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Gianfranco Fioravanti
Quando Dante nel secondo trattato del Convivio istituisce un parallelo tra cieli e scienze egli presenta al suo pubblico la versione vulgata di ci che ancor
oggi deniamo il sistema aristotelico tolemaico: questa immagine del mondo
si era costruita a partire per un lato dalla conoscenza dellAlmagesto e dalle
spiegazioni e correzioni apportatevi dagli astronomi arabi, per laltro dallassimilazione dei capisaldi cosmologici del De caelo di Aristotele Come tutti sanno, le tensioni tra un modello matematico e uno sico avevano percorso tutto
questo processo: ma alla ne, al di l delle discussioni pi o meno tecniche
sulla sostenibilit sica dellesistenza di epicicli e di eccentrici e sulla capacit
delle sfere omocentriche di render conto delle apparenze, si era formata una
comune percezione della struttura delluniverso: quella dei nove cieli (Luna,
Mercurio, Venere, Marte, Sole, Giove, Saturno, stelle sse, Primo Mobile). Sto
debitando delle banalit lapalissiane, ma bisogna pure ricordare che nel XII
secolo, il secolo del Timeo, avevano avuto corso modelli differenti, mutuati da
Calcidio e da Macrobio.
Nel Convivio (cos come successivamente nella Commedia) il nono cielo, il
Primo Mobile, ha anche un altro nome: il Cristallino. Dante registra qui, operata dai teologi del XIII secolo, lintegrazione nel modello dei philosophi e degli
astrologi di un elemento di cosmologia biblica che aveva creato problemi n
dallHexaemeron di Ambrogio: le acque che sono sopra il rmamento. La storia assai lunga e anche abbastanza indagata dagli studiosi moderni1 ed io mi
limito ad una sommaria esposizione di alcuni momenti di questo processo di
assimilazione.
1.
Christian Readings of Aristotle form the Middle Ages to the Renaissance, ed. by Luca Bianchi,
Studia Artistarum 29 (Turnhout, 2011), pp. 25-36
FH G
DOI 10.1484/M.SA-EB.1.100672
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Il Venerabile Beda nel suo commento al Genesi aveva fatto di queste acque
la materia stessa del rmamentum presentando, come esempio della possibilit di una tale formazione, la generazione del cristallo dal consolidamento
dellacqua:
In medio ergo aquarum rmatum constat sidereum caelum, neque aliquid prohibet ut etiam de aquis factum esse credatur; qui enim crystallini
lapidis quanta rmitas, quae sit perspicuitas ac puritas novimus, quam de
aquarum concretione certum est esse procreatum, quid obstat credi quod
idem dispositor naturarum in rmamentum caeli substantiam solidarit
aquarum2 ?
Immediatamente dopo, per, egli, con maggiore aderenza al testo biblico, parla di acque ghiacciate poste sopra il rmamento, che quindi danno origine ad
un cielo ulteriore:
Et intellegat quia qui infra caelum ligat aquas ad tempus. . . ipse etiam
potuit aquas super rotundam caeli sphaeram ne umquam delabantur, non
vaporali tenuitate, sed soliditate suspendere glaciali3 .
Questa sar la posizione degli autori successivi4 . Dal canto suo Pier Lombardo
utilizzer entrambi i testi dimostrando per minor sicurezza relativamente al
ne cui questo cielo sarebbe ordinato5 .
Alberto Magno riassumer in qualche modo il percorso per cui dalle acque
che sono sopra il rmamento si arrivati al cielo cristallino:
Quidam Sancti considerantes coeli huiusmodi indissolubilitatem et perspicuitatem et luminositatem vocaverunt ipsum crystallinum, sicut Rabanus et quidam alii6 .
2.
3.
4.
5.
6.
Beda, In Genesim, I i 6-8, Corpus Christianorum. Series latina CXVIII A, p. 10. Nel De natura rerum (VII. De caelo superiore) Beda parla di aquae glaciales collocate sotto il cielo
pi alto perch temperino lardore provocato dal suo movimento: Caelum superioris circuli
proprio discretum termino et aequalibus undique spatiis collocatum virtutes continet angelicas, quae ad nos exeuntes, aetherea sibi corpora summunt ut possint hominibus etiam in
edendo similari, eademque ibi reversae deponunt. Hoc Deus aquis glacialibus temperavit ne
inferiora succenderet elementa, ivi, pp. 197-198.
Ivi, p. 11.
Cfr. Honorius Augustodunensis, De imagine mundi, cap. 138: Super rmamentum sunt
aquae instar nebulae suspensae, quae caelum in circuitum ambire dicuntur, unde et aquaeum
caelum dicitur, PL 172, c. 146.
Petrus Lombardus, Sententiae in IV libris distinctae, II, d. 14, cc. 3 e 4, I.2, ed. Quaracchi,
Grottaferrata, 1971, pp. 395-396.
Albertus Magnus, Summa de creaturis, Pars prima, De quattuor coaequevis , tr. III, q. 12,
a. 1, A. Borgnet (ed.), XXIV, p. 425. In realt pi che a Rabano dovremmo rimandare
allelenco dei cieli fornito dalla Glossa ordinaria : aereum, ethereum, igneum, sidereum,
cristallinum, empyreum, Glossa in Deuteronomium, PL 113, c. 462 B-C.
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Nella pi tarda Summa de mirabili scientia Dei Alberto sarebbe tornato allo
schema secondo cui i Philosophi avrebbero aderito, ponendo un nono cielo, ai
dogmata Moysi:
Dicendum quod caelum quod Sancti vocant aqueum vel crystallinum et
Philosophi vocant uniforme in lumine, cuius lumen tantae simplicitatis
est quod visibus hominum non subijcitur, sicut dicit Damascenus in libro II De de orthodoxa, ea quae sunt Moysi sua facientes dogmata, est
caelum nonum et est super caelum octavum quod dicitur stellatum sive
rmamentum8 .
Albertus Magnus, In II Sent., d. 14, art. 1, Utrum aquae sint supra caelum vel
rmamentum?, A. Borgnet (ed.), XXVII, p. 258.
Id., Summa II, tr. 11, q. 52, membrum 2, Utrum caelum cristallinum sit mobile an immobile.
Il riferimento al cap. 6 del secondo libro del De de orthodoxa.
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Ma, per usare ancora il testo dantesco, al disopra del Cristallino-Primo Mobile,
non i loso, ma esclusivamente i fedeli sanno dellesistenza di un altro cielo:
Veramente, fuori di tutti questi, li cattolici pongono lo cielo empireo, che
a dire cielo di amma o vero luminoso e pongono esso essere immobile10 .
Id., In II Sent., d. 14, q. 1, art. 1, Utrum aquae sint super caelos (come si vede, Tommaso, per
dar ragione dei due movimenti delle stelle sse, accetta qui lesistenza, oltre lo stellato, non
di uno, ma di due cieli trasparenti). Meno duciosa in questa concordia tra Scrittura (debitamente interpretata) e scienza era stata la Summa Halensis: Philosophi non ascenderunt
usque ad caelum empyreum nec usque ad caelum crystallinum (II, inq. III, tr. 2, q. 2, art. 3,
Utrum empyrem dicendum sit caelum, ed. Quaracchi, 1928, II, p. 330.)
10. Dante, Convivio II iii 8.
11. B. Nardi, La dottrina dellEmpireo nella sua genesi storica e nel pensiero dantesco, in Id.,
Saggi di losoa dantesca, La Nuova Italia, Firenze, 1967, pp. 167-214.
12. Cfr. Glossa ordinaria in Genesim, PL 113, 68: In principio Caelum, non visibile rmamentum, sed Empyreum, id est igneum, vel intellectuale, quod non ab ardore, sed a splendore
dicitur, quod statim repletum est angelis; Beda, In Genesim, I i 2, Corpus Christianorum.
Series latina CXXIII A, p. 4: Ipsum enim est caelum superius quod, ab omnihuius mundi volubilis statu secretum, divinae gloriae presentiae manet semper quietum. [. . . ] Non
ergo superius illud caelum, quod mortalium est omnium inaccessibile conspectibus, inane
creatum est et vacuum ut terra [. . . ] quia nimirum sui incolis mox creatum, hoc est beatissimis angelorum agminibus, impletum est. Trasmigrato nel testo delle Sentenze di Pier
Lombardo, il termine Empireo era divenuto di uso comune.
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Philosophi non ponunt ipsum quia ipsi locuti sunt de superioribus secundum sensum vel secundum consequentiam rationis, et secundum sensum
apparent nobis tantum octo sphaerae, nona vero probatur secundum consequentiam rationis [. . . ] decima quae ponitur immobilis nec sensu nec
forti ratione manifestatur, et ideo ipsi non posuerunt eum13 .
Si tratta di uno di quei passi in cui Aristotele, per rafforzare le sue tesi losoche, si serve delle credenze comuni, senza che questo signichi attribuire loro
un valore assoluto di verit. Al massimo esse possono essere intuizioni di verit che rimangono ancora imprigionate nellinvolucro del mito15 . La versione
araba del De caelo e la corrispondente traduzione latina di Gerardo da Cremona avevano in qualche modo forzato il testo aristotelico nella direzione delle
religioni del Libro e dunque avrebbero potuto offrire un appiglio al rimando
dantesco:
13. Albertus Magnus, Summa de creaturis. Pars prima. De quattuor coaequevis, tr. III, q. 11,
a. 3, Utrum caelum empyreum sit mobile, A. Borgnet (ed.), XXXIV, p. 423.
14. Cito dalla traduzione di O. Longo, in Aristotele, Opere, Laterza, Bari, 1973, II, p. 247.
15. Vedi ad esempio Metaph. XII, 8, 1074 b 1-14: Dagli antichi e dagli antichissimi stata tramandata una tradizione in forma di mito secondo la quale sono questi gli dei e il divino circonda tutta la natura. [. . . ] Se si prende solo il punto fondamentale, cio laffermazione che
le sostanze prime sono dei, bisogna riconoscere che essa stata fatta per divina ispirazione.
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Omnes homines conveniunt in loco huius corporis primi nobilis, qui est
locus spiritualium, scilicet Greci et alii ex gentibus, qui contentur Deum
et eius potestatem creandi. Et non contentur illud nisi quoniam res super
quam non cadit corruptio [. . . ] oportet ut sit, sicut est, in loco qui non
minuitur neque corrumpitur neque mutatur neque alteratur16 .
Ma nella parafrasi di Alberto, queste suggestioni sono state lasciate del tutto
cadere: la precisazione [del tutto ovvia] che Dio non contenuto in un luogo
come le altre realt, mantiene una valenza puramente losoca mentre la stessa potestas creandi viene reinterpretata come una pi philosophically correct
potestas causandi. E non basta: questa capacit produttiva viene ricollegata al principio, anchesso squisitamente losoco e teologicamente assai sospetto, per cui ab uno non potest esse nisi unum, con la conseguenza che il
Primo Principio ha bisogno del movimento dei cieli per produrre la diversit
degli enti: dunque un concentrato di tesi peripatetiche suscettibili di censure
teologiche ed eventualmente ecclesiastiche. Colmo dei colmi, gli spiriti beati
abitanti dellEmpireo sono qui gli uomini divinizzati dellErmete Trismegisto
e di questo cielo come abitazione di esseri divini ci parla non la Santa Chiesa
ma quel fantomatico e piuttosto sospetto De natura deorum, un testo di cui
Alberto mostra in molti altri luoghi maggiore stima che effettiva conoscenza:
Omnes homines qui cognoverunt deos, primam videlicet causam et alias
substantias separatas intellectuales conveniunt in iudicio hoc, quod dicunt quod caelum est locus talium substantiarum quas illi spiritus separatos esse dicebant. Hoc enim tam Graeci philosophi dixerunt, sicut Plato et
sui sequaces, quam etiam alii ex gentibus Chaldaeorum et Aegyptiorum,
quorum primus fuit Hermes Trismegitus qui omnem deum in caelum sicut in locum sibi convenientem reducit, sive sit sumptus ex hominibus
sive sit caelestis omnino. Ostenduntur autem omnia haec in Libris de natura deorum quos diversi philosophi scripserunt, et ideo etiam a nobis
tunc veritas de his tradetur quando agemus de deorum natura. Sed tamen sciendum est hic quod aliter Deus est in caelo et aliter locatum in
loco, quia Deus non continetur caelo, sed potius est in ipso sicut motor
indivisibilis, et per eumdem modum sunt ceterae substantiae intellectuales in suis orbibus, sicut determinatum est in octavo Physicorum in parte,
et sufcienter ostendetur hoc in philosophia prima.
Rationabiliter autem iudicaverunt omnes gentes Deum esse in caelo. Deo autem dederunt potestatem causandi et creandi ista inferiora, et
16. Cito la traduzione di Gerardo da Albertus Magnus, De caelo et mundo, P. Hossfeld (ed.),
Aschendorff, Mnster, 1971 (Opera Omnia, V, pars prima), p. 21, ll. 77 sgg. Come nel caso
dei primi tre libri dei Meteorologica, sembra che Gerardo abbia avuto sotto gli occhi una
versione araba non particolarmente fedele alloriginale greco.
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ideo, cum ab uno non possit esse nisi unum et ab uno aeterno quod non
incepit non possit esse diversitas secundum naturam, dederunt ei caelum
quod in substantia ingenerabile est et secundum motum diversicatum,
ut movendo illud causet nova inferiora diversa eo modo quo exposuimus
in octavo Physicorum17 .
Il secondo rimando del Convivio (II iv 3), anche se non nomina direttamente lEmpireo, attribuisce ad Aristotele affermazioni che ne postulerebbero comunque lesistenza. Dante sta discutendo lordine e il numero degli Angeli e,
data la sua identicazione tra Angeli e Intelligenze motrici, deve fare i conti
con la posizione secondo cui il numero delle sostanze separate va calcolato in
base al numero dei movimenti celesti cui esse presiedono. Si tratta di una tesi
presente in Metaph. XII, 8 e quindi correttamente aristotelica; dato per che lo
Stagirita, a differenza di Averro, non aveva affermato esplicitamente lesclusivit di questa corrispondenza, per Dante era possibile interpretare altri passi
di Aristotele come alludenti alla verit cristiana di un numero di Angeli molto
maggiore, Angeli non addetti alle sfere celesti, ma alla contemplazione di Dio
nel loro luogo naturale lEmpireo:
17. Id., De caelo et mundo, I, tr. 1, c. 9, p. 23, ll. 4-33.
18. Thomas de Aquino, De caelo, I, lectio 7, ed. Marietti, n. 75. Questa la versione di Guglielmo (ivi): Omnes enim homines de diis habent existimationem, et omnes eum qui sursum
Deo locum attribuunt, et Barbari et Graeci, quicumque quidem putant esse deos, palam ut
immortali immortale coaptatum [. . . ] si quidem igitur est aliquid divinum, quemadmodum
est, et nunc dicta de prima substantia corporea dicta sunt bene.
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Furono certi loso, de quali pare essere Aristotele nella sua Metasica,
avvegna che nel primo di Celo incidentemente paia sentire altrimenti, che
credettero solamente essere tante queste, quante circulazioni fossere nelli
cieli e non pi.
Questa volta non si tratta di miti o di credenze da interpretare, ma del pensiero stesso di Aristotele: per lo Stagirita al di l dellorbita pi esterna esiste
una zona fuori dello spazio e del tempo dove un mondo di realt puramente
intellettuali gode di una interminabilis vitae tota simul et perfecta possessio.
Ancora una volta il testo arabo e la traduzione latina di Gerardo da Cremona, con lintroduzione addirittura di una formula liturgica, sembrano indirizzare il testo verso il campo di una teologia rivelata e dare ragione al tentativo
dantesco di cristianizzare Aristotele:
Nuper autem ostendimus et diximus quia non extra caelum locus neque
vacuum neque tempus. Si ergo hoc est secundum illud, tunc propter illud
quod est illic non est in loco, neque tempus potest facere ipsum vetus neque aliquid extra ultimum incessus [?] alteratur neque mutatur omnino,
sed est xum: non mutatur neque recipit impressiones. Vita ergo illic est
xa et sempiterna in saecula saeculorum quae non nitur neque decit,
et est melior vita20 .
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Tommaso, da parte sua, si limita a parafrasare il testo, concentrandosi piuttosto sulla confutazione della dottrina di Alessandro di Afrodisia secondo cui
le propriet di intemporalit e intransmutabilit qui elencate da Aristotele sarebbero attribuibili ai corpi celesti (utilizzando il commento di Simplicio da
poco tradotto lAquinate sostiene che tali caratteristiche possono esser attribuite solo a Dio ed alle sostanze separate) e mostrando di non ritenere che
le espressioni aristoteliche alludano a niente di diverso dalla sua normale
dottrina:
Dicit primo quod quia extra caelum non est locus, sequitur quod ea quae
ibi sunt nata esse, non sunt in loco. Et hoc quidem Alexander dicit posse intelligi de ipso caelo, quod quidem non est in loco secundum totum,
21. Ivi., I, tr. 3, c. 10, pp. 75-76.
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sed secundum partes [. . . ] et iterum, quia tempus non est extra caelum,
sequitur quod non sint in tempore, et ita tempus non facit ea senescere Quod etiam dicit Alexander posse caelo convenire, quod quidem non
est in tempore, secundum quod esse in tempore est quadam parte temporis mensurari [. . . ] Sed hoc non videtur esse verum, quod corporum
caelestium non sit aliqua transmutatio cum moveantur localiter, nisi forte
exponamus de transmutatione quae est in substantia. Sed haec videtur distorta expositio, cum Philosophus universaliter omnem mutationem excludat. Similiter etiam non potest dici proprie quod caelum sit ibi, id est
extra caelum. Et ideo convenientius est quod hoc intelligatur de Deo et de
substantiis separatis quae manifeste neque tempore neque loco continentur cum sint separatae ab omni magnitudine et motu. Huiusmodi autem
substantiae dicuntur esse ibi, id est extra caelum, non sicut in loco, sed sicut non contenta nec inclusa sub continentia corporalium rerum, sed totam corporalem naturam excedentia. Et hic convenit quod dicitur, quod
eorum nulla sit transmutatio quia superxcedunt supremam lationem, scilicet ultimae sphaerae quae ordinatur sicut extrinseca et contentiva omnis mutationis [. . . ] Et dicit quod illa entia quae sunt extra caelum sunt
inalterabilia et penitus impassibilia, habentia optimam vitam in quantum
scilicet eorum vita non est materiae permixta [. . . ] Habent etiam vitam
per se sufcientissimam in quantum non indigent aliquo vel ad conservationem suae vitae, vel ad executionem operum vitae. Habent etiam vitam
non temporalem, sed in toto aeterno.
Horum autem quae hic dicuntur quaedam possunt attribui corporibus caelestibus, puta quod sint impassibilia et inalterabilia, sed alia duo
non possunt eis convenire, etiam si sint animata. Non enim habent optimam vitam, cum eorum vita sit ex unione animae ad corpus caeleste;
nec etiam habent vitam per se sufcientissimam, cum per motum suum
bonum consequantur [. . . ]22 .
Dunque, a differenza che per Dante, per i due pi illustri esegeti dello Stagirita, il cosmo aristotelico non si apre su nessun Empireo teologico. E sempre
difcile trovare la causa di una mancanza. Nel caso di Alberto potremmo pensare che tutto dipenda dalla sua netta distinzione tra dimostrazioni e dottrine
losoche da una parte, e dato rivelato e sistemazione teologica dallaltro: nel
caso specico il riuto di identicare angeli e sostanze separate doveva rende22. Thomas de Aquino, De caelo, I, lectio 21, ed. Marietti, nn. 213-214. Anche in questo caso la
traduzione di Guglielmo di Moerbeke, fedele al testo greco, non presentava nessuna forzatura
teologica: Manifestum [. . . ] quia neque locus, neque vacuum neque tempus est exterius.
Propter quod quidem neque in loco quae ibi sunt apta nata esse, neque tempus ipsa facit
senescere, neque est ullius neque una transmutatio eorum quae super eam quae maxime
extraordinata lationem, sed inalterabilia et impassibilia, optimam habentia vitam et per se
sufcientissimam perciunt toto aeterno.
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re di per s improponibile lipotesi di un Empireo losoco. Questa spiegazione non varrebbe per per Tommaso, e dunque provo qui ad avanzare unaltra
ipotesi. Per lAquinate, come per tutti i teologi del XIII secolo lEmpireo un
corpo: se non contiene in senso stretto gli angeli, in quanto puri spiriti, conterr per localmente i corpi dei risorti e gi n da ora contiene Cristo in quanto
uomo23 , ed tanto un corpo che, sia pure dopo alcune esitazioni Tommaso gli
attribuir, a differenza di Alberto, la capacit di agire, come le altre sfere, sulle
sfere inferiori e sulle realt sublunari24 . Sotto questo rispetto la posizione di
Dante abbastanza diversa. vero, come dice il Nardi, che una concezione puramente immateriale dellEmpireo verr sostenuta solo nella Commedia, ma
gi nel Convivio si respira per dir cos unaria di smaterializzazione: lEmpireo, composto di parti come tutti gli altri corpi celesti, s lo soprano edicio
del mondo nel quale tutto il mondo sinclude, ma a differenza degli altri cieli
formato fu solo nella prima Mente, la quale li greci dicono Protono il che lo
avvicina molto ad una realt del tutto intellettuale.
Ora, prima del commento al De caelo, Tommaso aveva fatto ricorso, esattamente come Dante, allo stesso brano del capitolo nono del primo libro del De
caelo, e questo proprio in una discussione relativa allEmpireo, ma non laveva affatto considerato come una pregurazione losoca di ci che i cattolici
tengono per fede, bens come una obiezione alla sua corporeit (dottrina cui,
23. Cfr. Id., In II Sent., d. 2, q. 2, art. 1. LEmpireo un corpo quod principaliter ordinatum est ut
sit habitatio beatorum et hoc magis propter homines quorum etiam corpora gloricabuntur,
quibus locus debetur quam propter angelos qui loco non indigent. Di fronte ad un tentativo
un po maldestro di spiritualizzazione presente nella Glossa ordinaria che parlava di caelum igneum vel intellectuale Tommaso precisa: Dicendum quod caelum Empyreum dicitur
intellectuale quia nostris visibus non subiacet, sed intellectu tantum capitur, non quod in se
non sit visibile (ivi, ad primum).
24. Nel commento al secondo libro delle Sentenze (d. 2, q. 2, a. 3) Tommaso aveva negato che
lEmpireo esercitasse una inuenza sui cieli e mediante i cieli sul mondo sublunare, allineandosi in questo alla soluzione del suo maestro Alberto (cfr. In II Sententiarum, d. 2, a. 5,
A. Borgnet (ed.), XXVII, p. 54); nella Summa Theologica (I, q. 66, a. 3) egli ritiene probabile
questa risposta, attribuendola a dei quidam tra cui avrebbe dovuto annoverare, oltre Alberto, anche se stesso, ma ancor pi probabile quella opposta. Inne, nel Quodlibet VI, q. 11, art.
un., Utrum caelum empyreum habeat inuentiam super alia corpora lAquinate (questa volta
riconoscendo di aver sostenuto in passato una opinione diversa) sottoscrive (ed argomenta)
senza pi riserve la capacit dellEmpireo di agire sul resto delluniverso proprio attraverso
la sua quiete: Dicendum quod quidam ponunt caelum empyreum non habere inuentiam in
aliqua corpora quia non est institutum ad effectus naturales, sed ad hoc quod sit locus beatorum. Et hoc quidem mihi aliquando visum est. Sed diligentius considerans, magis videtur
dicendum quod inuat in corpora inferiora quia totum universum est unum unitate ordinis
ut patet per Philosophum XII Metaphisicae [. . . ] unde si caelum empyreum non inueret
in corpora inferiora [. . . ] non contineretur sub unitate universi, quod est inconveniens
(ed. Marietti, n. 140).
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