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Indice
Definizione
Fiammata, epidemia o pandemia?
Quattro famiglie di epidemie
Una falsa sensazione di sicurezza
I vaccini
Le epidemie nella storia
Vaiolo
Peste di Giustiniano
Peste nera
Influenza spagnola
Influenza asiatica
Influenza spaziale
Influenza pandemica (o suina)
Coronavirus
Le epidemie
Si definisce epidemia (dal greco ἐπί + δῆμος, sopra il popolo, sopra le persone) il diffondersi di
una malattia, in genere una malattia infettiva, che colpisce quasi simultaneamente una collettività
di individui, con una ben delimitata diffusione nello spazio e nei tempi, avente la stessa origine.
https://it.wikipedia.org/wiki/Pandemia
Un’epidemia o una pandemia possono essere causate da un batterio o da un virus già noti,
quando la percentuale di persone vaccinate non permette (o non permette più) la protezione
attraverso l’immunità collettiva. Può anche essere dovuta a un batterio o a un virus comparsi
recentemente, come l’AIDS nel 1983 o il coronavirus SARS nel 2002-2004.
Quanto all’influenza stagionale, si tratta di una malattia contagiosa causata da diversi ceppi di
virus. Alcuni ceppi appaiono regolarmente attraverso mutazioni e incroci, creando nuove minacce
per le popolazioni. Perciò, i vaccini contro l’influenza cercano di immunizzare le popolazioni contro
diversi ceppi contemporaneamente: i virus già noti e i nuovi mutanti, quelli che gli specialisti
temono di più perché potrebbero scatenare una nuova pandemia letale, come già avvenuto nel
1918, nel 1957, nel 1968 e 2009.
In seguito a queste epidemie, gli individui che sopravvivevano all’infezione erano immunizzati,
cosicché, successivamente, le malattie infettive potevano colpire solo i bambini piccoli. Perciò, il
morbillo è spesso percepito - a torto - come una malattia infantile. Esattamente come il vaiolo
causato da un virus particolarmente contagioso che ha imperversato a lungo. GMa grazie a grandi
campagne di vaccinazione condotte a partire dal 1958 su scala mondiale, il vaiolo ha potuto
essere debellato nel 1979, cosicché la vaccinazione ha potuto essere interrotta. Anche la
poliomielite o la difterite che colpiscono soprattutto i bambini di età inferiore a 5 anni, sono ormai
sotto controllo nella maggior parte delle regioni del globo. Anche il morbillo, pur essendo molto
contagioso, non circola più in alcune regioni del mondo dove il tasso di vaccinazione è sufficiente.
Nel XIX secolo, in Svizzera, è il colera ad aver segnato più a fondo gli animi. Ma se si tiene conto
delle persone malate e dei decessi, il colera ha fatto meno vittime della tubercolosi o dell’influenza
spagnola del 1918 che ha causato nel Paese la morte di 21’000 persone, il 70% delle quali aveva
tra 20 e 49 anni.
La storia dell’uomo, così come quella degli animali, è stata caratterizzata da decine
di epidemie e pandemie causate da virus ignoti e da altri che abbiamo imparato a conoscere
molto bene. Nell’ultimo secolo, per esempio, la tristemente famosa influenza spagnola del 1918
contagiò mezzo miliardo di persone uccidendone almeno 50 milioni, anche se alcune stime
parlano di 100 milioni di morti.
La maggior parte delle pandemie hanno un’origine animale. Sono, cioè, delle zoonosi. In alcuni
casi nascono dalla stretta convivenza tra persone e animali da allevamento e sono poi favorite
dai grandi agglomerati urbani con elevata densità abitativa. Altre epidemie, invece, sono state
determinate dalla colonizzazione e dalla conquista di nuovi territori: virus e batteri sconosciuti ai
sistemi immunitari delle popolazioni autoctone hanno causato vere e proprie stragi. Ne è un
esempio il periodo della conquista spagnola in America del Cinquecento, quando il vaiolo uccise
quasi tre milioni di indigeni mesoamericani e contribuì all’invasione dei conquistadores europei
molto più di fucili e moschetti. Di epidemie e pandemie si è parlato anche in tempi più recenti: un
esempio riguarda il 2009 con l’influenza A/ H1N1 (suina) e il Sars-CoV-2, causa della pandemia
di Covid-19. Ma cosa significa esattamente pandemia? Può essere usata come sinonimo di
epidemia? Vale la pena di provare a fare chiarezza su qualche termine.
Quando un virus nuovo o sconosciuto viene a contatto con l’uomo, i risultati non sono quasi mai
prevedibili. Può accadere che non si adatti per nulla al nuovo ospite, venendo controllato
dal sistema immunitario e non causando alcun danno. In questi casi, chi viene a contatto con un
patogeno può non accorgersene neppure. In altri casi, invece, il virus riesce a colpire le cellule
umane (a volte di uno specifico tessuto, come in quest’ultimo caso quello polmonare), causando
sintomi di varia natura e gravità: se pensiamo alla capacità del virus di creare danni al nostro
corpo, allora stiamo pensando alla sua «patogenicità». Chiaramente, la sua forma più estrema è
rappresentata dal decesso del paziente: in questi casi possiamo valutare la letalità del virus,
ovvero il numero di morti sul totale dei pazienti che hanno contratto quella specifica malattia.
Tutt’altro parametro è invece la contagiosità o infettività. In questo caso, i termini sono associati
alla capacità del virus di diffondersi da un individuo a un altro: più un virus è infettivo, più si
diffonderà velocemente all’interno della popolazione.
La malattia
La malattia è parte integrante della storia dell'umanità. Attualmente ci troviamo esposti
alla minaccia del Coronavirus, ma è da quando l'essere umano ha iniziato a organizzarsi in
società e a creare nuclei di persone che convivono insieme nello stesso spazio che le
malattie contagiose hanno assunto un ruolo particolare. Contemporaneamente alla crescita
della popolazione mondiale, quando una malattia si diffondeva e colpiva varie regioni del pianeta,
diventando una minaccia per la popolazione, le prime pandemie iniziarono ad essere
documentate. Queste pandemie hanno talvolta trasformato le società in cui sono comparse e,
molto probabilmente, hanno cambiato o influenzato in modo decisivo il corso della storia.
Vediamo insieme le pandemie che hanno tenuto in scacco l'umanità:
Per secoli le epidemie di peste hanno seminato distruzione in tutto il mondo. Quando la Morte nera
colpì l'Europa verso la fine degli anni 40 del quattordicesimo secolo, uccise quasi un terzo della
popolazione. Ora un nuovo studio cui partecipano molte nazioni ha ricomposto la storia evolutiva
globale della mortale malattia. Le scoperte, presentate nella rivista Nature Genetics, potrebbero
portare a migliori misure di tracciamento e preparazione per possibili epidemie future. Il team,
formato da ricercatori del mondo accademico, industriale e governativo provenienti da Europa,
Cina e Stati Uniti, ha utilizzato il confronto storico e filogenetico di 17 isolati di Yersinia pestis
(batterio della peste), provenienti da fonti internazionali, per ricostruire il devastante impatto
globale del batterio. Secondo il team, la peste si è evoluta nelle vicinanze della Cina più di 2000
anni fa e ha lanciato il suo attacco globale in un certo numero di epidemie. I rapporti tra le
popolazioni e le malattie infettive pandemiche sono esistite per anni, dicono gli esperti,
aggiungendo che queste malattie hanno giocato un ruolo fondamentale nel modellare le civiltà.
Alcuni scienziati ritengono che la peste causò la devastazione dell'Impero Bizantino (chiamato
anche Romano d'Oriente) nel VI secolo. La peste di Giustiniano indebolì l'impero, sia politicamente
che economicamente, e creò le condizioni per il suo crollo definitivo. E chiunque creda che la
peste sia confinata ai libri di storia dovrebbe notare che la malattia è riemersa in alcune zone
dell'Africa solo pochi anni fa. In questo ultimo studio, guidato dal professor Mark Achtman
dell'University College Cork, Irlanda, il team di ricerca ha scoperto che stirpi (popolazioni) della
peste, specifiche di vari paesi, potevano essere identificate dalle mutazioni accumulate nei loro
genomi. "Ciò che mi ha entusiasmato dei risultati è il fatto che possiamo collegare in modo così
accurato le informazioni genetiche a importanti eventi storici," ha sottolineato il professor Achtman.
Queste mutazioni eccezionali potrebbero aiutare i ricercatori a comprendere meglio le future
epidemie in cui compare la peste. Il fingerprinting genetico del DNA (acido deossiribonucleico) può
aiutare a caratterizzare le epidemie di peste naturali e quelle causate dall'uomo. Questo è
importantissimo poiché la gente ha usato la peste come un'arma biologica. A causa della natura
molto sensibile della malattia, i ricercatori hanno lavorato su 17 sequenze genomiche complete
della peste e su 933 siti variabili nel DNA della collezione più grande al mondo di isolati della
peste. Le informazioni raccolte dal team hanno permesso di tracciare l'evoluzione delle epidemie
storiche nel mondo e di determinare l'età delle varie ondate di questa malattia mortale. Secondo gli
esperti, i ricercatori possono ora collegare la maggior parte di questi eventi ai registri storici
conosciuti. "Il sequenziamento di ulteriori batteri della peste è stato fondamentale per
l'identificazione di impercettibili ma importanti differenze in questo giovane patogeno umano
evolutivo," ha spiegato il dott. Mark Eppinger dell'Institute for Genome Sciences (IGS) della School
of Medicine dell'Università del Maryland negli Stati Uniti, uno dei primi autori dello studio. Da parte
sua, il dott. Paul Keim della Northern Arizona University e del Translational Genomics Research
Institute negli Stati Uniti ha detto: "Gli epidemiologi del futuro possono imparare da questa
ricostruzione su scala millenaria di una malattia devastante per prevenire o controllare le future
epidemie di malattie infettive." Il professor Achtman ha concluso dicendo: "La cosa stupefacente di
questi risultati è rappresentata dal fatto che è stato possibile usare informazioni attuali sul genoma
per collegare in modo accurato epidemie passate di peste a importanti eventi registrati nella storia
dell'umanità." Allo studio hanno contribuito anche esperti provenienti da Francia, Germania,
Madagascar e Regno Unito.
Se quella che il mondo sta sperimentando non è, in termini di mortalità assoluta e relativa, fra
le peggiori pandemie della storia dell'uomo, è probabilmente solo grazie alle misure di
contenimento che sono state prese quasi ovunque sul pianeta e alle migliori condizioni
dell'assistenza sanitaria rispetto al passato. E' quanto risulta da uno studio comparato sui dati
storici, realizzato dai ricercatori di Deutsche Bank. "Non si era mai vista prima una situazione in cui
quasi tutta l'economia globale e' stata posta in condizioni di lockdown" si legge nella premessa.
"Detto questo, quanto grave è questa pandemia rispetto a quelle viste attraverso la storia? O
meglio, quanto grave finirà per essere?".
Lo studio mette a confronto i dati sulla mortalità delle 27 peggiori crisi epidemiche della storia
umana, a partire dalla Peste antonina del Secondo secolo dopo Cristo per finire con l'attuale del
Covid-19. Considerando i numeri dei morti tramandati dai testi storici in rapporto alla popolazione
mondiale nei rispettivi momenti, la peggiore è stata di gran lunga la Peste nera che nel
Quattordicesimo secolo sterminò oltre il 40% della già poco popolosa umanità dell'epoca, seguita
dalla Peste di Giustiniano, che nel Sesto secolo d.C. aveva registrato una mortalità del 28%.
Sono livelli mai raggiunti in nessuna altra occasione della storia: il tasso dell'Influenza spagnola,
un secolo fa, fu del 2,73%.
Oltre a dipendere dal fatto che nei secoli la popolazione della terra è aumentata esponenzialmente
(dai poco piu' di duecento milioni di umani nei primi secoli dopo Cristo si è passati ai 1,8 miliardi
dell'epoca della Spagnola per arrivare agli attuali 7,7 miliardi di abitanti del pianeta), la riduzione
della mortalità si deve anche ai clamorosi miglioramenti delle condizioni igieniche e sanitari di
quasi tutti i paesi e, nel caso del Covid-19, ai provvedimenti di chiusura delle attività in gran parte
del globo, a loro volta determinati dal "basso livello di tolleranza" rispetto alla morte caratteristico
delle società attuali. Questo, deducono gli studiosi, determinerà analoghe scelte di interruzione
delle attività per contrastare la diffusione dei virus anche nelle molto probabili pandemie del futuro,
si legge nel rapporto.
Una delle maggiori difficoltà incontrate dai ricercatori è stata legata all'individuazione di un tasso di
mortalità affidabile per il coronavirus: allo stato attuale, è pari allo 0,002% della popolazione
mondiale, ma lo studio cita l'esempio dell'elevatissimo rapporto morti/malati registrato
in Italia (oltre il 12%), spiegando che è molto probabilmente dovuto alla sottostima del numero
dei contagiati, nonostante si riconosca che l'Italia è fra i paesi che effettuano il maggior numero di
tamponi.
Quanto alle simulazioni "senza lockdown", i ricercatori DB provano a basarsi su quanto accaduto
sulla nave Diamond Princess: in quel caso, spiegano, il tasso di mortalità e' pari allo 0,23% che
proiettato su una scala mondiale porterebbe a 17,6 milioni di vittime: in termini assoluti, l'attuale
pandemia diventerebbe, senza l'effetto mitigatore delle misure restrittive, la quinta più letale della
storia; in termini relativi, la 13/ma.
In conclusione, spiega il rapporto, se questa non è la peggior pandemia della storia, lo dobbiamo
con ogni probabilità soprattutto alle misure di lockdown, mai prima d'ora sperimentate dall'umanità.
Senza dimenticare che, in prospettiva, il livello resterà contenuto grazie all'auspicabile scoperta di
un vaccino efficace nella creazione di anticorpi per prevenire l'ulteriore diffusione del Covid-19.
La peste
Nel 1347 l’emergenza della peste nera fu affrontata dai medici di allora attingendo alla fonte
comune di Ippocrate e Galeno, il più delle volte accapigliandosi senza costrutto. Da qui la nascita
degli Uffici di Sanità con poteri amministrativi, una specie di periti peritorum che, con decisioni
dettate da buon senso più che da una vera e propria conoscenza scientifica, cercarono di arginare
il dilagare senza limiti di quella gravissima pandemia. Nella nostra penisola lo Stato di Milano, con
poteri più coercitivi, riuscì, meglio di Venezia guidata da una oligarchia commerciale, a reggere
l’urto dell’epidemia, facendo rispettare con forza la pratica della quarantena e con un controllo
pressoché totale su tutti gli aspetti della vita ordinaria.
Proveniente, molto probabilmente, dai focolai originari della Cina sudorientale e trasportata nelle
steppe centro asiatiche dopo il 1252 in occasione dell’invasione mongola dello Yunnam e della
Birmania, tale flagello arriva attraverso la Via della seta sulla costa nord del Mar Nero.
Per riflettere sulle sue modalità trasmissive è emblematica la vicenda dell’assedio mongolo nel
1346 della città di Caffa, l’odierna Teodosia (Feodosija), sulla costa sudorientale della penisola di
Crimea. L’anno precedente, un esercito di Kipchak al servizio del Khan Janibeg stava assediando
la città quando una spaventosa pestilenza scoppiò proprio tra le fila dei soldati mongoli. Dato che
la malattia avanzava rapidamente, il Comandante decise di porre rapidamente fine all’assedio
prima che il suo esercito ne fosse decimato. In quella che sembra proprio la prima applicazione del
concetto di ‘guerra biologica’, il Comandante mongolo fece catapultare i cadaveri delle vittime della
peste oltre le mura nella città”.
Da qui, attraverso i mercanti genovesi in fuga, dapprima a Pera, colonia genovese nei pressi di
Costantinopoli, per poi arrivare a Messina e a Marsiglia, la peste si incamminò nell’entroterra
italiano e francese, da dove ad ondate successive salirà ovunque verso le contrade dell’Europa
centrale e del nord, raggiungendo la Groenlandia e la penisola scandinava nel dicembre del 1350.
Nel nord Europa la pestilenza verrà chiamata mors atra, da cui metaforicamente peste nera, che
alcuni storici della medicina attribuiscono al colore dei bubboni o all’aspetto del sangue espulso dai
malati con le loro emottisi.
La peste nera oltre a devastare gli individui, le famiglie, i gruppi sociali e produttivi colpisce in
profondità credenze, valori e l’immaginazione: essa determina un vero e proprio shock
antropologico.
L’effetto è devastante: circa un quarto della popolazione europea del tempo (stimata da 17 a 28
milioni) muore, con punte più alte in genere nelle città più popolose e maggiormente esposte ai
traffici commerciali. Dal 1347 le esplosioni epidemiche di peste si susseguiranno periodicamente
con una ciclicità attorno ai dieci anni per oltre tre secoli.
Ora noi sappiamo a che la peste è conseguente all’infezione da Yersinia pestis, un batterio che
viene trasmesso: o indirettamente per puntura di ectoparassiti ematofagi: pulce del ratto
(Xenopsylla cheopis) e pulce dell’uomo (Pulex irritans); oppure più raramente per contatto diretto
con animali infetti (morsi) o per inalazione di goccioline respiratorie emesse da malati con la forma
polmonare.
Salassi, purghe, rimedi vegetali, nulla riusciva ad ostacolare la malattia. Cavare il “sangue cattivo”
divenne uno dei capisaldi della terapeutica medievale, nonché uno dei rimedi più utilizzati contro la
peste, e nello stesso tempo accelerante della fine. Apparentemente curioso era l’ammonimento
secondo il quale “prendere un bagno è cosa assai dannosa, poiché l’acqua schiude i pori del corpo
e per tale via l’aria corrotta penetra in noi, fortemente alterando i nostri umori”, ma in linea con la
fisiologia della respirazione mutuata dal Timeo (79 a-c) di Platone, secondo cui l’apertura dei pori
contribuisce alla circolazione dell’aria all’interno del corpo.
La sars
L’aviaria
La spagnola
L’attenzione verso la prima pandemia del XX secolo si è risvegliata in questi ultimi mesi, spinta
dall’esigenza di approfondire le condizioni che fecero da sfondo ad uno degli eventi più letali del
mondo moderno, la pandemia influenzale del 1918-19, passata alla storia col nome di “Spagnola”.
Sebbene la penisola iberica non avesse niente a che fare con l’origine della tremenda malattia,
non essendo tra i paesi belligeranti, i giornali, non sottoposti alla pesante censura di guerra,
pubblicarono le notizie sulla misteriosa malattia, sbarcata in Europa nella primavera del 1918. Fu
così che, con grande disappunto degli spagnoli, il loro Paese fu per sempre associato alla
pandemia, che, in tre diverse ondate, in meno di due anni, attraversò il mondo come un uragano,
rappresentando uno dei maggiori disastri sanitari degli ultimi secoli, superata solo per morbilità e
mortalità dalla Morte Nera (la peste del Trecento, ndr).
Stando alle stime più attendibili, in soli sei mesi, tra la fine di ottobre e l’aprile del 1919, colpì 500
milioni di persone (poco meno di un terzo della popolazione mondiale del tempo), uccidendone
circa 50, secondo le stime più caute. In Italia, che fu il paese più colpito in Europa, insieme al
Portogallo, le vittime furono 600 mila e negli Stati Uniti 675'000. La prima ondata si manifestò in un
campo militare americano nella primavera del 1918. Portata in Europa dalle truppe in arrivo dagli
Stati Uniti, si diffuse velocemente in Francia, Inghilterra, Italia. Durante la primavera ebbe un
carattere mite, non diverso dalla normale influenza stagionale che i medici conoscevano da
sempre e attribuivano al maligno influsso degli astri e alla loro sfavorevole congiunzione. La prima
definizione, infatti, si deve allo storico fiorentino ‘Matteo Villani’ che, nel 1358, spiegava con le
“costellazioni e aria fredda un’Influenza che aveva colpito poco meno che tutti i corpi umani della
città e distretto di Firenze e delle circostanti vicinanze”.
L’ondata primaverile, mite, non diversa dalle solite influenze stagionali, non mise dunque in allarme
i medici. Vincolati da un Decreto dell'ottobre del 1917, che puniva severamente chi provocava
allarme, deprimendo lo spirito pubblico, nelle settimane cruciali dell’epidemia, i giornali tacevano
sulla preoccupante escalation di quella strana influenza. Del resto, in estate parve scomparire.
Nella tarda estate, a partire da agosto- settembre ricomparve però con la forza di un uragano
devastante.
La malattia si manifestava bruscamente “con lieve catarro del naso” ed era caratterizzata “da
senso di molestia alla gola, da stanchezza, da dolori vaghi a tutto il corpo”. Seguivano rapidamente
la febbre, alta, in molti casi, testimoniavano i medici “preceduta da brivido o accompagnata da forte
mal di capo, l'arrossamento degli occhi che male sopportano la luce, la tosse stizzosa, molte volte
perdita di sangue dal naso”. Forse per non allarmare la popolazione, non si parlava delle possibili
e frequentissime complicazioni, responsabile dell’alta mortalità: tracheobronchiti, bronchiti acute,
catarri soffocanti, polmoniti lobari, ecc. Ad essere colpiti furono soprattutto i giovani adulti (20-40
anni), piuttosto che gli individui avanti con l’età.
La scienza medica brancolava nel buio. Le luminose certezze accumulate nell'ultimo ventennio
dell'Ottocento con la “rivoluzione batteriologica” si dissolvevano come nebbia al sole, mentre
infuriava una delle più micidiali epidemie di tutti i tempi: la malefica “semenza del morbo” restava
avvolta nel mistero : appariva sempre più chiaro che l’Haemophilus influenzae isolato nel contesto
della precedente pandemia del 1889-90 da un allievo di Koch, Richard Pfeiffer non era l’agente
causale dell’Influenza, mentre cominciava ad avanzare l’ipotesi di un agente infettivo di dimensioni
infinitesimali – ‘un virus ultra-filtrabile’. Ad uccidere - spiegavano tutti - non era l’influenza in sé,
bensì le complicazioni pleuropolmonari. Non esisteva profilassi: il consiglio divulgato dalle autorità
sanitarie e dai numerosi ‘avvisi’ pubblicati dai giornali, era di “evitare il contagio e di praticare
grande pulizia delle mani, delle cavità nasali, della bocca”.
La tremenda Spagnola trovava le popolazioni in condizioni di debolezza e prostrazione, dovute ai
lunghi anni di guerra. Ma trovava anche strutture sanitarie al collasso. Buona parte dei medici,
degli infermieri e dei farmacisti si trovava al fronte, mancavano le medicine e persino i generi di
prima necessità per i malati e i convalescenti. Le sparse informazioni parlano di cure a base di
tintura d'oppio canforata, di acido fenico, di iniezioni di percloruro di mercurio. Negli ospedali si
ricorreva, secondo i casi, a iniezioni ad alte dosi di canfora, al siero anti-pneumococcico, alla
somministrazione di fenolo e mentolo. Tra la fine di settembre e i primi di ottobre , si susseguirono
le misure profilattiche adottate dai sindaci e dagli ufficiali sanitari , sulla base delle circolari del
ministro dell'Interno: individuazione dei focolai epidemici; isolamento, se possibile, dei malati,
anche negli ospedali, dove erano proibite le visite; chiusura delle scuole, eliminazione dei contatti
con i malati e con possibili infetti; riduzione al minimo di riunioni pubbliche in locali chiusi come
teatri e cinematografi; disinfezione accurata e pulizia di case, uffici pubblici e chiese.
I vescovi impartirono ordini severissimi ai parroci perché non trascurassero la disinfezione di
banchi e confessionali. Era proibito suonare le campane a morto: il lugubre rintocco che scandiva
la giornata nelle grandi città come Milano e Roma- dove i morti, a metà ottobre, si contavano a
centinaia - era ritenuto deleterio per ‘lo spirito pubblico’. L'orario di chiusura di bettole, osterie e
rivendite di generi alimentari era fissato per le ore 21, mentre era prorogato l'orario di chiusura
delle farmacie. Tutte le feste patronali erano sospese. Le strade erano invase dall’odore di acido
fenico. Medici e infermieri dovevano usare una mascherina di garza. Manifesti e giornali
traboccavano di consigli per evitare l’influenza: evitare i luoghi affollati e gli ‘agglomeramenti’,
osservare la più scrupolosa igiene individuale, lavarsi le mani, non sputare, un’abitudine allora
diffusissima in tutti gli strati sociali. Molti presero a fumare nella convinzione che il fumo uccidesse
“i germi dell’influenza”. Altri intensificarono le bevute, con l’idea che l’alcol allontanasse la malefica
malattia. Adottata nelle grandi città degli Stati Uniti, la quarantena e le altre restrizioni non furono
adottate in Italia, dove lo stato di guerra esigeva la libera circolazione di uomini e mezzi.
Mentre cresceva l'attesa della fine del sanguinoso conflitto, una serie di proibizioni - provenienti da
sindaci, medici provinciali, prefetti - modificò nel profondo la vita quotidiana della gente: proibito
recarsi a visitare gli ammalati, andare in chiesa, portare le condoglianze alle famiglie dei defunti,
un uso radicato nelle tradizioni popolari, seguire i funerali.
Al calare della notte i circoli, i caffè, le bettole chiudevano i battenti facendo precipitare nel buio le
strade della città. Da un giorno all’altro, anche aree lontane dalla zona di guerra, le popolazioni
civili furono sottoposte ad una rigida disciplina, quasi militare. Nelle farmacie la gente faceva la fila
per acquistare chinino e aspirina. L'impegno profuso dai giornali nel minimizzare e l'assoluto
silenzio sulle reazioni popolari, non riesce a nascondere del tutto l’ansia, lo sgomento e la paura,
l’impatto di misure che modificavano il vissuto della gente.
Nella prima decade di novembre del 1918, mentre nei laboratori, i ricercatori sperimentavano il
fallimento dei tentativi di preparare un siero immunizzante efficace con cui eseguire esperimenti
sugli animali ed applicazioni terapeutiche, la pandemia sembra allentare la presa, dopo aver
attraversato l’Italia come un uragano, facendo fare un balzo del 21 per mille alla mortalità ordinaria
nelle regioni più colpite (Lazio, Sardegna, Basilicata, Calabria). Ma nell’inverno 1918-19, favorita
forse anche dagli ‘agglomeramenti’ provocati in novembre dalle grandi manifestazioni di piazza di
folle festanti per la fine della guerra e la firma dell’armistizio- si verifica una ‘terza ondata’ più mite,
legata anche al fatto che come per altri ceppi influenzali, l’influenza doveva essere diventata più
attiva nei mesi invernali. Infine, verso la metà del 1920, a circa due anni dal suo esordio, quel
ceppo mortale di influenza sembra scomparire, anche se non abbiamo dichiarazioni solenni o
memorabili sull’uscita di scena di ‘quel morbo così funesto per l’umana gente’ – per riprendere le
parole del direttore del Laboratorio batteriologico della Sanità pubblica, Bartolomeo Gosio.
Che, in una pubblicazione sugli Annali d’Igiene (1922)9 ammette che ‘per fortuna dell’umanità’ era
venuto ‘in gran parte a mancare il materiale clinico d’indagine’, anche se era ‘da temersi purtroppo
che la semenza del morbo non fosse spenta’. Cosa che suscitava l’inquietudine di igienisti e
patologi, impegnati a discutere, nel 1921-22, se ‘i parossismi’ più o meno accentuati di quel biennio
fossero ‘epidemie di ritorno’. Si può però dire che la fine della Spagnola si verificò, a due anni di
distanza dal suo esordio: il virus aveva circolato in tutto il mondo, infettando così tante persone da
ridurre il numero di nuovi ospiti suscettibili perché il ceppo influenzale diventasse di nuovo una
pandemia. Si calcola che un terzo della popolazione mondiale avesse contratto il virus che verrà
isolato solo nel 1933. Stando alle ultime ricerche10, quella catastrofe fu provocata da un
virus A/HIN1 di probabile origine aviaria, completamente nuovo per la popolazione umana, che
quindi non aveva difese nei suoi confronti. Nel 2005, un gruppo di ricerca ha annunciato
su Science e Nature di aver determinato con successo la mappatura del genoma, grazie al
recupero dal corpo di una vittima sepolta nel permafrost dell'Alaska e da campioni di soldati
americani morti di Spagnola.
L’esperienza del passato è quanto mai importante nell’affrontare un tema come quello delle
pandemie influenzali, eventi che si ripetono nel tempo, senza dimenticare che i fenomeni epidemici
ricorrono spesso con le stesse modalità, anche se non in maniera del tutto simile. Il susseguirsi
delle diverse ondate epidemiche della Spagnola, dalla più mite alla più grave, propone un possibile
andamento naturale delle epidemie. Le lezioni del passato sono preziose e le conoscenze
acquisite dalla ricostruzione storica degli eventi pandemici rappresentano un punto di riferimento,
restando però pronti - come c’insegna l’attuale pandemia causata da un altro virus che il mondo
sta affrontando – a far fronte a dinamiche nuove, bizzarre e inattese, perché anche i virus
modificano i loro comportamenti in un mondo globale e in continua evoluzione.
HIV (AIDS)
COVID 19
Sitografia
https://www.infovac.ch/
https://www.fondazioneveronesi.it/
https://www.vaccinarsi.org/
https://cordis.europa.eu/
https://www.storicang.it/
https://it.wikipedia.org/