Assessorato Cultura
e Turismo
VERSIONE POSITI VA - Q UA D R I C R O MI A
con il sostegno di
IL BARBIERE
DI SIVIGLIA
musica di Gioachino Rossini
Comune di Padova
Assessorato
Cultura e Turismo
Il SINDACO
Massimo Bitonci
ASSESSORE alla CULTURA e TURISMO
Flavio Rodeghiero
DIRETTORE ARTISTICO
Federico Faggion
Flavio Rodeghiero
Assessore alla Cultura e Turismo
IL BARBIERE
DI SIVIGLIA
musica di Gioachino Rossini
Personaggi ed interpreti
Il Conte d’Almaviva MATTEO MACCHIONI
Rosina LAURA POLVERELLI
Don Bartolo PAOLO BORDOGNA
Figaro NICOLA ALAIMO
Don Basilio RICCARDO ZANELLATO
Fiorello DONATO DI GIOIA
Berta GIOVANNA DONADINI
Un ufficiale MARCO CAZZUFFI
di Roberto Mori
“Sole d’Italia” è la definizione coniata da Heinrich Heine per Il barbiere di Siviglia. E in effetti l’eccezionale
freschezza di tutte le arie, il ritmo incessante, la travolgente fluidità dei pezzi d’assieme, l’ironia dei recitativi
e la fusione perfetta fra scrittura vocale e orchestrale, sono espressione di gioia sorgiva e liberatrice. Aspetti
indivisibili di una creazione teatrale in cui la messa a fuoco dei personaggi e dell’azione si esprime attraverso
una musica animata da uno slancio vitale luminoso.
Quando la compone, poco più che ventenne, Rossini è già Rossini. Un compositore geniale, attivo sulle
scene operistiche da poche stagioni, ma con due capolavori assoluti alle spalle: Tancredi e L’Italiana in
Algeri, accolti con successo, nella prima metà del 1813, alla Fenice e al San Benedetto di Venezia. Nel 1815
il giovane musicista accetta un contratto dell’impresario Domenico Barbaja, con il quale gli viene affidata la
direzione dei Teatri Reali di Napoli: il San Carlo e il Fondo.
Grazie a una clausola che gli consente la “licenza” di allestire opere anche in teatri di altre città, si accorda
con il duca Francesco Sforza Cesarini, impresario del Teatro Argentina di Roma, per un lavoro da inserire
nel cartellone della stagione di Carnevale 1816. Il contratto viene firmato il 15 dicembre e prevede la
stesura di un dramma giocoso in due atti intitolato Almaviva, o sia L’inutile precauzione. La verseggiatura
del libretto, ricavato da una commedia di Beaumarchais, il Barbier de Séville, viene approntata da Cesare
Sterbini fra il 18 e il 29 gennaio 1816. Rossini completerà la composizione della partitura in una ventina
di giorni.
Impresa temeraria e rischiosa, quella di trarre un’opera dal testo di Beaumarchais. Il Barbier contava già
diverse versioni operistiche, fra cui quella celebre di Giovanni Paisiello (San Pietroburgo, 1782). Ma era
passato anche dalle mani di Friedrich Ludwig Benda (che nel 1776 ne aveva ricavato un Singspiel in quattro
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atti) a quelle di almeno una dozzina di altri compositori, fra cui Joseph Weigl, Peter Schulz, Nicolò Isouard
e Francesco Morlacchi (la cui versione andrà in scena a Dresda un paio di mesi dopo quella rossiniana).
Di fatto, la circostanza di proporre un remake del Barbiere di Siviglia vivente ancora Paisiello (che morirà
il 5 giugno 1816), finisce per scatenare una vera e propria bagarre la sera del debutto. Inutile si rivela
l’accortezza di dare all’opera un titolo diverso, Almaviva appunto, e di stampare nel libretto un Avvertimento
al pubblico dove con molta deferenza si ribadiscono “i sentimenti di rispetto e venerazione… verso il tanto
celebre Paesiello [sic] che ha già trattato questo soggetto sotto il primitivo suo titolo”, rendendo noto che “il
signor maestro Gioachino Rossini, onde non incorrere nella taccia di una temeraria rivalità coll’immortale
autore che lo ha preceduto, ha espressamente richiesto che Il Barbiere di Siviglia fosse di nuovo interamente
versificato…”. Sterbini mette infatti a punto un libretto originale rispetto a quello di Giuseppe Petrosellini
utilizzato dal compositore tarantino e con “aggiunte parecchie nuove situazioni di pezzi musicali che erano
d’altronde reclamate dal moderno gusto teatrale, cotanto cangiato dall’epoca in cui scrisse la sua musica il
rinomato Paesiello [sic]”.
La prima rappresentazione va in scena al Teatro Argentina il 20 febbraio 1816. La compagnia di canto
include tre protagonisti “di cartello”. Nel ruolo del Conte d’Almaviva figura lo spagnolo Manuel García,
uno dei maggiori tenori dell’epoca, nonché capostipite di una prestigiosa dinastia canora (è padre di Maria
Malibran, Pauline Viardot e Manuel García figlio); Rosina è il contralto bolognese Geltrude Righetti-
Giorgi, coetanea e amica di Rossini, che l’anno dopo sarà la prima protagonista di Cenerentola. Nei panni
di Figaro canta invece uno fra i più quotati buffi in circolazione: Luigi Zamboni.
Venuto meno anche l’appoggio dell’impresario, deceduto all’improvviso, la “prima” assume dunque le
proporzioni di un fiasco, contrastata dai sostenitori di Paisiello (in probabile combutta con gli impresari del
Teatro Valle) e contrappuntata da una serie mirabolante di incidenti in scena, sotto gli occhi amareggiati
dello stesso Rossini che dirige l’opera seduto al cembalo.
Uno di quegli eventi in cui la leggenda si mescola alla storia in modo inscindibile. Ad alimentarla ha
contribuito la stessa Righetti-Giorgi in un opuscolo redatto nel 1823 e nel quale si elencano, non senza
qualche fiorita invenzione “di parte”, le ragioni dell’insuccesso: la contrarietà dei fan di Paisiello, le ariette
spagnole improvvisate da García con la chitarra sotto le finestre di Rosina, e così via. La gazzarra scoppia
fin dalle prime scene: “Risate, urla e fischi penetrantissimi e non si faceva silenzio che per sentirne de’ più
sonori” scrive la Righetti-Giorgi, aggiungendo: “Non si possono descrivere le contumelie, cui andò soggetto
Rossini, che se ne stava impavido al suo cembalo”.
Innegabile, al di là della parziale attendibilità del resoconto, resta comunque la portata dell’insuccesso,
confermato da altre fonti non sospette di influenze a posteriori: il diario del Conte Gallo (“20 febbraio 1816,
opera nuova di Rossini fischiata all’Argentina, intitolata il Barbiere di Siviglia”) e quello del principe Chigi
in data 21 febbraio (“Ieri sera andò in scena ad Argentina una nuova burletta del maestro Rossini intitolata
il Barbiere di Siviglia; esito infelice”). A queste si aggiunge una lettera in cui Rossini, con grammatica
disinvolta, scrive alla madre: “Ieri andò in scena la mia Opera, e fu solennemente fischiata o che pazzie di
cose straordinarie si vedono in questo paese…” prevedendo con lucidità una possibile resurrezione: “Vi dirò
che in mezzo a questo la Musica e bella assai e nascono di già sfide per questa sarà seconda Recita dove si
sentirà la Musica cosa che non accadde ieri…”.
Il riscatto è difatti immediato e già dalla seconda sera “è plauso generale”. Il tonfo è presto cancellato da
un trionfo incondizionato che non abbandonerà più il capolavoro sul quale si fonda, nell’immaginario
melodrammatico popolare, la fama di Rossini. Tradotta in decine di lingue, rimarrà una delle opere più
rappresentate in assoluto, stimata anche da antirossiniani come Berlioz e Schumann e da nemici giurati
dell’opera italiana come Beethoven e Wagner.
Rossini concepisce la musica del Barbiere in anni in cui «il tempo e il danaro che mi accordavano erano così
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omeopatici che appena avevo il tempo di leggere la così detta poesia da musicare». Questo spiega l’innesto
di alcune pagine recuperate da lavori preesistenti. Gli autoimprestiti riguardano soprattutto Aureliano in
Palmira (la sinfonia era già passata all’Elisabetta, regina d’Inghilterra), Sigismondo (il coro dell’introduzione
al primo atto, il crescendo dell’aria di Don Basilio), Elisabetta, regina d’Inghilterra (parte della cavatina di
Rosina) e ancora composizioni come la cantata Egle ed Irene (i versi «dolce nodo...» con risposta in eco, nel
terzetto del secondo atto).
Eppure, a dispetto di tante idee musicali eterogenee, la struttura complessiva mantiene una unitarietà
organica che ha del miracoloso. Ne esce un capolavoro assoluto che travolge per l’impulso inarrestabile di
idee e soluzioni geniali. Ogni numero della partitura riserva sorprese, ad esempio per quanto riguarda la
complessa struttura dei brani. Il principio di unità è fondamentalmente quello di costruire un’eccitazione
costante e progressiva, a volte con l’espediente del caratteristico e trascinante crescendo. Un artificio
ingannevolmente semplice che consiste in molte ripetizioni di uno stesso passaggio, ogni volta a un’altezza
superiore e con un’orchestrazione più piena (esempio classico l’aria della Calunnia, dove il crescendo è
peraltro predisposto dal tessuto linguistico del libretto). Il modo in cui Rossini tratta gli strumenti, tacciato
dai suoi contemporanei addirittura come rumoroso e invadente, oggi sembra un modello di chiarezza,
economia di mezzi e abile scelta di colore strumentale: sempre discretamente subordinata quando
accompagna i solisti, l’orchestra raggiunge la pienezza nei concertati e, ovviamente, nella sinfonia.
Vero è che pochi compositori hanno eguagliato lo slancio ritmico e la musicalità assoluta di Rossini. La
sua tecnica di scrittura è ricercata, ricca di contaminazioni orchestrali e di sostanza sinfonica, fantasiosa
nell’inventiva timbrica. Ma è allo stesso tempo semplice, basata sul ripristino di un contrappunto elementare,
circoscritto a un gioco di botte e risposte, di simmetrie equilibrate.
Il Barbiere può essere considerato un’espressione - per qualche verso parossistica - del perfetto ingranaggio a
orologeria che teatro e musica possono costituire insieme. Basterebbe analizzare la costruzione del finale atto
primo - geniale nella preparazione e descrizione dello stordimento generale - per individuare precisi indizi
musicali del comico in Rossini. La fonte della comicità, spesso spinta fino al grottesco, deriva da una forma
di meccanizzazione del linguaggio musicale, fondato sull’iterazione. Il senso del libretto viene frantumato
nei valori minimi delle sillabe e quasi del tutto annullato in un completo bilanciamento fra lo sviluppo
dell’azione e il vortice astratto della musica, con esiti estranianti. Questo contrasto fa scattare automatismi
che costituiscono il cuore della comicità rossiniana: quasi sempre si tratta di procedimenti combinatori
nei quali sono coinvolte metriche diverse, quella vocale e quella verbale, quella timbrica e quella ritmica.
Con un effetto conseguente di non poco conto: l’esaurimento della tradizione comica italiana basata sul
naturalismo vocale che, fin dalle origini sei-settecentesche, era stato contrapposto alle astrazioni dell’opera
seria.
Inutile dire che il rapporto musica-testo è perfetto. Rileggendo la commedia di Beaumarchais, si può capire
perché non avesse avuto successo a suo tempo: è una pièce non priva di interesse, ma prevedibile. La
vicenda dell’amore ostacolato tra il Conte d’Almaviva e Rosina, dei travestimenti architettati da Figaro
per raggirare il vecchio tutore, non introduce in sé alcuna novità. La grandezza del Barbiere rossiniano
sta proprio nella perfetta realizzazione musicale di uno schema narrativo ampiamente sfruttato, nella
coincidenza fra le convenzioni musicali del melodramma e le esigenze drammatiche dell’azione. La
rivoluzionaria sintassi musicale, scarna di richiami psicologici significanti, essenziale e asemantica,
si adatta perfettamente all’astrazione di un gioco comico pervaso a tratti da ironica follia. Vero è che il
libretto di Sterbini aiuta non poco il compositore. Mantiene la teatralità dell’originale e ne ripropone il
dialogismo serrato, la concatenazione delle scene. Offre uno scheletro straordinario alla musica, elaborando
sinteticamente il senso migliore del testo teatrale originale, scegliendo gli episodi più attraenti e rinunciando
alle situazioni di contorno. Anche Rossini procede così: va per direttissima. Al soggetto di Beaumarchais
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imprime uno spirito proprio del nuovo secolo. Coglie l’essenza rivoluzionaria del testo letterario quale
inno a una società dinamica, liberale e egualitaria. Ma se Beaumarchais si prefigge di tratteggiare le qualità
dell’uomo d’onore, Rossini crea un vero e proprio labirinto di emozioni, interessi, passioni, e persegue il
gioco fino alla sua rottura, piuttosto che la riflessione etica. Ciò non impedisce che i personaggi, per quanto
dominati e osservati dall’alto - quasi fossero pedine di una invenzione musicale fluente - acquistino spessore
umano e realistico.
Tra tutti, Figaro è il motore dell’azione. Fin dalla cavatina “Largo al factotum”, si rivela come simbolo di
quella frenetica agitazione che è elemento costitutivo e primario del teatro comico rossiniano. Dialettico
e calcolatore in Beaumarchais, diventa un popolano caciarone e astuto: il burattinaio che muove i fili
della vicenda e si presenta nell’esplosione di un’energia incontrollabile. La musica esprime questo vitalità
e l’orchestra partecipa in termini fondamentali alla presentazione del personaggio. Da parte sua, Rosina
raffigura il tipico contralto rossiniano che attraverso il timbro caldo esprime sensualità, ma anche un
carattere energico e battagliero. Una ragazza moderna che sa cosa vuole, pure lei investita da una inventiva
musicale di grande immediatezza, da una salutare gioia di vivere. Anche nei passaggi in minore i personaggi
del Barbiere sono raccontati in chiave comica: e così quando Rosina piange col solo dell’oboe, il momento
in apparenza patetico è comunque comico.
La satira si dispiega con impeto, il sorriso si fa straripante. Nulla fa più pensare alle plaghe dell’elegia
settecentesca. Le note rivestono l’azione riducendo al minimo le soste liriche. Le melodie e il sentimentalismo
della morente scuola napoletana sono ormai un ricordo, e a prevalere è una continua frammentazione degli
incisi, utilizzati con l’artificio della ripetizione e dell’intensificazione ritmica. Un trattamento antimelodico,
misto a distacco ironico, che contrasta solo in apparenza con il senso di abbandono gioioso suscitato
dall’ascolto dell’opera: allegria e umorismo si esprimono infatti non con il melodizzare, ma attraverso il
pulsare ritmico, che genera comicità irresistibile e un interesse musicale tutt’altro che distaccato.
Dopo il Barbiere, la pura astrazione del comico derivata dalla commedia dell’arte (il comique absolu di
Baudelaire) si mescolerà ai tratti psicologici eloquenti e socialmente rilevanti della commedia di carattere (il
comique significatif), aperta a squarci di malinconia e affanno prima riservati all’opera seria. In questo senso
il successivo capolavoro comico rossiniano, La Cenerentola (1817), si distacca ancora più dalla tradizione
buffa italiana e, proponendo un’eroina dolce e malinconica, avvolta da un nostalgico colorito cinereo,
sembra già guardare verso nuovi orizzonti: la commedia sentimentale e giocosa, dai risvolti amarognoli, che
troverà nell’Elisir d’amore donizettiano il primo compiuto capolavoro.
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LA VICENDA
ATTO I
Di notte in una piazza di Siviglia sotto la casa di don Bartolo, un anziano
medico, si radunano alcuni suonatori condotti da Fiorello, servitore del conte il
quale è lì per cantare una serenata alla bella Rosina della quale è innamorato.
Il conte chiede a Figaro, barbiere e “factotum della città” di aiutarlo a
conquistare la giovane alla quale si è presentato sotto il falso nome di Lindoro.
Figaro lo consiglia di fingersi un giovane soldato cui Rosina si dimostra presto
interessata; inoltre il barbiere gli procura un biglietto d’alloggio nella casa di
don Bartolo.
Il tutore però, sospettando trame che coinvolgono la sua amata pupilla, decide
di affrettare le proprie nozze con lei e convoca don Basilio che gli riferisce la
voce della presenza in città del conte di Almaviva che ama Rosina e suggerisce
che solo la calunnia potrà mettere fuori gioco il conte; quindi i due si
allontanano per preparare il contratto di nozze.
Figaro parla con Rosina, le conferma l’amore di Lindoro e la giovane, su
consiglio del barbiere, gli scrive un biglietto.
Don Bartolo rientra in casa sorprendendo Figaro e Rosina e accorgendosi che
manca un foglio dal taccuino e la rimprovera.
Bussa alla porta Almaviva che, travestito da soldato e fingendosi ubriaco
si presenta con il biglietto d’alloggio e Bartolo oppone un documento che
lo esenta dal’ospitalità ai militari. Nasce una gran confusione tale da far
intervenire i gendarmi.
Quando Almaviva rivela furtivamente la propria identità le guardie si
allontanano sollevando lo stupore di tutti.
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ATTO II
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ATTO PRIMO CORO
Piano, pianissimo, senza parlar.
Scena prima (I Suonatori accordano gli istrumenti, e il Conte
canta accompagnato da essi.)
Una piazza della città di Siviglia.
Il momento dell’azione è sul terminar della notte. A CONTE
sinistra è la casa di Bartolo,con balcone praticabile, Ecco, ridente in cielo
circondato da gelosia, che deve aprirsi e chiudersi - a spunta la bella aurora,
suo tempo - con chiave. Fiorello, con lanterna nelle e tu non sorgi ancora
mani, introducendo sulla scena vari suonatori di e puoi dormir così?
strumenti. Indi il Conte avvolto in un mantello. Sorgi, mia dolce speme,
vieni, bell’idol mio;
FIORELLO (avanzandosi con cautela) rendi men crudo, oh Dio,
Piano, pianissimo, lo stral che mi ferì.
senza parlar, Oh sorte! già veggo
tutti con me quel caro sembiante;
venite qua. quest’anima amante
ottenne pietà.
CORO Oh istante d’amore!
Piano, pianissimo, Oh dolce contento!
eccoci qua. Soave momento
che eguale non ha!
TUTTI Ehi, Fiorello?
Tutto è silenzio;
nessun qui sta FIORELLO
che i nostri canti Mio Signore
possa turbar.
CONTE
CONTE (sottovoce) Dì, la vedi?
Fiorello Olà
FIORELLO
FIORELLO Signor no.
Signor son qua.
CONTE
CONTE Ah, ch’è vana ogni speranza!
Ebben! gli amici?
FIORELLO
FIORELLO Signor Conte, il giorno avanza
Son pronti già.
CONTE
CONTE Ah! che penso! che farò?
Bravi, bravissimi, Tutto è vano buona gente!
fate silenzio;
piano, pianissimo, CORO (sottovoce)
senza parlar. Mio signor
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Atto 1°
CONTE FIORELLO
Avanti, avanti. Ah, quasi con quel chiasso importuno
(Dà la borsa a Fiorello, il quale distribuisce i denari tutto quanto il quartiere han risvegliato.
a tutti.) Alfin sono partiti!
Più di suoni, più di canti
io bisogno omai non ho. CONTE (guardando verso la ringhiera)
E non si vede!
FIORELLO È inutile sperar.
Buona notte a tutti quanti, (Passeggia riflettendo.)
più di voi che far non so. (Eppur qui voglio
(I Suonatori circondano il Conte ringraziandolo e aspettar di vederla. Ogni mattina
baciandogli la mano e il vestito. ella su quel balcone a prender fresco
Egli, indispettito per lo strepito che fanno, li va viene sull’aurora.
cacciando. Lo stesso fa anche Fiorello.) Proviamo.) Olà, tu ancora
ritirati, Fiorel.
CORO
Mille grazie mio signore FIORELLO
del favore dell’onore Vado. Là in fondo
Ah, di tanta cortesia obbligati in verità. attenderò suoi ordini.
(Oh, che incontro fortunato! (Si ritira.)
È un signor di qualità.)
CONTE
CONTE Con lei
Basta, basta, non parlate se parlar mi riesce,
Ma non serve, non gridate non voglio testimoni. Che a quest’ora
Maledetti, andate via io tutti i giorni qui vengo per lei
Ah, canaglia, via di qua. dev’essersi avveduta. Oh, vedi, amore
Tutto quanto il vicinato a un uomo del mio rango
questo chiasso sveglierà. come l’ha fatta bella! Eppure, eppure
dev’essere mia sposa
FIORELLO (Si sente da lontano venire Figaro cantando.)
Zitti, zitti che rumore! Chi è mai quest’importuno?
Ma che onore? che favore? Lasciamolo passar; sotto quegli archi,
Maledetti, andate via ah, canaglia, via di qua! non veduto, vedrò quanto bisogna;
Vè, che chiasso indiavolato! Ah, che rabbia che già l’alba appare e amor non si vergogna.
mi fa! (Si nasconde sotto il portico.)
(I suonatori partono.)
Scena terza
Scena seconda
Figaro, con la chitarra appesa al collo.
Il Conte e Fiorello.
FIGARO
CONTE Largo al factotum
Gente indiscreta! della città.
Presto a bottega,
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Atto 1°
chè l’alba è già. Pronto prontissimo
Ah, che bel vivere, son come il fulmine:
che bel piacere sono il factotum
per un barbiere della città.
di qualità! Ah, bravo Figaro!
Ah, bravo Figaro! bravo, bravissimo;
Bravo, bravissimo; a te fortuna
fortunatissimo non mancherà.
per verità!
Pronto a far tutto, Scena quarta
la notte e il giorno
sempre d’intorno, Figaro, poi il Conte.
in giro sta.
Miglior cuccagna FIGARO
per un barbiere, Ah, ah! che bella vita!
vita più nobile, Faticar poco, divertirsi assai,
no, non si dà. e in tasca sempre aver qualche doblone
Rasori e pettini, gran frutto della mia riputazione.
lancette e forbici, Ecco qua: senza Figaro
al mio comando non si accasa in Siviglia una ragazza:
tutto qui sta. a me la vedovella
V’è la risorsa, ricorre pel marito: io, colla scusa
poi, del mestiere del pettine di giorno, della chitarra col favor la
colla donnetta notte, a tutti onestamente,
col cavaliere non fo per dir, m’adatto a far piacere,
ah, che bel vivere, oh che vita, che vita! Oh che mestiere!
che bel piacere Orsù, presto a bottega
per un barbiere
di qualità! CONTE (avanzandosi)
Tutti mi chiedono, È desso, o pur m’inganno?)
tutti mi vogliono,
donne, ragazzi, FIGARO (scorgendo il Conte)
vecchi, fanciulle: (Chi sarà mai costui?)
Qua la parrucca
Presto la barba CONTE
Qua la sanguigna (Oh, è lui senz’altro!)
Presto il biglietto Figaro!
Figaro Figaro FIGARO
Son qua, son qua. Mio padrone
Figaro Figaro. (riconoscendo il Conte)
Eccomi qua. Oh, chi veggo! Eccellenza!
Ahimè, che furia!
Ahimè, che folla! CONTE
Uno alla volta, Zitto, zitto, prudenza!
per carità! Qui non son conosciuto,
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Atto 1°
nè vò farmi conoscere. Per questo passo girando a que’ balconi intorno.
ho le mie gran ragioni.
FIGARO
FIGARO A què balconi? un medico? Oh cospetto!
Intendo, intendo, Siete ben fortunato;
la lascio in libertà. sui maccheroni il cacio v’è cascato.
CONTE CONTE
No no Come?
FIGARO FIGARO
Che serve? Certo. Là dentro
io son barbiere, parrucchier, chirurgo
CONTE botanico, spezial, veterinario,
No, dico: resta qua; i1 faccendier di casa.
forse ai disegni miei
non giungi inopportuno Ma cospetto, CONTE
dimmi un pò, buona lana Oh che sorte!
come ti trovo qua? poter del mondo!
Ti veggo grasso e tondo FIGARO
Non basta. La ragazza
FIGARO figlia non è del medico. È soltanto
La miseria, signore! la sua pupilla!
CONTE CONTE
Ah birbo! Oh, che consolazione!
FIGARO FIGARO
Grazie. Perciò Zitto!
CONTE CONTE
Hai messo ancor giudizio? Cos’e?
FIGARO FIGARO
Oh! e come ed ella, S’apre il balcone.
come in Siviglia? (Si ritirano sotto il portico.)
CONTE ROSINA
Ma brava dell’Inutil Precauzione Ah, il vento l’ha portata via.
Guardate.
FIGARO
Che furba! BARTOLO
Io non la veggo.
BARTOLO Eh, signorina, non vorrei (Cospetto!
Cos’è questa Costei m’avesse preso!) In casa, in casa,
Inutil Precauzione? animo, su! A chi dico? In casa, presto.
ROSINA ROSINA
Oh, bella! è il titolo Vado, vado. Che furia!
del nuovo dramma in musica.
BARTOLO
BARTOLO Quel balcone io voglio far murare
Un dramma! Bella cosa! sarà al solito Dentro, dico.
un dramma semiserio,
un lungo, malinconico, noioso, ROSINA
poetico strambotto! Ah, che vita da crepare!
Barbaro gusto! secolo corrotto! (Rosina si ritira dal balcone. Bartolo rientra in casa.)
BARTOLO FIGARO
Vado, vado. (Si ritira.) Presto, presto:
16
Atto 1°
vediamo cosa scrive. Scena sesta
CONTE CONTE
Sì, sì, le romperà. Su, dimmi un poco: Bene, bene;
che razza d’uomo è questo suo tutore? tutto giova saper.
FIGARO FIGARO
È un vecchio indemoniato avaro, Ora pensate della bella Rosina a soddisfar le
sospettoso, brontolone; avrà cent’anni indosso brame.
e vuol fare il galante: indovinate?
Per mangiare a Rosina CONTE
tutta l’eredità s’è fitto in capo Il nome mio
di volerla sposare. Aiuto! non le vo’ dir nè il grado; assicurarmi
vo’ pria ch’ella ami me, me solo al mondo,
CONTE non le ricchezze e i titoli
Che? del conte d’Almaviva. Ah, tu potresti
FIGARO FIGARO
S’apre la porta. Io? no, signore; voi stesso dovete
(Si ritirano in fretta. Bartolo esce di casa.)
CONTE
BARTOLO (parlando verso la porta) Io stesso? e come?
Fra momenti io torno;
non aprite a nessun. Se Don Basilio FIGARO
venisse a ricercarmi, che m’aspetti. Zitto? Eccoci a tiro,
(Le mie nozze con lei meglio è affrettare. osservate: perbacco, non mi sbaglio.
Sì, dentr’oggi finir vo’ quest’affare.) Dietro la gelosia sta la ragazza;
(Parte.) presto, presto all’assalto, niun ci vede.
In una canzonetta,
così, alla buona, il tutto
spiegatele, signor
17
Atto 1°
CONTE L’amorosa e sincera
Una canzone? Rosina del suo core Lindo
(Si ritira dal balcone.)
FIGARO
Certo. Ecco la chitarra; presto, andiamo. Scena settima
FIGARO CONTE
Sentite. Ah! che vi pare? Da bravo: entr’oggi
vo’ che tu m’introduca in quella casa.
CONTE Dimmi, come farai? via! del tuo spirito
Oh, me felice! vediam qualche prodezza.
FIGARO FIGARO
Da bravo, a voi, seguite. Del mio spirito
Bene vedrò ma in oggi
CONTE
L’amoroso e sincero Lindoro, CONTE
non può darvi, mia cara, un tesoro. Eh via! t’intendo.
Ricco non sono, Va là, non dubitar; di tue fatiche
ma un core vi dono, largo compenso avrai.
un’anima amante
che fida e costante FIGARO
per voi sola sospira così Davver?
dall’aurora al tramonto del dì.
Rosina
18
Atto 1°
CONTE FIGARO
Parola. Va benon.
FIGARO CONTE
Dunque, oro a discrezione? Eppoi?
CONTE FIGARO
Oro a bizzeffe. Cospetto!
Animo, via. Dell’alloggio col biglietto
quella porta s’aprirà.
FIGARO Che ne dite, mio signore?
Son pronto. Ah, non sapete Non vi par? Non l’ho trovata?
i simpatici effetti prodigiosi
che, ad appagare il mio signor Lindoro, CONTE
produce in me la dolce idea dell’oro. Che invenzione prelibata!
All’idea di quel metallo Bravo, bravo,
portentoso, onnipossente, in verità!
un vulcano la mia mente Bella, bella,
incomincia a diventar.
FIGARO
CONTE Piano, piano un’altra idea!
Su, vediam di quel metallo Veda l’oro cosa fa.
qualche effetto sorprendente Ubbriaco sì, ubbriaco,
del vulcan della tua mente mio signor, si fingerà.
qualche mostro singolar.
CONTE
FIGARO Ubbriaco?
Voi dovreste travestirvi,
per esempio da soldato. FIGARO
Sì, signore.
CONTE
Da soldato? CONTE
Ubbriaco? Ma perchè?
FIGARO
Sì, signore. FIGARO
Perchè d’un ch’è poco in sè
CONTE (imitando moderatamente i moti d’un ubbriaco)
Da soldato? e che si fa? che dal vino casca già,
il tutor, credete a me,
FIGARO il tutor si fiderà.
Oggi arriva un reggimento. A DUE
Che invenzione prelibata!
CONTE Bravo, bravo,
Sì, è mio amico il Colonnello. in verità!
Bella, bella,
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Atto 1°
CONTE FIGARO
Dunque Colà l’attendo.
FIGARO CONTE
All’opra. Mio caro Figaro
CONTE FIGARO
Andiam. Intendo, intendo.
FIGARO CONTE
Da bravo. Porterò meco
CONTE FIGARO
Vado Oh, il meglio mi scordavo! La borsa piena.
Dimmi un po’, la tua bottega per trovarti, dove
sta? CONTE
Sì, quel che vuoi, ma il resto poi
FIGARO
La bottega? Non si sbaglia; FIGARO
guardi bene; eccola là. Oh non si dubiti, che bene andrà
(additando fra le quinte)
Numero quindici a mano manca CONTE
quattro gradini, facciata bianca, Ah, che d’amore
cinque parrucche nella vetrina la fiamma io sento,
sopra un cartello “Pomata fina”, nunzia di giubilo
mostra in azzurro alla moderna, e di contento!
v’è per insegna una lanterna Ecco propizia
Là senza fallo mi troverà. che in sen mi scende;
d’ardore insolito
CONTE quest’alma accende,
Ho ben capito e di me stesso
maggior mi fa.
FIGARO
Or vada presto. FIGARO
Delle monete
CONTE il suon già sento!
Tu guarda bene L’oro già viene,
viene l’argento;
FIGARO eccolo, eccolo
Io penso al resto. che in tasca scende;
e di me stesso
CONTE maggior mi fa.
Di te mi fido (Figaro entra in casa di Bartolo, il Conte parte.)
20
Atto 1°
Scena ottava Di nessun qui mi fido;
il tutore ha cent’occhi basta, basta;
Fiorello solo sigilliamola intanto.
(Va allo scrittoio e suggella la lettera.)
FIORELLO (entrando) Con Figaro, il barbier, dalla finestra
Evviva il mio padrone! discorrer l’ho veduto più d’un’ora;
Due ore, ritto in piè, là come un palo Figaro è un galantuomo,
mi fa aspettare e poi un giovin di buon core
mi pianta e se ne va. Corpo di Bacco! Chi sa eh’ei non protegga il nostro amore.
Brutta cosa servire
un padron come questo, Scena decima
nobile, giovinotto e innamorato;
questa vita, cospetto, è un gran tormento! Figaro e detta.
Ah, durarla così non me la sento!
(Parte.) FIGARO
Oh buon dì, signorina!
Scena nona
ROSINA
Camera nella casa di don Bartolo. Buon giorno, signor Figaro.
Di prospetto la finestra con gelosia, come nella scena
prima. FIGARO
Ebbene, che si fa?
Rosina, sola.
ROSINA
ROSINA Si muor di noia.
Una voce poco fa
qui nel cor mi risuonò; FIGARO
il mio cor ferito è già, Oh diavolo! Possibile!
e Lindor fu che il piagò. Un ragazza bella e spiritosa
Sì, Lindoro mio sarà;
lo giurai, la vincerò. ROSINA
Il tutor ricuserà, Ah, ah, mi fate ridere!
io l’ingegno aguzzerò. Che mi serve lo spirito
Alla fin s’accheterà che giova la bellezza
e contenta io resterò se chiusa io sempre sto fra quattro mura
Sì, Lindoro mio sarà; che mi par d’esser proprio in sepoltura?
lo giurai, la vincerò.
Io sono docile, son rispettosa, FIGARO
sono obbediente, dolce, amorosa; In sepoltura? ohibò!
mi lascio reggere, mi fo guidar. (chiamandola a parte)
Ma se mi toccano dov’è il mio debole Sentite io voglio
sarò una vipera e cento trappole
prima di cedere farò giocar. ROSINA
Sì sì, la vincerò. Potessi almeno Ecco il tutor.
mandargli questa lettera. Ma come?
21
Atto 1°
FIGARO BARTOLO
Davvero? Perchè lo vò sapere.
ROSINA ROSINA
Certo, certo; è il suo passo Forse anch’egli v’adombra?
FIGARO BARTOLO
Salva, salva; fra poco E perchè no?
ci rivedrem: ho a dirvi qualche cosa.
ROSINA
ROSINA Ebben, ve lo dirò. Sì, l’ho veduto,
E ancor io, signor Figaro. gli ho parlato, mi piace, m’è simpatico
il suo discorso, il suo gioviale aspetto
FIGARO (Crepa di rabbia, vecchio maledetto.)
Bravissima. (Parte.)
Vado.
(Si nasconde, poi tratto tratto si fa vedere.) BARTOLO
Vedete che grazietta!
ROSINA Più l’amo, e più mi sprezza la briccona.
Quanto è garbato! Certo, certo è il barbiere
(Si ritira.) che la mette in malizia.
Chi sa cosa le ha detto!
Scena undicesima Chi sa! Or lo saprò. Ehi. Berta. Ambrogio!
BARTOLO BASILIO
Rosina Appunto quello.
Bartolo
AMBROGIO Oh diavolo!
Ah! Ah, qui ci vuol rimedio!
BERTA BASILIO
Eccì Certo; ma alla sordina.
BARTOLO BARTOLO
Che serve! Eccoli qua, son mezzo morti. Sarebbe a dir?
Andate.
BASILIO
AMBROGIO Così, con buona grazia
Ah! bisogna principiare
a inventar qualche favola
BERTA che al pubblico lo metta in mala vista,
Eccì che comparir lo faccia
un uomo infame, un’anima perduta
BARTOLO Io, io vi servirò: fra quattro giorni,
Eh, il diavol che vi porti! credete a me, Basilio ve lo giura,
(Berta e Ambrogio partono) noi lo farem sloggiar da queste mura.
FIGARO FIGARO
Per bacco! Di Lindoro il vago oggetto
25
Atto 1°
siete voi, bella Rosina. ROSINA
(Oh, che volpe sopraffina, (Richiamandolo, cava dalla tasca il biglietto e glielo
ma l’avrà da far con me.) dà.)
Un biglietto? eccolo qua.
ROSINA
Senti, senti ma a Lindoro FIGARO (attonito)
per parlar come si fa? Già era scritto? Vè, che bestia!
Il maestro faccio a lei!
FIGARO Ah, che in cattedra costei
Zitto, zitto, qui Lindoro di malizia può dettar.
per parlarvi or or sarà. Donne, donne, eterni Dei,
chi vi arriva a indovinar?
ROSINA
Per parlarmi? Bravo! bravo! ROSINA
Venga pur, ma con prudenza; Fortunati affetti miei!
io già moro d’impazienza! Io comincio a respirar.
Ma che tarda? ma che fa? Ah, tu solo, amor, tu sei
che mi devi consolar!
FIGARO (Figaro parte.)
Egli attende qualche segno,
poverin, del vostro affetto; Scena quattordicesima
sol due righe di biglietto
gli mandate, e qui verrà. Rosina, indi Bartolo.
Che ne dite?
ROSINA
ROSINA Ora mi sento meglio. Questo Figaro
Non vorrei è un bravo giovinotto.
26
Atto 1°
ROSINA ROSINA
Oh! mi parlò di cento bagattelle Un fiore.
Del figurin di Francia,
del mal della sua figlia Marcellina. BARTOLO
Un fiore. Ah! fraschetta!
BARTOLO
Davvero! Ed io scommetto ROSINA
che portò la risposta al tuo biglietto. Davver.
ROSINA BARTOLO
Qual biglietto? Zitta!
BARTOLO ROSINA
Che serve! L’arietta dell’Inutil Precauzione Credete.
che ti cadde staman giù dal balcone.
Vi fate rossa? (Avessi indovinato!) BARTOLO
Che vuol dir questo dito Basta così.
così sporco d’inchiostro?
ROSINA
ROSINA Signor..
Sporco? oh, nulla.
Io me l’avea scottato BARTOLO
e coll’inchiostro or or l’ho medicato. Non più tacete.
A un dottor della mia sorte
BARTOLO queste scuse, signorina!
(Diavolo!) E questi fogli Vi consiglio, mia carina,
Or son cinque eran sei. un po’ meglio a imposturar.
I confetti alla ragazza!
ROSINA Il ricamo sul tamburo!
Què fogli? è vero. Vi scottaste: eh via! eh via!
D’uno mi son servita Ci vuol altro, figlia mia,
a mandar dei confetti a Marcellina. per potermi corbellar.
Perchè manca là quel foglio?
BARTOLO Vò saper cotesto imbroglio.
Bravissima! E la penna Sono inutili le smorfie;
perchè fu temperata? ferma là, non mi toccate!
Figlia mia non lo sperate
ROSINA ch’io mi iasci infinocchiar.
(Maledetto!) La penna! Via, carina, confessate;
Per disegnare un fiore sul tamburo. son disposto a perdonar.
Non parlate? Vi ostinate?
BARTOLO So ben io quel che ho da far.
Un fiore? Signorina, un’altra volta
quando Bartolo andrà fuori,
la consegna ai servitori a suo modo far saprà.
27
Atto 1°
Ah, non servono le smorfie, Scena diciassettesima
faccia pur la gatta morta.
Cospetton! per quella porta Il Conte travestito da soldato di cavalleria, indi
nemmen l’aria entrar potrà. Bartolo.
E Rosina innocentina,
sconsolata, disperata, CONTE
in sua camera serrata Ehi di casa! buona gente!
fin ch’io voglio star dovrà. Ehi di casa! niun mi sente!
(Parte.)
BARTOLO (entrando)
Scena quindicesima Chi è costui? che brutta faccia!
È ubbriaco! chi sarà?
Rosina, sola.
CONTE
ROSINA Ehi, di casa! maledetti!
Brontola quanto vuoi,
chiudi porte e finestre. Io me ne rido: BARTOLO
già di noi femmine alla più marmotta Cosa vuol, signor soldato?
per aguzzar l’ingegno
e far la spiritosa, tutto a un tratto, CONTE
basta chiuder la chiave e il colpo è fatto. Ah! sì, sì, bene obbligato.
(Parte.) (Vedendolo, cerca in tasca.)
CONTE CONTE
Ah, benissimo; un abbraccio, (È Rosina; or son contento.)
qua, collega.
ROSINA
BARTOLO (Ei mi guarda, e s’avvicina.)
Indietro!
CONTE (piano a Rosina)
CONTE (Lo abbraccia per forza.) (Son Lindoro.)
Qua.
Sono anch’io dottor per cento, ROSINA
maniscalco al reggimento. (Oh ciel! che sento!
(presentando il biglietto) Ah, giudizio, per pietà!)
Dell’alloggio sul biglietto
osservate, eccolo qua. BARTOLO (vedendo Rosina)
Signorina, che cercate?
BARTOLO Presto, presto, andate via.
Dalla rabbia e dal dispetto
io già crepo in verità. ROSINA
Ah, ch’io fo, se mi ci metto, Vado, vado, non gridate.
qualche gran bestialità!
(Legge il biglietto.) BARTOLO
Presto, presto, via di qua
CONTE
(Ah, venisse il caro oggetto CONTE
della mia felicità! Ehi, ragazza, vengo anch’io.
Vieni, vieni; il tuo diletto
pien d’amor t’attendo qua.) BARTOLO
Dove, dove, signor mio?
CONTE
In caserma, oh, questa è bella!
29
Atto 1°
BARTOLO BARTOLO (cercando nello scrittoio)
In caserma?.. . bagattella! (Ah, trovarlo ancor non posso;
ma sì, sì, lo troverò.)
CONTE (venendo avanti con una pergamena)
Cara! Ecco qui.
(Legge.)
ROSINA “Con la presente il Dottor Bartolo, etcetera.
Aiuto! Esentiamo”
ROSINA BARTOLO
Grazie, grazie! Ah, fermate niente affatto
ROSINA CONTE
Ma quel foglio che chiedete Io ti voglio subissar!
per azzardo m’è cascato;
è la lista del bucato. TUTTI (eccetto il CONTE e ROSINA)
(Entrano da una parte Basilio con carte in mano, Gente! Aiuto, soccorrete(mi/lo)
dall’altra Berta.)
ROSINA
BARTOLO Ma chetatevi
Ah, fraschetta! Presto qua.
(Le strappa il foglio con violenza.) CONTE
Ah, che vedo! ho preso abbaglio! Lasciatemi!
È la lista, son di stucco!
31
Atto 1°
TUTTI (come sopra) BARTOLO (al Conte)
Gente! aiuto, per pietà! Birbo malnato!
UFFICIALE CORO
Ho inteso. Oh, non più!
(al Conte)
Galantuom, siete in arresto. BARTOLO
Fuori presto, Ma se lei
via di qua.
(I soldati si muovono per circondare il Conte.) CORO
Non parlar
33
Atto 1°
BARTOLO non ragiona, si confonde,
Ma vorrei si riduce ad impazzar.
CORO
Non gridar.
A TRE
Ma se noi
CORO
Zitti voi.
CORO
Pensiam noi.
Vada ognun pè fatti suoi,
si finisca d’altercar.
BARTOLO
Ma sentite
BARTOLO
Ma ascoltate..
TUTTI
Mi par d’esser con la testa
in un’orrida fucina,
dove cresce e mai non resta
delle incudini sonore
l’importuno strepitar.
Alternando questo e quello
pesantissimo martello
fa con barbara armonia
muri e volte rimbombar.
E il cervello, poverello,
già stordito, sbalordito, FINE DELL’ATTO PRIMO
34
Atto 2°
ATTO SECONDO CONTE
(Ah, se un colpo è andato a vuoto
Scena prima a gabbar questo balordo,
un novel travestimento
Camera ad uso di studio in casa di Bartolo con sedia più propizio a me sarà.)
ed un pianoforte con varie carte di musica. Gioia e pace, pace e gioia!
CONTE BARTOLO
Gioia e pace per mill’anni. Ebbene?
BARTOLO CONTE
Obbligato in verità. (Questo volto non m’è Don Basilio sta male, il poverino, ed in sua vece
ignoto,
non ravviso non ricordo BARTOLO (in atto di partire)
ma quel volto ma quell’abito Sta mal? Corro a vederlo
non capisco chi sarà?)
35
Atto 2°
CONTE (trattenendolo) nella stessa locanda
Piano, piano. era meco d’alloggio, ed in mie mani
Non è mal così grave. per caso capitò questo biglietto
(mostrando un biglietto)
BARTOLO dalla vostra pupilla a lui diretto.
(Di costui non mi fido.) Andiam, andiamo.
(risoluto) BARTOLO (prendendo il biglietto e guardandolo)
Che vedo! è sua scrittura!
CONTE
Ma signore CONTE
Don Basilio
BARTOLO (brusco) nulla sa di quel foglio: ed io, per lui
Che c’è? venendo a dar lezione alla ragazza,
volea farmene un merito con voi
CONTE (tirandolo a parte) perchè con quel biglietto
Voleva dirvi (mendicando un ripiego con qualche imbarazzo)
si potrebbe
BARTOLO
Parlate forte. BARTOLO
Che cosa?
CONTE (sottovoce)
Ma CONTE
Vi dirò
BARTOLO (sdegnato) s’io potessi parlare alla ragazza,
Forte, vi dico. io creder verbigrazia le farei
che me lo diè del conte un’altra amante,
CONTE (sdegnato anch’esso e alzando la voce) prova significante
Ebben, come volete, che il conte di Rosina si fa gioco.
ma chi sia Don Alonso apprenderete. E perciò
(in atto di partire)
Vo’ dal conte di Almaviva BARTOLO
Piano un poco.
BARTOLO (trattenendolo con dolcezza) Una calunnia! Oh bravo!
Piano, piano. Degno e vero scolar di Don Basilio!
Dite, dite, v’ascolto. (lo abbraccia, e mette in tasca il biglietto)
Io saprò come merita
CONTE (a voce alta e sdegnato) ricompensar sì bel suggerimento.
Il Conte Vo a chiamar la ragazza;
poichè tanto per me v’interessate,
BARTOLO mi raccomando a voi.
Piano,
per carità. CONTE
Non dubitate.
CONTE (calmandosi) (Bartolo entra nella camera di Rosina)
Stamane L’affare del biglietto
36
Atto 2°
dalla bocca m’è uscito non volendo. ROSINA
Ma come far? Senza d’un tal ripiego Io ve l’ho detto:
mi toccava andar via come un baggiano. è il titolo dell’opera novella.
Il mio disegno a lei
ora paleserò; s’ella acconsente, BARTOLO
io son felice appieno. Or bene, intesi; andiamo.
Eccola. Ah, il cor sento balzarmi in seno.
ROSINA
Scena terza Eccolo qua.
37
Atto 2°
ROSINA che vieni a fare?
Cara immagine ridente,
dolce idea d’un lieto amore, FIGARO
tu m’accendi in petto il core, Oh bella!
tu mi porti a delirar. Vengo a farvi la barba: oggi vi tocca.
CONTE BARTOLO
Bella voce! Bravissima! Oggi non voglio.
ROSINA FIGARO
Oh! mille grazie! Oggi non vuol? Domani
non potrò io.
BARTOLO
Certo, bella voce, BARTOLO
ma quest’aria, cospetto! è assai noiosa; Perchè?
la musica à miei tempi era altra cosa.
Ah! quando, per esempio, FIGARO
cantava Caffariello Perchè ho da fare
quell’aria portentosa la, ra, la a tutti gli Ufficiali
sentite, Don Alonso: eccola qua. del nuovo reggimento barba e testa
Quando mi sei vicina, alla marchesa Andronica
amabile Rosina il biondo parrucchin coi maronè
l’aria dicea Giannina, al contino Bombè
ma io dico Rosina il ciuffo a campanile
(Entra Figaro col bacile sotto il braccio, e si pone purgante all’avvocato Bernardone
dietro Bartolo che ieri s’ammalò d’indigestione
imitando il canto con e poi e poi che serve?
caricatura.) (riponendosi in tasca il libro)
Il cor mi brilla in petto, Dornan non posso.
mi balla il minuetto
BARTOLO
Scena quarta Orsù, meno parole.
Oggi non vo’ far barba.
Figaro e detti.
FIGARO
BARTOLO (avvedendosi di Figaro) No? Cospetto!
Bravo, signor barbiere, Guardate che avventori!
ma bravo! Vengo stamane: in casa v’è l’inferno
ritorno dopo pranzo: oggi non voglio
FIGARO ( contraffacendolo)
Eh, niente affatto: Ma che? M’avete preso
scusi, son debolezze. per un qualche barbier da contadini?
Chiamate pur un altro, io me ne vado.
BARTOLO (Riprende il bacile in atto di partire.)
Ebben, qui dunque
38
Atto 2°
BARTOLO ROSINA
(Che serve? a modo suo; Ah, che rumore!
vedi che fantasia!)
Va in camera a pigliar la biancheria. BARTOLO
(Si cava dalla cintola un mazzo di chiavi per darle a Oh, che briccon! Me lo diceva il core.
Figaro, indi le ritira.) (Entra.)
No, vado io stesso.
(Entra.) CONTE (a Rosina)
Quel Figaro è un grand’uomo; or che siam soli,
FIGARO ditemi, o cara: il vostro al mio destino
(Ah, se mi dava in mano d’unir siete contenta?
il mazzo delle chiavi, ero a cavallo.) Franchezza!
(a Rosina)
Dite: non è fra quelle ROSINA (con entusiasmo)
la chiave che apre quella gelosia? Ah, mio Lindoro,
altro io non bramo
ROSINA (Si ricompone vedendo rientrar Bartolo e Figaro.)
Sì, certo; è la più nuova.
CONTE
BARTOLO (rientrando) Ebben?
(Ah, son pur buono
a lasciar qua quel diavolo di barbiere!) BARTOLO
Animo, va tu stesso. Tutto mi ha rotto;
(dando le chiavi a Figaro) sei piatti, otto bicchieri, una terrina.
Passato il corridor, sopra l’armadio
il tutto troverai. FIGARO (mostrando di soppiatto al Conte la chiave
Bada, non toccar nulla della gelosia che avrà rubata dal mazzo)
Vedete che gran cosa! Ad una chiave
FIGARO se io non mi attaccava per fortuna,
Eh, non son matto. per quel maledettissimo
(Allegri!) Vado e torno. (Il colpo è fatto.) corridor così oscuro,
(Entra.) spezzato mi sarei la testa al muro.
Tiene ogni stanza al buio, e poi e poi
BARTOLO (al Conte)
È quel briccon, che al Conte BARTOLO
ha portato il biglietto di Rosina. Oh, non più.
CONTE FIGARO
Mi sembra un imbroglion di prima sfera. Dunque andiam.
(al Conte e Rosina)
BARTOLO (Giudizio.)
Eh, a me non me la ficca
(Si sente di dentro un gran rumore come di vasellame BARTOLO
che si spezza.) A noi.
Ah, disgraziato me! (Si dispone per sedere e farsi radere. In quella entra Basilio.)
39
Atto 2°
Scena quinta BASILIO (stupito)
Il Curiale?
Don Basilio e detti.
CONTE (interrompendo, a Basilio)
ROSINA Io gli ho narrato
Don Basilio! che già tutto è combinato.
Non è ver?
CONTE
(Cosa veggo!) BARTOLO
Sì, tutto io so.
FIGARO
(Quale intoppo!) BASILIO
Ma, Don Bartolo, spiegatevi
BARTOLO
Come qua? CONTE (c. s., a Bartolo)
Ehi, Dottore, una parola.
BASILIO (a Basilio)
Servitor di tutti quanti. Don Basilio, son da voi.
(a Bartolo)
BARTOLO Ascoltate un poco qua.
(Che vuol dir tal novità?) (Fate un pò ch’ei vada via,
ch’ei ci scopra ho gran timore:
CONTE E FIGARO della lettera, signore,
(Qui franchezza ci vorrà.) ei l’affare ancor non sa.)
ROSINA BARTOLO
(Ah, di noi che mai sarà?) (Dite bene, mio signore;
or lo mando via di qua.)
BARTOLO
Don Basilio, come state? ROSINA
(Io mi sento il cor tremar!)
BASILIO (stupito)
Come sto? FIGARO
(Non vi state a disperar.)
FIGARO (interrompendo)
Or che s’aspetta? BASILIO
Questa barba benedetta (Ah, qui certo v’è un pasticcio;
la facciamo sì o no? non l’arrivo a indovinar.)
40
Atto 2°
BASILIO (stupito) CONTE
Colla febbre? Che brutta cera!
CONTE BASILIO
E che vi pare? Brutta cera!
Siete giallo come un morto.
CONTE, FIGARO E BARTOLO
BASILIO Oh, brutta assai!
Come un morto?
BASILIO
FIGARO (tastando il polso a Basilio) Dunque vado
Bagattella!
Cospetton! Che tremarella! TUTTI
Questa è febbre scarlattina! Vada, vada!
Buona sera, mio signore,
CONTE (Dà a Basilio una borsa di soppiatto.) presto, andate via di qua.
Via, prendete medicina, (Maledetto seccatore!)
non vi state a rovinar. Pace, sonno e sanità.
FIGARO BASILIO
Presto, presto, andate a letto Buona sera ben di core
poi diman si parlerà.
CONTE Non gridate, ho inteso già.
Voi paura inver mi fate (Parte.)
FIGARO ROSINA
Che color! Vi ascolto; eccomi qua.
(Siedono fingendo studiar musica)
41
Atto 2°
CONTE (a Rosina, con cautela) la testa gli gira.
A mezzanotte in punto Ma zitto, Dottore,
a prendervi qui siamo: vi fate burlar.
or che la chiave abbiamo Tacete, tacete,
non v’è da dubitar. non serve gridar.
Intesi già siamo,
FIGARO (distraendo Bartolo) non vo’ replicar.)
Ahi! ahi! (Partono, meno Bartolo.)
CONTE ROSINA
Ma per pietà Mio signor! ma voi ma io
ROSINA CONTE
Taci. Fingesti amore Ah, non più, non più, ben mio.
per vendermi alle voglie Il bel nome di mia sposa,
di quel tuo vil Conte Almaviva idol mio, t’attende già.
FIGARO FIGARO
Sì, signore. Eccoli qua.
(Si ritirano verso una delle quinte.)
ROSINA, CONTE E FIGARO
Che si fa? Scena dodicesima
Zitti, zitti, piano, piano,
non facciamo confusione; Don Basilio con lanterna in mano, introducendo un
per la scala del balcone Notaro con carte.
presto andiamo via di qua.
BASILIO (chiamando alla quinta opposta)
FIGARO (con angoscia) Don Bartolo! Don Bartolo!
Ah, disgraziati noi! come si fa?
FIGARO (accennando al Conte)
CONTE Don Basilio.
Che avvenne mai?
CONTE
FIGARO E quell’altro?
La scala
FIGARO
CONTE Ve’, ve’, il nostro notaro. Allegramente.
Ebben? Lasciate fare a me. Signor Notaro:
(Basilio e il Notaro si rivolgono e restano sorpresi.
FIGARO Il Notaro si avvicina
La scala non v’è più. a Figaro.)
dovevate in mia casa
CONTE (sorpreso) stipular questa sera
Che dici? il contratto di nozze
fra il conte d’Almaviva e mia nipote.
FIGARO Gli sposi, eccoli qua. Avete indosso
Chi mai l’avrà levata? la scrittura?
(I1 notaro cava la scrittura.)
CONTE Benissimo.
Quale inciampo crudel!
BASILIO
ROSINA (con dolore) Ma piano.
Me sventurata! Don Bartolo dov’è?
FIGARO FIGARO
Evviva! Or or l’accoppo.
(Nell’atto che il Conte bacia la mano a a Rosina,
Figaro abbraccia goffamente BARTOLO
Basilio, ed entrano Don Bartolo e un Uffiziale con È un furfante, è un briccon.
Soldati.) UFFIZIALE (al Conte)
Signore
Scena ultima
CONTE
Bartolo, Un Uffiziale con Soldati, e detti. Indietro!
ROSINA
Dunque, signor Don Bartolo?
BARTOLO
Sì, sì, ho capito tutto.
CONTE
Ebben, dottore?
BARTOLO
Sì, sì, che serve? quel ch’è fatto è fatto.
Andate pur, che il ciel vi benedica.
FIGARO
Bravo, bravo, un abbraccio;
venite qua, dottore.
ROSINA
Ah, noi felici!
CONTE
Oh, fortunato amore! FINE
49
Matteo Macchioni Laura Polverelli Paolo Bordogna
Viole Trombe
Alberto Salomon Simone Lonardi
Silvina Sapere Roberto Caterini
Floriano Bolzonella
Giada Broz Timpani E Percussioni
Alberto Macchini *
Violoncelli Arrigo Axia
Mario Finotti Giannino Barizza
Fernando Sartor
Caterina Libero Clavicembalo
Giancarlo Trimboli Roberto Loreggian
Contrabbassi Chitarra
Luca Stevanato Alberto Mesirca
Giorgia Pellarin
52
CORO CITTÀ DI PADOVA
Tenori I Baritoni
Alberto Bolzonella Marco Cazzuffi
Emanuele Bugno Roberto Cavazzana
Andrea Capovilla Antonio Lucenti
Davide Iob Jurii Russu
Nicola Lionello Antonio Tonello
Renzo Marcolongo
Marcello Maracani Bassi
Gianluca Zoccatelli Antonio Bortolami
Alessandro Bugno
Tenori II Gianni Di Padua
Enrico Bovo Fabrizio Rinaldi
Antonio Cervato Luigi Varotto
Remigio Galdiolo
Emilio Orlando
Vanni Sporzon
53
Direttore di produzione LORIS PARISE
Direttore di palcoscenico IRMICI YAMALA DAS
Aiuto scenografo EMANUELE SINISI
Maestri collaboratori BRUNO VOLPATO, SERGIO GASPARELLA
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