Sei sulla pagina 1di 14

Lezione del 05/12/2017

Professoressa Sagnelli
PARASSITOSI – Le Amebe
Nell’instaurarsi delle parassitosi la trasmissione oro-fecale riveste un ruolo estremamente
importante, soprattutto se si pensa al fatto che la stragrande maggioranza delle malattie parassitarie
viene acquisita per ingestione di acqua o di cibi contaminati; così come, specie nelle zone tropicali,
parassitosi varie posso scatenarsi a seguito di bagni in fiumi o laghi contaminati.
Una seconda forma di trasmissione parassitaria è quella che avviene tramite vettore, che si verifica
quando il parassita è trasmesso all’ospite durante il pasto ematico dell’insetto vettore (è il caso, ad
esempio delle Rickettsiosi, veicolate da zecche e cimici; della Dengue tramite mosquitos; di
Malaria e Leishmania trasmesse da zanzare e pappataci).
Un’ultima modalità di trasmissione parassitaria è quella che si verifica per penetrazione diretta
attraverso la cute, prerogativa esclusiva di alcuni vermi quali le filarie.
Le parassitosi sono contraddistinte da una sintomatologia estremamente variabile:
- disturbi generali aspecifici, quali: nausea, assenza o presenza di febbricola;
- sintomi più importanti, che si estrinsecano con l’invasione tissutale del parassita e il
conseguente danno localizzato,
il tutto in relazione al quantitativo di parassiti presenti nell’ospite (in zone endemiche, infatti,
possono verificarsi più infezioni parassitarie nello stesso momento); all’età di acquisizione del
parassita (l’acquisizione in età infantile, ad esempio, porta ad una parassitosi di tipo “asintomatico”,
dovuta al fatto che l’agente parassitario diviene una sorta di commensale per l’organismo ospite,
cosa che si verifica in alcune zone dell’Africa sub-tropicale soprattutto); al tipo di flora batterica
intestinale presente (deputata a regolare l’omeostasi intestinale); allo stato nutrizionale del posto;
alla presenza di scarsi livelli igienici generali (dovuti, ad esempio, all’assenza di un sistema
fognario moderno, al persistere di territori paludosi).
Manifestazioni cliniche tipiche delle parassitosi risultano essere:
- infiammazioni intestinali: che comportano sempre diarrea purulenta o sanguinolenta (perché
determinano alterazione della mucosa enterica), dolori crampiformi, occlusione intestinale,
dimagrimento ed anemia (come in caso di Tenie; anni addietro, ad esempio, per poter
forzatamente dimagrire, era in vigore la pratica d’ ingerire uova di Tenia con sviluppo della
conseguente parassitosi, che poi veniva eradicata sottoponendosi ad un ciclo corretto di
farmaci; segno di remissione completa dall’infezione era il ritrovare la testa del parassita
con l’escrezione fecale, dopo essersi sottoposti ad una purga idrosalina);
- epatosplenomegalia: come in caso di Schistosomiasi vescicale (endemica nell’Africa sub-
sahariana, e frequente negli immigrati) che comporta interessamento a livello epatico,
ipertensione portale, manifestazione dei sintomi anche a distanza di 20-30 anni di distanza
dall’acquisizione, per cui risulta estremamente importante fare un’anamnesi corretta;
- interessamento muscolare: è il caso ad esempio della Trichinella, che forma la larva
all’interno dei miociti, provocando dolore e aumento dei livelli di CK muscolare; o il
Tripanosoma, che determina cardiomiopatia;
- interessamento uro-genitale: con dolore soprapubico, ematuria, prurito, leucorrea;
- interessamento respiratorio: in genere transitorio, caratterizzato da: tosse, dolore toracico,
emottisi (nel Pneumocystis carinii);
- alterazioni cutanee: con prurito, esantema urticarioide da ipersensibilità a seguito della
liberazione di prodotti del metabolismo parassitario, lesioni infiammatorie serpiginose (nella
zona di incistamento del parassita, con susseguente reazione edematosa localizzata), noduli
sottocutanei;
- sintomatologia generalizzata: tipica delle parassitosi ematiche e manifesta mediante: febbre,
brividi, sudorazione notturna, apatia, mialgia, linfoandenopatia e perdita di peso;
- aumento, a livello dell’emocromo, dei globuli bianchi, in particolare degli eosinofili: segno,
questo, comune però a molte altre malattie; è necessario, pertanto, comprendere bene il
livello di aumento degli eosinofili (che rappresentano, normalmente, il 2-3% della formula
leucocitaria) ed il loro valore assoluto (una quota importante di eosinofili presenti, per fare
diagnosi di parassitosi in corso, va dai 1000 eosinofili in su); per poter fare diagnosi
differenziale tra diverse forme di malattie parassitarie si effettua l’ esame delle feci
parassitologico, consistente nel rilevare il rapporto degli eosinofili su tre campioni di feci
differenti, raccolti in tre giorni diversi. In più, se c’è sospetto di ossiuriasi, si effettua anche
lo Scotch test; se c’è sospetto di amebiasi si può richiedere un test immuno-
fluorocitometrico.
I parassiti protozoari presentano diverse forme di vita ed il loro ciclo biologico risulta essere
fondamentale, sia per il modo in cui riescono a sopravvivere nell’ambiente e quindi ad essere
trasmessi da un ospite all’altro, sia per quelle che sono le loro capacità intrinseche di parassitosi. I
parassiti riescono a proteggersi nell’ambiente esterno assumendo la forma di cisti (è il caso, ad
esempio, delle oocisti del Toxoplasma gondii); nella cisti riescono a riprodursi, così da due nuclei
si dividono e passano a quattro, fino ad arrivare ad otto; infine, la cisti è quella forma del parassita
dotata di potere infettante: a seguito d’ingestione di cibo o acque contaminate le cisti parassitarie
arrivano nello stomaco, maturano all’interno, il loro involucro viene ad essere distrutto e da esso
fuoriesce la larva, che consente la sopravvivenza del parassita (parimenti, la stessa cosa, le cisti
parassitarie sono in grado di svolgerla all’interno dell’intestino). Le cisti sono, inoltre, provviste di
una spessa cuticola di rivestimento, hanno un metabolismo ridotto e sono resistenti a disinfettanti
come la formalina, il cloro, il calore e il fenolo.
Un’altra forma del parassita, quella che gli consente l’invasività tissutale, è quella del trofozoita:
dalla cisti si sviluppa questo organismo unicellulare, eucariota, aerobio anaerobio facoltativo,
eterotrofo, munito di flagelli, ciglia o pseudopodi, riscontrabile in ogni tipo di parassitosi, dotato di
riproduzione asessuata o sessuata (per esempio, in alcuni vettori, il trofozoita si riprodurrà
sessualmente, per poi passare ad un ciclo riproduttivo asessuato nell’ospite intermedio), dotato di
piccolissime dimensioni (dell’ordine di 4-100 µm) per cui necessita di microscopia elettronica per
poter essere osservato, talvolta provvisto d’involucri di rivestimento aggiuntivi (guscio, teca).
Anche il trofozoita va incontro, nel suo ciclo vitale, a maturazione, per cui di esso si distinguerà:
una forma minus e una forma magna.
I parassiti protozoari si nutrono di: detriti organici, batteri, alghe (alcuni protozoi, infatti,
possiedono alcune fasi vitali nell’acqua), altri protozoi, e lo fanno attraverso due sistemi:
- per diffusione attraverso la membrana;
- per endocitosi: le particelle, così, vengono inglobate e racchiuse in invaginazioni della
membrana, con formazione di un vacuolo nutritizio all’interno del quale gli enzimi ne
operano la degradazione, e successiva liberazione delle molecole nel citoplasma cellulare.
La funzione nutritizia può essere anche svolta da estroflessioni citoplasmatiche (gli
pseudopodi) che, al tempo stesso, rivestono anche il ruolo di organi di movimento.
La riproduzione asessuata dei parassiti protozoari può avvenire per:
- scissione binaria (longitudinale o trasversale);
- gemmazione (parte della cellula si coarta e si stacca);
- schizogonia (con divisione multipla dei nuclei).
La riproduzione sessuata di tali parassiti, invece, si verifica per:
- gametogamia (le cellule sessuali si uniscono a formare lo zigote, che successivamente si
divide);
- coniugazione (due parassiti protozoari vengono a contatto e si scambiano il materiale
nucleare, per poi separarsi e generare ciascuno cellule figlie).
L’azione patogena che il trofozoita parassitario provoca a livello tissutale può avvenire:
- per azione meccanica, con erosione della parete mucosa per invasione (come nella Giardia, in
particolare);
- per azione tossica, a seguito della liberazione di citochine (come nel Plasmodium della
Malaria);
- per necrosi dei tessuti, per azione di enzimi idrolitici o endotossine (come si verifica
nell’Ameba e nel Toxoplasma);
- a seguito di stimolazione di una reazione immunologica, locale o sistemica, con formazione
di granulomi o lesioni iperplastiche.

Amebe (sarcodina)
Le amebe sono dotate di pseudopodi, si riproducono per scissione binaria longitudinale e se ne
riconoscono differenti generi: Acanthamoeba, Naegleria, Entamoeba cui appartiene la specie ospite
più importante per l’uomo: l’Entamoeba histolytica, dotata di localizzazione prevalentemente
intestinale e potenzialmente patogena. L’Acanthamoeba è, invece, meno frequente e può provocare
alterazioni a livello congiuntivale e a livello meningeo. Queste forme parassitarie vivono
prevalentemente nelle acque contaminate delle zone tropicali; a seguito di contatto con l’organismo
ospite, dal naso e risalendo per via retrograda, tramite il SNC, possono provocare un’infezione a
livello centrale, che si manifesta dapprima sotto forma di encefalite, per poi poter evolvere in
meningoencefalite. Un altro parassita che può dare localizzazione cerebrale è il Toxoplasma,
responsabile dello sviluppo di un ascesso cerebrale (specie negli immunodepressi con CD4+ <
100), e che appare a livello del tessuto cerebrale sotto forma di bradizoiti presenti all’interno
dell’ascesso cerebrale al momento della sua rimozione chirurgica.
L’ameba è solo uno dei tanti parassiti intestinali, munito di nucleo centrale e pseudopodi,
osservabile nel suo movimento, al microscopio, a seguito di riscaldamento del vetrino. L’ameba è
conosciuta specialmente come agente eziologico di un’infezione del colon, l’amebiasi intestinale,
sostenuta da Entamoeba histolytica; clinicamente questa si manifesta sotto forma di diarrea di varia
entità (con un singolo episodio, o più episodi importanti fino ad evolvere in dissenteria grave), ma
può venir, talvolta, sottostimata e questo consente al parassita di espandersi all’intero intestino e
diffondersi a tutti i tessuti.
Due sono le specie endoparassite obbligate appartenenti al genere Entamoeba: Entamoeba
histolytica ed Entamoeba dispar; più raramente, parassiti facoltativi dell’uomo risultano essere
quelli appartenenti al genere Naegleria (che può dare localizzazione a livello del SNC) e al genere
Acanthamoeba. L’Entamoeba dispar è, di norma, un commensale dell’intestino umano e non
provoca danno a livello del colon, per cui risulta essere importantissima la diagnosi differenziale
del sottotipo in presenza di enterocolite da parassita (per un soggetto che giunge a visita con una
diagnosi di Entamoeba, infatti, va inquadrata la presenza di una malattia clinica in corso o no, e
questo lo si fa anche in base alla conoscenza del Paese di origine del paziente; trascorrere la propria
vita interamente in Italia, ad esempio, non dà modo di entrare in contatto col parassita
dell’Entamoeba, l’esposizione ad un rischio potenziale di contaminazione è correlata alla
provenienza da una zona tropicale, o da un eventuale viaggio in uno questi Paesi). L’amebiasi
intestinale si localizza, in particolare, a livello del colon e del cieco e può complicarsi con forme
ascessualizzate extraintestinali, soprattutto a livello epatico. Gli organi bersaglio delle amebe sono
il SNC (con quadri clinici di encefalite o di meningo-encefalite) e l’occhio (col contatto attraverso
le congiuntive, che può dar luogo a cheratiti monolaterali, e più raramente bilaterali; di norma
provocate da Acanthamoeba). L’amebiasi è un’infezione protozoaria ubiquitaria, di più frequente
riscontro nei Paesi a clima tropicale con precarie condizioni socio-sanitarie; è diffusa in Medio
Oriente, Africa, America Centrale e Meridionale. In Italia quasi tutti i casi d’amebiasi riscontrati
sono da importazione; nel mondo, invece, rappresenta la terza causa di mortalità da malattia
parassitaria, dopo la malaria e la schistosomiasi.
Esistono 5 specie di Entamoeba, di cui solo 2 possono infettare l’uomo causando un’infezione
amebica intestinale:
- l’Entamoeba dispar: normalmente un commensale che si localizza nel colon umano, senza
dare malattia;
- l’Entamoeba histolytica: la sola forma patogena per l’uomo, in grado di causare quadri clinici
di malattia intestinale ed extraintestinale. La sua trasmissione avviene attraverso portatori
sani di cisti, o tramite l’ingestione di acque e di alimenti crudi (quali frutta e verdura mal
lavate) contaminati dalle forme cistiche amebiche ad elevata resistenza; vie alternative di
contagio possono essere quella sessuale (negli omosessuali), e raramente il trasporto passivo
delle cisti ad opera d’insetti vettori (quali: mosche, blatte ecc.). Nei Paesi endemici per via
dell’elevato numero di portatori cronici che eliminano uno scarso numero di cisti, la
malattia conclamata si osserva solo sporadicamente e a seguito di una contaminazione
fecale massiccia. L’eradicazione dell’infezione amebica in un determinato territorio
richiederebbe il trattamento dell’intera popolazione del posto, la bonifica del territorio
stesso, la costruzione di un sistema idrico che consenta di evitare la ricomparsa del
parassita, un processo, quindi, piuttosto complesso. L’amebiasi da E. histolytica ha un
tropismo particolare per la parete del colon, dove provoca una caratteristica ulcerazione a
“bottone di camicia”, o lesioni con tessuto di granulazione a carico della parete enterica che
prendono il nome di amebomi. Le amebiasi intestinali, oltre all’ospite, presentano un
serbatoio animale rappresentato da cani e gatti. L’Entamoeba histolytica si presenta, nel
corso della patogenesi da essa indotta, in due forme:
• il trofozoita: mobile, responsabile dell’infezione tissutale perché in grado di
penetrarvi all’interno; è munito di un nucleo dotato di caratteristici depositi di
cromatina, colonizza il lume e la mucosa del colon dove si nutre dei batteri
commensali ivi presenti; può essere ritrovato nelle feci liquide, nel corso delle
importanti scariche diarroiche che caratterizzano la fase di colite attiva
dell’infezione, ma muore rapidamente in ambiente esterno, per cui ne consegue che
è difficile fare diagnosi di amebiasi da E. histolytica volendo andare a ricercare il
trofozoita. Alcuni trofozoiti possono essere trovati e prelevati nel lume intestinale
solo tramite colonscopia; a livello intestinale, però, ciò che si ritroverà non saranno i
trofozoiti veri e propri in movimento, bensì delle ulcere (a livello del colon e del
cieco in particolare) che si verranno a formare in seguito ad invasione ed azione del
trofozoita, che tenterà così di sopravvivere e di accedere ai tessuti e nel circolo
sanguigno. I trofozoiti, pertanto, si vanno tutti a localizzare lungo la parete
dell’ulcera; la biopsia dell’ulcera, a seguito di colonscopia, consentirà di poter
trovare trofozoiti d’ameba sul reperto istologico prelavato.
• le cisti: sono sferiche, dotate di 8 nuclei quando raggiungono la definitiva maturità,
presenti nelle feci del paziente infetto, anche se asintomatico; in ambiente esterno,
mantengono il loro potere infettante per 1 mese e resistono alla clorazione dell’acqua
(per cui anche l’acqua potabile delle condutture, l’acqua delle piscine, se
contaminata è potenzialmente infetta).

Le cisti di E. histolytica, nei preparati non colorati, si presentano come corpi sferici di color ialino,
munite di una spessa parete rifrangente ed estremamente differenziate perché dotate di due nuclei e
il cariosoma centrale, estremamente piccole (del diametro di: 10-15 µm).

Il trofozoita dell’E. histolytica (sulla destra) ha una forma completamente diversa dalla cisti (sulla
sinistra); è munito, infatti, di una forma perfettamente adatta per assolvere alla sua funzione
infiltrativa e presenta nucleo centrale. La cisti nell’immagine è in fase replicativa, i suoi nuclei sono
già più di uno; la cisti di E. histolytica si replica, in corso di maturazione, fino ad 8 nuclei, per poi
dividersi nelle due cisti “figlie” finali, munite ciascuna di 4 nuclei.
La formazione delle cisti, dai trofozoiti, avviene nel colon retto durante la disidratazione delle feci,
condizione questa sfavorevole alla vita dei trofozoiti; la trasformazione dei trofozoiti in cisti
avviene in più tempi: 1) avviene dapprima l’eliminazione, da parte del trofozoita, del cibo ingerito;
2) segue la formazione di una pre-cisti di forma rotondeggiante e munita di un solo nucleo, che va
incontro ad un’ulteriore fase di maturazione che prevede la divisione del nucleo stesso; 3) infine
questa cisti, ancora immatura, con una successiva mitosi dà origine a due cisti mature. La cisti
amebica acquisita a seguito d’ingestione di cibi o acque contaminate è resistente ai succhi gastrici e
giunge fino all’intestino tenue, dove libera quattro trofozoiti che invadono il grosso intestino. Le
amebe si moltiplicano nell’intestino per fissione binaria; durante il loro passaggio dal segmento
destro a quello sinistro del colon, si circondano di una parete resistente all’essiccamento,
trasformandosi in quelle cisti che si ritroveranno all’interno delle feci solide.

Nel ciclo dell’amebiasi si ha: ingestione della cisti amebica (già munita di 4 nuclei) dall’esterno;
arrivo della cisti a livello gastrico ed inizio della sua moltiplicazione binaria con formazione del
trofozoita, che si riversa in parte nel circolo ematico (cosa che gli contente di raggiungere anche
cuore, fegato, polmoni e cervello), e in parte continua il suo percorso nel tubo digerente; si ha
riformazione della cisti a livello intestinale (dapprima mononucleata, poi binucleata); per poi
arrivare alla forma matura della cisti amebica, tretranucleata, che si viene a formare a livello del
colon retto. A livello del fegato questo parassita può essere responsabile della comparsa di necrosi
epatiche estese simil-ascessuali.

Tre sono, fondamentalmente, le fasi caratterizzanti il ciclo biologico dell’Entamoeba histolytica:


1) Trofozoita in forma “minuta”: la fase ancora vegetativa del trofozoita, che sta maturando;
risulta essere mobile perché dotato di pseudopodi e si localizza all’interno del lume
dell’intestino crasso;
2) Trofozoita in forma “magna”: è la fase patogena, responsabile del danno tissutale a carico
dell’intestino, perché munita di enzimi istolitici in grado di esercitare azione citotossica ed
erosiva sulla mucosa enterica, con conseguente fagocitosi, da parte del trofozoita in forma
magna, di cellule, emazie, leucociti; è responsabile della diarrea correlata all’amebiasi
intestinale;
3) Cisti: sono lo stadio finale del ciclo vitale dell’Entamoeba, di cui rappresentano la fase di
resistenza; vengono espulse con le feci e possono essere responsabili della diffusione
dell’infezione.
La dissenteria amebica s’instaura quando il soggetto affetto presenta difese immunitarie ridotte
(per le cause più disparate: immunodepressione, neoplasie, AIDS, malnutrizione ecc.) cui si
aggiungono più infestazioni intestinali ricorrenti. In questo caso, il trofozoita assume dimensioni
addirittura maggiori di quelle che normalmente possiede nella forma magna, ed è molto mobile
grazie all’emissione di pseudopodi che gli consentono d’invadere i tessuti. Questi trofozoiti
superano lo strato mucoso che ricopre la parete intestinale, aderiscono strettamente alla mucina e
alle cellule epiteliali ed inducono, tramite la liberazione di enzimi proteolitici, tutta la degradazione
della lamina propria, raggiungendo così la sottomucosa intestinale. Segue la degradazione della
matrice extracellulare e del collagene, con ipersecrezione e liberazione delle IgA da parte
dell’organismo, che tenta di mettere a punto un principio di difesa. I trofozoiti, approfondendosi
nella sottomucosa intestinale, possono dar luogo a un’ulcera, che per via del suo maggior diametro
laterale viene comunemente definita “a bottone di camicia” o “a fiasco”. La zona sottostante
l’ulcera è necrotica ed è estremamente piena di trofozoiti, ma è tutta la parete dell’ulcera ad essere
ricoperta dai trofozoiti; non si tratta di un’ulcera con intorno il tessuto cicatriziale, ed è questa la
particolarità che distingue l’ulcera amebica da una comune ulcera. La sintomatologia della
dissenteria amebica è contraddistinta da: alternanza di diarrea e costipazione, dolori addominali
crampiformi, dolorabilità epigastrica e colica e feci che possono contenere muco-sangue. La
dissenteria amebica può comportare diarrea muco-ematica non acquosa, che contiene trofozoiti vivi
e, di norma, sono 12 le scariche diarroiche giornaliere nella forma acuta. A sottolineare la
persistenza dell’infezione, che può assumere anche una forma di tipo cronico, gli attacchi di
dissenteria possono ricorrere ad intervalli regolari per anni, o può osservarsi un’improvvisa
complicanza.

Nei casi gravi, l’ulcera interessa a tutto spessore la parete intestinale con perforazione e
conseguente diffusione dei trofozoiti a tutto il peritoneo, il che può comportare l’insorgenza di
peritonite amebica (così come avviene nel tifo dove, a seguito di perforazione, può verificarsi
comparsa di “peritonite saccata”). In caso di ulcera amebica, inoltre, risulta essere particolarmente
raccomandato l’esame bioptico; di norma, le biopsie delle ulcere si effettuano sullo strato
periferico, in caso di ulcera amebica, invece, acquista maggior importanza lo strato centrale
dell’ulcera. Nel momento in cui s’instaura una forma cronica di amebiasi, dovuta ad esempio al
fatto di risiedere in una zona endemica per la malattia o di non sottoporsi al trattamento dopo averla
contratta, si potranno formare delle importanti cicatrici stenosanti a livello del colon, nonché veri e
propri pseudotumori parassitari, provocati da blocchi di parassiti, con sintomatologia simil-
neoplastica: il cosiddetto ameboma, o granuloma amebico, a sede preferenziale nell’intestino
cieco.

Nella forma acuta dell’amebiasi è possibile, quindi, avere delle manifestazioni intestinali: si potrà
avere una forma asintomatica della malattia, con eliminazione delle cisti mediante feci per periodi
prolungati e soggetto affetto che risulterà, pertanto, essere un portatore; si può avere una forma
sintomatica (con eliminazione, parimenti, di cisti per via fecale), caratterizzata da:
- rettocolite amebica: con perdita importante di sangue e muco tramite la diarrea, cui si
accompagnano dolori addominali crampiformi, flatulenza, dolorabilità epigastrica, poca
febbricola, epatomegalia dolorosa;
- peritonite: a seguito di perforazione intestinale;
- megacolon tossico: un’importante e grave complicanza.
Nella forma cronica dell’amebiasi, si potrà registrare insorgenza di:
- ameboma: uno pseudotumore;
- colite cronica non dissenterica: una forma di colite cronica che determina segni e sintomi
simili a quelli di altre malattie infiammatorie intestinali; è contraddistinta da: diarrea
intermittente non dissenterica (con assenza, quindi, di perdite ematiche), dolori addominali,
flatulenza e perdita di peso. E’ possibile confonderla con: sindrome del colon irritabile,
enterite regionale, diverticolite.
A seguito di una diagnosi errata o troppo dilazionata nel tempo, se il trofozoita amebico s’inoltra
nel circolo ematico, dopo aver perforato la sottomucosa intestinale e la relativa matrice
extracellulare, può dar luogo a amebosi extra-intestinali, manifestazioni extra-intestinali della
malattia che comprendono:
- ascesso epatico (la forma più frequente, per via della contiguità anatomica tra intestino e
fegato);
- ascesso polmonare (secondo per frequenza);
- ascesso cerebrale (più raro);
- pericardite.

L’ ascesso epatico, provocato dal trofozoita amebico che ha raggiunto il fegato, non è un ascesso
dotato di una vera e propria parete, né di una capsula, bensì è costituito da tessuto epatico
compromesso, tappezzato da trofozoiti in attiva moltiplicazione, che trovano un substrato
favorevole su cui potersi impiantare e dove poter formare una o più cisti. Le cisti amebiche
impiantate a livello epatico possono espandersi e, normalmente, ci aspetteremmo di osservare la
compromissione del tessuto vicino; questo, tuttavia, non si verifica e ciò, pertanto, non provoca un
aumento nella conta delle transaminasi in circolo (dal momento che non si verifica lisi
dell’epatocita), che possono quindi risultare del tutto regolari. Ciò che può, invece, verificarsi è
l’ostruzione delle vie biliari, a seconda delle dimensioni e del numero delle cisti effettivamente
presenti, che compromettono la funzionalità biliare. L’ascesso contiene un liquido cremoso prodotto
dalla necrosi colliquativa delle cellule epatiche (al prelievo, questo liquido apparirà munito di color
cioccolato, e già questo particolare è sufficiente per poter confermare il sospetto clinico di ascesso
epatico d’ameba); il liquido prelevato verrà inviato al laboratorio microbiologico e qui analizzato
dal punto di vista chimico-fisico, e nel sospetto amebico osservato anche al microscopio. L’ago
adoperato per il prelievo del liquido ascessuale, che ha picchiettatto sulla parete dell’ascesso (ricca
di trofozoiti), verrà poi riutilizzato, tramite una siringa di fisiologica, per poter riversare su vetrino i
trofozoiti in esso presenti e poterli immediatamente sottoporre ad osservazione (il trofozoita
sopravvive poco in ambiente esterno, per cui tali operazioni necessitano di una certa celerità);
questo perché l’individuazione di trofozoiti mobili, all’interno di una cisti anecogena come quella
amebica, consente di fare diagnosi differenziale tra cisti amebiche e cisti biliari, parimenti munite di
un contenuto, a livello ecografico, anecogeno (scuro), ma sprovviste di trofozoiti. Le cisti amebiche
sono raramente sovrainfettate, presentano un profilo tondo e regolare (con lunghezza da 2-3 cm fino
a 10-15 cm) e, in alcuni casi, vengono scoperte solo casualmente, a seguito di radiografia. L’ascesso
amebico epatico si presenta, solitamente, sotto forma di ascessi multipli, con sede più frequente
nella parte postero-superiore del lobo epatico destro (75% dei casi).
La complicanza principale dell’ascesso epatico d’ameba è la fistolizzazione al polmone: l’ascesso,
infatti, può spontaneamente fistolizzarsi per via cutanea o epato-bronchiale e invadere la cavità
pleurica destra, lo spazio subfrenico e il polmone destro. In alternativa può, tramite il circolo
portale, provocare un’altra localizzazione ascessuale al polmone, o lesioni metastatiche al cervello e
al polmone (seppur rare), nonché l’ittero. L’ascesso amebico epatico è più frequente nel sesso
maschile (4:1); suoi fattori predisponenti risultano essere l’alcool ed altre sostanze epatotossiche,
che agevolano l’impianto ed il nutrimento dei trofozoiti; ed è indipendente dalla dissenteria
amebica.

L’ameboma è una massa morbida palpabile o una lesione anulare che si viene più spesso a
localizzare in regione ileo-ciecale (tra cieco e colon ascendente), a seguito di processi infiammatori
cronici che s’instaurano, per via d’infezioni secondarie, in corrispondenza di ulcerazioni della
mucosa. E’ una formazione granulomatosa, pseudoneoplastica, molto rara nei bambini, che si
presenta come una massa endoluminale del cieco o lungo il colon ascendente e può dare sintomi
sub-occlusivi, ma è sensibile alla terapia. L’incubazione media dell’ameboma va da 1 a 4 settimane
dal momento del contagio, e quindi dalla comparsa della diarrea; il quadro clinico è rappresentato
fondamentalmente da:
- dolori addominali crampiformi;
- dolori all’ipocondrio destro, aggravati dalla palpazione e dal movimento, e a volte irradiato
alla spalla destra;
- febbre intermittente;
- epatomegalia;
- diarrea mucosa più o meno accentuata, preceduta e seguita da spasmi intestinali e tenesmo;
- astenia e malessere generale;
- inappetenza e perdita di peso, sempre presente;
Qualora si verifichi un interessamento di tipo polmonare, possono manifestarsi anche: tosse (segno
d’ irritazione polmonare), versamento pleurico, brividi, nausea, vomito, anemia; in molte
parassitosi, infatti, i vermi responsabili vanno a localizzarsi, per almeno una quindicina di giorni, a
livello alveolare, così da poter completare il proprio processo maturativo, provocando di
conseguenza una manifestazione respiratoria importante, che prende il nome di sindrome di Löffler
e che può comparire all’improvviso.

L’amebiasi cutanea è una lesione destruente di cute e sottocute dovuta a prolungato contatto con le
amebe, causata ad esempio da impianto diretto di trofozoiti a seguito della fistolizzazione cutanea
di un ascesso epatico; o a livello perianale, per liberazione dei trofozoiti nel caso di dissenteria
amebica incontrollata. Un quadro di amebiasi cutanea va in diagnosi differenziale con diverse
neoplasie, di cui può esserci il sospetto alla vista di simili manifestazioni; il tutto può essere
chiarificato dall’esecuzione dell’esame istologico su di un reperto prelevato, il cui responso è
emesso non prima di 15 giorni lavorativi dall’arrivo del campione in laboratorio (tempo istologico),
per cui i tempi per fare diagnosi certa possono essere un po' protratti.

Le due forme del parassita amebico - Entamoeba histolytica ed Entamoeba dispar – vanno distinte e
differenziate fra loro alla diagnosi: la forma dispar, ad esempio, non comporta insorgenza di diarrea,
perché non dà danno né alterazione a carico del tessuto intestinale. Non esistono, tra le due forme,
sostanziali differenze a livello di posizione del cromosoma, di localizzazione e morfologia dei
nuclei (che appaiono muniti di cariosoma in posizione centrale e cromatina uniformemente
distribuita alla periferia), o di citoplasma (dotato di aspetto a vetro smerigliato ed estremamente
ricco di granuli, contenenti gli enzimi litici); l’unica vera caratteristica morfologica che può essere
adoperata per differenziare l’E. histolytica dalla non patogena E. dispar è: l’eritrofagocitosi. L’ E.
histolytica è infatti l’unica forma del parassita capace d’inglobare al proprio interno, per fagocitosi,
le emazie; le quali, al microscopio elettronico, appaiono poi come scure inclusioni.
Per effettuare diagnosi di amebiasi in corso, diversi sono gli strumenti ed i test da potersi
adoperare:
- la proctoscopia, con valutazione delle lesioni mucose “a fiasco” sulla parete intestinale, o
della mucosa dell’ulcera amebica, in particolare il suo fondo, per la ricerca dei trofozoiti;
- agobiopsia delle lesioni rettosigmoidee, anch’essi con possibile contenuto di trofozoiti;
- prelievo e indagini laboratoristiche sul liquido dell’ascesso epatico eventualmente presente,
per comprendere l’eziologia amebica dell’ascesso stesso;
- test sierologici quali: il test di emoagglutinazione indiretta e i test ELISA, estremamente
sensibili (90-100% in caso di amebiasi invasiva; 40% in caso di amebiasi asintomatica),
abbastanza specifici e che dimostrano la presenza di specifici anticorpi; sono test, però, che
impiegano un lasso di tempo piuttosto prolungato per dare un responso e risultano essere
poco attendibili nella stadiazione della malattia, perché non distinguono tra infezione
presente e passata;
- RX di torace e addome, per individuare la presenza di addensamenti e ascessi a livello
polmonare o epatico;
- scintigrafia e TC epatica di II livello, per rilevare le dimensioni dell’ascesso;
- ecografia epatica, per osservare la fluidità del contenuto ascessuale,
- agoaspirato delle lesioni: se di diametro > 10 cm, nei casi di scarsa risposta dopo 5 giorni di
terapia antibiotica; è però di difficile lettura.
I quadri clinici delle amebiasi variano dalla forma acuta a forme più spesso subacute o croniche a
seconda di: virulenza del parassita, carica infestante, entità dell’invasione tissutale. Distinguiamo,
pertanto:
- un’amebiasi asintomatica o fase di commensalismo;
- un’amebiasi standard oligosintomatica, contraddistinta da: meteorismo, dolori colici notturni,
anoressia, astenia, alvo alternante, febbre assente o moderata (febbricola);
- un’amebiasi intestinale acuta, con incubazione da 1 a 4 settimane; caratterizzata
dall’insorgere di una colite amebica, che si accompagna a: feci semiliquide, dolori
addominali crampiformi, tenesmo, cachessia, astenia; che può dar luogo a possibili
complicanze (quali: enterorragia, perforazione intestinale) o evolversi nella forma cronica;
- un’amebiasi dissenterica acuta (< 5% dei casi), con profusa diarrea ricca di angue e muco,
tenesmo, febbre e possibile perforazione intestinale con peritonite;
- un’amebiasi non dissenterica cronica, che mima una malattia infiammatoria intestinale con:
addominalgie, diarrea non dissenterica alternata a stipsi, meteorismo, lesioni
sclerocicatriziali nella parete intestinale, ameboma;
- un’amebiasi metastatica: nella sua forma epatica (non suppurativa, ascessuale, che comporta
epatomegalia e febbre alta nel bambino) e nella forma polmonare (versamento pleurico,
tosse, tachipnea)
La terapia per l’amebiasi consta di:
- una terapia di prevenzione, non sempre possibile;
- una terapia sintomatologica, per correggere le perdite idroelettrolitiche importanti che si
verificano con la diarrea, nonché le perdite ematiche;
- una terapia farmacologica, di norma si adoperano: ciclo di diloxanide furoato per os;
iodochinolo per os; metronidazolo per os, farmaco questo d’elezione nel trattamento
dell’amebiasi, da somministrarsi in quantità di: 750 mg ogni 8h/die per 5-10 giorni negli
adulti, 35-50 mg/kg ogni 8h/die per 5-10 giorni. In presenza di una colite amebica, al
termine del ciclo farmacologico da portare avanti almeno 10 giorni consecutivi, si provvede
a sospendere il trattamento, dopodiché si osserva se la problematica si è risolta o meno; in
presenza invece di un ascesso epatico amebico, bisognerà provvedere a rimuovere l’ascesso
stesso, ma, prima di farlo, studi clinici recenti consigliano di sottoporre ugualmente il
paziente al trattamento farmacologico per bocca nei primi 10 giorni di cura (questo per poter
far sì che l’azione del farmaco si esplichi nella cavità ascessuale, combattendo direttamente
i trofozoiti in essa presenti), per poi tirar fuori l’ascesso chirurgicamente. In presenza di
sintomi gravi scatenati dall’amebiasi, la somministrazione dei farmaci orali è seguita da
quella di emetina o deidroemetina, per via intramuscolare, finché i sintomi non vengono
controllati. Nei portatori sani della malattia la terapia d’elezione, per scongiurare la
diffusione del parassita, consiste sempre nella somministrazione di metronidazolo; è
complicato, tuttavia, mettere a punto una strategia profilattica efficace in territori che sono
endemici per la malattia amebica, se a questa non si accompagnano anche interventi sociali
e strutturali per rendere più salubri e igieniche le condizioni di vita della popolazione. La
terapia con metronidazolo va prontamente sospesa se compaiono segni di tossicità quali:
tachicardia, ipotensione, debolezza muscolare, dermatosi o marcati segni gastrointestinali.
Metronidazolo risulta controindicato in gravidanza, così come in presenza di malattie renali
e cardiache.
L’ascesso epatico amebico va in diagnosi differenziale con le echinococcosi.

IDATIDOSI E ECHINOCOCCOSI
L’echinococco (EC) è un altro parassita che può dare una localizzazione a livello epatico formando
la cisti da echinococco che è tutt’altro che la cisti idatidee.
PERCHÉ L’EC CONTINUA A RIMANERE UN PROBLEMA? CAUSE PRINCIPALI
- Non conoscenza/sottostima della malattia
- Scarsa/errata conoscenza del ciclo biologico del parassita
- Macellazioni clandestine o famigliari senza controlli veterinari
- Abbandono di carcasse animali o residui di macellazione
CHE COS’È L’ECHINOCOCCO
Non è nient’altro che un’infezione dell’uomo indotta da una larva della tenia Echinococcus
granulosus (idatidosi cistica) -a livello epatico- che non sempre l’ospite è l’uomo stesso, infatti esso
è ‘intermedio’, questo vuol dire che c’è un serbatoio animale importante, talmente importante che
addirittura abbiamo l’identificazione dei genotipi G1, G2, G3, G4, N15. Gli ospiti intermedi quali
ovini, bovini, suini (si tratta quindi di una zoonosi) ingeriscono le uova emesse dal verme
nell’ospite definitivo. L’ospite definitivo invece è il canide, ovvero il verme adulto.
L’echinococcosi, specialmente quella cistica, è inaspettatamente presente in zone considerate non a
rischio come l’Italia dovuta alla presenza degli allevamenti a partire da Roma verso il sud Italia.
Esiste pure la larva della tenia di Echinococcus multiocularis (idatidosi alveolare) -a livello
polmonare- che può colpire anche le volpi.
ECHINOCOCCOSI EPATICA
Provoca:
- Disturbi vaghi (turbe dispeptiche)
- Dolore gravativo o trafittivo
- Tumefazione duro-elastica (margine inferiore epatico) emisferica e indolore
- Apertura spontanea in vie biliari, peritoneo, intestino
Le indagini strumentali sono: USG, scintigrafia, TC, Rx

CESTODI
I parassiti del tratto gastrointestinale dei vertebrati,5 di questi sono patogeni per l’uomo, uno di
questi è l’echinococco granulosus. Dunque il parassita fa parte dei cestodi con dimensioni di 2-
5mm ed è la più piccola tenia patogena per l’uomo. Ha una testa che si chiama SCOLICE formata
da 4 ventose e una catena di rostri con doppia corona di uncini (36) e poi ha il corpo che si chiama
STROBILA formato da 3 proglottidi. Le larve si formano in molto tempo (anche anni), ha una
CAPSULA PROLIGERA che riesce a produrre le cisti figlie all’interno e ovviamente si iniziano a
formare nella struttura le varie forme vitali della tenia.
“Qual è la caratteristica delle tenie?” La tenia è un ermafrodita e nell’ultima proglottide sviluppa i
genitali maschili e femminili. In una sola proglottide si possono avere fino a 600 uova quindi si ha
una diffusione importante.

CISTI
Le cisti nascono da una ciste madre che richiede l’intervento chirurgico per rimuoverle tutte.
Qualora se ne lascia solo una, essa continua a crescere e conseguentemente se ne creano altre. La
modalità di infezione viene attraverso l’ingestione di uova, verdure, acqua contaminata, il diretto
contatto con il cane quali muso o pelo, ma anche i piatti che sono stati usati dal cane quando li si
lava. La complicanza della cisti è dovuta dalla rottura della cisti e dalla calcificazione (quando
qualcosa si calcifica vuol dire che è morto, però è difficile che si calcifichi da sola) L’echinococco,
a differenza delle altre parassitosi, crea un aumento delle IgE e degli eosinofili e quindi è una
parassitosi un po’ più elaborata. Nel senso che se ho una rottura spontanea della cisti posso avere
uno shock anafilattico specie se a livello polmonare anche perché il meccanismo di svuotamento
della cisti amebica si utilizza per lo svuotamento dell’echinococco. Quindi quando andiamo a
svuotarla, questa è una manovra altamente rischiosa che in teoria andrebbe fatta con il rianimatore.
LOCALIZZAZIONE DELLE CISTI
- Fegato (60-70%) sede più frequente
- Polmone (25-30%)
- Altre sedi: milza, rene, occhio, ossa

IDATIDOSI CISTICA
L’agente eziologico è l’echinococcus granulosus. La malattia si caratterizza per la presenza di cisti
plurime di varie dimensioni nel fegato ed in altri organi come i polmoni, il SNC, i reni e le ossa.
L’idatidosi cistica è una malattia cosmopolita che colpisce i soggetti dediti alla pastorizia o
all’allevamento del bestiame.
CISTI UNIOCULARE (idatidee)
- Reazione infiammatoria circostante con fibrosi
- Dopo anni si ha una riduzione di volume, morte calcificazione
- Allergia: eosinofilia, asma
- Compressione: danno tissutale locale
- Rottura: accentuazione dell’allergia, shock anafilattico, impianto secondario (peritoneo
CICLO BIOLOGICO:

La larva si sviluppa lentamente, anni, fino a formare una grande struttura unioculare ripiena di
fluido dove la cisti idatidea è >15cm.
- Le capsule proligere fuoriescono da queste cisti e all’interno vi sono numerosi scolici
infettivi.

- Grandi cisti possono contenere numerosi litri di fluido idatideo altamente antigenico insieme
a milioni di scolici.

- Le cisti figlie si formano all’interno o al di fuori di cisti primarie


- Nelle cisti si osservano il pericistico (strato sottile di tessuto fibroblastico formato dall’ospite)
la membrana cuticolare e la membrana proligera, il liquido idatideo nella cisti (sabbia
idatidea) contiene numerosissime cisti figlie.

- La cisti idatoidea può vivere per molti anni, può degenerare, rompersi, sovrainfettarsi con
batteri o calcificare (morte).
Quindi io ho la liberazione dell’uovo che penetra per via orale che si schiudono nel duodeno
liberando le larve esacante (queste sono delle cisti interne nei tessuti circondate da tessuto fibroso
esterno), dunque ho la liberazione della larva che attraversa la parete intestinale che raggiunge il
fegato nel 60-70% dei casi e nei polmoni e altri organi nel 30% dei casi.
A livello epatico -quindi la cisti idatidea- la cisti ha una struttura ben formata. Ha una struttura
composta da delle cellule reticolo endoteliali a raggiera nella parte esterna e nella parte più interna
ha un tessuto fibroso.

SINTOMATOLOGIA
Le cisti possono essere asintomatiche per anni con l’insorgere dei sintomi in caso di aumento di
volume e rottura.
Il periodo di incubazione dell’idatidosi alveolare è molto lungo anche 30 anni. L’esordio può essere
aspecifico, peso epigastrico e dispepsia che possono precedere la comparsa di ittero ostruttivo, il
fegato può aumentare di volume con superficie liscia e grossolanamente irregolare. Le lesioni
epatiche senza terapia invadono le strutture circostanti e/o per via ematica giungono al polmone.
Inoltre, la sovrainfezione batterica, è una complicanza frequente della idatidosi polmonare.
La latenza tra infezione e diagnosi varia dai 5 ai 20 anni con la presenza di sintomatologia che
dipende dalla localizzazione e dal numero di cisti (per esempio, perdita di peso, tosse, vomito con
presenza si sabbia idatidea, e ostruzione se a livello epatico) ed una sequenza di tipo:
- Infezione
- Ascessualizzazione
- Rottura
- Idatidosi secondaria
DIAGNOSI
Si può fare tramite una ecografia epatica quindi vado a vedere una cisti oppure un ascesso. Posso
fare anche una:
- Radiografia del torace
- Risonanza dell’addome per capire l’origine della cisti
- Test immunologici quali reazione Ghedini Weimberg (FC), reazione di Casoni
(intradermoreazione), ELISA (sensibilità pari al 91%), EAI, IFI (87%)
TERAPIA
Una volta identificata la cisti la si rimuove con particolare attenzione a non farla rompere in quanto
è presente il rischio di shock anafilattico. ​Se io vado a fare una metodica che si chiama PEI
ossia il trattamento di questa cisti devo svuotarla e poi introdurre un farmaco (albedazolo perché ha
un’interferenza con l’assorbimento di glucosio da parte dei parassiti) nelle cisti però abbiamo visto
che queste pareti sono belle consistenti quindi dobbiamo fare più sedute però aumenta il rischio di
rottura bucando le pareti. QUESTA è la terapia di scelta. In contemporanea si dà
una terapia per bocca e a quel punto andiamo a fare l’asportazione chirurgica. Nel caso in cui è
troppo difficile effettuare un intervento chirurgico radicale, allora si opta per una epatectomia
parziale.
Le localizzazioni possono essere a livello nervoso, nei reni e nelle ossa e il trattamento, oltre a fare
l’asportazione chirurgica, si può fare l’aspirazione percutanea oppure la PEI. C’è ancora un’altra
metodica che introduce l’alcool prima del farmaco per bruciare. Il trattamento per gli adulti è di 1
mese di albedazolo. Si può somministrare mebendazolo cs. 40mg/kg/die in un’unica
somministrazione per lunghi periodi di tempo, circa 3 anni, ma possono sopprimerla crescita della
cisti ma NON la morte del parassita. La somministrazione concomitante di INF-beta può aumentare
l’efficacia di questi farmaci. Queste terapia valgono sia a livello polmonare che a livello epatico.
Nel caso in cui la cisti è più di 5 cm nei polmoni, non si può andare a fare una toracentesi per cui
bisogna fare un intervento invasivo a polmone aperto.
TRATTAMENTO DELLE CISTI
- Resezione chirurgica (epatectomia) con tasso di complicazione pari al 5%
- Pericistectomia ovvero la dissezione della cisti dal parenchima circostante sano
- Drenaggio della cisti
- Aspirazione della cisti sotto guida USG e l’iniezione di un agente scolicida (nitrato di
argento, cetrimide (piccole cisti uniche)
COMPLICAZIONI
Nel 5-10% dei pazienti.
- Piccole fistole cistobiliari
- Rottura della cisti nel dotto biliare comune
- Compressione dei dotti epatici acuta
Coinvolgimento dell’albero biliare:
- Ittero ostruttivo con coliche biliari
- Colangite acuta
- Pancreatite acuta
MODIFICAZIONI ECOSTRUTTURALI DELLE CISTI IDATIDEE CONSIDERATE INDICI DI
EFFICACIA TERAPEUTICA
- Riduzione di volume (≥ 100%)
- Scomparsa delle cisti
- Aumento ecogenicità interna
- Riduzione o scomparsa delle cisti figlie
- Scottamento parziale o collasso delle membrane
- Calcificazione parziale o totale delle pareti

Potrebbero piacerti anche