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MICROBIOLOGIA

SPECIALE
(RE, LAZZAROTTO, VENTUROLI, ROSSINI)

Sbobine Canale B 2016-2017


Microbiologia Parte Speciale: il genere
Staphylococcus e Streptococcus

Introduzione
La seconda parte del corso di microbiologia è svolta dalla Prof.ssa Maria Carla Re; per
qualsiasi problema è possibile contattarla, tramite il suo indirizzo e-mail:
mariacarla.re@unibo.it.

Al termine del corso di microbiologia, in sede di esame, sarà necessario inquadrare e


descrivere un microrganismo, tenendo conto di tutto ciò che gli compete. Fin ora
abbiamo avuto indicazioni circa le caratteristiche generali dei batteri. Innanzitutto è
possibile classificarli in base alla morfologia:
.cocchi rotondeggianti
.bacilli allungati lungo l’asse maggiore
.spirilli allungati lungo l’asse maggiore ma con più curvature.
Inoltre si parla di batteri gram positivi o negativi, aerobi o anaerobi e infine si possono
distinguere in base al tipo di terreno in cui crescono. È utile tener presente dei criteri
generali, per esempio: .tutti i cocchi, tranne un’eccezione, sono gram positivi
.la maggior parte dei batteri sono aerobi- anerobi facoltativi
.solamente i batteri che appartengono al genere bacillus e clostridium (es. clostridium
tetani) hanno la capacità di produrre spore, le quali rappresentano un meccanismo di
resistenza agli insulti esterni. È necessario, successivamente, inquadrare il
meccanismo d’azione patogena dei batteri, in base alla capacità di produrre
aggressine batteriche, tossine, ecc. I batteri gram positivi elaborano per lo più
esotossine, mentre i gram negativi pongono il loro potere patogeno sul LPS
(lipopolisaccaride) molecola multifunzionale che è in grado di attivare una serie di
circuiti negativi per il nostro organismo. Per esempio, volendo descrivere lo
Staphylococcus, ricordiamo che è un batterio gram positivo, produttore di esotossine,
asporigeno e immobile. In linea generale queste caratteristiche devono essere tenute
in considerazione nella descrizione di un microrganismo. La microbiologia clinica non è
un mero elenco, ma è focalizzata sul capire quale quadro clinico innesca un certo
microrganismo su un paziente: il microbiologo fa diagnosi di infezioni, mentre il
medico clinico fa diagnosi di malattia. In questo senso è necessario osservare
globalmente la situazione, non è possibile utilizzare un unico strumento per capire
cos’ha il paziente. Riassumendo è necessario descrivere le caratteristiche generali di
un batterio; il meccanismo di azione patogena, quindi quali meccanismi elabora,
chiedendosi perché in seguito a una certa infezione si presenta febbre, un esantema,
eritema, mal di testa, ecc. Ci sono determinate sostanze elaborate dal batterio che
sono in grado di innescare febbre, la cascata del complemento, l’attivazione di alcune
interleuchine e quindi l’insorgenza di un processo infiammatorio profondo, che può
arrivare fino alla necrosi. Successivamente si potrà fare diagnosi d’infezione,
scegliendo il materiale biologico adatto: se ho un’infezione a livello respiratorio, il
materiale biologico non sarà sicuramente costituito da feci ma piuttosto dagli escreati
delle prime vie respiratorie; se l’infezione è profonda dovrò fare un’analisi più invasiva.
In seguito vengono utilizzati “strumenti” per poter eliminare l’infezione: antibiotici, nel
caso di batteri; antivirali, nel caso di virus. Gli antibiotici, anti- bios, vengono
somministrati in caso di infezione batterica, infatti agiscono su strutture proprie del
batterio, come la parete o la membrana, sulla sintesi del RNA o DNA batterico.
Vengono suggeriti antibiotici anche in alcuni casi di infezione virale, per le
complicazioni batteriche che eventualmente possono insorgere. Possiamo prendere in
esempio il virus della spagnola, al tempo era virus nuovo, si era modificato, per questo
non c’erano strumenti per contrastarlo.

Il genere Staphylococcus

È un batterio che a volte non viene tenuto in considerazione, in quanto è molto diffuso.
Di questo genere conosciamo lo S. Aureus, il principale patogeno responsabile di
alcune malattie che colpiscono l’uomo, lo S. Epidermidis e lo S. Saprophyticus, sono
entrambi molto diffusi nell’ambiente e si differenziano in base a caratteristiche
enzimatiche.

[figura A] [figura B] [figura C]

“Staphylo” significa “a grappolo”, infatti nell’ambito dei cocchi possiamo distinguere


gli streptococchi [figura B] che si dispongono a catenelle, gli stafilococchi [figura A] a
grappolo, diplococchi [figura C] a due a due. Lo S. aureus è il patogeno che ci interessa
principalmente, in realtà oggi ci interessano anche gli altri essendo i responsabili di
infezioni nosocomiali importanti. Lo S.aureus è caratterizzato da una colorazione gram
positiva, dovuta a caratteristiche della parete cellulare e dello spessore del
peptidoglicano; come la maggior parte è aerobio-anaerobio facoltativo, questo gli
permette di svilupparsi in presenza e assenza di ossigeno; è un batterio alofilo, cioè
vive in presenza di concentrazioni significative di sale; produce carotenoidi, sostanze
che gli conferiscono l’aspetto aureo e che sono in grado di danneggiare le nostre
cellule, come i neutrofili, questo permette la diffusione dell’infezione nel nostro
organismo. Ha particolari caratteristiche enzimatiche: è in grado di produrre catalasi e
coagulasi; questo serve per fare diagnosi d’infezione e per capire il meccanismo
patogeno del batterio. La catalasi è un enzima caratteristico di alcuni cocchi gram
negativi e dello stafilococco; mentre per esempio lo streptococco è catalasi negativo.
La coagulasi, invece, permette di distinguere lo Staphylococcus Aureus dagli altri due,
S. Epidermidis e S. Saprophyticus, che sono coagulasi negativi. Gli Stafilococchi
coagulasi negativi fanno parte della nostra flora, anche di quella superficiale o
cutanea, e in alcuni casi possono essere associati ad infezioni profonde, come gravi
sepsi ed ostiomeliti. La presenza di uno S. epidermidis in emocoltura, fornisce un
preallarme: bisogna capire se è un contaminante, per esempio se il prelievo è stato
fatto senza disinfettare la superficie cutanea del paziente oppure se l’operatore non ha
seguito le norme igieniche corrette; se la crescita è presente anche in successive
emoculture e necessario tenerlo in considerazione.

Staphylococcus aureus: I principali quadri patologici

È un batterio che può dare un numero enorme di infezioni, per esempio a livello di:

1. Cute, con acne o foruncolosi;


2. Apparato respiratorio superficiale e profondo;
3. Apparato scheletrico, con osteomielite;
4. Apparato genito- urinario, con cistiti.
5. Sangue, con batteriemie;
6. Sistema nervoso centrale;
7. Apparato gastroenterico, con tossinfezioni alimentari più o meno gravi in
base ai prodotti tossici che elabora.

Lo Stafilococco è uno dei batteri che sta registrando un tasso elevato di farmaco
resistenza, dovuto all’abuso di antibiotici o al loro utilizzo inappropriato. Infatti affinché
una terapia antibiotica sia efficacie è necessario che il paziente sia “compliante”,
quindi aderente alla terapia, che deve essere portata a termine e non interrotta non
appena si registra una diminuzione dei sintomi: è possibile che si verifichi una
diminuzione della carica batterica, ma è necessario eliminarla totalmente (usando
quindi farmaci batterici).
Dobbiamo sempre rapportare una certa infezione al microrganismo che l’ha causata e
quindi capire il suo meccanismo patogeno.
Epidemiologia

L’uomo rappresenta il serbatoio naturale di S. aureus: se mettessimo le mani su una


piastra di agar sangue, entro domani crescerebbero tantissimi stafilococchi. La
maggior parte delle infezioni determinate da batteri, noi siamo in grado di superarle
grazie alle difese naturali che partono dalla cute, al sistema immunitario e
all’immunità cellulo mediata. Molto spesso queste infezioni gravi colpiscono pazienti
immunocompromessi, a causa per esempio di farmaci a cui sono stati sottoposti in
seguito ad un trapianto oppure a causa di altre infezioni come l’HIV, o immunodepressi
per via genetica.

Costituenti cellulari

Lo S. Aureus è un batterio capsulato, quindi presenta un’ulteriore meccanismo di


sopravvivenza. È di natura polisaccaridica, ha una serie di effetti estremamente
importanti: ha potere anti-fagocitario; è in grado attivare il complemento; essendo un
batterio gram positivo ha un potere endotossina-like (normalmente l’endotossina è più
caratteristica dei gram negativi); ha un effetto chemiotattico sui polimorfonucleati;
stimola la produzione di IL-1 citochina che è un pirogeno endogeno, per questo
possiamo avere febbre. Al di fuori abbiamo la capsula, all’interno la parete cellulare
sulla quale sono presenti due antigeni: la proteina A e il clumping factor, un fattore di
aggregazione. La proteina A è in grado di far interagire il microrganismo con
l’ambiente esterno: attiva il complemento, inibisce la fagocitosi e presenta un’azione
mitogena nei confronti dei linfociti (stimola la loro proliferazione). Il clumping factor
invece funziona come adesina, quindi ha la capacità di aderire alle nostre mucose e
pareti cellulari, ma soprattutto è in grado di determinare la precipitazione del
fibrinogeno(viene scisso e viene prodotta la fibrina); anche questo lo utilizzeremo per
la diagnosi di infezione. Sia la capsula che la parete, presentando un potere anti-
fagocitario, determinano la capacità del microrganismo di potersi moltiplicare negli
spazi intercellulari. È un mosaico antigenico, abbiamo descritto un insieme di capacità
che ha sviluppato questo batterio per produrre un danno nelle nostre cellule.

Meccanismo dell’azione patogena

La capsula e la proteina A determinano una inibizione della fagocitosi e quindi


permettono al microrganismo di moltiplicarsi negli spazi intercellulari. Lo S.Aureus
inoltre produce delle tossine specifiche e degli enzimi con funzione tossica, che
portano alla lesione di alcuni citotipi cellulari e quindi alla possibilità del
microrganismo di diffondere nei tessuti. Produce enzimi come la catalasi e la
superossidodismutasi, che proteggono il batterio dall’azione del killing da parte delle
cellule che ne sono deputate. Le prime tossine prodotte sono le emolisine o citolisine,
coinvolte nella lisi della membrana delle nostre cellule. Esistono quattro tipi differenti
di emolisina: emolisina α, emolisina β, emolisina γ e emolisina δ. L’emolisina α porta
alla formazione di pori a livello della membrana e attiva un pathway di morte
mitocondriale, che porta ad un blocco della respirazione cellulare e della sintesi
proteica; agisce sulla muscolatura liscia e dei vasi e induce apoptosi
fondamentalmente nelle cellule mononucleate del sangue periferico. L’emolisina β, è
una sfingo- mielinasi, non determina la lisi della cellula ma la prepara ad un danno:
rende il globulo rosso vulnerabile ad ulteriori agenti. Infine le emolisine γ e δ
presentano un meccanismo simile: agiscono sulla membrana dei globuli rossi
provocandone la rottura e sono fondamentalmente prodotte da quegli stafilococchi
che elaborano anche un’enterotossina, quindi che provocano infezioni a livello
dell’apparato gastroenterico (responsabili di tossinfezioni alimentari). L’ultima di
queste tossine è quella di Panton- Valentine (leucocidina): rompe i globuli bianchi,
determinando la formazione di pori e l’uscita di potassio e determinando un
incremento significativo dell’attività ATPasica. Non tutti gli stafilococchi elaborano
tutte queste tossine: ogni stafilococco elabora una o più tossine, oppure ne può
elaborare altre oltre queste. Oltre queste tossine, abbiamo anche la produzione di
enzimi che permettono la diffusione del batterio, la capacità di formare cluster di
batteri o di produrre un biofilm batterico a livello delle nostre membrane e della cute.
Uno di questi è la coagulasi: una proteina che determina la trasformazione del
fibrinogeno in fibrina, e, in combinazione con il fattore di coagulasi [CRF, coagulase
reacting factor] che è presente anche nel nostro plasma, il batterio si crea uno strato
protettivo di fibrina, in aggiunta alla capsula e alla parete cellulare, perciò la fagocitosi
non avviene o comunque avviene con maggiore difficoltà. Altre proteine di natura
enzimatica sono la stafilochinasi e ialuronidasi, entrambe determinano una maggiore
invasività del batterio. La stafilochinasi converte il plasminogeno in plasmina,
permettendo una maggiore diffusione del batterio; mentre la ialuronidasi
depolimerizza l’acido ialuronico, presente nella sostanza fondamentale del connettivo.

Infezioni determinate dallo Staphylococcus aureus

1. Infezioni piogene
Questo batterio, in alcuni casi, può determinare infezioni piogene; infezioni che
esitano visivamente con la formazione di liquido purulento (PUS). In particolare
sono coinvolti gli stafilococchi che producono emolisina δ, in quanto essa è in grado
di legarsi a due piccole proteina formando il fattore PSM [phenol soluble modulin],
una modulina fenolo-solubile, il quale interagisce con alcuni citotipi cellulari come
monociti, macrofagi e neutrofili. Il legame del fattore PSM con il recettore presente
su queste cellule, determina la produzione di citochine infiammatorie e quindi
innesca un processo infiammatorio (una risposta del nostro organismo che deve
essere controllata, cercando di capire qual è la causa che l’ha scatenata). Le
infezioni piogene determinate dagli Staphylococcus Aureus, essenzialmente quelli
produttori dell’emolisina δ, possono colpire prevalentemente la cute, tessuti molli e
apparato scheletrico.

2. Scalded Skin Syndrome


Altri ceppi di Staphylococcus producono tossine molto importanti e possono
determinare una sindrome, che determina alterazioni a livello cutaneo: Scalded
Skin Syndrome, sindrome delle “tre s”, o sindrome della cute ustionata (sembra
un’ustione); viene anche denominata necrolisi epidermica acuta, si manifesta
soprattutto nella primissima infanzia o in pazienti che hanno probabilmente
problemi di immunocompetenza. In questa sindrome si determina lo scollamento
dei desmosomi sullo strato superficiale dell’epidermide, in questo modo la tossina
esfoliativa può penetrare e diffondere, provocando sepsi, per via ematica. Il
paziente presenta pelle che scivola via sotto leggera pressione e zone arrossate, si
tratta di un eritema: irritazione cutanea, dovuta all’aumento dell’apporto di sangue,
nella zona colpita, soprattutto a livello di derma superficiale. È necessario, in questi
casi, comprendere dove comincia l’infezione: le prime manifestazioni, per esempio,
si possono osservare a livello di occhi, però poi può diffondere anche agli arti.

3. Tossinfezioni alimentari
Alcuni Staphylococcus provocano delle tossinfezioni alimentari; non vengono
determinate solo da questo batterio, parleremo anche di salmonelle minori. Lo
Staphylococcus coinvolto in questo tipo di infezioni, produce un’enterotossina che è
in grado di mantenere inalterata la sua azione anche in presenza di bollitura.
Fondamentalmente la ritroviamo nella panna, nella crema, nei cibi che non sono
prodotti e curati in modo corretto. È una tossina molto virulenta, poiché è
resistente ai succhi gastrici e, appunto, termoresistente; perciò bisogna lavorare
con temperature molto più elevate. Queste tossine provocano vomito, agiscono sui
visceri addominali raggiungendo i nervi simpatici e il nervo vago. In più questo
batterio è in grado di produrre una lipasi, infatti utilizza cibi molto ricchi di lipidi
[abbiamo parlato di panna, crema, ecc.] a scopo nutrizionale; in questo modo il
batterio riesce a moltiplicarsi e raggiungere una carica minima infettante
estremamente elevata. Introducendo il cibo, introduciamo anche lo Staphylococcus
quindi attraverso la via alimentare: agisce a livello di intestino, perché resiste ai
succhi gastrici, interagisce con i macrofagi e produce IL-1, per questo può
presentarsi febbre. Agisce sulle cellule endoteliali, indotte a produrre citochine che
possono dare lesioni eritematose e quindi in alcuni casi possiamo avere eritemi
superficiali; agisce sui recettori della mucosa gastrointestinale, motivo per cui
abbiamo vomito e infiammazione della mucosa. I sintomi si manifestano
abbastanza rapidamente, dopo circa 6-8 ore dall’ingestione del cibo contaminato. Il
tempo di manifestazione dei sintomi è importante nella diagnosi, perché varia nei
diversi batteri.

4. Sindrome da shock tossico


Alcuni stafilococchi possono indurre la sindrome da Shock tossico. Negli anni
‘70\’80, negli USA, furono registrate delle morti per shock tossico in donne che
utilizzavano assorbenti interni contaminati da Staphylococcus; a contatto con
sangue (liquido biologico ottimale per la proliferazione) a una temperatura idonea
di 37gradi, la proliferazione dei batteri aveva portato a infezione, quindi sepsi,
shock e morte. Questi stafilococchi avevano la capacità di produrre la tossina dello
shock, e già al tempo erano anche farmaco–resistenti (pennicillino-resistenti). La
tossina dello shock è la tossina TSST -1, si lega alle molecole MHC di classe II e in
questo modo stimola le cellule T, determinando la manifestazione della sindrome.
La tossina TSST-1, come quella della scalded skin syndrome, si comporta come
super antigene. Le tossine che si comportano come superantigeni devono la loro
azione tossica a una specifica attività enzimatica; alla capacità di coinvolgere
organi a distanza; alla capacità di produrre citochine pirogene determinando febbre
elevata; alla capacità di interagire con i linfociti T, stimolando l’attivazione e la
moltiplicazione della cellula con il rilascio di TNF-alfa e interleuchine (principali
“attori” dello shock).

Manifestazioni cliniche

Abbiamo visto come alcuni tipi di Staphylococcus possono dare infezioni piogene in cui
possiamo osservare cellule ricche di fibrina, che contengono il pus. Il drenaggio del
pus può portare a miglioramento.

Metodi di identificazione

Il microbiologo come può fare diagnosi d’infezione? Nel laboratorio di microbiologia del
Sant’Orsola abbiamo la batteriologia, dove si fa diagnosi di infezione batteriche e
fungine; la virologia, per la ricerca diretta di virus, e la sierologia, per la
determinazione di anticorpi specifici; inoltre è presente il laboratorio dell’HIV e il
CREM, centro di riferimento regionale per le emergenze microbiologiche, dove dal
2001 si affronta tutto ciò che è legato alla guerra biologica e ai cambiamenti climatici:
nuove infezioni da virus trasportato da vettore, come lo zika e altri. Tra questi gruppi
c’è collaborazione, si tratta di un lavoro trasversale per poter giungere ad una
diagnosi. In linea generale se si sospetta un’infezione da Staphylococcus, bisogna
cercare di prelevare il materiale biologico giusto: se è un’infezione piogena il pus; se
respiratoria un tampone faringeo; se è profonda del broncoaspirato [Materiale
prelevato per aspirazione dai bronchi durante una broncoscopia. È rappresentato da
cellule distaccatesi dalla mucosa bronchiale e giunte nel lume, e dall'insieme di
ristagni delle secrezioni mucose (catarro bronchiale) ed eventuali versamenti]; se è a
livello ematico si farà un’emocoltura. In quest’ultimo caso se un paziente ha una
sospetta sepsi, si faranno più prelievi nel giro di poche ore e si utilizzeranno dei
contenitori che permetteranno una messa a punto delle infezioni aerobie e anaerobie
quindi in alcuni casi si avrà ossigeno e in altri no. Per individuare lo Staphylococcus si
sfruttano le sue capacità, per esempio quella di vivere in presenza di alte
concentrazioni di sale: si può utilizzare un terreno di Agar-sale, si tratta di un terreno
selettivo. Si osserveranno le colonie dopo circa 16-18 ore (la crescita è piuttosto
rapida). Dopodiché si utilizzeranno delle prove biochimiche, che cercheranno di
sfruttare le caratteristiche del batterio: in questo caso è catalasi e coagulasi positivo.
Si verifica la presenza di questi enzimi, nel primo caso, ponendo una piccola quantità
della colonia sospetta in contatto con acqua ossigenata: la formazione di bolle indica
la positività del test della catalasi. Inoltre è possibile utilizzare il test della coagulasi. È
importante ricordare che quando si fanno diagnosi di infezione bisogna sfruttare le
caratteristiche del batterio. Oggi non si utilizzano più questi test, poiché i tempi sono
piuttosto lunghi, ma vengono utilizzati per esempio la spettrometria di massa, grazie
alla quale in tempi rapidissimi di circa 1-2min si può identificare il batterio. In
conclusione in caso di sospetta infezione da stafilococco si deve decidere la richiesta
appropriata, procedere nell’indagine, e fornire un’identificazione.

Terapia e resistenza

Fino agli anni ’50 le infezioni provocate da questi batteri erano banali, ora sono
divenute importanti soprattutto a causa della farmaco-resistenza: prima alle
penicilline, poi alle meticilline. Dopo gli anni 2000 questi ceppi sono estremamente
importanti nell’ambito delle infezioni nosocomiali o delle infezioni acquisite in
ospedale, infatti una contaminazione da Staphylococcus o da Klebsiella determina un
allarme. A livello ospedaliero ci possono essere cateteri venosi, urinari o anche dei
presidi per la respirazione ventilata assistita contaminati; in queste situazioni il
paziente deve andare incontro a ulteriori terapie, se presenti perché la maggior parte
di questi batteri sono farmaco resistenti. Stafilococchi coagulasi negativi, Epidermidis
e Saprophyticus, se permangono nel nostro corpo possono avere la loro dignità dal
punto di vista del quadro clinico; fondamentalmente sono legati alle infezioni urinarie.

Streptococco

È un batterio gram positivo, non produce spore, anch’esso è aerobio-anaerobio


facoltativo. Essendo uno streptococco, a differenza dello staphylo-, si dispone a
catenelle: lo possiamo osservare facilmente in un vetrino, colorato di blu essendo
gram positivo (mentre i gram negativi sono rossi). Distinguiamo lo Streptococcus
pyogenes, di cui ci interesseremo prevalentemente, agalactiae e pneumoniae,
responsabile di polmoniti severe. Gli streptococchi possono essere differenziati in base
alla capacità di produrre emolisi in agar sangue: α emolitici, presentano un alone
piccolissimo di emolisi; β emolitici, presentano un ampio alone di emolisi completa, a
questi appartiene il Pyogenes che è il responsabile della scarlattina; γ emolitici che
non presentano alcun alone di emolisi. Inoltre possiamo classificare gli streptococchi in
base alla classificazione di Lancefield, cioè in base alla presenza dell’Antigene C sulla
parete cellulare; in questo caso cambia, in base ai vari streptococchi, la composizione
di un carboidrato presente all’esterno: vengono classificati a seconda di come i
carboidrati vengono posizionati nella parte esterna del batterio. [Dalle slide: la
classificazione degli streptococchi in base alla classificazione di Lancefield, si basa
sulla presenza di una sostanza gruppo specifica (polisaccaride C presente nella parete
cellulare e forma le basi per un raggruppamento sierologico). La variabilità antigenica
dell’antigene C (o ag di Lancefield) ha permesso di suddividere gli streptococchi in
una ventina di gruppi.]

Streptococcus Pyogenes β emolitico

È l’agente eziologico di alcune patologie dell’uomo, in particolare responsabile della


scarlattina. Questo batterio può dare forme infiammatorie acute, che si manifestano a
poche ore o pochi giorni dalla somministrazione dello streptococco: angina
streptococcica, infezione delle prime vie aeree respiratorie; scarlattina; infezioni
cutanee, simili a quelle viste per lo Staphylococcus; shock tossico, infatti anche lo
streptococco produce un superantigene e inoltre può dare un’infezione acuta post
partum, situazione molto normale all’inizio del ‘900 in realtà oggi molto rara. A queste
manifestazioni infiammatorie acute possono seguire sequele non suppurative se non
vengono contenute, cioè interessare organi distanti. Per esempio può dare luogo a
glomerulonefrite, febbre reumatica o eritema nodoso.

Strutture superficiali

La cellula batterica presenta una capsula, formata da acido ialuronico il quale essendo
presente anche nel connettivo del nostro organismo, non ha un grande potere
antigenico. Questo batterio presenta un recettore che riconosce e si lega al CD44,
presente nelle cellule epiteliali umane: il legame CD44-streptococco, induce la rottura
delle giunzioni intercellulari e permette al microrganismo di penetrare all’interno
dell’epitelio determinando una rottura e morte della cellula stessa per apoptosi.
(Ricordare che si può avere: morte per apoptosi, caso in cui la cellula capisce in base
ad alcuni allarmi intracellulari che c’è un antigene estraneo che non permette la
sopravvivenza; necrosi e senescenza cellulare, dovuta all’accorciamento dei telomeri).
La cellula batterica presenta fibrille, al di fuori della capsula, formate dalla proteina M
alla quale si aggregano acidi lipoteoici, il complesso induce un blocco della fagocitosi e
può aderire alle cellule del nostro organismo. Lo streptococco, quindi, produce alcune
proteine tra cui appunto la proteina M e la proteina F. La proteina M, di cui conosciamo
la classe 1 o 2, è un fattore di virulenza batterica: è in grado di produrre l’accumulo di
batteri nel sito di infezione, determinando un’aggregazione di cellule batteriche,
funziona come adesina e forma un biofilm. Le proteine M di classe I possiedono
un’analogia importante con le proteine fibrillari umane: questo vuol dire che
producendo anticorpi contro la proteina M, si producono anche contro la proteina
fibrillare umana; quindi si parla di auto anticorpi che, se si depositano a livello del
tubolo renale, possono provocare a distanza una malattia renale. Le proteine M di
classe II sono lipoproteasi, quindi in grado di attaccare le lipoproteine presenti nel
siero liberando la parte lipidica; se si utilizzano in cultura, essendo fattori di opacità,
determinano un’opacizzazione del terreno. La proteina F invece funziona come
adesina. La collaborazione di queste proteine porterà alla lesione della cellula target.
Informazione: Verrà proposto un incontro sulla violenza, con un commissario di
polizia e uno psicologo. Sarà un incontro di 2h, al posto di una lezione di microbiologia.
La prof.ssa fisserà a breve la data, invita tutti ad essere presenti.

Streptococcus pyogenes, agalactiae, pneumoniae e


mutans

Nell’ultima lezione abbiamo inquadrato il primo batterio, lo stafilococco aureo,


coagulasi positivo, e abbiamo accennato ad alcuni stafilococchi come, per esempio, lo
stafilococco epidermidis, non coagulasi positivo, che normalmente viene considerato
come un contaminante, a meno che la sua presenza non sia ripetuta, per esempio, nel
caso di una emocoltura o di un prelievo di sangue. Poi abbiamo iniziato lo
streptococco, quindi ricordate lo streptococco β pyogenes. Tanto per restare
nell’ambito degli streptococchi, abbiamo detto che gli streptococchi possono essere
classificati anche in base alla presenza o assenza di emolisi di agar sangue o in alcuni
casi un’emolisi incompleta.

Streptococcus pyogenes

Lo streptococco pyogenes è legato a una serie di infezioni delle prime vie respiratorie,
che sono pirogeniche, e a delle sequele a distanza, che possono insorgere dopo 7-15
giorni dalla prima infezione dello streptococco.

Meccanismo dell’azione patogena

Lo Streptococco pyogenes ha una capsula abbastanza evidente, formata da acido


ialuronico, contro il quale sono prodotti anticorpi, ma è molto simile all’acido ialuronico
del nostro tessuto connettivo. All’esterno dalla capsula, dal soma batterico, si
dipartono delle fibrille che formano la proteina M, associata all’acido lipoteicoico. Le
proteine M possono appartenere alla classe I o alla classe II. L’organismo umano
produce anticorpi nei confronti di queste proteine che potrebbero essere
potenzialmente protettivi nei confronti di successive intrusioni, ma in realtà esistono
moltissimi sierotipi di proteine M, più di 100, per cui questo giustifica il fatto che noi
possiamo, più volte nella nostra vita, infettarci con streptococchi.
Le proteine M di classe I presentano delle sequenze ripetute con proteine fibrillari
umane, per cui, nel caso di un contatto con questo microrganismo, vengono prodotti
anticorpi nei confronti della proteina M dello streptococco ma anche altri anticorpi nei
confronti delle proteine fibrillari presenti nel nostro organismo. Questa è la base
teorica degli autoanticorpi.
Quando parleremo delle sequele a distanza, che possono accadere nel soggetto
davanti al quale ci troviamo, noi dobbiamo tenere in considerazione che spesso ci
possono essere autoanticorpi prodotti nei confronti di proteine fibrillari umane.
Le proteine M di classe II sono enzimi in grado di ledere i lipidi, chiamati
lipoproteasi. Queste attaccano le lipoproteine sieriche, determinando un danno a
livello delle proteine presenti nel nostro organismo. In vitro questa capacità viene
sfruttata perché opacizza il terreno di coltura.
Un’altra proteina presente, oltre alle proteine M di classe I o II, è la proteina F. Questa
si comporta semplicemente come un’adesina, quindi si lega alle cellule epiteliali e
interagisce con le fibronectine presenti nelle nostre cellule.

Riassumendo, il potere patogeno è per primo dato dalla capsula, molto simile come
costituzione all’acido ialuronico del nostro connettivo, e dalla proteina M di classe I e di
classe II e la proteina F.
Inoltre, lo streptococco, come lo stafilococco, presenta un mosaico di geni
estremamente variegato, tra i quali alcuni codificano per delle esotossine. Tra queste
vi sono due streptolisine, che si differenziano perché sono più o meno sensibili alla
presenza di ossigeno:

1. Streptolisina O, ossigeno labile. Viene prodotta in vivo ed è


responsabile dell’emolisi visibile nelle piastre di agar sangue. Agisce sulla
membrana cellulare determinando la formazione di pori con conseguente
apoptosi.
Questa streptolisina è molto antigenica e vengono prodotti anticorpi nei
suoi confronti.
2. Streptolisina S, ossigeno stabile. Scarso o assente potere antigene.
Citotossica

La streptolisina O è molto antigenica e spesso, se si sospetta un’infezione da


streptococco, si richiede un’indagine definita tas, titolo antistreptolisinico. Questo
consiste nella ricerca nel soggetto della presenza di anticorpi nei confronti della
streptolisina O, in quanto questa è antigenica. Noi possiamo richiedere, per esempio, il
titolo antistreptolisinico per verificare se il soggetto ha avuto un contatto nei confronti
dello streptococco.
Nelle indagini sierologiche, vengono effettuate, in linea generale, una diagnosi diretta
e una diagnosi indiretta. Nella diagnosi diretta io considero la ricerca del patogeno o
di suo tracce di ogni tipo, quali genoma o proteine specifiche. Mediante la diagnosi
indiretta invece si indirizza sulla ricerca di una possibile produzione di anticorpi nei
confronti di questo microrganismo. Sarà poi scelta l’immunofluorescenza, un test
immunoenzimatico, una fissazione dei complementi, un’agglutinazione, tutto ciò in
base alle caratteristiche del microrganismo. Ad esempio, se il microrganismo ha delle
caratteristiche di emoagglutinazione, si effettua un’emoaglutinazione o si sfrutta
l’inibizione dell’emoagglutinazione. Oppure, se è necessario osservare se gli anticorpi
si congiungono nei confronti della membrana del microrganismo, o nei confronti di
qualche struttura interna, si effettua un’immunofluorescenza in cui venga localizzato il
legame antigene anticorpo. Mediante i fissaggi immunoenzematici, che oggi sono
quelli utilizzati nella maggior parte dei casi, ho un patrimonio che mette in evidenza gli
anticorpi globalmente nei confronti di un determinato microrganismo.
Se io ho un titolo antistreptolisinico di 1 a 1000 e lei ha un titolo antistreptolisinico di
1 a 100, chi di noi due ha il titolo anticorpale più elevato?
Se io faccio una reazione sierologica per rilevare se ho anticorpi nei confronti
dell’antigene dello streptococco o nei confronti dell’antigene della rosolia, per prima
cosa si effettua un prelievo del sangue, questo verrà quindi diviso in siero o in plasma
(la differenza tra siero e plasma è che nel siero non si utilizza alcun anticoagulasi) e
utilizzo la parte sierica o la parte plasmatica di questo soggetto. Incognita: sono
presenti anticorpi in questo siero?
L’antigene sarà naturalmente fisso, in quanto si andrà a diluire il siero più volte, 1 a
10, 1 a 20, 1 a 40, 1 a 160. Di conseguenza se lei ha 1 a 100 vuol dire che la riduzione
successiva 1 a 200 lei non ha più anticorpi, mentre io vado avanti 1 a 200, 1 a 400, 1 a
800, 1 a 1600 quindi io a una riduzione di 1 a 1600 ho ancora anticorpi, ne ho prodotti
più di lei, mentre sarò negativa alla riduzione successiva.
Quindi, più è alto il titolo anticorpale, più saranno gli anticorpi prodotti, perché il siero
è stato diluito. Quindi, se nel saggio immunoenzimatico la risposta si osserva mediante
una densità ottica. Se questa risulta molto alta, ad esempio 3000, allora qualcosa di
sospetto c’è. Ma per capire se questo 3000 e questi anticorpi derivano da un’infezione
di 10 giorni fa, 100 giorni fa o di 1000 giorni fa, io utilizzerò la determinazione delle
IGM specifiche.

Lo streptococco produce, inoltre, proteine di natura enzimatica in grado di conferire un


potere patogeno.

1. Streptochinasi. Determinano la trasformazione del plasminogeno in


plasmina.
2. Ialuronidasi. Alterano l’acido ialuronico permettendo una maggiore
diffusione del batterio.
3. C5a-peptidasi. Agisce sulla frazione C5a del complemento, eliminando
quindi il fattore chemiotattico positivo, ne consegue una maggiore
difficoltà per contrastare la presenza di questo batterio.
4. NADasi. Danneggia i leucociti che hanno fagocitato il batterio.
5. DNAasi. Depolimerizza gli accumuli viscosi di DNA che si formano nelle
lesioni ascessuali, favorendo la diffusione del batterio.
6. Neuroaminidasi. Altera le secrezioni mucose delle prime vie aeree
respiratorie.
Lo streptococco pyogenes è un batterio che penetra nell’organismo per
via respiratoria. Quindi, grazie alla neuroaminidasi, abbiamo
un’alterazione delle secrezioni mucose, che funzionano o dovrebbero
funzionare come una delle nostre principali barriere.

Durante le infezioni da streptococco si riscontra febbre e spesso dei rash cutanei o


degli esantemi. Alcuni ceppi di streptococco sono gli agenti eziologici responsabili
della scarlattina, che si verifica come seconda infezione, dopo l’infezione da
streptococco. Questo avviene in quanto lo streptococco elabora anche delle
esotossine con funzione pirogena, chiamate esotossine con una funzione
pirogena dello streptococco (SPE, Streptococcal Pyrogenic Exotoxin) di tipo A,
di tipo B, di tipo C e di tipo F.

SPE-A. Questa è la vera e propria tossina responsabile dell’eritema che si manifesta


nei soggetti che hanno avuto questa infezione e presenta, insieme alla SPE-C, una
azione pirogena estremamente importante, che le rende responsabili dell’eritema.

L’eritema normalmente si manifesta come un’irritazione cutanea che causa un


arrossamento sulla parte superficiale. Quello raffigurato non è un eritema da
streptococco, ma rappresenta un eritema vero e proprio, che presenta tale
alterazione, causata da un maggiore apporto di sangue a livello della superficie del
derma.

L’esantema, il cui termine deriva dal greco e significa sbocciare o fuoriuscire, è


un’eruzione cutanea che può esitare in varie fasi, come ad esempio con la presenza di
pustole, vesciche o bolle. Sia l’esantema che l’eritema si trovano frequentemente nelle
malattie esantematiche della prima infanzia, quali morbillo e rosolia.

SPE-B. Questa è una tossina pirogena, in quanto in grado di stimolare l’interleuchina


1 β, potenzia il processo infiammatorio ed è capace di indurre, nei soggetti predisposti,
un incremento della risposta di ipersensibilità di tipo ritardato nei confronti di vari
prodotti streptococcici ai quali l’organismo si era sensibilizzato (la scarlattina non è
mai la conseguenza della prima infezione). Quindi l’individuo al primo incontro con
l’antigene sviluppa una prima sensibilizzazione nei suoi confronti, se entra
ulteriormente a contatto con lo streptococco, essendo già sensibilizzato, sviluppa una
ipersensibilità di tipo ritardato, e questo può esitare nella scarlattina in senso classico.

SPE-F. Responsabile della possibilità, durante le infezioni da streptococco, di problemi


respiratori, in quanto tale tossina ha come suo target l’endotelio polmonare. Dunque,
gli streptococchi produttori di questo tipo di tossina hanno un’azione lesiva a livello
degli endoteli polmonari. Il paziente, di conseguenza, può presentare edema o
alterazioni a livello della respirazione.

Riassumento, è importante conoscere il meccanismo patogeno di un batterio, in


quanto comprendendo quali sono le proteine o gli antigeni di tale meccanismo, è
possibile sfruttarli nella diagnosi di infezione o nella azione che hanno sul nostro
organismo. Il meccanismo patogeno di questo batterio è costituito da: produzione di
enzimi, produzione di esotossine, proteina M di classe I, di classe II, proteina F e
streptolisine, da cui sfruttiamo il titolo antistreptolisinico.

Manifestazioni cliniche
Lo Streptococcus pyogenes può determinare delle infezioni nelle prime vie aeree
respiratorie, si trasmette per via respiratoria e determina produzione di pus. Si
osservano una serie di manifestazioni infiammatorie acute:

1. Angina Streptococcica e la seconda infezione può provocare la


scarlattina.
2. Infezioni cutanee, come lo stafilo.
3. Sindrome da shock tossico, come lo stafilo.
4. Infezioni che possono avvenire in seguito al parto, per infezione locale.

A distanza di 15-20 giorni, non oltre, da queste prime manifestazioni infiammatorie


acute, nel soggetto si possono osservare delle sequele non suppurative, le quali
avvengono a distanza, dopo una prima infezione piogena dello streptococco:

1. Glomerulonefrite
2. Febbre reumatica acuta, può degenerare e colpire il cuore causando
alterazione a livello cardiaco
3. Eritema nodoso
4. Alterazioni a livello cardiaco

L’angina streptococcica è caratterizzata da una tonsillite, quindi difficoltà nella


deglutizione e un’infezione piogena che determina placche nella gola, nelle prime vie
aeree e respiratorie. La febbre ha un esordio brusco ed è elevata e si possono
osservare dei linfonodi ingrossati, quindi quello che indichiamo essere un’adenopatia
satellitare.
Questi ceppi producono la tossina A e la tossina C; questa situazione si accompagna al
rash cutaneo, la seconda infezione prende il nome di scarlattina. Possiamo avere delle
complicanze, dobbiamo arrivare in tempo giusto a fare una diagnosi clinica, ad avere il
conforto della microbiologia per evitare le complicazioni localizzate e a distanza e per
evitare che ci possano essere ancora delle sequele non suppurative.
Si possono riscontrare degli ascessi a livello delle tonsille, delle complicazioni a
distanza a livello dell’orecchio, come una mastoidite con una secrezione purulenta da
parte delle cellule mastoidee; una polmonite perché il batterio si diffonde per via
ematica, quindi possiamo avere una sepsi con una localizzazione a livello dei polmoni.
Inoltre, alcuni streptococchi sono i principali responsabili, nel bambino e nella persona
anziana, di forme di meningite e si può localizzare anche a livello dell’endocardio.
La diagnosi clinica deve essere dunque effettuata velocemente in modo tale da
provvedere ad una terapia che eviti la formazione di sequele, di alterazioni, e di
complicanze ad esempio a livello del orecchio o delle tonsille, ma anche che il
microrganismo possa invadere il corrente circolatorio e determinare una sepsi nel
soggetto o una colonizzazione a livello del polmone o del miocardio.

Un ulteriore sintomo è costituito dal rash. Questo compare inizialmente negli arti, sia
superiori che inferiori, si diffonde a tutto il corpo e non comprende la parte intorno alla
bocca e al naso. La lingua presenta delle punteggiature di colore rossastro, questo è il
motivo per cui nei bambini viene spesso osservata nella ricerca di possibili alterazioni
a livello della mucosa orofaringea. Queste punteggiature nel tempo possono andare
incontro ad una alterazione dell’epitelio superficiale, determinando la cosiddetta
lingua bianca. In realtà tale alterazione non è sempre esclusivamente correlata allo
streptococco, però se presenti le altre caratteristiche descritte è riconoscibile.
Successivamente, durante l’infezione, l’esantema comincia a impallidire, quindi
retrocede, la febbre cala, segue la desquamazione dei piedi e delle mani, può esservi
una desquamazione anche furfuracea a livello del tronco. Dopodiché la
desquamazione arriva al volto, risparmia la zona del naso e della bocca e nel giro di
alcuni giorni impallidisce e si desquama a livello della lingua e del tronco.
Oltre alle forme di angina streptococcica che possono esitare nella seconda infezione
con una forma di scarlattina, sono presenti anche delle forme che possono colpire la
cute, quali erisipela e piodermiti con infezioni estremamente profonde, rare, che
possono coinvolgere soggetti immunocompromessi. Talvolta, il mancato utilizzo di
scarpe o di supporti per gli arti inferiori, permettono la colonizzazione di questo
microrganismo, che può causare un’infezione epidermica estremamente importante
con un esito necrotico, similmente a quello dello stafilococco aureo, difficilmente
distinguibile.
Questi soggetti, nel tempo, possono andare incontro a una fascite necrotizzante o a
dell’erisipela, un’infiammazione della pelle acuta che coinvolge il derma, oppure
un’impetigine, infezione acuta che può essere presente negli arti e nel viso.

Tra le sequele non suppurative citate si ricorda la febbre reumatica acuta. Questa,
a distanza di alcune settimane (variabile da 1 a 4), è associabile a una pregressa
angina streptococcica e i soggetti che presentano la febbre reumatica acuta hanno
delle lesioni di tipo flogistico e, a livello biottico, si osservano dei noduli, che prendono
il nome di noduli di Aschoff.
Nei noduli si osserva una parte centrale che va incontro a degenerazione e una parte
più periferica, che la circonda, caratterizzata dalla presenza di cellule linfocitarie,
monocitarie e di granulociti.
La febbre reumatica acuta si localizza fondamentalmente a livello delle articolazioni e
la patogenesi è determinata dalla produzione di autoanticorpi nei confronti della parte
fibrillare di questo microrganismo e dall’antigenicità della proteina M di classe I. Infatti,
le proteine M possiedono sequenze ripetute con analogie di sequenza aminoacidica
con numerose proteine fibrillari umane. Base teorica della presenza di (auto)anticorpi
cross reattivi con tessuti dell’ospite nelle sequele autoimmuni.
La febbre reumatica nel tempo può esitare anche nella malattia cardiaca
reumatica, caratterizzata da lesioni estremamente importanti dei tessuti connettivali
e/o muscolari. Questo sottolinea l’importanza di utilizzare una buona terapia quando
ci troviamo di fronte a uno streptococco β pyogenes, perché questo non deve
degenerare né nelle complicazioni vicine, a distanza o nella zona vicina al punto di
inoculazione, ma non deve neanche determinare la presenza di sequele non
suppurative.

Ulteriore sequela non suppurativa è la glomerulonefrite post streptococcica,


anche questa su base autoimmunitaria perché è dovuta alla deposizione di
immunocomplessi a livello dei tubuli renali. Si osserva formazione di una notevole
quantità di complessi antigene-anticorpo che si depositano a livello del filtro renale,
attivazione del complemento e innesco di un processo infiammatorio cospicuo.
Se il deposito di immunocomplessi si localizza a livello dei capillari cutanei, anche in
questo caso dovuto a un processo infiammatorio, il soggetto può presentare un
eritema nodoso.

Quindi le complicazioni a distanza sono complicazioni che avvengono a distanza


variabile di alcune settimane. Spesso siamo costretti a parlare “da 1 a 4 settimane”,
“da 3 a 6 settimane”, dati che devono essere calibrati sull’agente biologico e sulla
carica infettante. Se, ad esempio, si osserva una carica infettante molto elevata nella
mia prima infezione, il periodo di incubazione si contrae e si contraggono anche i
tempi della sequela a distanza. Dunque, la carica antigenica svolge un ruolo
estremamente importante nel calcolo dei tempi di incubazione, quindi non troveremo
mai un dato, in medicina, di ore se non rarissimamente.

Caso clinico di eritema nodoso


Un giovane paziente presentava faringite da 3 giorni, dolore, edema tonsillare, il
torace nella norma. Dopo un certo numero di giorni, questo ragazzo presenta noduli
alle gambe e entrambi gli arti dolenti anche solo al contatto.

Questi noduletti presentavano una dimensione di circa 2-3 cm e colore rosso acceso
nella fase iniziale.

Diagnosi d’infezione
-Materiale patogenico. S. pyogenes viene ricercato effettuando un tampone
tonsillare. Però se presente un’infezione delle vie respiratorie profonde non sarà
sufficiente un tampone faringeo o un tampone tonsillare, bensì sarà necessario
utilizzare qualcosa di più invasivo come, per esempio, un piccolo brushing e, in un
secondo momento, l’emocoltura.
-Isolamento. Per l’isolamento si procede alla semina in piastre di agar sangue, in
quanto questo streptococco ha delle caratteristiche di emolisi.
-Identificazione. l’identificazione avviene attraverso dei test biochimici, come ad
esempio la spettrometria di massa.
-Reazioni sierologiche. Viene effettuato il titolo antistreptolisinico (TAS), che
permette di verificare la presenza di elevati livelli di titoli anticorpali. In questo caso
vengono utilizzate le unità internazionali per millilitro e, se presente un titolo superiore
a 200 unità internazionali per millilitro, sì delinea una sostenuta possibilità di
streptococco.
Streptococco agalactiae
Lo Streptococco agalactiae è un batterio che presenta le varie caratteristiche generali
della categoria a cui appartiene e che è stato appuratamene studiato negli ultimi anni
perché causa eziologica di varie forme di meningite, insieme allo pneumococco. Nello
specifico, l’agalactiae è una delle cause più importanti di meningite del neonato.
E’ presente come componente della popolazione microbica commensale nell’uretra
maschile e della flora normale vaginale, può essere trasmesso per via sessuale e a
causa della sua presenza a livello vaginale, il neonato si può infettare al momento del
parto. Nel caso in cui il neonato si infetti, può sviluppare una sindrome polmonare
acuta, che si manifesta nei primi 2-3 giorni di vita e può esitare nella meningite, che
insorge dopo 2 o 3 mesi dalla nascita, e presenta sepsi.

Per la diagnosi sarà necessario effettuare un prelievo di liquor e una emocoltura a


partire da pochi giorni dalla nascita e non oltre i primi tre mesi. La presenza della sepsi
identifica un’infezione, dunque la presenza di un microrganismo che si sta
moltiplicando a livello del sangue. Normalmente questa moltiplicazione a livello del
sangue porta a febbre. Quest’ultima può essere di varie tipologie: febbre a picchi,
come nella malaria, febbri con andamenti strani o diversi tra mattino e sera. Il prelievo
e l’emocoltura devono quindi essere effettuati nel momento prima della punta
febbrile.
Se il bambino è effettivamente stato infettato dallo streptococco agalactiae, quindi il
medico non è riuscito a fermare l’infezione in tempo, può presentare delle sequele
neurologiche, quali perdita dell’udito e paralisi cerebrale.

I soggetti a rischio sono soggetti che hanno, soprattutto nell’età adulta, delle patologie
quali diabete o malattie cardiovascolari. Inoltre bisogna assolutamente controllare le
donne durante la gravidanza e, se la donna è portatrice, si potrebbe agire mediante
una tempestiva terapia o evitando un parto spontaneo (decisione presa dal
ginecologo).
Per quanto riguarda le infezioni del neonato, naturalmente, sono a rischio le donne che
hanno una colonizzazione a livello vaginale di streptococco di gruppo B. Quando
abbiamo lunghi tempi nel momento del parto, che determinano un prolungato contatto
del bambino lungo il canale del parto, il rischio è maggiore. Per ultimo si è osservata
una maggiore incidenza nei soggetti non caucasici rispetto ai soggetti caucasici.
Una volta avvenuto il prelievo di liquor per la diagnosi diretta, il laboratorio, in caso di
meningiti batteriche invasive, risponderà urgentemente per analizzare il campione. I
tempi di risposta saranno dunque molto veloci, ma è da tenere in considerazione che i
batteri hanno il loro tempo di crescita nell’arco delle 16/18 ore, troppo tardi perché
dopo 18 ore non abbiamo concluso niente. Sarà quindi necessario, se sospetta
infezione meningea da streptococco agalactiae o pneumoniae, approcciarsi a metodi
più tempestivi quali lo studio del liquor nella provetta, osservando la parte più densa,
la parte corpuscolare, verificando se è presente in questo liquor un batterio. Infatti, è
possibile in questo modo identificare la presenza di un batterio gram negativo o gram
positivo. La presenza di un batterio gram positivo può indicare streptococco, oppure
l’osservazione di catenelle indica streptococco. In realtà qualsiasi cosa visibile
rappresenta un campanello d’allarme per possibili infezioni, in quanto il liquor
dovrebbe essere sterile.
Invece, non si effettuano gram in secreti faringei o nelle feci perché il materiale non è
sterile e il risultato è negativo. E’ possibile richiedere una diagnosi diretta, come lo
studio dei batteri gram, in un liquido biologico sterile come il liquor.
Il liquor, quando prelevato, può avere vari aspetti che aiutano l’identificazione di una
possibile infezione meningea. Può essere un liquor ad acqua di roccia, limpidissimo,
può provenire da una cavità con alta pressione per cui schizza, può essere torbido, può
essere rosa, quindi ematico, il cui colore può essere dovuto a un errore medico
avvenuto nel momento del prelievo o ad una contaminazione da globuli rossi.
Dunque nel momento in cui si preleva il liquor, la prima analisi riguarda il suo aspetto,
limpido o torbido. Normalmente, ma non è una regola, le infezioni batteriche danno
luogo a un liquor torbido, tranne eccezioni. Contemporaneamente se vi è un sospetto
di meningite il liquor viene indirizzato sia ai laboratori di microbiologia, dove viene
effettuata la diagnosi di infezione, sia in un laboratorio centralizzato, dove avverrà
l’esame tipico del liquor, e sarà analizzata la presenza di proteine, la presenza di
glucosio e la presenza di cellule. Laboratorio di microbiologia e centralizzato non
lavorano indipendentemente, ma in rete telefonica e on line con i sistemi informatici di
laboratorio.

Se un soggetto presenta, per esempio, un livello di glucosio basso, questo mette in


allarme perché i batteri per poter metabolizzare sciolgono il glucosio. In questo caso
sarà opportuno rileggere il vetrino e ricentrifugare se ancora presente del materiale.
Un’altra eventualità prevede che il livello di glucosio sia ancora normale, stabile, ma
che venga scrutato qualcosa all’esame visivo, probabilmente si è in una fase altissima,
per cui il batterio ancora non ha consumato il glucosio. A questo punto bisogna
osservare tutti i parametri del paziente, oggi la specializzazione ha dei lati
estremamente positivi ma a volte potrebbe avere dei lati negativi.
Essendo le meningiti un problema di grande allarme nel nostro paese, dovute a
infezioni da streptococco, da listeria, da meningococco di tipo C, i laboratori attraverso
nuovi metodi possono fornire una diagnosi molto rapida. Dal momento dell’arrivo del
prelievo le risposte vengono fornite in un’ora, grazie ad una pan pcr, una pcr nei
confronti di vari microrganismi che permette nel giro di un’ora di identificare se nel
liquor è presente meningo, strepto, pneumo, alcuni criptococchi e addirittura la listeria
monocytogenes. Si tratta della cosiddetta diagnosi delle malattie batteriche invasive,
vetrino o non vetrino, occhio esperto non occhio esperto, clinico o clinica presente o
assente, in un’ora è possibile fornire una diagnosi. Nel caso di liquor limpido si pensa a
una encefalite di origine virale, quindi non pensate di vedere un liquor lattiginoso,
pensate solo di vedere un liquor leggermente opaco , però se il liquor è acqua di roccia
siamo più direzionati nei confronti dell’infezione virale.

Streptococco pneumoniae
Lo Streptococco pneumoniae o pneumococco è uno streptococco della famiglia dei
batteri gram positivi, con forma a catenelle.
E’ un ospite frequente delle prime vie respiratorie (30-70% dei soggetti umani sono
portatori sani faringei del batterio) e causa un’infezione delle vie respiratorie molto
frequente, soprattutto in soggetti che hanno delle polinfezioni, che quindi possono
essere non più normocompromessi.
Meccanismo dell’azione patogena
È presente anche in questo caso, come tutti gli streptococchi, la capsula e questo
pneumococco sopravvive perché il suo meccanismo patogeno comprende la
produzione di una proteasi che taglia le IgA secretorie (le IgA sono gli anticorpi
secretori presenti nelle primissime difese dell’organismo). Tra le varie classi di
anticorpi ricordiamo: le IgE sono le reagine, le IgG sono coinvolti nella risposta
anticorpale di lunga durata, le IgM sono presenti nella fase acuta, le IgA sono gli
anticorpi secretori.
Tale streptococco produce inoltre una neuroaminidasi, una jaluronidasi e una
autolisina. Quest’ultima potenzia l’azione tossica, in quanto la lisi della parete
cellulare libera frammenti di peptidoglicano e acidi teicoici, dotati a loro volta di potere
tossico nei confronti delle cellule del organismo.

Manifestazioni
L’infezione di norma risiede nelle prime vie aeree respiratorie, ma in presenza di
concause predisponenti, raggiunge le vie respiratorie profonde, arrivando a livello del
polmone, dove provoca lesioni. Dalle lesioni polmonari, superando la barriera dei
linfonodi mediastinici, può raggiungere la circolazione generale. Alla batteriemia può
seguire la localizzazione dell’infezione all’endocardio, al pericardio, alle meningi, al
peritoneo e alle cavità articolari.
Dalle prime vie aeree il batterio può raggiungere anche i seni e l’orecchio medio e da
qui può diffondersi ulteriormente provocando l’insorgenza di mastoiditi e meningiti.
La polmonite è definita polmonite lobare o franca. Lobare in quanto comprende un
lobo polmonare completo ed è facile da riconoscere. La polmonite franca è
caratterizzata da un esordio brusco, rapido, e non c’è una compromissione a livello
dei bronchi ma subito una compromissione a livello del lobo polmonare. Inoltre
determina innalzamento veloce della febbre, subito a 39/40 gradi, dolore
all’emitorace, deve essere auscultato il paziente, tosse e normalmente segni di
compromissione generale dell’organismo.
Come descritto precedentemente tale batterio ha due possibili vie per raggiungere le
meningi ed è caratterizzato da una mortalità piuttosto elevata che varia fra il 16 e il
37%, naturalmente se non iniziata una terapia rapida, e in alcuni casi può dare anche
delle sequele, quali sequele a livello dell’orecchio, con la perdita dell’udito, dei deficit
neurologici e cognitivi e, in questo caso, si verificano in una percentuale variabile tra il
30% e il 50% dei soggetti che sopravvivono all’infezione. Tale batterio colpisce
prevalentemente bambini e anziani, nonché immunocompromessi. Ogni anno negli
Stati Uniti vi sono dai 100.000 ai 135.000 casi di ospedalizzazioni per polmoniti, 6
milioni di casi di otite media, 60.000 casi di malattia invasiva di cui una piccola
percentuale, 3.300, sono dei casi di meningite.

(Per quanto riguarda gli aggiornamenti, non per l’esame, ma quello che saranno i
vostri aggiornamenti futuri, se dovete consultare un update di qualche malattia o vi
serve qualcosa vi pregherei di consultare dei siti seri. Un sito serio, che però ha più
metodologia statunitense, ma che mette in allarme per tutti i casi che sono presenti
nel globo terraqueo è sicuramente il sito del center for disease control, se digitate
CDC e pneumococco vi trovate l’aggiornamento, ci sono le domande più frequenti, la
clinica che manifesta il paziente, gli aggiornamenti della diagnosi, gli aggiornamenti
dei vaccini e poi c’è tutta la parte epidemiologica. I siti italiani arrivano sempre col
nostro ritardo di 12-24 mesi perché noi siamo così, però i siti seri sono quelli
dell’istituto superiore di sanità, del Lazzaro Spallanzani di Roma che sono abbastanza
aggiornati. Anche lì come istituto superiore di sanità potete entrare, sono siti aperti,
non a pagamento, in visione della situazione, però sono aggiornamenti di 1-2 anni
precedenti. Non abbiamo grandi statistiche, non per colpa dell’istituto superiore di
sanità, ma per colpa nostra che magari non notifichiamo i casi. In generale la notifica
prevede tempo e tutto il resto. Sul center for disease control quando aprite la pagina
anche se non mettete e pneumococco compare un elenco alfabetico, cliccate
sull’iniziale del batterio e vi vengono fuori tutti i microganismi, batteri o virus che
cominciano con quella lettera e vedete tutto ciò che sappiamo adesso, un
aggiornamento.)

Questi sono i dati del nostro laboratorio delle emergenze microbiologiche per cui la
batteriologia esegue il test della meningite per la diagnosi ma tutto viene poi
caratterizzato e confermato nel giro di 12 ore. Gli agenti eziologici della meningite
sono fondamentalmente lo streptococcus pneumoniae, la neisseria meningitidis e
l’emofilo dell’influenza, il quale non ha nulla a che vedere col virus influenzale,
essendo un batterio. Negli anni abbiamo avuto alcuni andamenti, per esempio lo
streptococcus pneumoniae 2016, aggiornato a novembre 2016, adesso sono
aumentati, avevamo avuto 94 casi l’anno scorso di streptococco, abbiamo avuto 22
casi di meningite da meningo e 13 casi. Nel 2005 abbiamo fatto 213 diagnosi di
infezione.
I vaccini sono importantissimi. In Italia ci sono molti medici che non prendono una
posizione nei confronti dei vaccini. Ci sono delle vaccinazioni obbligatorie per l’infanzia
e ci sono delle vaccinazione fortemente consigliate. Quelle obbligatorie si effettuano
entro i primi 3 mesi di vita, ma adesso è stato anticipato a due mesi. Nel primo
periodo di vita il bambino si protegge dall’infezioni esterne mediante l’assunzione del
latte materno, che contiene anticorpi della classe IgG e IgA. Ovviamente l’allattamento
non è obbligatorio e il bambino sarà comunque protetto nei confronti degli insulti
esterni attraverso gli anticorpi passivi, le IgG della madre. Però questi anticorpi sono
passivi e sono IgG, se fossero IgM segnalerebbero una possibile infezione. Quindi il
vaccino ci preserva dalle infezioni in quanto a poco a poco il patrimonio immunitario
della madre scema perché sono anticorpi trasmessi passivamente. I vaccini obbligatori
sono: Difterite, tetano, pertosse ed epatite B. Quest’ultimo è effettuato alla nascita se
la madre presenta epatite. Vi sono inoltre vaccini obbligatori richiesti per effettuare
viaggi all’estero, è necessario avere un certificato vaccinale e una ricerca di anticorpi
specifici. Recentemente la regione Emilia-Romagna ha deciso di impedire l’accesso
all’asilo ai bambini non vaccinati.
Un’ulteriore caratteristica dei vaccini è l’immunità di gregge: tutti ci vacciniamo
perché se ci vacciniamo tutti il microrganismo non ha soggetti da colpire. Ci
vacciniamo tutti indipendentemente dall’età e dal nostro ruolo perché siamo sempre a
contatto con i piccoli e le persone anziane, per cui non dobbiamo eliminare batteri o
virus che possono essere causa di gravi patologie.

Esistono due vaccini per il batterio pneumococco.

1. Un vaccino ventitrevalente, vaccino contenente 23 ceppi, infatti lo


pneumococco è estremamente variabile, e viene effettuato nei bambini
sopra i due anni e negli adulti.
2. Un vaccino tredicivalente, fortemente raccomandato a tutti i nuovi
nati, ma non obbligatorio. Si effettuano 3 dosi: al terzo mese, quinto
mese e all’anno di vita.

Streptococcus mutans e il cavo orale


Gli streptococchi, oltre allo streptococco pneumoniae, l’agalactiae e il β pyogenes
sono dei batteri che possono colonizzare il cavo orale del organismo umano e possono
essere, per esempio lo steptococco mutans, responsabili di parodontopatie o di carie
dentale, perché lo streptococco attacca il colletto del dente, formando delle cavità. La
presenza di zucchero e detriti alimentari permette la moltiplicazione di questi batteri
che possono arrivare al nervo e determinare la manifestazione dolorosa della carie
dentale.

Batteri sporigeni
I batteri sporigeni, nell’ambito dei batteri trasduttivi, sono batteri in grado di produrre
spore. Inoltre, il loro meccanismo patogeno è anche focalizzato sulla capacità di poter
resistere all’ambiente esterno per lunghi periodi di tempo. I batteri che sporificano
appartengono a due generi: Genere bacillus e Genere clostridium.
Tra questi vi sono: Bacillus cereus, cryptosporidium tetani, ecc.
Tali batteri sporigeni possono innescare, in mancanza di terreni o di situazioni positive,
un processo di sporificazione lento, in quanto il batterio deve utilizzare energia,
duplicare il DNA. Pone il DNA ad un polo della cellula e comincia a duplicare la parete.
Inoltre deve soprattutto rivestirsi di una serie di coats, di rivestimenti esterni che
prima non aveva, ricco di acidi, grassi e sostanze teicoiche che permettono una
situazione di latenza perché la spora è dormiente. Questo processo ha un processo
inverso, perché non è irreversibile, anzi è reversibile e il processo inverso dura poche
ore (1-6h). Se noi ci contaminiamo con una spora questa spora può germinare nel
nostro organismo, o nel riso, o nel cibo dove ci sono spore e da una a sei ore dopo il
batterio è in grado di produrre una situazione patogena.
Nei batteri del genere bacillus, il diametro della spora non eccede quello della cellula
batterica (sporangio).

Nei batteri del genere clostridium, il diametro della spora è maggiore di quello della
cellula che appare, quindi, ingrossata in corrispondenza della spora

• clostridi (batteri sporigeni)


Possono sporificare solamente i batteri che appartengono a due generi: del bacillus e
del clostridium. Nel caso del bacillum le spore non eccedono nello sporaggio, mentre
nel batterio clostridium la spora è diffusibile e si vede bene anche al microscopio
ottico.

Bacillus dell’Antrace o Bacillus Anthracis (batterio del Carbonchio)


Ha avuto il suo grande esordio (o riesordio) subito dopo la
distruzione delle torri gemelle, infatti sembra sia stato usato per
innescare una guerra epidemiologica, anche se ci sono dubbi a
questo proposito.
Sarebbe stato usato questo bacillus perché è in grado di sporificare (diffondere le
spore) senza utilizzare metodi di conservazione particolari e ciò ha permesso la sua
diffusione e trasporto attraverso alcuni mezzi.
Ciò non sarebbe stato possibile in un altro batterio, in forma vegetativa, perché
sarebbe andato incontro a morte spontanea.
Le spore possono rimanere nel terreno, anche in condizioni ostili, per un lungo
periodo di tempo (anche 10 anni o decadi. Sono stati pubblicati lavori in cui sono
state trovate spore del carbonchio che rimesse in ambiente ottimale germinavano
anche dopo lunghissimo tempo).
Nel momento in cui germinano, impiegano da 1 a 6 giorni, quindi sono più lente
rispetto ad altri microrganismi capaci di produrre spore.
Il bacillo del Carbonchio è un batterio Gram Positivo, quindi deve il suo potere
patogeno alla produzione di esotossine, è sporigeno e immobile.
Nel momento in cui la spora viene attivata, il batterio in forma attiva produce una
tossina, a differenza dello stafilococco e streptococco che producono una serie di
tossine.
Quindi il suo potere patogeno è da attribuirsi alla produzione di una tossina: la tossina
dell’antrace.

Conosciamo 4 tipi di antrace:


• Cutaneo: che colpisce la cute. Era ed è tutt’ora conosciuta come una
malattia professionale dei conciatori di pelle, allevatori, mungitori e
veterinari.
Si ha infezione per soluzione di continuo della cute, cioè mettendo a contatto delle
lesioni cutanee con la pelle di bovini che presentano al loro esterno le spore, che
vengono eliminate con le feci.
• Polmonare: che colpisce il polmone, molto grave e usato nel periodo che
tra poco vedremo.
Ha un periodo di incubazione di circa una settimana. È la forma più pericolosa.

• Dell’apparato gastrointestinale, che può determinare un’alterazione


grave e viene assunto per ingestione di carne contaminata.
Bisogna usare cibi controllati (come anche nel caso dello stafilococco), è importante
che le carni siano cotte, in quanto se contaminate dal bacillus e mangiate crude e
digerite, possono portare all’ antrace gastrointestinale, che colpisce stomaco,
intestino, esofago.
Il livello di mortalità è molto elevato (senza trattamento il 40% delle persone ha esito
infausto).
1. Da inoculazione, molto simile a quello cutaneo, con un’evidenziazione clinica
molto sovrapponibile.
Molto simile all’antrace cutaneo è quello dei soggetti che utilizzano eroina per via
endovenosa, per cui possono inocularsi delle spore di antrace.
Nel caso dell’antrace la mortalità in assenza di terapia è piuttosto elevata. Ad
esempio, nel caso di un antrace cutaneo per soluzione di continuo della cute o per
inoculazione di spore di antrace dovute a siringhe sporche che hanno toccato il
terreno e che sono state abbandonate, il 20% dei casi non sottoposti a terapia hanno
esito infausto.

Carbonchio cutaneo
Ha un periodo di incubazione di 1-7 giorni.
Si manifesta una formazione seriale di alterazioni della cute, come ad esempio la
papula [Figura A ], che contiene liquido all’interno, ed è sempre circoscritta,
superficiale, di colore rosato-rossastro a causa di un grosso richiamo di sangue.
La papula evolve dopo circa 3-4 giorni in una vescicola.
La papula e la vescicola non possono essere dovute solo al Carbonchio, ma anche
a molte altre infezioni di microrganismi. Ad esempio possiamo trovare vescicole
dovute ad Herpes.
Dopo 5-7 giorni evolve in un’escara [Figura B], formata da un tessuto cicatriziale nero,
necrotico, circondato da edema. Può essere di consistenza friabile o più consistente;
inoltre il soggetto può presentare degli infiltrati, che troviamo sia nel carbonchio, sia
in forme dovute a contaminazione batterica, come piaghe da decubito o herpes
zoster.
Esse sono delle lesioni cutanee molto ben visibili.

Figura A Figura B
Carbonchio gastrointestinale
Il carbonchio gastrointestinale si manifesta dopo l’ingestione di carni o di cibi non
cotti, in cui è presente o era presente la spora, che può andare incontro a
germinazione.
E’ un’infezione gastrointestinale caratterizzata da vomito, che può presentare tracce
ematiche, diarrea intensa, dolori addominali e febbre, con un esordio lento ma che
può raggiungere anche i 40oC di temperatura.
Senza trattamento quasi il 50%, dei soggetti può andare incontro ad un esito infausto.
Non è stata mai registrata la trasmissione da uomo a uomo.
Questo è stato uno dei primi dubbi venuti quando si è visto che per la guerra
biologica veniva utilizzato un batterio che non era trasmissibile, che colpiva il singolo
individuo, ed è strano perché se voglio fare una guerra biologica cerco di colpire una
massa e non il singolo individuo, cerco di colpire tutta la comunità. Ma la spora del
Carbonchio è particolarmente resistente.

Carbonchio polmonare

È la forma di antrace più pericoloso. Le lastre mettono in evidenza


un’effusione pleurica estremamente evidente.

Colpisce l’apparato respiratorio ed è dovuto all’inalazione delle spore del Carbonchio


che quando arrivano nelle nostre vie aeree respiratorie, con una temperatura
ottimale che comincia da 33° C, fino ad arrivare alle basse vie respiratorie a 37° C,
possono germinare.
Ha un periodo di incubazione che può arrivare fino ad alcune settimane.
Nel polmone possono presentarsi delle regioni necrotiche emorragiche importanti.
Viene coinvolta anche la pleura ed anche in questo caso possiamo avere dei
versamenti ematici.

Tutte le forme di Carbonchio, insieme a tutte le infezioni che possono dare un esito
infausto nel soggetto, sono classificate dal Center Deseas Control ( CDC ) in una
classificazione che va dal più pericoloso al meno pericoloso: dalla classe A, B o C.
L’antrace è di classe A, quindi uno dei più pericolosi. In questa classe c’è anche di
peggio: ebola, polio.
L’antrace può essere fatale perché oltre a colpire il polmone può invadere il torrente
circolatorio e arrivare fino al sistema nervoso centrale determinando un’infezione,
un’infiammazione a livello meningeo con l’aumento della pressione endocranica e con
la comparsa di tracce ematiche nel liquor.
Molto spesso le infezioni batteriche si presentano nello stesso modo: aumento della
pressione endocranica e infiammazione delle meningi, mentre non sempre si trovano
le tracce ematiche nel liquor.

Cosa è successo nel 2001?


Vi furono una serie di casi particolarmente strani di infezione polmonare nei soggetti
che lavoravano negli uffici postali e nei postini che portavano le lettere.
I primi casi furono nel New Jersey, tutta la zona di New York, Washington, Florida.
Le spore sono state sparse e altre hanno effettuato il loro spostamento attraverso la
via delle poste.
Alcune buste contenevano delle polveri, che erano spore di carbonchio e sia il
ricevente del pacco che chi lo portava ha respirato le spore di carbonchio, con casi
abbastanza gravi.
Ciò generò un grosso allarme. Da dove venivano fuori queste spore di carbonchio? Chi
le aveva trovate?
Non è importante per l’esame: fu accusato il direttore della microbiologia di Londra, le
spore prima erano lì, e poi non c’erano più. Voi sapete che ogni laboratorio ha delle
regole: se isolassimo il virus del vaiolo (che non esiste, giusto per dire una cosa
assurda) non potremmo mantenerlo ma dovremmo mandarlo in un centro di
protezione.
Nessuno ci ha mai detto come è andata a finire questa storia. Il direttore del
laboratorio, dopo alcuni mesi, si è suicidato. Questo perché il danno fu enorme, e ciò
forse depone a suo favore perché essere coinvolti in una situazione in cui la gente ti
sospetta di aver fatto una cosa così terribile o di averla agevolata, quando sei
innocente non è semplice.
Fu un dramma. Se andate a New York adesso, trovate, sotto le torri, un museo in cui
ci sono registrate tutte le chiamate d’allarme, tutti gli scambi con i pompieri che
erano arrivati, tutte le persone che si sono suicidate buttandosi dal 50esimo piano.
Quindi, se prima il Carbonchio era una malattia degli allevatori, mungitori e veterinari
ma non se ne avevano danni enormi, dopo l’allarme il Carbonchio ha destato
attenzione e vengono registrati anche oggi dei casi.

C’è un caso particolarmente strano che è capitato ad un giovane ragazzo che


suonava in una band. All’ improvviso ha avuto un collasso, è stato ricoverato in
ospedale e non si riusciva a capire cosa avesse.
Suonava il tamburo, il bongo che aveva costruito usando una pelle di animale per
ricoprirlo e con una sorta di rasoio aveva cercato di lisciarla. Agendo così aveva fatto
un areosol enorme di spore di carbonchio, niente a che fare con la guerra biologica,
ma con la pelle contaminata di questo animale con il pelo molto sottile. Poi il CDC
andò a lavorare nell’appartamento di questo ragazzo ed era tutto contaminato,
pareti, mobili, tutto era ripieno di spore del Carbonchio.
Questo rasoio aveva permesso la diffusione delle spore del Carbonchio inalate dal
ragazzo.

Il Bacillus Anthracis anche in laboratorio va trattato con estrema cautela.


Dopo questa situazione può essere un possibile candidato al bioterrorismo, perciò
tiene in allarme le grandi potenze mondiali, o servizi segreti.
In realtà, le spore, possono essere distrutte in presenza di ipoclorito o basterebbe la
bollitura.

E allora perché succede questo?


Perché questo batterio elabora una esotossina, formata da una parte B (binding), che
è la parte della tossina che si lega alla cellula dove si trova il suo recettore, e da 1-2
parti A (tossiche).
Quindi ogni tossina può essere formata da 1 parte B + 1 parte A, 2 parti B + 2 parti A,
1 parte B + 2/3 parti A.
Le esotossine possono essere classificate in tanti modi: tossine che bloccano la sintesi
proteica, che alterano l’equilibrio intracellulare per cui c’è uno squilibrio osmotico, per
cui la cellula viene colpita dalla tossina e perde liquidi.
Le possiamo quindi classificare in base al loro meccanismo patogeno, ma anche in
base al loro trofismo: possiamo avere delle tossine pantrope, che possono andare
dappertutto, che possono colpire il sistema nervoso, il rene o l’osso; possiamo avere
delle tossine neurotrope che hanno il loro target nelle cellule del sistema nervoso
centrale.

La tossina del Carbonchio ha delle caratteristiche peculiari, è costituita da 1 parte B +


2 parti A.
Il PA, o protective antigen, è la parte attraverso cui la tossina si lega al recettore
cellulare (ATR=antrax toxin receptor).
Quando si lega arriva una proteasi cellulare che taglia al protective antigen (di peso
83kD) un pezzo inattivo di 20kD. Il peso finale di sarà 63kD.
Così permette lo smascheramento del letal factor e dell’ edema factor.
La parte tossica (parte A) è formata da due fattori diversi: letal factor ed edema
factor.
L’edema factor smascherato ha un’azione edematogena (provoca edema) perché è
un’ adenilato ciclasi, provoca un aumento dell’ cAMP, che porta all’edema polmonare
nel caso del carbonchio polmonare e a delle piccole forme edematose e delle
vescicole nel carbonchio cutaneo.
Questa azione edematogena è accompagnata da un accumulo di liquidi negli spazi
intracellulari.
Il letal factor è una metallo proteasi che agisce sull’ NFK-β (un fattore di trascrizione
cellulare) il quale comincia a produrre interleukina-1-β, TNF-α (nei macrofafi), che
danno febbre particolarmente alta, con uno squilibrio a livello citochinico,
infiammazione, si può arrivare a shock e a morte dell’individuo.
Diagnosi d’infezione
La diagnosi di infezione oggi è rapida, mediante la spettrometria di massa. Si fa un
tampone nell’alterazione della cute, un prelievo dalle vie aeree se si sospetta un
Carbonchio polmonare.
Il bacillus anthracis è immobile, sensibile alla penicillina, infatti ancora non ci sono
stati esempi di farmaco resistenza e non produce emolisi nelle piastre al sangue.

Qui intorno non abbiamo nessun alone di emolisi né completa né incompleta, queste
colonie sono biancastre non estremamente mucose, con i margini ben netti.
Per identificarlo si può fare la spettrometria di massa, oppure un test che verifichi la
mobilità del batterio e sarà negativo; un test che verifica l’assenza o la presenza di
capsula e sarà positivo; un test che mi faccia vedere se fa emolisi o no, e sarà
negativo.
Per capire che si tratta di una spora possiamo colorarne la parete, e vedere che
assume un colore verde di malachite, segno inconfutabile.
Ci sono altri batteri che non sono mobili, che hanno la capsula e che possono avere la
spora, ma questo è un primo approccio.
Il ritardo della diagnosi può portare ad esiti infausti di soggetti che vengono colpiti da
malattie infettive che rappresentano, ancora oggi, insieme alle malattie
cardiovascolari e tumorali, una delle principali cause di mortalità, soprattutto nei
paesi in via di industrializzazione, o non industrializzati e soprattutto nei bambini (che
hanno un’aspettativa di vita molto maggiore dell’anziano).

Terapie
Fondamentalmente si utilizzano due antibiotici, utilizzabili anche in coppia:
Ciprofloxacin e Doxycicline, con due meccanismi d’azione leggermente diversi.
Il primo, anche se ha qualche problema per gli effetti collaterali, è un farmaco
estremamente usato non solamente per il Carbonchio, ma anche spesso per infezioni
genito-urinarie...
Gli antibiotici hanno diversi meccanismi di azione: uno può agire sulla parete
cellulare, uno sulla membrana, uno sulle topoisomerasi, uno che agisce sugli enzimi
del DNA.
Questo antibiotico determina il blocco della replicazione del DNA batterico, perché
agisce con questa DNA girasi che sono le topoisomerasi di tipo 1,2,3,4.
Quelle fondamentali in questo caso sono la 1 e 2.
La topoisomerasi 2 permette lo srotolamento del DNA, per cui questo viene bloccato.
La topoisomerasi 4 permette il riavvolgimento, la superspiralizzazione del DNA.
Il Ciprofloxacin, agisce sulla topoisomerasi 2.
Le Doxycicline agiscono sulla sintesi proteica batterica. Prima era un antibiotico molto
usato, ora invece è poco utilizzato per gli effetti collaterali.
Il farmaco ha un’affinità estremamente elevata per il DNA batterico, per la girasi
batterica, mentre meno per quella dei mammiferi e dell’uomo.
Normalmente un buon antibiotico che caratteristiche deve avere?
Non tossico per l’uomo, infatti avendo un’affinità così specifica per le topoisomerasi
batteriche non dovrebbe fare dei danni sulle nostre cellule, non deve costare molto,
non deve avere degli effetti collaterali e deve mettere in atto la sua azione utilizzando
delle dosi basse.
(Ricorda la differenza tra sulfamidico e un antibiotico.)

La prevenzione
Non c’è un vaccino ottimale.
Se dovessimo costruire un vaccino ottimale per il carbonchio, che cosa
utilizzeremmo?
Una anatossina.
Quindi il vaccino che è stato costruito, non ha ancora dei livelli ottimali di protezione
e utilizza il Protective Antigen, perché se noi facciamo sviluppare al soggetto degli
anticorpi
contro questo, il protective antigen non si lega alla cellula, non viene tagliato dalla
proteasi cellulare, non permette l’esposizione del letal ed edema factor.
Quando abbiamo, per esempio, un microrganismo che basa il suo potere patogeno su
una tossina, normalmente i vaccini che vengono utilizzati, usano delle tossine delete
cioè delle anatossine, mentre in altri casi noi possiamo utilizzare dei vaccini che si
ottengono con batteri attenuati, uccisi o con il DNA ricombinante (per esempio il
vaccino antiepatite).
Abbiamo dei vaccini che sono stati costruiti, però hanno delle complicazioni.
Le prime complicazioni furono viste durante la guerra del golfo, ma non si è evinto se
le complicazioni nei giovani soldati che si erano sottoposti alla vaccinazione anti
carbonchiosa erano dovute a effetti collaterali del vaccino oppure all’utilizzo di armi
con munizioni di uranio impoverito.

Bacillus Cereus
È un bacillo con dei punti in comune con l’anthracis, ma che dà tutt’altra
sintomatologia.
È un batterio che può dare luogo a delle tossinfezioni alimentari.
Il bacillo dà due tipi di intossicazione alimentare: una di tipo emetico che colpisce i
visceri inducendo un impulso di vomito estremamente forte e una di tipo diarroico.
Le forme di tipo emetico sono dovute al fatto che il bacillus cereus, può essere un
contaminante del riso, che quando viene cotto e lasciato raffreddare in ambiente non
igenico, le spore, se sono presenti (e quindi se avviene la raccolta del riso e se i
processi successivi non sono ottimali) germinano. Quindi possiamo ingerire
direttamente la spora, oppure se germina nel riso allora ingeriamo direttamente la
tossina.
Il periodo di incubazione come nella maggior parte delle tossinfezioni rapide, dipende
dalla carica microbica che noi abbiamo ingerito e va da 1 a 24 ore. Se il cibo è ricco di
tossina, cominciamo a stare male rapidamente con vomito e crampi addominali.
Anche alcuni ceppi di stafilococco aureo sono in grado di dare delle tossinfezioni
alimentari con periodo di incubazione di 6-8 ore.
La tossina è stabile al calore, e questo è un danno perché la tossina anche nel cibo
cotto non è eliminata, ma può perdurare nel lungo periodo, in un ambiente umido e in
posti non igienici.
Ha una fase acuta ma non è assolutamente problematica perché in un paio di giorni ci
si ristabilisce.
I batteri responsabili delle tossinfezioni di tipo diarroico, con una incubazione
abbastanza rapida, sono dovute alla ingestione di carni e di salse che hanno
permesso nel perdurare della loro esposizione in ambienti non corretti la produzione
delle tossine.
In questo caso invece la tossina è sensibile al calore e la possiamo eliminare
mediante bollitura.
Questo è un Bacillus Cereus. Le colonie sono emolitiche, crespe, molto ampie,
saranno milioni di batteri presenti in una colonia.
Mentre il bacillus del Carbonchio è sensibile alla penicillina e immobile, il bacillus
Cereus non è sensibile ed è mobile.
È un batterio Gram positivo, fa β-emolisi, vive in ambienti con o senza ossigeno, è
aerobio-anaerobio facoltativo.
Queste colonie crescono abbondantemente in agar sangue e qua si vede ancora
meglio la reazione emolitica dopo 24 ore di questi batteri in piastre di agar sangue.

La Difterite
La difterite è un problema che abbiamo sottovalutato negli scorsi anni, in quanto
inserita nelle vaccinazioni obbligatorie, proprio per questo ha protetto gran parte della
popolazione, ma non tutta. Abbiamo la riacutizzazione di malattie che non vedevamo
da un po’ di tempo anche in Italia, in Europa.
Sicuramente quando andiamo in paesi poco industrializzati, difficili da raggiungere,
anche nell’ambito di vaccinazioni obbligatorie, abbiamo molti fallimenti, e quindi,
queste patologie che sono molto gravi, nel momento in cui ci sono delle persone non
immunizzate e arrivano delle persone infette, come è successo negli anni ‘90 dall’ex
Russia, generano un problema. Infatti, se noi tutti siamo vaccinati, si produce quella
che è l’immunità di gregge, e riusciamo probabilmente ad eliminarlo spontaneamente
questo batterio.
Il corinebatterio della difterite è un batterio Gram positivo e produce una tossina
letale.
Normalmente non utilizziamo una colorazione di gram perché hanno una forma
particolare, a L o a V, infatti quando due batteri si stanno separando non lo fanno
completamente ma rimangono adesi con un polo, per cui assumono una questa
posizione.
La loro crescita è favorita in terreni come il tellurito di potassio, dove non cresce
nient’altro se non il corinebatterio della difterite perché ha delle capacità metaboliche
particolari.
Il batterio della difterite viene preso per via respiratoria e si localizza nelle primissime
vie respiratorie, a livello del velopendulo, dell’ugula e non diffondere, ma elabora una
tossina pantropa che può colpire molti organi a distanza e perciò il soggetto non in
terapia va incontro a morte per una serie di patologie che avvengono a distanza
dall’inoculazione.
La tossina agisce bloccando la sintesi delle proteine, si attacca al fattore di
allungamento e quindi non permette più il proseguo della sintesi proteica. Se la
tossina arriva ad una cellula cardiaca o a una cellula renale e blocca la sintesi
proteica, queste vanno incontro a morte, e noi di conseguenza avremo dei danni fino
al sistema nervoso centrale e il soggetto può avere un esito infausto.
Nel miocardio, fegato, rene, surrene, nervi cranici e periferici il batterio non è
invasivo, aderisce alle respirazione del soggetto e in più può portare a delle grandi
alterazioni in organi a distanza.
Si guarda la gola di questa persona e in alcuni casi è presente un croup difterico, in
cui c’è una pseudomembrana grigiastra, che è la colonizzazione del batterio a livello
delle tonsille o a livello dell’ugola.
Una pseudomembrana grigiastra è presente anche in un virus herpetico, che non va
confusa, come clinica.
La tossina agisce perché ha un’attività ADP-ribosilante, agisce sul blocco della sintesi
proteica, come la Shigella Dysenteriae, che è la diarrea del viaggiatore, alcune forme
di Escherichia Coli, che danno forme di gastroenteriti importanti..
La pseudomembrana ci fa insospettire di un’infezione difterica. Quindi si fa un vetrino
e si vede se ci sono dei corinebatteri che sono gram positivi, oppure gram variabili.
Vedremo una disposizione a lettere cinesi colorate di blu, violetto con qualche sfondo
di rosso perché sono un po’ gram variabili.
Essendo gram variabili allora noi possiamo utilizzare delle colorazioni specifiche per
questi corinebatteri, per esempio le colorazioni di Jeans, che fa vedere il batterio
giallo in fondo blu.
Tutto ciò perché se abbiamo, ad esempio, un bambino che proviene da una zona in
cui non esiste il vaccino e che quindi non è stato vaccinato, non possiamo fare
l’esame colturale, aspettare che il batterio sia cresciuto in tellurito di potassio, che ci
mette 24-48 ore perchè nel frattempo la persona interessata produce la tossina che
diffonde.
Abbiamo tanti corinebatteri nelle vie respiratorie. Il problema è quello di averne uno
tossigeno. Dunque la prima cosa è un’indicazione, dopodiché bisognerà verificare se
questo microrganismo, con questa forma a lettere cinesi, è in realtà un produttore di
tossina, che blocca con questa attività Adp-ribosilasi il fattore di allungamento,
oppure se non è tossigeno.
Esistono varie prove per verificare se sono batteri produttori o meno di tossina, che
impiegano un po’ più di tempo, nonostante noi abbiamo dato un’indicazione, e poi ci
sarà la clinica, per questo croup difterico.
Quindi noi possiamo seminare, anche in agar di tellurito di potassio dove crescono
solamente corinebatteri, perciò non abbiamo effetto confondente di altri batteri delle
prime vie respiratorie e possiamo fare la prova della tossinogenesi, che sembrava
sparita nel mondo, invece la abbiamo recuperata due anni fa quando abbiamo avuto
due sospetti di difterite.

Prove tossinogenesi
In vivo: inoculazione intradermica o sottocutanea di brodocoltura in due cavie, di cui
una protetta con anatossina (500-100 U)
In vitro precipitazione in agar

Innanzitutto abbiamo seminato il tampone con cui avevamo toccato la parte visibile
di questa pellicola nel ragazzino e abbiamo messo questo materiale biologico,
sospeso in soluzione fisiologica, in una piastra in agar sangue e posto in tellurito di
potassio, dove crescono queste colonie. Se cresce qualcosa nel tellurito di potassio
allora è un corinebatterio.
Dopodiché bisogna capire se è tossigeno o non è tossigeno.
Prendiamo una piastra, di qualsiasi tipo, mettiamo al centro una carta imbevuta di
antitossina, (anticorpi contro la probabile tossina che noi andiamo a ricercare) e
facciamo una reazione sierologica in vitro, prima mettiamo l’anti tossina, dopodiché
andiamo a seminare la colonia batterica che è cresciuta in tellurito di potassio.
Se questa colonia è un corinebatterio capace di produrre la tossina, la tossina e
l’antitossina formeranno un immunocomplesso che immunoprecipita, lungo la
bisettrice tra due angoli, quello della antitossina [? Registrazione non chiara] E se
effettivamente questo batterio, che ho seminato in questa zona, produce tossina
abbiamo un immunocomplesso che immunoprecipita.
Non esistono molti test in grado di verificare la tossina perché non c’è un grande
allarme per la difterite in quanto la maggior parte delle persone sono vaccinate e
l’industria non investe in patologie che non sono numericamente rilevanti.
L’industria ha investito nell’HIV, ma adesso investe di meno perché abbiamo dei
farmaci ottimi.
Adesso sta investendo nell’ HCV perché abbiamo un farmaco che elimina l’infezione,
che due anni fa è stato un grande passo avanti. L’industria non investe nella lebbra
perché colpisce poche persone.
Nel dicembre del 2015 (dettoci dai giornali nel gennaio 2016), allo scoppio dell’ebola,
c’è stato un gruppo di ricercatori italiani che avevano fatto un vaccino contro l’ebola.
Il vaccino è stato finanziato da francesi e americani perché medici americani sono
stati contagiati da ebola.

Quello che vi dicevo prima è che negli anni ‘90 c’è stata in Russia un’ epidemia di
difterite perché la popolazione non era protetta.
Qualche anno fa un vostro collega proveniente dalla Grecia ha affermato di non
essere stato vaccinato contro la difterite, nonostante in Grecia sia obbligatorio.
Ciò mette in evidenza che anche in luoghi come la Grecia, nostra meta turistica
estiva, vi sono persone non vaccinate. Perciò siamo sempre in allarme, ed ecco
perché dovremmo controllare la nostra situazione anticorpale e immunologica,
soprattutto se ci muoviamo e andiamo in paesi in cui la difterite può essere ancora
presente.
Spesso nei paesi musulmani abbiamo dei problemi per raggiungere la popolazione,
perché non tutte le religioni sono favorevoli alla vaccinazione, perciò bisogna
mantenere la sorveglianza, che è quello che fanno gli igienisti.
La reazione sierologica nel caso della difterite non ha senso in caso di infezione acuta,
ma solo
Se vogliamo fare la sorveglianza di una popolazione.
Potremmo fare un prelievo di sangue e verificare chi di noi ha sviluppato gli anticorpi
contro la difterite. Chi li ha sviluppati è protetto, anche se non è detto perché in età
molto avanzata la risposta anticorpale potrebbe scemare.
Prima del vaccino, fatto nel 1920-25 avevamo 100 o 200 casi di difterite ogni 100mila
persone, dopo i primi esperimenti col vaccino, che è stato introdotto come
obbligatorio solo negli anni ‘80, abbiamo avuto uno 0,001 caso ogni 100mila persone,
questo vuol dire che il vaccino è protettivo e molto importante. Esso rimane in alcuni
paesi in via di sviluppo, sempre nella sua forma respiratoria. Quindi i test sierologici
non hanno effetti, ma abbiamo una intradermoreazione. Voi forse l’unica che ricordate
è quella di Mantoux, che ora sta andando un po’ in disuso.

La reazione di Schick serve per vedere se siamo immuni o no alla difterite. Si inocula
sulla faccia volare dell’avambraccio una piccolissima quantità di tossina purificata
(1/50 della dose minima letale per una cavia).
Se io ho anticorpi nei confronti della tossina, questi anticorpi neutralizzano la tossina
che viene inoculata e quindi non ho nessuna reazione. Se invece non ci sono
anticorpi, nel punto di inoculo si manifesta una piccola papuletta. Questo è
esattamente il contrario di quello che avviene con la reazione di Mantoux.
Nel 2015 furono segnalati dei casi di difterite cutanea dovuta ad alcuni corinebatteri,
chiamato Mitis, in Belgio e Francia, in alcuni migranti che provenivano dal sud del
nostro paese e da alcune zone dell’africa, che potevano avere fatto una prima tratta
in Sicilia e in Calabria e molto probabilmente avevano fatto una sosta in una hub
importante a Bologna, in via Mattei, e poi potevano essere andati al nord.
Quando i migranti arrivano negli hub, la prima cosa che fanno è una visita sanitaria,
soprattutto per quel che riguarda la tubercolosi, perché ci possono essere delle forme
di tubercolosi latente che possono essere trasportate in questi viaggi, poi gli vengono
dati dei vestiti nuovi perché non possono usare quelli usati…
Le forme ulceranti con corinebacteri mitis o ulcerans possono appalesarsi, con
affossamenti, con alterazioni, per cui c’è la produzione di tossine, anche se non tutti i
corinebatteri difterici, che danno luogo a delle forme cutanee, producono tossine.

Le ustioni le notate perché li fanno viaggiare su delle taniche di benzina che


normalmente si possono anche infiammare per cui a volte possono presentare delle
ustioni che sono soprattutto nelle mani e gambe, quindi queste ustioni si appalesano
soprattutto nelle parti scoperte.
[A parer mio il senso è che non bisogna confondere le ustioni fisiche, da calore, da
quelle provocate dal corinebatterio, ndr ].
Alcuni corinebatteri possono determinare delle ustioni cutanee che si palesano in arti
superiori e inferiori e che non sempre i responsabili sono produttori di tossine.

Listeria Monocytogenes
E’ un corinebatterio di cui ci possiamo infettare. Le persone più colpite sono:

1. Le donne in gravidanza.
Nelle donne portatrici vaginali di Listeria ci può essere un’infezione a livello del feto
che può esitare nella morte del feto e nell’aborto.
Nel caso in cui questo non accada ma l’infezione è massiccia allora possiamo avere
dei ritardi dello sviluppo in atto. Le donne in gravidanza vanno controllate per la
presenza di Listeria.

2. I bambini piccoli che nascono da donne con Listeria possono infettarsi


durante il passaggio nel canale del parto con la trasmissione del Listeria
durante la gravidanza.
3. Tutte le persone che hanno un sistema immunitario debole, quindi le
persone con l’AIDS e la fascia anziana della popolazione.
Ci si infetta ingerendo del cibo in cui è presente la Listeria.
Questo batterio che è allungato, di forma bacillare con dei flagelli polari, cioè presenti
in entrambi i suoi poli.
I flagelli sono degli organi di movimento. I batteri possono averne uno (batteri
monotrichi), possono avere flagelli ad un polo della cellula (lofotrici) o possono averli
lungo tutto il corpo (peritrichi). I Listeria sono batteri che hanno dei flagelli al polo
della cellula.

Ci infettiamo mangiando del cibo in cui può essere presente la Listeria, che vive bene
in presenza del latte, della crema e in formaggi morbidi, il cui latte non ha seguito il
processo di pastorizzazione. Il formaggio non pastorizzato ha un rischio da 50 a 160
volte più alto rispetto al formaggio pastorizzato, di contenere la Listeria.
La Listeria si trova normalmente nel suolo e nell’acqua quindi le verdure possono
essere contaminate. Perciò non si mangiano verdure crude in abbondanza, non lavate
o non lavate bene durante la gravidanza; inoltre si sta attenti a determinati cibi
perché portatori di toxoplasmosi o listeriosi.
Poiché non esistono vaccini contro queste patologie, bisogna evitare di mangiare cibi
che possono provocarle.
Ogni hanno ci sono circa 1600 persone che possono avere la listeriosi (sono dati
americani), di cui 260 possono andare incontro a morte, fondamentalmente oltre i 65
anni.

Meccanismo patogeno
La Listeria, che vive fondamentalmente in un ambiente esterno, per attuare il suo
potere patogeno ha bisogno di attivare un fattore trascrizionale (PrfA), che permette
la trascrizione cellulare.
Se il PrfA si trova nella parte esterna della cellula è silenzioso, quindi ha uno stato di
attività minima, un basso livello di virulenza.
Se il PrfA viene attivato, andando dentro alla cellula, produrrà le internaline (delle
tossine) le quali permettono l’internalizzazione e la persistenza della Listeria
nell’ambito delle nostre cellule.
La listerolisina (una lisina della Listeria), una fosfolipasi e una fosfocolina danno una
possibilità maggiore alla crescita intracellulare della Listeria.
Quindi per poter attivarsi e produrre le lipasi, lisine, coline che ne permettono
l’internalizzazione e quindi il passaggio da cellula a cellula, il fattore PrFa deve essere
attivato.
La Listeria per poter agire deve stare all’interno della cellula. È un parassita
endocellulare obbligato, e per poter parassitare la cellula risale attraverso un tessuto
di actina tra una cellula e l’altra, e deve produrre, attivare questo fattore
trascrizionale.

In questa immagine c’è PrfA che va attivato (presenta un asterisco) e quando viene
attivato produce:
- internaline, che servono per aderire alla cellula e per internalizzare la Listeria alla
cellula;
- actina che serve per diffondere il batterio da cellula a cellula;
- lisina, che determina la lisi della membrana del vacuolo;
- lipasi C, che permette la liberazione del batterio nel citosol cellulare.
Pensate a quante cose un batterio riesce ad innescare per effettuare il suo potere
patogeno.
La caratteristica fondamentale dei virus è quello di poter produrre questi filamenti di
actina che gli permettono di passare da cellula a cellula senza fuoriuscire nella parte
esterna. Questo cosa vorrà dire? Se noi prendiamo un tampone vaginale cervicale di
una donna per vedere se è portatrice di Listeria, cosa faremo prima di seminarlo in
piastre per vedere se c’è della Listeria o meno?
Dovremo rompere le cellule, perché la Listeria sta dentro (è un parassita
endocellulare obbligato).
Si possono usare molti metodi. Quello più primitivo, usato per molti anni, è lo shock
termico.
Mettere sotto ghiaccio, diminuire la temperatura dell’acqua, rompere le cellule, e se
la Listeria era presente avevamo la possibilità, di farla seminare e crescere.

Da delle meningiti purulente, delle meningo encefaliti e setticemie.


Abbiamo isolato la Listeria due settimane fa da una signora di 74 anni, con
l’emocultura positiva, listeriosi; è stata intubata per diversi giorni, è stata una
meningoencefalite acutissima. (….Non si tratta di contatti o contagi per la Listeria,
l’urgenza c’è solo per il meningococco, per cui dobbiamo dare una risposta subito…
questa frase non si capisce nella registrazione. )
La Listeria può dare delle infezioni durante la gravidanza, dobbiamo stare attenti che
l’emocultura non sia positiva. L’infezione in sè può causare un travaglio, quindi una
nascita prematura.
Le infezioni possono essere anche intrauterine e possono determinare la morte del
feto oppure il piccolo nato può presentare una meningite purulenta.
Al di fuori della gravidanza abbiamo una sintomatologia abbastanza banale: ansietà,
febbre, mal di testa, uno stato di confusione, e in un caso più grave, convulsioni.

La Blue Bell Company è un brand americano che aveva prodotto del latte shakerato e
una specie di gelato e ha venduto dei prodotti contaminati da Listeria a cui sono
seguiti dei casi di listeria molto importanti.
Vedete questa è un’ansa, ed è filamentosa e mucosa nel momento in cui l’operatore
tocca con l’ansa.
La Listeria cresce in agar sangue. Abbiamo messo 4 0C perché serve un
pretrattamento a bassa temperatura per creare uno shock termico e far fuoriuscire la
Listeria, (poiché è intracellulare) questo è a livello microscopico.
Normalmente la crescita prevede un paio di giorni, e il sospetto clinico è
estremamente importante.
Da un punto di vista sierologico non abbiamo test, dobbiamo fare diagnosi diretta;
infatti non ha senso fare un test per vedere la presenza degli anticorpi, soprattutto
per prevenire certe situazioni durante la gravidanza.
Oggi abbiamo anche la PCR per la listeriosi.

Micobatteri – Tubercolosi

Caratteristiche e tipi di micobatteri:

La tubercolosi è una patologia provocata da micobatteri che sono caratterizzati da


una parete peculiare; la maggior parte dei batteri hanno una parete formata da
peptidoglicani ( in alcuni casi possono essere presenti ulteriori strati) e si differenziano
per spessore e quantità di tali polimeri, come nel caso dei Gram + caratterizzati da
una capacità tintoriale differente rispetto ai Gram -. La colorazione di Gram è una delle
principali colorazioni differenziali: mentre nelle colorazioni semplici si utilizza un solo
colorante, in quelle differenziali se ne utilizzano più tipi in sequenza; altre colorazioni
di questo tipo vengono utilizzate per evidenziare caratteristiche di parete specifiche.
I micobatteri hanno una parete atipica che oltre a possedere peptidoglicani è
rinforzata da acidi grassi, cere e peptidi, elementi chiave per il loro potere patogeno.

Il 24/03 è la giornata mondiale della tubercolosi, una patologia considerata


riemergente: sono in aumento il numero di infezioni.

La tubercolosi è provocata da vari tipi di micobatteri tubercolari:

• Mycobacterium Tubercolosis (o BK, Bacillo di Koch dal nome dello


scopritore), il più diffuso, si acquisisce per via respiratoria;
• Mycobacterium Africanum, localizzato nell’area africana, trasmesso
nella stessa maniera del precedente;
• Mycobacterium Bovis si acquisisce invece per via alimentare, ovvero
mangiando cibo proveniente da animali ammalati.

Abbiamo poi un gruppo di micobatteri non tubercolari che prendono il nome di


MOTT (mycobacteria other than tuberculosis) :

Questi si trovano difficilmente nel soggetto normocompetente, ma sono correlati


alle infezioni dei soggetti immunocompromessi. È possibile quindi che un soggetto
il cui sistema immunitario non funzioni correttamente (perché affetto da AIDS o ad
uno stadio avanzato di infezione da HIV o per assunzioni di farmaci oppure per
mutazioni genetiche) sia affetto da questi micobatteri. Tali organismi si trovano in
molte specie animali e in casi di immunocompromissione e denutrizione possono
infettare l’uomo. La trasmissione principalmente avviene dal terreno e dalle acque.
Epidemiologia :

La tubercolosi è diffusa in tutto il mondo e rappresenta uno dei killer principali tra le
infezioni respiratorie, in Italia c’è stato un aumento significativo dei casi di TBC dal
2004 al 2014, fino ad arrivare al 66% di casi dovuti a Mycobacterium tubercolare. I
dati di letteratura certificano un aumento di casi correlato all’immigrazione di soggetti
con tubercolosi latente che una volta arrivati qui slatentizzano il proprio batterio, di
tutt’altra opinione sono gli infettivologi. In Italia abbiamo dati del 2012 che, sebbene
provvisori, indicano un problema emergente. Eclatante fu quell’episodio di circa sei
anni fa nel reparto di neonatologia di un ospedale romano: un’infermiera affetta da
TBC attiva, ma non diagnosticata la diffuse a medici e pazienti.

A livello mondiale rappresenta una tra le più rilevanti cause di mortalità, ogni anno 9
milioni di persone di ammalano e di questi circa 1.5 va incontro a morte, bisogna porre
quindi molta attenzione a tale malattia perché è probabile che nei prossimi anni questi
casi aumentino. Sono emersi ultimamente anche ceppi resistenti ai farmaci classici
che quindi richiedono una terapia di lunga durata.

Parete:

La parete presenta una serie di strati che ricoprono la membrana plasmatica


dall’interno all’esterno:

• Peptidoglicani tipici dei batteri;


• Arabinogalattani;
• Acidi micolici;
• Glicolipidi.
“Tale struttura ci servirà per capire le capacità tintoriali dei micobatteri quando
studieremo la colorazione di Ziehl-Neelsen.”

Questo tipo di batterio presenta tempi di replicazione in evidenziazione da colture di


agar di circa 4-6 settimane, mentre un Gram positivo o negativo riesce a moltiplicarsi
nel giro di 18-24 ore: la sintesi di una così complessa parete è piuttosto lunga e lenta.
La risposta da parte del laboratorio era quindi tardiva, ora le cose sono
fortunatamente cambiate.

Meccanismo patogenetico:

Il batterio della TBC non produce delle esotossine vere e proprie, ma ha una capacità
importante di resistere al killing intracellulare, una parete così complessa è difficile da
inglobare e contenere per i monociti-macrofagi.
Il processo patogenetico è caratteristico e prevede tre meccanismi, ad ogni
meccanismo corrisponde la produzione di una proteina:

- i geni Esat-6 e Cfp-10 codificano per due proteine elaborate dai


micobatteri che formano dei pori sulla membrana dei vacuoli del
macrofago: questo tenta di contenere l’infezione ma viene leso a livello
vacuolare. Il batterio inglobato tenta di replicarsi all’interno del
macrofago e ha successo a seguito della vacuolizzazione del macrofago
stesso;
- La proteina SEC provoca la secrezione della superossido dismutasi, per
cui protegge il microrganismo dall’azione nociva dei radicali liberi.

Altri geni importanti sono:

1. katG che codifica per una catalasi perossidasi, la quale protegge dagli
stress ossidativi in modo simile a SEC;
2. erpG che codifica per una proteina necessaria alla replicazione del
batterio.

Questo mosaico antigenico e proteico è alla base della sopravvivenza dei micobatteri
all’interno dei fagociti.

È una batterio molto potente, bastano anche 10 particelle batteriche ad infettarci,


quindi la carica batterica è estremamente bassa (ovviamente maggiore sarà la carica
batterica, maggiore saranno le complicazioni che svilupperà questo organismo). La
maggior parte dei batteri vengono di solito intrappolati nelle vie respiratorie ed espulsi
mediante meccanismo ciliare, se questo non accade una piccola percentuale puo’
raggiungere gli alveoli, a quel punto vengono attivati i monociti-macrofagi che
tendono a includere ognuno diversi bacilli. Una parte di questi vengono eliminati: si
innesca un processo per cui gli antigeni del micobatterio vengono presentati ai linfociti
T helper ed avviene una risposta immunitaria. Una parte di questi microrganismi
riesce invece a sopravvivere e a moltiplicarsi, uccide il macrofago e si libera
nell’ambiente esterno, avendo così la possibilità di infettare i tessuti circostanti. Ciò
porta alla comparsa e attivazione dei linfociti CD8 citotossici e di norma si ha un
contenimento dell’infezione, la quale si manifesta anche con un processo
infiammatorio: il tubercolo polmonare. Questo è ricco di linfociti e macrofagi
attivati, ma anche da cellule epitelioidi; è contornato dalle giant cells, le cellule
giganti. Si presenta fibrotico a causa di una reazione connettivale che esita nella
fibrosi e la porzione centrale va incontro a necrosi caseosa. Se il soggetto si arresta a
questo stadio presenta il complesso primario. Tali pazienti risultano positivi alla
prova della tubercolina, è avvenuto un contatto col micobatterio, ciò non significa che
l’infezione si sia però diffusa, vanno quindi controllati periodicamente soprattutto da
un punto di vista radiologico.
Il complesso primario può andare incontro a:

1. sterilizzazione, cioè il soggetto ha contenuto l’infezione e non è


infettante;
2. replicazione paucibacillare (ancora asintomatica), cioè pochi batteri si
replicano. Possiamo avere un ulteriore contenimento del sistema
immunitario, ma se il suo funzionamento non è ottimale segue una
riattivazione del complesso primario. Una piccola replicazione del batterio
quindi sfugge alla sorveglianza immunitaria e forma lesioni multiple di
aspetto granulomatoso, la porzione centrale va in liquefazione e ho la
diffusione dell’infezione. Il soggetto può andare inoltre incontro a
tubercolosi miliare, cioè a distanza: l’infezione è diffusa nel corpo.

La maggior parte dei soggetti che si infettano con il Bacillo di Koch riescono a
contenere l’infezione a livello del complesso: una tubercolosi latente in cui il paziente
è asintomatico e non contagioso. Il complesso primario presenta un numero (limitato)
di micobatteri che possono rimanere silenti anche per diversi anni, si parla di letargo
metabolico, ma un calo delle difense immunitarie dovuto per esempio a un trapianto
o una infezione da HIV può riattivare la proliferazione batterica. Il soggetto presenta
quindi lesioni tissutali dovute a un’intensa risposta infiammatoria conseguenti alla
risposta cellulo-mediata (sfruttata dalla prova della tubercolina). L’infezione si può
diffondere in varie regioni del corpo, come reni e ossa, e il paziente torna ad essere
contagioso, specie in ambienti poco igienici o poco areati.

Percentuali:
La forma più frequente di TBC è quella polmonare (70% dei soggetti malati), la
trasmissione è sempre aerogena e la dose infettante può essere estremamente bassa;
la tubercolosi extrapolmonare (linfonodale, pleurica, uro-genitale, osteo-articolare,
meningea, addominale) è presente nel restante 30% dei casi: il complesso primario
esita in modo infausto e diffonde.

Modalità di trasmissione:
La trasmissione avviene attraverso goccioline di saliva, se due soggetti sono vicini
la diffusione attraverso aerosol è abbastanza facile e le cellule batteriche vengono
emesse con la tosse, col catarro, con lo starnuto, o semplicemente parlando. La TBC è
una malattia nosocomiale, quindi le persone che lavorano nel sistema sanitario sono
facilmente soggette a infezioni, è necessario che indossino una maschera per entrare
in contatto con i malati.
Come già detto, solo i pazienti affetti da tubercolosi attiva possono trasmetterla.
I bambini sotto i 4-5 anni sono i più colpiti, avendo un sistema immunologico non
perfettamente efficiente; i microrganismi si trovano a livello delle vie respiratorie
medio-basse, una localizzazione dei bacilli nel parenchima polmonare può esitare in
una linfoadenopatia.
La maggior parte dei bacilli inalati vengono espulsi dalle prime difese del nostro
organismo, perché intrappolati da cellule mucose, in un soggetto normocompetente
senza comorbidità.
Meno del 10% di bacilli inalati, invece, raggiunge gli alveoli polmonari e viene
inglobato da macrofagi alveolari in modo aspecifico:

1. Una parte di batteri viene uccisa e gli antigeni vengono esposti ai linfociti
T helper.
2. Un’altra parte di batteri può moltiplicarsi e uccidere il macrofago stesso,
liberandosi all’esterno. I macrofagi vengono attivati, insieme ai linfociti
CD8+ citotossici (risposta cellulo-mediata). Anche in questa fase si può
contenere l’infezione: si ha la formazione di un tubercolo o complesso
primario, che si evidenzia anche a livello radiologico o con le prove della
tubercolina. Quindi il soggetto è potenzialmente infetto.
3. Soggetto normocompetente, il complesso rimarrà stazionario. Il soggetto
non avrà sintomatologia durante la vita, ma è solo entrato in contatto
con il micobatterio (prova della tubercolina positiva, ma non
sintomatologia)
4. I batteri possono determinare un’infezione cronica asintomatica
paucibacillare

Tubercolosi latente:
Possiamo immaginare i pazienti affetti da tubercolosi come un iceberg, quelli
presentanti TB latente ne sono la base, sono molto numerosi e possono “riemergere”
passando allo stadio attivo in qualsiasi momento. È necessario quindi diagnosticare la
patologia per contenere la minaccia.

Fino a qualche anno fa il test della tubercolina era un test obbligatorio per tutti gli
studenti che entravano a medicina o che entravano in contatto con pazienti affetti, era
richiesto anche a insegnanti di elementari e medie per individuare un eventuale stadio
latente della malattia e di conseguenza monitorarlo. Al giorno d’oggi alcuni
infettivologi ritengono che tutti i pazienti con TBC latente vadano sottoposti a
trattamento, altri preferiscono aspettare un quadro radiologico di un certo tipo,
essendo la terapia molto impegnativa e pesante da sostenere.
Nel mondo sono stimati più di 2 miliardi di persone con tubercolosi latente che
costituiscono un vero e proprio serbatoio dell’infezione.
La ITBL (Infezione Tubercolare Latente) è particolarmente diffusa in quanto il BK a
differenza degli altri batteri, quando si trova in condizioni sfavorevoli, cioè in
mancanza di sostanze nutritizie od ossigeno (è un micobatterio delle vie respiratorie, è
ossigeno-dipendente), non muore, ma entra in quiescenza, meccanismo molto raro
tra i microrganismi. La latenza è permessa anche dalla presenza della componente
lipidica esterna al peptidoglicano nella parete cellulare. Quando la tensione d’ossigeno
aumenta e quindi ritornano le condizioni ottimali alla replicazione del microrganismo,
la TB latente si riattiva. Vengono colpiti i bronchi, che vanno incontro a necrosi e quindi
eliminati, determinando una cavitazione della parete polmonare. Il batterio in questo
modo viene disseminato a livello bronchiale e può essere facilmente emesso
all’esterno.
Diagnosi:
Di seguito è riportata una tabella che indica quale campione prelevare per una biopsia
in base a dove si trovi il microrganismo.

Parlando di una micobatteriosi polmonare, il materiale biologico principale sarà un


espettorato di origine profonda. L’escreato è più superficiale, l’espettorato di origine
profonda invece cerca di recuperare microrganismi nelle prime vie respiratorie.
[Espettorato ed escreato: materiale espulso dalle vie aeree superiori mediante tosse e
raschiamento – scatarrando, ndr].
Il prelievo del campione viene effettuato di solito la mattina, al risveglio, dopo essere
stati sdraiati per un certo numero di ore, tossendo. (Se il paziente non riesce da solo
andranno adottati metodi più invasivi, come broncolavaggi). Per capire se il possibile
malato ha raccolto un espettorato o un escreato si analizza il campione in laboratorio:
l’escreato è sostanzialmente saliva, non è utile a fini diagnostici, l’espettorato invece
contiene cellule in sfaldamento, da cui posso capire se è presente o meno
un’infezione. Si puo’ altrimenti sottoporre il paziente a lavaggio gastrico: il liquido
ricavato contiene l’espettorato ingerito. In caso di infezioni respiratorie, quindi, la
prima cosa da fare è inviare il campione biologico al laboratorio di batteriologia se si
sospetta un’infezione batterica, a quello di virologia se si tratta di virosi. La procedura
per rintracciare il BK è specifica, una classica indagine di infezioni batteriche non lo
rileva. E’ possibile stabilire l’idoneità del campione (quindi la presenza di materiale
cellulare) tramite colorazione. La parete cellulare tipica del micobatterio gli conferisce
alcol acido-resistenza, il colorante usato è Ziehl Neelsen. Attenzione: non è l’unico
batterio a rispondere a questo tipo di colorante.
Quindi, dopo aver stabilito l’idoneità del campione ed eliminato tutti gli organismi privi
della caratteristica parete del BK mediante trattamenti con acidi forti o con NaOH, si
procede con la colorazione: si striscia sul vetrino il materiale biologico, si fissa (cioè si
tratta col calore) e si colora con un colorante rosso, la fucsina fenicata di Ziehl
Neelsen. Siccome sono alcol acido-resistenti, come accennato prima, trattengono la
fucsina nonostante successivi trattamenti con alcoli e acidi. Quindi se il campione
viene trattato con blu di metilene, questi appaiono rossi in campo blu.
Se nel campione sono presenti batteri che rispondono alla fucsina, sul referto, che
viene rilasciato in giornata, non è corretto scrivere che sono stati individuati
micobatteri, perché oltre a mycobacterium tubercolosis, africanum, bovis e ai MOTT,
altri organismi, come gli actinomiceti, rispondono a tale colorazione. Il laboratorio
riporterà dunque la presenza di organismi alcol acido-resistenti. In base al quadro
clinico e alla sintomatologia tipica della tubercolosi il clinico è fortemente indirizzato
verso la diagnosi.
(Come si starnutisce: avvicinando alla bocca i gomiti e non le mani..)
Nel caso il sospetto sia fondato e l’esame al microscopio risulti fallace è necessario
aspettare 4/6 settimane per vedere la formazione delle colonie: hanno un aspetto
giallastro che può essere sia liscio che rugoso su di un terreno particolare verde di
malachite che è tollerata solo dai micobatteri (è tossica negli altri). Vengono tenuti
sotto controllo perché se abbiamo una carica microbica bassa e quindi pochi batteri
dobbiamo dare loro il tempo di crescita.
Se vogliamo fare una diagnosi diretta e quindi non vogliamo aspettare settimane dopo
aver visto la positività alla colorazione possiamo utilizzare la PCR: reazione di
polimerasi a catena.
Il problema della PCR, per quanto riguarda i micobatteri della tubercolosi, è che siamo
in grado di poter individuare mediante questo sistema solamente i micobatteri
tubercolari e non quelli non tubercolari.
Possiamo trovarci di fronte a varie ipotesi:

1. Colorazione di Ziehl Neelsen positiva e PCR positiva -> presenza di


micobatteri tubercolari

2. Colorazione di Ziehl Neelsen negativa e PCR negativa->


verosimilmente non sono micobatteri in generale, anche se di potrebbe
aver fallato per esempio nella colorazione.

3. Colorazione di Ziehl Neelsen negativa e PCR positiva -> si ha la


certezza della presenza di micobatteri tubercolari, c’è stato un errore con
la colorazione.

4. Colorazione di Ziehl Neelsen positiva e PCR negativa -> situazione di


alcol-acido resistenza con PCR negativa, quindi si riscontra la presenza di
un batterio con caratteristiche tintoriali tipiche di un micobatterio, ma
non è tubercolare.
La PCR può dare luogo a dei falsi positivi, ma anche a dei falsi negativi. Ciò può
essere dovuto a:
cross-contaminazioni (falso positivo), eliminazione discontinua del batterio (falso
negativo),
insufficiente presenza del batterio nel materiale patologico perché il clinico, con un
forte sospetto di tubercolosi ha già iniziato la cura (falso negativo) o a limiti tecnici,
ovvero sistema di estrazione, presenza di sostanze che inibiscono l’amplificazione
(falso negativo).

La reazione di Mantoux invece serve per capire se vi è stato o meno un contatto del
soggetto con il micobatterio della tubercolosi. Si basa sull’immunità cellulo-mediata
specifica attraverso una piccolissima quantità di tubercolina (iniezione intradermica
sulla faccia volare dell’avambraccio) che provoca, a pelle tesa, un piccolo
rigonfiamento di 6-10 mm. Questa reazione, basandosi sull’attività cellulo-mediata
(DTH, ipersensibilità ritardata), va controllata dopo 24 – 48 ore, non subito. L’esito
positivo dà una intensa reazione infiammatoria dopo un paio di giorni (non indica una
infezione in atto). Oggi sta cominciando ad andare in disuso perché sta venendo
sostituito con una prova molto più costosa; questo perché la prova con la tubercolina
risulta positiva anche in soggetti vaccinati o nel caso di un precedente contatto con il
M. bovis, ma soprattutto la tubercolina può essere negativa nel caso in cui il contatto
sia stato recentemente o se l’infezione è in atto (perché è una reazione ritardata), o
nel caso in cui il soggetto prenda contemporaneamente farmaci immunodepressori
(questo potrebbe alterare la risposta corretta) oppure nel caso in cui la cute non sia
elastica e non si evidenzi bene questa papula erimatosa è una prova quindi
falsamente negativa.

Nasce allora il Test IGRA, test immunologico che valuta la capacità dei nostri linfociti
di rilasciare una sostanza: l’INF-gamma una volta che sono stati a contatto con i
micobatteri.
Il prelievo giusto per questo tipo di test è un prelievo di sangue in presenza di
anticoagulanti (DTA), successivamente i linfociti T sono isolati e stimolati. Viene preso
del sangue per utilizzare i linfociti che vengono uniti a proteine modificate ottenute dal
micobatterio della tubercolosi (antigeni specifici che sono assenti nel vaccino, vediamo
quindi le persone che sono state in contatto con il campione e non le vaccinate), le
cellule se sono state attivate precedentemente producono IFN gamma, una citochina
normalmente assente in circolo (test positivo se IFN gamma>0.35 IU/ml)
Questo test ha dei vantaggi infatti il paziente non deve tornare per un secondo
richiamo a farsi vedere ed è un esame standardizzato e non soggettivo.
Ci sono 2 scuole di pensiero: trattare o non trattare un soggetto che risulta positivo, in
ogni caso il paziente viene monitorato in base proprio alle IFN-g.

Terapia:

Viene chiamata triplice terapia poiché comprende tre farmaci con associato
eventualmente un altro farmaco. Sono peculiari rispetto ai farmaci utilizzati
comunemente contro i gram-positivi e negativi.
1. Streptomicina, utilizzata anche per alcune forme di meningite (evita quindi
anche un’eventuale meningite causata dal micobatterio tubercolare stesso).
2. Isoniazide, ha una buona diffusione nel nostro organismo e ha bassi livelli di
farmaco resistenza
3. Rifampicina, anche questo farmaco diffonde bene nel nostro organismo e non
da farmacoresistenza
4. Etambutolo, ha una buona diffusione, non è mai somministrato sotto i 2 anni di
vita
Acronimo: SIRE

Questi farmaci possono essere associati a tre a seconda del paziente e in alcuni casi ai
tre farmaci è aggiunta la pirazinamide.
Come tutti i farmaci possono avere controindicazioni, possono provocare alterazioni
del nervo ottico e avere effetti tossici, ma proprio per questi si hanno diverse
combinazioni di farmaci.
La maggior parte dei clinici sono propensi ad iniziare la terapia anche in caso di
tubercolosi latente perché può tornare attiva in seguito ad altre infezioni o ad
alterazioni della risposta immunitaria.

Vaccino
Il vaccino della tubercolosi è un vaccino obbligatorio nel nostro paese ma che poche
persone hanno eseguito. La risposta protettiva che oggi abbiamo si verifica in una
percentuale ancora non buona di soggetti. Viene usato un vaccino vivo attenuato
detto BCG (bacillo di Calmette e Guèrin), estratto dal Mycobacterium bovis che
determina un’infezione primaria non patogena, determina quindi la produzione di
anticorpi. Non va mai eseguito su soggetti con immunodeficienze o con importanti
malattie neoplastiche.
DPR 7 novembre 2001 n. 465 “Regolamento che stabilisce le condizioni nelle quali è
obbligatoria la vaccinazione antitubercolare, a norma dell’articolo 93, comma 2, della
legge 23 dicembre 2000, n. 388”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 7 del 9 gennaio
2002, definisce all’articolo 1 quali soggetti sottoporre a vaccinazione antitubercolare
obbligatoria:
Neonati e bambini di età inferiore a 5 anni, personale sanitario, studenti in medicina,
allievi infermieri e chiunque è esposto potenzialmente a MTB.
Possono provocare vari tipi di infezione, sia infezioni polmonari che linfoadenite nella
prima infanzia o infezioni disseminate (es nei soggetti con AIDS).
Ci sono sia micobatteri non tubercolari a crescita rapida (1 settimana) che a crescita
lenta (stessa tempistica di MBT).
Il complesso avium è associato a forme polmonari o spesso anche a forme cutanee
trovandosi nel cibo, nell’acqua, nell’aria, e quindi l’infezione può essere davvero varia,
anche per ingestione o inalazione.

Micobatteri non tubercolari


Possono provocare vari tipi di infezione, sia infezioni polmonari che linfoadenite nella
prima infanzia o infezioni disseminate (es nei soggetti con AIDS).
Ci sono sia micobatteri non tubercolari a crescita rapida (1 settimana) che a crescita
lenta (stessa tempistica di MBT).
Il complesso avium è associato a forme polmonari o spesso anche a forme cutanee
trovandosi nel cibo, nell’acqua, nell’aria, quindi l’infezione può essere davvero varia,
anche per ingestione o inalazione.

Caso clinico, bambina di 5 anni:


5. la PCR era negativa e dal quadro clinico si sospettava che fosse tutto dovuto a
un micobatterio non tubercolare.
6. la cosa che lasciava incerti era che il nodulo, che era stato precedentemente
operato, era bilaterale mentre usualmente con i batteri non tubercolari si
vedono forme monolaterali.
7. quando il nodulo è cresciuto si è potuto verificare che era effettivamente
causato da un’infezione bilaterale dovuta a micobatteri e si sono fatte indagini
più approfondite su come possa essere avvenuto il contatto. Questa bambina
ha un giardino, va all’asilo, non ci sono stati altri casi tra le persone che
frequenta.
8. il fatto che abbia un gatto ha portato a fare una diagnosi differenziale: uno dei
batteri che possono causare questo tipo di linfoadenite infatti fa parte della così
detta “cat scratch desease” o malattia da graffio di gatto (CSD).

MYCOBACTERIUM LEPRAE

M. Leprae è l’agente eziologico della lebbra, una malattia cronica e fortemente


debilitante ancora molto diffusa nel sud del mondo, dove in alcuni paesi vengono
ancora registrati casi di lebbra autoctona. In altre zone il numero dei casi è molto
inferiore: in Italia i casi sono d’importazione, con un caso risalente al 2014.
È necessario monitorare queste malattie, anche se non facilmente trasmissibili: nel
2011, secondo gli ultimi dati a nostra disposizione, nel mondo sono stati registrati
circa 200.000 casi, un numero leggermente inferiore all’anno precedente. Sebbene i
nostri dati indichino circa 230.000, non tutti i casi vengono sempre vengono notificati
e registrati agli enti che raccolgono i dati mondiali.
Nel 2014 si è presentato un caso a Treviso di un malato proveniente dal Bengala, in
Italia da più di otto anni. Questo dato è coerente con il periodo d’incubazione della
patologia, che è lunghissimo, fino a 10-12 anni. Dunque il soggetto aveva contratto
l’infezione nel paese di provenienza.
L’infezione da Mycobacterium Leprae, è caratterizzata da lesioni granulomatose
cutanee e/o delle mucose, dando luogo a lepromi, caratteristiche alterazioni della
cute. Questo è dovuto alla particolare predisposizione ed al particolare tropismo del
patogeno nei confronti dei tegumenti e cellule nervose (di Schwann). Provoca
alterazioni notevoli sia a livello dei tegumenti che delle terminazioni nervose, che
vengono completamente distrutte, con la comparsa
di vaste aree di anestesia cutanea (non
c'è dolore). L’unico metodo di contagio
conosciuto è interumano, quando il
micobatterio è presente nei tessuti superficiali,
sebbene essa sia una trasmissione infrequente.

Si può presentare sotto due forme:


• Lepromatosa (o nodulare): la manifestazione clinica si palesa
fondamentalmente sugli arti con la comparsa di macchie
eritematose e pigmentate di che si trasformano in noduli (lepromi),
che oltre alla cute possono interessare anche le mucose sottocutanee;
in questo caso abbiamo ulcerazioni e necrosi del tessuto circostante,
[+ mutilazioni, riassorbimento delle falangi e caduta dei peli, nda]
• Tubercoloide (o nervosa): Sono presenti le medesime macchie
eritematose, con la manifestazione iniziale del caso precedente. Le
macchie evolvono poi in formazioni granulomatose che possono
raggiungere i nervi, dando luogo nella prima fase a manifestazioni di
dolore e di alterazioni della percezione tattile, sino a quando le
terminazioni nervose non vengono completamente distrutte. Le
formazioni granulomatose possono interessare anche il polmone,

con un quadro polmonare simile alla TBC polmonare. La diagnosi


differenziale in questo frangente simil-tubercolotico è semplificata dal
fatto che il paziente ha già presentato i segni tipici della lebbra, visti
sopra, totalmente assenti nelle forme tubercolotiche.

Diagnosi
La diagnosi è prettamente clinica, ma può essere confermata batteriologicamente
tramite reperto in microscopia di bacilli acido/alcole resistenti nei granulomi
cutanei (o mucosi). Le uniche cellule in cui il mycobacterium leprae può essere
messo in coltura sono le cellule dell’armadillo. Data l’estrema difficoltà nel
mettere in coltura queste cellule e selezionare i sierotipi più adatti alla
costituzione di un vaccino, questo non esiste; è tuttavia reso non necessario dal
fatto che interessa solo un piccolo nucleo mondiale.

MYCOBACTERIUM ULCERANS
Oltre ai micobatteri visti in precedenza abbiamo il Mycobacterium Ulcerans, il
responsabile dell’ulcera di Buruli, una serie di lesioni principalmente a livello degli arti
inferiori, presente in aree molto caldi tropicali e subtropicali, dato che è un parassita
dielle acque stagnanti, in cui vive questo micobatterio. In condizioni di alta umidità, il
mancato uso di calzature può permettere al parassita l’infezione, attraverso lesioni
della cute (se presenti). Le lesioni sono particolarmente profonde, che oltre alla
superficie cutanea possono raggiungere anche i tessuti muscolare ed osseo. anche in
questo caso le ulcere non sono dolorose, in quanto le terminazioni nervose vengono
distrutte.
Anche in questo caso la diagnosi è clinica, ma con ogni probabilità incontrerete la
patologia solo se vi recherete nei paesi tropicali.
Le lesioni, molto profonde, sono molto simili a quelle causate da alcuni clostridi, simili
anche a quelle di derivazione diabetica.
La diagnosi è clinica, [possibile un esame microbiologico dell’essudato delle lesioni,
nda]
Nota generale: all’analisi microbiologica dei micobatteri noi segnaliamo

semplicemente al medico richiedente la presenza di batteri acido/alcole resistenti.

[Fa un excursus sui prioni, in seguito alla risposta di una studentessa sul nucleo dei
procarioti]

ACTINOMICETI
Sono commensali dell’uomo, e saprofiti del suolo. Il loro nome è dato dal fatto che
inizialmente furono classificati come funghi a causa della forma allungata
(presentano delle ife, i corpi miceliari dei funghi) e quasi simile ad un micelio settato.
Successivamente si è notata la sensibilità agli antibiotici e la parete cellulare simile a
quella dei batteri, quindi la classificazione si è spostata a livello di batteri anche se
mantengono il nome di actinomiceti.

• Hanno struttura procariota

• Gram positivi

• Sensibilità agli antibiotici (penicilline e tetracicline)

• Immobili, senza flagelli

• A replicazione lenta per via delle cellule pseudomiceliari molto allungate

• Riproduzione tramite la produzione di uno pseudomicelio settato con


produzione di catenelle, che richiede un grande sforzo metabolico.
Nell’ambito di questa famiglia studieremo principalmente:

- Actinomyces, anaerobio obbligato, vivono solamente in assoluta


assenza di ossigeno.
Actinomyces Israelii è anaerobio obbligato (vive in assoluta assenza di

ossigeno). È un commensale, presente nel nostro cavo orale ma che può


eventualmente invadere i tessuti profondi. Per questo la sua infezione è
classificata come malattia endogena (= dovuta ad un batterio
normalmente presente nel nostro organismo che cambia locus invadendo
tessuti diversi in seguito lesioni, come enterobatteri facenti parte della
flora intestinale che possono colonizzare le vie urinaria, Malattia esogena
= i batteri provengono dall’esterno).
Può causare infezioni granulomatose con presenza di materiale
purulento con interessamento prevalentemente cutaneo; si localizza
generalmente a livello del viso, oppure può migrare in profondità per
colpire polmoni o addome. Solitamente si effettua il prelievo biologico a
livello cutaneo, e del pus: all’esame microscopico non si vedono batteri
allungati, ma filamenti molto simili alle ife fungine.
- Nocardia, sono aerobi. Causano un tipo di malattia esogena per via
respiratoria. Possono causare danni a livello polmonare arrivando a
compromettere, per tramite del circolo ematico anche il SNC, meningi e
cervello; oppure danni a livello della cute determinando degli ascessi
sottocutanei dolorosi a livello degli arti inferiori, che prendono il nome di
“piede di Madura”.
- Streptomyces

NEISSERIE
Saranno trattati Neisseria meningitidis, responsabile di alcune forme di meningite,
sia la Neisseria gonorreae, responsabile della gonorrea, trasmessa esclusivamente,
o quasi, per via sessuale (volgarmente chiamata scolo).

Neisseria meningitidis
Queste neisserie sono gli unici cocchi Gram negativi (infatti tutti i cocchi sono Gram
positivi). Fondamentalmente stanno a due a due formando dei diplococchi dalla
forma reniforme appaiati lungo la faccia interna. Sono aerobi-anaerobi facoltativi,
immobili, capsulati e catalasi positivi. Al microscopio pare di vedere un chicco di
caffè che i colora di gram negativo (rossastro).
Sono responsabili delle cosiddette “malattie batteriche invasive” (meningiti). La NM
non è l’unico patogeno a causare meningite, ci sono vari agenti eziologici in grado
di invadere le meningi. Altri agenti eziologici sono lo Streptococcus pneumoniae
(l’altro agente principale insieme al meningococco) e un terzo ad altri agenti come
listeria (corynebacteri), stafilococchi, alcuni streptococchi, micobatteri ed E.Coli
(enterobatteri), insieme a batteri ancora non classificati.
Nella nostra U.O. (=unità operativa) esiste questo laboratorio per le emergenze
microbiologiche, e noi abbiamo il compito istituzionale di identificare e
categorizzare tutte le meningiti dovute a malattia batterica invasiva; noi isoliamo i
casi di meningite e i ceppi provenienti da tutta la regione, e comunichiamo i dati
all’istituto superiore di sanità ed al ministero della salute a fine statistico.
Negli anni dal 2009 al 2016 c’è stato un numero relativamente elevato di meningiti
da pneumococco. Nel 2016 siamo visto un leggero incremento dei casi
relativamente alla NM. L’allarme degli ultimi tempi è stato ingiustificato. C’è stato
un focolaio in Toscana dovuto al ceppo C, che non ha portato ad un aumento
significativo delle infezioni. La meningite meningococcica è più preoccupante in
quanto il NM prevede il trattamento dei contatti, situazione non prevista per nessun
altro tipo di meningite, è questo a determinare l’allarme, non solo mediatico.
Il batterio coccoide, gram negativo, ha una capsula di natura polisaccaridica e in
base ai caratteri di questa capsula è stato suddiviso in vari gruppi. I gruppi più
importanti sono A, B, C, W135 e Y, e possono dare luogo a piccoli cluster epidemici.
A questi sono imputati la maggior parte dei casi di meningite. Gli studi
epidemiologici hanno permesso la localizzazione dei vari sierogruppi: in Italia e nei
paesi industrializzati si riscontrano principalmente B e C. Il W135 è localizzato
solamente in alcune zone del globo, in particolare in Africa a livello equatoriale
(fascia della meningite). Il gruppo Y è presente principalmente negli Stati Uniti ed è
responsabile principalmente delle forme di malattia nei giovani.
MN colpisce tutte le fasce d’età, dalla primissima infanzia sino alla terza età. I
picchi riguardano principalmente la prima infanzia, la tarda adolescenza (15-19
anni) e soprattutto l’età adulta, principalmente durante il periodo invernale [si
deve tenere in considerazione che luoghi chiusi e affollati possono facilitare la
diffusione, dato che si trasmette per via aerea, inoltre ci sono stati casi di infezioni
avvenute in laboratorio (infezioni nosocomiali), nda]. La neisseria meningitis è
presente in molti soggetti a livello della mucosa naso-faringea, senza alcuna
manifestazione clinica, e aderisce alle cellule epiteliali perché questo batterio

presenta dei pili adesivi.


Il sospetto clinico di meningite meningococcica sorge con febbre alta, rigidità
nucale, emicrania, rush caratteristico a livello cutaneo (con manifestazione
petecchiale, nelle fasi già avanzate della malattia, che può portare a necrosi
cutanea), fotofobia, nausea e sonnolenza, fino al coma. Il rush cutaneo è un segno
particolarmente importante, che può suggerire il prelievo del liquor
cefalorachidiano.
L’azione patogena di questo batterio è dovuta principalmente alla capsula che ha
un potere antifagocitario, e la presenza del lipopolisaccaride capsulare o
dell'endotossina causa un intenso

processo infiammatorio, determinando danno vascolare (che porta alla formazione


delle petecchie), e danni diffusi dovuti ad endotossine. Caratteristiche del batterio
è l’essere un cocco gram negativo e parassita extracellulare: è infatti incapace di
sopravviveree all’interno dei fagociti (con l’eccezione di alcuni stipiti
particolarmente virulenti).
Meccanismo patogeno che spiega la clinica: l’infezione si prende
fondamentalmente per via aerogena e cominciano a comparire sintomi dopo una
settimana dal contatto. Le Neisserie colonizzano le prime vie respiratorie, in
particolare la rinofaringe, e attraverso i pili aderiscono alle cellule epiteliali: viene
così esercitata una prima azione locale. Dopodiché, se il processo infettivo continua
con un rateo elevato[magari in soggetti predisposti, debilitati o
immunodepressi,nda] si inizia a parlare di batteriemia [presenza e replicazione
del batterio nel sangue, che è un liquido normalmente asettico, nda]. A questo
livello, la Neisseria non solo è a livello ematico, ma può ledere le cellule
endoteliali, che vengono fortemente danneggiate, culminando nella formazione
del caratteristico rush (petecchie), soprattutto sugli arti e sul tronco. Il batterio può
arrivare a colonizzare il sistema nervoso centrale, localizzandosi a livello meningeo:
qui determina una forte infiammazione delle meningi, che può coinvolgere
anche gli spazi subarancoidei. A questo punto, possono verificarsi due diversi
processi, che possono portare entrambi nella riduzione del flusso sanguigno a
livello cerebrale:
 Forma edematosa: aumentata permeabilità della barriera emato-
encefalica, con ulteriore infiammazione e formazione di edemi. Questo
determina l’aumento della pressione intracranica, che si accompagna
a rigidità nucale ed emicrania; l’aumento della pressione intracranica può
determinare anche un afflusso ematico limitato a livello cerebrale =>
coma.
 Vasculite interstiziale a livello cerebrale (generalmente dovuta a
un’infiammazione dei vasa vasorum), che può anche determinare un
aumento della pressione interna ed un infarto cerebrale, a sua volta alla
base di una possibile diminuzione del flusso ematico a questo livello =>
coma.
Alla base di tutto c’è, dunque, un processo infiammatorio non controllato, con una
maggiore permeabilizzazione al passaggio di questi microorganismi.

Oltre alla rachicentesi sono indicati prelievi di sangue, in quanto si effettua sempre
l’emocultura in laboratorio, poiché il meningococco, per arrivare al liquor, passa
necessariamente attraverso il sangue.

Lipopolisaccaride (LPS)
L’endotossina su cui si basa la patogenicità del batterio è il LPS (lipopolisaccaride),
una molecola pleiotropica che esercita le sue azioni su numerose cellule
dell’organismo:
 a livello endoteliale, dove aumenta la permeabilità per produzione di
citochine (TNF-α e IL-1) responsabili del rialzo febbrile da parte dei
monociti circolanti e dei macrofagi;
 a livello epatico, dove stimola la produzione di proteine che svolgono
una funzione pro-infiammatoria (non in questo caso);
 provoca l’attivazione del complemento, con produzione di anafilotossine
(C3a e C5a) che possono ledere le cellule endoteliali;
 provoca l’attivazione delle prostaglandine che agiscono sugli endoteli
(causando aumento dell’attività vascolare, vasodilatazione, shock);
 agevola l’aggregazione piastrinica (coagulazione intravascolare
diffusa).

(La prof ha ricordato che i batteri Gramnegativi devono la loro patogenicità proprio
al lipopolisaccaride.)

Effetti sull’ospite
L’infiammazione ha diversi effetti sull’ospite:

- aumento del killing intracellulare;


- azione mitogena sui linfociti T e stimolazione della risposta
immunitaria;
- attivazione del processo infiammatorio
- stimolazione della fagocitosi;
- attivazione della via alternativa del complemento.
In caso di risposta immunitaria eccessiva, possono verificarsi danni tissutali e
shock endotossico, oltre che malattie autoimmuni.

Se non trattato adeguatamente, il paziente può andare incontro a coma e morte.

Come indicato nel primo capitolo del nostro libro di testo, il sistema immunitario
deve risolvere rapidamente l’infezione, in quanto il prolungamento dell’azione
immunitaria può provocare danni maggiori ai suoi benefici.

Diagnosi d’infezione
La diagnosi si basa principalmente sul prelievo del liquor e l’emocoltura, entrambi
da considerarsi della medesima importanza, essendo entrambe relativamente
agevoli da eseguire (lo è più l’emocoltura). Il prelievo del liquor cefalorachidiano
[attraverso una puntura lombare, nda] sarebbe, secondo prassi, da effettuarsi in
assenza di terapia, cosa non sempre possibile (ad esempio se il paziente ha già
assunto antibiotici per trattare la febbre); dopo mezz’ora dall’assunzione di
antibiotici, le NM sono difficilmente visibili a fresco nel liquor.

(la prof. afferma che sarebbe ideale, in sospetto, benché minimo, di meningite in
un paziente che giunga al PS, effettuare sempre la rachicentesi, e poi
somministrare l’antibiotico prima di conoscere il referto).

Il liquor viene sottoposto a un esame microscopico (su materiale biologico sterile,


su vetrino a fresco e su vetrino colorato gram ) in cui viene valutata la cellularità
del vetrino a fresco, oltre all’esame clinico-chimico. Il liquor può essere bianco
(viene definito “di roccia”), oppure torbido: quest’ultimo caso indica un processo
patogeno in atto, probabilmente di origine batterica; in alcuni casi, però, come
nelle infezioni da Listerie, potrebbe essere limpido anche in caso di infezione.
Dopodiché, è necessario effettuare una colorazione di Gram per caratterizzare la
tipologia di batterio presente. È bene notare che a livello liquorale la quantità di
batteri osservabili su un vetrino è irrisoria.

Il referto, sia esso negativo o positivo, è comunicato al più presto al reparto dove si
trova il paziente, sia esso il PS, malattie infettive (in caso di trasferimento), oppure
in rianimazione (per i casi più gravi).

Contemporaneamente il batterio è messo a coltura in terreni di coltura specifici per


le Neisserie ed è necessario aspettare circa 18 ore. Il materiale a questo punto va
messo in agar specifici e selettivi (es. Thayer Martin) che contengono antibiotici a
cui le Neisserie sono insensibili, in quanto cocchi Gram-negativi. Infine, tramite IFI
(immunofluorescenza indiretta) riconosciamo il sottotipo. (questo pare essere il
succo di una parte di registrazione particolarmente incomprensibile).

Spesso, data l’ambiguità dell’esame di microscopia, si effettua una PCR multiplex


che richiede circa un’ora. Questa contemporaneamente riesce a riscontrare più
batteri (pneumococco, meningococco, klebsiella, E. Coli, streptococchi piogeni di
gruppo B, listerie) e la presenza di un ceppo virale (Adenovirus). La PCR
rappresenta quindi un valido strumento in caso di emergenza. In ogni caso, subito
dopo il prelievo, il paziente deve essere sottoposto a terapia, anche se in questo
caso è probabile che l’esame del liquor mostri pochi batteri, o anche nessuno.

Importante è anche l’esame chimico-clinico, che valuta la presenza di proteine e


glucosio nel liquor. Se la concentrazione di glucosio a livello liquorale è più bassa
del normale, è possibile che esso sia stato consumato dal batterio [per lo stesso
motivo aumentano i livelli di lattato, nda].

Trattamento del paziente infetto e dei contatti


Tutti i contatti, ovvero i soggetti che sono venuti a contatto con il cosiddetto “caso
indice” di meningite, soprattutto se in luoghi chiusi, devono essere trattati con
antibiotici. Un tampone faringeo o nasale potrebbe evidenziare Neisserie innocue
anche in soggetti sani e comporterebbe un’eccessiva perdita di tempo, così come
non sarebbe pensabile fare una PCR a tutti i contatti.
Il batterio è abbastanza sensibile alla penicillina, alle tetracicline e ai
sulfamidici (questi ultimi bloccano la produzione degli acidi folici, necessari per la
biosintesi delle basi azotate, a diversi stadi del loro processo di sintesi). In più, i
sulfamidici sono utili per queste infezioni perché riescono ad attraversare
agevolmente la barriera ematoencefalica arrivando velocemente all’organo colpito.
Oggi però sono stati trovati ceppi resistenti ai sulfamidici.

Immunizzazione
Non esiste un unico vaccino che immunizzi da tutti sierotipi più diffusi: A, B, C,
W135 ed Y.
Esistono un vaccino tetravalente ed un vaccino monovalente.
Il tetravalente è presente in due formulazioni: ACWY e MPSQ4 (dove 4 rappresenta i
ceppi coperti da questo vaccino). Sono vaccini ottimi, realizzati con meningococchi
estremamente purificati, privi di additivi.
Entrambe le formulazioni non forniscono immunità dal sottotipo B, il più
rappresentato nei paesi industrializzati. Si differenziano in quanto ACWY è
somministrabile per tutta la vita (dai 2 mesi ai 55 anni), mentre MPSQ4 è
raccomandato ai soggetti con più di 55 anni.
Un altro vaccino, monovalente, immunizza nei confronti del meningococco B e per
essere protetti vengono somministrate solitamente due dosi sia di quadrivalente
che di monovalente.
Il vaccino è raccomandato ma non obbligatorio.
In Toscana in seguito all’ultimo focolaio sono state vaccinate più di 260.000
persone.

Neisseria gonorrhoeae
È anche questo un diplococco Gram-negativo capsulato e presenta pili necessari
per l’adesione alle mucose. È un parassita esclusivamente umano, ed è localizzato
soprattutto a livello genitale [in misura minore rettale e faringea, nda]. Si trasmette
quasi esclusivamente attraverso contatti sessuali tra un individuo infetto e uno
sano, anche se è stata dimostrata la possibilità di contrarre la malattia attraverso
contatti di natura diversa (soprattutto tramite gli animali).

Processo di infezione
La penetrazione avviene a livello dell’uretra, anteriormente, e il batterio colonizza
l’epitelio stratificato colonnare tipico di questo distretto anatomico. Nel connettivo
subepiteliale dell’uretra, l’infezione richiama i neutrofili; questi cominciano a
fagocitare i batteri, e li trasportano dalla zona infiammata al lume uretrale. Il primo
sintomo, infatti, sono le secrezioni purulente [che si evidenziano nel giro di 3-4
giorni dal momento dell’infezione, slide], (dovute all’alta concentrazione dei
leucociti), visibilissime nell’uomo (nella donna può essere asintomatica) [Herold
stima le infezioni asintomatiche in 25 % e 50 %del totale per uomo e donna, nda].
In mancanza di una terapia, l’infezione può diffondere per via ematica e
raggiungere organi a distanza, e può determinare:
 Artrite, ad esempio nel polso;
 Orchite, con distruzione delle cellule germinali del testicolo (impotenza);
 Endocarditi, nel caso raggiunga il cuore;
 Può superare la barriera ematoencefalica (meningiti) in fase molto
avanzata.
L’infezione può diventare subdola e non essere riconosciuta per momentanea
assenza delle vistose secrezioni purulente: è bene ricordare, tuttavia, che una
momentanea scomparsa delle secrezioni non indica affatto che il batterio sia stato
eliminato.

Sintomi
Nell’uomo la sintomatologia è evidente, e si presenta con secrezioni purulente
(giallastre o verdastre), dolore nella minzione e gonfiore/dolore testicolare.
Se invade la prostata, si ha prostatite batterica, e se si localizza nei testicoli può
dare orchite, con conseguente impotentia generandi.
Nella donna, spesso la gonorrea può essere asintomatica. Se l’infezione è
particolarmente forte, possono esserci sintomi simili a un’infezione vaginale (es. da
Candida) o vescicale, ma è bene non confondere la gonorrea con queste patologie,
peraltro ben più comuni. Interessa soprattutto le ghiandole di Bartolini e di
Skene, che si presentano doloranti (come anche – transitoriamente – l’uretra);
nel 15% dei casi può esserci salpingo-ooforite, che può dare anch’essa infertilità,
con un massivo coinvolgimento delle tube di Falloppio.

Trasmissione
La trasmissione avviene soprattutto per via sessuale. Esistono rari casi d’infezione
per contatto con indumenti intimi contaminati da soggetti infetti.
Il fatto di ritrovare il batterio in un bambino potrebbe portare a pensare a violenze
sessuali: è bene però effettuare l’analisi genetica del batterio che ha infettato il
bambino e del batterio originario presunto: perché i sospetti siano fondati
dev’esserci piena corrispondenza, anche in vista di possibili indagini di medicina
legale.
Nel bambino può essere trasmesso anche lungo il canale del parto, provocando
oftalmo-blenorrea del neonato: il gonococco penetra nella cornea e un ritardo
nel trattamento può dare luogo a ulcerazione o perforazione corneale.
Possono esserci infezioni anche a livello rettale, nel 30% circa delle donne che
hanno un’infezione cervicale, oppure nei soggetti MSM (uomini che fanno sesso con
uomini); questo può portare ad alterazione dell’ultimo tratto intestinale, con danni.

Meccanismo di azione patogena


Gli stipiti patogeni sono provvisti di pili che favoriscono l’adesione delle Neisserie
alle mucose genitali. La colonizzazione è favorita dalla produzione di proteasi in
grado di inattivare le IgA secretorie a livello mucoso.
Importante è anche il ruolo svolto da una porina (Por) che permette la
penetrazione del batterio.
La capsula ha azione antifagocitaria, e viene prodotta una tossina ciliostatica
che favorisce la colonizzazione della mucosa (in assenza delle IgA secretorie, ma
queste ultime caratteristiche sono d’importanza secondaria).

Diagnosi di infezione
Una volta veniva effettuata analizzando il secreto uretrale nel maschio, oppure
attraverso un tampone cervicale alto nella femmina. Oggi è possibile usare le
urine, in quanto colonizzate dalle Neisserie. Queste vengono sottoposte a PCR
multiplex, valutando così anche la presenza di altri patogeni che potrebbero
causare uretriti (dette non gonococciche, o non purulente, che non presentano
secreti purulenti; i batteri che le causano sono detti Clamidie). La diagnosi avviene
attraverso un esame microscopico, o utilizzando un terreno colturale specifico
(contenente antibiotici a cui le Neisserie non sono sensibili) che favorisce la
crescita delle Neisserie, oppure l’agar cioccolato, che è meno specifico. È possibile,
infine, effettuare una PCR duplex, per Chlamydia trachomatis e Neisseria
gonorrhoeae, su campioni genito-urinari, che presto potrebbe diventare Triplex, con
l’inserimento del (non capisco il nome).

Enterobatteri

Introduzione agli enterobatteri


Gli enterobatteri sono batteri che colpiscono fondamentalmente il nostro sistema
gastroenterico, sono Gram negativi, per cui produttori di endotossine
(lipopolisaccaride), anche se alcuni sono in grado di produrre anche piccole esotossine
(gli enterobatteri sono davvero tanti).
La maggior parte sono immobili ma possono essere anche mobili, hanno pili e in alcuni
casi fimbrie, sono aerobi/anaerobi facoltativi. E coli, salmonella e shigella, quelli
trattati di seguito, sono incapaci di produrre spore (dato che non appartengono al
genere bacillus e clostridium, gli unici in grado di sintetizzarle). Gli enterobatteri
destano numerosi problemi in quanto si sono sviluppati fenomeni di farmacoresistenza
da parte di batteri che fino a 10-15 anni fa non davano preoccupazione. Anche gli
antibiotici di ultima generazione che appartengono ai carbapenemi hanno mostrato
problemi di efficacia in quanto E. coli è in grado di produrre enzimi del gruppo delle
carbapenemasi che alterano gli antibiotici stessi. I carbapenemi hanno nomi che
terminano in -penem (imipenem, meropenem, ertapenem, doripenem, panipenem e
biapenem), di uso comune per pazienti con quadri clinici severi di resistenza (oggi,
anche ad antibiotici di seconda e terza generazione). Lo sviluppo della resistenza ha
provocato spesso infezioni nosocomiali, cosa che ha portato a controlli pre-ricovero per
verificare che il paziente non sia già portatore di un enterobatterio resistente e
durante il soggiorno di tutti i pazienti che entrano in rianimazione o in altri reparti
intensivi. Nel caso siano positivi (circa il 5% dei 10.000 analizzati) inducono isolamento
del paziente e attivazione della sorveglianza attiva con la ricerca degli enterobatteri
resistenti tramite tamponi rettali (sono enterobatteri per cui il campione biologico
analizzato sono le feci o il tampone rettale).
Gli enterobatteri rappresentano una classe estremamente variegata, in grado di dare
infezioni differenti:

• Infezioni sistemiche
• Infezioni intestinali
• Infezioni endogene con localizzazione extra-intestinale
Lo stesso batterio può determinare infezioni diverse, per cui E. Coli può dare sia
infezioni intestinali sia endogene.

Infezioni sistemiche
Le infezioni sistemiche possono evadere dalla localizzazione iniziale, entrare nel flusso
ematico e colpire organi a distanza. Sono le febbri enteriche (determinate da tifo e
paratifo) che iniziano a livello di intestino ma diffondono a tutto l’organismo, come fa
anche la salmonellosi.

Infezioni intestinali
Le infezioni intestinali sono di origine esogena quindi acquisite dall’esterno.
Tra queste si ricordano enteriti e gastroenteriti che possono produrre dissenteria e/o
diarrea, dove normalmente la prima è un processo infiammatorio che coinvolge la
mucosa del colon ed è accompagnato da tenesmo o tensione rettale, dolori addominali
e feci che possono presentare muco e rappresenta il sintomo più grave dato che porta
a lesione della mucosa del colon, mentre la seconda è la semplice emissione di grandi
quantità di feci.

Nell’ambito delle infezioni intestinali si possono distinguere due tipi di enterobatteri:


• Invasivi: possono colpire diversi organi; in questo ambito si ricordano
salmonella, shigella e E. coli e il sintomo principale è la dissenteria, a
volte accompagnata da diarrea, perciò il soggetto presenta uno squilibrio
idrico e salino importante.
• Non invasivi: hanno un organo target che tipicamente è l’intestino tenue
(E. coli, può agire in entrambi i modi).

Infezioni extra intestinali


Di origine endogena, quindi causate da micro-organismi residenti nel nostro
organismo.
Infatti l’ E. coli può raggiungere a partire dall’intestino tenue (normale sede di
localizzazione non patogena) le vie genito-urinarie e il rene determinando
infiammazioni che possono esitare in cistite.

Escherichia Coli
È in grado di provocare due diversi tipi di infezioni:

- infezioni endogene delle vie urinarie determinate da ceppi uropatogeni


capaci di produrre il fattore citotossico (CNF) che determina la lisi e la
necrosi del tessuto circostante, e inoltre presentanti adesine che legano
l’urotelio e fimbrie che consentono l’adesione permanente.
- enteriti (infezioni esogene), contratte con l’ingestione di cibi contaminati
da ceppi enteritogeni che determinano infezioni anche gravi nell’abito
della prima infanzia. Si tratta di infezioni a livello di intestino crasso che
causano dissenteria o a livello dell’intestino tenue responsabili di diarrea.

Nell’ambito dei vari ceppi di E. coli ne sono stati classificati 4 gruppi, indicati con
alcuni acronimi (EC sta sempre per E. coli):

 EPEC (enteropatogeni): non producono tossine ma sfruttano l’LPS e la


capacità di adesione
 EIEC (enteroinvasivi): non producono tossine ma sfruttano l’LPS e la
capacità di adesione
 ETEC (enterotossigeni): producono tossine
 EHEC (enteroemorragici, in inglese Hemorragic): causano lesioni a livello
di mucose tramite la produzione di tossine.
Possono dare patologie importanti a livello dell’apparato gastroenterico
indipendentemente dalla localizzazione del potere patogeno.

EPEC: E.coli enteropatogeni


Danno una sintomatologia a distanza di massimo 7-14gg, che esita in febbre, di solito
acuta ed elevata, e diarrea con alterazioni anche della mucosa.
Il potere patogeno è dato da un processo infiammatorio mediato dal microrganismo
stesso, dovuto all’EAF (fattore di aderenza di E.coli).
L’E. coli
ha
forma

bacillare, è un Gram negativo di forma allungata, che aderisce a livello dei villi
intestinali grazie proprio all’EAF e li altera, determinandone la distruzione e una
diarrea mucosa importante proprio per via dell’alterazione della mucosa stessa.
EIEC: E.coli enteroinvasivi
Danno luogo a dissenteria con feci acquose e a volte mucose e sanguinolente, febbre
e crampi addominali. Il fattore patogeno è INV, o fattore di invasività, che determina la
distruzione della mucosa intestinale. Agisce a livello di intestino crasso dove i batteri
vengono inglobati in vacuoli e si moltiplicano a livello della cellula che li ha captati.
All’inizio la cellula non è infiammata, ma quando il batterio vi penetra all’interno, si
diffonde poi tramite sinapsi intercellulari, per cui non fuoriesce dalla cellula e aumenta
il processo infiammatorio portando alla lisi del tessuto (ragione della possibilità di feci
mucosanguinolente).

ETEC: E.coli enterotossigeni


In grado di produrre tossine, come gli EHEC.
Gli ETEC hanno una forma sempre allungata, sono Gram negativi e dotati di fimbrie
con fattori di colonizzazioni o CFA1/2, per cui colonizzano porzioni dell’organismo, e
producono in linea generale due tossine, la TL o termolabile e la TS o termostabile, con
due meccanismi d’azione che esitano entrambi nella perdita di liquidi attraverso una
diarrea profusa ma che agiscono tramite recettori diversi su cellule diverse. La
sintomatologia è molto simile per cui a livello clinico è difficile distinguere fra stipiti
tossigeni e non tossigeni, compito della batteriologia e delle analisi di laboratorio. Le
complicazioni possono essere uremiche, a livello renale, ma dare anche altre situazioni
di gravità variabile.

 La tossina TL o termolabile è formata da una parte binding che lega il


recettore cellulare e una o più parti tossiche. La tossina TL si lega ad un
recettore degli enterociti, che è un ganglioside, entra nella cellula e libera
le porzioni A1 e A2, delle quali quella tossica è la porzione A1.
La diarrea è determinata dal fatto che A1 scinde il NAD in ADP+ribosio e
nicotinamide, e l’impulso continuo della tossina upregola questa
reazione: grandi quantità di ADPr attivano l’adenilato ciclasi, che
determina la trasformazione di ATP in cAMP, il quale stimola la secrezione
di acqua ed elettroliti, con alterazioni dell’equilibrio idrico e osmotico
dell’enterocita.
 La tossina TS o termostabile non viene eliminata dal calore (a differenza
della TL), si lega al recettore cellulare che in realtà è una guanilato ciclasi
e attiva anche in questo caso delle chinasi, in quanto il GTP viene
convertito a cGMP con una stimolazione continua della reazione: le
chinasi cGMP dipendenti cellulari, una volta attivate, determinano a loro

volta l’alterazione di proteine di membrana che vengono fosforilate e


manipolano il trasporto di ioni Na+ e Cl-, eliminati all’esterno con
generazione di squilibrio idrico.

EHEC: E.coli enteroemorragici.


Ultimo gruppo di E. coli, che possono causare delle emorragie e che appartengono ai
gruppi tossigeni. Producono una tossina specifica o Shiga-like (SLT), in quanto prima è
stato scoperto il meccanismo della shigella che è esattamente uguale ( le shigelle
provocano la malattia diarroica del viaggiatore), ovvero produce dei danni a livello
delle cellule dell’endotelio vasale.
La SLT ha ovviamente la porzione B o binding, che aderisce alle cellule tramite una
ceramide cellulare (la tossina ha tante porzioni B, per cui ha molti siti di possibile
attacco) e libera all’interno della cellula la porzione A tossica, inglobata in una
vescicola intracellulare: A1 è la parte attiva, il frammento tossico di SLT (c’è anche
A2), che ha un meccanismo estremamente peculiare in quanto si lega al ribosoma
staccando in continuazione adenine dall’RNAribosomiale, per cui la sintesi proteica
non può più andare avanti e la cellula va incontro ad apoptosi. (L’azione sulla sintesi
proteica o sul DNA, sul sistema cardiovascolare o ancora sulla trasmissione
dell’impulso nervoso, come paralisi flaccida e spastica da tossina tetanica, sono tipici
meccanismi patogeni delle tossine).
Gli EHEC possono dare delle complicazioni a causa del loro meccanismo patogeno
(infatti la diarrea è profusa, le feci presentano muco o sangue, si perdono liquidi fino a
10-15 scariche giornaliere), per cui bisogna valutare l’approccio clinico: per prima cosa
si deve ristabilire l’equilibrio idrico-salino del soggetto mediante terapia dietetica.
Le infezioni colpiscono soprattutto il bambino, per cui prima di intervenire con farmaci,
anche a causa delle crescenti manifestazioni di farmacoresistenza, si tenta di risolvere
la patologia con altri meccanismi anche in base alle complicanze.
Soprattutto per i ceppi EHEC si possono verificare delle complicazioni a distanza, che
possono colpire il colon (colite emorragica), il SNC (cefalea, stato soporoso) o il rene
(sindrome uremico emolitica). Gli EHEC penetrano quindi a livello della mucosa del
colon e producono la loro tossina, che diffonde legandosi alle cellule dell’endotelio
vascolare danneggiandole, e questo produce la risposta cellulare con la liberazione di
citochine (febbre, attivazione del complemento e dei fenomeni coagulativi, fenomeni
emorragici).

- Colite emorragica: colpisce fondamentalmente il grosso intestino, dove la

mucosa va incontro a fenomeni ulcerativi e il paziente prova dolore, con


emissione di sangue e muco con le feci, tenesmo (complicazione tipica
delle infezioni da enterobatteri) a causa dell’estrema infiammazione del
retto.
- Stato soporoso: casi gravi con alterazione della coscienza, dove il
paziente reagisce agli stimoli ma poi perde di nuovo vigilanza.
- SEU, sindrome uremico emolitica: caratterizzata da anemia emolitica con
presenza a livello del corpo di rash da emolisi, piastrinopenia (numero
delle piastrine ridotto) e insufficienza renale acuta che richiede la dialisi
al paziente. Nell’80-90% dei casi la SEU è appannaggio dei ceppi EHEC,
raramente di altri enterobatteri. Generalmente sporadici, a volte si
verificano cluster epidemici in piccole comunità.

Diagnosi
La diagnosi è facile ed è finalizzata a comprendere quale sia il microrganismo
responsabile dei sintomi, per cui si analizza il materiale biologico (feci o nel neonato il
tampone rettale) e vengono identificati gli E.coli (non tutti, ci sono anche E.coli che
nell’intestino non determinano patologia ma possono diffondere all’apparato
genitourinario e provocare cistiti) per stabilire il ceppo e l’approccio terapeutico. È
fondamentale che la diagnosi venga eseguita da un laboratorio di microbiologia a
causa del crescente numero di casi di farmacoresistenza anche alle classi più recenti
dei carbapenemi. La diagnosi è differenziale (i ceppi più frequenti sono EPEC e EHEC)
tramite spettometria di massa se possibile o in caso contrario tramite test di adesività
in vitro o in colture cellulari di natura intestinale e ricerca delle tossine (TL o TS con
prove di tossinogenesi in vitro o in vivo).

Shigelle
Appartengono agli enterobatteri, sono Gram negativi di forma allungata con numerose
fimbrie e pili di adesione.
Ne esistono vari sottogruppi e la malattia da loro causata è detta “dissenteria del
viaggiatore”, in quanto non è un batterio comune nelle nostre zone ma si acquisisce
bevendo acqua contaminata da feci o mangiando cibo infetto, verso il quale
solitamente gli abitanti del posto hanno sviluppato tolleranza o resistenza. Si tratta di
una dissenteria acuta e fastidiosa.
Ne esistono di diversi tipi:

 Shigella dysenteriae è quello di maggiore importanza e più frequente.


 Shigella flexnery è stata associata con la trasmissione a livello fecale e
fra MSM tramite rapporto anale.
 Shigella boydii è presente fondamentalmente in India (endemica) ma non
in Italia.
 Shigella sonnei è frequente negli USA e dà complicazioni anche piuttosto
gravi.
Hanno un periodo di incubazione molto breve (3-6gg) rispetto all’ E. coli e i sintomi si
manifestano con diarrea muco sanguinolenta, dolori addominali importanti, febbre non
elevata e vomito. Se l’infezione non viene curata in piccole percentuali determina
morte.
La fonte è l’uomo che elimina le sue feci che vanno a contaminare l’acqua, il terreno e
quindi poi alimenti derivati da questo. Si trasmette per via orofecale (importanza del
lavaggio delle mani) anche se le mosche sono state imputate nel trasporto delle
shigelle fra cibi contaminati e cibi non contaminati a piccole distanze.
Patogenesi
La patogenesi è dovuta alla tossina tipica (Shiga-like), oltre che ad una proteina che è
un fattore di invasività per le cellule epiteliali. Bastano pochissimi batteri (10) affinché
l’organismo si infetti, per cui si tratta di una forma molto contagiosa trasmessa
facilmente da uomo a uomo. I batteri continuano a sopravvivere in ambiente umido
nonostante l’assunzione e la successiva eliminazione del cibo infetto in quanto
resistono all’acidità del succo gastrico, soprattutto se in concomitanza si assumono
molti liquidi. Dopo essere state ingerite, le cellule batteriche penetrano negli
enterociti, arrivano alla lamina propria della mucosa intestinale e iniziano ad elaborare
la tossina Shiga-like, che determina la morte cellulare con lo stesso meccanismo
descritto precedentemente per E.coli, quindi causano infiammazione acuta dopo la
distruzione del tessuto circostante.
Il meccanismo patogeno prevede il legame di B al recettore cellulare ,il distacco di A1
e azione sull’ rRNA con perdita di adenine, blocco della sintesi proteica e morte della
cellula con infiammazione e ulcerazione ( è la seconda tossina che agisce sulla sintesi
proteica, in quanto la prima è quella del corinebacterium dyphteriae, che agisce
sull’Elongation Factor).
Può dare le stesse complicazioni degli EHEC, a livello di colon (colite emorragica), SNC
(stato soporoso del paziente) e rene (sindrome uremico-emolitica), ma può anche
determinare, tardivamente, la sindrome di Reiter (3%), che provoca alterazioni delle
giunture, congiuntivite e dolore nella minzione, dovuti probabilmente ad una minima
ma continua produzione della tossina.
L’approccio terapeutico nel caso in cui non ci sia una guarigione solo con la dieta deve
prevedere la somministrazione di farmaci per evitare le complicazioni a distanza. Ci
sono alcuni soggetti più suscettibili a manifestare questa sindrome, ovvero i portatori
di HLAB27.

Prevenzione & diagnosi


La prevenzione si basa sull’igiene personale e la diagnosi viene fatta utilizzando
piastre selettive, dove le shigelle crescono formando colonie poco mucose e vengono
differenziate da salmonella ed E.coli. L’identificazione viene poi fatta con spettrometria
di massa.
Vi è stato un allarme di shigellosi nel 2015, con outbreak negli USA a causa di ceppi
resistenti all’ampicillina, alla streptomicina, all’acido naxilidico, ai sulfamidici (la
resistenza ai sulfamidici limita enormemente la possibilità di azione) con cluster di
MSM.

Salmonella
Un altro enterobatterio estremamente importante è rappresentato dalla Salmonella. È
un Gram negativo, e si conosce la Salmonella tiphy, la Salmonella paratiphy A/B,
forme che possono dare infezioni sistemiche, che interessano anche organi a distanza
con un quadro clinico peculiare, che aiuta nella diagnosi clinica.
Hanno tutte le caratteristiche degli enterobatteri Gram negativi, come l’essere
asporigeni ma sono flagellati (flagelli peritrichi: presenti su tutto il soma batterico), per
cui hanno capacità di movimento, possono avere pili e producono catalasi, oltre ad
essere dotati di LPS.
Sono responsabili di:

- Infezioni gastroenteriche: dovute a salmonelle minori e rappresentano le


forme più diffuse. Sviluppano focolai epidemici in piccole collettività, dovuti
alla contaminazione del cibo (soprattutto con la diffusione del “finger food”).
Guariscono nel 100% dei casi e solo in pochi casi insorge la sindrome di
Reiter.
- Infezioni sistemiche: causate dalla Salmonella tiphy e paratiphy A/B (tifo
addominale, febbre tifoide). Queste forme sono le più gravi e generano
febbre, diarrea e crampi con insorgenza estremamente rapida (dalle 12 alle
72 ore in funzione della carica batterica). Ci sono cibi più facilmente
contaminabili, ovvero i cetrioli, i germogli di soia e il burro di noccioline
(sostanze molto grasse favoriscono lo sviluppo batterico).

Curva di Wunderlich
La febbre della salmonella ha normalmente un andamento detto “a sega” con una
durata di 3 settimane: nella prima settimana sale a scalini, nella seconda rimane
costane a 39-40°, nella terza scende a sega specularmente alla prima settimana. Lo
studio dell’andamento della febbre è stato fatto da Wunderlich, che caratterizzò le
febbri da tifo o salmonella: la febbre a sega si caratterizza da temperature crescenti di
giorno in giorno nella prima settimana, dove la febbre del mattino è più alta di quella
del mattino precedente ma più bassa di quella della sera precedente. Il soggetto
presenta poi astenia, dolori muscolari e cefalea durante il periodo di incubazione (in
corrispondenza della prima settimana), torpore a livello del sistema nervoso centrale
alla seconda settimana (tiphos, in greco torpore). Può insorgere anche una
perforazione intestinale, quindi un’emorragia e sangue nelle feci. Tutti questi sintomi si
manifestano solo in caso di pazienti non trattati con terapie, dove il microrganismo
può diffondersi indisturbato.
Meccanismo patogeno
La Salmonella può essere assunta tramite cibo contaminato, si localizza a livello
dell’intestino tenue, qui se attecchisce e colonizza la mucosa e la sottomucosa,
diffonde poi per via ematica e linfatica per raggiungere anche il fegato, la milza e il
midollo determinando la prima febbre dovuta a batteriemia fugace. Fa seguito poi la
moltiplicazione del batterio negli organi raggiunti da cui poi diffonde sempre per via
ematica provocando una batteriemia persistente, che coincide con la sintomatologia
vera e propria. Prosegue poi con una colonizzazione secondaria dell’intestino tenue,
che può determinare la perforazione dell'intestino che esita con una diarrea
emorragica, dove le feci con tracce ematiche emesse possono andare a contaminare il
cibo per dare inizio ad un nuovo ciclo.

Nel caso in cui la batteriemia persistente porti a colonizzazione della colecisti i


soggetti interessati diventano portatori sani e fonte di infezione, in quanto continuano
ad eliminare il microrganismo con le feci, senza manifestare sintomi clinici.

Dati epidemiologici
Prima del 2010 sono comparsi i primi ceppi resistenti, per cui l’approccio terapeutico
richiede un antibiogramma per potere scegliere l’antibiotico giusto. Negli USA si sono
riaccesi i focolai di Atlanta.

Prevenzione & vaccino


La prevenzione si basa sulla cottura e bollitura dei cibi se possibile, sulla rimozione
della buccia nel caso di frutti o eventualmente nella non assunzione dell’alimento. Ci
sono situazioni prive di prevenzione, per cui il vaccino nel caso di viaggi in paesi
endemici è caldamente consigliato. Il vaccino si effettua una settimana prima della
partenza, e gli anticorpi risultano protettivi per qualche anno (3 nel caso del vaccino
orale, protettivo dopo 14 giorni dalla terza dose, molto di più nel caso del vaccino
parenterale intramuscolo, protettivo anche questo dopo 14 giorni). Un altro virus che
si assume per via alimentare e che manifesta gli stessi sintomi è rappresentato dal
virus dell’epatite A, mentre quello dell’epatite B e C viene trasmesso per via
parenterale.

Diagnosi
La diagnosi di infezione si fa sulla base di materiale biologico, quindi materiale fecale
dopo la batteriemia diffusa (terza settimana, dopo la colonizzazione secondaria
dell’intestino ed eliminazione delle feci) e sangue dopo la prima settimana, in
corrispondenza del picco febbrile per cui preferibilmente alla sera. Durante la prima
settimana si parla di periodo ineteregno, in cui l’emocoltura potrebbe essere positiva
ma la coprocoltura non lo è. Per quanto riguarda l’ indagine sierologica, ossia la ricerca
di anticorpi, questa deve essere svolta in corrispondenza della seconda-terza
settimana. Alla presentazione di un paziente con febbre a sega questo riferirà una
febbre variabile, per cui l’anamnesi va condotta
Brucella
È un batterio che dà la cosiddetta brucellosi. Si contrae per via alimentare in
particolare per l’ingestione di derivati del latte: si replica negli annessi embrionali di
alcuni animali (si conoscono le brucelle abortus bovis e abortus suis), per cui gli
animali infetti non sono in grado di portare avanti una gravidanza. L’assunzione di
latte non pastorizzato proveniente da animali infetti può contagiare l’uomo con la
brucellosi, che dà la febbre ondulante o maltese (con un cluster a Malta) e una
sintomatologia molto simile a quella di Salmonella, per cui è necessaria una diagnosi
differenziale. Questa viene fatta o mediante ricerca diretta nel materiale fecale o, nel
caso in cui questo non sia possibile o sia stato fatto in maniera errata, tramite una
reazione sierologica, detta di Widal (evidenzia le Ig anti salmonella tiphy e paratiphy A
e B) Wright (evidenzia le Ig anti brucella melitensis, abortus bovis e abortus suis) che
prevede una reazione di agglutinazione, oggi assemblata in un test ELISA, per cui è
molto più rapida.

Enterobatteri

Campylobacter
Il campylobacter è uno degli agenti eziologici più frequenti, soprattutto nel campo
delle diarree infantili e colpisce ogni anno diverse persone, dà luogo a forme di diarrea
profusa e viene acquisito normalmente mediante l’ingestione di alimenti infetti.
È un batterio a forma curva e allungata; presenta dei flagelli alle due estremità polari,
ha un periodo di incubazione molto rapido (come la maggior parte delle forme che
colpiscono l’apparato gastroenterico), da poche ore ad una settimana.
È dovuto all’ingestione di latte non pastorizzato, cibi non cotti e in casi sporadici
dall’ingestione di carne di pollo, essendo presente nelle loro feci. Un’altra causa sono
le feci di cani e gatti.
Vi sono due specie di campylobacter :

1 C. jejuni
2 C. coli
La sintomatologia è quella classica delle forme gastroenteriche, in cui si ha: diarrea,
febbre, nausea e vomito.
Nei soggetti che possono presentare immunocompromissione è possibile acquisire una
complicazione da campylobacter ovvero la sindrome di Guillain-Barrè: una forma di
paralisi irreversibile, simile a quella che avviene durante la poliomielite (polio-like).
Questa patologia può anche avvenire a distanza e potrebbe anche colpire le vie
respiratorie causandone la paralisi.
Questo batterio si comporta come la maggior parte degli enterobatteri:
 Colonizza le mucose;
 Aderisce attraverso i flagelli e le adesine;
 Internalizza e dentro la cellula produce una tossina (citotossica) mortale
che blocca la mitosi cellulare (la arresta nella fase G2).
La diagnosi è semplice, perché richiedendo un esame delle feci, il laboratorio ricerca
indipendentemente salmonelle, shighelle e anche il campylobacter. È più frequente nel
bambino.
Il batterio vive alla temperatura corporea degli uccelli ovvero a 40/42° (a differenza
degli altri batteri), infatti la principale fonte di infezione è il pollame. Quindi una parte
delle piastre verrà mantenuta oltre che a 37°, anche a 42°.
Le colonie sono appena mucose di colore rosato e hanno un aspetto leggermente
allungate (la salmonella, invece, in terreni simili cresce con una variazione di colore
verso il giallo).

Malattia da meningococco-Nigeria

Parlando delle meningiti si è detto che la fascia della Nigeria rappresenta una zona ad
alto rischio. Ci sono stati 1500 casi in Nigeria, che hanno colpito sia maschi che
femmine, fondamentalmente ragazzi dai 5 ai 14 anni, la maggior parte dovuta al
meningococco di tipo C.

Vibrioni
Rimanendo nell’ambito delle infezioni che vengono causate per via oro-fecale,
ricordiamo anche i vibrioni: il più famoso è quello del colera, ma ne esistono altri che
possono dare delle manifestazioni cutanee.
Il vibrione del colera è un batterio gram negativo allungato, mobile per la presenza del
flagello, non è sporigeno (vibro coleris), non presenta una capsula ed è estremamente
resistente, può vivere in presenza o in assenza di ossigeno.
Ogni anno ci sono molti casi con un tasso di mortalità elevato.
Ne esistono vari siero-gruppi che vengono classificati in base all’antigene “O” (la parte
esterna, variabile del lipopolisaccaride che dà caratteristiche antigeniche ai singoli
batteri che appartengono al grande gruppo dei gram negativi). In base alle differenze
dell’antigene superficiale del LPS i vibrioni vengono caratterizzati in siero-gruppi: 01,
da 02 a 138 e il 139.
Hanno delle manifestazioni leggermente diverse: il primo è epidemico altamente
trasmissibile, il gruppo da 02 a 138 dà forme di diarrea, mentre il 139 dà forme
epidemiche come lo 01, ma ha avuto inizio solamente nel Bengala negli anni ‘90. Ha
caratteristiche antigeniche diverse dal primo gruppo e quindi è stato classificato a
parte.
La storia del colera è lunghissima: parte dagli anni ‘20 dall’india per arrivare fino al
sud America negli anni ’90. La storia inizia sulle rive del Gange dove ci sono i primi
focolai, e a Londra negli anni ‘50 vi furono più di sei mila vittime. A Londra un signore
(non medico) capì che la fonte di infezione erano le fontanelle che erano ricche del
vibrione del colera.
Il grande “successo” del vibrione si è avuto ad Haiti nel 2010 con 665 mila casi con più
di 8 mila morti, dove ancora oggi vi sono casi di colera.

Conseguenza dell’infezione è l’eliminazione di grandi quantità di feci.


Ha un periodo di incubazione rapidissimo, da poche ore a qualche giorno (in base alla
carica batterica).
Da tenere in considerazione è il fatto che il soggetto sano elimina i batteri per tre,
quattro settimane e quindi dovrebbe essere tenuto sotto controllo
Vi sono due forme di infezione: una leggera e talvolta asintomatica, ma la maggior
parte delle volte in una forma severa.
Questi vibrioni aderiscono a livello delle cellule della mucosa intestinale e la
avvolgono, il soggetto perde una quantità di liquidi elevata e presenta: vomito,
crampi, accelerazione del battito cardiaco. Può perdere fino a 14 litri di liquidi al giorno
e in poche ore può morire per disidratazione.
Produce delle tossine: una simile a quella dell’E.coli (quella termolabile); la tossina
“Zot” e quella “ACE”.

1 La prima è una tossina che agisce aumentando in modo enorme la


quantità di AMPc nella cellula che colpisce, e questo porta ad una perdita
di ioni (sodio, acqua, potassio, cloro).
È formata da parti tossiche che devono penetrare all’interno della cellula,
di cui è sempre il frammento A1 che causa l’aumento di attività
dell’AMPc, e da una serie di parti che fungono da siti di legame. C’è un
aumento del passaggio di ioni, il soggetto elimina acqua e difficilmente il
colon riesce a riassorbire, il paziente quindi può andare incontro a shock.
2 La tossina “Zot” riesce ad occludere e distruggere le giunzioni tra le
cellule intestinali che vengono distaccate e vanno incontro a morte per
apoptosi.
3 La tossina ACE è una tossina accessoria e ha lo stesso meccanismo della
Shighella. Si ha sempre la ceramide come recettore della parete della
membrana della cellula e distacca all’interno della cellula il frammento
attivo, il quale va a distaccare le adenine dal RNA ribosomiale. Si ha
perciò un blocco della sintesi proteica e la cellula va incontro a morte.

Il vibrione del Colera viene classificato in base alle caratteristiche dell’antigene


esterno, infatti essendo un gram negativo presenta l’LPS con la porzione esterna
variabile che conferisce caratteristiche antigeniche diverse. Sono stati classificati
diversi sierogruppi che danno manifestazioni diverse: epidemiche come ad esempio il
primo (lo 01) e il terzo gruppo (il 139).
È una malattia estremamente infettante (comunicable disease) e acquisiamo il
vibrione tramite le acque e i cibi infetti e lo eliminiamo con le feci.
Il periodo di incubazione è abbastanza breve, anche poche ore.
Dal momento che le tossine si ripetono anche su batteri diversi (simile a quella dell E.
Coli e della Shiga) potrebbe essere possibile costruire un vaccino che protegge da
diversi batteri perché hanno lo stesso meccanismo patogeno.
La diagnosi viene fatta su materiale fecale.
È un batterio resistente e cresce su terreni selettivi.
Normalmente non vengono utilizzati antibiotici, ma il paziente viene reidrato (ma non
nei casi epidemici del 01 o 139, perché ad un’infezione da vibrione se ne aggiungono
altre e quindi il paziente va controllato nella sua globalità).
Vaccino è di uso orale: vengono utilizzati dei tamponi per proteggere il
microorganismo dall’acidità del succo gastrico, determinando la produzione di IgA
secretorie (perché il batterio aderisce a livello delle mucose, e quindi la prima cosa
che viene prodotta sono anticorpi di tipo IgA) che ci proteggono (nel 70%) dei casi.
Questo vaccino nei confronti del colera ci protegge anche da alcune forme di E. Coli.
Altri vibrioni di interesse medico sono il vulnificus e alginolyticus che danno infezioni
della cute e alcune forme setticemiche, e quelle parahaemolytivus che danno forme di
gastroenteriti lievi causate dall’ingestione di cibi contaminati.

Helicobacter Pylori
L’helicobacter pylori rappresenta una grande scoperta degli anni ‘90, in cui si è vista la
presenza di questo microorganismo in diverse forme di ulcere dell’apparato
gastroenterico e ulcere antrali.
Aver attribuito questo batterio come agente eziologico di una patologia come l’ulcera
gastrica, ha permesso l’utilizzo di antibiotici quando vengono riscontrate questi tipi di
ulcera.
È un patogeno emergente, e poter usare antibiotici piuttosto che interventi chirurgici è
sicuramente un grande successo.
È in grado di colonizzare la mucosa gastrica e duodenale e attiva una serie di
meccanismi patogeni che determinano un’ulcera gastrica e duodenale o chiamata
anche ulcera peptica (una piccola percentuale di soggetti colpiti da helicobacter riesce
ad eliminarlo spontaneamente).
L’agente eziologico è il pylori però in alcuni casi queste forme di ulcera possono
portare ad un carcinoma dello stomaco, quindi le persone che sono affette da ulcera
gastrica o duodenale, se non trattate, possono andare in contro al cancro allo
stomaco.
In caso di carcinoma, il microorganismo avrà già determinato la trasformazione delle
cellule causata appunto da questo agente esterno, divenendo così metaplastiche.
L’helicobacter pylori è allungato, gram negativo, presenta flagelli polari ed è aerobio-
anaerobio facoltativo, quindi capace di vivere in diverse condizioni. Produce catalasi e
ossidasi e in particolar modo l’enzima ureasi.
Può diffondere da uomo a uomo, tramite il materiale fecale o oralmente, ma molto
difficilmente. Anche il gatto domestico potrebbe essere una causa di questa infezione,
tramite l’eliminazione di feci di gatti infetti.
È un batterio che sviluppa tanti meccanismi patogeni:
Lipopolisaccaride: esso ha un’azione limitata in quanto presenta una composizione
molto simile al lipide A e quindi non è estremamente antigenico, nonostante ciò la
porzione glicidica presenta sequenze simili agli antigeni Lewis X e Y (ovvero cellule
della mucosa gastrica) e quindi possiamo produrre anche auto-anticorpi, con danno
alla mucosa.

L’helicobacter pylori, introdotto con acqua e cibo, aderisce alla mucosa gastrica con
delle adesine che permettono di resistere ai movimenti peristaltici della parete
gastrica (quindi nella maggior parte dei casi non riusciamo ad eliminarlo
spontaneamente). In seguito neutralizza il proprio ambiente (reagisce ai succhi
gastrici) e se riesce a vivere penetra dentro la cellula colpita grazie ai flagelli ed
aderisce alla parete dello stomaco.
Il meccanismo enzimatico è molto complesso, infatti l’ureasi va a catalizzare una
reazione importante: l’urea è presente a livello della cavità gastrica, l’ureasi che viene
prodotta dal microorganismo scinde l’urea in HCO3 e ammonio, quindi determina la
produzione di bicarbonato (tampone classico, il quale neutralizzerà l’ambiente
rendendolo idoneo alla sopravvivenza del batterio), ma anche gli ioni ammonio che
sono estremamente tossici e dannosi, e determineranno un danno estremamente
importante all’epitelio mucoso.

Non sempre ci sono danni gravissimi, infatti esistono anche delle altre tossine
elaborate da questo microorganismo, in particolar modo esistono due tipi di
helicobacter pylori:

 Di tipo 1: sono più patogeni perché producono due tossine


contemporaneamente e quindi sono responsabili delle ulcere,
 Di tipo 2: producono solo una tossina e avranno una soluzione benigna
dell’infezione.

Le due tossine dei batteri di tipo 1, prendono il nome di Vac A (vacuolizzante) e di Cag
A.
La prima permette l’internalizzazione del microorganismo all’interno della mucosa
gastrica, cambia il flusso di anioni, vacuolizza il citoplasma e porta la cellula ad
apoptosi. Questa tossina è prodotta dal 60% dei batteri.
La seconda è una tossina citotossica (Cag A) ed è prodotta dal 65% dei batteri. A
questa tossina è associato un segmento di DNA, definito “isola patogena”.
Cag A determina la produzione di Vac A (quindi se abbiamo Cag A, verrà prodotta
anche Vac A), questa tossina permette sia la fuoriuscita all’esterno della tossina
vacuolizzante, portando così la cellula ad apoptosi, ma determina anche un processo
infiammatorio estremamente evidente tramite una iperproduzione di interleuchina 8.
I batteri che producono entrambe le tossine, rappresentano i batteri di tipo I e
determinano l’evoluzione ulcerosa della malattia.
I batteri di tipo II invece producono solo Vac A, ma sono Cag A negativi, non portano ai
processi infiammatori che causano necrosi della parte colpita, quindi permettono una
evoluzione benigna della malattia.
(Vac A quindi causa un danno cellulare portando le cellule in apoptosi, Cag A invece
determina un processo infiammatorio mediato da un’iperproduzione di interleuchina
8).

Il processo può continuare in modo importante perché c’è un’infiammazione dovuta


dall’interleuchina 8, il batterio non viene eliminato dai succhi gastrici perché il
bicarbonato funge da tampone e viene liberato ammonio il quale danneggia il tessuto
circostante. Quindi vi è una funzionalità alterata della mucosa gastrica e questo si
traduce in un aumento della produzione di gastrina, aumento della massa cellulare
che risponde all’insulto antigenico e aumento della produzione di acido; questi tre
fenomeni possono determinare la prima risposta metaplastica di queste cellule.
Se il nostro organismo non riesce a reagire (e non usiamo farmaci) il soggetto può
andare incontro a forme neoplastiche, con perdita di porzioni della mucosa che esitano
in una lesione ulcerativa.

La diagnosi di infezione non si può fare con il microscopio elettronico, bensì essendo
eliminato con le feci, l’helicobacter pylori può essere ricercato in queste ultime.
Sia con un saggio immuno-enzimatico per la ricerca di antigeni del pylori oppure è
possibile fare il test che si basa sul meccanismo patogeno del microorganismo, ovvero:
il test del respiro.
Esso si basa sul fatto che quando si ha un’azione determinata dall’ureasi (ovvero la
produzione di bicarbonato e ammonio) vi è anche il rilascio di CO2, di conseguenza se
il paziente presenta helicobacter pylori avrà una produzione di CO2 elevata, perché
l’anidride carbonica che viene prodotta, viene riassorbita in circolo ed eliminata
mediante i polmoni. (Il test dura meno di mezz’ora e non è per niente invasivo).
Al paziente viene somministrato per bocca una piccola quantità di urea marcata, con
C14 ad esempio, e dopo 30 minuti viene fatta la misura della CO2 a livello del respiro.
Se il soggetto presenta infezione da H. Pylori allora l’urea marcata verrà idrolizzata in
ammoniaca e anidride carbonica, quest’ultima verrà riassorbita dalle pareti gastriche,
rimessa in circolo ed escreta dai nostri polmoni e quindi vi sarà una quantità di
anidride carbonica emessa superiore.
Vi sono forme di H. Pylori che possono colonizzare la cute e dare forme di rosacea con
delle infiammazioni e vescicole in alcuni casi; altri possono essere responsabili di
forme che possono colpire sia l’intestino che le vie biliari determinando delle forme
croniche.

[la peste non è nel programma d’esame]

Legionella pneumophila
La legionella fu scoperta negli anni ‘70 e venne definita la malattia dei legionari, essa
è presente ancora oggi. Si chiama legionella perché ci fu un’infezione causata
dall’acqua delle docce di un grande albergo americano dove si erano incontrati a
congresso alcuni legionari; i reduci di guerra, ormai anziani, iniziarono poco dopo a
morire e tutti presentavano una polmonite peculiare; non sapendo cosa fosse non fu
data una cura. Venne battezzata legionella proprio perché scoperta proprio in seguito
a questo congresso di legionari.
Oggi le persone colpite sono gli anziani, in coloro i quali presentano infezioni alle vie
respiratorie e nei grandi fumatori.
Vi sono diversi tipi di legionella, di tipo 1,2 e 3.

Dei casi simili sono successi al lido di Savio (nel 1977), in un hotel con degli ospiti
inglesi dove vi furono 2 morti a causa della bassa potabilizzazione dell’acqua.
Oggi il problema fondamentale sono i filtri dell’aria condizionata perché sede di
infezioni di legionella.
La legionella si trova nell’acqua calda, nell’acqua stagnante, nelle piscine, negli
idromassaggi e porta a polmonite.
La diagnosi viene effettuata dall’espettorato di origine profonda. La legionella ha
anche la capacità di essere fondamentalmente eliminata per via urinaria e quindi può
colpire anche il rene; infatti oggi è possibile effettuare test per cercare l’antigene
urinario della legionella che ci permette di distinguere i vari antigeni.

Clostridi
In ambito dei clostridi, verranno studiati quelli del tetano, il clostridio perfringens, il
clostridio botulino che si trova nelle marmellate e nelle conserve ed è anche
responsabile della morte improvvisa del neonato perché questo batterio vive bene
nelle conserve e nel miele e quindi la cattiva abitudine di introdurre il ciuccio nella
bocca del neonato dopo averlo immerso (lo ciuccio mica il neonato :O) nel miele ha
portato a diversi casi di morte per clostridio botulino come agente eziologico.
Questi batteri sono sporigeni, anaerobi e quindi devono vivere in assenza di ossigeno
e quindi hanno una resistenza limitata se noi diamo un apporto di ossigeno. Un
processo necrotico di un tessuto ovviamente andrà a favore l’attecchimento di questi
batteri perché vi sarà un diminuito afflusso di sangue e quindi di ossigeno, oppure la
colonizzazione di una ferita da parte di batteri aerobi può facilitare la colonizzazione
anche di quelli anaerobi perché i primi consumano ossigeno.
Altri batteri anaerobi obbligati non sono in grado di produrre catalasi, o super-
ossidodismutasi, ma sono capaci di vivere in presenza di potenziale di ossido-riduzione
molto basso (ambiente sotto terra o in tessuti necrotici)
Possono essere sia sporigeni che asporigeni, studieremo quelli sporigeni anaerobi
obbligati, produttori di spore, che possono essere estremamente resistenti. Questi
batteri sono gram positivi, vivono nel terreno come spore o nell’intestino degli animali
che eliminano tramite le feci.
Abbiamo introdotto nell'ultima lezione i clostridi, i batteri che sono in grado di
sporificare, sono Gram positivi, producono delle tossine molto potenti. Sono, nella
maggior parte dei casi, anaerobi obbligati: il fatto che loro debbano vivere in assenza
di ossigeno, determina una certa tipologia di infezione e una patogenesi caratteristica.

Clostridium tetani
Gram positivo, sporigeno, con spore che cedono il diametro dello sporangio. Queste
spore sono particolarmente resistenti, possono vivere per molto tempo a livello del
terreno, del suolo. Possono essere eliminate dalle feci di grossi animali, come i bovini e
possono a loro volta contaminare il terreno dal quale noi possiamo assumere la spora
del tetano se ci provochiamo delle lesioni profonde della cute. Quindi la spora può
penetrare nei tessuti profondi, ha un periodo di incubazione variabile, che dipende
dalla quantità di spore che noi introduciamo e dalla loro capacità di poter germinare
all'interno del nostro organismo.

Il clostridio si localizza a livello del punto di penetrazione e non diffonde, ma diffonderà


la sua tossina. Essa prende il nome di tetano spasmina perché determina degli spasmi
muscolari estremamente evidenti, infatti la caratteristica del oggetto infetto da tetano
è una paralisi spastica fondamentalmente, a cui, in alcuni casi, può seguire anche una
paralisi flaccida dei bulbi oculari.
Il soggetto è caratterizzato dal cosiddetto trisma, che esita nel "riso sardonico", una
determinata paralisi del viso. Il soggetto presenta una facies particolare dovuta proprio
allo spasmo dei muscoli e le sopracciglia vengono inarcate e sorriso fisso.
Questo clostridio determina quindi spasmo di tutti i muscoli, è evidente che ci sono
varie forme di tetano che possono essere più o meno gravi. La forma più grave viene
indicata come "forma generalizzata".
Noi normalmente ci infettiamo con delle spore che possono germinare, ci sarà poi la
forma vegetativa che produce la tetano spasmina, che è una neurotossina, quindi ha
la capacità di legarsi a particolare strutture presenti nel tessuto nervoso.

Meccanismo della tetano spasmina:


E' in grado di legarsi alla membrana sinaptica dei nervi motori. In questa membrana
trova il suo recettore, formato da una serie di glicolipidi che sono poveri di fosforo e
ricchi di acido sialico.
La tetano tossina ha un peso molecolare di circa 150 kd. Grazie a una proteasi viene
scissa in due parti, una parte pesante, H, di circa 100 kd e la parte leggera, L, di circa
50 kd. La parte H è quella che si lega, quindi rappresenta la nostra binding protein, si
lega ai recettori della parte sinaptica del nervo motore. La parte L, che è una peptidasi
in presenza di zinco, è la parte attiva e si lega a livello del sistema sinaptico inibitorio,
quindi blocca le sinapsi inibitorie e così nel soggetto si libereranno soltanto gli impulsi
eccitatori, causando una paralisi spastica, perché ricevono impulsi eccitatori sia i
muscoli flessori che quelli estensori.
Questo è il meccanismo della tetano spasmina, che ci spiega il risus sardonis, la
situazione che possiamo vedere nelle forme più gravi di tetano.
Le persone più colpite possono essere i bambini sotto i 5 anni, ma anche gli anziani,
possiamo avere anche casi di perone anziane che hanno smesso di sottoporsi ai
richiami di vaccinazione antitetanica, speso molte persone dopo i 40 anni non fanno
più il richiamo, ma per avere una buona copertura bisognerebbe farlo ogni 10 anni.

Il periodo di incubazione varia tra i 3 e i 20 giorni, se abbiamo un periodo di


incubazione breve ci troveremo davanti a una forma severa, perché in relazione con la
quantità di spore, quindi di forme vegetative che potranno elaborare la tetano
spasmina. Il neonato può essere colpito anche dal tetano neonatale, dovuto a un
infezione del cordone ombelicale causata da un parto o una gestione post parto
assolutamente in un luogo non igienico e può comparire abbastanza precocemente,
anche a 4 o 5 giorni dalla nascita, fino a 15 giorni dalla nascita.
La maggior parte dei casi può essere dovuta a ferite, lacerazioni, abrasioni, o anche a
inoculazioni, infatti non è infrequente nei soggetti che si drogano per via endovenosa,
indicati con la sigla "intravenous drug abuser" che possono usare siringhe sporche, o
già utilizzate che vengono recuperate per terra e possono essere contaminate dal
terriccio. Sono stati evidenziati pochi casi, ma anche il tatuaggio, che prevede un'
abrasione della nostra cute, può essere causa di [contagio] se non vengono utilizzati
luoghi igienici, aghi sterili. Quindi anche le persone che si fanno un tatuaggio devono
controllare che i tatuatori abbiano certificati e controllare che gli aghi utilizzati siano
sterili, soprattutto per i tatuaggi più complessi e colorati che necessitano di un periodo
più lungo per essere realizzati.
Ci sono tantissime cose che possono essere trasmesse per via ematica, come tetano,
HIV ed epatite C, ma è più facile entrare in contatto col tetano rispetto per esempio al
virus dell' HIV, che come tutti i virus muoiono nell'ambiente esterno perché la cellula
che li alberga va incontro a morte e di conseguenza il virus non è più infettante, quindi
un certo grado di attenzione va sempre pota in questa situazione.

Tre forme di tetano:


-tetano localizzato, con spasmi muscolari che sono localizzati e si concentrano nel
punto di inoculazione;
-tetano cefalico, che colpisce fondamentalmente la testa e il viso, è una forma grave
anche questa, perché se viene colpito il viso il percorso che fa la tossina è molto più
breve, quindi ci sarà un periodo di incubazione molto più breve. E questa forma è
associata alla paralisi dei muscoli facciali.
Entrambe queste forme possono anche degenerare e dare luogo a un tetano
generalizzato che può diffondere in tutto il nostro organismo.
Sicuramente la forma più comune che si può vedere è caratterizzata dal trisma, quindi
alterazione muscolare che colpisce fondamentalmente i muscoli mascellari, poi
alterazioni che possono colpire il collo, il tronco alle estremità, quindi arti inferiori e
superiori, alterazione del sistema nervoso centrale. Ovviamente il decorso clinico
dipenderà dalla quantità di tossina, quindi da queste spore germinate all'interno del
nostro corpo, e dalla nostra salute generale, perché naturalmente in un soggetto
immunodepresso avremo un decorso molto più rapido. Dipende anche dall'età, più
lontani siamo dalla nostra copertura vaccinale e maggiore è la possibilità che questa
situazione possa determinare una patologia estremamente grave nel nostro
organismo.
Come prevenire l'infezione
Allora per prevenire questa infezione dobbiamo avere una copertura vaccinale sempre
ottimale, perché quando si parla di 10 anni, probabilmente la copertura all'
undicesimo, dodicesimo anno è ancora presente, però è necessario e indispensabile
fare un richiamo della nostra immunità. Lo schema vaccinale che adesso abbiamo in
funzione inizia a tre mesi di vita, è rimasto costante rispetto allo schema vaccinale
precedente (anche se alcune vaccinazioni sono state anticipate a due mesi), poi a 5
mesi e a 1 anno di età, a 6 anni, poi tra il dodicesimo e il diciottesimo anno va rifatta e
in seguito ogni 10 anni deve essere eseguito il richiamo. (Basta guardare lo schema
vaccinale nel proprio libretto sanitario per controllare o in alternativa rivolgersi al
comune della vostra residenza per richiedere questo schema.)

Nel caso in cui ci troviamo davanti a un soggetto che presenta una abrasione profonda
che può essere contaminata da terriccio, filo spinato, terra in cui possono albergare
delle spore eliminate per esempio da animali di grossa taglia, la prima cosa da fare è
disinfettare con acqua ossigenata, perché in questo modo apportiamo ossigeno a un
batterio per cui è nocivo, dobbiamo quindi pensare sempre di apportare condizioni
sfavorevoli alla moltiplicazione o alla possibilità di una localizzazione superficiale della
spora.
La prima cosa che si fa è una pulizia della ferita anche con acqua, poi la disinfettiamo
e andiamo al pronto soccorso, in cui verrà di nuovo ripulita la ferita e ci viene proposta
una immunizzazione passiva con gamma-globuline. Fino a una trentina di anni fa
veniva fatta la siero-profilassi, ma gli anticorpi venivano prodotti immunizzando
animali di grossa taglia, come cavalli, con il patogeno, questi producevano anticorpi
contro il singolo patogeno, veniva salassato e venivano frazionate le parti delle
globuline, però erano anticorpi di origine animale. Alcuni soggetti dopo la siero-
profilassi, avevano uno shock, perché erano anticorpi diversi. Quindi ora questo
metodo non viene più utilizzato ma parliamo di gamma-globuline di origine umana,
quindi noi non avremo, nel 99,9% uno shock anafilattico. Quindi non parliamo di siero-
profilassi in senso lato perché utilizziamo le gamma-globuline di tipo umano.
Spesso potrete sentirvi dire che il paziente non vuole le gamma-globuline. le gamma-
globuline negli anni '80-'90 hanno avuto un periodo critico perché c'è stata una grande
campagna soprattutto nel momento in cui si è capito che la trasmissione del virus
dell'immunodeficienza acquisita poteva avvenire anche in questo caso, per cui tutte le
gamma-globuline sono analizzate, quindi ne sono prive. In realtà questo problema era
una stupidaggine, perché le gamma-globuline sono anticorpi ed è impossibile
trasmettere infezioni con gli anticorpi. Quello che veniva sospettato è che gli anticorpi
in quelle preparazioni non fossero sufficientemente purificati e quindi potevano
contenere al loro interno tracce antigeniche del virus che in quel caso era il virus
dell'HIV e dell'epatite, non si aveva ancora, infatti, una copertura massiccia nei
confronti dell'epatite come si ha adesso. Non si parlava di HPV negli anni '80 in modo
così prepotente come ne parliamo adesso.
Quindi è sbagliato non fare le gamma-globuline perché è l'unico modo per poter
neutralizzare la tetano spasmina e bloccarla nel punto di inoculazione impedendo che
diffonda, che blocchi le nostre sinapsi facendoci andare incontro a una forma di
paralisi estremamente grave. L'identificazione è tipica, insorge anche abbastanza
rapidamente se ci inoculiamo una quantità particolarmente elevata di tossina, quindi
non esiste la possibilità di poter fare una diagnosi rapida del tetano perché dovremmo
isolare il batterio dal sangue, ma se è arrivato nel sangue significa che è già in circolo
ed è troppo tardi. Questi tipi di metodica vengono usati fondamentalmente in
medicina legale. In ogni caso il soggetto deve essere protetto con le gamma-globuline.
Nel momento in cui un soggetto arriva in pronto soccorso, viene lavata la ferita e
vengono fatti i passaggi descritti precedentemente e viene anche fatto il richiamo del
vaccino, in modo da poter proteggere l’individuo soprattutto se il punto di inoculazione
è lontano dal sistema nervoso centrale: quindi contemporaneamente va controllato
che il soggetto sia stato vaccinato, ma va anche fatto il vaccino stesso [dalla
registrazione non è molto chiaro].

Clostridium botulinum
La fonte di infezione può riguardare sicuramente le conserve fatte in casa, quindi
bisogna stare attenti e fare la sterilizzazione, perché la tossina viene inattivata ad alte
temperature, senza una sterilizzazione vanno consumate in un certo periodo di tempo
limitato. Questi cibi devono quindi essere mantenuti almeno per 30-40 minuti a
temperature vicine ai 100°.
(In Francia per esempio ci sono stati dei casi nel 2011 di infezione da botulino dovuti ai
prodotti di una ditta estremamente importante che ha avuto dei danni notevoli.)
La mancanza di refrigerazione e il perdurare a temperatura ambiente di cibo che
utilizziamo e che possiamo utilizzare non cotto, anche conserve di fattura industriale
che vengono però conservate a temperatura ambiente che sono continuamente
contaminate con cucchiai, strumenti o con piccoli presidi per i neonati, quindi possono
provocare la presenza del batterio all'interno della conserva, per esempio il miele è
molto ricco e permette la sopravvivenza di questo microorganismo. Poi alcuni casi
anche di procedure effettuate per estendere i muscoli facciali, degli occhi o delle
labbra mediante inoculazione del botulino, che provoca una distensione muscolare,
ma se viene errata la quantità di botulino inoculata, può determinare un'infezione.
Quindi anche in questo caso va fatto con grande attenzione. Questo viene definito
come "botulino iatrogeno", perché viene provocato dal medico, iatro- (dal gr. ἰατρός
«medico»).

Il batterio si può moltiplicare e produce la tossina.


Ci sono vari ceppi di botulino che vengono indicati con le lettere dell'alfabeto (A-G).
Possiamo infettarci raramente anche per soluzione di continuo della cute perché il
clostridio può essere presente nel terreno quindi possiamo avere un'infezione
accidentale come avviene nel tetano.
Le spore sono diffuse nell'ambiente esterno, quindi possono contaminare i cibi,
soprattutto in assenza di ossigeno come le conserve chiuse, nel cibo stesso possono
germinare dando luogo alla forma vegetativa, forme che saranno in grado di produrre
la tossina, la quale viene assorbita all'interno del nostro intestino, non viene inattivata
dagli enzimi proteolitici perché è resistente a questi e agisce a livello delle giunzioni
neuromuscolari impedendo la trasmissione dell'impulso nervoso in maniera diversa dal
meccanismo visto per il tetano, per cui il soggetto va incontro a paralisi flaccida.

Meccanismo della tossina:


La tossina è formata sempre dalla zona di legame e dalla parte tossica. Quest'ultima,
indicata con la lettera A, si lega alle vescicole di acetilcolina impedendone il rilascio,
in questo modo viene bloccata la stimolazione muscolare per cui il soggetto va
incontro a paralisi flaccida, per esempio con ptosi palpebrale (termine che ci ricorda
"apoptosi", infatti in greco "ptosi" significa "caduta delle foglie", quindi in questo caso
si riferisce alla parete muscolare).

La sintomatologia è rapida, anche da poche ore dopo l'ingestione del cibo. Nei casi in
cui abbiamo un periodo di incubazione così veloce possiamo avere una sintomatologia
molto severa, il soggetto presenta diplopia, difficoltà nella parola, difficoltà nella
deglutizione, alterazione a livello dei muscoli soprattutto delle spalle, la parte apicale
del nostro corpo viene colpita per arrivare fino agli arti inferiori. Abbiamo
un'alterazione anche a livello dei muscoli di collo, il soggetto può andare incontro in
seguito anche a paralisi respiratoria e se riusciamo a controllare questa situazione, il
decorso è particolarmente importante, può essere lungo e può determinare
l'introduzione del paziente in terapia intensiva. Nell'ambito delle infezioni, quindi
quelle di cui accennavamo l'altro giorno, il bambino piccolo sotto i 12 mesi può essere
colpito, è infatti una delle cause della morte in culla del neonato, anche se non è
l'unica naturalmente. (Un gran numero di casi delle morti in culla è determinato dal
soffocamento del neonato per un decubito non corretto, sono stati donati cuscini per la
puericoltura dell'ospedale Maggiore)
Le prime segnalazioni avvengono negli anni '70 per ingestione di spore e/o forme
vegetative che erano germinate all'interno del miele. In Italia normalmente vengono
segnalati dei casi, il botulismo infatti rimane sempre un problema di sanità pubblica,
abbiamo quei 20-30 casi all'anno anche nel nostro paese e nel periodo dal 1996 al
2006 (non abbiamo tracce di aggiornamenti successivi) ci sono stati 300 casi.
Recentemente, per esempio, in due zone della Francia [ci sono stati] due casi dovuti
alle conserve "le delicatezze di Maria Clara". Sono due zone turistiche della Francia,
una a nord-ovest dove sono stati colpiti 5 adulti e una zona a sud-est dove cono stati
colpiti 3 adulti che avevano tutti consumato lo stesso tipo di alimento.

Anche in questo caso è necessario che i soggetti vengano trattati subito con delle
gamma-globuline specifiche e aiutati anche con terapie pratiche, anche solo cercare di
farli vomitare in modo da eliminare più precocemente possibile questa situazione.
L'azione meccanica del cibo è la cosa principale che va fatta anche solo se si ha un
dubbio sul cibo ingerito.
Queste gamma-globuline devono essere somministrate prestissimo, nelle prime ore
dopo la comparsa dei sintomi, la maggior parte dei pazienti però vanno poi tenuti in
considerazione, controllati. Sicuramente molte di queste persone saranno poi portate
in terapia intensiva, avranno necessità di terapia di supporto.
Quindi questi clostridi si legano tutti, come meccanismo patogenetico, alla produzione
di tossine estremamente potenti, tossine che in questo caso sono associate al'attività
vegetativa (in altri casi alcuni clostridi presentano anche la tossina a livello
dell'attività sporale). Per quanto riguarda il batterio del tetano e del botulino, questi
hanno capacità praticamente nulla di diffusione, ma chi diffonde è sicuramente la
tossina, provocando paralisi spastica nel primo caso e paralisi flaccida nel secondo
caso.

Clostridium perfringens
Un altro clostridio di grande interesse, si trova facilmente anche qui a Bologna e in
Italia.
Determina tre situazioni diverse:

 Può essere responsabile della gangrena gassosa


 Può essere responsabile di alcune forme di intossicazioni alimentari, le
cosiddette "tossi infezioni alimentari"
 Può essere responsabile di forme necrotizzanti a livello del nostro
apparato gatroenterico, quindi enteriti necrotizzanti.
Si chiama "perfrigens" in quanto l'introduzione di quest' ultimo all'interno del nostro
organismo può essere determinato da una lesione traumatica e nel punto di
inoculazione la parte lesa appare molto edematosa, quindi rossa, infiammata, gonfia e
alla palpazione c'è proprio la sensazione di un crepitio dovuto proprio alla
iperproduzione di idrogeno.
Tutte le ferite potenzialmente sono a rischio di infezione da parte dei clostridi in
generale, ma anche da parte del perfrigens, anche questo è poco virulento, quindi
diffonde poco e sicuramente la presenza di estese zone di necrosi, quindi con basso
potenziale di ossidoriduzione che si viene a creare permette l'acutizzazione di questi
microorganismi che sono anaerobi obbligati.

Qui vediamo la differenza fra una ferita pulita e una edematosa, con gonfiore, rossore
e probabilmente crepitio al tatto, quindi è dolorante ed edematosa. L'immagine è un
cartone, ma rappresenta una brutta ferita che ci fa pensare a un'infezione dovuta a
clostridio, ma potremmo pensare di trovare anche piogeni che causano la formazione
di pus, anche solamente degli streptococchi piogeni.

 Gangrena gassosa
La tossina è una fosfolipasi C, che quindi ha bisogno di calcio per poter agire e che
determina la rottura della membrana cellulare perché agisce determinando l'idrolisi
della fosforilcolina, una parte fondamentale della struttura delle membrane cellulari.
Questa ferita può essere colonizzata oltre che dal clostridio, anche da dei
microorganismi in grado di produrre pus e quindi è ancora più facile la possibilità di
andare incontro a una forma di gangrena, quindi edema, necrosi, formazione di gas
idrogeno, può essere coinvolto il tessuto muscolare e se noi abbiamo delle abrasioni o
inoculazioni con del terriccio che contiene sali di calcio, c'è una possibilità molto più
elevata di poter attivare la tossina batterica, perchè questa è una fosfolipasi C che
necessita di calcio per essere attivata. La gangrena gassosa è determinata quindi da
infezioni da parte di questo clostridio.

 Intosicazione alimentare
Clostridium perfrigens è responsabile anche di tossi infezioni alimentari, anche in
questo caso come la maggior parte delle intossicazioni alimentari studiate, ha un
periodo di incubazione abbastanza rapido, i primi sintomi sono diarrea e vomito. Non è
particolarmente grave e normalmente va incontro a guarigione spontanea. Questo è
determinato da quei ceppi di clostridio che non elaborano la tossina precedente, ma
una tossina enterotossica, che ha come tropismo fondamentale l'apparato
gastroenterico. In questo caso la tossina si comporta come superantigene, (ne
abbiamo visto un altro di superantigene a livello di tossina che riguardava lo
stafilococco aureus, anche in quel caso abbiamo stafilococchi che possono produrre
determinate tossine e in base alla tossina prodotta determineranno un meccanismo e
una chimica diversa. Ci sono ceppi di stafilococco che sono responsabili della sindrome
della cute ustionata "scalded-skin syndrome", oppure di queste alterazioni che sono
state cause di morte per alcune donne dovuta a contaminazione di alcuni ceppi di
stafilococco nella produzione di alcuni assorbenti interni.
Il superantigene quindi agisce naturalmente con un meccanismo che conosciamo, ha
effetto a pleiotropico a cascata con iperstimolazione di citochine infiammatorie che
può determinare shock. Anche in questo caso il clostridium perfreigens in grado di
produrre la tossina può determinare raramente delle forme di shock perché questa
tossina si comporta come un superantigene.
Quindi abbiamo vari ceppi di clostridi la cui tossina è associata alla tunica sporale. Noi
ingeriamo cibi che possono essere contaminati dalle spore o già dalle forme
vegetative, in tutti i casi arrivano a livello di intestino tenue e viene prodotta la
tossina. La tossina determina un aumento della permeabilità dei capillari, agisce sulle
cellule endoteliali dei capillari e il soggetto risponde con diarrea, dolore addominale e
vomito. La tossina stimola quindi a livello dell'epitelio l'attività adenociclasica (tutte le
tossine che abbiamo visto anche negli enterobatteri e che determinano un aumento
del cAMP determinano a loro volta un aumento permeabilità della mucosa,
un'alterazione dell'equilibrio idrico e perdita di ioni che esitano nella presenza di forme
profuse di diarrea).

 Enterite necrotizzante
L'ultimo gruppo dei perfrigens può causare invece queste forme di enterite
necrotizzante. Siamo sempre a livello dell'apparato gastroenterico e causa la necrosi
del tessuto colpito. E' una patologia abbastanza rara nei nostri paesi industrializzati
mentre si sviluppa molto più facilmente nei paesi caldi, in soggetti denutriti o
colonizzati da altri parassiti.
La tossina è termolabile e viene distrutta dalle proteasi pancreatiche, ma la
produzione di queste proteasi può essere alterata dalla denutrizione, perché il
soggetto denutrito ha una diminuzione soprattutto di tripsine pancreatiche e in questo
caso può essere facilmente colpito. Oppure il soggetto che si nutre solamente di
vegetali.
C'è stato questo cluster nella Papua Nuova Guinea, che è un arcipelago vicino
all'Australia, abitata da pigmei. In questi soggetti si sono visti due fattori concomitanti
che possono permettere una maggior colonizzazione di questa forma di clostridio: la
presenza di elminti, grossi vermi, parassiti come nematodi, cestodi, trematodi, che
sono grossi vermi che si replicano, il maschio ha forma sempre un po' più piccola come
dimensioni, mentre le femmine sono più grandi e sono quelle che causano l'infezione.
Anche le teniae appartengono agli elminti e possono arrivare anche a diversi metri di
lunghezza, perché una tenia con le sue proglottidi può arrivare fino a dieci metri.
Anche gli elminti più piccoli visti a occhio nudo possono misurare anche qualche
centimetro, il meccanismo patogeno degli elminti in generale non coinvolge una
tossina o l'innesco di una citolisi cellulare, o un'alterazione cellulare come nei virus,
ma l'ostruzione meccanica. Prima di tutto la maggior parte degli elminti si nutre di
sangue, quindi determina anemia nel nostro organismo, poi l'ostruzione meccanica.
Quindi in questi soggetti della Papua Nuova Guinea, che sono stati soggetti bisfrattati,
perché prima degli anni '90 tutti andavano là e studiavano queste perone perché
erano una popolazione cannibale, con abitudini estremamente interessanti, noi
europei abbiamo distrutto questi soggetti portando morbillo, parotite, rosolia, malattie
che loro non conoscevano e che quindi sono state mortali. In cambio hanno studiato
determinate situazioni nei Papuani ed è stata diagnosticata per la prima volta una
malattia da prioni dovuta all'ingestione di cervello. Queste malattie prioniche che
causavano demenza furono studiate solo nell'ambito di queste incursioni caucasiche
quando morì un missionario, al quale era stato offerto il cibo; queste forme di malattie
erano osservate solo nei maschi di queste popolazioni, perché le donne erano escluse
dal sedersi per cibarsi di cervello.
Questa tossina che determina enterite necrotizzante è quindi agevolata dalla
denutrizione o perché ci può essere co-infezione in alcuni soggetti da parte di elminti
che producono degli inibitori della tripsina oppure con alimenti solamente vegetali che
sono ricchi di inibitori della tripsina (questo ci fa pensare che la cosa migliore sia
sempre una dieta equilibrata).

Clostridium difficile
E' un clostridio molto diffuso, in laboratorio arrivano sempre 30-40 campioni ogni
giorno. E' responsabile di alcune forme di diarrea che sono abbastanza frequenti,
classificate come diarrea da antibiotici. Queste forme quindi possono avvenire perché
c'è una super colonizzazione di questi clostridi in seguito a dei trattamenti con farmaci
antibiotici che sono in grado di modificare la flora batterica intestinale, quindi
l'eliminazione della nostra flora batterica intestinale totale, quindi (un riequilibrio della
flora intestinale lo possiamo sempre apportare mediante fermenti lattici o altri
metodi). Si può avere così la crescita di questi clostridi che nelle forme più gravi porta
alla cosiddetta diarrea in seguito ad antibiotici, situazione non sempre correlata con
l'uso di antibiotici, ma dovuta sicuramente a uno squilibrio della nostra flora batterica
intestinale. Nelle situazioni più gravi sempre questa colonizzazione di clostridi che
crescono in assenza della flora batterica intestinale ed elaborano le loro tossine che
determinano una necrosi emorragica molto elevata della mucosa intestinale che può
sfociare in colite pseudo membranosa.
Abbiamo delle infezioni endogene nei soggetti che portano il clostridium difficile
all'interno dell'intestino, oppure delle infezioni che noi acquisiamo dall'esterno
introducendo del cibo contaminato.
La tossina determina la rottura delle membrane giunzioni intercellulari il distacco
quindi della membrana basale, l'eliminazione di liquidi e, nel caso più grave, lesioni
necrotiche quindi con emorragie a livello intestinale. Queste si evidenziano anche
tramite feci ricche di sangue.
Per quanto riguarda la diagnosi di infezione, questa va fatta normalmente su materiale
fecale e andiamo a cercare direttamente la tossina con un saggio immunoenzimatico.
I campioni che arrivano in laboratorio sono soprattutto di bambini, perché è facilmente
trasmissibile, in ambiente nosocomiale quindi la presenza dell'antigene clostridium
difficile fa diagnosi di infezione.

Da qui in poi tratteremo microorganismi che sono caratterizzati dall'essere dei parasiti
cellulari, parleremo di Bartonelle e Chlamydie, sono entrambi parassiti intracellulari,
quindi ci ricordano l'infezioni virale.
[La prof non ricorda se le Bartonelle sono nel programma, una ragazza va a controllare
e sembra non ci siano, poi comunque la prof decide di spiegarcele velocemente]

Bartonelle
Alcune bartonelle sono responsabili di una patologia che è chiamata "cat scratch
desease", la malattia da graffio di gatto. Questa malattia ha avuto tantissimi agenti
eziologici nella sua storia, fino a che non si è visto che effettivamente è dovuta a
un'infezione cutanea da parte di batteri che appartengono al gruppo delle Bartonelle.

Ci sono più ceppi di Bartonelle:

 Bartonella bacilliformis Per la prima volta vediamo un batterio che


viene trasmesso attraverso artropodi vettori (fino adesso abbiamo
trattato batteri con cui ci infettiamo per via diretta, per via respiratoria,
per via alimentare, o tramite ferita).
 Bartonella henselae La cui patologia è dovuta a inoculazione
traumatica (è il caso della cat scratch desease).
 Bartonella quintana Responsabili di febbre quintana, difficile da
trovare, che si presenta con intervalli di 5, noi adesso non la vediamo più,
era la cosiddetta "febbre delle trincee". Anche in questo caso trasmessa
tramite pulci, quindi i soldati che vivevano in condizioni igieniche
sfavorevoli, potevano avere pulci che albergavano per esempio nei loro
vestiti.
La Bartonella Bacilliformis è un batterio che può dare contemporaneamente delle
forme cutanee che esitano in verruche e delle forme che vengono spesso precedute o
seguite da delle febbri strane, furono scoperte nel 1800 in Perù. Uno studente di
medicina che si chiamava Carrion aveva capito che le verruche e queste febbri
avevano la stessa causa, quindi si inoculo una verruca per vedere se gli sarebbe
venuta la febbre, ma poi morì. La causa fu identificata pochi anni dopo e la malattia
viene anche chiamata "malattia di Carrion".
E' dovuta alla trasmissione di un artropode vettore, che trasmette da soggetto a
soggetto, la bartonella alberga al suo interno, questa viene poi rigurgitata nel torrente
ematico tramite la proboscide del vettore e va a ledere le cellule endoteliali e viene
trasmessa attraverso questo pappatacio. (Il pappatacio si chiama così perché mentre
si ciba non fa rumore, come invece fanno le zanzare gialle).
Il periodo di incubazione è di circa 2-3 settimane, il primo sintomo che vediamo è una
febbre molto elevata, con anemia emolitica, perché la Bartonella lede le cellule
dell'endotelio, per cui altera la parete dei capillari ed esita con delle macchie cutanee
facilmente visibili. Dopo di che il soggetto può superare la fase acuta e rimane poi in
silenzio. Carrion aveva capito che dopo questo periodo di latenza si possono avere
delle manifestazioni successive, quindi la cosiddetta verruca peruviana. Queste
verruche sono molto evidenti e possono anche diffondere nel caso di cronicizzazione
dell'infezione nel piccolo bambino.
Essendo batteri intracellulari, la diagnosi può essere fatta a livello microscopico da un
bravo batteriologo, oppure possiamo fare un emocoltura. Si trovano proprio all'interno
dei globuli rossi e questo giustifica l'anemia che può colpire il paziente.

La malattia dal graffio di gatto la incontrerete, è determinata dalla bartonella henselae


che può colpire il nostro animale domestico e può essere trasmessa attraverso
l'ingestione da gatto a gatto, che è l'animale reservoir migliore, attraverso l'ingestione
di pulci che possono aver fatto un pasto ematico sul gatto infetto e quindi c'è
diffusione nell'ambito animale.
Noi possiamo essere colpiti e dopo un periodo di incubazione piuttosto breve, abbiamo
un'alterazione a livello del punto di inoculazione, con questa papula che poi si
trasforma in una pustola, che può determinare anche un'adenopatia satellitare, la
febbre è elevata.
Quindi davanti a una situazione di questo genere bisogna scoprire il paziente, cercare
di vedere se ci sono delle punture precedenti, se il soggetto si ricorda nei giorni
precedenti una puntura o se vedete una piccola abrasione della cute, anche a distanza
dall'adenopatia satellitare, perché probabilmente si presenterà dal medico quando
avrà già una sintomatologia. Da adesso in poi queste situazioni vanno tenute in
considerazione sempre più frequentemente, da adesso in poi inizia l'attività vettoriale,
quindi avremo una reviviscenza delle infezioni trasmesse dagli artropodi vettori.
Quindi sono visibili queste forme satellitari ad esempio a livello del collo, abbiamo un
arrossamento dovuto a un edema molto importante, dolore al tatto, quindi c'è
un'infezione e bisognerà fare un'emocoltura per verificare la situazione.

Nel soggetto immunocompromesso, la bartonella può dare delle forme atipiche, come
questo edema e questa alterazione ematica con questa lesione a livello endoteliale
che esita in questo occhio con lesioni e quindi di sangue, prende il nome di "sindrome
oculo ganglionare di Parinaud" con una congiuntivite. Si trova nei soggetti che hanno
subito una prima lesione e per auto inoculazione si toccano gli occhi e diffondono
l'infezione a livello oculare.

Queste forme pseudo-verrucoidi sono presenti nei soggetti HIV-positivi e presentano


questa angiomatosi bacillare, quindi l'endotelio prolifera e abbiamo la formazione di
noduli.

Questa forma va investigata e va fatta una diagnosi differenziale anche con altri
agenti infettivi, può farci confondere con il sarcoma di Kaposi, una forma tumorale
cutanea che prima degli anni '80 si vedeva solo nelle persone anziane, ma dopo questi
anni si sono viste frequentemente nelle persone molto giovani infette dal virus
dell'immunodeficienza acquisita. Anche il sarcoma di Kaposi ha avuto correlazione con
tantissimi agenti eziologici o con diverse proteine prodotte da agenti eziologici, c'è
stato un momento in cui si pensava a una stretta correlazione con una proteina non
strutturale dell'HIV. Oggi sappiamo che il Kaposi è determinato da un herpes
(studieremo con la professoressa Lazzarotto gli herpes 1, 2, 3, 4, fino al 6, 7, 8, che
sono virus di recente acquisizione e l'8 pare sia responsabile del sarcoma di Kaposi).
Quindi in queste situazioni bisogna investigare e fare una diagnosi differenziale.
Quindi che siano o non siano in programma le Bartonelle, cominciamo a memorizzare
che i batteri che trattiamo adesso sono parassiti intracellulari obbligati, abbiamo visto
per la prima volta i batteri che causano il cat scratch desease, che vengono trasmessi
attraverso degli artropodi vettori.
(Riferendosi alle slides dopo, la prof dice solo: queste ve le abboniamo)

Chlamyidie
Sono dei batteri gram negativi, anche loro sono dei parassiti endocellulari obbligati
perché non sono in grado di produrre energia, soprattutto non sono in grado di
produrre ATP e hanno anche un'altra caratteristica diversa dagli altri batteri, pur
essendo dei gram negativi, hanno la particolarità di poter avere una parete cellulare
assolutamente peculiare. La conoscenza di questa struttura delle clamidie ci farà
capire anche perché dobbiamo utilizzare determinati farmaci per colpirle e determinati
metodi per farle crescere.
Essendo parassiti intracellulari, non possiamo usare agar, perché abbiamo bisogno di
un supporto cellulare.
La caratteristica di queste clamidie però è la peculiare parete cellulare, perché loro
pongono fondamentalmente il loro potere patogeno sul lipopolisaccaride (come gram
negativi), poi manca completamente il peptidoglicano, che viene sostituito da una
serie di proteine che sono ricche di cisteina. Quindi abbiamo la membrana
citoplasmatica, non abbiamo peptidoglicano all'esterno, che invece è sostituito da
questo strato di proteine ricche di cisteina, al di fuori si rivestono di un'ulteriore
membrana esterna la quale viene attraversata (come anche il lipopolisaccaride di
membrana) da una serie di proteine peculiari che prendono il nome di MOMPs (major
outer membrane proteins), questo acronimo vuole indicare la presenza di queste
proteine maggiori, che ci serviranno anche per la diagnosi di infezione, che si
proiettano verso l'esterno della clamidia. Il fatto che manchi il peptidoglicano ci fa
pensare che non useremo gli antibiotici che agiscono sul peptidoglicano. Le chlamydie
sono responsabili di uretrite.
Un batterio che abbiamo visto che presenta il peptidoglicano è per esempio
gonorrhoeae, quindi è necessaria una diagnosi differenziale, incontrando un paziente
con uretrite, bisognerà determinare se è causato da una Neisseria gonorrhoeae o da
una chlamydia. Avranno una clinica diversa, perché quella da gonorrea ha questo
secreto purulento evidente nel maschio, ma a un certo punto può ristabilizzarsi e
quindi non essere più evidente, però è molto infettante, è comunque un batterio che
presenta peptidoglicano quindi può essere colpito da antibiotici ad hoc. In attesa di
una diagnosi differenziale, non possiamo utilizzare degli antibiotici a caso, perché se è
determinato da Neisseria avrà un determinato target microbiologico, se è determinato
da clamidie diverso. Quindi la mancanza di peptidoglicano non è solo da memorizzare
come caratteristica, ma anche per la parete esterna di questi microorganismi, ma
soprattutto per quanto riguarda la terapia.
Inoltre la chlamydia ha una caratteristica, che non abbiamo ancora mai visto, ha un
ciclo di replicazione dimorfico, quindi presenta durante il suo ciclo di replicazione delle
forme diverse: la forma "corpo elementare" e "corpo reticolare". La differenza tra le
due è la dimensione, il corpo elementare è piccolo rispetto al reticolare, inoltre ha
parete cellulare rigida, quindi questo è molto resistente, a differenza del corpo
reticolare che ha una parete molto fragile, quindi sarà più vulnerabile. Il corpo
elementare rappresenta la vera parte infettante del batterio, quindi è quello che noi
troveremo che andrà ad infettare la cellula target, all'interno di quest'ultima, il corpo
elementare si trasforma in corpo reticolare ed è quello che noi troveremo all'interno
della cellula. Questi corpi elementari sono in grado di legarsi alle cellule delle nostre
mucose, mediante l'interazione di queste MOMPs, di queste proteine esterne, che
quindi sono classificate come degli antigeni estremamente importanti, che si legano e
quindi possono penetrare mediante un meccanismo di endocitosi, all'interno della
cellula subiscono a poco a poco una idratazione, assumono forme più grandi (da 0,3
µm a 1 µm), e si trasformano in corpo reticolare, dopo alcune ore abbiamo la
disidratazione, il processo inverso, e vengono trasformate in corpi elementari, così
fuoriescono dalla cellula.
Corpo elementaredentro la cellula, corpo reticolarecorpo elementare fuori dalla
cellula.
Questo è un ciclo dimorfico in cui abbiamo la forma infettante che prende il nome di
corpo elementare (con parete cellulare rigida, quindi difficilmente colpibile, ma
dobbiamo comunque attaccarli quando si trovano in questa forma perchè difficile è
anche colpire un microorganismo all'interno della cellula, perché andremmo a recare
danno anche alla cellula stessa, questo è il problema anche dei farmaci antivirali).
Corpo elementare (idratazione)corpo reticolare (disidratazione)corpo elementare

Meccanismo patogeno
Il meccanismo patogeno di base è determinato da una forma infiammatoria dovuta all'
LPS, il lipopolisaccaride, che determina la produzione di citochine pro-infiammatorie
nel soggetto, a livello delle mucose che vengono lese arriva un infiltrato in cui sono
presenti numeri molto elevati di linfociti B e T ed escono con la formazione di follicoli
linfatici.
Non siamo in grado solo con la nostra reazione immunitaria di circoscrivere e di
sterilizzare questo focolaio infiammatorio, ma il processo infiammatorio che continua
può dare esito a delle patologie estremamente importanti, vedremo varie chlamydie
trachomatis, che possono essere, in base al servar responsabili del tracoma endemico,
che è un’infezione dell'occhio, responsabili di infezioni genitali come l'uretrite, o di
infezioni più profonde come il linfogranuloma venereo.

Chlamydie, Mycoplasmi e Spirochete

Il ciclo di replicazione di questi batteri è dimorfico, ovvero alternano due forme: una
prende il nome di corpo elementare che rappresenta la parte infettante e una
prende il nome di corpo reticolare che si trova a livello intracellulare. Dopodiché c’è
un nuovo processo di disidratazione e dalla cellula infettata fuoriescono le nuove
forme infettanti ovvero i nuovi corpi elementari. Tramite il microscopio si verifica
l’eventuale presenza di inclusioni nelle cellule infettate.

Chlamydie trachomatis

Le Chlamydie possono dare diverse patologie in base al serovar a cui appartengono.


Abbiamo visto in linea generale che le Chlamydie hanno una parete cellulare
mancante di peptidoglicano, sostituito da proteine ricche di cisteina. Esternamente
sono presenti i Pamps, antigeni maggiori, contro i quali produciamo anticorpi.
Le Chlamydie sono dei parassiti intracellulari perciò per effettuare diagnosi di infezione
servono colture cellulari e si possono utilizzare terreni abiotici come quelli costituiti
dalle diverse tipologie di agar.
Queste Chlamydie si differenziano in base al serovar:

 Serovar A, B, Ba, C: responsabili di una forma di tracoma endemico.


L'infezione avviene per contagio interumano.
 Serovar D, E, F, F, G, H, I, J, K: responsabili di infezioni genitali, si
trasmettono principalmente per via sessuale.
 Serovar L1, L2, L3: responsabili del linfogranuloma venereo. Più
localizzati nei paesi in via di sviluppo.

Serovar A, B, Ba, C: determinano tracoma endemico. L’infezione avviene per


un contagio diretto interumano che determina una lesione di tipo infiammatorio a
livello dell’occhio seguita da edema palpebrale e congiuntivite con secreto esterno.
Normalmente la prima differenziazione tra infezioni batteriche e virali, a livello di
occhio, si basa sulla secrezione congiuntivale causata dalle batteriche, assente invece
per le virali (con eccezioni). Nella diagnosi non vanno confuse perché si utilizzano
farmaci completamente diversi: l'utilizzo di antibiotico o cortisone per un’infezione
virale può causare vari problemi successivi.

Lo stato infiammatorio che si accompagna con edema soprattutto localizzato a livello


della palpebra, determina una congiuntivite follicolare che esiterà in una
cicatrizzazione, la palpebra si ritrae. La presenza di questa cicatrizzazione nel margine
palpebrale, solitamente il superiore, causa un continuo sfregamento meccanico, un
grattamento, che può determinare lesioni traumatiche della cornea, la quale può
esitare nella cecità .

Soprattutto nei paesi in via di sviluppo la diffusione di questo serovar della Chlamydia
causa per contagio diretto il tracoma endemico che può sfociare in cecità. Guardando
la foto si osserva: retrazione delle ciglia verso l’interno con parte cicatriziale che lede
la cornea, con il tempo porta a cecità (si osservi l’opacità della cornea).
Serovar D, E, F, F, G, H, I, J, K : più di nostro interesse da un punto di vista
epidemiologico in quanto potrebbero essere incontrati più frequentemente.
Trasmessi principalmente tramite via sessuale, determinano in loco infezioni genitali
che possono poi colpire anche gli organi esterni per contaminazione meccanica del
soggetto stesso.

Normalmente si presentano delle alterazioni a livello dell’uretra o cervice uterina per


la donna, non sempre con secrezioni purulente. Nel caso in cui esse ci siano, sono
meno evidenti rispetto alle secrezioni dell’uomo colpito da forme di gonococco e
gonorree. Anche se scarsamente purulento non si elimina la possibilità della presenza
del secreto.

L’uomo può presentare uretrite scarsamente purulenta che può andare a


cronicizzazione se non trattata e congiuntivite per auto inoculazione a livello
dell’occhio (contaminazione meccanica). Nella donna si ha cervicite spesso
paucisintomatica [con scarsi sintomi], con secreto non abbondante. Si possono avere
complicazioni estremamente importanti, in quanto il batterio può in seguito propagarsi
a livello delle tube di Falloppio e determinare un processo infiammatorio
estremamente evidente, ovvero un’endometrite, portando ad infertilità. Inoltre si può
avere un’infezione pelvica con forte infiammazione chiamata PID (Pelvic Infiammatory
Disease); con complicazioni ulteriori può colpire anche il fegato determinando
periepatite.
Se una madre in gravidanza è infetta, durante il passaggio nel canale del parto il
bambino si può contaminare e presentare congiuntivite; nelle forme più gravi può
presentare anche polmonite caratteristica da Chlamydia.

I sintomi principali nella donna sono un bruciore durante la minzione e un secreto


vaginale non presente precedentemente. Con questi sintomi vanno indagati tutti i
microrganismi che possono essere patogeni a questo livello: Neisserie, E. Coli
localizzato, funghi come la candida, ognuno dei quali dà secrezioni specifiche con
piccole variazioni di colore e odore.
Sintomi nell’uomo: secrezione a livello del pene e bruciore durante la minzione e
dolore a uno o entrambi i testicoli.

Sia l’uomo che la donna possono infettarsi a livello rettale, o per un’infezione diretta
dovuta a rapporti anali, o in modo meccanico per contaminazione dalla zona genitale
alla zona rettale. Anche in questo caso abbiamo: dolore, secrezione e sanguinamento
dovuto a lesioni della mucosa rettale in seguito a processi infiammatori.

Nel neonato si ha l’infezione durante il passaggio del canale del parto con
congiuntivite estremamente evidente che può presentarsi subito a distanza di 4-5
giorni dal parto, in dipendenza dalla carica infettante della madre.
Durante la gravidanza una delle indagini che va eseguita è il controllo della presenza
di una forma asintomatica della Chlamydia. Questo ci interesserà alla fine del nostro
corso di lezioni perché studieremo una serie di infezioni che si trasmettono o durante
la gravidanza con passaggio attraverso la barriera placentare oppure durante il
passaggio del canale del parto.
Il bambino oltre a presentare una congiuntivite può presentare una polmonite di tipo
interstiziale ben evidente e con conseguenti complicazioni importanti.

Riassunto: i serovar A, B, Ba e C sono responsabili di alterazioni della congiuntiva che


esita soprattutto a livello palpebrale con un esito cicatriziale. La cicatrice che si viene
a formare determina una lesione meccanica della cornea che può portare a cecità. I
serovar da D a K sono responsabili di infezioni genitali, uretriti non sempre purulente o
scarsamente purulente, che si manifestano nell’uomo e nella donna con dolore alla
minzione e con presenza di secreti. In entrambi i casi possono dare infezioni anche
localizzate nel retto, o per una contaminazione meccanica o per rapporti anali; la
mucosa rettale viene lesa e oltre ai sintomi precedenti si possono avere secreti
ematici. Nel bambino invece si ha congiuntivite e polmonite interstiziale..

Serovar L1, L2, L3: responsabili del linfogranuloma venereo. Questo esita con
la presenza di papule che vanno incontro a un’ulcerazione e poi cicatrizzazione a
livello genitale. Può interessare i linfonodi regionali e può diffondersi anche in questo
caso a livello rettale. Il contagio è dovuto ad un rapporto sessuale con fonte infetta.
Si ha formazione di una vescicola ricca di secreto, ovvero ricca di Chlamydie, che va
incontro ad ulcerazione con interessamento dei linfonodi i quali si fistolizzano, cioè
comunicano con l’esterno attraverso un canale permettendo al microrganismo di
andare a contatto con l’ambiente esterno. Questo canale, ovvero la fistola, è dovuto
ad un processo infiammatorio di forma ascessuale, molto dolorosa e ricca di pus che
fuoriesce. Dopo di ciò si ha la diffusione perianale, la retrazione cicatriziale che
comportano un’alterazione della funzionalità del retto; si manifesta con dolore e va
curata sia da un punto di vista terapeutico che meccanico.

Quindi si ha una malattia a stadi successivi, ci sono vari step che possono essere
bloccati con la terapia, ma se il soggetto non viene trattato esitano in situazioni
pericolose.

Diagnosi d’infezione:
Il materiale biologico di analisi utilizzato nell’uomo può essere il secreto se c’è, ma
soprattutto un tampone uretrale; nella donna un tampone cervicale.
Per poter verificare la presenza delle Chlamydie, sapendo che hanno un ciclo
dimorfico, le analizziamo su microscopio: formiamo un tappeto cellulare che
stendiamo su un vetrino e vediamo la presenza nelle cellule di microrganismi
intracellulari, con morfologia ben caratteristica visibili con colorazioni Giemsa. Con
quest’analisi veloce si verifica la presenza di inclusi intracellulari.
La colorazione Gram negativa sulle Chlamydie è poco visibile in quanto manca il
peptidoglicano e sono molto variabili i risultati nelle differenziali colorazioni di Gram,
perciò normalmente si utilizza Giemsa.
Per coltivare i microrganismi, dato che non è possibile farlo su terreni abiotici, si
utilizzano terreni dove abbiamo fatto crescere cellule fibroblastoidi o cellule di McCoy
all’interno delle quali la Chlamydia può riprodursi. Viene inoculato all’interno delle
cellule il tampone uretrale o cervicale (ovvero il materiale biologico di analisi); essendo
sensibili ad eventuali infezioni da Chlamydia, vengono lese dall’infezione.
Selezioniamo poi con pinze sterili il vetrino dove è avvenuta la replicazione del
batterio e questo viene sottoposto ad una immunofluorescenza indiretta tramite
colorazione con anticorpi specifici (isotiocianato o fluoresceina). Viene reso
fluorescente l’immunocomplesso grazie all’anticorpo che noi immettiamo per trovare
quel determinato antigente e si possono vedere sia fasi extra che intracellulari del
batterio.
(Importante ricordare che per effettuare un’analisi sierologica è necessario conoscere
o anticorpo o antigene. )

Negli ultimi anni per evitare tempi lunghi di questi metodi si utilizzano altre tipologie di
analisi.
Le Chlamydie del serovar dal D al K nell’uomo e nella donna vengono eliminate anche
attraverso le urine. Ora si richiede raramente un tampone uretrale (anche perché non
molto comodo) e si va a ricercare la Chlamydia nelle urine utilizzando una multiplex
PCR per distinguere vari patogeni responsabili di uretriti.
Domanda: “Anche nella donna può esserci uretrite?”
Risposta: “Nella donna può toccare anche l’uretra ma principalmente la parte
cervicale. È comunque meno sintomatica rispetto all’uomo, ma con persona positiva
vanno controllati i partner. La possibilità di controllare i contatti non sempre viene
presa molto in considerazione per questioni di privacy, ma è molto importante stabilire
il timing delle infezioni, che sia da una settimana o cronica, per ricercare i partner del
periodo interessato che potrebbero presentare un’infezione asintomatica, la quale
deve essere sottoposta a terapia per evitare che questa propaghi.”

Ricapitolando, abbiamo parlato della ricerca microscopica delle inclusioni per le forme
che possono toccare la congiuntiva; per le Chlamydie del serovar dalla D alla K va
utilizzato il materiale uretrale quando possibile, verificando con cellule sensibili come
le cellule fibrobalstoidi la presenza di inclusi (corpo reticolare). In alternativa si utilizza
l’urina sottoposta a multiplex PCR. A distanza di tempo si effettua l’esame sierologico
per la presenza di anticorpi IgG e/o IgM, mediante saggi immuno-enzimatici quali
ELISA.

Chlamydia pneumoniae
Oltre alla Chlamydia trachomatis suddivisa nei tre gruppi che causano congiuntiviti,
uretriti e linfogranuloma venereo, abbiamo Chlamydie che possono essere prese per
via respiratoria (aerogena) e possono colpire il polmone: la Chlamydia pneumoniae.
Può dare forme banalissime asintomatiche o leggere o dare forme che colpiscono il
polmone quindi infezioni respiratorie profonde o possono esitare in forme croniche.

Nonostante sia un patogeno delle prime vie aeree respiratorie in alcuni studi hanno
visto una correlazione tra Chlamydia pneumonie e placche aterosclerotiche. In questi
studi, molto importanti in quanto uniscono il dato epidemiologico al dato
batteriologico, si è visto che in alcuni soggetti che presentavano placche
aterosclerotiche, c’erano elevatissimi livelli di anticorpi nei confronti di Chlamydia che
perduravano nel tempo, non una curva che si abbassava che poteva far pensare prima
ad una forma acuta e poi ad una guarigione.
Analizzando la placca hanno verificato la presenza della Chlamydia pneumoniae a
livello del tessuto, mediante microscopia elettronica e soprattutto PCR. Questi studi
nascono da studi epidemiologici in cui si era cercata di verificare una correlazione tra
presenza di ulcera peptica e un microrganismo come un batterio che possa essere
curabile. Si sono studiati altri virus correlati alla formazione di placche
aterosclerotiche come ad esempio il citomegalovirus e tutti gli herpes, ma la buona
correlazione la si è trovata con la Chlamydia pneumoniae. Un’ulteriore prova è la
terapia antibiotica che ha dato buoni riscontri.

Chlamydia psittaci
È un’infezione aerogena che acquisiamo per via respiratorie la cui fonte principale
sono gli uccelli: principalmente i pappagalli e i piccioni eliminano tramite le feci questa
forma di Chlamydia che si trasmette per inalazione.
Può dare forme variabili di psitacosi: forme asintomatiche, una forma simil-influenzale
o una forma polmonare che esita in una polmonite interstiziale, la quale può poi
diffondere e dare una forma sistemica invadendo la corrente circolatoria e raggiungere
organi a distanza. Questa forma più grave si presenta con febbre elevata, tosse non
produttiva e lesione a livello interstiziale nel polmone. Presenta, come le altre diverse
forme interstiziali, varie fasi: una prima fase della prima settimana con edema, poi
una fase proliferativa e infine fibrotica che causa grosse difficoltà nella respirazione.
Il 5% di casi trattati può andare incontro a coma e morte, per i casi non trattati la
percentuale si alza al 30%.

Classificazione micoplasmi patogeni


Nel libro di testo questi micoplasmi sono tra gli ultimi patogeni che studierete,
classificati come Mycoplasmataceae. Sono caratterizzati da assenza della parete
cellulare e nella crescita su agar rimangono affossate nel terreno. Sono i più piccoli
batteri che conosciamo, appartengono a questa grande famiglia delle
Mycoplasmataceae, di cui studieremo il genere Mycoplasma specie Mycoplasma
pneumoniae e il genere Ureaplasma specie Ureaplasma urealyctum che colpisce
generalmente gli organi genitali.

Mycoplasma pneumoniae
Hanno nella membrana cellulare per proteggersi dall’esterno una quantità cospicua di
steroli che permette loro sia la sopravvivenza ma anche il pleiomorfismo (con
microscopio elettronico possiamo osservare forme diverse).
Il Mycoplasma pneumoniae si trasmette per via aerogena, può colpire il polmone ed è
frequente nell’adolescenza (è di grande interesse pediatrico). Aderisce alla superficie
della cellula target grazie alla produzione di una tossina citostatica, l’adesina, che
blocca le ciglia per cui il batterio non può essere eliminato spontaneamente;
dopodiché si introduce nella cellula e inizia un processo flogistico.
Il periodo di incubazione è variabile circa poco più di una settimana; produce emolisina
(che abbiamo già studiato nello stafilococco) la quale lega la parete della cellula target
provocando alterazioni della stessa che possono portare all’apoptosi. Determina quindi
lesioni a livello polmonare con conseguente reazione infiammatoria che può esitare in
polmonite colpendo le vie respiratorie profonde.
Si osservino nell’immagine al di sopra le colonie rigonfie, dall’aspetto preciso e
abbastanza incolori. Per prendere campioni biologici è ottimale effettuare un lavaggio
bronchiale. Si può anche determinare la presenza di anticorpi contro il Mycoplasma e
differenziare tra IgG e IgM. Sono infezioni frequentemente pediatriche e in alcuni casi
colpisce anche il paziente anziano.

Ureaplasma urealyticum
L’ureaplasma urealyticum è responsabile di uretriti e può causare anche prostatiti
acute nel caso in cui si cronicizzi.
Va controllata la presenza del batterio nella donna in gravidanza perché può
determinare un processo infiammatorio a livello della placenta e invadere il sacco
amniotico provocando un’infezione che persiste nel tempo, causando anche un parto
prematuro. Sono state isolate queste infezioni nel 10% delle donne con sintomatologie
post parto. Tutto ciò che può determinare problemi nel bambino durante la gravidanza
va sempre controllato.
L’ureaplasma può essere isolato nel sangue della madre, nel cordone ombelicale, nel
sangue del bambino appena nato. In un numero minore di casi può invadere il sistema
nervoso centrale del neonato e causare infezione meningea.
Si effettua la diagnosi differenziale di agenti patogeni che possono essere responsabili
di uretriti utilizzando come campione clinico le urine analizzato tramite multiplex PCR,
utile anche per individuare Neisseria, Gonorrea e Chlamydia.

Le spirochete
Alle spirochetacee appartengono diversi microrganismi responsabili di processi
patogenetici importanti nel nostro organismo. Sono batteri allungati con una o più
curvature lungo l’asse principale, si avvolgono a spirale, sono sottilissimi per questo
paragonati nella forma a un capello. Questo indica che non si vedono al microscopio e
la colorazione Gram non è osservabile perché hanno la parete esterna così particolare
che necessita di essere impregnata di argento per essere vista, utilizzando un
particolare tipo di microscopio (non ottico o rovesciato utilizzati nella routine di
laboratorio).

Il numero delle curve definisce le diverse tipologie di spirochetacee; hanno uno o più
flagelli a livello intracellulare che percorrono tutto il batterio e danno loro grande
mobilità. Sono caratterizzati quindi da questo apparato locomotore formato da fasci di
fibrille che, contraendosi, permettono il movimento dell’endoflagello .
Studieremo il treponema responsabile della sifilide, le borrelie trasmesse tramite un
vettore ad esempio pidocchi o zecche, la leptospira eliminato dalle urine e feci di
animali infetti quali ratti.

Treponema
Riconosciamo: treponema pallidum pallidum, endemicum, pertenuee e carateum con
manifestazioni cliniche differenti di cui la più nota è la sifilide causata dal treponema
pallido in senso stretto.
Sono infezioni trasmesse per contagio venereo ma anche per contatto diretto causato
dalle secrezioni che contaminano utensili di uso quotidiano.

I ritmi di replicazione sono lenti perché il soma batterico è pesante per la produzione
dei fasci di fibrille: impiega circa 30 h il treponema pallidum, il tempo è più breve per
gli altri gruppi.

Il treponema pertenue causa yaws o frambesia che è una forma attenuata con lesioni
cutanee. Il treponema carateum causa il mal del pinto che determina una discromia,
chiazze della cute.

>Treponema pallidum
Presentano da 6 a 14 curve, crescono a bassa tensione di ossigeno non su terreni
artificiali ma solamente su animali da laboratorio, molto bene nel coniglio in particolar
modo nel testicolo di coniglio; ora non si fa più.
La trasmissione avviene per contagio sessuale, attraverso la placenta, per trasfusioni
di sangue ed è possibile anche la trasmissione tra il personale sanitario che può
infettarsi con lesioni presenti nel soggetto fonte. Non è più un problema per le
trasfusioni di sangue perché si ha un controllo del sangue dei donatori.
Il periodo finestra delle infezioni non permette di visualizzare l’infezione recente, ma
grazie alla biologia molecolare si sono superati tutti questi problemi. Le sacche di
sangue vengono date solamente quando si sono verificati i patogeni principali: sifilide,
HIV, HBV, HCV, Toxoplasma e altri.

Il treponema pallido passa attraverso le mucose ma anche tramite lesioni della cute.
Nel modello animale (parliamo del coniglio) nel 50% dei casi bastano solo 2 treponemi
per causare l’infezione, se vengono inoculati 200.000 treponemi (numero basso per i
batteri) abbiamo il 100% di infezione. Il periodo di incubazione è variabile in base
anche al numero di treponemi trasmessi.

L’evoluzione clinica si presenta a stadi:


1)Stadio o sifiloma primario dopo 10-30 giorni il contagio.
2) Stadio o sifiloma secondario dopo 2-4 mesi. Dopo di ciò si può andare incontro a
latenza di lunghezza variabile, ma solitamente dopo 10-20 anni si passa al sifiloma
terziario.
3)Stadio o sifiloma terziario esita in complicazioni a livello del SNC con le cosiddette
gomme presenti anche sulla cute, dopo 20-30 anni dal momento dell’infezione
primaria il paziente può presentare demenza.

Sifiloma primario: si presenta con delle lesioni a livello di organi genitali. Il batterio si
moltiplica formando una papula di dimensione variabile fino a 3 cm, dopo si trasforma
in un’ulcera indolore con tessuto esterno estremamente duro, può coinvolgere le
ghiandole. Questa è la forma più frequente e questo tipo di lesioni possono anche
colpire la bocca e fondamentalmente la lingua. In generale nell’uomo colpisce il pene
e il glande, nella donna può colpire la vulva, la vagina, la cervice; in questo stadio in
cui la papula si trasforma in un’ulcera si può determinare anche una linfadenite
satellitare.
Il sifiloma primario va curato tramite un trattamento farmacologico altrimenti il
sifiloma primario passa allo stadio successivo di sifiloma secondario.
La papula è ingannevole perché può cicatrizzare spontaneamente anche in assenza di
terapia e far pensare al soggetto di una guarigione, mentre in realtà l’infezione
raggiunge lo stadio successivo.

Sifiloma secondario: ha una manifestazione clinica differente in quanto può


presentare una forma esantematica, lesioni a livello di bocca e mucose genitali, febbre
non elevata ma linfonodi satelliti molto infiammati. L’esantema si può presentare su
vari distretti del nostro organismo: sugli arti o ad esempio sulla bocca.

Queste lesioni possono presentarsi sotto varie forme: come dei patch di color rame-
rosso scuro, in alcuni casi presentano dei blister biancastri pieni di treponema che al
momento della rottura possono contagiare in modo diretto. In questo stadio il
trattamento è tardivo ma c’è ancora la possibilità di curare dall’infezione.
Dopodiché va in latenza, permane in modo silenzioso per un numero variabile di anni e
per il 15-30% dei casi il batterio arriva al SNC, al sistema cardiovascolare e, tramite il
sangue, ritornare a livello cutaneo determinando la sifilide terziaria.

Sifiloma terziario: è caratterizzato da delle lesioni formate da focolai di


infiammazione granulomatosa che vanno incontro a necrosi colliquativa. Sono le
cosiddette gomme della sifilide e si manifestano a livello degli arti inferiori e superiori
e soprattutto possono arrivare al SNC.
Una lesione del genere può far ricordare l’infezione di alcuni clostridi, visti la lezione
precedente.
Le gomme sono normalmente circolari con forma abbastanza definita, non sono
dolorose e oltre la cute possono colpire gli organi interni come il fegato, lo stomaco, le
vie respiratorie ma soprattutto come già detto possono attaccare il SNC e portare a:
meningite, demenza, atassia, forme di neuropatie periferiche che possono addirittura
ulcerare il nervo.

La sifilide è una malattia a trasmissione sessuale che sta riemergendo insieme alle
Chlamydie trachomatis.
Ci sono numerosi nuovi casi all’anno determinati dal protozoo Trichomonas vaginalis
(248 milioni), da Chlamydia trachomatis, da gonococco, da Treponema pallidum (11
milioni). Il ritorno delle malattie veneree è stato denunciato da tutti i paesi europei.

Sifilide congenita
Nel bambino l’infezione da sifilide può esitare nell’aborto o può determinare delle gravi
lesioni che si presentano come ritardi dello sviluppo che possono palesarsi presto o più
tardi.
La trasmissione verticale avviene nel 100% dei casi con la sifilide primaria durante, la
quale c’è una replicazione estremamente elevata del microrganismo, nel 40% dei casi
nella fase di latenza precoce e nel 10% nella fase di latenza tardiva. Per la sifilide
terziaria non ci sono dati di trasmissione verticale. La sifilide va controllata sempre e
comunque durante la gravidanza.

La trasmissione della sifilide congenita avviene dopo la 16esima settimana quando la


placenta è già formata. Prima della gravidanza va controllata la presenza di anticorpi
anti-treponema pallidum e va monitorato durante la gravidanza perché ci si potrebbe
infettare in seguito.
Si può avere:

o morte precoce;
o manifestazioni postnatale precoci (entro i primi due anni di vita): si
hanno le stesse manifestazioni della sifilide secondaria con formazione di
vescicole ricche di treponemi a livello del palmo della mano, pianta del
piede con blister ricchi di pus che possono arrivare a 1 cm di diametro,
rinite cronica iperplastica nel caso sia colpito il naso e idrocefalo. Sono
manifestazioni molto gravi.

o manifestazioni postnatale tardive (oltre i primi due anni di vita):


tipiche del sifiloma terziario con interessamento di vari organi. Può
determinare alterazioni a livello delle ossa del palato, del naso e degli arti
e si formano le tipiche gomme siflitiche. Il bambino può presentare la
triade Hutchinson caratterizzata da: cheratite, sordità, lesioni dentarie
con denti a cacciavite. Oltre a ciò anche vescicole su mani e piedi e
congiuntivite. È una forma gravissima, ma oggi per fortuna queste
situazioni sono rare.

Meccanismo dell’azione patogena


Il treponema è un batterio invasivo, mobile grazie all’endoflagello ed evade anche la
nostra risposta immunitaria perché le proteine di membrana, di cui si riveste per il
makeup antigenico, sono poco antigeniche per cui non produciamo una elevata
quantità anticorpi neutralizzanti, ma determina una forte risposta infiammatoria.
La diagnosi di infezione può essere fatta a livello microscopico, ma oggi è quasi
impossibile. Essendo la parete estremamente sottile, correlata alla possibilità di
movimento, vengono trattati con impregnazione argentica prima di essere messi su un
vetrino per renderli visibili.
Si può effettuare inoltre una diagnosi sierologica e stabilirla nel tempo per monitorare
gli stadi dell’infezione. È il primo caso in cui si possono fare questi test sierologici
sfruttando le caratteristiche antigeniche dei batteri.

Conclusione Spirochete e Protozoi

Riepilogo lezione precedente


Nell’ambito delle Spirochaetaceae è stato introdotto il Treponema pallidum e altri
generi di treponema sempre in relazione alla sifilide o a sue diverse forme. Questa
malattia è determinata dal Treponema pallidum pallidum, un batterio allungato
sull’asse principale e con una parete estremamente sottile: per poterlo osservare al
microscopio occorre un’impregnazione argentica. È caratterizzata da 3 stadi (1°, 2° e
3°), nell’ambito dei quali può presentarsi una forma latente, silenziosa, che si sviluppa
in tempi lunghi e che può provocare alterazioni gravi, soprattutto a livello del SNC con
la formazione delle cosiddette gomme cerebrali, che si possono formare anche in altri
distretti dell’organismo.
Può essere trasmessa con il sangue quindi ci sono molti controlli sull’eventuale
presenza di Ab specifici nei confronti del treponema nel sangue delle donazioni. Può
essere trasmessa dalla madre al feto, quindi il test viene fatto a tutte le donne durante
la gravidanza, con particolare attenzione per i soggetti a rischio dato che il neonato
può avere sequele particolarmente gravi che si manifestano in tempi brevi o dopo un
certo periodo di latenza. Come per le altre malattie trasmissibili dalla madre al feto in
gravidanza, tanto più è precoce la trasmissione dell’infezione tanto più questa è
teratogena e grave, in particolare modo se avviene nel primo trimestre di gestazione
dato che il feto non è ancora ben formato e il SNC è ancora nelle prime fasi di
sviluppo. Quest’ultima è, infatti, la struttura più colpita in questi casi con conseguenze
come l’alterata formazione dell’orecchio o dell’occhio.

Diagnosi Treponema pallidum


Per la diagnosi non viene usato normalmente il microscopio perché è un esame diretto
e il Treponema non riesce a crescere né in colture biotiche né abiotiche. L’unico modo
per farlo moltiplicare è inoculare una coltura precedente di Treponemi vivi nel testicolo
di coniglio, ma ciò oggi viene fatto solo a livello industriale per ricavare gli Ag da usare
per i test immunoenzimatici, non per la diagnosi diretta.
In principio, nelle prime diagnosi di sifilide si vide che i soggetti affetti da sifilide,
detti luetici (lue è sinonimo di sifilide, ndt), presentavano un elevato livello anticorpale
nei confronti del cosiddetto Ag di Wasserman, che successivamente si scoprì non
essere un Ag specifico del Treponema, ma un Ab della classe delle reagine prodotto nei
confronti di una sostanza presente solo in seguito a certe infezioni, soprattutto nei
soggetti luetici. Tale sostanza è la cardiolipina, un fosfolipide normalmente presente a
livello della membrana mitocondriale: quando le cellule vengono danneggiate da un
meccanismo patogeno, la cardiolipina viene esposta all’esterno e quindi vengono
prodotti Ab anti-cardiolipina. In generale si parla di antigeni non treponemici, ovvero
Ag non specifici che si trovano nel sangue dei soggetti infetti, ma che non sono parte
del batterio o suoi prodotti. Questo Ag di Wasserman venne poi usato per la reazione
di fissazione del complemento in cui la presenza di Ag e Ab veniva appalesata dal fatto
che l’immunocomplesso fissa il complemento, questo processo fu usato fino a fine
anni ’80.
Oggi si effettuano ricerche sierologiche usando Ag treponemici, cioè specifici del
soma batterico, oppure Ag non treponemici che si basano sulla presenza delle reagine
sopra citate. Le reazioni sierologiche sono fondamentali dato che non si ricerca il
treponema direttamente al microscopio. Dato che la risposta anticorpale è abbastanza
rapida nei confronti delle infezioni da sifilide, nel giro di 1-3 settimane dal primo
contatto vengono prodotti Ab. Il periodo finestra, quindi, è abbastanza limitato (la
valutazione del periodo finestra è molto importante nell’ambito delle trasfusioni). Di
solito si fa una coppia di test, uno basato sugli Ag treponemici e l’altro sugli Ag non
treponemici.
Il primo esame che viene fatto è un saggio immunoenzimatico (test ELISA) in
grado di rilevare nel siero di diversi soggetti la presenza di Ab contro Ag treponemici
fissati nei pozzetti della piastra. In seguito, questo deve essere confermato da altri test
più specifici, soprattutto in caso di positività, ma anche in caso di risultato di risultato
negativo sospetto a causa delle manifestazioni cliniche del paziente. I test di conferma
sono:

 TPHA (Treponema Pallidum Haemoamagglutination Test) che sfrutta la


capacità emoagglutinante degli Ag treponemici: vengono legati ai globuli
rossi i quali sono agglutinati in presenza degli Ab specifici nel siero del
paziente.
 RPR (Rapid Plasma Reagin) card Test che è basato sulle reagine, Ab contro
Ag non treponemici caratterizzate da una breve durata, per tale motivo se
risulta positivo evidenzia una infezione recente.
Se entrambi sono positivi significa che l’infezione è recente, se è positivo solo il TPHA
e il RPR è negativo è probabile che l’infezione sia datata in tempi molto precedenti
rispetto all’analisi. Non viene utilizzato il test dell’avidità né la ricerca di IgM, che
vengono scarsamente prodotte in seguito a infezione da Treponema.
Un test ancora più specifico è l’immunoblot (o western blot), che si basa sulla ricerca
di Ab rivolti contro i singoli Ag che compongono il make-up antigenico del batterio:
permette, quindi, di evidenziare anche il decorso dell’infezione sulla base dei diversi
Ab prodotti (es: identificazione di Ab rivolti contro proteine a basso piuttosto che ad
alto PM può avere significati diversi in relazione all’infezione in atto). Questo test
consiste in un’elettroforesi su gel delle proteine batteriche che vengono così separate
in base al peso molecolare, con successivo trasferimento delle stesse su nitrocellulosa
mediante cariche elettrica. Qui, tramite reazione immunoenzimatica, verranno
identificate le proteine batteriche tramite l’aggiunta di Ab specifici.
In genere se il test è negativo ma ci sono forti sospetti d’infezioni, si ripete il
prelievo di sangue dopo una settimana per vedere se c’è stato un aumento del titolo
anticorpale o una sieroconversione, considerata tale solo se il titolo anticorpale è
aumentato di almeno 4 volte (es: da 1/20 a 1/320; se aumenta di meno si parla solo di
incremento di titolo).
Bisogna fare particolare attenzione alle donne in gravidanza perché possono
presentare una risposta anticorpale atipica dovuta ad alterazioni del sistema
immunitario dovuto alla gravidanza stessa, quindi i livelli anticorpali vanno sempre
tenuti in osservazione.
Altri Treponemi:
Treponema pallidum endemicum
È la causa eziologica della sifilide endemica o Bejel. Si trasmette per contagio diretto
interumano (non necessariamente venereo come per il T. pallidum pallidum) oppure
mediante contatto con utensili usati per l’alimentazione o mediante lesioni a livello
mucoso o cutaneo.
Anche in questo caso si possono distinguere diversi stadi:

I Non ci sono manifestazioni evidenziabili;


II Comparsa di chiazze sulla mucosa orale e sulle labbra e di papule sulla
lingua. A questo punto diffonde nell’organismo e può causare ulcerazioni
e periostiti delle ossa lunga.
III Manifestazioni gommose, di tipo distruttivo a carico di cute e ossa
(tropismo diverso dal T. pallidum pallidum).
È diffusa nei paesi in via di sviluppo, in particolare nell’Africa dell’Ovest e centrale,
nella Nuova Guinea australiana e in Arabia saudita nelle popolazioni nomadi. Colpisce
soprattutto i bambini (fra i 2 e i 15 anni) trasmessa direttamente mediante lesioni.

Treponema pallidum pertenue


Questo tipo di treponema determina la forma di sifilide detta Frambresia, è
caratterizzata da contagio diretto come la precedente e presenta diversi stadi:

I Formazione di una papula cutanea, a volte pruriginosa, la quale va


incontro a ulcerazione e poi spontaneamente a cicatrizzazione, senza
terapia
II Le ulcere cicatrizzate determinano la comparsa di macule furfuracee, che
si desquamano, su tutto il corpo
III Formazione di gomme, in questi casi spt a livello degli arti, ricche di
treponemi. Il contagio, quindi, avviene tramite contatto con la cute
infetta, soprattutto se il soggetto ricevente presenta lesioni.

Treponema pallidum carateum


Questo treponema provoca la Pinta (o Mal del Pinto), una forma cutanea con discromie
della cute molto evidenti ma confondibili con quelle provocate da alcuni funghi [che
verranno affrontati in successive lezioni].
Dopo un periodo di incubazione variabile da 1 a 4 settimane, si presenta il I stadio con
la formazione di una papula cutanea accompagnata da infiammazione che provoca un
eritema evidente. A questo fa seguito la comparsa su tutto il corpo di macchie
rossastre, prima iperpigmentate e poi, nel II stadio, depigmentate. Esitano quindi in
sequele a livello cutaneo, innocue per il contagio ma ben evidenti (la pelle
difficilmente torna alla stato iniziale).
Quindi in generale la forma più importante di treponema è il pallidum pallidum, le altre
sono importanti più che altro nei paesi tropicali e in via di sviluppo (Africa centrale,
zone subequatoriali, Arabia Saudita,…). Sono tutte forme a stadi (2 o 3); spesso la
diagnosi è clinica, a meno che non si tratti di uno stadio intermedio con lesioni
cutanee ricche di treponemi da cui prelevare un campione.

Le Borrelie
Nell’ambito delle spirochete ci sono anche un gruppo di batteri, le Borrelie, che non
vengono trasmesse per contagio interumano, ma tramite un vettore: una zecca o i
pidocchi. Le zecche possono trasmettere due tipi di Borrelie: quelle responsabili di
forme febbrili ricorrenti e quelle che provocano la borreliosi di Lyme (o Lyme disease),
scoperta nelle foreste e nei parchi della California in quanto ricchi di zecche (che sono
però presenti anche sulle nostre colline).

Febbre ricorrente
Questo tipo di febbre dura 3-7 giorni, scompare per un certo tempo, ma poi si
ripresenta. Questa alternanza è dovuta alla capacità di queste Borrelie di modificare
gli Ag di superficie (il loro make-up antigenico) durante la replicazione, riuscendo in
questo modo a sfuggire al sistema immunitario dell’ospite. La prima febbre è
provocata da una risposta immunitaria con produzione di Ab contro le Borrelie, che
vengono così contrastate con conseguente calo della febbre; nel frattempo, però, le
Borrelie cambiano il proprio make-up antigenico, rendendo gli Ab prodotti incapaci di
eliminare completamente la carica infettante e quindi, dopo alcuni giorni di
remissione, si ripresenta un picco febbrile.
febbre
gg-settimane

remissione
febbre

3-7gg
2-15gg

La febbre è elevata, il soggetto può avere cefalee e nausea; a volte, dato che le
borrelie possono ledere le cellule endoteliali dei piccoli vasi, si possono presentare
petecchie e piccole emorragie cutanee.
Dal punto di vista dell’anamnesi, quindi, sarà importante sapere dove è stato il
paziente e osservare l’eventuale presenza di morsi di zecche o altri parassiti vettori di
malattie infettive.
La diagnosi si fa con un test immunoenzimatico specifico tramite Ab anti-
borrelia che poi sarà confermato da un Western blot; tramite ricerca di base è possibile
fare la diagnosi anche al microscopio. Il campione va preso durante l’accesso febbrile,
altrimenti non sarà presente nulla al suo interno. I test utilizzati sfruttano diversi Ag
tipici delle borrelie quindi possono identificare Ab rivolti contro le diverse fasi
antigeniche di cui il microorganismo si avvale. Il test verrà eseguito durante i picchi
febbrili per la ricerca diretta o dopo la prima settimana per la determinazione degli Ab.

Borreliosi di Lyme
Il Lyme disease è trasmessa dalla zecca e fu scoperta negli anni ’70 nella Contea di
Lyme dove venne osservato un gruppo di bambini con sintomatologia insolita,
caratterizzata da dolori articolari e febbre.
La borrelia è un batterio molto piccolo, microaerofilo, che vive all’interno delle
zecche e si moltiplica ogni 7-20 ore. È caratterizzata da una serie di Ag esterni
chiamati proteine maggiori esterne (Osp), di vari tipi: in base a queste i test devono
verificare la presenza di tutti questi Ag o degli Ab specifici che vengono prodotti in
risposta alla loro presenza.

Rimozione zecche:
La prima cosa da fare su un soggetto con una zecca è toglierla con pinze, sterili
possibilmente, cercando di stare vicino alla base per estrarre l’apparato buccale della
zecca senza romperlo. È fondamentale che non rimanga nella cute perché
permetterebbe che altre borrelie vengano riversate nel torrente ematico. Se non si
riesce a togliere completamente la testa, bisogna disinfettare con alcol e sfregare
energicamente la pelle con alcol o con preparati a base di iodio, aspettando che la
pelle si rilassi per poi passare a un altro tentativo di rimozione con le pinze. Subito
dopo il morso di zecca si fa sempre una terapia antibatterica per prevenire qualunque
sequela.

Anche le Borrelie, essendo spirochaetaceae, presentano forme a stadi:

I Coinvolgimento cutaneo. Dopo il morso si formano eritemi circolari


migranti, accompagnati da febbre, stanchezza, mal di testa e dolori in
generale; questi eritemi poi daranno artrite cronica migrante. Solo una
piccola % di soggetti malati (<50%) presenta Ab in questa fase;
II (dopo settimane o mesi) Coinvolgimento a livello di articolazione e di
tessuto caridaco, dopo alcune settimane o alcuni mesi ci possono essere
deficit o paralisi, possono essere colpiti pericardio e miocardio, con
conseguente danno a livello di conduzione dell’impulso;
III (in caso di continua assenza di terapia) Coinvolgimento del SNC. In più, il
coinvolgimento cutaneo è diventato estremamente grave con pelle
talmente rovinata da esser definita “a sigaretta”.

Risulta evidente, poi, che più progrediscono gli stadi e maggiore è la possibilità di
trovare Ab specifici.

La diagnosi si basa sulla ricerca di Ab mediante test immunoenzimatici che saranno


poi confermati con test a immunofluorescenza o, meglio ancora, con determinazione
di Ab di classe IgG o IgM nei confronti delle singole proteine del microrganismo. La
presenza e la quantità di Ab suggeriscono da quanto tempo è in atto l’infezione.
Le Leptospire
Le leptospire rientrano nell’ambito delle spirochete, sono batteri allungati e ricurvi
lungo l’asse principale, con una parete peculiare. Sono eliminate spt. attraverso le
urine dei ratti, quindi si può acquisire l’infezione per contatto con acque stagnanti (o
comunque sporche perché colonizzate da ratti) a livello di lesioni cutanee. Dato che
sono mobili ed estremamente sottili possono anche penetrare attraverso la cute sana.
Si trasmettono solo da animale a uomo quindi si parla di zoonosi. Alcuni serovar di
leptospire possono essere eliminati anche da cani, bovini domestici o suini, quindi
possono essere considerate come malattie professionali per gli allevatori.
Il periodo di incubazione è di circa una settimana; si può palesare in forme
leggere, quasi inapparenti, o gravi, con danni a livello di rene, fegato e muscolo.
Le leptospire hanno azione lesiva, forse con la produzione tossine non ancora ben
identificate, a livello degli endoteli dei piccoli vasi, determinando così un danno
vascolare responsabile delle principali manifestazioni cliniche associate a questi
batteri. Per esempio, se il danno è ai vasi capillari epatici il soggetto presenta ittero
(segno caratteristico nella leptospirosi); se è localizzato a livello del tubulo renale
provoca danno renale; se è a livello del parenchima polmonare provoca danno
polmonare; può inoltre esitare in emorragie, con conseguenti danni anche a livello
muscolare.
Le leptospire vengono ricercate nelle urine, tramite le quali vengono eliminate,
soprattutto se il danno è renale: in genere raggiungono velocemente il rene, quindi nei
primi giorni dopo l’infezione si può fare un esame delle urine.
Per quanto riguarda la ricerca di Ab, si sfrutta la capacità agglutinante delle leptospire
tramite un test di microagglutinazione considerando tutti i vari sierotipi di leptospire;
in caso di positività si approfondisce la ricerca considerandone uno per volta.
Anche questa presenta una forma a stadi:
I Invade il torrente circolatorio e raggiunge i vari organi sopra citati;
II Da metà della prima settimana raggiunge il rene e viene eliminata con le
urine.

[Qui termina la trattazione dei batteri]

Protozoi
I protozoi sono eucarioti, quindi molto diversi dai microrganismi procariotici affrontati
finora. Hanno dimensioni maggiori, non hanno colorazione di gram dato che la parete
è priva di peptidoglicano e hanno diversi meccanismi patogeni. Infettano l’uomo grazie
al loro peculiare ciclo vitale che gli consente di assumere forme diverse.
Sono dotati di movimento per la presenza di:
-Ciglia, appendici corte e numerose lungo tutto il soma batterico,
-Flagelli, con forme molto più allungate
-Emissione di pseudopodi (come le amebe) grazie a un citoplasma caratterizzato
dalla possibilità di alternare fase sol e fase gel.
Le ciglia e i flagelli originano da un unico corpuscolo basale all’interno della cellula, il
blefaroblasto.
Alcuni protozoi che parassitano il sangue e sono flagellati, detti emoflagellati,
presentano anche un cinetoblasto visibile al microscopio (oltre al corpuscolo basale).
Le colorazioni usate sono di tipo semplice (di contrasto) con un solo colorante o
differenziali.

Meccanismo patogeno
Data la maggiore complessità e le maggiori dimensioni il meccanismo patogeno è
variegato e i quadri clinici possono essere molto diversi:

 Sono difficili da fagocitare quindi resistono al killing intracellulare;


 Possono colonizzare gli organi determinandone un blocco fisico,
un’ostruzione meccanica, ad esempio il P. malariae può bloccare l’encefalo,
il Pneumocystis carinii il polmone e la Giardia l’intestino;
 Possono indurre la produzione e la liberazione di citochine pirogene che
provocano febbre o crisi emolitica
 Alcuni producono enzimi litici che permettono al parassita l’ingresso nella
cellula ospite tramite la quale (che agisce da cavallo di Troia) viene portato
ad altri organi distanti;
 Possono indurre reazioni tissutali dell’ospite, come un granuloma,
accompagnato da alterazione dell’eritropoiesi.
Vengono riportati alcuni esempi di protozoi che saranno trattati singolarmente nelle
prossime lezioni:

 Leishmanie, la cui principale fonte sono i cani;


 Tripanosoma, trasportato dalla mosca tse-tse e che provoca alcune forme
della malattia del sonno;
 Toxoplasma gondii, se contratto in gravidanza il bambino può andare
incontro a morte spontanea o nascere con delle calcificazioni a livello
cerebrale;
 Giardia intestinalis, provoca diarrea;
 Plasmodio della malaria, in italia sono dovute a importazione;
 Pneumocystis carinii, determina patologie polmonari molto gravi e molto
pericolosa per soggetti immunocompromessi;
 Amebe, possono dare infezioni intestinali.

Diagnoni di infezione
Viene fatta mediante la ricerca diretta o mediante la ricerca di Ab. I metodi diagnostici
sono molti diversi, di solito non si usano terreni di coltura perché poco efficaci. In
genere si fa sempre la diagnosi al microscopio anche se oggi si sta tentando di passare
alla diagnosi mediante PCR, che però ha maggiori costi (un vetrino costa circa 50
centesimi mentre una PCR in questo caso costa 22-23€). Infine può essere effettuata
anche la ricerca di Ag specifici tramite test immunoenzimatici.

Metodo Modalità Utilità Esempi

Ricerca Materiale patologico Poco sensibile ma può Trichomonas,


microscopica a esaminato direttamente in permettere Trypanosoma
fresco microscopia ottica l’osservazione di
patogeni mobili
Ricerca Materiale patologico viene Migliore definizione. La Plasmodi,
microscopica strisciato o deposto sul sensibilità può venire
Trypanosomi,
con colorazione vetrino e viene colorato incrementata con metodi
Leishmanie
opportunamente prima di concentrazione
etc.
del’analisi microscopica (goccia
spessa,centrifugazione
etc.)

Prove colturali Il campione clinico viene Utile come esame per la Leishmanie,
posto in terreni di coltura sua semplicità Trichomonas
(NNN)

Sonde Il campione clinico viene Massima sensibilità ma Plasmodi,


molecolari e estratto in particolari costoso Leishmanie
PCR soluzioni e ibridato con etc.
sonde o amplificato con
PCR

Ricerca di Tecniche ELISA per antigeni Diagnosi affidabile in Plasmodi,


antigeni alcune infezioni Amebe
specifici

Protozoi flagellati
Possono replicarsi in ambiente genito-urinaria oppure a livello di sangue e tessuti
profondi (emoflagellati).

Localizzazione genito-urinaria
I principali sono:

1 Giardia intestinalis
Presenta due forme:
-Forma cistica/di resistenza, può sopravvivere anche fuori dall’organismo per
un certo periodo di tempo, presenta 4 nuclei (forma quadrinucleata) che ne
consentono il riconoscimento al microscopio e ha una forma allungata
-Forma vegetativa, il trofozoite, caratterizzata da flagelli che fuoriescono dal
blefaroblasto ed è molto allungato, piriforme
Le cisti vengono eliminate con le feci all’esterno da soggetti infetti,
sopravvivono per molto tempo fuori dall’organismo andando a contaminare
suolo e acque. Possono essere assunte tramite l’ingestione di acqua sporca,
verdure non lavate o lavate con acqua contaminata. Una volta introdotta, la
cisti arriva all’intestino tenue dove si trasforma in trofozoita. Questa forma è
dotata di ventose grazie alle quali è in grado di aderire all’intestino tenue
(provocando già un insulto meccanico), dove comincia a replicarsi (a
differenza della cisti che ne è incapace) e finisce per tappezzare l’intestino;
può essere, infatti, evidenziato attraverso un esame del liquido duodenale. A
livello colico torna alla forma di resistenza retraendo i flagelli, condensando
il citoplasma e rivestendosi delle sue pareti esterne, per poi essere emesso
con le feci.

Per questo motivo si vanno a ricercare soprattutto le cisti nei campioni


fecali. Se, però, il transito intestinale è molto veloce e l’impulso diarroico è
estremamente elevato i trofozoiti non hanno tempo di trasformarsi in cisti:
vengono eliminati mantenendo la loro forma e quindi vengono ritrovati nelle
feci insieme alle cisti.
Il periodo di incubazione è piuttosto breve, neanche una settimana, e i
sintomi sono diarrea, dolore addominale, nausea e vomito.

2 Trichomonas vaginalis
È un protozoo che colpisce sia l’uomo che la donna, in quest’ultima è
particolarmente sintomatica.
Non forma cisti, quindi non sopravvive fuori dall’organismo e non resiste a
temperature elevate: il contagio è perciò diretto, per via sessuale. Ha un
ciuffo di flagelli apicali grazie al quale si muove molto, ha una forma
allugata, la membrana citoplasmatica si estroflette formando la membrana
ondulante a livello della fuoriuscita dei flagelli e il corpo è attraversato da
microtubuli che formano un nastro all’interno del trofozoite chiamato
assostilo.

Nella donna quando è sintomatica, quindi nella maggior parte dei casi,
provoca forme di vaginiti purulente con perdite schiumose, giallastre, di
odore sgradevole e accompagnate nel perdurare da lesioni a vulva e cervice
insieme con dolore addominale.
Nell’uomo è solitamente asintomatico, è quindi considerato il portatore o
diffusore; nei pochi casi in cui è sintomatica provoca uretriti e può dare
sequele a distanza.
Viene trasmesso con rapporti sessuali, si moltiplica a livello di apparato
uro-genitale: nell’uomo in corrispondenza di prostata e testicoli, mentre
nella donna in corrispondenza di ghiandole del Bartolini, vagina e vescica.
Emoflagellati, amebe e malaria
Nell’ultima lezione abbiamo cominciato a parlare dei protozoi, organismi
eucarioti che hanno un’organizzazione e un potere patogeno diversi dai
patogeni precedenti, i batteri procarioti. Nell’ambito dei protozoi, abbiamo già
parlato di quei protozoi con localizzazione uro-genitale e intestinale (es. Giardia
intestinalis, Trichomonas vaginalis)
I protozoi sono caratterizzati da una serie di cicli che possono avvenire
nell’uomo, ma anche nell’animale, e spesso la trasmissione dell’infezione
avviene attraverso un vettore.
Parleremo di tripanosomi e leishmanie. I tripanosomi sono causa della malattia
del sonno che si presenta fondamentalmente in zone diverse dell’Africa, la
leishmania si localizza nel Mediterraneo, anche in Italia ed Emilia Romagna.
Nell’ambito dei protozoi ora parleremo dei protozoi emoflagellati, cioè che si
trovano fondamentalmente nel circolo ematico e presentano un flagello.

Emoflagellati
Possono presentarsi nel nostro organismo e nel vettore sotto diverse forme, da
forme molto rudimentali a forme più evolute. Le forme passano attraverso
variazioni del soma del protozoo: amastigote, promastigote, epimastigote e
trypomastigote. Tenendo in considerazione questa scaletta parliamo di forme
molto rudimentali, quali l’amastigote (forma ovulare, piccola, e prima di
flagello), fino a forme più evolute, come il trypomastigote, con soma allungato
e flagello molto importante perché attraverso questo il protozoo diffonde nel
nostro organismo.
L’amastigote, con la sua forma rudimentale e priva di flagello, passa a
promastigote, in cui il soma comincia ad allungarsi e si presenta una bozza di
flagello, poi si passa a epimastigote, dove il flagello si presenta già evidente,
infine diventa trypomastigote, l’ultima forma maggiormente differenziata.
Questo ci interessa soprattutto per capire cosa si deve cercare, durante il ciclo
e durante le infezioni da parte di questi protozoi, a livello fecale, ematico,
epatico o del cervello a seconda dello stadio in cui si trovano. Non tutte le
quattro forme si troveranno in tutti i protozoi, ma si possono trovare un paio e
si ricercheranno quelle.

Tripanosomi
È l’agente eziologico di tripanosomiasi africana e tripanosomiasi americana; si
differenziano tra di loro per vettore, per localizzazione, per patogenesi di
questa infezione e dei sintomi nel paziente.

Tripanosomiasi africana
Determinata da Tripanosoma brucei; ha due forme dipendenti dalla
localizzazione, una nell’Africa Occidentale e una Orientale. La tripanosomiasi
africana è determinata dal gambiense del tripanosoma brucei se parliamo
dell’africa dell’ovest, dal rhodesiense [del t. brucei] se parliamo dell’africa
dell’est. Questo perché viene trasmesso attraverso delle glossine (muscidi,
mosche) fondamentali per la trasmissione dell’infezione.
La differenza dell’infezione dipende principalmente dalle caratteristiche delle
glossine, quelle della parte occidentale dell’africa sono idrofile, devono quindi
vivere in zone estremamente umide e trovano il loro habitat naturale nella
parte ovest. Le glossine della Tripanosomiasi rhodesiense sono le cosiddette
mosche tse-tse: sono xerofile, devono quindi vivere in zone aride, dove vivono
anche gli animali che costituiscono i serbatoi (antilopi). Quindi dipende da dove
c’è il serbatoio e da cosa questo protozoo deve essere portato, quindi dalle
glossine e dal loro habitat. Entrambi i protozoi danno la malattia del sonno, ma
l’esito della malattia del sonno è diversa in base alla glossina che compie il
pasto ematico.
Il periodo di incubazione è altamente variabile perché dipende dal tipo della
glossina e da quanto la glossina riversa all’interno dell’organismo.
Nell’uomo ci sono due fasi: una fase emolinfatica, dove vengono coinvolti gli
organi linfatici e il torrente circolatorio, e una fase cerebrale.
Fondamentalmente la fase emolinfatica può essere determinata sia da brucei
gambiense che da rhodesiense; nel primo caso, quella dell’Africa occidentale, è
cronica, perdura nel tempo e difficilmente porta a morte del paziente. Quella
determinata da brucei rhodesiense è molto più grave perché questo protozoo
molto spesso riesce ad arrivare al SNC, a diffondere in questo e a colpire il
tessuto nervoso, per questo ha una fase cerebrale molto importante: può
indurre encefalite e coma nel paziente.
Il paziente presenta una febbre a ondate molto caratteristica di queste forme,
che deve essere localizzata e studiata nella sua anamnesi. Si deve quindi
capire da dove proviene il paziente e/o dove è stato (non è una forma
autoctona di febbre, bensì di importazione). Queste pulsè [dal francese,
“impulsi”, quindi “ondate”] che avvengono nei cicli di febbre del paziente sono
dovute a una variazione antigenica del protozoi. Produciamo anticorpi contro
antigeni del protozoo, cerchiamo di contenere la risposta contro l’organismo,
abbiamo la puntata febbrile, dopo di che abbiamo una variazione antigenica, di
conseguenza si ha un nuovo antigene e una nuova risposta del nostro
organismo.
Ciclo del tripanosoma: possono presentarsi nell’organismo o nel vettore
sotto varie forme. Abbiamo già parlato delle forme dei protozoi (amastigote,
promatigote, epimastigote e tripomatigote). Il vettore è rappresentato da
queste glossine nelle quali il tripanosoma si replica e si presenta nelle
ghiandole salivari sotto forma di epimastigote. Viene riversato durante il pasto
ematico nell’uomo che viene così infettato. Quindi l’epimastigote si trova nelle
ghiandole salivari nelle prime fasi; nel soggetto-ospite vertebrato si trasforma
rapidamente nel tripomastigote, la forma più evoluta, il quale comincia e
dividersi e dà luogo a una generazione nuova di tripomastigote che invadono il
sangue e posso raggiungere vari distretti anatomici così come il SNC. Essendo
nel sangue, se un altro muscide fa un pasto ematico nel soggetto infetto,
questo assumendo il sangue assume anche il tripomastigote, quindi li
ritroveremo nuovamente nelle ghiandole salivari della glossina il quale li
diffonderà in un altro soggetto vertebrato.
Di questo protozoo ricercheremo quindi queste forme: epimastigote nel vettore
e tripomastigote nell’ospite.
Diagnosi di infezione: visto che entrambe le forme possono presentare sia
una fase ematica che una cerebrale, la diagnosi di infezione va fatta
prelevando materiali biologici di entrambe le fonti; prelievo di sangue per la
fase ematica ricercando il trypomastigote nell’uomo. Nel vetrino ricercheremo
quindi queste forme allungate, con un lungo e importante flagello che passa
attraverso tutto il soma del microorganismo, caratterizzante i tripomastigoti.
Dovremo effettuare anche un prelievo di liquor cefalorachidiano se sospettiamo
una colonizzazione del tessuto nervoso (solitamente la forma rhodesiense
arriva al SNC, è la più grave). La ricerca nei muscidi, quindi dell’epimastigote
serve per determinare il quantitativo di vettori nella zona.
Figura: striscio ematico con tripomastigoti di Tr. Brucei con colorazione Giemsa

Si fanno uno striscio ematico o di liquor e ricerchiamo questi tripomastigoti


dopo una colorazione Giemsa del vetrino o attraverso un vetrino a contrasto.
Abbiamo quindi visto la tripanosomiasi africana nelle sue due forme
Gambiense, la meno grave che causa quella che viene definita “malattia del
sonno cronico” e la rhodesiense, molto più grave e che colpisce solitamente il
SNC dopo essere passata per il torrente ematico e causa encefaliti e coma del
paziente.

Tripanosomiasi americana
È causata da Trypanosoma cruzi, un protozoo che si ritrova nell’America del
sud, America Centrale, in Brasile e in altre zone; complessivamente, interessa
un numero elevato di persone. Determina la malattia di Chagas. Il vettore è
una cimice, quindi cambia il vettore rispetto all’africana. Lo strumento migliore
di prevenzione è quindi la disinfestazione per eliminare i vettori.
La tripanosomiasi americana è data da questo emittero che elimina il protozoo
attraverso le feci. Le feci possono venire a contatto con la cute dell’uomo, e
grattandosi il parassita viene introdotto nell’organismo. Si trova
fondamentalmente in zone umide, capanne di fango, dove ci sono alti livelli di
umidità. Viene eliminato dal vettore attraverso le feci, passa attraverso la cute
e colonizza il sistema macrofagico arrivando fino alle cellule muscolari lisce.
Il suo ciclo è più semplice del precedente: il vettore rilascia nelle feci il
protozoo sotto forma di trypomastigote, questo entra nel vertebrato attraverso
una lesione della cute, o la congiuntiva in casi più rari, ma molto più gravi a
causa della vicinanza col SNC. Il trypomastigote nel nostro organismo si
differenzia in amastigote, colonizza prima il sistema macrofagico e poi le cellule
muscolari; poi si ha una seconda colonizzazione e diffusione come
tripomastigote nel torrente circolatorio.
La prima fase è la macrofagica. Durante questa il Tripanosoma cruzi raggiunge
il sistema macrofagico e si moltiplica intracellularmente. Questo causa un
grave danno perché, moltiplicandosi dentro il macrofago, sfugge in parte al
sistema immunitario, e può quindi passare alla fase ematica per poi colonizzare
le cellule muscolari lisce dando eventualmente anche cronicizzazione
dell’infezione.
Visto che il microrganismo entra attraverso una lesione della cute, la prima
manifestazione è rappresentata da una lesione nodulare nella zona di ingresso
del parassita, il chagoma; a questa fase cutanea segue la fase ematica
attraverso la quale si raggiunge il tessuto muscolare liscio e anche fegato e
milza con epatosplenomegalia e linfoadenomegalia.
Tenendo in considerazione in ciclo riproduttivo, l’unico modo per fare diagnosi
si cercano tripomastigoti e amastigoti sia a livello cutaneo, molto
precocemente, ed ematico attraverso esame microscopico.
Questi erano emoflagellati: sono protozoi che si localizzano, passano e
diffondono attraverso il circolo ematico e danno tripanosomiasi africana
(tripanosoma gambiense/rhodesiense) e americana. In entrambi i casi i vettori
sono piccoli insetti, rispettivamente mosche e cimici.

Leishmania
Questo protozoo causa la leishmaniosi, una malattia molto più vicina a noi delle
tripanosomiasi, anche se fino a una ventina di anni fa sembrava confinata a
paesi in via di sviluppo, ora si trova anche qui.
La Leishmaniosi ha due ospiti: canidi, come ospite centrale, e uomo, come
ospite accidentale. Si può presentare con due forme: cutanea, esito
fondamentalmente visibile, e viscerale che si approfondisce nell’organismo; in
alcuni casi le forme evolvono l’una nell’altra dando una leishmaniosi muco-
cutanea.
Il vettore è dato da uno phlebotomo (pappataci), sono zanzare con un volo
molto silenzioso e nel momento in cui fanno il pasto ematico non si sentono,
non provocano dolore che possa avvertirci.
I cicli sono diversi nel vettore e nel vertebrato. All’interno dell’intestino del
vettore (phlebotomo) ritroveremo gli amastigoti di forma ovulare e
rudimentale. Possiamo ritrovare il promastigote nelle ghiandole salivari e
questo viene inoculato nel nuovo ospite, dove ricompare in forma di amstigote.
L’ospite abituale è il cane, l’ospite accidentale è l’uomo.
Vettore: difficilmente individuabili, i phlebotomi pungono durante le ore serali
e notturne quando depongono le uova. Hhanno dimensioni di 2-3mm e in Italia
si trovano sotto i 1200m di altitudine. Si allontanano poco dai luoghi di
riproduzione e si riproducono in terreni umidi dove depongono le uova.
La leishmaniosi, come tutti gli altri protozoi che invadono il torrente
circolatorio, si può trasmettere anche attraverso altri modi, non solo attraverso
un vettore: ad esempio i tossicodipendenti che usano droghe endovena,
trapianto d’organo, trasfusioni e trasmissione verticale da una madre con
leishmaniosi viscerale.
Il primo sintomo è un’ulcera cutanea con una morfologia tipica. Dopo un certo
periodo di tempo dal morso del vettore si formano delle ulcere a vulcano,
perché il perimetro è sollevato e all’interno si ha un abbassamento (lesione). La
leishmaniosi cutanea può in alcuni casi rari diventare leishmaniosi muco-
cutanea, e normalmente queste forme sono determinate da una complicazione
delle forme cutanee perché dalla cute il protozoo migra alle mucose nasali e
orali determinando lesioni molto importanti. Queste sono situazioni che si
potrebbero vedere in pazienti di zone endemiche; normalmente noi
interveniamo prima di arrivare a queste complicazioni.
La Leishmaniosi viscerale colpisce diversi organi come fegato milza, midollo, e
ha uno sviluppo lento, dopo alcuni mesi dal morso del vettore, dando
epatosplenomegalia, anemia, leucopenia, piastrinopenia. Queste citopenie
vanno tenute in considerazione sia come dato singolo che come dato globale,
quindi il paziente deve essere tenuto sotto controllo costantemente. Il periodo
di incubazione arriva addirittura a mesi; nel momento in cui invadono il
torrente circolatorio, il numero di parassiti è elevatissimo. Se quindi un altro
vettore compie un pasto ematico poi questo trasmetterà molto facilmente
l’infezione perché la parassitemia è sempre molto alta nel nostro sangue.
Nel bacino del Mediterraneo e in Italia è endemica (5% dei casi globali di L.
viscerale). È possibile quindi per noi acquisire la leishmania, il serbatoio sono i
canidi e il vettore è questo phlebotomo che vive ad altitudini inferiori a 1200
metri. Vi sono alcune zone che sono più colpite perché qui si ha molto
randagismo; fino al 2005 non si avevano molti casi, dopo il 2005 si iniziò a
studiare questa malattia, e si hanno nella nostra regione 47 casi di leishmaniosi
di cane e andando ad analizzare i cani alcuni presentavano già anticorpi contro
la leishmania. Nel 2012-2013 si ha un picco nella nostra regione: durante
l’anno si trovarono circa 30 casi di leishmaniosi sia cutanea che viscerale. Ci
posso essere forme poco sintomatiche e quindi la diagnosi microbiologica è
importantissima, come nelle forme asintomatiche quando la malattia è
sicuramente molto più presente di quello che si presenta.
La febbre è “anarchica”, irregolare, elevata, “a poussè”. Progressivamente
queste forme si presentano sempre più ravvicinate e la patologia diventa
persistente e prolungata nel tempo.
Diagnosi: il laboratorio di parassitologia fa un esame attraverso i vetrini; ora
viene fatto sia quello parassitologico, che la PCR, e si tenta di passare alla PCR
per evitare le possibilità di errore, anche se il costo è maggiore. Si ricerca a
livello ematico e nel midollo l’amastigote facendo uno striscio sul vetrino. Si
possono anche fare biopsie epatiche o spleniche, ma basta uno striscio di
sangue a causa dell’elevata concentrazione del protozoo nel sangue. Si
possono anche fare terreni di coltura. Sono tutti esami che determinano un
minimo di rischio di infezione per gli addetti di laboratorio, quindi si tende alla
PCR.

Amebe
Caratterizzati da un movimento ameboide, presentano una fase poco solida del
citoplasma, che è pertanto estremamente morbido, in modo da poter compiere
questo movimento emettendo pseudopodi. Le amebe si presentano in due
forme: una forma vegetativa, che prende il nome di trofozoite e una forma
cistica che costituisce una forma di resistenza del microrganismo.
Molte sono le amebe che possono parassitare l’uomo e che possono causare
infezioni; quelle che ci interessano maggiormente sono le amebe che si trovano
nelle acque termali, nelle piscine, negli ambienti umidi e che possono causare
infezioni nel SNC.
Una delle amebe che ci interessa maggiormente è l’Entamoeba histolytica, ma,
come detto precedentemente, ne conosciamo molte, come Entamoeba Dispar,
Entamoeba Hartmani, Entamoeba Coli, Entamoeba gingivalis che possono
parassitarci. Si presenteranno nelle diagnosi di infezioni.
Entamoeba histolytica ha una forma vegetativa come trofozoita e una forma
cistica. Il citoplasma del trofozoite è differenziato in due zone, una esterna
chiara e rifrangente, ectoplasma, e una interna più scura in alcuni casi ricca di
emazie fagocitate da questo microrganismo. Se si vede un’ameba prelevata da
un soggetto spesso si deve stare attenti perché l’ameba presenta al interno
globuli rossi fagocitati.
Il ciclo di queste amebe è semplice, ci ricorda qualche cosa di quello fatto
nell’ultima lezione. L’individuo si infetta ingerendo cisti, le quali sono la forma
dell’ameba che sopravvive nell’ambiente esterno; un soggetto fonte emette le
cisti con le feci e contamina il terreno. Noi usiamo cibi contaminati con queste
feci e introduciamo le cisti le quali poi arrivano a localizzarsi nell’intestino.
Nel piccolo intestino la ciste si ecista, fa fuoriuscire trofozoite, mentre nel
grande intestino abbiamo il ciclo contrario. In base a questo ciclo nelle feci
vedremo quindi una forma cistica, però se abbiamo forme di diarrea
particolarmente evidenti e pesanti, quindi se il transito intestinale è molto
veloce, possiamo trovare sia cisti che trofozoiti che non hanno fatto in tempo a
trasformarsi in forma cistica e che contengono al loro interno globuli rossi
dell’individuo infetto.
Abbiamo quindi nel soggetto una fase intestinale importante, in alcuni casi si
può avere una fase extra-intestinale in cui le cisti invadono il torrente
circolatorio e possono invadere fegato e addirittura il cervello. Possono
provocare alterazioni importanti e gravi. Le cisti aderiscono nel colon con
un’adesina, e dopo l’adesione dall’ameba viene prodotto probabilmente un
enzima proteolitico che causa alterazioni delle cellule, distruggendole. Si ha
quindi adesione e lisi data da enzimi che colpiscono la cellula ospite.
La trasmissione non comprende vettori, ma si ha una trasmissione diretta da
uomo a uomo o attraverso cibi contaminati. A livello dell’intestino le amebe
determinano delle ulcere a fiasco (di vino), queste sono slargate e la parte
apicale è più ristretta. Il soggetto presenta dissenteria muco-sanguinolenta (la
dissenteria normalmente ha tracce ematiche e il paziente lamenta forti dolori
addominali). Se invade il torrente circolatorio può colpire anche fegato e
cervello.
A livello del fegato può determinare un ascesso epatico e sul liquido contenuto
in questo ascesso si dovrà fare una biopsia. Il liquido contenuto nell’ascesso è
color sabbia-cioccolato, bruno e sabbioso dato dalla presenza delle amebe,
ricco di materiale necrotico, cellule infiammate, trofozoiti che hanno
colonizzato il fegato. Se si trova un ascesso epatico ricco di liquido scuro
sabbioso la diagnosi è inconfutabile.
Diagnosi: va fatta a livello microscopico. Si cercano i trofozoiti o le cisti a
livello fecale. Nei casi in cui si ha una localizzazione extraintestinale si hanno
analisi cliniche più precise.
La caratteristica di questa ameba è che le cisti presentano 4 nuclei all’interno,
sono ben visibili, non abbiamo nelle cisti altro, niente residui ematici. Le altre
amebe meno importanti (come la dispar, e la coli) presentano in alcuni casi 4
nuclei, ma sempre assenza eritrocitaria. Queste sono rare e meno patogene,
quindi il nostro problema principale sono le amebe istolitiche.

Cisti trofozoite

Entamoeba tetranucle Presenza di


histolytica ate residui
eritrocitari

Entamoeba tetranucle Assenza di


ate residui
dispar
eritrocitari

Entamoeba tetranucle Assenza di


hartmanni ate residui
eritrocitari

Entamoeba Più di 4 Assenza di


residui
coli
eritrocitari

Neigleria e Acanthamoeba.
Sono amebe a vita libera. I loro habitat sono piscine, ambiti termali, stagni…
Possono determinare infezioni molto gravi come meningo-encefaliti e possono
vivere e riprodursi al di fuori di un ospite.
L’Acanthamoeba è responsabile dell’encefalite amebica granulomatosa (GAE),
riscontrabile in soggetti fondamentalmente immunocompromessi. La Neigleria
è molto più grave perché provoca una meningoencefalite primaria amebica
(PAM) in cui il soggetto può andare incontro a coma e morte, se la PAM risulta
in forma acuta. La forma vegetativa dà luogo all’infezione: possiamo acquisirla
in ambienti umidi attraverso la congiuntiva, ma è stata individuata anche in
lenti a contatto mantenute durante un bagno e quindi non disinfettate. E’
anche possibile, attraverso una lesione cutanea, l’arrivo alle meningi e
all’occhio attraverso la via ematogena. Causa segni neurologici importanti
come convulsioni, paresi, nausea vomito e deve essere utilizzato il liquor per
l’analisi.
Per la meningite si deve sempre analizzare il liquor. Il prelievo di liquor quando
si ha il sospetto di una meningite è importantissimo perché con il liquor si
possono fare test specifici, col sangue no. Quando si fa un test col sangue si
deve aspettare il tempo adeguato per un’emocultura. Quindi quando si ha il
sospetto di meningococco, quindi quando si vede ad esempio una persona con
petecchie, si deve fare il prelievo del liquor immediatamente.
Ci sono quindi queste due forme di ameba, il trofozoite che si può trasformare
in ciste, la quale può ritornare poi in una forma flagellata. Le Neiglerie sono le
più pericolose perché possono causare nel paziente una meningoencefalite
amebica primaria, molto simile a una encefalite batterica, ma i tempi sono
ancora più ristretti e l’analisi va fatta tempestivamente con prelievo del liquido
cefalorachidiano.

Malaria
Importantissima, chiesta spesso. È un’infezione per cui non si hanno vaccini,
ecco perchè milioni di persone in determinate zone del mondo si infettano. È
trasmessa da un vettore, la zanzara, l’agente eziologico è rappresentato da
vari plasmodi.
I plasmodi coinvolti nell’insorgenza di malaria determinano fenotipi diversi; a
seconda del plasmodio abbiamo una febbre terzana, ciò che si presenta ogni 3
gg, o una febbre quartana, ogni 4.
I plasmodi responsabili sono il Plasmodium vivax, Plasmodium ovale,
Plasmodium falciparum, Plasmodium malariae, recentemente identificato
anche il quinto, Plasmodium knowlesii, da ricordare perché di recente
acquisizione.
Nel 2016 ci sono stati circa 300 milioni casi di malaria e 500 mila decessi. I più
colpiti sono i bambini infettati in ambienti in cui queste zanzare sono molto
presenti, come le regioni tropicali e subtropicali. Le diagnosi nei nostri territori
sono di importazione, cioè individui che sono stati o che provengono da paesi
in cui il plasmodio è presente. Negli ultimi 15 anni abbiamo avuto indicazioni di
malaria per trasfusioni, per siringhe infette, la zanzara può essere importata
attraverso aerei provenienti da paesi ad alto rischio.
La trasmissione avviene attraverso la zanzara che fa un pasto ematico, può
essere ritrasmessa col sangue o trasmessa per via verticale.
Il ciclo della malaria coinvolge due ospiti: zanzara e uomo, nel caso in cui
questo sia andato in zone malariche e non abbia fatto una prevenzione
farmaceutica. Nell’uomo il ciclo del plasmodio presenta più forme. Si parte da
uno sporozoite inoculato dalla femmina della zanzara, mobile, il quale diventa
nel parenchima epatico dell’uomo uno schizonte. La forma schizontica dà vita
alle cellule gametiche e da questo originano i merozoiti, la forma intermedia,
piccola, rotondeggiante e primitiva. I merozoiti si dividono in una forma
silenziosa presente a livello epatico (ipnozoite) e la forma finale che abbandona
il fegato e parassita i globuli rossi. È più semplice quello che avviene nella
zanzara, nell’uomo si presenta in varie forme in base al distretto anatomico in
cui la si va a ricercare.

A livello delle emazie alcuni merozoiti si differenziano e danno luogo ai


gametociti, questi si differenziano da un punto di vista morfologico, avremo
macro e microgametociti. Questi gametociti (sia macro che micro) vengono
assunti da una zanzara femmina e in questa avviene la fecondazione tra macro
e microgametocita. Da questo evento si formerà lo zigote, contenente al suo
interno gli sporozoiti che andranno nelle ghiandole salivari del vettore e
verranno inoculati nell’ospite durante il pasto ematico.
La malaria, se non viene trattata, progredisce verso forme gravi. I sintomi sono
febbre, mal di testa, debolezza, diarrea. Può essere accompagnata da anemia
molto importante. Alcuni plasmodi causano danni a livello della milza, come il
vivax e il malariae: quest’ultimo può avere una localizzazione renale che gli
altri non manifestano.
La febbre varia in base al plasmodio, come il periodo di incubazione: dai 7 ai
28gg, dopo di che compare la febbre. Il falciparum dà una febbre terzana
maligna: incubazione con massimo due settimane, con esordio brusco, febbre,
brividi scuotenti. Questa febbre è dovuta all’azione del plasmodio che lisa i
globuli. All’inizio è irregolare, dopo la ritroviamo ogni 48h. Forme meno gravi
come vivax e ovale, hanno una incubazione più lunga e sintomi più sfumati. La
malaria quartana ha un periodo d’incubazione molto lungo (3-4 settimane
minimo) e la febbre ha periodicità ogni 72h; il knowlesi presenta una febbre
quotidiana. La febbre ha sempre un esordio brusco, poi si stabilizza e questo ci
permette di capire il plasmodio che la causa. La febbre è accompagnata da
brividi, nausea, cefalea…
L’ultimo plasmodio visto 4-5 anni fa è il knowlesi, che si localizza soprattutto a
livello di alcuni macachi, i quali, oltre ad essere serbatoi di infezioni, si
ammalano gravemente.
Meccanismo patogeno: come prima fase i plasmodi aderiscono alle cellule
endoteliali dei capillari. Essi vengono sequestrati dall’eritrocita, il quale viene
bloccato nella sua funzione: ciò causa anemia. La possibilità di eliminare il
plasmodio diventa più bassa perché questo è contenuto nell’eritrocita. Questo
blocco di funzione è dato da proteine del plasmodio si trovano
nell’estroflessioni knobs dell’eritrocita infetto.
Diagnosi: è molto semplice, va eseguita sempre a livello microscopico o
mediante PCR.

Termine dei protozoi e introduzione ai miceti

Proseguimento malaria

[Riprende il discorso della malaria]


Della malaria conosciamo almeno 5 plasmodi, che si differenziano tra loro in base
all’esito della sintomatologia, caratterizzata da forme febbrili che dopo un brutto
esordio possono ripresentarsi ogni 3-4 giorni (la cosiddetta febbre terzana e febbre
quartana).
Il ciclo della malaria prevede due “ospiti”, quello vertebrato e la zanzara (Anopheles).
La zanzara, nel momento in cui al suo interno ha già subito un ciclo di replicazione del
plasmodio, al momento della puntura riversa nel nostro organismo gli sporozoiti.
Essendo mobili, gli sporozoiti arrivano rapidamente al fegato, dove possono avere due
fasi diverse:
1 Parte di questi sporozoiti si dividono, danno luogo allo schizonte, e
abbandonano il fegato [sotto forma di merozoiti], invadendo i globuli
rossi del torrente circolatorio.
2 Parte di essi, che diventano merozoiti [i merozoiti derivano dal processo
dello schizonte], si fermano a livello epatico dando luogo ai cosiddetti
dipnozoiti.

A livello dei globuli rossi i merozoiti cominciano una fase di replicazione, dando
luogo ai gametociti (distinguibili in microgametociti e macrogametociti). Questi
vengono a loro volta assunti dalla zanzara mediante il pasto ematico. Nella zanzara
avverrà il vero e proprio ciclo sessuale del plasmodio, dando luogo all’oocinete, che
contiene al suo interno gli sporozoiti, che a loro volta vengono riversati nell’uomo.
Sempre a livello dei globuli rossi, esistono delle proteine che permettono l’introduzione
del plasmodio e il sequestro dei globuli stessi (non potendo più quindi essere eliminati
a livello del reticolo endoteliale). Quindi i merozoiti che abbandonano il fegato e
parassitano i globuli rossi si differenziano in gametociti e vengono assunti poi dalla
zanzara, dove avviene la fecondazione. A livello della zanzara questi sporozoiti
contenuti nell’oocinete vengono poi assunti a livello delle ghiandole salivarie e il ciclo
ricomincia. Queste fasi sono rilevanti al fine di attuare diagnosi d’infezione.

È possibile avere una terzana maligna (la forma più grave) determinata dal
plasmodium falciparum; abbiamo poi alcune forme che vengono invece determinate
dal plasmodium vivax o dal plasmodium ovale che si traducono in una malaria terzana
benigna (quindi con un esito molto più moderato e non fatale).
Il plasmodium malariae dà una febbre quartana, che si presenta nel soggetto ogni 72
ore. All’inizio abbiamo dei cicli che suggeriscono la diagnosi d’infezione e la febbre va
monitorata.
Esistono dei test per differenziare i vari plasmodi, permettendo quindi di capire se il
paziente presenta una forma benigna o una forma maligna.

L’incubazione è variabile. Può andare da 1 a 3-4 settimane a seconda del plasmodio


responsabile, la febbre è periodica, e saranno inoltre presenti:

- Anemia, a causa del sequestro di globuli rossi;


- Epatosplenomegalia;
- Lesioni a livello del fegato, a causa del riversamento degli sporozoidi

Diagnosi

Come viene fatta la diagnosi? Siamo di fronte ad un parassita, lo andremo quindi a


ricercare nei globuli rossi tramite striscio su vetrino di una goccia di sangue
(cosiddetta goccia spessa e striscio sottile) e visione al microscopio. Tuttavia,
basandosi su un esame microscopico, questo metodo può determinare qualche
problema, quindi oggi esistono dei test di biologia molecolare, ma soprattutto un test
di cromatografia che prende il nome di Binax.
Grazie al Binax si riesce ad evidenziare la presenza di tutti i plasmodi (non ancora
messo a punto per il plasmodium knowlesi, molto raro, ritrovabile in alcuni macachi
africani) e nel caso di positività il test è in grado di evidenziarlo. Dopo averne
certificato la presenza, viene fatta una differenziazione dei tipi di plasmodio (essendoci
anticorpi monoclonali di tutti i plasmodi a disposizione) per trovare quello che nel
campione in esame ha causato l’infezione.
La diagnosi deve essere rapida e viene fatta normalmente a livello ematico nella
puntata febbrile, fase in cui la presenza di parassiti a livello ematico è sempre molto
alta. Non serve fare in questo caso una biopsia epatica se non in casi particolari o in
casi in cui la clinica suggerisca un’infezione da malaria. Le forme di malaria devono
essere in qualche modo differenziate da altre febbri di questo tipo (esempio: la febbre
causata dal virus ebola, di cui si parlerà più avanti, che può dare delle emorragie che
possono essere confuse in questo caso).

Farmaci

Ad oggi non esiste un vaccino, a parte quelli sperimentali, per nessuno dei plasmodi
della malaria.
Esistono però dei farmaci per contrastare l’infezione, come il chinino. Ad oggi tuttavia
molti plasmodi sono diventati resistenti al chinino, che quindi non più utilizzato come
un tempo, ma possiamo comunque distinguere:

- Farmaci che agiscono a livello epatico (quindi in una prima fase). Attivi
sia nei confronti di quei plasmodi che in seguito invaderanno il torrente
circolatorio, sia dei plasmodi che si localizzano e si fermano nel fegato
dando luogo ai dipnozoiti.
- Farmaci che agiscono a livello dei globuli rossi (quindi in una seconda
fase), come la clorochina, che taglia le lattato deidrogenasi.
[Resistenza di diversi plasmodi sia nei confronti degli uni che degli altri.]

- Farmaci che agiscono a livello del proguanile [il proguanile è in realtà il


farmaco, questa parte rientra nei farmaci che agiscono a livello epatico].
Meccanismo d’azione simile a quello di alcuni farmaci antibatterici, i
farmaci sulfamidici, che agiscono sulla sintesi degli acidi folici (necessari
alla formazione di purine, pirimidine, RNA...) bloccandola. Questa
categoria di farmaci antimalarici agisce in maniera analoga,
impedendo/rallentando quindi la formazione ottimale del DNA del
plasmodio.
Da diverso tempo esiste un nuovo farmaco, il Malarone, formato da due principi attivi:

- Atovaquone. E’ in grado di bloccare il trasporto degli elettroni lungo la


membrana mitocondriale, bloccando quindi tutte le attività biochimiche e
biosintetiche del parassita.
- Proguanile. Agisce sempre con questo meccanismo di blocco degli acidi
folici degli schizonti a livello epatico [nello specifico, blocca l’attività
dell’enzima diidrofolato reduttasi].
E’ un farmaco che va assunto qualche giorno prima dell’arrivo nella zona endemica,
durante il soggiorno, e per qualche tempo dopo il ritorno. E’ un farmaco molto costoso
e non viene passato dal nostro sistema sanitario, ma è di eccellente efficacia nei
confronti di questi plasmodi.
Se una persona si trova in una zona a rischio per mesi o anni questo farmaco non può
essere preso per un periodo così prolungato, a causa degli effetti collaterali che
potrebbero presentarsi. Il periodo massimo ottimale si aggira attorno ai 20-30 giorni.

Toxoplasma gondii

Il Toxoplasma gondii è un protozoo estremamente importante. La sua presenza può


risultare in forme asintomatiche, ma può creare problemi in situazioni di immuno-
compromissione e soprattutto la gravidanza.
Il Toxoplasma gondii è la TO delle ipotesi TORCH (TOxoplasma - Rosolia -
Citomegalovirus - Herpes): parlando di infezioni, quello che dobbiamo cercare di
controllare in una persona che debba cominciare una gravidanza (ancora prima del
concepimento) sono alcuni microrganismi, ovvero quelli elencati nell’acronimo di cui
sopra. Naturalmente esistono molti altri microrganismi in grado di passare attraverso
la placenta e determinare infezioni estremamente gravi nel feto. Per questo motivo, in
realtà, la lettera O di TORCH è stata poi modificata in “Others” per cercare di ampliare
il campo d’indagine (HIV, HPV, HCV...).
La fonte d’infezione del toxoplasma sono le feci del gatto (o del cane, raramente), che
può essere affetto da toxoplasmosi asintomatica. Il gatto attraverso le feci elimina il
toxoplasma, e maneggiandole l’essere umano si può infettare.
E’ sempre molto importante quando si studiano queste infezioni durante la gravidanza
avere un tempo 0 circa quest’ultima, perché le indagini fatte dopo ci devono
permettere un timing dell’infezione. Quindi se noi abbiamo già una prima positività,
anche solo sierologica, nei confronti di un microrganismo dobbiamo capire se ci
troviamo di fronte ad una fase acuta ma anche se abbiamo già un patrimonio
anticorpale antecedente.
L’uomo si infetta ingerendo materiale fecale, ma anche mediante una trasfusione di
sangue [quindi anche tramite passaggio transplacentare]: quello per il toxoplasma non
è fra i test che vengono fatti al donatore di sangue, ma su richiesta ad esempio prima
di una donazione di un’organo, soprattutto in ambito pediatrico.
Tornando al primo tipo di infezione, una zoonosi in quanto la riceviamo dall’animale, è
spesso asintomatica (ognuno di noi probabilmente possiede gli anticorpi del
toxoplasma). Ingeriamo il toxoplasma sotto forma di oocisti presenti nelle feci nel
gatto, ma anche a livello del muscolo di alcuni animali (ingerendo quindi carne infetta
cruda o poco cotta).

Le oocisti sono sensibili alle alte temperature, per cui la carne molto cotta non
dovrebbe dare luogo a delle infezioni. Durante la gravidanza è infatti sconsigliabile
l’assunzione ad esempio di verdure fresche non lavate accuratamente o cibi non cotti
proprio per questo motivo.
Dunque noi ingeriamo le cisti del toxoplasma, i succhi gastrici ne eliminano l’involucro
esterno, e dalle oocisti fuoriescono gli sporozoiti. Questi poi possono poi invadere il
sangue, arrivare ai muscoli, al sistema nervoso centrale, agli occhi.

Questo toxoplasma è molto diffuso, non c’è una zona precisa in cui è particolarmente
presente. Esiste una terapia per la toxoplasmosi, diversa a seconda del fatto che la
donna in gravidanza acquisisca l’infezione durante il primo o il secondo trimestre di
gravidanza.
Abbiamo comunque una prevalenza in Europa del 20-50%, il che vuol dire che una
percentuale significativa di persone ha già acquisito un’infezione asintomatica ed è
quindi già protetta in parte da un’infezione da toxoplasma. Nei paesi in via di sviluppo
questa percentuale aumenta perché ci sono contatti molto più frequenti con cibi che
possono essere contaminati. Negli USA invece la percentuale è minore rispetto a
quella europea.
L’individuo immunocompetente non ha dunque particolari problemi, presentando di
norma un’infezione asintomatica, che si presenta come una forma simil-influenzale
che passa sotto traccia.
L’ospite immunocompromesso invece presenta gravi problemi. Nel caso dei soggetti
affetti da HIV la toxoplasmosi cerebrale è piuttosto frequente. Quando faremo
l’infezione da virus HIV, vedremo che la presenza di toxoplasmosi fa passare il
paziente da una fase 2 ad una fase 3: nel caso in cui il paziente sia classificabile con
un’infezione cerebrale si può già parlare di AIDS conclamato. Non si muore di HIV, ma
di tutte le co-infezioni che prendiamo durante l’infezione da HIV perché il nostro
sistema immunitario è gravemente immunodeficiente. L’utilizzo dunque di tutti i
farmaci è fondamentale per contrastare il passaggio da una forma asintomatica ad
una gravemente sintomatica.
La toxoplasmosi cerebrale determina dunque la classificazione del paziente in AIDS.

Nella toxoplasmosi congenita il neonato presenta la cosiddetta tetrade di Sabin


(convulsioni, corioretinite, calcificazioni endocraniche, idrocefalo). In questo caso
abbiamo una trasmissione che avviene fondamentalmente durante un’infezione
primaria, quindi un’eventuale re-infezione non porta ad una situazione particolarmente
grave.
Può esitare in un aborto, abbiamo delle calcificazioni cerebrali, un grave danno a
livello del sistema nervoso del bambino, che se nasce presenterà poi idrocefalo e avrà
un periodo di vita piuttosto contenuto.
Possono invece esserci forme più lievi, di cui però è possibile accorgersene solo a
distanza di tempo dopo la nascita del bambino.
Se abbiamo un’infezione durante il primo trimestre abbiamo delle forme congenite
estremamente gravi. In generale, le infezioni che interessano questo primo periodo
hanno gli esiti più gravi, dal momento che nel feto è in atto la formazione degli organi
principali, anche se il rischio di infezione è piuttosto contenuto.
Se invece l’infezione avviene durante i trimestri successivi abbiamo delle forme sub-
cliniche, per cui è molto probabile che il bambino riesca a nascere. Parliamo dunque di
forme che si manifesteranno dopo la nascita. Queste forme tardive, tipiche di molte
infezioni di gravidanza, possono non essere diagnosticate se non è stato fatto un
controllo della madre (alcune donne arrivano al parto senza aver fatto i test): alcune
diagnosi vengono richieste al momento del parto, sia per il rischio relativo a madre e
bambino, sia per quello relativo agli operatori sanitari.

Diagnosi

Va fatta prima di tutto una ricerca sierologica avvalendoci di tecniche


immunoenzimatiche, separate per la presenza di IgG e di IgM. Vi troverete nella
maggior parte dei casi donne IgG positive, che hanno già avuto quindi un’infezione
lieve/asintomatica (flu-like); se abbiamo invece una presenza di IgM è il caso di
allarmarsi, perché le IgM nei confronti del toxoplasma durano moltissimo, quindi quello
che dobbiamo cercare di stabilire è il tempo in cui quest’infezione è avvenuta, e per
questo ci serve sempre un test precedente alla gravidanza.
Nel caso in cui una donna quindi sia IgG e IgM positiva (o addirittura solo IgM positiva)
abbiamo l’indicazione di un’infezione acuta. Al prelievo successivo dovremo assicurarci
di avere un leggero calo delle IgM e delle IgG, che crescono in modo esponenziale.

Come possiamo stabilire se anche il feto si è infettato o meno? Dobbiamo innanzitutto


stabilire se la donna presenta un’infezione acuta, dovremo verificare la presenza del
toxoplasma a livello del liquido amniotico tramite indagini invasive (questo solo nelle
settimane successive alla quinta e a ridosso dal tempo legale limite per l’aborto
terapeutico). Dopo il test pre-concezionale, il monitoraggio va eseguito anche durante
tutte le 37-40 settimane di gravidanza, in modo da verificare sempre e comunque (ad
es. la donna può risultare negativa al primo mese per poi positivizzarsi in uno dei mesi
successivi) l’eventuale timing dell’infezione.

Farmaci
[Legge la diapositiva]

Abbiamo terminato la trattazione dei protozoi.

Introduzione ai miceti

Quali sono i funghi patogeni per l’uomo? Candida, Aspergillus (aspergillosi


polmonare)... Tutte le forme micotiche cutanee più frequenti non sono, se non
nell’organismo gravemente immunocompromesso, forme mortali. La maggior parte
delle malattie dermatologiche sono sostenute da dei microrganismi, i quali sono
soprattutto funghi.
Un’infezione fungina in un paziente affetto da malattia ematologica è estremamente
grave e i farmaci antifungini sono piuttosto costosi, quindi è necessario monitorare
questo tipo di infezione in un ospite immunocompromesso.

I funghi possiedono delle caratteristiche morfologiche estremamente diverse, in


quanto dotati di una parete cellulare peculiare:

Come vedete questa parete cellulare è una tunica rigida, similare a quella che
troviamo nei vegetali. Questa tunica così rigida che copre il micete al suo interno
controlla naturalmente tutti gli scambi metabolici e l’equilibrio intra/extracellulare, ed
è formata da una struttura pluristratificata. Nel versante interno di questa struttura
abbiamo la membrana cellulare, all’esterno notiamo tutta una struttura costituita da
glucani (che determina la conformità della parete cellulare esterna), mannoproteine e
uno strato di chitina. Queste cellule sono dunque estremamente resistenti agli scambi
esterni e hanno una capacità di sopravvivere nell’ambiente esterno molto prolungata.

Abbiamo tre tipi di funghi:


- Alcune forme di questi miceti sono unicellulari, caratterizzati da
riproduzione asessuata mediante gemmazione. Queste forme danno
luogo a delle blastospore che possono anche non distaccarsi l’una
dall’altra formando una specie di pseudo-ifa. Queste forme unicellulari
vengono chiamate lieviti.
- Le muffe, che sono pluricellulari e si riproducono per via sessuata.
- Terzo tipo di funghi: i cosiddetti funghi dimorfi (o imperfetti, ma in realtà
sono forme evolute). Alternano un ciclo di riproduzione asessuata e un
ciclo di riproduzione sessuata con le vere e proprie ife fungine che si
riversano.

Come già detto che i miceti possono creare problemi molto gravi nel paziente
immunocompromesso, dobbiamo focalizzarci dunque su quali siano i fattori
predisponenti per un’infezione da miceti:

La gravidanza è un fattore predisponente: il ginecologo si interessa di vaginiti che


possono essere presenti in questo periodo.
Del danno iatrogeno fanno parte anche le chemioterapie e i trapianti, dove i soggetti
sono sottoposti a immunoterapie, e soprattutto nel caso di trapianto di midollo osseo
le infezioni fungine sono estremamente gravi, sia per quanto riguarda la Candida sia
per quanto riguarda l’Aspergillo, soprattutto polmonare.

Come dicevamo le blastospore si riproducono tramite un processo di gemmazione.


Possono essere singole ma possono anche rimanere unite andando a costituire delle
strutture allungate definite pseudo-ife. Nei funghi filamentosi le ife possono avere uno
o più nuclei, presentano delle cavità interne e sono divise in setti. A livello
microscopico si vede proprio l’ifa fungina e i suoi setti, questo permette già di capire
se ci si trova di fronte ad un fungo filamentoso o ad un fungo unicellulare: questo è
molto importante, perché la prima diagnosi che va fatta nel caso di un’emocultura è
una diagnosi microscopica.

I funghi a differenza dei batteri in alcuni casi devono crescere a temperature diverse
tra di loro, e quindi anche in laboratorio vengono fatti crescere a temperature diverse,
in modo da poter visualizzare forme diverse:

Le micosi hanno diversi agenti eziologici e sono classificabili come esogene, cutanee o
viscerali, le più gravi e determinate dal fatto che se vi è immunocompromissione i
miceti, da una prima infezione superficiale, invadono il torrente circolatorio e arrivano
agli organi profondi.
Diagnosi

Oggi si è capita molto l’importanza dei funghi nelle infezioni, che spesso era
sottovalutata soprattutto fino a 15 anni fa.
La diagnosi si basa sul prelievo del liquido biologico interessato (diagnosi d’infezione
diretta con ricerca del patogeno). Seguirà la somministrazione di un antimicotico,
normalmente i funghi non presentano farmaco-resistenza.
Per la diagnosi diretta si procede ad un’esame al microscopio, si possono poi attuare
dei test colturali (si utilizza un terreno particolare dove i funghi crescono in maniera
ottimale, il cosiddetto Sabouraud agar). Rispetto ai batteri i funghi sono più lenti nella
loro crescita a causa della particolare composizione della loro parete, ci mettono fino
ad una settimana dal momento dell’insediamento.
Esistono anche tecniche più avanzate, che si basano sulla presenza, nel liquido
biologico in esame, degli antigeni per il microrganismo. Questo è un test molto più
rapido del precedente, ma prevede un certo tipo di esperienza. Altro metodo di
diagnosi è quello della PCR.
Non tutti i test che oggi abbiamo a disposizione, a differenza di quelli che abbiamo per
i virus, lavorano direttamente sul liquido biologico.

Vale la pena fare la ricerca per gli anticorpi? Non sempre. Molti di noi hanno anticorpi
per vari miceti, pur non presentando infezione fungina.
Se si ha un’immunocoltura positiva, la prima cosa che si fa è una colorazione di Gram,
che è sì specifica per i Batteri, ma comunque, anche se non si colorano, i miceti sono
visualizzabili.
Le colonie che possiamo trovare su Sabouraud agar hanno aspetti peculiari, non sono
assolutamente confondibili con dei batteri. Crescono anche a temperatura ambiente.
Si hanno forme piatte, forme pigmentate.
Tornando alla diagnosi diretta esiste un ulteriore tipo di test, molto rudimentale, messo
a punto negli anni Ottanta, che il test di immunodiffusione, già visto nei batteri della
difterite per distinguere batteri che producono la tossina da quelli che non la
producono. Per quanto riguarda i miceti, si prende una pianta e la si buca, si fanno dei
pozzetti: uno centrale e vari laterali. Nel pozzetto centrale si mette il siero (contenente
anticorpi), negli altri il materiale biologico. Se abbiamo un’immunodiffusione, essa si
manifesta con una linea di precipitazione tra l’antigene presente nel materiale
biologico e l’anticorpo nel siero.
Nel caso dell’immagine, il campione numero 2 non ha assolutamente antigeni di
Candida, perché non c’è stato alcun tipo di reazione. Stesso discorso per 3 e 5.
Risultano positivi 1, 6 e 4.
E’ un test abbastanza rapido, si palesa nel giro di poche ore.

Un’altra alternativa è l’utilizzo della presenza dei galattomannani sulla parete di cui
parlavamo prima per andare a verificare la presenza di un micete.

La ricerca favorita dai micologi è, attualmente, quella del DNA fungino, che sono delle
metodiche molto precise, che prevedono un controllo e che devono essere condotte in
ambiente non contaminato. Quindi metodo PCR.

Farmaci

Ce ne sono di vario tipo, come la Glisofulvina che agisce sugli acidi nucleici. Per la
maggior parte trattano forme cutanee e si applicano sotto forma di pomata.
Abbiamo poi dei farmaci che si legano alla membrana del micete, come l’ Amfotericina
B (questi possono avere effetti tossici anche per il paziente).
Infine abbiamo le chitosine, che bloccano la sintesi delle proteine.

Normalmente va attuata una duplice terapia nel caso di queste infezioni, che possono
essere più profonde, quindi utilizzando due farmaci contemporaneamente.

Micosi superficiali

Micosi che vanno a colpire la parte superficiale dell’epidermide, dove abbiamo


un’interferenza estremamente importante del fungo con la pigmentazione della cute.
Su questa schiena vediamo chiaramente una depigmentazione (che può trovarsi sia
sul dorso che sul petto, più raramente sul collo o sull’occhio a livello del canale
lacrimale). E’ la Malassezia furfur a causare questa patologia, la cosiddetta pityriasis
versicolor. Oltre alla depigmentazione, abbiamo anche la formazione di squame
furfuracee.

Per poter crescere questo fungo necessita di una grande quantità di lipidi, quindi in
questi soggetti che possono anche avere un’immunocompromissione, che possono
venire fuori da altre patologie, la presenza del fungo può venire espletata ad esempio
in presenza di olii o sostanze abbronzanti che possono contenere sostanze nutritive
lipidiche per il fungo. Questi funghi lipofili possono infettare anche l’occhio.
Nella coltura di Sabouraud agar potrà essere aggiunto ad esempio olio d’oliva per
promuovere il processo di proliferazione.

Un altro fungo autore di micosi superficiali è il Trichosporon cutaneum, associato alla


cosiddetta Pedra bianca (tipica nei paesi tropicali, Asia e Sud America), che determina
la formazione di piccoli granuli che colpiscono i peli superficiali. Determina
un’infezione non grave, salvo per il paziente immunocompromesso, in cui l’infezione
può diventare viscerale e raggiungere fegato, milza e reni determinando infezioni
sistemiche.
Abbiamo poi la Pedra nera, causata dalla Piedraia hortae. Anch’essa si localizza a
livello di capelli, peli, baffi... Prolifera e fuoriesce sotto forma di piccoli granuli di colore
nero. Anche in questo caso si localizza in paesi ad alto livello di umidità e temperatura.
La coltura di questi funghi può essere fatta tramite uno scraping della zona infetta, i
funghi vengono trattati con idrossido di potassio, vengono posti su vetrino e vengono
analizzati. Alternativo allo scraping, vi è lo scotch, utilizzato soprattutto per i parassiti
anali, posto sulle zone infette e poi su vetrino.

La Candida si presenta anch’essa con una micosi superficiale, più o meno profonda in
base al paziente che colpisce. Ne esistono vari tipi, conosciamo principalmente la
Candida albicans. E’ molto sensibile agli antibiotici (anche se alcune tipologie rare
presentano farmacoresistenza), ma richiede trattamenti prolungati nel tempo.
Le candidosi cutanee congenite interessano principalmente i neonati, che si infettano
durante il passaggio nel canale del parto se la madre presenta una candidosi vaginale.
La candidosi cutanea “da pannolino” nel bambino è dovuta invece ad una mancanza di
igiene, può essere causata quindi da una contaminazione fecale.
Comporta irritazione, prurito, nel tempo possibile formazione di pustole.

Le micosi cutanee da candida possono colpire lo strato ungueale, determinando la


frammentazione della parte cornea dell’unghia. Possono essere associate ad alti livelli
di umidità (ad es. una persona che si mette spesso le mani in bocca o che si mangia le
unghie).

Le micosi delle mucose (sempre da candida) si possono manifestare sotto forma di

- candidosi orale. Quando avvengono in un soggetto immunocompromesso


dopo lunghi periodi di terapia antibiotica, vediamo la formazione di
piccole placchette bianche che possono degenerare in lesioni dolorose.
- micosi viscerale. Trasportate dal torrente ematico possono andare a
colpire il tratto respiratorio
- candidosi dell’apparato vaginale e genitale maschile. Nella donna
possono provocare perdite vaginali e processi infiammatori dolorosi a
livello delle piccole labbra. Nell’uomo forte prurito e lesioni al glande.

Micosi profonde, Ortomixovirus E Paramixovirus


Abbiamo affrontato i Miceti la volta scorsa e i differenti tipi di micosi:
superficiali, cutanee, sottocutanee e profonde.
Possiamo affrontare le micosi seguendo questa scaletta e vedendo quali sono i
principali agenti eziologici che possono essere ritrovati in queste forme.
Considerate che trovate le micosi in un paziente non immunocompetente e
sono le cause principali di morte nei pazienti che hanno subito trapianto di
organo. Sono problemi importanti per i nostri ematologi sia per quanto riguarda
la diagnosi che per il trattamento. I principali funghi che possono dare infezioni
da micosi profonda sono rappresentati da forme di Candida profonda,
Aspergillo e altri patogeni come, ad esempio, il Criptococco.
Micosi profonde
Possono essere date da vari patogeni, che sono funghi dimorfi: alternano un
ciclo di riproduzione sessuata ad asessuata. Quindi in queste due fasi possono
crescere a temperature differenti. Parleremo di:
 Aspergillosi polmonare: determina l’Aspergilloma, a livello della cavità
polmonare, ed è definita da un altro patogeno preesistente;
 Blastomicosi, determinata da Blastomyces, responsabile di patologie
che possono fermarsi a livello cutaneo, oppure dalla cute si può avere
una infezione che diventa miliare, diffonde e arriva al polmone;
 Candida, visto nelle forme di micosi, determina patologie a livello di
orofaringe ed esofago
 Criptococco Neoformans, dà patologia polmonare e SNC: ha uno
stretto trofismo nel SNC
 Istoplasma Capsulato, dà patologia polmonare

1 ASPERGILLOSI POLMONARE
Istoplasma, criptococco e candida sono tre patogeni correlati, spesso
quando il livello dei linfociti CD4+ cala drasticamente. In particolare nel
paziente affetto da AIDS conclamato si possono instaurare queste infezioni e il
primo di questo gruppo è l’Aspergillo. Esso ha una forma elegante perché è
fatto con un’ifa da cui si dipartono vari coni di pali (sembra quasi un pennellino
di cipria), con cui va a colonizzare la cavità polmonare. Se nel polmone
troviamo già un altro patogeno che ha determinato una patogenesi, il Micete
riesce a instaurarsi formando l’Aspergilloma. Dunque il virus predispone
all’Aspergilloma attraverso lesioni cavitarie. Le ife fungine proliferano in questa
cavità e c’è la forma di questo tipo, con offuscamento del lobo polmonare che è
dovuta a un gomitolo di ife fungine.
Aspergillus Niger, Aspergillus Fumigatus, Aspergillus Flavus sono
diversi tipi che si trovano in questi pazienti che acquisiscono l’infezione
normalmente per via respiratoria. La sintomatologia è a volte silente nei primi
stadi, dopodiché il paziente perde peso, presenta tosse cronica, debolezza, e
questi sono sintomi abbastanza importanti. Il paziente può in seguito alla
instaurazione dell’Aspergilloma nel polmone presentare anche emolisi e perdite
ematiche (la presenza di questo tipo di espettorazione si manifesta in una
percentuale molto elevata di soggetti: nel 50-80% dei casi si ha una forma di
questo genere).
Raggi x del torace: può interessare la pleura e poi diffondersi. Può anche essere
una diffusione iatrogena, dovuta a interventi meccanici che noi facciamo.
Nell’immagine si osserva un polmone colpito da Aspergillo: è un polmone che
va incontro a necrosi. Tuttavia dà l’idea di essere un polmone colpito da una
forma tumorale più che con un aspergillo, poiché presenta degli infiltrati
multipli e può presentarsi con una massa singola o in più punti focali del
polmone stesso. Le ife conidiali sono viste col microscopio elettronico,
allungate lungo la parte ipale, con pennacchio che si diparte e che determina
un ingombro sterico all’interno della cavità polmonare.
Questi sono i principali aspergilli che hanno questa testa conidiale leggermente
diversa ma che passano dal fumigatus, al niger, al flavus e anche altri: sono i
più frequenti.
Come viene fatta la diagnosi?
 Clinica: deve essere accompagnata da Rx toracica (immagine chiara e
netta)
 Microbiologica: servono analisi con prelievo profondo, si fa una
broncoscopia a livello dei bronchi, cercando di raccogliere materiale ifale
e analizzarlo.
 Sierologica: prima di passare ad una indagine invasiva, si può passare
dalla ricerca dei galattomannani nel sangue. Galattomannani e beta-
glucani sono la caratteristica principale della parete cellulare dei miceti
(non sono presenti nei batteri o virus). Non sono specifici per un preciso
tipo (come l’aspergillus niger o la candida), mettono solo in evidenza
infezione da funghi. Questo, insieme all’esame diretto, ci permette di fare
una diagnosi certa.
Queste forme di Aspergillo che colpiscono con un Aspergilloma polmonare si
instaurano fondamentalmente in un paziente che ha già avuto una co-infezione
precedentemente, anche batterica, come una tubercolosi polmonare che ha
formato una cavitazione nel polmone. Anche in un soggetto senza coinfezione,
ma gravemente immunocompromesso, può determinare la morte del paziente
se non viene fatta diagnosi rapida o usata la terapia giusta (con degli anti-
fungini).
2 BLASTOMICOSI
Nell’ambito micosi profonde, un altro patogeno da tenere in considerazione è il
Blastomyces. I Blastomiceti vivono nel suolo in terreni umidi e crescono
soprattutto nel legno (è considerata una malattia professionale di chi maneggia
il legno). L'infezione avviene per inalazione delle spore di questi blastomiceti.
Si può passare da una forma lieve e spesso asintomatica ad una forma grave.
Nel primo caso essa si presenta come una forma febbrile, flu like, simile alla
sintomatologia influenzale, e non ha una caratteristica sintomatologia. In alcuni
casi può determinare una forma grave, a livello dei tronchi degli alberi sono
presenti le spore dei blastomiceti che possono essere inalate.
La via preferenziale è quella respiratoria ma possono penetrare nel nostro
organismo anche attraverso delle ferite della cute. Il fungo può raggiungere il
polmone in diversi modi:
 Attraverso la cute raggiunge il sistema ematico e arriva al polmone
 Può arrivarvi direttamente attraverso l’albero respiratorio
Si diffonde e può presentare una forma miliare e arrivare ad esempio alle
articolazioni ma anche al sistema nervoso centrale. Quindi a livello
cutaneo e della patologia respiratoria, quando parliamo di forme solamente
cutanee di questo Blastomyces, si determinano alterazioni a livello di
sottocute, con formazione di ascessi e di papule che tendono ad espandersi e a
provocare delle ulcere, deformando il visus del paziente.

Queste sono forme normalmente dei Paesi tropicali, che raramente interessano
i nostri pazienti.
3 CANDIDA
 Dà infezioni superficiali a livello ungueale con la possibilità di creare una
necrosi intorno all’unghia, quindi la perdita della stessa.
 Può determinare delle alterazioni pruriginose nel neonato: la candida è
emessa per via fecale (candida da pannolino), con conseguente infezione
delle vie genitali nel piccolo bambino.
 Può provocare delle vaginiti pruriginose, spesso sono successive a una
terapia antibiotica di lunga durata che elimina la flora batterica (microbiota
e viroma, di cui si parla tanto oggi, devono essere bilanciate nel nostro
organismo) e che possono determinare forme a livello genitale trasmissibili
tra uomo e donna.
La Candida determina anche forme di infezioni a livello profondo. Non tanto nel
polmone, in cui ci aspettiamo, in un paziente immunocompromesso, una forma
da Aspergillo. Invece la Candida la troviamo nel sangue ma fondamentalmente
nel tratto gastrointestinale. La Candidiasi può essere:
 orofaringea (definito Mughetto)
 esofagea: in questa forma a una piccola percentuale di soggetti affetti da
AIDS non si riesce a fare una prognosi, si passa da una fase asintomatica a
una fase gravemente sintomatica. Il soggetto non risponde più mediante il
proprio potere anticorpale, e abbiamo la distruzione dell’esofago da parte di
queste forme di candida. Abbiamo soggetti con la prima diagnosi di HIV, ma
che stanno benissimo, e presentano solo grandi livelli di candida nelle feci.
Questo può essere un segno per diagnosticare nelle prime fasi l’HIV, che è
silente ma si nota solo candidiasi.
Classificazione delle fasi dell’HIV
 LAS: soggetto con linfoadenopatia satellitare
 ARC: cominciano i sintomi
 AIDS: stato conclamato
La candida quando colonizza l’apparato gastroenterico fa passare il soggetto
da ARC ad AIDS.
Qua vedete tutte le ife della candida che sono ben visibili in questa foto al
microscopio e permettono una prognosi assolutamente non buona.
CRIPTOCOCCUS NEOFORMANS

Sempre il soggetto immunocompromesso può essere colpito da altre forme di


miceti come il Criptococcus Neoformans, di cui ne conosciamo vari tipi: A,
B, C e D. Alcuni di questi sono presenti nel nostro territorio altri sono presenti
fondamentalmente nelle zone tropicali.
Il criptococcus neoformans dà una patologia fondamentalmente a livello
polmonare, ma soprattutto delle meningiti estremamente importanti, e i
pazienti eletti da questo microrganismo sono pazienti neoplastici e pazienti con
immunodeficienza acquisita. Il criptococco si trova nelle feci dei piccioni:
questo perché per poter crescere e portare avanti il proprio metabolismo il
criptococco ha necessità di usare creatinina che gli serve come sorgente di
nitrogeno (azoto). Le feci dei piccioni sono ricche di creatinina e di
conseguenza vi albergano criptococchi, questo vuol dire che i piccioni
eliminano facilmente criptococco che è asintomatico. Va fatta attenzione ai
bambini o per chi dà cibo ai piccioni. Nel bambino e nell'anziano il criptococco è
un’infezione grave. I ceppi di criptococco che più ci preoccupano perché sono
localizzati nella nostra zona sono ceppo A e D, mentre nelle zone tropicali e
subtropicali troveremo i sierotipi C e B, sempre escreti dalle feci del piccione.
Quale era l’altro batterio che poteva essere eliminato da uccelli, in particolare
dai pappagallini?
RISPOSTA STUDENTE: chlamydia psittaci.
Due cose completamente diverse, se uno potesse scegliere sceglierebbe una
psittacosi piuttosto che una criptoccoccosi. Comunque alla fine ciò che conta di
più è il livello igienico.
In una percentuale di soggetti variabile tra il 7 % e il 15 % i pazienti con AIDS
possono sviluppare questa infezione da criptococco che può invadere il
polmone, arrivare fino al sistema nervoso centrale, ma non solo: possono
colonizzare la cute, il tratto urogenitale e le meningi. Per cui hanno un tropismo
estremamente variegato e anche in questo caso come vedete l’infezione si
sviluppa nel momento in cui le cellule deputate alla nostra risposta anticorpale
crollano. Quanti CD4 dobbiamo avere? Fare la conta dei CD4 sarebbe un’analisi
inadeguata perché non abbiamo un valore di riferimento, ma normalmente in
un soggetto sano i CD4 sono circa 1000, quando calano sotto i 400 cominciamo
a preoccuparci perché possono essere delle variazioni determinate da svariati
problemi, ma quando abbiamo 100 CD4 per microlitro vuol dire che siamo in
una forma di immunodeficienza estremamente elevata. In queste situazioni
quasi microorganismi crescono e possono invadere il nostro organismo.
4 HISTOPLASMA CAPSULATUM
L’ultimo è l’histoplasma capsulatum: anche in questo caso la sua sede
preferenziale è rappresentata dal polmone, anche in questo caso l’histoplasma
viene eliminato dalle feci degli uccelli, le spore pertanto possono essere
respirate. Considerate che, grazie alla loro parete, tutti i funghi sono
estremamente resistenti all’esterno, per cui le feci vengono polverizzate
dall’ambiente e noi possiamo respirare sopra residui di feci le spore, il contagio
non è persona-persona, ma dall’ambiente al nostro organismo. Sintomi: febbre
(la febbre è caratteristica perché è di tipo intermittente), malessere generale,
polmonite di tipo interstiziale (che abbiamo già visto in alcuni casi a livello
batterico, per il micoplasma, per alcune forme di clamidia).
L’histoplasma è un fungo dimorfo quindi cresce a 37 gradi e sotto i 30 gradi e
nel suolo si è adattato a crescere anche a temperature inferiori perché nel
suolo non potrebbe sopravvivere se non in acque termali o nei geyser, questo
ci permette di capire che il terreno umido e le alte temperature permettono la
produzione di spore. Qua lo vedete in coltura, completamente diverso da quello
che siamo abituati a vedere per i batteri con questa muffa che esita dall’agar
sabouraud che è l’agar preferenziale per i funghi, si presenta bianca e
compatta.
Domanda studente: Questi terreni che cita li teniamo così come sono?
Si li teniamo così. Dunque teniamo presente che batteri e funghi crescono
preferenzialmente su terreni agar per dar loro tutti gli elementi fondamentali
per la loro crescita. I batteri sono gram positivo o negativi e quindi hanno
caratteristiche diverse e abbiamo dei terreni selettivi che permettono la
crescita di microrganismi, altri per i gram positivi (stafilococco), in questo caso
è un terreno ancora più selettivo perché aggiungiamo il sale (batterio olofilo).
Per i batteri normalmente il terreno migliore è l’agar sangue perché crea le
condizioni di base per tutto. Esistono diversi tipi: agar sangue, agar
sabouraud, agar macconkey. Abbiamo in base alla tipologia del nostro
microrganismo una crescita. E’ un compito del laboratorista. Dal momento in
cui si visualizza una determinata colonia, la identifichiamo mediante:
 MALDI-TOF [ndr: il desorbimento/ionizzazione laser assistito da matrice,
comunemente indicato con l'acronimo MALDI, è una tecnica di
ionizzazione soft usata in spettrometria di massa normalmente condotta
sotto vuoto a 10 mTorr o meno di pressione. Fonte: wikipedia]
Spettrometria di massa
Prove biochimiche
Dopodiché si fa l’antibiogramma.
Per quanto riguarda i batteri, pur avendo una PCR positiva e una diagnosi,
dobbiamo proseguire comunque l’isolamento colturale, se no non riusciamo a
eseguire l’antibiogramma.
Per quanto riguarda i funghi, è logico che qualche fungo cresce anche in agar
sangue (es la Candida). Tuttavia se c’è una infezione fungina è necessario
seminare in agar sabauraud.
L’importante è avere dei terreni che non permettano la crescita dei batteri. I
batteri crescono più rapidamente dei funghi che invece devono crescere a
temperature differenziali anche in tempi di una settimana.

VIRUS
Dei virus faremo meno di quello che è in programma, per questioni di tempo:
quello che è in programma va studiato

Diapositiva: spesso sentiamo dire che curiamo i sintomi influenzali con degli
antibiotici. Giusto o sbagliato che sia lo capiremo in questa lezione.
Effettivamente i virus, essendo dei parassiti intracellulari obbligati non sono
sensibili agli antibiotici.

Antibiotico è un farmaco che va utilizzato solamente contro i batteri, in alcuni


casi si usano gli antimicotici che hanno lo stesso principio attivo di alcuni
antibiotici. Attenzione perché le infezioni virali hanno delle terapie particolari.
Oggi abbiamo soggetti che fanno terapia cronica di lunga durata. Fino a trenta
anni fa, negli anni 80, per l’Epatite non avevamo farmaci e l’HIV non lo
conoscevamo si usava solo l’AZT [ndr: L'Azidotimidina (AZT) è un analogo
nucleosidico della timidina, proposto inizialmente come anti-neoplastico, ma
abbandonato perché troppo tossico. Agisce come inibitore dell'enzima
transcrittasi inversa virale, bloccando la funzione di DNA polimerasi. Così la
produzione di genoma virale è impedita. Fonte: wikipedia].

Il farmaco antivirale ha il grosso problema che uccide la cellula perché il virus è


nascosto al suo interno, quindi spesso se non si tratta di un farmaco antivirale
eccellente, mi determina citopenia. Oggi ci sono ottimi antivirali per alcune
infezioni croniche. Sicuramente nel caso dell’influenza non si dovrebbero usare
farmaci antivirali. La cosa migliore contro l’influenza sarebbe prevenirla col
vaccino. Secondo l’ultimo aggiornamento del WHO, World Health Organisation:
il vaccino antinfluenzale va fatto da 3 anni in su perché questo permette
l’immunità di gregge. Il problema del farmaco antivirale va tenuto sotto
controllo!

I virus sono gli unici che possono vivere con un genoma a RNA. Sono
microrganismi viventi divisi in due grandi categorie:

DNA: citomegalovirus

RNA: HIV, influenzali


Parleremo di virus Influenzali e virus Parainfluenzali:
 Orthomixovirus, una grossa famiglia a cui appartiene l’influenza
 Paramixovirus a cui appartengono i virus parainfluenzali e cui
appartiene anche il Morbillo (quest’anno allarme enorme per più di mille
casi di morbillo)

A VIRUS INFLUENZALI
Nell’ambito dei Ribovirus, a RNA, abbiamo due gruppi di Ribovirus
Genoma di senso negativo
Genoma di senso positivo
Oggi trattiamo i virus con genoma di senso negativo (influenza). Per espletare
le sue funzioni questo virus deve essere trascritto da un enzima: RNA
polimerasi RNA-dipendente. È un enzima specifico ed è espresso dal virus
stesso. A questo stesso gruppo di virus appartengono oltre all’ortomixovirus
(influenzale), i paramixovirus (parainfluenza, virus respiratorio sinciziale,
morbillo, parotite), rabdovirus (virus della rabbia), filovirus (ebola),
buniavirus (non molto importanti nella nostra zona). Questi sono quelli su cui
ci focalizzeremo oggi. I virus a RNA con genoma positivo devono trovare una
via di azione, producendo degli mRNA favoriti che devono prendere il
sopravvento sugli RNA della cellula, altrimenti sarebbero eliminati. Essi devono
in qualche modo bloccare le sintesi macromolecolari della cellula infetta.
Studiamo questi orthomixovirus: sono di forma rotondeggiante e presentano
delle spike esterne, sono i recettori con cui si lega alle cellule. Ogni anno
muoiono 40 mila persone prematuramente a causa dell’influenza. Questo virus
è come lo stafilococco.
Il genoma del virus influenzale non è unico ma è presente a segmenti
genomici:
7 segmenti nei ceppi influenzali C
8 segmenti nei ceppi influenzali A o B
Ognuno dei segmenti di RNA genomico codificherà per una o più proteine e lo
scambio tra questi ceppi aumenta le possibili combinazioni. Sono segmenti di
RNA monocatenario lineare di senso negativo. Il virus è di forma sferica ed è
provvisto di un involucro a livello della membrana lipidica su cui sono presenti:
 Emoagglutinina: è l’anti-recettore con cui il virus si lega alla cellula
 Neuroaminidasi: lo protegge dalla cellula delle prime vie aeree
respiratorie, facendo in modo che la produzione di sostanze da parte
della cellula delle mucose respiratorie non inattivi il virus.
Dunque il virus si presenta con una proteina che serve per l’attacco e una
proteina per la difesa. Queste due proteine che formano spike virali.
 Proteina M, si chiama Matrice e racchiude il genoma per proteggere
questi 7 o 8 segmenti, che ci sono all’interno (ognuno dei quali
codificherà per una proteina). I frammenti di genoma racchiuso sono detti
microcromosomi.
 Canale M2, permette al virus di aderire alla superficie cellulare e quindi
di potere esporre il genoma. Quando il virus penetra all’interno della
cellula deve spogliarsi ed esporre il genoma per riprodursi, e l’azione
viene mediata dalla proteina M. I microcromosomi sono legati a delle
proteine associate all’RNA (questo virus per replicarsi usa l’enzima RNA
polimerasi RNA dipendente e ciò avviene anche grazie a PB1, PB2, PBA
che formano il complesso trascrittasico).
Il virus deve salvaguardarsi dall’azione dello splicing cellulare (fenomeno
attivato dalla cellula che taglia pezzi di virus, inattivandolo) e lo fa
presentando, oltre tutte le sue proteine strutturali sopracitate, anche due
proteine non strutturali con funzione regolatrice: NS1 e NS2 servono a
proteggere le molecole di RNA virale dallo splicing durante la sua esportazione
dal nucleo al citoplasma. Il virus influenzale è robusto, molto diffuso, a volte
banale, ma anche mortale per bambino e anziano.
Ognuno di questi microcromosomi è protetto dalla proteina di matrice, ha una
funzione e andrà a codificare una proteina diversa:

1:PB2 (p. basica)

2:PB1 (p. basica) complesso


trascrittasico

3:PA (p. acida)

4:HA emoagglutinina

5:NP nucleo proteina

6:NA neuroaminidasi

Questi esperimenti, atti a capire le funzioni del virus, vengono fatti utilizzando
dei modelli di laboratorio con dei virus defettivi, eliminando una parte di
genoma. Il virus così perde parte o tutta la capacità infettante, o non riesce a
difendersi dallo splicing cellulare. Per questo possiamo dire quali sono le
proteine che vengono codificate da questo virus. Il primo attacco tra virus
influenzale e cellula ospite della mucosa respiratoria avviene attraverso
l’antirecettore HA (Emoagglutinina) espressa dal virus, che si lega al
recettore della cellula ospite (Acido sialico). Per poter procedere nel suo
percorso, il virus, utilizza l’altra spike (Neuroaminidasi), che impedisce che il
virione sia neutralizzato dal legame con l’acido sialico presente nelle vie
respiratorie. Pertanto la Neuroaminidasi consente il contatto tra
Emoagglutinina virale e acido sialico cellulare, permettendo l’entrata del virus.
È un virus variabile per via del suo genoma segmentato e il suo RNA muta
durante il ciclo di replicazione. Anche il virus a DNA si modifica ma può dare
luogo a progenie virali difettive. Il virus a RNA ha una capacità in più perché
quando si modifica dà sempre luogo a progenie infettante.
 16 Emoagglutinine (da H1 ad H16)
 9 Neuroaminidasi (da N1 a N9)
Questo ci fa capire come questo virus possa modificarsi e come possiamo
infettarci. Ci sono tante combinazioni tra emoagglutinina e neuroaminidasi.
L’ospite fondamentale è l’uccello: i virus influenzali hanno reservoir negli
uccelli (es. influenza aviaria). Decorrono nell’animale in forma asintomatica.
Quando questi pollami furono infettati alcuni anni fa da un virus con
emoagglutinine di tipo H5 e H7 ci furono elevate mortalità anche per gli uccelli.
L’unico rimedio è in questo caso è la distruzione di tutto l’allevamento
(stumping out). La prima peste dell’uccello dovuta al virus influenzale è stata
nel 1800. Poi abbiamo avuto situazioni che si sono sempre ripetute.
Abbiamo quindi virus aviario e virus animale. Ci sarà una differenza, perché
effettivamente i due virus possono essere acquisiti da noi: come si
differenziano quando infettano le cellule umane e dell’animale?
Perché se fossero uguali questi due tipi di infezione sarebbe un problema: Es.
Aviaria
Sembrava che dovessimo essere tutti distrutti dal virus dell’Aviaria, non
avevamo vaccino. Si è visto poi che tutto è diminuito nei nostri paesi. Grosse
perdite si sono registrate in Cina e Thailandia dove il cluster si è sviluppato,
probabilmente per gli allevamenti in casa e per la densità di popolazione.

Si è visto che i virus influenzali a circolazione interumana si legano a livello


delle nostre cellule mediante un legame alfa 2,6 galattosio, mentre i virus
influenzali animali hanno un legame alfa 2-3 galattosio.
Nelle mucose respiratorie umane abbiamo la possibilità di legare
l’emoagglutinina del virus influenzale alfa 2,6 galattosio, mentre il virus
animale che lega alfa 2,3 galattosio è impossibilitato perché non trova questo
recettore nelle nostre mucose. Perciò i casi di influenza aviaria sono stati
contenuti nel nostro paese. Tuttavia non lo sono stati in altri paesi perché un
virus influenzale che si replica attivamente e che colpisce tutti gli individui che
non sono immuni determina una variabilità, modifica le sue capacità recettoriali
e in un secondo tempo può legarsi a recettori diversi. In Thailandia i virus
animali per alfa 2,3 galattosio si sono comunque legati ai recettori delle
mucose umane per alfa 2,6 galattosio.
Pericolo dei virus variabili: si modificano nel tempo e si espandono. I virus come
l’Aviaria, i ceppi che determinano la MERS (Sindrome respiratoria
mediorientale), la febbre gialla, si modificano e si espandono! Problema
fondamentale del sistema respiratorio. Nelle mucose umane è presente
solamente dell’acido sialico cui il virus si lega con legame alfa 2,6 galattosio,
mentre negli uccelli usa alfa 2,3 galattosio. Questo determina l’estrema
variabilità del virus.

La classificazione del virus influenzale è fatta con delle sigle: A/Hong Kong/1/68
(H3N2); A/Singapore/1/57 (H2N2)

Significa che è stato isolato a Hong Kong nel 1968, in un ceppo A e possiede
una Emoagglutinina di tipo 3 e una Neuroaminidasi di tipo 2. Il secondo ceppo è
stato isolato a Singapore e possiede una Emoagglutinina di tipo 2 e una
Neuroaminidasi di tipo 2
Il virus che circola anche quest’anno è un H3 N2, ed è nel vaccino da qualche
anno, se domani venisse H7 N7 noi non saremmo provvisti di anticorpi per cui
potremmo supporre di andare incontro a una forma epidemica. Se viene fuori
un virus di 30 anni fa, chi ha più di 30 anni è immunizzato, mentre chi è più
giovane ne è suscettibile, perché privo di questi anticorpi.
Ogni anno a fine di agosto vengono isolati questi ceppi che saranno poi
responsabili della pandemia o dell’infezione dell’anno successivo.
La variabilità è dovuta a due fenomeni:
 ANTIGENIC SHIFT: scambio del genoma del virus che determina la
formazione dell’emoagglutinina con un altro segmento che determina la
formazione delle neuroaminidasi; abbiamo spostamento e quello che ne
viene fuori è un virus completamente diverso e l’assetto delle glicoproteine
che ne vengono codificate è completamente nuovo. Parliamo di antigenic
shift quando abbiamo la sostituzione totale dei caratteri antigenici o della
Emoagglutinina o della Neuroaminidasi che sono quelli fondamentali. Questo
Shift Antigenico, in cui abbiamo uno scambio di due segmenti, avviene ogni
tanto, a intervalli lunghi, e non tutti gli anni (sarà l’Antigenic Drift che
avviene più frequentemente). Lo Shift è estremamente importante e causa
una pandemia quando riguarda il cambio di Emoagglutinina. Infatti la
maggior parte degli anticorpi che produciamo sono nei confronti
dell’Emoagglutinina. Se abbiamo cambio totale della Emoagglutinina con
questo antigenic shift siamo privi di anticorpi nei confronti del nuovo ceppo
virale.
Questo antigenic shift è anche dovuto al fenomeno in cui due virus, uno di
origine animale e uno di origine umana si ricombinano tra di loro. Il
fenomeno della ricombinazione virale è un fenomeno abbastanza frequente
nei virus a RNA.
Un virus umano che si lega con legame alfa 2,6 galattosio e un virus aviario
che si lega alle mucose degli uccelli con alfa 2,3 galattosio. Questi due virus
si devono combinare in un nuovo ospite, quale il maiale, creando un virus in
grado di legarsi alle nostre cellule sia mediante il legame alfa 2,6 sia
mediante il legame alfa 2,3 (ad esempio l’influenza suina).
Quindi il virus influenzale sostituisce il gene dell’Emoagglutinina e della
Neuroaminidasi con un gene di altra derivazione. Può infettare un altro
individuo: il fenomeno ricombinazione avviene ottimamente, e otteniamo un
virus nuovo e non abbiamo anticorpi, ma soprattutto ci possiamo infettare.

 ANTIGENIC DRIFT: è un cambio un po’ più light che può determinare delle
mutazioni focalizzate solo a uno o pochi aminoacidi. La variazione non è
eclatante ma solo piccole modifiche sia a livello della Neuroaminidasi che
della Emoagglutinina (per questo è chiamata H1 H2 H3…)

Storia dell’influenza

Il virus della Spagnola (H1N1): ha fatto più


morti rispetto a quanti ne abbia fatti la Guerra,
perché non c’erano cure. C’era stato un grosso
antigenic shift. Ci si chiede se in realtà siano
morti per la Spagnola o per i pochi antibiotici
usati contro le infezioni batteriche. Si pensa
erroneamente che la Spagnola sia stata portata
dagli spagnoli. In realtà fu portata dai francesi.
La Spagna infatti non era in guerra ed era
l’unica a poter scrivere sui giornali e aveva
libertà di stampa. Fin dai tempi dei Babilonesi
ogni anno si registrava un certo numero di
morti, attribuito a un’influenza astrale negativa.
Pertanto quella che prima era stata chiamata
influenza Astrale fu annotata e denominata
influenza Spagnola.
INFLUENZA AVIARIA

 L’insorgenza di casi di infezione umana solo per esposizioni a dosi elevate di


virus di origine animale e l’assenza di trasmissione interumana

 Ciò naturalmente non esclude in via assoluta il rischio della possibile


comparsa di un virus H5N1 con un’aumentata capacità di dare infezioni
umane

 L’analisi del genoma dei virus aviari H5N1 isolati da casi umani verificatisi di
recente nel Sud Est asiatico avrebbero dimostrato nel gene PB2, che codifica
una parte essenziale dell’apparato trascrittivo del virus, la presenza di
mutazioni che potrebbero conferire al virus un’aumentata efficienza
replicativa in cellule umane).

INFLUENZA SUINA
 A partire da metà aprile 2009, in diversi Paesi sono stati riportati casi di
infezione nell’uomo da nuovo virus influenzale di tipo A/H1N1 (noto come
“influenza suina”). Test preliminari di laboratorio indicano che a scatenare
l’epidemia è stato un nuovo sottotipo del virus A/H1N1 mai rilevato prima,
né nei maiali né nell’uomo.
 Sulla base delle procedure stabilite dal Regolamento sanitario
internazionale, il 25 aprile 2009 il Direttore generale dell’Oms Margaret
Chan ha dichiarato questo evento una “emergenza di sanità pubblica di
interesse internazionale”.
 Il 10 agosto 2010 il Direttore Generale della Organizzazione mondiale della
sanità (Oms) ha dichiarato conclusa la fase 6 dell'allerta pandemica da virus
A/H1N1v (2009) e, pertanto, si è entrati nella fase post-pandemica

INFLUENZA A (H1N1)

 Ha una clinica banale, normalmente colpisce tratto respiratorio e nei


bambini può avere complicazioni. Può colpire anche il tratto
gastrointestinale.
 Spesso ci si infetta contemporaneamente di virus influenzale e
parainfluenzale.
 A volte non è il virus influenzale verso cui ci siamo vaccinati, ma un virus
parainfluenzale, con sintomatologia e clinica sovrapponibili.
 Clinica:
o Periodo di incubazione: 18-72 ore (via respiratoria), esordio acuto
o Le manifestazioni cliniche nell’adulto: febbre (prime fasi e dura in
media 2-4 gg), brividi, cefalea, dolori muscolari generalizzati, segni di
infezioni delle prime vie aeree superiori, e spesso prostrazione e
fotofobia. Una tosse non produttiva è presente dopo i primi giorni.
o Le manifestazioni cliniche nel bambino sono simili a quello dell’adulto,
anche se il paziente pediatrico può avere febbre elevata, con sintomi
gastrointestinali, otite, tosse e miosite. Il miglioramento delle forme
senza complicazioni inizia dopo 3-4 gg sebbene stanchezza,
affaticamento e tosse possono persistere per una settimana ed oltre.
 Forma che sparisce per 1 settimana, ma rappresenta un grosso danno
economico per la società
 Diagnosi: fino a qualche tempo fa era rara da fare. Oggi va fatta
assolutamente per individuare l’eziologia. I reparti più colpiti sono quelli di
geriatria. La maggior parte dei virus isolati sono stati H3 N1 (abbastanza
tranquilli), ma in alcuni casi ci sono stati degli H1N1 (quindi virus che stanno
riemergendo). La diagnosi si fa mediante:
o RICERCA DIRETTA (fase acuta): su tampone naso faringeo
 PCR
o RICERCA INDIRETTA (fine della fase acuta e in convalescenza) ricerca
anticorpi (IgG, IgA) mediante EIA
 Vaccini:
o Già nel 2008/2009 avevamo un vaccino costituito da due ceppi A,
isolati nel 2007:
 uno con neuroaminidasi di tipo 1 ed emoagglutinina di tipo 1
 l’altro ci copriva anche per l’emoagglutinina di tipo 3.
o Ceppo B (Florida), questa situazione è stata ottemperata nel tempo
cambiando ceppi perché si utilizzavano i ceppi di primo isolamento
nella stagione precedente
o Il Ceppo 2016 contiene H1N1 e H3N2
Quali sono le domande che fanno gli anti-vaccinisti?
 Autismo: purtroppo diagnosticato dopo il primo anno di vita, ovvero
quando inizia ad avere rapporti con l’ambiente esterno. A 13 mesi viene
completato il ciclo vaccinale
 Squalene (deriva da una sostanza estratta dallo squalo): sostanza
utilizzata come additivo e si credeva fosse responsabile di alcuni effetti
collaterali del virus influenzale
 Industrie farmaceutiche: se voi foste nell’industria andreste a progettare
un prodotto che viene somministrato solo una o poche volta nella vita
(richiami vaccinali)? Servirebbe ad arricchirvi? [Ndr: digressione
sull’ignoranza della gente]
[Ndr: La prof invita a leggere attentamente il nuovo Calendario Vaccinale
aggiornato]
Riassumendo: Virus influenza è estremamente variabile, con RNA
sedimentato, capacità di fare Antigenic Shift e Antigenic Drift, capacità di
codificare per proteine diverse e di ricombinarsi: il virus aviario si ricombina col
virus umano in un altro organismo animale, il maiale, originando un virus che si
lega con entrambi i tipi di recettore (alfa2,3 animale e alfa2,6 umano). Banale
forma delle vie aeree respiratoria, nulla di grave. Tuttavia la possibilità di
infettarci permette al virus di replicarci e di creare nuovi ceppi.
B PARAMIXOVIRUS
Cui appartengono virus
 Parainfluenzali (di tipo 1, 2, 3,4)
 Morbillo (HRS virus respiratorio sinciziale)

Questi virus non hanno il genoma segmentato, sono più stabili perché formati
da un’unica molecola; sintetizzano a livello del citoplasma. Non possono
dunque essere classificati come estremamente variabili. Emoagglutinina e
neuroaminidasi si trovano in un’unica spike e il genoma è un’unica molecola di
RNA che è legato a molecole strutturali (RNP). Presenta una proteina V ricca
in cisteina, che serve per la sua replicazione. È un virus a polarità negativa
La Glicoproteina è unica (HN) e funziona contemporaneamente come anti-
recettore e come attività neuroaminidasica, racchiusi in un’unica spike virale.
Da ricordare anche la Proteina F, poiché è importante nel morbillo. Essa è
detta proteina fusogena, e serve per la fusione del virus con la cellula ospite.
Questa proteina è presente alla superficie della cellula infetta, dove i virioni
neoformati fuoriescono, e interagisce con la membrana plasmatica, formando
sincizi. Ciò significa che se si infetta una cellula con un Paramixovirus, le cellule
in seguito a infezione virale possono morire, possono presentare effetto
citopatico, effetto mitogeno (a causa di un virus oncogeno), oppure presentare
dei sincizi (a causa di un virus sinciziogeno). Il virus sinciziogeno entra nella
cellula formando dei sincizi, quindi non si dividono completamente durante la
divisione cellulare. Questo è dovuto alla proteina F
Recettori per Paramixovirus: sono sempre gli acidi sialici. Per il Morbillo esiste
la molecola di superficie CD46
Infezioni limitate all’epitelio delle vie respiratorie, con breve periodo di
incubazione.
La sintomatologia morbosa dipende dalla moltiplicazione virale a livello della
zona di penetrazione.
Adulti: è interessata la mucosa nasofaringea
Bambini: l’infezione si può diffondere alla laringe alla trachea, ai bronchi, agli
alveoli.
Non provocano mai estese manifestazioni epidemiche, e sono responsabili di
una variabile percentuale di affezioni respiratorie durante tutto l’anno, con
maggiore frequenza durante la stagione invernale
PAROTITE

 Sintomatologia data dal fatto che vengono colpite le parotidi. La parotide


colpita può essere monolaterale o bilaterale, con deformazione della
stessa.

 È il tipico paramixovirus, di cui si conosce un unico tipo antigene. È


l’agente eziologico della parotite epidemica, caratteristica dell’infanzia

 Periodo di incubazione: 15 giorni e si è contagiosi da 4-5 giorni prima


della comparsa dei sintomi e fino alla completa guarigione

 Clinica: febbre moderata, stanchezza, perdita dell’appetito, a cui segue


ingrossamento delle ghiandole parotidi (con dolore al collo, sotto le
orecchie) Possibili complicanze: pancreas e sistema nervoso. Può dare
otiti, encefaliti, orchiti (infiammazione del testicolo con gonfiore),
problemi a ovaie nella femmina, atrofia testicolare nel maschio
(impotenza), mastiti nel seno. Se un adulto viene a contatto col bambino
che acquisisce parotite da virus selvaggio (non vaccinale), prima ancora
della manifestazione il bambino è contagioso, elimina il virus facilmente,
e lo elimina anche quando c’è una guarigione: quindi il bambino non va
mandato subito a scuola.
 Trasmesso attraverso saliva, per contatto diretto, raggiunge le vie aeree
superiori, arriva attraverso i linfonodi regionali, attraversa il circolo
ematico e può determinare infezione delle ghiandole salivari (epitelio
duttale) con conseguente edema e processo infiammatorio.

MORBILLO
145000 decessi
22 mila casi riportati da sette Paesi della Regione europea (Kyrgyzstan, Bosnia
ed Erzegovina, Federazione Russa, Georgia, Italia, Germania, Kazakistan)

 Bambino presenta esantema, maculopapulosa, comincia a manifestarsi


dal tronco. Abbiamo l’esantema. Il virus è stato eliminato 5 giorni prima e
viene eliminato dopo l’esantema per 4 o 5 giorni. Dunque quado abbiamo
la clinica evidente il virus lo abbiamo prima e dopo (come nella parotite).
 Non ci accorgiamo di avere un contatto con una persona che ha il
morbillo perché ancora non ha la manifestazione clinica caratteristica
dell’esantema.
 Periodo di incubazione variabile: 15-20 giorni
 La prima fase (prodromica) è caratterizzata da febbre, malessere,
mucosite e con forma di Koplika che precedono di qualche giorno la
forma esantematica. L’esantema scompare dopo una settimana
 Si può fare diagnosi microbiologica anche leggermente precedente e
capire quando il virus viene eliminato.
Morbillo, Epatite A, B, C
Morbillo
Il morbillo è un virus che interessa le vie respiratorie e che produce una sintomatologia
caratteristica e viene classificata tra le malattie esantematiche della prima infanzia. In
particolare, l’esantema del morbillo si accompagna anche a delle alterazioni a livello
della lingua, con la comparsa di macchie biancastre che prendono in nome di macchie
di Koplik. Nel momento in cui abbiamo la forma visibile dell’esantema, dobbiamo
considerare che il virus viene eliminato anche attraverso la saliva e le urine, in un
periodo pre e post esantema. La carica virale è quella post esantema ed è quello che
viene utilizzato per caratterizzare, genotipizzare e diagnosticare il virus del morbillo
che può presentarsi in diverse varianti. L’ esantema scompare dopo circa una
settimana e in questo periodo (e in quello precedente) abbiamo l’eliminazione del
virus. Il soggetto risulta contagioso anche prima della manifestazione clinica. La
diagnosi viene eseguita dal punto di vista sierologico, effettuando test che mi mettono
in evidenza le IgM che sono presenti alcuni giorni prima della manifestazione classica
(la viremia precede la forma clinica). Le IgG compaiono più tardivamente, e se
abbiamo un titolo di IgG non accompagnato da un titolo di IgM (che durano una
trentina di giorni) si deduce che l’infezione è risalente al mese precedente. La viremia
è estremamente elevata dopo l’esantema, ciò viene utilizzato per la caratterizzazione
del virus, oltre che per la diagnosi, mentre livelli più bassi di virus vengono secreti
nella fase pre-esantema.

Adesso abbiamo un epidemia in atto, e sappiamo che il 20% della popolazione è


scoperto dalle vaccinazioni. Nei primi 4 mesi del 2017, in Emilia-Romagna sono stati
registrati più di 1000 casi di morbillo, un dato fuori ogni misura, e l’88% dei soggetti
infatti non è sicuramente stato vaccinato. La maggioranza ha un’età oltre i 15 anni e
da ciò si deduce che essa non abbia effettuato il vaccino nel periodo in cui esso era
fortemente consigliato.
Il virus del morbillo è estremamente patogeno e può dare delle complicazioni e tra le
principali abbiamo la broncopolmonite e un’otite media (quindi diffusione e
localizzazione del virus a livello dell’orecchio e del polmone). In questi casi spesso si
può avere la copresenza di infezioni batteriche sempre nelle stesse zone. Un caso su
mille di morbillo (morbillo selvaggio non vaccinale o vaccinico) può determinare
un’encefalite virale che si manifesta generalmente a distanza di alcuni giorni dalla
comparsa dell’esantema. Quello che più preoccupa, anche se è una forma rara, è la
possibilità che in alcuni soggetti (1/300 000) si manifesti un’encefalite subacuta
sclerosante, una forma estremamente grave e degenerativa. Essa è stata correlata al
morbillo mediante 3 punti:

1 Livelli elevati di anticorpi nei confronti del morbillo. Si ritrovano a livello


sia a livello ematico ma soprattutto a livello di liquor.
2 A livello dei neuroni e delle cellule gliali si trovano microcapsidi virali del
morbillo
3 Nel caso in cui si possa procedere ad un’autopsia, a livello cerebrale si
trovano alcune varianti di virus del morbillo, che sono virus leggermente
diversi.

Quando abbiamo parlato dei paramyxovirus abbiamo visto l’antigene rappresentato


dall’emoagglutinina, e abbiamo focalizzato la nostra attenzione sul fatto che una
proteina estremamente importante codificata dal virus prende il nome di proteina F,
proteina fusogena. In realtà quando si va a verificare e a caratterizzare il virus nei
soggetti di encefalite subacuta si vede che sono presenti emoagglutinina e proteina F
leggermente variate. Questo può farci capire come il carico del virus non sia
estremamente elevato, ma che determina un’infezione cronica persistente a livello di
SNC, che porta alla degenerazione del tessuto gliale.

I soggetti presentano una fase prodromica durante la quale abbiamo disturbi a livello
dell’attenzione, dell’umore e del comportamento che possono diventare sempre più
ingravescenti nella fase conclamata in cui abbiamo veri e propri disturbi della
coscienza, della vigilanza e della parola, oltre che atassia. Essendo una malattia
neurodegenerativa in alcuni casi non c’è un punto di ritorno e il paziente è
gravemente compromesso. Si vede dunque che il virus è rilevante per il fatto che
colpisce orecchio e polmoni, ma nel caso colpisca il SNC può portare a encefalite
subacuta.

Con il nuovo calendario vaccinario, a differenza di quello che era in vigore fino all’
anno scorso, si è stabilito che il vaccino vada fatto entro l’anno di età ed è
multivalente quindi ci protegge da parotite, rosolia, morbillo. Non dà complicazioni, e
dopo la prima vaccinazione intorno al 13 mese di vita, il richiamo è previsto intorno ai
6, a 12 e a 13 anni.
Due anni fa è stato creato un nuovo vaccino nei confronti del morbillo dalla Center for
Disease Control and Prevention (CDC) di Atlanta: un cerotto sotto il quale vi sono un
centinaio circa di piccoli aghi che contengono il vaccino. Questo viene applicato sulla
cute del bambino e leggermente spinto per far fuoriuscire il vaccino e in modo molto
rapido, e più facile a causa di una larga distribuzione, viene introdotto (maggiore
sensibilizzazione del vaccino). È più efficace, poiché si basa sulla somministrazione del
virus attenuato, è meno costoso e sta iniziando a diffondersi.

Con il morbillo si chiude l’argomento di ortomyxovirus e paramyxovirus che sono i


primi virus affrontati in virologia. Quando parleremo di influenza, epatite, HIV,
seguiremo lo stesso schema di base: caratteristiche generali del virus (a DNA o RNA),
come replicano, quali proteine vengono codificate dal genoma del virus e che
permettono la replicazione dei virus nella cellula target, la clinica e la diagnosi di
infezione. Questo schema è sovrapponibile a quello dei batteri. Nella parte generale
abbiamo fatto i vari tipi di replicazione, infatti ora vediamo come il virus dell’ epatite
difficilmente replica in colture se non nei tipi cellulari degli epatociti. Questo ci crea
grandi problemi, come ad esempio il fatto che abbiamo il vaccino per l’epatite B ma
non quello per l’ epatite C. Quindi la capacità di riconoscere un organismo patogeno,
di capire come si replica o di vedere se le proteine antigeniche sono stabili sono cose
che dovete cercare di fare per unire la parte più generale e quella più specifica di cui
io vi faccio cenno.

EPATITE

I virus dell’epatite sono tanti, e oltre a quelli classici troviamo anche alcuni virus
herpetici che possono determinare epatite (intesa come alterazione a livello epatico),
e questo è ad esempio il citomegalovirus. Noi ci concentriamo sui virus dell’epatite A,
B, C, D, E. Alcuni sono virus a DNA, altri sono a RNA e sono considerati insieme per la
particolarità di colpire il fegato. In particolare, i virus dell’epatite C e D hanno il potere
di determinare il carcinoma del feto in alcuni casi. I virus dell’epatite A ed E si
trasmettono per via orofecale (mangiando e bevendo alimenti infettati dal virus o
contaminati da feci con virus). I virus dell’ epatite B e C si trasmettono per via ematica
ma in alcuni casi anche per via sessuale.

Epatite A
è un virus a RNA, di forma icosaedrica. Nei core è racchiusa una molecola di RNA a
polarità positiva e funziona da RNA messaggero, a differenza di quelli visti in
precedenza che hanno bisogno di una RNA polimerasi specifica. Qui abbiamo un
capside formato da una serie di 32 capsomeri che racchiudono la molecola di RNA.
Il virus ha un tropismo molto spiccato nei confronti del fegato. Per questo spesso
queste forme di epatite si accompagnano ad ittero. Si lega alle cellule epatiche
mediante una glicoproteina di superficie, penetra mediante processo di endocitosi, e
compie una replicazione citoplasmatica. La via di trasmissione è orofecale, il periodo di
incubazione è di 2-3 settimane, è estremamente contagiosa dato che la quantità di
virus eliminata dal soggetto infetto è davvero elevata. L’ingresso avviene per il canale
alimentare, nell’ intestino tenue si moltiplica moltissimo dopodiché segue la
replicazione a livello del fegato. La replicazione in realtà avviene sia a livello
intestinale che epatico. Possiamo rilevare il virus nelle feci già una settimana prima
della comparsa della sintomatologia. Nella prima fase il virus è presente nel sangue,
quindi abbiamo una fase viremica a livello ematico poi la fase viremica presente a
livello di materiale fecale. Nel momento in cui produciamo anticorpi nei confronti del
virus, non riusciamo ad identificare la sua presenza nel sangue, pertanto:

 Prime due settimane: livelli di virus nel sangue e nelle feci precocemente
(il soggetto è subito infetto e contagioso). Colpisce il fegato per cui
abbiamo livelli di transaminasi e marker epatici alterati.
 Si formano IgM a metà della viremia (un mese circa) e coincide con
l’eliminazione a livello fecale, che fa abbassare le IgM (nel giro di 2/3
mesi non le ritroviamo più). Le IgG si comportano come di dovere,
aumentando più tardivamente con un picco che si presenta verso la 4°/6°
settimana e perdura nel tempo. Difficilmente abbiamo di nuovo infezioni,
ma possiamo avere cronicizzazione dell’epatite A.
La sintomatologia difficilmente passa inosservata e le complicazioni possono essere:
gran replicazione a livello epatico che può risultare in un’epatite fulminante o epatite
colestatica che significa che abbiamo una stasi a livello della bile, un prurito intenso,
ittero persistente, che si manifesta con alterazione di enzimi epatici, che cronicizza. Di
questo virus ci si infetta una volta sola, per questo una volta acquisita l’infezione
siamo protetti nei confronti di questo virus selvaggio.
Dati aggiornati al 28 aprile 2017 riportano che in Emilia-Romagna ci sono stati 134
casi di epatite virale acuta, ed è un cluster che è stato notato perché si sono ritrovati
la maggior parte maschi e di questi maschi l’80% ha abitudini omosessuali per cui c’è
una contaminazione a livello fecale e a livello orale.
Per quest’epatite abbiamo un vaccino che funziona bene, e può essere fatto con
un’unica inoculazione ed essere protetti per un anno, oppure fare dei booster in
seguito ed essere protetti per più anni. È un vaccino inattivato, abbiamo questo Epaxal
che vale la pena fare se si va in un paese in cui ci sono delle condizione igieniche non
ottimali ed è possibile somministrarlo anche a bambini molto piccoli. Poi abbiamo
l’Avelix che può essere dato dai 5 mesi ai 16 anni e che conferisce un’immunità di un
anno. Se effettuato anche il richiamo dopo 12 mesi, l’ immunità si estende a fin oltre i
20 anni.
Non è un virus associato a forme di tumore come l’ epatite B o C ad esempio.
Il virus notato nel cluster di coloro che hanno abitudini omosessuali è un virus che sta
già cominciando a modificarsi, infatti più permettiamo al virus di colpire soggetti
diversi, maggiore è la possibilità che questi modifichino i punti di entrata nelle nostre
cellule, infatti possono creare dei superantigeni che infettano larga parte della
popolazione.

Epatite B
È un virus per cui il vaccino è stato reso obbligatorio a metà degli anni Novanta, ma
andando indietro negli anni si vede come i carcinomi epatici erano estremamente
elevati. Fermo restando che la maggior parte della popolazione (soprattutto quelli nati
dopo il ’95 e il personale sanitario) è protetta, l’epatite B continua a fare dei danni e
sicuramente molti casi di soggetti con epatite cronica risalgono agli anni Ottanta,
quando le trasfusioni non erano controllate.
È un virus più complicato e codifica proteine che hanno ognuna un compito peculiare.
In particolare questo virus a DNA codifica a 4 sequenze: una sequenza C codifica per le
proteine del core, una sequenza P che codifica per le polimerasi, una sequenza S che
codifica per le proteine di superficie, una sequenza X di cui le funzioni sono poco
chiare (è così in generale per quelle che si chiamano ‘’X’’, e le ritroveremo anche nei
retrovirus), ma sembrano dei transattivanti quindi inibitori di alcuni repressori della
replicazione cellulare. Analizziamole:

 Proteina C: proteina del Core virale che ha due forme, una forma C e una
forma C+preC. La prima dà luogo all’antigene del Core, la seconda viene
eliminata all’ esterno e darà origine all’antigene. Quello che dobbiamo
tenere in considerazione è che durante l’infezione da epatite B possiamo
vedere la presenza di quest’antigene, notare se ci sia l’antigene di
superficie, se abbiamo l’antigene del core, oppure l’antigene di superficie
associato al core, quindi ci serve per monitorare il paziente e vedere se è
in una fase acuta o in una fase cronica o in una fase di risoluzione della
malattia.
 Proteina P: coinvolta nei meccanismi enzimatici
 Proteina S: se effettuiamo un test per vedere se c’è un infezione in atto o
se siamo protetti nei confronti del virus dobbiamo richiedere l’analisi
degli anticorpi nei confronti degli antigeni S. Il vaccino che hanno fatto
tutti è proprio quello che sviluppa anticorpi contro l’antigene S.
L’antigene S codifica per le proteine di superficie, 3 in particolare con PM
24000/33000/39000. Sono proteine che durante il processo di
replicazione vengono glicosilate e raggiungono pesi diversi. Studiando il
pattern di geni dell’epatite, e cercando di capire la fase in cui si trova il
paziente, analizziamo gli anticorpi nei confronti delle singole proteine,
quindi il loro studio non diventa un puro esercizio mnemonico.
 Proteina X: attività transattivante, e può inibire l’ attività della p53.
La p53 è molto importante nei virus che hanno azione oncogena, è infatti un
oncosoppressore.
Ma oltre all’epatite B e all’epatite C quali sono i virus correlati ai tumori? Uno è
l’Epstein Barr, che si trova nell’ambito dei virus erpetici (Herpes simplex, Herpes
Zoster, cytomegalovirus, HHV6, HHV7, HHV8 e il virus di Epstein-Barr (EBV), correlato
al linfoma di Burkitt e al carcinoma naso-faringeo, che sono due forme che noi
vediamo poco poiché esistono solo in alcune zone de mondo come in Africa e in Asia
(soprattutto in Africa in zone dove esiste la malaria, poiché essa stimola in modo
incontrollato la proliferazione della cellula, quindi c’è un’alterazione a livello
cromosomico 8-18 8-16, per cui il gene che codifica Myc viene sbagliato, e noi
rispondiamo comunque allo stimolo antigenico). Un altro esempio di virus oncogeno è
l’ HPV.
Questi possono avere un oncogene ma la maggior parte di loro utilizzano un
meccanismo transattivante, ovvero utilizzano una parte delle loro proteine per
stimolare o reprimere i fattori di controllo cellulare.
Il virus si replica poiché si lega alla cellula epatica mediante un recettore e lì avverrà
l’uncoating, ovvero si toglie la capsula del virus e il DNA è libero di dirigersi al nucleo
dove si replica, viene trascritto, codifica per le polimerasi per la trascrizione del virus
stesso. Fa due tipi di RNA, subgenomici e pregenomici. Questi ultimi codificano per le
proteine del capside mentre i subgenomici codificano per proteine virus specifiche.
Acquisisce il pericapside, matura, si dirige all’ergastoplasma dove rilascia i virioni.
Ricominciano poi il ciclo con altre cellule epatiche limitrofe.

È diffuso in tutto il mondo e di questo virus esistono vari sottotipi virali. Nonostante sia
costante per la maggior parte delle sue proteine, presenta zone estremamente
variabili. Fondamentalmente ci sono genotipi differenti (dalla lettera A alla lettera H).
Noi abbiamo, fondamentalmente nella nostra zona geografica, infezione dall’A, B e C.
Altre zone del mondo presentano ceppi diversi.
Troviamo grandi livelli di antigeni di superficie nel sangue che diventa per questo
molto contagioso, e ci sono anche a livello di fluido spermatico e vaginale in bassissimi
livelli.
Il livello è molto basso nelle feci, sudore, lacrime e si notano solo in vitro (anche qui
difficilmente), e si può ritrovare anche nel latte materno, per questo si tende a
preferire in caso di infezione un allattamento artificiale piuttosto che al seno. Come si
può dedurre questo non è molto possibile nei paesi in via di sviluppo.

Vediamo allora come si muovono le proteine codificate da questo virus e come le


possiamo evidenziare.

La presenza di un antigene virale (o batterico) precede la presenza degli anticorpi. I


primi antigeni che si formano sono HBsAg, l’antigene di superficie, e l’antigene E che
ha un picco molto più basso e contenuto nei mesi dopo l’esposizione. Se sospettiamo
un’infezione da virus dell’epatite B, prima ancora di aspettare che gli anticorpi si
vengano a formare (4-5 mesi dopo l’infezione primaria), bisogna tener conto della
comparsa di HBsAg.
Per permettere un trapianto si effettua la PCR che mette in evidenza HDV, HCV e HBV.
Se è negativo l’organo non viene dato, se è positiva si va a fare una PCR singola per
HDV, HBV e HCV. Quindi come prima cosa si richiede di ritrovare la presenza
dell’antigene, dopodiché l’antigene ‘’passa’’, esso ha una curva a campana
abbastanza stretta, e al 5°/6° mese abbiamo gli anticorpi che coincidono con la fine
della replicazione virale. In questa zona se volessimo potremmo anche andare a
ricercare il DNA, e quando c’è DNA virale c’è anche HBSaAg e vuol dire che il paziente
è altamente contagioso.

 HBsAg: se attivo mette in evidenza lo stato di infezione. Poniamo il caso


che sia positivo solo esso, vorrebbe dire che il soggetto sta replicando, è
in fase viremica, è da prendere subito in carico. Se ci sono anticorpi Anti-
S senza HBsAg trattasi di una infezione pregressa e questa è la situazione
di chi è vaccinato.
 Antigene E: è quello che abbiamo visto essere presente
contemporaneamente a HBsAg, e indica che il DNA sta replicando e che
siamo nella fase altamente contagiosa. L’antigene E viene poi controllato
dalla presenza di anticorpi anti-E, la cui comparsa coincide con il termine
della replicazione virale.
 Core: l’antigene del Core che viene codificato dalla sequenza C, non lo
troviamo nel sangue ma fondamentalmente nel fegato. Nel sangue
andiamo a ricercare gli anticorpi anti-C che compaiono precocemente e
permangono tutta la vita.
Se in Rossi abbiamo anticorpi Anti-S e Anti-C, e in Bianchi solo Anti-S, Rossi ha
un’epatite recente, bisogna vedere se sta cronicizzando o se sta guarendo, Bianchi è
vaccinato.
Se prendiamo 100000 persone che sono infette dal virus dell’epatite B, abbiamo
diverse possibilità. Alcuni possono avere un’infezione silenziosa (si noterà più avanti
ad esempio con uno screening di laboratorio per gli anticorpi e vediamo che oltre gli
anticorpi Anti-S ci sono gli Anti-C). Alcuni possono evolvere in una infezione acuta che
in 100 soggetti può determinare un’infezione fulminante. Su questi 100 000 una parte
va incontro a cirrosi epatica, e uno 0,3% va incontro ad un carcinoma epatocellulare, e
in caso di epatite C la percentuale aumenta ulteriormente.
Se però la malattia non si risolve, Antigene E e Antigene S persistono nel tempo con
una curva asintotica per l’asse delle ascisse e continuano ad essere presenti; siamo di
fronte ad una viremia persistente. I marcatori virali più importanti sono sicuramente
quelli della DNAemia e antigenemia che persistono nel tempo e poi possiamo avere
un'infezione con un altro virus che tratteremo più avanti, l’epatite D, che causa una
prognosi più infausta. Possiamo avere anche un’infezione occulta (silenziosa), notata
perché pur facendo tutti i controlli sulle trasfusioni di sangue e sui donatori (abbiamo
due opzioni, quello di chiudere il periodo finestra e inibire la sensibilità dei test: questa
oggi non c’è più, ma anche nella PCR un minimo di periodo finestra è presente), si era
visto che quei soggetti negativi ai test molecolari erano comunque stati infettati da
soggetti con bassissima viremia.

L’epatite B come abbiamo detto è un virus oncogeno, e agisce con due meccanismi
che non sono uno esclusivo dell’altro ma possono coabitare e aumentare il rischio di
carcinogenesi. Si può pensare ad un ruolo diretto del virus oppure ad un ruolo
indiretto. Se parliamo di ruolo diretto consideriamo che quando il virus entra nella
cellula epatica, fa l’uncoating, viene trascritto e codifica DNA pre e sub genomici. Il
virus però si integra nel DNA della cellula e integrandosi va incontro a mutazioni come
delezioni o ricombinazioni quindi non è più un genoma stabile e prende il sopravvento
la proteina X che inattiva l’oncosoppressione determinata dalla p53, e
contemporaneamente esalta altri geni come c-jun, c-fos, c-myc che stimolano la
replicazione cellulare. L’altro è un ruolo indiretto: il virus si lega con la sua
glicoproteina esterna all’ epatocita e quest’ ultimo innesca il processo di rigenerazione
in quanto risponde all’insulto virale con la sua replicazione. Questo determina una
risposta antinfiammatoria elevata, i linfociti e i monociti vanno nel fegato, le cellule di
Kupffer regolano un network citochimico che stimola i fattori di crescita che stimolano
la replicazione cellulare.
Il ciclo vaccinale viene fatto a tempo zero poi a 5-6 mesi ed è attuabile solo nei
bambini di madri affette da epatite, altrimenti il vaccino è fatto a 2-3 mesi. Il vaccino
risulta efficace nella stragrande maggioranza dei casi e gli unici anticorpi che ci sono
contro il vaccino sono quelli nei confronti dell’antigene di superficie.
Ciclo vaccinale oggi attuato: 3 mesi-5mesi-11mesi
Nei neonati da madre infetta. 0/1mese-2/3 mesi-1 anno
Epatite C
Anche questa danneggia il fegato e appartiene alla famiglia dei Flavivirus, flavo
significa giallo, infatti in questa famiglia si ritrova anche il virus della febbre gialla,
molto diffuso in Brasile. È un virus a RNA, non è coltivabile in vitro, anche se
guardando in letteratura cominciano ad esserci i primi casi studiati su linee di
epatociti, ma quello che si fa in vitro non sempre è riproducibile nella realtà. Questo è
la causa per cui non si riesce a produrre un vaccino nei confronti di questo virus.
Del virus conosciamo diversi genotipi. Determina un’infezione cronica. È
estremamente diffuso in qualsiasi parte del mondo. Le morti annuali da infezioni da
HCV sono più di 350 000. È prepotente e si diffonde facilmente ed è la causa principale
di tumore epatico, poi è logico che ci sono fattori e cofattori che possono agevolare ed
è per questo che non facciamo altro che parlare di prevenzione e stile di vita sano.
L’infezione da HCV rappresenta uno dei fattori più importanti per mettere un paziente
in lista per un trapianto d’organo. Negli USA più di 5 milioni di soggetti son infetti ed è
presente molto anche in Europa.
Il periodo di incubazione può raggiungere i 2 mesi, i soggetti presentano ittero ma in
percentuale inferiore rispetto al virus dell’epatite B; tuttavia, hanno una percentuale
superiore di sequele croniche e di contrarre un’infezione persistente.

Questo genoma codifica per delle proteine del core e prendono il nome di E e sono
responsabili della codifica dell’antirecettore virale e per le proteine NS (non strutturali,
a differenza delle prime) che sono anch’esse essenziali per la replica, perché
interagiscono con le proteine delle nostre cellule. Le proteine del core con E1 ed E2
formano i peplomeri, cioè la parte più esterna e che codifica anche per l’antirecettore.
Le altre proteine NS formano gli enzimi atti alla replicazione.
 Core: codifica per proteine core e sembra agisca esso stesso come
fattore di attivazione di alcuni oncogeni virali. Non abbiamo, come
abbiamo visto precedentemente, un oncogene x su cui si pone
particolare attenzione per la replica del virus, ma abbiamo questa
proteina del core che attiva la presenza di oncogeni cellulari come RAS e
anch’essa modula l’azione di p53. Questo naturalmente ci potrebbe
spiegare perché HCV, a differenza di HBV, non è in grado di integrarsi
nella nostra cellula, quindi non può usare il meccanismo di
destabilizzazione del DNA cellulare
 Proteine E1 E2: codificano per due glicoproteine, e una di queste, la E2,
costituisce l’antirecettore, che si lega al CD81 presente nelle cellule
epatiche. Questo E2 è estremamente variabile per cui non si riesce a
costruire degli anticorpi adatti. Questa variabilità ha determinato 7
diversi genotipi.
 Proteine NS: Sono proteine necessarie alla replicazione del virus e oggi
da HCV si guarisce grazie a farmaci molto costosi e di ultima generazione
in grado di bloccare NS5, il che non permette di codificare per l’RNA
polimerasi. Il farmaco Sofosbuvir è stato un grande successo della
scienza perché, a differenza di altre infezioni come l’HIV, con la quale
bisogna assumere farmaci fino alla morte, questo elimina il virus. È
pangenotipico e va bene per tutti i genotipi.

−4
Ogni volta che replica il virus muta, e replica con un tasso di 10 , molto simile a
quello dell’HIV.
In Italia il genotipo prevalente è 1B; il resto è divisibile fra genotipi 2, 3 4. Il genotipo
era importantissimo fino a poco tempo fa con i farmaci che erano monogenotipici, ma
comunque per lo studio del farmaco si fa il genotipo facendo la sequenza virale.

La trasmissione è soprattutto dovuta a sangue contaminato, utilizzo di droghe


inoculabili per via endovenosa, uso di materiale chirurgico non sterilizzato, il trapianto
d’ organo prima dei controlli, incidenti a livello ospedaliero. C’ è poi la trasmissione
verticale che non provoca danni, ma ci possono essere nascite pre-termine, e si
devono effettuare controlli prima e dopo la gravidanza.

La diffusione è a livello globale con zone che presentano un’incidenza più elevata
rispetto ad altre. La sintomatologia coincide fondamentalmente con un’alterazione a
livello epatico. Tropismo e ittero si presentano prima ancora della comparsa degli
anticorpi, che si possono rilevare tardivamente, ovvero dopo 3-4 mesi.

Nella prima fase, oltre all’alterazione delle transaminasi, abbiamo un picco di RNA
(replica del virus).
Se l’RNA virale è ancora presente dopo un certo tempo, vuol dire che l’infezione è
diventata persistente. In un paziente che guarisce gli enzimi ALT si assestano su valori
normali, in un soggetto che non risolve l’ infezioni le transaminasi sono sempre
elevate.
Schema dell’evoluzione dell’infezione:

Parlando nello specifico del farmaco pangenotipico nominato prima, il Sofosbuvir, esso
fa parte dei farmaci DEE che agiscono direttamente come antivirali: lavorano sulle NS5
impedendo la replicazione dato che è una sequenza che codifica per le RNA
polimerasi. Nel 2014 sono stati messi a punto dei protocolli per cui venivano trattate
solo alcune categorie di persone, ma ora si stanno espandendo (la terapia è molto
costosa).
È un farmaco che ha bisogno di coterapia, ovvero di doppia e tripla terapia con farmaci
che non risolvono l’infezione: la ribavirina, che lavora sulla replica virale seppur
indirettamente, gli interferoni che hanno il compito di agire come stimolanti del
sistema immunitario. I primi protocolli prevedevano che ad essere trattati fossero
pazienti che non erano mai stati trattati prima, quindi escludeva parecchi soggetti,
pazienti con epatite cronica, soggetti trapiantati, all’ inizio di avevano dei limiti nei
genotipi 5 e 6, ma oggi con le ultime molecole di Sofosbuvir si può trattare qualsiasi
genotipo e avere grande successo.
Un paziente infetto da HIV è facile che venga anche infettato da HCV, poiché la via di
trasmissione è la stessa e non è nemmeno molto raro (l’invenzione da HIV altamente
codificante stimola la replicazione di HCV), quindi possiamo dire che un paziente
infetto HIV-HCV non è detto che faccia parte di una popolazione particolare e anche
questi possono essere curati da HCV.

Antigene delta da studiare autonomamente (vedi diapositive).

Papilloma virus
I papilloma virus sono virus molto importanti poiché sono virus oncogeni.
Harald zur Hausen, nel 2008, ha avuto il Nobel per aver riconosciuto il primo
cancro associato a un virus. Generalmente siamo abituati a sentir parlare di
tumori (ad esempio carcinomi) come HBV o HCV che possono essere causati da
virus, ma che possono anche non esserlo. Per quanto riguarda il carcinoma
della cervice uterina, se non c’è HPV non c’è tumore. È ovvio che sono
necessari una serie di altri cofattori, ma è indispensabile la presenza di questo
virus perché si sviluppi il tumore. Vedremo che, in realtà, questo virus è
associato anche ad altri tumori, sia della regione ano-genitale femminile, ma
anche maschile, sia della regione testa-collo, sia di altri tumori più vari.
L’infezione da HPV è causa necessaria per il carcinoma alla cervice, ma
provoca anche altri tumori sia nella donna, sia nell’uomo. Circa il 5% dei tumori
nel mondo è causato da HPV ad alto rischio oncogeno. Mentre per quanto
riguarda la cervice la totalità dei tumori è causata da HPV, per quanto riguarda
tutti gli altri tumori non possiamo dire la stessa cosa. Anche se in realtà il
carcinoma anale ha una situazione simile, cioè abbiamo l’HPV in quasi tutti i
tumori anali, per tutti gli altri tumori non è eziologico.

Struttura del virus

Abbiamo detto che quella dei papilloma virus è una famiglia molto grande. Si
tratta di virus a DNA circolare a doppia catena, piccoli (circa 8000 paia di basi),
hanno un capside e sono specie-specifici. Quindi gli HPV che infettano l’uomo
infettano solo l’uomo e quelli che infettano altre specie animali infettano solo la
relativa specie. Hanno tutti un tropismo per le cellule epiteliali, quindi infettano
solo cellule epiteliali, sia cutanee che mucose. Causano in genere lesioni
proliferative benigne (papillomi, condilomi, verruche), però anche molte lesioni
proliferative maligne.
Esistono più di 120 genotipi solo degli HPV umani. Il genoma di questo virus è
definito da:
- una regione di controllo;
- da una regione che codifica per le proteine early (cioè le proteine funzionali,
che non vanno a costituire la struttura del virus);
-da una regione late che codifica per le proteine strutturali, che costituiscono il
capside virale.
Per quanto riguarda le proteine late la L1 è quella maggiormente
rappresentata. È molto importante poiché i vaccini sono costituiti soltanto dalle
L1, perché è l’unica proteina immunogena del virus (in minima parte è
presente anche L2). Per quanto riguarda le proteine funzionali, invece, sono da
ricordare E6 ed E7, che sono le due oncoproteine virali, ovvero quelle
implicate nel meccanismo oncogenetico del virus, e la proteina E2 che è nel
capside, ma controlla la trascrizione di E6 ed E7. Quindi è proprio a livello di E2
che avviene la sovraespressione di E6 ed E7 e la proliferazione tumorale della
lesione.

Meccanismi di infezione del virus


Il virus infetta le cellule basali dell’epitelio, quindi lo strato più profondo,
raggiungendolo tramite lesioni continue della cute o delle mucose. La
specificità del virus per le relative cellule epiteliali è dovuto a delle molecole di
eparinsolfato presenti nella matrice della membrana basale. Il legame avviene
attraverso L1 e le altre 6 integrine di membrana, e la penetrazione avviene per
endocitosi.
Per quanto riguarda il modo in cui raggiunge lo strato basale, servono delle
lesioni continue della cute o delle mucose, quindi dei microtraumi. Le banali
verruche cutanee si prendono in genere in ambienti che favoriscono la
sopravvivenza del virus (piscine, ecc.); per le mucose, invece, il discorso è
differente, perché le mucose a livello delle quali si hanno le principali neoplasie
HPV-associate sono tutte mucose nelle quali si ha un epitelio di transizione di
qualche genere. Quindi, partendo dalla cervice uterina, tra l’esocervice e la
cervice, a livello della cervice di passaggio, c’è una zona dove le cellule basali
sono esposte, quindi il virus può penetrare senza che siano necessarie lesioni.
Stessa cosa accade a livello dell’orofaringe: anche qui, tra rinofaringe e
orofaringe, vi è un epitelio di transizione. Simile è anche l’ano, vi è un
passaggio tra due epiteli differenti, quindi il virus accede facilmente alle cellule
basali (ricordiamo che non può infettare le cellule superficiali dell’epitelio).
Perché infetta le cellule basali dell’epitelio? Perché sono le uniche cellule che
ancora si dividono, le altre sono già differenziate e non si dividono più. A livello
dello strato basale il virus si divide insieme alle cellule, si comporta un po’
come un plasmide: quando si dividono le cellule si divide anche lui, dando altre
particelle virali.
Nell’immagine, nell’epitelio basale, vedete soltanto il colore blu perché
vengono espresse solo le proteine funzionali e quindi non si forma il virus
completo ma sono presenti solo le proteine funzionali. Man mano che l’epitelio
si differenzia inizia ad esserci anche il colore rosso che indica le altre proteine:
prima le funzionali, poi negli strati superficiali si formano L1 e L2 e si forma il
capside virale e il virus viene rilasciato per esquamazione della cute o delle
cellule della mucosa. Quindi nello strato basale la replicazione è plasmidica e si
ha solo espressione delle proteine funzionali, mentre negli strati superficiali la
replicazione è detta vegetativa, cioè si ha replicazione del DNA virale ed
espressione delle proteine strutturali.
Nello strato basale può avvenire una replicazione trasformante, ovvero il
virus si integra nel DNA delle cellule basali. A livello dello strato basale, dove
avviene l’infezione, vi è una serie di fattori che interagiscono con la regione di
controllo del genoma virale. La regione di controllo regola l’espressione di E6
ed E7, che abbiamo visto essere le oncoproteine virali, e di E1 ed E2 che
abbiamo detto essere le proteine responsabili della replicazione del DNA virale,
ma anche di controllo dell’espressione di E6 ed E7: fanno quindi sì che E6 ed E7
vengano espresse in quantità sufficiente a consentire la replicazione virale, ma
che non vengano sovraespresse. Poi, in concomitanza con il differenziamento
cellulare, si ha espressione delle altre proteine funzionali e delle proteine
tardive e la produzione delle particelle virali complete.
L’infezione da HPV è l’infezione sessualmente trasmissibile più comune in
assoluto: si stima che dal 50 al 60% dei soggetti sessualmente attivi si infetta
con HPV almeno una volta nella vita, e nel 50% dei casi si tratta di HPV ad alto
rischio oncogeno, ovvero quelli che, potenzialmente, possono essere oncogeni.
L’infezione è correlata al numero dei partner e all’età: più i soggetti sono
giovani e più è facile che abbiano rapporti e che, quindi, il virus circoli. Inoltre i
soggetti più giovani hanno un sistema immunitario più immaturo e dunque
sono meno protetti dall’infezione. Nell’80% dei casi le infezioni sono transitorie
ed entro i due anni (e in alcuni casi entro i sei mesi), l’infezione viene eliminata
senza alcun tipo di implicazione, senza nessuna alterazione cellulare. Solo in un
10-20% delle infezioni è persistente. Per persistente si intende che dura più di
due anni. Se permane più di due anni vuol dire che non si il virus non si è
limitato alla replicazione plasmidica, ma si è integrato nel DNA cellulare. È
indispensabile che ci sia un’infezione persistente perché si abbia un tumore,
altrimenti le lesioni sono benigne oppure non sono affatto lesioni. Nel 10-20%
dei casi si ha un’infezione persistente che, nel giro di 5/10 anni, può dare una
displasia di basso grado, in altri 5/10 anni può dare displasia di alto grado e poi,
in una piccola percentuale di questi casi, si ha un carcinoma invasivo. La
persistenza virale porta alla trasformazione in CIN, però solo una piccola parte
di queste CIN evolverà a carcinoma [CIN sta per Cervical Intraepithelial
Neoplasia, ndr]. Questo perché l’HPV mette in atto un meccanismo per evadere
la risposta immune (sia quella cellula-mediata, sia quella anticorpale sono
veramente poco efficienti, mentre l’immunità data dal vaccino è ottima) e
inoltre perché si replica: questi sono i due episodi chiave che fanno sì che una
persistenza virale porti ad una trasformazione cellulare.
Per quanto riguarda l’evasione della risposta immune, l’HPV causa
un’alterazione della risposta locale per mancato o ridotto reclutamento delle
cellule effettrici, quindi i linfociti T espongono male l’antigene e la risposta
anticorpale non è ottimale. Nella donna la sieroconversione è intorno al 70% al
massimo, addirittura nel [non chiaro, suppongo sia uomini dalla diapositiva] è
intorno al 10%. I livelli anticorpali sono comunque molto bassi e danno una
protezione parziale dall’infezione: questo perché l’HPV non va in circolo, è
sempre un’infezione localizzata delle cellule, quindi la risposta anticorpale non
può essere valida. Inoltre ha un accesso limitato ai linfonodi, perciò la risposta
tumorale di per sé non può funzionare bene.
Quando dalla persistenza si passa a neoplasia vi è integrazione del genoma
virale in quello cellulare. L’integrazione avviene con la linearizzazione del virus
(essendo circolare deve necessariamente interrompersi) e il suo inserimento in
loci che, peraltro, non sono specifici. Quello che è abbastanza comune è che gli
HPV ad alto rischio oncogeno, per linearizzarsi, si interrompono tutti a livello di
E2, che controlla l’espressione di E6 ed E7. L’interruzione a livello di E2 fa sì
che vengano sovraespresse le oncoproteine virali. Queste due proteine virali,
codificate da E6 e E7 sono importantissime perché interagiscono con due
proteine del ciclo cellulare, p53 e la pRb, che controllano il ciclo cellulare. E6
agisce degradando la p53, E7 la lega impedendo il legame della pRb ai fattori
trascrizionali E2F-1. Nel complesso, dunque, agiscono immortalizzando la
cellula: si ha il blocco della cellula in modo tale che questa non si differenzi più
e il blocco dell’apoptosi cellulare. In questo modo provocano la progressione
tumorale.

Altri fattori che intervengono nello sviluppo del tumore


della cervice uterina
Abbiamo detto che l’HPV è indispensabile per il tumore della cervice uterina,
ma servono anche altri cofattori che promuovono la progressione tumorale:
l’oncogenesi è detta multifasica e multifattoriale (infatti non tutti coloro che si
infettano di HPV sviluppano una neoplasia). È una progressione molto lunga:
dal momento dell’infezione a quello della manifestazione del tumore invasivo
passano circa 30 anni.
I fattori che intervengono sono i più vari. Alcuni sono i fattori che vengono
sempre citati in caso di meccanismi oncogenetici (fumo, contraccettivi
ormonali, dieta, etc.) e che hanno un ruolo minoritario; altri sono fattori
genetici quali anormalità insite nei cromosomi, o riarrangiamenti che
favoriscono l’integrazione dell’HPV, così come c’è una predisposizione dovuta
al sistema maggiore di istocompatibilità che fa sì che gli individui che hanno un
MHC di classe 2D hanno maggior rischio di carcinoma cervicale. Anche gli
individui immunodepressi si infettano più facilmente, l’infezione persiste più a
lungo ed è più facile che si sviluppi il carcinoma della cervice. Molto importante
è l’infezione da HIV e sembra incidere anche la coinfezione con altri virus e
microorganismi (anche se ciò è parzialmente documentato e non è chiaro se si
tratti effettivamente di coinfezione oppure del fatto che gli individui già infetti
con altri virus e microorganismi hanno attitudini sessuali differenti da individui
che non li hanno, per cui sono più a rischio di infezione da HPV e quindi di
sviluppo di carcinoma).
[nel rispondere a una domanda la prof sottolinea il fatto che i fattori come
dieta, contraccettivi ecc, devono essere considerati poco in quanto sono di
scarsa rilevanza nell’influenzare la comparsa di carcinoma]
Interazione HIV-HPV e trasmissione del virus
Tra HIV e HPV vi è un effetto additivo/sinergico nel processo di infezione e
progressione neoplastica. Nelle donne HIV positive è molto più alta la frequenza
di infezione (non di tumore) da HPV rispetto alla popolazione normale (75%
contro 30%). Altra cosa molto frequente è la prevalenza di infezione con ceppi
virali multipli, cioè nei soggetti HIV positivi non si trova un solo ceppo virale,
ma gruppi di HPV. Evidentemente il fatto di avere pochi CD4 con una carica
HIV-RNA alta fa sì che il paziente sia particolarmente immunodepresso e questo
favorisce la progressione della lesione da HPV. È stimato che nelle donne HIV
positive il rischio di avere carcinoma cervicale è di circa 5-22 volte più alto
rispetto alla popolazione normale. Tant’è che questa categoria di donne ma
anche di uomini è ‘screenata’ in maniera diversa rispetto alla normale
popolazione.

Trasmissione
La trasmissione è sessuale in senso lato, non serve un rapporto sessuale
completo, poiché il virus si trova sulla cute e sulle mucose. La protezione
fornita dal preservativo aiuta, ma non è sufficiente. Le sedi di infezione, oltre
alla cervice, sono la vagina, la vulva, il pene nell’uomo, la regione anale e la
regione di testa e collo.

Classificazione
Bisogna ricordare che gli HPV sono stati classificati dividendoli in cutanei e
mucosi, ma questa divisione non è in realtà così rigida. Alcuni tumori cutanei
sono associati ai genotipi mucosi, quindi questi sono i genotipi principalmente
oncogeni.
Gli HPV umani (human PV) fanno parte prevalentemente degli alpha, o dei beta
e dei gamma, tutti gli altri sono Papilloma virus di altri animali. Esistono più di
120 genotipi diversi di HPV umani, di cui una quarantina infettano la mucosa
genitale.
Questa classificazione degli HPV genitali ne riferisce solo 13 come veramente
cancerogeni. Gli HPV veramente importanti sono quelli indicati in rosso nella
slide, quindi sono solo 13/14. Se guardate la diapositiva, la maggior parte dei
carcinomi cervicali invasivi sono dovuti all’HPV 16, quasi nel 60% dei casi,
seguito dall’HPV 18. Questi soli 12 genotipi più ad alto rischio causano circa il
93-94% di tutti i carcinomi cervicali. Se riusciamo a proteggerci da quelli siamo
a buon punto. Quelli particolarmente oncogeni, abbiamo detto, sono HPV 16 e
HPV 18. Nel 70-80% dei casi i carcinomi squamosi, quelli più comuni, sono
causati dal 16. HPV 18 è più frequente negli adenocarcinomi cervicali.
Incidenza e prevenzione
È la terza neoplasia maligna per incidenza nelle donne in tutto il mondo,
addirittura più importante del polmone, ma la maggior parte dei casi sono
registrati nei paesi del terzo mondo (87%). Anche in Europa, però, l’incidenza è
abbastanza elevata (11.2) e anche in Emilia Romagna c’è un’incidenza di 8.0
che non è bassissima, ma da questo numero non riusciamo a muoverci.
La nostra più importante arma è il fatto che nell’infezione da HPV, prima di
arrivare al carcinoma invasivo, vi sono una serie di stadi precedenti che sono le
lesioni di basso, medio e alto grado, cioè lesioni preneoplastiche, non neoplasie
invasive. Fino ad oggi lo screening era finalizzato a identificare le lesioni prima
che fossero invasive. Calcolando che ci vogliono circa 30 anni dall’infezione
all’invasione e circa una decina per arrivare a lesione di alto grado in
quell’ambito ci si muoveva per prevenire la neoplasia.
I carcinomi invasivi sono presenti in una minima parte delle donne infettate dal
virus. Non solo soltanto una minima parte passa ad avere una lesione, ma le
lesioni possono anche regredire: soprattutto nelle donne giovani la maggior
parte delle lesioni non progrediscono allo stadio successivo. Il picco di
prevalenza dell’infezione è intorno ai 20-25 anni (molti rapporti, sistema
immunitario non sviluppato), il picco delle lesioni preneoplastiche è intorno ai
40 anni, il picco del carcinoma invasivo è intorno ai 60, quindi si ha tutto il
tempo per prevenire. La prevenzione è affidata allo screening (prevenzione
secondaria) e al vaccino (prevenzione primaria).
L’HPV è un problema anche maschile, soprattutto come concetto di economia e
sanità pubblica, perché nell’uomo l’infezione è costante nel tempo (non cala, a
differenza della donna per un discorso di attitudine sessuale). L’uomo è dunque
un ottimo veicolo dell’infezione. Questo è importante perché fino all’altro
giorno la vaccinazione era rivolta solo verso le donne, mentre dal nuovo piano
vaccinale si iniziano a considerare anche gli uomini. L’uomo è inoltre bersaglio
dell’infezione, e vi sono anche altre patologie che potrebbero essere correlate
all’HPV per quanto riguarda la regione ano-genitale. La regione di testa e collo
riguarda naturalmente entrambi i sessi.
Il carcinoma del pene a differenza di quello della cervice uterina non è
dovuto solo all’HPV, il virus è coinvolto solo nel 50% dei casi. I genotipi più
frequenti sono sempre 16 e 18. Tuttavia nell’uomo lo screening citologico non è
attuabile a causa di difficoltà nel prelievo mentre nella donna la localizzazione
è specifica nel collo uterino facilmente raggiungibile e quindi recuperare le
cellule è molto semplice.
Un fatto curioso è che, poiché da quando la donna è infettata dal virus a
quando sviluppa una lesione passano circa dieci anni, è capitato che negli studi
di confronto del ceppo di HPV presente nell’uomo e nella donna di una coppia, i
due ceppi risultassero diversi, a causa dei precedenti partner dei membri della
coppia. Ciò ha causato a volte problemi familiari.
Il cancro anale è un problema piuttosto importante, per quanto raro. Esso è
associato prevalentemente all’HPV (in particolare al 16). Il carcinoma anale ha
una classificazione simile a quella del carcinoma cervicale (lesioni di basso,
medio e alto grado, poi carcinoma invasivo). Però è un tumore raro, quindi in
realtà il concetto di screening per il carcinoma anale (svolto grazie ad un
tampone) ha senso solo in categorie di pazienti in cui la probabilità di sviluppo
di carcinoma anale è più elevata (HIV positivi e omosessuali a causa del tipo di
rapporto più invasivo e ad alto rischio di lesioni).
I tumori dell’orofaringe non sono rari e hanno un altissimo tasso di mortalità
perché finché non sono davvero invasivi non danno alcun tipo di sintomo e non
ce ne si accorge. Si deve quasi sempre intervenire chirurgicamente. A questo
può essere associata una chemio o radioterapia che in alcuni casi è precedente
al trattamento chirurgico, mentre in altri viene scelta come unico trattamento.
Comunque la sopravvivenza media a cinque anni è bassa, quindi è un tumore
molto studiato perché non si sa come gestire questo tipo di pazienti. I tumori
della cavità orale non sono necessariamente all’HPV, anzi, molti sono associati
ad altri fattori di rischio (fumo e alcool). La percentuale di tumori dell’orofaringe
associati all’HPV si aggira intorno al 60%, gli altri non sono HPV-associati.
In questo caso non esistono lesioni preneoplastiche (sono state fatte
supposizioni riguardo la leucoplachia come possibile lesione preneoplastica, ma
non vi sono dimostrazioni), quindi lo screening non può funzionare. Quindi
serve cercare l’HPV perché è un fattore prognostico positivo. I tumori anche ad
uno stadio avanzato HPV associati hanno una prognosi migliore rispetto a quelli
causati da fumo e alcool, e anche la risposta alla chemio o radioterapia è
migliore. Questo consente di impostare chirurgie e chemio/radioterapici più
leggeri e meno invasivi in questa tipologia di pazienti. Il fumo e l’alcool portano
all’attivazione di alcuni oncogeni come RAS, myc, ciclina D1, ed inoltre
all’inattivazione di alcuni oncosoppressori.
La tabella nelle slides è per mostrarvi che i tumori della regione testa e collo
HPV-associati e quelli non HPV-associati sono proprio due patologie differenti:
quelli HPV positivi sono correlati alle abitudini sessuali, gli altri al fumo e
all’alcol. L’età media [di insorgenza del tumore ndr] nei pazienti HPV positivi è
molto più bassa rispetto a quelli HPV negativi. I pazienti che hanno un tumore
orofaringeo HPV associato hanno un rischio maggiore di avere anche carcinomi
genitali.

Prevenzione secondaria: pap-test e HPV-DNA test


La prevenzione secondaria del cervico-carcinoma è lo screening organizzato
che funziona più o meno bene a seconda della localizzazione. Queste sulla slide
sono le tappe fondamentali del cervico-carcinoma:
-1941 Papanicolaou inventa il PAP test
-1996 definizione dell’HPV come causa del papilloma virus
-2006 nascita della prevenzione primaria con i vaccini. Non parleremo di
vaccini terapeutici perché in questo campo la medicina è in alto mare, anche
se sarebbe una grande frontiera da raggiungere.
Il pap-test è un prelievo fatto a livello cervicale che prende sia cellule
esocervicali, sia cellule endocervicali quindi tutte le cellule potenzialmente
colpite. Il prelievo viene mandato ai citologi per l’analisi. Il principale effetto
dell’HPV sulla cellula è la coilocitosi. La coilocitosi non è altro che questo
vacuolo che si trova attorno al nucleo, una sorta di bolla, di alone bianco, che
non è normale nelle cellule della cervice ed è suggestivo di un’infezione, quindi
non significa che l’infezione è in atto sicuramente. La coilocitosi può essere
causata anche da alcuni stati della cellula (menopausa, altre infezioni). La
multinucleazione, l’aumento della dimensione del nucleo, etc. invece
definiscono quelle che sono le lesioni di basso, medio e alto grado. Se poi si fa
la biopsia con la colorazione su una sezione istologica si vedono le stesse cose:
una coilocitosi e quante cellule sono alterate (se solo lo strato basale o anche
altri strati quindi i 2/3 o la totalità). Il pap-test è stato una rivoluzione perché,
da quando è stato inventato, il carcinoma cervicale si sta riducendo, anche se è
ancora migliorabile. È a carico soprattutto della sanità privata quindi in molte
regioni i programmi di screening generalizzato non hanno dato troppi risultati.
L’attivazione dei programmi di screening ha fatto sì che si avesse una riduzione
del 70% della mortalità per cervico-carcinoma, poiché portano a diagnosticare i
CIN II e III che sono le lesioni di alto grado che sono invasive ma microinvasive,
invadono pochissimo del basale, quindi consentono un trattamento migliore.
Come si trattano le lesioni di alto grado? Solo asportando, non esistono farmaci
che permettono di eliminare l’infezione. C’è qualche farmaco che è stato
utilizzato per ridurre i condilomi, ma hanno un’efficacia minima. L’intervento di
rimozione si chiama conizzazione: a livello della cervice viene fatta una
specie di ansa e viene portato via un piccolo strato tutto attorno, rimuovendo
tutte le cellule alterate e parte di quelle sane circostanti, onde evitare
problematiche successive. Oltre a questo i programmi di screening hanno
consentito di riuscire a identificare più precocemente le lesioni microinvasive e
di trattarle in maniera molto più efficace.
Il pap-test ha tuttavia dei problemi, poiché ha una sensibilità bassa (60%), pur
avendo un’alta specificità. Questo ha portato ad un cambio dello screening.
Non si fa più un pap-test, non si vanno più a cercare le cellule alterate ma si va
a ricercare il DNA dell’HPV (in particolare quelli ad alto rischio oncogeno). Si
passa quindi da un discorso di morfologia cellulare (alterazione) a individuare il
DNA virale. Questo screening fornisce una protezione maggiore del 60-70%
rispetto al pap-test. Inoltre cambia anche concettualmente: non permette di
vedere una lesione, ma definisce il rischio che ha quella paziente di sviluppare,
nei prossimi anni, un carcinoma della cervice. Il problema è che il test vedrà
tutte le donne che hanno HPV, che sono molte di più rispetto a quelle che
hanno una lesione, solo una su tre avrà una lesione. Quindi non è specifico.
Il rischio di infezione è molto maggiore per le donne giovani, però le donne
sotto i 30 anni, soprattutto, è molto difficile che presentino una lesione o, se la
presentano, è facile che questa regredisca. Perciò l’HPV test viene effettuato
solo nelle pazienti dai 30 anni in su, mentre le altre (25-29 anni) vengono
sottoposte a pap-test. Vengono sottoposte a pap-test anche le donne tra i 30 e
i 65 anni che sono risultate positive all’HPV-DNA test. Se si risulta negativi, il
PAP test andrà svolto nuovamente dopo tre anni, mentre in HPV-DNA test dopo
5.
La maggior parte dei test per l’HPV consente di amplificare il gruppo dei
genotipi di interesse (dei 14 genotipi) e in alcuni casi di stabilire anche di quale
specifico genotipo si tratta. Non serve la sierologia e non è possibile la
coltivazione in vitro. Hanno un 90% di sensibilità. Se non si ha il virus non si ha
infezione, se si ha il virus si può avere un’infezione. Questo perché il valore
predittivo negativo è alto, quello positivo basso.
Ogni strumento e metodo di prelievo ha bersagli molecolari diversi. Ogni
barattolino con mezzo di coltura che contiene il campione deve essere
screenato e sottoposto a test, bisogna fare molta attenzione.

Vaccino
Nel 2008 in Italia è partita la campagna vaccinale, non tutte le regioni sono
partite insieme. La vaccinazione è preventiva, quindi protegge dall’infezione
del virus, vaccinarsi se si è già positivi ad esempio per HPV16 non è efficace.
[nel rispondere a una domanda la prof successivamente spiega che il ruolo
degli anticorpi che si attivano in seguito a vaccinazione è quello di evitare
l’entrata del virus e il suo attecchimento nello strato basale quindi se esso è già
presente non può essere efficace: si cerca infatti di vaccinare le bambine a 12
anni, prima del primo rapporto sessuale, in modo da essere sicuri di coprire al
100% la bambina contro HPV16 e 18. Se la vaccinazione è fatta dopo non ho il
100% di copertura, perché il virus potrebbe già essere entrato]
Ad oggi i vaccini commercializzati impiegati nella vaccinazione organizzata
sono solo due Gardasil e Cervarix: uno è bivalente, l’altro tetravalente.
Entrambi hanno il 16 e il 18 come target (fornendo una protezione del 99%),
quindi sono equivalenti, in più il tetravalente ha anche il 6 e l’11 che non hanno
rilevanza nel carcinoma della cervice ma causano l’80% dei condilomi, molto
diffusi ma meno gravi. Si parla anche di cross-protezione: entrambi
proteggono in parte anche verso i genotipi che sono simili al 16 e al 18. In
realtà oggi è già commercializzato anche il monovalente, che non è ancora
stato rilasciato per l’utilizzo nell’ambito della vaccinazione organizzata.
Il vaccino non è altro che un capside vuoto, costituito solo da L1 (la proteina
che attiva gli anticorpi neutralizzanti). Si tratta di virus like particels (VLP)
ottenute con la biologia molecolare. La cosa interessante è che questi capsidi
vuoti inducono una risposta di IgG neutralizzanti molto migliore di quella
indotta dall’infezione naturale, poiché questi vanno in circolo, accedono ai vasi
sanguigni e inducono una buona risposta dei Th (risposta 5 volte migliore
rispetto a quella naturale).
Perché IgG se parliamo di superficie della cervice? Perché le IgG sono presenti
nelle secrezioni cervicali, quindi raggiungono comunque lo strato basale
impedendo al virus di penetrare. Si ha una sieroconversione che è vicina al
100%, ovvero una risposta anticorpale ottimale, cinque volte superiore rispetto
a quella naturale.
Le differenze principali tra i due tipi di vaccini sono nell’adiuvante [la prof qui
si interrompe]
Entrambi i vaccini sono efficaci in maniera più o meno analoga, non hanno
effetto terapeutico, sono efficaci anche sugli altri tipi di cancro, anche nei
maschi, hanno un ottimo profilo di sicurezza e, naturalmente, riducono i costi
relativi alla diagnosi e al trattamento.
La vaccinazione, però, non può sostituire lo screening per due motivi:
1 La copertura dello screening oltre a quella vaccinale non è mai male;
2 Il vaccino protegge da due HPV (16 e 18), non dagli altri. Gli altri ceppi ad
esempio il 45 sono molto simili al 16 e al 18, ma ancora i loro effetti non
sono del tutto chiari (es. correlazione con la sclerosi multipla)
Ogni regione ha programmi di vaccinazioni diversi. Un problema recente è
quello dovuto ai gruppi anti-vaccini.
Nei maschi la risposta anticorpale è maggiore che nelle donne. Nelle
vaccinazioni bisogna tener conto delle categorie di persone più soggette alla
infezione, come omosessuali maschi.
Il vaccino monovalente è composto dalla miscela di VLP dei vari ceppi e
rappresenta una nuova frontiera in quanto protegge il 14% in più nelle donne e
il 5% negli uomini.
Il piano vaccinale del mese scorso prevede la vaccinazione anche negli uomini
per cui è suggerito il polivalente, per prevenire la comparsa dei condilomi.
Si prevede in futuro una minore incidenza delle lesioni.

Retrovirus, Virus dell’immunodeficienza


acquisita
Introduzione storica
Prendendo spunto da quanto era stato fatto precedentemente al 1 dicembre
del 2002 (Giornata Mondiale dell’AIDS), Powell disse che l’HIV ha messo in
ginocchio il nostro sistema immunitario perché lede le cellule del sistema
immunitario, ma chi realmente è stata messa in ginocchio è una intera parte
del globo colpita da questa epidemia con dei numeri veramente elevatissimi.
Questo virus giunge alla nostra attenzione negli anni Ottanta. Nel 1981
cominciarono a verificarsi tra i soggetti omosessuali una serie di coinfezioni che
non si erano viste precedentemente, quindi queste persone morivano per delle
forme polmonari estremamente gravi e determinate da Pneumocystis carinii.
Presentavano inoltre un tumore che non si era visto precedentemente sulle
persone giovani, il sarcoma di Kaposi (tumore cutaneo) che si studiava negli
ultraottantenni. Questa situazione portò alla morte di molte persone. In seguito
questa infezione ha stimolato l’attenzione a livello internazionale.
Contemporaneamente la Francia e l’America iniziano a lavorare.
Robert Gallo, uno studioso americano, aveva già studiato qualcosa sui
retrovirus: era infatti lo scopritore deI virus HTLV1 e del virus HTLV2. Per questo
motivo, quando cominciò a vedere nelle sue colture cellulari (molte delle quali
fatte da ragazzi italiani che erano là in quel periodo) un effetto citopatico (e
non un effetto mitogeno, come si vede nell’HTLV2) lo chiamò HTLV3.
Contemporaneamente, la Francia (in particolare Luc Montagnier) isola lo stesso
virus e lo chiama LAV (Lymphoadenopathy associated virus), mettendo in
evidenza fondamentalmente che questi soggetti nella prima fase avevano tre
stazioni linfonodali ingrossate a livello del collo, delle ascelle e dell’inguine.
Quindi l’acronimo LAV indica la situazione clinica; Robert Gallo indicava invece
un altro retrovirus HTLV3.

Francia e America entrano in contrasto; alla fine vinse Montagnier e


recentemente il premio Nobel è stato dato a lui, perché vi erano stati dei furti
di materiale biologico e foto di microscopia elettronica. Fu un episodio davvero
triste. Tuttavia, è pur vero che se non ci fosse stato Gallo nel 1985, sicuramente
oggi non si avrebbe a disposizione il test immunoenzimatico per poter
sottoporre allo screening la popolazione.

Virus responsabili dell’AIDS


Oggi abbiamo due tipi di HIV in generale: abbiamo un HIV di tipo 1 che
colonizza l’America e l’Europa e poi, più localizzato nell’Africa, abbiamo un
virus molto simile dal punto di vista del genoma che prende il nome di HIV2, di
cui dobbiamo interessarci per via della globalizzazione. HIV1 è molto patogeno,
molto lesivo del sistema immunitario, HIV2 è più lento nella sua progressione.
Su HIV1 sono stati effettuati un sacco di test e un sacco di studi, HIV2 è un po’
meno studiato perché ha meno disponibilità di test diagnostici per via di dove è
localizzato.

Caratteri generali di HIV-1, organizzazione del genoma


È un retrovirus, ha la capacità di retrotrascriversi, è un virus a RNA. All’interno
abbiamo due molecole di RNA, racchiuse da un core con funzione protettiva.
Presenta una serie di proteine strutturali e una serie di proteine non strutturali
come moltissimi altri virus. Appartiene al gruppo dei lentivirus (virus che si
replicano lentamente): questo termine, che ancora oggi usiamo, nasce dal fatto
che all’inizio, quando si facevano le colture cellulari di questo virus, esso si
palesava a livello delle colture cellulari dopo una quindicina di giorni con un
meccanismo di replicazione molto lento. In realtà questo forse era più dovuto al
fatto all’epoca nei laboratori non venivano utilizzate tecniche molto sensibili.

Presenta tre proteine strutturali che sono chiamati con i tre acronimi: abbiamo
un gene che codifica per le proteine env, un gene che codifica per le proteine
gag e un gene che codifica per le proteine pol.
Env

Gag

Pol

Cosa succede nel momento stesso in cui il virus penetra all’interno di una
nostra cellula?
Esso penetra perché le cellule dell’organismo umano presentano dei recettori
che lo aiutano tantissimo. Questo è un virus a RNA, quando infetta una cellula il
virus dal suo RNA ottiene un DNA circolare all’interno del citoplasma. Poi entra
a livello nucleare dove, insieme alle proteine non strutturali, comincia a
codificare per la progenie virale. Quello descritto è un ciclo ripetitivo molto
riassuntivo.
Questo ci dice che il virus nella sua fase extracellulare è a RNA, nella fase
intracellulare crea un DNA bicatenario a livello citoplasmatico che poi
presenterà anche a livello nucleare nella sua fase intracellulare. RNA fuori dalla
cellula, DNA all’interno della cellula. Questa è una grande cosa perché si hanno
due possibilità al momento attuale:
1) Si può monitorare andando a cercare RNA virale, considerando il virus che
circola nell’organismo al di fuori delle cellule, quindi a livello plasmatico.
2)Si può cercare il virus che è all’interno delle cellule facendo una PCR di DNA.

Questo virus ha il problema che è in grado di integrarsi col DNA cellulare. Per
questo motivo è possibile che con i farmaci si tolga RNA virale dal sangue, ma il
virus si integra nelle primissime fasi dell’infezione. All’interno delle cellule il
DNA è molto stabile e non si riesce ad eliminare. Ancora oggi, se si abbassa il
livello di farmaci, il DNA presente all’interno della cellula si retrotrascrive di
nuovo in RNA e fa progenie virali. Per questo motivo il soggetto comincia una
terapia al momento della diagnosi e la mantiene tutta la vita, perché vi è
sempre questo accumulo di DNA virale specifico all’interno delle nostre cellule.
Se si abbassa il livello dei farmaci il DNA può formare una nuova progenie
virale.
Proteine strutturali
Si analizzino i geni che codificano per le proteine della struttura del virus: gag
che sta per “Group-specific antigen”, env, che vuol dire envelope, codificherà
delle proteine sterili del virus e pol, come polimerasi, che codificherà tutta la
parte delle trascrittasi.
Se si deve trascrivere da RNA a DNA si necessita di un enzima che si chiama
trascrittasi inversa e non solo di quello.
Nel genoma del virus vi sono le proteine strutturali codificate da gag, da pol e
da env che sono embricate con un’altra serie di proteine non strutturali,
rilevanti in quanto alcune di queste proteine non strutturali sono state oggetto
di studi e di preparazioni vaccinali in realtà non riuscite.

Il primo gene preso in esame è il gene gag. Questo gene gag codificherà per le
proteine del core, che sono le proteine che costituiranno questo involucro in
grado di proteggere il genoma virale. Gag codifica per delle proteine non
glicosilate a basso peso molecolare. Codifica per una proteina a peso
molecolare 24000, per una proteina a peso molecolare 17000 e per una
proteina a peso molecolare 9000. Costituiscono il core, quindi proteggono il
genoma del virus dall’esterno. Il fatto che codifichino per tre proteine (ma
fondamentalmente quella che si studia di più è la p24) è importante perché, nel
momento della prima infezione, la prima risposta anticorpale che si produce è
proprio nei confronti di p24.
Nel sistema immunitario di un paziente che è infettato, che non è stato trattato
e che non ha accettato il trattamento farmacologico, l’ultima proteina che
rimane è proprio la p24, mentre le altre scompaiono. La p24 è la prima ad
apparire e l’ultima a scomparire quando il soggetto è a livelli bassissimi di
linfociti cd4. Proprio per questo motivo è importante sapere qual è il significato
delle varie proteine, seppur in forma molto superficiale. Quindi gag codifica le
proteine del core p24, p17 e p9. p24 è quella che forma l’involucro che ricopre
il genoma.

Pol, la polimerasi, è un gene estremamente importante perché codifica per


tutte le proteine di natura enzimatica. Codifica per la trascrittasi inversa, che
permette al virus di retrotrascriversi e di portare quindi il suo RNA a DNA
circolarizzato a livello del citoplasma, il quale poi si localizza e si integra a
livello nucleare. Il gene è inoltre importante perché codifica anche per delle
proteasi. Le proteasi sono importanti quando il virus dal nucleo torna di nuovo
nel citoplasma e dà luogo alla progenie virale: esse staccano, tagliano i vari
pezzi e li assemblano per dare luogo a dei virus di neoformazione. Oltre a
codificare per la trascrittasi inversa e per le proteasi le quali servono quindi per
la fuoriuscita della nuova progenie infettante, pol codifica anche per
l’integrasi. Qua sta il problema principale perché l’integrasi è l’enzima che
permette al virus di integrarsi all’interno delle nostre cellule. Questa
integrazione è forte, avviene all’inizio dell’infezione quando spesso il soggetto
non sa ancora di essere sieropositivo e permane nel tempo. Non esistono
ancora dei farmaci ottimali per rompere l’integrazione. Tre anni fa sono usciti
dei farmaci anti integrasi, ma al momento la letteratura scientifica
internazionale non ha accertato che sottoponendosi a una cura con farmaci
anti integrasi si riesca a diminuire il carico di DNA provirale all’interno del
nucleo. Quindi si ha sempre un reservoir estremamente importante, capace di
dare luogo in alcuni momenti della vita del paziente sieropositivo a un revive
del virus. Quindi pol codifica per delle proteine con natura enzimatica: per la
trascrittasi inversa, per la proteasi e per l’integrasi.

Env codifica invece per le proteine di superficie e codifica fondamentalmente


per l’antirecettore. All’esterno questo virus presenta delle spikes che sono
formate da due proteine codificate da envelope. La parte più esterna, quella
che viene rappresentata come tondeggiante, simile a un ovale, è formata da
una proteina che va a glicosilarsi con un peso molecolare estremamente
elevato. Deriva da un precursore a 160000 e viene tagliata in due proteine, una
proteina a peso molecolare 120000 (che rappresenta la parte più esterna
tondeggiante) e una proteina di fusione (rappresentata da un cilindretto) di
peso molecolare 41000. Gp120 è l’antirecettore, è quella molecola che il virus
utilizza per legare le nostre cellule. Il virus cerca il recettore: cerca
fondamentalmente il cd4 e altri due corecettori che sono indispensabili.
Solamente le cellule che presentano questo ventaglio di recettori possono
essere infettate. Molte cellule dell’organismo umano presentano i suddetti
recettori. Nell’ambito di questo virus la parte più variabile è determinata
proprio dalla glicoproteina, una delle proteine più instabili e variabili; la
glicoproteina che ho si ha al momento dell’infezione su un soggetto è diversa
dalla glicoproteina di altri soggetti: questo ci rende difficile la terapia e la
costruzione di un vaccino. Questo virus è un virus infedele e estremamente
variabile. Quindi il gene env codifica la glicoproteina 120 che si lega al
recettore, e la glicoproteina 41 che permette (è praticamente una siringa) al
genoma del virus di introdursi nella cellula ospite e viene chiamata per questo
motivo proteina di fusione. Sono le proteine esterne, variabili di questo gruppo
di virus a RNA.

Proteine non strutturali


Oltre a queste proteine abbiamo anche delle proteine non strutturali, ce ne
sono tante e vengono definite con diversi acronimi: ci si soffermerà su una di
queste proteine che si chiama tat. Queste proteine prendono nomi diversi (vif,
nef, pev…) in base alla loro funzioni. Quando viene creato un acronimo di
questo tipo si pone l’attenzione sulla funzione della proteina.
Nef vuol dire negative factor perché all’inizio sembrava un fattore negativo
per il virus, oggi si mantiene questo acronimo ma si sa molto di più di nef.
Queste proteine sono embricate con il genoma formato dalle proteine
strutturali. Vif è un fattore del virus che è legato all’infettività. Oggi si sta
studiando anche un vaccino su nef.

La proteina che verrà trattata è tat. Tat vuol dire transattivatore della
trascrizione virale: se si privasse un virus di tat (e lo possiamo fare: si può
tagliare la parte di genoma che codifica per tat) il virus avrebbe una infettività
praticamente nulla. Ciò significa che nel momento in cui il virus replica tat ha
una funzione estremamente importante perché permette la trascrizione del
virus. Quindi è un fattore estremamente importante per HIV. Tat è una proteina
piccola e abbastanza stabile.

Svolge due funzioni fondamentalmente:


1 essa ha un loop autocrino, cioè quando il virus infetta una cellula
produce tat, che è in grado di fuoriuscire dalla cellula infetta e di rientrare
nella stessa cellula stimolando dei fattori di trascrizione cellulare,
aumentando quindi la capacità della cellula trascrivere il virus stesso.
Questo lo si è visto negli anni ‘90, siamo stati i primi a pubblicare questo
lavoro [la prof parla del gruppo di ricerca di cui faceva parte] e a
identificare che tat è in grado di compiere un loop autocrino. Per
dimostrare che era in grado di fare ciò, abbiamo messo degli anticorpi
anti tat verificando che il loop autocrino si blocca, il che vuol dire che tat
fuoriesce dalla cellula infetta, rientra nella cellula stessa e la
superstimola alla replicazione cellulare. Si pensi che in un soggetto
infetto non trattato si hanno più di 10 milioni di copie virali per millilitro
(in un millilitro di sangue questo soggetto presenta più di un milione di
virus e l’organismo ha 5 litri di sangue quindi si tratta di una bomba
biologica). Non tutti questi 10 milioni sono virus competenti ma la
maggior parte lo sono. Ciò significa che se non si fanno trattare i pazienti
appena incontrano il virus si andrà a creare una popolazione che
rappresenta una bomba biologica.
2 è stato anche verificato che tat, oltre a fuoriuscire e rientrare nella stessa
cellula infetta, va a colpire mediante un segnale di membrana anche
cellule non infette, andando anche nelle cellule non infette a stimolare i
fattori di trascrizione. Questo potrebbe volere dire due cose: la cellula
non infetta si prepara ai fattori di trascrizione pronta ad un’ulteriore
infezione da parte di virus vicini, oppure che la cellula infetta può
replicarsi in modo incontrollato. I primi dati che sembravano suggerire
anche un potere oncogeno di tat e quindi tat è stato il primo imputato del
sarcoma di kaposi (che invece oggi si sa essere correlato con un virus
erpetico). Quindi tat fuoriesce e rientra nella cellula ma colpisce e attiva i
fattori di trascrizione anche delle cellule vicine non ancora infette.

Tipologia di cellule colpite da tat, vaccino anti tat


Tat va a colpire le cellule non infette con cd4, anche se in realtà il recettore di
tat può entrare in assenza di cd4 e in presenza di fattori integrinici presenti
sulle cellule. Questo ci dice che HIV è un virus estremamente furbo perché va a
ledere anche cellule che non presentano la triade dei recettori ottimali. Proprio
per questo motivo colpisce il sistema nervoso centrale.
Tat entra quindi anche nelle cellule che non esprimono cd4, portando a
stimolare i fattori di trascrizione tramite un signaling di membrana (è un
meccanismo che viene usato per cellule di molti organi). Non tutte le cellule
hanno i tre recettori, ma molte cellule che non hanno recettori vanno incontro a
morte sempre mediante il signaling di membrana: questo si vede nei
progenitori emopoietici, nell’osso e nel sistema nervoso centrale.

Sulla base di ciò qualcuno aveva pensato che se tat attiva la trascrizione ed è
responsabile in primis della replicazione del virus, facendo un vaccino anti tat si
doterebbe il soggetto con anticorpi anti tat che non permetterebbero al virus di
retrotrascriversi.
Questa idea fu presa in mano da alcuni ricercatori di Roma. Si dovette lavorare
sulle scimmie (per quanto riguarda l’HIV chiaramente non si può avere un
modello umano su cui lavorare) non tanto con HIV, ma con SIV, che è lo stesso
virus dell’immunodeficienza ma specifico della scimmia. Ci sono stati dei
finanziamenti pazzeschi e moltissime polemiche, ma non si è riuscito a trovare
veramente un vaccino. [La prof invita a guardare su internet notizie relative al
vaccino anti tat e a “divertirci” a esprimere un giudizio]. I primi esperimenti
vennero fatti su alcuni scimpanzé (che sono abbastanza cattivi quando in
cattività) infettati con il SIV: alcuni furono pretrattati con il vaccino anti tat, altri
post-trattati con il vaccino anti tat o con anticorpi anti tat. Il successo fu molto
limitato.

Sono stati pubblicati molti lavori positivi, ma poi ci furono dei problemi quando
si è passati alla sperimentazione. La sperimentazione fu fatta su popolazioni
africane dove il controllo era: “Ogni anno in Africa si infettano 10 persone,
vacciniamo e vediamo che il prossimo anno se ne infettano 2 e non più 10“.
Queste cose si fanno a paziente chiuso, cioè non si sa chi riceva il vaccino e chi
riceva l’acqua o la soluzione fisiologica e si fanno come si dice in gergo “in
cieco”. Il cieco fu aperto, nel senso che ad un certo punto la gente cominciò a
stare male e gli si dava la terapia e questo ha bruciato una serie di lavori.
Comunque sicuramente l’idea non era sbagliata, ma l’idea giusta poteva essere
di non usare più solo tat come proteina ma anche gp120 ma anche la gp41,
cioè fare un unico vaccino usando più proteine funzionali nella replicazione del
virus.

HIV fast evolving virus


Questo virus che entra all’interno della cellula si retrotrascrive e fa un DNA
circolare grazie alla trascrittasi inversa. Si avrà poi la forma steady del virus,
cioè questa integrazione estremamente importante, e poi fuoriesce.
Che cosa succede in questo virus a RNA che abbiamo definito infedele?
Succede che la trascrittasi è infedele, per cui fa una serie di errori durante il
passaggio a DNA e questo è il motivo per cui questi virus continuano a fare
degli errori durante il loro percorso. Va considerato che se da un lato i virus a
DNA, quando sbagliano, fanno delle mutazioni così importanti per cui la
progenie virale risulta morta, non è competente, diversamente questi virus a
RNA sono in grado di essere vitali e di infettare le altre cellule, anche se sono
diversi dalla madre (sono diversi dal virus che ha infettato la cellula in quanto
variano a livello delle proteine sterili, delle glicoproteine e alcune proteine
interne).

La variabilità di HIV è stata definita fast evolving virus, il virus che si evolve
più rapidamente.
Il virus non è nato nel 1981, ma lo si è scoperto nel 1981 quando vi furono i
gravi casi di cui si è trattato in precedenza. Haiti fu sconvolta da questa
situazione (i primi cluster genici si sono verificati lì), ma il mondo si è mosso su
San Francisco. In questa città vi era l’abitudine di cambio di coppie a livello
delle saune che si trovavano lungo alcune strade e si vedeva la gente morire
come mosche. Non c’erano farmaci, nessuno sapeva come contrastare questa
infezione e quindi l’infezione si differenzia. Il virus che si isola alle sei di mattina
in un organismo varia dal virus che si isola nello stesso organismo la sera
perché si è replicato. Se non si prende la terapia il virus muta velocemente
perché è un fast evolving retrovirus e questo determina la variabilità genetica
di specie.

Ceppi di HIV
Per questo motivo oggi si hanno tanti virus di HIV1 che appartengono a vari
gruppi:
 quello che più infetta il nostro paese, l’Europa e l’America è il ceppo B;
 vi sono poi altri ceppi che possono essere di vario tipo (A e D), presenti
fondamentalmente in Africa subsahariana;
 il ceppo E che è più frequentemente presente a Cipro;
 il ceppo F presente in Brasile e Romania.
Questo elenco ci serve perché, nel momento in cui si studia un paziente e può
far pensare a una diagnosi da immunodeficienza da HIV, si deve essere pronti
in laboratorio a capire quale sia fra tutti questi virus. La diagnosi di infezione
deve coprire tutti questi ceppi di virus e probabilmente ne deve coprire degli
altri perché con questo virus, dotato della capacità di variare continuamente
nel tempo quindi di passare da un organismo all’altro, si possono avere
all’improvviso dei ceppi nuovi. Questi nuovi ceppi sono in continua evoluzione:
della A conosciamo già la A1 A2 A3, dell’F conosciamo l’F1 e l’F2. Per esempio
il ceppo F è di rilevante importanza in quanto, quando si dà una terapia a un
paziente di questo tipo, va tenuto presente che è uno dei pazienti più resistenti
e problematici per quanto riguarda la terapia. Un paziente con un ceppo B è più
facilmente trattabile se arriva a terapia. Questa è la variabilità di HIV mentre
per quello che riguarda la variabilità di HIV2 è ancora molto contenuta, o
perché veramente è contenuto nella sua fedeltà o perché lo abbiamo studiato
di meno.

Ceppi ricombinati
Due ceppi di HIV possono ricombinarsi tra loro: i virus a RNA come un virus
influenzale o un retrovirus sono in grado di ricombinarsi per cui non si deve
pensare solo al ceppo B, A, C… Si deve anche pensare di avere la possibilità di
trovarsi di fronte a dei soggetti (e non sono pochi) che sono infetti con dei
ceppi hanno ricombinato tra di loro. Uno degli esempi più frequenti è dato da
forme ricombinanti circolari: per esempio, un ceppo potrà presentare la parte
esterna, cioè l’envelope, di un sottotipo E e presenterà gag e pol del sottotipo
A. Quindi un sottotipo A e un sottotipo E si sono ricombinati e danno luogo a un
nuovo virus che prende il nome di ceppo ricombinante. Ve ne sono tanti e li
si è cominciati a vedere negli anni duemila, prima no; grazie allo scambio e
alla circolazione della popolazione o anche alla variabilità in sè del virus oggi si
hanno da contrastare e da capire anche questi ceppi ricombinanti.

Tropismo cellulare di HIV1


Per quanto riguarda questo virus, tornando a considerare l’HIV nella sua forma
generale, si può notare che ci sono dei ceppi che preferiscono i linfociti come
tropismo e dei ceppi che preferiscono i monociti-macrofagi. Li distinguiamo
quindi in ceppi linfotropi (prediligono i linfociti) e in ceppi macrofagotropi
(prediligono i macrofagi). Quando ci si infetta, la prima cellula che viene colpita
è un monocita-macrofago. Quindi in una fase iniziale la prima evidenza è a
livello di monocita-macrofago, che non è in grado di far replicare il virus al
massimo livello, ma subito l’infezione comincia a diffondere ai linfociti, dove
invece si replica benissimo cominciando subito la sua opera di distruzione.

Recettori
All’inizio il mondo scientifico pensava che il recettore fosse CD4, cioè che il
virus con il suo antirecettore si legasse al CD4 presente in moltissime cellule,
ma in particolare molto evidente e molto funzionale nelle cellule linfocitarie, e
che in seguito le uccidesse. Poi ad un certo punto qualcuno si è accorto
(parliamo sempre del gruppo di Gallo e di un gruppo di ricercatori di Ferrara
che era là in quel momento, delle ragazze) che ci sono delle cellule cd4 che
non si infettano, perché?
In realtà il CD4 si è il recettore principale, ma perché questo virus possa
entrare, oltre al cd4 ha bisogno di una coppia di corecettori, uno si chiama
CCR5 uno che si chiama CXCR4. Quindi se prima la cellula con CD4 solamente
non si infettava, la cellula che aveva CD4 associato a CCR5 o la cellula che
presenta CD4 associato a CXCR4 si infettano. I linfociti del nostro sangue
periferico hanno entrambi: hanno CD4 con CCR5 e CXCR4 e questo spiega
perché i linfociti sono il target preferito da questo virus, che con grande facilità
li uccide. CCR5 è presente fondamentalmente nelle cellule macrofagiche, il
primo step dell’infezione. Il CXCR4 è presente fondamentalmente nelle cellule
T, ma nei linfociti in generale abbiamo tutti e tre i recettori.

Patogenesi
Questo è quello che succede nell’organismo umano: l’organismo si infetta, il
soggetto sieroconverte e la sieroconversione può essere silenziosa da un punto
di vista della clinica. Nel 50% dei casi il soggetto non se ne accorge, nell’altro
50% il soggetto presenta un ingrossamento a livello delle stazioni linfonodali, di
cui abbiamo parlato prima, di ascelle, inguine e collo, una sindrome flu-like
(una forma febbrile simile a una infezione da virus influenzale), una sindrome
mononucleosi-like come quella determinata dal virus di Epstein-Barr,
affaticamento, qualche volta diarrea, spossatezza. Ma questo capita nel 50%
dei casi; nell’altro 50% non succede assolutamente niente, il paziente non
riporta nulla di questo tipo.

Se il virus ha infettato l’organismo, ce ne si accorge se il soggetto in questione


fa un test e vede la presenza di anticorpi, che in questo caso indica la presenza
del virus, un virus latente per un lungo periodo di tempo: per un anno, per due
anni, forse anche per tre durante i quali i soggetti non presentano nessuna
sintomatologia. I soggetti stanno bene, hanno la stessa percentuale (in alcuni
casi) di forme virali e batteriche, in alcuni casi hanno qualche piccola
complicazione polmonare, possono avere dei decorsi più lunghi per quanto
riguarda le infezioni anche solo di un virus del raffreddore o influenzale, ci
mettono più tempo a guarire.

Ad un certo punto, cominciano ad avere con una certa frequenza una serie di
infezioni estremamente importanti, che possono andare dalla toxoplasmosi
cerebrale a una pneumocisti carinii o a forme di candida esofagea. Quindi il
soggetto comincia a stare male e finalmente si presenta a fare il test. È tardi
perché il virus in tutto questo periodo, che può essere durato anni, nel
frattempo si è modificato, si è superprodotto e ha leso mediante una infezione
diretta molte delle cellule dell’organismo e ha ucciso mediante i segnali di
membrana altre cellule in cui non erano presenti recettori giusti. Quindi
abbiamo citopenie estremamente gravi.
[riguardo alla questione del lavoro la prof fa una digressione] Adesso c’è a
Rimini un problema legale estremamente importante perché l’usl di rimini ha
chiesto a tutto il personale il test e se si è HIV positivi e non si è aviremici si
viene cambiati di reparto, quindi sta succedendo un pasticcio enorme perchè
l’usl di Rimini ha letto alcune linee di indirizzo in modo molto personale.
Non vuol dire che la latenza clinica sia una latenza virale: anche se non si
presenta nessuna sintomatologia il virus sta replicando benissimo in assenza di
farmaci. Quando si arriva nella fase conclamata (parliamo di un soggetto non in
terapia) l’infezione può arrivare nella maggior parte dei casi al sistema nervoso
centrale. L’AIDS dementia complex è una caratteristica della fase
conclamata che in pochi casi arriva all’inizio dell’infezione (è però capitato che
dei soggetti che hanno presentato dei deficit al sistema nervoso poco dopo
aver sieroconvertito).
L’insorgenza di tumori inusuali e la compromissione del sistema nervoso
centrale sono caratteristiche del soggetto a lungo termine che non è stato
trattato. Questo succede per esempio a livello delle nostre cellule
progenitrici, da cui derivano i linfociti, i monociti, i macrofagi, le piastrine:
esse sono caratterizzate da un recettore di superficie che prende il nome di
CD33 nella fase più alta staminale e CD34 nella fase di progenitore.

[Il progenitore? Non specifica il soggetto] si infetta o non si infetta? È sensibile


al virus, in quanto viene toccato anche quando è immaturo, quando non ha un
CD4 buono ben esposto e funzionale e non ha CCR5 e CXCR4. Questo spiega le
linfocitopenie che si verificano nel soggetto. I progenitori in un soggetto HIV
positivo non riescono a dare luogo a tutte le filiere cellulari in modo ottimale
per cui reagiscono male; non c’è bisogno del virus, la gp120 che circola innesca
questo signaling di membrana che uccide cellule.

Nel sistema nervoso centrale, che è caratterizzato da varie forme, con


condizioni neurologiche diverse come ad esempio una neuropatia, una
meningite o una encefalite, il virus utilizza alcune cellule come “cavallo di
Troia”: dal sangue, entra nei monociti-macrofagi, dove replica in modo
subordinale, sta fermo.
Grazie ad essi, riesce a superare la barriera ematoencefalica e all’interno del
sistema nervoso centrale comincia a produrre delle sostanze tossiche: provoca
in questo modo un danno a livello delle sinapsi dendritiche, causando la morte
dei neuroni per apoptosi, e provoca delle alterazioni a livello delle cellule
astrocitoidi (astrociti). Si comporta come nei progenitori: non ha bisogno di
trovare il suo recettore, ma solo di essere portato in determinati distretti
dell’organismo. Il monocita macrofago è il suo cavallo di Troia, lui si nasconde
per poi innescare dei meccanismi di segnale negativi per uccidere le cellule.
Quindi abbiamo una demenza dovuta a un numero di neuroni, cellule gliali e
astroci che vanno incontro alla morte e questo è in stretta relazione con l’aids
dementia complex.

Diagnosi
Vi sono moltissime persone con tempistiche diverse e provenienti da luoghi
diversi che arrivano tardi alla diagnosi proprio perché non c’è un obbligo di fare
il test. Va fatto spontaneamente, bisogna firmare il consenso informato,
nessuno può obbligare a fare questo test. È un test che mette in evidenza la
presenza di una infezione legata fondamentalmente alla trasmissione sessuale.
Come è noto a tutti, questo virus si trasmette per via ematica grazie al sangue
e per trasmissione sessuale. Le lacrime, la saliva, l’urina e altri liquidi corporei
non permettono la sopravvivenza del virus ma solo tracce virali.
Succede che il test viene spesso rimandato per i motivi più eterogenei e quindi
si arriva a una diagnosi molto tardivamente: questo permette che l’organismo
del paziente ospiti dei virus che sono già modificati, che si sono già integrati
molto fortemente all’interno delle nostre cellule; la popolazione virale non è più
monoclonale come all’inizio ma è una popolazione policlonale. Si fa quindi
molta fatica a trattare il soggetto anche con la terapia, in quanto molte cellule
CD4 non hanno più la loro funzione e sono morte. Il soggetto è davvero
immunocompromesso. Quindi il test non va posticipato, ma bisogna incentivare
a farlo il più rapidamente possibile.

Storia raccontata dalla prof


Un bambino nasce in ospedale con una infezione da citomegalovirus (la madre
presentava una infezione acuta da citomegalovirus durante la gravidanza).
Quando nasce questo bambino è sottopeso, ha dei problemi a livello
polmonare, la madre si era rifiutata di fare l’amniocentesi durante la
gravidanza. Il bambino elimina attraverso le urine quantità abnormi di
citomegalovirus.

Viene fatta una terapia idonea, il bambino non reagisce bene e ad un certo
punto l’infermiera mentre cerca di fargli un prelievo di sangue si punge. Non lo
dice, perché si fa la figura di persone non attente a denunciare un incidente
nosocomiale. L’infermiera non lo dice al suo capo, non lo dice al caporeparto o
al caposala. Questa signora non aveva mai fatto il test dell’HIV durante la
gravidanza (cosa che oggi non è più possibile, la storia infatti si svolge una
decina di anni fa).
La città della storia è Bologna, l’ospedale è il Maggiore.
Viene deciso di fare il test alla madre ed è positivo, viene fatto al bambino (la
trasmissione fetale avviene in una percentuale variabile tra il 10 e il 15%,
questa percentuale aumenta se l’infezione non è trattata con farmaci durante
la gravidanza) ed è positivo alla sierologia (trasmissione anticorpi materni) ma
è anche positivo al virus.

Quando si viene a sapere l’infermiera dice di essersi punta, fa il test e dopo 15


giorni è infetta. Se l’infermiera avesse denunciato, se il medico ginecologo
durante la gravidanza avesse indicato a questa persona di fare il test per l’HIV,
si sarebbe potuto trattare subito il bambino e anche l’infermiera. Se ci si punge
con materiale che deriva da paziente HIV positivo e entro sei ore dall’incidente
ci si sottopone a una terapia antiretrovirale per sei settimane, si hanno poche
probabilità di infettarsi (si ha mal di pancia, si sta male, il colesterolo si incasina
in un modo pazzesco, si ha diarrea, ma questa terapia ci salva, o almeno così
pare). Questa infermiera non aveva avviato le procedure: molti hanno colpa ma
quello che ha più colpa è il responsabile del reparto che non ha posto
attenzione.

Legate a questa storia ci sono delle implicazioni estremamente importanti.


Tre settimane dopo l’esposizione si ha un RNA maggiore di 500000 (allora non
lo si sapeva contare oltre 500000), i CD4 erano ancora buoni (dovrebbero
essere più di mille ed erano 618), febbre, rush cutaneo e problemi al collo
(cominciano le linfoghiandole a ingrossarsi). Il virus fu identificato subito dal
laboratorio (il laboratorio era quello della prof ed era il punto di riferimento,
erano infatti in grado di caratterizzare un virus). Si scopre che si tratta di HIV di
tipo C, quindi probabilmente proveniente dall’Africa. La signora era una signora
proveniente dall’Africa, dove c’è un numero di persone infette più alto del
nostro, e nonostante questo nessuno aveva pensato a fare il test.

Oggi il test viene fatto a tutte le gravide: se una donna gravida si presenta in
reparto senza il test si ferma tutto e si fa il test per l’HIV. Avvenne nel 2007. Nel
2009 il laboratorio della prof pubblicò i primi dati su questo avvenimento, si
aspettò che la situazione fosse stabile per una questione di etica professionale.
Il virus era passato dal compagno della signora che nel frattempo era sparito,
lo abbiamo recuperato dopo diversi mesi. Si è rilevato che il virus era lo stesso
nella madre, nel padre nel bambino e nell’infermiera (lo si è fatto anche per
ragioni legali).

Morale della storia


Quindi si deve fare la diagnosi di infezione, si deve cercare di capire come sia
stato trasmesso, anche se oggi il virus si trasmette principalmente per via
sessuale. Non è una vergogna fare il test per l’HIV. Si fa la reazione anticorpale
perché è un virus latente che si mantiene sempre nel nostro organismo. La
presenza di anticorpi, come quella nei confronti dell’herpes, vuol dire presenza
di virus; poco importa se il soggetto è positivo per l’herpes (non lo manifesta,
ma presenta il virus che può scaturire), la presenza di anticorpi anti HIV
significa la presenza di HIV. Va fatta la diagnosi con la sierologia e va fatta con
molta attenzione e cura. Una volta presa l’infezione non può essere sradicata
ma solo controllata. Bisogna prendere farmaci tre volte al giorno. Anche se si è
sotto trattamento si deve stare attenti a non prendere un altro virus HIV perché
è un virus variabile.

Si può monitorare questa infezione mediante la determinazione dell’RNA e


andare a vedere il virus fuori dalla cellula; mediante la presenza di DNA, si
vedrà il virus interno alla cellula. Si deve sapere che cos’è il periodo finestra:
questi test immunoenzimatici che nascono da Gallo negli anni ‘80 (all’epoca
erano kit di prima generazione, oggi vengono utilizzati degli antigeni purificati,
noi coltivavamo il virus) avevano un periodo finestra che poteva arrivare ai 60
giorni, quindi dal momento in cui ci si infetta si deve aspettare 60 giorni prima
di fare una sierologia.
Oggi siamo arrivati a 15 giorni (dopo 15 giorni dalla infezione posso fare un test
sierologico) con questi test che sono molto sensibili e molto specifici e
permettono di fare una diagnosi abbastanza precoce. I 15 giorni si
accompagnano ai 10 giorni che è il tempo di replicazione del virus. Quindi, in
casi particolarissimi, o in casi in cui si ha il sospetto di una infezione
nosocomiale, si può fare il test dopo 10 giorni e si guarda l’RNA per valutare il
carico di virus. Se si è positivi lo si deve notificare al partner e si diventa
pazienti.
Si è scoperta la farmaco resistenza: molti ceppi sono resistenti ai farmaci per
cui bisogna cambiarli. Si deve vedere il tipo di infezione e capire che tropismo
ha questo virus, verso quali cellule fondamentalmente va a replicarsi.

Oggi siamo in grado di trattare la madre che partorisce un bambino positivo ai


test anticorpali (sieropositivo) ma non infetto. Si vedono solamente gli anticorpi
che sono passati in modo passivo attraverso la placenta.
Si è raggiunto con la terapia un crash dell’infezione trasmessa, per cui
l’infezione va in tutti i modi controllata durante la gravidanza. Bisogna usare il
preservativo per evitare le situazioni che abbiamo vissuto negli anni ottanta e
novanta. Il bambino deve essere un piccolo paziente che va preso in carica e
monitorato dal momento della nascita per dodici mesi: se è sieropositivo per
vedere sempre l’HIV DNA e RNA negativo per almeno tre volte [non chiaro]. Se
sono sieropositivi ma non presentano il virus potranno accedere alle
vaccinazioni obbligatorie, andare all’asilo e fare parte serenamente della
comunità senza nessuno stigma. Perché il problema è lo stigma.

Herpesvirus
Informazioni riguardo l’esame
Ad ogni appello sono sempre presenti la Lazzarotto e/o la Re e altri membri della
commissione. Solitamente gli esami finiscono in giornata, al massimo durano due
giorni e la suddivisione dei candidati viene fatta il primo giorno, in mattinata o al
massimo nel primo pomeriggio: l’intento è quello di finire il più presto possibile. Le
domande riguardano il programma consegnato dalla prof. Lazzarotto all’inizio del
corso.

Classificazione
Sono circa 100, ma di questi solo otto sono patogeni per l’uomo: si tratta di
virus opportunisti che causano la malattia solo in determinati momenti legati
alla vita del soggetto e ciò che determina la progressione dell’infezione verso la
malattia è il funzionamento del sistema immunitario.

Sono divisibili in 3 gruppi: α, β e γ herpes virus.

Tra gli α herpes virus riconosciamo:


1 Herpes simplex virus di tipo 1 (HSV1)
2 Herpes simplex virus di tipo 2 (HSV2)
3 Varicella zoster virus (VZV).
Tra i β herpes virus riconosciamo:
1 Cytomegalovirus umano (HCMV)
2 Herpes virus umano di tipo 6 (HHV6)
3 Herpes virus umano di tipo 7 (HHV7).
Tra i γ herpes virus riconosciamo:
1 Herpes virus umano di tipo 8 (HHV8)
2 Epstein Barr virus (EBV).
Tale suddivisione è condizionata dal sito di latenza di questi virus, infatti gli
herpes sono capaci di instaurare un’infezione latente nei loro ospiti naturali:
dopo l’esaurimento della fase clinica, successiva all’infezione primaria,
stabiliscono una fase di latenza con una persistenza nel genoma in alcune sedi
cellulari.

Nelle lezioni precedenti è già stato detto che un virus può determinare quello
che è un ciclo litico, un ciclo persistente e un ciclo latente. “Latenza” vuol dire
che il genoma virale permane per tutta la vita nell’organismo infetto. Ad
esempio, ci infettiamo per la prima volta con l’HSV1 (ciò avviene solitamente in
giovane età, ma può succedere anche in un momento successivo) e questo
rimarrà latente: il suo DNA rimane latente nei gangli neurosensoriali del viso, in
particolare lungo il trigemino.
Dopo il ciclo litico, si avvia quello latente. Ogni tanto il virus si riattiva in
maniera sintomatica o asintomatica, ma ciò comporta nuovamente
l’eliminazione del virus. Ogni tanto riprende il ciclo replicativo, ricomincia il
ciclo litico e si elimina il virus attraverso la secrezione dell’oro-faringe: si
diventa una fonte.

La latenza è già stata citata parlando dell’EBV come virus oncogeno: questo
virus entra in latenza nei linfociti della memoria e il suo DNA è presente latente
in formula circolare (episoma) nel nucleo della cellula.
Abbiamo la certezza, dimostrata in vitro, che il DNA di EBV resti nel nucleo; per
gli altri herpes non abbiamo una dimostrazione così chiara, ma, essendo della
stessa famiglia e avendo noi ottenuto tante indicazioni dalle infezioni in vitro, è
possibile pensare che probabilmente il DNA latente non si integri nel genoma
della cellula, ma resti libero in forme circolari. Sicuramente sono pochi geni a
venire espressi durante la fase di latenza.

Come già detto gli herpes sono suddivisi in gruppi in base alla latenza:
1 Gli α herpes virus entrano in latenza nelle cellule neurosensoriali:
Herpes simplex 1 e 2 entrano in latenza nei gangli sensoriali, il
Varicella zoster virus nei gangli sensoriali dorsali.
2 I β herpes virus hanno la capacità di entrare in latenza in più tipi di
cellule: per quanto riguarda Cytomegalovirus, questo entra in latenza
nei monociti CD14+ e nei progenitori midollari CD34+ e CD33+. Queste
sono le cellule per le quali la latenza è stata dimostrata in vitro,
probabilmente vi sono anche altri tipi di cellule (epiteliali, fibroblasti,
gangli neurosensoriali), sebbene non si abbia una dimostrazione diretta.
L’Herpes umano di tipo 6 entra in latenza nei linfociti CD4+ e in tutte
le cellule nucleate CD46+. L’Herpes umano di tipo 7 è sicuramente un
virus che infetta l’uomo, ma la patogenicità è ancora dubbia, in quanto
non sono ancora noti i meccanismi, non sappiamo come e quando
diventa patogeno. Entra in latenza nei linfociti CD4+ e può dare
manifestazioni molto simili all’HHV6, ma non è un virus che viene
ricercato con i test diagnostici, proprio perché non c’è prova che una
determinata patologia possa essere riconducibile a tale virus. Spesso coi
virus si hanno tali problematiche, in quanto, sebbene alcuni siano ben
classificabili attraverso test molecolari, questi sono rinvenibili sia in
soggetti sani che malati: non c’è una chiara causa del meccanismo di
patogenicità.
3 I γ herpes virus hanno la caratteristica di entrare in latenza nei linfociti B.

Tipologia di infezione da Herpesvirus


Per quanto riguarda gli herpes è importante questo principio:
- un soggetto sieronegativo, suscettibile all’infezione dal momento che non
è mai entrato in contatto con uno di questi otto virus, se vi entra in
contatto va incontro all’infezione primaria;
- un soggetto sieropositivo, che nel corso della sua vita è già venuto a
contatto con tale virus, può andare incontro a due tipi di infezione:
reinfezione o riattivazione. Entrambe vengono identificate come infezioni
non primarie. La prima si sviluppa nel caso in cui il soggetto venga
casualmente in contatto con un altro ceppo del virus rispetto a quello
presente nella sua memoria immunitaria (a volte vi possono essere più
ceppi e quindi si va incontro ad una superinfezione e, in tal caso, alcuni
soggetti mimano quella che è l’infezione primaria). La seconda riguarda il
virus che è latente nell’organismo e che si riattiva.
Infezioni opportuniste
In qualsiasi paziente, che sia immunocompetente o immunodepresso,
l’infezione primaria ha sempre un impatto clinico molto più pesante
dell’infezione non primaria: quando si ha a che fare con soggetti
immunocompetenti che mostrano segni clinici, sicuramente si tratta di
un’infezione primaria. Rispetto a questa il sistema immunitario non ha alcuna
difesa, quindi il virus opportunista approfitta di questo momento di défaillance
e innesca il meccanismo patogenetico, favorendo la progressione dell’infezione
verso la malattia. Un soggetto immunocompetente che ha in corso un’infezione
non primaria spesso non se ne accorge neanche, invece, il soggetto
immunodepresso può avere reazioni importanti dal punto di vista clinico.
Ad esempio, se un paziente immunocompetente è sieronegativo per la
varicella, si può infettare con questa ma, lentamente, è in grado di andare
verso la guarigione; nel caso di infezione da varicella in un soggetto
immunodepresso questo può andare incontro a morte, in seguito ad un
coinvolgimento d’organo molto importante.
I soggetti immunodepressi oggi stanno aumentando in modo significativo: non
si tratta solo di trapiantati, ma di moltissimi pazienti che fanno terapie
immunosoppressive.
Ad esempio, attualmente c’è una giovane paziente che soffre di cirrosi da
malattia autoimmune: ha un carico virale da CMV nel sangue elevatissimo ed è
candidata al trapianto (ha quasi 150.000 copie di CMV nel sangue). Questa
condizione critica è determinata sia dalla malattia di base che dall’importanza
delle terapie che la paziente ha fatto in questi ultimi anni per controllare la
patologia autoimmune: si stanno sovrapponendo una non funzionalità
dell’organo e un’infezione molto pesante. Il trapianto comporterà oltretutto
un’aggressività maggiore delle terapie imunosoppressive, per cui la situazione
è molto difficile.

Dunque, la patogenicità è in buona parte dovuta alla capacità di interagire con


le difese immunologiche dell’ospite. Gli herpes sono per questo un classico
esempio di virus opportunista. Altri esempi di microorganismi opportunisti sono
i funghi.

Soggetto immunocompetente
Nella stragrande maggioranza dei casi le infezioni sono clinicamente
inapparenti, ma qualche volta si può avere un lieve rialzo febbrile, adenopatia,
si possono avere delle lesioni (varicella, herpes simplex), astenia (tipico segno
degli herpes), rash, una sindrome mononucleosica (in questo caso si pensa
inizialmente all’EBV, ma se risulta negativo si può pensare al CMV). Dalle
analisi del sangue può emergere una linfocitosi atipica, in pochi casi si può
avere un aumento delle transaminasi (livello normale: 40-50, livello alto: 100-
150), che non per forza indicano la presenza di epatite. Questo perché sono
virus che possono replicarsi anche a livello degli epatociti e quindi danno
sofferenza al fegato.

Soggetto immunocompromesso
Vi sono una serie di manifestazioni cliniche molto gravi che possono portare ad
una malattia severa che può esitare nella morte dell’individuo.
Come “immunocompromessi” consideriamo, per motivi fisiologici, i neonati o
gli anziani: nei primi il sistema immunitario è in via di sviluppo, nei secondi è in
via di senescenza; per motivi farmacologici, i pazienti che hanno subito un
trapianto e quindi sono soggetti a terapia immunosoppressiva, o pazienti
autoimmuni. Ormai sono cambiate le terapie, si utilizzano farmaci biologici, che
hanno la capacità di diminuire le difese immunitarie; o ancora per motivi
patologici, come per esempio per un’infezione da HIV, quando l’infezione
progredisce verso la malattia (AIDS) calano i linfociti T CD4+. In questo caso i
patogeni opportunisti ne approfittano e quindi cominciano ad esercitare la loro
azione. Negli anni ‘80/’90 i pazienti con AIDS morivano per infezioni
opportuniste; la cecità era data dal CMV, si manifestavano spesso il sarcoma di
Kaposi, infezioni fungine…

Sieroprevalenza
Questi virus sono ubiquitari, possiedono elevata infettività ed ampia
circolazione interumana.

Herpes simplex virus 1: tra gli adulti il 50-70% è positivo.


Herpes simplex virus 2: è quello degli organi genitali, la sieroprevalenza ha
un ampio margine (6-20%) e dipende dal gruppo di popolazione. Giovani
europei appartenenti a gruppi non definiti a rischio (che hanno rapporti protetti
o non con numerosi partners) presentano sieroprevalenza bassa. Negli Stati
Uniti questa è molto più alta: c’è una circolazione maggiore, anche in gruppi
non a rischio. Nelle zone subsahariane si può arrivare ad una sieroprevalenza
pari all’80%, poiché la promiscuità dei rapporti è elevata e vi è anche maggiore
incidenza di HIV.
Varicella zoster virus: più del 90%.
Epstein Barr virus: 80 - 90%.
Cytomegalovirus: 70 - 80%.
Herpes virus umano 6 e Herpes virus umano 7: 90 - 95 % in età adulta.
Herpes virus umano 8: 1 - 4%. %. Anche qui abbiamo però una variabilità: 1-
4 % è il dato generale ma abbiamo alcune aree geografiche in cui la
percentuale sale al 20-25%. In Italia, ad esempio, al Nord la percentuale va
dall’1 al 4 %, mentre al Sud e in tutto il bacino Mediterraneo va dal 20 al 25%.
In altre zone di Africa e Asia, ad esempio, si può arrivare al 50%.

Cytomegalovirus

È un β-herpes virus, virus a DNA lineare, a doppio filamento, dotato di


envelope, che è stato completamente sequenziato e contiene più di 200 ORF,
quindi esprime un numero di proteine strutturali e non strutturali molto
elevato. Ha un’immunogenicità piuttosto complessa, ciò è dovuto alla
caratteristica del virus e al numero di ORF all’interno del DNA.

Il ciclo replicativo è lento: prima di vedere l’effetto citopatico dobbiamo


aspettare circa 20 giorni, quindi si replica, però l’espressione dell’azione
patogena si manifesta dopo molti giorni. Se dovessimo isolarlo ci vorrebbe
molto tempo. Ha uno spettro d’ospite ristretto ed è specie-specifico: infetta
solo l’uomo ed entra in latenza nelle cellule mononucleate del sangue
periferico e nei progenitori midollari.
Le vie d’entrata sono molteplici: ci si può infettare tramite saliva, lacrime,
urine, sangue, liquido spermatico, secrezioni cervicali e anche con una
trasfusione o un trapianto d’organo. Il punto di entrata consente al virus di
moltiplicarsi, sebbene resti molto localizzato. Il vero e proprio serbatoio di
replicazione sono le cellule endoteliali.
Dunque il virus entra, si replica localmente, per arrivare alle cellule endoteliali
(sono il sistema più permissivo per la replicazione del virus). Qui si replica in
maniera attiva, la cellula si infetta e i virus producono citochine specifiche,
legate all’infezione della cellula. Questi sono segnali chimici, cellulari e virali,
che vengono rilasciati a livello ematico e hanno la capacità di attrarre solo due
tipologie di cellule: il monocita e la cellula polimorfonucleata. Entrambe queste
cellule hanno recettori specifici riconosciuti dagli antirecettori prodotti dalla
cellula infetta: si crea così un’azione di riconoscimento e di legame tra cellula e
cellula attraverso siti recettoriali.
Successivamente a questo legame le due cellule si fondono: il virus passa dalla
cellula endoteliale a quella polimorfonucleata o al monocita. Man mano che
avanza la fase di replicazione del virus, questo passa anche alle altre cellule
endoteliali per contiguità. A poco a poco cominciano a circolare cellule
polimorfonucleate e monociti contenenti virus.
A questo punto la cellula endoteliale, che è il vero e proprio serbatoio, va
incontro a morte. Il virus viene così liberato a livello ematico.

Nella cellula polimorfonucleata il virus non si replica. Nei soggetti


immunocompetenti il ruolo di questa cellula è quello di catturare i primi virus
prodotti dalle cellule endoteliali e di fagocitare il virus per distruggerlo. Dunque
i soggetti immunocompetenti hanno l’infezione, ma non la manifestazione,
perché il virus non è in grado di arrivare alla fase di disseminazione, proprio per
azione delle cellule polimorfonucleate.
Nei monociti il virus non si replica, ma entra in latenza. Il sistema immunitario
agisce con una risposta aspecifica e poi con una specifica, in un soggetto
immunocompetente ci fermiamo a questa fase.

Nei soggetti immunodepressi, venendo a mancare l’azione del sistema


immunitario, questo processo progredisce: da una prima fase di disseminazione
limitata, il virus continua a replicarsi a livello degli endoteli, le cellule vanno
incontro a morte e il virus viene liberato a livello ematico, per cui aumenta il
carico virale. Il virus si diffonde così nei vari organi.
In alcuni organi dove arriva il virus si innesca una risposta infiammatoria, con
richiamo dei monociti e loro differenziamento in macrofagi: questi diventano
sede di slatentizzazione del virus, il quale inizia a replicarsi in modo molto
importante. Da una fase molto localizzata, se il sistema immunitario non è
capace di controllare il tutto, abbiamo la progressione dall’infezione alla
malattia.
I pazienti trapiantati quando ricevono l’organo, che può essere positivo per
CMV o possono esserlo loro stessi, vengono bombardati di farmaci
immunosoppressori. In base all’aumento del carico virale si interviene col
farmaco antivirale, perché il loro sistema immunitario non è più in grado di
rispondere correttamente. Vent’anni fa, quando queste conoscenze
mancavano, si perdevano molti pazienti per infezioni disseminate da CMV, che
non si potevano controllare.

Categorie di soggetti a rischio:


- Donne in gravidanza: in tali soggetti, nella maggior parte dei casi, non si ha
una manifestazione clinica, tuttavia possono trasmettere il virus al feto: se la
mamma è negativa e va incontro ad infezione primaria il feto non ha alcuna
difesa ed è in balia del virus. Questo circola nel sangue fetale, si dissemina
ovunque, con coinvolgimento d’organo molto importante (polmoni, pancreas,
rene, fagato, SNC…).
- Neonati con infezione congenita.
- Soggetti trapiantati;
- Pazienti infettati da HIV in fase di avanzata malattia;
- Soggetti immunodepressi;
- Adulti sani, nei quali a causa di stress o problemi personali si possono avere
conseguenze molto severe: spesso abbiamo polmoniti o epatiti da CMV. La
guarigione è molto lenta. Il problema si manifesta anche in soggetti giovani che
fanno sport, poiché sport molto intensi riducono quelle che sono le difese
immunitarie e si va incontro a infezioni primarie molto importanti.
Nei soggetti immunocompromessi vi sono infezioni sintomatiche, gli organi che
possono essere colpiti sono: il fegato, i polmoni, il SNC, i reni, l’apparato
gastrointestinale. Le infezioni dell’apparato gastrointestinale sono molto
comuni nei bambini, molto spesso abbiamo gastroenteriti anche molto violente
dovute a questo virus.
I sintomi più comuni sono la febbre, l’epatite, problemi gastrointestinali e
retiniti, ma anche encefalopatie, sordità infantile. La morte è frequente nei
neonati e nei trapiantati di cellule staminali.
L'infezione congenita da CMV è quella che si presenta con maggiore frequenza
tra le infezioni a trasmissione verticale. Non abbiamo terapie né vaccini, solo
intervento terapeutico nel neonato. Quando si hanno sintomi molto gravi a
livello fetale, spesso si decide per l’interruzione di gravidanza. È un percorso
che può nascere all’inizio di gravidanza, si arriva fino alla
ventesima/ventunesima settimana e tramite la diagnosi prenatale si monitora
la condizione del feto, spesso grave. Il 10-15% dei neonati sono sintomatici alla
nascita (epatite, epatosplenomegalia, petecchie, polmonite, problemi
cerebrali), il 10% di questi va incontro a morte, il 50-70% va incontro a sequele
tardive. Tra gli asintomatici, l’8-10% può andare incontro a sequele tardive
(sordità e ritardo psicomotorio).
Oggi a livello mondiale su 1000-1500 neonati 2 hanno un’infezione di questo
tipo. In gravidanza sia l’infezione primaria che quella non primaria possono
essere trasmesse, ma l’impatto clinico più grave ce l’ha l’infezione primaria. La
percentuale di trasmissione della primaria è del 30%, della non primaria
dell’1%. Se si scoprisse un vaccino per l’infezione primaria, ci sarebbe
comunque la non primaria a poter essere trasmessa, anche per questo non c’è
un grosso investimento sulla ricerca per mettere a punto un vaccino.
Il numero di neonati che vanno incontro a malattia a causa di tale virus è molto
più elevato rispetto a problematiche come sindrome di Down, spina bifida e
HIV. Il problema è che c’è poca conoscenza anche nel nostro ambito sanitario.
La maggiore fonte di infezione per una donna in gravidanza sono i bambini:
una conoscenza appropriata e una maggior consapevolezza ridurrebbe quella
che è l’incidenza.
In due anni ci sono già 5 stati degli USA che hanno introdotto lo screening nel
neonato e l’informazione obbligatoria. In Europa e in Italia è tutto a sé, la
normativa è diversa e in genere i provvedimenti vengono presi in ritardo
rispetto agli USA.

Molti trapiantati vanno incontro ad infezione da CMV, bisogna evitare che tale
infezione divenga malattia, bisogna monitorarli. Il monitoraggio è il controllo
della fase di disseminazione del virus nel sangue e viene fatto attraverso la
PCR real time. Più la viremia (quantità di virus nel sangue) è elevata, più il
paziente può andare incontro alla malattia.
Epstein Barr virus (EBV)

EBV è l’agente eziologico della mononucleosi infettiva, la quale è un disordine


linfoproliferativo autolimitante, caratterizzato da un elevato numero di linfociti
B infetti. Il virus altera la struttura della cellula, che assume delle
caratteristiche linfoblastoidi, aumenta di numero, e dà anche una massiva
espansione di linfociti T CD8+: questo è il modo del sistema immunitario di
controllare l’aumento del numero di linfociti B infettati.
Se l’infezione viene contratta durante l’infanzia è asintomatica,
nell’adolescenza è sintomatica al 50% ed è causa della mononucleosi infettiva.
Questa è chiamata anche “malattia del bacio”, perché sede di replicazioni sono
le cellule epiteliali della mucosa oro-faringea, quindi il soggetto infetto elimina
il virus attraverso la saliva. Nella giovinezza c’è una maggiore diffusione, sono
molti i soggetti che possono andare incontro alla mononucleosi infettiva.
La complicazione maggiore è la polmonite, che, in quanto polmonite virale, non
presenta una terapia specifica. La via orale è la via di trasmissione più comune,
ma l’EBV può essere trasmesso anche tramite trasfusioni di sangue o organi
trapiantati.

L’infezione primaria inizia nell’orofaringe, nelle cellule epiteliali del tessuto


linfoide, della lingua, NON nelle tonsille, poi il virus raggiunge la circolazione
ematica e infetta i linfociti B. Nel caso di linfociti B attivi si replica e il linfocita
produce particelle virali, nel caso di linfociti B di memoria entra in latenza. Nei
soggetti sani, da 1 a 50 linfociti per milione di cellule circolanti sono infettati da
EBV, la maggioranza delle persone sono positive per EBV e il virus è presente in
modo latente.

Durante il ciclo litico abbiamo un’importante produzione di antigeni: abbiamo la


produzione del complesso EBNA, antigeni nucleari, antigeni di membrana,
antigeni precoci, antigeni del capside, antigeni tardivi della membrana. Tutto
questo porta alla produzione di progenie virali.
Durante ciclo della latenza abbiamo l’espressione di pochi antigeni: il
complesso EBNA (complesso di antigeni nucleari) e il complesso L-MP
(complesso delle proteine tardive della membrana).

Il virus perde l’envelope, entra il nucleocapside, il DNA entra nel nucleo della
cellula, entra in latenza formando l’episoma ed esprime solo i due complessi di
antigeni sopracitati. Le cellule dove EBV è latente si dividono e si divide anche
il filamento di DNA di EBV, quindi da una cellula dove EBV è latente, per
divisione, se ne formano tante.

È un virus oncogeno e, a seconda dell’espressione delle proteine della


latenza, determina quella che è la sua azione oncogena. Può essere causa del
linfoma di Burkitt, del carcinoma naso-faringeo, del linfoma di Hodgkin,
del linfoma delle cellule T/NK e di disordini linfoproliferativi EBV associati dei
pazienti trapiantati.
Linfoma di Burkitt è caratterizzato da una forma endemica che si manifesta
principalmente nell’Africa Centrale e in Papua Guinea, e da una forma
sporadica nel resto del mondo. Probabilmente l’azione trasformante del virus è
innescata dalla concomitanza con l’infezione della malaria.
Il carcinoma nasofaringeo è il più diffuso tumore maligno nella popolazione
della Cina meridionale, dell’Alaska e del Sud-Est Asiatico: l’ipotesi è che vi
siano fattori genetici a favorire l’insorgenza di questo tumore in queste
popolazioni.
Il linfoma di Hodgkin è uno dei tumori più comuni della fascia giovane/adulta,
probabilmente qui l’innesco dell’insorgenza del carcinoma è dovuto a mutazioni
genetiche: EBV dà l’avvio, ma dopo intervengono fattori esterni che
determinano l’azione oncogena finale.
Il virus EBV è stato classificato come appartenente al gruppo 1 dei
cancerogeni dall'OMS e dallo IARC: è al 100% l’agente eziologico della
mononucleosi infettiva, strettamente associato allo sviluppo delle tipologie di
tumore sopracitate. Vi sono, inoltre, associazioni controverse con l’artrite
reumatoide, il lupus eritematoso sistemico, la sclerosi multipla, il tumore al
seno, la sindrome da stanchezza cronica...
Ad esempio, il tumore al seno: se si fa una biopsia e si ricerca il genoma di EBV
questo viene trovato, perché EBV entra in latenza nei linfociti B e in una biopsia
c’è sempre una minima contaminazione ematica, quindi viene trovato il virus…
bisogna stare molto cauti. In molti casi le associazioni scientifiche sostengono
che non vi siano connessioni col tumore al seno, altri studi ritengono che vi
siano possibili associazioni.

Diagnosi
La diagnosi può essere sierologica o virologica.
L’approccio sierologico è svolto sui soggetti immunocompetenti. Vi sono 2
tipologie di test, che non hanno più validità diagnostica: monotest e la reazione
di Paul Bunnel Davidsohn. Quest’ultima si avvale del fatto che durante la fase
acuta della mononucleosi infettiva, quindi nelle prime fasi della malattia, gli
organismi producono degli anticorpi eterofili di tipo IgM aspecifici, che hanno la
capacità di agglutinare i globuli rossi di montone. Questo test veniva utilizzato
tanti anni fa quando non c’erano i test specifici, però, trattandosi di una
reazione aspecifica, questi anticorpi possono anche essere presenti
indipendentemente da EBV o, addirittura, non essere proprio prodotti.
Il monotest è un test di agglutinazione: si tratta di anticorpi specifici per EBV
che vengono a contatto con un antigene corpuscolato. Anche questo test è da
considerare superato, in quanto non è specifico, né sensibile, al 100%.
I test da utilizzare sono quelli specifici che sfruttano IgG e IgM contro Antigeni
Virali Capsidici (VCA), proteine specifiche del virus. Per gli Antigeni Precoci (EA)
si può andare alla ricerca delle IgG, e allo stesso modo per gli EBNA (Antigeni
Nucleari) si cercano le IgG.
Se abbiamo IgM positivi per VCA siamo nella fase acuta dell’infezione, la quale
progredisce con un aumento importante di IgM e incominciano a comparire
anche le VCA IgG e le EA IgG.

Nell’ultima fase, quando è superata quella acuta, siamo in via di esaurimento di


replicazione del virus, nel soggetto rimane una memoria immunitaria: IgG
contro i VCA e contro gli EBNA.
Quando si studia il profilo sierologico dell’infezione da EBV e si trovano VCA IgM
negativi, anticorpi EA IgG negativi, VCA IgG positivi e EBNA IgG positivi si tratta
di un’infezione passata. Così si fa la diagnosi.

Herpes umano di tipo 8 (HHV8)

È la causa necessaria per lo sviluppo di tutti i tipi di sarcoma di Kaposi.


Questo è caratterizzato da neoformazioni vascolari, con una proliferazione di
tipo monoclonale, oligoclonale o policlonale, di cellule a livello dell’endotelio.
Si verifica una trasformazione delle cellule endoteliali, che costituiscono le
pareti dei vasi, fino all’insorgere del tumore vascolare vero e proprio con una
proliferazione cellulare monoclonale.
Se la manifestazione è cutanea ciò implica che sia di tipo benigno, se è
viscerale è maligna (spesso nei pazienti immunodepressi): in questo caso è
difficile controllarne la diffusione e nella maggior parte dei casi si va incontro a
morte.

Vi sono varie forme del sarcoma di Kaposi: la forma classica, la forma


endemica, la forma correlata ad HIV e quella correlata all'immunodepressione
nei pazienti trapiantati.
Le forme viscerali sono quelle maggiormente correlate
all’immunosoppressione.
In Italia la sieroprevalenza è bassa al Nord, mentre è alta nel bacino
Mediterraneo (dunque parliamo anche di zone francesi, spagnole, del
Marocco…): aumenta fino al 20-25%, l’incidenza della malattia è molto più
elevata.

Sappiamo poco di questo virus, è stato l’ultimo scoperto; ciò che è chiaro è che
lo troviamo nel sangue, ma anche nelle urine, nel liquido spermatico… l’ipotesi
maggiore è che ci sia una grande diffusione durante l’età infantile. Studiando i
pazienti trapiantati si è visto che l’incidenza del sarcoma nel post trapianto è
molto elevata nei soggetti che vivono nel sud Italia (prevalentemente nel Lazio,
Campania, Sardegna), ma questa incidenza è anche elevata nei pazienti
trapiantati che sono nati nel sud ma che da bambini si sono trasferiti nel nord
Italia (è stato fatto uno studio in Lombardia, nei pazienti trapiantati di rene: si è
visto che l’incidenza era più elevata nei pazienti provenienti dal sud, che
vivevano da tantissimi anni al nord.)
Durante la vecchiaia può succedere di avere un sarcoma cutaneo, anche se
solitamente quello che si teme è quello di tipo viscerale: più un soggetto viene
sottoposto a trattamenti immunosoppressivi più è probabile che abbia questa
tipologia.

Herpes umano di tipo 6 (HHV6)


È l'agente eziologico della “sesta malattia”, o esantema critico, quindi si
manifesta con rash cutaneo. Ai due anni di età abbiamo una maggiore
diffusione di questa infezione, le manifestazioni sono benigne negli
immunocompetenti e maligne negli immunodepressi. Tra le complicazioni più
frequenti ci sono: depressione midollare, epatiti, encefaliti, polmoniti, può
anche favorire la progressione verso la malattia da CMV (perché HHV6 ha
azione immunomodulante), e può provocare rigetto di trapianto.
Nella diagnosi è stato scoperto che nell’1% dei soggetti a livello mondiale il
genoma di HHV6 è integrato nel genoma delle cellule: facendo il test per
l’HHV6 si trovano milioni di copie di virus. Bisogna dunque identificare i
soggetti con HHV6 integrato studiando le cellule del bulbo pilifero, dove non c’è
contaminazione ematica: se questo è positivo vuol dire che il soggetto ha
l’integrazione (che è avvenuta nelle cellule germinali). In questo caso la
sintomatologia evidente non sarà data da HHV6, ma da un altro patogeno.

Herpes virus simplex di tipo 1 (HSV1) e Herpes virus simplex


di tipo 2 (HSV2)
Herpes simplex virus 1 è prevalentemente associato a lesioni orali e oculari
(ma posso anche trovarlo a livello genitale, dove può comunque entrare in
latenza) ed entra in latenza nei gangli neurosensoriali faciali.
Herpes simplex virus 2 è associato prevalentemente a lesioni genitali (ma
posso anche trovarlo a livello orale, dove può comunque entrare in latenza).
Spesso vengono eliminati in maniera asintomatica, mentre le riattivazioni
spesso sono accompagnate dalla formazione delle lesioni (orali e genitali).
[Da studiare autonomamente le manifestazioni e il meccanismo]

Varicella zoster virus ( VZV )

L’infezione primaria causa la varicella, la riattivazione a livello dei gangli


neurosensoriali dorsali causa lo zoster ("fuoco di Sant'Antonio"),
manifestazione con lesioni molto dolorose a livello di addome e torace.
Il dolore è dato dalla riattivazione del virus a livello di cellule neurosensoriali
perché questo innesca il processo di infiammazione della cellula, la quale a sua
volta innesca la nevrite (si cura con molta difficoltà). Se curiamo
immediatamente la replicazione, appena compare il primo sintomo, siamo in
grado di controllarla ed evitare gli effetti collaterali, ma se tardiamo di qualche
giorno il trattamento terapeutico (es. Aciclovir) il ciclo replicativo si completa e
si innesca quello che è il processo infiammatorio nella cellula neurosensoriale:
insorge la nevrite che dà il dolore e le maggiori problematiche.
Bisogna vaccinarsi per varicella da bambini e, se siamo soggetti adulti che
hanno superato i 50 anni di età e soffriamo di episodi ripetuti di zoster, esiste
un vaccino molto efficace che blocca la replicazione del virus e riduce in
maniera molto importante la malattia.
Col nuovo piano vaccinale 2017/2018 questo vaccino viene offerto
gratuitamente a tutti gli ultra 65enni.

Infezioni emergenti e riemergenti

Le infezioni emergenti sono infezioni mai apparse precedentemente. Si parla quindi di


un patogeno nuovo che scatena l’infezione, o di un patogeno che per la prima volta
colpisce l’uomo.
Nella storia abbiamo diversi esempi di patogeni emergenti:

 il virus HIV, derivato dal virus SIV delle scimmie con un salto di specie.
 il virus SARS, un virus (del genere Coronavirus) di nuova scoperta.
 virus influenzale del 2009: era un virus di nuovo assortimento, ancora
non conosciuto, quindi a tutti gli effetti un virus emergente.
 il virus MERS.

Le infezioni riemergenti sono invece causate da virus riemergenti, cioè virus già
conosciuti che per una serie di motivi aumentano la loro espansione geografica e la
loro incidenza.
Osservando la diapositiva trattante l’incidenza dei virus emergenti creata dal Professor
Fauci della NIH negli anni ’70 si può notare un unico pallino rosso sull’Africa, che sta a
rappresentare la diffusione del virus HIV all’epoca. La stessa diapositiva viene
costantemente aggiornata da allora: attualmente ci sono molti più pallini rossi, a causa
della diffusione in altre zone di virus emergenti, e si notano anche numerosi pallini blu
rappresentanti i virus riemergenti. È possibile scorgere anche alcuni infezioni
batteriche, ma la maggior parte sono causate da virus (arbovirus in molti casi, ma
anche virus influenzali e altri patogeni).
Le infezioni scatenate da arbovirus o da patogeni trasmessi da vettori sono il 17 % di
tutte le malattie infettive. Il 50% della popolazione mondiale è a rischio per quanto
riguarda queste infezioni.

Arbovirus
Secondo la definizione della WHO, gli arbovirus sono un gruppo di virus mantenuti in
vita da vettori artropodi ematofagi che si mantengono in natura tramite una
trasmissione biologica tra ospiti vertebrati. I vettori sono principalmente tre: le
zanzare, i flebòtomi e le zecche.
I cicli di trasmissione sono differenti e possono essere anche articolati. La maggior
parte degli arbovirus si mantiene in natura tramite un ciclo enzootico di tipo
forestale tra il vettore (essenzialmente zanzara) e dei primati non umani. Può tuttavia
succedere che il ciclo da forestale si trasformi in urbano, in cui l’ospite suscettibile
all’arbovirus è l’uomo, e in questo caso si tratta di cicli epidemici (o outbreak).
Esiste un altro ciclo, più complesso, in cui il ciclo è enzootico sia di tipo forestale che
di tipo urbano ed ha come ospiti che sostengono il ciclo gli uccelli. L’uomo può essere
infettato da questi arbovirus tramite le zanzare, ma non rientra all’interno del ciclo
poiché sviluppando viremie piuttosto blande diventa un ospite terminale; infatti, a
differenza del ciclo precedente, se un uomo infetto da arbovirus viene punto da
un’altra zanzara non è in grado di trasmetterle il virus. In questo caso l’uomo è un
ospite accidentale che non entra nel ciclo di trasmissione.

Tipi di arbovirus
Ci sono 4 famiglie virali:

1 Flaviviridae, come il virus Zika, il virus dell’encefalite da zecche,


il virus della febbre gialla, il virus West Nyle e il virus Dengue;

2 Togaviridae, del genere Alphavirus, ad esempio i virus


Chikungunya e O’nyong nyong;

3 Bunyaviridae, di cui sono un esempio il virus Toscana, febbre


della Rift Valley, febbre emorragica del Congo;

4 Reoviridae , popolazione non proporzionalmente importante.

Nel caso delle arbovirosi ci sono tre attori principali: il virus, il vettore e l’ospite. Il
mantenimento dei cicli di trasmissione non è immediato o semplice, occorre
cooperazione di diversi elementi e questo richiede una serie di fattori: il vettore deve
essere competente per quel determinato virus (dipende da peculiarità di vettore e
virus ma anche da clima, habitat in cui c’è l’incontro virus-vettore), l’ospite deve
essere suscettibile al virus. Non ci può essere ciclo di trasmissione se l’ospite non è
suscettibile al virus.

Attualmente, le Arbovirosi sono oggetto di molti studi, a causa della loro continua
espansione che si perpetra anche in Europa per certe patologie; inoltre, il rischio di
importare e stabilire anche in Europa altre infezioni di questo tipo è molto alto. Questa
importazione e diffusione avviene tramite una serie di fattori:

 cambiamenti socio-economici;
 cambiamenti climatici e dell’ecosistema (molte delle patologie sono
infatti associate a un clima tropicale);
 aumento dei viaggi e dei commerci, il fattore probabilmente più
importante. Attraverso traffici e mercati abbiamo lo spostamento anche
dei vettori: la stessa zanzara tigre, vettore di grande rilevanza, è stata
introdotta in Italia tramite il traffico di copertoni.

La diffusione delle arbovirosi, come già detto, è subordinata alla presenza di un


vettore. Le specie di zanzare che generalmente trasmettono le arbovirosi sono del
genere Aedes: Aedes albopictus (detta comunemente zanzara tigre), diffusa in tutta
Italia e nelle coste mediterranee di Francia e Spagna, e Aedes Aegypti, la quale per il
momento non è presente in Europa. Tutte queste zone, e in particolare l’Italia, sono a
rischio di infezioni da arbovirosi a causa della presenza del vettore e del clima
adeguato.
Uno dei modi per importare le infezioni è attraverso i viaggiatori viremici che
contraggono l’infezione e tornando in Europa trasmettono l’infezione tramite i vettori
presenti nel territorio. Nel sud della Francia vi sono stati casi autoctoni di Dengue in
passato, e nel 2007 ci fu un caso un caso di trasmissione autoctona di virus
Chikungunya in Emilia-Romagna (zona di Castiglione di Cervia) che ebbe risalto a
livello mondiale.

Sintomatologia arbovirosi
Si possono riconoscere quattro grossi blocchi di sintomatologie da arbovirosi:

 tutte hanno in comune lo stato febbrile;


 alcune sono caratterizzate da sindromi neurologiche (encefaliti,
meningoencefaliti…);
 alcune possono dare emorragie (è comunque piuttosto raro);
 alcune presentano artriti, eritemi, rash

Solitamente la sintomatologia è piuttosto comune e associabile ad altri tipi di infezioni,


come la malaria e altri virus o batteri (influenza, herpes, tifo, meningiti batteriche etc.)
e di conseguenza è necessario effettuare diagnosi differenziale rispetto ai patogeni. Le
sindromi emorragiche sono invece da considerarsi quasi alla stregua di una “firma”
degli arbovirus, data la rarità di questa sintomatologia.
Inoltre, osservando la distribuzione geografica delle varie patologie salta all’occhio
come molto spesso vi sia una compresenza negli stessi territori di più arbovirosi,
rendendo così più difficile anche la distinzione del tipo di infezione all’interno del
quadro clinico delle arbovirosi, data la somiglianza presentata nella sintomatologia. La
diagnosi differenziale delle arbovirosi su base clinica è in sostanza molto difficile.

Queste arbovirosi non sono solamente delle patologie tropicali: le ritroviamo anche in
Nord America, Europa, Oceania.

Diagnosi infezioni arbovirus


Per tutte le infezioni da arbovirus il picco viremico è nella fase presintomatica. La
finestra per ricercare gli acidi nucleici degli arbovirus nel sangue (RNA) è molto breve:
quando compaiono i sintomi la viremia è già nella sua fase discendente. Dopo 4-6
giorni iniziano a comparire le igM e successivamente le igG.

Nei confronti di un viaggiatore che ritorna da zone epidemiche presentando


sintomatologia (si trova nella fase acuta) vengono utilizzati due tipi di approcci:

- Un approccio indiretto: ricerca degli anticorpi, in quanto il virus


potrebbe già non essere più presente nel sangue (test sierologico);
- Un approccio diretto: si ricerca la presenza del virus nel sangue (test
molecolare).
Non è possibile decidere quale approccio utilizzare a priori, devono essere eseguiti
entrambi i test.
Alcuni dati del paziente sono fondamentali per la diagnosi:
- la storia del viaggio (dove è stato, quando è tornato…): il range
geografico ci dà un’idea sul tipo di infezione che può aver contratto, il
tempo ci dà un’idea del periodo di incubazione, per capire in quale fase
dell’infezione si trova;
- la comparsa e il tipo di sintomi presentati;
- la storia vaccinale del paziente: generalmente quando si viaggia in
alcune zone sono obbligatorie alcune vaccinazioni, come quella per la
febbre gialla, che possono interferire con i test diagnostici per cross-
reattività, data la somiglianza dal punto di vista sierologico.
Conoscere questi dati è vitale per i laboratori, che rivolgeranno i test diagnostici di
conseguenza per una diagnosi più rapida ed efficiente.

Chikungunya, Dengue, Zika

Questi virus sono tutti virus presenti nelle nostre zone solo se importati.
Hanno una sintomatologia comune che comprende:
- Rash
- Dolori articolari
- Stato febbrile

Virus West Nyle e virus Toscana


Presentano la stessa sintomatologia, sono virus neurotropi che danno sindromi
neurologiche. Sono virus endemici anche nei nostri territori.
Chikingunya (Cnk)
Togavirus a RNA a singolo filamento a polarità positiva (ssRNA +). I vettori sono le
zanzare Aedes (Aegypti e Albopictus), il ciclo è urbano (zanzara-uomo-zanzara).

Sintomatologia
Cefalea, febbre, vomito, rush cutaneo, e in particolare i pesanti dolori articolari che
caratterizzano questa patologia e che continuano anche per diverse settimane dopo
l’esaurimento della patologia. Il nome di questo virus significa in lingua Swahili “che
contorce, che fa camminare curvo”.
Nel 2007 i pazienti in Emilia che avevano contratto l’infezione nel focolaio epidemico
presentavano ancora dolori articolari a distanza di un anno.
Prima del 2013 questa infezione era endemica solo in Asia e in Africa. Dal 2013 per
qualche motivo c’è stata un’espansione di questa infezione che arriva in Sud America,
nei Caraibi, nell’America Centrale. Si tratta quindi di un’infezione riemergente che ha
ampliato il suo campo d’azione.
Il caso dell’Emilia avvenne nel luglio del 2007: un paziente indiano tornando dall’India
a Castiglione di Cervia, instaurò un ciclo di infezione epidemica. La sua viremia era
sostenuta e ha permesso alle zanzare autoctone di trasportare il virus. La diffusione si
è estesa a Rimini, Forlì, Cesena e addirittura fino a Bologna. È stato fortunatamente un
outbreak di piccole dimensioni: si parla di circa 250 persone colpite, abitanti delle città
vicine. Il virus non è tuttavia sopravvissuto all’inverno a seguito della morte dei vettori
e quindi il ciclo epidemico non è continuato l’estate successiva.

Diagnosi
Generalmente il virus rimane nel sangue massimo 5-6 giorni dalla comparsa dei
sintomi. Gli anticorpi compaiono dopo 5-6 giorni.
L’approccio migliori è sempre la combinazione di test diretto e indiretto.

Dengue
Appartiene ai flaviviridae, è sempre ssRNA +. Il ciclo è sempre zanzara-uomo-
zanzara ed esistono 4 sierotipi del virus della dengue:

 dengue 1
 dengue 2
 dengue 3
 dengue 4.
L’infezione è endemica in Africa, nei Caraibi. Ha distribuzione sovrapponibile a quella
del virus Chikingunya. È l’infezione più diffusa al mondo ed è un’infezione
riemergente in quanto la sua incidenza è in continua ascesa. Negli ultimi 50 anni
l’incidenza è aumentata di circa 30 volte, ogni anno ad oggi infetta dai 50 ai 100
milioni di persone nel mondo. Ci sono stati piccoli outbreak anche in territorio europeo
(Francia negli anni 2010, 2013, 2014, Croazia nel 2010) e un outbreak piuttosto ampio
a Madeira con migliaia di colpiti.

Sintomatologia
Bisogna operare una distinzione tra febbre dengue classica e febbre dengue severa.
Quest’ultima presenta febbre emorragica ed è un’infezione fatale, la prima invece si
inquadra nel quadro clinico di sintomi simili all’influenza. Questa si ha quando si ha
un’infezione secondaria causata da un sierotipo differente. Se un paziente
precedentemente infettato ad esempio da sierotipo dengue 1, viene nuovamente
infettato da un sierotipo dengue 3 può contrarre una febbre severa.

L’ ipotesi più accreditata, confermata in vitro e su modelli animali, alla base di questa
febbre è l’antibody-dependent enhancement (ADE): gli anticorpi nell’infezione
secondaria peggiorano la situazione. Questi anticorpi non sono in grado di
neutralizzare completamente il virus perché specifici per un altro sierotipo, però
legano comunque il patogeno. I monociti legano gli immuno-complessi (tramite Fc-
receptor) che si formano e li internalizzano anche se questi sono ancora attivi: gli
anticorpi aiutano in questo modo il virus ad infettare in maniera più massiva le cellule
dell’organismo.

Diagnosi
Anche in questo caso (la diagnosi è molto simile per tutti gli arbovirus) si combinano
approccio diretto (test molecolare) e indiretto (anticorpi, test sierologico). In questo
caso è utile anche la ricerca di una proteina nel sangue, la proteina virale NS1,
presente per qualche giorno in più rispetto all’RNA virale (che permane per 5-6 giorni
dalla comparsa dei sintomi).
Esiste un vaccino per questo arbovirus, registrato con il nome Dengvaxia®.
L’allestimento del vaccino ha richiesto diversi decenni in quanto doveva essere
tetravalente (il virus dengue presenta infatti 4 diversi tipi sierologici). È indicato alla
popolazione tra i 9-45 anni e a popolazioni di aree fortemente endemiche. Non è
indicato per i turisti, ma solo per individui che vivono in aree endemiche. Il limite dei 9
anni è stato posto perché nei trial clinici nei bambini di età inferiore la
somministrazione provocava maggiore probabilità negli anni di provocare una febbre
dengue severa: il vaccino agiva infatti come una infezione primaria. Il pericolo non si
pone in individui di età superiore perché in aree fortemente endemiche vi è forte
probabilità che questi individui abbiano già contratto l’infezione più volte.
È da specificare che l’infezione secondaria non è una condizione sufficiente per lo
sviluppo di una dengue severa e di conseguenza può risolversi in modo benigno.

C’è un piano nazionale di sorveglianza di queste infezioni per individuare


precocemente i casi importati e attivare una serie di misure di sanità pubblica per
evitare l’instaurarsi di un ciclo autoctono dato che abbiamo già vettori e condizioni
climatiche predisponenti. Un viaggiatore che rientra nel periodo di attività vettoriale
(giugno-ottobre) da aree endemiche e presentante sintomi rappresenta un caso
sospetto e a rischio. Vengono testate in particolare tre infezioni: Zika, Chikungunya,
Dengue. La maggior parte dei pazienti a cui viene diagnosticata l’infezione (42 % di
chikungunya e 63% dengue) si trova in fase viremica. La maggior parte dei pazienti
positivi per la Dengue provengono dall’Africa; quelli affetti da Chikingunya vengono
invece dai Caraibi. L’individuazione del paziente infetto porta a un’opera di
disinfestazione nell’area in cui vive per evitare la diffusione del patogeno.

Zika
Lo Zika è un virus a RNA della famiglia delle Flaviviridae. È trasmesso dalle zanzare
della famiglia Aedes, soprattutto da A. Aegypti ma anche Albopictus. È stato isolato
per la prima volta in Uganda nella foresta Zika da cui prende il nome. Non è un virus
nuovo, ma è un virus riemergente. Nel 2007 c’è stato un outbreak in Micronesia,
nell’isola di Yap. Nel 2013-2014 un altro outbreak nella Polinesia francese e infine nel
2014 arriva in Sud America, in Brasile e ha una ripidissima diffusione nell’America del
sud e centrale. Assieme all’incremento dell’incidenza del virus si verificarono un
aumento di casi di microcefalia e sindromi di Guillain-Barrè. Questo portò il WHO, nel 1
febbraio del 2016, a dichiarare la diffusione di Zika un’emergenza sanitaria a livello
mondiale. Il picco si ebbe nei primi mesi del 2016 in Sud America e nei Caraibi. Lo
spettro dei casi di importazione in Europa rispecchia la diffusione dell’infezione nei
paesi in cui essa è endemica, con un picco nel 2016 e un rapido calo nel 2017. In Italia
nel 2016 furono diagnosticati circa 100 casi, di cui una quindicina in Emilia-Romagna.

Trasmissione
Tramite puntura di zanzara infetta, trasmissione materno-fetale, tramite rapporti
sessuali. È possibile che si trasmetta anche con trasfusioni di sangue e in via teorica
anche in caso di trapianto di organo.

Sintomatologia
Piuttosto comune: Febbre, Rash, Congiuntivite.
I sintomi sono piuttosto simili per tutti e tre i casi (Chikungunya, Dengue e Zika),
anche se ognuno ha un sintomo caratteristico. Nel caso di Zika questi sintomi
caratteristici sono il Rash e la congiuntivite. L’infezione ha decorso breve, i pazienti si
sentono meglio già dopo qualche giorno una volta sparito il rash. Raramente i pazienti
vengono ospedalizzati.

L’emergenza sanitaria è stata dichiarata a causa dell’associazione di questa infezione


con problemi in gravidanza, soprattutto microcefalia fetale. L’88% dei casi confermati
di sindrome congenita si sono verificati in Brasile, con 2700 episodi. L’associazione tra
l’aumento di casi di microcefalia e l’aumento di casi di Zika non è stata provata
immediatamente, sebbene fosse sicuramente molto suggestiva la loro
contemporaneità temporale e geografica; tuttavia, dal punto di vista scientifico, è
stato necessario aspettare la diagnosi di Zika in bambini affetti da microcefalia
congenita, soprattutto con test molecolari di ricerca di RNA virale su campioni bioptici
di feti abortivi, placenta o su liquido amniotico.
Alla luce di queste evidenze il CDC ha confermato la presenza di un nesso tra Zika e
microcefalia. Non si parla ora solo di microcefalia, ma sindrome congenita da Zika,
dove la microcefalia è solo una delle diverse manifestazioni della sindrome stessa. Le
più evidenti sono riduzione di vista e udito, calcificazioni intracraniche, artrogriposi. Più
si va avanti nel tempo, quindi più questi bimbi vengono infettati dal virus (e segue
pertanto il follow-up), più ci si rende conto che anche bambini nati normali alla nascita,
ma infettati dal virus, al follow-up alla nascita hanno manifestazioni con esordio più
tardivo. Ecco che il quadro sintomatologico diventa molto più complesso.
Non ci sono ancora delle stime precise sulla probabilità che ha una donna in
gravidanza affetta da Zika di trasmettere l’infezione al figlio e quale sia il rischio che il
feto, una volta contratta l’infezione, ne sia gravemente danneggiato.
Sono stati fatti degli studi con risultati contrastanti: ci sono due studi pubblicati,
ancora in corso.
Uno degli studi è fatto in Brasile, a Rio, che riporta un outcome avverso
(manifestazione di sindrome congenita da Zika nel bambino) nel 46% delle donne con
infezione da Zika. Il secondo studio, fatto in Texas, mostra una percentuale del 6% sia
per le infezioni sintomatiche sia per quelle sintomatiche. Attualmente si ricerca il ruolo
di possibili cofattori, come la presenza di altre infezioni, condizioni socioeconomiche, o
fattori genetici.

Trasmissione sessuale del virus Zika


Si è scoperto soprattutto nei viaggiatori che avevano contratto lo Zika e che la
trasmettevano ai partner, perché in Brasile la possibilità di contrarre la malattia dal
vettore celava la possibilità di trasmissione tramite rapporti sessuali.

Diagnosi
Come per le altre arbovirosi si ha una combinazione di diagnosi diretta e indiretta. Ciò
che preoccupava inizialmente era il fatto che la fase viremica fosse molto breve ed era
molto difficile individuare il virus nel sangue. Aiuta molto il poter ritrovare il virus nelle
urine per un tempo molto più prolungato, fino a 20 giorni dopo la comparsa dei
sintomi.
Il virus è stato ricercato in quasi tutti i liquidi biologici: sangue, urina, saliva, liquido
seminale (da cui la scoperta che si trasmettesse tramite rapporti sessuali) dove il virus
sopravvive per massimo sei mesi, e nelle secrezioni vaginali, dove sopravvive per due
settimane.

Dallo scorso anno anche Zika rientra nella sorveglianza delle arbovirosi insieme a
Dengue e Chikungunya e le diagnosi sono l’una la diagnosi differenziale dell’altra, in
quanto la sintomatologia dei tre arbovirus (Chikungunya, Dengue, Zika) è
sovrapponibile, così come la diffusione geografica.

West Nyle
È un arbovirus diverso dai precedenti. È un flavivirus a RNA a filamento singolo a
polarità positiva. Il vettore non è una zanzara aedes, ma la zanzara culex, cioè la
zanzara comune. Il ciclo è zanzara-uccello dove l’uomo è ospite accidentale, a fondo
cieco: può essere infettato ma non è in grado di trasmettere l’infezione. Da uomo a
uomo può però esserci trasmissione tramite trasfusione di sangue o trapianto di
organo, ma anche per trasmissione intrauterina.

Sintomi
È un virus neurotropo: dà sindrome neurologica con encefalite, meningite,
meningoencefalite.

Epidemologia clinica
-L’80% delle infezioni sono asintomatiche
-il 20% mostra sintomatologia comune (flu-like, simile all’influenza)
-meno dell’1% sindromi neurologiche (encefalite e meningoencefalite)

È un’infezione endemica anche in alcune regioni italiane fra cui l’Emilia-Romagna.


Esiste un piano di sorveglianza nazionale e regionale molto complesso, con approccio
One-Health (unica salute: umana-veterinaria-ambientale): oltre ai casi umani di
infezioni (monitorati nelle altre arbovirosi) vengono monitorate anche le zanzare e gli
ospiti amplificatori (gli uccelli). La presenza del virus (in ambito umano o animale)
mette in atto una serie di misure atte a impedire la diffusione del virus tramite
trasfusione sanguigna. L’Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto sono le regioni più a
rischio per l’infezione da West Nyle. Negli ultimi anni sono stati circa 20 casi di
infezioni neuroinvasive nel periodo estivo.

Virus Toscana
Non è trasmesso da zanzare ma dai pappataci, ed è diffuso in tutto il bacino del
mediterraneo, anche se poco studiato e poco cercato. È la maggiore causa di
meningite estive. Ci sono circa 30 casi tutte le estati. Non è ancora chiaro se sia un
virus riemergente o solo un’infezione poco conosciuta.

I prioni

Introduzione e caratteristiche generali


Prendiamo in considerazione alcune patologie che possono colpire sia l'animale
che l’uomo, le quali hanno presentato, insieme ad un altro virus
fondamentalmente, il jumping di specie, cioè il salto di specie.

La malattia da prioni, infatti, è una malattia trasmissibile da un animale


all'uomo senza vettori, ma soprattutto una malattia la cui patogenesi non
nasce da un virus, da un batterio o da un protozoo, bensì da delle proteine, che
sono in grado di replicarsi. È l'unico esempio in natura che possa essere fatto,
perché le proteine non si moltiplicano! Si moltiplica soltanto qualcosa che ha un
genoma a DNA o un genoma ad RNA, come le nostre cellule, le cellule degli
animali, le cellule dei procarioti, le cellule degli eucarioti, ma una proteina che
si moltiplica è un fatto che ci lascia attoniti.

Le patologie poi identificate come patologie da prioni sono state viste a partire
dagli anni '30, perché i prioni rappresentano la cerniera tra gli studi di genetica
e gli studi di virologia. In virologia abbiamo i virus ad RNA che rappresentano
l'unico esempio in natura di genoma costituito da RNA. Se è vero che i prioni
erano prima oggetto di interesse esclusivamente da parte di alcuni settori
scientifico-disciplinari (neurologia e psichiatria), alcuni anni fa, con l'avvento
della malattia di Creutzfeldt-Jakob (determinata dall’introduzione della
possibilità di nutrire gli animali, di cui poi noi ci cibiamo, con farine di origine
animale e non con foraggi come dovrebbe avvenire invece), questo interesse si
è diffuso e ci ha permesso di tornare indietro nel tempo e vedere che in realt à
la C-J costituiva solamente una parte delle malattie da prioni.

La CJ nuova variante (così denominata perché conoscevamo già altre varianti)


fu identificata come la “patologia della mucca pazza”, perché le mucche
“impazzivano”; prima ancora che ci fossero dei segni evidenti, queste venivano
macellate ed importate in Italia, in Francia e in tutto il mondo (addirittura
l'America importava dalla Russia, nonostante avesse una produzione di carni
estremamente elevata).

I prioni si chiamano così perch é “Pr” sta per proteina o per patogeni di natura
proteica, che però hanno la caratteristica di essere infettanti, quindi una
proteina che infetta e che si moltiplica. La moltiplicazione di queste proteine
avviene fondamentalmente a livello del SNC e determina delle patologie
degenerative, le cosiddette encefalopatie spongiformi, sia nell'uomo che
nell'animale, caratterizzate da un aspetto spongiforme del tessuto nervoso. Ciò
vale a dire che esso presenta una serie di vacuoli che normalmente non
dovrebbero esserci. Mediante l'accumulo di queste proteine prioniche, si va
incontro a delle lesioni degenerative che conferiscono al cervello questo
aspetto spongiforme. La difficoltà nel diagnosticare queste patologie che
colpiscono il sistema nervoso è elevata: normalmente la diagnosi
(evidenziazione del prione nel cervello e in alcuni casi anche nel cervelletto) è
fatta solo post mortem. Questo in quanto è difficile riuscire a fare delle biopsie
sul paziente ancora in vita.

Si manifestano con una situazione di atrofia del tessuto cerebrale, con la


perdita di cellule neuronali, proliferazione delle cellule gliali (causata dalla
risposta alla perdita di cellule neuronali) e produzione di placche, che saranno
uno degli aspetti più significativi delle malattie da prioni: le placche consistono
nella deposizione di fibrille di natura glicoproteica.

In realtà, tutti noi possediamo delle proteine prioniche, non patologiche, che
sono fondamentali affinché una proteina prionica patologica possa legarsi,
innescando un meccanismo di moltiplicazione e di deposito . Probabilmente
queste proteine prioniche patologiche che assumiamo sono il risultato di una
mutazione genica, ma non sappiamo molto su questo perché sono malattie
rare e di pertinenza neurologica.

Trasmissione
Se noi inoculiamo o ingeriamo delle proteine prioniche patologiche, in una
percentuale non estremamente elevata possiamo andare incontro a patologie
del SNC: sono pertanto trasmissibili da uomo a uomo. Le prime patologie
prioniche sono state viste negli animali, come visone, pecora, scimmie;
dopodiché, si è osservato che queste proteine prioniche che “albergavano” in
alcuni animali potevano passare in altri animali mediante l'alimentazione
(carcasse di animali) o mediante la possibilità di infezione tramite sangue. In
realtà sono poche le proteine prioniche patologiche presenti a livello ematico,
molto basse come numero e incapaci di trasmettersi, ms se mangiamo il
midollo, il cervelletto o il cervello di un animale malato, questo può essere
considerato una vera e propria fonte di infezione.

Scrapie
La prima infezione da prioni è stata vista negli anni ’30. E’ stata la prima
encefalopatia spongiforme di cui si è dimostrata l’infettività e chiamata
scrapie [pronuncia: screpi], dall'inglese “to scrape", grattare, perché le pecore
infettate si grattavano sulle staccionate. I francesi la chiamarono tremblant,
perché le pecore non riuscivano a stare sulle zampe, e quindi tremavano.
Questo ci fa ricordare uno dei segni clinici più evidenti, cioè l’incapacità della
deambulazione (mancanza di coordinamento muscolare, cioè atassia) di questi
animali, perché colpisce i loro arti inferiori. Si presenta, inoltre, con un grave
deperimento organico (cachessia) ed il vello delle pecore viene eliminato per il
continuo sfregamento sulle staccionate o contro qualsiasi cosa di ruvido
l'animale possa trovare. Fu identificata per la prima volta da due ricercatori,
Cullié e Chelle, marito e moglie, i quali cominciarono a studiare queste
patologie di origine animale e iniziarono già a supporre potessero essere
trasmissibili all'uomo, anche se ciò all'epoca non fu dimostrato.

La malattia si diffonde anche a partire da animali ancora non sintomatici e


sembra rispondere (come qualsiasi malattia infettiva) ad una “idea dose-
risposta”: maggiore è il periodo di vicinanza tra l'animale infetto e quello sano,
maggiore è la “carica infettante” dei prioni, quindi minore sarà poi il periodo di
incubazione successivo e maggiore sarà la diffusione di questa infezione
nell'ambito delle greggi.

Nell'immagine vediamo un nervo facciale di un bovino affetto, con la presenza


di vacuoli che determineranno l'aspetto spongiforme del tessuto; in alto, il
nervo facciale di un animale sano.

[diapositive non presenti su AMS Campus]

Oltre allo Scrapie, malattia delle pecore, la prima ad essere scoperta negli anni
'30, i prioni possono essere di interesse veterinario, oltre che di interesse
umano: possono infatti colpire l'alce e il cervo, il visone, ma anche il gatto, e
naturalmente la mucca. Inizialmente sembrava essere solo un problema
veterinario, ma invece riguarda anche la nostra medicina, perch é sono malattie
trasmissibili all'uomo, dal momento che mediante la triturazione della carne di
cervo malato o se il cervo mangia delle carcasse di visone ammalate può
ammalarsi e c'è questo salto di specie anche tra animali che determina un
periodo di incubazione lunghissimo. Tuttavia, quando poi il prione si adatta, i
periodi di incubazione sono minori.

Encefalopatie spongiformi riguardanti la patologia umana


1. Kuru;
2. Insonnia Familiare Fatale (IFF);

3. Malattia di Creutzfeldt-Jakob (CJ);

4. Malattia di Gerstmann-Straussler-Scheinker (GSS), che è molto simile alla


malattia di CJ ma colpisce persone di età diversa e con un periodo di
incubazione leggermente diverso, ma in tutti i casi determina gravissime
lesioni a livello del SNC.

Kuru
Il Kuru è un'altra patologia da prioni, scoperta e studiata da Gajdusek, che
proprio per la sua scoperta vinse il premio Nobel.

Il suo studio fu su alcune popolazioni della Nuova Guinea australiana; pur


essendo negli anni '50-'60, questa popolazione viveva come se fosse durante
l’età della pietra. Si trattava di una piccola popolazione pigmea con delle
abitudini tribali particolari, come il cannibalismo, che fu proibito dopo la
scoperta di questa patologia (tuttavia è una pratica ancora diffusa in alcune
popolazioni isolate da un punto di vista geografico; per fortuna ne interessa
ancora poche e questo è uno degli aspetti positivi della colonizzazione). Il
cervello di un guerriero morto veniva offerto ai maschi della tribù, i quali, come
forma di rispetto nei confronti del defunto, si strofinavano il viso e coloravano il
corpo con i suoi visceri. Gajdusek vide che le vittime del Kuru appartenevano
normalmente a giovani che partecipavano a questi rituali mortuari, perciò fece
un'osservazione: le donne non potevano partecipare e i maschi erano le vittime
principali. Si poteva quindi pensare ad una malattia legata al sesso, intendendo
con ciò il fatto che il rituale interessava in particolar modo individui di sesso
maschile. Cucinavano le membra, ma soprattutto si cospargevano con esse e
quindi tracce di sangue e di cervello potevano contaminare le ferite che questi
guerrieri pigmei potevano avere sulle varie parti del corpo; peraltro erano soliti
non indossare vestiti e piuttosto stare completamente nudi.

Gajdusek è stato un grandissimo studioso ma fece una brutta fine, dal


momento che fu accusato pesantemente di pedofilia, quindi di molestie sui
bambini appartenenti alle popolazioni delle zone dove lui abitò per tantissimi
anni. Fu anche incarcerato per diversi mesi; dopodiché tornò a vivere in
Francia, però le accuse offuscarono la sua fama. Al di là del fatto che fosse
vero o no, non è di nostro interesse e ovviamente sarebbe un fatto deplorevole
e non accettabile, ma rimane il valore di questa grande mente che ha scoperto
ciò che nessuno in precedenza aveva fatto.

Stadi
Inoltre, Gajdusek aveva cercato di delineare i vari stadi del Kuru:

1. stadio ambulante;

2. stadio sedentario;
3. un ultimo stadio, in cui il soggetto non riesce più neanche a sedersi.

Nel primo stadio, quello ambulante, in cui normalmente non si riesce più a
deambulare, si ha una assoluta assenza di coordinamento del muscolo (atassia
muscolare generalizzata): colpisce le mani, il viso, gli occhi e il soggetto non
riesce ad avere una postura corretta, quindi cade.

Nel secondo stadio (sedentario) è costretto a restare seduto, non cammina più
senza un supporto idoneo; i processi cognitivi sono assolutamente alterati e il
paziente presenta una labilità emotiva ma anche alterazioni psichiatriche (ride,
piange, urla a momenti alterni e senza un apparente motivo).

Nel terzo stadio, il soggetto è in una fase terminale, incapace di mantenere la


posizione seduta e, nelle forme più severe, compaiono tremori, mutismo,
incontinenza urinaria e fecale, fintanto che il soggetto va incontro a morte.

Quello che Gajdusek fece fu quello che dovrebbe fare qualsiasi ricercatore:
aspettare e fare esperimenti. Dal momento che era fermamente convinto che
la trasmissione avvenisse tramite qualcosa che era presente nel cervello del
guerriero morto, fece delle “poltiglie di cervello” e cominciò ad inocularle nelle
scimmie. Passarono 2 anni e continuò a studiare le scimmie. Dopo un periodo
di incubazione lunghissimo (questo si scoprì poi necessario in quanto il
passaggio uomo-scimmia ha necessità di un periodo di incubazione di 2 anni),
la scimmia comincia a manifestare delle alterazioni neurologiche, quindi gli
stadi descritti. Fu perciò uno studio molto lungo e degno di nota. Nel corso
delle autopsie sulle scimmie notò le alterazioni spongiformi del loro cervello e
dimostrò che questo era il primo passaggio per capire che la trasmissione è
orizzontale, da uomo a uomo (dal guerriero morto al guerriero sano che
partecipa al festino mortuario).

Oltre allo Scrapie, malattia delle pecore, la prima ad essere scoperta negli anni
'30, i prioni possono essere di interesse veterinario, oltre che di interesse
umano: possono infatti colpire l'alce e il cervo, il visone, ma anche il gatto, e
naturalmente la mucca. Inizialmente sembrava essere solo un problema
veterinario, ma invece riguarda anche la nostra medicina, perch é sono malattie
trasmissibili all'uomo, dal momento che mediante la triturazione della carne di
cervo malato o se il cervo mangia delle carcasse di visone ammalate può
ammalarsi e c'è questo salto di specie anche tra animali che determina un
periodo di incubazione lunghissimo. Tuttavia, quando poi il prione si adatta, i
periodi di incubazione sono minori.

IFF
La prima manifestazione di questa patologia la leggiamo in Cent'anni di
solitudine, romanzo di Màrquez pubblicato negli anni '60, dove viene descritta
una bambina con dei comportamenti da patologia di tipo psichiatrico; questa
bambina si chiama Rebecca e non dormiva mai. Probabilmente aveva l'IFF, ma
nessuno lo capì fino a quando negli anni '80 due neurologi dell'Università di
Bologna, Lugaresi e Gambetti, ascoltarono quello che disse loro un medico di
base veneto. Quest'ultimo li contattò telefonicamente e riferì di avere un caso
di una ragazza che non dormiva mai e ciò destò l'attenzione dei due neurologi.
Ella raccontava che la nonna ed un'altra donna di due generazioni precedenti
(entrambe donne quindi), appartenenti alla famiglia, avevano dei disturbi del
sonno.

Cominciarono così le ricerche e si definì una nuova patologia, l'IFF appunto, che
colpisce il ritmo sonno-veglia, perché questo tipo di encefalopatia spongiforme
colpisce la sostanza grigia ed in particolare i nuclei talamici. Quindi il paziente
ha delle difficoltà nell'addormentarsi e delle difficoltà motorie, le quali possono
essere intermittenti. Il primo stadio caratterizzato da questi sintomi può essere
lungo e durare alcuni mesi; dopodiché progredisce nell'insonnia e non si riesce
più a dormire, si ha un'iperattività simpatica finché si arriva alla demenza.

Ci sono 5 famiglie in Italia studiate per questo, quindi sono malattie rare, sulle
quali sono investiti pochi fondi per la ricerca, ma sono di grande interesse. I
casi sono probabilmente di più di quelli diagnosticati e sicuramente c'è
qualcosa anche a livello genetico, come vedremo più avanti.

La proteina prionica normale viene codificata da un gene chiamato Prnp,


situato sul cromosoma 20. Vedremo come le proteine prioniche normali
possono essere alterate dalla presenza di una proteina prionica esterna. La
c
proteina prionica normale viene indicata come PrP , dove c sta per cellulare. La
sc
proteina prionica patologica viene indicata come PrP , dove SC sta per
“scrapie”, prima malattia da prioni scoperta.

GSS
La GSS, scoperta da 3 ricercatori tedeschi, è una patologia ad esordio più
precoce, verso i 40 anni, ed ha una durata media molto più lunga, di circa 5
anni. Anche in questo caso abbiamo atassia degli arti, difficoltà
nell'articolazione della parola (disartria) e demenza. Il paziente manifesta una
sindrome parkinsoniana per cui comincia ad avere dei tremori importanti (va
fatta una diagnosi differenziale in questi casi), paralisi dello sguardo e vengono
colpiti i nervi dell'occhio e dell'orecchio (cecità e sordità).

CJ
Prusiner ha identificato per la prima volta la sindrome di Creutzfeldt-Jakob,
patologia simile alla precedente. Egli nasce negli anni '40 e nel 1997 vince il
premio Nobel (come Gadjusek) ed è suo il cartone della mucca che pensa di
essere un gallo, mostrato da lui stesso nel corso di un congresso sui prioni.

Nel 1997 fu premiato per la scoperta della Mad Cow Disease (malattia della
mucca pazza) che colpisce l'animale, ma che ha un equivalente nell'uomo e
prende il nome di malattia di Creutzfeldt- Jakob. Conosciamo diverse forme di
malattia di CJ: non c'è solo la forma della mucca pazza, che è la “CJ nuova
variante”, ma prima se ne conoscevano altre, poche ovviamente, sempre
limitate ai casi isolati: forme sporadiche, indicate come CJ sporadica, il che vuol
dire che si presentano come casi isolati, come spot, che non hanno un nesso da
un punto della diffusione (in realtà non sappiamo se sono pochi perché sotto
diagnosticati).

Esiste poi una forma familiare in cui si vede la patologia nel paziente con casi
precedenti nel suo albero genealogico. La trasmissione è ereditaria, nello
specifico autosomica dominante.

Nel '70 sono stati segnalati diversi casi di CJ iatrogena, cioè determinata
dall'utilizzo di strumenti in cui erano presenti prioni, che sono stati quindi
trasmessi. Per esempio, c'era l'abitudine di fornire ai bambini affetti da
nanismo degli ormoni della crescita provenienti da preparazioni di estratti
ipofisari. Alcuni di questi bambini hanno manifestato in seguito la CJ, in quanto
venivano utilizzate parti sterilizzate, ma il prione è una proteina per la quale
non possiamo usare gli stessi trattamenti utilizzati per distruggere un
organismo a DNA o a RNA. Per distruggere un prione possiamo usare una
denaturazione fatta con una proteasi specifica che lo inattiva. Ma dobbiamo
saperlo, altrimenti non la utilizziamo per il trattamento. Anche soggetti
sottoposti ad allotrapianto di cornea o pazienti trattati con elettrodi
stereotassici, utilizzati su più pazienti, potevano correre il rischio di trasmettere
il prione. Negli anni '80-'90, al Policlinico Sant'Orsola vicino alla mensa, c'era
tutta una zona dell'attuale padiglione di Chirurgia dove c'erano dei maiali,
perché si facevano i tentativi (poi bloccati a causa del rischio di trasmissione)
di trapianto di fegato da maiale, che aveva dato delle prospettive molto
interessanti; ma quando eseguiamo un trapianto da un animale ad un uomo,
abbiamo una serie di problemi enormi, perché ci sono malattie che non
conosciamo nell'uomo e ancor meno nell'animale.

Oltre a queste forme sporadiche, familiari e iatrogene, scoppia nel 1986 in


Inghilterra la “CJ nuova variante”. Le mucche inglesi, così come la quasi totalità
delle mucche nel mondo, vengono nutrite con farine costituite da carcasse di
animali trattate con solventi estremamente forti, poi tritate (ossa, midollo,
cervello...tutto quanto) per costituire questi mangimi di origine animale.
Successe che effettivamente ci furono casi di malattie da prioni non solo in
Inghilterra, ma sparsi anche in Europa, a causa dell’esportazione delle carni.

Per quale motivo non ce ne si accorse prima del 1986? La ragione sta nel fatto
che in precedenza, per fare queste farine animali, erano utilizzati dei solventi a
base di petrolio, molto forti, che determinavano nelle fabbriche che le
producevano degli odori sgradevoli e dei fumi inquinanti con danno agli abitanti
delle zone limitrofe. Fu per questa ragione che i sindaci delle città contigue alle
fabbriche ordinarono di abbassare la quantità di solventi a base di petrolio e di
NaOH, al fine di preservare l'ambiente. Il problema fu che, trattando le carcasse
animali con solventi più delicati, non si inattivavano più i prioni e quindi, in
base a questo, cominciarono i primi casi nuovi della CJ, poi definita CJ new
variant.
Ricapitolando, la CJ nuova variante nasce nel 1986 per via dell'utilizzo di farine
animali trattate le quali non venivano più trattate con solventi aggressivi
derivati dal petrolio.

Si cominciò poi a pensare che poteva esserci un rischio animale-uomo e infatti


dal 1995 (dal 1986 il periodo di incubazione fu lungo, quindi lo studio difficile)
ad oggi abbiamo questa nuova forma di CJ. La CJ nuova variante ha dei sintomi
psichiatrici, un decorso lungo che può arrivare fino a 40 mesi e insorge
spontaneamente in soggetti giovani, con un'età media di 27 anni rispetto alla
CJ sporadica che colpisce soggetti di oltre 60 anni, perché probabilmente ha un
periodo di incubazione lunghissimo. Le caratteristiche epidemiologiche, la
mancanza di trattamento delle farine animali e alcune caratteristiche del
prione, cominciano a classificarla come un'infezione esogena contratta per via
alimentare.

Eziologia
La malattia da prioni è una patologia che nessuno può studiare senza avere
delle misure precauzionali; ci vuole una BLS 3, soprattutto perché non
sappiamo quali siano veramente le capacità di trasmissione, di fare il jumping
di specie ulteriori, o se, a forza di diffondersi, la patologia accorcerò il suo
periodo di incubazione e pertanto colpirà soggetti sempre più giovani. In effetti,
queste forme di demenza, che spesso si osservano nel paziente anziano,
possono presentarsi anche nel soggetto più giovane (50 anni) e possono essere
correlate al prione.

Il prione è sensibile al trattamento con ureasi e fenoli ( proteasi), sostanze in


grado di inattivare le proteine. Fermo restando che i prioni sono proteine
anomale, che si moltiplicano e depositano a livello delle placche cerebrali, tutto
ciò che possiamo fare è utilizzare delle sostanze forti, in grado di denaturare le
proteine. È resistente a tutte le soluzioni utilizzabili per i virus sia a DNA che a
RNA, in quanto una proteina non possiede un genoma.

La proteina prionica normale è una proteina con un particolare avvolgimento


che determina una configurazione ad alfa-elica, mentre la proteina prionica
patologica è una proteina srotolata che perde la sua configurazione e viene
identifica come una proteina con uno srotolamento beta- sheet. La proteina
prionica normale è parzialmente glicosilata e formata da un numero
mediamente elevato di aminoacidi (253 aa) con un P.M. di 33-35.000 Da. La
proteina prionica patologica ha meno aminoacidi, parzialmente srotolata e si
trova in una configurazione beta-sheet e ha dimensioni più piccole perché ha
perso delle sequenze aminoacidiche.

Tutte le nostre cellule e, più in generale, tutte le cellule dei mammiferi hanno, a
livello del cromosoma 20, una sequenza che codifica per la proteina prionica
c
sana, che noi chiamamo cellulare (PrP ). La proteina prionica cellulare è
presente in molte cellule, per es. dei polmoni, del cuore, del rene, del pancreas,
del testicolo, nei leucociti, nelle piastrine, ma in quantità minime, mentre nei
neuroni, è presente in quantità abbondanti. Ciò vuol dire che ha una funzione
ben precisa.

[Piccola digressione della Prof.ssa: non abbiamo nulla che non serva a
qualcosa, perché potenzialmente siamo organismi perfetti; anche ognuno di
noi ogni tanto “cade” e può rialzarsi o non farlo più. Per es., nella scorsa
lezione, parlando di HIV, abbiamo visto che una delle domande più frequenti è:
se il recettore dell'HIV è il CD4, se noi lo bloccassimo rendendolo quindi
inattivo con degli anticorpi, i soggetti non si infetterebbero più? La risposta è
no, perché il CD4 non esiste solo per l'HIV, ma ha delle funzioni di altro tipo.
Tutto questo per dirvi che tutto ciò che abbiamo nel nostro organismo ha una
funzione.].

Probabilmente, la funzione della proteina prionica cellulare è fisiologica, come è


logico che sia, perché essa protegge le nostre cellule dallo stress ossidativo, in
quanto possiede un'attività enzimatica molto importante che è superossido
dismutasica; quindi deve essere presente, soprattutto a livello delle cellule
nervose.

Esperimento di trasmissione di prioni


Si effettua una prima inoculazione prionica da una specie ad un'altra,
provocando quindi un'infezione prionica in un animale di specie diversa. Il
periodo di incubazione in questo caso è lunghissimo; è quello che è avvenuto
nel Kuru nel passaggio uomo-scimmia. Nonostante ciò, però, dopo un periodo
che può durare anni, possono comparire nell'animale numero 2 (quello che ha
subito l'inoculo) dei sintomi nervosi. Se continuiamo con dei passaggi
successivi e soprattutto se li facciamo nell'ambito della stessa specie, il periodo
di incubazione diventa più breve. Per esempio, partendo da un criceto,
cerchiamo di infettare un topo che o non si infetta o si infetta dopo moltissimi
anni; da topo a topo, poi, il periodo di incubazione sarebbe molto più breve.

Vi sono due possibilità: in giallo rappresentiamo la possibilità di trasmissione da


un animale all'altro (trasmissione efficiente); l'arancio vuol dire che questa
possibilità di trasmissione è molto difficile (trasmissione inefficiente).
Trasferiamo l'infezione da criceto a criceto e la freccia è gialla perché la specie
è la stessa per cui il prione si diffonde. Se proviamo a trasferire l'infezione nel
topo, vediamo che la trasmissione è inefficiente, perché se mai dovesse
avvenire, lo farebbe in tempi lunghissimi e non riusciremmo ad osservarla. Ma
se prendiamo un topo modificato, cioè ingegnerizzato, transgenico, un topo nel
cui genoma abbiamo inserito il gene che codifica per la proteina prionica del
criceto, allora la trasmissione diventa efficiente. Ciò vuol dire che la barriera di
specie è superata se sono presenti dei geni in grado di codificare la proteina
prionica di origine, in questo caso del criceto. Criceto-criceto OK, criceto-topo
NO. Invece, il topo transgenico può infettare il criceto perché contiene il Prnp
del criceto, ma non riuscirà più ad infettare il topo normale.

Questo ci dice che il salto di specie è difficile ma non è impossibile e nel tempo
si può modificare, quindi vi è la possibilità di diffondere l'infezione.
Modello sperimentale di trasmissione dei prioni
La proteina prionica cellulare normalmente, nel nostro organismo, viene
sintetizzata e degradata durante il normale metabolismo. In questo processo di
sintesi e di degradazione possono avvenire delle modificazioni casuali che
alterano questa proteina cellulare, sana, in una isoforma (PrP*) leggermente
srotolata. Questa non è una forma a beta-sheet, ma è una forma intermedia
che può essere degradata e venire quindi eliminata. Tuttavia, se nel momento
in cui vi è la presenza di queste forme intermedie, parzialmente srotolate,
abbiamo l'introduzione di un prione esogeno (per es. per via alimentare:
ingestione di carne con osso proveniente da un animale infetto), questa PrP*,
che è già instabile, viene modificata e transita verso la PrP beta-sheet (si
sc
srotola del tutto e diventa PrP ): perde degli aminoacidi (da 253 a 145 aa),
riducendo il suo P.M., e comincia a moltiplicarsi.

Pertanto, questa proteina prionica alterata ha necessit à di avere una proteina


prionica normale, altrimenti non ce la fa da sola. I meccanismi alla base di tutto
ciò non sono ancora del tutto chiari.

Domanda di uno studente: la transizione a beta-sheet può avvenire anche


spontaneamente, senza che vi sia il prione esogeno?

Risposta della Prof.ssa: Che io sappia, no, perché si ha proprio bisogno della
introduzione del prione esogeno, altrimenti la PrP* viene degradata.

I prioni esogeni si legano alla PrP*, che è già alterata, e cominciano a


catalizzare la definitiva trasformazione verso la forma patologica, mediante un
meccanismo però non chiaro, e quindi a moltiplicarsi. È logico che questo
processo determina un periodo di incubazione estremamente lungo, perch é
dobbiamo arrivare all'accumulo di queste proteine prioniche in alcuni luoghi del
nostro organismo, fondamentalmente a livello del SNC, che determinano la
formazione delle placche spongiformi. Solo allora, in quel momento, compaiono
i sintomi. Infatti, quello che si è verificato negli anni '80 derivava da situazioni
di alcuni anni prima, proprio perché il periodo di incubazione è lunghissimo.

Abbiamo detto che in alcuni casi le encefalopatie spongiformi possono essere


anche a carattere familiare e utilizzano un meccanismo riconducibile a quello
appena descritto. Però queste forme a carattere familiare ci fanno pensare, ed
effettivamente è così, ad una mutazione del gene che codifica per la proteina
prionica cellulare, che in questi casi presenta anche un altro problema: si è
dimostrato, infatti, che presenta delle mutazioni che diminuiscono la probabilit à
di assumere un aspetto normale. Pertanto, se un soggetto ha delle alterazioni
genetiche in grado di far sì che la degradazione della proteina prionica
semialterata (PrP*) non possa avvenire, questa andr à verso la formazione della
proteina prionica alterata. Quindi l'introduzione del prione esogeno va inserito
nell'ambito delle forme di CJ nuova variante (cioè la mucca pazza) e non di
quelle familiari.
Dunque, nella CJ nuova variante abbiamo bisogno del prione esogeno, al
contrario di quanto si verifica nelle forme familiari di encefalopatie spongiformi
con trasmissione ereditaria autosomica dominante, spesso legate al sesso (vedi
IFF); gli studi sono tuttora in corso.

La CJ nuova variante è la cosiddetta malattia della mucca pazza, ed è dovuta


all'infezione da prioni esogeni. C'è stata una correlazione spazio-temporale con
l'epidemia di BSE in Inghilterra; inoltre, il prione della BSE è facilmente
c
trasmissibile a topi transgenici con la PrP bovina (quindi c'è una trasmissione).
In più, il prione della CJ nuova variante è trasmissibile ai topi, nei quali provoca
una patologia identica a quella dal prione di origine bovina.

Predisposizione genetica alla malattia da prioni


Possiamo avere in alcuni soggetti appartenenti alla popolazione caucasica (che
è stata quella studiata) un polimorfismo a livello del codone che codifica per la
PrP, presente nel gene Prnp. Normalmente, a questo livello, è presente un
codone per la Valina e un codone per la Metionina. Nella popolazione normale
l'omozigosi MET-MET è presente nel 37% e in una percentuale più bassa
l'omozigosi VAL-VAL (12%); più del 50% è, invece, eterozigote (MET-VAL).

Nelle forme sporadiche di CJ, a spot, si è visto che il 90% dei casi presenta
un'omozigosi MET-MET o VAL-VAL. Quindi la frequenza di omozigosi in queste
forme è elevata rispetto a quanto osservato nella popolazione generale. Questa
omozigosi è un elemento che sicuramente non è predittivo, ma è un fattore
predisponente allo sviluppo della malattia.

Dagli studi si è visto che l'omozigosi MET-MET è associata ad una forma


peggiore (demenza rapida e progressiva); l'omozigosi VAL-VAL, invece, è
associata ad un decorso più prolungato e lento e i sintomi sono principalmente
atassia e progressiva perdita del coordinamento muscolare. L'omozigosi MET-
MET o l'omozigosi VAL-VAL è stata dimostrata anche in casi di CJ iatrogena
associata alla somministrazione di estratto ipofisario di ormone della crescita a
bambini affetti da nanismo. Un’omozigosi MET-MET è stata dimostrata anche in
tutti i casi di CJ nuova variante. Sicuramente c'è ancora molto da studiare.

Rischio di trasmissione orizzontale delle encefalopatie


Negli anni '80, quando furono evidenziati in Europa e nel mondo questi clusters
di CJ nuova variante, si è cercato di capire come evitare la trasmissione anche
tramite trasfusioni di sangue; si è appurato però che il rischio di trasmissione
prionica mediante sangue ed emoderivati è bassissimo, perch é nel sangue non
ci sono degli accumuli di proteina prionica né cellulare, né patologica.
Potenzialmente, se fossimo in grado di eseguirlo, un trapianto di cervello
sarebbe a rischio di trasmissione dell'infezione nel trapiantato.

Non si producono anticorpi nei confronti delle proteine prioniche, perciò un test
di ricerca anticorpale non avrebbe senso per screenare, ad esempio, le sacche
di sangue da trasfondere; non potremmo neanche fare una biopsia cerebrale
ad un soggetto che vuole donare il sangue. Vero è che l'assenza di evidenza
non è evidenza di assenza, però le donazioni di sangue dovrebbero essere più
che sicure oggi.

Il rischio potenziale è variabile da 1/500mila a 1/100milioni. Quindi il rapporto


costo-beneficio fa sì che non si faccia alcuno screening sulle donazioni. In
realtà, tutti i trattamenti che vengono eseguiti durante la processazione del
sangue, pongono un rischio pari a 0. Ne concludiamo che le donazioni
effettuate presso i nostri centri, che utilizzano tutti la stessa forma di controllo
sul donatore e sul prodotto che il donatore dona, stabilita dal Centro Nazionale
Sangue, presentano un rischio di trasmissione pari a 0. Ad ogni modo, le
precauzioni non sono mai abbastanza per lavorare con i prioni: per questo il
trattamento e l'eliminazione di materiali di origine umana in cui si sospetti il
rischio è notevolmente garantito da un trattamento con idrossido di sodio per
60 minuti e dopo trattamento ulteriore in autoclave.

Negli anni '80 ci fu un momento in cui tutti, anche i piccoli laboratori, si


interessarono e si misero a studiare i prioni, ma poi fu naturalmente proibito. La
maggior parte degli agenti chimici e fisici non funzionano, per es. sono
inefficaci: etanolo, permanganato di potassio, disinfettanti fenolici,
congelamento-scongelamento (che rompono le cellule e in questo modo per es.
si fanno uscire i virus che muoiono), raggi UV, radiazioni ionizzanti, pH basico e
acido.

Diagnosi
La diagnosi è fondamentalmente clinica, al momento della comparsa dei
sintomi della patologia. La diagnosi eziologica può essere solamente
determinata da una diagnosi post mortem.

Nell'ultima immagine vediamo i campioni di 2 soggetti, A e B: nel campione 1


del soggetto A, dopo la corsa elettroforetica su gel, vediamo la proteina
prionica normale. Il campione 2 dello stesso soggetto è stato trattato con
proteasi e vediamo che la proteina prionica è stata inattivata perché la banda
scompare: il soggetto è negativo, quindi sano. Il campione 4 del soggetto B è
stato trattato con delle proteasi ma vediamo che la sua proteina prionica è
resistente: il paziente è affetto.

C'è stata una ditta svizzera che ha messo a punto questi test di Immunoblot
(ed è stata perfino quotata in borsa) per determinare la presenza della proteina
prionica, prima e dopo trattamento con proteasi.

La Prof.ssa conclude il corso con questo messaggio: “La scienza è una ricerca
continua e progredisce a nostra insaputa, a volte ci sfugge. Dobbiamo cercare
di considerare il paziente nel suo complesso e di non essere settoriali. Abbiate
coraggio per poter andare avanti. E studiate.”

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