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“Musica all’Oratorio”

sabato 21 maggio ‘22

I
Per ricreare gli animi, Filippo introdusse nell’Oratorio la musica al cui fascino era egli
stesso sempre stato sensibilissimo. Fu sua l’invenzione geniale di introdurre fra i sermoni e
alla fine canti di mottetti, latini e italiani. Da principio erano semplici laudi, in una stesura
monodica, lineari, un facile “recitar cantando” a commentare quanto era esposto nel
sermone.
Lo spazio musicale era stato introdotto da padre Filippo come elemento complementare e
accessorio rispetto al discorso. Solo più tardi circostanze varie fecero sì che proprio alla
parte musicale toccò di contribuire, in modo impensato, al punto da aumentare notevolmente
il livello di complessità.
Si cominciò con delle laudi monodiche, fra le più semplici, a volte appoggiate da
strumenti, una poesia in strofe che veniva ripetuta dai fedeli su una melodia uguale. Non
rimangono documenti delle prime pratiche musicali congegniate da padre Filippo, appunto
perché senza composizione. Erano le laudi tradizionali prive di musica suonata, adattate su
altri motivi, del tipo “cantasi come” o sulla base di musiche note alla gente.
Il santo fiorentino riportava nel cuore della fastosa Roma cinquecentesca la laude popolare
e ingenua della sua infanzia e l’usava come inizio e conclusione dei sermoni oratoriani,
proprio negli anni in cui questo uso devoto a Firenze andava scomparendo, anche per il
nuovo regime politico del ducato e per i suoi gusti mondani e raffinati.
Giovanni Animuccia dietro consiglio del Padre, riprese quelle prime melodie, altre ne
aggiunse di sua composizione e le concertò a più voci in una piacevole e facile polifonia; sarà
la prima pubblicazione musicale, espressamente composta per le tornate oratoriane. Nel
1565 il primo libro di laudi raccoglieva 29 musiche a più voci, ma nell’intento dichiarato di
conservare «una certa semplicità, che alle parole medesime, alla qualità di quel divoto luogo
et al mio fine, che era solo di eccitar divotione, pareva si convenisse». Nel 1570 comparve il
suo secondo libro di 18 laudi spirituali in volgare e 27 tra mottetti, salmi e antifone in latino.
Animuccia allora affermava che, giacché l’Oratorio si era tanto accresciuto e il suo uditorio
così allargato di numero ed elevato per cultura e qualità degli ascoltatori, gli era parso bene
«accrescere l’armonia e i concerti, variando la musica in diversi modi facendola hora sopra
parole latine, hora sopra volgari, et hora con più numero di voci et hora con meno, et quando
con rime di una maniera, et quando di un’altra, intrigandomi il manco che io ho potuto con
le fughe et con le inventioni per non oscurare l’intendimento de le parole, accioché con la
loro efficacia, aiutate dall’harmonia,
potessero penetrare più dolcemente il
cuore di chi ascolta». Il terzo libro
usciva nel 1577, quando Animuccia
era morto da sei mesi, precisando che
i padri oratoriani avevano voluto
questa nuova raccolta trattata «con
più facilità e simplicità musicale, acciò
possa essere cantata da tutti, il che
per la maggior parte non avveniva de’
dui primi libri».
II
Lo spazio musicale nelle pratiche oratoriane
era stato introdotto dallo stesso padre Filippo,
sempre naturalmente come elemento
complementare e accessorio, e pertanto solo
marginale. Col tempo, però, circostanze varie
fecero sì che proprio alla parte musicale toccò
di contribuire, in modo impensato al successo
dell’Oratorio, mentre dava lustro a sé stessa.
Infatti la musica e i compositori che trovarono
dimora presso l’Oratorio romano, poterono
esprimere il meglio di sé accrescendo la produzione musicale, in modo da scrivere nuove
pagine di storia della musica, non solo di storia dell’Oratorio. Questo felice connubio tra
musica e Oratorio filippino si vide realizzarsi in particolare nei due decenni successivi la
morte del Padre, quando i musici presenti in Congregazione vollero prescrivere i cantores
negli esercizi dell’Oratorio e la conclusione in musicus concentus.
Dopo i sermoni divenne consueta l’esecuzione
di inni e laudi sacre composte appositamente ad
uso degli incontri dei congregati. Nacquero così
gli “Oratori”, cioè musica sacra eseguita
nell’Oratorio filippino. La potenza della parola,
fatta viva dal sentimento, rivestita ed elevata
dalla musica, doveva dare origine al dramma
musicale che aperse al futuro teatro nuovi
orizzonti. L’“Oratorio musicale” così
denominato dal 1640, di solito di argomento
biblico, diverrà dai primi decenni del Seicento il
maggior motivo d’attrazione della pratica
filippina.
Con variazioni musicali su laudi dialogate fra soli e coro e con nuovo stile (il “recitar
cantando”), nascerà quale componente degli esercizi oratoriani una nuova cantata a più voci
(soli e cori), a cui presto si aggiungerà un piccolo complesso orchestrale (viole, tiorbe, liuti,
trombe): sarà un genere musicale del tutto nuovo, l’“Oratorio musicale”, i cui incunaboli si
conservano ancora all’Oratorio romano.
La musica divenne un motivo di richiamo e successo per l’Oratorio. Un vecchio cantore
papale, Orazio Griffi, che ne era stato frequentatore per quarantacinque anni, nella
prefazione a una raccolta di composizioni
scriveva: Beato Filippo… per raggiungere gli scopi
voluti dal tuo zelo e per attirare i peccatori mercé
una dolce ricreazione dei santi esercizi
dell’Oratorio, tu ricorrevi alla musica e facevi
eseguire canti sacri in coro: così la gente veniva
trascinata dai canti e dai sermoni al bene della
propria anima. Taluni frequentavano l’Oratorio
soltanto per la musica, ma poi si fecero via via più
plasmabili e sensibili alle esortazioni spirituali e
finivano per convertirsi a Dio con grande fervore.
III
San Filippo ebbe la ventura di attirare
alla propria idea Giovanni Animuccia e
Pier Luigi da Palestrina. Questi celebri
compositori furono penitenti ed amici
intimi di Filippo; l’Animuccia prima, e più
tardi il Palestrina, furono preposti dal
Santo a dirigere i concerti spirituali
dell’Oratorio. I concerti dell’Oratorio, per
opera dei due famosi maestri, diventarono
sempre più attraenti ed assursero a
grande fama nel mondo dei musici; questi
drammi musicali immortalarono il nome
del Palestrina, il quale rimase fino alla
morte maestro di cappella dell’Oratorio.
La gloriosa eredità musicale sua e dell’Animuccia fu raccolta dallo spagnolo padre Soto
Langa, il quale divenne uno dei più celebri cantori della Cappella Pontificia. Nel 1600, cinque
anni dopo la morte del Santo, nella Chiesa della Vallicella si dava la prima rappresentazione
del famoso oratorio: “Anima e corpo” musicato da Emilio del Cavaliere. Fu quello il primo
saggio, l’unico con apparato scenico, la rappresentazione di Combattimento di anima e corpo
nel febbraio del 1600, su una lauda dialogata del padre Agostino Manni. Era un momento
storico, perché l’evoluzione della lauda spirituale, arricchita dal dialogo si fece drammatica e
narrativa. Con l’affermarsi dello stile recitativo, la nuova musica melodrammatica, trovava
spazio anche nella Chiesa con rappresentazioni spirituali.
Altri musici valenti si succederanno all’Oratorio romano furono padre Guglielmo Rosini
e il laico Dionisio Isorelli. Un altro nome importante è Anerio, il convertito Maurizio e i suoi
tre figli musici. Arriveranno anche dietro la riluttante Bradamante il marito Massimo,
cantore del papa, e il generoso Sebastiano, che con Gaspare Brissio, musico di cornetta, e il
marito di sua figlia, il trombettiere Fabio de Amatis, erano la guarnigione musicale di Castel
S. Angelo quasi al completo. Anche il figlio di Fabio, putto cantore a S. Maria Maggiore,
entrerà nella sfera di Filippo, ma sarà dopo la sua morte, quando con una reliquia del santo il
padre lo liberò da una terzana doppia.
Infine non si può dimenticare il beato
dell’Oratorio, padre Giovenale Ancina. Colto
medico piemontese, fu conquistato da San
Filippo ed entrò in Congregazione con suo
fratello Matteo nel 1578. Giovenale Ancina si
dedicò al “travestimento spirituale”, i
cosiddetti mascheramenti, ovvero il riciclo di
opere profane con la trasformazione in canti
sacri. Nella biblioteca Vallicelliana si conserva
L’amorosa Eco, raccolta stampata di madrigali,
dove l’Ancina con tanti pezzetti di carta
incollati ha trasformato personaggi mitologici,
come Eco in S. Pietro e Narciso in Gesù che
cammina sul mare. Di suo pugno sulla
copertina appare la scritta “L’amorosa Eco fatta spirituale”.

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