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90% dei casi), che dipende dalla shigatossina, che va a interferire con la sintesi proteica delle

cellule intestinali: non potendo più fare sintesi proteica sono destinate a morire per apoptosi,
e quindi si staccano dall’epitelio intestinale, lasciano esposta la lamina basale, danneggiando
quindi l’integrità della mucosa intestinale. Un altro sintomo è la sindrome emolitico uremica
(nel 10% dei casi): la sindrome è un corredo di sintomi che riguardano più organi e apparati; in
questo caso, emolitico significa che si rompono i globuli rossi, quindi è un’ anemia emolitica
(come ad esempio la malaria), i pigmenti ematici rappresentano un problema perché diffondono
nei tessuti creando dei danni. Quello che accade è che vanno a causare un’aggregazione
piastrinica notevolissima (trombocitopenia), trombi, da cui si staccano dei pezzi, provocando
emboli perché vanno a occludere piccole arteriole, soprattutto a livello renale, di retina e di
miocardio; gli emboli si sviluppano a questo livello perché questi tessuti hanno una
vascolarizzazione terminale, ovvero non esiste un sistema compensatorio. Quando la coronaria
si occlude, quel tratto di muscolo cardiaco non ha altro sistema che compensa e che lo irrora;
quando muore una parte importante del tessuto miocardico, si ha la morte ( infarto
miocardico). Stessa cosa vale per la retina: quando si perde in certi tratti la vascolarizzazione
si può perdere completamente la vista. A livello renale, più è diffuso il danno, minore è la
capacità di filtrare l’urea (insufficienza renale), che quindi va in circolo creando danni anche a
livello encefalico, fino alla perdita di coscienza e alla morte.

Nel meno del 5% dei casi, ci sono complicazioni che comprendono colicistite, perforazione del
colon, intussucezione (le anse intestinali entrano una dentro l’altra), pancreatiti, calcolosi
biliare post-emolitica, stenosi del colon, prolasso rettale, appendicite, epatite, cistite
emorragica, edema polmonare, disfunzioni cardiache e anomalie neurologiche.

Quando queste malattie si presentano nei bambini o, come è successo in Germania, in persone
adulte è devastante. Il fatto che si riscontrino pochi casi, come ad esempio 50, non deve
passare inosservato: anche quei 50 casi sono inammissibili.
Lezione 15/04
Continuiamo la lezione su “Patogenesi delle infezioni enteriche”.

CAMPILOBATTERIOSI
I Campylobacter fanno parte della famiglia Campylobacteriaceae (Gen.
Campylobacter e Gen. Arcobacter, di cui si sospetta un eventuale ruolo
patogeno per l’Uomo). Sono dei bastoncelli incurvati con forma a virgola o
a spirale, non sporigeni, molto mobili per la presenza di uno o due flagelli
polari (fattori di virulenza, permettono al battere di prendere contatto
con la cellula caratterizzata, a sua volta, da specifici recettori).
Caratteristiche particolari di questi batteri sono l’appartenenza ai Gram –
e la microaerofila. Il fatto che essi siano microaerofili ha determinato
inizialmente (20-30 anni fa) delle difficoltà nel coltivarli; i batteri,
infatti, principalmente vengono coltivati in aerobiosi o in aerobiosi,
mentre questi necessitano di condizioni particolari: 3-5% di O2 (nell’aria è
circa al 10%) e CO2 al 2-10% (crescono in terreni particolari, spesso anche arricchiti di
sangue). Inoltre, sono ossidasi positivi e O/F negativi.

All’interno del gruppo dei Campylobacter, ci sono diverse specie, tutte quelle patogene per
l’Uomo rientrano nel gruppo dei Campylobacter termofili, quindi quando sentiremo parlare di
ricerca di Campylobacter negli alimenti, molti valori legali specificati non fanno riferimento ai
Campylobacter totali, ma appunto a quelli termofili. Si tratta di specie che non crescono a
25°C, crescono stentatamente a 37°C (nei mesofili la T ottimale è invece 37°C) e in modo
ottimale a 42°C (sono quindi adattati ad organismi con una temperatura corporea un po’ più
alta di quella dei mammiferi, il pollame a livello intestinale ha ad esempio una temperatura
corporea più alta; inoltre ciò fa capire come negli alimenti refrigerati, ad esempio nelle carni
di pollame, veicoli più importanti per la trasmissione all’Uomo, queste specie non hanno
possibilità di crescere). In virtù di queste caratteristiche, la dose infettante per l’Uomo è
molto bassa: bastano poche centinaia di cellule per causare un’infezione – poche centinaia di
cellule in totale si intende. Questa notazione poiché quando si parla di ricerca di
Campylobacter negli alimenti ed i numeri da ricercare sono molto piccoli, bisogna cercare
qualche modo che permetta di ritrovarli facilmente – una delle difficoltà tecniche è quella di
dover utilizzare dei terreni selettivi e differenziali. Una caratteristica utile proprio al
discorso dei terreni selettivi è la loro resistenza alle cefalosporine (tanto è vero che il
terreno attualmente utilizzato per isolarli si caratterizza della presenza di questo
antibiotico). Nei Campylobacter termofili, ci sono diversi sierogruppi (108), le specie di
maggior interesse per noi sono C. jejuni (con 63 sierogruppi), C. coli (37 sierogruppi) e C. lari
(8 sierogruppi). Alcune di queste specie le troviamo nel pollame e nei suini: il C. lari è presente,
ad esempio, in animali selvatici come nel gabbiano. Inoltre, in Italia ci sono altre specie come
C. upsaliensis, che possono essere ritrovate nel Cane (quando parleremo dei casi di malattia
dell’Uomo, dovremo quindi ricordare di tutti questi veicoli di infezione). È possibile procedere
all’isolamento da feci di ammalati con terreni selettivi ed incubazione in micro-areofilia,
mentre l’isolamento è difficoltoso per i ceppi disvitali (VNC – ossia una delle strategie di
sopravvivenza messe in atto da batteri che si trovano in condizioni ambientali avverse), ma
potenzialmente infettanti da alimenti. I batteri, infatti, oltre ad avere una normale condizione
metabolica e oltre ad avere delle forme di resistenza, come ad esempio delle spore, a volte
possono presentare delle forme chiamate forme vitali non coltivabili (VNC – alcuni batteri,
quando sono in condizioni di stress, hanno bisogno di terreni molto poco selettivi e questo
complica ulteriormente le cose: il rischio è che, quando non si riesce a trovare questi patogeni
in un alimento, che ha magari causato un focolaio di malattia nell’Uomo, magari o si tratta di un
prodotto salato o di un prodotto congelato o altre cose per cui la causa è stata un battere
meno vitale e per l’appunto non facile da isolare).

Ruolo patogeno - Nel gruppo dei Campylobacter abbiamo diverse specie patogene per gli
animali domestici (tanto da causare aborto negli ovini, enteriti nella pecora e nei bovini – C.
jejuni e C. coli); occasionalmente questi batteri (in particolare i ceppi C. jejuni, coli e lari) sono
implicati in episodi di enteriti legate al consumo di alimenti ed acqua infetti, oltreché alla
contaminazione oro-fecale. Anche C. upsaliensis e C. foetus sono stati isolati da casi di
malattia nell’uomo. L’incidenza delle enteriti da Campylobacter nell’uomo sono elevatissime, si
stima infatti che negli USA vi siano 2-4 milioni casi/anno, di cui l’80% di origine alimentare,
sono riportati nel 1999 ben 3794 casi di campilobatteriosi (14,8/100.000) contro 4533 di
salmonellosi (17,7/100.000).

Campilobatteriosi – C. jejuni e C. coli, i due più frequenti, sono microrganismi commensali del
pollame e del bestiame (non provocano necessariamente malattia, nella maggior parte dei casi
si tratta infatti di portatori sani); nell’uomo sono causa frequente di enteriti che vanno dalla
produzione di feci molli fino a vere dissenterie (in queste condizioni non è facile mantenere
l’idratazione e una delle cause possibili di coma può essere lo shock ipovolemico). Per lo più
abbiamo forme autolimitanti, con sintomi prodromici comuni quali mal di testa, febbre non
alta, mialgia che durano da poche ore ad alcuni giorni; le forme acute iniziano con crampi
addominali seguite da diarrea e febbre alta con un picco nei primi giorni di malattia. Per alcune
persone che hanno già contratto delle infezioni enteriche, si può sviluppare una reazione
anticorpale che crea delle complicazioni: si sviluppano anticorpi serici specifici che
conferiscono immunità all’infezione sistemica, ma di cui comunque non si conosce la durata
dell’immunità e quest’ultima non è una cosa molto positiva.

Dal punto di vista delle manifestazioni cliniche gastroenteriche, vi sono:


o incubazione 2-5 giorni (tra 1 e 7);
o fase prodromica con febbre, cefalea, mialgie, malessere;
o seguono i sintomi caratteristici: diarrea violenta con leucociti (il che fa pensare che ci
sia un’infiammazione), sangue e dolorabilità addominale che dura 7-10 giorni, talora con
ricadute.

In pazienti gravi ricoverati per forti dolori addominali e dolore alla palpazione (giovani adulti e
bambini più grandi), è stata fatta erroneamente diagnosi di peritonite con sindrome
appendicolare ed eseguito l’intervento di appendicectomia, e poi ci si è accorti che c’era
enterite, ma non appendicite.

o appendicite acuta conseguente ad edema intestinale da infezione. L’intervento non è


risolutivo (infiammazione acuta dell’ileo, del digiuno e dei linfonodi meseraici).
o esame coproculturale positivo (casi notificati)
o eliminazione dei campylobacter può essere abbreviata da trattamento con eritromicina
o relativamente alla batteriemia, questa è frequente (ma rara emocoltura da pazienti con
diarree febbrili) e talora con sviluppo di artrite reattiva ed eritema nodoso (per lo più
pazienti con fenotipo particolare come quello HLA-B27 - in riferimento agli antigeni
per i globuli rossi); in alcune persone, la batterimia può anche dare luogo, dopo un po’ di
tempo, a una forma nervosa chiamata Sindrome Guillan-Berré
o in persone con altre malattie croniche debilitanti si osserva batteriemia e diarrea
cronica;
o forme extra-digestive e sequele insorgono 1-2 settimane dopo l’enterite;
o batteriemia, epatite, pancreatite, artrite reattiva (individui con Ag HLA-B27);
o artrite reattiva o sindrome di Reiter;

Neuropatia periferica “sindrome Guillain-Barré”: il 20-40% dei pazienti con GBS hanno avuto,
sulla base degli esami sierologici e colturali, enterite da C. jejuni 1-3 settimane prima
dell’insorgenza dei sintomi neurologici. La GBS è una malattia acuta demielinizzante dovuta a
risposta evocata contro gangliosidi della guaina dei nervi periferici. Si presenta come una
paralisi flaccida acuta, per cui il soggetto comincia ad avere debolezza muscolare delle
gambe, seguito da paralisi ascendente, per cui non riesce più a stare in piedi, viene allettata e
a volte la forma si aggrava fino ad arrivare a una difficoltà respiratoria. La guarigione è molto
lenta: la persona starà per mesi a letto, poi sulla sedia a rotelle e molte volte può rimanerci
per tutta la vita a causa di danni motori permanenti – in genere, vi è recupero del 70% dei
pazienti dopo un anno, il 22% recupera solo parzialmente, l’8% è incapace di camminare e il 2%
è allettato o richiede ventilazione polmonare artificiale. Questa forma particolare è dovuta ad
alcuni ceppi di C. jejuni, che hanno degli antigeni che mimano quelli di alcuni gangliosidi delle
cellule dell’Uomo, per cui si sviluppa come una forma di malattia paralitica autoimmunitaria:
l’organismo comincia a reagire contro i rivestimenti assonici dei propri nervi, poiché stimolata
l’immunità dalla presenza degli antigeni dei Campylobacter (questa forma si tratta di una
conseguenza molto grave che possiamo osservare in alcune persone).

Altra caratteristica delle Campilobatteriosi è che abbiamo pochi focolai, per lo più sporadici
(per cui tantissime persone non collegate da un fattore comune); può essere legata al consumo
di carni di pollame poco cotte (es. barbacue) o ricontaminate dopo la cottura (ad esempio,
poggiando il pollo cotto sul tagliere rimasto contaminato o le mani che, nonostante lavate, sono
rimaste contaminate appunto – possibili soluzioni a questo problema è insegnare ai vari
consumatori le norme igieniche), o ancora paté di fegato non ben cotto, ma anche latte e
latticini, vegetali ed altri alimenti, nonché acqua contaminata.

Quando si parla di carni poco cotte, bisogna pensare soprattutto a carni cotte alla griglia (ad
esempio, il galletto spaccato che viene arrostito sulla griglia) oppure un’altra modalità di
infezione è il fatto che venga manipolata la carne prima della cottura (ad esempio, viene usato
un tagliere di legno, successivamente lavate le mani e asciugate con qualche canovaccio in
cucina), dopodiché, quando il pollo è ormai cotto, o le mani non erano perfettamente pulite o il
canovaccio era stato contaminato dalle mani non ben lavate o ad esempio il lavandino con cui si
è lavato il pollo viene usato per lavare altre verdure - in tutti questi casi si hanno
contaminazioni. Possibili soluzioni a questo problema sono da una parte ridurre l’incidenza della
malattia nei volatili, anche se non è una cosa facile, dall’altra insegnare ai vari consumatori le
norme igieniche. Nella ristorazione collettiva è, ad esempio, vietato utilizzare un unico
tagliere per lavorare le carni, per lavorare le verdure, per lavorare il pesce e i diversi taglieri
sono solitamente colorati diversamente per poterli più facilmente distinguere. Anche i
lavandini devono essere diversi, inoltre gli operatori non devono avere a disposizione dei
canovacci in cucina per asciugarsi le mani (tocco il pollo, mi asciugo le mani al canovaccio, mi
lavo le mani col sapone e poi mi riasciugo sempre con quello stesso canovaccio). Tutto ciò ci fa
capire che anche il modo di comportarsi in cucina, da parte di tutti noi, è fondamentale.

Dopo aver visto il quadro generale di questi patogeni, bisogna ora trattare alcuni dettagli per
comprendere meglio il comportamento di questi microrganismi, in particolare per cercare di
distinguere quelli che sono i ceppi pericolosi da quelli non pericolosi.

BATTERI PRODUTTORI DI VEROCITOSSINA - VTEC: COLITE EMORRAGICA


In riferimento all’immagine: c’è un tratto intestinale con colite
emorragica. C’è questa colite emorragica poiché vengono
eliminate dal battere stesso, in presenza di uno stimolo
stressante (il quale può essere: anticorpi prodotti dall’organismo,
sali biliari o antibiotici che vanno a rendere il battere disvitale),
delle tossine verocitotossiche, che si legano a particolari antigeni
posti sulle cellule intestinali.

Durante la moltiplicazione, i batteri STEC (Shiga-Toxin E. Coli) elaborano una tossina che
distrugge le cellule dei microvilli; quando è prodotta una certa quantità di tossina, l’erosione si
estende ai vasi sanguigni e perciò c’è sanguinamento (colite emorragica). L’OMS ha perciò
definito i coli O157:H/ coli enteroemorragici EHEC. Questi batteri sono anche detti
produttori di verocitotossina (VTEC).

Un’altra cosa interessante è che i batteri si trovano sulla superficie dei villi intestinali,
colonizzano la superficie, ma non si spingono all’interno; per questo non si riusciva a capire
come questa tossina potesse passare i villi, essendo essa una grossa proteina (le proteine, per
passare attraverso le membrane cellulari, necessitano di chiavi di accesso come insegnano i
vari processi di assunzione di nutrienti a livello di intestino). Si è visto che, in presenza del
coli, viene stimolato un processo di trasporto attivo, la cellula viene imposta a captare questa
tossina che distrugge le cellule dei villi e quindi viene spinta nel sangue – è come se il batterio
avesse deciso di intossicare l’organismo ospite in risposta allo stress che gli è stato causato
(se si riuscisse a capire l’antigene specifico di questa tossina, dal punto di vista della ricerca,
si potrebbe istruirla a essere captata in modo specifico da certe cellule tumorali).
Sia la sindrome uremica, che la porpora trombotica trombocitopenica sono legate
all’assunzione di questa tossine e conseguenti a una tossiemia.

HUS (Hemolytic Uremic Syndrome) – Nel 5%-30% delle persone infettate da VTEC,
specialmente bambini con un’età mediana di 4 anni, la malattia si complica e dopo una
settimana dall’inizio dei sintomi diarroici si manifesta la sindrome emolitico uremica (SEU o
HUS). In queste persone la verocitotossina danneggia l’endotelio dei vasi sanguigni e piastrine,
coaguli di fibrina e immuno-complessi, attraverso il torrente ematico, raggiungono e vanno ad
occludere in parte i piccoli vasi in organi importanti, quali i reni ed il cervello, causando
patologie ischemiche.
Diversi studi hanno dimostrato che i bambini con HUS che apparentemente sembrano essere
guariti, sviluppano in seguito ipertensione, anomalie urinarie e/o insufficienza renale.

[Attualmente si usa un’altra terminologia, AEHEC che sta per coli enteroemorragici, che va a
discriminare i ceppi realmente patogeni e quelli potenzialmente patogeni – si è visto infatti
che non è sufficiente che il battere produca la verocitotossina per essere pericoloso, se
questo non è in grado di colonizzare o di passare dentro le cellule, è potenzialmente
pericoloso, ma non lo è: potrebbe diventarlo, ad esempio, tramite contatto con altro battere
mediante un batteriofago, che veicola il gene per la produzione della verocitotossina, per cui
quel E. coli enteropatogeno diventa un ceppo enteroemorragico. Quindi: i ceppi
enteropatogeni sono quelli che colonizzano l’intestino e che causano diarrea nell’Uomo, nel
Vitello e così via.. ciascuno col proprio ceppo; poi i ceppi verocitotossici, che sono alcuni ceppi
di cui alcuni enteropatogeni e altri no producono verocitotossina (è necessario che abbiano
degli antigeni particolari per realizzare un ruolo patogeno), ricordando però la specificità del
battere per la specie considerata. Infine aggiungiamo come i vari ceppi possono ricombinarsi
tra di loro: è successo in Germania che un ceppo nemmeno enteropatogeno si è ricombinato
con un ceppo verocitotossico e si è venuto a creare un nuovo battere letale che ha causato
mortalità in 50 persone].

Cosa interessante: perché gli animali non si ammalano? In studi di istopatologia si è andato a
cercare cosa non c’è nel Vitello, che invece c’è nel tessuto umano. Si è visto che il punto di
legame della tossina con la cellula dell’endotelio vascolare, ad esempio del rene, è una
particolare lipoproteina chiamata Cd3, che si trova solo nell’endotelio dell’Uomo - il Vitello
quindi può avere diarrea poiché il ceppo è anche enteropatogeno per lui, ma non avrà la
sindrome emolitico uremica.

Thrombotic Thrombocytopenic Purpura (TTP) - Un’altra complicanza grave che colpisce


prevalentemente gli adulti può essere la porpora trombotica trombocitopenica. La TTP causa il
sanguinamento dei vasi nella cute e nelle membrane mucose a causa della trombocitopenia.
Spesso si manifesta febbre e sintomi neurologici. In particolare, quando la tossina entra
nell’organismo, in questo caso va a localizzarsi sui recettori superficiali che trova
sull’endotelio dei vasi, quindi va ad uccidere le cellule dell’endotelio vascolare. Per riparare
questa ferita arrivano le piastrine; siccome il danno è molto diffuso, ne arriva un numero
molto elevato e alla fine si va incontro a una trombocitopenia, ossia alla mancanza di quelle
cellule indispensabili per rimarginare una lesione. La conseguenza della trombocitopenia è che
ogni piccola lesione, che si verifica sul corpo dell’ospite, dà luogo a uno stravaso ematico ed
ecco perché il termine porpora (si intende infatti questa perdita di sangue da piccole fessure
che si sono create nei vasi e che non vengono guarite – è come se l’organismo fosse intossicato
da un veleno anticoagulante, la cui base è anche di quei farmaci che quelle persone che
soffrono di problemi di trombosi devono assumere per prevenire una situazione di embolia: in
caso di embolia, si stacca un frammento del coagulo e tale frammento si porta nel sangue ad
occludere i vasi sanguigni – quando si occlude un’arteriola, che va ad irrorare il miocardio, il
cervello o il rene, si hanno infarti, ossia perdita di vascolarizzazione e quindi morte del
tessuto).

Sierotipi non O157:H7 – Oltre 200 sierotipi di E. Coli esprimono Stx e di questi oltre 50
implicati in episodi di EC e HUS (soprattutto O26:H11, O103:H2, O111:NM e O113:H21) in
molti casi la fonte dell’infezione non è stata individuata. Fattori di virulenza diversi da eae e
pO157 sarebbero implicati e sarebbero utili a discriminare STEC virulenti e non.

CAMPYLOBACTER: VIRULENZA E PATENOGENESI


Si è visto che i Campylobacter, per interagire con le cellule dell’ospite, hanno bisogno di legare
il proprio flagello con una proteina superficiale, chiamate fibronectina (FN), presente nelle
cellule intestinali umane, e l’integrina. Si è visto che questi recettori, che hanno l’attività di
legare il flagello del Campylobacter, sono in realtà delle proteine che servono per creare le

giunzioni laterali tra le cellule intestinali, quindi come farebbe il Campylobacter ad accedere
ad uno spazio che è chiuso (tale spazio si trova infatti tra due cellule)? Alcuni hanno
ipotizzato che il battere potesse scavare, come se avesse una sorta di ‘piede di porco’ per
staccare le cellule, altri sostenevano che il legame avvenisse con le cellule che tendono a
staccarsi dall’epitelio intestinale (a livello intestinale infatti abbiamo un ricambio continuo: le
cellule quando invecchiano tendono a migrare verso l’apice del villo, perdono contatto con le
altre cellule laterali e tendono a staccarsi e a cadere nel lume intestinale). Poi si è visto che in
tutte e 5 le specie di Campylobacter enteropatogeni secernono una tossina, cytolethal
distending toxins (CDT), che è in grado di causare perdita d’integrità delle giunzioni epiteliali
intestinali. Quindi la cellula perde l’aggancio con le cellule laterali, diventa una cellula rotonda
e comincia a staccarsi. Ancora non si sa esattamente tutto riguardo questa interazione tra
Campylobacter e epitelio intestinale, si sa però che tale epitelio viene danneggiato per perdita
di integrità, a cui consegue sanguinamento (diarrea emorragica). L’altro problema è la
presenza di lipoligosaccaridi (LOS): simili a gangliosidi dell’Uomo, avrebbero un ruolo
nell’evasione delle difese immunitarie dell’ospite e nello scatenarsi di reazioni autoimmuni (che
possono indurre la sindrome Gullain-Barrè), ma anche nell’adesione e invasione.

MODALITÀ DI TRASMISSIONE DEI PATOGENI ENTERICI NEGLI ALLEVAMENTI E ALL’UOMO


Nell’ambito della produzione primaria (ad esempio, allevamenti), troviamo il principale
serbatoio di salmonelle, campylobacter e VTEC. La prevalenza negli allevamenti può essere
ridotta applicando misure di controllo, ossia le Buone Pratiche Agricole:

− Buone pratiche zootecniche;


− Misure di bio-sicurezza;
− Standard per costruzioni zootecniche e macchinari;
− Programmi di controllo infestanti (pesti);
− Procedure di pulizia e disinfezione;
− Gestione delle deiezioni e delle acque reflue;
− Controlli qualità alimenti;
− Individuazione e segregazione animali infetti e carriers;
− Controllo salmonella negli allevamenti dei riproduttori (parents e grandparents) che
riforniscono di animali l’allevamento;
− Buone Pratiche Veterinarie.

Buone pratiche zootecniche: ad esempio, la necessità di allevare gli animali in determinate


condizioni igieniche, in modo da prevenire la diffusione delle malattie tra i vari soggetti
presenti in stalla, oppure ancora adottare il sistema del ’tutto pieno - tutto vuoto’, ad esempio,
nei capannoni per allevamento del pollame, in cui si mettono i nuovi gruppi di suinetti o di
pulcini dopo aver pulito, lavato e disinfettato in modo efficace tutta la struttura.

Si è visto, per esempio, che uno dei vettori di infezione tra un allevamento e l’altro è proprio
lo stesso operatore, lo stesso veterinario o ancora le persone che catturano gli animali per
portarli al macello: queste persone dovrebbero entrare nei capannoni mettendosi soprascarpe
e non andando con gli stessi da una struttura all’altra, in quanto, passando da una struttura
all’altra, possono trasportare le infezioni. Inoltre esistono anche animali vettori, come ad
esempio i ratti o i topolini: si può evitare questo, chiudendo le strutture in modo ermetico per
evitare l’entrata dei topolini che possono sfruttare anche fessure sottili (essi hanno infatti
uno scheletro molto elastico, ad esempio un topolino di campagna è in grado di passare in uno
spazio di qualche cm appiattendosi completamente, ovviamente non la testa); i ratti hanno
altre abitudini rispetto ai topolini, essi infatti hanno l’abilità di nuotare attraverso le
fognature → non devono esserci fognature.

Per quanto riguarda i Campylobacter non ci sono problemi grossi relativamente ai mangimi,
mentre parlando di Salmonelle sì, poiché i mangimi si fanno con le farine vegetali e animali, per
cui si cerca innanzitutto di ridurre la contaminazione sul campo, tuttavia nel trasporto,
tramite mercantili, vi possono essere gabbiani che volano intorno o topi che cercano di
accedere al pasto e quindi possibili contaminazioni. Si è quindi previsto come obbligo quello di
fare un trattamento termico per uccidere tutti questi contaminanti dal mangime, anche se non
è una cosa così facile poiché equivale a ridurne le proprietà nutritive (vitamine varie,
aminoacidi essenziali..) quindi non deve essere troppo spinto. Si tratta in ogni caso di un
problema ancora irrisolto.
Lezione 20/04

MODALITÀ DI TRASMISSIONE DEI PATOGENI ENTERICI NEGLI ALLEVAMENTI E ALL’UOMO

Nella scorsa lezione, abbiamo trattato di questo gruppo di patogeni interni più importanti
in quanto a frequenza e gravità e fatto il caso dei coli produttori di verocitotossine. Ho
cercato di farvi capire il modo in cui i microorganismi creano malattie nell’uomo e i
meccanismi con i quali sviluppano sequele, quindi batteriemie, e interessamento di altri
organi oltre l’apparato digerente. Abbiamo cercato, anche all’inizio, di dare un quadro di
quella che è la situazione epidemiologica, mettendo in evidenza come e perché nella
produzione primaria nell’allevamento degli animali queste malattie trovino spazio per la
diffusione. Inoltre, abbiamo cercato di capire in che maniera oggi stiamo cercando di
limitare questa diffusione; chiaramente, questa misura di intervento si fa quando il
monitoraggio evidenza un problema che non può essere ignorato. Abbiamo poi chiarito
queste azioni di sorveglianza: il monitoraggio è conoscere la situazione, la sorveglianza è
sempre conoscere la situazione, ma in maniera più specifica, e intervenire in maniera
mirata, in modo da ottimizzare l’utilizzo delle risorse umane e economiche per ottenere il
maggior beneficio possibile, col minor costo possibile.

Abbiamo visto ancora che le malattie si diffondono in diversi modi, tra i quali attraverso il
commercio di animali infetti. Nel caso del pollame e dei suini bisogna fare molta attenzione ai
genitori, definiti riproduttivi o veri riproduttori - nella salmonellosi già direttamente l’uovo
può essere contaminato, per esempio a livello del tuorlo, come succede spesso con la
salmonella trichis, in cui si infetta l’ovidutto, e l'uovo, per l'appunto, nasce già infetto. Questo
contatto molto precoce con l’embrione che si sta sviluppando è la causa per cui l’embrione non
reagisce contro gli antigeni della salmonella, che risultano quindi clinicamente sani. É stato
detto che, nell’uomo, la malattia, esempio la diarrea, non è una conseguenza dell’azione diretta
di un fattore di virulenza della salmonella, ma è causata dalla reazione infiammatoria. In
pratica, lo stato di malattia è causato da un eccesso di risposta dell'organismo contro la
salmonella, che, nel pollo, funziona come parassita perfetto, mentre, nell'organismo umano, no.

PRODUZIONE PRIMARIA:

Principale serbatoio di salmonelle, campylobacter e VTEC


• La prevalenza negli allevamenti può essere ridotta applicando misure di controllo (Buone
Pratiche Agricole)
− Buone pratiche zootecniche
− Misure di bio-sicurezza
− Standard per costruzione zootecniche e macchinare
− Programmi di controllo infestanti (pesti)
− Procedure di pulizia e disinfezione
− Gestione delle deiezioni e delle acque reflue
− Controlli qualità alimenti
− Individuazione e segregazione animali infetti e carriers
− Controllo salmonella negli allevamenti dei riproduttori (parents e grandparents) che
riforniscono di animali l’allevamento
− Buone Pratiche Veterinarie

Buone pratiche zootecniche: un modo per trasmettere le infezioni è attraverso la


circolazione, non solo degli animali, ma anche attraverso le persone: bisogna far attenzione (e
questo riguarda anche i veterinari), quando si entra nei capannoni di animali, di indossare i
copri scarpe, di non passare da un capannone all’altro e soprattutto da un allevamento all’altro
con vestiti/scarpe contaminate. Se non è l’uomo veicolo di infezione e gli animali arrivano
puliti, si deve stare attenti a quella che era la situazione preesistente: il capannone, quando
finisce un ciclo di produzione, chiaramente è contaminato (dal ciclo precedente), per cui si ha
come misura il cosiddetto tutto vuoto, poi il tutto pieno, di nuovo il tutto vuoto, e così via.
Quindi, si attuano dei cicli di produzione, soprattutto nell'allevamento del pollame e dei suini,
in cui questo sistema di allevamento è la regola, poiché non è più considerato vantaggioso nel
coordinamento produttivo il sistema tradizionale, in cui gli animali nascono e poi secondo i
ritmi di natura vengono accasati. Questo succede ancora nell’allevamento del vitello e in
situazioni molto specifiche, ma purtroppo la prassi è che gli animali da giovanissimi vengano
separati dalle madri e allevati tutti quanti insieme in batteria, una soluzione discutibilmente
etica, ma utile per rispondere alle esigenze di igiene → tutto pieno - tutto vuoto.

È chiaro però che, quando viene attuato il vuoto sanitario, è necessario stare attenti a fare
veramente pulizia e disinfezione, che non è facile come può sembrare, in diversi casi si è visto
che portati via tutti i pulcini, la lettiera, la pollina, fatti gli interventi di lavaggio e di
fumigazione, l'ambiente non era infine sterile. Fumigare vuol dire mettere nell’ambiente,
tenendo chiuse le finestre, dei vapori, come la formaldeide (solo ultimamente si è scoperto
essere cancerogena, per cui gli operatori devono proteggersi - cancro ai polmoni). Si è visto
che, in barba al lavoro enorme attuato, per il fatto ad esempio di non otturare le fessurazioni
dei muri e per la presenza di scarafaggi, che si andavano a infilare in queste fessure (per
l’ambiente svantaggioso – vapori nocivi), finita la fumigazione, questi insetti ripopolavamo
l'ambiente e riportavano la presenza di salmonella (vive all’interno dell’intestino dello
scarafaggio per dei mesi, quindi un tempo più che sufficiente). Questo significa che non
bisogna fare solo pulizia, ma anche manutenzione, straordinaria o ordinaria (stuccare le
fessure sui muri). La stessa cosa accade per i roditori; normalmente non viaggiano tra diversi
continenti/paesi, ma può capitare nei casi in cui le navi siano utilizzate come veicolo di
trasmissione degli animali e dei roditori (hanno abitudini che permettono loro di vivere o
sopravvivere in ambienti anche piuttosto ostili). In genere, si fa il tutto pieno-tutto vuoto
periodicamente, ma può succedere che, non avendo, in un allevamento, tutti i polli della stessa
età, ad esempio 30-40 giorni, vi può essere un capannone che finisce ad Aprile, uno che finisce
a Maggio e uno che finisce a Giugno, in maniera scalare. Infatti, il tutto pieno-tutto vuoto è
relativo alla comunità epidemiologica: in un allevamento ci sono tanti capannoni distinti, ma che
sono gestiti in maniera tale da non separarli, per cui non possono essere considerati come
unità epidemiologiche distinte (un’unità epidemiologica è un qualcosa che sta nettamente e
chiaramente separato).

Misure di Bio-sicurezza: Alcuni allevamenti di pollame hanno capannoni in collocazioni molto


distanti tra loro, in modo da evitare continuità. ATTENZIONE, la continuità può significare
anche, oltre ai topolini che non viaggiano ma si muovono, ma significa anche le mosche, i volatili
selvatici (come i passeri e i piccioni); tutti questi animali, che vedono negli allevamenti una
fonte di alimentazione e li frequentano, spostandosi da un allevamento a un altro, possono
funzionare da vettori. Ovviamente questo dipende dalla pressione presente (quindi dal n° di
animali); quando si parla di interventi di derattizzazione, di disinfestazione, si va a fare
metodi di monitoraggio. In pratica, si va a vedere quante esche sono state mangiate, se sono
state mangiate fuori dall’allevamento o dentro al capannone. Quindi bisogna cercare di essere
efficienti: tenere la vegetazione intorno ai capannoni, tenere dei rifiuti animali, ecc. Su
quest’ultima si ha una brutta abitudine, ovvero vi sono dei cassoni, in cui vengono buttati gli
animali morti, che vengono svuotati periodicamente (non è possibile far svuotare il camion con
i cadaveri tutti i giorni). Gli animali muoiono non per una scarsa efficienza dei veterinari, che
spesso nei capannoni non vanno nemmeno (fattore di costo per cui l’allevatore se possibile fa
da solo e in un capannone di polli – nei maiali, un po’ meno – si trovano 8-10 polli giovani al
giorno morti), ma per un fattore di efficienza, in quanto i bidoni con i cadaveri vengono
lasciati aperti. In questi bidono di metallo, vengono buttati animali spesso moribondi, non del
tutto morti, cosa che non va bene: il benessere degli animali è d’interesse dei veterinari, così
come farlo rispettare e rispettarlo per primi. Vi vengono buttati, infatti, anche coniglietti
storditi con un colpo in testa, in mezzo a vermi, scarafaggi e altri cadaveri, in attesa di morire
di stenti. Questi sono fonte di infezioni, perché ci vanno gli animali, i roditori e i topi, che si
alimentano di cadaveri, si infettano e poi vanno a mangiare il grano all’interno del capannone
(via di infezione).

Per poter attuare delle misure di sicurezza, bisogna intervenire su queste cose. Quello che i
veterinari fanno negli allevamenti di polli o di suini, così come nei canili e nei gattili, o ancora
nelle stalle dei cavalli, è la stessa cosa: non riguarda l’igiene degli alimenti, ma l’igiene in
generale, poiché non si può sperare di non avere problemi di leptospirosi in un canile o gattile,
se non viene fate la lotta ai roditori. Non è facile, perché gli animali non devono avvelenarsi,
quindi non è possibile mettere esche avvelenate in giro. È inutile, però, fare un intervento di
sorveglianza oppure fare 50/100 campioni per la ricerca, ad esempio, di salmonelle, trovarle, e
poi non seguire l'ordinaria prassi igienica (l’allevatore per negligenza, mancanza di tempo,
mancanza di manodopera, non la fa).

Prassi igienica: chiudere il cassonetto, organizzare il ritiro dei cadaveri, fare in modo che il
camion che porta i mangimi non entri dentro (si fanno addirittura delle barriere). Il camion
deve rimanere fuori dall’allevamento e portare il mangime tramite una coclea (tubo) nel silos,
senza entrare. Infatti, un camion che entra in un allevamento in cui ci sono le salmonelle, nella
polvere, nella terreno o nelle feci, diventa una via di diffusione; le salmonelle vivono per mesi,
addirittura fino a tre anni nel materiale secco. I meccanismi sono tantissimi, se si vuole capire
efficacemente e non si vogliono sprecare risorse per fare dei campioni per cercare delle
prove della presenza di batteri, quello che fanno di pratico i veterinari è fare formazione,
scrivere documentazione, seguire l’autocontrollo da parte dei prodotti degli allevatori e quindi
sulla produzione primaria fino a quando non si sono sviluppati dei manuali di Buone Prassi
Igieniche e Buone Prassi di Lavorazione, che possano aiutare gli allevatori in questa parte di
lavoro.

Standard per costruzioni zootecniche e macchinari – i capannoni per essere puliti/lavati,


devono essere anche costruiti bene: se ci sono zone in cui non riesci ad accedere, ad esempio,
non si riescono a pulire i muri, è un grosso problema igienico. Addirittura, i muri perimetrali
sono fatti con degli speroni di cemento armato a livello di 0,5-1 m sotto il livello del suolo, la
cui unica funzione è quella di evitare che i ratti scavino e entrino nel capannone. Non in tutti i
capannoni c’è un basamento in cemento unico, in modo da chiudere lo spazio come in una
scatola. Ad esempio, nei capannoni delle ovaiole, queste vengono messe a far uova per un anno,
un anno fanno la muta a volte e poi un anno con un altro ciclo successivo; non fare la muta
significa non farle mangiare per tre/quattro giorni, come conseguenza si ha perdita delle
piume, alterazione del ciclo e gli animali tornano a produrre – la pratica della muta dovrebbe
essere abolita, anche perché si è visto che animali che non erano infetti diventano, a seguito
del calo di difese immunitarie, portatori di salmonelle. Una forte, brusca caduta delle difese
immunitarie spinge i patogeni a proliferare abbondantemente, in più non si possono impiegare
farmaci per combattere le salmonelle, perché l’unica conseguenza è che momentaneamente
non vi sono più salmonelle, ma subito dopo i ceppi resistenti cominciano a proliferare.
Inefficaci sono anche tutti gli altri interventi di questo genere, come le vaccinazioni,
protettive per l’animale, ma che non impediscono la superinfezione.

Superinfezione: nuova infezione che si instaura in un soggetto già infettato da un altro


microrganismo e non ancora guarito, per cui il decorso della malattia ne risulta complicato.
Tale fenomeno, che può dipendere da particolari modalità della reazione di difesa immunitaria
dell’organismo, si osserva in particolare nella tubercolosi e nella sifilide o in certe forme di
epatite e soprattutto in soggetti in cui il sistema immunitario sia per qualche motivo
compromesso. La nuova infezione in un soggetto già guarito viene invece definita reinfezione.

!! N.B.: Definizione presa da Internet!!

Similmente nell'uomo, ad esempio, tutte le persone sono vaccinate contro la poliomielite, così
da evitare problemi agli arti, ma nell'ambiente la circolazione del virus della poliomielite
continua: il vaccino di serie non protegge dall’infezione del selvatico, tuttavia la risposta
immunitaria, che si scatena di fronte a un infezione del virus selvaggio, protegge l'organismo
dalla malattia. E questo succede in molte occasioni, per cui non bisogna pensare alla
vaccinazione come qualcosa di protettivo: non è che se viene vaccinato il cane contro il
cimurro, questo non contrarrà mai il cimurro, tanto è vero che è necessario fare richiami
periodici (dopo il richiamo c’è un crollo delle difese immunitarie, per cui l’animale si può
infettare). La vaccinazione può essere prevista in alcuni casi, deve essere stabilità dalla
autorità sanitaria: se vi è un rischio per la sanità pubblica, in cui la vaccinazione si presenta
come il male minore, viene utilizzata per tante malattie, compresa l’afta epizootica, la peste
suina.

La gestione delle deiezioni e delle acque reflue – dove si butta la pollina: la pollina diventa
un concime organico ottenuto dal riciclaggio per trattamento industriale delle deiezioni degli
allevamenti avicoli. Prima di essere utilizzata come concime, deve essere fatta maturare e
trattata in modo efficace. Per evitare possibili contaminazioni da microrganismi (salmonella,
ecc), bisogna che poi la pollina sia sottoposta ad un trattamento termico, che può essere un
processo naturale (se fatta fermentare) o un processo artificiale. Poiché nei campi concimati
vengono coltivati alimenti per animali (ad esempio, campi di colza), è evidente che bisogna
essere attenti: i liquami, la pollina, il letame devono essere maturi e trattati. Tuttavia,
mancano le misure di controllo, spesso i liquami e i mangimi sono ancora positivi alla presenza
di microrganismi patogeni; pur essendovi l’obbligo di fare i controlli, vengono fatti con
frequenza limitata e quindi sicuramente ci sono alimenti pericolosi. I cani e i gatti mangiano
mangimi e scatolette sterilizzate, mangimi secchi, fatti prevalentemente di pellettatura di
esclusione e quindi trattati chimicamente; se questi trattamenti non fossero efficaci, i nostri
animali si infetterebbero con tutti i patogeni presenti nei macelli.

(Se fate mangiare al vostro cane/gatto la cosiddetta dieta barf, quindi fate mangiare loro
frattaglie, attenzione perché sono spesso tra i tessuti più contaminati. Il fegato sarebbe
folle mangiarlo crudo, a parte il problema dei residui e tutto il resto; i veterinari autorizzano,
ma lo fanno a norma di legge, che non dice che non c’è niente, ma che la presenza è ridotta ad
uno standard considerato accettabile.)

SALMONELLE – FONTI D'INFEZIONE

Le feci degli individui infetti da salmonelle contengono un gran numero di batteri. Dopo
l'infezione, l’escrezione fecale dura fino a 3 mesi, la mediana (quindi il 50%) fino a 5
settimane, ma l’1% diventa un portatore cronico: questo è vero, sia per gli animali, che per
l’uomo. Alcuni sierotipi sono riservati a particolari reservoir animali e l’infezione quasi sempre
è asintomatica; molti fenotipi sono capaci di passare da una specie all’altra e anche all’uomo.

I polli e i suini (considerati i principali reservoirs) per le modalità di allevamento sono


costretti a convivere con le loro stesse deiezioni in numeri densissimi (fino a 20'000 polli
nello stesso capannone), il contagio è oro-fecale, ma non mangiano dal mangiatoio e non
defecano sulla pollina. La pollina è il pavimento sopra il quale camminano, per cui quando
mangiando gli cade il semino, il pollo lo va a beccare per terra, perché questa è la sua tendenza
naturale, e così si infetta di Salmonella.

Ancora fonti d'infezione sono mangimi di origine animale, quindi si tratta di farina di pesce,
di carne, ma anche di origine vegetale, in caso di piante, di soia, di tanti altri tipi di essenze,
piante che servono per la produzione proteica. Infatti queste piante vengono abbattute con
delle mietitrici, che le spezzano, le fanno cadere per terra, poi le raccolgono e separano la
granella dalla pianta; tuttavia la pianta cadendo per terra si va a contaminare.

Sono fonte d'infezione ancora i pesci, le rane, le lumache, poiché la salmonella è un


patogeno che interessa animali a sangue caldo e freddo, che si è adattata a quasi tutte le
specie viventi e alla maggior parte degli habitat. Per questo motivo pesci, rane e lumache, che
si mangiano, devono essere allevate chiuse, nelle zone non ci sono contaminazioni e la
produzione deve essere fatta in maniera igienica. Il letame, i liquami, le mosche, gli insetti,
sono tutti animali che funzionano da vettori; vettore significa che lo catturano con le ali
oppure con l’intestino, non si infettano, e diventano semplicemente dei portatori.

Ancora sono pericolose le acque luride: i controlli sulle acque degli acquedotti servono a
controllare che l’acqua dell’acquedotto, e quindi della falda, non sia inquinata e/o contaminata;
nonostante l’acqua provenga da una fonte che viene considerata batteriologicamente sicura
(hanno fatto controlli su vari lotti di produzione e trovato che non ci sono batteri, ad esempio,
con contaminazione fecale), viene stoccata in serbatoi finché non è messa in distribuzione,
avete presente quelle campane che servono per la misurazione della pressione dell’acqua; per
quanto breve tempo, i pochissimi batteri che c’erano dentro, possono replicarsi: alcuni batteri
crescono anche in acqua pura, senza il bisogno di nutrienti. Se si rompono le fognature, ci sono
sismi o frane, la rete dell’acqua viene interrotta, e se viene interrotta portano le autobotti.
Negli allevamenti non viene utilizzata quasi mai l’acqua di acquedotto, infatti troppa acqua non
è disponibile per uso zootecnico, c'è invece una normativa specifica per le acque zootecniche,
che spesso sono acque di pozzo, captate da corsi d’acqua, come le acque di irrigazione, ma
opportunamente valutate e controllate.

CAMPYLOBACTER – FONTI D'INFEZIONE

Studio interessantissimo sui Campylobacter:

le feci dei volatili hanno fino a 10 milioni per grammo di Campylobacter, anche le specie
selvatiche, quindi parliamo di volatili, di gabbiani, di piccioni;
il 35% dei bovini adulti sono positivi per il Campylobacter, dal 26 al 50% degli ovini
sono positivi,
il 50% dei suini sono positivi per il Campylobacter coli;

Questi sono risultati parziali; poiché non esiste un sistema di sorveglianza nazionale, questi
sono dati che derivano dalla media dei diversi studi che sono stati fatti.

Nei volatili al macella, dal 50 al 100% dei polli sono contaminati, e quelli che non sono
contaminati si contaminano durante la macellazione

È chiaro che se vengono portati, dentro una vasca di acqua calda, degli animali che hanno sulla
pelle del materiale fecale che si è essiccato o della polvere contaminata, l'acqua calda può
divenire vettore di infezione. L’acqua di scottatura dei polli arriva fino ai 50°C, per i suini
63°C, la maggior parte dei batteri patogeni, protetti dal materiale fecale, non muoiono: non
bastano 5 minuti in acqua per ucciderli, anzi, l’acqua diventa un brodo in cui i batteri comunque
non proliferano, ma i polli, che prima non era contagiati, si contaminano. Questo è il motivo per
cui si mette il cloro nell’acqua delle piscine. Le acque reflue degli allevamenti normalmente
sono per forza positive alla presenza di batteri. Prendendo in esempio Centonara, un piccolo
rio che scorre interamente nella provincia di Bologna, questo viene utilizzato per irrigare gli
orti degli abitanti, di cui i prodotti spesso vengono mangiati crudi; se fosse permesso alle
varie aziende del luogo di immettere le loro acque reflue nel rio Centonara, queste
conterrebbero sicuramente dei patogeni
trasmissibili all'uomo. Chi controlla questo
aspetto non è solo il veterinario, ma ci sono
le ARPA (Agenzie Regionali per la Protezione
dell’Ambiente) e i controlli vengono eseguiti
con una frequenza stabilita dalla legge.

Nel caso del Campylobacter, nello studio in


esempio sono stati fatti, in diversi utensili,
dei campionamenti per vedere la presenza di
Campylobacter. La differenza tra i tre
gruppi è data dal metodo con cui è stata
fatta la pulizia: nel gruppo 3, la pulizia è stata fatta con la disinfezione delle superfici con
cloro, prima del campionamento, quindi alcune superfici di lavoro sono comunque positive ma
molto poco, la maggior parte risultano negative; negli altri due casi, in cui è stata fatta una
pulizia senza disinfezione, è presente il Campylobacter. Quindi, diventa un veicolo di
contaminazione crociata, anche se in quantità minima, poiché la dose infettante di tale
microrganismo è di 500 cellule.

Il vero problema di quando portiamo a casa un pollo e lo mettiamo sul lavandino è che
contaminiamo; nello stesso punto, successivamente non bisognerebbe lavare la verdura, senza
prima aver disinfettato. A livello industriale o di ristorazione, è importante avere piani di
lavoro separati, non si può fare tutto in un’unica zona, questo mette molto in difficoltà i gli
impianti di ristorazione più piccoli; ad esempio, in una gelateria, l'operatore sguscia le uova e
per buttare i gusci si contamina le mani, dopodiché vi sono due lavandini, uno su cui le uova
vengono sgusciate e uno in cui si manipola la roba cruda e poi uno in cui vado a lavorare il
gelato, ci si lava le mani ecc (non so perché, aveva detto due lavandini e qua ne cita tre xD).
Molte volte queste sono delle complicazioni, ma necessarie; tanto è vero che molte gelaterie
prendono prodotti già sgusciati per evitare il disturbo.

Oltre alle superfici contaminate, bisogna considerare anche quelli che sono gli automezzi,
come i camion di distribuzione dei mangimi, che calpestano il suolo e con le ruote possono
portano patogeni ad altri allevamenti. Quindi molte volte diventano dei veicoli di infezione
anche gli automezzi, tanto è vero che in alcuni casi o si tengono fuori dal capannone, per cui
non vengono proprio fatti accedere al capannone, o nei macelli, in cui devono necessariamente
entrare, vengono lavati e disinfettati, comprese le ruote degli automezzi; addirittura i
veterinari devono firmare un documento che testimonia che il camion del macello è stato
pulito, lavato e disinfettato. Ovviamente questo viene fatto vicino al letamaio.

Durante il trasporto degli animali, questi stanno insieme in condizioni altamente stressanti;
nel caso dei polli, gli animali defecano di più, per questo le gabbie per il loro trasporto devono
essere fatte in maniera tale che ci possa essere la caduta e l’imbrattamento di feci. Lo stesso
nei camion che trasportano i maiali, a volte sono fatti su tre/quattro piani ed il pavimento
deve essere fatto in maniera tale da evitare che ci sia la possibilità di contaminare gli animali
nei piani inferiori. Si è visto quindi che, durante il viaggio, lo stress aumenta l’escrezione
fecale dei patogeni e le condizioni in cui stanno gli animali favoriscono l’imbrattamento esteso
del corpo. La normativa di legge dice: all’arrivo gli animali devono essere puliti (per assicurare
che lo siano davvero bisogna partire da queste cose), l’automezzo deve essere ben fatto, il
pavimento non deve essere sdrucciolevole, gli animali non devono essere stressati e i viaggi
meno lunghi possibili (non si possono tenere gli animali senza mangiare per 12 ore). La legge
dice che “se il viaggio supera le 8h, l’animale o deve scendere dal camion ed essere alimentato
o quantomeno l’automezzo deve essere attrezzato per farlo bere e mangiare”.

Ricapitolando, Trasporto degli animali:

Trasporto al macello e trasferimento animali tra allevamenti, crescita e finissaggio


Fase di stress considerevole (anche se misure di protezione sono prese)
• Molti studi hanno dimostrato che carriers eliminano salmonelle durante il trasporto
contaminando così altri animali e linee di macellazione.
Nel macello, gli animali infetti/contaminati dovrebbero essere macellati per ultimi, così le
vasche di scottatura non si imbrattano subito, e si farebbe la cosiddetta valutazione logistica .
Altri interventi che si possono fare sono: il monitoraggio e la sorveglianza, in modo da poter
escludere animali ammalati (affetti da salmonellosi). Quando parliamo della lunghezza del
viaggio, non bisogna dimenticare che, anche al macello, gli animali devono sostare in maniera
confortevole e adeguata e non devono essere nella posizione di contaminarsi; vengono puliti e
disinfettati periodicamente, devono stare a una certa temperatura, protetti dal sole, dalle
intemperie, per evitare possibili conseguenze negative. Le fasi della lavorazione delle carni
critiche per la diffusione e la contaminazione sono la scuoiatura, la rimozione del vello,
l’eviscerazione, soprattutto se c’è la rottura dell’intestino; il problema è che se la pelle va a
toccare il sottocute, lo contamina: se l'operatore fa un taglio e porta peli imbrattati nel
sottocute, contamina, così come se tocca il vello con le mani e poi lavora nel sottocute. Non è
possibile evitare che i batteri vadano ad annidarsi nei follicoli piliferi: col calore, si dilatano i
pori, i batteri entrano dentro i follicoli piliferi, dopodiché i pori si richiudono e, anche con i
getti ad alta pressione, non li si riesce a lavare via (bastano pochi minuti e già il
Campylobacter ha fatto un legame talmente forte che non è sufficiente nessuna pressione
dell’acqua per poterlo rimuovere). La flambatura, fatta nei maiali, non è sufficiente ad
abbattere la presenza dei microrganismi, tranne che per le batteriacee; quindi anche quello
non è un intervento efficace. Il raffreddamento è un metodo efficace non per togliere i
batteri, ma per ostacolarne la riproduzione e deve essere fatto immediatamente per essere
efficiente: rapidamente la temperatura della superficie delle carni viene portata a valori
compatibili con la moltiplicazione batterica (10-15°C per la salmonella), la temperatura al
cuore ci mette più tempo, tuttavia poco interessa perché ciò che è contaminato è in
superficie; comunque vanno rispettatati i valori prescritti dalla legge: nel caso del pollame a
4°C, nel caso degli animali che vanno al macello a 7°C, prima di spedirli, perché se noi li
mettessimo in una normale mezzo di trasporto in cui la superficie è fredda (4°C), ma l’interno
è ancora a 25°C. L’automezzo non ha la capacità frigorifera di mantenere tutto questo calore,
il calore dall’interno ritorna in superficie e i batteri cominciano a proliferare; gli automezzi di
trasporto sono fatti per fare delle soste intermedie, da una macelleria a un supermercato, e
per questo ci sono delle specie di tunnel, di bocche di carico e scarico nei supermercati e nel
macello, di modo che, accostando l'automezzo fino alla parete, si formi un ambiente unico: il
carico refrigerato arriva insieme all’automezzo già freddo, in modo da assicurare non che i
batteri scompaiano, ma che non possano proliferare.

Ricapitolando, Linee di macellazione:

Esclusione animali affetti da salmonellosi (ammalati)


• Portatori sani non individuabili con l’ispezione veterinaria post-mortem
• Salmonelle presenti nell’intestino, cute, penne
Momenti critici per la diffusione e la contaminazione delle carni:
o Scuoiatura bovini e rimozione vello ovini; eviscerazione specie se c’è rottura
dell’intestino
o Nei polli e nei suini, l’immersione nelle vasche di scottature ed il passaggio nelle
macchine spennatrici/pulitrici
o Nel pollame, raffreddamento in acqua
Applicazione Buone Prassi di Lavorazione e sistema (HACCP)
Nonostante tutte queste procedure, non siamo comunque in grado di eliminare completamente
Salmonelle e Campylobacter, a meno che non vengano applicati trattamenti specifici: in alcuni
paesi, irraggiare le carni non è considerato un problema; l’Europa è l’unico paese al mondo che
rifiuta di irraggiare le carni. L’irraggiamento è una metodica per cui vengono trattate le carni
con dei raggi ϒ (gli stessi utilizzati per sterilizzare le siringhe di iniezione). In Francia, veniva
utilizzato sul pollo surgelato, così da eliminare quei 10'000-12'000 casi di salmonellosi
nell’uomo. In seguito, la comunità europea, su pressione di diversi paesi, compresa l’Italia, ha
deciso che bisogna lavorare diversamente, perché (tesi sostenuta anche dall’EFSA) se sono
permessi questi trattamenti di disinfezione, verrebbe permesso anche di far meno attenzione
all’igiene → quindi non vogliamo un intervento drastico, preferiamo lavorare sulle misure di
igiene. Altri produttori hanno cominciato ad utilizzare sostanze strane, come spray con acido
lattico, aggiunta di ipoclorito nelle vasche di scottatura o nelle acque di lavaggio, che
aumentano la concentrazione, o aggiunta di polifosfato (Trisodio Fosfato), utili a ridurre il
numero dei batteri.

Tutto questo perché la legge dice di rispettare le misure di igiene, quindi vengono fatti
controlli sugli animali allevati, per verificare la presenza, ad esempio, di Salmonelle. Nel caso
dei polli, si controlla la pelle, si prelevano 50 campioni, in cui non più di 7 devono essere
positivi; se non è così, bisogna intervenire. Gli allevatori, che sanno che gli interventi sono
costosi, devono evitare di far trovare le Salmonelle e, per non farle trovare, mettono più cloro
nell’acqua, soprattutto in quello del lavaggio dei polli, mettono polifosfati, detergenti che
fanno sì che la salmonella non si attacchi tenacemente sulla superficie della pelle del pollo, ma
questo vuol dire che la carne poi da mangiare è stata praticamente lavata con il sapone. Alcuni
usano come scusante il fatto che i polifosfati ci siano già naturalmente nella carne, quindi non
sono aggiunti: ad esempio, l’ATP, quando si stacca il dP, è un polifosfato e quindi una
componente normale nei tessuti.

Ricapitolando, Macellazione:

• Nonostante l’applicazione di GMP e HACCP, l’eliminazione completa di Salmonelle e


Campylobacter è impossibile se non si applicano processi di decontaminazione
(irradiazione, cottura)
• Lavaggio con acqua calda a 60-70°C, spray con acido lattico, aggiunta di ipoclorito nelle
vasche e soluzioni di lavaggio, aggiunta di Trisodio fosfato, utili a ridurre il numero
Rischio di cross-contaminazione e ricontaminazione
La pelle ed il contenuto gastro-intestinale dei bovini sono fonte di contaminazione per
VTEC.

DIFFUSIONE E RESISTENZA
NELL’AMBIENTE

Quando non riusciamo a risolvere il


problema alla fonte nella produzione
primaria, proviamo a contenerlo e a
limitarlo, con una serie di misure che
non piacciono. Questa è la tabella che
dimostra che pensare che
sconfiggere questo patogeno così tanto bene adattato è un problema.

Se trattiamo di controllo della moltiplicazione, per evitare che diventino un numero elevato
(aumentare il numero significa rischiare di raggiungere la dose infettante), bisogna
controllare i fattori di crescita; non ci devono essere, nella filiera di produzione di questi
alimenti, delle fasi di abuso termico, ovvero una temperatura prolifica che favorisce la
moltiplicazione del patogeno.
Lezione 22/04 ore 11-13

L’ultima volta abbiamo parlato di malattie alimentari a trasmissione batterica.

Il ruolo del veterinario è quello di controllare, monitorare e intercettare soggetti positivi e


intervenire poi attraverso misure di bio-sicurezza. Le zoonosi in Europa sono un grande
problema e sono di interesse di una normativa (21/60 del 2003), che obbliga i presidenti a
presentare programmi di controllo per i sierotipi di salmonella (riguarda solo la salmonella
perché fino al 2003 era considerato l’unico patogeno da prevenire) rilevanti per la salute
pubblica, cioè quelli che cercano prevalentemente un pubblico umano. Se poi si riesce a
dimostrare che i microrganismi che infettano la popolazione umana sono anche presenti, ad
esempio, nei pollai, allora è possibile dire che quella è la fonte di contaminazione e a questo
punto bisogna quindi capire come avviene la contaminazione. Si rivalutano quindi tutti i
passaggi e tutti i possibili rischi (condizione e gestione dei rischi).

I programmi di controllo nazionali sono stati definiti per raggiungere obbiettivi precisi e
misurabili di riduzione percentuale dell’infezione. Ad esempio, un obbiettivo previsto è quello
di riuscire a dimezzare la prevalenza degli allevamenti dal 20 al 10% in 5 anni. Per fare ciò,
vengono investiti soldi e pagati giovani veterinari per risolvere il problema, dopodiché si
verifica se gli obbiettivi sono stati veramente raggiunti. Gli obbiettivi devono essere
armonizzati a livello europeo per poter permettere con sicurezza la circolazione
(esportazione) di prodotti, persone e animali. Immaginate l’importanza di questa tutela per
quanto riguarda la selezione genetica, in cui bisogna esportare da paesi che hanno animali con
patrimonio genetico più avanzato a paesi con animali con patrimonio genetico meno avanzato
(esempio: uova da incubare, suinetti, scrofe da riproduzione ecc..). Si parla di armonizzare
perché non è possibile che ci sia un paese troppo più avanzato rispetto agli altri, sarebbe in
contrasto con lo spirito della libera circolazione delle merci.

Dal 2004 sono stati avviati piani di controllo con cadenze diverse nelle categorie produttive
degli animali. Nella specie gallus gallus, i riproduttori sono i polli. ATTENZIONE, spesso si
parla di pollame in generale, includendo, ad esempio, anche i tacchini che sono di specie
diversa. Quindi è necessario distinguere sempre se si tratta di tutto il pollame o solo dei polli,
o solo dei tacchini, o ancora se si tratta di polli, se sono inclusi tutti i polli oppure anche le
galline. Queste sono differenze importanti perché mostrano esigenze diverse. Ad esempio, un
riproduttore vive anni (anche 2 o 3), mentre un pollo da carne ha aspettativa di vita di 35-40
giorni, mentre la vita di una gallina da uova è di circa 1 anno (6 mesi di allevamento prepubere
da pollastra e 6 mesi di produzione). Nei suini, per quanto riguarda il controllo, bisogna
distinguere tra suini all’ingrasso e riproduttori.

I controlli si fanno molto spesso a livello di produzione primaria, quindi negli allevamenti,
invece per i suini all’ingrasso è stato deciso di svolgere i controlli della carne a prodotto finito
direttamente al macello. La differenza è prima di tutto la comodità tecnica di controllare
direttamente il prodotto finito, senza la necessità di trasportare gli animali, che potrebbero
infettarsi durante il viaggio. Inoltre, la situazione cambia dal macello alla carne, perché la
vasca di scottatura fa sì che le carcasse (ritenute prima appartenenti a individui non
portatori) si contaminino fra loro, se qualche altra carcassa è contaminata. Perciò, quando si
tratta di prevalenza negli allevamenti, c’è un rapporto con quella che è la prevalenza negli
allevamenti di provenienza, ma non è 1=1, potrebbe diventare un fattore di moltiplicazione
oppure, se la macellazione riduce la prevalenza, un fattore di riduzione.

Le scadenze per raggiungere gli obbiettivi fissati vengono poste diversamente a seconda delle
categorie (target diversi) e bisogna mettere a disposizione risorse economiche per le analisi
ecc.. Nel controllo, si cercano diversi sierotipi di salmonella, a seconda delle diverse categorie
animali e a seconda della pericolosità. Ad esempio, nei polli riproduttori viene cercata S.
dentritis, S. tiphimurium, S. Virchow, S. infantis, S. hadar perché secondo i dati nazionali sono
i più rilevanti per la salute pubblica. Invece, nei tacchini, ad esempio, vengono considerati solo
S. dentritis e S. tiphimurium. Le analisi di sierotipizzazione e riconoscimento sono molto
costose (utilizzo di terreni di coltura differenziali, tipizzazioni), possono costare anche 50
euro per campione, e lunghe (anche una settimana). Per quanto riguarda gli obbiettivi, si è
visto che è molto più facile diminuire la percentuale di salmonella dal 20 all’1 % rispetto alla
eliminazione completa del patogeno (specific patogen free), ciò vorrebbe dire spendere molti
più soldi e impegno per evitare, ad esempio, il contatto con ogni animale selvatico oppure
raccogliere mangimi e foraggi in condizioni molto più controllate, a livelli di sicurezza che non
utilizziamo neppure per l’uomo. Bisogna quindi ragionare prendendo sempre in considerazione il
fattore sanitario e quello economico per raggiungere condizioni sanitarie sicure e rispettose
delle normative con una spesa sostenibile e accettata dall’ente pagante.

Esistono inoltre dei programmi di autocontrollo, significa che ci si fa consigliare da consulenti


veterinari per le informazioni più importanti (esempio: utilizzare indumenti puliti quando si
entra in stalla, perché la polvere funge da vettore), ma deve essere l’allevatore in persona ad
assicurarsi che i consigli e le norme vengano rispettate, solo così è possibile svolgere un buon
lavoro. Il veterinario pubblico o il certificatore di norma passa, osserva e dice all’allevatore se
sta lavorando bene o male, ma la responsabilità del controllo ricade sulle spalle dell’allevatore.
Molti allevatore cercano di sostituirsi al veterinario per evitare dei grossi costi, cosa
assolutamente sbagliatissima per la mancata istruzione in questo campo.

I piani di campionamento sono essenziali per osservare la condizione igienica dell’allevamento.


Ad esempio, la polvere è campionabile, perché essendo vettore vi si può trovare salmonella. In
natura, la polvere è utilizzata dagli animali, che si sporcano volontariamente per allontanare gli
ectoparassiti, ma in allevamento ciò è impossibile perché le gabbie non lo permettono.
Campionando la polvere (dalle deiezioni che si essiccano), è possibile capire a volte di più che
campionando le uova o facendo con tampone cloacale. Bisogna quindi impegnarsi a contenere la
quantità di polvere inalabile dagli animali, un lavoro decisamente difficile perché, in genere, le
deiezioni sono accumulate in una fossa al centro del capannone, che viene ripulita a fine ciclo
quando vengono portati via gli animali. All’interno degli escrementi ammassati si accumula
polvere e gli animali (es ratti, scarafaggi..) presenti, salendo verso le gabbie, passando sui
nastri trasportatori delle uova, vanno a trasmettere la salmonella alle galline dell’allevamento.
Bisognerebbe quindi eliminare giornalmente (e non ogni 6 mesi) le deiezioni accumulate, ma è
una pratica anti-economica e non è possibile applicarla.

Le feci non sempre sono positive alla salmonella, perché l’animale portatore non è detto che
sia escretore attivo. La differenza è che l’escretore attivo presenta la salmonella nelle feci,
mentre il portatore la può presentare nella cistifellea o nei linfonodi meseraici e non riesce ad
arrivare nelle deiezioni. La salmonella ha una buona resistenza nell’ambiente, quindi non
importa che l’animale l’abbia in quel momento nelle feci, poiché tali microrganismi possono
essere liberi nel terreno. Per questo motivo, si utilizzano delle scarpe apposite con materiale
particolare (con sovrascarpe umidificato con un tampone per facilitare l’adesione) per
spostarsi nell’allevamento, che poi, a fine giornata, saranno prese come campione. Questi
campioni sono abbastanza affidabili, perché se i batteri sono localizzati in maniera non
omogenea, nell’allevamento è possibile comunque trovarli facilmente (si può campionare tutta
la superficie del capannone). Il percorso viene scelto anticipatamente, decidendo i punti su cui
camminare in modo da calpestare gli spazi in modo omogeneo e ordinato. I campioni vanno fatti
entro 4 settimane verso la fine della produzione e entro almeno 8 settimane prima del termine
del ciclo produttivo, in qualsiasi momento distante dai posti precedenti, questo per i
riproduttori (metodo di campionamento più pratico). Le galline hanno ancora l’istinto alla cova
e quindi è possibile tenerli per terra. Il selezionamento genetico ha spinto per aver grandi
produttrici, ma non ci siamo preoccupati che mantenessero l’istinto alla cova. Si sfrutta il
fotoperiodo, poiché le galline tendono a deporre durante la primavera, quindi con un
fotoperiodo crescente (si allungano le giornate). Per indurre le galline a deporre tutti i giorni
si utilizzano luci artificiali. Inoltre, si può campionare anche con un panno, spolverando e
raccogliendo polvere, sfruttando la capacità della salmonella di sopravvivere anche 6 mesi
nella polvere secca. Il panno viene posto in un barattolo e mandato ad analizzare all’istituto
zoo-profilattico, con un etichetta che specifica capannone e allevamento (analisi=isolamento e
tipizzazione). Un altro campione possibile sono direttamente le uova.

Infatti, dai campioni si potrebbe avere positività nel capannone, ma non nelle uova (non è
detto che la salmonella sia nelle feci). Questo, dal punto di vista della sicurezza, è un
vantaggio, mentre, dal punto di vista del controllo, è uno svantaggio. Se la quantità di
salmonella è superiore all’1%, bisogna fare un indagine criminologica, che consiste nel
verificare l’efficacia delle misure specializzate a evitare l’ingresso della salmonella in
allevamento, e si danno indicazione all’allevatore per diminuire la percentuale con nuove misure
di bio-sicurezza. Da lì in poi i controlli diventano più frequenti. Se la situazione è grave, si
fanno più controlli. L’aumento della frequenza dei controlli è un incentivo per l’allevatore a
migliorare la situazione igienico-sanitaria, perché è lui stesso a pagare i controlli e quindi
riuscire a diminuire la % di salmonella significa dover pagare meno controlli. Se si trovano i
sierotipi rilevanti, tutto viene posto in vincolo sanitario e applicate misure per evitare
l’espansione dell’infezione, per cui i positivi a S. enteritis e S. tiphimurium vengono macellati,
se sono riproduttori di alto valore genetico è un danno per l’allevatore.

La macellazione viene fatta a fine giornata, per non contaminare le strutture del macello con
conseguente sanificazione dell’ambiente e l’allevatore subisce costi maggiori. Questi sono
dunque fattori di penalizzazione, quindi incentivi a migliorare. Alla fine si fa un analisi ulteriori
delle carni, effettuando un trattamento termico, per cui le carni positive alla salmonella
vengono cotte e l’allevatore si trova a fornire sul mercato un quantitativo di prodotto spesso
superiore alla domanda, proprio a causa della macellazione massiva imposta dalle norme
sanitarie. Questo determina ovviamente una diminuzione del prezzo (anche questo è un
fattore di penalizzazione). Questo programma sanitario, imposto dal 2011, è stato rifiutato e
combattuto da pressioni delle lobby degli allevatori, che ne hanno una grossa paura e quindi
non è stato mai attuato.

Pulizia delle deiezioni significa entrare nella struttura e portare via la collina contaminata,
lavare e pulire il cemento ecc. Il controllo dei mangimi è importante perché possono essere
fattore di reintroduzione della salmonella. Si può fare un controllo termico, ma questo
determina variazioni organolettiche dell’alimento, che perde vitamine o aminoacidi termolabili
(metionina, cisteina) essenziali per permettere alla gallina di produrre uova tutti i giorni. Ad
esempio, la Vit. D serve ad assimilare il calcio e la sua diminuzione significa una produzione di
uova con gusci molli e fragili. C’è quindi una sorta di conflitto tra quella che è l’esigenza
igienica e quella nutrizionale. Gli antibiotici possono essere usati solo in deroga, quindi solo in
casi eccezionali. Nel caso dei vaccini invece è importante, al momento della macellazione, poter
discriminare la salmonella vaccinale dai ceppi di campo. L’industria farmaceutica, che produce
il vaccino, deve trovare un qualche sistema, come ad esempio marcare i ceppi con particolari
geni come la resistenza ad un antibiotico, ma questo è un grande costo (strategia DIVA ).
Per ottenere quindi un obbiettivo dal punto di vista igienico-sanitario, bisogna riuscire a
rispettare al meglio tutte le misure di bio-sicurezza contemporaneamente, come indossare
stivali e camici, fare pulizie con idro-pulitrici, eliminare insetti potenzialmente pericolosi come
vettori, lavare gli automezzi che entrano nel capannone.

SITUAZIONE NELLE ALTRE SPECIE ANIMALI - Nel suino, il controllo viene fatto al
macello, cercando con ELISA indiretta la presenza dell’anticorpo specifico contro la
salmonella nel siero del sangue. Per ottenere il siero, i danesi hanno trovato un metodo più
pratico e veloce: spremere il muscolo (generalmente il diaframma per il basso valore
economico) dell’animale, prelevando direttamente il siero dal succo che fuoriesce, anche
perché il campione di muscolo va comunque preso per il controllo della salmonella. Hanno una
macchina in grado di processare rapidamente e a bassi costi milioni di campioni in una
giornata, così che il costo risulterà bassissimo. Un altro campionamento può essere il prelievo
dei linfonodi meseraici, che sono i punti in cui sicuramente verrà ritrovata la salmonella se è
avvenuta un infezione entro i mesi precedenti. Il risultato è diverso da quello che ottengo
dall’esame del siero, il siero può essere negativo e il linfonodo positivo o anche il contrario. Ciò
spinge i paesi a fare revisione di controllo per entrambe le cose. Un campione siero positivo
indica una infezione più recente per via del titolo anticorpale alto, mentre la presenza del
batterio a livello di linfonodi indica una infezione di 1-2 mesi prima. Ciò permette di avere un
quadro epidemiologico più chiaro, quindi sono utili entrambi gli esami. Addirittura alcune
strutture fanno l’analisi delle carcasse per capire se è avvenuta cross-contamination
(trasferimento della salmonella da un animale all’altra), se quindi da un suino negativo alla
salmonella si ottiene una carcassa positiva. In Italia, Spagna e Inghilterra, vi è una grave
situazione: quasi un suino ogni dieci presenta salmonella (7-8%); problema perché la carne
viene consumata anche cruda (esempio, caso degli insaccati).

Il controllo va fatto anche sugli alimenti di uso zoo-tecnico, che vengono mandati all’istituto
zoo-profilattico, che utilizza criteri micro-biologici, che definiscono l’accettabilità del
prodotto (se è idoneo al consumo oppure no). In questo caso, si prendono 5 unità campionarie
di ogni lotto, dei quali si analizzano 25 gr - nessuno di questi deve risultare positivo alla
salmonella per poter permettere che il prodotto venga messo sul mercato. I criteri
microbiologici degli alimenti sono espressi da norme precise. Per ogni alimento esiste un
criterio diverso, anche in base alla cottura che può avvenire oppure no. Alcuni piani richiedono
una riduzione del campione da 25 gr a 10 gr, ma questo è un metodo meno esatto, meno
stringente e che quindi può sbagliare più facilmente. In ogni caso, non prendo mai più di 50 gr
(poco pratico).

Per accertare la salmonella, si usa un metodo normato considerato accettabile per lo scopo
(norme ISO), per cui ha lo stesso rendimento in tutta Europa perché ogni metodo ha la sua
specificità e la sua sensibilità. Al macello, vi sono piani di campionamento e, su 50 carcasse, se
ne analizzano 2, prelevando 100 cm quadrati nella zona del petto, anche se 5 su 50 è meno
stringente. L’esame viene fatto dopo la macellazione, ma prima del raffreddamento, perché
con il variare della temperatura varia anche la popolazione microbica e la salmonella può quindi
essere sopraffatta dalla presenza di batteri più resistenti a quella temperatura, in questo
modo sarà più difficile o più facile trovarla.

L’antibiotico resistenza è considerata un emergenza, un problema rilevantissimo soprattutto


per le salmonelle per questa loro capacità di sopravvivere a lungo nell’ambiente. Il pericolo è
che l’animale, all’interno dell’allevamento intensivo, al momento della macellazione, presenti
l’antibiotico a livello intestinale (tempo di sospensione = 0, non passa nelle carni).
Dall’intestino, la carcassa può essere contaminata da un ceppo che è diventato antibiotico-
resistente. Questo è un problema molto grave di sanità pubblica. Se ne è vista la rilevanza nel
numero elevato di casi di setticemia post-chirurgica: dopo un operazione chirurgica, fatta ad
esempio a livello intestinale (es: appendicite), soprattutto nei paesi stranieri, viene fatta una
profilassi antibiotica per evitare le setticemie post-intervento, in molti casi comunque il
paziente si ammalava di gravi infezioni e moriva per setticemia ospedaliera. I paesi europei più
evoluti hanno consigliato la diminuzione dell’utilizzo degli antibiotici e così è stata ridotta la %
di casi di setticemia umana ma non è abbastanza, è necessario anche che gli animali in cui
vengono trovati ceppi caratterizzati da antibiotico resistenza vengano abbattuti in maniera
coattiva. Esistono attualmente piano di campionamento per la resistenza agli antibiotici per
salmonelle, campylobacter, escherichia coli e streptococchi fecalis (enterococchi). Un'altra
misura di controllo è il trattamento degli adulti.

 I batteri sono uccisi dal calore, ma in maniera diversa gli uni dagli altri. Il tempo di
riduzione decimale (D) è diverso da batterio a batterio. Il Campylobacter è molto più
sensibile della salmonella al calore, la salmonella necessità per l’eliminazione di cottura a
60 gradi per 2-7 minuti (perché i ceppi hanno leggere differenze per quanto riguarda la
termo-resistenza).
 Importate è la concentrazione iniziale del batterio, bisogna moltiplicare il tempo di morte
per un numero proporzionale alla concentrazione iniziale del batterio. La cottura dovrebbe
essere esageratamente prolungata (12 minuti a 60 gradi) rispetto a quella viene fatta con
la carne, ma grazie al controllo degli alimenti la carne che arriva nelle nostre case ha già
una bassa concentrazione di batteri. Alcuni tipi di carne vanno cotte più a lungo, quelle
macinate generalmente.
 Se vengono raffreddati gli alimenti, i batteri sopravvivono, ma non moltiplicano (attenzione
perché la dose infettante è bassa); invece il congelamento ha un effetto letale sui batteri,
perché il ghiaccio è in grado di rompere la membrana esterna del batterio ma comunque
non è un trattamento.
 Il Cloro è efficace contro le salmonelle, ma rovina il sapore e l’odore delle carni.
 Il pH varia con la fermentazione: è il caso ad esempio degli insaccati, che si fanno con lo
zucchero, la cui fermentazione determina diminuzione del pH. Questo ha un azione
distruttiva per il Campylobacter (mai stato trovato negli insaccati), ma non per la
salmonella, che può sopravvivere a pH acido.
 L’altro fattore è la quantità dell’acqua, che dipende dalla concentrazione del sale e dalla
quantità di acqua che viene persa dal prodotto. Se il salame è molto asciugato, risulta duro
e legnoso ed è contaminato con meno probabilità rispetto ad un salame morbido, meno
stagionato e ricco di acqua.

Questo è il motivo per cui alcuni salami vengono conservati in frigorifero, altri invece appesi a
temperatura ambiente. Se è fuori dal frigorifero, perde peso per la diminuzione di acqua,
mentre se fatto conservare nei supermercati, nei frigoriferi all’interno di una buste di
plastica, posso dettare anticipatamente il prezzo che rimarrà costante per l’assenza di
disidratazione (non viene fatto stagionare e non perde peso). Quasi tutti i rari casi di
infezione dovuti al consumo di insaccati sono causati dalla vendita di prodotti troppo freschi.
Questo problema è di tipo economico (di esigenza commerciale) ed è determinato
dall’industria. Inoltre la vendita di insaccati freschi (lasciati stagionare in modo adeguato) è di
grande comodità per l’industria produttrice, che può incassare subito dopo la produzione,
senza dover fare un mutuo in attesa dell’incasso che arriva circa 6 mesi dopo, se si lascia
stagionare adeguatamente l’insaccato. Ad esempio, gli americani spesso fanno salami a tempo
zero, trasformando la carne macinata in insaccati affettabili e acidi senza nessun tipo di
stagionatura. Il procedimento è semplice, basta aggiungere un acido. Si compatta perché le
proteine del muscolo vengono estratte dal sale e si coagulano per effetto dell’acidità,
rendendo il prodotto compatto. In queste condizioni la salmonella non viene eliminata in nessun
modo ed è quindi un problema di sanità pubblica. Quindi a parità di pH e a quantità uguali di
sali in due prodotti si possono avere effetti diversi in funzione del tempo. Se il produttore
trova una partita positiva dovrebbe rimandare la messa in vendita non prima di 2 mesi, mentre
molte industrie non aspettano più di 10 giorni. Per le cucine esistono delle norme di
riferimento (come conservare un alimento/quanto è necessario cuocerlo per garantire
sicurezza), delle regole che aiutano i cuochi a garantire una sicurezza dei loro piatti in
funzione del tipo di alimento, del tipo di batterio che può contaminarlo.

Ricapitolando, Resistenza negli alimenti:

CAMPYLOBACTER SALMONELLA

• D55= 1 min. • D60=2-6 min; D70=1 Min (S. seFenberg


• resta vitale negli alimenti refrigerati molto più resistente)
a4°C • Sensibile a cloro
• Efficacia del congelamento variabile • pH valori limite: 3,8* E 9,5, dipendente
• Inattivati in 24 Ore a pH 5, sensibile a da T, tipo acido e presenza nitriti (es.
>2% NaCl (riduzione 1 x D in 5-•‐10 ore) pH lim 4,4--‐4,8 a 10°C)
• Sensibili all’essiccamento • Aw Limite 0,94; Aw opt. 0,99
• Bassa Persistenza ambientale • Lunga sopravvivenza in ambienti con
bassa Aw
• Resta vitale negli alimenti refrigerati
• Il congelamento non assicura
l’inattivazione di salmonella
METODO PER LA RICERCA DEI MICRORGANISMI - Riguarda i veterinari che lavorano negli
istituti zoo-profilattici e nel settore del controllo (all’interno di laboratori). Arriva un
campione di 25 grammi da controllare per verificare la presenza di salmonella: per prima cosa
viene arricchito in un terreno non selettivo con un peptone, digerito di proteine senza
antibiotici o fattori selettivi così da permettere a tutti i ceppi di salmonelle di moltiplicarsi
ed essere individuati (fase di arricchimento che dura 16-20 ore); il secondo giorno bisogna
discriminare la salmonella rispetto agli altri batteri, per cui si utilizza un terreno selettivo
differenziale con presenza di fattori particolarmente selettivi (ad esempio: bile) così da
creare una situazione favorevole e permettere una moltiplicazione quasi esclusiva per la
salmonella (o per la specie d’interesse). Per la salmonella si utilizzano due approcci, un terreno
che si utilizza frequentemente è questo ‘’ rappaport vassiliadis’’: si presenta di colore
azzurro, per la coltura si prendono 100 microlitri dall’arricchimento iniziale e vengono posti al
centro della piastra, sfruttando la capacità della salmonella di essere mobile in questo terreno
semi-solido. La salmonella diffonde nel terreno e si sposta (unica specie che può farlo in
questo terreno), si va quindi a prelevare con l’ansa un pezzettino di terreno in un punto
esterno all’alone di crescita, dove solo la salmonella può essersi portata quindi viene
intercettata quasi in purezza. Poi si semina in un altro terreno selettivo, come ad esempio XLD
(Xylose Lysine Desoxycholate), che è selettivo per la presenza di Sali biliari (dexossicholate)
che interferiscono, ad esempio, con i batteri Gram-positivi o con altri batteri, tranne gli
enterobatteri. La lisina è un amminoacido. Lo xilose è l’unico zucchero presente nel terreno e
nessun batterio oltre alla salmonella è in grado di fermentarlo. La salmonella va a
decarbossilare la Lisina, sviluppando alcani che creano un ambiente in cui i composti di ferro
citrato (già presenti nel terreno), reagiscono generando H2S, che, complessandosi con il ferro,
forma dei puntolini neri osservabili con facilità nel terreno. Questi puntini sono indici di
possibile presenza di salmonella, ma bisogna confermarlo tramite test biochimici
(fermentazione di zuccheri, attacco di amminoacidi, presenza di ureasi, test del citrato ecc..)
e poi test sierologici, utilizzando anticorpi e cercando agglutinati. Con il test biochimico
abbiamo una identificazione esatta al 99%, confermata con l’agglutinazione utilizzando un
anti-siero (dopo 5 giorni dall’inizio dell’analisi). Se la conferma della contaminazione avviene
dopo la vendita del prodotto, si prevede il ritiro della merce dal mercato e questo ovviamente
richiede un costo elevato. Sarebbe ottimale avere un metodo di analisi più rapido, che indichi
con certezza e in tempi veloci (il giorno stesso) se il prodotto è contaminato oppure no, ma al
giorno d’oggi non è possibile. Questo significa che la chiave per avere una adeguata sicurezza
alimentare e un igiene certa non è il controllo post-produttivo, ma la prevenzione dei diversi
passaggi produttivi.

TEST D’IDENTIFICAZIONE - Per identificare il ceppo, viene utilizzata, ad esempio, la


tipizzazione fagica (o fago-tipizzazione), ponendo dei virus batteriofagi in una piastra
insieme ai batteri di salmonella. Il virus va a compiere un ciclo litico, disgregando la membrana
esterna del batterio e bloccando la moltiplicazione. Il test si basa sulla specificità (tropismo)
dei batteriofagi verso i diversi ceppi di salmonella. Vi sono poi altri sistemi, come la
sierotipizzazione. Il riconoscimento preciso di specie e ceppo ha anche la funzione di poter
dare la responsabilità di eventuali incidenti/errori a chi li ha commessi (risalendo tramite la
specificità del batterio). Per il campylobacter (non è una specie di facile isolamento), si
utilizza come terreno il sangue con antibiotici che permette di selezionarli. I campylobacter
sono inoltre caratterizzati dal fatto che crescono bene ad alte temperature (termofili),
mentre crescono male, o non crescono affatto, a temperature basse. Un altro metodo ancora
per poter ottenere una colonia batterica selettiva è l’Immuno-cattura (o immuno-separazione
magnetica), che consiste nell’utilizzare delle palline di polistirolo, ricoperte da anticorpi di
ceppi specifici (quelli che vogliamo selezionare). All’interno della pallina è presente materiale
ferroso (ossido di ferro) per conferirle una proprietà magnetica. Successivamente
all’arricchimento del batterio, si avvicinano le palline al terreno di coltura e gli antigeni
batterici si legheranno agli anticorpi adesi in maniera specifica. Una volta che i batteri sono
attaccati alla pallina, questa verrà avvicinata alla calamita così da ottenere alla fine un
concentrato batterico della medesima specie e ceppo che verrà utilizzato per ottenere una
coltura selettiva. Se, ad esempio, il ceppo in analisi è sorbitolo non fermentante, si potrà
utilizzare un terreno in Agar ricco di Sorbitolo (sale biliare) per verificarlo, osservando come
indice il PH che sarà acido a fermentazione avvenuta (sorbitolo positivi) o costante a
fermentazione non avvenuta (sorbitolo negativi). In questo modo, si può sapere di avere un
batterio sorbitolo negativo in un terreno con Sali biliari, ma ancora da identificare.

Per identificare il batterio specifico, si prendono le colonie in studio ed se ne estrae il


genoma, per cercare i geni che codificano per fattori di virulenza specifici, come il ‘’Gene stx’’
che codifica per la Saxitossina e a questo punto si potrà dare la risposta individuandolo grazie
alla sua patogenicità. Questa analisi può costare circa 25 euro, quindi è difficile pensare di
poterla svolgere tutti i giorni, diventerebbe una spesa cospicua per cui si ritiene sia
sufficiente farla circa una volta al mese. Quindi le analisi non servono a garantire la sicurezza,
perché, appunto, non possono farlo per motivi economici. La chiave della sicurezza è la
prevenzione su tutti i processi di produzione.
Lezione 22/04 (14.00-15.00)

LISTERIOSI

I batteri appartenenti al Genere Listeria sono bacilli Gram +, non sporigeni, non capsulati,
anaerobi facoltativi, catalasi +, ossidasi -, mobili a 20/25°C, ma non a 37°C. Tale genere
comprende sei specie e due sottospecie:

• L. monocytogenes
• L. ivanovii subsp. Ivanovii, L. ivanovii subsp. Londoniensis
• L. seeligeri, L. innocua, L. welshimeri e L. grayi

La Listeria monocytogenes è un microrganismo ambientale, non vive quindi solo nell’intestino,


anche se come si è visto sia con Salmonella che con E. coli, la sopravvivenza nell’ambiente dei
batteri di origine enterica è molto comune. Questi batteri sono indicatori di contaminazione
fecale, dell’acqua, del suolo, dei macelli, di alimenti come i mitili, ecc… Per affermare che in un
determinato luogo di produzione, ci si può aspettare la presenza di patogeni enterici, bisogna
considerare se in quel determinato ambiente ci sono popolazioni animali, quindi si tratta di un
ambiente fecalizzato, cioè di un ambiente contaminato da materiale fecale. Nell’ambito della
qualità delle aziende, del servizio pubblico e della sicurezza alimentare, si fa una valutazione
dei rischi, che si dividono in pericoli possibili, più probabili e gravi, ovvero si guarda se c’è una
possibilità remota o più frequente di contaminazione e qual è la gravità (la gravità è legata alla
frequenza e alla patogenicità). Tra i patogeni di origine alimentare, è quello più letale; si dice
che 1 caso ogni 5 di listeriosi manifesta va incontro a morte. Proprio per questo motivo, negli
Stati Uniti hanno dato tolleranza zero (in caso di riscontro di Listeria nei prodotti, questi
vanno eliminati). E’ presente anche negli alimenti: carne, formaggi, meno frequente nel latte
crudo, nelle buste delle insalate che sono state sottoposte a lavaggio, nei prodotti non cotti
con una cottura prolungata e con una conservazione prolungata nel tempo. È un batterio,
oltretutto, psicrotollerante, quindi cresce alle temperature di frigorifero, cioè (a differenza
della Salmonella che alle T di frigorifero sopravvive, ma non cresce) Listeria monocytogenes a
tali temperature aumenta di numero. Il consumatore preferisce prodotti freschi, poco
trattati, ma bisogna fare i conti con questi patogeni; è possibile ridurre la prevalenza della
Salmonella fin quasi ad azzerarla, con Listeria questo non è possibile, anche perché gli animali
si alimentano di prodotti che crescono vicino ai fossi, come il foraggio. È possibile effettuare
un trattamento termico degli alimenti per animali, ma questo non si può fare in maniera
drastica.

È un Gram +, quindi rispetto ai Gram – cambia la resistenza: i batteri Gram + tollerano valori
bassi di attività dell’acqua, per cui tollerano concentrazioni elevate di sale, quindi hanno valori
di attività dell’acqua per cui crescono nei formaggi e nei salumi stagionati; i Gram –, invece,
con la salatura e la stagionatura tendono pian piano a scomparire. È un bacillo, non sporigeno,
non capsulato, anaerobio facoltativo, per cui cresce sia sulla superficie dei prodotti (in
presenza di aria), sia all’interno dei prodotti (in assenza di aria), quindi anche nei prodotti
confezionati sotto vuoto o in atmosfera protettiva. I batteri alteranti sono spesso aerobi, per
cui si utilizzano il sotto vuoto o l’atmosfera protettiva per allungare la shelf-life dei prodotti.
Un batterio anaerobio facoltativo in queste condizioni sviluppa comunque, quindi il prodotto
non sembra alterato e viene consumato.

Come detto, all’interno del genere Listeria, ci sono 6 specie e 2 sottospecie. Listeria
monocytogenes e Listeria ivanovii sono quelle di interesse medico-veterinario. La Listeria
causa malattia negli animali, così come nell’uomo. Mentre per altri batteri, quali Salmonella e
Campilobacter, gli animali sono portatori sani, quindi infetti ma non ammalati, la Listeria è in
grado di dare negli animali, come nell’uomo, meningoencefaliti e aborti, che sono le due forme
più gravi della manifestazione di questa malattia.

La T ottimale di crescita è 37 °C, quindi è un mesofilo, ma è anche un batterio


psicrotollerante, addirittura riesce a tollerare temperature di -1°C/0°C, purché l’alimento non
sia congelato; comunque, la presenza di sale e di carne nei tessuti permette di avere una certa
quota di acqua non congelata anche sotto gli zero gradi. La fase lag, quella precedente alla
crescita numerica dei batteri, in cui i batteri accumulano energia e metaboliti per poter
crescere, è molto più lunga alle basse temperature. In pratica, le basse temperature non
permettono la crescita di Listeria, almeno finché non viene superata la fase lag, quindi è su
questa fase che si deve agire (a -1,5°C, la fase lag è di circa 174 ore e la moltiplicazione molto
lenta). Il range di pH è molto ampio (4.3-9.6), il che vuol dire che quasi tutti i prodotti di
origine animale permettono la crescita di questo batterio. L’attività dell’acqua arriva fino 0.90
(il parmigiano reggiano stagionato ha un valore di Aw di 0.89, quindi è abbastanza tollerante).

La Listeria è presente dappertutto, soprattutto nei prodotti vegetali in marcescenza, come


anche negli insilati di mais - problema dato che l’alimentazione con gli insilati è vantaggiosa dal
punto di vista economico, in quanto con questo si riescono ad ottenere proteine di origine
vegetale conservabili e a basso costo di produzione. Questo è uno dei vantaggi della Pianura
Padana, che permette così di produrre molti animali da latte. Alcuni consorzi, come quello del
Parmigiano Reggiano, ha tuttavia prescritto il non utilizzo degli insilati per l’alimentazione
degli animali, perché appunto pericoloso per la presenza delle spore, ma anche della Listeria.
Alcuni formaggi, come anche il Parmigiano Reggiano si fanno con il latte crudo, e viene
compensato il mancato trattamento termico della pasteurizzazione con la stagionatura molto
prolungata. Altri formaggi fatti con il latte crudo, che non hanno una stagionatura così
prolungata, per esempio i formaggi molli, il Camembert, il Brie, il Gorgonzola, hanno causato
dei grossi focolai di infezione da Listeria monocytogenes.

Stipiti di Listeria - Ci sono alcuni sierotipi (sierotipi 1/2b, 3b, 3c e 4b, appartenenti allo
Stipite I), che sono prevalenti nei casi umani più che negli animali e negli alimenti e si
presentano maggiormente invasivi, grazie alla capacità di diffondere in cellule contigue, e
quindi nei tessuti. Il fatto che la Listeria possa provocare meningoencefaliti implica che il
batterio debba poter passare dall’intestino al sangue e arrivare fino al cervello o, nel caso
dell’aborto, fino alla placenta, superando quindi le barriere ematoencefalica e placentare
emato-coriale; in caso di infiammazione, non viene veicolato dai macrofagi che non passano
ovviamente dal sangue al cervello e nemmeno la placenta, quindi ha una capacità invasiva molto
spiccata. I sierotipi 1/2a, 1/2c e 3a, appartenenti al II° Stipite, sono invece maggiormente
prevalenti nei casi animali e negli alimenti più che nei casi umani.

Sottotipizzazione - Anche per la Listeria si utilizza la sierotipizzazione e altri metodi di


tipizzazione, ma anche sistemi di caratterizzazione molecolare, basati sulla frammentazione
del DNA, strumenti che, in caso di morte dell’uomo o di alimenti in commercio con Listeria,
permettono di tracciare l’origine di un ceppo e capire da dove arriva e cosa non ha funzionato
in una determinata filiera, imparando così a non ripetere gli errori.

In particolare, i metodi fenotipici sono: sierotipo (13 sierotipi O,H), fagotipo (alcuni stipiti
NT) e sensibilità a batteriocine; mentre i metodi molecolari sono: Potere
discriminatorio/riproducibilità, PFGE +/+ e AFLP +/+, RAPD +/-, REA +/- e MEE -/+.

Fonti di contaminazione - La Listeria si trova nel suolo, nei vegetali, soprattutto quelli in
marcescenza, nell’acqua, nel latte bovino, negli alimenti per gli animali e per l’uomo. È comune
nel tratto intestinale di animali portatori sani e dell’uomo, nonostante quindi sia un batterio
letale non è detto che dia sempre infezione manifesta. Può colonizzare varie superfici inerti,
con la capacità di aderire su superfici inerti, quali il legno e altri materiali porosi, creando
biofilms, che si formano in seguito alla produzione di materiale extracellulare,
mucopolissacaridi, in cui i batteri rimangono intrappolati, proteggendosi da ogni tentativo di
allontanarli. Questo rappresenta un problema soprattutto per l’industria lattiero-casearia: se
l’ambiente è contaminato, anche se il latte di partenza non ha la Listeria, tutti i formaggi si
contaminano. Se poi l’ambiente contaminato è, ad esempio, la cava naturale in cui si producono
formaggi, quali il Roquefort o il Gorgonzola, non è possibile fare disinfezione con sostanze
molto aggressive, perché, ad esempio, questi formaggi sono prodotti con delle muffe che
crescono solo in determinati ambienti e conferiscono al formaggio un aroma particolare, quindi
sono prodotti ben caratterizzati dall’origine geografica e per cui una lotta chimica
comporterebbe la perdita di queste determinate caratteristiche e quindi la perdita del
prodotto stesso. L’unica soluzione è prevenire la colonizzazione.

In un lavoro, svolto dal prof Trevisani sulle carni di suino in un macello della provincia di
Ravenna, è stato osservato che, facendo dei tamponi sulla carcassa, l’isolamento della Listeria
era molto basso, con valori dello 0.2%-5.0% (probabilità di trovare il campione positivo);
andando dall’animale appena dissanguato all’animale macellato, nella stessa partita, la
prevalenza arrivava al 15%. Dopo 2h, in cui gli animali vengono separati nelle loro parti per i
diversi utilizzi, la prevalenza arriva al 70%. Quindi, nell’arco di pochissime ore, si verifica una
cross-contaminazione, cioè il trasferimento da una carcassa all’altra, attraverso gli strumenti
per la macellazione e la contaminazione dell’ambiente. Bisogna dunque considerare due aspetti,
un aspetto economico e tecnologico e un aspetto sanitario. La contaminazione crociata
comporta che i batteri si trasferiscono da una carcassa ad un’altra, in cui non sono
inizialmente presenti; nella carcassa che ha determinato la contaminazione la loro
concentrazione viene diluita, mentre in quella che non era contaminata, aumenta.

Suscettibilità ed invasività - Il fatto che la concentrazione si riduca non fa comunque


scomparire la dose infettante; ma bisogna stabilire qual è il numero, per sapere qual è la
probabilità di avere la malattia, che inoltre è molto condizionata dallo stato immunitario della
persona. Infatti, i fattori di moltiplicazione possono essere di migliaia di volte in caso di
persone diabetiche, o che hanno fatto terapie di soppressione dei tumori, o
immunosoppressione per trapianti di organo; sono estremamente sensibili, inoltre, le persone
malate di AIDS, le persone che assumono cortisolici, le donne in gravidanza, in cui si riduce
fisiologicamente l’immunità locale per prevenire l’aborto. Durante la gravidanza, c’è un difetto
di immunità a livello locale, placentare, dovuto al meccanismo dell’IFN-γ, così come è diminuita
anche la produzione delle interleuchine e del fattore necrotizzante (IL-2 e TNF-α), per la
presenza di elevati tassi di estradiolo. Specialmente nel caso delle donne, che hanno una
placenta emato-coriale, si instaura questo meccanismo che fa in modo che il bambino non
venga percepito come qualcosa di estraneo dalle difese immunitarie e quindi rigettato con
l’aborto – quindi è una depressione locale della risposta immunitaria cellulare nella placenta
fisiologicamente importante per prevenire l’aborto spontaneo. I picchi di estradiolo, che si
hanno in certe fasi della gravidanza, regolano questi mediatori dell’infiammazione, il che è
positivo per prevenire gli aborti, ma non lo è in caso di infezione da Listeria, che riesce a
invadere il feto, causando una setticemia del bambino e la sua morte o la nascita con
gravissimi problemi neurologici – quindi tale meccanismo può contribuire ad una maggiore
suscettibilità all’infezione intra-uterina da L. monocytogenes.

Infezione - La Listeria viene ingerita, riesce a


penetrare, come la Salmonella, a livello delle cellule
intestinali (attraversando quindi la barriera
intestinale), arriva al fegato e alla milza attraverso il
sangue e la linfa, in questi organi entra a livello delle
cellule del sistema reticolo-istiocitario, quindi nei
macrofagi sessili della polpa bianca della milza e nelle
cellule del Kupfer del fegato e qui moltiplica
attivamente, in quanto riesce a evadere i fagosomi. I
macrofagi vanni in circolo, dove la Listeria continua a
moltiplicarsi all’interno dei globuli bianchi, arrivando
così fino agli organi bersaglio, ovvero Cervello e
Placenta. A livello di fegato e milza moltiplica, ma non
riesce più di tanto a prevalere, invece negli altri
distretti in cui è al riparo dalle difese immunitarie
riesce a moltiplicare attivamente. Questo accade negli ospiti suscettibili, particolarmente in
pazienti immunocompromessi o nelle donne in gravidanza. In anatomia patologica è possibile
vedere un’iperplasia della polpa bianca della milza e la presenza di granulomi sulla superficie e
all’interno del tessuto epatico, che altro non sono che la risposta infiammatoria della presenza
di questo antigene.

Le forme di listeriosi possono essere invasive e non invasive. Le forme invasive vengono
chiamate anche listeriosi tipica. La listeriosi tipica è quella che si manifesta con
manifestazioni nervose, meningoencefaliti o aborti. Le forme non invasive sono quelle che
provocano gastroenteriti autolimitanti (la Listeria che moltiplica a livello del fegato
ovviamente non passa inosservata all’organismo). Nel caso di infezione del tessuto epatico, si
sviluppano varie forme di insufficienza epatica, con alternanza di stipsi e diarrea. In Italia,
qualche anno fa, si è verificato un focolaio in alcune scuole del Piemonte, dove era stato dato
ai bambini del mais in scatola nell’insalata. In questi bambini si sono verificati degli episodi di
diarrea, avevano quindi contratto una forma non invasiva di listeriosi. Nelle forme invasive, si
osserva sepsi, quindi moltiplicazione attiva nel sangue, meningiti e meningoencefaliti, che si
manifestano con mal di testa, rigidità del collo, stato di confusione, perdita dell’equilibrio,
convulsioni, vomito e febbre anche alta (questo in anziani e soggetti immunocompromessi).
Nelle donne in gravidanza, la malattia è subdola, si osservano dei sintomi simil-influenzali,
quindi freddo, dolori muscolari, a volte nausea e diarrea, quindi si pensa ad una forma
enterica, ma a distanza di 2-3 settimane da quando la madre ha avuto questa forma enterica,
si manifesta l’aborto, generalmente tardivo o in parti a termine complicanze date da sepsi e
meningoencefalite.
Mónica Ghisolfi
Listeriosi da derivati del latte: focolai rilevanti segnalati in Europa 2018-05-04 11:38:24
La Listeria è stata segnalata per la prima volta in Europa in focolai grossi con 33 morti e un
--------------------------------------------
no es la mas usual de las enfermedadespero es
centinaio di casi dall’ ’83 all’ ’87 in Svizzera; l’origine di questo ceppo laè mas
stato ritrovato in un
mortal.
formaggio e nei suoi ambienti di produzione. In Danimarca, negli anni ’80-’90, ci sono stati 26
casi con 6 morti; anche in questo caso lo studio ha mostrato l’associazione tra i casi e il
consumo di formaggi erborinati, sebbene L. monoytogenes non fosse isolata da questi
formaggi. Campioni da formaggi duri hanno invece evidenziato la presenza del fagotipo
epidemico. In Francia, nel 1995, c’è stato un altro focolaio con 11 morti e 37 casi, associato al
consumo di Brie fatto con latte crudo; in questo caso è stato possibile dimostrare, con
l’avanzamento delle tecniche, che il ceppo che era presente nel formaggio era lo stesso di
quello presente nei tessuti dei pazienti. In Finlandia, nel 1998-99, ci sono stati 25 casi con 6
decessi causati dallo stesso ceppo PFGE e qui è stato trovato positivo nel burro, che è fatto
con latte pasteurizzato e conservato a freddo. Il burro ha una shelf-life di 6 mesi. In questi
casi, il problema non è tanto la resistenza nel latte, quindi il superamento della
pasteurizzazione, ma l’annidamento della Listeria nelle macchine utilizzate per la zangolatura
del burro, quindi bisogna stare attenti alle contaminazioni dopo la fase di pasteurizzazione.
È uno dei batteri più frequenti in tanti prodotti alimentari: hamburger, wurstel,.. In
particolare, negli anni ’70 uno dei prodotti in cui si trovava quasi sempre erano i wurstel, che
sono fatti con carne macinata e affumicati a caldo e in cui la temperatura che si raggiunge al
cuore arriva anche intorno ai 70° C (la Listeria non resiste a queste temperature). La
presenza di Listeria è collegata al fatto che i wurstel vengono pelati, cioè la carne viene
macinata e messa in un budello di cellulosa, per mantenerne la forma del prodotto; una volta
che il prodotto è stato cotto e raffreddato, quindi è diventato solido, viene rimosso il budello,
facendolo passare in apposite macchine che effettuano la pelatura e poi in acqua in modo che
questo budello di cellulosa, una volta tolto, venga allontanato con il flusso dell’acqua. La
Listeria si era annidata nelle macchine pelatrici, ma come vi fosse arrivata non si sa. Quindi
bisogna stare attenti a tutta la logistica delle aziende. In alcune aziende, ad esempio, fanno
delle camere bianche, cioè dove non c’è presenza umana che possa aumentare il rischio di
contaminazione.

Incidenza della Listeriosi umana - L’incidenza delle malattie viene riportata in casi e casi
confermati, che nel caso della Listeria presentano un’elevata frequenza, se non la stessa
rispetto ai casi, questo perché il medico si trova di fronte una persona che sta morendo o che
è già morta, quindi è difficile che non ricorra a un’analisi di laboratorio per fare una diagnosi
certa. Dati della Comunità Europea riportano il numero di casi per 100.000 abitanti: l’incidenza
in Italia non è altissima; in tutta Europa si parla di 3 casi su un milione. L’incidenza dei casi di
listeriosi nella popolazione umana è aumentata, perché è aumentato il consumo di prodotti
freschi, poco processati, ed è aumentata la sensibilità delle persone, perché la popolazione
invecchia: l’incidenza della listeriosi infatti è alta nei bambini con età inferiore ai 4 anni e
nelle persone over 65, quindi bambini e anziani sono le due categorie di persone che si
ammalano più frequentemente. Per quanto riguarda la sorveglianza, in Italia, l’Emilia Romagna
è la regione con la più elevata incidenza di listeriosi, questo perché qui c’è un osservatorio
epidemiologico e quindi quando ci sono casi di aborto e di meningoencefaliti i medici vogliono
arrivare alla diagnosi. Nelle altre regioni d’Italia, quando si osservano delle meningoencefaliti,
il medico fa la ricerca di Streptococcus pneumoniae, di Neisseria meningitidis e di
Haemophilus influenzae, senza trovarli e nel frattempo la persona o è morta o si è salvata e
non viene approfondita la ricerca, che comporta il prelievo del liquido cefalorachidiano, che
molto spesso le persone gravemente malate o in fin di vita rifiutano.

Per quanto riguarda la prevalenza negli alimenti: nel caso del pollame arriva fino al 20%,
quindi un prodotto su 5 contiene la Listeria; nel caso delle carni di bovino e nelle preparazioni
a base di carne, quindi prodotti già cotti e pronti per il consumo, la prevalenza va dallo 0 al
100%; nel latte crudo dallo 0 al 20%; nei prodotti a base di latte è bassa, ma in certe
categorie di formaggi si arriva fino al 100%. I prodotti in cui il rilevamento è stato maggiore
sono i formaggi molli e semi-molli fatti con latte pasteurizzato, quindi questo fa intendere che
l’origine del problema potrebbe essere il latte, ma più probabilmente è un problema di origine
ambientale. Addirittura, si trova maggiormente nei formaggi duri, quindi stagionati; inoltre, è
stato visto che, nelle forme di parmigiano reggiano, se ne trova di meno rispetto al parmigiano
in busta (il problema è la grattugia non il formaggio!), questo ci dà un’ ulteriore conferma del
fatto che la contaminazione è di origine ambientale. Ci sono poi dei prodotti in cui i batteri
sono contabili, ovvero dove devo trovare almeno una colonia in un campione diluito 1:10, questo
vuol dire che il numero più basso è di almeno 10 UFC/g. Si stima che la dose infettante per la
Listeria sia di circa 106, 104 per le persone immunocompromesse e di 105, 104 per le persone
non immunocompromesse; questi sono dati indicativi, non certi; se consideriamo la dose più
bassa (104), e che di un formaggio si possono mangiare mediamente 50g-100g, 10 UFC/g
moltiplicati per 100g dice quanta Listeria sto mangiando, 1000. In Europa, hanno imposto
questa tolleranza: nel prodotto non ci possono essere più di 100 UFC/g nei prodotti pronti per
il consumo. La concentrazione andrebbe valutata al momento del consumo, perché il batterio
moltiplica durante la conservazione, quindi bisogna capire come moltiplica, come cresce nei
diversi prodotti alimentari in modo da fornire delle stime, che permettano di capire se un
prodotto è pericoloso o non è pericoloso.

Nelle donne in gravidanza attualmente si cerca di fare una prevenzione, cioè la ricerca di
anticorpi per la Listeria. Soprattutto dopo una sindrome simil-influenzale, se la donna
presenta nel sangue un titolo anticorpale alto, la decisione è tra abortire o mettere al mondo
un bambino che avrà gravissimi deficit e per cui, comunque, si ricorre ad un parto cesareo
(spesso la fonte di contaminazione del bambino è il passaggio attraverso la via genitale e la
contaminazione significa setticemia, con una mortalità che arriva al 50%). Anche per la
Listeria esiste il problema della terapia antibiotica, per questo si somministra un’associazione
di antibiotici per 14 giorni, trattamento con alte dosi di amoxicillina combinata ad un
amminoglucoside abbastanza lungo che può comunque non essere terapeutico e portare alla
morte, quindi non è risolutivo dell’infezione.

Listeriosi neonatale dopo più di 5 giorni dalla nascita provoca febbre, inattività, irritabilità,
vomito, ittero, rifiuto del cibo, rigonfiamenti molli tra le ossa del cranio e difficoltà a
svegliarsi.
Lezione 24/04

Patogenicità: modo in cui si realizzano gli aspetti negativi dell'agente eziologico. I batteri
hanno un genoma ristretto che presenta pochi geni, è quindi impressionante la loro capacità di
controllare le nostre cellule.

Le industrie farmaceutiche sono sempre più restie a fare brevetti per nuovi antibiotici dati i
costi, i tempi, ecc necessari per provare la non tossicità di questi prodotti. Sembra inoltre
che il mercato influenzi la produzione di antibiotici e la loro somministrazione, infatti per
produrre quantità maggiori di carne, questi vengono impiegati in dosi massicce e di
conseguenza vengono trovati più residui nel prodotto finale. Per questi motivi, il fenomeno
dell'antibiotico resistenza aumenta e di conseguenza i medici hanno meno possibilità di
intervenire, soprattutto in casi di emergenza. La ricerca sta quindi cercando di intervenire sui
meccanismi molecolari, anziché sulla loro capacità replicativa. La meningoencefalite è una delle
conseguenze, ma la listeria provoca anche semplici forme influenzali di gastroenteriti con
interessamento del fegato.

La frequenza con cui si trova la listeria negli alimenti è elevatissima, infatti il consumatore ne
viene in contatto più volte nell’arco della settimana. È particolarmente pericolosa per le donne
in gravidanza: quando i sintomi della meningoencefalite sono riconoscibili, l'aborto è già
avvenuto e gli antibiotici non sono efficaci dato che impediscono solo la moltiplicazione, ma
non la patogenicità.

Fattori condizionanti:
Il batterio produce due proteine per penetrare nella cellula:
− Internalina A: proteina con la quale il batterio si fa internalizzare in cellule che non sono
fagocitarie a livello intestinale.
− Internalina B: stessa funzione, ma per le cellule epatiche e della milza.

Utilizza anche una tossina, chiamata listeriolisina O (LLO): una PI fosfolipasi C che attacca le
membrane cellulari, in particolare dei globuli rossi, e permette l’evasione dal fagosoma,
producendo pori nella membrana del vacuolo. Questa tossina, che matura (si attiva) con
l’acidificazione del fagosoma, viene utilizzata per caratterizzare la listeria M dalle altre
listerie innocue: seminandola su agar sangue, si forma un alone di chiarificazione dato dalla lisi
dei globuli rossi. La prova finale è pero la somministrazione su topo. Comunque, la lysteria,
lisando il fagosoma prima che si fonda con il lisosoma, è in grado di arrivare nel citoplasma. In
questo modo evita l’esposizione ai composti litici che si avrebbe in seguito alla fusione con gli
endosomi ed i lisosomi e può colonizzare il ricco citoplasma. Una volta che il fagosoma si è
rotto, LLO viene inattivato dal pH neutro del citoplasma. In alcune cellule, questa particolare
tossina agisce in sinergia o è rimpiazzata da una fosfatidil-inositolo-fosfolipasi C (PI-PLC).

La listeria si muove all'interno della cellula aggregando filamenti di actina (prodotti dalla
cellula ospite) e formando delle code che le permettono di muoversi con una notevole velocità,
utilizzando la proteina actinina A (ActA). In particolare, il batterio risulta capace di muoversi
molto più velocemente di come farebbe all’esterno della cellula attraverso i flagelli. C’è inoltre
da notare che la mobilità massima della listeria attraverso i flagelli è intorno ai 25° C, mentre
a 37 ° C è quasi immobile (denaturazione dell’actina). Questo ci fa notare che la nicchia di
sopravvivenza naturale sarebbe l’ambiente esterno e non il corpo di un animale a sangue caldo.

È capace poi di passare alle cellule contigue, grazie alla lisi dei vacuoli con due membrane,
operata da una proteina PLC-B, aumentando di numero fino a non poter essere più sopraffatta
dalle difese del nostro organismo.

Tutti questi sistemi di virulenza sono attivati dai sali biliari: infatti, i geni che codificano per
questi fattori di virulenza sarebbero, in realtà, dormienti quando la listeria si trova in
ambiente esterno, ma una volta ingerita dall’ospite vengono riattivati e il fattore scatenante è
appunto il contatto con i Sali biliari presenti a livello di lume intestinale. La listeria inizia a
colonizzare altre cellule della mucosa intestinale fino a raggiungere una concentrazione in cui
non può esse più sopraffatta dalle difese dell’organismo. La tolleranza cambia a seconda
dell’individuo (età, sesso, ecc.).

I geni determinanti i fattori di virulenza sono, inoltre, raggruppati in una specifica regione del
cromosoma delle dimensioni di 10 kb.

La listeria è patogena per molti animali, come bovini e ovini, mentre polli e suini sono in genere
solamente vettori, senza manifestare la malattia. È diventata un problema anche per i
produttori di pesce affumicato: nelle zone di allevamento ittico, ci sono allevamenti anche di
suini e la pioggia dilava le listerie portandole nel mare, dove è in grado di sopravvivere (resiste
a concentrazioni saline del 5%).

I prodotti contaminati, dopo essere confezionati, non vengono commercializzati e quindi


consumati subito, ma in genere vengono stoccati sottovuoto per qualche mese. Nel lasso di
tempo prima del consumo, la listeria è in grado di moltiplicarsi, senza modificare a livello
organolettico l'alimento. La legge attuale chiede ai produttori di stimare la crescita
potenziale di agente patogeno, per essere certi che, al momento della commercializzazione, il
prodotto presenti meno di 100 UFC per grammo (100g di prodotto con 100 UFC è sufficiente
come dose infettante).

La listeria è molto abbondante nelle insalate pronte per il consumo. Possono essere utilizzati
prodotti a pH basso, a base di cloro (inquinante), calore, alta concentrazione salina, ma la
listeria è in grado di produrre un film mucopolisaccaridico (biofilm in cui risulta “intrappolato”
il batterio), risultando resistente a questi trattamenti. Listeria monocytogenes sopravvive e
cresce ad un pH fino a 4, anche 3, dopo adattamento ad acido ed in presenza di un’alta
concentrazione di bile. Questo battere ha infatti sviluppato una serie di risposte per
adattarsi ad una grande varietà di stress. Efficaci sono invece i prodotti a base di sali di
ammonio terziario o quaternario, così come gli alcoli, ma sono entrambi dannosi per il prodotto
alimentare.

Dose infettante: è individuata tramite animali da laboratorio. Per esempio, la Lysteria viene
somministrata per via orale e formulate delle tabelle, per cui si calcola il rischio, derivante
dalla concentrazione di listeria nell'alimento, del manifestarsi della malattia nella popolazione,
ovvero quanti casi si potrebbero verificare nella popolazione, e di conseguenza la possibilità
che l’alimento venga commercializzato. Con 100 CFU/g (limite europeo) si vanno a ingerire
3100 listerie e questo determinerebbe nella popolazione degli stati uniti 1100 casi.
Questi dati sono un insieme di dati ottenuti da animali da laboratorio confrontati con dati
epidemiologici, perché tali animali presentano risposta immunitaria diverse rispetto a quella
umana.

La malattia si manifesta soprattutto in persone immunodeficienti o con disordini metabolici e


patologie all'apparato gaestroenterico/renale, che sviluppano più facilmente forme gravi
(diffusive), come pure sono gravi le infezioni trasmesse al feto in utero (aborti) o al neonato
(forme setticemiche o meningo-encefaliche). I sintomi possono manifestarsi da 1 giorno a 3
mesi dall’ingestione dei batteri e questi possono essere escreti con le feci per diversi mesi.

Criteri epidemiologici e micobiologici degli alimenti: la listeria M deve essere assente nei
prodotti utilizzati per la produzione di alimenti. Il numero di prodotti da analizzare varia in
base alla categoria: nei prodotti per bambini si analizzano 10 elementi per lotto e nessuno di
questi deve essere positivo. In particolare, in prodotti RTE per infanti e per fini medici
speciali L. m. deve essere assente in 25 g (n=10, c=0). L. m. non deve superare il limite di 100
CFU/g nel corso della vita commerciale di altri prodotti RTE (n=5, c=0). Se i prodotti possono
essere soggetti a sviluppo di listeria (prodotti a rischio) bisogna, inoltre, essere certi di avere
un valore più basso di 100 UFC al momento del consumo (deve essere assente a momento della
commercializzazione - 0 UFC). Questi prodotti sono quelli che presentano pH maggiore di 4,5
o con acqua superiore a 0,93 o una combinazione dei due casi: pH 5 e H 2O 0,94. I prodotti che
rientrano in questa categoria e che hanno una vita commerciale superiore a 5 giorni devo
essere sottoposti a una stima di crescita microbica:

▪ Carne macinata: se confezionata in atmosfera protettiva ha una vita commerciale più lunga
di 5 giorni, può quindi contenere potenzialmente listeria. Il produttore deve garantire la
sicurezza dell'alimento, utilizzando metodi di prevenzione adeguati (macchinari sterili
ecc.).

Prodotti ready to eat a base di pesce: (come insalate di pesce e salmone affumicato) si
presentano non conformi alle normative europee per il 10%.

Formaggi: risultano spesso positivi, essendo presenti enzimi prodotti dalle muffe che
rendono il formaggio cremoso, attaccando gli amminoacidi e liberando ammine che
alcalinizzano. Il pH non è più uguale a quello iniziale ma tende verso 6 e la listeria è in
grado di moltiplicarsi. Sono prodotti quindi che presentano un rischio più elevato di
presentare una concentrazione elevata di listeria.

Test microbiologici - sono stati messi a punto terreni che sfruttano le caratteristiche di
patogenicità della listeria:

 Un terreno chiamato ALOA, che presenta lecitine in grado di essere attaccate dalle
lecitinasi del battere, creando un alone di chiarificazione. In particolare, la beta-
glucosidasae dimostra la presenza di Listeria spp., mentre la fosfolipasi C (alone di
chiarificazione) è specifica per L. monocytogenes. Alcune di queste colonie vanno poi
seminate su agar sangue (per vedere se c’è emolisi) e su altri terreni (per evidenziare la
fermentazione di alcuni zuccheri).

 Un altro terreno usato è agar semisolido dove può essere apprezzato una sorta di ombrello
formato dalla listeria che è in grado di muoversi se incubata a 25 gradi. Questo terreno
serve a evidenziare la mobilità della listeria a 25 e 37 gradi. Le colonie presenti sulla
piastra vanno contate per determinare la dose presente nell'alimento.

Test di conferma:

 Identificazione basata su colorazione Gram+, ossidasi- e test di mobilità

 Riconoscimento di specie mediante test di emolisi (beta), CAMP test (con S. aureus, ma
non con Rodococcus equi) e fermentazione (Dramnosio +vo, D-xilosio – vo)
Lezione 27-04

MALATTIE ALIMENTARI CAUSATE DA BATTERI SPORIGENI


Botulino e tossinfezione da Clostridium perfringens e Bacillus cereus

Passiamo a parlare di un gruppo che comprende 3 batteri sporigeni che causano intossicazioni
alimentari: Botulino, Clostridium Perfrigens e Bacillus Cereus.

Il gruppo dei batteri sporigeni è un gruppo di batteri che causa malattie alimentari che ha
segnato profondamente il sistema di controllo degli alimenti. Il termine “botulismo” è stato
inventato dagli antichi Romani e deriva dalla parola latina “botulum”, con cui i Romani
indicavano la salsiccia, ad intendere che quella malattia derivava dal consumo di salsicce.
Infatti a quell’epoca già si facevano prodotti di salumeria, conciando le carni con il sale e
insaccandole nei budelli; inoltre, si conosceva già l’utilizzo del ghiaccio per conservare gli
alimenti in periodi non favorevoli. I Romani avevano scoperto che, conciando le carni con il sale
di Volterra proveniente dalle miniere di Salgemma (queste miniere si trovano in zone che un
tempo erano marine, poi il mare è rimasto intrappolato all’interno della terra ferma - come
anche il sale di Sicilia), queste si conservavano in condizioni ottimali. Questo sale è diverso dal
sale marino di Capri o da quello delle miniere di Santa Margherita Ligure o di Cervia, che
deriva da tratti di mare prosciugati. Il sale di Volterra e quello di Sicilia sono infatti molto più
puri, perché sono stati intrappolati in miniere nella terra molto tempo fa e contengono il
salnitro. I Romani non sapevano la motivazione scientifica, ma avevano scoperto per
esperienza che questo sale risultava miracoloso, le salsicce avevano un colore più bello e erano
molto meno pericolose, mangiandole non ci si ammalava.

Ritornando al discorso, questi sono batteri sporigeni, tutti Gram+, che rientrano nel gruppo
dei Clostridi, anaerobi obbligati, e Bacillacee, anaerobi facoltativi o aerobi. Questi batteri
hanno forma bastoncellare e sono molto grossi, con un genoma più lungo e con capacità di
produrre proteasi extracellulari (proteasi e lipasi), che degradano le macromolecole in
composti fermentescibili. Per questo sono causa di importanti malattie da infezione da ferita
ad esempio tetano e gangrene, alcune bacillaceae sono responsabili del carbonchio ematico.
Hanno capacità di formare spore (forme di resistenza), dunque se sono anaerobi, quando si
trovano in ambiente aerobio, dunque sfavorevole, sporulano. Esplicano il loro effetto patogeno
attraverso le tossine. Le tossine tetanica e botulinica sono due esotossine emesse dal
patogeno in forma vegetativa. Ad esempio, le spore di tetano ( Clostridium tetani), che si
possono trovare nel terreno, soprattutto se questo è stato contaminato da feci di cavallo
(nell’intestino di cavallo ci sono tante spore di tetano), se vengono a contatto con una ferita
profonda – quando non c’è buona irrorazione di sangue costituisce un ambiente anaerobio,
dunque favorevole al Clostridium - possono assumere la forma vegetativa e dare tossine.
Questi sono, inoltre, batteri che fermentano molti composti organici (amminoacidi e acidi
grassi), producendo acidi organici (butirrico, acetico), alcoli (butanolo) e chetoni (acetone) e
forti quantità di gas (CO2 e H2).
Tetano e botulino vengono dallo stesso ceppo comune, poi si sono differenziati: il botulino può
intossicare per via alimentare, il tetano no. Questo perché l’esotossina tetanica è secreta
sotto forma di piccola proteina ed è inattivata dai succhi gastrici; la tossina botulinica, invece,
viene secreta come piccola proteina, ma rivestita e coniugata con altre proteine, non sono
attaccabili dagli enzimi digestivi.

Per dare intossicazione alimentare dunque questi batteri sporigeni devono essere in forma
vegetativa (e non di spora) sull’alimento. Questa è la chiave per capirne la patogenesi e il
controllo.

BOTULISMO ALIMENTARE: classifichiamo le tossine botuliniche con lettere che vanno dalla
A alla G; la G è tipica di una specie dell’Argentina, quindi possiamo considerare le lettere dalla
A alla F. Non tutte sono in grado di intossicare l’uomo. La tossina botulinica è neurotropa e va
ad agire sulle sinapsi neuromuscolari e in particolare va ad agire, funzionando come un enzima,
sulle membrane presinaptiche, inibendo il rilascio di acetilcolina. L’inibizione del rilascio di ACh
fa sì che ci sia la stimolazione nervosa ma che non ci sia l’effettore che trasforma lo stimolo
nervoso in movimento. Le sinapsi acetilcolina-dipendenti sono anche nel diaframma e nei
muscoli intercostali, per cui si ha morte per paralisi respiratoria. La perdita della funzione
respiratoria non è collegata con la perdita della coscienza: il soggetto resta cosciente fino alla
morte.

La tossina botulinica è una delle tossine biologiche più potenti –bastano pochi nanogrammi di
prodotto per causare la morte di una persona adulta -, per cui si suppone che la
moltiplicazione di una singola cellula batterica nell’alimento, derivante anche da una sola spora,
può produrre la dose di tossina letale ed è difficile verificare se in un alimento è presente una
sola spora o comunque poche spore (casi di intossicazione anche dopo aver portato alla bocca
un dito per verificare il sapore dell’alimento sospetto di alterazione). Il botulino altera gli
alimenti, ma l’intossicazione da botulino si può avere anche prima che l’alimento sia alterato. La
presenza del batterio si rende evidente tramite difetti nell’alimento: un difetto
caratteristico è il rigonfiamento (“bombage”) delle scatolette. Questi batteri infatti hanno un
metabolismo anaerobio che utilizza, come accettore finale di elettroni, gruppi amminici e
sulfidrici, che liberano ioni idrogeno. Questo idrogeno, come tutti i gas, si dilata per effetto
del calore. Per questo, a temperatura ambiente, le scatolette si gonfiano fino a far deformare
la scatola di latta, lo stesso accade nel muscolo del prosciutto, così come anche in clinica in
caso di gangrena (con la disinfezione si vede infatti schiuma).

La tossina botulinica è termolabile, ma a 80 gradi ci vogliono 10 minuti di cottura per ridurre


di 1/10 la potenza della tossina. Infetta soprattutto conserve fatte in casa di carne, di pesce,
di peperoni, melanzane, non tanto di pomodoro (perché è acido). In Polonia è frequente nelle
conserve di pesce perché sono molto usate. La spora però non è termolabile, non basta farla
bollire per inattivarla. Non è sufficiente neppure la temperatura che si può raggiungere con
una pentola a pressione (115°), invece serve l’autoclave, che si utilizza anche per disinfettare
gli oggetti chirurgici dalle spore.

Il consumo di prodotti crudi che contengono spore non è pericoloso (non provoca malattia), è
impensabile riuscire ad avere prodotti che ne siano completamente privi, in quanto le spore
sono ambientali e presenti anche nella polvere che respiriamo; quello che è pericoloso è la
moltiplicazione del batterio e il grado di contaminazione (nel caso del botulino bastano
concentrazioni bassissime per causare malattia). Sicuramente ne conteniamo un po’ nel nostro
organismo (le nostre deiezioni sono pericolose per questo motivo). Altre forme di botulismo
sono la tossinfezione, il botulismo da ferita ed il botulismo infantile.

Focolai di malattia alimentare - Ci sono stati focolai con più persone ammalate per uno stesso
prodotto alimentare: uno studio effettuato da un centro di ricerca americano riguardava un
curioso caso di botulismo in Argentina, molte delle persone che frequentavano una certa linea
tramviaria a un certo punto manifestavano l’intossicazione perché al capolinea del tram c’era
un negozietto alimentare in cui vi era scarsa capacità igienica e in cui per questo si
preparavano cibi tossici.

In Italia abbiamo avuto il più grosso focolaio di botulino del mondo a causa del mascarpone,
utilizzato per la preparazione del tiramisù. In latte, crema e panna ci possono essere spore
del botulino; anche nelle forme di grana si può avere rigonfiamento timpanico e per questo le
forme vengono percosse con il martelletto, in modo da sentire il suono del gas all’interno, in
tal caso sono i Clostridi responsabili, ma è meglio non rischiare e dunque scartarlo. I prosciutti
si gonfiano perché le spore, durante la macellazione del maiale, partono dall’intestino del
maiale e, in condizioni di temperatura alta o favorevoli, durante la produzione del prosciutto,
si attivano → i muscoli delle cosce usati per fare il prosciutto si rigonfiano. In questo caso si
usava, se era destinato al consumo domestico, smontare il prosciutto e scartare solo le parti
interessate dall’alterazione, ma nel fare questo bisognava stare attenti ad “andare molto
larghi” per essere sicuri di eliminare tutta la parte contaminata. Tornando alla preparazione
del mascarpone: la pastorizzazione del latte (a temperature fra i 60 e gli 80 gradi) non
inattiva le spore, si fa coagulare la crema con acidi, lo si fa compattare e poi si conserva in
frigorifero. Il consumatore poi lo compra, lo porta a casa e magari non lo conserva bene in
frigorifero o comunque lo caccia dal frigorifero per farci il tiramisù, aspetta qualche ora
prima di mangiarlo, non lo mangia appena fatto e le spore di botulino, se presenti, hanno il
tempo di attivarsi e moltiplicarsi. Dunque, il problema può avvenire al momento della
produzione o al momento della conservazione domestica o della preparazione di ricette che
contengono il mascarpone. In Italia, c’è stato un grande focolaio con 18 casi per un lotto di
mascarpone di una ditta di Reggio Emilia.

Le scatolette vengono sterilizzate, ma se il coperchio non tiene bene o se la dentatura sul


coperchio si sbecca, nelle scatolette, in cui c’è sempre una depressione, può essere incamerata
aria o acqua e con esse spore. Dunque, le scatolette che non sono a tenuta ermetica vengono
scartate. Per vedere se sono a tenuta ermetica, bisogna assicurarsi che il coperchio non facci
“clip clap”, dunque che se si spinge col dito non affonda per tornare poi su. Altrimenti è bene
non consumare il prodotto. Per quanto riguarda la confezione, più è grande, più è difficile
arrivare, anche all’interno della confezione, alle condizioni di temperatura necessarie per
sterilizzare e più è difficile mantenere queste condizioni per il tempo necessario. Inoltre,
prodotti che nella scatola sono immersi in un liquido che trasporta calore si sterilizzano più
facilmente di altri (esempio: tonno) che non lo sono. Uno dei prodotti più difficili da
sterilizzare sono i funghi in scatola. Questo perché i funghi appena colti non si possono lavare
troppo, altrimenti si perde il sapore; però sotto la cappella del fungo c’è del terriccio difficile
da togliere per la struttura spugnosa o lamellare.

Ricapitolando, Focolai di malattia alimentare:

• Spesso in conseguenza di errori nella formulazione o nel processo applicato ad un


prodotto alimentare
• Anche in conseguenza di una carenza nel controllo della temperatura in una delle fasi
che precedono il consumo alimentare
• Nei prodotti industriali confezioni in seguito a perdita d’integrità della confezione
• La percentuale più alta si ha per consumo di conserve realizzate in casa (importanza
mantenimento pratiche e procedure ben stabilite e sperimentate, es. formulazione
prodotto, dimensioni delle confezioni e trattamento termico)

Principali caratteristiche metaboliche - Solo le tossine botuliniche di tipo A, B, E ed F sono in


grado di causare intossicazioni nell’uomo, gli altri ceppi (C, D e G) no. Questi però possono
avere effetti, ad esempio, su anatroccoli o trote. Infatti si sono verificate morie di
anatroccoli e trote: le anatre, col becco a spatola, mangiano raspando sul fondo degli stagni,
ma in quella melma dove vanno a mangiare si possono creare le condizioni di anaerobiosi che
permettono lo sviluppo del botulino; lo stesso può accadere alle trote. Alcuni ceppi possono
essere patogeni per l’uomo, altri no perché mancano i recettori di superficie. La tossina
botulinica ha due subunità, una di queste ha attività enzimatica e va a tagliare le proteine
presenti a livello di membrane presinaptiche, l’altra ha funzione di legame col recettore di
superficie. I ceppi di botulino sono distinti in 4 gruppi, di cui ci interessano solo i primi 2
perché sono quelli patogeni per l’uomo. Questi gruppi sono differenti per la configurazione
antigenica e per il biotipo.

 Il Clostridium botulinum del gruppo 1 secerne tossine A, B e F, ha temperatura minima di


crescita di 10-12°C, è inibito da concentrazione salina del 10% e da attività dell’acqua
sotto lo 0,41.
 Il gruppo 2 include altri ceppi che producono sempre le tossine B, E ed F, che possono
moltiplicare invece fino a temperature di 3,3°C (dunque anche in frigorifero), ma tollerano
meno il sale.

Il biotipo 2 è più frequente nei fondali marini, dove le temperature sono più basse, mentre il
biotipo 1 nel terreno. Questo può dar luogo a tecniche di conservazione particolari: ad
esempio, i prodotti ittici vanno tenuti in frigorifero a temperature più basse di 3,3°C perché
vi può essere il botulino del gruppo 2, altrimenti si può aggiungere il sale o ancora acidificare.
L’acidificazione con acido acetico – esempio: attraverso la marinatura - può inibire lo sviluppo
dei batteri.

Regionalizzazione dei differenti tipi antigenici - Le spore possono prevalere in alcuni suoli ad
esempio di California, Argentina o Brasile, ciò è interessante dal punto di vista epidemico. In
generale, Cl. Botulinum ha distribuzione ubiquitaria (suolo, sedimenti di laghi e stagni,
vegetazione in decomposizione, transitoriamente intestino di uccelli, pesci e mammiferi),
mentre: Spore tipo A sono predominanti in suoli neutri o alcalini, a basso contenuto organico
(ovest USA, Brasile, Argentina, Cina); Spore tipo B hanno diffusione più ampia in suoli ricchi in
materia organica (ceppi proteolitici in est USA, non proteolitici in Europa); Spore tipo E sono
prevalenti nei sedimenti acquatici delle regioni fredde (Alaska,
Canada, Scandinavia, ex URSS, Giappone).

Produzione e assorbimento delle tossine - Le tossine sono


prodotte durante la fase di crescita vegetativa, che è presente
in condizioni di anaerobiosi in quanto il Clostridium botulinum è
un anerobio obbligato. L’anaerobiosi non c’è nel nostro intestino,
ad eccezione di casi molto particolari: ad esempio, ci sono stati
casi di botulino iatrogeno in persone che hanno subito
l’asportazione dello stomaco, perché questo intervento creava un
ambiente favorevole allo sviluppo del botulino; ancora c’è un
ambiente anaerobio nell’intestino del lattante. Le tossine
vengono rilasciate per autolisi come proto-tossine e sono codificate da geni tipo G su plasmidi,
tipo C1 e D su batteriofagi, tipo A, B, E ed F sul cromosoma batterico. Legate ad
emoagglutinine, vanno ad inibire la degradazione da parte degli enzimi digestivi e i complessi
proteici (batterici) associati alla tossine ne permettono l’assorbimento intestinale.

Tossina botulinica

Botulismo infantile: il lattante è predisposto non per il latte materno - non dovrebbero
esserci spore, a meno che il seno non sia sporco - e neanche per il latte artificiale, ma per
bevande alternative al latte, ad esempio, infusi di finocchio o camomilla dolcificati col miele.
Nel miele, le spore non fanno niente all’adulto, ma quando il miele è somministrato al lattante,
in cui si ha una condizione di anaerobiosi particolare nell’intestino, le spore si attivano e si ha
morte in culla, perché i bambini diventano abulici e muoiono. Dunque non va somministrato
miele a bambini di pochi mesi di vita.

La tossina botulinica va ad attaccarsi


sulla membrana presinaptica e va ad
attivare delle proteine che si chiamano
SNARE proteins, necessarie a far
fondere le vescicole presinaptiche in
cui si è accumulata l’acetilcolina. Grazie
a queste proteine, che sono filamenti,
la vescicola si può fondere con la
membrana presinaptica, liberando il
proprio contenuto nel post-sinaptico. Il
botulino rompe questi filamenti per cui
le vescicole di acetilcolina si formano
ma non possono liberare il contenuto
nello spazio sinaptico. Questo
determina che non c’è liberazione di
acetilcolina, no stimolo dunque di
paralisi flaccida.

Il tetano (non causa intossicazione


alimentare), invece, interferisce con
l’azione dell’acetilcolinesterasi, enzima che, quando riceve lo stimolo nevoso, cliva le molecole
di acetilcolina, in modo che si stacchino dai recettori e fa in modo che si esaurisca lo stimolo
alla contrazione nervosa. Si ha in questo caso paralisi spastica.
Sintomi
Prima della manifestazione dei sintomi del botulino, una volta assunta la tossina, prima che
faccia effetto, ci vuole un giorno e mezzo/2 giorni (periodo di latenza), in alcuni casi anche 8
giorni. Questo tempo serve probabilmente perché dall’intestino la tossina va nei dotti linfatici,
sangue e muscolo. Per salvare la vita a una persona che si è infettata si può somministrare un
siero iperimmune che però funziona solo se ancora non si sono manifestati i sintomi nervosi,
dunque la diagnosi deve essere tempestiva. Controindicazioni alla somministrazione di siero
iperimmune sono gli eventuali fenomeni allergici che può scatenare nel paziente, si stanno
perciò cercando altre cure. Per il tetano esiste profilassi (vaccinazione), ma per il botulino no.

I sintomi del botulino inizialmente sono quelli comuni alle altre intossicazioni alimentari:
nausea, vomito, dolori addominali, diarrea (sintomi non tipici della malattia quindi). A seguire,
nel giro di poche ore, si manifestano sintomi nervosi che possono interessare i muscoli degli
occhi: strabismo divergente, diplopia (visione doppia), ptosi palpebrale (abbassamento della
palpebra superiore) e incapacità della pupilla di reagire alla luce (midriasi). Seguono: problemi
alla glottide (difficoltà nell’emettere suoni e nel deglutire), paralisi dei muscoli (rilassamento),
fino ad arrivare ai muscoli della respirazione e poi morte. Oggi le persone vengono salvate con
respiratore e somministrazione di siero iperimmune che blocca la tossina ancora in circolo, ma
la tossina già legata non si può staccare. La terminazione nervosa, una volta devastata dalla
tossina, non è recuperabile per cui nel paziente, anche una volta curato, il recupero della
sinapsi richiede la formazione di una nuova terminazione nervosa che richiede molti mesi. Per
questo motivo, nei casi in cui, dopo terapia intensiva, si verifica una guarigione, i sintomi
regrediscono con una certa lentezza: dalla seconda settimana riprende in maniera graduale la
motilità, mentre le paralisi oculari possono persistere anche per parecchi mesi.

Diagnosi - La tossina può essere messa in evidenza o con test immunologici in vitro (ELISA)
(brodo di arricchimento), oppure in passato si facevano test biologici su un topino. Nel topino,
venivano iniettati intraperitoneo estratti di alimenti, per cui il topino si paralizzava. Facendo il
trattamento dell’alimento con il siero, se funzionava si neutralizzava la tossina e si dimostrava
che si aveva a che fare con una tossina botulinica. Questa pratica è ancora usata ma più
raramente. Quindi: i metodi microbiologici tradizionali sono poco utili per le indagini
microbiologiche di routine risultando comunque necessaria la prova sul topino, ma sono utili
per la conferma di laboratorio nei casi di botulismo. Sono inoltre necessarie cautele
nell’esecuzione dei test.
Nella scorsa lezione:
Stiamo parlando del botulino, un batterio molto pericoloso che può portare a morte le
persone. In precedenza abbiamo descritto i sintomi e la patogenesi. Sappiamo, che la
tossina viene inattivata dal calore. Abbiamo capito che la sterilizzazione delle scatolette
viene fatta per inattivare le spore del botulino che, essendo molto resistenti, devono
essere trattate a temperature superiori a 100° C: si parla di temperature di 121°C;
pertanto, per arrivare a queste temperature, è necessario operare a pressioni superiori a
quella atmosferica, altrimenti l’acqua bollirebbe e per quanto calore noi fornissimo non
riusciremmo ad andare oltre i 100° C. In casa questi trattamenti si possono fare anche
con le pentole a pressione ma queste, per ragioni di sicurezza, non operano alle stesse
pressioni dei dispositivi industriali e possono perciò arrivare al massimo a 110-115°C.
Teniamo presente che, quando abbiamo parlato di modelli di crescita microbica, abbiamo
visto che la differenza anche di soli pochi gradi di temperatura (anche solo di 5° C)

Lezione 29/04

Per quanto riguarda la presenza della tossina negli alimenti, con i test attuali si può solo
stabilire se c’è contaminazione oppure no e in caso positivo non è possibile dire esattamente la
quantità di tossina presente. Il mouse test si fa inoculando estratti dell’alimento nel topino,
provocandone la morte per paralisi dei muscoli respiratori. Oppure si può operare con test
biologici in grado di neutralizzare la tossina con gli anticorpi, in modo da riuscire a vedere (nei
casi in cui la tossina venga neutralizzata) se è presente o meno. La dose letale di tossina
botulinica per una persona è di 2 nanogrammi.

Per la ricerca delle tossine botuliniche attualmente, l’unico metodo validato è il test in vivo su
topo da laboratorio (mouse test). Questo test richiede l’uso di antitossine botuliniche
polivalente e monospecifiche. Metodi alternativi in vitro, basati sulla tecnica ELISA e quindi
sugli antigeni, sono stati sviluppati, ma al momento sembrano non avere la sensibilità e la
specificità richieste, soprattutto se applicati a matrici complesse (campioni fecali e
alimentari).

A causa della notevole pericolosità (è sufficiente che uno schizzo di materiale infetto arrivi
nel bulbo oculare per infettare una persona) solo i laboratori autorizzati possono effettuare
analisi riguardanti il botulino e si tratta di laboratori con livello di biosicurezza 3 e 4. Ad
esempio, i laboratori della nostra facoltà non sono autorizzati ad operare sul botulino.

Il botulismo è un’intossicazione alimentare, non è un’infezione. Può essere un’infezione nel caso
dei bambini lattanti, che ingeriscono le spore, le quali nel loro intestino possono germinare.
L’alimento responsabile è il miele. La flora batterica intestinale dei bambini di età inferiore ai
12 mesi non è ancora completamente sviluppata, perciò il loro intestino presenta un valore pH
più elevato. Le spore del battere Clostridium botulinum provenienti dal miele possono
moltiplicarsi più facilmente nell’intestino dei lattanti, provocando il cosiddetto botulismo
infantile.

INCIDENZA DELL’INTOSSICAZIONE

Stati Uniti: in media 222 focolai in un anno. Non sono pochi. Di questi gli alimenti implicati
erano 16% carni, 17% pesce, 59% verdura e vegetali (non è strano perché le spore del botulino
si trovano nel terreno) e di questi casi il 92% erano preparazioni fatte in casa, questo perché
in casa non ci sono sempre le conoscenze sulla problematica e non è possibile operare in
condizioni così drastiche come nell’industria.

Polonia: 1500 focolai di cui l’83% nei prodotti a base di carne. In particolare conserve di carne
(paté di fegato d’oca ecc.)

Italia: (dati più recenti) nel periodo 1996-2000 il trend è in diminuzione e attualmente si è
stabilizzato intorno a una ventina di casi (non focolai) all’anno e praticamente dovuti tutti a
preparazioni casalinghe. Particolarmente pericolose quelle sottolio e le olive in salamoia.

Dal servizio di controllo vengono continuamente segnalati casi di prodotti che non hanno
causato intossicazioni, ma che comunque contengono spore. Quindi: spore ce ne sono
praticamente sempre, bisogna fare in modo che non germinino nella forma vegetativa in grado
di produrre la tossina.

CONTAMINAZIONE DEGLI ALIMENTI


I prodotti più contaminati sono: spinaci, cipolle, funghi, porri, cavoli (cioè in genere prodotti
che vengono molto sporcati di terra), miele, carne di maiale (contaminata al momento della
macellazione), pesci (che vivono vicino ai fondali fangosi o che si nutrono di pesci erbivori). Le
trote allevate nei laghi fangosi possono presentare fino a 5,2 spore/g e una spora è
potenzialmente in grado di ammazzare una persona. Il problema non c’è se viene cucinata, in
quanto le spore non fanno in tempo a passare alla forma vegetativa e moltiplicarsi, formando
così le tossine; il problema c’è se vengono sfilettate e conservate (specialmente sott’olio,
perché si crea un ambiente anaerobico necessario alla vita del clostridio).

Prodotti carnei associati al botulismo: carni salmistrate, carni cotte conservate, prodotti
con poco sale. Nelle carni da salumeria, il pericolo è basso perché, anche se non viene
percepito (perché complessato con le proteine), il sale è intorno al 5-7%. Per questo, i salumi
non sono adatti a chi soffre di ipertensione. In genere, comunque, nelle carni il numero è
basso e spesso la presenza di altri anaerobi sporigeni è associata a quella del botulinum.

Prodotti ittici: Prodotti sotto sale come baccalà, acciughe ecc. generalmente non sono
pericolosi perché le spore, in alte concentrazioni di sale, non hanno possibilità di crescita
Salmone affumicato sottovuoto, arringhe affumicate e pesci affumicati in genere invece
possono essere pericolosi.

Ancora sono pericolosi vegetali (asparagi confezionati in casa, funghi sottovuoto, piselli, aglio,
peperoni e pomodori), frutta, spezie e zuppe (zuppa di pesce, di vongole). Così anche latticini
vari (formaggio con cipolle, formaggio Brie, Mascarpone, ..), alimenti conservati sott’olio, uova;
mentre non sono ancora stati riportati casi di contaminazione in alimenti come il cioccolato, i
succhi di frutta o i concentrati di frutta, le bevande fermentate (birra, ..), o nell’acqua.

Le spore sono pericolose solo se possono germinare e quindi produrre tossine, altrimenti anche
1000 spore non fanno nulla. Ci sono delle regole che stabiliscono in linea di massima quali sono i
prodotti a rischio e quelli non a rischio. Non sono da considerare pericolosi i prodotti con pH <
4.5 (pH al quale non si sviluppa neppure il biotipo 1, che è quello più tollerante l’acidità), ma,
tra i prodotti di origine animale, solo lo yogurt e la maionese possiedono tale caratteristica;
tuttavia, se questi prodotti vengono mescolati ad altri, che possono aumentare il pH, allora il
pericolo ritorna. Ad esempio, c’è stato in Inghilterra un focolaio di intossicazione a causa dello
Yogurt alla nocciola. Nella maionese light, viene messo amido, per cui il pH si alza ed evita la
possibilità di pericolo.

Strategie di controllo - Come si controlla il botulino

Nei prodotti conservati in scatola (carne, tonno) si opera con alte temperature. Si effettua un
trattamento termico sterilizzante 12 D (necessario a uccidere 1012 spore) = 121°C x 3
minuti. La temperatura va misurata al cuore, cioè nel punto più profondo, in quello più lontano
dalla superficie.

12 D vuol dire “12 volte il tempo di riduzione decimale del Clostridium botulinum, alla
temperatura di 121° C” (invece per la pastorizzazione del latte si fa riferimento a 5-7 D).
Questo non significa che ci si aspetti che ci siano 1000 miliardi di spore nel substrato,
significa semplicemente che quelle che ci sono veramente vengono ridotte di 1000 miliardi di
volte.

Non si sa esattamente quante spore ci siano per ogni confezione, ma come valore di
riferimento si può prendere quello degli spinaci, che sono gli alimenti più sporchi di terra e
quindi quelli più contaminati di spore. Per gli spinaci, il valore è 103 per confezione. In seguito
a un trattamento 12D, si avrebbe un miliardesimo di probabilità che in ogni scatoletta
prodotta sia sopravvissuta una spora. In altri termini ci può essere ancora una confezione non-
sterile ogni miliardo.

Le scatolette devono avere un tappo che permetta l’uscita del vapore che si forma, altrimenti,
riscaldando, la pressione farebbe saltare il coperchio. Quando si raffredda, se il tappo non
tiene bene, siccome il gas è uscito, ci può essere un risucchio d’aria contaminata all’interno
della confezione, per cui si produce una nuova contaminazione. L’industria, per ovviare a questo
rischio, non mette subito in distribuzione le scatolette prodotte, ma le conserva in un
ambiente a 37°C per un determinato tempo, in modo che, se ci fossero delle spore, queste
entrerebbero in azione (comincerebbero a moltiplicare) e formerebbero una bolla sul
coperchio della scatoletta. Se ciò non si verifica allora le scatolette vengono messe in
commercio. (Questi sono i prodotti più sicuri in assoluto.)

Un’altra strategia di controllo si basa sulla bassa temperatura. Le basse temperature possono
rallentare lo sviluppo del clostridio. Il ceppo A non è attivo sotto 10 °C; il ceppo B può
moltiplicare fino a 3,5°C.

Prodotti “minimally processed” non trattati con calore, ma ad esempio con alte concentrazioni
di NaCl o basso pH, salnitro o altri conservanti antimicrobici (refrigerazione a <3°C). Fra
queste, si può vedere l’acidificazione con aceto o limone: le verdure sott’olio vanno scottate
con acqua e aceto e poi messe in vaso e sterilizzate; o ancora la salatura (come nel caso
dell’aggiunta del sale, seguita dall’asciugatura, come viene fatto nella produzione di insaccati).
Il Salnitro è utile ma cancerogeno (limitato a 150 ppm), non viene più venduto allo stato puro,
ma mescolato al sale. Questo è il secondo esempio di uso degli additivi alimentari (il primo era
stato in un’altra lezione a proposito degli acidi deboli).
Il ceppo B è più termoresistente e si trova più diffusamente nei suoli e nelle zone molto
coltivate da anni, come può esservi in Asia, piuttosto che in Europa. Quindi, se riusciamo a
controllare questo possiamo stare tranquilli anche per gli altri.

In queste tabelle, sono riassunti i fattori


che servono a limitare lo sviluppo del
gruppo 1 e del gruppo 2. Sono detti biotipi
perché appartengono alla stessa specie, ma
hanno caratteristiche diverse. La
differenza si vede subito: la crescita
minima è 10-12 °C per il primo, mentre per
il secondo si va a 3,3°C; la temperatura
massima ci interessa di meno; per quanto
riguarda la temperatura ottimale di
crescita, sono entrambi termofili; il pH minimo è 4.6-4.8 per il primo, mentre per il secondo è
intorno a 5.

L’attività dell’acqua è 0,94 per il primo e richiederebbe una salatura del 10% di NaCl (troppo
alta, per cui non può essere controllato solamente con il sale), mentre per il secondo è
sufficiente il 5% e siccome questi ceppi si trovano soprattutto sui prodotti ittici è sufficiente
la salatura per tenerli sotto controllo. Per quanto riguarda la termoresistenza delle spore, per
il gruppo 1, a 82°C servono 483 minuti (circa 8 ore) per una sola riduzione decimale. Per il
gruppo 2 invece le cose sono più semplici, però non si sa che spore ci siano nel substrato da
sterilizzare.

Caso di botulino in Italia nel 1998. Oltre 300 confezioni di mascarpone della ditta Giglio, su
mille prodotti (studi epidemiologici), presentavano spore del ceppo A (0.8%) e tossina
botulinica (32.5%). Anche altri prodotti a base di latte erano positivi per la presenza di spore
e le caratteristiche fisico-chimiche di tutti i campioni erano compatibili con la crescita di Cl.
Botulinum e con la produzione di tossina, che si è prodotta naturalmente e in lotti
artificialmente contaminati di mascarpone dopo 3-4 giorni d’incubazione a 28°C.

La lavorazione del mascarpone prevede un riscaldamento a 85/87°C della crema di latte, per
denaturare le proteine del latte in modo che possano coagulare (a questa temperatura, tutte
le forme attive del botulino muoiono), sotto lenta agitazione, acidificando la massa con
l’aggiunta di acido citrico 10% agitata rapidamente (pH 5,8). A differenza della maggior parte
dei formaggi italiani, che vengono realizzati tramite coagulazione presamica, ovvero
attraverso l'aggiunta di caglio al latte, il mascarpone viene prodotto tramite la coagulazione
acido-termica della crema di latte (detta anche panna): attraverso cioè l'aggiunta di acido
citrico e lavorazione per 5 o 10 minuti a 85 °C. Tale differente coagulazione è la causa della
consistenza cremosa del mascarpone. Alla coagulazione (arresto miscelazione dopo circa 30
min e mantenimento della temperatura per 5-10 min), segue la sgocciolatura del siero con
filtraggio del mascarpone (travaso nelle vaschette di drenaggio rivestite con teli). Il prodotto
deve poi passare dalla temperatura di 85-87°C alla temperatura del frigorifero. Per ragioni di
sicurezza, bisognerebbe raffreddare molto velocemente per evitare che si mantengano
temperature alle quali le spore potrebbero diventare attive e produrre la tossina; questo non
è possibile perché raffreddando velocemente si otterrebbe un mascarpone dalla consistenza
gessosa e non cremosa. Allora si mette a 8-13°C e nel giro di 6-12 ore il prodotto si raffredda
fino al cuore. Bisogna tener presente che il tempo di raffreddamento non è lineare: se il
prodotto è a 80° e viene portato a 10°, si ha un salto di temperatura di 70°; se per passare da
80 a 40 ci mette due ore, per passare da 40 a 20 ce ne mette 4 e così via. Il grafico del
raffreddamento è una curva logaritmica.

Salami senza nitriti e senza nitrati possono avere un mercato di nicchia, però il trattamento
con il solo sale non è sufficiente per scongiurare ogni forma di pericolo dovuto alle spore
perché non è possibile salare fino al 10%.
Lezione 4/05

Ultima lezione:
La volta scorsa abbiamo parlato del botulino il cui agente è il Clostridium botulinum e
abbiamo visto come questo microorganismo rappresenti da sempre un problema di
sicurezza alimentare. Da tempo siamo a contatto con questo microorganismo, la malattia
prende il nome dal termine latino botulus, perché la sua descrizione fu associata
inizialmente al consumo di salsicce (botulus = salsiccia).

Esistono diverse strategie per affrontare questo pericolo:

Una prima strategia è quella di distruggere le spore utilizzando la tecnologia delle riserve,
è necessario che la confezione in cui poniamo l’alimento sia integra e non vi sia alcuna
possibilità di ricontaminazione. Le conserve “in scatola” sono fatte di lamierino, che è una
banda di acciaio generalmente ricoperta da sostanze che servono ad evitare l’ossidazione,
quindi l’arrugginimento di questo acciaio; vi sono anche conserve nei vasi di vetro e più
recentemente anche in alluminio. Le conserve in alluminio sono più comode in quanto più
leggere, maneggiabili e resistenti, ma ne bisogna evitare l’ossidazione, ed è per questo che
vengono ricoperte da una vernice. Ciò che ci si chiede è cosa succede quando questa vernice
viene a contattato con l’alimento: c’è il dubbio che alcune di queste sostanze a contatto con
l’alimento possano cedere residui (questo non è un argomento di nostra pertinenza, per cui non
entriamo nel dettaglio – vd sicurezza).

Un altro modo per controllare in maniera certa il botulino è quello di portare l’alimento
velocemente fuori dall’intervallo di crescita. Pur essendoci le spore negli ingredienti
utilizzati per la lavorazione del prodotto, non ponendo quelle spore in condizioni adatte alla
loro crescita è possibile evitare che ci sia la produzione della tossina. Per mettere in atto tale
strategia è necessario tener conto di alcune caratteristiche del microrganismo, come la
diversità legata al biotipo, in quanto a seconda del biotipo (biotipo 1/biotipo2), vi è un diverso
pH (sotto 5, piuttosto che sotto 4,5), e/o una diversa attività dell’acqua (sotto allo 0,91,
piuttosto che sotto 0,95) o la combinazione di entrambi i fattori.

Non è consigliabile però mangiare solamente prodotti inscatolati perché, se pur in tal modo
viene risolto il problema delle spore, bisogna tenere in considerazione anche la presenza di
additivi e altri fenomeni che non lo rendono il prodotto più appetibile. Inoltre, si va nella
tendenza di consumare sempre più prodotti che contengono meno sale e che non siano
eccessivamente acidi. Quindi bisogna trovare dei giusti compromessi tra la sicurezza, gli
allevatori e le richieste dei consumatori.

PRODUZIONE INSACCATI CRUDI – TECNOLOGIA, IGIENE E SICUREZZA

[Per capire come lavora in sintonia il sistema, il professore mostra un filmato girato all’interno
di una azienda trentina che produce salami. In questo modo, possiamo avere un’idea di una
azienda che produce insaccati come se stessimo facendo una visita. Questo filmato è
disponibile nel materiale didattico, ma anche su internet se ne trovano molti.]

VIDEO: controllare le varie fasi di produzione

Processo per fare gli insaccati

FASI DI LAVORAZIONE:

1. Preparazione delle carni


(Mondatura, raffreddamento e macinatura)

Si parte con le carni, prevalentemente vengono utilizzate carni di maiale, quasi mai carne del
prosciutto. Le carni devono essere prima di tutto preparate nel senso che vengono
sminuzzate, per poi facilitare il lavoro di macinatura. Alcuni tagli devono essere scotennati e
gli può essere tolta la parte dei tendini (il prezzo del salame lo fa la quantità di tendini, quindi
quanto connettivo è rimasto nel prodotto). Una volta che la carne è stata sminuzzata, viene
macinata. Le carni vengono quindi macinate a seconda della grana voluta, ovvero la dimensione
dipende dai buchi nella quale passa la carne nella macchina e dalla velocità delle lame. È
importante la grana perché bisognerà poi miscelarci il sale e altri additivi, come i nitriti,
l’acido ascorbico e altri ingredienti attivi.

2. Preparazione della concia

Le carni vengono lavorate in contenitori d’acciaio e ovviamente non bisogna contaminare né le


carni, né l’ambiente (evitare il pericolo listeria durante queste lavorazioni).

3. Miscelazione

Nello stabilimento del video, utilizzano l’aio, che ha delle proprietà biologiche, così come tante
altre spezie, che si stanno sempre più utilizzando. La miscelazione è importante affinché il
sale, i nitriti, gli aromi, etc vengano a contatto uniformemente con tutte le parti del prodotto.
Il prodotto miscelato viene poi scaricato su dei vagoncini, che lo portano nell’insaccatrice. In
questo lasso di tempo (dalla miscelazione all’insaccatura), gli ingredienti attivi cominciano ad
agire.
4. Scelta e preparazione del budello

La macchina insaccatrice ha una pompa che viene azionata dall’operaio e che spinge la pasta
all’interno del budello. I budelli possono essere naturali, quindi costituiti dall’intestino del
suino (in passato si usava anche quello del bovino e di ovi-caprini).

5. Insacco e legatura

Una volta riempito il budello, l’operatore lo buca sulla superficie perché tenderà a ridursi di
volume e non manterrebbe la forma cilindrica che al produttore interessa. Inoltre, un
diametro diverso nelle diverse porzioni comporta una diversa asciugatura e questo fa si che i
batteri all’interno subiscano una diversa evoluzione.

5. Asciugamento ed affumicatura

Dopo l’insaccamento, le carni si portano in un locale dove viene fatta l’asciugatura, quindi le
carni che fino a quel momento erano fredde da frigorifero vengono messe ad asciugare in
degli ambienti, che si chiamano stufe, ad alte temperature (23/24° C). Ovviamente, le ricette
per la lavorazione del salame si sono sviluppate nelle condizioni ambientali tipiche del luogo e
quindi la temperatura di asciugatura cambierà leggermente a seconda della zona geografica
considerata. Il prodotto con l’asciugatura perde acqua e l’umidità sulla sua superficie
favorisce l’attacco delle muffe; queste svolgono delle funzioni come, ad esempio, la funzione
biochimica (trasformando il nitrato in nitrito). Inoltre, queste muffe, dalla degradazione dei
grassi, sviluppano una serie di composti aromatici, che conferiscono al prodotto le sue
caratteristiche di aromaticità.

7. Stagionatura

Successivamente, la temperatura viene abbassata e questo può essere molto pericoloso: se ci


fosse salmonella o stafilococco, quando la temperatura viene portata a temperature più basse,
questi comincerebbero a moltiplicare. Per questa ragione, inizialmente si parte con un 3,2% di
sale, che non è un valore sufficiente a portare l’attività dell’acqua a valori limiti, quindi i
batteri potenzialmente possono sviluppare. Pian piano il prodotto, per effetto della
fermentazione degli zuccheri, si acidificherà, il sale ha infatti estratto le proteine solubili
della carne, l’acidità le fa coagulare e il gel che si forma diventa una sorta di collante (incolla
insieme i pezzi di carne). Per cui, quando il prodotto si asciugherà, diventerà consistente.
Ovviamente questo dipende dal tipo di prodotto ricercato.

Gli insaccati possono essere fatti da carni in pezzi, come ad esempio il capicollo o il lonzino,
dove c’è un unico pezzo di carne che viene messo dentro a un budello con la funzione di
proteggere il prodotto dall’esterno e dargli forma, in modo che si possa asciugare in modo
uniforme. Poi vi sono invece gli insaccati con carni macinate. Inoltre, gli insaccati possono
essere prodotti crudi da cuocere, come ad esempio le salsicce o il cotechino, oppure possono
essere insaccati stagionati, stabilizzati attraverso i processi di acidificazione e asciugatura.
Poi vi sono ancora gli insaccati cotti, come la mortadella, wurstel. In Italia, c’è la più grande
varietà di insaccati.

Il budello è una barriera che serve a favorire il mantenimento della forma, deve essere
elastico, perché ovviamente l’alimento cambia per diametro e volume per la perdita di acqua
che evapora. Nelle stanze dove avviene l’asciugatura ci sono una serie di serpentine che
raccolgono l’acqua che evapora durante l’asciugatura; anche il frigorifero asciuga e questo è il
motivo per cui si forma il ghiaccio all’interno e ogni tanto va sbrinato. Quel ghiaccio viene dalla
perdita d’acqua da parte degli alimenti. Lo stesso fenomeno si utilizza nell’industria. Il budello
inoltre regola in parte anche una parte di umidità, ovviamente un budello fatto in maggioranza
da connettivo farà asciugare più lentamente. I budelli non vengono utilizzati tal quale, ma
vengono preparati, svuotati, in alcuni casi gli viene anche tolta la mucosa (può contenere degli
enzimi da evitare), vengono poi salati e essiccati, e quando è il momento di utilizzarli vengono
riattivati, bagnati in acqua e utilizzati.

L’industria poi prepara anche tutta una serie di budelli fatti in modo artificiale, come con la
cellulosa (anche se è un prodotto di origine vegetale) e questi si utilizzano, ad esempio, per
quei prodotti che non scendono troppo di volume, come il wurstel. La cellulosa infatti non è
elastica come i budelli di origine animale, oppure adesso vanno molta di moda anche i budelli
collagenici, ovvero con il collagene. L’estratto di collagene è lo stesso che si utilizza
nell’estetica per ravvivare la pelle, per cui è un prodotto assolutamente compatibile con in
nostri tessuti. Viene ricavato dalla digestione acida del derma: ad esempio, viene presa la pelle
di bovino e trasformata in una sorta di materiale plastico per fare i budelli. I budelli fatti di
cellulosa per sopperire alla poca elasticità vengono a volte ricoperti da una rete elastica, che
va a compensarne per l’appunto la poca elasticità. È da tenere in conto che non per tutti i
salami viene richiesta una forma cilindrica, ma alcuni possono avere caratteristiche forme a
pera o altre forme.

Per fare gli insaccati, c’è una manipolazione maggiore e quindi anche un maggior rischio di
contaminazione rispetto alla carne dell’animale macellato. Le persone che lavorano possono
contaminare con il respiro, i peli (che non dovrebbero cadere) o ancora con la polvere possono
entrare delle spore. Quindi bisogna portare al minimo le possibilità di contaminazione.
Inoltre, gli insaccati possono essere fatti con la carne solo di suino o solo di bovino o con
impasti misti. Il grasso generalmente utilizzato è quello dei suini pesanti, poiché il loro grasso
è più ricco di acidi grassi saturi e per questo più resistente all’ossidazione, fenomeno da
contrastare nella stagionatura (se ciò non avviene, il grasso diventa acido e irritante per il
nostro intestino, oltre ad essere potenzialmente cancerogeno). I ruminanti accumulano grassi
che non sono così tanto idonei. Un altro aspetto importante del grasso è che non deve
diventare oleoso: il grasso insaturo, quando viene miscelato o macinato, diventa oleoso e l’olio
va a rivestire come un film i pezzettini di carne che invece si dovrebbero asciugare, per cui la
carne rivestita dal velo d’olio non si asciuga in maniera corretta.

Per noi il salame con carne di suino pesante è una ricchezza, la produzione di carne in Italia è
minore di tanti altri paesi, come il Belgio, l’Olanda, dove il costo di produzione è minore e
hanno diverse tecnologie. Noi abbiamo di “nostro“ il suino pesante italiano, che è una risorsa e
quindi caratterizziamo i nostri prodotti come prodotti di eccellenza.

Ricapitolando, Prodotti carnei insaccati:

• Impasti di carne tritata più o meno finemente, conditi con sale e spezie, insaccati in
budelli naturali o artificiali e sottoposti ad asciugamento e stagionatura
o Carni magre (spalle, filettini, geretti, ritagli magri derivanti dalla lavorazione
delle pancette) ben raffreddate, asciugate e mondate
o Grasso di suino ed in particolare grasso della pancetta e di gola
• Involucro (budello) naturale o artificiale che costituisce parte integrante del prodotto
e serve a mantenere l’integrità mentre questo è lavorato, commercializzato
• La sua permeabilità all’umidità è essenziale per garantire un processo di asciugatura
appropriato in funzione del calibro prodotto

Tipologia di prodotti:

Salame da affettare o da spalmare.


▪ La fermentazione dell’insaccato può essere regolata a seconda della quantità di zucchero
aggiunta alla concia e si distingue in mediamente rapida e lenta.

Nella carne, è necessario aggiungere lo zucchero perché inizialmente nella carne ci sono pochi
zuccheri. Il glicogeno presente non è attaccato dai batteri, perché questi non hanno
glicogenasi e inoltre nella carne, anche se vi sono delle glicogenasi, per funzionare devono
essere attivate da specifici ormoni. Gli zuccheri aggiunti sono in relazione al tipo di batterio
preso in considerazione. Uno zucchero che tutti i batteri attaccano è il glucosio, alcuni
attaccano il lattosio, ma non si trovano nelle carni. In passato non c’erano gli starter, ovvero
polverine fatte in laboratorio con dei batteri selezionati. Questa flora che attacca il glucosio
nell’insaccato viene selezionata perché, quando viene posta la carne nel budello, si va a creare
una situazione di anaerobiosi. A 20° C in condizione di anaerobiosi, la flora microbica che
risulta più delle altre, tra l’altro favorita dall’aggiunta degli zuccheri, è una flora lattica
specifica degli insaccati, che non è la stessa che presente nei prodotti latto-caseari.

In sostanza, più zucchero mettiamo e più la fermentazione è rapida. Nei paesi nordici, è
usanza aggiungere molto zucchero, poiché si crede che la sicurezza del prodotto dipenda
proprio da questa rapida acidificazione, per questo contestavano anche la sicurezza dei nostro
prodotti, che acidificano poco o quasi per niente, in quanto da noi la fase più importante è
l’asciugatura. In seguito a studi per dimostrare il funzionamento del metodo italiano, è stata
sviluppata la teoria degli ostacoli (non c’è un solo ostacolo, ma ce ne sono una serie). Se il
prodotto è ben controllato non c’è rischio.

Le muffe in superficie possono essere presenti o assenti.


▪ Il grado di asciugatura può essere alto (calo peso 25-30%), medio (calo peso 15-20%) o
basso, quest’ultimo avviene raramente.

Il prodotto può essere prezzato all’origine e quindi non più soggetto a perdita del peso. Per
poterlo fare, bisogna metterlo sotto vuoto e garantire che non perda più acqua. Tutti i
prodotti che si trovano al supermercato al di fuori della plastica sono prodotti soggetti a calo
peso e per cui c’è l’obbligo di ripesarli alla vendita. Questo perché quello che costa non è
l’acqua, ma le proteine (più acqua perde e più deve aumentare di prezzo - vendere un prodotto
con più acqua, significherebbe guadagnare di più per il produttore).

Nei prodotti DOP, ci sono tutta una serie di specifiche e si caratterizzano anche
dall’ambiente (per questo un nostro prodotto, non può essere fatto in Olanda). Questi
brevetti sono anche una tutela per il paese di origine.

Caratterizzazione del prodotto:


• Formulazione e aromatizzazione
• Caratteristiche chimiche e chimico-fisiche
o Salame Felino: proteine totali min. 23%, rapporto collagene/proteine max 0,10,
rapporto acqua/proteine max 2, rapporto grasso/proteine max 1,5, pH ≥ 5,3.
o Salame Milano: proteine totali min. 20%, rapporto collagene/proteine max 0,12,
rapporto acqua/proteine max 2,3, rapporto grasso/proteine max 2, pH ≥ 5,2.
• Indici microbiologici (nel prodotto finito)
o Salame Felino: carica microbica mesofila > 1x106, Coliformi fecali < 1x102, S.
aureus < 1x102, Salmonelle assenti in 25g.
• Proprietà organolettiche: aspetto al taglio, consistenza, profumo, gusto, colore.

LINEA DI LAVORAZIONE DEL SALAME (vista nel video):

Scelta delle carni:


▪ Utilizzare carni con il più basso livello possibile di contaminazione (valori indicativi non
superiori a 100 e 1000 per grammo)
La carne deve essere:
o fresca, ben raffreddata (o scongelata in condizioni igieniche idonee)
o lavorata a temperature basse (T amb 12°C)
Se queste condizioni non si realizzano batteri alteranti e patogeni competono con le
colture starter e le inibiscono
▪ Valori tipici delle carni selezionate per la produzione d’insaccati crudi sono:
o Muscolo rosso di maiale: pH-<5,9-6,0; lardo di maiale: pH 6,2-7,0
o bovino: pH-<5,8
o e Aw- 0,98 – 0,99
Preparazione della concia:

 salgemma o sale marino: 30-32 g/kg di impasto, corrispondente a circa 35-40 g/kg di
prodotto finito, considerando un calo peso di circa 15-30% (ridotto fino a circa 24 g/kg in
alcuni prodotti).
 Nei salami a fermentazione più lenta (prodotti italiani tipici) sono utilizzati nitriti e nitrati
insieme, in quanto il nitrato garantisce che non vi sia una troppo rapida deplezione del
nitrito.

Un ingrediente attivo, come già detto, è il salnitro (nitrato di potassio) che viene prodotto e
venduto come additivo alimentare con dei limiti: la legge dice che non se ne può utilizzare in
maniera massiva o a preferenza, ma va necessariamente dosato. I pericoli dell’iperdosaggio
possono essere l’intossicazione, come nel caso della formazione della metaemoglobinemia,
perché il nitrito si lega direttamente ai globuli rossi per cui fa mancare l’ossigeno nel sangue
(nell’uomo questo può accadere raramente, mentre più casi si sono riscontrati nel campo
animale). La situazione più comune per effetto dell’iperdosaggio è quella di avere un eccesso di
residui NO, che si sviluppano per effetto dei micrococchi o dei lieviti, che con i loro enzimi
trasformano il nitrato in nitrito; in ambiente acido, dal nitrato si sviluppa un gas che si
complessa con la mioglobina della carne per formare il pigmento tipico rosso degli insaccati. La
nitrosomioglobina (che dà il pigmento rosso) è stabile, per cui la carne esposta all’ossigeno non
diventa grigia. Poiché l’uso del nitrito non controllato è pericoloso, si è pensato di utilizzare
dei coloranti (per esempio i salami con il peperoncino sono colorati). Il nitrito funziona
efficacemente anche contro le spore, infatti i residui di ossido nitroso, altamente reattivi,
agiscono con gli enzimi tipici delle spore, che servirebbero a trasformare la spora in forma
vegetativa (germinazione), bloccandoli, per cui la spora non riesce a germinare. Questo è il
primo ostacolo per i microorganismi (teoria degli ostacoli). Nel tempo l’ossido nitroso deve
esaurirsi, altrimenti nello stomaco con le ammine (derivati degli amminoacidici) andrebbe a
formare le “nitrosammine”, altamente tossiche, cancerogene e mutagene (ovvero possono
causare mutazioni genetiche).

In ogni caso, nei salami a rapida acidificazione (con aggiunta di zuccheri, batteri lattici ed alte
temperature nelle fasi iniziali del processo di stagionatura) l’utilizzo del salnitro non è
conveniente in quanto la rapida acidificazione inibirebbe la flora in grado di ridurre i nitrati in
nitriti (micrococchi e stafilococchi). È, pertanto, utilizzato sale nitrato (NaCl addizionato con
0,6% di sodio nitrato),

Meccanismo degli effetti del sale (Cosa fa il sale?) - Il sale va ad agire sui complessi acti-
miosinici. Questi complessi si sono formati dopo la morte dell’animale: quando non c’è più ATP
disponibile, la testa della miosina si ancora sull’actina e si sviluppa il fenomeno del rigor
cadaverico, ovvero non c’è più scorrimento dei due filamenti. Questo è un problema nelle carni
fresche, soprattutto in quegli animali con sviluppata muscolatura, tipo il bovino. Per
contrastare questo problema, vengono fatte frollare le carni, dove gli enzimi digeriscono i
filamenti di acti-miosina, rendendo la carne più morbida. Nella carne del salame, questo
aspetto della frollatura non interessa molto poiché la carne viene macinata, invece interessa
l’aspetto d’incollare insieme i granuli. Il sale è in grado di far solubilizzare i complessi actina-
miosina e di farli staccare. Quindi, non solo le proteine non filamentose, ma anche le proteine
filamentose, con una certa concentrazione di sale sono solubilizzabili. La quantità necessaria
per solubilizzare certe proteine dipende dal pH e ovviamente dalla concentrazione del sale.
Per effetto dell’acidità e del sale cambia il punto isoelettrico. Il punto isoelettrico è il punto
in cui le cariche positive e negative, esposte sulla superficie delle proteine, si equivalgono
come concentrazione e questo
Capacità di ritenzione idrica di carni con differenti valori di pH,
è importante perché quella
con o senza sale
carne andrà ad attrarre meno
• spostamento in basso del
acqua → se si andrà ad
pH isoelettrico delle proteine
acidificare la carne in presenza muscolari
di sale, questa carne si • aumento della forza ionica
• effetto protettivo degli
asciugherà più facilmente ed è
ioni Cl sulle cariche negative
questo quello che vogliamo
delle proteine al di sopra del
ottenere.
loro pH isoelettrico

Quindi, in pratica il sale porta allo svilupparsi di rigonfiamento delle miofibrille (spazio
miofibrille = 80% del volume e dell’umidità totale della carne magra) e conseguente
immobilizzazione di acqua tra i miofilamenti (aumento WBC). Questo rigonfiamento è limitato
dalle strutture di membrana e dalle lamine endomisiali (che tuttavia vengono facilmente
disgregate da blandi trattamenti meccanici) e il rigonfiamento delle miofibrille isolate è
evidente a 0,6 M NaCl (depolimerizzazione delle interazioni tra molecole di miosina max a 0,8
- 1% M NaCl depolimerizzazione miosina zona H della banda A).

In realtà, un insaccato crudo è una macchina biochimica.

A lato, immagine con tre tagli di carne: una


completamente ossigenata, poiché assolutamente
senza nitriti; una non ossidata, quindi non esposta
all’aria, dove prevale la deoximioglobina, ovvero la
mioglobina non complessata con l’ossigeno; nel
tempo, quando la carne subisce un effetto
ossidante da parte dell’ossigeno, diventa di un
colore più sul grigio e in questo caso prevale la
metamioglobina (terzo tipo di carne).
Questi sono i tre pigmenti che ci sono nella carne a prescindere dall’impiego del nitrito. Il
nitrito è una sostanza molto reattiva che in ambiente acido e in presenza di sostanze riducenti
(es. acido ascorbico, zuccheri) sviluppa ossido nitroso. Questo composto è in grado di formare
con la mioglobina allo stato nativo la nitrosomioglobina, di colore rosso, molto più stabile
all’effetto dell’ossidazione rispetto alla mioglobina. Oltre i nitriti, ci sono altri pigmenti che
colorano la carne, ad esempio i solfiti, che però danno un effetto tossico, il cui sintomo più
comune è l’emicrania.

La presenza di sostanze riducenti è comunque necessaria, insieme alla protezione dall’aria e


dalla luce perché l’ossidazione fa sviluppare seppur più lentamente metamioglobina (la forma
ossidata, di colore bruno, del pigmento nativo). I prodotti devono essere conservati a riparo
dalla luce perché tutte le reazioni che di ossidazione presenti vanno piano piano ad esaurirsi
ed è necessario che ci sia una riserva di nitrati. La formulazione è essenziale per non cadere
nell’eccesso: la concentrazione di nitrito utile ad ottenere una colorazione accettabile è
superiore a 75-80 mg/kg, ma non tutto il nitrito aggiunto è in grado di reagire completamente,
per cui il dosaggio è mantenuto più alto; in particolare, la legge impone di avere un impiego
massimo di 150 mg/kg (molti produttori ne impiegano anche meno). Questi limiti sono previsti
per la possibilità di rischio alimentare, dovuto alla reattività del nitrito in eccesso (non
complessato ai pigmenti muscolari), che dà luogo alla formazione di nitrosammine. Se le carni
venissero cotte, si stacca il gruppo prostetico della mioglobina e si forma un altro pigmento,
che si chiama nitroso emocromo, quello rosa presente nella mortadella o nei wurstel, anche
questo è un pigmento stabile.

75/80 milligrammi di nitriti sono la quota base affinché la carne non diventi nera e controlli
anche il botulino, salmonella e stafilococco. In prodotti con poco sale e conservazione lunga è
necessaria una quantità di 50-150 mg/kg per inibire la crescita di C. botulinum. Spesso i
produttori utilizzano anche l’acido ascorbico, che riesce a favorire la conversione del nitrito in
ossido nitroso e questa è una reazione immediata (ha funzione di accelerare la reattività de
nitrito). Tuttavia, un eccesso di acido ascorbico, in mancanza di riserve di nitrito (es. da
riduzione del nitrato) ha un effetto negativo. In verità, il meccanismo più probabile
d’inibizione del botulino negli alimenti salmistrati sarebbe l’inattivazione di enzimi ferro-
solforati (specialmente la ferrodoxina). Un altro additivo già menzionato è lo zucchero:
l’aggiunta di un grammo di zucchero per kg di carne (o,1%) permette di ridurre il pH di 0,1 per
effetto della fermentazione (ad opera di batteri anaerobi asporigeni che si selezionano
naturalmente o sono aggiunti come starter). Un effetto negativo degli zuccheri è che possono
essere utilizzati per legare anche l’acqua, per cui possono rientrare nel campo delle frodi
alimentari.

La complessità dei diversi gusti ci fa apprezzare il salame (dolcezza, salinità acidità), quando
si mastica la saliva fa volatilizzare i composti e percepiamo anche l’aroma; in particolare, sono
utilizzati per le caratteristiche di gusto maltosio e lattosio, mentre il saccarosio è utile per le
proprietà riducenti. In funzione della quantità degli zuccheri, i nostri prodotti, che hanno una
fermentazione media, raggiungono un pH di 5.2/5.3 in 72/96 ore, mentre in quelli a lenta
fermentazione il pH non scende oltre pH5.5, ma nel corso della la prolungata conservazione
l’umidità cala fortemente ed il prodotto diviene microbiologicamente sicuro. Anche polvere di
latte o caseinati sono utilizzati per le proprietà umettanti.

Questo è il secondo ostacolo. Il primo ostacolo abbiamo detto essere il nitrito e il sale che in
parte riduce l’attività dell’acqua, pur non portandola al valore limite, rallentando la capacità di
crescita. Il secondo ostacolo è appunto l’acidificazione. Un altro ostacolo è la temperatura, si
va dai 22° C, riducendo ogni giorno di due gradi, fino ad arrivare ai 13° C, che è la condizione
in cui il prodotto viene fatto stagionare. Quindi nella concia del salame vi è il sale, gli zuccheri,
alcuni utilizzano anche gli starter (che aggiungono dei batteri selezionati), l’acido ascorbico, il
latte magro, che conferisce un gusto particolare, a volte anche i caseinati che hanno la
funzione di contenere l’acqua. In America, hanno fatto un composto chimico che sviluppa
subito acido lattico e in due giorni il prodotto è sodo e lo puoi mettere in vendita. Questi
particolari prodotti sanno di carne salata e non hanno, in realtà, molto sapore, il vantaggio è
dal punto di vista economico.
Lezione 6/05

Nelle scorse lezioni abbiamo parlato di un patogeno, il botulino, e poi abbiamo creato dei
collegamenti parlando delle tecnologie di alcuni prodotti, ad esempio la tecnologia degli
insaccati crudi.

Oggi, invece, inizieremo a parlare di quelli che sono i sistemi di autocontrollo e quindi la
definizione dei punti critici di controllo, cioè quelle parti della preparazione del salame che
permettono di controllare vari patogeni (botulino, salmonella, stafilococchi, ecc..).

I professionisti in questo settore sono quelli che vanno nelle diverse aziende e fanno
consulenza per permettere di portare avanti le produzioni in quelle aziende che non hanno
competenze adeguate, che non hanno quindi un servizio di qualità; queste aziende allora si
rivolgono a delle persone esterne per il controllo. (Diversi veterinari neolaureati trovano
lavoro in questo settore.) Potrebbe poi capitare di dover lavorare in veste di auditor: gli
auditor sono veterinari pubblici che vanno periodicamente (una, due volte all'anno) a verificare
la qualità e l'organizzazione dei sistemi di controllo. Questi possono eventualmente fare un
report, chiedere chiarimenti, fare richieste di modifiche, possono arrivare anche a fare delle
multe o a sospendere l'attività dell'impresa.

Quando si parla di autocontrollo si parla di una fase del processo. Per fase di autocontrollo si
intende una fase in cui abbiamo la possibilità di mettere in atto un controllo che permette di
eliminare o ridurre a livelli accettabili un pericolo. Il pericolo è rappresentato dei patogeni
precedentemente citati, ad esempio il Botulino. Quindi per "livelli accettabili" si intendono
livelli di concentrazione del microrganismo accettabile. Se diciamo che in un prodotto è
presente il botulino, si intende che è presente il microrganismo, non considerando, invece, le
spore. Quindi, presenza di botulino non significa presenza di spore. Infatti, per poter
eliminare completamente le spore, si dovrebbe agire attuando la sterilizzazione, ma nella
preparazione di un insaccato crudo ciò non è possibile. Al massimo si dovrebbe agire da prima,
quindi comprare carni esenti da botulino, ma anche questo non è possibile. È difficile avere
carni di suino macinato che non contengano mai nessuna spora. "Ridurre ad un livello
accettabile" significa che non viene permesso al botulino di sviluppare, tramite varie
strategie, poiché se non può moltiplicare, non può sviluppare alcun tipo di tossina. Il punto è
che non c’è una fase drastica, non viene permesso al botulino di sviluppare perché vengono
mantenute le carni ad una temperatura che è al di sotto della temperatura alla quale questo
patogeno è in grado di moltiplicare.
Il botulino di tipo 2 è quello che tollera temperature più basse. Non sviluppa comunque
subito, ma ha bisogno di più tempo a parità di mezzo. Il botulino di tipo 1 è quello che si trova
più facilmente nel terreno e con cui il suino entra più facilmente in contatto durante la sua
alimentazione. Inoltre le spore si possono trovare anche nei mangimi e nei foraggi. Nessun
trattamento di lavorazione dei mangimi ha la capacità di distruggerle, poiché i mangimi non
sono sottoposti a sterilizzazione. Le spore quindi ci sono, ma se vengono adottate buone prassi
di igiene nell'allevamento e nella preparazione dei mangimi, le concentrazioni saranno basse.
Allo sviluppo delle spore si può porre una serie di ostacoli (es. temperatura, salnitro ecc).
Quindi la temperatura è un ostacolo per il patogeno. La temperatura di mantenimento delle
carni in questo processo di preparazione degli insaccati crudi inizialmente era la temperatura
dei frigoriferi, alla quale vengono stoccate le carni, quindi sotto i 7° C. Ad una temperatura
sotto i 7° C, non ci si aspetta che ci siano moltiplicazioni rilevanti del tipo 1, mentre del tipo 2
ci si aspetta ve ne siano, ma comunque molto basse.

Per potere fare il salame, c’è bisogno di un processo di fermentazione. Quest'ultima è


effettuata da una flora che svolge questa funzione tecnologica, in particolare si tratta dei
batteri
Preparazione del budello: i budelli artificiali e quelli naturali devono essere
produtt
fatti “rinvenire” in acqua tiepida; quelli salati devono essere dissalati. Vanno
ori di
scelti budelli di calibro idoneo e spessore funzionale alla stagionatura del
acido
prodotto.
lattico.
Fasi di lavorazione Questi
Insacco: operazione condotta mediante l’impiego d’insaccatrici (le più comuni sono
sono quelle a dislocazione volumetrica mediante pistoni) in grado di funzionare present
sottovuoto, riducendo la presenza di aria nell’impasto. Gli operatori sono in grado i
di comandare con un pedale il funzionamento dell’insaccatrice ed applicano sugli natural
appositi cornetti i budelli (se naturali) ravvivati in acqua. mente
nelle
La legatura serve a mantenere la forma dell’insaccato ed evitare che per gravità
carni in
l’impasto scivoli verso il basso (conferendo al prodotto una forma irregolare e
basse
rendendo l’asciugatura più disomogenea).
concent
Condizionamento: è una fase opzionale. Spesso le operazioni di macinatura, razioni,
miscelazione e insaccatura sono fatte a temperature basse, con carni a 0°C e per cui
quando i salami sono messi ad asciugare in ambienti caldi si forma una condensa quando
indesiderata sulla superficie. È perciò necessario che i prodotti restino per 1-6 vengono
ore in celle a bassa umidità fino a che la condensa superficiale evapori. messe
le carni
in condizioni di sottovuoto e mantenuto il prodotto ad una temperatura di 24°/22°/20° C
(temperature utilizzate i primi giorni nei processi di asciugatura e fermentazione) ed un
umidità di circa il 60-90%, si seleziona naturalmente la flora microbica che a quelle condizioni
è favorita. I batteri lattici a queste condizioni sviluppano molto bene, ovviamente sempre
purché abbiano un substrato su cui crescere: se viene messo dello zucchero nell'impasto
dell'insaccato, i batteri lattici riusciranno a svilupparsi molto rapidamente, raggiungendo
valori anche considerevoli. Fino a quel momento magari di batteri lattici ce ne erano 100,
1000, 10000 per grammo di carne macinata, se poi viene fatto un esame batteriologico
nell'impasto dello stesso insaccato a distanza di una settimana questi saranno diventati
miliardi, cento miliardi.. Quindi stiamo parlando di una flora microbica che è tecnologicamente
utile. Per ottenere ciò, però è necessario mettere questi batteri in grado di competere in
maniera positiva. Bisogna tenere in considerazione una cosa: in queste condizioni di
temperatura (24/22° C) i patogeni (salmonella, stafilococchi, botulino), se fossero presenti,
potrebbero pian piano cominciare a moltiplicare anche loro. Se, ad esempio, moltiplica il
botulino NON posso ottenere sicurezza. Infatti, per quanto moltiplichi poco in una settimana
(considerando che per preparare l'intero insaccato ci vuole circa un mese, un mese e mezzo),
la tossina è talmente potente che non è possibile evitare l'intossicazione alimentare e
l'intossicazione è un pericolo inaccettabile perché causa la morte dei consumatori.

Quindi c’è bisogno di introdurre un altro ostacolo che blocchi subito la moltiplicazione, prima
che il prodotto si asciughi. A tal proposito si ricorre alla scelta degli additivi alimentari, si usa
il salnitro, che appunto viene usato specificamente per questo motivo, perché impedisce alle
spore, che eventualmente sono presente nelle carni macellate, di poter germinare e
cominciare a moltiplicare e quindi a produrre tossina. Quindi, un primo ostacolo in questo
processo è l'aggiunta del salnitro, ma, contemporaneamente, anche l'aggiunta del sale. È vero
che di sale ne viene aggiunto relativamente poco (circa 3/2 %), ma già questo abbassa un po'
l'attività dell’acqua, per cui questi due (sale e salnitro) sono già due ostacoli che cominciano a
lavorare subito.

La preparazione della concia è già una prima fase del processo in cui si cominciano a
controllare i pericoli. Questo controllo di per sé è per sempre? Il salnitro riesce, ad esempio,
da solo a controllare lo sviluppo del botulino? La risposta è NO . Infatti, il salnitro si
trasforma in ossido nitroso, che poi è un composto che va ad interferir con un enzima, la
verocitotossina, che permette la sporazione del botulino, e quindi pian piano questa riserva di
salnitro comunque va ad esaurirsi (il concetto fondamentale da capire è che il salnitro si
esaurisce perché si trasforma in altre cose). Non è possibile mettere una riserva grandissima
di salnitro, in modo che non si esaurisca mai, poiché questo diventa tossico e pericoloso.

Questo è un punto critico di controllo, che funziona ma che da solo non basta. Nel gergo, in
materia di autocontrollo, vengono chiamati CCP di tipo 1, o 2. L'acronimo CCP sta per “critical
control point”, quindi sarebbe “punto di controllo di un pericolo”. L'aggiunta del nitrato è un
CCP di tipo 2, non è di per sé in grado di controllare del tutto, invece contribuisce a
controllare.
Anche l'aggiunta degli zuccheri diventa fondamentale. Ogni grammo di zucchero che viene
aggiunto per kg di carne, provoca una riduzione del pH di 0,1. Il pH iniziale della carne di suino
dopo il processo di macellazione è circa 5,6 o 5,7. Nei muscoli della coscia 5,8. C'è una
variabilità all'interno dell'organismo in quanto c'è differenza tra muscolo bianco (dove il pH è
più basso) e muscolo rosso (dove il pH è leggermente più alto). Normalmente vengono utilizzati
soprattutto muscoli rossi, quindi si dà per scontato che il pH sia circa sui 5,7 o 5,8. È da
tenere conto che questi dati vanno rilevati e misurati. Quindi quello che può fare il produttore
è misurare il pH di campioni di salami in fasi tipiche del processo. Questo si può fare
facilmente. Il pH-metro è costituito da una sonda di vetro che contiene il rilevatore di pH,
che può essere infilato nel salame, oppure si può prendere un pezzettino di salame,
omogeneizzarlo in acqua e poi misurarne il pH. Questo tipo di controllo, che nel gergo del CCP
si chiama monitoraggio, può dare una risposta immediata e far capire all’operatore se sta
controllando bene o male il processo. In generale, in base al tipo di prodotto voluto, viene
deciso quanto zucchero aggiungere; per esempio, ci sono salami a fermentazione più rapida, o
più lenta, oppure media, come i prodotti mediterranei.

Un'altra cosa da ricordare è che nel salame non c'è solo carne, ma anche grasso, che di per sé
non dà sapore; il sapore del lardo di colonnata, ad esempio, che è un prodotto che ha un
proprio sapore, deriva da processi di maturazione (di per sé il grasso sarebbe insipido).
Questo grasso ha la funzione di solubilizzare i composti aromatici, rendendo il prodotto molto
più trattabile. La carne ha un pH di 5,7 o 5,8, il grasso no, per cui nell'interfaccia tra grasso e
carne il pH è diverso. Il pH del grasso è circa 6, quindi più alto, inoltre non cala mai in nessun
modo.

Un altro punto di controllo è la qualità della materia prima. Il veterinario o il produttore può
chiedere a un tot di fornitori selezionati di avere le analisi batteriologiche fatte sulle carne
degli animali in macello o sulle carni macinate; in tal modo è possibile qualificare i fornitori.
Questa è un'altra parte importante dell'autocontrollo. La politica dei produttori consiste, in
questo caso specifico, nel richiedere una carne con livello di contaminazione dei batteri
standard, non basso o alto, che non deve essere quindi troppo inquinata o troppo contaminata.
Infatti, altrimenti potrebbe accadere che una carica batterica eccessiva nella materia prima
entri in competizione con i batteri lattici, per cui questi ultimi potrebbero non trovare più una
condizione vantaggiosa di crescita.

Un altro problema per cui è importante qualificare la carne dei fornitori è il problema dei
farmaci. I suini spesso vengono trattati con mangimi medicali o con dei farmaci per trattare le
malattie tipiche dei suini (ad esempio, problemi a livello respiratorio). Spesso si sono trovati
nelle carni dei farmaci in livelli anche al di sopra di quelli che sono i massimi e minimi
consentiti per la salute pubblica (ad esempio, sulfamidici). In questo caso non bisogna
preoccuparsi solo del fatto che siano tossici per l'uomo, ma anche fare attenzione al fatto
che potrebbero interferire con i batteri lattici e quindi con le fermentazioni (è capitato di
avere problemi con fermentazioni di salami che non andavano a buon fine proprio per questo
motivo). I sulfamidici in alcuni casi sono stati anche causa di respingimento dei prodotti.

Nel caso del formaggio è possibile, per evitare il problema, trattare attentamente il latte
prima della produzione del formaggio; nel caso della carne, non si può fare perché verrebbero
alterate le proprietà del prodotto. A volte possono essere acquistati i batteri, cioè per creare
un ulteriore margine di sicurezza, l'industria non si fida dei batteri che naturalmente si
trovano nella carne, ma ne aggiunge di propri. In questi casi, si utilizzano dei batteri specifici
per questo habitat, come ceppi di stafilococchi (chiaramente non quelli aurei, produttori di
tossine, ma di altre specie) e l'eunuria, che sono normalmente presenti nelle carni di maiale,
ma che per favorire la fermentazione possono essere addizionarti alle carni. Quindi per
“starter” viene intesa una coltura batterica che viene aggiunta alla materia prima per
indirizzare la fermentazione.

Vengono aggiunte anche le spezie, alcune delle quali hanno anche una funzione antibatterica,
anche se la concentrazione alla quale hanno questa funzione sarebbe troppo alta e
modificherebbe il gusto del salame; infatti ancora non si è riusciti a separare il composto
aromatico da quelli con attività antibatterica. Esse quindi non possono essere efficaci, poiché
impiegate a concentrazioni di 0,1%. In linea di massima, aglio e chiodi di garofano sono
efficaci contro ceppi comuni di E. coli, rosmarino e salvia hanno proprietà antiossidanti e
ritardano l’irrancidimento, infine un effetto pro-ossidante è mostrato dalla maggiorana.

Un'altra fase da controllare è l'asciugatura del salame, questo viene appeso nella cella ad una
certa temperatura (primo giorno 24° C, secondo giorno 22° C,.. a seconda della ricetta di ogni
industria). I computer regolano l’andamento della ventilazione, della temperatura e l’umidità
ed il prodotto in questo modo si asciuga. L'umidità viene mantenuta molto bassa per fare
asciugare rapidamente il prodotto, in modo da evitare così un’eccessiva formazione di muffe e
l'azione di batteri proteolitici che andrebbero ad alterare il prodotto. Inizialmente, l'umidità
deve essere meno del 60 %. Come è stato detto, la carne di suino (il muscolo del suino in
realtà) e anche la superficie del grasso hanno attività dell'acqua iniziale, prossima a 0,91,
quindi un valore molto alto. [L'attività dell'acqua va da 1 (acqua pura) a 0]. La carne del suino è
intorno a 0, 92; quando viene aggiunto il sale, si abbassa leggermente. Se si vuole avere
un'asciugatura, c’è bisogno di un’umidità relativa inferiore al 98% (se fosse 98%, la carne non
si asciugherebbe, infatti l'umidità che c'è dentro è uguale a quella che c'è fuori, questo non
va bene). Se la carne quindi deve essere asciugata, bisogna tenere un grado di umidità
ambientale più basso. Quindi, in queste celle, non ci sono altro che dei movimenti di aria
asciutta, che a mano a mano tirano via l'acqua dal prodotto.

Durante le fermentazione, l'umidità viene mantenuta ad un livello più alto, 98-92, range molto
ampio. In termini di attività dell'acqua sarebbe 0,980-0,920 (un prodotto fermentato ha
solitamente un valore di 0.90-0,89). Non è possibile misurare l'attività dell'acqua, perché
andrebbero presi i salami e smontati per capire quanta acqua evapora, quindi è un metodo
distruttivo non effettuabile in questo caso. Però è possibile monitorare molto comodamente il
peso dei salami: viene pesato un carrello con tutti i salami all'inizio del processo e dopo circa
10- 20 (e così via) giorni ripeso lo stesso carrello; il calo di peso avvenuto è dovuto alla perdita
di acqua. È sufficiente che venga fatto ogni tanto a campione delle misurazioni dell'attività
dell'acq
Fermentazione e Asciugatura (affumicatura opzionale): ua e
una
Condotta tenendo per diverse ore gli insaccati freschi in stufe a temperature di curva di
circa 13-24°C ed un’umidità di circa il 60-90% ed ha la funzione di togliere evapora
rapidamente una certa quota d’acqua (circa il 5%) e di avviare i processi di zione, a
fermentazione batterica. L’asciugatura si realizza quando l’ambiente non è partire
saturo di umidità. L’affumicatura è realizzata in ambienti in cui generatori di da
fumo immettono fumo a temperatura controllata (si utilizzano temperature di quello
20-25°C e non superiori a 28°C) ed umidità tra il 70 e l’80%. La durata del che è il
trattamento è di alcune ore. calo
dell'att
In questa fase si realizzano contemporaneamente modificazioni di tipo microbico
(fermentazione) con accumulo di acidi organici e diminuzione del pH (fino a valori ività

fino a 5,2 in prodotti con aggiunta di starter e glucosio). Si realizzano anche dell'acq
ua e
l’estrazione salina delle proteine miofibrillari, reazione del nitrito e
quello
stabilizzazione del colore.
che è il
Fermentazione: perché si attivi il metabolismo e si favorisca la crescita dei calo del
batteri lattici è importante controllare parametri quali temperatura, umidità e peso
velocità dell’aria. Il prodotto deve asciugarsi progressivamente, senza che la dei
superficie si rinsecchisca o si formi condensa. Nel passaggio dalla fase di salami.
asciugatura a quella di fermentazione l’umidità relativa ambientale è aumentata Ovviam
ed il flusso dell’aria tenuto a circa 0,8 m/s. L’U.R. ambientale è continuamente ente
aggiustata in modo che si mantenga una differenza di circa 5% con l’Aw (x 100) non si
del prodotto (se l’Aw è 0,95, l’U.R. è mantenuta al 90%). può
fare
Temperatura di fermentazione:
un’unica
• Valori più alti accelerano l’attività batterica:
formula
• Più veloce caduta del pH a causa dell’aumentata produzione di acido lattico
perché
• Più rapido sviluppo del colore salmistrato
ci sono
• Più rapida comparsa della rancidità
prodott
i
differenti, che si asciugano in maniera diversa. Un'altra fase di controllo quindi è
rappresentata dal pesare i salami. Con l'asciugatura, l'umidità continua a scendere.

La fase seguente è la stagionatura. Anche i salami, come altri prodotti, invecchiando


diventano più buoni. Ci sono tutte quelle sostanza aromatiche (aldeidi, chetoni e vari
composti), che danno l'aroma. Inoltre, per avere questa attività, servono gli enzimi che in
parte sono rilasciati dal muscolo stesso, ma che per la maggior parte sono propri dei batteri.
Infatti, certi batteri vengono selezionati perché conferiranno poi l'aroma tipico del prodotto.
Alcuni produttori di insaccati utilizzano una tecnica che consiste nel prendere una parte di
insaccato già pronto e utilizzarlo come base per creare il resto del prodotto. La fase di
stagionatura è dovuta all’azione dell’acido lattico che, formato per fermentazione dei
carboidrati sulle proteine solubilizzate dal sale, dà luogo a denaturazione e formazione di un
pseudogel che ingloba i frammenti di carne e grasso conferendo al prodotto asciugato
consistenza, coesione ed affettabilità.

Il prodotto non si deve asciugare troppo perché se questo succede, cala troppo l'attività
dell'acqua e anche gli stessi batteri lattici diventano incapaci di funzionare e di moltiplicare.
Se venisse asciugato il salame con aria totalmente asciutta, si formerebbe una crosta e
l'umidità all’interno rimarrebbe bloccata. Questo potrebbe causare una putrefazione del
salame, che quando si taglia si presenterà grigio. Inoltre, se ci fosse un problema di questo
tipo, il prodotto sarebbe poco sicuro, perché fuori sarebbe asciuttissimo, mentre dentro
avrebbe umidità ristagnante, in cui si potrebbero sviluppare eventuali patogeni.

Capita a volte che nelle fasi di autocontrollo, in campioni di salame si trovano salmonelle, ma
dopo 2 settimane di stagionatura e dopo che viene raggiunto il valore di 0,95, se si va a fare
un controllo non si trovano più. Infatti, è da ricordare che la salmonella è presente nella carne
di maiale e, finché il pH non arriva al valore di 4,5, continua a moltiplicare. Quello che si
blocca più tardivamente è lo stafilococco aureo: prima di raggiungere valori di 4,5 di pH e
0,86 di attività dell'acqua, questo continua a moltiplicare e produce tossina fino a 0,90 Aw. Ci
sono stati casi di intossicazione da stafilococco, in cui, dopo aver mangiato il salame, si inizia a
vomitare. Quindi: lo stafilococco aureo è uno dei problemi principali che non si riesce ancora
bene a controllare.

In questa figura (pagina seguente), c’è un calo dell'attività dell'acqua e si vede il limite dei
batteri patogeni. Quando il valore dell'attività dell'acqua arriva a 0,95, tutti i batteri gram
negativi, compresa la salmonella, non riescono a moltiplicare. Quindi, a questo livello, i batteri
non moltiplicano più.
Inoltre sono
da citare anche
le muffe,
queste
vengono
utilizzate
spesso nella
produzione,
in quanto sono
utili perché
conferiscono
aroma, in
altri prodotti
fanno parte
dell'aspetto

caratteristico, ma alcune possono essere anche tossiche (alcuni generi di muffe producono
tossine cancerogene). Alcune aziende utilizzano spore di muffe selezionate non tossiche che
si posizionano in superficie. Inoltre, le muffe proteggono dalla luce e dall’aria, preservando il
colore e rallentando lo sviluppo della rancidità. Il loro sviluppo è favorito da temperatura
calda, U.R. > 75% e aria stagnante. I prodotti con muffe non sono affumicati, poiché
composti del fumo, quali cresoli e fenoli, limitano lo sviluppo delle muffe e conferiscono al
contempo un gusto particolare e i salami affumicati sono messi a circa 48 ore in camere di
affumicatura a 25°C. Le muffe gradite sono di color biancastro. Possono sviluppare miceli
giallognoli, verdognoli o bluastri e le muffe possono essere rimosse con lavaggio con soluzione
acidulata con aceto o soffiatura/spazzolatura.

Nelle immagini seguenti, grafici di asciugatura ed evoluzione del pH in prodotti con


fermentazione lenta, media e rapida. Il pH scende dai 5,8 iniziali fino ad arrivare a livelli
sotto i 5 nei prodotti con aggiunta di zuccheri, mentre rimane allo stesso livello (5,8) e poi
risale in altri prodotti a fine stagionatura.
Esempio di un piano di lavoro HACCP molto semplificato.
Abbiamo fase del processo: fermentazione, pericolo (dato dai patogeni), misure di controllo
(tempo di fermentazione, temperatura, riduzione del pH entro il tempo dato, ecc.. ad esempio
si deve raggiungere livello inferiore a 5,3 entro 72 ore). Il monitoraggio in questa fase viene
fatto verificando la temperatura della cella di fermentazione ogni tot di prodotto, perché
questo permette di stabilire il calo adeguato del pH. Periodicamente si fa attività di verifica,
poiché anche se viene stabilito che con quel programma di temperatura viene ottenuto quello
specifico pH, bisogna verificare se è vero. Nella fase di asciugatura conta il calo del peso, il
tempo e la temperatura.
Nella scorsa lezione:
Abbiamo cominciato a capire come si attua il controllo di alcuni patogeni e tossine in un
processo produttivo, e si è trattato per questo del salame. Adesso parleremo di un'altra
tecnologia vicina al mondo veterinario, la produzione del latte.
Lezione 8/05

PRODUZIONE E RACCOLTA DEL LATTE


(Aspetti microbiologici correlati alla mungitura, allo stoccaggio in stalla e requisiti
sanitari)

I veterinari non sono continuamente presenti nelle stalle, ma in esse svolgono un’attività di
vigilanza periodica, più stretta nelle stalle che producono latte crudo, meno astringente in
quelle che producono latte pastorizzato. Una gran parte del controllo di questi prodotti viene
fatto nelle cosiddette centrali del latte o anche nei caseifici (aspetti che tratteremo nelle
prossime lezioni). In questa lezione, trattiamo di quelle che sono le attrezzature che ormai la
legge prevede come obbligatorie, dei prerequisiti igienico-sanitari per avere una raccolta di
latte idonea a tempo attuale per poter fare prodotti sicuri, e cercheremo di spiegare in che
maniera la cattiva gestione dell’igiene della stalla può influenzare la qualità anche di prodotti
sottoposti a trattamenti di pastorizzazione, di sterilizzazione o alla produzione di formaggi.

[VIDEO] – In questo video, viene mostrata una modello standard di stalla, con il locale in cui
sta il mungitore che fa la raccolta del latte, che deve essere fatta due volte al giorno, e gli
attrezzi presenti servono per l’aspirazione del latte, che funziona come un aspirazione del
vuoto e che simula un movimento peristaltico per facilitare la simulazione, ovvero questa
macchina prende il capezzolo e simula il vitello che prende il latte, questo agevola la
stimolazione. Infatti, la fuoriuscita del latte non è un processo puramente meccanico, ma vi è
una stimolazione ormonale: la vacca è stimolata dall’attività di mungitura per cui si rilascia
ossitocina → l’ossitocina ha la funzione di spremere la spugna che è la mammella con i vari
dotti galattofori, e quindi tutto il latte si sposta verso la cisterna del capezzolo → poi
l’effetto peristaltico e l’effetto di aspirazione determinano la fuoriuscita del latte. Questo
vuol dire che tutto il sistema deve essere fatto in maniera tale da non stressare l’animale,
altrimenti lo stress negativo potrebbe indurlo a fornire meno latte, inoltre se tutta la
quantità di latte prodotta nella mammella non viene raccolta tutti i giorni, l’animale pian piano
va in asciutta, tendendo a ridurre la produzione di latte. In una stalla tipo, vi dev’essere poi
l’ambiente in cui il latte viene stoccato, con serbatoi che funzionano come depositi frigoriferi.

DISINFEZIONE DEI CAPEZZOLI: si può fare la disinfezione dei capezzoli, nella stalla del
video hanno dei sistemi con cui immergono i capezzoli in una soluzione a base di iodio, un
disinfettante molto efficace contro batteri, virus e funghi. Questa pratica viene chiamata
anche pre-dipping, cioè immersione del capezzolo prima della mungitura, poi asciuga. La
disinfezione e quindi l’igiene del capezzolo è una cosa positiva, anche perché gli animali stanno
nelle cuccette e la mammella sta vicino l’inguine: se la cuccetta non è fatta particolarmente
bene, se gli animali non hanno paglia o se la paglia non è mantenuta pulita, gli animali si possono
imbrattare di materiale fecale, e questi microrganismi presenti sul capezzolo sono pericolosi
sia per l’igiene del latte che viene raccolto, sia perché possono poi, una volta che il capezzolo
si dilata (perché questa è un’attività che dilata il capezzolo), determinare l’ingresso di batteri
che risalgono il dotto galattoforo e portare a mastiti (infezioni/infiammazioni della
mammella). La pratica del pre-dipping in America è utilizzata, da noi è concessa solo su
autorizzazione specifica del veterinario, il quale lo può autorizzare quando, per esempio, ci
sono ulcere che rendono il latte non idoneo al consumo, ragadi o altre cose che potrebbero in
qualche maniera far soffrire l’animale meccanicamente stimolato. [Lo stesso problema c’è
anche per le donne che allattano: queste molte volte si tirano il latte col tiralatte perché il
bambino dà dolore.] Il motivo per cui in Italia non è sempre concesso, come in America, è
perché c’è il rischio che residui di iodio vadano a finire nel latte, chiaramente del latte
contaminato non è accettabile. In realtà, questo non è un problema perché stiamo bevendo una
soluzione disinfettata, ma è comunque importante poiché provoca un’adulterazione del
prodotto.

Normalmente, gli operatori raccolgono i primi getti del latte della vacca per fare quello che si
chiama “california mastitis test”: un test molto rapido (quattro poppette) per valutare se
qualcuno di questi quarti è mastitico, cioè se c’è un’infiammazione. Il latte viene dosato,
infatti non serve tutto quello raccolto, viene spruzzato il reattivo, che ha una colorazione
viola, e se si formano dei coaguli è per la presenza di materiale proteico, in particolare di
cellule somatiche. Questi grumi fungono da indicatori rapidi del fatto che l’animale è
mastitico. Se un animale è mastitico non va munto insieme agli altri, ma separatamente, ed il
suo latte non è destinato all’uso umano, poiché frutto di un processo patologico: in alcuni casi
nel latte ci potrebbero essere tracce di sangue, del pus o anche dei corpi estranei. Alla fine
della bottitura il gruppo per ogni capezzolo si stacca e una catenella lo tiene sospeso (sarebbe
pericoloso se cadesse per terra); anche dopo la bottitura si fa il post-dipping, molto
consigliato anche in Italia: cioè la stessa soluzione disinfettante si utilizza dopo la mungitura.
Siccome il capezzolo rimane aperto è molto pericoloso perché i batteri potrebbero entrarvi
dentro e contaminare, quindi questa è una buona norma igienica, utile anche nelle donne per
mantenere il seno pulito e evitare infezioni.

L’impianto viene svuotato del latte e poi lavato con acqua e disinfettato, in modo che non
rimangano batteri, che proliferando andrebbero a contaminare quindi ad inoculare il latte che
è raccolto nel turno successivo. Vi deve essere un deposito frigorifero, in cui il latte viene
mantenuto in agitazione perché c’è una serpentina. Poi al massimo ogni due giorni al massimo, il
latte deve essere ritirato e trasportato verso i laboratori dove viene lavorato, quindi o alla
centrale del latte o al caseificio. Nella zona romagna, dove viene fatto il parmigiano reggiano,
molte volte il latte viene consegnato a dei caseifici, molto vicini alle stalle di produzione. In
questo caso particolare, il latte per esempio non viene refrigerato perché il latte raffreddato
cambia le sue caratteristiche di flora microbica, nonché la tipologia e la varietà delle proteine
→ viene quindi annotato quale sia, per poi venire ripesato quando arriva dall’altra parte.

Il latte poi viene trasportato; se non è ben freddo, questi mezzi non hanno la capacità di
raffreddarlo, sono coibentati, quindi hanno una doppia camicia che serve a mantenere il latte
in freddo ed è tutto in funzione della distanza che devono fare: latte provenienti dalla
Germania per produrre latte UHT o il latte utilizzato per certi formaggi non è italiano, ma
viene importato. In questo caso, gli automezzi sono un po’ diversi e vi sono gruppi refrigeranti
più efficaci in grado di mantenere la temperatura bassa. La legge prescrive che il latte debba
rimanere ad una T sotto i 6°C perché altrimenti potrebbe diventare pericoloso. Nel latte ci
sono dei batteri, come gli stafilococchi, comunissimi sulla mammella dell’animale che
potrebbero indurre produzione dell’enterotossina stafilococcica, che scatena il vomito nei
consumatori.

Alla centrale del latte cominciano a fare dei test rapidi, prima di accettare il latte o
comunque prima di mettere il latte e stoccarlo nel serbatoio, vengono fatti seri controlli:
temperatura del latte in ricevimento, la carica microbica totale (parametro qualitativo
prescritto per legge, che serve a determinare l’alta qualità), le cellule somatiche presenti, il
punto crioscopico del latte (cioè a che temperatura si congela, che esclude il pieno di latte
annacquato: una volta c’era questa frode: un fattore disonesto cerca di vendere il peso
dell’acqua al prezzo del latte e questo si può scoprire verificando il punto crioscopico del latte
in considerazione).

[SLIDE] → Quali sono gli aspetti microbiologici legati alla mungitura, allo stoccaggio in stalla e
i requisiti sanitari?

Il punto di partenza, soprattutto per il veterinario pubblico, che lavora sulla base delle norme,
è per l’appunto conoscere le norme; i veterinari lavorano soprattutto su questo ambito.
Queste norme sono state scritte nel 1929 e poi poco modificate. Sono state quindi stabilite
all’inizio del ‘900, poco dopo Pasteur (che inventò la pastorizzazione del latte), un periodo in
cui c’era la tubercolosi e questo diveniva un modo per controllare la malattia trasmessa anche
con il latte, che nei paesi del terzo mondo ancora oggi è così trasmessa.

Con il Prof. Gentile in africa stanno inducendo a fare produzione locale di latte perché i
bambini hanno bisogno di questo prodotto, che è un nutrimento molto importante per
l’infanzia; solo che in alcune parti magari non c’è corrente, non conoscono il pastorizzatore, e
via di seguito, anche se qualcuno sicuramente avrà capito che il latte va fatto bollire se è
crudo, un po’ per una questione di cultura, un po’ per una questione di igiene. In queste
condizioni, i bambini prendono ancora la tubercolosi, che si manifesta con iperplasia nei
linfonodi meseraici, nell’intestino e nel fegato, prima della parte respiratoria. A prendere la
tubercolosi in forma respiratoria magari è il fattore che vive insieme alla vacca, che, avendo la
tubercolosi, tossisce, contaminando le polveri che poi possono essere veicolo di trasmissione.
In Italia, oggi non siamo a rischio di tubercolosi perché tutte le stalle hanno l’obbligo di
essere controllate e tutti gli animali in mungitura devono essere dichiarati ufficialmente
indenni da tubercolosi, da brucellosi, e da leposi, un’altra malattia che però non è trasmissibile
all’uomo, che causa la leucemia bovina (la leucemia umana è un virus molto smile a quello della
leucemia bovina, per cui non si vuole incoraggiare il passaggio di specie di questi virus ancora
specie-specifici).

In questa norma del ’29, sapevano che bisogna essere sicuri che i capezzoli della vacca che si
vuole indurre in mungitura, così come la mammella e le parti adiacenti all’inguine, devono
essere puliti, il che è un concetto chiaro, ma non ben definito (Quanto pulito? Che tipo di
sporco e quanto sporco ci può essere? Come bisogna lavare?). Quello che si può fare è evitare
che si sporchino troppo ed, in particolare, evitare che le cuccette siano fatte male: è chiaro
che, se gli animali sono troppo lunghi rispetto alle dimensioni della cuccetta, si troveranno con
le mammelle dove c’è il raschiatoio, che porta via le deiezioni, e quindi vi sarà molto
probabilmente contatto con le feci - questo è inaccettabile, non ci deve mai essere latte
contaminato da materiale fecale, poiché non è una cosa igienica. Utilizzo della paglia: la paglia
ormai viene usata pochissimo, quasi esclusivamente per gli animali che stanno per partorire.
Molte volte le stalle hanno proprietari che là ci vogliono stare il meno possibile e pagano anche
in nero mungitori che si accontentano di una paga bassa. Questo lavoro dovrebbe essere
regolare, il veterinario si trova spesso a contrastare anche questa situazione perché, se ci si
trova di fronte a una persona che non ha un libretto sanitario, può essere portatore lui stesso
di tubercolosi (dal suo paese di provenienza), quindi si è fatto tanto per avere stalle indenni
da tubercolosi e ci troviamo un mungitore con tubercolosi? Queste cose vanno dette perché
sono successe, bisogna vedere dove ci sono delle aeree in cui la legalità è meno controllata: in
Piemonte, ci sono stati periodi in cui non sugli animali da latte, ma in quelli da carne c’era
tubercolosi, per cui i veterinari dovevano intervenire, ma sono stati minacciati fisicamente
dagli allevatori, finché non si è ricorso alle forze pubbliche di sicurezza.

Pulizia della mammella: si può fare con fazzoletti a perdere, non con un panno per animali
diversi (si rischia contaminazione), conciando la mammella con dell’acqua tiepida (non acqua
fredda o calda perché l’animale si stressa); non può essere pulita con l’idropulitrice, poiché
così la vacca non produce più il latte che avrebbe prodotto prima (sotto stress l’ossitocina non
viene più rilasciata e l’animale produce meno latte). Prima veniva utilizzata anche una campana
di vetro in cui passava il latte prima di essere trasportato nel frigorifero, questa serviva per
vedere se vi erano coaguli, materiale catarrale, sangue o sporco. Comunque dopo aver pulito la
mammella con acqua tiepida, bisogna asciugare altrimenti tutta l’acqua utilizzata per la pulizia
va a finire nelle parti basse, anche proprio nel capezzolo, che viene quindi disinfettato e
asciugato proprio per migliorare l’igiene di questa parte.
Prima di mungere la vacca, il mungitore deve controllare l’aspetto del primo getto di latte;
qualora si veda qualsiasi anomalia fisica, il latte della vacca in causa deve essere escluso dalla
consegna. Quindi quella vacca va tolta e munta a parte con mungitrice individuale o alla fine di
tutte le altre e poi provvedere a disinfettarne le attrezzature. Questo latte va stoccato
separatamente ed eventualmente (se idoneo) usato per l’alimentazione dei vitelli oppure
buttato via.

Il trattamento per immersione o vaporizzazione, quindi con lo spruzzino dei capezzoli del
bovino in fase di lattazione, deve essere effettuato soltanto immediatamente dopo la
mungitura salvo diversa autorizzazione del servizio veterinario; i prodotti chimici usati in
questa operazione devono essere approvati dal ministero della sanità: non può essere
utilizzata qualsiasi cosa, ma solamente prodotti che non risultino tossici, che non lascino
residui o di cui comunque i residui siano facilmente controllabili (ci deve essere un metodo
analitico che permetta di determinarli). Se il prodotto disinfettante, per esempio, è il
benzalconio cloruro, che è un tensioattivo, cioè come la shampoo, la schiuma prodotta dal latte
potrebbe essere simile a quella prodotta da un bagnoschiuma e non quella normale dovuta alle
proteine presenti. Questo agente può derivare molte volte anche dagli impianti di mungitura,
che possono trattenere queste sostanze usate per lavare, oppure la sua presenza può essere
dovuta ad operazioni, non dichiarate e non fatte bene, di disinfezione delle mammelle.

Quindi, Norme di igiene relative alla mungitura:

✓ Durante e immediatamente prima della mungitura non deve essere consentito alcun lavoro
che influisca sfavorevolmente sul latte.
✓ Prima di sottoporre una vacca alla mungitura si deve curare che i capezzoli, la mammella ed
eventualmente le parti adiacenti dell’inguine, della coscia e dell’addome siano puliti.
✓ Prima di mungere una vacca, il mungitore deve controllare l’aspetto dei primi getti del
latte. Qualora si rilevi una qualsiasi anomali fisica, il latte della vacca in causa deve essere
escluso dalla consegna.
✓ Il trattamento per immersione o per vaporizzazione dei capezzoli delle bovine in fase di
lattazione deve essere soltanto immediatamente dopo la mungitura, salvo diversa
autorizzazione dal servizio veterinario. I prodotti chimici utilizzati per tali operazioni
devono essere approvati dal Ministero della Sanità.
✓ Le vacche che presentano malattie cliniche alla mammella (mastiti) devono essere munte
per ultime, o con una macchina separata, oppure a mano ed il loro latte deve essere escluso
dalla consegna.

Buttare via il latte in stalla è un grosso problema, poiché non può essere rovesciato per terra,
né nel water, non si tratta infatti di un singolo litro di latte. Bisogna consegnarlo ad aziende
che lo ritirano, trattano e processano fino a renderlo non pericoloso (usato per latte in
polvere, per esempio) e questo può diventare un fattore di costo. Quindi è bene organizzare il
lavoro in modo da evitare di avere costi imprevisti: quando, per esempio, ci sono animali
trattati con antibiotici, il loro latte non può essere consegnato per nessun uso alimentare,
quindi a quel punto dovrà essere per forza scartato come fosse un avanzo e dato ad aziende in
grado di trattare materiali che contengano farmaci, antibiotici, ecc ed il costo può essere
alto. Quindi, aldilà dell’aspetto chimico, ci sono tante cose che devono essere presi in
considerazione: non si possono fare trattamenti senza pensare a quello che poi tali
trattamenti comporteranno.

Stoccaggio in stalla del latte – Immediatamente dopo la mungitura, va posto in un luogo


pulito e attrezzato in modo da evitare alterazioni delle sue caratteristiche. Qualora la
raccolta non viene fatta entro due ore dalla mungitura, cioè il latte non viene portato via,
questo deve essere raffreddato ad una T di 8°C in caso di raccolta giornaliera, 6°C se la
raccolta non viene fatta giornalmente. Il latte non va mai congelato: la T deve essere
superiore a -0.5°C (mezzo grado sotto lo zero), che è il punto di congelamento del latte (-
0,544°), se questo non contiene acqua.

Trasporto del latte - Durante il trasporto, il latte non deve superare i 10°C, salvo il caso in
cui sia stato raccolto nelle due ore successive alla mungitura; quindi esiste questa
prescrizione anche sul trasporto, ecco perché la T del latte viene controllata all’arrivo. È
chiaro che, se il latte si è riscaldato nel frattempo, la T del latte non è idonea e bisogna
sollevare sanzioni e prescrizioni, dopodiché si tratta di fare una carica batterica per vedere
se essa è cresciuta, in questi casi potrebbe dover essere distrutto, facendo gravare i costi su
chi lo ha mandato in condizioni non idonee.

Per la fabbricazione di prodotti a base di latte, il servizio veterinario può concedere deroghe
relative alle temperature, purché il prodotti finale sia conforme alle norme: è chiaro che se
bisogna fare il parmigiano reggiano, con queste deroghe esso viene intaccato perché, se
raffreddato il latte, si seleziona una flora microbica che preferisce le basse temperature e
due giorni sono un tempo sufficiente per cambiare la composizione della flora microbica. Per
fare il parmigiano reggiano, c’è bisogno di lattobacillus helveticus, streptoccocus, ecc.. tutti
batteri che preferiscono T un po’ più alte. Inoltre, i batteri che crescono a T fredde
(pseudomonas, alcuni poliformi psicrotrofi, cioè che crescono a basse T) fanno un’altra cosa
negativa anche per i prodotti posti a trattamenti termici, ovvero producono lipasi, facendo
irrancidire il latte (le lipasi, una volta prodotte, anche se viene utilizzata la sterilizzazione,
rimangono attive), proteasi, quindi il latte può andare incontro a flottazione, a coagularsi
(coagulazione dolce del latte, per effetto di proteasi batteriche da pseudomonas). Se il latte
non viene raffreddato e ci sono degli stafilococchi in partenza, succede che questi crescono a
T fino ai 6°C, e fino a 10° producono enterotossina stafilococcica, che si accumula nel latte,
che potrà essere pastorizzato e sterilizzato, senza che il pericolo venga eliminato (queste
tossine sono alcune cause di malattie alimentari riconosciute).

Come già detto, alcuni parametri vengono controllati: carica microbica, osservando il numero di
batteri a 30°C e specificando a quale T contiamo i batteri nella coltura su agar ( deve essere
inferiore a 100.000 su 1 ml). Nel caso del latte crudo destinato a vendita diretta al
consumatore, alcune regioni hanno posto un limite di 50000, la metà. È un valore possibile, ma
che non tutti riescono ad ottenere. Cause di aumento della carica microbica sono scarsa
igiene, anche e soprattutto cattiva pulizia degli impianti di mungitura e contaminazione
durante la mungitura. Altro parametro che per legge deve essere controllato sono le cellule
somatiche. Queste sono neutrofili di sfaldamento, che derivano dalla mammella infiammata e
che si muovono passando negli interstizi e andando a finire nel latte; oppure sono cellule del
tessuto mammario infiammato (c’è un turn-over maggiore, quindi le cellule si staccano
dall’epitelio della mammella e vanno a finire nel latte). Il tenore in cellule somatiche per ml
deve essere inferiore a 400.000. Questi parametri sono stati definiti sulla base di una
valutazione fatta sulla media delle stalle che vendono latte; per altre specie animali, pecore,
capre, bufala, ecc.. questi parametri potrebbero non andar bene. Le pecore hanno una
situazione diversa, sono abituate a stare al pascolo e vivendo la pascolo hanno un meccanismo
diverso di difese; lo stato di giacenza di neutrofili nella mammella è il loro meccanismo di
difesa, per cui alti valori di cellule somatiche sono considerati normali.

Il latte non deve essere messo in commercio se contiene residui di antibiotici, questo vuol dire
che se alcuni degli animali avevano mastiti e sono stati sottoposti a trattamenti, finché non
viene superato il cosiddetto tempo di sospensione, indicato nell’etichetta, il loro latte non può
essere utilizzato a fini di consumo alimentare: se viene fatto un trattamento, c’è sempre
scritto il tempo di sospensione, che può essere di 2/3 giorni, difficilmente di più, perché negli
animali in lattazione, se il tempo di decremento è troppo lungo, tutto questo latte va buttato
ed è un costo aggiuntivo - in genere quindi vengono somministrati farmaci a breve tempo di
sospensione. Diverso è il discorso per gli animali in asciutta, da cui non si raccoglie il latte; per
cui, alla fine della produzione del latte, gli animali vengono trattati volutamente con antibiotici
in sospensioni cerose, quindi materiali che aumentano la persistenza del farmaco e che
servono a evitare e prevenire la comparsa di mastiti. ATTENZIONE: anche questo
trattamento oggi viene criticato perché, continuando a fare in tutti gli animali trattamenti
con antibiotici, si può indurre la comparsa di resistenza di questi batteri verso gli antibiotici
(antibiotico-resistenza), fenomeno non molto positivo, che determina l’inefficacia del farmaco,
oltre che problemi per l’uomo che ha maggiore probabilità di venire a contatto con batteri con
maggiore resistenza.

Ricapitolando, Criteri per il latte crudo:

Latte crudo di vacca


o Tenore in germi a 30°C (per ml):  100.000
o Tenore in cellule somatiche (per ml):  400.000
Per il latte crudo proveniente da altre specie:
o Tenore in germi a 30°C (per ml):  1.500.000
o Tuttavia, se il latte crudo proveniente da specie diverse dalle vacche è destinato
alla fabbricazione di prodotti fatti con latte crudo mediante un processo che non
comporta alcun trattamento termico, il latte crudo utilizzato deve soddisfare i
seguenti criteri: Tenore in germi a 30°C (per ml):  500.000
Il latte crudo non deve essere immesso sul mercato se contiene residui di antibiotici.

COME VALUTARE QUESTI PARAMETRI: non vengono valutati sulla singola mungitura, quello
che si va a valutare è la qualità dell’igiene nella stalla, quindi la valutazione non è fatta sul
singolo dato raccolto ma sulla media mobile, considerando tutti i valori raccolti, con almeno
due prelievi al mese e con la raccolta fatta per due mesi. Quindi viene valutata quella che è la
media di latte raccolto in un mese (media mobile), con un prelievo ogni 15 giorni (Circolare del
Ministero della Sanità del 31 Luglio 2000); questo significa che il ragazzo che va a ritirare il
latte, oltre a ritirare tutto il latte, prenderà campioni da parte e li porterà al laboratorio e a
macchine che lo fanno automaticamente (contano le cellule con un laser in grado di colorare le
cellule somatiche, questi conteggi si fanno molto rapidamente). In caso di superamento di
carica batterica e/o di cellule somatiche, la vendita in qualsiasi modalità deve cessare fino alla
rimozione della non conformità; quindi la stalla è minacciata e sa benissimo che, se questa
media mobile supera i parametri standard, il caseificio o la centrale del latte non ritireranno il
prodotto che quindi dovrà essere smaltito con mezzi diversi (costi aggiuntivi). Vengono poi
fatti rapidamente dei test per verificare se, con le misure di igiene consigliati dai veterinari,
tali stalle sono riusciti a rientrare nei parametri e solo a questo punto potranno tornare a
vendere il loro prodotto. Quindi esiste questo meccanismo di premio di lealtà o di
penalizzazione: il latte che supera determinati valori viene anche pagato meno, per cui questo
è un sistema estremamente funzionale.

Quindi viene fatto un monitoraggio del tenore di germi ed del titolo di cellule somatiche e
qualora entro tre mesi dalla notifica dei risultati il latte proveniente dall’azienda in questione
non soddisfi le suddette norme, l’azienda non è più autorizzata a fornire latte crudo finché
questo non sia conforme. Non può essere destinato al consumo umano il latte il cui tenore in
residui di sostanze farmacologiche attive superi i livelli autorizzati per ciascuna delle
sostanze previste negli allegati I e III del regolamento (CEE) n.2377/90.

Requisiti sanitari per la produzione di latte crudo – REGOLAMENTO (CE) N. 853/2004

Il latte crudo deve provenire da animali:


a) che non presentano sintomi di malattie infettive trasmissibili all’uomo attraverso il
latte
b) che denotano uno stato sanitario generale buono e non evidenziano sintomi di malattie
che possano comportare una contaminazione del latte
c) che non sono affetti da ulcerazioni della mammella tali da poter alterare il latte.

L’animale non deve avere zoonosi, quali tubercolosi, brucellosi, salmonella, campilobacter,
yersinia, listeria (le vacche possono avere mastiti da listeria, non evidenti perché non danno
dolore, né un senso di infiammazione, calore o febbre, per cui molto subdole). Anche gli
escretori di escherichia coli sono stati un grosso problema, ci sono stati casi di malattie
alimentari gravi perché gli animali in quel momento eliminavano abbondanti E. coli con tossine,
che hanno provocato casi gravi nell’uomo. Quindi tutte queste cose vanno evitate. È vero che il
latte viene poi pastorizzato e sterilizzato, ma c’è anche la media del latte crudo e la porzione
di formaggi fatti con latte crudo, per cui in ogni caso non si può rischiare. Ci sono anche altre
malattie zoonotiche non menzionate (ne parlerete in malattie infettive), una di queste è la
febbre Q, di cui non si conosceva il batterio causa e che fu scoperta per la prima volta in
Italia. Successivamente è stato identificato l’agente patogeno, Coxiella burnetii, un batterio
intracellulare, che causa (come la brucellosi) a volte forme croniche subcliniche, per cui gli
animali non mostrano assolutamente niente, possono avere manifestazioni di aborto, ma non
altro. Ce si accorge della sua presenza solo quando l’uomo manifesta la malattia, che presenta
le stesse sintomatologie della brucellosi, ovvero febbre che sale e scende dalla mattina alla
sera. A questo punto, si fanno i controlli nelle stalle e, se le verifiche trovano animali positivi,
la malattia comporta una denuncia, per cui l’allevamento diventa zona infetta e gli animali
vengono sequestrati → la prevenzione diventa più importante della cura. Gli animali non devono
avere diarrea, né tutte quelle malattie che possono comportare adulterazioni del latte
(mastiti, ulcerazioni, ferite infette, tutto ciò che può comportare infezione). In particolare,
nel caso del latte crudo, questo deve provenire da animali appartenenti ad un allevamento che
è indenne o ufficialmente indenne da brucellosi ed ufficialmente indenne da tubercolosi.

Queste malattie, tuttavia, non sono il solo modo di contaminazione del prodotto, altri veicoli di
contaminazione/trasmissione possono essere mosche, topi, scarafaggi o polveri sollevate con il
carico unifeed – quindi la sala di mungitura e soprattutto il locale in cui c’è il latte sono vicini
alla stalle, ma devono essere locali possibilmente separati (non è un obbligo, infatti ci sono
stalle che hanno il lattodotto, ovvero un sistema di raccolta, dove stanno gli animali). Spesso le
stalle presentano delle apposite sale di mungitura, protette da porte chiuse, zanzariere sulle
finestre (per evitare che mosche e altri animali possano, dopo essersi poggiate sulle feci della
bovina, entrare nel latte ed essere quindi i cosiddetti vettori passivi di contaminazione).

Dati dalla Francia che riguardano l’incidenza delle malattie trasmesse con il consumo di latte e
di prodotti derivati da latte: la massima parte di focolai sono causati dalla salmonella (49%),
c’è un 26% di eziologia sconosciuta, un 10% da intossicazione da stafilococco, tossinfezione da
clostridium perfringens, fino a arrivare a 50% da salmonella e poi stafilococchi e infine cause
sconosciute. Il sistema di allerta è molto rapido ed è costituito dai controlli da parte dell’ente
di controllo di malattie infettive europeo, che tutti gli anni riporta il bollettino di quelli che
sono stati i casi di malattia anche nell’uomo. Siamo a conoscenza di quelle che sono le malattie
zoonotiche attraverso i dati, la vigilanza e il monitoraggio.

Il formaggio bon d’or è diventato famoso per focolai da listeria in Svizzera e Francia ed è
stato il più grosso focolaio osservato dovuto a questo patogeno. I prodotti contaminati da
listeria sono considerati a rischio non solo se fatti con latte crudo, ma anche con latte
pastorizzato, nonostante essa sia sensibile a pastorizzazione, perché con il latte che arriva
agli stabilimenti la listeria può essere veicolata da insetti animali e andarsi poi a localizzare
negli ambienti di maturazione dei formaggi (ci sono stati diversi casi anche di morte).

In Italia, ci sono stati diversi casi di malattia alimentare dovuti a consumo di latte crudo: il
ministero della salute ha obbligato a mettere un bel cartello a caratteri cubitali, che indica
che il latte crudo comprato non deve essere consumato, senza previa bollitura (se vuoi
comprarlo direttamente dal fattore). Questo non è esattamente la soluzione migliore, poiché
un conto sono i controlli fatti da chi produce, un altro è rimandare al consumatore finale con
cottura; invece, bisognerebbe che ci sia una formazione dei consumatori finali, ma non è così
facile.

FLORA MICROBICA PRESENTE NEL LATTE

Nei bastoncelli e gram-, vi sono batteri


alteranti del latte, come pseudomonas,
citobatteri. Di questi si hanno contaminazioni
basse.

Nei Gram+ vi sono invece: batteri sporigeni,


bacillus, clostridium (compreso il botulinum),
lattobacilli (batteri tecnologicamente utili
nella produzione di formaggi, che vorremmo
selezionare per produzione di acido Lattico),
micrococchi, streptococchi possono essere
presenti sulle mammelle. Questi batteri sono i
più importanti per le mastiti, quindi devono essere in numeri molti bassi.
Lezione 11/05

Riprendiamo il discorso sull’igiene della raccolta del latte.

CAUSE DELLA CONTAMINAZIONE DELLA MAMMELLA – La mammella può essere


contaminata dall’esterno, a causa di sporco, microrganismi che si trovano nell’inguine e sul
capezzolo e che vanno a finire nel latte, mani del mungitore, attrezzature per la mungitura
(causa più frequente, poiché i tubi che vanno inseriti nella mammella sono in gomma, materiale
soggetto ad usura, per cui all’interno si possono annidare batteri protetti da eventuali
trattamenti di lavaggio o di pulizia). Per questi motivi, tra le altre cose, è necessario avere un
buon sistema di manutenzione: le coppette devono essere cambiate almeno una volta alla
settimana e anche i lavaggi vengono fatti con sostanze particolari.

La presenza di animali, escretori di batteri agenti di zoonosi, come la Salmonella, il


Campylobacter, Listeria, Coli, sono un pericolo potenziale, per questo lo Stato ha predisposto
l’obbligo di sorveglianza stabile per tubercolosi e salmonellosi, ma non per altri possibili
patogeni. La sorveglianza sulla salmonellosi viene fatta su volatili, pollame, tacchini, polli e
suini ma non nei bovini. La sorveglianza è un costo e questi costi vengono sostenuti li dove si
vede un vantaggio: nell’allevamento dei bovini, le stesse cose si possono prevenire con una
buona igiene. La legge poi parla chiaro, per esempio, non si possono mungere animali che hanno
la diarrea.

Ci sono contaminazioni che derivano dall’ambiente: tutte le operazioni in cui si sollevano


polveri mentre il locale è attivo, la sala di mungitura (che poi non è separata, poiché non vi è la
possibilità di avere delle porte che si aprono e si chiudono quando passano gli animali, si
spaventerebbero troppo - quindi è vero che la sala di mungitura, rispetto alla mungitura fatta
in stalla, è più igienica ma è un locale attiguo). Ancora è un problema l’utilizzo dell’unifid (con il
quale si distribuisce il cibo nelle mangiatoie), poiché si sollevano polveri, che con le correnti
d’aria vanno a finire anche in sala mungitura. Questo ci fa capire che anche il modo in cui è
costruita la stalla è molto importante, fa parte delle norme di costruzione già viste per i
macelli, ma valide in generale in tutte le industrie alimentari e in cui anche solo la posizione
delle finestre (creano correnti d’aria) è una cosa che deve essere controllata. Poi c’è anche il
problema degli insetti, che corrono tranquillamente dalle feci degli animali, oppure dei
roditori, che cercano da mangiare e possono contaminare facilmente anche gli altri alimenti.
Per cui è necessario che il locale sia chiuso, questo con alcune eccezioni: la sala mungitura, per
ovvi motivi, è collegata con la stalla (ambiente aperto), mentre il locale in cui viene stoccato il
latte deve essere necessariamente chiuso. Per esempio, nella stalla di facoltà è stato
costruito un tubo per il latte che non va molto bene in quanto costringe a lasciare la porta
aperta e, solo una volta che è stato ritirato questo tubo, si può chiudere la porta. Il locale
deve essere chiuso. Anche il contenitore che contiene il latte deve essere chiuso, quindi se, ad
esempio, c’è una botola che viene lasciata aperta da sopra non va bene, le mosche possono
entrarvi dentro.
I diversi aspetti possiamo riassumerli in questo schema:
• È importante per prevenire la contaminazione del latte: l’ambiente della mungitura, le
condizioni della mammella e dei capezzoli, le attrezzature della mungitura, le mani del
mungitore e le salviette utilizzate per pulire le mammelle (devono essere fatte in tessuto
e non devono essere utilizzate le stesse salviette per pulire le carni al macello).
• Un aspetto importante è l’acqua per uso zootecnico. È chiaro che, quando si parla di pulizia,
ci si riferisce all’acqua dell’acquedotto, mentre l’acqua utilizzata per le stalle è differente
(non è un bene limitabile).

Riguardo l’acqua ad uso zootecnico, questa viene presa dai pozzi e controllata (controllo della
qualità batteriologica e chimica, che deve essere equivalente a quella dell’acqua potabile).
Molte volte per mantenere le riserve d’acqua, soprattutto quando la stagione è più secca (in
caso di siccità), come in estate quando non piove, vengono costituiti dei laghetti artificiali,
mettendo dei teloni di plastica per stoccare le acque piovane. Tuttavia, nel caso che, intorno al
laghetto artificiale, ci siano campi di fieno e foraggio, che vanno concimati con letame, c’è una
forte possibilità di incorrere nel rischio di contaminazione. Bisognerebbe far sì che il letame
sia maturato in maniera tale da essere sicuro, le aziende dovrebbero quindi avere un sistema
di autocontrollo, cosa che stanno imparando a fare, ma non sempre viene messa in atto (c’è
bisogno di consulenti). Infatti ci si accorge dell’importanza del sistema di autocontrollo solo
quando l’azienda interessata è coinvolta in un focolaio di tossinfezione alimentare (la legge non
ammette ignoranza). Quindi, se viene iniziata un’attività economica, che comporta dei rischi,
bisogna anche essere adeguatamente preparati. Molte volte si cerca di contenere i costi, di
cui deve sempre tener conto un’attività di impresa. Un imprenditore agricolo è ugualmente
responsabile di un imprenditore industriale e deve quindi saper valutare le conseguenze.

Tra i metodi rapidi per controllare la presenza di potenziali escherichia coli, c’è ad esempio la
ricerca dei virus colifagi, sistema estremamente rapido e poco costoso che permette di
controllare abbastanza bene. Nella stalla di facoltà, è successo che con tamponi di garza per
terra, utilizzati per il rivelamento della pollina per la lettiera dei polli, risultavano positivi per
i coli citotossici, così come tamponi passati nella tazzetta dell’acqua dove bevono gli animali.
Tuttavia, il problema di risolvere questi problemi non se lo pongono, perché il latte viene
venduto per essere pastorizzato e il controllo per tutti questi patogeni avviene durante la
pastorizzazione. In ogni caso, è necessario essere sicuri di vendere il latte nelle condizioni
giuste da rendere possibile il controllo a chi lo deve fare, mentre se si tratta di venderlo
come latte crudo oppure di venderlo a qualcuno che fa il formaggio con latte crudo, le cose
cambiano. Il caseificio che lavora il latte di fianco alla stalla di facoltà non utilizza il latte
della facoltà, ma quello che viene da altre bufale di un'altra stalla.
Condizioni che possono determinare una maggiore pericolosità

In alcune stalle per motivi economici non hanno ritenuto utile fare una sala mungitura
separata, soprattutto a causa del costa necessario. Non tutte le stalle sono uguali, ci si può
trovare davanti diverse tipologie di stalle: in alcune, per esempio, c’è il lattodotto, un tubo che
corre sopra agli animali e che serve per trasportare il latte ad un serbatoio, che per legge
deve essere in un locale separato. La legge non impone una sala mungitura, per questo le
vacche possono essere munte anche al pascolo. Ad esempio, in alta montagna, così come anche
in Sicilia e Sardegna, la mucca viene munta al pascolo, che è generalmente in zone non
coltivabili e scarse di acqua. In questi casi pulire non è necessariamente un problema: il miglior
disinfettante è l’acido lattico che deriva dalla fermentazione del formaggio, ovvero i pastori
fanno fermentare e producono il pecorino, tenendo da parte il siero e utilizzandolo per
disinfettare (i prodotti detergenti adesso sono tutti a base di acido lattico).

Per quanto riguarda le cuccette, molte spesso stalle nate per allevare una certa razza di vacca
sono poi state adattate ad allevarne altre differenti, con magari maggiori dimensioni, per cui
può succedere che, ad esempio, la coscia della vacca rimanga fuori dalla cuccetta e arrivi dove
sono raccolte le deiezioni. Queste situazioni predispongono ad avere la coscia e la mammella
sporca. Inoltre, non si può neanche pretendere di tenere gli animali tutto il giorno legati ad
una catena, devono potersi muovere, bisogna quindi fare delle stalle in modo tale da
permettere di legare l’animale mentre mangia, in modo da controllarli, e poi lasciarli liberi di
camminare, ad esempio nel fango. Infatti, gli spazi limitati dove girano molti animali alla fine si
riducono ad un terreno dove non cresce più l’erba, si riempie di acqua e quindi gli animali
camminano fino al livello delle zampe dentro al fango, in cui magari defecano (non
necessariamente defecano solo nella cuccetta quando mangiano), che quindi diventa un
ambiente contaminato. Questo è un altro esempio di problema.

Esempio di lattodotto: il gruppo di


mungitura è legato ad un tubo che corre
lungo tutta la stalla e porta al serbatoio del
latte. I gruppi di mungitura sono quindi
collegati di volta in volta ai singoli animali.

Se per errore l’animale calcia oppure si ha perdita di contatto tra la tettarella e il gruppo di
aspirazione si stacca il gruppo di mungitura. Inizialmente, questi erano fatti con delle pompe
che aspiravano di continuo, ma erano fonte di problemi perché si staccava il tubo e questo da
aspira latte diveniva un aspira fango e sporco. Per cui, se il gruppo mungitura si stacca, ci deve
necessariamente essere un sistema che chiuda con una valvola l’aspirazione. C’è, inoltre, una
catenella per evitare che se l’animale calcia o allontana il gruppo di mungitura in altro modo,
questo non cada per terra, ma, grazie ad una catenella collegata ad una molla, venga riportato
su.
Per intercettare lo sporco fisico (compreso lo sporco fecale) che entra nell’impianto, in
seguito a possibili incidenti, sono stati impiantati dei filtri di tessuto. Esaminando questi filtri,
cambiati ad ogni singola mungitura, riusciamo a valutare la possibilità di contaminazione.
L’esame è sia fisico che batteriologico ed è un ottimo campione per valutare cosa sta entrando
nel latte. Il latte raccolto va a finire, attraverso un sistema di pompe ed una forza motrice,
nel frigorifero. Lo stesso motore fa circolare il liquido detergente, infatti tutte queste
attrezzature non possono essere asportate, ma devono essere pulite sul posto (cleaning in
place). Quello che è importante è effettuare una pulizia efficace quanto potrebbe esserlo
strofinare con una spugnetta ed in cui l’aggressività del prodotto chimico compensa il lavoro
meccanico; vengono utilizzate sostanze estremamente irritanti, come Soda al 20% a 60 gradi.

Il latte deve essere raffreddato. La legge prevede che vi sia almeno un frigorifero per
raffreddare il latte ad una temperatura inferiore agli 8°C e, se non viene portato via giorno
per giorno, inferiore a 6°C. Il raffreddamento del latte serve ad ostacolare lo sviluppo di
batteri patogeni e alteranti. La temperatura di 8 gradi è stata individuata specificatamente
per patogeni come la salmonella, ma soprattutto come lo stafilococco aureo, molto comune
nelle stalle. Se infatti il latte viene mantenuto a temperature più alte, questi cominciano a
produrre una tossina termostabile, che quindi resiste anche alla pastorizzazione del latte.

Altro problema: se nella stalla è presente un solo frigorifero e la mungitura viene praticata
mattina e sera, quando viene messo il latte della seconda mungitura, questo riscalda
nuovamente il latte già presente. Per risolvere questo problema, alcune stalle hanno due
frigoriferi, ma non c’è alcuna legge che lo impone. Ancora si possono utilizzare dei gruppi di
frigoriferi che preraffreddano il latte prima di metterlo nel serbatoio di stoccaggio, questo
però prevede l’impiego di tecnologia costosa. Inoltre, in tutto questo, il latte non va scosso,
poiché si vanno ad alterare i globuli di grasso e ad esporre il grasso all’aria, facilitando
l’irrancidimento, con conseguente fenomeno dell’ossidazione lipidica (problema presente anche
durante il trasporto).

Sedimenti nel filtro del latte possono essere terra, polvere, peli, materiale fecale, quindi fini
frammenti di sporcizia capaci di sedimentare, ma che in parte passano nel latte (possono
essere associati a contaminazione batterica). La pulizia della mammella dipende dall’ambiente
di stabulazione ed in particolar modo dalla pulizia delle cuccette, dall’adeguatezza delle loro
dimensioni, dal materiale usato come lettiera. Le mammelle ed i capezzoli possono essere puliti
prima della mungitura in modo più o meno attento. Il distacco delle coppette che non comporti
arresto dell’aspirazione è pericoloso, specie se la mungitura è fatta in stalla (es. uso
lattodotto) o se la sala di mungitura viene imbrattata e non pulita immediatamente.

Il tubo del lattodotto viene mantenuto aperto grazie ad una molla, per evitare che collassi per
effetto dell’aspirazione, e serve ad intercettare tutte quelle che sono le impurità del latte. È
chiaro che quando la legge parla di latte pulito non specifica qual è il livello di pulizia, dovere
lasciato al veterinario:
- nessun residuo nel latte → latte pulitissimo
- lievi tracce di impurezza → latte pulito
- leggero ma evidente strato di impurezza → latte poco pulito
- discreto strato di impurità → latte sporco
- impurità abbondanti ed evidenti → latte molto sporco

Microbiologia - I batteri che ci sono nel latte sono quelli che normalmente sono presenti nella
mammella (definiti “commensali della mammella”) o che provengono dall’ambiente circostante,
soprattutto streptococchi e stafilococchi. In genere, sono batteri di forma coccoide Gram +,
il numero varia da meno di mille per millilitro ad un milione per millilitro. Questo è in funzione
dello stato di salute dell’animale (esempio: se l’animale ha una mastite, aumenta il numero di
batteri), delle condizioni di igiene dell’ambiente e della mungitura. Se viene trovata un alta
carica batterica nel latte, bisogna essere in grado di capire quale di questi problemi è stato.
Ad esempio, se viene trovata carica batterica alta e cellule somatiche, il problema potrebbe
essere il primo (stato di salute dell’animale); se invece le cellule somatiche sono in tenore
normale, allora potrebbe trattarsi di una delle altre due condizioni.

Un altro problema comune è l’acqua che dopo la pulizia ristagna nelle tubature dell’impianto.
Nell’acqua ci sono pochi batteri, ma nei tubi ci sono dei gomiti, delle zone morte in cui questi
possono svilupparsi. L’impianto, dopo essere stato pulito, va soffiato con dell’aria in modo da
svuotarlo, ma questo non è sempre facile. I batteri nell’acqua moltiplicano nell’ambiente, per
cui se rimangono in alcuni punti ecco che moltiplicano.

La legge ha disciplinato delle regole molto più stringenti per la vendita del latte crudo. Non ci
sono altre misure di controllo se non il controllo alla base della produzione, quindi ha imposto,
a tutti quelli che vogliono vendere direttamente al consumatore il latte crudo, di fare delle
analisi, che in un caseificio normale non vengono fatte, per la ricerca di: Listeria
monocytogenes, Staphylococcus aureus, Salmonella spp, escherichia coli, aflatossine (molto
diffuse nella pianura padana; vi possono essere residui di aflatossine come contaminanti dei
mangimi, che attraverso il fegato tossificano in parte, mentre un’altra parte viene allontanata
dall’organismo proprio con il latte → 1/10.. 1/20 di quello che c’è nel sangue va a finire nel
latte e per questo motivo è stato posto un limite: 50 parti per milione - limite che non deve
essere superato; se superato, in teoria, questo latte andrebbe sequestrato e non andrebbe
immesso in commercio, né utilizzato per diluire).

FILMATO: cosa succede subito dopo in una centrale del latte.

Scarico del latte - Il latte parte dalla stalla e arriva allo scarico, qua viene ripesato per
vedere che non ci siano differenze tra quello caricato e scaricato. Per esempio, potrebbe
esservi stata aggiunta acqua. Esistono dei metodi per controllare che non venga aggiunta
acqua, ma anche qui non esiste un metodo sicuro e per questo vi possono essere delle vere e
proprie frodi. Per esempio, un metodo può essere quello di valutare il punto crioscopico, se
però viene anche aggiunto del sale, il valore si abbassa ed Ecco che si avrà del latte salato al
giusto punto crioscopico (frode!!). A quel punto, bisognerebbe valutare la presenza di cloruro o
di sodio. L’operatore poi raccoglie il campione, anche questo è un problema, poiché l’operatore
preleva tramite delle tazzette un po’ di latte, ma questo non è un campione rappresentativo di
tutta la massa. Esistono, per esempio, dei dispositivi che dovrebbero permettere, mano a
mano che il latte viene scaricato, di fare un piccolo prelievo in modo tale che il campione
totale rappresenti veramente una media di tutti i latti (quello che sta in alto, al centro, in
basso sul fondo, ecc). Oltre ai controlli standard, come il punto crioscopico, il tenore di cellule
somatiche, ecc.. vengono fatti anche altri controlli, come la percentuale di grasso. Questo ha
valore, infatti un latte con una bassa concentrazione di grasso ha meno valore di uno con una
più alta concentrazione, stesso discorso vale anche per le proteine. Esempio: il latte di alta
qualità ha un valore più alto di proteine solubili in acqua. Per poterlo avere, bisognerebbe
avere degli animali che lo producono di già, come la jersey, le bovine dei canali inglesi, e così
via. In parte centra anche l’alimentazione, ma in generale è un problema genetico. Altri
controlli vengono poi fatti all’uscita dei serbatoi o del pastorizzatore prima di mandare il latte
al confezionamento. Se il trattamento termico è stato adeguato, si fa il test della fosfatasi
alcalina, un enzima presente nelle cellule della mammella (le cellule contengono ATPasi, la
fosfatasi è proprio quella). Le cellule di sfaldamento della mammella rilasciano enzimi nel
latte, che sono sensibili alla pastorizzazione, per cui si determina l’attività di questi enzimi
per valutare se la pastorizzazione è avvenuta o meno.

Sono stati quindi visti i diversi sistemi di raccolta del latte: per esempio l’uso del lattodotto,
come nelle stalle americane, il cui svantaggio è quello di dover staccare l’attrezzatura da un
animale all’altro; poi ci sono mungitrici manuali; bisogna controllare lo stato delle coppette:
sistema per sostituirle. Lo stesso sistema viene poi deviato quando si deve fare il lavaggio:
invece di prendere il latte e portarlo nel serbatoio, si stacca il serbatoio, si svuota dal latte, e
si fa passare dell’acqua. Se vengono lasciati dei residui proteici o di grasso, questi diventano
un punto per far annidare i batteri, che continueranno a crescere. Si ricorda che la
temperatura alla quale rimane il serbatoio è sempre favorevole per la crescita di batteri.
(SCHEMATIZZAZIONE DEL SISTEMA)
Lezione 13/05

Nella scorsa lezione, abbiamo visto come il latte possa essere contaminato e quali
contaminanti possiamo aspettarci di trovare in esso.

Attualmente il latte crudo viene utilizzato solamente per la produzione di alcuni formaggi di
nicchia. La maggior parte del latte viene invece trattata termicamente.

TRATTAMENTI DI STERILIZZAZIONE DEL LATTE

[In questa lezione, il professore fa vedere un filmato relativo all’impianto di trattamento del
latte pastorizzato]

Controllo del latte in arrivo - I controlli devono essere fatti velocemente perché la vita
commerciale del latte fresco è di soli 6 giorni (precedentemente erano solo 4 giorni) dalla
data del trattamento. È inoltre stato stabilito da quando decorrono i 6 giorni, poiché non è
che possa essere tenuto il latte crudo un paio di giorni, poi pastorizzato e magari dopo altri 6
giorni pastorizzato un’altra volta. Per esempio, c’era il problema del latte prodotto in
Germania e importato in Italia: se lo vendevano crudo, avrebbe avuto una vita breve, perciò
veniva pastorizzato in Germania e poi pastorizzato una seconda volta in Italia e venduto come
latte fresco. Questo non è più legalmente possibile.

Pastorizzatore – Quello visto nel video è un esempio del pastorizzatore moderno, sembra un
radiatore ed è composto da due parti, il blu sta a indicare la corrente di un liquido freddo, il
rosso la corrente di un liquido caldo. Il liquido caldo è il latte pastorizzato che circola contro
corrente con il latte crudo freddo. Il vantaggio di questo sistema è che si recupera il calore.
In effetti il dispositivo è uno scambiatore di calore che rende più economico il processo di
pastorizzazione.

Separatore – È una centrifuga, serve a separare la materia grassa dalla parte magra del
latte. Il latte può essere commercializzato intero, parzialmente scremato e scremato secondo
parametri di legge. È importante sapere che il flusso del latte all’interno dell’impianto di
pastorizzazione dipende dalla viscosità del latte stesso e la viscosità è proporzionale al
contenuto in grasso del latte. Pertanto, per avere un buon funzionamento dell’impianto,
bisogna standardizzare il contenuto di grasso del latte.

Omogeneizzatore - L’omogeneizzazione ha lo scopo di rendere stabilmente omogenea


un’emulsione. Per far ciò bisogna ridurre il volume dei globuli di grasso da 4-5 micron circa a 2
micron. L’omogeneizzazione è una operazione da fare a caldo (> 60 °C), perché a freddo i lipidi
cristallizzano. Il processo di omogeneizzazione si ottiene forzando il latte ad alta pressione
attraverso una piccola fessura, che è appena più larga del diametro dei globuli stessi. Funziona
perché i globuli di grasso piccoli vengono circondati dalle proteine che creano un’interfaccia
tra l’acqua e il grasso e quindi il grasso affiora in tempi molto più lunghi.
Il latte arriva alla centrale a 4°C, poi viene portato a 72°C e, sempre circolando nell’impianto,
deve rimanere a tale temperatura per 15 secondi. Dopodiché entra in controcorrente nello
scambiatore di calore e viene raffreddato.

In questi processi, le piastre devono essere smontate e rimontate almeno una volta alla
settimana (vedremo più avanti il perché). Dopo aver subito il trattamento, il latte viene
controllato in laboratorio a norma di legge. In particolare, viene controllata la carica batterica
e la fosfatasi. Se il latte risulta idoneo, viene confezionato e commercializzato.

Il latte ha una vita limitata perché con la pastorizzazione non vengono uccisi tutti i
microrganismi: ad esempio non vengono eliminati gli sporigeni, gli enterococchi e alcuni
lattobacilli. Inoltre, se il latte crudo è stato stoccato oltre i due giorni, ad esempio per il
trasporto, questi batteri sono in grande numero e la loro morte, per effetto del trattamento
termico, non è uniforme ma ha un andamento logaritmico.

Al contrario del settore delle carni, il controllo del latte non è affidato esclusivamente ai
veterinari, possono esserci altre figure professionali (ingegneri, tecnologi alimentari, biologi
ecc.), per cui il veterinario dell’USL deve confrontarsi con altri tecnici. Si deve controllare
che il flusso del latte nell’impianto sia adeguato e che la temperatura non sia inferiore a quella
stabilita. Per far ciò l’impianto è comunque dotato di flussimetri e termometri elettronici,
attuatori in grado cioè di riportare il latte nel pastorizzatore se non ha raggiunto la
temperatura prescritta.

Pastorizzazione: trattamento col calore a 60°-80°C di ogni parte del latte o dei suoi prodotti
per uno specifico periodo di tempo, senza consentire la ricontaminazione di quel latte o
prodotti; in cui il grado di distruzione dei microrganismi dipende dalla combinazione della
temperatura e del tempo di mantenimento.

Scopo della pastorizzazione (finalità sanitaria) è uccidere tutti i batteri patogeni


potenzialmente presenti nel latte. All’inizio Pasteur portava il latte a una temperatura di 60°C
per 20-30 minuti, perché aveva scoperto empiricamente che a quelle condizioni riusciva a
eliminare il batterio della tubercolosi. Contemporaneamente venivano uccisi anche altri batteri
patogeni meno importanti, quali ad esempio quelli della salmonellosi. Quindi con la
pastorizzazione, si vuole uccidere tutti i batteri patogeni che possono essere presenti nel
latte. Alcuni sono più resistenti di altri, così come la presenza di alcuni è più grave di quella di
altri. La gravità è legata alla sopravvivenza o, quando i numeri sono bassi, alla possibilità di
moltiplicazione. La listeria nel latte crudo è presente nell’ordine di 10-100 UFC/ml (UFC= unità
formanti colonie). Questa concentrazione non è di per sé in grado di causare la malattia nel
consumatore normale, ma vi sono 4 categorie a rischio molto elevato: bambini, anziani, donne in
gravidanza e immunodepressi. Quindi con la pastorizzazione devo eliminare tutti questi
patogeni, eliminarli nel senso che non si riesca più a contarli o portarli comunque a un numero
talmente basso da non essere pericoloso.
Il numero di batteri in partenza è variabile. Quando vengono contati, sono considerati
globalmente, senza sapere però che specie di batteri siano. In genere, si sa che prevalgono i
batteri lattici perché hanno una grande capacità di moltiplicazione. La legge stabilisce che il
latte deve essere pastorizzato a 71,7°C per 15 secondi o 63°C per 30 secondi (valori minimi).
Questo perché in queste condizioni si riesce ad eliminare il batterio Coxiella burnetii, forma
vegetativa patogena più resistente, non diffusissima, ma che provoca una malattia simile alla
brucellosi; è inoltre un batterio endocellulare e quindi di difficile coltivazione.

Inoltre, una seconda funzione molto importante della pastorizzazione è il miglioramento delle
qualità tenenti del latte, poiché causa la distruzione di flora ed enzimi alteranti e il
mantenimento della struttura.

Il latte contenendo ancora batteri (non patogeni, ma in grado di alterarlo) deve essere
conservato a temperature di refrigerazione inferiori ai 6°C. Un tempo si diceva inferiori ai
4°C, ma adesso si è portato a 6 perché si è visto che questa è la temperatura media presente
nei frigoriferi domestici. Anche i frigoriferi dei supermercati possono presentare
inconvenienti. Infatti, il prodotto è esposto in frigoriferi verticali, aperti in modo da esporre
tutte le bottiglie. Le bottiglie sono investite da una cortina di freddo, ma può succedere che il
frigorifero venga caricato in modo errato dal commesso e che il latte non venga investito
correttamente dalla cortina di freddo oppure che il latte venga prelevato dal cliente e poi
rimesso dentro in maniera non corretta. Sono tutte cose che possono creare inconvenienti al
latte, ma che sfuggono al nostro controllo e perciò ci si può solo fidare del supermercato.
Quindi, i 6 giorni scritti nella confezione tengono conto di tutte queste eventuali anomalie in
modo di essere certi che il latte si mantenga integro nell’arco di questo tempo. Dopo un certo
periodo però il latte diventa comunque acido, perché i batteri lattici si riproducono anche a
basse temperature e acidificano il latte attaccando il lattosio e trasformandolo in acido
lattico. L’acidificazione fa coagulare le proteine e si forma una specie di “ricottina” (questo
latte non può essere bevuto).

Altri batteri che non vengono eliminati con la pastorizzazione sono gli sporigeni, come ad
esempio il Bacillus cereus. Se ricordate, il Bacillus cereus è in grado di vivere anche a
temperature di 4°C. Quando è presente, produce una coagulazione dolce (se il latte è dolce,
non va consumato, ma eliminato). È un batterio causa di tossinfezioni che producono vomito
(forma emetica) e diarrea (forma enterotossica), le cui spore sono molto resistenti e
sopravvivono alla pastorizzazione. Il trattamento termico è in grado di attivare le spore a
germinazione rapida, ma non quelle più lente. La pastorizzazione inattiva la tossina diarrogena,
ma non quella ematica.

Nella produzione del latte parzialmente scremato e scremato, si sottrae una quota di grasso
che diventa la materia prima per la produzione di creme, mascarpone e burro. Le creme
serviranno a fortificare di grasso il latte destinato alla produzione di certi formaggi molto
grassi (con oltre il 55% di lipidi), oppure per fare il mascarpone. Nel caso della crema
destinata alla produzione del burro, è importante l’aroma. Questo aroma è il risultato del
metabolismo di alcuni particolari batteri lattici (es. Leuconostoc citrovorum ed altri batteri),
che attaccano l’acido citrico formando degli intermedi, quali il diacetile e il diacetoino, che
sono le sostanze aromatiche che danno il tipico aroma al burro. Industrialmente, per favorire
questo aroma, vengono inoculati degli starter (batteri allevati in vitro) nella materia prima per
favorire queste fermentazioni. Ma, per evitare che questi batteri entrino in competizione con
quelli naturali presenti nel latte, bisogna trattare il latte a temperature di pastorizzazione più
alte perché il grasso protegge i batteri.

Quindi: la pastorizzazione può essere fatta a 72°C per 15 secondi ma, per il burro e per il
latte che dura più giorni (es. il latte a dieci giorni della Granarolo), si deve arrivare a 80°C
(pastorizzazione alta). Va precisato che il latte trattato con la pastorizzazione alta dura più
giorni ma a scapito di un impoverimento di vitamine e proteine (termolabili). È quindi un latte
più povero da un punto di vista nutritivo rispetto al latte crudo o a quello pastorizzato a
temperature più basse → Lo scopo della pastorizzazione è quello di eliminare tutti i patogeni
dal latte e renderlo più stabile in modo che non sia necessario venderlo in giornata.

Si ricorda invece che chi vende latte crudo deve ogni giorno rinnovarlo ritirando l’invenduto e
pulendo il contenitore, altrimenti i batteri rimangono nel contenitore sporco.

Ricapitolando, la filiera di produzione di latte e burro prevede:

• In stalla: mungitura e stoccaggio


• Trasporto: caseifici annessi alle stalle
• Impianti di lavorazione:
o Latte pastorizzato per il consumo: stoccaggio, chiarificazione, pastorizzazione
71,7°C per 15 sec, raffreddamento T<10°C, confezionamento, raffreddamento)
o Crema/panna e burro: centrifugazione/affioratura, pastorizzazione 73°C per 15
sec, acidificazione/aroma, zangolatura, separazione
▪ Crema/panna: trattamento UHT 140°C per 2 sec, raffreddamento,
confezionamento.
▪ Burro: impastamento, lavaggio, modellatura.

Parametri di inattivazione termica - Il parametro D è


il tempo di morte termica decimale a una certa
temperatura, vuol dire che se passa quel tempo a una
determinata temperatura (es. 5 minuti alla temperatura
specificata 71°C), la concentrazione di quel batterio si
riduce del 90% e quindi ne rimane un decimo. Tale
parametro, specifico per ogni batterio, si ricava molto
semplicemente per via sperimentale, ponendo alla
medesima temperatura delle provette di latte con una
concentrazione batterica pari a 108. Ogni 5 minuti, si prende una provetta e si contano i
batteri sopravvissuti, trovando quindi il tempo necessario per passare da 108 a 107.

Ogni specie batterica ha il suo D specifico a una determinata temperatura. Nel caso del
botulino, se si prove a determinare D70 (cioè il tempo per far morire il 90% dei batteri alla
temperatura di 70°), ci si accorgerebbe che non succede nulla, anche se venissero presi in
considerazione tempi lunghi (ore), perché il batterio passa allo stato di spora e sopravvive.

Un altro parametro che viene molto utilizzato come parametro di


inattivazione termica è il valore Z. Il valore Z è l’aumento di
temperatura in °C necessario per ridurre Dt di 10 volte. È una
costante che varia con il ceppo batterico ed è compreso in
genere tra + 5° e + 15°C.

Es. se D70= 5 minuti e il valore Z è 5° C, allora avrò D70+z= 0,5


minuti cioè D75=30 secondi.

Allora è chiaro che quando un ingegnere che sta calcolando il


tempo di morte termica di un microrganismo con un trattamento
veloce del tipo HTST (High Temperature Short Time) non ci sono tante storie da fare: si
calcola il tempo in riferimento a quella temperatura. Ma se bisogna trattare termicamente una
scatoletta, è necessario considerare l’integrata dei vari contributi di tutte le temperature
raggiunte. Quindi se, per esempio, va portata la temperatura a 80°C, si faranno 5 minuti a 65°,
5 minuti a 70° e 5 minuti a 75° e poi si fa l’integrata dei diversi contributi (al computer).
Questo per evitare di sovratrattare il prodotto, perché anche il tonno che è in scatola e viene
sterilizzato subisce un danno organolettico a causa del calore. Quindi non è vero che più
calore do e meglio è: il tonno diventa friabile, tanto friabile che si taglia con un grissino, come
diceva la pubblicità per far passare un difetto come se fosse un pregio.

Si è visto precedentemente che qualsiasi trattamento termico effettuato a una temperatura


variabile da 60° a 80° viene definito PASTORIZZAZIONE. Va detto che la pastorizzazione
non riguarda solo i liquidi, ma viene effettuata anche su prodotti solidi, come ad esempio la
mortadella, il prosciutto cotto e i wurstel.

Per quanto riguarda le uova pastorizzate, c’è il problema delle proteine che coagulano, in cui
inoltre il bianco coagula a temperatura più bassa rispetto al tuorlo. Quindi, l’albume si tratta a
57-58° e queste non sono nemmeno temperature di pastorizzazione, servono solo a inattivare i
batteri; il tuorlo invece si può trattare a temperature di 63-64° C.

Alcuni prodotti, come il latte al cioccolato, sono ricchi di grassi dovuti al burrocacao, questo
alto tenore di grassi protegge i batteri e pertanto bisogna trattare a temperature più alte
della norma. Nel cioccolato, può esservi la salmonella a causa delle condizione di scarsa igiene
alle quali vengono manipolati e lavorati i semi di cacao nei paesi di origine. È necessario quindi
un efficace trattamento termico.

Nel latte in polvere liofilizzato per i lattanti, è stato trovato l’Enterobacter sakazakii, che
può essere mortale. Questo latte deriva dal latte bovino che deve essere pertanto trattato
termicamente prima della liofilizzazone, altrimenti la liofilizzazione protegge anche il
batterio. Va tenuto conto che questo Enterobacter sakazakii è molto resistente (13 volte di
più della salmonella) e quindi servono trattamenti più drastici.

Un altro batterio di cui si parla in questi giorni è il micobatterio paratubercolare che è


l’agente di una grave forma di enterite nei bovini. Si pensava che non fosse nocivo per l’uomo,
ma alcuni studiosi tedeschi hanno ipotizzato che vi sia una relazione con il morbo di Crohn
negli umani. Questa cosa non è confermata, la questione è ancora dibattuta. Questo per capire
che nell’ambito della sicurezza alimentare, non vi è mai un punto di arrivo per il quale si possa
stare tranquilli, ma bisogna sempre essere attenti a nuovi sviluppi dei patogeni e delle nuove
conoscenze scientifiche.

Per quanto riguarda il Bacillus cereus, di cui abbiamo parlato in precedenza, essendo
sporigeno non si elimina con la pastorizzazione, ma con la microfiltrazione del latte (scremato
per non intasare i filtri), al quale viene riaggiunta in seguito la crema pastorizzata. I filtri
sono in porcellana.

Termizzazione - Per fare un formaggio a lunga stagionatura (>90 gg), la legge dice che si può
usare il latte crudo, altrimenti non è possibile usare il latte crudo perché è considerato
pericoloso e quindi bisogna fare la pastorizzazione. La legge su questo però è in divenire, in
quanto si adegua alle conoscenze tecniche (nel senso che se si prova scientificamente che non
c’è pericolo, la legge permette di farlo). La termizzazione non è che un semplice riscaldamento
del latte (57-68°C per 15-20 secondi), che ha lo scopo di eliminare una certa percentuale di
germi anticaseari, la cui presenza, creerebbe competizione con i batteri starter tipici del
prodotto in questione, che vengono inoculati successivamente per ottenere una migliore
caseificazione.

Per distinguere il latte termizzato da quello pastorizzato, la legge considera il test della
fosfatasi alcalina, in quanto a tali temperature questo enzima non viene degradato.

Quindi: Fosfatasi negativa = latte pastorizzato

Fosfatasi positiva = latte non pastorizzato

Perossidasi negativa = latte più che pastorizzato.

La perossidasi è un altro enzima presente nel latte che viene degradato da 80°C in poi .
Pertanto, un latte che presenta perossidasi negativa è stato trattato ad alte temperature e
non può beneficiare della dicitura “latte fresco”, ma è un prodotto a lunga conservazione.
Lezione 15/05

Nella scorsa lezione, abbiamo parlato di come trattare termicamente il latte.

Il latte è un prodotto fluido, quindi un liquido per le cui caratteristiche può essere trattato
termicamente con sistemi che abbiano un flusso capillare. Il vantaggio di questo flusso è
quello che il riscaldamento e il raffreddamento può essere rapidissimo (nell’ordine di pochi
secondi): tutto il sistema di PCR (amplificazione del DNA attraverso la Polimerasi) è possibile
proprio grazie al fatto che le peptine, piccolissime, sono in grado di passare a temperature
come 92°, 60°, e poi 70° in tempi molto brevi (i sistemi più evoluti sono quelli che agiscono in
frazioni di decimo di secondo). Questo perché si lavora con sostanze piccole e liquide, mentre
con sostanze solide o viscose sarebbe stato più difficile → da capire è il fondamento
tecnologico che sta dietro la necessità di trattare prodotti diversi:
• la mortadella e i wurstel sono una fase liquida, che si è stabilizzata e quindi solidificata
per effetto della cottura, ma che inizialmente appaiono come una specie di purea;
• nel latte, è importante standardizzare il grasso e omogeneizzarlo perché questo lo
rende qualcosa di viscoso, che scorre in uno strato sottile e a una certa velocità;
• il sangue come tessuto assomiglia al latte e la VES è influenzata dalla sua composizione,
ovvero, in caso di infiammazione, aumentano le immunoglobuline e quindi aumenta la
VES.

I sistemi di pastorizzazione visti precedentemente sembrano perfetti, ma nonostante i passi


avanti fatti da Pasteur a oggi si verificano ancora problemi di intossicazione, riscontrabili non
solo nell’industria del latte, ma anche in altri campi: ad esempio, di recente, sono stati ritenuti
responsabili due allevatori di polli di un grave focolaio di salmonellosi che ha coinvolto migliaia
di persone; un altro caso è avvenuto in Cina, dove hanno messo in commercio poliammide nel
latte in polvere per bambini. La poliammide è una sostanza plastica, che si usa per fare i vetri
del camper ed ha una composizione ricca di azoto solubile, per cui nel latte non altera il gusto,
ma aumenta il tenore proteico. In particolare, nei bambini si plastificava nei reni, causando
insufficienza renale acuta. È chiaro che i veterinari del settore alimentare devono stare
attenti a queste ditte e tutt’ora bisogna fare attenzione alla distinzione tra consulente e
controllore, perché non possono essere la stessa persona; ci può essere un veterinario che fa
il consulente e un altro che fa il controllore, se no il sistema non funzionerà mai! (Serraino
docet)

Pastorizzazione - All’inizio veniva fatta con il classico pentolino: poiché è un materiale che si
brucia, per cui utilizzando il pentolino a doppia camicia, come quello per il bagnomaria, si evita
che le particelle del latte si depositino sul fondo. Altra cosa bisogna mantenere la
temperatura: bisogna scaldare in maniera uniforme tutto il pentolino, perché deve essere
scaldato tutto il prodotto e non quello all’esterno di più di quello all’interno. Questo processo
si riesce a condurre bene in un prodotto che sia abbastanza fluido: molti prodotti presentano
un liquido di governo che serve a fare in modo che il calore che circola nella scatoletta sia
uniformemente distribuito. Non si riesce ad ottenere la stessa efficienza con tutti i prodotti:
la carne in scatola presenta come liquido di governo la gelatina, che si fonde durante la
cottura e che fa passare il calore. → I liquidi fanno passare il calore, l’aria no. I liquidi sono
isolanti → quindi questo sistema è stato superato per il latte, ma è stato mantenuto per
prodotti come il cioccolato al latte.

Ricapitolando: la pastorizzazione utilizza una caldaia rivestita da una parete nella cui
intercapedine circola acqua o vapore. Nella caldaia, il latte è riscaldato e mantenuto caldo per
il tempo necessario, mentre è sotto continua agitazione. Come già detto, questo metodo è poco
utilizzato per il latte destinato all’alimentazione, ma è più comunque per prodotti quali creme e
cioccolato al latte o latte destinato alla caseificazione.

Centrifugazione - grazie ad essa si riescono a separare le impurità solide del latte (processo
di chiarificazione): il latte raccolto in stalla può contenere terra, afidi, mosche, peli di topo o
comunque tutte quelle cose che non devono essere trovate negli alimenti (infatti, si parla di
qualità in base alle impurità). La centrifugazione è un mezzo di separazione fisica che
allontana la componente più pesante, permettendo la scrematura (separazione della crema dal
latte magro) e la separazione del siero (separazione del grasso dal siero), così come per la
separazione del coagulo (separazione del coagulo dal siero). Il latte non è puro né dal punto di
vista batteriologico, né dal punto di vista delle impurità fisiche (in questa categoria, rientrano
anche le radiazioni, come quelle di iodio presenti nel latte; bisogna guardare agli animali sia in
positivo, che in negativo, poiché essi rappresentano un filtro, una barriera, in cui si
concentrano sostanze più di quanto siano alle condizioni iniziali). La centrifugazione serve
ancora per standardizzare i gas, per la bactofugazione, ovvero per l’allontanamento fisico
delle spore o dei batteri dal latte (es: per il formaggio cremoso bisogna allontanare le spore,
ad esempio del botulino, perché queste si concentrano nella parte più cremosa del formaggio),
per fare il burro e i formaggi. Infine, viene utilizzata per la purificazione del buttero oil,
quindi per la separazione della fase serica del grasso anidro del latte).

Ricapitolando, la centrifugazione permette la:

▪ chiarificazione (rimozione delle impurità solide dal latte prima della pastorizzazione)
scrematura (separazione della crema dal latte magro)
standardizzazione
separazione del siero (separazione del grasso dal siero)
bactofugazione (allontanamento fisico dei batteri del latte)
separazione del coagulo (separazione del coagulo dal siero)
purificazione del buttero oil (separazione della fase sierica del grasso anidro del latte)
Struttura della centrifuga: innanzitutto vi punto
d’ingresso del latte o del prodotto che si vuole
trattare, poi all’interno della macchina vi possono
essere coni interi (senza buchi) o coni con buchi,
a seconda del processo che si intende fare: i
cono interi servono per il processo di
chiarificazione, ovvero per separare le parti più
pesanti, e il latte pulito esce in questa maniera;
invece, i coni coi buchi servono per ottenere il
latte parzialmente scremato attuando il processo
di separazione, cioè da alcuni buchi esce lo
sporco, da altri il latte magro, da altri ancora il
latte grasso → il prodotto viene separato in base
al coefficiente di detrazione in base al tenore di
grasso presente.

Quello che interessa è il sistema di pulizia, quindi


a fine processo va pulita la centrifuga (!).

Temperatura: attualmente la tendenza è quella di fare trattamenti a temperature più alte, ma


a tempi più brevi; dal punto di vista dell’uccisione dei microbi è equivalente a un trattamento
più lungo, ma a temperatura più bassa. Tuttavia, siccome il valore Z dei batteri è più basso del
valore Z di quello che si vuole conservare, vi è un uguale efficacia batterica e un minor danno
delle componenti nutrizionali. Nel latte UHT, nell’arco di tre secondi, si inattivano anche le
spore, oltre ai batteri attivanti, quindi il latte ha una vita di 4/6 mesi senza stare in
frigorifero; inoltre, c’è un’altra condizione per il latte pastorizzato legata all’acqua e alla
refrigerazione, perché, senza questo processo, il latte pastorizzato non si mantiene, e
potrebbe essere anche pericoloso. Comunque, in genere, prevale l’alterazione prima della
crescita batterica importante.
PASTORIZZAZIONE A FLUSSO PASTORIZZATORE A PIASTRE

Schematizzazione della pastorizzazione: vi sono delle piastre, poste affiancate una all’altra,
che formano un radiatore e in controcorrente passa il latte crudo che si scambia calore con
quello già pastorizzato, recuperando così energia (quindi un vantaggio in termini di spesa
energetica). Le pareti non sono lisce, perché se anche il latte circola con un flusso capillare,
grazie a questo particolare vi sarà l’effetto del flusso turbolento, necessario perché il latte
non scorra via senza sterilizzarsi (come accadrebbe nel caso di flusso laminare), né deve
essere sovracotto. L’inconveniente è che, rendendo il flusso del latte più vorticoso vicino alle
pareti, a furia di stare a 72°, un po’ di latte si cuocia andando ad intasare la vasca e quando
l’impianto smetterà di funzionare, con la temperatura inferiore, i batteri possono cominciare a
replicare: servono quindi sostanze energiche per la pulizia, come la soda al 20%, purché i
materiali come l’acciaio resistano.

Inoltre, vi è un problema ad accatastare le due piastre, per questo esiste la gomma sinfonica
da guarnizione, ma anche questa fa fatica a resistere alla soda o ad altre sostanze energiche
di pulizia, motivo per cui queste guarnizioni vanno cambiate spesso. Se non vengono cambiate,
il latte passa tra le guarnizioni e quindi i vari tipi di latte che si suddividono durante il
processo (latte magro, latte grasso, latte sporco) vanno in diverse direzioni andando a
rimiscelarsi tra loro.

È importante mantenere una pressione maggiore (almeno 1 psi = Pascal per square inch) nelle
sezioni in cui circola il latte già pastorizzato, in modo che se vi fosse una perdita di latte
crudo attraverso guarnizioni o piastre non avvenga la contaminazione del latte pastorizzato. Il
latte pastorizzato freddo passa attraverso un riduttore di pressione, che deve essere più in
alto (almeno 31 cm) del livello più altro raggiunto nel sistema del latte crudi, e raggiunge la
cisterna di alimentazione dell’impianto di confezionamento.

Nel serbatoio di alimentazione del pastorizzatore si raccoglie il latte a litri e litri, in silos alti
anche 20 metri, e la pressione idrostatica presente, a mano a mano che si svuotano, cambia,
ma il flusso deve essere costante → si deve stabilizzare la pressione! Quindi si standardizza
sia la pressione, che l’ingresso del latte nel pastorizzatore: vi è una prima fase, in cui il latte
crudo viene scaldato, poi c’è una pompa che aspira ed un’altra che spinge, creando due
pressioni diverse (differenza di livello di 25-30cm). In particolare, è importante mantenere
una pressione differenziale e ciò è ottenuto attraverso la sola pompa a tempo (che produce
una dislocazione attiva della massa) e controlli della pressione differenziale. Nei sistemi più
complessi, ci sono anche regolatori della contropressione all’uscita della sezione refrigerante.
Altri fattori importanti nel mantenimento della pressione differenziale sono:
− il livello dell’uscita del liquido eccedente nella cisterna di alimentazione del pastorizzatore
deve essere più in basso del livello più basso del latte nel rigeneratore.
− non ci devono essere pompe dopo l’uscita del latte pastorizzato refrigerato dal riduttore
di pressione.
− il rigeneratore deve poter drenare liberamente nella cisterna di alimentazione.

C’è una parte di impianto, dove il latte giungerà a 72° in funzione della velocità del latte ed
ogni volta che l’impianto si accorge che la temperatura scende sotto i 72°, fa deviare la
posizione della valvola e quindi fa tornare indietro il latte. Ci sono quindi sensori di
temperatura con termo-resistenze che sono in grado di controllare il processo e, in caso
necessario, far deviare la valvola apposita. Il registratore/controllore della temperatura ha il
compito di controllare e registrare la temperatura e fornire l’input per il motore che aziona la
posizione della valvola a tre vie, la cui posizione (regolare/riciclo) è anch’essa registrata. Il
controllo della valvola può essere pneumatico o elettronico. Nonostante tutto questo sistema
si sia evoluto, esistono ancora problemi dovuti alla pastorizzazione.

Nel pastorizzatore, ci sono delle valvole che, oltre a far spostare il flusso verso il riciclo,
servono anche per mettere il passaggio dei fluidi dall’altra parte; dopo la soda a caldo, che
serve a togliere i grassi e le proteine, passa l’acido nitrico che serve a togliere tutti i residui
di latte e quindi i depositi di calcio; infine, bisogna risciacquare bene per evitare di trovare
queste sostanze nel latte, ed assicurarsi che le valvole siano ben chiuse (possono diventare
veicolo di batteri) →importanza dei controlli.
Per essere certi che il latte non sia contaminato da batteri, bisogna guardare due cose:
✓ la fosfatasi alcalina presente nel latte crudo e non dosabile nel latte pastorizzato
✓ presenza di e. coli, batterio che residua nella pastorizzazione (è impossibile avere un
latte di vacca assolutamente privo di residuo fecale, è praticamente impossibile non
trovarli nel latte di donna)

Un ultimo riferimento riguarda le sonde termometriche si scaldano, per questo vicino ai


sensori sono presenti termometri al mercurio che non si scaldano, per cui l’azienda ogni tot
tempo deve fare una verifica di quello che dice il rilevatore. In particolare, il termometro
indicatore (MIG = mercury in glass) indica la temperatura ufficiale a cui far rifermento. Al
valore indicato da questo termometro deve essere aggiustato l’indice del termometro
registratore. Le sonde dei due termometri devono essere quanto più possibile vicine e poste a
non più di 45 cm a monte della valvola a tre vie di deviazione del flusso. Questi sono controlli
che si fanno in tutti i tipi di trattamenti termici. Gli operatori devono registrare giornalmente
data, turno, attrezzatura, n. identificazione del lotto, prodotto e quantità indicando la
temperatura del termometro, cicli di pulizia, temperatura limite inferiore e superiore, ogni
riferimento ad anomalie, firma.
Qui vedete un esempio del piano di
controllo sistema HCCP, che riguarda i
prodotti latteo-caseari, col sistema
HTST (alta temperatura e tempi
brevi). I sistemi da controllare sono
HCCP, la pastorizzazione è un HCCP: se
si perde un controllo, in questa fase
della lavorazione si ottiene un pericolo
inaccettabile → quindi un HCCP è un
punto di controllo e perdere controllo
in questa fase della lavorazione è un
pericolo inaccettabile.

I pericoli che si cerca di controllare col trattamento termico sono quelli sensibili alla
temperatura, ovvero i batteri termoresistenti come quelli sporigeni. Ogni particella del latte o
dei prodotti latteo-caseari deve essere riscaldata in un impianto adeguatamente disegnato,
controllato e gestito, utilizzando una combinazione tempo/temperatura specificata secondo
quello che sono i disciplinari di legge, assicurandosi che il minimo tempo di mantenimento della
sensibilizzazione del latte sia mantenuta per tutto il tempo previsto.

Il monitoraggio va fatto per un punto critico di controllo, non esiste un punto critico anche se
quella fase può essere utile per discutere il controllo. Si cerca quindi di essere in grado di
misurare/parametrare l’efficacia, non in termini di produzione batterica, ma in termini di
come, ampiezza e temperatura, che causano quella funzione batterica; quindi quello che si va a
misurare sono il tempo e la temperatura. [Frase di mmmerda lo so, ma lui ha detto testuali
parole -.-‘] Per avere un sistema fisico di misura, si può utilizzare un flussimetro, un sistema
che, quando passa il fluido, si muove dicendo quanto flusso passa nell’unità di tempo. La
frequenza è continua e ottenere un tratto continuo è la cosa migliore. Chi effettua questi
controlli è un impiegato dell’azienda.

Azioni correttive: quando c’è un HCCP, ci deve sempre essere un sistema correttivo. Bisogna
sempre pensare alle conseguenza di ogni scelta: se c’è un pericolo e questo sistema serve a
controllarlo, l’azione correttiva serve a ristabilire le condizioni di stabilità e normalità. Tutte
queste modifiche/azioni/controlli vanno registrate di modo che il veterinario dell’azienda sia
in grado di controllare.

Microfiltrazione - I trattamenti termici sono uno dei modi per rimuovere i batteri, ma non
sono gli unici: si può lavorare con un setaccio fisico. La microfiltrazione si basa sull’utilizzo di
filtri con pori con dimensioni inferiori a 0,05-0,2 micron. Se ci sono batteri con dimensioni 0,5
µm, è quindi possibile trattenerli. Questi processi vengono utilizzati per l’acqua e altri liquidi,
compreso il latte, ma bisogna prima scremarlo e in seguito la parte magra viene microfiltrata e
successivamente riunita al grasso (c’è un sistema a pressione emostatica). Infatti, del latte
scremato solo la parte magra viene microfiltrata, mentre la crema ed altre parti solide non
filtrate sono pastorizzate e successivamente rimiscelate al latte per avere il tenore in
materia grassa richiesto. Il latte è omogeneizzato ed entro 5 minuti è sottoposto a
microfiltrazione dinamica per produrre un filtrato che ha una carica batterica minore di quella
iniziale del latte crudo. Il prodotto può essere sterile ed, in particolare, esente da Bacillus
cereus, che causa degradazione della qualità del latte durante la conservazione refrigerata. Il
latte microfiltrato può essere trasportato anche non refrigerato, senza alterarsi.

Ultrafiltrazione - Ha come finalità quella di mantenere le proteine, quindi i filtri sono ancora
più piccoli. Il vantaggio è che le proteine del latte con questa tecnica sono più compattate, ad
esempio per lo yogurt, per la mozzarella.
La disidratazione, o viceversa la concentrazione del latte, possono essere fatte facendo
evaporare l'acqua (facendo bollire il latte a 50°C in camere in sottopressione 74cm di
mercurio) o anche con l'impiego di membrane ultrafiltranti. Al latte è applicata una
sovrapressione ed, attraverso le membrane, fuoriesce l'acqua, ma non le proteine, che sono
trattenute. Per La condensazione, il latte deve essere riscaldato per alcuni secondi ad 85‐
90°C ed è generalmente addizionato di zucchero (saccarosio) per ridurre il valore di Aw e
migliorare la conservabilità. Il latte concentrato mediante evaporazione (mai Più del 75%)
deve essere invece sterilizzato, perché le basse temperature di evaporazione non assicurano
la distruzione dei batteri ed anche il processo UHT non previene il rischio di gelificazione.
Perciò, prima della concentrazione, si usa additivare il latte con polifosfati che agiscono
sequestrando il calcio.
Dettagli sul processo di ultrafiltrazione
L’ultrafiltrazione è caratterizzata dall’avere un valore di cut‐off ad un PM Di circa 10.000. Questa È
la dimensione tradizionale a cui si separano le proteine del siero dal lattosio ed è impiegata per
produrre concentrati sieroproteici a 35--‐85% Di sieroproteine. Può essere impiegata
per aumentare il contenuto di solidi nella produzione di formaggi.

▪ Nell’ultrafiltrazione, lattosio e molti minerali passano attraverso le membrane.


▪ Fortificazione In proteine: l’ultrafiltrato può essere impiegato per aumentare la concentrazione
in proteine del latte e ne migliora le caratteristiche (aroma e palatabilità) più di quanto
sia possibile con l’aggiunta di latte scremato in polvere, che ha spesso gusto di cotto.
▪ Produzione di gelati, poiché ha la capacità di non cristallizzare lattosio.
Lezione 18/05

Nella scorsa lezione, abbiamo parlato del latte pastorizzato e visto come è costituito questo
sistema per cercare di trattare termicamente il latte in modo da renderlo più sano e più
stabile nel tempo. A proposito di questo processo tecnologico, abbiamo visto anche il deficit,
poichè il trattamento con calore elevato può portare a potenziali contaminazioni; abbiamo
quindi visto come vengono controllate ed evitate.

Latte UHT: è un processo successivo alla pastorizzazione e permette di vendere il latte nelle
zone in cui la filiera del freddo non è mantenuta. Il problema del latte pastorizzato è che
comunque necessita di temperature ridotte per conservarsi, deve quindi essere associato ad
una refrigerazione che impedisca ai batteri sopravvissuti alla pastorizzazione di moltiplicare
ed alterare il prodotto. La pastorizzazione non è quindi in grado di inattivare le spore presenti
nel latte e ciò limita la commercializzazione per il tempo/temperatura di conservazione.

Il latte può essere reso commercialmente sterile e a lunga conservazione sottoponendolo a


temperature superiori ai 100°C e confezionandolo in contenitori protettivi a tenuta. Il sistema
UHT sterilizza a 135°C per 2-5 secondi prima del confezionamento e lo confeziona in
contenitori pre-sterilizzati.

In Italia, esistono zone per l'approvvigionamento di latte, in cui arrivano i camion con il latte
già confezionato o da confezionare. La filiera del freddo è difficile da applicare anche per la
produzione al dettaglio, perché la disponibilità di sistemi frigoriferi adeguati, aggiornati e
funzionali non è di facile applicazione. Nei grossi supermercati, vi è il problema del ricambio
continuo, mentre nei piccoli banchi alimentari spesso non si hanno impianti all'avanguardia.
Un’altra tecnologia sviluppata è quella del packaging tecnico: quando viene confezionato il
prodotto, deve anche essere sottoposto a sterilizzazione. Queste procedure possono essere
fatte in successione o insieme. Quindi, può essere sterilizzata prima la confezione vuota, poi
la confezione con il prodotto all'interno e, se la confezione è integra e non presenta
fessurazioni, a questo punto rimane tutto sterile. Il problema a questo livello è che il volume è
predefinito e generalmente le confezioni non sono laminari, ma hanno forme varie (cilindrica,
cubica...). Durante la refrigerazione, vi è quindi il problema anche dello spessore della
confezione. La temperatura deve riuscire a passare attraverso lo spessore, per evitare che il
prodotto non si congeli adeguatamente o si surriscaldi (anche il surriscaldamento delle parti
esterne è quindi un fattore da considerare). I sistemi di sterilizzazione e riconfezionamento,
dopo la sterilizzazione, non presentano questo problema: la confezione può avere qualunque
forma perché poi viene riempita con un prodotto già sterilizzato.

Ad esempio, il tetrapack: in alcuni paesi l'uso del vetro nel confezionamento è vietato perché
difficile da riciclare; per questo viene invece utilizzato il tetrapack, materiale dalle
caratteristiche eccezionali. Presenta diversi strati:
• polietilene: plastica, evita la penetrazione da parte di sostanze estranee, soprattutto
se tossiche.
• cartone: conferisce rigidità e non si rompe facilmente in caso di urto.
• alluminio: ulteriore protezione verso la luce esterna, il latte presenta infatti acidi
grassi che possono facilmente essere ossidati se il prodotto viene esposto al calore e
alla luce.
La confezione deve quindi proteggere anche dalla luce per evitare qualunque alterazione. La
stratificazione rende questo materiale ideale al confezionamento, ma anche difficile da
smaltire.

Confezioni in teflon (polietilene altra densità): le bottiglie vengono modellate con un getto
d'aria, prima di essere riempite. Il problema è che se questo procedimento viene fatto fare
ad un industria a parte, è da organizzare anche il trasporto di tante bottiglie vuote, cosa poco
pratica. Le confezioni vengono quindi fatte da macchine presenti sul posto, sviluppando una
tecnica di confezionamento asettico, in cui non è più la necessità della presenza dell'uomo.
L'aria viene trattata e sterilizzata con filtri molto piccoli, che bloccano le micro-particelle
presenti, e con lampade a ozono e lampade ultraviolette, che sterilizzano ulteriormente.
Inoltre, il materiale viene trattato con acqua ossigenata ad alta temperatura in modo da
distruggere ogni battere e spora presente. La plastica a inizio produzione è a forma di
bottiglia, successivamente viene modellata nello stampo. Nel caso del cartone accoppiato,
questo va incollato in modo tale che i margini del cartone non siano a contatto con il prodotto.
Lo stesso discorso vale se viene utilizzata una lamina di alluminio e basta, spesso è troppo
incollata e non si riesce ad aprire la confezione senza romperla. In teoria, la confezione non
dovrebbe essere bucata per estrarre il prodotto, ma andrebbe “pelata”, cioè, una volta
attaccato lo strato esterno, si passa alla rimozione dell'allumino. Qualsiasi cosa penetri la
confezione è un possibile contaminante.

In passato si utilizzava soprattutto il vetro e per il confezionamento si sterilizzava tutta la


bottiglia. In questo caso il latte aveva un sapore caratteristico, che veniva acquisito con la
cottura durante la sterilizzazione. Il prodotto era però molto più povero di fattori nutritivi, in
particolare di proteine (molto sfruttate dai bambini) e di calcio facilmente assimilabile (utile
alle donne con rischio di osteoporosi).

Quindi, le difficoltà del sistema UHT sono: le attrezzature complesse necessarie per il
mantenimento della sterilità tra trattamento termico e confezionamento (materiali da
imballaggio, tubature, pompe, cisterne); il rischio di sovratrattamento, soprattutto con
particelle più grosse (non ci sono impianti per sterilizzare particolare); lipasi e proteasi già
presenti nel latte crudo possono alterare il gusto e produrre gelificazione del latte. Il latte
UHT ha comunque un gusto di cotto.

Il trattamento di sterilizzazione consiste nel riscaldare il latte a 135°C per 2-3 sec.

Come è possibile? Se viene fatto scorrere il latte pastorizzato all'interno di un tubo


riscaldato da vapore sotto pressione, questo processo non è possibile perché il latte si
accumula sulla superficie del tubo caldo, intasandolo. La soluzione che è stata trovata è quella
di insufflare il vapore nel latte o far cadere il latte in film sottili in un ambiente saturo di
vapore. Entrambe queste soluzioni hanno però un inconveniente, cioè si annacqua il latte. Il
vapore, infatti, cede il proprio calore al latte,
provocando un cambiamento di stato. Al latte
viene quindi ad aggiungersi acqua, ma vendere
latte annacquato è frode. Per questo, la
tecnologia ha portato all’aggiunta
nell'impianto di un macchinario in grado di
togliere di nuovo l'acqua.

Quelli appena detti sono i METODI UHT, in


particolare:
✓ Riscaldamento diretto – contatto con
vapore di qualità alimentare
✓ Riscaldamento indiretto – il prodotto è separato dal mezzo riscaldante da superfici
(piastre, tubi, doppi coni)

Trattamenti del latte con riscaldamento diretto: permette di mantenere temperature molto
elevate per tempi molto brevi (minor danneggiamento).

80°C – pastorizzazione
135°C – UHT

Questi cambiamenti dalla temperatura di refrigerazione avvengono in pochissimi secondi,


fatto che sarebbe impossibile riscaldando il latto di passaggio all'interno di un tubo. L'acqua
che viene aggiunta al latte, tramite il vapore, viene immediatamente sottratta tramite il
sottovuoto, applicato al latte durante la fase di raffreddamento. Si calcola quindi l'acqua
emessa come vapore, il latte viene posto sottovuoto e la porzione eccedente liquida viene
sottratta al prodotto. In pratica, il latte con la depressurizzazione data dal sottovuoto emana
vapore (l'acqua da scartare) che viene riassorbito dall'impianto e il prodotto procede verso la
zona di confezionamento.

Ci sono 2 sistemi di insufflazione del vapore nel latte:

 Sistema di iniezione di vapore nel latte: (stesso processo che fa il barista per ottenere la
spuma) l'inconveniente è che dopo un po’ si scalda anche il bricco contenente il latte. Se
questo avviene, il latte si brucia negli strati più esterni. Questo sistema è stato
ampiamente superato.
 Sistema di infusione del latte nel vapore: il latte casca in un ambiente saturo di vapore ad
alta temperatura, non entra quindi in contatto con le pareti calde. Questo da un grosso
vantaggio.

Packaging per confezionamento


asettico: esistono molte tecniche e
materiali utilizzati per l'imballaggio.
Negli ultimi anni si tende a tenere conto
anche dell'impatto ecologico, quindi molte
tecnologie sono state superate. Per quello
che riguarda il latte, di importanza
fondamentale è che il contenitore sia
sterile (piuttosto che ecologico).
L'industria che fornisce il materiale per l'imballaggio non è in grado di garantire la sterilità,
questo comporta che la sterilizzazione va fatta al momento dell'imballaggio. Il sistema è
quello di Fill and Seal. La confezione viene quindi chiusa da una parte, in modo da formare una
secca in cui è versato il prodotto e viene quindi sigillata. Lo stesso processo viene eseguito con
i cracker. La quantità di prodotto all'interno deve poi rispettare le norme di merceologia,
perché la confezione se ha una tolleranza deve essere rispettata, ma anche la quantità di
prodotto deve essere quella pagata dal consumatore.

Subito dopo il riempimento, si ha la form, fill and seal. La confezione viene quindi sigillata a
caldo. Nel caso di confezioni in plastica, vi è invece il modellamento a caldo. Il fogli di plastica
viene riscaldato e un getto d'aria lo fa aderire allo stampo, lo stesso avviene per le 2 metà
della confezione, che vengono poi saldate tra loro. Questo metodo ha l'inconveniente che
basta una microfessura a far poi fuoriuscire il liquido. La confezione va quindi controllata con
un processo di compressione e decompressione (se c'è variazione di volume allora è fallata),
ma si tratta di un meccanismo dispendioso perché necessita di una macchinario a sé stante.

Tetrapack – confezionamento del latte in Brik:

− la bobina della carta viene tagliata;


− viene chiusa a cilindro apponendo uno strato sull'altro
(è presente in mezzo una banda di plastica che fa da
collante);
− vi è poi una pinza che la tappa sotto a caldo;
− viene sterilizzata con vapore e poi acqua ossigenata;
− viene scaldata in modo da far evaporare i residui;
− viene inserito il latte;
− una seconda pinza termina la chiusura.

Questa procedura è eseguita da


un’unica macchina, chiusa all'interno
di una parete di vetro, in modo da
garantire la sterilità. Per i grandi
consumi vengono utilizzate
confezioni facilmente riciclabili
perché basta separare gli strati.

Vengono poi eseguiti i controlli sulle


confezioni. Questi però non possono
essere eseguiti su tutte le
confezioni, ma vengono fatti dei
controlli a campione.
Per i controlli, possono variare la tolleranza di contaminante o microrganismi all'interno del
prodotto oppure la quantità di prodotto controllato. In base a questi due fattori viene stimata
la severità del controllo. Il latte per l'infanzia viene controllato molto più strettamente
rispetto a quello normale.

Es: Enterobacter di Sakazaki, il controllo viene fatto ogni 10 anni, è quindi molto poco
sensibile.

I latti di infanzia vengono modificati nella loro composizione in modo da essere il più possibile
batteriogeni (favorire lo sviluppo della flora intestinale), per cui si modifica la composizione e
la quantità di proteine. Si modificano anche le vitamine che vengono aggiunte. Tutto il latte
per l'infanzia commercializzato in Europa viene prodotto in Irlanda perché lì sono in grado di
garantire standard igienici superiori.

Può essere poi analizzata la fosfatasi alcalina, per capire se il latte è stato trattato
termicamente, e la perossidasi, che viene inattivata a temperatura di pastorizzazione. Questi
controlli qualitativi sono allo scopo di validare il prodotto e verificare che il processo di
pastorizzazione si sia svolto in modo corretto.

La fosfatasi alcalina (ALP) è un enzima normalmente presente nel latte crudo, che viene
inattivata a condizioni di trattamento termico leggermente più drastiche di quelle richieste
per la distruzione dei batteri patogeni (30sec a 62°C), e induce l'idrolisi del p-
Nitrofenilfostato, in un messo alcalino, formando un complesso giallo, la cui intensità
(misurata a 405nm) è direttamente proporzionale alla quantità di fosfatasi attiva nel
campione. Se durante le analisi non viene trovato questo composto significa che l'enzima è
stato inattivato nel momento giusto.

Inizialmente, la quantità di fosfatasi nel latte è standard; per questo può essere utilizzata
nelle analisi. L'eccezione si ha nel caso in cui il latte sia derivato da un bovino mastitico. La
fosfatasi alcalina è presente in tutte le cellule in sfaldamento, ma se le cellule in sfaldamento
aumentano anche la fosfatasi aumenta.
Lezione 20/05

PRODUZIONE DI FORMAGGI: VISIONE DI FILMATO.

La produzione del formaggio non è una scoperta nuova, questi vengono infatti prodotti da
diversi secoli; quel che si è sviluppato nell’era moderna sono le tecniche, progredite
nell’aumentare la produzione e rendere il più sicuro possibile i prodotti.

La prima parte del video riguarda il Parmigiano Reggiano, vengono mostrate sia le tecniche
moderne che le tecniche artigianali. La lavorazione per questo tipo di formaggio è molto simile
anche per gli altri formaggi a pasta cotta.

Al latte scaldato viene aggiunto il caglio ed il tutto viene miscelato. Quando, successivamente,
si forma la cagliata, deve essere rotta, con uno strumento detto “spino”, in frammenti molto
fini, della grandezza di chicchi di riso. Più finemente si rompe la cagliata, più il formaggio
diventerà consistente. Il caglio può essere animale o vegetale: il primo viene preso dallo
stomaco degli animali lattanti quali vitelli, agnelli, ecc.. mentre quello vegetale viene estratto
da piante come il cardo, il fico, ecc... Entrambi i tipi di caglio hanno la proprietà di far
coagulare le proteine del latte. Tutto questo processo avviene con il latte mantenuto
riscaldato, perché gli enzimi del caglio funzionano bene a T corporea. La cottura serve a far
coagulare le proteine del latte e a far spremere i coaguli, per far sì che si separi il siero dal
latte. Inoltre, la cottura consente la selezione della flora microbica (prevale la flora termofila
e non mesofila). In realtà, non si tratta di una vera e propria cottura, ma di un innalzamento
della temperatura a 55/56°C.

Se il latte viene utilizzato per la produzione di particolari formaggi, come in questo caso, può
essere trasportato al caseificio senza refrigerazione, perché con essa si andrebbe ad
alterare il suo patrimonio microbico. Nella produzione del parmigiano vengono mescolati il
latte munto la sera ed il latte della mattina; quello della sera viene lasciato affiorare e poi
scremato, mentre quello della mattina viene aggiunto intero.

La cagliata è un prodotto modellabile, si riesce quindi a darle la forma preferita. Quando


giunge il momento (che il casaro riconosce in base alla sua esperienza) da una unica caldaia
vengono separate due forme per andare poi a preparare il parmigiano. Gli stampi, detti
fasciere, un tempo erano fatti in legno, ora invece sono in teflon per motivi igienici. Sui bordi
viene posta la stampigliatura ed in più viene posta una etichetta che indichi la data dell'inizio
della lavorazione. Non c'è ancora il marchio, quello verrà posto solo se sarà riconosciuta la
lavorazione ad arte. [Nel video si vede anche la compilazione dei registri di carico e scarico
delle forme.] Le forme di parmigiano, dopo che si sono stabilizzate nella forma desiderata,
vengono poste in delle vasche per salarle in salamoia per una durata di 15 giorni. Dopo la
salatura, vengono messe a stagionare sugli appositi bancali.

La lavorazione non finisce qui, le forme infatti devono asciugare e per questo vengono
utilizzati specifici ripiani di legno (materiale ottimo) che permettono anche al lato appoggiato
di asciugarsi. Il problema del legno è che potrebbe permettere l'insediamento di batteri ed,
in casi di crescita batterica, l'unica cosa da fare per essere sicuri di eliminare i patogeni
presenti sarebbe quella trattare la superficie con la fiamma, aggiungendo così il problema di
dover rimuovere la parte bruciata prima di riutilizzare il ripiano. Per questo, le forme di
formaggio vengono periodicamente rigirate e spazzolate per evitare la formazione di muffe
sulla crosta.

Quando si raggiunge un grado di stagionatura e maturazione adeguato, le forme vengono


ricoperte d'olio di lino (non si può fare subito, impedirebbe l'asciugatura). L'olio crea un
ambiente di anaerobiosi per evitare la formazione di muffe.

Il video passa poi alla produzione del Pecorino e mostra come vengono riempite le forme dagli
operatori: la cagliata viene distribuita, tramite un tubo, su un tavolo di lavoro che presenta
delle maschere per convogliarla negli stampi; dopodiché gli operatori manualmente riempiono
ogni stampo in modo equo. A questo punto si fa perdere acqua alla cagliata, di modo che
diventi sempre più compatta. Successivamente, la cagliata viene più volte rigirata
manualmente dagli operatori (mantenendola sempre dentro agli stampi), per far sì che le
forme si asciughino uniformemente e mantengano la loro forma cilindrica. I guanti non sono
necessari perché le mani sono "cotte dall'acido lattico", invece l’utilizzo di mascherine e
cuffiette è d’obbligo. Il prodotto appena fatto si chiama "primo sale" e se si volesse
consumarlo così dovrebbe essere fatto con latte pastorizzato.

Produzione della ricotta: il video mostra che, tramite il riscaldamento del siero del latte, le
proteine solubili flocculano e vengono a galla. In questo modo, possono essere raccolte ed è
possibile utilizzarle per fare la ricotta. La ricotta è quindi un prodotto trattato a
temperatura simile a quella di pastorizzazione (è trattata a 78°), ma non è al sicuro da
contaminazioni. Ha una vita commerciale di 3 giorni, ma grazie alle tecniche di igiene della
lavorazione può durare più a lungo. Passati questi giorni, la ricotta acidifica a causa dei batteri
lattici, che continuano ad attaccare il lattosio presente nel siero, producendo acido lattico. La
ricotta prodotta artigianalmente non ha bisogno dell'aggiunta di acido citrico al siero, mentre
quelle non artigianali sì. È stato infatti possibile eliminare questa produzione grazie a siero-
innesti: colture di lattici che vengono inoculati in bustine nel latte, facendolo fermentare.
Questo dà la garanzia, che il prodotto finale sia fermentato nel modo corretto e con la flora
batterica specifica.

Tornando alla produzione del Pecorino, in questo caso la salatura (NaCl aggiunto solo per
questioni di gusto) avviene manualmente, aggiungendo il sale a secco. Siccome lo stabilimento
si trova a Pienza, le forme di pecorino vengono colorate per tradizione (rosso, nero..) e le
colorazioni sono fatti con colori non tossici (curiosità: i formaggi più colorati sono quelli
olandesi). La parte colorata ricopre la parte non edibile del formaggio.

Una volta pronti, i formaggi vengono incassettati e spediti alla vendita. Non sono confezionati
a meno che non siano già sezionati. Il vantaggio del confezionato rispetto al non confezionato
è che il prodotto è stabile per un prodotto maggiore di tempo, poiché non si asciuga.

Mozzarelle e fior di latte (per quest'ultimo si usa latte vaccino): la produzione anche in
questo caso inizia con le caldaie, il riscaldamento del latte e la rottura della cagliata;
dopodiché si lascia maturare la cagliata sotto al siero acido. Con una macchina, poi, si tirano
via fette di cagliata maturate, che possono essere lavorate con acqua a T intorno ai 90°.
Quando il materiale fila all'interno dell'acqua bollente, significa che è pronto per essere
lavorato dal casaro, che andrà a dare al prodotto le sue forme caratteristiche, che possono
essere trecce, bocconcini, ecc.. Questa lavorazione dipende dal fatto che si è demineralizzata
(sotto siero acido) la cagliata.

I prodotti possono essere venduti freschi o fatti stagionare. Alla fine del processo, i
formaggi vengono fatti raffreddare in acqua salata. Sono formaggi fatti utilizzando latte non
pastorizzato, ancora una volta per non alterare la flora batterica. Girare e rigirare la cagliata
in modo da formare tante sfoglie, che intrappolano tra loro il siero, conferisce alla mozzarella
la sua consistenza e la rende succulenta; il suo sapore è dovuto al lavoro dei batteri lattici.
Questo tipo di trattamento (formazione di più sfoglie) non è possibile con le lavorazioni
industriali.

Le mozzarelle possono essere vendute preincartate e per legge inserite in vaschette che un
tempo contenevano 'acqua di salatura’, mentre ora contengono una soluzione di acido citrico
che permette la conservazione per più tempo (se no la mozzarella comincia in breve tempo a
sfaldarsi, perché l'attività batterica continua). L'esportazione deve avvenire in breve tempo.
I formaggi possono essere venduti anche affumicati: è necessario controllare la composizione
del fumo, questo potrebbe infatti contenere composti cancerogeni.

Gorgonzola, formaggio particolare perché contiene muffe all'interno: le muffe sono


microorganismi aerobi, che non tollerano ambienti anaerobi. La formazione di ambienti aerobi
all'interno del formaggio è stata una casualità, i primi a scoprire questa tecnica sono stati i
frati cistercensi: producendo formaggio, essi hanno mischiata la cagliata della sera con quella
della mattina successiva e le due tipologie di cagliate si sono retratte in modo diverso,
formando delle zolle separate le une dalle altre, che galleggiavano l'una sull'altra, formando
delle crepe. All'interno di queste crepe, si è creato un ambiente aerobio adatto alla
formazione di muffe tipiche della zona in cui viene prodotto il gorgonzola (Novara).

Attualmente, la produzione di questo particolare formaggio non viene fatta più in questo
modo, cioè provocando una scollatura della crosta e la formazione di crepe nel formaggio,
perché comporterebbe una spesa molto alta (mescolare i prodotti fatti in due giorni). Invece,
si procede con degli aghi, che, prima di essere infilati nel formaggio, vengono immersi in muffe
tipiche blu (penicilli), creando poi all'estrazione dei piccoli canali in cui riesce a passare l'aria.
A questo punto, le forme vengono divise in spicchi e incartate singolarmente in fogli di
alluminio.

Il gorgonzola, il taleggio e altri formaggi erborinati, oppure formaggi con crosta con muffa,
come il Camembert e il Brie, sono facilmente infettati da listeria monocitogenes, perché le
muffe creano una rialcalinizzazione della cagliata e il rammollimento, questo per la digestione
degli aminoacidi e liberazione di amine che rialcalinizzano la pasta, in cui è possibile che si
insedi questo agente patogeno.
Lezione 22/05

CONTROLLO DEI PATOGENI NEI DERIVATI DEL LATTE

Dal latte è possibile ottenere una grande varietà di prodotti, diversi per composizione,
consistenza e aroma.

Standardizzazione del tenore di grasso - Se si vuole fare un formaggio magro, è necessario


procedere alla scrematura. Questa operazione si può fare con la centrifuga o con la tecnica
tradizionale (è il caso del parmigiano), facendo sostare il latte in una bacinella molto larga e
poco profonda. In questo secondo caso i batteri lattici continuano ad operare ed acidificano:
viene ottenuta una crema acida per fare il burro, che va poi deacidificata (si trova scritto sul
panetto di burro se proviene da crema centrifugata quindi "dolce" o deacidificata).

Il grasso tolto viene poi usato per fare panna, altri formaggi, mascarpone, burro...

Termizzazione/ Pastorizzazione – Bisogna stabilire se saranno formaggi a lunga o breve


maturazione per sapere se la riduzione dell'acqua, che avviene durante la stagionatura,
permetterà di inattivare i batteri, in caso contrario si deve pastorizzare.

Prima era specificato per legge: con stagionatura >90 giorni, non era necessario pastorizzare;
se la stagionatura era di durata minore, era obbligatoria la pastorizzazione. La
pastorizzazione non è necessaria per fare il formaggio, in passato non la si faceva e si
facevano per questo i formaggi stagionati, poiché si era visto che così li si rendeva meno
pericolosi e molto più conservabili. Oggi la legge non dà parametri di tempi di stagionatura
(anche perché ci sono alcuni formaggi che, anche se sono molto stagionati, contengono acqua
es. Camembert), ma richiede che il formaggio sia sicuro e sta al produttore garantirlo. Lo
stesso vale per l'igiene: il formaggio dovrebbe essere lavorato in ambiente piastrellato
facilmente lavabile. Ci sono però lavorazioni artigianali, come il formaggio di fossa e il
Roquefort, che non possono essere lavorati in un ambiente del genere, poiché le
caratteristiche di tali prodotti sono dovute al particolare ambiente di lavorazione e alla
particolare flora microbica. Queste tipologie di prodotti non potranno mai adeguarsi alla
normativa igienica; viene quindi richiesto che si dimostri che non sono dannosi e questo è il
lavoro dei consulenti (veterinari, microbiologi). Invece, i formaggi con lavorazione
standardizzata possono adeguarsi a questa normativa.

Si sta incoraggiando il ritorno all' uso del caglio naturale (dalla mucosa dell'abomaso),
attualmente il caglio industriale è prodotto da E. Coli ingegnerizzati, ma il caglio naturale
contiene anche altri enzimi, che danno un prodotto con caratteristiche diverse e peculiari.

Aggiunta di starter e inoculi - Oltre al caglio, si può aggiungere ad esempio il siero-innesto,


siero derivato dalla lavorazione del giorno prima: contiene tantissimi batteri lattici che
permettono di acidificare e velocizzare il processo. L'uso di caglio naturale e inoculi naturali
può essere un punto rischioso per le contaminazioni.

Un’altra minaccia sono i batteriofagi: il fago litico uccide tutti i batteri lattici, il latte non
acidifica e la resa in formaggio è bassissima. I processi avvengono adesso in contenitori e
luoghi chiusi per evitare questo rischio.

Un altro problema sono i residui di antibiotici, questi, anche se sono in concentrazioni molto
basse, al di sotto di quelle previste per legge, possono ostacolare i batteri lattici. Ad esempio
la penicillina, che è molto usata nelle mastiti, può dare problemi nel momento in cui viene fatto
il formaggio. In questo caso, andrebbero fatte analisi nel latte per verificare i livelli di beta
lattamasi. In realtà la presenza di questi residui è un rischio anche per i consumatori allergici,
ma non sono stabilite per legge le quantità pericolose.

Aggiunta del caglio – può essere aggiunto al latte già caldo, è un enzima e quindi lavora molto
bene a temperature introno ai 37 gradi. Adesso si sta iniziando a usare enzimi che lavorano
bene anche a temperature più basse per riscaldare meno il latte. Il latte si scalda a 29-
31°C/34-38°C, iniettando vapore oppure ponendolo in contenitori con doppio fondo in cui
circola acqua calda.

Sosta – Una volta aggiunti caglio e siero-innesto si lascia riposare per 30 minuti perché si
sedimenti il coagulo.

Taglio/Rottura – Si inizia a lavorare con raspino, coltelli o ciotola nel caso della mozzarella.
Se si fa un taglio fine, si avranno formaggi più compatti (come il parmigiano); se si tagliano
blocchi spessi, si asciugherà più lentamente e il siero, che contiene acido lattico, resta
all’interno, continuando ad acidificare. Se poi viene lavata la cagliata, si ottiene un formaggio
ancora più dolce.

Cottura – Si prendo la vasca in cui è stata fatta la cagliata e si cuoce per scaldare il latte a
52° per i formaggi cotti, 45° per i semicotti; oppure non si cuoce. L'effetto della cottura è la
retrazione del coagulo.

Allontanamento del siero – Meno siero c'è, più viene un formaggio compatto e si stagiona per
tempi più lunghi (un formaggio che ha molta acqua va a male se stagionato per tempi lunghi).
Formatura – Si mette la cagliata in contenitori spesso cilindrici, talvolta anche a
parallelepipedo. Inizialmente si voleva imporre l'utilizzo di acciaio e teflon, ma tornava il
problema delle lavorazioni artigianali, per cui servono legno o marmo; si è poi visto che questi
materiali erano addirittura più sicuri, perché lavati con il siero acido che li disinfetta. Infatti
anche l'acciaio e il teflon se si rigano possono essere molto pericolosi, quindi non è detto che
solo perché vengano utilizzati questi materiali il formaggio sia più sicuro.

Salatura - viene fatta a secco o in salamoia per tempi specifici nei vari formaggi.

Infine, Stagionatura.

PERICOLI E CONTROLLI NEI FORMAGGI

• Materie prime contaminate: nei prodotti freschi, è necessario fare la pastorizzazione,


oppure se si vuole fare un prodotto a latte crudo, bisogna controllarlo (controllo
microbiologico) e dimostrare che è perfettamente sicuro e questo è più costoso, conviene
quindi trattare il latte.
• Termizzazione/Pastorizzazione: adesso ci sono pastorizzatori a piastre che sono molto
sicuri perché permettono di controllare temperatura e tempo.
• È importante la pulizia e l'igiene di tutte le attrezzature, per disinfettare è ottimo l'uso
del siero che contenendo acido lattico è un efficace disinfettante.
• Inoculi (colture starter) contaminati: L'uso degli inoculi espone a molti rischi: ad esempio,
mettendo siero non trattato termicamente nel latte pastorizzato, è possibile infettare
tutto il latte. È quindi necessario un controllo microbiologico. Mónica Ghisolfi
• Colture starter poco acidificanti: è necessario il controllo della sviluppo acido.
2018-04-27 12:31:16
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Caglio contaminato: soprattutto se viene usato caglio naturale, mataglio
anche tuttiattrezzature)
(igiene i materialitmb es un peligro.
sono potenziali agenti di contaminazione.
Cottura non efficace per distruggere i patogeni: viene fatta a temperature che non
uccidono i microrganismi patogeni e anche le fasi successive hanno rischio di
contaminazioni umane, ad esempio da stafilococco aureo.
Spurga, siero, lavorazione, formatura, salatura (contaminazioni)
Maturazione: sviluppo patogeni, controllo Aw, pH e tempo di maturazione.

COME AVVIENE LA CASEIFICAZIONE - Ci sono micelle di caseina, proteine globulari tenute


insieme da fosfato di calcio, queste proteine non sono solubili in acqua e sono tenute in
sospensione. Il caglio (che è un enzima) stacca un frammento dalle micelle di caseina e così
queste collidono e si attaccano una all'altra. Più ci si avvicina al punto isoelettrico (pH 4,6) e
più aumentano le collisioni, poiché non c'è più repulsione elettrostatica. In questo modo si
forma il coagulo, le micelle si attaccano e l’acqua è espulsa, l'aggiunta di acido favorisce la
coagulazione.

È possibile suddividere il processo descritto in tre stadi:

Stadio primario: distacco caseino macropeptide


Stadio secondario: aggregazione idrofobica delle micelle attraverso residui di para-K-caseina,
coadiuvata da perdita di repulsione elettrostatica, dovuta ad acidificazione (prox pH 4,6) e
dalla presenza di calcio che crea condizioni elettrostatiche isoelettriche, agendo da ponte tra
le micelle e dalla temperatura che aumenta la reazione idrofobica.

Stadio terziario: riarrangiamento delle micelle dopo la formazione di un gel, coagulo


consistente e inizio sineresi.

Mónica Ghisolfi
2018-04-27 12:49:28
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Microorganismos: Listeria, Clostridium
perfingensy Clostridium botulinum.

Ci sono varie tipologie di formaggi:

• Formaggi Stagionati Molli (Feta, Camembert, Brie, Blu)

Coagulazione prevalentemente enzimatica, non tanto per il pH, l'inoculo di batteri lattici è
abbondante e c'è un prolungato periodo di maturazione prima dell'aggiunta del caglio. Anche il
taglio della cagliata è ritardato, per favorire l’acidificazione e la demineralizzazione, ed è
fatto con grandi coltelli oppure con la pala, lasciando dei grossi blocchi per ridurre la perdita
di umidità al minimo.
La cagliata si colloca nelle forme quando è ancora dolce e la si lascia al caldo per diverse ore,
in modo da favorire lo sviluppo dei batteri lattici (l’acidificazione continua fino a quando viene
inibita la crescita della cultura). Il pH è normalmente 4.3-4.6 il giorno successivo alla
fabbricazione e, nel caso della feta, rimane basso durante la maturazione.

Il pH dei formaggi che formano muffe tende a aumentare durante la stagionatura


(Camembert e Brie) per la distruzione degli amminoacidi, anche la durata e la quantità della
salatura influenzano il pH. La sineresi è indotta dall’acido sviluppato dopo la formatura e dalla
salatura in salamoia per 2-8 settimane. Contenuto di umidità 45-60%.

• Formaggi Semi-duri Lavati (puzzone di Moena, Gouda, Edam, Montasio)

Hanno aromi molto forti dovuti agli enterococchi (streptococchi fecali), crescono molto bene
nelle zone umide, per favorirli si lava la forma affinché rimanga umido in superficie.

Tutto o parte del siero di latte viene rimosso dalla caldaia e sostituito con acqua, in modo da
limitare la quantità di lattosio ad un livello che consente lo sviluppo di acido lattico fino a
raggiungere un pH minimo di 5,2-5,0. La sineresi è controllata principalmente da temperatura
e tempo di cottura e dalla temperatura dell’acqua di lavaggio. Temperature più elevare
durante la cottura o il lavaggio causano contrazione della cagliata.

Il formaggio fresco lavato in genere ha un contenuto di umidità del 40-50%. La produzione di


un formaggio a coagulazione presamica con un’umidità contenuto del 40% o maggiore richiede
un trattamento di lavaggio per rimuovere il lattosio. Maturazione per 2 settimane – 9 mesi.

• Formaggi Duri Semicotti (pecorino romano e grana)

Ad esempio il Cheddar, che inizialmente ha una lavorazione simile alla mozzarella poi si
differenzia: nel Cheddar, le fette di cagliata vengono rivoltate, nella mozzarella sono buttate
nell'acqua bollente affinché filino e poi lavorate.

Cottura della cagliata ad alta temperatura: romano, parmigiano.

Controllo pH: tipo di cultura, la temperatura resta alta durante la pressatura, il lattosio viene
rimosso da sineresi. Si ha inoltre limitato sviluppo di acido prima dell’estrazione della cagliata.

Controllo umidità: rapida sineresi indotte da aggiunta del caglio ad alta temperatura e alta
temperatura di cottura.

Stagionatura: 1-36 mesi.

Nel caseificio, si possono osservare tavoli, caldaie, ecc.. e il formaggio è lavorato in


contenitori di legno che tengono bene il calore, mentre se questi sono in metallo, deve essere
erogato vapore per mantenere la temperatura. Il rame sarebbe un ottimo materiale, dato che
conduce in modo ottimale il calore, ma è più complicato da pulire. Gli operatori hanno le mani
igienizzate dalla temperatura e dall'acido lattico.

Filmato sulla produzione del BURRO

Impianto che produce burro: arriva il latte, viene messo in centrifughe e si valuta la materia
grassa. Questa operazione serve a far sì che i globuli di grasso si fondano tra loro e si
separino dall'acqua, il grasso è poi lavato per togliere il lattosio. Per legge, il burro deve
essere formato dall'88% da grasso, da questo si capisce che comunque rimane un po' d'acqua,
per questo in passato si faceva il burro salato, per ridurre l'attività dell'acqua e poter
conservare il burro a temperatura ambiente.

Il burro è messo nelle zangare, in cui si ottiene l'inversione di fase: si separano il così detto
“butter milk” e i fiocchi di burro, che saranno poi successivamente strizzati per eliminare
l'acqua. Vengono fatti poi i panetti che devono essere incartati, non si può vendere burro non
incartato per evitare il rischio di contaminazioni. Nel caso in cui la materia prima sia quella di
un caseificio che fa parmigiano reggiano e quindi che non è ottenuta da centrifugazione,
questa deve prima essere deacidificata.

Il burro viene pastorizzato per cambiare la popolazione microbica. Il batterio Pseudomonas


prolifera a temperature di refrigerazione: ci sono lipasi e proteasi che possono causare
l'irrancidimento, in questo caso gli acidi grassi separati si possono combinare con i sali di
calcio per formare saponi. Si aggiungono poi gli starter specifici per il burro, che sono
particolari ceppi di batteri lattici, che hanno il metabolismo dell'acido citrico, il che permette
di ottenere particolari aromi e caratteristiche nel burro.

Produzione del MASCARPONE (filmato)

Le materie prime sono panna(2/3) e latte(1/3), si possono aggiungere zucchero e altri


stabilizzanti. Poi si scalda per denaturare le proteine e si aggiunge l'acido citrico al 10%, per
portare il pH a 5,8 e si mette in vaschetta.

Si arriva qui a temperature che uccidono i batteri ma non le spore, che nella successiva fase
di raffreddamento costituiscono un pericolo, per cui ci vogliono dalle 8 alle 12 ore per arrivare
agli 8 gradi e anche dopo l'acquisto bisogna stare attenti a mantenere il prodotto alle
temperature idonee poiché è deperibile e c’è il rischio di attivare le spore. A questo proposito,
c'è anche stato un caso di morte per il botulino nel mascarpone.
Igiene 25/05

IL SISTEMA HACCP

Prevenzione dei rischi alimentari

Questo sistema, nato verso gli anni ’80, quindi non recentissimo, è stato sviluppato dalla
NASA, l’agenzia spaziale americana, per uno scopo preciso: organizzando missioni isolate nello
spazio, voleva essere certa che gli astronauti, per tutta la permanenza del viaggio (settimane
o mesi) in qualche stazione orbitante, non avessero problemi di salute. Gli astronauti hanno
tanti problemi di adattamento alle condizioni particolarissime in cui ci vivono e sono delle
persone uniche, insostituibili, per cui è indispensabile che siano sempre in condizioni di
operare.

L’HACCP è un sistema di controlli di produzione nell’industria, è un concetto che non vale solo
per i prodotti alimentari, ma per tutti i prodotti che hanno una base statistica. In particolare,
è un sistema che si occupa dei controlli di qualità sul prodotto e delle prevenzioni.

Piani di campionamento e proporzione unità difettose in lotti di alimenti

In questi grafici, curve operative


caratteristiche, si può vedere la
probabilità di accertare un lotto di
produzione.

Lotto di produzione = una certa


quantità di prodotto realizzato in un
processo industriale, in cui si
specifica perché i prodotti sono stati
fatti in quella giornata, lavorando con
quelle materie prime e se vi è una
qualità uniforme o pressappoco
uniforme.

Si decide quindi di fare dei controlli,


dei piani di campionamento, per
esempio prendendo in considerazione
cinque salami su un lotto di salami di
dimensioni medie, oppure cinque scatolette di ragù, cinque cartoni di latte, e così via.. Questi
campioni vengono analizzati, utilizzando come criterio di accettabilità “cinque uguale a zero”,
ovvero nessuno di questi cinque standard può risultare positivo per la caratteristica
analizzata. Quindi, per esempio, nessuno dei cinque cartoni di latte a sei giorni dalla
produzione deve presentare acidificazione del latte, oppure nessuna delle cinque confezioni di
latte alla scadenza dei sei giorni deve mostrare una composizione alterata.

La curva grafica dice che sono state prelevate cinque unità campionarie e che nessuna di
queste ha un difetto di esame, questo significa che la probabilità di accettare l’intero lotto,
sulla base del campione fatto, può essere del 20%, 40%, 60%, 80% o del 100%. Sull’asse delle
ordinate, vi è la percentuale di unità difettose che realmente ci sono nel lotto, si tratta di un
concetto statistico. Questo significa che se sono prese cinque unità campionarie e nessuna è
positiva, si ha circa il 10% di probabilità di accettare un lotto che contiene il 40% di unità
difettose.

[ESEMPI DEGENERATIVI DI TREVISANI - Questo ragionamento non ci deve meravigliare:


stiamo prendendo cinque campioni su un numero infinito, per cui è come se io prendessi un ago
in un paiaio, dove c’è un numero di palline, ma non so se sono bianche o sono nere, possono
avere una delle due caratteristiche, una il bianco, che va bene, e una il nero, che è la
difettosa, la pecora nera, ne pesco cinque non ho trovato nessuna pecora nera, ma nel cappello
ci sono n palline, n pecore, siamo proprio sicuri che non ce ne sia nessuna nera? Se io prendessi
una sesta pallina magari avrei la nera oppure se prendo la settima avrei la nera. Quand’è che io
avrei la certezza che la percentuale di pecore nere nel gregge sia realmente quello reale?
Quando le ho prese tutte, non c’è altro modo. Chiaramente se io le ho prese tutte meno una, la
mia probabilità di sbagliare è molto bassa, per cui la percentuale di probabilità di sbagliare sul
criterio, se vado ad aumentare il numero di quelle pecore, se n è uguale a 20, si riduce
fortemente, per cui posso sbagliare dell’1%.]

Questi grafici, che vanno bene per tutti i processi industriali, sono la base del controllo
qualitativo dell’industria. Vengono utilizzati in tutti i campi: nei controlli di qualità dei
televisori, si tratta di analizzare un display di 45 pollici, in cui non ci deve essere nemmeno un
pixel bruciato, oppure per le automobili si tratta di prendere le macchine metterle sul banco
di prova e verificare che, attraverso una serie di test che dovrebbero stressare il motore,
questo non si inceppi, non si sleghino le fasce, blocchino i freni o non vi siano infiltrazioni. Per
quanto riguarda gli alimenti per l’infanzia, si ricorda che in questi casi si aumenta la
numerosità campionaria per i controlli di qualità, aumentando il numero di campioni.

[Degenerazioni varie - Per gli astronauti, se si vuole la certezza bisogna fare come ai tempi
antichi, bisogna che ci sia l’assaggiatore e anche l’assaggiatore non è detto che funzioni,
perché magari l’assaggiatore non muore, perché l’avvelenatore ha messo la parte avvelenata
non in tutto il lotto, ma lo ha messo in un pezzettino e l’assaggiatore ha preso un altro
pezzettino che non è quello in cui ci sta, questo tanto è il motivo per dire che la statistica non
è detto che sia uniforme, magari il patogeno c’è, ma in una parte e non nel tutto.]

È importante tenere a mente che questi sono controlli che si basano sulla statistica, in cui in
linea di massima i prodotti sono omogenizzati in modo tale da distribuire ugualmente la
concentrazione di un potenziale patogeno in tutte le parti del prodotto, ma che, in alcuni casi,
può essere concentrato in singole unità di un lotto, poiché non sempre l’omogeneizzazione è
possibile in unità fisiche in una massa. Se si tratta di un prodotto idrosolubile liquido, è facile
che possa avere la stessa concentrazione dell’aflatossina n idrosolubile in tutto il latte e,
quindi, qualsiasi parte del latte venga presa come campione in un serbatoio si può pensare che
abbia una concentrazione che realmente indichi la concentrazione reale di aflatossina.

Piani di campionamento: per la Listeria Monocitogenes - alla fine del processo di produzione,
analizzando 25g di prodotto, il patogeno risulta assente, quindi uguale a zero nel grafico. Per
questo criterio, l’assenza in 25g vuol dire che la concentrazione non è superiore a 0,04 unità
formanti colonia (UFC) per grammo (→ 1 diviso 25 fa 0,04). Quindi in questo modo si definisce
un criterio di concentrazione massima divisibile, ma non è detto che in tutte le parti di quel
lotto siano così controllabili, ovvero che non vi sia la listeria, anzi è probabile che vi sia.
Bisogna fare attenzione perché si tratta di presenza o assenza, non di quanto patogeno è
presente, questo è il problema che verrà subito dopo: la valutazione quantitativa del rischio.

Più in particolare, Ideazione del sistema HACCP: sviluppato negli anni 60 da Pillsbury, US
Army Laboratories (Natick), NASA con lo scopo di produrre alimenti “sicuri” per gli
astronauti. Dopo 11 anni di lavori, nel 1971, è stato presentato all’American National
Conference for Food Protection e modificato successivamente dall’industria alimentare.
Riconoscimenti nazionali ed internazionali:

– Codex Alimentarius Commission HACCP code

– Legislazione Europea

Il Codex è una commissione di esperti, nominata in maniera congiunta da esperti della FAO,
(organizzazione dell’ONU che si interessa dell’agricoltura), produttori di tutto il mondo dei
paesi riconosciuti dall’ONU, insieme con l’Organizzazione mondiale della sanità. Il Codex
alimentare è chiamato a discutere di tutte le questioni rilevanti sul commercio mondiale degli
alimenti e capire i criteri e le garanzie alimentari, che hanno una valenza planetaria. È stato
percepito anche dalla normativa europea del ’93, in cui questo sistema HACCP è diventato
legge ed è obbligatoria la sua adozione in tutta Europa → direttiva del Consiglio Europeo
sull’igiene dei prodotti alimentari (93/43/EEC): Art.3, definizione dei principi, e Art.4,
applicazione dell’HACCP. Da ultimo è stato ripreso nelle normative più attuali, che riguardano il
pacchetto igiene, con il regolamento 852 sulla produzione primaria e 853 che riguarda le
industrie contenute in un bollo comunitario. Il sistema HACCP serve appunto a superare quelli
che sono i limiti del controllo basato sul campionamento.

BENEFICI DEL SISTEMA HACCP – Il sistema HACCP supera molte limitazione dell’approccio
tradizionale al controllo della sicurezza alimentare:

− Campionamento ed esame di un numero sufficiente di campioni


− Alto costo
− Tempo di analisi
− Identificazione di problemi senza comprendere le cause
− Limiti dell’ispezione senza preavviso

Ispezione vuol dire che si va ad analizzare e a guardare nel dettaglio per scoprire se un
determinato prodotto è difettoso o non è difettoso. Il veterinario al macello analizza tutte le
carcasse degli animali per verificare se hanno cisticerchi, trichinella, fistomi epatici, ovvero
quelle malattie che possono essere viste con un’osservazione visiva, come anche nella
tubercolosi dove taglio i linfonodi, cercando negli organi se ve ne sono i segni. Questi
veterinari usano un approccio anatomo-patologico, applicato a un difetto qualitativo del
prodotto: la carne prodotta dal macello (tipico controllo ispettivo). In passato è servito
moltissimo, ha infatti permesso di ridurre l’incidenza di malattie importanti, ma non è
infallibile: non è detto che se si ricerca, facendo dei tagli sui masseteri, uno sulla lingua e uno
sui pilastri del diaframma, sicuramente si trova la tenia saginata o solium. Queste possono
essere in qualsiasi massa muscolare e anche andando a scegliere i muscoli in cui è più facile
trovarla la possibilità che comunque sia presente in altri tagli di carne c’è. Per averne la
sicurezza, bisognerebbero affettare tutto il cadavere, ma ciò non è possibile se si vogliono
avere altri tipi di carne, oltre a quella macinata. Piuttosto, ci si assicura che quella carne
venga cotta o congelata, poiché così facendo, a prescindere dal fatto che ci sia la ciste o
meno, il consumatore è certo di non prendere la parassitosi. Ci si è spostati da un controllo
ispettivo, cioè dall’analisi anatomo-patologica dei tagli, a un controllo di processo, ovvero la
cottura/congelamento della carne, che è uno dei principi dell’HACCP.

È importante anche eseguire controlli di igiene nella produzione primaria, per esempio facendo
il test allergologico sugli animali, quindi ricercando se gli animali sono indenni da brucellosi e
tubercolosi. Fare questi test è più efficace che fare i controlli dopo al macello, ma ci sono casi
in cui anche coi test allergologici, la tubercolosi o un’altra specifica malattia non viene
rilevata. Il concetto è che bisogna sempre cercare la strategia che permetta di fare controlli
più possibile rapide e sicuri, in modo semplice e nei posti meno utilizzati. Tutto questo si fa più
facilmente con un controllo sul processo che porta fino alla trasformazione, piuttosto che con
un’analisi di ispezione.

Un altro problema che insorge quando è necessario utilizzare il campionamento è l’alto costo:
fare un test chimico, una gas-massa, un test batteriologico fino alla caratterizzazione
necessaria per il rischio di alcuni patogeni costa 50, 100, anche 500 euro a campione, per le
diossine. Se il numero di campioni da testare è molto alto, spendere così tanti soldi per
testarli è sconveniente se non impossibile. Questo potrebbe significare che vengono fatte
categorie per gli alimenti più controllati, cosa che non sarebbe eticamente accettabile dallo
stato, perché equivarrebbe a dire che “chi si può pagare gli alimenti più costosi è più tranquillo
e chi non se li può permettere è meno tutelato”. Oltretutto, vi sono anche problemi nel tempo
di analisi, poiché per la risposta dal laboratorio passa una settimana e quel prodotto non ha più
commerciabilità. Sono stati quindi inventati dei metodi più rapidi e meno costosi, con dei kit
che su scala di produzione industriale costano meno. Questi vengono utilizzati, non per il
controllo della qualità del lotto, ma come validazione, cioè come dimostrazione che veramente
quel controllo fornisce i risultati che si vuole ottenere, quindi dando una validazione di quella
che è l’efficacia del piano di autocontrollo basato sul sistema HACCP.

Oltretutto le ispezioni in azienda non possono essere fatte al momento, senza preavviso,
perché bisogna dare la possibilità alle persone di rintracciare i documenti chiesti in questi
controlli. Se questi non vengono presentati, infatti, si hanno sanzioni salatissime e questo va a
intralciare poi il lavoro di tutti i giorni. Inoltre, se le industrie alimentari dovessero essere
esposte continuamente ai funzionari pubblici, che non gli dicono che cosa, ma vanno a
controllare tutto, dopo un po’ smetterebbero di lavorare per l’impossibilità di stargli dietro.
Quindi di ispezioni attualmente se ne fanno ancora, ma in numero decisamente contenuto. In
Inghilterra si chiamano audit e hanno una valenza diversa: servono a valutare capacità di saper
fare, non controllando il vero difetto, ma facendo magari un campionamento per vedere come
la situazione viene gestita. Generalmente, l’audit è fatto per controllare se la determinata
azienda sta seguendo tutte le norme di legge o se non è conforme con esse e quindi deve
mettersi a posto.

Il secondo sistema elaborato dal codex alimentare chiudendo questo processo è dato dai
principi dell’HACCP. I principi dell’HACCP sono sette (sono da saper come una tabellina).

1. Identificare i pericoli potenziali e le misure per il loro controllo


2. Individuare i punti critici di controllo (CCP)
3. Stabilire i limiti critici che devono essere rispettati per assicurare che ogni CCP è sotto
controllo
4. Stabilite un sistema di monitoraggio
5. Stabilire le azioni correttive da prendere quando il monitoraggio indica che un CCP non è
sotto controllo
6. Stabilire le procedure di verifica per confermare che il sistema HACCP sta funzionando
correttamente
7. Stabilire le documentazione per le procedure e le registrazioni

Il primo principio dice che bisogna identificare i pericoli potenziali e le misure per il loro
controllo. Questo viene spesso fatto dai veterinari, infatti sono loro che sanno nelle diverse
vie produttive quali sono i problemi di livelli residui, quali sono i problemi di contaminanti
alimentari, di patogeni zoonotici o patogeni invece che possono causare malattie diffusive
(neuropatologie) e questo controllo viene fatto per ogni singola filiera e azienda.
Ad esempio, per la macellazione dei bovini bisogna chiedersi da dove arrivano, quali malattie ci
sono su quel territorio, quindi valutare i dati epidemiologici → questi sono i pericoli potenziali.
Quando si fa il giudizio bisogna elencare i pericoli, poi si fa la valutazione, ovvero si guarda
qual è la probabilità che ci siano tali pericoli e qual è la probabilità delle conseguenza dei
sistemi di controllo → bisogna quindi condurre un’analisi dei pericoli e specificare le misure
di controllo.

Ogni volta che c’è un processo bisogna mettere in evidenza quali sono i pericoli e trovare un
metodo di controllo, ma può accadere che sia visto un pericolo, un contaminante per cui non si
ha una misura di controllo specifica. In questi casi, l’HACCP dice che bisogna cambiare il
processo di produzione, ad esempio a livello di produzione primaria, andando in una zona dove
non c’è quel pericolo. Non si può però pretendere la produzione di latte sia completamente
esente da aflatossine, vengono dati infatti al mais dei prodotti dove ci sono le aflatossine,
così come succede nel caso dell’atlazina, ovvero si fa una valutazione del rischio, in cui il
politico si assume la responsabilità di assumere tutti i giorni l’atlazina e in cui c’è la possibilità
che a qualcuno dia disturbi metabolici, tumori o altro. L’atlazina è un diserbante usato nella
coltivazione del riso in zone come Varese, è un agente selettivo che entra nelle foglie quando
sono bagnate e va fino alla radice, dando colture di mais senza piante infestanti che
ricrescerebbero sempre. La Bonsanto ha sviluppato delle sementi di mais e di altre piante che
sono resistenti a questo diserbante. L’atlazina andava nel suolo e nelle falde acquifere,
contaminando i fiumi da dove si preleva l’acqua potabile e i mercanti assicuravano che non
sarebbe percolata, come invece è avvenuto; adesso dicono invece che non è pericolosa perché
non passa i tessuti, mentre, in America, è stata trovata nei tessuti, nel latte delle donne che
allattavano e nell’acqua. In ogni caso, le valutazioni del rischio su una sostanza vengono fatte
da chi ha il brevetto per produrla, questo ovviamente causa un probabile conflitto di interessi.

Nel sistema HACCP, la logica è avere sempre una misura di controllo, se non c’è una misura di
controllo bisogna cambiare il metodo produttivo, variando il livello di asciugatura o qualunque
cosa sia efficace contro l’agente patogeno, dove per agente patogeno non si identifica solo
batteri, parassiti e virus, ma anche agenti fisici, fattori tossici, come pezzi di metallo.

A questo punto, avendo visto quali sono le potenziali misure per ogni controllo bisogna
individuare i punti critici del controllo (CCP). Solo avendo dei punti critici di controllo validi
si può avere una condizione di garanzia, di accettabilità, di non pericolosità del prodotto
alimentare, per esempio, il punto di controllo può essere la pasteurizzazione del latte, la
refrigerazione della carne, l’acidificazione nel salame con l’utilizzo del salnitro. Avendo
definito quella fase del processo in cui è possibile attuare il controllo, intanto bisogna attuare
tale controllo e verificare se riesce ad eliminare o a rendere accettabile il pericolo valutato,
per questo bisogna definire un limite, di modo che il controllo sia misurabile, annotabile e dato
da giudizio (soggettivo - buono, va bene). Se si parla di temperatura del latte, il tempo di
misura di pasteurizzazione del latte deve essere misurabile specificando dei parametri, se si
parla di refrigerazione bisogna specificare i parametri. Quindi bisogna definire e stabilire i
limiti critici, in modo che siano all’interno di valori predefiniti considerati sicuri, come la
pasteurizzazione a 72°C per 15 secondi, considerata sicura perché non esiste un patogeno in
grado di resistere a tale trattamento. Ci sono altri patogeni che invece sono termodurici, ma
che sono anche controllati da un altro CCP, per esempio le loro spore non potranno germogliare
perché l’ambiente verrà mantenuto freddo. Nello stesso processo produttivo vi possono
essere anche diversi CCP, che contribuiscono a formare lo stesso pericolo oppure che
controllano diversi pericoli. Sulla filiera del latte un altro CCP può essere il controllo dei
fornitori, in cui si va a controllare che non ci sia pericolosità nel latte, facendo un
monitoraggio sul latte crudo.

Il quarto punto del sistema HACCP, avendo definito quelli che sono i limiti critici in un certo
punto di controllo, è stabilire il sistema di monitoraggio. Per esempio, per controllare la
temperatura di pasteurizzazione, ci sarà un termometro che registra i dati (flusso, lunghezza,
divisione in tempo). Nel caso in cui il monitoraggio evidenzi che il processo è fuori dai limiti
critici, magari perché non è stata raggiunta la temperatura prefissata di refrigerazione o
pasteurizzazione, si prevede un’azione preventiva efficace, cioè qualcosa che faccia sì che
quel prodotto difettoso non vada in commercio. Questo può significare ad esempio il ritiro dal
commercio e la pasteurizzazione del lotto difettoso o l’utilizzo di questo per altri prodotti in
cui il pericolo contenuto non sia un rischio per il consumatore finale → Stabilire un piano di
azioni correttive. Quello che è importante è anche capire il perché si è resa necessaria
questa azione correttiva, in modo che non si ripeta lo stesso errore su altri lotti.

Il sesto principio dice che bisogna stabilire delle misure di verifica che servono a
confermare che il sistema HACCP sia applicato e che stia funzionando correttamente.
Queste si attuano mantenendo la rintracciabilità dei dati, che serviranno proprio al
veterinario pubblico che andrà presso le diverse aziende a controllare che i procedimenti
siano applicati ed applicati correttamente. Se, per esempio, misurando la temperatura di una
carcassa al macello che deve essere messa in commercio con la temperatura di 7°C, questa
temperatura nel campione in analisi non è rispettata significa che o il sistema non è affidabile
in assoluto (vuol dire che il procedimento è stato controllato cinque volte, ma controllando la
sesta volta si ha una temperatura diversa per prodotto difettoso), oppure che i dirigenti delle
aziende stiano prendendo in giro i veterinari operatori, dice di fare i controlli ma non
facendoli. Questi sono quindi sistemi di verifica e di validazione. Il veterinario di turno fa il
test della fosfatasi del latte, nonostante il controllo delle temperature e dei tempi di
pasteurizzazione siano corretti ed adeguati, in questo modo è possibile stabilire se un
processo funziona veramente.
In ultimo bisogna stabilire le documentazioni e le registrazione, per documentare le
procedure, il modo in cui tutto viene gestisco e quali sono i piani che hanno permesso di dire
che questi sono i pericoli da controllare, nonché i metodi di controllo stessi. Seguire delle
procedure significa sapere come pulire, come disinfettare, com’è formato il personale, come
sono stati scelti e qualificati i fornitori, come vengono controllati gli infestanti, ecc.. Per
esempio, nel controllo degli infestanti, il veterinario deve vedere dove sono i dati delle esche,
quante esche sono state mangiate, quali sono le esche e perché sono state messe lì.
Lezione 27/05

Nella scorsa lezione, abbiamo iniziato a parlare del sistema HACCP. Più che un controllo,
questo sistema è un modo di seguire una procedura per capire cosa in questa procedura
bisogna controllare e come va controllato. Abbiamo spiegato che l'ispezione dei prodotti, cioè
quanto può essere esteso un trattamento, non da garanzie assolute, l'idea è che invece vi sono
dei metodi per controllare efficacemente i pericoli, come i trattamenti di cottura, di
refrigerazione, di asciugatura, con i quali si riesce a garantire molto meglio la sicurezza del
prodotto. Ci sono aziende alimentari diverse, con prodotti diversi, e quindi affidarsi ad un
autocontrollo gestito in maniera autonoma non darebbe sufficienti garanzie per poter
permettere la libera circolazione delle merci. Ecco perché il codex alimentare, e poi la
commissione europea, ha chiesto alle aziende che si adeguassero ad un sistema considerato
valido, utilizzato adesso in tutto il mondo. Questo sistema (inventato da un ASL e poi
sviluppato negli anni successivi) si articola in 7 principi (visti nella scorsa lezione).

Non tutte le aziende hanno le competenze al loro interno per eseguire un piano HACCP in
maniera autonoma, quindi si rivolgono a consulenti esterni. Il veterinario pubblico si
interfaccia con le aziende, che applicano questi sistemi di autocontrollo, per poi poter fare le
visite e vedere se tutto funziona in maniera regolare o ci sono dei problemi. Il veterinario
però non può entrare in azienda e dire cambia questo o quello, lui può solo dire dimostrare se
funziona o meno e chiedere, in questo caso, dei provvedimenti per correggere la procedura.
Questo perché ogni azienda deve essere libera e responsabile delle proprie scelte e non si può
imputare la responsabilità a chi fa i controlli. La prima cosa che deve fare un'azienda se
contatta un consulente esterno per sviluppare un piano di autocontrollo è dargli un mandato.
In pratica, l'azienda dice cosa bisogna fare e mette a disposizione i mezzi con cui si deve fare
e comunica i termini di riferimento, ossia di cosa stiamo parlando: di prodotti cosi
confezionati, così preparati, così sviluppati. Chiaramente, se si tratta di una piccola azienda, è
possibile che lo faccia il veterinario da solo o anche altre figure professionali, anche se il
veterinario ha qualche punto di vantaggio in più per il tipo di studio che ha fatto (conosce
molto meglio la sorveglianza semeiotica, i trattamenti veterinari fatti sugli animali, le malattie
ambientali). Nelle aziende più grosse, si sviluppa un gruppo di lavoro e ci può essere il
tecnologo, che conosce molto bene le apparecchiature tecniche (il pastorizzatore iniziale,
l'impianto UHT), però il tecnico da solo non è in grado di fare tutto. A volte ci sono nelle
aziende, nel settore controllo qualità,
anche dei chimici, perché magari si
tratta di attività nella quale i
prodotti chimici sono fondamentali.
Quello che deve fare il gruppo di
lavoro (tecnici, microbiologi,
veterinari), è prima di tutto capire di
quali prodotti si tratta, chiedendo
direttamente all'azienda di
interesse. Infatti, un macello
agricolo ha una cosa come 50
prodotti diversi, un salumificio può
avere centinaia di prodotti diversi
(perché fa un sacco di tipologie di salumi diversi). È chiaro che alcune cose si sviluppano
secondo le linee comuni, ma ad un certo punto le cose possono cambiare, per esempio, in
termini di possibilità di moltiplicazione batterica, in termini di vita commerciale del prodotto,
eccetera. Quindi bisogna avere un'idea molto chiara di quelle che sono le diverse tipologie dei
prodotti e arrivare a preparare una descrizione completa del singolo prodotto, che contenga
la sua composizione, la lavorazione e il confezionamento, le condizioni di conservazione e
distribuzione, le istruzioni per l’uso e, infine, la tipologia di consumatori a cui è destinato. Può
anche essere una scelta quella di assimilare alcuni prodotti non troppo diversi per facilitare il
lavoro e non farlo diventare immane. Nel rischio del prodotto, bisogna che sia anche molto
chiaro quali sono i modi di consumo (se ad esempio questo va cotto o riscaldato, se al
formaggio va tolta la crosta); bisogna specificare tanti aspetti, alle volte vengono riportati
sull'etichetta (scaldare in microonde a quanto, scaldare al forno, etc) perché quelle
informazioni specificano che cosa intende per cottura, non danno margini di interpretazione
diversa e quindi se poi il consumatore fa diversamente da come indicato la colpa di una
possibile patogenicità sviluppata nel prodotto è sua. La difficoltà nello specificare cos'è un
prodotto pronto al consumo, o parzialmente cotto, o pre-cotto, oppure un prodotto che deve
essere preparato dal consumatore, è tale che ci sono trattati interi al riguardo. Quindi quando
si tratta della modalità di consumo è necessario specificare eventualmente la categoria dei
consumatori (anziani, bambini o categorie a rischio), importante poiché cambia la
concentrazione massima dei fattori accettabili (esempio: listeria), poichè la dose infettante
può essere variabile a seconda del soggetto. Bisogna inoltre considerare ciò che è essenziale
per la sicurezza del prodotto.

Per esempio, nel descrivere il confezionamento bisogna pensare qual è l'atmosfera che c'è
dentro alla confezione e quale sia il rischio
che questa non mantenga tale atmosfera per
tutta la sua vita commerciale. Questo sulla
base del fatto che il gas all'interno ha quella
determinata composizione, se però poi la
sigillatura non tiene, se l'alimento può essere
ammaccato e quindi si perde l'integrità della
confezione, deve essere previsto un sistema
in grado di riconoscere questa anomalia e
vedere se il prodotto è ancora buono e
riportarlo sulla confezione. Un esempio sono i
contenitori in vetro con il tappo rialzato, per
cui se il tappo non è più rialzato e fa un solo scatto quando schiacciato (come nei sottaceti), il
prodotto non va aperto ne consumato. Un altro esempio sono i prodotti freschi: il pensionato
compra il minestrone fresco del supermercato ne mangia un po’ e il resto lo conserva per il
pasto successivo, ma lo lascia fuori dal frigo perché gli piace a temperatura ambiente; quando
mangia il restante minestrone, gli viene il botulino. Allora i veterinari vanno nell’azienda a
indagare e questa risponde che le spore vi possono essere, ma non replicano perché il prodotto
deve essere refrigerato e comunque c'è scritto sulla confezione che il prodotto, una volta
aperto, va consumato entro 2 ore. L'informazione al consumatore è importante e deve essere
fatta dal produttore attraverso l'etichetta, ma anche i consumatori devono essere educati: la
normativa europea dice che chi dovrebbe insegnare alle persone le norme di igiene sul
consumo degli alimenti sono le scuole e, nello specifico, il professore di educazione fisica.

Altra cosa che bisogna fare è sviluppare un diagramma di flusso. Esistono delle codifiche con
triangoli, rettangolini, freccette, che servono a specificare, sulla piantina cartacea che
descrive la planimetria dell'impianto, come si muove il prodotto, che cosa accade in questo
punto, cosa in questo (che specifichi quindi tutte le procedure che vengono applicate al
prodotto). In ogni punto di questo flusso di produzione per ogni singolo prodotto, bisogna
evidenziare quelli che sono i pericoli potenziali. Questo è importante perché per decidere se
le caratteristiche nel prodotto variano da una fase all'altra, per esempio i batteri possono
crescere se viene fatta una lavorazione a temperatura ambientale: un prodotto prima
refrigerato si riscalda durante la lavorazione, per esempio durante la macellazione, e bisogna
prevedere se in questa fase i patogeni o i batteri nella materia possono riprodurre e quindi
stimare di quanto aumentano. I pericoli potenziali vanno identificati tenendo conto delle
materie prime, dell'ambiente di lavorazione e del personale (dei rischi che il personale possa
essere fonte di contaminazione). Il personale deve essere formato, deve sapere come
comportarsi per evitare contaminazioni nei suoi spostamenti, possibilmente gli viene fatto un
libretto personale, in cui risulta che non ha gli anticorpi per un determinato patogeno, quindi
non ha avuto un'infezione e non può essere un portatore; se venisse fuori che lui è un
portatore, l’operatore va messo in un reparto dove non può fare danni.

Nei diagrammi di flusso non bisogna


capire solamente come si muove il
prodotto e quindi capire se ci sono dei
punti di incrocio, ma anche se i punti
di incrocio arrivano dalle persone o
dall'ambiente. Di punti di incrocio
nella linea di lavorazione ve ne
possono essere tanti, ad esempio in
un'azienda che fa prosciutti cotti: c'è
un operaio che lavora con il coltello
sulla coscia cruda e prima di mettere
la salamoia con la siringa dentro la
coscia non indossa i guanti; se quello
stesso operaio cambia reparto e si
ritrova a manipolare i prosciutti cotti
in uscita, bisogna essere certi che si sia lavato bene le mani e si sia adoperato per lavorare
senza contaminare il prodotto. La stessa cosa vale se c'è qualche persona che gira da un
reparto all'altro. Nella planimetria dovranno comparire dove sono messe le porte di chiusura, i
lava stivali, dove sono i bagni proprio per dimostrare ed essere certi di evitare possibili
contaminazioni. Se si fanno entrare in un reparto dove si ha produzione di carni degli
imballaggi di cartone, c’è l'esigenza di fare per esempio contro-soffitture o aperture
alternative, perché se il cartone viene fatto entrare, da dove entrano le carni così sporche,
rischia di essere vettore di contaminazione, o altrimenti deve esserci una confezione per gli
imballaggi che li protegge dalle contaminazioni: polvere, animali infestanti. Tutti questi
dettagli sono un problema come la manutenzione e la pulizia delle posture.
Il piano HACCP comprende anche il piano pre-requisito, cioè prima di parlare dell’HACCP
bisogna mettere in atto tutte le procedure per poter avere un ambiente pulito, per poter
avere un ambiente dove non ci sono animali infestanti, come le mosche. Il piano prerequisito
comprende la formazione del personale, la pulizia dell'ambiente di lavoro, eccetera.

Pericoli (hazards) possono essere un agente biologico, chimico, fisico nell’alimento, oppure una
condizione dell’alimento, che possono danneggiare la salute dei consumatori.

Principio 1:

Fare una lista di tutti i pericoli associati con ciascuna fase operativa
• Fare un’analisi dei pericoli (gravità, probabilità, condizioni di rischio)
Elencare le misure che elimineranno e ridurranno il pericolo (misure di controllo)

Una volta visti i pericoli, bisogna quindi analizzarli. Non tutti vanno controllati con delle misure
di controllo sicure ed efficaci, perché il pericolo può essere la salmonella che sicuramente va
controllata, ma può anche essere la presenza di un capello dell'operatore e allora li si può
decidere che è irrilevante. Oppure può capitare che ci sia un frammento di vetro, per cui dopo
aver aperto la confezione di vetro, il consumatore si accorge che questa si è sbeccata ed è
caduto del vetro nel prodotto; anche questo è un pericolo e anche qui bisogna avere delle
misure di controllo e prevenzione. È capitato a delle persone che hanno mangiato il baccalà di
ritrovarsi una spina nel prodotto, che gli ha bucato la lingua, che si è gonfiata e gli è venuto un
flemmone. 'Ma è normale che ci siano spine nel baccalà' ti dice il produttore, però se viene
venduto come un prodotto senza spine, deliscato, quantomeno va messo nell'etichetta
“attenzione il prodotto potrebbe contenere spine” per cui non c’è un controllo, ma
un'informazione sul rischio, oppure nello spezzatino di selvaggina cacciata con il fucile da
caccia con i pallini, sull'etichetta può esservi la scritta “attenzione il prodotto potrebbe
contenere corpi estranei” (pallini da caccia). Ogni volta che si fa l'analisi del pericolo bisogna
specificare quali sono le misure di controllo, che siano dei controlli che risolvono
completamente il problema oppure che siano delle avvertenze, delle istruzioni sull'uso o altro.

Quando si valuta un pericolo, bisogna considerarne oltre che l'esistenza, anche la gravità e la
probabilità della condizione di rischio. Nel rischio patogeno un conto è parlare della
salmonella, un conto è parlare del botulino; quindi se anche è raramente probabile che ci sia un
prodotto che contenga forme vegetative e quindi la tossina del botulino, il pericolo è talmente
grande che deve essere assolutamente controllato. La salmonella sarà pur meno grave, ma
siccome è molto diffusa bisogna controllare sempre anche per questa. Per cui fare una
valutazione della gravità e della probabilità è una cosa non facile, bisogna conoscere tutti i
rapporti fatti tra quantità e pericolo. Tutti i pericoli che, sulla base di questa analisi, risultano
significativi per la sicurezza del prodotto devono essere controllati attraverso una misura di
controllo, quindi attraverso il piano HACCP. Se poi viene fuori che nel processo, ci sono
pericoli significativi e non vi è un'efficace misura di controllo, la decisione è cambiare il
processo, non si può rimanere con questa condizione di pericolo. Cambiare il processo vuol dire
per esempio introdurre delle fasi in cui distruggo il relativo patogeno, magari con calore o
refrigerazione. Le condizioni che si possono avere con i pericoli biologici sono: la possibilità di
moltiplicare, la possibilità di sopravvivere. Per esempio un patogeno moltiplica ad una certa
pressione atmosferica, al di sotto la moltiplicazione non può avvenire e quindi se il prodotto è
essiccato e acidificato si può prevenire ed andare a inattivare il patogeno. Quando vengono
miscelate delle materie contaminate con delle materie non contaminate, si attua una diluizione
sia per i patogeni batterici, sia per le sostanze chimiche che possono derivare anche dalle
attrezzature. Un esempio è la macchina che ha l'olio lubrificante, in cui le guarnizioni perdono,
anche un macina-carne, se non è mantenuto adeguatamente, può avere delle perdite di olio dal

motore. Quindi ci sarà un operatore che ha il compito di fare l'ispezione degli alimenti per
controllare che non ci siano residui prima di inviare il prodotto all'esterno del luogo di
lavorazione.

Principio 2

Determinare i Punti Critici di Controllo (CCP):

Sulla base del giudizio professionale


• L’applicazione d un albero delle decisioni può risultare utile
• CCP è una fase del processo produttivo in cui c’è un controllo del pericolo. Perciò è
essenziale sorvegliare che il controllo si sempre efficace ed utile a prevenire o eliminare
un pericolo o ridurlo ad un livello accettabile.
Una volta stabilite le misure di controllo, si definiscono quali sono i punti critici di controllo,
cioè quelle fasi del processo in cui vengono attuati questi controlli. Quindi, un punto critico di
controllo è una fase del processo in cui si può avere una certa lavorazione, tipologia o
condizione del prodotto che fa si che il produttore sia in grado di avere un controllo con cui
eliminare o ridurre a un livello che non è più pericoloso quel pericolo. La refrigerazione è un
esempio di punto di controllo: con essa, si evita la moltiplicazione batterica. La
pastorizzazione è un punto critico di controllo perché anche lì ci sono dei patogeni che se non
pastorizzo il latte correttamente possono sopravvivere e possono creare un'anomalia.
L'acidificazione e l'asciugatura sono delle forme di controllo, ecc.

La definizione dei punti critici di controllo viene fatta sulla base di un giudizio professionale.
Per poter decidere se quella fase del procedimento è un punto critico di controllo, si usa uno
strumento che è stato sviluppato con il piano HACCP e si chiama “albero delle decisioni”.

Il controllo può essere:


− La selezione delle materie prime (fornitori qualificati, caratteristiche..)
− La formulazione del prodotto
− La posizione di una determinata lavorazione (es. in camera bianc con controllo stretto delle
− Un processo (es. irraggiamento, pastorizzazione, sterilizzazione)
− Una pratica (es spessore di un hamburger, dimensione di una scatoletta da sterilizzare)

Principio 3:

Stabilire i limiti critici che devono essere rispettati per assicurare che ogni CCP sia sotto
controllo

Quando c’è un metodo di controllo è bene che non sia solo “è stato fatto o non è stato fatto”,
ma specificare nei parametri la quantità limite, quindi per la temperatura che temperatura,
per il tempo quanto tempo, il pH quale valore di pH, l'asciugatura quanto sarà per il pesce,
qual'è l'attività dell'acqua, ecc. Se si tratta di un pericolo chimico, molte volte il punto di
controllo è la selezione dei fornitori e la scelta delle reattive. Se arrivano prodotti con la
dichiarazione che non contengono antibiotici, per dimostrare che non ci sono si possono
qualificare i fornitori e ogni tanto metterli alla prova per vedere che loro certificano il vero,
in questo caso il controllo è la presenza di una certificazione. È la stessa cosa per gli animali
che arrivano al macello: devono essere accompagnati da un documento che dichiari che questi
animali non sono stati sottoposti a trattamenti farmacologici negli ultimi 90 giorni;
chiaramente al macello non si può verificare subito tale evenienza, ma ogni tanto lo si fa per
verificare che il fornitore sia corretto. Poi volendo si possono fare anche altri controlli, come
andare in stalla a fare il prelievo di urina, piuttosto che di feci, per verificare che certi
trattamenti non siano fatti negli ultimi giorni prima del macello.

Principio 4:

Stabilire un sistema per monitorare il controllo di un CCP, mediante esami ed osservazioni


programmate

Chiaramente una volta definito qual è il controllo, dove viene applicato e quali sono i limiti
critici, bisogna avere un sistema di monitoraggio attraverso il quale si controlli che i parametri
e la documentazione relativa siano presenti.

Principio 5:

• Stabilisce le azioni correttive da prendere quando il monitoraggio indica che un particolare


CCP non è sotto controllo o sta per esserlo.

Per esempio se il pH doveva essere 5 e invece è 5.5; le azioni correttive possono riguardare il
processo di produzione o direttamente il prodotto negandogli l'immissione sul mercato se non
è stato sottoposto a un trattamento che lo ha reso non pericoloso oppure controllato e
analizzato per decidere che quella variazione di pH non l'abbia reso pericoloso. L'azione
correttiva è scelta dall'azienda e il veterinario deve accettare la decisione, ma può metterla
in discussione. Per quanto riguarda l'azione correttiva riguardante il processo, bisogna
chiedersi come mai il pH non è sceso come doveva scendere, cos'è che non ha funzionato nel
processo e che non ha permesso al pH di scendere correttamente, ecc.
Monitorare: l’atto di condurre una sequenza programmata di osservazioni o misure di
parametri di controllo per verificare se un CCP è sotto controllo.

Realizzare un sistema di monitoraggio per ciascun CCP:

• Il metodo o l’attrezzatura da utilizzare


Il momento e la frequenza del controllo
• L’interpretazione del risultato e le azioni da intraprendere

Definire le azioni correttive: le azioni correttive devono assicurare che solo i prodotti sicuri
raggiugano il consumatore. Queste sono azioni da intraprendere quando i risultati del
monitoraggio sui CCP indicano una perdita di controllo.

Principio 6:

• Stabilire le procedure di verifica per confermare che il piano HACCP stia funzionando
efficacemente. Ciò può richiedere prove supplementari ed una revisione. Quindi c’è
verifica, validazione (ove/quando è possibile) e in caso revisione.

Quindi, nelle azioni correttive, il veterinario vede


quali sono i procedimenti, vede il piano di
autocontrollo fatto, tutte le registrazioni sono
state fatte prima di fare i controlli, quindi
l’azienda potrebbe segnare che ha fatto questo e
quest'altro, riportando dichiarazioni false a suo
favore.. Ciò non si può fare ed è per questo che
serve qualcuno che controlli il lavoro, che può
essere uno interno o uno esterno che va a fare le
visite. Un piano di autocontrollo in cui viene fuori
che l'azienda non abbia mai avuto un problema, sempre tutto perfetto, è inaffidabile; non è
possibile che sia andato sempre tutto bene, sarebbe troppo perfetto e quando si è troppo
perfetti vuol dire che c'è qualcosa che non va, quindi anche il veterinario dovrà fare dei
controlli e fare quindi un parallelo per vedere cosa viene fuori. Questo è un modo di fare i
campionamenti ufficiali per sottoporre a verifica quello che l’azienda sta facendo e verificare
la validità di quello che viene scritto nel registro di autocontrollo. Le norme ISO dicono le
stesse cose, cioè che bisogna fare le cose in un determinato modo e bene, però anche
sottoporsi ad un'autovalutazione da una persona esterna per vedere quali sono le cose che non
vanno bene, capire il perché e poi cercare di rimediare e fare sempre le cose in maniera
giusta. I piani hanno quindi delle revisioni
periodiche (non esistono piani di
autocontrollo immutabili nel tempo).

Verifica può significare anche che io


affermo che, acidificando e asciugando il
salame, la salmonella scompare, per cui posso
metterlo in vendita dopo 30 giorni di
maturazione, se pure il pH e il calo peso sono
regolari. Però siccome non mi fido nemmeno di me stesso e voglio dimostrare che ciò sia vero,
faccio delle analisi periodiche, analizzando i lotti per la salmonella. Può capitare che si trovi la
salmonella e allora la domanda è, per averla trovata, ce n'era troppa nella materia prima
oppure questo è dovuto al fatto che alla fine il sistema di controllo applicato non funziona?
Questo bisogna capirlo e molte volte le aziende fanno dei cosiddetti challenge test, ovvero si
mettono alla prova, prendono il salame e ci mettono loro dentro la salmonella, dopodiché
sottopongono il prodotto allo stesso processo per verificare che la salmonella sia scomparsa.
Siccome queste prove non si possono fare nell'industria alimentare, per problemi di pericolo di
contaminazione, molte volte queste vengono svolte da laboratori esterni, che riproducono le
stesse condizioni dell'azienda alimentare, dove viene lavorato il prodotto.

Principio 7:

Stabilire la documentazione da raccogliere relativamente alle procedure ed alle


registrazioni.
• La documentazione deve essere appropriata ed in grado di dimostrare l’applicazione di
questi principi.

La documentazione delle registrazioni può avvenire su supporto informatico o cartaceo, in


esse va scritto che cosa viene visto e di che cosa viene mantenuta la traccia. Nella
documentazione vanno scritte: la durata degli incontri del gruppo di lavoro, le decisioni prese
e le loro motivazioni; le registrazioni di monitoraggio e verifica; le registrazioni delle
deviazioni e delle azioni correttive e le registrazioni delle modifiche al piano HACCP.
Lezione 29/05

BENEFICI DEL SISTEMA HACCP - Il sistema HACCP porta ad identificare qualunque


pericolo ci si possa ragionevolmente aspettare, anche quando il problema non si è mai
manifestato ed è perciò particolarmente utile nelle nuove operazioni. Questo sistema si
adegua a qualsiasi modifica introdotta nel processo produttivo, ad esempio progressi nel
“design” delle attrezzature, miglioramenti nelle procedure di lavoro e negli sviluppi tecnologici
relativi al prodotto.
→ Il Sistema HACCP aiuta ad individuare o ad indirizzare le risorse per i punti più critici del
processo di produzione.

Per definire un piano HACCP una delle prime cose da fare è stabilire qual è il prodotto che si
vuole fare e successivamente effettuare un diagramma di flusso che permetta di stabilire
quali siano i punti critici all’interno del processo.

Nel diagramma, all’interno delle ellissi vengono elencate le materie prime che dovranno
essere stoccate. Per gli alimenti deperibili, lo stoccaggio deve essere monitorato controllando
che, sia al momento del trasporto, che durante la consegna, le temperature vengano
rispettate. Infatti, si può contestare un prodotto solo quando questo viene consegnato,
perché quando viene accettato in azienda significa automaticamente che è stato accertato
che la merce sia idonea. I batteri possono proliferare durante lo stoccaggio e il processo
produttivo, ma potrebbero averlo fatto ancora prima della consegna → il prodotto non deve
essere considerato idoneo.

SELEZIONE E PESATURA

Durante queste fasi, i rischi sono che gli operatori possano contaminare l’alimento attraverso
la manipolazione o la perdita di capelli. Di conseguenza occorre che questi utilizzino degli
indumenti adatti e che rispettino le regole d’igiene.

Tutte le procedure vengono standardizzate in modo da poter effettuare una formazione del
personale univoca e appropriata. È molto importante essersi accertati che gli operatori si
siano formati nel miglior modo possibile, anche nei casi in cui questi non conoscano bene la
nostra lingua. I pericoli, in questo caso, possono essere dovuti all’aggiunta di quantità errate di
un determinato ingrediente, come gli additivi o il sale.

MACINATURA – CUBETTATURA – IMPASTO

Non sono considerate come fasi che corrispondono a punti critici, anche se sono fasi
indubbiamente molto importanti. In esse, non c’è una verifica specifica e veloce che permetta
di stabilire se ci sia stato un errore. Infatti, se la carne è stata miscelata male, l’errore sarà
visibile solo a fine stagionatura.

ASCIUGATURA E STAGIONATURA

Sono dei punti di controllo perché il prodotto, in questo caso la carne, viene esposto a
condizioni di crescita batterica (alte temperature) per un lungo periodo. Ciò che impedirà ai
batteri di proliferare sono gli ingredienti presenti all’interno della miscela: sale e acidificanti.

Pericoli biologici: sono rappresentati da animali


parassiti e altri microrganismi.

Gli animali (topi, lucertole ecc.) che vengono


trovati all’interno della confezioni sono degli
esempi. Possono verificarsi determinate
situazioni quando i locali dove avviene il
confezionamento non vengono tenuti chiusi.
Anche le superfici delle confezioni come le
lattine possono venire contaminate da animali.

Pericoli chimici: residui di contaminanti


ambientali.

L’utilizzo di un HCCP non è obbligatorio nelle


produzioni primarie. Ad esempio, gli animali al
macello devono arrivare puliti, ma non è stabilito un limite di pulizia minima dell’animale.

L’HCCP può creare barriere commerciali anche volute, infatti lo si può fruttare per evitare le
importazioni di una determinata merce da altri paesi. Il calcolo del rischio non sempre è

completamente oggettivo.

Significatività di un pericolo
È necessario comprendere chiaramente qual è la significatività dei pericoli indicati
identificando quelli che perciò richiedono specifiche misure di controllo, diversamente da
quelli che potranno essere gestiti attraverso buone pratiche d’igiene.

Stabilire se il pericolo è significativo:


La presenza di un determinato patogeno è
possibile in un determinato prodotto? Se la
risposta è sì, la domanda successiva è: è
presente in un livello accettabile? Può
moltiplicarsi? È pericoloso o addirittura
mortale? Qualora la risposta sia sì, bisogna
chiedersi se è presente una lavorazione
successiva che abbatte il pericolo. Se la
risposta è no, si tratta di un pericolo che
non possiamo trascurare e dovrà essere
controllato.

È importante conoscere alcuni dei dati tecnici che potrebbero essere richiesti per uno studio
dell’HACCP.

1) Dati epidemiologici e legali di patogeni, micro-patogeni e tossine


• Incidenza delle malattie legate al cibo
• Risultati dei programmi di sorveglianza e studi a campione
• I criteri legali di sicurezza microbiologica sul cibo e i limiti massimi per residui
2) Dati sulla sicurezza del cibo
• Presenza di rischi microbiologici e chimici nei materiali grezzi
• Indice di crescita nei prodotti alimentari
• Indice di morte dei patogeni in determinate condizioni
• Sviluppo di chimici e tossine durante la processazione, stoccaggio, distribuzione ed
uso.
3) Dati sui materiali grezzi, intermedi e finali
• Formulazione
• Acidità pH
• Attività dell’acqua
• Materiali d’imballaggio
• Strutture di produzione
• Condizione di lavoro
• Condizioni di stoccaggio e distribuzione
• Shelf life
• Istruzioni d’uso per il consumo, impacchettamento
4) Dati di procedura
• Numeri e sequenze di tutti gli stadi di produzione a inclusione dello stoccaggio
• Utilizzo dei materiali di scarto
• Separazione dell’aria di alto e basso rischio
• Condizioni di flusso
• Presenza di spazi vuoti
• Efficacia della pulizia e disinfezione
A questo punto, si effettua un PROFILO DEL PERICOLO:

• Identificazione del pericolo


• Caratterizzazione del pericolo
o Consumatori
o Gravità del pericolo/categorie a rischio
o Livello critico (da prevenire)
o Incertezza (stime)
• Esposizione
o Frequenza contaminazione
o Distribuzione livello contaminazione ed incertezza
o Contaminazione prima della fase di lavorazione
o Obiettivo di performance del processo (e dei CCP) ed incertezza
• Produzione tossine/stabilità (ed incertezza della stima)
• Probabilità contaminazione dopo il processo o il CCP
o Protezione (confezionamento=
• Effetto della conservazione sul livello di contaminazione
• Stima del livello atteso al consumo (incertezza)
• Variabilità condizioni conservazione ed effetto sul livello di contaminazione
• Frequenza consumo e quantità
• Modalità preparazione ed effetto sul livello di contaminazione (incertezza)

[Parti probabilmente spiegate dal Prof. nell’ultima lezione (03/06)]

Identificare i CCP – Sono CCP1 le fasi del processo in cui i pericoli possono essere controllati
efficacemente (es. cottura, refrigerazione, disidratazione, acidificazione) al punto da
eliminare o ridurre ad un livello accettabile il pericolo. Viceversa il mancato controllo rende il
pericolo inaccettabile. I CCP2 possono ridurre il pericolo, ma non lo controllano efficacemente
(es. eviscerazione, toelettatura). Nella macellazione, molti CCP sono CCP2.

Misure di controllo sono:

• Calore per uccidere microrganismi e spore


• Temperatura di conservazione/pH/additivi per impedire la crescita microbica e la
produzione di tossine
• Tempo di sospensione per prevenire la persistenza di residui in concentrazioni
pericolose
• Stretta separazione tra materie prime e alimenti lavorati per prevenire le
contaminazioni “post-letali”
• Ispezione visiva e uso di metal detector per prevenire le contaminazioni fisiche

Per il conseguimento dei FSO, possono


essere individuati e stabiliti criteri di
prodotto, quali i limiti massimi ammissibili di
contaminanti (microbici, chimici, fisici) e
degli Obbiettivi di Performance (PO) che
rappresentano standard che l’industria ha definito come target utili a garantire il
conseguimento dei criteri di prodotto e degli FSO.

PIANI DI SORVEGLIANZA
(ispezione più stringente) – Si parte
da un’ipotesi fatta sulla base di
indagini precedenti in base alla quale
si è cercato di definire la frequenza
media di violazioni (per esempio, in una

certa categoria di animali):

Sono utilizzati per attività di


monitoraggio.

Attività di verifica differenti dal monitoraggio sono parte del piano HACCP e servono a
controllare che le attività previste siano effettivamente compiute, come previsto. Le
verifiche sono fatte da un responsabile dell’azienda (audit interni). Audit esterni servono a
verificare la corrispondenza tra le attività svolte e le procedure previste (documentate); sono
fatti periodicamente. Audit che identificano non conformità con il piano HACCP possono
richiedere azioni correttive, come aumento della supervisione e cambiamento dei metodi di
monitoraggio/controllo (remedial actions).

Validazione: è la dimostrazione degli elementi che hanno portato alla pianificazione


dell’HACCP, la dimostrazione della sua efficacia.

Definizione delle caratteristiche del processo ed analisi dei pericoli:

Alimenti elaborati senza fase di cottura (ad esempio, insalata di pesce):


o Ci sono ingredienti che potenzialmente possono contenere agenti patogenI?
▪ Si fa riferimento a liste dei possibili patogeni per ciascuna specie animale
dei possibili agenti biologici, chimici (quali pesticidi, metalli pesanti,
biotossine preformate o prodotto con la degradazione microbica etc.)
▪ Approvvigionamenti con alimenti di base provenienti da fonti sicure (ad
esempio, pesce per la preparazione di insalate o marinate congelato per la
distruzione dei parassiti, mitilli proveniente da acque approvate)
o Crescita batterica
▪ Tempi e conservazione con refrigerazione
o Contaminazioni da parte degli addetti
▪ Limitare l’accesso agli addetti ammalati con diarrea, lavaggio delle mani
corretto, evitare di toccare con le mani gli alimenti pronti per il consumo,
etc.
o Contaminazioni crociate con altri alimenti
▪ Esempio, alimenti di base con alimenti preparati
o Contaminazioni crociate attraverso le attrezzature e gli ambienti
▪ Standard di pulizia e disinfezione
• Alimenti serviti subito dopo la cottura (esempio, polpette) o alimenti che hanno
un’elaborazione complessa (esempio, piatti guarniti):
o Bisogna considerare determinati fattori:
▪ Pericolo potenziale nell’alimento che richiede uno specifico controllo della
temperatura (temperatura di cottura e durante il mantenimento)
▪ Come viene servita: se su buffet o immediatamente
▪ Episodi noti di malattie alimentari nella storia di questo alimento
▪ Richiesta di abilità di preparazione, tempi di preparazione controllati, sanità
del personale e precauzioni nel semplice contatto con alimenti pronti
▪ Come prevenire le manipolazioni da parte di un operatore non sano (in
particolare, se ha sintomi come vomito e diarrea)
▪ Il prodotto viene consumato da persone esposte a rischi sanitari maggiori
(ammalati, anziani, donne gravide, infanti)

Negli alimenti cotti serviti subito dopo la cottura, si ha:


o Rischio di abuso termico solo prima della cottura, quindi il rischio di moltiplicazione
batterica è ridotto
o L’operazione di preparazione comprende numerose fasi, compreso lo scongelamento
di alcuni ingredienti, la miscelazione con altri, il selezionamento o la macinatura.
▪ Ogni ingrediente può apportare contaminanti
▪ Il taglio e la macinatura devono essere fatti attentamente per prevenire
che non ci siano contaminazioni dovute ai pianti di lavoro, utensili, mani
▪ I punti di controllo comprenderanno una buona sanificazione degli ambienti e
delle attrezzature e l’igiene personale
o Durante la cottura, la maggior parte dei microrganismi, dei parassiti e virus
presenti verranno inattivati e distrutti e ciò fa sì che la cottura sia un punto critico
di controllo.
▪ È la fase in cui gli ingredienti di origine animale diventano sicuri per il
consumo e quindi la misurazione del tempo e delle temperatura di cottura è
molto importante.
o Dopo la cottura, l’alimento deve essere mantenuto caldo a temperature che non
permettano lo sviluppo di batteri patogeni sopravvissuti.

• Negli alimenti che hanno un’elaborazione complessa:


o Il fallimento del controllo delle temperature rappresenta il maggior rischio di
malattie alimentari.
▪ Alimenti Preparati in gran quantità o in anticipo per essere serviti il giorno
dopo hanno una lunga elaborazione. È probabile che subiscano ripetuti abusi
termici ed il punto critico è nel limitare i tempi di permanenza alle
temperature di sviluppo dei patogeni
o In alcuni casi, una varietà di alimenti ed ingredienti richiedono la collaborazione di
diversi operatori.
▪ Una gestione della sicurezza alimentare valida comporterà la messa a punto
di procedure operative standard per l’igiene personale e la prevenzione delle
contaminazioni crociate durante il processo di elaborazione dell’alimento
o Prima di definire le fasi operative del processo vanno considerati i seguenti punti:
▪ Prima di avviare procedure complesse occorre verificare l’adeguatezza delle
strutture e delle attrezzature (ad esempio un sistema di raffreddamento
rapido per il volume di prodotto
▪ Se la ricetta è complessa ed è difficile assicurare una preparazione rapida e
sicura è opportuno approvvigionarsi di ingredienti pre-elaborati di fonte
sicura.
THE END ☺

Buono studio

&

W i bruchi

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