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LUCIA DI LAMMERMOOR

Dramma tragico in tre atti di Gaetano Donizetti su libretto di Salvatore Cammarano, tratto dal
romanzo di Walter Scott La sposa di Lammermoor.
Napoli, Teatro San Carlo, 26 settembre 1835.

Lucia - soprano
Enrico Ashton, signore di Lammermoor, fratello di Lucia - baritono
Edgardo, signore di Ravenswood - tenore
Lord Arturo Bucklaw, sposo di Lucia - tenore
Raimondo Bidebent, cappellano calvinista - basso
Alisa, compagna di Lucia - mezzosoprano
Normanno cacciatore, servitore di Enrico - tenore
Servitori e servitori, invitati al matrimonio
Ambientazione: I terreni e la sala di Lammermoor e di Ravenswood, il cimitero dei Ravenswood;
Scozia, durante il regno di William e Mary (fine XVII secolo)
È la più famosa tra le opere serie di Donizetti. Oltre al duetto nel finale della prima parte, al
vibrante sestetto Chi mi frena in tal momento? e alla celebre scena della pazzia di Lucia, la
struggente cabaletta finale Tu che a Dio spiegasti l'ali è considerata uno dei più bei pezzi d'opera
tenorili.
Prima che Cammarano adattasse il romanzo di Scott, altri librettisti hanno scritto i libretti di
melodrammi sullo stesso argomento; in totale sono cinque (ma i libretti sono solo quattro, perché
uno è musicato due volte da compositori diversi):

- Giuseppe Balocchi per Le nozze di Lammermoor di Michele Carafa (1829, Parigi), di cui si
conserva il libretto e quasi interamente la musica;
- Calisto Bassi per La fidanzata di Lammermoor di Luigi Rieschi (1831, Trieste): il nome della
protagonista è Ida, la musica di quest’opera risulta perduta;
- Ida di Giuseppe Bornaccini, sul medesimo libretto di Calisto Bassi, già musicato da Luigi
Rieschi, la musica non è attualmente conosciuta;
- Pietro Beltrame per La fidanzata di Lammermoor di Alberto Mazzucato (1834, Padova),
musica perduta a parte una riduzione per canto e pianoforte;
- Bruden fra Lammermoor di Ivar Frederick Bredal su libretto in danese di Hans Christian
Andersen. Quest'opera, composta nel 1832, ovviamente rimase estranea all'ambiente italiano

Come quasi tutte le opere di Scott, la Lucia di Donizetti si discosta dal suo modello in diversi punti.
Cammarano ha trasformato i personaggi originali di Frank Hayston, Laird of Bucklaw, Ailsie Gourlay
e il reverendo Peter Bide-the-Bent rispettivamente in Lord Arturo Bucklaw, Alisa e Raimondo
Bidebent, fondendo il padre di Lucy, Sir William Ashton e suo fratello maggiore, il colonnello Sholto
Ashton in Enrico Ashton. (Alcuni adattamenti inglesi usano i nomi Sir Arthur Bucklaw, Alice,
Raymond Bide-the-Bent e Sir Henry Ashton.)
Sebbene la più memorabile malvagia di Scott, la madre di Lucia, sia stata completamente esclusa,
gran parte della potente trama sopravvive.
L'opera è stata rappresentata per la prima volta con un cast straordinario,
- Fanny Tacchinardi Persiani in Lucia
- Gilbert Duprez in Edgardo
- Domenico Cosselli in Enrico
- Carlo Porto in Raimondo
Dopo la prima napoletana, Donizetti autorizzò numerose variazioni per le esecuzioni in altri teatri,
allo scopo di venire incontro alle esigenze delle cantanti.
Adelaide Kemble e Napoleone Moriani cantarono la prima alla Scala, il 1° aprile 1839; la prima
francese (Parigi, Théâtre Italien, 12 dicembre 1837) cantarono Tacchinardi Persiani e Rubini, che si
esibirono anche alla prima inglese (Londra, Her Majesty's, 5 aprile 1838). La versione francese dello
stesso Donizetti (su una traduzione di Alphonse Royer e Gustave Vaëz, con la musica aggiustata e
alterata in molti punti) fu data per la prima volta al Théâtre de la Renaissance, a Parigi, il 6 agosto
1839, con Sophie Anne Thillon e Achille Ricciardi. Questa versione entrò nel repertorio dell'Opéra
nel 1846, con Maria Nau e Duprez, e divenne un punto fermo del repertorio dei teatri di provincia
francesi; e fu in questa versione che l'opera fu presentata negli Stati Uniti, a New Orleans, con Julia
Calvé e Auguste Nourrit, il 28 dicembre 1841. Il primo ascolto dell'originale italiana negli Stati Uniti
avvenne anche a New Orleans, eseguita da una compagnia itinerante dall'Avana, il 1° marzo 1842.
Da questi esordi il ruolo di Lucia è stato centrale nel repertorio di ogni soprano con un dono per la
fioritura; tra i più famosi Patti, Gerster, Di Murska, Albani, Sembrich, Melba, Tetrazzini, Galli-Curci,
Dal Monte, Pons, Callas, Sutherland, Sills e Gruberová.

Antefatto
La nobile famiglia Ashton, alla quale appartengono i fratelli Enrico e Lucia, ha usurpato i beni e il
castello della famiglia Ravenswood, il cui unico erede è Edgardo. Edgardo e Lucia si amano
segretamente.

PRIMA PARTE: La Partenza

ATTO 1.1 - I giardini del castello di Ravenswood


Dopo un breve preludio in si bemolle minore, scandito da minacciosi rulli di tamburi, lugubri frasi di
corno e una marcia funebre, si alza il sipario su Normanno e gli altri cacciatori, che stanno per
esplorare le vicine rovine del castello appartenente all'odiato nemico di Enrico (coro, Per correte le
spiagge vicine). I cacciatori se ne vanno e Normanno, vedendo che Enrico è turbato, apprende da lui
che le fortune di Lammermoor sono in pericolo; solo Lucia può salvarli, per mezzo di un espediente
matrimoniale. Il cappellano ricorda a Enrico che è ancora in lutto per la madre, morta da poco, e che
la ragazza non è pronta ad amare. Al che, Normanno dichiara di essere stata infiammata d'amore per
Edgardo, incontrandolo ogni mattina da quando l'ha salvata da un toro furioso. Enrico è furioso
(Larghetto, Cruda, funesta smania). I cacciatori tornano per riferire che Edgardo è nelle vicinanze;
Enrico giura di distruggere il suo nemico (cabaletta, La pietade in suo favore). Il ritornello e la doppia
aria per baritono costruiscono un climax impetuoso all'estesa introduzione, il materiale di transizione
è tenuto insieme da frequenti passaggi ariosi costruiti su idee motiviche.

1.2 - Il parco del castello di Lammermoor, con una fontana


La scena inizia con un elaborato assolo di arpa (che almeno una Lucia, Ernesta Grisi, è stata
abbastanza intraprendente da esibirsi da sola). Impaziente, Lucia attende un appuntamento con
Edgardo. Guarda la fontana, dove un antenato dei Ravenswood aveva gettato il cadavere di una
ragazza di Lammermoor, uccisa da un impeto di rabbia per gelosa; è spaventata perché ha visto di
recente il fantasma della ragazza. Descrive vividamente l'episodio ad Alisa (Larghetto, Regnava nel
silenzio), dicendo che l'acqua era diventata rosso sangue. Quest'aria è un bell'esempio del dono di
Donizetti di usare gli abbellimenti vocale per fini drammatici: gli abbellimenti da lui scritti
trasmettono chiaramente lo stato instabile dell'eroina. Alisa dichiara che l'amore di Lucia per Edgardo
è molto difficoltoso, spingendola a rinunciarvi. Lucia, invece, crede nella sua perseveranza (cabaletta,
Quando rapito in estasi; Tacchinardi Persiani non amava le arie d'ingresso di Lucia e le sostituiva
con quelle del ruolo di Rosmonda, da Rosmonda d'Inghilterra di Donizetti, del 1834, che erano stata
scritta per lei – è evidente che Donizetti abbia approvato la sostituzione: lo si evince
dall’incorporazione della scena di Rosmonda nell’edizoone francese Lucie de Lammermoor).
Arriva Edgardo e Alisa va a guardare gli intrusi. Edgardo dice a Lucia che è stato chiamato alla causa
degli Stuart in Francia e che deve partire la mattina dopo. Prima di partire vuole tendere la mano
dell'amicizia ad Enrico e chiederla in sposa, nonostante la lunga faida tra le loro famiglie. Lucia,
spaventata dal carattere furioso di suo fratello, implora Edgardo di mantenere segreto il loro amore.
Lui le ricorda di aver giurato vendetta sulla tomba di suo padre, e sebbene il loro amore abbia spento
la sua rabbia, il suo giuramento rimane ancora inadempiuto. Lucia lo calma, e lui le mette un anello
al dito, sostenendo che d'ora in poi sono come sposati; Lucia lo accetta, dandogli un altro anello in
cambio. Lo prega di scriverle dicendogli che sentirà l'eco dei suoi sospiri, anche in Francia, e lui la
rassicura prima di partire (duetto, Verranno a te sull'aure, melodia che sarà di importanza nella sua
successiva scena di follia mentre immagina il suo matrimonio formale).

SECONDA PARTE: Il Contratto Nunziale

ATTO 2.2 - Gli appartamenti di Enrico nel castello di Lammermoor


Enrico discute con Normanno del matrimonio che ha frettolosamente combinato tra Lucia e Arturo,
ed è preoccupato che lei possa opporsi. Normanno ha intercettato le lettere di Edgardo e ne ha
falsificato una in cui era scritto che Edgardo ama un'altra donna, così che Lucia possa accettare la
proposta di matrimonio. Prendendo la lettera contraffatta, Enrico manda Normanno ad accogliere
Arturo. Entra Lucia, sbiadita; Enrico commenta il suo pallore, e lei risponde che lui conosce il motivo
del suo dolore (duetto, Il pallore funesto). Lei protesta per la sua disumana severità, ma lui afferma
che i suoi forti sentimenti fraterni lo spingono a desiderare di vederla in sposa in modo adeguato.
Quando lei dice che si considera già la moglie di Edgardo, Enrico le porge la lettera falsa; lo shock
nel leggerla la fa barcollare. Enrico la rimprovera di follia, ma Lucia è insensibile al pensiero
dell'infedeltà di Edgardo. Si sentono le voci di benvenuto per Arturo. Lucia vorrebbe solo morire,
non sposarsi; ma Enrico sottolinea i pericoli della sua situazione politica, la quale può essere salvata
solo un'alleanza con i Bucklaws. Enrico le dice spietatamente che senza la sua collaborazione verrà
giustiziato e la colpa sarà sua. Questa potente scena di duetto con le sue tre sezioni contrastanti
rappresenta una pietra di paragone dell'abilità di Donizetti come drammaturgo musicale, nella
caratterizzazione delle fasi dell'allontanamento tra fratello e sorella. Enrico si precipita a salutare
Arturo. Lucia si rivolge a Raimondo, il quale le dice che, pur sapendo che le sue lettere a Edgardo
sono state intercettate, è riuscito a farne recapitare una in tutta sicurezza. Credendo che Edgardo non
abbia mai risposto, il cappellano è convinto della sua infedeltà e dice a Lucia che lo scambio degli
anelli non ha validità agli occhi di Dio. Nonostante la sua capacità di persuasione, Lucia confessa di
amare ancora Edgardo. Esorta allora la ragazza a ricordare il dovere da sorella e l’obbligo nei
confronti della madre morta (aria, Ah! cedi, cedi), e prosegue assicurandole che la sua ricompensa
sarà in paradiso. (Questo episodio è stato tradizionalmente omesso, ma la sua importanza nel tracciare
la sbriciolata resistenza di Lucia è ora generalmente riconosciuta.)

2.2 - La Sala Grande del Castello di Lammermoor


Gli invitati al matrimonio si riuniscono per salutare Arturo (Per te d'immenso giubilo: un coro
all'unisono travolgente con un interludio solistico); Arturo afferma compiaciuto che le fortune della
casa ora miglioreranno di sicuro. Enrico gli dice di preoccuparsi dal comportamento triste di Lucia,
poiché è ancora in lutto per sua madre. Arturo interroga Enrico sulle voci di Edgardo, ma l'ingresso
di Lucia gli impedisce di rispondere. Il contratto di matrimonio attende le firme necessarie: Lucia,
semisvenuta, firma il suo nome, ma per lei il documento è come se fosse la sua stessa condanna a
morte. Improvvisamente appare Edgardo: si chiede quale potere lo trattenga mentre affronta il suo
nemico, ed Enrico teme di aver tradito sua sorella. Il famoso sestetto in re♭, Chi mi frena in tal
momento, espande lo shock dell'arrivo di Edgardo, sviluppando un'ondata di emozioni contrastanti,
che due volte raggiungono il climax. La sua struttura è semplice (A–A′–B–B′), ma la sua efficacia
deriva dall’incredibile crescendo: prima tenore-baritono, poi soprano-basso con tenore e baritono in
sottofondo, solo le sezioni B sono impegnati tutti e sei i solisti e il coro. Lucia è priva di sensi;
Raimondo è commosso dal suo stato pietoso. Con le spade sguainate, Arturo ed Enrico ordinano a
Edgardo di allontanarsi, ma lui li sfida, insistendo sul suo diritto di essere presente: Lucia, sostiene,
è la sua sposa. Raimondo ora gli mostra il contratto; Edgardo chiede se Lucia stessa l'avesse firmato
e quando lei confessa, lui le strappa l'anello e lo calpesta, maledicendo il momento in cui si è
innamorato di lei e giurando odio eterno. Enrico, Arturo e gli ospiti esigono la sua partenza
immediata. Lucia si inginocchia, pregando per la sua liberazione; ma Edgardo getta la spada, si scopre
il petto e dichiara che non ha più voglia di vivere. Il tempo di mezzo di questo finale concertato riporta,
in stile rossiniano, la melodia di accompagnamento che era stata nel tempo d'attacco alla base della
precedente conversazione tra Arturo ed Enrico. Questo difficile tentativo di un discorso civile si
interrompe quando Raimondo emette il contratto di matrimonio, un episodio accompagnato da echi
mal ricordati della musica d'ingresso di Lucia all'inizio di questa scena, fornendo così un indizio della
sua agitazione mentale. La maledizione di Edgardo (un momento reso famoso da Duprez) fa
precipitare la stretta in re maggiore, che si sviluppa nel modo consueto: un incalzante unisono per il
furioso Enrico e i suoi seguaci, seguito da uno spostamento di trama dominato da frasi in ottave per
soprano e tenore, che conduce da un interludio di irrequietezza armonica ad un'affermazione
rafforzata del materiale precedente, coronata da un’enfatica coda.

ATTO 3.1 - La fatiscente sala dei Ravenswood


Infuria una violenta tempesta; Edgardo, da solo, esprime l'augurio che la tempesta preannunzi la fine
del mondo. Inaspettatamente entra Enrico; gongola che, proprio mentre parla, Lucia sta entrando nella
sua camera nuziale con Arturo (duetto, Qui del padre ancor respira) e dichiara di essere venuto a
sfidare Edgardo a duello, che si terrà all'alba successiva nel cimitero di Ravenswoods. (A metà del
XIX secolo questa scena della torre era considerata uno dei grandi momenti drammatici dell'opera;
una volta ci fu una quasi rivolta al Théâtre Italien quando venne omessa a causa dell'indisposizione
di un cantante. La scena fu in seguito spesso omessa in quanto l'opera venne considerata
principalmente come pezzo per primadonna e il resto del cast era di seconda corda; ma con i cantanti
che comprendono l'arte della declamazione drammatica nell'opera del bel canto, la scena della torre
può ancora produrre una forte impressione.)

3.2 - La Sala Grande di Lammermoor


Gli invitati al matrimonio ballano per celebrare il matrimonio di Lucia (coro, D’immenso giubilo).
Improvvisamente compare Raimondo, molto scosso, che ordina loro di cessare la loro allegria. In un
racconto macabro (Larghetto, Dalle stanze sopra Lucia, su un accompagnamento modulante
inquieto), racconta di aver sentito un grido dalla camera nuziale; accorso là, fu atterrito nel vedere
Arturo morto per terra, con Lucia, con in mano un pugnale macchiato di sangue, che gli sorrideva,
chiedendogli dove fosse il suo sposo. Gli ospiti sono sbalorditi (ritornello, Oh! qual funesto
avvenimento!). All'ingresso di Lucia il suo disturbo mentale è suggerito dal flauto (Donizetti aveva
originariamente progettato di usare qui un'armonica di vetro. Lucia indossa un abito bianco, ora
macchiato di sangue, e crede di essere pronta per il suo matrimonio con Edgardo. Tremando, lo esorta
a farla riposare presso la fontana del parco (la melodia di Verranno a te fa capire che nella sua
confusione pensa che il loro scambio di anelli sia stata una vera piaga); poi ricorda il fantasma che è
sorto dalla fontana. Quindi, immaginando che siano davanti a un altare, crede di ascoltare il loro inno
nuziale e vede svolgersi la cerimonia (Ardon gl'incensi). Questo è il Larghetto della scena pazza; la
sua allucinazione è opportunamente interpretata come tema e variazioni, ed è coronata oggi da
un'ampia cadenza con flauto obbligato (nel manoscritto è indicata anche la glassarmonica). Il fatto
che questo effetto ormai tradizionale non appaia nella partitura indica che Donizetti evidentemente si
affidava a Tacchinardi Persiani, i cui poteri di improvvisazione erano leggendari, da inserire a questo
punto la propria cadenza.
Enrico, di ritorno dall'incontro con Edgardo, inizialmente è furioso per la sua apparente vendetta; ma
Raimondo fa notare che la mente Lucia è ormai perduta. La sua dichiarazione di essere vittima della
crudeltà del fratello riempie Enrico di contrizione; prevedendo la sua morte, Lucia assicura
all'immaginario Edgardo che il paradiso sarà bello per lei solo quando vi si unirà a lei (cabaletta,
Spargi d'amaro pianto). Enrico ordina ad Alisa di portare via la sorella afflitta e spinge Raimondo ad
assisterla. Raimondo rimprovera severamente Normanno per lo spargimento di sangue che ha
causato.

3.3 - Al cimitero dei Ravenswood


Appare Edgardo, in anticipo prima del duello con Enrico. Il pensiero di morire sulla spada di Enrico
non gli è sgradito perché l'intero universo sembra un deserto. Pensa a Lucia come una sposa gioiosa
mentre affronta la prospettiva della sua morte. Saluta la terra, pensando alla propria tomba trascurata
in cui nessuno verrà a piangere (Larghetto, Fra poco a me ricovero), desiderando che almeno Lucia
desse attenzione alla tomba di colui che è morto per amor suo.
I servitori di Lammermoor si avvicinano, osservando come un giorno che sorto di gioia sia finito in
dolore. Edgardo esige il loro responso: gli dicono che Lucia è prossima alla morte e lo sta chiamando.
Un rintocco funebre suona, annunciando la morte della ragazza. Edgardo prova a vederla ancora una
volta ma Raimondo lo trattiene, assicurandogli che Lucia è davvero già morta. Edgardo la pensa in
paradiso; sebbene siano stati separati sulla terra, saranno uniti davanti a Dio (cabaletta, Tu che a Dio
spiegasti l'ali). È determinato a morire. Raimondo e gli altri cercano di trattenerlo, ma lui estrae il
pugnale e si pugnala. I suoi pensieri morenti sono per Lucia.
Ai tempi delle emergenti primedonne, la famosa scena della follia era considerata l'unica raison d'être
per la sopravvivenza di Lucia, ma oggi, grazie all'esempio della Callas più di chiunque altro ed alla
sua inquietante persuasività, accentuata da allusioni melodiche e armoniche a parti precedenti della
partitura, così come la sua distinzione musico-drammatica, le hanno fatto ottenere il riconoscimento
come molto più di un cavallo di battaglia per un soprano. Oltre a consentire ad un soprano la
dimostrazione della sua abilità tecnica, la scena della pazzia è straordinariamente lungimirante e
piena di abili tocchi psicologici. Dà l'effetto di essere composita, ma in realtà è composta da due
episodi principali: la prima parte comprende i ritornelli prima e dopo la narrazione di Raimondo, la
seconda il recitativo esteso e la doppia aria per il soprano. Ma le sezioni sono così astutamente unite
e sovrapposte (Lucia, ad esempio, continua il recitativo mentre l'orchestra introduce la melodia del
suo Larghetto) che la sequenza di segmenti si succede senza alcun senso di interruzione. La cosa più
sorprendente di tutte, forse, è lo specchio del disorientamento di Lucia nelle versioni distorte delle
melodie ascoltate in precedenza nell'opera. L'unica melodia che riesce a stare dritta nella sua testa
confusa è Verranno a te.
La Scena della Tomba è una seconda aria finale, ma trasmette una vera frenesia romantico con la sua
ambientazione, la sua atmosfera di presagio succintamente creata in un breve preludio con parti di
corno emergenti. Entrambi gli assoli di Edgardo, in re maggiore e il ritornello in si maggiore che li
separa, evocano un senso di tragica perdita che sembra incoerente con il modo maggiore.
Un bel tocco (che Duprez sosteneva di aver suggerito a Donizetti) dovevano avere le frasi iniziali
della ripetizione del moderato della cabaletta, dopo l'accoltellamento dello stesso Edgardo, divise tra
il violoncello e la voce. Per molti la scena della tomba è il punto più alto dell'intera partitura.
Sia storicamente che artisticamente, Lucia merita la sua fama. Agli inizi, era considerata l'apogeo
dell'alta sensibilità romantica. La trama chiara, che elimina gran parte dei dettagli di Scott, possiede
la cruda tensione di un racconto di Poe. Non è un caso che Flaubert ne abbia fatto un importante punto
di riferimento in Emma Bovary, vittima per eccellenza delle illusioni romantiche. Sebbene tutti i ruoli
principali siano vocalmente impegnativi, la loro musica è uniformemente grata. La partitura contiene
scarsi segni dell'irregolarità che si possono trovare in alcune opere di Donizetti. Il libretto di
Cammarano lo ha commosso profondamente e, ispirato dalla sua recente prima esposizione a Parigi,
Donizetti ha prodotto quello che è sicuramente il suo capolavoro. Che Lucia fosse considerata
un'improbabile sopravvissuta di uno stile fuori moda deriva dal fatto che di solito veniva eseguita con
molti tagli (a volte anche la scena della tomba sarebbe stata omessa). Oggi il valore dell'opera è più
facilmente colto in quanto fortunatamente è divenuta consuetudine eseguirla completa, e le numerose
riprese di altre opere belcantiste negli ultimi anni hanno aiutato ad apprezzarne la vera statura.

La fortuna della Lucia di Lammermoor, dai tempi del debutto trionfale a Napoli nel 1835, non ha mai
conosciuto appannamenti presso il pubblico. Delle oltre settanta opere di Donizetti, solo quattro non
uscirono mai dal repertorio dopo la sua morte: in primo luogo la Lucia di Lammermoor, appunto,
poi L'elisir d'amore, il Don Pasquale, e infine La Favorita (nella versione italiana). Perché anche le
altre avessero una possibilità di essere eseguite bisognò invece aspettare la cosiddetta “Donizetti-
Renaissance”, innescata dalle celebrazioni del compositore bergamasco nel primo centenario della
morte, nel 1948. L'immediato successo napoletano di Lucia fu confermato dalle riprese
acclamatissime che subito si ebbero in tutta Italia, a Genova (Carlo Felice, 1836), Vicenza, Milano
(Teatro Re, 1837), Venezia (Teatro Apollo), Trieste (Teatro Grande), Bologna (Teatro Comunale),
Parma (Teatro Regio). Al trionfale debutto parigino sia in lingua italiana, sia nella versione francese,
fece seguito nel 1838 il debutto dell'opera a Londra e nel 1839 quello alla Scala di Milano. Solo poche
voci non si unirono al coro di lodi, tutte di principio e confinate alla critica: in occasione del debutto
londinese Henry Fothergill Chorley sull'“Atheneum” parlò di “tradimento” del romanzo di Walter
Scott e – fermo restando un marcato apprezzamento per la musica – negli anni a cavallo tra il 1870 e
il 1930 Lucia fu talvolta parzialmente penalizzata da una musicologia che guardava con molto meno
favore del passato alla produzione melodrammatica.

L'opera segnata dal successo più duraturo in tutta la produzione donizettiana ha subito con il tempo
varianti adottate in seguito dalla tradizione. Durante la stagione del Carnevale del 1837 al teatro
Apollo di Venezia, Fanny Tacchinardi Persiani sostituì la cavatina Regnava nel silenzio con
l'aria Perché non ho del vento, che Donizetti aveva scritto per lei nella Rosmonda
d'Inghilterra (1834). La primadonna - come pure altre, che seguirono il suo esempio – preferirono
introdurre l'eroina in tal modo, tanto che il compositore nella versione francese Lucie de Lammermoor
inserì fin dall'inizio tale aria, ovviamente tradotta, Que n'avons nous des ailes. Nei primi anni di vita
di Lucia di Lammermoor (1836-1837) la scena della pazzia venne sostituita in alcuni allestimenti con
il Rondò finale della Fausta
La scena della pazzia è la seconda Scena e aria della protagonista, ed è seguita dalla Scena e aria di
Edgardo che conclude l'opera.
«Questa disposizione delle scene provocò una certa tensione durante le prove perché Fanny Persiani,
la prima Lucia, pensava, essendo lei la "prima donna", che la sua aria dovesse concludere l'opera; ma
Donizetti e Duprez, il primo Edgardo, insistettero che la conclusione più appropriata dell'opera fosse
la scena della tomba affidata al tenore e non la scena della pazzia.»
Si tratta probabilmente della più celebre scena di pazzia della storia dell'opera, nota soprattutto nella
versione modificata dai soprani dell'epoca, con l'aggiunta di una lunga cadenza con il flauto.
Nel libretto corrisponde alle scene V-VII della parte seconda, atto secondo. Nella partitura al numero
14. La sua struttura è:

• Scena (recitativo): Eccola! [...] Il dolce suono / Mi colpì di sua voce


• Cantabile: Ardon gl'incensi [...] Alfin son tua
• Tempo di mezzo: S'avanza Enrico
• Cabaletta: Spargi d'amaro pianto
Nella scena della pazzia, Donizetti prevede nell'autografo un uso straordinario della glassarmonica,
o armonica a bicchieri: Donizetti stesso redasse l'intera parte, integrando abilmente il suo timbro
particolare con l'orchestra sinfonica. Tuttavia, circostanze pratiche lo costrinsero a rinunciare a questa
soluzione e a riscrivere la partitura, sostituendo la glassarmonica con il flauto. Alcuni critici esaltano
la peculiarità del suono della glassarmonica, perché lo strumento è capace di evocare le angosce
generate dal senso di vulnerabilità della donna, connotando grazie al timbro tremolante stati di
alterazione mentale. Donizetti scelse il flauto come unico sostituto possibile della glassarmonica, o
armonica a bicchieri, lo strumento originariamente protagonista della famosa scena di pazzia.
L'utilizzo di uno strumento solista risulta avere una funzione ben definita: segnala l'esistenza di un
preciso “oggetto di pensiero”, conferisce concretezza, attraverso il suono, ai pensieri del personaggio,
sottolineando, in una stessa unità temporale, la distanza tra realtà e pensiero, elemento caratterizzante
il delirio di Lucia.
Pare che nel ritardare l'introduzione della grande cadenza con flauto obbligato così come la
conosciamo oggi abbiano giocato un ruolo fondamentale i periodici e i quotidiani del tempo, secondo
i quali la pazzia di Lucia non poteva oscurare il topos del suicidio dell'uomo innamorato che
concludeva l'opera.
Nell'Ottocento la struttura delle opere liriche seguiva convenzioni condivise che regolavano il
susseguirsi degli accadimenti lungo gli atti, e la scansione della parte vocale dell'opera in numeri
chiusi (arie, duetti, finali…). Di norma, seguendo il modello del melodramma italiano del periodo,
gli atti potevano essere da due fino a quattro, e in essi la vicenda partiva con i suoi antefatti, culminava
nell'azione, infine precipitava negli effetti, ed è proprio per questo che nell'ultima parte era inserita
la catastrofe, cui tendeva tutto il racconto. I numeri chiusi, a loro volta, si articolavano in sezioni
cinetiche (scena, tempo d'attacco, tempo di mezzo) oppure di sezioni statiche (aria, cabaletta, stretta).
Nelle sezioni cinetiche, la vicenda narrata procedeva, e il tempo rappresentato effettivamente
coincideva con il tempo necessario per lo svolgimento reale della vicenda. Nelle sezioni statiche
mancava la coincidenza di queste due temporalità; erano dedicate al pensiero, alle emozioni
introspettive dei personaggi.
La prima parte della Lucia di Lammermoor si segnala per una particolare scelta drammaturgica. Nelle
sezioni statiche, come sempre, i tre personaggi principali commentano internamente la vicenda e
forniscono, quindi, una spiegazione di ciò che accade in scena, vedi il cantabile e la cabaletta dell'aria
di Enrico Cruda funesta smania e La pietade in suo favore e la cabaletta della cavatina di
Lucia Quando rapito in estasi, il duetto Verranno a te sull'aure tra Lucia ed Edgardo. Invece i
momenti cinetici sono deputati interamente alla reminiscenza di eventi passati: in altre parole, non
sono agiti fatti presenti, ma si raccontano vicende già accadute. Caso emblematico è il
recitativo Quella fonte mai, dove Lucia racconta alla dama di compagnia Alisa di avere avuto la
visione del fantasma. In Regnava nel silenzio, l'aria che segue, Lucia continua il suo racconto,
arricchendolo di dettagli al fine di trasportare l'accaduto nel tempo presente, e consentire ad Alisa (e
al pubblico) di viverlo attraverso le sue parole. In quest'aria, la dinamicità è nella mente di Lucia:
essa rivive l'accaduto mostrandolo ad Alisa e rende il momento dinamico per tutti coloro che
ascoltano, poiché li mette in condizione immedesimarsi e vivere il fatto narrato. Pochi gli accadimenti
effettivi dell'atto di esordio – la scoperta da parte di Enrico dell'amore tra Lucia ed Edgardo, lo
scambio degli anelli tra i due innamorati – e l'unico gesto che potrebbe avere effetti sulla trama, la
decisione di Edgardo di chiedere la mano di Lucia a Enrico, è un'intenzione che non si concreta per
volontà della stessa protagonista. Nel corso della seconda parte dell'opera – a parte il momento di
raccordo a inizio d'atto, in cui Normanno e Enrico parlano del matrimonio combinato e degli
stratagemmi messi in atto per fare credere a Lucia che Edgardo l'abbia dimenticata – le azioni si
susseguono invece freneticamente. Il duetto fra Lucia ed Enrico Il pallor funesto, orrendo è il
momento nel quale avviene il passaggio dal tempo diegetico della prima parte dell'opera al tempo
mimetico, presente in questa seconda parte.
Donizetti e Cammarano si servono, di norma, di tre espedienti per attuare questo passaggio: eliminano
il racconto a favore dell'azione (ed è sintomatico il moltiplicarsi delle didascalie che nel libretto
indicano cosa fare). Poi dilatano le sezioni cinetiche (scene, tempi d'attacco, tempi di mezzo): se nei
tempi di mezzo della prima parte l'azione non procede – si veda, nel duetto fra Edgardo e Lucia, Ei
mi abborre -, nella seconda parte essi sono fondamentali per lo sviluppo della vicenda – si veda fra
Lucia ed Enrico La pietade è tarda ormai. Infine, intervengono anche sulle sezioni liriche (arie e
cabalette) attraverso il semplice rivolgersi, da parte del personaggio impegnato nel numero chiuso, a
un altro. Un esempio è la cabaletta del duetto fra Enrico e Lucia Se tradirmi tu potrai, durante la quale
Enrico parla direttamente alla sorella alternando minacce e commiserazioni. È questo il momento in
cui si raggiunge il climax, il culmine drammatico dell'opera: Lucia è spinta a sposare Arturo. Con il
concertato Chi raffrena il mio furore l'azione si ferma di nuovo: la firma del contratto di matrimonio
tra Arturo e Lucia marca in punto di non ritorno, segnalato dal grandioso momento d'insieme con le
reazioni dilatate di tutti i personaggi in gioco, i cui i destini qui si congiungono e precipitano. Nell'atto
finale vi è moltissima azione ma – a differenza di quanto avveniva nell'atto precedente – torna a essere
raccontata. Se nell'atto iniziale predominava il tempo diegetico, che nell'atto centrale dell'opera
cedeva il passo a quello mimetico, qui i due tempi si compenetrano. L'azione si svolge fuori scena, è
determinata da una forza potente e soprannaturale, il destino, dunque non può che essere raccontata
in quanto l'uomo perde la possibilità di governare la vicenda. Avviene questo nella scena settima del
secondo atto, quando Edgardo intona Di liete faci ancora. Qui Edgardo e gli spettatori hanno due
visioni diverse, perché Edgardo immagina il tradimento di Lucia che gli spettatori sanno non essere
avvenuto in quanto il destino ha deciso altrimenti. Tuttavia una totale confluenza dei due tempi si ha
soltanto nell'aria della pazzia: sotto il profilo dell'azione fisica non accade nulla, la scena è raccontata,
e prima ancora che compaia la protagonista, tutti conoscono lo stato in cui si trova. Lucia vaneggia,
confonde desideri e realtà, mischia passato e presente sia nei tempi verbali utilizzati, sia nelle
reminiscenze musicali di eventi trascorsi. La scena rimanda musicalmente alla cavatina iniziale, che
a sua volta rimanda all'incontro con il fantasma: questa catena di rimandi consente di capire che il
destino della poveretta era segnato, che quanto accaduto per decisione umana non era altro che la
maniera di compierlo. Perno drammaturgico dell'opera, la grande “scena di pazzia” è
intenzionalmente alterata da Donizetti nei rapporti tra le parti: la scena Il dolce suono è più lunga
dell'aria Ardon gli incensi, la cadenza raggiunge la lunghezza dell'aria che la precede, e la cabaletta
si presenta in tempo Moderato e con dimensioni più che dilatate[76]. Il destino degli innamorati infelici
si compie attraverso la morte che invade la scena con il suicidio di Edgardo. Il tenore - dopo avere
cantato Tu che a Dio spiegasti l'ali - trae rapidamente un pugnale e se lo immerge nel cuore, come
nel libretto recita la didascalia della scena ultima. Donizetti qui, oltre a dilatare significativamente la
cabaletta e a rallentarne il tempo – esattamente come nella grande scena di Lucia – altera
significativamente la convenzionalità del numero chiuso dell'aria, inserendovi un'azione proprio a
metà: a questo punto – difficile cantare con un pugnale nel petto – utilizza un espediente molto
efficace affidando la ripresa a due violoncelli, che pongono in musica gli ultimi sospiri dell'uomo
agonizzante.La scelta di concludere l'opera con la morte di Edgardo ne sancisce lo status di eroe
romantico. È un vinto e un perseguitato che non abbandona mai fierezza, dignità, speranza, passione,
neppure negli ultimi istanti della sua vita. La scelta di morire è vissuta come un gesto supremo
d'amore, la sola possibilità che gli resta per congiungersi finalmente a Lucia: Se divisi fummo in terra/
Ne congiunga il Nume in ciel.
In Lucia di Lammermoor Donizetti coniuga colore strumentale, andamento melodico, gioco tonale e
ritmico, con una maestria tale da creare una sorta di "libretto musicale" complementare, rafforzativo
e anticipatorio del testo di Cammarano. Prova di ciò sono le scelte timbriche: l'opera inizia con
le percussioni, timpani che scandiscono cupi rintocchi di una marcia funebre, schema ritmico che
verrà più volte ripreso durante tutta l'opera, anticipando gli eventi drammaturgici. La prima
frase melodica è affidata ai corni, metafora di guerra, e tende a chiudersi disegnando una parabola
sonora discendente. Interessante è la graduale e progressiva entrata di strumenti
(flauto, oboe, clarinetto) che termina con l'improvviso fremito degli archi (misura 39 della partitura)
dal quale si staglia il cadenzato solitario della tromba. Questi elementi simboleggiano,
rispettivamente, gli stati d'animo dei tre protagonisti: la sofferenza di Lucia, il furore di Enrico e gli
slanci di Edgardo. Un'arpa introduce l'ingresso di Lucia, descrivendola come una figura virginea e
angelica. Allo stesso tempo, tuttavia, la sua struttura ornamentata lascia presagire un dramma carico
di patetismo, tutto imperniato sui sentimenti più intensi della donna.
Nel duetto "Verranno a te sull'aure" (fu una canzone di zampognari che lo ispirò a Donizetti) il
raddoppio della melodia nei violini sembra volere fondere il cuore del compositore con quello dei
due amanti. Nella seconda parte, invece, l'ingresso di Lucia – senza parole - è sottolineato da frasi
spezzate ed eloquenti affidate all'oboe, che si perdono nel fremito dell'orchestra subito evocato
all'accenno al matrimonio. Seguono i corni che introducono, stavolta sul grave pizzicato degli archi,
un'atmosfera più funesta.
I corni assumono una connotazione diversa dopo l'entrata di Edgardo nella scena IV dell'atto primo
(nelle battute immediatamente precedenti il Sestetto): nonostante le accentuazioni eroiche, spicca il
languore del cromatismo nel quale è musicalmente riconoscibile il personaggio di Edgardo.
Nella scena della pazzia, emblema della pietas donizettiana, non è più l'arpa ad accompagnare Lucia,
bensì il flauto, raddoppiato dalla glassarmonica, strumento deprivato di timbro: in questo modo il
compositore porta alla massima esaltazione la psicologia dell'infelice rendendo l'irrealtà sonora lo
specchio dell'irrealtà del delirio.
Nell'ultima, drammatica scena, è il timbro del violoncello a cantare la melodia al posto di Edgardo
nella ripresa della cabaletta, dando voce alla speranza della consolazione ultraterrena che pervade
l'animo distrutto dell'innamorato fedele sino alla morte
Nella seconda parte di Madame Bovary di Gustave Flaubert, il capitolo XV è pressoché interamente
dedicato a una rappresentazione di Lucia di Lammermoor cui Emma Bovary assiste a Rouen. Rouen,
intanto, è una delle città nelle quali i biografi dello scrittore francese hanno supposto che questi
potesse avere assistito a una rappresentazione dell'opera, forse nel 1840; ma si è anche dubitato che
l'avesse proprio vista. L'autore, tuttavia, nel 1850 cita una rappresentazione tenutasi a Costantinopoli.
Durante la rappresentazione, l'attenzione di Emma viene meno proprio nel momento della scena della
pazzia, vuoi perché attirata dalla inattesa presenza di Léon, vuoi come metafora del gusto della prima
metà dell'Ottocento che considerava questa scena meno suggestiva di altre[86]. A una attenta analisi,
tuttavia, non può sfuggire il simbolismo che accomuna il romanzo naturalista all'opera donizettiana,
specialmente alla scena della pazzia. Come Emma è il simbolo di un disagio che cova nel seno
della borghesia francese, riflettendo un'insoddisfazione tipica della seconda metà del XIX secolo,
così in Lucia la presenza dello strumento solista rappresenta la sovrapposizione di realtà e pensiero
in uno stato di completa deriva fisica e psicologica. Notevole è anche il fatto che la personalità di
entrambe le donne sia riassumibile nella frase «c'è sempre un desiderio che trascina, e una
convenienza che trattiene». L'opera di Donizetti è stata associata da molti critici ad Anna Karenina,
di Lev Tolstoj, che viene comunemente citato con Flaubert come uno degli scrittori che vi fecero
riferimento. In realtà Tolstoj non cita mai né l'opera, né Donizetti, limitandosi a richiamare solo
genericamente un'opera, una scena di pazzia e una cavatina; l'autore russo la nomina invece
espressamente nel capitolo V di Al'bèrt, racconto del 1858 in cui fa dire al protagonista che anche
nella musica "nuova" (per il tempo) ci sono "straordinarie bellezze" come La sonnambula di Bellini,
il finale di Lucia e Chopin (oltre a un non meglio identificato Robert). In Anna Karenina Tolstoj fa
apparire invece Adelina Patti, "la Patti", che fu sì nota per la sua Lucia, ma anche per la Sonnambula.

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