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Riccardo Pettinà STB/552784

Drammaturgia Musicale

La straniera di Vincenzo Bellini e Felice Romani

Atto I
Scena IV

Accorrono da varie parti IL SIGNOR DI MONTOLINO, OSBURGO, ed altri cavalieri, ecc. ISOLETTA è
tremante, appoggiata a VALDEBURGO.

MONTOLINO Qual romor!

Che mai veggo? Figlia!... (Veggendo Isoletta, e accorrendo a lei.)


ISOLETTA Ah! padre!
Odi tu? Sciagura a noi!
MONTOLINO e Coro E tu pur di vili squadre
il terror divider puoi?
ISOLETTA La straniera!...Arturo!... Oh ambascia!
Trema il cor, né sa perché.
OSBURGO, MONTOLINO e Coro
Lo spavento al volgo lascia;
troppo indegno egli è di te. (Isoletta si avvicina a Valdeburgo e
conducendolo in disparte gli dice con somma passione:)

ISOLETTA Oh tu che sai gli spasimi


di questo cor piagato,
tu solo puoi comprendere
se giusto è il mio terror.

Deh, per pietà, confortami,


conduci a me l’ingrato;
oppur mi assisti a reggere
al peso del dolor.

VALDEBURGO Nascondi altrui le lagrime,


acqueta il cor turbato;
io spero, io voglio riedere
a te consolator.

Ma se restar tu vittima
dovessi di un ingrato,
un seno dove piangere
nel mio ti resta ancor. [Sp.: a te serbato è ancor/a]

Coro, MONTOLINO, OSBURGO Ritorna ai giochi, e mostrati


con volto men turbato;
non far che il nostro giubilo
rattristi il tuo timor. (Isoletta parte con Valdeburgo, seguita
dal coro. A poco a poco la scena rimane vuota.)

Descrizione scena:
La scena vede protagonista Isoletta, che è turbata dal comportamento del futuro sposo Arturo, il
quale sembra essersi innamorato di una sconosciuta chiamata “la straniera” (in realtà alla fine si
dimostrerà essere la regina Agnese); alla vista di quest’ultima infatti Isoletta rimane atterrita (“la
straniera!...Arturo!...Oh ambascia! Trema il cor, né sa perché”). Anche il padre della giovane donna
sembra essere preoccupato, infatti la scena quarta si apre proprio con Montolino che accorre alla
figlia per chiedere spiegazioni. La parte più importante però è il duetto tra Isoletta e Valdeburgo in
cui ella è in preda dallo sconforto e egli cerca di rassicurarla e consolarla. Importante è anche la
funzione del coro utilizzato in questo caso per sottolineare le parole del padre e di Osburgo
(confidente di Arturo).

Analisi del testo:


L’inizio della quarta scena è caratterizzato da una strofa di otto versi ottonari (di cui il sesto e
l’ottavo sono tronchi); nel primo verso viene anche utilizzata la sticomitia, ovvero quando il verso è
iniziato da un personaggio e concluso da un altro (“Che mai veggo? Figlia!... Ah! padre!”). La
seconda parte, da “oh tu che sai gli spasimi”, in poi, invece è strutturata da cinque quartine
composte da versi settenari (il primo e il terzo sdruccioli, il quarto tronco), due per Isoletta, due per
Valdeburgo e una per il coro, Montolino e Osburgo. Da segnalare che “Qual romor” è da
considerarsi ancora parte della scena precedente perché rima con “timor” della scena terza.
Per quanto riguarda lo schema rimico, la parte iniziale si può considerare composta da rime
alternate (ABABCDCD). Dall’inizio del duetto, in cui Isoletta si dispera dinanzi a Valdeburgo
perché conscia del suo tradimento, fino alla fine dell’atto IV, la parte cantata è composta da quartine
rimate, secondo lo schema ABCD ABCD.
Dal punto di vista grammaticale le due versioni editoriali, quella cioè stampata da Ricordi e quella a
cura di Ph. Gosset (l’ed. Garland), non contengono particolari differenze, a parte qualche segno di
punteggiatura come l’”ah?” dell’edizione in facsimile (p. 116) che diventa “ah!” nell’edizione
Ricordi (p. 34). Da segnalare, forse, un errore di scrittura nella partitura Garland (pag. 117) in cui
viene sostituito nell’ultimo verso della quarta scena “rattristi il mio timor” al posto della più corretta
“rattristi il tuo timor”.
Qualche perplessità sorge nel verso ottavo della cabaletta di Valdeburgo “a te serbato è ancor/a” (in
questo caso settenario non tronco) scritto in tal modo nello spartito dell’edizione Ricordi e in quello
in facsimile della partitura a cura di Ph. Gosset, mentre nell’edizione A. Barion e nell’edizione per
il Teatro Nuovo di Padova viene sostituito da “nel mio ti resta ancor”.

Analisi musicale:
Per quanto riguarda la musica non ci sono differenze tra le due versioni a parte forse una diversità
ritmica nella parte del canto alla parola “squadre” in cui nell’edizione Garland c’è una minima
puntata con una semiminima legata ad una minima, nell’edizione Ricordi invece ci sono due
minime in cui la seconda è legata alla semiminima della battuta successiva.
La musica dell’intera scena è composta in 2 tonalità, in Do maggiore la prima parte e in Lab
maggiore dal duetto di Isoletta e Valdeburgo, introdotto da un breve assolo di flauto che crea
sospensione tipicamente Belliniana1, fino alla fine della scena. In particolare le due cabalette sono
molto simili sia dal punto di vista melodico che strutturale; infatti sono composte da 16 battute
ciascuna, l’unica differenza è in quella di Valdeburgo, che è di 20 perché vengono ripetuti gli ultimi
due versi in duetto con Isoletta, che canta una terza minore sopra e si conclude in unisono. Con
1
TINTORI, Bellini.
questo duetto Bellini si allontana dallo stile di Rossini, da cui ha appreso moltissimo: rappresenta
così il “polo diametralmente opposto dello stile fiorito”2. Le melodie della “Straniera” sono prive
o quasi di fioriture tipiche del periodo Rossiniano. “Nel rifiuto dello stile fiorito Bellini non è mai
andato tanto avanti come qui”3.
All’entrata del coro, il ritmo cambia e si fa più incalzante; Bellini utilizza le espressioni più mosso,
assai mosso e stretto. Da qui fino alla fine iniziano degli intrecci vocali fra il coro, Montolino e
Osburgo, Valdeburgo e Isoletta che si conclude con la ripetizione insistente di parole che ricordano
lo stato d’animo della protagonista della scena come “si del dolor” (Isoletta), “ti resta ancor”
(Valdeburgo), “il tuo timor” (Coro, Montolino e Osburgo).
L’atto si conclude con una parte strumentale, in cui c’è la ripetizione del motivo già espresso
all’entrata del coro nella melodia successiva al duetto Isoletta/ Valdeburgo.

Testimonianza di questa scena quarta è anche una lettera del 22 febbraio del 1828 in cui Bellini
racconta all’amico Florimo di dover finire il duetto che gli era stato mandato il giorno precedente e
di aver scelta la prima tra due versioni disponibili per non esser più tediato (“la trovo fredda e
Romani avendosi persuaso a cambiarla ha fatto peggio”). In questa lettera c’è anche il testo delle
scene tre e quattro (l’ultimo verso della seconda quartina di Valdeburgo riporta ancora una volta “a
te serbato è ancor”).
L’opera fu messa in scena per la prima volta il 14 febbraio del 1829 alla Scala di Milano ed ebbe un
grande successo, mentre nel corso dei primi anni del novecento fu criticata e quindi abbandonata.
Guido Pannain nel 1936 la considerò un’opera “terra terra” 4, come se molti avessero potuto scrivere
un’opera tale. Probabilmente questa repulsione nacque anche dal fatto che Bellini voleva staccarsi
completamente dallo stile di Rossini e forse introdurre un nuovo genere privo di ogni fioritura a
discapito però dei cantanti che costituiva motivo di forti rinunce. Soprattutto in questa scena quarta
egli ha voluto costruire una melodia statica senza intensificazioni e rafforzamenti in puro stile
Belliniano.

Bibliografia:

ADAMO – LIPPMANN, Vincenzo Bellini, Torino, ERI, 1981.


LIPPMANN, Su la straniera di Bellini, in nuova rivista italiana di musicologia, Torino, ERI, 1971.
NERI, Vincenzo Bellini: nuovo epistolario (1819- 1835), Catania, Agora, 2005.
SEMINARA – TEDESCO, Vincenzo Bellini nel secondo centenario della nascita: atti del convegno
internazionale, Catania, 8-11 novembre 2001, Firenze, L. S. Olschki, 2004.
TINTORI, Bellini, Milano, Rusconi, 1983.

2
ADAMO - LIPPMANN, Vincenzo Bellini, p. 466.
3
ADAMO - LIPPMANN, Vincenzo Bellini, p. 467.
4
LIPPMANN, Su la straniera di Bellini, p. 565.

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