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IL PIRATA

Melodramma in due atti di Vincenzo Bellini su libretto di Felice Romani, tratto dal mélodrame di
Isidore J. S.Taylor Bertram, ou le Pirate, andato in scena a Parigi nel novembre 1826 a sua volta
ispirato alla tragedia in cinque atti Betram, or The Castle of Saint-Aldobrand di Charles Maturin
(1816). A causa di una lacuna nell’epistolario belliniano, non si sa quasi nulla della genesi del Pirata.

Ernesto, Duca di Caldora, partigiano della Casa d’Angiò – Baritono


Imogene, sua moglie – Soprano
Gualtiero, prima amante di Imogene, già Conte di Montalto e partigiano del re Manfredi, ora
fuoruscito e capo dei Pirati Aragonesi – Tenore
Itulbo, compagno di Gualtiero – Tenore
Goffredo, tutore un tempo di Gualtiero, ora Solitario – Basso
Adele, damigella di Imogene – Soprano
Un piccolo figlio di Imogene e di Ernesto (mimo)
Pescatori, pescatrici, pirati, cavalieri, dame e damigelle (coro e comparse)

Bellini aveva vissuto in Sicilia e a Napoli per poi giungere a Milano il 12 aprile 1827, invitato da
Barbaia a scrivere per la Scala. Il pirata fu solo la sua seconda produzione professionale, e la sua
prima collaborazione con Felice Romani. Bellini ha impiegato più di sei mesi per scrivere l'opera, al
fine di impressionare il pubblico alla Scala. Con un cast eccellente che includeva:
- Giovanni Battista Rubini come Gualtiero
- Henriette Méric-Lalande come Imogene
- Antonio Tamburini come Ernesto
L'opera è stata ben accolta e Bellini è stato salutato come una nuova voce emozionale. Quando Rubini
e sua moglie, Adelaide Comelli-Rubini, cantarono nell'opera al San Carlo di Napoli nel 1828, il tenore
fu probabilmente responsabile di importanti modifiche apportate al finale.
Il pirata, con la sua trama fortemente romantica, conquistò ben presto il successo internazionale di
Bellini. L'opera andò in scena a Vienna al Kärntnertortheater (1828) con Rubini e sua moglie; a
Londra (la prima opera di Bellini ad esservi ascoltata) al King's Theatre (1830) con Donzelli, Méric-
Lalande e V.-F. Santini; a Parigi al Théâtre Italien (1832), con Rubini e Wilhelmine Schröder-
Devrient, che interpolavano un'aria dall'Amazilia di Pacini e insistevano per un lieto fine. Nel corso
del Novecento, Il pirata è stato ripreso a Roma nel 1935 in occasione del centenario della morte di
Bellini, mentre una produzione a Palermo nel gennaio 1958 è stata trasferita alla Scala a maggio,
quando il cast comprendeva Franco Corelli, Maria Callas ed Ettore Bastianini. A Firenze durante il
Maggio Musicale del 1967, il cast comprendeva Flaviano Labò e Montserrat Caballé.

La scena è la Sicilia, dentro e intorno al castello dei Caldora nel XIII secolo.
Ernesto (basso), duca di Caldora, seguace della casa d'Angiò, ha costretto Imogene (soprano) a
sposarlo contro la sua volontà e nonostante il suo amore per Gualtiero (tenore), conte di Montalto e
fedele alla casa rivale di Manfredi. Gualtiero, sconfitto in battaglia e proscritto, è divenuto capo di
una banda di pirati aragonesi, appena conquistata da una flotta al comando del duca di Caldora.
Durante l'antefatto, l'amore tra Imogene e Gualtiero è ostacolato dal duca Ernesto di Caldora,
partigiano di Carlo I d'Angiò, che fa imprigionare il padre di Imogene per costringerla a sposarlo. In
esilio forzato, ignaro delle nozze tra Imogene ed Ernesto e della nascita del loro primogenito,
Gualtiero organizza una squadra di pirati aragonesi e inizia una serie di scorribande sulla costa
siciliana, col proposito di tornare nella sua terra e sposare Imogene. La flotta dei d'Angiò, capitanata
da Ernesto, sconfigge i pirati in battaglia: si salva solo un vascello, quello su cui si trova Gualtiero,
che una tempesta getta sulla costa siciliana, non lontano da Caldora.

ATTO 1
L'ouverture, adattata da una versione probabilmente eseguita prima della prima versione di Adelson
e Salvini (1825) e a sua volta derivata dalla Sinfonia in mi♭ composta da Bellini nel 1823, segue il
modello rossiniano, con il crescendo dopo il secondo soggetto.
Il 1° atto inizia con una tempesta che fa naufragare la nave di Gualtiero. Lui e la sua ciurma, sbarcati
presso il castello di Caldora, sono assistiti dai pescatori. Nella cavatina di Gualtiero, Nel furor delle
tempeste, descrive la visione di Imogene come un angelo. Si vede Imogene avvicinarsi e Gualtiero
nascondersi, ma si mostra brevemente quando lei racconta che proprio quella notte ha sognato di
ritrovare sulla spiaggia il corpo insanguinato di Gualtiero, ucciso dal marito, Lo sognai ferito, esangue
(abbreviato da Bellini dopo la prima). Imogene crede di sentire la voce di Gualtiero.
Quella notte i pirati fanno baldoria (coro) al castello, ospiti di Imogene.
Imogene convoca il capitano dei pirati e riconosce Gualtiero. Nel loro duetto Tu sciagurato! Ah!
Fuggi gli dice che è stata costretta a sposare Ernesto per salvare la vita di suo padre. La notizia delle
nozze con Ernesto sconvolge Gualtiero, che minaccia di colpire a morte il figlio nato da quel legame.
Nel frattempo, il coro annuncia il ritorno trionfante di Ernesto che si reca a conosce i naufraghi,
cantando la dichiarazione di vittoria su quest’ultimi, Sì vincemmo e il pregio io sento; essa deriva da
Obbliarti, abbandonarti in Adelson e Salvini. Con un accompagnamento di crescente agitazione,
Ernesto è insospettito e cerca di scoprire se quello sia Gualtiero tra i pirati sopravvissuti; ma rinuncia
a rinchiuderli in prigione solo per l’intercessione di Imogene. Partiranno l'indomani all'alba. Gualtiero
medita vendetta e, furtivamente, chiede ed ottiene da Imogene un ultimo colloquio prima della
partenza. L'atto si chiude con la musica del crescendo principale nell'ouverture, usata anche per
concludere il 1°Atto ne Adelson e Salvini.

ATTO 2

Il 2° atto si apre con un coro delle dame di Imogene, che porta a un duetto, Tu m'apristi in cor ferita,
in cui Ernesto accusa Imogene di essere una moglie e madre peccaminosa; lei ribatte che sapeva del
suo passato amore per Gualtiero quando l'ha costretta a sposarlo, solo per salvare suo padre. Imogene
avverte Gualtiero che suo marito è a conoscenza della sua presenza nel castello. È quasi l'alba.
Gualtiero e Imogene si incontrano su una loggia del castello. Fedele al proprio ruolo di sposa e di
madre, Imogene rifiuta di fuggire con l'innamorato, ma proprio nel dirsi addio gli amanti sono sorpresi
da Ernesto, che trasforma il loro duetto in un trio.
I rivali si allontanano per affrontarsi in un duello all'ultimo sangue, e Ernesto soccombe. Al suono di
una marcia della morte, i soldati piangono la morte di Ernesto; Gualtiero, in un gesto di lealtà
suprema, si consegna ai cavalieri di Caldora e in Tu vedrai la sventurata esprime la speranza di
perdono da parte di Imogene: il Gran Consiglio lo condanna a morte. Un cantabile per corno inglese
e arpa introduce l'ingresso di Imogene con il figlio, impazzita dal dolore: il suo sogno premonitore si
è avverato ma a parti invertite. Con l’aria Col sorriso d'innocenza, lei immagina che il bambino possa
conquistarle il perdono di Ernesto; sentendo la condanna a morte pronunciata su Gualtiero,
impazzisce completamente e canta la drammatica cabaletta O sole ti vela prima di essere portata via.
Alla prima dell'opera, essa finiva in modo diverso. Sulla rupe sulla quale Gualtiero stava per essere
giustiziato, giungono Itulbo e i pirati per liberarlo, e Imogene per vedere cosa sta succedendo.
Gualtiero, allora, ordina a tutti di fermarsi (Un'aborrita luce io fuggo!) e si getta dalla rupe, con lo
sconcerto di tutti. Bellini, dopo la prima, revisionò l'opera, togliendo la scena, di cui rimangono
ancora però lo spartito e le parole. Addirittura si arrivava a volte ad invertire le scene tra soprano e
tenore: la scena della pazzia, in alcune rappresentazioni, precedeva la cavatina di Gualtiero Tu vedrai
la sventurata.

Il pirata ha svolto un ruolo significativo nello stabilire lo stile del melodramma romantico sviluppato
successivamente da Donizetti e Verdi. L'eroe tormentato e impulsivo dell'opera romantica italiana è
presentato per la prima volta nella cavatina di apertura di Gualtiero. Bellini ha sfruttato il talento di
Rubini per i salti d’espressione appassionata, evitando qualsiasi interruzione nella linea melodica a
causa degli abbellimenti fino alla fine delle lunghe frasi. Tuttavia, Bellini mantenne la tessitura acuta
del tenore rossiniano, ascendendo al mi nella cavatina di apertura (per Rubini scrisse gran parte della
parte di Gualtiero un tono più alto di quanto appaia nelle partiture a stampa).
Lo stile di Bellini non era ancora maturo e nella partitura sono presenti alcune sezioni più
conservative, come il Larghetto del duetto per Imogene ed Ernesto nel 2° atto, dove le voci sono a
distanza di terza e drammaticamente indifferenziate, in cui sopravvivere ancora il Canto fiorito
rossiniano. Alcune caratteristiche, come il ritornello dell'eco e il complesso contrappunto vocale nel
finale del 1° Atto, erano esperimenti che Bellini non ripeté più. Più significativi per il suo sviluppo
sono gli ariosi, come Se un giorno fia che ti tragga prima del duetto fra Imogene e Gualtiero nel 1°
Atto.

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