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IL NOVELLINO, O LE CIENTO NOVELLE ANTICHE

Il Novellino, 1ª ed. originale 1525, è una raccolta di novelle toscane, risalente all'incirca all'ultimo ventennio
del Duecento. Dell'autore (o degli autori) non si conosce l'identità; ignoto è anche il compilatore (di certo
unico) di racconti/aneddoti in volgare di diversi autori. I pochi tratti che possono
essere delineati sull'autore del Novellino si desumono dalla stessa opera, e
rimangono molto generici: egli fu di origine fiorentina, forse un ghibellino,
sicuramente laico.
(In figura, Alessandro Magno, uno dei protagonisti del Novellino, in una statua conservata a Roma
presso i Musei Capitolini)
La raccolta originaria, denominata dagli studiosi "Ur-Novellino" e per la quale si
veda lo studio di Alberto Conte citato in bibliografia, conteneva circa 85 moduli.
La maggior parte delle novelle non è un'invenzione originale, ma è tratta da fonti
latine antiche o medievali e dalla tradizione provenzale. Soltanto nella "redazione
vulgata", che risale però al Cinquecento (quindi ben dopo il Decameron di
Boccaccio), l'opera si compone di 100 novelle. Vari sono i temi sviluppati: storie
mitiche, incontri nobiliari, vicende amorose più o meno fortunate. I protagonisti
delle novelle, invece, sono personaggi illustri dell'antichità (come Alessandro
Magno, Traiano o Socrate), della Bibbia (Davide, Salomone), della mitologia classica e medievale (Ercole,
Artù) e, molto spesso, anche della storia recente (Federico II di Svevia, Carlo d'Angiò).

La semplicità dello stile del Novellino, con la sua sintassi poco articolata e basata sulla coordinazione
(paratassi) più che sulla subordinazione (ipotassi), i cui pochi casi sono limitati a proposizioni-frasi relative e
consecutive, non diminuisce il valore dell'opera, ma dà invece al testo una piacevole e viva immediatezza. A
contribuire all'efficacia del Novellino è anche la volontà dell'autore di non indulgere ad approfondimenti
psicologici dei personaggi e a descrizioni particolareggiate dell'ambiente esterno. Nelle novelle appare un 1
tema profano che tende a evidenziare la morale. Le novelle nel Medioevo non sono un genere codificato in
modo chiaro, ma si definiscono in opposizione alla narrativa lunga, ad esempio la chanson de geste che
ebbe larghissima fortuna per esempio in Francia. Tra i generi che possiamo citare ci sono sicuramente:

 Legenda ed exemplum, che hanno contenuto religioso e riguardano l'agiografia di un santo oppure il
racconto di un singolo episodio miracoloso della vita di un uomo di fede, con lo scopo di illustrare
alcuni principi cristiani e mostrare la retta via;
 Lai, un tipo di racconto inventato da Maria di Francia con temi d'amore o semplici storie legate alla
natura e agli elementi della terra, a cui si aggiunge il fabliau, un racconto dallo sfondo comico-
satirico;
 Vida, ossia il racconto della vita di un trovatore in lingua provenzale.

Va specificato in modo deciso che non sempre c'era una distinzione chiara tra questi sottogeneri, o quanto
meno la coscienza di tale distinzione era vaga e imprecisa, come per altro dimostra Boccaccio quando, nel
Decameron, scrive di voler "raccontare cento novelle, o favole o parabole o istorie che dire le vogliamo":
una terminologia piuttosto varia, se si considera che riteniamo Boccaccio colui che ha codificato la forma
letteraria della novella! La Raccolta non risponde a un unico genere letterario ma presenta confluenze in vari
generi, come gli exempla, le vidas, i fabliaux, racconti di stampo orientale, appunti di trama per racconti
orali, etc. Il titolo è postumo, ma non si conosce con precisione quello originale, come non sono noti i
momenti della composizione, che oscillano tra la fine del Duecento e gli inizi del Trecento.
I personaggi dei racconti sono presi dalla Bibbia, oppure dalla storia sia antica (Roma, Grecia) sia
contemporanea all'autore (il Medioevo) e sono spesso personaggi illustri, come re oppure sapienti o
personaggi del mito classico. Particolare rilievo assume la figura mitizzata di Federico II. I temi sono
spiegati sin dal proemio: l'autore dichiara infatti di voler fornire dei modelli di comportamento, in
positivo o in negativo, al mondo borghese, ispirandosi alla tradizione a lui precedente. In parallelo, però,

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appare lo scopo del divertimento per la nuova classe nascente: entrambi gli scopi saranno poi ripresi da
Boccaccio nel Decameron.
Nel complesso, i singoli racconti tendono ad uscire dal puro fine pedagogico, e si aprono all'osservazione
della realtà circostante e dei comportamenti umani, spesso anche solo per il gusto del narrare, che risponde
alle esigenze di una nuova lingua, come a quelle della nuova cultura comunale, tecnica e mercantile.

Libro de' sette savi


Autore, sconosciuto - 1ª ed. originale, XIII secolo, Raccolta di novelle in italiano.
Il Libro de' sette savi consiste in un romanzo a cornice contenente una serie di exempla di carattere
pedagogico-esemplare, databile intorno alla metà del secolo XIII. Probabilmente il testo è di origine indiana
e si è diffuso sia nell'area orientale che in quella occidentale. La mancanza del testo originale è spiegata col
fatto che buona parte del materiale contenutovi è passata poi in altre raccolte più popolari, quali il
Pañcatantra, la cui fortuna ha soverchiato quella della fonte del Sindibād. In Italia esso si ritrova in due
diverse zone, quella toscana e quella settentrionale, soprattutto veneta. La redazione toscana, che si rifà con
tutta probabilità ad un testo in prosa in lingua francese, si ritrova in due codici conservati alla Biblioteca
Laurenziana (Gaddiano 160) e alla Biblioteca Nazionale di Firenze (Palatino 680). I quattordici racconti o
novelle che strutturano il testo sono racchiusi all'interno di una cornice narrativa che anticipa quella
boccacciana e sono scritti in uno stile semplice e vivace, dal quale si coglie un certo gusto per la narrazione.
Sette Savi, Libro dei (Syntipas)
Opera novellistica di origine orientale, diffusasi attraverso una serie di traduzioni e rielaborazioni in varie
lingue d'Oriente e d'Occidente. Nucleo fondamentale dell'opera è il seguente: il saggio Sindibād (da non
confondere con l'omonimo eroe dei Viaggi, per cui v. sindbad), precettore del figlio di un re, gl'impone di
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mantenere il silenzio per sette giorni, avendo scorto nelle stelle un pericolo che lo minaccia. Infatti la
matrigna tenta di sedurlo e, respinta, lo accusa presso il padre che vuol metterlo a morte. Sette savi presenti a
corte raccontano allora a turno, uno per giorno, una storia intesa a dimostrare i pericoli delle decisioni
affrettate e la malvagità delle donne, onde dilazionare l'esecuzione del principe; storie a cui la matrigna
accusatrice ne contrappone, di volta in volta, altrettante, in senso opposto, per provocare la morte del
figliastro. Trascorsi i sette giorni, questi rompe il silenzio, e prova la sua innocenza. Si tratta dunque, a
somiglianza delle Mille e una notte, di una storia-cornice che serve a inquadrare tutta una serie di altri
racconti.
L'opera sembra di provenienza indiana. La mancanza del testo originale è spiegata col fatto che buona parte
del materiale contenutovi è passata poi in altre raccolte più popolari, quali il Pañcatantra, la cui fortuna ha
soverchiato quella della fonte del Sindibād. La trasmissione del testo dall'India all'Occidente ha del resto
molte analogie con quella della celeberrima raccolta di apologhi risalente al Pañcatantra e nota sotto la
forma di Kalīlah e Dimnah (v.). Abbiamo anche in questo caso un'assai probabile versione dal sanscrito in
mediopersiano (pahlavī), perduta, e poi una da questo in arabo, conservata e risalente al sec. VIII o piuttosto
al IX. Dall'arabo, che è dunque il testo più antico di cui disponiamo, derivano le versioni siriaca, ebraica,
antico-spagnola. Dalla siriaca dipende a sua volta la versione greca, cospicuo documento di prosa narrativa
bizantiva, dal titolo ‛Ιστορικὸν Συντίπα τοῦ ϕιλοσόϕου ὡραιότατον τανυ (Bellissima storia del filosofo
Sindibād), abbreviato comunemente in Syntipas.
Di questa versione, dovuta a un Michele Andreopulo ed eseguita sullo scorcio del sec. XI per commissione
d'un duca armeno (Gabriele di Melitene) esistono tre redazioni, compreso il rifacimento in neogreco del
1626. In parte dipendenti direttamente dal Syntipas, ma le più da una sua versione latina, sono le
numerosissime redazioni occidentali del romanzo, a capo delle quali stanno quella antico-francese Roman
des sept sages de Rome (una posteriore antico-francese ha, dal nome dato al protagonista, il titolo di
Dolopathos), e l'italiana Storia dei sette savi (del sec. XIII, in due redazioni fondamentali), accompagnate e
seguite da redazioni latine (Historia septem sapientum), spagnole, olandesi, tedesche, alle quali va
affiancata, nella tradizione, una versione armena. Esse condividono l’occidentalizzazione della leggenda

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orientale, trasportando la scena a Roma antica, dando nomi latini o romanzi ai personaggi, e cristianizzando,
nel colorito ambiente, le sentenze e i racconti. D'altra parte, anche la tradizione orientale dell'opera continua
nell'Oriente stesso, con rifacimenti della redazione araba, specie in persiano, dove i sette savî diventano
talora dieci e poi quaranta visir, con l’allargamento delle proporzioni dell'opera, e con l’islamizzazione della
gnomica (morale) e dell'ambiente.
Edizioni principali: Il testo arabo e uno persiano, editi da W.A. Clouston, 1884; la vers. siriaca, a cura di
Baethgen, Lipsia 1879, e di H. Gollancz, 1897; del Syntipas greco, la più recente ediz. è quella di V.
Jernstedt, Pietroburgo 1912; delle redaz. occid., la Historia Septem Sapientum è edita da A. Hilka,
Heidelberg 1912; il Roman des Sept Sages da G. Paris, Parigi 1876; una versione della Storia dei Sette Savi
(dipend. dal francese) da A. D'Ancona, Pisa 1864.
Bibl.: D. Comparetti, Ricerche intorno al libro di Sindibad, Milano 1869; A. Mussafia, Beiträge z. Gesch. d.
sieben weisen Meister, in Sitzb. d. Wien. Ak., Phil. hist. Cl., LVII, p. 37 segg.; K. Krumbacher, Gesch. d.
byzant. Lit., Monaco 1897, pp. 891-95; R. Kampfel, The seven sages of Rome, Boston 1907.

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