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1
G. Funaioli, Lineamenti di una storia della filologia attraverso i secoli, a c. di F. Giordano,
Bologna, Zanichelli, 2007, p. 1.
2
L. Renzi, Introduzione alla filologia romanza, Bologna, Il Mulino, 1978, p. 9.
3
G. Funaioli, Lineamenti di una storia della filologia attraverso i secoli, cit., pp. 137-138.
4
L. Renzi, Introduzione alla filologia romanza, cit., p. 63.
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sua rifondazione per via retorica della filologia passa per la definizione di
una rete di topoi che si manifestano come parametri trasversali, oltre i confi-
ni dei generi letterari, delle correnti letterarie, delle letterature nazionali.5
Un’operazione di superamento dei confini concettuali, spaziali, cronologi-
ci che Curtius porta a termine solo in parte, giacché, comunque, il filologo
tedesco arriva a identificare un corpus di letteratura europea, ancorato a
una concezione territoriale europea parziale, legata alla diffusione della
lingua e della cultura latina medievale, con esclusione di fatto dello spazio
euro-orientale e del corpus della letteratura bizantina.
In anni più recenti, la linea filologico-interpretativa aperta dalle letture
culturali postcoloniali e dagli studi sulla letteratura migrante potrebbe es-
sere un compimento in questa direzione filologica de-localizzante, una pro-
spettiva che apre senz’altro agli studi sulla letteratura contemporanea nuo-
ve tipologie di lettura geo-letteraria della realtà culturale attuale, italiana,
romanza, o europea e anche extraeuropea. Da un paio di decenni ci tro-
viamo in una sorta di faglia culturale, in cui si passa dalla visione dell’esule,
dello scrittore che canta con la cetra appesa ai salici, in quanto riconosce
quei salici come stranieri, al migrante, al personaggio senza più radici, che
non si sposta in uno spazio vettorialmente orientato verso una fuoriuscita
e proiettato su un ritorno impossibile, ma si colloca in uno spazio (deno-
minato anche third space) in qui il “qui” e l’”altrove” non hanno più alcun
valore deittico, ma si spostano con gli spostamenti del personaggio stesso.6
Procedendo su questa linea di analisi, lo spazio migrante in quanto spa-
zio filologico, non è soltanto rappresentazione cartografica della comunità
globalizzata e globalizzante contemporanea, bensì potrebbe costituire una
prospettiva di rilettura di gran parte dei testi della nostra come delle altre
letterature europee e occidentali, in tutto il loro sviluppo diacronico. Per
mostrare questa potenzialità si è pensato di effettuare un sondaggio parten-
do da una tematica “trans-frontaliera”, la rappresentazione del saraceno/
musulmano, in tre opere appartenenti al canone della letteratura italiana,
afferenti a epoche differenti della letteratura italiana: la Commedia di Dante
Alighieri, l’Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo, e i Sonetti romane-
5
Cfr. E.R. Curtius, Letteratura europea e Medio Evo latino, a c. di R. Antonelli, Firenze, La
Nuova Italia, 2006, pp. 20-21 [prima ediz. in italiano 1992; ediz. originale in tedesco Europäi-
sche Literatur und lateinisches Mittelalter, Bern, Francke Verlag, 1948].
6
Vorrei rimandare senz’altro a U. Mathis-Moser, Dany Laferrière. La dérive américaine,
VLB, Montréal, 2003, e a B. Mertz-Baumgartner, Ethik und Ästhetik der Migration. Algerische
Autorinnen in Frankreich (1988-2003), Würzburg, Könighausen und Neumann, 2004. Per la ca-
tegorizzazione dello spazio del migrante, cfr anche A. Vranceanu, Letteratura transnazionale
e romanzi di scrittori rumeni migranti, in Il romanzo rumeno contemporaneo (1989-2010), a c. di N.
Neşu, Roma, Bagatto Libri, 2010, pp. 83-100. Cfr. anche E. Said, Orientalismo, Milano, Feltri-
nelli, 2001, pp. 63-78. [ediz. originale in inglese Orientalism, Vintage Books, 1978].
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7
Per il nucleo di queste osservazioni ringrazio Alessandro Vettori, che sta scrivendo un
libro sulla poetica dell’esilio nella Commedia dantesca. Cfr. anche E. Pasquini, Dante e le figure
del vero. La fabbrica della Commedia, Milano, Bruno Mondadori, 2001, pp. 122-147.
8
D. Alighieri, La divina commedia, a c. di N. Sapegno, in Enciclopedia dantesca, Biblioteca
Treccani - Panorama, Roma, 2005, vol. 1, (Inferno I, 73-75).
9
D. Alighieri, La divina commedia, cit., vol. I, Inferno XXVII, 85-88.
10
D. Alighieri, La divina commedia, cit., vol. III, Paradiso XV, 142-148.
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11
Cfr. il commento al luogo citato. Si tratta della stessa vicenda che ha avuto come con-
seguenza la scomunica e la prigionia di Jacopone da Todi, per cui cfr. F. Suitner, Iacopone da
Todi, Roma, Donzelli, 1999, pp. XX.
12
Per un’interpretazione della centralità di questo episodio nel poema, cfr. A. Jacomuzzi,
L’imago al cerchio e altri studi sulla «Divina Commedia», Milano, Franco Angeli, 1995, pp. 114-
140.
13
Per il testo vedi D. Alighieri, La divina commedia, cit., vol. I, Inferno, XXVIII, 22-31. Per
la lettura del passo ci si riferisce a M. Esposito Frank, Dante’s Muhammad: Parallels between
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Islam and Arianism, in «Dante Studies, with the Annual Report of the Dante Society», n° 125
(2007), pp. 185-206. La studiosa americana ricostruisce la doppia trama medievale della rap-
presentazione di Maometto da un lato come idolo o precursore dell’Anticristo, come risulta
nelle chansons de geste francesi, dall’altro dei Musulmani come eretici, o “quasi-cristiani”, in
quanto monoteisti e non credenti nella Trinità. Questa linea più morbida ha i suoi rappre-
sentanti, fra gli altri, in Beda il Venerabile (ca. 672-735) e Guiberto di Nogent (1064?-1125);
il secondo, pur essendo fautore e cronista della prima crociata, precisa correttamente che
Maometto non è considerato Dio ma profeta dai Musulmani.
14
Per queste indicazioni ci riferiamo a M. Corti, La Commedia di Dante e l’oltretomba isla-
mico, in Ead., Scritti su Cavalcanti e Dante, Torino, Einaudi 2003, pp. 366-367.
15
M. Corti, La Commedia di Dante e l’oltretomba islamico, cit., p. 365.
16
D. Alighieri, La divina commedia, cit., vol. III, Paradiso XV, 50.
17
D. Alighieri, Ibidem, Paradiso IX, 113. I dati sulla frequenza lessicale sono tratti dal sito
www.intratext.it, in cui si trova anche il testo indicizzato della Commedia.
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18
Chanson de Roland, a c. di M. Bensi, Milano, Rizzoli, 2000, v. 1015. Per un commento
a questo tipo di formule nella Chanson de Roland mi permetto di rimandare ad A. Pagliar-
dini, Cristiani e pagani nell’epica cavalleresca italiana, in «Carte di viaggio», I 2008, 36-37. Per
il rapporto fra struttura dicotomica (bene/male) e struttura ternaria del poema dantesco
(Inferno/Purgatorio/Paradiso) cfr. R. Venturi, Comedìa di Dante Alighieri, in A. Asor Rosa
(a c. di), Letteratura italiana, Roma, La Biblioteca di Repubblica-L’Espresso, 2007, vol. 2, pp.
321-322.
19
Si veda F. Montanari, Limbo, in Enciclopedia dantesca, cit., vol. X, pp. 541-545.
20
D. Alighieri, La divina cmmedia, cit. vol. I, Inferno IV, 118-147.
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Collocato fra gli eroi civili della storia romana antica, e in particolare fra
Bruto, vendicatore di Lucrezia che si era suicidata dopo la violenza subita
dal re Tarquinio, e fondatore della repubblica, e un gruppo di mogli di eroi
romani, che Dante aveva esaltato anche nel Convivio, troviamo il Saladino, il
sultano d’Egitto dal 1174 al 1193,22 il cui nome era stato latinizzato in que-
sta forma nei testi latini e volgari, e la cui magnanimità e liberalità è esaltata
in testi anche precedenti alla Commedia dantesca, fra cui il Novellino.23 Dal
punto di vista formale ci sembra notevole in questo passo la rima Tarqui-
no/Saladino, che accosta in qualche modo il principe più abietto a quello
considerato il più nobile. La rappresentazione solitaria dell’eroe saraceno,
come notato dai commentatori, potrebbe essere soggetta a duplice lettura
riferita al personaggio: da un lato denotarne l’estraneità al contesto cristia-
no, dall’altra esaltarne per distinzione la nobiltà.24
Nei versi successivi assume la posizione di maggior rilievo Aristotele, ad-
dirittura nominato per antonomasia il «maestro di color che sanno»; il filo-
sofo greco è accompagnato da un corteo di filosofi e scienziati, fra i quali i
due musulmani di Spagna ‘Avicenna’ e ‘Averoìs’, nomi latinizzati degli au-
tori di famosi commenti aristotelici, citati da Dante anche nel Convivio.25 Al
secondo viene qui attribuito «‘l gran comento», cioè il commento aristote-
lico che Dante colloca in posizione preminente. Dante crea così uno spazio
assai particolare, depotenziato di quelle caratteristiche di politico-culturali
orientate secondo assi cartesiani geo-morali e religiosi basati sui valori po-
sitivo/negativo, inclusione/esclusione. Poeti, filosofi ed eroi che si trovano
nel castello non sono neanche debolmente inseriti nel sistema geografico
binario (salvezza/dannazione) dantesco, non essendo previste per essi, in
eterno, né ricompensa né una pena per quello che hanno compiuto, e non
potendo essi aspirare a un luogo futuro, né rimpiangerne uno perduto. La
21
Ibidem, Inferno IV, 127-133; 143-144.
22
Cfr. il commento in nota a D. Alighieri, La divina commedia, cit., vol. I, Inferno, IV, 129.
23
Cfr. G. Contini, Letteratura italiana delle Origini, Milano, Sansoni, 2000, p. 269 e pp.
278-279. In un suo saggio Cisneros analizza il rilievo particolare dell’ammissione del Saladino
nel Limbo, in quanto non solo il personaggio storico avrebbe avuto occasione di convertirsi
al Cristianesimo, ma aveva anche combattuto contro i cristiani: F. Cisneros, Dante y el islam.
Enfoques a partir del texto de la commedia, in «Estudios de Asia y Africa», Vol. 36, No. 1 (114)
(Jan.-Apr., 2001), p. 70.
24
Cfr. il commento al passo citato.
25
Cfr. C. Giacon, Avicenna, in Enciclopedia dantesca, cit., vol. VI, p. 34, e C. Vasoli, Averroè,
in Ibidem, p. 22.
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loro sospensione è icona della condizione del migrante, inteso come chi ha
perso le proprie radici senza trovarne o poterne sperare altre.
Un secondo esempio da prendere in considerazione per sperimentare
in senso diacronico l’applicazione della filologia della letteratura migrante,
è tratto da uno dei poemi cavallereschi rinascimentali, l’incompiuto Inamo-
ramento de Orlando, noto anche con il titolo Orlando innamorato, che viene
correntemente attribuito ad esso.26 Il poema boiardesco s’innesta su un fi-
lone narrativo ben definito e noto al pubblico, per quanto riguarda vicende
e personaggi, quello della narrativa carolingia, ma il poeta stesso annuncia
di aver effettuato un’operazione del tutto originale, da un lato narrando
un fatto che non è presente in nessun’altra opera, in prosa o in versi, la
trasformazione di Orlando da paladino e campione della fede in eroe in-
namorato, dall’altro descrivendo la propria operazione poetica di contami-
natio, in quanto nel suo poema si combinano le caratteristiche e i fatti del
ciclo narrativo bretone con le vicende dei poemi carolingi.27 Se ci poniamo
dal nostro punto di vista, ben altra può apparire la portata delle innovazio-
ni boiardesche, e cioè l’abbattimento della struttura etnico-religiosa dello
spazio epico cavalleresco. A proposito della visione medievale dello scon-
tro fra cristianità (occidentale) e islam, netto e univoco era il rapporto fra
appartenenza etnico-religiosa e valore morale nella già citata Chanson de
Roland, capostipite del filone epico carolingio, in cui si attribuisce il bene
e il diritto ai paladini cristiani e il male e il torto ai saraceni. Troviamo un
episodio molto significativo a questo proposito laddove nel poema epico
francese si esalta la figura dell’emiro di Balagario (amurafles de Balaguez):
«De vasselage est il ben alosez: / Fust chrestïens, asez oüst barnét».28
Nel poema di Boiardo assistiamo allo sgretolamento di tale sistema di
coordinate etnico-religiose di orientamento binario dello spazio mediante
tre procedimenti: (1) la caduta del principio di valore per cui il bene sareb-
26
L’opera si cita da M.M. Boiardo, Orlando innamorato, A c. di G. Anceschi, Milano,
Garzanti, 2003 [prima edizione 1978], 2 voll. Per la questione del titolo si fa riferimento a M.
Villoresi, La letteratura cavalleresca. Dai cicli medievali all’Ariosto, Roma, Carocci, 2002 [prima
ediz. 2001], pp. 153-155.
27
Il tema dell’amore di Orlando è presentato già nella prima ottava del poema (M.M.
Boiardo, Orlando innamorato, cit., I, I, 1), mentre per quanto riguarda il riferimento alla com-
mistione del ciclo bretone e del ciclo carolingio, si tratta delle ottave (Ibidem, II, XVIII, 1-3).
L’operazione di contaminazione del ciclo carolingio e del ciclo bretone effettuata da Boiardo
viene commentata da Pio Rajna, che ne attribuisce le motivazioni al contesto culturale e alle
aspettative del pubblico della corte ferrarese, in P. Raina, Le fonti dell’Orlando furioso, Firenze,
Sansoni, 1900 [prima ediz. 1875].
28
Chanson de Roland, cit., vv. 898-899. Il testo è tradotto come segue nell’edizione citata:
«Per la prodezza egli è molto lodato: / un gran barone sarebbe da cristiano!». Questo passo e
il principio di cui si parla sono stati commentati in A. Pagliardini, Cristiani e pagani nell’epica
cavalleresca italiana, cit., p. 37.
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29
M.M. Boiardo, Orlando innamorato, cit., I, IX, 50.
30
M.M. Boiardo, Orlando innamorato, cit., III, IV, 44-45.
102 ANGELO PAGLIARDINI
cane, che pretende in moglie Angelica perché Galafrone suo padre, re del
Catai, gliel’ha promessa. In questa battaglia vediamo Orlando combattere
addirittura contro l’altro paladino Ranaldo, suo cugino.31
Il terzo elemento che contribuisce a quella che abbiamo definito ‘creazio-
ne di uno spazio migrante’ all’interno del poema boiardesco è il movimento
a-direzionale dei cavalieri che vanno alla ventura. Nel poema assistiamo a
vari casi di paladini o cavalieri saraceni che partono o si fermano nel loro
cammino al solo scopo di andare in cerca di avventure. Ne possiamo trovare
un esempio nel passo seguente. Ranaldo è qui addirittura combattuto fra
due possibilità di seguire la ‘ventura’ cavalleresca.32 Il paladino cristiano si
trova diviso fra due doveri cavallereschi: non sa se mantenere la promessa
fatta a Fiordaligi, oppure accettare la nuova richiesta di intervenire come ca-
valiere, e seguire così la propria curiosità errante. Il cavaliere deciderà pro-
prio in questa direzione, avventurandosi nella distruzione del giardino di
Falerina, tanto più in quanto si tratta di un’impresa di difficile realizzazione:
31
Lo scontro è in Ibidem, I, XXVI.
32
Cfr. G. Ferroni, Ludovico Ariosto, in E. Malato (a. c. di), Storia della letteratura italiana,
Salerno Editrice, Roma, 1996, vol. IV, pp. 431.
33
M.M. Boiardo, Orlando innamorato, cit., I, XVII, 47-48.
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da direttrici che vanno dal dentro al fuori, dal centro alla periferia, mette
in atto procedimenti che possono anche in questo caso essere assimilati alle
caratteristiche dello spazio migrante.34
L’ultimo caso che prendiamo qui in esame per mostrare questa possibi-
le estensione diacronica dello spazio letterario migrante nel campo della
filologia, è quello del poeta dialettale romanesco Giuseppe Gioacchino Bel-
li, (1791-1863). L’autore dei Sonetti romaneschi ha vissuto gli ultimi decenni
della Roma papalina, fra le alterne vicende napoleoniche, le oscillazioni
democratizzanti e reazionarie di Pio IX e la realizzazione politico-militare
del Risorgimento, vedendo nascere il Regno d’Italia, ma non vivendo ab-
bastanza a lungo da assisterne al compimento con Roma capitale d’Italia e
la conseguente fine del potere temporale del papa (ripristinato in seguito
da Mussolini nel 1929). La vicenda di Belli si svolge nel segno dei dualismi
e delle contraddizioni. In parallelo con la vita pubblica, da un lato attività
conformistica e ritirata di funzionario pontificio, dipendente di singoli pre-
lati, e dall’altro aspirante poeta e letterato in lingua italiana, all’interno di
accademie letterarie ufficiali di stampo tardo-arcadico, dalla sua penna esce
di getto un fiume di sonetti in dialetto romanesco, un corpus di 2279 sonet-
ti, di cui 1900 composti fra settembre 1831 e giugno 1837.35 Nella misura
del sonetto in dialetto romanesco Belli rappresenta l’universo, la cultura e
anche la lingua della plebe di Roma. La metropoli pontificia, pur in decli-
no, aveva ancora un aspetto cosmopolita, e nei versi di Belli emerge anche
la ricezione di questa compresenza multietnica a livello popolare. Come
mostrato in altra sede, nei sonetti belliani troviamo tracce puntuali della
presenza a Roma della comunità migrante per eccellenza nell’immaginario
occidentale, quella ebraica, e in particolare la comunità ebraica di Roma,
che risale al II secolo a. C., e che risulta essere ben identificata e identificabi-
le, sia nella particolarità di riti e tradizioni, sia nella lingua ben riconoscibile
e puntualmente registrata in alcuni sonetti belliani.36 Per uniformità meto-
dologica con il percorso seguito finora, siamo andati a cercare la rappresen-
tazione del musulmano nei versi romaneschi belliani, dove sono presenti in
particolare riferimenti ai Turchi. Nel XIX secolo l’Impero Ottomano, erede
della potenza raggiunta in campo politico militare dall’Islam, era senz’al-
34
Cfr. A. Pagliardini - G. Fuchs, La rappresentazione del pagano/musulmano nell’epica caval-
leresca rinascimentale (Orlando innamorato, Morgante, Orlando Furioso), in B. Van den Bossche
et alii (a c. di), Italia e Europa: dalla culturanazionale all’interculturalismo, vol. II, pp. 581-582.
35
M. Teodonio, Introduzione, in G.G. Belli, Tutti i sonetti romaneschi, a c. di M. Teodonio,
Roma, Newton Compton, 2005, vol I, p. IX.
36
Mi permetto di rimandare al contributo A. Pagliardini, Gli ebrei di Roma nei Sonetti di
Giuseppe Gioachino Belli, in E. Kanceff (a cura di) L’Italia terra di rifugio, Torino, CIRVI, 2010,
vol. III, pp. 667-684.
104 ANGELO PAGLIARDINI
tro avviato alla decadenza, ma restava un soggetto ancora ben presente nel
gioco politico internazionale, senza contare che nell’immaginario popolare
i Turchi rappresentavano la religione e la cultura vista come antitetica a
quella cristiana.37 Si tratta comunque di una presenza statisticamente limi-
tata nel corpus dei versi romaneschi di Belli. Se consultiamo le frequenze
del corpus dei Sonetti romaneschi vediamo che la parola Turco, in tutte le sue
forme, sia come aggettivo che come sostantivo, compare 23 volte, e 8 volte
l’aggettivo turchino, che fa riferimento al colore, ma in cui c’è spesso anche
un riferimento più o meno indiretto ai Turchi.38 I Turchi sono rappresentati
secondo gli stereotipi popolari più comuni e schematicamente spietati, al
pari di quanto accadeva per gli Ebrei.39 Come in altri casi e come eviden-
ziato da molti commentatori, fra cui Giorgio Vigolo e Pietro Gibellini, nei
versi belliani vengono alla luce delle pulsioni profonde e mal represse, degli
istinti che il burocrate papalino e l’accademico conformista devono celare
per non perdere onorabilità pubblica.40 Fra queste pulsioni che vengono
alla luce nella materia magmarica dei sonetti belliani abbiamo anche una
solidarietà che potremmo definire “migrante”, una forma di solidarietà pro-
fonda verso tutti gli oppressi, perché tali sono i romani contemporanei a
Belli, e per questo fratelli di Cristo e di tutti i migranti, compresi gli ebrei.
A proposito della rappresentazione del musulmano, l’ambito principale
in cui si colloca questa rivelazione “migrante” di Belli è quello che potrem-
mo definire del teatro dei potenti. Il popolo di Roma che Belli fa parlare
e agire nei suoi Sonetti assiste, come pubblico loquace e prodigo di critiche
e commenti, allo spettacolo della messa in scena del potere, dalle liturgie
papali, agli spettacoli, dalle apparizioni pubbliche di cardinali e alti prelati,
allo spettacolo dei diplomatici e nobili e sovrani stranieri presenti a Roma.
Su questo piano si collocano i sonetti dedicati ad Ahmed Feth Pascià, am-
basciatore turco presso il re di Francia, ricevuto in udienza dal papa il 12
giugno 1838, come raccontato nel sonetto 1981.
La rottura delle distinzioni etniche e religiose qui avviene sia a livello del
testo che delle note di commento aggiunte dallo stesso Belli. Il nome del
dignitario turco, secondo un procedimento frequente nei Sonetti di Belli,41
37
Per la fortuna del tema in chiave comica si può anche citare un’opera come Il Turco in
Italia di Gioacchino Rossini.
38
Per effettuare le ricerche sulle frequenze lessicali nei Sonetti di Belli ci siamo avvalsi
delle funzioni statistiche della biblioteca telematica che si trova sul sito Internet: http://www.
bibliotecaitaliana.it
39
Cfr. A. Pagliardini, Gli ebrei di Roma nei Sonetti di Giuseppe Gioachino Belli, cit.
40
Cfr. G. Vigolo, Il genio del Belli, Milano, Il Saggiatore, 1963; P. Gibellini, Il coltello e la
corona. La poesia del Belli tra filologia e critica, Roma, Bulzoni, 1979.
41
Cfr. A. Pagliardini, La creazione di lingue di frontiera nella letteratura italiana dell’Ottocento:
da Belli a Pascoli, in P. Holzner - J. Pröll (a c. di.), An den Grenzen der Sprache. Kommunikation
von Un-Sagbarem im Kulturkontakt, Innsbruck, IUP, in stampa.
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826. Er granturco
Disse er Zurtano a un tar governatore:
«Impicchete, vassallo, e tte perdono».
Er vassallo arispose ar Gran-Ziggnore:
«Dàmme un anno de tempo, e tte la sòno».
E ggià er padrone nun sta ppiú ssur trono:
già ccià mmesso le chiappe er zervitore:
e attenti, mordivói, ché mmó vviè er bono,
strillò er giudio che sse cacava er core.
Visto er Granturco a ppassà gguai lo sscetro,
42
Per tutte le informazioni cfr il commento al testo in G.G. Belli, I Sonetti, a c. di L. Mo-
randi, Città di Castello, Lapi, 1896 [ristampa anastatica Colonna Editori], vol. IV, pp. 150-151.
43
G.G. Belli, I Sonetti, cit., Vol. IV, p. 150.
44
Ibidem.
106 ANGELO PAGLIARDINI
45
G.G. Belli, Tutti i sonetti romaneschi, cit., vol. II, p. 855; le informazioni sono tratte dal
commento al testo.
46
Cfr. in particolare H. Bhabha, The location of culture, London, 1994.