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Candidato Relatore
Marta Materni prof.ssa Ma Luisa Cerrón Puga
I
Introduzione
Con le monografie dedicate rispettivamente al rapporto fra il Libro de Alexandre e le sue due
fonti principali1, l'Alexandreis di Gautier de Châtillon2 e il Roman de Alexandre nella versione
del manoscritto di Venezia (o Alexandre B)3, e che seguivano la pubblicazione dell'edizione
paleografica4 dei due testimoni completi sopravvissuti, negli anni '30 del XX sec. Raymond
Willis offriva agli studiosi della letteratura castigliana medievale gli strumenti fondamentali
per immergersi in questo testo che, passati i decenni, continua a imporsi come una delle pietre
miliari della storia letteraria della Penisola, al di là della questione piuttosto dibattuta
sull'esistenza o meno, o comunque sulla reale consistenza del cosiddetto mester de clerecía,
che la tradizione vuole inaugurato proprio dalle coplas iniziali del poema alessandrino.
Ma i decenni non sono passati invano: ancora oggi, se si vuole iniziare una ricerca sul
Libro de Alexandre, per prima cosa si prendono in mano questi tre volumi; ma il loro spirito
positivista – di esclusiva catalogazione delle fonti – lascia ormai insoddisfatti. Essi sono
strumenti iniziali di orientamento per avere un'idea precisa della struttura portante del poema,
ma li si abbandonerà ben presto. E in verità l'accurata edizione di Juan Casas Rigall del 2007,
1 Si veda l'Appendice I di questa Introduzione per l'indicazione delle edizioni usate, e il cap. I.7 La
biblioteca dell'anonimo per altre indicazioni bibliografiche.
2 Raymond S. WILLIS, The Relationship of the Spanish “Libro de Alexandre” to the “Alexandreis” of
Gautier de Châtillon, (Elliot Monographs, 31), Princeton 1934.
Per una prima introduzione a varie tematiche connesse con questo poema, ed altri interventi relativi
al rapporto con il poema castigliano, si vedano: George D. GREENIA, The “Alexandreis” and the “Libro de
Alexandre”: latin vs. vernacular direct discourse, Ph. D. thesis University of Michigan 1984; Alain de
Lille, Gautier de Châtillon et leur temps. Actes du colloque de Lille (octobre 1987), Henri Roussel,
François Suard (éds.), Lille 1980; David TOWNSED, «Michi barbaries incognita linguae: Other Voices and
Other Visions in Walter of Châtillon's Alexandreis», Allegorica, 12 (1992), pp. 21-37; Francisco PEJENAUTE
RUBIO, «La traducción al español de un poema épico latino del s. XIII: la Alexandreis de Gautier de
Châtillon», Livius, 1 (1992), pp. 257-277; ID., «Apostillas a algunas lecturas discrepantes en las ediciones
del Libro de Alexandre», Myrtia, 8 (1993), pp. 23-39; Amaia ARIZALETA, Concepción MARTÍNEZ
PASAMAR, «Un manuscrito del Alexandreis en el Archivo Catedralicio de Pamplona», Príncipe de Viana,
202 (1994), pp. 429-434; ID., «Acerca de la educación de los letrados medievales y de un manuscrito del
Alexandreis», Revista de filología hispánica, 10.1 (1994), pp. 9-14; Francisco PEJENAUTE RUBIO, «La
despaganización del Libro de Alexandre frente a la Alexandreis de Gautier de Châtillon», Helmantica, 139-
141 (1995), pp. 447-462; Spurgeon BALDWIN, «Thunder and lightning: violence in Walter of Châtillon`s
Alexandreis and the Libro de Alexandre», in Nunca fue pena mayor: (estudios de literatura española en
homenaje a Brian Dutton, Victoriano Roncero López, Ana Menéndez Collera (eds.), Cuenca 1996, pp. 77-
106; Claudia WIENER, Proles vesana Philippi, totius malleus orbis: Die “Alexandreis” des Walter von
Châtillon und ihre Neudeutung von Lucans “Pharsalia” im Sinne des typoloschen Geschichtsverständnis,
Munich-Leipzig 2000; Benito MORROS MESTRES, «Las glosas a la Alexandreis en el Libro de Alexandre»,
Revista de literatura medieval, 14. 1 (2002), pp. 63-108.
3 Raymond S. WILLIS, The Debt of the Spanish “Libro de Alexandre” to the French “Roman
d'Alexandre”, (Elliot Monographs, 33), Princeton 1935.
4 El “Libro de Alexandre”, Texts of the Paris and Madrid Manuscripts, ID. (ed.), (Elliot Monographs, 31),
Princeton 1934.
II
con la sua indicazione in nota delle fonti dei singoli passi 5, rende ormai quasi del tutto
obsoleto il volume dell'autore anglosassone dedicato alla Alexandreis. Dico “quasi” perché
quel testo presenta un'impostazione anomala rispetto alle classiche ricerche sulle fonti, e
grazie a tale anomalia offre ancora qualche interessante spunto di riflessione: l'ottica adottata
da Willis fu quella infatti di elencare con estrema precisione, verso per verso, quel che del
poema mediolatino non era confluito nel Libro de Alexandre. Il quadro offerto era però in
questo modo incompleto: ritengo infatti che sia imprescindibile applicare, in particolare alle
opere che si propongono come “traduzione”, il modello di analisi del rapporto testo/fonte
proposto da Aimé Petit per i romans antiques francesi del XII sec., e che contempla:
– passaggi della fonte che non hanno lasciato traccia;
– passaggi conservati che possiedono la stessa importanza quantitativa;
– passaggi conservati che hanno subito uno spostamento;
– elementi che sono stati oggetto di uno sviluppo;
– elementi che hanno subito una sensibile riduzione;
5 Per una panoramica sulle tre principali fonti utilizzate dal poeta castigliano, cioè la Alexandreis, il Roman
d'Alexandre B e la Historia de preelis, a cui si aggiungono la Ilias Latina e l'Excidium Troiae per la sezione
troiana, rimando, oltre naturalmente ai testi di Willis, a: Alfred MOREL-FATIO, «Recherches sur le texte et
les sources du Libro de Alexandre», Romania, 4 (1875), pp. 7-90; Emilio ALARCOS LLORACH,
Investigaciones sobre el “Libro de Alexandre”. Reconstrucción crítica, Revista de Filología Española,
Anejo 45, Madrid 1948; Ian MICHAEL, The Treatement of Classical Material in the “Libro de Alexandre”,
Manchester 1970, pp. 12-27; Amaia ARIZALETA, «La jerarquía de las fuentes del Libro de Alexandre», in
Actas del VI Congreso Internacional de la AHLM (Alcalá de Henares, 12-16 septiembre 1995), José
Manuel Lucía Mejías (ed.), Alcalá 1997, vol. I, pp. 183-190.
Per la sezione troiana si vedano: Antonio GARCÍA SOLALINDE, «El juicio de Paris en el Libro de
Alexandre y en la General Estoria», Revista de Filología Española, 15 (1928), pp. 1-51; Georges CIROT,
«La guerre de Troie dans le Libro de Alexandre», Bulletin Hispanique, 39.1 (1937), pp. 328-38; María
Dolores SOLÍS PERALES, «La figura de Paris en el Libro de Alexandre», Agorá. Estudos Clássicos em
Debate, 6 (2004), pp. 135-166 Emiliano JERÓNIMO BUIS, «¿Una Troya cristiana? Paráfrasis y
medievalización del sustrato literario grecolatino en el Libro de Alexandre (cc. 417-719)», in XIII Jornadas
de estudios clásicos, Grecia y Roman en España (Buenos Aires, 30 de junio y 1 de julio 2005), consultabile
on line all'indirizzo http://vallenajerilla.com/berceo.
In particolare si veda Amaia ARIZALETA (La translation d'Alexandre. Recherches sur les structures
et le significations du “Libro de Alexandre”, Paris 1999, pp. 62-77), per un'analisi dell'Historia de preliis
volta a determinare quale delle tre versioni (J1, J2, J3) sia stata utilizzata dal poeta. Appoggiandosi
soprattutto sull'elemento rappresentato dalla data di nascita (LdA, 89ab, «El diziembre exido, entrante el
jenero / – en tal día naçiera, e era día santero» a cui corrisponde (J1, III, 35) «Natus est sexto Kalendas
Ianuarii», (J3, 130) «Natus est VI Kal. Ianuarii», (J2, 130) «Natus est quinta die stante mensis Decembris»),
l'autrice conclude (p. 77): «même si cela n'est pas entièrement satisfaisant, que le poète a pu se servir tant
de J1 que d'une version mixte de J2, ce qui revient à evoquer l'existence d'une version J4». La seconda
proposta (J4) deriva dal fatto che il LdA condivide questo dato particolare con la General Estoria, dove (IV
parte) leggiamo «Nasçio seys dias ante de las calendas de enero». Ora, gli editori della estoria alejandrina
alfonsina «affirment que la source employée par les rédacteurs alphonsins est J2 [ma, di fronte a questo
dato discordante della nascita] déclarent opportunément que le texte de la recension J2 utilisé par les
rédacteurs d'Alphonse X était contaminé». La versione J2 sembra comunque particolarmente diffusa nella
penisola iberica: ad essa risalirebbe anche – ma il condizionale è d'obbligo data l'esiguità del frammento –
la traduzione quattrocentesca di Martín de Ávila commissionata dal marqués de Santillana.
III
– passaggi che rappresentano un'integrale addizione6.
Con il secondo volume Willis si assumeva il merito di aver individuato la versione del
Roman d'Alexandre – fra quelle a noi note – più prossima all'archetipo utilizzato dal poeta
castigliano7. Delle due opere è forse quella oggi più utile, dal momento che i passaggi ai quali
si fa riferimento sono ancora i più problematici.
Ma è solo in un breve articolo8 che, al di là di questi dati più tecnici, si cerca di
delineare anche un contesto per il poema castigliano; particolarmente suggestiva – e a mio
avviso molto pertinente – l'immagine seguente: «Rebelliously, the old Adam, the clerigo
d’escuela, reasserts himself on the heels of the judgement and sentencing of Alexander, for, in
the hand of the author, the scholar-warrior King rises to triumph at the close of his span of
life»9. La lunga dissertazione sul presunte sapere universitario manifestato dal protagonista, e
che costituisce il cuore dell'articolo, ha invece un po' pesato sulle interpretazioni successive,
che lo hanno in molte ereditato come una sorta di dato acquisito mai rimesso in discussione.
Nel 1970, ai testi appena citati si aggiungeva un'altra pietra miliare degli studi di
ambito alessandrino castigliano: il volume di Ian Michael The Treatement of Classical
Material in the “Libro de Alexandre” (Manchester). Rispetto al positivismo ottocentesco di
Willis si facevano ora passi da gigante verso una dimensione interpretativa. Introducendo i
concetti di medievalizzazione10, cristianizzazione e moralizzazione, Michael completava
l'opera di Willis analizzando almeno alcune delle forme di alterazione della fonte mediolatina
da parte del poeta castigliano11.
6 Aimé PETIT, Naissance du roman. Les techniques littéraires dans les romans antiques du XII e siècle, Lille
1985, pp. 24-25.
7 WILLIS, The Debt cit., p. 58: «At this point it is hardly necessary to repeat that it could not have been our
extant fourteenth-century manuscript B, but only an ancestor, which was utilized by our thirteenth-century
Spanish poet. But it is pertinent to remark that B is clearly the work of an Italianate, that is, South Gallic,
scribe, and that manuscript A, which alone among the other manuscripts of the Roman d'Alexandre
preserves the primitive decasyllabic first branch utilized by the Spanish poet, and exhibits other archaisme
as well, is likewise of southern French work manship. Thus it may be suspected that pre-Alexandre de Paris
versions of the Roman d'Alexandre circulated with some currency in southern France until a relatively late
date; and this, in turn, may serve to explain why a version of the B type, rather than of the Alexandre de
Paris type came south across the Pyrenees into Spain and into the hands of our poet».
8 Raymond S. WILLIS, «Mester de Clerecía: A Definition of the Libro de Alexandre», Romance Philology,
10 (1956-57), pp. 212-224; al quale si devono aggiungere: ID., «The Artistry and Enigmas of the Libro de
Alexandre: A Review Article», Hispanic Review, 42 (1974), pp. 33-42; ID., «In Search of the Lost Libro de
Alexandre and its Author», Hispanic Review, 51 (1983), pp. 63-88.
9 WILLIS, «Mester cit.», p. 222.
10 Medievalizzazione che si concentra bella pittura di Alessandro con i caratteri di un sovrano duecentesco.
11 MICHAEL, The Treatement cit., p. 248: «The result is not a simple structure but a composition of
considerable complexity, which is paralleled in medieval Spanish literature only by the Caballero Zifar and
the Libro de buen amor, but which is commoner in medieval French literature. […] This multiple form of
composition has some connections with the medieval artes poeticae and contemporary forms in painting
and sculpture, as well as with the artes praedicandi and medieval musical forms».
IV
Quello che però continuava a mancare era una contestualizzazione dell'opera, e a
questa carenza ha supplito, aprendo un nuovo filone di studi12, Amaia Arizaleta con la sua tesi
di dottorato pubblicata nel 1999, La translation d'Alexandre. Recherches sur les structures et
les significations du “Libro de Alexandre”. Contestualizzazione ma non solo, come suggerisce
lo stesso titolo: il solco è quello di Ian Michael, nel quale l'autrice si inserisce con forse
maggior finezza interpretativa. Ma se le “strutture” interne erano ancora oggetto principale di
interesse nel 1999, successivamente a imporsi come centro quasi esclusivo delle sue
riflessioni è stato il solo contesto. Delle tesi di questa studiosa si discuterà comunque
ampiamente nella prima parte del lavoro.
Gli ultimi quindici anni circa hanno visto i contributi moltiplicarsi, ma i titoli citati
continuano a essere le sole monografie sul poema. A distanza di dodici anni dalla
pubblicazione dell'opera della studiosa spagnola, e alla luce di tutto il materiale interpretativo
che è emerso negli anni immediatamente precedenti e in quelli successivi, mi è sembrato
opportuno, senza pretese di grande originalità ma piuttosto cercando di tirare alcune somme
rimaste in sospeso e più che altro proponendo tutta una serie di nuovi quesiti, delineare un
aggiornato quadro d'insieme, assumendo una prospettiva strettamente letteraria: un viaggio
interno alle parole del testo con l'occhio rivolto in primo luogo ad altri testi, articolato intorno
ai due termini chiavi, presenti fin dal prologo, di maestría e pecado, con le loro molteplici
sfumature13.
12 Una sintetica descrizione delle varie fasi succedutesi negli studi dedicati al LdA, corredata da tutte le
indicazioni bibliografiche, si può leggere in Ian MICHAEL, «Ciencia y fantasía en el Libro de Alexandre»,
Troianalexandrina, 8 (2008), pp. 19-37, in part. pp. 21-23.
13 Per informazioni sull'Alessandro Magno storico si faccia riferimento a Olivier BATTISTINI, Pascal
CHARVET, Alexandre le Grand. Histoire et dictionnaire, Paris 2004. Per la sua dimensione letteraria a
Armand ABEL, Le roman d'Alexandre: légendaire médiéval, Bruxelles 1955; Georges CARY, The Medieval
Alexander, Cambridge 1956; David J. A. ROSS, Alexander Historiatus. A Guide to Medieval Illustrated
Alexander, London 1963.
V
Appendice I
Cito qui, con le rispettive sigle che saranno utilizzate successivamente, le edizioni dei testi a
cui si è fatto maggior ricorso in questo studio.
VI
Opere di Berceo
Per i Milagros si è fatto riferimento all'edizione Milagros de Nuestra Señora, Michael
GERLI (ed.), Madrid 1988 ; per tutte le altre opere (Vida de San Millán, Vida de Santa Oria,
Vida de San Lorenço, Sacrifiçio de la Misa, Loores de Nuestra Señora) a Obras completas de
Gonzalo de Berceo, Jorge GARCÍA LÓPEZ, Carlos CLAVERÍA (eds.), Madrid 2003.
VII
ROBERT D'AUBRIGNY, Le conte de Floire et Blanchefleur, Jean-Luc LECLANCHE (éd.),
Paris 2003.
VIII
Constans alle pp. 1-105 de volume VI della sua edizione, e da Marc-René JUNG in La légende
de Troie en France au Moyen Age: analyse des versions françaises et bibliographie
raisonnée des manuscrits, (Romanica Helvetica 114), Basle-Tubingen 1996.
Edizioni: Le Roman de Troie par Benoît de Sainte-Maure, publié d'après tous les
manuscrits connus, Léopold CONSTANS (éd.), Paris 1904-1912, 6 voll.; Der Trojaroman des
Benoît de Sainte-Maure, Kurt REICHENBERGER (ed.), Tübingen 1963 (ms. Paris, BNF, fr.
1281); Le Roman de Troie, Emmanuèle BAUMGARTNER, François VIEILLARD (éds.), Paris
1998 (ms. Milano, Biblioteca Ambrosiana, D 55; il più antico dei manoscritti completi). Per
le cirazioni si è fatto riferimento all'edizione Baumgartner.
IX
Parte I
La maestría dell'autore: un mester sin pecado
1
Il Libro de Alexandre: un excursus fra generi letterari
«Partidaria desde hace años de una lectura contextual y política del Alexandre», Amaia
Arizaleta ci fornisce però anche questa prima, calzante definizione del Libro de Alexandre dal
punto di vista strettamente letterario. Si tratta dell’aspetto forse più trascurato nell’analisi del
nostro poema, specialmente in quest’ultima fase degli studi legata alle ricerche della stessa
Arizaleta, che hanno messo in risalto essenzialmente i supposti elementi ideologici legati
all’ambiente regio. Eppure la studiosa spagnola, nel suo lavoro iniziale sul tema, La
translation d’Alexandre, aveva dedicato ampio spazio all’analisi della coscienza e
dell’orgoglio artistico dell’anonimo (anonimo? o condannato all’anonimato dalle alterazioni
della tradizione manoscritta? Sempre che, esulando dal discusso problema berceano 2, non si
voglia dar credito al nome di Juan Lorenzo de Astorga), tanto da valutare nel suo complesso il
LdA come monumento alla propria fama eretto dall’autore stesso.
Da questo punto di vista le ricerche della studiosa non hanno conosciuto ulteriori
sviluppi, avendo spostato il punto focale dal testo al contesto, nello sforzo di collocare il LdA
in una precisa rete testuale che si diramerebbe da un centro costituito dalla cancelleria e dalla
corte reale castigliana. Di questo si discuterà più oltre in relazione alla presunta definizione
del LdA come speculum principis. Ma il primo passo che si intende compiere è il tentativo di
circoscrivere nuovamente l’attenzione al testo, tenendo in conto che, al di là dei sottintesi
ideologici e degli intenti didattici (un aspetto quest’ultimo su cui sarebbe necessario riflettere
di nuovo alla luce delle recenti osservazioni di Julian Weiss in una densa monografia dedicata
al mester de clerecía)3, ci troviamo in primo luogo di fronte a un prodotto artistico, a un’opera
1
Amaia ARIZALETA, «El Libro de Alexandre: el clérigo al servicio del rey», Troianalexandrina, 8, 2008, pp.
73-114, p. 75.
2
Per il quale rimando agli scritti del suo (quasi) unico sostenitore, Dana Arthur NELSON, ad es. «El libro de
Alexandre: A Reorientation», Studies in Philology, 65.5 (1968), pp. 723-52; ID., «A Re-Examination of
Synonimy in Berceo and the Alexandre», Hispanic Review, 43 (1975), pp. 351-369; ID., Gonzalo de Berceo
y el “Alixandre”. Vindicación de un estilo, Madison 1991.
3
Julian WEISS, The “Mester de clerecía”. Intellectuals and Ideologies in Thirteenth-Century Castile,
(Coleccion Tamesis, Serie A: Monografias 231), Woodbridge 2006, p. 4: «The failure adeguatelly to
conceptualize what questions are raised by the term “didactic” is symptomatic of a deeper failure to explore
the possibility of difference and dissent both within the clerical estate and within medieval culture as a
whole. It is as if, though such easy recourse to the generalization “didactic”. We are excused to need of
questioning that well-known caricature of the Middle Ages as an age of dogma, seamless belief, and
2
letteraria che attraverso i mezzi di un precipuo mester – o maestría, secondo la definizione
dell’altro grande artista anonimo castigliano cantore della materia classica, vale a dire l'autore
del Libro de Apolonio – aspira a veder realizzata in se stessa la perfezione della forma e il
diletto della materia.
In quanto opera letteraria il LdA necessita innanzitutto di un tentativo di
classificazione nell’ambito dei generi letterari, un’operazione non di sterile tassonomia ma
necessaria per definire meglio, nell’aderenza o meno, nella fedeltà o nella contaminazione
delle strutture, le capacità dell’autore, la possibilità stessa di definirlo come tale
distinguendolo da un più o meno abile ma semplice volgarizzatore, in definitiva per cogliere il
suo orizzonte mentale dal punto di vista artistico. Un’operazione complessa specchio della
complessità del Libro stesso:
El resultado de todo esto [cioè l’operazione di scrittura alla base del LdA] es una enciclopedia
en romance y en versos que reúne fragmentos de antología de diferentes fuentes: el doctrinal,
el épico, el del roman, el ejemplar o el lírico. Igualmente podríamos preguntarnos a qué
categorìa adscribía el proprio autor anónimo su obra, si la consideraba como un texto
histórico, como una narración épica del nuevo molde, como una muestra de la aventura cortés,
o bien como un tratado de doctrina cristiana. Probablemente todos estos adjetivos dicen algo
sobre lo que haya sido el Alexandre para el autor y para sus contemporáneos4.
Il soggetto, cioè la cosiddetta “materia antica”; il legame con la cultura francese del XII sec.,
con l’adozione della particolare forma metrica e la scelta di una precisa fonte-guida,
l’Alexandreis di Gautier de Châtillon; l’utilizzo, fra le fonti secondarie ma in nodi narrativi
strategici, di una delle versioni del Roman d’Alexandre: tutto questo induce a un parallelo,
esplicitato dalla definizione di Amaia Arizaleta, quello cioè con il roman antique francese,
vale a dire il Roman de Thèbes, il Roman d’Eneas e il Roman de Troie.
Quella che si intende qui proporre non è tanto la ricerca di citazioni puntuali di versi,
tanto più che i testi francesi presentano una complessa tradizione con la coesistenza di
versioni differenti – fatto questo che ha reso approssimativa anche l’individuazione della
versione utilizzata del Roman d’Alexandre nella B testimoniata dal manoscritto di Venezia –,
quanto l’individuazione di strutture e caratteri propri dei romans antiques francesi, abilmente,
inquestioning acceptance of authority. […] The mere fact that a text contains a more or less explicit
message, wheter moral or doctrinal, does not make it didactic».
4
Amaia ARIZALETA, «Alexandre en su Libro», La Corónica, 28.2 (2000), pp. 3-20, p. 5. Sicuramente la
familiarità con i versi del LdA induce a concordare con l’autrice nel rifiuto della proposta interpretativa di
Jesús CAÑAS MURILLO, «Didactismo y composición de El libro de Alexandre», Anuario de estudios
filológicos, 18 (1995), pp. 65-80, e ID., «El mester de clerecía y la literatura didáctica», in Historia de la
literatura española, Madrid 1990, Vol. I, pp. 141-167, sostenitore di una lettura del LdA nei soli termini di
menosprecio del mundo e di vanitas vanitatum.
3
e potremmo dire con precisa coscienza artistica, applicati alla composizione del poema
castigliano così da produrre, a partire da fonti eterogenee per genere e stile, un’opera coerente
e tale da potersi appunto definire come «variante hispánica del roman antique» e, secondo la
definizione di Jorge García López, «un roman escrito en cuartetas monorrimas y con un
conocido y evidente deseo de ruptura con respecto a otro tipo de literatura no basado en la
perfección formal»5.
La clerecía alessandrina si colloca in tal modo in un più ampio quadro di clergie
europea. In un breve ma utilissimo contributo del 1984, Ángel Gómez Moreno sottolineava
che
evidentemente, no somos los primeros en afirmar la conexión existente entre ambos lados de
los Pirineos durante estas centurias; pero quizá no se ha insistido de modo suficiente en esta
idea y, así, lo autóctono e individual se ha potenciado al referirse a este grupo de obras de la
literatura medieval española; incluso entre los estudiosos ese olvido de las estrechas relaciones
existentes entre las diferentes literaturas nacionales ha llevado a ciertos equívocos y malas
interpretaciones. […] El mester de clerecía tiene como rasgos definidores los mismos que
otros grupos de autores de la Europa romance: obras moralizantes (casi en todos los casos de
tipo religioso), empleo del tetrástrofo monorrima alejandrino y poesía de caracter culto6.
4
continentales. Y sobre esos usos continentales ver qué novedades introduce el autor del
Alexandre9.
Gli auspici di questi studiosi sono stati esauditi da Elena González-Blanco García grazie al
suo La cuaderna vía española en su marco panrománico (Madrid 2010)10, ricchissimo
panorama, tematico e bibliografico, su “tutte” le attestazioni di questa forma metrica
nell'intero ambito linguistico romanzo-occidentale:
Hemos optado por ofrecer una división [...] consistente en asociar los poemas por su temática
en pequeños conjuntos, que a su vez formarán parte de tres grupos mayores, que serán: 1)
Obras de tema religioso-moralizante, 2) Obras de tema de actualidad histórica, social y
política, 3) Obras de carácter más lúdico. El grupo de obras de temática religiosa es, sin duda,
el más numeroso. Cuenta con más de un centenar de textos, que han sido los que han dado
fama a la literatura en tetrásticos caracterizándola como moral, didáctica y religiosa. El
9
GARCÍA LÓPEZ, «Román cit.», p. 567.
10
Al quale si devono aggiungere: Elena GONZÁLEZ-BLANCO GARCÍA, «Las raíces del Mester de Clerecía»,
Revista de filología española, 88.1 (2008), pp. 195-207; EAD., «Algunos poemas en cuaderna vía de
contenido histórico. Nuevas miradas hacia la literatura romance», in La literatura en la Historia y la
Historia en la Literatura: in honorem Francisco Flores Arroyuelo, Fernando Carmona Fernández – José
Miguel García Cano, Murcia 2009, pp. 171-196; EAD., «Gautier de Châtillon y la cuaderna vía española y
europea», in Actas del XIII Congreso Internacional de la AHLM (Valladolid, 15-19 septiembre 2009), José
Manuel Fradejas Rueda – Déborah Dietrick Smithbauer – Demetrio Martín Sanz – Ma Jesús Díez Garretas
(eds.), Valladolid 2010, vol. II, pp. 939-951; EAD., «Heterodoxía en la cuaderna vía: nueva revisión del
concepto de las “sílabas contadas” a la luz de los poemas franceses e italianos», eHumanista, 28 (2011), pp.
66-93. L'impostazione panromanica di ricerca è stata applicata dall'autrice anche al testo dei Disticha
Catonis (EAD., «Las traducciones romances de los Distica Catonis», eHumanista, 9 (2007), pp. 20-82).
11
GONZÁLEZ-BLANCO GARCÍA, La cuaderna vía cit., p. 323. Segnalo un dato ulteriore sfuggito
all'attenzione della studiosa. Nel Laborintus di Eberardo Alamanno, ars retorica duecentesca purtroppo non
databile se non attraverso il termine ante quem 1208 (v. oltre), si chiude con una serie di esempi di quartine
a citazione finale, tratto caratteristico del LdA: «In valle miseriae patimur concives / Primae matris vitio
cum calore nives. / Hostis verbo credidit: “Comedas et vives” / “Intollerabilius est quam femina dives / […]
/ In mundo degentium multi sunt errores, / Multiplex afflictio et corrupti mores, / Matrum parentium varii
dolores. / “Nutrices tolerant fortuna urgente labore”».
5
segundo grupo está formado por más de 40 textos, importantísimos por dos razones: suelen
estar datados con claridad o hacer alusión a fechas y acontecimientos históricos conretos, y
nos ofrecen una descripción vívida de personajes y costumbres de época […]. El tercer grupo
no es menos importante por menos numeroso, pues constituye una muestra de poemas que en
principio non “deberían” adscribirse por su temática a nuestro estudio. [...] ¿Por qué su
importancia? Porque son un testimonio único de que la literatura en tetrásticos estaba muy
viva en la época y se utilizó para todo en determinados momentos, si bien posteriormente cada
uno de los géneros se fue especializando y adscribiendo a patrones concretos. [...] Observamos
que los temas bíblicos, religiosos, morales y satíricos se extienden durante todo el periodo de
composición de este tipo de obras, mientras que en el siglo XIII predominan los poemas
marianos y los textos alegóricos, además de pertenecer a esta época casi todos los poemas
políticos, goliardesco y líricos. El siglo XIV será en cambio el siglo de los dits y también el
periodo de la mayor importancia para la composición de relatos hagiográficos (especialmente
en el área francesa), que culminarán, al igual que la vida del tetrástico, a comienzos del siglo
XV12.
Ma, a partire dal pionieristico articolo di Raymond Willis, «Mester de clerecía», è invalso
l’uso, a lungo assai più diffuso rispetto al precedente – quello cioè di roman – , di utilizzare
per il Libro la definizione di speculum principis, definizione che è un po’ alla base dei recenti
orientamenti di studio concentrati sulla contestualizzazione dell’opera. Vorrei però ritornare
un momento alla formulazione utilizzata da Willis: «To be sure, the Libro de Alexandre is
[troppo complesso] to be encompassed by a single formula; specially it should not be
overlooked that this scholar’s book could also be considered in a sense to be a speculum
principis»13. Due osservazioni sono necessarie: in primo luogo si dovrà costantemente tener
presente che lo stesso Willis mette in guardia sulla difficoltà di costringere questa
composizione poetica nei limiti angusti di un’unica formula capace di dar conto delle mille
sfumature che animano i suoi versi; in secondo luogo non si deve dimenticare la presenza di
quell’also: il LdA è anche uno speculum principis, ma è anche molto altro; direi anzi che il il
LdA contiene incastonato al suo interno uno speculum principis – i consigli di Aristotele – ma
difficilmente lo etichetterei in modo univoco come tale nel suo complesso.
Il che non implica che la componente ideologica, rispetto alla figura reale, non sia
soggiacente al LdA; d’altronde è propria questa una delle chiavi del successo della materia
alessandrina nell’Europa del XII e del XIII secolo, per limitarci a un arco cronologico più
direttamente legato alla nostra composizione:
El ciclo del Alexandre medieval [è] un ciclo debido al cual la figura histórica de Alejandro
Magno entró en el imaginario político como arquetipo del Rex mirabilis. Salta a la vista que la
temática literaria alejandrina, entanto que mina inagotable de arquetipos políticos, reunía una
serie de características idóneas para dibujar un perfecto modelo de príncipe14.
12
BLANCO GARCÍA, La cuaderna vía cit., p. 302.
13
WILLIS, «Mester cit.», p. 222.
14
Manuel Alejandro RODRÍGUEZ DE LA PEÑA, «La realeza sapiencial y el ciclo del Alexandre medieval:
6
Ma, come si vedrà oltre, la figura alessandrina, anche nella sua dimensione regale, presenta
assi più sfumature di quanto non possa apparire basandosi solo su affermazioni di questo tipo.
La definizione di speculum principis è ormai invalsa, ma, a parte la definizione stessa
e la classificazione di alcuni passaggi operata da Ian Michael sulla base dei caratteri
fondamentali costitutivi della rappresentazione regia medieval, poco argomentata. Anche in
questo caso si può parlare di genere letterario, con una sua materia e una sua forma: il XIII
sec. castigliano è infatti il secolo del grande sviluppo della prosa che passa, fra le altre cose,
attraverso un'espressione specifica, la cosiddetta literatura de castigos per la quale
disponiamo oggi degli approfonditi studi di Marta Haro Cortés (v. oltre, cap. I.2).
Quanto il Libro condivide con questi testi, se non a livello formale (siamo in questo caso nel
mondo della prosa e dell’exemplum) almeno a livello di rappresentazione dei valori propri del
principe ideale? Non ci si potrà accontentare di mere definizioni: l’Alessandro del Libro va
seguito passo passo, verso dopo verso, nella sua evoluzione da cavaliere a re, da re a
imperatore, nelle sue azioni e reazioni di fronte agli avversari, negli attributi che di volta in
volta lo accompagnano, nei suoi discorsi ai propri sudditi e nelle risposte di questi ultimi. E
anche in questo caso si tratterà di riportare il LdA nell’alveo europeo:
Sin embargo, creemos que comete un error [Ian Michael nel suo “The Treatement of classical
material”, sulla scia di Willis] en su apreciación de que el concepto de realeza del Alexandre
está desconectado de su época, no siendo el perfil sapiencial que se otorga a Alejandro Magno
para él sino un producto de los particulares intereses escolásticos del autor. Es aquí donde se
echa de menos la perspectiva más amplia de un historiador de las ideas políticas. Perspectiva
que sí tiene José Luis Bermejo quien ve en el Alexandro Magno del Libro de Alexandre el
arquetípo del Rey sabio o entendido que tanto se extenderá en la Europa medieval por
tradición gnómica y arquetipos políticos en el Occidente latino (siglos XII-XIII)», Historia, instituciones,
documentos, 26 (1999), pp. 459-490, p. 459. Si veda anche ID., «Imago Sapientiae: los orígenes del ideal
sapiencial medieval», Medievalismo. Boletín de la Sociedad Española de Estudios Medievales, 7 (1997),
pp. 11-40.
15
ARIZALETA, Translation cit., pp. 223-224.
7
influencia platónica [José Luis BERMEJO, Máximas, principios y símbolos políticos, Madrid
1986] y es que, como veremos, el ideal de realeza sapiencial que introduce el Alexandre non se
puede entender sino a la luz de una corriente ideológica de alcance europeo16.
16
DE LA PEÑA, «La realeza cit.», p. 464.
8
I.1
Amaia Arizaleta: il chierico al servizio del re
Oggetto, come già ricordato, della sua tesi di dottorato, il LdA costituisce ormai da più
di un decennio uno degli assi preferenziali di ricerca di Amaia Arizaleta. Con il testo citato, la
studiosa ha offerto al tempo stesso una nuova monografia dedicata esclusivamente al LdA e
una nuova lettura del poema, in rotta con le interpretazioni sbilanciate sul versante
universitario – in primis di Isabel Uría Maqua1 (v. cap. II.1) –, ma inserita nella scia di alcuni
1
Un’opposizione che Arizaleta così infine sintetizza: «[Credo] que estamos de acuerdo en que la polémica
acerca se el Alexandre fue o no una obra nacida de la Universidad de Palencia es estéril, al menos si nos
limitamos a designar, mediante tal marbete espacial, el público de la obra, que hubiera sido principalmente
eclesiástico, y que hubiese encontrado en el poema un contraejemplo, la ilustración contundente de la
soberbia y la ceguera del los malos monarcas; queda dicho que no pondré ninguna pega a que se defienda el
que el Alexandre contiene una lección moral; entiéndase con todo que proclamar que el poema gozó de una
difusión primordialmente escolar plantea un problema: el Alexandre pudo circular en los studia
peninsulares, por supuesto, pero su recepción natural hubo que ser cortesana, el receptor “modelo” de este
texto habría sido el monarca, aquél para el cual fue construido el poema. Es decir que a mi juicio
convendría desplazar el ámbito de difusión del poema, del studium a la corte, de un auditorio universitario
hacia un auditorio compuesto por la élite del reino, por el monarca y su familia, por los grandes clérigos y
los grandes señores cercano del poder» (ARIZALETA, «El Libro de Alexandre: el clérigo cit.», p 79).
Palencia poté forse essere il centro di studio dell’autore ma perché escludere Toledo, «cuyos canónigos
formaban parte del personal de la cancillería»? Soria, «estrechamente conectada a Juan de Osma y también
a Rodrigo Jiménez de Rada, cuna de muchos de los notarios de Fernando III, cuyos aldeanos parece haber
conocido bien nuestro poeta»? O addirittura uno Studio francese o italiano (ivi, p. 82). V. anche Amaia
ARIZALETA, «Aetas alexandrina: les figures d'Alexandre le Grand dans les textes hispaniques des XII e et
XIIIe siècles (avec un excursus sur la datation du Libro de Alexandre», in Hommage à Francis Cerdan,
Françoise Cazal, Michel Moner (éds.), Toulouse 2008, pp. 49-65, p. 51; EAD., La translation cit., p. 256.
Nel suo «Las estorias de Alexandre: Rodrigo Jiménez de Rada, historiador de Alejandro Magno»
(in Actas del IX Congreso Internacional de la AHLM, Carmen Parrilla, Mercedes Pampin (eds.), La Coruña
2005, pp. 343-359), l’autrice sembra però concedere qualcosa al legame Alessandro-Palencia, non tanto nel
senso della composizione quanto della conoscenza. Analizzando il comportamento alessandrino nel
Breviarium Historie Catholice, interpretato secondo il suo ultimo editore (RODERICI XIMENII DE RADA –
Juan FERNÁNDEZ VALVERDE (ed.), Breviarium Historie Catholice, Brepols 1992) come libro di testo di
teologia destinato agli studenti di Palencia, la studiosa così scrive (p. 348): «Si Libro y BHC fueron leídos
en las aulas de Palencia, ello significaría que la temática alejandrina hubo de gozar de una acogida
particularmente favorable en este centro de estudios, siendo acaso irrelevante el que Alejandro Magno fuera
puesto en verso o prosa en la misma Palencia o en otro lugar. Si la hipótesis se cumpliera, nos hallaríamos
ante una suerte de simbiosis entre un espacio y un tema. Con todo, por lo que pudiera ser, han de se ñalarse,
además del supuesto fracaso del BHC como libro de texto, las discordancias existentes en la tradición
textual de Alejandro, puesto que Rodrigo y el autor anónimo, amén de poner por escrito distintas
concepciones de la estructura narrativa, no jugaron con las mismas fuentes. […] Importa destacar que [in
entrambe le opere] Alejandro Magno aparece como vector de la monarquía hacia el saber, al figurar en
estos textos información de carácter clerical y también político, que en mil facetas representa el modelo
acabado de un rey sabio y cristiano». Sull'argomento si veda anche Juan A. ESTEVEZ SOLÁ, «Las leyendas
de Alejandro Magno en el Breviarium Historie Catholica del Toledano», in Actas del II Congreso
Hispánico de Latín Medieval (León, 11-14 de Noviembre de 1997), Maurilio PÉREZ GONZÁLEZ (ed.), León
1998, vol. I, pp. 257-283.
In Les clercs au palais. Chancellerie et écriture du pouvoir royal (Castille, 1157-1230) (Amaia
ARIZALETA, Paris 2010, scaricabile in formato elettronico all'indirizzo http://e-spania.revues.org), infine, il
nome di Palencia ritorna, anche se il suo legame con il LdA è una allusione possibile la cui formulazione
9
suggerimenti sparsi, da Willis a Michael, che orientavano o meglio adombravano la possibilità
di orientare l’interpretazione dell’opera nella direzione di uno speculum principis.
Recentemente poi, nel 2006, la monografia realizzata per ottenere l’Habilitation à diriger des
recherches a l’Université de la Sorbonne, pubblicata solo nel 2010 con il titolo Les clercs au
palais. Chancellerie et écriture du pouvoir royale (Castille, 1150-1230) 2, ha posto un altro
punto fermo nella storia scientifica della studiosa – che costituirà probabilmente al tempo
stesso un punto di arrivo e di partenza per ulteriori approfondimenti così come lo era stata la
Translation3 – delineando i contorni di quello che, a suo parere, dovrebbe essere anche il
contesto di scrittura del LdA, vale a dire il mondo della cancelleria castigliana della quale si
segue la storia, attraverso testi e documenti, dal 1157 al 1230. Il risultato di questo lungo
scavo testuale è, nelle parole della stessa autrice, «una lectura contextual y política del
Alexandre»4.
esplicita è lasciata alla volontà o meno del lettore di stabilire legami fra le varie affermazioni (p. 58):
«Palencia offrait un cursus probable à ceux qui voulaient faire carrière; Palencia était de ce fait une
pépinière d’écrivains royaux. Ils pouvaient possiblement y apprendre le droit; sans aucun doute, ils y
faisaient l’acquisition des connaissances du trivium, et peut-être allaient plus loin».
2
V. nota 1. La monografia è stata preceduta da Amaia ARIZALETA, «La alianza de clerecía y monarquía
(Castilla, 1157-1230)», in Actas del IX Congreso Internacional de la AHLM (León, 20-24 de septiembre
2005), Luzdivina Cuesta Torres (ed.), León 2007, pp. 239-248; EAD., «L’écriture de clergie au XIIIe siècle:
un model culturel périphérique ou une exigence du centre?», in Relations entre identités culturelles dans
l’espace ibérique et ibéroaméricain, I. Le centre et la périphérie, Augustin Redondo (éd.), Cahier de l’UFR
d’études Ibériques et Latino-Américains, 10 (1995), pp. 13-19; EAD, «Ecriture de clergie. De la charte à la
littérature (Castille, XIIe-XIIIe siècle)», e-Spania, 2 (Décembre 2006) (http://e-spania.revues.org); EAD, «La
parole circulaire du roi. Textes diplomatiques, historiographiques et poétiques (Castille, 1157-1230)»,
Cahiers d'Etudes Hispaniques Médiévales, 31 (2008), pp. 119-133; EAD, «Le bonheur d'écrire chez les
clercs de la cour de Castille: le prologue en vers du Forum Conche», in Actes de la journée d'étude “Le
plaisir des formes” (22 octobre 2007), Monique Güell (éd.), Toulouse 2009, pp. 23-33.
E seguito da: EAD., «Topografía de la memoria palatina: los discursos cancillerescos sobre la
realeza (Castilla, siglos XII y XIII)», in Memoria e historia: utilización poética en la Corona de Castilla al
final de la Edad Media, Jan Andani Fernández de Larrea Yrojas – José Ramón Díaz de Durana Ortiz de
Urbina (eds.), 2010, pp. 43-58; EAD., «Teoría política en textos literarios, literatura en textos poéticos
(siglos XII y XIII)», in Estudios sobre la Edad Media, el Renaimiento y la temprana modernidad, Jimena
Gamba Corradini – Francisco Bautista Pérez (eds.), 2010, pp. 35-42.
3
Questi i titoli successivi: Amaia ARIZALETA, «Le centre introuvable: la Babylone castillane du Libro de
Alexandre», Licorne, 34 (1995), pp. 145-154; EAD., «La figure d'Alexandre le Grand comme modèle
d'écriture dans la littérature médiévale castillane», in Alexandre le Grand dans les littératures occidentales
et proche-orientale (Actes du colloque de Paris, 27-29 novembre 1997), Laurence Harf-Lancner – Claire
Kappler – François Suard (éds.), Paris 1999, pp. 173-186; EAD., «Alexandre en su Libro», La Corónica,
28.2 (2000), pp. 3-20; EAD., «Del texto de Babel a la biblioteca de Babilonia. Algunas notas acerca del
Libro de Alexandre», in La fermosa cobertura. Lecciones de Literatura Medieval (Actes du colloque, 9-10
mars 1999), Francisco Crosas (ed.), Pamplona 2000, pp. 35-69; EAD., «Comment Alexandre le Grand
gagna l'Espagne», Pallas, 63 (2003), pp. 79-88; EAD., «De la soberbia del rey: dos formas breves en la
construcción historiográfica», in Tipología de las formas narrativas breves (3-5 septembre 2002), Juan
Manuel Cacho Blecua – María Jesús Lacarra (eds.), Zaragoza-Granada 2004, pp. 79-110; EAD., «Las
estorias cit.»; EAD., «Imágenes de la muerte del rey: Libro de Alexandre y Chronica latina regum
Castellae», RILCE, Revista de filología hispánica, 23.2 (2007), pp. 299-317; EAD., «El Libro de Alexandre:
el clérigo cit.»; EAD., «Aetas alexandrina cit.».
4
EAD., «El Libro de Alexandre: el clérigo cit.», p. 74.
10
Per quel che riguarda il primo aspetto è ferma convinzione di Arizaleta che il LdA
formò parte «de una red de textos escritos en un período relativamente breve, en un ambiente
semejante, con un destinatario común, y de que muy pronto fue considerado como modelo de
escritura y de representación ideológica»5. In quest’ottica, il mester de clerecía si
configurerebbe come «una manifestación particular de las prácticas escriturarias propias de la
clerecía o comunidad de clérigos letrados». Questa rete di testi, attraverso i quali Alfonso VIII
e Fernando III «ont édifié un monument à leur propre gloire»6, si sviluppa in un periodo che
va dal 1157 al 1230, cioè dal regno di Sancho III a quello di Fernando III prima che assuma il
doppio titolo di re di Castiglia e León (comprendendo quindi i regni di Alfonso VIII e Enrico
I), ed è costituita da7: i documenti delle collezioni diplomatiche; il Poema de Benevívere
(1176-1214); la Crónica Naiarensis (ca. 1160-1180); il doppio prologo del Forum Conche; il
Libro de Alexandre; il Liber Regum (primo ventennio del XIII sec.); la Chronica Regum
Castellae (1230 e post 1236). Sullo sfondo si evocano: la Chronica Adelfonsi imperatoris (ca.
1147); il Cantar de mio Cid; il Breviarium Historiae Catholicae; il Planeta di Diego García
de Campos (1218); gli Anales Toledanos Primeros; il Chronicon mundi di Lucas de Tuy
(1232-1236) e la Historia de Rebus di Jiménez de Rada (1237/38-1243) 8. «[Essi] sont autant
de formes d’une architecture historique et idéologique, aussi bien que littéraire, qui fut
imaginée à la cour du royaume de Castille, à l’ombre du roi»9.
Attraverso l’esperienza di studio dei Miraculos romançados della fine del XIII sec.10,
l’autrice ha scoperto la via che dalla carta documentaria notarile può condurre alla “carta”
5
Ibidem.
6
ARIZALETA, «Aetas alexandrina cit.», p. 55. Cfr. anche EAD., «La figure cit.», p. 186, dove si afferma che
il discorso letterario è discorso sulla monarchia; e EAD., «Imágenes de la muerte cit.», p. 306: «La memoria
de la monarquía castellana reposa, creo, en el Alexandre, que participó en la carrera contra el olvido
protagonizada por la escritura. Este poema fabricó una imagen escrita de la élite».
7
EAD., Les clercs au palais cit., pp. 18-24.
8
Per tutte le indicazioni bibliografiche relative ai tesi citati rimando a ibidem.
9
Ivi., p. 5.
10
EAD., «Legitimar la falsificación: la autoridad del rey y la autoridad del escribano (en torno a Pero Mar ín
y algunos textos de Silos», Cahiers de linguistique hispanique médiévale, 29 (2006), pp. 453-468; EAD.,
«La memoria del monarca. Alfonso X, testigo de Pero Marín (Miraculos romançados, 4)», in De la lettre à
l'esprit des textes médiévaux espagnols. Hommage à M. García, Carlos HEUSCH (éd.), Paris 2006, pp. 25-
74; EAD., «De monjes y de monarquía: comentarios en torno a Miraculos romançados, 4», in El monacato
en los reinos de León y Castilla (siglos VII-XIII). X Congreso de Estudios Medievales (León, 26-29
septiembre 2005), Ávila 2007, pp. 479-495. Quello preso in esame è un micro-corpus composto da un
racconto agiografico e due privilegi reali relativi al monastero di Santo Domingo de Silos; attraverso lo
scritto Pero Marín costruisce la memoria del monastero, e a questo processo concorrono anche i testi
documentari: «[Si tratta di] un ejemplo, uno más de la alianza entre la monarquía y los señores del escrito,
y por tanto de la eficacia y versatilidad de la escritura como instrumento de legitimación» (EAD.,
«Legitimar cit.», p. 2).
11
letteraria11; cambiando di contesto ha potuto così verificare che «dans les chartes du roi [si
poteva scorgere] la présence de thèmes épiques et romanesques. […] Je trouvais dans les
diplômes de la chancellerie royale des principes concrets d’organisation, de constitution et de
déploiement d’un monde»12 ; e che, all'evenienza, «des textes à fonction administrative
puissent se transformer en textes à fonction esthétique»13.
Quanto al secondo aspetto della sua interpretazione, quello politico, elemento di
coesione di questo corpus apparentemente eterogeneo sarebbe la figura del monarca:
Todos los textos […] se organizan en mayor o menor medida, obsesivamente unos y de modo
tangencial otros, en torno al rey […] espejos ficcionales de un modelo reiterado, el del rey
bien aconsejado, buen guerrero, digno eslabón de un linaje, poderoso entre sus pares, y,
también, monarca cercano a sus clérigos escribientes, individuo consciente del valor y
función de la escritura, impulsor eficaz de lo escrito14.
Una prospettiva questa che non è esclusiva dello spazio castigliano e peninsulare, «lo que
confirmaría la internacionalidad de la cultura promovida desde el trono castellano a fines del
XII y principios del XIII»15.
In questo contesto «el clérigo letrado que lo compuso dio alas al programa de gobierno
de un monarca peninsular – acaso Alfonso VIII de Castilla; con más visión de veracidad,
Fernando III»16. L’autore sarebbe dunque un «clérigo al servicio del rey», un «clérigo de
palacio, acaso miembro de la cancillería»17, un chierico che «a dû vouloir écrire pour le roi,
lui plaire, l’inspirer, gagner son estime»18 in nome di
11
«Ce sont les notaires qui ont fait les langues vernaculaires» (EAD., «Ecriture de clergie. De la charte cit.»,
p. 4): e mi sembra un’affermazione facilmente verificabile in vari ambiti delle letterature volgari.
12
Ivi, p. 3.
13
EAD., Les clercs au palais cit., p. 101
14
EAD., «La alianza cit.», p. 240. E ancora: «Me gustaría pensar que la clerecía especializada creó un
espectáculo duraduro del poder real, espectáculo visible, audibile y legible, vivido en la corte, e inspirado
por el monarca. […] Comparten los textos de mi corpus tal convicción de no ser sino pretextos de la
representación de los hilos que los sustentan. (ivi, p. 241); « […] Ese labor, ese ‘mester’, por la propia
capacidad e intereses de los clérigos de la corte, hizo de la cancillería el laboratorio de una escritura
ficcional, compleja, ciertamente literaria» (ivi, p. 244).
15
Ivi, p. 240.
16
EAD., «El clérigo cit.», p. 74.
17
Ivi, p. 81.
18
EAD., «Aetas alexandrina cit.», p. 55.
12
recompensa al clérigo, económico e intelectualmente, al garantizarle la eficacia de su “mester”
y avalar el espacio de la realización del mismo: el texto 19.
Il LdA si configurerebbe allora «como espejo de príncipes y también como canto a la gloria
del individuo real» diretto a Fernando III20 ma nel ricordo di Alfonso VIII. In tal modo esso si
collocherebbe al centro di una rete complessa di interessi molteplici: quello certamente del
monarca, che fra le sue coplas sentiva risuonare un'eco chiara della sua fede cristiana e della
sua determinazione guerriera; ma anche quello dell'autore e di una particolare categoria di
recettori, rispetto ai quali il Libro era concepito dal primo e ammirato dai secondi come un
mezzo di promozione sociale – atteggiamento questo rivelato dall'insistente discorso sulla
fama.
il apparaitraît que la fiction poétique et encyclopédique fut choisie par le clerc anonyme qui
composa le LdA pour, tout en parlant d’une monarchie antique et universelle, rappeler à ses
auditeurs la figure du grand-père guerrier qui devait se réincarner dans le petit-fils. Cette
œuvre aurait accompagné, selon des modalités qui restent à étudier et définir, l’appropriation
par Ferdinand de la figure du combattant chrétien et du monarque puissant. Le LdA, poème
monarchique, aurait participé à la construction dans la longue durée de l’image d’une royauté
conquérante, pieuse, courtoise, savante21.
È lo stesso spirito che si registra anche parallelamente nella produzione documentaria, dove
«Ces diplômes, chroniques, préfaces à des textes de loi, dont la littérarité est conditionnée,
19
EAD., «La alianza cit.», p. 246.
20
EAD., «El clérigo cit.», p. 75. Quanto alla cronologia del LdA, si registra un’evoluzione nel corso degli
anni nella posizione della studiosa, partita da una datazione d’inizio ‘200 nel 1999 (EAD., La translation
cit., p. 259) e approdata infine alla decade 1220-1230, cioè il periodo di tempo che ha ricevuto i maggiori
consensi. Cfr. anche EAD., «Aetas alexandina cit.», pp. 57-58.
Pur optando sostanzialmente per una lettura pro-castigliana, l’autrice, almeno in un'occasione, non
esclude del tutto una seconda possibilità che, per correttezza d’indagine, va comunque considerata: quella
cioè di un legame con la monarchia leonese, in particolare con Alfonso IX (riconsiderando cosí
l’attribuzione a Juán Lorenzo d’Astorga). Uno degli elementi testuali che potrebbero suggerire
un’associazione del genere sarebbe la descrizione del leone sullo scudo di Alessandro: «En años de
enfrentamientos acusados entre los dos Alfonsos, el castellano y el leonés, un poema en el que el joven
conquistador es descrito con frecuencia como un león victorioso, podría haber desempeñado un papel
político, sugiriendo la supremacía de un reino frente al otro» (EAD., «El clérigo cit.», p. 76). Tuttavia la
comparazione di Alessandro con l'elemento leonino mi sembra un motivo così comune di questa materia da
non poter alimentare dubbi circa interpretazioni di questo tipo.
21
EAD., «Aetas alexandrina cit.», p. 55.
13
sont des textes de propagande»22. Letteratura e documentazione, quanto alla loro origine,
puntano entrambe verso un luogo preciso, e questo è:
La chancellerie [...] où des clercs se réunissaient au palais, pour écrire. Ces clercs disposaient
de la technique scripturale, se trouvaient au bon endroit au bon moment, servaient leur roi par
leur savoir. […] Mon hypothèse […] est que la chancellerie castillane fut un ouvroir de
littérature au tournant des XIIe et XIIIe siècles, bien avant Alphonse X le Sage. Les textes de la
chancellerie se situent en amont d’une bonne partie de la production cléricale qui vit le jour en
Castille dès le début du XIIIe siècle, et ils sont à mon avis à l’origine d’autres textes, plus
nettement reconnaissables comme appartenant au «littéraire»23.
A questa immagine luminosa della ''felicità di scrivere'' dei clercs vorrei però affiancare quella
più chiaroscurata proposta da Martin Aurell per la corte plantageneta:24
14
meurtre» (Epistulae, n. 6). [...] A la fin de ses jours, Pierre qui a décidé de se retirer du monde
remet en cause son existence toute entière; seuls, dit-il, l'amour-propre, l'ambition aveugle et
le désir de faire fortune l'ont poussé à entrer au service d'Henri II, cause de tous ses malheurs
(Epistulae, n. 77). [...] Gautier Map pousse plus loin le raisonnement. Pour lui, la cour n'est
pas seulement un lieu de perdition, mais de souffrance. […] «Quel supplice y a-t-il en enfer
qui ne soit pas amplifié à la cour?» (De nugis, I, 2). Le pire d'entre eux et assurément
l'impossibilité de toute création littéraire ou de toute réflexion profonde et soutenue, dans ce
milieu que les Muses ont complètement déserté.
Tornando ad Amaia Arizaleta e alla sua ''elegia'' della cancelleria, la studiosa prosegue così:
«La chancellerie ressemblait à la schola: elle était fréquentée par les magistri. Hugo, Juan,
Gerardo, Mica, tous prirent soin de consigner leur qualité de maîtres»25. E a ulteriore riprova
vengono ricordate le sottoscrizioni ad es. dell’ottobre 1165, «Remondus scripsit iussu magistri
Hugonis, cancellarii regis», o dell’aprile 1185, «Magister Mica, regis notarius, Gutierro
Roderici existente cancellario, scripsit». Ma si faccia attenzione perché un'affermazione di
questo tipo potrebbe essere fuorviante: il titolo magister si applica in epoca medievale ai più
svariati personaggi che nulla hanno a che fare con il mondo della schola, dal medico al
falegname; e nel caso particolare magister è il titolo che qualsiasi notaio si sarebbe auto-
attribuito nella sua sottoscrizione26.
Di questa corte e di questa cancelleria, inoltre, dobbiamo ricordare anche
qualcos’altro, un qualcos’altro che si rivela fondamentale per la corretta valutazione della tela
di fondo su cui sarebbe proiettato il LdA:
Nous ne savons pas vraiment ce qu’était la cour des souverains castillans au Moyen Age
central, alors que les cours des royaumes d’Angleterre, de Navarre ou d’Aragon, au cours de la
même période nous sont relativement bien connues. […] Nous ignorons quelles étaient les
structures de la société de cour en Castille au tournant des XII e et XIIIe siècle. […] Il est
pratiquement impossible de déterminer de quel palais concret nous parlons. […] Là où se
trouvait le roi, se trouvait le palais. […] La figure du clerc lettré nous est familière, mais elle
reste toujours dans une sorte de brouillard, qui s’épaissit lorsqu’on évoque les clercs de cour.
Vrais fantômes, ils nous sont peu connus, au moins dans la période qui m’occupe.
Vale a dire, la corte castigliana di questa prima metà del XIII sec. resta fondamentalmente,
non solo nei particolari ma anche in alcuni dati essenziali, un fantasma al pari di quello
rappresentato (v. oltre) dallo studium di Palencia; un fantasma ben diverso dalle immagini in
25
ARIZALETA, Les clercs au palais cit., p. 59.
26
Nei suoi studi dedicati alla formazione culturale del clero cattedralizio nella Castiglia fra X e XIII sec. (v.
oltre) Susana GUIJARRO GONZÁLEZ registra un totale di 333 riferimenti a magistri fra il 1011 e il 1290, ma
di questi solo 37 sono definiti magistri scolarum («Masters and Schools in the Castilian Cathedrals during
the Spanish Middle Ages, 1000-1300», Medieval History, 4 (1994), pp. 238-241, p. 226). Altre definizioni
potevano essere quelle di capiscol, maestrescuela, capiscola.
15
carne e ossa, ricche di forme e colori, della più tarda corte alfonsina e della precedente corte
plantageneta.
Due sarebbero le importanti questioni di natura politica intessute nella trama del
poema: il problema della legittimità di un sovrano – problematica assai sentita nella Castiglia
dell’epoca27 – e il tema del monarca superbo; alle quali, nell’ottica di una lettura in chiave
regale del testo, si dovrebbe aggiungere il discorso sulla conquista/Reconquista.
Per quel che riguarda il primo punto, la costruzione a partire da fonti differenti della
prima sezione del poema, cioè quella che si estende fino alla cerimonia di auto-investitura 28,
sarebbe segnata dalla volontà di rimarcare che Alessandro è figlio di Filippo e ha pertanto
diritto al trono; l’obbiettivo dell’autore emergerebbe in modo così lampante che «poco
importa pues, quizás, el que la sombra de Nectanabo 29 no desaparezca del todo del poema.
[…] Los inicios del texto están marcados por la sanción autorizada del monarca, qui designa a
su heredero, y por la adhesión de los vasallos, que legitiman igualmente al nuevo rey»30; «la
succession est légitime: la parole du roi importe plus que le sang»31.
È un punto questo rispetto al quale dissento radicalmente dalla studiosa: ciò che
colpisce, se si vuole entrare appunto in un’ottica politica, è l’assoluta gratuità ai fini
dell’intreccio, e della presunta costruzione ideologica, dell’inserzione di un particolare tanto
27
Sul tema nella storiografia duecentesca, con particolare riferimento all'opera di Juan de Osma, si vedano i
contributi di Ana RODRÍGUEZ LÓPEZ, «Sucesión regia y legitimidad política en Castilla en los siglos XII y
XIII. Algunas consideraciones sobre el relato de las crónicas latinas castellano-leonesas», in Isabel Alfonso
Antón (ed.), Lucha política. Condena y legitimación en la España medieval, Lyon 2004, pp. 21-41; EAD.,
«History and Topography for the Legitimisation of Royalty in Three Castilian Chronicles», Maiestas, 12
(2004), pp. 61-81; EAD., «Légitimation et discours sur la croisade en Castille aux XII e et XIIIe siècles»,
Journal des savants, janvier-juin 2004, pp. 129-163; EAD., «Modelos de legitimidad política en la
Chronica Regum Castellae de Juan de Osma», e-Spania, 2 (Dicembre 2006) (http://e-spania.revues.org), in
part. p. 13: «Para poder reinar, la transmisión del reino de padre a hijo […] debe contar necesariamente con
una condición de legitimidad expresa […]. La legitimidad canónica de los matrimonios aparece como una
obsesión para el cronista». Cfr. anche Francisco Bautista, «Escritura cronística e ideología histórica: la
Chronica latina Regum Castellae», e-Spania, 2 (Dicembre 2006).
28
Sulle radici storiche di questo elemento narrativo v. oltre
29
Sul personaggio di Nettanabo si veda Catherine GAULLIER-BOUGASSAS, «Les mystifications de
l’enchanteur Necatanabus et les ‘origines’ des Romans d’Alexandre du Pseudo-Callisthène et de Thomas de
Kent», in Deception. Mystification, tromperies, illusions de l’Antiquité au XVII e siècle, 3 voll., Montpellier
2000, t. 2, pp. 339-366; EAD., «Nectanabus et la singularité d’Alexandre dans les Romans d’Alexandre
français», in Alexandre le Grand dans les littératures occidentales et proche-orientales. Actes du Colloque
(Paris, 27-29 novembre 1999), Laurence Harf-Lancner, Claire Kappler, François Suard (éd.s), Nanterre
1999, pp. 303-319.
30
ARIZALETA, «El clérigo cit.», p. 85. Cfr. anche EAD., «Aetas alexandrina cit.», p. 62; EaD, La translation
cit., pp. 234-237.
31
EaD., La translation cit., p. 234.
16
inquietante per un re32. Piuttosto, rispetto alle letture che vedono un’immagine “totalmente”
positiva di Alessandro nella prima parte del poema, a cui farà da contrappunto la parabola
discendente della seconda, proporrei di considerare quest’elemento volontariamente aggiunto
dal poeta castigliano rispetto alla sua fonte latina come il tentativo (riuscito) di gettare
un’ombra sul suo eroe fin dal principio, di creare una sorta di peccato originale del
protagonista. Un duplice peccato, potremmo dire passivo e attivo: il peccato “subito” di essere
figlio illegittimo – peccato particolarmente grave per qualcuno destinato a diventare re –, e
quello “attivo” di aver ucciso il proprio padre. Perché la carica di ambiguità posseduta dalle
coplas castigliane non ha nulla a che fare con le citazioni accompagnate da smentite degli altri
testi:
Sappiamo che Dio – e sottolineo Dio pensando alla volontaria alterazione da parte
dell’anonimo delle modalità di intervento di Natura (v. cap. II.5) – non lo lascerà vivere. Così
32
L'ombra dell'illegitimità non rappresenta un ostacolo neanche per Marta Haro Cortés, che in un'e-mail del
7 ottobre 2010 mi scriveva al proposito: «Como bien sabe la figura de Alejandro se convirtió en un ejemplo
a lo largo de la Edad Media. Por lo que se refiere a los espejos de príncipes, debe pensar que en estas obras
tienen el mismo valor ejemplar y de enseñanza tanto el comportamiento perfecto (y por tanto que debe
imitarse), como la conducta improcedente (que debe rechazarse) Es decir, la ejemplaridad puede ser igual
de efectivo, tornando en sentido positivo, lo que hay que emular, como en negativo, lo que no hay que
hacer. Así pues, los vicios o las malas acciones, o la no legítimidad pueden tener una función sapiencial
como contrapunto negativo».
33
Conservo, rispetto al più conservativo García López, le letture di Casas Rigall.
17
come le ultime parole del padre “ufficiale”, Filippo, suonano come un tragico annuncio, e
contrario, di quel che sarà:
[Thomas] est aussi le premier à relater dans un romanz les amours de Nectanabus et
d’Olympias et donc la conception illégitime d’Alexandre. Il s’agit là d’une «révolution» par
rapport aux textes continentaux. […] La bâtardise est alors considérée comme une souillure
irrémédiable qui rend le héros indigne de l’exercice du pouvoir royal. [Questo atteggiamento]
est peut-être aussi à relier avec la moindre importance du discours politique dans l’Alexandre
anglo-normand. Thomas de Kent ne construit pas explicitement son œuvre comme un miroir
de prince, il ne cherche pas à modeler le portrait de son héros sur les idéaux politiques de son
époque34.
Catherine GAULLIER-BOUGASSAS – Laurence HARF-LANCNER, «Introduction», in Chevalerie, pp. XVII-
34
XVIII.
18
L'osservazione è tanto più pertinente per il nostro caso perché, passando dal testo al contesto,
il clima politico dal quale è emerso il LdA è un clima che, come hanno ben delineato
recentemente gli studi di Ana Rodríguez35, era tormentato dal problema della definizione della
legittimità. La Castiglia del XIII sec. è assillata da un dilemma: «Qué tiene mas fuerza
legitimadora, la elección directa por el rey de quién debe ser su sucesor o la aceptación previa y
vinculante por parte de las fuerzas del reino de uno de los candidatos?»36.
In questo contesto, nelle cronache latine del XIII sec., «todas las transferencias de
poder en los reinos son crisis de gran envergadura»37. In questo contesto, nella Chronica
Latina Regum Castellae, «lo que es legítimo se convierte en el argumento clave»: legittimità
dei matrimoni, legittimità dei discendenti, legittimità delle cause che scatenano una guerra 38.
In questo contesto, afferma Georges Martin con particolare riferimento alle cronache del XIII
sec., soprattuto quelle di Lucas de Tuy e Rodrigo Jiménez de Rada:
35
V. bibliografia a nota 27.
36
RODRÍGUEZ LÓPEZ, «Sucesión regia cit.», p. 33
37
Ivi, p. 34.
38
E il cap. III di Doce sabios, opera composta intorno al 1237 per volontà di Fernando III, recita: «Que el
rey o regidor del reino debe ser de sangre real. Primeramente dijeron estos sabios que fuese de la sangre
real, per cuanto no sería cosa cumplidera ni razonable que el menor rigiese al mayor, ni el siervo al señor. Y
más razón es que el grado dependa de la persona que la persona del grado. Y cualquiera que ha de regir
reino, requiere a su señoría que sea de mayor linaje y de m ás estado que los que han de ser por él regidos,
porque a cada uno no sea grave de recibir pena o galard ón por el bien o mal que hiciere; y non hayan a
menguar los súbditos a su regimiento de ser regidos y castigados por él, nin de ir so su bandera cuando
cumpliere».
39
Georges MARTIN, «Linaje y legitimidad en la historiografía regia hispana de los siglos IX al XII», e-
Spania, giugno 2011 (http://e-spania.revue.org); cfr. anche, oltre ai già citati lavori di RODRÍGUEZ LÓPEZ,
ID., Les juges de Castille. Metalités et discours historiques dans l'Espagne médiévale, Paris 1991; Peter
LINHEAN, History and the Historians of Medieval Spain, Oxford 1993; Francisco BAUTISTA (ed.), El relato
historiográfico: textos y tradiciones en la España medieval, London 2006.
19
Ricordo anche che il cap. III del Libro de los doce sabios, opera composta intorno al 1237 per
volontà di Fernando III, significativamente recita così:
Que el rey o regidor del reino debe ser de sangre real. Primeramente dijeron estos sabios que
fuese de la sangre real, per cuanto no sería cosa cumplidera ni razonable que el menor rigiese
al mayor, ni el siervo al señor. Y más razón es que el grado dependa de la persona que la
persona del grado. Y cualquiera que ha de regir reino, requiere a su señoría que sea de mayor
linaje y de más estado que los que han de ser por él regidos, porque a cada uno no sea grave de
recibir pena o galardón por el bien o mal que hiciere; y non hayan a menguar los súbditos a su
regimiento de ser regidos y castigados por él, nin de ir so su bandera cuando cumpliere.
Per questo motivo, ripeto, non concordo con l’interpretazione di Amaia Arizaleta la quale
conclude:
L’auteur de l’Alexandre respecte ce qui est écrit. Dans ses sources il a trouvé une information
que, selon la logique du récit, et sa propre conception de la cohérence narrative, il ne peut pas
refuser. Il tire le matériel sur l’adultère d’Olympias, mais il ne saurait rejeter tous les éléments
de cette rumeur. C’est pourquoi l’introduction de quelques renseignements sur la paternité de
Nectanabus est intrinsèquement nécessaire á l’œuvre. Toutefois, c’est la signification
orthodoxe qui semble prévaloir et c’est le poète qui trouve les termes pour dire ce que ses
modèles ne disaient pas. La scène de la passation est fondatrice; c’est l’auteur anonyme qui l’a
conçue40.
El motivo del imperio y del deseo de imperar pudo encontrar una representación óptima en el
poema, donde brilla el afán y la voluntad de conquista, mediante el ejemplo de un Alejandro
victorioso, y donde se ilustran los peligros de la codicia mediante el contraejemplo de un
Alejandro atenazado por la pasión de dominar, por la soberbia 42.
40
ARIZALETA, Les clercs au palais cit., p. 234.
41
ARIZALETA, «El clérigo cit.», p. 92. Le immagini e le espressioni legate alla superbia regia sono frequenti
anche nell’opera di Juan de Osma.
42
Ivi, p. 93.
20
Ma, come cercherò di dimostrare alla fine di questo panorama, la soberbia alessandrina è una
soberbia luciferina – tanto è vero che le figurae, in senso tipologico, del nostro personaggio
sono Lucifero, Adamo, i costruttori della torre di Babele e Ulisse – e non già una superbia da
conquistatore; una superbia cioè che ha ben poco a che fare con quella di cui potrebbe cadere
vittima un sovrano. Inoltre è a mio avviso tutta da rivedere la seguente affermazione, legata
allo studio della leggenda della “judía de Toledo” di Alfonso VIII:
Alphonse apparaît, dans les chroniques des XIIIe et XIVe siècle, comme un roi superbe, avatar
hispanique d’Alexandre l’orgueilleux. Les textes historiographiques du XIII e siècle témoignent
d’un revirement narratif: alors que dans le premier tiers du siècle, les chroniques chantent les
louanges d’Alphonse VIII le conquérant, à la fin du XIII e siècle ce même monarque incarne la
superbe royale. On gagnerait à comparer cette évolution avec celle qui concerne l’image de
Alexandre le Grand, à la même période, dans le même espace culturel: au début du siècle,
l’image du roi grec, alors caractérisée par sa puissance guerrière et par ses victoires, envahit
les textes; en revanche, à la fin du XIII e siècle, Alexandre fonctionne essentiellement comme
une figure de savoir, symbolisant l’excès de curiosité, agissant comme un contre exemplum
d’arrogance profane43.
Mi sembra però che le ultime parole rappresentino parallelamente la cifra descrittiva perfetta
dell’immagine di Alessandro trasmessa dal Libro, vale a dire da un'opera che, comunque la si
voglia datare, si colloca entro la prima metà del XIII secolo.
Aggiungo che, nella Penisola Iberica, nel contesto strettamente politico, l’immagine di
Alessandro sembra avere una tendenza ad agire tanto da “figura” negativa quanto positiva:
così almeno propone Victoriano Nodar Fernández con la sua lettura del programma
iconografico della cappella del Salvador nella cattedrale di Santiago (realizzata fra il 1075 e il
1080)44, dove sono rappresentati tanto Alfonso VI quanto il vescovo Diego Peláez, fra i quali
non correva buon sangue tanto da arrivare alla deposizione del prelato. Il capitello in cui è
raffigurato Alfonso è affiancato da un altro capitello dominato da un personaggio che tiene per
43
EAD., «Aetas alexandrina cit.», p. 64. Sull’arroganza di Alfonso VIII e la sua leggenda negativa – cioè
l'attribuzione della sconfitta di Alarcos a un suo peccato d'orgoglio – testimoniata per la prima volta
dall'opera di Juan de Osma (prima parte, 1226) e successivamente dal Chronicon mundi di Lucas de Tuy, da
una nota all’Estoria de España, dalla Crónica general de 1344 e dai Miraculos romançados, si veda EAD.,
«Una historia al margen: Alfonso VIII de Castilla y la judía de Toledo », Cahiers d’Etudes Médiévales
Hispaniques, 28 (2005), pp. 37-68; EAD., «De la soberbia cit.». Leggenda analoga si sviluppò intorno a
Alfonso X: cfr. Leonardo FUNES, «La blasfemía del rey Sabio: itinerario narrativo de una leyenda (I)»,
Incipit, 13 (1993), pp. 51-70 e (II), Incipit, 14 (1994), pp. 69-101.
44
Victoriano NODAR FERNÁNDEZ, «Alejandro, Alfonso VI y Diego Peláez: una nueva lectura del programa
iconográfico de la Capilla del Salvador de la Catedral de Santiago», Compostellanum, 45.3-4 (2000), pp.
617-648; ID., Los inicios de la catedral románica de Santiago: el ambicioso programa iconográfico de
Diego Peláez, Santiago de Compostela 2004; ID., «Obispo, Rey y monasterio, una nueva lectura del
programa de la cabecera de la catedral de Santiago de Compostela», in Il Medioevo: la Chiesa e il Palazzo.
Atti del Convegno Internazionale di Studi di Parma (20-24 settembre 2005), Arturo Quintavalle (ed.),
Milano 2007, pp. 484-490.
21
il collo due uccelli, scena identificata dall’autore con quella del volo di Alessandro trasportato
dai grifoni. Considerando i rapporti fra i due personaggi:
No extraña que en esta capilla se haya utilizado la figura de Alejandro como ‘exemplum’ para
Alfonso VI. Este como Alejandro es la personificación de la gloria terrestre y de la soberbia.
Pero Diego Peláez, como comitente de la obra, no podía presentar al rey así directamente, y
entonces, lo hace de una manera indirecta. El rey aparece, de hecho, en una imagen muy
digna, siendo protegido por los ángeles. Pero a la misma altura, en el machón contiguo aparece
la representación de Alejandro con las aves en el momento de su ascensión 45.
22
ripetuta evocazione di questi regni «no puede ser comprendida como mero toque de color;
sino que, a mi entender, estamos […] ante una construcción política. […] La lejana y antigua
Asia aparecía así revestida de los atributos de la Europa contemporánea».49.
In questa ottica di conquista, l’episodio babilonese, costruito secondo la studiosa sul
modello cronachistico della presa di Cuenca da parte di Alfonso VIII (v. Appendice I), si
convertirebbe essenzialmente in episodio “politico”: «la elaboración de un mensaje de
propaganda basado en el espejo de los hechos de un monarca modélico, Alfonso VIII. […]
Babilonia es el objeto del deseo del conquistador desde el inicio de la obra, Babilonia cierra el
poema: el poeta concluye en efecto su relato anunciando el fin de la “estoria del buen rey de
Greçia, señor de Babilonia” (2269cd)»50 . Ma – è necessario tenerlo presente – il tema, con
accenti ossessivi, della conquista babilonese non è un'innovazione castigliana: esso è infatti
già ben attestato nella tradizione francese. Inoltre, quella di Babilonia, è la conquista di un
gioiello meraviglioso e non liberazione né lotta contro il nemico. È soprattutto per questo
secondo motivo che reputo poco convincente il parallelo instaurato con la presa di Cuenca,
questa sì liberata da una novella cattività babilonese. Il concetto espresso dal poema
castigliano è invece del tutto analogo a quello dei versi francesi:
23
representados, en el mismo período de fines del XII, mediante figuras casi idénticas en las
cuales desempeña un papel central Alejandro Magno no puede deberse tan solo al azar»53.
Forse però, proprio la diffusione di queste espressioni e la loro dimensione topica
nell'ambito dell'immaginario politico rendono più deboli gli eventuali legami di parentela.
D'altronde essa è già presente nel dettato latino della fonte:
Lo stesso ricorso alla figura di Alessandro Magno, così come a quella di Giulio Cesare, o i più
letterari paragoni con Rolando, rientrano talmente nell'ambito del topico da non poter
costituire una prova certa a sostegno dell'esistenza di particolari relazioni. Si pensi anche al
fatto che il mondo plantageneta, all'epoca di Enrico II – nonostante l'iscrizione di un verso
dell'Alexandreis sulla tomba del grande sovrano colto – in realtà elesse a proprio avatar
storico-letterario Artù e il suo complesso mondo di bretoni e fate, costantemente evocato nei
propri messaggi propagandistici55. In conclusione:
el Alexandre dio sustancia literaria a la figura del soberano y […] contribuyó a intensificar el
poder del monarca […] El “mester” de nuestro clérigo lo hace partícipe de una porción, aun
mínima, de poder. Y fue en esa intersección entre la ficción historiográfica y la ficción poética,
en ocasiones imperceptible, donde el clérigo anónimo ejerció el servicio del monarca 56.
jusqu’aux confins occidentaux de l’Océan Septentrional». Le citazioni in questa e nella nota precedente
sono tratte da ARIZALETA, Les clercs au palais cit., pp. 225-226.
53
EAD., «El clérigo cit.», p. 100; EAD., «Aetas alexandrina cit.», pp. 58-60; EAD., La translation cit., p.
261; EAD., «Ecriture de clergie: de la charte cit.», p. 6.
54
Aggiungo che uno dei capitoli del Libro de los buenos proverbios, metà circa del XIII sec., si intitola:
«Estos son los ensennamientos de Alixandre, fijo de Philipo el mazedone, e al qual dizien le sennor de los
dos cabos, porque rregno de la parte de Oriente fasta la parte de Occidente».
55
Sul tema si veda l'approfondita analisi di AURELL (L'empire cit., p. 158): «Sous Henri II, et encore plus à
partir du règne de Richard Coeur de Lion, ce rôle est dévolu à Arthus. […] La récupération de ce
personnage dans le champ idéologique des Plantagenêt devient un enjeu politique de premier ordre».
56
ARIZALETA, «El clérigo cit.», p. 103.
24
Para Fernando III57 hubo de ser destinado el discurso sobre la legitimidad del monarca, sobre
la necesidad de la conquista, sobre la moral de gobernar. El Alexandre es, además de una
enciclopedia ética y un resplandeciente relato de aventuras, una apología de la monarquía
guerrera devota y fiel […] Fernando III, aparecería pues, ante los clérigos de su corte, como un
Alejandro redivivo58.
Les textes du roi étaient voués à une diffusion vocale, devant un public de cour, ou
occasionnellement présent à la cour. Une telle lecture était forcément publique puisqu’elle
devait valider le contenu de l’acte et sanctionner le caractère perpétuel de la décision du
monarque59.
57
Cfr. anche EAD., La translation cit., p. 183 e EAD., «Ecriture de clergie: de la charte cit.», p. 3: «Le point
d’inflexion de l’activité des clercs de la chancellerie castillane se situait pendant les vingt dernières années
du XIIe siècle et les quinze premières du XIII e, et […] les pratiques discursives changèrent vers 1220, c’est-
à-dire au temps de la montée sur le trône de Castille du roi Ferdinand III en 1217. […] Et c’est là que le
LdA trouve sa place».
58
EAD., «El clérigo cit.», p. 106.
59
EAD., Les clercs au palais cit., p. 78.
60
EAD., «Del texto de Babel cit.», p. 64.
61
EAD., «Ecriture de clergie: de la charte cit.», p. 4.
62
Si vedano le note successive e EAD., La translation cit., p. 229: «L’Alejandro castillan apparaît comme le
roi qui est perpétuellement en quête de la frontière la plus éloignée, qui cherche à installer son pouvoir sur
des contrées hostiles, comme les rois péninsulaires cherchaient à déplacer les bornes de la domination arabe
sur la terre des chrétiens».
63
EAD., «Aetas alexandrina cit.», p. 54.
64
EAD., «La figure cit.», p. 178.
65
EAD., «Comme Alexandre cit.», p. 81; EAD., La translation cit., pp. 257-259. Cfr. anche, su questo tema,
Erica JANIN, «Estructura arbórea y función de las descripciones del mundo en el Libro de Alexandre»,
Incipit, XX-XXI (2000-2001), pp. 65-80, in part. pp. 78-79; e Gateano LALOMIA, «I consigli di Aristotele
ad Alessandro nel Libro de Alexandre», Troianalexandrina, 2 (2002), pp. 42-71.
25
Sicuramente una delle formule di rappresentazione regali più in voga nelle cronache
latine è quella del re della Reconquista, alimentata in particolare da Fernando III il quale
riesce, su suolo iberico, a far coincidere il discorso di riconquista con quello di crociata,
piegando il messaggio universalistico pontificio a una dimensione territoriale. La capacità di
controllare il territorio e organizzare le frontiere diviene in questo contesto elemento
fondamentale di legittimazione reale66.
I ritratti proposto dal Chronicon mundi di Lucas de Tuy e dalla Historia de rebus di
Jiménez de Rada prevedono che i re «must show obedience to God, defend the Catholic faith,
keep the kingdom in peace, exercise justice and fight the ennemies»67. Per fare un esempio, gli
attributi di Alfonso VI secondo Jiménez de Rada sono: «zelare fidem, dilatare regnum,
exterminare inimicos, concludere adversarios, multiplicare ecclesias, restaurare sancta,
restituire dissipata»68. Si tratta cioè dell'immagine del rex christianissimus:
Mi chiedo però come si potrebbe conciliare questa immagine gloriosa e “integralista” di rex
christianissimus con quella di un sovrano pagano che sconfigge i suoi avversari – avversari
non meno grandi di lui – ma poi li vendica o li perdona, andando a mio avviso al di là
dell'espediente retorico consistente nell'esaltazione dei nemici al fine di rimarcare la
grandezza, ancor più degna di lode, di chi è riuscito a sconfiggerli?
Nonostante questa lettura, allo stesso tempo Amaia Arizaleta – non riuscendo lei stessa
però a sciogliere la contraddizione – avanza in un'occasione l'ipotesi che l’itinerario di
conquista di Alessandro, dal Marocco all’Andalusia, seguendo cioè il medesimo schema
applicato nel De Rebus Hispaniae in occasione della disfatta di Alarcos, avrebbe potuto
66
Ana RODRÍGUEZ LÓPEZ, «La legitimación cit.», p. 160; cfr. anche EAD., La consolidación territorial de
la monarquía feudal castellana. Expansión y fronteras durante el reinado de Fernando III, Madrid 1994.
67
EAD., «History cit.», p. 72.
68
Ivi, p. 73. Si veda anche EAD., «De Rebus Hispaniae frente a la Crónica latina de los Reyes de Castilla.
Virtudes regias y reciprocidad política en Castilla y León en la primera mitad del siglo XIII», Cahiers de
Linguistique et de Civilisation Hispanique Médiévales, 26 (2003), pp. 133-149.
69
José Manuel NIETO SORIA, «Imágenes religiosas del rey y del poder real en la Castilla del siglo XIII», in
España medieval, 9 (1986), pp. 709-730, in part. pp. 717-718.
26
suggerire nell’immaginario dei lettori del XIII sec. un’associazione del re greco con gli Arabi
che avevano attraversato lo stretto di Gibilterra:
Alexandre doit apparaître ainsi très rapidement aux yeux des lecteurs et des auditeurs du
poème comme la définition même du conquérant, puisqu’il revêtait naturellement les habits de
l’envahisseur le plus reconnaissable en Castille, en plus de ceux qu’il portait par sa dimension
mythologique ou symbolique. Alexandre fut par conséquent, par l’auteur anonyme, le vecteur
entre le monde arabe et le monde chrétien, même s’il est placé à un niveau supérieur ou
englobant: ne reçoit-il pas les tributs du Maroc et de l’Espagne […] comme témoignage de
vassalité?70
Ma: «Il est certain aussi qu’un problème se pose: comment résoudre l’antithèse antre
l’Alexandre modèle de monarchie chrétienne et l’Alexandre figure de l’envahisseur
musulman? La question est difficile et je n’ai pas de réponse concluant à proposer».71 Di
fronte a tante contraddizioni risulta allora assai più convincente la seconda proposta di lettura
di questo viaggio offerta dalla studiosa, vale a dire il percorso di conquista alessandrino come
avatar del viaggio di Ercole. La continuità fra le imprese dei due personaggi, quasi si trattasse
di un testimone passato dalle mani dell'uno a quelle dell'altro pur nella distanza temporale, è
ben sintetizzata dai versi del Roman de Troie72:
70
ARIZALETA, «Comme Alexandre cit.», p. 84.
71
Ibidem.
72
Si veda anche, sull'argomento, François DE POLIGNAC, «Alexandre, maître des seuils et des passages: de
la légende antique au mythe arabe», in Alexandre le Grand dans les littératures cit., pp. 215-225, in part.
pp. 220-222; Réné BASSET, «Hercule et Mahomet», Journal des savants, 1903, pp. 391-402.
73
Martin AURELL, «Le Libro de Alexandre dans son contexte: clergé, royautée et chevalerie lettrée au XII e
siècle», Troianalexandrina, 8 (2008), pp. 59-71.
27
E anche Peter Bly e Alan Deyermond avevano fatto notare, di fronte alla tentazione di
connotare la spedizione in Asia come una sorta di Crociata, il fatto che:
The poem can hardly be an appeal to Spaniards fight in the Holy Hand, since the similar
appeal made by Gautier at the end of his fifth book is suppressed […] The Alexandre,
however, seems to show emotional involvement in the events rather than an explicit
commitment to them74.
Cito ancora Martin Aurell per proporre la sua definizione finale del contesto di scrittura del
LdA in quanto, anche se a una prima lettura superficiale si potrebbe avere l’impressione che
ricalchi più o meno quella di Amaia Arizaleta, essa presenta in realtà alcune sfumature dal
momento che sposta l’attenzione dal re alla corte, offrendo l’immagine sì di chierici al
servizio del re per quel che riguarda l’aspetto prettamente burocratico ma al tempo stesso
assai più indipendenti intellettualmente, e soprattutto coprotagonisti della scena “letteraria”
insieme ai miles litterati75:
Autour de 1200, la Renaissance culturelle, vieille de plus d’un siècle, et le retour aux
classiques latins ont bouleversé les mentalités aristocratiques. La royauté, plus forte que
jamais, développe la bureaucratie pour mieux gouverner. Elle a besoin d’intellectuels, formés á
l’écriture et au droit, pour faire tourner les rouages d’une administration embryonnaire. Auprès
de lui, ces clercs, éduqués dans les écoles urbaines, incarnent le savoir et participent
indirectement au pouvoir de coercition du roi et des nobles de son entourage. Ils diffusent
leurs connaissances autour d’eux, facilitant la formation de laïcs lettrés, maîtrisant le latin,
l’écriture et les classiques. Ces milites litterati écoutent avec passion les exploits des héros
antiques, que les clercs leur servent dans leurs romans dont la matière est de Rome. En
littérature, le personnage d’Alexandre le Grand représente la parfaite symbiose de la
chevalerie et de la clergie, vers laquelle ils tendent de toutes leurs forces. […] Il assume […]
l’archétype du roi savant ou du parfait courtisan, que rêvent alors de devenir les premiers
bâtisseurs d’un Etat de type moderne.
74
Peter A. BLY, Alan DEYERMOND, «The Use of figura in the Libro de Alexandre», Journal of Medieval
and Renaissance Studies, 2 (1972), pp. 151-181, p. 157 in n.
75
L’unione fra sapere libresco e attività militare costituisce infatti la chiave interpretativa del testo utilizzata
da Aurell, il quale conclude: «A la fin du XIIe siècle, le miles litteratus n’est pas seulement le modèle idéale
de quelques intellectuels cléricaux. C’est bel et bien un type social réel» (AURELL, «Le Libro de Alexandre
cit.», p. 69). Esso è anche il filo conduttore di buona parte della monografia dedicata ai Plantageneti:
«L'image que les Plantagenêt ont voulu léguer à la postérité est polymorphe. Elle n'en semble pas moins se
construire autour de deux thèmes: la connaissance et la guerre. […] Pour ces auteurs, le prince apparaît
aussi instruit et sage qu'il est habile et courageux au combat. Il opère en sa personne la parfaite synthèse du
clerc et du chevalier. En définitive, il devient miles litteratus, d'après le modèle prestigieux adopté déjà par
tant de ses courtisans laïcs» (ID., L'empire cit., p. 106).
28
Appendice I
Analizziamo ora più diffusamente i due principali punti di contatto, secondo Amaia
Arizaleta, fra il nostro testo e la documentazione regia; punti di contatto che
giustificherebbero l'immagine di un autore, chierico di corte, con accesso alla ''memoria
storica documentaria'' della corte.
Por mi parte, estimo que el auditorio que asistió a la lectura pública del Alexandre debió de
reconocer en este fragmento una representación muy exacta de la investidura caballeresca del
rey Alfonso. Si fue así, teniendo en cuenta que ni las crónicas palatinas ni los anales dieron
cuenta de las circustancias de dicha ceremonia […] habría que sopesar que el autor del
Alexandre hubiera tenido acceso a dicha información mediante la consulta de los diplomas de
la cancillería, los únicos en evocarla 77.
76
ARIZALETA, La translation cit., pp. 245-250; EAD., «El clérigo cit.», p. 98; EAD., «Aetas alexandrina
cit.», p. 58; EAD., Les clercs au palais cit., pp. 72-75.
77
EAD., «El clérigo cit.», p. 98; EAD., «Aetas alexandrina cit.», p. 58.
78
Juan de Osma, Chronica latina regum Castellae: «Gladium militare in signum milicie, auctoritate
propria, de altare accipit»; Rodrigo Jiménez de Rada, Historia de rebus: «Ipse rex suscepto gladio ab altare
manu propria se accinxit cingulo militari» (cito dai contributi di Amaia Arizaleta). Il particolare era
presente anche nei diplomi della cancelleria.
29
Muñó (particolare questoriportato nella Chronica latina regum Castellae), atto di
dichiarazione di guerra immediata ai musulmani.
79
ARIZALETA, «Le centre cit.»; EAD., «Del texto cit.»; EAD., «El clérigo cit.», pp. 97-99; EAD., «Aetas
alexandrina cit.», pp. 60-61; EAD., «Le bonheur cit.», pp. 23-33; EAD., Les clercs au palais cit., pp. 173-
180, e 226-229.
80
EAD., «Del texto cit.», p. 36: «La disposición del fragmento es tal que Babel aparece como el meollo de
Babilonia y que ésta, a su vez, constituye la columna central del LdA».
81
BLY-DEYERMOND, «The Use cit.».
82
ARIZALETA, «Le centre cit.», p. 146.
83
Per il testo del prologo si veda EAD., Les clercs cit., Annexes. Ne trascrivo solo la parte centrale, ma mi
sembra evidente che lo spirito di queste righe sia assai distante da quello del poema: «Rex itaque tam
nominate auctoritatis, quem a mari usque ad mare regs xristiani nominis hostes, utpote totiens uires eius
experti, et ab eo contusi, solo nomine contemiscunt, cui etiam xristiani principes tamquam superiori
deseruiunt, a quo arma milicie, et colafum probitatis memoriale, videlicet dompnus conradus generosa
proles romani imperatoris, et dompnus aldefonsus rex legionensium, suscepisse se gaudent, et manum eius
deosculasse, postquam obsidione facta post multos laborum cruciatus multis angustijs, abintus afflictus
hostibus, decursis mensibus nouem, conchensem urbem intrauit, eam ceteris preferens, utpote concham
alphonsipolim elegit et preelegit in habitacionem sibi, et ciues eius populum peculiarem sibi adsciuit, ut
quam de seruitute babilonis, et iugo pharahonis armis potencie regalis eripuerat, eliminata idolatrie
spurcicia, liberam et precipuam inter alias in prosperum stabiliret».
30
che, si è già detto, appare più volte fra le righe di Amaia Arizaleta. Ma, personalmente, non
andrei oltre l'attribuzione al dettaglio del valore di anacronismo e medievalizzazione.
L’anonimo elaborerebbe così «un mensaje de propaganda basado en el espejo de los
hechos de un monarca modélico, Alfonso VIII»84; Babilonia è «cabeça del regnado» così
come Cuenca si converte in Alphonsopolis, «l’élue d’Alphonse VIII»85; Babilonia è «pretexto
hiperbólico de escritura»86 per l’anonimo così come lo era stata Cuenca alla fine del XII sec. e
successivamente nella Historia de Rebus; gli abitanti di Babilonia accolgono festanti
Alessandro riconoscendo che la sua venuta è sotto il segno divino, amando il re perché questo
ama il popolo ed esprimendo così la medesima idea che domina il prologo del Fuero. «Ello
vendría a significar que la fuente de información sobre esta materia serían los textos de
cancillería. […] Es éste otro dato más para esbozar la hipótesis de que el clérigo autor del
Alexandre hubiera estado relacionado con tal oficina de palacio»87.
84
EAD., «El clérigo cit.», p. 98.
85
EAD., «Le centre cit.», p. 149.
86
EAD., «El clérigo cit.», p. 98.
87
Ivi, pp. 98-99.
31
I.3
L’eroe del mondo antico
1
Alan DEYERMOND, «The Lost Genre of Medieval Spanish Literature», in Actas del IV Congreso
Internacional de Hispanistas (Salamanca, agosto de 1971), Eugenio de Bustos Tovar (ed.), Salamanca
1982, pp. 791-813.
51
Non è per caso che ho evocato il genere del “romanzo”. Per quel che riguarda la storia
della letteratura iberica: «The existence of an important genre is overlooked. That genre is the
romance: not the romance, or ballad, but the dominant form of medieval fiction»2.
Il problema è in primo luogo linguistico (e non a caso il contributo di Deyermond è
stato redatto in lingua inglese: «The present article could not, of course, have been written in
Spanish, because of this lack of the necessary word») dal momento che non solo il termine
romançe – citato ad es. nel Libro de Apolonio che, per un «sheer chance» è anche un
“romanzo” nel senso di genere letterario – aveva, nel contesto medievale, semplicemente il
significato di poema in lingua volgare (e questa ambiguità è presente anche in ambito
francese), ma in più, in epoca moderna, per quel che riguarda la letteratura iberica, si è
prodotto un definitivo cortocircuiti per l'applicazione dell'etichetta romance alla particolare
composizione poetica breve “popolare”. In un contributo del 2005, Jorge García López si
vede non a caso costretto a ricorrere al termine francese roman per evitare fraintendimenti:
Roman y cuartetas monorimas. Come si può guardare allora alla cuaderna vía una volta
intrapresa questa strada?
This major genre is virtually unrecognized in Spanish literary history. The best works are
often discussed at some lenght, but nearly always in isolation: sub-groups within the genre –
chivalresque romances, sentimental romances – are studied, but then wider connections are
usually overlooked. [...] Above all, there is an almost universal reluctance to accept the
existence of the genre and to study its characteristics 3.
La quartina monorima castigliana, così come l’ottosilabo, è la forma poetica prescelta dal
genere “romanzo” nella sua fase iniziale duecentesca; così come avverrà per il romanzo
francese anche quello castigliano conoscerà il fenomeno della prosificazione: «The medium,
however, makes no difference to the nature of the work: the thirteenth-century Libro de
Apolonio, in cuaderna vía, and the fifteenth-century prose Historia de Apolonio are versions
of the same story within the same genre»4. La cuaderna vía è dunque la forma, non l'essenza5.
2
Ivi, p. 791.
3
Ivi, p. 798.
4
Ivi, p. 797.
5
Non solo, ma l'utilizzo per la materia alessandrina della quartina monorima, illustra convincentemente
Jorge García López, rappresenta un'eccezione alla norma di impiego di questo tipo di verso: «la cuarteta
monorima aparece muy ligada a un tipo de literatura eclesial, de contenido y finalidad didáctica y
catecumenal. […] Sus estrofas se dedican a temas hagiográficos o se adentran por la doctrina en romance.
[...] Se trata de una literatura de combate catecumenal en pro de la Iglesia y la doctrina, y ajena por elección
propia al mundo de los romancistes del siglo XII y de la materia clásica, ámbito por excelencia del roman».
Si giunge così al paradosso per cui: «La obra maestra del género en la España del siglo XIII, la obra
fundacional en la Península, la que los restantes autores admiran, leen y, en ocasiones, copian literalmente,
resulta que se mueve en ámbitos literarios casi por completo ajenos a los que rige la cuarteta monorima en
52
L'impedimento linguistico tuttavia giustifica fino a un certo punto la mancata
elaborazione teorica: dopotutto, afferma Deyermond, benché «French [...] lacks a specific
term for romance, yet French scholars have been able to recognize and study the genre»6. Il
termine roman francese ha anch'esso una dose di ambiguità, designando al tempo stesso una
lingua e un genere; ma si tratta di un'ambiguità più facilmente gestibile rispetto alla
problematica ispanica in cui il termine che comunemente designa un genere proprio di tutte le
letterature europee si associa qui indissolubilmente a un genere radicalmente diverso. Quella
francese è duplicità di significato ben illustrata da Catherine Croizy-Naquet analizzando il
prologo del Roman de Troie ai vv. 37-39 («La voudrai si en romanz metre / que cil qui
n'entendent la letre / se puissent deduire el romanz»):
Le terme roman [...] signifie le passage de metre l'estoire en roman, faisant du roman la
langue de l'histoire et de la vérité. Si roman, par le biais du verbe translater, implique une
opération de traduction, il présuppose encore, dans l'expression metre en roman, une mise en
forme romanesque. [...] Avec le prologue, Benoît expose la validité du roman, langue et
genre7.
idea of fundamental and enduring Spanish characteristics, most eloquently and cogently
expressed in Menéndez Pidal's essay «Carácteres primordiales de la literatura española» [in
“Historia general de las literaturas hispánicas”, Guillermo Díaz-Playa (ed.), Barcelona
1949]. What is more, the uniquely Spanish has been equated with the realistic and the popular,
and this qualities have been seen as the most desirable in a work of art. [...] Much remains to
be done, and one of the largest remaining areas of rugled is the romance. It is understandable
that a genre which emphasizes Spain's European heritage and which lacks local realism,
should have suffered in this way, but its neglect has led to serious consequences 8. [...] Since
that genre is also one of the dominant ones of medieval Europe, this neglect has concealed an
important area in which Spain is part of the European tradition, and has contributed to the
mistaken belief that Spanish literature can be viewed in isolation from the European roots. At
this point, the results of neglecting the romances merge into the cause of the neglect: certain
assumptions about the nature of Spanish literature make it hard to recognize the existence of
the romance as a genre, and the distorted picture arising from that lack of recognition
reinforces the original assumptions9.
el resto de la Romania». Paradosso più o meno eclatante a seconda che, nel proprio orizzonte intellettuale,
si pensi alla cuaderna vía come genus o come medium. In questa prospettiva, il rapporto spesso invocato tra
il LdA e Berceo è in realtà quello tra «dos mundos ajenos entre sí, que desarrrollan posibilidades estéticas y
literarias diferenciadas y divergentes sobre el amplio fresco cultural de finales del siglo XIII» (Jorge
GARCÍA LÓPEZ, «Una cuestión de género. La Biblia en Gonzalo de Berceo y en el Libro de Alexandre»,
Via Spiritus, 13 (2006), pp. 7-17).
6
DEYERMOND, «The Lost Genre cit.», p. 802.
7
Catherine CROIZY-NAQUET, «Prologues et épilogues dans quelques textes historiques du XIII e siècles»,
Bien Dire et Bien Aprandre, 19 (1999 ), pp. 77-90, p. 82.
8
DEYERMOND, «The Lost Genre cit.», p. 803.
9
Ivi, p. 804.
53
Volendo stilare un elenco dei tratti romanzeschi delle prime opere francesi, si citeranno,
seguendo Aimé Petit10:
− l'umanizzazione dell'eroe epico (nel Roman de Thèbes Tideo, nel Roman de Troie
Ettore e poi Troilo);
− il carattere cortese dei combattimenti e il comportamento generoso dei combattenti,
l'associazione di prodezza e amore e la presenza di un pubblico femminile;
− il peso dei personaggi femminili (con l'eccezione del Roman d'Alexandre in cui è
presente solo la figura della donna che combatte, l'Amazzone);
− gli episodi amorosi (con l'eccezione anche in questo caso del Roman d'Alexandre), con
la loro casistica di: amore/sofferenza, amore colpevole, amore fatale e tragico, amore
infelice, amore funesto, amore cortese;
− la creazione di un universo di finzione ed evasione attraverso l'utilizzo
dell'anacronismo.
In conclusione: «C'est en fonction de la présence des éléments amoureux et du rapport
qu'ils entretiennent avec les éléments guerriers que nous pourrons déterminer, pour chaque
oeuvre concernée, l'existence et l'importance d'une démarche romanesque sur le plan de la
structure»11.
Quale infine, in quest'ottica, il giudizio di Deyermond sul LdA? Il medesimo condiviso
da Amaia Arizaleta e Jorge García López: «The LdA could be regarded as a literary epic, but
it is closer in nature to a romance; here again, one of the major sources falls into each
category»12.
54
d’Enéas'', le ''Roman de Troie'', le ''Roman d’Alexandre'', Paris), insieme alla monografia di
Cathérine Croizy-Naquet (Thèbes, Troie et Carthage. Poétique de la ville dans le roman
antique du XIIe siècle, Paris 1994), oltre ai numerosi contributi a firma dei due studiosi – e
non solo – apparsi fra le pagine della rivista Bien Dire et Bien Aprandre pubblicata sotto la
direzione dello stesso Petit dall'Université de Lille, permettono di avere ormai un quadro
chiaro e preciso delle principali, e anche accessorie, problematiche legate a questo sottogenere
romanzesco, vale a dire il roman antique. Ricordo in sintesi nomi e date di questo corpus:
- Alexandre di Alberic de Pisançon, primo terzo del XII sec.
- Roman de Thèbes, 1150 ca.
- Roman de Brut, 1155 ca.
- Roman d’Enas, 1160 ca.
- Roman de Troie, 1165 ca.
- Roman d’Alexandre nella versione di Alexandre de Paris, 1180-1190 ca.
Ricordo anche brevemente le tappe di formazione del romanzo alessandrino francese:
intorno al 1160 un autore del Poitu rielabora il roman di Alberic dando vita al cosiddetto
Alexandre décasyllabique; alcuni anni dopo Eustache compone un Roman de Fuerre de
Gadres, dedicato a un episodio fittizio – l'assedio di Gaza – durante la campagna del
Macedone nel Vicino Oriente; intorno al 1170 Lambert le Tort compone la pièce orientale del
roman, usando, probabilmente per primo, il verso dodecasillabico o alessandrino; sempre agli
anni ’70 risale un poema sulla morte di Alessandro di cui si conservano solo le prime otto
lasse interpolate nel ms. A, l. 349-356. Intorno al 1180-1185, infine, partendo da questi
quattro testi Alexandre de Paris assembla la biografia completa, in lingua francese, dell’eroe
macedone.
Fra il 1170 e il 1185, poi, si collocano le due mise en roman anteriori alla versione di
Alexandre de Paris, cioè quelle del manoscritto dell’Arsenal (A) e di Venezia (B), da ricordare
in quanto sarebbe proprio B – o meglio un testo vicino ad esso – il riferimento testuale
francese del poema castigliano.
55
III. Ancora sul prologo
Oggetto di innumerevoli letture13 – a partire da quella ancora fondamentale di
Raymond Willis – che hanno sviscerato il significato di ogni singolo sintagma giocando a
volte su sottilissime sfumature legate alla possibile modifica della punteggiatura, le prime
coplas del LdA sono state sempre considerate uno dei punti nevralgici per la comprensione
della poetica alessandrina, e più in generale, nel momento in cui si è voluto attribuire loro il
carattere di manifesto di una scuola poetica, per la definizione del cosiddetto mester de
clerecía.
I termini chiave in particolare delle prime due coplas – mester, pecado, clerecía, curso
rimado, cuaderna vía, silabas cuntadas – sono stati a sufficienza analizzati nelle loro
molteplici sfaccettature.
Ormai apparentemente ben appurata la priorità cronologica del LdA, tanto rispetto al
Libro de Apolonio14 quanto al problematico (per la celebre diatriba sull’autoria alessandrina)
corpus berceano – mentre non sussistevano dubbi circa il Poema de Fernán González che al
LdA attinge esplicitamente – resta ancora non del tutto risolto, e sostanzialmente delegato alla
sensibilità interpretativa di ciascuno, il valore o meno di manifesto collettivo inaugurale del
nostro poema15.
Assodata la precedenza del LdA rispetto al Libro de Apolonio sarebbe necessario
approfondire il rapporto fra i due poemi a partire dalle brevi, ma fondamentali, osservazioni di
Alan Deyermond nel suo Mester es sin pecado16, osservazioni che si inseriscono nell’annoso
dibattito sulla presunta esistenza di due mesteres, de juglaría e de clerezía, radicalmente e
polemicamente contrapposti, con implicazioni anche di natura morale legate
all’interpretazione della parola pecado (v. Appendice 2).
13
WILLIS, «Mester de clerecía cit.»; Ian MICHAEL, «A Parallel Between Chretien's Erec and the Libro de
Alexandre», The Modern Language Review, 62 (1967), pp. 620-628; Angel GÓMEZ MORENO, «Notas al
prólogo del Libro de Alexandre», Revista de literatura, 92 (1984), pp. 117-130; Isabel URÍA MAQUA, «Una
vez más sobre el sentido de la C.2 del Alexandre», Incipit, 10 (1990), pp. 45-63; Francisco ABAD,
«Poéticas castellanas de la Edad Media: la estrofa segunda del Libro de Alexandre», in Actas del III
Congreso de la Asociación Hispánica de Literatura Medieval (Salamanca, 3-6 de octubre de 1989), María
Isabel Toro Pascua (ed.), 2 vols., Salamanca 1994, vol. 1, pp. 71-77; Amaia ARIZALETA, «El exordio del
Libro de Alexandre», Revista de Literatura Medieval, 9 (1997), pp. 47-60; EAD., La translation cit., pp.
156-180; Elena GONZÁLEZ-BLANCO GARCÍA, «El exordio de los poemas romances de cuaderna vía.
Nuevas claves para contextualizar la segunda estrofa del Alexandre», Revista de poética Medieval, 22
(2009), pp. 23-84.
14
Jorge GARCÍA LÓPEZ, «De la prioridad cronológica del Libro de Alexandre», in Actas del II Congreso
Internacional de la Asociación Hispánica de Literatura Medieval (Segovia 1987), 2 voll., José Manuel
Lucía Megías, Paloma García Alonso, Carmen Martín Daza (eds.), Alcalá de Henares 1992, pp. 341-354.
15
Si veda anche J.C. MUSGRAVE, «Tarsiana and juglaría in the Libro de Apolonio», in Medieval Hispanic
Studies presented to Rita Hamilton, Rita Hamilton, Alan Deyermond (eds.), London 1976, pp 129-138.
16
Alan DEYERMOND, «Mester es sen pecado», Romanische Forschungen, 57 (1965), pp. 111-116.
56
Lo stesso Deyermond ben sintetizza i punti di contatto tra LdA, 1-3 e Libro de Apolonio
422-33:
1) The Alexandre poet and Tarsiana are practising a craft (mester) for a public (Alex. 1b, Apol.
433c)
2) The exercise of this craft give pleasure (solaz) to the public (Alex. 3b, Apol. 428a, 430b)
3) It is a craft without sin (sin pecado) (Alex. 2b, Apol. 422c)
4) It involves the skilled use of rhyme (Alex. 2c, Apol. 428c)
5) The mastery (maestrìa) displayed is the result of learning (Alex. 1bc, Apol. 423b)
The concentrations of these resemblances within a few stanzas of each poem suggests strongly, in
the absence of a common source, that Alexandre borrowed from Apolonio or vice versa.
Tanto più che «the Apolonio poet deliberately amplifies his latin source at this point in order
to stress the skill and virtues of the juglaresa»17.
Un discorso più approfondito, che esula da questa sede, richiederebbe un serrato
confronto fra il LdA e l'Apolonio dal punto di vista tematico oltre che formale – confronto che,
già da una prima sommaria analisi, mi sembra permetta di delineare Apolonio come una sorta
di anti-Alexandre, il suo contrapunto secondo la definizione di Isabel Uría Maqua. Ma questo
gioco di specchi fra un testo e l’altro, specchi che deformano nel senso dell’ironia, permette
già di aderire fondamentalmente alll’affermazione di Deyermond: «it is difficult to believe in
the accepted picture of a school-founding manifesto issued by the Alexandre poet and
seriously supported by all other poets who have been labelled in literary history as
practicioners of the mester de clerecía»18.
E più recentemente Amaia Arizaleta:
L’auteur de l’œuvre n’exprime pas, dans la deuxième strophe de l’Alexandre […] sa profession
de foi quant à une façon d’écrire collective. Il déclare, à titre individuel, comment il va écrire son
œuvre: ces vers ne peuvent donc pas être considérés comme le manifest d’un nouveau
mouvement. […] C’est a posteriori que d’autres poètes ont adopté ce patron d’écriture. […]
L’auteur a donc mis son public devant l’évidence d’une œuvre et d’une versification inhabituels.
Come si potrebbe dunque considerare il prologo19 del LdA, al di là della sua dimensione
tecnica che lo rende «une sorte de mini ars versificatioria»20 o «la primera declaración de
17
Ivi, p. 113.
18
Ivi, p. 116.
19
Sinteticamente Croizy-Naquet ben illustra il valore e interesse di prologhi ed epiloghi (“seuils des
textes”): «Ils constituent, de fait, un poste d’observation intéressant quant aux faites et programmes de
lecture que leurs auteurs engagent, en dépit des topoi et des conventions qui les intègrent dans une tradition
rhétorique» (Catherine CROIZY-NAQUET, «Prologues et épilogues dans quelques textes historiques du XIII e
siècle», Bien dire et bien aprandre,19 (2002), pp. 77-90, p. 77).
20
ARIZALETA, La translation cit., p. 166.
57
teoría literaria de nuestra literatura medieval vernácula»?21 Direi che, sulla scia
dell’individualismo sottolineato da Amaia Arizaleta, potremmo definirlo come la prima – o
una delle prime? qualcosa è andato perduto? ad ogni modo l’orgoglio della dichiarazione e le
caratteristiche, direi uniche rispetto a quanto precede e quanto segue, lo fanno emergere come
un “monumento” di natura tale da imporsi, se non come prodotto di una volontà fondante,
almeno come un inevitabile termine di confronto – la prima concrezione in lingua volgare
ispanica di una coscienza intellettuale diffusasi per tutta l'Europa nel lasso di tempo compreso
fra XII e XIII sec., e che su suolo iberico si era in parte già manifestata alcuni anni prima
(pochi o tanti a seconda di quale teoria si sposi circa il dibattutissimo problema della
datazione del LdA) in versi latini quasi mai ricordati ma acutamente illustrati da Francisco
Rico, i versi cioè dell’anonimo rimatore di Roncesvalles22 (ca. 1200):
Posiblemente nos hallamos pues, ante el más temprano empleo de la Vagantenstrophe por parte
de un poeta hispano (y, si no giróvago, cuando menos viajero). [Non è un caso che ci troviamo
presso] Roncesvalles, por donde entraba en la Península el camino de Santiago. […] Las cuartetas
sobre Roncesvalles no pueden sino evocarnos la mayor novedad de las letras castellanas en la
primera mitad del siglo XIII: el mester de clerecía. […] Las palabras mester de clerecía no
designan una escuela poética en romance, por supuesto, ni se agotan en la obra que se nos ofrece:
presentan el Libro y el estilo de las sílabas cuntadas como concreciones parciales de un espíritu
más amplio, como aplicaciones específicas de un planteo más general23.
Ma sia Ian Michael nel 196724 che Ángel Gómez Moreno nel 198425 hanno compiuto dei
primi sondaggi comparativi con i prologhi della letteratura francese fra XII e XIII sec.
Di un vero e proprio sondaggio si tratta nel caso di Gómez Moreno, il quale ha realizzato
la sua ricerca sfruttando il lavoro di Ulrich Molk, Franzosische literature des 12. und 13.
Jahrhunderts. Prologue. Excurse-Epilogue, Tubingen 1969. Lo studioso ha così potuto
appurare come sia possibile rinvenire anche in altri autori la lamentela per la deformazione di
un testo da parte dei giullari, il tema della verità e della moralità, col quale si coniuga l’idea
21
Francisco LÓPEZ ESTRADA, «Sobre la repercusión literaria de la palabra clerecía en la literatura vernácula
primitiva», in Actas del I Simposio de Literatura Española, Salamanca 1981, pp. 251-262, p. 260; si veda
anche ID., «Mester de clerecía: las palabras y el concepto», Journal of Hispanic Philology, 11 (1978), pp.
165-174.
22
Fernando GONZÁLEZ OLLÉ, «El Roncesvalles latino», in Homenaje a José María Lacarra, Príncipe de
Viana, Anejo 2 (1986), pp. 269-284; Luis VÁZQUEZ DE PARGA, José María LACARRA, Juan URÍA RÍU, Las
peregrinaciones a Santiago de Compostela, Madrid 1949, vol. III, pp. 66-70. Il LdA e i versi del
Roncesvalles condividerebbero: 1) l'autodesignazione poetica in contrasto esplicito con la joglaría; 2) il
ricorso alla series rimicai; 3) la preoccupazione di abbreviare il racconto per non stancare il
lettore/ascoltatore; 4) l'ammirazione per la forma quadrata, carica di implicazini trascendenti.
23
RICO, «La clerecía cit.».
24
MICHAEL, «A Parallel between cit.».
25
GÓMEZ MORENO, «Notas al prólogo cit.».
58
che la clerecía sia «una aptitud para poder leer textos en latín y traducir». Con Philippe de
Beaumanoir, in La Manekine (ante 1240), poi si «pone de manifesto cómo la clerecía es la
que otorga a un autor la capacidad de hacer poesía y de rimar»26.
Nella stessa scia di Gómez Moreno si inserisce la sua allieva, già citata, Elena González-
Blanco García che offre un analogo, più dettagliato sondaggio prendendo in considerazione
come termini di raffronto altre composizioni poetiche in cuaderna vía italiane, latine e
francesi. Rinviene così esempi, giudicati analoghi al caso castigliano, per: il modus dicendi, il
modus scribendi (la brevitas e la giusta misura), la finalità del prodesse et delectare, la
veridicità del contenuto, la coscienza del poeta e la topica della modestia (un topos questo che
però, ricordo, è del tutto assente nel LdA), l'importanza delle fonti, la richiesta di aiuto o
elemosina. In particolare poi, un testo italiano anonimo sulla passione di Gesù (inizio XII
sec.) «establece una clarísima clasificación terminológica y genérica equivalente a la
dicotomía juglaría/clerecía: (vv. 3-5) “Le quale no è parole de fable ne de cançon, / ançe de
Jesu Cristo la verasia pasion, / trata de Vangeli e de libri e de sermon”» 27. L'impressione che
tuttavia mi sembra si possa ricavare dall'esordio del LdA è la trasposizione di questa
opposizione su un piano formale piuttosto che contenutistico (il piano cioè a cui fanno invece
riferimento i versi italiani). La notazione più interessante della studiosa riguarda
l'individuazione di un parallelo francese per l'espressione mester de clerecía: esso è contenuto
in una delle Epîtres farcies dedicate a Santo Stefano (fine XII-inizi XIII), vale a dire testi
romanzi che glossavano il testo latino. Alla quinta strofa di questo testo francese si legge:
Più pregnante lo studio di Ian Michael dal momento che, in questo caso – il prologo dell’Erec
et Enide (v. Appendice 1) –, non ci troviamo di fronte a singoli elementi sparsi
individualmente uno in ciascun testo (fonti, moralità, verità storica, capacità di traduzione,
conoscenza delle artes metricae) ma a una impressionante analoga combinazione dei
medesimi elementi seppur con alcune differenze, che non annullano tuttavia «a strong
conceptual similarity in the two statements».29 Da una parte: «Chrétien’s statement at the
26
Ivi, p. 123.
27
GONZÁLEZ-BLANCO GARCÍA, «El exordio cit.», p. 37.
28
Ivi, p. 66.
29
MICHAEL, «A Parallel cit.», p. 621.
59
beginning of the Erec contains ideas that are not found in the opening statements of his other
poems and there appears to be no similar statement in other twelfth-century French romances.
[…] The proemial statement of the Alexandre is unique in thirteenth-century Spanish
literature». Similarità che non implicano necessariamente, secondo l’autore, l’utilizzo diretto
del prologo dell’Erec come fonte di quello alessandrino: «What is important is that two poets
make similar statement because they had similar aims and similar techniques. […] There is
[anche] a strong resemblance between their methods of narrative and thematic structure».
Risultano perfettamente sovrapponibili i punti: 1 (l’unico ad essere considerato da Curtius
come un topos dell’esordio, con fonte nei Disticha Catonis), 3, 4 (altro elemento presente nei
Disticha), 7, 8, 9 (rispetto al quale è da notare come nessuno dei due poeti ricorra al topos
della modestia). Leggermente differenti i punti 2 e 6. Problematico il punto 5, bele
conjointure/mester fermoso, in quanto il termine conjointure sembra riferirsi alla coesione
strutturale del poema, «thus, the word mester, in its context, can include the task of setting
together the various parts to produce a smoothly running narrative»30. Molto interessante il
punto 7 e la comune problematica del rapporto con i cantastorie prezzolati, rispetto ai quali
entrambi gli autori considerano la propria arte superiore in virtù del concetto di conjointure
nel caso di Chrétien, di clerecía nel caso dell’anonimo.
Il parallelo mi sembra così stringente che non escluderei la possibilità della conoscenza
diretta, al contrario di quanto afferma Amaia Arizaleta la quale propone che i due prologhi
siano il risultato, l’uno del tutto indipendente dall’altro, dell’applicazione all’ambito romanzo
dello schema dell’accessus ad auctores31 (nell’ordine il poeta castigliano presenterebbe:
intentio auctoris, qualitas carminis, modus agendi, utilitas, materia, intentio auctoris,
materia):
El poeta no ha respondido a todas las rúbricas del modelo sino que se ha limitado a precisar el
tema y, lo que es más importante, a accentuar su autoridad. La descripción de la forma del poema,
que depende exclusivamente del autor, corrobora el deseo de éste de subrayar su responsabilidad
en la creación poética32.
60
decenni. Se anche, per motivi di maggiore vicinanza cronologica, volessimo stabilire un filo
diretto di conoscenza unicamente fra Chrétien e l’anonimo, il confronto con i prologhi del
Roman de Thèbes e del Roman de Troie permetterebbe comunque di vedere come, a partire
dalla metà del XII sec., una determinata categoria di autori abbia forgiato, o riforgiato
attraverso la concentrazione del già esistente in un punto poeticamente strategico come il
prologo, una serie di topoi legati all’auto-rappresentazione dello scrivente e a una sorta di
deontologia professionale dei depositari del sapere. Tali dichiarazioni rientrano in quell’
“interventionisme” del narratore che è secondo Aimé Petit una delle caratteristiche dei nostri
romanzi.
S’élabore en particulier une démarche narrative explicite: les auteurs des romans antiques
cherchent le plus souvent à nous éclairer sur les articulations de leur récit. D’autre part,
certaines formes appuyées de communication du narrateur avec son public font apparaître une
attitude pédagogique. […] Prologues et épilogues nous apportent des informations essentielles
sur le sens des romans antiques tel que le conçoivent leurs auteurs 33.
È così il caso di correggere l’affermazione di Michael secondo il quale le idee contenute nel
prologo dell’Erec non trovano riscontro in nessun altro prologo del XII sec. Sicuramente il
numero dei motivi coincidenti, e la loro organizzazione, è maggiore nel prologo dell’opera di
Chrétien, tuttavia tanto quello di Thèbes34 che quello di Troie offrono ciascuno spunti ulteriori
che concorrono a meglio definire l’orizzonte di ispirazione letteraria dell’anonimo castigliano,
da una parte approfondendo ulteriormente il solco che lo separa dalle altre composizioni
iberiche duecentesche a cui è stato così strettamente accomunato, facendo prevalere un
discorso di forma su un discorso di materia, e dall’altra accostando maggiormente le sue
aspirazioni a quelle dei predecessori di oltre Pirenei.
In primo luogo, sia Thèbes che Troie applicano all’idea della necessità di trasmettere il
proprio sapere35 un corollario che è differente da quello immediatamente presente nel prologo
del Libro ma che costituisce l’eco di un rumore di fondo costante nell’opera castigliana: l’idea
33
PETIT, Naissance cit.
34
Il ms. S, editato da Mora Le Brun, rappresenta verosimilmente la redazione più antica, assai prossima alla
versione corta rappresentata da C e editata da Raynaud de Lage; A e P rappresentano la versione lunga con
un’inserzione di 14 e 16 versi rispettivamente dopo il v. 16 di C, riportata in appendice nell'edizione
Constans.
35
«The didacticism of the mester, like that of wisdom literature in general, is determined in a fundamental
way by a traditional epistemology according to which the very survival of knowledge depends upon it
being continuosly taught and put into practice […]. The LdA teaches a lesson whose basic message about
the dangers of pride would hardly have come as a surprise to his audience. On one level, this and other
poems enact a didactic rehearsal of what is already known, and in doing it they fulfill a need within
predominantly oral cultures to preserve knowledge in a ritual of commemoration that is inherently
performative and participatory» (WEISS, The Ideological cit., pp. 5-6)
61
cioè che attraverso il dispiego della saggezza36, che nel caso dei nostri romanzieri si
concretizza poi nella realizzazione di un livro/estoire, il detentore di questo stesso sapere
possa acquisire fama per l’eternità. La fama: cioè uno dei grandi motori narrativi/ossessioni
del LdA, ossessione del suo protagonista e del suo autore, immerso in un perenne gioco di
specchi con il suo eroe; una fama letteraria che è il pensiero segreto di molti se perfino una
fanciulla come Briseida così si lamenta del proprio tradimento nei confronti di Troilus: «A sei
meismes pense e dit: / “De mei n’ert ja feit bon escrit / ne chantee bone chançon”» (Troie, vv.
20237-39). Curtius ci fornisce alcuni esempi di antecedenti di questa versione del topos
dell’esordio definibile come “chi possiede la sapienza ha il dovere di comunicarla agli altri”:
ad es. nell’Archipoeta, «Ne sim reus et dignus odio, / Si lucernam ponam suo modio, / Quod
de rebus humanis sentio / Pia loqui iubet intentio»; e in Alano da Lilla, «Non minus hic peccat
qui censum condit in agro / Quam qui doctrinam claudit in orem suam»37. In conclusione,
benché topos esordiale già affermato:
Ces prologues n’en constituent pas moins une nouveauté en langue vulgaire, puisque leurs
auteurs se flattent d’y mettre à la disposition d’un public laic un savoir qui leur serait
autrement demeuré inaccessible. […] Ce senz qui est en même temps sapience, ce savoir qui
est en même temps sagesse nous semble posséder dans les romans antiques un caractère
spécifiquement historique38.
In secondo luogo tanto Thèbes che Troie mettono in scena fin dal prologo, e quindi in un
punto strategico, un concetto fondamentale – assente nell’Erec anche se presente nel Cligès –
e forse assai più importante, insieme al precedente, rispetto a tutti gli altri elementi:
l’identificazione cioè tanto del recettore che dell’autore con la figura del iclerc. E qui si apre
un altro discorso: la discussione cioè del termine clerecía.
36
Una saggezza, espressa dall'aggettivo sages, che Aimé PETIT («Prologues du Roman de Thèbes»,
Prologues et épilogues dans la littérature du Moyen Age, Bien dire et bien aprandre, 19 (2001), pp. 201-
211, p. 204) identifica con una sapienza in senso etimologico, un conoscere che deriva da istruzione. Nella
stessa direzione va interpretato anche sen, che ha lo stesso doppio valore di “saggezza” e “sapere”, e
sapience. Benoît de Sainte-Maure, come Chrétien, utilizza anche escience.
37
Ernst R. CURTIUS, Letteratura europea e medioevo latino, Firenze 1992, p. 93.
38
PETIT, Naissance cit., p. 810.
62
I.3.b
Un viaggio sul filo della parola clerecía
I. La “clerecía” berceana
Nell’analizzare le valenze dei termini clérigo1/clerecía in Berceo, tralascio
naturalmente le opere di carattere più esplicitamente dottrinale e con minore, anzi nulla, carica
narrativa – cioè i Loores de Nuestra Señora2, il Sacrificio de la Misa3 e i Signos del juicio –
dal momento che in esse è ovvio che i termini facciano riferimento esclusivamente alla
dimensione ecclesiastico-liturgica e al ruolo del clérigo come interlocutore con il divino per
conto della comunità, aspetti questi perfettamente riassunti dai seguenti versi:
Se si analizza la Vida de San Lorenzo, l’uso dei due termini non differisce in alcun modo da
quello appena descritto, sebbene calato in questo caso nel contesto storico delle prime
persecuzioni: los clérigos e las clerecías/la clerecía, vittime della ferocia di Diocleziano, si
stringono intorno al pontefice4. Medesima situazione nella Vida de Santa Oria5 e nella Vida
de Santo Domingo de Silos6. La Vida de San Millán, pur non mutando il quadro7, ci fornisce
però un importante dato in più suggerendoci a grandi linee in cosa consistessero le
conoscenze di un clérigo medio e cosa sottindendesse quindi la clerecía berceana nell’uso
astratto di questo termine, esemplificato unicamente in:
1
CORBELLARI, La voix cit., p. 16: «Le mot clerc désigne, étymologiquement, la “part réservée”; réservée à
Dieu à l'origin, elle devient, avec les débuts de la scolastique et de la littérature française, part réservée
pour un travail qui n'est ni celui du chevalier, ni celui du paysan, ni à proprement parler non plus celui du
prêtre».
2
Clérigo/s: 6a; 48b; 49b; 70d; 130d; 131a; 275a. Clerecía: 43c.
3
Clerecía: 228a.
4
Clerecía/s: 7d, 28b, 36d. Clérigo/s: 10d, 26b, 33b.
5
Una sola occorrenza: 195b, «manda llamar los clérigos, vénganme comulgar».
6
Clerecía/s: 530c, 532c («pueblos e clericías, vassallos e señores»); 667c (in opposizione a legos).
Clérigo/s: 34c; 214b («clérigos e calonges, beneítos abades»); 654b.
7
Clerecía: 94d; 96a; 105d; 360b. Clérigos: 4d; 96c (in opposizione a legos); 100a; 157b; 204b («de legos e
de clérigos, por casar e casados»); 425c.
63
non sabié decir otra, diciéla cada día,
más la sabié por uso que por sabiduría.
Alla luce del contesto rappresentato da tutte le altre opere non concordo con quanto affermato
ad es. da Ian Michael8 e Francisco López Estrada nel momento in cui si interpreta questo
verso come fondamentale per la comprensione della valenza culturale della parola clerecía,
applicabile omogeneamente anche al contesto alessandrino:
Con este uso de Berceo nos hemos situado en la acepción de que clerecía, más allá de denotar
el grupo de clérigos local o universal, signífica la sabiduría, la “litterarum scientia”, basada en
el latín […] la palabra clerecía reúne los significados de “grupo de clérigos”, “actividad de los
mismos” con su extensión hacia el conocimiento de la literatura antigua y medieval profanas
en cualquiera de sus grados9.
La clerecía di cui difetta il simple clérigo dei Milagros è quella che si delinea in occasione
dell’incontro fra San Felice e il giovane Millán desideroso di essere istruito:
8
MICHAEL, «A Parallel between cit.».
9
Francisco LÓPEZ ESTRADA, «Sobre la repercusión literaria de la palabra clerecía en la literatura vernácula
primitiva», in Actas del I Simposio de literatura española (Salamanca, del 7 al 11 de mayo de 1979),
Alberto Navarro González (ed.), Salamanca 1981, pp. 251-262, p 257.
64
Quadro confermato dal successivo ritratto di Millán, del tutto speculare, ma in senso inverso,
rispetto a quello del povero missacantano denunciato di fronte al vescovo come «idiota, mal
clérigo provado»:
Per concludere il discorso sulla clerecía berceana non si può non citare infine una coppia di
versi che colpiscono per il loro possibile, implicito sottofondo di inquietudine di fronte alla
cultura, un discorso questo che tornerà più volte parlando di Alessandro:
Come interpretare questi versi? Il clérigo è peggiore del laico in quanto, avendo letto di più,
con il suo mal sentido tradisce l’insegnamento fondamentalmente positivo trasmesso dalla
lectura? Oppure il clérigo è ben peggiore del lego in quanto ha letto di più e il suo sentido è
stato così corrotto?
10
Canoniche le restanti citazioni. Clérigo/s: 101a, 116a, 236d, 237a, 459b («Todos las otras gentes legos e
coronados, / clérigos e canonges e los escapulados»), 555a, 707b, 711d. Clerecía/s: 253a, 332a, 421a, 452d,
580a, 736b («Amávanlo los pueblos e las sus clerezías, / amávanlo calonges e todas las mongìas»).
65
II. La “clerecía” alessandrina
Inoltrarsi fra le coplas del LdA significa invece, rispetto ai silenzi del Poema de
Fernán González e alla semplicità del quadro berceano, ritrovarsi di fronte a un panorama
assai più complesso, in cui la terminologia impiegata si carica di sfumature pienamente
comprensibili e apprezzabili soprattutto se analizzate con un occhio rivolto alle occorrenze dei
corrispettivi termini francesi negli equivalenti, per tematica e décor, poemi di materia antica
del XII sec.: i già citati romans antiques.
Anche il LdA contempla naturalmente – tralasciando il celebre e dibattuto sintagma
mester de clerecía – l’uso di clérigo e clerecía in senso strettamente ecclesiastico-liturgico:
che, esperto anche nel mester de clerecía – certamente distinta dalla clerecía di San Millán –,
riunisce nella sua stessa persona tutte le ambiguità di questa terminologia.
In quanto professionista della scrittura, il clerc svolge anche un ruolo “burocratico”
all'interno della corte, quello del cosiddetto clerc lisant:
66
(Alex, III, 3399) Desor aus ot deus briés, que uns clers ot escris.
Il LdA non cita direttamente questo tipo di clérigos, ma essi possono essere sottintesi da versi
come i seguenti:
(LdA, 780a) Mandó fer unas letras que avién tal tenor.
E forse, nell’anacronismo di questi versi che aprono uno spiraglio sul mondo contemporaneo
dell’anonimo, nell’accostamento fra clérigo d’escuela e mercador si può leggere in filigrana
l’esistenza di un ulteriore sottogruppo, interno a quello degli scolastici, cioè i clérigos
d’escuela che potremmo definire vagantes. Forse vagantes come il nostro stesso autore, se la
ruta de clerecía delle coplas 2581-84 non è solo un’astrazione (o almeno non lo è del tutto):
ma l’aspirazione e la rappresentazione letteraria contano comunque più della mera realtà. O
forse (ancora un forse), la capacità di valutazione di un oggetto prezioso da parte di un clérigo
d’escuela, al pari di quella di un mercador che la ricava dall'esperienza del proprio mestiere, è
resa possibile anch’essa da conoscenza libresca, ad es. di quelle meraviglie architettoniche e
artistiche rifulgenti d’oro e pietre preziose che tanto spazio hanno anche nel nostro LdA.
Sono le stesse valenze di significato con cui i due termini, o meglio i loro equivalenti
clerc e clergie/clergiez, sono impiegati in alcuni contesti romanzeschi francesi, ad es.:
67
(Brut, 6321-23) A Lundre esteit a cel tens,
arcevesques mult eloquens,
Guencelinus, de mult grant clergie.
E l’associazione con la scuola – che conduce all’accezione culturale del termine – è anche in:
Infine, sempre con riferimento alla clerecía come condizione sociale, ma con alcune
sfumature che ci accompagnano già nel transito verso la sua accezione prevalentemente
culturale (ma non dottrinaria), i clérigos più che opporsi ai legos si associano, quasi come in
una formula, ai caballeros, presentandosi così al tempo stesso come componenti della
struttura sociale e come componenti della corte:
68
(LdA, 2362ab) Clérigos e caballeros que fazen simonías,
non serán ende menos, ¡par las çapatas mías!
(LdA, 853a, c) Bien avié diez mill carros de los sabios señeros
[…] los unos eran clérigos, los otros caballeros.
Un quadro simile in Erec et Enide, dove il corteo di Artù, guidato dal sovrano, è composto da:
E ancora:
(Chevalerie, 7620-22) [La donna] ja nul n’en deit parler s’ele fet traison
ou deceit son vassal ou mesme son baron,
chevaler ou valet, damoisel ou clergon.
12
«Reunidos los propósitos de clerecía y cavallería en el mismo personaje o en grupos paralelos que
interpretan unos y otros (pero compañeros, es decir, cercanos en el propósito de aconsejar el señor), resulta
que esta actividad prepara la secularización y la difusión de estos propósitos clericales por medios
cortesanos y burgueses que están en la base del desarrollo de las modernas literaturas vernáculas» (LÓPEZ
ESTRADA, «Sobre la repercusión cit.», p. 258).
69
(Floire, 1950-51) Ne veut que clerc ne chevalier ait la feme qu'il a eüe13.
E nella versione B del Roman d'Alexandre si legge, con riferimento ai figli di Noè:
Versi questi in cui Cathérine Croizy-Naquet sottolinea l’esistenza di «une intéressante alliance
de la clergie et de la chevalerie sans idée de hiérarchie»14.
Cito infine ancora un altro quadro ideale del medesimo tipo di quello disegnato dalla
strofa alessandrina: vale a dire l'episodio presente nel Roman de Thèbes dove, per designare il
successore del vescovo Amphiaraus si assiste «à une exceptionnelle convergence de vues qui
se manifeste entre le roi d'Amicles, chevalier, et le vielz poetes, clerc»15. D'altronde: «La
volonté d'unir ou de réunir chevalerie et clergie dans un cadre antique anachronisé, qui
devient ainsi un univers échappant au temps et propre à accueillir l'utopie, est sensible dès le
fragment du Roman d'Alexandre d'Albéric»16.
Ma l’accostamento chierico/cavaliere va al di là di un’associazione fra componenti
sociali, o meglio la terminologia sociale del XII sec. offre una nuova elaborazione linguistica
all’inveterato topos di sapientia e fortitudo che trova posto anche nei celebri versi del Cligés
nella forma:
13
E nella versione antico-francese in prosa della Lettera del Prete Gianni, della fine del XIII sec. (in La
lettera del Prete Gianni, Gioia ZAGANELLI (ed.), Milano-Trento 2000, pp.156-185) si legge: (righe 309-12)
«Quant nous alons en bataille, devant nous vont .XXX. mile ki sont clerc et chevalier et .C. mil siergans
sans les autres chevaliers».
14
Catherine CROIZY-NAQUET, «La description de Babylone dans le manuscrit de Venise du Roman
d'Alexandre», Bien dire et bien aprandre, 11 (1993), pp. 131-141, p. 139.
15
PETIT, L'anachronisme cit., p. 267; v. anche pp. 160-164.
16
Ibidem. Cfr. anche CROIZY-NAQUET, Thèbes, Troie cit., pp. 361-362.; e Gérard GOUIRAN, «“Car tu es
cavalliers e clers” (Flamenca, vv. 1899): Guilhem, ou le chevalier parfait», Sénefiance, 37 (1995), Le clerc
au Moyen Age, pp. 417-435.
70
Un topos che si articola in varie sfaccettature proponendo talvolta l’immagine del chierico e
del cavaliere riuniti in una medesima persona, talvolta quella di due individui distinti che
occupano però le fila tanto dei ricettori quanto dei produttori (quanto è reale questo secondo
aspetto?) di letteratura.
si legge nel prologo del Roman de Thèbes. Anche qui un mestier analogo al mester iberico –
«una de las palabras mágicas de la literatura del siglo XIII»17 –, e un’espressione difficile da
comprendere appieno. Chi sono «cil del mestier»? Francine Lebrun-Mora traduce con un poco
convincente, ma forse inevitabile, «ceux de ma profession»: ma quale profession? quale
mestier? Ci si può approssimare per tentativi al testo, ma senza purtroppo riuscire a definire
con nitidezza l’oggetto: questo mestier sembra apparire come un termine del dialetto
professionale altrettanto ambiguo e polisemico del mester castigliano; possiamo solo dire che
l’anonimo tebano sente di praticare un determinato mestier (quello delle lettere?), e che tale
mestier è appannaggio di un gruppo eterogeneo quanto a competenze, all’interno del quale si
distinguono come élite clerc e chevalier18.
17
GARCÍA LÓPEZ, «Roman y cuartetas cit.», p. 571.
18
Non mi sembra che, al di là delle apparenze, modifichino sostanzialmente i termini della questione le
osservazioni di Aimé Petit («Prologues cit.», p. 206), che nella sua traduzione del 1991 aveva addirittura
omesso l’espressione: «Les variantes pour ce vers sont: C (=B) Or s’en tesent de cest mestier; A Or s’en
aillent de tous mestiers; P Or s’en voisent de tous mestiers […]. A notre avis, il ne faut pas faire de del
mestier un complément du pronom cil, mais le complémente de s’en taisent. On comprend mieux le texte
de S en corrigenat au v. 14 si en qi [escludendo in tal modo il tema della rivalità con qualcuno,
ipoteticamente i jongleurs, che praticano il mestier ma non appartengono alle due categorie “elette”]. Ou
bien il faut s’en remettre au texte de C, avec se taire de qui garde le sens de "Keine Anspruche ofeltend
71
Il mester castigliano appare appannaggio dei clérigos, o meglio dei detentori di
clerecía, e non si ripetono nel testo castigliano formule analoghe a quelle sopra citate che
associavano chierico e cavaliere, anche se, in un caso, un pubblico appare ed è quello
costituito dall’armata greca che ascolta le gesta troiane narrate dallo stesso Alessandro: in
fondo, non osi tratta di un pubblico di caballeros? Ma anche se non sono messi in relazione
esplicita con il dato letterario, non dimentichiamo l’uso dell’aggettivo compañeros che
affianca quelle due categorie sociali (e culturali?) – clérigos e caballeros – nella copla 845
prima citata.
Se l'ultima declinazione possibile del topos è assente, o perlomeno non esplicitata, il
mito della riunione in un singolo individuo di sapientia et fortitudo percorre però per intero il
poema costituendo un leit-motiv nella descrizione di molti personaggi, a partire dal
protagonista assoluto definito:
E siamo arrivati così alla seconda accezione del termine clerecía, quella tutta culturale e di
matrice non ecclesiastica; accezione non comune su suolo iberico, come ha sottolineato Ian
Michael che rintraccia due sole occorrenze di clerecía nel senso di learning piuttosto che di
clergy – in questo caso la lingua inglese permette una minore ambiguità mettendo a
disposizione i due termini clerck e cleric –, vale a dire il già citato e discusso passo dei
Milagros relativo al missacantano e la st. 125 del Libro de Buen Amor: «Muchos ay que
trabajan siempre por clerezía»19. È la clerecía menzionata nei seguenti passaggi:
machen", c’est-à-dire ici "que ne prétend nullement à cette occupation", "que se détournent totalement de
cette activité"». Mi sembra che resti comunque irrisolto il problema di definire con esattezza cosa sia
questo mester che accomuna, o come autori o come fruitori, chierici e cavalieri.
19
MICHAEL, «A Parallel between cit.».
72
(LdA, 39a) Assaz sé de clereçía quanto me es mester.
E anche la parola clérigo va a indicare una realtà differente dalla condizione ecclesiastica:
L'equazione non è scontata: «clérigo est devenue, à l'interieure du texte du moins, synonime
de lettré. Le clerc est celui qui est capable de construire des oeuvres cohérentes grâce à ses
connaissances. Le clerc est, pour le poète, un lettré, un maître. C'est pourquoi il transforme le
substantif vates dell'Alexandreis in clérigos»20.
I versi citati del Cligés aiutano ad avvicinarci, se non alla precisa definizione,
perlomeno all’intuizione della natura di questa clerecía che è clergie.
La menzione di Parigi (copla 2582) – associata all’immagine di Bologna – suggerisce
l’idea che almeno una parte di questa cosiddetta ruta de clerecía sia stata in primo luogo
costruita su una serie di luoghi comuni, in senso reale e figurato, dell’immaginario scolastico
dell’epoca. Secondariamente, quell’uso del termine clerecía in connessione con Parigi e
quindi con la Francia, sembra riconnettersi allo stesso tema di translatio espresso da Chrétien.
Ma soprattutto, attraverso questi versi e le loro associazioni, si colloca la clerecía in un
contesto ben preciso ed evocativo. Questa clerecía prima di tutto ha a che fare con le arti:
20
ARIZALETA, La translation cit., p. 19.
73
(LdA, 1059a) Sé bien todas las artes que son de clereçía21.
Questa clerecía è trasmessa da un personaggio come Aristotele. Questa clerecía infine fa rima
con sapiençia/savieza; nel “lamento” Alessandro usa una volta la formula:
Non solo, ma il verso 39a nel ms. O, offrendo una variante interessantissima e significativa,
suona:
Analizziamo ora più diffusamente alcuni di questi aspetti, lasciando per il momento da parte
la clerecía propriamente alessandrina nel senso di sapere dichiarato da Alessandro nel suo
“lamento”: credo infatti che la distinzione fra la clerecía dell’autore e la clerecía del
personaggio sia fondamentale per evitare fraintendimenti e risolva anche alcuni aspetti
problematici dell’opera; aspetti problematici la cui soluzione, trattandosi di un oggetto
letterario, ritengo vada ricercata in primo luogo nell’intertestualità e solo secondariamente
nella realtà storica esterna al testo. L’affermazione di Willis, che tanto ha influito sulle
successive letture del LdA:
It is clear that the Alexander-poet’s calling is identified with a special conception of clerecía
that consistently countes teaching and learning in schools, the trivium and quadrivium, or the
seven arts, also the superior faculties of law and medicine (though not theology) and the great
universities of Bologna, and Paris, and Aristotle, the universal scholar. Quite evidently the
author’s ministerio was something more than the mere penning of verses [...] although it
obviously included this too
ponendo su uno stesso piano la rappresentazione (e i miti) letterari come riflesso fedele di una
realtà storica, ha un po’ falsato la visione: l’eccezionalità del “lamento” alessandrino, come
vedremo, può essere ridimensionata e soprattutto, in questo mondo di chierici che, appunto,
21
Si consideri anche: (Chevalerie, 4049), «[Alessandro] Mult esteit sages des ars e apris en letture»; (Brut,
5605-06), «Eleine, une fille, out nurrie / ki mult sou d’art e di clergie».
74
«trovano leggendo», come spesso si dice22, ha antecedenti e contemporanei fra altre pagine
manoscritte.
Se dovessimo rintracciare fra le nostre coplas un alter ego che ci aiuti a definire
meglio la clerecía del nostro autore (per la quale peraltro potremo tracciare un bilancio solo
alla fine del percorso), credo che lo si dovrebbe ricercare nei ritratti degli altri personaggi
“colti” che popolano il panorama, spogliandoli delle deformazioni prodotte dal topos e
estrapolando le costanti. Si è già detto che nel LdA clerecía fa rima con caballería,
esprimendo così nel linguaggio del XII-XIII sec. il topos fortitudo-sapientia, un topos che
permea la struttura stessa del poema giustificando l’iniziale inserzione, così amplificata
rispetto alle fonti e in generale alla tradizione, del “lamento” alessandrino, testimonianza di
clerecía, e dei castigos di Aristotele, prontuario di caballería.
Si vedano ora i ritratti alessandrini:
Paride
(LdA, 361ab) Apriso de retórica, era bien razonado,
encara de sus armas era muy esforçado.
Zoroas
(LdA, 1052ab) Avié ý un ric’omne que era de Egipto,
sabié todas las artesque yazen en escripto […]
22
Ad es.: (Troie, 2993), «Ce trovent bien li clerc lisant»; (Troie, 13364), «Ce trovent clerc en escriture».
23
Preferisco qui la lettura del ms. O piuttosto che quella editata da Jorge GARCÍA LÓPEZ «cómo laudan a
Dios en santa armonía»: il riferimento è chiaramente alla musica prodotta dal movimento delle sfere celesti.
24
Alcuni esempi di citazioni francesi della parola clerc nell'ambito delle conoscenze di
astronomia/astrologia: (Brut, 7435-41), «Dunc fist li reis venir Magant, / un clerc de lettres mult savant / si
demande s'estre poeit / ço que la nune li diseit: / “Trové avum, sit il, escrit, / qu'une manere d'esprit / est
75
Cleor
(LdA, 232abc) Un juglar de grant guisa – sabié bien su mester –,
omne bien razonado que sabiá bien leer,
su vïola taniendo vino al rey veyer
Apelle
(LdA, 1239ab) Apelles el hebreo, un maestro contado,
que de labor de manos non ovo tan ortado.
entre la lune et la terre”»; (Brut, 8287-90) «Une esteille est dunc aparue / ki a plusurs genz fu veue, /
cumete ot nun sulunc clergie,/ muement de rei senefie»; (Alexandre, I, 270-73), «Phelippes a mandé le sage
gent lointaigne, / les bons devineors fait querre par le raigne, / devins et sages clers communement
amaine». Su questa connotazione delle conoscenze del clerc si veda: Joëlle DUCOS, «Le clerc et les
météores: constitution et évolution d'une culture encyclopédique», Sénefiance, Le clerc au Moyen Age, 37
(1995), pp. 149-164.
25
Las sietes
26
Legame esplicito in Athis: (132-34), «Conseil prenoit d'une parole / que ses fils a tenu escole / tant que
grant part set de clergie»; (195-99), «A lui m'en envoié ça / com a l'ommë ou molt se fie, / si m'aprendra de
la clergie. / Il a un fil, ç'ai oï dire, / qui set molt biau chanter et lire».
76
conoscenze27, e di dialogare attraverso le norme della retorica e le astuzie della dialettica con
altri individui per persuadere:
o dilettare:
Il giullare Cleor si distingue come personaggio, rispetto ai suoi compagni di mester, in quanto
«sabiá bien leer». L’artista Apelle, maestro fin quando viene chiamata in causa
esclusivamente la sua abilità artistica, diviene clérigo nel momento in cui è in grado di
riprodurre un epitaffio letto nel libro di Daniel. Chi possiede clereçía legge in un libro: legge
implicitamente Apelle che incide l’epitaffio; legge l’anonimo autore
27
Si consideri ad es.: (Chevalerie, 1337-39) «E ceo poent ly clerk tresbien tesmoigner / qui se volent a
Cesar e Pompe acointer / e lire Aristotle e Solin versiler». Altri esempi dell’intersezione di lettura e
scrittura nella figura del clerc, e della esclusività del clerc in quanto scrittore, in: (Alex, IV, 1273-75), «La
tieue grant largesce ne porroit nus descrire / nus clers qui tant seust de chanter ne de lire, / neis tant
seulement de doner la matire»; (Thèbes, 7339-42), «Aprés vostre mort ne deive viver, / car ne porreit uns
clers escriver / les grans ahans et les sofraites / que vous avez por m’amor traites».
77
legge Alessandro28 – in un gioco di specchi rispetto all’autore29 –:
Alessandro capace di applicare al momento del bisogno, per salvare i suoi uomini, ciò che ha
appreso leggendo:
D’altronde, la notazione per cui di fronte alla scudo di Achille non vi sarebbe stato nessuno
tanto poco dotato di senno da non diventare un «clérigo bien entendudo» – stessa definizione
del clérigo presente anche nell’Apollonio: (LdAp, 510b) «paresçe bien que eres clérigo
entendido» – ci dimostra ulteriormente l’importanza, nella formazione culturale,
dell’elemento visuale autonomamente percepito dall’individuo – sia esso in forma di lettere
che di immagini, le quali a loro volta potevano essere accompagnate da lettere 30. Il
clérigo/clerc ha a che fare in primo luogo con libri, così come ritratto icasticamente
dall’anonimo autore dell’Apollonio:
28
E, nel contesto anglonormanno – oltre a leggere: (Chevalerie, 4049), «Muet esteit sages des ars e apris en
letture» – è anche in grado di scrivere: (Chevalerie, P1) «Tut joe vos dirrai, se Deu le me consent./ come il
encisme l'escrit a mist en testament,/ sa mere l'enveia a son procei parent,/ al gent Aristotle qui l'aprist
longment,/ issi cum le livre nus dist premieremant» (si fa cioè riferimento all'Epistola ad Aristotelem).
29
Con riferimento all'episodio dei serpenti messi in fuga dagli uomini denudatisi: «L'utilisation du
Physiologus de la part du poète implique, d'une part, qu'il possède le texte, d'autre part, qu'Alexandre
connait le Physiologus. Le Macédonien se sert d'une ruse qu'il a du, inévitablement lire dans ce traité. Le
poète s'identifie aussi avec Alexandre ou identifie Alexandre avec sa propre personne»(ARIZALETA, La
translation cit., p. 94).
30
Si consideri anche: (Alex, I, 2018-19), «[sulla tenda] et li ans est desus pains en sa majesté; / par letres
sor escrites i est tout devisé»; (Floire, 1881-84): «Molt a apris de l'escriture / qui puet savoir de la
painture: / li fait i sont des ancissours, / les proueces et le estours» .
78
Rezó sus argumentos, las fazanyas passadas,
caldeas e latines, tres o quatro vegadas.
(Alex, III, 2851-52) Vois tu la cele porte qui faite est par maistrie?
Bien connoistrais las letras, car tu ses de clergie.
(Chevalerie, P1) çoe ke l’en troeve en escrit deit l’en avant traire,
solunc çoe ke trovum en l’estoire de l’almaire.
En romanz oï l’epistre d’Alisandre retraire
qu’il tramist Aristotle son bon maistre gramaire32.
31
Francisco Javier GRANDE QUEJIGO, «Huellas textuales indirectas sobre la difusión oral de la literatura en
el Libro de Alexandre», Anuario de estudios filológicos, 20 (1997), pp. 169-190, p. 175. Si consideri anche:
«Junto al oír como mera recepción, hay casos en los que este verbo se especializa para describir la
recepción propia del saber escolar (copla 18, «Nada non olvidava de quanto que oié») […] Obsérvese que
el saber y el aprendizaje, aunque se liguen a una base escrita, no olvidan la oralidad, sino que la suponen,
porque el oído es el canal proprio de la comunicación medieval y del aprendizaje (2294b «lo que yo nunca
cuido d’oir nin de veer»)» (ID., «Huellas textuales indirectas sobre la difusión escrita de la literatura en el
Libro de Alexandre», Anuario de estudios filológicos, 21 (1998), pp. 119-139, p. 120). Di conseguenza,
data la componente di trasmissione orale, un ruolo fondamentale è svolto dalla memoria, cfr. (Troie, 24398-
99) «[Ditis] e clers sages et bien apris/ escientos de grant memoire».
32
Un altro esempio in: (Brut, 4817-18), «Unches ne poi lisant trover, / ne a home n’oï conter».
79
D’altronde, il ruolo iniziale nell’educazione di Alessandro è svolto dai maestri a cui viene
affidato a sette anni, e l’insegnamento passa anche attraverso un esercizio dialettico orale
come la disputación33:
Ben lontani dal mondo di santi e confessori che domina l’universo berceano, e assai più vicini
alla dimensione “laica” di cavalieri e chierici della materia alessandrina 34, i clerc che
popolano i primi 144 versi del Roman de Troie fugano definitivamente ogni dubbio circa la
loro natura sociale: questi si dichiarano clerc perché ciascuno di loro escrist una estoire che si
legge in un livre, e in un livre ha letto una estoire35. L’anacronismo, così ampiamente studiato
da Aimé Petit in relazione proprio ai romans antiques, funziona qui, fortunatamente per noi,
da intellegibilissimo indizio storico: ragionando a ritroso, se si attribuisce il titolo di clerc a un
Omero, a un Sallustio, a un Cornelio, a Dares e a Ditti, personaggi uniti dal fil rouge della
sagesse per i quali non è assolutamente possibile pensare alla condizione di uomo di chiesa,
33
Si consideri anche: (Brut, 5609-12), «La meschine fu bien lettree / e de belté assez loee; / mult la fist
Choel bien apprendre / e mult i fist maistres entendre».
34
Un significativo esempio che, con il suo sincretismo, dimostra come l'appellativo di chierico nel senso di
depositario di una conoscenza (sia di tipo libresco che artistico) non coincida con lo statuto di uomo di
chiesa, si può leggere in: (Alexandre, III, 920-21) «D'Ethyope la firent orfevre barbarin / si com lor
ensegnierent quatre clerc sarrasin».
35
Emblematico l’autoritratto di Lambert li Tors: (Alex, III, 13-15): «La verté de l'estoire, si com li rois la
fist, / uns clers de Chastiandun, Lambers li Tors l’escrist, / qui du latin la traist et en romans la mist»; da
completarsi con (Alex, I, 2553-54): «La merveille du tertre, ci trueve on lisant, / est escrite en un livre,
d’une estoire molt grant».
80
allora ecco che il possesso della sagesse e la conoscenza delle arz divengono la seconda parte
di un’equazione il cui primo termine è rappresentato dal chierico. Così Omero (Troie, 45-46)
«fu clerz merveilleus / des plus sachanz», Sallustio (77-80) «le vaillant, / qui sens ot e proëce
grant / riches iert e de haut parage, / s’ot en lui clerc mout fortment sage», Dares (99-100) «En
lui aveit clerc merveillous / e des set arz escïentos», o Ditti (24397-99) «Riches chevaliers fu
Ditis / e clers sages e bien apris / e scïentos de grant memoire». Non si vede in questi versi
attribuito il titolo di chierico Cornelio ma, stretto fra Sallustio e Dares, la sua fisionomia lo
sottintende (82, 84-88) «[…] fortment sachant / […] de letres saives e fundez. / De lui esteit
mout grant parole; / a Athenes teneit escole. / Un jor esteit en un almaire / por traire livres de
gramaire»36.
Un primo punto mi sembra dunque fissato: la clerecía del mester dichiarata
dall’autore, e probabilmente riflessa dai vari personaggi, è il sapere che ha a che fare con la
scuola. Terminando il suo sondaggio fra i prologhi francesi e gli usi in essi della parola
clérigo, Ángel Gómez Moreno concludeva affermando in primo luogo che «la clerecía es una
aptitud para poder leer textos en latín y traducirlos»37; in secondo luogo – notazione ancor più
importante e che richiama l’allusione di Thomas di Kent ai «clerc ou chevalier» in grado di
criticare i suoi versi38 –: «[Philippe de Beaumanoir ne ''La Manekine''] pone de manifiesto
cómo la clerecía es la que otorga a un autor la capacidad de hacer poesía y de rimar. Este
quizás es el punto de mayor importancia para el grupo español, si tomamos como
denominador el Alexandre»39.
La clerecía alessandrina, oggetto complesso costantemente in bilico fra sacro e
profano, è forse di difficile definizione in se stessa e proprio per questo un viaggio sul filo
delle parole alla ricerca di antecendenti, se non modelli perlomeno testimonianze
dell’esistenza di radici profonde di un’idea, può contribuire ad accerchiare più da presso un
oggetto dalle molteplici sfumature.
36
Si veda anche, ad es.: (Lai, 520-23) «Dont jo trai Caton a garant, / qui fait l’auctorité parant. / Qui bons
clers fu et sages hom».
37
GÓMEZ MORENO, «Notas al prólogo cit.».
38
(Chevalerie, P1): «Si clerc ou chevalier de rime me reprent / contre toz envios par cest mot me defent; /
cil qui plus seit de moi en menor fait mesprent».
39
GÓMEZ MORENO, «Notas al prólogo cit.».
81
Seconda notazione relativa alla nostra clergie: essa si interseca normalmente in ambito
francese con altri due termini, singolarmente o congiuntamente, vale a dire Aristotele e Atene.
Aristotele è, per questo orizzonte letterario, il clerc per eccellenza:
Se Aristotele è il chierico per eccellenza, Atene è per eccellenza la patria della clergie40:
40
Una tradizione, questa ateniese, che si ritroverà ampiamente fra le pagine della General Estoria, ad es.
(I, 7, 31): «Et desta guisa preciauan los antigos el saber, que al qui lo sabie, llamauan biuo, e all otro
muerto […] Et este nombre de Athenas compusieron por ende los sabios de, a, que diz el griego pos in, e
thanatos por mortal. Onde ayuntadas estas dos palabra sdizen en el nuestro lenguage de Castiella tanto
como sin mortalidad y sin muerte».
82
Nel caso del Roman d’Alexandre i tre elementi si fondono insieme dal momento che Atene
diviene la patria di Aristotele:
(Alex, IV, 1025) Onques n’issi d’Aitenes uns seus clerc si soutis.
e Aristotele intercede in favore della propria città avendo la meglio, per engin, sul proprio
antico discepolo.
Se passiamo a considerare la situazione del LdA vediamo che, innanzitutto, non appare
il motivo ateniese41, non presente nella Alexandreis, ma, attraverso le parole di Alessandro,
senza alcun dubbio possiamo sostenere l’associazione Aristotele-clerecía42.
Eliminata dallo scenario Atene, l’anonimo castigliano offre però una seconda
associazione non meno interessante:
Si è molto discusso se queste due citazioni, e insieme tutto l’ipotetico itinerario tracciato nella
mapamundi e definito da alcuni come “ruta de clerecía”, siano frutto di un’esperienza
autentica. Personalmente ritengo che, limitatamente alle due città universitarie, esse siano
ormai, nel XIII sec., talmente un luogo comune da non poter essere considerate con sicurezza
in questo senso come dati biografici. Lo stesso Willis – che pure affermava: «clearly this is a
schoolman’s itinerary»43 – ricordava poi in nota come tanto i nomi quanto le descrizioni
fossero appunto topoi ben affermati fra i letterati. Così, nella Poetria Nova di Geoffroi de
Vinsauf44, leggiamo: «In causis Bononia legibus armat / nudos. Parisius dispensat in artibus
41
O meglio, c'è una fuggevole citazione che non si interseca però con Aristotele: (G, VII, 408) «Graecia
diuinas famae inmortalis Athenas». diviene in castigliano (LdA, 1796) «Greçïa por Atenas, de seso
alumbrada». La linea è ribadita dalle parole di Dario (LdA, 812): «Oyemos por fazaña que varone de Greçia
/ de aver fueron pobres, ricos de sapiençia».
42
In Spagna, nel XIII sec., si afferma una seconda leggenda delle origini riguardante Aristotele, quella cioè
dell'origine ispanica, a partire dal Chronicon mundi di Lucas de Tuy (1236): «Fulget Hispania, eo quod
genuit Aristotelem, summum philosophum, nobilem investigatorem astrorum»; notizia ripresa poi dalla
General Estoria (IV) e da Juan Gil de Zamora, De preconiis Hispaniae; cfr. Francisco RICO, «Aristóteles
Hispanus: en torno a Gil de Zamora, Petrarca y Juan de Mena», Italia Medioevale e Umanistica, 10 (1967),
pp. 143-164.
43
WILLIS, «Mester de clerecía cit.», p. 215.
44
Ricordo in breve la cronologia delle principali e più diffuse arti retoriche mediolatine: Matthieu de
Vendôme, Ars versificatoria, ante 1175; Geoffroi de Vinsauf, Poetria Nova, 1208-1214; Geoffroi de
83
illos panes». E il monaco Helinando afferma: «Ecce quaerunt clerici Parisiis artes liberales,
Aurelianus auctores, Bononiae codices, Salerni pixides, Toleti daemones et nusquam mores».
Quello che a questo punto è interessante per delimitare bene il campo della clerecía
alessandrina è la traduzione dell’associazione, tanto comune, Parigi-artes come Parigi-
clerecía. Accantonata Atene, inevitabilmente la mente corre a un’altra tradizione, quella che,
possiamo dire, fa riferimento a una terza tappa della translatio dopo la Grecia, vale a dire la
tappa francese celebrata da Chrétien nel Cligès.
Ma tutto è così lineare e celebrativo nel LdA, e negli altri testi? Nella triade Aristotele-
Atene-clergie, o del binomio Aristotele-clergie, il XII e XIII sec. sanno insinuare spesso il
dubbio, o il sorriso, o il sarcasmo. L’espressione più compiuta con cui si manifesta questo
movimento sotterraneo che rende instabili le fondamenta dell’edificio celebrativo è
certamente quella dissacrante, anche se forse più giocosa e meno feroce di quel che possa
apparire al primo sguardo, offerta dal Lai d’Aristotes45, a lungo attribuito a Henri d’Andeli e
di recente analizzato approfonditamente da Alain Corbellari46, il Lai cioè del vecchio
Aristotele vinto dall’amore e cavalcato dalla giovane fanciulla amata da Alessandro, la quale
si vuole vendicare dei rimproveri del maestro al discepolo nel campo amoroso:
84
puis que Nature le semont,
quant tot le meillor clerc du mont
fait comme roncin enseler.
commenta l’autore.
conclude amaramente lo stesso Aristotele, chierico sconfitto 47. Letto nel contesto della Parigi
duecentesca, l’Aristotele così descritto risulta: «un personaggio la cui saggezza, non bastando
a proteggerlo, se da un lato evidenzia la pericolosità delle donne, dall’altro comporta una nota
di irrisione, nella fattispecie forse acuita dalle resistenze alla diffusione dell’aristotelismo»48.
Senza arrivare agli eccessi del Lai, Corbellari, dopo aver tracciato il quadro laudativo
sopra citato, ricorda anche «l’ironie ou du moins la condescendance dont le narrateur
accompagne les apparitions d’Aristote»49 in vari testi.
Meno giocosa del Lai, e assai più inquietante, è l’immagine finale del filosofo dipinta
dal Roman francese che, dopo averlo così descritto, non senza ironia:
85
ne li chaloit de soi, tous estoit enhermis;
barbë ot longe et lee et le poil retortis
et le chief deslavé et velus les sorcis;
de pain et d’eaue vit, ne quiert autres pertris:
onques n’issi d’Ataines uns seus clers si soutis.
perhaps reflects a criticism of the vanity of pagan philosophy. […] Might we perhaps also see
in it an implicite attack on the greater diffusion of Aristotle’s writings in the Parisian schools
where Alexandre de Paris may have studied? Nothing allow us, of course, to affirm this with
certainty. One can simply point out that the introduction of ambiguities into the portrait of the
philosopher coincides with progress in the knowledge of Aristotelian philosophy and the
increase in resistence to it50.
50
Catherine GAULLIER-BOUGASSAS, «Alexandre and Aristotle in the French Alexander romances», in The
medieval French Alexander, Donald Maddox – Sara Sturm-Maddox (eds.), New York 2002, pp 57-74, p.
65.
51
A sua volta profondamente debitrice del Secretum Secretorum. Il Poridat de las poridades si apre con
questa immagine: «[Aristotele] quando enuegecio, enflaquecio et non pudo yr con el en hueste nin fazer le
seruicio».
86
32 Maestro Aristótiles, que lo avié criado I, 59-71: Forte macer pallens incompto crine
seyé en es' comedio en su casa çerrado; magister / (Nec facies studio male respondebat)
avié un silogismo de lógica formado: apertis / Exierat thalamis ubi nuper corpore toto /
essa noch' nin es' día nunca aviá folgado. Perfecto logyces pugiles armarat elencos. / O
quam difficile est studium non prodere uultu! /
33 Más era medio día, nona podrié seyer: Liuida nocturnam sapiebant ora lucernam, / Seque
ixió don Aristótiles su criado veer; tenui discrimine pellis / Ossibus in uultu,
quisquier' ge lo podrié por vista coñoçer, partesque effusa per omnes / Articulos manuum
que veló [veyel'] al cresuelo, que viniá de leyer52. macies ieiuna premebat. / Nulla repellebat a pelle
parentesis ossa. / Nam uehemens studii macie
34 Los ojos teniá blancos e la color mudada, labor afficit artus / Et molem carnis, et quod cibus
los cabellos en tuerto, la maxilla delgada; educat extra / Interior sibi sumit homo fomenta
nos' le tenié la çinta, yuso yazié colgada; laboris54.
podriá caer en tierra de poca empuxada.
1965 Envïolas a Greçia, a la su madre cara, J2, 76: Deinde scripsit epistolam Olimpiadi matri
a las sus hermanillas que él niñas dexara53, sue et Aristotili preceptori suo.
al su maestro bueno, el de la barba sara,
el que muchos castigos buenos le enseñara.
52
I versi cd, non di facile interpretazione se si tiene solo conto della fonte latina, sono uno dei passaggi per i
quali Bienvenidos MORROS MESTRE («Las glosas a la Alexandreis en el Libro de Alexandre», Revista de
literatura medieval, 14.1 (2002), pp. 63-108) ha segnalato la confluenza nel testo castigliano delle glosse
che accompagnavano la Alexandreis: «Livida nocturnam, quia studentes in nocte vigilabant ad crucibulum;
Lucernam, crucibulum sive candelam quamdiu nocte studuerat». L'espressione ad crucibulum avrebbe
prodotto al cresuelo.
53
Il particolare delle sorelle, alieno alla Historia de preliis, rivela la conoscenza della Epistola ad
Aristotelem dove si legge: «et a mea ruaque pietate aberro, nisi tibi [Aristotele], ut Olympiadi, matri meae,
sororibusque meis de singulis regni mei commodis scribam»; «Semper memor tui etiam inter dubia
bellorumque nostrorum pericula carissime praeceptor ac secundum matrem meam sororesque meas
acceprissimi» .
54
Non dissimile la descrizione del maestro nel Laborintus di Eberardo Alemanno: «Afflixit corpus
Parisiana fames. / Sicut Parisius est divitibus paradisus, / sic est pauperibus insabiata palus. / Deinde tibi
fornax fuit Aurilianis, alumna / auctorum, Musae fons, Heliconis apex. / Unde reversus eras nudatus veste,
lacerna, / pallidus exilis corpore, rebus inops. / Sed nunca cura gregiste mancipat, urit et artat / officii jure,
sedulitate, metu. / Pervigilate tibi face nocturna, recitata / saepius excerberat lectio mane caput».
87
Vediamo che già Gautier utilizza le arti della retorica per ottenere un effetto ambiguo,
estremamente drammatico a una prima lettura ma potenzialmente ironico alla seconda, anche
se in virtù di una notevole sottigliezza: si parla infatti di una devastazione fisica descritta in
modo particolareggiato e la cui causa, in fondo, è individuata in null’altro che lo studio, uno
studio che consuma dall’interno come una malattia. Né suona molto riverente l’espressione
utilizzata per descrivere gli altri potenziali chierici (così li avrebbe definiti l’anonimo se
avesse tradotto il verso): «uatum grege inermi»55.
Ma, qualunque fosse l’autentica volontà di Gautier, l’anonimo non esita nel
ridipingere la scena orientandola su un versante decisamente comico56: l’apparizione di
Aristotele (con la precisazione del fatto che esce di casa a un’ora precisa) porta il tutto su un
piano di scenetta quotidiana e trasforma il filosofo in una sorta di fantasma che, con il suo
55
Un altro esempio di ironia, sottolineato da Douglas KELLY («Alexander’s clergie», in The medieval
French Alexander cit., pp 39-56), è nel Roman de Athis et Prophilias, interamente costruito sul doppio
topos chevalerie/clergie e chevalerie-Roma/clergie-Atene: (vv. 5472-78) «Li riche homme de la cité
[Atene] / estoient si asseüré / ne savoient armes porter, / ne guerre faire ne jouster. / N'amoient pas
chevalerie. / Tuit entendoient a clergie, / tous li savoirs iert del mont»; (vv. 5508-13) «Lors s'en issent li
citoien, / et li bourgois et li vilain, / li chanoine, li clerc d'escole, / une gent de guerre molt fole. / N'ierent
mie a besoing delivre: / miex savoient garder en livre»; (vv. 5574-78) «Plus lor cheirent jus de botes / a
ceuls que norri Aristotes, / et d’esperons et de chapiaus / et de chapes et de mantiaus / qu’en ne vendroit en
un marchié». Dopo la loro ignominosa disfatta, i chierici ritornano ai loro libri, mentre i Romani
conquistano il mondo; (pp. 132-130): «La vision comique des clercs et des chanoines abandonnant capes et
chapeau sur le champ de bataille d'une guerre qu'ils n'ont pu soutenir accentue cette impression [di
superiorità della chevalerie sulla clergie]. Aux Athéniens, combattants humiliés, reste seule la clergie, non
l'art de la guerre. Rome, en revanche, a du réunir les deux arts. […] On peut même se demander d'ailleurs
s'il ne faut pas voir dans la victoire de Rome l'expression d'une méfiance à l'égard d'un certain type de
savoir que représenteraient Athènes et le nom même d'Aristotes. […] L'auteur paraît rejeter le savoir érudit
tel qu'il était dispensé dans les écoles et la place de plus en plus importante qu'y tenait le philosophe».
56
La comicità di questa prima apparizione di Aristotele era già stata notata da Juan CASAS RIGALL,
«Bromas y veras en el Libro de Alexandre», Moenia, 6 (2000), pp. 277-304, il quale interpreta
esclusivamente nel senso della gravedad la corrispettiva scena latina, cosa che fa spiccare ancora di più il
carattere “eversivo” della versione castigliana.
In generale, con riferimento all’intero libro, Casas Rigall afferma (p. 296): «Conceptos épicos
como el héroe, líricos como el amor, cristianos como el matrimonio no escapan la mirada irónica del autor,
quien ni siquiera está al margen de su propia perspectiva escéptica. A lado de la ironía, la sátira, que fustiga
el vicio por medio de la risa, aflora en el denuesto del pecado, que a menudo se focaliza sobre la sociedad
contemporánea». Si veda anche José María BALCELLS, «Aspectos humorísticos del mester de clerecía», in
Actas de XI Congreso Internacional de la AHLM (León, 20-24 de septiembre de 2005), Armando López
Castro – María Luzdivina Cuesta Torre (eds.), León 2007, pp. 27-40.
Peter Dronke ha fatto notare anche l’ironia della reazione di Alessandro di fronte ai consigli di
Aristotele: «[copla 86: «El infant fue alegre, tóvos por consejado, / non olvidó un punto de quantol fue
mandado, / perdió el mal talento e tornó tan pagado / como si ya aiesse tod’esto acabado»] Egli
[l’anonimo] è un chierico come Gualtiero di Châtillon, ma a differenza del suo predecessore usa l’ironia per
minare il valore di ogni conoscenza clericale quando disegna la scena dell’insegnamento di Aristotele. Un
quattordicenne dotato, suggerisce, può assorbire tutta la sapienza di Aristotele e poi semplicemente passare
ad altro» (Peter DRONKE, «Introduzione», in Alessandro Magno nel Medioevo occidentale, Corrado
Bologna – Pietro Boitani – Adele Cipolla – Maria Antonia Liborio (ed.), Milano 1997, p. XLVII).
88
pallore notturno, vaga per le strade, per contrasto, nella piena luce del giorno. L’aspetto
dell’«incorrupto crine» di Gautier, con un suggerimento dato probabilmente dal successivo v.
225 «inpexos castigat laurea crinis», viene amplificato in senso comico dal particolare della
fascia che non riusciva a rimanere al suo posto per lo stato dei capelli. E, ultimo tocco, lo
stesso Aristotele, ridotto a non molto più di quella fascia, avrebbe potuto cadere anche lui a
terra per una semplice “spintarella”. Così, il verso aggiunto dal poeta circa la reazione di
Alessandro (35d) gioca su una duplice valenza: i versi successivi glossano questo pavor in
una impaurita reverenza del discepolo nei confronti del maestro; ma la loro lettura appena
dopo la descrizione di questo fantasma lo fa interpretare anche come spavento di fronte al
profilarsi di una figura tanto inquietante.
La seconda descrizione non è meno spietata, aggiungendo, al dettato latino, il
particolare delle mani tremanti che toglie ogni aura di gravità alla scena. Non solo, viene
anche inserito un secondo elemento originale: di fronte a una corte così ricca come mai
nessun essere umano ha visto, Aristotele, abituato come si è già visto a stare «en su casa
çerrado», siede vicino al re «leyendo en su livro»: una sorta di intellettuale autistico. E
l’effetto di estraniamento rispetto alla realtà di questo “vecchio decrepito” potrebbe essere
suggerito anche dalla copla 198, con la giustapposizione della grande soddisfazione di
Aristotele per il successo del suo pupillo e la constatazione che «quando fue coronado / paor
avié tod’omne que l’oviesse irado»: l’Alessandro incoronato, in realtà, inquieta i suoi sudditi
mostrando una delle sue ombre, l’irascibilità. Infine, l’ultima, impietosa apparizione di
Aristotele: la stringata frase della fonte (HdP J2, 76) viene amplificata, e l’uscita di scena del
filosofo è sancita dal massimo dell’irriverenza: il maestro, per la gioia, fa tre salti. Quello
stesso maestro che aveva impartito tanti buoni castigos57.
In questo contesto, come non leggere un’ironia feroce nell’affermazione di Alessandro
(49c): «Espero tu consejo como del Salvador?».
Dato che il Libro si è aperto con una connotazione di Alessandro in primo luogo come
discepolo di Aristotele, la storia del Macedone non è in fin dei conti quella del fallimento del
discepolo di un vecchio tremante?
E soprattutto, queste rappresentazioni di Aristotele possono coniugarsi con un
supposto entusiastico aristotelismo dell’anonimo poeta?
57
All'inizio della storia Dario aveva già risposto alle provocazioni di Alessandro facendogli notare
ironicamente: (LdA, 781) «Eres niño de días, de seso ben menguado, / andas con grant locura, serás y mal
fallado; / si te fueras tu vía, seriés bien acordado, / si te guías por otro eres mal consejado».
89
Appendice
90
in isto
157 Regnet hemispherio. Motus rimatur et horas
156 Colligit, eventus hominum perpendit in astris.
147 Parva loquor, totum claudit sub pectore caelum.
169 in me converte furorem
170 Si quid adhuc virtutis habes. Me contere, cuius
171 Miliciam claudit septemplicis arca sophiae
1060 Yazen todos los sesos en esta arca mía, 172 Et caput astriferum sibi vendicat utraque
ý fizieron las artes toda su cofradía; laurus.”
demás por todo esto, pora en caballería
non conosco a omne naçido mejoría.
58
Altra figura patetica di astrologo “accecato” nelle sue predizioni è quella di Rannez nel Roman de Eneas,
vittima del vino: (Eneas, 5129-50) «Tant out alé li compaignon / qu'il vindrent au pavillon / de Rannez jut,
91
fue luego fecho puestas, en las lanças
alçado.
Qui a rey firiere non prenda mejor fado!
qui ert moult sages: / d'oysiaus savoit toz les langajes, / et moult savoit bien deviner / et jeter sors et
enchanter; / souz ciel n'avoit meilleur devin. / La nuit ot tant beu de vin / que tout son senz en fu troublé / et
son savoir oublié; / cil qui de autres devinoit / de soy meisme ne savoit / que sa mort li fust si prochaine, /
mais bien avoit dit la semaine / que ce savoit il bien sanz faill e/ qu'il ne morroit mie en bataille. / Ja nel fist
pas: il ot voir dit, / car il n'i fu ne ne la vit, / ne say comment il y morust, / car ainz que la bataille fust, / li
fist Nesus le chief voler, / si ne sot il preu devins».
92
I.3.c
Fra esortazioni, commenti e spiegazioni: l’autore di fronte al suo pubblico,
l’autore all’interno della sua opera
des intrusions d’auteur, celui de l’instance narrative "extradiégétique" selon G. Genette, des
"embroyeurs" de discours selon R. Barthes qui reprend alors la terminologie de R. Jakobson,
ce que P. Zumthor qualifie d’épiphrase. […] J’élabore en particulier une démarche narrative
explicite: les auteurs des romans antiques cherchent le plus souvent à nous éclairer sur les
articulations de leur récit. D’autre part, certaines formes appuyées de communication du
narrateur avec son public font apparaître une attitude pédagogique. Celle-ci n’est pas étrangère
au rapport privilégié que l’écrivain peut entretenir avec ses sources et qu’il souligne alors de
manière significative. En outre on ne peut négliger les interventions de type soit affectif, soit
critique et visant même à la moralisation1.
La compresenza di tutti i topoi dello scrittore propri del roman antique (che raggiungono la
loro massima diffusione all’interno del testo nel Roman d’Alexandre ma soprattutto nel
Roman de Troie) fra le coplas del LdA, il quale, con il suo stile proprio – perché questa è cosa
da sottolineare con forza: l’anonimo ha uno stile –, ne amplifica alcuni e conferisce loro una
formulazione particolare, insieme agli altri elementi analizzati induce a pensare che il poeta
castigliano, particolarmente dotato letterariamente e retoricamente, sia stato in grado di
percepire distintamente e assimilare i tratti caratteristici di un genere, e abbia poi saputo non
solo utilizzarli ma anche reinterpretarli. Limitandoci a questo aspetto, nel resto della
produzione in cuaderna vía, è solo Berceo l’unico in grado di comprendere appieno la lezione
estetica alessandrina seppur distanziandosene, probabilmente, da un punto di vista
contenutistico se si vuole leggere un tono polemico nell’allusione raffinata dello scrittore
della Rioja alla copla alessandrina 2288:
93
(Domingo, 70) Sufrié fiero lazerio las noches e los días
tal como oyestes en otras fantasías.
A differenza di quest'ultimo, l’autore del Libro de Apolonio, pur rivaleggiando con il LdA dal
punto di vista tematico, riduce la dichiarata nueva maestría del prologo all’uso del tetrastico
monorima; e l'Arlantino, componendo il Poema de Fernán Gonzalez, agisce semplicemente
da emulo un po’ pedante.
Alcuni caratteri di questo “interventionnisme” romanzesco, messo in evidenza da Petit
per l'ambito francese, si incrociano poi con certi stilemi propri della poetica della cuaderna
vía europea, per i quali fornisce numerosi esempi Elena González Blanco-García2. Rimando
inoltre agli esempi tratti dai testi fondativi del genere – i Proverbia super natura foeminarum
(ca. 1160) e il Poème Moral (1200 ca.) «que fijó las características del género»3 – e da alcuni
testi provenzali citati da Jorge García López nella sua Introduzione alla recente edizione del
LdA.
Si tratta in primo luogo del riferimento alla fonte-scritta, che si intensifica in particolar
modo nella prima metà del XIV sec.: «En muchos casos los autores se inspiran en una fuente,
generalmente latina, que les sirve de modelo y citan, asegurando que la han seguido con
firmeza, que se han ocupado de traducirla, dada la importancia de que su contenido se
transmita entre los fieles»4. Ne è un buon esempio l’incipit del Purgatoire de Saint Patrice di
Béroul (metà o inizi del XIII sec.)5:
2
GONZÁLEZ-BLANCO GARCÍA, «El exordio cit.».
3
Jorge GARCÍA LÓPEZ, «Introduzione», in Alexandre, p. 29: «un uso grave y eclesial, vehículos narrativos
ideal de temas hagiográficos y de didáctica moralizante».
4
GONZÁLEZ-BLANCO GARCÍA, «El exordio cit.», p. 75.
5
Per tutte le indizioni bibliografiche rimando ai contributi già citati da cui ho tratto gli esempi.
94
e nelle Expositiones Catonis di Bonvesin de la Riva (seconda metà del XIII sec.):
In terzo luogo, numerose sono le richieste di aiuto o elemosina, «motivo que también aparece
como tópico desde el período mediolatino»6. Aiuto che può essere anche di natura spirituale,
incrociandosi in questo modo con il topos di modestia. Ad es. nel De die iudicii di Bonvesin
de la Riva:
il Dit de Fortune de Jehan Moniot (seconda metà XIII sec.) (v. 17):
Si ricorda, infine, l’importanza della misura, della brevitas, nell’espressione letteraria. Ad es.
nel Poème Morale (1200 ca.):
6
Ivi, p. 69.
95
(544) Mais a nostre chemin nos convient returneir.
(1161) Mais ce laissons esteir, returnons a la voie.
(1409-12) Nos vos poriens de ce si longement parlier
ke saint Pasnution porieus trop oblier
[…] returnons dont arriere a saint Pasnution.
Ma moltiplicare gli esempi può anche essere fuorviante: se questo è il trend generale di un
certo tipo di composizione letteraria duecentesca, e non solo, è necessario poi individuare un
orizzonte di riferimento molto più ridotto, possibile, per il proprio autore.
La scelta della copla cuaderna e la dichiarazione d’origine, il mester de clerecía,
impongono certamente di considerare anche questo retroterra letterario che si trascina dietro il
tetrastico. Ma la singolarità del tema, vero punto di rottura con il resto della tradizione – come
sottolineato più volte da Jorge García López7 –, impone il confronto con un altro orizzonte,
del quale si condivide la materia e che è con certezza richiamato da una delle fonti, vale a
dire, come si è ripetuto più volte, il roman antique francese del XII sec.
Su questa tela di fondo si incrosterebbe poi una patina, tendenzialmente ma non in
assoluto esclusiva, tipica di una certa porzione della produzione del mester de clerecía
castigliano, derivante dall’uso di un linguaggio molto vicino alla terminologia scolastica,
approfonditamente studiato da Pablo Ancos8:
7
GARCÍA LÓPEZ, «Dal roman a la cuarteta cit.»; ID., «La Biblia cit.»; ID., «Introduzione cit.», pp. 32-33.
8
Pablo ANCOS GARCÍA, «El narrador como maestro en el mester de clerecía», eHumanista, 12 (2009), pp
48-64; cfr. anche Francisco GRANDE QUEJIGO, «'Quiero leer un livro': oralidad y escritura en el mester de
clerecía», in La memoria de los libros: estudios sobre la historia del escrito y de la lectura en Europa y
América, Pedro M. Cátedra, María Luisa López-Vidriero, María Isabel de Páiz Hernández (eds.),
Salamanca 2004, vol. 2, pp. 101-112.
Fra i termini catalogati è bene ricordare la razón (GRANDE QUEJIGO, «Huellas textuales indirectas
sobre la difusión oral cit.», pp. 176-177) che «en ocasiones marca la estructura lógica del discurso o su alto
valor comunicativo. […] En otras signífica explícitamente el término legal de la allegatio»; gli ejemplos
(ivi, p. 178), «cauce narrativo del que puede desprenderse una lección moral»; la desputaçión e le razones
(ivi, p. 183), eco dell’uso didattico della disputatio e delle questiones; il sermón (ibid.) «en el Alexandre
tiene [il significato] de discurso susceptible de introducir desarollos narrativos»; título (96d) (ivi, p. 134):
«técnica de lectura de estudio individual o colectivo, que se desarrolla junto a los índices en la lectura
escolástica»; tractado (ivi, p. 132): «género proprio del mundo académico medieval».
Una lunga analisi richiedono le coplas 1956-57 (ivi, p. 188): «El significado de fuente escrita de
‘testo’ parece imponerse. [Per ‘glosa’] ha de entenderse la exposición escolar de la fuente, su comentario,
técnica documentada ya en el proprio exordio del poema. Más dificil es interpretar el término ‘prosa’,
claramente vinculado a la narración en verso originariamente litúrgica en la poesía de Berceo. […] Los
términos ‘breviario’ y ‘sermonario’ parecen indicar la naturaleza oral del comentario de la glosa que va de
la lectura obligada de la fuente (breviario que se dice) a la creación (fer) de un nuevo mensaje culto de
naturaleza oral (el sermón). Prosa cumpliría, en este sentido, una función documentarista: fijar en escrito el
contenido de un comentario oral». Si ricorda anche il leer (ivi, pp. 125-126): «fuente de aprendizaje y
formación […] el receptor escucha el ‘decir’ de su fuente escrita, bien en solitario […] o en compa ñía de
otros». Questa “lectura rezada” utilizza tre espressioni: leyendo, lección e dictado. «La función dominante
de la lectura rezada como instrumento de formación intelectual hace que las menciones explícitas de agente
cultural de la lectura sea el término letrado».
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Esta terminología se agolpa en los paratextos de los poemas con lo que el conjunto queda
explícitamente impregnado de un carácter docente, así como en lugares en los que se quiere
hacer hincapié sobre algo especialmente relevante o en pasajes de transición entre segmentos
narrativos, por un lado, y expositivos o argumentativos, por otro. Asimismo, es de notar que
esta terminología abunda en el LdA, Sacrificio y los Milagros de Nuestra Señora […] lo que
no es de extrañar, dado el carácter pedagógico de los dos primeros poemas y la complejidad de
la introducción a los Milagros […] Este vínculo con el ámbito educativo queda aún más
reforzado mediante el uso del verbo leer y de los sustantivos leyenda y lección como
indicadores de un modo de transmisión de los poemas evocador de la lectio académica.
Vorrei quindi appoggiarmi alla struttura di analisi applicata da Aimé Petit ai romans antiques
per verificare la condivisione o meno da parte del poeta castigliano di quella
Organisation narrative proprement romanesque [che] se fait jour, soulignée par une série de
procédés parfois fort appuyés, liés à la conscience de la dimension de l’œuvre et aux nouvelles
conditions de sa diffusion, phénomène particulièrement accusé dans Troie. Se développe ainsi
chez le romancier un discours de caractère métanarratif, quelque fois bien scolaire, orienté
vers la constitution de ce que Chrétiens de Troyes appellera un molt bele conjointure9.
Un’affermazione utile per sfumare – non negare – le conclusioni di Pablo Ancos circa la
“scolasticità” dell’apparato metaletterario del mester.
Tralascio qui di ritornare sulla questione dei prologhi, già ampiamente analizzati, e che
rientrano comunque nella categoria di interventi classificati da Petit come facenti parte da un
lato della categoria «il romanziere e il senso della sua opera» (categoria che comprende
anche: «la scelta del destinatario», «l’idea di trasmissione di una sapienza» e «il rapporto del
romanziere con la posterità»), e dall’altra della categoria «il narratore e la strutturazione del
suo récit»10.
Pablo Ancos analizza invece dettagliatamente le valenze del verbo leer a partire dal «yo quiero
leer» del Millán di Berceo e il «quiero leer un livro» del LdA, con riferimento ai concetti di lego librum illi
di Ugo di S. Vittore e prelegere di Juan de Salisbury: «El narrador-autor ‘lee’ (o sea, comenta, enseña) las
fuentes latinas mediante la lectura en voz alta que el narrador-emisor vocal hace del poema romance. [ Ma]
este fenómeno parece, sobre todo, una estrategía retórica propiciada por convenciones literarias. […] No
creo que se pueda inferir necesariamente que autores y emisores vocales […] tuvieron que desempeñar por
fuerza la profesión de maestro escolástico en la vida real, ni que el receptor primario o anticipado hubiera
de ser su discípulo».
Ricordo l’uso di termini analoghi a quelli già citati da parte di un clerc pienamente imbevuto di
scuola, vale a dire dall'autore del Lai d’Aristotes: traité (42-43, «or revenrai a mon traitié / d’un affaire que
g’enpris ai»); glose (523, «Caton dist, et cist vers le glose»). Ma anche nel Roman de Troie: treté (23302-
03, «ce nos recontent li treité / e li grant livre istorial»). E l’uso del termine raison nel Roman de Thèbes
(34-35, «Ne parlerai pluis longement / car ma raison voil comencier»).
9
PETIT, Naissance cit., p. 826.
10
Ivi, pp. 819-826 e 752-756.
97
I. L’ossessione della brevitas, l’ansia della fin
C’est qu’un certain nombre d’interventions directes de nos premiers romanciers sont liées à
leur conscience de l’étendue, de la durée de l’œuvre qu’ils écrivent. C’est ce qui explique
l’apparition de multiples formules d’abrègement et de refus de description dans les romans
antiques11.
L’utilizzo di queste formule è piuttosto contenuto nel Roman de Thèbes. Segnalo, in tutto il
poema:
Questo materiale paranarrativo, discretamente usato nel Roman de Thèbes (e quasi del
tutto assente nel Roman d'Eneas che, sotto molti aspetti, si distanzia dai suoi compagni), si
dilata smisuratamente nel Roman de Troie. Dato il numero delle citazioni, non pretendo darne
un elenco esaustivo (anche perché si potranno trovare numerose indicazioni nel testo di Petit)
ma solo qualche esempio per illustrare le varie tipologie di intervento. Molto diffuse sono le
formulazioni più semplici, di un solo verso:
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La brevitas, per arrivare al cuore della questione, che è precisamente nella fine, è l’ideale
narrativo, almeno a livello di dichiarazioni, sempre presente agli occhi dell’autore castigliano:
esiste un fine nella sua opera, e questo fine è nella fine; la narrazione richiede l’abbandonarsi
a mille rivoli per soddisfare curiosità – curiosità peraltro non vane ma, evidentemente,
necessarie se inducono a «la materia un poquillo dexar» (LdA, 234c) –; quello però di cui si
deve essere certi, e che l’autore deve più volte ricordare nella sua démarche narrativa, è il
fatto che «será en cabo todo a un lugar» (LdA, 23240)12 perché:
(LdA, 1413) Mas, como diz’el viesso [sabio] – es verdat sin dubdança –
que en la fin yaz todo el prez o malestança,
non queramos seyer en luenga demorança,
vayamos a la fin do yaze la ganançia.
O anche:
È una volontà di brevitas, vale a dire di giusta misura, dichiarata fin dal prologo:
(LdA, 4) Non vos quiero grant prólogo, nin grandes nuevas fer
luego a la materia me vos quier' acoger.
12
Olivier BIAGGINI, «Todos somos romeos que camino pasamos: homo viator dans le mester de clerecía»,
Cahiers de linguistique hispanique médiévale, 30 (2007), pp. 25-54, p. 50: «Dans le curso sinueux, parfois
même essentiellement digressif, les détours sont a posteriori justifiés et transcendés par l’évidence d’un
sens qui se tient au bout du parcours. D’où la rhétorique de l’auteur qui structure le poème et tous ces
appels à la patience adressés par le narrateur à son public».
99
(LdA, 5d) Ternem', si lo cumpliere, por non mal escribano.
Vale a dire: «Mas tornemos al curso mientre nos dura ‘l día» (LdA, 294d), in una delle
formulazioni del topos da parte del castigliano, il quale in questo caso predilige il motivo
della durata del giorno e dell’avvento della notte:
100
– cada uno qué fizo, cómo pudo lidiar – ,
mal pecado, la noche podié ante uviar
que pudiéssemos sólo el diezmo recontar.
Una delle formulazioni più interessanti è quella della copla 2179: il narratore si identifica con
Alessandro e, al pari di lui, cambiare argomento narrativo significa lanciarsi all’inseguimento
del personaggio: