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La questione sull’idea che gli Antichi , gli uomini del Medioevo e i moderni
avessero della forma della Terra è particolarmente complessa , in quanto
decidere tra forma piatta o sferica è l’atto originario su cui si struttura tutta la
riflessione occidentale.
Per ricostruire questa storia è necessario partire dall’origine , quindi da quel
celebre brano con cui si apre il libro della Genesi , in cui è narrata la Creazione
del mondo ad opera di Dio.
Se davvero si tiene conto di quanto è scritto nella Genesi è evidente che la
Creazione non avviene dal nulla , non parte da zero , in quanto quando la
storia inizia ci sono già delle cose ( materiali e immateriali ).
Quando il racconto inizia vi sono le tenebre e l’abisso, oltre allo spirito di Dio;
in particolar modo l’abisso già a questo punto ha un volto , una superficie su
cui il vento divino possa scorrere.
La Creazione non avviene dal vuoto o nel vuoto , ma si poggia su qualcosa e
quando comincia esistono già delle masse elementari dotate di estensione:
acque , tenebre e la terra informe.
Come dirà Aristotele ‘’Non esiste cambiamento senza che esista il luogo’’ , quindi
muovendosi sull’abisso lo spirito divino si sposta già da un ambito.
Inizialmente non c’è il vuoto , ma Dio che ha già tracciato la faccia dell’abisso ,
su cui poi comincia il movimento che dall’indeterminatezza e dall’assenza
delle forme produce formalizzazione.
Tutto ciò però non potrebbe esistere se non esistessero già degli elementi
primordiali come Sopra , Sotto ed Estensione ( che sono presenti prima che il
‘’firmamento’’ separi le acque terrestri da quelle celesti.
Senza Sopra e Sotto non esisterebbe l’Estensione , e dunque nemmeno la
Terra , che riceve il proprio nome solo quando diviene secca e arida , quindi
dopo che sono state divise le acque celesti e quelle terrestri e soprattutto dopo
che le acque terrestri sono state concentrate in un unico luogo.
In questo modo alla ‘’terra’’ ( con la ‘’t’’ minuscola ) , l’entità non determinata
e quindi priva di nome , viene a sostituirsi la ‘’Terra’’ ( con la ‘’T’’ maiuscola ),
la distesa su cui andranno a vivere gli uomini , le piante gli animali.
Dio stesso celebra la nascita della Terra , la distesa dotata di nome e
determinata nelle sue forme.
Il primo giorno Dio ‘’vide che la luce era buona’’ , ma una volta distinta la Terra
dal mare , Egli dice ‘’che questo è buono’’: dove ‘’questo’’ si riferisce all’atto
della separazione , non più ad una cosa ( la luce ) , ma il processo e il risultato
dei tale processo , la logica.
Nella Genesi la Creazione avviene attraverso una logica bivalente , basata sul
raddoppiamento degli ambiti: solo l’interposizione di una distesa riesce a
produrre una superficie piatta , permettendo di separare la Terra dal cielo.
Questo passaggio è spesso trascurato , ma è solo grazie ad esso che si capisce
che la Terra diviene tale per sua virtù: la distesa che ha trasformato l’abisso
nel suo contrario e dopo , su una Terra ancora caotica ed indifferenziata , la
differenzia nella forma che oggi è la sua.
In questo modo la Terra si trasforma nel ‘’luogo dell’educazione umana’’ , come
l’ha definita nell’Ottocento il geografo Karl Ritter.
In questo modo è possibile comprendere un’espressione presente nel ‘’Corpus
Ermeticum’’, opera ascrivibile all’ultimo dei grandi magi, Ermete Trismegisto.
Ermete dice ‘’la Terra è la copia del cielo’’ , proprio quello che è appena stato
detto nella Genesi , dove la Terra è la copia del cielo in quanto la matrice è la
medesima , ovvero quell’abisso che fin dall’inizio esiste.
Carl Schmitt in quella che forse è la sua opera più celebre , ‘’Il Nomos della
Terra’’ , fa ( forse implicitamente ) riferimento a questo processo per indicare
la nascita della ‘’razionalità giudaico-cristiana’’.
Il problema che si presentava a Schmitt era quello di illustrare la nascita della
ragione occidentale a partire da due fenomeni di riferimento: localizzazione
e ordinamento , ovvero la messa in ordine degli elementi sulla faccia della
Terra ( una strutturazione partita ancor prima della localizzazione ).
Schmitt sembra ripetere proprio quanto detto nella Genesi: c’è una distesa
originaria , un’estensione , una superficie e quindi una riduzione a superficie
( in entrambi i casi la Terra è il prodotto della distesa già esistente ).
Solo così si comprende ciò che viene detto nel Vangelo di Giovanni quando si
afferma che ‘’in principio vi era il logos’’ , termine greco ( λòγος ) di solito
tradotto come ‘’ragione verbale’’.
Λογος deriva da λεγειν , verbo che significa ‘’parlare’’ , ma anche ‘’legare’’ o
‘’comprendere/raccogliere’’ ( in questo senso si faccia riferimento alla forma
composta sul-legein=συλλεγειν )
Dunque il logos è proprio ciò che ordina e da forma attraverso la selezione:
quello che succede nella Genesi.
Dalla sua versione latina emergono due parole: la prima è legione , qualcosa
di ordinato , la seconda è elegante , perché la persona elegante è una persona
che seleziona.
Al λòγος i Greci contrapponevano un’altra possibilità e modalità di
conoscenza , l’επιστημη ( episteme ) , termine che significa ‘’mettere sopra’’
qualcosa che già si conosce , già esiste.
Ed è appunto l’invenzione della Terra che sta prendendo le mosse , in quanto
essa procede esattamente in questa maniera , quando sopra il λòγος , la
distesa che contiene già la possibilità della struttura , si dispone la forma
della terra , sicché la Terra stessa risulta l’assimilazione della struttura di tale
estensione ( cosa che vale per l’Oriente quanto per l’Occidente ).
3. IL MANTELLO DEL CIELO E LA LINEA D’ORIZZONTE
NOTE
- Bella la citazione del filologo classico ungherese Kàroly Kerényi per cui ‘’il
mito va preso a piccole dosi per sopportarlo’’.
Partendo dall’assunto per cui ‘’nessun mito potrebbe funzionare senza l’analogia’’,
viene presentata un confronto tra la storia di Marduk e Tiamat e il celebre
confronto tra Odisseo e Polifemo nel Canto IX dell’Odissea di Omero.
Tra la stesura dell’Enuma Elis e quella del capolavoro omerico passano più di
mille anni , una distanza cronologica che tende a farci notare più le differenze
delle analogie ( ve ne sono molte tra le cosmogonie orientale ed occidentale ).
L’interpretazione più comune dello scontro tra Odisseo e Polifemo sostiene
che il trucco utilizzato dal re di Itaca per ingannare il gigante dal ‘’pensiero
irrazionale’’ , come dice Omero , consiste nel dare un falso nome.
L’autore rifiuta questa versione , sostenendo che le cose siano andate in
maniera molto diversa: l’invenzione che salva Odisseo e i suoi compagni non
è la scoperta del nominalismo , ma l’invenzione dello spazio.
Il Canto IX dell’Odissea è per l’autore la descrizione di un mondo alla rovescia
e anche di un rovescio delle regole che in genere valgono per il suo
funzionamento.
Il mondo è realmente messo sottosopra da quello che accade, e questo vale sia
per l’eroe greco quanto per il gigante.
Agli occhi di Odisseo il gigante rappresenta il massimo dell’alterità , non
solo per le sue straordinarie dimensioni , ma anche per altri motivi , come
esempio per il fatto che egli beve latte e mangia formaggio.
Solo nel 1000 d.C. circa in Grecia questi alimenti comparvero nella dieta di
tutti i giorni , al tempo di Odisseo bere latte e cibarsi dei suoi derivati era un
costume del tutto estraneo ai Greci , che lo ritenevano proprio dei nomadi
d’Asia.
La dieta greca di allora, molto differente da quella che noi chiameremmo oggi
una ‘’dieta mediterranea’’, si basava soprattutto sul consumo di carne e vino
( questo si desume dai poemi omerici ).
Inoltre Polifemo assume un atteggiamento del tutto opposto a quello dei
Greci in materia di ospitalità: Polifemo uccide e mangia i compagni di
Odisseo , mentre i Greci ospitavano i forestieri senza chiedergli nulla , lo
facevano riposare durante la notte e la mattina successiva gli chiedevano chi
fosse e dove fosse diretto.
A questo punto entra in scena il tronco d’ulivo , che Odisseo fa intagliare ,
sgrossare ed aguzzare ai compagni , al fine di utilizzarlo per accecare il
gigante.
L’episodio risulta decisivo in quanto narra l’atto da cui discende quello che
oggi chiamiamo tecnologia: rendendo dritto il contorto tronco d’ulivo ,
Odisseo e i suoi compagni si produce un qualcosa che non esiste in natura , la
linea retta.
Solo tramite questa soluzione i Greci possono affrontare l’uomo-montagna ,
così come viene presentato il gigante.
L’iconografia sembra non essere allineata sulla stessa posizione per quanto
riguarda il problema del numero degli occhi di Polifemo: a volte ne ha tre ,
altre quattro , altre ancora uno.
Il numero di occhi di Polifemo ha però poca importanza, il vero problema è la
forma circolare dell’occhio ( Κυκλωψ , da κυκλος che vuol dire ‘’cerchio’’ e
ωψ che vuol dire ‘’occhio’’ ).
Polifemo , trafitto dal tronco affilato , invoca l’aiuto degli altri ciclopi , che non
sopraggiungono a causa del famoso trucco del nome falso utilizzato da
Odisseo.
A questo punto resta solo un problema: il masso che chiude l’antro del
ciclope, che solo quest’ultimo è in grado di spostare.
L’espediente che permette ai Greci di salvarsi sta nel nascondersi sotto il
ventre dei montoni , tuttavia viene da chiedersi come Polifemo non si accorga
di quanto succede.
Non si può che provare commozione quando davanti al ciclope , che è seduto
sulla soglia della caverna tasta tutto il gregge in cerca dei nemici , si presenta
l’ariete che è a capo del gregge ( al cui ventre si è aggrappato Odisseo ).
Polifemo accarezzando la bestia dice ‘’Lo so che tu me lo diresti , se lo sapessi ,
dove sono nascosti quei cattivi che mi hanno ridotto in questo stato’’ , ed in effetti
l’ariete lo fa , ponendosi in fondo al gregge , quando era solito uscire per
primo: sta cercando col suo linguaggio di comunicare qualcosa che però
Polifemo non può capire.
Come sosterrà Ludwig Wittgenstein all’inizio del Novecento: se un leone si
mettesse a parlare , non se ne comprenderebbe il linguaggio , in quanto non si
parteciperebbe al suo mondo.
Resta comunque un interrogativo: perché Polifemo non si accorge che sotto il
suo naso i Greci stanno recuperando il loro mondo? Perché Polifemo abita il
mondo , mentre noi dopo Odisseo abitiamo lo spazio.
Per i Greci il mondo è fatto solo di rapporti di forza , di gerarchie e autorità
per cui chi sta sopra domina e chi sta sotto ubbidisce.
Lo spazio invece corrisponde alla riduzione del mondo ad un’estensione
metrico-lineare , ed è Odisseo il primo ad abitarlo , o per meglio dire ad
inventarlo.
Tra Odisseo e Polifemo c’è la stessa incomunicabilità che c’è tra il ciclope ed
il suo ariete.
Ciò che è curioso è però il fatto che Polifemo si limiti a tastare la parte
superiore delle bestie , non quella inferiore ( gesto che gli avrebbe permesso
di catturare i suoi nemici ).
La spiegazione più largamente utilizzata è quella per cui il ciclope non
avrebbe avuto un braccio sufficientemente lungo , ma è evidente che si tratta
di una posizione che non convince.
Non è un’impossibilità fisica che impedisce a Polifemo di trovare l’avversario,
non lo trova perché ritiene inutile l’unico gesto necessario.
Polifemo accerta che il piano superiore non porti il nemico , perché per lui è
impensabile che il livello inferiore ( il ventre ) contraddica il livello
superiore.
Polifemo ragiona attraverso la logica della gerarchia del mondo , dove
nessun caporale può contraddire un sergente ( sistema che funzionava anche
dentro la grotta del gigante ).
Questo è il motivo per cui Polifemo , abitante del mondo-caserma , non si
accorge di quello che sta accadendo.
NOTE
- Nel passo omerico sembra proprio che vedere e toccare siano la stessa cosa , e
l’accecamento di Polifemo sembra proprio voler indicare ciò: nell’Antichità
queste due percezioni diverse si equivalgono.
5. L’INVENZIONE DELLO SPAZIO
NOTE
- Odisseo non aveva certo contato i colpi di remi , al contrario del colonnello
T. E. Lawrence ( meglio noto come Lawrence d’Arabia ) , che nel suo libro ‘’I
sette pilastri della saggezza’’ racconta di come , attaccato da un gruppo di Arabi,
egli riuscì ad eliminare gli assalitori lanciando una bomba da un punto
riparato: cosa che fu possibile in quanto egli aveva contato i passi ( quindi la
distanza ).
NOTE
* Erodiade fu moglie di due dei figli di Erode il Grande , dal primo ebbe la
figlia Salomè , mentre il secondo fu proprio l’Erode Antipa protagonista della
storia appena narrata.
Che la Terra sia una testa lo afferma il più grande geografo dell’antichità ,
l’alessandrino Claudio Tolomeo ( 100-175 d.C. ).
Tolomeo era un egiziano che scriveva in greco , ma era anche un suddito
dell’Impero Romano nel II secolo d.C. , il momento di massimo splendore del
potere imperiale.
Alessandria era la più straordinaria delle città del Mediterraneo , luogo
d’incontro di diverse culture , fedi , teorie: un luogo in cui tutti i modelli del
mondo si mescolavano.
Tolomeo è l’ultimo dei sapienti greci , il custode di una tradizione che nella
sua figura si deposita in maniera assolutamente esemplare.
È proprio Tolomeo a rivelare all’Occidente uno dei suoi massimi segreti: l’arte
di trasformare il globo in una mappa , in una carta geografica.
L’opera del geografo alessandrino è chiamata per tradizione col nome di
‘’Geografia’’ , nel Cinquecento invece era nota come ‘’Cosmografia’’ , tuttavia la
traduzione letterale dell’opera dal greco sarebbe ‘’Guida al disegno della carta
geografica della Terra’’.
Tolomeo fu infatti il primo a produrre mappe sofisticate a tal punto da dare
l’impressione visiva della curvatura terrestre , un’arte che è insieme una
tecnica , in quanto la sua è una operazione matematica.
Quest’operazione è nota oggi col nome di ‘’proiezione’’ , anche se Tolomeo le
indicava col nome di ‘’modi di conoscenza’’.
‘’Proiezione’’ è un termine inventato dai traduttori del Quattrocento del testo
tolemaico ( scomparso nella cultura occidentale con il crollo dell’Impero
Romano e riscoperto dopo la caduta di Bisanzio e la fuga dei sapienti greci ) ,
che però deriva dal mondo dell’alchimia , l’arte di trasformare le cose.
Nel procedimento alchemico , soppiantato tra XVII e XVIII secolo , la polvere
di proiezione entrava nel momento decisivo , quello finale: sparsa sul metallo
lo trasformava in oro.
La proiezione era l’agente della trasformazione più grande che si potesse
concepire , quella della mutazione del globo in una mappa ( in questo modo
essi lessero Tolomeo , alla ricerca di un segreto in grado di trasformare il
globo in una mappa ).
Oggi riteniamo di non essere più tolemaici solo perché non crediamo che la
Terra sia al centro dell’universo , come l’alessandrino sosteneva nel suo
‘’Almagesto’’ , ma ci sbagliamo.
Ogni volta che apriamo un atlante siamo infatti tolemaici: non per l’immagine
del cosmo , ma di quella della Terra.
Per l’immagine della Terra non c’è mai stato nessun Copernico , Keplero o
Galileo Galilei , insomma uno scienziato che ha reinventato i modelli del
cielo e smantellato il sistema geocentrico.
È stato infatti Tolomeo ad inventare il sistema delle coordinate ( latitudine e
longitudine) calcolate rispetto all’Equatore e ad un meridiano convenzionale ,
di cui ancora oggi ci serviamo per identificare un punto sulla superficie
terrestre.
Tolomeo fu il primo a ridurre ad un insieme di punti geometrici la faccia
della Terra , in base alla regola dell’equivalenza generale tra le varie località.
Egli ha inventato di fatto il reticolo geografico , il sistema attraverso cui
abbiamo addomesticato il globo e tradotto in spazio ; in questo senso dunque
l’alessandrino è il principale tra i geografi moderni ( anche se il mondo da lui
cartografato si limitava alle terre intorno al Mediterraneo ).
Si continuò a stampare Tolomeo fino al 1570 , quando fece la sua comparsa il
primo atlante moderno , il ‘’Theatrum orbis terrarum’’ del fiammingo Abraham
Ortelius.
Questo è in effetti sorprendente se si pensa che la Geografia di Tolomeo si
limitava a descrivere l’Impero Romano (nelle sue carte l’estensione dell’Africa
era equivalente a quella dell’Europa e dell’Asia).
Questo apparente paradosso è comprensibile quando si ragiona sul fatto che
Tolomeo è il primo a descrivere la Terra in termini spaziali , secondo il
sistema che in ogni epoca moderna inizia a regolamentare il mondo interno
in maniera sistematica.
Ecco perché Tolomeo è il geografo di Colombo , non perché contenesse
informazioni sul mare Oceano , ma perché forniva il principio ( la logica ) che
consentiva di pensare le terre americane in termini di continuità e omogeneità
rispetto a quelle note.
È già stato ricordato come la regola dello spazio è che qualsiasi parte è
perfettamente equivalente a qualsiasi altra , indipendentemente dalla sua
natura.
L’affermazione di Tolomeo per cui la Terra è una testa rende finalmente
comprensibile l’avventura di Colombo.
Come detto ovunque in Europa nel Quattrocento il fatto che la Terra fosse
piatta era un’affermazione banale , ma prima di Colombo , navigatori come
Vasco da Gama si limitavano a costruire materialmente o idealmente un
modello sferico , cercando di provare che esso funzionasse.
Colombo fa invece il contrario , e per questo scopre un nuovo mondo: prende
un globo e cerca di mostrare che la Terra funziona secondo il modello , ma
non che il modello s’adegua alla Terra.
Mentre dunque gli altri tentavano di raggiungere le Indie attraverso la punta
dell’Africa , Colombo procede in senso opposto ed inventa l’Occidente.
Torna dunque in mente la logica di Salomè: una testa è una testa.
Tre secoli dopo Colombo , Immanuel Kant (1724-1804) scrive che la ‘’sicura
via della scienza’’ fu una scoperta molto più importante di quella del ‘’famoso
Capo di Buona Speranza’’.
La ‘’sicura via della scienza’’ consiste non nel seguire le tracce di una figura ,
ma nel trarre fuori dalla figura quello che noi stesso vi abbiamo messo
dentro.
Riprendendo Kant nella prefazione alla seconda edizione della ‘’Critica della
Ragion Pura’’: Galilei , Torricelli e tutti gli altri moderni compresero che ‘’la
ragione scorge soltanto ciò che essa stessa produce secondo il su disegno’’.
Questo passo, sebbene commentato mille volte, riserva ancora molte sorprese
se si riflette che anche in esso non c’è metafora che tenga: una via è una via , e
questa via è prima disegnata e poi praticata.
Kant in questo passo non dice soltanto che ciò che chiamiamo conoscenza è il
risultato dell’effettivo processo di conoscenza della Terra , ma anche che
quest’ultima dipende da uno ‘’schizzo preliminare’’ , un modello originario
composto da una materiale struttura e da un’espressione grafica che già
contengono la logica del processo in questione.
Dunque vi è un’assoluta continuità tra Anassimandro e Kant: il primo riduce
la Terra al suo cadavere grafico , il secondo riconosce la priorità di tale
cadavere rispetto al corpo vivo della Terra , e fa discendere dalla costituzione
di quello le regole per la conoscenza di questo.
A questo punto l’autore polemizza con un filosofo parigino del secolo scorso ,
colpevole di aver distinto Modernità e Postmodernità in base al fatto che nella
prima le carte erano copie del territorio , mentre nella seconda il rapporto è
inverso: il simulacro ( la rappresentazione geografica ) precede il territorio.
In questo senso allora Kant sarebbe un postmoderno , per non parlare di
Anassimandro e Colombo , con quest’ultimo che sarebbe il più postmoderno
di tutti.
Ma se così fosse modernità e postmodernità inizierebbero nello stesso
momento , con Colombo infatti la rappresentazione geografica prende il
posto del mondo , ricopre e assorbe tutto ciò che esiste.
La carta , cioè lo spazio , è il primo degli strumenti della Modernità , che si
afferma proprio con Colombo.
9. DI CHE È L’UOVO ?
Nel diario della prima spedizione di Colombo, sotto la data del 25 Settembre
1492 viene riportata la storia di un’allucinazione collettiva , che vede come
protagonista il capitano della ‘’Pinta’’ Martìn Pinzòn.
Quest’ultimo infatti al tramonto , salito a poppa della nave , grida di aver
avvistato Terra ; a quel punto tutti salgono sull’albero maestro e confermano
l’avvistamento , compreso Colombo.
Il giorno dopo tuttavia , si scopre che quella che era sembrata Terra era in
realtà il Cielo.
Era successo che tutti avevano sostituito alla faccia della Terra l’immagine
cartografica, la carta: la carta disegnata dal più grande e misterioso cartografo
del Quattrocento , il fiorentino Paolo dal Pozzo Toscanello (1397-1482) , di
cui Colombo aveva probabilmente una copia.
L’esistenza della carta di Toscanelli non è più oggetto di disputa , mentre
permangono dubbi sull’effettiva conoscenza di Colombo di quest’ultima.
Gli storici spagnoli sono certi dell’esistenza di un rapporto epistolare tra
Colombo e Toscanelli , favorito dal canonico Martinéz, corrispondente
portoghese del cosmografo.
Altri sostengono invece che che questo sia solo un falso allestito dai
Portoghesi , allo scopo di poter anche loro rivendicare la scoperta del Nuovo
Mondo.
Altri ancora ritengono che sia un’invenzione di Bartolomé de Las Casas ,
l’ultimo che avrebbe avuto in mano il diario colombiano.
Quest’ipotesi , se verificata , potrebbe estendersi anche al testo del 25
Settembre , in cui , senza mai citare Toscanelli , si racconta che in quel giorno
Colombo e Pinzòn si interrogavano su come non si fossero ancora incontrate
certe isole in cui si sarebbero già dovuti imbattere.
Questo spiega perché il 25 Settembre , al grido d’avvistamento , tutti fossero
effettivamente convinti dell’esistenza della Terra in quel punto , e questo solo
perché è la carta a dirlo.
Sulla spedizione di Colombo rimangono ancora oggi numerosi interrogativi e
momenti poco chiari , come il famoso episodio dell’uovo di Colombo.
In realtà l’ammiraglio non schiacciò mai un uovo sul tavolo per mostrare la
forma della Terra , e questo perché come è già stato ribadito , anche a quei
tempi , tutti quelli che potevano leggere Seneca/Agostino/Tommaso d’Aquino
sapevano che la Terra fosse piatta.
Di fatto è vero proprio il contrario: Colombo non ha il merito di aver mostrato
la forma sferica della Terra , quando piuttosto quello di averla ridotta ad un
gigantesco spazio , anzi alla serie di innumerevoli spazi.
Per dare un senso corretto al fittizio episodio di Colombo bisognerebbe
capovolgerlo completamente , ponendo attenzione non sull’uovo , ma sul
tavolo: l’impresa colombiana si risolve nella trasformazione dell’uovo
terrestre in un’estensione piatta , una tavola per l’appunto.
In realtà , come riporta Giorgio Vasari nelle sue ‘’Vite’’ , fu Filippo
Brunelleschi a schiacciare un uovo su un tavolo per mostrare al governo
fiorentino come intendeva fare reggere su se’ stessa la cupola del Duomo di
Santa Maria del Fiore ( ‘’che fece ombra a tutti i popoli della Toscana’’ citando
Leon Battista Alberti ).
Ciò che collega , in maniera invisibile , Brunneleschi e Colombo è proprio il
già citato Toscanelli.
Sempre Vasari ci ricorda che Brunelleschi avrebbe appreso le arti
matematiche presso Toscanelli: ‘’egli imparò la geometria da lui’’ , anche se in
effetti non si capisce chi sia allievo e chi maestro , sembra solamente che
entrambi i soggetti al cospetto della geometria svolgano il loro compito
trasmettendosela l’un l’altro.
L’opera di Toscanelli attraversa tutto il Quattrocento fiorentino e si staglia
dietro tutte le grandi imprese e le grandi opere del tempo , senza però che ci
siano giunte sue testimonianze scritte rilevanti.
Non ci è pervenuta nemmeno la sua carta dell’Oceano , di cui esistono solo
delle ricostruzioni e che doveva essere una vera e propria sintesi di tutto il
suo sapere: di astrologo , di matematico , di cosmografo , di speziale e di
filosofo neoplatonico.
Il suo è il bagaglio di un umanista , composto da una cultura teorica e pratica,
tipica di un uomo incline allo studio dei classici ma anche all’interrogare
tutti i viaggiatori giunti a Firenze da terre lontane.
Per tutto il periodo che va dal Quattrocento al Seicento la penisola italiana è il
cuore delle informazioni e dei modelli che riguardavano il funzionamento del
mondo.
L’Italia per qualche secolo è il massimo dell’intelligence planetaria , negli
archivi e nelle biblioteche di Roma , Venezia , Genova , Firenze era custodito
un patrimonio di sapienza, documenti , conoscenza del mondo che non aveva
rivali , e lo stesso si poteva dire per i capitali custoditi dai mercanti delle città.
L’ultima a detenere questo primato è Venezia , che lo lascia simbolicamente
nel 1681 , quando il veneziano Vincenzo Coronelli , uno degli ultimi
cartografi italiani , si reca in Francia alla corte del Re Sole per costruire i
grandi globi che in Italia , per mancanza di mezzi , non poteva realizzare.
Con la chiamata a Versailles di Coronelli , ultimo erede della tradizione
cartografica e cosmografica della penisola , il sapere relativo all’arte della
modellizzazione del mondo attraversa le Alpi e si sposta nelle grandi capitali
e nei maggiori centri d’Europa.
Si tratta di centri impegnati nella costruzione statale , nell’espansione
coloniale o nel controllo delle ultime organizzazioni imperiali: Parigi ,
Amsterdam , Vienna.
Ai tempi di Toscanelli però il primato è ancora italiano , e non a caso egli
dunque ha tra i suoi committenti anche il Re del Portogallo Alfonso V del
Portogallo.
A quest’ultimo Toscanelli scrive nel 1474 per comunicargli l’invio di una delle
sue carte , in cui descrive il litorale portoghese e il grande mare Oceano , con
le varie isole che si incontrano andando verso ovest.
Il fatto che Toscanelli fosse conosciuto da Colombo risulta evidente da questo
passo della lettera di Toscanelli: ‘’non vi meravigliate se chiamo porti occidentali
quelli dove sono gli aromi [ le spezie dell’Oriente ] , mentre quelli comunemente si
chiamano orientali , perché quelli che navigheranno continuamente a ponente…..
raggiungeranno dette regioni’’.
NOTE
Il made in Italy è tutto ciò che resta dell’antico primato italiano relativo al fare
e al saper fare , ai modelli che riguardano le cose del mondo , tra i quali il più
potente e fortunato dei quali fu: la prospettiva lineare, detta anche fiorentina.
La costruzione del mondo attraverso il modello della prospettiva lineare è ciò
che veramente accomuna Toscanelli , Colombo e Brunelleschi: tutti e tre sono
uniti dall’idea che le dimensioni di un oggetto dipendono dalla distanza
dell’osservatore.
Ovviamente non è così , tuttavia se noi crediamo in ciò che dice la prospettiva
lineare è soltanto perché perché vi sono stati un secolo ( il XVIo ) e una città
( Firenze ) hanno inventato questo modello , il punto di vista spaziale.
Anche gli Antichi avevano la loro prospettiva , ma sapevano perfettamente
che la dimensione degli oggetti non dipende dalla loro distanza/vicinanza ,
ma anche dall’angolo visivo.
Di fatto la storia della conoscenza del mondo è una storia in cui due globi ,
due sfere ( quella della Terra e quella del nostro occhio ) fanno fatica a
riconoscersi , a mettersi in contatto.
Ciò che realmente produce il cambiamento decisivo nella vista è l’angolo
visivo: il Sole allo zenit ci sembra più piccolo di quando si trova all’orizzonte,
e questo non perché è cambiata la distanza , ma proprio l’angolo visivo.
È proprio a Firenze nel Quattrocento che la maniera di vedere il mondo
cambia rispetto a quella degli Antichi: a Firenze si cominciano a vedere le
cose come non sono.
La figura che meglio rappresenta questa rivoluzione è l’emblema del
massimo teorico della prospettiva lineare , Leon Battista Alberti: un occhio
con le ali separato dal resto del corpo , e sotto il quale vi è il motto ‘’Quid
tum?’’ , traducibile ‘’e adesso?’’.
Il senso dell’interrogativo è ‘’che cosa diventa ora il mondo’’ se uno dei
cinque sensi non è più costretto a mettersi in accordo con gli altri ?
La risposta per l’autore si deve ancora dare , ma più il tempo passa , più è
difficile tentare di risanare il divorzio tra il corpo e il corpo.
Gli storici dell’arte sono concordi nel ritenere che la prospettiva lineare
moderna non sia altro che la copia della proiezione di Tolomeo , con la
differenza che la prima lavora orizzontalmente , mentre la seconda lavora
verticalmente.
Questa discendenza è provata cronologicamente: solo ad inizio Quattrocento
infatti il fiorentino Iacopo Angelo traduce dal greco la ‘’Geografia’’ tolemaica ,
riportandola in Occidente , dove era scomparsa fin dal tempo della caduta di
Roma.
Solo qualche anno dopo Filippo Brunelleschi costruisce la prima architettura
costruita secondo il principio prospettico moderno: il Portico dell’Ospedale
degli Innocenti.
Qui si comincia per la prima volta a percepire un vero e proprio stacco
generazionale , paragonato dall’autore a quello introdotto dal regista dei
videoclip dei Beatles , Richard Lester.
Chi è più giovane percepisce più fotogrammi al minuto , al prezzo di saper
cogliere in maniera più faticosa le sfumature ; tutto questo sotto il Portico è
più che evidente.
Oggi facciamo più o meno fatica a cogliere il filo di pochi millimetri su cui si è
giocata la nascita della Modernità , ma ovviamente per il fiorentino di inizio
Quattrocento questo doveva essere clamorosamente evidente.
Il modello è quello proprio della tragedia: comincia bene , procedendo poi
inevitabilmente verso il disastro.
Inizialmente si entra sotto il portico , andando a collocarsi proprio dove
Brunelleschi voleva che un ipotetico spettatore si ponesse: in corrispondenza
della porta cieca che è ad una delle due estremità ; fino a qui , tra le rette
parallele del pavimento , siamo ancora nel mondo classico.
Ma alla fine , sul fondo del portico , in corrispondenza del punto di fuga di
fronte all’osservatore , le linee appaiono a convergere lievemente , dando
l’impressione che se le si prolungasse all’infinito , le rette parallele del
pavimento finirebbero per toccarsi.
Affinché l’Occidente potesse accettare questa cosa , si sarebbe dovuto
aspettare l’Ottocento , quando vennero scoperte le geometrie non-euclidee.
Ma nel Quattrocento , e anche nei tre secoli successivi , l’occhio dice qualcosa
che il tatto assolutamente non registra.
Se facessimo scorrere due dita lungo i bordi paralleli del tavolo , e ci
chiedessimo se essi , allungati all’infinito si allungassero , la risposta sarebbe
ovviamente no.
Se però ci facessimo la stessa domanda di fronte ad un’immagine prospettica,
non potremmo non ammettere che le due linee si tocchino.
Dunque per la prima volta sotto il portico degli Innocenti la vista afferma
qualcosa che il tatto non dice , e le dirette conseguenze di queste
dissociazioni sono la schizofrenia ( la mente non sa che senso seguire ) e la
pornografia ( tra il vedere e il toccare si crea un abisso ).
La culla della crisi dell’uomo moderno si genera sotto il portico degli
Innocenti , ed è proprio questo uno dei due motivi per cui ad esso viene data
meno importanza di quanto meriterebbe.
L’altro motivo per cui il Portico è un posto poco frequentato è la collocazione
del primo punto di fuga materialmente installato al mondo: vicino alla cassa
continua , quel finestrino in cui fino al 1875 continuarono ad essere infilati i
trovatelli ( gli ‘’innocenti’’ per l’appunto ).
Il vertice della prima concreta prospettiva era dunque un pertugio che
immetteva concretamente da un mondo all’altro , un luogo che segnava un
passaggio materiale da una condizione ad un’altra.
Il fanciullo abbandonato infatti , passava dall’anonimia biologica del neonato
che non poteva (o non voleva) essere riconosciuto, all’assunzione di una reale
identità politica: quella di figlio , o cittadino , di Firenze.
Questa uscita dall’oscurità , questa assunzione di visibilità , avveniva solo
essendo inghiottiti in un altro mondo , in cui gli ‘’innocenti’’ , chiunque essi
fossero , acquisivano lo stesso nome e divenivano ‘’Innocenti’’.
Si trattava dunque di una rinascita , di una seconda nascita del neonato ; e da
quale rinascita , se non da questa , prende il nome il Rinascimento ?
NOTE
- Guardando alla conclusione del capitolo viene in mente Goethe, che nel suo
‘’Viaggio in Italia’’ , parla di una ‘’seconda natura che opera a fini civili’’ mentre
guarda le rovine dell’antica Roma , le stesse che Brunelleschi aveva ammirato
insieme all’amico Donatello.
11. TERRA, SPAZIO, TERRITORIO
Leon Battista Alberti intuisce subito cosa si celi dietro il punto di fuga del
Portico dell’Ospedale degli Innocenti , anche se ancora fa fatica a nominarlo:
l’infinito , l’assenza di un centro stabile e fisso.
In sostanza si tratta del contrario dello spazio , il contrario della grande figura
moderna del mondo , di cui la prospettiva lineare è lo strumento.
Gilbert Keith Chesterton* , lo scrittore inglese , sosteneva che il modello
della croce contenesse una collisione e una contraddizione , ed è proprio
questo ad assicurarne la vitalità e la forza.
La stessa cosa vale per la prospettiva: da un lato essa implica l’infinito, una
cosa che la cultura occidentale riesce a pensare senza difficoltà solo nel XVIII
secolo , dall’altro la sua forma è la matrice di un progetto , di un piano di
trasformazione , anche in senso politico , dell’esistente.
Si tratta dell’intervento su tutto quello che è finito , la sua trasformazione per
mezzo dell’infinito: quella che è la grande contraddizione dell’età moderna.
Di questa contraddizione ha coscienza il più grande degli artisti fiorentini del
tempo: Michelangelo.
Sempre nelle ‘’Storie’’ del Vasari si riporta che nella data del 1504 , circa
ottanta anni dopo la costruzione del Portico degli Innocenti , il grande artista
fiorentino presenta al popolo il David , una delle sue sculture più celebri.
Il Vasari riporta anche il parere dato dall’allora gonfaloniere della città , Pier
Soderini , secondo il quale il naso della scultura era un po’ troppo grande
rispetto al dovuto.
Si tratta di un commento in apparenza futile , ma in realtà di straordinaria
importanza , in quanto ci mostra come nella Firenze del XVI secolo , una città
di mercanti/artigiani/artisti , nessuno poteva sottrarsi alla critica.
Il gonfaloniere si accinge a commentare immediatamente l’opera , azione alla
quale Michelangelo reagisce con un gesto divenuto assolutamente iconico:
raccoglie un po’ di marmo rimasta sull’impalcatura , prende gli attrezzi e sale
sulla scala, accertandosi che Soderini non possa controllare il suo movimento.
A questo punto fa finta di colpire il naso , facendo cadere poco a poco la
polvere di marmo che ha raccolto , infine scende e chiede a Soderini cosa
adesso ne pensi.
Il gonfaloniere risponderà dicendo: ‘’A me mi piace di più, gli avete dato vita’’.
L’episodio raccontato dal Vasari , che si presta a numerose modalità di
commento , è straordinariamente significativo.
Ciò che bisogna chiedersi è perché le statue di Michelangelo apparissero così
grandi , quasi deformi.
La risposta è che egli è il primo a concepire le sue opere per un osservatore
che le guardi a 360 gradi, come se poste in uno spazio vuoto e infinito, quello
della piazza: la stessa cosa che premeva anche dietro il punto di fuga della
prospettiva.
Questo è il motivo per cui i contemporanei percepivano le dimensioni delle
opere di Michelangelo come insolite.
Un’altra interpretazione , più immediata ed evidente , riguarda lo strettissimo
legame tra pratica economica e politica.
Se esso non vi fosse infatti , Pier Soderini farebbe la figura dell’arrogante che
vuole parlare di cose che non capisce.
Ora , pur non volendo attribuire al gonfaloniere un particolare gusto in senso
artistico , si deve comprendere che nella Firenze del Cinquecento il discorso
artistico era strettamente legato a quello politico.
Gli storici dell’economia , uno su tutti Giovanni Arrighi** , sostengono che il
primo ciclo sistemico di accumulazione sia stato quello messo in atto a
Genova , che sarebbe dunque il luogo di nascita del capitalismo finanziario
moderno.
Nel Quattrocento i mercanti-banchieri genovesi si accorsero che potevano
trarre vantaggi dalle oscillazioni delle monete in circolazione , compresa
quella genovese.
In sostanza si accorsero di poter trarre vantaggio dalle differenze di valore
relative alla moneta corrente.
Ciò mediante l’introduzione di una supermoneta il cui valore non variasse ,
per questo nel 1447 fu approvata a Genova una legge che imponeva che tutti i
conti relativi alle operazioni di cambio fossero tenuti in moneta d’oro di peso
stabile , chiamata ‘’lira di buona moneta’’ o ‘’moneta di cambio’’ , che divenne
unità standard di riferimento.
In questo modo nacque l’ideologia della moneta stabile , della stabilità
monetaria.
Senza la lira di buona moneta i banchieri-mercanti genovesi non sarebbero mai
riusciti a controllare il commercio della Castiglia , ovvero a controllare
finanziariamente la conquista dell’America Latina.
Furono sempre i banchieri genovesi che nel 1519 permisero a Carlo
d’Asburgo , già re di Spagna dal 1516 , di ottenere il titolo imperiale , e questo
a discapito del re di Francia Francesco I.
I principi tedeschi non avrebbero mai scelto l’Asburgo se i Genovesi ,
mobilitando le loro lettere di cambio , non avessero consentito ai banchieri
tedeschi ( Fugger e Welser ) di avere a disposizione con poco e preavviso e in
luoghi diversi il denaro sufficiente ad acquistare il voto dei grandi elettori.
Anticipo e tempestività, unite alla regolarità dell’anticipo sono i fattori che
permisero a Genova , piuttosto che alla corona spagnola , di mettere le mani
su gran parte del Nuovo Mondo ( alla Castiglia di fatto rimase solo il ‘’lavoro
sporco’’ ).
Se Genova fu dunque il luogo in cui nacque il capitalismo moderno, tra il XIV
e il XV secolo l’alta finanza moderna fu invece un’invenzione fiorentina.
La strategia fiorentina differisce da quella genovese , in quanto privilegia una
logica d’accumulazione sistemica del capitale completamente opposta , in
apparenza.
Nel Quattrocento Firenze optò per una politica territorialista, che si distingue
da quella genovese definita semplicemente capitalistica.
Firenze decise di investire i propri denari nel territorio, andando ad annettere
il contando e le popolazioni che lo abitavano , spodestando dunque i
precedenti poteri feudali.
Il progetto fiorentino fu quello di creare uno Stato comunale , o addirittura
uno Stato regionale , con un contado politicamente ed economicamente
integrato alla città ( un modello che per noi oggi è scontato , ma che al tempo
non lo era affatto ).
Lo stesso Ospedale degli Innocenti rientra in questo progetto , esso è infatti
un servizio pensato non solo per la città , ma anche per tutti gli abitanti della
campagna , con lo scopo di fare di Firenze un centro di richiamo.
Ogni analogia col funzionamento attuale del mondo trova riscontro:
trapiantato nella Francia del Seicento il modello fiorentino diviene il modello
dello Stato territoriale e centralizzato moderno , lo Stato come noi lo
conosciamo.
Come ricorda il grande storico svizzero del Rinascimento Jakob Burckhardt
‘’lo Stato è un’opera d’arte’’.
La sua è una riflessione che va intesa alla lettera: senza prospettiva lo Stato
moderno non esisterebbe , perché proprio la rettilinea sintassi prospettica
garantisce la traduzione in spazio del territorio.
NOTE
NOTE
* I fratelli Leopoldo (1832-1865) , Giuseppe (1836-1890) e Romualdo Alinari
(1830-1890) fondarono nel 1852 a Firenze l’azienda fotografica ‘’Fratelli
Alinari’’ , che ad oggi risulta la più antica del mondo.
13. IPOTESI SU UTOPIA
In base a quanto detto fino ad ora , si potrebbe dire che la Terra l’hanno
inventata i mitografi , gli evangelisti , gli artisti e i filosofi , tutti fuorché i
geografi.
Ovviamente non è così , la verità è che dal punto di vista storico i geografi
sono preceduti dai cosmografi , che raccolgono l’eredità della cosmogonia e
della cosmologia ( i geografi entrano in scena solo all’inizio del Seicento ).
Sono i cosmografi , nel Quattrocento e nel Cinquecento , a porsi le domande
che noi ci poniamo tutt’ora riguardo la vera forma della Terra.
Come già detto tutti sapevano che la Terra fosse sferica , e soprattutto nessuno
credeva che fosse piatta ; i problemi sorgevano invece si doveva conciliare il
modello sferico con tutto il resto del mondo che si conosceva , e questo
secondo due direzioni: le opinioni degli Antichi e le scoperte dei marinai nel
XV e nel XVI secolo , con queste ultime che costringono a demolire molte
delle convinzioni e delle teorie esistenti.
La prima regione terrestre a ricevere descrizione da questa tensione è Utopia,
posta a metà tra realtà e irrealtà.
L’umanista francese Paludanus* ( al secolo Jean Desmarais ) lodava tanto
l’Utopia di Tommaso Moro , quanto l’Elogio della Saggezza di Erasmo da
Rotterdam.
Tra la follia ( il racconto di Moro ) e la saggezza ( l’opera di Erasmo ) non
esiste però solo un rapporto d’opposizione e contrasto.
Tra l’Utopia e l’Elogio vi è una stretta relazione: si pensi che la seconda parte
dell’opera di Moro viene scritta , a qualche settimana di distanza , sotto lo
stesso tetto che aveva visto la stesura della prima.
La prima parte dell’Elogio è concepita nel 1509 , e si fonda su un’idea
principale: che non si dà una ragione astratta, ma che al contrario ogni forma
di razionalità dipende dal contesto.
In sostanza non esiste una ragione fondata su regole che possano pretendere
di valere ovunque e comunque.
Lo spazio dunque , il regno dell’equivalenza generale , non c’è , e al suo posto
esistono soltanto i luoghi , irriducibili in quanto dotati di specifiche qualità.
Il ‘’Moriae Encomium’’ di Erasmo non si riferisce solo alla follia , ma anche al
termine ‘’moiré’’ , che indica un tessuto che riflette la luce secondo versi
differenti , che trascendono l’isotropismo.
Erasmo e Moro dicono in sostanza la stessa cosa e descrivono lo stesso paese,
rivendicando il diritto dei luoghi a continuare ad esistere , a dispetto
dell’inesorabile avvento dello spazio e della sua logica omologante.
Se nel caso di Moro si tratta di un sogno , allora è il sogno della conciliazione
tra logica spaziale e logica locale , di un luogo che diventa spazio senza per
questo cessare di essere luogo ( qualcosa di irriducibile a qualsiasi
omologazione ).
Utopia non esiste proprio per queste ragioni , anche se possiamo pensarla ; su
questo duplice livello si fonda l’ambiguità di Utopia , che spiega come essa
possa esserci come non esserci.
Interessante la lettura del poeta utopico Veneto-Insignificante che Moro pone
sul rovescio del secondo foglio del volume.
Nel testo Utopia parla di se’ stessa , e si definisce ‘’la città filosofica , pur non
avendo nulla di filosofico’’.
Per comprendere cosa effettivamente sia Utopia si deve far riferimento al
finale della ‘’Repubblica’’ di Platone , in cui è descritto il famoso mito di Er , il
soldato che racconta del cammino che i morti compiono nell’Ade.
La descrizione che Er fa dell’Ade ricorda molto quella che Raffaele Itlodeo , il
marinaio protagonista dell’opera di Moro , fa di Utopia.
Utopia , nel racconto di Itlodeo , era una ‘’penisola’’ , una quasi-isola: le manca
dunque qualcosa per essere un’isola , e questo qualcosa non ha nulla di
filosofico , bensì risulta essere molto concreto.
La cosa che manca è l’unica che può rappresentare la ‘’città della filosofia’’, in
cui quel che essa detiene viene trasmesso agli uomini , ‘’da cui prende solo le
cose migliori’’.
In origine dunque vi è qualcosa che ha bisogno di una lieve modifica , che
avviene quando quel che è interno è mutato in quel che è esterno e
viceversa: in questo modo ciò che è concreto si tramuta in ciò che di più
filosofico e ideale si possa concepire.
Il matematico indiano del IX secolo d.C. Mahavira sosteneva che ‘’lo zero
diventa ciò che gli si aggiunge’’ , per Utopia vale la stessa cosa , anche se il suo
caso è più complesso.
Quel che possiamo rappresentare e pensare , e quindi realizzare , dipende
dalla nostra mente e anche da una struttura concreta , artificiale , che in
qualche modo lo incorpora.
Rappresentare qualcosa è un atto che mette allo scoperto la forma latente di
tale struttura , che si trasmette alla forma di quel che viene rappresentato , e
allo stesso tempo esso modifica la forma e la natura del piano materiale sul
quale la rappresentazione si svolge , pur lasciandolo apparentemente
inalterato.
Questo piano non equivale allo zero , perché non si limita a divenire figura
rappresentata , ma la co-determina.
Esso costituisce l’unica possibilità perché la rappresentazione stessa possa
avere luogo , e poiché nel caso di Utopia si tratta di una forma urbana , il
piano in questione è quello della tavola , della rappresentazione cartografica
(della mappa).
Questo è il piano in cui si compie il viaggio dei defunti nella ‘’Repubblica’’: gli
alberi sono descritti su una mappa , ma non fanno ombra , ci sono anche le
acque dei fiumi , ma non si possono bere.
Il paese c’è , ma allo stesso tempo non c’è ; la stessa cosa può dirsi per i luoghi
di Utopia.
Il filosofo francese Louis Marin sosteneva liricamente che utopia è un ‘’non-
luogo dove i nomi non designano propriamente…disappropriazione nell’appellazione,
assenza nell’indicazione….decostruzione realizzata dai nomi propri utopici’’.
Il discorso di Marin risulta essere troppo lirico , se fosse realmente come dice
lui allora i nomi di Utopia si limiterebbero ad indicare la natura cartografica
del paese in cui si riferiscono.
Il fiume si chiama ‘’Anidro’’ ( lo stesso nome del fiume descritto da Er nel
mito platonico ) , che significa ‘’senz’acqua’’ , il primo nome di Utopia è
‘’Abraxa’’, che significa ‘’su cui non piove’’, a sud-est di Utopia si trova il paese
degli ‘’Acori’’ , che significa ‘’senza regione’’ , il principe si chiama ‘’Ademo’’ ,
che significa ‘’senza popolo’’.
In una lettera indirizzata all’umanista francese Pierre Gilles (1490-1555) ,
Moro spiega che i nomi di Utopia affermano la loro realtà storica nella misura
in cui il loro significato ha ‘’nihil significantia’’ ( ‘’privo di significato’’ ).
Questo non significa che questi nomi non hanno senso , ma che non si
riferiscono a realia , sono semplici segni grafici , e proprio in tale riferimento
esibiscono il loro carattere storicamente deteminato.
Come lo stesso Gilles spiega all’amico Hieronymus van Busleyden (1470-
1517) , nel libro di Moro il lettore crede di vedere l’isola ‘’dipinta come se fosse
sotto i suoi stessi occhi’’.
Moro è dunque tra i primi a comprendere il carattere incipiente e ineluttabile
di tale riduzione , che con Hobbes assumerà un tono irreversibile: tutta la
descrizione di Utopia è animata dalla tensione tra spazio e luogo.
Le cinquantaquattro città dell’isola sono ‘’quasi tutte uguali’’ , identiche nella
posizione , nei trasporti e nell’aspetto.
Rigidità , uniformità e serialità del piano sono temperate dal rispetto per il
dato naturale , sicché nessuna città , nessuna piazza e nessuna via obbedisce
al criterio dello standard che è la marca spaziale definitiva e per eccellenza ,
ma ogni costruzione riflette valori locali.
Se come voleva Desmarais , per l’Utopia si trattava di un sogno , allora esso
riguardava la conciliazione tra spazio e luogo, tra i poli opposti della
materiale costituzione della Modernità.
Utopia è il luogo che diventa spazio senza cessare di essere luogo , essa non
esiste perché è una mappa, e come tutte le mappe può stare ovunque e quindi
non sta davvero da nessuna parte.
È un’isola perché ogni mappa è un’isola , rappresenta una parte della Terra a
se’ stante , e in questa sua separatezza consiste l’origine del suo carattere
artificiale.
Utopia esiste e insieme non esiste perché la sua esistenza si limita
all’immagine cartografica , essa dunque c’è e allo stesso tempo non c’è.
È la sua natura cartografica la rende congegno spaziale , nel senso che è lo
spazio il prodotto che il piano della tavola , la struttura tabulare che accoglie
il disegno , comunica , ‘’impartisce’’ dall’interno.
Il meglio che essa riceve dall’esterno , dalla mente di Moro , si condensa non
soltanto nel valore del luogo , ma nell’idea , o meglio nella speranza , che
luogo e spazio non fossero per sempre e ovunque l’un l’altro antagonisti e
protagonisti.
NOTE
NOTE
Il Seicento è il secolo del globo terracqueo, quello in cui terra e acqua sono
insieme al centro del mondo.
Questa rivoluzione , che si spinge anche al Settecento , comporta delle
modifiche sostanziali, in quanto le cose si fecero ovviamente più complesse.
È nel Seicento che nasce la figura del geografo, colui che era in grado di
scegliere gli strumenti più adatti per la definizione dei lineamenti e della
composizione mista della Terra.
Già nel Settecento tuttavia l’espressione ‘’globo terracqueo’’ , che sarebbe la più
appropriata, viene abbandonata.
Riferendoci alla Terra oggi diciamo ‘’globo terrestre’’, un’espressione nata nel
Settecento che va a sostituire quella precedente ( che in teoria è più corretta ) e
che vuole sottolineare l’opposizione tra un globo celeste ed uno ‘’terrestre’’
per l’appunto ( con quest’ultimo che mostra le relazioni tra le parti della Terra
che sono emerse ).
In sostanza una volta ammesso che il pianeta si compone di terra e acqua, si
va ad escludere quest’ultima tramite l’espressione ‘’globo terrestre’’ per paura
dell’abisso liquido: come se ancora oggi credessimo che la Terra sia una
tavola.
Nel Settecento torna a far paura Tiamat, l’entità abissale del mito babilonese,
contro la quale si sente il bisogno di un eroe , un novello Marduk che possa
sconfiggere l’oscurità dell’abisso.
Quella dell’invenzione della Terra è un’operazione collettiva , a cui hanno
partecipato migliaia di protagonisti , spesso dimenticati.
Per quanto riguarda però la misurazione dell’abisso non vi sono dubbi: il
primo ad averlo misurato , ad aver cercato di comprendere e misurare la
profondità dei mare , è stato il conte bolognese Luigi Ferdinando Marsigli
(1658-1730).
Egli è autore di una ‘’Histoire Physique de la Mer’’ (1725) , opera pubblicata ad
Amsterdam e oggi riconosciuta come il primo manuale di oceanografia mai
apparso.
Intorno al 1680 , in quel momento che Paul Hazard (1878-1944)* ha definito
come quello della ‘’crisi della coscienza europea’’ ( causata dal dover scegliere
tra il dovere verso il sovrano e quello verso Dio ), Marsigli si arruola
nell’esercito di Leopoldo I d’Austria (1640-1705) per combattere contro i
Turchi.
Marsigli stesso ci dice però che anche durante la guerra egli non ha smesso di
‘’investigare col fondamento…l’ordinata disposizione delle parti che l’Eterno facitore
dar volle alla gran fabbrica del mondo’’.
Fare la guerra e conoscere la faccia della Terra sono dunque per Marsigli
un’unica attività , nel senso che si realizza attraverso le stesse operazioni e che
obbedisce ad un’unica logica e ad un unico senso.
Marsigli , al tempo della pace di Carlowitz (1699) , dice di aver ‘’scandagliato
province per fare la guerra, e la pace’’: in effetti egli ha combattuto lungo il corso
del Danubio , ma è anche stato il primo a misurare sistematicamente e
perlustrare il grande fiume.
Nell’ Histoire Physique de la Mer Marsigli , scritta durante un soggiorno in
Provenza , Marsigli va invece a scandagliare il fondo dell’abisso marino ,
sostenendo una posizione opposta a quella dei pescatori di corallo che
abitavano quelle zone.
I corallari il mare non aveva fondo perché essi con i loro strumenti non erano
mai riusciti a toccarlo ; Marsigli invece , non soltanto trova il fondo , ma fa
dire allo scandaglio proprio ciò che egli decide di dire.
Come Galileo ad inizio del Seicento aveva ‘’abolito il cielo’’ , riprendendo
l’immagine offerta da Bertolt Brecht , allo stesso modo Marsigli abolisce
l’abisso.
Al posto di quest’ultimo egli inventa la scarpata , quella che oggi chiamiamo
piattaforma continentale, e non si limita ad affermare che il fondo del mare è
unito alle rive, ma decide che esso ne è la ‘’molto regolata continuazione’’.
Scandagliando dal golfo del Leone (dal confine franco-spagnolo a Marsiglia)
alla costa africana si troverebbe in sostanza una struttura simile in tutto e per
tutto a quella della costa provenzale.
A lavorare è sempre la stessa logica della tavola , che impone anche a ciò che
non si vede (l’abisso) omogeneità e continuità , a cui aggiunge Marsigli la
simmetria.
Come spiegherà Kant nelle sue lezioni di Geografia fisica: Marsigli dà al
Mediterraneo la stessa profondità delle catene montuose che lo circondano.
La novità che Marsigli introduce è dunque non il considerare la Terra una
tavola, ma il considerare l’abisso come tale.
Nel suo ordine c’è però qualcosa che non trova posto, e questo perché non si
sa quale cosa sia, e dove sia: si tratta del corallo , che i pescatori portano a
riva con i loro ordigni.
Ancora ad inizio Settecento non si sapeva come classificare il corallo, se come
vegetale o come minerale; in sostanza la sua natura rimaneva un mistero.
Inizialmente Marsigli guarda al corallo come ad un minerale, in quanto la sua
forma e la disposizione dei suoi rami gli ricordavano le formazioni cristalline
proprie dei minerali.
Tuttavia una mattina del 1706 Marsigli scopre, con sua grande sorpresa, che
un ramo del corallo che era stato immerso nell’acqua tutta la notte si era
coperto di ‘’fiori bianchi’’ (madrepore*).
Marsigli cambia la propria opinione, indicando il corallo come pianta marina,
perché per lui , un uomo del Seicento , la Terra è un globo terracqueo: non
soltanto nella Terra c’è mare , ma anche nella Terra c’è il mare.
Cartesio aveva stabilito che Cielo e Terra sono fatti della stessa materia,
Marsigli invece arriva a sostenere la stessa cosa per Terra e mare.
Il fondale marino e la Terra sono identici , è solo la presenza dell’acqua che ci
impedisce di notare questa evidenza.
Tuttavia la conca del mare non è solo la sede delle ‘’belle vegetazioni’’ , ma
anche il luogo in cui abitano i mostri che ancora custodiscono il segreto che si
cela dietro l’espressione ‘’globo terracqueo’’.
NOTE
Sul rovescio del doblone di Quito, quello che Achab inchioda all’albero della
nave, sono raffigurate montagne e vulcani: le uniche due cose di cui si sapeva
ancora meno che dei mari più lontani.
Si cominciò a misurare l’altezza delle montagne solo tra Seicento e Settecento,
ed inizialmente tramite il sistema di corde e scandagli usato per misurare la
profondità del mare; paradossalmente nell’invenzione della Terra si è prima
cercato di misurare ciò che non si vede, e poi ciò che si vede.
Nel Settecento l’immagine della montagna entra nella cultura europea tramite
i protagonisti del viaggio pittoresco, aggettivo che oggi rimanda alla pittura,
ma che negli anni precedenti alla Rivoluzione Francese rimanda ad
un’immagine dalle caratteristiche precise e definite, e animata da un’esplicita
intenzione.
Nell’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert si legge che la cosa che importa
nella composizione pittorica è l’effetto, mentre ciò che è fondamentale è che
non vi sia l’ingombro di figure umane, che potrebbe ostacolare la resa più
precisa e fedele possibile degli oggetti, delle cose e dei luoghi.
Questo tipo di direttive riguardava però alcuni luoghi/oggetti/cose: quelli
descritti negli album che riassumono i i viaggi pittoreschi di Jean-Claude
Richard (1727-1791)*, abate di Saint-Non, e di Jean Houel (1735-1813)**.
Si tratta di illustrazioni dedicate al Mezzogiorno italiano e alle sue isole; i
viaggiatori pittoreschi precedono i romantici tedeschi, quando indicano
l’Italia come ‘’terra promessa dell’arte’’.
Nell’iniziale elenco delle doti del regno di Napoli il Saint-Non cita
esplicitamente la ‘’moltitudine di fenomeni che interessano ai Fisici ed ai
Naturalisti’’.
L’itinerario pittoresco nel Mezzogiorno è dunque caratterizzato dalla tensione
per il polo monumentale (simboleggiato dalle rovine di Pompei ed Ercolano)
e per quello naturalistico (rappresentato dai vulcani).
Questi disegni vanno a codificare una figura del meridione italiano che
resterà unica per più di un secolo, anticipando quello stile che mescola
archeologia ed esotico che sarà proprio della pittura romantica del XIX
secolo (paesaggi della Grecia, dell’Albania, della Siria e dell’Egitto ).
Gli oggetti naturali che suscitano più interesse sono i vulcani e i fenomeni
geologici a loro connessi (come i basalti).
Sull’origine e la natura del vulcanesimo si aprirà un grande dibattito a fine
Settecento , che vedrà coinvolti tutti gli scienziati d’Europa, divisi in due
principali schieramenti: i nettunisti e i plutonisti.
I primi, in accordo con il racconto biblico del Diluvio, difendevano l’idea di
un primogenito Oceano universale, che si sarebbe ritirato progressivamente,
causando la formazione dei fenomeni vulcanici.
I secondi invece, poco curanti della verità rivelata, postulavano l’esistenza di
un fuoco centrale capace di azione orogenica: mettevano così in discussione
l’idea stessa di Creazione, in quanto immaginavano, non un mondo dato una
volta per tutte, bensì un mondo suscettibile di progressive alterazioni e
modificazioni.
Il Vesuvio, l’Etna e lo Stromboli rappresentavano dunque le ultime sfide per
un discorso scientifico che ‘’doveva ancora impossessarsi del meraviglioso’’,
ovvero di quell’ambito produttore di segni e miracoli, cose che per
definizione sfuggono ad ogni spiegazione razionale.
Gli storici hanno dimostrato che il segreto dell’Illuminismo fu il fatto di
basarsi su concetti politici, ma senza mostrarlo (in sostanza la loro politica
consisteva nell’apoliticità).
Il piano segreto degli illuministi, per cui la borghesia avrebbe dovuto scalzare
lo Stato assoluto, spingeva i viaggiatori pittoreschi nel Mezzogiorno.
Questo segreto, per cui un cataclisma naturale corrisponde ad uno politico
(la Rivoluzione francese), conferiva alle eruzioni vulcaniche quello che
Goethe definì un ‘’fascino da serpenti a sonagli’’.
Lo scopo dell’immagine pittoresca fu dunque quello di predisporre la
diffusione dell’immagine scientifica del mondo, senza realizzarla, ma solo
suggerendola.
Questo non significa che la produzione di queste immagini non abbia
qualcosa di scientifico: i disegnatori al seguito di Saint-Non, per ritrarre le
rovine di Pompei ed Ercolano, utilizzano una serie di espedienti come la
ricostruzione di una pianta generale utile alla collocazione dei loro schizzi.
La forma pittoresca si compone dunque di un lavoro preliminare che di
pittoresco non ha davvero nulla, ma che funziona come natura nascosta e da
intima meta (una specie di ‘’anima di metallo’’).
La raffigurazione geometrico-topografica della pianta generale garantisce la
precisione delle vedute, in modo tale che la natura e l’opera dell’uomo
vengano assimilate in un unico grande denominatore: il criterio di
misurabilità.
La matematizzazione galileiana della natura viene così sotterraneamente
estesa anche ai prodotti della storia umana: questa è la vera meta del viaggio
pittoresco, sottoporre allo sguardo della misurabilità (unico criterio oggettivo)
i prodotti naturali e quelli storici, in modo tale da poterli porre in analogia.
Dunque tra terremoti/eruzioni e rivolte politiche/sociali c’è una sorta di
connessione.
La storia del Mezzogirono è questo per Saint-Non, una storia di rivoluzioni;
allo stesso tempo Houel dice che ‘’nessun paese ha sperimentato più rivoluzioni
della Sicilia’’.
L’immagine pittoresca arriva dunque vicina al superamento dell’iniziale
contraddizione tra viaggio e racconto da cui muove, rappresentando in ogni
caso molto di più degli oggetti che riproduce.
È da essa che nasce quel modello di percezione e comprensione della faccia
della Terra che chiamiamo paesaggio.
NOTE
NOTE
Se il mondo è una sfera o un paesaggio, è evidente che non è più una carta
geografica, e di conseguenza spazio e tempo non esistono più.
Di questo ci importerebbe molto poco, se non fosse che il mondo oggi
funziona proprio così, e questo per merito di qualcosa che noi chiamiamo
globalizzazione.
Questo termine, qualunque cosa esso significhi, ci mette di fronte
all’impossibilità di continuare a far finta che il mondo non sia un globo
(ovvero un qualcosa di discontinuo, anisotropico, non un universo, ma un
‘’pluriverso’’, come dice Edgar Morin*).
Il ‘’villaggio globale’’ di cui parla Marshall McLuhan (1911-1980)** è però
una contraddizione in termini, in quanto il villaggio ha un solo centro,
mentre il globo ne ha innumerevoli.
Quella di McLuhan si presenta allora come una metafora non molto ben
riuscita.
Egli distingueva tra spazio visivo e spazio acustico, concepiti come ambiti
complementari e inseparabili, ma allo stesso tempo incommensurabili.
Lo spazio visivo era prodotto dall’alfabetizzazione fonetica greca, che
mutando la parola in qualcosa di visibile, aveva trasformato i criteri della
concezione stessa del mondo.
Lo spazio acustico era invece figlio dei mezzi di comunicazione elettrici, che
avevano permesso all’uomo di ritornare al tempo che precedette
l’alfabetizzazione: l’ambito dei rapporti di natura sonora (che non sono
successivi, come nello spazio visivo, bensì simultanei).
Già all’inizio degli anni Sessanta del Novecento dunque, prima dell’avvento
della ‘’comodità di rete’’, McLuhan registrava la presenza di ‘’tamburi tribali
elettromagnetici’’ che risuonavano allo stesso tempo in una pluralità di centri
ubiqui: una situazione non proprio da villaggio.
Il ‘’villaggio’’ serviva in realtà a McLuhan per evocare quella condizione per
cui alla distanza interpersonale minimizzata corrisponde la massimizzazione
della comunicazione (come si pensa avvenga in un villaggio, dove tutti
parlano con tutti).
Nei fatti però non è così, visto che soprattutto oggi la comunicazione è un
processo logico, lineare e sequenziale.
Guardando al caso delle città, risulta impossibile continuare oggi a parlare di
‘’città globali’’, locuzione con cui si vorrebbe indicare quelle città che
comandano l’economia mondiale.
Queste città non sono necessariamente quelle più grandi (in questo elenco è
presente per esempio Zurigo), ma quelle in grado di controllare l’attività
finanziaria e le sue innovazioni.
Nessuna città è però effettivamente ‘’globale’’, nel senso che le funzioni di
comando non risiedono mai all’interno di un’intera città, ma solo in una
parte ristretta.
Non sapere quale sia il centro, e chi siamo, appartiene all’esperienza
individuale di tutti noi.
Se si pensa a quella filastrocca che tutti noi cantavamo sin da piccoli, ‘’Giro
giro tondo, casca il mondo’’, già in quel linguaggio disarticolato era presente la
mimesi perfetta del mondo e del suo funzionamento.
Quando finiva la filastrocca, tutti ci abbassavamo per toccare con entrambe le
mani la terra, una tavola piatta che garantiva la nostra stabilità e la nostra
identità.
Oggi però questa filastrocca non rispecchia più il funzionamento del mondo,
troppo in questi anni è cambiato: la materia intorno a noi è divenuta
immateriale unità d’informazione ,il cyberspazio, che è impossibile da
rappresentare su una carta.
Date queste premesse è evidente che l’espressione ‘’autostrada
dell’informazione’’ sia assolutamente fuorviante, in quanto le cose solide
obbediscono a immutabili leggi di conservazione, mentre le informazioni
sono parte di un invisibile antimondo.
Nel mondo materiale e consumo si devono sempre bilanciare, per cui
ognuno mangia la quantità di cibo che produce, mentre nel mondo delle
informazioni tutto può essere replicato ad un costo quasi nullo.
L’atto che ha fondato la conoscenza occidentale è stata la riduzione del
mondo ad una carta geografica, al punto che ancora oggi si crede che la
mappa sia la copia della Terra, ma è esattamente il contrario: è la Terra che ha
assunto fin dagli albori la forma di una mappa.
Se il mondo è una mappa, ogni direzione sarebbe stabile e univoca, proprio
come è stato nell’epoca moderna.
Il fenomeno della globalizzazione ci costringe però a comprendere davvero il
significato del termine, che significa che non è più possibile ridurre la Terra
ad una tavola, ma si deve guardarla per quello che è: un globo.
In un globo però le direzioni non corrispondono più a relazioni fisse, il
soggetto di fronte al globo è costretto a muoversi, non resta immobile come
sulla carta.
Non possiamo più ignorare tutto ciò, dobbiamo urgentemente reinventare la
Terra, anche se oggi è più difficile ‘’orientarsi nel pensare’’, come diceva Kant.
Si deve reinventare la Terra ‘’in nome di tutti gli esseri umani che tenendosi per
mano continuano a girare in tondo e sono l’umanità.
NOTE