Sei sulla pagina 1di 14

Angelo Pagliardini

FILOLOGIA DELLO SPAZIO MIGRANTE: DANTE ALIGHIERI,


MATTEO MARIA BOIARDO E GIUSEPPE GIOACHINO BELLI

Un ancoramento spaziale forte e profondo ha tradizionalmente carat-


terizzato l’attività del filologo, inteso in primis come studioso del testo, o
come afferma Gino Funaioli, «in origine amante del parlare in contrappo-
sto all’uomo di poche parole».1 La filologia, prima grammatica, arte delle
regole del linguaggio, focalizzata in particolare della retorica, in seguito
scienza della lettura e della tradizione del testo, ha avuto sempre il luogo
al centro dell’oggetto di studio, luogo come area di produzione o di cir-
colazione del testo stesso. Lorenzo Renzi nella sua Introduzione alla filologia
romanza, a fronte della difficoltà per il singolo filologo di poter abbracciare
come campo di indagine tutto lo spazio delle lingue e culture neolatine,
auspica: «Eppure lo spazio della filologia romanza è stato una volta all’incir-
ca questo e, ciò che più conta, era sostenuto da una uniformità di metodo
almeno tendenziale».2 Il già citato Funaioli segnalava anche l’allargamento
di prospettiva, il passaggio dal particolare all’universale, che ha conferito
alla filologia l’elaborazione del pensiero vichiano,3 un allargamento cui si
potrebbe aggiungere l’osservazione di Renzi:
Nell’età che va, in Germania, dall’ultimo decennio del Settecento fin
verso il 1820 gli studi letterari romanzi non costituiscono un campo chiu-
so, né sono coltivati da studiosi specializzati, ma assolvono a un urgente
bisogno culturale, si inseriscono in ampie prospettive filosofiche, e sono
coltivati da alcuni dei più grandi spiriti del tempo.4
In ogni caso, viste come sistemi aperti o contenitori chiusi, le tradizio-
ni culturali, linguistiche e poi nazionali hanno costituito dei veri e propri
luoghi di collocazione e di lettura del testo da parte del filologo, secondo
una prospettiva che verrà messa in discussione da Ernst Norbert Curtius nel
tentativo di superare una filologia comprendente spazi nazionali chiusi. La

1
G. Funaioli, Lineamenti di una storia della filologia attraverso i secoli, a c. di F. Giordano,
Bologna, Zanichelli, 2007, p. 1.
2
L. Renzi, Introduzione alla filologia romanza, Bologna, Il Mulino, 1978, p. 9.
3
G. Funaioli, Lineamenti di una storia della filologia attraverso i secoli, cit., pp. 137-138.
4
L. Renzi, Introduzione alla filologia romanza, cit., p. 63.
94 ANGELO PAGLIARDINI

sua rifondazione per via retorica della filologia passa per la definizione di
una rete di topoi che si manifestano come parametri trasversali, oltre i confi-
ni dei generi letterari, delle correnti letterarie, delle letterature nazionali.5
Un’operazione di superamento dei confini concettuali, spaziali, cronologi-
ci che Curtius porta a termine solo in parte, giacché, comunque, il filologo
tedesco arriva a identificare un corpus di letteratura europea, ancorato a
una concezione territoriale europea parziale, legata alla diffusione della
lingua e della cultura latina medievale, con esclusione di fatto dello spazio
euro-orientale e del corpus della letteratura bizantina.
In anni più recenti, la linea filologico-interpretativa aperta dalle letture
culturali postcoloniali e dagli studi sulla letteratura migrante potrebbe es-
sere un compimento in questa direzione filologica de-localizzante, una pro-
spettiva che apre senz’altro agli studi sulla letteratura contemporanea nuo-
ve tipologie di lettura geo-letteraria della realtà culturale attuale, italiana,
romanza, o europea e anche extraeuropea. Da un paio di decenni ci tro-
viamo in una sorta di faglia culturale, in cui si passa dalla visione dell’esule,
dello scrittore che canta con la cetra appesa ai salici, in quanto riconosce
quei salici come stranieri, al migrante, al personaggio senza più radici, che
non si sposta in uno spazio vettorialmente orientato verso una fuoriuscita
e proiettato su un ritorno impossibile, ma si colloca in uno spazio (deno-
minato anche third space) in qui il “qui” e l’”altrove” non hanno più alcun
valore deittico, ma si spostano con gli spostamenti del personaggio stesso.6
Procedendo su questa linea di analisi, lo spazio migrante in quanto spa-
zio filologico, non è soltanto rappresentazione cartografica della comunità
globalizzata e globalizzante contemporanea, bensì potrebbe costituire una
prospettiva di rilettura di gran parte dei testi della nostra come delle altre
letterature europee e occidentali, in tutto il loro sviluppo diacronico. Per
mostrare questa potenzialità si è pensato di effettuare un sondaggio parten-
do da una tematica “trans-frontaliera”, la rappresentazione del saraceno/
musulmano, in tre opere appartenenti al canone della letteratura italiana,
afferenti a epoche differenti della letteratura italiana: la Commedia di Dante
Alighieri, l’Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo, e i Sonetti romane-

5
Cfr. E.R. Curtius, Letteratura europea e Medio Evo latino, a c. di R. Antonelli, Firenze, La
Nuova Italia, 2006, pp. 20-21 [prima ediz. in italiano 1992; ediz. originale in tedesco Europäi-
sche Literatur und lateinisches Mittelalter, Bern, Francke Verlag, 1948].
6
Vorrei rimandare senz’altro a U. Mathis-Moser, Dany Laferrière. La dérive américaine,
VLB, Montréal, 2003, e a B. Mertz-Baumgartner, Ethik und Ästhetik der Migration. Algerische
Autorinnen in Frankreich (1988-2003), Würzburg, Könighausen und Neumann, 2004. Per la ca-
tegorizzazione dello spazio del migrante, cfr anche A. Vranceanu, Letteratura transnazionale
e romanzi di scrittori rumeni migranti, in Il romanzo rumeno contemporaneo (1989-2010), a c. di N.
Neşu, Roma, Bagatto Libri, 2010, pp. 83-100. Cfr. anche E. Said, Orientalismo, Milano, Feltri-
nelli, 2001, pp. 63-78. [ediz. originale in inglese Orientalism, Vintage Books, 1978].
FILOLOGIA DELLO SPAZIO MIGRANTE 95

schi di Giuseppe Gioacchino Belli.


Nel caso di Dante il rapporto fra esilio e produzione poetica è innegabi-
le, ma di là dalle contingenze biografiche e dagli elementi del proprio esilio
assunti a materia del poema, si potrebbe arrivare a vedere l’idea dell’esi-
lio come sottesa alla poetica stessa del Dante della Commedia7, un’idea
che si ritrova ad esempio anche nella scelta della guida, il poeta Virgilio,
che se non ha avuto l’esilio come caratteristica biografica, tuttavia ha fatto
dell’esule Enea il prototipo dell’eroe, un esule che non percorre uno spazio
ciclico e circolare, ma la cui parabola rimane aperta con quella caratteristi-
ca immagine del ritorno impossibile data dal ricordo della città bruciata,
che compare nella presentazione di sé che fa il poeta a Dante nell’Inferno:

Poeta fui e cantai di quel giusto


figliuol d’Anchise che venne da Troia,
poi che ‘l superbo Iliòn fu combusto.8

Dal punto di vista strutturale nel poema di Dante siamo di fronte ad


una grammatica dell’esclusione e dell’inclusione senza alternative dettata
in maniera sistematica ed esaustiva dalla morale e dalla teologia cristiana
medievali, secondo la quale, in vari contesti, si condannano in generale i
saraceni, accumunandoli agli ebrei (e anche ai cristiani orientali), in quan-
to estranei alla cristianità romana, come risulta ad esempio dai due passi
seguenti:

Lo principe de’ novi Farisei,


avendo guerra presso a Laterano,
e non con Saracin né con Giudei,
ché ciascun suo nimico era Cristiano,9

Dietro li andai incontro alla nequizia


di quella legge il cui popolo usurpa
per colpa de’ pastor, vostra giustizia.
Quivi fu’ io da quella gente turpa
disviluppato dal mondo fallace,
lo cui amor molt’anime deturpa;
e venni dal martiro a questa pace.10

7
Per il nucleo di queste osservazioni ringrazio Alessandro Vettori, che sta scrivendo un
libro sulla poetica dell’esilio nella Commedia dantesca. Cfr. anche E. Pasquini, Dante e le figure
del vero. La fabbrica della Commedia, Milano, Bruno Mondadori, 2001, pp. 122-147.
8
D. Alighieri, La divina commedia, a c. di N. Sapegno, in Enciclopedia dantesca, Biblioteca
Treccani - Panorama, Roma, 2005, vol. 1, (Inferno I, 73-75).
9
D. Alighieri, La divina commedia, cit., vol. I, Inferno XXVII, 85-88.
10
D. Alighieri, La divina commedia, cit., vol. III, Paradiso XV, 142-148.
96 ANGELO PAGLIARDINI

Nel primo esempio si trovano le parole con cui Bonconte da Monte-


feltro rievoca la guerra condotta da Bonifacio VIII contro i Colonna e i
loro fautori e sostenitori, asserragliatisi nei castelli di Palestrina e Zagarolo,
quindi non lontano dal Laterano, le sede dei papi nel Medioevo.11 Ma si
noti che il bersaglio polemico principale non sono i saraceni, besì il papa,
sia per la sua azione, sia per l’omissione di quello che sarebbe stato il suo
dovere: l’aborrito Bonifacio VIII ha mosso guerra ai cristiani e non ai ne-
mici, qui indicati negli ebrei e nei musulmani. Il secondo esempio è tratto
da uno dei passi in cui più intensa è l’identificazione fra Dante poeta e
Dante personaggio della Commedia, l’incontro con l’antenato Cacciaguida,
che aveva combattuto e trovato la morte in Terrasanta, come crociato.12
L’antenato illustre del poeta, che gli preannuncia l’esilio e al tempo stesso
l’alta missione poetica e morale, ribadisce in questi versi la condanna dei
saraceni, la cui «legge» ha l’attributo della «nequizia», e che sono definiti
il «popolo» che «usurpa» la «vostra giustizia», con un uso fortemente in-
cludente ed escludente dell’aggettivo possessivo, e «gente turpa». Come
si può vedere in questo secondo passo si concentrano ben tre espressioni
di condanna nei confronti dei saraceni, accentuate da particolari artifici
retorici, come la contrapposizione in rima della «nequizia» dei saraceni
alla «vostra giustizia» e l’accostamento, sempre in rima, del verbo «usurpa»
all’aggettivo «turpa» entrambi riferiti ai saraceni, fra l’altro con l’uso di
una rima difficile. Ci troviamo nel Paradiso e nella terza cantica del poema
dantesco non ci può essere un confine morale indistinto o indefinito, con
conseguente commistione o ibridazione fra dannazione e salvezza eterna.
Parallelamente netta e raccapricciante sarà anche la condanna di Mao-
metto alle pene infernali, anche se al fondatore dell’Islam viene attribuita
una colpa secondo quella che era la versione più attenuata e conciliante
della condanna medievale dell’Islam da parte della pubblicistica cattolica.
Il fondatore e profeta dell’Islam appare punito come uno dei tanti eretici
che hanno provocato divisioni all’interno del Cristianesimo, come Ario,
tanto che la pena di Maometto è analoga a quella del genero Alì, come se
la colpa di aver provocato divisioni all’interno dell’Islam da parte del se-
condo, non sarebbe più grave di quella di Maometto che ha diviso Cristiani
e Musulmani.13 A dispetto della dicotomia assoluta bene/male, cristiane-

11
Cfr. il commento al luogo citato. Si tratta della stessa vicenda che ha avuto come con-
seguenza la scomunica e la prigionia di Jacopone da Todi, per cui cfr. F. Suitner, Iacopone da
Todi, Roma, Donzelli, 1999, pp. XX.
12
Per un’interpretazione della centralità di questo episodio nel poema, cfr. A. Jacomuzzi,
L’imago al cerchio e altri studi sulla «Divina Commedia», Milano, Franco Angeli, 1995, pp. 114-
140.
13
Per il testo vedi D. Alighieri, La divina commedia, cit., vol. I, Inferno, XXVIII, 22-31. Per
la lettura del passo ci si riferisce a M. Esposito Frank, Dante’s Muhammad: Parallels between
FILOLOGIA DELLO SPAZIO MIGRANTE 97

simo/islam, nel poema dantesco non troviamo invece condanne generali


esplicite all’indirizzo dell’Islam. Varrà ricordare a questo punto che Maria
Corti, in un celebre saggio dantesco, riprendendo gli studi di Asín Palacios
sui rapporti fra la Commedia dantesca e la letteratura escatologica araba me-
dievale, sottolinea precisi riscontri testuali fra il poema dantesco e il testo
arabo tradotto in latino con il titolo Liber Schalae Machometi, che narrava il
viaggio nell’Oltretomba di Maometto.14 Nello stesso saggio la Corti presen-
ta anche l’ambiente culturale arabo della scuola di Toledo, che costituiva
un luogo d’incontro fra cultura araba e cultura cristiana e latina: «Alla fine
del Duecento, in seguito ad un’intensa opera di traduzione di testi dall’ara-
bo in latino, a opera principalmente della Scuola Toledana in Spagna e dei
centri di traduzione siciliani, si era molto arricchita nell’Europa Occidenta-
le e quindi in Italia la conoscenza sia delle traduzioni escatologiche musul-
mane sia della cultura filosofica, astronomica, geografica e genericamente
scientifica, veicolata in Occidente dalla lingua araba.»15 Tali preziose indi-
cazioni ci possono aiutare nella comprensione di un luogo dantesco che
assume a nostro avviso le caratteristiche di spazio migrante, il cosiddetto
«castello» degli «spiriti magni», dove ben altro trattamento hanno i seguaci
dell’Islam ivi collocati.
Nel poema troviamo solo sei occorrenze del latinismo `magno´: in tre
casi nell’antroponimo Carlo Magno, in un caso riferito al libro dove è scrit-
ta la volontà di Dio, il «magno volume»,16 in un caso riferito ai dottori della
Chiesa, chiamati «i dottor magni».17 Da ciò si comprende che rilievo inten-
da dare Dante agli abitanti del «castello» posto nel Limbo, chiamandoli
«spiriti magni». Nell’universo dantesco della Commedia tutti i luoghi sono
fortemente orientati secondo un sistema binario di valori, poiché verso il
basso, verso il centro della terra, si muove l’asse negativo, l’asse del diverso
e del difforme e del malvagio, mentre verso l’alto, dalla Terra verso il Cie-
lo, si muove l’asse positivo, l’asse dell’affine, del regolare e del beato. Si

Islam and Arianism, in «Dante Studies, with the Annual Report of the Dante Society», n° 125
(2007), pp. 185-206. La studiosa americana ricostruisce la doppia trama medievale della rap-
presentazione di Maometto da un lato come idolo o precursore dell’Anticristo, come risulta
nelle chansons de geste francesi, dall’altro dei Musulmani come eretici, o “quasi-cristiani”, in
quanto monoteisti e non credenti nella Trinità. Questa linea più morbida ha i suoi rappre-
sentanti, fra gli altri, in Beda il Venerabile (ca. 672-735) e Guiberto di Nogent (1064?-1125);
il secondo, pur essendo fautore e cronista della prima crociata, precisa correttamente che
Maometto non è considerato Dio ma profeta dai Musulmani.
14
Per queste indicazioni ci riferiamo a M. Corti, La Commedia di Dante e l’oltretomba isla-
mico, in Ead., Scritti su Cavalcanti e Dante, Torino, Einaudi 2003, pp. 366-367.
15
M. Corti, La Commedia di Dante e l’oltretomba islamico, cit., p. 365.
16
D. Alighieri, La divina commedia, cit., vol. III, Paradiso XV, 50.
17
D. Alighieri, Ibidem, Paradiso IX, 113. I dati sulla frequenza lessicale sono tratti dal sito
www.intratext.it, in cui si trova anche il testo indicizzato della Commedia.
98 ANGELO PAGLIARDINI

tratta di quel dualismo “nequizia”/“giustizia” che abbiamo incontrato nella


prima citazione e che non ammette zone grigie, analogamente a quanto si
trovava ad esempio nella Chanson de Roland, laddove risuonava più volte il
verso: «Paien unt tort e chrestiens unt dreit».18
Per quanto riguarda il limbo, Dante è partito nella sua creazione poetica
dal limbo cristiano, luogo che i dottori della chiesa, da Agostino in poi, e i
teologi hanno ipotizzato per dare una destinazione ultraterrena ai patriar-
chi del Vecchio Testamento, in attesa della redenzione e della liberazione
operata da Cristo con la sua morte in croce, e ai bambini morti senza bat-
tesimo. Basti ricordare che il Credo niceno, tuttora in uso nella liturgia cat-
tolica, menziona la discesa agli inferi di Cristo dopo la morte e prima della
resurrezione, e che se ne hanno numerose rappresentazioni nella pittura
medievale, ad esempio a Venezia, nella Basilica di San Marco.19 Dante segue
solo in parte questa codifica ortodossa del limbo, in quanto su di essa inse-
risce, in modo del tutto originale (ed eterodosso), la sua idea di un luogo
privilegiato da assegnare ai grandi maestri ed eroi della cultura classica e
medievale. Questi non potevano essere in paradiso o in purgatorio perché
non battezzati, essendo vissuti prima di Cristo oppure perché erano stati
seguaci di altre religioni, ma non potevano essere neanche in inferno per
il poeta, dato il riconosciuto valore universale dei loro scritti o delle loro
imprese, essendo stati scienziati o eroi del mondo antico e medievale. Gli
«spiriti magni» del «castello» sono infatti eroi omerici e virgiliani o per-
sonaggi storici e mitologici, come Ettore, Enea, Cesare, Camilla, Lavinia,
Lucrezia, filosofi, uomini di scienza o di lettere, come Orfeo, Aristotele,
Socrate, Cicerone, Tolomeo, Ippocrate, Galeno, e come i poeti che accom-
pagnano Dante, Omero, Ovidio, Orazio, Lucano e lo stesso Virgilio.20 Tra i
personaggi che Dante incontra, ci sono anche tre musulmani:

Vidi quel Bruto che cacciò Tarquino,


Lucrezia, Julia, Marzia, e Corniglia;
e solo, in parte, vidi ‘l Saladino.
Poi ch’innalzai un poco più le ciglia,
vidi ‘l maestro di color che sanno
seder tra filosofica famiglia.

18
Chanson de Roland, a c. di M. Bensi, Milano, Rizzoli, 2000, v. 1015. Per un commento
a questo tipo di formule nella Chanson de Roland mi permetto di rimandare ad A. Pagliar-
dini, Cristiani e pagani nell’epica cavalleresca italiana, in «Carte di viaggio», I 2008, 36-37. Per
il rapporto fra struttura dicotomica (bene/male) e struttura ternaria del poema dantesco
(Inferno/Purgatorio/Paradiso) cfr. R. Venturi, Comedìa di Dante Alighieri, in A. Asor Rosa
(a c. di), Letteratura italiana, Roma, La Biblioteca di Repubblica-L’Espresso, 2007, vol. 2, pp.
321-322.
19
Si veda F. Montanari, Limbo, in Enciclopedia dantesca, cit., vol. X, pp. 541-545.
20
D. Alighieri, La divina cmmedia, cit. vol. I, Inferno IV, 118-147.
FILOLOGIA DELLO SPAZIO MIGRANTE 99

Tutti lo miran, tutti onor li fanno:


[…]
Ipocrate, Avicenna e Galieno,
Averoìs, che ‘l gran comento feo.21

Collocato fra gli eroi civili della storia romana antica, e in particolare fra
Bruto, vendicatore di Lucrezia che si era suicidata dopo la violenza subita
dal re Tarquinio, e fondatore della repubblica, e un gruppo di mogli di eroi
romani, che Dante aveva esaltato anche nel Convivio, troviamo il Saladino, il
sultano d’Egitto dal 1174 al 1193,22 il cui nome era stato latinizzato in que-
sta forma nei testi latini e volgari, e la cui magnanimità e liberalità è esaltata
in testi anche precedenti alla Commedia dantesca, fra cui il Novellino.23 Dal
punto di vista formale ci sembra notevole in questo passo la rima Tarqui-
no/Saladino, che accosta in qualche modo il principe più abietto a quello
considerato il più nobile. La rappresentazione solitaria dell’eroe saraceno,
come notato dai commentatori, potrebbe essere soggetta a duplice lettura
riferita al personaggio: da un lato denotarne l’estraneità al contesto cristia-
no, dall’altra esaltarne per distinzione la nobiltà.24
Nei versi successivi assume la posizione di maggior rilievo Aristotele, ad-
dirittura nominato per antonomasia il «maestro di color che sanno»; il filo-
sofo greco è accompagnato da un corteo di filosofi e scienziati, fra i quali i
due musulmani di Spagna ‘Avicenna’ e ‘Averoìs’, nomi latinizzati degli au-
tori di famosi commenti aristotelici, citati da Dante anche nel Convivio.25 Al
secondo viene qui attribuito «‘l gran comento», cioè il commento aristote-
lico che Dante colloca in posizione preminente. Dante crea così uno spazio
assai particolare, depotenziato di quelle caratteristiche di politico-culturali
orientate secondo assi cartesiani geo-morali e religiosi basati sui valori po-
sitivo/negativo, inclusione/esclusione. Poeti, filosofi ed eroi che si trovano
nel castello non sono neanche debolmente inseriti nel sistema geografico
binario (salvezza/dannazione) dantesco, non essendo previste per essi, in
eterno, né ricompensa né una pena per quello che hanno compiuto, e non
potendo essi aspirare a un luogo futuro, né rimpiangerne uno perduto. La

21
Ibidem, Inferno IV, 127-133; 143-144.
22
Cfr. il commento in nota a D. Alighieri, La divina commedia, cit., vol. I, Inferno, IV, 129.
23
Cfr. G. Contini, Letteratura italiana delle Origini, Milano, Sansoni, 2000, p. 269 e pp.
278-279. In un suo saggio Cisneros analizza il rilievo particolare dell’ammissione del Saladino
nel Limbo, in quanto non solo il personaggio storico avrebbe avuto occasione di convertirsi
al Cristianesimo, ma aveva anche combattuto contro i cristiani: F. Cisneros, Dante y el islam.
Enfoques a partir del texto de la commedia, in «Estudios de Asia y Africa», Vol. 36, No. 1 (114)
(Jan.-Apr., 2001), p. 70.
24
Cfr. il commento al passo citato.
25
Cfr. C. Giacon, Avicenna, in Enciclopedia dantesca, cit., vol. VI, p. 34, e C. Vasoli, Averroè,
in Ibidem, p. 22.
100 ANGELO PAGLIARDINI

loro sospensione è icona della condizione del migrante, inteso come chi ha
perso le proprie radici senza trovarne o poterne sperare altre.
Un secondo esempio da prendere in considerazione per sperimentare
in senso diacronico l’applicazione della filologia della letteratura migrante,
è tratto da uno dei poemi cavallereschi rinascimentali, l’incompiuto Inamo-
ramento de Orlando, noto anche con il titolo Orlando innamorato, che viene
correntemente attribuito ad esso.26 Il poema boiardesco s’innesta su un fi-
lone narrativo ben definito e noto al pubblico, per quanto riguarda vicende
e personaggi, quello della narrativa carolingia, ma il poeta stesso annuncia
di aver effettuato un’operazione del tutto originale, da un lato narrando
un fatto che non è presente in nessun’altra opera, in prosa o in versi, la
trasformazione di Orlando da paladino e campione della fede in eroe in-
namorato, dall’altro descrivendo la propria operazione poetica di contami-
natio, in quanto nel suo poema si combinano le caratteristiche e i fatti del
ciclo narrativo bretone con le vicende dei poemi carolingi.27 Se ci poniamo
dal nostro punto di vista, ben altra può apparire la portata delle innovazio-
ni boiardesche, e cioè l’abbattimento della struttura etnico-religiosa dello
spazio epico cavalleresco. A proposito della visione medievale dello scon-
tro fra cristianità (occidentale) e islam, netto e univoco era il rapporto fra
appartenenza etnico-religiosa e valore morale nella già citata Chanson de
Roland, capostipite del filone epico carolingio, in cui si attribuisce il bene
e il diritto ai paladini cristiani e il male e il torto ai saraceni. Troviamo un
episodio molto significativo a questo proposito laddove nel poema epico
francese si esalta la figura dell’emiro di Balagario (amurafles de Balaguez):
«De vasselage est il ben alosez: / Fust chrestïens, asez oüst barnét».28
Nel poema di Boiardo assistiamo allo sgretolamento di tale sistema di
coordinate etnico-religiose di orientamento binario dello spazio mediante
tre procedimenti: (1) la caduta del principio di valore per cui il bene sareb-

26
L’opera si cita da M.M. Boiardo, Orlando innamorato, A c. di G. Anceschi, Milano,
Garzanti, 2003 [prima edizione 1978], 2 voll. Per la questione del titolo si fa riferimento a M.
Villoresi, La letteratura cavalleresca. Dai cicli medievali all’Ariosto, Roma, Carocci, 2002 [prima
ediz. 2001], pp. 153-155.
27
Il tema dell’amore di Orlando è presentato già nella prima ottava del poema (M.M.
Boiardo, Orlando innamorato, cit., I, I, 1), mentre per quanto riguarda il riferimento alla com-
mistione del ciclo bretone e del ciclo carolingio, si tratta delle ottave (Ibidem, II, XVIII, 1-3).
L’operazione di contaminazione del ciclo carolingio e del ciclo bretone effettuata da Boiardo
viene commentata da Pio Rajna, che ne attribuisce le motivazioni al contesto culturale e alle
aspettative del pubblico della corte ferrarese, in P. Raina, Le fonti dell’Orlando furioso, Firenze,
Sansoni, 1900 [prima ediz. 1875].
28
Chanson de Roland, cit., vv. 898-899. Il testo è tradotto come segue nell’edizione citata:
«Per la prodezza egli è molto lodato: / un gran barone sarebbe da cristiano!». Questo passo e
il principio di cui si parla sono stati commentati in A. Pagliardini, Cristiani e pagani nell’epica
cavalleresca italiana, cit., p. 37.
FILOLOGIA DELLO SPAZIO MIGRANTE 101

be solo dalla parte dello schieramento cristiano, e viceversa, (2) la forma-


zione di alleanze trasversali, cioè non coincidenti con i rispettivi macrosiste-
mi costituiti dagli schieramenti rispettivamente saraceno e cristiano, (3) la
creazione di uno spazio etnico-geografico indistinto all’interno del poema
boiardesco, su cui si colloca il movimento a-direzionale dei cavalieri.
A proposito della dinamica rispetto/trasgressione del sistema binario at-
tribuito ai valori etici, nel poema di Boiardo si trovano molti elogi di nobili
cavalieri saraceni, come quello che segue, riferito al pagano Brandimarte:

Quel saracino ha nome Brandimarte,


Ed era conte di Rocca Silvana;
In tutta Pagania per ogni parte
Era sua fama nobile e soprana.
Di torniamenti e giostra sapea l’arte;
Ma, sopra tutto, la persona umana
Era cortese, il suo leggiadro core
Fu sempre acceso di gentile amore.29

Diametralmente vengono attribuiti anche ad alcuni eroi cristiani gesti di


scortesia, quindi anche i valori negativi non possono essere attribuiti solo
ad uno dei due poli, ma sono presenti in entrambi gli schieramenti. A que-
sto proposito si potrebbe ricordare l’episodio, marginale ma significativo,
che segue la perdita del cavallo da parte di Turpino. Il saraceno Ruggero
offre al paladino e arcivescovo rimasto appiedato in battaglia il proprio ca-
vallo, ma Turpino lo rifiuta oltraggiando l’offerente perché saraceno, salvo
poi uccidere lui stesso a tradimento un altro saraceno al fine di sottrargli il
cavallo.30
Il secondo elemento che mette in discussione l’appartenenza è la forma-
zione di schieramenti differenti da quelli costituiti dagli eserciti, rispettiva-
mente, saraceno e cristiano. L’esercito cristiano guidato da Carlo Magno e
quelli saraceni che entrano successivamente in scena, comandati rispettiva-
mente da Gradasso e da Agramante, sono costituiti da coalizioni di popoli
che hanno i loro duchi, conti e sovrani, sotto il comando assoluto di un re
dei re, sul modello dell’epica omerica, dove molti re e popoli erano riu-
niti rispettivamente sotto lo scettro di Agamennone e di Priamo. Ebbene
nell’Inamoramento de Orlando si realizzano varie formazioni di alleanze ibri-
de fra saraceni e cristiani, ma tale procedimento ha il suo apice nel lungo
e centrale episodio dell’assedio della città di Albracca, laddove si formano
due schieramenti, l’uno a difesa della virtù di Angelica, cui ha offerto la
propria tutela Orlando, sperandone il frutto, l’altro stretto attorno ad Agri-

29
M.M. Boiardo, Orlando innamorato, cit., I, IX, 50.
30
M.M. Boiardo, Orlando innamorato, cit., III, IV, 44-45.
102 ANGELO PAGLIARDINI

cane, che pretende in moglie Angelica perché Galafrone suo padre, re del
Catai, gliel’ha promessa. In questa battaglia vediamo Orlando combattere
addirittura contro l’altro paladino Ranaldo, suo cugino.31
Il terzo elemento che contribuisce a quella che abbiamo definito ‘creazio-
ne di uno spazio migrante’ all’interno del poema boiardesco è il movimento
a-direzionale dei cavalieri che vanno alla ventura. Nel poema assistiamo a
vari casi di paladini o cavalieri saraceni che partono o si fermano nel loro
cammino al solo scopo di andare in cerca di avventure. Ne possiamo trovare
un esempio nel passo seguente. Ranaldo è qui addirittura combattuto fra
due possibilità di seguire la ‘ventura’ cavalleresca.32 Il paladino cristiano si
trova diviso fra due doveri cavallereschi: non sa se mantenere la promessa
fatta a Fiordaligi, oppure accettare la nuova richiesta di intervenire come ca-
valiere, e seguire così la propria curiosità errante. Il cavaliere deciderà pro-
prio in questa direzione, avventurandosi nella distruzione del giardino di
Falerina, tanto più in quanto si tratta di un’impresa di difficile realizzazione:

Stette Ranaldo un gran pezzo pensoso,


E nulla alla donzella respondia,
Perché entrare al giardin meraviglioso
Sopra ogni cosa del mondo desia,
E non è fatto il baron paüroso
Del gran periglio che sentito avia;
Ma la difficultà quanto è maggiore,
Più li par grata e più degna d’onore.

Da l’altra parte, la promessa fede


Alla donzella, che la ricordava,
Forte lo strenge; e quella ora non vede
Ch’el trovi Orlando, che cotanto amava.
Oltra di questo, ben certo si crede
Un’altra volta, come desiava,
A quel giardino soletto venire,
Ed entrar dentro, e conquistarlo, e uscire.33

Come si può vedere è scomparso del tutto il movimento orientato del


soldato cristiano si dirige verso Parigi per difenderla oppure verso l’ester-
no, verso il territorio pagano, per attaccare i nemici. Tale mancanza di
orientamento negli spostamenti, per cui non si può individuare né per i
paladini, né per i saraceni, un luogo di aggregazione e uno spazio definito

31
Lo scontro è in Ibidem, I, XXVI.
32
Cfr. G. Ferroni, Ludovico Ariosto, in E. Malato (a. c. di), Storia della letteratura italiana,
Salerno Editrice, Roma, 1996, vol. IV, pp. 431.
33
M.M. Boiardo, Orlando innamorato, cit., I, XVII, 47-48.
FILOLOGIA DELLO SPAZIO MIGRANTE 103

da direttrici che vanno dal dentro al fuori, dal centro alla periferia, mette
in atto procedimenti che possono anche in questo caso essere assimilati alle
caratteristiche dello spazio migrante.34

L’ultimo caso che prendiamo qui in esame per mostrare questa possibi-
le estensione diacronica dello spazio letterario migrante nel campo della
filologia, è quello del poeta dialettale romanesco Giuseppe Gioacchino Bel-
li, (1791-1863). L’autore dei Sonetti romaneschi ha vissuto gli ultimi decenni
della Roma papalina, fra le alterne vicende napoleoniche, le oscillazioni
democratizzanti e reazionarie di Pio IX e la realizzazione politico-militare
del Risorgimento, vedendo nascere il Regno d’Italia, ma non vivendo ab-
bastanza a lungo da assisterne al compimento con Roma capitale d’Italia e
la conseguente fine del potere temporale del papa (ripristinato in seguito
da Mussolini nel 1929). La vicenda di Belli si svolge nel segno dei dualismi
e delle contraddizioni. In parallelo con la vita pubblica, da un lato attività
conformistica e ritirata di funzionario pontificio, dipendente di singoli pre-
lati, e dall’altro aspirante poeta e letterato in lingua italiana, all’interno di
accademie letterarie ufficiali di stampo tardo-arcadico, dalla sua penna esce
di getto un fiume di sonetti in dialetto romanesco, un corpus di 2279 sonet-
ti, di cui 1900 composti fra settembre 1831 e giugno 1837.35 Nella misura
del sonetto in dialetto romanesco Belli rappresenta l’universo, la cultura e
anche la lingua della plebe di Roma. La metropoli pontificia, pur in decli-
no, aveva ancora un aspetto cosmopolita, e nei versi di Belli emerge anche
la ricezione di questa compresenza multietnica a livello popolare. Come
mostrato in altra sede, nei sonetti belliani troviamo tracce puntuali della
presenza a Roma della comunità migrante per eccellenza nell’immaginario
occidentale, quella ebraica, e in particolare la comunità ebraica di Roma,
che risale al II secolo a. C., e che risulta essere ben identificata e identificabi-
le, sia nella particolarità di riti e tradizioni, sia nella lingua ben riconoscibile
e puntualmente registrata in alcuni sonetti belliani.36 Per uniformità meto-
dologica con il percorso seguito finora, siamo andati a cercare la rappresen-
tazione del musulmano nei versi romaneschi belliani, dove sono presenti in
particolare riferimenti ai Turchi. Nel XIX secolo l’Impero Ottomano, erede
della potenza raggiunta in campo politico militare dall’Islam, era senz’al-

34
Cfr. A. Pagliardini - G. Fuchs, La rappresentazione del pagano/musulmano nell’epica caval-
leresca rinascimentale (Orlando innamorato, Morgante, Orlando Furioso), in B. Van den Bossche
et alii (a c. di), Italia e Europa: dalla culturanazionale all’interculturalismo, vol. II, pp. 581-582.
35
M. Teodonio, Introduzione, in G.G. Belli, Tutti i sonetti romaneschi, a c. di M. Teodonio,
Roma, Newton Compton, 2005, vol I, p. IX.
36
Mi permetto di rimandare al contributo A. Pagliardini, Gli ebrei di Roma nei Sonetti di
Giuseppe Gioachino Belli, in E. Kanceff (a cura di) L’Italia terra di rifugio, Torino, CIRVI, 2010,
vol. III, pp. 667-684.
104 ANGELO PAGLIARDINI

tro avviato alla decadenza, ma restava un soggetto ancora ben presente nel
gioco politico internazionale, senza contare che nell’immaginario popolare
i Turchi rappresentavano la religione e la cultura vista come antitetica a
quella cristiana.37 Si tratta comunque di una presenza statisticamente limi-
tata nel corpus dei versi romaneschi di Belli. Se consultiamo le frequenze
del corpus dei Sonetti romaneschi vediamo che la parola Turco, in tutte le sue
forme, sia come aggettivo che come sostantivo, compare 23 volte, e 8 volte
l’aggettivo turchino, che fa riferimento al colore, ma in cui c’è spesso anche
un riferimento più o meno indiretto ai Turchi.38 I Turchi sono rappresentati
secondo gli stereotipi popolari più comuni e schematicamente spietati, al
pari di quanto accadeva per gli Ebrei.39 Come in altri casi e come eviden-
ziato da molti commentatori, fra cui Giorgio Vigolo e Pietro Gibellini, nei
versi belliani vengono alla luce delle pulsioni profonde e mal represse, degli
istinti che il burocrate papalino e l’accademico conformista devono celare
per non perdere onorabilità pubblica.40 Fra queste pulsioni che vengono
alla luce nella materia magmarica dei sonetti belliani abbiamo anche una
solidarietà che potremmo definire “migrante”, una forma di solidarietà pro-
fonda verso tutti gli oppressi, perché tali sono i romani contemporanei a
Belli, e per questo fratelli di Cristo e di tutti i migranti, compresi gli ebrei.
A proposito della rappresentazione del musulmano, l’ambito principale
in cui si colloca questa rivelazione “migrante” di Belli è quello che potrem-
mo definire del teatro dei potenti. Il popolo di Roma che Belli fa parlare
e agire nei suoi Sonetti assiste, come pubblico loquace e prodigo di critiche
e commenti, allo spettacolo della messa in scena del potere, dalle liturgie
papali, agli spettacoli, dalle apparizioni pubbliche di cardinali e alti prelati,
allo spettacolo dei diplomatici e nobili e sovrani stranieri presenti a Roma.
Su questo piano si collocano i sonetti dedicati ad Ahmed Feth Pascià, am-
basciatore turco presso il re di Francia, ricevuto in udienza dal papa il 12
giugno 1838, come raccontato nel sonetto 1981.
La rottura delle distinzioni etniche e religiose qui avviene sia a livello del
testo che delle note di commento aggiunte dallo stesso Belli. Il nome del
dignitario turco, secondo un procedimento frequente nei Sonetti di Belli,41

37
Per la fortuna del tema in chiave comica si può anche citare un’opera come Il Turco in
Italia di Gioacchino Rossini.
38
Per effettuare le ricerche sulle frequenze lessicali nei Sonetti di Belli ci siamo avvalsi
delle funzioni statistiche della biblioteca telematica che si trova sul sito Internet: http://www.
bibliotecaitaliana.it
39
Cfr. A. Pagliardini, Gli ebrei di Roma nei Sonetti di Giuseppe Gioachino Belli, cit.
40
Cfr. G. Vigolo, Il genio del Belli, Milano, Il Saggiatore, 1963; P. Gibellini, Il coltello e la
corona. La poesia del Belli tra filologia e critica, Roma, Bulzoni, 1979.
41
Cfr. A. Pagliardini, La creazione di lingue di frontiera nella letteratura italiana dell’Ottocento:
da Belli a Pascoli, in P. Holzner - J. Pröll (a c. di.), An den Grenzen der Sprache. Kommunikation
von Un-Sagbarem im Kulturkontakt, Innsbruck, IUP, in stampa.
FILOLOGIA DELLO SPAZIO MIGRANTE 105

viene distorto ed assimilato paretimologicamente a un nome conosciuto, o


meglio in questo caso, a una sigla tristemente nota, quella dell’A.C. Met.,
cioè l’Auditor Camerae Metipse, il giudice principale della Reverenda Camera
Apostolica, che aveva funzioni sia finanziarie che giudiziarie nell’ammini-
strazione pontificia, come si spiega nella nota dell’autore.42 Il primo equi-
voco, che riguarda il nome del dignitario turco, scambiato per uno dei titoli
dell’amministrazione papale, porta alla successiva considerazione che non
dev’essere così diversa l’amministrazione turca da quella romana, dato che
tutti i popoli devono essere giudicati da tribunali e devono pagare tasse. Il
secondo elemento straniante rispetto alla caratterizzazione specifica geo-
religiosa riguarda le considerazioni che il cinico commentatore aggiunge
in nota. A proposito dello scandalo di un Turco ricevuto dal papa, si os-
serva che l’accompagnatore del diplomatico, un cristiano ortodosso, viene
lasciato alla porta, in quanto è meno grave essere musulmano che cristiano
ortodosso, «dovendosi dalla moderna Chiesa Romana preferire l’intiero
Maometto a un mezzo Gesù Cristo».43 In più la chiusa del sonetto richiama
la visione pessimistica e astiosa del potere, a qualunque sistema politico-
religioso appartenga:

Ccusí ppuro (7) l’impieghi cammerali,


voi sentirete chi ssa sscrive e llegge (8)
che cqua a Rroma e in Turchia sò ttutti uguali. (9)44

Questo atteggiamento di opposizione e diffidenza generalizzata verso i


potenti si ritrova anche nel sonetto in cui si parla di un altro personaggio tur-
co, il governatore d’Egitto ribellatosi al Sultano, il sovrano dell’Impero tur-
co. Una vicenda conclusasi con l’intervento delle potenze europee e non con
la perdita del trono da parte del Sultano, come si dice nel sonetto di Belli:

826. Er granturco
Disse er Zurtano a un tar governatore:
«Impicchete, vassallo, e tte perdono».
Er vassallo arispose ar Gran-Ziggnore:
«Dàmme un anno de tempo, e tte la sòno».
E ggià er padrone nun sta ppiú ssur trono:
già ccià mmesso le chiappe er zervitore:
e attenti, mordivói, ché mmó vviè er bono,
strillò er giudio che sse cacava er core.
Visto er Granturco a ppassà gguai lo sscetro,

42
Per tutte le informazioni cfr il commento al testo in G.G. Belli, I Sonetti, a c. di L. Mo-
randi, Città di Castello, Lapi, 1896 [ristampa anastatica Colonna Editori], vol. IV, pp. 150-151.
43
G.G. Belli, I Sonetti, cit., Vol. IV, p. 150.
44
Ibidem.
106 ANGELO PAGLIARDINI

messe er tesoro suo sopra un carretto,


e scappò vvia co le puttane addietro.
Er Papa ha ppianto, e jj’ha scritto un bijjetto,
discenno: «Fijjo mio, curre a Ssan Pietro,
dove se pò accordà Ccristo e Mmaometto».
Roma, 25 gennaio 1833 45

Nel sonetto si definisce uno spazio in cui le coordinate di appartenenza


diventano frontiere del tutto permeabili. Cominceremo con l’osservare che
tra la folla anonima che commenta i fatti di cui si è sparsa la notizia a Roma,
emerge la voce di un ebreo, riconoscibile dall’interiezione mordivoi, tipica
del giudeo-romanesco; in secondo luogo abbiamo la rappresentazione del
papa solidale e piangente di fronte al sultano in fuga (con il tesoro), e che
lo invita fraternamente a Roma, «dove se po’ accordar Ccristo e Mmaomet-
to». Il sonetto individua così nella Roma descritta da Belli uno spazio in-
terculturale non più segnato dall’identità dell’appartenenza religiosa, uno
spazio che si presta a una lettura filologica “postcoloniale”.
Partendo da questa carrellata diacronica di esempi della rappresentazio-
ne del saraceno/musulmano all’interno di testi della tradizione letteraria
italiana, ci pare di poter affermare l’esistenza di una possibile potenzialità
di lettura filologica del testo, in quanto, anche sul piano dello sviluppo dia-
cronico della letteratura italiana, risulta possibile applicare le coordinate
dello spazio migrante e della letteratura dell’esilio, elaborate in primo luo-
go per descrivere le letterature prodotte in quelle lingue che accomunano
paesi un tempo colonizzatori e paesi che erano colonie di questi, come la
letteratura maghrebina in francese o la letteratura caraibica in francese e
in spagnolo. Si tratta di aree letterarie e culturali in cui saltano in parte
le direttrici vettoriali centro-periferia, aree che formano nel loro insieme
superfici culturali tettoniche in movimento e in parziale intersezione e so-
vrapposizione. In tale sistema, il movimento migrante ha prodotto figure
nuove di appartenenza e di non appartenenza, scrittori, motivi, generi, che
non hanno più casa, come descritto efficacemente fra gli altri da Homi
Baba.46 Le prospettive che si aprono all’analisi filologica in questo spazio
possono rivelarsi a nostro avviso assai proficue di risultati e nuove riflessio-
ni, qualora si applichino anche ad epoche letterarie antiche della nostra
letteratura, in quanto, a ben vedere, una prospettiva filologica migrante e
ri-orientata secondo queste categorie di non-appartenenza o di collocazio-
ne trans-frontaliera consente di superare più facilmente quelle categorie
chiuse verso cui ci ha già invitato ad essere critici lo stesso Curtius.

45
G.G. Belli, Tutti i sonetti romaneschi, cit., vol. II, p. 855; le informazioni sono tratte dal
commento al testo.
46
Cfr. in particolare H. Bhabha, The location of culture, London, 1994.

Potrebbero piacerti anche