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Bibliografia in lingua italiana

Introduzione

Il motivo della fanciulla perseguitata, prima ancora di prestarsi alle scene teatrali di epoca umanistico-
rinascimentale, ha ispirato i generai letterari più disparati delle principali produzioni nazionali. La presente
bibliografia fornisce un quadro – che non vanta certo la pretesa di definirsi esaustivo – della fortuna letteraria del
tema a partire dal genere fiabesco fino a quello drammatico, passando attraverso la novellistica e il romanzo,
senza dimenticare le attestazioni di carattere più propriamente storico e documentaristico. Nella catalogazione
dei contributi si è scelto di seguire un criterio tematico, ordinando le opere cronologicamente all´interno di ogni
sezione, senza distinguere tra bibliografia primaria e secondaria; l’arco di tempo entro il quale si inseriscono le
edizioni considerate copre quasi due secoli: dalla prima metà dell’800 fino al 2004.
Le storie raccontante, fatte oggetto di critica e di riflessione nei volumi segnalati, rientrano
complessivamente in due grandi ambiti: l’uno relativo alla produzione profana e l’altro legato alla sfera sacra e
religiosa. Tra le opere del primo tipo eccezionale fortuna ha registrato il tema della donna perseguitata nel genere
della novella, i cui massimi esempi italiani sono da rintracciare nel Decameron boccacciano con i casi di Alatiel
e Griselda, quest’ultima fonte immediata di ispirazione per riscritture e adattamenti particolarmente numerosi
proprio in campo teatrale fino al XX secolo. Una precisa direzione di studi risulta incentrata sull’indagine delle
relazioni tra la novella e la fiaba di ascendenza popolare, che a partire dai casi più antichi comprende nel suo
repertorio innumerevoli esempi di fanciulle che per la loro bellezza si trovano preda di matrigne gelose e di
persecutori malintenzionati, in un’area geografica che si estende dall’Italia alla Germania, dalla Scandinavia alla
Russia e al Medio Oriente.
Nell’ambito della produzione religiosa particolare importanza riveste il sottogenere della Sacra
Rappresentazione, per uno studio del quale risultano ancora imprescindibili le opere monumentali del D’Ancona,
tuttora insuperate per la ricchezza delle informazioni e dei dettagli relativi alla storia editoriale e compositiva dei
singoli testi. Le rappresentazioni di Guglielma, Uliva, Stella e Rosana costituiscono i casi più noti di donne
perseguitate nel teatro religioso, nonostante le loro vicende mostrino tangenze evidenti con la novellistica
profana, con la fiaba e con gli intrecci avventurosi del romanzo greco.
Tra i volumi schedati sono stati inseriti sia repertori bibliografici, sia opere generali sulla storia del
teatro – utili strumenti di indagine anche per ricerche di tipo tematico – sia volumi o saggi dedicati, almeno in
una delle loro sezioni, al motivo che costituisce l’oggetto del nostro studio. Di questo tipo è l’opera, forse non
più attualissima ma ancora estremamente valida, di Mario Praz, che in una specifica sezione indaga il motivo
della donna perseguitata nella letteratura moderna per lo più di area francese, inglese e tedesca. L’unico saggio
interamente dedicato al tema della fanciulla perseguitata risulta ancora quello di Avalle, che conduce un esame
ad ampio raggio partendo dalle premesse del teatro sacro quattrocentesco fino alla Justine del Marchese De Sade.
Un capitolo geograficamente circoscritto, ma importante per la nascita e lo sviluppo della commedia
rinascimentale è quello che riguarda le accademie senesi, la cui produzione comprende anche opere, come la
Pellegrina, strettamente connesse al tema del convegno. Per quanto riguarda la commedia cinquecentesca in
generale dalla bibliografia risulta tutta una rete di studi che reperisce nella novellistica temi e motivi trattati, ma
non senza ricondurre strettamente questo genere teatrale alla sacra rappresentazione, fino all´ipotesi estrema di

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Franceschini che nega ogni sopravvivenza medievale del teatro classico, che sarebbe secondo lui stato ripreso
solo nel Cinquecento, innestandolo nella neonata tradizione teatrale liturgico-religiosa.
In appendice alla bibliografia abbiamo voluto inserire una lista di opere in parte in lingue straniere, in
parte che non siamo riusciti a schedare per ragioni logistiche o di disponibilità in biblioteca, credendo comunque
di far cosa utile anche fornendo il solo elenco dei titoli e riferimenti bibliografici ordinati cronologicamente. In
una seconda appendice presentiamo un elenco di pubblicazioni riferite al teatro classico greco e latino.

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SACRE RAPPRESENTAZIONI

1872

1. D’ANCONA A. (a cura di), Sacre rappresentazioni dei secoli XIV-XV-XVI, 3 voll.,


Firenze, Le Monnier, 1872.
Delle quarantatré sacre rappresentazioni raccolte dal D’Ancona nei tre volumi che costituiscono la sua
monumentale opera, ben cinque sviluppano il motivo della fanciulla perseguitata:
- La Rappresentazione di Santa Orsola, vol. 2, pp. 409-444.
Il testo, da alcuni considerato anonimo e da altri attribuito a M. Castellani, che l’avrebbe composto nel 1509, è il
‘romanzo’ favoloso di santa Orsola e di undici compagne che con lei vivono una serie di avventure tra la
Britannia, l’Italia e la Germania. Le undici vergini saranno uccise dagli Unni e anche Orsola, dapprima salvata
per la sua bellezza dal re di quella gente, verrà uccisa in un secondo tempo per essersi rifiutata di sposarlo.
- La Rappresentazione di Santa Guglielma, di Madonna Antonia Pulci, vol. 3, pp. 199-234.
Alle consuete notizie sulle varie edizioni del testo segue un’ampia sezione dedicata alla leggenda della moglie
innocente perseguitata, a cui si ascrive la storia di Guglielma. Si inizia con la menzione di un poema italiano del
XVI secolo intitolato Del duca d’Angiò et de Costanza so mojer, di cui il D’Ancona riporta l’argomento, e si
conclude con la citazione delle varianti svedese, tedesca e olandese della stessa storia. L’autore individua le
costanti di quella che viene ribattezzata Leggenda di Crescenza dal nome dato all’eroina di una delle più
importanti versioni della medesima vicenda:
1. Un principe affida la sua donna a suo fratello, che cerca di sedurla;
2. La donna è salvata da un gentiluomo che l’accoglie in casa e le affida il proprio figlio; ma uno di famiglia,
innamorato della donna e respinto, ammazza il fanciullo dandone la colpa alla donna, che viene cacciata;
3. La donna è di nuovo salvata, acquista capacità taumaturgiche e risana quelli che le avevano precedentemente
fatto del male.
Per concludere D’Ancona segnala le diverse varianti che si discostano da questo schema di base, attraverso un
discorso che tiene conto non solo della produzione italiana, ma anche di quella spagnola, francese, inglese e nord
europea in genere.
- La Rappresentazione di Santa Uliva, vol. 3, pp. 235-293.
La parte introduttiva che precede il testo colloca la figura di Santa Uliva fra quelle di altre fantastiche e innocenti
donne perseguitate: Genoveffa, Ildegarde, Crescenzia, Berta e Griselda. La leggenda di questa santa risulta già
diffusa in Italia - e in particolare in Toscana - tra il XIV e il XVI secolo sottoforma di narrativa prosastica, di
narrativa poetica e di testo drammatico. Il nome di Uliva si conserva però solo nel Poemetto e nel Dramma,
mentre nella Leggenda in prosa esso muta in quello di Elisa. D’Ancona specifica come questa di Uliva sia una
favola che ne accorpa diverse in una, ognuna delle quali rintracciabile nei quattro punti essenziali che ne
costituiscono l’ossatura:
1. Innamoramento del padre e fuga della figlia;
2. Troncamento delle mani poi miracolosamente riattaccate;
3. Persecuzione della matrigna e suo scambio fraudolento di missive;

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4. Ricongiungimento della figlia col padre e della moglie col marito.
Rispetto al primo punto D’Ancona segnala almeno quattro storie che vedono protagoniste donne perseguitate dal
proprio padre e che cercano nella fuga una via di scampo: la leggenda di Santa Dimpna figliuola del Re
d’Ibernia (sulla quale esiste anche una tragedia scritta da Giuseppe Berneri edita a Bologna nel 1687), la novella
della Bella Elena di Costantinopoli, gli antichi romanzi tedeschi del Conte Mai e di Belfagor e quello della figlia
del Re di Reuss composto da Giovanni Enenkel nel XIII secolo. Il secondo episodio, cioè il troncamento delle
mani e la loro miracolosa restituzione, si registra nell’antico libro dei Miracoli della Madonna e nella
Rappresentazione di Stella, che ha in comune con quella di Uliva anche il cambio delle lettere. Il momento della
persecuzione della suocera e dello scambio delle lettere si ritrova di nuovo nella Bella Elena, nel romanzo
fiammingo del ciclo di Goffredo di Buglione intitolato il Cavalier di Cigno e nell’antico poemetto italiano della
Regina Stella e Mattabruna, che è cosa diversa dalla rappresentazione omonima. Lo scioglimento conclusivo
risulta infine un elemento comune a moltissime storie e fiabe popolari che vedono come protagoniste delle
giovani virtuose perseguitate. Al termine di questa indagine comparativa l’autore indica le tappe fondamentali
della elaborazione artistica della rappresentazione di Santa Uliva: a partire dalla fine del XIII secolo, quando la
leggenda è ormai famosa presso il popolo, il primo contributo d’autore è rappresentato dal Roman de la
Mannekine scritto dal giureconsulto e poeta Filippo di Beaumanoir e stampato per intero a Parigi nel 1840, il cui
contenuto è quasi del tutto identico a quello della Rappresentazione. Il romanzo riscuote tanto successo che ne
viene fatta una versione teatrale, un Mistero dal carattere spiccatamente religioso che circola con il titolo di
Miracolo. In Italia la leggenda miracolosa si spoglia di tutto il suo carattere soprannaturale e diventa una Novella
la cui trama in realtà perde molti degli elementi originari della vicenda di Uliva, come accade nella Novella I
della X giornata del Pecorone di Giovanni fiorentino (1378). La stessa trasformazione della Leggenda in Novella
si registra anche in francese nel romanzo in versi di Alart Pescotte La Comtesse d’Anjou; in Inghilterra il Man of
law’s Tale reintroduce un particolare soprannaturale che Chaucer riprende dall’antico poema inglese Emaré. In
conclusione Alessandro D’Ancona riporta la Prefazione premessa da Alessandro Wesselofsky alla Novella della
figlia del re di Dacia (Pisa 1866), contributo che reca il titolo La favola della fanciulla perseguitata: Mito,
Racconto popolare, Leggenda, Novella, Cantare di Piazza. Si tratta di un lavoro comparativo che porta lo
studioso a considerare diversi testi narrativi: la novella popolare tedesca raccolta dai fratelli Grimm (n. 31) della
fanciulla senza mani; un racconto popolare russo (in Afanasief, n. 6 e 13 del III fascicolo) la cui protagonista si
vede mozzare le mani per ordine della cognata; quindi un racconto popolare serbo (in Karadzic, n. 33) in cui il
troncamento delle mani si deve alla persecuzione di una matrigna malvagia e infine il conto di Basile intitolato
la Penta manomozza, dove una fanciulla si taglia le mani pur di non acconsentire alle nozze con un frate.
- La Rappresentazione di Stella, pp. 317-359.
L’introduzione che precede il testo della rappresentazione anonima, oltre ad informarci sulle edizioni realizzate
dal XV al XIX secolo, analizza in modo comparativo la vicenda di Stella, di Uliva e di Guglielma attraverso la
ricerca di testi che abbiano fornito un modello comune al tipo della fanciulla perseguitata. Una fonte segnalata
per la prima volta proprio dal D’Ancona risulta essere l’antica favola greca di Tiroe, ricordata da Diodoro e
argomento di una perduta tragedia di Sofocle: la giovane Tiroe viene perseguitata dalla matrigna Sideroe a causa
dei suoi amori con Poseidone. Ottenuto l’appoggio del marito Salmoneo, Sideroe fa tagliare i capelli, picchiare e
infine imprigionare la figliastra Tiroe. Non potendo prendersi cura dei figlioletti Pelia e Neleo, Tiroe li
abbandona in una barca sul fiume Enipeo. Raccolti da un pastore, una volta cresciuti essi vendicano la madre
mettendo a morte la matrigna crudele. Questo schema fornisce elementi che in effetti compaiono in molte delle

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storie fin qui esaminate: la persecuzione della matrigna e il taglio dei capelli (sostituito nella nostra vicenda da
quello delle mani) si ritrovano nella Rappresentazione di Uliva (anche se lì la persecutrice è la suocera) e di
Stella; l’abbandono dei figli su un fiume e il loro ritrovamento da parte di un pastore nella Bella Elena di
Costantinopoli, nella Stella e Mattabruna, nello Chevalier au cygne e in molte altre leggende medievali.
- La Rappresentazione di Rosana, vol. 3, pp. 361-414.
Una breve nota introduttiva qualifica il contenuto della rappresentazione come «puramente profano», nonostante
l’autore abbia inserito nella storia alcuni elementi religiosi e conferito alla eroina l’appellativo di Santa. Il dato
più notevole consiste nel fatto che argomento della rappresentazione è lo stesso, seppure in forma abbreviata e
modificata, del Filocolo di Boccaccio tratto dal romanzo francese di Floire et Blanchefleur. Dunque la
Rappresentazione di Rosana si può a sua volta definire un’altra delle versioni italiche del poema francese. (A.
Triponi)

1961

2. CIONI A., Bibliografia delle sacre rappresentazioni, Firenze, Sansoni Antiquariato,


1961.
La corposa bibliografia del Cioni sulle opere a stampa di carattere sacro, registra preliminarmente le raccolte
moderne di testi contenenti la trascrizione di sacre rappresentazioni e poi l’elenco delle raccolte antiche stampate
a Firenze tra il XV e il XVI sec. Tra queste ultime particolarmente utile risulta la Raccolta giuntina (custodita in
un unico esemplare completo presso la Biblioteca Nazionale di Vienna), che riporta quasi l’intero corpus delle
sacre rappresentazioni fiorentine dei secc. XV-XVI. Il primo dei tre tomi che costituiscono la raccolta, stampato
nel 1555, contiene la maggior parte dei testi che più interessano il nostro discorso: Rosana, la Rappresentazione
di Stella, S. Orsola, S. Apollonia, S. Guglielma, S. Agata; nel secondo tomo (1560) troviamo il testo di S. Agnese
e nel terzo (1578) quello di S. Uliva. L’autore fornisce l’attribuzione della maggior parte di questi testi,
analizzandoli singolarmente nella sezione bibliografica. (A. Triponi)

1968

3. PULCI A., La rappresentazione di Santa Guglielma, in Sacre rappresentazioni del


Quattrocento, a cura di L. Banfi, Torino, Utet, 1968, pp. 537-581.
Tra i testi di sacre rappresentazioni inclusi dal Banfi nella sua raccolta, ben quattro hanno come protagoniste
giovani donne innocenti ingiustamente perseguitate: Santa Guglielma, di Atonia Pulci, Stella, Rosana e Santa
Uliva, anonime. Per tutti siamo ormai al limite della Sacra Rappresentazione fiorentina, data l’evidente
“ingerenza” dell’elemento romanzesco su quello sacro. Protagonista della prima storia è la figlia del re
d’Inghilterra, rinomata ovunque per la sua vita virtuosa: il re d’Ungheria decide di sposarla e la chiede in moglie
ai genitori di lei, che acconsentono nonostante desiderio della figlia sia quello di servire Dio. Divenuta regina
d’Ungheria, Guglielma sprona il novello sposo a fare un viaggio a Gerusalemme per visitare il Sepolcro.

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Rimasta sola a corte, la donna subisce le provocazioni del cognato, innamoratosi di lei; Guglielma non cede e
questo determina le ire dell’uomo, che al ritorno del re la accusa di tradimento. Il re ordina la sua condanna a
morte, ma il sicario incaricato dell’esecuzione crede nell’innocenza della donna e le risparmia la vita. Guglielma
va nel deserto e qui le compare la Madonna in sembianze umane, che la investe di poteri taumaturgici. Guidata
da due angeli verso un monastero, Guglielma inizia la sua vita di guaritrice; un giorno si presenta da lei il re
d’Ungheria per ottenere la guarigione di suo fratello, malato di lebbra. La donna, senza farsi riconoscere, accetta
di guarirlo purché confessi ogni peccato commesso in vita; l’uomo rivela tutte le sue menzogne e in questo modo
il re scopre l’innocenza di sua moglie. Guglielma svela la propria identità e i due si riuniscono. Come
ringraziamento a Dio il re decide di lasciare il suo regno ai baroni e di vivere in un eremo facendo penitenza
insieme a Guglielma e al fratello guarito. (A. Triponi)

1968

4. La rappresentazione di Rosana, in Sacre rappresentazioni del Quattrocento, cit., pp.


652-741.
Nella raccolta curata da Luigi Banfi al testo di S. Guglielma segue quello di Stella – che nella presente
bibliografia ho segnalato in un’altra edizione – e a questo la Rappresentazione di Rosana, in cui gli elementi
romanzeschi risultano ancora più evidenti che nella vicenda di Guglielma, perché oltre al motivo della fanciulla
ingiustamente perseguitata la storia si sviluppa in base all’intreccio, tipico del romanzo greco, della coppia di
innamorati violentemente separati che dopo varie avventure riescono a ricongiungersi. La Rappresentazione di
Rosana spicca per il moltiplicarsi delle inserzioni novellistiche, per la presenza di molti intermezzi e per una
scenografia più ricca e variegata, dal carattere vistosamente profano. La storia è ambientata nella Roma pagana
governata dal re Austero e sua moglie Rosana. I due, preoccupati per il mancato arrivo di un figlio cui lasciare il
trono, si rivolgono al dio Marte perché conceda loro di averne uno. Il tentativo risulta vano, così la regina decide
di rivolgersi al dio dei cristiani: un eremita battezza i due sovrani e li spinge a recarsi in terra santa per ottenere
da Dio la grazia del miracolo. I due si mettono in viaggio accompagnati dal loro seguito e da un esercito di
soldati, dato il rischio che essi corrono di essere attaccati dal re di Cesarea, loro nemico. Le previsioni di Austero
si rivelano giuste: insieme alla moglie e al suo seguito cade vittima di un imboscata del re nemico. Tutti muoiono
tranne la regina Rosana, gravida. La donna viene risparmiata dal re di Cesarea, che la ospita nel suo palazzo fino
al giorno in cui ella dà alla luce una bambina, da lei stessa battezzata con il suo nome. Il giorno successivo la
regina muore e il re, che a sua volta ha avuto un figlio maschio dalla moglie, manda i due bambini a balia per
riprenderli quindici anni dopo. Qui si conclude la prima delle due giornate che compongono la rappresentazione.
La seconda giornata si apre con i due giovani, Rosana e Ulimento, che ormai quindicenni e innamorati vengono
richiamati a corte dal re di Cesarea. La madre di Ulimento si ingelosisce a causa dell’amore che il figlio prova
per Rosana e così convince il marito a separare i due innamorati: Ulimento viene mandato a Parigi a far pratica
d’armi, mentre Rosana viene venduta a dei mercanti che la conducono in Babilonia per rivenderla al Sultano. La
ragazza è bellissima e ancora pura, così finisce con altre donne nel giardino del Sultano in attesa di essere scelta.
Un amico di Ulimento avverte il giovane del complotto ordito dai suoi genitori verso lui e Rosana: Ulimento
torna immediatamente e, dopo essersi riappacificato col padre pentito, va alla ricerca dell’amata. Grazie alla

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complicità di un oste e di un’ostessa il giovane ritrova la donna; i due si riconciliano definitivamente con i
genitori di lui i quali, dopo aver ricevuto il battesimo, abdicano in favore dei due giovani sposi. (A. Triponi)

1968

5. La rappresentazione di Santa Uliva, in Sacre rappresentazioni del Quattrocento, cit.,


pp. 742-849.
Con quella di Santa Uliva siamo all’ultima delle sacre rappresentazioni romanzate incluse dal Banfi nella sua
raccolta. Come chiarisce l’autore nell’introduzione del volume, questo testo spicca per la presenza di didascalie
che forniscono indicazioni per intermezzi atti a ravvivare l’interesse del pubblico attraverso scenografie affollate
di elementi fantastici: ninfe, conviti, balli e tutto quanto potesse animare l’atmosfera in cui la rappresentazione
era immersa. Il testo, molto noto, racconta la vicenda di Uliva, figlia dell’imperatore di Roma, condannata a
morte dal proprio padre per non avere acconsentito a sposarlo. L’incestuosa richiesta era dovuta a una promessa
che l’imperatore aveva fatto alla moglie morente: si sarebbe risposato solo se avesse trovato una donna bella e
gentile quanto lei e l’unica ad avere questi requisiti era la propria figlia. Uliva in segno di resistenza si mozza le
mani e per tutta risposta il padre la condanna a morte. Lo scudiero incaricato dell’esecuzione, impietosito dalla
vicenda della donna, le risparmia la vita lasciandola libera in un bosco. Uliva viene trovata dal re di Bretagna
durante una battuta di caccia; l’uomo la porta alla sua corte e le affida in cura il suo bambino; ma un giorno
Uliva, per sfuggire all’ assalto di un barone, lascia scivolare il bambino, che cade a terra mortalmente. Rispedita
nuovamente nel bosco, riceve l’apparizione della Madonna che le ridona le mani. Trova riparo in un monastero,
dove viene ingiustamente accusata di furto da un prete che vuole allontanarla per non cedere alla tentazione di
possederla. È chiusa in una cassa e gettata in mare; la trovano dei mercanti che la consegnano a Roberto, re di
Castiglia. Questi si innamora di lei e la sposa. Il matrimonio scatena le ire della madre del re, che in segno di
dissenso lascia il regno e si rifugia in un monastero. Il re deve recarsi in guerra, così lascia Uliva, gravida, in
custodia al vicerè. Alla nascita del figlio la madre del re, attraverso uno scambio di lettere, fa credere al vicerè
che per volontà di Roberto Uliva e il figlio debbano essere bruciati. Con un espediente il vicerè salva la vita dei
due, che chiusi di nuovo in una cassa vengono raccolti da due vecchiette sulla riva del Tevere. Il re Roberto torna
in Castiglia, scopre l’inganno ordito dalla madre e ordina di far bruciare il monastero in cui ella si è rifugiata.
Trascorrono dodici anni e il re decide di confessarsi, ma per ottenere l’assoluzione deve recarsi a Roma, presso il
Papa. Qui viene ospitato dall’imperatore e Uliva, venuta a conoscenza della presenza del marito in quella terra,
decide di farsi riconoscere insieme a suo figlio. Uliva e re Roberto tornano insieme mentre l’imperatore, per farsi
perdonare, consegna lo scettro nelle mani del nipote e dona tutti i suoi averi alla figlia e al genero. (A. Triponi)

1984

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6. La festa di Susanna, in NEWBIGIN, N. (a cura di), Nuovo Corpus di Sacre
rappresentazioni fiorentine del Quattrocento edite e inedite tratte da manoscritti coevi
o ricontrollate su di essi, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1983, pp. 141-159.
La storia di Susanna ben s’inserisce nel ‘repertorio’ di testi sul tema della fanciulla perseguitata che questa
bibliografia tenta in parte di realizzare. La vicenda è incentrata sulla richiesta avanzata da due giudici a Susanna
di concedersi ai loro desideri; al rifiuto della donna essi la accusano pubblicamente di adulterio e la condannano
alla lapidazione. Grazie all’intervento del profeta Daniele i due giudici vengono smascherati e lapidati al posto
della donna, che riacquista così la libertà. L’edizione proposta dalla Newbigin è basata su due dei tre manoscritti
che riportano il testo – tutti datati tra il 1465 e il 1482 – e riscontrato su una stampa del ‘500 che presenta già
delle importanti differenze rispetto ai codici manoscritti. (A. Triponi)

1984

7. VENTRONE P., “Inframmessa” e “intermedio”nel teatro del Cinquecento: l’esempio


della «Rappresentazione di Santa Uliva», in «Quaderni di teatro», VII (1984), n. 25,
pp. 41-53.
L’autrice dell’articolo analizza la Rappresentazione di Santa Uliva come utile paradigma per l’esegesi delle
trasformazioni drammaturgiche subite dal teatro sacro fiorentino a partire dalla metà del Cinquecento. In genere
si registra un progressivo distacco dall’originario intento edificatorio attraverso la comparsa di inserti comici e
profani e di passioni terrene che trasformano le vicende in storie romanzesche e avventurose che vanno ben oltre
i limiti del tradizionale dramma religioso (vd., oltre il caso di S. Uliva, quello di Stella e di Rosana). Certe
innovazioni, secondo la Ventrone, sarebbero determinate anche dal cambio della committenza: non più
confraternite devozionali che organizzano sacre rappresentazioni per un pubblico cittadino, ma la corte medicea
che commissiona spettacoli per un pubblico selezionato. Santa Uliva viene presentata come il prototipo
dell’adattamento di un genere drammatico ormai superato, alla moda degli intrattenimenti privati e di corte.
Prova ne sarebbe la compresenza, in esso, di elementi appartenenti per un verso alla tradizione quattrocentesca
(il tema collegabile ai “miracoli della Vergine”, un testo drammaturgico con certe caratteristiche espositive e
metriche proprie della sacra rappresentazione), per l’altro alle esperienze di un teatro più recente (schema del
racconto popolare profano della ‘fanciulla perseguitata’ e un numero cospicuo di inframmesse e intermedi).
L’articolo continua con due sezioni in cui viene fornita la definizione dettagliata di “inframessa” e “intermedio”,
con la precisazione delle rispettive funzioni e caratteristiche. Vengono infine segnalate le inframmesse e gli
intermedi rintracciabili nel testo di S. Uliva attraverso un’analisi che ne definisce non solo le occorrenze (ben
tredici intermezzi), ma anche la struttura e il significato. (A. Triponi)

1987

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8. PLAISANCE Michel, Le immagini del principe nella Rappresentazione di San Giovanni
e Paolo di Lorenzo il Magnifico e nell’ Invenzione della Croce di Lorenzo di
Pierfrancesco de’ Medici, in Mito e realtà del potere nel teatro all’Antichità classica
al Rinascimento, Centro Studi sul Teatro Medievale e Rinascimentale, Roma, 1987,
pp. 217-227.
Il breve ma denso saggio di Plaisance, presentato in occasione del Convegno del 1986 del Centro Studi sul
Teatro Medievale e Rinascimentale mostra la tela delle immagini del potere politico e in particolare del potere
del principe, nelle due citate sacre rappresentazioni. I riferimenti alla cronaca politica contemporanea individuati
dallo studioso francese sono molto puntuali e ruotano attorno ad una idea di potere principesco come peso che l
´imperatore (santo o malvagio che sia) è costretto a portare come servizio allo Stato. Per la tematica del presente
volume ricopre un certo interesse "antitetico" la figura di Elena imperatrice, nell´Invenzione della Croce, che si
presenta piuttosto come donna persecutrice e, a differenza del figlio, "appare come esempio di potere tirannico"
(p. 225).(A. Pagliardini)

1993

9. MORABITO R., Una sacra rappresentazione profana. Fortune di Griselda nel


Quattrocento italiano, in Beihefte zur zeitschrift für Romanische Philologie, Bd. 253,
Tübingen, Niemeyer, 1993.
Il volume si apre con una parte introduttiva che fa da presentazione a quattro testi del XV secolo rappresentanti
altrettante versioni della Griselda boccacciano-petrarchesca; in successione essi sono:
- il Supplementum chronicarum di Jacopo Foresti, una cronaca universale utilizzabile a fini scolastici edita la
prima volta in latino nel 1485. Sotto l’anno 985, a proposito delle origini del marchesato di Monferrato,
viene riportata la storia di Griselda e Gualtieri;
- la versione del copista Romigi di Ardingo dei Ricci, del 1399: una ritraduzione in italiano del racconto
patrarcheso che figura sul ms. Riccardiano 1655, zibaldone che riunisce, in base alla tipologia dei ‘libri di
famiglia’, pagine di conti, istruzioni di agricoltura, componimenti in versi, trattati e poemetti morali;
- il ms. Moreniano 220 della biblioteca Riccardiana, una raccolta epistolare contenente lettere latine di Neri
Nerli indirizzate a vari destinatari intorno al 1500. La lettera contenente la versione latina della Griselda
riscritta dal Nerli è la prima del ms. ed è indirizzata a Giovanni Ugolini; proposito dell’autore è di
sperimentare un nuovo tipo di prosa latina lontana dal modello ciceroniano ed ‘aureo’ e più vicino, invece,
ad una dimensione comica;
- una sacra rappresentazione quattrocentesca dedicata alla figura di Griselda, contenuta mutila del principio in
un codice del sec. XV e menzionata in D’Ancona 1891, I, pp. 438-39. Il D’Ancona ne trascrive un’ottava,
affermando che si tratterebbe del più precoce esempio di dramma profano svolto nelle forme del teatro
sacro. Il codice apparteneva al professore americano Willard Fiske, alla morte del quale, nel 1904, insieme
alla sua collezione di libri e manoscritti è finito presso la Olin Library della Cornell Uversity.

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La seconda parte del volume è costituita dalla edizione, corredata di note al testo, commento e glossario,
dell’inedito frammento di sacra rappresentazione contenuto nel ms. della collezione Fiske. La terza e ultima
parte consta di un’appendice comprendente: l’edizione di un altro testo inedito, quello di Neri Nerli, l’edizione,
rivista, del racconto di Romigi curata da Bencini nel 1851 e la trascrizione della pagina del Supplementum di
Foresti di cui non esistono edizioni moderne. (A. Triponi)

2004

10. La rappresentazione di Stella, a cura del Centro Studi sul Teatro Medioevale e
Rinascimentale, Roma, Officine Grafiche d’Orfeo, 2004.
Questa rappresentazione, che Luciano Alberti nell’introduzione definisce “gemella” di quella di Santa Uliva per
il particolare delle mani che vengono mozzate a entrambe le protagoniste, è stata composta in ottave da un
anonimo autore di area linguistica fiorentina nel corso del Quattrocento. Il testo riprodotto in questa edizione è
andato in scena la prima volta a Roma il 7 ottobre 2004 nella basilica paleocristiana di San Saba, ad opera della
Compagnia delle Seggiole diretta da Fabio Baronti, per la regia di Luciano Alberti. La vicenda di Stella è
ambientata in primo luogo a Parigi, dove ella vive presso la corte dell’imperatore di Francia suo padre. A
scatenare l’azione è l’invidia della matrigna, che approfittando dell’assenza del marito ordina a due servi di
portare la ragazza in un bosco lontano da Parigi e ucciderla, richiedendo come prova dell’avvenuto omicidio le
mani della giovane. I due servi non riescono ad uccidere la ragazza, e così si limitano a mozzarle le mani, in
modo da dimostrare alla regina di aver compiuto l’atto. Stella viene salvata dal figlio del duca di Borgogna, che
si trova in quel bosco per una battuta di caccia. Questi la porta con sé a corte e la fa curare dai medici; quindi se
ne innamora e la sposa. Intanto l’imperatore di Francia torna a casa dalla guerra e non trovando più la figlia, che
la regina dice essere misteriosamente sparita forse a causa di un rapimento, cade in uno sconforto tale che la
moglie, per distrarlo da quel dolore, decide di organizzare una giostra. Alla giostra partecipa anche il figlio del
duca di Borgogna, marito di Stella. Durante il soggiorno di questi a Parigi, Stella partorisce due figli, quindi il
duca manda una missiva alla corte dell’imperatore per comunicare la notizia a suo figlio. La lettera viene però
intercettata dalla moglie dell’imperatore, che chieste informazioni al messo sulla donna, dal particolare delle
mani mozzate capisce trattarsi di Stella, evidentemente ancora viva. Consegnata la lettera all’uomo, il messo
torna indietro e ripassa dalla regina, che lo addormenta con l’oppio scambiando la lettera di risposta con un’altra
scritta di suo pugno. In base alle indicazioni contenute nella lettera il duca dovrebbe far uccidere Stella e i suoi
due bambini; decide invece di spedirli nel bosco, dove la donna viene miracolata dalla Madonna col dono di
nuove mani. Stella si imbatte quindi in un eremita che offre riparo a lei e alla sua prole. Nel frattempo il marito
di Stella torna a casa e, non trovando più né moglie né figli, parte alla loro ricerca: imbattutosi anch’egli
nell’eremita, viene condotto presso i suoi familiari insieme ai quali torna a Parigi. Stella decide finalmente di
svelare la sua identità: racconta di essere figlia dell’imperatore e vittima delle perfidie della sua matrigna. Il duca
di Borgogna comunica tutto all’imperatore, che per vendetta fa bruciare la moglie e incorona Stella regina di
Francia. (A. Triponi)

10
COMMEDIE ITALIANE

1959

11. La Venexiana, in Commedie del Cinquecento (a c. di Aldo Borlenghi), Rizzoli,


Milano, 1959, vol. II., pp. 493-553.
In effetti in questa commedia, scritta in dialetto veneziano, le protagoniste femminili possono essere messe in
relazione antitetica rispetto al tema del convegno, in quanto le due nobildonne veneziane, Angela ("domina
vidua") e Valeria ("domina nupta"), la vedova e la sposa, sono le vere registe dell´azione e tutto quello che
accade con il giovane ferestiero Iulius è frutto delle mosse delle due donne. Sia Angela che Valeria sono spinte
da un irrefranabile desiderio sensuale, ad ottenere rispettivamente tramite la serva Nena e la serva Oria, ad
ottenere l´obiettivo concreto di una notte d´amore con Julius. È interessante notare, come fa Borlenghi nella sua
introduzione, che tutta l´iniziativa è femminile, e il contrasto comico nasce dalla contraddizione che si ha con il
perconaggio di Iulio, "eroe fioco, ma idolo d´una vivissima avventura drammatica" (p. 496). Dalla commedia il
regista Mauro Bolognini ha tratto un film dallo stesso titolo nel 1985. (A. Pagliardini)

1971

12. BARGAGLI Girolamo, La pellegrina, a c. di Florindo Cerreta Firenze, Olschki 1971,


225 pp.
Cerreta dichiara nella Premessa di proseguire nel suo programma di fornire le edizioni critiche delle "migliori
commedie degli accademici Intronati di Siena" (p. 5). E in effetti aveva già pubblicato nel 1966 l´Alessandro di
Alessandro Piccolomini per i tipi dell´Accademia degli Intronati e avrebbe pubblicato nel 1980 la Commedia
degli Ingannati per l´editore Olschki. La Pellegrina, la cui stesura risale gli anni ´60 del Cinquecento, non è stata
né pubblicata né rappresentata prima della morte dell´autore, mentre ebbe una messa in scena particolarmente
ricca e sfarzosa, a cura del fratello dell´autore Scipione, in occasione delle nozze del Ferdinando de´ Medici e
della principessa francese Cristina di Lorena, nel 1589. In questa occasione vennero apportate alcune varianti per
la messa in scena, fra cui ad esempio il cambiamento della patria della pellegrina Drusilla, che da Valencia era
stata trasferita a Lione, per onorare l´origine francese della sposa festeggiata. Per la prima edizione a stampa
bisognerà attendere addirittura il 1605. Nell´introduzione troviamo un interessante paragrafo sulla fortuna del
motivo dell´amante creduto morto, di cui si trovano occorrenze narrative sia nelle leggende popolari che nel
teatro e anche nella novellistica. Il testo della commedia è basato sull´autografo, ma con correzioni forse di mano
del fratello dell´autore, manoscritto custodito presso la Biblioteca Comunale di Siena, di cui si offrono nel
volume anche alcune fotografie. La commedia, in cinque atti, ha per protagoniste femminili il personggio
eponimo, la pellegrina, alias Drusilla, che si crede abbandonata da Lucrezio e che per questo è venuta dalla
Spagna in pellegrinaggio sulle sue tracce a Pisa, e Lepida, sposa segreta e incinta di Terenzio, che si finge pazza
per fuggire le nozze concordate fra Lucrezio e lei dal padre, messer Cassandro. Lucrezio a sua volta crede morta

11
l´amata Drusilla, che non riconosce subito nella pellegrina, perché un suo amico gli ha riportato la notizia di
averla vista morta nella bara, mantre si trattava di un semplice inspiegabile malore durato solo poche ore.
Attorno a loro si muovono personaggi secondari, fra cui il tedesco Federico, amante non riamato di Lepida, che
sarà protagonista dell´agnizione risolutoria finale, e servi e serve, alcuni fedeli ai loro padroni e altri alla loro
"scarsella", alla ricerca di cibo e denaro. (A. Pagliardini)

1974

13. BORSELLINO Nino, Rozzi e Intronati Esperienze e forme di teatro dal ‘Decameron’ al
‘Candelaio’ , Roma, Bulzoni 1974, 227 pp.
Il volume raccoglie saggi che vengono definiti dallo stesso Borsellino "corollari critici del lavoro che l´autore ha
svolto per la divulgazione dei testi comici rinascimentali"(p.9). Il primo saggio è dedicato alla "teatralità" del
Decameron di Boccaccio, visto come "stupendo incunabolo" (p. 10) del teatro del Rinascimento, sia in quanto
repertorio di situazioni e di personaggi che sarebbero stati messi poi in scena, sia come opera fondata su una
teatralizzazione del rito della narrazione. A proposito della ricerc del "riso" donne in questo "rito comico"
inscenato dal Decameron, Borsellino mette in relazione il coinvolgimento delle donne come pubblico letterario
all´interno della comunicazione di contenuti cui l´accesso era loro nella società di fatto strettamente inibito (pp.
37ss.). Il secondo saggio è incentrato sulla "Commedia del Cinquecento" e qui l´autore riflette sul funzionamento
della commedia e della comicità nel teatro, un meccnismo basato sull´intreccio e sulla combinazione di casi, e
non rappresentazione di situazioni reali, non senza un´analisi dei suoi rapporti con il teatro latino e con la
tradizione medievale romanza. Un aspetto interessante e specifico del saggio è il confronto strutturale fra la
commedia fiorentina e la commedia senese, che mira ad individure alcune particolarità di quest´ultima, fra cui "il
gusto del romanzesco e del patetico"(p.78), caratteri che anticipano una tendenza che diventerà generale alla fine
del secolo. Il terzo saggio, che ha per oggetto "Drammaturgia e società a Siena" segue la parabola della
produzione comica senese, che da un lato risente delle vicende politiche che vedono Siena dpprima coinvolta
nello scontro a livello europeo fra Spgnoli e Frncesi, fra l´imperatore Carlo V e Francesco I e poi assoggettata al
Granducato di Firenze, e dall´altro lato di un clima culturale sempre più incline a temtiche serie di riflessione,
dove si restringe lo spazio per il gioco della commedia di stampo plautino. E in questo contesto la Pellegrina
viene definita "il dramma più «serio» degli Intronati (p. 104). In sostanza la peculirità del teatro senese sta nel
progressivo innesto dell´esperienza di attori dei Rozzi nella tradizione letteraria (testuale) dell´Accademia degli
Intronati. E la già citata Pellegrina, commedia la cui fortuna è postuma e il cui debutto teatrale è successivo di 25
anni alla stesura, è il testo che viene esaminato in dettaglio per il suo carattere esemplare.
La sezione successiva è dedicata al teatro di Machiavelli, che viene studiato nel contesto stilistico espressivo e
tematico dell´intera opera del segretario fiorentino. Analizzando e confrontando i personaggi delle opere
storiche, delle opere politiche e delle opere teatrali, Borsellino arriva alla conclusione che "La tensione razionale
che caratterizza gli eroi mchiavelliani, tragici o comici che siano, ne fa degli intellettuali che trasformano la
ragione in passione" (p.159). Altri saggi raccolti nel volume hanno per oggetto Ruzante e Bruno. (A. Pagliardini)

12
1983

14. GUIDOTTI Angela, Il modello e la trasgressione. Commedie del primo ´500, Bulzoni,
Roma, 1983, 165 pp.
In questa breve e interessante raccolta di saggi la Guidotti analizza in primo luogo il rapporto fra unicità e
serialità dell´opera teatrale, fra testo e spettacolo tetrale, individuando uno spettro che "va da opere «inesistenti
sul piano grafico» ad opere «irrappresentabili»" (p. 13), collocando fra le prime le forme teatrali come il mimo e
fra le ultime il teatro manzoniano, posto che in realtà estremi assoluti dell´una e dell´altra tipologia non esistono.
La struttura del testo teatrale e i procedimenti espressivi messi in atto sono oggetto delle analisi della Guidotti
che si applicano prima alle opere di Ariosto, e al milieu ferrarese in cui vengono concepite e messe in scena,
quindi al capolavoro teatrale di Machiavelli, quella Mandragola che presenta notevoli caratteristiche di unicità ed
esemplarità, e quindi al teatro del Ruzante, per concludersi con una riflessione sulla questione della lingua vista
dal punto di vista del teatro. A proposito dei Suppositi, ad esempio, si afferma che con questa commedia Ariosto
"scopre in primo luogo l´utilità degli schemi novellistici" (p. 36). Per quanto riguarda la Mandragola, definita
"perfetta macchina drammaturgica" (p. 61), la Guidotti si chiede come l´autore "amministra la «struttura
astratta» che è a sua disposizione, così da «proporre lo specchio d´una vita privata»" (p. 63).
Pertinente al tema del presente volume, l´analisi del personaggio di Lucrezia (pp. 83 ss.). Da un lato si tratta di
un personaggio astratto e privo di ogni riferimento alla realtà sociale, dall´altro è il fulcro della dinamica dell
´azione, che rende lei da vittima e perseguitata a regista attiva.
Interessante lo scorcio su Ruzante, figura emblematica di "autore-regista" (p. 103) e anche attore, di cui si
analizza la Vaccària, opera in cui la "tipica teatralità ruzantiana si fonde [...] con elementi diversi" (p. 123), come
il riferimento ad elementi del teatro classico, soprattutto plautino, aspetti grotteschi, e una gestualità mista a
musica e danza. Nel capitolo finale sulla questione della lingua si indaga il rapporto sottile e pieno di intrecci fra
livello linguistico letterario-elevato e livello popolare, che nel teatro dovevano entrare comunque in interazione e
armonizzarsi, con esiti più o meno fortunati. (A. Pagliardini)

1991

15. MAROTTI F. e ROMEI G., La Commedia dell’arte e la società barocca. La professione


del teatro, Roma, Bulzoni 1991, LXXI-830 pp.
Il corposo volume si presenta come una ricca antologia di materiali documentari sull´attività degli attori e di testi
afferenti alla commedia dell´arte, la cosiddetta "commedia all´improvviso" del Seicento. Il materiale raccolto
serve a delineare la parabola di un fenomeno che abbraccia più di due secoli, che, allo stato della
documentazione considerata nel testo, ha una data di nascita, il 25 febbraio 1545, quando viene fondata "una
fraternal compagnia, [...] evento che costituisce la nascita della professione teatrale dei comici italiani" (p. XXXI),

in cui confluiscono tradizioni e culture precedenti. Nel saggio introduttivo di Marotti, che traccia i punti
principali dello sviluppo storico della figura professionale dell´attore-improvvisatore cercando di definire tutta la
costellazione di ruoli che ruotano attorno a questa figura, troviamo un capitolo dedicato all´ingresso della figura
femminile dell´attrice, nella parte dell´Innamorata nella commedia all´improvviso, la "Divina Signora Vincenza

13
Armani", un fatto che avviene dopo la metà del Cinquecento e da cui si sviluppa una successiva variante tragica
della commedia dell´Arte.
La Romei invece, che si è occupata della cura del materiale antologico offerto, ripercorre nel suo saggio critico
la vicenda documentaria, sottolineando la difficoltà di reperire materiali partestuali sul modo di recitare di questi
attori, in quanto i testi vennero prodotti e pubblicati per scopi molto differenti. In particolare si afferma che per
"definire un drammaturgia d´attore vale piuttosto sottolinere le modalità stesse dell´offerta dei materiali dello
spettacolo, ancor più che rintracciare la strategia politico-culturale che soggiace alla loro pubblicazione" (p.
LXV).

La prima sezione di testi raccolti, "Per una fenomenologia dell´Improvvisa", contiene brani tratti dalla "Piazza
universale" di Tommaso Garzoni dedicati alle varie figure professionali legate al teatro. Nella seconda sezione di
passa alla "Mitizzazione dell´attore", esemplificata da due orazioni funebri per attori, e per noi risulta
particolarmente interessante la prima, dedicata a quella Vincenza Armani che viene considerata la prima
protgonista femminile della commedia dell´Arte, e che secondo il panegirista "recitava [...] in tre stili differenti,
in Comedia, in Tragedia ed in Pastorale; osservando in ciascuno il decoro tanto drittamente che l´Academia de
gli Intronati di Siena, in cui fiorisse il culto delle Scene, disse più volte che questa Donna riusciva meglio assai
parlando improvviso che i più consummati Autori scrivendo pensatamente"(p. 35). La sezione sulla "poetica dell
´Improvvisa" contiene due testi teorici di Flaminio Scala e Pier Maria Cecchini, due autori attivi fra la seconda
metà del Cinquecento e i primi decenni del Seicento. Molto interessanti anche i "Materiali scenici" della quarta
sezione, dove troviamo canovacci che riguardano tutte le tipologie di personaggi presenti nella commedia dell
´Arte, fra cui le parti degli Innamorati e dei Capitani. Qui troviamo un´altra grande figura femminile del teatro,
Isabella Andreini, autrice lei stessa di numerosi testi, di cui si riportano delle lettere in cui si cerca di entrare in
competizione con il mondo accademico della lirica d´amore. Nella successiva sezione di "Prologhi e dialoghi"
abbiamo esempi concreti di materiali "che l´intervento individuale dell´interprete trsceglie e rielabora nell
´improvvisazione e ricontestulizza nello spettacolo"(p. 340). Le sezioni successive sono rispettivamente
intitolate "Verso la normalizzazione: la riflessione sul teatro" e "Moralità e professione"; i testi di quest´ultima
sono prodotti nel Seicento e troviamo in particolare la "Suplica" di Nicolò Barbieri, del 1634, che "si pone a
consuntivo dell´attività svolta in difesa del proprio mestiere dai comici dell´Arte", una difesa "basata sull
´affermazione della legittimità e dignità dell professione e dei suoi ´professori´" (p. 571). Un´ultima brevissima
sezione riporta un paio di pagine di Basilio Locatelli su "Professionisti e dilettanti". (A. Pagliardini)

1994

16. BARBONE Roberto e STÄUBLE Antonio, Proposte per una tipologia dei personaggi
femminili nella commedia rinascimentale. Una ricerca seminariale all’università di
Losanna, in Origini della commedia nell’Europa del Cinquecento, Atti del Centro
Studi sul Teatro Medievale e Rinascimentale, a c. di M. Chiabò e F. Doglio, Roma,
Torre d’Orfeo, 1994, pp. 313-339 [ripubblicato in STÄUBLE Antonio, Le sirene eterne.

14
Studi sull’eredità classica e biblica nella letteratura italiana, Ravenna, Longo, 1996,
pp. 155-176)
Lo studio presenta i risultati di un seminario diretto dal prof. A. Stäuble nel semestre invernale 1992-1993
all’università di Losanna. Antonio Stäuble e Roberto Barbone propongono un confronto ben documentato fra i
personaggi femminili delle commedie rinascimentali e quelli dei modelli classici, Plauto e Terenzio. Se si
eccettuano alcuni casi di madri di famiglia poco oneste (come Pirra nella Galatea o Sostrata nella Mandragola)
sono soprattutto le giovani donne a presentare caratteristiche originali rispetto ai modelli plautini e terenziani.
Esse hanno complessivamente «più consistenza scenica, maggiore spirito di iniziativa e più ampia libertà di
movimenti delle loro antenate romane». Fra le giovani donne sposate, spicca la figura della malmaritata
rinascimentale, che all’opposto della «male nupta» classica, passiva e remissiva, si ribella e, soprattutto, si
vendica tradendo generalmente il marito. Sempre a testimonianza della maggiore “attività” delle donne è addotto
l’esempio della Venexiana in cui si assiste ad un completo ribaltamento dei modelli classici: «le donne (non gli
uomini) sono le conquistatrici, le fantesche Nena e Oria (non i servi o i parassiti) aiutano le padrone nelle loro
imprese amorose, il facchino Bernardo (non una donna) fa da mezzano.» Segue in appendice allo studio la
Struttura del seminario e tre tabelle sui personaggi femminili plautini e terenziani. (M. Spiga)

2000

CANOVA Mauro, 1516-1531: ipotesi sull'attività teatrale di Ruzante, in «Rassegna europea


della letteratura italiana», Anno 2000 - N°15 (pp. 37-66)
Tenendo conto della recente retrodatazione della data di nascita di Angelo Beolco all’anno 1494, Mauro Canova
propone una revisione della cronologia delle varie opere di Ruzante. Particolarmente interessante e ben
documentata è la proposta di retrodatazione dell’Anconitana, finora considerata un’opera di maturità perché
ricca di riferimenti letterari a classici come Boccaccio, Ariosto, Bibbiena o Bembo, e quindi assegnata dalla
critica al periodo ruzantiano in cui si era ormai spenta «la polemica antiaccademica». Ribaltando questo
ragionamento, Canova pensa invece che nell’imitatio dei classici «sia da vedere l’atteggiamento tipico degli
autori giovani ed ambiziosi i quali, ancorché privi di uno stile personale, vogliono mostrare comunque di aver
“studiato la lezione”». Adducendo convincenti argomenti testuali e cronologici, Canova ipotizza quindi che
l’Anconitana potrebbe essere già stata rappresentata a Venezia nel gennaio del 1521. (M. Spiga)

2002

17. PICONE Michelangelo, Struttura della "Mandragola", in «Rassegna europea della


letteratura italiana», Anno 2002 N°19., pp. 103-116
In questo saggio Michelangelo Picone mette in evidenza le particolarità “novellistiche” della Mandragola. Esse
risultano dall’adattamento dei canoni teatrali plautino-terenziani alla sfera della novella trecentesca. Si potrebbe
giustamente ritenere che la Mandragola, che così bene riesce a riunire mimesi e dieresi, appartenga ad un

15
«supergenere letterario che si presta tanto alla rappresentazione pubblica quanto alla lettura individuale.» Picone
fa dunque notare come la struttura tripartita della commedia rispecchi la «tipica tripartizione narrativa della
novella»
Non a caso dunque, il primo atto prevalentemente diegetico della Mandragola presenta punti di contatto con la
novellistica del Boccaccio, in particolare con la novella di Ludovico e Beatrice (VII.7) e quella di Bernabò e
Ginevra (II,9). Picone indica quindi un’interessante «omologia strutturale» tra Ligurio e fra’ Timoteo, entrambi
orditori di beffe, rispettivamente ai danni di Nicia nel secondo atto e ai danni di Lucrezia nel terzo,
sottolineandone tuttavia la «profonda diversità assiologia»: se l’inganno subito da Nicia è umano e terreno,
l’inganno ordito da Timoteo entra «nel campo minato della falsificazione ideologica e della impostura religiosa.»
Segue in appendice uno schema scena per scena con riferimenti spazio-temporali della Mandragola. (M. Spiga)

2003

18. STOPPELLI Pasquale, Su dieci luoghi della "Mandragola", in «Studi e problemi di


critica testuale, 66 (2003), n°1, pp. 23-63
Le «nuove metodiche di ricerca» di cui può avvalersi oggi la pratica filologica consentono a Stoppelli di
proporre una serie di acute osservazioni sul testo della Mandragola. Occorre poi aggiungere, come sottolineato
dal critico all’inizio del saggio, che lo studio è complessivamente impostato sul presupposto della maggiore
affidabilità delle lezioni tramandate dal manoscritto rediano (Laurenziano Rediano 129, siglato R) rispetto a
quelle dell’edizione a stampa del Centauro (F), le quali avrebbero «ricevuto cure redazionali rilevanti nel
passaggio in tipografia». Così per quanto concerne la battuta di Nicia [I, 2] «Ma parla un po’ tu con questi
babuassi/maestri» che presenta la problematica alternativa fra «babbuassi» (R) e «maestri» (F), Stoppelli ritiene
che la lezione originale sia quella fiorentinamente marcata di R e che essa sia stata successivamente normalizzata
nella lezione neutra «maestri» da un correttore editoriale. (M.Spiga)

2004

MACHIAVELLI Niccolò, Mandragola, a cura di Antonio Stäuble, Firenze, Franco Cesati


Editore, 2004.
Questa recente edizione della Mandragola curata Antonio Stäuble (frutto delle riflessioni ispirategli da un
seminario per candidati al dottorato di ricerca da lui diretto all’università di Losanna) è corredata di un
commento particolareggiato e di una validissima introduzione entrambi impostati su una aggiornatissima
bibliografia. Nell’introduzione Stäuble sottolinea la notevole frequenza nel testo machiavelliano del verbo volere
e derivati e propone così da definire la Mandragola «commedia della volontà». Analizzando altresì il linguaggio
dei personaggi, rileva come ognuno di loro, dal «poco astuto» Nicia all’abile Timoteo, abbia «la sua personale
retorica». Mentre dimostra una relativa prudenza riguardo ad una lettura “politica” della commedia, si sofferma
su una delle particolarità essenziali della Mandragola, vale a dire, di non concludersi – come avviene
tradizionalmente nelle commedie – sul «ristabilimento di un ordine» bensì sull’«affermazione di un ordine

16
nuovo, con Callimaco che prende in sostanza il posto di Nicia e con Lucrezia che diventa, potremmo quasi dire,
un altro personaggio.» Il testo proposto da Stäuble si basa sulla prima edizione a stampa dell’opera con
integrazioni (elencate nella ‘Nota al testo’) dal codice non autografo Laurenziano Rediano 129. (M. Spiga)

COMMEDIE UMANISTICHE

1982

19. VITI Paolo (a cura di), Due commedie umanistiche pavesi. Ianus sacerdos, Repetitio
Magistri Zanini coqui, Padova, Antenore, 1982, 182 pp.
Si tratta di una pregevole edizione critica curata da Paolo Viti di due commedie goliardiche del primo
Quattrocento pavese: lo Ianus Sacerdos, opera anonima latina con congedo in volgare, rappresentata a Pavia nel
1427 e la Repetitio Magisteri Zanini Coqui di Ugolino Pisani (rappresentata nel 1435). Nell’introduzione allo
Ianus sacerdos, vengono dapprima esaminate le ipotesi finora avanzate circa la paternità dell’opera. Viti rimane
tuttavia convinto che allo stato attuale degli studi sullo Ianus sia più opportuno continuare a ritenere l’opera
anonima. Alle osservazioni sul “mondo” dello Ianus, l’ambiente universitario pavese, ad un riassunto del
contenuto (beffa goliardica tramata ai danni di Giano, il vecchio frate omosessuale) e a considerazioni sulla
lingua della commedia, segue la descrizione della tradizione manoscritta dell’opera. Sulla scorta di quest’ultima
Viti presenta il testo critico dello Ianus corredato di un Index verborum (in cui vengono elencati i vocaboli non
classici presenti nella commedia) e di un Index nominum. La seconda opera edita dal Viti è la Repetitio magistri
Zanini coqui. In questa commedia il Pisani, allora studente a Pavia, ribalta in chiave parodistica le istituzioni
accademiche e le procedure universitarie, esaltando ironicamente l’arte del cuoco Zanino cui viene concessa la
laurea in arte culinaria. Relativamente complessa risulta la situazione della tradizione manoscritta della
Repetitio; Viti ne ricostruisce tuttavia con grande rigore filologico e in modo convincente lo stemma. Come per
lo Ianus, il testo critico della Repetitio è seguito da un Index verborum e da un Index nominum. (M. Spiga)

1998

20. STÄUBLE Antonio, Personaggi femminili nelle commedie umanistiche, in Spettacoli


studenteschi nell’Europa umanistica, Atti del XXI Convegno internazionale (Anagni,
20-22 giugno 1997) a c. di M. Chiabò e F. Doglio, Viterbo/Roma, Centro Studi sul
Teatro Medioevale e Rinascimentale/Torre d’Orfeo, 1998, pp. 53-62.
Qualche anno dopo la pubblicazione del suo studio sulla specificità dei personaggi femminili nella commedia
rinascimentale, Stäuble si interessa in questo saggio ai personaggi femminili nella commedia quattrocentesca,
«anello imprescindibile» fra commedia classica e commedia rinascimentale. Una particolarità tutta medievale dei
personaggi della commedia quattrocentesca consiste nella presenza considerevole di personaggi dai nomi

17
parlanti «che sono vere e proprie figure allegoriche e incarnano […] valori ideali spesso in conflitto fra di loro».
Stäuble rileva anche il ruolo più attivo assegnato a personaggi femminili, come ad esempio alle fantesche della
Cauteriaria e della Fraudiphila, Salamina e Silicerna, che favorendo gli amori delle rispettive padrone
«assumono […] al femminile, la funzione che nella commedia classica è propria dei servi maschi».Una maggiore
“attività” rispetto ai modelli classici è inoltre riscontrabile nelle giovani donne innamorate, che «esprimono i loro
sentimenti […] affrontano direttamente innamorati e seduttori.» Proprio quest’ultimo punto, vale a dire lo
scambio di battute «in un dialogo diretto» fra due innamorati risulta essere un’particolarità distintiva della
commedia umanistica rispetto a quella classica e rinascimentale. Staüble si sofferma quindi in modo
particolareggiato sulla scena 3 della Philogenia in cui in due innamorati Philogenia ed Epiphebus “si affrontano”
in un dialogo in cui è «lei a menare la danza.» (M. Spiga)

1999

21. VITI Paolo, Immagini e immaginazione delle realtà. Ricerche sulla commedia
umanistica Firenze, Le Lettere, 1999.
La raccolta consta di dodici studi del Viti, sette dei quali sono inediti.
Nel primo studio, Il Paulus di Pietro Paolo Vergerio, i libri e la città. (pp. 9-29), Viti dimostra che nel Paulus,
prima commedia dell’età umanistica, scritta negli ultimi anni del Trecento, il Vergerio «rappresenta il nuovo
clima culturale umanistico […]» con particolare riguardo alla nuova generazione di studenti impersonata dal
giovane Paulus. Lo scritto innovatore del Vergerio ambientato nel mondo goliardico ed universitario apre così
«una strada lunga e densa di significati, tutti volti a porre in risalto la necessità dell’istruzione e dell’educazione
scolastica e universitaria». Il protagonista della commedia, Paulus, è uno studente sfaccendato che decide di
cambiar vita e di consacrarsi con impegno allo studio – considerato umanisticamente come «concreta e proficua
alternativa all’ozio e come strumento positivo di affermazione personale e sociale». A sconvolgere i buoni ma
effimeri propositi di Paulus sarà il perfido servo Erote, il quale, persuadendo il padrone di rinunciare agli studi
per dedicarsi ad una vita di piaceri, gli farà addirittura vendere gli ultimi libri rimasti in suo possesso. Nella
seconda parte dello studio Viti si sofferma sulle descrizioni che il Paulus fornisce delle realtà urbane della città,
Bologna, in cui è ambientata la commedia.
Ne La «Fabula Catinia» di Sicco Polenton (pp. 31-53), Viti torna sull’annosa questione del genere della
Catinia; alla denominazione «lodevole ma eccessiva» di «fabula tabernaria» proposta dall’ultimo editore della
Catinia, Paolo Baldan, Viti preferisce più semplicemente, rifacendosi alla dedica dell’opera, la definizione di
fabula, rilevando che «sembra […] che il Polenton non voglia prendere un’aperta posizione circa il genere
letterario della sua opera e non voglia esplicitamente qualificarla se non come una testimonianza letteraria rivolta
al gioco e al riso». Il Viti sottolinea poi come questa commedia ambientata in un’osteria e tutta volta a deridere il
valore degli studi e delle lettere, si contrapponga, volutamente e per gioco, agli ideali «civili» e «umanistici» del
suo autore, il cancelliere e notaio letterato Sicco Polenton.
Si ricollega all’introduzione dell’edizione critica, curata dallo stesso Viti, dell’anonimo Ianus sacerdos, il terzo
saggio, Sulle fonti dello «Ianus sacerdos», (pp. 55-69) [già edito in «Interpres», V (1983-1984), pp. 266-276].
Viti si sofferma in un primo momento sulle fonti classiche della commedia facendo notare che se sono

18
considerevoli le influenze plautine e terenziane dal punto di vista dei calchi linguistici, sono piuttosto ridotte
«per quanto si riferisce ai motivi ispiratori e alle vicende narrate». Avvalendosi poi di un elenco dei loci similes
che lo Ianus presenta con le opere dei due grandi commediografi latini, Viti dimostra come – sempre nel campo
delle influenze linguistiche – sia più rilevante, l’apporto di Terenzio rispetto a quello di Plauto. Un’altra fonte
essenziale dello Ianus è poi l’Hermaphroditus di Antonio Panormita. Infatti, l’anonimo autore dello Ianus non
solo riecheggia palesemente alcune espressioni dell’Hermaphroditus ma si ispira molto probabilmente all’opera
del Panormita per quanto concerne il tema dell’amore bissessuale. Viti conclude sottolineando i meriti
dell’anonimo autore che riuscì ricondurre le diverse fonti cui attinse «ad una sintesi unitaria così armoniosa e
sicura che fa dello Ianus sacerdos una delle espressioni maggiori del teatro latino del Quattrocento.»
Nel quarto studio Per l’edizione dell’«Andrieta» (pp. 71-75), Viti si interessa al testo dell’Andrieta o Anorecta,
commedia umanistica – probabilmente pavese – di autore ignoto. L’Andrieta si legge tuttora nella edizione
proposta da Vito Pandolfi (ne Il teatro goliardico dell’umanesimo, a cura di Vito Pandolfi e Erminia Artese,
Milano, Lerici, 1965) il quale riporta a testo le lezioni del Palatino 3123 della Österreichische National
Bibliothek di Vienna adducendo in apparato le varianti del Palatino 4324 della stessa biblioteca. Viti fornisce in
questa sede il risultato del confronto dei due manoscritti viennesi con altri due testimoni non presi in
considerazione dall’edizione Pandolfi-Artese, il Vaticano latino 2932 della Biblioteca Apostolica Vaticana e il
manoscritto O. 63 sup della biblioteca Ambrosiana di Milano; la collazione consente al Viti di presentare un
elenco delle varianti e inoltre di pubblicare in appendice un’aggiunta alla commedia, tramandata dal Vaticano
latino e dall’Ambrosiano, ma non riportata dai due palatini e quindi assente nell’edizione Pandolfi-Artese.
Struttura e fonti della «Philogenia» di Ugolino Pisani (pp. 77-88) sono gli argomenti del quinto saggio [poi
pubblicato anche in Teatro, scena, rappresentazione dal Quattrocento al Settecento. Atti del Convegno
internazionale di studi (Lecce, 15-17 maggio 1997), Galatina, Ed. Congedo, 2000, pp. 57-65] . Dopo aver
riassunto in modo succinto la trama, Viti ne rileva la somiglianza con l’intreccio della Casina di Plauto e con la
novella boccacciana di Alatiel (Dec., II, 7) probabili fonti della commedia. Dimostra poi che se, secondo i canoni
della commedia classica e della novellistica volgare, i personaggi della Philogenia si possono dividere in due
gruppi ben distinti, i furbi e gli sciocchi (vittime dei primi), la contrapposizione fra le due categorie è resa ancora
più evidente da un’altra antitesi che caratterizza la commedia, quella fra città e campagna: la prima «è il luogo
dove sembra meglio realizzarsi la possibilità di dar vita a beffe, a inganni […]» mentre la seconda «sintetizza in
sé la più disarmante semplicità». Per quanto concerne le fonti dell’opera, in particolare a livello linguistico, Viti
si limita in questo ambito ad elencare gli apporti terenziani – dimostrando la chiara dipendenza della Philogenia
dai moduli del commediografo latino.
Nel sesto saggio Note sulla lingua della «Repetitio magistri Zanini coqui» di Ugolino Pisani (pp. 89-121) [già
apparso con il titolo Ugolino Pisani da Parma: note sulla lingua della «Repetitio magistri Zanini coqui» di
Ugolino Pisani, in Parma e l’Umanesimo italiano. Atti del Convegno internazionale di studi umanistici. Parma,
20 ottobre 1984, a cura di Paola Medioli Masotti, Padova, Antenore, 1986, pp. 145-171], torna sul testo del
Pisani, e più specificamente fornisce argomenti volti a confutare la presunta macaronicità della Repetitio,
dimostrando al contrario che essa «tanto come lessico che come sintassi e stile, è assai più vicina al continuum
latino di quanto potrebbe apparire a prima vista». Sostanzialmente le ipotesi di maccheronismo che si erano
avanzate fino all’uscita del testo da lui fermato nell’edizione critica recensita più sopra, erano soprattutto
imputabili alla mancanza di un’edizione affidabile, poiché come dimostra Viti, documentando il suo studio con
vari esempi, la lingua della Repetitio «essenzialmente conservativa».

19
In Spettacolo e parodia nella «Repetitio magistri Zanini coqui» di Ugolino Pisani (pp. 123-144) [già pubblicato
in AA.VV., Spettacoli conviviali dall’antichità classica alle corti italiane del Quattrocento, Atti del VII
convegno di studio (Viterbo 27-30 maggio 1982), Viterbo, Agnesotti, pp.243-259] Viti si sofferma dapprima
sulla presentazione della commedia alla corte di Lionello d’Este e sul modo in cui fu accolta dai cortigiani
estensi: se questa parodia provocò il riso, nondimeno il rovesciamento in chiave parodistica del conferimento di
una laurea «uno degli atti più solenni della cultura del […] tempo», di certo sembrava perlomeno irrispettoso ai
dotti cortigiani ferraresi. Nella seconda parte dello studio i tre temi fondamentali della commedia:
«l’esemplificazione della stoltezza umana [,,,] la parodia del mondo universitario [...] la celebrazione ironica e
sarcastica dell’arte culinaria» sono illustrati da Viti con l’ausilio di citazioni tratte dalla Repetitio.
Sul tema del mangiare e del bere, tradizionale nella produzione comica umanistica, torna il Viti nell’ottavo
saggio, La cena della «Chrysis» (pp. 145-153), analizzando l’episodio della cena preparata dal cuoco Artrace
(scena VII della commedia del Piccolomini). La scena è confrontata con brani di altri testi in cui ricorrono temi
gastronomici, dalla novella boccacciana di Chichibio, (Decameron, VI, 4) al Paulus del Vergerio e alle due
commedie di Ugolino Pisani, La Repetitio magistri Zanini coqui e La Philogenia. Viti aggiunge in conclusione
che non dovrebbero essere trascurati come possibili fonti o almeno esempi, gli elenchi gastronomici presenti nei
contrasti fra Carnevale e Quaresima.
In Realtà cittadina e ambiente accademico nell’«Armiranda» di Giovanni Michele Alberto da Carrara (pp. 155-
168), Viti analizza sull’originalità e la portata innovatrice dell’Armiranda, commedia scritta dal Carrara – allora
studente in medicina – nel 1457 a Padova e ivi ambientata. La prima particolarità rilevata da Viti è la presenza
“concreta” nella commedia della città di Padova: non mancano ad esempio i riferimenti precisi a varie chiese
padovane. Un’altra novità dell’Armiranda è riscontrabile nel fatto che la protagonista sia oggetto di brevi
descrizioni “fisiche”. Dopo aver rilevato la presenza del tradizionale confronto (qui tuttavia originalmente
svolto) fra giurisprudenza e medicina, Viti si sofferma sulle originalità e le innovazioni lessicali del Carrara
nell’indicare la professione del copista.
In Pietro Domizi e la commedia fiorentina dell’ultimo Quattrocento (pp. 169-186) [già apparso con titolo Per
una ricerca sull’influenza savonaroliana sulla commedia dell’ultimo Quattrocento a Firenze: Pietro Domizi, in
Studi savonaroliani. Verso il V centenario. Atti del primo convegno di studi. Firenze, 14-15 gennaio 1995, a cura
di G. C. Garfagnini, Firenze, SISMEL, 1996, pp. 183-194.], Viti rileva come la cultura fiorentina della seconda
metà del Quattrocento, dominata dal «ritorno di Platone», prediligesse il genere teatrale della sacra
rappresentazione a scapito del teatro umanistico goliardico che invece fioriva in altre città come Pavia o Padova.
In questo clima culturale poco favorevole al genere comico, Pietro Domizi scrisse fra il 1494 e il 1502 almeno
tre commedie: l’Augustinus, il Petrus e lo Zenobius. Secondo il Viti è tuttavia lecito chiedersi se queste opere,
scritte da un autore così religioso come il Domizi (che chiamava gli autori classici latini «infideles») possano
essere considerate a pieno titolo commedie umanistiche. L’originalità degli esperimenti teatrali del Domizi,
caratterizzati da notevoli influenze savonaroliane sono quindi considerate dal Viti «come il risultato della
sconfitta della cultura classica ed umanistica fiorentina […]».
Lo studio La «Historia de duobus amantibus» di Enea Silvio Piccolomini fonte probabile della «Mandragola»
(pp. 187-227) [già apparso in Ecumenismo della cultura. III. L’Umanesimo e l’ecumenismo della cultura. Atti
del XIV Convegno internazionale. Montepulciano, 1977, a cura di Giovanangiola Secchi Tarugi, Firenze,
Olschki, 1981, pp. 243-268] propone una «lettura sinottica» della Mandragola e dell’Historia rivolta a
dimostrare una certa dipendenza della più famosa commedia machiavelliana nei confronti dell’Historia del

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Piccolomini, che conobbe alla fine del Quattrocento una straordinaria diffusione e che pertanto, era sicuramente
nota al Machiavelli. La Mandragola e l’Historia, entrambe variamente ispirate alla commedia classica e alla
novellistica del Boccaccio, condividono con i loro modelli «la ricerca e l’esecuzione dell’inganno e dell’artificio
per il raggiungimento di uno scopo d’amore»; inoltre sono accomunate «almeno entro certi limiti» da «un intento
morale». È inoltre ben definito e concreto lo sfondo cittadino in cui si svolgono le due trame: Siena e Firenze e
sia il Machiavelli che il Piccolomini difendono «la veridicità delle vicende narrate sulla base di un gioco della
memoria». Significativi sono poi i parallelismi fra i personaggi delle due commedie: così i due giovani amanti
Eurialo e Callimaco sono entrambi «ricchi», «vengono da fuori», «s’innamorano di una bellissima donna» e
concretizzano il loro desiderio di conquista «con l’aiuto di un amico o di un servitore»; tuttavia se Eurialo può
essere considerato «un artefice essenziale degli intrighi», Callimaco è invece «eternamente impacciato, con
scarsa fantasia e limitato coraggio»; i due mariti, Menelao e Nicia – non presentati «in ritratti ben definiti e
circoscritti, quanto con sparse ma decise pennellate» sono entrambi avari e traditi dalle rispettive mogli senza
accorgersi di nulla. Le due mogli sono accomunate dalla bellezza fisica e dalla riservatezza; nondimeno fra i due
personaggi esistono differenze fondamentali: mentre la Lucrezia dell’Historia, da protagonista tormentata da una
passione ardente è «pronta alla trama, risoluta e decisa nell’intrigo e nell’inganno» il comportamento della
moglie di Nicia è ben più restio. Inoltre la «purificazione» con la morte cui l’eroina del Picollomini accede dopo
la separazione dall’amante, è ben diversa quella «esteriore e falsa» della Lucrezia machiavelliana che alla fine
della commedia si prepara ad «entrare in santo». Un’ultimo parallelismo fra le due commedie è infine
riscontrabile nei frequenti riferimenti alla forza misteriosa della Fortuna.
Nell’ultimo saggio Tre note sulla «Mandragola» (pp. 229-237) Viti individua del Paulus del Vergerio una
chiara similitudine con la Mandragola nell’episodio in cui Erote il servo di Paolo dice di «verificare le capacità
amatorie» delle future amanti del padrone per «allontanare […] da lui ogni possibile rischio di avvelenamento»
La seconda nota verte su un punto di contatto fra la Mandragola e l’Armiranda del Carrara e la terza sulla prima
occorrenza nella lingua letteraria di «cacasangue» termine particolarmente espressivo usato da Nicia nella
Mandragola [II, 6]. La lettera (datata 22 ottobre 1490) in cui appare questa prima attestazione è riportata in
appendice. (M. Spiga)

2000

ALBANESE Gabriella, Fra narrativa e rappresentazione teatrale: metamorfosi umanistica


della “fanciulla perseguitata”, in Teatro, scena, rappresentazione dal Quattrocento al
Settecento. Atti del Convegno internazionale di studi (Lecce, 15-17 maggio 1997), Galatina,
Ed. Congedo , 2000, pp. 85-108
In questo studio di notevole densità Gabriella Albanese si propone di illustrare la stretta relazione che, per il
tramite della novella umanistica latina, lega la tradizione umanistica erudita alla sacra rappresentazione
fiorentina; le osservazioni della Albanese ridimensionano quindi ancora maggiormente il presunto carattere
‘popolare’ di quest’ultima. Il corpus compatto delle sacre rappresentazioni prese in considerazione consta di
cinque rappresentazioni ritenute «profane» o «false sante» già dal D’Ancona, vale a dire Rosanna, Santa
Guglielma, Santa Uliva, Stella e Griselda, tutte opere accomunate dai loro «motivi narrativi profani al

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femminile» e dal fatto che per ognuna di esse, la protagonista, non ufficialmente canonizzata, possa essere
«collegata alla definizione di santa, solo in base alla sua virtù straordinaria». Su questa produzione fu
considerevole l’influenza della ‘fanciulla perseguitata’ proposta dalla novellistica umanstica latina, dalla
riscrittura petrarchesca della Griselda, Alla Historia Elisie di Giovanni Conversini (del 1396) o della Historia de
origine belli inter Gallos et Britannos di Bartolomeo Facio (del 1440 circa). Risente infine di una forte influenza
dell’affermarsi del teatro antico la Santa Uliva che presenta ben «13 intermedi, o interludi.»
Alla prima sezione di questo volume (FONTI E FORME DEL TEATRO UMANISTICO) appartengono anche gli articoli
seguenti: PITTALUGA Stefano, Prologhi e didascalie nel teatro latino del Quattrocento (pp. 9-20) –– TATEO
Francesco, Sulla funzione teatrale del dialogo bucolico (pp. 21-30) – FONTE Simonetta, Università e teatro
umanistico: il caso di Bologna (pp. 31-47) – BARLETTA Donato, Sul «Paulus» di Pier Paolo Vergerio (pp. 49-
56) – VITI Paolo, Struttura e fonti della «Philogenia» di Ugolino Pisani (pp. 57-65)– DALL’OCO Sondra, Sulla
«Chrysis» di Enea Silvio Piccolomini (pp. 67-72) – TADDEI Ilaria, Attività spettacolari delle confraternite
giovanili nel Quattrocento fiorentino (pp. 67-84).
Appartiene invece alla seconda sezione (TRADIZIONE E RINNOVAMENTO DEL TEATRO NEL CINQUECENTO) il
saggio di MARZO Antonio, «La Clizia» di Niccolò Machiavelli (pp. 125-138). Si tratta di una sorta di “apologia”
della Clizia, opera sottovalutata dalla critica, la quale considera solitamente questa commedia poco originale,
pedissequamente impostata sulla Casina di Plauto o ne mette in evidenza «l’improvvisazione» e
«l’occasionalità». Marzo interpreta invece quest’opera come un’occasione colta nel 1525 da Machiavelli «per un
bilancio intellettuale e esistenziale». La Clizia come documenta Marzo, è ricca di riferimenti ad alcune tappe
principali del pensiero e del percorso letterario di Machiavelli. Oltre al rimando esplicito alla Mandragola,
Marzo adduce i vari punti di contatto con le opere storiche e politiche, le Istorie fiorentine, l’Arte della guerra, il
Principe e i Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio. Proprio con un ovvio riferimento ai Discorsi, una
riflessione sulla ciclicità della storia e dei casi umani, si apre il Prologo della Clizia. Ciò consente a Marzo di
affermare che «siamo introdotti, così, fin dall’inizio, in una dimesione insolita per una commedia[…]»
Altri saggi inclusi in questa seconda parte sono quelli di GUARINO Raimondo, Recitare il teatro. Retorica e
scena nel primo Rinascimento italiano (pp. 111-123) – EISENBICHLER Konrad, Da «commedia erudita» a
«dramma spirituale»: innovazioni nel teatro di Giovan Maria Cecchi a metà Cinquecento (pp. 139-151) –
CACIOLLI Lidia, Tragedie cinquecentesche attribuite a Girolamo Benivieni (pp. 153-169) – ANDRIOLI NEMOLA
Paola, «I Trasformati» di Scipione Ammirato: una commedia ripudiata? (pp. 171-197) – MERCURI Roberto, Ai
confini del Barocco: l’«Aristodemo» di Carlo De’ Dottori (pp. 199-213) (M. Spiga)

TRATTATISTICA DEL CINQUECENTO

1975

22. POZZI Mario (a cura di), Trattati d´amore del ´500, Laterza, 1975, LIX-357 pp.
Si tratta di una ristampa anastatica della raccolta di testi curata da Giuseppe Zonta nel 1912, che comprende il
Raverta di Giuseppe Betussi (pp. 1 ss), il Ragionamento di Francesco Sansovino (pp. 151 ss.), il Dialogo di

22
Tullia d´Aragona (pp. 185 ss.), lo Specchio d´amore di Brtolomeo Gottifredi (pp. 249 ss.) e la Leonora di
Giuseppe Betussi (pp. 305 ss.), e alla quale Pozzi fa precedere la sua introduzione e un repertorio di varianti
frutto di una collazione sulle stampe utilizzate a suo tempo dallo Zonta. Nel saggio introduttivo troviamo
innanzitutto una ricostruzione del panorma della tratttistica del primo Cinquecento, a partire da Equicola, il testo
che ebbe forse il maggior successo nel suo genere e il cui "carattere di summa appagava le esigenze del vasto
pubblico" (p. V). Altri testi paradigmatici che portarono alla definizione del genere dei trattati d´amore furono le
"Prose della volgar lingua" e il "Libro del Cortegiano". Pozzi esamina a fondo e cerca di spiegare il fenomeno
della grandissima fortuna dei trattati d´amore e arriva quindi alle opere raccolte dallo Zonta, che risultano frutto
di una notevole maturazione ed elaborazione delle premesse poste in quei primi testi. I cinque dialoghi qui
pubblicati possono essere attribuiti a due tipologie: il dialogo filosofico-raziocinante e il dialogo comico, dove
assume maggiore importanza la cornice teatrale del dialogo. Fra le particolarità dei dialoghi riportati vogliamo in
questa sede parlare del Dialogo di Tullia d´Argona, ricca e famosa cortigiana cantata e amata da più poeti. La
cratteristica principale della sua opera, dove si prendono in giro verbalismi e razionalismi filosofeggianti, risulta
essere la sua vivacità e la leggerezza, che le consentono di ricreare un affresco credibile e gustoso dell´alta
società dell metà del secolo, alla vigilia dell´incupimento portato dl regime controriformistico. (A. Pagliardini)

2001

23. PICCOLOMINI Alessandro, La Raffaella ovvero Dialogo della bella creanza delle
donne, a cura di Giancarlo Alfano Roma, Ed. Salerno Editrice - 2001
Il testo si discosta dalla parallela trattatistica sull´amore o sulle donne in quanto, da un lato, abbiamo elementi di
teatralizzazione più spiccati rispetto alle altre opere dialogiche, dall´altro la trattazione dell´amore non prende
qui un risvolto di tipo filosofico platoneggiante, ma si cura un vero e proprio programma pedagogico della
donna, con la spregiudicatezza di prevedere anche la rottura delle regole morali, purché onore e reputazione
siano preservate.
La mezzana Raffaella trasmette alla candida Margherita tutte le regole per poter adempiere ai suoi doveri di
giovane moglie, acquisendo pienamente la funzione e la dignità che le spetta in società. Ma nel contempo la
precettrice non vuole che la sua discepola si privi di quelle gioie che possono giovare al suo ruolo di matrona
onorata. Si tratta certo di abiti eleganti, di cosmetici, di divertimenti, ma anche dei sollazzi amorosi che non si
può negare una donna giovane, benché maritata, a patto che sappia prenderne parte con discrezione e senza dare
scandalo.
Il dialogo si conclude con la messa in scena concreta di Aspasio, del corteggiatore di cui Raffaella è invitata a
godere le gioie del tradimento, come suggello di un progetto educativo che per certi versi potremmo definire
"femminista". (A. Pagliardini)

NOVELLISTICA E TRADIZIONE CANTERINA ITALIANA

23
1902

24. MONACI E., La “Griselda” di Boccaccio secondo la lezione di un manoscritto non


ancora illustrato del “Decameron”, Perugia 1902 (Nozze Tommasini – Broun).
Viene innanzitutto riprodotto il ms. M.VII.XLVI della Biblioteca Chigiana; si ricordano poi alcuni dei
rifacimenti più noti della novella boccacciana, come quelli di Petrarca, Chaucer, Hans Sachs e Perrault; infine si
considera il problema delle fonti della novella: essa potrebbe essere stata ispirata dall’antico motivo indoeuropeo
della moglie maltrattata a proposito del quale viene menzionata Ingonde, moglie ripudiata di Clodoveo, in
Gregorio di Tours. (A. Triponi)

1980

25. BOCCACCIO G., Decameron X, 10, a cura di V. Branca, Torino, Einaudi, 1980, pp.
1232-1248.
Dioneo, narratore dell’ultima novella del Decameron, anziché svincolarsi dalla tematica della giornata
corrispondente come solo a lui era concesso, per sua stessa ammissione decide qui di seguirla, seppure in
maniera antifrastica: «… acciò che io troppo da voi non mi scosti, vo’ ragionar d’un marchese non cosa
magnifica, ma una matta bestialità, come che ben ne gli seguisse alla fine… ». Il personaggio che egli menziona
è il famoso Gualtieri, marchese di Saluzzo, convinto dai sudditi a prender moglie per assicurare una discendenza
al proprio marchesato. La sua scelta cade sulla virtuosa contadina Griselda, che da quel momento in poi diviene
vittima di reiterate persecuzioni da parte del marito: la sottrazione di due figli, il ripudio e l’umiliazione di dover
preparare la casa per le nozze di lui con un’altra donna. Griselda si comporta sempre in modo impeccabile,
raccomandando addirittura a Gualtieri di riservare alla seconda sposa un trattamento migliore. Allora l’uomo,
commosso dalla fedeltà e ubbidienza dimostrate da Griselda, le fa riavere i figli ormai cresciuti e la riprende con
sé come moglie. (A. Triponi)

1980

26. BOCCACCIO G., Decameron, II, 7, cit., pp. 224-257.


Protagonista della novella è la giovane Alatiel, che al pari degli altri personaggi messi in scena da Boccaccio
nella seconda giornata decameroniana, si presenta come vittima della Fortuna e dei suoi capricci. In questo caso
la Sorte vuole che ella passi fra le braccia di ben nove uomini prima di finire tra quelle del legittimo sposo, che la
prende in moglie senza il minimo sospetto sul suo stato di ‘pulcella’. Di nuovo il tema della bellezza come causa
di sventura, anche se stavolta con l’inconsueta variante di una donna che ‘s’incominciò a prender piacere di ciò
che la fortuna avanti l’apparecchiava’ (p. 245). (A. Triponi)

24
1984

27. CATTINI G., La Griselda di Apostolo Zeno. Analisi contrastiva, estetica e poetica, in
«Testo», 8, luglio-dicembre 1984, pp. 29-56.
L’articolo sottolinea l’intrinseca scenicità della novella X, 10 del Decameron, per la quale si accetta l’ipotesi del
collegamento al gruppo di Amore e Psiche. Si considera poi la differenza di intreccio rispetto alla Griselda dello
Zeno, in cui si denota una ricerca razionalistica di organicità e verosimiglianza che rientra nel quadro della
cultura arcadica del periodo (Muratori, Guarino): in Zeno i personaggi acquistano «slancio e profondità» (p. 47),
ma si perde il ritmo stringente del racconto di Boccaccio; si nota inoltre una maggiore complessità dell’azione e
il passaggio del ruolo di protagonista da Gualtieri (com’era nella novella boccacciana) a Griselda. (A. Triponi)

1988

28. MORABITO R. (a cura di), I cantari di Griselda, L’Aquila-Roma, Japadre, 1988.


Il volume contiene l’edizione di tre cantari inediti del XV secolo che raccontano la storia di Griselda; essi
costituiscono la prima parte del manoscritto Parmense 2509 della biblioteca Palatina di Parma, il cui testo è
opera di Silvestro, un autore verosimilmente toscano di cui è difficile dire qualcosa di più preciso. Nei cantari di
Griselda Silvestro si confronta direttamente con la novella decameroniana e per questo motivo l’autore del
volume inserisce, oltre al testo poetico di Silvestro, quello in prosa del Boccaccio, in modo da verificare
puntualmente l’entità delle ‘deviazioni’ - di norma ampliamenti - rispetto all’opera trecentesca. A livello
stilistico-strutturale nelle ottave di Silvestro si nota un frazionamento paratattico rispetto alla continuità sintattica
del Boccaccio, accompagnato da una qualità in generale non elevata e da una sommaria elaborazione del dettato
poetico. Si registrano inoltre una semplificazione dei significati della figura di Griselda, (qui ridotta a semplice
esempio di virtù coniugale) e un’impostazione non più laica della storia, come prova l’invocazione iniziale
rivolta alla Madonna in tutti i tre i testi. Come anticipato, i cantari editi in questo volume sono solo i primi di
quelli contenuti nel manoscritto parmense, che ne riporta nel complesso dodici, tutti composti da Silvestro tra il
1458 e il 1476 e tutti incentrati su storie avventurose di donne perseguitate. I successivi sei raccontano la vicenda
di Beatrice, figlia di Gualtieri e Griselda: Beatrice, durante l’assenza del marito Gismondo partito per la crociata,
rifiuta la corte del cognato e lo fa imprigionare. Al ritorno di Gismondo il cognato accusa Beatrice di essere stata
disonesta nei confronti del marito e questi, credendo all’uomo, ordina che la moglie venga portata in un bosco e
uccisa. Prima dell’esecuzione, mentre i sicari incaricati di ucciderla tentano di ricevere dei favori da lei in
cambio della salvezza, interviene a liberarla il signore di Civitavecchia, che la porta al suo castello nominandola
educatrice del proprio figlio. Anche qui la donna viene insidiata dal fratello del signore e, al rifiuto di lei, l’uomo
uccide il bambino dandone la colpa a Beatrice. Di nuovo viene condannata a morte e di nuovo i marinai
incaricati di annegarla vogliono usarle violenza, quando viene liberata da un leone. A Beatrice appare allora la
Madonna che le dona un’erba miracolosa in grado di guarire da qualsiasi male chiunque si confessi di tutti i suoi
peccati prima di assumerla. Riportata a Civitavecchia, grazie all’erba miracolosa Beatrice guarisce il fratello del
signore, gravemente malato, che confessa le sue colpe in modo da far riabilitare la donna. Anche il marito la

25
chiamerà a curare il fratello malato e anche da lui, scoperta la verità, la donna verrà riabilitata. Sul manoscritto
seguono altri tre cantari che narrano la storia di una fanciulla rapita dai corsari: in questo caso la virtù della
donna viene però rispettata grazie ai saggi consigli con cui ella riesce a far arricchire il suo padrone. Di lei si
innamora il figlio del re di Francia, che la porta nel suo regno; sta per sposarla quando sopraggiunge il re
d’Armenia in cerca della figlia rapita, che altri non è se non la fanciulla in questione. L’ultimo cantare si
conclude con l’enunciazione, da parte di Silvestro, degli intenti di ammaestramento morale alle donne che
sarebbero alla base delle sue tre storie. (A. Triponi)

1988

29. MORABITO R. (a cura di), La circolazione dei temi e degli intrecci narrativi: il caso
Griselda. Atti del Convegno di Studi (L’Aquila, 3-4 dicembre 1986), L’Aquila, Japadre,
1988.
Il volume raccoglie gli atti di un convegno di studi tenutosi a L’Aquila sul tema della fortuna di Griselda nella
letteratura europea. I singoli contributi contenuti del volume sono i seguenti:
- Raffaele Morabito, Per un repertorio della diffusione europea della storia di Griselda;
- Michel Olsen, L’autocorrezione nel ciclo di Griselda;
- Francesco Tateo, La novella di Gualtieri?;
- Dora Faraci, Griselda in Inghilterra: fortuna di un personaggio ed etimologia di un nome;
- Anna Maria Iorio, La diffusione settecentesca della Griselda italiana;
- Raul Mordenti, La Griselda della Controriforma italiana;
- Hubert Seelow, Griselda in Iceland;
- Monika Rossteuscher, Alcuni aspetti della fortuna di Griselda in Germania;
- Zuzana Pospíšilová, Griselda en Bohême;
- Walter Tortoreto, Griselda nel teatro musicale della prima metà del Settecento.
Solo alcuni di questi contributi affrontano il discorso sulla Griselda da un punto di vista teatrale, come quello di
Morabito, che analizzando la fortuna della novella boccacciana prende in considerazione anche le riscritture
drammatiche prodotte in Europa dal XIV al XX sec., per la citazione delle quali rimando al volume La diffusione
della storia di Griselda dal XIV al XX sec. inserito nella presente bibliografia. Ancor più mirato risulta il
contributo della Iorio, che traccia le tappe della diffusione griseldiana sulle scene italiane e straniere del XVIII
secolo: a dominare il periodo e ad inaugurare la lunga serie di melodrammi sul soggetto in questione risulta la
Griselda di Apostolo Zeno, rappresentata per la prima volta a Venezia nel 1701 con musiche di Antonio
Pollarolo. Questo è anche il testo nodale del periodo e i melodrammi ad esso posteriori si rivelano, in gran parte
dei casi, sue filiazioni. Il più noto revisore della Griselda zeniana è Carlo Goldoni, che nel 1735 riscrive il
libretto per Antonio Vivaldi. Grande successo riscuote anche l’ultimo melodramma del secolo, la Griselda di
Angelo Anelli con musiche di Niccolò Piccinni (1793), che nella riedizione musicata da Ferdinando Paër col
titolo mutato in Le virtù del cimento, diffonde la sua notorietà anche all’estero. In area tedesca, analizzata dalla
Rossteuscher, particolare fortuna godono la Griseldis di F. Halm, un dramma in versi del 1835, e nel 1909 la
commedia di Gerhart Haptmann, che riprende il tema della Griselda mescolandolo con quello della bisbetica

26
domata. Il ciclo tedesco si conclude nel 1920 con la commedia in versi Griseldis, ein Volksstück, del poco noto
L. Berger. In essa il rapporto affettivo tra i due protagonisti è completamente ribaltato: il conte è quello che ama
in maniera incondizionata ed appare addirittura sconfitto. L’ultimo contributo del volume, di Walter Tortoreto,
risulta incentrato, come quello della Iorio, sulla fortuna della Griselda nel melodramma settecentesco e in
particolare sulla versione dello Zeno, di cui si elencano tutti coloro che si sono cimentati in un suo
rimaneggiamento musicale: Antonio Pollarolo, Albinoni, Sarro, Keller, Capelli, Caldara, Predieri, Giuseppe
Maria Orlandini, Bononcini, Tinazzoli, Alessandro Scarlatti, Torri, Conti, Vivaldi e Latilla. La seconda parte
dell’ intervento si concentra sull’analisi specifica delle versioni musicali di Scarlatti e Vivaldi. (A. Triponi)

1989

30. OLSEN M., Copista o creatore? Giovanni Sercambi riscrive l’ultima novella del
Decameron, in «Analecta Romana Istituti Danici», XVII-XVIII (1989), pp. 127-32.
L’autore dell’articolo analizza la versione della Griselda che Giovanni Sercambi riscrive inserendola con il
numero CLIII nella sua raccolta di Novelle composta prima del 1400. È una delle versioni meno note e la sua
particolarità consiste nel derivare direttamente dalla novella boccacciana senza passare per la versione latina del
Petrarca. Al contrario, l’adattamento della stessa storia che Sercambi inserisce nelle Croniche e che egli dedica,
come esempio di costanza e di pazienza, a Giovanna di Napoli dopo la sua salita al trono nel 1414, propone
pressappoco la stessa morale della Griselda petrarchesca. Dall’analisi comparata che M. Olsen propone fra il
testo del Boccaccio e la novella CLIII del Sercambi risultano varie differenze: nella seconda viene a mancare la
dialettica con il resto della raccolta; la familiarità fra Gualtieri e i suoi uomini viene sostituita da un rispetto
incondizionato per il signore; si scioglie la struttura quasi di scommessa del testo boccacciano e il moralismo
prende completamente il posto dell’ironia. (A. Triponi)

1990

31. MORABITO R. (a cura di), La storia di Griselda in Europa. Atti del Convegno: Modi
dell’intertestualità: la storia di Griselda in Europa (L’Aquila, 12-14 maggio 1988),
L’Aquila, Japadre, 1990.
Il volume raccoglie gli atti di un secondo convegno di studi sul ‘caso Griselda’ tenutosi sempre a L’Aquila due
anni dopo il precedente. I contributi contenuti nel libro sono i seguenti:
- Raffaele Morabito, Griselda: le fonti e il corpus;
- Donnchadh Ó Cobráin, Textuality and intertextuality: early medieval Irish literature;
- Claude Cazalé Bérard, Intratestualità e intertestualità: proposte metodologiche per una anlisi del racconto;
- Bernard Bray, L’impatience de Grisélidis: comportements féminins dans le roman français du XVIII e siècle;
- Catherine Velay-Vallantin, La Marquise de Salusses ou la patience de Griseldis de Charles Perrault;

27
- Claude Bisquerra, Una lettura femminile della Griselidis di Charles Perrault: Griselidis ou la Marquise de
Salusses di Mlle Allemand de Montmartin;
- Dora Faraci, Il patto di Griselda: valori simbolici di una storia fra Chaucer e Dekker;
- Karl Reichl, Griselda and the patient wife: the popular tradition in middle English narrative;
- Ermanno Barisone, I tempi verbali nel Clerk’s Tale di Chaucer;
- Fausto Diaz Padilla, Griselda in una commedia di Lope e in una patraña di Juan de Timoneda;
- Vera Lúcia De Mello Rodrigues, La storia di Griselda in Portogallo;
- Monika Rossteuscher, La storia di Griselda in Germania come favola per bambine/i;
- Andrew Breeze, An Irish variant of the Griselda theme;
- Hubert Seelow, Three Icelandic poetic sources of the story of Griselda;
- Iørn Piø, Ballata popolare o ballata letteraria. Nuovi punti di vista sulla ballata danese della donna
paziente;
- Krzystof Zaboklicki, La diffusione in Polonia della storia di Griselda;
- Zuzana Pospíšilová, Quelques remarques à propos des versions latines de l’histoire de Griselda;
- Michel Olsen, Griselda, fabula e ricezione.
Considerando prioritari, ai fini della presente bibliografia, i contributi relativi ai rifacimenti teatrali della
Griselda, particolarmente interessante risulta quello della Faraci, che si propone di analizzare i mutamenti
strutturali di alcune delle prime Griselde post-chauceriane pervenute in area anglofona. A questo scopo ella
prende in considerazione due principali rifacimenti: la commedia di John Phillip, The play of patient Grissel, del
1565-69, in cui a spingere Walter (Gualtieri) a mettere Griselda alla prova è un villain, cioè un suddito
(particolare che basta a trasformare l’uomo in una specie di burattino e a fargli perdere i tratti caratteristici del
personaggio trecentesco), e la commedia di T. Dekker, H. Chettle e W. Haughton, The pleasant comodie of
patient Grissil (1600), in cui addirittura le prove cui la donna viene sottoposta si moltiplicano e si distinguno per
la loro bassezza: Griselda è spinta ad allacciare le scarpe dei cortigiani, a servire il vino, a far indossare alla
nuova sposa il suo anello di nozze, ecc. Un altro contributo interessante in una prospettiva teatrale è quello dello
spagnolo F. D. Padilla, che analizza comparativamente: la novella boccacciana, una ‘frottola’ dell’autore
valenciano Juan de Timoneda e la commedia di Lope de Vega El ejemplo de casadas y prueba de la paciencia.
Lo studio è incentrato su due aspetti: la cornice spazio-temporale e le caratteristiche dei protagonisti, in modo da
rilevare tutte le differenze determinate in questi ambiti nel passaggio dal genere della novella a quello della
commedia. La studiosa V. L. de Mello Rogrigues, nel considerare i rifacimenti portoghesi della storia analizza,
tra gli altri, il dramma di Nicolau Luìs, Gricelda, ou a rainha pastora (1787), vicenda che comincia dove finisce
quella di Boccaccio/Petrarca, quindi una versione di Griselda ‘da grande’; e il dramma Griselia (1892) di
Macedo Papança, libera traduzione in versi della Grisélidis di Armand Silvestre e Eugène Morand (1891).
L’intreccio è qui generato dalla scommessa che il marchese fa con il diavolo sulla virtù di Griselda, la quale
viene messa più volte alla prova dal diavolo fino al lieto fine conclusivo. Il polacco K. Zaboklicki, infine, nel
tracciare un excursus sulla diffusione in Polonia della storia di Griselda, segnala un primo adattamento teatrale
del 1750 ad opera della principessa Urszula Radziwiłł dal titolo L’oro nel fuoco o La virtù messa alla prova cui
seguono, nell’Ottocento, diverse messe in scena e adattamenti musicali successivi alla diffusione della Griselda
di Angelo Anelli. (A. Triponi)

28
1991

32. CARAFFI P. (a cura di), Libro de Apolonio, Parma, Pratiche Editrice, 1991.
L’originaria Historia Apollonii Regis Tyri, di cui si conoscono rielaborazioni famose quali il Roman
d’Apollonius de Tyr e lo shakespeariano Pericles, Prince of Tyre, intorno alla metà del XIII secolo è stata
oggetto anche di una versione spagnola scritta da autore ignoto, più volte uscita in edizioni moderne di cui ultima
è quella che qui si propone, edita nel 1991 con introduzione, note e traduzione italiana a cura di Patrizia Caraffi.
La vicenda avventurosa del sovrano di Tiro interessa il nostro discorso per la presenza di due personaggi
femminili che rientrano a pieno titolo nella categoria della ‘donna perseguitata’: la figlia del re di Antiochia e
Tarsiana. La prima è vittima di un incesto da parte del padre, per perpetuare il quale egli ha escogitato un enigma
che solo Apollonio riuscirà a sciogliere. Tarsiana, invece, figlia perduta e poi ritrovata di Apollonio, a causa
della sua bellezza patisce prima l’invidia di Dionisa, la donna cui era stata affidata e che aveva cercato di
ucciderla, senza riuscirvi, poi il rapimento di un gruppo di pirati e infine la prigionia in un bordello. Nel libro le
due fanciulle hanno però destini differenti: mentre la principessa di Antiochia morirà insieme a suo padre, la
giovane Tarsiana riuscirà a conservarsi pura, a ritrovare i legittimi genitori e ad unirsi in matrimonio con un re,
come la condizione sociale inizialmente perduta e poi riacquistata le consentono. (A. Triponi)

1993

33. MORABITO R., Griselda tra exemplum ed esempio, in Traités de savoir-vivre


italiens. I trattati di saper vivere in Italia, a cura di A. Montandon, Clermont-Ferrand,
1993, pp. 25-42.
In questo articolo R. Morabito analizza le versioni della Griselda scritte in volgare e in latino e diffuse in Italia
fra il XIV e il XVI secolo. Di ciascun rifacimento egli considera, senza mai abbandonare il confronto con
Boccaccio e Petrarca, la struttura dell’opera che lo contiene, i valori morali e i significati simbolico-allegorici di
cui i singoli testi si caricano in relazione al tipo di genere cui appartengono, la prevalenza data a Griselda o a
Gualtieri nel veicolare certi messaggi e la scelta di scrivere in versi o in prosa, in volgare o in latino a seconda
del pubblico da raggiungere e del messaggio da trasmettere. Le opere prese singolarmente in esame sono:
Boccaccio, Decameron X, 10;
- Petrarca, Seniles XVII, 3;
- Neri Nerli, lettera del 1502 a Giovanni Ugolini con versione autonoma della Griselda boccacciana;
- Versione latina intitolata Paciencia, nel quattrocentesco Viaticum narrationum di Hermannus Bononiensis,
su ms. inedito conservato presso la biblioteca Reale di Copenaghen;
- Sercambi, De muliere constante, in Novelliere e Croniche;
- Jacopo Foresti, Supplementum chronicarum, 1485;
- Romigi Ardingo dei Ricci, che nel 1399 copia una traduzione in volgare della Griselda di Petrarca;

29
- Trattato anonimo intitolato La defensione delle donne, (1400-1500, edito a cura di F. Zambrini, Bologna
1876). Griselda viene menzionata accanto a S. Monica nel capitolo In pazienza nelle ingiurie di mariti,
all’interno di una rassegna di donne insigni per virtù;
- Cantari di Silvestro (1458-1476), analizzati nella presente bibliografia;
- Cantare a stampa Il marchese di Saluzzo e la Griselda, edito a cura di G. Romagnoli nel 1862 e ristampato
nel 1967;
- Sacra rappresentazione di Griselda, testo della seconda metà del Quattrocento affidato a un ms. della Cornell
University Library, già noto ad Alessandro D’Ancona e edito da R. Morabito nel 1993;
- Vincenzo Brugiantini, adattamento in versi del Decameron intitolato Le cento novelle da Messer Vincenzo
Brugiantino dette in ottava rima, Venezia, Marcolini, 1554.
A conclusione dell’articolo l’autore inserisce due tavole, la prima delle quali schematizza la fortuna europea
della Griselda dal XIV al XIX sec., mentre la seconda considera l’area di diffusione italiana per i secoli XIV-
XVI. (A. Triponi)

1997

34. BANDELLO Matteo, Le novelle, a c. di Delmo Maestri, Edizioni dell'orso, Alessandria,


1992-97, 4 voll., XXXII-530 pp., 540 pp., 333 pp., 335 pp.
Si tratta dell´edizione critica più recente del novelliere di Bandello, dotata di un ricco apparato esplicativo e
patrocinata dal Centro Studi Matteo Bandello di Castelnuovo-Tortona. Nel novelliere di Bandello troviamo due
novelle che possono essere considerate rispettivamente la versione tragica (e la fonte) e la versione a lieto fine
della storia di Giulietta e Romeo. Si tratta della novella appunto di Giulietta e Romeo, o degli "infelicissimi
amanti" (II, 9) e della novella di Elena e Gerardo (II, 41). Tra le novelle di Bandello degne d´interesse per gli
spunti teatrali che possono offrire, possiamo elencare anche quella di Nicuola e Lattanzio (II, 36) sul tema delle
peripezie dei gemelli (Paolo e Nicuola, fratello e sorella). La prima novella citata, in effetti, ha una trama
pressoché coincidente a quella immortalata nel celebre dramma si Shakespeare, tanto da esserne considerata una
delle fonti, diretta o indiretta. Nella seconda abbiamo un´interessante ripresa dello stesso spunto, ma con segno
opposto e con l´esito della vicenda felice per i due sposi, Elena e Gerardo. La storia ha come sfondo Venezia, i
suoi canali e le sue calli, e le sue galee che commerciano con l´Oriente. Gerardo si è innamorato della
giovanissima Elena, attraverso il gioco galante praticato dalle amiche di Elena di guardare dalla finestra i giovani
che passano in gondola e di far cadere su di essi dei fiori, ed è riuscito a sposarla segretamente con la complicità
della balia di Elena, che era stata anche balia di Gerardo, ma la Fortuna, più volte evocata nella novella, fa sì che
i due sposi, che potevano a loro agio incontrarsi segretamente, devono separarsi perché Gerardo deve compiere
un viaggio in galea a Beiruth, per fare gli affari del padre. Gerardo è già via da sei mesi ed Elena viene promessa
in sposa dal padre, ignaro del matrimonio segreto della figlia. A questo punto la giovane muore di dolore,
proprio il giorno del ritorno di Gerardo e viene condotta con grande pompa alla tomba. Lo sposo, saputolo,
decide di uccidersi, ma, prima di decidere come e di mettere in pratica il proposito, vuol vedere per l´ultima volta
la sposa. Ma (ancora per fortuna) a differenza di Romeo non ha con sé il veleno, e così quando Elena si risveglia
dalla sua morte apparente, Gerardo non ha ancora compiuto nessun atto inconsulto e può organizzare il proprio

30
matrimonio solenne e il rientro di Elena tra i vivi. La terza novella citata, quella della bella Nicuola e di
Lattanzio, è ambientata invece a Iesi, nelle Marche, e i due gemelli Nicuola e Paolo erano stati presi prigionieri
durante il sacco di Roma, dove si trovavano con il padre per affari. Nicuola, amante riamata di Lattanzio, viene
da lui del tutto dimenticata e respinta dopo una sua assenza da Iesi. Allora la ragazza decide di travestirsi da
paggio e di servire così Lattanzio, e addirittura di arrivare a servirlo nel suo corteggiamento di Natella. Ma
inaspetttamente lei si innamora del paggio stesso, credendolo uomo. L´atteggiamento di Natella che respinge
Lattanzio, aprirà la strada alla rivelazione della vera identità di Nicuola e all´accettazione del suo amore, mentre
il ritorno di Paolo, affrancato e reso erede dall´ufficiale che lo aveva preso prigioniero, fa sì che anche Natella
trovi in lui lo sposo desiderato (essendo identico alla sorella, di cui Natella si era invaghita credendola un uomo).
(A. Pagliardini)

1999

35. CORNA DA SONCINO F., Historia della regina Oliva, a cura di S. Marchi, in
Letteratura e dintorni, 10, Pisa-Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali,
1999.
In questo volume Silvia Marchi fornisce la prima edizione critica della Historia della regina Oliva eseguita su un
incunabolo stampato a Venezia nel 1487. La curatrice ha esaminato da vicino la tematica narrativa della
‘fanciulla perseguitata’, incrementando nel contempo le scarse conoscenze biografiche sull’ autore dell’opera,
Francesco Corna da Soncino. La prima sezione è dedicata proprio all’autore, i cui dati biografici vengono inseriti
in un discorso più generale riguardante la tradizione canterina veneta, e veronese in particolare. Segue una parte
sui cantari agiografici, nella quale trova posto il tema della fanciulla perseguitata attraverso l’analisi della
leggenda di Santa Oliva e un discorso sulla struttura, l’intreccio e il problema dell’attribuzione del cantare della
Regina Oliva. Prima del testo vero e proprio, che riproduce i cantari I-VI, la Marchi conduce una trattazione
sugli aspetti linguistici e metrici della sacra rappresentazione (fenomeni grafici, forme latineggianti, fonologia,
morfologia, costrutti verbali, versificazione, ecc.). (A. Triponi)

2002

36. BARBIERI Andrea, Tradizione ed elaborazione di testi fra teatro e novella: il caso
della "Pulzella d'Inghilterra", in «Giornale storico della letteratura italiana», 2002, pp.
416-419
In questa breve analisi Barbieri torna sui vari adattamenti della Pulzella d’Inghilterra partendo dai riferimenti
del Wesselofsky, il quale, nel 1886 pubblicò «un’ennesima versione» dell’opera ripercorrendo l’iter della
tradizione italiana del testo: da una versione sconosciuta in volgare si passò dapprima alla riscrittura latina
dell’opera intitolata De origine belli inter Gallos et Britannos historia e in seguito al volgarizzamento di Iacopo
di Poggio Bracciolini, dell’origine della guerra tra Franciosi e Inglesi; la novella fu infine rielaborata da

31
Francesco Maria Molza che diede alle stampe il suo rifacimento nel 1547. La vicenda, inoltre, è presente anche
nel Pecorone con però un’inversione, poiché l’eroina perseguitata non è figlia de re d’Inghilterra ma del re di
Francia (e sposa quindi successivamente il re d’Inghilterra). Come dimostra Barbieri, il racconto presenta
evidenti derivazioni teatrali: il motivo della «donna nobile ingiustamente perseguitata» è frequente nelle
rappresentazioni di leggende di sante. Risulta però altrettanto manifesta l’influenza di questa novella sulla
produzione drammatica posteriore, in particolare sulla Rappresentazione di Santa Guglielma del Pulci e sulla
Rappresentazione di Santa Uliva. A testimoninanza di un altro punto di contatto con il genere drammatico,
Barbieri, dopo aver esaminato l’adattamento del Molza, fa notare che la protagonista de Gl’ingannati dello
stesso Molza, Lelia, potrebbe essere considerata «la versione laica e moderna dell’innocente perseguitata da un
destino avverso» (M. Spiga)

2003

37. VILLA R., Griselda sulla Senna tra Decameron e Seniles, con Tommaso di Saluzzo e
Christine de Pizan, in «Belfagor», 348 (2003), pp. 665-692.
L’articolo è incentrato sulla descrizione di due opere francesi, Le chevalier errant di Tommaso III di Saluzzo
(XV sec.) e il Livre de la Cité des Dames di Christine de Pizan (1405), entrambi contenenti una versione della
storia di Griselda che circolava in Francia già da qualche anno nella traduzione di Philippe de Mezières
(1384/89). Dell’opera di Tommaso di Saluzzo esistono due manoscritti, uno di Torino (Biblioteca Nazionale, L.
V. 6) e un altro di Parigi (Bibliotheque Nazionale, f. fr. 12559); la storia di Griselda è contenuta solo nel secondo
ed è inserita fra gli esempi relativi alla Fortuna e ai suoi imperscrutabili percorsi, che in effetti sottopongono la
donna a gioie e dolori, imponendole di salire e scendere i gradini della scala sociale. Nell’opera protofemminista
della Pizan (ancora inedita) la vicenda di Griselda è proposta come esempio di amore e pietà filiale verso il padre
Janicola, quindi viene fornita una chiave di lettura del tutto originale: la pazienza di Griselda, la sua forza
virtuosa e la sua costanza vengono dimostrate a partire dall’accettazione di un matrimonio che subito si presenta
insidioso e che è il risultato di una connivenza del padre col futuro marito. L’autore dell’articolo si sofferma a
lungo sul racconto della trama dello Chevalier errant e della Cité des Dames, fornendo nel contempo le
coordinate storico-letterarie per la comprensione della poetica dei due autori. (A. Triponi)

STORIA DEL TEATRO

1891

38. D’ANCONA Alessandro, Origini del teatro italiano, Loescher, Torino, 1891 (2 voll.),
670 e 626 pp.
I due volumi, anche se certo datati nella loro impostazione metodologica evoluzionistica, risultano sempre utili
soprattutto perché molto documentati dal punto di vista testuale ed erudito. L´insigne filologo analizza la storia

32
del teatro italiano dalle origini medievali fino agli albori del teatro rinascimentale, che ritrova alla fine il suo
modello nel teatro classico. Si passano in rassegna le forme del teatro delle origini e in particolare il dramma
sacro e la sacra rappresentazione, con uno sguardo alla posizione dottrinale della chiesa nei confronti del teatro
classico, i personaggi e gli attori, e gli allestimenti scenici, e infine la nascita di un teatro profano sul modello
della sacra rappresentzione e la fine del genere sacro, con appendici sul teatro toscano e sul teatro mantovano.
Molto utile l´indice alfabetico in calce al volume per reperire notizie su autori, personaggi, opere, luoghi di
rappresentazione. L´opera sviluppa la tesi dell´autore secondo cui il teatro italiano delle origini non va oltre un
valore di documentazione culturale, non producendo frutti né artisticamente elevati, né originali rispetto alla
produzione che si aveva nel resto d´Europa. L´interesse del testo travalica certo l´ambito dell tematica del nostro
convegno, ma sarà per noi utile rilevare l´esistenza di un breve capitolo intitolato "Le donne nella Sacra
Rappresentazione" (2° vol. pp. 632-644).
In questo ambito, D´Ancona suddivide i personaggi femminili in due categorie. Da un lato le sante, che per lui
non hanno uno spessore drammatico, in quanto troppo orientate verso l´obbedienza alla volontà divina e troppo
serene e senza contrasto interiore nell´affrontare le immancabili persecuzioni, anche se fanno eccezione
personaggi "come la Guglielma, l´Uliva e la Stella", e anche la Deidamata, nella Rappresentazione di san
Giorgio, "che la leggenda devota ha preso a prestito dalla letteratura profana" (p. 635). Dall´altra ci sono invece i
personaggi femminili "comici", che costituiscono la maggioranza dei personaggi femminili presenti nelle Sacre
Rappresentazioni. Se vogliamo vedere le figure "comiche" perseguitate, nella Natività ci sono quattro balie che
scherzano e si prendono in giro a vicenda sui bambini loro affidati, ma le stesse, dopo la strage degli innocenti,
piangono sulla disgrazia comune che le accomuna tutte, essendo stati uccisi tutti i bambini. (A. Pagliardini)

1924

39. DE BARTHOLOMAEIS V., Le origini della poesia drammatica italiana, Torino, S.E.I.,
19522 (prima edizione Bologna, Zanichelli, 1924).
All’interno del suo studio sulle forme della poesia drammatica italiana, trattando di sacre rappresentazioni De
Bartholomaeis riserva la quinta sezione del capitolo IX (pp. 418-420) alle cosiddette Storie profane. Le prime
rappresentazioni citate sono quelle di Santa Uliva, di Stella e di Rosana, che pur non essendo propriamente dei
testi sacri, venivano messi sulla scena esattamente come le storie dei Santi. L’autore fornisce informazioni circa
la loro datazione, le modalità della messa in scena e le loro fonti. Richiama poi le analogie tra queste storie e
quella di Griselda. Alle pagine 343-351 l’autore dedica un’intera sezione a La Storia di Rosana, di cui analizza:
rappresentazione, fonti, destinazione, versioni prosastiche e collegamenti con la Leggenda di Fiorio e
Biancafiore. (A. Triponi)

1958

33
40. CROCE Benedetto, La fine delle Sacre rappresentazioni, in Poeti e scrittori del pieno e
trado Rinascimento, Bari, Einaudi, 1958, vol. 1°, pp. 338-351.
In quest´opera in due volumi dedicata alla letteratura del Rinascimento, il critico e filologo idealista ci offre una
serie di medaglioni su autori, testi o fenomeni letterari di questo periodo, senza alcuna pretesa di sistematicità e
di uniformità delle varie parti, con il gusto di scoprire piuttosto autori meno noti (non vi figura né un capitolo
dedicato a Machiavelli né uno dedicato ad Ariosto) o testi marginali, almeno dal punto di vista della storiogrfia
letteraria. Vi ritroviamo un capitolo sul Beneficio di Cristo, testo in odore di eresia che ha circolto con successo
(e grande pericolo) fra i cattolici vicini alle idee della Riforma protestante, a tutti i livelli della gerarchia
ecclesiastica. E uno dei capitoli è consacrato alla ricerca dei motivi che hanno portato alla fine delle Sacre
rappresentazioni a Firenze, con l´espressione di un certo rammarico per questo fatto da parte dell´autore ("sorge
nell´animo un rimpianto - certamente irrazionale - della loro fine, e le labbra si muovono a pronunziare un addio,
che ha del malinconico" (p. 338). Innanzitutto si riferisce che risulta dai documenti che nel 1564, per il
matrimonio di Francesco de´ Medici con Giovanna d´Austria, a Firenze si faceva fatica a trovare una
"compagnia" che mettesse in scena una Sacra rappesentazione. Ma riguardo a questa scomparsa, Croce contesta
le cause di ordine letterario (ripresa del treatro classico), politico (disinteresse dei principi per questi spettacoli
popolari), religiosi (esclusione della componente popolare dalla liturgia controriformistica) e considera tutto
questo piuttosto una serie di sintomi della fine del sentimento religioso che stava alla base della vitalità delle
Sacre rappresentazioni. A questo proposito Croce analizza la Rappresentazione di san Giovanni Gualberto, il
nobile che partito per far vendetta di un torto subito, perdona il suo aggressore e si converte facendosi monaco,
fra gli ostacoli e l´avversione della sua famiglia. Dal testo emerge secondo l´autore "la schiettezza e certezza di
questa fede religiosa", che non esisterà più dopo l´attacco alla Chiesa e alle tradizioni cattoliche portato dalla
Riforma e dopo la diffidenza verso tutto ciò che di spontaneo poteva nascere a proposito della fede religiosa da
parte della Controriforma, che ammetterà in seguito un altro tipo di teatro religioso, certo improntato a
razionalità dottrinale, ma anche a "quella intima insincerità e vacuità, che riempiva il vuoto lasciato dal finire del
vecchio e schietto sentimento religioso" (p. 346). (A. Pagliardini)

1960

41. FRANCESCHINI Ezio, Teatro latino medievale, Nuova Accademia, Milano, 1960, 336
pp.
Il testo costituisce una prima introduzione al teatro latino medievale, con una presentazione generale e un scelta
antologica di testi (in traduzione italiana) suddivisi in "Testi profani" e "Testi sacri". La tesi di fondo di
Franceschini è che da un lato nel Medioevo era del tutto sparita la tradizione classica del teatro profano, dall
´altro il teatro sacro nato dalle liturgie della Chiesa cattolica "abbandonerà a poco a poco le sue origini sacre per
dare forma e vita al teatro della nuova Europa" (p. 10). A sostegno della sua tesi cita da un lato delle
testimonianze sulla rappresentazione di Plauto e Terenzio, con un lettore che declamava il testo da un pulpito al
centro della scena, e attori che mimavano le azioni, con il testo che veniva così trattato come un testo scritto da
leggere, e dall´altro il fatto che nel Medioevo termini come tragedia e commedia avevano perso il loro
significato teatrale, per assumere quello stilistico di riferimento rispettivamente allo stile elevato e allo stile

34
medio, tanto che "tragedia" erano anche l´Eneide e le Elegie di Ovidio e "commedia" erano le commedie di
Plauto e Terenzio, le Bucoliche e anche la Commedia di Dante. Secondo Franceschini questo abbandono del
teatro non è da addebitare direttamente alle censure dei Padri della Chiesa sul teatro. In realtà già dai tempi di
Seneca la tragedia era un testo ormai destinato alla sola lettura: la scena teatrale veniva ormai calcata solo dagli
spettacoli del circo o dal mimo, per cui i censori ecclesiastici in realtà si scagliavano contro queste forme di
teatro. e non contro un teatro comico o tragico che non esisteva più. I testi che vengono antologizzati nel volume,
in parte appartenenti al filone "profano" (Contrasti, Abramo di Rosvita, la commedia Il Babbeo, l´Ecerinide) e in
parte al teatro "sacro" (Uffizi pasquali, Uffizi del Natale, Dramma di Daniele, Miracoli di S. Nicola)
dimostrerebbero che i primi erano piuttosto testi letterari destinati alla lettura, mentre gli altri erano testi
veramente concepiti per la messa in scena. Molto interessante è sicuramente per noi la sezione antologica su
Rosvita, di cui si offrono alcuni brani del dramma Abramo, sul tema della peccatrice convertita dal vecchio zio
eremita Abramo, e a proposito della quale Franceschini ripropone il proprio dissenso con Silvio D´Amico e altri
critici teatrali e la propria idea che il teatro rosvitiano non sia teatro, ma "un succedersi di scene fredde e senza
vita, ... un mosaico bizantino nella produzione latina del Medio Evo" (p. 57). A proposito della persecuzione
sulle donne, sarà da ricordare anche la sezione dedicata al mito di S. Nicola, dove solo la munificenza del
vescovo salva le tre sorelle dalla degradazione cui erano destinate per il fatto di essere senza dote. (A.
Pagliardini)

1974

42. D’AMICO Silvio, Storia del Teatro, Garzanti, 19742(1960), 2 voll., 347 e 382 pp.
Il testo di apre con una introduzione generale sulla natura e sulla genesi del teatro che ripropone fra l´altro la
questione: "nel Teatro drammatico chi fu prima, l´autore o l´attore?" (p. 10). L´opera, edizione ridotta curata dal
figlio dell´autore, Sandro D´Amico, dei quattro volumi monumentali che comprendevano anche una parte
antologica, riflette nel suo insieme la visione del teatro del grande maestro della critica teatrale, e risulta di agile
e chiara lettura. In particolare il primo volume è dedicato al teatro classico greco e romano, al Medioevo, e al
teatro moderno del Rinascimento al Romanticismo, e il secondo volume, sul teatro contemporaneo, ripercorre l
´Ottocento e il primo sessantennio del Novecento. Il testo presenta un respiro internazionale in quanto traccia le
vicende del teatro anche negli altri paesi europei.
Nel primo volume, che ci interessa più da vicino, troviamo un capitolo sulle sacre rappresentazioni, dove
vengono nominati molti dei testi citati nelle relazioni del Convegno: Sant´Orsola, Santa Guglielma e anche Santa
Uliva. E proprio questo testo viene indicato come il culmine, ma anche il punto terminale del genere della sacra
rappresentazione, in quanto favola, piuttosto che sacra rappresentazione, festa rinascimentale, piuttosto che
dramma medievale. Sintetizzando al massimo il passaggio dal teatro medievale a quello rinascimentale, D
´Amico parla di un totale mutamento tematico: il tema della "salute dell´Anima" viene sostituito da quello dell
´"Amore", inteso come "amore dei sessi"(p.157). E di qui l´imitazione della forma classica, da cui secondo D
´Amico non era immune nessun genere teatrale del Cinquecento, neanche quelli più anticlassicisti e
popolareggianti. (A. Pagliardini)

35
1988

43. MORABITO R., La diffusione della storia di Griselda dal XIV al XX secolo, in «Studi
sul Boccaccio», 19 (1988), pp. 237-85.
L’articolo è un repertorio completo delle riscritture, rifacimenti e traduzioni della storia di Griselda prodotte in
Europa a partire dalla redazione boccacciana, che a tutt’oggi risulta la più antica. Il repertorio è ordinato in
sezioni distinte in base all’area linguistica. Si apre con la sezione italiana (prioritaria da un punto di vista
cronologico), cui segue quella latina, inaugurata dal rifacimento petrarchesco. Seguono, in ordine alfabetico, le
sezioni dedicate alle altre lingue, compresa una lingua africana, l’ewe. La sezione spagnola comprende anche
titoli latinoamericani, così come quella inglese titoli angloamericani. I redattori del repertorio sono: Raffaele
Morabito (sezioni: italiano secc. XIV-XVII e XIX-XX, catalano, croato, francese, neerlandese, polacco, russo,
spagnolo, portoghese, rumeno, ungherese), Dora Faraci (latino, ewe, inglese, irlandese, islandese, norvegese),
Anna Maria Iorio (italiano sec. XVIII), Zuzana Pospíšilovà (ceco), Michel Olsen (danese), Satu Apo
(finlandese), Sigbrit Swhan (svedese), Monika Rossteuscher (tedesco). Mi limito qui a citare le riscritture teatrali
relative ai secoli XIV-XVI:
- 1395: L’estoire de Griseldis en rime et por personnages, mystère attribuito a Philippe de Mezières. Unico
ms. a Parigi, Bibliothèque Nazionale (f. fr. 2203).
- XV sec.: sacra rappresentazione volgare citata in D’Ancona I, 438-39. Ms. segnalato nella biblioteca di
Willard Fiske; non risulta però in Fowler fra i materiali lasciati da Fiske alla Cornell University Library.
- 1518: Griseldis, dramma latino in cinque atti di Eligius Houckaert; messo in scena a Gand nel 1518, edito ad
Anversa nel 1519.
- 1538-57: Comoedia de patientia Grisilidis di Ralph Radcliff. Non si sa se la commedia, non pervenutaci, sia
stata scritta in inglese o in latino.
- 1546: Getuldig und gehorsam marggräfin Griselda, commedia in versi di Hans Sachs, Norimberga 1546.
- 1565-69: The play of Patient Grissel, di John Phillip. La data della prima edizione della commedia è
sconosciuta.
- 1575: Geschichte der Griseldis, dramma di Abraham Burchard rappresentato a Danzica in occasione di un
matrimonio.
- 1578: Griselda, dramma di Valentin Schreck. Messo in scena alla Marienschule di Danzica per uno
spettacolo scolastico.
- 1579: Historia Walthers, eines Welschen Marggraffens, der sich Griselden seines ärmsten Bawren Tochter
vermehlen lest, sehr lustig und lieblich, commedia messa in scena a Francoforte e Berna nel 1579; edita a
Berlino nel 1590.
- Prima del 1580: Ain schöne Comedi, von der demütigkait und gehorsame der Weyber gegen ihren
Ehemännern zu nutz und dienst der Jugent gemacht und gstelt, commedia attribuita a un religioso
protestante.
- 1582: Comoedia von Graff Walther Von Salutz und Grisolden, dramma in versi di Georg Mauricius, edito
nel 1606.
Particolarmente note sono due rielaborazioni teatrali di epoca successiva: El ejemplo de casadas y prueva de la
paciencia, di Lope de Vega (1616) e Griselda, commedia di Gerhart Hauptmann messa in scena a Berlino e

36
Vienna nel 1909. Quanto alle riscritture non drammatiche bisogna almeno ricordare il De oboedientia et fide
uxoria di Francesco Petrarca, in Seniles, XVII, 3 (1373) e The Clerk’s Tale di Geoffrey Chaucer, in Canterbury
Tales (1393-1400). (A. Triponi)

1989

44. PIERI M., La nascita del teatro moderno in Italia tra XV e XVI secolo, Torino, Bollati
Boringhieri, 1989.
Il volume di Marzia Pieri, articolato in due parti dedicate rispettivamente al teatro quattrocentesco e
cinquecentesco, accenna al tipo della ‘fanciulla perseguitata’ nel capitolo intitolato Lo spettacolo sacro,
compreso nella prima delle due sezioni. Trattando di vicende derivate dalle Sacre Scritture, la studiosa nota
come vengano predilette quelle i cui protagonisti risultano sottoposti a tensioni psicologiche di potente effetto
drammatico, come possono risultare le storie di Agnese, Apollonia, Stella, Guglielma, Uliva, Rosana e Orsola. Si
tratta di temi santoriali di gran lunga prediletti rispetto a quelli biblici: storie favolose che consentono di mettere
in forte rilievo l’exemplum morale proposto. Il motivo del martirio, poi, assicura la presenza di particolari
realistici e macabri (vd. mani mozzate) di grande impatto sul pubblico. Nelle vicende di queste sante si registra
inoltre una certa predilezione per gli intrecci romanzeschi che propongono sempre la punizione o il
ravvedimento dei malvagi, come nei cantari o nelle novelle che fanno spesso da modello. (A. Triponi)

2002

45. BIANCHI Alessandro, Il dolore che uccide e la femminilità pericolosa nell' "Adelonda
di Frigia” di Federico Della Valle, in «Lettere italiane», Anno 2002 - N°2, pp. 242-
261
La rielaborazione tardocinquecentesca dell’Ifigenia in Tauride, L’Adelonda in Frigia di Federico Della Valle,
presenta rispetto al modello euripideo notevoli differenze; il Della Valle non solo ambienta l’azione «nell’isola
delle Amazzoni […] sostituendo al rapporto fraterno (Ifigenia-Oreste) un legame d’amore (Adelonda-
Mirmirano)» ma sostituisce anche la dea Artemide con un Idolo assetato di sangue, evidente personificazione del
Male e, innanzitutto, fa della sua tragedia «un dramma sulle donne […]» e sulla loro ambiguità. Riguardo
proprio al sexus imbecillus, Bianchi nota che l’adattamento dellavalliano presenta un «rovesciamento
dell’ordine, un mondo alla rovescia» rispetto alle tendenze androcentriche del tempo per il fatto che Adelonda
appartenga ad un popolo «innaturale» in cui «il potere è detenuto dal sesso debole» (M. Spiga)

FOLKLORE E NOVELLISTICA POPOLARE


1839

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46. ENGELS F., I libri popolari tedeschi, in MARX-ENGELS, Opere complete II. Engels
1838-1842, pp. 32-40, in «Telegraph für Deutschland», nn. 186-190, novembre 1839.
Nelle sue riflessioni sui libri popolari tedeschi Engels considera anche la storia di Griselda, la cui vicenda, di
origine romanza, viene accomunata a quella di altre due ‘donne perseguitate’: Genoveffa e Hirlanda. Engels
riconosce a queste storie la ricchezza del contenuto poetico, ma le giudica prive di un requisito fondamentale per
i libri popolari, cioè la capacità di rendere il popolo cosciente della sua forza e del suo diritto alla libertà. Il
personaggio di Griselda viene visto dall’autore come immagine del popolo che si piega di fronte al potere dei
principi, rappresentato da Walther: «Se Griselda deve rimanere ancora un libro popolare – scrive l’autore – me
lo figuro come una petizione per l’emancipazione delle donne dall’alta assemblea della Confederazione
tedesca». Una valutazione negativa è espressa in particolare sulla rielaborazione di Marbach (il riferimento è a
Die deutschen Volksbücher, a cura di G. Oswald Marbach, Leipzig 1838-9), mentre una più positiva su quella di
Simrock. (A. Triponi)

1865

47. WESSELOFSKI ALEKSANDER, La Griselda di Boccaccio e la novella russa, in «La civiltà


italiana», anno I, (I trimestre), n. 10, 5 marzo 1865, pp. 156-7.
L’autore dell’articolo analizza la favola russa intitolata La figlia del pastore (compresa in AFANASJEV, V, 29 e
inclusa nella presente bibliografia), per la quale ipotizza una derivazione dalla Griselda del Boccaccio, a sua
volta riconducibile al tipo della fanciulla diffuso in tutta la letteratura popolare. Il Vesselofski menziona anche il
caso di m. Di Navarra, Heptameron, novella 32. (A. Triponi)

1883

48. LANDAU M., Le tradizioni giudaiche nella novellistica italiana, in GSLI, vol. I, fasc.
1°, anno I, 1883, pp. 60-61.
Viene preso in esame il Midras Rabbolh, commentario morale e leggendario di cinque libri mosaici e altri
biblici, scritto in ebraico e aramaico nel corso di molti secoli, non più tardi dell’XI. Al capitolo 23 di quest’opera
si racconta la storia di un re che vide una fanciulla orfana e che, volendo sposarla, le mandò i suoi messi; alle
richieste di questi la fanciulla rispose: «Non sono degna di questo nome». Il re mandò i messi sette volte e
questa sempre rifiutò, finché in ultimo cedette e lo sposò. Dopo qualche tempo il re si adirò e volle ripudiarla,
allora la donna disse: «Io non bramava di sposarti, ma tu lo volevi, ed io mi lasciai persuadere; ora mi ripudii per
sposare un’altra, non fare a questa come fai a me». Secondo il Landau l’ultima battuta richiamerebbe quella di
Griselda nel Decameron, e sulla base di questo dato e delle evidenti analogie contenutistiche egli ipotizza, se non
una derivazione diretta, almeno una fonte comune. (A. Triponi)

38
1930

49. PRAZ M., La carne, la morte e il diavolo, Firenze, Sansoni, 1966 (I ediz. 1930)
Nel capitolo intitolato All’insegna del Divin Marchese (pp.83-170) Mario Praz conduce una rassegna delle opere
sette-ottocentesche che in qualche modo hanno subito il fascino e l’influenza della ‘filosofia’ elaborata dal
Marchese de Sade, dell’atmosfera dei suoi romanzi e dei temi da lui trattati, non ultimo quello della persecuzione
erotica cui è direttamente collegato il tipo della ‘donna perseguitata’, vittima di sevizie e violenze fisico-
psicologiche che vanno anche oltre la sfera sessuale, nonostante questa si riveli nettamente preponderante. La
trattazione di questo specifico tema si apre con la citazione, in nota, di un passo del saggio del Wesselowsky
sulla Novella della figlia del re di Dacia (Pisa, Nistri, 1866, p. 11): «Fra i tipi simbolici di cui si dilettava la
fantasia del medio evo non è nessuno che fosse più simpatico e godesse maggiore popolarità della fanciulla
perseguitata… Crescenzia e Uliva, Genoveffa e Hirlanda, Florencia e Santa Guglielma, la figlia del re di Dacia e
la regina di Polonia, la Cenerentola e la Marion del Bosch del racconto piemontese – sono tutte divergenze dello
stesso tema» (p. 84, n. 1). Sulla base di queste premesse Mario Praz fornisce le coordinate per un discorso che
intende dimostrare come lo stesso tema, seppure trattato con modalità differenti, sia rimasto una costante della
letteratura europea illuminista e romantica, di cui fornisce una ricca casistica: Clarissa Harlowe di Richardson;
Margherita del Faust, che tocca il vertice artistico della variante della donna sedotta, resa madre e abbandonata
cui fanno seguito, sempre in Germania, i drammi Der Hofmeister, Die Soldaten e il racconto Zerbin di Jacob
Lenz e l’Emilia Galotti (1772) del Lessing; Justine di Sade (a partire dal quale il motivo della perseguitata si
rivela sostanzialmente un pretesto per situazioni di «torbido sensualismo»; la marchesa di Merteuil delle
Liaisons dangereuses; Antonia e Agnes del famoso romanzo di M. G. Lewis, The Monk (1795), che hanno fatto
da modello alla Aurelie di Elixir des Teufels di Hoffmann, alla Esmeralda di Victor Hugo e alla Léila di Gorge
Sand. Ann Radcliffe, inventrice del romanzo «nero» insieme a Lewis e a Maturin, fa della perseguitata un tipo
fisso delle sue storie: la Marchesa di Mazzini nel Sicilian Romance (1700), Emily de Saint-Aubert in The
Mysteries of Udolpho (1794), Adeline nel Romance of the Forest (1791) e soprattutto Ellena, in The Italian, or
the Confessional of the Black Penitents (1797). Ad imitazione della Radcliffe altre narratrici hanno poi adottato
la figura della perseguitata, di cui sono esempi: Julietta in The Priory of St. Clair di Miss Wilkinson (1811),
Justine in Frankestein di Mary Shelley (1817) e Beatrice in Valperga, sempre della Shelley (1823). (A. Triponi)

1977

50. AVALLE D. S., Da Santa Uliva a Justine, introduzione a VESELOVSKIJ – SADE, La


fanciulla perseguitata, Milano, Bompiani, 1977.
Il volume è incentrato su un importante saggio scritto in italiano nel 1866 da A. N. Veselovskij dal titolo La
favola della fanciulla perseguitata, qui ristampato. Il precursore dei formalisti russi è stato il primo a riconoscere
la matrice di un motivo unitario caratterizzato da costanti tematiche - pur se arricchito da continue varianti -
agente dietro la lunga lista di fanciulle perseguitate, a partire dai miti del paganesimo fino alle novelle laiche e
attraverso le leggende cristiane, come si intuisce dal sottotitolo del suo saggio Mito – Racconto popolare –

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Leggenda – Novella – Cantare di piazza. Lo studioso, nel presentare in particolare La novella della figlia del re
di Dacia, fornisce le coordinate letterarie per tracciare i caratteri fondamentali del tema, inserito in una
molteplicità di esempi tra i quali spiccano la novella di Alatiel e la rappresentazione di santa Uliva, i cui testi
sono stati integralmente stampati nel volume dopo il saggio del Veselovskij. Ad aprire il libro è invece
un’introduzione di S. D. Avalle, che da un lato analizza la teoria del Veselovskij introducendo rispetto ad essa
anche elementi originali, dall’altro prolunga la lista delle donne perseguitate fino alla Justine di Sade,
dimostrando come l’autore francese abbia preso a modelli, per poi dissacrarle, le protagoniste della letteratura
agiografica. Chiude il volume proprio la storia di Justine, stampata però nella redazione a racconto che
precedette il romanzo, composta da Sade nel 1787 col titolo Les infortunes de la vertu, nel libro proposta in
traduzione italiana. (A. Triponi)

1981

51. La figlia del pastore, in AFANASJEV A. N., Antiche fiabe russe, traduzione di G.
Venturi, prefazione di F. Venturi, Torino, Einaudi, 19814 , (I ediz. 1953), pp. 246-247.
La figlia del pastore è una delle numerose fiabe raccolte in otto volumi dal folclorista russo Afanasjev tra il 1855
e il 1864. La trama della favola è molto simile alla storia di Griselda: uno zar ancora celibe decide di sposarsi e
un giorno, mentre è a caccia, si imbatte nella figlia di una pastore. Lei è talmente bella che lo zar vuol chiederla
in moglie. Il padre della fanciulla e la fanciulla stessa accettano, ma il sovrano impone alla donna di non dire mai
cosa che gli possa dispiacere, qualunque azione egli commetta. I due si sposano e dopo un anno la figlia del
pastore deve sottostare alla prima delle quattro prove che la attendono, cioè l’uccisione del figlio maschio.
Seguono in successione: quella della figlia femmina, quindi il ripudio e infine un nuovo matrimonio dello zar
con un’altra donna. A questo punto l’uomo ordina alla prima moglie di pulire e mettere in ordine la casa per le
sue nuove nozze e poi le domanda, presentandole l’altra donna: «Dunque, è bella la mia fidanzata?». La figlia
del pastore risponde: «Se piace a te, a me ancora di più». Dopo quest’ultima prova lo zar riprende con sé la
prima moglie, le mostra entrambi i figli, che non aveva fatto uccidere ma solo custodire da una zia, e finalmente
smette di tormentarla credendo ad ogni sua parola fino alla fine della vita. (A. Triponi)

1983

52. PETRINI M., Elementi fiabeschi in alcune novelle del “Decameron”, in La fiaba di
magia nella letteratura italiana, Udine, Del Bianco, 1983, pp. 59-77.
Lo studio del Petrini sulle componenti fiabesche del Decameron mira a rilevare la compresenza, in alcune
novelle specifiche, del fine tragico, di quello comico e del cosiddetto lieto fine, quest’ultimo cifra distintiva del
genere favolistico. In particolare nella Griselda egli nota la comparsa di elementi fiabeschi già razionalizzati e
rielaborati da parte del Boccaccio, che li avrebbe così dotati di una motivazione normalmente assente nelle

40
favole, cioè la rivalutazione dell’individualità. A pagina 71 viene ricordato l’accostamento al cantare italiano di
Gibello. (A. Triponi)

1994

53. ROTA P., Le «coltella al cuor» di Griselda, in «Studi e Problemi di Critica Testuale»,
48 (1994), pp. 87-92.
L’autore dell’articolo conduce un’indagine sui presunti modelli che potrebbero aver suggerito al Boccaccio le
caratteristiche del personaggio di Griselda. A tal fine particolarmente significativi vengono ritenuti alcuni
elementi simbolici rintracciabili nel testo e risalenti alla tradizione biblico-cristiana, come le espressioni: «Signor
mio, fa di me quello che tu credi che più tuo onore e consolazione sia, ché io sarò di tutto contenta» e «come che
queste parole fossero tutte coltella al cuor di Griselda», confrontate rispettivamente con i versetti evangelici
«Ecce ancilla Domini. Fiat mihi secundum verbum tuum» (Lc. 1, 38) e «…et tuam ipsius animam pertransibit
gladius» (Lc. 2, 35). In particolare la metafora della “trafittura” o “puntura” per indicare le ferite inferte
all’anima della donna, più volte utilizzata nella novella, sembra rimandare all’immagine di Maria addolorata ai
piedi della croce e quindi ai testi di una tradizione letteraria precedente che potrebbero aver fornito materia
d’ispirazione al Boccaccio, come il planctus Mariae, la Passione cassinese, la sequenza pseudo-jacoponica dello
Stabat mater e altre. (A. Triponi)

1999

54. TOSCHI Paolo, Le origini del teatro italiano, Bollati Boringhieri, Torino, 1999 (1955),
voll. 2, XXVIII-771.
Il testo, definito nel saggio introduttivo di G. B. Bronzini "Un classico di storia di teatro, letteratura e folklore"
(p. IX), e sempre secondo il prefatore al Toschi va "Il merito di aver promosso un movimento di rivisitazione
della storia dell´arte, della letteratura e del teatro lungo le linee del popolare non in opposizione, ma a
integrazione dei canoni concettuali e dei quadri storiografici invalsi" nei vari orientamenti critici e storiografici
(p. XVI). Un posto centrale nella ricostruzione della genesi del teatro italiano è dato dall´autore al sistema del
carnevale, i cui riti popolari pur nella molteplicità e varietà regionale, possono essere riferiti ad un´unica matrice:
"si tratta sempre della stessa forma drammatica che, ricondotta alla sua origine, rappresenta il punto culminante
del rito di fertilità" (p. 15). E procedendo attraverso una rassegna di personaggi e feste di vario tipo, si mettono
in relazione personaggi popolari come la Befana la Qaresima, il re Carnevale e le varie maschere italiane, fra cui
riveste molta importanza l´Arlecchino. Nel dramma sacro riveste fin dall´inizio una grande importanza il
diavolo, su cui si sviluppa tutto un filone di forme drammatiche. Ma la sacra rappresentazione non fa che
sviluppare le potenzialità teatrali insite nella liturgia cristiana, di cui la lauda drammtica costituisce in qualche
modo un´appendice. E proprio la sacra rappresentazione finisce per costituire un crocevia di influssi di diversi
generi narrativi, fra cui il cantare, che fa confluire nella sacra rappresentazione l´elemento cvalleresco, ma anche

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"temi e soggetti che appartengono di diritto alla fiabistica popolare, come la Santa Guglielma, la Santa Uliva,
Stella e Rosana" (p. 692). (A. Pagliardini)

2000

55. SUOMELA-HÄRMÄ E., Le Griselde finlandesi, in «Neuphilologische Mitteilungen», 2,


Helsinki 2000, pp. 349-369.
L’autrice dell’articolo fa una disamina di tutte le versioni finniche della storia di Griselda concentrandosi
soprattutto sulle fiabe orali, più numerose e cronologicamente anteriori rispetto ad altri tipi di riprese, costituite
per lo più da traduzioni. Le fiabe propriamente finlandesi sono sei - raccolte tra il 1881 e il 1928 – e per ognuna
di esse si propone un’analisi dettagliata e una scomposizione in macrosequenze. Vengono poi esaminate cinque
varianti in lingua svedese raccolte presso la costa sud-occidentale della Finlandia e quindi ritenute di fatto
finlandesi. Infine si considera la questione delle prime traduzioni finniche del Decameron e della loro eventuale
influenza sulle varianti orali. L’articolo si conclude con un quesito: se le versioni finlandesi derivino dalla
novella boccacciana o dalla traduzione petrarchesca. La risposta della studiosa è che almeno alcune di esse
riprendono il testo del Petrarca, poiché mostrano particolari presenti solo in quest’ultimo e assenti nella versione
del Boccaccio.
(A. Triponi)

STORIA CULTURALE

1989

56. BERTINI Ferruccio (a c. di), Medioevo al femminile, Laterza, 1989, XXXVI-199 pp.
Raccolta di saggi monografici di più autori su otto personalità femminili del Medioevo che hanno ricoperto
funzioni differenti "Egeria, la pellegrina" (F. Cardini), "Baudonivia, la biografa" (C. Leonardi), "Dhuoda, la
madre" (F. Cardini), Rosvita, la poetessa (F. Bertini), "Trotula, il medico" (F. Bertini), "Eloisa, l´intellettuale"
(M. Fumagalli Beonio Brocchieri), "Ildegarda, la profetessa" (M. Fumagalli Beonio Brocchieri), "Caterina, la
mistica" (C. Leonardi). Il curatore cita nell´introduzione altre opere sulla figura della donna nel Medioevo, fra
cui Michela PEREIRA, Né Eva né Maria. Bologna 1981, Maria Consiglia DE MATTEIS, Idee sulla donna nel
Medioevo, Bologna 1981, B. VETERE - P. RENZI, Profili di donne. Mito immagine realtà fr Medioevo ed età
contemporanea, Galatina 1986 e Kathrina M. WILSON (a c. di) Medievl Women Writers, Manchester 1984 (p.
V), e dichiara che l´intento del volume da lui curato è, sulla scorta del modello del lavoro diretto dalla Wilson,
"quello di restituire la voce alle donne medievali" (p. VI), mostrando così come nell´epoca medievale si era
avuto un processo di emancipazione della donna che ha posto le basi per rivendicazioni per ottenere le quali le
donne stanno ancora lottando. Si afferma anche che nella cultura che ha caratterizzato il bacino del mediterraneo,

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gli elementi contraddittori su cui era basata la considerazione della donna gravitavano attorno ai due nuclei etico-
religiosi della verginità e della procreazione, e questa contraddizione si può cogliere e comprendere a fondo
leggendo i testi scritti da donne. Per quanto riguarda più in particolare l´argomento centrale del presente volume,
certo la figura più emblematica è quella di Eloisa, che viene rinchiusa al convento dell´Argenteuil, dopo la
scoperta della sua relazione con il maestro Abelardo e la nascita del figlio, e l´esito tragico, dopo una serie di
complicate vicende, con fughe degli amanti, matrimonio segreto riparatore e rivelazione del segreto, considerato
infamante per l´onore della famiglia di Eloisa, che punisce Abelardo "tagliando quella parte del corpo che era
stata strumento del suo peccato" (p. 127). Ed abbiamo così il primo esito della persecuzione: "A un anno dal loro
incontro... Abelardo da giovane professore di successo, è ora un monaco malandato e incerto; Eloisa, ragazza
appassionata e studiosa, non ancora ventenne è una monaca disperata" (p. 128). Ma il saggio mostra poi un altro
esito della storia. Dopo varie peripezie i due si ritrovano al monastero del Paracleto, nella funzione rispettiva di
predicatore e di badessa, e qui il rinnovato sodalizio e il loro rinnovato sentimento d´amore, vissuto nel totale
rispetto del loro status, a parte il sentimento, li conduce ad un´esperienza che l´autrice definisce "Gli anni quasi
felici al Paracleto" (p. 128), non senza porsi il problema di quanto sia storicamente attendibile la ricostruzione di
questa epserienza ricavata dall´autobiografia di Abelardo e dalle Lettere di Eloisa.
L´altro personaggio che ci interessa in questo volume è quello di Rosvita, più volte citata come scrittrice nel
corso del Convegno. Bertini vuole innanzitutto contestare l´etichetta di "secolo di ferro" attribuita al secolo X,
mostrando personaggi culturalmente molto vivaci, in relazioni più o meno strette con Rosvita e la sua famiglia.
Fra gli scritti poetici della monaca, "che non scrive opere di teologia, ma di edificazione", troviamo ad esempio il
giovane Pelagio, principe di Galizia, ostaggio divenuto poi un cortigiano del califfo di Cordoba, che va incontro
al martirio per non soddisfare gli appetiti che aveva su di lui il califfo stesso, che diventa protagonista del
dialogo omonimo, un testo frutto delle esperienze dirette di Rsvita, che frequentava la corte di Ottone I, dove c
´erano state ambasciate inviate dal califfo per instaurare rapporti diplomatici fra la Spagna musulmana e la
Germania imperiale. Ci sono poi i dialoghi drammatici in cui abbiamo spesso il martirio di donne pagane che
preferiscono morire piuttosto che abiurare la fede cristiana. Nel dialogo La resurrezione di Drusiana e
Callimaco, il giovane insidia la virtù della donna, sposa del nobile Andronico, cristiana che ha fatto anche voto
di castità. Uno dei momenti più intensi del dramma è l´episodio in cui Drusiana invoca la morte temendo di
cadere nella tentazione e di non riuscire a resistere. Nel Pafnuzio e nell´Abramo si sviluppa parallelamente il
tema della prostituta convertitasi alla fede cristiana, ma con variazioni significative. Nel primo Taide inorridisce
di fronte alla vita ascetica piena di durezza e di stenti che l´eremita le prospetta. Il tema della persecuzione torna
nel Dulcizio, in cui le tre sorelle cristiane si rifiutano di abiurare la loro fede di fronte all´imperatore Diocleziano,
e il crudele Sisinnio conduce con spietata abilità la regia del supplizio, con la terza sorella che si mantiene salda
anche dopo aver visto morire sul rogo le prime due. Notevole l´episodio in cui le sorelle si accorgono del
desiderio morboso di Sisinnio, divorato dalla passione sensuale, e che non riesce ad accettare che possano
morire. Ecco che alla terza sorella è destinato, prima della morte il supplizio dell´esposizione in un bordello, cui
rimane miracolosamente indenne. (A. Pagliardini)

1994
-

43
57. SCARAFFIA L. e ZARRI G. (a cura di), Donne e fede. Santità e vita religiosa in Italia,
Bari, Laterza, 1994.
Questo libro costituisce il primo volume di una collana interamente dedicata alla Storia delle donne in Italia,
impresa editoriale che fa seguito a quella più generale dedicata alla Storia delle donne diretta da G. Duby e M.
Perrot. L’opera qui presa in esame si articola in una serie di saggi che delineano il ruolo delle donne nelle
istituzioni ecclesiastiche, nella cultura religiosa in genere e nella sfera della santità, ambiti per i quali viene anche
fornito un ampio repertorio iconografico che va dalle immagini medievali a quelle cinematografiche dei nostri
giorni. Di seguito si riportano i titoli e le autrici dei singoli contributi raccolti nel volume:
- Ascetismo e monachesimo femminile in Italia dalle origini all’età longobarda (IV-VIII secolo) di Franca Ela
Consolino;
- Il matrimonio mistico di E. Ann Matter;
- Società e religiosità femminile (750-1450) di Giulia Barone;
- Corpo femminile e pratica religiosa nel tardo medioevo di Caroline Walker Bynum;
- La donna, la fede, l’immagine negli ultimi secoli del medioevo di Dominique Rigaux;
- Dalla profezia alla disciplina (1450-1650) di Gabriella Zarri;
- Lettere spirituali di Adriano Prosperi;
- Le muse in convento. La scrittura profana delle monache italiane (1450-1650) di Elissa B. Weaver;
- «Piccole donne», «grandi eroine»: santità femminile «simulata» e «vera» nell’Italia della prima età
moderna di Anne Jacobson Schutte;
- Modelli di santità femminile nell’Italia del Rinascimento e della Controriforma di Sara F. Matthews Greco;
- Dall’esplosione mistica tardo-barocca all’apostolato sociale (1650-1850) di Marina Caffiero;
- La scrittura mistica di Marilena Modica Vasta;
- La santità femminile dinastica di Sara Cabibbo;
- Immagini sacre e vita religiosa delle donne (1650-1850) di Karen-edis Barman;
- «Il Cristianesimo l’ha fatta libera, collocandola nella famiglia accanto all’uomo» (dal 1850 alla «Mulieris
Dignitatem») di Lucetta Scaraffia;
- In viaggio dalla Madonna di Emma Fattorini;
- Sante e suore sullo schermo di Giovanna Grignaffini.
In alcuni di questi saggi viene affrontato anche il tema della persecuzione femminile in ambito religioso,
all’interno del quale rientrano innanzitutto i casi di martirio (tra i meno noti quello di un’intera famiglia di
vergini morte suicide per evitare lo stupro: le sorelle Bernice e Prosdoce annegatesi insieme alla madre Domnina
e la loro sorella Pelagia, gettatasi giù dal tetto di una casa); quindi quelli di donne assurte a fama di santità grazie
al coraggio dimostrato nell’affrontare le persecuzioni maschili (tale è la storia avventurosa della regina e
imperatrice Adelaide, moglie del re d’Italia Lotario nella metà del X secolo, o quella di Margherita da Cortona,
donna laica che si convertirà non per un interno processo di pentimento, ma per un trauma. Dello stesso tipo
anche la vicenda della cosiddetta ‘pastorella assassinata’, cioè la giovane Panacea Muzio della Valsesia uccisa
dalla matrigna a colpi di fuso nel XIV secolo); infine il modello di donna perseguitata incarnato dalle cosiddette
‘contro-sante’, cioè dalle streghe giustiziate nei processi inquisitoriali dei secoli XV e XVI. (A. Triponi)

44
1994

58. MORABITO R., Un modello tra sacro e profano: Griselda, in Modelli di santità e
modelli di comportamento, a cura di G. Barone, M. Caffiero, F. Scorza Barcellona,
Torino, Rosenberg & Sellier, 1994, pp. 221-231.
L’autore del contributo traccia una storia della fortuna di Griselda non in generale, ma dal punto di vista delle
valenze sacre e profane che la protagonista della novella boccacciana assume nelle varie versioni che si sono
moltiplicate nei secoli in ambito novellistico e teatrale. In questa prospettiva, per esempio, si nota come gli autori
tre-quattrocenteschi tendano a mettere in risalto le qualità più caratteristiche di Griselda, prima fra tutte il suo
eroismo nel perseguire la virtù. A tal proposito è significativo che sia diventata il soggetto di una sacra
rappresentazione del XV secolo e che ancor prima nel teatro religioso francese abbia fornito materia per un
mystere del 1395. In generale Morabito nota come Griselda sia stata accostata, nel tempo, ora alla figura di
Maria, ora a quella di Cristo, ora a quella biblica di Rebecca, e come questo accostamento ne abbia favorito un
altro con un personaggio anch’esso caro alla letteratura popolare, dai cantari alle sacre rappresentazioni: si tratta
di Crescentia, ugualmente fatta oggetto di narrazione per l’eroismo con cui persegue comportamenti virtuosi. Nei
secoli la visione di Griselda come modello di virtù ed esemplarità si è mantenuta inalterata fino all’800, epoca in
cui risulta difficile proporre ancora la marchesa-pastora come donna da imitare e in cui si avverte la necessità di
giustificare la bizzarria e l’arbitrarietà delle prove cui ella viene sottoposta. Opera emblematica di tale svolta è
La Griseldis di F. Halm (1835), che cerca di motivare l’intreccio introducendo il motivo della scommessa tra
Perceval (Gualtieri) e la regina Ginevra. Le prove cui la donna viene qui sottoposta devono servire a dimostrarne
il valore agli occhi della regina, ma Griselda non accetta il gioco e quando viene a sapere della scommessa rifiuta
di tornare con il marito. Nel descrivere questo contributo ho citato solo alcuni testi drammatici tra i tanti di
genere diverso ricordati dall’autore nella sua analisi di modelli sacri e profani che la figura di Griselda ha
incarnato, ritenendoli più attinenti al tema della presente bibliografia. (A. Triponi)

1999

59. JACOPO DA VARAZZE, Legenda aurea, Ed. crit. a c. di G. Maggioni, SISMEL, Firenze
19992, voll. 2, pp.LXVI-1368 + CD-ROM

Opera fondamentale per l´agiografia cristiana e per la cultura occidentale in generale, in quanto riassume le vite
dei santi più conosciuti e le inserisce in quadro provvidenziale di riferimento, con il recupero di tutto il repertorio
connesso di riti e tradizioni locali. L´edizione critica di Maggioni (prima edizione 1998), che era la prima dopo
la precedente edizione critica ottocentesca, è uscita rivista e corredata di un CD-ROM con un articolato sistema
di interrogazione che consente la ricerca di parole, parti di parole e sintagmi, con la generazione di concordanze
dinamiche dell´opera. Dai 178 capitoli del corpus di vite di santi raccolto da Jacopo da Varazze nel XIII secolo
derivano gran parte delle storie di sante (e di santi) riprese nelle sacre rappresentazioni. (A. Pagliardini)

45
2000

60. DANELON Fabio, "I carichi e le incommodità del matrimonio". Immagini coniugali nel
Machiavelli letterato e rappresentazione del matrimonio nella pittura del
Rinascimento, in «Critica letteraria», 2000, n°3, pp. 459-489
Lo studio – arricchito da una serie di riproduzioni di dipinti cinquecenteschi rappresentanti il tema delle nozze –
evidenzia le relazioni tra le raffigurazioni pittoriche umanistico-rinascimentali del matrimonio e la dimensione
assunta dallo stesso motivo nell’opera letteraria machiavelliana, in particolare nella Mandragola, nella Favola e
nella Clizia. Per l’«ambigua iunctio dextrarumu officiata da Nicia» della scena finale della Mandragola, in cui si
assiste davanti alla chiesa ad un simulacro di “matrimonio” fra Lucrezia e Callimaco, è lecito supporre secondo
Danelon che Machiavelli si sia ispirato a motivi forniti dalle varie rappresentazioni coeve dello Sposalizio della
Vergine. Tali suggerimenti iconografici sono quindi proposti in senso apertamente dissacratorio e parodistico.
(M. Spiga)

APPENDICE 1 – CONTRIBUTI NON SCHEDATI

1959

1. La commedia de ‘Gl’Ingannati’, in Commedie del Cinquecento (a c. di Aldo


Borlenghi), Rizzoli, Milano, 1959, vol. I., pp. 155-266.

1959

2. PICCOLOMINI Alessandro, L’Amor costante in Commedie del Cinquecento (a c. di


Aldo Borlenghi), Rizzoli, Milano, 1959, vol. I., pp. 155-266.

1971

3. CERRETA F., Una canzone del Firenzuola e una vecchia teoria sulla paternità della
commedia de "Gl'Ingannati", "La Bibliofilia" 73, 1971, pp.151-63

1972

4. ALONGE R., Struttura e ideologia nel teatro italiano fra '500 e '900, Torino,
Stampatori, 1978

1980

5. DE PANIZZA LORCH M., Confessore e chiesa in tre commedie del Rinascimento:


“Philogenia”, “Mandragola” e “Cortigiana”, in Il teatro italiano del Rinascimento,
a c. di M. de Panizza Lorch, Milano 1980, pp. 301-348.

46
6. PLAISANCE M., L’invenzione della Croce di Lorenzo de’ Medici (1463-1503) et le
mythe du second Charlemagne, in Culture et religion en Espagne et en Italie aux
XVème et XVIème siècles, Abbeville, Paillard, 1980, pp. 43-66

1982

7. GUIDOTTI A., Soluzioni tipologiche ed espressive della 'Mandragola', "Lettere


italiane", 2, 1982, pp.1157-75

1988

8. TESTAVERDE M. E EVANGELISTA A. M. (a cura di), Sacre rappresentazioni


manoscritte e a stampa conservate nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze.
Inventario, Milano, Giunta regionale toscana & Editrice Bibliografica, 1988.

1989

9. GUIDOTTI, Il doppio gioco della “Calandria”, in “Modern Language Notes” (1)


(1989) pp.87-105

10. GUIDOTTI A., Il doppio gioco della 'Calandria', "Modern Language Notes", 1, 1989,
pp.87-105

1990

11. BRONFMAN J., Griselda, Renaissance Woman, in The Renaissance Englishwoman in


Print, ed. by A. M. Haselkorn & B. S. Travitsky, The Un. of Massachussets Press,
1990.

1991

12. CARAFFI P., Le parole di Tarsania. Sul motivo della “fanciulla perseguitata” nel
“Libro de Apolonio”, in «Messana», n.s., 8, 1991, pp. 109-128.

13. GALDÓS PÉREZ, Tristana, introduzione di V. Galeota, traduzione e note di A.


Guarino, Venezia, Marsilio Editori, 1991.

14. PETZOLDT L., su Griselda in Festschrift für Heinz Engelszum 65. Gebursttag,
Goppingen 1991, 64-82

1992

15. GUIDOTTI A.,Specchiati sembianti: il tema dei gemelli nella letteratura, Milano,
FrancoAngeli, 1992

1999

16. ANDREWS R., L’attrice e la cantante fra Cinquecento e Seicento. La presenza


femminile in palcoscenico, in Teatro e musica. Écritures vocales et scénique, a c. di
M. Orsino, Tolosa 1999, pp. 27-43

47
2000

17. SIEKIERA Anna, Tradurre per musica. Lessico musicale e teatrale nel Cinquecento,
Prato, Ed. Cahiers Accademia - 2000

2001

18. PIETRINI Sandra, Spettacoli e immaginario teatrale nel Medioevo, Roma, Ed. Bulzoni
- 2001

19. COLUCCIA Giuseppe, L'esperienza teatrale di Ludovico Ariosto, Lecce, Ed. Manni -
2001

2002

20. PITTALUGA Stefano, La scena interdetta. Teatro e letteratura fra Medioevo e


Umanesimo, Napoli, Ed. Liguori – 2002

21. MANFREDI Muzio - DECIO Antonio, La Semiramis. Acripanda. Due regine del teatro
rinascimentale, a cura di Grazia Distaso Taranto, Ed. Lisi - 2002

22. HENKE R., Performance and Literature in the Commedia dell’arte, Cambridge 2002

23. RICCÒ L., La miniera accademica. Pedagogia, editoria, palcoscenico nella Siena del
Cinquecento, Roma, Bulzoni, 2002

2003

24. GUIDOTTI A., Scenografie di pensieri: il teatro del Rinascimento fra progetto e
sperimentazione, Lucca, Pacini Fazzi, 2003

2004

25. GRIMALDI PIZZORNO Patrizia, Il processo a Carnevale. Farse giuridiche e


antisemitismo a Norimberga alla fine del Quattrocento, in «Intersezioni», Anno 2004
- N°1 - Pag. 19-58

APPENDICE 2 – CONTRIBUTI SULLA LETTERATURA CLASSICA GRECA E


LATINA

1872

26. DE GUBERNATIS A., Zoological mythology or The legend of animals, London,


Trübner & Co., 1872, 2 voll., I, pp. 209-11.

1905

48
27. DE GUBERNATIS A., De Sacountela à Griselda (Le plus ancien des courtes Aryens),
in «Cronache della civiltà elleno-latina», n.s., anno III, fasc. 30-32 (Roma, 28
febbraio-20 marzo 1905), pp. 465-97.

1936

28. WERRES J., Die Beteuerungsformeln in der attischen Komödie, Diss. Bonn 1936

1940

29. BJÖRCK G., Misthophoros et antileon, deux calembours par catachrèse chez Aristo-
phane, «Eranos» 38, 1940, 31-35

1948

30. TONDRIAU J. L., Princesses ptolémaïques comparées ou identifiées à des déesses (IIIe
- Ier siècles avant J. C.), «Bulletin de la Societé Royale d’Archéologie d’Alexandrie»
37, 1948, 12-33

1966

31. ERBSE Hartmut, Über die Aigeus-Szene der euripideischen Medea, «Wiener Studien:
Zeitschrift für classische Philologie und Patristik» 79, 1966, 120-133

1970

32. HAUBEN H., Callicrates of Samos. A Contribution to the Study of the Ptolemaic
Admiralty (Studia Hellenistica 18), Leuven 1970

1972

33. FRASER P. M., Ptolemaic Alexandria, Oxford 1972, I, 237

1973

34. THOMPSON Burr, Ptolemaic Oinochoai and Portraits in Faience, Oxford 1973

1975

35. SHAW M., The Female Intruder. Women in Fifth-Century Drama, «Classical
Philology» 70, 1975, 255-266

36. LLOYD-JONES H., More about Antileon, Tyrant of Chalcis (Solon, frag. 33 and
Aristoph. Eq. 1042-1044), «Classical Philology» 70 1975, 197

1979

37. DEGANI E. - BONANNO M.G., Democrazia ateniese e sviluppo del dramma attico, in:
Storia e civiltà dei Greci, III, Bompiani, Milano 1979, pp. 255-350

1982

49
38. CHESHIRE W., Zur Deutung eines Szepters der Arsinoe II Philadelphos, «Zeitschrift
für Papyrologie und Epigraphik» 48, 1982, 105-111, pp. 109-111

1985

39. ASSAËL J., Misogynie et féminisme chez Aristophane et chez Euripide, «Pallas» 32,
1985

1988

40. LORAUX N., Come uccidere tragicamente una donna, trad. it. Roma-Bari 1988

1990

41. DE BOUVRIE S., Women in Greek Tragedy: An Anthropological Approach, Oslo 1990

42. FINNEGAN R., Women in Aristophanic Comedy, «Platon» 42, 1990, 100-106

1992

43. GUTZWILLER K., Callimachus’ Lock of Berenice: Fantasy, Romance and Propaganda,
«American Journal of Philology» 113, 1992, 359-385

1994

44. ESCHILO, Orestea, ed. cr., trad., pref. e note di M. Untersteiner, Milano 1947, intr. e
note di W. Lapini, Milano 1994

1996

45. CATENACCI Carmine, Il tiranno e l’eroe. Per un’archeologia del potere nella Grecia
antica, Milano 1996

46. CITTI V., Tragedia e lotta di classe in Grecia, Napoli, Liguori, 19962

1998

47. ALBERSMEIER S. - MINAS M., Ein Weihrelief für die vergöttlichte Arsinoe II, in: W.
CLARYSSE - A. SCHOORS - H. WILLEMS (edd.), Egyptian Religion. The Last Thousand
Years, Studies Dedicated to the Memory of J. Quaegebeur, I-II, Leuven 1998, 3-29

2001

48. LAPINI W., L’attentato del Paflagone (Aristoph. Eq. 901 e il Poxy. 664 + Poxy. 3544),
«Atti del XXII Congresso Internazionale di Papirologia», Firenze 23-29 agosto 1998,
a c. di I. Andorlini - G. Bastianini - M. Manfredi - G. Menci, Firenze 2001, II, 763-
776, pp. 765ss.

2003

50
49. CIANI, M.G. (a cura di), Fedra. Variazioni sul mito, Marsilio, Venezia, 2003.

51

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