplicissimo infettarsi di HBV in un reparto.

• Causa (infettiva) più frequente di cirrosi e HCC (la causa non infettiva più frequente, nonché prima
causa di cirrosi è l’alcolismo).
• 5% di tutte le epatopatie croniche
• Più frequente in Oriente
Esistono diversi genotipi, tra cui alcuni cronicizzano e danno neoplasie più frequentemente. In Italia
prevalgono i genotipo D e A. La genotipizzazione non è un esame di routine.
Nel mondo ci sono 260 milioni casi di HBV. Se a questi sommiamo i casi di HCV otteniamo un totale di 325
milioni di casi di HBV e HCV, soprattutto nelle zone a basso tenore igienico sanitario.
227 nuovi casi in Italia nel 2017 (0 casi in Calabria).

Modalità di trasmissione
• Sessuale
• Parenterale:
Ø Apparente: attraverso trasfusione e trapianto d’organo. Questa modalità di trasmissione è ormai
inesistente dal momento che le sacche di sangue vengono screenate.
Ø Inapparente (questa modalità di trasmissione è più frequente in HBV piuttosto che in HIV): in
ambiente familiare, attraverso scambio di lamette, tagliaunghie, pettini, spazzolini. Contagiosità
elevatissima.
• Perinatale: HBV passa attraverso il canale del parto. HBV può passare durante l’allattamento,
nonostante la concentrazione nel latte materno sia bassa. Tuttavia la terapia azzera la carica virale e
limita il rischio di trasmissione.
La trasmissione sessuale ha superato la parenterale inapparente.
Bassa la modalità di trasmissione tramite iniezione di sostanze per via endovenosa (scambio di siringhe).
Evoluzione
Cronicizza nel 30-40% dei casi (HCV nel 60-70% dei casi).
Può dare:

• Infezione subclinica che può dare guarigione o cronicizzare


• epatite acuta
• epatite asintomatica.
Queste ultime due possono portare a guarigione, a infezione cronica, oppure ad epatite fulminante

L’evoluzione può essere: infezione, epatite acuta, infezione cronica, cirrosi (processo che si auto-mantiene,
non virus correlato) con insufficienza epatica fino ad arrivare all’epatocarcinoma.
HBV ha la capacità di aumentare la probabilità di insorgenza di epatocarcinoma anche nel fegato non cirrotico
grazie alla presenza di una sequenza x con attività oncogena. È dunque un virus oncogeno: può dare
epatocarcinoma sia in un fegato cirrotico sia in un fegato non cirrotico.
All’aumentare dell’età aumenta la probabilità che HBV dia un’infezione sintomatica acuta mentre diminuisce
la probabilità di cronicizzazione. Infatti un sistema immunitario ben efficiente mi fa un’epatite acuta riducendo
il rischio di cronicizzazione, mentre un sistema immunitario più debole mi dà più possibilità di cronicizzare.
Un bimbo ha dunque una probabilità molto più alta che l’infezione cronicizzi rispetto ad un 50enne.

Diagnosi
Antigeni:

• HbsAg proteine di superficie. Se un paziente è HBsAg positivo ha l’infezione e può contagiare (mi
basta vedere solo questo marcatore).
• HbcAg proteina nucleare (non solubile). Essendo intracellulare non è dosabile
• HbeAg proteina nucleare (solubile). È un marcatore di replicazione, indice di alta infettività. Lo trovo
nei soggetti HBsAg positivi e con IgM Anti HBc.

Gli antigeni dosabili sono dunque: HbsAg, HbeAg. Ogni antigene ha un corrispettivo anticorpale. (solitamente
quando c’è l’anticorpo non c’è l’antigene corrispondente)
Anticorpi:

• Anti-HBs
• Anti-HBc IgM e IgG. Aiutano nella distinzione tra epatite acuta e cronica
• Anti HBe, infezione che sta cronicizzando, a bassa replicazione e bassa carica virale.
Anti HBc IgM:

• Primo anticorpo a comparire nell’epatite acuta


• Indice di risposta immunitaria recente
• Marker indiretto di citolisi HBV correlata

Dunque:

• paziente che avuto infezione ed è guarito: Anti-Hbs e IgG Anti-HBc ( non trovo HbsAg e HbeAg)
• paziente vaccinato (titolo protettivo sopra 10): SOLO Anti-HBs
• infezione acuta: HBsAg e IgM Anti Hbc
Inoltre:

• HbsAg positivo: può trasmettere l’infezione


• Anti-Hbs: guarito/vaccinato

Considerazioni a proposito di questa slide:

• La foto mette in evidenza la differenza tra HBeAg positiva e HBeAg negativo.


• Quando c’è l’infezione le transaminasi sono basse, mentre in caso di epatite le transaminasi sono alte.
• Se al Fibroscan si documenta una minore elasticità vuol dire che il parenchima epatico è più duro e
dunque il processo è più avanzato.
La diagnosi può essere dunque:

• sierologica
• diretta con HBV DNA. Esso è un indice prognostico e terapeutico (per vedere se la terapia sta
funzionando e per decidere se cominciarla)
HBV ha un ciclo virale simile a quello dell’HIV. È in grado di formare il cccDNA, un DNA circolare
complementare concatenario all’interno della cellula che in seguito ad abbassamento delle difese immunitarie
fa sì che il virus si riattivi, si reintegri e riprenda la replicazione. Dunque se un paziente che ha avuto HBV,
sviluppando immunità permanente, si dovesse sottoporre a terapia immunosoppressiva (chemioterapia,
cortisoni ad alto dosaggio e lunga durata) è a rischio di riattivazione. Queste terapie abbassano infatti il titolo
anticorpale e spingono il virus a replicare. Soprattutto le malattie onco ematologiche che bersagliano i linfociti
B (anticorpo monoclonali come il rituximab) danno una riattivazione di HBV. È necessaria dunque una
profilassi anti riattivazione.
In corso di HBV abbiamo un’over produzione di HBsAg che possiamo trovare anche se il DNA è azzerato.
Nel soggetto che fa terapia è responsabile di patologie immuno mediate che si verificano in corso di HBV.

Terapia
• nucleos(t)idici: Entecavir, Tenofovir (ingannano la DNA polimerasi e arrestano la replicazione).
• Lamivudina (non sopprime del tutto la replicazione, piuttosto lo spinge a mutare e diventare resistente)
solo per profilassi anti riattivazione
Le linee spingono a trattare per:

• evitare la progressione in cirrosi


• evitare la progressione in epatocarcinoma
• per evitare di infettare altre persone
Si preferisce temporeggiare quando HBV DNA è basso e quando le transaminasi sono basse dal momento che
la terapia protratta a vita può dare importanti effetti collaterali. Tenofovir ad esempio appesantisce rene e osso.
Oggi esiste la nuova formulazione TAF che elimina queste complicanze.
Profilassi specifica:

• vaccino obbligatorio dal 91: 3 dosi (a 0, 1 e 6 mesi) a partire dai 3 mesi d’età
• se esposizione (puntura con ago da pz HBsAg positivo) e soggetto non immune: iniziare ciclo
vaccinale + Ig anti HBs entro 24-48 ore. Se siamo vaccinati non bisogna fare niente, a meno che il
titolo anticorpale non sia basso.

EPATITE D
Viroide, una delle più piccole particelle al mondo. È un virus a RNA difettivo, necessita cioè di HBs Ag per
completare il ciclo replicativo. Possiede le stesse via di trasmissione di HBV: parenterale e sessuale.

Contagio
• Coinfezione: il virus D può entrare contemporaneamente ad HBV
• Superinfezione: nei soggetti portatori di HBV, o nei B cronici, si ha il contagio con HDV. Il quadro
clinico è più grave rispetto alla singola infezione con HBV.
Diagnosi
In tutti i pazienti con HBV le linee guida impongono di cercare HDV:

• sierologia (poco usata)


• HDV RNA

Trattamento
Il trattamento è uguale a quello di HBV dal momento che è un virus difettivo.

VIRUS DELL’EPATITE C
• Virus a RNA a singola elica
• Flavivirus
• ad oggi esistono 7,8 genotipi con diversi sottotipi
• Replica rapidamente ma poiché l’RNA polimerasi fa molti errori tende a mutare

Epidemiologia
I genotipi si differenziano in base alla differente distribuzione geografica. In Italia è più diffuso il fenotipo 1A,
in Oriente il genotipo 6, mentre i genotipo 2 e 3 sono frequenti nella trasmissione per via endovenosa.
Prevalenza maggiore in adulti e anziani dal momento che la maggior parte delle infezioni sono state contratte
durante trasfusioni di sangue e trapianti d’organo quando le sacche non venivano screentate (ancora il virus
non si conosceva).
Oggi infettarsi con HBC è difficile. È un virus che si trasmette male e ha bisogno di tanto sangue. Ecco perché
un tempo si trasmetteva facilmente attraverso le sacche.
Nel 2017 ci sono stati 53 nuovi casi in Italia.
Ormai sono pochi i casi di HBC poiché:

• si screenano le sacche, vi è una maggiore attenzione da un punto di vista della diagnostica e del
trapianto
• ci sono terapie antivirali con vari bersagli (farmaci che bloccano la DNA polimersi rna dipendente,
l’RNA polimerasi dna dipendente, proteine non strutturali come l’NS5A) che eradicano l’infezione
permettendo di guarire dall’infezione cronica.

Trasmissione
• Prevalentemente parenterale, tramite iniezione di sostanze endovena
• Sessuale 5%
Un tempo i pazienti a rischio erano i talassemici, gli emofilici, gli emodializzati poiché necessitavano di uno
scambio di sangue ingente con apparecchiature o sacche non controllate.
Il rischio di trasmissione medio dopo esposizione percutanea è basso: 1,8% (range: 0-10%)
Cronicizzazione 60-80 %

Diagnosi
• Sierologica. Tuttavia non riusciamo a distinguere IgM da IgG.
• HCV RNA.
La genotipizzazione è importnante perché le terapie sono genotipo specifiche. Tuttavia esistano terapie
pangenotipiche. I farmaci sono controindicati in gravidanza.
OSTEOMIELITI
«Condizione di infezione acuta o cronica del tessuto osseo»
«Processo infiammatorio suppurativo del midollo osseo, al quale partecipano attivamente anche endostio e
periostio; le trabecole e i sistemi osteonici vengono interessati in modo passivo con fenomeni di necrosi
e citolisi»
L’osso è un tessuto generalmente resistente alle infezioni (perché è un tessuto chiuso, vascolarizzato, con
risposta immunitaria attiva) ma i traumi, come una frattura o un incidente stradale (con conseguente deficit di
vascolarizzazione e necrosi), interventi chirurgici, difetti vascolari, corpi estranei, possono determinare
colonizzazione e successiva infezione da parte di patogeni.

Anatomia
L’osso lungo è formato da due epifisi distali e dalla diafisi al centro. Tra l’epifisi e la diafisi c’è la metafisi che
va incontro ad accrescimento soprattuto nell’ infanzia. In età infantile la maggior parte delle osteomieliti si
verifica proprio a livello della metafisi. Dal punto di vista miscroscopico abbiamo dall’interno all’esterno una
porzione spongiosa, la corticale e il periostio. Il sistema all’interno del quale passano i vasi e nervi, cioè i canali
di Havers, prende il nome di osteone: esso è l’unità funzionale dell’osso.

Fattori favorenti
• Risposta infiammatoria in un tessuto poco espansibile (come avviene nella meningite): aumento della
pressione con compressione delle strutture
• I batteri digeriti dagli osteoclasti (stafilocco, soprattutto stafilocco aureus) modificano il proprio status
riducendo l’attività metabolica, assumendo le caratteristiche di un germe intracellulare e sfuggendo così
alla risposta immunitaria e ai farmaci. Sopravvivono così all’interno degli osteoclasti
• Formazione di biofilm (matrice glicoproteica con funzione nutriente e di difesa per i batteri) che
costruisce un’ulteriore barriera che limita l’ingresso del sistema immunitario e dei farmaci
• Elevata tendenza alla cronicizzazione, soprattutto per un ritardo nella diagnosi
• Spesso necessario approccio combinato (medico/chirurgico) per eradicare la patologia.

Forme acute vs Forme croniche


Si parla di forma croniche quando:
• persistenza di segni clinici/radiografici per > 6 settimane
• evidenza rx di distruzione ossea con sequestri e sclerosi (il sequestro è una zona con processo
infiammatorio/infettivo separato da un punto di vista funzionale e anatomico dal restante tessuto integro)
• persistenza o recidiva di infezione dopo cicli di antibiotico terapia
• infezione da corpo estraneo (anche protesi)
• infezione associata a insufficienza circolatoria (diabete)
• infezione sostenuta da germi che danno per definizione un processo cronico ( ad esempio la tubercolosi il
cui interessamento osseo si chiama morbo di Pott; Brucella il cui interessamento osseo si chiama
Pseudopott)

Classificazione di Lew e Waldvogel


• Ematogene (prevedono una fase batteriemica): Infezione che passa nel sangue e secondariamente si
localizza nell’osso (endocardite, con localizzazione ossea degli emboli settici). In corso di osteomieliti o
spondilodiscite dobbiamo escludere un’endocardite. Le linee guida indicano di effetturare un ecocardio.
• Secondarie ad un focolaio infettivo contiguo (Es. cellulite, erisipela, una brutta ferita che si approfonda
fino a raggiungere l’osso)
• Associate a insufficienza vascolare (Es. piede diabetico)
• Da inoculazione diretta (post-chirurgiche o post traumatiche)
Classificazione di Cierny e Mader (relativa ad anatomia e condizioni del paziente)
Anatomica:
• Stadio 1 = Midollare (confinata alla superficie endomidollare; es. osteomielite ematogena o da
dispositivo endomidollare). Per esempio in caso di contaminazione di chiodo endomidollare che viene
inserito nelle fratture di femore
• Stadio 2 = Superficiale (confinata alla corticale; es osteomielite secondaria a cellulite, a focolaio infettivo
contiguo)
• Stadio 3 = Localizzata (infezione con sequestro, l’escissione non compromette la stabilità dell’osso)
• Stadio 4 = Diffusa (estesa da parte a parte con necessità di escissione chirurgica che compromette la
stabilità dell’osso)
(Si può passare da uno stadio all’altro)
Lo stadio 3 e 4 sono caratterizzati dalla presenza di fistole che drenano materiale.

Condizioni del paziente:

• Classe A: pz sano
• Classe B: pz immunocompromesso (Bl: locale da stasi venosa, da arterite; Bs: sistemica da neoplasia, età
avanzata, diabete, terapia immunosoppressiva)
• Classe C: Pz con rischi correlati al trattamento maggiori di quelli correlati alla patologia sistemica (età
molto avanzata, rischio chirurgico alto). Si preferisce trattamento conservativo, magari solo medico.

Osteomielite ematogena dell’adulto

o Coinvolge primariamente i corpi vertebrali (disseminata ematogena): spondilite o spondilodiscite ( in


caso di interessamento del disco intervertebrale). Spesso si tratta di una spondilodiscite perchè le vertebre
hanno ricche anastomosi, sopprattutto di tipo arterioso, che porta la spondilite a coinvolgere due o più
corpi vertebrali contigui e a coinvolgere il disco intervertebrali tra esse interposto.

o Spesso coinvolgimento di 2 o più corpi vertebrali contigui (anastomosi vascolari).

o Stafilococchi sono i germi maggiormente responsabili (aureus se pz diabetico, se storia di endocardite, se


IVDU (avvezzo cioè a usare sostanze per via endovenosa); CoNS se pz con dispositivi endovascolari); nei
soggetti, spesso donne, con IVU ricorrenti ( ad esempio pielonefrite): prendere
in considerazione Enterobacterales (Klebsiella, Escherichia Coli); Enterococcus negli anziani e nei
soggetti con patologia o diagnostica invasiva a livello di prostata e intestino (biopsia prostatica, TURP,
colonscopia con biopsia)

o Osteomieliti specifiche: Brucella e M. tuberculosis.


È interessato maggiormente il tratto lombare, seguito da quello toracico. Rare ma pericolose le spondilodisciti
a livello cervicale.

Sintomatologia
§ Decorso subacuto
+ = Ritardo diagnostico
§ Sintomi aspecifici (es. dolore cronico)

Se non identificata, nel tempo, possono manifestarsi:


• Crolli vertebrali
• Ascessi paravertebrali o epidurali
• Instabilità del rachide (paziente che zoppica, che non risce a mantenere la stazione eretta)
• Compressione midollare (dolore forte alle gambe, bilaterale, che non passa (fare antidolorifici); deficit
nella coordinazione; difficoltà a camminare)
Agli esami ematochimici:
• Aumento indici di flogosi (soprattutto PCR, buon indicatore di risposta alla terapia e progressione di
malattia)
• Segni di infiammazione cronica (es. anemia normocromica normocitica, iperferritinemia)

Diagnosi
• Imaging:
Ø RM (consente di evidenziare l’infezione nelle fasi iniziali): gold standard
Ø Valuta se effettuare ecocardio
Ø PET/SPECT (valutano la deposizione di radiotraccainte come il fluorodesossiglucosio nelle zone ad
aumentato metabolismo che spesso coincidono con le zone infiiammatorie)
Ø L’RX ci dà un’idea. Ci fa vedere segni grossolani (zone di sequestro, di sclerosi). A meno che
l’ostiomelite non abbia distrutto la vertebra l’RX non ci serve molto.

• Diagnosi eziologica
Ø Emocolture (bassa resa). Spesso infatti quando c’è ostiomelite la batteriemia si è già verificata ed è
dunque in via di risoluzione. L’emocoltura ha senso nelle ostiomeliti acute in corso di endocardite o
altre patologie che causano batteriemia.
Ø Prelievo TC guidato di campione istologico (alta resa). Se c’è un ascesso paravertebrale o paraspinale
è preferibile fare il prelievo dall’ascesso piuttosto che dall’osso. Dopo il campione si mette in coltura.

Terapia
• Osteomielite vertebrale potrebbe essere gestibile con la sola terapia antibiotica
• Chirurgia indicata per bonificare eventuali ascessi non altrimenti trattabili o compressioni midollari o
instabilità del rachide
• Durata non codificata (6 settimane?), PCR indice indiretto di risposta alla terapia
• Antibiotici con buona penetrazione nel tessuto osseo. Iniziare con terapia empirica, ma programmare
un iter diagnostico soprattutto se il paziente è stabile (emocultura, prelievo TAC guidato) per passare alla
terapia eziologica.

Osteomieliti secondarie a focolaio infettivo contiguo


o Forme più frequenti
o Fino al 25% dei casi sono forme conseguenti a fratture esposte (spettro di microrganismi ampio, spesso
polimicrobiche)
o Forme associate a patologie della cute e tessuti molli, ferite, trattamenti chirurgici (prevalgono
gli Stafilococchi)
o Le zone ossee colpite, vittima di necrosi avascolare, vengono spesso separate prima funzionalmente e poi
morfologicamente dal resto dell’osso (santuari dell’infezione). È ancora più difficile per l’antibiotico
arrivare in queste zone.
o Frequente la formazione di tragitti fistolosi verso l’esterno con coinvolgimento dei tessuti molli.

Diagnosi
• Imaging (RM gold standard, ma anche TC o PET)
• Accertamento eziologico non invasivo: non eseguibile!
• NON ESEGUIRE tamponi e colture su essudato da fistola! (valore diagnostico minimo, spesso
contaminanti). Il germe isolato è spesso un germe che si trovava sulla cute e ha poi colonizzato il buco:
non è il germe che ha provocato l’ostiomelite
• Effettuare coltura dell’osso, da biopsia o su materiale chirurgico.
Terapia
• Approccio combinato (medico-chirurgico). Si fa spesso una toeletta chirurgia: si apre, si bonifica, si
toglie il pezzo di osso, si mette una protesi. Infine si fa la terapia medica per sterilizzare.
• Terapia iperbarica, sia locale che sistemica

Infezioni delle protesi articolari

Sono molto frequenti poiché il tasso di protesizzazione è aumentato, e perché spesso si tratta di pazienti anziani
con comorbilità e immunodepressione.

• Principalmente causate da cocchi Gram positivi (Stafilococco aureus e CoNS)


• Entro 24 mesi dal posizionamento, si considera acquisita in sala operatoria

A insorgenza precoce (se entro 4 settimane dall’intervento):


• Andamento acuto
• Segni e sintomi nei primi gg post intervento
• Stafilococco aureus è il patogeno predominante
A insorgenza tardiva (tra 1 e 24 mesi):
• Evoluzione subacuta
• Clinica dominata dal dolore
• Si può associare alterazione funzionale
• Stafilococchi, Enterococchi, Corynebacteria
• La si considera sempre acquisita in sala operatoria

A insorgenza molto tardiva (> 24 mesi):


• Sovrapponibili alle osteomieliti ematogene
• Eziologia ampia
• Sintomatologia variabile, sempre dominata dal dolore

Diagnosi
• Clinica (soprattutto nelle forme precoci)
• Ematochimici (aumento della PCR o valore persistentemente elevato)
• RM non effettuabile spesso per gli artefatti indotti dalle componenti della protesi
• Utili le tecniche di medicina nucleare (SPECT, PET)
• Studio del liquido sinoviale (coltura e analisi biochimica)
• Diagnostica microbiologica su protesi (sonicazione e coltura del liquido ottenuto)
Sonicazione: tolgo la protesi infetta, la sonico, cioè la centrifugo ad altissima velocità in modo da staccare
il biofilm che avvolge la protesi, prendo il materiale sonicato e lo metto in coltura.

Terapia
o Non c’è indicazione a terapia antibiotica prima dell’intervento chirurgico (sia di rimozione che di toeletta).
Prima fare sempre chirurgia, o al massimo fare contemporaneamente terapia chirurgica e terapia medica.
La sola terapia medica non permette di guarire da infezione di protesi.
o Nelle forme precoci razionale di trattamento semiconservativo (pulizia chirurgica senza rimozione)
o Nelle forme tardive, rimuovere la protesi:
Ø Rimozione protesi
Ø Posizionamento di spaziatore antibiotato (mantiene l’integrità dell’articolazione e rilascia antibiotico)
Ø Terapia antibiotica sistemica
Ø Riposizionamento protesi (quando la PCR e gli indici di infiammazione scendono)

(Vedere review sulle osteomieliti che il prof ha caricato)


INFEZIONI FUNGINE
Le micosi si suddividono in superficiali, sottocutanee, profonde e sistemiche/invasive.

Micosi sistemiche/invasive (IFI)

Sono sempre più frequenti le infezioni fungine invasive perchè l’età media dei pazienti è sempre più alta,
perchè è aumentata la percentuale di procedure invasive, di cateteri intravascolari, nutrizione parenterale totale
e perchè è aumentato l’impiego di terapie immunosopressive, chemioterapiche e post trapianto.

Si verificano in seguito alla penetrazione dei miceti nel torrente ematico e interessano, di solito, soggetti con
immunodeficit (congenito o acquisito).

Si localizzano a carico dei tessuti profondi e coinvolgono uno o più organi. (l’interessamento di un organo da
parte di un fungo è più grave dell’interessamento dello stesso da parte di batteri: un’infezione fungina è indice
che il sistema immunitario è fortemente compromesso).

In condizioni normali, i funghi penetrano nell’organismo attraverso i polmoni, intestino, seni paranasali, cute
(ricorda che la candida è un commensale intestinale, gli aspergilli si trovano dispersi nell’aria, come anche gli
zigomiceti).

Successivamente, invadono il torrente circolatorio e disseminano.

• Infezioni respiratorie endemiche (interessano sia pazienti immunocompromessi che


immunocompetenti): Histoplasma capsulatum, Coccidioides immitis, Paracoccidioides brasiliensis,
Penicillum marneffei.

• Infezioni opportunistiche micotiche (colpiscono individui immunocompromessi e/o affetti


da patologie invalidanti): Candida, Aspergillus, Zygomycetes.

Fattori di rischio principali:


• Emopatie maligne
• Tumori solidi
• Chemioterapia
• Neutropenia (in acuto è maggiore il rischio di infezione batterica, in cronico di infezione fungina)
• Terapia steroidea
• Immunodeficit
• Terapia antibiotica prolungata con distruzione del microbiota
• Trapianto d’organo
• CVC
• NPT
• Malnutrizione
• Ventilazione assistita
• Chirurgia maggiore
• Ustioni
• Dialisi
• Età estreme
• Terapia intensiva

Diagnostica

• Clinica/presuntiva (febbre in un paziente con terapia antibiotica e presenza dei fattori di rischio)
• Ricerca di antigeni panfungini (betaglucano, mannano, Ab anti-mannano) e antigeni specifici
(galattomannano)
Si dosano nel siero e in qualsiasi altro liquido biologico
• Isolamento colturale da sangue o tessuto

Funghi filamentosi e aspergillosi


Sottotipi di Aspergillus: Flavus, Niger, Fumigatus ecc..(il prof consiglia di andare a ripassare i vari sottotipi
sul libro)

Spettro delle manifestazioni cliniche

• Saprofitica: otomicosi, aspergilloma polmonare (massa fungina che si localizza in una cavità preformata;
è asintomatica, ma può dare un effetto massa a livello dei seni paranasali, dell’orecchio o di una cavità
polmonare preesistente)
• Allergica (per sensibilizzazione del tratto respiratorio agli antigeni fungini): sinusite, aspergillosi
broncopolmonare allergica
• Invasiva (la più grave): polmonite nell’immunodepresso e localizzazioni metastatiche extrapolmonari:
ascessi cerebrali, interessamento del miocardio ed endocardio, artrite settica, osteomielite.
Può interessare il polmone secondariamente, un polmone cioè già gravato da bronchiectasie, fibrosi cistica,
tbc con caverne polmonari. Prima le zone già danneggiate vengono colonizzate dall’asperigillo che poi
continua il processo di escavazione e allarga la cavità. Aspergillo di solito non scava (a meno che il
paziente non sia molto immuno depresso) ma colonizza cavità preesistenti.

Fattori di rischio dell’ospite: immunodeficit, chemioterapie per terapie ematologiche, neutropenia, uso di
cortisonici, terapia antibiotica protratta.

L’aspergillosi broncopolmonare invasiva, cioè la polmonite vera e propria, (andare a vedere le altre forme,
allergica e aspergilloma, sul libro) si manifesta dal punto di vista radiologico con pattern classici come il segno
dell’alone, dato dalla presenza di un’area iperdensa centrale (rappresenta l’aspergillo) con un alone sfumato
che circonda la lesione e che forma semilune (air crescent sign). Spesso si vedono delle cavità nere con dentro
dei filamenti che si dipartano dalla parete.

Diagnosi
• Antigeni panfungini: betaglucano elevato
• Antgeni specifici: galattomannano (nel paziente neutropenico è aumentato nel siero, nel paziente non
neutropenico ha una buona resa sul BAL)
• Coltura da sangue e da campione istologico (da una lesione polmonare faccio il BAL, una biopsia e
metto in coltura)
Sintomatologia della localizzazione polmonare (78,4%, localizzazione più frequente) è quella tipica
di una polmonite:
• Febbre
• Tosse
• Dispna
• Dolore toracico per interessamento della pleura
• Emottisi se la caverna interessa i vasi

Terapia
Terapia di scelta: voriconazolo
Si possono usare altri azoli (come il nuovo farmaco disa miconazolo) o l’amfotericina B.
Terapia lunga (4-6 settimane)
Se l’aspergillo, arrivato al polmone per via aerea (è infatti un contaminante ambientale), passa nel circolo
ematico (ciò accade soprattutto nel paziente immunocompromesso) può localizzarsi in qualunque organo
dando: osteomieliti, endocardite, artrite settica, pericardite.

Infezioni invasive da Candida


Saprofita dell’intestino
Bisogna differenziare la candidemia dalla localizzazione d’organo della candida.
Si manifesta soprattutto in pazienti con deficit immunitario. É un patogeno ospedaliero ormai frequente. Nel
soggetto ricoverato con febbre non responsiva a terapia antibiotica dobbiamo sempre pensare a infezione
fungina e in particolare infezione da candida. É l’infezione fungina nosocomiale più frequente. Esistono diversi
sottotipi: Candida albicans, parapsilosis (frequente negli anziani e bambini), auris (candida nuova che gira
negli ambienti ospedalieri resistente agli antifungini) glabrata, krusei. Ciascun sottotipo presenta
un’epidemiologia diversa. Candida albicans è la più frequente ma anche quella maggiormente sensibile alla
terapia antifungina.

Diagnosi
Candidemia: emocoltura e fare antimicogramma. Trovare un fungo nel sangue ci obbliga ad escludere la
localizzazione d’organo. Le più frequenti localizzazioni d’organo sono endocardio e occhio ( dove causa un
‘endooftalmite), ma interessa anche fegato, milza, pericardio e sistema nervoso centrale.
L’endocardite da candida è quella gravata dalla più alta mortalità e suggerisce un approccio chirurgico
dell’endocardite. È un’ endocardite grave e destruente. Per le localizzazioni d’organo fare dunque
eco cardio transtoracico e transesofgeo ed esame del fundus oculi.

Trattamento
A differenza di aspergillus che è sensibile solo a voriconazolo ma poco agli altri farmaci, per candida abbiamo
una più vasta possibilità di scelta:

• Echinocandine
Ø Micafungina
Ø Caspofungina
Ø Anidulafungina
• Azoli
• Polieni
Ø Amphotericina B

Terapia per 14 giorni a partire dall’emocultura negativa: faccio l’emocoltura, risulta positiva, inizio il
trattamento, faccio l’emocoltura ogni giorno continuando il trattamento. Appena trovo l’emocoltura negativa
continuo la terapia per 14 giorni.
TUBERCOLOSI
L’agente etiologico della tubercolosi è il Mycobacterium Tubercolosis altresì noto come Bacillo di Koch (BK).
BK è un bacillo alcol-acido Resistente, la sua parete cellulare è ricca di cere che permettono l’entrata del colorante, ma
impediscono la decolorazione sia con acido che con alcol (viene colorato con la colorazione di Ziehl-Neelsen),
immobile, asporigeno aerobio obbligato.
M. tuberculosis causa la maggior parte dei casi di tubercolosi negli Stati Uniti
Micobatteri che causano la tubercolosi:
- M. tuberculosis
- M. bovis
- M. africanum
- M. microti
- M. canetti
Micobatteri che non causano la tubercolosi ad esempio, M. avium-complex

EPIDEMIOLOGIA
1/3 della popolazione mondiale è infetta da BK (infezione non significa malattia, solo 5-10% degli infetti
sviluppa la malattia Tubercolare), i nuovi casi ammontano a 9 milioni/anno, e ogni anno 1,3 milioni muoiono di
Tubercolosi ovvero 3.500 morti/die. Nell’Africa Meridionale si verificano oltre i 500 casi ogni
100.000 abitanti, mentre in Europa Centrale, siamo intorno ai 12 casi ogni 100.000 abitanti. In Italia si stima che
il 12% della popolazione sia Infetta. Più della metà di tutti i casi di tubercolosi in Italia sono tra persone nate
all'estero. La tubercolosi colpisce le minoranze razziali / etniche in modo sproporzionato.

I gruppi a rischio di esposizione sono chi ha contatti stretti con i malati, immigrati da aree endemiche, operatori
sanitari con >6 casi/anno, soggetti istituzionalizzati (carcere, dormitori).
Un rischio più elevato negli istituti penitenziari può essere dovuto a:
- La popolazione incarcerata comprende un'alta percentuale di persone a maggior rischio di tubercolosi rispetto
alla popolazione complessiva (i fattori di rischio possono includere l'infezione da HIV e una storia di senzatetto o
uso di droghe)
- Struttura fisica delle strutture correzionali (ad esempio, quarti di abitazione stretti, sovraffollamento, potenziale
di ventilazione inadeguata)
- Il movimento dei detenuti dentro e fuori le strutture può portare all'interruzione della terapia

I gruppi a rischio di sviluppo sono:


- Persone che vivono con l'HIV
- Bambini di età inferiore ai 5 anni e adolescenti (quando facciamo diagnosi dobbiamo tenere in conto che la
tubercolosi è stata trasmessa relativamente di recente, ma è un caso indice cioè non è mai il bambino a
infettare l’adulto ma c’è sempre un adulto che sta trasmettendo la malattia)
- Persone infette da M. tuberculosis negli ultimi 2 anni
- Persone con una storia di tubercolosi non trattata o trattata in modo inadeguato Persone che stanno ricevendo
una terapia immunosoppressiva
- Persone con silicosi, diabete mellito, insufficienza renale cronica, leucemia o cancro della testa, del collo o
del polmone

Infatti, oggigiorno si eseguono test su target specifici solitamente su popolazioni ad alto rischio.

STORIA NATURALE DI MALATTIA


Abbiamo detto che solo il 5-10% degli infetti sviluppa la malattia conclamata, di questi la metà entro 2 anni dal
contagio (durante i primi 12-24 mesi il granuloma è labile, ed è più facile che si riattivi BK), e l’altra metà nel resto
della vita (a seguito di cali immunitari). Il 90-95% degli infetti invece, non svilupperà mai malattia pur essendo
infettato da MT, questi soggetti avranno un’infezione definita latente (Latent Tubercolosis Infection-LTBI).
Affinché si sviluppi la malattia è necessario che vi sia un calo immunitario, la compresenza di malattie croniche,
etilismo cronico, malattie ematologiche, terapie con cortisonici, stress psicologici intensi (asse neuro-immuno-
endocrino). Non può trasmettere la malattia agli altri.
Circa il 10% di tutte le persone con un sistema immunitario normale che hanno LTBI svilupperà una malattia da
TB ad un certo punto della loro vita.
La LTBI si caratterizza per l’assenza di segni clinici e radiologici, e la diagnosi di LTBI si può fare solo con test
immunologici, che evidenziano una risposta immunitaria specifica contro MT, la positività ai test tuttavia può
derivare da una pregressa infezione da TBC guarita o da una presenza di MT in forma latente. Oltre ai test
immunologici occorre fare la Rx per assicurarci che non vi siano le tipiche lesioni di malattia in atto.

TEST IMMUNOLOGICI-DIAGNOSTICI

o Intradermoreazione di Mantoux-Tubercolina Skin Test

Si iniettano 5 PPD di tubercolina a livello intradermico, se il soggetto è entrato in contatto con BK li dove è
avvenuto l’inoculo dopo 48 h si sarà sviluppata una papula indurata e circondata da un’area rossa che però non deve
essere misurata (reazione ritardata di tipo IV). Quando il pz deve iniziare una terapia immunosoppressoria
(es. pz Reumatico), si può saggiare la Mantoux con 10 PPD anziché con 5 per essere più certi che non vi sia
LTBI. Il test sebbene economico presenta Falsi positivi (soggetti vaccinati con BCG- Bacillo di Calmette e
Guarine, o esposizione a MOTT-Mycobacterium Other Than Tubercolosis) e Falsi negativi
(immunosoppressi, Infezione recente da tubercolosi nelle ultime 8-10 settimane, possono essere necessarie
da 2 a 8 settimane dopo l'infezione da TB perché il sistema immunitario del corpo reagisca alla tubercolina;
età molto giovane (inferiore a 6 mesi), vaccinazione recente contro il morbillo o il vaiolo, metodo errato per
dare il TST, misurazione o interpretazione errata della reazione TST). Le persone che sono state vaccinate
con BCG possono avere una reazione TST falsa positiva. Tuttavia, non esiste un modo affidabile per
distinguere una reazione TST positiva causata dalla vaccinazione BCG da una reazione causata da una vera
infezione da TB. Gli individui dovrebbero sempre essere ulteriormente valutati se hanno una reazione TST
positiva.

• L'indurimento > 5 mm è considerato positivo per:


Persone che vivono con l'HIV
Recenti contatti di persone con tubercolosi infettive
Persone con reperti radiografici del torace indicativi di pregressa tubercolosi Persone con trapianti di organi
Altri pazienti immunosoppressi

• L'indurimento > 10 mm è considerato una reazione positiva per:


Persone che sono recentemente arrivate negli Stati Uniti da aree in cui la tubercolosi è comune Persone che
abusano di droghe
Operatori del laboratorio di micobatteriologia
Le persone che vivono o lavorano in ambienti ad alto rischio
Persone con determinate condizioni mediche che aumentano il rischio di tubercolosi (ad es. Silicosi, diabete
mellito, grave malattia renale, alcuni tipi di cancro e alcune condizioni intestinali)
Bambini di età inferiore ai 5 anni
Neonati, bambini o adolescenti esposti ad adulti in categorie ad alto rischio
• L’indurimento > 15mm è considerato positivo per:
Persone che possono essere esposte a lavoro (operatori sanitari, personale di case di cura o strutture
correzionali)

o Quantiferon-TB (test IGRA)

Test su sangue che misurano la reattività immunitaria di un soggetto ad esso. Prelevati i linfociti del soggetto
vengono saggiati con Ag specifici di BK non presenti nel BCG o nei MOTT, quali ESAT-6 e CFP-10. I
linfociti dei soggetti entrati a contatto con BK produrranno IFN-γ, il test misura i livelli di IFNγ, si basa sulla
quantità.

Test positivo à infezione probabile, test negativo à non probabile ma non può essere esclusa se ci sono
segni e sintomi o se c’è un elevato rischio di sviluppare malattia dopo infezione. Le persone convertite sono
quelle dove il risultato passa da negativo a positivo.

Se abbiamo controllo negativo che ha prodotto interferone dobbiamo porci il dubbio e ripetere il test, stesso
se il controllo positivo è risultato negativo quindi è possibile che non ha un sistema immunitario efficiente e
quindi non si esclude la malattia e va ripetuto il test nel dubbio sia stato eseguito non correttamente
Il TST (mantoux) è il metodo di test preferito per i bambini di età inferiore ai 5 anni, in realtà ci sono studi
che il quantiferon ha la stessa efficacia.
Alcune situazioni in cui i risultati di entrambi i test possono essere utili:
- Quando il test iniziale è positivo e sono necessarie ulteriori prove di infezione per incoraggiare
l'accettazione e l'adesione al trattamento del paziente
- La persona ha un basso rischio sia di infezione che di progressione dall'infezione alla tubercolosi.

Di routine non vanno eseguiti perché potrebbe insorgere il Fenomeno Booster


Fenomeno in cui le persone sottoposte a test cutanei molti anni dopo essere state infettate dalla tubercolosi
hanno:
Reazione negativa al TST iniziale
Reazione positiva al successivo TST somministrato fino a un anno dopo perché il sistema immunitario non si
è ancora desensibilizzato
Si verifica principalmente negli anziani
Può influenzare l'accuratezza del test cutaneo di base Il TST può aumentare i risultati IGRA successivi

Ricorda che l’esposizione alla tubercolina determina comunque attivazione immunitaria e quindi fare dopo
quantiferon può dare un risultato falsamente positivo

o T-Spot TB

Misura il numero di cellule secernenti IFN-γ, usato poco in Italia

In una persona con infezione da HIV, la tubercolosi può svilupparsi attraverso due strade:
- La persona con LTBI viene infettata dall'HIV e quindi sviluppa una malattia tubercolare poiché il sistema
immunitario è indebolito
- La persona con infezione da HIV viene infettata da M. tuberculosis e quindi sviluppa rapidamente una malattia
da TB
VIE DI TRASMISSIONE

BK penetra nell’organismo per via respiratoria o per via digestiva (attraverso latte infetto non sterilizzato, dato che BK
muore a 60° in 20 minuti; persiste nelle aree rurali o in via di sviluppo. Come gli altri Mycobatteri è acido
resistente, ecco perché sopravvive al pH gastrico).

Un soggetto che ha delle lesioni polmonari in comunicazione con le vie respiratorie, attraverso starnuti, tosse,
diffonde attraverso i droplet nuclei BK. Ogni droplet contiene 2-3 bacilli, il contagio interumano non è facile e
richiede tempi di esposizione prolungati, ambienti chiusi e non ventilati (stanza da letto, carceri). In generale le
gocciole di Flügge che contengono il bacillo di Koch, non percorrono distanze superiori al metro, ecco perché la
convivenza deve essere protratta, prolungata e ravvicinata. Inoltre, l’esposizione ai raggi UV, così come l’areazione
dell’ambiente lo neutralizza.

La probabilità che la TB venga trasmessa dipende da:


- Infettività del paziente TB
- Ambiente in cui si è verificata l'esposizione
- Frequenza e durata dell'esposizione
- Suscettibilità (stato immunitario) dell'individuo esposto
Quindi le condicio sine qua non per determinare il contagio sono:
1. Solo la TB polmonare è infettante, le altre sedi (ossa, organi etc) non lo sono
2. Le lesioni del soggetto infetto devono essere comunicanti con le vie respiratorie per poter essere emesse
all’esterno (forma aperta
3. La carica batterica deve essere elevata (migliaia di bacilli)
4. Il malato NON deve essere in terapia
5. Serve un contatto prolungato, in ambienti piccoli, chiusi, con scarsa ventilazione

Malnutrizione (paesi in via di sviluppo) ed immunosoppressione predispongono all’insorgenza di malattia.

TUBERCOLOSI PRIMARIA
La TBC primaria consegue al primo contatto tra bacillo tubercolare ed organismo ospite. I bacilli di Koch,
penetrati con l’inspirazione giungono agli alveoli respiratori. Qui i micobatteri sono fagocitati dai macrofagi, i quali li
inglobano, senza però eliminarli completamente e danno origine, se non muoiono, a un processo infiammatorio
di estensione variabile, localizzato per lo più alle parti periferiche del polmone. Una parte riescono a
sopravvivere e a moltiplicarsi, uccidendo i macrofagi e quindi liberazione dei batteri
nell’ambiente estreno. Queste cellule formano un guscio barriera che mantiene i bacilli contenuti e sotto
controllo (LTBI). Dai vasi escono globuli rossi, globuli bianchi ed essudato che si organizzano mediante la
formazione di una ricca rete di fibrina il fenomeno è assolutamente aspecifico, avviene cioè ogni volta che
penetra un agente estraneo, qualsiasi sia la sua natura, però nel caso dell’infezione tubercolare, si
riscontrano particolari cellule, le cellule dell’essudato tubercolare. Le cose possono fermarsi a questo punto e l’infezione
regredire, ma per lo più le difese organiche non riescono ad avere ragione così facilmente degli invasori. Il centro della
zona interessata dal processo infiammatorio subisce allora quello che è il fenomeno più caratteristico della
malattia tubercolare: la necrosi caseosa. Il caseum delimita un’area a scarso o nullo contenuto d’ossigeno, creando un
ambiente non idoneo alla crescita del bacillo di Koch, batterio aerobio, che dunque muore. Nella grande maggioranza
dei casi, oltre alla zona di polmone direttamente colpita, vengono coinvolte nel processo anche le linfoghiandole
nelle quali si scarica la linfa proveniente dal focolaio polmonare e i vasi linfatici nei quali essa scorre. Le
linfoghiandole si ingrossano e subiscono
all’interno, in maggiore o minore misura, gli stessi processi anatomopatologici ai quali è andata incontro la zona
di polmone interessata dall’infezione tubercolare. Il complesso primario o complesso di Gonn risulta costituito dal
focolaio primario, corrispondente alla zona di penetrazione del germe nei tessuti, da una infiammazione dei vasi
linfatici (linfangite) e delle linfoghiandole (linfoadenite) che drenano la linfa del territorio interessato. Nel giro di
poche settimane il focolaio primario può concludersi con il riassorbimento della sostanza caseosa e con un
ripristino perfetto della struttura polmonare, oppure la zona colpita, non potendo venire completamente
riassorbita la sostanza caseosa, viene avvolta da tessuto connettivo e isolata. In seguito, la fibrosi sostituirà
completamente il focolaio infiammatorio e si depositeranno in loco sali di calcio che pietrificheranno la zona
interessata. In essa solitamente rimangono inglobati bacilli vivi e virulenti che potranno risvegliarsi più tardi,
causando la tisi postprimaria. In genere però la loro presenza è molto utile in quanto mantengono le condizioni
di immunità acquisita in seguito alla prima infezione e ciò
consente di neutralizzare più facilmente eventuali reinfezioni. Molto più raramente, l’evoluzione del complesso
primario è sfavorevole e può instaurarsi la tisi primaria.

Quando più cariche bacillari si susseguono nell’attaccare i polmoni oppure la carica è unica ma massiva oppure le capacità
di difesa dell’organismo sono per un qualsiasi motivo ridotte, il focolaio primario non viene rapidamente circoscritto e
la necrosi caseosa si instaura celermente. Il complesso primario o complesso di Gonn nel 90% dei casi è una
lesione microscopica, non evidenziabile alla Rx, ed è asintomatica. Anche quando il complesso primario è
sintomatico (10% dei casi) guarisce quasi sempre spontaneamente anche senza terapia, se l’individuo è
immunocompetente.

Dopo la formazione del complesso primario


1. Il SI può contenere l’infezione e il paziente si stabilizza ->LTB->TBC post-primaria
2. Il SI non è efficiente e si sviluppa una malattia localizzata ->TBC primaria
3. Disseminazione per via ematogena ad altri organi e tessuti. Nessun tessuto viene risparmiato, tutti sono
potenziali bersagli (ossa, milza, linfonodi, fegato, surreni, reni, meningi, genitali, articolazioni,
nuovamente al polmone con formazione di TB miliare, in cui si hanno gli organi impallinati da lesioni a
grano di miglio.)
Nel 90% dei casi i focolai iniziali guariscono spontaneamente, se il soggetto fa una caverna la guarigione è
spontanea solo nel 50% dei casi, in presenza di estese cavitazioni la malattia guarisce solo se trattata.

La TBC Primaria si esprime clinicamente con un processo polmonitico, linfoadenitico e linfangitico che
coinvolge le aree ilomediastiniche e mediobasali del polmone. In alcuni casi nella TBC primaria vi possono
essere delle espressioni di ipersensibilità ritardata che accompagnano il processo tubercolare, come la pleurite
tubercolare, che è espressione di iperergia reattiva. Alla toracentesi non troveremo BK, ma massiccia
infiltrazione linfocitaria. È una reazione ritardata di tipo IV linfocitica. Per curare la pleurite tubercolare primaria
non usiamo i farmaci antitubercolari, ma il cortisone. Oltre alla pleurite possiamo avere anche eritema nodoso,
un infiltrato linfocitario nel derma e nel sottocutaneo, con arrossamento e dolore della superficie.

TBC POST-PRIMARIA
La TBC postprimaria è legata o alla riattivazione endogena dei bacilli dormienti che si risvegliano in seguito a
condizioni d’immunosoppressione o alla reinfezione esogena, più precisamente alla riattivazione endogena da
infezione esogena, tal evenienza è più frequente negli habitat dove BK circola molto (aree endemiche, reparti di
infettivologia/pneumologia). I bacilli esogeni possono inoltre ridestare i dormienti endogeni a seguito di
scompensi immunitari.

Nei soggetti atopici, ad esempio, si può avere la polarizzazione immunitaria in senso TH2 con deficit di TH1 e
dunque di IFNγ, similmente se il soggetto va incontro ad immunodepressione come per infezione da HIV, che inoltre
polarizza la risposta verso i TH2.

La tubercolosi postprimaria segue anche di molti anni l'evento primario. La postprimaria può esprimersi secondo
tre modelli clinico-radiologici differenti.

• Modello infiltrativo: si ha un infiltrato con un essudato localizzato ai lobi medio apicali che viene chiamato
infiltrato precoce di Assmann. Non ci sono cavità, né caverne, c'è solo una lesione essudativa

• Lesione cavitaria: la caverna, espressione di colliquazione a carico del parenchima polmonare, è indotta dai
bacilli, in particolare dagli acidi micolici. La caverna è una cavità a margini ispessiti, più passa il tempo più
si ispessiscono, legato alla distruzione del parenchima polmonare. Se la caverna è aperta ovvero comunica
con un bronco, il pz può eliminare il materiale necrotico purulento espettorando, la vomica. Alla lunga
comparirà del sangue nell’espettorato, questo sangue deriva da rottura di vasi presenti sulla parete della caverna. Le
arteriole ancora integre dentro la caverna hanno alterazioni della parete, alla lunga si avrà aneurisma
arteriolare, microaneurismi di Rassmussen. Sono strutture vascolari residuali dilatate e possono rompersi
definitivamente con sanguinamento (emottisi).

• Lesione miliare: in alcuni casi la tubercolosi non ha una evoluzione escavativa, ma ha una evoluzione
disseminata nodulare, che è legata alla diffusione ematogena dei bacilli, si formano lesioni
micorgranulomatose con l'aspetto giallognolo simili a grani di miglio per questo è detta tubercolosi miliare.
In tale condizione avremo la disseminazione di BK ad entrambi i polmoni e a molti altri organi, espressione
di un mancato contenimento dell’infezione tubercolare. Mentre la TBC polmonare di solito ha solo una modica
febbricola (37.2-37.5), la TBC miliare è espressione di una vera e propria sepsi, il paziente ha i brividi di
freddo e febbre a 39-40, sudorazioni notturne, anoressia, perdita di peso. Tubercoli coroidei
all’oftalmoscopia sono un segno patognomonico presente fino al 30% dei casi.
TBC EXTRAPOLMONARE
BK può diffondere per via ematogena ad altri organi quali

LINFONODI: (25%) linfoghiandolare del collo è chiamata scrofola, in tale evenienza si verifica la presenza di
BK a livello linfonodale. Il linfonodo tende a colliquare rapidamente e si presenterà palpatoriamente fluttuante,
per via della colliquazione e della fistolizzazione. L’aspirazione va fatta con cautela poiché può creare tragitti fistolosi.

UROGENITALE: (15%) La TB renale può essere legata a un coinvolgimento del rene per via linfoematica in
assenza di lesioni polmonari o in presenza di una TB miliare. Quando non è coinvolto il polmone è
paucisintomatica e provoca lesioni dei bacinetti e dei calici con una necrosi caseosa o colliquativa, che esita in
deformazione di calici e bacinetti e ciò puo dare stenosi. Caratteristica è l'eliminazione di bacilli di Koch nelle
urine. Le urine saranno infette e avremo leucocituria, ma il pH delle urine è acido (in tutte le altre infezioni delle
vie urinarie il pH è alcalino, es. da E. coli, Klebsiella, Pseudomonas). Il BK inoltre inibisce la crescita di tutti gli
altri microrganismi se presente nelle urine. Quindi in coltura non crescerà nulla, non identifico nessun batterio,
allora penso al Koch, che non trovo se non cerco perchè non cresce nei comuni terreni ad agar sangue.

La TB genitale, fino agli anni 80 era la prima causa di sterilità femminile secondaria a salpingite bilaterale che
esita in una fibrosi sclerocicatriziale. Non è sintomatica, il polmone non è coinvolto quasi mai.
Nell'uomo può dare orchiepididimite.

OSSA: Entra in diagnosi differenziale con le lesioni osteolitiche neoplastiche, ma nella TB è coinvolto anche il
disco vertebrale, cosa che non accade nei tumori primitivi o metastatici. Come Stafilococchi e Brucella il bacillo
di Koch da spondilodiscite, ma nella TB le lesioni sono caratteristiche: la lesione vertebrale parte dal versante
anteriore della vertebra, mentre Stafilococco e Brucella coinvolgono la vertebra a partire dalla parte posteriore.
Nella spondilodiscite di Pott, quando è avanzata, la lesione dal versante anteriore va indietro verso il canale
midollare e determina flogosi endocanalicolare con conseguenze neurologiche da compressione e infiltrazione
del midollo spinale. Il processo flogistico necrotico può anche andare verso l'esterno e raggiungere i muscoli
paravertebrali, in particolare l'ileopsoas, si riversa all'interno dei fasci dell'ileopsoas provocando un ascesso
muscolare bilaterale detto ascesso ossifluente. Questi ascessi tendono a scendere tra i fasci muscolari, seguendo
il decorso del muscolo e finendo all'inguine. Non è un ascesso caldo con carettere flogistico, ma è costituito da
materiale caseoso e il caseum è freddo, non è come il pus che crea flogosi e arrossamento. Non sarà dolente e no
sarà arrossato. Se non trattata la TB vertebrale esita nel gibbo delle vertebre dorsali o lombari, conseguente ai
processi destruenti e ai crolli vertebrali.
DIGERENTE: rara, può simulare il morbo di Crohn.

SNC: La meningoencefalite tubercolare si manifesta con il tubercoloma. Intorno alla lesione nodulare c'è
edema da compressione.

MECCANISMI DI DIFESA E ANATOMIA PATOLOGICA DELLE LESIONI

• Clearance mucociliare
• Immunità innata
• Immunità acquisita

Gli acidi micolici presenti sulla parete dei micobatteri conferiscono a BK la tendenza a escavare e a necrotizzare
il parenchima attraverso un meccanismo di colliquazione.
Nella tubercolosi avremo due eventi istopatologici differenti: la necrosi caseosa e la necrosi colliquativa. La
necrosi colliquativa è espressione della presenza di tanti bacilli di Koch, tanti acidi micolici
La necrosi caseosa è espressione invece della reattività dell’organismo ed è mediata dalla produzione di TNFα. La
lesione fondamentale è il granuloma. Il granuloma tubercolare presenta un aspetto concentrico, ha un core necrotico-
caseoso contenete bacilli e PMN, a strati si dispongono altre cellule del SI quali macrofagi, T-CD8, CD4,
plasmacellule e cellule epitelioidi giganti. Il granuloma incarcera i bacilli e frena la disseminazione del BK. Per
formarsi sono fondamentali alcune citochine, tra cui primeggia il TNF-α. Dato che i bacilli possono rimanere
vitali per anni all’interno del granuloma, se un giorno il soggetto dovesse iniziare una terapia immunosoppressoria
con anti-TNF, il contenimento verrebbe meno, potendo quindi il BK diffondere e dare TBC. Se un paziente deve
iniziare una terapia anti-TNF va fatto lo screening (meglio con quantiferon) per vedere se è presente una forma
latente di TBC, che deve prima essere trattata.

DIAGNOSI

Rx Torace: la TB primaria coinvolge regioni mediobasali ilari, parenchima e linfonodi. La postprimaria


coinvolge le regioni medioapicali, regione subclaveare e sopraclaveare. Possiamo vedere le caverne (cavità nel
polmone), vuote se il soggetto ha espettorato. Nella miliare i polmoni sono impallinati. Può mostrare: Infiltrati
(raccolte di liquidi e cellule nel tessuto polmonare)
Cavità (spazi vuoti all'interno del polmone)

Le radiografie del torace non possono confermare la tubercolosi, Altre malattie possono causare anomalie
polmonari. Solo la coltura batteriologica può confermare che il paziente ha la tubercolosi. La RX torace può
sembrare insolita o addirittura normale per le persone che convivono con l'HIV.
L'esame batteriologico ha 5 parti: Raccolta dei campioni (solitamente si fa sputare il paziente all’interno di un
contenitore sterile e devono essere raccolti almeno 3 campioni in 24h e almeno 1 la mattina), Esame di strisci di
bacilli acido-resistenti (AFB), Identificazione diretta del campione (amplificazione dell'acido nucleico),
Coltivazione e identificazione dei campioni, Test di sensibilità ai farmaci.

La raccolta indotta dell'espettorato deve essere utilizzata se il paziente non è in grado di espettorare l'espettorato
da solo.
Il paziente inala nebbia salina, provocando tosse profonda.
Il campione spesso limpido e acquoso dovrebbe essere etichettato come "campione indotto".

La broncoscopia può essere utilizzata:


Se il paziente non riesce a tossire con sufficiente espettorato. Se non è possibile ottenere un espettorato indotto
Procedura: lo strumento viene fatto passare attraverso la bocca nella parte malata del polmone per ottenere
l'espettorato o il tessuto polmonare. Molto efficace soprattutto nei bambini.

Lavaggio gastrico si
inserisce un sondino naso gastrico, si inietta soluzione fisiologica e si raccoglie il contenuto. Utile nei bambini
che non sono in grado di espettorare.

Esame microscopico diretto con colorazione di Ziehl-Neelsen (espettorato, BAL, liquor, biopsie,
bronchioaspirato). Tale colorazione mette in evidenza aggregati bacillari rossi su sfondo blu, vengono colorati
tutti i bacilli alcol-acido resistenti non solo BK (Nocardia asteroides, l'Actinomyces israelii, il Rhodococcus equi,
Corynobacteriaceae). Il campione ad alta carica viene diagnosticato sul numero di logaritmi, cioè vengono
contati i numeri di micobatteri riscontrati: un campione 1+ ha almeno 10 bacilli tubercolari, 2+ almeno 100, 3+
almeno 1000 e 4+ almeno 10000. Se viene riscontrato un numero <10 viene contato il numero reale dei
micobatteri, l’espettorato negativo però non ci dice che non c’è tubercolosi.

Coltura: è l’unico test che anche in caso di negatività dei test microscopici o molecolari (perché la carica può essre
troppo bassa), ci dice se c’è il micobatterio. Si usa il terreno di Petragnani in verde di Malachite e tuorlo d’uovo o il
terreno in provetta di Lowenstein-Jensen. Il tempo di raddoppiamento del Mycobacterium tuberculosis è 20
giorni, per positivizzarsi una coltura richiede intorno a 45-60 giorni. Il MGIT (Mycobacteria Growth Indicator
Tube) è un metodo più raffinato, si mette in provetta e fa tutto la macchina è molto sensibile, tuttavia è costoso.

Il test NAA (Nucleic Acid Amplification) è un test di screening rapido per il complesso Mycobacterium
tuberculosis (MTBC). Non sostituisce l’esame diretto o comunque il giudizio clinico. Se risulta essere negativo e il
test microscopico positivo, il paziente potrebbe avere infezione da micobatterio non tubercolare.

Il test Xpert MTB / RIF Assey è un test NAA che rileva simultaneamente il Mycobacterium tuberculosis
complex (MTBC) e la resistenza alla rifampicina. Per eseguire questo test, un campione di espettorato viene
miscelato con il reagente fornito con il test, una cartuccia contenente la miscela viene inserita nella macchina
GeneXpert, i risultati sono disponibili in meno di 2 ore.

Test di suscettibilità ai farmaci: Condotto quando si scopre per la prima volta che il paziente ha una coltura
positiva per la TB, determina quali farmaci uccidono i bacilli tubercolari.
I bacilli tubercolari uccisi da un particolare farmaco sono sensibili a quel farmaco , i bacilli tubercolari che
crescono in presenza di un particolare farmaco sono resistenti a quel farmaco.
Il test di sensibilità basato sulla crescita può essere eseguito utilizzando un metodo liquido o solido. Gli
organismi che crescono in terreni contenenti un farmaco specifico sono considerati resistenti a quel farmaco, i
metodi con mezzi liquidi sono più veloci dei metodi con mezzi solidi per determinare la suscettibilità ai farmaci
di prima linea per la tubercolosi. I risultati possono essere ottenuti entro 7-14 giorni per il metodo del mezzo
liquido e fino a 21 giorni per il metodo del mezzo solido

Ricerca del genoma di BK con RT-PCR (genexpert)

* I test immunologici (quantiferon e mantoux) non servono per fare la diagnosi di tubercolosi attiva, ma solo la
diagnosi di LTBI.
I casi che soddisfano uno di questi quattro set di criteri vengono conteggiati come casi di TB verificati:
- Il paziente ha una coltura positiva per M. tuberculosis
- Il paziente ha un test NAA positivo per M. tuberculosis
- Il test NAA deve essere accompagnato da coltura per specie di micobatteri
- Il paziente ha uno striscio AFB positivo, ma la coltura non è stata ottenuta o è falsamente negativa o
contaminata
- In assenza di conferma di laboratorio, il paziente soddisfa tutti i seguenti criteri: TST positivo o IGRA, Altri
segni e sintomi della tubercolosi, Trattamento con 2 o più farmaci per la tubercolosi e Una valutazione
diagnostica completa

CLINICA

La clinica non è eclatante: tosse, febbricola, stanchezza, malessere. Una tosse persistente oltre le 2 settimane
deve porci il dubbio che si tratti di TBC, bisogna fare una Rx del torace. In presenza di segni radiografici si passa
al criterio microbiologico. Si può avere emottisi, per avere insufficienza respiratoria bisogna che la distruzione
parenchimale sia estesa e bilaterale e superi quindi il compenso vicariante, o in presenza di TBC miliare. La
clinica può diventare eclatante quando vengono interessati anche gli altri organi.

TERAPIA

Prima di iniziare dobbiamo sempre valutare se il paziente ha avuto reazioni avverse ai farmaci, spiegare bene al
paziente quali sono i benefici e importanza della terapia.

L'unico sistema per prevenire la propagazione della TB è il case finding and treatment

Il BK va trattato per sei mesi (12 nelle infezioni da HIV, e 9-12 nelle forme miliari). Alcuni micobatteri crescono
rapidi, altri hanno una crescita media, altri lentissima. Per essere sicuri che i farmaci arrivino a tutti devo dare
antibiotici per lungo tempo. I farmaci tubercolari inoltre non vanno MAI usati da soli (soprattutto rifampicina). Il
m. tuberculosis fa resistenza.

Drug Subsceptibility Test: viene fatto per i farmaci di prima linea. Se ci sono resistenze3 tra i farmaci di prima
linea, si fa l’antibiogramma per i farmaci di seconda linea.

I farmaci di prima linea sono:

§ Pirazinamide

§ Etambutolo

§ Rifampicina

§ Isoniazide

Possiamo dire quindi che la TBC si cura “che P.E.R.I.”

Si fa una fase di attacco con tutti e 4 i farmaci per due mesi, seguita da una fase di mantenimento con 2 farmaci
per quattro mesi (totale sei mesi). Con questo trattamento si hanno tassi di guarigione intorno al 91%.

Rifampicina e Isoniazide sono i farmaci più attivi nel trattamento per la tubercolosi. Se il pz ha una recidiva e
quindi ha avuto la tubercolosi in passato, la terapia è diversa: oltre ai 4 farmaci di I linea aggiungo un 5 farmaco,
che è la Streptomicina (S), un aminoglicoside. Faccio quindi un’accoppiata di cinque farmaci (P.E.R.I.S.) per due
mesi, poi la sospendo a causa della sua ototossicità e continuo per un mese con quattro farmaci (P.E.R.I.) e poi,
se la terapia è buona, continuo altri sei mesi solo con tre farmaci (E.R.I). Quindi nove mesi in totale. Il tasso di
guarigione è intorno al 98%.

In 1 settimana la terapia azzera i bacilli nell'espettorato. In 2-3 settimane, la terapia azzera il rischio di contagio.
Per i pazienti affetti da TB con infezione da HIV che ricevono ART, il trattamento raccomandato è un regime
giornaliero di 6 mesi composto da:
- Una fase intensiva di INH, RIF, PZA ed EMB per 2 mesi
- Una fase di continuazione di INH e RIF per 4 mesi
L'ART dovrebbe essere iniziata durante il trattamento della TB per migliorare gli esiti del trattamento per i
pazienti TB che convivono con l'HIV; Entro 2 settimane dall'inizio del trattamento per la tubercolosi per i
pazienti con conta delle cellule CD4 <50 / mm3; Entro 8-12 settimane dall'inizio del trattamento per la
tubercolosi per pazienti con conta delle cellule CD4> 50 / mm3; Per i pazienti con meningite da tubercolosi o
tubercolosi che coinvolge il sistema nervoso centrale, l'ART NON deve essere iniziata durante le prime 8
settimane di trattamento della tubercolosi.

In caso di gravidanza: Il trattamento deve iniziare non appena viene diagnosticata la tubercolosi, Il regime
dovrebbe consistere almeno in INH, RIF ed EMB per un minimo di 9 mesi, I medici dovrebbero consultare un
esperto per valutare i rischi e i benefici della prescrizione di pirazinamide (PZA) caso per caso, La streptomicina
(SM) NON deve essere utilizzata, Gli integratori di vitamina B6 sono consigliati a tutte le donne incinte che
assumono INH. La terapia non è dannosa per il neonato in fase di allattamento.

Effetti collaterali: Rifampicina è epatotossica, Isoniazide è epatotossica, Pirazinamide è epatotossica.


L’epatite impedisce al fegato di funzionare normalmente, causando sintomi come: Nausea, Vomito, Dolore
addominale, Fatica, Urina marrone, può dare aumento di transaminasi, parestesie e danni ai nervi. INH
può causare neuropatia periferica, danni ai nervi sensoriali di mani e piedi, una sensazione di formicolio,
indebolimento del senso del tatto o dolore alle mani, ai palmi delle mani, alle piante dei piedi e ai piedi.
HIV, alcolismo, diabete e malnutrizione aumentano il rischio di neuropatia periferica, Le persone con queste
condizioni dovrebbero ricevere vitamina B6. Etambutolo può causare neurite ottica. Altri effetti collaterali di
RIF, RPT e RFB includono: Eruzione cutanea; Sintomi gastrointestinali; Scolorimento arancione di urina,
saliva e lacrime
Spesso il pz prima di iniziare la terapia ha già le transaminasi alte, allora si comincia con Rifampicina e
Etambutolo per 2/3 giorni, si controllano le transaminasi e se non succede niente si mette a dosaggi crescenti
l’Isoniazide (da 5 mg/l a massimo 300 mg/L).

FORME RESISTENTI

Alcuni paesi dell’est (es Moldava, Lettonia, Estonia, Lituania, Russia, Bielorussia) hanno un tasso di resistenza elevato. Le
resistenze vengono definite in tre modi:

• Tubercolosi MDR (multi drug resistance): mostra resistenze a Rifampicina e Isoniazide. Si fa terapia
con farmaci di seconda linea, molto più tossici, molto meno tollerabili e molto più costosi. La terapia dura
un anno e mezzo.

• Tubercolosi XDR (extensively drug resistance): resistente a Rifampicina, Isoniazide, Chinolonici,


Aminoglicosidi.

• Tubercolosi XXDR: resistenti a tutti i farmaci.


Recentemente è uscito un nuovo farmaco: bedaquilina attivo anche per ceppi MDR

I farmaci di seconda linea sono: iniettabili, fluorochinoloni, farmaci batteriostatici di II linea e farmaci di incerta
efficacia, che funzionano a lungo andare.

Micobatteri Non Tubercolari- MOTT

Tra i micobatteri non tubercolari abbiamo il M. Kansasii, M. Avium, M. intracellulare, hanno delle
caratteristiche di crescita in coltura molto peculiari: in coltura producono dei pigmenti alla luce (fotocromogeni).
Sono responsabili di patologie che chiamiamo “patologie micobatteriche non tubercolari”, assomigliano molto alla
tubercolosi, e a volte li scambiamo, e solo la coltura ci permette di discriminare se si tratta di BK o di MOTT, la
colorazione di Ziehl-Neelsen è invece non dirimente giacché entrambi si colorano di rosso su sfondo blu.

Una delle caratteristiche principale del BK è la lentezza nella crescita, i MOTT invece impiegano circa 20 giorni
a crescere.

La maggior parte dei MOTT sono ambientali generalmente saprofiti. Possono dare delle lesioni cutanee o delle
forme polmonari indistinguibili dalla tubercolosi, tranne che per l’andamento clinico: la tubercolosi in qualche mese si
vede, l’infezione da MOTT va avanti in maniera subdola.

Vengono colpiti soggetti con patologie al polmone e con dinamica respiratoria alterata a causa di anomalie
strutturali, alterazioni nella forma e nella struttura del torace (es scoliosi).

Questi batteri inoltre non si trasmettono da uomo a uomo; si trovano nell’ambiente. COMPLICANZE
Nella patogenesi della malattia tubercolare concorrono da una parte il danno causato direttamente dal
Micobatterio (necrosi colliquativa indotta dagli acidi micolici) e dall’altra l’ipersensibilità ritardata, in cui è la rispsota
immunitaria dell’ospite a danneggiare i tessuti, in questi casi le complicanze devono essere trattate con cortisonici, al fine di
modulare l’eccessiva risposta immunitaria. Tra le complicanze di TBC annoveriamo:

• Pericardite
• Pleurite: la pleurite tubercolare, più che del bacillo di Koch è espressione della ipersensibilità ritardata
• Noduli Splenici
• Insufficienza Renale
• Meningite
• Ascessi
• Carie Vertebrali
• Stenosi ureteraleà Idronefrosi
CORONAVIRUS
INTRODUZIONE E CARATTERISTICHE VIRALI
Numerose specie di coronavirus sono presenti in natura, la maggior parte delle quali di derivazioni animale e
presentano a tutti gli effetti le caratteristiche dell’antropozoonosi, perché hanno realizzato lo spillover (ovvero
il salto di specie) passando da una specie animale all’altra raggiungendo l’uomo, nel quale sono in grado di
determinare malattia. I Coronavirus sono numerosi, e la loro caratteristica peculiare è che quasi tutti sono
responsabili di patologie minori che vanno dal raffreddore alle manifestazioni gastrointestinali acute, con
l’eccezione di tre coronavirus, di cui uno non è più attivo sul territorio. Potremmo quindi dire, con cautela, che
su tre coronavirus rilevanti per l’uomo uno è probabilmente estinto, ed è il SARS-Cov-(1). Il Coronavirus da
sindrome acuta respiratoria (SARS-Cov) nel frangente 2002-2003 colpì, senza assumere carattere pandemico
ma solo epidemico e partendo sempre dall’oriente, numerosi paesi occidentali, tra cui il Canada, con una
malattia acuta respiratoria grave molto simile a quella del SARS-Cov-2, che è l’attuale evento pandemico.
Abbiamo poi avuto la MERS-Cov (sindrome respiratoria acuta mediorientale) anche questa responsabile di
una polmonite interstiziale, dispnoizzante, con andamento estremamente severo, e con tassi di mortalità
almeno nove volte superiori a quelli attuali da SARS-Cov-2. La MERS-Cov non è estinta, è attualmente
presente nel territorio mediorientale, ma ha un andamento decisamente sporadico rispetto al SARS-Cov-2.
Quest’ultimo invece, partito dalla regione di Wuhan in Cina, ha raggiunto con carattere pandemico tutti i
continenti del mondo. I Coronavirus, in generale, presentano meccanismi di replicazione simili con target
cellulare diversi; la maggior parte presenta un tropismo elettivo per l’epitelio gastrointestinale, infatti molti
sono responsabili di gastroenteriti e di sindromi diarroiche. Molti Coronavirus, detti minori, hanno un tropismo
elettivo per l’epitelio delle alte vie respiratorie, in particolare per l’epitelio nasale e nasofaringeo e sono
responsabili di sindromi banali di raffreddamento (riniti, rinotracheiti, rinofaringiti).
SARS-Cov-2 ha lo stesso tropismo, ma la caratteristica che determina la sua complessità, rendendolo un virus
clinicamente rilevante rispetto gli altri Coronavirus, è la capacità di infettare e targhettare anche l’epitelio delle
basse vie aeree: l’epitelio del lining alveolare (la membrana respiratoria) e l’epitelio bronchiolare.
Tramite le proteine di involucro chiamate proteine Spike o proteine S riesce ad agganciare elettivamente il
recettore ACE2, distribuito in numerose strutture recettoriali dell’organismo. Il recettore ACE2 è, per
l’appunto, presente nel lining alveolare e nell’epitelio bronchiale, quindi nel polmone profondo. Pertanto, il
virus riesce a penetrare nelle cellule che espongo il recettore sulla propria superficie, interagendo
sinergicamente con un altro recettore chiamato TMPRSS2.
L’aggancio simultaneo di ACE2 e di TMPRSS2 permette al virus di entrare nella cellula. L’aggancio esclusivo
di ACE2 consente al virus di agganciare la cellula, ma non gli consente di penetrare. Le proteine Spike sono
delle estroflessioni che stanno sulla membrana della particella virale, sono formate da delle sub componenti
che permettono l’interazione con i due diversi fattori: in particolare S2 permette l’aggancio di ACE2, mentre
S1 l’aggancio del TMPRSS2. Il virus, una volta penetrato, realizza un uncoating, cioè si sveste del
nucleocapside, che presenta come struttura essenziale la proteina N (proteina nucleo capsidica).
Le strutture proteiche del virus sono pertanto:
o la proteina M (di membrana, di involucro)
o le proteine Spikes (le estroflessioni)
o la proteina N (una matrice della particella virale, una sorta di gelatina all’interno della quale
galleggiano le molecole di RNA che caratterizzano la particella virale).
o Proteina E (envelope) e proteine accessorie (non le cita)
La replicazione del virus, una volta attuato l’uncoating, si fonda su due meccanismi che partono
contemporaneamente dall’RNA genomico a polarità positiva (doppia funzione, sia mRNA che template)
presente nella particella virale penetrata:

• codifica di alcune lunghe proteine virali (funzione mRNA) a livello del reticolo endoplasmatico
rugoso, che vengono poi clivate con meccanismi proteolitici attraverso delle proteasi di cui è fornito
il virus
• replicazione dell’RNA (template) che si svolge in due fasi: sintesi di un RNA a polarità negativa e a
partire da questo di un RNA a polarità positiva che verrà integrato nel virione satellite che si verrà a
formare. La replicazione si basa una RNA polimerasi RNA dipendente (complesso replicasi-
trascrittasi).
Quindi il virus entra e attua queste due funzioni. Una volta assemblatesi, le particelle virali usciranno dalla
cellula attraverso il budding (gemmazione). Durante l’uscita va a danneggiare la cellula epiteliale infetta.
Questo è il motivo del danno citopatico diretto.

EPIDEMIOLOGIA
Il virus si trasmette da un individuo all’altro attraverso:
§ Saliva (poco)
§ Aerosolizzato respiratorio, soprattutto attraverso tosse e starnuti, ma anche attraverso il normale
parlare a causa dell’emissione di droplets contenenti particelle virali. I droplets non sono in grado di
rimanere in aria per tempi prolungati, pertanto tendono a cadere sul suolo. Quindi non esiste la
trasmissione via aerea, ma soltanto la trasmissione diretta via droplets.
§ Mani contaminate a bocca, occhi, naso (transmucosale), a causa dei droplets caduti sulle superfici
circostanti (contagio indiretto)
§ Possibile ma rara la trasmissione del virus da persone infette asintomatiche
§ La trasmissione da asintomatici mediante aerosol si verifica in meno del 2% dei casi
Gli individui sintomatici attuano il rilascio delle particelle virali dal momento in cui si palesano i sintomi. È
stato evidenziato che una piccola quantità di particelle virali si eliminano anche durante il periodo di
incubazione. Per quanto riguarda il soggetto asintomatico il rilascio del virus avviene per un brevissimo
tempo, ovvero la durata dello shedding virale nasofaringeo (rilascio di droplets) è più breve rispetto il soggetto
sintomatico. Quindi l’asintomatico può contagiare, ma essendo contagioso per un periodo di tempo più breve
contagia in maniera poco frequente.
Confrontando la colonna degli asintomatici con quella dei sintomatici possiamo vedere che la durata media
dello shedding nei sintomatici è di 19 giorni, mentre negli asintomatici è di soli 8 giorni.
In condizioni ambientali normali la trasmissione mediante droplets avviene entro uno/due metri. La distanza è
variabile tra uno o due metri in relazione a possibili starnuti o colpi di tosse.
I droplets sono talmente piccoli (3-5 u) da riuscire a raggiungere facilmente percorrere bronchi e bronchioli
raggiungendo gli alveoli, dove il virus troverà i recettori ACE2.

Il massimo della contagiosità nella fase sintomatica si attesta nelle prime fasi della malattia. Nei grafici
possiamo osservare la carica virale, rispettivamente, nel tampone nasale e nel tampone nasofaringeo. La carica
virale è più elevata nei primi sette-nove giorni di malattia, poi la carica virale tende a decrementare.

L’espressone clinica della malattia è variabile: lieve nell’ 81%, severa nel 14% e critica nel 6% dei casi. Questi
numeri sembrerebbero rassicuranti, però sui grandi numeri, su milioni di persone, è allarmante. Quindi in
relazione agli elevati tassi di infezione questi numeri acquisiscono un significato peggiore.
In ogni caso la parte di casi con infezione lieve,
moderata/severa e critica rappresenta solo la
parte emersa di un iceberg, in cui la parte
sommersa è costituita dai pazienti asintomatici.
Ci accorgiamo di questi paziente tramite due
modalità: screening di massa, cercando sia
sintomatici che asintomatici (perché mi
preoccupa che l’asintomatico sia contagioso,
anche se per un periodo più breve di tempo),
oppure cercando solo la sintomaticità, in quanto
il paziente cerca soccorso e pertanto saremo in
grado di diagnosticarlo.

CLINICA
I sintomi si dividono in sintomi costituzionali (febbre, cefalea, mialgia, anosmia, ageusia), sintomi delle alte
vie respiratorie (mal di gola e rinorrea), sintomi delle basse vie respiratorie (dolore toracico, tosse,
espettorazione, dispnea), sintomi gastrointestinali (nausea, vomito, diarrea).
I due sintomi precoci, che rappresentano il Red flag (campanello d’allarme) sono l’emottisi e il respiro corto.

- Io vi dico, per l’esperienza che ho maturato, che il respiro corto è da tenere sott’occhio, essendo
assolutamente riguardevole – cit.

Per quanto riguarda la radiografia del torace, la bilateralità della polmonite, è un indicatore diagnostico
sfavorevole: l’interessamento bilaterale è peggiore rispetto a quello monolaterale e prelude a una polmonite
più severa, dispnoizzante.
Dal punto di vista delle analisi del sangue sono due i parametri che devono destare più allarme: l’aumento del
D-dimero con una elevazione oltre i 3000 mg/L, poiché quando è così elevato ci si aspetta una forma
particolarmente grave di SARS-Cov 2; l’altro è la linfocitopenia, cioè il calo dei linfociti, in particolare i CD4,
ovvero i T-Helper (in maniera simile al virus HIV). Pertanto il calo progressivo dei linfociti depone per una
forma più grave di patologia.
In alcuni casi la malattia diventa complicata, e lo diventa nei casi in cui vi siano più localizzazioni.
La localizzazione può essere multi organo in quanto tutti gli
organi possono esibire un recettore ACE2 e quindi essere
infettabili. Tuttavia, le localizzazioni più frequenti sono
quella respiratoria (le alte vie respiratorie nei casi più
fortunati, fino alle basse vie respiratorie, con evoluzioni verso
la bronchiolite e polmonite) e le alterazioni trombotiche. Il
SARS-Cov-2 è un virus estremamente trombigeno poiché il
recettore ACE2 è presente anche nelle cellule endoteliali (in
quasi tutti i principali vasi sanguigni, in particolare nelle
arteriole e venule), ed agganciandosi a queste cellule il virus
attiva una cascata coagulativa, attraverso il danno e/o la
flogosi dell’endotelio, che porta all’aggregazione di piastrine
e di fibrina e l’infiammazione con richiamo di cellule
neutrofiliche, che portano alla formazione di un grosso
trombo intravascolare.
Pertanto la Triade di Virchow è rispettata:
ü Attivazione aggregazione piastrinica e processo coagulativo trombina-fibrina attraverso l’aggancio
virale
ü Disfunzione endoteliale con rallentamento del flusso ematico
ü Endotelite vascolare con accorsa in sede di neutrofili
Tutto questo favorisce la formazione di materiale trombotico sia a livello arteriolare che venulare.
Nel polmone, nonostante infetti il lining (membrana respiratoria) dell’epitelio alveolare, questo virus (come
tutti i virus) non dà una polmonite alveolare, ma causa una polmonite interstiziale, alterando severamente gli
scambi gassosi. Questo tipo di polmonite è contraddista da una serie di addensamenti, che nelle forme più
gravi appaiono bilateralmente, che hanno un aspetto a vetro smerigliato (ground glass), caratteristico delle
polmoniti interstiziali e si distingue dal classico addensamento, tipico delle polmoniti batteriche, che è invece
omogeneo e non a vetro smerigliato. La polmonite interstiziale tende progressivamente ad estendersi, coprendo
larghe parti del parenchima polmonare, alterando sempre di più gli scambi gassosi. Pertanto, si può passare,
dinamicamente e bruscamente (nell’arco di poche ore), da un quadro polmonitico con poco coinvolgimento
interstiziale ad un quadro molto più esteso. E questa è una caratteristica che evidenziamo spesso.

Non raramente il polmone viene colpito da eventi


tromboembolici. Durante il decorso della malattia il
rischio tromboembolico polmonare tende ad aumentare.
Dal grafico è evidenziabile la salita del rischio a
“gradino”.
Intorno alla 13/14esima giornata non c’è più rischio
aggiuntivo di tromboembolia, quindi il rischio
tromboembolico si stabilizza e non sale più,
raggiungendo un plateu. Il rischio, quindi, è più elevato
nelle prime fasi di malattia. Questo è il motivo per cui
spesso somministriamo l’eparina, per ridurre il rischio
progressivamente crescente di eventi tromboembolici.
Il rischio tromboembolico non è solo polmonare, ma possono essere interessati anche altri vasi sanguigni. Un
esempio è un caso clinico pubblicato sul The new england journal of medicine, in cui in un giovane, quindi un
soggetto che non ha una predisposizione individuale alle comorbidità, si determina uno stroke vascolare per
un interessamento dei vasi carotidei. Quindi la drammaticità di questi casi di trombosi si possono manifestare
nei grossi vasi dell’organismo.
Possono scaturire anche delle trombosi o tromboflebiti degli arti inferiori in soggetti del tutto asintomatici.
Quindi gli eventi tromboembolici possono essere, oltre che polmonari, anche neurologici e periferici.
Ci sono danni in vari organi:
o A livello renale il virus si localizza nelle cellule dei tubuli renali (la replicazione virale determina il
danno tubulare) con conseguente proteinuria e glicosuria severi, e rappresentano delle forme
abbastanza gravi che vanno sorvegliate attentamente, e alcuni di questi vanno in dialisi oltre che in
insufficienza respiratoria acuta.
o A livello cardiovascolare molto frequenti sono le pericarditi, più rare le miocarditi che possono
avvenire grazie alla presenza del recettore ACE2 sui miociti, che determinerà un danno cardiotossico
diretto. Ovviamente il danno può essere anche indiretto, conseguenza della tempesta citochinica, la
quale è soprattutto relativa a due citochine: il TNF-a e l’IL-6a.
o A livello del sistema nervoso centrale possono esserci numerosi problemi: paralisi, paresi, atassia,
crisi epilettiche.
Gli eventi trombotici portano a
consumo dei fattori della
coagulazione e questo può
portare a eventi emorragici
diffusi da coagulopatia da
consumo, con quadri anche
estremamente estesi.
La malattia è più grave nei
soggetti più anziani, con una
percentuale di mortalità
variabili. La presenza di
precedenti condizioni cliniche va a influire sulla mortalità. I maschi (probabilmente per motivi ormonali, ma
non è ancora chiarito) presentano una mortalità quasi doppia rispetto le femmine (2,8% per i maschi, 1,7% per
le femmine).
La malattia può essere distinta, grossonalamente, in due fasi:

• Fase virale: la prima, contraddistinta dalla replicazione del virus e dalla localizzazione
prevalentemente respiratoria, quindi con una manifestazione simil-influenzale. Questa fase presenta
una durata specifica, intorno ai 15/16 giorni, in cui la replicazione tende a spegnersi.
• Fase autoinfiammatoria: la seconda, contraddistinta dalla risposta infiammatoria, ovvero dalla
cytokine storm.
Nello specifico possiamo individuare più fasi, rappresentate in figura: fase di incubazione, fase prodromica,
fase di polmonite, suddivisibile a sua volte in due sottofasi, la prima in c’è la replicazione nasofaringea, la
seconda in cui la polmonite è estesa e tende verso l’ultima fase, ovvero immunologica, con la cytokine storm.
La malattia diventa grave non subito, all’inizio è una malattia lieve e nei primi sette giorni è rara l’ammissione
in ospedale. Quest’ultima inizia a partire dalla settima giornata, la dispnea inizia a partire dall’ottava, mentre
la respiratory distress syndrome dalla nona, entrando in rianimazione intorno alla decima giornata. Quindi la
malattia si aggrava perché compare la cytokine storme e questa compare quando si arresta la replicazione
virale.

Mai dare per guarito un paziente intorno la quinta, sesta, settima giornata. Può essere dichiarato guarito solo a
partire dalla dodicesima giornata, ovvero quando è stata superata la cytokine storm.
La fase replicativa virale è una fase precoce che dura in media sette e al massimo dieci giorni, ed ecco il
motivo per cui non c’è motivo di trattenere a casa il paziente dopo 18-19 o 20 giorni di malattia, perché, dopo
questo periodo di tempo, eventuale virus presente al tampone positivo non è virus replicativo, ma rappresenta
frammenti di RNA residuali intracellulari presenti nelle cellule dell’epitelio nasofaringeo che non hanno
significato di contagiosità. Quindi il virus è replicativo e contagiante nei primi 10, massimo 12-13 giorni.
- Inserisco i protocolli completi per la questione tamponi a fine sbobina, per fare chiarezza -
È evidente che se si vuole usare un antivirale bisogna utilizzarlo nelle prime fasi, poiché se lo uso tardivamente
il virus ha già smesso di replicare.
La malattia diventa più aggressiva, dispnoizzante, dopo la dodicesima giornata.
In questo grafico possiamo vedere il picco di replicazione virale e la tendenza alla discesa dall’ottava giornata.
La malattia si scatena con severità quando la replicazione è già calata. La malattia può fermarsi e non
proseguire verso la condizione clinica severa, quindi il miglioramento è possibile in ogni momento tranne che
nella condizione critica, che rappresenta una fase drammatica.
La fase peggiore della
malattia si basa sullo stato
iper-infiammatorio ed infatti
la prognosi varia in maniera
direttamente proporzionale
alla produzione di IL-6.
Pertanto i suoi livelli
plasmatici o sierici sono un
marker di severità clinica. La
pathways non è dovuta solo al
signalling dell’IL-6, poiché ci sono una serie di altri prodotti, altri pathways, che si possono attivare e uno dei
più importanti è il TNFa.
Gli anticorpi iniziano ad essere prodotti
quando la replicazione del virus tende a calare.
Per prime compaiono le IgM, di solito a titolo
piuttosto basso, e poi le IgG, che se prodotte a
titolo alto sono protettive, ma non è noto
quanto la protezione duri nel tempo. È
probabile che tendano a declinare. Non è
chiaro se il calo delle IgG si accompagni a una
diminuzione della memoria immunologica o
meno. L’andamento degli anticorpi
neutralizzanti è atipico, irregolare, puà
aumentare e scendere (detto a yo-yo, che fa su
e giù), oppure può raggiungere un plateu e discendere lentamente. In ogni caso l’andamento della produzione
di anticorpi è robusta, soprattutto dopo un’infezione sintomatica il titolo anticorpale sarà elevato, ma per quanto
robusta è cangiante nella concentrazione, quindi può raggiungere elevate quantità e poi tendere
progressivamente a scendere.
In caso di secondo contatto con il virus bisogna vedere se il soggetto presenta una quantità di anticorpi tale da
impedire una nuova infezione, infatti alcuni casi di recidiva ci sono stati, non dovuti alla riattivazione del virus,
venendo questo eliminato, ma a causa della reinfezione per un titolo anticorpale non adeguato alla protezione.
TERAPIA
Le terapie sono tra le più varie:
o l’idrossiclorochina, che interferisce nella captazione intracellulare del virus
o inibitori delle proteasi, attinti da HIV, che agiscono sulle proteasi virali che clivano i prodotti di
traduzione e codifica del virus
o Remdesivir, l’inibitore dell’RNA polimerasi RNA dipendente
o Antagonisti dell’IL-6, che agiscono mitigando la tempesta citochina che potrebbe verificarsi.

Attualmente sono in arrivo degli anticorpi monoclonali che agganciano attivamente le spikes virali, impedendo
a questo di penetrare nelle cellule. Nella figura sono evidenziati i nomi e i meccanismi su cui ogni farmaco
agisce.

- Risposte del professore ad alcune domande –


- Sarebbe stato contrario ad un lockdown selettivo sulla popolazione?
Sì, sarei stato contrario, perché il lockdown o è generale o non serve a nulla. Io sarei d’accordo a dei lockdown
di breve durata, di 15/20 giorni. Lo scopo del lockdown è quello di abbassare l’R0, ovvero l’indice di
contagiosità del virus. Un infetto, mediamente, contagia tre persone, pertanto se evito che queste tre persone
possano entrare in contatto con l’infetto è chiaro che l’R0 si abbassa in maniera improvvisa, è un effetto
cosmetico. Io sarei d’accordo nel fare dei lockdown periodici e alternati, ogni 15/20 giorni con una pausa,
così da determinare un progressivo calo del rate da infezione.

- Dopo aver avuto l’infezione, sia sintomatica che asintomatica, c’è evidenza di danni a lungo termine?
Sì, noi abbiamo eseguito delle TC a distanza e troviamo fibrosi polmonare come esito di cicatrizzazione
dell’interstizio polmonare, il chè non è un bene. In questi casi è indicat l’utilizzo dell’N-acetil-cisteina
(fluimocil) che riduce il tasso di cicatrizzazione. Questo aspetto è stato riscontrato solo nei pazienti che hanno
sviluppato la polmonite. Non si sa ancora se negli asintomatici possano esserci conseguenze a lungo termine.

- I pazienti che vanno incontro a reinfezione vi sono conseguenze cliniche più gravi?
Sì, di solito la reinfezione è più grave, in quanto i meccanismi autoinfiammatori sono più sollecitati, anche più
produzione di IL-6, pertanto bisogna attenzionarla con cautela.

- Come mai alcuni pazienti sono estremamente sensibili e altri lo sono meno? Per esempio nei casi in cui
alcuni, nonostante siano a contatto con positivi, non diventano positivi al tampone.
In questi casi il virus transita e il contagio c’è, ma la risposta immunitaria consente di spegnere il virus senza
dare espressione clinica. Per queste situazioni il test degli anticorpi è dirimente.
BRUCELLOSI
Sinonimi: febbre maltese, febbre melitense, febbre ondulante.
La Brucellosi è una antropozoonosi, altri esempi di antropozoonosi sono la Leishmaniosi, la Toxoplasmosi, o a
anche il Covid-19, che a quanto sembra, pare sia iniziato proprio tramite la trasmissione da animale, con lo spill-
over (salto di specie).
La Brucellosi può essere a decorso acuto (più frequente), subacuto e cronico causata da batteri del genere
Brucella; è trasmessa all’uomo dal mondo animale ma non è possibile la trasmissione da uomo a uomo. Quando
colpisce l'uomo si manifesta nella forma tipica con una serie di sintomi e segni variabili e aspecifici: esordio
insidioso, febbre, dolori ossei e muscolari (artromialgie), sudorazioni profuse e maleodoranti, cefalea, anoressia
e condizioni generali non compromesse; quindi quello che spicca è che il paziente non è mai particolarmente
sofferente né compromesso.
La Brucella è un coccobacillo Gram- asporigeno e immobili, non produco esotossine ma sono presenti
endotossine nella parete cellulare (LPS), sono dei parassiti endocellulari obbligati degli animali e dell’uomo, si
localizzano a livello del fagosoma dei lisosomi dove sono capaci di sopravvivere al “bursting endocellulare”. Si
vengono principalmente a localizzare a livello degli organi del sistema reticolo endoteliale (milza, fegato,
linfonodi, midollo osseo). Le specie patogene per l’uomo sono 5, B. melitensis, la più diffusa nel bacino del
mediterraneo, responsabile di una patologia con manifestazioni più eclatanti rispetto alle altre, probabilmente
perché è maggiormente patogena e virulenta rispetto alle altre specie, B. Abortus, B. Bovis, B. Suis, B. Canis,
ognuna delle quali indica la specie animale di provenienza (il reservoir). Moderne ricerche indicano che in realtà
esista un’unica specie, B. Mellitensis, con diversi sottotipi.

EPIDEMIOLOGIA
Brucella è ubiquitaria, nell’animale, a seconda della specie colpita, dà diverse patologie. Le più frequenti
patologie sono prodotte nell’animale femmina dove causa una infezione cronica con mastite, aborto, sterilità (che
può essere sia maschile che femminile), e viene poi eliminato dall’animale infetto tramite feci, urine, latte,
materiale abortivo, secrezioni vaginali e sperma, tutto ciò determina una forte contaminazione dell’ambiente
esterno. È un batterio con un elevatissimo potere abortigeno, dopo l’aborto o dopo il parto l’animale sviluppa una
mastite da brucella caratterizzata anche da galattoforite (infezione dei dotti galattofori) che determina anche
infezione del latte.

TRASMISSIONE
- ORALE (digestiva):
Mammelle (sane o infette), trasmissione orale per ingestione di latte e derivati freschi non pastorizzati
possono trasmettere Brucella (formaggi freschi, colostro, caciotte, latticini, panna, burro, gelati).
Urine e feci, trasmissione orale (o alimentare) per ingestione di verdure e ortaggi inquinati, acque
contaminate dalle brucelle molto resistenti all’ambiente esterno.
La brucella può quindi entrare nel tratto intestinale, passare per via transmucosale e raggiungere il sistema
linfatico per andarsi a localizzare negli organi del SRE.
Il batterio non resiste al calore, ma resiste anche a temperature -0 °C. Molto importante è il contenitore dove
il latte viene riposto prima della cottura: durante il processo di scrematura viene sterilizzato, ma se viene
rimesso nello stesso contenitore di prima (cosa che avviene per routine) torna ad essere infetto, questo
avviene spesso nel caso della ricotta.
- CUTANEO-MUCOSA: è in genere una via di trasmissione “professionale” di mungitori, pastori, veterinari,
personale di laboratorio, che vengano a contatto con i liquidi biologici (latte, feci, urine) o i prodotti abortivi
dell’animale infetto, attraverso soluzioni di continuo della cute o il contatto con le mucose (congiuntive ad
esempio, per via transcongiuntivale-mucosale).
- INALATORIA: per via transnasale-mucosale, come la via cutaneo-mucosa è solitamente una via di
trasmissione “professionale”, di pastori o macellatori che stazionano dove particelle di liquidi biologici
contaminati evaporano e restano in sospensione.

PATOGENESI
Una volta all'interno dell'organismo (ingresso tramite tubo digerente, cute, congiuntiva, vie respiratorie) Brucella
si muove lungo i vasi linfatici (indipendentemente dalla via di ingresso), per localizzarsi ai linfonodi regionali
dove si moltiplica per poi passare in circolo. Nel sangue dà una prima batteriemia, lieve e fugace detta piccola
batteriemia, perché presenti solo quei pochi batteri che sono riusciti a farsi strada tra le barriere immunitarie nel
sistema linfatico. Con la prima viremia Brucella va colonizzare gli organi e i tessuti del SRE, quali fegato, milza,
midollo. Brucella è un parassita tendenzialmente intracellulari, prevalentemente intramacrofagico. Qui si
moltiplica molto più intensamente e ritorna in circolo dando luogo ad una seconda batteriemia (grande
batteriemia) più sostanziosa ed energica che permette di raggiungere alti organi, cuore, polmoni, ossa ecc.
A livello dei SRE dà una Reticolo Endotelite Sistemica che può essere semplice (essudativa) o granulomatosa.
All'interno dei fagociti Brucella elude il processamento 9 volte su 10 e può persistere all’interno di questi per
mesi o anni.
Inizialmente quindi l’immunità innata non riesce a controllare l’infezione, quei pochi macrofagi che riescono a
processare Brucella espongono i suoi peptidi sulla membrana per presentarli ai linfociti T CD4 ed indurre una
risposta adattativa più specifica. La risposta cellulo-mediata è importante per eradicare il batterio, avremo
dunque la formazione di granulomi. Un paziente infetto può essere clinicamente asintomatico, ma presentare
granulomi alla biopsia epatica, i granulomi sono dunque infezioni latenti, pronti a riattivarsi, da qui l’importanza
di mantenere efficiente il SI e di attuare una buona terapia antibiotica per evitare le reinfezioni. La risposta
umorale invece, sebbene non influenzi l’evoluzione della malattia, sembra svolgere un ruolo protettivo nei
confronti delle reinfezioni.
Brucella non produce esotossine, ma è provvista di una endotossina, il LPS, che ne media la virulenza,
probabilmente nel caso della B. melitensis la concentrazione di LPS è più alta che nelle altre specie (e con ciò si
può spiegare la maggiore virulenza e patogenicità). Tuttavia, alcune specie di Brucella (es. la Canis) non lo
possiedono.

CLINICA
La brucellosi può presentarsi in forma acuta, in forma subacuta (difficili da distinguere l'una dall'altra) o in una
forma cronica. Il tempo di incubazione è variabile da 7-40 giorni. Clinicamente la malattia è estremamente varia,
“Tomaselli diceva che la caratteristica della brucellosi è di non avere alcuna caratteristica”.
Quadro clinico:

• Febbre: può essere ondulante, intermittente, continua o remittente, febbricola, irregolare. È una febbre
vespertina/serotina (pomeriggio tardi/sera), con picco verso le 18. Non è mai troppo alta (38,5-39°C), non
dà brividi, è ben sopportata.

• Sudorazioni profuse e puzzolenti (odore di stallatico) che però sentirà solo il paziente, spesso
accompagnano la febbre. Rappresenta forse l’unica vera caratteristica della brucellosi ma la natura di questo
fenomeno non è compresa; per il paziente ciò è insopportabile e quindi sarà propenso a fare molte docce
quotidiane.
• Artralgia precoci e Mialgie nevralgiche
• Epatomegalia: nel 25% dei casi. Consistenza parenchimatosa e non dolente, che sporge di circa 4 cm
dall'arcata costale
• Splenomegalia: nel 50% dei casi. Consistenza duro-elastica e non dolente, più larga e medializzata rispetto
a quella presente in leishmaniosi (un po' bassa, 2-3cm)
• Linfoadenomegalia
• VES e PCR aumentate, leucopenia con linfocitosi relativa: leucopenia modesta intorno ai 3500 (normali
4.000-10.000. Nella leishmaniosi, invece, la leucopenia è grave e si mantiene intorno ai 1000.

LOCALIZZAZIONI VISCERALI

Forma acuta

Quando la brucella fa la seconda batteriemia può raggiungere:


o Sistema nervoso: meningo-encefalite a liquor limpido (come nella tubercolosi) con aumento delle proteine
e delle cellule (50-500 linfociti/ml) e < glicorrachia, nevrite sciatica, mielite-radicolite.
o Apparato digerente: turbe gastroenteriche con diarrea, vomito, stipsi, epatite itterigena granulomatosa
con transaminasi anche a 600-700.
o Apparato cardiovascolare: l’endocardite embolizzante è la causa di morte più frequente nelle brucellosi.
Solitamente colonizza valvole già danneggiate, Brucella quale germe intracellulare è causa di vegetazioni
piccole che ritardano la diagnosi. Può dare endocardite su endocardio sano o su endocardio leso, e
miocardite.
o Apparato respiratorio: bronchite, pleurite essudativa, polmonite.
o Sistema emolinfopoietico: splenite, adenopatie.
o Cute: eruzione eritemato-papulomatosa pruriginosa (mani-avambracci).
o Apparato locomotore: si localizza a tale livello nel 30% dei casi, soprattutto nelle forme croniche. Causa
solitamente: artro-mialgie (tossico-allergica) e osteo-artriti: sacro ileite, coxite e spondilite (vertebre e
dischi interventrebrali). Frequentemente la spondilo-discite si estende lateralmente lungo i canali
paravertebrali con materiale ascessuale-necrotico che cola attraverso di essi verso i muscoli paravertebrali,
in particolare gli ileo-psoas. Non è raro che l’ascesso coli lungo il decorso dello psoas e sbocchi a livello
inguinale. La spondilo-discite brucellare con ascessi ossifluenti ricorda il morbo di Pott (manifestazione
della tubercolosi).
o Apparato urogenitale: orchite, salpingite.
o Occhi: uveite

Forma cronica

Questa forma è difficilmente identificabile, è una forma acuta che dura per anni o mesi, con sintomatologia
attenuata con piccoli rialzi termici giornalieri, episodi febbrili di una certa entità (di breve durata o ricorrenti di
tanto in tanto), assenza di febbre ma con astenia, deperimeto, disturbi nervosi.

Le forme cliniche della cronica possono essere:

- Forma febbricolare: caratterizzata da febbricola costante (per lunghi periodi, ad esempio 1 anno) oppure
alternanza di brevi episodi febbrili e lunghi periodi di apiressia (15-20 giorni) con scarsi o assenti sintomi
generali.

- Forma neuroastenica: astenia fisica e psichica, irrequitezza, piccoli rialzi termici.

- Forma reumatica: artralgie in uno o più distretti articolari, con o senza piccoli rialzi febbrili, assenza di
segni di flogosi articolare, RX normale o con artropatia cronica.

DIAGNOSI
Diagnosi diretta si basa sul riscontro di una popolazione batterica negli organi bersaglio tramite esami colturali,
ad esempio tramite emocoltura, il prelievo va eseguito durante il picco febbrile o con mielocoltura (midollo
osseo) in ogni momento della malattia con % di positività maggiore rispetto all’emocoltura.

Diagnosi indiretta: si basa sulla ricerca degli anticorpi anti-Brucella. Esistono diversi test come
l’immunofluorescenza e i test immuno-enzimatici (ELISA) che cercano e distinguono IgM e IgG (le IgG
compaiono dopo 7-10 gg), gli Abs vengono anche titolati. Il test che viene usato maggiormente è il test di
sieroagglutinazione (rapida) di Wright che evidenzia gli anticorpi contro le Brucelle. Il potere agglutinante del
siero verso le Brucelle compare entro la seconda settimana dall’inizio della malattia: IgM prima e IgG dopo (non
le distingue).

(il prof salta questa parte)

Si prende il siero del pz e si mette nel pozzetto assieme agli antigeni della Brucella. Se sono presenti gli anticorpi,
si crea l'agglutinato, perché Brucella induce la produzione di agglutinine, e dà reazione positiva “senza fondello”
al centro del pozzetto. Se non ci sono anticorpi, non avviene l'agglutinazione, quindi gli antigeni di Brucella
precipitano sul fondo, dando reazione negativa “con fondello” al centro del pozzetto.
A volte, durante la brucellosi, gli anticorpi che si vanno a formare sono anticorpi incompleti (sono detti anticorpi
bloccanti, ed hanno un solo braccio quindi un solo dominio Fab), dunque l'agglutinazione risulta irrealizzabile
dando falsi negativi al test di Wright; tale falso negativo può essere svelato eseguendo il test di Coombs.

TERAPIA
La terapia deve essere sempre prolungata, essendo il batterio intracellulare si deve essere sicuri di eradicarla
definitivamente, per eliminare il rischio di recidive. I farmaci ideali sono le tetracicline e in particolare la
doxiciclina (BASSADO) che va unita alla rifampicina, somministrati per os per almeno 6 settimane. Esistono
altri farmaci efficaci, di seconda scelta: per esempio gli aminoglicosidi (streptomicina), il cotrimoxazolo
(trimetoprim+sulfametossazolo, aka Bactrim), più recentemente i chinoloni (ciprofloxacina). Bisogna ricordare
che il trattamento con amicoglicosidi superiore a 21 giorni porta grave ototossicità (occorre fare visita
audiometrica prima e dopo il trattamento).

RECIDIVE BRUCELLARI
o Ricomparsa sintomi
o Positivizzazione emocolture
o Il titolo anticorpale aumentato o no
o Ignoto il meccanismo
o Non dipendono da comparsa di batteri resistenti agli antibiotici
o Escludere comunque casi con localizzazione nella infezione (es. ascessi paravertebrali) che richiederebbero
l’opera del chirurgo

Nel passato i casi di Brucellosi erano molti di più rispetto ad oggi, per la mancanza di controlli dei bestiami. Oggi
grazie all’aumento dei controlli i casi sono molto rari.

LEISHMANIA
La Leishmania è un protozoo flagellato responsabile di un antropozoonosi, ipoendemico nella nostra area
geografica del mediterraneo, a trasmissione rurale o periurbana. Appartiene alla famiglia delle Trypanosomatidae
e condivide questa famiglia con i Tripanosomi, che invece sono endemici in Africa (il T. rhodosiense,
responsabile della malattia del sonno, e il gambiense), e in Sud America (il T. cruzi, responsabile della malattia
di Chagas).

Esistono numerose specie di Leishmania (tabella), nel bacino del mediterraneo quella responsabile della
Leishmaniosi è la L. infantum trasmessa dal Phlebotmus perniciosus, che ha predilezione per cani e volpi (morsi
nelle zone più umide come muso e orecchie), e fa pasti ematici nel cane prevalentemente serali e non vola lontano.
Nell’uomo, come la brucella, predilige gli organi del SRE e la cute. È molto raro il riscontro nel sangue
periferico. L’uomo si infetta da un flebotomo che ha però prima morso un cane o una volpe, il flebotomo non la
può trasmettere da uomo a uomo perché non può acquisire l’infezione dall’uomo ammalato perché non è fonte
di infezione. La trasmissione dell’infezione si ha principalmente tra maggio e settembre. Solitamente la
trasmissione è cane-cane, l'uomo è un ospite occasionale (morde l’uomo quando ha fame e non trova cani), il
moscerino ama il pelo del cane, il pH, le regioni umide della sua cute.

Phlebotomus papatasi

TRASMISSIONE
Il ciclo della Leishmania è mediato dall'insetto vettore, il flebotomo (moscerino molto diffuso da noi che dà
morsi molto dolorosi, è il cosidddetto pappataceo) e nella nostra area il principale è il Phlebotomus papatasi, il
serbatoio è generalmente il cane domestico, ma in alcune aree possono essere anche canidi selvatici, come ad
esempio la volpe, lo scoiattolo, o in altre aree anche gatto, zibetto, sciacallo, gerbillo.

La Leishmania è un protozoo presente morfologicamente in due forme (dimorfico), promastigote (nel


flebotomo) e amastigote (nel mammifero). Quindi quando la Leishmania è dentro l'insetto assume la forma
promastigote (mobile, flagellata, allungata); viceversa, quando la Leishmania viene inoculata all'interno
dell’ospite, tipicamente il cane domestico, accidentalmente l'uomo, diventa amastigote, forma ovoidale, retrae
all'interno il flagello (cinetoblasto) e non è più mobile.

Le caratteristiche del cane con la leishmaniosi sono il pelo che salta via, le croste a livello di orecchie e naso,
grossi linfonodi addominali. Il flebotomo che fa un pasto ematico sull’animale infetto, assieme al sangue tira via
le cellule contenenti l'amastigote, forma più adatta alla sopravvivenza intracellulare. Le cellule si lisano liberando
protozoi all'interno dell'intestino dell'insetto. Nell'intestino l'habitat è sfavorevole alla forma amastigote,
leishmania quindi si trasforma in promastigote e risale, grazie al flagello, dallo stomaco fino alla proboscide del
moscerino e ivi staziona pronto ad essere inoculato al prossimo pasto ematico.
Quando il flebotomo si prepara al secondo pasto ematico, morde attraverso il rostro (becco), rigurgita il materiale
che ha nel midgut (intestino medio, che equivale all’esofago) e nella proboscide e riversa il sangue contenente i
promastigoti nella cute, ivi le cellule di Langherans del derma (macrofagi cutanei) fagociteranno Leishmania che
tornerà alla forma di amastigote e resiste al burst ossidativo rimanendo vitale all’interno dei vacuoli parassitofori.
Il promastigote può rompere le cellule di Langherans e diffondere ai vari organi del SRE.
PATOGENESI
La fagocitosi di Leishmania è receptor mediated, il recettore è il CCR5 o quello per la frazione C3b del
complemento. Probabilmente l'aggancio è ciò che innesca il meccanismo di trasformazione interna del
promastigote in amastigote. Se si prende un promastigote e lo si fa mangiare da un fagocita senza l'aggancio al
recettore CCR5 o C3b, esso non si trasforma in amastigote.
Nel fagocita l'amastigote va ad occupare il vacuolo parassitoforo: normalmente il fagocita riversa all’interno dei
vacuoli che contengono i patogeni gli enzimi atti alla dismissione della noxa, evitando che gli enzimi possano
danneggiare lo stesso fagocita. Il corredo enzimatico (idrolasi, perossido di idrogeno, ROS, catepsine, proteasi)
è regolato dall'IFN-γ, in alcuni soggetti la sua produzione (o la sua azione) è deficitaria e ciò influenza la capacità
di riuscire a distruggere il parassita, che di per sé è resistente al killing intracellulare. Ad es. soggetti con diatesi
allergica hanno una preponderante risposta TH2 e dunque una deficitaria risposta TH1 e una minor produzione
di IFNγ, anche l'infezione da HIV orienta il bilancio verso l'immunità TH2, con produzione di IL-10 e IL-4, e
deficitario killing di Leishmania. In presenza di un killing inefficace la Leishmania può o rimanere latente dentro
la cellula fagocitica, oppure moltiplicarsi raggiungendo il "numero critico" e lisare il fagocita disseminandosi e
infettando altre cellule. Così un'infezione che è localizzata a livello dermico, da cutanea diventa viscerale. Se
invece la risposta è TH1 con produzione di INFγ e IL2 si può andare in contro all’eradicazione dell’infezione.

LEISHMANIOSI CUTANEA, MUCOCUTANEA E VISCERALE


- Leishmaniosi cutanea e mucocutanea: si formano lesioni dove il vettore inocula nel derma il protozoo. Il
protozoo riesce a prevalere sull'attività fagocitaria e produce una lesione determinata da una dermoreazione
TH1, reattiva, iperergica. Se l’inoculo è prossimo ad una mucosa, generalmente mucosa nasale ed orale,
avremo una lesione mucocutanea. Nodulo rosso-giallastro di 1 cm, centrato da una crosta il cui distacco esita
in un’ulcera a margini rilevati.
- Leishmaniosi viscerale: in caso di deficit immunologici rilevanti (AIDS, trapiantato, leucemia,
cortisonizzato, chemioterapia) Leishmania riesce anche ad invadere e disseminare. Per via linfatica, va in
circolo, raggiunge gli organi SRE, si "visceralizza" e raggiunge gli organi profondi. Alcuni ceppi sono
particolarmente viscerotropi e possono dare leishmaniosi viscerale anche in soggetti immunocompetenti. La
forma viscerale è una forma areattiva, ipoergica. La Leishmaniosi viscerale può essere preceduta da una
lesione cutanea oppure in assenza di lesioni cutanee, nel caso in cui dopo avere invaso il derma i protozoi
siano subito migrati verso i visceri.

EPIDEMIOLOGIA
Il flebotomo è un insetto piccolissimo, localizzato prevalentemente in aree di mare e morde dopo il tramonto. Il
morso è dolorosissimo, a differenza di quello della zanzara. Si sposta con piccoli viaggi, ma copre nel tempo
distanze anche notevoli. Il flebotomo che morde è la femmina. Produce una malattia lievissima nell'animale
selvatico, più rilevante nel cane, molto più importante nell'uomo. Esistono tante Leishmanie, tra le tante, è
importante il complesso L. Donovani, che al suo interno ospita la specie L. Infantum, responsabile delle
leishmaniosi nella nostra area geografica. In Italia le forme viscerali e cutanee sono entrambe provocate dalla
infantum, e in particolare quella cutanea prende il nome di Bottone D'Oriente.

Bottone D’oriente: lesione crostosa che permane per mesi

Tra le aree endemiche abbiamo l'Italia, in particolare nelle regioni del centro-sud (Sicilia, Campania, Lazio). La
regione italiana più colpita è la Sicilia. La gran parte dei contatti che abbiamo con le Leishmanie si traduce in un
nulla di fatto: non si sviluppa malattia. Se si ricercano Abs anti-leishmania, circa il 20-30% delle persone
risulteranno positive, ad indicare che in questa percentuale di individui alberga la Leishmania in latenza nella
cute.

Le due manifestazioni più tipiche, cutanea e mucocutanea, generalmente guariscono da sole nel corso del tempo,
mentre la forma viscerale è la forma che interessa gli infettivologi, colpisce gli organi del SRE (milza, fegato,
midollo osseo, linfonodi). Gli organi reticoloendoteliali comunicano tra di loro attraverso un sistema linfoematico
scambiandosi cellule e informazioni (il cosiddetto "trafficking").
CLINICA
L'incubazione è molto variabile, di solito è compreso tra 2-6 mesi, ma il range può andare da 10 giorni a 34
mesi, è così lunga e ampia perché se Leishmania trova un habitat dove può visceralizzare, lo fa subito, altrimenti
dovrà attendere e approfittare di eventuali momenti di immunodepressione transitoria. Per esempio, ci sono
malattie infettive che indeboliscono provvisoriamente l'immunità TH1, come il morbillo che infetta i linfociti T
CD4 e li paralizza, oppure li switcha verso linfociti TH2.
L'esordio è subdolo, insidioso, a volte improvviso e a volte graduale, sarà l’immunità del paziente a regolare
l’esordio clinico.
Nei soggetti con HIV l’infezione è molto frequente, di tipo viscerale.

Manifestazioni cliniche:
- Febbre bicuspidata (a gobba di cammello): caratteristica, con un picco mattutino, sfebbra spontaneamente
e poi ha un picco pomeridiano (la febbre settica invece è intermittente, e il suo picco è serale). La febbre è
ben tollerata ed il paziente, anche con febbre alta a 39-40°, è in grado di svolgere le sue attività.
- Splenomegalia IMPORTANTE: la milza cresce molto e progressivamente nel 100% dei casi, arrivando
anche fino alla fossa iliaca sinistra. Alla palpazione si riescono a toccare le incisure mediali, perché è
estremamente grossa e allungata.
- Epatomegalia lieve: c’è pure nel 70-80% dei casi, ma è molto meno accentuata rispetto alla splenomegalia.
Il fegato si trova 2-4 cm al di sotto dell'arcata costale, di consistenza lievemente aumentata e un po' dolente.
- Linfoadenomegalia: nel 30-40% dei casi si trovano linfonodi superficiali, soprattutto nel collo, in sede
sopraclaveare e ascellare lievemente dolenti, mobili, sui piani superficiali e profondi.
Alterata crasi ematica: per via dell’imponente splenomegalia e dell'infezione del midollo osseo. Da un lato
la milza sequestra maggiormente le cellule del sangue, dall’altro il midollo osseo viene paralizzato
dall'infezione. Perciò l’emocromo mostra pancitopenia con la presenza in contemporanea di:
1. anemia normocitica severa (Hb < g/dl)
2. leucopenia (soprattutto con neutropenia)
3. piastrinopenia (autolimitante, le piastrine scendono a 40-50 mila e poi si assestano, può provocare
fenomeni emorragici cutanei e mucosi non importanti come epistassi, gengivorragia)
Per la neutropenia si possono avere delle sovrainfezioni batteriche che possono portare a morte.
- Espansione policlonale reattiva dei B linfociti: si traduce in una ipergammaglobulinemia policlonale,
picco a orecchie di gatto, scende l’albumina e aumentano le gammaglobuline.
- Ipoalbuminemia: determina la presenza di edemi e può comparire un versamento ascitico.
- Cachessia: nella fase avanzata della malattia si ha una malnutrizione protidodisperdente perde albumina,
non si alimenta, ha la febbre.
- Altre meno presenti: tosse secca, dolori addominali, turbe dispeptiche, diarrea.

DIAGNOSI
La diagnosi è clinica e laboratoristica.
- La diagnosi laboratoristica indiretta avviene tramite la ricerca degli Abs anti-Leishmania soprattutto
tramite ELISA e IFAT (immunofluorescenza). Gli anticorpi non sono molto utili per la diagnosi perché
compaiono tardivamente, circa un mese dopo l’esposizione (quando si riscontano la malattia è già
avanzatissima), nel 20-50% dei soggetti immunodeficienti non si rileva un movimento anticorpale. La
riduzione del tasso anticorpale dopo il trattamento è lenta, circa 1 anno.
- Conviene fare la diagnosi laboratoristica diretta, si fa ricercando direttamente la Leishmania negli organi
del SRE, o al microscopio o in coltura.
Sensibilità: con una biopsia al fegato la probabilità di trovare il parassita è del 40%; facendo un aspirato
linfonodale la probabilità è del 30%; pungendo la aspirato splenico le probabilità sono del 100%, tuttavia la
milza non deve essere punta, perché il sanguinamento potrebbe causare una emorragia sottocapsulare, con
rottura della capsula. Per questo motivo pungiamo il aspirato midollare nella cresta iliaca con sensibilità del
90%.
A questo punto prendiamo il terreno di coltura, chiamato terreno NNN, specifico per le Leishmanie, con
coltura che impiega 4 settimane, prodotto a partire dal sangue del cuore di coniglio. Oltre alla coltura
utilizziamo la microscopia: il midollo viene strisciato sui vetrini, colorato con metodo May-Grunwald-
Giemsa e si cercano le Leishmanie (metodica ideale se si vuole fare diagnosi rapidamente).
Altra metodica rapida è la PCR sul materiale biologicosensibile, specifica e ben standardizzata.
TERAPIA
Oggi si usa per via ev l'amfotericina B liposomiale (Ambisome), si somministra in 5 giorni, molto costoso ma
molto efficace (97% dei casi) e non ha alcuna tossicità.
In passato si utilizzava l'antimoniato pentavalente (si chiama Glucantim, stibio-gluconato), per via
intramuscolare per 20-28 giorni, ma aveva una sua tossicità (oggi usato solo per uso veterinario), tra gli effetti
più lesivi si aveva l'allungamento progressivo del QT, che poteva provocare delle aritmie fatali. Dal punto di vista
veterinario, l'infezione non è eradicabile dal cane. Esso rimane comunque serbatoio di infezione.
INFEZIONI DELLE VIE URINARIE
Si tratta di infezioni del tratto compreso tra l’uretra ed il parenchima renale.
Dal punto di vista classificativo, esistono tanti modi con i quali queste infezioni possono essere classificate.
Una prima distinzione è tra le infezioni asintomatiche (nelle quali rientra il vasto capitolo della batteriuria
asintomatica) e sintomatiche (che danno la malattia).
Un’altra classificazione è basata sull’anatomia delle vie urinarie, in relazione al tratto colpito, distinguendo:
• Infezioni delle basse vie urinarie: uretriti, cistiti, prostatiti;
• Infezioni delle alte vie urinarie: pieliti, pielonefriti.
Ulteriore distinzione la si fa in base alla difficoltà della gestione dell’infezione, distinguendo:
• IVU non complicate;
• IVU complicate (se presenza di fattori di rischio anatomici/funzionali: catetere vescicale, stent
ureterali/derivazioni, uropatia ostruttiva, reflusso vescico-ureterale, trapianto renale, precedente
chirurgia…)
Secondi alcuni, nell’uomo non esiste la cistite, per cui una sintomatologia simil-cistitica va inquadrata come
un’IVU complicata, in quanto secondo questa scuola di pensiero le infezioni delle vie urinarie nel sesso
maschile rappresentano già un indice che complica l’infezione. Dunque, quando si ha una sintomatologia simil-
cistitica nell’uomo, ci si deve domandare se è soltanto la vescica ad essere interessata o se c’è un
interessamento della prostata, delle vie urinarie alte. Rimane, comunque, che l’uomo è meno avvezzo a
sviluppare cistiti, per motivi anatomici e funzionali (lunghezza dell’uretra, lontananza dal retto, ecc.).
Ancora, le IVU possono essere distinte in: acute e ricorrenti (che possono essere recidicive – quindi dallo
stesso ceppo, che può essere stato trattato male o permane la condizione che ha determinato l’insorgenza
dell’infezione, come ad esempio un cateterismo – o reinfezione, se è causata da un ceppo diverso rispetto al
primo).

In merito alla batteriuria asintomatica (di cui ci è stato fornito il PDF con le ultime linee guide della Società
Americana di Malattie Infettive) va ricordato che non sempre il referto di batteri nelle urine vuol dire infezione,
soprattutto in assenza di clinica e in pazienti senza particolari fattori di rischio. Un paziente con un catetere
vescicale ha un’elevata probabilità – che aumenta del 5-10% ogni giorno – di avere l’urina colonizzata da
germi. Dunque, facendo un’urinocoltura in un paziente cateterizzato senza sintomi, senza aumento degli indici
di flogosi, è molto probabile trovare una positività a qualche germe. Le linee guida dicono che non vi è
indicazione all’esecuzione dell’urinocoltura, tantomeno al trattamento.
Bisogna comunque distinguere una significatività della batteriuria, da una non significatività, in base al
numero di germi presenti. Di solito, il cut-off per determinare se una batteriuria è significativa, cioè se quel
germe è più che colonizzante, è 105 CFU/ml di urina. Dunque, in un paziente con febbre e fastidi urinari,
facendo un’urinocoltura in cui si isola E. Coli con una carica superiore a 105 CFU/ml di urina, si può dire che
con buona probabilità quella sintomatologia è dovuta a quel batterio, che in quel caso non è un semplice
colonizzante. Ovviamente si possono aprire diversi dibattiti, ad esempio nel caso in cui si abbia un paziente
fortemente sintomatico (febbre, disturbi urinari), cui urinocoltura, però, mostra 103 CFU/ml. In questo caso, le
linee guida sono state ulteriormente arricchite, in maniera tale da non avere dubbi dinanzi a casi come questo
(in cui si ha una batteriuria non significativa, ma sintomatica).
Ovviamente non sempre i germi che vengono isolati nell’urinocoltura, è certo che siano responsabili
dell’infezione e della malattia.
Ci sono delle evenienze, però, in cui anche la batteriuria asintomatica può costituire un problema. Un esempio
un’infezione in una donna incinta, che rappresenta una delle poche, indicazioni al trattamento di una batteriuria
asintomatica. Ciò perché si è visto che nella metà dei casi, non trattarla porta allo sviluppo di un’infezione
delle vie urinarie, ed un terzo di queste si complica addirittura con una pielonefrite.
Ci sono anche altri casi che fanno eccezione, come il paziente trapiantato, o il soggetto con un immunodeficit
elevato, o il soggetto che sta per subire delle procedure invasive che possono favorire l’immissione in circolo
di batteri.

Diversamente dalla maggior parte delle infezioni, che ormai sono a maggiore prevalenza del sesso maschile,
le infezioni delle vie urinarie, e soprattutto le infezioni delle basse vie urinarie, sono più frequenti nelle giovani
donne sessualmente attive (30-40 anni). Questo è dovuto innanzitutto per motivi anatomici e funzionali
(uretra più corta – 3,4 cm –; meato uretrale che sbocca vicino all’orifizio anale e conseguente facilità di
contaminazione da parte delle Enterobacterales, che colonizzano il tratto gastrointestinale; perché durante il
rapporto sessuale è facile che avvenga una traslocazione di germi e la formazione di microlesioni con passaggio
di germi).

Meno frequenti negli uomini giovani senza anormalità anatomiche/funzionali dell’apparato urinario.
Nella popolazione anziana possono raggiungere prevalenze del 10% negli uomini e 20% nelle donne. È vero
che la donna ha più fattori di rischio, ma presenta anche dei fattori protettivi: l’ambiente estrogenico (che
determina la crescita di determinati batteri, come i Lattobacilli, settando il pH ad un determinato valore
rendendo difficili la colonizzazione da parte di altri patogeni).
Il 10% dei soggetti cateterizzati per almeno un giorno sviluppa batteriuria (con aumento del 5% ogni giorno
di permanenza del catetere in situ).
Le donne gravide presentano batteriuria asintomatica fino al 10% dei casi (perché l’utero spinge sulla vescica
determinando uno svuotamento incompleto, dunque ristagno di urine) e, se non trattate, il 50% di queste
svilupperà una IVU sintomatica con 1/3 che evolverà in pielonefrite.
Nei soggetti < 45 anni le IVU delle basse vie prevalgono nelle donne, > 45 anni prevalgono nell’uomo.

Ultimo criterio di classificazione delle IVU, è relativo alla fonte di infezioni: comunitarie, in ospedale o nelle
strutture correlate all’assistenza.
È importante classificare le infezioni perché empiricamente è possibile già ipotizzare quale possa essere il
germe determinante, dunque anche la terapia antibiotica da somministrare.

EZIOLOGIA
L’eziologia è correlata alla composizione della flora microbica intestinale e dell’apparato genito-urinario,
fermo restando che il germe più comunemente isolate nelle infezioni delle vie urinarie, sia alte che basse,
soprattutto in quelle acquisite in comunità, è l’E. Coli.
La flora batterica intestinale è responsabile della maggior parte delle IVU (90% delle IVU delle basse vie).
E. coli è responsabile dell’85% delle IVU non complicate e fino al 50% di quelle acquisite in ospedale.
P. mirabilis, E. fecalis, K. Pneumoniae sono altri germi causa frequente di IVU.
Ci sono poi dei germi particolari, come Serratia, Pseudomonas, Stafilococchi (Aureus e Coagulasi negativi,
tra cui il Saprofiticus, responsabile di cistiti nelle giovani donne) responsabili soprattutto di IVU secondarie a
manovre strumentali.
Ci sono anche infezioni ad eziologia non batterica, ma virali (adenovirus – responsabili di cistiti emorragiche
in bambini; CMV – cistiti negli immunodepressi; VZV e Morbillovirus – alcuni pazienti che hanno la varicella
o il morbillo lamentano delle urine screziate di sangue, in quanto questi virus presentano un tropismo anche
per l’uroepitelio) e fungine (candida, soprattutto in pazienti cateterizzati, negli anziani, nei pazienti neuropatici
con una discinesia vescico-sfinterica).

Ovviamente, più il soggetto è giovane, più ha comportamenti sessuali a rischio, più questi patogeni vengon a
ridursi in percentuale, mentre aumentano le infezioni da Neisseria, da Chlamydia, da Mycoplasma e
Ureaplasma.
VIE DI INFEZIONE

• Ascendente: la più frequente, 80-90% di tutte le IVU, soprattutto nel sesso femminile per le ragioni
anatomiche;
• Ematogena: più rara, secondaria a batteriemie, colpiscono soprattutto le alte vie urinarie.
• Per contiguità: se ad esempio vi è una infezione in un organo vicino al rene, e da lì diffonde ad esso;
• Per via linfatica: a volte, delle infezioni dell’ultimo tratto intestinale può diffondersi, attraverso i vasi
linfatici, agli organi dell’apparato genito-urinario.

MECCANISMI DI DIFESA DELLE VIE URINARIE


Fortunatamente, le vie urinarie sono dotate di meccanismi difensivi difficili da superare:
- Azione detergente del flusso urinario;
- Peristalsi ureterale;
- Valvola vescico-ureterale;
- Sfaldamento dell’uroepitelio;
- pH acido delle urine;
- Urea, che inibisce la crescita batterica;
- Secrezioni prostatiche;
- Proteine di Tamm-Horsfall, che agisce saturando i recettori batterici;
- Flora batterica normale;
- IgA secretorie;
- Citochine;
- Estrogeni.

Tuttavia, sono presenti anche dei FATTORI PREDISPONENTI per cui questi fattori protettivi vengono a
mancare:
• Per l’uomo: ipertrofia prostatica benigna e le malattie sessualmente trasmesse;
• Per la donna: fattori anatomici, attività sessuale non protetta e malattie sessualmente
trasmissibili, gravidanza, dispositivi anticoncezionali (sia perché alterano la normale flora batterica,
sia perché sono dei corpi estranei che vengono inseriti), calo estrogenico post-menopausale,
alterazione della flora microbica e del pH vaginale (detergenti intimi complessi, ovuli per alzare il
pH;
• Per entrambi: anomalie anatomiche e funzionali (stenosi cicatriziali, vescica neurologica, dissinergia
vescico-sfinterica), urolitiasi (sia perché i calcoli determinano ostruzione, sia perché il loro passaggio
attraverso le vie urinarie determina dei microtraumi, sia perché essi possono essere colonizzati da
germi, come Proteus, e i calcoli infetti sono difficili da sterilizzare), chirurgia/manovre strumentali
(ad esempio una biopsia prostatica, ormai fatta per via trans-perineale, ma in alcuni casi utilizzare la
via trans-rettale, favorendo l’infezione), neoplasie, diabete mellito (importante fattore di rischio,
soprattutto per le infezioni di tipo fungineo), stipsi (la stasi di feci a livello del colon può favorire la
traslocazione, può comprimere al vescica), ospedalizzazione, cateterizzazione.

DIAGNOSI

• Esame chimico-fisico delle urine che, oltre ad analizzare il pH, il colore, l’aspetto, va ad analizzare
anche il sedimento, dunque se vi è piuria (segno di infezione batterica), se vi sono cilindri (che di
solito correla alla presenza di infiammazione e infezione delle alte vie urinarie, come una pielonefrite),
se c’è ematuria (micro o macroscopica). Vengono eseguiti anche dei test rapidi, per ricercare la
presenza di nitriti (in quanto un gran numero di batteri che causa infezioni delle vie urinarie, determina
la conversione di nitrati in nitriti) e l’esterasi leucocitaria (altro indice indiretto di IVU);
• Urinocoltura (significativa se presenti almeno 105 ufc/mL di una singola specie batterica per mL di
urina);
• Emocolture, perché se l’infezione sale e coinvolge il parenchima renale, si avranno delle gittate
batteriemiche;
• Spermiocoltura, nel caso in cui l’infezione coinvolga anche la ghiandola prostatica;
• Imaging, soprattutto ecografia, che ci dà informazioni sullo stato di pienezza della vescica, sulla
normalità della valvola vescico-ureterale, sulla presenza di calcoli, di eventuali focolai pielonefritici;
TC con mdc e la RM, che evidenzia molto bene eventuali focolai pielonefritici.

I tre quadri più frequenti di IVU, sono: cistiti, pielonefriti e prostatiti.

CISTITE
Infezione e sviluppo di malattia a livello della vescica. Oltre alle forme infettive, esistono anche delle forme
non infettive (traumi, chemioterapia, corpi estranei, radioterapia).
È un quadro molto variabile dal punto di vista clinico e possono presentarsi anche delle forme
paucisintomatiche, senza i sintomi più frequenti.
Ciò che segue fa riferimento per lo più alla cistite della donna, in quanto l’infezione, nell’uomo, tende ad essere
considerata in maniera diversa. Quando c’è una problematica a livello urologico nell’uomo, ad essere coinvolti
sono due apparati: urinario e genitale, per cui il trattamento, la sintomatologia e le caratteristiche cliniche della
patologia saranno differenti dalle infezioni nella donna.

Sintomi tipici:
• Dolore/tensione in sede sovrapubica, che si può irradiare al fianco destro o sinistro. L’irradiazione
solitamente è segno di un’ascesa dell’infezione, dunque non è un buon segno;
• Minzione difficoltosa/dolorosa (disuria con stranguria);
• Urine torbide e maleodoranti, con possibile ematuria;
• Pollachiuria;
• Tenesmo vescicale, sensazione di incompleto svuotamento e di urgenza minzionale, che non esita
però nell’emissione di urina;
• Possibile sintomatologia sistemica, con febbre.

Nell’anziano questi sintomi possono essere già presenti, perché magari incontinente, con una vescica
neurologica, oppure del tutto assente perché manca l’innervazione della vescica, per cui la sintomatologia
diventa molto più subdola. Non è raro trovare anziani che vanno in sepsi di cui non si capisce l’origine, ma poi
osservando un globo vescicale o un ristagno cospicuo di urine, e inserendo un catetere vescicale, esso sgorga
pus dalla vescica.
Anche nei primi anni di vita, il bambino non lamenta questa sintomatologia, ma apparirà disturbato (pianto,
irrequietezza, inappetenza), per cui non bisogna mai escludere un’IVU. Tra l’altro, nel bambino, ci sono dei
fattori che aumentano il rischio di IVU: l’utilizzo del pannolino, la scarsa igiene, eventuale presenza di fimosi
a livello del glande, un incompleto svuotamento (dal momento che, nei bambini molto piccoli le valvole
vescicolo-ureterali non funzionano bene).

Diagnosi:
È sia clinica che laboratoristica (analisi delle urine con urinocoltura). Questa diagnosi vale per i pazienti che
hanno un primo episodio di cistite, non complicata.

Terapia:
La terapia della cistite acuta non complicata (meglio se su antibiogramma) prevede l’effettuazione di una
terapia empirica di breve durata con farmaci che difficilmente determinano resistenza antibiotica. Ad esempio:
• Nitrofurantoina (100 mg 1 cp x 2/die per 5 giorni): è un farmaco che non utilizza più nessuno, ma
ancora presente in tutte le linee guide del mondo;
• Cotrimossazolo (Bactrim in commercio, 1 cp x 2/die per 3 giorni);
• Fosfomicina (Monuril, 3 g singola dosa prima di andare a letto), è un farmaco che si concentra
benissimo nelle urine e nella vescica, nella stragrande maggioranza delle cistiti non complicate, come
primi episodi, riesce a risolverle;
• Fluorochinoloni, penicilline e cefalosporine sono assolutamente controindicate come farmaci di
prima linea, sono da utilizzare esclusivamente dopo un antibiogramma.
Se ci si trova davanti ad un secondo, terzo, quarto episodio, alla diagnostica si aggiunge una tecnica di imaging,
in particolare l’ecografia, che ci permette di vedere se è presente un focolaio infettivo più alto, per cui la cistite
è un segno indiretto di una condizione infettiva più alta, a livello renale ad esempio.
La cistite, nella donna, spesso è una patologia che recidiva (stesso ceppo), oppure se sono presenti
comportamenti a rischio, è una patologia soggetta a reinfezioni (ceppo diverso), tant’è che è possibile anche
una profilassi a lungo termine (4-6 mesi di fosfomicina ogni 10 giorni circa), soprattutto nelle donne over 40-
50. Nelle donne sessualmente attive non sono rare le cistiti post-attività sessuale che, se recidivano, spesso,
sono indicazione per l’esecuzione di una profilassi post-coitale (Bactrim o fosfomicina).

PIELONEFRITE
Infezione con infiammazione e compromissione della pelvi e del parenchima renale. Spesso è secondaria ad
infezioni (molto spesso recidivanti) delle basse vie urinarie, testimoniato dalla stessa eziologia. La via di
infezione più frequente è la, infatti, la via ascendente.
È più frequente nelle donne e negli anziani.
Le forme croniche, secondarie a forme acute o a cistiti recidivanti, sono una delle cause principali di
insufficienza renale cronica, determinando la condizione nota come “rene grinzo”.

Sintomi:
è interessato un organo parenchimatoso altamente vascolarizzato, dunque si ha:
• Febbre elevata preceduta da brividi, la febbre da infezione delle vie urinarie è una febbre scuotente;
• Malessere generale con sintomi gastroenterici;
• Senso di peso lombare/dolore al fianco o all’angolo costo-vertebrale con irradiazione anteriore,
un po’ a simulare quella che è una colica renale;
• Spesso coesiste sintomatologia cistitica;
• Segno di Giordano, in cui la percussione con mano messa a taglio a livello dell’angolo costo-
vertebrale corrispondente al processo infettivo, provoca dolore al paziente.

Nella forma cronica, più subdola, i sintomi sono più sfumati, ma l’evoluzione provoca un’evoluzione con
estesa compromissione renale, fino al rene grinzo.

Diagnosi:
- Esami ematochimici (leucocitosi, aumento indici di flogosi);
- Esame urine con urinocolture;
- Emocolture, eseguite al picco febbrile e prima di eventuale terapia antibiotica empirica. Le
emocolture sono importanti perché permettono di rilevare la presenza di batteri in circolo e lo studio
dell’antibiogramma;
- Ecografia;
- TC;
- RM.

Complicanze:
- Batteriemia (sepsi);
- Ascesso renale;
- Pionefrosi;
- Rene grinzo, con distruzione dell’architettura renale e conseguente insufficienza renale.
In queste immagini TC, a sinistra, nel rene di dx vi è un focolaio pielonefritico; a destra vi sono dei focolai
bilaterali.

Nell’immagine di sinistra è possibile osservare una lesione che espande il rene, è circoscritta e capsulata, e
rappresenta un ascesso renale.
Nell’immagine di destra, la freccia indica un focolaio pielonefritico.

Terapia:
È difficile che un paziente con pielonefrite non venga ospedalizzato. La terapia ha una durata di 10-14 giorni,
con antibiotici per via endovenosa.
Pz non ospedalizzati:
- Fluorochinoloni per 7-10 giorni.

Pz ospedalizzati:
- Piperacillina/tazobactam +/- aminoglicoside;
- Fluorochinolone;
- Nuove cefalosporine (ceftolozano/tazobactam);
- Carbapenemici.
Questa è una piccola sintesi grafica relativa a cistiti e pielonefriti per quanto riguarda fattori di rischio, clinica
ed eziologica.

PROSTATITE
La prostatite è un’infezione complessa, poiché ha una diagnostica difficile (spesso non è detto che quando vi
è una prostatite vi sia anche una cistite, per cui il germe non si ritrova nelle urine e l’urinocoltura può risultare
normale). Ci sono degli indici indiretti, come il PSA, il rapporto PSA free/PSA totale, che consentono anche
di rilevare che non vi siano altre patologie a carico della prostata, come una neoplasia.
È difficile anche da trattare: la prostata è una ghiandola che, con la sua posizione, determina una sintomatologia
importantissima (perché attraversata dall’uretra, per cui quando si infiamma stringe l’uretra creando stasi). Per
la sua posizione può dare problematiche anche a livello della vescica, del retto (non infrequente è l’insorgenza
di sintomi gastrointestinali, come la diarrea, per la stimolazione della parete del retto) e della sfera riproduttivo-
genitale (eiaculazione dolorosa, ecc). Inoltre, è una ghiandola difficilmente raggiungibile dagli antibiotici (solo
alcuni ci riescono), motivo per cui la terapia della prostatite è parecchio lunga (per la forma acuta si parla di
4-6 settimane di terapia, per la forma cronica addirittura mesi).

Questa condizione genera una sintomatologia spiccata che non recede subito e che può dare la stessa
sintomatologia anche per patologie non infettive, come ad esempio una prostatodinia, un’irritazione non
infettiva, ecc.
La prostata, inoltre, è una “ghiandola a tempo” che ricorda quando si sta invecchiando: superati i 40 anni inizia
ad ingrandirsi. Questo ingrandimento benigno, fisiologico, può dare delle problematiche.

Eziologia: è praticamente la stessa delle altre IVU delle basse vie, con i GRAM- che prevalgono (E. coli,
Enterococchi, Klebsiella, Proteus).
Nei giovani sono frequenti anche le malattie sessualmente trasmesse (Neisseria, Chlamydia).

Clinica:
La forma acuta è fortemente sintomatica, con:
• Febbre elevata;
• Tensione e dolore in sede perineale con irradiazione in sede lombare e rettale, simulando mal di
schiena e a volta anche una colica renale;
• Tenesmo vescicale;
• Disturbi della minzione, per cui a volte è necessario cateterizzare il paziente poiché, la prostata
ingrandita, blocca completamente il flusso urinario.

Nelle forme croniche:


• Febbricola saltuaria;
• Senso di peso in sede perineale;
• Dolore lombare;
• Disturbi della minzione, ma più sfumati.

Diagnosi:
- Esplorazione digito-ano-rettale: permette di rilevare una ghiandola ingrandita, edematosa, più dura,
molto dolente (sconsigliato il massaggio prostatico, cioè la spremitura per raccogliere il liquido
seminale, poiché questo potrebbe sparare batteri in circolo e favorire una batteriemia);
- Ecografia (meglio trans-pubica che trans-rettale);
- TC e RM, permettono di vedere meglio i rapporti della prostata infiammata;
- Urinocoltura con Spermiocoltura (sempre!);
- Emocoltura.

Complicanze:
- Batteriemia;
- Ascesso prostatico, struttura ancora più complessa da raggiungere dagli antibiotici, perché capsulata;
- Epididimite, dovuta alla diffusione locale dell’infezione;
- Estensione alle alte vie urinarie;
- Cronicizzazione.

Terapia:
è una terapia lunga con antibiotici che raggiungono la prostata, come ad esempio i fluorochinoloni, che
stavolta rappresentano gli antibiotici di prima scelta, o il bactrim.
MALARIA
La malaria è una parassitosi endemica diffusa in numerose regioni tropicali e subtropicali, provocata da
sporozoi appartenenti al genere Plasmodium. Sono 4 le specie patogene per l’uomo: falciparum, vivax, ovale
e malariae, con caratteristiche diverse dal punto di vista del ciclo biologico, clinico, terapeutico e della durata.
Vengono trasmesse all’uomo dalla puntura di zanzare femmine del genere Anopheles, specie Gambiae.

Plasmodium è un parassito dixeno, cioè compie fasi diverse del ciclo vitale in due organismi diversi: zanzara
e essere umano.
Nella zanzara femmina, infatti, si realizza il ciclo sessuato o sporogonico, dalla durata di:
- 12 giorni per Pl. Falciparum, vivax ed ovale;
- 25 giorni per Pl. Malariae.
Nell’uomo, invece, compie il ciclo asessuato o schizogonico, che si suddivide in:
- Ciclo preeritrocitario, o epatico;
- Ciclo eritrocitario (durata di 48 per falciparum, vivax e ovale; 72 ore per malariae). Dalla
sincronizzazione di questo ciclo, cioè da quando effettivamente questo ciclo si realizza, dipenderà la
clinica della malaria, cioè gli accessi febbrili, che saranno ogni 3 o 4 giorni.

Il CICLO VITALE del parassita comincia quando la zanzara inietta gli sporozoiti nell’ospite. Questi
sporozoiti, attraverso i vasi sanguigni, raggiungono la prima stazione, il fegato, dove vanno ad infettare gli
epatociti. L’infezione dell’epatocito varia in base al tipo di plasmodio: impiega più giorni per il malariae, meno
giorni per il falciparum (15 giorni circa). A livello dell’epatocita infetto, lo sporozoita comincia a replicare e
a formare lo schizonte, che è una struttura grande che può occupare quasi tutto il volume della cellula, e
all’interno della quale sono presenti tanti merozoiti. Quando lo schizonte raggiunge dimensioni tali da
occupare tutta la cellula, la rompe e rilascia i meroziti in circolo. Il bersaglio dei merozoiti sono i globuli rossi.
Le differenti tipologie di plasmodio hanno diversi bersagli eritrocitari: c’è chi preferisce il globulo rosso
giovane, chi il maturo, c’è chi non ha nessuna preferenza.
All’interno del globulo rosso si riverifica lo stesso ciclo che si è verificato nell’epatocita (merozoiti à
trofozoiti à schizonte à rottura e rilascio di merozoiti), portando alla lisi eritrocitaria a cui corrisponde un
certo grado di parassitemia che, fatta eccezione per il falciparum, solitamente non supera il 2-3% e coincide
con gli accessi febbrili.
Alcuni di questi merozoiti si convertono in gameti, un macrogametocito femminile ed un microgametocito
maschile, che circolano nel sangue. Quando la zanzara nuovamente punge l’uomo infetto, prende questi
gametociti che nella zanzara si accoppiano, formando lo zigote che, passando per la fase di oocinete e oocisti,
migrerà verso le ghiandole salivari e l’apparato buccale della zanzara, per essere di trasmesso ad un nuovo
individuo.
Per quanto riguarda, però, le forme da vivax e da ovale, oltre all’infezione degli epatociti con formazione
dello schizonte, questi parassiti possono dare un’altra forma, nota come ipnozoiti, forme quiescienti che
possono dare origine a delle riacutizzazioni di malaria anche a distanza di anni.

Ogni plasmodio ha delle caratteristiche particolari:


• P. vivax e P. ovale: particolari perché, grazie alla formazione di ipnozoiti, possono dare recidive anche
a distanza. Sono tipici della febbre terzana benigna, l’incubazione varia dai 15 giorni fino a mesi.
Prediligono le emazie giovani e i reticolociti e ingrandiscono i globuli rossi all’interno del quale si
vanno a localizzare. Al microscopio, infatti, saranno visibili grossi globuli rossi pallidi, con i granuli
di Schuffner all’interno, tipici di questa infezione.
Nel fegato, gli ipnozoiti possono durare fino a 5 anni.
Deformano il globulo rosso, da cui “ovale”.

• P. malariae: caratterizzato da un tempo di incubazione più lungo (fino a 20 giorni), provoca la febbre
quartana benigna, con accessi ogni 72 ore. Predilige le emazie adulte, e non determina marcate
variazioni nella morfologia del globulo rosso. Genera uno schizonte caratteristico, definito “giovane a
banda”. Una delle caratteristiche peculiari di questo parassita, è che le forme eritrocitarie sono molto
longeve, per cui se non trattata bene, può dare recidive fino a 20-30-40 anni dopo.
• P. falciparum:
Responsabile della febbre terzana maligna e della malaria grave. Ha un’incubazione di 6-15 giorni,
non predilige un certo tipo di emazie e può dare fino a un 5-20% di emazie parassitate (parassitemia).
Nel globulo rosso giovane assume il caratteristico aspetto di anello con castone:

Trovare più anelli con castone all’interno di un globulo rosso è tipico del falciparum.
Genera una schizogonia nei capillari viscerali (soprattutto encefalo).
I gametociti sono o a semiluna, o a falce.

EPIDEMIOLOGIA
La zanzara femmina del genere Anopheles gambiae vive circa un mese, punge dal crepuscolo all’alba, mentre
di giorno vive in zone ombreggiate. Vive al di sotto dei 2000-2500 metri di altitudine, per cui nelle zone
montane non vi è rischio. Questo perché la temperatura ottimale per il compimento del ciclo vitale è di circa
25-50°. Dunque, la malattia è diffusa in zone a clima caldo-umido tra i 45° nord e i 30° sud di latitudine.
Oltre alla puntura della zanzara, è possibile la contaminazione attraverso l’inoculazione di sangue infetto
(emotrasfusioni, sharing), o per trasmissione transplacentare o, ancora, la cosiddetta “malaria da aeroporto”,
cioè i viaggiatori nei paesi a rischio.
Alcuni luoghi sono endemici per la malaria, in particolare: Sud Africa, Nigeria, Congo, ma anche il Sud
America, l’India. Per quantizzare questa endemicità, esistono vari indici, tra cui l’indice splenico, cioè la
frequenza di splenomegalia nei bambini di età compresa tra i 2 e i 9 anni.
Le zone malariche sono suddivise in:
• ipoendemiche: prevalenza di endemicità < 10%;
• mesoendemiche: prevalenza di endemicità 11-50%;
• iperendemiche: prevalenza di endemicità 51-75%;
• oloendemiche: prevalenza di endemicità > 75%.

La malaria è la seconda malattia infettiva al mondo per morbilità e mortalità dopo la tubercolosi, registrando
300-500 milioni di nuovi casi clinici l’anno (90% in Africa tropicale) e 1 - 2,5 milioni di morti l’anno (specie
Il 42% della popolazione mondiale vive in zone endemiche. Ogni anno circa 10.000-30.000 viaggiatori europei
e americani si ammalano di malaria.
La malaria in Italia è stata eradicata. I casi che si registrano sono importati da turisti o da immigrati (da aree di
endemia); dunque non ci sono casi autoctoni. Tuttavia, nelle nostre zone, in cui persistono dei territori paludosi,
la zanzara è presente, ma per trasmettere la malaria è necessario un soggetto infetto.

Sempre di più si parla di malaria clorochino-resistente e farmaco-resistente.

PATOGENESI
La sintomatologia, la febbre, si ha per:
• Lisi delle emazie parassitate (che rilasciano in circolo pirogeni endogeni, come IL-1, IL-6, TNF,
chinine, PGE2).
• Liberazione del pigmento malarico;
• Iperattività del sistema macrofagico;
• Epato-splenomegalia;
• Anemia, per distruzione dei globuli rossi. Il plasmodio converte l’eme in emozoina, in quanto l’eme

La Malaria da falciparum, però, presenta delle caratteristiche peculiari che caratterizzano la cosiddetta
“malaria grave”, che porta rapidamente a morte il soggetto se non trattato. In seguito all’elevata percentuale
di parassitemia, il falciparum determina una compromissione della vascolarizzazione, soprattutto a carico dei
piccoli vasi, primo tra tutti l’encefalo, ma anche il rene. Dunque, dal punto di vista patogenetico, si ha:
- Schizogonia nei capillari cerebrali;
- Ridotta deformabilità eritrocitaria;
- Formazione di trombi e ischemia;
- Rosettazione;
- Modifiche della parete endoteliale;
- Ostruzione dei capillari cerebrali;
- Difetto di trasporto di O2 e conseguente ipossia;
- Acidosi;
- Ipogliemia locale;
- Emorragie perivascolari;
- Turbe del circolo cerebrale fino al coma.
Ciò che determina, dunque, è un rallentamento del circolo a carico degli organi particolarmente irrorati:
• Encefalo: disorientamento, delirio, stato soporoso fino al coma;
• Rene: insufficienza renale;
• Polmone: edema polmonare;
• Apparato digerente: vomito e diarrea;
• Fegato: ittero e febbre.

Ci sono delle caratteristiche che possono determinare una resistenza naturale all’infezione del Plasmodium
e allo sviluppo di malattia:
- Trait talassemico;
- Trait falcemico;
- Emogruppo Duffy negativo.
Tutti questi creano una condizione di refrattarietà (emogruppo D-) o di minore gravità della malattia. (Triats).

I soggetti che vivono in regioni endemiche, che sono quindi continuamente soggetti a punture, quindi a contatto
con il plasmodio, sono caratterizzati da un fenomeno noto come premunizione, un’immunità legata alla
persistenza di un’infezione latente, che però scompare allontanandosi dalla regione endemica. Dunque, non è
raro che un soggetto proveniente da regioni a rischio, muovendosi in una regione non endemica, sviluppo segni
e sintomi della malaria.

SINTOMATOLOGIA
Il periodo di incubazione è variabile in base alla specie di plasmodio considerato, comunque compreso tra i 10
e i 20 giorni.
Nel periodo di prima invasione il sintomo preponderante è la febbre elevata e irregolare, che non sincronizza,
assieme a brivido e sudorazione, cefalea e rachialgie, vomito e diarrea ed epatomegalia.
L’accesso malarico è caratterizzato dallo stadio del brivido (dura da mezz’ora a due ore, in cui si ha brivido
intenso, scuotente, cefalea, rachialgie ed ipotensione) seguito dallo stadio del calore (2-7 ore, sale la febbre a
temperature elevate – 40/41° - con volto arrossato, cute asciutta, polso pieno e delirio) e infine si ha lo stadio
della sudorazione (durata di 2-3 ore, la febbre scende per lisi, ed è accompagnato da sudorazione profusa ed
ipotensione).

Nella Malaria da P. falciparum, come già detto, vi è un quadro clinico grave, può esserci patologia d’organo
e una letalità elevatissima. Sono pazienti che vanno in insufficienza renale, in coma e si sciocca.
Si tratta della cosiddetta Malaria perniciosa, osservata solo nella fase di prima invasione in individui non
immuni (bambini indigeni, viaggiatori):
Ø Esordio brusco, febbre elevata;
Ø Coma, convulsioni, interessamento meningeo;
Ø Grave anemia, trombocitopenia;
Ø Ipoglicemia, acidosi metabolica;
Ø CID, per consumo di piastrine e fattori della coagulazione;
Ø Insufficienza renale;
Ø Ittero, diarrea, enterorragie;
Ø Collasso cardio-circolatorio – Shock;
Ø Sindrome da distress respiratorio (ARDS).
Perché si tratti di questa forma di malaria, è necessario che vengano rispettati questi criteri:

Forme cliniche particolari:


- Bambini;
- Gravide;
- Soggetti immunocompromessi (HIV);
- Postrasfusionale.

Complicanze:
- Insufficienza Renale Acuta;
- Nefropatia quartana;
- Emoglobinuria malarica (Blackwater fever);
- Splenomegalia malarica iperreattiva (spl.tropicale).

Ci possono essere delle recrudescenze, per persistenza in circolo di forme intra-eritrocitarie (nelle forme da
P. malariae), oppure se trattate inadeguatamente (nelle forme da falciparum) o, ancora a causa degli ipnozoiti
intraepatici (nelle forme da vivax e ovale).

DIAGNOSI
Il paziente tipo è un soggetto proveniente da una regione a rischio, che se ne frega di fare la profilassi, di
mettere la protezione e circa 10 giorni dopo essere tornato, compare la febbre alta. Viene così il sospetto di
Malaria e, per fare diagnosi (che è una diagnosi di tipo diretto), si fa:
• Striscio sottile di sangue periferico, serve per identificare la specie di plasmodio causa della malattia;

Il professore consiglia la visione di un video illustrante l’esecuzione dello striscio (https://youtu.be/FEDSQYorZFk)


• Goccia spessa, serve per quantificare la parassitemia.
Non tutti sono in grado di leggere lo striscio di sangue e rilevare la presenza di malaria. Purtroppo,
però, è una patologia che va trattata il più tempestivamente possibile, motivo per cui si hanno altri
mezzi di diagnosi, tra cui:
• Test antigenici rapidi, che dicono se il paziente ha Malaria, e se si tratta di falciparum o meno;
• Sonde DNA;
• PCR.

PROFILASSI
- Bonifica ambientale;
- Profilassi individuale:
La profilassi individuale la si fa attuando delle misure preventive generali:
1. Evitare le aree extraurbane dopo il tramonto;
2. Usare abiti spessi e colorati;
3. Stanze schermate;
4. Repellenti cutanei (dietiltoluamide, dimetilftalato);
5. Zanzariere trattate;
6. Insetticidi.

In base alla prevalenza di Malaria nell’area in cui si deve andare, è indicata anche una profilassi
farmacolocica, per esempio con il Malarone o con la Doxiciclina, a partire da 2 giorni prima, per tutta la
durata del viaggio e per una settimana dopo il rientro.

TERAPIA
È una terapia breve (4 giorni) nelle forme non complicate.
Schizonticidi ematici:
- Chinino;
- Clorochina;
- Proguanile;
- Meflochina;
- Atovaquone.

Schizonticidi tessutali:
- Primachina.

L’OMS raccomanda, inoltre, l’utilizzo di preparati dell’artemisinina, estratto dell’Artemisia, come


l’artemetere.
Oggi il farmaco più utilizzato è l’Eurartesim, che si somministra a peso per circa 4 giorni.

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