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EPOCA 1 ; INTRODUZIONE

1. LE ORIGINI DELLA LETTERATURA IN VOLGARE

La letteratura italiana fa registrare testi di ampia importanza culturale solo


nel corso del XIII secolo ; questo lento avvio è però seguito da un’improvvisa
crescita repentina , che porta la Penisola ad assumere il ruolo di guida
culturale europea già a fine del Duecento.
La letteratura delle origini è influenzata da numerosi elementi , come la forte
connessione ( di temi e generi ) con la letteratura latina , che ancora ad inizio
Duecento si presenta come un grande patrimonio di riferimento.
Di fatto il nodo centrale della letteratura duecentesca è proprio la dinamica
tra il modello consolidato del latino e i primi tentativi di scrittura in volgare.
Il quadro delle prime testimonianze in lingua volgare è molto composito
geograficamente e linguisticamente: c’è la lirica in volgare di San Francesco ,
le testimonianze della Scuola siciliana e la grande varietà offerta dalla prosa ,
dalla ‘’Vita Nuova’’ di Dante al ‘’Milione’’ di Marco Polo.
In questo quadro fatto di grande varietà di generi e sperimentazioni , tanto in
prosa quanto in poesia , va inserito anche il recupero della letteratura
francese.
Dalle opere in lingua d’oil , il ciclo della Chanson de Geste alle opere di
Chrétien de Troyes ( XII sec. ) , che ebbero enorme diffusione in Europa , alla
produzione trobadorica in lingua d’oc , un filone che avrebbe esercitato
un’influenza straordinaria sulla letteratura delle origini.

2. CONTESTI, TEMI E IDEOLOGIE DELLA POESIA DELLE ORIGINI

Sicuramente il versante della lirica nel corso del Duecento conosce una
maggiore ricchezza di esperienze rispetto alla prosa.
La posizione inaugurale viene assegnata alla poesia che matura intorno alla
corte di Federico II , un insieme di autori che si concentra sulla teorizzazione
del sentimento amoroso , sulla scia della poesia trobadorica e del ‘’De Amore’’
di Andrea Cappellano ( fine del XII sec. ) ; nella sostanza si tratta di un
recupero del concetto e dell’ideologia dell’amor cortese.
Al principale rappresentante dei poeti siciliani , Giacomo da Lentini , è tra
l’altro attribuita anche l’invenzione della forma sonetto.
Aspetto importante è da riscontrare nella scelta , da parte dei poeti siculi , di
utilizzare uno stile alto: solo un registro linguistico formale e selezionato può
parlare dell’esperienza amorosa.
Più in generale si osserva un recupero dell’esperienza del ‘’fin’amours’’ dei
trovatori provenzali e del ‘’labor limae’’ di Catullo.
Molto importante è inoltre il fatto che le poesie dei siciliani ci siano pervenute
in manoscritti successivi , composti da autori che però hanno ‘’tradotto’’ le
poesie dei siciliani in lingua toscana.
È proprio l’area della Toscana a raccogliere l’eredità dei Siciliani , tuttavia in
un’area come quella comunale ( attraversata dal confronto tra Papato e
Impero ) la lirica si allarga a tematiche non esclusivamente amorose
( politica , morale , filosofia ecc… ) ; esemplificativa in questo senso è l’opera
di Guittone d’Arezzo , il più importante poeta precedente a Dante.
Il Duecento è però anche la grande stagione della poesia religiosa , che
comprende l’esperienza di San Francesco d’Assisi , le laudi di Iacopone da
Todi e la produzione tarda di Guittone d’Arezzo.
In questo filone è da inserire anche il ‘’Libro delle tre scritture’’ di Bonvesin de
la Riva ( 1274 ) , che contiene una descrizione dell’Inferno , della Passione di
Cristo e del Paradiso , anticipando in qualche modo il viaggio dantesco.
Dal modello di Guittone ( vicino al cosiddetto ‘’trobar clus’’ provenzale , un
poetare difficile e complesso ) si discostano per toni e temi i primi esponenti
dello Stilnovo , un filone che ha nel bolognese Guido Guinizzelli il primo
modello.
I successori di quest’ultimo sono Guido Cavalcanti , Lapo Gianni , Cino da
Pistoia e Dante , poeti che guardano all’amore come ad un’esperienza
nobilitante: si viene a creare una sorta di schiera eletta di fedeli d’Amore.
Accanto a questa poesia alta e filosoficamente fondata si registrano le
esperienze di Rustico Filippi e Cecco Angiolieri , caratterizzate dalla polemica
e dalla contestazione dei valori in chiave comico-realistica.
3. LA REALTÀ DELLA PROSA

Le prime prove della prosa del Duecento muovono dai precedenti offerti
dalla tradizione latina , in particolar modo dalle artes dictandi , importanti
soprattutto nelle comunicazioni ufficiali.
Le prime esperienze riguardano dunque l’ambito della retorica , dove si
registrano le esperienze di Guido Faba e soprattutto di Brunetto Latini ,
autore nel 1260 di una ‘’Rettorica’’ , una riscrittura del ‘’De inventione’’ di
Cicerone.
È proprio con Brunetto che si assiste ad un vero investimento sul volgare , la
sua opera più importante , il ‘’Tresor’’ , è scritto infatti in lingua d’oil ( in
seguito verrà volgarizzato in italiano ).
I volgarizzamenti sono inoltre la chiave per acquisire anche le tradizioni
narrative francesi: dai racconti antichi , come l’Istorietta troiana tratta dal
Roman de Troie e i Fatti di Cesare , al patrimonio cavalleresco , da cui verrà
prodotto il Tristano riccardiano.
Accanto a queste riprese si collocano le prime esperienze della tradizione
narrativa , che conosce una prima notevole prova nel ‘’Novellino’’ , un
precedente dal quale si muoverà Boccaccio.
Già a fine Duecento però la realtà comincia a premere sulle pagine del
‘’Milione’’ , opera nata dalla collaborazione tra la voce di Marco Polo e la
trascrizione attiva di Rustichello da Pisa.
1) LE PRIME TESTIMONIANZE POETICHE

1. TRACCE DI TRADIZIONI SOMMERSE

Le prime testimonianze poetiche italiane condividono caratteristiche peculiari


come l’essere incorporate in contesti latini , il fatto che la forma scritta non sia
la destinazione primaria , il fatto che si tratta di testi che venivano cantati e
recitati da giullari.
Si parla dunque di tracce , residui di una tradizione orale di cui molto
probabilmente faceva parte anche l’Indovinello veronese ( fine dell’VIII
secolo/inizi del IX ).

2. I RITMI ARCAICI

Tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo sono attestati i primi ‘’ritmi’’ ,
termine con il quale sono indicati testi di argomento religioso con finalità
principalmente didattiche , trascritti soprattutto in ambiente monastico e
dotati di accuratezza stilistica e retorica.
La produzione di questi testi interessa in questo periodo soprattutto l’area
dell’Italia centrale: Marche , Umbria e Lazio , dove sono localizzabili due dei
più importanti testi , il Ritmo su Sant’Alessio e il Ritmo cassinese.
Il primo è una traduzione della più celebre versione francese ( la ‘’Vie de saint
Alexis’’ ) composto in lasse monorime di ottonari-novenari , il secondo invece
( che presenta un metro simile ) appartiene alla tradizione dei contrasti ed è
scritta in una lingua piena di francesismi e latinismi.
Il ritmo cassinese riprende una fonte latina , la ‘’Collatio Alexandri cum Didimo
Rege’’ , in cui Alessandro Magno discuteva con il re indiano Didimo.
Il testo è in sostanza un confronto tra il mondo orientale e la sua esistenza
ascetica e dedicata a Cristo , rappresentato dall’indiano Didimo , e il mondo
occidentale.
In Toscana è collocato invece il Ritmo laurenziano ( tra il 1188 e il 1207 ) , in
cui un giullare loda il vescovo Grimaldesco per la sua generosità.
Altri due ritmi molto celebri sono quello Bellunese e quello Lucchese
( rispettivamente 1193/1196 e 1213 ) , di argomento storico-politico: il primo
ricorda le vittorie di Belluno e Feltre su Treviso , mentre il secondo quella di
Lucca sui feudatari del contado

3. LA PRIMA POESIA D’AMORE

I ritmi appartengono dunque per lo più ad una tradizione religiosa ; per


quanto riguarda invece la poesia profana di argomento amoroso , si è pensato
a lungo che le prime produzioni fossero riconducibili alla Scuola siciliana.
Nel 1999 il filologo Alfredo Strussi ha però ritrovato nell’Archivio
Arcivescovile di Ravenna una pergamena databile tra il 1180-1210 in cui si
trovava una canzone , Quando eu estava , composta di versi in volgare italiano.
La lingua del testo non è facilmente identificabile , anche se è molto probabile
che provenga dall’area padana , dove tra XII e XIII secolo circolarono
numerosi testi trobadorici.
Molto probabilmente il frammento ravennate è una copia , il che ci fa pensare
che molto probabilmente la canzone è ancora più antica della sua trascrizione
su questa pergamena.
Quando eu estava è dunque la prima lirica volgare in italiano , anche se in essa
si nota un forte tentativo di imitazione dell’occitano sul piano lessicale
( ‘’Null’om’’ risponde all’occitano ‘’Nuls hom’’ ).
Sul piano retorico-stilistico vi sono altri due punti di contatto con il mondo
trobadorico: l’identificazione della donna come ‘’domina’’ ( signora ) del
cuore del poeta e il riferimento alla ‘’curtisia’’ , termine che indica il
complesso delle virtù cortesi.
Molti altri elementi derivano dalla lirica trobadorica: il poeta incatenato ad
Amore , il fatto che l’amore arricchisca e renda felice l’amante , la figura del
maledicente ( il gilous trobadorico ).
Ulteriore punto di contatto con il mondo della poesia provenzale è dato dal
fatto che al tempo in cui fu composta Quando eu estava , la poesia fosse unita
alla musica , cosa che verrà meno con la Scuola siciliana.
2) DALLA SICILIA ALLA TOSCANA.
LA TRADIZIONE LIRICA NEL VATICANO LATINO 3793

1. DAI DOCUMENTI ALLA STORIA

La letteratura italiana conosce dunque una prima fase ‘’preistorica’’, in cui


non si conoscono i nomi degli autori , a cui segue una fase ‘’storica’’ in cui i
nomi degli autori , i tempi e i luoghi sono per lo più noti.
Alla fine del Duecento infatti , con la piena affermazione del volgare come
lingua di comunicazione , si assiste soprattutto in Toscana ad un primo
processo di selezione e conservazione della tradizione poetica delle origini.
I testi degli autori delle origini sono raccolti in importanti manoscritti , i
‘’canzonieri’’ , in cui sono presenti centinaia di componimenti , trascritti tutti
tra la fine del XIII ed i primi decenni del XIV secolo.
Il più antico manoscritto è il cosiddetto Banco Rari 217 , che si trova presso la
Biblioteca Nazionale di Firenze, un vero e proprio testo di lusso , ampiamente
decorato e composto di 180 componimenti.
Ben più importanti sono però il Vaticano 3793, conservato presso la Biblioteca
Apostolica Vaticana , e il Redi 9 , conservato presso la Biblioteca Medicea
Laurenziana di Firenze.
Il primo ha un ordinamento cronologico , grazie al quale è possibile avere un
quadro complessivo della poesia Duecentesca: dai poeti della corte di
Federico II alla generazione precedente a Dante.
Il Redi 9 è invece un’opera quasi monografica , che si concentra sul più
importante autore precedente a Dante , Guittone d’Arezzo.
Per quanto riguarda invece il Chigiano L VIII 305 della Biblioteca Apostolica
Vaticana ( anni Trenta/Quaranta del XIV secolo ) , esso tratta gli autori dello
Stilnovo , compreso Dante.
Dunque questi tre canzonieri scandiscono tre fasi della poesia italiana: il
Vaticano 3793 quella della poesia duecentesca , il Redi 9 parla del più grande
poeta precedente a Dante e il Chigiano L VIII 305 parla dei poeti che per
Dante hanno rinnovato la poesia italiana.
2. STORIA E PREISTORIA DELLA POESIA ITALIANA

Il patrimonio precedente alla Scuola siciliana è stato copiato poco e male ,


venendo di fatto spazzato via dall’opera di selezione avvenuta nei secoli
successivi.
Ciò è in primo luogo dipeso dai gusti stilistici dei copisti, in base ai quali oggi
consideriamo Giacomo da Lentini come molto più importante del frammento
Ravennate.
Non si deve però pensare ad una cesura netta tra la fase delle tracce e quella
della Scuola siciliana ( Castellani ha osservato che la scoperta di Quando eu
estava non permette di escludere che Federico II abbia solo posto il sigillo su
un movimento letterario precedente ).

3. TRACCE DI POESIA SICILIANA E IL PROBLEMA DELLA LINGUA

La produzione poetica dei siciliani ci è nota dai canzonieri Vaticano 3793 ,


Banco Rari 217 e Barberiniano Latino 3953 , che molto probabilmente sono
legati tra loro da un archetipo ormai perduto.
Questa discendenza comune risulta evidente da un confronto di contenuti ,
sia dalla lingua in cui sono stati trascritti.
I poeti siciliani infatti si erano espressi in un siciliano illustre , tuttavia la
lingua dei tre canzonieri è il toscano , cosa che ci fa pensare che l’autore
dell’archetipo fosse un copista di origine toscana.
Questo processo nel Medioevo era comune , e non esistendo regole
grammaticali fisse, è probabile che anche il copista che cercava il più possibile
di attenersi alla sostanza del testo originale , potesse radicalmente mutarne la
forma.
Per questo motivo si deve parlare di un adattamento e non di una vera e
propria traduzione , un processo che ha generato il fenomeno della ‘’rima
siciliana’’ ( la rima chiusa di e chiusa con i e di o chiusa con u , utilizzate dai
poeti toscani del Duecento ).
Esistono comunque delle deboli tracce di circolazione di poesia siciliana
originale , slegate però dai canzonieri.
Le più importanti sono:

1. Il ‘’Libro Siciliano’’, un manoscritto perduto dell’erudito modenese Giovanni


Maria Barbieri ( 1519-1574 ) , che ricavò alcune versioni originarie delle poesie
della Scuola.

2. Un frammento di una canzone di Giacomino Pugliese , ritrovato a Zurigo


e indipendente dalla mediazione toscana.

3. I componimenti presenti nei Memoriali Bolognesi , atti pubblici in cui i


notai bolognesi hanno scritto componimenti poetici: dai trovatori a Dante ,
passando per i poeti siciliani.

4. Quattro poesie siciliane rinvenute a Bergamo nel 2013 , trascritte tra il 1250
e il 1270.

Un esempio importante è quello di S’eo avesse Pietanza , attribuita a Re Enzo ,


il figlio naturale di Federico II catturato in battaglia nel 1249 e tenuto
prigioniero a Bologna per vent’anni.
Il testo è trasmesso sia dai codici toscani che dal ‘’Libro Siciliano’’ , e attraverso
di esso è possibile intravedere da lontano la veste linguistica originaria , che
non è possibile ricostruire ( dunque la forma toscanizzata è l’unica in cui i
testi siciliani possono essere letti ).

4. UN MANOSCRITTO NELLA STORIA

Il Vaticano 3793 è un codice composto dal 190 fogli (26 fascicoli complessivi) ,
per lo più curato da una singola mano , anche se molto importante è una
‘’seconda mano’’ , che copia solo alcune carte.
Entrambi sono copisti fiorentini , che lavorarono tra la fine de XIII secolo e gli
inizi del XIV.
L’importanza di questo testo è immensa , senza di esso non avremmo alcuna
traccia della poesia italiana del Duecento.
Il codice è diviso in due parti secondo un criterio metrico: prima le canzoni e
poi i sonetti , come nei mscritti che racanocolgono la tradizione trobadorica.
La priorità della canzone è dovuta al fatto che essa era considerata (come
ricorda Dante nel ‘’De vulgari eloquentia’’) il genere metrico più importante ,
seguito da ballata e sonetto.
Come già ricordato il Vaticano 3793 segue un ordine cronologico , parte dai
poeti legati alla Scuola siciliani , poi ci sono i poeti cosiddetti siculo-toscani ed
infine infine i poeti dell’Italia comunale , quelli della generazione precedente
a Dante.
L’indice occupa tutto il primo fascicolo , il secondo si apre con Giacomo da
Lentini , il terzo con Rinaldo d’Aquino ( altro poeta siciliano ) , il quarto con
testi di livello meno elevato ( si apre con il contrasto attribuito a Cielo
d’Alcamo ) , il quinto con delle rime successive ( come quelle di Re Enzo ) ,
mentre il sesto si apre con Guido Guinizzelli.
I fascicoli successivi sono dedicati prevalentemente a Guittone d’Arezzo e ai
due poeti fiorentini precedenti a Dante più importanti , Chiaro d’Avanzati e
Monte Andrea.
Alla fine della sezione delle canzoni il secondo copista annota , a prova di un
cambiamento di gusto , un testo della ‘’Vita Nuova’’ di Dante: Donne ch’avete
intelletto d’amore.

5. LA SCUOLA SICILIANA: COORDINATE STORICHE

La Scuola siciliana si organizza intorno alla corte , o Magna Curia , di


Federico II di Svevia (1194-1250) , re di Sicilia dal 1198 e imperatore del Sacro
Romano Impero dal 1220.
Molti dei poeti riconducibili alla scuola condividono un’estrazione sociale
comune , si tratta infatti di giuristi e magistrati che avevano cariche pubbliche
all’interno della corte.
Questi personaggi scrivono tutti in un siciliano illustre e si ispirano a temi e
stili della tradizione trobadorica.
Difficilmente la Scuola fu il risultato di un disegno dell’imperatore , anche se
resta suggestivo pensare che essa si inserisca nel progetto dello studium
napoletano.
In effetti erano la tradizione latina e quella greca ad esercitare una funzione
più centrale rispetto ai componimenti di argomento amoroso in volgare ; la
lingua dell’alta cultura sarebbe rimasta il latino ancora a lungo.
L’argomento principale della poesia siciliana è l’amore , ma rispetto ai
trovatori i rimatori siciliani operano una radicale selezione di temi.
I poeti siciliani si distaccano dal genere trobadorico del sirventese ( genere di
contenuto morale , satirico, storico e politico) per concentrarsi esclusivamente
sull’amore.
Sul tema amoroso il contatto con i trovatori è invece evidente: il rapporto
amante-amata come feudale , l’amore come processo di raffinamento
personale , la sofferenza , l’ostilità dei malparlieri ( i launzegers trobadorici ).
Nei siciliani c’è inoltre uno spiccato interesse per la descrizione della
fenomenologia amorosa.
I poeti della Scuola sono interessanti agli aspetti universali dell’amore , non
ad una singola esperienza amorosa ; sono dunque ridotti al minimo i
riferimenti alla realtà e alla biografia del poeta: quella siciliana è una poesia
spersonalizzata.
I siciliani introducono però nella lirica una profonda analisi filosofica ,
presente probabilmente anche per il livello culturale generalmente superiore
dei poeti siciliani rispetto a quelli occitanici.
La spersonalizzazione , l’universalità del sentimento amoroso e l’analisi
filosofica sono gli elementi che rendono la poesia siciliana una profonda
analisi delle emozioni individuali.
Le forme metriche principali della poesia siciliana sono la canzone e il
sonetto, ma se la prima segue il modello della canso trobadorica , il sonetto è
un’invenzione locale , tradizionalmente attribuita a Giacomo da Lentini.
Probabilmente però il sonetto è una diretta evoluzione della cobla dei
trovatori ; una cobla è normalmente la stanza di una canzone occitana ,
tuttavia i trovatori utilizzano la cobla anche isolatamente.
Le cosiddette coblas esparsas hanno struttura metrica variabile , in qualche
modo sovrapponibile a quella del sonetto , che sarebbe dunque una sorta di
‘’cobla con regole fisse’’ inventata proprio dai poeti siciliani.
Il sonetti è composto da due quartine ( otto versi ) e due terzine ( sei versi )
entrambe in endecasillabi , definite rispettivamente fronte e sirma; esso è la
forma metrica che i Siciliani utilizzano per il genere della ‘’tenzone’’.
Benché sia possibile che alcuni componimenti della Scuola ( i discordi e le
canzonette ) fossero destinati alla musica , a differenza dei trovatori occitanici e
dei Minnesanger tedeschi , i poeti siciliani non erano musicisti.
C’è autonomia del testo poetico rispetto alla musica.

6. GIACOMO DA LENTINI , POETA E ‘’NOTARO’’

Nella ‘’Commedia’’ ( Purgatorio XXIV , 55-57 ) il poeta Bonagiunta Orbicciani


cita i due autori più importanti del Duecento: Guittone d’Arezzo e Giacomo
da Lentini ( ‘‘che ‘l Notaro e Guittone e me ritenne’’ ).
Quest’ultimo è sicuramente nato in Sicilia da una famiglia di origini
normanne , e va identificato con un notaio attivo presso la corte di Federico II.
Indubbio il fatto che Giacomo sia il più importante membro della Scuola ,
altrettanto indubbio il fatto che lui e gli altri poeti siciliani abbiano un grande
debito con il modo trobadorico.
La prova del fatto che i Siciliani avessero ben presenti i testi della tradizione
trobadorica è data per esempio dalla poesia di Giacomo da Lentini
‘’Madonna, dir vo voglio’’ , che è la traduzione dall’occitanico del di un testo di
Folquet de Marselha.
Folchetto da Marsiglia , collocato da Dante nella ‘’Commedia’’ all’interno del
Purgatorio , divenne celebre come poeta profano , ma in seguito si convertì e
divenne vescovo di Tolosa , come raccontato nella sua vidas ( nome dato alle
antiche biografie dei trovadori ).
Il testo Giacomo da Lentini è quella che oggi potremmo indicare come
qualcosa a metà tra la riscrittura e la traduzione che cercava di restare il più
possibile simile alla tradizione.
Il testo di Folchetto ci è giunto solo in parte , mentre il testo del siciliano è
completo , a testimonianza che quest’ultimo disponesse di manoscritti
contenenti le opere dei trovatori.
Il testo di Giacomo da Lentini è denso di immagini ed elementi tipici dei
trovatori , che rimarranno presenti nella tradizione letteraria italiana fino a
Petrarca: il rivolgersi direttamente alla donna amata , l’insensibilità della
donna , l’amore che crea dolore , la condizione dell’amante e il processo
dell’innamoramento.
La bellezza della donna spinge il poeta a riflettere sui limiti del linguaggio ,
incapace di esprimere in maniera compiuta le emozioni , ma unico strumento
per sconfiggere la sofferenza.
Altro classico trobadorico è il paragone della nave in tempesta e la
condizione umana , che però è utilizzato da Giacomo in maniera originale:
l’amore per la donna è come una nave che durante una tempesta si priva del
carico , come il poeta che per sopravvivere deve gettare fuori pianti e sospiri.

7. IL DIBATTITO SULL’AMORE ( NEGLI ALTRI MANOSCRITTI )

La poesia dei trovatori aveva una componente fortemente dialogica , essi


erano infatti spesso in dialogo tra di loro e lo strumento di questo dialogo
erano le coblas , che divenivano mezzi per rispondere nelle tenzoni.
I Siciliani ereditano questa vocazione dialogica , ma limitano fortemente gli
argomenti possibili , limitandosi a parlare solo ed esclusivamente dell’amore.
Le tenzoni siciliane sono dibattiti sull’amore , e quello più celebre è ci è
giunto tramite il codice Barberiniano Latino 3953 della Biblioteca Apostolica
Vaticana ( 1325-1335 ).
La tenzone in questione è quella tra Iacopo Mostacci ( un falconiere di
Federico II , che in seguito lo nominò cavaliere ) , Pier della Vigna ( ricordato
anche da Dante nella ‘’Commedia’’, egli sarebbe stato cancelliere di Federico II,
ma coinvolto in un attentato egli cadde in disgrazia e morì ) e Giacomo da
Lentini.
La tenzone si svolse a corte e riguardò la natura dell’amore ( come esso venga
suscitato, se sia visibile o meno, i suoi effetti sull’innamorato ), una questione
che aveva avuto fortuna tra i trovatori e anche nel trattato di Andrea
Cappellano ‘’De Amore’’.
Il dibattito è aperto da Iacopo Mostacci , che chiede l’opinione di Pier delle
Vigne e di Giacomo da Lentini dicendo: ‘’un dubio che mi misi ad avere/a voi lo
dimando per determinare’’ ( vv. 3-4 ).
Sotto questo punto di vista la corte di Federico II e quelle provenzali sono
molto simili: la poesia è un mezzo per comunicare.
Nella sua risposta Pier delle Vigne spiega come per lui l’amore non è visibile
e non ha corpo , se ne possono solo sentire gli effetti ( ‘’Però ch’Amore no si pò
vedere…...ma po’ ch’Amore si face sentire’’ , vv. 1-5 ).
A concludere la tenzone , ponendosi come giudice definitivo , si pone
Giacomo da Lentini con la sua ‘’Amore è uno disio che vien da core’’.
Giacomo , appellandosi proprio ad Andrea Cappellano , spiega come l’amore
non sia invisibile e di come esso abbia origine negli occhi: esso può nascere
anche senza aver mai visto l’amata , ma l’Amore più forte è quello che ha
origine dalla vista.

8. IL REGISTRO UMILE

I primi tre fascicoli del Vaticano 3793 sono caratterizzati da componimenti di


tipo elevato , tuttavia il quarto fascicolo si apre con un componimento con il
contrasto ‘’Rosa fresca aulentissima’’ , un dibattito tra un canzoniere ( un
giullare ) e la donna da lui corteggiata , che dopo averlo rifiutato alla fine
cede al corteggiamento.
Lo schema è ancora una volta ripreso dal mondo trobadorico , si tratta infatti
del genere della pastorella , che racconta il tentativo di seduzione del poeta-
cavaliere nei confronti di una giovane pastora.
Nel manoscritto il componimento è adespoto ( senza indicazioni sul nome
dell’autore ), ma nel Cinquecento l’erudito Angelo Colocci , che fece realizzare
una copia del Vaticano 3793 , annotò a margine del testo solo: ‘’Cielo’’.
Successivamente in un altro manoscritto , in cui trascrisse la prima strofa del
contrasto , scrisse: ‘’Io non trovo alcuno se non cielo dal camo , quale noi
chiameremo Celio’’ nome che venne poi interpretato come ( Michele ) Cielo
d’Alcamo.
Nonostante ciò il testo , databile prima della morte di Federico II nel 1250 ,
dovrebbe essere considerato anonimo.
L’uomo nel contrasto si lancia in elogi smodati e chiede alla donna di
soddisfare le sue voglie , che risponde inizialmente che non riuscirà mai a
farla sua ( il rifiuto è espresso tramite un’iperbole: ‘’avere me non pòteri a esto
monno ; avanti li cavelli m’aritonno’’ , vv. 9-10 ).
La donna nelle strofe successive abbassa gradualmente le barriere , arrivando
a spiegare come solo la paura della reazione dei parenti la freni.
La donna infine obbliga l’uomo a giurare sul Vangelo che lui la sposerà , lui
giura ma non parla mai di matrimonio , riuscendo infine ad ottenere ciò che
voleva.
Il rapporto tra ‘’Rosa fresca aulentissima’’ e la Scuola siciliana non è molto
chiaro , così come è difficile determinare se l’uso di un registro comico
corrisponda ad una scelta stilistica utilizzata dai trovatori nella pastorella.
L’importanza del contrasto è comunque determinata dalla sua presenza
all’interno di un codice in cui vi è la compresenza di liriche dal registro
‘’alto’’, con cui il registro ‘’umile’’ di ‘’Rosa fresca aulentissima’’ sembra
centrare poco.

9. DALLA SICILIA ALLA TOSCANA

L’esperienza poetica della Scuola siciliana ebbe una rapida influenza su tutta
la penisola , forse in parallelo con le vicende politiche di Federico II e dei suoi
eredi.
Le dinamiche di passaggio nel continente sono però molto complesse: benché
non si possa escludere la presenza di tradizione poetiche precedenti , è
evidente che nel giro di pochi anni molti rimatori abbiano adottato lo stile e i
generi metrici di Giacomo da Lentini.
I poeti più importanti di questa fase storica sono Bonagiunta Orbicciani da
Lucca , Guittone d’Arezzo e Guido Guinizzelli , il più importante poeta di
bolognese del Medioevo.
Il fascicolo sesto si apre nel Vaticano 3793 proprio con Guinizzelli , a cui
segue direttamente Bonagiunta , che ebbe un ruolo centrale nel processo di
acquisizione del modello siciliano in Toscana.
Al contrario di quanto le vicende personali possano dire , tanto Guinizzelli
( definito da Dante come ‘’padre’’ dello Stilnovo ) quanto Bonagiunta
anticipano alcune innovazioni degli stilnovisti.
Bonagiunta è essenzialmente un poeta d’amore , come si può evincere dalla
prima canzone che di lui riporta il Vaticano 3793 , Quando apar l’aulente fiore.
In essa si espone il contrasto , presente anche in Giacomo da Lentini , tra il
mondo in festa per l’arrivo della Primavera e la sofferenza del poeta per un
amore non corrisposto.
Bonagiunta ha anche il merito di reintrodurre nella lirica in volgare alcuni dei
temi che erano stati messi da parte dai poeti della corte federiciana , come la
politica e la morale.
In ‘’Tant’è l’om da pregiare’’ Bonagiunta elogia la liberalità contro l’avarizia , un
ottimo esempio di poesia civile che anticipa alcuni tratti delle rime dottrinali
di Dante.
Bonagiunta vede la poesia come un insegnamento , per cui egli si rivolge ai
cavalieri ( ‘’milites’’ ) e spiega loro che merita lode chi agisce secondo ragione
( ‘’opra per ragione’’ ).
Deve invece essere disprezzato chi , pur avendone potere e facoltà ( ‘’potensa’’
e ‘’intendensa’’ ) non fa ‘’messione’’ , ovvero non compie atti liberali ; anche
questo testo riprende il mondo trobadorico , in cui c’erano la ‘’misura’’
( l’utilizzo oculato delle proprie risorse ) e la liberalità ( la disponibilità a
condividere con i propri familiari , amici e membri della corte ).
Il testo più famoso di Bonagiunta è però Voi ch’avete mutata la mainera , al
quale Guinizzelli risponde con Omo ch’è saggio non corre leggero , un confronto
tra un stile ancora legato alla Scuola siciliana e uno stile che invece sarà poi
proprio di Dante.
3) LA CENTRALITÀ DI GUITTONE D’AREZZO.
IL LAURENZIANO REDI 9

1. IL PUNTO DI VISTA DI DANTE

Guittone d’Arezzo (1230-1249) è il più importante poeta italiano precedente a


Dante , il primo ad introdurre nella lirica temi morali , politici e religiosi che
erano stati esclusi dalla Scuola siciliana.
La sua produzione letteraria ebbe un’enorme influenza su una serie di poeti
definiti guittoniani ; lo stesso Dante , che su Guittone espresse un giudizio
negativo , gli deve molto ( tanto nelle rime giovanili , quanto nella ‘’Vita
nuova’’ ).
La fama di Guittone tra i contemporanei è confermata dallo stesso Guido
Guinizzelli , che in un sonetto lo chiama ‘’padre’’.
Dal punto di vista di Dante Guittone è un è ancora un ‘’antico’’ , la cui
maniera di fare poesia si oppone radicalmente a quella dei ‘’moderni’’ , ovvero
quella degli stilnovisti.
La centralità di Guittone nel panorama poetico italiano è confermata inoltre
dal fatto che un intero manoscritto , il già citato Redi 9 , sia quasi una
monografia sul poeta aretino.
Nei primi fascicoli del manoscritto si trovano le sue lettere in prosa , nei
fascicoli successivi si trovano invece le sezioni contenenti canzoni e sonetti ,
che sono divise in due parti: le poesie di ‘’frate Guittone’’ e poi quelle di
‘’Guittone’’.
La bipartizione riflette dunque la vicenda biografica di Guittone , che nella
seconda parte della sua vita aderì ai ‘’Milites Beate Virginis Mariae’’ , detti
anche frati gaudenti.
Dunque il canzoniere è suddiviso in due macrogruppi: le canzoni e i sonetti
di carattere morale e religioso ( 24 canzoni e 90 sonetti ) e le canzoni e i sonetti
di natura amorosa ( in quantità paragonabile ).
Guittone è presente anche negli altri principali canzonieri della tradizione: il
corpus completo comprende complessivamente 50 canzoni e 250 sonetti.
Il 1265 è un anno fondamentale per la storia della letteratura italiana per vari
motivi: la nascita di Dante Alighieri e anche l’anno più importante della vita
di Guittone , quello in cui aderisce ai ‘’Milites’’.
La conversione è narrata nella canzone Ahi, quant’ho che vergogni e che doglia
aggio , in cui Guittone dice di essersi convertito ‘’a mezza estate’’ , ovvero a
metà della sua vita ( come spiegherà Dante nel ‘’Convivio’’ la piena maturità
era collocata ai 35 anni , il che ci spinge a pensare che il poeta aretino sia nato
nel 1230 ).
Guittone morì intorno al 1294 , quando Dante aveva terminato o stava per
terminare il suo primo libro , la ‘’Vita nuova’’.
La produzione poetica di Guittone è caratterizzata da un’estrema perizia
tecnica , cosa che lo avvicina al trobar clus di poeti trobadorici come Arault
Daniel.
I suoi modelli principali, oltre ai provenzali come Bernart de Ventadorn, sono
Giacomo da Lentini e gli autori dei classici latini , la patristica e alcune opere
filosofiche.

2. UN POETA ‘’IMPEGNATO’’

Guittone riuscì ad entrare in contatto con alcune delle più importanti casate
nobiliari toscane di parte guelfa , come i conti Guidi.
Dalle poesie di Guittone è possibile ricostruirne la biografia e anche il
continuo interesse per eventi storici e politici di una fase delicata per la città
di Arezzo , nel mezzo delle lotte tra guelfi e ghibellini.
Se i poeti siciliani avevano trattato nelle loro liriche esclusivamente di
argomenti amorosi , Guittone introduce nella poesia italiana anche la
riflessione morale , politica e religiosa (seguendo più fedelmente il modello
trobadorico).
Nel 1259 si trovò in netta opposizione con le decisioni politiche e militari del
suo comune e decise di andare in esilio , posizione che però non gli impedì di
interessarsi agli avvenimenti contemporanei.
Nella sua opera più celebre Ahi lasso, or è stagion de doler tanto Guittone
ricorda la sconfitta dei guelfi fiorentini contro i ghibellini appoggiati da
Manfredi di Svevia nella battaglia di Montaperti (1260).
Come nei sirventesi dei trovatori gli eventi vengono messi in parallelo con la
decadenza di valori universali: la sconfitta di Firenze è un riflesso del declino
della giustizia.
Questo modello è ripreso poi da Dante nella sua poesia sull’esilio ( Tre donne
intorno al cor mi son vedute ) , anche se nel discorso di Guittone non c’è nessun
elemento astratto: Firenze è stata sconfitta perché divisa al suo interno e ha
rinunciato alla propria libertà.
I guelfi cacciati dai ghibellini devono ora accettare di servire l’Imperatore ( ‘’e
poi che li Alamanni in casa avete’’ ) ; fu probabilmente questa posizione politico-
morale che spinse Guittone ad entrare a far parte dei frati Gaudenti.
La canzone Ora parrà , che apre la prima sezione dedicata a Guittone nel Redi
9 , mette in scena la dialettica tra canto d’amore e canto morale e proclama la
scelta di una poesia ispirata a Dio e alla sua saggezza.
Guittone dice di rifuggire la poesia amorosa ( ‘’poi che del tutto Amor fug[g]h’ e
disvoglio’’ ) e nella seconda strofa spiega come chi voglia poetare debba
lasciarsi guidare dalla giustizia.
Per frate Guittone non solo chi ama può essere poeta , un concetto a cui si
oppone nettamente Dante , che crede invece che i poeti volgari possano
cantare solo di argomenti morali ( anche lui però negli anni successivi si
muoverà in una direzione simile a quella di Guittone , introducendo
argomenti morali e politici ).
L’altra metà del corpus di Guittone è invece di argomento amoroso , anche se
dal punto di vista logico queste liriche dovrebbero precedere quelle di
argomento morale-religioso.
Nella sezione amorosa è presente anche il cosiddetto ‘’Manuale del libertino’’ ,
ovvero 24 sonetti che forniscono all’amante istruzioni su come sedurre la
donna amata, secondo il modello dell’Ars Amandi di Ovidio e del ‘’De Amore’’
di Andrea Cappellano.
La sezione più importante è però composta da 86 sonetti che dovevano
comporre un testo unitario , che a differenza del ‘’Canzoniere’’ di Petrarca e
della ‘’Vita nuova’’ di Dante non racconta una storia attraverso una voce
narrante.
Nei sonetti di Guittone compaiono solo il poeta e la donna amata , che parla
in alcuni sonetti in tenzone.
I motivi principali , a riprova dell’influenza di Dante su Guittone , sono gli
stessi della ‘’Vita nuova’’: la donna schermo , la lontananza dell’amata e il
gabbo.
Nel primo sonetto ‘’Amor m’à priso e incarnato tutto’’ Guittone descrive la
propria completa sottomissione ad Amore , una situazione da cui si libererà
solo nella seconda parte della sua vita quando si rivolgerà alla poesia di
argomento morale-religioso.
IL ‘’DOLCE STIL NOVO’’: IL NUOVO CANONE DEL
CHIGIANO L VIII 305

1. UN MANOSCRITTO DEL TRECENTO

Il manoscritto Chigiano L VIII 305 sancisce un passaggio epocale , in quanto


ci permette di osservare un passaggio epocale, quello dalla lirica Duecentesca
dei poeti siciliani e di Guittone alla poesia del cosiddetto Stilnovo.
Nel Chigiano L VIII 305 è del tutto assente il nome di Guittone d’Arezzo e
trovano invece maggiore spazio autori del tutto assenti o comunque
emarginati nei manoscritti più antichi: Guido Cavalcanti , Cino da Pistoia e
Dante Alighieri , a cui si aggiunge Guido Guinizzelli.
Si tratta in sostanza di quei poeti che vennero indicati da Francesco de
Sanctis come ‘’stilnovisti’’ nella sua ‘’Storia della letteratura italiana’’ ( 1870-
1871 ).

2. UNA DEFINIZIONE PROBLEMATICA

La nostra idea di Stilnovo dipende in massima da Dante stesso , che in un


passo del ‘’Purgatorio’’ fa sì che sia Bonagiunta Orbicciani a tracciare una
sorta di solco che divide Guittone e Giacomo da Lentini dai poeti dello
Stilnovo ( ‘’O frate, issa vegg’io – diss’elli – il nodo/che l’Notaro e Guittone e me
ritenne/di qua dal dolce stil novo ch’io odo’’ ).
Successivamente Dante incontra anche Guido Guinizzelli , che viene definito
‘’il padre mio e delli altri’’, il poeta che evidentemente per Dante rappresentava
un punto di snodo tra il vecchio poetare e quello nuovo.
Gli altri poeti dello Stilnovo ( Cavalcanti-Lapo Gianni-Cino da Pistoia ) sono
ricordati da Dante nel ‘’De vulgari eloquentia’’.
Questa poesia per Dante è ‘’dolce’’ in quanto perché esprime una qualità
formale , è ispirata da Amore e rivendica una più esatta corrispondenza tra
ciò che il poeta prevede il modo in cui si esprime.
Leggendo il Chigiano L VIII 305 si può pensare che chi ha organizzato questo
manoscritto fosse già influenzato da Dante , ma anche possibile che si fosse
verificato un generale mutamento di gusto e di canone.
L’autorità di Dante non basta tuttavia per considerare lo ‘’stil novo’’ un
movimento letterario organizzato , e questo soprattutto perché tra i vari poeti
vi sono differenze anche notevoli.
Si potrebbe invece parlare di un movimento eterogeneo , ma consapevole
della propria identità e della propria differenza rispetto ai contemporanei.

3. TRA ANTICO E MODERNO: GUIDO GUINIZZELLI


Il mutamento fu però graduale , ed ebbe inizio con Guido Guinizzelli , il
poeta che Dante chiama ‘’padre’’ , l’unico dei poeti ‘’stilnovisti’’ di cui è
attestata una presenza significativa anche nei canzonieri delle Origini.
Guinizzelli , di cui si conservano solo cinque canzoni e quindici sonetti di
sicura attribuzione , è contemporaneo di Guittone e proviene da una famiglia
della piccola nobiltà bolognese , legata all’ambiente giuridico e di
orientamento ghibellino.
Egli esercitò la professione di ‘’iudex’’ (giudice) , si sposò due volte e fu molto
probabilmente in contatto con gli ambienti universitari bolognesi.
Nel 1274 , quando la famiglia dei Geremei sconfisse i ghibellini Lambertazzi e
li costrinse all’esilio assieme ai loro sostenitori , anche Guinizzelli venne
condannato all’esilio, morendo lo stesso anno , forse prima di lasciare la città.
In uno scambio di sonetti Guinizzelli definisce Guittone ‘’padre’’ , un epiteto
che sembra in apparenza testimoniare la stima del primo per il secondo , ma
va in realtà considerato come uno scherno nei confronti dell’aretino , preso di
mira per i suoi vizi e su quelli dell’ordine dei Gaudenti.
La prova della novità stilistico-tematica introdotta da Guinizzelli è
testimoniata dalla tenzone con Bonagiunta Orbicciani , che rimprovera al
bolognese di aver cambiato il modo in cui si compongono le poesie d’amore.
Il sonetto in questione è Voi, ch’avete mutata la mainera , in cui Bonagiunta
rifiuta l’oscurità e i contenuti filosofici della poesia di Guinizzelli , che non
riuscirà mai a superare Bonagiunta ( ‘’l’alta spera/la quale avansa e passa di
chiarore’’ v. 8 ).
La prova che il sonetto è indirizzato a Guinizzelli si trova al v. 13 , in cui viene
esplicitamente citato lo studium bolognese: ‘’ancor che ‘l senno vegna da
Bologna’’.
La risposta di Guinizzelli , ‘’Omo ch’è saggio non corre leggero’’ , sembra in
apparenza slegata dal sonetto composto da Bonagiunta: sembra infatti
trattare di argomenti morali rivolti a tutti ; è folle chi pensa di essere il solo
detentore della verità.
La tenzone testimonia il distacco di Guinizzelli da Binagiunta e dagli altri
poeti della vecchia maniera , come Guittone ; il sonetto di Guinizzelli sarebbe
dunque apparso a Dante come il simbolo della transizione.
Nella produzione di Guinizzelli si trovano tutti i temi tipici della tradizione
poetica romanza: la descrizione minuziosa dell’innamoramento , la passione
che conduce alla morte , la speranza della ricompensa ( temi che avranno
fortuna tra gli stilnovisti ).
Il miglior esempio di questa nuova poetica è un sonetto dedicato all’elogio
della donna amata , ‘’Io vo’[glio] del ver la mia donna laudare’’.
Il sonetto è diviso in due parti: nelle quartine Guinizzelli elenca delle
similitudini naturali che servono a fornire un ritratto dell’amata in una
modalità propria già degli elogio mediolatini e romanzi.
L’amata è paragonata alla ‘’stella diana’’ ( Venere ) , alla ‘’rosa e lo giglio’’ , alla
‘’Verde river’ a lei rasembro e l’are’’ ( alla campagna e all’aria ).
Nelle terzine si assiste invece ad una vera e propria rivoluzione tematica:
Guinizzelli descrive il passaggio della donna amata , la sua capacità di
rendere umile grazie alla propria nobiltà interiore ( ‘’sì gentile’’ ).
Alcuni di questi concetti sono presenti già nell’opera di Andrea Cappellano ,
specialmente il concetto per cui l’amore rende umili i superbi e virtuosi gli
uomini nobili.
La grande novità sta però nel ritratto di una donna dotata di tratti
sovrannaturali ,
L’amore è un fenomeno capace di suscitare nell’amante un rinnovamento
interiore , rendendo l’uomo degno di accedere ad una nobiltà tutta spirituale.
Nel corso del Duecento la civiltà italiana muta profondamente , la nuova
borghesia comunale aspira a posizioni di potere e di egemonia culturale e
cerca una legittimazione sociale/ideologica che non dipenda dai legami
familiari e di sangue.
Gli stilnovisti sostengono la superiorità della nobiltà interiore su quella di
sangue , una posizione che sembra avere anche delle ragioni sociali.
Guinizzelli è un giudice , Dante un membro della borghesia agiata , Cino da
Pistoia un giurista , non sono nobili ( l’unico che fa eccezione è Cavalcanti ) ,
ma professionisti della cultura che vogliono creare un’aristocrazia fondata
sulla virtù e sui meriti individuali.
L’amore e l’animo nobile ( che non dipendono dunque dall’appartenenza ad
una famiglia nobile ) sono un tutt’uno , proprio come viene espresso nella
canzone considerata il ‘’manifesto’’ dello Stilnovo , Al cor gentil rempaira
sempre amore ( ‘’né fe amor anti che gentil core,/né gentil core anti ch’amor,
natura:’’).
Nella seconda stanza Guinizzelli chiarisce le modalità per cui l’amore si
accende (‘’s’aprende’’) nel cuore nobile: è come il potere di una pietra preziosa,
non si rivela finché il Sole non l’ha purificata ( ‘’come vertute in petra
preziosa/che da la stella valor no i discende/anti che ‘l sol la faccia gentil cosa’’ ).
Solo un cuore nobile può provare amore per una donna , che è come una
stella dunque.
L’amore si accende dunque nell’animo nobile come una fiamma sulla cima di
un candelabro ( ‘’Amor per tal ragion sta ‘n cor gentile/per qual lo foco in cima del
doplero’’ ) ; l’amore è come un fuoco dunque , è violento ( terza stanza ).
Nella quarta stanza si spiega come l’amore si accende solo negli uomini
naturalmente disposti , non può prendere piede in chi non possiede dei
meriti individuali , che non sono propri di chi è nobile di sangue ( ‘’dis’omo
alter: ‘’Gentil per sclatta torno’’/lui semblo al fango , al sol gentil valore’’ ).
Nelle ultime due stanze diviene evidente che l’identità tra amore nobiltà
d’animo è possibile solo tramite la mediazione della donna amata , che
agisce esattamente nel modo in cui Dio risplende sugli angeli che fanno
muovere i cieli.
La donna fa sì , esattamente come Dio , che l’amante abbia voglia di obbedirle
continuamente: ‘’la bella donna , poi che ‘n gli occhi splende/del suo gentil, talento/
che mai di lei obedir non si diprende’’.
Guinizzelli si rende infine conto che forse la comparazione tra la donna e Dio
sia un po' ardita , e immagina proprio un ipotetico dialogo con l’Altissimo in
cui gli viene chiesto come abbia osato fare questo paragone.
‘’Donna, Deo mi dirà: ‘’Che presomisti?’’/siando l’alma mia a lui dinandi...’’e desti in
van amor Me per semblanti’’, a questi interrogativi il poeta potrà solo
rispondere che la donna ‘’tenne d’angel sembianza/che fosse del Tuo regno’’.
La canzone si basa tutta su un sistema di comparazioni tra gli elementi
naturali e le sfere celesti e la divinità stessa , che vogliono sottolineare come
l’amore per questa donna fa sì che l’uomo possegga qualità morali che lo
distinguono dagli altri.
La mediazione della donna-angelo è dunque il passaggio fondamentale.
Nel corpus di Guinizzelli trovano spazio anche testi caratterizzati da un
registro tragico-doloroso , sonetti di registro comico ( uno stile che verrà poi
sperimentato dallo stesso Dante ).
4. GUIDO CAVALCANTI: IL POETA E IL FILOSOFO

Dopo Guinizzelli il Chigiano L VIII 305 pone le opere attribuite a Guido


Cavalcanti (1259-1300).
Nato a Firenze intorno al 1259 , egli è membro di un’importante famiglia
magnatizia (nobile) appartenente alla fazione dei guelfi neri , cosa che spiega
gli scontri avuti con la famiglia dei Donati , che apparteneva alla fazione dei
guelfi bianchi.
Muore probabilmente in esilio presso Sarzana nel 1300 , dopo essere stato
esiliato dai priori di Firenze , tra cui Dante , suo amico personale.
Le fonti più antiche descrivono Cavalcanti più come un filosofo che come un
poeta , e questo forse a causa della complessità retorica della sua canzone più
famosa: Donna me prega.
Cavalcanti e Dante (che definisce guido come ‘’primo amico’’) in gioventù sono
molto vicini sul piano stilistico oltre che personale , tuttavia sembra che tra i
due ad un certo punto si sia verificata una rottura.
Dante , il cui viaggio oltremondano sarebbe iniziato nel 1300 , colloca il padre
di Guido , Cavalcante de’ Cavalcanti , all’Inferno ( dando credito alla sua
fama di epicureo , termine con cui venivano indicati coloro che ritenevano
che anche l’anima morisse con corpo ).
L’immagine di Cavalcanti come filosofo è confermata anche da Boccaccio ,
che lo descrive come ‘’uno de’ miglior loici che avesse il mondo e ottimo filosofo
naturale’’ ; noi tuttavia non sappiamo se Cavalcanti fosse ateo o materialista.
Il sonetto di Cavalcanti Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira riprende
numerosi aspetti del sonetto Io voglio del ver la mia donna laudare di Guinizzelli,
superandolo però introducendo un altro aspetto: l’incapacità del poeta di
descrivere il fenomeno a cui assiste.
Il sonetto si apre con una citazione biblica , dal ‘’Cantico dei Cantici’’ ( ‘’che fa
tremar di chiaritate l’are/e mena seco Amor’’ ) , cosa che ci permette di notare
come la poesia dello Stilnovo sia piena di citazioni bibliche.
La personificazione di Amore , vero e proprio leit motiv della poesia
medievale , nella poesia ( non solo di Dante , ma anche degli altri stilnovisti )
di Cavalcanti assume i tratti di un vero e proprio personaggio.
In Cavalcanti si accentua la tendenza della poesia romanza a trasferire il
discorso dall’esterno all’interno: dalla lode della donna si passa alla
descrizione dell’animo del poeta.
Questa tendenza raggiunge l’apice nel sonetto L’anima mia , in cui il mondo è
quasi cancellato e non c’è nessun riferimento alla donna amata e tutto si
svolge in una dimensione astratta.
I riferimenti al mondo esterno sono estremamente limitati , ci sono solo gli
occhi , poiché è da essi che passa l’immagine della donna amata , e solo il
colpo , ovvero l’effetto che l’immagine dell’amata produce sull’amante.
Il pubblico di cui si parla è del tutto indeterminato , ma il poeta afferma solo
che chiunque lo vedrà non potrà evitare di piangere di compassione
guardandolo morire ( ‘’Qualunqu’è quei che più allegrezza sente,/se vedesse li
spirti fuggir via,/di sua grande pietate piangeria’’ ).
Il fulcro della poesia è dunque l’interiorità del poeta , ma non è solo una
poesia intima e ripiegata su se’ stessa , c’è infatti una forte tensione
comunicativa: il poeta sa di avere lettori e di poterli commuovere
raccontando ciò che succede nella sua anima.
La descrizione dello svenimento è fatta tramite una terminologia scientifica
e filosofica , utilizzata più intensamente in tutto lo Stilnovo.
Questa tendenza conoscerà l’apice nella produzione di Cavalcanti con la
canzone Donna me prega , citata anche da Dante nel ‘’De vulgari eloquentia’’
come sommo esempio di composizione.
Il discorso sulla fenomenologia amorosa non è nuovo nella poesia italiana ( si
è già vista la tenzone Iacopo Mostacci-Pier delle Vigne-Giacomo da Lentini ) ,
ed era ovviamente già presente nel mondo cortese.
Persino la trattatistica medica aveva elaborato delle descrizioni della passione
amorosa come esperienza patologica , si ricorda poi ovviamente la
descrizione offerta da Andrea Cappellano nel suo ‘’De Amore’’.
Donna me prega costituisce però un caso straordinario , in quanto la
spiegazione offerta da Cavalcanti sulla natura dell’Amore è elaborata
attraverso l’utilizzo della terminologia aristotelico-scolastica.
Nella prima stanza l’amore è infatti definito come ‘’accidente’’ , termine che
nella filosofia aristotelica si utilizza per riferirsi ad eventi fortuiti o
imprevisti.
Nella poesia Cavalcanti risponde a otto interrogativi: a) dove si trova amore ,
b) da chi o cosa venga creato , c) la sua virtù , d) la sua potenza , e) l’essenza ,
f) il movimento , g) il piacimento e infine h) se sia visibile.
Rimanendo sulla stanza principale si osserva anche uno dei motivi principali
dello Stilnovo: solo chi non è vile può comprendere il discorso sull’amore
(‘’Ed a presente – conoscente – chero,/perch’io non spero – ch’om di basso core/a tal
ragione porti canoscenza’’ ).
Nella seconda stanza Guido spiega come l’amore nasce dalla vista
dell’oggetto amato , che secondo la filosofia scolastico-aristotelica viene
accolto nella memoria , una parte dell’anima sensitiva dell’uomo ( ‘’d’alma
costume’’ ).
Questo processo è descritto come quello della luce che passa attraverso un
corpo trasparente , anche se l’amore è diverso dalla luce , poiché proviene da
una ‘’scuritate’’ che deriva da Marte e che spinge a possedere ( riferimento alla
virtus irascibilis ).
L’amore in ogni caso è un semplice nome , designato da un termine
arbitrario.
‘’scuritate/ la qual da Marte – vène e fa demora;….In quella parte mai non ha
posanza/perché da qualitate non discende’’ , non proviene dall’intelletto.
L’amore in ogni caso è un semplice nome , designato da un termine
arbitrario.
Nelle stanze successive sono affrontate questioni ancora più complesse , ma
soprattutto Cavalcanti sancisce la separazione tra religione e amore , in
quanto quest’ultimo , sentimento irrefrenabile , distoglie l’uomo dalla
contemplazione del sommo bene e dall’esercizio della filosofia.
Il tema della morte è ricorrente nella poesia di Cavalcanti , ed è l’argomento
principale della poesia Perch’io non spero di tornar giammai , ballata che suona
quasi come epitaffio del poeta , costretto all’esilio.
Nel testo Cavalcanti si rivolge direttamente alla ballata ‘’ballatetta..va’ tu
leggera e piana, dritt’a la donna mia...mena l’anima teco’’ , che si presenta dunque
come un testamento spirituale , sul modello della commendatio animi ( la
raccomandazione dell’anima ) dei testamenti medievali , con cui il morente
affidava l’anima a Dio.

5. GLI ALTRI STILNOVISTI: CINO DA PISTOIA E LAPO GIANNI

Il canone del manoscritto Chigiano L VIII 305 conta ancora due nomi
rilevanti: Lapo Gianni de’Ricevuti e Guittoncino de’Sinibuldi da Pistoia
( detto Cino ).
Lapo Gianno è notaio e giudice attivo in Toscana , a Bologna e a Venezia tra il
1290 e il 1328 , inoltre è anche rimatore ( ricordato tra gli stilnovisti nel ‘’De
vulgari eloquentia’’ ) per stile e temi molto vicino a Guinizzelli.
Cino da Pistoia , nato da famiglia ricca e nobile (e appartenente al gruppo dei
guelfi neri intorno) al 1270 , è uno dei più importanti giuristi del suo tempo ;
lo stesso Bartolo da Sassoferrato fu suo allievo.
Divenuto giudice nel 1292 , egli viaggerà per la Penisola ( Napoli , Siena,
Perugia ) e si recherà anche in Francia , dove gli verrà comunicato di essere
stato condannato in contumacia all’esilio ; muore nel 1336.
La sua produzione è intrecciata con quella di Dante , con cui intrattiene una
fitta relazione epistolare e a cui dedica numerosi sonetti per consolarlo della
morte di Beatrice.
Alla morte di Dante , che l’aveva elogiato nel ‘’De vulgari eloquentia’’ , scrive
una canzone ( 1321 ) in cui possiamo comprendere quanto già fosse nota la
‘’Commedia’’ alla morte del suo autore.
Nella canzone Cino ribadisce l’appartenenza , sua e dell’Alighieri , alla stessa
corrente stilistica ( ‘’lo stil del nostro ragionare’’ ) e allo stesso tempo lancia
un’invettiva contro Firenze e compie un elogio di Ravenna perché ‘’serba/il
tuo tesoro’’ ovvero le spoglie di Dante ( dove ‘’tuo’’ si rivolge a Firenze , che ha
malamente allontanato il poeta ).

6. VERSO DANTE E PETRARCA

La frattura tra antico e nuovo offerta dal Chigiano non è definitiva , infatti
Guittone e i poeti siciliani avranno ancora peso rilevante nella produzione
del Trecento.
Tuttavia è innegabile che il poeta più importante dopo Dante , Petrarca , sia
stato influenzato soprattutto dai poeti maggiormente presenti nel Chigiano L
VIII 305: Dante ( il ‘’Canzoniere’’ è modellato sulla ‘’Vita nuova’’ dantesca ) ,
Cavalcanti , Cino da Pistoia.
Di fatto chi nel Trecento scrive d’amore e di virtù , deve confrontarsi con una
nuova tradizione , che inizia con i poeti indicati come ‘’stilnovisti’’.
5) LA POESIA COMICO-REALISTA

1. LA POESIA COMICA E GENERE LIRICO

La tradizione manoscritta due-trecentesca offre un quadro in cui è facile


rintracciare la lirica di matrice cortese/occitanica , accanto alla quale procede
però parallela una corrente che preferisce tematiche , stili e soluzioni
eterodosse rispetto a questo filone.
Le atmosfere amorose lasciano il passo ad atmosfere rarefatte e alla satira ,
all’invettiva personale , alla dimensione dell’osceno e degli aspetti più
degradanti della vita.
Questo bifrontismo della tradizione letteraria italiana è osservabile fin dalle
sue origini: fin dal Duecento il genere ‘’tragico’’ e quello ‘’comico’’ coesistono
nella tradizione poetica in volgare.
La poesia comica è trasmessa negli stessi grandi canzonieri della lirica cortese
predantesca e di quella stilnovistica: già nel Vaticano 3793 accanto a Giacomo
da Lentini era possibile trovare Rosa fresca aulentissima.
Nello stesso codice è presente anche l’opera di Rustico Filippi , autore di 58
componimenti diversificati in liriche comiche e liriche amorose ; nel Chigiano
L VIII 305 sono invece presenti Cecco Angiolieri e Meo dei Tolomei.
Un aspetto importante del fenomeno della poesia comica nel Medioevo è
sicuramente il fatto che il filone comico e quello alto coesistessero
pacificamente , e che probabilmente entrambi fossero rivolti al medesimo
pubblico.
L’altro aspetto fondamentale è che la poesia comica del Duecento , a
differenza di quanto accadrà nel Quattrocento con Burchiello , non conosce
un tradizione autonoma , ma confluisce sempre negli stessi canali della lirica
aulica.
Tra il codice cortese e quello comico non si è ancora verificata , nel corso del
Duecento , una separazione culturale ed ideologica: gli stessi esponenti della
poesia alta infatti ricorrono espedienti comici ( Dante e Cecco Angiolieri si
confrontano polemicamente ).
Gli studi di Mario Marti hanno fatto notare come la componente biografico-
psicologica non sia la componente fondamentale della poesia comica , oltre
alla descrizione di comportamenti personali osceni c’è anche un carattere
squisitamente letterario , che è in stretto legame col contesto europeo.
La tradizione ancora viva della poesia latina , i Carmina Burana , il genere
dell’improperium , i racconti osceni dei fabliaux francesi o del Roman de Renart ,
le violente cantigas de maldizer galego-portoghesi.
Il rapporto della poesia comico realistica con quella aulica va dunque visto
nei termini di due possibilità di scelta , da utilizzare in momenti differenti e
caratterizzati da stile/retorica differenti.
La scelta dei poeti comici sta dunque nel rifiuto del registro poetico aulico ,
che essi si propongono di parodizzare attraverso effetti mirati a ricercare il
paradosso.
La poesia comica in sostanza ha un diverso atteggiamento nei confronti della
vita , in quanto decide di rappresentare una parte di realtà accantonata dalla
poesia aulica.
Il già citato Rustico Filippi ( 1230/40 circa -1290/1300 circa ) è un ottimo
esempio rispetto a questo tipo di rapporto.
Poeta fiorentino in contatto con rimatori di scuola guittoniana come Bondie
Dietaiuti ( il dedicatario del Tresor di Brunetto Latini ) , Rustico è il primo a
dedicarsi in maniera sistematica ( ma non esclusiva ) al genere comico.
Egli è specializzato nel genere dell’invettiva , un componimento con cui si
mira a ridicolizzare delle vittime selezionate per i loro difetti fisici o la loro
condotta morale considerata riprovevole.
Anche questo tipo di componimento ha origine occitanica , era infatti
utilizzato da giullari e trovatori per inscenare contrasti di fronte ad un
pubblico di spettatori ; il trapianto nella realtà comunale italiana fornisce al
genere una natura tenzonistica.
Le invettive di Rustico ricalcano spesso modelli consolidati come ,
l’improperium in vetulam, in cui una vecchia è ritratta con un gusto morboso
per i particolari più abietti ( celebre è Dovunque vai, con teco porti il cesso ).
In altri casi , come le invettive rivolte da Rustico al ricco guelfo Iacopo
Fastello , Rustico associa i motivi del vituperium a quelli della polemica
politica ( A voi, messere Iacopo comare e anche Fastel, messer fastidio de la cazza ).
Il tratto prevalente è comunque quello del burlesco più che della vera e
propria satira ; si tratta più che altro di innocue canzonature , appigli
pretestuosi privi di problematiche morali.
2. L’ESPERIENZA DI CECCO ANGIOLIERI

Anche il senese Cecco Angiolieri ( 1260-di lui non si hanno più notizie dopo
il 1313 ) scrive delle invettive , alcune tra l’altro rivolte a Dante ( tre sonetti tra
il 1290 e il 1300 ) , anche se non sono purtroppo conservate le risposte di
quest’ultimo.
Tra le poche notizie giunteci sulla vita di Cecco , sappiamo che egli partecipò
alle operazioni militari del comune di Siena , tra cui probabilmente la
battaglia di Campaldino (1289) , in cui ebbe modo forse di conoscere proprio
Dante.
Una delle principali novità della poesia di Cecco sta nel fatto che essa ruota
attorno a pochi temi costanti che si richiamano a vicenda , come il lamento
per la povertà e le avversità della fortuna , che a loro volta si ricollegano
all’amore non ricambiato per Becchina , il contrario della donna-angelo , che
mortifica l’amante , lo insulta e talvolta lo malmena.
Su tutto dunque domina la tendenza autobiografica: la malinconia per la
malasorte , l’amore per la crudele Becchina , la forte autoironia , l’esaltazione
goliardica della sregolata vita di taverna ( ‘’Tre cose solamente mi so’ in grado/le
quali posso non ben ben fornire/ciò è la donna , la taverna e ‘l dado/queste mi fanno ‘l
cuor lieto sentire’’ ).
I sonetti per Becchina costituiscono invece un nucleo coerente , incentrato sui
tratti grotteschi e triviali dell’amore nei confronti di questa donna molto
schietta, che respinge brutalmente il corteggiamento del poeta.
‘’Becchin’amor!’’ ‘’Che vuo’, falso tradito?’’….’’Vuo’ pur ch’io muia?’’ ‘’Anzi mi par
mill’anni!’’ , addirittura non vede l’ora che giunga la morte del poeta.
Il codice cortese è qui ben presente , sebbene parodizzato , quindi dobbiamo
supporre che Cecco lo conoscesse bene , visto che la sua opera è una
sostanziale deformazione del linguaggio e dell’immaginario cortese.
All’io nobile e virtuoso della poesia cortese subentra così un io degradato e
antiesemplare.
Si può parlare di vera e propria parodia però , solo con l’opera di Cenne de la
Chitarra , un giullare aretino vissuto a cavallo tra XIII e XIV secolo autore di
una corona che parodizza una corona di Folgore da San Gimignano ( ad ogni
immagine gentile del secondo si oppone un abbassamento caricaturale del
secondo ).
Quello di Cenne è comunque un caso isolato , visto che i modelli più fortunati
sono proprio quelli di Cecco e Rustico , destinati a far da modello a rimatori
trecenteschi come Nicolò de’ Rossi , Franco Sacchetti e Antonio Pucci.
6) LA POESIA ALLEGORICO-DIDATTICA IN AREA
SETTENTRIONALE E IN TOSCANA: DAL CODICE
SAI BANTE AL ‘’TESORETTO’’

1. LA POESIA DIDATTICA IN AREA SETTENTRIONALE E IL CODICE


SAIBANTE

La poesia lirica volgare contenuta nei manoscritti ricordati in precedenza non


esaurisce il panorama letterario in volgare del Duecento.
In area settentrionale si sviluppa infatti sin dal XII secolo una poesia di
carattere didattico , che è stata conservata nel manoscritto Hamilton 390 ,
conservato presso la Staatsbibliothek di Berlino , e detto anche Saibante.
Nel Saibante sono contenuti anche un poemetto misogino anonimo ,
composto intorno al 1160 , i ‘’Proverbia quae dicuntur super natura feminarum’’ ,
e lo ‘’Splanamento’’ di Girardo Patecchio , una parafrasi dei proverbi attribuiti
a Salomone.
Nel manoscritto è contenuto anche il ‘’Libro’’ di Uguccione da Lodi , poemetto
strutturato come elenco di insegnamenti religioso/morali accompagnati dalle
rappresentazione dei Cieli e dell’Inferno.
Alla descrizione dei mondi ultraterreni si dedicano anche il frate minore
Giacomino da Verona ( ‘’De Ierusaleme celesti’’ e ‘’De Babilonia civiltate
infernali’’ ) e soprattutto Bonvesin de la Riva , autore del ‘’Libro delle tre
scritture’’ , in cui descrive l’Inferno , la Passione e il Paradiso.

2. LA POESIA ALLEGORICO-DIDATTICA IN TOSCANA

Nella poesia medievale si possono individuare altri due grandi filone: il


poema che metta in scena il contrasto tra le personificazioni e dei vizi e
delle virtù sul modello della ‘’Psychomachia’’ di Prudenzio e il romanzo in
versi , che ha come argomento principale l’amore.
Esempi celebri di romanzi in versi sono le opere in lingua d’oil di Chrétien de
Troyes.
Questi due filoni si incrociano nella tradizione del poema allegorico , che
tocca il suo apice con il celeberrimo ‘’Roman de la Rose’’ , cominciato da
Guillaume de Lorris negli anni Trenta del XIII secolo e terminato tra il 1275 e
il 1280 da Jean de Meung.
In Italia questo tipo di racconto allegorico in versi ha come principale
rappresentante il ‘’Tesoretto’’ di Brunetto Latini , ricordato da Dante nel XV
canto dell’Inferno ( quello dei sodomiti ).
L’immagine ambigua di Brunetto , maestro e peccatore , è determinata da una
frequentazione da parte di Dante ; ma risulta anche coerente con l’immagine
offerta dal cronista Giovanni Villani ( che lo indica come ‘’mondano uomo’’ ).
Notaio di parte politica guelfa , Brunetto ricoprì importanti ruoli politici a
Firenze: fu ambasciatore in Spagna , dove chiese l’appoggio del re Alfonso X
di Castiglia contro Manfredi di Svevia.
Al momento della sconfitta dei guelfi a Montaperti ( 1260 ) si trovava in
Francia , dove resta in esilio fino aal 1266 , quando alla morte di Manfredi
può rientrare a Firenze ; morirà infine nel 1294.
In Francia scrive , in lingua d’oil , il ‘’Tresor’’ , una vasta opera enciclopedica
che ebbe grande fortuna nel corso del Medioevo.
Il ritratto del Villani in restituisce i due poli principali del ruolo svolto da
Brunetto nella cultura fiorentina del Duecento: da un lato maestro del ‘’bene
parlare’’ , in quanto autore di trattati come la Rettorica , da un altro fu maestro
in grado di ‘’guidare e reggere la repubblica’’.
Il ‘’Tresor’’ non è importante solo per la diffusione in volgare di importanti
conoscenze filosofiche-scientifiche , ma soprattutto perché contiene una
sezione dedicata alla ‘’politica’’.
Scritto tra il 1271-1272 , il ‘’Tesoretto’’ è una trasposizione del contenuto
didattico del ‘’Tresor’’ in una struttura narrativa in prima persona.
Il poema , giuntoci incompiuto , è composto in coppie di settenari a rima
baciata esemplate sui couplets di octosyllabes che costituiscono il più
importante metro del romanzo in versi francese ( da Chrétien al ‘’Roman de la
Rose’’ ).
Come nella ‘’Commedia’’ anche nell’opera di Brunetto sono presenti numerosi
cenni autobiografici.
Dopo la dedica ( forse a Carlo d’Angiò ) Brunetto racconta di come, di ritorno
dalla Spagna , egli abbia incontrato la personificazione della Natura e di
come si sia perso in una ‘’selva diversa’’.
La Natura racconta a Brunetto la storia della creazione , sia dal punto di vista
biblico sia dal punto di vista della filosofia naturale ; successivamente visita
il Regno della Virtù , dove alcune personificazioni gli trasmettono degli
insegnamenti pratici e morali.
Passa infine al Regno dell’Amore , dove Ovidio gli raccomanda di confessarsi
e di confidare in Dio ; il poema si conclude dopo l’incontro con Tolomeo ,
quando Brunetto è in cammino verso l’Olimpo.
Il ‘’Tesoretto’’ , per il contenuto e alcune sue immagini ( come quella della
‘’selva’’ ) , può essere in un certo senso considerato l’anello di congiunzione
verso la ‘’Commedia’’ e la ‘’Vita nuova’’.
Brunetto dunque ha svolto un ruolo cruciale per lo sviluppo intellettuale e
culturale di Dante ; ma la sua collocazione all’Inferno è anche un segno della
volontà dell’Alighieri di superare Brunetto e la sua opera , tanto dal punto di
vista morale quanto da quello poetico.
Dell’incipit del ‘’Tesoretto’’ si segnalano soprattutto i momenti autobiografici,
come ‘’esso Comune saggio/mi fece suo messaggio/all’alto Re di Spagna…..E io presi
campagna/e andai in Ispagna/e feci la ‘mbasciata...d’una selva diversa’’.
La produzione didattico-allegorica toscana è più estesa: il più importante
manoscritto del ‘’Tesoretto’’ , il Riccardiano 2908 ( forse ancora Duecentesco ) ,
contiene ad esempio anche il ‘’Mare amoroso’’ , un poemetto anonimo di circa
300 endecasillabi sciolti.
Di grande rilievo è poi anche ‘’L’intelligenza’’ , un poema anonimo in strofe di
novenari , composto tra Due e Trecento , che narra il viaggio del protagonista
assieme a una figura femminile che si scoprirà essere un’allegoria
dell’Intelligenza.
7) LA POESIA RELIGIOSA DELLE ORIGINI

1. POESIA SACRA E PROFANA

Nel Medioevo, accanto alla poesia che parla d’amore profano, esiste una vasta
tradizione di componimenti scritti e cantati che celebrano l’amore divino.
Il Cristianesimo infatti rielabora la tradizione poetica greco-latina in funzione
della celebrazione di Dio , e questo tramite il genere dell’inno.
Il legame tra Cristianesimo e poesia è in realtà molto profondo , infatti la
Bibbia è anche un testo in versi: il libro dei Salmi era considerato un esempio
per la varietà metrica e stilistica delle liriche in esso contenute , senza
dimenticare il Cantico dei Cantici , considerato un’allegoria dell’unione tra
l’uomo ( Cristo ) e la sposa ( la Chiesa ).
La lode di Dio era dunque un’esperienza comune nel Medioevo, ed è naturale
che alle origini delle letteratura italiana sia individuabile anche una fiorente
tradizione di poesia religiosa , i cui autori principali sono San Francesco e
Iacopone da Todi.

2. LA POESIA DELLE CREATURE

La vicenda biografica di San Francesco d’Assisi (1181/1182-1226) è ultra nota ,


figlio di un ricco mercante egli rinuncia alle ricchezze paterne per dedicarsi
ad una vita basata sulla povertà sull’Imitatio Christi e andando poi a fondare
l’ordine Francescano.
Francesco è autore di uno dei più antichi testi letterari italiani: il ‘’Cantico delle
Creature’’ , composto in dialetto umbro negli ultimi anni di vita , tra il 1224 e il
1225.
Il Cantico era probabilmente destinato , già per volontà di Francesco , al canto
corale , e tale destinazione appare coerente con il racconto dello Speculum
perfectionis ( un’opera del Trecento sulla vita di Madame ).
Il Cantico è in effetti una lode a Dio , concepita su modello dei Salmi , in
particolare il Salmo 148 da cui deriva il modello della lode rivolta al Signore.
Dal Salmo 148: ‘’Lodatelo, voi tutti, suoi angeli….’’ , dal Cantico delle Creature:
‘’Laudato sie, mi’Signore, cum tucte le tue creature’’.
L’interpretazione complessiva del Cantico è però dubbia , potrebbe essere una
lode del Santo alla Divinità oppure una lode rivolta da tutte le creature alla
Divinità.
Il Cantico si apre con un’affermazione profondamente pessimistica: all’uomo
non è consentito nominare Dio ( ‘’et nullu omo ène dignu te mentovare’’ ) ;
successivamente Francesco si sposta dagli elementi naturali agli uomini: a chi
perdona e a chi soffre.
Il pensiero ovviamente arriva subito alla morte , quella corporale , a cui
sfuggiranno coloro che moriranno nella volontà di Dio e saranno beati ( ‘’la
morte secunde no ‘l farrà male’’ )
Segue il tradizionale elogio della sofferenza , che rende l’uomo degno della
beatitudine.
Il testo contiene numerosi tratti dialettali umbri e più generalmente dell’area
mediana ( ‘’ka’’ come perché ) , ma anche latineggiante ( ‘’honore, tucte ,
pretiose’’ ).

3. RELIGIONE E POLITICA IN IACOPONE DA TODI

In rapporto con il movimento francescano si sviluppa anche la tradizione


delle laudi , di cui fin dall’inizio del XIII secolo è attestata la pratica del canto
corale ( laudes ).
In parallelo con la diffusione della confraternita dei Disciplinati o Battuti , i
cui membri praticavano l’autoflagellazione accompagnandola con canti in
volgare in lode di Dio , della Madonna e dei Santi.
Verso la fine del XII secolo si cominciano a diffondere i cosiddetti laudari ,
raccolte manoscritte di quest’unico tipo di composizione ; il più antico è il
laudario di Cortona.
L’autore più rappresentativo di questo genere è Iacopone da Todi (1230/1236-
1306) , al quale si attribuiscono circa cento laudi trascritte dalla fine del XIII
secolo fino al Quattrocento.
Prima di Iacopone la lauda è caratterizzata da una forma metrica imprecisa ,
mentre dopo Iacopone la lauda tende a coincidere con il genere della
ballata; la lauda dunque trova in Iacopone una sorta di ‘’marchio di qualità’’ ,
cosa che spiega il ritrovamento di suoi testi ancora nel Trecento/Quattrocento.
Per ragioni cronologiche si può ritenere che l’inventore della lauda di tipo
umbro-toscano sia Guittone d’Arezzo , che come si è già visto si era dedicato
nella seconda parte della sua vita a ballate di materia sacra: in ‘’Meraviglioso
beato’’ , ad esempio , elogia San Domenico.
Anche Iacopone , come Guittone e San Francesco , è un convertito: una
leggenda racconta che dopo la morte della moglie egli abbia rinunciato alla
professione legale per entrare fra i Francescani ‘’spirituali’’ , che si
distinguevano per il rigore con cui perseguivano la regola della povertà
assoluta ( motivo per il quale furono perseguitati dall’autorità papale ).
Alcuni dei temi principali dell’opera di Iacopone sono il disprezzo del corpo
e il distacco dal mondo terreno , che però non si tramutano mai in un
disinteresse per gli eventi mondani.
Forse proprio quelle poesie che trattano delle vicende politico-religiose
costituiscono il nucleo più interessante della produzione di Iacopone ( cosa
che in qualche modo lo avvicina a Guittone , il primo a non trattare solo
d’amore ).
La lauda Que farai, fra’ Iacovone? è databile al tempo in cui il poeta fu
imprigionato per aver fatto parte dei frati rigoristi che seguivano il modello di
Pietro da Morrone , divenuto nel 1294 papa col nome di Celestino V.
Quest’ultimo aveva abdicato, facendo sì che salisse al soglio papale Bonifacio
VIII , la cui elezione venne però contestata dai rigoristi.
Questi nel 1297 si rifugiarono a Palestrina , dove vennero catturati dopo un
lungo assedio ; tra questi c’è anche Iacopone , condannato al carcere a vita e
scomunicato.
Nella lauda il poeta indica la prigionia come un motivo di gioia , colloca lo
scontro terreno in un più ampio conflitto tra bene e male e ricorda la sua
presenza a Palestrina: ‘’Fusti al Monte Pellestrina’’.
Il principale bersaglio delle invettive di Iacopone è Bonifacio VIII , che verrà
attaccato anche da Dante nella ‘’Commedia’’.
Molto forte è l’invettiva contenuta nella lauda O papa Bonifazio, molt’ai iocato al
mondo , composta probabilmente al tempo dello schiaffo di Anagni ( 7
Settembre 1303 ) , il momento più critico del rapporto tra il papa e Filippo IV
il Bello Re di Francia.
Bonifacio VIII per Iacopone è il prototipo del peccatore per eccellenza , si è
macchiato infatti di una quantità di peccati tali da essere definito come
‘’Lucifero novello’’.
La produzione di Iacopone si caratterizza anche per il rifiuto della ‘’misura’’,
il principio aristotelico per cui la virtù è il punto medio tra due vizi: un
principio che attraversa tutta la lirica trobadorica e arriva fino a Dante.
L’esperienza mistico-religiosa per Iacopone non ha bisogno di misura ,
l’amore per Dio vuole essere folle e smisurato.
Il punto più alto della produzione di Iacopone è raggiunto con la lauda
Donna de Paradiso, in cui viene descritto il cammino di Maria affianco a Cristo
durante la via crucis.
Il testo si inserisce dunque nella tradizione dei ‘’compianti’’ di argomento
mariano.
La lauda è basata sul contrasto tra quattro voci differenti: quella che annuncia
la cattura di Cristo , la voce di Maria , quella del popolo che chiede la
crocifissione e infine quella di Gesù stesso.
La prima voce annuncia come detto la cattura: ‘’Donna de Paradiso,/lo tuo
figliolo è preso/Iesù Cristo beato’’, mentre dopo la morte di Gesù invece si assiste
ad un monologo di Maria: ‘’Figlio, l’alma t’è scita…..Figlio, pur m’ài lassato’’.
La produzione di Iacopone raggiunge dunque un alto grado di elaborazione
formale e si caratterizza per la sintesi di elementi della tradizione religiosa e
di quella laica.
Iacopone , come Francesco , è anche un poeta estremamente raffinato: i
quanto profondo conoscitore della tradizione mistica e dell’innografia
mediolatina , in quanto impegnato a livello teorico e dottrinale , per il
capovolgimento di alcuni topoi della poesia cortese.
In parallelo Iacopone adotta una lingua che è stata giudicata di volta in volta
impressionistica o espressionistica , che si fonda sulla contrapposizione su
due mondi linguistici.
8) LE FORME DELLA PROSA

1. VOLGARIZZARE E TRADURRE

Se la poesia italiana delle Origini si sviluppa in rapporto alla tradizione


trobadorica in lingua d’oc , la nascita e l’evoluzione della prosa italiana in
volgare si lega sopratutto ai modelli latini e oitanici ( in lingua d’oil ).
Questo quadro per cui la prosa è materia per la lingua d’oil e la poesia per la
lingua d’oc era già noto a Dante , che nel ‘’De vulgari eloquentia’’ indica la
prima come più facile e piacevole , mentre la seconda come più eloquente.
In generale nel corso del Duecento scrivere in prosa significa soprattutto
volgarizzare , cioè trasporre un testo in volgare italiani: anche le opere più
originali sono in realtà rielaborazioni o adattamenti di modelli latini e
francesi.
Le due principali aree di diffusione di prosa in volgare sono Firenze e
Bologna:

- Bologna: in relazione con l’attività giuridica e con l’insegnamento


universitario si può situare la nascita della retorica in volgare ; si ricordano la
‘’Gemma purpurea’’ e i ‘’Parlamenta et epistole’’ di Guido Faba , scritti a metà tra
il latino e il volgare.

- Firenze: i protagonisti dell’attività del volgarizzamento sono Brunetto Latini


e Bono Giamboni.
Bono , vissuto tra il 1240 e il 1292 , è autore di diversi volgarizzamenti: il
‘’Tresor’’ di Brunetto , la ‘’Historiae adversus Paganos’’ di Paolo Orosio.
Delle opere di Brunetto si è già parlato: è autore di una ‘’Rettorica’’ che di fatto
è una traduzione ampiamente rielaborata del ‘’De inventione’’ di Cicerone , in
cui al testo di Tullio ( Cicerone ) si affianca quello dello sponitore ( Brunetto ),
che espone il testo ai lettori.
In un brano molto famoso Brunetto spiega come la retorica non serva solo a
‘’piategiare alle corti di ragione’’ ( sostenere cause nei tribunali ), ma serva anche
a all’amante che parla all’amata sostenendo le proprie ragioni ( ‘’Altressì uno
amante chiamando merzé alla sua donna dice parole e ragioni molti’’ ).
Anche nello scrivere una lettera o una canzone d’amore, dice Brunetto, c’è una
‘’tencione tacita’’ (tacita tenzone), in quanto l’amante vuole che l’amata faccia
qualcosa.
La diffusione del romanzo francese in versi in Italia fu profonda e produsse
una vasta serie di volgarizzamenti.
Attraverso il francese si divulgarono in Italia sia la materia troiana , dal
‘’Roman de Troie’’ di Benoit de Sainte-Maure all’Istorietta Romana , sia la storia
di Roma , da ‘’Li faits de Romains’’ ( un riadattamento della ‘’Pharsalia’’ di
Lucano ) ai ‘’Fatti di Cesare’’.
Dal mondo d’oltralpe l’Italia eredita anche il romanzo di materia bretone , in
particolare la storia di Tristano e Isotta , la cui storia era stata raccontata nel
XIII secolo in un romanzo in francese.
La più antica versione in volgare italiano della storia di Tristano e Isotta è il
‘’Tristano riccardiano’’ , contenuto all’interno del manoscritto noto come
Riccardiano 2543 ( contenuto nella Biblioteca Riccardiana di Firenze ).
La versione in italiano risente molto dell’ambiente comunale: per cui viene
data molta importanza alla conquista dell’identità individuale di Tristano, ma
la versione italiana pone molto l’accento anche sulla sensualità.
La soddisfazione dei sensi è la felicità concessa a Tristano e Isotta , ma che è
negata agli altri personaggi ; i due rimangono comunque due personaggi
innocenti: ‘’e nnoe pensava l’uno dell’altro che ttutto onore ggiae i-lloro cuore non si
pensava fallia neuna ffolle amore’’ ( una descrizione ripresa anche da Dante nel
V canto dell’Inferno , quello di Paolo e Francesca ).
L’influenza della tradizione oitanica sulla prosa italiana è ancora più evidente
nel caso di opere scritte sia in francese che in italiano: il ‘’Tresor’’ ed il
‘’Tesoretto’’ di Brunetto Latini.
Storia a parte merita ‘’Le divisamente dou monde’’ o ‘’Milione’’ di Marco Polo
(narratore e protagonista) e Rustichello da Pisa (a cui viene dettato il testo) ,
in cui si narra del viaggio del primo , che tra il 1271-1295 attraversa il regno
dell’imperatore mongolo Qubilai Khan.

2. SCRIVERE LETTERE

La tecnica epistolografica era al centro degli insegnamenti di retorica , tanto


in latino che in volgare ; il primo epistolario della letteratura italiana è quello
Guittone d’Arezzo ( una trentina di testi , la maggior parte indirizzati agli
altri ‘’frati gaudenti’’ , che però contiene anche lettere in versi ).
Nel suo epistolario Guittone dimostra di saper padroneggiare il cursus ,
ovvero la cadenza ritmica che chiude armoniosamente i periodi e membri di
periodo nella prosa latina medievale , e di avere padronanza degli strumenti
retorici.
Si guardi alla lettera XIV , che tratta della sconfitta di Montaperti: Guittone si
rivolge agli ‘’Infatuati ( miseri ) miseri Fiorentini’’ , a cui ricorda che una città
può definirsi tale solo se vi sono legge/giustizia/pace: ‘’legge naturale , ordinata
giustizia e pace e gaudio intendo che fa cità’’.

3. SCRIVERE LA STORIA

Come altri generi , anche la storiografia compie solo molto tardi il passaggio
al volgare ; le più importanti cronache del Duecento infatti sono ancora in
latino.
Le prime esperienze sono la ‘’Cronichetta lucchese’’ o i ‘’Gesta florentinorum’’ ,
che hanno carattere annalistico e si limitano alla registrazione di eventi.
Di più ampio respiro sono l’anonima ‘’Cronica fiorentina’’ (1293) , attribuita
allo pseudo-Brunetto Latini , e la ‘’Sconfitta de Monte Aperto’’.
Uscendo dalla Toscana si trova invece ‘’Lu rebellamentu di Sichilia’’ , una
cronaca dei Vespri Siciliani scritta da un anonimo messinese (1282-1283).
Il primo storico della letteratura italiana è però Dino Compagni (1260-1324) ,
guelfo bianco e priore nel 1301 , che nella ‘’Cronica’’ ( 1310-1312 ) racconta in
prima persona le vicende di cui fu protagonista nei primi anni del Trecento.

4. SCRIVERE LA SCIENZA

Il latino resterà a lungo la lingua della scienza , unica eccezione nel XIII
secolo è l’opera di Restoro d’Arezzo ‘’La composizione del Mondo colle sue
cascioni’’ , un trattato sulla struttura del mondo che si concentra soprattutto
sulla descrizione degli ordinamenti e movimenti del cielo e delle sfere
celesti.
Il manoscritto più antico in cui è contenuta l’opera di Restoro è il Riccardiano
2164 , scritto in volgare aretino.
L’opera si apre con una dichiarazione d’intenti , in cui Restoro proclama
l’eccellenza dell’uomo su tutti gli altri animali: ‘’l’omo è più nobele de tutti li
animali’’.
Benché l’opera di Restoro sia molto distante dall’odierna mentalità scientifica,
la ‘’Composizione’’ è comunque la prima opera della letteratura italiana capace
di divulgare conoscenze scientifiche tratte soprattutto da opere latine , ma
basato anche sull’osservazione diretta della natura.

5. SCRIVERE NOVELLE

Nel Duecento , eccezion fatta per i volgarizzamenti dal francese , non esiste
ancora il romanzo in volgare ; si sviluppa tuttavia una ricca tradizione di
narrativa breve in prosa che trova i suoi modelli nella letteratura mediolatina
e romana.
Il capolavoro di questo tipo di narrativa duecentesca è il ‘’Novellino’’ , una
raccolta di novantanove novelle ( per lo più rielaborate da fonti latine e
galloromanze ) più un prologo.
Gli argomenti del libro sono indicati nel prologo: le azioni nobili (belle
cortesie), risposte argute (be’risposi) e gli atti di generosità (nelle valentie e doni).
Nel ‘’Novellino’’ ci sono molte figure bibliche e vari protagonisti dei romanzi
francesi , ma soprattutto agiscono personaggi storici antichi e modelli , e in
generali uomini nobili per stirpe e valore individuale.
Il mondo dell’opera è molto vario , si passa da Re Salomone a Carlo Magno ,
ma l’immagine che vuole fornire è molto netta: è il mondo della cortesia con
i suoi valori.
Il fine dell’opera è esplicitamente duplice: l’utilità e il piacere di chi desidera
sapere.
Da un lato dunque il ‘’Novellino’’ si attiene al gusto dell’exemplum tipico della
letteratura medievale , secondo il quale una storia deve avere sempre un
significato esemplare , dall’altro vuole dilettare e divertire ( si nota però una
maggiore autonomia della componente narrativa rispetto a quella esemplare).
Il tema della nobiltà è al centro della novella D’una quistione che fu posta ad
uno uomo di corte , giocata sulla distanza tra nobile e giullare.
Il nobile in questione è Marco Lombardo , un personaggio di difficile
identificazione , menzionato in varie fonti medievali come un cortigiano
dotato di alte doti morali e intellettuali.
Questa era anche l’immagine che di lui aveva Dante , che nel XVI canto del
Purgatorio gli fa pronunciare un importante elogio della libertà e della
personalità dell’uomo.
La struttura originaria del ‘’Novellino’’ è complessa: è un testo vulgato ,
composto da novantanove novelle , allestito ad inizio del Trecento e
denominato ‘’Novellino’’ solo nel Cinquecento per influsso del ‘’Decameron’’.
Vi è anche un ‘’Ur-Novellino’’ , probabilmente trasmesso con il titolo di ‘’Libro
di novelle et di bel parlare gientile’’ allestito da un compilatore anonimo di fine
Duecento e contenente sezioni narrative di carattere morale-didascalico.
Il capolavoro della prosa duecentesca è però la ‘’Vita nuova’’ di Dante , la
prima opera originale , che pur fondata sulla conoscenza diretta di testi
classici e mediolatini , raggiunge una totale autonomia rispetto ai modelli.

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