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Le elegie anglosassoni – Cammarota & Cocco

- Il manoscritto

L’inizio della letteratura anglosassone corrisponde convenzionalmente alla stesura


dell’inno di Cædmon nel 680 e termina con l’arrivo della cultura normanna nel XI secolo. I
manoscritti principali di questo periodo, unica testimonianza a noi giunta, sono il Libro di
Vercelli, il Cotton Vitellius A XV, lo Junius XI e il Libro di Exeter (Exeter Book).
Il Libro di Exeter è una straordinaria antologia poetica in cui si susseguono opere di
diverso genere, dalle celebri “elegie anglosassoni”, a preghiere, massime gnomiche,
indovinelli e componimenti omiletici, moraleggianti o allegorici, tutti legati da un possibile
filo rosso : la riflessione sull’esistenza umana, la sua transitorietà e la conseguente vanità
delle effimere ricchezze terrestri e la necessità di affidarsi alla volontà di Dio. Possiamo
dunque affermare che l’obiettivo del codice è dōcere ma allo stesso tempo dilectare e
mōvere.
Il luogo di stesura del Libro di Exeter non ci è noto, fra i possibili scriptoria abbiamo
quello di San Pietro ad Exeter, quello di Crediton, Glastonbury o Tavistock. È chiaro in ogni
caso che la sua generale provenienza rientri nella regione sud-occidentale dell’Inghilterra,
punto focale della rinascita culturale post-riforma benedettina del X secolo: un’informazione
che ricaviamo dal ductus dell’amanuense tipico degli scriptoria della zona. Possiamo inoltre
ipotizzare che il libro avesse una committenza abbastanza ricca, secondo Dunning e Bliss
da Æthelward, discendente del fratello di Alfredo il Grande, poiché è stata usata della
pergamena per crearlo e perché si tratta di un testo che potremmo definire surplus in un
monastero, dove avevano infatti precedenza la stesura della Bibbia, la Regola di Benedetto, le
vite dei santi, testi di patristica o teologici, grammatica, letteratura e storia. Oppure ci
troviamo di fronte ad un codice concepito per un uso strettamente personale, non essendo un
manoscritto appartenente ad un armarium, come ci indicano i segni d’usura.
Più facile è stabilire la datazione della stesura del codice : abbiamo come terminus ante
quem il 1072 data della morte del vescovo Leofric e come ulteriore aiuto l’uso del minuscolo
quadrato. Restringendo il campo e ipotizzando una media fra le varie proposte, possiamo
ipotizzare che il Libro di Exeter risalga al terzo quarto del X secolo (950-975).
Più difficile è stabilire la datazione delle singole opere: il criterio più affidabile che
abbiamo è la presenza dell’allitterazione fra la occlusiva velare sorda /g/ con il suo esito
palatalizzato /j/, una espediente retorico non più attestato a partire dalla Battaglia di
Brunanburh nel 937 circa. Possiamo dunque ritenere che non siano stati composti prima del
950 e che non siano anteriori al IX secolo (850 – 950): le più antiche sono Navigante,
Lamento della Moglie e il Messaggio del marito, mentre le più recenti Poesia in rima e
Contrizione A e B.

o Struttura
Il codice, un codex unicus di cui non possediamo antigrafi, dunque, è formato da 131 fogli
di pergamena ripiegati in ottavi, non ci sono iniziali minate e immagini (non prezioso), se
escludiamo alcune decorazioni a secco probabilmente successive alla redazione. Il primo
foglio è andato perduto, mentre i fogli dal cosiddetto 0 al 7° rappresentano delle aggiunte del
XI e XII secolo (elenco donazioni Exeter e altri documenti legali in latino e inglese). La parte
posteriore risulta gravemente danneggiata, particolarmente compromessi sono i fogli 119-
122-123 che contengono il Messaggio del Marito e La Rovina. Il manoscritto è stato
probabilmente usato come piano di lavoro per la preparazione di nuovi manoscritti (8r). al
foglio 10 troviamo alcune annotazioni risalenti al ‘700 di un tentativo di traduzione e una
macchia di gallio, un reagente usato nell’800 per far riemergere momentaneamente
l’inchiostro. Dall’usura degli angoli capiamo che il manoscritto fosse d’uso frequente.
Il codice è formato da 3 unità codicologiche (booklets) : il primo ad essere stato copiato
sarebbe stato l’attuale secondo booklet ff. 53r-97v, il secondo l’attuale ultimo booklet ff.
98r-130v e il terzo booklet sarebbe l’attuale inizio del Libro di Exeter, dunque ff. 8r-52v.
Secondo alcuni studiosi, quali Connor, le unità sarebbero state unite nell’XI secolo, mentre
secondo altri come Muir non sarebbero mai state disgiunte.

o Lingua
La grafia è attribuita ad una sola mano, la parte superiore delle aste ascendenti ( b/d)
presenta il cosiddetto dente di lupo, mentre le aste ascendenti (p/þ) sono affusolate. Le forme
tendono ad essere quadrate (soprattutto l’occhiello di lettere quali a/e), ed è per questo
chiamata minuscola quadrata, una scrittura usata a partire dal 900 in Inghilterra che ci
permette di inquadrare storicamente la stesura del codice con più precisione.
La lingua prevalentemente usata nel codice è il late West Saxon, come ci dimostrano
l’indebolimento delle vocali atone e la confusione delle nasali in posizione finale. Abbiamo
inoltre alcuni elementi di altri dialetti : il principale è l’anglico (northumbrico e merciano)
[<o> al posto di <a> in sillaba nasale tonica, la forma labiovelare cwom], più raramente
troviamo invece elementi del kentico. Una commistione forse riconducibile alla trasmissione
testuale oppure ad una volontà di elevare lo stile introducendo elementi di un linguaggio
poetico che godeva di uno status speciale.

o L’elegia (flauto – parola non greca | ἔλεγος – lamento funebre | entra nel mondo anglosassone
attraverso le “Lettere dal Ponto” e “Tristia” di Ovidio)
La suddivisione in generi letterari non risale all’epoca anglosassone, bensì alla
classificazione fatta dagli studiosi del XIX e XX secolo che hanno adottato le categorie della
tradizione classica, creando una definizione fuorviante dei poemi del codice, in quanto non
solo genera aspettative che non trovano riscontro, ma che distolgono anche l’attenzione dalla
modalità di composizione di questi poemi che risalgono ad un momento storico della
letteratura che gli studiosi hanno definito “oralità mista” o “oralità secondaria” (ritmo, figure
di suono, ripresa di temi e motivi, espressioni formulari, variazioni, ripetizioni).
L’elegia classica e quella anglosassone differiscono completamente per metrica (distici vs.
verso lungo allitterato), ma hanno come caratteristica generale l’atteggiamento riflessivo sulla
sofferenza umana, una valorizzazione particolarmente congeniale proprio al clima
ottocentesco romantico. Greenfield nel 1966 in The Old English Elegies definisce le elegie
anglosassoni come : un poema relativamente corto riflessivo o drammatico, con uno schema
contrastivo fra perdita e consolazione, basato su un’esperienza personale o meno che viene
commentata in base alle emozioni suscitate. A questo Klinck nel 1992 aggiunge come
caratteristica principale la presenza di un io narrante e del suo monologo che si conclude con
affermazioni di natura religiosa o sapienziale. Prendendo l’idea di polisistema di Even-
Zoharn, possiamo dunque parlare dell’elegia anglosassone come di una rete di elementi che
appartengono a diverse tradizioni e che grazie alla contestualizzazione geografica e storica
rendono i testi quello che sono.
Possiamo trovare tre filoni fondamentali all’interno dell’elegia anglosassone:

1) Cultura cristiana  Insicurezza della vita terrena rappresentata attraverso la


distruzione (Acuino “sic transit gloria mundi”; Venanazio Fortunato “De excidio
Thuringiae”; Boezio, “Consolazione della Filosofia”– Ubi sunt?
2) Cultura germanica  lamentatio, Beowulf, 1117v. pianto per la morte di un giovane
eroe / 3150v. canto funerario per Beowulf di una donna dei Geati, tristezza anche per
un avvenire incerto - la sconfitta di Galimero, come raccontata da Procopio di
Cesarea, chiede pane cotto, una spugna per le troppe lacrime e una cetra per cantare le
sue sventure
3) Cultura celtica  il tema della perdita e distruzione è molto diffuso nella poesia
celtica, a causa delle sconfitte riportate contro Angli, Sassonni e Juti: la morte di
Urien principe di Rheged, la morte dei 24 figli di Llywarch Hen – freddo/caldo,
“dimora/solitudine” – descrizione dell’ambiente
Pasternack definisce i testi poetici anglosassoni come un “mosaico” : ogni nuovo testo non
è “originale”, ma l’insieme di una nuova composizione di singole “unità testuali” o sezioni
già note che formano un nuovo disegno. Questo insieme di topoi faceva parte della cultura
enciclopedica della comunità linguistica, che sapeva cosa aspettarsi durante la recitazione di
un poema e che quindi partecipava al significato dell’elegia : Zumthor definisce questo
fenomeno come “intervocalità”, il dialogo fra il poema e tutti gli altri testi del sistema
letterario in cui è inserita. Per tutta questa serie di motivi è impossibile associare la figura
moderna di autore a quella dell’epoca : le elegie sono composizioni polifoniche, a cui
contribuiscono sia la voce del copista che del compilatore. L’amanuense infatti non ricopiava
passivamente le composizioni assegnategli: pronunciava il testo ad alta voce scrivendo e per
questo poteva decidere di operare “miglioramenti” fonetici per forme che sentiva antiquate,
così come inserire al contrario arcaismi per un tono più aulico, nuove formulazioni per
eliminare un’ambiguità o sostituire un’espressione con una più familiare. Queste alterazioni
intenzionali sono molto difficili da riconoscere.

- L’Errante (The Wanderer)

Insieme al Navigante, l’ Errante costituisce une delle due “elegie maggiori” del corpus
poetico, conta 115 versi trascritti dal foglio 76v. al 78r.
La sua struttura è da sempre oggetto di numerosi dibattiti da parte degli studiosi :
possiamo vedere il testo in base ad una struttura bipartita, con una prima parte (1-57) che
racconta la vita dell’esule e una seconda (58-115) prevalentemente moraleggiante e omiletica,
altri lo vedono come la sequenza di due monologhi pronunciati da figure distinte, l’errante e
il saggio, altri ancora come un monologo centrale incorniciato da un’introduzione (1-7) e una
conclusione (110-115) affidate ad una seconda voce moraleggiante. Mancando i segni
d’interpunzione è difficile dire quali sia per certo la divisione giusta, l’unico indizio datoci
dal testo sono delle lettere di corpo maggiore (small capitals) che scandiscono le sezioni tra
loro legate da parole-eco, richiami e immagini tradizionali.
Il paesaggio invernale e il mare burrascoso sono la personificazione dell’angoscia e
tristezza dell’errante, una figura retorica chiamata “pathetic fallacy” . L’immagine del mare
in tempesta è usata più volte in tutta la letteratura cristiana e biblica : pensiamo al diluvio di
Noè, la tempesta placata da Gesù, il mare mundi o salum saeculi di Agostino poi parafrasato
da Aelfric nella sua omelia, allegoria dell’uomo che lotta contro il peccato.
Errante anti-eroe  anhaga come il lupo, wraeclastas come Lucifero e -stapa come Grendel

- Il Navigante - The Seafarer

Il protagonista affronta le avversità del mare in solitudine, ha intrapreso volontariamente


questo duro viaggio lontano dagli affetti e dalla sala perché sa nonostante la sofferenza e i
pericoli riceverà la salvezza e la grazia divina.
Questa seconda elegia maggiore è composta da 124 versi, trascritti dal foglio 81v. a
83r. fra Precetti e Vanagloria. Si è a lungo dibattuto sull’unità compositiva dell’elegia, in
passato gli studiosi avevano infatti ipotizzato che ai versi originariamente pagani fossero stati
aggiunti degli elementi cristiani: oggi l’interpretazione accettata è che sia proprio questa
commistione di diverse ispirazioni ideologiche, la disposizione di unità tematiche in coppie
oppositive che interagiscono fra di loro, il fulcro dell’elegia e una precisa intenzione, dunque,
dell’autore.
L’incipit del Navigante è alla prima persona (pronome personale sogg. ic ) e adotta
formulazioni simili al Lamento della Moglie e al Deor. I temi principali sono espressi fin dai
primi versi : il dolore, il viaggio, la nave ed il mare.
Di particolare bellezza è l’immagine ossimorica ai versi 10b-11a malgrado il gelo che
avvolge il navigante, la sofferenza arde nel suo cuore. Nonostante questo dolore, tuttavia, il
navigante è deciso a continuare, sia la mente (ferð), che lo spirito (mod) che l’animo (sefa) lo
spingono ad andare avanti irresistibilmente. Il mare è indicato con due kenningar “patria della
balena” hwæles eþel e la “via della balena” wæ lweg. Come per l’Errante, il mare che strema
l’animo (merwerges mod) diventa allegoria della navigatio nel salum sæculi, una
peregrinatio pro amore Dei che porterà alla salvezza eterna. Alla fine dell’elegia, troviamo
una lode al Signore piena di timore referenziale che si oppone ad una precedente menzione
inaspettata del navigante che ci parla della gloria, la lof, tema tipico dell’ethos eroico.

-Poesia in rima (The Riming Poem)


Elegia in 87 versi, trascritta ai fogli 94r e 94v e divisa in due parti principali : la
celebrazione della perduta vita di potere dell’io narrante e il presente che porta una riflessione
sulla caducità della vita.
Il testo è un armonioso insieme di varie influenze ascrivibili ai principali generi
letterari dell’Alto Medioevo inglese : possiamo infatti notare sia affinità alle saghe islandesi,
che agli inni cristiani latini o anglolatini (in particolare metricamente con il verso leonino) e
con i richiami alle omelie del Libro di Vercelli o i sermoni di Aelfric.
Fra le altre peculiarità troviamo anche tratti dialettali appartenenti all’anglico e grafie
appartenenti al sassone occidentale della fine del IX secolo, una commistione probabilmente
voluta per donare originalità e un aria arcaica al testo.

-Deor

Componimento di 42 versi sul foglio 100 (recto e verso). Un aspetto alquanto insolito nel
Deor è la suddivisione in sezioni del testo, evidenziata all’inizio con una lettera di corpo
maggiore e in chiusura con una combinazione di segni che indicano la fine di un testo (nota
tironiana, punto fermo, punto e virgola e trattino 7 . ; - ). Le prime cinque strofe narrano
delle sventure di personaggi mitizzati appartenenti all’ “età eroica” ( morte del re ostrogoto
Ermanarico 375 alla discesa dei Longobardi in Italia 568), mentre l’ultima strofa, la più
lunga, assume nei primi sette versi un carattere meditativo e sapienziale e negli ultimi sette
canta la sventura in prima persona dell’io lirico, un cantore di nome Deor.
Oltre a questa peculiarità abbiamo la ripetizione alla fine di ogni strofa di un ritornello
Þæs ofereode, þisses swa mæg oggetto di dibattito fra gli studiosi riguardo la sua
traduzione e interpretazione. I due pronomi dimostrativi sono al genitivo e retti dal verbo
ofereode, una costruzione non attestata in nessun altro testo a noi pervenuto, che è usato
impersonalmente. Il soggetto della frase è sottintesto, potrebbe essere “un uomo” e quindi il
senso sarebbe “qualcuno ha superato questa condizione infelice, altrettanto può fare
qualcun altro” oppure “cosa” e dunque “la faccenda di quello è passata, così può passare
la faccenda di questo”. Ulteriori considerazioni portano a quattro diverse interpretazioni :
1) Il primo semiverso avrebbe un valore cataforico all’episodio appena narrato “la
vicenda di quella persona è passata, così può passare la vicenda di questo uomo”. In tal
caso però il ritornello non funzionerebbe una volta usato anche dolo la vicenda dello scop, in
quanto la sua situazione di dolore resta immutata
2) Il primo semiverso avrebbe valore generale mentre sarebbe il secondo a riferirsi alla
strofa precedente “tutto passa, così anche questo passerà”. Questa interpretazione funziona
anche nell’ultimo ritornello, tutti gli esempi precedenti hanno avuto una lieta conclusione e
così sarà anche per Deor
3) Unicamente nell’ultima strofa il pronome si riferirebbe alla felicità di Deor “quella
felicità è passata, così anche questa sventura passerà”
4) Leggendo in chiave cristiana, quello è passato perché transitorio come tutte le cose
terrene, così anche questa vita passerà

-Wulf e Eadwacer (Wulf and Eadwacer)

È la più breve delle elegie con 19 versi, è trascritta sui fogli 100v. e 101r. fra il Deor e
Enigmi. Proprio a causa di questa posizione, del carattere particolarmente enigmatico del
componimento, la forma breve e il riferimento ad animali nell’Ottocento il componimento era
fatto rientrare tra gli indovinelli del libro di Exeter; più precisamente gli studiosi fanno
rientrare Wulf and Eadwacer nel Frauenlied sottogenere della poesia d’amore nella
letteratura tedesca del XII e XIII, ma già attestato in altre lingue in epoca precedente, fra cui
la letteratura greca e latina. Si pensa che le scarse testimonianze di questo genere di
componimenti siano state frutto di una volontaria esclusione in ambito monastico, come
sembra confermare, in maniera indiretta, un capitolare carolingio del 789 che proibisce la
composizione di winileodas “canzoni per amici” da parte delle monache.

-Lamento della moglie (The Wife’s Lament)

Il componimento occupa il foglio 115r-v e conta 53 versi, è preceduto da una raccolta di


indovinelli e seguito dal Giorno del Giudizio I.
Già dall’incipit l’appartenenza del componimento al genere elegiaco ci appare chiara:
abbiamo in posizione marcata il pronome di prima persona al nominativo singolare ic, più
volte ribadito anche negli altri casi, il tema di una profonda tristezza (ful geomor) e verbi
appartenenti alla sfera semantica del racconto di un’esperienza personale (wrecan giedd).
Presenta inoltre una stretta affinità con l’incipit del Navigante con cui condivide ben sette
parole nei primi due versi.
All’inizio del Novecento numerosi studiosi, fra cui come maggiore esponente Thorpe,
consideravano l’io lirico maschile e la sofferenza non di natura amorosa ma scaturita dalla
perdita del signore, essendo la poetica anglosassone espressione di una società di guerrieri :a
favore di questa interpretazione abbiamo espressioni come min hlaford, geomerre come
avverbio e non aggettivo femminile e degli errori di copiatura che dunque portano al maschile
termini al femminile. Una visione oggi scartata, in quanto nello stesso Libro di Exeter
abbiamo più di un componimento amoroso (Il Messaggio del Marito e Wulf e Eadwacer),
termini come hlaford sono usati in ambito giuridico per indicare anche il marito ed in
generale si riconosce molta più maestria agli amanuensi del passato.
La trama dell’elegia non è del tutto chiara, mancano diversi dettagli e l’assenza di nomi
proprio impedisce agli studiosi di ricollegare la protagonista a una qualsiasi figura storica o
mitologica. Sappiamo che la donna si strugge per il suo signore che ha attraversato il mare
lasciandola sola con i parenti di lui che sono ostili nei suoi confronti, tale stato d’animo è
espresso in particolare dall’hapax uhtceare, “triste al fare dell’alba”, che ben racchiude una
condizione di disperazione che porta all’insonnia , e da wineleas wrecca, situazione simile
all’Errante, quando la donna parte alla ricerca foldgað forse il seguito di suo marito oppure
più in generale una “sicurezza” perduta/ un luogo dove nascondersi. Leggiamo poi che
proprio il suo signore le ha ordinato di vivere lontana e sola in un luogo inospitale: questa
situazione di estrema infelicità porta la donna a paragonare la felicità e le promesse d’amore
fatte in passato con la crudeltà presente dell’uomo.
-Contrizione (Contriction)

Questo componimento occupa i fogli 117v-199r. ed è contenuto fra due testi cristologici. La
lettura di Contrizione risulta particolarmente difficile principalmente a causa di un problema
codicologico: presunte irregolarità metriche e sintattiche fra il foglio 118v e 119r hanno
portato gli studiosi ad ipotizzare che ci sia stata una probabile perdita proprio fra questi due
fogli. Si registrano infatti differenze nell’uso dei verbi e della preposizione mid nonché
l’irregolarità metrica del verso 69, che conterrebbe appunto una parola, mid, appartenente in
realtà al verso che doveva continuare sul foglio perduto. Soltanto Contrazione A inoltre
presenta diverse parole del dialetto anglico ed un’aderenza agli stilemi della poesia
penitenziale, assenti in Contrizione B. Klinck confuta questa ipotesi: pubblica nella sua
edizione l’elegia come un unicum (Resignation) e considera come indizio della continuità la
parola-chiave bot.
Il secondo dibattito che occupa lo studio di questa elegia è la sua classificazione:
quando Thorpe pubblicò la prima edizione del Libro di Exeter scelse come titolo A
Supplication, che venne poi scartato a favore di inserire il poema fra gli altri inni e preghiere,
per poi venir chiamato The Exile’s Prayer e aggiunto come elegia da Mackie ed infine
Resignation da Krapp e van Kirk Dobbie sulla base del sentimento espresso negli ultimi due
versi. Il titolo più recente che vede il componimento intero come elegia è Contrition (A-B)
dato da Muir nella sua antologia sull’Exeter Book, mentre la collana Dumbarton Oaks
Medieval Library ha inserito

-Messaggio del marito (The Husband’s Message)

Il componimento occupa il solo foglio 123, che è tuttavia attraversato da una lacerazione
laterale che compromette la lettura dei vv. 2-8 sul recto e 33-42 sul verso. Il testo è preceduto
da due indovinelli ed è seguito da Rovina.
Il componimento è solitamente diviso in tre sezioni, scandite anche graficamente da
maiuscole e segni di interpunzione:
1) vv. 1-21, un messaggero o più probabilmente la personificazione del bastoncino su cui
è inscritto il messaggio (prosopopea) parla del proprio lavoro da portavoce del signore
e di come abbia attraversato il mare per portare questo messaggio di amore e fedeltà.
Questa prima sezione è da alcuni ritenuta come un testo a sé aggiunto dal copista per
creare un collegamento fra gli indovinelli precedenti (30b e 60, legno per croce e
bastoncino runico) e il vero e proprio “messaggio del marito” che inizierebbe nelle
sezioni successive.
2) vv.13-25 il bastoncino si rivolge alla donna ricordandole le promesse d’amore
scambiate prima della faida che ha costretto l’uomo ad andarsene e la istruisce su
come ricongiungersi all’amato: deve solcare il mare d’estate
3) vv. 26-54 la donna dovrà viaggiare verso sud, così che la felicità dell’uomo, che ha
trovato nuova prosperità, sia completa. Viene infine trasmesso il messaggio segreto in
rune.
L’appartenenza di questo componimento alla categoria “elegia” è molto discussa: non
possiede alcune delle caratteristiche più importanti dell’elegia. Un possibile genere affine
sarebbe quello della lirica d’amore.
Allegoricamente il poema potrebbe essere inteso come la celebrazione dell’amore fra
Cristo e la Chiesa sua sposa, prendendo come riferimento il Cantico dei Cantici : le promesse
d’amore diventano allora il patto fra Dio e Ambramo, la sposa “adorna di gioielli” e “figlia di
principe” la Chiesa cristiana oltre che un evidente parallelismo alla donna nel Cantico
descritta con gli stessi attributi e il viaggio per mare la passione di Cristo o la peregrinatio
pro amore Dei.

-Rovina (The Ruin)

L’ultima elegie del Libro di Exeter, collocata tra il Messaggio del Marito e la seconda serie di
indovinelli, sui fogli 123v. e 124r. Anche questo componimento come la precedente elegia
risulta danneggiato, in questo caso da una bruciatura che ha compromesso il foglio 124 e di
conseguenza gran parte dei vv.12-17 sul recto e dei versi finali sul verso.
La Rovina si presenta fin dall’incipit come un componimento di alta fattura poetica,
abbiamo uno schema allitterativo ternario, l’assonanza di -st- e gli omoteleuti in -de e in -on
ed infine una disposizione a chiasmo dei sintagmi verbali che annuncia l’alternanza
temporale su cui si fonda l’intero poema (presente-passato x passato-presente). A livello
semantico abbiamo un’abbondanza di hapax basati sul lessico architettonico. Il
componimento viene annoverato fra le elegie in virtù del paragone fra presente e passato (sic
transit gloria mundi), ma questa classificazione non è condivisa da tutti gli studiosi che
preferiscono far rientra la rovina o nel genere encomium urbis, rendendo la Rovina l’unico
esempio in lingua volgare prima del XII, o, in maniera più convincete, nella tradizione del de
excidio urbis, di cui abbiamo come esempio più importante il De clade Lindisfarnensis
Monasteri (793) di Alcuino di York.
Letteralmente l’elegia è da intendere come la contemplazione da parte del poeta di
rovine di un antico insediamento latino (si è pensato al Vallo di Adriano o a Bath), mentre a
livello allegorico abbiamo più di una ipotesi: secondo, infatti, Keenan il componimento tratta
della distruzione di Babilonia. più in generale possiamo affermare con più sicurezza che il
poema tratti della transitorietà umana, della gloria e delle opere che vengono costruite, frutto
della superbia umana che attira il peccato, inermi di fronte alle intemperie naturali qualsiasi
luogo, per quanto edenico svanirà. Consolazione dell’uomo è, allegoricamente, la wealstan
oggetto di stupore, ovvero la “pietra angolare” che nella tradizione biblica sta ad indicare
Cristo e che lui stesso usa riferendosi a se stesso come scritto nel Vangelo di Matteo citando
il Salmo 118 : mirabile dunque è Dio che “dopo cento generazioni”, il termine ultimo che
Gregorio Magno aveva dato al mondo, porterà la fine dei tempi e la vita eterna.

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