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I PRIMI DOCUMENTI DEL VOLGARE ITALIANO

Scarzezza dei testi, per la natura del volgare stesso, utilizzato principalmente “in funzione”, cioè in utilizzo
pratico, pragmatico, di contro all’indiscusso valore letterario del latino; no c’è da stupirsi quindi che i primi
documenti del volgare italiano siano dunque formule notarili, indovinelli, graffiti murali, testi giullareschi: tutto
ciò che aveva una mera funzionalità pratica non poteva non essere compreso da chi non intendesse che il volgare
stesso.

Secolo IX

L'Indovinello Veronese - il più antico testo volgare italiano di carattere letterario - fu scritto tra la fine del secolo VIII e
l'inizio del secolo IX in un codice della Biblioteca capitolare veronese.

Se pareba boves,
alba pratalia araba,
et albo versorio teneba;
et negro semen seminaba.
Gratias tibi agimus omnipotens
sempiterne Deus.

Il quadrato magico di S. Pietro ad oratorium: è un acrostico scolpito in una pietra di volta della chiesa di S. Pietro
ad oratorium, presso Bussi sul Tirino (Pe): è composto da cinque lettere, in una concatenazione di direzione dei sensi di
lettura che permette di lcoglierne il contenuto da qualsiasi direzione lo si esamini.
s at or
ar ep o
t e n et
o p er a
r ot a s

Secolo X

I placiti cassinesi, formule testimoniali del secolo X, sono documenti di un uso soltanto pratico del volgare.

I Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte sancti Benedicti.
(Capua, marzo 960)
II Sao cco kelle terre, per kelle fini que tebe monstrai, Pergoaldi foro, que ki contene, et trenta anni le possette.
(Sessa, marzo 963)
III Kella terra, per kelle fini que bobe mostrai, sancte Marie è, et trenta anni la posset parte sancte Marie.
(Teano, luglio 963)
IV Sao cco kelle terre, per kelle fini que tebe mostrai, trenta anni le possette parte sancte Marie.
(Teano, ottobre 963)

Secolo XI

La formula di confessione di Norcia (Umbria) fu scritta nella seconda metà del secolo XI in un codice dell' abbazia di
San Eutizio.

Domine mea culpa. Confessu so ad me senior Dominideu et ad mat donna sancta Maria [etc.] de
omnia mea culpa et de omnia mea peccata, ket io feci [etc.] Me accuso de lu corpus Domini, k'io
indignamente lu accepi [etc.]. Pregonde la sua sancta misericordia e la intercessione de li suoi
sancti ke me nd'aia indulgentia [etc.] // De la parte de mme senior Dominideu et mat donna
sancta Maria [etc.]. Et qual bene tu ai factu vi farai en quannanti, vi altri farai pro te, si sia
computatu em pretiu de questa penitentia [etc.].
Il graffito di Commodilla, è una iscrizione muraria rinvenuta nel 1904 nella catacomba romana dei santi Felice e
Adautto.

Non dicere illa secreta abboce

La postilla amiatina - scritta nel 1087 - consta di tre versi aggiunti a una carta di Monte Amiata dalla mano stessa del
notaio che ha steso l'atto, ma in parte latineggiati.

Ista cartula est de caput coctu:


ille adiuvet de illu rebottu
qui mal consiliu li mise in corpu.

Iscrizione di San Clemente: l'iscrizione su un affresco della chiesa inferiore di San


Clemente in Roma, scrittura volgare sulla fine del secolo XI, molto probabilmente nel
1090, è molto importante, perché per la prima volta «il volgare italiano vi appare usato
con intento artistico...» (A. Monteverdi).

[Sisinium:]
Fili de le pute, traite!
Gosmari, Albertel traite!
Falite dereto colo palo, Carvoncelle!
[Sanctus Clemens:]
Duritiam cordis vestris
[in saxa conversa est, et cum saxa deos aestimatis]
saxa traere meruistis.

Testimonianze di Travale: i due versicoli del così detto ritmo di Travale -forse un frammento d'un ritmo giullaresco
del secolo XI- sono citati da un testimonio in un processo del 6 luglio 1158.

... et ab eodem Gkisolfolo audivit quod Malfredus fecit


la guaita a Travale.
Sero ascendit murum et dixit:
Guaita, guaita male,
non mangiai ma mezo pane.
et ob id remissum fuit sibi servitium. Et amplius
non tornò mai a far guaita . . .

Secolo XII

I canti popolari del secolo XII


Mentre noi, oggi, consideriamo la letteratura come consegnata a testi scritti da leggersi in lettura privata, molte
letterature cosiddette primitive, e anche quella medievale, si sviluppano come opere destinate alla recitazione pubblica;
prima del secolo XIII, nel sorgere di una letteratura in volgare hanno grande importanza i giullari (joculatores), che
cantano o recitano sulle piazze: questi, d’altra parte, si ispirano spesso a opere letterarie scritte, riducendole in forme più
popolari, con una continua circolazione tra letteratura popolare e letteratura dotta.
Di tali testi giullareschi e dei canti religiosi abbiamo, alla fine del secolo XII, scarse tracce. Senza escludere che possa
essere andata perduta qualche opera che avesse un suo valore poetico, si ha l'impressione che si tratti sempre di
elementari tentativi privi di quella complessità di riferimenti ideali, e soprattutto di quella coerente continuità formale
che è possibile solo in seguito a una lunga tradizione, e senza la quale non sorge poesia capace di restare classica.

Ritmo laurenziano: il così detto ritmo laurenziano «Salv'a lo vescovo senato» (cioè: Salute al vescovo assennato) è una
cantilena giullaresca in volgare di un giullare toscano della fine del secolo XII (ca. 1180); i monotoni ottonari, raggruppati
in lunghe tirate monorime, appaiono sprovvisti di qualsiasi sviluppo di ritmo, di sintassi o di pensiero: ogni ottonario ed
ogni tirata, resta isolato in sé, legato agli altri solo dall'esterno ritmo e dall'esterna rima.

Salva lo vescovo senato, lo mellior c'umque sia na[to], Se mi dà caval balçano, monsteroll' al bon G[algano],
[. . .] ora fue sagrato tutt'allumma 'l cericato. a lo vescovo volterrano, cui bendicente bascio mano.
Né Fisolaco né Cato non fue sì ringratïato, Lo vescovo Grimaldesco, cento cavaler' a [desco]
e 'l pap' ha·ll [. . .-ato] per suo drudo plu privato. di nun tempo no·lli 'ncrescono, ançi plaçono et
abelliscono.
Suo gentile vescovato ben'è cresciuto e melliorato.
L'apostolico romano lo [. . .] Laterano. Né latino né tedesco né lombardo né fra[ncesco]
San Benedetto e san Germano 'l destinòe d'esser suo mellior re no 'nvestisco, tant'è di bontade fresco.
sovrano A·llui ne vo [. . .]oresco corridor caval pultre[sco]
de tutto regno cristïano: peròe venne da lor mano, li arcador ne vann'a tresco; di paura sbaguttesco;
del paradìs delitïano. Ça non fue ques[to] villano: rispos' e disse latinesco «stenetietti nutiaresco».
da ce 'l mondo fue pagano non ci so tal Di lui bendicer non finisco mentre 'n questo mondo vesco.
marchisciano.

Ritmo cassinese: Poco più notevoli sono, al principio del secolo XIII, il Ritmo di Sant'Alessio e il Ritmo Cassinese , di
argomento religioso. Teniamo presente, tuttavia, che per queste antiche opere il puro testo scritto non rappresenta la
totalità dell'opera: perché queste opere non erano fatte per essere lette a voce bassa o con i soli occhi: esse erano fatte per
essere recitate a voce alta, in pubblico, o per essere accompagnate dal gesto mimico del giullare che cantava, e dalle note
(sia pure piuttosto uniformi) di uno strumento a corda. Il testo scritto è quindi in questo caso solo una parte dell'opera
quale veniva effettivamente effettuata: qualcosa di analogo ad un nudo "libretto" di opera melodrammatica, rispetto al
completo melodramma fatto anche di musica, di scenografia, di viva, anche se silenziosa, partecipazione del pubblico
presente.
Eo, siniuri, s'eo fabello, altia l'occlu, sì llu spia, de tuttu tempu fructata.
lo bostru audire compello: addemandaulu tuttabia En qualecumqua causa delectamo
de questa bita interpello como era, como gia. tutt'a quella binja lo trobamo
e ddell'altra bene spello. «Frate meu, de quillu mundu bengo, e ppuru de bedere ni satiamo.»
Poi k'enn altu m'encastello, loco sejo et ibi me combengo.» «Ergo non mandicate?
ad altri bia renubello. Quillu, auditu stu respusu Non credo ke bene ajate!
Em meb'e[n]cendo flagello. cuscì bonu 'd amorusu, Homo ki nimm bebe ni manduca
Et arde la candela, s'è be libera, dice: «Frate, sedi, josu; non sactio comunqua se deduca
et altri mustra bia dellibera. non te paria despectusu; nin quale vita se conduca.»
Et eo, se nce abbengo culpa jactio, ca multu foracolejusu «Dunqua, te mere scoltare:
por vebe luminaria factio. tia fabellare ad usu. tie que te bollo mustrare.
Tuttabia me nde abbibatio Hodie maiplu non andare, Se tu sai judicare
e ddicondequelloke sactio: ca te bollo multu addemandar' tebe stissu, metto a llaudare.
c'alla Scrittura bene platio. e serbire, se mme dingi Credi, non me betare
Ajo nova dicta per fegura, commandare.» lo mello, ci tende pare.
ke da materia no sse transfegura «Boltier' audire nubelle Homo ki fame unqua non sente
e coll'altra bene s'affegura. de sse toe dulci fabelle: non è sitiente.
La fegura desplanare; onde sapientia spelle, Qued à besonju, tebe saccente,
c'apo i lobollo pria mustrare. dell'altra bene spelle. de mandicare e de bibere? Niente!»
Ai, dumque, pentia null'omo fare Certe credotello, frate, «Poi k'en tanta gloria sedete,
questa bita regu[l]are? ca tutt'è 'm beritate. nulla necessu n'abete;
Deducer'e deportare Una caosa me dicate ma quantunqu'a Deu petite
mort'è, non guita, gustare. d'essa bostra dignitate: tuttu lo 'm balia tenete;
Cunqua de questa sia pare? poi k'en tale destuttu state, et en quella forma bui gaudete.
Ma tantu quistu mundu è gaudebele quale bita boi menate? Angeli de celu sete
ke l'unu e l'altru face mescredebele! Que bidande mandicate?
Ergo, poneteb'a mente Abete bibande cuscì amorose
la Scriptura como sente. como queste nostre saporose?»
Ca là sse mosse d'Oriente «Ei, parabola dissensata!
unu magnu vir prudente, Quantu male fui trobata!
et un altru Occidente. Obebelli ài manucata
Fori junt'in albescente; tia bibanda scellerata?
addemandaruse presente. Obe l'ài assimilata?
Ambo addemandaru de nubelle, Biband'avemo purgata
l'unu e ll'altru dicuse nubelle. d'ab evitia preparata:
Quillu d'Oriente pria perfecta binja piantata,

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