Il criterio per la distinzione dall'altro dominio, i procarioti, è la presenza di un nucleo cellulare ben definito isolato dal resto della cellula tramite
una membrana e contenente la maggior parte del materiale genetico rappresentato dal DNA (una parte minore è contenuta nei mitocondri).
Inoltre i procarioti sono caratterizzati dall’essere privi di un sistema di membrane endocellulari.
Definizione di microbiologia: è la materia che studia gli agenti che causano le malattie infettive e trasmissibili con modalità diverse da un
soggetto all’altro.
Definizione di malattia: condizione acuta o cronica che si esprime con una mancanza di equilibrio psicofisico tale da indurre una incapacità
momentanea o permanente dell’autosufficienza del soggetto colpito, fino al punto da metterne in pericolo la vita.
Definizione di epidemiologia: è quella scienza che studia la distribuzione delle malattie nelle popolazioni, i fattori di rischio e i fattori protettivi
per la salute. La prevenzione tipica dell'igiene è soprattutto quella primaria, che agisce evitando o rimuovendo i fattori di rischio delle varie
malattie. Inoltre, la mortalità e la morbilità sono due misure di incidenza, cioè forniscono i dati sui nuovi casi per unità prescelta di popolazione
nell’unità di tempo:
• Indice di mortalità: viene calcolato mettendo nel numeratore il numero dei nuovi decessi per una determinata malattia nel corso di un periodo
di tempo (es. un anno) e, al denominatore, la popolazione a rischio (es. la popolazione mondiale);
• Indice di morbosità: viene calcolato mettendo al numeratore il numero di nuovi malati di una determinata malattia nel corso di un periodo di
tempo (es. un anno) e al denominatore la popolazione a rischio.
Sia mortalità che morbosità variano nel tempo, nello spazio (geografia) e in rapporto alle caratteristiche soggettivi degli individui
Infezioni nosocomiali: tra le prime dieci cause di morte che l’infermiere si può trovare a fronteggiare, almeno cinque sono dovute a malattie
infettive, quindi, ad agenti microbici.
Questo fa si che il soggetto ricoverato è molto più esposto a specifiche infezioni, definite, per questo, infezioni nosocomiali o associate
all’assistenza (ICA).
I BATTERI
Fanno parte del dominio dei procarioti, regno dei protisti e sono microrganismi unicellulari visualizzabili al microscopio.
Si distinguono caratteristiche fenotipiche e genotipiche, e diverse classificazioni:
o Per forma, distinguiamo:
⮚ Bacilli: a forma di bastoncino; si dividono in Clostridia (anaerobi) e Bacilli (anaerobi e/o aerobi)
⮚ Cocchi: sferici; se si dispongono a coppia si chiamano diplococchi, a catena si chiamano streptococchi, a grappolo si chiamano stafilococchi,
a forma di cubo si chiamano sarcine
⮚ Vibrioni: a virgola
⮚ Spirilli: a spirale
⮚ Spirochete: con più curve
Micoplasmi: batteri aerobi obbligati o aerobi/anaerobi facoltativi, sono le più piccole cellule capaci di vita autonoma e hanno la particolarità di
non essere dotati di parete cellulare; la loro membrana cellulare è lipoproteica e ricca di steroli, caso unico fra le cellule batteriche.
Per l'assenza di parete cellulare, i micoplasmi non subiscono l'azione di antibiotici come i beta-lattamici (che inibiscono appunto la sintesi di
parete) e non possono essere classificati secondo la colorazione di Gram. Sono inoltre dotati di un notevole polimorfismo strutturale, ossia sono
in grado di assumere forme anche molto diverse tra loro.
I micoplasmi sono parassiti di diverse specie animali e vegetali e sono ampiamente distribuiti nell'ambiente. Nell'uomo causano patologie
localizzate perlopiù all'apparato respiratorio o genitale, moltiplicandosi sulla superficie degli epiteli mucosi e mostrando una scarsa tendenza a
oltrepassarli.
Corredo genetico: i batteri possiedono in genere un cromosoma circolare; vi sono batteri dotati di due cromosomi (es. vibrioni, brucelle e
leptospire), altri che ne hanno addirittura tre a alcuni che, invece, ne hanno un solo cromosoma lineare.
I batteri, poi, possiedono sia DNA che RNA, ma l’informazione genetica risiede nel DNA dei cromosomi, che si trova nella zona detta
nucleoide. Inoltre, i batteri sono caratterizzati dalla possibilità di possedere vari elementi genetici mobili che ne arricchiscono la variabilità
genetica e che, attraverso processi di ricombinazione, consentono la formazione di nuovi alleli e/o nuovi fenotipi.
Gli elementi genetici mobili più comuni sono:
• Elementi trasponibili: che si possono suddividere in sequenze di inserzione e trasposoni
• Plasmidi: che vengono trasferiti da una cellula all’altra con un meccanismo detto di coniugazione, processo con il quale una cellula batterica
trasferisce porzioni di DNA ad un'altra tramite un contatto cellula-cellula. Il fenomeno può portare al verificarsi di ricombinazione genetica nei
batteri.
• Acido nucleico fagico: il batteriofago o fago è un virus che sfrutta i batteri come ospiti per la propria replicazione. Inoltre, l’informazione
contenuta nei fagi viene trasmessa con il meccanismo della trasduzione. In particolare, il fago, una volta infettata la cellula batterica, idrolizza in
frammenti il DNA dell’ospite e può capitare che uno di questi frammenti sia trasportato dal fago, che, successivamente, inocula il proprio DNA
all’interno di una nuova cellula ricevente. Questo DNA subisce, quindi, una ricombinazione all’interno del cromosoma della cellula ricevente. Il
batterio ricombinate, quindi, possiede un genotipo differente dalla cellula batterica ricevente.
Esiste, però, un terzo meccanismo di trasferimento del materiale genetico tra cellule batteriche: la trasformazione, in cui lo scambio avviene,
appunto, per trasferimento di un singolo filamento di DNA incapace di autoreplicarsi.
Riproduzione batterica:
1. Scissione binaria: nei procarioti la divisione cellulare ha come risultato la riproduzione dell'intero organismo. La cellula cresce di
dimensione, duplica il proprio DNA e poi si divide semplicemente in due con un processo che prende il nome di scissione binaria.
La divisione cellulare segue un preciso processo sequenziale: replicazione del cromosoma, formazione del setto e divisione della cellula madre
in due cellule figlie (citochinesi). Inoltre, la crescita della popolazione batterica segue un andamento caratteristico, che la rende suddivisibile in
quattro fasi:
• Latenza: i batteri sintetizzano le sostanze necessarie per prepararsi alla divisione e non aumentano di numero; la sua durata varia da specie a
specie ed in relazione alle condizioni ambientali.
• Crescita esponenziale: ogni 10 - 60 minuti il numero di batteri raddoppia (sviluppo logaritmico).
• Fase stazionaria: scarseggiano le sostanze nutritive ed il numero di nuove cellule equivale al numero di batteri morti.
• Morte: il drastico calo di nutrienti porta alla morte di un numero di batteri superiore rispetto a quello delle cellule ancora in grado di riprodursi.
2. Gemmazione: processo di riproduzione agamica che si riscontra sia negli organismi vegetali (es. saccaromiceti) sia negli animali
(protozoi e metazoi) e che si verifica quando il nuovo individuo appare in forma di protuberanza sulla cellula madre, dalla quale poi, a
sviluppo completo, si stacca.
3. Frammentazione: sorta di riproduzione asessuale, che si riscontra nelle spugne, le quali possono frammentare il proprio corpo in parti
capaci di ricostituire altrettanti individui completi.
4. Spore e processo di sporulazione: alcuni batteri, in particolare il genere aerobio Bacillus e l’anaerobio Costridium, possono
diversificarsi in forma vegetativa o in forma di resistenza, detta spora, appunto, struttura di resistenza ad agenti chimici e fisici.
In particolare, diciamo che la cellula batterica è detta cellula vegetativa, capace cioè di crescere e moltiplicarsi, ma, se le condizioni ambientali
diventano sfavorevoli alla sua sopravvivenza, può anche morire.
Esistono, però, particolari batteri (detti sporigeni), che, per sopravvivere in un habitat inospitale, trasformano la cellula vegetativa in spora, cioè
in una cellula dormiente “corazzata”, estremamente resistente alle avversità esterne e quasi indistruttibile.
Le spore sono diffuse prevalentemente nella terra, nello sterco secco del bestiame, nelle carogne animali e nella polvere e sopravvivono per anni,
e forse per secoli, nel loro stato di “quiescenza”; tuttavia, non appena le condizioni ambientali lo consentono nuovamente, esse “germinano”, si
liberano della corazza e riavviano il ciclo vegetativo (moltiplicativo) delle normali cellule batteriche.
Corinebatteri
Batteri di forma allungata, irregolari, Gram positivi, presenti spesso sulle mucose; uno dei più importanti è Corynebacterium diphtheriae, agente
eziologico della difterite, malattia a elevata mortalità, per cui, in Italia, è prevista la vaccinazione. La gravità della malattia è determinata dalla
virulenza del ceppo, in particolare dalla produzione di una esotossina che agisce, una volta in circolo, su tutte le cellule dell’organismo,
soprattutto quelle del miocardio, provocando morte per arresto cardiaco se il paziente non viene adeguatamente trattato.
Clamidiae
Batteri Gram negativi, parassiti intracellulari obbligati che, non riuscendo a sintetizzare ATP, non presentano un metabolismo autonomo.
All’interno di questo genere, le specie principali sono:
• C. trachomatis: agente eziologico, a seconda del sierotipo, ad es. di uretrite, cervicite, malattia infiammatoria pelvica e tracoma
(cheratocongiuntivite cronica)
• C. pneumoniae: causa di polmonite.
Spirochete
Treponema pallidum: il genere Treponema appartiene alla famiglia Spirochaetaceae. La cellula ha forma elicoidale a spire strette e sottili ed è
mobile grazie alla presenza di endoflagelli che si trovano sul corpo cellulare.
In particolare, la specie T. pallidum è l’agente eziologico della sifilide, malattia a diffusione mondiale mai estinta, che viene trasmessa per via
sessuale e non è coltivabile in vitro.
MICETI
Tassonomia: il regno dei funghi si divide in cinque phyla sulla base delle differenze nelle strutture riproduttive:
Struttura: i miceti sono organismi eterotrofi (cioè per il nutrimento hanno bisogno di composti organici presintetizzati da altri organismi) e la
maggior parte di loro vive come saprofiti, parassiti o simbionti. Alcune specie di funghi possono causare patologie nell’uomo, negli animali e
nelle piante e rivestire un ruolo importante come patogeni opportunisti, capaci di causare malattie serie o mortali in pazienti
immunocompromessi o debilitati.
Possono essere unicellulari (lieviti) o pluricellulari (muffe).
In particolare, nei funghi pluricellulari l’unità strutturale principale è l’ifa, struttura filamentosa cilindrica formata da una catena di cellule.
Inoltre, alcuni funghi, detti dimorfi, possono presentarsi alternativamente sotto forma di lieviti o muffe al variare delle condizioni ambientali. I
funghi possiedono una parete cellulare che, essendo la fonte principale di antigeni riconosciuti dal sistema immunitario dell’ospite, costituisce il
bersaglio di alcuni farmaci.
Riproduzione: i funghi si riproducono per mezzo di spore o conidi con un meccanismo che può essere di tipo:
• Sessuale (funghi perfetti): avviene raramente e se gli organi sessuali sono differenziati
• Asessuale (funghi imperfetti): che può avvenire per:
✔ Scissione: divisione della cellula madre in due cellule figlie uguali;
✔ Gemmazione: le cellule figlie compaiono compre protuberanze o gemme della cella madre dalla quale si possono distaccare;
✔ Frammentazione: distacco di una parte più o meno sviluppata che si accresce in maniera indipendente;
✔ Sporogenesi: produzione di spore, cioè conidi, attraverso un processo micotico da ife specializzate dette conidiofori).
Patogenesi: i funghi hanno sviluppato diversi meccanismi di patogenicità per poter colonizzare e infettare l’uomo e uno dei fattori principali è la
capacità di crescere a 37°C.
Inoltre, la capacità di formare biofilm sulla cute, sulla superficie mucosale e sui cateteri è dovuta alla presenza di adesine, strutture accessorie dei
batteri, che agiscono creando legami idrofobici o attraverso uno specifico riconoscimento di recettori cellulari (es. toll-like receptors o integrine).
Anche la presenza di alcuni enzimi (es. proteasi, fosfolipasi, lipasi e aspartilproteasi) contribuisce all’adesività e all’invasività dei miceti,
danneggiando la membrana cellulare dell’ospite (es. l’aspartilproteasi che permette alla candida di digerire, oltre alla cheratina, importanti
proteine difensive (es. complemente e immunoglobuline), agendo, quindi, sul sistema immunitario dell’ospite.
Inoltre, molti funghi esercitano un effetto patogeno anche attraverso la capacità di sfuggire alle difese immunitarie (variazioni antigeniche,
dimorfismo, ecc.). ad es. i funghi dimorfi a temperatura ambiente hanno forma filamentosa e questo permetto loro di rilasciare un numero
elevato di spore e, quindi, di propagarsi facilmente; ma, una volta entrati nell’organismo, riescono ad eludere il sistema immunitario passando
ad un’altra forma con un set di antigeni differenti. Infine, alcuni funghi hanno la capacità di produrre tossine, alcune delle quali interferiscono
con la risposta immunitaria dell’ospite. Difese immunitarie dell’ospite: la maggior parte dei funghi è costituita da patogeni opportunisti, cioè
capaci di causare malattia solo in individui con sistema immunitario compromesso.
Fanno eccezione i funghi dimorfi e i dermatofiti, che sono, invece, patogeni primari, cioè capaci di causare infezione anche in soggetti
immunocompetenti. Quanto alle difese dell’ospite nei confronti dell’infezione fungina comprendono
• Meccanismi di difesa aspecifici: meccanici, infiammatori e fagocitari;
• Meccanismi di difesa specifici: immunità umorale o cellulo-mediata.
Lo stato immunitario dell’ospite, quindi, è di primaria importanza nel determinare manifestazione, gravità ed esito di una malattia fungina.
• Cryptococcus: si tratta di un fungo lievitiforme e saprofita del suolo contaminato con escrementi aviari, specialmente piccioni.
Epidemiologia e patogenicità: l’unica specie riconosciuta patogena è C. neoformans, agente eziologico della criptococcosi, malattia a carattere
subacuto o cronico, con tropismo per il SNC. La malattia si contrae nell’ambiente attraverso aerosol; in seguito si ha disseminazione per via
ematica e linfatica, dai polmoni al SNC.
L’infezione da C. neoformans colpisce soprattutto ospiti immunocompromessi, in particolare soggetti con HIV, manifestandosi con meningite o
meningoencefalite, spesso preceduta da un esordio di tipo setticemico.
Il decorso della malattia è variabile, ma se non trattata risulta fatale.
In ogni caso, il quadro clinico dipende dallo stato immunitario del paziente e diventa particolarmente grave nei soggetti con compromessa
componente cellulo-mediata.
Diagnosi: si effettua tramite coltura del sangue, liquido cefalorachidiano o altro materiale clinico.
• Lieviti: sono presenti nelle acque, nel terreno, nei vegetali e nella frutta.
Alcune specie possono parassitare gli animali, a livello delle vie respiratorie o dell’apparato digerente, mentre altre possono vivere come normali
commensali dell’organismo umano a livello delle superfici corporee, della mucosa enterica o delle prime vie respiratorie.
Inoltre, le infezioni da lieviti rappresentano di norma una patologia di tipo opportunistico, come conseguenza di un alterato rapporto ospite-
micete. I lieviti di importanza medica sono le candide.
Candida: il genere Candida include diverse specie, anche se solo poche vengono isolate più di frequente in infezioni umane; in particolare, la
specie più diffusa è C. albicans, che rappresenta circa il 70-75% dei casi di Candidosi e la cui patogenicità dipende dalla sua capacità di aderire
ai tessuti dell’ospite, di formare un biofilm sui materiali protesici, di produrre enzimi (es. fosfolipasi), e dal suo dimorfismo, cioè la capacità di
convertire da fase di lievito (che diffonde per via ematica) a quella di ife (invasiva tissutale).
Candida albicans: è generalmente presente come commensale nelle membrane mucose del tratto digestivo di animali e uomini, anche se viene
isolata anche da cute, mucosa orale e vaginale e dalle feci. La fonte di infezione principale è, quindi, l’individuo stesso (candidosi endogena),
ma può esserci anche una trasmissione esogena (candidosi esogena) attraverso l’uso di protesi e cateteri, valvole cardiache, ecc.
Candidosi: le infezioni causate da Candida sono definite candidosi e possono interessare la maggior parte degli organi o distretti corporei, quindi,
le manifestazioni cliniche sono estremamente variabili (es. candidosi cutanee e superficiali o candidosi profonde disseminate che coinvolgono
organi come fegato, reni, milza, cuore e cervello, con mortalità, in questo caso, fino al 50%).
Macroscopicamente le colonie appaiono pastose, lisce, di colore bianco-avorio.
Diagnosi: il materiale clinico viene esaminato direttamente al microscopio e seminato su terreni appropriati.
VIRUS
Parassiti endocellulari obbligati la cui struttura di base è costituita sostanzialmente da DNA o RNA racchiuso in un rivestimento di natura
proteica denominato capside.
Inoltre, il genoma virale, trasferito da cellula a cellula, deve contenere le informazioni sufficienti per garantire la propria sopravvivenza e
propagazione.
Tassonomia: l’attuale classificazione dei virus è di tipo filogenetico e tiene conto di una serie di caratteristiche individuali che comprendono la
morfologia del virione (inclusa forma e grandezza), la simmetria del capside, la presenza o meno di un pericapside, la struttura del genoma, la
sensibilità agli agenti chimico-fisici, le proprietà antigeniche e, infine, le proprietà biologiche dei singoli virus (modalità di replicazione, spettro
d’ospite, modalità di trasmissione e patogenicità).
I virus abitualmente hanno un involucro proteico che protegge l’acido nucleico: l’involucro è costituto da subunità proteiche stabili e resistenti,
dette capsomeri, che formano il capside. Il capside può avere varie forme che derivano dall’adattamento dell’acido nucleico.
Il capside ha due funzioni essenziali:
- Protezione i virus devono dare l’informazione alla cellula perché svolga l’attività per conto del parassita virus, che è data dall’acido
nucleico. L’acido nucleico, soprattutto l’RNA, non sono particolarmente resistenti, e possono essere facilmente degradati da agenti chimici,
fisici, biologici
- Antirecettorialità sono come una chiave che permette al virus di aderire alla cellula, se hanno recettori complementari.
L’adsorbimento è la prima fase di replicazione, e implica l’attaccamento del virus alla cellula grazie all’antirecettorialità.
E’ indispensabile, all’interno della cellula, la distruzione del capside che altrimenti impedirebbe all’acido nucleico di agire, eseguendo il
denudamento della cellula. A questo punto si prosegue con la replicazione del genoma e l’assemblaggio delle neoparticelle. La cellula può
replicare contemporaneamente diversi virus, creando confusione e dare origine a quei fenomeni (anche negativi) che permettono al virus di
“scavalcare” le sue barriere biologiche. Per essere pratici, questo è un modo che hanno i virus di creare varianti, ciò che ad esempio è successo
per la variante inglese del CoronaVirus: questa variante ha lo stesso indice di letalità del ceppo originario, ma una capacità infettiva maggiore,
tanto che il 96% di casi circa è costituito dalla variante inglese.
Infine, il virus matura e rilascia le particelle attraverso il budding o l’esocitosi.
All’esterno del capside possiamo trovare un rivestimento lipoproteico, il pericapside, presente in alcune famiglie virali. Ciò è dovuto ad una
maggiore protezione del virus; a questo punto non avremo antirecettori sul capside, ma sul pericapside. Ciò li rende più labili in ambiente
esterno, perché rispetto al capside che è stabile e resistente, il pericapside che deriva dalle membrane cellulare lo rende di tipo lipoproteico. Un
virus munito di capside è il citomegalovirus che si trasmette attraverso la saliva; questo virus è stato reperito a livello terminale nel colon legato
a lesioni. Ma come ci è arrivato lì?
Il virus munito di pericapside nello stomaco incontra i succhi gastrici che hanno un’azione distruttiva nei confronti del pericapside, che dunque
lo disattiva in seguito alla distruzione degli antirecettori. Tuttavia, quando arriva a livello della mucosa orale può moltiplicarsi a livello delle
ghiandole salivari e può circolare per via linfoematica.
Un altro processo importante per il pericapside è rappresentato dall’epidemiologia per questo tipo di virus, che si trasmettono con scambio
stretto e diretto da sogg infettante e infettato (HIV, epatite), perché le vie di trasmissione sessuale, ematica, salivare sono vie che non incontrano
particolari ostacoli o filtri come i succhi gastrici.
Nel caso dei virus influenzali, abbiamo l’orthomixoviridae con acido nucleico RNA monocatenario con 8 frammenti che hanno funzione di
cromosomi (per virus A e B 8, 7 per il C).
L’orthomixoviridae è un virus con pericapside con proiezioni rappresentate da due antigeni essenziali, neuroaminidasi e la emoagglutinina, che
sono i più esterni e hanno maggiore importanza ai fini immunitari. La neuroaminidasi è il 20%, l’emoagglutinina rappresenta l’80% ed è il
recettore vero e proprio, mentre la neuroaminidasi fa sì che il recettore possa svolgere la sua funzione, in quanto impedisce che il virus venga
neutralizzato dall’acido sialico presente a livello delle secrezioni mucose respiratorie. I residui di acido sialico vengono idrolizzati dalla
neuroaminidasi che crea la chiave di accesso per l’emoagglutinina, che crea l’adsorbimento: quest’ultima si aggancia ai residui di acido sialico
dei recettori cellulari (glicoproteine e glicolipidi di membrana).
Perché si possa verificare l’antigenic shift è necessario che il virus metta in campo le sue forze, gli uccelli e il maiale. Perché questo? I virus
influenzali sono discretamente specie-specifici, quindi l’influenza aviaria degli uccelli raramente infetta altri esseri: nell’uomo i recettori per
l’influenza sono rappresentati da una proteina analoga ma con variazioni in coda, quindi non può colpirli. Ma il maiale possiede tutti e due i
recettori cellulari per gli antirecettori del virus aviario e umano: conseguentemente, il maiale che si infetta con entrambi i virus, è responsabile
del riassortimento genico.
Esiste una terapia contro l’influenza? Sì, la prima è rappresentata dall’amantadina e rimantadina. Alcuni ricercatori si accorsero che in una
clinica specializzata in malattia del s. nervoso, notarono che in una pandemia influenzale, i soggetti trattati con amantadina non prendevano
l’influenza; questa osservazione fu messa in evidenza, ma l’amantadina ha azione in fase iniziale, prima che si manifestino i sintomi. Invece
esistono farmaci inibitori della neuroaminidasi, che impediscono l’idrolizzazione dell’acido sialico e quindi il rilascio di progenie virale.
La strada principale oggi è il vaccino, che oggi è prodotto sinteticamente con l’uso dello squalene, un adiuvante che permetteva la creazione di
un numero elevato di dosi; senza l’adiuvante ancora si combatterebbero influenze ad oggi minimizzate. Lo squalene migliora l’immunogenicità
del virus, nonostante lo squalene fu oggetto di controversie nell’opinione pubblica e in specialisti, contestando la sua neurotossicità: tuttavia lo
squalene si trova oggi in alimenti e cosmetici, e la neurotossicità conclamata derivava da reazioni avverse in veterani della guerra del Golfo, che
però svilupparono gli effetti negativi (anche quelli non vaccinati) per via dell’uso dei proiettili ad uranio impoverito.
Struttura del genoma: i virus possono essere dotati di genoma a DNA o RNA, in cui è depositata l’informazione genetica e che codifica per
proteine con funzione differente:
• Proteine strutturali: che entrano a far parte del virione;
• Proteine funzionali: che sono necessarie per la replicazione virale.
Mentre, i virus a DNA tendono ad avere una minore variabilità rispetto ai virus ad RNA, dal momento che la duplicazione del loro genoma
dipende dalla DNA polimerasi cellulare, enzima dotato di attività di correttore di bozze.
Modalità di trasmissione: le vie di trasmissione dei virus sono determinate dall’organo o tessuto che infettano, dalle vie di eliminazione
dall’organismo e dalla stabilità del virus nell’ambiente esterno (calore, variazioni di pH, essiccamento, ecc.). in genere, i virus rivestiti sono
dotati di minore stabilità e sono, quindi, più sensibili alle condizioni ambientali che si realizzano fuori dall’organismo ospite.
I virus possono essere trasmessi in modo verticale (madre-figlio) e/o in modo orizzontale (da soggetto infetto a soggetto non infetto). A loro
volta queste modalità di trasmissione si possono realizzare sia in modo diretto che indiretto (vedi capitolo 3).
Inoltre, le infezioni virali possono essere:
• Acute: in cui il virus raggiunge rapidamente la massima capacità replicativa, che successivamente decresce e si annulla al comparire di una
risposta immunitaria specifica efficace);
• Persistenti: in cui, successivamente all’infezione primaria, il virus ha la capacità di persistere in alcuni organi.
Entrambe queste forme di infezione virale possono essere clinicamente manifeste o asintomatiche.
• Virus che interessano cute e mucose: sono virus che hanno tropismo per cute e mucose e tendono, pertanto, a dare infezioni localizzate al
tessuto infetto. Tra i virus che rivestono un ruolo importante abbiamo:
✔ Papillomavirus (HPV): sono virus a DNA a doppio filamento circolare che infettano gli epiteli squamosi di cute e mucose stabilendo infezioni
persistenti, spesso asintomatiche o paucisintomatiche, che possono tuttavia esitare in patologie di vario grado, dalle lesioni proliferative benigne
(es. verruche e papillomi orali e laringei) fino al carcinoma. Le infezioni sono endemiche e si trasmettono per via indiretta, attraverso utensili di
piscine e bagni pubblici, o per via diretta attraverso trasmissione sessuale.
✔ Virus herpes simplex (HSV-1 e HSV-2): virus a DNA a doppio filamento caratterizzati dalla capacità di stabilire infezioni persistenti (latenti)
nei gangli nervosi che possono riattivarsi in seguito a stimoli di varia natura 8es. stress emotivo, immunodepressione o radiazioni UV). Sono
responsabili di lesioni cutanee o mucose caratterizzate dalla presenza di vescicole che si dispongono a grappolo.
HSV-1 si trasmette per contatto diretto mediante saliva e dà manifestazioni soprattutto a livello labiale o orale; mentre HV-2 si trasmette per via
sessuale e dà manifestazioni a livello genitale.
Questi virus hanno azione citolitica e determina, quindi, necrosi delle cellule.
Le manifestazioni cliniche principali sono: gengivostomatite (vescicole sulla mucosa orale), cheratocongiuntivite (ulcere corneali o vescicole
palpebrali) dovute ad HSV-1, hepes genitale o neonatale (colpisce organi, quali fegato, polmoni, reni ed encefalo, con esito generalmente
fatale), dovute, invece ad HSV-2.
✔ Varicella zoster: appartiene alla famiglia Herpesviridae ed è responsabile della varicella, tipica malattia esantematica dell’infanzia, e
dell’herpes zoster, recidiva dell’età adulta, una volta nell’organismo si localizza in condizioni di latenza nella corna posteriori dei gangli spinali.
Si manifesta con la formazione di papule, vescicole, che danno forte prurito; in caso di infezione si ha lo sviluppo dello zooster “fuoco di
sant’antonio”, che seguendo il nervo a livello dei dermatomeri dà condizioni dolorose. La diagnosi è di tipo clinico, anche senza analisi non dà
adito a dubbi.
Nel caso della donna si fa il dosaggio di igg, igm e iga, le asintomatiche hanno esito fausto, e si può ricercare il DNA nel liquido amniotico, ma
con risultati non sempre chiari. Alla nascita si somministra un siero super immune entro le 48 h dalla nascita + aciclovir nel caso di infezione
alla nascita scoperta tardi o acquisita nelle ultime settimane prima del parto perché gli anticorpi della madre NON sono disponibili così si
salva il bambino, in tempi celeri
• Virus che causano infezioni sistemiche: le infezioni sistemiche sono causate da virus che sono in grado di disseminare nell’organismo, in
genere, attraverso il torrente ematico, e di raggiungere uno o più organi bersaglio distanti e differenti dalla sede di primo impianto del virus .
Distinguiamo: ✔ Morbillo: virus ad RNA lineare che si trasmette attraverso goccioline di saliva. Si tratta di una malattia esantematica
dell’infanzia caratterizzata da febbre, rash maculo papulare e sintomi respiratori. Il decorso può facilmente complicarsi con otite, polmonite e
panencefalite. (vaccino trivalente: morbillo, parotite e rosolia tra 13 e 15° mese di vita e richiamo in età prescolare);
✔ Rosolia: virus ad RNA trasmesso per aerosol e che causa malattia esantematica che, se acquisita in gravidanza, può determinare gravissime
conseguenze per il feto.
✔ Parotite: malattia tipica dell’infanzia che colpisce le ghiandole parotidi determinandone l’ingrossamento. Ha carattere benigno se contratta
nell’infanzia, ma diventa più aggressiva nell’adulto in cui può anche portare a meningite, orchite o atrofia testicolare. Il virus si trasmette per
contatto diretto o attraverso goccioline di saliva.
✔ Citomegalovirus: virus patogeno opportunista che determina negli immunodepressi manifestazioni gravi quali polmonite interstiziale. ✔
Virus di Epstein Barr: virus responsabile della mononucleosi infettiva ed è ritenuto uno dei fattori di rischio dello sviluppo del linfoma di
Burkitt e del carcinoma nasofaringeo, soprattutto in soggetti immunocompromessi.
• Virus che interessano l’apparato gastro-intestinale: a questo gruppo appartengono tutti quei virus che hanno un tropismo per l’apparato
gastroenterico e che nella maggior parte dei casi tendono a dare infezioni localizzate e autolimitanti, anche se, in qualche caso, possono essere
responsabili di infezioni disseminate. Es.:
✔ Enterovirus: virus che infettano l’uomo attraverso l’ingresso nel canale alimentare (tramite trasmissione fecale-orale). Inoltre, essendo virus
altamente resistenti al pH acido dello stomaco, riescono ad arrivare nell’intestino, dove si replicano, e attraverso le placche di Peyer31 possono
raggiungere il torrente circolatorio e disseminare il altri distretti SNC, cuore, apparato respiratorio, ecc.). le infezioni perlopiù decorrono in
modo asintomatico e questo favorisce la trasmissione del virus.
✔ Rotavirus: virus ad RNA a doppio filamento. Comportano gastroenterite acuta nella prima infanzia. Il contagio avviene per via fecale-orale e
il virus, una volta ingerito, resistendo all’acidità gastrica, raggiunge l’intestino tenue determinando atrofia degli enterociti32 con insorgenza di
diarrea profusa.
✔ Virus delle epatiti: appartengono a questo gruppo tutti quei virus che hanno come organo bersaglio definitivo il fegato. Definizione: è una
malattia caratterizzata da flogosi e necrosi del parenchima epatico da cause diverse (virus, farmaci, sostanze tossiche, alcol e anticorpi).
o Epatite A: virus nudi ad RNA; causa epatite infettiva acuta; trasmissione fecale-orale (cibi e acque contaminati, frutti di mare, ecc.). Profilassi:
vaccino.
o Epatite B: virus a DNA a doppio filamento; causa epatite acuta o fulminante che può evolvere nel 5-10% dei casi in patologia cronica (epatite
cronica o cirrosi) e neoplastica (carcinoma epatico). Modalità di trasmissione: orizzontale (parenterale e sessuale) e verticale (transplacentare e
perinatale).
o Epatite C: virus ad RNA; principale modalità di trasmissione: sangue infetto; questo virus è dotato di elevata variabilità, il che gli permette di
evadere la risposta immunitaria dell’ospite e di stabilire infezioni che nel 95% dei casi risultano di natura cronica (cioè persistenti). Inoltre, per
lo stesso motivo non è disponibile un vaccino in grado di prevenirne l’infezione nell’uomo.
o Epatite Delta: agente subvirale ad RNA in quanto virus difettico in grado di replicarsi esclusivamente in presenza del virus dell’epatite B.
l’infezione può essere concomitante (coinfezione, infezione di media gravità caratterizzata dalla contemporanea replicazione di entrambi i virus)
o successiva al virus B (superinfezione, infezioni sia in forma acuta che cronica). Modalità di trasmissione: si sovrappongono a quelle
dell’epatite B.
o Epatite E: virus ad RNA; trasmissione fecale-orale; no cronicizzazione; nessun trattamento specifico; profilassi: vaccino disponibile solo nelle
aree in cui la malattia è endemica.
• Virus che causano malattie tumorali: alcuni virus sono in grado di favorire la trasformazione di una cellula normale in una cellula tumorale, in
quanto inducono nella cellula ospite delle alterazioni genomiche che determinano uno stato di immortalizzazione.
I virus oncogeni sono un gruppo di virus eterogeneo in cui sono rappresentati virus:
✔ A DNA:
o Papilloma virus;
o Epatite B;
o Epstein Barr: associato al linfoma di Burkitt e al carcinoma orofaringeo;
✔ A RNA:
o Retrovirus: capaci di indurre leucemie, linfomi e sarcomi;
o Virus dell’immunodeficienza umana (HIV): responsabile di linfomi e sarcoma di Kaposi;
o Epatite C.
Papillomavirus HPV
E’ un virus considerato come potenziale produttore di forma neoplastiche (99% carcinoma del collo dell’utero), e sono a maggiore diffusione
tramite rapporti sessuali non protetti.
Appartengono alla famiglia di papillomaviridae, si conoscono ad oggi 150 genotipi, e ha un tropismo per gli epiteli e mucose (hpv cutanei e
mucosali). I mucosali sembrano quelli più pericolosi.
Fattori di rischio numero elevato di partners, promiscuità sessuale, immunodepressione e coinfezione con altri genotipi
Fattori che favoriscono la persistenza del virus presenza di HPV, elevata carica virale, infezioni multiple, lesioni cervicali, fumo,
contraccettivi, gravidanze, infezioni precedenti con clamidia.
I soggetti colpiti dal cancro della cervice sono le pz giovani tra 25-50 con vita sessuale attiva negli ultimi anni precedenti: la sua presenza non
significa che si svilupperà il carcinoma (nel 90% dei casi il problema si risolve eliminando il virus senza conseguenze). L’infezione da sola non è
sufficiente a causare il cancro, sono necessari lunghi intervalli di tempo.
Nell’uomo si è visto che la maggiore presenza del virus è locallizzata nel liquido seminale e possono indurre ipofertilità, perché il virus si
localizza nella testa dello spermatozoo, e ciò è associato con una ridotta mobilità degli spermatozoi. E’ stato visto che gli spermatozoi che
contegono papillomavirus possono introdurre e indurre la trascrizione di papillomavirus negli oociti secondari (spesso associati ad un fallimento
della fecondazione in vitro poiché incompatibile con la vita, nella fecondazione naturale ciò non avviene per ridotta mobilità).
Manifestazioni cliniche cute, distretto testa-collo, sfera ano-genitale e apparato riproduttore femminile.
A livello cutaneo i papillomavirus danno verruche, che se non tenute sotto controllo danno complicanze. A livello genitale possiamo avere
manifestazioni cutanee distinguibili ad occhio nudo: condilomi acuminati (escrescenze), forme subcliniche come condilomi piatti e displasie che
necessitano di indagini anatomopatologiche, infine forme latenti rilevabili solo con la biologia molecolare che si manifestano dopo anni, oppure
non si manifesteranno mai.
Diagnosi
La diagnosi e le indagini di screening non sono semplici per il papillomavirus, in quanto spesso l’infezione non si rileva poiché per attivarsi il
virus deve raggiungere lo strato basale delle cellule epiteliali: man mano che le cellule salgono verso lo strato corneo si sviluppano le lesioni in
superficie. Dunque ha bisogno di avere una condizione di tessuto in evoluzione organotipica, e non solo di isolamento cellulare.
Motivo per cui la diagnosi sierologica non esiste, è solo utile per il controllo della risposta del vaccino; la ricerca dei titoli anticorpali non serve,
perché la caratteristica del virus è quello di colpire superficialmente, e non dà la possibilità di riconoscimento degli anticorpi a livello più
profondo poiché non esiste una fase viremica.
Protocollo di screening LINEE GUIDA
TEST
MOLECOLARE
HPV per rilevare
la presenza
dell'acido
nucleico
SE POSITIVO, SE NEGATIVO
ESEGUIRE IL PAP RIPETRE DOPO 5
TEST ANNI
NEGATIVO, SE POSITIVO,
RIPETERE DOPO ESEGUIRE LA
1 ANNO COLPOSCOPIA
TEST MOLECOLARE è il goden standard a supporto di qualsiasi indagine citologica e strumentale, per stabilire la presenza del tipo e del
numero delle varianti genotipiche. La genotipizzazione è importante perché ci dà la possibilità di capire se c’è un’attività trascrizionale del virus.
Il pap-test ha pro e contro, è un’indagine citologica, e ci dice se c’è un’alterazione della struttura cellulare o no, infine il gold standard, le
indagini molecolari con il 99% di attendibilità.
PAP-TEST esame citologico esfoliativo indiretto che consiste nel prelievo di cellule della giunzione cervico-uterina, ci dà info sulle cellule,
sulla presenza di altri microrganismi, ma ha un alto valore predittivo positivo e un basso predittivo negativo, ovvero probabilità alta che il
positivo sia davvero malato ma bassa probabilità che il negativo non sia malato (sviluppo di CIN – neoplasia intraepiteliale cervicale – nelle pz
con primo pap-test negativo, che nell’arco di mesi sviluppano HPV di genotipo 16 e 18 principalmente).
COLPOSCOPIA ha una sensibilità elevatissima nel riperimento della lesione: la diagnosi istologica ci dà la certezza nella diagnosi delle
neoplasie.
Vaccinazione si innescano parti di virus, non acido nucleico. Non ha azione terapeutica nei confronti della neoplasia, bensì del virus stesso
inducendo una risposta anticorpale.
Il vaccino dovrebbe essere somministrato prima della potenziale esposizione ad HPV iniziali: lo screening va fatto nei soggetti anche vaccinati,
la prima scelta per il monitoraggio è il molecolare (presenza dell’acido nucleico), e a seguire pap-test ecc, e all’utilizzo di una diagnostica
avanzata che porta ad una più valida prevenzione che preserva la salute fisica e mentale della donna.
Agenti infettivi
Toxoplasma gondii
Il Toxoplasma gondii è un protozoo la cui vie di trasmissione sono molteplici: vive in genere nel tratto intestinale del gatto, che si infetta
cibandosi di carne di piccoli roditori. Esso rappresenta sorgente per la riproduzione del protozoo. La coabitazione tra gatti e uomo tuttavia non è
un fattore di rischio importante per l'infezione di Toxoplasma, in quanto il gatto elimina le ovocisti solo per 1-2 settimane in seguito
all'infezione, e le stesse non sono ancora infettanti, poiché sporulano nel terreno nell'arco di 1-5 giorni; quindi con una regolare pulizia della
lettiera e dell'ambiente si annulla il rischio. Molto più pericoloso, è cibarsi di carni crude o poco cotte (specie di agnello e suino), di insaccati, di
verdure lavate male o di latticini non pastorizzati.
Le infezioni da toxoplasmosi solitamente non causano sintomi negli esseri umani adulti (sintomi simil-influenzali e raramente convulsioni e
sintomi più gravi), ma rappresenta una particolare minaccia per i feti quando viene contratto durante la gravidanza.
I test di sieropositività cercano la presenza di anticorpi contro T. gondii nel sangue, così mentre la sieropositività garantisce che uno è stato
esposto al parassita, non garantisce necessariamente che uno sia cronicamente infetto.
La diagnosi viene tipicamente formulata testando il sangue per la presenza di anticorpi oppure verificando la presenza nel liquido amniotico del
DNA del parassita. La principale forma di prevenzione consiste nel preparare e cuocere adeguatamente gli alimenti. Si raccomanda inoltre che le
donne in gravidanza non puliscano le lettiere dei gatti.
Il trattamento viene spesso consigliato solo per le persone con gravi problemi di salute. Il Trimetoprim/sulfametossazolo è il farmaco di scelta
per la profilassi della toxoplasmosi, ma non per il trattamento della malattia attiva. Uno studio del 2012 mostra un nuovo modo promettente per
trattare la forma attiva e latente di questa malattia utilizzando due chinoloni.
Forma acuta
I farmaci prescritti per la toxoplasmosi acuta sono i seguenti:
• Pirimetamina - un farmaco antimalarico
• Sulfadiazine - un antibiotico usato in combinazione la con pirimetamina per curare la toxoplasmosi
• La terapia di combinazione è di solito somministrata con supplementi di acido folico per ridurre l'incidenza di trombocitopenia.
Quando a una donna incinta viene diagnosticata la toxoplasmosi acuta, l'amniocentesi può essere utilizzata per determinare se il feto è stato
infettato o meno.
Se il parassita non ha ancora raggiunto il feto, la spiramicina può aiutare a prevenire la trasmissione placentare. Se il feto è stato infettato, la
madre può essere trattata, dopo il primo trimestre, con pirimetamina e sulfadiazina con l'aggiunta di acido folinico. Questo trattamento viene
somministrato dopo il primo trimestre e con l'acido folinico poiché la pirimetamina ha un effetto antifolico e la mancanza di questo acido può
interferire con la formazione del cervello del feto e causare trombocitopenia. L'infezione nelle precedenti fasi della gestazione è correlata con
peggiori esiti fetali e neonatali, in particolare quando l'infezione non viene trattata.
L’obbiettivo preventivo è la donna sieronegativa per toxo, perché DEVE sapere prima di concepire cosa deve fare per eliminare l’infezione; è
necessario conoscere le vie reali di trasmissione, e non imporre troppi divieti.
La via principale di ingestione diretta sono carni poco cotte, crude, salumi, verdure e frutta mal lavate, e indiretta, come contatto con oggetti
contaminati, suolo e indumenti.
NO carni spesse NO carni cotte in un unico pezzo (roast beef, porchetta, insaccati, ecc perché la temperatura di cottura non è sufficiente ad
eliminare il toxoplasma, per cui è necessario 56° per 30 minuti), niente carni tritate compresse (polpette, hamburger, salsiccia, perché si formano
camere d’aria che è un cattivo conduttore di calore e impedisce la cottura all’interno).
I vegetali vanno lavati con acqua e bicarbonato per almeno 30 minuti (ha la capacità di staccare anticorpi sulla superficie foliare, annulla il
rischio di avere problemi), neanche la verdura già lavata!!!!!
No finocchio, funghi, sedano perché eccessivamente fibrosi e di difficile pulizia
No fragole e fragoloni e ciò che ne derivate (granite e derivati), perché le fragole vengono irrigate attraverso un sistema che potrebbe comportare
lo scioglimento di feci di gatto infette, e soprattutto perché la fragola non può essere lavata per bene per via della sua struttura (lamponi ecc non
crescono a livello del suono e hanno sistemi di irrigazione diversi).
No pesce dall’allevamento, attività di giardinaggio ecc.
Le feci del gatto non sono immediatamente infettanti ma devono maturare, e superare succhi gastrici e diverse barriere; evitare contatto diretto
con gatto o indiretto con pelo, lavarsi con acqua e sapone (non disinfettante perché non è efficace contro le cisti). Non avere contatto stretto col
gatto, evitare di nutrirlo con cibo umido, eventualmente trattarlo e nutrirlo con alimenti sicuri.
E’ concesso il prosciutto crudo (16 mesi), è sconsigliato il cotto se non di marca buona che garantisce la cottura ottimale (3 h a 70°). SI
mortadella igp Bologna, no altra
Comprare carne fresca e conseguentemente congelarla a -20°. I test per IgG e IgM vanno fatti ogni 30 gg e 20 gg dopo il parto.
Comportamenti da evitare per la madre:
Rosolia
Con il termine rosolia si identifica una malattia infettiva, ad origine virale appartenente alla famiglia delle togaviridae.. È esantematica,
maculopapulosa, acuta e contagiosa. Insieme al morbillo, varicella, pertosse, parotite, è una delle infezioni più comuni che insorgono in età
pediatrica.
Tale malattia esantematica può anche colpire donne gravide e, a seconda del mese di gestazione, la permanenza del virus nell'ospite può
comportare effetti teratogeni per il feto.
Al 2018 l'unico ospite conosciuto per il virus Rubella rimane l'uomo.
Negli infanti ha solitamente un decorso benigno; ma quando una donna non immunizzata ne viene contagiata può sviluppare la sindrome da
rosolia congenita, che causa l'aborto nel 20% dei casi e può produrre invalidità gravi e permanenti nel bambino.
Profilo clinico
La patologia, frequente nell'età scolare, ha un periodo di incubazione di 14-21 giorni più spesso 16-18 giorni e può presentare due forme
cliniche, una tipica (50% dei casi) caratterizzata da esantema micropapuloso a rapidissima evoluzione cranio-caudale, da febbre moderata
(anche se talvolta anche fino a 39° - 39.5° o più), flogosi e tumefazione dei linfonodi nucali e laterocervicali ed artralgie di breve durata solo
negli adulti; una forma include linfoadenite e febbre, un’altra asintomaticità.
La viremia compare dopo circa sei giorni dal contagio per scomparire prima che si palesi l'esantema, il virus infatti viene eliminato attraverso il
naso-faringe fino a 14 giorni dalla comparsa dell'esantema.
La diagnosi è principalmente clinica. Tuttavia la diagnosi per la rosolia può venir effettuata ricercando anticorpi specifici del virus nel siero. La
diagnosi differenziale rispetto al morbillo si effettua osservando anche l'eruzione più lieve e leggera, e per l'assenza di Macchie di Köplik
(benché talvolta si possano formare per indebolimento generale afte in bocca), rinite, fotofobia o tosse. Inoltre, la rosolia si distingue per il
decorso più breve, e con durata e rischio di complicazioni minori.
Terapia
Non vi sono terapie specifiche per la rosolia, che solitamente richiede solo cure sintomatologiche (paracetamolo, ibuprofene, corticosterodi).
Rosolia e gravidanza
Il virus può trasmettersi al feto durante la fase viremica per via trasplacentare; essa può verificarsi in diversi periodi della gravidanza, e la
gravità delle conseguenze che la stessa avrà sul feto dipendono proprio da questo.
• Fino alla 4ª settimana:
Non c'è ancora placenta quindi il passaggio del virus all'embrione è abbastanza difficile ma se ciò si verifica probabilmente si andrà incontro
all'aborto. • 4ª-5ª settimana
Si sono formati i vasi sanguigni per cui il contagio comincia a divenire più probabile, se esso si verifica si può avere aborto o gravi displasie.
• 5ª-16ª settimana
Le cellule si trovano in uno stato di attiva replicazione e quindi recettive per la replicazione virale, in questo stadio si verificano: inibizione o
rallentamento della mitosi e necrosi cellulare, tutto ciò causerà gravi embriopatie malformative che vengono raggruppate sotto il nome di Triade
di Gregg (colui che si accorse della correlazione malformazioni – rosolia nel 1941): cataratta, malformazioni cardiache e sordità per
malformazione dell'organo del Corti.
• Dalla 17ª settimana Si ha infezione senza malformazioni; si possono avere:
• Rubeola espansa: poliviscerite con epatosplenomegalia, trombocitopenia, polmonite interstiziale, flogosi diffusa.
• Rubeola in utero: neonato sano ma con le IgM.
• Rubeola con interessamento di un solo organo.
Si può verificare che il feto non riesca ad eliminare il virus contratto durante il periodo embrionale. In questo caso il neonato presenterà oltre alle
malformazioni anche i segni dell'infezione fetale (epatosplenomegalia, ittero, IgM e IgG, piastrinopenia), ed inoltre continuerà ad eliminare il
virus con le urine per ancora 18 mesi.
Al fine di prevenire le gravi forme di sindrome da rosolia congenita, che può comportare severe invalidità permanenti (sordità, danni visivi,
anomalie cardiache) è invece fondamentale il vaccino per tutte le donne che superano la pubertà senza aver contratto la malattia (circa il 15% in
Italia).
Il SSN permette alle donne di eseguire il test per una gravidanza consapevole, non necessariamente in gravidanza ma per prevedere la sua
situazione (se presenti IgM la pz non è a rischio le IgM sono una risposta anticorpale), dunque è importante la vaccinazione della pz
sieronegativa; a patto che la donna non sia in gravidanza, e debba evitare il concepimento per 3-6 mesi.
La vaccinazione viene effettuata con il TRIVALENTE (morbillo, parotite e rosolia); con questo vaccino sono descritti eventi avversi rarissimi,
se non azzerati.
Il virus ha un lasso di tempo durante il quale è presente nel torrente circolatorio, ha una fase viremica di non più di 4 settimane, quindi se la pz si
vaccinasse appena terminato l’ultimo ciclo non vi sono rischi alti.
Infezione
È spesso asintomatica (sia primaria che ricorrente), o con sintomi modesti: febbre persistente, astenia, mialgia, adenomegalia, linfoadenopatia
(prima simil mononucleosica).
Talvolta negli adulti vengono colpiti milza e fegato con modesto rigonfiamento degli stessi (splenoepatomegalia) e con un'alterazione della
funzionalità epatica. Si riscontrano invece forme gravi negli immunocompromessi (come gli affetti da AIDS e i soggetti trapiantati in terapia
immunosoppressiva) con coinvolgimento di vari organi: polmoniti, epatiti, coliti, esofagiti, nefriti. Nei malati di AIDS ha una localizzazione
oculare, (retinite da CMV). Per coloro che subiscono un trapianto può causare polmonite interstiziale.
Causa la mononucleosi ad anticorpi eterofili negativa.
Infine, poiché il feto è da considerarsi immunologicamente immaturo, il virus può risultare molto pericoloso per il nascituro, per cui la donna in
gravidanza deve effettuare i dovuti controlli di screening.
Trasmissione
Si trasmette tramite secrezioni contaminate, trapianti di tessuti infetti, sangue, rapporti sessuali. Durante la gravidanza, soprattutto nel primo
trimestre di gestazione, l'infezione primaria può causare aborto o gravi danni al feto, tra cui ritardo mentale.
Diagnosi
• Solitamente si effettua l'isolamento del virus in colture di fibroblasti umani da vari materiali biologici (urine, saliva, sangue, broncolavaggio).
Quindi si procede all'identificazione di antigeni precoci con IF. In seguito si fa una diagnosi sierologica (IgG, IgM).
Cure
Tramite farmaci quali ganciclovir, valganciclovir e foscarnet (inibitori della sintesi di DNA virale) da qualche tempo in via sperimentale
apparentemente con buoni risultati si effettuano infusioni di immunoglobuline alle gestanti infette (si veda articolo del Prof. Nigro nel New
England Journal of Medicine del settembre 2005). In particolare vengono effettuate a Genova, al Gaslini, e a Padova presso l'Istituto di Malattie
Infettive.
Non ci sono terapie in caso di gravidanza, l’unica via è la prevenzione.
La pz gravida sieronegativa fino alla 22esima settimana va seguita, facendo test IgG e IgM ogni 4 settimane e 1 settimana prima del parto o
immediatamente dopo.
Dopo la 24esima settimana, il rischio di malattia congenita per il feto è quasi nullo, ma è importante non perdere di vista il follow-up per seguire
mamma e bambino.
La sieropositiva per IgG necessita di valutazione di sieroconversione a fine gestazione, e in questo caso vanno fatti controlli sul neonato.
La sieropositiva per IgG e/o IgM necessita di test per avidità di IgG e western blot per IgG e IgM (utilizzo antigene purificato).
Se si sospetta un’infezione primaria del virus va fatta l’amniocentesi per valutare la quantità di virus presente nel liquido amniotico (6 + 8
settimane, e non prima della 20esima settimana, perché il virus viene escreto dal feto attraverso le urine, e dobbiamo aspettare la formazione di
reni nel bambino intorno alla 18esima).
Herpes Simplex
l virus dell'herpes simplex (HSV, dall'inglese herpes simplex virus) è una specie di virus, appartenente alla famiglia degli Herpesviridae, alla
sottofamiglia delle Alphaherpesvirinae, del genere Simplexvirus.
Manifestazioni cliniche
Herpes labiale
La prima forma, notevolmente diffusa, è responsabile della comparsa di vescicole febbrili caratteristiche che di norma interessano la cute
facciale (labbra, narici); è detto anche herpes simplex labiale. Inizialmente, l'herpes labiale si manifesta con un leggero pizzicore e un senso di
calore su un punto arrossato del labbro. Nel giro di poche ore, alcune vescicole ripiene di liquido limpido, spesso dolorose, cominciano a
svilupparsi nella stessa zona del punto iniziale: ecco accertata la comparsa dell'herpes labiale. Meno frequentemente, le vescicole possono
formarsi sulla mucosa nasale (in partic. sulla parte esterna od interna delle narici), sulle guance o sul palato. Una volta terminato il processo
infiammatorio, le vescicole provocate dall'herpes labiale si asciugano e formano una crosticina giallastra che scompare nel giro di 7-10 giorni,
anche senza alcun trattamento. Talvolta può persistere un piccolo segno o un alone rosato. La comparsa dell'herpes labiale può conseguire ad
uno stato di malessere, a una febbre, all'inizio delle mestruazioni, a uno stress, ad una intensa esposizione alla luce del sole o all'aver mangiato
particolari cibi (alcuni insaccati o formaggi). L'infezione provocata dall'herpes labiale può ricomparire con facilità poiché il virus sopravvive per
tutta la vita all'interno delle cellule del ganglio del nervo trigemino e, in particolari condizioni (stress, abbassamento delle difese immunitarie,
ecc..), può riattivarsi migrando tramite i nervi alla cute.
Herpes genitale
La seconda forma è un'infezione genitale, nota anche come herpes genitalis. Entrambe si contraggono col contatto fisico e sessuale. Data la
collocazione dei virioni nei gangli nervosi, dove possono rimanere quiescenti per molto tempo, l'infezione erpetica ha caratteristiche recidivanti
in corrispondenza di eventi stressanti del sistema immunitario e solitamente ricompare nella sede primaria; è caratterizzata da un'area edematosa
dove sono presenti grappoli di vescicole sierose, si risolve in una decina di giorni. L'infezione da herpes è contagiosa e può diffondersi agli
organi genitali o agli occhi. Il pericolo maggiore è la diffusione dell'herpes all'occhio o all'interno della bocca.
2. Periodo di incubazione: quel periodo che intercorre tra il contatto con la malattia e la sua manifestazione;
3. Fase clinica;
4. Fase di convalescenza;
5. Fase di guarigione.
• Verticale: avviene da una generazione dell'ospite alla successiva attraverso l'infezione dell'embrione o del feto in utero (mammiferi) o in ovo
(uccelli, rettili, pesci, artropodi).
Quindi, possiamo distinguere trasmissione:
✔ Materno-fetale o Transplacentare o Prenatale: durante il periodo di gravidanza;
✔ Neonatale o Perinatale: al momento del parto, da agenti infettanti presenti nel canale del parto;
✔ Allattamento o Post-natale: secondo alcuni, infatti, anche la trasmissione alla progenie attraverso il latte è da considerarsi verticale.
Infezioni del SNC: il SNC è un distretto sterile e i microrganismi che vi penetrano, perlopiù per diffusione sistemica, causano sempre un quadro
patologico che può essere più o meno grave.
A questo proposito, possiamo distinguere tra:
• Encefaliti: causate principalmente da virus;
• Meningiti: possono essere ad eziologia batterica, virale, micotica o protozoaria.
In particolare, per quanto riguarda i batteri, i microrganismi più frequenti sono Neisseria meningitidis, Haemophilus influenzae e Streptococcus
pneumoniae che, in alcuni casi, possono fare parte della flora endogena, avendo spesso localizzazione primaria nel rinofaringe; ma possono
diventare patogeni, se, una volta trasmessi da un portatore sano ad un altro individuo, anziché localizzarsi nelle alte vie respiratorie, penetrano
nel SNC per via ematica. E, in questo caso, si parla di infezione in un distretto sterile causata da batteri endogeni opportunisti (campione: liquidi
cefalorachidiano).
Infezioni delle alte vie respiratorie: le alte vie respiratorie rappresentano un distretto colonizzato da microrganismi Gram positivi, quali
Streptococchi e Stafilococchi, e Gram negativi (es. Neisseria meningitidis), emofili (es. Haemophilu influnzae) e batteri anaerobi.
Inoltre, fino a quando questi microrganismi rimangono in uno stato di equilibrio tra di loro, non si verifica alcuna infezione e/o malattia, ma se
questo equilibrio si altera con conseguente aumento della carica batterica di uno di questi batteri presenti (es. infezione virale, terapia antibiotica
o stato di immunodepressione), può svilupparsi l’infezione. Quindi, gli agenti eziologici di infezione delle alte vie respiratorie possono essere
sia di natura endogena che esogena (campione: -Secrezioni naso-faringee sondino nasale fenestrato con pompa aspiratrice, che raccoglie muco
e cellule
- Lavaggio bronco-alveolare intervento invasivo che fa lo specialista, attraverso fisiologica riscaldata a livello alveolare che viene
aspirata in broncoscopia
- Tamponi nasali/faringei vanno messi in fisiologica sterile o terreno di coltura (a volte questi possono contenere antibiotici per miceti
che interferirebbero con la diagnostica) ).
Infezioni delle basse vie respiratorie: si tratta di un distretto sterile, in cui la via di trasmissione degli agenti che causano infezione è
generalmente la via aerea e i microrganismi coinvolti possono essere sia batteri endogeni (rappresentati dalla flora delle alte vie respiratorie o da
quella intestinale, es. stafilococchi ed enterococchi) che esogeni (es. Chlamydia pneumoniae e Legionella), oltre virus (soprattutto
Citomegalovirus) e miceti (soprattutto Aspergilli) (campione: espettorato, bronco lavaggio e tracheoaspirato).
Infezioni gastroenteriche: vengono acquisite per via fecale-orale, quindi, causate dall’ingestione di cibi contaminati. Sono coinvolti perlopiù
batteri esogeni emessi con le feci da soggetti malati o portatori asintomatici o da animali.
I più frequenti agenti eziologici sono: Salmonella (trasmessa dagli animali), ceppi di Escherichia Coli, con caratteristiche di virulenza particolari
(es. enterotossici, enteropatogeni, enteroemorragici, ecc.), Vibrio Cholerae e Clostridium difficile, microrganismo endogeno che manifesta la
sua patogenicità perlopiù in soggetti sottoposti a profilassi e terapia antibiotica; infatti, la diminuzione della flora intestinale saprofita
conseguente all’azione degli antibiotici favorisce lo sviluppo di questo microrganismo anaerobio (campione: feci).
Infezioni delle vie urinarie: sia basse che alte sono causate da batteri sia endogeni (i più frequenti) che esogeni (es. micobatteri tubercolari e non
e Chlamydia Trachomatis), che possono raggiungere il distretto urinario per via esogena ascendente o per via ematica. Nel primo caso si tratta
della flora batterica intestinale (rappresentata essenzialmente da enterobatteri, enterococchi, stafilococchi e batteri anaerobi; ma il più frequente è
Escherichia Coli, che possiede fattori di virulenza che ne agevolano la diffusione) che dall’ano, attraverso i genitali esterni e l’uretra, raggiunge
la vescica, dove può causare infezione della base vie urinarie o proseguire verso il rene; nel secondo caso, invece, i batteri possono provenire da
un distretto colonizzato o da un distretto all’origine sterile nel quale, però, vi sia un’infezione causata da batteri endogeni o esogeni (campione:
urina).
Infezioni del tratto genitale: in questo caso, gli agenti causali di malattie trasmesse sessualmente sono batteri (es Chlamydia Trachomatis e
Neisseria gonhorreae), virus (HIV, HBV e HCV, Herpes virur simplex 2 e il Papilloma virus, che può indurre carcinoma della cervice o lesioni
del tratto genitale guaribili con terapia antivirale), miceti (es. Candida) e protozoi (es Trichomonas vaginalis).
- Tampone uretrale come l’essudato, hanno scarso rilievo nella diagnostica, invece l’urina dà info su ciò che c’è a livello della
vescica, va fatto con un tampone di tipo floccato che consente maggiore capacità di recupero del materiale, viene messo in sospensione ed
agitato in lab, e consente il rilascio degli agenti infettivi.
- Fluido spermatico per batteri e papilloma virus
- Tampone cervico-vaginale valutazione per la presenza di agenti infettanti o brushing per PAP test o papilloma virus
(campioni: per le infezioni virali => sangue; per le infezioni batteriche => campioni biologici dai vari distretti).
Infezioni cardiocircolatorie: si parla di endocardite infettiva, caratterizzata dalla presenza di microrganismi sulla superficie dell’endocardio a
livello delle valvole, ma anche del setto o della parete murale. I microrganismi più frequenti sono: Staphylococcus aureus e Streptococcus
pneumoniae, che rappresentano le forme più gravi, e Streptococchi viridanti e batteri Gram negativi, che rappresentano, invece, le forme
subacute (campione: sangue per emocoltura).
L’infezione ospedaliera è un’infezione che insorge dopo almeno 48 ore dal ricovero in ospedale e che è correlabile alle cure ricevute, che si
verifica in un paziente durante il processo assistenziale in un ospedale o in un’altra struttura sanitaria e che non era manifesta né in incubazione
al momento del ricovero.
Distinguiamo:
- ICA Endogena: contaminazione da parte di microrganismi provenienti dal paziente stesso presenti:
• nelle mucose
• sulla cute
- ICA Esogena: contaminazione da parte di microrganismi veicolati da:
• mani del personale
• materiali per l’assistenza
• strumentario chirurgico
Stime dei tassi di infezioni correlate all’assistenza (ICA) nel mondo: rappresentano il 44% delle morti totali nelle terapie intensive, il 10% delle
infezioni in ospedali di paesi industrializzati, dato che può ingrandirsi fino a 20 volti per i paesi in via di sviluppo.
ICA possono causare:
– Malattie più severe
– Prolungamento della degenza
– Disabilità a lungo termine
– Morti evitabili
– Consumo di risorse economiche aggiuntive
– Alti costi individuali sui pazienti e i loro familiari
Controllo del rischio: in riferimento alle infezioni è, però, necessario conoscere, oltre ai fattori di rischio, anche le misure necessarie per
prevenirle, misure che dirette sia ai fattori di rischio intrinseci che estrinseci, anche se i primi possono essere controllati solo parzialmente.
I microrganismi che hanno la caratteristica di dare luogo a vere e proprie epidemie, oppure i germi che presentano naturalmente o hanno
acquisito resistenza agli antibiotici o la cui diffusione comporta alta letalità, sono considerati germi epidemiologicamente importanti e vengono
definiti germi sentinella, il cui isolamento richiede immediate misure sanitarie nonché un approfondito studio epidemiologico e microbiologico.
Tra questi abbiamo:
• Germi correlati a microepidemie ospedaliere: es. Clostridium difficile, virus respiratorio sinciziale, virus dell’influenza, rotavirus, Legionella e
Aspergillus;
• Batteri resistenti alle terapie antibiotiche di prima scelta: es. stafilococchi, enterococchi, Gram negativi che producono beta-lattamasi ad ampio
spettro, ecc.
• Germi che presentano spettri di resistenza non comuni;
• Germi resistenti naturalmente a più classi di antibiotici;
• Germi che tendono a provocare malattie invasive (es. pneumococchi).
Disinfezione: è la distruzione o inattivazione di microrganismi patogeni, ad eccezione delle spore, da un ambiente fino a livelli di sicurezza. Le
sostanze chimiche utilizzate sono:
• Antisettici:
✔ Per le superfici animate;
✔ Hanno azione batteriostatica: cioè sono capaci di inibire o limitare la replicazione batterica, ma senza uccidere il microrganismo; ✔ Hanno
ampio spettro d’azione;
• Disinfettanti:
✔ Per le superfici inanimate: es. oggetti;
✔ Hanno azione battericida, virulicida e fungicida;
✔ Hanno ampio spettro d’azione.
Inoltre, i disinfettanti chimici devono avere determinate caratteristiche:
✔ Devono inattivare i microbi patogeni;
✔ Non devono alterare il substrato;
✔ Non devono essere particolarmente tossici/irritanti per gli uomini o gli animali;
✔ Devono avere ampio spettro d’azione;
✔ Non possono venire usati come antisettici.
Antisepsi: insieme delle procedure che consentono il controllo dei batteri patogeni su esseri viventi.
Dunque, è una pratica che ha lo scopo di impedire o almeno rallentare la moltiplicazione di microrganismi presenti in un determinato substrato
(tessuti viventi). Oggetti di antisepsi sono normalmente la cute del paziente e le mani del personale sanitario (medici e infermieri). Allo scopo è
necessario utilizzare agenti chimici che siano tossici per i batteri, ma non dannosi per i tessuti, vi deve, cioè, essere una tossicità selettiva.
I composti da utilizzare per l’antisepsi della cute integra sono, in ordine di efficacia:
• Clorexidina al 2% in alcol atilico al 70%;
• Povidone ioduro in alcol etilico al 70%;
• Alcol etilico al 70%.
Quanto all’antisepsi della cute non integra, il metodo migliore è detergere con soluzione fisiologica ed eventualmente usare acqua ossigenata al
6%.
Antisepsi o batteriostasi: pratica finalizzata alla neutralizzazione di una carica microbica per blocco della riproduzione e non necessariamente per
uccisione dei germi.
Asepsi: procedimento finalizzato ad impedire la contaminazione da parte di microrganismi di substrati precedentemente sterilizzati.
Disinfettare significa eliminare selettivamente i microrganismi patogeni, attraverso l'utilizzo di disinfettanti chimici, fisici (calore) o meccanici
(filtri). A differenza della sterilizzazione, la disinfezione non elimina necessariamente tutti i microrganismi da una superficie, limitandosi ad
agire sui patogeni.
Profilassi antibiotica: Con il termine profilassi antibiotica si intende la somministrazione di chemioterapici secondo modalità ben definite, in
assenza di infezione in atto, allo scopo di prevenirne l’insorgenza e la successiva diffusione. L’uso dell’antibiotico in questo caso, quindi, non
ha finalità terapeutiche ma solo preventive.
In ambito ospedaliero una larga percentuale (circa il 30%) degli antibiotici è utilizzata a scopo profilattico e il loro uso comporta pur sempre un
rischio legato alla tossicità, all’insorgenza di resistenze batteriche e sovrainfezioni micotiche.
differenza tra antibiotici e chemioterapici: entrambi sono farmaci antibatterici. La differenza, all'origine, si basava sul fatto che i chemioterapici
sono farmaci di sintesi, mentre gli antibiotici hanno un'origine naturale; questi ultimi provengono, ad esempio, dal metabolismo di miceti
(muffe) o da quello di determinati batteri (streptomiceti).
In chirurgia, invece, per profilassi si intende la somministrazione di un farmaco prima che si verifichi la contaminazione batterica del campo
operatorio ed il successivo sviluppo di un’infezione del sito chirurgico. La profilassi non ha, quindi, lo scopo di sterilizzare i tessuti, ma quello
di ridurre la carica microbica nel sito di intervento ad un livello che possa venire controllato dalle difese dell’ospite.
Tossicità selettiva: inoltre, affinché un farmaco antibiotico agisca in vivo sui batteri occorre che abbia nei loro confronti una tossicità selettiva,
cioè che agisca sui batteri e sia innocui, invece, per l’uomo. E il presupposto di ciò è che vi siano strutture, organuli o molecole dei batteri che
non abbiano un equivalente nell’uomo, oppure che abbiano una via biosintetica diversa.
Una molecola con queste caratteristiche è, ad es., il peptidoglicano, componente della parete batterica, bersaglio dell’azione delle penicilline e di
tutti i farmaci derivati, detti beta-lattamici dall’anello beta-lattamico che li caratterizza e che, invece, è assente nell’uomo.
Quanto alla resistenza agli antibiotici, essa dipende da diversi fattori, ma uno dei principali è l’uso continuo negli ospedali e l’abuso da parte
della popolazione, ma dipende anche da alcuni meccanismi, quali ad es.:
• Produzione di enzimi che distruggono la parte attiva dell’antibiotico;
• Mutazioni di molecole della membrana esterna o della membrana citoplasmatica che impediscono l’accesso al citoplasma; • Produzione di
pompe molecolari che espellono velocemente l’antibiotico dal citoplasma;
• utilizzo sempre più diffuso di carni provenienti da allevamenti intesivi che fanno largo uso di antibiotici per accelerare la crescita del bestiame
e prevenire lo scoppio di epidemie
CAMPIONAMENTO
L’analisi batteriologica di un determinato campione richiede, per assicurare risultati validi e di alta qualità, che uno specifico materiale biologico
venga raccolto e trasportato in accordo con le raccomandazioni emanate dagli enti internazionali; un campionamento eseguito al di fuori di
queste raccomandazioni contribuisce a diagnosi errate e, di conseguenza, a terapie antimicrobiche inappropriate o inutili.
Un adeguato campionamento mantiene 4 punti fondamentali:
- Qualità dipende dall’esecuzione del prelievo e la sito del prelievo (sangue, feci, urina, liquor)
- Sterilità
- Mantenimento ad esempio, mantenere i virus in condizioni ottimali poiché in ambiente extracellulare ha ridotta capacità di
sopravvivenza, mantenere temperature adeguate per non attivare enzimi, come le nucleasi.
- Trasporto
In batteriologia si fa isolamento e ricerca nei sistemi diagnostici di tipo sindromico (se io ho una patologia nel SNC, ho la possibilità di utilizzare
una tecnologia che in simultanea mi ricerca diversi agenti infettanti in un campione di liquor).
In virologia si fa una ricerca diretta del virus in cellule provenienti dal sito attivo di replicazione. La ricerca diretta si esegue attraverso
l’isolamento, o la ricerca di componenti virali con anticorpi specifici (dna, rna e proteine, cosiddetta ricerca antigenica fatta come primo
screening di base, i drive-in, è meno sensibile).
Il campione per microbiologia e parassitologia non deve essere posto in terreni non agarizzati, a 4 o 8 gradi per la micrologia e a t ambiente per
la virologia.
Va evitato lo stress termico dei campioni: se i tempi di trasporto sono brevi, non è necessario il congelamento, ad esempio nei virus di
pericapside rischiamo di romperlo (nel citomegalovirus ogni ciclo di megalovirus lo rompe del 90%).
Per mantenere una temperatura bassa possiamo usare le mattonelle di ghiaccio sintetico.
Inoltre, le linee guida per una corretta selezione e raccolta dei campioni includono i seguenti punti:
• Selezionare il sito anatomico appropriato, preferibilmente il sito rappresentativo del processo infettivo, prima che vi sia prescritta una terapia
antibiotica;
• Evitare la contaminazione con la flora commensale, anche se nella pratica molti siti di raccolta dei campioni sono contaminati da quantità
variabili di batteri commensali;
• Quando si sospetti il coinvolgimento di batteri anaerobi, l’agoaspirato e la biopsia di tessuti sono i metodi appropriati per la raccolta di
campioni, mentre non è appropriato l’uso di tamponi;
• Raccogliere un volume sufficiente di materiale per permettere l’esecuzione di tutti i test necessari;
• Identificare ogni campione con il nome del paziente, il tipo di materiale, la data e l’orario di raccolta;
• Usare contenitori che consentano la sopravvivenza di eventuali batteri patogeni presenti;
• Formulare correttamente la richiesta di indagine.
Rifiuto del campione: vi sono specifici criteri di rifiuto di un campione biologico che ne impediscono un corretto esame microbiologico:
• Tutti i campioni conservati in formalina;
• Contenitore non etichettato o discrepanza tra l’identificazione del paziente riportata sulla richiesta e l’identificazione sul contenitore;
• I campioni inviati in laboratorio oltre i tempi di raccolta previsti;
• Il materiale di vario genere posto su vetrino per esame batterioscopico, in quanto l’allestimento dei vetrini è compito del laboratorio;
• Un singolo tampone inviato in laboratorio per richieste multiple (es. ricerca di aerobi, funghi e micoplasmi);
• L’invio del campione in un contenitori inappropriato, non sterile o contaminato o in cui vi sia perdita di materiale;
• I materiali non raccolti adeguatamente per la ricerca di germi anaerobi (es. tamponi anziché ago aspirati).
Coltura di CVC
Metodo di raccolta appropriato:
• Pulire la cute intorno al sito del catetere con alcol;
• Asetticamente rimuovere il catetere e tagliare con forbice sterile 5 cm della punta distale ponendola in un contenitore sterile (es. contenitore per
urinocoltura);
• Chiudere il contenitore con coperchio a tenuta.
Tempo di trasporto e conservazione: max 2 ore.
Espettorato spontaneo
Non è il materiale idoneo per la diagnosi delle infezioni ospedaliere; idoneo sarebbe il BAL.
Metodo di raccolta appropriato:
• Raccogliere il campione sotto diretta supervisione di un operatore sanitario;
• Far eseguire al paziente dei gargarismi con acqua sterile per lavare il cavo orale;
• Istruire il paziente a tossire profondamente in modo da produrre un campione respiratorio profondo, proveniente cioè dalle basse vie (escludere
saliva, secrezioni orofaringee e drenaggio dei seni proveniente dal rinofaringe), e raccogliere il campione in un contenitore sterile (es. per
urinocoltura).
Tempo di trasporto: max 2 ore.
Urina
Metodo di raccolta appropriato:
• Donna: raccolta del mitto intermedio tenendo le labbra distanti e scartando i primi millilitri senza interrompere il flusso; • Uomo: raccolta del
mitto intermedio ritirando il prepuzio prima della raccolta delle urine e scartando i primi millilitri senza interrompere il flusso; • La procedura
deve essere preceduta da un accurato lavaggio dei genitali esterni;
• In casi particolari, è possibile la raccolta mediante catetere o puntura sovra pubica;
• Utilizzare un contenitore sterile di almeno 10 ml a chiusura ermetica.
Tempo di trasporto: max 2 ore.
Ad esempio,
Ab: 4/8 = 0,5
Alb: 8/10 = 0,8 (barriera ematoencefalica alterata)
R = 0,6
Per rapporti minori o uguali ad 1,5 il rapporto non è significativo, ma allo stesso tempo non posso escludere un fattore infettivo.
CORONAVIRUS
A prescindere dalla sua provenienza, è un virus nuovo con caratteristiche anomale, con regole particolari e capacità di diffusione notevoli con
rare mutazioni. E’ un virus a RNA con grandi capacità di mutazione, ma fortunatamente fino ad adesso non ha fatto mutazioni pericolose. Ad
oggi, il ceppo Wuhan è stato soppiantato dalla variante inglese nella sua totalità, ed è una variante con capacità infettante particolarmente
sviluppata.
Il virus è arrivato con tutta probabilità nel dicembre 2019, e i primi casi si sono avuti nei primi mesi del 2020, la diffusione ha riguardato soggetti
con fragilità.
La comunità internazionale ha messo a punto metodiche diagnostiche per la rilevazione del virus (provette, mascherine, camici ecc).
Percorso diagnostico
Il campione attualmente è il tampone rino-faringeo; deve essere eseguito con due tamponi diversi, in un’unica provetta. Il significato di questa
procedura è aumentare il reperimento dell’agente infettante, in quanto uno solo dei due avrebbero potuto non contenere adeguate quantità di
materiale per il reperimento dell’infezione. La cosa che più urgeva era identificare il positivo per isolarlo e non diffondere il virus.
Per il tampone faringeo vengono usati tamponi “floccati” con capacità elevata di acquisizione delle cellule, che può essere rilasciata con
manovra di agitazione.
Il tampone nasale invece prevede l’utilizzo di un tampone più breve e spesso rispetto al faringeo, entrambi molto sottili ma con una distribuzione
del materiale di reperimento differente. A livello delle coane bisogna ruotare il tampone gentilmente 4-5 volte, estrarlo e rifarlo nell’altra narice,
dopodiché va inserito nella provetta e trasportato in maniera da mantenere l’integrità dell’acido nucleico.
Ogni campione va immediatamente identificato con targhetta e dati del paziente sulla provetta, oltre che con la scheda di accompagnamento
(anche se rimane, su 10 campioni, una sola senza etichetta ma con scheda di accompagnamento E’ VIETATO utilizzarla, occorre rifare il
tampone).
Per un risultato maggiormente accurato, il tampone non deve essere fatto prima di tre giorni dal momento del contatto.
In molecolare, in real time PCR si utilizza un sistema di amplificazione a cicli (raddoppiano le molecole di acido nucleico ad ogni ciclo), si ha un
incremento di tipo esponenziale; questo comporta un vantaggio nella evidenziazione di un positivo, ma l’interpretazione del dato è più
complessa perché si vede solo l’acido nucleico, e non la sua replicazione. In altre tecniche, si utilizzano tre elementi che ci danno una maggiore
probabilità di reperire l’agente infettante: il problema è che molti pz hanno per lungo periodo frammenti di RNA nelle mucose, e ciò possono
trovare positivi anche se non sono infettanti al momento.
Metodica di tampone è importante essere delicati perché gli strumenti sono molto delicati, hanno un valore predittivo negativo ( se il tampone
è negativo, dando per assurdo che il campione è stato fatto bene, quel tampone è proprio negativo), mentre la presenza di acido nucleico può
significare che il soggetto è infettante come no, perché potrebbero esservi tracce nelle mucose.
Per la presenza di antigeni si fa una cosa diversa. Il tampone (solitamente solo nasale) viene stemperato, risospeso rigirandolo nella provetta,
spremuto e si chiude con 5 gocce di sospensione: si lascia reagire per 15 minuti, in caso di positività compaiono due bande.
Il test antigenico ricerca la presenza di proteine, che ci dicono se il virus è presente o lo è stato; la presenza di RNA ci dice se il virus potrà
essere eliminato, le proteine invece possono permanere nelle mucose anche nel tempo. Il tampone rapido ha permesso di fare uno screening di
massa: hanno un valore predittivo positivo discreto, ma predittivo negativo scarso. Essendo poco sensibile, il tampone può dare positività dopo
1-10 giorni, ma potrebbe dare negatività anche con il pz infettante.
Con questi test riusciamo in 10 minuti ad individuare i positivi, mentre quelli falsamente negativi possono sfuggire.
Nella prima infezione l’organismo è impreparato, la sua risposta è più lenta e prevede un innalzamento delle igm nei 7-15 gg dal momento del
contagio raggiungendo un picco in circa 3 mesi, che poi decrementa lentamente; nelle 2-3 settimane successive all’infezione si innalzano le igg
specifiche, con capacità di neutralizzazione importante e blocco dell’agente patogeno. Le igg crescono rapidamente e raggiungono un picco in
alcuni mesi, fino alla totale negativizzazione.
Nella reinfezione abbiamo già anticorpi di memoria, sia a livello mucosale come le iga sia a livello umorale circolanti.
Nella reinfezione le IgG si innalzano rapidamente, e abbiamo una risposta significativa in tempi più brevi; le IgM non dovrebbero comparire,
sono a basso livello; le IgA di tipo umorale vanno come le IgM, ma le igA non si negativizzano, possono avere significato in caso di reinfezione
ma sono pochi i laboratori che fanno queste metodiche.
La presenza di IgM hanno valore solo di campanello d’allarme di infezione primaria recente, indice certo di prima infezione in atto.
Le diagnosi si basano, per essere corrette, su una corretta anamnesi, sulla possibilità di fare due prelievi con minimo 15 gg nello stesso lab,
perché ogni laboratorio potrà dare risultati diversi.
Avidità delle igG è un test che serve per capire se posso escludere l’infezione nelle ultime x settimane (tempi lunghi)
Le IgG hanno una capacità di legarsi all’antigene in modo diverso, una forza di legame che dipende dal momento in cui è avvenuta l’infezione:
nelle IgG prodotte in tempi vicini al prelievo avranno scarsa capacità di legame, a bassa affinità (= avidità); questo parametro va utilizzato per
sapere, con oltre il 97% di probabilità, che l’infezione non è avvenuta da x settimane rispetto al prelievo, che varia a seconda del tipo di
microrganismo
Nella toxo, un indice di avidità alto indica con buona probabilità che l’infezione è avvenuta circa 16 settimane prima del prelievo
Nel citomegalovirus, un’alta avidità esclude l’infezione nelle ultime 12 settimane
Per la rosolia esclude l’infezione nelle ultime 8 settimane (poco in uso)
Quindi prima infezione avremo bassa avidità, reinfezione (preimmune) alta avidità
Le IgG possono essere già a plateau se lo facciamo a distanza di parecchio tempo (livello max), le IgG possono inoltre innalzarsi per reinfezione;
con buona garanzia ma non con certezza, la diagnosi sierologica di prima infezione deve rispettare i tre parametri principali, IgG ed IgM su
doppio prelievo e avidità IgG almeno sul primo prelievo (logicamente il test di avidità delle IgG si chiama così perché si fa se ci sono le IgG,
inoltre non serve se da recenti analisi risultano alte IgG e IgM perché l’infezione è almeno avvenuta nelle ultime 4-6 settimane).
L’immunizzazione è importante, ma nel tempo, in assenza di contatto, può portare ad una caduta dell’immunità, e questi soggetti devono
“rinnovare” l’immunità con dei richiami. Ma perché questo non avviene per il morbillo? Per via della maggiore infettività e per il fatto che è un
virus che ha una capacità di provocare una fortissima risposta immunitaria, a differenza di quello per la parotite che è più lieve (analisi articolo).