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LEZIONI DI EMANUELE

SENICI SULLA REGIA


D'OPERA MODERNA
Storia del Teatro e dello Spettacolo
Università degli Studi di Roma La Sapienza
15 pag.

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Lezioni Senici STORIOGRAFIA DEL TEATRO MUSICALE
LEZIONE 1
Regia d’opera contemporanea/ Regia d’opera d’oggi

Teatro musicale: musica + spettacolo


L’opera è più antica rispetto al musical, la storiografia, invece, è più vecchia dell’opera stessa.
Il teatro musicale raccoglie tutte le forme di teatro in cui se si togliesse la musica, nulla
avrebbe più senso, poiché quest’ultima darebbe un contributo fondamentale.
La musica costruisce l’azione.
La messa in scena è una componente fondamentale delle arti performative, in particolare, per
lo spettacolo dal vivo.

Don Giovanni (1787)


Analisi scena 15-16-17
Prima regia: Stéphane Braunschweig (teatro Champs Elysées, 2012)
L’ambientazione non è chiara e neanche il periodo, possibile che ci troviamo però ai giorni
nostri. Il contesto è ricco. Gli abiti non fanno apparire il Don Giovanni come una figura
professionale, ma più un “piacione”. Il coro si intravede da dietro, indossano tutti una veletta
nera che ricorda un’atmosfera funebre. La morte del Don poco chiara: viene messo su una
barella, che ricorda l’ambiente dell’obitorio o un tavolo con delle ruote come se fosse una
portata. In base al testo, rispecchia parecchio ciò che è l’opera scritta.
Seconda regia: Graham Vick (teatro di Como, 2014)
In scena una telecamera, uno schermo bianco, una statua enorme a forma di donna e
un’automobile. Don Giovanni, rispetto a quello di Braunschweig, è più elegante nel vestire ma
non nei modi di fare. La figura della donna viene completamente umiliata. Qui, viene
evidenziata anche la bissessualità del Don e, inoltre, che si eccita non solo con il sesso ma con
la sofferenza (mentre guarda il ragazzino in scena che si spegne le sigarette addosso). La sua
figura è rappresentata come un regista e un protagonista di filmini amatoriali, su cui poi si
masturberà. Alla fine verrà condannato ad essere un “semplice spettatore”, dove potrà solo
guardare.

LEZIONE 2
Il sistema produttivo nella messa in scena è in contatto con le possibilità artistiche ed
estetiche.
Il repertorio lo troviamo nei teatri d’opera (media nell’Occidente), sono brani vecchi, composti
tra ‘700 e ‘800. Diversa è la situazione nel teatro di prosa, essendoci titoli molto più moderni. Il
repertorio è legato alla borghesia. Tra ‘600 e ‘700 si iniziano a far vedere solo opere nuove,
mentre poi la cosa che si ripeterà col passare del tempo saranno i libretti: si ripete il testo, ma
la musica cambia. Questo cambia con Gioacchino Rossini, nell’800, le opere si ripetono nello
stesso teatro. La prima opera che non è mai uscita dal repertorio è il Barbiere di Siviglia.

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Negli ultimi cinquanta/ sessant’anni il repertorio introduce sempre più raramente opere nuove.
Il repertorio si forma per soddisfare una buona fetta culturale sociale. Le ultime opere che
entrano nel repertorio sono quelle degli anni ’50 e vengono considerate come “conservatrici”.
Prima medializzazione dell’opera in musica:
-la fotografia
-grammofono: registrazione di un’opera su un disco di cera (1904-1906). Registrazione
acustica, non elettrica, massimo tre minuti di registrazione. È durato per vent’anni.
-radio: si incominciano a trasmettere opere intere, in particolare quella italiana. In
contemporanea si ha la registrazione elettrica (fine anni ‘20). Il problema è che i costi per i
dischi sono più elevati, essendo “i dischi 78”
-LP (fine anni ‘40)
-nastro magnetico, che si tramuterà in cassetta
-CD (anni ‘80) il suono è più fedele
-MP3
-cinema muto: rapporto stretto con il melodramma. Alcuni film riproducevano opere intere.
Durante la proiezione era presente l’orchestrina e pianoforte che riproduceva la musica
dell’opera. Inizialmente il cinema, arrivato il sonoro, non si interessò al melodramma, dopo
dieci anni, nel ’45, che arriva il cinema d’opera.
-televisione: all’inizio non entra subito in contatto con il teatro per via dell’illuminazione. La
prima opera trasmessa in tv fu il Barbiere di Siviglia. Nella metà degli anni ’50 scompare la
cineopera.
-DVD (1998): è una rivoluzione per l’opera, più del VHS, per il numero di spettacoli che si
possono trovare.
Nel corso del ‘900, l’opera è stata medializzata nel suono più della sua immagine, fino all’arrivo
del dvd. Prima l’opera veniva solo, principalmente, ascoltata. Il tasso di ripetizione nell’audio è
sempre stato e sempre sarà superiore; questo vuol dire che l’opera nel ‘900 diventa un fatto
più musicale (più di com’era nell’’800).

LEZIONE 3

DISTINZIONE DI MODELLI PRODUTTIVI

Nell’opera esistono due modelli: il repertorio e la stagione.


Nel repertorio (viene riprodotto tutte le sere, in particolare, nei paesi in lingua tedesca) si fanno
poche produzioni in un anno. Un gruppo di cantanti, detto “assemblas”, stipendiati del teatro,
fanno funzionare il repertorio, specialmente se conoscono la regia dell’opera. La produzione di
quest’ultima, vengono fatte dal regista stesso.
Nel modello della stagione (che troviamo principalmente nei teatri italiani), invece, si crea una
nuova produzione, per un totale di serate, poi finisce e se ne crea una nuova. È un modello più
dispendioso e non esiste l’”assemblas”. Il problema della stagione però, è che le prove sono
sempre meno lunghe. Il sistema della stagione italiana, non esiste più.

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Teatro creativo : non viene ricreato il testo, ma si concepisce lo spettacolo unitariamente.
L’etica accettata da tutti è che il testo e la musica non si toccano. L’autore dell’opera è
diventato il compositore, quindi l’opera stessa non viene modificata, ma la messa in scena si.
Regietheater è un termine tedesco, “regia teatro”, che indica l’atteggiamento di
reinterpretazione di una regia utilizzata nei paesi di lingua tedesca, questo atteggiamento si è
sviluppato nell’epoca del nazismo.

Orfeo ( Monteverdi, 1607)

Regia: Gilbert Deflo (una regia filologica) (teatre de Liceu, Barcellona, 2002)
Scenografie: William Orlandi.
Analisi introduzione (prologo).
Siamo al tempo della mitologia greca; i costumi epoca tardo rinascimento (esempio Guido
Reni); scenografia epoca barocca (un’antica Grecia nel tardo ‘500/‘600). La recitazione è
statica, statuaria (recitazione per pose parlanti). Il regista cerca di riprodurre lo spettacolo
come sarebbe potuto andare in scena nel ‘600. Il direttore d’orchestra, sembra essere il ritratto
di Monteverdi (mantello nero con collettone bianco). Spettacolo creato per un pubblico
culturalmente preparato. L’Orfeo di Monteverdi si presenta come uno spettacolo da ricreare.
L’estetica dello spettacolo è un’estetica pittorica.

LEZIONE 4
Incoronazione di Poppea (Monteverdi, 1642)

Si è passati dall’opera di corte, cambiando la produzione, al teatro imperiale (1637). A Venezia


si iniziano a presentare delle opere con numerose rappresentazioni, passiamo da un
meccanismo singolo ad un meccanismo di ripetizione. Non cambia solo a livello produttivo, ma
anche di organizzazione: non c’è più il coro, e cambia radicalmente la drammaturgia.

L’incoronazione di Poppea è una drammaturgia complicatissima, sono eventi storici realmente


accaduti. All’interno di quest’opera troviamo una trama, una sottotrama, scene classiche,
scene balletto, comiche e drammatiche. È una drammaturgia degli intrecci, ispirata al teatro
spagnolo. È una storia di sesso non di amore, una storia di potere. È basata sul punto di vista
musicale che su quello recitativo (opera impresariale).

Regia: Ole Anders Tandberg (opera nazionale norvegese, Oslo, 2012)


Analisi scena suicidio Seneca, scena con canto diegetico o canto in scena tra Nerone e Lucano,
duetto con Nerone e Poppea, finale.
Siamo ai tempi nostri; abiti anni ’60; la scenografia non ci dice niente, non c’è nessun oggetto
scenico, tutta l’azione si svolge nello stesso spazio fisicamente: siamo in un non-spazio (spazio
metafisico come quello di De Chirico o uno spazio da esperimento). Il video qui si propone
come protagonista, viene usata spesso la slow-motion e quindi non si riesce spesso ad
analizzare la recitazione. Quest’ultima, è una recitazione sopra le righe, enfatica, c’è molta
componente gestuale. La nostra percezione è dettata dal filtro presente nel video: bianco e

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nero, mentre il rosso viene risaltato. La regia è stata pensata per il video, soprattutto la scena
finale che è un caso esplicito di mediazione del video. Moltissimi primi piani proposti. Tutto
questo crea un effetto cinematografico noir. Essendo una storia “noir”, il regista ha voluto
rispecchiare il genere.
Collegamento con l’opera dell’incoronamento di Poppea è il film “Sin city” (2005), oltre il filtro
e i colori, in particolare sulla storia, dove la violenza fa da protagonista e tutti peccano.
La scena finale è una scena decostruttiva. Il duetto è molto sensuale (c’è dell’amore carnale,
fisico), il regista però ci mette in guardia per farci capire che è una storia di violenza, di potere,
non c’è un buon fine.

Le “tragedie lyrique en musique” sono intrattenimenti per la corte, di genere politico, il


soggetto Armide è stato scelto da Luigi XIV.

L’Armide (1686)
Storia di Rinaldo e Armida. Armida è la maga seduttrice, mentre Rinaldo è il crociato che cade
nell’infatuazione per Armida, sotto un incantesimo. Gloria e saggezza vantano il re Luigi XIV,
che è lo stesso creatore del libretto.

Regia: Robert Carsen (Théâtre des Champs-Élysées, 2008).


Analisi prologo Gloria e saggezza che cantano le lodi al re.
Caratteristica dell’opera francese, al contrario di quella italiana, è la presenza di tantissime
scene di danza.
Ambientato ai giorni nostri, i costumi del coro vestiti come noi, la Gloria e la Saggezza vestite
come guide turistiche o hostess, con tessuto argentato; ambientazione non interamente
realistica. All’inizio siamo in un museo, non si capisce bene dove, dopo però il video ci porta
all’interno di Versailles (nella stanza degli specchi e il giardino). Non si sa se gli spettatori
vedono il video dei danzatori o hanno i danzatori live a teatro. Anche qui il protagonista è il
video. Nell’introduzione del primo atto cambia il costume delle hostess, entra in scena Armida
con un costume rosso (il costume dell’odio), il letto che vediamo è il letto di Luigi XIV, che
cambia colore in scena, diventa argento, come se fosse un sogno. La recitazione non è molto
realistica, le due hostess sono molte enfatiche. Con questa messa in scena, il regista è come se
ci dicesse che noi siamo turisti che consumano un bene culturale (Versailles): “andare a teatro
a vedere L’Armide è come andare a Versailles”.

LEZIONE 4

Opera esaminata: “ L’incoronazione di Poppea” (1643), dramma per musica di Claudio Monteverdi
e libretto di Francesco Busenello.
È un esempio di opera impresariale seicentesca risalente al 1577, ed è l’opposto dell’opera
cortese. L’opera impresariale consiste in:
1. Storie complesse
2. Obbligo nell’avere un riscontro positivo sul pubblico (che da ora paga un biglietto per
l’opera)
3. Trame storiche e non più mitologiche

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4. Assenza del coro

Un altro genere che si sviluppa intorno agli anni ottanta del ‘600 è la tragedie lirique. Nasce in
Francia e le sue caratteristiche sono:
1-Suddivisione in cinque atti + prologo
2- Esalta la figura del re
3- È presente la danza
4-Sono piene di divertissement
5-Le azioni sono lente
6-Presenza di molti recitativi declamati
Questo genere rimane in voga fino alla fine dell’antico regime ed ha una vita teatrale molto lunga.
Un esempio di tragedie lirique è L’Armide di Carsen dalla “Gerusalemme Liberata” di Tasso.
Questo genere operistico ebbe molta valenza nel rapporto tra la messa in scena e il potere. La
trasposizione è del tutto ironica e non radicale e decostruttiva nella glorificazione della Francia. Si
tratta di un’ironia leggera in quanto, se l’intento fosse stato parodico o graffiante, anche le
coreografie o la danza sarebbero state diverse.

Come categorizzare questa messa in scena?


Regia critica il regista mette in scena quelli che per lui sono i valori originali.
Regia che fa riflettere anche in base all’utilizzo dello spazio scenico il coro viene dalla platea e il
prologo è una scena corta.

L’OPERA SERIA
È un genere operistico che si forma in Italia a cavallo tra ‘600 e ‘700. La forma arcadica la definisce
una drammaturgia troppo sporca. L’azione seria è distribuita in tre atti con personaggi fissi e trame
storiche. Il ritmo drammatico di base consiste nell’alternanza di arie e recitativi. Una volta ogni
tanto c’è un duetto.
Georg Friedrich Händel (1685-1759) è stato uno dei più famosi compositori di opere serie della
storia della musica. Negli ultimi anni della sua vita si trasferì a Londra ma compì diversi studi in
Italia, dove compose opere sia in lingua inglese che in lingua italiana. Tra le sue opere in musica
più note ricordiamo il Giulio Cesare in Egitto del 1724.

Giulio Cesare in Egitto, regia di David Mcvicar (2005-Festival di Glyndebourne)

Spettacolo eccellente sotto tutti i punti di vista: si tratti delle ambientazioni, del lavoro sulla
prossemica, della drammaturgia complessiva o dell’impiego della danza, forse l’elemento in questo
caso più caratterizzante. Vi sono meravigliose coreografie danzanti eseguite dagli stessi interpreti
vocali.

Trama: Giulio Cesare arriva in Egitto per conquistarlo. Cleopatra e Tolomeo sono in lotta tra loro
per la successione al trono. Viene raccontata una storia di guerra, di conquista, d’amore e di
incontro tra cultura diverse.

Scenografia: Nella messa in scena moderna il regista opta per una tecnica settecentesca: onde
del mare poco realistiche con navi prettamente settecentesche. Anche l’arrivo delle navi è
anch’esso poco realistico e ci sono molti elementi ottocenteschi ( tende alla veneziana) Nella
scena di Cleopatra, i vari tendaggi ci trasmettono un qualcosa di esotico anche se l’ambiente è
indatabile ( probabilmente ci troviamo in un tardo ottocento-primo novecento). Il tutto è ambientato
durante l’impero coloniale britannico del 1900 e qui il colonialismo romano è evocato
ingiustamente, come, d’altronde anche il settecento perché è il periodo in cui è stata scritta l’opera
di Handel.
PERIODO AZIONE (1700) +PERIODO AMBIENTAZIONE(ANTICA ROMA) + PERIODO CHE
AIUTA IL PUBBLICO A CONTESTUALIZZARE MEGLIO (1890-1900)

Costumi: I costumi, come l’architettura, non rispecchiamo la moda del secolo dei lumi. Cesare e le
sue truppe sono vestiti con costumi che rimandano a quelli delle guardie britanniche reali

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ottocentesche, ma al contempo il protagonista indossa una cintura romana. Cornelia indossa un
costume e un’acconciatura che ci rimandano agli anni 1897-1905, mentre i costumi di Cleopatra e
Tolomeo ad una moda mediorientale novecentesca.

Recitazione: Ci sono diversi livelli di recitazione. Essa risulta essere:


1. Poco realistica
2. Molto enfatica e teatrale ( presenza della danza che ricorda Bollywood)
Questa differenza recitativa è basata sul parametro etnico.
Giulio Cesare è interpretato da una donna.

Regia: Abbiamo una regia sofisticata e complessa che presenta spunti di razzismo nel momento in
cui gli orientali danzano e gli occidentali no. L’oriente è sempre rappresentato come fermo nel
tempo. Esso ha una valenza quasi turistica e la questione dello spazio è molto importante.
L’Overture è a sipario prima chiuso poi aperto con Giulio Cesare e le sue truppe che marciano
sulle note di una marcia.

Altro esempio di opera seria è: Rodelinda di Händel. Si tratta di un’opera lirica in tre atti con libretto
di Nicola Francesco Haum che venne messo in scena per la prima volta nel 1725.

Rodelinda, regia di Jean Marie Villègier, 1998,Glynderbourne Festival

Trama: Essa pone al centro la prova dell’amorevole rapporto coniugale tra Rodelinda (Anna
Caterina Antonacci) e il suo marito Bertarido (Andreas Scholl)

Ambientazione: Il regista, insieme agli scenografi e la costumista hanno optato per


un’ambientazione ispirata al cinema muto dei primi anni venti.

Costumi: Gli eleganti costumi (e il trucco) sono tutti in bianco e nero. Essi promuovono una
visualità da cinema muto insieme alla gamma cromatica utilizzata nel trucco.

Recitazione: Per andare incontro alla scia del primo cinema muto, il regista ha incoraggiato uno
stile di recitazione stilizzato e drammatico dai cantanti, in modo che l’opera somigliasse ad un vero
e proprio film muto. Ad esempio, ricordiamo dell’interprete che, disperata, si aggrappa ai tendaggi
nelle scene di dramma e dolore. Vi sono continuamente pose parlanti ed emozioni enfatiche
drammaturgia della pausa premiante o drammatica. La scelta di una recitazione pantomimica è
stata voluta dal regista per evocare negli spettatori qualcosa che li aiuti a capire la drammaticità
dell’opera seria.

Il Rinaldo di Händel (1711) fu la prima opera lirica scritta dal compositore a Londra.

Il Rinaldo, regia di David Alden, 2000, Monaco, Opera di Stato Bavarese

Trama: Racconta la storia dei paladini che combattono le Crociate presso Gerusalemme. I
personaggi che ci interessano sono Rinaldo, Goffredo, Eustazio.

Personaggi: Eustazio è vestito come un gangster e compare sin dall’inizio. Goffredo è un


predicatore religioso televisivo esaltato. Rinaldo sembra un investigatore privato del cinema noir
anni ’50 in versione ironica.
Almirena è vestita da guerriero crociato quindi diversamente da Goffredo e Rinaldo e dunque
risulta essere in contrasto con la scenografia. Poi si spoglia e ha un vestito corto anni 20’ e dei pon
pon rossi. Ricorda quasi una donna del Cabaret. È una caricatura di una ragazza bigotta che dopo
essersi invasata della religione trasformatasi in Giovanna D’Arco, diventa una ragazza pon pon
che esalta Rinaldo spingendolo alla battaglia

Ambientazione: Siamo presumibilmente nel Medioriente

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Scenografia: Siamo all’interno di una chiesa con segni massonici,scritte ebraiche,scritte religiose
in tedesco. C’è un divano,un crocefisso, una tenda da campeggio, una statua religiosa che forse
rappresenta una metafora per indicare Gerusalemme (luogo delle crociate). Tutta la scenografia ha
un’impronta pop e si basa su un’estetica della mescolanza il che indica che non si sta mirando ad
una ambientazione precisa ma ad un tocco postmoderno con linee guida anni 50’.

Costumi: I costumi maschili rimandano prevalentemente agli anni 40’ grazie ad un capo indossato
dagli interpreti: il borsalino. Rinaldo indossa un completo blu elettrico, mentre Almirena in un primo
momento è vestita da ragazza per bene, poi da Giovanna D’Arco ed infine da ragazza pon pon.

C’è un atteggiamento parodico nei confronti delle religioni ( si condanna la religione in generale). I
cantanti maschi sono per lo più controtenori, c’è una lunga pantomima sull’overture. Alden sta
mettendo alla berlina la trama del Rinaldo e la guerra del Golfo che era in atto negli anni della
messa in scena. C’è una forte critica al fondamentalismo religioso e alle guerre per il petrolio, oltre
che una grande spettacolarizzazione della guerra per l’occidente.
Vi sono diversi riferimenti ai fumetti.

LEZIONE 7

Anno 2000: Stoccarda è un teatro importante, il tipico teatro tedesco simbolico (esempio di
repertorio). Jossi Wieler e Sergio Morabito sono un team, da quasi 20 anni hanno l’opera di
Stoccarda. Wieler è più un regista, mentre Morabito un drammaturgo. Il Dramaturg (figura del
teatro in lingua tedesca) è una figura ponte tra il mondo della riflessione e il dramma. Il primo
interlocutore del dramaturg è il regista (non c’è un regista fisso). Il regista prima di mettere in
scena un’opera, chiede consiglio al dramaturg, elaborano la messa in scena insieme.

Dramaturg: persona di parola


Regista: persone dell’azione
Le regie di Wieler e Morabito sono due “regie simbolo” per il teatro degli ultimi anni.

Alcina (1735)

Regia: Handel
Contiene scene di danza, anche se è un’opera italiana. Alcina è una maga che sulla sua isola
incatena gli uomini, dopo aver appagato il suo piacere sessuale, li trasforma in oggetti o
animali. Bradamante, fidanzata di Ruggero, abbandonata per la guerra da esso, si traveste da
uomo e lo segue.
Trama 1: Ruggero si innamora di Alcina (c’è solo un interesse sessuale).
Trama 2: Morgana si innamora di Bradamante vestita da uomo.
Nel secondo atto c’è un incantesimo. Oronte è un personaggio di fianco, è il fidanzato di
Morgana, sorella di Alcina, ed è seccato dall’arrivo di Bradamante vestito da uomo.
Il coro non è presente in quest’opera, i personaggi solisti, però, fanno dei coretti.
Scenografia: ambientazione in uno stato non molto buono: la tappezzeria è un po' strappata,
c’è umido, sporco. È spoglia, ci sono degli aspetti vagamente settecenteschi (collegata al
periodo in cui è stata scritta l’opera), anche aspetti della metà del ‘900 (le lampadine).
Costumi: anni 60 (il taglio del vestito di Alcina). Un dettaglio che ci fa capire benissimo che
siamo in questi anni sono i capelli degli attori, in particolare il taglio di Alcina.

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Recitazione: non molto euforica, non di posa. I protagonisti hanno in testa solo una cosa: il
sesso. Alcina è come se fosse costantemente una seduttrice. All’inizio anche Morgana in pose
seduttive con Ricciardo (il nome di Bradamante vestita da uomo). Oronte diventa geloso,
ossessionato da quello che potrebbero fare Morgana e Ricciardo. Oronte sembra che faccia una
parodia della scena iniziale di Alcina, seducendo Ruggero. Non è molto chiaro, se infine Oronte,
vuole sedurre veramente Ruggero o fargli capire che si sta parlando semplicemente “di un paio
di gambe”. Personaggio con interesse sessuale è anche il ragazzino in cerca del padre.
Il sesso è un interesse generico. Ci sono elementi di feticismo: lo riconosciamo nella scena con
Ruggero e Oronte, mentre quest’ultimo si toglie le scarpe. Morabito ci dice che i personaggi
sono persone incapaci di amare, ossessionate dal sesso, ma non dal sesso normale, un sesso
ossessionato.
Riferimento cinematografico: “Il laureato”. Ruggero rappresenta esattamente il personaggio di
Dustin Hoffman. Si rifà alla scena cult del film dove lei si toglie le calze, seducendo lui.
La cornice della scenografia fa da schermo, fa da riflessione sull’immaginario, sull’ideologia,
soprattutto sulla morale borghese, con cui attraverso Alcina viene sgretolata. Alla fine la
cornice diventa la fotografia matrimoniale dei personaggi. Gli uomini diventano oggetti
dall’incatenamento sessuale. Il ruolo di Ruggero è stato scritto per un castrato, l’interprete, qui,
è una donna. Morgana si innamora di una donna, travestita come un uomo, quindi l’opera
vuole raccontarci la fragilità dell’essere umano.
Questa regia contiene una fluidità di genere, di orientamento sessuale e il cast contribuisce in
gran parte.

Regia di oratorio

L’oratorio è un genere del ‘600, narrato senza scena, sono storie sacre che si rappresentano
solo con testo e musica. È un genere inizialmente che si fa in latino in Italia. L’oratorio si
chiama cos’ perché venivano narrate nell’oratorio per eccellenza. Sono storie dell’antico
testamento, ed è presente il coro. L’Italia e l’Inghilterra sono i paesi dove l’oratorio è più
importante. Una delle prime regie è la Theodora, messa in scena da Peter Sellars nel 1996.

Theodora martire convertita al cristianesimo, dopo una persecuzione viene arrestata,


imprigionata e punita venendo violentata. Dydymus, soldato romano, non cristiano all’inizio, si
convertirà grazie a Theodora. Dydymus attraverso un travestimento libera Theodora e resta in
prigione al posto suo. Questo viene scoperto ed entrambi saranno condannati al martirio.

Theodora di Georg Friedrich Händel (1749), nella regia di Peter Sellars


(1996)

L’opera viene presentata nel 1996 al Glyndebourne Festival Opera (Inghilterra) ed è ambientata negli
Stati Uniti in un periodo indefinito ma collocabile intorno alla seconda metà del Novecento. L’oratorio
riguarda la martire cristiana Teodora e la conversione al Cristianesimo del suo amante romano Didimo.
I romani sono sostituiti dagli americani e i personaggi indossano tute blu (democratici) e tute rosse
(repubblicani). Le scene viste a lezione sono: 1. L’aria di Valance (Valente), 2. Il duetto in carcere, molto

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recitativo, con l’ingresso di Irene (cristiana amica di Teodora) e successivamente del Coro, 3. La scena
finale.

La scenografia è costituita da un fondale con bottiglie di vetro spezzate. Oggetti di scena sono il podio
e le sedie all’inizio e i due lettini su cui i protagonisti vengono uccisi alla fine dell’opera. La scena
ricorda una natura morta senza cibo. Il tempo, come accennato, è indefinito ma le tute mimetiche dei
soldati e le targhette della bandiera americana collocano la scena negli USA. I diversi colori delle tute
per i repubblicani e i democratici rimarcano quasi che, alla fine, tutti gli americani sono uguali. La
dimensione politica dell’opera è esplicitata sin dall’inizio. Il presidente degli Stati Uniti è rappresenta
il governatore d’Antiochia. I cristiani sono vestiti in bianco e nero. Anche Irene è vestita in bianco e
nero ma poi, in carcere, veste una tuta rossa, simbolo del martirio e del fatto che è una prostituta. La
caratterizzazione del gruppo come occidentale passa anche attraverso il fatto che, ad un certo punto, il
Coro brandisca una Coca-cola, una rivista e una pistola.
Perché questa scena e perché questi costumi? La Theodora di Peter Sellars è una critica alla politica
americana e probabilmente al suo colonialismo, anche se non viene precisato che i cristiani sono
orientali. Sicuramente, però, i cristiani vengono percepiti come “altri”, diversi dagli americani. E questo
è evidente anche nella scena finale con la pena di morte. Nell’opera, stretto è il legame tra retorica
politica e ispirazione cristiana. Elemento interessante è poi la gestualità, che diventa espressione del
testo e della musica: i movimenti degli attori seguono la musica. La stessa musica traduce in suoni le
parole del testo (ha dunque un valore mimetico, tipico delle opere del Settecento) e questo è evidente
nell’aria di Irene. Sellars traduce il mimetismo dell’opera settecentesca anche nella gestualità, per
ovviare al problema della stasi in un mondo – quello contemporaneo – sempre più dominato
dall’estetica del movimento (cinema, televisione ecc.). le arie con da capo (A-B-A’) sono d’altronde la
sfida più importante dei registi contemporanei, che devono trovare una strategia per drammatizzare la
ripresa.
Il linguaggio del regista è il linguaggio basico delle emozioni, quasi universale: egli si appella dunque –
a differenza di Brecht – al pubblico per fargli capire che tutti noi possiamo essere i cristiani e che
attraverso i gesti ci capiamo. Caratteristiche dell’opera sono dunque: moltiplicazione dei segni e
desiderio di coinvolgimento emotivo del pubblico.

L’opera buffa di fine Settecento.


Con la riforma dell’Arcadia il comico viene espulso dall’opera che prima mescolava tutto. Questo
elemento viene dunque relegato all’opera comica. Inizialmente il comico era un’interruzione buffa
dell’opera seria. La commedia in musica napoletana inizia così a viaggiare e a Roma diventa italiana,
assumendo i caratteri dell’opera buffa. Da qui si diffonde in tutta Europa (Don Giovanni e Così fan tutte
di Mozart ne sono esempi). Il luogo dell’opera buffa viene sempre precisato, mentre il tempo no, anche

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se tutte queste opere sono ambientate nella contemporaneità. Le storie sono quelle tipiche delle
commedie (anche quelle antiche): due amanti si vogliono sposare ma sono poveri o il vecchio che vuole
ragazza giovane ecc. Questo genere pone ai registi domande drammaturgiche molto diverse rispetto
all’opera seria.

I “Don Giovanni” contemporanei. Sappiamo che la celebre opera lirica in due atti, esempio di opera
buffa, venne scritta in italiano dal compositore austriaco Mozart su libretto di Da Ponte e risale al
1787. Pur trattandosi di un’opera buffa molte volte viene sottovalutato l’aspetto tragico del Don
Giovanni.
Mettere in scena il Don Giovanni è sempre stata una sfida di tipo culturale. Tutte le regie viste del
Don Giovanni al giorno d’oggi non comporterebbero dei problemi di ordine tecnico bensì culturale.
Forse la soluzione che presenta Guth è quella più vicina al nostro clima culturale perché dopo lo
scandalo del “meetoo”, una figura del genere come Don Giovanni non sapresti come metterla in
scena. L’oppressione degli uomini nei confronti delle donne non era un tema molto sentito
all’epoca come ora. Tutte queste riflessioni mettono in rapporto la regia d’opera con il mondo
contemporaneo.

Don Giovanni,regia di Giorgio Strehler e diretto da Riccardo Muti, Teatro Alla Scala, 1987

Ambietazione:Le ambientazioni sono tutte legate alla contemporaneità degli autori, dunque in stile
neoclassico e l’interpretazione resta fedele al testo.

Regia:La trasposizione del famoso regista è composta da dei “non detti” che gli autori possono
lasciare consapevolmente. Uno di questi è il Don Giovanni che si introduce nelle stanze di Donna
Anna per sedurla, lasciando trapelare al pubblico che è avvenuto un atto di violenza. Celare un
avvenimento simile all’interno di un’opera lirica ( che dava il via all’azione) serviva per rispettare la
regola di “buona creanza” che a sua volta implica delle ripercussioni in tutta l’opera. Di questo
spettacolo venne realizzare anche una versione televisiva trasmetta l’anno seguente.
Nella scena finale del II atto è presente una statua equestre in un luogo buio. Nelle altre regie
questo dettaglio non è presente.
Recitazione: Il regista non aveva affatto paura della mancanza di movimento ( caratteristica delle
regia d’opera di Strehler). È per questo motivo che curava molto la recitazione ma i suoi attori
erano molto statici; il corpo dell’attore-cantante era sempre in tensione.

Don Giovanni, regia di Robert Carsen, Teatro alla Scala,2011

Lo spettacolo ha un’impronta metateatrale non solo per i macchinisti che muovono le scene sul
palco ma soprattutto per la memorabile scena finale: il ritorno del Don Giovanni e la discesa negli
inferi degli altri personaggi. Il luogo liminale è il teatro stesso: luogo sociale, emotivo e psicologico.

Personaggi: Donna Anna guarda in faccia Don Giovanni ed è consenziente del loro approccio
fisico. Ella gioca sulle parole del libretto facendo appunto il contrario di quello che dice. Leporello
prova continuamente ad emulare il suo padrone. Nonostante la contemporaneità della regia e della
scelta stilistica,nella scena finale si capisce che Leporello è un servo e che Nasello e Zerlina sono
due contadini. C’è una notevole evoluzione del personaggio di Donna Anna.

Recitazione: Ottima la recitazione dell’interprete di Donna Anna. Secondo il libretto Donna Anna
riconosce dalla voce che l’assassino di suo padre è Don Giovanni e lo riferisce a Don Ottavio.
Nella trasposizione di Carsen la scena è ambientata durante il funerale del Commendatore. C’è
prima un quartetto e poi un duetto tra Donna Anna e Don Ottavio. C’è un’ottima divisione del piano
comico (Leporello) e del piano tragico (Don Giovanni e Commendatore)

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Regia: il “catalogo” (libro dove il protagonista tiene segnate tutte le sue conquiste ed è nelle mani
di Leporello) è presentato come una sorta di enorme tabellone. Le donne del protagonista non
hanno più un nome,sono ridotte a segni. Nella scena finale del II atto, la statua equestre viene
sostituita con l’elemento dello specchio, che, collocato sul palco reale, riflette. D’impatto è la
discesa negli inferni con l’immagine del teatro riflessa che, tra le fiamme, sprofonda all’inferno. Gli
altri sprofondano e lui rimane sul palco: Don Giovanni risulta essere attore, spettatore e regista allo
stesso tempo. In chiusura tutti i personaggi escono sul palco davanti il sipario ( in proscenio) che
lentamente si apre dietro.

Don Giovanni, regia di Guth, Festival di Salisburgo,2008

Ambientazione: una prima ambientazione è all’interno di un bosco resto attraverso l’utilizzo di un


fondale. Il bosco rimanda ad un simbolo di perdizione e luogo oscuro dell’anima. Le diverse
ambientazioni sono composte da luminosi pannelli bianchi e la loro funzione è quella di “suggerire
altro”.

Costumi: sono proprio i costumi a specificare la condizione sociale dei personaggi


(tossicodipendenti ed emarginati della società). Abiti contemporanei.

Recitazione: ogni azione è portata alle estreme conseguenze. Vi sono elementi tipicamente
ottocenteschi, come la CAVATINA, breve aria con la quale un personaggio si presenta. In questa
messa in scena, Don Giovanni è sempre presentato da Leporello. Inoltre c’è un ribaltamento
dell’azione-rispetto all’andamento originario dell’opera-tra Don Giovanni ed il Commendatore. È
proprio quest’ultimo a ferire il protagonista e non il contrario. Don Giovanni non muore in questa
occasione. In questo modo il regista, che inserisce un frammento che non è presente nel libretto
originario di Da Ponte, condiziona tutte le azioni successive e mette in atto una sorta di presagio
della morte del protagonista indicando le sue ultime 24h.

Regia: (Nella scena successiva), Don Giovanni cerca di riconquistare Donna Elvira ( tornata in
città per ritrovare le attenzioni perse del suo amante dopo che lui l’aveva abbandonata). Egli, dopo
averla riconosciuta, la lascia nelle mani di Leporello.
Secondo il libretto Donna Anna riconosce dalla voce che l’assassino di suo padre è Don Giovanni
e lo riferisce a Don Ottavio. Nella trasposizione di Guth, invece, Donna Anna e Don Ottavio sono in
una macchina nel bosco. Don Giovanni passa da loro per chiedere aiuto e li Donna Anna riconosce
la sua voce. In questa scena Don Giovanni appare dolorante perché ferito dallo scontro
precedente avuta con il Commendatore. Nella scena finale del II atto, Guth rende l’elemento
soprannaturale della statua che parla con due personaggi sotto l’effetto dell’eroina. Nella scena
finale viene presentata una azione assolutamente isterica: Don Giovanni inizia ad essere colto
dall’angoscia, inizia a nevicare sulla scena e Don Giovanni cade nella buca che il Commendatore
stava scavando ( sing: caduta negli inferi metaforica). Per la prima volta vediamo la morte di Don
Giovanni. Nonostante la moderna e cruda messa in scena non viene mai distorta l’opera originale.
Il linguaggio scelto è oggettivamente preso dal cinema.

Il regista, nel tentativo di attualizzare l’opera mozartiana, ha commessa dei rischi: tagliare fuori i
livelli sociali che ci sono nell’opera come ad esempio quella del servo e del padrone o
reinterpretare la storia di uno stupro.

L’OPERA SEMISERIA
Il genere operistico è nato in Italia intorno la prima metà dell’800.
Esso è designato come genere molto complesso, non perché è una via di mezzo come l’opera
seria ma perché, come l’opera buffa, si svolge nel presente ma non nel presente contemporaneo
e c’è sempre una sorta di allontanamento geografico. Si rappresenta un’azione vicina a noi ma mai
comica. Ha dei tratti da opera tragica ma presenta sempre un lieto fine. Sono sempre opere “di
salvataggio” e c’è il tema della verginità femminile (bene familiare) e della famiglia.

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Un esempio di opera semiseria è “La Sonnambula” di Bellini. Essa è un’opera difficile da leggere
dal punto di vista storico-culturale e presenta un tono medio. Presenta una drammaturgia
surrealista dove tutto si ripete ossessivamente. È un’opera in due atti messa in musica da
Vincenzo Bellini su libretto di Felice Romani (1831)

La Sonnambula di Vincenzo Bellini (1831), regia di Federico Tiezzi (2000) al Teatro


Comunale di Firenze (2000)

Le scene analizzate sono: 1. Scena iniziale di Amina nel campo; 2. Scena in cui il Coro è disteso
sul prato evocando il quadro di Manet; 3. Aria del sonnambulismo dopo che lei ha camminato sulla
trave pericolante. La cabaletta (parte conclusiva dell’aria) è una polka. I vocalismi dell’attrice sono
pazzeschi.
Scenografia: Essa è assemblata ed è composta da robe diverse e evoca varie opere d’arte celebri
di autori come Manet (prima scena-campo di grano con porta isolata), Friedrich (ghiacciaio-
secondo atto) o Magritte (casa della protagonista-si ispira al mondo dei sogni e rimanda ad un
mondo onirico Amina sogna il conto e Rodolfo incarna Freud, in riferimento alla nascita della
psicoanalisi nel 1895 con la pubblicazione degli studi sull’isteria). Essa non è una scenografia
coesa ma colloca la scena in luoghi immaginari che rimandano alla pittura europea otto-
novecentesca.

Costumi: I costumi femminili (i cappelli) collocano precisamente l’azione tra il 1890-1910

Recitazione: Essa è fluida, standard e realistica. Tiezzi sta cercando di lavorare sulla teoria delle
emozioni e sulla psicanalisi.

Regia: Tiezzi fa della regia lo studio dei sogni e delle emozioni, attraverso la psicanalisi e
ricorrendo a citazioni dalla storia dell’arte Otto/Novecentesca. Il sonnambulismo della protagonista
rappresenta il disagio di una donna intrappolata nelle strutture dell’uomo borghese (se viene
trovata nella camera di un uomo è una puttana). La tipologia di spettatore a cui è rivolta la messa
in scena è uno spettatore colto.

Intorno la seconda metà del 700’ e inizio 800’ l’opera buffa diventa un genere molto popolare in
Europa. Uno dei più grandi compositori di opere buffe è l’italiano Rossini (1762-1869). La sua
drammaturgia comica è completamente diversa da quella di Mozart che vuole dare l’idea di
rappresentare una finestra aperta sul mondo con personaggi veri. La drammaturgia di Rossini è la
drammaturgia dell’eccesso. Essa allontana dal mondo. Le drammaturgie di Rossini sono
surrealiste e in esse tutto si ripete ossessivamente.

La pietra del paragone è un’opera lirica di Gioacchino Rossini. Il libretto, denominato melodramma
giocoso, in due atti, è di Luigi Romanelli. (1812)

La Pietra del Paragone, regia di Giorgio Barberio Corsetti e del videomaker Peter Sorin,
Teatro Chatelet, Parma, 2007

Ambientazione: La storia è trasportata negli anni 50’ del boom economico e si sviluppa su una
scenografia del tutto tecnologica. L’immagine composta che vediamo è quella di una villa elegante
e modernista. Il tutto non ci dice molto sull’epoca

Regia: Le tecniche utilizzate sono quelle del motion capture e del chromakey (green screen ma
blu) già collaudata e sperimentata nel mondo del cinema. La scena è suddivisa su due livelli: uno
basso e uno sospeso. In quello basso, cioè il palcoscenico, si muovono i cantanti su uno sfondo di
solidi blu di varie forme e teli; sempre blu e obbligati a recitare davanti a tre telecamere sono gli
attori. Le telecamere mandano le loro riprese a tre schermi sospesi sopra i cantanti che vanno a
creare la parte superiore della scenografia. La regia è farsesca perché la drammaturgia si presta a
tutto questo. Vi sono vari riferimenti alla pop art, alla sitcom, agli studi televisivi, ai fumetti e alla
soap opera.

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Spettatore: Egli godrà di una visuale multipla.

Costumi: Anni 60’.

Recitazione: La recitazione è farsesca,grottesca ed esagerata. Il motivo è che quello che conta è


solamente la regia video e i primi piani del video catturano maggiormente quel tipo di recitazione.
Sono farsesche anche le situzioni. Gli attori sono come marionette (caratteristica Rossiniana
assurdo, demente e farsesco - in contrasto con quella mozartiana). I personaggi sono ridotti ad
animaletti e come tutti i personaggi del compositore italiano, sembrano essere intrappolati nella
loro situazione.

La Traviata è un’opera in tre atti di Giuseppe Verdi su libretto di Francesco Maria Piave ed è
basata sull’opera teatrale “La Signora delle Camelie” di Alexandre Dumas (figlio). Fa parte della
“trilogia popolare” di Verdi assieme a “Il Travatore” e “Il Rigoletto”.

La Traviata, regia di Robert Carsen, Teatro La Fenice di Venezia, 2004

Come la quasi totalità dei suoi colleghi odierni Carsen ambienta la vicenda nel nostro tempo e
insiste molto sugli aspetti squallidi legati all’attività professionale della protagonista, che già
durante il preludio è intenta a percepire gli onorari delle sue prestazioni. Il denaro domina tutto lo
spettacolo e l’intento di ritrarre una società arida dominata da esso è pienamente raggiunta.

Regia: Carsen ama i simboli. Il color verde, il colore dei soldi, è dominante in gran parte della
messa in scena. È uno spettacolo forte, umano e rivelatore della società contemporanea. Non c’è
nulla di violento o scandalistico. Il mondo che ruota attorno alla protagonista è un mondo fatto di
mantenute, modelli e amanti. L’elemento del denaro scandisce quasi ossessivamente la vita di
Violetta, è la sua droga. Le banconote che fuoriescono da ogni dove e che cadono come foglie nel
giardino-foresta del secondo atto quasi a formare un tappeto. Il mondo di Violetta non è un mondo
volgare ma semplicemente un mondo vuoto e superficiale. Allo stesso modo appartiene Alferedo-
fotografo che appare più innamorato dell’immagine di Violetta che della donna reale ( infatti il suo
amore per la protagonista si manifesta tramite le fotografie che egli le scatta). Viene fatta anche
luce sull’abuso dei farmaci della protagonista (altra dipendenza). Nonostante tutto, questa Violetta
mantiene sempre una certa dignità.

Scenografia: Tra arte decò e moderna. Essa cambia in ogni atto. Siamo in una camera da letto di
una casa d’incontri molto lussuosa (I atto), poi in un bosco con foglie che sono dollari e in un
nightclub di lusso (II atto), ed infine una casa vuota e senza mobili da restaurare.

Ambientazione: Anni 2004 o anni 1975/1980 (ci sono gli hippies di ritorno). Probabilmente ci
troviamo in America ma non possiamo dirlo con esattezza. Arriviamo a questa conclusione per
l’utilizzo che il regista fa del dollaro, simbolo del capitalismos americano.

Costumi: per la prima volta gli abiti maschili sono più specifici degli abiti femminili.

Recitazione: Standard e dettagliata. La soprano ed interprete della protagonista ha una grande


capacità di interpretazione vocale

La Traviata, regia di Willy Decker, Festival di Salisburgo,2005


In confronto alla regia di Robert Carsen, quest’ultima è considerata meno femminista.

Scenografia: Spazio semi circolare che evoca una sorta di arena (con tori e toreri scena delle
zingarelle e dei matadori). È uno ‘spazio-nonspazio’ asettico con colori molto freddi, una poltrona
rossa e un grande orologio.

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Costumi: Sono contemporanei. La protagonista indossa un semplice e classico abito rosso da
cocktail anni ’50 per gran parte della messa in scena, mentre gli abiti maschili sono semplicemente
giacca e cravatta. Violetta è l’unica donna oltre ad una sua comparsa nel terzo atto (Violetta
compare come un corpo maschile ma con indosso il suo abito rosso questo vuole indicare che la
femminilità è una costruzione maschile)

Coro: Eccessivo ed invasivo nei confronti di Violetta.

Simbologia: Il tempo della morte di Violetta è rappresentato con un grande orologio che copre gran
parte della scenografia, mentre nella versione originale, la protagonista si specchia per vedere
l’avanzamento della malattia specchio = orologio. Sono presenti anche delle Camelie che
rimandano al contesto letterario.

Regia: Sono presenti varie citazioni. Una di queste è il lancio del bicchiere, gesto standard
reinterpretato. L’asse su cui ruota questa regia è l’oggettificazione della donna ridotta solamente al
suo corpo e al suo organo riproduttivo riduzione della donna alla sua femminilità.
A differenza della versione di Carsen, qui Violetta muore in completa e totale solitudine nella sua
casa.

LEZIONE 12
Le opere di Puccini (fine ‘800, inizio ‘900) sono popolari perché il loro ritmo drammatico è facile
da gestire. Puccini è un maestro nel canto-conversazione. Le opere di Puccini sono facilissime
da mettere in scena. Una delle opere più presenti nel repertorio di Puccini è la Madame
butterfly.

Madame Butterfly (1904) è una tragedia giapponese, perché si inserisce in un contesto


culturale “orientalismo” (un atteggiamento sociale dove l’Oriente viene utilizzato per definire la
nostra identità). Edward Said, famoso intellettuale, ha creato la definizione di “orientalismo”,
quest’ultima è una forma di razzismo e delle volte viene utilizzato per giustificare il
colonialismo. La Butterfly è sempre stata rappresentata per mettere in scena la versione
olistica del Giappone. Puccini utilizza tante musiche originali giapponesi.

Regia 1: Robert Wilson, opera di Parigi, 1992.


Scenografia: quasi assente. Scolpisce lo spazio attraverso l’uso delle luci. Costumi: tra
occidentale e asiatico da cerimonia. Trucco: il volto bianco solo i personaggi che interpretano i
giapponesi. Recitazione: ispirata al teatro di corte, rigorosamente irrealistica, per pose. Assenza
di oggetti di scena, siamo in un non tempo (non c’è niente che ci rimandi a qualche periodo
storico). Non c’è una separazione netta tra occidentale e orientale (a parte il trucco): tutti
diventano orientali (non c’è razzismo visivo). C’è qualcosa che evoca lo spazio giapponese, ma
non lo marca a fondo. Se avesse voluto differenziare l’Occidente dall’Oriente avrebbe potuto
modificare la recitazione: ad esempio, l’occidentale una recitazione più fluida.
Regia 2: Damiano Michieletto, teatro Regio Torino, 2014.
Scenografia: ci sono manifesti pubblicitari di una metropoli dell’Asia Orientale, un garage a
vetro per le macchine, una scalinata lunga, c’è l’hamburger come simbolo dell’occidentale.
Costumi: odierni. Recitazione: realistica.
Michieletto fa diversamente da Wilson, avvicinando tutto ai giorni nostri. Il suo finale ci fa

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riportare al periodo storico della prima bomba atomica, con la luce abbagliante che chiude lo
spettacolo come ultima scena dell’opera. La bomba atomica è il punto d’arrivo del colonialismo
americano.

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