Anche se la peste in Europa sembra non operare più da secoli, la parola "peste" è
rimasta ben viva nella nostra lingua in espressioni come "peste ti colga" o "quel
ragazzo è una peste" o "dire peste e corna di qualcuno" , o negli aggettivi derivati
"pestifero" e "pestilenziale"La peste da sempre ha fatto irruzione nella vita degli
uomini, portando loro dolore e morte. E' difficile accettare un dolore troppo grande;
più facile se gli si attribuisce un senso. Questo è il perno di ogni lettura sacra. Nella
BIBBIA la peste non viene per nulla, ma per insegnare; infatti viene interpretata
come risultato di una colpa, vendetta o monito superiore. La sua comparsa non può
essere imprevista, nè casuale: è annunciata con solennità dalla voce stessa di DIO,
espressione diretta della sua volontà. Al contrario di altri testi, la BIBBIA è
completamente indifferente alla narrazione vera e propria della malattia. Pone,
invece, grande attenzione alle cause di cui essa è proseguimento ed effetto naturale.
La peste è nota da almeno 3000 anni. In Grecia sono state registrate epidemie fin dal
224 a.C. Un' epidemia di peste entrò ad Atene, sconvolgendola e decimandone la
popolazione, proprio nel 430 a.C., un anno dopo l' inizio della Guerra del
Peloponneso, colpendo una buona parte della popolazione e lo stesso Pericle, l' uomo
politico che aveva voluto la guerra e l' egemonia ateniese nel Mar Egeo. Le notizie
che abbiamo su questo fatto sono riportate in Tucidide e Lucrezio. Nel Medioevo la
malattia si è presentata in enormi pandemie che hanno distrutto le popolazioni di
intere città, come la cosiddetta "peste nera". In seguito le epidemie si sono verificate
in modo più sporadico e l'ultima, risalente al 1894, si è sviluppata in Cina, da dove si
è diffusa in Africa, nelle isole del Pacifico, in Australia e nelle Americhe,
raggiungendo San Francisco nel 1900. La peste è tuttora presente in Asia, Africa,
Sudamerica e Australia (dove esistono i cosiddetti serbatoi della peste), ma compare
raramente in Europa o in Nordamerica. Nel 1950 l'Organizzazione mondiale della
sanità ha dato inizio in tutto il mondo a programmi sanitari per il controllo della
peste. Oggi si parla frequentemente dell' Aids come peste del duemila(AIDS: malattia
causata da un retrovirus umano, l’HIV, che colpisce il sistema immunitario umano
rendendolo sempre più debole. La morte avviene per altre malattie come la
tubercolosi o la polmonite. Può stare in incubazione per 10 anni).
Si è meritata più di altre la definizione di "peste del duemila" per i seguenti motivi: 1) il panico
generato dalla notevole diffusione, del resto facilmente evitabile con poche e semplici
precauzioni;
2) il carattere di punizione divina o di condanna morale strettamente collegato da alcuni alla sua
diffusione, come era avvenuto per la "peste nera";
3) l' isolamento e l' emarginazione dei colpiti dalla malattia, cosa del resto
assolutamente immotivata da un punto di vista scientifico e che ha portato solo alla
creazione di un grave problema sociale e alla dimenticanza del fatto che gli ammalati
sono persone che hanno anzi maggiormente bisogno di conforto e di affetto
Oltre all' AIDS esistono malattie che per le loro caratteristiche possono essere
considerate affini alla peste e con casi recenti:
Virus Ebola: febbre emorragica caratterizzata de febbre e diarrea con sangue. Nel
giro di pochi giorni il sangue esce da tutti i pori e da tutti gli interstizi. Si formano
grumi che causano necrosi nel cervello, nei reni, nel fegato e nei polmoni. Non si
trasmette per via aerea tranne nel caso dell’Ebola Reston, forse non letale agli
uomini.
Virus Marburg: affine all’Ebola, predilige gli occhi e i testicoli, ha un tasso di morte
del 25% ed è trasmissibile per contatto con il caratteristico vomito nero. Di entrambi
non si conosce il vettore.
Nota: attualmente i centri più all’avanguardia per la cura delle malattie più letali sono
il C.D.C. di Atlanta, fondato nel 1942, e l’USAMRIID di Fort Detrick, nel Maryland,
che però è un organo militare statunitense.
La peste nere: E’ una epidemia di peste bubbonica che, originatasi nelle steppe
dell'Asia centrale e da lì propagatasi in Cina e in India, dilagò in Europa dal 1347 con
effetti devastanti. Diffusione della peste nera I cronisti asiatici dell'epoca indicarono,
come causa dell'epidemia, disastri naturali: furono certamente mercanti occidentali
che portarono il morbo della malattia, infettando le rotte abitualmente battute nel
Medio Oriente e nel Mediterraneo. Nel 1347 colpì Costantinopoli; subito dopo a
Messina si ebbe la prima manifestazione dell'epidemia in Europa, che nell'estate del
1348 dilagò in Italia e in Francia, e da lì toccò le coste meridionali dell'Inghilterra, e
il resto d'Europa, dove imperversò per oltre tre anni. La violenza dell'epidemia lasciò
sgomenti gli osservatori contemporanei, testimoni spesso della totale scomparsa della
popolazione di un luogo.
Mai, prima o dopo d'allora, una calamità fece tante vittime umane: dello stupore
angosciato dei superstiti resta testimonianza in molti scritti, a cominciare dal
Decamerone di Giovanni Boccaccio, secondo il quale Firenze era tutta un sepolcro.
Molti, come Francesco Petrarca, fuggirono questi orrori rifugiandosi in luoghi isolati
e salubri. Le stime di mortalità del 90%, comuni tra i contemporanei, sono state
tuttavia ridimensionate dalla ricerca moderna, e attribuite alla carenza di indagini
affidabili; si è potuto in ogni caso verificare che nelle zone più colpite perì oltre il
50% della popolazione.
La peste di Boccaccio
Nel 1348 una gravissima peste colpì la città di Firenze. Di questo abbiamo molte
informazioni grazie soprattutto al romanzo "Decameron" di Giovanni Boccaccio : il
manoscritto infatti , oltre a descrivere scrupolosamente i fatti realmente accaduti,
racconta di sette giovani donne "savie ciascuna e di sangue nobile e di bella forma e
ornate di costumi e di leggiadra onestà", e tre "discreti e valorosi" giovani che
decidono, dopo aver valutato la situazione della città, di rifugiarsi in una delle loro
numerose ville di campagna, dove passeranno il loro tempo raccontandosi storie. Le
novelle vengono narrate non dalla voce dell' autore, ma da quella dei personaggi;
l'autore in persona invece coordina e collega le novelle fra loro attraverso la cornice,
cioè la descrizione delle giornate trascorse in villa dai personaggi novellatori.
L' introduzione del "Decameron" è tutta incentrata sulla diffusione del morbo in
Firenze e sulla degradazione fisica e morale ad esso conseguente.
Dice Boccaccio "nel vero, se io potuto avessi onestamente per altra parte menarvi
l'avria volentier fatto" rivelando così che nel suo romanzo la peste è solamente un
polo negativo che serve a dar risalto e valore al polo positivo che seguirà.
La peste di Manzoni _i promessi sposi
Nel romanzo “I promessi sposi” al tema della peste è consegnato l’ultimo grande
affresco del libro. Qui convergono tutte le principali tematiche del romanzo,la grande
storia e le sue irrisolte tensioni( la carestia,la guerra), così come i temi morali cari alla
riflessione di Manzoni: il dilemma tra fare torto o patirlo che si propone a Renzo
ingiustamente scambiato per untore; oppure la vita che si apre alla speranza anche
nella desolazione. E poi, nei capitoli della peste, a contatto con un male per così dire
assoluto,la sonda del narratore può scavare a profondità,riuscendo a isolare come
emblematiche alcune condizioni particolari del singolo individuo, nella sua natura
che rimane impenetrabile alla grazia divina (Don Rodrigo),oppure nella sua
disponibilità a lasciarsi mutare dal Dio che passa (Renzo che perdona) , nella virtù
che rimane incontaminata pur nella generale corruzione (la madre di Cecilia) e che sa
testimoniare il primato dello spirituale (Lucia) immolandosi per la vita degli altri( fra
Cristoforo).
Nella seconda parte ogni tema o motivo trova il suo naturale e provvidenziale
scioglimento.Qui gli avvenimenti più importanti, introdotti dalla conversione
dell’Innominato,sono la calata in Italia dell’esercito imperiale e, col passaggio dei
Lanzichenecchi, il diffondersi della terribile pestilenza,con cui l’azione del romanzo
viene a volgere al suo fine, con la morte di Don Rodrigo e il sospirato matrimonio di
Renzo e Lucia, che iniziano cosi una vita serena e felice, resa più lieta dalle passate
sofferenze.
LA PESTE DI CAMUS
“Si può rappresentare nello stesso modo
Daniel Defoe
L’unica salvezza dalla disperazione può essere nella solidarietà fra gli uomini;
l’unica rivolta possibile, il rifiuto di portare altro male nel mondo. Gran parte del
romanzo è dedicata alle conversazioni tra i personaggi, che si confrontano
incessantemente, senza risposta, con la presenza del dolore: ogni giorno essi vedono
agonia e morte, ma nessuno, nemmeno il sacerdote Paneloux (uno dei personaggi
principali), riesce a trovare una giustificazione accettabile alla ragione umana.
L’unico sollievo all’angoscia è l’azione: tutti infatti entrano nelle formazioni sanitarie
volute da Tarrou. il romanzo si chiude sotto il segno della testarda necessità di lottare
da parte di quegli uomini che si rifiutano di ammettere i flagelli. Quando il romanzo
uscì fu subito chiaro ai lettori che la peste era una metafora del nazismo: la lettura in
chiave storica, autorizzata da Camus stesso, era confrontata dalle numerosi allusioni
alla oppressione della dittatura e alla resistenza. La peste è metafora del male:
dell’assurdità del dolore inflitto agli uomini, dell’insensatezza del loro esistere.
L’AUTORE
Camus, ancor prima che filosofo, è stato scrittore, con una vocazione artistico-
letteraria forse più genuina e intensa di quella di Sartre (entrambi, comunque, sono
stati insigniti del premio Nobel per la letteratura). I suoi testi narrativi contengono
però molti motivi filosoficamente rilevanti: dei testi narrativi meritano di essere
ricordati Lo straniero (1942), La peste (1947), La caduta (1956), L'esilio e il regno
(1957), mentre di quelli teatrali è doveroso citare Il malinteso (1944), Caligola
(1944), Lo stato d'assedio (1948), I giusti (1950). In Lo straniero , considerato
unanimemente uno dei capolavori della letteratura novecentesca, Camus dà voce ad
alcuni dei temi più caratteristici dell'esistenzialismo nella sua versione tragica e
"negativa". Il breve romanzo esprime in modo difficilmente dimenticabile
l'incolmabile distanza, anzi (come suggerisce il titolo) la vera e propria "estraneità"
che separa l'uomo dal mondo. La realtà per Camus non ha alcun senso; gli eventi
accadono, avvengono senza che il pensiero possa coglierne motivi e significati
plausibili: ecco allora che l'uomo, con il suo pensiero, si trova ad essere straniero nel
mondo.
Però anche gli atti e i comportamenti umani non riescono a esibire una razionalità in
grado di giustificarli, o almeno di giustificarli. Come accade al protagonista de Lo
straniero , si può anche uccidere senza saper dire perché lo si è fatto. Protagonista del
libro è Meursault, un impiegato di Algeri, che vive in uno stato di atonia, di totale
indifferenza e di estraneità rispetto alla vita. Giuntagli la notizia della morte della
madre, si reca senza commozione ai funerali, poi fa all'amore con una ragazza, infine
passa la domenica osservando con inerte distacco ciò che gli si svolge attorno. Dopo
una lite con due arabi incontrati per caso e un nuovo scontro con loro, minacciato con
il coltello, accecato dal sole, ne uccide uno con un colpo di pistola, senza sapere ciò
che sta facendo. Poi, senza ragione, spara altre quattro volte sul cadavere. Processato,
Meursault viene condannato a morte, senza reazione alcuna da parte sua: si limita ad
assistere passivamente al proprio processo. In attesa della morte, ha uno scontro con
il cappellano, al quale manifesta la propria totale estraneità ai significati religiosi
dell'esistenza: gli resta poco tempo da vivere e non vuole sprecarlo con Dio. Poi si
acquieta accettando serenamente il proprio assurdo destino. Nel saggio Il mito di
Sisifo (1942), sottolineato significativamente Saggio sull'assurdo , Camus esprime in
modo più diretto le sue posizioni teoriche. Il punto di partenza è costituito da
un'analisi di quello che viene definito " l'unico problema filosofico veramente serio ":
il suicidio. Dice Camus: " C'è un solo problema filosofico veramente serio: il
suicidio. Giudicare se la vita vale o non vale la pena di essere vissuta significa
rispondere alla questione fondamentale della filosofia. " Esso rappresenta per lo
scrittore francese una situazione limite dell'essere e dell'agire dell'uomo, che obbliga
quest'ultimo a porsi domande radicali sul senso della vita e sul nostro atteggiamento
dinanzi ad essa. La tesi di fondo di Camus è che gli argomenti etico-religiosi e sociali
tradizionalmente invocati contro il suicidio non valgono. In effetti, la vita non ha
valore intrinseco, e la realtà " è senza ragione " ; il tempo corrode l'individuo e le sue
opere, e la morte è comunque l'esito che attende ogni creatura.
Impegnarsi in opere e iniziative pratiche ricorda davvero la vicenda di Sisifo, il
mitico personaggio condannato dal destino a sospingere in cima ad un monte un
macigno, che poi ogni volta ricade giù, obbligando Sisifo a ripetere inutilmente il suo
sforzo. Come già era stato detto in Lo straniero , la dimensione costitutiva e più
peculiare dell'esistenza umana è l'assurdità: l'assurdità nel duplice senso che le cose e
gli eventi non hanno senso, e che gli atti umani sono sempre inadeguati sia rispetto
alle possibilità e ai desideri, sia rispetto al contesto mondano entro il quale vengono
compiuti. " L'assurdo è un peccato senza Dio ", dice a tal proposito Camus, in modo
molto eloquente, ribadendo l'assurdità della vita per cui " tutto ciò che esalta la vita
ne accresce, nello stesso tempo, l'assurdità ". E nonostante ciò che Camus afferma in
Il mito di Sisifo , egli condanna il suicidio: esso gli appare (non diversamente dalla
speranza religiosa) una sorta di evasione rispetto all'assurdo della vita.
La giusta risposta di fronte a tale assurdo è la non-rassegnazione, anzi la rivolta (uno
dei concetti-chiave della filosofia di Camus). Contro l'insensatezza del mondo l'uomo
può e deve avere il coraggio di reagire levando alta la sua voce, la sua protesta, la sua
prospettiva donatrice di senso (sia pure di un senso non assoluto). Si tratterà, certo, di
una testimonianza infondata, in quanto non può invocare ragioni e implicazioni
oggettive a proprio sostegno. Ma questo, a ben guardare, non fa che aumentare il
valore, la dignità della rivolta umana. Altri due testi (il romanzo La peste e la raccolta
di saggi intitolata proprio L'uomo in rivolta, 1951) svilupperanno in più modi le tesi
in qualche misura positive ( " Nella profondità dell'inverno, ho imparato alla fine che
dentro di me c'è un'estate invincibile ") affiorate nel Mito di Sisifo . Poiché la vita è
assurda e priva di significato, essa appare come un'inutile fatica di Sisifo. Quando se
ne prende coscienza, si può vivere solo come stranieri, estranei all'esistenza. Accade
appunto questo al protagonista del romanzo Lo straniero ; L'uomo in rivolta , invece,
esprime la necessità di rivolta contro l'insensatezza: solo ribellandosi, l'esistenza può
acquistare un suo significato. La peste simboleggia invece i flagelli che colpiscono
l'umanità (il riferimento è al nazismo): nell'assurdità dell'esistenza, non resta che la
ribellione all'insensato di chi si impegna ricercando la solidarietà coi propri simili. In
La peste Camus oltrepassa l'individualismo assoluto e senza blocchi che aveva
ispirato Lo straniero e afferma la realtà di una dimensione ulteriore e diversa: la
dimensione della socialità e della solidarietà umana.
LA PESTE_trama
ROMANZI A CONFRONTO
Mentre nel Decameron la peste è solo una cornice che lega la trama